La cerca delle vesti

di KiaeAlterEgo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La maledizione ***
Capitolo 2: *** I boccioli ***
Capitolo 3: *** La mazza ***
Capitolo 4: *** Mary ***
Capitolo 5: *** Il completamento ***



Capitolo 1
*** La maledizione ***


I. La maledizione

 

 

«Ci sono gemme nella montagna che anch’io desidero: gemme bianche, di pura luce stellare. Io ti offro il mio aiuto». Le parole uscirono dalla bocca di Thranduil, guidate da chissà quale pensiero dimenticato dalle Potenze.  

Assurdo. 

Non solo sapeva che il Nano davanti a lui era Thorin Scudodiquercia, ma sapeva anche che stava cercando di intrufolarsi a Erebor per riappropriarsi dell’Archengemma. 

Da dove gli arrivava quella conoscenza? Era sicuro di averlo portato al suo cospetto per capire perché lo sfrontato e la sua compagnia puzzona avessero interrotto ben tre delle loro feste nel bosco. 

Il Nano arricciò le labbra e lo fissò. «Ti ascolto». 

Doveva svincolarsi da quella proposta. Non aveva intenzione di offrire neanche l'unghia del piede di un suo suddito come aiuto. Però poteva scortarli via dalla foresta, verso Sud, e allontanarli dalla montagna. Visto che nei giorni precedenti il Nano aveva insistito che si erano persi... 

«Ti lascerò andare solamente se restituisci quello che è mio».  

Thranduil avrebbe voluto mordersi la lingua, ma si limitò a fissare il Nano. Sembrava a disagio, si muoveva a scatti, come se volesse voltarsi ma allo stesso tempo rimanere fermo dov'era. Quello non era un disagio dato dalle sue domande. 

Alla fine, il Nano gli diede le spalle e si allontanò di un paio di passi.  

«Favore per favore». 

Thranduil abbassò il capo e serrò la mascella, per trattenere le parole che gli risalivano a fior di labbra. 

«Hai la mia parola, da un re a un altro». Inutile, le parole erano venute fuori lo stesso. 

Ancora girato di spalle, il Nano disse: «Io non mi fiderei che Thranduil, il grande re, onori la sua parola, dovesse la fine dei giorni incombere su di noi». 

Il Nano si voltò e lo indicò. 

«Tu», continuò alzando la voce, «sei privo di ogni onore. Ho visto come tratti i tuoi amici. Siamo venuti da te una volta, affamati, senza dimora, a cercare il tuo aiuto, ma tu ci hai voltato le spalle».  

Un momento.  

La notizia dell’attacco di Erebor era giunta un giorno dopo l’accaduto, e loro avevano mandato subito aiuti verso Dale. Dei Nani non c’era stata traccia: erano già scappati tutti. 

Il Nano tirò avanti con il suo discorso campato per aria, come se non ricordasse quel che era successo.  

«Tu ti sei allontanato dalla sofferenza del mio popolo e dall'inferno che ci ha distrutti!» disse e aggiunse qualcosa nella sua lingua aspra, le parole pronunciate con una smorfia. 

Disprezzo. 

Thranduil non si sarebbe lasciato provocare da queste idiozie e sostenne il suo sguardo di sfida. 

Negli occhi del Nano vide l’immagine di Smaug che volava in cerchio su Erebor mentre Thranduil a cavallo di un cervo voltava le spalle a Thorin, l’esercito del Reame Boscoso al seguito. Il suono d’allarme delle campane di Dale si mescolava con le grida lontane degli uomini, il fumo si levava dagli incendi in città e i Nani che fuggivano dalla montagna. 

Da dove arrivavano quei ricordi? 

Thranduil fece un altro passo, un’indignazione estranea a lui che gli montava dentro. 

Non avrebbe mai rischiato le vite dei suoi soldati per salvare i Nani da un pericolo che si erano attirati addosso. Soprattutto in quel momento, quando non c’era più nulla da fare. 

Thranduil si avvicinò e si chinò su di lui, ogni idea di resistere alla provocazione di quel Nano dimenticata. 

«Tu non parlarmi del fuoco del drago! Conosco la sua rabbia e la sua rovina. Io ho affrontato i grandi serpenti del nord!» 

Un fulmine squassò l’aria e un buio impenetrabile calò nella sala del trono. 

Thranduil sbatté le palpebre, era un buio così fitto che nemmeno i suoi occhi riuscivano a penetrarlo. Percepiva solo la presenza di quell’odioso Nano di fronte a sé. Ne sentiva il fiato puzzolente, ne avvertiva l’odore di sudore, e fango, e sporco, e piscio e... da dove veniva quell'odore di bruciato? 

«Che scherzo è questo!» grugnì il Nano. «Ha a che fare con questo ridicolo interrogatorio?» 

«Guardie!» chiamò lui. 

La risposta fu il silenzio. In realtà, il silenzio non era così assordante, con quel Nano che respirava nemmeno fosse il mantice di una forgia. Ma almeno quello strazio di interrogatorio era finito. 

Thranduil incrociò le braccia. 

Solo che erano nude. 

«Se questo è uno dei tuoi scherzi, Re di Bosco Marcio...» disse il Nano. 

Thranduil si toccò la testa e fece scorrere le mani sulle spalle e sul torace. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Niente più corona e niente più veste addosso, solo pelle all’aria. 

«Taci» sibilò. 

Il Nano imprecò in risposta. 

Thranduil non indossava nemmeno i pantaloni, né le scarpe e gli anelli. E il buio lo avvolgeva. 

Guardarsi intorno era inutile e, con quel Nano che respirava come un mantice, drizzare le orecchie per percepire un minimo sussurro non serviva a nulla. 

«Che cos…?» giunse dal Nano. 

Thranduil si voltò verso di lui. Una luce debole gli illuminava i piedi, nudi e pelosi... la stessa che si stava diffondendo sotto Thranduil. 

La luce si espanse, fino a rivelare una stanza bianca. Assurda, tanto le pareti erano dritte e perpendicolari tra loro e la superficie del pavimento era liscia, lucida e fredda. 

Al centro della stanza, due rozze vesti. 

Al suo fianco e nudo come lui, Thorin Scudodiquercia. 

Thranduil si coprì gli occhi disgustato. La quantità di peli su quel corpo era degna di un animale –erano persino sulla schiena!– e si ritrovò a pensare all’usanza degli Elfi dei Tempi Remoti di cacciare i Nani come bestie. 

Dalla gola di Thorin uscì un suono strozzato e Thranduil, a malincuore, tornò a guardarlo. Una delle vesti scivolò in fiamme ai piedi del Nano. 

Thorin gli rivolse uno sguardo di fuoco. «Se credi di piegarmi con la tua stupida magia...» 

Thranduil alzò la mano per interromperlo. «Non è opera mia o del mio popolo. Ti sei bruciato?» 

«Non fingere interesse per la mia salute» grugnì e incrociò le braccia, l'espressione truce. 

Thranduil storse la bocca, Nani svegli e collaborativi come sempre. Raccolse l'altra veste e la indossò. Non appena la sistemò sulle spalle, le fiamme divamparono. Consumarono la veste come se fosse di carta, che diventò cenere ai suoi piedi. Sulla pelle non percepì nulla: né caldo, né prurito, nulla. 

Chi li aveva portati in quella stanza si serviva di poteri strani. Perché denudarli e poi offrir loro vesti che prendevano fuoco una volta indossate? 

«Non è opera mia» gli ripeté. 

Il Nano però lo stava ignorando, gli occhi fissi su un punto di fronte a sé, più in alto della testa Thranduil.  

Lui guardò oltre la spalla.  

Una scalinata era comparsa di fronte a loro e una figura ammantata di nero la stava scendendo.  

Un brivido scivolò lungo la schiena di Thranduil, un brutto presentimento che si annidava nell'animo. 

La figura ammantata si portò una mano al petto e si inchinò. 

«Sono l’Esecutrice Junior, al vostro servizio». La sua voce era acuta e femminile, il tono leggero, così leggero da essere divertito.  

Quel brutto presentimento si fece più forte. Aveva la sensazione che questa Esecutrice Junior fosse pericolosa. Thranduil lanciò un’occhiata a Thorin che la stava fissando con le sopracciglia aggrottate. 

Lei allungò una mano a indicare il Nano.  

«Alla mia destra», cominciò, il tono sognante, «un fiero esemplare di Nano guerriero: il petto muscoloso coperto da una folta peluria, riccia e scura, la barba fantastica, perfettamente curata e intrecciata, nonostante le privazioni del viaggio.  

«Le sue abili mani da fabbro coprono le sue nudità –perciò non posso esprimermi a riguardo– e il suo sedere peloso non ha nulla da invidiare all’esemplare alla mia sinistra».  

Nel dirlo indicò Thranduil. 

«Egli è un Elfo, il corpo pallido e perfetto come una statua cinquecentesca. Dritto e fiero, per nulla imbarazzato dai suoi –notevoli– attributi all’aria».  

La figura si fermò un momento, come per prendersi il tempo per ammirarlo.  

Thranduil strinse i pugni per non coprirsi come stava facendo il Nano. Ora capiva perché l'aveva fatto. Non era per l’imbarazzo di essere nudo, ma per disagio: quello sguardo era qualcosa di fisico e, ugh, era come se una sostanza viscida gli colasse sulla pelle. 

Con la voce ancora sognante, l’Esecutrice Junior continuò. 

«I suoi capelli biondi sono una cascata, liscia e perfetta sulle spalle e sulla schiena, e ogni muscolo è ben disegnato sul suo torace». Strinse le mani di fronte a sé con un urletto, e aggiunse: «In parole povere, ha degli addominali e pettorali da sbavarci sopra, per non parlare del suo sedere, sodo e ben tornito, semplicemente perfetto!»  

Con un sospiro, lasciò andare le braccia lungo i fianchi. 

Rivolse la testa prima verso Thorin e poi verso Thranduil, il viso nascosto dal cappuccio.  

«Be’? Non avete domande?» 

Il tono dell’Esecutrice Junior era canzonatorio. Thranduil strinse gli occhi e rimase in silenzio. 

Thorin gli lanciò un’occhiataccia e sbottò: «Oh, senti! Che vuoi, maledetta?» 

L’essere allargò le braccia e il mantello seguì i suoi movimenti in modo innaturale, senza mai rivelarne l’aspetto. Di sicuro, si trattava di magia oscura. 

«Maledetti siete voi, miei cari sovrani» disse la figura e ridacchiò. 

Maledetti, loro? Per cosa? E in cosa consisteva quella maledizione? 

«Avanti, Re Thranduil, lo so che hai molte domande per me». 

Thranduil si assicurò di assumere un’espressione di sufficienza per nascondere la sorpresa. La figura leggeva nel pensiero o era stato lui maldestro nel celare la sua reazione? 

Si voltò verso Thorin, che lo fissava con gli occhi stretti e uno sguardo di fuoco. Come se Thranduil avesse idea di quel che stava succedendo e glielo stesse tenendo nascosto. Sorrise, in risposta a quello sguardo. Che lo credesse pure. 

«Chi ci maledice?» chiese allora Thranduil. 

L’Esecutrice Junior agitò la mano di fronte a sé. 

«Non ora, tesori. Dai, chiedetemi in cosa consiste la maledizione» disse, per poi portare la mano davanti al cappuccio mentre ridacchiava. 

Per questa Esecutrice sembrava tutto un gioco. Thranduil storse la bocca. Era matta, oltre a essere pericolosa. 

Thorin sbuffò e marciò contro la figura. «Avanti, sentiamo! In cosa consiste? Dimmelo!» Allungò il braccio per afferrare il mantello, ma l’essere fece un passo indietro, con una risata.  

«Guardare ma non toccare, miei cari!» L’Esecutrice Junior sospirò di desiderio. «Anche se riguardo al toccare, in certi modi...» 

Aveva davanti a sé una creatura matta e desiderosa di attenzioni. 

«Finiscila di starnazzare», sbottò Thorin, mettendo le mani suoi fianchi, le gambe larghe, «e vieni al punto!» 

Il Nano era un disastro, fare la voce grossa non serviva a nulla. L’Esecutrice Junior aveva mostrato le sue debolezze, avrebbero potuto sfruttarle per ottenere informazioni. 

L’Esecutrice Junior si rassettò il mantello come se fosse un abito elegante e raddrizzò le spalle. 

«Quanto siete impazienti!» disse e si portò una mano al cuore. «Rappresento il Comitato per il Rispetto del Canon. Sono qui per sistemare il pasticcio che voi due avete combinato». 

Di che pasticcio stava parlando? L’unico pasticcio che gli veniva in mente era quell’interrogatorio assurdo in cui si ricordava di aver marciato con tutto l’esercito del suo regno verso Erebor perché sì, arrivando guarda caso proprio al momento dell'attacco di Smaug. 

«Io non ho fatto nulla», sbraitò il Nano e puntò il dito verso Thranduil. «Ha cominciato lui». 

Come per scacciare le parole del Nano, l’Esecutrice Junior agitò la mano in aria. «Suvvia, questo non è rilevante. Ciò che importa è che io devo risolvere questo pasticcio. La maledizione che vi ho imposto mi aiuterà nel compito». 

«Quindi sei stata tu a maledirci!» sbottò Thorin. 

Ridacchiando, l’Esecutrice Junior tirò fuori una pergamena da sotto il mantello e la srotolò. 

«Abbiamo le parti qui presenti Thranduil, figlio di Oropher e Re degli Elfi Silvani del Boscoverde, ora detto Bosco Atro, e Thorin, figlio di Thrain, Re Sotto la Montagna in Esilio.  

«Le parti sono state maledette dalla sottoscritta, Esecutrice Junior, facente veci del Comitato per il Rispetto del Canon, di seguito CORICA, per aver profanato il Sacro Testo de "Lo Hobbit"». 

Si schiarì la voce.  

«Le parti hanno ricevuto la seguente maledizione: impossibilità di indossare un qualsiasi capo di abbigliamento fino al superamento di tre prove decise dalla sottoscritta, facente veci del CORICA. 

«I capi di abbigliamento inclusi nel bando sono: mutande, calzini o scarpe, pantaloni, casacche, vesti o mantelli, copricapi –corone incluse–, guanti e accessori, compresi anelli e bracciali.  

«Se le parti indosseranno suddetti capi di abbigliamento, verranno privati dei suddetti tramite incenerimento non subendo danno alcuno nel rispetto del trattato dei Diritti Applicati ai Personaggi di Fantasia Maledetti». 

Thranduil sollevò gli occhi al cielo. Almeno questo spiegava il perché delle vesti bruciate. 

Tutta questa situazione era assurda. 

Lui non aveva idea di cosa fosse questo Sacro Testo, come avrebbe potuto profanarlo? Magari se avesse finto di conoscere questo dettaglio, l’Esecutrice Junior avrebbe rivelato qualcosa di più. 

Incrociò le braccia e la fissò con gli occhi stretti. 

«In che modo abbiamo profanato il Sacro Testo?» 

«Già, per una volta il Re di Bosco Marcio ha ragione. Non abbiamo profanato un bel niente!» 

L’Esecutrice Junior finì di arrotolare la pergamena, come se nulla fosse. 

«Non vi preoccupate di questi dettagli, amori miei, quello è affar mio» disse e agitò di nuovo la mano in aria. «Sono questioni complicate che riguardano il Fandom, le Fanfiction, le possibilità di Fanservice e Fangirling, incluso il caratteristico squeal. Non sto qui a spiegarvele». 

Questioni complicate.Usare termini incomprensibili o sconosciuti per confondere le idee era da principianti. 

Thranduil si accarezzò il mento.

L’Esecutrice Junior era stata mandata dal Comitato per il Rispetto del Canon, per la profanazione di un certo Sacro Testo.  

Quindi, esisteva un testo, considerato sacro, che raccontava le loro vicende. E lui e quel Nano non si erano comportati secondo le regole di questo testo. 

«Cosa abbiamo profanato?» stava chiedendo Thorin.  

«Mi chiedo quanto questa maledizione rispetti il Sacro Testo» disse invece Thranduil. 

L’Esecutrice Junior rise, una di quelle risatine imbarazzate. «Ma cari, non preccupatevi di queste sottigliezze buroratiche. Piuttosto tenete conto che per ritornare alla normalità, e spezzare la maledizione, dovrete superare tre prove» disse e alzò tre dita davanti a lei. 

Thranduil lanciò un’occhiata verso il Nano, che stava fissando la creatura con sospetto, le mani ancora strette a pugno sui fianchi. Allora anche lui aveva capito che questa Esecutrice stava nascondendo qualcosa. Non era così stupido. 

«Non posso anticiparvi nulla, o non potrete spezzare la maledizione. Sappiate che sono prove complesse e rischiose, di difficoltà e pericolo sempre crescenti, ma so che sarete splen–Volevo dire, in grado di superarle». 

L’Esecutrice Junior schioccò la lingua contro il palato e batté due volte le mani.  

«Dovrebbe essere tutto. Addio!» 

E svanì. 

«Maledetta!» urlò Thorin, alzando un pugno in aria.  

Thranduil scosse la testa. 

Di fronte a loro, la parete bianca tremò. Sulla superficie bianca e liscia si tracciò il contorno di un rettangolo. Le linee brillarono per un momento di una luce azzurra e si aprì una porta, con un movimento fluido e silenzioso. 

«Per raggiungere il luogo della prima prova, oltrepassate questa porta» disse una voce incorporea. 

Thranduil guardò Thorin con gli occhi stretti e l’altro gli restituì uno sguardo ostile. 

Avevano scelta? 

«Conosci questo Sacro Tes–» 

«Io vado. Prima finisce questo strazio, prima mi libererò della tua vista» grugnì Thorin invece, e varcò la soglia. 

Thranduil strinse i pugni. Voleva fare di testa sua? Affari suoi, non aveva bisogno di lui per superare nessuna prova. Lo seguì con passo lungo, lo superò e si addentrò in un corridoio di pietra. Verso la prima prova, qualunque essa fosse. 

Su una cosa era d'accordo con il Nano: prima avessero cominciato e prima avrebbero finito. 

Potevano esserci pericoli davanti a loro, ma non avrebbe sofferto un momento di più la vista di quel sedere peloso.

 


 

Angolo dell'autrice

Ehm.

Bene.

*Respirone*

Ce la faranno i nostri amati eroi a superare queste tre prove?

Lo vedrete nei prossimi capitoli! :D

Queste note sono il risultato di una serata passata a guardare Sanremo.

– Kan

kiaealterego

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Capitolo 2
*** I boccioli ***


II. I boccioli

 

Thorin marciò subito dietro l’Elfo, i pugni stretti.

Che nervi!

Dannate quelle sue gambe lunghe e nude come la pelle dei vermi, non riusciva a superarlo. Mahal doveva averlo abbandonato, per fargli soffrire quel sedere così liscio e senza nemmeno un pelo. E quella noncuranza con cui lui camminava! Come se non fosse completamente nudo, e quella sua dannata mazza elfica non fosse all’altezza dei suoi occhi. 

Se mai fosse sopravvissuto a tutte le prove, Thorin avrebbe pregato una Nana qualsiasi di sposarlo.

Non importava chi! Solo un matrimonio con tutte le cerimonie ufficiali e ufficiose gli avrebbe mondato gli occhi e la mente. Solo così avrebbe potuto dimenticarsi quella vista e dormire sonni tranquilli.

Senza mazze elfiche all’aria!

C’era una svolta davanti a lui e Thorin si fermò, per lasciare che il sedere dell’Elfo sparisse, e poggiò il palmo sulla parete rocciosa. Era fredda e liscia come se fosse stata lavorata dai migliori dei suoi artigiani, e di un bianco sporco.

Marmo.

In quali montagne si trovava marmo, così in profondità e così perfetto?

Scavò nei suoi ricordi ma nulla ne venne fuori. Né le parole di Balin o Dwalin sui Regni Antichi gli furono d’aiuto. Thorin riprese a camminare, i passi misurati sulla pietra fredda, una mano che accarezzava la parete.

La roccia era sempre familiare.

Come erano finiti in quel guaio? 

Tutto era iniziato ad andare a rotoli quando quell'inutile Re di Bosco Marcio aveva iniziato a straparlare sulla sua impresa. Thorin stava morendo di fame, era stato preoccupato per i suoi, non aveva avuto nessuna intenzione di parlare di oro e gioielli e quello si era messo a dire "se non mi dai una parte di tesoro non ti lascio andare"?! 

Chi gli aveva fornito quell'informazione? 

Il sospetto numero uno era quel maledetto Gandalf, che guarda caso li aveva lasciati andare da soli nel bosco. 

Ed era amico degli Elfi. 

Puah!

«Sbrigati, Nano».

La voce irritante del Re di Bosco Marcio lo raggiunse, spocchiosa e annoiata, e Thorin riprese a camminare con passo rilassato, per fargli un dispetto. Ma non aveva altri posti in cui andare e alla fine lo raggiunse.

Gli occhi freddi dell’Elfo lo inchiodarono sul posto. Thorin strinse i suoi e incrociò le braccia.

Thranduil, con quel suo… Be’, quella sua mazza sotto i suoi occhi, avrebbe dovuto vergognarsi. La sua virilità nanica era migliore, più grossa e con vera peluria attorno, non quei quattro peli chiari che si confondevano con quella pelle bianchiccia. Da verme.

«Non so cosa sia un Comitato per il Canon e non sopporto la tua compagnia, ma una cosa è chiara: ho bisogno della tua mano» disse Thranduil.

Thorin alzò il mento, quanto era fastidiosa in quel momento la differenza delle loro altezze!

«Non ho nessuna intenzione di aiutarti, Thranduil».

Le labbra dell’Elfo si incurvarono in un sorrisetto fastidioso. 

«C’è scritto che bisogna appoggiare le mani su questa parete per passare. Vuoi collaborare?» gli chiese.

Certo, la sua faccia non era alla sua portata, ma i suoi attributi sì, e glieli avrebbe schiacciati come noci. Chissà se avrebbe sorriso, dopo.

Allungò la mano ma l’Elfo la schiaffeggiò prima che lui raggiungesse il suo obiettivo. Thranduil si chinò e gli afferrò il polso, tirandolo verso la parete. Era incisa di rune sotto le quali c’erano due incisioni rettangolari.

«Qui» sibilò irritato il Re di Bosco Marcio.

Thorin gli mostrò i denti in quello che doveva essere un sorriso, ma gli uscì un ringhio dalla gola. Il suo palmo incontrò una sostanza morbida e Thorin si voltò a guardare la parete. Quella sostanza era morbida come fango e inghiottì la sua mano allo stesso modo. 

Un tepore caldo e viscido l’avvolse.

Thorin sollevò la testa verso l’Elfo, per trovarlo che affondava a sua volta la mano in quella sostanza.

«Potete passare» disse una voce incorporea e la parete di fronte a loro svanì, rivelando un’apertura su un giardino. Thorin si fissò la mano, pulita come se non fosse stata avvolta dalla sostanza, ma la strusciò lo stesso sulla pietra. La roccia l’avrebbe mondata dalla Magia Nera residua.

Thranduil era già andato avanti, quel suo sedere nudo ancora all’aria come se niente fosse. In quel momento Thorin avrebbe voluto ficcarsi due coltelli negli occhi, piuttosto che continuare a vederlo.

Si fece avanti una donna, probabilmente di Spocchia Elfica, vestita di un abito… rosa? Bah, di un colore chiaro, i lunghi capelli intrecciati e adornati di fiori gialli. Sorrise e si inchinò a loro.

«Benvenuti nel Giardino di Yavanna, sovrani».

Una ancella della Regina della Terra? Ah! Mahal sarebbe stato fiero di uno dei suoi figli al cospetto della sua Sposa.

Peccato fosse completamente nudo. 

Non è che lei l'avrebbe preso come un affronto e questo avrebbe influenzato la prova? Thorin strinse i pugni per non portare le mani tra le gambe a nascondere la sua mazza. Se il Re di Bosco Marcio non temeva di mostrarsi nudo, non si sarebbe preoccupato nemmeno lui.

La donna allargò le braccia. «Lasciate che vi illustri la prima prova».

«Prima prova?» sussurrò Thorin.

«Hai sentito quell’Esecutrice Junior anche tu. Dobbiamo superare tre prove per spezzare la maledizione».

Thranduil lo guardò dall’alto col mento sollevato. Pensava di essere tanto intelligente, lui? Certo che aveva capito che riguardava la maledizione! Non era quello il senso della sua domanda. Thorin incrociò le braccia e lo guardò storto a sua volta.

«Seguitemi, prego» disse la donna e si voltò con un fruscio di vesti chiare e leggere.

Attraversarono un prato, la terra calda e l’erba soffice sotto le dita dei piedi, fresca di rugiada, una carezza sulla pelle: c’era qualcosa di positivo in quel posto. 

La donna li condusse di fronte a un’alta siepe.

«Andrete al cospetto della mia Signora e titillerete i Suoi boccioli rosei con le dita. Dovrete raccogliere in queste ampolle la rugiada che spillerà da loro».

La donna porse una fialetta di vetro all'Elfo e si chinò per consegnarla anche a lui. Poi indicò un’apertura tra le foglie della siepe. 

«Prego, ora inoltratevi nel Suo giardino. La mia Signora vi attende e sarà lei stessa a dare un giudizio».

Thranduil fu il primo ad addentrarsi tra le foglie della siepe, e a Thorin non restò che seguirlo. Sempre dietro quel bianco posteriore.

Mahal, che bruci nelle tue forge!

Thorin abbassò la testa e procedette nella siepe. Come si sarebbe dovuto comportare di fronte alla Regina della Terra? Così nudo e per fare cosa? Come aveva detto quell’ancella?

Titillerete i suoi boccioli rosei.

La rugiada che spillerà da loro.

La sua mente lo portò a immaginarsi seni enormi, con capezzoli rosei, e coperti da una leggerissima peluria bianca, un vellutino caldo e setoso, perfetto da accarezzare.

E perché non continuare con quella fantasia? Le sue mani si strinsero su quei seni e la sua bocca su uno di quei capezzoli.

Thorin scosse la testa per il pensiero osceno.

Che Mahal lo perdonasse, stava diventando pazzo a forza di soffrire la vista di quell’inutile Thranduil.

Thorin si grattò la nuca. Era anche sporco dal viaggio, aveva i capelli unti, puzzava di goblin e pelle di capra di sicuro, e fango, foglie marce e putridume di quella foresta maledetta.

Sospettava che quell’Elfo avrebbe fatto una figura migliore. Non solo l’ancella era di Spocchia Elfica, era noto che la Regina della Terra non amasse le creazioni di Mahal. Non poteva, dannazione, non poteva fallire!

Si guardò le mani, sputò sui palmi e li strusciò sulle cosce per pulirli il più possibile.

Anche se si trattava di lei e titillare i suoi boccioli rosei, Thorin l’avrebbe compiaciuta. Non poteva darla vinta all’Elfo.

Il cammino circondato dalla siepe si aprì su un giardino pieno di fiori.

Ce n’erano davvero tanti, tutti con colori assurdi, pallide imitazioni delle gemme: viola, blu e azzurri, come quel gruppo di fiori alti quanto un fungo alla sua destra, e fiori color giallo piscio con il centro color fanghiglia, alti quanto il Re di Bosco Marcio e peggio, tipo quegli orrori screziati di rosa e bianco, una patetica imitazione dell’agata rosa e con una forma così ambigua che poteva solo essere il tesoro che ogni Nana nascondeva tra le gambe. 

E quanto erano ridicoli? Per imitare lo scintillio delle gemme, alcuni avevano gocce di rugiada sui petali. Ah!

Niente a che vedere con le loro caverne. Per quanto non gli piacesse il giardino, era sicuro che nemmeno la Spocchia Elfica sarebbe stata in grado di averne uno come quello, e questo pensiero gli fece sollevare un angolo della bocca.

Thorin si voltò, ancora il mezzo sorriso sulle labbra. Thranduil era di fronte ad una pianta con le spine, e sfiorava con le dita un fiore chiaro dalla forma ovoidale, l’espressione concentrata.

Era ridicolo! Quello non era mica il bocciolo giusto!

Thorin si sfregò le mani, per scaldarle, la sicurezza di saper cosa fare che gli curvò sempre di più le labbra in un sorriso. 

Al centro del giardino, la Regina della Terra.

Era un’alta pianta, dalla forma umana, con la corteccia di una betulla bianca, le gambe formate da due tronchi che affondavano i piedi nelle radici e le braccia alzate che si ramificavano, così come i capelli dalla testa, fatti di rami sottili, di foglie verde-dorato e fiori gialli.

Sì, doveva essere proprio lei.

La Regina della Terra voltò la testa, il volto  liscio come una pietra levigata, gli occhi brillanti come il cuore di una fucina.

E lo sguardo di Thorin, al pensiero della prova, scivolò dal viso al collo e più giù... e –meraviglia!– sotto i suoi occhi la Regina della Terra stava mutando aspetto, la corteccia che diventava pelle, i rami che ricadevano in lunghi capelli, fiori gialli e foglie dorate nell’acconciatura, e vesti di foglie e tessuto che avvolgevano la sua figura, il seno prosperoso.

Quando lo sguardo di lei si posò su Thorin, lui deglutì, le sue guance bollenti e abbassò gli occhi. Era arrivato il momento di approcciarsi a lei, ma era troppo alta!

«Non stare a bocca aperta, figliolo, cogli la rugiada» gli disse la Regina della Terra e la sua voce era strana, come se parlasse tramite il fruscio di foglie o col rumore di una pianta che cresce, lento, pacato.

Thorin strinse la fialetta tra le dita, la fissò, poi risollevò lo sguardo su di lei.

Coraggio!

«Regina della Terra, posso chiederti di abbassarti, per favore?» disse e deglutì ancora, l'agitazione che gli seccava la gola.

Lei piegò la testa di lato, lo sguardo incuriosito. Ma si accovacciò accanto a lui, e un’onda di profumi di fiori e frutti della terra lo investì.

Come iniziare? Subito, toccandola senza preamboli, senza una parola prima?

Thorin deglutì un’altra volta e allungò la mano.

Le dita gli tremarono quando sfiorò il tessuto. Sollevò lo sguardo su di lei, per trovare l'espressione della Regina incuriosita come prima.

«Re-regina, i tuoi boccioli sono coperti, permetti?» disse con un filo di voce.

«I boccioli sono ancora chiusi e carichi di rugiada» gli rispose.

Che risposta era? Un sì? Un no?

Thorin strinse la fialetta e infilò la mano nel tessuto, per toccare il seno della Regina della Terra. Era grande per la sua mano e caldo e liscio. Lei lo guardò frugare nella scollatura, sempre quell'espressione incuriosita sul viso.

Lui deglutì e fece scivolare la mano sul capezzolo. Non poteva vederlo, ma al tatto era già turgido. Thorin pregò che il suo corpo non reagisse.

Come cogliere la rugiada? Doveva stringere il capezzolo tra le dita? No, si ricordò, lo doveva titillare.

La Regina della Terra sollevò lo sguardo su di lui e inclinò la testa dall’altra parte, le palpebre abbassate.

«Per la barba di ferro di mio marito, Aulë! Aulë!» Si alzò in piedi e Thorin ritirò la mano. «Aulë!» chiamò lei.

«Perché le tue creazioni pensano che le mie tette siano boccioli? Gli hai insegnato a distinguere le gemme, ma la loro conoscenza delle piante lascia a desiderare!» 

La Regina della Terra si girò su sé stessa, gli occhi luminosi e il sorriso sulle labbra. «Si vede quali sono i figli dell'Uno, loro sanno cosa sono i boccioli. Aulë! Mi ascolti!?» 

La sua espressione divenne corrucciata e continuò a parlare all'aria. 

«Aulë! Non fingere di non sentirmi!»

Il Re di Bosco Marcio stava ridendo, di gusto.

Thorin doveva essere rosso, tanto era l'imbarazzo che provava. Aveva toccato le tette della Regina della Terra e non erano quelli i boccioli... Dannazione! 

Era in un giardino pieno di fiori, perché aveva pensato alle tette? Dannato Ori e le sue letture perverse!

La Regina della Terra smise di parlare al vento e si accucciò di fronte a loro e li guardò, la sua espressione era come le acque di un lago di montagna: calma e imperscrutabile.

Thranduil continuò a ridere, la mano sulla pancia e le lacrime agli occhi. Teneva in mano una fialetta piena di un liquido che sembrava acqua.

Thorin ringhiò: «Smettila!»

«I boccioli sono di rosa e li trovi laggiù» disse il Re di Bosco Marcio, tra una risata e l'altra.

Per la barba di Mahal, quanto avrebbe dato per poter vedere quell'Elfo umiliato più di quanto si sentiva lui ora!

Lanciò un’occhiata di puro odio nella speranza di fulminare il Re di Bosco Marcio sul posto. Ma il cielo rimase sereno e Thranduil gli rispose con un sorrisetto odioso, così Thorin si voltò verso i boccioli di rosa.

Erano quelli che aveva visto Thranduil scuotere prima. E così la rugiada non serviva a far scintillare i fiori come gemme.

Come aveva potuto pensare che si trattasse dei… dei…

Thorin scosse la testa e quando fu vicino, prese lo stelo e scosse la rugiada dal bocciolo alla fialetta. Tornò dalla Regina della Terra, le spalle abbassate, lo sguardo in terra, e gliela consegnò.

Lei si alzò in piedi e allungò le braccia verso l’alto, le fialette in mano, scrutandole con le palpebre abbassate. Si rivolse all’Elfo, il viso che si apriva in un sorriso.

«La tua prova è superata, Thranduil».

Si accucciò di nuovo e fissò Thorin. «Mi dispiace, Thorin, ma non posso considerare la tua prova valida».

Lui abbassò le spalle ed evitò di guardare in direzione di Thranduil. Gli era bastato vederlo che si spanciava a sue spese. 

«Regi–»

«Non devi preoccuparti del tuo gesto, figliolo. Non mi hai offesa». Gli accarezzò la testa e fu come ricevere la carezza di un albero, dita ruvide di corteccia e rametti che si impigliano tra i capelli. «Anche se non posso considerare la tua prova come superata, posso rendere il tuo passo leggero e alleviare il disagio del percorso accidentato che ti aspetta nella prossima prova».

Un formicolio sotto i piedi gli fece abbassare lo sguardo, ma non c'era nulla di diverso.

Cosa gli aveva fatto? E che voleva dire con percorso accidentato?

La Regina della Terra si alzò in piedi. «Andate, figlioli! Buona fortuna».

Due ancelle si fecero avanti, le vesti che frusciavano al vento, i fiori tra i capelli. Una delle due portava un paio di stivali di cuoio argentato.

Dietro di loro non c’erano altre ancelle, né sembrava che quella che portava gli stivali avesse altro. Consegnò gli stivali a Thranduil e disse: «La maledizione è spezzata sui piedi».

«Dovete proseguire con la prossima prova» disse la compagna.

Thorin strusciò i piedi sull'erba. Le altre due prove sarebbero state altrettanto strazianti?

Soprattutto, come poteva recuperare?

Almeno Thranduil aveva smesso di ridergli in faccia e non sembrava contento mentre infilava gli stivali. Ah! 

Le due ancelle si voltarono, una di fronte all’altra, e Thorin sbatté le palpebre e si strofinò gli occhi. Le due ancelle giunsero le mani sollevate e il loro corpo mutò in un arco fatto di rami e fiori e radici. Una cascata d’acqua cominciò a scorrere dalla cima dell’arco, fino a coprire tutta l’apertura come un velo.

Thranduil allungò una mano e lasciò che la sostanza gli sfiorasse le dita, cauto. 

Invece, Thorin si buttò dentro. 

Questa volta non avrebbe sofferto la vista di nessun sedere elfico!

 


 

Angolo dell’autrice

Accidenti!

Con una prova riuscita e una prova fallita… Che succederà?!

E cosa dovranno affrontare alla prossima? 

Chissà se la supereranno entrambi...

Lo vedrete nel prossimo capitolo!

Un grazie a chi legge&commenta!

kiaealterego

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Capitolo 3
*** La mazza ***


III. La mazza

 

Thorin sbucò su un sentiero di montagna, lasciandosi alle spalle le fanciulle-albero e la cascata.

Come se non fosse appena passato attraverso un velo d'acqua, Thranduil lo raggiunse asciutto, circospetto e guardingo, ma soprattutto ridicolo con addosso solo gli stivali argentati.

Thorin saggiò il terreno sassoso con i piedi, stupito dal solletico che gli facevano i sassi aguzzi sotto di lui. Era come se non avesse abbandonato il prato soffice del giardino. Fece scorrere lo sguardo sulle rocce nude e il terreno brullo, con qualche spruzzata di neve qua e là che scintillava sotto i raggi del sole.

Quella montagna non gli era familiare e, nudo com'era, gli si stavano congelando le parti intime. Almeno le sue erano protette da sana e folta peluria, mentre a Thranduil gli si sarebbero staccate per il freddo. Ah! Quella era una cosa che avrebbe visto volentieri.

E ne avrebbe riso, di gusto!

Tirò su col naso e si alitò le mani. Nell’aria fredda c'era un pessimo odore di uccelliera, quel misto di odore di paglia, cacca di uccello e piume. Il Re di Bosco Marcio aveva le sopracciglia aggrottate e si guardava attorno, come se non capisse qualcosa.

Bah, che c'era da capire?

«Ti è familiare questo posto?» gli chiese.

«No».

Thorin sollevò gli occhi al cielo. Perché dovevano essere insieme in quella disavventura? Non gli sapeva nemmeno dare informazioni! Fosse stato da solo, sarebbe stato più sopportabile.

«Potremmo essere sulle montagne dei Signori dell'Ovest» disse Thranduil.

Le sue parole valevano quanto una manciata di sassi di fiume. Di sicuro erano da qualche parte vicino a un nido di Aquile, c'era lo stesso odore di quelle bestie che li avevano salvati dai goblin. 

Si incamminarono lungo il sentiero e dopo una svolta, Thorin poté confermare la sua ipotesi. Su un dirupo, c'era un'Aquila che aveva tutta l'aria di star covando uova.

Ignorando il sedere bianco di Thranduil di fronte a lui come ormai aveva imparato a fare, Thorin procedette finché non raggiunsero un piazzale ricoperto di ghiaia e ampio quasi quanto la sala del trono di Erebor.

Al fondo c'era una casa di legno e paglia, con un camino da cui usciva fumo.

Thranduil aveva già attraversato metà piazzale e Thorin si affrettò dietro di lui. Statue circondavano l'area, bellissime per somiglianza alla realtà, chiunque le avesse fatte non era un mortale. E nemmeno Spocchia Elfica. No, non potevano essere fatte dalle mani di quelli lì. Mica sapevano lavorare la pietra come un vero Nano.

Che fossero sulle montagne di Aulë e quelle fossero state opera sua?

Sul fronte della casa, la porta era enorme, anche per gli standard di altezza di quegli spilungoni degli Elfi, il Re di Bosco Marcio aveva la maniglia davanti al naso.

«Ci chiederanno di fare altre cose ambigue?»

Thranduil gli sorrise. «Vuoi che ti aiuti a capire cosa ci obbligheranno a fare?»

Thorin raddrizzò le spalle e gonfiò il petto. 

«Magari questa volta servirà a te un aiuto a comprendere». Non era necessario che il Re di Bosco Marcio gli ricordasse il suo bruciante fallimento.

Thranduil si voltò con la sua espressione più spocchiosa e bussò.

«Avanti» disse una voce maschile.

La porta si aprì e rivelò una stanza enorme, con pavimento di legno e un nido di paglia in un angolo, un camino al fondo. 

«Sire, sono arrivati» disse un essere così alto che Thranduil gli arrivava alla vita.

Thorin lo scrutò: sembrava un Elfo, ma era troppo alto. Aveva il naso a punta, come il becco di un corvo, i capelli giallo paglia e gli occhi dorati.

Thranduil si era inginocchiato al cospetto del tizio seduto su un trono di legno. Reggeva uno scettro tempestato dei più grossi e bei zaffiri, come mai Thorin ne aveva visti in vita sua, e vestiva di strati di stoffe, ognuna più preziosa delle altre. La sua barba era bianca e dall'aspetto soffice, come una nuvola. 

Thorin lo fissò stupito e il tizio sul trono lo fissò a sua volta, a lungo, con occhi penetranti. Thorin si sentì in imbarazzo per quell'uomo: cosa doveva pensare un re nel trovarsi un Nano e un Elfo nudi di fronte a sé?

Il re voltò la testa verso destra e chiamò: «Vardaaaaaaaaa».

All'ingresso di una donna Thorin sgranò gli occhi. Un verso strozzato giunse da Thranduil e Thorin si voltò per non perdersi la vista. L'Elfo aveva una faccia stupita e meravigliata, e anche un po' di bavetta. 

Come come? C'era qualcosa che rendeva Thranduil più stupido che essere di Spocchia Elfica?

Poteva capirlo: quella donna era bellissima. No, bellissima non rendeva. Per quanto non avesse una barba, come una vera bella donna, Thorin non riusciva a trovare nessun altro aggettivo per descriverla. Tra i suoi capelli neri come la notte brillavano le stelle e nei suoi occhi scuri si rifletteva il cielo stellato.

«Che c'è, caro?» chiese, la voce soave.

L'uomo sul trono indicò lui e Thranduil.

La donna unì i palmi con un sorriso. «Oh! Sono loro?»

«Eönwë?»

«Davanti a voi, sono Thranduil, Re degli Elfi Silvani del Boscoverde, ora detto Bosco Atro, e Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna in Esilio» annunciò il tipo con il naso a becco.

Era un araldo? Ma avrebbe dovuto annunciarli subito appena entrati!

La donna –Varda– si avvicinò all'uomo sul trono e gli posò una mano sull'avambraccio. «Bisogna decidere la prova che devono superare per spezzare la maledizione che li affligge».

«Decisioni!» rispose lui gettando le braccia al cielo. «Sempre qualcosa da decidere. Perché io? Io voglio solo stare tranquillo e che tutti stiano tranquilli, buoni e in pace».

L'uomo si alzò e tornò a guardare lui e Thranduil. «Io, Manwë Súlimo, sarò il giudice della vostra prova. Ma ho due possibilità e non so quale scegliere».

Thorin sollevò le sopracciglia. Era una decisione così penosa?

«La scelta è tra lucidare la Spada d'Amore di Irmo o la Vigorosa Mazza di Ulmo» annunciò il tizio dal naso a becco – Eönwë.

Spada d'Amore? Vigorosa Mazza? Se quelli non fossero stati eufemismi, Thorin non avrebbe saputo a cosa potessero essere riferiti. Scambiò un'occhiata con Thranduil, per vedere la sua reazione. Anche lui sembrava confuso. Oh, se anche lui pensava a eufemismi, non sarebbe successo come alla prima prova.

«Irmo! Mi serve la roba buona!» gridò Manwë.

Dal nulla si materializzò un altro uomo della stazza di Manwë ed Eönwë, con gli occhi gonfi di sonno e i capelli in una strana acconciatura fatta di ciocche aggrovigliate.

«Bella ziooo» salutò il nuovo arrivato e consegnò delle foglie verdi a Manwë. «Oh, la migliore, come sempre». Fece l'occhiolino e sparì, lasciando dietro di sé uno strano odore, tipo di pianta medicinale bruciata.

Quindi quello era Irmo? Non gli aveva visto spade addosso.

Non prometteva nulla di buono.

Manwë abbassò lo sguardo su di loro, l'espressione gentile. «Miei cari bambini, voglio che la prova sia giusta e adatta a voi, perciò chiederò consiglio all'Uno. Datemi il tempo di contattarlo».

Detto questo, sparì dietro una porta. Varda si sedette sul trono accanto a quello di Manwë, l'espressione serena. Mentre Eönwë stava dritto sul posto, come se avesse un palo nel didietro.

«Senti, Nano». Al solo tono strafottente di Thranduil, Thorin sbuffò e fissò con determinazione il naso a punta di quell'Eönwë.

Ci fu un altro sbuffo, questa volta di Thranduil. 

«Senti, Thorin, secondo te cosa potrebbero prevedere queste prove?»

Né Eönwë né Varda diedero segno di aver sentito. Thorin scrutò l’Elfo. Il Re di Bosco Marcio si era degnato a chiamarlo per nome e a usare un tono decente, per una volta. Visto il risultato disastroso della prova precedente, Thorin poteva abbassarsi a collaborare. Anche se con un re degli Elfi.

«Io, termini come Spada d'Amore e Vigorosa Mazza, li ho sentiti come eufemismi di... Mazze, appunto. Di carne». 

Thorin abbassò lo sguardo.

Per la barba di Mahal, doveva mettersi a parlare di quella roba con uno di Spocchia Elfica.

E che cosa avrebbero dovuto fare davvero? Chi era la mente brillante che aveva chiamato un'arma di ferro tagliente "Spada d'Amore"? A meno che quell’Irmo non avesse un pessimo senso dell'umorismo. O praticasse usi alternativi della spada. Thorin rabbrividì. Quei pensieri non servivano a tranquillizzarlo. 

Ma l'alternativa lo disgustava.

«Eufemismi» gli rispose Thranduil. Stava facendo vagare lo sguardo e sembrava imbarazzato. Quella era bella.

«Avevo anche sentito nominare gli attributi maschili come Scettro d'Amore o Scettro Virile, ma mai come spada».

Dall'altra stanza giunse un mormorio di piacere. Dal sotto della porta oltre cui era sparito Manwë proveniva un odore strano di erba bruciata, lo stesso odore che si era lasciato dietro quell'Irmo.

Varda ed Eönwë erano delle statue, tanto avevano cambiato espressione.

«Che ne pensi pensi?» chiese Thorin. 

Thranduil volse infine lo sguardo su di lui. «Penso ad alternative poco lusinghiere sulle due prove. Hai notato anche tu la stazza di Irmo. E che non portava nessuna spada addosso».

Thorin rabbrividì. 

Avvicinarsi alla mazza di carne di un altro maschio e lucidarla, poi? Ugh, non voleva pensarci proprio.

E se poi il possessore della vigorosa mazza si fosse eccitato?

Per la barba di Mahal! E se invece fosse stato proprio quello lo scopo? E avrebbero dovuto farlo insieme, lui e Thranduil? 

L'immagine di loro due, a lavorare su una mazza gigantesca –viste le dimensioni delle persone di Manwë e di quell'Irmo– gli diede il voltastomaco. Si aggiunse quella della fontana d'amore che riversava il suo liquido denso e caldo su di loro, fino a ricoprirli quella sostanza appiccicosa... Soffocò un conato.

Moanwë cominciò a canticchiare.

«Ooooooooooooooooooooh Maria! Ti amoooooooooo!» 

Thorin sbatté le palpebre incontrò lo sguardo di Varda. Come se gli avesse letto le sue preoccupazioni nella mente, gli disse: «Manwë sta chiedendo consiglio all'Uno sulla vostra prova. Pazientate e non preoccupatevi».

Thorin si fissò i piedi. Aspettare era fastidioso, stare nudi era ridicolo e, se dovevano maneggiare mazze, chi se ne frega a chi appartenevano? 

Sempre mazze di carne erano.

Il risultato sarebbe stato lo stesso.

Ugh.

Manwë rientrò con uno sguardo sognante, e l'odore di erba medica bruciata era così forte che uno strano senso di calma pervase l'animo di Thorin. Osservò distaccato Manwë che si muoveva piano, mentre Varda gli andava incontro, per prenderlo sottobraccio.

«Vardina, ogni tanto dovremo contattare Eru Ilúvatar insieme».

«Certo, caro» disse lei, dandogli pacche sul braccio, «un giorno mi unirò a te in comunione con l'Uno».

Varda accompagnò Manwë sul trono e lui si sedette con le gambe larghe e un braccio penzoloni oltre il bracciolo del trono. Il suo sguardo vagò per la stanza, il sorriso gentile sulle labbra.

«Il mio signore Manwë vi comunicherà ora il verdetto» disse Eönwë.

Manwë sbatté le palpebre e il sorriso si allargò.

«Oh, giusto: Eönwë, vai a prendere il premio».

Varda si avvicinò all'orecchio di Manwë. «Caro, la prova, prima».

«Hai ragione, tesoro. Eönwë, manda Thorondor a chiamare Ulmo». Manwë rivolse lo sguardo a loro. «Dovrete lucidare la sua Vigorosa Mazza».

Eönwë lanciò un grido che sembrava il grido di un'aquila. Gli fece eco un verso simile e poi ci fu solo silenzio.

Silenzio che rese più reale l'avvicinarsi della prova.

Thorin chiuse gli occhi e inspirò più volte. 

Doveva farcela. 

Per spezzare quella stupida maledizione, per Erebor e i suoi sudditi. 

Era già stato umiliato una volta con la prima prova, che differenza faceva? E poi nessuno l'avrebbe saputo. Se Thranduil avesse fatto girare voci, gli avrebbe ricordato che avevano fatto le stesse cose in quelle prove. 

Due valletti si avvicinarono a loro, ognuno con una brocca d'olio, spazzola di ferro e pelle di daino. Che se ne dovevano fare di quella roba? A questo Ulmo piacevano cose strane.

Thorin strinse il manico della spazzola di ferro tra le mani e prese ampi respiri. Con sua soddisfazione notò che anche Thranduil era teso, i muscoli contratti si vedevano benissimo in quel corpo spelacchiato.

Con un tuono comparve nel mezzo della stanza un uomo enorme e completamente nudo. Aveva i capelli e la barba scuri, bagnati fradici e intrecciati con alghe e conchiglie. Dalla fitta peluria –sempre decorata da alghe del pube– pendeva la sua mazza grossa e moscia.

Thorin deglutì all'idea di quello che gli aspettava.

Con una spazzola di ferro!

«Mi hai chiamato, fratello» disse il nuovo arrivato e aggrottò le sopracciglia nel posare gli occhi su Manwë. «Hai chiamato l'Uno?» chiese con tono preoccupato.

«Il mio signore Manwë è stato chiamato come giudice per una prova di due Incarnati e ha decretato che dovranno lucidare la tua Vigorosa Mazza, Ulmo».

Ulmo si schiaffò una mano sulla fronte. «Che le meduse ti tocchino, Manwë, ho lasciato la Vigorosa Mazza a casa! Ma non potevi dire tutto subito al tuo uccellaccio?

«Ossë!» chiamò Ulmo, «Ossë, portami la mazza».

In un turbinare di vento e tuoni nella stanza, comparve nelle mani di Ulmo una mazza da guerra.

Era grossa, poco meno dell'altezza di Thorin, e tutta in metallo. Ma soprattutto dalla testa con le coste sinuose e le punte rinforzate fino al manico con l'impugnatura sagomata, era incrostata da fare schifo. C’erano residui bianchicci, viscidume verde e roba grigiastra a chiazze. Forse aveva anche degli abbellimenti nella testa e nel manico, ma con tutto lo sporco era difficile dirlo.

Ulmo si rivolse a loro due e posò la Vigorosa Mazza ai loro piedi.

«Ecco, pulite». 

Non dovevano maneggiare mazze di carne. Oh, che bello!

Non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. Thorin rise dal sollievo e si mise all’opera. 

Con la spazzola di ferro in mano, prese a fischiettare mentre puliva il manico.

Certo, la mazza era difficile sia da maneggiare che da pulire, ma lucidare armi e metallo era qualcosa che sapeva fare. E poteva apprezzare anche la fattura di questa Vigorosa Mazza che resisteva agli attacchi del mare e del sale.

All'altra estremità della mazza, Thranduil si dava da fare, le orecchie rosse, zitto e nessuna puzza sotto il naso. Ah! Che spettacolo. Il Re di Bosco Marcio che si abbassava a pulire.

Questo sì che avrebbe voluto raccontarlo! Altro che mazze di carne!

Per quanto la prova fosse migliore di ciò che aveva immaginato, pulire e lucidare la Vigorosa Mazza dal maltrattamento che aveva subito dal tempo e dal mare fu un lavoro lungo e faticoso. Thorin smise di fischiettare e, quando finirono, entrambi erano esausti e con le braccia doloranti. 

Ma la mazza splendeva così tanto da potercisi specchiare.

Eönwë si fece avanti con due indumenti. 

«La vostra prova è superata, signori».

Thorin prese mutande e pantaloni e con somma gioia li strinse al petto.

Non avrebbe più dovuto soffrire la vista degli attributi del Re di Bosco Marcio! 

Niente più sederi al vento! 

Avrebbe voluto piangere e saltare e ballare, ma invece indossò le mutande.

 


 

Angolo dell’Autrice

Ebbene, sì, i nostri eroi si vestono un pochino… Con somma delusione di tutti coloro che avrebbero voluto vederli andare ancora in giro nudi (tecnicamente sono ancora a torso nudo!)

Comunque.

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Mary ***


IV. Mary

 

Thorin non si ricordava del perché fosse stato contrario a Mary nella compagnia per riprendersi Erebor. Come aveva anche solo pensato che lei non fosse adeguata?

Era perfetta: dai folti capelli color del grano al tramonto nella sedicesima giornata d’estate, mossi in armoniose onde fluenti, alla pelle così chiara da sembrare il marmo più puro e bianco. Le sue ciglia erano lunghe, folte e deliziosamente arricciate e velavano uno splendido paio di occhi color smeraldo screziato da venature dell’oro più puro. Le sue labbra erano di un naturale rosso rubino, la boccuccia piccola, e le orecchie, leggermente appuntite a indicare la sua misteriosa discendenza, non stonavano affatto su quel visino incantevole. 

Il suo, poi, era il corpo di donna eccezionale: le curve nei punti giusti, le gambe lunghe e affusolate nonostante fosse alta quanto lui, e due seni perfetti, tondi e morbidi. 

Ma non era solo il suo aspetto ad essere perfetto: era silenziosa come un’ombra, scaltra e coraggiosa, abile a maneggiare la spada e l’arco, e saggia più di quel vecchio Stregone Grigio.

Per questi motivi lei gli aveva rubato il cuore e Thorin la stava portando in una delle sale più preziose e ricche di Erebor: la Sala del Re.

La sua manina delicata e morbida era così piccola in confronto alle sue mani da Nano, grosse e rozze. Avrebbe accettato le sue carezze, i suoi baci ruvidi di barba? Il cuore di Thorin batteva così forte che era impossibile che lei non lo sentisse. 

Mary gli sorrise, i denti bianchi e perfetti come perle, e gli strinse la mano, come se conoscesse i suoi dubbi e cercasse di dargli conforto.

«Oh, Mary Sue» sospirò lui e l’attirò tra le sue braccia, stringendo a sé quel corpo morbido e perfetto.

La baciò sulla fronte, la baciò sulle guance, osò baciarla pure sulla bocca e ad ogni sospiro, ad ogni gemito, il suo sangue ribolliva e nel suo corpo montava il desiderio per lei.

«Vieni» le sussurrò sulle labbra e lei lo guardò con quegli occhi di smeraldo screziati d’oro, luminosi come mai nemmeno l’Archengemma era stata, e il suo cuore si riempì d’orgoglio, perché lei amava solo lui.

Aprì la porta delle stanze del re e la condusse sul letto, morbido di lenzuola di seta rossa.

Lenzuola di seta rossa?

Thorin batté le palpebre. Perché il letto era intatto, come se fosse stato rifatto da poco, fresco e per nulla polveroso?

«Oh, Thorin, che cosa ti preoccupa?»

La sua voce soave lo riscosse e una delicata carezza sulla guancia lo riportò alla realtà. Si chinò su di lei, ricoprendola di baci.

In fondo, che importava se il letto non era polveroso? Che importava della seta rossa?

Le labbra di Mary lo distrassero ancora, le sue mani scivolarono tra i capelli e la sua presa fiera era forte attorno alla testa. Thorin le allentò la veste, rivelando quegli splendidi seni tondi e morbidi, e vi affondò il viso.

Il tepore e la morbidezza della pelle erano così perfetti che si commosse e la baciò ancora, sul petto, colse quei boccioli tra le labbra, godendo di ogni suo sospiro. Così la spogliò, mentre la ricopriva di baci, e fu nudo anche lui, un orso peloso in confronto alla perfezione e all’assenza di peli del corpo di lei.

No, un momento. 

A lui piacevano pelose. 

Belle Nane pelose, dai culetti vellutati di peli e guance con barbe intrecciate. E un discreto cespuglio là dove Mahal aveva celato il loro tesoro.

«Oh, Thorin». Mary si coprì i seni con un braccio e mise una mano per coprire l’assenza di peli tra le gambe. «Vai piano. È la mia prima volta». 

Sbatté le lunghe ciglia e spinse in fuori le labbra nel formare un delizioso piccolo broncio.

Thorin scosse la testa e abbassò lo sguardo. Era nudo, il suo desiderio evidente, eppure…

Il tondo sedere bianco e perfetto di Mary lo stava distraendo. Thorin allungò una mano per afferrarlo, ma si ricordò di un altro fondoschiena, bianco e disgustosamente perfetto e disgustosamente elfico.

Le prove.

La maledizione, per la barba di Mahal!

Thorin tirò un pugno a quel materasso morbido rivestito di seta rossa e Mary saltò via con un urlo impaurito.

«Che ti prende, Nanerottolo del mio cuor?».

Thorin scosse la testa, doveva schiarirsi le idee. Non poteva esserci nessun materasso rivestito di seta rossa, non dovevano esserci lenzuola di seta rossa nella sua stanza, non c’erano mai state! Ed era impossibile che quell’avido Drago si fosse messo ad arredare una stanza.

Thorin si tirò una manata sulla fronte. Eppure Mary era lì, in piedi sul pavimento di pietra, nuda e perfetta, con i lunghi capelli boccolosi che nascondevano i seni e le braccia a coprire come poteva il corpo nudo.

Non era una illusione?

Thorin si pizzicò un braccio, con l’unico risultato di grugnire per il fastidio. Raccolse le mutande e i pantaloni. Non c’era altro! 

Certo che non c'era altro. Era ancora sotto l’effetto di quell’assurda maledizione!

Ma come ne usciva, per Mahal?

E dov’era quello spocchioso Elfo?

Lo sguardo di Mary si rabbuiò nel vedere che si stava rivestendo.

«Dov’è Re Thranduil?» chiese lui con tono brusco.

«Non mi hai portato qui per farmi tua?» 

Thorin la fissò con gli occhi sgranati.

La sua voce non aveva il solito tono soave, dolce e musicale; quello era un suono stridulo degno di un rapace. Che era successo? 

Forse si era offesa perché si stava allontanando da lei?

Sospirò, avrebbe potuto almeno spiegarle le sue azioni brusche. Si tirò su i pantaloni e si avvicinò a lei, per poi prenderle una mano e accarezzarne il dorso.

«Mary, devo trovare prima quell’inutile Re di Bosco Marcio, devo sciogliere una maledizione».

Ma lei liberò la mano come se l'avesse scottata e raccolse i vestiti. Si lanciò fuori dalla stanza, piangendo e ululando: «Noooooooooo! Non mi vuoleeeeeee!»

Thorin rimase fermo, in piedi in mezzo alla stanza, i pantaloni slacciati e la porta spalancata.

E ora?

Thorin si guardò attorno, chiudendosi i pantaloni. Quella non era la vera Sala del Re.

A parte il letto con le lenzuola di seta, c’era una cassettiera di legno con uno specchio troppo alto per un Nano. E cos’era quel mattone nella parete lì accanto?

Si avvicinò e lo premette. 

Che idioti. 

Un mattone in una stanza scavata nella roccia?

Una porta si aprì alla sua destra e Thorin imboccò il corridoio illuminato da torce.

 

***

 

«Perdonami, Mary Sue. Sei libera».

Thranduil prese la veste dalla sedia e la poggiò sulle spalle martoriate di Mary, prima di cingerla tra le braccia. Come aveva potuto gettare quella creatura ferita nelle sue celle? Come aveva potuto sospettare che fosse in combutta con quei Nani? 

Lei poggiò la testa sulla sua spalla e si strinse a lui, il suo corpo così perfetto contro il proprio che quella parte del suo cuore, fredda da secoli a causa della solitudine, si risvegliò. 

Thranduil passò le dita tra i lunghi capelli di Mary. Erano lisci, lucenti e del colore delle onde del mare ed erano così morbidi e perfetti. Però, che strano che fossero così puliti e profumati, dopo tutto quello che lei aveva passato in quei giorni: costretta con la forza a seguire quei Nani, imprigionata e seviziata da Goblin e Orchi, assalita dai ragni nella foresta.

Lei sollevò la testa e sgranò gli splendidi occhi color ametista, mentre con le dita gli stringeva le braccia nude.

«Sono davvero libera di andare?» mormorò lei, con quegli occhi così grandi da potervi annegare dentro.

Thranduil le sorrise, rassicurante.

«Puoi andare dove vuoi, Mary Sue».

Lo sguardo di Mary percorse la sua figura e la sua mano gli sfiorò il torace nudo, con una leggera carezza. Le guance della ragazza si tinsero di rosso e lei si strinse meglio nella sua veste.

«Voglio andare ovunque tu sarai» sussurrò lei.

Uno strano brivido scivolò lungo la schiena di Thranduil.

«Chiamerò una guardia» disse lui allora, con un sussurro e una carezza tra i capelli, «perché ti conduca nelle mie stanze, così che tu possa rilassarti. Potrai chiedere di fare un bagno, se ciò ti è di aiuto».

«E tu?» Nella sua voce c’era una vena di delusione.

«Io, mia cara Mary, devo risolvere alcuni affari che mi terranno occupato fino a stasera, quando tu diverrai regina del mio cuore» le disse e sorrise. 

Sembrò bastare perché lo sguardo di Mary diventasse brillante e i suoi occhi si riempissero di lacrime di gioia. Lo abbracciò, una stretta forte per qualcuno così indebolito dalla prigionia. 

«Grazie!»

Thranduil si allontanò da Mary a malincuore, affidandola alle cure dei suoi servitori, e si diresse nella sala del trono, il pensiero di dover passare un intero pomeriggio già insopportabile. 

E infatti mai un pomeriggio gli sembrò così lungo.

Mary era nelle sue stanze e lui era costretto lì, sul trono, ad ascoltare rapporti, giudicare, regnare.

A torso nudo.

E senza corona.

Com’era possibile? E quel rompiscatole di Galion non glielo aveva fatto notare? Thranduil si passò una mano tra i capelli.

La corona…

Tamburellò sul bracciolo del suo trono. Almeno qualcosa di positivo c’era. Mary lo stava aspettando nelle sue stanze e quella notte…

La corona.

Un momento. 

Ma Mary non era stata violentata e non aveva subito torture? Perché era stata così a suo agio quando l’aveva presa tra le braccia, nonostante fosse lui quello che l’aveva buttata in cella? Perché era così contenta della prospettiva di vedersi quella sera? 

E dove era finita la maledetta corona?

Thranduil afferrò entrambi i braccioli e si alzò in piedi. Scese dal trono, ignorando la faccia scocciata di Galion e delle guardie, per poi marciare verso le sue stanze.

La sua corona era al suo posto, sul tavolo. Già, ma perché era lì e non sulla sua testa? 

Proprio in quel momento Mary uscì da una porta laterale, vestita solo dei suoi lunghissimi capelli.

Il bagno aveva fatto meraviglie al suo aspetto e, se possibile, era ancora più bella e perfetta. Sembrava vestita dell’abito più prezioso al mondo, intessuto di luce e di stelle, con quei capelli color del mare che scivolavano morbidi e setosi sulle spalle.

Thranduil prese la corona e, nel sollevarla, si soffermò a guardare Mary attraverso i rami intrecciati. Sarebbe stata certo meglio addosso a lei, la regina del suo cuore. Si incamminò verso Mary, che lo fissava, sorpresa.

«Che succede?»

«Non ricordi?», sollevò la corona. «Voglio che tu sia al più presto la regina».

Mary si portò le mani alla bocca, lo sguardo che passava dalla la corona, a lui, poi di nuovo alla corona. 

Thranduil le sorrise e raddrizzò la schiena.

«Oh, Thranduil, io...»

Lui le sorrise.

«Tranquilla, Mary. Non c’è alcun motivo di correre, per l’aspetto fisico del nostro rapporto. Sono un Elfo, ricordalo, e posso aspettare quando sarai pronta».

A quelle parole le sue guance si tinsero di rosso, prima che lei riuscisse a nasconderle con le mani.

«Thranduil, sono così in imbarazzo! Ma se sei tu… Non ci saranno problemi!»

Lui sbatté le palpebre sorpreso, stringendo la corona tra le dita. Non riusciva a togliersi dalla testa quanto quel comportamento fosse sospetto. 

Mary lo guardava con i suoi grandi occhi color ametista.

Non c’era nessuno, a parte loro due, nella stanza.

Mary si chinò in avanti. Era solo un gesto simbolico, eppure sembrava così importante. Le dita di Thranduil ebbero un tremito. C’era qualcosa di sbagliato. 

Perché non l’aveva indossata per tutto quel tempo? 

Perché non indossava alcuna veste, ma solo i pantaloni?

Abbassò gli occhi su Mary che gli restituì uno sguardo stranito.

«Thrandy, tutto bene?»

«Niente Mary». Thranduil posò la corona sul tavolo. «Pensavo solo che la tua incoronazione potrebbe essere celebrata in modo più ufficiale. Il mio popolo dovrà conoscere la sua nuova regina». 

Non gli venne in mente null’altro per giustificarsi con lei. Ma aveva senso, stava correndo troppo, anche per gli standard di un Uomo.

Mary annuì con un sorriso, il ritratto della comprensione. «Ma certo, mio re». 

Poi abbassò lo sguardo e si portò le mani sul petto, il suo viso di nuovo rosso. 

«Oh! Che imbarazzo! Ma sono nuda!»

Thranduil però tornò a guardare la corona. Perché l’aveva posata anziché indossarla? 

Perché?

La maledizione.

Si voltò verso Mary con gli occhi stretti: sul suo corpo nudo, non c’era nessuna cicatrice visibile, né segni di tutto quello che aveva raccontato.

Sospetto, molto sospetto.

Tuttavia le prese le mani tra le sue.

«Mary, permettimi di andare ad organizzare i dettagli della cerimonia. Ti manderò un sarto, perché tu possa scegliere dei vestiti di tuo gradimento» le disse e le baciò le nocche.

Senza lasciarle il tempo di ribattere, uscì dalla stanza a passo svelto, e si affrettò attraverso le sale del suo palazzo. 

L’assenza di passi che lo seguivano o la voce di Mary che lo chiamava gli fecero tirare un sospiro di sollievo.

Non solo c’era qualcosa che lo spingeva ad azioni avventate e credere alle parole di Mary contro ogni evidenza, ma anche una strana ragazza dai capelli così… No, non erano perfetti. Erano impossibili e innaturali e c’era qualcosa che glieli faceva trovare così… attraenti. Storse la bocca.

Dov’era Galion? Doveva cominciare i preparativi per la cerim–

No. 

Aveva bisogno di un bicchiere di vino. Magari due. 

E non aveva intenzione di restare nei paraggi di Mary un attimo di più. 

Si diresse verso le cantine.

Ma lì non trovò Galion. E a pensarci bene, non c’erano state nemmeno le guardie lungo i corridoi. 

Thranduil avanzò tra le file sfiorando il legno delle botti. Quelle per fortuna erano sempre lì, un qualcosa di rassicurante in quella situazione. Prese una coppa e si versò del vino, gustandone il sapore inebriante a occhi chiusi. 

Con uno sferragliare una botola si aprì ai suoi piedi per mostrargli una scala. 

Non si ricordava dell’esistenza di un meccanismo del genere nelle cantine. Forse era l’uscita da quella situazione? 

Thranduil svuotò il bicchiere in un sorso e prese le scale.

 



Angolo dell’autrice

Morga: Che succede? – Kan

È proprio la reazione adatta.

Thorin e Thranduil... con delle Mary Sue! Era una prova?

E se è così, l’avranno passata, ‘sta prova?

kiaealterego

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Capitolo 5
*** Il completamento ***


V. Il completamento

 

Lungo il corridoio illuminato da torce, Thorin ritrovò Thranduil, fermo, come se lo stesse aspettando.

Il Re di Bosco Marcio gli rivolse uno sguardo gelido. 

Entrambi erano ancora a torso nudo.

«Anche tu hai affrontato una prova da solo?» disse a bassa voce. Perché, per tutte le sale di Khazad-dûm, doveva mettersi a parlare di questo?

«Mary Sue?» ribatté invece Thranduil.

Thorin annuì, riluttante. «Oscenamente bella, per i canoni degli Uomini».

«La mia aveva i capelli blu».

Thorin si passò una mano dietro il collo. «Naturalmente, non parlerò mai di queste prove...» lasciò la frase in sospeso, fino a che Thranduil non gli rivolse lo sguardo, «Se tu non ne parlerai. Se si verrà a sapere dei boccioli della Regina della Terra, dirò a tutti che l'hai succhiato a Ulmo»

Thranduil alzò un sopracciglio. «Se devo proprio mentire su ciò che è successo, dirò che hai sposato una certa Mary Sue, della razza degli Uomini, e avete concepito una figlia. E che, quando l'hai saputo, ti sei accoppiato con lo Hobbit per festeggiare».

«Non è vero!» ringhiò Thorin.

Il Re di Bosco Marcio si limitò a fare spallucce.

«Abbiamo fallito, secondo te?»

Thranduil sembrava sovrappensiero. «Nelle prime due prove c'erano le Potenze a fare da giudice. In quest'ultima non c’è stato niente di tutto ciò. Continuiamo lungo questo corridoio, non è detto che sia conclusa».

Thorin pregò Mahal che l'Elfo si sbagliasse a riguardo.

Il corridoio si aprì in una grossa stanza circolare. Al centro c’era un piedistallo, con due corone in esposizione e ai piedi due involti. 

La corona di Erebor. 

La camicia e la giacca di pelliccia.

Thorin avanzò e allungò le mani sul solido oro squadrato della corona. Sorrise quando le sue dita si strinsero sul metallo, freddo e concreto contro la sua pelle. Era vera. Non era un’illusione.

Avevano finito! La prova era superata!

Thranduil era rimasto a un passo dal suo obbrobrio di rametti decorativi, le braccia incrociate e gli occhi stretti. Thorin gli rivolse il sorriso più orribile che fosse in grado di fare e indossò la corona.

Dei botti, e petali colorati svolazzarono nella stanza. Thorin saltò via dal piedistallo, mentre altri scoppiettii e coriandoli li inondavano.

Stava infilando la manica della camicia, quando un battito di mani attirò la sua attenzione.

«Complimenti, sovrani, miei complimenti! Avete superato anche questa prova!»

L'Esecutrice Junior, quella del Comitato di 'sta Rincoglionita Carogna, emerse dalle ombre della stanza, sempre ammantata di nero e con il cappuccio che le nascondeva il viso. Thranduil si era già rivestito, la corona in testa e le braccia incrociate sul petto, grazie a Mahal, coperto da quel grigiume di veste ridicola.

Meglio quello che soffrire la sua vista da nudo.

Thorin tirò giù la camicia.

La figura si schiarì la voce. «Mi rincresce dare questa notizia, ma non avete finito».

Non avevano finito? E cosa mancava? Avevano superato... 

No!

«Esatto, mio caro Re Sotto la Montagna in Esilio». 

L'Esecutrice Junior doveva avergli letto nel pensiero o semplicemente aveva visto che abbassava lo sguardo sui suoi piedi nudi. 

Per le fucine di Mahal! Si era dimenticato di non aver passato una prova. Grazie all'aiuto della Regina della Terra, non provava alcun disagio a camminare scalzo, ma questo non voleva dire che avesse spezzato la maledizione.

Thorin alzò gli occhi per incontrare quelli di Thranduil freddi e crudeli da assassino.

L'Esecutrice Junior si grattò la testa nel borbottare: «Come fare? Come fare?»

C'era qualcosa nel suo tono che gli fece colare sudore freddo lungo la schiena. Cosa che aveva percepito anche Thranduil, a giudicare da come corrugava la fronte anziché ostentare la sua solita aria di Spocchia Elfica.

O forse stava solo calcolando come sfruttare la cosa a suo favore

«Ma sì...» mormorò lei e si volse verso di loro.

«Siccome solo Thranduil, figlio di Oropher, Re degli Elfi Silvani del Boscoverde, ora detto Bosco Atro, ha superato la prova. Invece Thorin, figlio di Thrain, Re Sotto la Montagna in Esilio ha fallito, posso applicare la clausola del paragrafo 3, comma 2, articolo 1». 

L’Esecutrice Junior si schiarì la voce.

«Dato che il fallimento della prova da parte di Thorin Scudodiquercia, figlio di Thrain, Re Sotto la Montagna in Esilio è dipeso dalla insufficiente collaborazione delle parti, la prova riparatoria dovrà essere affrontata da ambo le parti».

Una prova ancora, e l’avrebbero subita entrambi. 

Thorin lanciò un'occhiata a Thranduil, che aveva gli occhi stretti rivolti verso l'Esecutrice Junior. Oh, che cosa poteva essere di tanto terribile questa prova? Avevano colto rugiada, lucidato mazze ed evitato di finire a letto con femmine strambe e sospette.

«Purché non si parli di queste prove» disse.

L'Esecutrice Junior agitò una mano in aria. «Troppo tardi, Thorin Scudodiquercia».

Thorin sgranò gli occhi e aprì la bocca. «C'è chi sa... Cosa...»

«Tutti i lettori, tutto. Sì, Thorin, molto divertente la parte in cui hai scambiato le tette di Yavanna per boccioli di fiori». 

La voce dell'Esecutrice Junior era troppo canzonatoria per i suoi gusti. Forse avrebbe dovuto preoccuparsi di questa ultima prova.

«Qual è la prova?» chiese Thranduil, la voce tesa.

L'Esecutrice Junior unì le mani davanti a sé. 

«Oh, dovete solo baciarvi con trasporto».

«Cos–». 

Thorin si strozzò con la sua stessa saliva e tossì.

«Non ho nessuna intenzione di baciarlo!»

«Mi rincresce, ma sono d'accordo con il Nano».

«Non volete tornare a casa?» disse lei.

Thorin e Thranduil si scambiarono un’occhiata che rifletteva tutto lo schifo che entrambi provavano all'idea.

«Ugh, non così!»

«Eravate ben disposti a strofinare mazze di carne e vi fermate davanti a un ostacolo così minuscolo come un bacio? Sono sicura che sarà il bacio del vero amore». Alle ultime due parole, infilò le mani nel cappuccio e volse la testa verso l'alto con un sospiro, il cappuccio che rimaneva sempre al suo posto e si ostinava a nasconderle il volto.

«Vero amore?» disse Thranduil, gelido. «Ho una moglie, io».

L'Esecutrice Junior agitò di nuovo una mano davanti a sé. «Suvvia, per un bacio non si offenderà».

«Con trasporto» aggiunse Thranduil, il tono sempre gelido. 

Thorin rabbrividì all'idea, e per una volta fu contento che l'Elfo avesse preso in mano la situazione. Almeno lui poteva usare la scusa della moglie!

«Se non è con trasporto vale un decimo!» protestò l’Esecutrice Junior, con tono piagnucoloso.

Thranduil strinse gli occhi e anche Thorin assunse la sua espressione più arcigna e minacciosa. Forse così sarebbero riusciti a persuaderla a lasciarli andare.

L'Esecutrice Junior fece un passo indietro, poi sembrò ritrovare coraggio e si fermò, incrociando le braccia. 

«Guardatemi male quanto volete, fino a che non vi baciate non tornerete indietro». C'era della spacconaggine nella sua voce, ma il tono non era fermo. 

L'avevano messa alle strette?

Thranduil sollevò gli occhi al cielo e si voltò verso Thorin, con le spalle tese e la mascella contratta.

«Sembra che non abbiamo scelta».

«Non si stuferà prima lei di aspettare?»

«No, no, mio caro Thorin. Se mi costringerete ad aspettare, i baci diventeranno due, poi quattro e poi chissà? 

«Magari vi richiederò di amarvi a vicenda… Carnalmente».

Ecco perché aveva trovato il coraggio. Si era ricordata che era lei che decideva lì.

Thorin gettò le braccia in aria e sbuffò esasperato. «Mahal che stai nelle rocce tutte, dammi la forza e poi fammi dimenticare l'esperienza».

Si voltò verso il Re di Bosco Marcio e deglutì. «Senti… Facciamo in fretta».

Thranduil annuì e fece un passo avanti.

Thorin strinse i pugni.

Thranduil si passò una mano sul viso e sospirò.

Si fissarono per qualche minuto, finché la figura non batté il piede a terra.

«Avanti, vi sbrigate?»

Thranduil si piegò in avanti, la sua espressione sempre più sofferente mano a mano che si avvicinava a Thorin. 

No, era impossibile! Indietreggiò con la testa, l’immagine del sedere pallido del Re di Bosco Marcio come se fosse davanti ai suoi occhi. Non ce la faceva proprio. La faccia di Thranduil era troppo vicina, non era rilevante che sembrasse contrariato quanto lui.

«Fermi tutti!»

Una seconda figura ammantata comparì dal nulla e marciò dritta verso l'Esecutrice Junior.

Thranduil si raddrizzò e allontanò a una velocità tale che a Thorin sfuggì un sospiro di sollievo.

«Cosa avevi intenzione di fare?! Avevi un compito e te ne sei approfittata!» Anche la nuova venuta aveva una voce femminile e stava puntando il dito contro l'Esecutrice Junior.

Quest'ultima si stropicciò le mani e si fece piccola piccola stringendosi nelle spalle, la seconda figura ammantata che torreggiava su di lei, nonostante fossero alte uguali. 

«Ma–».

«Ma un corno!» La nuova arrivata alzò la voce. «Dovevi solo correggere la sceneggiatura! La cavolo di sceneggiatura!» 

All'ultima parola, un plico di fogli cadde a terra come se lei stessa l'avesse sbattuto lì.

«La vedi?»

L'Esecutrice Junior fece di sì con la testa, piagnucolando.

«Ti sei divertita così tanto con questi due che ti sei scordata la missione! Hanno già finito di girare le scene!

«Continueranno a dire che noi del CORICA non serviamo a nulla! Non siamo nemmeno riusciti a mettere una toppa a questo! Sai cosa succede ora? Sai cosa?»

L'Esecutrice Junior fece di no con un fluttuare del cappuccio.

«Kiliel» disse l’altra con tono funereo.

«Bagginshield?» 

Thorin non aveva la più pallida idea di cosa stessero parlando quelle due, ma il solo suono di quella parola sconosciuta gli fece rizzare i peli sulla nuca. 

«Solo queerbaiting» le rispose asciutta la nuova arrivata. 

Si voltò poi verso Thranduil e Thorin e abbassò il cappuccio, rivelandosi una donna umana ordinaria, dai capelli corti e scuri. Si inchinò, una mano al petto.

«Dovete scusarci sovrani, sono l'Esecutrice Senior». Si raddrizzò.  «L'Esecutrice Junior qui presente aveva un compito e non avrebbe dovuto coinvolgervi personalmente». 

La donna si voltò per lanciare uno sguardo di fuoco verso l'Esecutrice Junior. Lei si fece ancora piccola, un tremolio che faceva ondeggiare il manto che la nascondeva.

«Purtroppo ha fallito e l'unica cosa che posso fare è rinnovare le nostre scuse, a nome del CORICA e riportarvi nella vostra storia originale».

«Senza ricordi insensati e discorsi su gemme che non stanno in piedi?» chiese Thranduil.

Ah! Voleva dire che il Re di Bosco Marcio non sapeva della sua missione? Thorin strinse gli occhi. Ma era vero?

«Senza ricordi insensati e discorsi su gemme che non stanno in piedi» ripeté l'Esecutrice Senior, con tono dolce e rassicurante.

Prima che loro potessero rispondere, lei allargò entrambe le braccia e le ombre della stanza seguirono i suoi movimenti. 

«Per i poteri a me conferitimi dal CORICA, io vi riporto al Verbo del Professore».

Richiuse le braccia e attorno a Thorin, tutto divenne buio e silenzioso.

Erano tornati al palazzo di Thranduil? 

Sembrava di sì. 

Il peso della corona svanì dalla sua testa e i suoi abiti presero a puzzare. Quanto puzzavano, per la barba di Mahal? Per fortuna che il suo naso si sarebbe abituato presto. Finire in una tana di goblin e poi viaggiare attraverso una foresta tetra e maledetta non faceva bene all'igiene personale, in fondo.

Pian piano, una luce tenue e ambrata illuminò  la sala del trono del Re degli Elfi.

Thorin stette ritto, due guardie silenziose ai suoi fianchi, e fissò il Re, seduto sul trono, lo sguardo severo. Dove erano rimasti?

Ah, sì. Lo avevano catturato, posto sotto un incantesimo e ora si trovava ai piedi del Re degli Elfi. Avrebbe tenuto la bocca cucita e non avrebbe pronunciato una sola parola riguardo a oro o gioielli della Montagna.

«Perché tu e i tuoi avete cercato per tre volte di attaccare il mio popolo durante i loro festeggiamenti?» gli chiese il Re, la voce calma.

«Non li abbiamo attaccati» rispose Thorin. «Imploravamo per del cibo, perché morivamo di fame». 

Doveva trovare un modo per uscire di lì. 

Erebor e l'Archengemma lo aspettavano.

 


 

Angolo dell’Autrice

Phew, è fatta!

Sono liberi dalla maledizione \o/

Questo significa che la storia è finita (che emozione!).

Ringrazio tantissimo la mia alfabeta che con le sue pazienti correzioni ha lubrificato ben bene l’italiano di questa storia. 

Modalità promozione senza vergogna: ON
Andate a leggere le sue fan fiction, sono bellissime :D
Modalità promozione senza vergogna: OFF

Un grazie speciale a greenleaf, che mi ha condiviso il suo parere sui capitoli. Sono contenta che questa storia ti abbia fatto ridere :)

E infine, un grazie a chi ha letto, spero che vi sia piaciuta questa piccola (dis)avventura di Thranduil e Thorin e, se anche non vi ha fatto ridere come spero, che almeno vi abbia fatto sorridere!

Ci vogliono un po’ Valar pescivendoli in questo fandom serioso ù_ù

kiaealterego

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