Roll to Me

di Ghostclimber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Whiskey Remorse ***
Capitolo 2: *** Driving With The Brakes On ***
Capitolo 3: *** Behind the Fool ***
Capitolo 4: *** To Last a Lifetime ***
Capitolo 5: *** The First Rule of Love ***
Capitolo 6: *** It Might as Well Be You ***
Capitolo 7: *** This King Is Poor ***
Capitolo 8: *** Hatful of Rain ***
Capitolo 9: *** Before The Evening Steals The Afternoon ***
Capitolo 10: *** Empty ***
Capitolo 11: *** Hammering Heart ***
Capitolo 12: *** As Soon As The Tide Comes In ***
Capitolo 13: *** Just Getting By ***
Capitolo 14: *** Always the Last to Know ***
Capitolo 15: *** I Won't Take the Blame ***
Capitolo 16: *** Be My Downfall ***



Capitolo 1
*** Whiskey Remorse ***


You always find some company, came in to use the phone,
someone who can't stand to see a friend go home alone.






-Dimmi che non è successo quello che credo.- fu la frase che svegliò Gokudera in un mattino di settembre disgustosamente caldo.

Si sollevò sui gomiti e si guardò intorno per capire almeno dove diavolo fosse: a giudicare dal clima, sembrava l'inferno, ma non ricordava di essere morto. Un'occhiata bastò a fargli ricordare che era nella casa sull'albero dei Giardini Bovino, e girando la testa vide Viola, la tizia con cui aveva fatto amicizia durante l'estate: -Perché cazzo sei nuda?- chiese.

-Potrei farti la stessa cazzo di domanda!- ribatté lei. Sembrava sconvolta, e a ragione: Gokudera guardò giù e si accorse di essere nudo. -Cazzo, fa così caldo che mi sembrava di essere in tuta termica...- bofonchiò, poi cercò di alzarsi. La più terrificante emicrania del secolo glielo impedì.

-Pronto?! C'è nessuno sotto a quei capelli orrendi?!- chiamò Viola.

-E abbassa quella cazzo di voce...- rispose Gokudera.

-Oh, te lo dico una volta sola: siamo tutti e due nudi, io sono tutta appiccicosa in posti dove non dovrei essere appiccicosa, che cazzo è successo?- Gokudera la fissò.

Si mise a fare l'analisi grammaticale della sua frase.

Poi procedette con l'analisi logica.

La tradusse in inglese e in giapponese.

Bestemmiò.

 

Due ore più tardi, dopo una tinozza di caffè e una doccia gelata, Gokudera si avvicinò a Viola: -Ehi. L'hai trovato?

-No, cazzo.- rispose lei. Aveva ancora i capelli umidi e la sua faccia era gonfia e distorta dai sensi di colpa. Dopo una frenetica discussione, avevano concluso che l'unica spiegazione possibile era che avevano scopato da ubriachi e avevano stabilito un piano d'azione: Gokudera si era fatto una doccia ed era andato a fare colazione e a salutare il boss, cosa imbarazzante all'estremo visto che gli aveva appena trombato la figlia minore, ma necessaria visto che era in procinto di partire. Viola, invece, avrebbe fatto il contrario, prima la colazione e poi la doccia, più velocemente possibile così poteva cercare l'unica cosa che non avevano trovato: un profilattico usato.

-Porca troia.- commentò Gokudera. Erano nell'angolo di giardino dove di solito si rifugiavano a fumare, in cui nessuno li aveva mai disturbati: si erano premurati di non smentire le voci che li volevano in fase di corteggiamento, così da poter fumare senza rompiscatole in giro.

-Senti.- disse Viola, -Più tardi sento il dottore, vedo se può darmi la pillola del giorno dopo o cose simili. Andrà tutto bene, vedrai.

-Cazzo, se ci sei rimasta...

-La pillola del giorno dopo, Hayato, sveglia! Ti ricordi cos'è, sì?- Gokudera trasse un respiro tremolante: -Non voglio costringerti ad abortire.

-Non è un aborto, coglione, è ancora un ovulo. Ne butto fuori uno al mese.- Gokudera tacque a lungo, poi disse: -Fammi sapere in ogni caso. Se c'è un problema, troveremo la soluzione.

-Sia chiaro che non ti sposo.

-Sia chiaro che nemmeno ci avevo pensato.

-Già.- disse Viola amaramente.

-Già.- ribatté Gokudera, ancora più amaramente. La guardò e ricordò una frase di Shakespeare, sul fatto che era meglio aver amato e poi perduto che non aver mai amato, e si disse che doveva essere ancora rincoglionito, a meno che non si volesse intendere il verbo “amare” come una cosa reciproca. Scosse la testa e si accese una sigaretta col mozzicone della prima.

-Sbrigati, che tra dieci minuti è pronta l'auto.- gli disse Viola. Gokudera annuì, poi disse: -Per la cronaca, neanche questo ha funzionato. Ho i pensieri che mi si scrivono sulla lavagna del cervello, ma sullo sfondo continua ad esserci disegnata la sua faccia.

-Eh, benvenuto nel club.- ribatté lei. Aspettò che lui finisse la sigaretta poi lo accompagnò fino all'auto. Si erano sostanzialmente usati a vicenda per due mesi di fila, ma avevano finito entrambi per affezionarsi, e salutarsi era un po' triste.

-Stammi bene, rompiscatole.- disse Gokudera, lasciando giù le valigie per un abbraccio.

-Anche tu, imbecille. E buona fortuna con il tuo Decimo.- rispose Viola in un sussurro.

-Eh.- commentò Gokudera. Era andato in missione di rappresentanza ai Giardini Bovino per conto dei Vongola, offrendosi volontario: pensava che forse la lontananza l'avrebbe aiutato a dimenticare quella che pareva la peggior cotta della storia.

Risultato: un totale fallimento.

Sawada Tsunayoshi non era uscito dalla sua mente né dal suo cuore, anzi sembrava aver arredato entrambi per starci più comodo. Ringraziò il cielo che almeno gli fosse stata risparmiata la tortura di dover conversare con qualcuno durante il tragitto verso l'aeroporto e si ripromise di occupare parte del viaggio in aereo a stilare una lista di cose che aveva imparato. In fin dei conti, era suo compito portare a casa un rapporto completo sulla situazione ai Giardini Bovino.

 

Sei ore più tardi, Gokudera rimise il cappuccio alla penna e reclinò un po' il sedile.

Rilesse la lista di informazioni raccolte:

  1. I Bovino sono una manica di psicolabili.

  2. Stanno facendo un po' troppi esperimenti con i viaggi nel tempo, sarebbe il caso di far loro presente che cose orribili accadono ai maghi che incasinano il tempo (semicit.)

  3. Lambo sarà anche un rompicoglioni, ma è nella top three dei meno rompicoglioni della Famiglia Bovino. Il che non è confortante.

  4. Ho giocato così tante partite a Risiko che potrei utilizzare le strategie che ho imparato per conquistare il mondo a nome della Famiglia Vongola.

  5. Ubriacarsi fino a non capire più un cazzo è una pessima idea.

Stava ancora fissando la lista, in cerca di qualche informazione valida da riportare a casa, quando le palpebre gli si chiusero inesorabilmente. Si addormentò come un sasso e si svegliò solo quando la hostess lo scosse per dirgli di allacciarsi la cintura per l'atterraggio.

 

Gokudera era stanco morto.

Si trascinò per le strade di Namimori, cercando di combattere l'istinto che gli diceva di fare un salto a casa del Decimo prima ancora di andare a casa: di certo, si disse, sarebbe stato meglio farsi prima una bella doccia. Il volo di quindici ore di fianco ad un ciccione che apparentemente non aveva idea di dove cazzo si mettono le braccia era stato pesantissimo, e poco ma sicuro non l'aveva lasciato bello fresco e profumato di rosa.

Alzò lo sguardo e disse: -Merda. Sono un coglione.- stava fissando la finestra della camera da letto del Decimo. Non aveva la minima idea di come fosse arrivato lì, ma decisamente stava arrivando il momento in cui avrebbe dovuto cedere e ammettere di aver bisogno di uno psicoterapeuta. Rafforzare l'autostima, non tanto, giusto quel tot che basta per fare in modo di darsi retta da solo invece di dirsi una cosa e poi fare tutt'altro.

Il pensiero svanì come fumo.

Il Decimo era apparso alla finestra, ed era ancora più bello di come se lo ricordasse Gokudera. Sembrava essere cresciuto, durante quei due lunghissimi mesi che lui aveva trascorso in Italia. Era appena un po' abbronzato, e la sua pelle era lucente. Portava una t-shirt troppo grande per lui, e con un colpo al cuore Gokudera la riconobbe: la scritta “danger”, la croce sul petto... era una sua maglietta. Si chiese cosa mai potesse significare.

Guardò il Decimo che scostava la tenda e si appoggiava al bordo laterale della finestra. Il suo sguardo era perso in lontananza, verso il sole che tramontava e che si rifletteva sul suo viso tingendolo di rosso e arancione. Stava rosicchiando qualcosa, forse una matita, e Gokudera lo vide portarsi una mano al petto, stringere la stoffa della maglietta e tirare un gran sospiro. Le sue sopracciglia erano aggrottate in un'espressione triste e tormentata, e Gokudera avrebbe dato un braccio per poterlo baciare alla base del naso e distendere quelle pieghe che gli si addicevano così poco.

Poi, lo sguardo del Decimo scese verso la strada. Gokudera lo vide sussultare, poi udì uno strillo: -GOKUDERA KUN!- il Decimo scomparve, e neanche dieci secondi dopo stava sfrecciando fuori dalla porta, in calzoncini corti e a piedi nudi.

-Decimo!- lo salutò Gokudera; si concesse un istante per guardarlo, prima di inchinarsi, e il Decimo ne approfittò per gettarsi tra le sue braccia.

-Mi sei mancato, Gokudera kun, mi sei mancato un sacco!- disse velocemente il Decimo, poi sciolse l'abbraccio per guardarlo in faccia. Sorrideva, ma i suoi occhi erano colmi di lacrime. Emise uno sbuffo di risata, appoggiò le mani sulle guance di Gokudera e cominciò a coprirgli la faccia di piccoli baci.

Gokudera perse i sensi.

 

Si riprese con la sensazione che qualcuno gli stesse tirando le gambe.

-YOSH! Sawada, prendi un po' di acqua e sale, quando rinviene glielo facciamo bere così si riprende all'estremo!- disse la voce di Ryohei.

-Ah, eh... sì, acqua e sale, aspetta...- il Decimo, questo. Pareva confuso e disorientato.

-Lo sperma è salato, va bene anche quello se preferisci.

-REBORN!

-Cos'è lo sperma?- chiese Lambo.

-Una cosa che si beve.

-REBORN!!!- Gokudera aprì gli occhi. Il Decimo stava biascicando qualcosa a Lambo, cercando di spiegargli che Reborn lo stava solo prendendo in giro, e Ryohei stava tenendo le gambe di Gokudera alzate, trattenendolo per le caviglie.

-Maa, maa, Gokudera. Hai picchiato la testa?

-O quello o...

-REBORN! CATTIVO!- urlò Lambo. Si gettò in avanti verso la sua storica nemesi, facendo perno contro il diaframma di Gokudera che disgraziatamente si trovava tra i due.

-Lambo!- lo richiamò il Decimo. Lambo estrasse una granata dalla tasca dei pantaloncini e la lanciò a Reborn, che la respinse con un gesto della mano. Gokudera prese Lambo per la vita (dannazione se aveva messo su peso in quei due mesi), lo scaraventò sul divano e lasciò che fosse Yamamoto a occuparsi della granata. Il suo perfetto homerun esplose contro l'albero in giardino.

-Come ti senti, Gokudera kun?- chiese il Decimo, apparendo nel campo visivo del suo Guardiano.

-BAKADERA! Lambo san aveva tutto sotto controllo!

-Vorrei che tutti la smettessero di urlare.- rispose Gokudera.

-OK, TUTTI ZITTI!- ordinò il Decimo, poi disse a voce più bassa: -Scusa.

-Non è nulla, Decimo, sto bene.

-Ce la fai a fare una doccia? Poi ti porto del ghiaccio, mangi qualcosa e vai a dormire.

-Decimo, non voglio darle tutto questo disturbo, mi basta un bicchiere d'acqua e poi vado a casa.

-Col cavolo, hai battuto la testa per colpa mia, tu resti qui.

-Gokudera,- si intromise Reborn, -Dame Tsuna ha ragione. Resta qui, così se stai male possiamo soccorrerti. Il mio è un ordine.

-Ogni desiderio del Decimo è un ordine.- disse Gokudera. Il Decimo arrossì dall'attaccatura dei capelli alle dita dei piedi. -Cioè, voglio dire...

-Vai a farti quella doccia, Gokudera kun.- disse il Decimo in tono affettuoso.

-Sì, forse è meglio.- cedette Gokudera.

 

Con l'aiuto di Ryohei, Gokudera depositò le valigie in camera del Decimo; prese il cellulare e sospirò di sollievo nel trovare un messaggio di Viola: “Il dottore dice che è tutto a posto, hakuna matata. Grazie per la bella estate e per il supporto morale, e di nuovo buona fortuna!” Gokudera sorrise e scosse la testa nel vedere la montagna di emoticon che condivano il messaggio; scrisse una rapida risposta, e aveva appena premuto il tasto di invio quando il Decimo disse: -Ti ho portato un asciugamano... disturbo?

-Ah... no, Decimo, assolutamente, è solo... la figlia di Enrico Bovino, chiedeva se sono arrivato sano e salvo. Niente di importante.- il Decimo si sedette sul letto, con ancora l'asciugamano tra le braccia. Gokudera cercò di reprimere il pensiero che avrebbe usato quello stesso fortunato pezzo di stoffa per asciugarsi.

-Lei ti piace?- chiese il Decimo a bruciapelo, fissandosi le ginocchia.

-Lei chi? Oh! No! No, non mi piace, ma era la meno rompicoglioni della famiglia, quindi abbiamo giocato a Risiko tutta l'estate. Ma non mi piace, davvero.

-Bene...- bisbigliò il Decimo, poi si corresse: -Oh, cioè, nel senso! Non bene perché... ma bene perché... sì, insomma!- ridacchiò, -Per fortuna che la testa l'hai battuta tu e non io, ahahah!

-Decimo, vi sentite bene?- chiese Gokudera.

-Sì. Sì, sto bene.- rispose il Decimo in un tono un po' sognante, poi sollevò lo sguardo su Gokudera e sorrise. Si alzò dal letto, gli porse l'asciugamano e disse: -Ora che sei qui con me, sto bene. Buona doccia, Gokudera kun.

-REBORN VOLEVA FARMI BERE LA PIPÌ!- strillò Lambo dal corridoio. Il Decimo si rabbuiò: -Non sono pronto per questa conversazione...- disse in tono lugubre.

-Ci penso io, Tsuna, non preoccuparti.- disse una voce seducente dalla soglia, -Bentornato, Hayato.

-A...aneki...- Gokudera avvertì un improvviso mal di stomaco e cadde in ginocchio. Decisamente, tornare a casa aveva i suoi pro e i suoi contro.

 




Allora, punto primo: doveva essere una one shot.
Punto secondo: decido di far fare lo stronzo a Reborn e lui si stronzizza ancora peggio per vendetta. RIP innocenza di Lambo.
Punto terzo: ho intenzione di dare i nomi ai capitoli secondo le canzoni dei Del Amitri, visto che nella fic "Out Of the Blue", di cui questa è meramente una side story, accenno al fatto che Gokudera ci si drogasse. Sono tutte canzoni depresse perché a quanto pare il povero Justin s'è fidanzato con tutte le donne peggiori della Scozia, per cui se volete sentirvi le canzoni fate pure ma non prendete alla lettera il testo, cogliete l'atmosfera e bon.
Spero vi piaccia, se non vi piace prendetevela anche con arashinosora5927 che mi suggerisce cose e Ste_exLagu secondo cui è cosa buona e giusta che le one shot si trasformino in multicapitolo.
XOXO

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Capitolo 2
*** Driving With The Brakes On ***


When you're driving with the brakes on,
when you're swimming with your boots on,
it's hard to say you love someone,
and it's hard to say you don't.






Tsuna si sedette sul letto.

Si sentiva teso e irrazionalmente nervoso all'idea di avere intorno Gokudera.

Il fatto era che il ragazzo gli era mancato da impazzire, durante quei due mesi che aveva passato ai Giardini Bovino, e anche se si erano sentiti regolarmente, via messaggio e via telefono, spesso si sentiva come se gli avessero amputato un arto. Forse, si disse, Gokudera era davvero il suo braccio destro: cercare di cavarsela nella vita di tutti i giorni era come cercare di barcamenarsi in faccende pratiche con un braccio solo. E non il braccio dominante, tra l'altro.

Ad agosto, poi, durante la festa di compleanno di Ryohei, una strana domanda aveva fatto capolino nella sua mente: e se ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia?

Pur essendo circondato da amici di cui si fidava ciecamente e con cui poteva essere del tutto spontaneo, non faceva altro che voltarsi per confidare un pensiero estemporaneo a Gokudera, solo per scoprire ancora e ancora e ancora che lui non c'era, che non era al suo fianco. Solo che, lungi dal provare solo la melanconia tipica di quando un amico non può essere con te, dopo un po' Tsuna aveva cominciato ad arrabbiarsi irrazionalmente, e invece di ripetersi che Gokudera era in missione e che presto sarebbe tornato, si ritrovava a chiedere al nulla: “Perché mi hai lasciato?”.

Il rumore dell'acqua che scorreva nella doccia cominciò a trapanare la mente di Tsuna, che si perse in una scia di pensieri vaghi e fumosi cercando di dedurre i movimenti di Gokudera dalle piccole variazioni del suono. Si stava lavando le braccia? Il petto? I capelli? Si stava passando le mani sulle parti intime? E com'era...

-Tsuna.- chiamò Reborn, distogliendolo dai suoi pensieri. Il killer, che ora dimostrava più o meno una decina d'anni e stava entrando in quella che sembrava la peggior adolescenza di sempre, era in piedi di fronte al suo letto con in mano un quaderno.

-Lambo si è calmato?- chiese Tsuna.

-Bianchi gli sta facendo il discorso.- rispose Reborn. Tsuna tacque: se da un lato l'idea che se ne stesse occupando un'altra persona era confortante, dall'altro non riusciva a togliersi dalla mente il pensiero che forse Bianchi non fosse la persona più adatta. Sospettava che ci fosse di mezzo il suo Iper Intuito, ma confuso ed emozionato com'era non riusciva a capire che cosa, esattamente, lo facesse tintinnare. Dopotutto, Bianchi era una donna adulta, sembrava esperta e sapeva quando era il momento di parlare seriamente; Haru e Kyoko, poi, qualche tempo prima chiacchierando avevano dato ad intendere che Bianchi avesse chiarito loro alcuni punti oscuri in materia con calma e gentilezza, per cui chi meglio di lei poteva spiegare a Lambo come funzionavano le cose? Tsuna si scrollò di dosso i suoi dubbi e chiese: -Cos'è quello?

-Il diario di Gokudera. Ha detto che avrebbe riportato un rapporto completo sulla situazione ai Giardini Bovino, suppongo sia qui.- rispose Reborn. Tsuna rimase immobile; Reborn gli tese il quaderno e insistette: -Dovresti leggerlo.

-Domani mattina mi faccio dire tutto da lui stesso.- disse Tsuna, abbracciando il cuscino per tenere le mani occupate. Una parte molto disonesta di lui bruciava dal desiderio di leggere quel diario, di cercare il proprio nome scritto nella calligrafia ordinata di Gokudera, anche solo nel “G Alphabet” che aveva ormai imparato a decifrare, e di sapere se lui aveva scritto qualcosa di dolce o se si era limitato a semplici accenni da sottoposto.

Reborn rimase immobile a fissare Tsuna, sempre con il braccio teso verso di lui. Le dita di Tsuna affondarono nel cuscino: in realtà non voleva scoprire cosa Gokudera aveva scritto di lui. Temeva che se fossero stati solo riferimenti vaghi e non elegie in versi ne sarebbe impazzito.

-Prendilo, Tsuna.- disse Reborn. Tsuna ghermì il diario e lo sbatté sul copriletto: -Ne parlerò con Gokudera quando avrà finito la doccia.

-Tsuna...

-Questa è la mia ultima parola, Reborn.- disse Tsuna. Cominciava a perdere la pazienza. Da qualche giorno il killer faceva lo stronzo a tutto spiano, come se fosse la sua ultima occasione di farlo, e la cosa cominciava a dargli sui nervi. Ora lo stava spingendo ad una violazione della sfera privata di Gokudera, e questo Tsuna non poteva tollerarlo. Aggiunse: -Devo ricordarti chi è il Boss?- Reborn alzò un sopracciglio, ma non concesse nessun altro segnale di stupore.

-Quando ti fa comodo sei il Boss, eh?- disse. Tsuna non rispose. Tra il carattere naturalmente arrogante del killer e i primi ormoni dell'adolescenza, sapeva che quello era solo un tentativo di uscirsene avendo detto l'ultima parola. A lui non importava, quindi rimase muto fin quando Reborn non gli rivolse un sorrisetto compiaciuto ed uscì.

Il rumore della doccia si arrestò e a Tsuna balzò il cuore in gola. Di lì a poco, Gokudera sarebbe rientrato nella stanza, e solo ora lui si rendeva conto che nel caos di poco prima si era dimenticato di portarsi un cambio di abiti. Meditò se alzarsi e portarglieli lui stesso per evitargli l'imbarazzo, e stava giusto combattendo con l'idea di toccare un paio di sue mutande quando Lambo entrò.

Per meglio dire, probabilmente era già lì da un po', ma era arrivato così silenziosamente che Tsuna non l'aveva notato. Era in piedi con l'aria mogia e un pollice in bocca, cosa che dava l'impressione che fosse molto più giovane dei suoi dieci anni e mezzo.

-Lambo! Che succede?

-Tsuna nii, Lambo san è cattivo?- Tsuna trasecolò. Spinse da parte il cuscino e il diario di Gokudera e rispose: -Ma che dici, Lambo?! Vieni qui.- Lambo si avvicinò a testa bassa e Tsuna lo sollevò con una certa fatica. Ormai non era più il bimbo alto mezzo metro che si poteva trasportare con una mano sola, ma era chiaro che avesse bisogno di un abbraccio. Tsuna lo strinse a sé e chiese a bassa voce: -Vuoi dirmi che cos'è successo?

-Bianchi san mi ha spiegato cosa succede quando un maschio e una femmina si fidanzano.- rispose Lambo. Stava per proseguire, quando entrò Gokudera, rosso in viso, più bello che mai e coperto dall'asciugamano. Tsuna si chiese se doveva complimentarsi con se stesso o insultarsi per avergliene dato uno bello grande. Nel dubbio, si insultò.

-Decimo, chiedo perdono, mi sono dimenticato di prendere i vestiti!- disse Gokudera, le lacrime agli occhi. Tsuna sentì Lambo che si rannicchiava contro il suo petto e rispose: -Non c'è problema, Gokudera kun, prendili pure. Oppure cambiati qui, così non perdi tempo.- Gokudera arrossì ancora di più, poi lanciò un'occhiata a Lambo. Il rossore sul suo viso svanì mentre si faceva serio. Chiese: -Ehi, Scemucca, che hai? Bakadera si dimentica le mutande e non si merita neanche una presa in giro piccola piccola?- chiese, con tutta la dolcezza di cui era capace, cioè ben poca. Lambo si ritrasse ulteriormente nella culla delle braccia di Tsuna.

-Ha parlato con Bianchi di... ehm... tu-sai-cosa. Non so cos'è successo.- Gokudera, ancora coperto solo dall'asciugamano, si avvicinò e si sedette di fianco a Tsuna.

-Che cos'è successo, Lambo?- chiese. Tsuna si perse a riflettere su quanto Gokudera fosse assurdamente bello ed ebbe l'istinto di baciarlo. Davanti all'orecchio, dove un ciuffo di capelli umidi gli sfiorava la guancia. L'istinto era così forte che per un istante quasi sentì le labbra bagnate di acqua fresca, e un vago, lontanissimo sentore di shampoo. Poi, Lambo mugugnò: -No, tu mi prendi in giro, vai via.

-Non ti prendo in giro, lo giuro.- rispose Gokudera, allungando una mano per prendere quella che Lambo non aveva in bocca. Lo accarezzò dolcemente e disse in italiano: -Croce sul cuore, parola di Lupetto.- Tsuna lo guardò perplesso, senza capire, ma la sua frase sembrava aver avuto un effetto quasi miracoloso su Lambo, che alzò lo sguardo su Gokudera. Esitò un attimo, poi si tolse il dito dalla bocca e chiese: -Un maschio deve per forza mettersi con una femmina per fare i bambini?- Tsuna si vide urlare, lanciare Lambo dalla finestra e correre via, facendo casino di proposito nella speranza di farsi ammazzare da un Hibari indispettito. Si trattenne a stento, mentre Gokudera si sedeva più comodamente e assumeva quel suo sensuale atteggiamento da professore: -Beh, insomma. Per fare bambini sì, per forza. Però un maschio può innamorarsi di un maschio, o una femmina di una femmina.

-E... non è una brutta cosa, questa?- chiese Lambo. La speranza di sentirsi rispondere che andava bene anche così era dipinta nei suoi occhi a tinte così chiare che Tsuna si sentì un groppo in gola.

-No, ma va', come ti viene in mente?- disse Gokudera, -Non te l'avrà detto Bianchi?- Lambo scosse la testa in segno di diniego.

-Però ha parlato solo di maschi e femmine.- Gokudera esitò. Tsuna andò in suo soccorso: -Ah, ti ha fatto solo il discorso base, magari pensava di andare avanti un'altra volta!

-Ben detto, Decimo!- disse Gokudera, cogliendo l'assist, -Di solito si parla per prima cosa di maschi e femmine perché... ecco, quella cosa che si fa per fare i bambini può essere divertente, però è anche pericolosa. Voglio dire, si può fare anche senza poi voler fare un bambino, ma se non si sta attenti può succedere, quando a farla sono un maschio e una femmina.

-E se sono un maschio e un maschio non succede?- chiese Lambo.

-No, un maschio e un maschio possono divertirsi senza preoccuparsi!- disse Gokudera, poi arrossì.

-Eh, magari però è il caso di dire che non è una cosa da fare con tutti...- aggiunse Tsuna, cercando di combattere le malsane idee che gli stavano emergendo dal fondo della mente.

-Eh, no, infatti, è vero, chiedo scusa Decimo!- balbettò Gokudera.

-Senti, Lambo, facciamo una cosa.- disse Tsuna, -Ne parliamo bene quando non siamo tutti quanti rintronati per il sonno, ok? Per adesso ricordati solo una cosa: una femmina e un maschio non è sbagliato, un maschio e un maschio non è sbagliato, una femmina e una femmina non è sbagliato.- gli occhi di Lambo si illuminarono.

-Se ti piace un altro bambino va benissimo, tieni solo presente che se ti tratta male mi arrabbio.- aggiunse Gokudera, poi fece qualcosa di completamente inaspettato: si chinò su Lambo, prese la mano che gli stava trattenendo e gli mordicchiò un dito. Poi disse: -Adesso non farti più questi problemi e vai a dormire, ho un sacco di fame e tu sembri proprio buono da mangiare.- Lambo rise, una risata cristallina che Tsuna si rese conto di non aver sentito per molto, molto tempo. Chiaramente, qualcosa lo stava tormentando. Ma Tsuna non chiese altro, e Lambo sembrava essersi calmato abbastanza da poter dormire serenamente. Ricevette un bacio sulla guancia e lo guardò andare verso il corridoio.

Gokudera si alzò dopo di lui e chiuse la porta alle sue spalle; dal bagno arrivava il rumore della doccia, segno che qualcuno l'aveva occupato mentre parlavano.

-Decimo, se non vi spiace mi cambio qui.- disse Gokudera.

-Fai pure, io vado a prenderti qualcosa da mangiare.- Tsuna uscì, dandosi una metaforica pacca sulla spalla per aver trovato una scusa per non stare nella stessa stanza di Gokudera mentre lui si vestiva. Il pensiero di poter alzare lo sguardo e cogliere un riflesso di lui nudo era tanto imbarazzante quanto... Tsuna vide la propria mano tremare mentre versava l'acqua per i noodles istantanei in un pentolino. Ma sì, tanto valeva ammetterlo almeno col proprio cervello, era eccitante. E le parole che Gokudera aveva detto a Lambo continuavano ad echeggiargli nella testa: “un maschio con un maschio non è sbagliato”, “ci si può divertire senza preoccuparsi”... Tsuna si domandò se le pensava davvero, se lo sapeva per esperienza, se ci fosse qualcuno nella sua vita, un ragazzo senza volto a cui lui pensava per prima cosa appena sveglio e con la cui immagine si cullava quando andava a dormire. Il pensiero era dolorosissimo.

Basta, si disse Tsuna mentre aggiungeva i noodles disidratati all'acqua bollente, doveva fare qualcosa. Gokudera era un ragazzo intelligente, e Tsuna era convinto che l'amore, quello vero, fosse reciproco, per cui se l'altro non avesse ricambiato i suoi sentimenti si sarebbero parlati con calma, Tsuna avrebbe promesso di non fare nulla, e presto la cotta gli sarebbe passata.

Sentendosi al contempo calmissimo e più nervoso che mai, Tsuna versò i noodles in una ciotola, prese un paio di bacchette e salì in camera propria. Lì, trovò Gokudera già vestito, in piedi di fronte al letto, con il diario in mano.

-Reborn insisteva perché lo leggessi.- disse, giustificandosi prima ancora che la domanda venisse posta, -Ovviamente non l'ho fatto. Non so cosa gli prende, ultimamente.

-Era vostro diritto leggerlo, Decimo. È la mia agenda di lavoro, se poi io dovessi essere stato così stupido da scriverci cose personali sarebbe solo colpa mia.- Tsuna appoggiò la ciotola sulla scrivania e si avvicinò a Gokudera. Improvvisamente arrabbiato, lo prese per le spalle e disse: -Gokudera kun. Le cazzate mafiose di Reborn diranno anche che sei un mio sottoposto. Ma per me non lo sei, va bene? Tu sei tu, io sono io, siamo pari. Voglio che siamo pari!- Gokudera arrossì e si strinse al petto il diario.

-Se ci sono cose che non vuoi dirmi, o che vuoi dirmi in un modo diverso da come le hai scritte per te stesso, a me sta bene. Il tuo diario è tuo, e non ho intenzione di leggerlo a meno che tu non me lo metta in mano aperto e mi ordini di farlo.- Gokudera sembrò riflettere seriamente sulle parole di Tsuna, e lui lo lasciò fare. Lo sospinse verso la scrivania e gli lasciò il tempo di mangiare, mentre lui metteva a terra un futon pulito. Poi ricordò: -Oh, il ghiaccio!

-Lasciate stare, Decimo, non fa più male. Vi ringrazio di cuore per tutto quello che state facendo.- rispose Gokudera. Sembrava tremendamente imbarazzato, ed era così tenero con quel musino da cucciolo affamato che Tsuna non resistette: gli si avvicinò e si sedette sulle sue gambe, gli circondò il collo con le braccia e appoggiò la testa sulla sua spalla.

-De... De... Decimo?!- Tsuna si riscosse e si alzò di scatto: -Oh! Gokudera kun, perdonami! Io... io non volevo! Cioè sì, volevo, però chiederti prima se potevo non mi avrebbe ucciso, eh...

-Decimo, non preoccupatevi, davvero, è...

-Sì, certo, parlare tranquillamente e poi farmela passare, come no...- bofonchiò Tsuna.

-Decimo, di che cosa state parlando?- Tsuna si ghiacciò sul posto. La verità era che con Gokudera si sentiva tanto al sicuro, tanto a casa, che non si rendeva conto quando parlava o quando stava solo pensando. Era tanto bello quanto inquietante. Si lasciò cadere sul letto; le molle scricchiolarono. Poi si stropicciò il viso con le mani e disse: -Scusami, Gokudera kun. Sono stanco, e mi sei mancato così tanto, e non so come fare con Lambo, e vorrei recuperare questi due mesi che sei stato lontano da me, e...- Tsuna sbuffò, poi Gokudera apparve nel suo campo visivo, proprio davanti alle sue ginocchia. Una palese esitazione, poi Gokudera appoggiò il diario sul materasso e appoggiò le mani sulle sue gambe: -A Lambo ci penso io. Metto giù un elenco di cose da dirgli e con calma gli spieghiamo tutto. Che siete stanco si vede, e...

-Gokudera kun, quelle cose che hai detto a Lambo le pensi davvero?

-Che un maschio con un altro maschio non è sbagliato?- chiese Gokudera. Tsuna annuì. -Certo che le penso davvero, Decimo.- disse Gokudera. Il suo tono era così dolce e così sicuro che Tsuna si sentì autorizzato a dire: -Bene. Perché io adesso ho bisogno di dormire, però prima ti devo dire che dobbiamo parlare, perché mi sa tanto che tu mi piaci e ho bisogno di capirci qualcosa.- Gokudera sorrise e distolse lo sguardo, e Tsuna si complimentò con se stesso per essere riuscito a comunicargli che voleva parlare con lui di qualcosa senza metterlo in ansia e senza scoprirsi.

-Ma certo, Decimo. Stendetevi, ora, state crollando.- Tsuna si lasciò cadere con la testa sul cuscino e chiuse gli occhi.

Non si accorse di Gokudera che gli copriva i fianchi con il lenzuolo, e nemmeno del diario aperto che gli appoggiò sul comodino.

Quanto alla sua frase, che decisamente non era il picco più alto delle comunicazioni criptate dello spionaggio, se la sarebbe ricordata solo il mattino seguente.

 

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Capitolo 3
*** Behind the Fool ***


Don't tell her she means everything,
or she might see the fool behind the frown,
and then the heart behind the fool.

 

 

 

 

-Gokudera.- chiamò Reborn a bassa voce, nel cuore della notte. Gokudera si voltò; era sul ballatoio che circondava casa Sawada e stava fumando una sigaretta.

-Reborn. Sawada san non c'è?

-No, è in vacanza con Iemitsu.- Reborn rispose, vago. Gokudera attese un po', poi chiese: -...e?- Reborn gli rivolse un mezzo sorriso compiaciuto.

-Non ti sfugge nulla, vero? Hai proprio l'animo del mafioso. È un bene che tu sia al fianco di Tsuna. Le cose tra i Sawada non vanno molto bene.

-Mi dispiace.

-Per Nana, suppongo.- Gokudera esitò, prendendosi il tempo di aspirare una boccata dalla sigaretta. Era esitante a criticare l'uomo che aveva dato i natali al suo Decimo, eppure c'era in Iemitsu qualcosa di stridente, come un sassolino sotto ai denti. Reborn sembrò comprendere il significato del suo silenzio e cambiò argomento: -Hai consegnato la lettera che ti avevo dato?

-Sì. Ma non l'ha voluta aprire.- Reborn si arrampicò sul parapetto e si sedette. Tacque per un po', poi chiese: -Sai se almeno l'ha tenuta?

-Sì. Ma ha detto di non essere ancora pronta a leggerla. Posso sapere cos'è successo? Quando le ho detto che era da parte tua per poco non mi fulmina.

-Suo fratello maggiore è morto a causa mia.- rispose Reborn, sibillino. Gokudera continuò a fumare in silenzio, in attesa di sapere se il killer avesse intenzione di aggiungere altro, ma non accadde e lui ritenne più prudente non indagare oltre.

-Ho letto il tuo diario.- disse infine Reborn. Gokudera spense la sigaretta nel posacenere che Nana aveva approntato apposta per lui e ribatté: -L'avevo immaginato.

-Che cos'è successo?

-A cosa ti riferisci?

-A quell'appunto sull'ubriacarsi. So che non sarebbe da te mettere a repentaglio la reputazione dei Vongola, ma...

-Un incidente di poco conto.- lo interruppe Gokudera, -Un incidente privato.- sottolineò.

-Se dovessero esserci conseguenze, informami immediatamente. Posso provvedere a tutto io.- Gokudera non rispose. Aveva la netta, agghiacciante sensazione che in qualche modo Reborn avesse intuito a grandi linee cos'era successo; se avesse sospettato una scena ridicola, l'avrebbe minacciato di conseguenze, non gli avrebbe certo promesso di “provvedere a tutto”. Era una scelta di parole ben precisa che sottintendeva esattamente le possibili conseguenze di ciò che era successo.

-Dovresti parlare con Tsuna.- aggiunse Reborn.

-Senti, non è niente di serio. Abbiamo scopato da sbronzi, punto, non c'è nessun tipo di...

-Non di quello. Quello sono affari tuoi, anche se penso che Tsuna dovrebbe saperlo. Magari lo smuoverebbe un pochino.

-Smuoverlo?- Gokudera rabbrividì al pensiero che Reborn stesse sottintendendo che il Decimo avrebbe potuto prendere spunto dalla sua immane cazzata per buttarsi e dichiarare i propri sentimenti a Kyoko Sasagawa.

-Sì. Magari è la volta buona che si rende conto che potresti non restare innamorato di lui per tutta la vita, se a un certo punto non ottieni il minimo risultato.- Gokudera lasciò che le parole di Reborn cadessero, mentre prendeva un respiro dopo l'altro nel tentativo di non mancargli di rispetto.

-Sai, non sono proprio sicuro che mi piaccia l'idea che uno che la pensa così stia con mia sorella.

-Non sto con tua sorella.

-E non sarebbe il caso di informarla?

-Credimi, ci ho provato.- Gokudera si voltò a guardare Reborn, ma il killer aveva lo sguardo fisso nel buio della notte. Dopo un po' aggiunse a mezza voce: -Un giorno si arrenderà all'evidenza.- Gokudera tacque. Moriva dalla voglia di chiedere a Reborn come mai si credesse così superiore all'umanità intera, perfetto e del tutto privo di difetti; ogni sua frase suonava come qualcosa di cascato dal cielo, una dichiarazione insindacabile e innegabilmente corretta che non si poteva in alcun modo contraddire, pena l'umiliazione. Il Decimo aveva accennato al fatto che Reborn sembrasse più rompiscatole del solito, e ora anche Gokudera se ne rendeva conto in prima persona.

-Dicevo che devi parlargli dei tuoi sentimenti.- disse Reborn, -L'hai sentito, no, quel che ha detto prima di mettersi a dormire.

-Avanti, come puoi credere che lui...

-No, come puoi tu non crederlo!- Reborn sembrava inviperito, -Vi morite dietro a vicenda da anni, avanti! Non puoi davvero...

-Piantala.- Gokudera aveva sussurrato, ma evidentemente Reborn doveva averlo sentito, perché si interruppe. Il Guardiano della Tempesta si voltò verso di lui e sibilò: -Hai una minima idea di quanto possa far male? Eh? Amare un amore impossibile, vivere ogni giorno, ogni minuto cercando di convincere te stesso a non illuderti? A ripeterti che quella mano non ha sfiorato la tua di proposito, che non c'è nessun secondo fine nelle attenzioni che ricevi, che non guarda te per primo perché ti ama ma solo perché sei quello che fa più casino?- Gokudera tacque. La voce gli si era spezzata sull'ultima frase, appena appena ma quanto bastava perché Reborn se ne accorgesse, e lui non voleva dargli nessun ulteriore appiglio per cominciare a coinvolgerlo in uno dei suoi giochetti psicologici.

Era stanco per il viaggio, stressato per la situazione che si era lasciato alle spalle in Italia, confuso dal comportamento del Decimo, assonnato e al tempo stesso incapace di addormentarsi, e si sentiva sul punto di cedere. Si mise nervosamente in bocca una sigaretta che non aveva la minima voglia di fumare, ma che almeno gli avrebbe tenuto le mani occupate; dovette cercarne a lungo l'estremità con la fiamma dell'accendino prima di riuscire ad accenderla.

-Sì.- disse Reborn dopo un po', a bassissima voce, -Che tu ci creda o no, so cosa vuol dire. Ma dall'esterno, io resto dell'idea che dovresti parlare con Tsuna. Pensaci.

-Sì, ci penso.- tagliò corto Gokudera, appoggiandosi con i gomiti al parapetto; Reborn saltò giù un po' goffamente e si diresse verso l'interno della casa: -Buonanotte, Gokudera.

-Buonanotte.- Gokudera spense la sigaretta fumata solo a metà e cominciò a passeggiare avanti e indietro per il ballatoio. Sotto un certo punto di vista, Reborn non aveva torto: se lui non avesse parlato al Decimo dei propri sentimenti, presto o tardi sarebbe successo qualche patatrac. In sua presenza, Gokudera cercava di essere sempre più lucido possibile: non aveva mai toccato alcool, se si sentiva troppo nervoso si alzava e andava a fumarsi una sigaretta per calmarsi, cercava di non addormentarsi per evitare il rischio di parlare nel sonno. Ma era stancante, molto stancante, e non poteva restare teso per il resto della vita. E se poi fosse scoppiato all'improvviso di fronte alla notizia di un eventuale fidanzamento del Decimo, non avrebbe fatto altro che rendere le cose imbarazzanti per tutti quanti. Gokudera fissò la sigaretta nel posacenere e rimpianse di averla spenta. provando un vago senso di colpa, ne estrasse un'altra dal pacchetto e la accese.

Tirò la prima boccata per calmarsi. Era giunto il momento di ragionare sulla parte peggiore della questione, il logico incubo di qualunque innamorato: come avrebbe reagito se il Decimo gli avesse detto che non ricambiava, cosa assai probabile? Razionalmente, Gokudera sapeva che in ogni caso il Decimo sarebbe stato gentile, era nella sua natura esserlo. Che diamine, era gentile anche con Testa a Prato quando partiva con le sue filippiche sulla boxe.

Eppure, Gokudera sapeva che un rifiuto da parte del Decimo l'avrebbe ridotto in pezzi. Ricordò di aver letto da qualche parte che sarebbe meglio poter morire quando ci si spezza il cuore, o una cosa del genere, e si rese conto con un brivido lungo la parte posteriore delle braccia che, se il Decimo l'avesse rifiutato, lui avrebbe trascorso il resto della propria vita a cercare di convivere con i frantumi del proprio cuore. E a cercare di non farlo pesare a nessuno, soprattutto al Decimo, che si sarebbe già sentito male per conto proprio all'idea di averlo fatto soffrire.

No, decisamente questa non era una strada praticabile, almeno non al momento.

Gokudera si massaggiò la fronte con la punta delle dita. Decisamente, quel viaggio in Italia aveva fatto più male che bene. Era tornato solo per affogare di nuovo nel caos, quello fisico generato dai suoi turbolenti compagni Guardiani e quello mentale causato da lui stesso, dai suoi ragionamenti e dalle sue elucubrazioni senza fine sul Decimo.

Tutto, poi, per tornare sempre al punto di partenza: non doveva, non poteva confessare i propri sentimenti. Altrimenti, il Decimo l'avrebbe visto come qualcuno che non sapeva tenersi dentro ciò che provava e non si sarebbe più fidato di lui.

Gokudera spense la sigaretta, rassegnato, e tornò in casa. Si guardò intorno nel salotto vuoto e meditò se non fosse il caso di dormire sul divano; sembrava la soluzione migliore, almeno sarebbe stato lontano dal Decimo e non nella sua stessa stanza con la costante tentazione del vederlo addormentato e il rischio di mugugnare qualcosa di compromettente nel sonno.

Tuttavia, il Decimo aveva steso un futon apposta per lui, e se lui avesse dormito sul divano avrebbe potuto offenderlo. Se il Decimo voleva che Gokudera dormisse nella sua stanza, così sarebbe stato. Nel futuro aveva ovviato alla questione semplicemente alzandosi e andando a dormire in biblioteca con la scusa di voler continuare a studiare il Sistema CAI, ma in quel momento non era certo una giustificazione plausibile.

Salì le scale con lentezza, cercando di non fare il minimo rumore, entrò con riverenza nella stanza del Decimo e lo guardò dormire. Poco prima, sulla spinta di quella frase che, ora ne era certo, non era altro che un fraintendimento, aveva lasciato il proprio diario aperto sul suo comodino; lo ritrovò nella stessa posizione e ne dedusse che Reborn l'aveva letto senza spostarlo, o che l'aveva fatto in precedenza. Si soffermò di fianco al letto del Decimo, sperando di non svegliarlo, e lesse:

 

“Non funziona.

Non sta funzionando per un cazzo.

Sono qui per dimenticarlo e ho fatto tutto il giorno a parlare solo di lui.

Mi ricordo i tratti del suo viso come se lo avessi proprio qui di fronte a me, se sapessi disegnare riuscirei a fargli un ritratto così realistico che prenderebbe vita e io potrei fingere di poterlo amare.

Ma no, non sarebbe altro che un palliativo inutile, forse mi sentirei solo peggio, come quando sogno di chiamarlo per nome invece che con il suo titolo e lui mi corre incontro e mi bacia... e poi mi sveglio e lui non c'è, e io non oso dire quelle due sillabe che compongono il suo nome mentre i suoi occhi mi guardano nella vita reale, e resto solo con i rimasugli acidi di un momento mai vissuto.

Non riuscirò mai a dimenticare che amo Sawada Tsunayoshi.

(ed è così da stupido arrossire solo perché ho scritto il suo nome. Juudaime, ti prego, perdonami per questo amore che non riesco a soffocare!)”

 

Cristo santissimo.

Gokudera prese il diario e lo ficcò nello zaino, in fondo in fondo, cercando di resistere alla tentazione di appiccare un fuoco e bruciarlo.

Rimase lì in piedi a fissare lo zaino e a chiedersi come cavolo avrebbe mai potuto addormentarsi: il sonno era di là da venire, e nella mente stanca di Gokudera fece capolino una canzone italiana che aveva sentito ai Giardini Bovino. Quella, in effetti, era stata la svolta dopo la quale aveva cominciato a confidarsi davvero con Viola: stavano leggendo in tranquillità nella casa sull'albero, la radio accesa a basso volume in sottofondo, quando era cominciata una canzone degli 883 che parlava di sonno che se n'era andato, di un amore mai confessato e di una lenta agonia nel doversi limitare a guardare solo da lontano la persona amata. Viola era scoppiata in lacrime senza preavviso, e come una diga che cede gli aveva raccontato tutto del suo Dani, di com'era vissuto e di com'era morto tra le sue braccia, e di come lei lo sentisse ancora vivere.

E lui aveva a sua volta raccontato di com'era bello il suo Decimo, di come la luce fluisse intorno a lui, riempiendo il mondo di ossigeno, di come una sua sola risata fosse in grado di creare la vita.

Da lì in poi, si erano macinati tutta la discografia degli 883, avevano accantonato quasi del tutto i libri e i giochi da tavolo e avevano cominciato ad incidersi metaforicamente a vicenda per liberare tutta la sofferenza. Gokudera si chiese vagamente se anche Viola si sentisse comunque ancora da schifo.

Come diceva Max Pezzali in quella fatidica canzone, il sonno se n'era andato e non sembrava avere intenzione di tornare, quindi Gokudera decise di provare ad essere produttivo, se non altro per distrarsi dalla presenza del Decimo che, profondamente addormentato, era lì a lasciare che Gokudera lo sentisse vivere, e minacciava di smontare ad ogni respiro lieve la maschera che si era costruito con così tanta cura.

Si sedette contro il muro, cercando di scrivere decentemente alla fioca luce dei lampioni e della luna e mise giù un piano di lezioni più lievi possibili sul sesso per Lambo.

Quando terminò, erano quasi le quattro del mattino, e finalmente il sonno cominciava a fare capolino nella sua coscienza, ottenebrandogli la vista, rallentando i suoi movimenti e offuscandogli i pensieri.

Rilesse quel che aveva scritto, lo trovò abbastanza razionale e decise di riguardarlo meglio, ascoltando anche il parere del Decimo, il mattino dopo a mente fresca. Ripose il diario nello zaino e si coricò nel futon. Ora, la stanchezza finalmente stava avendo la meglio su di lui.

Gokudera non si addormentò subito.

Rimase sveglio per un po' ad ascoltare il Decimo che respirava e a rendersi conto ancora una volta di quanto lui fosse speciale. Gli era capitato di addormentarsi nella casa sull'albero insieme a Viola, e a volte di svegliarsi prima di lei, eppure non aveva mai avvertito quelle fitte al petto nell'udire il suo respiro regolare. Invece, lì con il Decimo, ogni respiro era un soffio di speranza, l'irrazionale attesa spasmodica del successivo era una quieta agonia: un ritmo lieve di sensazioni che pian piano cullarono Gokudera verso un sonno ristoratore.

 

Gokudera si svegliò spontaneamente quando il sole era già sorto, sentendosi corroborato. Senza fare rumore, sbirciò il cellulare e vide che erano le otto e mezza.

Si stupì onestamente di sentirsi così riposato dopo neanche cinque ore di sonno, e istintivamente si girò per controllare se il Decimo si fosse già svegliato.

Lo trovò con gli occhi aperti, disteso su un fianco, abbracciato al cuscino.

Guardava lui.

-Buongiorno. Hai dormito bene, Gokudera kun?

-Buongiorno, Decimo! Sì, ho dormito bene, e voi?

-Come un sasso. Ti sei svegliato durante la notte o è stata una mia impressione?

-In realtà ho faticato ad addormentarmi... spero di non avervi disturbato!

-Al contrario. Ho continuato a dormire, ma meglio, sapendo che tu eri qui con me.- Gokudera arrossì. Rifletté mestamente sul fatto che se il Decimo avesse continuato ad essere così affettuoso lui non sarebbe riuscito a trattenersi per molto tempo, figurarsi per tutta la vita come aveva deciso di fare giusto qualche ora prima.

Poi, il Decimo aprì la bocca per parlare e sbiancò di colpo.

-Decimo, vi sentite bene?- chiese Gokudera, scattando subito di fianco al suo letto.

-Gokudera kun, tu... sei...- Gokudera guardò verso il basso, istintivamente, colto dal tremendo terrore di essersi spogliato durante la notte o di avere l'alzabandiera del secolo.

Così non era: era in maglietta e calzoncini e sì, aveva una mezza erezione mattutina, ma niente di disumano o di troppo imbarazzante.

-...sei arrabbiato con me?- chiese Tsuna in un soffio.

-Io... cosa? No!- rispose Gokudera, allarmato, -Cosa ve lo fa pensare?

-Ecco... quel che ti ho detto ieri sera. Io...- Tsuna si sollevò seduto, sempre abbracciato al cuscino, e si grattò la nuca ridacchiando imbarazzato: -Sul momento credevo di essere stato geniale e di non essermi lasciato scappare niente, ma... ecco, sì, adesso che ci ripenso mi sa che mi sbagliavo.

-Avete detto un paio di cose strane, Decimo, ma eravate stanco. Sono sicuro che non intendevate...- Tsuna si rabbuiò e Gokudera si interruppe.

-Ma è proprio quello, il punto, Gokudera kun. Io le intendevo davvero, quelle cose.

 

 

 

 

Ed eccomi qui finalmente con il terzo capitolo!

Doveva essere pubblicato ieri sera, ma il cervello ha alzato bandiera bianca così all'improvviso e quindi niente, pace, ho dovuto aspettare di riavviarlo per essere sicura di non aver scritto di merda (un “e meno male” dalla regia).

Piccole notine:

La citazione sul cuore spezzato viene da Cuori in Atlantide di Stephen King, il mio libro preferito. L'originale è: “Hearts can break. Yes, hearts can break. Sometimes I think it would be better if we died when they did, but we don't.”

La canzone degli 883, ma che ve lo dico a fare (voci dalla regia: -Lo dici perché non tutti vanno in trip per gli 883 a intervalli regolari), è “Ti Sento Vivere”, una di quelle cose che mi fa awwware come non mai.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, battete un colpo se avete gradito!

XOXO

 

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Capitolo 4
*** To Last a Lifetime ***


So take your troublesome luggage
and put it on the next train home.
[...]
'Cause I've had enough bad news
to last a lifetime.





Gokudera sembrava essere andato in corto circuito.

Dopo che Tsuna gli aveva detto che intendeva davvero le cose che aveva detto, lui si era semplicemente immobilizzato, con la bocca semiaperta e gli occhi sbarrati.

-Go... Gokudera kun?- chiamò piano Tsuna. Inutile. Il terrore di aver definitivamente perso Gokudera, non solo come partner ma anche come amico, gli riempì gli occhi di lacrime. Con voce rotta, chiamò di nuovo: -Gokudera kun... ti prego...

-Decimo, posso...- bisbigliò, Gokudera, poi arrossì e deglutì. Anche i suoi occhi erano lucidi: -Posso... sfiorarvi?- Tsuna vide le mani di Gokudera che, tremanti, si alzavano. Non si prese la briga di rispondere a parole e intrecciò le dita alle sue.

Il contatto fu lieve, delicato, una carezza più che un tocco, eppure Tsuna se lo sentì rimbombare su per le braccia, come se le avesse usate per parare un qualche violento colpo.

Rimasero a sfiorarsi le mani, storditi dall'intensità del contatto; nessun pensiero coerente sembrava essere in grado di formarsi nella mente di Tsuna, che riusciva solo a desiderare che l'aria non si intromettesse mai più tra di loro. Era così bello avere le mani di Gokudera nelle proprie, così diverso da qualsiasi altro contatto fisico Tsuna avesse mai sperimentato, che si domandò vagamente come aveva potuto pensare che quello che provava per Kyoko fosse amore.

Un martello si abbatté sulla testa di Tsuna, che protestò: -AHIA! REBORN!

-Dame Tsuna, la colazione è pronta.

-E c'era bisogno di dirmelo a martellate?- chiese Tsuna, massaggiandosi la testa. Un bernoccolo di tutto rispetto stava già emergendo.

-Vi ho chiamati cinque volte, ma eravate sulla vostra nuvoletta.

-Ah.- Reborn rimase a fissarli ancora un po', e Tsuna si sentì un rivolo di sudore scendere lungo la spina dorsale. Colse uno scintillio negli occhi del killer e si chiese se sarebbe stato abbastanza pronto di riflessi da prenderlo e scaraventarlo in corridoio se avesse fatto qualche commento fuori luogo, ma per fortuna Reborn parve decidere di trattenersi; uscì in silenzio dalla stanza e Tsuna, nel suo stato di shock e stress, per poco non rischiò la vita lasciandosi scappare una risatina nel vedere il suo incedere goffo e poco elegante.

-Beh... dovremmo scendere, Decimo.- disse Gokudera, facendo scivolare le proprie mani fuori da quelle di Tsuna.

-Sì.- concordò Tsuna, -Poi però... insomma, dobbiamo parlare. In senso buono, quanto mi fa ansia questo modo di dire.- Gokudera ridacchiò.

-Chiedo scusa, Decimo, è che... Viola Bovino, la figlia del Boss, la pensa esattamente come voi, e una volta mi ha fatto uno scherzo a riguardo.

-Ti va di raccontarmelo mentre scendiamo?- Gokudera annuì e Tsuna gli si mise al fianco, cercando di soffocare la gelosia al pensiero che ci fosse un'altra persona che scriveva a Gokudera e il cui ricordo lo faceva sorridere.

-Un pomeriggio i Bovino hanno organizzato una gita allo zoo safari, io ho accettato perché mi sono dimenticato che quel giorno avevamo in programma altro e lei mi ha scritto un messaggio: “Dobbiamo parlare”. Dopo qualche minuto ha aggiunto: “Ma niente di grave, non preoccuparti”. Poi, mi ha detto, si è ricordata di una brutta esperienza allo zoo e ha scritto un altro messaggio: “Anzi, se fossi in te un po' mi preoccuperei!”- Tsuna forzò una risata.

-Forse non è così divertente, a raccontarlo...- disse Gokudera, un po' mogio.

-No, no, anzi! Cioè, mi immagino la tua faccia, è che...- Tsuna si fermò in cima alle scale e prese Gokudera per il polso: -Lo so che te l'ho già chiesto, ma... sicuro che lei non ti piace?- Gokudera esitò. Fu un secondo, ma in quel secondo Tsuna si sentì morire. Poi, Gokudera disse: -Non mi piace, ma... Decimo, perdonatemi, ci siamo ubriacati e abbiamo fatto sesso!- Tsuna ne fu così sconvolto che ci mise un attimo ad accorgersi che Gokudera stava chiedendo perdono in ginocchio, sbattendo la testa contro il pavimento. Si riscosse solo quando Bianchi apparve alle sue spalle e lo fece sobbalzare dicendo: -Hayato, finalmente hai perso la verginità!

-Ah... aneki...- immediatamente, Gokudera rotolò su un fianco, mentre dal suo stomaco arrivavano rumori minacciosi.

-Bianchi! Copriti la faccia, per l'amor del cielo!- ordinò Tsuna. Decisamente la giornata non stava andando nella maniera prevista. Non che fosse mai successo, ma tant'è, Tsuna pensava che a volte non sarebbe stato poi così male.

-Gokudera kun, alzati.- disse, inginocchiandosi di fianco a lui.

-Decimo, chiedo perdono, io... io non volevo, lei neanche, non mi ricordo niente, pensavo di aver sognato vo... CHIEDO PERDONO!- Tsuna decise di assecondare la fitta al petto che l'aveva colto a quel “pensavo di aver sognato voi”. Improvvisamente gli parve che tutti i tasselli del puzzle avessero trovato una collocazione. Si chinò e cinse Gokudera in un abbraccio fin quando non lo sentì smettere di tremare. Poi gli scostò una ciocca di capelli dal viso e disse: -Gokudera kun, non devi chiedermi perdono. È successo, ok, sarò eternamente geloso di questa ragazza, ma se mi dici che non ti piace io ti credo. E se mi dici che pensavi di essere con me, io...- Tsuna si interruppe. Non sapeva esattamente come proseguire.

Le dita di Gokudera gli sfiorarono delicatamente i fianchi, e Tsuna trovò le parole: -...io penso che se lavoriamo bene sul discorso di oggi, magari possiamo farlo diventare realtà.- Gokudera divenne un blocco di marmo.

-Gokudera kun, ci sei?- chiamò Tsuna, scuotendolo.

-Decimo?!- rispose lui, alzando il viso, arrossato e sconvolto.

-Oh, grazie al cielo, temevo di averti fatto prendere un colpo!

-Decimo, io...- senza il minimo preavviso, Gokudera sfuggì dalle braccia di Tsuna, che rimase perplesso a chiedersi cosa diavolo stesse succedendo.

Vide un vaso galleggiare a mezz'aria, di fianco a sé, e lo acchiappò istintivamente.

-Cosa succede?- chiese Gokudera, in allerta, la dinamite già in mano. Tsuna si aggrappò al corrimano della scala e rispose: -Non lo so!

-FUUTA!- chiamò Reborn. Sembrava allarmato, il che terrorizzò Tsuna. Reborn allarmato è quel genere di cosa che ti fa rimpiangere di essere nato. Sentì un braccio di Gokudera che gli circondava la vita e lo guardò, una muta domanda negli occhi.

-Vi aiuto a scendere, Decimo, dobbiamo scoprire cosa sta succedendo a Fuuta.- dalla cucina, intanto, venivano i richiami allarmati anche di Bianchi, I-Pin e Lambo. Gokudera utilizzò il corrimano per spingere entrambi verso il basso, cercando come poteva di nuotare nell'aria priva di gravità. Tsuna represse un brivido: di solito, il raggio d'azione di Fuuta non era così ampio, si limitava ad una stanza sola, e il fatto che Reborn lo stesse richiamando in tono di tale urgenza aggiungeva panico al panico.

-Cercate di aggrapparvi alla porta, Decimo.- disse Gokudera, poi lo lanciò verso la porta della cucina. Tsuna allungò la mano con cui non reggeva il vaso e ghermì lo stipite.

Avvertì Gokudera di fianco a sé, ma non vi badò: Fuuta era sospeso in mezzo alla cucina, le braccia spalancate e la testa reclinata all'indietro, gli occhi bianchi e ciechi, mentre tutto ciò che non era ancorato al terreno galleggiava a mezz'aria.

I-Pin era rannicchiata in un angolo del soffitto, come un curioso insetto, il tavolo era più o meno alla sua altezza, come anche le sedie. Frammenti di cibo volteggiavano come foglie al vento. Bianchi si stava reggendo al piano della cucina, dietro alla sua testa le griglie dei fornelli; fortunatamente sembrava che non ci fosse più nulla sul fuoco.

Lambo piangeva, cercando di liberarsi dal frigorifero sotto cui sembrava essere incastrato; Reborn, aggrappato alla maniglia, lo prese per i capelli e gli diede uno strattone. Il pigiama di Lambo si strappò, e un istante dopo tutto quanto ricadde al suolo, compreso Fuuta.

Tsuna mollò il vaso per terra e corse dal ragazzino: gli sollevò delicatamente il capo da terra, poi lanciò un'occhiata a Lambo e trasse un sospiro di sollievo nel vedere che Reborn l'aveva salvato appena in tempo. Piangeva e urlava, ma era indenne.

Fuuta, invece, aveva perso conoscenza.

-Decimo, come sta?- chiese Gokudera, avvicinandosi.

-Non lo so, è svenuto...- rispose Tsuna, cercando il battito. Le dita di Gokudera sfiorarono le sue e riuscirono nell'impresa: -Batte forte. Starà bene, credo.

-Tsuna nii...- chiamò Fuuta con una vocina sottile sottile. Tsuna vide che aveva gli occhi pieni di lacrime e chiese: -Fuuta, come stai? Cos'è successo?

-Tsuna nii, la coppia più felice della mafia sono Xanxus Vongola e Superbi Squalo.

-Ah, sono una coppia?- chiese Gokudera.

-Tutto questo casino perché quei due stanno insieme?- chiese Reborn, tenendo Lambo a distanza di braccio mentre l'altro bambino cercava di fargli lo scalpo per avergli strappato il pigiama.

-Mi... ehm... mi fa piacere per loro.- disse Tsuna. Era sincero, ma condivideva i dubbi di Reborn.

Bianchi si intromise: -Non erano Mamma e Papà?- Fuuta la guardò e il suo mento si mise a tremare. Scosse la testa, poi scoppiò in un pianto dirotto.

 

Nessuno sembrava avere più fame, nemmeno Lambo.

Tsuna sbloccò il cellulare, poi lo bloccò di nuovo: -Non so cosa fare.- disse.

-Si potrebbe provare a chiamare Nana.- disse Reborn, ma non sembrava convinto. Gokudera scosse la testa: -Se è appena successo qualcosa, dubito che vorrà parlare al telefono.

-E poi non vorrà far preoccupare Tsuna.- aggiunse Bianchi, giocherellando con un pezzo di pane.

-Ahhh, vorrei poterle leggere nel...- Tsuna si bloccò, la testa tra le mani, e alzò il viso: -Chrome!

-Ottima idea, Decimo!- concordò Gokudera, -Andiamo a Kokuyo Land!

-Kufufu.- una voce risuonò nella cucina e Tsuna cadde dalla sedia per lo spavento. Lambo e I-Pin si misero a urlare e si abbracciarono, spaventati.

-Sawada Tsunayoshi. Chiedi il mio aiuto?- chiese Mukuro, accomodandosi come se niente fosse sul piano della cucina.

-Veramente preferirei Chrome che mi fa meno paura, ma...

-Ma io sono più bravo di lei, kufufu.

-Oh, beh, immagino che...

-Ora silenzio, Sawada Tsunayoshi.- Tsuna si zittì.

 

-Signora Sawada?- chiamò una donna dal forte accento italiano.

-Sì?- chiese Nana, voltandosi, -Ci conosciamo?- Iemitsu si era allontanato per andare ad ordinare un altro drink per entrambi, e subito quella donna si era avvicinata al tavolino del pub sul selciato di Piazza di Spagna dove Nana lo aspettava.

-No, ma conosco suo marito.- disse lei in un giapponese un po' stentato, -Possiamo parlare?

-Iemitsu è andato a prendere un drink, sta per tornare, se vuole può aspettare qui con me!- ribatté Nana, sorridendo.

-No, io... voglio parlare con lei, non con lui.

-Oh?- la donna si sedette al tavolino di fronte a Nana e lanciò una rapida occhiata all'interno del locale per accertarsi che Iemitsu non stesse arrivando.

-Signora Sawada, io... oh, mi dispiace, mi dispiace tanto!

-Che cos'è successo?- chiese Nana. Il suo istinto materno la spinse a prendere le mani della donna, che sembrava avere una decina d'anni in meno di lei ma che nella sua disperazione sembrava poco più che adolescente.

-Signora Sawada, Iemitsu... lui... mi aveva detto che voi avevate divorziato!

-Ci dev'essere un equivoco, signorina, noi siamo felicemente sposati!- la corresse Nana, poi incrociò il suo sguardo addolorato. La sconosciuta scosse il capo.

-Lei... e mio marito...?- chiese.

-Mi aveva giurato che avevate divorziato! Altrimenti non avrei mai osato, non sono quel genere di...

-Oregano, che cosa diavolo ci fai qui con mia moglie?- chiese Iemitsu. Nana lo guardò: l'uomo sembrava fin troppo sulle spine.

-Cara, questa è Oregano, una mia collega. Oregano, mia moglie Nana. Vieni, non scocciamo la mia mogliettina con questioni di lavoro, andiamo...

-Non è una questione di lavoro, Iemitsu, lo sai benissimo.- lo interruppe Oregano. Sembrava molto arrabbiata e Nana temette che fosse sul punto di fare una scenata in mezzo alla piazza.

-Oregano, sant'Iddio...

-No, Iemitsu, qui il problema non sono io.- sibilò la donna in italiano. Nana non capì le esatte parole, ma comprese che la donna, Oregano, stava accusando Iemitsu. Si intromise: -Iemitsu, questa donna dice che le hai raccontato che abbiamo divorziato.

-Oregano, che diavolo dici!- Iemitsu rise, ma era troppo, troppo sulle spine. Persino Nana, che tendeva a chiudere gli occhi di fronte ai problemi nella speranza che si sistemassero da soli, vedeva che la questione non era risolvibile.

-Iemitsu.- la voce di Nana era calma, ma insolitamente bassa, -Sei andato a letto con questa donna?- l'uomo esitò molto a lungo, troppo a lungo. Nana prese il suo silenzio come una risposta affermativa. Si rivolse alla donna, parlando lentamente per farsi capire: -Oregano, cara, posso chiederti un passaggio fino all'albergo? Vorrei riprendere le mie cose e andare via.

-Certo, signora Sawada.

-Chiamami Nana, mia cara.

-Nana, amore mio, per favore... non fare stupidaggini, io...- uno schiaffo sulla guancia interruppe le patetiche scuse di Iemitsu. Nana si massaggiò il polso, poi disse: -Andiamo, Oregano? Per favore?

-Certo, Nana.- le due donne si allontanarono dalla piazza.

 

-Oya oya, Sawada Tsunayoshi, non ho buone notizie.- disse Mukuro.

-Eh... lo immaginavo. Cos'è successo?

-Posso dirlo con parole mie?- Tsuna sospirò, ma concesse: -Vai.

-È successo che tuo padre è un pezzo di merda traditore figlio di puttana. Senza offesa per la nonna, Sawada Tsunayoshi.

-Quel bastardo ha tradito la mamma?!- sbottò Tsuna.

-Sì. Con Oregano, del Cedef. Lei non sapeva nulla, credeva che avessero divorziato.

-Io lo ammazzo. Reborn, posso ammazzarlo?

-Temo che non si possa fare.- rispose il killer.

-Potresti chiamare Xanxus e dirgli che Iemitsu ha detto che ha il culo grosso.- propose Bianchi, -Ci penserà lui a tutto.- Tsuna esitò, poi ribatté con voce tremante: -Terrò a mente l'opzione.

-Posso fare qualcos'altro, Sawada Tsunayoshi?- chiese Mukuro.

-No.- rispose Tsuna, chiedendosi vagamente come mai Mukuro fosse così gentile, -No, grazie. Sei stato di grande aiuto. Cazzo, la mamma tornerà a casa, adesso, no?

-Suppongo di sì, Tsuna.- disse Reborn, -Contatterò Lal Mirch per saperne di più.

-Giusto, io posso chiamare Basil. Anzi, Gokudera kun?

-Sì, Decimo?

-Chiameresti tu Basil? Io faccio finta di niente e resto qui col telefono libero a vedere se la mamma mi chiama.

-Senz'altro, Decimo!- Gokudera parlò in tono allegro, ma Tsuna riconobbe la preoccupazione e la rabbia dietro alle sue parole. Si rese conto di saperlo leggere come un libro aperto e, per un istante, si domandò come sarebbe stato poterlo fare per tutta la vita.

 

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Capitolo 5
*** The First Rule of Love ***


"And with the awkwardness of strangers,
you will finally give up:
no exceptions to the first rule of love.
"





Tsuna si sedette al tavolo della cucina, non appena ebbero finito di restituire alla casa una parvenza di ordine. Bianchi aveva preparato una tazza di latte caldo col miele per Fuuta, che al momento aveva dimenticato le proprie preoccupazioni per concedersi di vomitare l’anima a causa della Poison Cooking.

Come anche dopo anni continuassero a dimenticarsi che Bianchi non doveva assolutamente cucinare era un mistero che Gokudera non avrebbe mai risolto.

-Decimo, Basil non risponde. È normale, credo, in Italia è sera tardi. Gli ho lasciato un messaggio e gli ho detto di richiamare appena possibile.

-Grazie, Gokudera kun.- ribatté Tsuna, con le mani tra i capelli.

Scacciò il pensiero dalla mente, cercando di focalizzare la situazione attuale: stando a quel che aveva detto Mukuro, Iemitsu aveva tradito Nana. Quanto fosse grave la questione, non era dato saperlo: Nana era sempre incline al perdono, quindi avrebbe potuto perdonarlo se fosse stata una cosa capitata una sola volta, ma Gokudera dubitava che Nana avrebbe accettato di restare con lui se si fosse trattato di una vera e propria relazione extra-coniugale. Chiedere a Fuuta quanto in basso fossero scesi nel ranking era decisamente fuori questione, un po' perché non sembrava il caso di traumatizzarlo ulteriormente e un po' perché Gokudera non era convinto che quel poveretto sarebbe riuscito a smettere di vomitare abbastanza a lungo da rispondere.

Gokudera osò posare le mani sulle spalle di Tsuna: -Decimo, siete troppo teso. Vedrete che tutto si risolverà per il meglio.

-Ah, Gokudera kun, non so cosa fare... Vorrei chiamare la mamma, ma non voglio doverla costringere a parlare mentre è sconvol... Oddio!

-Cosa, Decimo?

-E se la mamma decidesse di fare una sciocchezza? O se se ne sta andando in giro da sola, se qualcuno la rapisce, lei non sa niente, oddio cosa faccio?!- Gokudera boccheggiò e non rispose, ma ricominciò a massaggiare le spalle contratte di Tsuna. Sfiorarlo era una sensazione paradisiaca, anche nell’ansia della situazione poco chiara.

-Dame Tsuna, stai migliorando,- disse Reborn, -Anche se non rapidamente come dovresti.

-Reborn, non è il momento.- disse Tsuna, appoggiando la schiena contro il ventre di Gokudera, che si morse a sangue la lingua per non collassare.

-Invece sì. Hai intuito che Nana può essere un bersaglio, vista la tua posizione e quella di Iemitsu, questo significa che stai finalmente cominciando a pensare da mafioso.

-Che bella consolazione, me lo ricorderò SE DOVRÒ ORGANIZZARE UN MALEDETTO FUNERALE!- Tsuna, stressato, si sporse in avanti urlando. Reborn nemmeno si scompose, anzi sorrise. Gokudera si trasse Tsuna al petto e gli circondò le spalle con un braccio. L’aveva fatto istintivamente, senza pensare, e sentirlo che non si divincolava aggiunse gioia alla gioia.

-Nessun funerale, Dame Tsuna. Stanno entrambi bene, ho contattato il Cedef e Lal me l’ha confermato. E non devi preoccuparti per Nana, non è sola.

-Stanno bene? Sono al Cedef? Posso chiamare lì per-caso-apposta?

-Non sono lì, ma i loro spostamenti sono monitorati, e ti assicuro che stanno bene. Iemitsu attualmente è in Piazza di Spagna, Nana sta rientrando all’albergo insieme a Oregano.

-Come mai Nana è con Oregano?- chiese Gokudera, come sempre pratico, -Mukuro ha detto che è con lei che Iemitsu l'ha tradita.- Reborn aprì la bocca per rispondere, ma non ebbe tempo.

Una manina tirò la gamba dei pantaloni di Gokudera, che abbassò gli occhi e vide Lambo.

-Che vuoi, Aho Ushi? Non è il momento!

-Tu e Tsuna nii state insieme?- Gokudera arrossì, poi sbiancò, poi cercò di fare entrambe le cose insieme e per poco non collassò. Tsuna lo tirò per la maglietta e lo costrinse a sedersi, mentre lui invece si alzava e si inginocchiava di fronte a Lambo.

-Non stiamo insieme,- rispose con dolcezza, -Ma dovevamo giusto parlarne, per cui non so, magari sì. Gokudera kun?- Tsuna si voltò, di colpo incerto.

Gokudera, del tutto incapace di pensare, emise un pigolio degno di un cucciolo di gazza ladra, poi annuì con forza. Non sapeva nemmeno lui cosa intendesse con quel gesto, se stava confermando o cos’altro, ma non riuscì a mettere insieme il briciolo di razionalità che gli sarebbe servito a intessere una risposta coerente.

-Ma due maschi non possono fare i bambini, me l’avete detto ieri sera!- sottolineò Lambo.

-Sì, ma ti abbiamo anche detto che se due maschi si vogliono tanto bene possono mettersi insieme.- ribadì Tsuna con calma.

-Lambo, devi sempre essere inopport...- cominciò Reborn, ma Lambo lo interruppe: -MA LAMBO SAN VOLEVA UN FRATELLINO!- Gokudera cadde dalla sedia, colpito dal nulla dall’idea di fare con il Decimo la cosa che si fa per fare i bambini, e Tsuna perse l’equilibrio.

-Ga...ma...

-NO!

-Ci manca solo questa, Lambo, ferm...

-...nnn!- con uno sbuffo di fumo rosa, il Lambo undicenne scomparve. Al suo posto apparve il Lambo adulto, ed era...

-Per la miseria, che muscoli!- si lasciò sfuggire Tsuna spontaneamente.

-Yare, yare... Ci siamo andati vicini...- disse Lambo, passandosi una mano tra i capelli.

-Ma tu lo saprai!- disse Tsuna, e Lambo lo fissò. Aveva una strana cicatrice che sembrava un fulmine ramificato sul viso, e se la grattò distrattamente.

-Ehm... Saprò cosa?- chiese. Il suo imbarazzo era palese.

-Ti ricordi per caso di quando mamma ha scoperto che papà l'ha tradita?- chiese Tsuna.

-Ah... Non molto, in realtà, ho saputo tutto dopo. So solo che Nana e Iemitsu hanno poi divorziato, ma non preoccuparti, starà bene.- rispose Lambo. Tsuna si lasciò cadere sulla sedia da cui Gokudera era appena caduto e trasse un sospiro di sollievo.

-Mi sento più tranquillo... Almeno possiamo prepararci psicologicamente.

-So che è inutile dirtelo, ma da quel che ricordo l'hai dovuta supportare parecchio per un bel po'. Aspetta qualche tempo, poi proponile di cambiare casa. Mi ricordo Nana che diceva che qui dentro vedeva Iemitsu in ogni angolo.

-Ah, Lambo, ti ringrazio, lo farò subito appena torna!- ribatté Tsuna, illuminandosi, ma Lambo scosse la testa. Gokudera lo fissò attonito: vederlo così maturo e pacato era impressionante.

-Non subito, Tsuna nii. Dalle tempo di metabolizzare, è una cosa grossa, credo. Per ora, fa' solo in modo di esserci per lei. Dimostrale che possiamo andare avanti benissimo anche senza Iemitsu.- Tsuna lo fissò a lungo, con la bocca aperta. Gokudera cercò di sovrapporre l'immagine di quel Lambo sensibile e intelligente al bambino che aveva appena piantato un casino perché Tsuna e Gokudera non gli avrebbero fabbricato un fratello e non ci riuscì.

-Se nel futuro non te l'avessi detto, Lambo, sappi che sono fiero di te.- disse Tsuna, attonito. Lambo gli rivolse un sorriso affettuoso e ribatté: -Ho imparato dai migliori.

-Dov’eri?- chiese Reborn di getto.

-Eh? Uhm... Non credo che siano affari tuoi.- rispose Lambo, poi arrossì.

-Dobbiamo sapere se rischiamo che torni ferito o che cosa.

-Reborn, ma quando mai te n’è fregato qualcosa se...- cominciò Tsuna, ma Lambo lo interruppe.

-Nah, sono al sicuro. Ma se fosse successo cinque minuti prima ci sarebbe stata della roba che sarebbe stato molto difficile spiegarmi.

-Tipo?- lo aggredì Reborn.

-No, ma io voglio sapere che cosa diavolo ti...- tentò Tsuna, ma fu ignorato.

-Tipo la persona con cui ho dormito, ok? Mamma mia che ficcanaso...- Lambo rivolse a Reborn uno strano sguardo, poi si chinò per raccogliere il bazooka dei dieci anni e glielo portò. Con voce dolce ma autoritaria disse: -Questo sarà meglio farlo distruggere. Credimi.

-E perché mai?- ribatté Reborn.

-Ma perché sì, lo dico da anni...- disse Tsuna.

-Perché sono sessualmente attivo.

-DAMMI QUI QUELL’AFFARE!- tuonò Gokudera: l’idea che quel ragazzino ancora confuso si ritrovasse di punto in bianco tra le braccia di una persona adulta che fino a un momento prima stava cercando di farsi la sua versione cresciuta era raccapricciante. Lambo si girò verso di lui, gli porse il bazooka e un lampo di dolore gli attraversò lo sguardo: -Gokudera, devi...- con un tonfo soffocato, Lambo adulto scomparve. La sua versione decenne esclamò: -Da grande avrò una casa fighissima!

-Gokudera, dammi quell’affare!- ordinò Reborn. Gokudera si strinse il bazooka al petto: -Ma che cazzo ti prende, Reborn?- chiese. Il comportamento del killer, unito alla sua voce stridula e al rossore sulle sue guance, lo sconvolgeva.

Reborn si schiarì la gola, finse di essere calmo e disse: -Lambo stava per dirti qualcosa. Potrebbe essere importante.- Gokudera rifletté un attimo. In effetti, anche lui si era accorto che il Lambo adulto stava cominciando a dire una cosa, ma in quel momento gli sembrava più importante dare contro a Reborn. Il discorso della notte precedente l’aveva lasciato imbufalito, e il fatto che apparentemente il killer avesse ragione era persino peggio.

-No,- decise, -Nel caso, mi sparerò io con il bazooka e indagherò.- Reborn lo guardò male, ma non trovò modo di ribattere: la soluzione trovata da Gokudera era un ottimo modo di ovviare alla questione senza rischiare la già precaria salute mentale di Lambo, e se Reborn aveva altri motivi di richiamare il Lambo adulto non si degnò di sottolinearli.

-Dov’eravamo rimasti?- chiese Gokudera.

-Da grande avrò una casa fighissima!- ripeté Lambo, che evidentemente scalpitava per raccontare. Gokudera vide che Tsuna lanciava un’occhiata alle scale, in cima alle quali c’era il bagno. A giudicare dai rumori che venivano dal piano superiore, Fuuta non si era ancora ripreso. Il Decimo si chinò verso Lambo e chiese: -Davvero? E com’è?- mentre il ragazzino cominciava a blaterare di questa fantomatica casa, il Decimo lanciò un’occhiata a Gokudera, che interpretò al volo il suo sguardo.

Era chiaro che il Decimo gli stava chiedendo scusa per aver nuovamente rimandato il loro discorso, ma Gokudera approvò la sua decisione nonostante la fretta: con Reborn diventato di colpo scemo, Lambo esagitato, Fuuta che vomitava il pranzo di Natale del '97 e I-Pin e Bianchi che mettevano insieme una colazione, da tenere sotto controllo per non finire a fare compagnia a Fuuta, sarebbe stato impossibile mettersi in disparte a fare una conversazione così importante.

Reborn interruppe Lambo con un calcio e Tsuna sbottò: -REBORN! ADESSO LA PIANTI!- cadde il silenzio. Il killer fissò Tsuna stupito, e il giovane proseguì: -Senti. Lo so che sei il mio tutor, ma stai esagerando. Lambo ha undici anni, ha visto una cosa bella e la vuole condividere. E che io sia dannato se non glielo lascerò fare.

-Tch. Come se non fossimo abbastanza impegnati.

-Come se ci fosse qualcosa che si può fare nell’immediato.- ribatté Tsuna. Gokudera avvistò Lambo, con gli occhi lucidi ma non in lacrime: un altro segno, se ce ne fosse stata necessità, che la reazione di Reborn era esagerata. Mentre il silenzio si allargava, Gokudera raggiunse il ragazzino e lo prese in braccio. Pesava, e se lo dovette appoggiare sulla curva dell’anca, ma le braccia di Lambo che gli circondavano il collo lo ripagarono in qualche modo della fatica.

-E va bene, Dame Tsuna.- disse Reborn. La sua voce era pacata ma carica di minaccia, tuttavia Tsuna non si lasciò intimidire. Continuò a fissarlo, e dopo una lunga pausa ordinò: -Chiedi scusa a Lambo.

-Perché?- ribatté Reborn.

-Perché gli hai dato un calcio quando non se lo meritava.- Reborn esitò a lungo, poi si avvicinò a Gokudera, che mise giù Lambo.

Il bambino era poco più basso del killer e lo guardò alzando il visino; il timore nei suoi occhi era da spezzare il cuore. Reborn prese in grosso respiro e disse: -Lambo, ti chiedo scusa.- il bambino esitò, poi senza alcun preavviso si gettò in avanti e strinse Reborn in un goffo abbraccio. Gokudera lanciò un’occhiata al Decimo, che sembrava sul punto di esplodere dalle risate; e in effetti l’espressione di Reborn era degna di essere immortalata e stampata sui bigliettini di Natale. Gokudera lo vide ricambiare l'abbraccio di Lambo per un millesimo di secondo e poi spingerlo via alla velocità della luce; aprì la bocca per commentare, quando Leon squillò.

Reborn prese in mano il camaleonte, che si trasformò in un cellulare, e rispose: -Sì? ...va bene, riferisco.- Leon tornò normale. Reborn guardò Tsuna, fingendo di ignorare il suo viso livido e congestionato, e disse: -C’è una prenotazione a nome di Nana per un volo in partenza dall’Italia tra otto ore. Immagino che ti dovrai aspettare una chiamata.- senza aggiungere altro, prese una tazza di caffè e si eclissò.

 

-Reborn.- chiamò dolcemente Bianchi.

-Mh?- ribatté lui, intento a guardare fuori dalla finestra del salotto, immerso nei suoi pensieri.

-Devo dedurre che tra noi è finita?- chiese la donna. Il killer esitò, poi esalò un breve bisbiglio: -Sì.

-Temevo questo momento. Avrei voluto che fosse andata diversamente.

-Anch'io. Non sai quanto.- nelle parole di Reborn sembrava esserci molto di più, ma Bianchi non indagò. Era da un po' di tempo che aveva capito che non ci sarebbe stato futuro per loro due, ma pensarlo e trovarcisi ad avere a che fare erano due cose del tutto diverse.
 

-Ti auguro di essere felice.- riuscì infine a dire.

-Dubito che lo sarò. È troppo... complicato.- disse Reborn, poi bevve un sorso di caffè e aggiunse: -Ma per quel che vale, lo apprezzo molto. E auguro lo stesso a te.- Bianchi non rispose e il silenzio si dilatò all'inverosimile.

Dopo un po', Reborn si voltò verso la porta della cucina, dalla quale lei gli aveva parlato, e scoprì che lei non era più lì.

Alla fine, nessuno restava mai.






OCCHEI, capitolo modificato perché mi ero completamente dimenticata che Mukuro aveva già spifferato un po' di roba.
Chiedo venia, il lavoro mi sta bruciando le cellule cerebrali, sto imparando roba nuova a manetta e mi si è accesa una spia sulla macchina ed è una settimana che la uso toccandomi le palle che non ho e il meccanico ha detto di stare a vedere se è solo un contatto o se devo fare le acrobazie per cambiare il sensore dei freni senza chiedere un permesso (che non mi pare il caso visto che ho appena cominciato), hanno anche provato a scassinarmela, non digerisco più i peperoni, ho le mani che sanguinano a furia di igienizzarle e lavarle ed è arrivata la stagione delle graminacee. In pratica, sono ad un passo dal chiedere l'eutanasia.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** It Might as Well Be You ***


So let me in tonight,
so we two losers might start to win.









La telefonata di Nana arrivò nel primo pomeriggio.

Nel frattempo, Basil aveva richiamato, ma non aveva altre informazioni: Iemitsu era irrintracciabile, e per quanto riguardava Tsuna avrebbero anche potuto continuare così. Tuttavia, disse Basil, Lal aveva già inviato una squadra di recupero per trovarlo.

Nel frattempo, avevano ammazzato l'attesa proseguendo il discorso con Lambo, e Tsuna doveva ammettere che il ragazzino stava cominciando a diventare piuttosto sveglio. Aveva chiesto dettagli che lui non aveva mai preso in considerazione, e persino Bianchi aveva dovuto googlare un paio di cose per potergli rispondere. Era stata una conversazione decisamente imbarazzante, soprattutto considerando che Gokudera era seduto di fianco a lui sul divano e che il discorso lasciato in sospeso era grossomodo incentrato sull'argomento. Sentiva la sua speranza, il suo imbarazzo e la sua urgenza arrivare in ondate, e si era visto costretto ad ignorarlo di proposito: intuiva che, se l'avesse guardato negli occhi, avrebbe finito per baciarlo davanti a tutti, cosa che non intendeva assolutamente fare prima di aver messo le cose in chiaro.

Per quanto infatti capisse che c'era dell'interesse romantico da parte del suo Guardiano della Tempesta, non sapeva fino a che punto arrivasse: forse si trattava solo di una questione fisica, o forse al contrario Gokudera non era pronto a passare a quel livello, inoltre c'era da considerare il suo intero atteggiamento. Gokudera sembrava venerarlo, ma la sua ammirazione cos'era davvero? Sarebbe svanita una volta che la familiarità l'avrebbe portato a notare gli innumerevoli difetti di Tsuna? Lui sperava che sarebbero riusciti a superarli insieme, e che quell'adorazione un po' malsana sarebbe sfumata in un quieto amore, ma non ne poteva essere del tutto sicuro: se Gokudera davvero lo vedeva perfetto, avrebbe presto sbattuto la faccia contro un bel muro di mattoni.

L'unica cosa veramente buona della mattinata fu che Reborn evidentemente non aveva voglia di rompere le scatole, perché se ne rimase zitto e quieto in un angolino a bere caffè e guardare fuori dalla finestra, perso nei suoi pensieri. Non si degnò nemmeno di prendere in giro Lambo quando chiese come fa ad essere bello fare l'amore tra due maschi se ogni tanto, quando la cacca è troppo dura, fa male quando esce, osservazione che riuscì a far arrossire persino Bianchi.

 

In ogni caso, la vibrazione del telefono sul tavolino fu un sollievo.

Bianchi prese per mano Lambo per portarlo in un'altra stanza e Tsuna ricacciò indietro la sensazione che fosse scattata una scintilla di astio: aveva già letto il nome della persona che lo chiamava e fremeva per rispondere. Reborn abbassò il giornale che stava fingendo di leggere e si mise in ascolto; Gokudera si alzò per seguire I-Pin e Fuuta fuori dal salotto, ma Tsuna gli prese la mano e lo trattenne. Intrecciò le dita alle sue e rispose alla telefonata: -Mamma! Ciao!

-Tsu kun, tesoro, come stai?- chiese Nana. Sembrava molto stanca, e la sua voce era un po' roca, ma si stava chiaramente sforzando di sembrare allegra.

-Tutto bene, Gokudera è appena tornato dalla sua vacanza. Mi era mancato.- disse di slancio, giusto per parlare di qualcosa, poi si maledì: la sua mamma era sul punto di divorziare e lui gli raccontava del suo forse-quasi-mezzo-ragazzo.

-Oh, bene!- rispose Nana senza esitare, -Stavo cominciando a preoccuparmi, sembravi un'anima in pena senza di lui... salutamelo!

-Mamma ti saluta.- disse Tsuna, guardando Gokudera, che arrossì: -Oh! Grazie, ricambio di cuore!

-Ho sentito.- disse Nana. Un sorriso sembrava aver fatto capolino nella sua voce.

-E tu come stai, mamma?- chiese Tsuna. In un attacco di nervosismo, strinse la mano di Gokudera.

-Bene, tesoro, ma ho dovuto abbreviare il viaggio. Il mio aereo parte tra poche ore, io...- Nana esitò, poi aggiunse in tono fintamente scherzoso: -Spero che tu faccia in tempo a pulire la casa da tutte le feste che starai facendo in mia assenza!

-Mamma, è successo qualcosa?- chiese Tsuna, diretto. Nana esitò a lungo.

-Io e tuo padre... ecco... ma non ti devi preoccupare, Tsu kun, va tutto bene!

-Mamma.

-Prepara un letto in più nella stanza degli ospiti, un'amica mi accompagna e rimane a dormire.- Nana si allontanò dal ricevitore: -No, niente storie, cara, non ti faccio spendere soldi per niente!- Tsuna aggrottò la fronte e attirò l'attenzione di Reborn con uno sguardo. Il killer si mise in allerta.

-Comunque, caro, arrivo domani all'alba. Non è necessario che ti alzi per salutarmi, ti faccio trovare la colazione pronta!

-No, mi alzo eccome, sarai stanca, la colazione te la preparo io!

-Sei tanto caro, Tsu kun...- bisbigliò Nana. La sua voce era soffocata, come se fosse sull'orlo delle lacrime. Tsuna attese, incerto su cosa dire, e Nana ricominciò: -Allora ci vediamo domani, bimbo mio! Fa' il bravo, e non preoccuparti per me!- senza attendere una risposta, riagganciò.

-Ha messo giù...- disse Tsuna, posando il telefono.

-Come ti è sembrata?- chiese Reborn. Tsuna ci pensò un attimo, poi rispose: -A pezzi. Senti, ha detto che con lei c'è un'amica che si ferma a dormire. Puoi scoprire chi è?

-Chiamo Lal.- Reborn uscì dal salotto, e Tsuna rimase solo con Gokudera. La tensione della giornata cominciava a farsi sentire: Tsuna scattò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro. Voleva sapere chi fosse quella fantomatica amica, se fosse davvero una persona di fiducia, se poteva stare tranquillo, voleva parlare con Gokudera e fidanzarcisi e archiviare la questione, archiviare tutto il mondo, smettere di pensare e passare il resto della vita sdraiato sull'erba, sotto al sole, mano nella mano con lui.

-Decimo, posso fare qualcosa per voi?- chiese dolcemente Gokudera. Tsuna si voltò e se lo ritrovò di fronte: il ragazzo si era alzato e l'aveva raggiunto senza che lui se ne accorgesse. Senza stare a rimuginarci sopra, Tsuna gli gettò le braccia al collo e nascose il viso nell'incavo del suo collo; era in punta di piedi, Gokudera continuava ad essere più alto di lui, ma non gli importava: l'unica cosa che desiderava era sentire le sue braccia intorno a sé, morire e rinascere nel suo abbraccio.

Gokudera gli circondò la vita con le braccia, lentamente, come se non credesse per davvero a ciò che stava accadendo, come se stesse cercando di non far scoppiare quella bolla di magia in cui si era di colpo trovato. O, perlomeno, così sembrò a Tsuna, e affondò la fronte nella curva del collo di Gokudera sperando ardentemente che non si trattasse solo di una proiezione dei propri sentimenti, ma che anche da parte dell'altro sembrasse tutto così meraviglioso. Almeno un pochino.

Le braccia di Gokudera erano calde, le sue mani fresche; Tsuna le sentiva attraverso la stoffa della maglietta, come sentiva anche il battito del suo cuore all'unisono con il proprio, rapido, frenetico eppure in qualche modo giusto, come il batter d'ali di un colibrì che medita di posarsi su una canna acquatica. Respirò a fondo il profumo della pelle di Gokudera, che si mescolava all'odore del proprio bagnoschiuma che il ragazzo aveva usato la sera precedente, e si sentì a casa.

Si rese anche conto di non essersi mai sentito a casa prima di allora.

Certo, Nana era una madre affettuosa, ma aveva dei grossi limiti, il primo dei quali era la sua indefessa decisione a chiudere gli occhi di fronte ai difetti del marito: Tsuna sperava che da ora le cose sarebbero cambiate, ma la verità era che non si era mai sentito del tutto a proprio agio con la madre, perché sapeva che se l'argomento fosse caduto su Iemitsu non avrebbe potuto dire a chiare lettere quanto lo trovasse ripugnante.

Con l'arrivo di Reborn e di tutto il folle carro dei Vongola, poi, la situazione era peggiorata: Tsuna si ritrovava da anni in uno stato di ansia costante. E come poteva essere altrimenti, si disse, quando da un momento all'altro un proiettile poteva colpirlo e spedirlo a correre in giro per la città in mutande? Per non parlare del rischio di ritrovarsi a mangiare inavvertitamente qualcosa di velenoso, o del fastidio di ritrovarsi due bambini esagitati per casa. E Fuuta negli ultimi tempi sembrava divertirsi a tirare fuori dal nulla classifiche inutili e imbarazzanti: un paio di settimane prima, mentre erano a fare una passeggiata nei boschi fuori città, si era ritrovato sospeso a mezz'aria ad ascoltarlo suo malgrado. Reborn sosteneva che si trattasse di scompensi ormonali legati all'adolescenza, ma ciò non ripagava Tsuna dall'essere consapevole che il mafioso col pene più grosso fosse Xanxus. E di certo non gli avrebbe restituito le notti che aveva passato a desiderare e temere il sonno, stanco morto ma consapevole che avrebbe avuto incubi sul cannone di Xanxus ancora per un po'.

Tsuna cercò di non considerare gli altri aspetti della situazione in cui viveva da quasi sette anni ormai: Mukuro e il suo vizio di apparire dal nulla, le sue minacce maliziose, Chrome che ogni tanto si presentava, lasciava del cibo e scappava, Yamamoto che alternava il baseball alla pratica agonistica dello Shigure Soen, Ryohei che ogni tanto tirava giù la porta alle cinque di mattina come se fosse normale andare a correre insieme per tre ore in pieno inverno prima dell'alba, Hibari che vagava minaccioso ai margini del suo campo visivo e Dino, che da un lato sembrava un bravo ragazzo, ma che dall'altro era così pazzo da andare a rompere le scatole all'individuo più pericoloso di Namimori e forse del mondo intero, e che riusciva sempre ad uscirne vivo. Il che, probabilmente, la diceva lunga su quanto in realtà fosse forte, cosa che gettava Tsuna nello sconforto: Dino inciampava nell'aria eppure riusciva a tener testa a Hibari Kyoya, Enma era un imbranato ancora peggiore eppure gli aveva quasi fatto il culo a strisce e lui invece sembrava vincere solo a suon di botte di culo.

Si afflosciò, demoralizzato, e Gokudera si chinò su di lui per non interrompere l'abbraccio. Tsuna trovò un enorme conforto in quel minuscolo gesto.

-Dame Tsuna. Se ti degni di schiodarti da Gokudera per trenta secondi, ho parlato con Lal.- chiamò Reborn. Tsuna strofinò il viso contro la pelle di Gokudera e bofonchiò: -Ti sento anche da qui.

-...bene.- disse Reborn dopo un po', -Pare che Nana sia con Oregano, e che sarà lei la persona che la riaccompagnerà in Giappone.

-Lal sa qualcosa?- chiese Tsuna; chiuse gli occhi e avvertì un fremito di solletico al tocco delle ciglia contro il collo di Gokudera.

-Sì, Oregano si è confidata con lei qualche ora fa. Pare che fosse in una relazione con Iemitsu, ma solo perché lui le aveva fatto credere di aver divorziato.

-Che pezzo di merda!- esclamò Tsuna, staccandosi di colpo da Gokudera. Reborn, che l'aveva sempre preso a martellate quelle rare volte che Tsuna si lasciava scappare una parolaccia, si ficcò le mani in tasca e disse: -Stavolta te la faccio passare, giusto perché è l'unica definizione possibile.

-È da lei che Sawada san ha scoperto tutto?- chiese Gokudera.

-Esatto. Lei l'ha raggiunta e le ha raccontato come stanno le cose. Credo che si siano aggrappate l'una all'altra per qualche motivo.

-È logico, adesso lo capisco,- disse Tsuna, -Papà ha ferito entrambe, si stanno appoggiando l'una all'altra.- Reborn lo fissò; una vaghissima espressione di orgoglio aleggiava sul suo volto.

-Può essere, Tsuna.- concordò.

-Bene, se questi sono i fatti, credo che possiamo essere tranquilli, no?- chiese Tsuna, passandosi le mani tra i capelli. Reborn annuì: -Sì. Non c'è ragione per cui Oregano potrebbe fare del male a Nana, e la sua presenza garantisce che non le succederà nulla. È un'ufficiale del Cedef, potrebbe tener testa ad un manipolo di uomini armati da sola.

-Tipo Lal?- chiese Tsuna. Reborn ghignò: -Beh, non a quel livello. Lal potrebbe invadere un piccolo stato con una graffetta e un metro di spago per il pollo.

-Sì, ce la vedo, mamma mia, e...

-E adesso vi lascio soli prima che mi venga il diabete.- senza aggiungere altro, Reborn uscì.

 

Tsuna, rimasto solo con Gokudera e con il proprio Iper Intuito, esitò solo per un istante.

Poi, allungò le mani in avanti e intrecciò le dita a quelle di Gokudera. Era come una chiave perfetta che gira senza il minimo attrito, una sensazione paradisiaca. Vide Gokudera chinare il viso verso il suo, e per qualche istante sperimentò uno stato di percezione aumentata; gli sembrava di poter vedere ogni poro della sua pelle, ogni piega sulle sue labbra, ogni pagliuzza di smeraldo nei suoi occhi. Si umettò le labbra con un rapido colpo della lingua, e per riflesso condizionato Gokudera fece lo stesso. Tsuna sentì una scarica di adrenalina nelle vene e comprese che il momento a cui aveva invano cercato di non pensare durante il periodo della loro lontananza era finalmente arrivato.

Si mise in punta di piedi e sporse il viso.

Le sue labbra incontrarono quelle di Gokudera. Erano morbide, calde e leggermente umide. Solo sfiorarle diede a Tsuna una sensazione di capogiro così forte che dovette sciogliere l'intreccio delle sue dita e passargli le braccia intorno al collo per sorreggersi.

Una volta recuperata una parvenza di equilibrio, mentre sentiva che anche Gokudera si stava a sua volta appoggiando a lui per trovare stabilità, premette la bocca un po' di più contro la sua. Il suo labbro inferiore scivolò appena tra le labbra di Gokudera, che si schiusero appena, e Tsuna lo sfiorò con la punta della lingua, d'istinto.

Ripensò alla lontana al suo primo bacio, con Kyoko, ormai anni prima: nemmeno gli era passato per l'anticamera del cervello di fare una cosa simile. Realizzò l'immane differenza che divideva quello che credeva essere amore e quello che ora sapeva essere amore, e quando Gokudera gemette appena sulla sua bocca si diede coraggio e sporse ancora un po' la lingua. La parte interiore delle labbra di Gokudera era liscia e bagnata; Tsuna superò il limite dei suoi denti e incontrò la sua lingua. Fu certo di sentirla tremare all'incontro con la propria.

Dischiuse la bocca, alla ricerca di un contatto più intenso, e affondò le dita tra i capelli di Gokudera; sentì le braccia dell'altro che lo cingevano, appena un po' più in alto del punto vita, più o meno dove terminava la sua gabbia toracica. Amò la sensazione di pressione e di colpo comprese la vastità dei sentimenti di Gokudera: si trovava tra le braccia di una persona che sarebbe morta per lui senza la minima esitazione, e per la prima volta da che aveva memoria si sentì al sicuro.

 

Non sentì il campanello che suonava, né la porta che si apriva. Per quanto lo riguardava, l'intero universo al di fuori delle braccia di Gokudera aveva completamente cessato di esistere.

Poi, una risata cristallina: -Maa, maa, era ora!- Tsuna sussultò e si staccò da Gokudera. Si aspettava qualche commento a tema “Idiota del Baseball”, ma non arrivò nulla.

Yamamoto si coprì la bocca con le mani, imbarazzato, e disse: -Ops! Non volevo parlare ad alta voce!

-Ah... non importa, Yamamoto, prima o poi avremmo dovuto respirare, ahaha!- Tsuna ridacchiò, sentendosi le guance che andavano a fuoco, e si grattò la nuca. Ricacciò indietro il fastidio per essere stato interrotto: se c'era una persona che davvero non poteva averlo fatto di proposito, quella era proprio Yamamoto Takeshi.

-Beh, sono davvero felice per voi.- disse Yamamoto. I suoi occhi di cioccolato saettarono dall'uno all'altro, sorridenti, luminosi. Aggiunse: -Bentornato a casa, Gokudera!

-Io... grazie.- rispose Gokudera. Tsuna si voltò verso di lui e gli sorrise.

E, per la prima volta, dalle labbra di Gokudera scaturì una sincera risata di felicità.

 

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Capitolo 7
*** This King Is Poor ***


And I am king of this hill of rats
That's why this king is poor
No, I'm not the same as I was before
No one to blame for making this king poor.







Era irrazionale.

Irrazionale, stupido e potenzialmente pericoloso.

Forse era tutta quella sdolcinatezza che circondava Reborn, forse era la definitiva rottura con Bianchi, forse era la visione di quel Lambo adulto così calmo, pacato e maturo.

Reborn chiuse a chiave la porta di casa propria; aveva tutto il tempo del mondo a disposizione: Nana non sarebbe partita prima di qualche ora, Dame Tsuna era appiccicato a Gokudera, Bianchi era scomparsa e i bambini erano a scuola. Non si era neanche preso la briga di avvisare che se ne stava andando, tanto nessuno avrebbe fatto caso a lui.

Fissò il Bazooka dei Dieci Anni e si ripeté che era irrazionale.

Poi lo puntò contro di sé e sparò.

 

“Reborn, dannato idiota.” disse Reborn adulto, ritrovandosi nella casa vuota con ancora la stilografica in mano, “Dannato idiota.” ripeté. Si alzò in piedi, di fretta, prese le chiavi dal piattino in cui le aveva sempre appoggiate, aprì la porta e corse fuori alla disperata.

Lambo era tornato un paio d'ore prima dal suo viaggio imprevisto nel passato, e quando Reborn era rientrato dalla pasticceria con le brioches l'aveva trovato in lacrime. Tira e molla, gli aveva fatto confessare quel che lo angustiava: era tornato in tempo per avvisare tutti che Viola era incinta, ma l'effetto del bazooka era terminato proprio mentre cominciava la frase.

Reborn l'aveva accolto tra le braccia, l'aveva consolato come poteva e quando Lambo, complice la tristezza e la notte quasi in bianco passata a fare l'amore, si era riaddormentato, Reborn aveva cercato di fare mente locale. Dalla sua posizione, non c'era niente che potesse fare, ma ricordava in maniera molto vaga di aver usato il Bazooka lui stesso, in preda ad una frenesia di quella che allora non aveva saputo riconoscere come gelosia, e intendeva fare tutto ciò che era in suo potere per avvertire Gokudera che non andava tutto bene, che il suo gesto avventato aveva avuto conseguenze e che dovevano fare qualcosa, fosse anche andare a prendere di peso Viola e portarla in Giappone.

Per cui corse a perdifiato, diretto verso il centro città, guardandosi intorno nella speranza di scorgere un viso noto, con la chiarissima intenzione di cambiare il passato di Lambo.

Non gli venne nemmeno in mente di scriversi un messaggio.

 

Reborn fissò il tavolo.

C'erano due tazze, un pacchetto di una pasticceria da cui si alzava un profumino delizioso, una brocca di spremuta e un cesto di frutta, ma soprattutto c'erano due tazze.

Silenziosamente, Reborn si diresse verso la propria stanza da letto.

Ciò che vide lo sconvolse.

Lambo, il Lambo adulto, giaceva nel suo letto, un po' scomposto, il viso arrossato di lacrime, un evidente succhiotto sul collo e un pigiama molto familiare addosso.

La stanza odorava di sesso, quell'odore che ricordava alla lontana il muschio umido scaldato dal sole. Reborn era così scioccato che ci mise un bel po' ad elaborare: di lì a dieci anni, lui e Lambo sarebbero stati amanti.

Quel dannato Bazooka andava decisamente distrutto il prima possibile.

Tornò in cucina e lesse il biglietto che la sua versione futura stava scrivendo: “Ciao, splendore. Vado da Tsuna, mi ricordo di aver usato il Bazooka dopo che sei piombato in salotto dieci anni fa. Non ricordo dov'ero allora, ma se il mio io passato arriva da Tsuna, lui potrà dirmi ch” Reborn imprecò a mezza voce.

 

Gokudera guardò verso il basso, ancora convinto di essere nel bel mezzo di uno di quei sogni meravigliosi che poi scoppiavano e lo costringevano a risvegliarsi da solo, con in più il ricordo di qualcosa mai accaduto nella realtà a tormentarlo.

La mano di Tsuna stava tracciando dei piccoli cerchi sul suo petto, il suo indice ogni tanto gli sfiorava il capezzolo attraverso la stoffa; era chiaro che il suo gesto non fosse intenzionale, non stava cercando di sedurlo, eppure Gokudera era tormentato dalla sensazione che gli dava quel dito delicato che lo sfiorava.

Tuttavia, nell'incredulità e nella disillusione di Gokudera si stava facendo strada la consapevolezza che era tutto troppo fisico per essere solo un sogno. Di solito, nei suoi sogni si intrometteva sempre qualcosa di assurdo o del tutto irrazionale, e generalmente Gokudera riusciva a inserirsi nel proprio sogno lucido solo cercando delle incongruenze nel filo logico degli avvenimenti.

Invece, stavolta non c'era la minima inconsistenza.

Gokudera, dopo una buona mezz'ora di ragionamento furioso, chiamò: “Decimo?”

“Sì, Gokudera kun?”

“Tutto questo è... è reale?” Tsuna rise piano.

“Lo so, sembra un sogno anche a me. Go... Hayato kun, io sto così bene.”

“Anch'io, Decimo.” rispose Gokudera, ricacciando indietro le lacrime e cercando di convincere il proprio cuore a non schizzargli fuori dal petto all'udire la sua voce che pronunciava il suo nome.

“E dai, piantala di chiamarmi così, ci siamo baciati, direi che adesso hai il diritto di chiamarmi Tsuna, non pensi?” Gokudera si immobilizzò.

Ricordava un pomeriggio particolarmente irritante in cui Viola l'aveva costretto a sedersi sul pavimento e l'aveva sottoposto ad una specie di terapia d'urto da psicolabile per costringerlo a pronunciare il nome “Tsuna”, pomeriggio culminato ovviamente con lui che riusciva finalmente a cavarsi quelle due sillabe e lei che rideva come un dannato babbuino di fronte al suo rossore.

“Dai...” insistette Tsuna, “Almeno provaci. Per favore?”

“Decimo, io... cioè, voglio dire.”

“Guarda che ti faccio il solletico finché non lo fai!” minacciò Tsuna, poi si voltò tra le sue braccia e mise in atto quanto promesso.

Gokudera temette di impazzire.

Le mani del Decimo erano ovunque, sulla sua vita, sul suo petto, sulle sue braccia, il suo corpo era letteralmente spalmato sopra di lui e il battito cardiaco di Gokudera aveva ormai superato la soglia di allarme.

La risata, durante un attacco di solletico, non è altro che una reazione isterica ad una situazione fastidiosa. Ma Gokudera, pur non avendo la minima intenzione di mostrare fastidio al Decimo nell'improbabile ipotesi in cui lui sapesse quest'informazione, scoppiò a ridere, non poté evitarlo. Tsuna si bloccò, le mani immobili sul suo torace, e lo guardò come se fosse qualcosa di meraviglioso. Gokudera smise pian piano di ridere, poi lo guardò, incapace di togliersi il sorriso dalle labbra, e disse a bassa voce: “Tsuna.”

Tsuna sorrise, una curva luminosa per cui Gokudera avrebbe potuto fare il giro del mondo di corsa in venti minuti, oceani compresi, poi lasciò cadere la testa sul suo petto e vi strofinò il viso.

“Gnaaa, ma allora Bakadera è capace di dire il nome di Tsuna...” disse una vocina. Tsuna saltò su dal petto di Gokudera con un balzo degno di un gatto terrorizzato, mentre l'altro si alzava maledicendo le mucche.

“CHE COSA DIAVOLO CI FAI QUI?! DOVRESTI ESSERE A SCUOLA!” tuonò, dopo aver insultato tutti i bovini, umani e non, che calpestavano il pianeta Terra, hamburger compresi.

“Veramente la scuola è finita venti minuti fa.” gli fece presente Lambo, con un dito nel naso.

“Oh, cielo, siamo stati qui a fare niente per cinque ore?”

“Erbivoro.”

“Meeerdaaa...” gemette Tsuna, di cuore, poi una palletta di piume gialle gli becchettò un orecchio con violenza, “AHIO!”

“Lascialo in pace, dannato pennut... AHIO!” Gokudera, che stava cercando di intervenire in difesa di Tsuna, venne colpito da un tonfa che, l'avrebbe giurato, fino a pochi secondi prima non c'era.

Come se non fosse successo nulla, Hibari proseguì: “Ho riportato a casa il ragazzino. Dimenticarsi i bambini a scuola è contro le regole. Sarai sanzionato.”

“Lambo! Tu sei perfettamente in grado di tornare a casa a piedi dalla scuola!” disse Tsuna. Lambo arrossì come un peperone e non disse nulla, tutto preso nell'apparente tentativo di scavare un buco nel pavimento con la punta della scarpa.

Gokudera intercettò lo sguardo di Tsuna, poi prese in mano la situazione: “Hibari, gr... grz...”

“Grazie per aver riportato a casa Lambo.” gli venne in soccorso Tsuna, “Doveva tornare a casa da solo ma sono giornate un po' strane. In ogni caso, grazie.” Hibari annuì, solenne, poi si avvicinò a Tsuna. Era cresciuto parecchio, e torreggiava sopra di lui. In un sibilo minaccioso, disse: “Se mi hai fatto far tardi all'appuntamento con Haneuma ti mordo a morte.”, poi se ne andò senza aggiungere altro.

Almeno cinque minuti più tardi, quando Lambo si era già tolto la divisa per mettersi in tuta e il suo sederino spuntava dal frigorifero mentre lui cercava qualcosa di commestibile, finalmente Tsuna ricollegò i puntini: “Haneuma... DINO?!”

 

Reborn si fermò di colpo.

Aveva appena realizzato di avere ancora in mano la penna stilografica: tutto ciò che gli restava da fare era trovare qualcosa su cui scrivere.

Entrò di corsa in un bar, ghermì una manciata di tovaglioli di carta e uscì prima che la gente avesse il tempo anche solo di rendersi conto che qualcuno era entrato.

Tolse il tappo alla penna, se lo mise in bocca, appoggiò i tovaglioli al muro e scrisse, in stampatello bello grande per evitare che l'inchiostro sbavasse rendendo incomprensibile le lettere: “VIOLA È INCINTA, PORTALA VIA”.

Uno sbuffo di fumo rosa; quando Reborn riuscì a diradarlo, si ritrovò nella cucina di casa propria, nel tempo in cui viveva normalmente.

Il tovagliolo era ancora stretto nella sua mano.

 

Reborn piazzò il Bazooka dei Dieci Anni in un vecchio e fatiscente canale di scolo in disuso.

Si allontanò a passi rapidi, e quando fu a distanza di sicurezza estrasse una granata che aveva sgraffignato a Lambo. Staccò la spoletta con un gesto secco, poi la lanciò.

Pochi secondi dopo, il Bazooka era distrutto.

Qualunque cosa il suo io futuro intendeva dirgli, al momento non aveva la minima importanza.

L'unica cosa che contava, per lui, era che Lambo non si ritrovasse mai a proiettarsi nel futuro solo per trovarsi tra le braccia di un Reborn adulto, affascinante e fino a un secondo prima intenzionato a farlo suo.

Aveva notato degli strani comportamenti nel bambino, ultimamente, e aveva il forte sospetto, intensificato anche da qualche indizio colto dai discorsi di Tsuna e Gokudera su due maschi che possono stare insieme, che Lambo avesse una vaga cottarella per lui.

Ecco, intendeva soffocarla sul nascere, null'altro.

Sarebbe stato troppo, per lui.

Avrebbe dovuto respingerlo per anni, ferirlo come mai aveva fatto prima di allora: per quanto la sua versione futura fosse indubbiamente affascinante, adesso non era altro che un ragazzino di undici anni. Non solo sarebbe stato amorale, ma per Reborn andava al di là di ogni concezione. Non avrebbe mai e poi mai potuto tenere tra le braccia un bambino con intenti romantici.

Avrebbe semplicemente continuato a comportarsi come si comportava ora, e se un giorno Lambo fosse stato ancora di quell'idea, forse avrebbero potuto provare ad uscire.

Forse.

Sempre se il ricordo di Romeo non si fosse insinuato di nuovo nella mente di Reborn.

Senza il minimo rimpianto per la distruzione del Bazooka, Reborn si ficcò le mani in tasca e tornò verso casa Sawada.

 

“Ah-ah-ah!” disse Tsuna, in tono di rimprovero, mentre Reborn rientrava.

Gokudera si immobilizzò con in mano una pila di contenitori di cibo da asporto e arrossì. Reborn, ancora non visto, lasciò scorrere lo sguardo da uno all'altro.

Gokudera prese un bel respiro, arrossì ancora un po', poi disse: “Ok, ce la posso fare. Vado a buttare la spazzatura... T... Ts... Tsuna!” il suo interlocutore, futuro Decimo Boss dei Vongola, la Famiglia mafiosa più potente del mondo intero, altrimenti noto come Dame Tsuna, sorrise come un beota.

“Ah, allora sai dire il suo nome.” disse Reborn, facendo sussultare entrambi, “Cominciavo a pensare che avessi un impedimento di pronuncia.”

“Senti.” disse Tsuna, ma Gokudera lo precedette. Si infilò i cartoni sotto un braccio, e con la mano libera indicò Reborn, poi Lambo, che per una volta tanto non stava facendo caciara ma era solo seduto al tavolo della cucina, intento a bere un bicchiere di latte.

“Uno e uno due. Quella è la porta, andatevene a quel paese insieme.” Tsuna scoppiò a ridere, poi disse: “Non so come interpretare il fatto che al grande Reborn e a un ragazzino di undici anni è venuta in mente la stessa identica battuta!”

 

Inutile dire che per Tsuna la giornata si concluse con un grosso bernoccolo sulla sommità della testa.

 

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Capitolo 8
*** Hatful of Rain ***


Lovehearts on an old stone building
have no relevance now.
Sherry bottles in a bus-stop litter bin
remind me of you somehow.






La porta di casa Sawada si schiuse silenziosamente e Nana entrò in punta di piedi.

Era appena l'alba e il sole era sorto su Namimori splendente, luminoso, quasi ad irridere la sua sofferenza, così grande e inaspettata che Nana davvero non sapeva da dove cominciare non già per gestirla, ma anche solo per comprenderla.

Fece cenno a Oregano di seguirla e la donna eseguì, in completo imbarazzo: il viaggio in aereo era stato tranquillo, le due donne si erano conosciute poco a poco e avevano cominciato a fidarsi l'una dell'altra, ma restava quell'enorme elefante rosa a forma di Iemitsu tra loro, e Oregano non sapeva come comportarsi.

Nana lasciò le valige nell'ingresso e fece strada verso la cucina; entrambe camminarono silenziosamente: anche se Tsuna aveva promesso che si sarebbe svegliato per dar loro il benvenuto, la casa era ancora immersa nella quiete e Nana preferiva che suo figlio continuasse a dormire ancora un po'.

Accese la luce della cucina, e un coro di voci la accolse: “BENTORNATA!”. Nana, colta di sorpresa, indietreggiò di mezzo passo e Oregano la prese d'istinto per le spalle, poi entrambe risero.

Il tavolo della cucina era coperto di piatti, piattini, ciotole e bicchieri, e tutti i figli di Nana, quello naturale e quelli adottivi, erano in pigiama, intorno al tavolo, pronti a fare colazione.

“Ma guarda qui, tutti i miei bambini!” esclamò Nana, sorridendo, poi scoppiò finalmente in lacrime. Non era ancora riuscita a piangere, troppo terrorizzata dal futuro senza Iemitsu, nel cuore un dolore troppo grande per essere espresso con le lacrime; tuttavia, vedere che al mondo c'erano ancora persone che la amavano abbastanza da svegliarsi prima delle rondini solo per farle trovare la colazione pronta aveva lenito la sua sofferenza quel tanto che bastava per concederle di sfogarsi.

Si sentì circondare dalle braccia di Tsuna, dal suo profumo che avrebbe riconosciuto in mezzo ad una ridda di odori, e per la prima volta si concesse di appoggiarsi al suo bambino, gettando al vento tutta la sua convinzione che una buona madre non dovesse mai mostrarsi debole o ferita di fronte al proprio figlio. Lo sentì sussurrare: “Tranquilla, mamma, va tutto bene. Andrà tutto bene, sfogati.” e il suo pianto divenne dirotto, irrefrenabile, tanto che al dolore si aggiunse una punta di paura: e se non fosse più riuscita a smettere? Se fosse morta soffocata dalle sue stesse lacrime, tra le braccia di quel figlio meraviglioso che le aveva appena promesso un futuro luminoso?

Braccia più corte e sottili di quelle di Tsuna le avvolsero la vita, due da un lato e due dall'altro: I-Pin e Lambo. Fuuta si insinuò tra la ragazzina e Tsuna e la strinse a sua volta, mentre due coppie di braccia femminili si posavano sulle sue spalle: Oregano e Bianchi. Dopo una manciata di secondi, Lambo venne spostato, protestò, poi anche Reborn si aggiunse all'abbraccio.

Nana si sentì ancorata alla terra, potente e sottovalutata come una canna d'acqua, sferzata da venti di uragano, piegata e maltrattata ma salda nelle sue radici e sicura che la tormenta sarebbe passata e che lei sarebbe stata ancora al suo posto, dritta e fiera, con la corolla rivolta al sole che occhieggiava timido da dietro le nuvole che finalmente si dissolvevano nel cielo che diventava terso.

Poco a poco, Nana si calmò e smise di piangere. Sciolse l'abbraccio di gruppo e baciò Tsuna sulla fronte; premette le labbra sulla sua pelle liscia, cercando di infondere in quel contatto tutta la gratitudine che provava nei suoi confronti: per l'abbraccio, per le sue parole, per essersi svegliato a darle il benvenuto, per essere la persona che era.

Quando si scostò, Tsuna aveva gli occhi lucidi. Nana procedette a distribuire baci e paroline dolci a tutti quanti, poi il lievissimo rumore del bollitore che veniva appoggiato sul fornello la spinse ad alzare gli occhi: “Oh, Gokudera kun, sapevo che dovevi esserci anche tu!” il ragazzo pareva mezzo morto di imbarazzo, ma Nana non si pose problemi. Lo raggiunse, lo abbracciò e lo baciò sulle guance: “Per fortuna ci sei tu a prenderti cura del mio bambino!”

“Già, come se non avesse alzato di almeno cinque punti il rischio incendio del circondario.” commentò Reborn a mezza voce; Bianchi emise un gemito esasperato e Lambo rise sguaiatamente.

“Reborn!” lo richiamò Tsuna, e il ragazzino rispose: “Che c'è? È la verità!”

“Infatti ho preparato solo il tè,” ribatté Gokudera, sulle cui guance aleggiavano due belle chiazze di uno splendido rosso pomodoro, “Fino a prova contraria, non si può bruciare l'acqua.” Nana rise di cuore e gli accarezzò una guancia surriscaldata: “Hai fatto qualcosa che sai fare e te ne sono grata.”

“Oh, Sawada san, io... non è nulla, davvero, vorrei poter fare di più.”

“Ti prendi cura del mio Tsu kun.” decretò Nana, e Gokudera rimase muto, con la bocca lievemente aperta, incapace di controbattere. Nana lo lasciò stare, consapevole che se avesse insistito ancora il ragazzo si sarebbe probabilmente buttato dalla finestra per sfuggire all'imbarazzo, e si sedette a tavola, trascinando Oregano con sé.

“Lei è Oregano,” la presentò, “Una mia amica. Starà qui da noi per un po'.” Oregano si scambiò un'occhiata con Reborn; Nana se ne chiese il motivo, poi decise che aveva già avuto troppi shock nel giro di ventiquattro ore e rimandò le domande.

Mentre tutti si servivano del cibo chiaramente da asporto disposto sul tavolo, Nana cominciò a notare una certa strana atmosfera: alzò gli occhi sui suoi bambini e notò che tra Tsuna e Gokudera volavano sguardi dolci, e che i loro movimenti interagivano gli uni con gli altri in maniera diversa, quasi come se fosse intervenuta una nuova grazia. Di colpo, si rese conto che il suo sospetto, che Tsuna in qualche modo ricambiasse i palesi sentimenti di Gokudera, era del tutto fondato. Le sovvenne il paragone con una coppia di ballerini molto abili che non avevano mai danzato insieme prima: dopo qualche passo imbranato, finalmente l'innata intesa era sorta, un punto di sorgiva era stato trovato e acque pure avevano cominciato a sgorgare, benedicendo l'ambiente circostante.

Nana lanciò uno sguardo a Bianchi, con la quale solitamente s'intendeva anche solo a cenni impercettibili, ma la giovane donna era intenta a mangiare a capo chino, gli occhi resi illeggibili da un paio di occhiali scuri, come sempre quando suo fratello era con lei: per qualche assurdo motivo, il ragazzo sembrava reagire alla vista del suo volto con violenti attacchi di mal di stomaco, e avevano dovuto ovviare alla faccenda coprendole gli occhi.

Forse sentendosi osservata, Bianchi sollevò il capo. Dietro alle lenti scure, i suoi occhi erano tristi e un po' gonfi, cerchiati da occhiaie che evidentemente non si era data la pena di coprire con del correttore. Nana ebbe la tentazione di chiederle se stesse bene, ma percepì una scintilla di timore e si limitò a rivolgere un impercettibile cenno in direzione di Tsuna, che era appena diventato rosso in viso dopo che Gokudera gli aveva passato un panino al vapore, sfiorandogli inavvertitamente le dita con le proprie. Bianchi fece un sorriso sincero e sollevò un sopracciglio, e Nana coprì il proprio sorrisetto con la ciotola della zuppa di miso.

Le chiacchiere si sprecarono, Gokudera raccontò della sua vacanza in Italia, Reborn raccontò di un disastroso pic-nic in cui Tsuna era riuscito non si sa come a cadere nel fiume e ritrovarsi in pieno centro città, Lambo raccontò che a scuola era diventato famoso perché il temibile Hibari Kyoya sembrava averlo preso sotto la sua ala; Nana si rese conto di sentirsi a proprio agio, e si accorse che quel tipo di chiacchiere leggere e spensierate si smorzavano in un silenzio imbronciato ogni volta che Iemitsu passava qualche giorno a casa.

L'ipotesi che Tsuna sapesse del suo tradimento le attraversò la mente, ma svanì nel nulla: Nana avrebbe scommesso la propria vita che, se il suo bambino fosse stato a conoscenza di una cosa del genere, glielo avrebbe senz'altro detto, anche a costo di rischiare di non essere ascoltato. Perché sì, ora Nana poteva ammetterlo, era stata terribilmente cieca ogni volta che l'argomento si spostava su quello che presto sarebbe diventato il suo ex marito.

Tsuna le aveva detto più volte che l'uomo non era quella gran meraviglia che lei descriveva, aveva spesso espresso il proprio disagio quando era costretto a dividere la casa con lui, ma Nana aveva cancellato le sue obiezioni con uno sbadato colpo di spugna, adducendo come causa il fatto che Iemitsu non era quasi mai a casa, e che Tsuna lo conosceva troppo poco per giudicarlo.

Ma, alla luce degli ultimi fatti, Nana cominciò a ricredersi sulla capacità di giudizio del proprio figlio: si rese conto, come se il trauma le avesse spalancato gli occhi, che Tsuna era perfettamente in grado di tener testa ad elementi difficili, ma che le persone che gli creavano un reale fastidio si potevano contare sulle dita di una mano.

Cercò di pensare agli amici meno stretti di Tsuna: quel ragazzo, Hibari, mai sorridente, sempre severo, quasi minaccioso. Eppure, Tsuna ci conviveva in pace, anche se era impossibile non notare i suoi tentativi di respirare più silenziosamente possibile in sua presenza. Persino quell'uomo con la faccia piena di cicatrici che era passato qualche volta insieme ad un altro uomo dai capelli lunghi, per quanto emanasse un'aura di minaccia e fosse tremendamente scostante, trascorreva del tempo con Tsuna e lui non se ne lamentava, anzi usciva da quegli incontri forse un po' provato ma in qualche modo anche rinvigorito, come se avesse cercato per tutto il tempo di ottenere un minimo di approvazione da quell'individuo e vi fosse infine riuscito.

Con Iemitsu, invece, Tsuna si limitava a stare fuori casa più tempo possibile. Se obbligato a passare del tempo con lui, rispondeva a monosillabi, non ribatteva alle sue provocazioni e non faceva mistero del proprio disgusto, che si stampava a chiare linee sul suo viso. Nana l'aveva spesso rimproverato per la sua apparente incapacità di creare un legame con l'uomo che l'aveva messo al mondo, ma ora comprendeva: la questione non era che Tsuna fosse incapace di farlo. Semplicemente, aveva deciso in completa coscienza di non farlo.

Nana ritornò al presente e udì Tsuna dire: “Ma come fai a tenere la ciotola dal lato con una mano?!”

“Non lo so, Ts... Tsuna,” rispose Gokudera, arrossendo di nuovo nel pronunciare il suo nome, “Si vede che ho le mani più grandi delle tue.”

“Fa' vedere!” disse Tsuna, e Nana alzò lo sguardo sulla deliziosa scena di suo figlio che appoggiava il palmo della mano destra contro la sinistra di Gokudera. La differenza era tanta da risultare quasi comica: le mani di Gokudera erano grandi e affusolate, e quando piegò l'ultima falange oltre alle dita di Tsuna tutti risero.

Lambo disse: “Reborn, fammi vedere quanto sono grandi le tue mani!”

“Se vuoi te ne stampo una in faccia, poi tu ti prendi a schiaffi dall'altra parte e paragoni i lividi.” rispose l'altro ragazzino. Nana ignorò la minaccia, sapeva che quello era semplicemente il modo in cui Reborn reagiva ad una situazione imbarazzante ed era logico che tra i due ci fosse un po' di attrito: erano due ragazzini che entravano nell'adolescenza all'interno della stessa casa, come a dire due galli nello stesso pollaio.

Tsuna intrecciò le dita a quelle di Gokudera, la bocca appena socchiusa come se stesse assistendo ad un meraviglioso fenomeno della natura, e Nana non poté più trattenersi. In tono appena appena allusivo, chiese: “Tsu kun, mi devi forse dire qualcosa?” Tsuna sollevò la testa così di botto che Nana udì le sue vertebre scricchiolare e la fissò con tanto d'occhi. Sembrava un cervo investito dalle luci dei fari di un pick-up, ed era al tempo stesso tenerissimo e buffissimo.

Gokudera scattò in piedi, sciogliendo la stretta delle loro dita, e si diresse al piano della cucina per versarsi una tazza di tè. Tsuna si lasciò sfuggire una risata imbarazzata e cominciò a biascicare alla velocità della luce: “No, cioè, insomma, voglio dire, ehehe, sai, Gokudera kun mi è mancato un sacco mentre era in Italia, insomma, ho tanti amici però ecco, lui mi mancava lo stesso anche quando non avevo un secondo libero, e sì ok, ci sentivamo, però non era la stessa cosa, non potevo abbracciarlo, non che io l'abbia mai abbracciato prima di ieri, però sai avevo voglia di abbracciarlo, e ho trovato la sua maglietta e me la sono messa, aveva il suo profumo, e poi va beh, lui è tornato, e poi è svenuto e Reborn ha fatto una battutaccia e abbiamo dovuto spiegare a Lambo la storia delle api e dei fiori, oh e poi ci siamo baciati, ma niente di serio, anzi sì, mamma lui mi piace un sacco, Hayato kun mi piaci un sacco, mamma stiamo insieme credo, Hayato kun, noi stiamo insieme, sì?”

Tsuna finalmente si interruppe e cominciò a respirare pesantemente: aveva detto tutta quella cascata di parole in un sol fiato, e francamente Nana stava cominciando a preoccuparsi che sarebbe svenuto sul posto per mancanza di ossigeno.

Gokudera, immobile con gli occhi sgranati di fronte alla cucina, sull'attenti con le braccia lungo i fianchi, del tutto dimentico della tazza di tè, rimasta vuota di fianco alla teiera, annuì con forza, una volta sola, poi svenne e cadde di faccia sul pavimento.

Tsuna si sbatté la mano sulla fronte e soffiò una mezza risata dal naso: “Ma sarà così per il resto della vita?” chiese, a tutti e a nessuno. Nana si ritrovò a ridacchiare sotto i baffi.

“Ho fiducia che prima o poi Hayato ce la farà a non svenire, abbi pazienza.” disse Bianchi in tono serio, poi si mise a ridere. Si tolse gli occhiali da sole, momentaneamente inutili, e si nascose il viso tra le mani per soffocare le risate; a Nana suonò un tantino isterica, e mentre faceva il giro del tavolo per andare a congratularsi con Tsuna le passò la mano sulla schiena, in una carezza di conforto. Sapeva che prima o poi la donna si sarebbe confidata e non voleva metterle fretta.

“Tsu kun, sono contenta che tu ti sia finalmente reso conto dei tuoi sentimenti.” disse Nana, in completa sincerità. Cercò di ignorare Lambo che si proponeva di svegliare Gokudera con una puzzetta in faccia e proseguì: “Ormai è da un sacco che l'avevo capito, e ho sempre fatto il tifo per voi.” sorrise rassicurante, nascondendo l'ansia che la questione le aveva procurato. Del tutto ignara su faccende relative alla sfera dell'orientamento sessuale, un paio d'anni prima Nana aveva addirittura consultato uno psicologo: dopo aver appurato che Nana non andava convinta della legittimità dei sentimenti di Tsuna, l'uomo le aveva consigliato di esporre la sua approvazione a chiare lettere per poi comportarsi normalmente.

Tsuna rispose al suo sorriso, una chiara luce di gratitudine negli occhi, poi bisbigliò: “Penso che ora dovremmo provare a far rinvenire Haya...”

“LAMBO!” urlò I-Pin, “MA CHE PUZZA!”

 

Far rinvenire Hayato fu semplice, molto meno lo fu impedirgli di trasformare Lambo in una tartare.

Abbracciarlo e ripetere anche a lui le stesse parole dette a Tsuna sarebbe dovuto essere una passeggiata, ma si trasformò in un'esperienza meravigliosa quando Gokudera si gettò tra le braccia di Nana e lì rimase per una buona mezz'ora, a farsi cullare. La donna lo trascinò fino al divano e si sedettero, e nel riflesso della vetrinetta del salotto vide i suoi occhi, aperti, asciutti e un po' tristi, e si chiese quanto gli fosse mancato l'abbraccio di una madre e come mai non ne avesse ricevuto uno per così tanto tempo da farlo crollare al primo accenno di amore materno.

Dopo qualche minuto, Tsuna si sedette timidamente al fianco di Gokudera, gli accarezzò il fianco e poi, gettato al vento ogni indugio, appoggiò la testa sulla curva della sua anca, tenendogli una mano sul gomito così da comunicargli che non era obbligato a lasciar andare Nana per abbracciare lui.

Cullata dal peso di quei due disastri, Nana si appisolò. Non si svegliò nemmeno quando Ryohei entrò in casa e, dietro richiesta di Tsuna, la prese in braccio e la portò fino in camera per distenderla sul letto.

 

“Oregano,” chiamò Reborn, sottovoce per non svegliare Nana, “Al Cedef sanno che sei qui?”

“Sì, ho parlato con Lal. Sono in missione autorizzata.” rispose la donna, seduta col busto eretto su una sedia della cucina ormai rimasta vuota.

“Lal è incazzata nera con Iemitsu.” riferì Reborn, sedendosi di fianco a lei.

“Lo so. Basil mi ha scritto dicendomi di riferire a lui, hanno dovuto spedirla di corsa a Mafia Land con una scusa per impedirle di squartarlo. Cristo, se avessi saputo...”

“Lo so, Oregano, non devi giustificarti.” la interruppe Reborn, poi proseguì dopo una breve pausa: “Quell'uomo è un autentico pezzo di merda.” Oregano aprì la bocca, come per ribattere, poi la richiuse. Scosse il capo e mormorò: “Vorrei difenderlo, ma ora come ora proprio non ci riesco.”

“Capita di innamorarsi di un'altra persona.” disse Bianchi dalla soglia della stanza, “Ma un uomo onesto parla chiaro, non tiene il piede in due scarpe.” Reborn la guardò in imbarazzo, senza parlare. Lo sguardo di Oregano passò dall'uno all'altra, poi Bianchi sorrise amaramente: “Ci meritiamo tutte un uomo come Reborn.” senza aggiungere altro, uscì. Pochi secondi dopo, la porta d'ingresso si aprì e si richiuse.

 

“Mamma.” chiamò Tsuna a metà pomeriggio. Nana stava facendo una seconda colazione con pane e marmellata e si voltò verso di lui con un sorriso.

“Mamma, ascolta.” disse Tsuna, poi trasse un grosso respiro e si sedette sulla sedia di fianco a lei, che disse: “Tesoro, sospetto che in qualche modo tu abbia scoperto cos'è successo.”

“Ehm... ecco, in realtà sì, ma non chiedermi come, te lo spiego un giorno che siamo tranquilli.”

“D'accordo.” Nana sorrise, poi tornò seria e disse: “Tuo padre riceverà mie notizie solo tramite l'avvocato che gli manderà le pratiche di divorzio. Non hai motivo di temere che io gli racconti di te e Hayato.” Tsuna si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo e si rilassò. Nana appoggiò sul piatto la fetta di pane che stava mangiando e gli mise una mano sul collo, accarezzandolo col pollice: “Piccolo mio, credo di aver sottovalutato il tuo intuito. Devi scusarmi se per tanto tempo ho cercato di farti andare d'accordo a forza con tuo padre.” Tsuna scosse la testa, deciso.

“Mamma, era normale che ci provassi, solo... solo che non ci riesco. Non ci sono mai riuscito.”

“Ora lo capisco. E credo di aver anche cominciato a capire il perché.” disse Nana. Tsuna annuì piano e la donna aggiunse: “Una cosa buona però l'ha fatta, amore mio.”

“E sarebbe?” chiese Tsuna, scettico.

“Mi ha aiutata a mettere al mondo un figlio meraviglioso.” Tsuna sorrise, e Nana si convinse ancora un po' del fatto che davvero tutto sarebbe andato per il meglio.

Prima o poi.

 

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Capitolo 9
*** Before The Evening Steals The Afternoon ***


From the blue shade of the park, couples emerge,
dropping hands like they're still scared to get caught,
but I want to be caught in their rage of embraces too,
before the evening steals the afternoon.
 



 

“Tsuna.” chiamò Reborn.

“Eh?” rispose lui, seduto sul divano nella posizione meno comoda di sempre: con la schiena contro la seduta, le gambe appoggiate allo schienale e la testa a penzoloni. Erano anni che, quand'era stanco, si sedeva così su poltrone e divani, e ormai Reborn aveva rinunciato all'idea di farlo stare seduto composto. Per la precisione, aveva capito la portata dell'inutilità dei suoi tentativi quando Tsuna si era rigirato così durante un incontro con Xanxus, quando la stanchezza aveva cominciato a prendere il sopravvento su di lui.

Almeno, si disse Reborn, non si ciucciava il pollice.

“Dovrai informare la Famiglia della tua storia con Gokudera.”

“Dici così magari decidono che non sono giusto per fare il Boss? AHIA!” Tsuna si massaggiò il fianco, dove Reborn l'aveva appena colpito con un calcio. Il killer disse: “Non la Mafia. Loro, meno sanno e meglio è. Ryohei, Mukuro, Hibari...”

“Dai, Reborn, a Hibari non fregherà un accidente!”

“Vuoi davvero vedere cosa succede quando scoprirà di essere stato l'ultimo a saperlo?”

“Lo chiamo immediatamente.” disse Tsuna. Dalla soglia venne una voce spaventata: “Mafia?”

“Mamma, sei già a casa?” rispose Tsuna, cercando di fingersi indifferente. Non che gli riuscisse molto bene, ma intanto ci stava provando. Reborn si chiese se la propria rassegnazione non fosse il segno che si stava finalmente lasciando andare a uno stato di depressione.

“Tsuna, cos'è, un codice per qualcosa?” chiese Nana, le braccia ancora cariche di sacchetti colorati dopo il giro di shopping. Dietro di lei apparvero Oregano e Bianchi.

“Nana, siediti un attimo, vuoi?” propose dolcemente Oregano.

“Dammi pure i sacchetti, mamma, li ripongo io.” aggiunse Bianchi, prendendole il carico dalle mani. Nana si sedette sul divano, stordita, e Tsuna lanciò un'occhiata a Reborn, che annuì.

“Ho detto Mafia. E non è un codice. Mamma, tu sei la discendente di un'antica Famiglia italiana, i Vongola. Io sarò il Decimo Boss di questa Famiglia.” Tsuna guardò Reborn, ma il killer stava fissando la soglia del salotto con aria perplessa. Il ragazzo seguì il suo sguardo e vide Lambo, appena in corridoio, che gesticolava e muoveva la bocca.

“Lambo, devi dire qualcosa?” chiese Tsuna.

“Stavo dicendo a Reborn che l'hai detto, hai detto che sarai il Decimo Boss!”

“Ma porcaccia...!” Reborn emise uno sbuffo di risata, che fu rapido a coprire con una mano. In effetti, quel rompiscatole aveva anche ragione.

“Questo è il motivo per cui Hayato kun ti chiama Decimo?” chiese Nana.

“Sì. Ma su quello ci stiamo lavorando, sta imparando a non farlo più.”

“Tsuna, senza offesa,” s'intromise Bianchi, di ritorno dal locale lavanderia, “Penso che questo sia l'ultimo dei problemi di mamma.”

“Anche tu sai di questa cosa, Bianchi?” chiese Nana.

“Sì, mamma, mi dispiace ma dovevamo tutti rispettare l'omertà.”

“E io lavoro per il Cedef,” aggiunse Oregano, “Una specie di... di polizia della Mafia.”

“Quindi anche Iemitsu...?!” Nana quasi urlò. Tsuna le prese le mani e disse: “Sì. Motivo numero centododici per cui sostengo che è uno stronzo.” Nana si lasciò sfuggire una risata isterica.

“Chi... chi altri è coinvolto?” chiese.

“Beh, un po' tutti quelli che mi danno retta, ecco.”

“Anche Hayato kun?” Tsuna annuì: “Lui è il mio braccio destro. Oddio quanto mi sento cretino a parlare così...”

“Ma a proposito, non è immorale avere una relazione con un tuo sottoposto?” chiese Bianchi.

“Era immorale anche il fatto che Reborn mi spedisse in mutande in giro per la città, ma lì nessuno batteva ciglio, eh?” ribatté Tsuna. Bianchi sollevò le mani aperte, e Tsuna aggiunse: “E comunque, io sono il Boss, le regole le faccio io. Da ora in avanti, al mercoledì ci si veste di rosa.”

“Ma io cos'ho fatto di male nella vita...” commentò Reborn.

“Vuoi un elenco?” chiese Lambo. Reborn lo guardò male, poi ammise: “Touché.”

“DE...!” Gokudera si fermò a metà passo e a metà parola. Prese un bel respiro e si corresse: “Tsuna!” poi arrossì.

“Hayato kun, stiamo spiegando tutto alla mamma.” disse Tsuna.

“Oh, allora io... è meglio se...”

“Tu.” disse Nana, poi si alzò in piedi e fronteggiò Gokudera, “C'è modo per tirare mio figlio fuori da questa faccenda?”

“Nossignora, temo di no.” rispose Gokudera, cercando di non guardarlo negli occhi.

“È ben protetto?”

“Sissignora, altrimenti non potrei dormire la notte.”

“Ti prenderai cura di lui? Giuri che ti prenderai cura di lui finché avrai respiro?”

“Lo giuro su tutto ciò che c'è di sacro... mamma.” rispose Gokudera, poi attese col fiato sospeso di sapere come Nana avrebbe preso quell'appellativo. La donna sospirò e si guardò intorno, infine chiese: “Lambo non c'entra niente, vero? Lui è troppo piccolo per queste cose.”

“Lui fa parte di una Famiglia alleata.” rispose Reborn, “Ed è stato mandato a cercare di uccidermi sei anni fa.” Nana sbiancò.

“Tsuna nii non mi ha mai chiesto di uccidere nessuno.” puntualizzò Lambo.

“I Bovino sono dei debosciati.” sottolineò Gokudera, “Sono un caso a parte.”

“Magari c'entra qualcosa il morbo della mucca pazza?” avanzò Lambo. Le persone nella stanza che comprendevano l'italiano ridacchiarono.

“Non credo di voler sapere altro...” disse Nana. Sembrava sull'orlo delle lacrime, e Tsuna si alzò dal divano per andare a prenderla per le spalle: “Invece una cosa te la devo dire. Io voglio cambiare le cose. Voglio che la Mafia diventi qualcosa di buono. Non voglio che nessuno muoia, non voglio che nessuno sia costretto a uccidere o a fare del male. Ho accettato solo per questo.”

“Ah, adesso ha accettato,” bisbigliò Reborn, “Questo passaggio me l'ero perso.”

“Ma la piantate di fare tutti gli spiritosi?” chiese Tsuna, “Tra un po' alla mamma viene un colpo e voi siete qui a fare le gare di cabaret, che cavolo!”

“Maa, maa, Tsuna, è proprio il momento di sdrammatizzare, no?” chiese Yamamoto. Tsuna si chiese se per caso qualcuno non avesse smontato la porta di casa, visto che continuava ad entrare gente. Sperò che nessun malintenzionato decidesse di entrare a rubare l'argenteria.

“Takeshi kun, prometti di proteggere il mio bambino?” chiese Nana. Tsuna si chiese se avesse intenzione di far giurare tutti i suoi conoscenti e si chiese con ansia come avrebbe reagito Hibari.

“Certo, Sawada san. Lo proteggerò con la mia vita.” rispose Yamamoto. Sul suo viso era dipinta l'espressione dura e splendente che sempre lo caratterizzava nei momenti in cui si impegnava di più.

“Anche quel tizio con le cicatrici e il capellone sono coinvolti?”

“Sì.” rispose Tsuna, poi decise di cogliere al volo l'occasione, “Sono una specie di squadra di protezione. E dai, ammettilo, nessuno sano di mente si metterebbe contro di loro.” Nana ci pensò su un attimo, poi ribatté: “In effetti. Ora mi sento più tranquilla.”

“C'è anche Hibari.” aggiunse Tsuna, deciso, “E Dino.”

“Come sta Dino? È un po' che non viene a cena!” Tsuna e Gokudera si scambiarono un'occhiata: non era il caso di sottolineare che nonostante tutte le belle parole Dino aveva appena perso suo fratello minore in una sparatoria di stampo mafioso.

“Ehm, bene, credo! Gli manderò un messaggio per dirgli di passare qualche volta!”

“Quale di questi tuoi amici ti ha detto cos'era successo tra me e tuo padre?” chiese Nana.

“Ecco...”

“Sawada Tsunayoshi. Parli di me?” Tsuna strillò. Nana sbatté le palpebre e barcollò, e Gokudera la resse prendendola per le spalle. Mukuro si avvicinò alla donna ancheggiando con fare sensuale e si presentò: “Sawada san, è un onore conoscerla. Io sono Rokudo Mukuro. Incantato.” le sue lunghe dita sfiorarono quelle di Nana, e l'illusionista le fece un delicatissimo baciamano. Guardandola dal basso del suo inchino elegante, Mukuro aggiunse: “Oya oya. Mi permetta di dire che suo marito è davvero un essere spregevole, non comprendo come si possa anche solo pensare di ferire una creatura così meravigliosa.”

“Mukuro, cortesemente potresti evitare di flirtare con mia madre?” chiese Tsuna.

“Facciamo l'amore, Sawada Tsunayoshi, non facciamo la guerra.” ribatté Mukuro.

“Ehi, piano con questa storia di fare l'amore!” protestò Gokudera, rosso come un pomodoro maturo.

“Oya oya, Smoking Bomb... non ti preoccupare, Sawada Tsunayoshi è tutto tuo.”

“Io... non volevo dire che... insomma... ma ti droghi? Si droga, per me si droga.” di colpo, la temperatura sembrò calare di una decina di gradi: “Erbivoro.”

“Oya oya...” salutò Mukuro, per niente impressionato, “Un'altra splendida visione...”

“OI!” ribatté Dino, apparso alle spalle di Hibari, “GUARDA POCO, SAI?!”

“Qualcuno potrebbe gentilmente andare a chiudere la porta?” chiese Tsuna, ma nessuno gli diede retta. Mukuro resse impassibile lo sguardo omicida di Dino, poi commentò: “Mi sono ricordato di un impegno improrogabile. Arrivederci.” e sparì in uno sbuffo di fumo.

“Mi serve una vacanza...” gemette Tsuna.

“Per la miseria, che bel figaccione...” commentò Nana.

“...una LUNGA vacanza.” puntualizzò Tsuna.

“TSUNA SAN!” chiamò la voce di Haru dal corridoio, e Tsuna ebbe il folle istinto di lanciarsi fuori dalla finestra. Nana abbracciò Dino, accogliendolo come un figlio a lungo perduto, abbracciò Hibari, che sorprendentemente parve decidere di non uccidere nessuno, e Tsuna si voltò verso l'ingresso. Haru apparve sulla soglia, seguita da Gokudera, particolarmente imbronciato: “Decimo, io ci ho provato a chiudere la porta, ma Testa a Prato è entrato lo stesso.”

“TI FIDANZI E NON MI DICI NIENTE?!” sbottò Haru.

“Tsuna kun, Gokudera kun, congratulazioni!” disse dolcemente Kyoko.

“CONGRATULAZIONI ALL'ESTREMOOO!!!” sbraitò Ryohei, poi aggiunse: “Ma per cosa?”

“Siamo a posto...” borbottò Tsuna, poi si rivolse a Kyoko: “Grazie, Kyoko chan!”

“HAHI!”

“Haru, contavo di dirtelo oggi, tu come l'hai saputo?” chiese Tsuna. Yamamoto si mise a ridacchiare istericamente e Haru arrossì fino alla punta delle orecchie.

“Gne gne gne,” la scimmiottò Gokudera, “Ti fidanzi e non dici niente a Tsuna?”

“MALEDUCATO!”

“IO NON CAPISCO ALL'ESTREMO!” ribadì Ryohei.

“Tsuna, che ne dici se mangiamo tutti insieme per festeggiare te e Hayato kun?” chiese Nana.

“Fai come ti pare, mamma, tanto qui fanno tutti quel che gli pare, uno in più...”

“Tesoro, non ho capito, cos'hai detto?”

“Ho detto che è un'idea fantastica, mamma!”

“Scemo del baseball, era anche ora!” commentò Gokudera. Haru si aggrappò timidamente al braccio di Yamamoto e nascose il viso contro il suo petto.

All'improvviso, Tsuna si ritrovò in una provetta shakerata, o almeno quella fu la sensazione. Gli ci volle un po' per capire che Ryohei lo stava scuotendo come una maracas, soprattutto perché il cervello gli stava sgradevolmente sbatacchiando nel cranio.

“Onii-san, fermati, così lo rimbambisci!” lo richiamò Kyoko. Tsuna barcollò, si ritrovò contro il petto di Gokudera e le cose cominciarono a sembrare migliori. Così, per nessun motivo.

Kyoko si voltò verso Tsuna e sorrise: “Ci penso io.” poi si rivolse a Ryohei, “Onii-san, Tsuna kun e Gokudera kun si sono messi insieme.” annunciò.

“Aha.” rispose Ryohei, come se fosse una cosa nota.

“Ieri.” precisò Kyoko.

“ESTREMO, vi siete sposati?! E non mi avete invitato al matrimonio?!”

“Ma quale matrimonio, Testa a Prato?!” sbottò Gokudera. Tsuna ignorò il battibecco e si accoccolò contro il petto del suo ragazzo, reprimendo un attacco di risatine isteriche al pensiero che Gokudera Hayato era davvero il suo ragazzo.

“E allora non capisco all'estremo!” ribatté Ryohei, “Gradisci spiegarmi, Testa a Polpo?”

“MA SE TE L'ABBIAMO APPENA DETTO!”

 

Due estenuanti ore più tardi, Gokudera si eclissò. Tsuna, rimasto solo a cercare di spiegare a Ryohei non sapeva neanche bene che cosa, lo invidiò parecchio.

Dieci minuti dopo, Gokudera rientrò e disse in tono cupo: “Testa a Prato, vieni con me.” Ryohei, un po' irritato, lo seguì. Tsuna si scambiò un'occhiata perplessa con Kyoko, poi fecero spallucce.

“Sono davvero contenta che vi siate messi insieme, Tsuna kun.” disse lei. Tsuna le sorrise. Col passare degli anni, archiviata un'infelice uscita da cui non avevano ricavato nulla se non la sensazione di aver sprecato un piacevole pomeriggio, erano diventati ottimi amici.

“Anch'io. Ahhh, Kyoko, devo essere proprio scemo, non mi sono reso conto di essere innamorato fin quando lui non è andato in Italia, e anche lì mi ci è voluto un bel po'...”

“Non è facile ammettere a se stessi di amare una persona del tuo stesso sesso...” ribatté Kyoko. Qualcosa nel suo tono dava a intuire che nelle sue parole ci fosse più che una semplice constatazione, ma prima che Tsuna potesse ribattere qualcosa Dino entrò in salotto: “Tsuna, la mamma dice che è pronta la merenda. Ti conviene sbrigarti, Lambo tra un po' si mangia anche il tavolo!” sorrise.

“Come stai, Dino?”

“Uno schifo, ma grazie per l'interessamento.” ribatté il biondo.

“Haneuma, vieni, ci sono i mochi alle noccioline.” chiamò Hibari. Tsuna vide la lieve carezza con cui il moro accompagnò Dino in cucina, e alla sua occhiata assassina rispose con un pollice alto. Hibari esitò, come se stesse valutando l'ipotesi di morderlo a morte, poi parve decidere di essere più interessato a Dino Cavallone e alla merenda.

Tsuna si voltò nel preciso istante in cui Ryohei e Gokudera rientravano in salotto. Ryohei sembrava sconvolto e perplesso.

“Va... va tutto bene?”

“Oi, Sawada, ti chiedo scusa all'estremo, io pensavo che voi due già stavate insieme dalle medie!” esclamò Ryohei. Improvvisamente, a Tsuna fu chiaro quale fosse il suo dubbio.

“Ci avete messo un sacco di tempo però figo, complimenti estremi!” disse Ryohei, poi diede a Tsuna una pacca sulle spalle che lo mandò a terra.

“Andiamo a fare merenda, onii-san!” propose Kyoko, con l'evidente scopo di evitargli di fare ulteriori danni. Sembrava trattenersi a stento dal ridacchiare.

“Ok...” disse Tsuna, rassegnato, lasciando che Gokudera lo aiutasse a rialzarsi, “Come hai fatto?”

“Ho chiamato Lussuria.” rispose Gokudera, imbronciato, “E ti giuro, mi ha lanciato un urletto quando gli ho detto di noi che me lo sognerò per secoli.”

“Dici che è saggio? Reborn ha detto che...”

“Loro sono i Varia, Dame Tsuna.” lo interruppe il killer, entrando in salotto con un pasticcino in mano, “Sono la tua squadra. È giusto che lo sappiano. Anzi, dovresti dirlo anche a Xanxus, prima che lo faccia Lussuria.”

“Ma ti pare che non l'ha già fatto?” chiese Gokudera.

“Gli hai detto che è un'informazione riservata?” chiese Reborn.

“Ovvio.”

“E allora no, probabilmente sta solo urlando in un cuscino. Chiama Xanxus, dammi retta.” Reborn alzò la mano per dare un morso al pasticcino, ma si accorse che era sparito. Si voltò verso la cucina e urlò: “LAMBO!”

“Ti avevo detto di non farlo!” squittì I-Pin.

“Cosa faccio?” chiese Tsuna, “Cioè, non gliene fregherà un cavolo.”

“Però credo che Reborn abbia ragione. Potremmo mandargli un messaggio.” propose Gokudera.

“Ok... allora...” Tsuna digitò rapidamente sul cellulare, poi lo mostrò a Gokudera, che lesse: “Ciao, tutto bene? Per tua informazione, io e Gokudera ci siamo fidanzati. Buona giornata.” alzò gli occhi, “Direi che di meglio non si possa fare.” Tsuna inviò, poi si lasciò premiare con un bacio.

“Che c'è?” chiese. Gokudera arrossì e rispose: “Ecco, io... posso dirlo a Viola Bovino? Insomma... vede tutto nero e, non so, magari una cosa così le dà speranza, lo so che sembra non avere senso, ma secondo me ne ha, e...” Tsuna lo interruppe prendendolo per le spalle.

“Hayato. È tua amica, se vuoi dirglielo fallo, non mi devi chiedere il permesso.” Gokudera sorrise, si mise alle spalle di Tsuna e lo trasse con sé sul divano. Sotto il suo sguardo, digitò un messaggio: “Ciao, rompiballe, ti scrivo per dirti che il tuo 'buona fortuna' ha funzionato. Tsuna è tra le mie braccia e non potrei essere più felice. So che anche tu troverai la felicità prima o poi.” la risposta si fece attendere solo pochi minuti.

“Gesù, che cosa gay..... scherzo, sono davvero contenta per voi. Di' a Tsuna che lo compatisco e che gli manderò un parapalle per Natale, sempre se tu non gliele avrai fracassate prima!”

“Non capisco...” ammise Tsuna.

“Fa la spiritosa, ma è davvero felice per noi.” tradusse Gokudera. Il cellulare di Tsuna emise una vibrazione strana e lui lo estrasse. “Un MMS da Xanxus?” si stupì.

“Aprilo con cautela, se è una foto di lui e Squalo potrebbero rimanermi le cicatrici sul cervello.” Tsuna aprì il messaggio, che conteneva solo la foto di un panorama, per la verità abbastanza gradevole, un cielo appena appena annuvolato sopra ad un bel bosco di querce.

“Bello! Cos'è?” rispose.

Il messaggio di Xanxus arrivò quasi subito: “La vastità del gran cazzo che me ne frega, moccioso.”

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Capitolo 10
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And you're sitting there wishing you'd never been born,
with that self-inflicted crown of thorns.






“Ehi, sfigato, buon secondo mesiversario!” Gokudera sbuffò una mezza risata e si ficcò il telefono in tasca. Il fatto che Viola si fosse ricordata che quel giorno lui e Tsuna erano insieme da due mesi gli scaldava il cuore.

“La tua torta, Hayato.” disse il proprietario del konbini in cui Gokudera lavorava, porgendogli una scatola di cartone. Il ragazzo mise mano al portafoglio, ma l'uomo lo schiaffeggiò con i guanti da lavoro che stringeva nella mano libera: “Lascia stare, sciocco. Sono stato preoccupato per te per così tanto tempo che credo di essere persino più felice di te.” Gokudera arrossì.

“Ma... ma io...”

“Silenzio. E adesso muoviti, vai dal tuo bello.” come se considerasse chiuso il discorso, l'uomo gli voltò le spalle, estrasse il taglierino e si mise ad aprire con cautela uno scatolone di snack da disporre nell'espositore di cassa. Gokudera guardò la sua figura magra e muscolosa: cominciava a credere che qualcuno potesse davvero volergli bene.

Uscì dal negozio, reggendo con cautela la scatola con la torta, e pensò che era inutile rimpiangere di non aver avuto il signor Akagi come padre e Viola Bovino come sorella: se c'era una cosa che le prime avventure con la Decima Generazione Vongola gli avevano insegnato, era proprio che non era mai troppo tardi per ricominciare da capo.

 

Viola controllò di nuovo il calendario.

Poi l'orologio.

Poi di nuovo il calendario.

Poi ancora l'orologio.

Infine, controllò il test di gravidanza e mormorò un sommesso “Cazzo”.

Prese in mano il cellulare, lo sbloccò poi decise che non era ancora il caso di lanciare l'allarme: se il test si fosse rivelato un falso positivo, avrebbe solo ottenuto di far perdere dieci anni di vita ad Hayato. E di rovinargli quello che finora era l'unico momento di gioia nei suoi primi vent'anni di vita. Viola ebbe la fortissima tentazione di fare seppuku con il test di gravidanza, ma dubitava che fosse sufficientemente affilato.

L'unico modo per sapere come procedere, ora, era andare da un dottore. Non il medico di Famiglia dei Bovino: Viola non credeva neanche per sbaglio che avrebbe mantenuto il segreto professionale, e sapeva cosa succedeva alle ragazze che restavano incinte al di fuori del matrimonio. Invece, sarebbe andata in un consultorio qualsiasi, e se avesse avuto conferma si sarebbe lanciata sul primo treno per Roma: era certa che Dino le avrebbe offerto supporto e l'avrebbe messa in contatto con Hayato senza tirare in ballo l'idea di un matrimonio riparatore.

 

Due ore dopo, stava dando di matto nella sala d'aspetto del consultorio del paese vicino.

Per farsi fare gli esami seduta stante aveva dovuto insistere parecchio, almeno fin quando l'infermiera alla reception non aveva visto la sua carta d'identità, cavandole una sonorissima imprecazione: era riuscita a mantenersi in modalità stealth fino a lì, e neanche le era passato per l'anticamera del cervello che sui suoi documenti faceva bella mostra di sé il cognome “Bovino”.

Rimase seduta, trattenendo l'istinto di gemere e dondolarsi avanti e indietro, sperando ardentemente che quel consultorio non pagasse il pizzo alla Famiglia.

“Mai una gioia...” borbottò quando vide la sagoma di suo padre dietro alla porta.

“Viola.”

“Ehm... papà, ciao, che coincidenza!” tentò di scherzare Viola. Si domandò se sarebbe riuscita ad andare in bagno con la scusa di un improvviso attacco di cagarella e poi scappare dalla finestra, ma suo padre le ghermì un braccio.

“Ehm... papà, io veramente dovrei... mi scappa...”

“Vieni con me.”

“Io...” Enrico le rifilò la sberla del secolo con la mano libera, e Viola si zittì. Ogni ulteriore tentativo di sarcasmo avrebbe solo provocato altri schiaffoni, e lei davvero non era dell'umore per sopportarli. Avrebbe finito per piangere e acconsentire a qualunque idea di merda di suo padre, mentre ci teneva a rimanere lucida e razionale: Hayato era una bella persona, e Viola non aveva la minima intenzione di rovinargli la vita. Aveva già sentito parlare del Comitato Vongola, sapeva che erano anche meno progressisti della Chiesa Cattolica e non intendeva dover scegliere tra farsi sparare in testa e sposare Hayato: finora, gli unici che erano usciti apparentemente indenni da un'inchiesta erano Xanxus Vongola e Superbi Squalo, accusati di sodomia (sì, sodomia, evviva il Medioevo), e loro erano decisamente su un altro piano rispetto alla figlia minore del Boss di una Famiglia di imbecilli.

“Dottore.” salutò Enrico, poi scagliò di malagrazia Viola su una sedia scomodissima.

“Don Enrico. Baciamo le mani.”

“Qual è la situazione?”

“La signorina è inguaiata.”

“La signorina preferirebbe l'utilizzo di termini medici.” ribatté Viola. Enrico le rifilò un altro schiaffone. Il medico finse di non vedere nulla e si mise a sistemare degli attrezzi in una vaschetta. Indossava i guanti di lattice e Viola si sentì un brivido lungo la schiena.

“Ora, Don Enrico, dal momento che non vedo una fede al dito della signorina, potrei proporre un'interruzione di gra...”

“NO!” urlò Viola. Va bene, era nella merda fino al collo, ma non intendeva assolutamente abortire. Generato per puro caso, certo, ma quello era suo figlio.

Enrico tacque a lungo, poi disse: “Non sono d'accordo neanche io. Si tratta di una vita umana, dottore. È omicidio.” Viola trasecolò. Quello era l'uomo che non si faceva problemi a far uscire di casa in una bara un visitatore indesiderato, e ora si metteva a parlare di omicidio come se fosse una cosa del tutto inconcepibile.

“In realtà, la attuale legislazione del Paese sostiene che...”

“Tu sposerai Hayato Gokudera.” decretò Enrico.

“Meglio morta.”

“Ah, va bene per una scopata ma non per un matrimonio?”

“Lui ama un'altra persona!” protestò Viola.

“E tu fallo disamorare.”

“Certo, come no, poi se mi avanza tempo vedrò di convincere Osama Bin Laden a diventare pacifista.” ribatté Viola. Mentre cercava di restare in equilibrio dopo la terza sberla, si disse che avrebbe dovuto prevederlo.

“Lo sposerai. E non accetto storie. Parlerò con il Comitato Vongola e...” Viola si alzò di scatto, spinse via il medico e afferrò un bisturi. Se ne appoggiò la punta sul polso e ripeté: “Meglio morta.” e oh, quant'era forte la tentazione. Da morta non avrebbe più dovuto preoccuparsi degli scatti di rabbia di suo padre, delle sue idee retrograde e malate. Non avrebbe più dovuto soffrire per la mancanza di Dani... i suoi occhi si riempirono di lacrime, poi Enrico disse: “Non lo farai. Non hai le palle per farlo.” e Viola tagliò.

Un taglio netto, nitido, nessuna esitazione: si incise il braccio dai braccialetti della fortuna fino a metà strada verso l'incavo del gomito, e fu solo quando il sangue cominciò a fluire che si rese conto che così facendo avrebbe ucciso anche il bambino che portava in grembo.

Lasciò cadere il bisturi, due mani guantate le strinsero il braccio, poi Viola perse i sensi.

 

Si risvegliò in un letto soffice ma con delle lenzuola così ruvide che sembravano fatte di carta vetrata. Sollevò la testa e il mondo prese a ballare la macarena. Gemette.

“Cara, resta giù.” disse una dolce voce di donna. Viola cercò di metterla a fuoco. Assumendo che non fosse un pinguino parlante, ritenne di poter riconoscere una suora.

“Bambino?” chiese. Si sentiva stordita come non mai.

“Cosa... oh! Sei incinta?”

“Sì. O almeno, spero di esserlo ancora.” rispose Viola, un po' biascicando.

“Chiamo subito il medico, ti faremo un'ecografia. Ti ricordi il tuo nome?”

“Viola... Cavallone.”

“Bene, Viola. Sai dove sei?”

“Suppongo non in un bar sulla spiaggia.” la suora ridacchiò.

“Vedo che l'umore è buono.” commentò, poi si sedette su una seggiola di legno accanto al letto. Viola voltò la testa per guardarla, e la suora si presentò: “Sono suor Aloisia. Ti hanno lasciata davanti alla chiesa ieri sera, eri svenuta. Uno dei ragazzi che chiedono l'elemosina sul sagrato ti ha vista e ti ha portata da noi. Questo è un centro di accoglienza per ragazze in difficoltà.”

“E mi sa tanto che rientro nella categoria...” ammise Viola, le lacrime agli occhi.

“Ti abbiamo trovato una lettera addosso, è sul tuo comodino. Quando e se te la sentirai, potrai raccontarci cos'è successo.” Viola annuì, troppo stanca per parlare, e chiuse gli occhi.

Quando si risvegliò, suor Aloisia le stava dolcemente scuotendo una spalla. La donna le rivolse un sorriso confortante e disse: “Il dottore è arrivato.” Viola si sollevò a stento, e salutò con un cenno del capo il medico, un uomo alto e un po' sovrappeso che, al contrario di quello del consultorio, le dava l'idea di essere una brava persona.

“Suor Aloisia mi ha detto che dovresti essere incinta. Ti farò un'ecografia, sentirai un po' freddo quando ti metterò la crema sulla pancia.”

“Lo so, me ne hanno appena fatta una.” il medico parve perplesso: “E allora come mai...?”

“Perché non so cos'è successo dopo!” Viola scoppiò in lacrime e suor Aloisia corse da lei per stringerla tra le braccia. Il medico attese che si calmasse un pochino, poi sorrise di nuovo: “Di solito, un aborto causa un massiccio sanguinamento. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta, vuoi?” Viola annuì.

Il medico spinse la macchina per le ecografie di fianco al suo letto, le sparse un po' di crema sulla pancia (e come promesso quella roba era gelida), poi passò il visore sotto al suo ombelico, avanti e indietro, piano piano. Viola non riusciva a vedere lo schermo, vedeva solo il volto corrucciato e concentrato del dottore che lo scrutava, in cerca di una risposta.

Poi, il dottore sorrise e girò lo schermo verso di lei: “Eccolo qui. Questa specie di fagiolino, vedi?” glielo indicò sullo schermo e Viola si lasciò sfuggire un suono a metà tra un singhiozzo e una risata.

“Sinceramente non ci capisco un cavolo, dottore, ma mi fido di lei.” ammise. Suor Aloisia le accarezzò la testa, scostandole i capelli sudati dal viso, poi chiese a bassa voce: “C'è un modo per cui possiamo contattare il padre del bambino?” chiese. Viola ragionò rapidamente, poi rispose: “Non lo so. È... siamo entrambi in una situazione difficile.” suor Aloisia sembrò prendere per buona la sua spiegazione e Viola si ripromise di dirle tutto, prima o poi. Non sapeva se il segreto della confessione valesse anche con le suore, era un po' arrugginita in materia, ma istintivamente si fidava della donna. E se le avesse spiegato di essere una pentita della Mafia, nessuno avrebbe osato insistere: con i mafiosi, meno ci si parla e meglio si sta.

“Tra qualche ora serviremo la cena. Non è nulla di che, una minestra e un po' di formaggio, ma ti farebbe bene provare a mandare giù un boccone.”

“L'anoressia non è mai stata un problema, mangio come un toro.” rispose Viola. E per fortuna i Bovino tendono ad avere un metabolismo iperattivo.

Suor Aloisia si allontanò ridacchiando, evidentemente contenta che la nuova arrivata non fosse sull'orlo del suicidio; riflettendoci, Viola ricordò di essersi tagliata le vene, quindi probabilmente la donnina era davvero in ansia. Abbassò lo sguardo: il suo braccio sinistro era fasciato, e qualche gocciolina di sangue faceva capolino sulla garza candida.

Sospirò.

A quel punto, si disse, tanto valeva leggere quella dannata lettera. Presumeva che fosse il solito ritrito mucchio di cazzate che i Bovino rifilavano alle ragazze inguaiate, ma si sbagliava.

La firma in calce era quella di Reborn.

 

“Buongiorno, Viola.

Don Enrico mi ha messo al corrente della situazione in cui ti trovi. Mi addolora che tu e Gokudera siate stati così incauti da mettervi in un guaio del genere, e purtroppo le regole della Famiglia Vongola vietano che possa nascere un bambino fuori dal matrimonio.

Tuo padre mi ha informato del tuo categorico rifiuto a sposare Gokudera, ed è con cuore pesante che ho dunque acconsentito alla sua proposta di allontanarti permanentemente dalla Mafia.

Se proverai a contattare chiunque all'interno dell'Alleanza Vongola, sarai rintracciata e ti sarà portato via il bambino. Quanto alla tua sorte, credo tu sappia più che bene cosa succede a chi si oppone al Consiglio.

Su mia richiesta, sei stata portata presso un istituto di cura gestito dalle suore. Loro provvederanno a te fin quando non sarai in grado di sparire.

Tuttavia, la mia clemenza ha un limite: se tu dovessi tentare di contattare Gokudera, sarò io personalmente a occuparmi di te.

I miei migliori auguri.

Reborn”

 

“Figlio di puttana.” sbottò Viola con voce rotta, accartocciando la lettera.

“Tesoro?” chiamò suor Aloisia. Viola prese un bel respiro, tremante di lacrime, e confessò: “Sono la figlia di un Boss mafioso. Sono rimasta incinta per uno stupido incidente da ubriaca. Il padre del bambino è un ragazzo meraviglioso, e sono sicura che si prenderebbe cura di entrambi, ma qui c'è scritto che se mi faccio viva con lui non resterò viva molto a lungo.” suor Aloisia si portò una mano alla bocca, sconvolta.

“Credo...” proseguì Viola poi deglutì a fatica, “Credo che dovrò approfittare del vostro aiuto ancora per un po'.” suor Aloisia esitò, ancora sotto shock, e Viola sentì il cuore che le accelerava nel petto. Le era costato oro pronunciare quella frase, era sempre stata abituata a cavarsela da sola e le uniche due persone a cui aveva mai confessato le proprie debolezze erano state Danilo e Hayato. “Non fargli vedere che sudi”, era una frase trovata per caso in un libro tanto tempo prima e che Viola aveva adottato come stile di vita, non tanto perché si divertisse a cercare di cavarsi fuori da situazioni difficili solo con le proprie forze, quanto perché all'aiuto della sua Famiglia seguiva sempre una lunga dissertazione su come Viola non valesse proprio un soldo bucato, se non per quel prezioso bene (il suo utero) che avrebbe permesso alla Famiglia Bovino di continuare ad espandersi.

Nessuno l'aveva nemmeno consolata per la morte di Dani, anzi. Suo padre aveva commentato a mezza voce, mentre la riportava ai Giardini Bovino: “Adesso dovrò vedere cosa farmene di te. Ci avevamo messo così tanto tempo a lavorarci i Cavallone, proprio non potevi stare più attenta?” come se Viola avrebbe potuto trovare un modo per evitare a quel proiettile vagante di conficcarsi nel cuore del suo fidanzato. Come se avesse potuto salvarlo magicamente invece di lasciarlo morire nelle proprie braccia. Come se la morte di Dani fosse solo e soltanto colpa sua.

Viola si riscosse dai propri cupi pensieri al tocco delle mani ruvide della suora sulle spalle e alzò gli occhi su di lei. La donna aveva gli occhi lucidi e le sopracciglia aggrottate, ma si stava sforzando di rivolgerle un sorriso fiducioso: “Tutto il tempo di cui avrai bisogno, tesoro. Ti troveremo un lavoro e un posto dove tu e il tuo bambino potrete rifarvi una vita.” Viola scoppiò di nuovo in lacrime, sopraffatta dal sollievo.

 

Enrico si rigirò in mano il telefono di Viola.

Qualche ora prima, le era arrivato un SMS da quel Gokudera, che la informava che quella notte sarebbe rimasto a dormire a casa di Tsuna. Nel suo stesso letto.

Alzò il telefono, compose il numero di Villa Vongola e attese di essere messo in contatto con Don Timoteo.

“Don Enrico, a cosa devo il piacere?” rispose finalmente l'uomo.

“Nessun piacere, Don Timoteo, sono mortificato. Ho appena ricevuto un'informazione che la interesserà. Potrebbe dipenderne il futuro della Famiglia Vongola.”

 

Timoteo appoggiò lentamente la cornetta del telefono. Coyote Nougat alzò gli occhi dal rapporto inviato da Reborn e sollevò un sopracciglio in un muto interrogativo.

“Non so come, quel ficcanaso di Enrico Bovino ha scoperto che il giovane Tsuna si è fidanzato con il suo Guardiano della Tempesta.” Coyote annuì. Il report che il Boss gli aveva dato da leggere, trattenendo a stento un sorrisetto compiaciuto, diceva la stessa identica cosa.

“Sarà un problema?” chiese.

“Gli ho detto di mantenere il riserbo, pena la morte.” rispose Timoteo, “Ho detto che parlerò con Tsuna per ricondurlo alla ragione, senza coinvolgere il Consiglio.” Coyote chiuse il rapporto e alzò gli occhi, senza commentare. Dopo un po', Timoteo disse: “Scrivi a Reborn di raccomandare ai ragazzi la cautela assoluta. Dobbiamo sondare il terreno con i nostri alleati.”

“Boss...” cominciò Coyote, ma Timoteo lo interruppe: “Fosse l'ultima cosa che faccio, quei due resteranno insieme tutto il tempo che vorranno. Prendimi l'agenda, ho bisogno di contattare Xanxus.”

 

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Capitolo 11
*** Hammering Heart ***


Premessa necessaria: I-Pin ha fatto leggere a Lambo un sacco di shojo manga.

Spoiler: da grande, Lambo comincerà a disegnare doujinshi.

 


 

Her heart speaks to me: says the room the room the room
beneath her dress, and I suppose it beats for me,
like a hammering moon pulling tides through her chest.

 

 

Shitopi fissò Gokudera per venti minuti buoni, poi scoppiò a ridere.

“Che diavolo hai da ridere, dannazione?” sbraitò Gokudera. Shitopi non rispose, troppo impegnata a non morire soffocata dalle proprie risate.

“Sei... sei... sembri un coglione!”

“MA VAFFANCULO!” senza attendere ulteriori commenti, Gokudera uscì dal parco giochi e si chiese cos'avrebbe dovuto fare adesso.

Quella sera, lui e Tsuna sarebbero usciti per il loro primo appuntamento. Tralasciando il fatto che l'idea di andare a mangiare al TakeSushi, approfittando dello sconto che il signor Yamamoto faceva a tutti gli amici di suo figlio, gli sembrava stupida e banale e scontata, non sapeva come vestirsi. Aveva pensato che, se proprio dovevano andare a fare i poveracci solo perché lui guadagnava pochi spiccioli, almeno avrebbe potuto vestirsi da gran figo e sperare che Tsuna gli rivolgesse quel suo meraviglioso sguardo a metà tra la gioia e l'orgoglio che ogni tanto gli riservava. Tuttavia, la reazione di Shitopi, che aveva chiamato per un consulto, lo faceva dubitare parecchio. Tentò di dirsi che una che va in giro pelata con una frangetta che sembra uno scopino per gli angoli non era esattamente un fashion boss, ma non riuscì a convincersene.

Lo specchio della vetrina di un negozio di abiti gli diede un'idea: si sarebbe scattato una foto e l'avrebbe mandata a Viola per chiederle un parere. Così fece, poi si mise in attesa di una risposta.

Un'ora dopo, fu costretto a concludere che l'amica era impegnata. Oppure era svenuta per le risate, il che sarebbe stato persino peggio.

Consultò la rubrica del cellulare, nella speranza di trovare ispirazione; in effetti, trovò subito un numero che sarebbe stato l'ideale sin dal principio, ma ci mise così tanto a costringersi a chiamare che il telefono andò in standby per inutilizzo una dozzina di volte.

Infine chiuse gli occhi, premette il tasto verde, e sempre con gli occhi serrati disse: “Ho bisogno di una mano, sei libera?”

 

Un quarto d'ora dopo, Haru Miura gli stava aprendo la porta di casa propria. Stava per salutare, ma la voce le si bloccò in gola; lo squadrò da capo a piedi con aria quasi schifata, sbatté le palpebre come per cercare di schiarirsi la visuale, infine decretò: “No.”

“Che c'è che non va?”

“Sembri un cantante grunge scampato ad un tornado e finito poi nell'armadio di un metallaro. Vieni dentro, prima che le rose nel giardino muoiano al vederti.” Gokudera entrò, le braccia conserte e sul viso un broncio che, pensò Haru, avrebbe senz'altro fatto sciogliere Tsuna... sempre se fosse riuscito ad ignorare l'accozzaglia malefica di vestiti che Gokudera si era messo addosso.

Le ci vollero quasi due ore, e fu costretta a sottoporre Gokudera ad una sorta di waterboarding improvvisato per lavargli i capelli che per qualche motivo aveva impiastricciato col gel, ma alla fine il suo amico era diventato un vero splendore: capelli puliti, acconciati alla solita maniera ma molto più morbidi del solito grazie ad una maschera idratante, camicia nera aperta su una maglietta rosso scuro, jeans slavati e strappati tenuti su da una cintura borchiata.

“Dove diavolo hai trovato questi vestiti?” chiese Gokudera, ancora troppo orgoglioso per ammettere che la soluzione di Haru era di gran lunga migliore della sua.

“Mentre tu eri impegnato a morire dietro a Tsuna, ho attraversato una fase un po' strana.” rispose Haru, senza entrare nel dettaglio. Si stava facendo tardi, e non era proprio il momento di far presente ad Hayato che lei aveva militato per ben due anni in un gruppo metal insieme a Bianchi. Avrebbe fatto troppe domande, sarebbe arrivato in ritardo da Tsuna e avrebbe dato la colpa a lei, perché era un ragazzo tanto caro e tanto simpatico, ma quando c'era di mezzo Tsuna era anche uno dei peggiori stronzi della storia.

Lo riaccompagnò alla porta, e nell'ingresso Gokudera colse la propria immagine in una specchiera. Aprì la bocca come un pesce rosso per una mezza dozzina di volta, poi disse: “E va bene, lo ammetto, così è molto meglio. Grazie, Haru.”

“Sei in moto, stasera?”

“Ehm, sì, perché?”

“Occhio, potrebbe diluviare.”

“MA CHE RAZZA DI...!”

“SCHERZO, scemotto.” Haru lo prese per le spalle e lo guardò negli occhi: “Sbaglio o sono la vostra fan numero uno?” lo sguardo di Gokudera si addolcì. Era vero, in effetti: quando Tsuna, circa cinque anni prima, aveva cominciato ad uscire con Kyoko, lui e Haru si erano ritrovati a piangersi addosso a vicenda. Non era durata molto, in effetti, un po' perché Haru si era presto resa conto che la sua altro non era che una cottarella adolescenziale, un po' perché Gokudera era troppo un duro per mettersi a fare il piagnone, ma soprattutto perché in effetti Tsuna e Kyoko erano rimasti insieme per poco meno di quattro ore.

“Grazie davvero.”

“Non ripeterlo che se no diluvia. Vai e fallo tuo!” Gokudera arrossì, boccheggiò e dovette appoggiarsi allo stipite; si riprese solo quando Haru rise, per darle un'altra volta della stronza.

Pensando che ormai lo conosceva davvero bene, Haru lo guardò allontanarsi lungo il vialetto e salire a bordo della sua motocicletta.

 

Gokudera accostò di fronte a casa Sawada in perfetto orario, cioè con un quarto d'ora abbondante di anticipo. La porta si spalancò all'istante e Tsuna uscì correndo, ancora più bello del solito con una camicia azzurrina al posto della solita felpa.

“Hayato kun!” esclamò Tsuna, poi si bloccò a metà del vialetto, la bocca aperta: “Wow...” aggiunse.

“De... Tsuna, sei... sei... woah.” dalla soglia, Reborn ottenne il titolo mondiale di miglior roteatore di occhi, ma Gokudera lo ignorò.

Tsuna si avvicinò un passettino alla volta, mentre Gokudera smontava dalla moto, poi alzò le braccia e gli prese il viso tra le mani. Doveva essere così l'ambiente in paradiso, non poteva essere altrimenti. Anzi, si corresse Gokudera quando le labbra di Tsuna si posarono sulle sue, così.

Si baciarono fin quando dalla soglia non venne la voce sarcastica di Reborn: “Eeeee... Guinness World Record di apnea!” da qualche parte in giardino, Lambo ridacchiò, e a Gokudera fu evitata la tentazione di menare Reborn, visto che il killer si era già gettato all'inseguimento del ragazzino.

“Che scemo...” disse teneramente Tsuna, e di colpo Gokudera realizzò che tutte le prese in giro del mondo non sarebbero mai riuscite a rovinare la meraviglia che c'era tra loro.

“Andiamo? Se arriviamo troppo presto facciamo due passi.” propose Gokudera.

“Oh, sì, per favore, è tutto il giorno che Reborn è una piaga.” rispose Tsuna. Gokudera prese un secondo casco dal sottosella e lo aiutò a indossarlo, poi salì a cavalcioni della moto. Quando Tsuna montò dietro di lui, Gokudera dovette fare lo sforzo cosciente di non pensare a quali parti dei loro corpi erano a contatto, sebbene divise dai vestiti. Si mise ostentatamente ad immaginare un ippopotamo blu cobalto, e finalmente poté mettere in moto in sicurezza.

 

Tempo di sedersi al tavolino che avevano riservato e ogni cosa cessò di avere importanza.

Passarono tutta la serata a chiacchierare come mai avevano fatto, passando da argomenti leggeri a questioni importanti senza soluzione di continuità, senza nemmeno rendersi conto del tempo che passava. Quando il TakeSushi si svuotò, risalirono a bordo della moto di Gokudera e tornarono a casa Sawada, buia e silenziosa dopo la mezzanotte.

Gokudera lanciò un'occhiata all'orologio della cucina e bisbigliò: “Dovremo tenere d'occhio l'ora, il parcheggio chiude alle due.” Tsuna esitò.

“Beh, se il tempo ci scappa dalle mani puoi sempre restare qui a dormire.” disse infine, a voce così bassa che Gokudera ci mise un attimo a riconnettere i neuroni necessari a capirlo.

“Decimo, non vorrei disturbare!” ribatté.

“Con chi parli?” chiese Tsuna, guardandosi in giro. Gokudera arrossì e il viso di Tsuna si rilassò: “Scherzi a parte. Non è assolutamente un disturbo, anzi. Mi... mi farebbe piacere.” fu il turno di Tsuna di arrossire, ma Gokudera riuscì a mantenere il suo primato quando si rese conto delle implicazioni nascoste nella sua frase.

“Hayato, posso... posso dirti una cosa?” chiese Tsuna.

“Certo!” rispose Gokudera, un po' ansioso.

“Io... oh, cielo, come faccio a dirlo... ecco, io... al diavolo. Hayato kun, ho tantissima voglia di baciarti e farti le coccole!”

“Non potrei chiedere di più dalla vita.” rispose Gokudera. La sincerità e il trasporto nel suo tono di voce erano così evidenti che Tsuna lo prese per mano, lo trascinò in salotto e lo spinse a sedersi sul divano. Si sedette poi di fianco a lui e allungò timidamente il viso per farsi baciare.

Gokudera acconsentì senza esitazione, e presto furono l'uno tra le braccia dell'altro, ad esplorarsi a vicenda con gentilezza e cura, e la temperatura nella stanza sembrò aumentare esponenzialmente ogni secondo che passava.

Quando Tsuna si mise a cavalcioni delle gambe di Gokudera e si spinse contro di lui, premendo la propria erezione contro la sua, tuttavia, il Guardiano della Tempesta si riscosse: “Tsuna!” soffiò.

“Che c'è? Non ti va?” chiese Tsuna, la voce roca per i baci e languida di passione.

“Ce... certo che mi va, ma... forse è meglio... insomma, siamo in salotto e... e oh, porca puttana, sono le due e mezza!”

“Allora uniamo l'utile al dilettevole... andiamo in camera mia?”

“Io...” Tsuna si spinse indietro appena appena e si sedette sulle sue ginocchia, un po' deluso.

“Non è che non voglio, Tsuna, è che...”

“Non ti piaccio abbastanza?”

“Ma che dici! Mi piaci da impazzire! È... è proprio questo.”

“Non capisco cosa intendi.” ammise Tsuna.

“Io... io ho fatto delle ricerche e...”

“Hayato, le ho fatte anch'io, ma non siamo obbligati a fare proprio tutto! Potremmo... potremmo anche solo coccolarci un po', ecco.”

“Non sono sicuro che...”

“Ti prego, Hayato. Resta con me, stanotte.” Gokudera esitò ancora. Una vocina rauca e assonnata venne dalla soglia del salotto: “Gna, Bakadera, cos'altro vuoi?”

“Lambo!” soffiò Tsuna, “Dovresti essere a dormire!”

“La persona che ami ti chiede di restare con lui e tu fai lo scemo?” proseguì Lambo, come se Tsuna non avesse nemmeno fiatato.

“Stai... stai buttando via la tua fortuna e io ti odio!” sbottò Lambo. In men che non si dica, Tsuna e Gokudera si fiondarono su di lui. Lo braccarono, Gokudera lo prese in braccio e si portò il suo visino contro il petto, così che gli improvvisi singhiozzi che avevano cominciato a scuoterlo non svegliassero tutta la casa. Tsuna rivolse a Gokudera un cenno del capo e lo condusse sulla veranda. Faceva ormai freddo, ma almeno avrebbero potuto parlare a voce un po' più alta: sussurrare paroline dolci a un bambino in lacrime era un'impresa decisamente disperata. Tsuna prese una coperta che Nana aveva piazzato sul dondolo, visto che da qualche tempo amava starsene lì seduta nonostante il freddo, e la usò per coprire tutti e tre.

“Lambo, adesso basta...” disse Gokudera, scostando i capelli sudati dalla fronte del ragazzino. Crescendo, i suoi riccioli stretti si erano allargati, e cominciavano a ricordare molto la chioma mossa del Lambo adolescente. Lambo si agitò tra le sue braccia e piantò di nuovo la fronte contro il suo petto. Gokudera aggiunse: “Resterò, va bene? Hai ragione, ho una gran fortuna e non ho intenzione di buttarla via.”

“Hayato, ma che gli prende?” bisbigliò Tsuna. Gokudera scosse il capo, cullando appena appena Lambo con un lieve rollio delle gambe. Poco a poco, il ragazzino si riaddormentò, un pollice ficcato in bocca come quando era piccolo.

“Non lo so, Tsuna, ma...” Gokudera esitò.

“Non ne farò parola con nessuno.” disse Tsuna.

“Sto cominciando davvero ad essere preoccupato per lui.” ammise Gokudera. Tsuna accarezzò i capelli di Lambo e sussurrò: “Lo riportiamo in camera?”

“Sì, è meglio, prima che prenda freddo.” insieme si incamminarono in punta di piedi verso la stanza che Nana aveva approntato per i bambini. Il motivo per cui Reborn avesse acconsentito a restare con loro invece di dormire con Bianchi era ancora ignoto a Tsuna.

Gokudera si chinò sul letto di Lambo e cercò di depositarcelo, ma il bambino cominciò a lamentarsi nel sonno e si aggrappò alla maglietta di Gokudera.

“Portatevelo via, per l'amor del cielo.” mugugnò Reborn, mezzo addormentato, “È tutta la notte che si lagna, non lo sopporto più.” Tsuna si bloccò, ancora chino sul letto di Lambo insieme a Gokudera.

“Hayato, porta Lambo in camera nostra, stanotte dorme con noi.” disse a bassa voce. Avvertì un movimento alla propria sinistra, qualcosa come un ragazzino un po' troppo spocchioso che si metteva seduto nel letto.

Gokudera uscì dalla stanza e Tsuna fu lesto a ghermire Reborn per la giacca del pigiama. Lo trascinò fuori, lo scaraventò in bagno ed entrò con lui, poi si chiuse la porta alle spalle.

“Dame Tsuna, che diavolo ti prende?”

“Primo, piantala con quel “Dame Tsuna”. Secondo, tu adesso ti fai un bell'esame di coscienza e mi dici cosa cazzo hai contro Lambo.”

“È un rompicoglioni.” rispose Reborn, mettendo su un broncio da manuale.

“Anche tu. Ma se dovesse mai venirti un incubo, se mai io ti dovessi sentire che ti lamenti nel sonno, non farei lo scocciato, mi preoccuperei.”

“Questo perché sei una mammoletta.”

“No, Reborn.” il tono di Tsuna era così definitivo che Reborn alzò il viso verso di lui, attonito. Tsuna era dannatamente serio, e proseguì: “Non sono una mammoletta. Sono un essere umano decente. Non so cos'abbia Lambo, ma quel ragazzino sta male. E se proprio non hai voglia di sopportarlo, sei autorizzato ad alzare il culo, venirmi a chiamare e dirmi di portarmelo via.” Reborn distolse lo sguardo da Tsuna; per un istante, sembrò sul punto di dire qualcosa, ma parve ripensarci.

Tsuna si voltò per andarsene, e Reborn disse a voce molto bassa: “Hai ragione. Lo so, tu hai ragione e io ho torto. Un giorno ti spiegherò perché in alcuni casi la mia capacità di giudizio va a quel paese. Promesso.” Tsuna, che non si era voltato a guardarlo, mantenne gli occhi sulla maniglia della porta, stretta nella sua mano.

“Va bene.” sibilò, poi uscì senza aggiungere altro.

Si diresse verso la propria stanza da letto, e vi trovò Gokudera, seduto sul letto, con ancora Lambo abbarbicato addosso: “Non vuole mollarmi.” disse il ragazzo.

“Lascialo a me, cambiati. Poi te lo passo.” Gokudera si alzò e passò Lambo tra le braccia di Tsuna, poi chiese: “Va tutto bene?”

“Ah, niente di che, probabilmente morirò stanotte. Ho fatto il culo a Reborn.”

“Ti difenderò.”

“Ci conto.” Tsuna sorrise, girandosi con delicatezza per concedergli un po' di privacy.

“Ehm... Tsuna.” chiamò Gokudera.

“Sì?”

“Io... non ho pensato a portarmi un cambio di vestiti.” ammise Gokudera.

“Primo cassetto.” disse Tsuna. Il cuore gli accelerò al pensiero che Gokudera avrebbe indossato uno dei suoi pigiami: per fortuna aveva sviluppato l'abitudine di indossarne di enormi.

Sentì Gokudera aprire e chiudere il cassetto, qualche vago fruscio, poi: “Sono pronto. Passami pure Lambo.” Tsuna eseguì e cercò il proprio pigiama sotto al cuscino.

“Sembra che Lambo ci abbia tolti dall'imbarazzo, eh?” chiese Tsuna.

“Già. Dubito che si staccherà tanto facilmente.” Tsuna si avvicinò a Gokudera e accarezzò la testa di Lambo; prese un respiro profondo e disse: “Andiamo a letto, Hayato.”

Si sdraiarono lentamente, un po' per non far svegliare Lambo e un po' perché tutto sembrava loro così bello da assumere caratteri di sogno.

Quando si furono coricati, con il sederino di Lambo incastrato sotto allo sterno di Tsuna e la sua testa conficcata nella clavicola di Gokudera, le luci spente e solo i loro respiri ad occupare il silenzio, Tsuna disse: “Non vorrei essere precipitoso, ma...” esitò.

“Dimmi.” lo incitò Gokudera.

“Hayato kun, io ti amo.”

 

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Capitolo 12
*** As Soon As The Tide Comes In ***


Warning: contenuti sensibili, tipiche volgarità Varia Quality, opinioni di parte (non la nostra) sulla 5927 e soprattutto su Tsuna e su Gokudera, finale a sorpresa che è a sorpresa pure per me, nel senso che tutto mi aspettavo tranne che quello, e francamente temo me stessa.



 


"You'll feel like some soap opera star,
predictably hitting the booze;
with your standard issue broken heart
you step into your Saturday shoes."






Xanxus seguì Lussuria giù dalla macchina a noleggio che li aveva portati dall'aeroporto a Namimori. La strana, inusuale sensazione di complicità che provava non sarebbe stata tanto sgradita, se non fosse che la persona per cui la stava provando era nientemeno che Sawada Tsunayoshi. Il suo acerrimo nemico. La persona che stava tra lui e il titolo di Decimo Boss dei Vongola. Quel moccioso che gli aveva fatto il culo a strisce qualcosa come cinque anni prima.

Squalo gli appoggiò una mano tra le scapole e Xanxus si rilassò un pochino, quel tanto che bastava da permettersi di non sfoderare le pistole mentre Lussuria ridacchiava come un demente mentre si avvicinava alla porta di casa Sawada: il fatto che il suo uomo fosse ancora al suo fianco, ancora fedele ma soprattutto ancora vivo, era abbastanza da tranquillizzarlo.

E prevedeva che, venendo meno alla propria aura di grosso cattivone, a un certo punto di quella festa del cazzo avrebbe preso da parte Sawada e gli avrebbe parlato da uomo a uomo.

Un conto era la rivalità, cosa che comunque Xanxus stava imparando ad accettare, un altro conto era gettare qualcuno nelle fauci del mostro. E Sawada era a tanto così dal finirci dentro con tutti e due i piedi, lui e quello zerbino imbarazzante del suo fidanzato.

Da un lato, Xanxus sapeva che se il Consiglio avesse messo le mani su Sawada, il titolo di Decimo Boss sarebbe risultato vacante in meno di una settimana, dall'altra... una fitta gli attraversò il petto, e Xanxus la dissimulò con una smorfia di irritazione, perfettamente coerente con l'idea di fare una festa a sorpresa per i primi sei mesi di fidanzamento di Gokudera Hayato e Sawada Tsunayoshi.

Lussuria suonò il campanello, e il trillo risuonò nella casa. Xanxus si ritrovò a sperare che fosse vuota, ma quel demente con un nido mezzo sfatto al posto dei capelli aprì allegramente la porta dopo una manciata di secondi.

Xanxus non ebbe tempo di disapprovare la sua mancanza di cautela, perché ogni cosa fu sovrastata dal piacere quasi erotico di veder sbiancare quel coglioncello alla vista degli alti ufficiali dei Varia schierati nel vialetto di casa.

“Co...co...cos...cosa... HAYATO!” Xanxus cominciò a preoccuparsi: se a Sawada fosse preso un colpo, avrebbero dovuto compilare una marea di scartoffie.

“Buon sesto mesiversario!” trillò Lussuria.

“Oh, santa pace.” rispose Sawada.

“Tsuna, che succede?” chiese Gokudera, apparendo alla porta con le mani piene di dinamite. Xanxus approvò: Sawada era una causa persa, ma almeno al suo fianco c'era qualcuno che possedeva ancora una manciata di neuroni funzionanti.

E che bestemmiava con una certa creatività, apparentemente.

“VOI! Datevi una calmata, mocciosi, non abbiamo cattive intenzioni.”

“Ushishishi, siamo qui solo per festeggiare.” Sawada impallidì ulteriormente alle parole di Belphegor. In tutta onestà, Xanxus non se la sentì di biasimarlo: Belphegor riusciva a suonare inquietante anche quando proponeva una partita a Risiko. Anche se forse era perché ognuno di loro sapeva fin troppo bene quanto male quello psicopatico prendesse le sconfitte.

“SQUALO!” chiamò allegramente Yamamoto. Xanxus, per un istante, ebbe l'istinto di aprirgli una presa d'aria in mezzo alla fronte, chissà mai che alle sue cellule cerebrali servisse solo un po' di venticello fresco. Squalo rispose a urlacci come suo solito, Sawada si portò le mani alla tempia e da qualche parte dentro alla casa Lambo urlò qualcosa di indefinito.

Xanxus si pentì amaramente di aver lasciato la relativa quiete di Villa Varia, e meditò se l'idea di andare a cercare lo psicolabile con i tonfa e isolarsi nel silenzio insieme a lui fosse fattibile. Gli sovvenne il pensiero che avrebbe rischiato di trovare anche Haneuma insieme a lui, magari ammanettato e con addosso solo un paio di mutande commestibili e ripiegò. Dopotutto, Levi aveva portato abbastanza alcol da far ubriacare tutto il paese.

“Possiamo entrare o dobbiamo restare qui in eterno, Sawada?” chiese, scocciato.

“Ah, ecco, io...”

“Tsuna!” chiamò una voce femminile, “Chi era alla porta?” Nana Sawada apparve dietro al figlio, un sorriso stanco dipinto in volto. Squalo lanciò un'occhiata a Sawada: erano già capitati lì e avevano avuto occasione di conoscere la donna, ma ancora non era ben chiaro quanto lei sapesse. E Sawada che si lagnava perché la mamma gli faceva storie per la mafia era nella top ten delle cose che Xanxus avrebbe volentieri evitato per il resto della vita.

“Oh!” disse la donna, vedendoli, “Da quanto tempo! Entrate, forza, qual buon vento?”

“Mamma, non far entrare i Varia così a cuor leggero, per favore, sono...”

“Signora mia, ma lei è radiosa!” trillò Lussuria, “Ha fatto qualcosa ai capelli, forse? O ha perso peso?” la donna si schernì e ridacchiò.

“Oh, niente di che, solo... mi sono liberata di un'ottantina di chili!”

“Cielo, ma cosa mi dice mai?”

“Sto rimpiangendo di essere nato...” commentò Levi in un grugnito.

“Parla di papà.” spiegò Sawada in tono esausto, “Stanno divorziando.”

“Oh, cielo, finalmente!” Lussuria abbracciò Nana, che ricambiò la stretta con un filo di imbarazzo. Xanxus non poté biasimarla, non è cosa da tutti giorni farsi stritolare da un finocchione muscoloso con la cresta colorata e un ginocchio di amianto.

“Ma entrate, miei cari, non state lì sulla soglia!” disse poi Nana, rossa in viso, scostandosi da Lussuria. Prese Belphegor per un braccio e lo trascinò all'interno, provocando un gridolino allarmato da parte di suo figlio. Abbastanza comprensibile, dovette ammettere Xanxus.

Tuttavia, finalmente si stavano togliendo dalla strada. Non che Namimori fosse chissà che posto pericoloso, soprattutto con quell'Hibari pronto a scorticare il buco del culo di chiunque facesse anche solo il gesto di gettare a terra una cartaccia, ma Xanxus non poteva evitare di sentirsi a disagio con le spalle rivolte alla strada.

Nana fece strada fino al salotto e li lasciò, promettendo di tornare con qualche spuntino; Lussuria, che da qualche tempo aveva cominciato ad interessarsi alla cucina giapponese, la seguì allegramente per farsi dare qualche suggerimento, e i Varia meno emotivamente stabili rimasero da soli con il presunto Decimo Boss, presumibilmente intento a non cagarsi nei pantaloni.

Yamamoto attaccò bottone con Squalo, che gli diede corda; per fortuna, Levi poteva anche essere un maniaco, ma era anche abbastanza sveglio: allungò a Xanxus una bottiglia di birra, da cui il Boss dei Varia attinse con gratitudine.

“E... e allora, ehm.” Sawada si schiarì la voce, “Xanxus. Come va?”

“Solito. Tu?”

“Ehm.”

“Cosa siete qui a fare?” chiese Gokudera.

“Sono sei mesi che voi due teste di cazzo state insieme, siamo qui a festeggiare.” rispose Xanxus, sentendosi un gran coglione. Come se i Varia fossero noti per la gran quantità di festicciole carine che organizzavano.

“Beh, ecco...” balbettò Sawada, “Questo è molto gentile da parte vostra, davvero, non dovevate.”

“Su questo almeno siamo d'accordo.” bofonchiò Xanxus. Sawada cominciò tutto ad un tratto a mostrare una notevole somiglianza con un pesce palla coperto di vernice rossa, poi scoppiò a ridere.

“Scu... scusa, è che... non uccidermi ti prego!” Squalo smise di parlare e si voltò a guardare la scena, perplesso. Yamamoto rise come un imbecille.

“Facci sapere quando tu e Squalo fate l'anniversario, così veniamo a trovarvi con una torta.”

“Cristo santo, non pensarci nemmeno, moccioso.” Sawada rise ancora più forte e Xanxus si trovò a concludere che fosse un filino isterico. Guardò la bottiglia di birra, poi la scorta portata da Levi e fu mosso a pietà. Ficcò la sua Poretti Sette Luppoli ai fiori di sambuco nella mano di Sawada e si allontanò con cautela, lasciandolo alla sua crisi di nervi.

 

La festa si trascinò con l'entusiasmo e il brio di un vecchio che cerca di scopare.

Xanxus scacciò il paragone dalla mente, insieme alla brutta immagine del Nono che si faceva inchiappettare da Coyote Nougat. Ormai alla seconda bottiglia di tequila, si chiese se il trucco per ereditare il trono dei Vongola non fosse trombarsi il Guardiano della Tempesta: Giotto e G, il vecchio e Coyote... Xanxus lanciò un'occhiata a Belphegor, intento a mettere a repentaglio la sorte del mondo intero con una partita a Monopoli contro Gokudera, e si disse che se quella era davvero la via da percorrere, in fondo lui stava bene a capo dei Varia. Neanche morto si sarebbe avvicinato a quello psicolabile armato di coltelli. Come facesse Fran a stargli intorno era un mistero ancora più grande di quello della presunta verginità della Madonna, ma c'era da ammettere che anche nella testa di Fran non nuotavano molti neuroni. Forse lui e Belphegor ne avevano uno in comproprietà, e andavano d'accordo solo perché così non dovevano litigare sull'affidamento della loro unica cellula cerebrale funzionante.

Xanxus si schiarì la mente con un altro sorso di tequila e decise di passare all'unico motivo per cui aveva accettato di portare il culo in Giappone. Si alzò dal divano e si avvicinò a Sawada: “Moccioso, ti devo parlare. In privato.”

“Ah, io, ecco...”

“Giuro che non ti mangio. Muoviti, non ho voglia di starci tutto il giorno.”

“O... okay, allora.” Sawada si alzò e fece strada a Xanxus su per la scala. Gli indicò una porta e Xanxus entrò: era chiaramente la sua stanza da letto, disseminata di libri di scuola, vestiti a molteplici stadi di utilizzo e una valanga di materiale da disegno.

“Bello.” disse Xanxus d'istinto, indicando un disegno a carboncino, ancora abbozzato ma chiaramente riconoscibile come un intenso ritratto di Gokudera.

“Ah... sì, l'ho fatto io.”

“Notevole.”

“Cosa mi devi dire, Xanxus?” l'uomo si complimentò con se stesso. Fargli quel complimento spontaneo era servito a farlo rilassare a sufficienza da permettere al criceto nel suo cervello di risalire sulla sua ruotina e cominciare a zampettarci sopra.

“Sta' in guardia, Sawada.” disse.

“In guardia per cosa?”

“Per il Consiglio.” Xanxus si zittì, incerto su come proseguire il discorso. Dopo un po', Sawada chiese a bassa voce: “Il Consiglio?”

“Sai cos'è?” Sawada scosse il capo.

“È una specie di tribunale. Una fottuta Inquisizione di merda. Vecchi del cazzo che pretendono di venirti a spiegare come vivere la tua vita.”

“Sì, ascolta, non è che sono così scemo. Lo so che la Mafia non è un bel mon...”

“Non è la Mafia, Sawada, possibile che non ci arrivi?” il ragazzo si zittì, e Xanxus proseguì: “La Mafia te la puoi rigirare intorno a un dito. Sei stato designato come Decimo Boss dei Vongola, tutti gli altri coglioni sanno che non ti devono cagare il cazzo se vogliono continuare a stare al mondo. Ora come ora, noi Varia abbiamo l'incarico di mettere a tacere tutti quelli che sono abbastanza stupidi da mettersi contro di te. Degli altri mafiosi non ti devi preoccupare, e non dovrai mai farlo finché campi. Ma il Consiglio... Sawada, dal Consiglio ti devi guardare le spalle.”

“Che cosa... come posso fare per non...”

“Tu e il tuo fidanzatino dovete starvene belli tranquilli in un angoletto buio.”

“Aspetta, cosa...?”

“Non ti sto dicendo che dovete mollarvi. Fatevi la vostra bella vita da piccioncini, scopate fino a farvi venire le emorroidi croniche, ma fatelo ben nascosti da sguardi indiscreti.” Sawada arrossì e Xanxus ebbe la sensazione che lui e Gokudera non si fossero ancora neanche segati a vicenda.

Attese pazientemente che Sawada la smettesse di giocherellare con un portamine di un verde davvero sgradevole e, senza attendere un invito scritto, si sedette come se niente fosse sul bordo del letto. Tanto, si disse, a quanto sembrava non correva il rischio di sedersi su una macchia di sborra secca. Infine, Sawada chiese: “Hanno... hanno chiamato in giudizio te e Squalo?”

“Chiamati in giudizio?” Xanxus emise uno sbuffo di risata amara, “Certo, se significa che per poco non uccidono il mio uomo. Chiamati in giudizio...”

“Che cosa? Stai... stai scherzando, spero.”

“Ti sembro uno che sta scherzando?” ringhiò Xanxus. Non gli andava di ripensare alla settimana in cui Squalo, dopo una convocazione a Villa Vongola, era sparito per sette atroci giorni, né tantomeno gli andava di parlarne. Si sentiva soffocare al solo pensiero della conversazione avuta con il Nono, in cui lui gli chiedeva notizie del suo vice comandante e il vecchio cascava dal pero. La presa di coscienza che non era stato lui a convocarlo, il terrore nel rendersi conto che in quei sette giorni poteva essere successa qualsiasi cosa, l'atroce altalenare tra l'impulso di voler rifiutare l'aiuto di Timoteo, colpevole di non aver tenuto sotto controllo i suoi mastini, e il bisogno impellente di ricevere un po' di affetto in un momento buio come il cuore di una notte di luna nuova.

Sospirò e disse: “Hanno convocato Squalo a nome dei Vongola. Logicamente, lui ha risposto, i Varia non possono rifiutarsi di presentarsi ad una convocazione diretta. Non ne abbiamo più saputo nulla per una settimana.” Sawada sbiancò.

“Per mia fortuna,” proseguì amaramente, “Lo stavano soltanto tenendo in ostaggio per avere la scusa di cogliermi in fallo. Quei bastardi sapevano che per giustiziare me avrebbero dovuto avere prove schiaccianti, non solo voci di corridoio, e sapevano anche che sarei andato a cercarlo. Contavano di incastrarmi.”

“Gli... gli hanno fatto del male?” chiese Sawada.

“Nulla che Squalo non possa tollerare.” rispose Xanxus. Esitò, poi si corresse: “No, cazzate. Stavano cercando di piegarlo. Torture fisiche e psicologiche. Uno di quei... quei cazzo di corsi di... di conversione per omosessuali.”

“Il Nono ha permesso questa cosa?” chiese Tsuna.

“Il Nono sta perdendo il potere sul Consiglio. Dopo quello che è successo a Squalo, sta cercando di smantellarlo, ma intanto... ti sei per caso chiesto come mai il tuo caro amico Cavallone è qui a Namimori da quattro mesi filati?”

“Pensavo... lui e Hibari... insomma, credevo che...”

“Certo, Hibari sta ospitando Cavallone. E certo, quei due stanno insieme. Ma Cavallone se ne sarebbe stato tranquillo a casa, se non fosse giunta voce a Romario che il Consiglio è sulle sue tracce. Ed è stato il Nono a informarlo, ma al momento questo è il massimo che può fare.”

“Ma quindi sa cosa stanno facendo?” chiese Sawada. Sembrava parecchio imbestialito.

“No.” rispose Xanxus, “Ha intercettato qualcosa qui e là. E se oggi ho deciso di portare il culo fino a qui è solo perché il vecchio mi ha riferito che qualcuno ha vuotato il sacco su te e Gokudera.”

“Cosa? Ma chi...?” Sawada impallidì.

“Hai sospetti, Sawada?” chiese Xanxus.

“Sì e no. C'è questa amica di Hayato, Viola Bovino... lui si fida, ma sono mesi che lei non si fa più viva.” Xanxus annuì.

“È la stessa pista che stiamo seguendo noi.”

“Voglio dire, se lei fosse innamorata di Hayato, potrebbe aver...”

“Sei fuori strada, Sawada.” il ragazzo tacque, in attesa: “Quella ragazza è la nipote di Levi, che ha garantito per lei. Non sono cazzi tuoi il perché, ma sono motivi importanti. Tuttavia, a quanto pare è stata assegnata ad una missione ad altissimo livello di segretezza, ma il suo cellulare è rimasto ai Giardini Bovino, probabilmente per impedire che la intercettassero. Il nostro sospetto è che Enrico Bovino abbia letto i suoi messaggi.”

“Merda.”

“Quanto avete rivelato?”

“Tutto, praticamente.”

“Lo sospettavo. Dì al tuo ragazzo di smentire. Fagli scrivere che vi siete mollati, che avete compreso di aver preso un abbaglio, che era una fase, una di quelle stronzate che diresti a tuo padre se ti venisse a chiedere se trombi col tuo Guardiano della Tempesta.” Sawada annuì, tremando.

“Per ora abbiamo tenuto buono Bovino, ma stiamo esaurendo le scuse plausibili. Datevi una mossa, prima che uno di voi due si ritrovi con degli elettrodi su per il culo.” senza alcun preavviso, Sawada scoppiò in lacrime.

“Cazzo, anche questa no... ricomponiti, femminuccia, non è successo niente.”

“Lo so, è che... è che penso a come devi esserti sentito a scoprire che Squalo era stato torturato, e... cielo, Xanxus, mi dispiace, mi dispiace così tanto!”

“Come se fosse colpa tua. Non essere idiota.” Xanxus si alzò e chiese: “Da che parte è il cesso?” Sawada, ancora singhiozzando, lo condusse in corridoio e gli indicò la porta del bagno.

Xanxus vi entrò, abbassò la tavoletta del gabinetto e ci si sedette sopra. Si prese a pugni le tempie nel tentativo di scacciare i ricordi, ma non ci riuscì.

 

Squalo, più pallido del solido, il moncherino esposto come il resto del suo corpo.

Abrasioni, tagli e bruciature sulla sua pelle nivea, sul suo volto lo sguardo sfiduciato e rabbioso di una fiera minacciata.

Le sue spalle fredde al tatto, i suoi muscoli scattanti al minimo tocco, segnati già da una sola settimana a temere il contatto fisico, trasformando quella che era stata una normale componente dell'esistenza in una minaccia.

Solo con il tempo e molta, molta pazienza, Xanxus era riuscito a convincerlo a muoversi di lì: lo stavano condizionando contro di lui, e in Squalo convivevano l'uomo che lo amava indefessamente e quello che aveva subito un lavaggio del cervello degno di Arancia Meccanica.

Infine, Xanxus aveva optato per l'unica soluzione possibile: si era chinato, aveva forzato un abbraccio su Squalo, sentendosi una merda nell'avvertire il panico con cui il suo uomo gli si opponeva, e l'aveva baciato sulle labbra.

Sei mesi più tardi, avevano provato a fare l'amore: Squalo non se l'era sentita di lasciarsi penetrare, ma Xanxus non aveva esitato a lasciargli il ruolo di top, e finalmente stavano ricominciando pian piano ad abituarsi di nuovo alla reciproca presenza, Squalo aveva ricominciato a sbraitare al mattino presto e Xanxus a prenderlo a calci in risposta, senza che nessuno dei due avesse un crollo psichico.

C'era una sola cosa a cui Xanxus non riusciva ad abituarsi.

 

Si lavò la faccia accuratamente, mise su un'espressione impassibile e tornò da basso, dove Belphegor stava mandando sul lastrico Gokudera. Xanxus notò che quest'ultimo aveva appena richiesto una somma fin troppo irrisoria per il passaggio su un albergo in Piazza della Vittoria, e si rese conto che Gokudera sapeva benissimo che se Belphegor avesse vinto, la giornata si sarebbe conclusa con un massacro. La sua stima nei confronti del dinamitardo salì di mezzo punticino: non di più, perché a suo parere non ci voleva un genio a capire che al Principe Sanguinario non bisogna cagare il cazzo.

I suoi occhi caddero su Squalo, che si stava passando una mano tra i capelli. La sua nuca esposta ricordò a Xanxus la vista della sua schiena nuda, arrossata dalle torture subite, e del suo cranio malamente rasato.

Non avrebbe avuto pace finché i capelli di Squalo non sarebbero tornati a impigliarsi nella cintura dei suoi pantaloni.

 

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Capitolo 13
*** Just Getting By ***


And in that weightlessness that comes with good luck,
the one thing you don't expect is feeling the drop.

 

 

 

Tsuna entrò in casa e chiamò: “Bianchi? Reborn?”

Nessuno rispose.

Tsuna, seguito da Gokudera, esplorò la casa: completamente vuota.

“Tsuna, c'è un biglietto.” disse Gokudera dalla cucina. Tsuna si avvicinò e lesse: era un biglietto di Bianchi, che spiegava che lei e Fuuta erano usciti per fare delle commissioni per conto di Nana. Ricordava loro anche che Nana cominciava quel giorno il suo nuovo lavoro, e che Lambo e I-Pin avrebbero fatto tardi a scuola per un lavoro di gruppo.

“E Reborn dove si sarà andato a cacciare?” chiese Tsuna, pensieroso.

“Non saprei. Ma ultimamente lo vedo molto sulle spine.” ribatté Gokudera. Tsuna alzò gli occhi e domandò: “Credi che sia per quella faccenda del Consiglio?”

“Possibile. Ma per ora non credo ci siano stati aggiornamenti, aveva promesso che mi avrebbe fatto sapere se ci fossero stati sviluppi.”

“Credi che...” Tsuna si interruppe. Aveva appena realizzato una cosa di fondamentale importanza: lui e Gokudera erano soli in casa.

E lo sarebbero stati ancora per un po'.

“Senti, Hayato.” disse, e Gokudera perse un po' il sorriso.

“Sì?” chiese. Quella singola sillaba sembrò costargli molto in termini di coraggio.

“Io... io vorrei...” Tsuna deglutì e si sentì arrossire, “Vorrei toccarti come faccio con me.” riuscì ad articolare. Si sentì molto infantile nel dirlo a quel modo, ma non era riuscito a trovare un modo carino per parafrasare il proprio desiderio di strappargli le mutande di dosso.

Insomma, ormai stavano insieme da quasi nove mesi, e in tutto quel tempo non avevano trovato un solo momento di quiete per passare a carezze più intime, e la cosa cominciava a pesargli: al punto che dormire con Lambo, cosa che agli inizi era stata molto tenera, aveva iniziato a dargli sui nervi, per il semplice motivo che il ragazzino era una barriera insormontabile tra lui e Gokudera.

“De... de... de...” Tsuna cercò di mettere su una plausibile faccia incazzata.

“Tsuna.” disse Gokudera, ma apparentemente non aveva idea di come proseguire. Tsuna si avvicinò a lui e lo spinse contro il tavolo della cucina, spingendo in avanti il bacino per ricercare un contatto più intenso. Tra le due ali del bacino di Gokudera c'era qualcosa dalla consistenza curiosa e Tsuna si rese conto che, per la prima volta nella sua vita, stava scoprendo cosa si prova ad appoggiarsi contro un pene eretto.

“Per favore... Hayato.”

“Decimo... Tsuna, volevo dire! Io... io vorrei, ma...”

“Ma cosa?”

“Ecco, ho... fatto delle ricerche e... e non è proprio... insomma, non è facile.”

“Forse il sesso.” disse Tsuna, e arrossì nel sentirsi pronunciare quella parola. L'immagine di Xanxus che roteava gli occhi al cielo gli attraversò la mente, poi per fortuna sparì. Tsuna proseguì: “Ma ci sono altre cose che potremmo fare.”

“E...” Gokudera deglutì, poi serrò gli occhi e mise le mani sulle spalle di Tsuna, come per allontanarlo. Tuttavia, non trovò la forza di farlo. Invece, sbottò: “Tsuna, io ti desidero così tanto! E se non riuscissi a fermarmi?” Tsuna trasecolò.

Poi, il suo sguardo si addolcì e le sue labbra trovarono quelle di Gokudera. Vi posò un bacio lieve, poi bisbigliò: “Non sono mai sicuro di niente, lo sai... ma su una cosa ci scommetterei la vita: tu non mi farai mai del male. Andiamo in cameretta?” Gokudera non rispose, se non al bacio, e Tsuna capì di averci visto giusto. Aveva parlato dal profondo dell'anima, non era una frase fatta a metà tra il tentativo di coercizione e un pizzico di psicologia inversa. Lui davvero credeva in ciò che aveva detto. E il tocco riverente delle mani di Gokudera ne era la conferma.

 

Quando Gokudera, con mani tremanti, spinse i pantaloni verso il basso lungo i fianchi di Tsuna, quest'ultimo si convinse che avrebbe segnato il deprimente tempo record di due secondi netti prima di avere un orgasmo.

Quando la mano di Gokudera, magra e calda e delicata, gli sfiorò l'asta del pene, si dovette ricredere: l'imbarazzo nell'udire i propri gemiti di piacere gli avrebbe concesso un po' di tempo in più. Cadde di peso sul letto, ringraziando il cielo che Gokudera non avesse ancora cominciato a stringerlo, e terminò di spogliarlo: di colpo, desiderava solo vederlo nudo.

“Allontanati, voglio guardarti.” disse, e Gokudera fece un imbarazzato passo indietro. Tsuna emise un altro gemito, stavolta di adorazione.

La pelle di Gokudera, così lattea, si scuriva appena intorno alla base del pene e sui testicoli, coperti da una peluria fitta di poco più scura dei suoi capelli. Come in un sogno estremamente vivido, Tsuna notò che il glande di Gokudera aveva lo stesso identico colore delle sue labbra.

Senza pensare a ciò che faceva, allungò le mani e lo trasse a sé, tirandolo per i fianchi, poi lo abbracciò. Lo sentì trattenere il respiro all'improvviso e si rese conto che la distanza tra le proprie labbra e il suo membro era davvero insignificante; alzò una mano, glielo sfiorò e cominciò a cospargerlo di baci.

Le mani di Gokudera si appoggiarono alle sue spalle, mentre il suo respiro si faceva sempre più concitato. Tsuna sfiorò con la punta della lingua il punto in cui il prepuzio si era raccolto, appena sotto al glande, e Gokudera lo avvertì: “Tsuna, così finisco subito.” la sua voce era strozzata, e Tsuna sentì il proprio membro fremere a quel suono paradisiaco.

“Possiamo sempre fare il bis.” disse, di colpo audace. Massaggiò il membro di Gokudera, per una volta felice di tutte le pippe che si era fatto nella vita: poteva essere sicuro di saperlo fare decentemente, e di poter dare al suo amato il piacere che desiderava fargli provare.

Quando Gokudera venne, gli cedettero le ginocchia. Cadde contro il bordo del letto di Tsuna, che lo accolse tra le braccia e lo accompagnò a sdraiarsi di fianco a sé.

Non chiese nulla in cambio: per il momento, gli bastava sentire il suo respiro concitato sulla pelle, il suo sperma caldo sulla mano, la presenza tranquillizzante del suo corpo nudo di fianco a sé.

Poi, la mano di Gokudera trovò il suo pene; lo massaggiò con movimenti lenti e languidi, meno concitati di quelli di Tsuna, che si sentì in imbarazzo, di colpo sicuro di aver fatto la figura del principiante, per quanto quell'idea fosse irrazionale: insomma, certo che era un principiante.

Si tuffò tra le braccia di Gokudera, che lo accolse con tenerezza, cingendogli le spalle col braccio libero mentre continuava a masturbarlo. Tsuna venne contro il suo fianco, soffocando un gridolino contro la sua spalla.

 

Tsuna si rese conto che si erano entrambi addormentati l'uno tra le braccia dell'altro al suono del proprio cellulare; realizzò che avevano dormito per un bel po' nel notare quanto il sole si fosse abbassato nel cielo, e per poco non lo prese il panico.

Ma, a giudicare dal silenzio, erano ancora soli in casa.

Gokudera gemette di fastidio, e Tsuna si allungò sopra di lui per recuperare il cellulare dai pantaloni che avevano lasciato cadere a terra senza curarsene; per poco non decise di non rispondere, al tocco del membro di Gokudera contro il proprio, poi il suo senso di responsabilità prevalse e Tsuna estrasse il cellulare proprio nel momento in cui smetteva di squillare.

Impallidì nel leggere il nome del mittente, poi sussultò e guardò l'orologio: le cinque e mezza.

“Oh, miseria ladra!” gemette. La scuola chiudeva alle quattro, e improvvisamente il fatto che Lambo e I-Pin non fossero ancora rientrati perdeva ogni connotazione di sollievo e diventava qualcosa di brutto, qualcosa di così spaventoso che Tsuna per poco non perse il coraggio di richiamare. Fu salvato di nuovo dal cellulare, che ricominciò a squillare coprendo le domande ansiose di Gokudera: stavolta era Dino a chiamare.

“Dino! Che succede?”

“Tsuna, è meglio se vieni qui.”

“Qui dove? Cos'è successo?” chiese Tsuna. Rotolò giù dal letto, e se non batté la testa contro lo spigolo del comodino fu solo grazie ai riflessi pronti di Gokudera, che lo sorresse tenendolo per la vita. Dino rispose: “C'è stato...” abbassò la voce, “C'è stato un incidente con il Consiglio. Stiamo tutti bene, nessun ferito, solo Reborn che è incazzato come una iena e...”

“E? Dino!” Tsuna ululò nel telefono.

“Siamo a casa di Kyoya. Dietro al tempio, vieni qui in fretta. Lambo ha chiesto di te e Gokudera.” senza aggiungere altro, Dino riagganciò.

“Tsuna, che succede?” chiese Gokudera, e oh se la vista di lui, nudo e scarmigliato, non era l'ottava meraviglia del mondo. Per un attimo, Tsuna perse il filo dei propri pensieri.

“Tsuna!” lo richiamò Gokudera.

“Ah, sì scusa. Dino ha detto che ci sono stati problemi con il Consiglio.” Gokudera si rabbuiò e Tsuna proseguì: “Ha detto che stanno tutti bene, che Reborn è incazzato e che Lambo ha chiesto di noi. Mi è... mi è sembrato strano, io... possiamo andare subito?”

“E lo chiedi? Certo che sì.” Gokudera saltò giù dal letto e si infilò i vestiti, rapido e pratico, e Tsuna riconquistò un po' di calma.

Rifletté, mentre andava in bagno al volo, che non solo Gokudera non gli avrebbe mai fatto del male: era anche sempre così pratico, quando la situazione sembrava drammatica, che riusciva a donargli quel tanto di tranquillità che gli era necessaria per mettere a fuoco la faccenda.

 

Si precipitarono a casa di Hibari. Giunti lì, salutarono con un cenno Romario e Kusakabe, seduti in veranda a giocare a carte, e premettero il campanello; dall'interno si udì un tenue suono melodico, molto diverso dall'irritante trillo del citofono di casa Sawada.

Pochi istanti dopo, Reborn aprì la porta e li fece entrare; li bloccò però immediatamente nell'ingresso, mentre si toglievano le scarpe.

A bassa voce disse: “Lambo ha ucciso tre persone.”

“COSA?!” sbottò Tsuna. Da qualche parte venne la voce di Dino: “Tsuna, attento al volume!”

“Miseriaccia.” mormorò Tsuna, poi ripeté: “Cosa?!”

“Stava uscendo da scuola.” riferì Reborn, “Lui e I-Pin sono passati davanti a questi tre tizi, che poi si sono rivelati essere del Consiglio, e li hanno sentiti che parlavano di catturare Hibari e Dino.”

“Oh, merda.” disse Gokudera, “Xanxus aveva accennato che ce li avevano alle calcagna.”

“Già. Comunque, loro... Lambo e I-Pin, intendo, si sono nascosti e li hanno seguiti fin dentro la scuola. Dino era andato a trovare Hibari, ed erano ancora lì dentro. Quei bastardi volevano coglierli letteralmente con le braghe calate.”

“Che bastardi.” bofonchiò Tsuna.

“Comunque, I-Pin ha detto che uno di loro ha commentato che avrebbero usato i tonfa di Hibari per... per far loro del male prima di eliminarli. Lambo ha capito fin troppo bene.” Tsuna non ebbe più la pazienza di ascoltare altro. Senza attendere un permesso, si diresse verso l'interno della casa, seguendo le voci che sentiva provenire da qualche altra stanza a lui ignota.

Fece irruzione in un piccolo salottino e per poco non smise di ragionare: la scena che si trovò di fronte non solo era completamente diversa da quella che si era aspettato, ma era anche così inaspettata da essere quasi comica.

I-Pin era seduta su una coscia di Dino e dormicchiava, la testa appoggiata al suo petto. Dino indossava una yukata blu scuro e sedeva a terra di fronte ad un tavolino da gioco; all'altra estremità stava Hibari, e tra le sue braccia, seduto sulle sue gambe incrociate, c'era un Lambo insolitamente docile; il ragazzino alzò il viso verso Tsuna e le sue labbra fremettero in un modo che spinse Tsuna a pensare che si aspettasse un rimprovero e una punizione.

Fu quello il momento in cui il mondo perse la sua consistenza: Hibari alzò una mano, spinse all'indietro i capelli di Lambo e gli depositò un piccolo bacio sulla tempia. Tsuna lo udì mormorare: “Te l'ho già detto, Lambo. Non hai fatto nulla di male. Hai difeso la Famiglia, Tsuna non ti metterà in punizione.” Lambo si ritrasse nelle sue braccia, ancora incerto, e Tsuna si sentì stringere il cuore.

Hibari gli rivolse un elegante gesto di invito e lui si sedette; Gokudera si mise al suo fianco, più vicino a Hibari e Lambo, mentre Reborn prendeva posto all'ultimo lato libero del tavolo.

“Che cos'è successo, Hibari san?” chiese Tsuna. Voleva fare una carezza a Lambo, ma temeva che il gesto della sua mano sarebbe risultato come una minaccia. Al suo posto provvide Gokudera, che tirò un lembo della yukata rossa che il ragazzino indossava e chiese: “E questo da dove spunta?”

“Si è sporcato l'uniforme.” rispose Hibari per lui, “Gli ho prestato dei vestiti dello zio Fon, hanno più o meno la stessa taglia.”

“È molto gentile da parte tua.” lo ringraziò Tsuna, inchinandosi appena, gesto che Hibari accolse con un cenno del capo.

“Kyoya è un vero tesoro, quando vuole!” dichiarò Dino, un gran sorriso in volto. Hibari lo fulminò con un'occhiataccia, poi si rivolse a Tsuna: “Lambo ha rilasciato Gyudon durante un attacco di panico.”

“Quei due volevano fare male a Hibari-san e a Dino-san, gliel'ho sentito dire!” si difese Lambo.

“Reborn me l'ha detto. È normale che tu abbia voluto difenderli, sono tuoi amici.” si affrettò a rassicurarlo Tsuna.

“Non siamo arrabbiati, Lambo.” aggiunse Gokudera, “Ci siamo solo un po' preoccupati. Sappiamo chi erano quei tali, ed erano molto pericolosi.”

“Reborn,” chiamò Tsuna, “Che cosa ha intenzione di fare il Nono?” sbottò.

“I Varia si mobiliteranno nel giro di un'ora.” rispose il killer, “Il Consiglio sarà smantellato entro domani all'alba.”

“Gli conviene!” urlò Tsuna. Hibari alzò un sopracciglio ma non gli intimò di abbassare la voce.

“Cazzo!” sbottò Gokudera, “E se avessero coinvolto Lambo? Se gli avessero fatto del male?”

“Potreste venire un attimo di là con me?” ribatté Reborn, alzandosi.

“Sarà meglio.” disse Hibari, “Stiamo cercando di insegnare a Lambo a giocare a Go, e voi ci state disturbando.” Tsuna lo guardò. L'espressione di Hibari era strana, e bastò un'occhiata di traverso per fargli capire il messaggio implicito: “Andate da un'altra parte a parlarne, Lambo è traumatizzato e stiamo facendo i salti mortali per distrarlo.”

Tsuna annuì appena, e lui e Gokudera seguirono Reborn verso una camera da letto che sembrava inutilizzata, probabilmente una stanza per gli ospiti, sempre pronta in caso Fon passasse a far visita.

“Al Nono è bastato sapere che Lambo ha perso il controllo in questa maniera per procedere. Fin quando si trattava di stare addosso a uomini adulti, mafiosi esperti che sanno come difendersi, poteva ancora esitare. Ma questi... Tsuna, questi hanno aperto il fuoco, prima contro Gyudon, poi contro Lambo.”

“L'hanno ferito?” ringhiò Gokudera.

“No, I-Pin ha deviato il colpo con un gyoza ken. Ma non è quello il punto.”

“Il punto è che Lambo è stato costretto ad uccidere.” disse Tsuna, guardando Reborn. Il killer annuì.

“So che è cresciuto nel mondo della Mafia.” disse Reborn in tono cupo, “L'hai visto anche tu l'assortimento di armi che i Bovino gli mandavano quando era piccolo. Ma non ne ha mai avuto coscienza, non ha mai...”

“Non ha mai capito che erano armi vere e che la gente poteva morire sul serio.” concluse per lui Gokudera. Un'ombra passò sul suo volto, come se stesse ricordando qualcosa che era rimasto sepolto in lui molto a lungo. Reborn annuì di nuovo.

“Contavo di fargli qualche lezione di tiro, tra un paio d'anni.” aggiunse Reborn, “Giusto per introdurre l'argomento con delicatezza. E invece, ora ce l'hanno tirato dentro di peso. Non sarà facile, per lui.” Tsuna lo guardò. Reborn sembrava ancora più sconvolto di tutti gli altri.

“Tu gliel'hai visto fare.” disse Tsuna. Non era una domanda, ma un dato di fatto, un'informazione datagli dal suo Iper Intuito.

“Sì. Stavo per intervenire io stesso, ho dei microfoni piazzati in giro per la scuola e li stavo seguendo per ordine del Nono, ma non ho fatto in tempo. E non avevo notato Lambo, lui e I-Pin sono stati davvero molto silenziosi.” Reborn si tolse il fedora e si passò una mano tra i capelli.

“Hayato, ci lasci soli un secondo?” chiese Tsuna, “Vai a vedere se Lambo ha voglia di tornare a casa, tranquillizzalo che non siamo arrabbiati.”

“Sì, Tsuna.” Hayato lasciò la stanza e si chiuse la porta alle spalle, con discrezione.

“Un tempo, conoscevo un ragazzo molto simile a Lambo. Gli volevo... molto bene.” confessò Reborn, poi voltò le spalle a Tsuna, che non insistette per guardarlo in faccia. Il killer proseguì: “Non sono potuto intervenire in tempo per salvargli la vita. È morto tra le mie braccia.”

“È stato come rivivere quel momento?” chiese Tsuna.

“Sì. Quando ho visto quell'uomo alzare la pistola...” Reborn scosse la testa, come se cercasse di scacciare quel ricordo. “Per fortuna, al suo fianco c'era I-Pin. Penso che farò un colpo di telefono a Fon, lei sarà felice di ricevere una sua visita. E se lo merita.”

“Già.” disse Tsuna in tono vago, poi chiese: “Lambo si riprenderà?”

“Ne sono certo. Ma gli ci vorrà un po'.” sospirò platealmente, poi disse: “Che diamine, mi toccherà trattarlo bene per un sacco di tempo...” Tsuna finse una risatina. Sapeva che dietro alle parole del killer c'era ben altro, ma sapeva anche che non sarebbe riuscito a cavargli un'altra parola, quindi si limitò a lasciarlo solo.

Tornato in salotto, osservò Lambo stracciare Dino a Go, discusse con Hibari della divisa di scuola del ragazzino, che sarebbe stata restituita l'indomani pulita, promise di fare lo stesso con la yukata di Fon e per tutto il tempo non smise un attimo di tenere per mano Gokudera.

Finita la partita ed esauriti i convenevoli, nonché la pazienza di Hibari, Tsuna si alzò, e Gokudera con lui. Lambo ringraziò Hibari con un inchino quasi comico, I-Pin riuscì a trattenere la pinzu bomb quando Hibari si complimentò con lei per il modo in cui aveva combattuto, Dino cominciò a fremere di impazienza e Tsuna decise che era il caso di levare le tende prima che decidesse di mettersi a sbaciucchiare Hibari nonostante il pubblico.

Lambo prese per mano Tsuna da un lato e Gokudera dall'altro; sembrava ancora ansioso e preoccupato, e Tsuna sperò che Gokudera trovasse qualcosa da dire, un modo per calmarlo.

Invece, Gokudera chiese: “E allora, Reborn, che ne pensi?”

“Di cosa?” domandò il killer.

“Lambo ha o non ha la stoffa per diventare un mafioso coi controcazzi?”

“Hayato, ma ti pare il momento di fare un discorso del gen...”

“Mpf...” sbuffò Reborn, simulando indifferenza, “Sì, può darsi.”

Tsuna aprì la bocca per commentare, poi vide il viso di Lambo: riluceva di orgoglio.

Come sempre, Hayato aveva trovato la parola perfetta.

 

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Capitolo 14
*** Always the Last to Know ***


Creation's gone crazy,
TV's gone mad,
now you're the only sane thing
that I have.






“Tsuna nii!” Lambo chiamò. Tsuna alzò la testa per prestargli attenzione e Lambo continuò: “Lo zio Kyoya...” Tsuna smise di sentirlo, per fare spazio ad un legittimo attacco di panico.

“Lambo! Se Hibari san ti sente che lo chiami così, lui... lui... lui...” si impappinò. Lambo lo fissò come se fosse diventato deficiente e disse: “Veramente mi ha detto lui di chiamarlo così.” Tsuna lanciò un urlo e andò istintivamente a ficcarsi sotto al letto.

Quando trovò il coraggio di uscirne, più o meno una mezz'oretta dopo, trovò due bigliettini sul tavolo della cucina.

Il primo era di Nana, che gli annunciava che avrebbe passato due giorni in vacanza con Oregano. Quella santa donna lo informava che aveva provato a parlargli, ma lui era nascosto sotto al letto e si rifiutava di interagire. Aggiungeva la richiesta di essere chiamata al telefono e una piccola nota in cui lo informava che non aveva nulla in contrario se Hayato si fosse fermato a dormire. Tsuna arrossì e appallottolò il biglietto in un attacco di isteria.

Il secondo biglietto era di Hibari, che lo informava che avrebbe tenuto Lambo e I-Pin per la nottata: era il compleanno di Lambo e lui e Dino gli avevano organizzato una festicciola. Tsuna, che stava a sua volta organizzando una festa per l'indomani, dovette rileggere il biglietto una mezza dozzina di volte per capire il concetto: a casa sua, “Hibari Kyoya” e “festa” nella stessa frase erano parole che non avevano il minimo senso.

Poi, una certa consapevolezza gli piombò addosso: Nana era fuori per due giorni. Lambo e I-Pin avrebbero trascorso la notte a casa di Hibari. Bianchi aveva annunciato il giorno prima che si sarebbe assentata fino al sabato, senza specificare il motivo. Fuuta era temporaneamente rientrato in Italia per dare consulenza al Nono. Reborn si era dato... beh, non malato, ma aveva chiesto che non gli fossero rotte le palle per qualche giorno dopo la disavventura di Lambo con il Consiglio, anche se aveva promesso che sarebbe ricomparso in tempo per la sua festa di compleanno.

Tsuna mollò il biglietto di Hibari sul tavolo, prese il telefono e inviò un messaggio a Gokudera: “Vieni qui a casa mia. Subito. Se non porti dei preservativi mi arrabbio.”

Dieci minuti dopo, probabilmente evocato dai suoi pensieri ossessivi, Mukuro si materializzò nel salotto e disse: “Sawada Tsunayoshi. Non ho la minima intenzione di cancellare la memoria di Gokudera Hayato, tanto più che li ha già comprati. Sta arrivando, accendi qualche candela che fa atmosfera.” senza aspettare una risposta da parte di Tsuna, Mukuro scomparve di nuovo, lasciandolo con l'atroce sospetto che qualcuno li avrebbe spiati, probabilmente con in mano un secchio di pop-corn.

Poi, Gokudera suonò il campanello e ogni altra cosa perse di importanza.

 

“Vivi, forse è il caso che torni a casa, per oggi.” disse Chiara, un'altra ragazza che lavorava alla vigna con Viola, “Mi sembri un po' pallida.”

“Ho solo un po' di mal di schiena, non è nulla.” ribatté lei, ma dentro di sé sperò che Chiara insistesse ancora un po'. Era da quel mattino che la parte bassa della schiena era un'unica palla di dolore atroce, e in effetti si sarebbe volentieri risparmiata di passare la giornata china a strappare erbacce. Ma era un lavoro a giornata, e stava cercando di mettere da parte il più possibile: dal momento in cui avrebbe partorito a quando non fosse stata in grado di lavorare di nuovo, non avrebbe visto un soldo bucato. Le suore erano tanto buone e si sarebbero prese cura di lei, ma Viola non voleva essere un peso.

Avvertì uno strano senso di bagnato tra le gambe, e Chiara urlò, correndo verso di lei.

Viola guardò giù, fece un paio di rapidi calcoli e sbottò: “Oh... CAZZO.”

 

“VOOOIII!” urlò Squalo, tagliando senza pietà la gola all'ennesima guardia.

Si voltò per monitorare l'area, consapevole che a breve Levi avrebbe sovraccaricato i sistemi elettrici per friggere un bel po' di gente, e si disse vagamente che un tale dispiegamento di forze per difendere una base era un chiaro sintomo di coscienza sporca.

Persino loro, i Varia, la Squadra Assassina dei Vongola, non avevano una squadra di protezione così vasta. Lui da solo aveva fatto fuori quindici uomini, e non stava neanche attaccando apertamente: la sua era una mossa di copertura, pensata per distrarre le difese e permettere a Levi di avere accesso indisturbato al contatore. Se quelle erano le forze di riserva, Squalo non osava immaginare come fossero quelle principali.

Belphegor apparve al suo fianco, sghignazzando, seguito da Fran: “Ushishishishi, Squalo. Io e il Ranocchio siamo qui per pararti il culo.”

“VOI, ho appena sterminato mezza squadra, non mi servite.”

“Veramente ci sono cinquanta uomini in arrivo, Squalo senpai.” disse Fran, sempre con quella sua terrificante voce piatta e monotona.

“VOI! Cinquanta?”

“Ushishishishi, non preoccuparti, ci pensiamo noi...” come al solito, il tono di voce di Belphegor avrebbe fatto arricciare le orecchie a chiunque non fosse stato stupido come la merda. Ma, sapendo che la sua furia si sarebbe abbattuta altrove, Squalo si sentì assurdamente protetto.

 

“Tsuna.” disse Gokudera, e il sorriso svanì dalle labbra di Tsuna, ancora sulla soglia.

“Hayato?” ribatté, terrorizzato.

“Tu vuoi fare l'amore. Io voglio fare l'amore. Ma a una condizione.”

“Dimmi. Anzi, per prima cosa entra.” Tsuna si fece di lato, ma Gokudera non si mosse, anzi: scosse il capo, come per rifiutare. Ormai Tsuna era sull'orlo di un attacco di panico.

“No, prima prometti. Mi lascerai stare sotto.” Tsuna fissò Gokudera. Negli occhi verdi del suo ragazzo c'era un fiera decisione, una forza che lui non sarebbe mai riuscito a scalfire. Sapeva perché lui gli stava imponendo quella condizione e se ne sentì commosso: non solo perché, dalla sua prospettiva, Gokudera si stava quasi letteralmente immolando al posto suo, ma anche perché gli stava dando tutta la propria fiducia.

“Lo prometto, Hayato, adesso entra, per favore. Non c'è nessuno in casa.” Gokudera fece un coraggioso passo avanti, e Tsuna si lanciò tra le sue braccia.

 

“Cazzo, cazzo, cazzo. Cazzo, QUALCUNO CHIAMI UN'AMBULANZA!” urlò Chiara. Si avvicinò a Viola, che si lasciò sostenere da lei. Era indecisa se tentare la vecchia tattica dei minatori, partorire in piedi reggendosi a qualcosa, oppure se gettarsi a terra e fregarsene del fatto che di certo non stava sdraiata su un lettino sanitizzato.

Una delle colleghe più anziane, Ornella, corse verso di loro: “Che succede?” chiese.

“Vivi sta partorendo! Si sono rotte le acque!” gemette Chiara.

“Viola, come ti senti? La schiena? La pancia?” in tutta risposta, Viola lanciò un lungo gemito di dolore. Ornella chiamò: “Alice! Alice, vieni qui a darci una mano! Non c'è tempo di chiamare un'ambulanza! Vi, capisci quello che dico?” Viola annuì.

Alice accorse; era una ragazza cresciuta nei bassifondi, che aveva qualche vaga competenza medica dovuta dal fatto che spesso non era stata in condizione di chiamare un ospedale, e Viola si sentì più a suo agio solo per la sua presenza. Alice sbottonò i pantaloni di Viola, e senza attendere un permesso li abbassò insieme agli slip, poi allungò una mano senza parlare e decretò: “Sento la testa. Alla prossima contrazione prova a spingere.”

“Dobbiamo farla sdraiare?” chiese Chiara.

“No, reggetela e assecondatela quando si china. Se si sdraia qui adesso, si becca il tetano.”

“Coraggio, Vivi, ce la puoi fare.” disse Ornella con voce tremante.

 

Squalo ci mise un attimo a capire cosa fosse successo.

Dal suo punto di vista, c'era solo una piccola macchia sulla sua camicia. Niente di che, giusto un puntolino rosso... no, ma ecco che si stava allargando a una velocità allarmante.

Sotto la gabbia toracica, a destra... parte alta dell'addome. Merda. Il fegato.

Fran gli si avvicinò e chiese: “Lo sapevi che gli assorbenti interni sono stati inventati per tamponare i fori di proiettile?”

“VOI! Cosa cazzo stai...?” un dolore lancinante, come se qualcuno stesse effettivamente ficcando un assorbente interno nel foro di proiettile che lo trapassava parte a parte. Squalo ebbe il tempo di chiedersi cosa ci facesse Fran, all'ultimo censimento sprovvisto di vagina, con un assorbente interno, poi svenne.

 

I vestiti erano rimasti dietro di loro, uno dopo l'altro.

Ora, Tsuna e Gokudera erano sdraiati, pelle contro pelle, sul tappeto: non ce l'avevano fatta a percorrere quell'ultimo paio di metri fino al letto.

Tsuna trovò il coraggio di staccarsi dalla bocca di Gokudera e chiese: “Cosa devo fare?”

“Niente di che, Tsuna.” rispose Gokudera, poi arrossì appena “Io... io mi sono già preparato prima di venire qui.” Tsuna si intenerì.

Effettivamente, si era sentito in imbarazzo all'idea di mettere le dita proprio lì, anche se era certo che un po' di coraggio per farlo l'avrebbe trovato: quello era Gokudera Hayato, il suo ragazzo, e Tsuna avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non fargli del male. Ma ancora una volta, ecco che lui lo precedeva e gli spianava la strada. Tsuna disse: “Un giorno riuscirò a fare per te quello che tu fai per me...” bisbigliò, inginocchiato tra le sue gambe divaricate.

Gokudera, che si era girato per prendere un profilattico, si voltò e lo fissò con aria interrogativa.

“Sei... tu rendi sempre tutto più facile, mi fai ragionare, mi fai sentire al sicuro... un giorno voglio riuscirci anch'io per te.” Gokudera, con gli occhi lucidi, non riuscì a ribattere. Aprì la bustina di un profilattico e aiutò Tsuna ad infilarlo. Mentre le loro mani erano intrecciate sul membro di Tsuna, quest'ultimo aggiunse: “Ti amo così tanto, Hayato...”

 

Era come morire. Viola spinse più che poteva, augurandosi di svenire e di smetterla di sentire tutto quel dolore. Ormai non sentiva più le incitazioni delle colleghe, aveva dimenticato l'imbarazzo di essere mezza nuda nel bel mezzo della vigna, aveva dimenticato tutto tranne una sola cosa: quel bambino voleva nascere, e lei doveva aiutarlo.

Si sentiva lacerare, dentro e fuori. Scoppiò a piangere e registrò vagamente Alice che le passava un lembo di stoffa sul viso, poi tanti piccoli baci sulle guance. L'amore che le sue colleghe, che le sue amiche le stavano donando, le diede la forza per un'ultima, poderosa spinta.

Udì qualcosa che si staccava da lei, la pelle che smetteva di essere così tesa e si ammorbidiva, poi il pianto di un bambino. Mani che la spingevano a sdraiarsi, stoffa fredda e bagnata sotto di sé, il peso di qualcosa di vivo e agitato sul petto. Qualcuno la aiutò a sollevare la maglietta, e una boccuccia sdentata trovò il suo capezzolo.

 

“Il Boss ci ammazza tutti stavolta.” disse Lussuria. O almeno, Squalo credeva fosse Lussuria, gli parve di riconoscere il suo tono affettato e sollecito.

“Non se fai quel che devi fare e glielo rattoppi prima che torniamo a casa.” grugnì Levi in risposta.

Squalo perse conoscenza prima di poter commentare alcunché.

 

Non fu facile.

Tsuna scivolò dentro ad Hayato con estrema delicatezza, ma la preoccupazione di fargli male era tale da fargli avere difficoltà a mantenere l'erezione.

“Ti... ti piace, almeno un po'?” chiese. Gokudera aprì gli occhi, lucidi di lacrime, e annuì.

“Se ti faccio male me lo devi dire, va bene?” Tsuna quasi urlò.

“Amore mio...” rispose Gokudera, passandogli una mano tra i capelli, “Non mi fa male, è solo strano. Non preoccuparti per me.”

“Sì che mi preoccupo per te!” sbottò Tsuna, “Stai piangendo!”

“Solo perché è così bello che non mi sembra vero.” c'era una tale sincerità, nel tono di Gokudera, che Tsuna si convinse. Diede un piccolo, lento colpo di reni e affondò ancora un po'.

Il piacere che gli procurò quel movimento gli fece recuperare tutta la perduta durezza, ma vacillò quando una lacrima scese lungo la guancia di Gokudera.

“Hayato?”

“Ti amo, Tsuna, Dio quanto ti amo.” rispose lui, poi lo prese per i fianchi e lo trasse a sé, facendolo affondare completamente. La sensazione di caldo attorno al membro era così bella, così confortante, che Tsuna smise di farsi problemi. Gokudera era lì con lui, lui aveva l'Iper Intuito e sarebbe stato in grado di accorgersi se per caso Gokudera avesse deciso di negare il dolore per non interromperlo.

Tutto sarebbe andato per il meglio.

Tsuna indietreggiò appena, poi si sospinse di nuovo in avanti. Si sentiva goffo e imbranato, un po' scomodo con le ginocchia che sfregavano contro il tappeto, ma al contempo era come essere al centro del mondo.

Per ritardare l'orgasmo, cercò di ripensare a tutto quel che aveva letto sul sesso tra due uomini. Ricordò che il punto di maggior piacere era in corrispondenza della prostata, e con una bella manciata di coraggio passò le mani sotto ai fianchi magri di Gokudera per sollevargli il bacino.

“Tsuna, cosa... OHH!” Gokudera rovesciò la testa all'indietro e Tsuna capì di averci visto giusto.

Continuò ad insistere su quello stesso punto, mentre la voce di Gokudera si alzava in gemiti rotti di piacere e le sue dita artigliavano il tappeto.

Quando Gokudera venne, eruttando un fiotto di sperma che bagnò entrambi, Tsuna smise di opporre resistenza all'orgasmo: eiaculò a sua volta, poi si accasciò sul petto di Gokudera.

 

Viola era a letto, e il suo bambino, Robin, si era appena addormentato su di lei, dopo aver bevuto una quantità di latte davvero allucinante.

Gli accarezzò la testolina, già coperta di capelli riccioluti e nerissimi, come quelli della maggior parte dei Bovino appena nati; era un miracolo, ed era stata lei a farlo. Robin aprì gli occhi, ed ecco qualcosa di nuovo: il normale blu scuro delle iridi dei neonati già virava verso un verde brillante. Viola ricordò gli occhi di Gokudera e la nostalgia nei suoi confronti quasi la sconvolse. Cercò di immaginarsi tutti i commentini del cavolo che lui avrebbe fatto per stemperare la tensione, e d'istinto prese la decisione di insegnare a Robin anche il giapponese, oltre all'italiano.

Robin frignò appena e Viola, sconvolta dalla quantità di cibo che il piccolo sembrava in grado di ingerire, lo voltò perché avesse accesso all'altro seno. Mentre lo guardava mangiare, cercò di tradurre la vecchia ninnananna dei Bovino: erano dei pezzi di merda, mentre Suor Aloisia che sarebbe arrivata a breve con un pasto caldo era un amore di donna, ma Viola era vulnerabile e sentiva nostalgia di casa. L'assenza di Dani e quella di Gokudera pesavano come macigni, e Viola si ritrovò a supplicare il destino di farle scorgere qualcosa che appartenesse al suo vecchio mondo, fosse anche quella pazzoide androgina che andava sotto il nome di Skull de Mort.

Ma nulla giunse a lenire la sua nostalgia di casa, e quando Robin decise di aver mangiato abbastanza ricominciò a frignare, riportandola con i piedi per terra: non c'era tempo per soffrire adesso, e non ce ne sarebbe stato ancora per un po'. Ora c'erano solo Viola e Robin, da soli contro il mondo. Mentre si appoggiava il piccolo sulla spalla per fargli fare il ruttino, Viola canticchiò tra le lacrime: “Kimi wa dare da... boku wa Lambo... boku wa dare da... kimi wa Lambo... Lambo, Lambo, naisu no koshi no bomberhead...”

 

“VOOOIII!” Squalo si annunciò, rientrando a Villa Varia.

Lussuria ci aveva messo tre ore e adesso era esausto, ma era in qualche modo riuscito a curarlo alla perfezione. Il fegato per fortuna non era andato completamente, il proiettile aveva lasciato intatto quel tanto che bastava per non costringerlo a sottoporsi ad un altro trapianto di organi, per quanto nei mesi successivi sarebbe senz'altro stato costretto a rallentare il ritmo degli allenamenti.

“Era ora, Feccia.” lo riprese Xanxus, senza nemmeno alzare il culo dall'ufficio. Squalo si sentì smontare come della panna lasciata per troppo tempo a contatto con l'aria aperta, poi Fran gli tirò una manica: “Squalo senpai.”

“VOI! Che c'è?” chiese. Ancora non sapeva come approcciarsi al ragazzino, nonostante fosse con loro da più di cinque anni: e dopo che quel pazzoide gli aveva ficcato un assorbente fatto di illusioni in una ferita aperta, Squalo era ancora più perplesso riguardo le loro interazioni.

“Posso andare avanti io?” Squalo sollevò un sopracciglio, poi si strinse nelle spalle: “Come vuoi.”

“Boss!” chiamò Fran, avviandosi lungo il corridoio. Zoppicava appena: aveva preso a sua volta un colpo all'anca, ma nulla di grave: per di più, quell'aggressione aveva spinto Belphegor ad un'esplosione di collera che aveva lasciato traumatizzato persino Levi, e che aveva garantito ai Varia la vittoria. Vittoria con zero superstiti dall'altra parte.

Di colpo, Squalo si sentì stanco morto.

“Boss, siamo tutti vivi e stiamo più o meno bene, ma Squalo senpai se l'è vista brutta. Secondo me devi dare un aumento a Lu...” Fran si interruppe bruscamente, e Belphegor protestò, ma nessuno dei due riuscì a fermare Xanxus nella sua folle corsa verso Squalo.

Il Boss dei Varia si fermò solo quando ebbe il suo Vice Comandante tra le braccia.

 

Tsuna e Gokudera si spostarono a letto.

Beandosi della possibilità di poter dormire da soli, per una volta, chiacchierarono a lungo sull'assurdità del fatto che non solo Hibari sembrava aver preso Lambo sotto la propria ala, ma che addirittura gli aveva concesso di chiamarlo “Zio Kyoya”.

Gokudera rise sonoramente a quell'appellativo, e Tsuna cominciò a ripeterlo solo per farlo ridere.

“Dame Tsuna.” chiamò una voce.

“HIIIEEE!” urlò Tsuna, tirandosi le lenzuola a coprire il petto.

Reborn ghignò.

“Dimmi che sei lì da poco.” disse Tsuna, dopo una lunga pausa dovuta all'improvviso sciopero di neuroni. Reborn alzò un sopracciglio, poi parve decidere per un po' di clemenza: “Sono appena arrivato. Volevo solo informarti che il Consiglio è stato smantellato.”

“Oh, bene! Allora adesso possiamo...”

“No.” Reborn si appoggiò allo stipite della porta, mentre anche Gokudera si metteva seduto di fianco a Tsuna.

“Perché?”

“Per ora, non è prudente. Lasciami prima sondare le acque.”

“Reborn ha ragione.” disse Gokudera a bassa voce, “Non mi perdonerei mai se qualcuno ti attaccasse solo per degli stupidi motivi omofobici, Tsuna.” quest'ultimo meditò a lungo, infine annuì.

“Va bene.” concesse, “Ma sappi che non ho intenzione di starmene nascosto nell'armadio per tutta la vita, ok? Amo Hayato e voglio urlarlo al mondo intero.” Reborn non replicò, ma il suo sguardo sembrò essersi intenerito.

“Adesso vi lascio, ho delle cose da fare... Hibari mi ha chiesto di passare da lui per la torta.”

“Già che sei lì, controlla che non sia un clone alieno, per favore.” disse Gokudera, scherzando solo a metà. Reborn sogghignò di nuovo.

“Spero che non abbiate fatto l'amore in ginocchio sul tappeto, Dame Tsuna. Altrimenti tanti auguri per le escoriazioni.” disse, poi sparì, fiero di essersi assicurato l'ultima parola.

 

Un paio d'ore dopo, quando Tsuna aveva già riscontrato quanto gli avrebbe fatto comodo sapere che è meglio non fare l'amore in ginocchio sul tappeto, mentre Gokudera ritirava le pizze ordinate a domicilio alla porta di casa, il cellulare del Decimo Boss dei Vongola vibrò.

Gokudera entrò nel salotto nel preciso istante in cui quel malefico aggeggio finiva di caricare la foto mandata da Xanxus: “HIIIEEE!” urlò Tsuna, poi lo lanciò sul tavolo.

“Ma cosa?!” chiese Gokudera, con della dinamite già pronta in mano. Cosa credesse di farci, lo sapeva solo lui. Guardò il cellulare e commentò: “Ow.”

“Ma perché diavolo si è messo in testa di...” Tsuna osò lanciare un'altra occhiata alla foto e comprese. Con un immane atto di coraggio, si impose di rispondere: “Sono davvero felice per voi! Complimenti, e grazie di tutto.”

“Che succede, Tsuna?” chiese Gokudera, molto perplesso.

“Guarda bene.” Tsuna mostrò la foto a Gokudera.

Ritraeva Superbi Squalo, riverso in un letto dalle lenzuola scure, chiaramente esausto e sulle soglie di un sonno ristoratore. Tralasciando il fatto che di certo la foto era stata scattata dopo un'ardente sessione di sesso, un particolare la rendeva così importante per Xanxus da spingerlo a condividerla con l'unica persona con cui si era aperto: i capelli di Squalo erano fluenti, e gli ricoprivano non solo le spalle, ma anche i glutei e la parte alta delle cosce.

Superbi Squalo era di nuovo se stesso.

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Capitolo 15
*** I Won't Take the Blame ***


"The steps of this stone church
are peppered with confetti hearts,
like a million little love affairs."






“Tsuna.” chiamò Reborn, “I Bovino vogliono una risposta.”

“Lo so.” rispose lui, meditabondo, asciugando una tazza. Gokudera, che stava finendo di lavare gli ultimi piatti della colazione di fianco a lui, gli lanciò un'occhiata.

“Qual è il problema?”

“Il problema è che non voglio mandare Lambo da solo dai Bovino.” rispose Tsuna, appoggiando la tazza asciutta. Lanciò l'asciugapiatti sul piano della cucina e si sedette nervosamente al tavolo. Gokudera chiuse l'acqua e si sedette a sua volta, e Reborn prese posto dall'altra parte del tavolo.

Tsuna si torse le mani e disse: “Voglio dire... quella è gente che l'ha mandato dall'altra parte del mondo a uccidere un killer professionista. Io non mi fido.”

“La tua preoccupazione è comprensibile.” disse Reborn, annuendo, “Ma è già la terza volta che rifiutiamo. Siamo a corto di scuse, e non possiamo dire esplicitamente la verità.”

“Perché non vai con lui?” propose Gokudera, “Magari ti riesce anche di scoprire che fine ha fatto Viola.” aggiunse, a voce più bassa.

“Tsuna?” ribatté Reborn, rivolgendosi a quello che, tecnicamente, aveva potere decisionale.

“Potrebbe essere un'idea. Ma mi devi promettere di trattarlo bene, non voglio che Lambo passi un Natale schifoso perché dobbiamo rispettare l'etichetta della Mafia.” Reborn esitò.

Sapeva che prima o poi Tsuna sarebbe giunto a quella che era forse l'unica soluzione per accontentare i Bovino e al tempo stesso sapere Lambo al sicuro, ma una parte di lui si opponeva: era consapevole del fatto che Lambo sembrava aver sviluppato una piccola cotta per lui, e non voleva rischiare che, complici le feste e gli ormoni, il ragazzino ci avrebbe provato con lui.

Infine, però, annuì: non c'era davvero altro modo. Bianchi non era bene accetta tra i Bovino, I-Pin era sveglia ma nient'altro che un'altra tredicenne ingenua, e Fuuta era troppo prezioso per mandarlo in un posto simile senza un plotone difensivo.

“Va bene, Tsuna.” confermò, poi cambiò argomento: “Voi cosa farete?” Tsuna arrossì, mentre di fianco a lui Gokudera si trasformava nell'equivalente umano di una lampadina da camera oscura.

“Natale da piccioncini, eh?” li prese in giro. I due cominciarono a balbettare frasi smozzicate su Nana che era in vacanza con Oregano, su Bianchi che si era fatta venire gli istinti materni per i vagabondi di Kokuyo Land e sul fatto che comunque una festicciola con gli altri Guardiani l'avrebbero fatta. Reborn non commentò nulla, né sulla relazione che sospettava esserci tra Nana e Oregano, né sugli istinti tutt'altro che materni di Bianchi per la Kokuyo Gang, né sulla famosa festicciola, che sapeva non sarebbe durata certo tutta notte perché in Giappone il Natale è una festa romantica, e poco ma sicuro né Ryohei né Yamamoto avrebbero rinunciato ad una passeggiata sotto le luci colorate con le rispettive fidanzate.

“Bene, dunque. Chiamerò i Bovino, poi farò le valigie. Dite a Lambo di farsi trovare pronto per il primo pomeriggio.” tagliò corto Reborn, poi lasciò la cucina.

 

Tsuna sapeva che Reborn sapeva, ma onestamente se ne infischiava.

Nana, come preannunciato dal Lambo del futuro, aveva lasciato la casa a lui e Gokudera, per andare ad abitare in un piccolo appartamento non lontano, un posto che non le ricordasse Iemitsu ogni volta che si girava. Con Bianchi a Kokuyo Land, Reborn e Lambo ai Giardini Bovino, Fuuta in Italia e I-Pin in Cina assieme al suo maestro Fon, la casa sarebbe stata tutta per lui e Gokudera.

Il loro primo Natale insieme era trascorso come tutti i precedenti, con la famiglia riunita e loro che forse ancora non riuscivano a rendersi conto del tutto di essere fidanzati, ma questa volta intendeva viverselo con tutti i crismi: una festa con gli amici, dove avrebbero cercato di fare del pollo fritto almeno decente, una fetta di torta alla panna e fragole tutti insieme, e poi spazio alle coppiette.

Tsuna avrebbe staccato la testa a chiunque si fosse fatto venire la malsana idea di andare a bussare il giorno di Natale. La prospettiva che lo facesse Iemitsu gli attraversò la mente, seguita dalla folle immagine di se stesso che apriva la porta in mutande, coperto di succhiotti, e agli auguri di quel coglione rispondeva con un secco “Io e Hayato-kun stavamo facendo l'amore, torna più tardi”. Di base, l'unica cosa che gli avrebbe impedito di agire così era la non del tutto irreale ipotesi che a Iemitsu prendesse un colpo, e che lui e Gokudera avrebbero dovuto rinunciare al resto della giornata a riempire scartoffie e a spiegare al Nono cos'era successo.

 

Tsuna riguardò la camera da letto, poi si richiuse la porta alle spalle.

I loro amici sarebbero arrivati a breve per festeggiare insieme, ma Tsuna doveva fare ancora un'ultima cosa: telefonò a Reborn.

“Dame Tsuna, è la quinta volta che mi chiami, ti prego.” disse il killer.

“Lo so, ma sono preoccupato, è la prima volta che Lambo è così lontano da casa!” protestò Tsuna.

“Senti, ci sono io qui con lui, va bene? Adesso sta parlando un po' con il Boss, ma sono letteralmente fuori dalla porta. Se per qualche motivo è turbato, mi invento qualcosa, lo distraggo.”

“Hayato ha chiesto se c'è qualche notizia di Viola.”

“Don Enrico ha detto che è sotto copertura, mi ha dato tutte le informazioni della missione. Ha lasciato un messaggio dicendo che le dispiace di essere scomparsa in questa maniera.”

“Tu ci credi?” chiese Tsuna.

“Non saprei, Tsuna. Le notizie sono molto precise, ma si tratta di una situazione delicata. Ci sono di mezzo gli Incognito.” la menzione della Famiglia che aveva ucciso il fratello minore di Dino spinse Tsuna a strizzare la ringhiera della scala che stava scendendo.

“E probabilmente, se c'è una persona motivata a sterminare l'intera Famiglia, quella è Viola.” proseguì Reborn, “Io lascerei le cose come stanno. Don Enrico ha detto che manda rapporti regolari e me li ha fatti leggere. Ma se la missione dovesse durare ancora troppo, chiederò a Dino di mettersi in mezzo.”

“Grazie, lo apprezzerei.” disse Tsuna, poi raggiunse Gokudera in cucina.

“Tutto bene?” chiese.

“Sì, Tsuna, sto solo tagliando un po' di fragole!” rispose Gokudera, girandosi verso di lui. Aveva in mano un piccolo coltello da frutta. Proseguì: “Vorrei davvero mangiare la torta insieme a tutti quanti, ma...”

“Lo capisco, anch'io odierei i dolci se fossi cresciuto con Bianchi!” disse Tsuna, poi si piazzò dietro di lui e gli cinse la vita con le braccia, spiando da dietro la sua spalla.

“Quando arrivano tutti?” chiese Gokudera. Tsuna spiò l'orologio del forno e bofonchiò: “Troppo presto per i miei gusti...”

 

Lambo uscì dall'ufficio del Boss e ignorò completamente Reborn che lo aspettava.

Il killer non commentò, si limitò a seguirlo, correndo per tenere dietro alla sua andatura: Lambo aveva avuto un significativo scatto di crescita ed era adesso più alto di lui.

Reborn fermò con una manata la porta della camera a loro assegnata, che Lambo stava richiudendo con violenza dietro di sé.

“Lasciami in pace!” strillò Lambo.

“No, dimmi che cos'hai.” rispose pacatamente Reborn, seguendolo all'interno. Lambo si gettò a faccia in giù sul più vicino dei letti e nascose la testa nel piumone.

“No.”

“Dai...” insistette Reborn. Lambo non rispose, e il killer si sedette vicino a lui. Esitò, poi gli mise una mano sulla schiena e disse: “Avanti... Tsuna mi fa la pelle se scopre che hai pianto e non ti ho consolato. Dimmi cos'hai.”

“Non glielo diciamo.”

“Lambo...”

“E va bene!” il ragazzino si sedette sul letto e disse, nel tono di chi sa di frignare per nulla: “Il Boss mi chiede sempre della mia mamma, quando parliamo, ma io non so chi è. Non so neanche come si chiama, per me era mamma e basta. Ma tutte le volte...”

“Vieni qui.” disse Reborn, poi se lo trasse al petto. Dopo un po', Lambo chiese, stupito: “Non mi prendi in giro?”

“No, è un motivo più che valido per piangere.” disse Reborn. Come se avesse tolto il dito da una diga, Lambo cominciò a singhiozzare. Il killer sospirò, se lo sistemò meglio contro il petto e lasciò che si sfogasse. Quando sarebbe stato meglio, gli avrebbe preparato un po' di pane e Nutella.

Era una tattica un po' infantile, ma Reborn sapeva che funzionava.

 

Quella era una serata di scoperte.

Innanzitutto, Ryohei sapeva cucinare del pollo fritto da manuale.

Certo, se l'avesse fatto senza urlare al mondo che aveva imparato perché Hana è salutista e lui quando torna dalle maratone ha bisogno di calorie, il tutto condito da inutili divagazioni e innumerevoli varianti della parola “estremo” sarebbe stato ancora meglio, ma Tsuna si disse che non si può avere tutto dalla vita.

Un'altra scoperta era stato il talento di Yamamoto con le torte. Ridendo, l'amico aveva confessato di aver imparato con le torte di sushi per poi passare agli ingredienti dolci, poi aveva scatenato l'indignazione di Haru ammettendo di essere un po' geloso del cameriere della pasticceria preferita della ragazza, che secondo lui ci provava.

Nessuno sentì la porta che si apriva: Ryohei stava parlando al suo solito volume, Yamamoto rideva mentre Haru lo rimproverava affettuosamente per la sua gelosia, Hana era bella tranquilla sul divano con i tappi nelle orecchie e Gokudera e Tsuna si stavano baciando come se quello fosse l'ultimo momento della loro vita.

Tuttavia, a nessuno sfuggì l'indignato: “MA CHE DIAVOLO...?!” con cui Iemitsu si annunciò; calò il silenzio e persino Hana dovette accorgersene, perché si tolse i tappi.

“Ah...” disse Shamal, apparendo dietro alle spalle di Iemitsu, “Adesso un sacco di pezzi del puzzle vanno al loro posto.” nonostante il rossore sulle guance, non sembrava turbato.

Invece, Iemitsu sembrava sulle soglie di un colpo apoplettico: diede completamente di matto, coprendo Tsuna di insulti. Gokudera si parò davanti al suo fidanzato ed estrasse la dinamite, pronto a radere al suolo la casa se necessario.

Poi, Iemitsu cadde a terra come una marionetta a cui fossero stati tagliati i fili.

“Si riprenderà tra dieci minuti.” disse con calma Shamal, nel silenzio che a paragone con le urla di Iemitsu pareva quasi assordante.

“Shamal... io...” balbettò Gokudera, ma Shamal alzò una mano con calma e la agitò, come se volesse scacciare un moscerino: “Non devi dirmi niente, era già abbastanza esplicito.”

“YOSH!” sbraitò Ryohei, “Sappi che se non ti sta bene puoi levarti dalle scatole all'estremo!” Tsuna si voltò, il collo rigido, ancora traumatizzato dalle parole di Iemitsu. A sua memoria, Ryohei non aveva mai mandato via esplicitamente qualcuno, non senza cercare un confronto a pugni prima.

“Pace, Sasagawa.” disse Shamal, e finalmente sia Tsuna sia Gokudera parvero realizzare che l'uomo non aveva intenti bellicosi, “Il coglione è Iemitsu, non io.”

“Quindi... quindi...” Gokudera si guardò intorno, nel panico, e vide Yamamoto che lasciava la presa su un ciocco di legno per il camino, che stava impugnando come una mazza da baseball. Al pensiero che quell'ingenuo ragazzo sarebbe stato pronto a fracassare la testa a qualcuno per amore loro si sentì scaldare il cuore.

“Senti, Hayato, sinceramente non capisco. Nel senso, con tanti tipi di tette al mondo non riesco a capire come faccia a non piacertene nemmeno un set, ma...” Shamal fece spallucce, “Contento tu, contenti tutti, no?”

“Io...”

“Sei felice, Hayato?” chiese Shamal.

“Sì, certo che sì.” rispose Gokudera senza la minima esitazione.

“Bene, allora. Porto fuori questo cazzaro, lo faccio ubriacare.”

“Riesci ad abbandonarlo in un fosso?” chiese Tsuna, esausto e demoralizzato.

“Mettiamola così, se ci cade dentro io non lo tiro fuori.” Shamal si sistemò il bavero della giacca, “Insomma, sono vestito di bianco e la tintoria costa un sacco.” Tsuna si lasciò sfuggire una risata strozzata, poi sobbalzò quando Iemitsu emise un mugolio, segno che stava per svegliarsi.

“Lo porto fuori prima che si svegli.” ripeté Shamal, prendendo Iemitsu per la collottola, “Mi raccomando, non fate niente che io non farei.” Tsuna si sedette pesantemente sul divano e si ficcò la faccia tra le mani, gemendo. Gokudera si sedette al suo fianco e gli cinse le spalle con un braccio.

“Naturalmente...” aggiunse Shamal, rificcando la testa in salotto, “Intendo cose che non farei con una donna, di cose che non farei con un uomo mi sa che ne hai già fatte un bel po'.”

“Shamal!” protestò Gokudera.

“In gamba!” si raccomandò l'uomo, poi uscì, trascinandosi dietro Iemitsu.

“Che bello.” commentò Tsuna. Le sue parole caddero nel vuoto: non solo nessuno si aspettava l'arrivo di Iemitsu, che aveva preso accordi per l'indomani e non prima, ma nessuno si aspettava che l'uomo, per quanto notoriamente non fosse di mente aperta, avrebbe coperto il figlio di insulti, così dal nulla, senza nemmeno salutare.

Né Tsuna né Gokudera notarono gli sguardi che si scambiarono i loro amici, troppo intenti ad abbracciarsi a vicenda per ricercare un minimo di conforto l'uno nell'altro.

“Oi, Sawada!” chiamò Ryohei.

“Eh?”

“Io sono stanco all'estremo! Che, ce l'avresti un futon per me e Hana?”

“Maa, maa, se restate voi allora restiamo anche noi!” si intromise Yamamoto.

“HAHI! Facciamo un pigiama party?”

“ESTREMOOO!”

 

Viola avvolse il piccolo Robin in una copertina e lo adagiò sul letto di fianco a sé, poi accese la televisione e si sintonizzò su un film di Natale, tenendo il volume basso per non svegliare il bambino. Anche se, doveva ammetterlo, probabilmente anche una banda non avrebbe interrotto il suo sonno, dopo la giornata di festa e regali che le sue colleghe avevano organizzato a sua insaputa: erano apparse verso le dieci del mattino, inconsapevolmente impedendo a Viola di uscire di casa e di andare a cercare Villa Cavallone, seguite da Suor Aloisia e dal medico della struttura di accoglienza delle suore, vestito da Babbo Natale e con in spalla un enorme sacco carico di regali per Robin. Viola aveva così passato la giornata a guardare il bambino che si divertiva, e verso metà pomeriggio era addirittura riuscita a ridere sinceramente per la prima volta da più di un anno, alla vista del faccino perplesso e contratto che Robin aveva fatto assaggiando un pezzo di ananas.

Quando poi Robin aveva cominciato a rognare un po', chiaro segno che era passata l'ora di andare a nanna, le colleghe si erano congedate con calore, lasciando Viola in quel che restava di un piccolo bozzolo caldo.

Ma ora che era di nuovo sola con il piccolo, davanti a un banale film di Natale, a chiedersi perché diavolo tutti i film del periodo sembravano passare il messaggio che devi per forza trovarti un partner, di nuovo la nostalgia per ciò che era stato la assaliva.

Chiuse gli occhi, si strinse il bambino al petto e immaginò di essere con Dani: sposati ormai da un anno, nella grande villa dei Cavallone, al termine di una noiosa festa con altri boss mafiosi, finalmente liberi da impegni sociali e liberi di godersi il loro bambino.

Viola si accoccolò nel piumone e quasi sentì per davvero le braccia di Dani che la stringevano.

 

Tsuna scavalcò Ryohei che russava come un trombone, Hana serenissima con i tappi di nuovo al loro posto, Haru e Yamamoto che erano un solo essere, abbracciati l'uno all'altro come due koala, e scese silenziosamente al piano di sotto.

Gokudera era sul terrazzo, avvolto in una coperta, e fumava una sigaretta.

“Beh, la serata non è andata come prevista.” disse Tsuna, portandosi al suo fianco. Gokudera voltò la testa per non soffiargli addosso il fumo, fece un ultimo rapido tiro poi aprì la coperta per accoglierlo in un caldo abbraccio. Tsuna si adagiò al suo petto e inspirò: c'era qualcosa di affascinante nell'odore di fumo mescolato a quello della pelle di Gokudera.

“Però abbiamo scoperto una cosa importante.” disse Gokudera, inaspettatamente, e Tsuna sollevò il viso per guardarlo in faccia: era strano che un pessimista nato come lui fosse riuscito a trovare un lato positivo in quel casino.

“Sarebbe?” chiese Tsuna. Gokudera sorrise, e Tsuna notò solo in quel momento che aveva le lacrime agli occhi: “I nostri amici ci difenderebbero senza esitazione, da chiunque.” disse.

Tsuna alzò le braccia e gli asciugò due piccole lacrime ribelli che erano riuscite a sfuggire alla prigione delle sue ciglia: “Hai perfettamente ragione.”

“Ne vale la pena, Tsuna.” aggiunse Gokudera, sorridendo, “Vale la pena soffrire e combattere, se qualcuno ti ama.”

“Buon Natale, Hayato.”

“Buon Natale, Tsuna.”







Buon Natale a tutti, e per citare il piccolo Tim in Canto di Natale, "Che il Signore (inteso come Giotto) ci benedica tutti quanti!"
Divertitevi, mangiate senza pensare alla dieta, non uccidete i parenti che in galera secondo me il wifi fa schifo, vi voglio bene (mandatory una volta all'anno che ve lo dico)
Ciaossu!

 

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Capitolo 16
*** Be My Downfall ***


Well the night is coming down,
drowning us in blue,
and it all points towards the things we
know we shouldn't do.







“Tsuna?” chiamò dolcemente Gokudera, sfiorando il gomito del suo ragazzo con la punta delle dita. Avrebbe azzardato di più, Tsuna sembrava uno che aveva chiaramente bisogno di un abbraccio, ma erano appena sbarcati a Mafia Land e non potevano permettersi effusioni pubbliche.

“Eh? Ah? Cosa?” rispose Tsuna, voltandosi di scatto.

“Sei nervoso... cos'hai? È il tuo Iper Intuito?” chiese Gokudera, allarmato.

“Ah, io.. no, no, tranquillo, è che...” Tsuna si avvicinò a Gokudera, che dovette farsi violenza per non baciarlo sulle labbra, e proseguì: “Ma tu ci credi davvero che Reborn ci ha lasciati andare in vacanza? Voglio dire... Reborn.” Gokudera sogghignò.

“Non...” Gokudera si discostò da Tsuna, vedendo che un facchino dell'hotel si stava avvicinando, e proseguì in tono più deferente: “Non preoccupatevi, Decimo, con me siete al sicuro. Terrò un occhio aperto per qualsiasi cosa.”

 

“Ancora non capisco perché, con tutte le persone, hai voluto portarci me.” disse Lambo.

Reborn non alzò gli occhi dalla valigia che stava svuotando e rispose: “Perché era l'unica soluzione che mi offrisse una scusa.”

“Puoi non parlare per enigmi, grazie?” ribatté Lambo, “Forse non sei stato ancora informato, ma non sei la Sibilla Cumana.”

“Tu sei qui per un corso di formazione con Colonnello. Sei l'unico che ancora non ci sia passato. E io sono qui a farti da baby sitter.” Lambo trattenne le rimostranze sul fatto di non aver bisogno di una baby sitter e chiese: “Se trattengo il respiro fino a morire sono esonerato?”

“No.” rispose Reborn, poi si tolse la giacca, la appese al servo muto di fianco al comodino e si gettò sul letto, le mani dietro la testa. Si calò il fedora sulla faccia e proseguì: “Ti conviene farti un sonnellino. Cominciamo domani alle sei.”

Lambo aprì la bocca per ribattere, ma Reborn stava già russando. Sarebbe stato un inferno.

 

“Aspetta, ti metto la crema sulla schiena.” disse Tsuna. Gokudera si guardò in giro, sospettoso, e Tsuna insistette: “Dai, ok che è contatto fisico, ma è anche buonsenso. Cosa mi porto a fare il mio braccio destro in vacanza se poi non gli metto la crema sulla schiena e lui passa la vacanza a farsi un trapianto di pelle in infermeria?” Gokudera arrossì visibilmente sotto allo strato di crema solare che si era spalmato in viso e si voltò.

Tsuna represse una risatina: Gokudera era ancora più bianco del solito, glassato da capo a piedi di crema solare a protezione ottanta. Ma, d'altronde, il suo parziale albinismo lo rendeva sensibilissimo ai raggi solari, anche sotto all'ombrellone.

Gli spalmò la crema sulla schiena, ripensando alla notte appena trascorsa: la delusione di scoprire che Reborn aveva prenotato una camera doppia ma non matrimoniale era stata presto rimpiazzata dalla gioia di scoprire che c'era nientemeno che una vasca da bagno con idromassaggio.

“Dimmi qualcosa di triste da pensare.” disse.

“Mh, non saprei, la fame nel mondo?” rispose Gokudera.

“Ci sta. Grazie.”

“Perché?”

“Mi sono messo a pensare alla nostra serata nella vasca da bagno.” Gokudera si irrigidì sotto al suo tocco, poi cominciò a ripetere ossessivamente: “Graffette. Post-it. Penne a sfera. Graffette...”

“Ti senti bene?”

“Pensare ad articoli di cancelleria mi aiuta a farmi passare le erezioni. Dio, odio le penne a sfera, dopo un po' l'inchiostro esce male e lascia i grumi.”

“Si spatasciano sul foglio, hai ragione.” concordò Tsuna, poi disse: “Fatto. C'è più crema addosso a te che marmellata sulle fette biscottate di Lambo.”

“Se mi ustiono anche così sono da far studiare.” Tsuna ghignò, poi si sdraiò sul telo da mare e lasciò andare un sospiro di sollievo. Per quanto incredibile sembrasse, erano davvero in vacanza, e anche se avrebbero dovuto fare attenzione a non scoprirsi era meraviglioso passare del tempo da soli, senza avere intorno tutto il caos Vongola di casa Sawada. E Xanxus aveva persino promesso di non telefonare. “Che pace...” disse Tsuna.

 

“Posso morire adesso?!” chiese Lambo, aggrappandosi all'ultimo moschettone per aiutarsi a rimontare sul pianoro che sormontava la falesia appena scalata.

Due mani grandi e callose lo presero per la maglietta e lo sollevarono, lanciandolo sull'erba come se niente fosse: “Negativo, kora!” Lambo si rotolò sulla schiena e alzò i pugni, preso alla sprovvista. Reborn gli aveva detto che Colonnello sarebbe stato in ritardo e che avrebbero cominciato senza di lui, non si aspettava certo di trovarlo in cima alla falesia.

E invece eccolo lì, e... diamine, se era bello.

Quell'apparizione divina gli porse una bottiglietta d'acqua e un asciugamano: “Ti concedo cinque minuti di riposo, kora.”

“Ah, io... grazie.” rispose Lambo, biascicando un po'.

“L'hai tirato su tu?” chiese Reborn, apparendo da dietro le spalle di Colonnello. Lambo si sbrodolò con l'acqua: “E tu da dove sbuchi? Eri di sotto!”

“C'è il sentiero.” rispose Reborn.

“No, è riuscito a rimontare da solo. Devo dire che le premesse non sono malaccio, kora.”

“Se lo dici tu.” Lambo assistette allo scambio di battute tra Reborn e Colonnello senza parlare: non aveva più fiato dopo ventinove metri di scalata.

“Il prossimo passo?”

“Un po' di riscaldamento, kora.”

“Riscaldamento? Ma se sto già sudando l'anima!”

“Perché non sei allenato, kora! Avanti, a terra, flessioni!”

 

Nel pomeriggio, le nuvole coprirono il sole per un po', e Gokudera si convinse a uscire da sotto l'ombrellone. Dietro insistenza di Tsuna, giocarono a palla nell'acqua bassa; un gruppo di bambini si unì a loro, e fu molto divertente. I genitori, intimoriti, avevano tentato di impedire ai loro figli di disturbare Vongola Decimo, ma Tsuna si era mostrato adorabile come sempre e aveva allegramente detto loro che non era un disturbo, che si stavano divertendo.

Gokudera, le labbra incurvate da un lieve sorriso, si chiese se Tsuna si rendesse conto di quanto fosse bello, lì a sorridere e giocare, coperto da goccioline d'acqua salata. Il sorriso sincero che aveva rivolto ai genitori dei bambini l'aveva probabilmente fatto eleggere seduta stante Miglior Boss Mafioso di Sempre, e Tsuna nemmeno lo sapeva.

Ed era questo il bello di lui, questa sua genuinità, il suo animo buono e gentile.

Gokudera si ritirò nuovamente sotto l'ombrellone quando le nuvole si dissiparono un po', lo sguardo fisso su Tsuna che continuava a giocare. Tsuna ci mise una manciata di secondi a notare che Gokudera non era più con lui: lo cercò con lo sguardo, e quando lo trovò alzò una mano in un vibrante cenno di saluto a cui Gokudera rispose sollevando una mano.

Dio, quanto lo amava.

 

“Lo porto io.” Lambo sentì dire a Reborn, riprendendo conoscenza per un attimo. Tuttavia, non mosse un muscolo: non perché ardesse dalla voglia di farsi portare in braccio, cioè anche, ma soprattutto perché l'allenamento di Colonnello era stato così intenso da fargli stirare muscoli che nemmeno sapeva di avere.

“Fagli fare un bagno caldo, kora. Avrà i muscoli accartocciati.”

“Questo perché il suo massimo di allenamento è il sollevamento della forchetta.”

“E allora lo vedi che sei un coglione, kora? Dovevi dirmelo!” Lambo gemette. Sentirsi difendere da quella divina entità che era Colonnello era un sogno.

“E lui è un pappamolle.”

“Sì, e di chi è la colpa, kora? Se nessuno si è degnato di allenarlo fino ad oggi, non è colpa sua.”

“Lambo. Sei vivo?” chiese Reborn. La punta del suo piede lo scosse, e Lambo emise un suono non compromettente: non era certo di sapere la risposta.

“Andiamo, kora.” disse Colonnello, e la sua voce era molto più vicina di quanto fosse un attimo prima, “Io lo porto giù, tu vai avanti e gli prepari la vasca da bagno, kora.”

“Ho detto che lo porto io.” ribatté Reborn. Colonnello lo ignorò: Lambo si sentì sollevare da braccia muscolose e si ritrovò a cavalluccio sulla schiena dell'uomo più sexy mai esistito.

“Riesci a tenerti aggrappato alle mie spalle, kora?” chiese Colonnello. Lambo annuì e gli circondò le spalle con le braccia. Fu ricompensato da un “bravo ragazzo” che gli riecheggiò nei lombi.

“Tu sei gentile con me. Lui no.” biascicò Lambo mentre si faceva portare giù dalla collina su cui si erano allenati tutto il giorno.

“Reborn è un po' testa di cazzo alle volte, kora. Ma fidati di me, ora che ho testato il tuo livello posso calibrare meglio l'allenamento.” Lambo si appisolò, o forse perse conoscenza.

 

Tsuna entrò nella stanza subito dopo Gokudera, che aveva voluto entrare per primo per controllare che non ci fossero intrusi. Tsuna non aveva obiettato per il semplice fatto che i pantaloncini da spiaggia di Gokudera gli facevano il culo più bello del mondo.

Troppo preso a rimirargli le chiappe, fu colto alla sprovvista quando, non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, Gokudera lo prese per il viso e lo baciò.

Sapeva di sabbia e di crema solare, ma Tsuna non si lamentò: passare la giornata così vicino a Gokudera, che se ne stava seminudo sulla sdraio di fianco a lui era sembrato quasi un gioco erotico. Tsuna rispose al bacio con entusiasmo e abbassò i calzoncini di Gokudera, poi si staccò per dirgli: “Vedevo la forma del tuo cazzo sotto la stoffa e morivo dalla voglia di succhiartelo.” Gokudera sussultò e arrossì. Era raro che Tsuna si lasciasse andare a frasi del genere, e ogni volta era una meraviglia. Gemette al tocco della sua mano sul pene e si lasciò spingere nella stanza da bagno.

Si lavarono a vicenda, e quando Tsuna spinse Gokudera a sedersi su uno sgabellino per concedergli di mettergli il balsamo più comodamente, Gokudera si ritrovò a sorridere come un idiota, al tempo stesso eccitato e intenerito dal tocco delle dita di Tsuna tra i capelli.

Poi, Tsuna spinse in avanti il bacino e Gokudera avvertì la sua erezione contro la pelle. Non attese, non domandò un permesso: si girò sullo sgabello, chinò il capo e lo prese in bocca.

“Ah, Hayato kun...” gemette Tsuna, tenendolo stretto a sé.

Pochi minuti dopo, mentre si lasciava spingere a gattoni con il petto contro lo sgabello, Gokudera pensò che forse la vita poteva davvero essere bella.

Sì, confermò a se stesso quando Tsuna entrò in lui, anche senza il forse.

 

Lambo rimase nella vasca da bagno fin quando l'acqua non diventò troppo fredda per i suoi gusti.

Privato dalla forza negli arti, strisciò fuori in qualche modo e strattonò l'accappatoio per farlo cadere dallo sgabello su cui era posato.

Si puntellò alla parete per mettersi in piedi e aprì la porta.

Per poco non decise di richiuderla, poi si fece coraggio e si lanciò con passi tremanti verso il proprio letto. Sull'altro erano seduti Reborn e Colonnello, belli rilassati con un bicchiere di birra in mano. O forse era un'allucinazione erotica, Lambo aveva meditato di farsi una sega ma gli facevano troppo male le braccia. Si lasciò cadere di faccia sul letto, e stava già per crollare addormentato quando l'accappatoio gli venne strappato di dosso. Sobbalzò con immenso dolore.

“Oi! Che diamine...?”

“Sta' giù, ragazzo, kora. Ti faccio un massaggio.” disse Colonnello, poi lo spinse a sdraiarsi di nuovo. Mentre le sue mani spalmavano olio per massaggi sui suoi muscoli stanchi, Lambo udì Reborn commentare: “Lo stai coccolando troppo.”

“E tu non lo stai coccolando abbastanza, kora.” Dio, che uomo meraviglioso...

 

Di fronte al dolce, Tsuna propose: “Ti va se dopo andiamo a fare una passeggiata in spiaggia?”

“Non credi... non credete che sia un po' troppo romantico, Decimo?” chiese Gokudera. In pubblico cercava di trattarlo con l'usuale deferenza, ma dopo averlo avuto dentro di sé non era per niente facile. Un angolo delirante del suo cervello, incoraggiato anche dall'ottimo vino, gli chiedeva perché diamine dovesse dargli del voi quando avevano fatto sesso sei volte nelle ultime ventiquattro ore. Per fortuna, un altro angolo delirante del cervello tendeva a restituirgli un'altra versione della parola “VOI”: urlata da Superbi Squalo, previsione realistica di come sarebbero andate le cose se in effetti fosse trapelata la notizia che il Decimo Boss dei Vongola stava col suo braccio destro.

“Il tuo Boss ti ha detto che vuole passeggiare sulla spiaggia. Che fai, gli dici di no?”

“Naturalmente, ogni vostro desiderio è un ordine, Decimo.” Tsuna si sporse verso di lui e Gokudera porse l'orecchio, temendo che Tsuna fosse un po' ubriaco e stesse per baciarlo di fronte a tutti. Ma dirgli qualche parola era proprio ciò che Tsuna aveva in mente: “Adesso che mi chiami per nome, quando mi chiami Decimo mi sembra un gioco di ruolo. Mi fa eccitare un sacco.”

“Tsu... De... Decimo...”

“Finisci il tuo dolce, Gokudera kun, facciamo quella passeggiata.”

 

“Ti devi lamentare ancora?” chiese Reborn. Stavano passeggiando sul lungomare e Lambo stava mangiando un cono gelato più grande di lui, ma ciò non gli impediva di lagnarsi.

“Mi scricchiolano le ossa ogni volta che alzo il braccio per leccare il gelato.”

“Senti, ti ho portato fuori, ti ho comprato il gelato, che altro vuoi?”

“Se fossi un po' meno rotto dappertutto, sarebbe bellissimo, cioè apprezzo che stai cercando di far capire a Colonnello che non è vero che non mi coccoli abbastanza.”

“Beh, la prossima volta gli darò ragione e basta. Piccolo ingrato...” Lambo rispose qualcosa su del gelato squagliato da poter bere con la cannuccia, ma Reborn non lo ascoltò: stava cercando di impedire alla propria mente di notare la somiglianza tra Lambo che passava la lingua tra due gusti di gelato e Lambo che passava la lingua tra due palle di tipo ben diverso.

Non andava bene.

Non andava bene proprio per niente.

Poi, Lambo gli tirò una gomitata: “Oi, Reborn!”

“Che c'è adesso?” ribatté sgarbatamente.

“Quelli non sono Tsuna nii e Gokudera? Ma... è il caso? No, vero?”

“No, certo che no, cazzo. Io li faccio fuori.”

 

Tsuna era l'uomo più felice del mondo.

Piacevolmente brillo ma non ubriaco, i pantaloni arrotolati fin quasi al ginocchio, una mano che teneva le scarpe e l'altra con le dita intrecciate a quelle di Gokudera, le onde lievi del mare a lambirgli le caviglie e solo la luce della luna e delle stelle a illuminarli.

Il silenzio era interrotto solo dal tenue sciacquio del mare e da lontane voci di chiacchiere sommesse. La sabbia bagnata che scivolava sotto i loro piedi nudi era gradevolmente fresca dopo tutto il sole preso quel giorno, e la mano di Gokudera era fresca e solida nella sua.

Mai prima di allora Tsuna si era sentito di appartenere così tanto, né a un luogo né a una persona, ma in quel momento e in quel posto finalmente si sentiva a casa.

E la cosa migliore era che non credeva che la spiaggia di Mafia Land avesse molto a che fare con la sua sensazione: era Gokudera Hayato, la sua presenza, il suo amore così forte da essere quasi percepibile a livello fisico.

D'impulso, chiese: “Hayato, mi vuoi sposare?” Gokudera si immobilizzò.

“Co... davvero?”

“Sì, davvero. Non ho ancora un anello, ma... mi vuoi sposare?”

“Oh, Tsuna, sì! Sì che ti voglio sposare!”

“Quando?”

“Fosse per me, anche subito, ma non...”

“Ehilà! Chi si vede!” chiamò una voce. Immediatamente, Gokudera sottrasse la mano da quella di Tsuna. Non appena la persona fu abbastanza vicina da essere riconoscibile, chiese: “E tu che cazzo ci fai qui, Lambo?!”

“E a voi, che cazzo vi dice il cervello? Mano nella mano, davvero?”

“Dai, non c'è nessuno in giro!” protestò Tsuna.

“Non c'è nessuno adesso, perché Colonnello sta distraendo tutti. Ma prima abbiamo visto un paio di persone abbastanza vicine da vedervi.”

“Non mi hai ancora detto che cazzo ci fai qui!” ringhiò Gokudera.

“Allenamento con Colonnello.” rispose Lambo “C'è anche Reborn, probabilmente ha approfittato per tenervi sott'occhio.”

“Si fiderà mai di me?” si lamentò Tsuna.

“No, se appena si gira dall'altra parte tu fai l'esatto contrario di quel che ti ha detto. E dai, Tsuna nii!” Tsuna si afflosciò e ammise: “Hai ragione... miseria, e adesso?”

“Ti aggiorno dopo. Ha detto che faceva qualche telefonata, credo stia cercando di salvare il salvabile.” Gokudera annuì, e mentre Lambo si allontanava disse a Tsuna: “Mi dispiace. Non ci ho minimamente pensato, avrei dovuto...”

“Hayato, eravamo in due a tenerci per mano. Non fartene una colpa.” Gokudera ci pensò su un po', poi annuì. Il cuore di Tsuna si riempì di orgoglio: il vecchio Gokudera si sarebbe fatto carico della responsabilità totale dell'accaduto, ma ora era cresciuto, era guarito abbastanza da poter ammettere che entrambi erano stati sciocchi.

“Facciamo così, torniamo in stanza e facciamo un bel bagno caldo.” proseguì Tsuna. Moriva dalla voglia di prendere il viso di Gokudera tra le mani e depositare un bacio sulle sue labbra: “Aspettiamo di sapere cosa farà Reborn, godiamoci la vita prima che ci trasformi in due scolapasta e valutiamo le opzioni per quella cosa che abbiamo appena deciso di fare.”

“Ogni vostro desiderio è un ordine, Decimo.”

“Adesso lo stai facendo apposta.” Gokudera esitò, poi ammise: “Sì, un po' sì.” Tsuna rise di cuore.

 

Lambo entrò nella stanza che divideva con Reborn mentre il killer lanciava il cellulare sul letto e sospirava. Chiese: “Novità?”

“Ho dovuto riscuotere tutti i favori che avevo da riscuotere, ma la notizia non trapelerà. Le persone che l'hanno visto sono state pagate profumatamente per credere che sia stato un equivoco.”

“Bene, suppongo.”

“Tutto considerato, sì.” concordò Reborn, poi si slacciò i gemelli dai polsini della camicia e cominciò a sbottonarla.

“E loro?”

“Gli ho fatto notare che non era il caso. Ahodera ha fatto un po' il cazzone come al solito, ma si sono resi conto. Niente urla, non abbiamo attirato l'attenzione.”

“Bene.” Mentre Lambo si liberava con fatica della maglietta, Reborn si voltò a guardarlo.

Era cresciuto, si disse. Non era una considerazione di carattere sessuale, ma mentale. Se non ci fosse stato lui, Reborn non avrebbe saputo reagire con freddezza: avrebbe semplicemente risposto con uno scatto di rabbia, che era giustificato in quanto il suo studente gli aveva disobbedito a rischio di provocare un grosso problema, ma che avrebbe solo peggiorato la situazione.

“Senti... Lambo...”

“Mh?”

“Complimenti. Hai gestito molto bene la faccenda. Hai agito in maniera fredda e calcolata. È una capacità eccellente, nel nostro mondo.” Lambo si voltò; era rosso in viso.

“Oh, io... grazie.” Reborn gli rivolse un piccolo sorriso, poi disse: “Avanti, adesso ti concedo di farti una dormita. Domani la sveglia è alle sette, perché Colonnello è troppo buono.”

“Ti avverto che potrei entrare in coma per una settimana.” ribatté Lambo. Reborn si voltò per sfuggire alla sensazione di sorridergli apertamente.

“Ti avverto che se lo fai ti sveglio a calci nel culo. Buonanotte.”

“Mai una gioia con te, eh? 'Notte, Reborn.”

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