The Ackerman Pub

di Mars_child
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bentornati a Eldia ***
Capitolo 2: *** Una donna per Erwin ***
Capitolo 3: *** Buon compleanno, Eren! (pt. 1) ***
Capitolo 4: *** Buon compleanno, Eren! (pt. 2) ***
Capitolo 5: *** Gita in montagna ***
Capitolo 6: *** Pedinamento ***
Capitolo 7: *** Maschi contro femmine ***
Capitolo 8: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 9: *** Un porto sicuro ***
Capitolo 10: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 11: *** Crisi passeggera ***
Capitolo 12: *** Decisione ***
Capitolo 13: *** La caccia al tesoro - Sentieri paralleli ***
Capitolo 14: *** La caccia al tesoro - Triangoli ***
Capitolo 15: *** La caccia al tesoro - Malintesi ***
Capitolo 16: *** Una nottata sulla spiaggia ***
Capitolo 17: *** Aria di cambiamento ***
Capitolo 18: *** Capitoli chiusi e porte aperte ***
Capitolo 19: *** Arrivederci, Eldia! ***



Capitolo 1
*** Bentornati a Eldia ***


Bentornati a Eldia

Erwin chiuse la cerniera dell’ultima valigia e, con un sospiro, si diresse verso il divano, dove si stravaccò per oltre la sua lunghezza.
Erwin, quell’anno, avrebbe compiuto quarantun anni. La maggior parte degli uomini, a quell’età, si sono appena sistemati stabilmente, sia da un punto di vista finanziario che sentimentale, e si stanno preparando a vivere l’ultimo, lungo stadio della vita adulta.
Per Erwin, invece, le cose stavano ricominciando da zero.
Dopo un matrimonio di appena un anno, la sua ex moglie Lexa aveva deciso di lasciarlo per un altro, giustificandosi con la scusa degli impegni lavorativi di lui che la lasciavano priva di attenzioni. E, alla fine, disperato com’era per la fine della sua relazione, Erwin si ritrovò a lasciare il lavoro e a chiudere lo studio medico che era riuscito ad aprire subito dopo la sua laurea e che aveva dato un sacco di soddisfazioni a lui stesso, a suo padre e, apparentemente, anche a Lexa.
Erwin prese il cellulare e cercò un numero nella rubrica. Rimase a fissare il contatto per qualche minuto, pensando se fosse davvero il caso di fare quella telefonata. In fondo, da quando aveva sposato Lexa, era sparito quasi completamente dalla vita dei suoi vecchi amici di università. Il cambio di città, la gioia del matrimonio, gli impegni con il lavoro, lo avevano inevitabilmente allontanato dalla sua vecchia vita. E, mentre i suoi due migliori amici continuavano a vivere a metà strada tra l’essere adulti e il voler rimanere giovani, lui si sentiva già più vecchio di loro di parecchi anni.
Erwin premette il nome sullo schermo del telefono e si portò l’apparecchio all’orecchio. Il cellulare emetteva il tu-tu della chiamata in attesa ed Erwin contò gli squilli.
Uno… Forse sta già dormendo
Due… Magari mi odia e basta
Tre… Tanto mi chiuderà la telefonata
Quattro… Al quinto stacco io e lancio il telefono dall’altra parte della stanza
«Pronto?»
Erwin, che nel frattempo si era messo a giocare con una pallina antistress che aveva trovato sul divano, sobbalzò
«Eh? Pronto?» chiese, non sapendo nemmeno cosa dire, dato che non si aspettava minimamente che lui avrebbe risposto
«Ma pronto cosa? Sei tu che hai chiamato, pronto lo dico io» rispose la persona dall’altro capo del telefono «Allora, cosa vuoi?»
Erwin si alzò a sedere, prendendo un’altra pallina dal tavolino di fronte il divano, una di quelle che rimbalzano, e iniziò a giocare con questa
«Ehm, niente. Niente di particolare» Erwin si schiarì la voce «Volevo solo sentirti, tutto qui»
«Che razza di frocio che sei. Perché dovresti avere voglia di sentirmi a quest’ora della notte?»
Erwin alzò lo sguardo verso l’orologio sulla parete del salotto e si rese conto che erano le quattro del mattino.
Cazzo pensò, lanciando in maniera troppo forte la pallina a terra che, rimbalzando, finì contro la cornice del gatto morto della madre.
«Tutto a posto?» chiesero dal telefono «Ho sentito un rumore. Pronto?»
«Sì, sì, sì» rispose Erwin, cercando, nel frattempo, di sistemare il pasticcio che aveva combinato «Va tutto bene. Alla grande. Veramente, grazie per averlo chiesto»
Levi alzò gli occhi al cielo e schioccò la lingua.
In realtà, aveva già sentito di Erwin e Lexa. Alcuni dei suoi vecchi colleghi universitari passavano spesso al pub che aveva aperto già da qualche anno e lo avevano tenuto aggiornato sulla vita di quegli amici con cui, ormai, Levi aveva perso ogni tipo di rapporto.
Tuttavia, non aveva nessuna colpa da addossare ad Erwin. Entrambi si erano allontanati così, senza un motivo preciso, spinti soltanto dalla corrente della vita che li aveva inevitabilmente portati su due strade differenti. Però, non negava che il fatto che Erwin avesse deciso di chiamare proprio lui in quel momento di crisi, non faceva che renderlo felice.
«Senti, Erwin. Hai da fare domani?» chiese poi Levi, alzandosi dalla sedia della cucina per riempirsi un altro bicchiere di whisky
«Eh, beh» disse Erwin, tornando a sdraiarsi sul divano «Sai com’è, il lavoro… troppo stress. Però lo sai, per un amico come te ci sarei sempre»
«Ah, sì, il lavoro che hai lasciato perché sei un finocchietto a cui piace prenderla nel culo dai cazzi più grossi del tuo» Levi bevve un sorso «Andiamo, Erwin, smettila di prenderti per il culo da solo e datti una mossa. Se hai intenzione di riprendere in mano la tua vita, alzati da quel divano, fatti una bella dormita e domani pensa a come costruirti il tuo futuro»
Erwin si alzò di scatto
«Come cazzo fai a sapere che sono sul divano?»
«Merda, abbiamo vissuto insieme i sei anni più schifosi delle nostre vite, è normale che so tutto quello che fai anche quando non ti vedo»
«Mh, è vero. Tu, per essere ancora sveglio a quest’ora, ti stavi sicuramente preparando a spararti l’ultima sega della giornata»
Levi abbozzò un sorriso
«Sì, infatti ti ringrazio per aver chiamato, dopo aver sentito la tua voce sarà molto più facile»
Erwin sorrise. Se prima si sentiva un peso addosso, dovuto sia al senso di colpa che alla lontananza che lo aveva tenuto distante da Levi per tutto quel tempo, adesso si sentiva di nuovo sollevato. Era strano, ma, nonostante non avesse sentito Levi quasi per un anno intero, sembrava che non fosse cambiato assolutamente nulla. Tirò un sospiro e poggiò la schiena sul materasso.
«Levi» disse «Ti farebbe piacere vederci e parlare un po’, magari davanti a una birra, come i vecchi tempi?»
«E secondo te a cosa mi riferivo, io, quando ti dicevo di costruirti un futuro?» rispose Levi «Prepara una valigia e vienimi a trovare qualche giorno qui a Eldia. Dove lavoro, troverai sicuramente modo di buttarti il passato alle spalle»
Il passato. Erwin non riusciva ancora a immaginare Lexa come il suo passato. C’erano tante, troppe cose che avrebbe voluto fare con lei, che avrebbe dovuto dirle, tanti sogni che dovevano ancora realizzare. Ma Levi aveva ragione, Lexa era il suo passato. E il passato è passato, e non può più tornare indietro.
«D’accordo, Levi. Ci vediamo domani, allora»
«Fanculo, stronzo» rispose Levi, prima di riattaccare
Erwin posò il telefono sul tavolino e si sdraiò nuovamente. Fissò il soffitto e rifletté sul fatto che sì, doveva ricominciare tutto da capo. E, per farlo, ritornare lì dov’era tutto iniziato sembrava la scelta migliore.
Lanciò uno sguardo alle valigie e ripensò a Levi.
Beh, almeno non aveva intuito che avevo già preparato tutto per trasferirmi da lui.
 
Eren uscì dal bagno con un panno legato ai fianchi e nient’altro. Il suo cellulare continuava a suonare Why are Sundays so Depressing dei The Strokes, mentre lui si dirigeva in cucina per prendere un bicchiere di latte. Sentì il campanello suonare, ma non ci fece subito caso. Pensò che, per una volta, poteva anche rispondere Armin invece di stare sempre seduto sui libri a studiare.
Il campanello suonò ancora e pensò che neanche Mikasa sarebbe intervenuta, perché, a quell’ora, era di sicuro in accademia. Eren tornò quindi in bagno per staccare la musica e si mise a urlare dicendo che stava arrivando. Tornò poi in cucina per continuare a bere il suo latte, ma la persona dietro la porta continuava a suonare insistentemente.
Ma porca puttana.
Eren si sbrigò a raggiungere la porta, non curandosi di essere quasi completamente nudo, né di chiedere chi ci fosse all’esterno.
La porta si aprì ed Erwin si trovò davanti un ragazzo, mezzo nudo, che poteva avere tra i 18 e i 22 anni.
«Chi sei?» chiese Erwin, d’istinto
«Cosa?» rispose Eren «Ma chi sei tu, sei tu che hai suonato!»
Erwin annuì, pensando alla conversazione avuta con Levi quella notte. Guardò il ragazzo dalla testa ai piedi e si chiese cosa stesse passando Levi in quel periodo. Non aveva mai creduto che potesse avere tendenze omosessuali, ma, forse, la notizia del matrimonio di Petra con Oruo lo aveva scosso a tal punto da fargli venire voglia di provare qualcosa di diverso. Solo che quel ragazzo sembrava fin troppo giovane.
«Ok, senti, io sono solo un vecchio amico, non voglio assolutamente mettermi tra te e Levi. Sono venuto qui perché sto passando un periodo difficile, è stato Levi stesso a chiedermelo, credevo te ne avesse parlato. Comunque, non voglio creare nessun disturbo, se per te è un problema mi basta salutarlo e vado subito via…»
«Ma che cazzo stai dicendo?» disse una voce dietro di lui
Erwin si voltò e vide che, poggiato alla porta dell’appartamento di fronte, c’era Levi che lo fissava con le braccia incrociate. Il biondo si guardò attorno, poi guardò Levi, poi Eren e di nuovo Levi. Capì di aver frainteso tutto.
«Beh, qui c’è scritto Ackerman» si giustificò, indicando il campanello
«Perché qui ci sta la mia nipotina» rispose Levi, indicando l’appartamento di fronte «E comunque se fossi frocio non me la farei con questa mezza calzetta»
Eren cambiò espressione, diventando aggressivo
«Ma insomma, la vuoi smettere di usare questi termini? Lo sai che mi dà fastidio» disse il ragazzo, stringendo i pugni
«Scusa, ti chiamerò deficiente da oggi in poi»
«Ma io non mi riferivo a quello»
Erwin prese le valigie e si spostò verso Levi. Poi alzò le braccia come a voler stringere l’uomo, ma lui non si mosse.
«Levi! Amico mio! Hobbit di merda, il tuo Legolas è tornato»
Eren lanciò un’occhiataccia e fece per chiudere la porta.
«Vabbè, vi lascio soli» disse, prima di sparire dentro l’appartamento
Levi ricambiò l’abbraccio dell’amico, con due pacche sulla spalla.
«Sì, sì, sì, anch’io sono molto felice di vederti. Sbrigati a salire tutte le valigie, tra un’ora devo andare a prendere una persona all’aeroporto»
Erwin portò dentro l’appartamento le due valigie che aveva salito, poi si sedette su una poltrona e si guardò attorno. Passò una mano sotto il tavolino del salotto e si controllò la punta delle dita.
«Bella casa» disse «E pulitissima, ovviamente. Non sei cambiato per nulla, eh?»
Levi lo guardò seccato, senza muoversi dall’uscio della porta.
«Ti ho detto che dobbiamo sbrigarci perché tra un’ora devo essere all’aeroporto. Che cazzo stai facendo?»
Erwin iniziò a muovere su e giù una gamba, come faceva sempre quando si sentiva sotto pressione.
«Le valigie sono finite, in realtà. Ho messo lì dentro tutto quello che mi serve»
Levi guardò le due valigie e poi tornò a fissare l’amico
«E allora cos’hai? Perché fai su e giù con la gamba?»
Erwin si grattò il collo, continuando a guardarsi attorno. Poi batté le mani sui braccioli della poltrona e si alzò.
«Beh, sì, le valigie sono finite, ma c’è un’altra cosa che devo andare a prendere in macchina. Ma non ti preoccupare, vado da solo, faccio subito…»
Erwin uscì dall’appartamento e scese le scale. Levi sistemò le valigie in una delle tre camere della casa e guardò l’orologio: era ancora in tempo. Hanji sarebbe arrivata tra poco meno di un’ora, ma, in dieci minuti, da casa sua, avrebbe raggiunto l’aeroporto.
Poi tornò in cucina, sedendosi sul divano. Rimase a fissare la porta ancora aperta, spazientito.
Ma quanto cazzo ci mette?
Poi sentì dei passi e dei rumori sommessi e si alzò, per aiutare l’amico a portare qualsiasi cosa stesse portando.
«No, Elsa, piano, piano, piano, non correre così» urlò Erwin dalle scale
Levi si allarmò.
Una bambina? Possibile?
L’uomo si avvicinò ancora di più alla porta ma, poco prima di oltrepassare l’uscio, un cane bianco di taglia grande gli saltò addosso, facendolo cadere a terra.
«Ma che cazzo hai fatto?» urlò Levi, alzandosi in fretta e furia da terra e correndo in cucina per brandire un coltello «Porta subito fuori questa bestia schifosa, porca puttana Erwin, mi sta sporcando tutto il pavimento con la sua bava di merda» nel frattempo, il cane continuava ad avvicinarsi a Levi che cercava di evitarlo, sempre con il coltello in mano «Ma che cazzo vuoi da me, mostro, sei peggio dei bambini, cachi e pisci ovunque, torna nella discarica da cui sei venuto»
Erwin cercò di tranquillizzare Elsa, guardando Levi con occhi colmi di speranza.
«Ti prego, Levi, teniamola, è stata la mia unica compagna da quando Lexa se n’è andata»
«Ti fai scaricare da una cagna e te ne prendi un’altra, ma che cazzo di problemi hai?» continuò a urlare Levi, che, intanto, era salito sul tavolo della cucina «Io non ho un fottutissimo giardino e in questa casa non c’è posto per le zecche, chiudilo subito sul terrazzo»
«Ma è delicata, soffre il freddo»
«Ci sono venti fottutissimi gradi fuori a quest’ora, non trovare scuse»
«Ma soffre anche il caldo, se troppo forte»
Levi lanciò il coltello, scaraventandolo contro la parete della cucina. Erwin urlò ed Elsa cominciò ad abbaiare.
«Fa come ti dico Erwin e non rompere il cazzo o ti butto fuori a calci in culo, ma fuori dal terrazzo, che non è neanche così alto e non morirai, ma soffrirai in eterno con le ossa spezzate»
Erwin si affrettò a portare Elsa fuori e la legò alla ringhiera del terrazzo.
«Non ti preoccupare, amore mio» disse accarezzandola «Paparino verrà a salvarti»
Elsa rispose con un abbaio ed Erwin entrò in casa. Levi scese dal tavolo solo quando la porta del terrazzo venne richiusa.
«Non ti azzardare a fare mai più una cosa del genere» disse, prendendo il coltello che era rimasto attaccato alla parete «E questo me lo paghi tu» continuò, indicando il buco lasciato sul muro.
Erwin annuì, avvicinandosi all’amico e rivolgendogli vari inchini.
«Grazie» disse poi, prendendo l’amico per la maglia «Grazie, grazie davvero, non sai quanto tutto questo sia importante per me»
Erwin iniziò a piangere e Levi alzò gli occhi al cielo.
«Dio, come ti sei ridotto» poi prese le chiavi dell’appartamento e si incamminò verso la porta «Adesso sbrighiamoci, Hanji ci sta aspettando all’aeroporto»
«Hanji?» chiese Erwin, smettendo di piangere
«Sì, Hanji» rispose Levi, uscendo di casa e chiudendo la porta «Quella quattrocchi di merda ha appena trovato lavoro qui a Eldia»
 
Levi ed Erwin sedevano su una panca all’interno dell’aeroporto. Erwin, che finalmente sembrava allegro, guardava un gruppo di bambini che giocavano lì di fronte, aspettando qualcuno. Levi, invece, stava seduto con gambe e braccia incrociate, il viso imbronciato e gli occhiali da sole che gli coprivano gli occhi.
Ma sti bambini di merda, per forza qua dovevano venire a giocare, tutto questo chiasso mi sta facendo venire un’emicrania assurda pensò.
In quel momento, qualcuno li chiamò dalle scale mobili alle loro spalle.
«Ehi!» urlò Hanji, sventolando una mano
Levi ed Erwin si voltarono.
«Hanji!» urlò Erwin, alzandosi dalla panca per correre verso l’amica che, nel frattempo, aveva iniziato a correre verso di loro
«Yu-huuu» urlò la donna, gettandosi con le braccia attorno al collo dell’amico «Come sono felice di vederti!»
Levi li raggiunse lentamente e, appena arrivato, prese la valigia di Hanji
«Devi prendere qualcos’altro?» chiese semplicemente
Hanji si staccò dall’abbraccio di Erwin e fece la linguaccia a Levi.
«Devi prendere qualcos’altro?» lo imitò, atteggiandosi con finta superiorità «No, non devo prendere niente, sbrighiamoci ad andare via da qui, ho proprio bisogno di farmi una bella mangiata!»
Hanji posò le braccia attorno alle spalle dei due amici e i tre si incamminarono verso l’uscita dell’aeroporto. Una volta in macchina, Hanji iniziò a parlare a raffica.
«Ma quindi, conoscete qualcuno che frequenta la scuola dove mi hanno assegnato la cattedra? E com’è Eldia, adesso, è cambiata? Ci sono ancora quei locali dove andavamo a ubriacarci il giovedì sera perdendo ogni volta la dignità? Erwin, ti ricordi quando Levi ha pisciato nel bicchiere del professore Shadis?»
«Stai zitta» disse Levi, accelerando «Oggi decido io dove andare a mangiare»
«Ma che c’entra?» rispose Hanji, confusa, guardando l’amico
«Hanji» disse Erwin, con gli occhi lucidi «Sono proprio felice di vederti»
Hanji ricambiò lo sguardo commosso, accarezzandogli una guancia
«Oh, Erwin. Abbiamo così tante cose da raccontarci!»
«Erwin» disse Levi all’amico seduto accanto a lui «Non dovresti stare girato di spalle, sai meglio di me quanto ti faccia male il viaggio in automobile»
«Tranquillo» rispose Erwin, tornando a guardare di fronte a sé e abbassando il finestrino «Ho fatto colazione parecchie ore fa, dovrei sentirmi bene»
Dieci minuti dopo, gli amici raggiunsero il palazzo dove abitava Levi. Al piano terra, c’era un locale chiuso. Levi fece scendere gli amici, dicendo a Hanji di lasciare le valigie in macchina. Poi prese delle chiavi e aprì il locale.
Hanji si guardò attorno.
«Ah, è questo il tuo pub?» chiese, sedendosi su una sedia
«Sì», rispose Levi, accendendo le luci e dirigendosi in cucina «Non guardate il menù, ho già scelto cosa cucinare»
Erwin si sedette di fronte ad Hanji, che gli strinse le guance.
«Ma ciaaaao, Legolas, cosa sei venuto a fare qui a Eldia?»
Erwin sorrise, abbassando lo sguardo
«Beh, credo che Levi ti abbia già parlato della situazione…»
Hanji notò che Levi la stava osservando dalla porta della cucina e le fece cenno di stare zitta. Poi, si passò il pollice da una parte della gola all’altra. Hanji deglutì.
«Ma sì, Levi mi ha già detto tutto di Lexa, non c’è bisogno di parlarne anc…»
Erwin scoppiò a piangere. Hanji sentì Levi imprecare dalla cucina, poi prese dei fazzoletti dalla sua borsa.
«Ma su, dai, non fare così, sono cose che capitano. E poi stavate insieme da solo un anno, pensa a quelli che si lasciano dopo anni e anni di matrimonio»
«Ma io la amo ancora!» urlò Erwin tra le lacrime, affondando il viso nelle mani di Hanji.
In quel momento, Mikasa entrò nel pub.
«Zio, sono arrivata» disse la ragazza, buttando uno zaino su un tavolo e sedendosi su una sedia. Poi guardò i due di fronte a lei, confusa dalla scena «Ciao anche a voi»
«Mikasa, quante volte ti ho detto di chiamarmi per nome?» urlò Levi dalla cucina «Zio mi fa sentire troppo vecchio» disse poi a bassa voce, quasi come se si stesse rivolgendo a sé stesso.
«Oh», esclamò Hanji «Mikasa? Ti ricordi di me? Sono la zietta Hanji!» Hanji si alzò dalla sedia, avvicinandosi alla ragazza e stringendo le guance anche a lei «Come sei diventata grande!»
«Sì che mi ricordo di lei, ma non mi tocchi, per favore» rispose la ragazza, togliendo le mani di Hanji dal suo viso
«Buongiorno», disse Eren, entrando nel pub seguito da Armin «Sbrigati a cucinare che tra mezz’ora ho un appuntamento» urlò, poi
Levi uscì dalla cucina e si diresse verso Eren. Lo tirò per un orecchio e lo costrinse a guardarlo in faccia.
«Bada a come parli, coniglio. Ricorda che ti ho dato una casa e un lavoro e posso toglierti tutto in qualunque momento» disse, tornando poi in cucina
«Eren? Armin?» chiese Hanji, guardando i due ragazzi appena entrati «Com’è bello vedere che siete rimasti amici dopo tutto questo tempo!»
«Hanji!» esclamò Armin, sorridendo «è bello vederti. Cosa ci fai qui a Eldia?»
Nel frattempo, Erwin rimaneva in silenzio, seccato dal fatto che l’amica lo stesso ignorando per parlare con quegli sconosciuti.
«Inizierò a lavorare alla Sina School. Sto ancora cercando casa e, nel frattempo, quel buon samaritano di Levi mi ha concesso di vivere da lui»
Levi uscì dalla cucina, con dei piatti in mano
«Qualcuno potrebbe aiutarmi, per favore?» chiese, ma quasi fosse un ordine, posando tre piatti sul tavolo dove sedevano i tre ragazzi
Erwin si alzò dalla sedia, spazientito.
«Sai, Levi, forse dovrei salire su a vedere Elsa. È rimasta troppo tempo da sola, ho paura che stia iniziando a pensare che io l’abbia abbandonata»
Levi alzò gli occhi al cielo.
«Mangiamo e andiamo da Elsa. Dobbiamo sbrigarci tutti, non è che adesso non abbiamo un cazzo da fare come te» Hanji lanciò un’occhiataccia a Levi, che fece spallucce «Che ci posso fare, non mi so trattenere»
Erwin si sedette di nuovo al tavolo, mentre Hanji aiutava Levi a portare i piatti. Poi si voltò a guardare i tre ragazzi all’altro tavolo, che sembravano divertirsi a prendersi in giro e a raccontarsi gli eventi della giornata. Erwin sorrise, pensando a quello che aveva passato con Hanji e Levi nei suoi anni universitari. Poi si alzò nuovamente, dirigendosi verso la cucina.
«Vedi che i piatti sono finiti, puoi sederti a mangiare» disse Levi, posando l’ultimo piatto sul tavolo
«Sì, ma manca la birra» rispose Erwin, aprendo il frigo «E io ho tutta l’intenzione di ubriacarmi»
Levi sospirò, sedendosi finalmente al tavolo.
«Va bene, Erwin. Ma quella me la paghi»
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti, lettori, e benvenuti in questa long-fic! Mi piaceva troppo l’idea di Erwin, Hanji e Levi in un mondo “normale” dove affrontano problemi di vita quotidiana. I protagonisti di questa fan fiction saranno indubbiamente loro tre, ma compariranno altri personaggi nel corso della storia (tra questi, Mikasa, Armin ed Eren saranno i più presenti). Ci saranno anche degli OC dovuti al fatto che ci sono certi “ruoli” in cui non ci rivedevo nessun personaggio di Shingeki (l’ex moglie di Erwin, per esempio). Cercherò di presentare i personaggi rispettando il più possibile la loro personalità originale, ma, in alcuni casi, dato il contesto, mi viene impossibile: Erwin, per esempio, pensando a SNK non posso che vederlo come un Comandante.
Per il resto, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Una donna per Erwin ***


Una donna per Erwin

Quella mattina, Erwin si svegliò di buon umore. Era ancora l’alba quando si alzò dal letto per iniziare i suoi esercizi mattutini. Erwin aveva sempre ritenuto molto importante mantenersi in forma, ma, quel giorno, si rese conto che l’attività fisica lo stava aiutando anche a non pensare a Lexa e al punto finale che aveva messo a quel capitolo della sua vita.
Dopo essersi fatto una doccia, prese Elsa dal terrazzo e la portò con lui fuori. Era già primavera, ma, a quell’ora del giorno, faceva parecchio freddo. Erwin, però, gustò appieno il fatto di essere uno dei pochi in giro così presto.
Passando per la zona vecchia di Eldia, Erwin non potè che pensare al suo primo incontro con Levi. Ai tempi, Levi aveva appena iniziato le scuole superiori ed Erwin era già iscritto all’università. Lui e Levi si incontrarono proprio lì, nella zona più malfamata della città, dove Levi passava le giornate a saltare le lezioni azzuffandosi con i più grandi.
Già a quei tempi, Levi viveva con suo zio Kenny, che, però, era sempre assente. Erwin scoprì molto tempo dopo che Levi era rimasto orfano da piccolo e non aveva mai conosciuto suo padre. Ma, con il tempo, i due divennero ottimi amici.
In quegli anni, in realtà, più che un amico, Erwin sembrava il fratello maggiore del giovane Levi. Lo convinse a non lasciare gli studi e a cercare di pensare al suo futuro. All’inizio non fu facile ma, col tempo, Erwin capì che quel ragazzo sembrava non avere voglia di fare nulla della sua vita perché era completamente solo. Che senso avrebbe avuto vivere per qualcosa che non avrebbe potuto condividere con gli altri?
Levi aveva due amici, quando fece il suo primo incontro con Erwin. Tuttavia, di lì a poco, Furlan e Isabel lasciarono la città, più o meno nello stesso periodo.
Quando Erwin arrivò a casa, chiuse di nuovo Elsa fuori sul terrazzo, e lei si sistemò dentro la cuccia di legno che l’uomo aveva costruito per lei. Poi, Erwin si diresse in cucina e iniziò a preparare la colazione per Levi ed Hanji.
Erwin pensò che forse, dopo tutti quegli anni, Levi avrebbe potuto ricambiare l’aiuto che ricevette quando era solo un ragazzino in cerca di guai. Perché Erwin si sentiva proprio come se Levi lo stesse salvando e gli era immensamente grato per questo.
«Mmh» disse Levi che, intanto, era entrato in cucina «Odore di buono di prima mattina»
Erwin sorrise
«I pancake a colazione erano un lusso che ci permettevamo solo la domenica, in tempi universitari. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere»
«Sì, ma chi ti ha dato il permesso di usare le mie uova?» chiese Levi ironicamente, sorridendo e sedendosi su una sedia «Ah, quella stupida di Hanji. Oggi non dovrebbe iniziare a lavorare? Perché non è ancora sveglia?»
Erwin si strinse nelle spalle
«La solita ritardataria. Se tra mezz’ora ancora dorme, le porteremo questi in camera e si sbrigherà a far tutto, come sempre» Erwin posò due piatti sul tavolo e si sedette accanto a Levi «Tu vivi qua da quando hai aperto il pub, ma non sapevo che la tua casa fosse così grande. Come mai hai fatto questa scelta, se vivi da solo?»
Levi si versò del caffè in una tazzina
«Ho bisogno dei miei spazi. Perfino da solo»
«Ma ci sono tre camere»
«E meno male!» esclamò il ragazzo, versando del caffè anche per Erwin «O sareste rimasti col culo fuori da qui»
In quel momento, la porta della stanza di Hanji si spalancò, e la donna uscì coi capelli all’aria e lo sguardo sconvolto
«Aaaaah!» urlò «Sono già le sette!»
Levi si alzò di scatto, nervoso, puntando il dito contro Hanji
«Allora, è arrivato il momento di parlare delle cinque regole di questa casa. La prima è che la mattina non si urla, chi lo fa verrà preso a calci in culo dal sottoscritto»
«Mamma mia, quanto rompi» disse Hanji sedendosi al tavolo «Ah, i pancake di Erwin!» esclamò poi, con gli occhi pieni di gioia «Grazie Erwin, grazie per non lasciarmi sola»
«La seconda regola» continuò Levi «è che non possono entrare animali in casa» Levi guardò con orrore Hanji prendere un pancake direttamente con le mani e portarselo alla bocca «Ovviamente, Hanji, per te faccio un’eccezione perché ti voglio bene. La terza regola» continuò, spostandosi per la stanza «è che bisogna pulire tutto ogni giorno, ci daremo i turni in base agli impegni che abbiamo, ma credo che tutti e tre abbiamo abbastanza tempo libero da poterci organizzare molto liberamente»
«Secondo te piacerò a quei ragazzini? Saranno simpatici? O saranno scontrosi e mi bullizzeranno fino al mio licenziamento?» chiese Hanji ad Erwin, ignorando completamente Levi
«La quarta regola, Hanji» continuò Levi prendendo la donna per i capelli «è che non si interrompe la gente mentre si parla» Hanji deglutì, annuendo «e la quinta, è che prima di organizzare feste, riunioni, incontri di qualsiasi genere e semplicemente prima di portare qualcuno a casa, dovrete chiedermi il permesso»
Erwin annuì, addentando un pezzo di pancake
«Mi sembrano delle regole abbastanza giuste e sopportabili» disse
Hanji alzò la mano
«Mio signore, ho una richiesta per lei, dovrei andare a pisciare, me lo permette?»
Levì si sedette
«Smettila di fare l’idiota e comportati da adulta. Poveri ragazzini, non potranno che essere fottuti con un’insegnante come te»
 
Appena suonò la campanella, Hanji aspettò che i ragazzi uscissero e poi si sgranchì le gambe piegandosi sulla sedia, con uno sbadiglio. Quella giornata era stata stancante, tuttavia i suoi studenti le sembravano a posto. In realtà, credeva l’avrebbero odiata da subito proprio perché arrivata nel bel mezzo del secondo semestre, ma capì che la professoressa che l’aveva preceduta non era particolarmente amata.
Non mi odiano ancora perché riesco ad essere allegra e simpatica pensò Hanji, sistemando i libri nella borsa Ma, quando inizieranno le interrogazioni, guarda quante maledizioni dovrò sorbirmi!
«Permesso?»
Hanji si voltò: una donna dai lunghi capelli rossi, il viso pallido e gli occhi castani era ferma sull’uscio della porta dell’aula. Era Seraphine, professoressa di latino e greco, la prima dei colleghi di Hanji che l’aveva accolta appena arrivata alla Sina School. Hanji si sorprese quando scoprì cosa insegnava Seraphine: aveva sempre immaginato i professori umanistici come vecchi, secchi e piegati dalla gobba. Seraphine, invece, era una bella donna. Hanji credeva potesse avere poco più dei suoi anni, e, in effetti, li dimostrava. Eppure, aveva un fisico robusto ma non grasso – Hanji pensò dovesse fare palestra – e dei lineamenti particolari che, a tratti, ricordavano quelli degli asiatici. Purtroppo, però, Seraphine le aveva già parlato della sua particolare ammirazione per il professore Zeke, e capì che non avrebbe potuto provarci.
Quello stronzo di uno Jager pensò Hanji, quando si vide passare Zeke davanti Sapeva che avrei iniziato a lavorare in questa scuola e non si è degnato di farmi nemmeno una telefonata.
«Ehi, Seraphine!» rispose Hanji, alzando un braccio «Finalmente questo primo giorno è finito, eh?»
Seraphine si avvicinò, sedendosi sulla cattedra
«Primo giorno per te» disse «Ma non ti preoccupare, ti ci abituerai. Gli studenti di questa sezione sono particolarmente docili»
Hanji prese la borsa e fece per uscire
«Allora, ti va di fare pausa pranzo insieme? Anche se non saprei dove andare, qui vicino, non tornavo a Eldia da un bel po’…»
Seraphine scese dalla cattedra e uscì dall’aula
«Non preoccuparti, conosco un posto io. Ma dobbiamo sbrigarci, o sarà pieno!»
Mezz’ora dopo, Hanji e Seraphine sedevano al tavolo di un ristorante a pochi chilometri dalla scuola. Seraphine aveva ordinato un piatto di pasta aglio e olio, mentre Hanji stava mangiando una bistecca.
«E gli altri colleghi» chiese Hanji, continuando il discorso che avevano già cominciato «Come sono?»
Seraphine fece una smorfia, poi bevve un bicchiere d’acqua
«Ma, non male. Ce ne sono alcuni che proprio non li sopporto, ma quelli più giovani sono i migliori»
«Tipo il professore Jager?»
Seraphine scoppiò a ridere
«Ah, il professore Jager! È stato una salvezza per me, fin da quando ho messo piede in questa scuola…» poi abbassò lo sguardo sul bicchiere che aveva appena posato sul tavolo «Sai, mi sono trasferita qui dopo il mio divorzio. Non avevo nessuna voglia di sentirmi legata in qualche modo al mio ex marito e sono scappata»
Ah, ci risiamo pensò Hanji Un altro cuore distrutto che cerca riparo a Eldia
«E il professore Jager ti ha aiutato a sentirti meno sola sotto le lenzuola?» chiese Hanji «è bravo a letto, quel grandissimo figlio di puttana?»
Hanji si interruppe subito, rendendosi conto che, forse, stava esagerando. In fondo, conosceva Seraphine solo da qualche ora e si stava lasciando andare a troppe confidenze. Tuttavia, la donna, invece di infastidirsi, scoppiò nuovamente a ridere
«Oddio, Hanji!» esclamò «Tu mi piacerai. Sì, credo proprio che mi piacerai» bevve un altro sorso «Io e Zeke non siamo mai andati a letto insieme, in realtà credo non si sia nemmeno accorto dei sentimenti che provo per lui. Ma, appena trasferita, l’unico modo che avevo per conoscere nuove persone era proprio a lavoro. E invaghirmi così, come una ragazzina, di quell’uomo sconosciuto, mi ha aiutata ad andare oltre»
Hanji rifletté un attimo su quelle parole. Se era successo a Seraphine, perché non sarebbe potuto succedere a Erwin? Certo, le persone sono diverse, ognuno affronta i traumi come si sente di farlo, ma, forse, una donna per Erwin era proprio quello che ci voleva per dargli quel punto di partenza necessario per una nuova vita.
«Sei un genio, Seraphine» disse Hanji, prendendo il telefono per mandare un messaggio a Levi «Sei proprio un piccolo genio!»
 
«E quindi io dovrei assumere una nuova cameriera per il mio pub con lo scopo di trovare una scopamica a Erwin?» disse Levi, lavando alcune cose dentro il lavello «Ma che idea del cazzo è?»
Hanji sospirò, sedendosi sulla poltrona
«Dai, Levi, lo sai bene pure tu che per dimenticare qualcuno non c’è niente di meglio che del buon sesso con qualcun altro»
Levi si asciugò le mani e poi si diresse verso la donna
«Non è che vuoi farmi assumere una nuova cameriera perché tu hai bisogno di scopare?»
Hanji si mise a ridere
«Dai, smettila, Levi, sai che non ho bisogno di questi espedienti, sono sempre stata più brava io con le donne che voi due messi insieme»
Vero pensò seccato Levi, prendendo una bottiglia di vino
«Comunque, ho già Mikasa, Eren e Armin che lavorano per me a turno sottopagati, non mi va di buttare altri soldi. E poi hai capito cosa mi hai chiesto? Una cameriera che sia bella, dell’età giusta e intelligente. Hanji, belle ragazze in giro se ne trovano parecchie, e lo sai bene, ma non credo che riuscirei a trovare una cameriera più vecchia di te e poi come cazzo faccio a sapere se è intelligente, porca puttana»
«Ma chi se ne frega!» esclamò Hanji «Tu trovane una e basta. Sai bene quali sono i gusti di Erwin, sceglierai per istinto. E poi trent’anni vanno più che bene per uno come Erwin, magari sarebbe troppo piccola se avesse l’età di tua cugina e, comunque, non sono vecchia» Hanji prese il bicchiere di vino che Levi le stava porgendo «Comunque, ripensandoci, non c’è poi così tanto bisogno che sia intelligente»
Levi sospirò, poi bevve un sorso
«Senti, Hanji, voglio aiutare Erwin. Hai ragione, forse vedere qualcuno potrebbe farlo stare più tranquillo. Metterò un annuncio e vedrò chi si presenterà, ma, chiunque verrà, non starà più di un mese. Non mi interessa avere un altro cameriere, se entro quel mese Erwin se la sarà fatta sarà perfetto, altrimenti non mi rompere più i coglioni con questa storia»
Hanji si gettò tra le braccia di Levi, felice
«Grazie Levi, grazie, ti voglio bene, lo sai, lo farei anche per te»
«Hanji, ma tu non stai facendo assolutamente nulla»
«Non ti preoccupare, non c’è di che»
 
Il giorno dopo, Levi e Hanji passarono tutta la giornata al pub a esaminare le ragazze che si erano presentate. Levi, sotto insistenza di Hanji, aveva messo un annuncio specificando che cercava una “ragazza di bella presenza, età compresa 20-30 anni, nessuna esperienza richiesta”.
Mi sento come se stessi facendo qualcosa di immorale pensò Levi, dopo aver scartato l’ennesima ragazza.
Hanji, che era seduta a un tavolino, si gettò con il busto sul tavolo, mettendosi le mani tra i capelli.
«Ma perché è così difficile?» urlò «Perché nessuna di loro sembra all’altezza di Erwin?»
«Salve», disse l’ennesima ragazza, entrando nel pub «Sono qui per l’annuncio»
«Sì, prego» disse Levi, seduto e con le braccia incrociate, senza degnarla di uno sguardo «Come ti chiami?»
«Sono Annie Leonhart»
Levi alzò lo sguardo e lanciò un’occhiataccia alla ragazza davanti a lui
«Annie? La compagna di corso di Mikasa? Ma che ci fai qua? Non hai letto che bisogna avere almeno vent’anni?»
Annie si alzò dalla sedia, seccata
«Tra qualche giorno ne compirò venti e, comunque, non capisco tutto questo bisogno di rispettare questa fascia d’età. Ho anche esperienza come camerie…»
Levi prese la ragazza per le spalle e la spinse fuori
«Annie, fidati, non è un lavoro per te. Mi dispiace. Torna a bere un’altra pinta quando vuoi, ciao»
Levi si richiuse la porta alle spalle ed Annie la colpì con un pugno. Poi un calcio. Poi un altro pugno.
«Hanji, risolvila tu ‘sta situazione, perché a questa ora l’ammazzo»
«Beh, ma cos’aveva di male?» chiese Hanji, sistemandosi gli occhiali «è anche carina!»
«Ma non vedi che ha l’età di Mikasa?» urlò Levi «Non ti sembra un po’ troppo piccola? E poi è un mostro, non lascerei mai Erwin nelle sue mani»
Hanji sospirò, triste.
 
Le ricerca per la cameriera perfetta continuò fino a tarda serata. All’una di notte, quando ormai non sarebbe venuto nessun cliente e nessuna aspirante cameriera, Levi disse ad Hanji di uscire perché avrebbe chiuso il pub. Hanji rimase ferma dov’era, seduta sul bancone.
«Non è giusto» disse, con la testa bassa e la mano destra che stringeva il suo braccio sinistro «Non è giusto. Avresti potuto assumere chiunque, una qualsiasi. Così, almeno per prova. Tanto hai già detto che non la terresti più di un mese»
«Ma insomma, Hanji, Erwin non può uscire e conoscere ragazze come fanno tutti?»
«Erwin non è mai stato così, lo sai» disse Hanji, lanciandogli un’occhiataccia «In realtà, nemmeno gli interessa divertirsi per qualche giorno e poi sparire. Però, se fosse costretto a vedere qualcuno tutti i giorni, qualcuno che potrebbe piacergli, magari…»
«Sì, va bene, domani ci penseremo. Adesso devo chiudere»
Hanji gli lanciò uno sguardo pieno d’odio, poi, senza dire una parola, uscì di fretta. Levi sospirò e si versò della birra. Si sedette a un tavolo e, poggiando la schiena sulla sedia, guardò il soffitto.
Finalmente un po’ di pace pensò, allungando una mano verso l’alto.
Era sempre così, per Levi. Non riusciva a stare bene né da solo, né con gli altri. Dopo tutti quegli anni passati in solitudine in quell’appartamento troppo grande per lui, Levi era felice di poter tornare a vivere, per qualche tempo, con i suoi migliori amici di sempre. Eppure, dopo solo una settimana, c’erano certi comportamenti che Levi non riusciva più a sopportare. Hanji, per esempio, gli sembrava sempre una bambina. E lui si sentì in colpa per non aver potuto realizzare il suo desiderio, ma quell’idea che aveva avuto gli era sembrata stupida e inutile fin da subito.
Levi tornò a guardare davanti a sé e bevve un sorso. Si alzò per andare a prendere un pacco di patatine dietro il bancone.
Una mezz’ora. Una mezz’ora da solo. È tutto quello di cui ho bisogno. Poi, domani, smetterò di essere uno stronzo di merda e tutto tornerà alla normalità.
Levi, che si era chinato sotto il bancone per prendere le patatine, si alzò. Sobbalzò all’improvviso quando si rese conto che era entrato qualcuno nel pub.
Da solo un corno, perché non ho chiuso quando Hanji se n’è andata?
«Buonasera», disse Levi, mettendo di nuovo il pacco di patatine al suo posto «è un po’ tardi…»
Levi finalmente si voltò a guardare la persona che era entrata nel pub. Era una ragazza con addosso una felpa grigia fin troppo grande per lei, con il cappuccio che le copriva metà del volto. Si intravedevano, però, dei ciuffi di capelli verdi.
«Mi dispiace» disse lei, rimanendo ferma «Sono da sola e vorrei soltanto una birra, ma se è un problema vado»
Una ragazza pensò Levi, immaginando il volto pieno di gioia che Hanji avrebbe mostrato se le avesse detto che aveva trovato qualcuno Sì, ma quei capelli verdi…
«Che birra vuole?» chiese Levi, avvicinandosi allo spillatore
«Una bionda. Grande»
Levi spillò la birra e la porse alla ragazza che, intanto, si era seduta al bancone. Poi riprese le patatine e ne fece cadere qualcuna in un piatto.
Fatti vedere pensò Levi, mentre metteva il piatto accanto alla birra Fatti vedere, vediamo se sei almeno carina. Sei troppo poco femminile per Erwin, ma ormai voglio solo accontentare quella stupida di Hanji.
La ragazza, finalmente, si abbassò il cappuccio. Levi la guardò bene. Doveva essere poco più piccola di Hanji e, comunque, non le avrebbe dato più di trent’anni. Non era sicuramente il tipo che vedi per strada e ti fa girare la testa, ma era comunque passabile. Non poteva dire molto sulla corporatura a causa della felpa, ma si sporse leggermente oltre il bancone facendo finta di pulirlo per esaminare ciò che poteva vedere.
Bel culo pensò poi, ritornando a sedersi per bere la sua birra.
«Scusami se bevo anch’io» disse lui, prendendo il cellulare «Ma credevo non arrivasse più nessuno»
La ragazza non rispose, continuando a bere la sua birra e a mangiare le sue patatine. Da dove era seduto Levi, lei gli dava le spalle. L’uomo ne approfittò per scattare una foto che avrebbe mandato ad Hanji, ma non fece caso alla spia del flash accesa.
Merda pensò Hanji, ti odio dal più profondo del mio cuore.
«Cercate qualcuno per lavorare?» chiese la ragazza che, a quanto pare, non si era accorta di niente
«Sì», rispose Levi, mettendo in tasca il telefono «Naturalmente ci sarà un periodo di prova e solo dopo si potrebbe parlare di assunzione vera e propria, ma sì, cerchiamo qualcuno»
«Una mia amica potrebbe essere interessata, ma starà via fino alla prossima settimana»
Levi si morse il labbro. No, non poteva andare bene. Doveva sbrigarsi. Non poteva protrarre quella storia per troppo tempo, o avrebbe perso la pazienza.
«Perché non tu?» chiese, alzandosi per raggiungerla «Avremo bisogno di qualcuno da subito. Prova per una settimana e, se proprio non ti piace, appena arriva la tua amica ti darà il cambio lei»
Scacco matto. Così Erwin ne conoscerà ben due ed Hanji non mi terrà più il muso per un po’.
La ragazza portò alla bocca una patatina e rimase in silenzio. Bevve un altro sorso di birra, ma continuava a rimanere in silenzio. Levi, intanto, quasi senza accorgersene, aveva preso una delle patatine che aveva portato alla cliente.
«Dovrei iniziare domani?» chiese la ragazza
Si voltò. Levi guardò meglio quel viso che, fino a quel momento, era stato coperto dal cappuccio o dai capelli. La pelle di quella donna era estremamente bianca e le sue labbra, che fino a quel momento Levi credeva fossero truccate, erano sottili ma di una sfumatura rossastra naturale. Ma il suo punto forte erano gli occhi. Due grandi occhi verdi che, sebbene anch’essi senza trucco, venivano evidenziati dalle occhiaie e dal colore stesso dei capelli.
No, non è ancora quella giusta per Erwin. Ma, magari, se dovesse essere giusta per Hanji, quella stupida mi perdonerà.
«Sì, domani» rispose Levi, che non riusciva a staccare gli occhi da quelli di lei «Domani sera. Apriamo alle diciotto, ma dovresti venire un’ora prima»
La ragazza finì di bere la sua birra e si alzò, prendendo il portafogli da una tasca della felpa
«Va bene, allora. Ci vediamo domani. Quant’è?»
Levi si spostò verso la cassa e le diede lo scontrino. Lei pagò e inserì nuovamente il portafogli nella tasca della felpa.
«Ci sono delle cose che devo sapere prima di presentarmi qui?»
Levi scosse la testa
«No. Solo, vieni»
La ragazza annuì, poi si voltò e andò via, alzando la mano in segno di saluto. Levi si sedette sulla sedia, per bere la sua birra e per mangiare finalmente le sue patatine. Prese in mano il cellulare e vide che c’era un messaggio da parte di Hanji.
“Questa è lesbica. Sicuro.” scriveva l’amica
Levi sbruffò.
«Senti, Hanji, non mi rompere il cazzo» disse ad alta voce, avvicinando il bicchiere alle labbra.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Buonasera, cari lettori ^^ Sono sollevata dal fatto di essere riuscita a introdurre due OC in un unico capitolo. Ormai, infatti, manca solo un altro personaggio originale. Spero di riuscire a dare loro una “forma” e un carattere nella miglior maniera possibile. È più facile mantenere la personalità di personaggi già esistenti che non crearne di nuove, ma spero di non deludervi. Spero di poter aggiornare presto, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Buon compleanno, Eren! (pt. 1) ***


Buon compleanno, Eren!

Erano le tre del pomeriggio e Levi stava ancora asciugando i bicchieri del pranzo. Il pub non apriva mai prima delle diciotto, ma l’uomo lo usava per pranzare insieme a Mikasa, Armin ed Eren e, da qualche tempo, insieme ai suoi nuovi coinquilini.
Da qualche giorno, poi, Maribel, la nuova cameriera, aveva iniziato a unirsi, senza pagare un soldo, anche ai pranzi.
È già tanto che non le faccio pagare la cena pensò Levi, la seconda volta che Maribel decise di sua spontanea volontà di pranzare insieme agli altri.
Quel giorno, anche Hanji era rimasta a pranzo. Era il suo giorno libero e, dopo il caffè, era salita a casa a prendere le carte per poi riscendere e giocare con Maribel ed Erwin a scala quaranta.
Le mie carte pensò Levi La mia casa. Il mio locale.
«No!» urlò Erwin, mettendosi le mani nei capelli «Di nuovo! Hai chiuso di nuovo!»
Meribel sistemò tutte le carte e gli fece un occhiolino.
«Devi essere molto fortunato in amore» rispose, ignara, la ragazza.
Nel pub scese un silenzio tombale. Perfino Levi smise di asciugare i bicchieri. Meribel si guardò attorno e capì di aver fatto una figuraccia. Stava cercando un modo carino per rimediare, ma, per fortuna, entrò Eren di corsa e tutta l’attenzione venne concentrata su di lui.
«Ehilà, boss!» esclamò, correndo verso Levi «Ho una proposta da farti»
Levi alzò gli occhi al cielo, pensando che, l’ultima volta che gli era stata detta una cosa del genere, era stato costretto ad assumere una cameriera senza che ce ne fosse alcun bisogno.
«Sentiamo»
«Sai cosa succede a mezzanotte, no?»
Levi lo guardò confuso, poi si voltò verso Hanji ed Erwin ma, entrambi, sembravano non saperne nulla.
«Veramente no» rispose Levi, riprendendo ad asciugare i bicchieri.
Eren scoppiò a ridere
«Dai, non c’è bisogno che fate questi scherzi stupidi. So che lo sapete. Comunque, a tal proposito, volevo dirti che ho intenzione di invitare tutti gli altri qui e vorrei chiederti se potessimo rendere la cosa un po’ più privata. Sì, scusa, non mi andrebbe di vedere estranei. Tanto saremo un bel po’, ti farai comunque un mucchio di soldi…»
«No, Eren, non hai capito» disse Levi «Non sappiamo di che cazzo tu stia parlando»
Eren lo guardò con un’espressione delusa, poi si voltò verso Hanji. La donna fece spallucce e alzò le braccia in segno di resa. Eren strinse i pugni.
«Domani è il mio compleanno»
Levi rimase impassibile. Erwin e Maribel esclamarono un “tanti auguri… per domani” quasi all’unisono e Hanji corse ad abbracciare il ragazzo, ridendo.
«Ma sì, dai, ovviamente lo sapevamo. È che a Levi piace sempre fare questi scherzi stupidi, lo sai»
Hanji fece l’occhiolino a Levi per spronarlo a fingere quella sceneggiata, ma lui non la guardò neanche.
«Col cazzo che non faccio entrare gli altri clienti» disse invece, prendendo le chiavi di casa «Ma che stronzo sei a chiedermi una cosa del genere? Vuoi per caso vedermi fallire? Eh? È questo che auguri all’uomo che…»
«All’uomo che mi ha dato una casa e un lavoro?» continuò Eren «Va bene. Mi licenzio, se vuoi, tanto hai una sostituta, adesso…»
Maribel alzò un sopracciglio, guardandolo storto.
«E dai, Levi» lo implorò Hanji «Facciamolo. Vedi che sarà divertente, anche per noi!»
«Ma quanti amici può avere, questo qua?» disse Levi, dirigendosi verso l’uscita «Non se ne parla. Ci perderei. Potranno venire i tuoi amici, ovviamente. Ma non negherò agli altri di entrare»
«Diciotto persone» rispose Eren, speranzoso «Diciotto persone. Per favore. Diciotto persone a serata sono la tua media, ultimamente, contando te, me, Mikasa, Armin, Erwin, Hanji e la tua nuova schiava»
«Mi prendi per il culo?» tuonò Levi, che, nel frattempo, era uscito e si stava dirigendo verso il portone di casa, seguito da Eren e Hanji.
«Ma ha ragione, Levi. Lo sai» disse la donna, guardandolo storto
«Non ti preoccupare, Hanji» rispose Eren «Troverò un altro posto»
Eren stava per andarsene. Levi guardò Hanji, che aveva lo stesso sguardo di quando l’uomo stava per chiudere il pub senza aver trovato una nuova cameriera. Levi sospirò.
Ma come cazzo è che devo sempre dargliela vinta?
«Eren» disse Levi, prendendo il ragazzo per un braccio «Va bene. Potete venire e non farò entrare nessun altro»
«Yu-huuu» urlò Hanji, scalpitando «Potremo trovare una nuova ragazza per Erwin»
«Hanji, ma che cazzo dici?» urlò Levi «Saranno tutte ragazzine»
Eren diede un pizzicotto alla guancia destra di Levi, sorridendo.
«Lo sapevo. Lo sapevo che non sei ancora completamente un vecchio di merda»
«Ma che c’entra questo?»
Eren salutò e stava per andarsene, quando Levi lo chiamò nuovamente.
«Aspetta» disse «Non hai intenzione di portare tuo fratello, vero?»
Levi pensò a tutte le volte in cui dovette cacciare Zeke fuori dal pub, a causa delle sue discussioni politiche sempre troppo accese e sempre troppo poco democratiche.
E poi si ubriaca sempre come una scimmia.
«Tranquillo, capo» disse Eren «Ricordo che l’hai bandito dopo l’ultima volta che ha lanciato una bottiglia di vetro contro il muro rischiando di trafiggerti un occhio. Non gli dirò nulla, promesso»
Eren se ne andò, e Levi e Hanji rimasero da soli.
«Beh», disse la donna, poggiando un gomito sulla spalla di Levi «Hai fatto felice qualcuno. La tua giornata non è andata sprecata»
Levi infilò le chiavi dentro la serratura del portone e aprì.
«Io vado a farmi una doccia» disse «E a prepararmi psicologicamente per stasera. Se ti va, puoi rimanere a giocare con la tua nuova amica. Ricordati di chiudere, quando sali»
Hanji annuì e ritornò al pub. Una volta dentro, si rese conto che Erwin aveva preso a raccontare a Maribel la storia di Lexa.
Povera donna pensò Hanji, provando pietà per Maribel che avrebbe dovuto sorbirsi tutto quel dramma.
Il telefono di Hanji squillò e lei prese il cellulare dalla tasca: era Petra.
«Olaaaa» esclamò Hanji, rispondendo alla chiamata «Chi non muore si rivede!»
«Hanji!» disse Petra, dall’altro capo del telefono «Da quanto tempo! Come stai?»
«Non male» rispose Hanji uscendo dal pub, per controllare che Levi fosse effettivamente salito «E tu? Com’è la vita matrimonia…» Hanji s’interruppe subito, lanciando uno sguardo dentro il locale dove, però, Erwin sembrava non stesse prestando attenzione.
«Bella. Brutta. Divertente. Ma soprattutto noiosa, forse… ma, se ti va, possiamo parlarne di persona oggi stesso»
«Cosa? Come, oggi? Di persona?»
«Sì, sì. Torno a Eldia. Nel senso, passo da Eldia. Vado a salutare papà»
Hanji si portò una mano al volto, quasi schiaffeggiandosi. Non ci voleva, non ci voleva proprio. Petra non sapeva che Levi la stava ospitando e, se si fosse vista con la ragazza, avrebbe dovuto tenerlo nascosto a lui.
Sembra di essere tornata al terzo anno di università.
«Aaaah» esclamò Hanji, ridendo «Ma sì! Che bello! Vediamoci! Non vedo l’ora! Quando arrivi?»
Petra tossì, poi si schiarì la gola.
«In realtà, tra poco meno di venti minuti dovrei essere là. Se mi dai il tempo di lasciare le cose a casa, saluto mio padre e arrivo»
Hanji soppesò quelle parole e capì che Petra sarebbe rimasta per qualche giorno.
«Sì, è perfetto. Anche perché, purtroppo, per stasera ho già un impegno» Hanji si morse il labbro inferiore «Comunque, fammi sapere dove vuoi che ci vediamo e sarò subito lì!»
«Possiamo vederci al parco delle magnolie. Ti viene lontano?»
«No, no» rispose Hanji «Va benissimo»
«In effetti, non ti ho nemmeno chiesto dove st…»
«A dopo, allora»
Hanji chiuse la chiamata e tirò un sospiro. Poi, fece finta di dare dei pugni a qualcosa davanti a lei.
«Tutto a posto?» chiese Erwin che, intanto, era uscito fuori dal pub.
«No», rispose Hanji, prendendolo per le spalle e spingendolo dentro il locale «Proprio per niente. Abbiamo un problema da risolvere»
 
Qualche ora dopo, Levi era al centro commerciale con Mikasa, in cerca di un regalo per Eren. Mikasa aveva insistito per farsi accompagnare e, alla fine, Levi aveva accettato. Avevano girato tre volte l’intero centro commerciale e, alla fine, Mikasa si era decisa a comprargli un’agenda di Star Wars. Ma, la cosa che fece imbestialire maggiormente Levi, fu tutto il lavoro per cui dovette aiutarla in seguito.
«Mikasa» si lamentò Levi quando, giunti a casa dello zio, la ragazza gli chiese di scrivere un testo che parlasse di Eren «Ma cosa ci posso scrivere, io? Non sarebbe meglio chiedere ad Armin?»
«Ho già chiesto ad Armin» rispose Mikasa che, nel frattempo, stava montando delle foto per fare un video «Come l’ho chiesto a tutti gli altri. Manchi solo tu»
Levi strabuzzò gli occhi.
«Hai chiesto a tutti di scrivere una storia su Eren? Ma perché?»
«Perché così potrà vedersi con i vostri occhi e capire di quante persone che lo amano è circondato»
Levi prese il foglio di carta su cui aveva iniziato a scrivere “Succhiami il…” e lo strappò. Mikasa lo fulminò con un’occhiata e Levi appallottolò i pezzettini lanciandoglieli in faccia.
«Mikasa, ti vuoi svegliare?» disse ad alta voce «Ma non lo capisci che quello lì non ti vuole? Non ti si fila neanche per sbaglio! Mikasa, avete dormito insieme un sacco di volte, ti ha vista con addosso quattro stracci e non gli è mai passato di mente un pensiero che non sia “oh, sorellina, copriti che ti guardano” e tu continui a corrergli dietro con queste puttanate?»
Mikasa si alzò di scatto, poggiando i palmi aperti sul tavolo.
«Ma che stai dicendo?» urlò, rossa in volto «Io ed Eren siamo solo amici. Dovete smetterla con questa storia…»
«No, Mikasa, sei tu che devi smetterla» rispose Levi, alzandosi anche lui «Stai fingendo a te stessa che per te sia solo un amico solo perché sai benissimo anche tu che lui non proverà mai per te quello che tu provi per lui»
Mikasa abbassò lo sguardo e cominciò a tremare. Levi si sedette, preoccupato dal fatto che, forse, aveva un po’ esagerato.
«Parli proprio tu» disse Mikasa, senza alzare il volto «Parli tu che non sei mai riuscito a stare per più di qualche scopata con qualcuno con l’unica eccezione della donna che hai lasciato “perché ti amava troppo?”»
Levi si portò una mano alla fronte.
«Cosa vuoi fare?» disse «Vogliamo giocare a chi riesce a ferire di più l’altro?»
Levi ripensò a Petra. Non che ricordare i momenti con lei lo facesse stare male, anzi. Non lo feriva nemmeno il fatto che, alla fine, avesse deciso di sposare Oruo. Si sentiva solo in colpa per averci provato e per aver spezzato il cuore a una ragazza che, decisamente, non lo meritava. Ma Levi pensava che ci fossero persone che non sono fatte per stare tutta la vita ferme in un posto. E Levi aveva amato Petra, l’aveva amata davvero. Ma, semplicemente, i loro obiettivi per il futuro erano agli antipodi.
Mikasa chiuse lo schermo del pc e prese la sua borsa. Poi, si diresse verso la porta.
«Ti chiedo solo di non trattarlo troppo male» disse poi, prima di uscire.
Levi non disse una parola e continuò a non parlare anche quando Mikasa si richiuse la porta alle spalle. Poi si alzò per prendere del vino e sentì il suono di una notifica provenire dal cellulare. Era Erwin.
“Sono con Hanji. Faremo un po’ di ritardo. Non aspettarci per cena.”
Levi alzò le braccia al cielo, sollevato.
«Magnifico. Ho qualche ora per me stesso»
Poi aprì la bottiglia di vino e, invece di prendere un bicchiere, portò tutta la bottiglia fuori sul terrazzo e si sedette a terra, accanto a Elsa.
 
«…e oggi sono due mesi senza di lei»
Gli occhiali di Hanji le scivolarono dal naso e lei si destò. Erano passati almeno tre quarti d’ora da quando Erwin aveva iniziato a parlare di Lexa e Petra, gentile come sempre, era rimasta ad ascoltare senza fermarlo un attimo. Hanji, però, aveva la bava alla bocca, perché si era appisolata senza nemmeno accorgersene. Quando si svegliò e si rese conto che Erwin non aveva ancora finito, chiese un caffè al cameriere del ristorante dove Petra li aveva portati.
«Bene, Petra, adesso parlaci di te» disse la donna, sistemandosi meglio gli occhiali «Come sta Oruo? È sempre il solito saccente?»
Petra sorrise e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sì. È partito anche lui. Starà un paio di giorni dai suoi, poi ritorniamo a casa»
«Anche io e Lexa, qualche volta, avevamo bisogno di stacca…»
Hanji diede una gomitata ad Erwin, che si ammutolì.
«Vi manca casa, eh? Alla fine, sarete sempre i piccolini del gruppo, per noi. E pensare che siete quelli che si sono sistemati per primi…»
Petra si grattò un sopracciglio e scosse la testa.
«In realtà, non è solo che mi mancava mio padre. A dire la verità, ho una confessione da farvi»
Hanji impallidì. Erwin iniziò a fare su e giù con la gamba. Il cameriere portò il caffè e Hanji lo bevve troppo presto, bruciandosi.
«Aaaaah» urlò, facendo cadere la tazzina e sporcando la gonna di Petra «Aaaaah! Mi dispiace, Petra!»
Petra prese un tovagliolo e cercò di asciugare le macchie.
«Sta’ tranquilla, Hanji, non è niente»
«Come puoi dirlo?» urlò Hanji, mettendosi a piangere «Come puoi dire una cosa del genere? Due amici, anzi, tre! Tre dei miei amici che sono andati incontro al medesimo destino…»
«Ma di che stai parlando?» chiese Petra, prendendo un altro tovagliolo per asciugare le lacrime di Hanji
«Del tuo divorzio! Oh, mio Dio, Petra, sono così dispiaciuta»
Petra si fermò un attimo e poi scoppiò a ridere. Erwin prese il cellulare e trovò dodici chiamate perse da parte di Levi e due messaggi.
“I mocciosi sono arrivati, venite a salvarmi, o vi spacco il culo”
“No, sul serio, venite a salvarmi, vi prego”
«Hanji, come al solito hai frainteso tutto. Vedi, sono andata a trovare mio padre per dargli una buona notizia»
Hanji leccò una goccia di caffè che era rimasta sulla tazzina. Erwin stava per rispondere al messaggio, ma partì un’altra telefonata da parte di Levi e per sbaglio accettò la chiamata.
«Sono incinta»
Erwin iniziò a tossire fortissimo e Hanji riprese a piangere.
«Cosa? Che vuol dire che sei incinta?» urlò «Sono felicissima!»
Erwin scappò di corsa nel bagno del ristorante, continuando a tossire. Poi, una volta lontano da Petra, si decise a parlare a Levi.
«Eccomi, tutto a posto, mi sono soffocato con una polpetta»
«Ma con chi siete?» chiese Levi «Chi è incinta? Perché Hanji sta piangendo?»
«Ah, niente, niente» disse Erwin «Sai com’è fatta Hanji, ha fatto amicizia con una sconosciuta del tavolo accanto e questa si è messa a raccontarci tutta la sua vita, sai che noia»
Una porta del bagno si aprì ed Erwin, dallo specchio sulla parete, vide uscire una donna dai capelli rossi. L’uomo guardò l’entrata del bagno e vide che si trovava nel bagno delle donne.
«Mi scusi» disse, allontanandosi di fretta «Mi scusi, davvero, non volevo, è stato un errore»
La donna sorrise e aprì il rubinetto per lavarsi le mani.
«Salutami Hanji»
«Cosa?»
«Cosa?» chiese Levi, dall’altro capo del telefono «Erwin, mi state scaricando per fare amicizia con una sconosciuta? Hanji pensa solo al tuo bene, a me non ci pensa mai…»
«No, scusami» disse Erwin, aprendo la porta del bagno «Ti spiegherò tutto tra poco. Mezz’ora e siamo lì, te lo prometto. A dopo, Levi»
Erwin si voltò e vide davanti l’entrata del bagno degli uomini Petra, che, preoccupata per la tosse di lui, lo stava raggiungendo. Sorrideva ma, dopo quell’ultima parola, il suo sguardo si fece più serio.
Erwin riattaccò.
«Levi?» chiese Petra «Anche lui è qui?»
Erwin sospirò, posando il telefono nella tasca interna della giacca.
«Sì, è qui. Ma non è potuto venire perché è molto occupato, al momento»
«Sì, Petra. E noi dovremmo raggiungerlo» disse Hanji che, intanto, aveva raggiunto i due «Scusaci, Petra, ci hai dato una notizia meravigliosa e noi dobbiamo scappare così. Però, domani, avremo tutto il tempo a disposizione!»
«No, domani non c’è tempo» disse lei «Torno domani mattina»
Nel frattempo, Seraphine uscì dal bagno e lanciò uno sguardo malizioso a Hanji.
«Buonasera, collega»
Hanji sorrise, avvicinandosi alla donna.
«Seraphine!» esclamò, gettandosi tra le sue braccia «Eri qui e non ci siamo viste? Che peccato, proprio adesso che devo andare via…»
«Verrò con voi» disse Petra, intromettendosi «Così non vi faccio perdere tempo e potremo comunque stare un po’ di più insieme. Vi va?»
Erwin guardò Hanji, che sembrava stesse riflettendo su qualcosa. Poi, Hanji mise un braccio attorno alle spalle di Seraphine e la guardò con occhi imploranti.
«Ma tu, hai da fare?»
Seraphine guardò verso un tavolo dove stava seduto un uomo curvo, con due occhiali spessi come fondi di bottiglia e il telefono in mano.
«No. Non credo»
«Perfetto!» disse Hanji, prendendo sottobraccio Erwin e Petra «Andremo tutti e quattro alla festa di Eren»
«Hanji, non mi sembra il caso…» provò a dire Erwin
«Niente obiezioni» disse Hanji, guardando prima Petra e poi Seraphine «Non siete d’accordo anche voi?»
Le due annuirono ed Erwin, rassegnato, andò a pagare il conto.
 
Levi era uscito dalla porta sul retro del pub, finendo in quel vicolo buio e desolato dove nessuno lo avrebbe disturbato. Si sedette sullo sgabello che teneva sempre fuori dalla porta e prese un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni. Tirò una prima boccata e respirò a pieni polmoni. Non fumava quasi mai e non voleva che lo vedessero, specialmente Mikasa. Ma, quella sera, in quel momento, aveva bisogno di allontanarsi un po’ e di prendersi dieci minuti di pace. Ringraziò mentalmente Hanji per avergli dato l’opportunità di avere Maribel a occuparsi dei ragazzi mentre lui si prendeva una pausa. Ma, Hanji ed Erwin, dov’erano finiti?
Levi inspirò un altro tiro di sigaretta e sentì la porta dello sgabuzzino aprirsi. Pensò che si dovesse trattare dei suoi amici. Quando si aprì anche la porta esterna, Levi incrociò le braccia e fece un’espressione seccata.
«Ce ne avete messo ad arrivare, bastardi…»
Petra si richiuse la porta alle spalle e si chinò a terra per avvicinarsi a Levi.
«È stata colpa mia» disse «Ti prego di non prendertela con loro»
Levi si voltò, sgranando gli occhi. Il volto di Petra era a pochi centimetri dal suo e, da quella breve distanza, Levi poteva sentire quell’odore di lavanda che aveva respirato giornate intere, anni prima. Non capiva, non poteva sapere perché Petra fosse lì e non avrebbe mai immaginato di potersela ritrovare davanti così, dal nulla, in una sera qualunque.
Ma perché proprio oggi? Pensò Levi, ricordando il pomeriggio con Mikasa e i discorsi che avevano affrontato. Ma Petra era lì, e Levi non sapeva come avrebbe dovuto sentirsi. In realtà, non riusciva nemmeno a comprendere se fosse più turbato, felice o semplicemente confuso alla vista dell’unica donna che aveva realmente amato durante la sua vita.
«Petra» sussurrò infine, allontanando la sigaretta per non farle arrivare il fumo «Come sapevi del pub?»
Petra si alzò, sorridendo. Portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e, in mezzo a quel turbine di emozioni che stava assalendo Levi, si aggiunse la nostalgia.
«Non lo sapevo, in realtà. Ma sapevo che Hanji si trovasse qui e oggi ci siamo incontrate» fece una pausa «Poi, per sbaglio, sono venuta a sapere che tu non te ne sei mai andato da Eldia»
Levi gettò il mozzicone a terra e lo spense sotto la scarpa. Si alzò, poggiando la schiena alla parete e guardò fisso di fronte a lui. Petra, alla sua sinistra, continuava a sorridere.
«Mi dispiace» disse Levi «Se Hanji me lo avesse detto, sarei passato io a salutarti» ed era sincero.
«Credo sia andata meglio così» disse lei, prendendo tra le dita la collana che indossava «Ho poco tempo, domani devo ripartire presto. Ma avremo modo di vederci di nuovo, e, magari, potremo fare tutti una gita al lago. Come i vecchi tempi»
Levi abbozzò un sorriso e guardò in basso. Non capiva se Petra stesse mentendo per rendere quel breve incontro un po’ meno amaro, ma lui sapeva bene che non si sarebbero più rivisti. D’altronde, Petra era stata la prima, tra le persone più importanti della sua vita, ad andarsene. Un po’ per colpa sua, un po’ per il volere del destino, Petra era scomparsa e lui non aveva mai avuto nessuna voglia di ricomparire così, all’improvviso, sconvolgendole, di nuovo, l’esistenza.
Levi avrebbe voluto farle un sacco di domande, ma tacque. C’era un pensiero che, più di ogni altro, lo aveva torturato dal giorno in cui aveva saputo del suo matrimonio con Oruo.
Perché proprio lui? Ma lo ami davvero? Sei sicura? Non sarà soltanto un rimpiazzo?
Levi cercò di scacciare via quei pensieri, sperando che, come al solito, si trattasse soltanto delle sue manie di protagonismo e non della realtà dei fatti. In fondo, quello che realmente gli importava era che Petra fosse finalmente felice.
«Non so se c’è un modo preciso per dirtelo» disse Petra, portandosi una mano sulla pancia «Non so nemmeno se ti possa interessare in qualche modo. Ma ti voglio bene e sono felice, maledettamente felice, e sento il bisogno di dover condividere le mie emozioni con le persone che, per me, sono state più importanti»
Levi guardò la mano che Petra aveva portato al ventre e ricordò la telefonata con Erwin. Ebbe un tuffo al cuore, ma per la sorpresa. Una bella sorpresa. Non provò invidia, né tristezza, né rabbia. Era solo colto da un’ondata improvvisa di meraviglia.
Levi si abbassò a terra, senza nemmeno pensare a ciò che stava facendo. Posò un orecchio sulla pancia di Petra, che, imbarazzata, arrossì, ma non disse una parola.
«Petra» disse Levi, senza muoversi «è incredibile. Dio, eri la più piccola tra di noi e adesso porti un piccolo umano dentro di te. Ma come hai fatto a trovare la tua strada così velocemente?»
Levi si rialzò, lo sguardo ancora stravolto. Petra si accarezzò di nuovo la pancia e sorrise.
«È ancora presto per sentire qualcosa. Ma va bene così, voglio godermi questi mesi fino all’ultimo, con tutte le complicanze, la stanchezza e le nausee che una gravidanza possa portare»
Levi si appoggiò nuovamente alla parete e alzò gli occhi al cielo. Nonostante fosse stata una bella giornata e si riuscissero a vedere le stelle, iniziò a cadere una pioggia leggera. A Levi sembrava quasi una benedizione, una sorta di battesimo, per la nuova vita di Petra e per quella che stava iniziando a sbocciare dentro di lei. Continuava ad essere sorpreso, stupito e meravigliato da quella notizia. Dopo tutti quegli anni, Levi aveva finalmente ottenuto la risposta alla domanda che più lo tormentava: Petra era felice, lo era davvero.
La donna si allontanò piano dal muro e si posizionò poco più avanti rispetto a Levi, per poterlo guardare in faccia.
«Beh, è arrivata l’ora» disse «Credo di dover andare»
Levi si destò dai suoi pensieri e, istintivamente, le prese una mano.
«Hai bisogno di un passaggio?» chiese, lo sguardo preoccupato «Posso lasciare il locale agli altri. Stai da tuo padre, no? In macchina ci metteremo meno di venti minuti»
Petra scoppiò a ridere e Levi sentì qualcosa sciogliersi dentro di sé.
«Non preoccuparti. Ho la mia macchina, ho guidato quattro ore per venire fin qui, sono sicura che venti minuti non mi procureranno alcun danno»
Levi lasciò la mano di Petra e annuì. Lei portò quella stessa mano sulla testa di lui, scompigliandogli i capelli.
«Ci rivedremo, un giorno. E, magari, sarai tu a portarmi qualche notizia spettacolare»
Levi sorrise amaramente, spostando con dolcezza la mano di Petra dalla sua testa.
«Non ne sono così sicuro, ma sì, in fondo, tutto è possibile»
Petra non disse più nulla. Senza spegnere nemmeno per un attimo il sorriso dalle sue labbra, si voltò e aprì la porta. Lo guardò di nuovo solo per un attimo, poco prima di scomparire all’interno del locale. L’ultima cosa che Levi vide di lei, fu la sua piccola mano che si richiudeva la porta alle spalle.
Levi sospirò e si sedette nuovamente sullo sgabello. Prese un’altra sigaretta e l’accese. Stava continuando a piovere lentamente e l’odore del terreno bagnato gli riempiva i polmoni.
Qualcuno riaprì la porta e Levi si voltò: era Mikasa.
«Ah», disse l’uomo, guardando la sigaretta che teneva tra le dita «Alla fine mi hai sgamato»
Mikasa, che teneva in mano una birra, si chinò verso di lui, proprio come fece Petra.
«Guarda che non è la prima volta che ti vedo» disse, prendendo il pacchetto che Levi teneva in tasca «So anche che le tieni nascoste dietro il portaombrelli»
Levi la guardò incredulo. Poi, di scatto, scoppiò a ridere. Adesso, era Mikasa a guardarlo incredula.
«Sono stato un cretino a credere che tu non avresti capito. D’altronde, sei un’Ackerman anche tu. Non ci si può nascondere niente»
Mikasa prese una sigaretta dal pacchetto di Levi e l’accese. Guardò il cielo, da cui continuava a cadere la pioggia.
«Devo chiederti scusa, per oggi» disse, inspirando un tiro «Non avevo motivo di prendermela così tanto»
Levi le pizzicò il naso e lei gli allontanò la mano, infastidita.
«Non hai niente di cui scusarti» rispose lui «Piuttosto, scusami tu. Non ho diritto di parlare di cose che non comprendo»
Mikasa si addolcì e posò la sua testa sulla spalla di lui.
«Ognuno è libero di vivere come meglio crede, suppongo»
Levi inclinò la testa, poggiandola su quella di Mikasa.
«Vero. Ma io mi preoccupo per te e lo farò sempre. Non voglio vederti soffrire a causa di qualche stronzo»
Qualche stronzo come me pensò, senza dirlo.
Mikasa inspirò un’ultima volta, poi buttò la cicca a terra.
«Comunque, è ora di entrare» si alzò «Sono già le dieci e sono arrivati quasi tutti. C’è pure un’amica di Hanji»
Levi si alzò e spense la sigaretta.
«Magnifico» disse, dirigendosi verso la porta «Credo proprio che mi ubriacherò»
Mikasa sorrise, entrando nel pub.
«Ci ubriacheremo tutti»
Levi si richiuse la porta alle spalle, fissando la maniglia della porta, doveva aveva visto la mano di Petra, prima che andasse via. Forse, quello sarebbe stato l’unico ricordo di quella piccola, dolce donna.
Sì, credo proprio che mi ubriacherò.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Salve, lettori ^^ Finalmente sono riuscita ad aggiornare, scrivere è una cosa che mi rilassa un sacco e in questo periodo sono particolarmente stressata e ogni giorno non vedo l’ora di avere tempo per mettermi al pc! Come potete intuire da questo capitolo, la fan fiction è sì una commedia, ma non mancheranno i momenti più “introspettivi” e riflessivi. Spero che questa parte un po’ più “triste” non abbia rovinato le vostre aspettative. A presto!


 

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Capitolo 4
*** Buon compleanno, Eren! (pt. 2) ***


Buon compleanno, Eren!
 
La festa era cominciata da un pezzo e tutti gli invitati si stavano divertendo. Hanji era brilla ed era diventata la regina della festa, mentre Erwin e Levi restavano a guardare, seduti, con i bicchieri in mano. Erwin sembrava divertirsi, mentre Levi, come al solito, non faceva che lamentarsi di ogni cosa.
«Mi romperanno il locale» diceva più e più volte, continuando comunque a bere come una spugna «Mi romperanno qualcos’altro»
«Perché, cosa ti hanno rotto?» disse Erwin, guardandolo preoccupato.
«Le palle, Erwin. Mi hanno rotto le palle»
Hanji arrivò di corsa correndo e barcollando insieme, trascinando Seraphine. Anche lei, non sembrava più tanto lucida. Continuava a ridere e a piegarsi in due dalle risate, e Hanji, quando non era troppo occupata a dare retta a quei ragazzini per cui era diventata improvvisamente un’eroina dopo aver vinto a un gioco alcolico, l’aiutava a rialzarsi ogni volta.
«Che palle, ma perché siete sempre sobri?» disse Hanji, sedendosi a terra tra i due «Dai, dai, dai, continua a bere, Levi»
Hanji spinse il bicchiere di Levi sempre più in profondità nella sua bocca, fino a che rivoli di birra non iniziarono a cadere addosso a lui.
«Brutta racchia psicopatica!» urlò Levi, guardando la camicia e pantaloni sporchi «Ora ti faccio vedere io»
Levi posò il bicchiere sul bancone e Hanji iniziò a gattonare velocemente, cercando riparo dai suoi nuovi amici. Levi la rincorse, ma venne letteralmente placcato da Jean e Connie, che dovevano a tutti i costi proteggere la loro eroina.
Nel frattempo, Erwin era rimasto solo con Seraphine, che si era seduta dove poco prima era seduto Levi.
«Quanto mi manca divertirmi così!» disse la donna
Erwin si limitò a sorridere, ma si sentiva un po’ a disagio. Da quando la donna aveva iniziato ad alzare il gomito, aveva preso a guardarlo in modo molesto. Cercò quindi di alzarsi, per allontanarsi da lì e raggiungere l’amico, ma Armin lo fermò.
«Erwin!» urlò, speranzoso «Ti prego, abbiamo bisogno del tuo aiuto»
Erwin lo guardò confuso, aggrottando le sopracciglia.
«Sì?»
«Non ce la faccio più a fare questi giochi stupidi, io e Mikasa vogliamo giocare a Risiko, ma sappiamo che Risiko è un gioco per persone intelligenti, e nessuno dei nostri amici sembra ormai esserlo»
«Ah!» esclamò Seraphine, raggiungendoli e battendo le mani «Risiko!» Poggiò una mano sulla spalla sinistra di Erwin e gli lanciò l’occhiata più molesta della serata «Mi piace troppo conquistare cose»
Erwin sospirò, sistemandosi il colletto della camicia. Poi fece un’espressione seria, e guardò Armin e Mikasa.
«Soldati!» urlò «Ho un’idea migliore, in modo tale da poter integrare anche i vostri amici deficienti. Che ne dite di giocare…» Erwin scappò verso il bancone, dietro la quale c’era una scopa. Prese la scopa, l’afferrò come si farebbe con un fucile e si voltò nuovamente verso i ragazzi «Alla guerra vera? Aaaaaah»
Erwin, urlando, corse verso Mikasa e Armin che, spaventati, si allontanarono. Levi, che aveva visto tutta la scena e aveva capito che ormai l’alcol aveva fatto effetto anche sull’amico, lasciò perdere i capelli di Hanji e si portò una mano alla fronte.
«Mi licenzio» disse poi, gettando le chiavi del pub sul bancone.
«Aspetti, Comandante!» disse Armin, raggiungendo Erwin che, nel frattempo, era caduto in mezzo a delle sedie
«Che stai facendo, Armin?» chiese Mikasa, preoccupata
«Quest’uomo ha avuto un’idea meravigliosa» disse Armin «Iniziamo una sorta di gioco di ruolo dove fingiamo di essere in guerra. Chi viene ferito, beve»
«Ma che gioco è?» chiese Mikasa «Così, dal nulla, senza nessuna regola?»
«In guerra, Mikasa» disse sottovoce Seraphine che, nel frattempo, aveva preso una bottiglia vuota «Non esistono regole»
Mikasa si allarmò.
«Ehi, ehi, ehi» disse «Posa quella roba. È pericolo…»
Era troppo tardi. Seraphine si era messa a correre verso Erwin che, con la sua scopa, volteggiava tra una sedia e l’altra, cercando di difendersi dalla donna.
«Io ti distruggo!» urlò lei, barcollando e sventolando pericolosamente la bottiglia «Ti ucciderò e mi prenderò Eldia»
«Giusto» riflettè Armin «Devono esserci due fazioni. Mikasa, noi stiamo con Erwin e siamo dalla parte di Eldia. Ora, dobbiamo solo trovare gli altri giocatori e una fazione avversaria…»
«Io ci sono» disse Annie, con uno sguardo raccapricciante «Io ci sono e sono dalla parte di Marley!» quell’ultima parola venne pronunciata urlando e, tutti gli altri, sentendo il discorso, iniziarono a gridare e a cercare cose da usare per combattere.
È finita pensò Levi, sedendosi è proprio finita. E c’è solo un modo per sopravvivere l’uomo prese un’altra bottiglia di birra e iniziò a bere senza fermarsi un attimo.
 
La mezzanotte era passata da un paio d’ore. Hanji e Maribel erano nascoste dietro la parete che divideva la sala dal bagno. Hanji aveva tra le mani una sedia e Maribel uno spruzzino per lavare i mobili.
«Ci hanno fregati, Mari» disse Hanji, controllando che, oltre la parete, nessuno si fosse accorto di loro «Non bastava la guerra Eldia/Marley, adesso hanno dovuto iniziare pure questa faida donne/uomini. E gli uomini hanno iniziato a dare nomi ai loro peni come fossero armi da battaglia e hanno cominciato a lanciarci bustine di maionese addosso» spiegò alla ragazza che era rimasta in bagno tutto quel tempo ad aiutare Marco a vomitare.
«Assurdo» rispose lei «Questo perché gli uomini sono sempre più coalizzati tra loro, noi donne invece facciamo sempre casino. Guarda là» Maribel indicò un angolo della sala dove Annie e Mikasa stavano per iniziare una rissa, ma, fortunatamente, c’erano Armin e Bertholdt a fermarle.
«Mmh» mormorò Hanji «è veramente una brutta situazione»
In quel momento, Maribel venne colpita da una bustina di maionese e Hanji trattenne a stento le urla.
«No!» disse, prendendo tra le mani il viso di Maribel che, nel frattempo, aveva fatto finta di cadere a terra «Amica mia! Ti hanno colpito!»
Hanji alzò lo sguardo per vedere chi fosse stato a colpirla e vide Eren che, divertito, guardava la scena.
«Mi dispiace, schiava, ormai sei morta. Unisciti insieme agli altri al Paradiso mentre io mi avvicino alla vittoria»
Maribel alzò una mano verso il ragazzo, fingendo di soffrire.
«P-prima di morire, posso sapere come si chiama la tua arma da combattimento?»
Eren si mise le mani sui fianchi e le sorrise.
«Certo, schiavetta. L’arma in mezzo alle mie gambe si chiama…» Eren prese un’altra bustina di maionese e la scagliò verso Hanji che, però, riuscì a evitarla «Il Gigante d’attacco»
Dopo un attimo di silenzio, le due donne scoppiarono a ridere. Eren s’infastidì e iniziò a lanciare bustine di maionese a raffica. Hanji aiutò Maribel a rialzarsi e poi andarono verso il “Paradiso”, che era, in pratica, la cucina, dove Sasha si era messa a cucinare senza sosta.
Nel frattempo, Mikasa aveva raggiunto Levi, che si trovava di fronte e due soldati morenti sul pavimento.
«Zi… Capitano» disse la ragazza, inchinandosi «Il master mi dice che hai un bonus per non esserti ubriacato dopo nove birre. Questi sono due dei tuoi soldati morti, puoi scegliere tu chi salvare e chi far morire»
Levi guardò Erwin e Armin che, fingendo di esser morti, aspettavano con ansia la risposta del Capitano. Levi si chinò a terra per guardarli meglio ed erano così immobili che iniziò a credere che si fossero addormentati.
«Tu» disse, indicando Erwin «Sei lo stronzo che ha dato inizio a questo schifo. Ma tu» continuò, indicando Armin «Sei quello che lo ha fomentato» Levi si rialzò, guardando Mikasa che aspettava la sua risposta «Sono due stronzi, non posso farli morire entrambi?»
«Jean, andiamo a casa!» iniziò a piagnucolare Marco, inseguito da Annie, Bertholdt e Reiner «Per favore, questo gioco non mi piace più, è troppo violento!»
Jean strinse i pugni e continuò ad avanzare verso Eren.
«Non possiamo, Marco. Dobbiamo prima sconfiggere quel pazzo, ha colpito un nostro alleato, ormai le sue manie di protagonismo sono così grandi che non riesce più a capire da che parte stare, vuole solo vincere, e tutto perché è riuscito a dare un nome originale al suo pene»
 
Mentre la guerra dilagava in sala, Maribel ricevette una telefonata. Hanji era accanto a lei, la testa poggiata sulla sua spalla. Stava addentando un panino con doppio hamburger.
«Hanji, vuoi farti un giro fuori?» disse Maribel, chiudendo la telefonata.
«Eh?» chiese Hanji «Fuori dove? Se ce ne andiamo insieme, Levi ci ammazzerà»
«Non importa» rispose Maribel, prendendo Hanji per mano e portandola fuori dalla cucina «Perché domani mi licenzio»
«Eh?» esclamò Hanji, il panino ancora in mano «Non sei nemmeno stata assunta, non hai un contratto»
Il “piano” di Hanji non aveva funzionato. Levi aveva iniziato a far lavorare una nuova cameriera, ma, purtroppo, lei non sembrava interessata ad Erwin e, soprattutto, Erwin non sembrava interessato a lei. Hanji, comunque, aveva iniziato a credere che fosse lesbica, ma si sbagliava: in ogni caso, non ci avrebbe provato. Perché si era affezionata a quella donna, non voleva rovinare tutto in modo squallido. Perciò, adesso, quelle sue ultime parole la misero in agitazione.
«È arrivata la mia amica» spiegò Maribel, portando Hanji fuori dal pub «Quella che dopo una settimana avrebbe preso il mio posto. Io devo lasciare, non posso permettermi di lavorare, devo laurearmi il prima possibile e lasciare questa città soffocante per scappare lontano da mio padre» Maribel si voltò verso l’amica e le mise le mani sulle spalle, con gli occhi lucidi «Hanji, ascoltami. In queste due battaglie siamo state alleate sia come donne che come eldiane. Ma, la verità, è che io sogno di trasferirmi a Marley»
Hanji la guardò tristemente. Poi, piangendo, l’abbracciò.
«Oh, amica mia» disse «Mi mancherai. Mi mancherai da morire»
Maribel ricambiò l’abbraccio e poi, accarezzando la testa di Hanji, indicò un punto al di là della strada.
«È arrivata la mia amica, Marzia. Domani la presenterò a Levi e lascerò l’Ackerman Pub. Comunque, è disposta a darci un passaggio dal kebabbaro. Diciamocelo, Hanji, dopo una bella sbronza a me non me ne fotte niente dei panini con carne di alta qualità, voglio solo mangiare una bella piadina maxi completa piccante»
«Ben detto» disse Hanji, attraversando la strada insieme a Maribel.
Quando le due raggiunsero l’automobile grigia parcheggiata dall’altro lato della strada, Maribel si sedette accanto al posto del guidatore e Hanji dietro di lei. Maribel prese un pacco di tabacco dallo zaino che portava sempre con sé e iniziò a rollarsi una sigaretta.
«Marzia» disse Maribel, voltandosi verso Hanji «Questa è Hanji»
Hanji avvicinò il busto al sedile di Marzia, per farsi guardare meglio.
«Ciao, Marzia, io sono Hanji»
La donna seduta accanto a Maribel si voltò. Per Hanji fu amore a prima vista.
Marzia aveva dei capelli che sembravano seta. Erano biondi, biondissimi, quasi bianchi. Le arrivavano alle clavicole che, in quel momento, erano scoperte. Marzia indossava infatti un top rosso senza spalline. La sua pelle era scura e creava un contrasto con il biondo dei suoi capelli. Anche i suoi occhi, circondati da un abbondante strato di ombretto rosso/marrone, erano scuri, quasi neri.
«Ciao, Hanji» disse la donna, guardando la conoscente con un sorriso enigmatico «Io sono Marzia»
Hanji deglutì, poi sorrise. Sentì qualcuno gridare da fuori il locale e si voltò: era Levi che, con i pugni stretti, si guardava attorno. Hanji capì che l’uomo la stava cercando.
«Oddio, Marzia, parti, parti» urlò, battendo una mano sulla spalla destra della donna «O il Capitano Levi ci ucciderà!»
«Cosa?» chiese Marzia, spingendo il piede sul pedale «Il Capitano?»
«Sì, quel gran figlio di puttana» rispose Maribel, abbassando il finestrino e prendendo una boccata dalla sua sigaretta «Buona fortuna per domani. È veramente insopportabile»
La macchina si allontanò ed Hanji, dal finestrino, guardava Levi che si disperava.
Letteralmente dodici metri dopo, l’auto si fermò davanti il locale del kebabbaro. Hanji riusciva a vedere ancora troppo bene Levi che, nel frattempo, aveva attraversato la strada.
«Eh?» disse Hanji «Cosa? Pensavo fosse più lontano, così Levi ci vedrà»
«Non importa» disse Maribel, scendendo dall’auto «Nascondiamoci subito dentro il locale»
Le donne scesero dall’auto ed entrarono subito nella kebabberia. Qui, un ragazzo dalla pelle nera le accolse a braccia aperte.
«Buonasera, principesse» disse Onyankopon, sorridendo «Il solito?»
«Sì», disse Maribel, sedendosi a un tavolo «Il solito»
Hanji si sedette accanto all’amica e, spaventata, vide passare Levi di corsa attraverso la vetrata.
«Mamma mia, quello ci ammazza davvero» disse Hanji
«È davvero così terribile?» chiese Marzia, sedendosi di fronte alle due
«Niente che tu non possa sopportare» rispose Maribel
Hanji guardò affamata Onyankopon che stava preparando le piadine ma, all’improvviso, si ricordò di Seraphine.
­«Oddio!» urlò, portandosi le mani al viso «Oddio! Ho lasciato Seraphine da sola!»
Maribel ridacchiò, sciogliendo i capelli che, fino a quel momento, aveva tenuto stretti in una coda.
«Tranquilla, mi sembrava parecchio a suo agio con il Comandante Erwin»
«A che strano gioco stavate giocando?» chiese Marzia che, nel frattempo, aveva preso una Fanta dal frigorifero.
«Un gioco meraviglioso» rispose Maribel, con gli occhi lucidi «Ma non ho più l’età per restare a ubriacarmi fino all’alba»
Onyankopon arrivò con i kebab e le tre iniziarono a mangiare voracemente.
«Mmmh» mormorò Hanji «Questa sì che è carne di qualità»
«Tu sei la coinquilina di quel nanerottolo?» chiese Marzia.
«Beh, non proprio. Mi sta ospitando mentre io dovrei cercare dimora fissa. Ma, nella realtà dei fatti, non ho ancora controllato nemmeno un annuncio»
«Come fai a vivere con quella bestia?» chiese Maribel, addentando il suo kebab «Io sono sempre stata convinta del fatto che, in determinate situazioni, qualunque essere umano sia in grado di ucciderne un altro. E credo proprio che, vivendo con lui, sarei già dietro le sbarre»
Marzia scoppiò a ridere e accavallò le gambe. Hanji la guardò e smise, per un attimo, di pensare alla sua padina e al suo amico. Avrebbe voluto scomparire insieme a Marzia, per sempre.
«A vederlo, non fa così tanta paura» disse la bionda.
«Paura?» urlò Maribel «Non fa paura. Vorrebbe fare paura, ma è solo insopportabile. È come le zanzare che non ti fanno dormire la notte, come le cicale che ti svegliano la domenica mattina quando potresti dormire di più, come i call center che ti chiamano quando stai finalmente addentando la tua lasagna»
Hanji ridacchiò.
«Vero, non posso darti torto» poi tornò a guardare Marzia, che aveva quasi finito di mangiare la sua piadina «E quindi, tu, da domani inizierai a lavorare all’Ackerman Pub?»
«Se l’Anticristo lo vorrà, molto volentieri» disse lei «Mi sono trasferita a Eldia con la speranza di poter lavorare nel campo della moda, ma i servizi fotografici non mi danno abbastanza denaro per poter vivere come si deve»
Hanji guardò quel corpo perfetto, statuario, che si trovava davanti: in effetti, non c’erano dubbi sul fatto che Marzia fosse una modella. Poi si voltò verso Maribel che, finito il suo kebab, stava per rollarsi un’altra sigaretta ed era pronta a uscire per fumarsela.
«E tu?» chiese Hanji all’amica «Te ne andrai così? Non ci vedremo più?»
«Ma che cazzo dici?» disse lei, indossando il giubbotto di pelle prima di dirigersi verso l’uscita «Certo che ci vedremo. Sarò comunque lì tutte le sere, ho bisogno di bere, io»
A Hanji si illuminarono gli occhi. Poi, Maribel uscì fuori per fumare la sigaretta. Hanji restò sola con Marzia, che la guardava incuriosita.
«E tu, invece, cosa fai nella vita?» chiese la bionda, poggiando il mento sulla mano aperta.
Hanji allungò il busto sul tavolo, per avvicinarsi.
«Insegno scienze naturali alla Sina School» rispose «Un lavoro abbastanza noioso, insomma»
Marzia incrociò le braccia.
«Noioso? Può essere. Ma, almeno, hai un’entrata certa che ti permette di vivere dignitosamente»
Marzia posò lo sguardo su un punto indefinito e Hanji la scrutò attentamente. Non riusciva a capire quanto potesse essere più giovane rispetto a lei.
«Marzia» disse la donna, poggiando il mento su due pugni chiusi «Ma quanti anni hai?»
La bionda sorrise, inclinando leggermente la testa.
«Trentacinque, Hanji»
Hanji spalancò la bocca, stupita. Quella donna sembrava una ragazzina, eppure aveva l’età di Levi ed era ben cinque anni più vecchia di lei.
Ti prego, Levi. Assumila. Ti prego!
 
Decine di soldati giacevano stesi a terra. Il pavimento, i muri e i mobili erano intrisi di liquidi rossi e bianchi (ketchup e maionese). Il Capitano Levi, dall’alto del bancone, si teneva il volto tra le mani e avrebbe voluto gridare. Si sentiva un fallimento sia come uomo che come soldato.
Non solo non sono riuscito a fermare questo branco di idioti prima che mi mettessero il pub sottosopra, ma sono pure stato battuto da mia nipote.
Mikasa si avvicinò allo zio, posandogli una mano sulla spalla. Nel suo sguardo, un profondo rispetto.
«Capitano» disse seria «Ha combattuto fino alla fine. Questo le fa onore»
Levi annuì, poi aprì le braccia per abbracciare la ragazza. Lei ricambiò l’abbraccio. Levi scese quindi dal bancone e i due si guardarono. Si tirarono prima un pugno alla spalla destra con la mano destra, poi fecero lo stesso con la mano e la spalla sinistra e, infine, scontrarono i pugni di entrambe le mani. Poi indietreggiarono, allargando sempre di più le braccia con le mani aperte.
«Ackermans!» dissero in coro, guardandosi negli occhi.
Nel frattempo, Annie stava portando Bertholdt e Reiner fuori e Marco stava facendo lo stesso con Jean. Mikasa si adoperò quindi a trascinare anche i suoi amici Armin ed Eren verso l’appartamento e salutò lo zio. Levi, distrutto, guardò ciò che rimaneva dell’umanità dentro il locale: Erwin, che si era beatamente addormentato sopra un tavolo, e Seraphine, che, di tanto in tanto, dava ancora tracce di vita da sotto la sedia dove si era nascosta per sfuggire ai bombardamenti.
E ora che faccio con questa pensò Levi, seccato Quella stronza di Hanji è sparita. E, guarda caso, anche quella troietta color detersivo per piatti che non mi ricordo mai come si chiama. Brava, Hanji, sei la persona più egoista che io abbia mai conosciuto.
Levi si avvicinò a Seraphine, per prenderla in braccio e portarla su in casa, ma, quando fece per uscire, vide un volto familiare scendere da un’automobile.
L’uomo, dalla testa pelata e i folti baffi, indossava un lungo cappotto marrone e stava fumando una sigaretta. A causa del buio, Levi ci mise un po’ a riconoscerlo.
«Pixis?» disse, cercando di mettere a fuoco la vista.
L’uomo gettò il mozzicone a terra e, sorridendogli, lo sorpassò, entrando nel pub.
«Ah!» esclamò «Sembra quasi esserci stata una guerra, qua dentro»
Levi si voltò verso di lui. Pixis era stato, fino a poco tempo fa, un maresciallo dei carabinieri. Ma da qualche mese era in pensione e, da quel giorno, Levi non l’ebbe più visto. Prima d’allora, Pixis si recava spesso al pub a bere fino ad ubriacarsi, perfino quand’era in servizio.
«Signor Pixis» disse Levi, sinceramente dispiaciuto. D’altronde, Pixis era stato uno dei suoi più fidati clienti. «Il pub è chiuso e io sto cercando di portare questa sconosciuta a casa mia. So che è poco professionale ma, se vuole, può servirsi da solo mentre porto in salvo questa ninfomane alcolizzata»
Pixis sospirò.
«Sei un uomo fortunato, Levi. Mi mancano i tempi in cui portavo sconosciute ninfomani alcolizzate in casa mia. Ma, comunque, non sono qui né per parlare con le belle clienti e né per bere un bicchiere»
Anche perché è praticamente l’alba pensò Levi, senza dirlo.
«Allora come posso esserle d’aiuto?»
Pixis si poggiò alla porta del pub e prese un’altra sigaretta.
«Sto cercando mia figlia. Maribel»
 
 
ANGOLO AUTRICE: AAAAAAAAAAAH ragazzi, questo capitolo è completamente demenziale e no-sense, me ne rendo conto. Il fatto è che volevo un po’ alleggerire la tensione dello scorso capitolo e volevo anche avere modo di introdurre finalmente l’ultimo OC. Non sono “nuova” nel mondo delle fan fiction, anni fa ne avevo scritte un bel po’ sia su questo fandom che su altri, ma non avevo mai introdotto più di un personaggio originale. Adesso che ne ho inseriti ben tre (quattro, considerata Lexa che, però, non è tra i personaggi principali), mi rendo conto di quanto sia difficile conciliare interesse del lettore, descrizione dettagliata degli OC e proseguimento veloce della storia (sì, voglio evitare di annoiarvi con troppi capitoli in cui “non succede niente”, tipo questo). Spero comunque di non avervi deluso troppo, un abbraccio e alla prossima!
 
 

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Capitolo 5
*** Gita in montagna ***


Gita in montagna
 
Hanji aprì gli occhi lentamente, ancora intontita dalla notte prima. Il sole filtrava dalle serrande e un velo di luce illuminava la stanza. Accanto a lei, Seraphine dormiva beata. Hanji si portò un braccio alla fronte e pensò a quanto Levi fosse arrabbiato la sera prima. Pensò anche a come fosse cambiata la sua vita in quel mese a Eldia e a quante cose fossero successe. Tuttavia, tutti i suoi pensieri, alla fine, si incontravano in un unico punto: Marzia.
Hanji si alzò dal letto, guardò l’orologio e scosse la testa: erano le 8:00. Incredibilmente, era riuscita ad alzarsi così presto nonostante fosse domenica e non dovesse andare a scuola. Si alzò piano, prese l’accappatoio da dentro l’armadio e uscì dalla stanza.
Ricordò che, quella sera, Maribel non ebbe il tempo di presentare Marzia a Levi. Innanzitutto, l’uomo era veramente rabbioso, e non era il caso di parlargli. Poi, Maribel sembrava particolarmente di fretta e sparì insieme a Marzia subito dopo aver riaccompagnato Hanji.
La donna sentì una fitta di gelosia mentre, sotto la doccia, ripensò a Maribel e Marzia che andavano via insieme. Eppure, era sicura, la sua nuova amica non era interessata alle donne.
Però, perché tutta quella fretta?
Hanji uscì dalla doccia e indossò l’accappatoio. Uscì dal bagno e un’ondata di negatività l’aggredì come un fulmine: in salotto, Erwin e Seraphine sedevano il primo sul divano e la seconda sulla poltrona. Sembravano entrambi a disagio, anche se Hanji non aveva ben chiaro cosa fosse successo la sera prima, dato che si era ubriacata troppo presto. E, poi, vide che, appoggiata alla parete che divideva il salotto dalla cucina, stava la fonte di tutta quell’energia cupa e nera: Levi, con le braccia incrociate al petto, che guardava un punto indefinito sul pavimento.
«Buongiorno, Hanji» disse semplicemente, senza alzare lo sguardo.
Hanji deglutì e alzò una mano in segno di saluto.
«B-buongiorno, Capitano!» mormorò, in preda al panico.
Nel frattempo, Seraphine, vestita come la sera prima, prese la sua borsa e fece per andarsene. Hanji la vide allontanarsi verso la porta e la chiamò.
«Ehi. Già te ne vai?»
Seraphine sorrise imbarazzata e indossò il suo cappotto.
«È tardi» disse semplicemente, fingendo di guardare l’orologio «Ho delle cose da sbrigare e non posso perdere tempo»
«Resta almeno a fare colazione con noi» disse Hanji, che, sebbene cercasse di nasconderlo, si sentiva più a disagio della sua collega.
«No, non posso, veramente. Ci vediamo domani!» disse la rossa, scomparendo in fretta dietro la porta senza guardare in faccia nessuno.
Hanji sospirò, sedendosi sul divano, accanto ad Erwin. Poi batté una mano sulla coscia dell’amico, con una smorfia.
«Beh, Erwin, si può sapere cos’hai combinato?»
Levi batté un pugno sulla parete a cui era appoggiato e alzò lo sguardo su Hanji.
«Cosa ha combinato Erwin?» urlò «Cosa hai combinato tu! Si può sapere dove sei finita, per tutto quel tempo?»
Hanji si nascose il viso tra le mani, arresa. Non aveva modo di difendersi: aveva lasciato la sua collega lì, da sola, alla festa, e non aveva minimamente pensato al fatto che Levi potesse avere bisogno d’aiuto con i ragazzi. Poi, all’improvviso, si ricordò di Petra e si sentì ancora più in colpa: non aveva parlato con Levi di quell’episodio nemmeno per un momento.
«Scusami, Levi» pianse Hanji «Ma ero ubriaca. Non succedeva da tanto. Scusami, davvero, non so come farmi perdonare» la donna scese dal divano e si inginocchiò, portando le mani giunte davanti al viso «Mi occuperò di tutte le faccende domestiche e pulirò il pub da sola. Davvero, te lo prometto. E per tutta la settimana sarò la tua schiava, potrai chiedermi quello che vuoi»
Levi si avvicinò alla donna, guardandola dall’alto in basso.
«Mi fai pena»
«Facciamo due settimane?» chiese Hanji, facendogli l’occhiolino.
Erwin accarezzò la testa dell’amica, sospirando.
«Tranquilla, Hanji. Andremo insieme a pulire il pub»
Erwin si alzò, con aria triste, e prese il giubbotto dall’appendiabiti. Levi guardò prima lui, poi lei, ancora a terra, poi guardò il soffitto, alzando le braccia al cielo.
«Erwin, ma si può sapere che cos’hai? Sembravi felice, ieri, ti sei divertito. Perché ti sei svegliato depresso?»
Erwin raggiunse il terrazzo, dove Elsa lo accolse scodinzolando.
«Non lo so, Levi» disse «È che è stato bello, ieri, ma oggi ho ripensato a Le…»
Levi batté di nuovo un pugno sulla parete.
«Non nominare quella persona, Erwin. Non farlo mai più» urlò «Sei malato. Tu non hai bisogno di aiuto da uno come me, tu hai bisogno di uno psichiatra»
Hanji sbruffò e, finalmente, si alzò da terra.
«E se ce ne andassimo tutti in montagna?» propose, guardando gli amici.
Levi scosse la testa.
«Hanji, sei incredibile, riesci sempre a uscirtene fuori con cose che non c’entrano un cazzo»
«Perché no?» rispose Erwin, rientrando in salotto con Elsa.
«Ma perché l’assecondi sempre?» urlò Levi.
«Dai, hobbit» disse Hanji, avvicinandosi «Abbiamo avuto una brutta giornata tutti quanti, ieri. Oggi ci prendiamo una pausa e domani torniamo a vivere come sempre»
Gli occhi di Levi s’illuminarono.
«Come sempre? Come sempre, nel senso che finalmente vi levate dai coglioni?»
Elsa cominciò ad abbaiare ed Erwin cercò di tranquillizzarla. Il volto di Hanji si fece cupo.
«Levi, se non ci vuoi puoi dircelo chiaramente»
«E no, non iniziare a fare la vittima» sbraitò lui, puntandole un dito contro «Non funzionerà più»
«Hanji» disse Erwin, ignorando il discorso «Io porto fuori Elsa e poi ti aiuto con le pulizie. Ci vediamo più tardi»
Erwin uscì, e Hanji rimase lì, in salotto, in piedi, in accappatoio, con lo sguardo rivolto a terra. Poi alzò la testa, sorridente.
«Va bene, Levi. Facciamo come vuoi tu»
Hanji andò in camera a vestirsi e Levi si sedette su una sedia, bevendo il suo caffè. Prese il telefono e vide che stava squillando.
Hanji, da camera sua, sentì Levi parlare.
«Buongiorno, signor Pixis. Sì. Sì. Sì, ho capito. Beh…» l’uomo fece una lunga pausa «Oggi non sarò qui ed è il giorno di chiusura del pub, per cui…» Hanji poggiò l’orecchio alla porta, per sentire meglio «Certo. Certo, l’avviserò se dovessi sapere qualcosa. Si figuri. A più tardi»
Hanji uscì dalla stanza, ancora in accappatoio.
«Cosa voleva quello sbirro?» urlò «Perché gli parli come se stessi parlando al tuo capo? E, soprattutto, perché non sarai qui, oggi?» la donna guardò Levi con uno sguardo pieno di speranza «Andiamo in montagna, vero?»
«Sbrigati a vestirti e ad andare a pulire» rispose Levi «Sì, andiamo in montagna»
Hanji urlò di gioia e si richiuse nuovamente in camera. Levi iniziò a lavare le tazzine sporche e bofonchiò qualcosa.
Da quando, di preciso, sono diventato una madre?
 
Qualche ora dopo, i tre erano in macchina, diretti verso Dauper, a una mezz’ora di distanza. Hanji aveva insistito per guidare e Levi non aveva fatto obiezioni. Ormai, sembrava troppo stanco pure per lamentarsi.
Hanji alzò il volume della radio e abbassò il finestrino. Era una giornata di sole e le piaceva sentire il vento e il calore sulla sua pelle. Erwin era particolarmente felice, perché aveva potuto portare Elsa con sé. Levi, continuava a stare al telefono.
Quando il gruppo raggiunse Dauper, Hanji decise di parcheggiare vicino al lago. C’era una foresta, lì di fronte, dove i tre trascorrevano spesso i fine settimana durante gli anni universitari. Hanji aprì il cofano per prendere le borse e Levi la fermò.
«Non ti sembra un po’ presto, per mangiare?»
Erwin, che stava giocando con Elsa, annuì.
«Non sarebbe meglio farci una passeggiata, prima, e poi pensare al pic-nic?»
Hanji richiuse il cofano.
«Va bene, Levi. Facciamo tutto quello che vuoi»
Poco dopo, i tre stavano camminando lungo un sentiero dentro la foresta. Il cinguettio degli uccelli distraeva Elsa che, di tanto in tanto, si allontanava dal gruppo, per poi tornare. Hanji aveva portato con sé un cestino e raccoglieva tutte le fragole che riusciva a trovare.
A un certo punto, il gruppo raggiunse una radura dove, tra gli altri, spiccava un albero diverso. Era un salice in mezzo alle sequoie.
Levi si avvicinò all’albero e si sedette, poggiando la schiena sul tronco. Elsa gli corse incontro ma, con grande sorpresa di Erwin e Hanji, Levi si fece travolgere dall’affetto del cane. Hanji guardò meglio l’albero e si ricordò del giorno in cui, dopo una delle tante gite al lago, Levi aveva confessato di aver lasciato definitivamente Petra. I due si erano allontanati nella foresta per un bel po’, ma lei era tornata dagli altri sorridente, come sempre.
Erwin si sedette accanto all’amico e gli poggiò la testa sulla spalla. Hanji fece lo stesso e, con una mano, accarezzò Elsa, che si era posata sulle gambe di Levi.
«Come stai?» chiese Erwin, guardando il cielo.
Levi sorrise.
«Finalmente qualcuno me lo chiede» Hanji prese una fragola dal cestino e gliela porse «Hanji, non mangiarle, ti prego, lavale, prima»
Levi sospirò e si coprì con una mano gli occhi colpiti dal sole. Non faceva freddo, ma erano pur sempre in montagna e una brezza leggera gli procurò un brivido lungo la schiena.
«Cosa vuoi fare della tua vita?» chiese Hanji, ignorando il consiglio dell’amico e addentando una fragola.
Levi alzò le spalle.
«Non lo so. Ho passato la mia giovinezza a dire che volevo essere libero come un uccello e spostarmi da un posto all’altro senza fermarmi mai, eppure sono l’unico che non se n’è mai andato»
Erwin sospirò, prendendo una fragola dal cestino di Hanji.
«Io riaprirò il mio studio» disse Erwin «Ci stavo pensando già da qualche giorno. Solo che non voglio tornare a casa, non voglio vivere nello stesso posto dove…»
Erwin si azzittì, lanciando uno sguardo a Levi. Lui sorrise.
«Aprilo qui» disse «Qui è un po’ come casa. Non è un posto nuovo a cui devi abituarti e poi ci sono io»
«Io voglio sposarmi» disse Hanji «Voglio vivere in una bella casa in campagna e sposare una donna bellissima. E poi vorrei avere dei figli» alzò la testa e poggiò il mento sulla spalla dell’amico, guardandolo in faccia «Levi, mi presteresti il tuo sperma per mettermi incinta?»
Erwin si strozzò con la fragola che stava mangiando. Levi scoppiò a ridere.
«Sarebbe strano. Non perché sei tu, ma perché sono io. Io odio i bambini, sarei biologicamente il padre»
«Ma perché rispondi seriamente a uno scherzo?» disse Erwin
«Non è uno scherzo!» esclamò Hanji «Sono seria» la donna cambiò posizione, alzando le ginocchia al petto e poggiando la schiena sul tronco «Levi è l’unica persona da cui mi farei fecondare. Voi due siete gli unici amici che so che non mi tradiranno mai. Ma tu, Erwin, vuoi avere i tuoi figli» Erwin annuì, guardando altrove «Levi, invece, non vuole farsi una famiglia. Vuole vivere così, senza senso, spostandosi da una parte all’altra con il suo ucc… come un uccello» Levi rise di nuovo «E va bene così, la vita non deve avere senso per forza. Non ci deve essere un obiettivo preciso. Non tutti abbiamo le stesse ambizioni» i tre guardarono in alto, godendosi la pace del momento. Poi, Hanji riaprì il discorso «Allora, me lo dai il tuo sperma oppure no?»
«Sì», rispose Levi, incrociando le mani dietro la testa «Sì, Hanji. È una promessa»
Erwin guardò sbigottito l’amico e a Hanji si illuminarono gli occhi. Si alzò, prese le braccia di Levi e spinse anche lui ad alzarsi.
«Oddio! Oddio, Levi, mi uccidi di gioia, così!» la donna strinse forte Levi, che quasi non riusciva più a respirare.
«Hanji, tu mi uccidi e basta» disse, allentando la presa «Che bisogno c’è di essere così sorpresi? Sei una mia amica, e, insieme ad Erwin, l’unica che ho. È ovvio che ci sarò sempre, anche se a volte mi comporto in modo brusco» Levi guardò entrambi, liberandosi dalla stretta di Hanji «Però, pure voi, certe volte vi impegnate proprio a farmi girare i coglioni!»
Erwin sorrise, mettendo un braccio attorno alle spalle di Levi. Hanji lo riabbracciò, questa volta più delicatamente, stringendogli la testa sul suo petto.
«Vi voglio bene» disse lei, sorridendo.
«Vi voglio bene anch’io» rispose Erwin, condividendo l’abbraccio.
Levi stava per rispondere, ma la suoneria del cellulare interruppe il momento. L’uomo prese il telefono e vide che era Pixis. Alzò il braccio in aria come se volesse lanciare il telefono, ma poi prese un respiro profondo e rispose.
«Pronto?» Hanji ed Erwin si avvicinarono per ascoltare, ma Levi continuava a camminare furiosamente avanti e indietro, allontanandosi «No. No, non penso. Sì, chiederò. Va bene. Va bene. Non si preoccupi. Sono sicuro che è tutto a posto. Va bene. Arrivederci»
Levi chiuse la telefonata e tornò da Hanji ed Erwin.
«Ma si può sapere che è successo?» chiese Hanji.
«Niente» disse Levi, incamminandosi verso il sentiero «Vi spiegherò più tardi»
 
Quando il gruppo arrivò al lago, c’erano già un mucchio di persone. I tre riuscirono comunque a trovare una zona più appartata e lì stesero la tovaglia, con tutto il cibo e le bevande che avevano portato. Hanji addentò il suo panino e si lasciò andare ad un gemito di soddisfazione. Erwin prese il contenitore con la sua frittata di pasta e Levi si preparò la sua insalata.
«Ma che problemi hai?» disse Erwin, guardando il triste piatto dell’amico.
«Che problemi avete voi a mangiare così tanto dopo tutto quello che abbiamo bevuto ieri sera»
Hanji stava per replicare, ma qualcuno la chiamò. Si voltò alle sue spalle e, dopo essersi guardata attorno, notò qualcuno che stava sventolando le braccia all’aria. Hanji lasciò andare il panino e arrossì. Erwin e Levi seguirono lo sguardo della donna e videro Maribel agitare le braccia e, accanto a lei, una donna dai capelli biondi. Erwin trasalì.
«Ehi» esclamò «Chi è quella dea?»
Hanji lo fulminò con lo sguardo, mentre, con una mano, continuava a salutare le due donne. Levi sorrise, contento che, finalmente, Erwin avesse fatto un apprezzamento su qualcuna.
Maribel e Marzia si avvicinarono correndo e la prima si gettò a terra, tra Hanji e Levi.
«Che fortuna!» esclamò, prendendo una metà di un avocado da un vassoio «Ci hanno rubato il pranzo»
Levi afferrò con forza il polso della ragazza e le lanciò un’occhiataccia.
«Lascia stare il mio avocado»
«Buongiorno», disse Marzia, accovacciandosi tra Erwin e Levi «Tu devi essere Levi»
Hanji notò con disappunto che lo sguardo di Erwin era caduto sulle cosce scoperte di Marzia e si fece spazio in mezzo alla tovaglia per avvicinarsi alla donna.
«Buongiorno», disse sdraiandosi e poggiando il mento sui palmi aperti.
«Ti odio» disse Maribel a Levi che, intanto, si era ripreso il suo avocado.
«Che cosa hai detto?» urlò stizzito, subito prima di addentare tutti gli avocado che c’erano sul vassoio.
Marzia si sedette a terra, cercando di attaccare bottone con Levi che però era impegnato in una sanguinosa disputa con Maribel. Cercò allora di presentarsi ad Erwin, ma, quando si voltò verso di lui, vide che Hanji gli era salito in spalla e gli stava bloccando il collo con le braccia.
«Condivisione, Hanji» mormorava a stento Erwin, che sentiva mancarsi il respiro «Allora tutti i discorsi che abbiamo fatto poco fa sono già andati in fumo?»
«Pensi di spaventarmi col segno dei tuoi denti e la tua saliva?» disse Maribel, addentando un avocado che Levi aveva già messo in bocca «Cosa fai? Sei un cane, marchi gli avocado?»
«Ragazzi» esclamò Marzia, alzando la voce «Io sono Marzia» Hanji allentò la presa su Erwin. Levi si voltò verso la donna e Maribel ne approfittò per finire di mangiare quella metà di avocado che aveva appena morso. Marzia sorrise, consapevole di aver finalmente attirato l’attenzione di tutti i presenti. Prese una sigaretta e se l’accese «Sono l’amica di Maribel, quella che l’avrebbe sostituita dopo una settimana. Mi dispiace ma, a causa di alcuni impegni, sono tornata a Eldia più tardi del previsto. In ogni caso, posso cominciare a lavorare già da domani. Maribel mi ha spiegato tutto, specialmente l’importanza di tenere sempre tutto perfettamente pulito»
Levi aggrottò le sopracciglia. Aveva completamente dimenticato del fatto che Maribel sarebbe rimasta a lavorare solo per qualche giorno. In un’altra circostanza, avrebbe liquidato entrambe e tutto sarebbe tornato alla normalità. Ma, per la prima volta, aveva visto Erwin interessarsi a qualcuna. Poi, tra l’altro, quella Marzia sembrava il tipo di donna che avrebbe portato non pochi clienti. E poi c’era Maribel e il suo conto in sospeso con Pixis.
«Ehi, Wasabi» disse Levi, rivolgendosi a Maribel «Tu che hai intenzione di fare?»
«Che cazzo hai detto?» esclamò Maribel, prendendo una fragola dal cestino.
«Storpio sempre il tuo nome, in qualche modo, perciò ho deciso di chiamarti Wasabi, come quel veleno verde che non ti accorgi ti abbiano messo nel piatto mentre sei al sushi felice di mangiare il tuo uramaki ma, poi, ti esplode la morte in bocca ed è ormai troppo tardi e tu non puoi farci più niente»
«Che tenero» disse Hanji che aveva convertito il suo attacco alla gola di Erwin in un abbraccio.
«Comunque io ho intenzione di lasciare tutto nelle mani di Marzia, se è questo che mi hai chiesto» disse Maribel, alzandosi da terra «Ho un sacco di impegni e non ho tempo da perdere»
Si alzò anche Levi.
«Quindi sparirai? Non ci vedremo più? Non ci pensi alla tua amica Hanji?»
«Eh?» chiese Hanji, alzando lo sguardo verso Levi.
«Eh?» esclamò Maribel, chiudendosi i bottoni della giacca «Se questo è uno scherzo del cazzo dove alla fine salti di gioia per la felicità di non dovermi più vedere, non fa ridere. E, comunque, purtroppo ci vedremo ancora. Proprio perché mi mancherebbe Hanji e poi non posso lasciare Marzia a un boia come te»
Nel frattempo, Marzia si chinò su Erwin e Hanji, cingendo loro le spalle con le sue braccia.
«Di voi due, invece, Mari mi ha parlato sempre con affetto»
«In che senso “invece”?» chiese Levi, voltandosi verso la bionda.
«Marzia, è già tardi» disse Maribel prendendo un braccio di Marzia e facendola alzare «Alle sei dobbiamo essere a casa. Domani sera avrete tutto il tempo per conoscervi»
Marzia si allontanò e Hanji alzò le braccia verso di lei.
No, non te ne andare, è così presto pensò tristemente.
Le due amiche salutarono in fretta i tre, poi corsero velocemente verso i parcheggi, fino a sparire dietro una fila di alberi. Levi si sedette a terra, continuando a preparare la sua insalata. Erwin continuò a mangiare e Hanji sospirò.
«Ma perché, di nuovo, se ne sono andate con tutta quella fretta?» disse Hanji, triste.
«Han, cosa sai di Maribel?» chiese Levi «Anche se vi conoscete da poco, sei quella che ha passato più tempo con lei. Hai notato niente di strano? Che tipo ti sembra? Credi che sia in pericolo?»
«Ehi, ehi, ehi» disse Hanji, aprendo i palmi in segno di pausa «Perché mi fai queste domande? Perché Maribel dovrebbe essere in pericolo?»
Levi iniziò a mangiare e incrociò le gambe.
«Ieri sera è venuto Pixis al pub. O meglio, stamattina, poco prima dell’alba. Mi ha detto che cercava Maribel»
Erwin ridacchiò, versandosi dell’acqua in un bicchiere.
«Quella vecchia volpe se la fa ancora con le donne così giovani? Beato lui…»
«No, Erwin, Maribel è sua figlia»
«Cosa?» esclamò Hanji.
«Cosa?» ripeté Erwin.
Levi annuì, riempendosi, anche lui, un bicchiere d’acqua.
«Sì, è sua figlia. Pixis mi ha detto che non la vede ormai da anni, se non quando la incontra casualmente in città. Maribel non vive più con lui da poco dopo aver cominciato l’università. Ma Pixis è preoccupato, dice che ha scoperto che Maribel sta frequentando qualcuno di pericoloso, qualcuno che, a quanto pare, le fa del male anche fisico»
Hanji fece un’espressione dispiaciuta ed Erwin inclinò il capo.
«E tu hai deciso di occuparti della questione per il bene di Maribel e di un padre preoccupato?» disse l’uomo, sorpreso «È incredibile, Levi. Fai sempre lo stronzo, ma, alla fine, sei il più altruista di tutti»
Erwin abbassò lo sguardo. Hanji rifletteva su quello che aveva scoperto di Maribel in quei giorni. Levi addentò un pezzo di pane. Poi, non riuscì più a trattenere un accenno di risata. Erwin e Hanji si voltarono a guardarlo e videro che, il pane ancora tra i denti, Levi aveva assunto un ghigno spaventoso.
«Cinquemila monete» disse Levi, sgranando gli occhi «Cinquemila monete solo per scoprire il suo nome. Se scopro dove abita e cosa fa nella vita, saranno il doppio. E, se glielo porto direttamente…» Levi staccò finalmente la fetta di pane con un morso «Non riesco nemmeno a immaginare quanti soldi mi darà il signor Pixis»
Hanji sbuffò ed Erwin scoppiò a ridere. La donna continuò a mangiare il suo panino, girandosi a guardare l’acqua del lago.
«Secondo me, sono tutte manie del vecchio» disse «A me non sembra ci sia qualcosa di strano, in Maribel. Non mi ha mai accennato nemmeno a un ragazzo, anzi, non faceva altro che fare apprezzamenti sui clienti del pub»
«Sarò coperto d’oro» disse Levi, ignorando la donna «E potrò allargare il locale e diventare ancora più ricco»
Hanji sospirò. Poi si sdraiò a terra, un braccio dietro la testa. Il sole era coperto dalle nuvole, ma dovette comunque usare l’altro braccio per proteggersi gli occhi dai raggi solari.
«Ehi, Legolas» disse, rivolgendosi ad Erwin «Noi due abbiamo un conto in sospeso»
 
 
ANGOLO AUTRICE: Ciao, lettori! 😊 Sono veramente felice di essere riuscita ad aggiornare anche oggi! Onestamente, mi sorprendo delle visualizzazioni: vedere che dopo ben quattro capitoli (adesso cinque) continui ad esserci un “pubblico” così vasto, mi sprona a continuare questa storia. E, comunque, l’Erwin sempre triste e sconsolato è finalmente “morto” xD Da questo capitolo in poi, molte cose cambieranno. Vi ringrazio ancora di tutto e a presto!
 

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Capitolo 6
*** Pedinamento ***


Pedinamento
 
(Now and then there’s) a fool such as I suonava dalle casse del telefono di Levi. Era solo in casa e si stava godendo appieno i primi momenti della giornata. Dopo una doccia calda, si recò in cucina a prepararsi due uova fritte con bacon. Dopo aver mangiato, scelse i suoi abiti migliori e sistemò i capelli alla perfezione. Si spruzzò addosso qualche goccia del profumo più costoso che aveva e prese Elsa dal terrazzo per fare una passeggiata con lei.
Fuori era una bella giornata: era pieno di gente che entrava e usciva dai locali, che si incontrava per strada, che correva o scorrazzava in bicicletta. E poi c’era Levi, che non aveva un obiettivo preciso. Voleva solo iniziare la sua giornata tranquilla e godersi quelle ore di relax prima di dover andare al lavoro.
Passò dal panificio e decise di comprare delle ciambelle per Erwin e Hanji. Si sentiva felice e voleva condividere la sua gioia immotivata con i suoi amici. Uscì dal panificio, si fermò per fare orinare Elsa in tutta tranquillità e vide una testa verde passare proprio nella strada di fronte. Levi guardò meglio, per accertarsi che si trattasse proprio di Maribel. Aspettò che la ragazza fosse abbastanza lontana, poi tirò Elsa e iniziò a inseguire Maribel.
Dopo vari attraversamenti di strada, vicoli, fermate al supermercato e in profumeria, Maribel entrò dentro il portone di un palazzo di cui aveva le chiavi. Levi voleva approfittare del fatto che la donna avesse lasciato il portone aperto per entrare, ma, appena mosse un piede, qualcuno lo afferrò per il braccio.
Levi si voltò e assunse un’espressione sorpresa.
«Hitch?» disse, voltandosi nuovamente verso il portone che, in quello stesso momento, stava per essere chiuso da un uomo appena uscito.
«Buongiorno, Levi» esclamò lei, senza smettere di tenergli il braccio «Non sapevo avessi preso un cane»
«Cosa?» chiese Levi, guardando Elsa «Ah, no. Non è mio»
Hitch liberò il braccio di Levi dalla sua presa e iniziò a camminare avanti e indietro di fronte a lui.
«Che coincidenza, incontrarti qui» disse lei «Non lo avrai fatto apposta?»
Levi fece un’espressione confusa, ma poi guardò meglio il palazzo sotto la quale si trovavano e si rese conto di essere proprio sotto casa di Hitch.
«Ah. No, in effetti è stata una coincidenza» disse lui.
«Mmh» Hitch si avvicinò a un soffio dal viso di Levi e gli prese il colletto della camicia tra le mani. Il respiro di lui si fece più forte e lei sfiorò la punta del suo naso con quella di lui «Ma ormai che ci sei, non ti andrebbe di salire?»
Levi deglutì. Hitch, insieme ad altre innumerevoli conquiste, era stata una delle ragazze con cui aveva intrapreso una relazione durante l’ultimo anno. Ovviamente, nessuna di loro sapeva che, nel frattempo, lui avesse altre relazioni. Ma era sempre riuscito a salvarsi dicendo di non essere interessato ad altro che al sesso, senza lasciar trapelare altre informazioni, dato che quasi tutte le ragazze con cui Levi era stato si conoscevano.
Levi lanciò un’altra occhiata ad Elsa che, nel frattempo, si era seduta. Poi tornò a guardare Hitch.
«È un problema, se…»
Hitch gli mise un dito davanti la bocca, intimandolo a non fiatare.
«Sono abituata a belve peggiori»
Levi annuì, cercando di capire se Hitch stesse alludendo a lui o alla sua coinquilina Annie.
 
Più tardi, Levi era nudo sul letto di Hitch. Accanto a lui, la ragazza era seduta e si stava pettinando i capelli. Levi si girò di lato, per prendere il telefono sul comodino e controllare l’orario: era quasi ora di pranzo. Si alzò a sedere, si infilò mutande e pantaloni e poi, per caso, lanciò uno sguardo fuori dalla finestra di fronte: vide un balcone, proprio all’altezza della finestra, e Maribel, in accappatoio, che annaffiava le piante.
«Aaah, anche se non ci vedevamo da un bel po’ è stato bello come sempre» disse Hitch, allungandosi sul letto per abbracciare il petto ancora nudo di Levi.
Levi si alzò, prendendo la camicia e indossandola di fretta.
«Chi ci abita, di fronte?» chiese, abbottonandosi.
Hitch fece una smorfia.
«Dio, Levi, abbiamo finito cinque minuti fa e stai già pensando di infilarti nel letto di qualcun’altra?»
«Ma anche no» disse, nascondendosi dietro la tenda «È Maribel? Maribel abita qui di fronte, o è a casa di qualcun altro?»
«Ma che ne so come si chiama, quella» disse Hitch che, già rivestita, si stava allacciando i lacci delle scarpe «Comunque sì, ci abita quella lì con quei capelli strani. Pensavo abitasse da sola ma, da un po’ di tempo, ci vedo spesso anche un biondino»
«Un biondino?» disse Levi, cercando di vedere meglio dentro casa attraverso lo zoom della fotocamera del telefono.
«Sì. Un tipo figo. Sembra un po’ troppo grande, però»
«Ah, lo sapevo» esclamò Levi «Un pervertito che la stalkera, sicuro»
«Io non direi» rispose Hitch, guardando verso il balcone di Maribel da dietro le spalle di Levi «Sembra che a lei piaccia. Comunque, se vuoi altre informazioni io non so come aiutarti. Non sono io lo sbirro della casa»
Levi mandò alcune foto appena scattate a Pixis, e poi diede un bacio sulla fronte di Hitch.
«Grazie, tesoro, vado da Annie, allora»
Levi uscì dalla camera e si diresse verso la porta accanto. Bussò una volta ed Annie gli rispose subito di entrare. Levi aprì la porta, ma non entrò. Annie era seduta davanti la scrivania, stava leggendo qualcosa e ascoltava musica attraverso un paio di cuffie.
«Ah, sei tu» disse «Di nuovo»
«Annie, per favore, devi aiutarmi» disse lui, prendendo il portafogli «Tieni, ti darò questi per il tuo aiuto e, se riesco a compiere la missione, te ne darò il triplo»
Levi lanciò delle monete ad Annie, che le prese al volo.
«Che missione?» chiese, sfilandosi le cuffie.
Levi non rispose, ma le fece cenno di uscire dalla stanza. I due entrarono in camera di Hitch e si appostarono dietro la finestra, con Levi che si preoccupava di nascondere entrambi dietro le tende.
«Vedi quella lì? La mia cameriera, te la ricordi? Quella che è stata abbattuta da Eren al gioco della guerra» disse l’uomo, indicando Maribel che, adesso, sembrava vestita per uscire «Devo scoprire chi è l’uomo che la maltratta e consegnarlo a Pixis»
«Pixis?» chiese Annie «Ma è in pensione»
«Sì, ma è suo padre» disse Levi «E vuole giustizia per sua figlia» Annie lanciò uno sguardo privo di emozioni a Levi, che iniziò a sentirsi agitato «Che vuoi?»
«Quanto ti dà?» chiese Annie «Quanto ti dà, se glielo consegni? Non sei il tipo da fare certe buone azioni senza considerare il tuo tornaconto…»
«Ma che dici, Annie? Scherzi? Quella lì è la mia cameriera, voglio che sia felice, non posso non darle una mano»
Annie sbruffò, prendendo un taccuino e una penna dalla tasca della felpa.
«Vabbè, hai detto comunque che mi darai il triplo delle monete se riuscirai nel tuo intento. Perciò, io ti aiuto» Levi strinse i pugni in segno di vittoria e prese una sedia «Comunque, dobbiamo trovare un modo per portarlo da Pixis. La tua schiavetta ha avuto parecchi uomini, da quando vive qui, ma, quest’ultimo, sembra stia sopravvivendo di più, rispetto agli altri»
«Di più quanto? Da quanto tempo si frequentano?»
Annie si portò la penna sotto al mento, assumendo un’espressione pensosa. Poi tornò a scrivere sul taccuino.
«Circa un mese» disse poi.
«Ma lui, com’è?»
Annie battè la penna sul taccuino, mordendosi l’interno di una guancia.
«Levi, ma io so chi è. Il punto è trovare il modo di portarlo con noi per farlo incontrare con Pixis. È sempre di fretta e non dà retta a nessuno, io stessa mi chiedo come abbia fatto quella zucchina a portarselo a letto»
Levi afferrò Annie per le spalle, guardandola negli occhi.
«Cosa?» esclamò «Chi è?»
Annie lo guardò in silenzio, poi tornò a guardare verso il balcone.
«Lo scoprirai da solo appena avremo attuato il mio piano»
«Ma perché?»
«Perché altrimenti darai il nome a Pixis e ti prenderai la tua ricompensa e poi andrai via senza darmi un soldo. Io, invece, entrerò lì dentro con te, porteremo l’uomo via con la forza e Pixis pagherà entrambi»
«Cosa? Ma poco fa hai detto che ti sarebbero bastati i soldi che ti avrei dato comunque…»
Annie batté una mano sul taccuino, facendo sobbalzare Hitch che, intanto, era rimasta dietro ai due in silenzio.
«Ah! Lo sapevo! Allora il vecchio ti darà la tua ricompensa, eh? Alla faccia dell’altruismo…»
Levi alzò gli occhi al cielo e poi tornò a guardare il balcone di Maribel.
«Vabbè, comunque, qual è questo piano?»
 
Qualche ora dopo, Levi era nel corridoio del piano dove si trovava l’appartamento di Maribel. Più precisamente, era seduto sulle scale accanto all’ascensore. In mano aveva il telefono e aspettava che Annie gli mandasse un messaggio per dirgli che l’uomo stava uscendo dall’appartamento. Annie, infatti, era rimasta a casa sua, alla finestra della camera di Hitch, da dove poteva vedere l’ingresso della casa di Maribel. L’uomo misterioso era entrato in casa più o meno un quarto d’ora prima e, subito dopo, Levi si era spostato nel palazzo di fronte. Purtroppo, era riuscito a scorgere solo la sagoma di un uomo abbastanza alto, senza vederlo bene in volto.
Levi stava ancora aspettando un messaggio da Annie, quando sentì urlare. Inizialmente non ci fece molto caso, doveva rimanere concentrato sulla missione se voleva ottenere quelle diecimila monete. Poi, però, sentì urlare una seconda volta e si rese conto che l’urlo proveniva proprio dall’appartamento di Maribel. Quando sentì il terzo urlo, era certo che fosse proprio Maribel a urlare. Si alzò d’istinto, ma poi rifletté sul fatto che, probabilmente, quelle non fossero urla di dolore.
«Maledetta Wasabi» disse fra sé e sé «Non potresti fare un po’ più piano? Non sai proprio cosa sia il contegno, eh?»
Levi stava per risedersi, ma sentì chiaramente gridare aiuto. S’irrigidì. Cosa avrebbe dovuto fare, in quella situazione? Per un momento non pensò nemmeno alla ricompensa, poteva trattarsi di un pericolo reale. Decise quindi di avvicinarsi alla porta, ma non fece altro. Sentì gridare ancora ed ebbe l’impressione di udire il suono di un oggetto che colpiva qualcosa, ripetutamente. Levi lasciò perdere il piano e mandò un messaggio ad Annie.
“Ritirata” digitò, prima di posizionarsi davanti la porta.
E ora che cazzo faccio?
Levi prese un respiro profondo e fissò la porta davanti a sé. Contò fino a tre. Poi contò fino a dieci. Poi contò di nuovo fino a tre. Nel frattempo, continuava a sentire rumori strani provenire dalla porta e il rumore del portone che si apriva in fondo alle scale.
Levi si scagliò contro la porta e iniziò a battere con le mani e con i piedi.
«Polizia!» urlò «Polizia! Aprite subito questa porta, siete in arresto!»
Cosa? Ma che cazzo sto dicendo?
Levi sentì cessare i rumori e si allontanò dalla porta. Deglutì. Nel frattempo, capì che qualcuno stava correndo di corsa lungo le scale.
La porta si aprì e Levi rimase di sasso. L’uomo dietro la porta lo guardava da cima a fondo, scrutandolo attentamente. Nel frattempo, Annie aveva raggiunto il piano e stava correndo verso Levi. Levi sputò a terra.
«Tu… Scimmione di merda»
Dietro la porta, Zeke Jager, coperto solo da un asciugamano, si sistemò gli occhiali.
«Ah, sei arrivato, finalmente» disse.
«Cosa?» esclamò Levi, stringendo i pugni.
Annie, intanto, aveva raggiunto i due.
«Mi dispiace, Zeke» disse, trafelata «Il piano doveva andare diversamente, ma lui ha deciso di fare di testa sua»
«Cosa?» chiese Levi «Ma che sta succedendo?»
«Ma che sta succedendo?» chiese Maribel, comparendo tra Zeke e la porta. Vide Annie e poi Levi e diventò rossa dalla vergogna «Ma che cazzo ci fai qui?» urlò all’uomo.
 
Levi, Annie e Zeke erano seduti attorno al tavolo della cucina di Maribel. Quest’ultima, invece, camminava avanti e indietro mordendosi le unghie. Levi era stato costretto a confessare tutto, dall’incontro con Pixis dopo la festa di Eren al pedinamento di quella mattina. Annie, poi, aveva svelato le sue vere intenzioni: dopo le informazioni datele da Levi, aveva avvisato Zeke, suo complice, organizzando un finto rapimento dell’uomo. Una volta arrivati da Pixis, avrebbero denunciato Levi, accusandolo di avere una relazione segreta con la figlia. In questo modo, avrebbero avuto i soldi per loro. Zeke era ignaro delle intenzioni di Pixis, ma conosceva Annie da molto tempo, essendo stato suo insegnante, e scoprì tutto quella mattina quando venne avvisato dalla ragazza.
«Io non ci posso credere» diceva Maribel, di tanto in tanto «Mio padre controlla la mia vita attraverso il denaro!»
«Sei una sporca traditrice» disse Levi ad Annie «Ti ho fatto sempre qualche sconto, ogni volta che venivi a ubriacarti con i tuoi amichetti del cazzo»
«E io ho sempre nascosto alle altre la tua tresca con Hitch» rispose lei «Siamo pari»
«Fai subito il caffè, cagna!» urlò all’improvviso Zeke, facendo sobbalzare tutti. Maribel si voltò verso di lui, incredula. Zeke si massaggiò la barba, imbarazzato «Beh, sì, scusa, ero rimasto nella parte»
«Che schifo» disse Levi «Se avessi saputo della tua relazione sadomaso con questa bestia, non ti avrei mai fatta lavorare per me»
Maribel prese Levi per il polso e lo fece alzare.
«Possiamo parlare un attimo?»
Levi si liberò dalla stretta disgustato, ma poi seguì Maribel che lo stava portando nella sua stanza. La donna chiuse la porta e Annie e Zeke rimasero a guardarsi in silenzio.
Maribel si sedette sulla sedia davanti la scrivania e si portò le mani alla testa.
«Che cosa vuoi?» chiese Levi «Se ti aspetti delle scuse, non le avrai»
«Facciamolo» disse Maribel «Portiamo Zeke da mio padre e dividiamoci i soldi»
«Cosa?» esclamò Levi.
«Abbassa la voce» sussurrò Maribel «Pensaci, ormai credono che il piano sia andato in fumo e di certo non si aspetterebbero che io prenda le parti tue o di mio padre. Se aspettiamo che Annie se ne vada e poi chiami papà, lui mi troverà qui con Zeke e io confesserò tutto»
Levi si sedette sul letto, di fronte Maribel.
«Perché lo fai? Sì, ci sto, ovviamente, ma perché assecondi tuo padre che assolda spie per controllarti?»
Maribel fece spallucce.
«Tanto continuerà a farlo. Almeno, così, posso pagarmi l’affitto di questo mese»
Levi batté le mani e si alzò dal letto. Fece per uscire ma, prima, si voltò verso Maribel.
«E comunque, mi fai schifo»
I due uscirono dalla stanza e trovarono Annie e Zeke dove li avevano lasciati. Maribel si portò i capelli da una spalla all’altra e si chinò a dare un bacio in fronte a Zeke. Levi mimò un conato di vomito.
«Mi dispiace, tesoro» disse lei «Sappi che non ce l’ho con te. È tutta colpa di questi due stronzi»
Annie guardò Levi e lui la indicò, poi si passò un dito da una parte della gola all’altra.
«Vabbè, io me ne vado» disse la bionda, alzandosi dalla sedia «Dovevo capirlo da me che quando c’è di mezzo il nanerottolo non si può concludere niente di buono»
«Ehi!» urlò lui «Bada a come parli, sei più bassa di me»
Annie uscì e Levi lanciò un ultimo sguardo a Zeke. Lui gli sorrise, poi gli fece il dito medio.
«Arrivederci, polizia!» disse.
Levi non rispose. Uscì di casa, chiuse la porta e scese in fretta le scale. Digitò un numero al telefono e, quando Pixis rispose, gli diede l’indirizzo di casa di Maribel.
 
Quella sera, al pub, Hanji si stava bevendo una birra ghiacciata dopo un’intensa giornata di lavoro. Accanto a lei, Erwin non faceva che seguire con lo sguardo la scollatura del vestito di Marzia che si muoveva tra un tavolo e l’altro. Di tanto in tanto, Hanji lo calciava da sotto il tavolo.
A un certo punto, entrò Maribel. Si sedette accanto a Hanji e chiamò Marzia per farsi portare una birra. Poi accavallò le gambe, si portò una mano ai capelli e spinse il busto verso il tavolo.
«Domani ti porto a cena» disse a Hanji «Pago io»
A Hanji s’illuminarono gli occhi, poi batté i piedi per terra.
«Wow! Cos’avete tutti, oggi? Anche Levi ha detto che ci porterà a cena»
Levi finì di asciugare dei bicchieri e si sedette al tavolo insieme agli altri tre. Prese una birra che era già sul tavolo e lanciò uno sguardo divertito a Maribel.
«Buonasera, cagna»
Maribel s’irrigidì e lo fulminò con lo sguardo. In quel momento entrarono Armin, Mikasa ed Eren. La ragazza si avvicinò a Levi, posandogli una mano sulla testa.
«Ciao, zio» disse.
«Ciao, cognata» disse poi Eren ridacchiando, baciando Maribel su una guancia.
Maribel si fece paonazza e tirò un calcio a Levi da sotto il tavolo.
«Avevi giurato di non dirlo a nessuno!»
Levi ridacchiò, poi si scambiò uno sguardo complice con Erwin, che sorrise.
«Almeno, adesso, sappiamo di non doverci preoccupare se dovessimo sentirti gridare aiuto» disse il biondo, facendole l’occhiolino.
«Ma di che state parlando?» chiese Hanji, confusa.
In quel momento, Pixis entrò nel pub. Lanciò un’occhiata d’ammirazione a Marzia, che si stava chinando al tavolo per portare la birra a Maribel. Lei si accorse dello sguardo del vecchio e ricambiò con un sorriso. Hanji ed Erwin si scambiarono uno sguardo pieno d’odio.
«Ah, vecchio» disse Maribel, prendendo la sua birra «Adesso che hai fatto fallire un’altra promettente storia d’amore, come ti senti?»
Pixis si sedette al tavolo insieme agli altri, battendo una mano sulla spalla di Levi.
«Non è me che devi ringraziare per esserti liberata di quello stronzo» disse «Piuttosto, perché non mi hai mai presentato quella lì?»
Maribel lo guardò disgustata, poi si alzò per andare a prendere un pacco di patatine. Levi la seguì e, dietro al bancone, si chinò per arrivare all’altezza della ragazza che era già accovacciata sotto il lavello.
«E comunque avrei potuto non darti la metà» disse lui «Avrei comunque chiamato Pixis una volta uscito da casa tua»
Maribel schioccò la lingua, infastidita.
«Chi avrebbe trattenuto Zeke a casa mia, nel frattempo?»
Levi fece spallucce.
«Sarebbe rimasto comunque, suppongo, considerata la brusca interruzione dovuta al mio arrivo»
Maribel prese il pacco di patatine e lo portò interamente al tavolo. Qui, Pixis stava intrattenendo Marzia con un gioco illusionistico.
«Ehi, Marzia» diceva Hanji, nel frattempo «Che ne dici di farci un giro al parco, domani, quando finisco di lavorare? Con Maribel lo facevamo sempre, quando lavorava qui…»
«Marzia» la interruppe Erwin «Vorrei portarti al cinema, una di queste sere. Danno un film sulla guerra degli emù, deve essere un capolavoro»
Maribel portò alla bocca una patatina, poi prese il telefono dallo zaino. Chiuse la chiamata che aveva appena ricevuto e si alzò di fretta.
«Dove vai?» le disse sottovoce, all’orecchio, Marzia «Non vorrai lasciarmi qui da sola con tuo padre, spero»
Maribel alzò le spalle, prendendo un’altra patatina.
«Mi dispiace. Prenditela con Levi, io ho da fare» Maribel prese un altro pugno di patatine, si mise lo zaino in spalla e uscì di corsa «Paga mio padre!» urlò, quando si trovava già oltre la porta del pub.
«Che strana bambina» disse Pixis, bevendo il vino che Marzia gli aveva portato «Non ha nemmeno finito la birra. È sempre di fretta, scappa sempre da una parte all’altra»
Levi poggiò la schiena alla sedia e alzò il suo boccale.
«Non deve preoccuparsi, signor Pixis» disse «Quando ha bisogno di una babysitter, passi pure da me»
Hanji ed Erwin imitarono Levi, alzando i loro bicchieri. I tre fecero un brindisi e passarono una serata tranquilla ad ammirare le magie del vecchio Pixis.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti :3 E anche oggi sono riuscita ad aggiornare! In realtà ho già cominciato a scrivere il prossimo capitolo e credo di riuscire a finirlo stasera, perciò, probabilmente, domani a quest’ora lo pubblicherò! Devo dire che mi sto divertendo parecchio a scrivere questa storia e sto riuscendo a inserire più personaggi di quello che mi aspettavo e ne sono felice. Adesso aspetto con ansia che mi chiami il kebabbaro (che non si chiama Onyankopon xD) per cenare, finalmente. A presto!
 
 

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Capitolo 7
*** Maschi contro femmine ***


Maschi contro femmine
 
«Aaah» esclamò Hanji, stiracchiandosi in cucina «Finalmente è arrivato il weekend. Non vedo l’ora che sia domani mattina per poter dormire fino a domani pomeriggio»
Erwin prese la moka piena dal fornello e iniziò a versare il caffè.
«Anch’io sono distrutto» disse, portando le tazzine al tavolo e sedendosi su una sedia «Ma ieri sera ho sentito il dottor Jager e, a quanto pare, la prossima settimana avrò finalmente il mio studio qui a Eldia»
Levi prese la sua tazzina e bevve un sorso.
«Hanji, di cosa dovevi parlarci?» chiese, senza alzare lo sguardo dal giornale che stava leggendo.
Hanji si sedette e prese la sua tazzina.
«Secondo voi sono troppo vecchia per andare in discoteca?» disse, guardando gli amici «Maribel mi ha invitata a uscire con loro, questa sera, ma non so proprio cosa risponderle»
«Con loro chi?» chiese Erwin, avvicinandosi a Hanji «Ci sarà anche Marzia?»
Hanji sorrise, incrociando le braccia.
«Sì, ci sarà pure Marzia. Ma Maribel ha insistito più volte sul fatto che dovrà essere una serata tra sole donne»
Levi alzò lo sguardo dal giornale.
«Quella cretina, fa ancora questi ragionamenti sessisti alla sua età?» disse.
Erwin iniziò a fare su e giù con la gamba, lo sguardo imbronciato.
«Infatti, non è giusto» disse «E poi, se andate in discoteca, mica ci saranno solo donne. Nessuno ci impedisce di trovarci per caso lì dove siete voi»
Hanji alzò un sopracciglio, con un’espressione di disappunto.
«Ma voi non saprete mai dove andremo» accavallò le gambe e bevve un sorso di caffè «A tal proposito, avevo intenzione di dirlo anche a Mikasa. Poveretta, sta sempre in casa con quello scorbutico e quel cervellone, chissà cosa passa»
«Mikasa?» chiese Levi «Beh, sì, sarebbe una buona idea, in effetti»
Erwin batté una mano aperta sul tavolo, guardando l’amico.
«Ma tu sei d’accordo?» disse «Le dai pure retta? Lei passa il sabato a divertirsi e noi dovremo restare chiusi al pub come tutte le sere?»
«Rilassati, Erwin» rispose lui «Anche Marzia sarà al lavoro, anche se mi aveva già chiesto di poter uscire prima. Comunque è un sabato qualunque, alle due saremo fuori»
«E quindi cosa hai intenzione di fare?» chiese Hanji, guardandolo storto «Non vorrai farci seguire dal tuo nuovo padrone Pixis?»
Levi poggiò la schiena alla sedia, giungendo le mani.
«Seguirvi? No, sono stanco dei pedinamenti. Credo, però, che organizzerò una festa qua a casa con i ragazzi» disse, alzandosi per portare le tazzine al lavello.
«Con i ragazzi?» chiese Erwin «Intendi Eren ed Armin?»
«Sì» rispose lui «Faremo come i vecchi tempi, prima che venisse Hanji a rompere l’idillio tra me e te, anni fa»
Hanji sbruffò, alzandosi dalla sedia.
«Boh, fate un po’ come vi pare» si diresse verso la sua stanza «Comunque, io vado. E spero proprio di non svegliarmi a casa mia, domani mattina» disse, guardando Erwin negli occhi.
Il biondo strinse i pugni, digrignando i denti.
«Aspetta e spera, quattrocchi di merda!» urlò.
Levi si voltò stupefatto.
«Erwin» disse «Non è da te!»
Hanji chiuse la porta della sua camera e iniziò a prepararsi per andare a scuola. Erwin si alzò dalla sedia e strattonò Levi per le spalle.
«Tanta birra, DOA e qualche grammo» disse, serio «Chiamo Mike e mi faccio portare l’erba»
Levi sospirò, alzando gli occhi al cielo.
«Sei sicuro, Erwin? Non è che poi te ne penti e mi lasci da solo con quei due sfigati…»
Erwin scosse la testa.
«No, Levi. Insieme. Come i vecchi tempi»
Erwin si allontanò indietreggiando, senza smettere di guardare Levi. Poi entrò in camera sua e si affrettò a chiamare Mike.
«Maledizione! Che bella idea del cazzo, che ho avuto» esclamò Levi, lavando le tazzine.
 
Era passata da poco la mezzanotte, quando Hanji scese al pub. Quando entrò, Levi ed Erwin la riconobbero a stento. Indossava un maglione nero che le lasciava spalla e braccio destro scoperti, un pantalone dello stesso colore stretto in vita e più largo alle caviglie e un paio di tacchi alti. Aveva lasciato i capelli sciolti e le cadevano lungo le spalle.
«Stai andando a un funerale?» disse Erwin, seccato «Non resisterai a lungo con quegli strumenti del demonio» indicò i piedi della donna.
Hanji sbruffò.
«Ma zitto, sfigato» poi i suoi occhi si illuminarono, perché vide che Marzia si stava slacciando il grembiule. «Ehi!» esclamò Hanji «Allora ci siamo?»
Marzia si avvicinò. Al contrario di Hanji, però, sembrava vestita come tutti i giorni. Questo mise Hanji in imbarazzo, che iniziò a chiedersi se non avesse esagerato.
«Mikasa?» chiese Marzia, avvicinandosi alla donna «Maribel ha detto che si fa trovare direttamente lì»
«Oh», disse Hanji, pentendosi di aver invitato anche Mikasa, perché sarebbe stata una buona occasione per restare un po’ di tempo da sola con Marzia «Dovrebbe essere qui tra poco…»
«Eccomi!» esclamò Mikasa, comparendo dietro alle due «Oddio, perché siete così normali?» chiese, guardando le amiche «Non avrò sbagliato outfit?»
Hanji e Marzia studiarono Mikasa, che appariva estremamente diversa, rispetto al solito. Indossava una giacca nera che le lasciava scoperto parte del petto, e si intravedeva quello che sembrava un top in pizzo. Aveva un foulard legato al collo che le scendeva fin sotto l’ombelico e portava una gonna di pelle che le stringeva i fianchi, enfatizzando le sue forme. Anche lei indossava tacchi alti.
«Ma no, tesoro» disse Hanji, baciandole la fronte «Sei perfetta»
«Dici?» disse lei, con gli occhi lucidi «Eren non mi ha nemmeno guardata…»
«Su, andiamo» le interruppe Marzia, prendendo le chiavi della macchina «Maribel è già arrivata. E non la sopporto quando si lamenta, perciò non diamole motivo di lamentarsi del nostro ritardo»
Hanji e Mikasa salutarono Levi ed Erwin ed entrarono in macchina di Marzia. Hanji si sedette accanto al posto del guidatore e inserì la cintura, anche se vide che la bionda non aveva fatto lo stesso.
«Ma tu hai intenzione di ubriacarti?» chiese, preoccupata dal fatto di farla guidare sotto l’effetto dell’alcol.
«Ovvio» rispose lei «Ma un modo per tornare a casa sane e salve lo troveremo comunque»
Mikasa abbassò il finestrino e guardò fuori. Essendo sabato, anche se era passata la mezzanotte c’erano molte persone in giro per strada.
«Hanji, ma hai capito cosa faranno i ragazzi stasera?» chiese «Ho visto Mike a casa vostra, questo pomeriggio, e sono preoccupata per Eren. Si comporta in modo strano, quando mischia erba e alcol»
«Erba?» esclamò Marzia «Posso procurarla anche per noi, se vi va. A Maribel non piace fumare e a me non piace sballarmi da sola, ma se ci siete voi…»
Hanji alzò una mano.
«Io passo» disse «Non sono più tanto abituata nemmeno all’alcol, figuriamoci cosa potrebbe succedere se mischiassi alcol ed erba insieme»
Una decina di minuti dopo, la macchina raggiunse il parcheggio della discoteca. Maribel era seduta su un muretto, lo sguardo seccato. Indossava un top nero che le copriva solo il necessario e una gonna simile a quella di Mikasa. Anche lei aveva i capelli sciolti ma, per l’occasione, li aveva leggermente arricciati. Hanji si avvicinò e si accorse che anche lei indossava un paio di tacchi.
«Mi raccomando, fate con comodo» disse Maribel, guardando Marzia e Mikasa che stavano ancora prendendo qualcosa dalla macchina «Vi rendete conto che avete lasciato questa povera, piccola creatura indifesa da sola in mezzo a un branco di idioti?»
Maribel indicò l’ingresso della discoteca, dove c’era un gruppo di ragazzi che sembrava già sotto effetto dell’alcol.
«Scusa, Mari» disse Hanji «Colpa di Levi che non voleva fare uscire Marzia»
«Già» rispose quest’ultima, lanciando uno sguardo d’intesa alla donna.
«Beh, allora» disse Mikasa, avvicinandosi con le mani sui fianchi «Entriamo?»
 
«Basta, adesso levatevi dalle palle» urlò Levi a Jean, Marco, Sasha e Connie, gli unici clienti che erano rimasti.
«Che palle!» esclamò Jean, buttando sul tavolo le carte che aveva in mano «Non è neanche l’una e già ci sbatti fuori? È sabato, cazzo!»
«Appunto, è sabato» rispose Levi «E tu sei un vecchio di merda che all’una di notte gioca a briscola invece di andare a svuotarsi le palle da qualche parte. E adesso, smamma!»
Sasha, Connie, Jean e Marco si alzarono, tristi. Uscirono dal locale e Levi si sbrigò a raggiungere gli altri che lo aspettavano a casa.
Aprì la porta e trovò Erwin, Armin ed Eren sul divano che avevano iniziato a giocare.
«Siete solo fortunati» disse Erwin, all’ennesimo round perso «Premete tasti a caso e vincete per culo. È per questo che preferisco i giochi di guerra, nei picchiaduro non c’è strategia»
«Ma che cazzo stai dicendo?» disse Levi, prendendo quattro bicchieri e una bottiglia di whisky «È che sei sempre stato una schiappa ai videogiochi, devi ammetterlo»
Levi portò i bicchieri ai ragazzi e si sedette sulla poltrona. Poi prese il suo controller e iniziò a scegliere il suo personaggio. Armin bevette un sorso, poi posò il suo bicchiere sul tavolino di fronte.
«Ma non è un po’ troppo forte?» disse il ragazzo, storcendo il naso.
«Zitto e fai l’uomo» rispose Levi «Ma almeno una sega, ogni tanto, te la fai?»
Erwin cercava di scegliersi il suo personaggio, ma il controller sembrava non funzionare.
«Ehi, Levi» disse all’amico «Perché non va?»
Eren lanciò a Levi uno sguardo d’intesa.
«Tranquillo» rispose il ragazzo «È perché Levi è collegato al controller principale. Guarda, anche io devo scegliere per Armin. Tu chi vuoi?»
Armin lanciò uno sguardo di sdegno a Levi ed Eren, ma decise di stare al gioco.
«Eliot» rispose, sbruffando.
«Io voglio Christie» disse Erwin «Sembra Marzia»
Levi alzò un sopracciglio e selezionò il personaggio di Christie. Poi selezionò il suo personaggio e aspettò che Eren facesse le stesso.
La partita iniziò e i quattro cominciarono a giocare. Levi, all’inizio, sembrava giocare soltanto di difesa, ma poi, quando iniziò ad attaccare, sconfisse velocemente il personaggio di Eren, che, deluso, lanciò il controller a terra.
«Ma non mi dai nemmeno il tempo di contrattaccare!» urlò, mentre Armin s’impegnava al massimo per vincere la partita.
Il personaggio scelto da Levi lasciò il posto a quello scelto da Erwin e lui iniziò a premere i tasti del controller a casaccio. Incredibilmente, sembrava stesse avendo la meglio su Armin.
«Yuuu-huuu» urlò, contento «Lo sapevo! Lo sapevo che era la mancanza di Levi a portarmi sfortuna!» Levi continuava a usare il suo controller, cercando di nascondere le mani dietro il bracciolo della poltrona. Quando Christie diede il colpo di grazia a Eliot, determinando il risultato della partita, Erwin si alzò di scatto dalla sedia, con la mano sinistra alzata e la mano destra sul cuore. «Gooood saaaave our graaacious Queen»
«Ma perché stai cantando l’inno britannico?» urlò Eren, ancora rabbioso «Non hai nemmeno vinto tu!»
«Perché è stata Christie a vincere e Christie mi ricorda Marzia e Marzia è la mia regina» rispose Erwin, alzando entrambe le braccia all’aria «E poi che significa che non ho vinto io?»
«Ehi, ehi, ehi» disse Levi, cercando di calmare la situazione «Avrete la vostra rivincita. Ma, adesso, brindiamo» prese il suo bicchiere e lo alzò, seguito dagli altri «Alla supremazia maschile e al patriarcato!»
«Alla supremazia maschile e al patriarcato» risposero Eren ed Erwin in coro.
«Alla supremazia maschile e al… cosa?» disse Armin, strabuzzando gli occhi.
Levi gli mise una mano sulla testa, dando due colpi leggeri.
«La penserai anche tu così, quando avrai scoperto la figa»
Eren bevve il suo bicchiere in un sorso, poi lo posò sul tavolino e si avvicinò a Levi.
«Voglio la mia rivincita» disse «Però, adesso farai giocare con te quel perdente, senza prenderlo per il culo giocando da solo»
Levi sospirò, tornando a sedersi sulla poltrona.
«Va bene, va bene» rispose «Tanto ti faccio il culo lo stesso»
 
Se c’era una parola per descrivere come Hanji si sentisse in quel momento, era inadeguata. Eppure, avrebbe dovuto essere la persona più felice al mondo, dato che Maribel e Mikasa l’avevano abbandonata per stanziarsi stabilmente al bancone lasciandola da sola con Marzia. Eppure, lei era il tipico animale da festa, perfetta anche con i capelli spettinati, che ballava divinamente e aveva gli occhi di tutti puntati addosso. Hanji, invece, con quell’orribile cocktail in mano, non faceva che muovere le gambe prima a destra e poi a sinistra, in un loop infinito. E i piedi iniziarono a farle male terribilmente.
È stato Erwin, quel figlio di puttana pensò Starà facendo i riti satanici con Levi per farmi andare male la serata. Ma io non demordo!
«C’è un po’ troppo caldo, qui, non credi?» disse Hanji, sventolandosi con una mano.
«Cosa?» urlò Marzia, che non smetteva un attimo di ballare.
«Fa caldo!» gridò Hanji, cercando di farsi sentire.
«Ah!» esclamò Marzia, ma Hanji non era sicura che avesse capito davvero.
Hanji si arrese. Porse il cocktail a uno sconosciuto che stava passando di lì e si diresse verso l’uscita. Quando mise piede fuori dall’ingresso, quella leggera aria primaverile le sembrò gelida. Era scollata, sudata e accaldata per il movimento. Si strinse le braccia al petto, cercando di darsi un po’ di calore. La luna era alta nel cielo e, data la lontananza della discoteca dal resto della città, si riuscivano a vedere un mucchio di stelle. Hanji sentì la porta aprirsi dietro di lei e sperò che si trattasse di Mikasa. Voleva tornare il prima possibile a casa e, se avesse convinto Mikasa, avrebbero potuto fingere che la ragazza stesse male.
Così non si renderebbero conto che in realtà sono morta dentro da un pezzo.
Hanji sentì qualcosa di caldo coprirle le spalle e si voltò: Marzia era dietro di lei e le aveva messo addosso il suo cappotto.
«Fa freddo, così ti ammali di certo» disse, sedendosi sul marciapiede.
Hanji arrossì e, dopo aver sistemato meglio il cappotto, si sedette accanto a lei. Si sentiva la musica da dentro il locale e un gruppo di ragazzi stava parlando ad altissima voce poco vicino a loro.
«Si vede proprio, eh?» disse Hanji «Che non sono una da discoteca»
Marzia sorrise, prendendo una sigaretta tra le labbra.
«È stata colpa mia» rispose «Neanche Maribel aveva molta voglia di passare il sabato qui»
«Quindi mi ha chiamata per essere salvata da te?» chiese, tra l’ironico e il serio.
Marzia si mise a ridere.
«No, non credo. Piuttosto, mi hai salvata tu portando Mikasa»
Hanji aggrottò le sopracciglia, confusa.
«Non capisco. Tu hai costretto Maribel a venire in discoteca, anche se lei non voleva. Lei mi ha proposto di venire con voi e io ho pensato di estendere l’invito anche a Mikasa. Adesso Mikasa e Maribel si stanno tracannando tutto il locale e io e te siamo qui fuori a discutere. Semmai, sono stata io a rovinare la serata a te perché non riesco a sciogliermi abbastanza»
Marzia non disse niente. Prese una boccata di sigaretta e cercò di espirare il fumo di traverso, per non farlo finire su Hanji. Poi si avvicinò piano al suo volto e Hanji trattenne il respiro. Le mani iniziarono a sudarle e il freddo che sentiva poco prima divenne una vampata di calore improvvisa. Ma Marzia era ormai così vicina che non c’era più spazio per alcun dubbio: le punte del naso avevano iniziato a sfiorarsi e le labbra erano quasi a contatto. Hanji chiuse gli occhi e si lasciò andare alla volontà di Marzia. Sentì il sapore delle sigarette e poi quello più dolce del Caipiroska che Marzia aveva appena bevuto. Le loro bocche si incontrarono e Hanji allungò una mano verso il braccio della donna, stringendo leggermente. Ma proprio quando stava realizzando che era tutto vero, che Marzia era lì, unita a lei da quel bacio e lei stava prendendo l’iniziativa per spingersi oltre, Marzia si staccò. Allontanò leggermente il viso dal suo e la guardò negli occhi. Hanji non riuscì a sostenere quello sguardo a lungo e la sua vista scese a soffermarsi sulle labbra di lei, dove un filo di rossetto si era allontanato dal contorno di quella bocca turgida.
Quel momento carico di tensione venne interrotto dai conati di uno dei ragazzi vicino a loro. Hanji rialzò lo sguardo verso quello di Marzia. Lei piegò le labbra in un sorriso, finchè non scoppiò a ridere liberamente, di cuore. Hanji la guardava come un bambino guarda Babbo Natale per la prima volta. Era doppiamente sorpresa: prima per il bacio che le aveva dato, poi per quella risata improvvisa e così energica.
Sta ridendo di me? pensò all’improvviso, presa dal panico.
Marzia asciugò con il polso una lacrima che le era scesa in seguito a tutte quelle risate. Si alzò lentamente, quasi inciampando sui suoi tacchi. Porse una mano a Hanji, che si alzò, ancora sotto shock.
«Andiamo da Maribel» disse Marzia «Ho un favore da chiederle» 
 
Erwin era coricato sul divano, con la parte dalle ginocchia in giù che andava oltre il bracciolo. Levi era seduto a terra, sotto di lui, e continuava a guardare la schermata della PS4. Eren era seduto sullo schienale del divano, con i piedi che poggiavano oltre il busto di Erwin. Armin, invece, stava cercando qualcosa nella dispensa.
«Chissà cosa stanno facendo, Levi» disse Erwin, completamente rilassato dall’effetto della marijuana «Sono le due e mezza. La loro serata starà praticamente iniziando adesso»
Levi allungò il busto per raggiungere la bottiglia di whisky e il bicchiere sul tavolino. Si versò il liquore e richiuse la bottiglia.
«Non lo so, Erwin. Quella stronza. Ci ha abbandonati, Erwin, lo capisci?» batté una mano sulla coscia dell’amico «Ci ha abbandonati!»
Armin, intanto, si era messo a cucinare una bistecca. Eren sembrava stesse dormendo con gli occhi aperti ma, a un certo punto, si ridestò. Guardò Levi ed Erwin che sembravano, a un tratto, incredibilmente tristi.
«Mi manca Mikasa» disse «Giocare ai picchiaduro non è lo stesso, se non c’è lei a farmi il culo»
Levi annuì, poi lanciò uno sguardo ad Erwin.
«Anche a me manca Hanji. L’hai perdonata?»
Erwin s’imbronciò, poi allungò le braccia verso l’amico, per abbracciarlo.
«Oddio, Levi, sì, mi manca terribilmente!»
Armin arrivò dalla cucina, con la sua bistecca nel piatto. Chiese agli altri se ne volessero un po’, ma non rispose nessuno. Levi si voltò, le lacrime agli occhi.
«La verità, ragazzi» disse «È che non siamo niente, senza le nostre donne. Guardiamoci: siamo distrutti dalle canne e dal whisky, non abbiamo più la forza nemmeno di prendere il controller in mano, il nostro sabato sera è finito così. Hanji e Mikasa, invece, si staranno sicuramente divertendo molto più di quanto non facciano quando sono insieme a noi. Ed è giusto così. La donna va rispettata, la donna va amata, la donna va capita. Noi uomini non abbiamo fatto altro che sottometterla dall’inizio dei tempi e, adesso, ne paghiamo le conseguenze. Stando qui ad alcolizzarci, spegnendoci lentamente. Ma loro non se lo meritano. E, da oggi, sarò un uomo migliore»
Erwin, Armin ed Eren annuirono, ma non avevano capito nulla del discorso di Levi. L’uomo prese il bicchiere che aveva riempito poco prima e lo alzò per fare un altro brindisi.
«Alle nostre principesse» disse, ma venne interrotto dalla porta d’ingresso che si spalancò all’improvviso.
Maribel entrò lanciando i tacchi a terra, seguita da Mikasa che si recò in cucina per prendere una pentola e degli spaghetti.
«Che puzza di testosterone che c’è qua dentro» disse Maribel, prendendo la bottiglia di whisky posata sul tavolino «Allora, un bicchiere non me lo dai?» chiese a Levi «Che comportamento è, eh? È la prima volta che vengo a casa tua e questi sono tuoi onori di casa? Boh, fa’ un po’ come credi»
Maribel portò direttamente la bottiglia alla bocca e iniziò a bere a lungo. Rivoli di whisky le caddero dagli angoli della bocca, finendo sul parquet. Poi andò alla ricerca del bagno, iniziando ad aprire tutte le stanze. Quando vide che c’era un cane sul terrazzo, aprì la porta e lo fece entrare, gettandosi a terra. Elsa iniziò a leccarle il viso, lasciando abbondanti dosi di saliva sul pavimento.
Levi si alzò da terra e prese per il collo la bottiglia, ormai vuota, di whisky. Maribel continuava a ridere e a spostarsi il volto da una parte all’altra per riuscire a respirare. Levi batté un piede per terra e questo bastò a far capire ad Elsa che doveva spostarsi. Maribel guardò Levi. Levi guardò Maribel. Maribel guardò la bottiglia e si mise a sedere.
«Ma finiscila, cretino, non lo farai ma…»
Levi alzò la bottiglia e Maribel si alzò di scatto, urlando. Erwin, che si era addormentato, si svegliò bruscamente. Armin lasciò stare la sua bistecca e iniziò a inseguire Levi per fermarlo.
«Lurida stronza senza ritegno» urlava Levi, senza smettere di abbassare la bottiglia «Hai invaso il mio locale, hai invaso la mia casa, hai invaso la mia vita. Tu non sei una donna, sei un fottutissimo parassita succhiasangue»
Maribel si nascose sotto al tavolo della cucina. Mikasa aveva appena calato la pasta e aprì un cassetto. Levi si abbassò sotto al tavolo per godere appieno dell’espressione spaventata di Maribel, ma tutto ciò che ottenne fu uno sputo in faccia. Levi si alzò per scaraventare il tavolo, ma, una volta alzato, vide che Mikasa aveva preso un coltello e glielo stava puntando addosso. Gli occhi di Levi si fecero lucidi.
«Mikasa…» disse lui, con un filo di voce.
Maribel si alzò, battendosi le mani sui vestiti per levarsi di dosso della polvere.
«Che schifo questo posto, è proprio lercio…» disse poi, passando oltre Levi e aprendo una dispensa «Ma olio?»
Levi prese un respiro profondo, senza staccare i suoi occhi da quelli di Mikasa. Lei capì che lui non avrebbe fatto niente di avventato e abbassò il coltello, per poi riposizionarlo dentro il cassetto. Poi tornò a occuparsi degli spaghetti, che stavano per cuocere.
 
 
 
Hanji era seduta sul bordo del letto, coperta solo dal lenzuolo. Accese una sigaretta e inspirò. Dopo pochi secondi, iniziò a tossire a ripetizione. Marzia, che aveva poggiato la testa sulle gambe di Hanji, si mise a ridere. Hanji le passò la sigaretta e prese in fretta la bottiglia d’acqua sul comodino. Era ancora notte fonda, ma la luce dei lampioni fuori la finestra era abbastanza forte da illuminare la porzione di stanza in cui le due donne si trovavano.
«Non facevo un tiro da anni» disse Hanji, dopo aver bevuto «E se mi avessero vista gli altri, mi avrebbero presa per il culo a non finire»
Marzia prese una boccata dalla sigaretta e si voltò a guardare fuori dalla finestra.
«Vuoi tornare?» chiese, dopo un attimo di silenzio.
Hanji si guardò attorno: no, non voleva tornare. Aveva sognato così tanto ad occhi aperti un momento come quello che, ora che finalmente era successo, si rese conto che il tempo sembrava scorrere troppo veloce. Non avrebbe mai immaginato che Marzia potesse essere interessata alle donne e, in particolare, a lei. E quel bacio, la fuga a casa e l’amplesso che seguì, l’avevano destabilizzata. Adesso, tutto ciò che voleva era rimanere tra le braccia di Marzia a dormire fino al giorno seguente.
«Veramente no» disse infine, buttandosi con la schiena sul letto «Non voglio. Vorrei restare qui»
Marzia posò la sigaretta sul posacenere sopra il comodino e si alzò a sedere. Si voltò verso Hanji che, nel frattempo, aveva allungato le braccia verso il cielo, come se stesse cercando di afferrare qualcosa.
«Lo dico a Maribel» rispose infine Marzia, prima di lasciare del tutto il letto per prendere il cellulare dalla borsa.
Hanji si sentì in colpa. Proprio come lei, Marzia stava cercando casa e, nel frattempo, Maribel la stava ospitando. Ma la casa di Maribel era molto più piccola di quella di Levi e con una stanza sola.
E un solo letto.
Hanji si sentì pervadere dalla gelosia immaginando Marzia e Maribel dormire insieme su quel letto matrimoniale, ma cercò di scacciare via quei pensieri pensando alla faccia che avrebbe fatto Erwin a sentire il racconto della sua serata. Sorrise.
Solo per quella sera, Maribel l’avrebbe perdonata.
«Può stare da me» disse Hanji, girandosi con la schiena verso l’alto e spostandosi con il volto verso il bordo del letto, per guardare Marzia «Lei e Mikasa saranno già arrivate. Se non sta già dormendo sul divano di Mikasa, può usare il mio letto»
Marzia ridacchiò.
«Questo non è un problema, Hanji. Credo che Maribel sappia già dove passare la notte»
Hanji annuì, pensando che Maribel, per quanto fosse sempre disponibile ad ascoltare gli altri, non faceva mai parola di quello che accadeva nella sua vita. Poi pensò a come venne a sapere della sua storia con Zeke e un brivido di disgusto le percorse la schiena.
Mio Dio pensò Ho fatto sesso nello stesso letto in cui ha fatto sesso quello scimmione di merda.
 
Levi, Erwin, Eren e Armin erano disposti uno accanto all’altro da un lato del tavolo. Al lato opposto stavano Mikasa e Maribel. Al centro del tavolo, gli ultimi due piatti di spaghetti.
«Erwin» disse Levi «Sei stato tu a fare i piatti, o sbaglio?»
Erwin annuì.
«Sì, sono stato io»
«E perché ci sono quei piatti in più?»
«Perché Erwin è stato così gentile da pensare alla sua amica Hanji e a Marzia che, però, non sono mai arrivate» rispose Armin «Ma io ho ancora fame»
«Anch’io, quindi mangio»
Levi si stava avvicinando agli spaghetti, ma Armin lo fermò.
«Aspetta, non è giusto» disse il ragazzo «Dovremmo dividere in parti uguali. Credo che abbiamo fame tutti e quattro, in questo momento…»
«Sì, ma tu ti sei già mangiato la bistecca» replicò Erwin «Perciò, stanne fuori»
«Che galantuomini» li interruppe Maribel, le braccia incrociate al petto «È stata Mikasa a cucinarli. Ha cucinato abbastanza per tutti e ora che sono avanzati due piatti volete anche negarceli?»
«Secondo me dovremmo dividere equamente, come ha detto Armin» concluse Mikasa «Un piatto a noi due e uno a loro»
I ragazzi iniziarono a parlare uno sopra l’altro, ma, tutti e quattro, ritenevano ingiusto dividere i piatti rimasti in quel modo perché Maribel e Mikasa erano in due e loro erano il doppio. Alla fine, però, si decise di procedere con una serie di combattimenti a DOA: la squadra che avrebbe totalizzato più punti, avrebbe preso entrambi i piatti.
«Che stupide» disse Erwin, mentre sceglieva il suo personaggio «Così noi abbiamo il doppio di possibilità di vincita»
«Erwin, sei una schiappa con i videogiochi, lo sanno tutti» replicò Mikasa, che, in coppia con Maribel, si preparava a quel primo scontro con Erwin ed Eren.
Come un po’ tutti si aspettavano, vinsero Maribel e Mikasa. Eren ed Erwin reagirono prendendo a pugni il divano ed Eren si morse una mano dal nervoso. Nel frattempo, Levi ed Armin si lanciarono uno sguardo d’intesa.
«A quanto arriviamo?» chiese Levi «Questo non lo abbiamo ancora deciso»
«Direi che basta battervi per ogni volta che cambiate squadre» rispose Maribel «Abbiamo già battuto Erwin ed Eren, adesso vinceremo contro te e Armin. Poi scambierete le squadre, vinceremo di nuovo e i piatti saranno nostri»
«Quindi arriviamo a quattro» continuò Levi «E se una squadra arriva a tre e l’altra a quattro, fino a quanto continuiamo?»
Mikasa lanciò una cupa occhiata allo zio.
«Non hai capito. Facciamo quattro partite, se ne perdiamo solo una, vincete voi»
Eren si avvicinò sghignazzando.
«Dai, Mikasa, smettila» disse «Non fare il passo più lungo della gamba»
«Che idiote» mormorò Levi, scegliendo il suo personaggio.
Dieci minuti dopo, Mikasa e Maribel stavano mangiando di gusto gli spaghetti che si erano legittimamente guadagnate. Armin, Eren, Erwin e Levi le guardavano tristemente seduti sul divano.
«Alla fine, vincono sempre loro» disse Erwin, bevendo un altro bicchiere di whisky.
«Già» rispose Levi, voltandosi verso l’amico «Tu come stai?»
Erwin lo guardò confuso, poi spostò lo sguardo verso il bicchiere.
«Ah! Bene, anzi, credo che tutto questo alcol mi aiuterà a dormire»
«Non mi riferivo a quello» replicò Levi «Ma al fatto che Hanji non sia tornata…»
Erwin sorrise, poi sprofondò ancora di più nel divano.
«Allora sto una meraviglia» rispose «Sono felice per lei. Almeno, ce la toglieremo di torno per un po’»
Levi sorrise. Prese un altro bicchiere e guardò in direzione di Mikasa. Si accorse che aveva finito di mangiare ed era con la testa sul tavolo, addormentata.
 
Hanji si rigirava nel letto. Erano spuntate le prime luci dell’alba, eppure non era riuscita a chiudere occhio. Il primo motivo di quell’insonnia insolita era sicuramente il tripudio di emozioni che aveva provato durante quella notte pazzesca. Tuttavia, c’era anche un minimo di preoccupazione che non la lasciava dormire in santa pace. Si alzò dal letto e prese il cellulare. Sperò che Levi fosse sveglio ma, in ogni caso, si sarebbe presa volentieri tutti i suoi insulti. Marzia non era riuscita a contattare Maribel e, anche se aveva detto a Hanji di stare tranquilla, il pensiero che lei stesse dormendo nel suo letto mentre la ragazza si trovava chissà dove, la metteva un po’ in agitazione.
Fortunatamente, Levi rispose subito.
«Pronto?» disse lui, stranamente calmo.
«Levi» rispose Hanji, uscendo dalla stanza per non svegliare Marzia «Maribel è lì da te?»
Levi fece capolino dalla porta della sua stanza, lanciando uno sguardo in salotto. Subito dopo che Mikasa si era addormentata, anche tutti gli altri avevano iniziato a dare segni di stanchezza. Levi si era quindi chiuso in camera, per dormire almeno qualche ora. Guardò il tavolo, dove aveva visto Maribel l’ultima volta, ma non era né lì né altrove.
«No», rispose Levi, rientrando in camera «Sarà uscita, o forse è in bagno, che ne so…»
«Ma è arrivata da te con Mikasa, giusto?»
«Sì», disse lui, buttandosi nel letto «Tu, invece? Come mai sei ancora sveglia?»
«Ero un po’ preoccupata per lei, dato che non è tornata a casa e non siamo riuscite a rintracciarla. Ma Marzia mi ha fatto intendere che sapesse già con chi passare la notte, perciò, se mi dici che comunque è arrivata a casa tua, posso dormire tranquilla»
Levi sentì un impellente bisogno e si rialzò dal letto.
«Vabbè, adesso devo andare a pisciare. Domani, comunque, voglio sapere tutto. Nei minimi dettagli»
Hanji sorrise e rientrò in camera.
«Buonanotte, Levi»
Levi riattaccò. Aprì la porta ed entro nel salotto. Stava per raggiungere il bagno, quando, con la coda dell’occhio, notò qualcosa a cui non aveva fatto caso prima. Si voltò verso il divano e vide Armin ed Erwin che dormivano a bocca aperta. Ma Eren non c’era.
Ripensò alle parole di Hanji, al fatto che Maribel sapesse già dove andare a dormire e una rabbia improvvisa gli ribollì nello stomaco. Lanciò uno sguardo a Mikasa, che dormiva così tranquilla da non essersi spostata nemmeno un millimetro da quando si era appisolata. Poi ripensò alla serata, a come la nipote sembrasse felice di essere con Maribel e a come avesse legato con lei. L’odio per Maribel crebbe ancora di più e uscì furiosamente dall’appartamento.
Iniziò a suonare a ripetizione al campanello, pensando alle cose peggiori che le avrebbe detto appena l’avesse vista in faccia.
Non dovevi fare questo, non a Mikasa pensava, con il dito che continuava a suonare Non vi spostate, stronzi, eh? Allora faccio alla vecchia maniera.
Levi prese la rincorsa e poi si lanciò sulla porta prendendola a calci e a pugni.
«Polizia!» iniziò a urlare «Polizia! Siete in arresto! Aprite subito questa cazzo di porta!»
La porta dietro di lui si aprì e, dal suo stesso appartamento, comparvero Eren e Maribel.
«Ma che cazzo di problemi hai?» disse Eren a bassa voce per non svegliare gli altri «Se le canne ti fanno questo effetto, dovresti smetterla di fumare»
Maribel non disse niente, ma stava trattenendo una risata. Levi si portò una mano ai capelli, cercando di mantenere la calma.
«Dov’eravate?» disse, con le mani che tremavano «E, soprattutto, perché siete vestiti?» Eren lo guardò confuso e seccato, e Maribel non riuscì più a trattenersi dal ridere. Levi notò che entrambi indossavano i giubbotti e cercò di dare una spiegazione a ciò che aveva detto «Perché siete vestiti così, intendo. Dove volevate andare così presto, eh? Eren, lo sai che Mikasa si preoccupa se ti vede sparire così dal nulla…»
Eren scosse la testa e si allontanò dalla porta per fare spazio a Levi che stava rientrando.
«Eravamo sul terrazzo a vedere l’alba e poi ti abbiamo sentito gridare» rispose «Ma ti rendi conto di che ore sono? Non ci viviamo solo noi, in questo palazzo»
Maribel continuava a non parlare. Si avvicinò all’appendiabiti e prese il suo zaino. Levi la guardò e si sentì in colpa per ciò che aveva pensato.
«Va bene, Eren, perdonami. Hai ragione tu, dev’essere stata l’ultima che ho fumato»
«No, Levi, non va bene per niente» rispose Eren, alzando le braccia al cielo «Tu e Pixis dovreste farvi una vita»
«Cosa? Pixis?» esclamò Levi, non collegando subito il significato di quelle parole.
«Ehi» disse Maribel che, intanto, aveva messo lo zaino in spalla «Io inizierei ad andare»
Eren alzò la cerniera del suo giubbotto e si avvicinò alla ragazza.
«Andiamo, ti accompagno…»
«Oddio, no, ti prego» disse Maribel, allungando le mani aperte verso di lui «Pensa se dovessimo incontrare un’altra spia di mio padre. Mi dispiacerebbe non doverci vedere più per colpa del vecchio. Questo qui» continuò, indicando Levi «Con la giusta ricompensa ti toglierebbe casa e non ti farebbe nemmeno più entrare al pub»
Levi si mise a ridere, ma non perché fosse divertito.
«Non è esattamente così» disse, mettendosi le mani sui fianchi.
Nel frattempo, Mikasa si svegliò. Guardò verso la porta e vide Eren con il giubbotto.
«Eren?» mormorò, strofinandosi gli occhi «Dove stai andando?»
«Visto?» esclamò Levi, voltandosi verso Eren «Mikasa si preoccupa. E io mi preoccupo per lei»
Maribel aprì la porta e guardò verso Eren.
«Ci vediamo domani…» disse. Poi spostò lo sguardo verso Levi e avanzò in direzione del corridoio «Sicuramente, non da queste parti»
Maribel chiuse la porta, andando via. Levi iniziò a mordicchiarsi l’interno della guancia ed Eren prese il cappotto di Mikasa dall’appendiabiti.
«Andiamo pure noi, Levi» disse all’altro, avvicinandosi a Mikasa e prendendola in braccio «Buonanotte»
Levi aprì la porta per far passare i due e fece un cenno di saluto con la testa.
«Buonanotte» disse poi, prima di richiudersi la porta alle spalle.
Poggiò la schiena alla porta e si lasciò scivolare a terra, fino a sedersi sul pavimento. Guardò Armin ed Erwin che continuavano a dormire tranquilli, poi si voltò verso il terrazzo e si rese conto che, ormai, era pieno giorno. Tirò un sospiro, batté le mani sulle ginocchia e si rialzò. Si spostò sul divano, prese un controller e iniziò un’altra partita, rinunciando, definitivamente, a dormire.
 
Il giorno dopo, a ora di pranzo, Hanji fece irruzione nel pub. Levi, Erwin, Mikasa, Armin ed Eren stavano già mangiando.
La donna si sedette insieme a loro e prese un panino dallo zaino.
«Beh, un po’ me lo aspettavo» disse, scartando il panino.
Erwin le batté una mano sul braccio, facendole l’occhiolino.
«Allora? Com’è stato?» chiese.
Hanji si fece tutta rossa, poi addentò il panino.
«Innanzitutto, non sono cose che ti riguardano» rispose «E poi, perché non sei infastidito?»
«Babbea» disse Levi, mettendo sotto agli occhi di Hanji un piatto con due hamburger «Dove hai preso quel panino, a uno di quei distributori radioattivi? Mangia del cibo vero, per favore»
Mikasa bevve un sorso d’acqua, poi girò la sedia in direzione di Hanji.
«Quindi?» disse «Vogliamo sapere com’è andata»
«Dai, smettila di far finta di non voler raccontare, lo so che muori dalla voglia di vantarti della tua conquista» disse Eren, guardando Hanji.
Hanji arrossì di nuovo, ma non disse nulla. Si avvicinò lentamente a Levi, sfiorandogli un braccio.
«Ti prego, fa’ qualcosa» sussurrò, quasi tremando.
Levi sorrise.
«Ehi, ehi, ehi» disse ai ragazzi «Sbrigatevi a mangiare e uscite fuori da qui. Oggi sarà una giornataccia, devo sbrigarmi a preparare tutto prima dell’apertura»
Eren fece spallucce.
«Vabbè, aspetteremo stasera» rispose.
«Anzi, meglio così» continuò Mikasa «Marzia sarà qui a lavorare, perciò potremmo sentire la versione di entrambe»
Hanji sospirò, allungando le gambe.
«Ma volete lasciarmi in pace?» urlò «Non ho capito niente nemmeno io, volete darmi almeno il tempo di metabolizzare questa cosa?»
Levi si versò dell’acqua e avvicinò il bicchiere alle labbra.
«Che c’è da capire?» disse, voltandosi poi verso Erwin «Uno a zero per te, Hanji»
Erwin fece una smorfia, ma continuava a sorridere. Si versò anche lui dell’acqua e guardò verso l’amica.
«Io, comunque, voglio sapere davvero tutto» disse a bassa voce, prima di bere.
Hanji sbruffò, conservando di nuovo il panino in borsa e iniziando a mangiare i suoi hamburger.
«Si vede che voialtri avete passato un sabato di merda, se vi interessate così tanto alla mia vita» disse.
Mikasa ridacchiò, masticando un boccone che aveva appena portato alla bocca. Poi lanciò uno sguardo a Levi, che si era alzato per prendere i piatti sporchi.
«Qualcuno ha notizie di Maribel?» chiese la ragazza, tornando a guardare il suo piatto.
Hanji s’irrigidì e guardò prima Levi, poi Erwin.
«Voi non ne sapete nulla?» chiese, preoccupata.
«È tornata a casa» rispose Levi, che si stava dirigendo in cucina «Da suo padre»
Hanji si rilassò, continuando a mangiare.
«Ah, allora era quella la sua intenzione, fin dall’inizio. E io che avevo capito dovesse spassarsela con qualcuno!» disse.
«Quindi non è incazzata nera come sembrava ieri» esclamò Eren che, avendo finito di mangiare, si stava alzando per andarsene «se ti ha addirittura avvisato che ha dormito dal padre»
Levi uscì dalla cucina, asciugandosi le mani con uno straccio.
«Non so se è incazzata. È stato Pixis a chiamarmi stamattina, per ringraziarmi di avergli riportato indietro la bestiola» rispose «Non so neanch’io in che modo possa averla spinta a fare una cosa del genere»
Hanji lanciò uno sguardo interrogativo ad Erwin che, però, era ignaro quanto lei. Eren sospirò, avvicinandosi all’uscita, seguito da Armin e Mikasa.
«Vabbè, Levi. Nel dubbio, vaffanculo come sempre!» disse il ragazzo, prima di uscire.
Hanji iniziò a dondolarsi sulla sedia, guardandosi attorno. Levi si stava avvicinando con i caffè ed Erwin lo seguiva con lo sguardo.
«Dunque, che cosa è successo…»
«Che cosa è successo lo chiedo io, vecchia baldracca» disse Levi, interrompendo Hanji «E non ti dimenticare nemmeno il più piccolo dettaglio»
Hanji lanciò uno sguardo a Erwin, che fece spallucce. Poi, iniziò a raccontare tutta la storia di quella lunga notte.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Troppo lungo, questo capitolo? xD Inizialmente volevo dividerlo in due parti, ma, ormai che era scritto tutto, ho deciso di pubblicarlo così. Spero di riuscire ad aggiornare anche domani, ma la vedo dura, dato che mi tocca lavorare :( Comunque, se non dovessi riuscire domani, sarà sicuramente presto. Alla prossima!
 
 

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Capitolo 8
*** Una visita inaspettata ***


Una visita inaspettata
 
La primavera stava giungendo al suo termine e l’aria estiva iniziava a farsi sentire. Era ancora maggio, ma in molti erano già partiti per le vacanze e gli altri non vedevano l’ora di andare in ferie.
Una mattina di quella primavera ormai inoltrata, Levi stava prendendo il sole sul terrazzo. Aveva accuratamente sparso la crema solare per evitare scottature e si stava rilassando sotto i raggi del sole con una maschera facciale a coprirgli il volto. A un certo punto, qualcuno bussò alla sua porta. Un po’ seccato dall’idea di dover lasciare il suo lettino, Levi si alzò per andare ad aprire. Era ancora in costume da bagno quando Yelena fece capolino dall’uscio della porta.
«Buongiorno, Padron Frodo!» esclamò lei.
«Buongiorno, Barad-dûr!» rispose lui, allargando le braccia e facendosi abbracciare «È sempre un piacere vederti, ma non è un po’ presto?»
Yelena lanciò uno sguardo malizioso all’uomo e poi si chinò per prenderlo in braccio. Levi cinse il collo di lei con le braccia e ricambiò lo sguardo.
«Decido io se è presto o tardi» rispose lei, già diretta verso la camera di Levi.
Il momento fra i due venne interrotto dall’arrivo di Hanji che, trafelata, stava portando con sé due casse d’acqua. Appena entrata in casa, si accorse della presenza di Yelena e lanciò un urlo. La donna si voltò a guardarla divertita, mentre Levi la fulminò con lo sguardo e si affrettò a tornare con i piedi per terra.
«Ti ricordo che è pur sempre casa mia» disse lui «Sarebbe gradito comunque bussare, prima di entrare»
«Sì, scusa, dimentico sempre che non vi fate problemi a scopare pure dentro il frigo se vi fate prendere dalla passione» rispose lei, visibilmente seccata «Ma, almeno, potresti avere la decenza di lavarti la faccia, prima di sfoderare la spada»
Levi si sfiorò il viso con una mano, avendo completamente dimenticato di avere ancora la maschera addosso. Yelena si spostò sul divano, incrociando le gambe e poggiando il gomito sullo schienale.
«Allora, dov’è la tua bambola?» chiese, guardandola storto.
Hanji buttò le casse d’acqua in un angolo del salotto e aggrottò le sopracciglia.
«Ti ho detto che non devi chiamarla così» rispose, dirigendosi verso il bagno ma lasciando la porta aperta «E, comunque, è rimasta a casa ad occuparsi delle faccende domestiche. Riusciamo a vivere come due persone separate e distinte, noi»
Yelena si voltò a guardare Levi che, ancora con la maschera sul viso, aveva portato le braccia ai fianchi, innervosito.
«Comunque come viviamo noi non deve essere un problema tuo» urlò l’uomo, per farsi sentire da Hanji «Ma rimane il fatto che questa è casa mia, perciò…»
«Perciò devo avvisarti prima di tornare a casa, sì, sì, l’ho capito» continuò lei, uscendo dal bagno «E comunque ti sento, non c’è bisogno che urli»
Hanji entrò in camera, sbattendo la porta. Levi sbruffò e lanciò uno sguardo rassegnato a Yelena. Poi assunse un’espressione divertita.
«Senti…» sussurrò, avvicinandosi alla donna «Ti va bene se lasciamo perdere le condizioni della mia faccia e andiamo subito al dunque?»
Yelena sorrise e, con un movimento rapido, fece uno sgambetto a Levi che le cadde dritto addosso.
«Assolutamente sì, padron Frodo!»
 
Quella sera, Hanji sedeva a un tavolo del pub insieme ad Erwin e Mikasa. I tre stavano bevendo una birra e discutevano a bassa voce di qualcosa di estrema urgenza.
«Dobbiamo sconfiggerla» diceva Hanji, con il busto allungato sul tavolo per farsi sentire «Prima che lei sconfigga noi»
Erwin scosse la testa.
«Ma ti rendi conto che quando scopano lei lo chiama padron Frodo?» disse lui «Lo hobbit era il soprannome che gli abbiamo dato noi quando lo abbiamo conosciuto, ed è sempre stata una cosa solo nostra. Adesso arriva lei e pensa di avere tutto il diritto di chiamarlo così…»
«Tecnicamente» intervenne Mikasa «Padron Frodo è diverso da Lo hobbit, che è più generico…»
Erwin e Hanji non risposero, ma si limitarono a lanciarle uno sguardo che fu abbastanza per intimorirla.
In quel momento entrò Maribel: indossava una t-shirt bianca con una stampa di qualche rock band e una minigonna nera di jeans. Nonostante il caldo, portava ai piedi un paio di stivaletti con le borchie. Gli occhi erano coperti dagli occhiali da sole e aveva appena buttato a terra una cicca di sigaretta. Dietro di lei c’era Reiner, vestito, invece, di tutto punto: indossava una camicia bianca e dei pantaloni beige. Anche lui portava degli occhiali da sole.
I due si diressero verso il tavolo dove si trovava Hanji e si sedettero con gli altri tre. Maribel, che continuava a indossare gli occhiali da sole, alzò una mano per chiamare Marzia e ordinò tre birre. Marzia annuì e corse a prendere le birre.
Hanji guardava i due disgustata ed Erwin si limitò a salutare con un cenno.
«Perché tre?» chiese Mikasa, tenendo in mano la sua birra.
«Due per Reiner» rispose. Poi si alzò, si avvicinò alla ragazza e si chinò per sussurrarle all’orecchio «Certe volte sembra due persone allo stesso tempo. Credo soffri di qualche disturbo dissociativo e, nel sesso, questa cosa è spettacolare: sembra di farlo con due persone contemporaneamente!»
«Ehi, Wasabi» esclamò a un tratto Levi, comparendo alle spalle di Maribel «Qualche volta ti ricordi ancora di noi»
Maribel sorrise, dandogli una pacca sulla spalla.
«Come dimenticarti, sbirro di merda» rispose, facendogli l’occhiolino.
Hanji sbruffò. Maribel non si era più fatta vedere né sentire come prima da quando, mesi fa, Levi aveva creduto che stesse tradendo la fiducia di Mikasa andando a letto con Eren. Ma lei cosa c’entrava, in tutto questo? Oltre al suo allontanamento da Maribel, Hanji non sopportava più la presenza di Yelena in casa, che era diventata ormai una costante: lei e Levi si erano conosciuti durante un corso di arti marziali un mese prima e, da allora, erano diventati inseparabili. Le cose si erano aggravate da quando Erwin aveva lasciato casa: da quando aveva aperto il suo studio, infatti, l’amico aveva comprato un appartamento a parecchi chilometri da casa di Levi. E, così, Hanji si trovava a vivere in casa con un amico che la ignorava, mentre l’altro era troppo preso dal lavoro per dedicarle più di qualche fine settimana.
Marzia arrivò con le tre birre e Maribel tornò a sedersi. Bevve metà boccale in pochi sorsi e Reiner la guardava con ammirazione. Erwin ne approfittò per chiedere un’altra birra e poi tornò al discorso di prima.
«Comunque, dovremmo trovarne un’altra. È pur sempre una donna, per quanto entrambi continuino a dire che si vedono soltanto per il sesso, se lei dovesse scoprire che c’è un’altra lo lascerebbe in tronco»
Maribel alzò un sopracciglio, incuriosita.
«Di che state parlando?» chiese.
«Il tradimento è una brutta cosa» intervenne Reiner «Che sia solo sesso oppure no. Bisognerebbe sempre finire una cosa, prima di iniziarne un’altra»
Hanji lo guardò con finta ammirazione.
«Bravo, Reiner, complimenti. Chissà se anche Miss Lattuga la pensa come te»
Maribel la fulminò con lo sguardo, ma non disse niente, tornando a bere la sua birra.
In quel momento, il cellulare di Levi squillò. Era un numero non salvato in rubrica, ma non ci pensò due volte a rispondere, perché poteva trattarsi di qualche cliente.
«Buonasera, Ackerman Pub, cosa desidera?»
Una voce dall’altro capo del telefono si limitò a ridacchiare. Levi si chiese se non avessero sbagliato numero, ma ripeté le sue parole prima di riagganciare.
«Ma davvero ti sei aperto un locale tutto tuo?» chiese la voce, incredibilmente familiare, che rispondeva dal telefono «Sì che ne è passato, di tempo, dall’ultima volta che ti ho visto. Sarai cresciuto abbastanza, ormai»
Levi uscì di fretta dal pub, cercando un angolo dove non potesse sentirlo nessuno.
Nel frattempo, Hanji continuava a lanciare occhiatacce a Maribel.
«Come mai ti sei fatta viva?» chiese alla ragazza «E, per giunta, con il tuo nuovo giocattolino. Solitamente venivi qua solo per cacciare nuove prede»
Maribel poggiò la schiena alla sedia, alzando le braccia al cielo.
«Oddio, Hanji, sei una palla al piede!»
Hanji spalancò la bocca, prendendo un braccio di Erwin e strattonandolo.
«Hai sentito? Hai sentito che cosa ha detto?»
Il gruppo era troppo impegnato in quel discorso per accorgersi di Levi che, fuori dal pub, continuava a parlare al telefono.
«Come hai fatto ad avere il mio numero?» chiese Levi, guardandosi attorno «Come hai fatto a sapere del pub? Ma, soprattutto, che vuoi?»
Un’altra risata si sentì dall’altro capo del telefono.
«Dovresti sapere bene che uno come me riesce ad avere tutte le informazioni che vuole in pochissimo tempo. Comunque, sono solo preoccupato per te. Dopo tutto questo tempo, nemmeno una telefonata…» Levi riattaccò il telefono. Si era allontanato di qualche metro dal pub e fece per tornare indietro, ma la stessa voce dell’uomo che gli parlava al telefono lo chiamò da un vicolo «Ehi, nanerottolo» Levi si voltò, gli occhi carichi di odio «Non la offriresti una birra al tuo vecchio zio Kenny?»
 
Hanji si alzò dalla sedia, in preda a una crisi di rabbia. Marzia si stava avvicinando, con un’espressione preoccupata sul viso. Erwin si voltò verso Maribel, guardandola deluso. Lei si limitò a incrociare le braccia, sbruffando.
«Siete morbosi. Non vi sopporto più» disse, subito prima di finire la sua birra.
Maribel si alzò dalla sedia, lasciando i soldi per le birre sul tavolo. Poi prese Reiner sottobraccio e si diresse verso la porta, ma venne colpita da Levi che stava entrando in tutta fretta. I due si scontrarono e lei si portò una mano all’avambraccio.
«E levati» disse Levi, sorpassandola «Stai sempre in mezzo ai piedi»
«Che male!» disse lei, guardando prima il braccio colpito e poi Levi.
In quel momento entrò Kenny. Erwin e Hanji smisero di discutere e rimasero in silenzio per qualche minuto, fissando l’uomo appena arrivato. Levi si posizionò dietro il bancone e continuò a svolgere il suo lavoro. Kenny si fece strada all’interno del locale e poi si mise a sedere a un tavolo vuoto. Hanji ed Erwin si lanciarono un’occhiata e raggiunsero Levi.
«Ehi» disse lei, prendendo uno dei bicchieri da asciugare «Hai bisogno di una mano?»
«I guanti, Hanji, maledizione» rispose lui, prendendo il bicchiere e spostandolo tra quelli da lavare «No, non ho bisogno d’aiuto, grazie»
Erwin aguzzò la vista, guardando in direzione di Kenny.
«Ma è proprio lui?» chiese a Levi.
«Sì, è proprio lui. E non so cosa cazzo sia venuto a fare qua»
Hanji si grattò la nuca, poi prese Erwin sottobraccio, spingendolo verso l’uscita sul retro.
«Torniamo subito, padron Fro… Hobbit!»
Hanji ed Erwin raggiunsero l’esterno e si sedettero sul marciapiede. Hanji si portò le ginocchia al petto, iniziando a dondolare avanti e indietro. Erwin percepì il suo nervosismo e le posò una mano sulla spalla.
«Hanji» disse lui «Non è un problema tuo. Lasciagli passare la rabbia e vedrai che la cosa si risolverà da sola»
Hanji smise di dondolarsi e si voltò a guardare Erwin, incredula.
«Cosa?» esclamò «Ma che vi prende, a tutti? Da quando siete diventati così insensibili? Non te ne importa niente di come si sente Levi in questo momento?»
«Sì, Hanji, ma ancora non sa neanche lui cosa stia succedendo» rispose Erwin «Sarebbe meglio lasciarlo in pace per un po’, se dovesse avere bisogno di noi ce lo dirà di certo…»
«Ah, sì» disse Hanji alzandosi in piedi «Tranquillo. Torna pure al tuo lavoro e alla tua nuova casa, al mio amico posso pensarci io…»
Erwin alzò gli occhi al cielo, poi prese la mano di Hanji che stava per tornare dentro.
«Ma la vuoi smettere di fare la bambina, una buona volta? Me lo dici che cos’hai? Sei sempre in ansia, ti offendi facilmente e litighi con tutti…»
Hanji si liberò dalla presa, posando lo sguardo per terra.
«Non ho niente, Erwin. È solo che sembro essere l’unica che riesce ad avere una vita all’infuori di questo trio senza dovere per forza sparire nel nulla»
Erwin si alzò, posando una mano sulla spalla di Hanji.
«Han, abbiamo passato mesi senza vederci né sentirci. Può essere che il solo fatto che Levi abbia trovato una ragazza fissa e che io non viva più con voi ti crei così tante paranoie?»
Hanji scosse la testa, senza alzare lo sguardo.
«Lascia stare, hai ragione tu. Forse sono solo troppo emotiva, in questo periodo» prese un lungo respiro, poi alzò la testa. Forzò un sorriso e si voltò verso l’amico «Ma non ti preoccupare! Adesso vado a farmi una bella dormita a casa di Marzia e al mio risveglio sarà tutto come sempre!»
Erwin la guardò perplesso. Sapeva bene che Hanji stava fingendo, ma non riusciva a sopportare più quei suoi comportamenti così pressanti. Pensò alle parole di Maribel e allo sguardo deluso che le aveva rivolto, ma, certe volte, sentiva anche lui che Hanji avesse dei comportamenti eccessivamente morbosi. Erwin ricambiò il sorriso con un altro forzato, salutandola con una mano.
«Va bene, Hanji. Penso che andrò anche io. D’altronde, è già abbastanza tardi. Domani…»
«Domani devi andare a lavorare, lo so» rispose lei, indietreggiando «Comunque è stata una bella serata. Ci si rivede il prossimo weekend. Sempre che tu sia vivo, eh»
Hanji aprì la porta e tornò dentro il pub. Erwin sospirò, alzando lo sguardo verso il cielo: pensò che avesse proprio bisogno di una vacanza.
 
Era l’una di notte quando anche l’ultimo cliente uscì dal pub. Levi si affrettò a chiudere, abbassando anche le serrande di sicurezza. Si recò verso il bancone, per prendere due birre. Nel frattempo, solo un’altra persona era rimasta all’interno del locale.
Kenny aspettava paziente, seduto al tavolo. Non aveva parlato con nessuno per tutto il tempo, limitandosi a bere, lentamente, un paio di whisky. Quando Levi arrivò con le birre, lui alzò lo sguardo verso il nipote, esordendo con una risata. Levi si sedette di fronte a lui, prendendo un sorso dal suo bicchiere.
«Che cosa vuoi?» disse, senza guardare Kenny in volto.
Kenny prese in mano il bicchiere, studiandolo da cima a fondo.
«Non credi sia meglio non mischiare?» chiese «La birra dopo il whisky… non sono più quello di una volta, non so che effetto possa farmi»
Levi batté i palmi sul tavolo, alzandosi di scatto.
«Senti, io non ho tempo da perdere. O mi dici cosa vuoi, o esci fuori perché il pub è già chiuso» indicò la porta «Sono stanco di vederti comparire dal nulla dopo anni solo per prenderti gioco di me e poi sparire di nuovo. Ma poi, non ti eri trasferito in qualche posto lontano da qui?»
Kenny prese un sospiro. Posò il bicchiere ancora pieno sul tavolo e giunse le mani.
«Levi, questa volta non sono qui per il gusto di vederti incazzato come una donna isterica. Oggi sono qui per parlarti di una cosa per me molto importante» Levi si sedette, continuando a bere la sua birra «Lo so che, come al solito, è passato molto tempo, dall’ultima volta che ti ho visto. Ma, come ti ho detto prima, non sono più quello di una volta. Molte cose sono cambiate e spero che, in questi giorni, io possa raccontarti tutto senza crearti alcun impiccio. Non voglio interferire con la tua vita, non questa volta. Ma, ti prego, concedimi qualche giorno. Poi sparirò di nuovo, se lo vorrai. Ma dammi almeno un poco di quel tempo che mi resta»
Levi impallidì. Cosa intendeva dire, con quell’ultima frase?
Levi provava un misto di amore e odio per quella sorta di figura paterna che lo aveva cresciuto fin dalla sua più tenera età. Non c’erano mai state delle vere dimostrazioni d’affetto, tra i due, ma, per lungo tempo, Kenny era stato l’unico familiare che avesse avuto e, suo malgrado, si sentiva legato a quell’uomo anche nei momenti in cui si allontanava da casa per mesi interi, lasciandolo solo. Con gli anni, quando Levi aveva ormai imparato a badare a sé stesso, Kenny era scomparso quasi del tutto. Non sapeva nulla della sua vita, ma, in qualche modo, lo zio riusciva sempre a rintracciarlo, comparendo di tanto in tanto come se volesse solo accertarsi che fosse vivo e stesse bene. Ma Levi era certo che, quella di Kenny, non fosse una reale preoccupazione verso di lui. Stava solo cercando di tenersi un po’ più pulita la coscienza, data la promessa che aveva fatto alla sorella in punto di morte: prendersi cura di lui.
Levi bevette un altro sorso e puntò i suoi occhi su quelli dello zio. Quest’ultimo continuava a ridacchiare, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi.
«Che ti è successo?» chiese infine Levi, dopo un lungo silenzio «Hai una malattia o hai solo intenzione di farmi uno dei tuoi scherzi del cazzo?»
Kenny iniziò a bere la sua birra, poggiando i gomiti sul tavolo.
«Cancro al cervello» rispose, posando lo sguardo sul bicchiere «Diagnosticato da qualche mese. Ma si sta sviluppando in fretta e non hanno saputo nemmeno darmi una data approssimativa per la mia uscita di scena definitiva» Levi abbassò lo sguardo, ma non disse nulla «In realtà, stavo pensando all’eutanasia. Potrebbe succedermi di tutto, in questi ultimi mesi, settimane, o, addirittura, giorni. E non voglio finire la mia vita chiuso all’interno di una stanza d’ospedale con tanti tubi che servirebbero solo a prolungare le mie sofferenze»
Levi prese un sospiro, guardando fuori da una vetrata del pub. Era quindi giunto il loro ultimo incontro? Levi non avrebbe mai creduto che potesse giungere un giorno come quello. Si aspettava, semplicemente, che un giorno Kenny non fosse più comparso. E, allora, avrebbe scelto lui se quell’assenza definitiva fosse dovuta alla scelta dello zio di non venire più a intralciare il suo percorso o alla sua dipartita.
«Giusto» rispose Levi, con un filo di voce «Non è mai stato da te non essere padrone delle tue scelte di vita. Credo, quindi, che sia coerente con te stesso scegliere anche come dover morire»
Kenny prese un altro sorso, poi tornò a guardare in basso. Non sembrava triste, ma aveva smesso di sorridere. C’era qualcosa che lo preoccupava, Levi lo percepiva bene, ma era sicuro che non si trattasse della sua malattia.
«Non starò molto» continuò lo zio «Credo che tra qualche giorno ripartirò. C’è una persona che devo vedere per l’ultima volta, prima di andarmene, e devo sbrigarmi prima che sia troppo tardi» Levi posò nuovamente lo sguardo su quello di Kenny, ancora rivolto verso il bicchiere «Ma mi piacerebbe passare questi ultimi giorni con te nel modo più normale possibile. Come uno zio e suo nipote»
O come un padre e suo figlio pensò Levi, senza dirlo.
«Hai un posto dove stare?» si affrettò a dire Levi «C’è una stanza libera, da me. Puoi stare lì, nel frattempo…»
Kenny alzò una mano, come a volerlo fermare.
«No, nanerottolo» rispose lui «Ti ho già detto che non voglio in alcun modo interferire con la tua vita. Ho un posto dove stare, mi basterà vederti quando sei libero dai tuoi soliti impegni» poi alzò lo sguardo per dare un’occhiata al locale «Vedo che ti sei sistemato bene, rispetto all’ultima volta che ci siamo visti. Questa è una cosa che mi rincuora»
Levi abbassò lo sguardo e prese un pacco di sigarette dalla tasca dei pantaloni. Porse una sigaretta allo zio, che accettò senza parlare. Poi si alzarono e Levi guidò l’uomo verso l’uscita sul retro. Quella sera, sembrava fare più freddo rispetto al solito. Levi venne preso da un improvviso attacco di nostalgia pensando che, in quello stesso luogo, aveva visto anche Petra per l’ultima volta.
«Quindi domani ci vedremo, vero?» chiese Levi, con una nota di tristezza nella voce.
Kenny annuì.
«Potremo farci un giro da qualche parte. O andare fuori città, se ti va. Potremo anche stare chiusi a casa tua tutto il tempo o andare a ubriacarci insieme da qualche parte»
Levi accese la sua sigaretta e passò l’accendino a Kenny. C’era un’insolita calma, lì fuori, per essere una domenica sera.
«Mi piacerebbe tornare a casa» rispose Levi, posando lo sguardo a terra «Almeno un po’. Sono anni che non ci torno e vorrei rivedere quelle mura un’ultima volta»
Kenny annuì, prendendo una boccata dalla sua sigaretta.
«Lo sapevo, in fondo» disse, guardando fisso di fronte a te «Che, altrimenti, non ci saresti più tornato. Io e te ci somigliamo più di quanto tu non voglia credere»
Levi alzò lo sguardo verso la parete di fronte. Poi prese un altro tiro, cercando di godere appieno di quella dolce calma notturna. Si chiese per quanto tempo ancora avrebbe dovuto dare il suo ultimo addio alle cose e alle persone a cui teneva di più.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Buongiorno, gente^^ Anche questo capitolo è un po’ più triste, ma sto cercando di dosare il nosense e la demenzialità con qualche nota un po’ più malinconica cercando di non deprimervi troppo e di continuare a dare anche un senso più “profondo” a questa ff! Spero di non avervi annoiato… alla prossima!
 

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Capitolo 9
*** Un porto sicuro ***


Un porto sicuro
 
Quella mattina, Levi non si svegliò tra le braccia di Yelena. Non aveva voglia di vedere nessuno, quella mattina. Perché quella mattina era importante per Levi e non solo per lui. Perché quella mattina avrebbe condiviso le sue emozioni solo con Kenny, che, all’alba, aveva mandato un messaggio a suo nipote. Anche Levi si era svegliato presto, perché voleva evitare di incontrare Hanji. Fortunatamente, non avrebbe fatto colazione a casa e il rischio di imbattersi in lei nel salotto era quasi nullo.
In effetti, Levi riuscì ad uscire di casa e raggiungere il luogo dell’incontro senza incrociare nessuno di sua conoscenza. Quando arrivò al bar prefissato, all’orario prefissato, Kenny era già lì. Lo aspettava seduto a un tavolino fuori, con una sigaretta tra le labbra. Levi lo salutò con un cenno del volto e si affrettò a raggiungerlo. Si sedette di fronte a lui, chiamando una cameriera per prendere le ordinazioni.
«Buongiorno», disse semplicemente Kenny, con il suo solito ghigno stampato in faccia «Vedo che hai sempre problemi a dormire»
«Un caffè e un pezzo di crostata alla ciliegia, per favore» disse Levi alla cameriera che era appena arrivata.
«Un caffè e una brioche» continuò Kenny, sbirciando le gambe scoperte della donna «E il caffè corretto. Con la grappa migliore che avete»
La cameriera prese le ordinazioni e andò via, ignorando gli sguardi dell’uomo. Levi posò un braccio sul tavolo e guardò un punto lontano.
«Non mi ricordo di questo posto» disse «Devono averlo aperto da poco»
«Una decina d’anni, almeno» rispose Kenny, prima di prendere un tiro dalla sua sigaretta «Vedo che non ti sei tenuto lontano solo dalla casa, ma da tutta la zona»
Levi iniziò a mordicchiarsi il labbro inferiore. Sì, erano anni che non tornava in quel posto. Neanche lui sapeva quanti. Da quando aveva conosciuto Erwin, la sua vita era cambiata completamente. Vedeva nella sua casa natale l’unico legame che lo teneva ancora stretto al suo passato, e lui voleva liberarsi da quella presa.
«Fa caldo» disse semplicemente Levi, poggiando la schiena alla sedia e posando i gomiti sui braccioli.
Kenny non rispose. Lo guardò per qualche secondo che a Levi parve un’eternità e poi spense la sua sigaretta dentro il posacenere sul tavolo. Nel frattempo, la cameriera di prima arrivò con quanto ordinato dai due. Kenny aspettò che andasse via, poi prese il suo caffè.
«Posso chiederti come mai hai scelto di tornare, proprio oggi?»
Levi tornò a fissare un punto lontano. Il suo viso, di solito inespressivo e privo di qualsiasi emozione, sembrava adesso una tela su cui un pittore avesse scaricato tutte le sue frustrazioni. In quegli occhi color del cielo e del ghiaccio, Kenny riusciva a vedere, insieme, rabbia, delusione, nostalgia e, soprattutto, una profonda tristezza.
«Perché sento un po’ la mia mancanza»
Kenny tossì. Il caffè gli era andato di traverso, ma non solo quello. Sentì crescere dentro di sé un profondo senso di colpa, che cercò di ricacciare indietro con un’impossibile manovra di ingerimento dell’aria. L’uomo mise una mano nel taschino della camicia e ne tirò fuori un pezzetto di carta, piegato su sé stesso.
«Aprilo stasera» disse a Levi, porgendogli il foglio «Quando sei da solo»
Levi non rispose. Prese il foglio, lo esaminò senza aprirlo e lo conservò dentro il portafogli. Poi si dedicò alla sua colazione, mentre il sole iniziava a diventare più insistente e il caldo cominciava a divampare.
 
Un’ora dopo, Kenny stava parcheggiando vicino a un vicolo, in una strada che sembrava essersi fermata a molti anni prima. Le case costruite in quella zona, che sembravano non aver mai conosciuto la ristrutturazione, erano vecchie e, probabilmente, disabitate. Un gruppo di bambini giocava a calcio sotto la un cartello dello stop, troppo vicini al ciglio della strada. Una fontana si mostrava ai passanti, ma senza che l’acqua uscisse dalle sue tubature.
Kenny e Levi uscirono dall’auto. Si diressero verso quel vicolo, senza dirsi una parola. La vecchia casa di Levi stava in un altro vicolo, proprio in fondo a quello che i due stavano percorrendo. Durante tutto il tragitto, rimasero entrambi in silenzio. Arrivati alla curva, Levi alzò lo sguardo che, fino a quel momento, aveva tenuto basso. Sentì un tuffo al cuore alla vista di quel balconcino spoglio, senza piante né fiori, senza panni stesi.
Levi deglutì. Kenny percepiva la sua agitazione, ma continuò a non dirgli una parola. Lo sorpassò, prendendo delle chiavi dalla tasca. Aprì il piccolo portone davanti a lui ed entrò, trovandosi all’interno di un ingresso angusto, con delle scale altrettanto strette, quasi claustrofobiche. Salirono quelle scale, arrivando presto a una porta piccola e malridotta. Kenny aprì anche quella e Levi prese un profondo respiro. Mise piede all’interno della casa e sentì un nodo sciogliersi in gola: era tutto rimasto come un tempo. I quadri alle pareti, i mobili ingialliti dal tempo, la muffa agli angoli del muro in fondo al corridoio. Levi si addentrò ancora di più all’interno della casa e lanciò uno sguardo alla cucina. Era il suo posto preferito, da bambino. Era lì che si nascondeva per sfuggire alla rabbia dello zio dovuta alle sue continue risse con gli altri bambini del quartiere. Era lì che, la sera, sedeva a quel tavolo, sempre con quello stesso zio che, però, gli porgeva sotto gli occhi un piatto caldo e qualche bevanda troppo forte, per il piccolo uomo che era. Era lì che vide sua madre per l’ultima volta.
Levi non si trattenne, ma diede le spalle allo zio per non dargli la soddisfazione di vedere quella lacrima che gli stava rigando la guancia sinistra. Kenny si poggiò all’uscio della porta, incrociando le braccia e senza dire una parola. Levi sospirò e si schiarì la voce, per non imprimerla della stessa nota amara delle sue lacrime.
«Puoi lasciarmi un attimo da solo?»
Kenny si voltò a guardare la nuca del ragazzo. Si sfilò il cappello che portava alla testa e si spostò dalla porta.
«Ti aspetto in fondo alle scale» disse semplicemente, prima di sparire oltre la parete.
 
Tre quarti d’ora dopo, Kenny e Levi erano già in macchina. Quest’ultimo aveva raggiunto lo zio con lo stesso sguardo inespressivo di sempre. Poi, gli aveva chiesto di portarlo in qualche posto lontano da lì.
Arrivarono in una grande piazza, illuminata dal sole e dalle risate dei bambini. Anche qui c’era una fontana, ma zampillava piena di vita. Kenny e Levi avevano preso posto su una panchina davanti a una Chiesa e stavano mangiando un gelato.
«Oggi stiamo proprio esagerando» disse Kenny, portandosi una mano allo stomaco «Più tardi dovrò rimediare a tutta questa dolcezza con qualcosa di salato da mettere sotto i denti»
Levi annuì. Stava sorridendo.
«Mi ricordo ancora quanto dovevo implorarti per avere uno di questi» guardò il cono che teneva tra le mani «E adesso sono anni che non ne mangiavo uno»
Kenny allungò un braccio sullo schienale della panchina, divaricando le gambe.
«Come ti trovi, con quel pub?» chiese, posando lo sguardo su un bambino che era appena caduto rincorrendo un amico «Pensi di esserti sistemato, finalmente?»
Levi seguì lo sguardo di Kenny e vide che il bambino aveva cominciato a piangere. Stranamente, le sue urla sembravano non infastidirlo.
«Mi trovo bene. Riesco a farmi un mucchio di soldi e i clienti sono ormai come una famiglia…» Kenny sentì una morsa allo stomaco a quell’ultima parola, ma non disse niente «Però non mi sono sistemato. Non ancora. Non sono sicuro che accadrà mai»
Kenny scoppiò a ridere, battendo un piede a terra e una mano sulla spalla del ragazzo.
«Porca puttana, Levi! Hai già trentacinque anni! Vuoi passare davvero tutta la vita a vagare di porto in porto senza ancorarti da nessuna parte?»
«Sto bene, così. E se un giorno dovessi trovare un porto in cui vale la pena fermarsi, la mia ancora agirà da sola» Levi spostò lo sguardo su quello di Kenny, senza accorgersi della macchia di gelato alla vaniglia che gli era rimasta all’angolo della bocca «E poi, parli proprio tu? Eri più grande di me, quando…»
Quando sei sparito per sempre pensò. Ma non voleva dirlo. Non voleva rovinare quel momento. Stava bene, e non voleva prendere discorsi che avrebbero potuto distruggerli l’umore. Ma Kenny aveva capito. Eppure, sembrava non essersela presa.
«Ma, infatti, io mi sono fermato» rispose lo zio «Ma tu questo non lo sai» prese uno dei tovaglioli che avvolgevano il suo cono e ripulì il muso del nipote «Sei ancora un bambino del cazzo»
Levi sentì di nuovo quel groppo in gola. Gli occhi gli divennero lucidi, ma trattenne le lacrime. Kenny appallottolò il tovagliolo e lo lanciò verso il cestino alla sua destra. Levi lo guardò, ingoiando quel boccone dolceamaro.
«Grazie» disse, con un filo di voce. Poi tornò a concentrarsi sul gelato e sul bambino che, nel frattempo, aveva ripreso a ridere e a giocare «Cosa intendi dire? In che senso, ti sei fermato?»
Kenny incrociò le braccia, muovendo un piede su e giù. Aveva un sorriso stampato in volto, ma non il suo solito ghigno beffardo.
«Mi sono fermato. Ho trovato qualcuno che mi ha salvato e che mi ha preso con sé. Ho abbandonato tutto ciò che apparteneva alla mia vecchia vita e ho iniziato a lavorare onestamente. Avevo perfino considerato l’idea di sposarmi, ma, purtroppo, non sono riuscito a trovare nessuno alla mia altezza» Kenny fece l’occhiolino al ragazzo, che, con lo stesso gesto dello zio, appallottolò il tovagliolo lanciandolo verso il cestino, ma mancandolo.
«Lavorare onestamente? Tu
Levi era incredulo. Nei suoi ricordi, lo zio era una figura evanescente che compariva e scompariva nel nulla, sempre in fuga da qualcuno o da qualcosa. La vita di lui aveva influenzato molto anche le scelte del nipote, che, però, grazie all’aiuto di Erwin, aveva trovato la sua strada.
Kenny sbuffò, portando una mano al cappello.
«L’essere umano è un animale sociale. Che tu lo voglia oppure no. Anche io ho sempre amato la solitudine e l’ho ricercata perfino nell’incontro con gli altri quando usavo il prossimo come un pretesto per lasciarmi qualcun altro alle spalle. Eppure, arriva un giorno in cui ti rendi conto che ti manca qualcosa e temi che sia già troppo tardi»
«Non capisco» lo interruppe Levi, poggiando i gomiti sulle ginocchia «A un certo punto della tua vita, hai incontrato qualcuno. Qualcuno che ti ha salvato e che ti ha portato a vivere rettamente. Non capisco perché incontrare qualcuno e prendere una strada diversa debbano essere due cose complementari»
Kenny inclinò la testa, guardando fisso di fronte a sé. Era diventato serio e il suo piede aveva smesso di muoversi. Levi non riusciva a comprendere se fosse triste o soltanto pensieroso.
«Vedi, nanerottolo… la vita è una merda, e questo tu lo sai meglio di chiunque altro. È come se fossimo in balia di una tempesta a bordo di una scialuppa malridotta dalla quale non riusciamo a vedere la terraferma» Kenny si posizionò allo stesso modo di Levi, portando il busto in avanti «Ma i porti di cui ti parlavo prima, li attraversiamo ogni giorno. Sono ovunque, attorno a noi. Sono il tuo lavoro, sono la tua casa, sono le persone di cui ti circondi per rendere un po’ più dolce questo ammasso di sangue e lacrime. Ma gettiamo l’ancora solo quando abbiamo trovato quel porto che ci spinge a restare, perché sappiamo bene che, pur continuando a vagare per i sette mari, non troveremo mai niente di meglio, niente di più giusto per noi»
Levi strabuzzò gli occhi, incredulo. Sì, Kenny era cambiato. Non sapeva se fosse l’effetto di quel caffè corretto o se semplicemente fosse impazzito, ma, di certo, non era il Kenny che ricordava lui.
«Ma che cazzo stai dicendo?» esclamò il ragazzo «Ma ti sei rincoglionito? Ti droghi?»
Sul volto di Kenny tornò quel sorriso beffardo, tanto familiare. Poi si ricompose, poggiando la schiena allo schienale della panchina e portando il piede sinistro sul ginocchio destro.
«La tua scialuppa ce l’hai già» disse, continuando a guardare altrove «E sono quei due stronzi che ti porti dietro da una vita. Sono loro la tua salvezza, il vero motivo per cui non sei ancora affogato tra le onde. Devi solo trovare il porto dove parcheggiare questa cazzo di scialuppa e tornare per sempre sulla terraferma»
Ma a me la tempesta piace pensò Levi E sai che noia, vivere senza nessun rischio per tutta la vita?
«Kenny…» disse Levi, posando una mano su quella dello zio «Sei sicuro di stare bene?»
Kenny ridacchiò.
«Te l’avevo detto, io. Ma mi farò fermare il cuore prima di diventare totalmente rincoglionito, te lo posso giurare»
 
Kenny riaccompagnò Levi al bar dove fecero colazione. Lì, Levi aveva lasciato la sua macchina. Il ragazzo scese dall’automobile dello zio e fece per attraversare la strada, quando si accorse che Kenny era rimasto in macchina.
«Mi segui guidando?» chiese, prendendo le chiavi dalla tasca destra del pantalone.
Kenny alzò le spalle, con un’espressione indecifrabile sul volto.
«Veramente, non ho proprio intenzione di seguirti»
Levi impallidì. Ma, d’altronde, cos’altro poteva pretendere? Kenny aveva perso una giornata intera appresso a lui, non poteva credere, realmente, che sarebbe rimasto per più di un giorno. Lo conosceva bene. Eppure, quella volta stava avendo almeno la decenza di dargli un ultimo addio.
Levi si avvicinò alla macchina di Kenny e poggiò le mani al finestrino completamente abbassato. Kenny si voltò verso di lui, senza togliersi quell’espressione dal volto.
«Allora è così che te ne vai…»
Kenny spinse la nuca verso il poggiatesta.
«Quella ragazza, Yelena… Quanto pensi che durerà? Ti sembra un porto sicuro?»
Levi aggrottò le sopracciglia. Come faceva, Kenny, a sapere addirittura di Yelena?
«Da quanto mi stai spiando?»
«Praticamente da sempre» rispose Kenny, guardando oltre il parabrezza «Ma, in particolare in questo periodo, da quando mi hanno diagnosticato il cancro»
Levi digrignò i denti. Non poté che pensare ad Hanji ed Erwin, le sue scialuppe. Possibile che gli avessero tenuto nascosta, per tutti quei mesi, la presenza di Kenny? O lo zio aveva semplicemente mandato qualcuno a indagare per lui?
«Alla fine, ti sei preso gioco di me fino all’ultimo. Chi è stato? Hanji? Erwin? Mikasa? O qualcuno che si è presentato a me come uno di quei porti di cui parlavi quando in realtà stava solo facendo il lavoro sporco per qualcun altro?»
«Nessuno ha dovuto fingere niente, Levi. Non ti avrei fatto una cosa del genere, non adesso. Non ora che me ne sto andando via per sempre»
Levi chiuse gli occhi. Era una cosa che lo aveva sempre infastidito. Il pensiero di essere seguito, studiato, controllato, solo perché lo zio non aveva il coraggio di mostrarsi a lui e la pazienza di restare. Fino all’ultimo, era stato coerente con sé stesso.
«Quanto gli hai dato?» chiese infine, riaprendo gli occhi e puntandoli su quelli dello zio «Quanto costa un servizio del genere?»
Quanto vale tuo nipote? pensò Levi, guardando le mani che gli tremavano. Kenny si voltò verso di lui, impassibile. Il viso era rilassato, così come i suoi muscoli. Sembrava del tutto calmo.
«Non ha voluto soldi. Non dopo aver sentito tutta la storia…»
«Ma di che parli?»
«Levi, non potevo essere qui. Non subito. Ma la scoperta di aver poco tempo da vivere mi ha completamente destabilizzato. Io non credevo nemmeno di riuscire ad arrivare a questo giorno, vivevo con la perenne attesa di non svegliarmi più»
Levi tornò a respirare regolarmente. Anche i battiti del cuore sembravano essersi calmati. Quelle parole lo avevano colpito come uno schiaffo dritto in faccia. Anche uno stronzo come Kenny, in fondo, aveva paura di morire.
«Quindi, perché? Perché hai convinto qualcuno a seguirmi?»
«Perché dovevo essere certo che tu stessi bene. E avevo bisogno di qualcuno che se ne accertasse per conto mio, per poter morire tranquillo. Ma, fortunatamente, sono riuscito a sopravvivere tanto a lungo da poterti rivedere con i miei stessi occhi»
Levi aprì lo sportello ed entrò in macchina, lasciando la portiera aperta. Erano troppe le emozioni che aveva provato durante quella giornata e sentiva di non riuscire a capire più molto di quello che stava succedendo.
«Lo sai. Lo sai che odio che la gente sappia certe cose di me e della mia vita. Erwin e Hanji sono gli unici a conoscermi davvero. La tua spia, chiunque essa sia, non ha nemmeno voluto i soldi, tant’è che gli ho fatto pena…»
Kenny sputò fuori dal finestrino, portando una mano sul manubrio.
«Non credo sia andata proprio così. Forse, ha solo voluto darti una mano» Levi stava per controbattere, ma Kenny si affrettò a colpirlo con un calcio, facendolo uscire fuori dalla macchina «O forse è stata solo una vendetta personale. Prova a chiederglielo!» urlò poi, richiudendo la portiera e facendo partire la macchina.
Levi si alzò da terra, scrollandosi la polvere di dosso. Guardò l’auto allontanarsi davanti a lui e vide la mano di Kenny uscire dal finestrino per mostrargli il dito medio. Levi ricambiò allo stesso modo e urlò un sonoro “vaffanculo”. Poi sospirò, mentre il sole continuava a picchiare forte sopra di lui.
«Addio, papà» sussurrò piano.
 
Qualche ora dopo, Levi stava salendo delle scale che aveva già avuto modo di percorrere. Era stranamente tranquillo, probabilmente perché la mattinata era stata così satura di emozioni che, adesso, il suo stesso corpo rifiutava qualsiasi sentimento. Si era accordato con Hanji e sapeva che avrebbe trovato a casa la persona che stava cercando. Raggiunse il corridoio e lo attraversò a passo moderato. Non si sentiva alcun rumore.
Si trovò di fronte a quella porta già vista in precedenza ma, questa volta, bussò al campanello. Si portò una mano ai capelli e attese. Sentì dei passi, una porta che sbatteva e ancora dei passi. Poi, finalmente, la porta si aprì.
«Allora?» chiese Levi «Non dovresti chiedere, prima, chi è? O stavi aspettando qualcuno e ti ho rovinato lo spasso?»
Maribel guardava Levi dall’uscio della porta. Non l’aveva spalancata del tutto e non sembrava avesse intenzione di fare entrare il ragazzo.
«Che cosa vuoi?»
«Cazzo, hai ancora il coraggio di essere incazzata con me nonostante la tua farsa di questi ultimi mesi?» urlò Levi, battendo una mano sul muro «È per questo, che sei sparita? Per dare meno nell’occhio?»
«Non so di cosa tu stia parlando…»
Maribel si voltò e stava per chiudere la porta, ma Levi fu più veloce ed entrò dentro casa spingendo la porta e richiudendosela poi con forza alle spalle. Maribel lo guardò con ancora più rabbia. Levi la trovò ridicola, con quei pugni stretti e quelle sopracciglia che sembravano combattere per assumerle un’espressione che non rispecchiava i suoi veri sentimenti.
«Dimmi che non ne hai parlato con nessuno» disse Levi, avvicinandosi a Maribel che, nel frattempo, indietreggiava «Nemmeno a tuo padre. Che non lo hai detto al tuo nuovo giocattolino o, peggio ancora, a quella scimmia di merda. Dimmi che non ne hai fatto parola nemmeno con Marzia»
Maribel arrivò con la schiena contro il muro e Levi finalmente si fermò. Le loro altezze quasi combaciavano e lui si mise a studiare quegli smeraldi incastonati sul viso di lei, sempre così carichi di espressione da parlare più chiaramente della sua bocca. Levi ebbe la conferma che stava solo fingendo di essere arrabbiata. Forse, lo aveva sempre fatto.
«Non so di cosa tu stia parlando» disse di nuovo lei, dopo qualche secondo di pausa.
Levi rilassò i muscoli. No, Maribel non ne avrebbe parlato con nessuno. Un po’ la odiava, l’aveva sempre fatto e sembrava non esserci un motivo reale per tutta quella antipatia nei confronti di lei. Ma, adesso, capiva. Levi non sapeva quasi nulla di Maribel, nonostante anche lui, prima di lei, si fosse trovato a investigare sulla sua vita. Eppure, per certi versi le somigliava. Ed era proprio quella parte di lei che gli ricordava lui stesso, la cosa che gliela faceva odiare terribilmente.
«Mi dici perché ti sei incazzata?» chiese poi Levi, cogliendola di sorpresa «E perché sei sparita così con tutti? Hanji c’è rimasta molto male, non se lo merita»
Maribel portò le braccia in avanti e spinse Levi con forza. Più forza di quanto lui potesse immaginare.
«Se pensi che c’entri qualcosa con mio padre, ti sbagli. Sapevo bene che non ti stava più pagando per i suoi loschi piani»
Maribel portò Levi nuovamente davanti la porta e l’aprì.
«E allora scusa se ho dubitato della tua lealtà nei confronti di Mikasa. Mi dispiace, non avrei dovuto, ma, in fondo, non ti conosco così bene. E lei è sempre la mia nipoti…»
Maribel scoppiò a ridere e Levi smise di parlare.
«Senti, lascia stare. Dormi sereno. Tu non hai fatto niente di male, hai la coscienza pulita» Maribel spinse Levi fuori dalla porta e lo guardò per un’ultima volta «Dico davvero. A volte ho dei comportamenti un po’ infantili e vengo a creare questi fraintendimenti. Ma non sono incazzata con te, né con nessun altro. Ci vediamo stasera o domani»
Maribel chiuse quella porta che Levi rimase a fissare per qualche secondo. Poi sbruffò, si incamminò verso le scale e scese giù, dimenticandosi di quel foglio ripiegato all’interno del portafogli.
 

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Capitolo 10
*** Primo appuntamento ***


Primo appuntamento
 
Casa Jager era ciò che Erwin aveva sempre sognato: una villetta in campagna, lontana dal caos della città, a due piani. Un grande giardino, un’ampia cucina, una stanza in più per gli ospiti e un salone ricco di mobili d’antiquariato. In quella calda giornata di giugno, Erwin sedeva sotto la tenda del gazebo di quella grande casa. Beveva un tè freddo, anche se non bastava a rinfrescargli il corpo coperto da una camicia azzurra e un paio di pantaloni di lino color nocciola. Grisha era di fronte a lui e mordicchiava la cannuccia dentro il suo gin tonic.
«Quindi non ti dispiace se mi dai il cambio durante questa settimana di ferie?» chiese Grisha, allontanando, per un momento, le labbra dalla cannuccia «È che mi viene più semplice. Il tuo studio si trova proprio di fronte al mio e, così, anche i pazienti che arrivano d’urgenza possono subito rivolgersi a te. E, poi, sei probabilmente il collega di cui mi fido di più»
«Grazie» rispose Erwin, sorseggiando il suo tè «Andrete solo tu e Carla?»
«Sì. Eren dice di essere troppo impegnato per gli esami, ma ha raggiunto l’età in cui rifiuta qualsiasi contatto non necessario con i suoi genitori già molto tempo fa…»
Erwin sorrise. Avrebbe voluto prendersela anche lui, una settimana di ferie. Ma gli mancavano i suoi amici e avrebbe aspettato che fosse libera anche Hanji.
«Sei fortunato» disse Erwin «Vivi in un posto meraviglioso»
Grisha finì di bere il suo gin tonic e si sistemò meglio sulla sedia.
«Grazie, Erwin. Piace molto anche a me. Io, invece, non riesco a capire come tu riesca a vivere in quelle quattro mura…»
Erwin posò il bicchiere sul tavolo e si passò una mano tra i capelli.
«È una situazione temporanea. Spero. Per adesso sono da solo, avrei potuto continuare a stare da Levi, invece di comprare casa, o, comunque, vivere in affitto. Ma, magari, potrebbe servirmi come investimento per il futuro. Con tutti gli studenti a Eldia che vivrebbero in una topaia per risparmiare…»
Grisha strinse gli occhi, guardandolo attentamente.
«No, davvero, Erwin, non so come fai» l’uomo si sistemò il colletto della camicia e incrociò le gambe «Non so come fai a vivere senza una donna al tuo fianco»
Erwin iniziò col suo tic nevrotico, muovendo la gamba su e giù. Conosceva Grisha da molto tempo, ma il rapporto tra i due si era consolidato solo negli ultimi mesi. Tuttavia, non gli sembrava ancora giunto il momento di prendere certi argomenti. Non solo parlare di certe cose lo imbarazzava, ma, soprattutto, non avrebbe saputo come comportarsi se Grisha avesse preso un argomento ancora più delicato.
«Beh, sono un uomo adulto» rispose semplicemente Erwin, visibilmente in imbarazzo «Cosa dovrebbe fare Levi, allora?»
«No, è diverso» disse Grisha «Levi non ha mai vissuto come hai vissuto tu. Come ho vissuto io» Erwin fissò lo sguardo sul bicchiere ormai vuoto, non sapendo come replicare «Il fatto è che, da quando è morta Dina, mi sono sentito spento un po’ anche io»
Erwin fermò la gamba. Il momento che tanto temeva era arrivato.
«Non credo che io possa capire quello che intendi» rispose «Io sono reduce da un divorzio e, per quanto sia stata dura, una situazione del genere non può essere paragonata a…»
A cosa? pensò Erwin, nervoso Con che parole posso spiegarmi, senza sembrare inopportuno?
«Non si tratta di essere divorziati o vedovi» lo salvò Grisha «Ma l’abitudine stessa di vivere con qualcuno al tuo fianco. Non hai pensato di ricominciare da zero? Di provare a conoscere qualcun’altra? O non hai iniziato a vedere con occhi diversi qualcuna che già conosci?»
Ma perché stiamo parlando di questo? si chiese Erwin, riprendendo il movimento della gamba.  
«Io… non ne sento l’urgenza» rispose semplicemente, continuando a non guardare Grisha negli occhi «Piuttosto, molto buono questo tè. Ne vorrei anc…»
«Ma tu, non vuoi avere una famiglia?» Erwin alzò gli occhi al cielo, ormai rassegnato «Non vuoi provare la gioia di stringere una creatura tra le braccia? Un essere vivente che è solo tuo e della donna con cui hai scelto di vivere il resto dei tuoi giorni?»
Erwin avrebbe voluto rispondere di sì. Avrebbe voluto dirgli che, nei suoi sogni, viveva in una casa come la sua e con una moglie che lo amava e che gli avrebbe dato un sacco di figli. Avrebbe voluto dirgli che, se avesse potuto scegliere, il suo primo bambino sarebbe stato una femmina. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma, soprattutto, che non aveva senso parlare di ciò che uno sognava quando, alla fine, è sempre la vita a scegliere per noi.
«Erwin!» esclamò Carla, comparendo all’improvviso oltre la porta di casa come un salvagente «Gradisci altro tè?»
«No, ti ringrazio» rispose Erwin, affrettandosi ad alzarsi dalla sedia «Allora credo che ci rivedremo direttamente dopo le tue ferie» disse poi a Grisha, porgendogli una mano.
Grisha ricambiò il saluto, senza smettere di guardarlo in modo molesto.
«Ci vedremo, Erwin. Ci vedremo presto»
Erwin lasciò andare la mano del collega, pensando che quelle parole suonassero proprio come una minaccia, poi indossò gli occhiali da sole e si diresse verso il cancello.
«Arrivederci, allora» disse, senza voltarsi.
«E ricorda» gli urlò Grisha, quando Erwin aveva già raggiunto il cancello «Di prenderti una vacanza anche tu»
Erwin gli fece un cenno con la testa e si richiuse il cancello alle spalle. Poi pensò che avrebbe avuto bisogno di due vacanze: una dal lavoro e una dall’intero genere umano.
 
Il giorno dopo, Hanji era seduta scompostamente sul divano di Erwin, a testa in giù, con le gambe poggiate sullo schienale e un ventilatore dritto in faccia. Erwin stava riempendo di gelato due bicchieri e, nel frattempo, cercava di tenere a bada Elsa che gli saltava addosso per richiedere del cibo.
«Quando pensi di finire?» chiese lui.
Hanji si sistemò gli occhiali, e sembrò ridestarsi all’improvviso da un lungo pensiero.
«Eh?» disse, poco prima di trovare una posizione più consona «Metà luglio, più o meno»
Erwin posò i bicchieri sul tavolino davanti il divano e Hanji sembrò riprendersi all’improvviso.
«Credi che Levi voglia partire?»
Hanji prese il suo bicchiere e il cucchiaino accanto.
«Non importa, lo rapiremo»
Erwin guardò Hanji mangiare il suo gelato con gusto e si sentì sollevato. Solo un mese prima, la donna aveva preso a comportarsi in modo strano e a prendersela un po’ per tutto. Ma, in fondo, credeva fosse normale: Hanji è sempre stata la più piccola dei tre, ha visto Erwin andarsene all’improvviso dopo la laurea e il suo matrimonio con Lexa e, quando anche Hanji aveva fatto le valigie per andare via, il suo rapporto con Levi si era inevitabilmente raffreddato. Ma Erwin voleva bene a entrambi, come se fossero ancora i tre coinquilini che si trovavano a studiare alle due del mattino per un esame imminente e a tenersi la testa sopra il gabinetto dopo una nottata alcolica.
«Come va con Marzia?» chiese poi lui, iniziando finalmente a mangiare il suo gelato.
Hanji alzò le spalle.
«Come sempre. Ma da quando Maribel è tornata, abbiamo meno tempo per stare da sole…»
«Non credi sia arrivato il momento di trovarti un’altra sistemazione?»
Hanji alzò lo sguardo verso di lui ed Erwin si sentì pietrificare. Sì, forse non era carino da dire. Sì, forse poteva trovare parole migliori, data la sensibilità dell’amica. Ma ciò non toglieva il fatto che Erwin pensava davvero ciò che aveva lasciato intendere con quella domanda.
«Stai dicendo che sono di troppo?» sbraitò Hanji, quasi lanciando il cucchiaino «Stai dicendo che siccome lo hai fatto tu dovrei anche io prendere le mie cose e andarmene via?»
«No, non intendevo questo» disse Erwin, con calma «Io lo dico per te. Non vivresti meglio, con un po’ più di autonomia?»
Hanji scosse la testa, ma non replicò. Pensò che Erwin avesse ragione e, in realtà, lei stessa aveva pensato, più volte, di lasciare casa di Levi e iniziare a vivere per conto suo. Ma era proprio Marzia a fermarla: quella donna era entrata così all’improvviso e le cose tra loro avevano preso a correre fin troppo velocemente. Non che le dispiacesse averla accanto. Ma temeva di bruciare le tappe e rovinare, inevitabilmente, la loro relazione.
O di finire come Levi e Yelena si disse tra sé e sé, persa nei suoi pensieri.
«E dove vorresti andare?» disse infine Hanji, cambiando argomento «In vacanza. Hai già pensato a una meta?»
Erwin rimase sorpreso. Credeva che Hanji avesse intenzione di cominciare una discussione infinita e invece la situazione si era risolta prima che potesse esplodere.
L’uomo fece spallucce e riprese a mangiare il suo gelato.
«Ancora non lo so. So solo che voglio passare un po’ di tempo con entrambi. Un po’, mi mancate»
 
Il primo giorno di lavoro senza Grisha, fu particolarmente stancante. Ogni volta che un paziente lasciava lo studio e apriva la porta, Erwin poteva veder crescere sempre di più il numero di persone nella sala d’attesa. Nel frattempo, il telefono continuava a squillare ininterrottamente a causa di tutti quelli che avevano l’urgenza di prenotare un appuntamento o di chiedergli qualcosa di veloce senza dover necessariamente passare in studio.
Alle sei e mezza del pomeriggio, finalmente, Erwin congedò l’ultimo paziente. Era stanco morto ma, soprattutto, aveva una gran fame. Si era svegliato all’alba e, vista la grande quantità di lavoro, aveva preferito saltare il pranzo, piuttosto che ritardare ancora di più l’orario di chiusura. Stava per infilare le chiavi nella serratura della porta dello studio, quando sentì l’ingresso principale aprirsi.
Dannazione pensò, senza voltarsi, sperando che, chiunque fosse la persona appena entrata, si rendesse conto da sola che ormai era troppo tardi. Prenotazioni non ce n’erano più ed Erwin avrebbe potuto benissimo congedare il paziente appena arrivato. Ma, nonostante la stanchezza, non riusciva a negare quell’ultima visita. Allontanò le chiavi dalla serratura e si voltò alle sue spalle.
«Non fa nulla. Sono arrivata più tardi per evitarmi la fila, ma mi rendo conto che è fin troppo tardi»
Erwin rimase di sasso. Davanti a lui c’era Seraphine, la collega di Hanji di cui quasi si era dimenticato. Quella donna strana, un po’ stupida, forse, ma Erwin stesso si rendeva conto che si stava soltanto facendo influenzare dai pregiudizi. D’altronde, l’aveva conosciuta durante una serata in cui, anche lui, non dovette di certo brillare d’intelligenza. Ma una cosa, Erwin, se la ricordava bene: il modo in cui lei lo aveva provocato per tutta quella sera. E la sua arresa definitiva dentro i bagni dell’Ackerman Pub. Ma, di questa cosa, ne erano a conoscenza soltanto loro due.
«Prego» disse Erwin, aprendo la porta dello studio e facendo cenno alla donna di entrare «Sei l’ultima, ormai. Non mi cambia nulla chiudere un po’ dopo»
Seraphine scosse la testa, portando le mani aperte sopra le spalle.
«In realtà, mi serve soltanto una ricetta. Ho un’infezione che mi si ripresenta più volte e so già cosa prendere. Però ho bisogno della ricetta, per gli antibiotici…»
Erwin entrò di fretta nello studio e prese un foglio per le ricette mediche. Poi estrasse una penna dal taschino del camice, prima di sfilarselo. Uscì dallo studio e chiuse la porta.
«So che parlare di infezioni e antibiotici non è il massimo, durante una cena. Ma io sto letteralmente morendo di fame e pensavo di uscire a mettere qualcosa sotto i denti»
«Ma a me serve solo la ricetta» rispose Seraphine, come a volersi giustificare.
«Lo so» disse Erwin, spegnendo tutte le luci e recandosi verso la porta «Mi chiedevo se non avessi fame anche tu»
Seraphine si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mostrando un brillantino incastonato nel lobo.
«Mi stai invitando a cena fuori?» sorrise.
Erwin chiamò l’ascensore, mentre Seraphine usciva nel corridoio.
«È pur sempre un appuntamento col medico» rispose lui, chiudendo la porta a chiave.
Seraphine non disse nulla. Aspettò che arrivasse l’ascensore ed Erwin le fece cenno di entrare per prima. Poi lui pigiò il tasto per raggiungere il piano terra e le porte si richiusero.
 
Hanji guardava l’orologio in continuazione, mentre il suo stomaco continuava a brontolare di punto in bianco. Era sotto casa con Levi e Yelena e stava aspettando che arrivasse Marzia, per andare tutti insieme a cena fuori. Si sentiva terribilmente in colpa per non averne fatto parola con Erwin, ma pensò che non sarebbe stato il caso di farlo uscire da solo con due coppie.
Erano le otto in punto quando, finalmente, Marzia arrivò. Hanji salì in macchina con lei e Yelena seguì Levi verso la sua automobile. Poi partirono, diretti verso il ristorante giapponese che Hanji amava tanto.
 
Erwin stava mangiando i suoi ravioli con una certa calma. Avevano dovuto aspettare mezz’ora, dopo essere arrivati al ristorante, per potersi sedere a mangiare. Lui stava morendo di fame ma, una volta lì, decise di fare le cose con calma: era da tanto tempo che non faceva qualcosa d’istinto e trovarsi lì con Seraphine lo faceva stare sorprendentemente bene. E voleva godersi quei momenti in tutta calma.
«Quindi sei nato qui, ma sei ritornato quest’anno dopo un lungo periodo fuori città. Come mai ti eri trasferito?»
Erwin rifletté sulla domanda che la donna gli aveva posto, ma decise da subito che non era il caso di parlare del suo matrimonio fallito. Non durante quello che lui sperava essere un primo appuntamento, non l’unico.
«Avevo voglia di cambiare aria» rispose, scrollando le spalle «Tu, invece, di dove sei?»
«Marley» disse, cercando di prendere un uramaki con le bacchette di bambù «E sì, lo so, ti chiederai come mai mi sono spostata in questa grande isola apparentemente insignificante…» Seraphine riuscì finalmente a prendere l’uramaki e lo avvicinò alla bocca «Diciamo che volevo andare il più lontano possibile da certi ricordi»
Erwin vide Seraphine imboccare l’uramaki e gli venne in mente Hanji: lei amava quel ristorante ed erano mesi che implorava lui e Levi per farle compagnia a mangiare lì. Pensò che sarebbe andata su tutte le furie se avesse scoperto di quell’appuntamento dalla collega e decise di parlarne chiaramente con Seraphine.
«Senti» disse, versando del vino bianco in entrambi i bicchieri «Non so se ti farà piacere sentirtelo dire, ma preferirei che Hanji non sapesse di questa…cosa»
Seraphine bevette un sorso.
«Perché? Ci sono stati dei problemi tra di voi?»
Erwin si tranquillizzò. Nonostante la domanda, Seraphine non sembrava essersela presa. Sembrava soltanto curiosa.
«No. È solo che è molto… protettiva» scandì bene quell’ultima parola «E non vorrei che prendesse questa cosa troppo a cuore. E, poi, non sa nemmeno della cosa successa a marzo»
Seraphine sorrise.
«Continui a parlare di “cose”. Sembra quasi che l’argomento ti imbarazzi…» Erwin abbassò lo sguardo, confermando l’ipotesi della donna «Erwin, se c’è qualcuno che deve vergognarsi di qualcosa, sono io. Se non fossi stata ubriaca, quella sera, mi sarei comportata in modo diverso. E, probabilmente, avrei cercato di…» fece una pausa «Far funzionare la cosa» rise, avendo usato, volontariamente, lo stesso termine di Erwin «Ma mi sono comportata davvero in modo ridicolo e infantile. E se adesso sono qui con te, a parlare di tutto questo durante un appuntamento improvvisato è perché…» fece un’altra pausa, posando lo sguardo su quello di Erwin «Perché tu sei stato molto più maturo di me e non hai approfittato di quel bacio per infilarti dentro al mio letto»
Erwin ripensò a quella sera e sentì il sangue salirgli al volto. Aveva creduto che Seraphine gli fosse indifferente, che lo stesse, addirittura, infastidendo con le sue attenzioni. Ma, in realtà, era soltanto ancora troppo aggrappato al passato per poter vedere in un’altra donna ciò che aveva visto in Lexa. Per questo, durante la festa di Eren, quando Hanji era sparita e Levi era troppo impegnato con il suo stupido gioco della guerra, Erwin si era comunque arreso a quella donna che lo aveva guidato sul retro, lontano dagli altri, ricambiando quell’unico bacio che era pesato sulla coscienza di Erwin per giorni.
Certe volte invidiava Levi, per riuscire a prendere certe cose con una certa leggerezza. Ma, lui, non era così. Era l’esatto opposto. Erwin non era mai stato il tipo da scindere ragione e sentimento. Tutto ciò che pensava, aveva un certo peso anche sulle sue emozioni. E non riusciva ad assecondare i suoi sentimenti senza valutare prima tutte le conseguenze di certe azioni.
Erwin stava per rispondere a Seraphine, quando vide, con la coda dell’occhio, un’auto fin troppo familiare parcheggiare proprio di fronte la vetrata del ristorante. Erwin si voltò per guardare meglio ed ebbe la conferma che si trattava della macchina di Levi. Subito dietro la sua, stava parcheggiando Marzia.
Erwin si portò una mano al volto, pensando a quanto potesse essere crudele il destino.
«Seraphine…» disse, senza smettere di guardare le due automobili «Tu hai ancora fame?»
Seraphine seguì lo sguardo di Erwin e vide i quattro scendere dalle macchine. Scoppiò a ridere.
«Credi siano diretti qui?»
«Sono le otto e un quarto» rispose Erwin, guardando l’orologio «E non ci sono altri ristoranti vicini. E non credo vogliano fare una passeggiata romantica al chiaro di luna…»
Però, che stronzi pensò Erwin Potevano almeno fingere di chiedermi se mi andasse di cenare con loro…
Seraphine si alzò dalla sedia, prendendo la sua borsa. Alzò una mano per chiamare un cameriere dicendogli di portare urgentemente il conto. Erwin si sentì terribilmente in colpa, ma Seraphine stava continuando a ridere.
«Ho mangiato troppo» disse lei «A me non dispiacerebbe fare una passeggiata adesso»
Erwin si affrettò a prendere il portafogli e lasciò delle banconote sul tavolo prima ancora che arrivasse il cameriere con il conto. Poi prese Seraphine per mano e la trascinò verso il bagno. Hanji e gli altri stavano per entrare e c’era un'unica porta come ingresso e come uscita. Lui e Seraphine avrebbero aspettato che gli amici di lui si sedessero per poi sbrigarsi ad andare via.
Quando Erwin si richiuse la porta del bagno alle spalle, Seraphine si lasciò andare a un’altra risata. Lui, ancora col respiro pesante per la tensione, si voltò a guardarla, poggiando la schiena sul muro. La vide in quell’anonima camicia bordeaux, in quei jeans un po’ rovinati sulle caviglie, con quei capelli imperfetti e un po’ scompigliati. E la trovò bella, molto più bella di quella fredda sera di marzo, nonostante fosse vestita di tutto punto.
«Mi dispiace, Seraphine» disse lui «Sono un uomo adulto, eppure mi ritrovo ancora a fare queste bambinate…»
Seraphine si guardò attorno, dondolandosi su una gamba.
«Ma che problemi abbiamo con i bagni? La prima volta che abbiamo parlato, eravamo in un bagno. Il nostro primo bacio è stato in un bagno. E la nostra prima cena finisce dentro a un bagno»
Erwin rifletté su quelle parole, soffermandosi su quel primo bacio e su quella prima cena. Il fatto che anche lei considerasse l’idea di rivederlo, gli fece sentire una strana sensazione allo stomaco. Una sensazione familiare, ma che non provava ormai da tempo.
Erwin sorrise. Stava pensando a cosa rispondere, quando si sentì il rumore di uno sciacquone provenire dal bagno degli uomini.
«Beh», disse poi «Anche un bagno può essere romantico, a modo suo»
Poi Erwin ebbe un pensiero improvviso e la sua espressione si fece seria. Aspettò che l’uomo uscisse dal bagno e prese di nuovo Seraphine per mano.
«Che cosa c’è?» disse lei «Tutto bene?»
Erwin iniziò a camminare dietro l’uomo a testa bassa, cercandosi di nascondersi alle sue spalle, miseramente fallendo.
«Dobbiamo uscire» rispose Erwin «Dobbiamo uscire subito da qui»
Seraphine non disse nulla, ma seguì l’esempio di Erwin e avanzò a testa bassa dietro l’uomo sconosciuto.
 
Hanji si sedette al tavolo e si affrettò a prendere il menù. Marzia e Yelena si sedettero accanto a lei e Levi le guardò disgustato.
«Che schifo» disse «Siete più simili a bestie che ad esseri umani»
Marzia guardò Hanji confusa.
«Che cosa abbiamo fatto?»
«Niente» rispose lei, continuando a guardare il menù «Ci siamo sedute al tavolo prima di lavarci le mani»
Levi si allontanò dal tavolo e si diresse verso il bagno. In quel momento, ricevette una telefonata. Era Erwin. Rispose alla chiamata, ma non sentiva nulla dall’altro capo del telefono. Tuttavia, era così impegnato a guardare il telefono che, fortunatamente, non si rese conto delle tre persone che gli passarono accanto mentre continuava a camminare verso il bagno.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Ebbene sì, non mi ero dimenticata di Seraphine xD Come avrete notato, mi piace “costellare” di elementi apparentemente insignificanti quasi ogni capitolo, per poi riprenderli andando avanti nella storia. Così come l’allontanamento di Maribel (il cui vero motivo, in realtà, verrà svelato solo tra qualche capitolo), anche il “disagio” tra Erwin e Seraphine dopo la festa di Eren aveva un suo perché. Come al solito, spero di non avervi deluso. A presto!
 

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Capitolo 11
*** Crisi passeggera ***


Crisi passeggera
 
Hanji si risvegliò in un caldo soffocante. Le serrande erano abbassate, proprio per evitare che la luce del sole battesse direttamente all’interno della stanza. Il rumore del ventilatore acceso, posto accanto a lei, sembrava più volerla riportare al sonno che spingerla ad alzarsi. Nonostante tutto quel caldo, Hanji non riusciva a staccare le sue braccia dal corpo di Marzia, che, già sveglia, era sdraiata al suo fianco.
«Almeno in camera di Maribel c’era il condizionatore…» disse la bionda, rendendosi conto che anche Hanji si era svegliata.
Hanji non rispose. Si alzò a sedere, ancora assonnata, poi sbadigliò e si alzò del tutto per andare ad alzare la serranda. Era già luglio e, a breve, le ferie di Hanji sarebbero iniziate. Quegli ultimi giorni erano stati particolarmente intensi: non pensava che il lavoro a scuola l’avrebbe tenuta più occupata dopo la fine delle lezioni. Perfino gli incontri con Marzia erano diventati meno frequenti, e, per questo motivo, Hanji aveva chiesto a Levi se la donna potesse stabilirsi per qualche tempo da loro. Stranamente, Levi non fece alcun’obiezione. Sembrava felice nel suo mondo ovattato e fin troppo zuccherato in cui si rintanava con Yelena già da qualche tempo.
«Vado a preparare la colazione» disse Hanji, stiracchiandosi prima di uscire dalla porta.
Hanji entrò in cucina, passando per il salotto, e trovò Levi già intento a bere il suo caffè.
«Buongiorno», disse lui, senza alzare lo sguardo dal giornale che stava leggendo.
Hanji lo guardò assonnata. Pensò che fosse l’unica persona al mondo a leggere ancora i quotidiani quando tutti gli altri venivano a conoscenza delle notizie tramite il web.
«Buongiorno», rispose Hanji, dirigendosi verso la moka che, con suo immenso piacere, era ancora calda.
La porta della camera di Hanji si aprì e uscì Marzia. Si avvicinò in cucina con molta più velocità rispetto a Hanji e, arrivata vicino a Levi, gli pose una mano sulla testa, stropicciandogli i capelli.
«Buongiorno, capo» disse. Poi si avvicinò a Hanji, abbracciandola da dietro. Era molto alta, Marzia, più della sua ragazza, così tanto da raggiungere Erwin «Ci ha già pensato lui alla colazione?»
Hanji riempì due tazze di caffè, poi si spostò verso il frigo per prendere qualcosa da mettere sotto i denti. Levi la chiamò con un fischio e le indicò dei cornetti coperti da un paio di strati di carta.
«Yelena è uscita presto, stamattina. Ci ha portato quelli» disse lui.
Gli occhi di Hanji si illuminarono, ma era ancora troppo stanca per parlare. Si fiondò verso il vassoio per prendere uno dei due cornetti e Marzia la seguì. Poi si sedettero al tavolo e iniziarono a consumare la loro colazione.
«Tra una settimana finisci, giusto?» chiese Marzia, prima di addentare il suo cornetto.
Hanji annuì.
«Sì. Non ce la faccio più. Questo caldo mi distrugge fisicamente e psicologicamente»
«Allora possiamo iniziare a parlare delle nostra vacanza»
Hanji si irrigidì. Lo stomaco le si chiuse all’improvviso. Levi alzò lo sguardò dal suo giornale per incrociare quello dell’amica e lei capì che lui intuiva perfettamente come si stava sentendo.
«Ma quale vacanza» disse Levi, chiudendo il giornale «Non ho intenzione di chiudere il pub. Al limite, possiamo organizzarci per passare la nottata di Ferragosto a mare. Se avete intenzione di fare altro, tenetemi fuori»
Levi si alzò, andando a posare la sua tazzina dentro il lavello. Hanji deglutì, per ingerire quel boccone che aveva tenuto in bocca troppo a lungo.
«Ma sì, Marzia» rispose «Non me la sento di fare due vacanze. Mi conosco, se sto troppo tempo a non far nulla poi non riesco più a riprendermi»
Marzia aggrottò le sopracciglia.
«Due vacanze?» chiese «Perché, ti sei già organizzata con qualcuno?»
Levi evitò di lavare la tazzina. Senza dire niente e senza guardare le altre due, si allontanò dalla cucina per richiudersi in stanza. Hanji posò il cornetto sul tavolo e si voltò a guardare Marzia. Come temeva, sembrava seccata.
«Ho promesso a Erwin e Levi di farci una settimana fuori, quest’anno»
Marzia la guardò con un’espressione indecifrabile.
«Ma Levi ha appena detto di non voler chiudere»
«Sì», rispose Hanji «Ma credo si riferisse al fatto di non voler chiudere più di una settimana. Avevamo già pensato a dove andare, stiamo solo aspettando che Erwin si decida a darci una data precisa. Non abbiamo nemmeno molta fretta per prenotare, dato che dobbiamo solo noleggiare un camper per un campeggio…»
Marzia si alzò dal tavolo, visibilmente nervosa. Lasciò il suo cornetto e il suo caffè e si affrettò a raggiungere la stanza di Hanji. Quest’ultima non la seguì, né si voltò a guardarla. Prese un lungo respiro e aspettò che uscisse nuovamente dalla stanza.
«Scusami» disse Marzia, rivestita, raggiungendo il tavolo per finire di bere il suo caffè «Non sono affari miei quello che fai con Erwin e Levi, è solo che mi sarebbe piaciuto passare almeno un weekend da sole io e te. Dato che siamo sempre in mezzo ai piedi»
Hanji continuò a star zitta. Marzia si chinò per baciarle la testa, poi si incamminò verso la porta. A quel punto, Hanji si voltò a guardarla.
«Già te ne vai?» disse, lanciandole uno sguardo triste.
«Sì. Ho lasciato uno schifo, da Maribel. Se si sveglia prima di me si metterà sicuramente a pulire tutto e poi me lo farà pesare per il resto dei suoi giorni»
Che scusa banale pensò Hanji, immaginando l’amica che non avrebbe mosso un dito per sistemare il disordine lasciato da qualcun altro.
«Allora ci sentiamo più tardi»
Hanji fece per alzarsi e andarla a salutare in maniera un po’ più calorosa, ma Marzia si affrettò ad uscire e a chiudere velocemente la porta.
Hanji rimase in piedi, immobile, in silenzio. Rimase a fissare la porta per qualche secondo, poi si voltò verso il tavolo, colpendo il giornale e facendolo cadere a terra. Levi uscì dalla stanza, correndo a prendere il giornale.
«Che bisogno c’era di prendersela con lui?» disse, ripiegando i fogli e posandoli sulla sedia «Ma perché non le parli e basta? Non risolverai nulla rimanendo in silenzio come una babbea»
Hanji strinse i pugni, battendo i piedi a terra.
«Ma io le voglio bene!» esclamò «Non voglio perderla. È solo che stiamo correndo un po’ troppo e tutto questo mi sta mettendo ansia»
Levi si sedette sulla sedia dov’era seduta Marzia poco prima.
«Però ha ragione. Passate tanto tempo insieme, ma non state mai da sole. Un paio di giorni cosa ti costano?»
Hanji si sedette nuovamente, posando la testa sul tavolo.
«Ma tu come fai? Non ti senti oppresso da quella donna spaventosa e arrogante? Com’è che sei diventato il più docile di tutti, tra noi tre?» Hanji spostò la testa, poggiandosi sul mento «Riesci veramente a provare sentimenti più forti di quelli che provo io?»
Levi sospirò.
«Han, non ha senso paragonare la tua situazione a quella degli altri. Hai detto che vuoi bene a Marzia, e io ti credo. Sei solo spaventata, ed è giusto. Finora hai avuto solo storielle passeggere, quando ancora eri giovane e il tuo obiettivo era laurearti o cercare un posto fisso»
«Ma io sono ancora giovane» sbruffò lei.
«Adesso la cosa ti sembra più seria e vuoi prenderla con calma. Non c’è nulla di male. Fortunatamente, Marzia è molto più matura di te» Hanji gli lanciò un’occhiataccia «Pensa a come avresti reagito tu a parti invertite»
Hanji rifletté su quelle parole. È vero, Hanji è sempre stata quella che se la prende per tutto, quella che mette il cuore in ogni cosa e, perciò, era più facile deluderla.
«Non so se mi va di andare in vacanza con lei. Non subito, almeno» rispose infine la donna, alzando la testa «Però avevo un’idea. Anche se penso che due persone farebbero di tutto per ostacolarmi in questa cosa»
Levi alzò un sopracciglio, incuriosito.
«Cioè?»
Hanji prese un lungo respiro, guardandosi attorno.
«Beh… in un certo senso, io e Marzia stiamo convivendo. Ma non da sole» Hanji si alzò dalla sedia e iniziò a muoversi attorno al tavolo «E questo è uno dei motivi per cui non voglio ancora prendere casa. Iniziare una vera e propria convivenza mi mette un panico assurdo!»
Levi poggiò la schiena alla sedia, incrociando le braccia.
«Quindi?»
Hanji sospirò.
«Sarebbe perfetto se Maribel ci lasciasse casa per qualche tempo, come prima. In modo tale da poter stare un po’ di tempo da sole, così da capire se sono pronta a fare il passo successivo o se è meglio lasciare le cose come stanno»
Levi alzò le braccia al cielo, con un’espressione incredula sul volto.
«Che cosa?» urlò «Vuoi davvero cacciare Wasabi da casa sua per un esperimento del cazzo quando ti basterebbero due giorni fuori da qualche parte lontano da tutto?»
«Appunto!» esclamò Hanji «”Lontano da tutto” non è la normalità. È ovvio che è tutto bellissimo, in vacanza. Ma che ne so, io, se vivendo insieme tra gli impegni quotidiani non emergono fuori certi lati di me o di lei che ci fanno capire che non siamo pronte?»
Levi si portò le mani alle tempie.
«Ma stai facendo tutto tu! Lei ti ha solo parlato di una vacanza e tu te ne esci fuori con un argomento molto più complesso come la convivenza! Ma non è che sei tu quella che sta prendendo le cose troppo sul serio e hai solo paura di non essere ricambiata con lo stesso trasporto?»
Hanji si fiondò sul cornetto, finendo di mangiarlo senza sedersi e lasciando briciole ovunque. Levi la guardò inorridito.
«Andrò a parlarle oggi pomeriggio, appena finisco a lavoro» disse poi lei, sfregandosi le mani per far cadere altre briciole «E stasera ti farò sapere com’è andata. Piuttosto, hai notizie di Erwin? Non lo sento da un po’»
Levi guardò tristemente le briciole che dal tavolo continuavano sul pavimento, come un sentiero creato apposta per essere percorso dalle formiche.
«No», disse semplicemente, alzandosi dalla sedia per andare a prendere la scopa «Perché non lo vai a trovare? Perché non chiedi aiuto a lui?»
Perché non usi casa sua per i tuoi capricci e mi riporti indietro il mio coinquilino perfetto?
 
Hanji uscì da scuola che erano passate le sei. Si fermò a un distributore e prese una bevanda fredda, poi si posizionò alla fermata dell’autobus. Nonostante la stanchezza, era felice di aver finito di lavorare dopo il previsto. In questo modo, avrebbe potuto parlare con Maribel senza che ci fosse Marzia in casa.
Quando arrivò alla porta di Maribel, decise di bussare, anche se aveva una copia delle chiavi già da qualche mese. Doveva mostrarsi il più gentile possibile, se voleva che l’amica le venisse incontro. Maribel le aprì la porta e la fece entrare senza neanche salutarla. Hanji mise piede in cucina e si rese conto del motivo per cui la ragazza non era particolarmente felice di vederla: al tavolo, sedeva Zeke in mutande, con un rum e cola in mano.
«Buonasera», disse lui, senza spostare lo sguardo dal televisore che trasmetteva qualche programma sull’importanza dei contraccettivi.
«Buonasera», rispose lei, lanciandogli un’occhiata torva che lui non poté cogliere.
Hanji odiava quell’uomo e odiava ancora di più il fatto che Maribel avesse ripreso a frequentarlo. Non solo perché lo riteneva viscido, infedele e disonesto, ma, in quel momento in particolare, anche perché avrebbe reso la sua richiesta più difficile da esaudire.
«Strano» disse Maribel «Vederti qui senza che ci sia la tua bella»
Hanji si morse un labbro. Maribel non risparmiava mai battutine ed andava sempre dritta al punto, ma, in quel momento, il suo temperamento la innervosiva ancora di più.
«Posso parlarti, un attimo?» chiese Hanji, guardandola negli occhi.
Maribel strabuzzò gli occhi. Sembrava sorpresa da quella richiesta. Posò sul tavolo il pacco di patatine che stava mangiando e prese la ragazza sottobraccio, guidandola verso il balcone.
«È successo qualcosa?» chiese, con una nota di preoccupazione nella voce «Hai litigato con Marzia? Ti sei innamorata di un’altra? Hai scoperto che ti piace la zucchina?» poi si voltò a guardare in faccia l’amica, fermandosi sulla soglia del balcone «Hai fatto sesso a tre con Levi e Yelena?»
Hanji scosse la testa, aprendo un’anta del balcone ed uscendo fuori.
«Niente di tutto questo» disse, sedendosi a terra «Però, sì, riguarda Marzia»
Maribel prese la sedia sul balcone, avvicinandola a Hanji. Poi ci si sedette.
«Ah, ho capito» rispose Maribel, prendendo una sigaretta «Si tratta di quella stupida idea della vacanza»
A Hanji si illuminarono gli occhi. Non solo l’amica aveva centrato subito il punto, ma, come lei, trovava quell’idea stupida e si sentì sollevata pensando che, forse, le sarebbe venuta incontro.
«Diciamo che il mio problema è sorto proprio con il discorso sulla vacanza» spiegò Hanji, portandosi le ginocchia al petto «Il punto è che mi sento come se stessimo correndo troppo. Lo so, due giorni non sono niente. Però abbiamo fatto tante cose di fretta, e ogni volta mi sono detta “ma sì, facciamolo, che sarà mai?”» Maribel prese un tiro dalla sua sigaretta «Il punto è che forse dovrei imparare a conoscerla un po’ di più giorno per giorno. Vivendo insieme, sì, ma, almeno per un periodo, da sole. Così da capire se sono pronta a passare al livello successivo o se è giusto fare un passo indietro»
A Maribel si illuminarono gli occhi.
«Oddio, sì!» esclamò «Avete deciso di prendere casa? Marzia se ne va? Torno a vivere sola? Posso finalmente ubriacarmi davanti allo schermo guardando horror tutta la notte senza che nessuno mi parli nell’orecchio?»
Hanji si fece più piccola. Era così delusa dal fatto che, con molta probabilità, Maribel avrebbe declinato la sua richiesta, che non ebbe nemmeno il tempo di offendersi per quelle parole. Ma doveva essere schietta, non aveva tempo da perdere. Era meglio prendersi un rifiuto subito e organizzare un piano B alla svelta, piuttosto che aspettare altri giorni e rischiare che la situazione esplodesse all’improvviso.
«In realtà, volevo chiederti se non avessi tu intenzione di andare in vacanza da qualche parte» improvvisò Hanji «Con Zeke, magari. O con tuo padre. Così, sempre se vuoi…» Hanji si voltò per evitare di incrociare lo sguardo dell’amica «Io e Marzia potremmo stare qui, da sole, a vedere come funziona una convivenza vera e propria»
Maribel non rispose. Si alzò dalla sedia in silenzio e andò verso il posacenere per premerci il mozzicone. Poi si posizionò davanti a Hanji, guardandola dall’alto verso il basso, le mani sui fianchi. Era furiosa. Hanji non aveva ancora avuto il coraggio di guardarla in faccia, ma percepiva la sua rabbia a pelle.
«Mi stai cacciando di casa?» chiese «Mi stai veramente cacciando di casa perché non hai la maturità di affrontare certi argomenti con l’unica persona con cui dovresti parlarne?»
«Che strano» ridacchiò Hanji nervosamente, portandosi le braccia sopra la testa come a volersi difendere «Mi hai detto le stesse cose che mi ha detto Levi. Vi somigliate molto, certe volte, lo sai? Sareste proprio perfetti come coinquili…»
Maribel si abbassò per prendere il volto di Hanji tra le mani e farsi guardare finalmente in faccia. I suoi occhi sembravano una tempesta e Hanji ne ebbe una gran paura.
«Ma come ti viene in mente una cosa del genere?» urlò, scuotendole la testa «Io posso capire il voler restare da sola con Marzia per un po’, ma farmi stare da Levi…»
«Hai ragione, hai ragione, hai ragione» si affrettò a rispondere Hanji «Forse potresti stare da tuo padre, ma non è giusto che io ti chieda una cosa del genere» Hanji si alzò da terra, continuando a tenere le braccia sopra la testa «Mi dispiace, scusami. Andrò da Marzia al pub e ne parleremo come due persone adulte. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace»
Hanji indietreggiò fino a entrare in casa raggiungendo la cucina, dove Zeke continuava a fissare il televisore. Raggiunse la porta e, solo allora, trovò il coraggio di voltare le spalle a Maribel per aprirla.
«Dove vai?» chiese l’amica, che, intanto sembrava essersi calmata «Non abbiamo finito di parlare…»
«Scusa, Mari» disse di nuovo Hanji «Se ti va, ci vediamo più tardi al pub, ok?»
Hanji si chiuse la porta alle spalle e poi poggiò la schiena sulla parete. Prese un lungo respiro e si portò le dita sulle palpebre chiuse, sotto gli occhiali. Avrebbe voluto piangere, ma decise di trattenersi e di prendere in mano la situazione una volta per tutte.
 
Quella sera, Hanji sedeva a un tavolo insieme a Eren, Armin e Mikasa. Stava aspettando che Marzia fosse un po’ più libera per potersi allontanare con lei ma, in realtà, cercava soltanto di ritardare il più possibile quel momento. Aveva iniziato una partita a briscola con i ragazzi e stava sorseggiando una birra quando, alla fine, venne Marzia stessa al suo tavolo.
«Posso parlarti?» chiese la bionda, posandole una mano sulla spalla.
Hanji alzò lo sguardo verso di lei e deglutì. Non sapeva se a spaventarla fosse l’altezza della donna o semplicemente il fatto che quelle due parole l’avevano sempre terrorizzata, ma, in un certo senso, quella mano sulla spalla era rassicurante.
«Beh, in realtà ho appena iniziato una partita con questi tre» disse, indicando Mikasa e gli altri «Non mi pare giusto interrompere così…»
«Continuo io» Hanji si voltò e vide che era comparsa Maribel alla sua sinistra «È da tanto che non passo un po’ di tempo con Mikasa, stavo proprio aspettando che ti levassi dai piedi per prendere il tuo posto»
Hanji sorrise. Era così immersa nei suoi pensieri che non si era neanche accorta che ci fosse Maribel dentro il pub.
Prese un respiro e si alzò dalla sedia. Marzia la prese per mano e lei sentì le guance arrossarsi. Non era solito, per loro, lasciarsi andare a certe effusioni davanti agli altri. Tuttavia, quel gesto la fece sentire meglio.
Marzia e Hanji raggiunsero l’esterno e si fermarono a pochi passi dall’ingresso. Quella sera sembrava esserci almeno un po’ di vento, seppur caldo.
«Ci ho ripensato» iniziò Marzia, guardando verso il basso «È giusto che tu voglia prenderti una sola vacanza ed è giusto che tu la voglia passare con i tuoi amici» Hanji la guardò con un’espressione triste «Io non pretendevo molto, ma penso che in una relazione sia importante venirsi incontro. E tu mi sei venuta incontro molto di più rispetto a quanto non abbia fatto io»
Hanji abbassò lo sguardo. Maribel le aveva parlato, non c’erano dubbi. Un po’ si sentì riconoscente verso l’amica, ma, in un certo senso, si pentì di non avere avuto lei stessa il coraggio di affrontare l’argomento.
«Io ti voglio bene» rispose Hanji «E anche tanto e forse è per questo che ho un po’ paura. Ma non pensare neanche un attimo che io non voglia passare del tempo con te. Anzi…» Hanji fece una pausa, prendendo il volto di Marzia tra le mani «Avevo pensato che sarebbe bello poter stare un po’ di tempo da sole. Ma non in una situazione diversa dalle nostre vite quotidiane. Io voglio imparare a conoscerti e voglio che tu impari a conoscere me. Voglio che tu ti renda conto che io non sono sempre la dolce Hanji che hai sempre conosciuto, che posso essere insopportabile, orribile, rompiscatole ed estremamente paranoica» portò una mano sulla testa di Marzia, accarezzandola «E voglio essere sicura che tu voglia continuare a stare con me, nonostante tutto»
Marzia sorrise. Prese la testa di Hanji tra le mani, stringendola al petto. Lei si fece trasportare da quel gesto d’affetto e chiuse gli occhi.
«Hanji» disse Marzia in un soffio «Io credo di amarti»
Hanji aprì nuovamente gli occhi, spalancandoli. Poi si liberò dalla presa di Marzia, per guardarla in volto.
«Io…»
Marzia le mise un dito sulle labbra, intimandola a non parlare.
«Non c’è bisogno che tu risponda. Non ora»
Hanji le accarezzò il viso, mentre gli occhi si facevano lucidi. Guardò Marzia e pensò che fosse bellissima. Pensò che fosse anche tante altre cose che lei non meritava e cercò di capire perché fosse stata tanto fortunata.
In quel momento, Levi aprì l’ingresso, interrompendo le due.
«Ehi, ehi, ehi» disse Levi che, accanto a Marzia, sembrava ancora più piccolo «Vedi che c’è ancora molto da fare, lì dentro»
Marzia sorrise.
«Scusa, capo» rispose, mimando un saluto militare «Mi rimetto subito a lavoro»
Marzia si affrettò ad entrare e Levi e Hanji rimasero soli. La donna tirò un pugno alla spalla dell’amico, facendogli perdere l’equilibrio.
«C’è anche il tuo zampino?» chiese, facendogli l’occhiolino.
Levi alzò le spalle.
«Solo tu potevi riuscire a farmi lavorare in squadra con quella testa di rapa di Maribel» disse «Quando ho visto il suo nome sullo schermo del cellulare ho temuto il peggio»
Hanji sorrise, mettendo un braccio attorno alle spalle di Levi.
«Grazie. Ti ha per caso parlato di…»
«Sì, me ne ha parlato» disse Levi, guardandola storto «Ma, per fortuna, solo per confermarmi di non avere alcuna intenzione di vivere in casa con me e finire dietro le sbarre per duplice omicidio»
Hanji non disse nulla. Non si sentiva triste perché l’amica aveva declinato la sua richiesta. Probabilmente, niente avrebbe potuto renderla triste, quella sera. Si diresse insieme a Levi verso l’interno del locale e tornò a bere la sua birra. Stranamente, non le sembrava più così assurda l’idea di passare un weekend in vacanza insieme a Marzia.
 
 

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Capitolo 12
*** Decisione ***


Decisione
 
Era un sabato qualunque di una settimana qualunque. Levi stava sistemando i suoi carri armati in Kamchatka, pronto a conquistare il Giappone per poi scendere in Mongolia. Era ormai luglio inoltrato e i clienti del pub erano drasticamente diminuiti: tutti i presenti erano amici o conoscenti di Levi. Quella sera, i “superstiti” di quell’estate erano organizzati in piccoli gruppi attorno ai tavoli. Levi, Yelena, Erwin, Eren, Hanji e Armin stavano giocando a Risiko vicino al bancone. Erano più di un paio d’ore che Erwin non poteva fare nient’altro che passare, essendo rimasto con due soli territori, e Hanji e Armin facevano di tutto per impedire che qualcuno potesse sconfiggerlo, potendo vincere la partita.
«Eren» disse Yelena, subito dopo aver conquistato il Nord America «Io ti lascio Sud America e Africa e ci difendiamo i confini a vicenda. Ti va bene?»
«Ma così romperai l’alleanza con me» intervenne Armin, strattonando il braccio dell’amico «Non farlo, Eren. O al prossimo turno dovrò attaccarti»
«Non lo farai mai» rispose Eren, lanciando i dadi per attaccare il Madagascar e conquistare tutta l’Africa «Sei troppo impegnato a proteggere i carri armati di Erwin»
In quel momento arrivò Marzia, seguita da Mikasa. Levi era così impegnato a giocare che non si era reso conto che la sua cameriera fosse scomparsa per quasi un’ora. Quando la vide comparire dietro le spalle di Hanji, credette fossero passati solo dieci minuti dall’ultima birra che lei gli aveva portato.
«Ah, sì» disse l’uomo, controllando le sue carte sperando in qualche combo «Portami un’altra bionda, grazie»
«Sentite» disse Marzia, avvicinando una sedia al tavolo «Potete fermarvi dieci minuti? Vorrei parlarvi di una cosa»
Eren terminò il suo attacco, conquistò il Madagascar e prese la sua carta. Poi passò i dadi ad Armin e lui li lasciò sul tavolo, spostando l’attenzione su Marzia.
«Di che cosa?» chiese il ragazzo.
«Maribel si è laureata» disse Mikasa, sedendosi sopra il tavolo accanto a quello dove gli altri stavano giocando.
Hanji la guardò allibita.
«Cosa? Quando? Perché non ne sapevo niente?»
«Nessuno lo sapeva» rispose Marzia «A parte suo padre. E Zeke…»
Hanji sbruffò. Alla fine, Maribel aveva acconsentito a lasciare casa a Marzia e Hanji e, momentaneamente, si era trasferita da Zeke. Da allora, però, la ragazza aveva ripreso a farsi vedere di rado. Ma mai si sarebbe aspettata di non essere invitata alla laurea.
«E tu come l’hai saputo?» chiese Hanji «Te l’ha detto lo scimmione?»
«Sì», rispose Mikasa «Ce lo ha detto proprio lui. È passato poco fa insieme a Pixis e ci ha chiamati fuo…»
«Zeke è entrato qui dentro?» urlò Levi, battendo una mano sul tavolo «E voi gliel’avete permesso?»
«Calmo!» disse Marzia, mettendogli le mani sulle spalle «Ha aspettato fuori»
«E ci ha detto che non è un bel periodo per Maribel e che vorrebbe organizzarle una caccia al tesoro nei prossimi giorni» intervenne Mikasa «Il cui tesoro, ovviamente, è lui»
«E che cosa c’entriamo noi?» disse Hanji, incrociando le braccia «Mi dispiace che non sia un bel periodo per Maribel, ma se il suo innamorato vuole farsi trovare nudo dentro una torta di carta, io mi tiro fuori. Piuttosto, le organizzerei una festa e le farei un regalo a parte…»
«In realtà, Zeke vorrebbe che tutti partecipassimo alla caccia al tesoro» continuò Marzia «Non lo so perché. Non so che cosa stia succedendo tra quell’uomo orribile e la mia amica. Ma sembra tenerci a questa cosa e, purtroppo, devo ammettere che la stessa Maribel ne sarebbe felice»
«Ma perché odiate tanto mio fratello?» chiese Eren, incrociando le gambe «Anche a me sembra strano che stia facendo una cosa così stupida e patetica per una ragazza. Comunque, io voglio bene a entrambi e parteciperò. Per quando dovrebbe essere pronta, questa caccia al tesoro?»
«Non c’è una data precisa» rispose Mikasa «In realtà, Zeke ha detto che più tardi la facciamo, meglio potrebbe essere. Così da organizzarci meglio e così da fare in modo che Maribel dimentichi del tutto la possibilità che lui possa aver pensato a un modo per festeggiare la sua laurea»
Levi sentiva i discorsi degli amici, ma non pensava a niente in particolare. Giocava con un poggia bicchieri, rigirandoselo tra le dita, e rifletteva su un pensiero che lo aveva tenuto occupato per tutta la giornata.
«Qualcosa non va?» chiese Yelena, posando una mano sulla testa di lui «Non dobbiamo partecipare per forza. E poi, tu odi entrambi. Possiamo approfittarne per andare via un paio di giorni»
Levi lasciò andare il poggia bicchieri sul tavolo e prese la mano che Yelena aveva posato sulla sua testa.
«No. Non c’entra niente Zeke» prese un respiro, controllando l’ora dallo schermo del telefono «È solo che sono un po’ stanco»
Levi si alzò dal tavolo, mentre gli altri continuavano a discutere su chi volesse o meno partecipare al piano di Zeke. L’uomo chiese a Mikasa se volesse dargli il cambio per quella partita e poi si congedò.
«Contatemi pure in questa cosa» disse semplicemente, dirigendosi verso l’uscita «Ovviamente, cercherò di limitare il più possibile i contatti con quella bestia di Jager Senior. Ma penserò a qualcosa per Maribel»
Levi uscì dalla porta e tutti ripresero i loro discorsi. Tranne Yelena. Yelena rimase a fissare il suo boccale e si lasciò andare a una lunga serie di pensieri.
Levi raggiunse la porta del suo appartamento e fu grato a Yelena per non averlo seguito. Inserì la chiave nella serratura ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Andò verso la sua camera e, una volta entrato, si sedette sulla sedia davanti la scrivania. Prese, da uno dei libri sulla scrivania, un foglietto ripiegato su sé stesso. Se lo rigirò tra le mani, senza aprirlo.
Era il foglio che gli aveva lasciato Kenny l’ultimo giorno in cui si erano visti. Levi se n’era ricordato solo quando dovette riaprire il portafogli. Era una lettera, come lui stesso aveva immaginato quando lo zio gli aveva detto di aprirlo a casa, da solo. Una lettera di sua madre.
Levi ricordava a malapena Kuchel. Era solo un bambino quando una malattia gliela portò via e non aveva molte foto che la ritraevano. Tutto ciò che conservava ancora la sua essenza si trovava in quella casa, quel posto dove, però, Levi non avrebbe più voluto mettere piede.
Quando Levi iniziò a leggere la lettera, si aspettava di trovare un messaggio d’addio o un elenco di ricordi che la donna aveva potuto costruire in quei pochi anni con suo figlio. E, effettivamente, la prima parte della lettera parlava proprio di questo: un augurio per il futuro del suo piccolo Levi e brevi descrizioni di quei pochi, dolci anni passati insieme.
Ma Levi non si sarebbe mai aspettato di trovare un indirizzo. Di trovare un nome. Di trovare, tra quelle righe, la risposta a una domanda che, in realtà, non si era mai realmente posto: l’identità di suo padre.
Levi era indeciso. Non perché non sapesse se andare o no a rintracciare suo padre: su questo era sicuro. Non sarebbe mai andato a cercare quell’uomo, non avrebbe mai dato un volto a quella figura deforme. Non gli interessava inseguire qualcuno che, per tutti quegli anni, non aveva fatto altro che fuggire da lui.
Piuttosto, non sapeva cosa fare di quella lettera. Avrebbe voluto buttarla, avrebbe voluto vederla bruciare tra le fiamme o sparire tra i rifiuti. E questa cosa lo faceva stare terribilmente male, ma cedere alla tentazione di rileggere quelle parole lo avrebbe fatto stare peggio.
Levi, per adesso, si limitò a conservare nuovamente il foglio tra le pagine del libro. Poi sentì un rumore provenire dall’ingresso e capì che Yelena e Hanji fossero tornate. L’uomo prese un profondo respiro e uscì dalla camera, ma, ad attenderlo in salotto, con una bottiglia di vino tra le mani, c’era solo Yelena.
«Non hai ancora sonno, vero?» chiese la donna, cercando l’apribottiglie dentro uno dei cassetti della cucina.
Levi si avvicinò. Avrebbe voluto prendere la testa di Yelena tra le mani e ispirare l’odore di fresco e pulito che emanavano i suoi capelli. Ma, purtroppo, la sua altezza glielo impediva.
«Non abbiamo bevuto abbastanza?» disse Levi, poggiandosi a un mobile della cucina.
Yelena alzò le spalle.
«Domani mattina non dobbiamo fare nulla. Finiamo anche quest’altra bottiglia e dormiremo serenamente»
Levi si sedette al tavolo. Hanji, probabilmente, non sarebbe tornata. Da quando anche lei aveva lasciato casa sua, seppur momentaneamente, il rapporto con Yelena sembrava essere cambiato. Le loro giornate non erano più fatte solo di effusioni e amplessi frettolosi. Adesso, Levi si trovava più spesso a parlare con lei, un po’ di qualsiasi cosa, così come faceva con Hanji ed Erwin. Anche se non se la sentiva ancora di parlarle del suo passato e, sicuramente, non aveva intenzione di raccontarle della lettera.
Levi prese il calice che Yelena gli porse. Bevette un sorso e si sistemò meglio sulla sedia.
«L’ultimo giorno» disse poi, portandosi una mano alla testa «L’ultimo giorno di anarchia totale. Da domani ho bisogno di riprendere i miei ritmi, la mia dieta e i miei esercizi mattutini»
Yelena sorrise, prendendo il suo calice.
«Non interferirò. Te lo prometto»
Levi finì di bere il vino all’interno del suo calice e poi si alzò dalla sedia per sedersi sulle gambe di Yelena. Molti trovavano ridicolo il fatto che lui fosse molto più basso di lei. Levi, invece, si sentiva incredibilmente protetto. Era come se, dopo una vita passata a cacciare le sue prede e a prendersi cura delle donne che avevano fatto parte della sua vita, adesso i ruoli si fossero invertiti. Levi affondò il viso nell’angolo tra il collo e la spalla di Yelena. Adesso, poteva sentire l’odore dei suoi capelli e della sua pelle.
«Alla fine abbiamo deciso di passare la notte di Ferragosto fuori, tutti insieme» disse Levi «Io non vedo la necessità di fare una vacanza vera e propria, sai che amo il mare ma odio i bambini e tutta quella gente che urla e scappa via riempendoti di sabbia»
Yelena prese un sorso, accarezzando i capelli di Levi.
«Va bene. Potremo andare in montagna, se ti va. Oppure, restare a casa per tutta l’estate. Possiamo fare tutto quello che vuoi»
Levi fece una smorfia. Il fatto che, col tempo, Yelena fosse diventata così accondiscendente nei suoi confronti lo infastidiva. Aveva iniziato a frequentare quella donna proprio per il suo carattere forte e per la sua apparente volontà di prevaricare sugli altri. Gli sembrava qualcuno che, finalmente, potesse tenergli testa. Ma, col passare del tempo, Yelena era diventata docile come un agnellino.
Certe volte, Levi si sentiva in colpa per quei pensieri. Era come se stesse costruendo il suo rapporto con quella donna sulla base di alcune sue caratteristiche e non considerando quelli che erano i suoi veri sentimenti per lei. Ma, lui, cosa provava realmente? Levi non sapeva spiegarselo. Di certo, la sua relazione con quella donna stava durando parecchio tempo, considerato che lei era l’unica che Levi stava frequentando. E, poi, con lei si sentiva incredibilmente bene. E pensava che non ci fosse niente di più importante, in una relazione, che stare con qualcuno che ti faceva dimenticare tutti i tuoi pensieri negativi.
«Che ne pensi della caccia al tesoro?» disse infine Levi, alzandosi dalle gambe di Yelena «E se la rimandassimo al giorno di Ferragosto? Potrebbero unirsi a noi Zeke e Maribel, anche a Hanji e Marzia farebbe piacere»
Yelena spalancò la bocca.
«Cosa? Dici sul serio?» esclamò, scioccata «Ti rovineresti il Ferragosto per accontentare Zeke nel suo stupido e infantile piano? È veramente ridicolo» Yelena si alzò dalla sedia, riempendosi un altro bicchiere «Una caccia al tesoro per festeggiare una laurea. Io non partecipo a una caccia al tesoro da anni e le feste a sorpresa funzionavano soltanto quando andavi alle scuole elementari...»
«Forse è per questo che sei così» disse Levi, senza neanche pensarci.
Yelena si voltò a guardarlo. Aveva ancora il calice e la bottiglia di vino in mano, ma stava immobile. Levi aggrottò le sopracciglia, confuso dalle sue stesse parole. Si sentiva di aver detto una cosa stupida, ma non riusciva a capire perché l’avesse detta.
«Che cosa intendi?» chiese Yelena, posando nuovamente la bottiglia di vino sul tavolo «In che senso sono così
Levi alzò le braccia, guardandosi attorno, come se cercasse qualcosa a cui appigliarsi per potersi salvare da quella situazione. Levi sapeva bene cosa volesse intendere con quelle parole.
Perché sei così acida? Perché sei così apatica? Perché sembri un soldato che cerca di spiccare sugli altri durante una guerra piuttosto che una donna traboccante sentimenti umani?
«Così… seria» disse infine Levi, guardandola negli occhi «Così seria. Sei troppo seria. Dovresti scioglierti, un poco… lo dico per il tuo bene»
Yelena bevette un sorso dal suo calice e poi lo lasciò sul tavolo.
«Scusa, Levi. Mi sono appena ricordata di dover fare una telefonata urgente» disse, prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e dirigendosi verso il terrazzo.
Era una scusa. Levi lo sapeva. Ma un altro difetto di Yelena era il non riuscire ad affrontare le situazioni di petto, cosa che la spingeva a scappare per far calmare le acque o a passare sopra certe cose per evitare discussioni inutili.
Levi tornò a sedersi e prese il suo calice. Pensò che, in fondo, era forse arrivato il momento di far giungere quella storia al capolinea.
 
Il giorno dopo, Levi decise di fare una passeggiata al parco delle magnolie. Era un posto che lo tranquillizzava, lo aiutava a pensare e gli avrebbe fatto prendere la decisione giusta.
Levi arrivò al parco subito dopo il tramonto. Solitamente ci andava per sfogare le sue emozioni correndo, ma, quel giorno, voleva solo godersi una passeggiata approfittando di quella brezza leggera che rendeva il caldo più sopportabile. Amava quell’ora della giornata, non solo perché il sole andava via ma anche perché, con lui, sparivano gli ingombri di persone che non facevano altro che innervosirlo di più. Quando arrivò al parco, perciò, era quasi completamente solo.
Il parco, più che un anonimo giardino, era una grande villa. Levi percorse il sentiero che portava al luogo dove era diretto, passando in mezzo a due file di lampioni ancora spenti. Sorpassò il gazebo e l’area per bambini, arrivando nel cuore della villa. Qui, una circonferenza di magnolie colorava l’ambiente, confondendosi con l’arancione del cielo e il panorama cittadino, che iniziava a diventare più buio, illuminato da piccoli puntini gialli e bianchi.
Levi si sedette su una delle panchine che sottostavano agli alberi. Quel posto era sempre più fresco, rispetto al resto del parco, probabilmente perché le fronde impedivano al sole di battere con troppa forza. Era un posto che Levi aveva sempre amato, per la sua calma e per la sua solitudine. Lì non c’erano bambini, non c’erano urla, non c’erano coppiette che si appartavano per nascondersi dal resto del mondo. Lì c’era solo lui, coi suoi dubbi e le sue insicurezze, con le debolezze che aveva tanta paura a mostrare agli altri. E, poi, amava quella vista: vedere l’intera città da quel punto così alto, gli dava un incredibile senso di onnipotenza.
Levi prese un pacchetto di sigarette dalla tasca della camicia e l’accendino dal suo interno. Quello era proprio uno di quei momenti in cui fumare avrebbe reso il tutto perfetto: si era deciso che, dal momento in cui avrebbe acceso la sigaretta, avrebbe riflettuto sulla sua storia con Yelena. Spenta la sigaretta, avrebbe dovuto prendere la sua decisione.
Levi infilò una sigaretta tra le labbra e girò la rotella dell’accendino. La fiamma si accese, così come la sigaretta, dando inizio alla sua lunga riflessione.
Levi ebbe appena il tempo di fare un tiro, quando qualcuno comparì da dietro una delle magnolie.
Non fa niente pensò Levi, cercando di non farsi rovinare quel momento di pace Puoi riflettere anche se c’è qualcuno vicino. Tanto, uno sconosciuto non verrà di certo da te a romperti i coglioni o no?
Levi cercò di tranquillizzarsi pensando anche al fatto che, solitamente, sembrava intimorire, senza neanche parlare, chiunque arrivasse fin lassù trovandolo da solo. Tuttavia, si rallegrò del fatto che la persona appena arrivata fosse sola.
Levi non si voltò nemmeno a guardarla. Prese un altro tiro di sigaretta e aspettò che la figura scomparisse com’era comparsa. La vide passare davanti ai suoi occhi inermi. Poi, con sua sorpresa, si sedette accanto a lui.
Levi si voltò a guardare la persona che si era appena seduta alla sua destra, con un’espressione tra il sorpreso e l’irritato.
«Che cosa ci fai nel mio posto?»
Levi s’irrigidì. Non era lui ad avere parlato, ma lei. Lei che era venuta a rovinare il suo momento. Lei che aveva interrotto la sua riflessione. Lei che, forse, era l’unica persona con cui poteva parlare di quello che sembrava tormentarlo così tanto.
«Veramente, ho sempre creduto fosse il mio» rispose Levi, distogliendo lo sguardo da Maribel e tornando a guardare il panorama di fronte a lui «Sei da sola?»
Maribel annuì.
«Speravo di esserlo, almeno…»
«Vedi che nessuno ti ha costretto a sederti qui» esclamò Levi, quasi urlando «E poi, puoi stare accanto a me ed essere comunque da sola. Non so se ho molta voglia di parlare»
Maribel si voltò a guardarlo. Nello sguardo di lei c’era un misto di tristezza e compassione.
«Mi dispiace, ma non sono la persona più adatta a cui parlare, quando ci si sente tristi» disse la ragazza, aprendo le braccia sullo schienale della panchina.
«Appunto» rispose Levi.
«Appunto» ripeté lei.
I due rimasero in silenzio per un po’. Il sole sembrava ormai quasi tramontato del tutto. La brezza leggera scomparì, ma lasciando un leggero sentore di fresco.
Levi buttò a terra la sua sigaretta, sebbene fosse consumata solo a metà.
«Come mai sei tornata con Zeke?» chiese poi Levi, continuando a fissare la carta della sigaretta che veniva bruciata lentamente.
«Come lo sai?» chiese lei, alzando un sopracciglio «Comunque, non lo so. Abitudine, credo»
«Solo questo? Non hai mai considerato l’idea che lui possa tenere a te più di quanto tu non creda? Non hai mai pensato di poterti affezionare veramente?»
«Oh, ma che cazzo di discorsi sono?» sbraitò Maribel, prendendo un pacco di tabacco dallo zaino «Sei venuto qua a piangerti addosso per la tua schifosa vita sentimentale?»
Levi aggrottò le sopracciglia, un po’ innervosito da quell’affermazione.
«Che ne sai tu, di com’è la mia vita sentimentale?» si girò a guardarla, ma lei non ricambiò lo sguardo, troppo impegnata a rollarsi la sua sigaretta «Sto bene, con Yelena. Pure troppo. È per questo che volevo sapere il motivo per cui sei tornata con Zeke. Perché anche tu…»
«Perché anche io sono una stronza» disse Maribel, chiudendo la sigaretta «E, il punto, è che lo è anche lui»
«E se dovesse innamorarsi e pretendere qualcosa di più?»
«Se dovesse innamorarsi non sarebbe Zeke e quindi non m’interesserebbe più» Maribel si accese la sigaretta «Fine della storia. E, comunque, anche la tua spilungona mi sembra una che di impegnarsi seriamente non ne vuole sapere…»
«Sì», disse Levi, abbassando lo sguardo «Però, mi sento che col tempo le cose stanno cambiando»
Maribel si lasciò andare a una risata e Levi la guardò. Gli bruciava ancora sapere che quella donna, quasi una sconosciuta, sapesse un sacco di cose, sulla sua vita. E, adesso, le stava parlando di Yelena.
Paradossalmente, pensò che sarebbe stato meglio parlarne con una come lei. Sarebbe stata il più oggettiva possibile e non avrebbe preso le sue parti perché sua amica.
«Non azzardarti a lasciarla» disse Maribel, cogliendo Levi di sorpresa «Comportati come hai sempre fatto. Non pensare a cosa potrebbe fare lei se tu facessi qualcosa anziché un’altra e… insomma, non farti troppe pippe mentali» Maribel passò la sigaretta a Levi e lui l’accettò «Sii quello che sei. E se a lei non dovesse andare così…» Maribel si interruppe di colpo, fingendo un conato di vomito «Ma di che cazzo di schifo stiamo parlando?»
Levi sorrise. Prese un tiro dalla sua sigaretta e alzò lo sguardo verso il cielo: si intravedevano le prime stelle.
«Non è un argomento che ti piace particolarmente, vero?»
«Per nulla. Mi sento sempre a disagio, con queste cose. E, soprattutto, non posso credere che io ne stia parlando proprio con te» Maribel scandì bene quelle ultime due lettere, guardando Levi dalla testa ai piedi «Mi sembravi uno sano di testa, non uno di quegli imbecilli che si fanno certi problemi con le questioni sentimentali»
Levi passò nuovamente la sigaretta alla ragazza.
«Non lo sono. È solo che è un periodo strano. Penso di essere diventato più sensibile, dopo…»
Dopo l’arrivo di Kenny pensò in silenzio.
Maribel prese un ultimo tiro di sigaretta, poi gettò il mozzicone a terra, schiacciandolo sotto un piede. Si allontanò di qualche metro dalla panchina, senza voltarsi.
«Scusami, ma non ho voglia di sentire le tue lagne» disse poi, inclinando la testa quel poco che bastava per mostrare un quarto del viso.
Levi sorrise.
«Vai a farti fottere, allora»
Maribel ricambiò il sorriso, ma Levi non poté vederlo. La ragazza scomparì nuovamente dietro la magnolia da cui era comparsa. Levi, per puro caso, si trovò a posare gli occhi sulla prima sigaretta che aveva acceso: era ormai spenta del tutto.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Ragazzi, siamo ormai a più di metà ff! Spero che gli ultimi non vi abbiano annoiato, considerato che ho iniziato a dargli una piega più “seria” dove si stanno sviluppando alcune situazioni che “esploderanno” del tutto nel finale xD Vedo però che, anche se silenziosi, continuate a visualizzare i capitoli. Non posso che esserne contenta <3 A presto!
 

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Capitolo 13
*** La caccia al tesoro - Sentieri paralleli ***


La caccia al tesoro - Sentieri paralleli
 
Agosto era appena cominciato ed Erwin si stava godendo il suo primo giorno di ferie. Alla fine, aveva preferito rimanere a rilassarsi a casa piuttosto che andare in vacanza per qualche giorno. In ogni caso, avrebbe seguito Levi e Hanji a mare per la nottata di Ferragosto. In questo modo, si sarebbero arrangiati in tenda piuttosto che spendere i soldi per il noleggio di un furgone. Non che a Erwin importasse risparmiare, anzi: aveva messo da parte un bel po’ di soldi e, essendo da solo, non aveva molto modo di spenderli. Ma Levi, come al solito, voleva evitare di spendere troppo: tra l’altro avrebbe portato con sé Yelena, pagando per lei. Anche Erwin avrebbe voluto portare Seraphine ma, ancora, non aveva trovato il momento adatto per parlare di lei ai suoi amici.
Quel giorno, però, sarebbe stato speciale: era il compleanno di Zeke, ma l’uomo aveva deciso di festeggiare la laurea di Maribel proprio quel giorno. Disse che sarebbe stata l’occasione perfetta in quanto la ragazza non si sarebbe mai aspettata una festa a sorpresa proprio durante il giorno del compleanno di lui. Erwin si meravigliò di quanto quell’uomo potesse essere attento a certi piccoli dettagli: a causa dell’antipatia di Levi e Hanji nei suoi confronti, Erwin aveva sempre visto Zeke solo come un troglodita, ma, forse, si sbagliava; almeno con quella caccia al tesoro, Zeke si era dimostrato molto più di quello che i suoi amici volevano far credere di lui.
Erwin avrebbe quindi approfittato della festa per ufficializzare la sua relazione con Seraphine. Un po’ si sentiva in colpa, in quanto sapeva che, dopo quella notizia, l’attenzione di Levi e Hanji si sarebbe focalizzata su di lui, adombrando il compleanno di Zeke e la laurea di Maribel. Ma, se voleva evitare sceneggiate da parte dei suoi amici, la caccia al tesoro era il momento migliore per uscire allo scoperto: poi, tra l’altro, sarebbero stati tutti abbastanza ubriachi e avrebbero preso la notizia con molta leggerezza.
Erwin prese il telefono e chiamò Seraphine: era ora di pranzo e, tra un paio d’ore, lui e Seraphine si sarebbero dovuti trovare nel luogo dell’incontro stabilito con Zeke. Seraphine rispose al telefono ed Erwin uscì di casa.
«Dove sei?» chiese lei, intenta a girare una frittata.
«Dieci minuti e sono là. Tu, piuttosto, sei pronta?»
Seraphine si prese una ciocca di capelli, portandola sotto il naso.
«Dio, puzzo di fritto. Credi che avrò il tempo di farmi uno shampoo dopo pranzo?»
Erwin arrivò al parcheggio.
«No. Non importa. Nessuno ci farà caso» Erwin raggiunse la sua macchina e aprì lo sportello «Sto partendo adesso. Ci vediamo tra poco. Mi raccomando, fatti trovare pronta»
Seraphine annuì. Poi chiuse la telefonata e, dopo aver spento i fornelli, corse in camera a cambiarsi.
Erwin, intanto, era già partito verso casa di Seraphine. Si dovette fermare di fronte a un semaforo rosso e ne approfittò per ricontrollare il telefono ed essere certo che Zeke non gli avesse mandato qualche messaggio. Quando rialzò lo sguardo dal telefono, vide che Armin gli stava attraversando la strada. Suonò col clacson per farsi notare e il ragazzo, che aveva un’espressione afflitta, alzò lo sguardo verso di lui. Il semaforo era tornato verde. Erwin suonò un’altra volta, ma per intimare il ragazzo a spostarsi così che lui avrebbe potuto continuare ad avanzare. E Armin si spostò, ma per raggiungere la macchina dell’amico e fiondarcisi dentro.
«Hanno fatto sesso» disse Armin, un’espressione sconvolta sul viso.
«Cosa?» esclamò Erwin che continuò ad avanzare con l’automobile nonostante l’intrusione di Armin.
«Eren e Historia. Hanno fatto sesso» Armin si portò una mano alla fronte, trattenendo a stento le lacrime «Dio, come potrò riuscire a nasconderlo a Mikasa fino alla fine della festa?»
«Come hai fatto ad accorgertene tu e non Mikasa?» chiese Erwin, affrettandosi a raggiungere casa di Seraphine «E, comunque, sono di fretta. Ho l’appuntamento con Zeke alle tre in punto…»
«Mikasa è rimasta a dormire da Maribel come da piano» rispose Armin «E sono sicuro che quello stronzo di Eren abbia aspettato fino ad ora per infilarsi in mezzo alle gambe di Historia proprio perché stava aspettando un’occasione del genere, senza Mikasa in casa. Senti» Armin si voltò verso Erwin, guardandolo implorante «Non è che posso venire con te? Avrei dovuto incontrare Mikasa tra un paio d’ore, ma non ho nessuna voglia di vederla prima di stasera»
Erwin era quasi arrivato a casa di Seraphine. Non che gli dispiacesse avere il ragazzo a tenergli compagnia, anzi, avrebbe anche voluto ascoltare la triste storia del triangolo Eren-Historia-Mikasa. Ma, quel giorno, aveva un bel po’ di cose a cui pensare e aggiungere altra carne al fuoco non sembrava una saggia idea.
«Armin, puoi venire con me» rispose Erwin, cercando parcheggio sotto casa di Seraphine «Ma non ho intenzione di ostacolare la caccia al tesoro in nessun modo. Innanzitutto, sappi che stiamo andando a casa della donna con cui mi sto sentendo…»
«Ok» disse semplicemente Armin, liberandosi dalla cintura di sicurezza.
«Come ok?» esclamò Erwin, deluso «Ti sto dicendo che ho una ragazza e questa è la tua reazione?»
Armin scrollò le spalle.
«Credo di avere problemi più seri, al momento»
Erwin lo ignorò. Parcheggiò e scese dall’auto. Poi, insieme al ragazzo, prese l’ascensore per raggiungere il terzo piano. Arrivati davanti la porta di casa di Seraphine, Erwin bussò. Aspettò qualche minuto e, poi, finalmente, la donna aprì. Sembrava pronta ma, tuttavia, la sua espressione era preoccupata e non prospettava nulla di buono.
«Tutto ok?» chiese Erwin, entrando in casa e stampandole un bacio sulla testa.
«Sei un bastardo» Erwin s’irrigidì, riconoscendo il timbro di quella voce «Sei veramente un bastardo. Per quanto tempo avevi intenzione di tenercelo nascosto?»
Hanji era seduta al tavolo e stava già mangiando quello che Seraphine aveva portato come antipasto. Era già vestita da sera e perfettamente truccata.
«Buon pomeriggio anche a te, Hanji» disse Erwin, mentre Armin gli passava davanti per sedersi al tavolo.
«Ah, meno male che ci sei tu» disse il ragazzo alla donna «Ho bisogno di aiuto. È successa una cosa e non so come dirlo a Mikasa senza rovinarle la serata…»
Hanji ignorò le parole di Armin e addentò un pezzo di formaggio.
«Però, sono contenta di essere venuta a conoscenza del vostro piccolo segreto proprio oggi» disse, senza incrociare lo sguardo di Erwin «Il fatto è che è passata una persona da casa e sono scappata da Seraphine per chiederle consiglio sul da farsi. Ma mai mi sarei aspettata che mi raccontasse del vostro bacio alla festa di Eren e della vostra recente frequentazione…»
Erwin aggrottò le sopracciglia.
«Chi è passato da casa? Cosa c’entra con me e Seraphine?»
«Che poi Eren non si poteva scopare una qualunque, no! Si è andato a scopare proprio la cugina del suo fratellastro, che stasera sarà presente alla festa…» disse Armin, continuando ad essere completamente ignorato dai presenti.
«Erwin» disse Hanji, trovando finalmente il coraggio di guardare l’amico negli occhi «Oggi è passata Lexa»
Erwin non disse nulla. Si sedette al tavolo e, con un cenno del braccio, chiese a Seraphine di fare lo stesso. Si versò del vino bianco in un bicchiere e ricambiò lo sguardo di Hanji.
«Dunque Lexa sapeva che io mi trovavo a casa di Levi? Come?»
«E io che ne so!» urlò Hanji alzandosi di scatto dalla sedia «Abbiamo visto un padre assoldare il suo barman di fiducia per spiare la figlia. Abbiamo visto uno zio corrompere una giovane per ricavare informazioni riguardanti il nipote abbandonato anni orsono. Abbiamo visto così tante cose, in questi mesi, che sembra di essere in un episodio crossover tra un drama americano e una serie di spionaggio»
«Che cosa voleva?»
«Nulla» disse Hanji, grattandosi la nuca e iniziando a muoversi avanti e indietro per la stanza «O, almeno, credo nulla. Non lo so, perché l’ho subito cacciata via»
«Sì, come no» rispose Erwin, finendo il vino nel suo bicchiere «Non lo avresti mai fatto. Sputa il rospo, Hanji. Non so se ho intenzione di vederla, ma, sicuramente, non oggi»
«È incinta» disse Hanji in un soffio, congelando l’atmosfera.
Armin smise per un attimo di pensare a Eren e Historia a letto insieme. Seraphine rimase a fissare il vuoto. Erwin fermò la mano che stava arrotolando la forchetta per prendere una fetta di salame.
«Ribadisco» disse infine Erwin, senza alzare lo sguardo dal suo piatto «Cos’ha a che fare tutto questo con me?»
 
Levi non sapeva nulla né dell’arrivo di Lexa e neanche della nottata di Eren. Aveva infatti dormito da Yelena, come stava già facendo da qualche giorno, un po’ per lasciare più spazio ad Hanji e Marzia in casa sua ma anche per cercare di capire meglio cosa provasse per quella donna.
Aveva appena finito di mangiare quando lesse il messaggio di Zeke. Il fatto che lui e quell’uomo che detestava terribilmente avessero preso a parlare solo per festeggiare un’altra persona che, pure, non gli stava tanto simpatica, gli dimostrava che, nella vita, era davvero possibile di tutto. Zeke gli aveva ricordato che, quel pomeriggio, avrebbe dovuto tenere Maribel occupata durante la prima parte della caccia al tesoro. Più precisamente, avrebbe dovuto incontrarla “casualmente” sotto casa chiedendole di fargli compagnia per un motivo che Levi avrebbe inventato sul momento. Tutto ciò per farle credere che Levi non avesse niente a che fare con la caccia al tesoro, cosa che lui trovava davvero stupida e infantile, ma decise di non intromettersi: qualsiasi cosa, pur di togliersi anche quella giornata di mezzo.
Levi aveva finito di lavarsi i denti e uscì nella piccola cucina dove Yelena stava già lavando i piatti. Le andò incontro, mettendole fretta.
«Li lavo io stasera» disse lui, impaziente «Forza, siamo in ritardo. Mikasa mi ha mandato un messaggio dicendomi che Maribel ha trovato il primo biglietto»
Yelena chiuse il rubinetto e si asciugò le mani. Alla fine, Levi aveva scelto di portare Yelena con sé durante quella “missione”. Non solo sarebbe stata una situazione più realistica, ma, inoltre, avrebbe potuto rimanere in compagnia della sua ragazza, dato che rimanere da solo con Maribel per troppo tempo lo metteva estremamente a disagio, dopo gli accadimenti con Kenny e la discussione al parco delle magnolie.
Levi e Yelena scesero di fretta e, con altrettanta fretta, raggiunsero l’isolato dove abitava Maribel, fortunatamente molto vicino da casa della bionda. La coppia si appostò dietro un cespuglio, mentre Levi teneva gli occhi puntati sullo schermo del telefono in attesa di novità da parte di Mikasa. Novità che non tardarono ad arrivare.
“Sei con la spilungona?” chiese Mikasa tramite un messaggio.
“Sì” rispose Levi, continuando a spostare lo sguardo dallo schermo al portone di casa di Maribel.
“Ti avevo implorato di venire da solo”. “Chiunque, ma non Yelena”. “Mandala via, ti prego”. “Levi, non sto scherzando, non rovinare tutto come al tuo solito”.
Quei messaggi da parte di Mikasa arrivarono come un fulmine, uno dietro l’altro. Levi fu un po’ sorpreso di leggerli: non che Mikasa sembrasse amare particolarmente Yelena, ma non credeva nemmeno che fosse così tanto contraria alla loro relazione.
Levi stava per rispondere, quando sentì il portone aprirsi. Yelena gli scosse un braccio per catturare la sua attenzione e Levi saltò letteralmente fuori dal cespuglio per raggiungere il portone.
«Buon pomeriggio» disse Levi, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più falsi «Che ci fai da queste parti?»
Maribel gli lanciò un’occhiata confusa.
«In che senso?» chiese «Sono appena uscita dal portone di casa mia…»
«Ciao, Teriyaki!» esclamò Yelena, comparendo all’improvviso dietro Levi.
«Wasabi» sussurrò Levi, colpendo con il gomito il braccio destro della bionda.
«Wasabi!» si corresse Yelena, avvicinandosi alla ragazza «Dove vai? Che stai facendo? Vuoi una mano?»
Maribel aggrottò le sopracciglia e si portò una mano dietro la nuca.
«Scusatemi, ma devo proprio scappare, adesso. Devo raggiungere un posto prima che siano le quattro e non ho nemmeno un’automobile per spostarmi, per cui…»
«Che problema c’è?» disse Levi, prendendo le chiavi della macchina dalla tasca dei pantaloni «Ti accompagneremo noi. Dove sei diretta?»
In quel momento il portone si aprì nuovamente e Mikasa uscì fuori, salutando Levi e Yelena come se non avesse la più pallida idea che fossero lì. Poi si avvicinò alla donna, prendendole un braccio tra le mani.
«Che fortuna incontrarti qui per caso!» esclamò Mikasa, fingendosi preoccupata «Tu lavori da Credito Eldiano, giusto?» Yelena annuì confusa e Mikasa fece finta di essere sorpresa «Perfetto! Ho avuto un problema con la banca e ho bisogno d’aiuto. Maribel, ti secca se ti raggiungo più tardi così mi levo questo impiccio di torno?»
Maribel incrociò le braccia al petto, visibilmente seccata.
«Sentite, fate tutti quello che volete. Ma, adesso, lasciatemi raggiungere il castello in santa pace»
 
Hanji sedeva al tavolo, di fronte Seraphine. Il pranzo era finito molto velocemente e, alla fine, Erwin era uscito di casa prima del previsto. Aveva detto a Seraphine che, in fondo, non era necessario che lei venisse all’appuntamento con Zeke e che poteva presentarsi direttamente alla festa di quella sera. La donna non fece obiezioni, perché capiva bene che Erwin aveva bisogno di passare del tempo da solo.
«C’era così tanto bisogno di dirglielo proprio oggi?» chiese Seraphine, iniziando a sparecchiare il tavolo «Potevi parlargliene domani, così che avrebbe potuto chiamare Lexa e risolvere da solo la questione…»
«E tu dovevi aspettare così tanto per dirmi della tua tresca con Erwin?» esclamò Hanji, posando le braccia sul tavolo «Che poi sei stata praticamente costretta, dato che mi sono fiondata qui solo per chiederti consiglio sul da farsi proprio mentre tu stavi preparando il pranzo per il tuo principe azzurro»
Seraphine posò una fila di piatti sporchi dentro il lavello e si voltò a guardare Hanji.
«Ma ti rendi conto che la donna che Erwin pensava di tenersi accanto per tutta la vita sta aspettando un figlio da un altro e tu stai qui a lamentarti dei tuoi complessi da bambina viziata?» Hanji ricambiò lo sguardo di Seraphine e la sua espressione si fece furiosa «E no, non guardarmi così. Sai che ho ragione. Se avessi messo da parte il tuo orgoglio ferito, in questo momento Erwin sarebbe ancora qua e staremmo pensando al modo migliore per portare a termine la caccia al tesoro senza intoppi»
Hanji spostò lo sguardo verso quella tavola ormai sgombra e strinse i pugni. Forse, Seraphine aveva un po’ ragione. Forse era stupido prendersela per quel segreto tra i due quando Erwin era appena venuto a sapere che la donna per cui aveva mollato tutto era venuto a cercarlo per dirgli della sua gravidanza. Forse, come al solito, stava esagerando. Ma non aveva nessuna intenzione di chiedere scusa, non questa volta.
«E tu non credi che, proprio sapendo che sono fatta così, Erwin avrebbe dovuto parlarmi di te molto prima?» disse Hanji, tornando a guardare la collega «Mi dispiace per Erwin e mi dispiace avergli rovinato la serata. Ma non ho nessuna intenzione di…»
«Non hai rovinato la serata solo ad Erwin» disse Seraphine, incrociando le braccia al petto «L’hai rovinata a me e probabilmente anche a Lexa che sta aspettando che Erwin si faccia sentire. Spero che tu non l’abbia rovinata anche a Zeke, che ha fatto di tutto per far funzionare le cose, oggi. E, di conseguenza, spero che tu non l’abbia rovinata alla festeggiata…»
Hanji prese la borsa che aveva lasciato appesa a una sedia e se la mise in spalla.
«E finiscila di fare la vittima» disse, dirigendosi verso la porta «Io ho fatto il mio dovere, oggi. So che sono nel giusto e, comunque, gli affari miei con Erwin non ti riguardano»
«E allora non vedo perché dovrebbe riguardarti la mia relazione con lui» rispose Seraphine, ma, ormai, era troppo tardi per farsi sentire.
Hanji chiuse la porta e iniziò a correre verso le scale. Scese in fretta fino al piano terra e, nel frattempo, compose un numero al telefono.
«Pronto?» rispose Lexa, con voce tranquilla.
«Dimentica quello che ti ho detto» disse Hanji, alzando un braccio per bloccare un pullman che stava passando «Non ho intenzione di parlare con Erwin oggi. Gli dirò tutto domani e ti aggiornerò sul da farsi»
Lexa non disse nulla, ma annuì in silenzio. Dopo una lunga pausa, la donna si schiarì la gola.
«Credi che mi odi?»
Hanji deglutì. Cosa avrebbe dovuto rispondere? No, non credeva che Erwin la odiasse. Ma, di certo, lo aveva fatto in passato. Tuttavia, quella era una questione che avrebbero dovuto risolvere i diretti interessati e non aveva nessuna voglia di creare ulteriore scompiglio, quel giorno.
«Devo chiudere» disse, allontanando il cellulare dall’orecchio e pigiando sulla cornetta rossa nello schermo.
 
Erwin chiuse la telefonata con Zeke. Non si sarebbe aspettato tutta quella calma da parte di quell’uomo, eppure, quando gli spiegò il motivo di un suo probabile ritardo, Zeke si limitò a dire che, nel frattempo, avrebbe provveduto a preparare il tutto con l’aiuto di Eren, Mikasa e Armin, che avrebbero dovuto raggiungerlo allo stesso orario di Erwin.
Erwin raggiunse il palazzo in cui era diretto e parcheggiò maldestramente sotto di esso. Scese dalla macchina e corse a citofonare lì dove era stampato il cognome della sua ex moglie. Dopo un attimo di silenzio, una voce a lui fin troppo familiare gli disse di salire. Probabilmente, Lexa lo aveva visto arrivare dalla finestra. Di certo, non era stata avvisata da Hanji: Erwin si era preoccupato di mentire all’amica dicendole che doveva scappare per raggiungere Zeke.
Erwin chiamò l’ascensore, ma quando si rese conto che ci stava mettendo troppo tempo per scendere, preferì salire le scale. Arrivò al sesto piano col fiatone, trovando la porta di casa di Lexa spalancata. Erwin era piegato in due, con le mani posate sulle ginocchia. Poteva vedere soltanto il piede e la caviglia della donna, che lo guardava preoccupata.
«Non mi aspettavo di vederti oggi» disse lei «Mi ha chiamato Hanji poco fa. Mi ha detto che non aveva nessuna intenzione di parlarti di ciò che è successo stamattina»
Erwin alzò finalmente lo sguardo e, dopo tanto tempo, incontrò di nuovo quello di Lexa. Si meravigliò nel non provare alcun dolore o risentimento. Sentiva solo una lieve sensazione di nausea, dovuta, di certo, allo sforzo fisico a cui si era sottoposto correndo senza sosta per sei piani.
«Perché ci tenevi a dirmelo?» chiese lui, poggiando una mano sulla porta «Era veramente necessario dirmi che stai aspettando un bambino?»
Lexa non rispose. Si spostò di lato, facendo cenno ad Erwin di entrare in casa. L’uomo non se lo fece ripetere due volte. Mise piede dentro casa e, all’improvviso, venne colto da una forte nostalgia.
Quella casa era uno dei luoghi in cui vide sbocciare il suo amore per Lexa. Era la casa dei genitori di lei, che, però, si trasferirono in campagna dopo il matrimonio della figlia. Quando Erwin era ancora uno studente universitario, Lexa viveva ancora con la famiglia. I due si conobbero dopo una serata di festa ed Erwin si meravigliò del fatto che lei vivesse con i suoi. Erwin conosceva bene quella casa e, in un certo senso, ci era un po’ cresciuto. Ma sentiva che la sua malinconia fosse dovuta più ai suoi ricordi di gioventù che non a una sorta di sentimento che provava ancora per Lexa.
«Mi dispiace essere comparsa così all’improvviso. Sono una frana, in queste cose, lo sai» disse Lexa, chiudendo la porta «Ma io non ti ho mai odiato e, se devo essere del tutto onesta con me stessa, non ho mai neanche smesso di volerti bene. Ho smesso di amarti, e questo lo sappiamo entrambi. Ma ti stimo e ti rispetto come il primo giorno di matrimonio e sei una di quelle persone che non vorrei mai perdere. Scusami, Erwin, so che non dovrei dirti queste cose…»
Erwin prese un sospiro. Si spostò dall’ingresso verso la cucina, percorrendo il lungo corridoio cosparso di mobili antichi e ricoperto da una carta da parati ingiallita.
«Di quanti mesi?» chiese Erwin, aprendo il frigo e prendendo una bottiglia di limonata, sicuro di trovarla lì.
«Due» disse Lexa, portandosi le mani al grembo ­«E il padre…»
«È l’uomo per cui mi hai piantato» finì Erwin, versando la limonata all’interno dei due bicchieri «Quindi credo che tu abbia fatto bene a lasciarmi così, se questo ti ha portato a trovare finalmente la tua strada»
Lexa abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello di Erwin. I suoi corti capelli neri che le ricadevano sul viso sembravano volerla nascondere alla vista di lui.
«Io non credo che tu fossi pronto per un passo del genere. Sì, è vero, mi sentivo trascurata per via del tuo lavoro. Sì, è vero anche che mi sarei innamorata di lui anche se fossi stato più presente. Però…» Lexa avvicinò una sedia e ci si sedette «Abbiamo sbagliato tutto fin dal principio. Sapevamo bene di volere due cose diverse»
Erwin prese un sorso di limonata. No, questa volta Lexa stava sbagliando. Da quel matrimonio, entrambi volevano le stesse cose: un amore felice e una grande famiglia. Semplicemente, Erwin aveva sempre messo sullo stesso piano la sua carriera. Cosa che, invece, Lexa aveva del tutto accantonato, dopo il matrimonio.
Erwin si avvicinò al tavolo, portando con sé i due bicchieri e porgendone uno alla donna. Lexa prese il suo bicchiere tra le mani e alzò lo sguardo verso quello di Erwin.
«Ti voglio bene, Lexa. E ti auguro che, questa volta, il sentiero che hai tracciato per il tuo futuro trovi un punto d’incrocio con quello che l’uomo che ami sta percorrendo»
 
 
ANGOLO AUTRICE: Benvenuti in questo primo di una serie di capitoli in cui, semplicemente, succederanno cose xD Tra il sensato e il demenziale, tra il serio e il comico, la caccia al tesoro sarà divisa in varie parti e tratterà svariati personaggi. Cercherò di sbizzarrirmi il più possibile, dato che, ormai, mancano meno di una decina di capitoli alla fine. Alla prossima!
 

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Capitolo 14
*** La caccia al tesoro - Triangoli ***


La caccia al tesoro - Triangoli
 
Casa di Zeke – Ore 15:00
Hanji si era autoinvitata all’appuntamento che Zeke aveva pianificato per discutere su come organizzare la festa per Maribel. Si sentiva un po’ in colpa a pensarlo, ma la laurea della ragazza era l’ultimo pensiero di Hanji che, in realtà, si era recata lì solo perché credeva di incontrare Erwin. All’appuntamento trovò invece, oltre a Zeke, soltanto Mikasa (che, con sorpresa di Hanji, era andata fin lì accompagnata da Yelena), Armin (che aveva uno sguardo terrorizzato e sembrava potesse morire da un momento all’altro) ed Eren. Solo allora Hanji si ricordò della tresca di Eren e Historia e le venne spontanea una domanda.
«Dove sono i due biondini?» chiese, sotto lo sguardo spaventato di Armin ­«Erwin e Historia. Perché non ci sono?»
Zeke si sedette al tavolo, incrociando le gambe.
«Erwin arriverà più tardi» rispose «Riguardo a Historia, sarà presente stasera alla festa, probabilmente, ma non vedo il motivo per cui dovrebbe essere qui adesso»
Eren deglutì e guardò Armin che, invece di ricambiare lo sguardo, abbassò la testa per coprire il viso arrossato.
«A che punto è Maribel con la caccia al tesoro?» chiese Armin, quasi urlando, non riuscendo a nascondere l’agitazione.
«Ha trovato il primo biglietto e si sta recando al castello insieme a Levi. Tutto bene, Armin?» chiese Mikasa, poggiando una mano sulla spalla dell’amico.
«Perché Erwin arriverà più tardi?» chiese Hanji, sistemandosi gli occhiali sul naso «Dov’è finito? Non ci pensa alla sua amica Maribel e a tutto quello che tu stai dolcemente organizzando per lei?»
Zeke non rispose e si limitò a spostare degli ingredienti dal frigo e da una dispensa verso il tavolo. Armin aveva preso a mordersi un labbro ed Eren lo sorreggeva, come se potesse cadere a terra da un momento all’altro. Mikasa guardava entrambi perplessa, ma decise di concentrarsi su ciò che stava facendo Zeke.
«Una torta?» chiese la mora, avvicinandosi al tavolo «Ci hai chiamati in così tanti solo per fare una torta?»
Zeke alzò le spalle.
«Faccio schifo in cucina e, considerato che mangerete anche voi, vi conviene darmi una mano»
«E comunque tanti auguri, Zeke» disse Armin, cercando di nascondere il panico «Eren, hai portato quello che ti avevo detto di portare?»
Eren si portò una mano alla nuca.
«Ti giuro, Armin, che mi ero ricordato di portare il regalo prima di uscire» disse Eren a bassa voce «Ma mi sono dimenticato di ricordare a Historia di prenderlo dalla borsa prima che andasse via»
«Eren» disse Mikasa, che non aveva sentito le ultime parole dell’amico «Allora? Dov’è?»
Eren deglutì. Armin guardò prima Mikasa, poi Eren. Sentiva la tensione crescere tra di loro, direttamente proporzionale all’ansia che lui stesso stava provando. Poi non resistette più.
«Ma finitela, una buona volta!» urlò, spingendo Eren che lo stava ancora sorreggendo «Non siete cambiati di una virgola dagli smidollati che ho conosciuto alle elementari. Avete sempre paura di dirvi le cose in faccia e sono sempre io quello che deve fare da mediatore, prendendosele da entrambe le parti…»
Zeke aveva appena aperto un uovo e stava cercando di dividere il tuorlo dall’albume, fallendo miseramente.
«Ma di che state parlando?» chiese, senza smettere di fissare le sue mani che muovevano i gusci «Perché non state un po’ zitti e mi aiutate a fare almeno la prima torta?»
«Di che stai parlando?» chiese anche Mikasa, guardando Armin che, nel frattempo, si era recato al tavolo per aprire un pacco di farina.
«Il regalo per Zeke è nella borsa di Historia» disse Armin, senza alzare lo sguardo dalla farina.
«Cosa? Un regalo per me?» chiese Zeke che, dopo qualche minuto speso cercando di dividere albume e tuorlo, fece cadere entrambe le sostanze nella ciotola «E ve lo siete dimenticato? Eren e Mikasa, se proprio non volete aiutarmi, perché non lo andate a prendere?»
«Che c’entra Historia?» chiese Mikasa, mantenendo lo sguardo su Eren «Non mi pare che anche lei avesse partecipato al regalo»
In quel momento qualcuno bussò alla porta e Yelena, che fino a quel momento era stata in silenzio e in disparte, si affrettò ad aprire.
«Sarà sicuramente Levi» disse «Non capisco perché quella mocciosetta mi abbia dovuto tirare fuori dal piano di Zeke»
«Infatti tu non c’eri nel mio piano» disse Zeke, con il foglio della ricetta in mano.
Yelena aprì la porta e comparve Erwin. Hanji si voltò verso di lui, con un’espressione preoccupata.
«Ehi!» esclamò, avvicinandosi all’uomo «Dov’eri finito?»
Erwin si guardò attorno, come a volersi accertare che i presenti fossero tutti in quella stanza. Poi fece un passo indietro, allontanandosi dalla porta.
«Vedo che siete abbastanza» disse, ignorando la domanda di Hanji «Io vado a prendere Marzia e raggiungiamo Maribel e Levi al castello»
«Vengo anch’io» disse Yelena girandosi di scatto, ma scontrandosi contro Mikasa che, immobile, la guardava con fare minaccioso.
«Ma che dovete fare al castello?» chiese Hanji, brandendo la frusta da cucina «Perché non so niente di come avete organizzato la caccia al tesoro?»
«Ma quindi dov’è Historia col mio regalo?» chiese Zeke, tornando a concentrarsi su quell’argomento spinoso.
Erwin andò via, cercando di raggiungere il piano terra il prima possibile. Era stato chiamato lui stesso da Marzia e il fatto che la donna gli avesse detto di venire urgentemente lo aveva messo nel panico. Fortunatamente, lui era riuscito a congedarsi da Lexa nel modo migliore possibile. I due si erano promessi l’un l’altro di non sparire nel nulla e lui le aveva augurato una gravidanza serena e un matrimonio felice (perché, come lui aveva già intuito, la sua ex moglie era già pronta a risposarsi). Erwin era sincero quando disse alla donna di non provare alcun risentimento, così come non provava rabbia nei confronti di Hanji per ciò che era successo durante il pranzo. Si sentiva invece un po’ in colpa per avere abbandonato Seraphine, ma, in quel momento, il suo obiettivo principale era raggiungere Marzia.
Erwin chiamò la donna prima ancora di arrivare sotto casa sua, così che, una volta uscita dal portone, Marzia poté entrare immediatamente in macchina. La donna si trovava ancora a casa di Levi e aveva ancora addosso i vestiti della sera prima.
«Ma che sta succedendo?» chiese Erwin rendendosi conto che stava passivamente eseguendo degli ordini senza capirci ormai più nulla di quelli che erano i piani per quella caccia al tesoro «Non ho mai assistito a una festa a sorpresa così ostacolata»
«È tutta colpa di Mikasa» disse Marzia, cercando di truccarsi nonostante i dossi le ostacolassero la manovra «Non mi aspettavo fosse così sentimentale»
«Che c’entra Mikasa?» chiese Erwin, accelerando e frenando in continuazione a causa del traffico.
«Sai che odio Zeke. Ma non posso permettere che Maribel faccia una stronzata proprio oggi, non dopo tutto quello che quell’uomo sta facendo per lei»
«Tutti odiamo Zeke. Non mi dire che Maribel ha intenzione di lasciarlo?»
Maria sospirò.
«No, magari» rispose, riposando il kit con i trucchi nella borsa «Ma ormai è presa dal pensiero che ha chiuso con questa città e, essendosi laureata, vuole andar via. Prima, però, vuole togliersi qualche sfizio»
«Credi che non sia diretta al castello ma a casa di qualcun altro?» chiese Erwin, intendendo solo in parte ciò che Marzia aveva voluto dire «Credo che Levi non l’abbia lasciata da sola, o me l’avrebbe detto. Vabbè che sembra sempre strafottente, ma quando vuole…»
«Ho paura che Maribel faccia qualcosa di stupido con Levi» urlò Marzia, alzando le braccia «Perché è da mesi che me ne parla e ormai i suoi giorni qui a Eldia stanno per finire e lei non è una da lasciarsi certi rimpianti alle spalle»
Erwin scoppiò a ridere e Marzia lo guardò sconvolta.
«Ma Levi non se la sbatterebbe mai»
Marzia sbruffò. Prese il cellulare e compose in fretta il numero di Maribel.
«Ma che te ne importa se ci riesce o meno? Il punto è che, se dovesse anche solo provarci, stasera manderebbe all’aria tutta la festa, sicuro» Marzia posò nuovamente il cellulare dentro la borsa «Ecco, non risponde»
Erwin continuava ad avanzare verso il castello e, intanto, prese il suo telefono.
«Adesso chiamo Levi così mi faccio dire precisamente dove sono e gli dico che stiamo arrivando, così, qualunque sia l’obiettivo di Maribel, potrai stare tranquilla» Erwin sentì la voce registrata della segreteria telefonica e chiuse la telefonata «Vabbè, sicuro starà già parlando al telefono con qualcun altro. E, comunque, penso che ti stia facendo un sacco di paranoie inutili»
Marzia non disse niente. Incrociò le braccia e guardò oltre il finestrino. Erwin si voltò verso di lei: aveva una minigonna che le lasciava scoperte le lunghe gambe. Gli occhi dell’uomo si soffermarono all’altezza delle cosce e poi continuò a guardare la strada sentendosi in colpa nei confronti di Hanji e Seraphine.
«Mikasa lo sapeva» disse Marzia, ignara dei pensieri dell’uomo «Che Maribel si era allontanata perché stava iniziando a interessarsi a Levi»
«In che senso?» chiese Erwin, svoltando verso una strada ormai vicinissima al castello «Non mi sembra il tipo di persona da scappare, quando è interessata a qualcuno»
«Solitamente no. Ma, comunque…» Marzia fece una lunga pausa, poi le si illuminarono gli occhi alla vista del castello che ormai si ergeva sopra di loro «Sbrighiamoci a cercarli e seguiamoli di nascosto»
Erwin trovò un parcheggio e, posteggiata la macchina, si affrettò a scendere preceduto da Marzia. A quell’ora faceva davvero molto caldo e l’uomo si pentì di non essersi cambiato la camicia prima di partire per quella strana avventura.
I due salirono lungo il sentiero che portava al giardino del castello, l’unico posto dove, effettivamente, Levi e Maribel avrebbero potuto trovarsi. L’edificio era infatti chiuso ormai da tempo e quel luogo veniva visitato soltanto per il grande parco all’esterno. Erwin fu sollevato dal fatto che sembrava non esserci nessuno: così, sarebbe stato più facile trovare Levi.
«Hanji sa di tutta questa storia?» chiese all’improvviso Erwin.
Marzia alzò le spalle.
«No. Mi ha chiamato Mikasa poco prima che io chiamassi te, per dirmi di venirle in soccorso con Yelena. Inizialmente non capivo, ma poi mi sono ricordata che Zeke aveva chiesto a Levi di tenere occupata Maribel durante il pomeriggio…»
«E tu credi davvero che, proprio oggi, Maribel abbia intenzione di… di…» Erwin non riusciva a dire ciò che pensava «No, non ci posso credere, mi sembra ancora troppo assurdo che Maribel voglia scoparsi Levi»
«Abbassa la voce!»
Marzia si nascose dietro un albero, avendo sentito dei passi. Erwin si abbassò sotto un cespuglio, cercando di guardare oltre le foglie. Era una situazione davvero strana e imbarazzante.
«Il biglietto si riferisce all’orologio sulla torre…» disse la voce di Maribel, che Marzia ed Erwin potevano sentire «Ma non c’è modo di arrivare alla torre e lo zoom del mio telefono fa proprio schifo»
Levi inclinò la testa.
«Ma certo che sei proprio cretina. A cosa dovrebbe servirti lo zoom? A inquadrare qualcosa dentro l’orologio? Se non c’è modo di arrivare alla torre, come pensi abbiano potuto mettere un biglietto dentro l’orologio?»
Maribel sbuffò.
«Non lo so, Levi. Ma sono troppo curiosa di scoprire a cosa mi porterà questa caccia al tesoro» Maribel prese a fare avanti e indietro con il foglietto in mano, cercando di capire dove potesse nascondersi l’altro biglietto «Ma tu credi sia stata Mikasa a organizzare questa cosa? Mi sembra troppo strano il fatto di aver trovato il primo biglietto proprio il giorno dopo in cui lei ha dormito a casa mia»
Erwin e Marzia continuavano a spiare i due dietro il cespuglio e l’albero, quando, a un certo punto, qualcuno comparve alle loro spalle.
«Posso unirmi a voi?»
Erwin e Marzia si voltarono, sobbalzando per la sorpresa, verso la voce che aveva appena parlato. Dietro di loro, Dot Pixis si sfregava il mento con una mano.
 
Casa di Armin, Eren e Mikasa – Ore 16:00
Hanji era seduta al tavolo della cucina con Eren e Armin accanto a lei. I due non dicevano nulla ed evitavano perfino di guardarsi in faccia. Alla fine, Mikasa era rimasta l’unica ad aiutare Zeke nel preparare le torte per quella sera, mentre Yelena non faceva altro che lamentarsi. Hanji, invece, aveva preferito portarsi via Eren e Armin, dopo una lite abbastanza accesa a casa di Zeke.
Alla fine, era uscita fuori la notizia della nottata di Eren e Historia. Mikasa, nonostante il suo umore fosse visibilmente cambiato dopo quella scoperta, si rimboccò le maniche e si mise ad aiutare Zeke senza dire una parola. Armin ed Eren avevano invece iniziato a litigare, in quanto il primo accusava il secondo di comportarsi sempre d’istinto senza mai considerare i sentimenti di Mikasa, mentre Eren diceva ad Armin di voler solo essere lasciato in pace e che non sopportava più tutte le responsabilità di cui lui lo caricava.
Adesso, i due sembravano essersi calmati. Hanji aveva preparato del tè per tutti e le tazze erano ancora fumanti sul tavolo.
«Armin» disse Hanji, alzando lo sguardo verso il soffitto «Io capisco che tu voglia bene ad Eren e Mikasa allo stesso modo. Ma ci sono cose che ti riguardano e cose rispetto alle quali dovresti metterti da parte…»
Eren sbruffò.
«Vedi? Perfino Hanji lo dice, nonostante sappiamo tutti quanto possa essere rompipalle…»
«Tu sei un grandissimo stronzo, Eren, e anche un codardo» disse Hanji, abbassando lo sguardo «Perché non hai mai avuto il coraggio di prendere la situazione di petto e di dire a Mikasa le cose come stanno»
Eren non rispose. Anche Armin rimase in silenzio, ma lanciò uno sguardo accusatore all’amico.
«Comunque siamo due stronzi» disse infine il biondo, bevendo un sorso del suo tè «Stiamo qui a discutere di queste cose mentre Mikasa è rimasta l’unica ad aiutare Zeke per la festa a cui dovremmo pensare anche noi»
Hanji si alzò dalla sedia, lasciando sul tavolo la sua tazza fumante.
«Andrò io ad occuparmi di Mikasa e ad aiutare Zeke. Voi rimanete qui e cercate di calmarvi. Stasera ci berremo su…» Hanji si avvicinò alla porta e, d’un tratto, si ricordò di qualcosa «Eren, ci pensi tu al regalo di Zeke?»
Eren annuì. Hanji aprì la porta e uscì.
Quei tre ragazzi le avevano sempre ricordato il rapporto che c’era tra lei, Erwin e Levi. Solo che, fortunatamente, nel loro rapporto non ci fu mai niente di sentimentale. Hanji era convinta che certe cose rovinino inevitabilmente l’amicizia tra due persone, ma sperò dal più profondo del suo cuore di sbagliarsi: al di là di tutto, Mikasa voleva molto bene a Eren e Hanji sentiva che per lui era lo stesso. Lei, invece, non poté che rivedersi nella situazione di Armin: era sempre stata il collante tra Levi ed Erwin e, quando i due si trovavano a discutere in modo troppo acceso e finivano a non parlarsi per giorni, era sempre Hanji quella che riusciva a sistemare le cose.
Hanji si posizionò alla fermata del pullman e attese. Maledisse sé stessa per non avere una macchina ma gioì quando vide passare Annie dentro la sua Smart.
«Ei» disse la ragazza, abbassando il finestrino «Dove devi andare?»
Hanji aprì lo sportello prima ancora di rispondere.
«Sai dove abita il tuo vecchio professore, no?»
«Certo» ad Annie si illuminarono gli occhi «Potrei approfittarne per salutarlo. Problemi con la squilibrata?»
Hanji alzò le spalle.
«Ma quali problemi, anzi. Zeke sembra più innamorato che mai»
Anche se non ho mai capito cosa pensare di lei si disse Hanji tra sé e sé.
Annie accelerò e si diresse verso casa di Zeke. Hanji guardò fuori dal finestrino e si chiese cosa stesse succedendo, nel frattempo, tra Erwin e Marzia. Dopo che l’amico se n’era andato dall’appartamento di Zeke, quest’ultimo aveva spiegato a Hanji che Levi stava tenendo occupata Maribel fino a quando lei non sarebbe giunta, con l’ultimo biglietto, fino a casa sua. Ma cosa c’entravano Erwin e Marzia? Hanji scosse la testa, cercando di concentrarsi nuovamente sui suoi due obiettivi: ascoltare Mikasa e aiutare Zeke con le torte.
Annie e Hanji arrivarono un quarto d’ora dopo. Trovarono l’uscio della porta semiaperto ed entrarono senza bussare. Un buonissimo odore di cucinato e di forno riempì loro i polmoni: le due respirarono forte, mentre il loro stomaco iniziò a brontolare. Poi sentirono delle urla: erano Zeke e Yelena.
«Dio, ma perché non l’hai mai uscito fuori?» gridava Yelena, fissando il bicchiere di vino che teneva in mano.
«Perché si sentono tutti male quando lo bevono, o hanno le allucinazioni» Zeke si voltò verso la porta d’ingresso e vide le due donne «Oh, Annie!»
Hanji, nel frattempo, aveva notato Mikasa che era seduta davanti al forno e guardava in silenzio il vetro. La donna si avvicinò alla più giovane, portando con sé una sedia.
«Tutto ok?» le chiese, mettendole un braccio attorno alle spalle.
Mikasa annuì, ma non disse nulla.
«Ah, il vino della famiglia Jager» disse Annie prendendo la bottiglia sul tavolo «Mi ricordo quando ci siamo ubriacati con questo in gita e alcuni compagni dicevano di essere dei giganti»
Zeke alzò le spalle.
«Perché siete dei pappamolle, a me non è mai successo niente di simile»
«Io non capisco i tuoi sentimenti, Mikasa» continuava Hanji rivolgendosi alla ragazza e ignorando gli altri presenti «Se Eren non è per te soltanto un amico, perché non glielo dici e basta?»
«Il punto non è questo. Il punto è che a me non importa cosa fa della sua vita o chi sceglie di frequentare: mi basta stare al suo fianco e questo mi rende felice»
«Ma non è vero!» rispose Hanji, quasi urlando «Allora perché hai fatto quella faccia, quando hai saputo di Historia?»
«Io non sono triste perché, finalmente, è successo qualcosa tra Eren e Historia. Io sono triste perché lui non mi ha mai nemmeno accennato al fatto che lei gli piacesse. E sono anche rabbiosa per il comportamento che lui ha avuto poco fa nei confronti di Armin»
Hanji prese una mano di Mikasa, stringendola.
«Secondo me state solo attraversando un periodo pieno di incomprensioni, ed è giusto così. Non importa quanto tu voglia bene a qualcuno: crescendo, certe cose cambiano. È inevitabile. Ma, sono certa, Eren vi vuole un gran bene. È solo che non è molto bravo a dimostrarlo. Un po’ come…»
«Un po’ come Levi» terminò la frase Mikasa, spegnendo il forno «Voi siete riusciti a sopravvivere a un sacco di cose. Io non so nemmeno se riusciremo a non far scappare via Eren entro la fine dell’anno…»
Hanji sospirò.
«Forse ha solo bisogno dei suoi spazi e di capire che è meglio dire la verità anche quando fa male, piuttosto che una bugia a fin di bene»
«Che ore sono?» chiese improvvisamente Yelena, barcollando «Perché quella zoccoletta non è ancora qui?»
Hanji guardò l’orario: non erano ancora le cinque. Probabilmente ci sarebbe voluto ancora un bel po’ di tempo prima che Maribel e Levi arrivassero da Zeke. Hanji, però, ripensò a Erwin.
«Ehi, Mikasa. Ma hai capito perché Erwin e Marzia andavano così di fretta verso il castello?»
Mikasa spalancò la bocca e sembrò come se si stesse ridestando all’improvviso da un lungo sonno.
«La tua ragazza è proprio una stronza. Sta ostacolando il piano di Zeke. E il mio. E quello di Maribel»
«Che?»
Mikasa scosse la testa.
«So che anche tu non sarai d’accordo con questa cosa. Ma, a questo punto, te lo dico»
Hanji si voltò verso Mikasa, sistemandosi meglio sulla sedia.
«Sono tutta orecchie»
«Ti ricordi quella sera quando Maribel è andata su tutte le furie perché Levi credeva che lei ed Eren si fossero chiusi in casa nostra a fare chissà cosa?» Hanji annuì «Ecco. Maribel si è incazzata proprio perché Levi voleva fare irruzione in casa per questo motivo»
«E quindi? Qual è la novità?»
«Maribel non se l’è presa perché mio zio aveva creduto che lei potesse tradirmi. Maribel se l’è presa perché Levi non era stato spinto dalla gelosia»
 
 
ANGOLO AUTRICE: Buonasera, lettori. Scusate se me la sto prendendo con calma, ma mi sono veramente affezionata a questa storia e ora che sono quasi alla fine non ho assolutamente voglia di “correre”. Farò succedere le cose poco alla volta, sperando, però, di non annoiarvi. Spero di poter aggiornare presto :*
 
 

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Capitolo 15
*** La caccia al tesoro - Malintesi ***


La caccia al tesoro - Malintesi
 
Bar del Castello – Ore 17:00
Erwin, Marzia e Pixis sedevano ai tavolini fuori dal bar sotto il castello. I primi due bevevano un caffè, mentre il secondo aveva optato per un brandy. Avevano smesso di pedinare Maribel e Levi dopo che si erano resi conto che Pixis si sarebbe fatto notare fin troppo facilmente.
«La mia bambina se ne andrà per sempre» disse Pixis, tirando su col naso «E io non posso fare niente per impedirglielo. Ma, se solo quel Zeke…»
Erwin scosse la testa.
«Hai pagato Levi per far fallire la loro storia e ora vorresti che Zeke sposasse Maribel così che lei possa continuare a stare qui?» esclamò Erwin, contrariato «Ma perché stai in continuazione a tarpare le ali di quella povera donna?»
«Ma poi sia Zeke che Maribel mi sembrano totalmente contrari al matrimonio» intervenne Marzia «Come puoi solo pensare che possano sposarsi, anche in un futuro lontano? E, poi, che ne sai se Zeke ha intenzione di rimanere a Eldia per tutta la vita…»
«Ha un posto fisso qui» rispose Pixis «Quale stupido si sposterebbe dalla pace di questo posto se ha anche un lavoro stabile?»
«Beh, Hanji vorrebbe andarsene…»
Marzia si voltò verso Erwin, che aveva appena pronunciato quelle parole. Pixis continuava a guardare il suo bicchiere, indifferente.
«In che senso Hanji se ne vuole andare?» chiese Marzia, rossa in viso.
«Non vuole sicuramente stare a vivere qui tutto il resto della sua vita» rispose Erwin, senza pentirsi di essersi fatto scappare questa informazione «Ha accettato il posto qui perché è il suo primo incarico e vuole iniziare a fare un po’ di esperienza, ma, appena ne avrà la possibilità, andrà sicuramente via di qui»
«Possiamo tornare a parlare di mia figlia?» chiese Pixis, prima di ordinare un altro brandy.
Marzia incrociò le braccia al petto.
«Possibile che mi ritenga così poco importante da non parlarmi di una cosa del genere?»
«Non vi state andando a sposare…»
«E che significa?» Marzia prese la sua borsa e si alzò «Penso che andrò a casa di Maribel. Non ho più voglia di pensare a tutta questa situazione assurda»
Erwin alzò le braccia al cielo.
«Meno male. Che poi, per quel che mi riguarda, Zeke può anche morire sotto il peso delle sue corna»
«Oddio, proprio tu ne parli in questo modo?»
«Cosa? Mia figlia tradisce quel Neanderthal?»
Erwin si infastidì alle parole di Marzia. La situazione sua e di Lexa non aveva niente a che vedere con quella di una ragazzina che non aveva nessuna voglia di impegnarsi e si spostava da un uomo all’altro senza neanche nascondere le sue vere intenzioni.
«Fai bene ad andartene» disse Erwin, alzandosi dalla sedia «Anche io penso proprio che me ne andrò»
Erwin chiamò una cameriera e lasciò i soldi sul tavolo.
«Qual è l’altro uomo di mia figlia?» chiese Pixis, rimanendo seduto al tavolo.
«La finisca con questa storia, per favore. Si faccia una sua vita e lasci vivere Maribel. Quella ragazza non ha nessun altro uomo, anzi…» Erwin spostò lo sguardo verso Marzia «Credo che, a breve, lascerà pure Zeke. E non le darei tutti i torti»
Erwin si allontanò dal bar, raggiungendo la macchina. Marzia rimase immobile per qualche minuto, finché Erwin non scomparve oltre una strada. Poi si voltò verso Pixis, con lo sguardo basso.
«Ma lei è venuto qui in macchina?»
Gli occhi di Pixis si illuminarono.
«Ma certo! Dove vuole che la porti?»
«A casa di sua figlia» esclamò Marzia, avvicinandosi all’uomo «Per favore! Ho bisogno di starmene un po’ da sola»
Pixis inclinò l’angolo della bocca per accennare un sorriso e si allontanò insieme a Marzia, non rendendosi conto di sua figlia e di Levi che stavano scendendo dal giardino del castello.
Erwin, intanto, stava cercando di raggiungere il prima possibile casa di Seraphine. Erano passate solo poche ore da quel pranzo veloce, eppure all’uomo sembrava passata un’eternità. Raggiunse finalmente il palazzo dove stava l’appartamento della donna e scese dalla macchina.
Quando Erwin bussò alla porta, Seraphine aprì in un lampo. Aveva un’espressione confusa, ma rasserenata allo stesso tempo. Si gettò tra le braccia di Erwin, alzandosi un po’ sulle punte.
«Credevo non tornassi più» disse lei, ispirando l’odore di lavanda che proveniva dal collo di Erwin.
Erwin prese le braccia della donna, liberandosi da quell’abbraccio.
«Come puoi averlo pensato?» disse, accarezzandole una guancia «Piuttosto, come stai?»
Erwin entrò in casa. Seraphine aveva già sparecchiato e pulito tutto e ogni cosa era al suo posto e in ordine. La donna chiuse la porta e si sedete sul bracciolo del divano.
«Bene. Anche se devo confessarti che non mi piace proprio il comportamento di Hanji…»
Erwin si mosse il labbro, poi guardò Seraphine.
«Ora capisci cosa intendevo quando dicevo che è fin troppo protettiva? Ma non è assolutamente una cattiva persona» Erwin si avvicinò a Seraphine, sedendosi sul divano e facendo sedere lei sulle sue gambe «Ha solo paura di perderci di nuovo»
Seraphine si lasciò andare alle carezze di Erwin e i due rimasero per un momento in silenzio. Poi la donna alzò lo sguardo sull’orologio e vide che si stava avvicinando l’ora di cena.
«Novità di Zeke e Maribel?» chiese, spostandosi dalle gambe di Erwin al divano.
Erwin si portò le mani alle tempie. Da quel che sapeva, Zeke era intento a finire i preparativi per la festa di quella sera. Maribel, invece, stava continuando la sua caccia al tesoro accompagnata da Levi. Ricordò ciò che gli disse Marzia riguardo le intenzioni della ragazza e prese il cellulare per assicurarsi che Levi non avesse chiamato.
«Credo che stia andando tutto come da piano» rispose infine Erwin «Anzi, se non hai nient’altro da fare potremmo raggiungere Zeke»
Seraphine si prese una ciocca di capelli tra le dita, abbassando lo sguardo.
«Non sei andato lì, dopo pranzo. Vero?»
Erwin alzò il volto di Seraphine posandole una mano sul mento. Voleva bene a quella donna e sentiva che lei provasse lo stesso per lui.
«C’era una questione che dovevo sistemare»
«Ma stai bene?»
Erwin sorrise. Pensò che non ci fosse motivo per cui Seraphine dovesse essere gelosa: d’altronde, anche se i due non ne parlavano mai, anche lei era reduce da un divorzio. Sapeva bene, perciò, che, una volta chiusi, certi portoni non potevano più essere aperti.
«Non potrei stare meglio» rispose lui, stringendo Seraphine tra le sue braccia «Non c’è nessun altro posto in cui vorrei essere in questo momento»
Seraphine affondò il viso dentro il petto di Erwin, respirando di nuovo il suo profumo a pieni polmoni. Poi, quel momento venne interrotto dalla suoneria del suo cellulare. I due si liberarono dall’abbraccio e Seraphine raggiunse il tavolino dov’era posato il suo telefono.
«Pronto?»
«Pronto» mormorò Hanji, dall’altro capo del telefono «Novità di…»
«Si, è qui» rispose Seraphine, spazientita «È tornato poco fa e adesso ci stavamo godendo un momento da soli, in santa pace»
Hanji simulò un conato di vomito.
«Che schifo. Non è a Erwin che mi riferivo. Però, a questo punto, potresti farmi il favore di passarmelo?»
Seraphine si avvicinò a Erwin e gli passò il telefono.
«Pronto?»
«Erwin! Scusa se non ti ho chiamato, il fatto è che… sì, insomma, non volevo disturbarti»
Erwin alzò gli occhi al cielo.
«Hanji, che cosa c’è?»
«Il fatto è che Zeke e Yelena si sono totalmente ubriacati e stanno iniziando a dare i numeri. E Levi continua ad avere il telefono irraggiungibile e se questa rompipalle non la smette di piagnucolarmi nell’orecchio io potrei pensare di compiere un omicidio»
Erwin ricontrollò il telefono: continuava a non esserci nessuna notifica.
«Hanji. Sei da Zeke, giusto? Aspettami là. Devo venirti a parlare di una cosa»
Erwin chiuse la telefonata e si alzò dal divano. Riportò il cellulare a Seraphine e s’incamminò verso la porta.
«Che è successo?»
«Ti racconterò quando arriviamo da Zeke. Sei pronta?»
Seraphine prese la borsa dall’appendiabiti e seguì Erwin che stava uscendo nel corridoio. I due scesero di fretta al piano terra e salirono in macchina. Qualche minuto dopo, erano già davanti la porta di casa di Zeke e sentivano lui e Yelena cantare canzoni straniere con una dubbia pronuncia.
Mikasa aprì loro la porta, con un’espressione di gioia sul viso.
«Sono arrivati!» urlò a Hanji che, nel frattempo, si era messa a cantare insieme ai due ubriachi.
«Ah, salve!»
Erwin entrò in casa e venne catturato dall’odore delle torte. Seraphine lanciò un’occhiataccia a Hanji, che rispose con un sorriso.
«Avete provato a chiamare Maribel?» chiese Erwin, prendendo una sedia per sedersi.
Mikasa scosse la testa.
«Ha dimenticato il cellulare a casa quando è uscita»
Erwin si mise a guardare Zeke e Yelena, che continuavano a cantare e a ridere a crepapelle.
«Ma Zeke perché lo sta facendo?»
Hanji alzò le spalle.
«Ha voluto farci provare il vino che fa in casa e alla fine ne ha bevuto più del previsto»
«Non intendevo questo» rispose Erwin che, in realtà, si riferiva alla festa e alla caccia al tesoro «Comunque, Levi è con Maribel e…»
«Sì, lo sappiamo» disse Mikasa «Solo che Hanji sta iniziando a preoccuparsi, dato che nessuno dei due è rintracciabile»
«Io non ho capito cosa è successo» disse Seraphine, sedendosi accanto a Erwin.
«Maribel vuole fare sesso con Levi e lo ha rapito portandolo al castello e quindi adesso non può più rispondere perché è morto» disse Hanji in un soffio.
Zeke e Yelena smisero di cantare. Mikasa deglutì. Erwin iniziò a fare su e giù con la gamba. Hanji maledisse sé stessa.
«Che cazzo hai detto?» disse Zeke, buttando la bottiglia vuota dentro la spazzatura.
Hanji alzò le braccia.
«Calmi, calmi, calmi. Volevo solo attirare la vostra attenzione» Hanji spostò lo sguardo verso Yelena, che sembrava più aggressiva che mai «Sei stato tu stesso a chiedere a Levi di tenere occupata Maribel fino al suo arrivo qui»
Zeke prese il suo cellulare e compose un numero. Dopo un po’, una voce familiare rispose al telefono.
«Pronto?» esclamò Marzia, dall’altro capo del telefono.
«Maribel? Pulcino? Luce dei miei occhi? Stella della sera?»
Hanji si voltò disgustata verso Erwin, che, però, sembrava ancora sotto pressione per quella situazione assurda.
«Ma non facevano cose sadomasochiste, una volta?»
«Maribel non è qui» rispose Marzia, riattaccando.
«Ma che problemi hai?» urlò Mikasa «Te l’avevo detto che Maribel ha lasciato il telefono a casa»
«È tutta colpa tua» Yelena si avvicinò verso Mikasa, brandendo un’altra bottiglia vuota come se fosse un’arma «Sei tu che hai fatto in modo che si venisse a creare questa situazione, facendomi venire qui a fare queste torte di merda!»
Il telefono di Zeke squillò. L’uomo si affrettò a rispondere e vide che si trattava di Eren.
«Pronto?»
«Ma dove portava, di preciso, la tua caccia al tesoro?» chiese Eren che, nel frattempo, si trovava con Armin nel corridoio del loro pianerottolo.
«Qui. Dopo un giro al castello e a casa sua. Ma perché me lo chiedi? Sei con Maribel?»
Yelena si avvicinò all’orecchio di Zeke, per sentire cosa stesse dicendo Eren.
«No, ma Maribel e Levi sono arrivati poco fa e adesso sono a casa di lui e…»
Zeke chiuse il telefono e si fiondò verso la porta. Gli altri, compresa Yelena, non avevano capito nulla, ma lo seguirono.
«E le torte?» chiese Mikasa «Non possiamo lasciarle qui»
«Tranquilla» Annie, l’unica che era rimasta dentro casa mentre gli altri erano già tutti nel corridoio, fece capolino dalla porta «Le porterò io se avrete deciso di spostare la festa da qualche altra parte oppure le terrò d’occhio per voi fino a stasera»
«Ma se non è nemmeno stata invitata!» esclamò Hanji, mentre scendeva le scale.
Qualche minuto dopo, il gruppo era sotto casa di Zeke. L’uomo stava per entrare in macchina, ma Erwin lo fermò.
«Allora, innanzitutto dovresti spiegarci che cosa sta succedendo» disse, tenendo la portiera aperta «E poi, non pensare di metterti alla guida ubriaco come sei…»
«Maribel è a casa di Levi» disse Zeke, spostandosi al lato del passeggero e tirando Erwin verso l’interno della macchina «Me lo ha appena detto Eren»
Hanji, Mikasa e Yelena si sistemarono nei sedili posteriori e Seraphine salì sulle gambe della collega, mentre Erwin si sedette alla guida. Chiuse lo sportello e tirò la cintura di sicurezza.
«Senti, nessuno dei due farebbe mai una cosa del genere»
«Perché gli dici una bugia?» intervenne Yelena «Levi non ha mai tenuto nascosto il fatto che, se ne avesse avuto l’occasione, si sarebbe portato a letto anche qualcun’altra»
«Comunque siamo diretti a casa del nano» disse Zeke, non appena Erwin fece partire la macchina «Dio, non posso crederci. Avrebbe potuto tradirmi con chiunque, perché proprio con lui?»
Hanji sbruffò, incrociando le braccia e guardando oltre il finestrino.
«Che stupida. Non faceva altro che dire di odiarlo e invece, sotto sotto, voleva farsi sbattere come un uovo…»
«Puoi stare zitta, per cortesia?» urlò Yelena, portandosi le mani alle orecchie «Non voglio pensare a certe cose»
Erwin accelerò. Dieci minuti dopo, aveva già parcheggiato sotto casa di Levi. Scesero tutti dall’auto e si affrettarono a salire verso il pianerottolo dove stava l’appartamento dell’uomo. Zeke non si era accorto che, nel frattempo, Eren lo aveva riempito di chiamate.
Erwin arrivò davanti la porta di Levi. Avrebbe voluto bussare, ma Hanji lo precedette e aprì la porta con la sua copia delle chiavi. Zeke e Yelena entrarono immediatamente dentro casa. Hanji rimase con la mano attaccata alle chiavi nella serratura. Erwin e Mikasa comparvero lentamente dietro i primi due, seguiti da Seraphine.
Nel suo salotto, Levi stava colorando qualcosa su un cartellone rosso insieme ad Armin, Eren e Maribel.
«Che cazzo state facendo?» disse Zeke, guardandosi attorno. Levi lo guardò con le fiamme negli occhi.
«Che cazzo stai facendo tu, scimmione di merda» urlò, alzandosi di scatto «Cosa ci fai in casa mia? Come cazzo sei entrato?»
Maribel si alzò da terra, da dove stava lavorando sul cartellone insieme agli altri. Si avvicinò a Zeke, posandogli una mano sul braccio.
«Non dovresti essere qui» disse, quasi sussurrando «Ma che ci fate tutti qui?»
 
Un’ora dopo, il gruppo era riunito attorno al tavolino nel salotto di Levi. Lui, Mikasa ed Armin erano seduti sul divano ed Erwin sulla poltrona. Zeke, Maribel e Yelena stavano su alcune sedie e Hanji e Seraphine continuavano a stare in piedi.
«Mi dispiace averti rovinato la sorpresa» disse Maribel con lo sguardo basso «Ma come ti è venuto in mente di organizzarmi qualcosa proprio durante il giorno del tuo compleanno?»
Zeke stava accarezzando il cartellone con una mano, quasi come se fosse Maribel stessa. Levi lo osservò e si ritrovò a provare un po’ di invidia nei confronti di quell’uomo. Anche se l’idea della ragazza di creare un cartellone con le loro foto gli sembrava un po’ infantile, pensò che fossero stati entrambi fortunati a ritrovarsi: in un modo o nell’altro, quel giorno, si erano entrambi venuti incontro.
«Non dovremmo essere qui» disse Zeke, alzandosi dalla sedia «Saresti dovuta arrivare a casa mia, a quest’ora»
«Ma si può sapere perché vi siete fiondati in casa mia così in panico?» chiese Levi, che, ancora, non aveva ben chiare tutte le dinamiche.
Armin si avvicinò a Mikasa, seguito da Eren, mentre la maggior parte dei presenti usciva in corridoio.
«Noi vi raggiungiamo più tardi» disse il biondo, prendendo Mikasa per mano e spostandola verso la porta d’ingresso.
Erwin, nel frattempo, si era affrettato ad aggiornare Marzia tramite messaggi. Adesso, la donna stava raggiungendo casa di Zeke, accompagnata da Pixis che, a quanto pare, era rimasto per tutto quel tempo con lei. Poi uscì di casa, lasciando indietro Levi e Maribel. Ma, ormai, nessuno più ci faceva caso: la situazione si era risolta prima ancora che potesse esplodere.
«Mah, ancora non capisco» bofonchiava Levi, dirigendosi verso la porta «Che bisogno avevano di irrompere qui in quel modo? Zeke e Yelena sembravano volermi trucidare con gli occhi»
Maribel prese con forza la mano di Levi, che stava per aprire la porta che si era quasi richiusa. Lui si voltò a guardarla, con lo sguardo confuso. Lei sembrava in preda al panico e aveva gli occhi lucidi.
«Ho fatto una cosa stupida. Una cosa veramente stupida» disse, stringendo i pugni.
Levi si trovò a metà tra l’interno di casa sua e il corridoio. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi.
«Ma che cazzo c’è, adesso? Questo è il punto in cui il narratore se ne esce con “e vissero tutti felici e contenti” e poi si chiude il sipario, quindi chi ti ha dato il permesso di cominciare con una nuova stagione de “La vita di merda di Wasabi e di come abbia deciso di fracassare i coglioni anche Levi”?»
Maribel prese un lungo respiro e uscì di fretta nel corridoio. Gli altri stavano già scendendo le scale e lei li seguì velocemente per non destare sospetti. Levi chiuse a chiave la porta e camminò dietro alla ragazza.
«Levi» disse lei, senza guardarlo «Io lo voglio lasciare»
Zeke, Yelena e Hanji arrivarono per primi sotto casa. Hanji e Seraphine, che era appena comparsa dal portone, decisero di seguire Erwin con la macchina di Zeke, mentre Yelena avrebbe aspettato l’arrivo di Levi.
Levi uscì dal portone con gli occhiali da sole e Maribel, dietro di lui, teneva la testa bassa.
«Ma che cazzo fai con quelle lenti a quest’ora della sera?» disse Zeke, indicando il cielo, quasi completamente buio.
«Ma fatti i cazzi tuoi» rispose Levi che, in realtà, si era nascosto dietro gli occhiali da sole per non mostrare possibili espressioni di disagio.
«Vengo in macchina con te» disse Maribel a Levi che, intanto, si stava dirigendo verso la sua auto.
Yelena le lanciò uno sguardo infastidito, ma non disse nulla.
Erwin entrò in macchina e Zeke si sedette di nuovo accanto a lui. Seraphine e Hanji si sistemarono sui sedili posteriori. Zeke teneva sulle gambe il cartellone arrotolato.
«Come abbiamo potuto pensare che lei volesse tradirmi con quel nano anemico?» disse Zeke, più a sé stesso che agli altri, mentre Erwin accendeva i motori «Maribel è troppo perfetta per quella specie di folletto»
Hanji pensava a tante cose, mentre l’auto di Zeke si muoveva lungo la strada. Pensava a tante cose, ma decise di non dire nulla.
 

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Capitolo 16
*** Una nottata sulla spiaggia ***


Una nottata sulla spiaggia
 
Armin ingurgitò l’ultimo pezzo di pizza e poi si poggiò con la schiena sulla sedia portando le mani allo stomaco ed emettendo un sonoro rutto. Accanto a lui, Eren continuava a tracannare birra come se non ci fosse un domani. Mikasa, invece, cercava di concentrarsi sui ricami della tovaglia di Zeke, per evitare di incrociare lo sguardo con Historia, che sedeva accanto ad Eren. Hanji cominciò a cantare “Tanti auguri a te” a Zeke, mentre, un po’ brilla, stringeva a sé Marzia.
«Quindi? Ora che si fa?» chiese Eren un po’ seccato, guardando l’orologio e vedendo che erano solo le dieci di sera.
«Perché non andiamo al mare?» esordì Armin, alzandosi dalla sua sedia «Ci portiamo le torte e passiamo la nottata in spiaggia»
«E ci portiamo anche le birre» puntualizzò Eren, lanciando un’occhiata alla cassa che ancora non era nemmeno stata messa nel frigo.
Zeke alzò le spalle, con le braccia incrociate. Dopo tutta la pizza che aveva mangiato, la sbronza gli era passata del tutto.
«Tu che cosa vuoi fare?» chiese a Maribel che, stranamente, era stata in silenzio quasi per tutta la serata «Preferisci rimanere qua o vuoi farti un giro in spiaggia?»
Maribel si guardò attorno, confusa. Accanto a lei, Levi teneva i gomiti poggiati sullo schienale della sedia e guardava in basso. Indossava ancora gli occhiali da sole.
«Ma sì, andiamo al mare!» esclamò Hanji, battendo una mano sul tavolo «È agosto e non ho visto le onde nemmeno una volta, quest’anno»
Marzia poggiò il gomito sul tavolo, guardando Maribel e Zeke.
«Dovreste decidere voi due. Però, non nego che anch’io ho una certa voglia di lanciarmi sulla sabbia bianca della costa»
Maribel annuì, poi si alzò dal tavolo per schiacciare i cartoni delle pizze.
«Va bene, andiamo al mare. Ma, prima, aiutatemi a ripulire…»
Mikasa si alzò, senza smettere di guardare in basso. Cominciò a schiacciare i cartoni della pizza insieme a Maribel e, approfittando di quella situazione in cui tutti si stavano alzando per prendere le loro cose, si avvicinò all’amica e allo zio.
«Posso venire in macchina con voi? Vi devo parlare»
Un sopracciglio di Levi comparve sopra la lente destra dei suoi occhiali da sole.
«Ci vuole più di mezz’ora, per raggiungere la costa. Credo che Maribel faccia meglio ad andare con il suo principe azzurro»
Maribel sbruffò. Era rossa in viso, ma non disse niente.
«A quanto pare devi scegliere. O me o Levi, anche se sono sicura che, se è un consiglio che cerchi, dovresti venire in macchina con me e Zeke»
Levi sbuffò e si alzò dalla sedia.
«Ne ho abbastanza dei tuoi capricci. Ho passato metà pomeriggio a tenerti compagnia per guidarti in una ridicolissima caccia al tesoro e l’altra metà del pomeriggio ad aiutarti per un ancora più ridicolo cartellone foto ricordo. Non puoi chiedermi, adesso, di darti una mano per farti mollare da Zeke…»
«Cosa?» chiese Mikasa, a voce un po’ troppo alta.
«Cosa?» ripeté Maribel, quasi urlando.
Eren si voltò verso il gruppo, tenendo una mano a Historia.
«Ehi, vi sbrigate? Io posso guidare anche fino a domattina, ma, con voi vecchi, non si sa mai…»
Levi digrignò i denti e si avvicinò a Yelena che lo aspettava davanti la porta.
«Pidocchietto inutile, aspetta che Mikasa si trovi un attimo lontana da te e ti schiaccio sotto i piedi» disse a bassa voce.
Mikasa e Maribel piegarono gli ultimi cartoni della pizza e li buttarono nel secchio della spazzatura. Poi raggiunsero gli altri nel corridoio e Mikasa prese l’amica sottobraccio.
«Vengo con te» disse «Ma andiamo in macchina con Eren»
Maribel annuì, guardando Eren che, davanti a lei, continuava a tenere la mano a Historia che saltellava camminando con quello sguardo sempre allegro.
Ma che cazzo avrà da ridere sempre? pensò Levi che, intanto, stava guardando nella stessa direzione.
Qualche minuto dopo, Levi stava guidando, con Yelena al suo fianco e Jean, Connie e Sasha sui sedili posteriori, verso la costa. Eren aveva avuto l’idea di chiamare anche gli altri suoi amici, ma, per quella volta, Levi fu lieto di avere attorno a sé così tante persone: sarebbe stato più facile stare in disparte e isolarsi senza dare nell’occhio.
«Non hai idea del panico che mi è preso oggi pomeriggio» disse Yelena, abbassando il finestrino e poggiando il gomito oltre lo sportello «Non riesco a capire perché quella mocciosa di tua nipote mi odi così tanto»
Levi non distolse un attimo gli occhi dalla strada o le mani dal volante.
«Ah, giusto. Mi puoi spiegare che cos’è successo, esattamente, oggi pomeriggio? E che c’entra, Mikasa?»
«Io non posso credere che quello stronzo di Eren si sia portato la sua nuova scopamica appresso come se Mikasa non esistesse» s’intromise Jean, che, però, venne ignorato da tutti i presenti.
«Hanji a un certo punto ha iniziato a dire che Maribel voleva portarti a letto e subito dopo ha chiamato Eren dicendo che eravate appena saliti a casa tua»
Levi non vide la buca che si trovava in mezzo alla strada e la prese in pieno, facendo sobbalzare tutti all’interno dell’automobile. Qualcosa si sentì cadere dai sedili posteriori: era un pacco di patatine che si era portata Sasha e che stava cercando di nascondere alla vista di Levi. La ragazza rabbrividì quando vide le patatine cadute sotto il sedile, ma tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che Levi era troppo preso dal discorso di Yelena per accorgersi di quella situazione.
«E quindi» disse semplicemente Levi, continuando a guardare la strada «Cosa c’entra Mikasa?»
Yelena gli lanciò uno sguardo seccato.
«Cosa? Mikasa?»
«Sì. Sei tu che hai parlato di “quella mocciosa” di mia nipote poco fa, o sbaglio?»
Yelena spostò lo sguardo oltre il finestrino.
«C’eri anche tu quando ha inventato quella scusa idiota per farmi allontanare e lasciarti da solo con quella stupida stronzetta…»
«Se credi alle parole di Hanji e sei gelosa di una persona che ho sempre evitato come la peste, la stupida sei tu»
Yelena si voltò a guardare Levi. Sembrava tranquillo, ma, per quanto stesse guidando, il fatto che non si fosse girato nemmeno una volta a guardarla in faccia la mandava in bestia.
«Sì, forse hai ragione» disse infine, tornando a guardare fuori dal finestrino «Sono una stupida. E sono anche diventata gelosa. Ma non credere che le mie paranoie siano dovute alla paura di perderti, anzi…»
«Ah, no? E a cosa?»
Yelena si compiacque del tono infastidito dell’uomo accanto a lei.
«È solo che non sopporterei l’idea di essere sostituita proprio da quella pazza psicopatica che vive solo per fuggire da suo padre e ha la maturità di una spugna di mare»
Levi non disse nulla. Continuava a guardare la strada, impassibile. Avrebbe voluto terminare quella discussione lì e arrivare il prima possibile sulla spiaggia per avere un momento libero per allontanarsi da tutti.
Il fatto è che, ultimamente, le sue giornate erano diventate strane. Da quando Kenny si era fatto vivo, Levi sembrava essere diventato più sentimentale e la sua voglia di lasciare quella città si era fatta ancora più insistente. D’altronde, l’unica cosa che lo teneva ancora incollato lì era la presenza di Erwin e Hanji che, però, in qualche modo, avevano iniziato di nuovo a vivere le loro vite separate e distinte dalla sua, nonostante avessero ricominciato tutto da zero solo qualche mese prima.
Lui, invece, cosa stava facendo? Da che cosa stava scappando, adesso? Yelena era il porto in cui si sarebbe dovuto fermare o un’altra allucinazione di un marinaio troppo stanco e infreddolito dopo l’ennesima tempesta?
Mezz’ora dopo, le automobili guidate da Levi, Eren, Erwin e Zeke si fermarono in un parcheggio vicino la spiaggia. Eren e Historia scesero dall’auto di lui, mentre, dagli sportelli posteriori, uscirono Mikasa, Maribel e Armin. Mikasa tirò un sospiro di sollievo quando vide allontanarsi Eren per raggiungere gli altri ragazzi. Poi prese Maribel per un braccio e l’allontanò dal resto del gruppo.
«È di Eren e Historia che dovevi parlarmi?» chiese Maribel, abbassando la voce.
Mikasa scosse la testa.
«No, Mari. Eren non c’entra nulla. Sto bene, davvero» Mikasa lanciò uno sguardo allo zio che stava raggiungendo Erwin e Hanji e poi si voltò di nuovo verso Maribel «Mari, ho parlato con Hanji e con un po’ tutti dei tuoi sentimenti per mio zio…»
«Eh?» Maribel si liberò dalla presa dell’amica, con il viso infiammato «Ma di che sentimenti stai parlando?»
Mikasa strinse i pugni.
«Scusa, avrei dovuto farmi gli affari miei. È solo che oggi avrebbe dovuto essere un giorno speciale, per te, e non volevo che te lo rovinassi passando il pomeriggio con lui insieme alla sua… alla sua…» Mikasa alzò le braccia al cielo «Alla sua che cazzo è»
Maribel prese un lungo respiro, cercando di calmarsi. Sentiva ancora le guance bruciarle.
«Senti, io non so a cosa ti riferisci. Ma non significa che provo qualcosa per lui solo perché ti ho detto che sono gelosa di quella spilungona e che mi ha dato fastidio il comportamento di Levi la sera dopo la discoteca e che non ho voluto trasferirmi da Levi per far stare Hanji e Marzia un po’ da sole perché non sopportavo l’idea che ci fosse anche Yelena e che sono curiosa di sapere come fa sesso e che una volta ho sognato che stavo per morire in un incendio e lui mi è venuto a salvare combattendo contro le fiamme e tirandomi fuori con i vestiti bruciati e strappati prendendomi in braccio svenuta»
«Questo non me l’hai mai detto»
«Perché è successo poco fa in macchina»
«Ehilà!» le ragazze si voltarono verso Hanji che aveva appena parlato «Sarebbe gradito se ci aiutaste a montare le tende o a preparare il falò»
Maribel sbruffò.
«Ehi, non ti dimenticare che sono io la festeggiata» urlò per farsi sentire da Hanji che era già sulla spiaggia, mentre loro erano ancora al parcheggio.
Maribel e Mikasa raggiunsero comunque il resto del gruppo, che stava già montando le tende. In realtà, l’idea di restare a dormire lì era stata un’improvvisazione di Hanji.
Dopo una mezz’oretta, tutte le tende erano state montate. Erwin si avvicinò ai suoi due amici che sedevano su uno scoglio guardando il mare.
«Quindi Yelena te l’ha detto» disse Hanji, dondolando i piedi «Lo ha fatto di certo per vedere la tua reazione»
Levi alzò le spalle, prendendo un sorso dalla sua lattina di birra.
«Ho molto altro a cui pensare in questi giorni, di certo non posso perdere tempo anche appresso a quella ragazzina»
«Ti riferisci a Yelena, vero?» disse Erwin, comparendo alle sue spalle «Non mi è mai piaciuta, quella là. E, veramente, non riesco a capire perché, di tante donne che hai avuto, tu ti stia legando proprio a questa qui»
Erwin si sedette tra Levi e Hanji e prese la lattina di birra dalle mani di Levi.
«La verità è che mi sono stancato. Non ce la faccio più, ho preso tutto a noia. Sì, il pub mi va bene e ho ben due appartamenti e abbastanza entrate da potermi dire benestante. Sì, non mi mancano nemmeno le donne…» Levi girò la testa per lanciare uno sguardo a Yelena che stava parlando con Zeke, a Maribel che giocava con una pistola ad acqua con Eren e a Hitch che, di sorpresa, si era presentata insieme agli altri amici di Eren «Ma mi sembra sempre tutto uguale» si sdraiò sullo scoglio, posando le mani incrociate dietro la testa «Voglio andarmene via e ricominciare tutto da capo»
Hanji sospirò, prendendo la birra dalle mani di Erwin. Erwin alzò uno sguardo verso il cielo, dando una pacca sulla gamba all’amico.
«Quindi mi stai dicendo che non sai se mollarla del tutto o se prenderla con te e fuggire via insieme per sempre?»
Hanji si girò completamente, per poter guardare in faccia gli amici anziché il mare.
«Comunque io ho trovato un appartamento»
Levi alzò il busto per guardare meglio l’amica ed Erwin si portò le ginocchia al petto.
«Te ne vai?» disse Levi, guardandola con la sua solita espressione priva di emozioni.
Hanji annuì.
«Sì. Sono stanca di dipendere dalle persone. Tu mi hai già ospitato per troppo tempo e Maribel, tra un po’, andrà via. Ho deciso di restare lì, appena lei lascia Eldia»
Levi sbruffò.
«Allora non te ne andrai mai. Chissà quando quella stupida si leverà dai coglioni…»
Levi tornò a sdraiarsi sulla roccia. Sentiva l’odore del mare e le onde infrangersi sugli scogli. Era così rilassato che avrebbe potuto dormire. In quel momento, comparve Marzia.
«Abbiamo preso le torte» disse, chinandosi a tirare i capelli a Hanji «Volete venire a mangiare con noi o avete intenzione di rimanere qui a fare gli asociali?»
Hanji sbruffò.
«No, no, arriviamo. Per le torte, questo e altro»
Hanji si alzò ed Erwin la seguì. Marzia abbassò lo sguardo per guardare Levi che, intanto, aveva chiuso gli occhi.
«Guarda che lo so che stai facendo finta di dormire»
«E levati dal cazzo» rispose Levi, senza aprire gli occhi «Non ho voglia di mangiare nessuna fottutissima torta. Lasciatemi qui a marcire»
Marzia sbruffò e Hanji le mise un braccio attorno alle spalle. Poi si diressero, seguite da Erwin, versò il falò e il resto del gruppo.
Zeke aveva cominciato a distribuire i piatti con i pezzi di torta e molti tra loro stavano già mangiando. Seraphine vide arrivare Erwin e gli fece posto sulla tovaglia su cui era seduta. Hanji prese due piatti di torta e uno lo porse a Marzia. Poi comparve Maribel, zuppa dopo la guerra con i fucili ad acqua.
«Quindi te ne vai?» disse Hanji, senza freni.
«Sì. Ho già prenotato il biglietto per partire. Anche se, ancora, non lo sanno né Zeke né papà…»
Maribel si sedette accanto a Hanji, che spostò lo sguardo dalla torta al viso della ragazza.
«Ma perché non lo lasci?»
Maribel tirò un sospiro.
«E come facevo, oggi? Dopo tutto quello che ha fatto per me? E durante il giorno del suo compleanno, poi…»
«Sì, ma più aspetti, più la situazione peggiora» Hanji prese una forchettata dalla torta «E poi, il fatto che tu abbia deciso di andar via non è un motivo sufficiente per lasciarlo?»
«Hanji ha ragione» disse Marzia, allungando il busto per poter guardare Maribel oltre Hanji «Diglielo e basta. È vero, stasera non è forse il momento più adatto. Ma non aspettare altro tempo…»
Maribel sembrò intristirsi. Stava per prendere un’altra forchettata di torta ma, alla fine, posò il piatto sulla tovaglia e fece per alzarsi.
«Non mi sento molto bene» disse ad alta voce, per farsi sentire anche da Zeke «Credo che farò una passeggiata sul bagnasciuga»
Zeke prese una birra dalla borsa frigorifera e la porse a Maribel.
«Forse dovresti solo bere un po’ di più»
Maribel sorrise, ma non disse nulla. Prese la birra che Zeke le stava porgendo e si diresse verso la riva. Yelena si avvicinò a Hanji.
«Dov’è Levi?» chiese, guardando le due donne con un’espressione torva.
Hanji ricambiò quello sguardo scontroso e indicò uno scoglio lontano.
«È proprio lì che si nasconde da te» disse, facendole una smorfia.
Yelena sbruffò e si recò verso lo scoglio dove Levi era ancora sdraiato. Si sedette accanto a lui e guardò il mare davanti a sé.
«Hai sonno?»
Levi fischiettò qualcosa, poi si girò su un fianco.
«Yelena, ma che ci facciamo qui?»
Yelena sorrise. Allargò braccia e gambe e respirò a pieni polmoni la brezza marina.
«Possiamo tornare a casa, se vuoi»
Levi la guardò. Il suo sguardo si era fatto serio, ma lei non poteva accorgersene perché stava guardando altrove.
«Yelena, dobbiamo parlare»
 
Mezz’ora dopo, Hanji stava iniziando ad avere problemi a parlare a causa del troppo whisky che aveva bevuto. Cercava di alzarsi da terra ma, ogni volta, ricadeva, sorretta da Erwin.
«Ma perché non tornano?» piagnucolava «Perché sono spariti? Non sono nemmeno più sopra la scogliera»
Nel frattempo, Zeke si era appisolato sulla spalla di Eren che era seduto con il busto in avanti perché credeva di dover vomitare da un momento all’altro. Mikasa sorreggeva la testa di Eren e, nel frattempo, lanciava occhiate a Maribel che era tornata dalla sua passeggiata e stava guardando Zeke con un’espressione triste.
«Sai che Levi odia dormire in tenda» disse Erwin, cercando di rassicurare l’amica «Si saranno chiusi in macchina a dormire»
«Non sono in macchina» rispose Mikasa «Sono andata io poco fa a prendere l’altra borsa frigorifera e non c’è nessuno»
 
Levi sedeva cavalcioni su una piccola barca capovolta, mentre Yelena lo guardava seduta sulla sabbia a gambe incrociate. Si erano allontanati di parecchio dal luogo del falò e, adesso, si trovavano ai piedi del faro. Yelena si voltò a guardare il mare e una folata di vento le scompigliò i capelli.
«Posso sapere perché?» chiese la donna, il cui sguardo non lasciava trapelare alcuna emozione.
Levi alzò il mento per poter guardare meglio Yelena. Alla fine, un po’ per istinto e un po’ per il discorso che aveva preso con Erwin e Hanji, aveva deciso di parlare con lei e di troncare definitivamente la loro relazione. Si sentì in colpa per aver pensato a Petra, quando disse a Yelena che lei stava iniziando a vedere la cosa troppo seriamente e questo lo faceva sentire in gabbia: Levi aveva voluto bene a Yelena, ma non era niente a che vedere con ciò che aveva provato per il suo unico, vero amore.
«Io non voglio fermarmi da nessuna parte. Tu sei un porto sicuro, ma io mi sento a casa in mezzo alla tempesta»
 
Hanji continuava a piagnucolare e a sbattere i piedi per terra, fino a far sobbalzare Zeke.
«Cosa?» urlò l’uomo, alzandosi di scatto «Levi? Cosa? Vuoi fare a botte? Eh?»
Maribel lo guardò dal basso, posandogli una mano sul braccio.
«Torna a dormire, per favore»
«Dovresti dormire anche tu» disse Erwin a Hanji, continuando a sorreggerla «Ma mi spieghi che cos’hai?»
«È colpa mia. È tutta colpa mia»
«Ma di che parli?» si intromise Mikasa che, nel frattempo, aveva portato Eren dentro la sua tenda.
«Levi starà chiedendo a Yelena di sposarlo»
Un silenzio improvviso calò tra i presenti. Mikasa aggrottò le sopracciglia, spaventata. Erwin inclinò la testa, perplesso. Maribel strinse la sabbia tra due pugni e trattenne il respiro.
 
Yelena si alzò da terra, battendo una mano dai vestiti per togliere la sabbia in eccesso. Levi continuava a stare immobile nella sua posizione, ma aveva spostato lo sguardo verso il mare.
«Suppongo che non dormiremo insieme, questa notte» disse lei, sorridendo.
Levi non rispose, limitandosi ad annuire. Dopo qualche minuto di silenzio, però, prese parola.
«Penso che mi apposterò dentro il faro. Sarà sporchissimo, dato che non è in funzione da anni, ma è sempre meglio che dormire qua fuori mangiato dalle zanzare»
Yelena non rispose. S’incamminò verso di lui e poi gli posò una mano sulla testa. Dopodiché, continuò ad avanzare, per raggiungere il luogo dove avevano sistemato le tende.
«Allora, buonanotte» urlò poi, quando era già abbastanza lontana.  
 

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Capitolo 17
*** Aria di cambiamento ***


Aria di cambiamento
 
Quell’estate passò in fretta, senza che accadimenti particolari intaccassero le vite di Erwin e Levi. Solo Hanji, all’inizio dell’autunno, aveva infine preso l’appartamento che Maribel aveva lasciato per poter iniziare la sua nuova vita con Marzia. Inizialmente sembrava tutto rose e fiori, ma, con il tempo, emersero delle discrepanze che, tuttavia, erano facilmente risolvibili.
«Ah, che bello!» esclamò Hanji una sera di ottobre, tornando a casa prima del previsto «Uno torna prima da una stancata giornata di lavoro e vorrebbe solo dormire e riposarsi. E, invece, si ritrova a dover pulire lo schifo lasciato dal pranzo di qualcun altro»
Marzia aprì la porta della camera, da dentro la quale stava fumando una sigaretta.
«Che palle che sei, Han. Tanto servono quelle stesse cose per la cena, prima di cucinare pulisco…»
Hanji ignorò le parole della donna e, rimboccandosi le maniche, iniziò a pulire le pentole, i piatti, i bicchieri e le posate lasciati sul lavello.
«Sai perché non capisci?» disse poi, senza voltarsi a guardare Marzia «Perché continui a passare il tempo al pub di Levi pensando che sia un lavoro serio, mentre ti accontenti di farti pagare quattro soldi di più da qualche finto fotografo che decide di farti un servizio solo per avere l’occasione di vedere qualcosa in più sotto la scollatura dei tuoi vestiti succinti»
Marzia entrò in cucina, battendo una mano sul tavolo.
«Ma ti senti quando parli? Che bisogno c’è di sputare così tanto veleno solo perché non ho lavato i tuoi fottutissimi piatti?»
Hanji la ignorò. Continuava a lavare le stoviglie, cercando di calmare la respirazione che aveva iniziato a diventare più veloce. Non voleva ferire Marzia, ma, doveva ammetterlo, certe sue abitudini le davano davvero sui nervi. E il fatto che lei, nonostante tutte le volte in cui avevano parlato, non avesse cercato di cambiare, non faceva altro che peggiorare la situazione.
Hanji stava per continuare il suo discorso ricordando a Marzia di quanto odiasse l’odore del fumo dentro casa e che un giusto compromesso sarebbe stato quello di lasciarla fumare in cucina ma non in camera, quando il suo cellulare suonò. Era posato sul tavolo, proprio accanto alla mano che Marzia aveva battuto.
«Puoi rispondere?»
Marzia sbruffò. Prese il cellulare, se lo portò all’orecchio e accettò la chiamata senza guardare lo schermo.
«Pronto?»
«Marzia?»
«Sì, sono io…» rispose la donna, riconoscendo la voce di Levi «Che vuoi?»
Levi sospirò. Ringraziò il cielo che Hanji se ne fosse andata da casa sua e ringraziò sé stesso per avere avuto il coraggio, mesi prima, di lasciare Yelena. Il fatto di stare tanto tempo da solo lo aiutò a riflettere su sé stesso e sulla sua vita e, alla fine, aveva preso una decisione di cui sperava di non pentirsi.
«Volevo solo invitarvi a casa mia per una cena, questa sera. Ho già avvisato Erwin e Seraphine e ci saranno anche i ragazzi. E…» Levi fece una pausa, durante la quale si schiarì la gola «E ci sarà anche Maribel. Sta tornando proprio adesso da Marley»
Marzia non disse nulla. Aggrottò le sopracciglia e si voltò a guardare Hanji, ancora di spalle.
«Maribel?»
Hanji si girò, guardando verso Marzia con un sorriso.
«Oh, testa di moccolo! Come stai?» urlò, alzando una mano in segno di saluto come se la persona dall’altro capo del telefono potesse vederla.
Levi digrignò i denti.
«Non è Maribel» si affrettò a specificare Marzia «Ma, a quanto pare, sta arrivando qui. E ha avvisato il nanetto senza dirlo a noi»
«Eh?» Hanji chiuse l’acqua del lavello, si asciugò le mani e andò verso Marzia, togliendole il cellulare dalle mani «Maribel è tornata a Eldia?»
Levi sospirò. Era seduto al tavolo di quella cucina ormai vuota, le gambe incrociate e una tazza di tè fumante tra le mani.
«In questo momento, dovrebbe essere ancora sull’aereo. Ma, tra un paio d’ore, andrò a prenderla all’aeroporto»
Levi guardò in alto verso l’orologio attaccato alla parete. Ripensò a quando, mesi prima, aveva parlato al telefono con Erwin pensando, nel frattempo, a Hanji che sarebbe arrivata lì a breve. Gli sembrò che si stesse ripetendo tutto quanto, ma a parti invertite: stavolta, non sarebbe venuto nessuno tra loro. Ma lui sarebbe andato via.
«Dici che riusciremo a vederla, oggi?» chiese Hanji, che, stranamente, non sembrava offesa dal fatto che Maribel avesse avvisato Levi e non lei.
«Ho detto a Marzia che stasera siete invitate a cena a casa mia. Ci saranno anche gli altri. E…» Levi fece una pausa, durante la quale prese dei sorsi dalla sua tazza «Vi prego di non portare nessuno con voi. Voglio che sia una cena ristretta…»
Hanji annuì. Poi salutò l’amico e chiuse la telefonata. Tornò al lavello per finire di lavare i piatti sporchi e Marzia si sedette al tavolo, sbruffando.
«Ma non ti sembra un comportamento da stronza?» chiese la bionda, sorreggendosi la testa con una mano «Già si fa sentire poco… adesso decide di catapultarsi di nuovo qui, magari solo per un giorno, e non ne fa parola con nessuno?»
Hanji alzò le spalle. Continuò a pulire i piatti senza dire una parola.
 
Due ore dopo, Levi era all’aeroporto. Purtroppo, non era da solo. Alla fine, Hanji, come Levi avrebbe dovuto aspettarsi, aveva deciso di sua spontanea volontà di presentarsi a casa sua poco prima che lui potesse partire per l’aeroporto.
«Scusa se mi sono imbucata all’appuntamento» disse Hanji, seduta su una panchina accanto a Levi «Ma non avevo molta voglia di rimanere a casa con Marzia che non stava facendo altro che lamentarsi per il comportamento di Maribel»
Levi allargò le braccia per poggiarle sullo schienale della panchina.
«Non è un appuntamento. E Maribel non aveva nessuna intenzione di nascondervi il suo arrivo. È stata una cosa un po’… improvvisata»
Hanji si voltò a guardare Levi. Notò che aveva indossato una camicia e una cravatta e un pantalone dal taglio fin troppo elegante per andare a prendere qualcuno in aeroporto. In realtà, sembrava si stesse dirigendo a un colloquio di lavoro.
«Ma perché ti sei imbellettato in questo modo?» chiese Hanji, indicandolo da testa a piedi «E perché Maribel ha detto proprio a te della sua improvvisata? Non sarà che, alla fine, è riuscita nel suo intento di rubarti il cuoricino?»
Levi finse un’espressione di disgusto. Si era ritrovato a parlare più volte con Hanji ed Erwin di quelle che sembravano essere le intenzioni di Maribel. Tuttavia, la ragazza era partita subito dopo quella festa organizzata da Zeke e, tra l’altro, Levi non aveva nessuna voglia di iniziare una nuova relazione dopo la chiusura con Yelena. In realtà, non credeva nemmeno che Maribel avesse un’intenzione diversa da quella di portarselo a letto. Ma, il fatto che avesse deciso di avvisare proprio lui del suo ritorno, gli aveva fatto credere che provasse nei suoi confronti una sorta di fiducia che forse non provava nemmeno per Marzia.
«Maribel è qui per chiudere definitivamente i suoi conti con il passato» disse infine Levi, poggiando i gomiti sulle ginocchia «E, perciò, voleva evitare che la notizia del suo arrivo si diffondesse troppo»
Hanji si portò una mano al mento, riflettendo. Probabilmente, Levi si riferiva al fatto che Maribel avesse finalmente deciso di troncare la sua relazione con Zeke.
«Ah, capisco. Io e Marzia non saremmo riuscite a mantenere il segreto e io mi sarei fatta sgamare dal diretto interessato parlandone a scuola, giusto?»
Levi alzò le spalle.
«Non mi interessa. Non mi interessa nulla. Voglio solo che arrivi stasera per parlarvi del resto»
«Del resto?»
Hanji lanciò uno sguardo confuso a Levi. Levi non ricambiò l’occhiata e si voltò alla sua sinistra. Nel frattempo, dietro di loro, una ragazza dai capelli dorati si era avvicinata trascinando un trolley.
«Oi» disse Maribel, facendo voltare i due «Andiamo?»
Hanji sgranò gli occhi, confusa dal cambiamento di stile della ragazza. Levi si limitò a lanciarle un’occhiata seccata, alzandosi subito dalla panchina.
«Era ora» disse.
S’incamminò verso l’uscita dell’aeroporto, seguito da Hanji e Maribel che avevano preso a parlare di tutte le cose accadute in quei mesi.
 
Quella sera, Levi aveva spostato divano, poltrona e tavolino del salotto per fare spazio a due tavoli uniti per la cena. Hanji non capiva perché avesse scelto di organizzare la cena proprio a casa sua e non al pub, dato che era giorno di chiusura.
Il gruppo aveva appena finito di gustare il secondo, quando Levi potrò ai tavoli una bottiglia di spumante. Lui aveva preso posto a uno dei capi del tavolo e, di fronte a lui, c’era Erwin. Alla sinistra di Levi c’era invece Maribel e alla sua destra Hanji.
«Non ti sembra un po’ presto per quello?» chiese quest’ultima, indicando la bottiglia.
Levi scrollò le spalle.
«Prima la apro, prima vi levate dai coglioni»
«Ma cosa…» stava per dire Seraphine, che non capiva il motivo di tutta quella fretta dato che era stato lo stesso Levi a invitarli.
«Erwin, Hanji, Mikasa e tutti gli altri» disse Levi con voce quasi teatrale «Oggi vi ho fatto venire qui per dirvi che me ne vado» Levi stappò la bottiglia e fiumi di spumante scesero dal bordo «Chiudo l’Ackerman Pub e mi trasferisco a Marley. Non so ancora se sarà per sempre, ma ho trovato un posto dove poter aprire un agriturismo e sono sicuro che gli affari andranno bene»
Levi iniziò a versare lo spumante e Hanji ed Erwin lo guardavano come se fossero in attesa di qualcosa. Mikasa, invece, sgranò gli occhi per lo stupore ma, subito dopo, sospirò poggiando il mento sulla mano aperta. L’unica che sembrava non essere sorpresa di quella notizia era Maribel.
«Allora?» chiese Hanji, prendendo il bicchiere che Levi le stava porgendo «Quindi, qual è la notizia che dovevi darci?»
«Questo scherzo non è credibile» proseguì Erwin, aiutando l’amico nel distribuire i bicchieri «Cosa stai cercando di nascondere? Un matrimonio? Un figlio? Hai scoperto di essere innamorato di me fin dal primo giorno in cui mi hai visto?»
«Coglione» disse Levi, prendendo in mano il suo bicchiere «Sto dicendo la verità. È finalmente arrivato il momento di chiudere definitivamente con questo capitolo fin troppo lungo»
Hanji ed Erwin si scambiarono un’occhiata preoccupata. Mikasa continuava a sorridere e sembrava particolarmente felice.
«Finalmente hai deciso di crescere» disse la ragazza, alzandosi con il bicchiere in mano «Ce n’è voluto di tempo, prima che ti decidessi a lasciare il nido»
Levi sorrise. Si rendeva conto che una scelta del genere avrebbe potuto sembrare troppo avventata, ma, come in fondo sapeva, Mikasa aveva compreso subito le sue decisioni.
«In realtà» disse Levi, con voce particolarmente bassa «C’è una persona, qui dentro, che ha intenzione di seguirmi»
«Eh?»
Mikasa abbassò la mano con il bicchiere, inclinando la testa confusa. Hanji spostò lo sguardo da Erwin a Maribel, guardandola storto. Erwin si portò una mano al mento, aggrottando le sopracciglia.
«Parto anch’io» disse infine una voce maschile, proveniente dal fianco destro di Mikasa «Non ho più motivo di restare qua. L’università non fa di certo per me e se voglio iniziare a fare carriera ho bisogno di uscire dai confini di quest’isola claustrofobica»
Mikasa si voltò verso Eren, che aveva appena parlato. La sua mano iniziò a tremare e l’espressione felice che aveva sul volto sparì di colpo. Levi si schiarì la voce, cercando di far tornare l’attenzione dei presenti su di lui.
«Comunque, non andrò via subito. Ho pensato di lasciare casa entro la fine dell’anno ma, comunque, non ho ancora deciso una data precisa di partenza. Avremo tutto il tempo per goderci fino all’ultimo tutte le sbronze che l’Ackerman Pub è ancora in grado di regalarci» detto ciò, Levi alzò ancora più in alto la mano con il bicchiere, sorridendo «Al nostro futuro»
Eren alzò il suo bicchiere, cercando di evitare lo sguardo della coinquilina.
«Al nostro futuro!»
 
La serata era ormai finita, quando Maribel aveva lavato l’ultimo piatto e si stava asciugando le mani. Hanji, poggiata a un mobile della cucina, la fissava con le braccia incrociate al petto. Avrebbe voluto chiederle tante cose, ma quella serata era stata già abbastanza piena di eventi e cercò di trattenere la sua curiosità. Nel frattempo, Levi era uscito fuori sul terrazzo a fumarsi una sigaretta e questo insospettì Mikasa, che non era abituata al fatto che lo zio le fumasse davanti. Raggiunse l’uomo fuori, stringendosi nelle spalle per il freddo.
«Sei nervoso?» chiese lei.
«Sei incazzata?»
Mikasa sospirò. Non riusciva a capire perché Levi avesse deciso di tenerla all’oscuro di tutto, ma, qualunque fosse stato il motivo, sapeva che lui le voleva davvero bene e non avrebbe mai fatto niente, volontariamente, per ferirla.
«No. Un po’ triste, sì. Ma questa non è la serata per parlare di me…» Mikasa prese la mano che Levi non stava usando per tenere la sigaretta e la strinse tra le sue «Come mai hai cambiato idea così all’improvviso?»
Levi sorrise.
«Non ho mai cambiato idea, Mikasa. Dovevo solo trovare il coraggio per lasciarmi tutto alle spalle. E credo che la telefonata improvvisa di Wasa…» Levi lanciò un’occhiata verso l’interno della casa, dove la bionda stava chiacchierando con Erwin e Seraphine «Dannazione, non ha più senso chiamarla così»
Mikasa sorrise, seguendo lo sguardo di Levi.
«A proposito, perché è qua?»
«Ehi, ehi, ehi. Non è la tua serata, ma nemmeno la sua. Non ho voglia di parlare di quella lì»
Levi lanciò la sigaretta oltre il muretto del terrazzo ed entrò dentro casa. Hanji e Marzia avevano già indossato i cappotti per andare via e anche Seraphine, con uno sbadiglio, sembrava voler comunicare a Erwin la sua voglia di dormire.
«Congratulazioni per la tua scelta» disse Hanji, avvicinandosi all’amico «Spero vivamente che andrà tutto per il meglio, hobbit»
Hanji strinse Levi a sé, ma lui non ricambiò l’abbraccio.
«Smettila, Han, non sto partendo adesso» rispose, cercando di liberarsi dalla stretta «Piuttosto, avete già preso impegni per domenica prossima?»
Hanji si voltò verso Marzia con fare interrogativo e lo stesso fecero Erwin e Seraphine. Eren, invece, si avvicinò a Levi, dandogli una pacca sulla spalla.
«Pensi ancora a questa cazzate alla tua età?» disse il ragazzo, ridendo.
Levi gli lanciò un’occhiataccia, spostando la mano del ragazzo dalla sua spalla.
«Ehi, pidocchietto, bada a come parli» poi si voltò a guardare Hanji ed Erwin, alzando la braccia «Domenica prossima è Halloween. Avete già preso impegni o posso sperare di passare la serata alle giostre con voi?»
A Hanji si illuminarono gli occhi e prese il viso di Levi tra le mani.
«Halloween? Le giostre?» la donna abbracciò nuovamente Levi che, stavolta, si fece stringere senza lamentarsi «Come ho fatto a non pensarci prima, non lo so! Fortuna che a volte sembra che perfino tu voglia stare un po’ con noi»
 
Era passata da poco la mezzanotte quando Levi decise di unirsi a Maribel che, nel frattempo, si stava girando una sigaretta seduta sul terrazzo. L’uomo si sedette accanto a lei, prendendole il pacco di tabacco che aveva posato sulle gambe senza chiederle il permesso. Maribel non sembrò infastidirsi.
«Sei sicuro che non ti dia fastidio ospitarmi? Ho ancora le chiavi di casa di papà, posso sempre andare…»
«Resta» disse lui, prima di chiudere la sigaretta «Non ti avrei detto di sì se non ti avessi voluto. Dovresti sapere come sono fatto, ormai»
Maribel prese l’accendino e si accese la sigaretta. Poi passò il clipper a Levi.
«Domani vado da Zeke. E poi da papà. Ovviamente, non sa che io sono già tornata»
Levi annuì. Maribel non era lì solo per chiudere tutti i ponti con il passato, ma anche per fungere da mediatrice tra lui e suo padre. Pixis, infatti, aveva deciso di comprare il pub di Levi per continuare l’attività quando l’uomo fosse andato via. E Levi, che non aveva nient’altro che da guadagnarci, aveva accettato senza esitare.
«Credo che andrò via prima di Natale. Tu quanto tempo vuoi restare?»
Maribel alzò le spalle.
«In realtà, credevo di sistemare la situazione con Zeke e mio padre e poi tornare subito a Marley. Però, non so…» Maribel si potrò le braccia al petto «Potrei approfittarne e stare qualche giorno in santa pace»
Levi prese una ciocca di capelli della ragazza tra le mani e lei si affrettò a scostarlo.
«Perché hai deciso di tingerti i capelli come un canarino?»
Maribel sbruffò.
«Non ho tinto un bel nulla. Il verde è andato via e adesso sono tornata alla decolorazione di base. Nel frattempo, sto cercando di capire come tingere di nuovo i capelli»
Levi sorrise. La trovò più bella, con i capelli biondi, ma decise di non dirle nulla: voleva evitare qualsiasi situazione di disagio con quella che, in fondo, percepiva ancora come un’estranea.
«Ma perché cambi in continuazione?»
«Perché mi odio» ammise lei «E non riesco a vedermi sempre uguale. E poi ho bisogno di cambiare spesso, nella mia vita, qualsiasi cosa: casa, città, persone. Non voglio abituarmi. Le cose sono belle solo quando si vivono appieno sapendo che un giorno svaniranno nel nulla»
Levi aggrottò le sopracciglia. Non si aspettava che da una semplice domanda potesse scaturire un discorso così ampio. Ma non aveva molta voglia di fare l’esistenzialista, quella sera. Si alzò da terra e continuò a fumare la sua sigaretta camminando avanti e indietro. Rimase in silenzio e Maribel lo assecondò. Stranamente, non percepiva nessun tipo di disagio.
A un certo punto, il suo telefono squillò. Levi prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni e perse un battito alla vista di quel nome sullo schermo. Maribel si rese conto della tensione che stava iniziando a crescere e si alzò anche lei da terra, mentre Levi continuava a fissare lo schermo senza rispondere alla chiamata.
«Te ne vai?» disse Levi, anche se Maribel scambiò quella semplice domanda per una richiesta.
«Ci si vede domani»
Maribel si voltò per tornare dentro e Levi la guardò scomparire dietro la porta di quella camera che, fino a qualche tempo prima, aveva ospitato Hanji. Poi deglutì e si decise finalmente a rispondere alla telefonata.
«Pronto?»
Per qualche minuto ci fu un silenzio tombale. Levi sapeva che non c’era stato nessun problema con la linea telefonica ed era certo che la persona dall’altro capo del telefono avesse sentito la sua voce. Poi, quando ormai si era arreso e stava per chiudere la telefonata, l’altra persona si decise a rispondere.
«Sarò lì domani pomeriggio per un colloquio di lavoro. Mi piacerebbe vederti anche solo per un caffè»
Levi cercò di calmare la respirazione. Di certo, non si sarebbe aspettato una chiamata così improvvisa da parte di Yelena. O, almeno, non quella sera. Ma, la cosa che più lo insospettiva, era la sua stessa reazione a quella telefonata: perché si stava agitando così tanto?
«Va bene» rispose semplicemente Levi, schiarendosi la voce «Domani pomeriggio sono libero. Fammi sapere quando ti liberi e ci possiamo vedere…»
«Possiamo fare da te?»
«Da qualche parte che non sia casa mia»
Levi lanciò uno sguardo alla porta dietro la quale Maribel era scomparsa poco prima. Probabilmente, la ragazza non sarebbe stata in casa prima di cena, ma Levi voleva evitare qualsiasi fraintendimento.
«Va bene» disse infine Yelena, dopo una pausa che parve infinita «Ci vediamo domani, allora»
Levi non rispose. Chiuse la telefonata, prese un grande respiro e si gettò sul divano, ancora posizionato contro una parete per far spazio ai due tavoli. Pensò che fosse il momento giusto per aprirsi una bottiglia di vino.
Dannazione pensò Prima do a Maribel un tetto sotto cui dormire e poi mi apro una bottiglia da solo a quest’ora della notte. Diventerò proprio come quel Pixis!
 

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Capitolo 18
*** Capitoli chiusi e porte aperte ***


Capitoli chiusi e porte aperte
 
Alla fine, Levi aveva fatto scegliere a Yelena il luogo dove incontrarsi. Era un bar, un semplicissimo locale parecchio distante da casa sua. Ma non un bar qualunque, bensì lo stesso dove Levi e Kenny si erano incontrati il giorno in cui si videro per l’ultima volta. Quando Levi lesse il nome del bar nelle righe del messaggio che Yelena gli aveva inviato, una stretta al cuore gli fece tornare alla mente suo zio: era ancora vivo? Stava ancora vagando per il mondo senza una meta precisa?
No, sicuramente non stava vagabondando in giro come una volta. Glielo aveva detto che, perfino lui, era riuscito ad ancorarsi da qualche parte. Levi, invece, stava nuovamente scappando da tutto: che Marley sarebbe stata soltanto un miraggio che gli avrebbe fatto capire che il suo unico posto era Eldia? Forse, il vero motivo per cui stava partendo era proprio per avere la conferma che il posto in cui si trovava era quello dove avrebbe dovuto restare per sempre.
Levi stava leggendo un giornale con le gambe incrociate seduto a un tavolino, quando Yelena entrò dentro il bar. Indossava una camicia bianca e un tailleur grigio. Levi pensò al fatto che la donna gli avesse detto di aver un colloquio di lavoro, quel giorno, ma, in fondo, l’uomo era abituato a vederla vestita in quella maniera. Quando Levi si accorse della presenza di Yelena, chiuse il giornale e alzò lo sguardo su di lei. Stranamente, tutto quel senso di paranoia che aveva sentito crescere dentro di sé durante la telefonata della sera prima era scomparso.
«Buongiorno», disse per prima Yelena, sedendosi di fronte Levi.
«Buongiorno», replicò lui, sistemandosi meglio sulla sedia «Com’è andato il colloquio?»
Yelena chiamò con un cenno della mano una cameriera, per ordinare due caffè. Poi, finalmente, pose lo sguardo su quello di Levi.
«Il colloquio era una farsa. Come un po’ tutti i colloqui, d’altronde. Sono stata scelta prima ancora di candidarmi»
Levi alzò le spalle.
«Beh, credi che sia il lavoro definitivo, questa volta?»
Yelena sorrise.
«Oh, no. Il mio lavoro definitivo è conquistare il mondo»
La cameriera arrivò con i due caffè, li pose sul tavolo e poi andò via.
«È questo che volevi?» chiese Levi senza giri di parole, guardandosi attorno «Discutere del nulla davanti a un caffè? Dopo tutti questi mesi di silenzio?»
«Il silenzio lo hai voluto tu» disse Yelena alzando involontariamente la voce. Ed era vero: Yelena aveva provato a farsi sentire un paio di volte, dopo la loro rottura, ma, alla fine, Levi le aveva chiesto di chiudere del tutto i rapporti per almeno un po’ di tempo «E devo essere onesta, la tua richiesta mi ha molto sorpreso. Durante tutto il periodo della nostra relazione, non ti avevo mai visto così sentimentale»
«Quindi cosa vuoi?»
Levi sembrava infastidito, e ne era consapevole. E sì, era infastidito. Ma non sapeva spiegarsi nemmeno lui il perché e, di certo, non aveva nessuna intenzione di ferire ulteriormente Yelena. Le aveva voluto bene, in fondo.
«Vederti un ultima volta prima che tu parta»
Levi le lanciò uno sguardo perplesso. Poi, si gettò indietro con il busto, poggiando la schiena sulla sedia.
«Tu come…»
«Hanji. Mi ha detto tutto ieri sera, pregandomi di non contattarti subito per non destare sospetti. Ma oggi mi sarei dovuta trovare qui per il colloquio e non avevo intenzione di perdere altro tempo…»
«Quindi non rimani?»
Yelena scosse la testa.
«Riparto stasera stesso. Tornerò quando inizierò a lavorare, ma, allora, tu probabilmente non sarai più qui»
Levi sospirò. Yelena aveva smesso di guardarlo in faccia.
Lo aveva fatto di nuovo, lo faceva sempre: far soffrire le persone per le sue scelte.
«Yelena, tu eri consapevole di ciò che volevo dalla nostra relazione. Non ti ho mai tenuto nascosto nulla…»
Yelena sorrise, continuando a tenere lo sguardo basso.
«Io non voglio addossarti nessuna colpa, Levi. È solo che neanche io credevo di potermi innamorare di una nullità come te»
Levi fece una smorfia, metà infastidito e metà divertito da quell’osservazione. In realtà, Levi non si sarebbe mai aspettato che una donna come Yelena potesse innamorarsi. E, soprattutto, non di uno come lui, appunto.
«Ti voglio bene anch’io, lo sai» Yelena allargò il suo sorriso dopo aver sentito quel verbo al presente e non al passato «Ma non è ancora arrivato il mio tempo di fermarmi. E…»
«No, ti prego. Non dire queste stronzate, non a me» lo interruppe Yelena, spegnendo di colpo il suo sorriso «Non c’entra niente aver trovato il tempo adatto e queste inutili cazzate. La verità è che non mi hai voluto bene abbastanza…»
Levi prese la sua tazzina, bevendo il caffè quasi d’un sorso. Yelena aveva ragione, ma ciò che la donna non capiva era che lui stava cercando di mentire perfino a sé stesso.
«Mi dispiace, Yelena. Hai ragione tu. Io non sono bravo a capire cosa sento, figuriamoci spiegarlo a qualcun altro…»
Levi si voltò per caso verso un orologio su una parete del bar. Vide che era quasi ora di cena: il pub era stato probabilmente aperto da Marzia, che, quasi sicuramente, sapeva dell’impegno di Levi tramite Hanji. Ma pensò a Maribel, chiedendosi se non avesse provato a chiamarlo. D’altronde, non aveva le chiavi di casa.
Levi prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni e controllò: nessuna chiamata persa.
«Se devi andare, non ho intenzione di trattenerti oltre»
Levi alzò lo sguardo su Yelena. Aveva le braccia incrociate e un’espressione particolarmente imbronciata.
«In realtà, potrei restare ancora un po’. C’è sicuramente Marzia che si sta occupando del pub, e…»
«Non hai capito» puntualizzò Yelena, alzandosi in piedi «Io non ho più tempo. Tu puoi fare quello che vuoi, crogiolarti nella solitudine di questo bar o andare all’Ackerman Pub a prenderti le tue responsabilità»
Levi sorrise. Poi, si alzò dalla sedia anche lui, lasciando delle monete sul tavolo.
«Credo sia meglio andare, allora…»
«Beh, se vai via anche tu, posso almeno chiederti un passaggio sotto casa tua?» chiese Yelena, iniziando a farsi strada verso l’uscita «Ho un appuntamento con una futura collega lì per farmi accompagnare in aeroporto»
Levi annuì, uscendo dal bar.
I due si misero in macchina e Levi partì. Fuori, iniziava a fare parecchio freddo. La gente per strada non era più molto numerosa e perfino lui, in quel momento, avrebbe voluto soltanto rimanere al caldo sotto una coperta a leggere un buon libro bevendo del vino.
No, non sarebbe tornato all’Ackerman Pub. Non quella sera. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a rimanere da solo fino a un orario tardo, con la speranza che Maribel decidesse di passare la serata al pub con i suoi amici. D’altronde, lei e Levi si sarebbero rivisti molto spesso, a Marley. La ragazza le aveva anche chiesto di poter riprendere a lavorare per lui, se fosse realmente riuscito ad aprirsi l’agriturismo. Lei, in fondo, si stava trasferendo per cominciare una scuola cinematografica che, in realtà, non sapeva dove l’avrebbe portata.
I pensieri di Levi vennero interrotti dallo squillo del suo telefono. L’uomo pensò si trattasse di Maribel, pensando a quanto fosse strana quella coincidenza. La persona che lo stava chiamando, invece, era Hanji.
«Che vuoi?»
«Levi!» urlò Hanji, costringendo Levi ad allontanare il telefono dall’orecchio «Scusami. Scusami, davvero, scusami. Sai che l’ho sempre odiata, quella spilungona di merda, ma mi sentivo in colpa a non dirle del tuo trasferimento…»
Levi si voltò a guardare Yelena che, probabilmente, aveva sentito tutto, ma che continuava a guardare indifferente fuori dal finestrino.
«Non ti preoccupare, Han. Sto per tornare a casa. Ma non penso che mi fermerò al pub… credi che possa lasciare tutto a Marzia e ai ragazzi o c’è molta gente?»
«Macchè, Levi. Sempre e solo noi» Hanji fece una pausa «Sono felice che tu non voglia uccidermi»
Levi sorrise.
«Fanculo, quattrocchi di merda»
Hanji richiuse la telefonata con un sorriso. Era felice che Levi non se la fosse presa e che, per una volta, lei aveva fatto la cosa giusta. La donna posò il telefono sopra il tavolo dell’Ackerman Pub al quale era seduta e si voltò a guardare Erwin alla sua destra.
«Non proverà a uccidermi»
Mikasa, seduta accanto a Erwin, poggiò il mento sulla mano aperta.
«Sta tornando?»
Hanji scosse la testa.
«No. Ha detto che non ha voglia di stare qui, stasera. Sta tornando a casa e resterà lì»
Hanji sospirò e, per un momento, nessuno dei presenti prese parola. Poco dopo, Maribel entrò al pub. Chiese subito a Marzia di portarle la birra più forte e poi si sedette alla sinistra di Hanji, gettando lo zaino sopra il tavolo.
«Sono esausta» disse la bionda, portandosi una mano alla fronte «Non pensavo che lasciare qualcuno dopo tutto questo tempo potesse essere così faticoso!»
Mikasa le posò una mano sul braccio.
«Come stai?»
Maribel alzò le spalle.
«Bene. È brutto da dire, ma è come se mi fossi tolta un peso orribile» Maribel poggiò i gomiti sul tavolo, lanciando un’occhiata a Hanji ed Erwin «E voi? Come state? È da tanto tempo che non ci vediamo, eppure non mi avete raccontato ancora nulla»
Erwin fece per rispondere, ma Hanji, che, fino a quel momento sembrava rimasta in uno stato di trance, prese parola prima di lui.
«Ma se non vuole uccidermi e non vuole tornare all’Ackerman Pub… Credete sia tornato con lei?»
Erwin dimenticò quello che stava per dire. Mikasa aggrottò le sopracciglia, inclinando la testa. Maribel arricciò le labbra con una smorfia.
«Ma stai sempre a spettegolare? Parlami di te, piuttosto» Marzia arrivò con la birra e Maribel non tardò a tracannarsela «Quindi, che novità ci sono?»
«Non può essere tornato con quella rompipalle» esclamò d’un tratto Mikasa, battendo i pugni sul tavolo «Dio, se è successo è tutta colpa tua, Hanji!»
Maribel si voltò verso la ragazza, per poi spostare lo sguardo verso Hanji ed Erwin.
«Eh? Ma di che state parlando?»
Hanji alzò gli occhi lucidi verso Maribel, prendendole i polsi e tirandoli a sé.
«Tesoro, scusami. Ti giuro che non è un complotto contro di te»
«Erwin, vuoi spiegarmi, per favore…»
«Io credevo solo che fosse giusto che Yelena sapesse del trasferimento di Levi» continuò Hanji, interrompendo la domanda di Maribel «Ma questo loro ultimo incontro, a quanto pare, è andato meglio del previsto…»
Maribel impallidì, spalancando gli occhi. Mikasa la guardò preoccupata, mentre Erwin cercava di staccare le mani di Hanji dai polsi della ragazza. Maribel deglutì, allontanandosi dalla donna.
«Sono… tornati insieme?» Maribel guardava un punto indefinito sotto i suoi piedi «E io, stanotte, dovrei dormire sotto lo stesso tetto dove…»
Maribel scosse la testa come a voler scacciare certi pensieri. L’espressione di Mikasa si addolcì e le prese il volto fra le mani.
«Ma sono tutti film mentali di Hanji. E poi, cos’è quella faccia? Ho capito che possa piacerti mio zio, ma prendere una notizia del genere così male, non è da te…»
Maribel si liberò dalla presa della ragazza e scattò in piedi dalla sedia.
«Questa» disse, indicando il boccale ancora mezzo pieno «Col cazzo che gliela pago!»
Poi uscì di corsa dal locale, lasciando lo zaino sopra il tavolo. Hanji girò il busto per vederla allontanarsi, poi si portò una mano alla fronte.
«Ahi, ahi! Ma perché, in un modo o nell’altro, faccio sempre casino?»
 
Levi si era appena seduto sul divano. Quella giornata lo aveva affaticato così tanto psicologicamente, che anche il suo corpo, adesso, sembrava risentirne. Allargò le braccia sullo schienale del divano e buttò la testa all’indietro. Si liberò delle pantofole e posò i piedi incrociati sul tavolino. Prese un lungo respiro, cercando di godersi quel momento di pace. Poi, qualcuno bussò alla porta.
Merda.
Levi non aprì nemmeno gli occhi. Non poteva essere niente di urgente e con Hanji si erano sentiti poco prima. Ma il campanello suonò nuovamente e, questa volta, con più insistenza.
Levi aprì gli occhi. Che fosse stata Maribel? Prese il telefono per controllare se ci fossero telefonate, ma la ragazza non aveva chiamato.
Il campanello iniziò a suonare ininterrottamente, provocando i nervi di Levi che si alzò con uno scatto dal divano, stringendo i pugni.
«Ecco, chiunque tu sia, ora col cazzo che ti apro!» sussurrò fra sé e sé, digrignando i denti.
Fece per andare in camera e chiudersi lì ignorando il resto del mondo, quando qualcuno iniziò a colpire la porta probabilmente a calci e pugni, facendo imbestialire Levi ancora di più. L’uomo si voltò nuovamente verso la porta, il viso contorto in un’espressione di pura rabbia. I suoi pugni erano ancora ben serrati ed era assolutamente pronto a scaraventarli contro la persona dietro la porta.
«Polizia!» Levi si fermò all’improvviso a un soffio dalla porta. I suoi lineamenti si rilassarono, le labbra aperte in un’espressione di stupore. Anche i suoi pugni smisero di stringere «Polizia! Lei è in arresto! Apra subito questa porta!»
Levi inspirò. Anche se la sua voce avesse dovuto subire tutti i cambiamenti possibili, l’uomo sarebbe stato comunque certo: era Maribel che stava cercando, in tutti i modi, di fargli aprire la porta. Levi pensò alla telefonata con Hanji e si chiese se la ragazza non fosse con lei durante quella conversazione. Pensò anche a tutte le conseguenze a cui la sua amica avrebbe sicuramente pensato, una volta saputo che lui non sarebbe andato a lavorare dopo aver visto Yelena.
«Merda…»
Levi mise una mano sulla maniglia della porta e aprì. Maribel stava respirando affannosamente e aveva il cappuccio della felpa alzato. Era completamente zuppa, a causa del temporale che era imperversato all’improvviso negli ultimi minuti.
«Ah!» esclamò Maribel, sorridendo «Ho avuto la mia rivincita. Ora, puoi pure tornare…» la ragazza mosse le mani verso l’appartamento «A qualsiasi cosa tu stessi facendo»
Levi non disse nulla. Le lanciò un’occhiata di disapprovazione, poi le chiuse la porta in faccia.
Posò la schiena alla porta e si fece scivolare fino a sedersi. Si mise le mani sul volto, sentendosi incredibilmente sorpreso da quella situazione.
Davvero Maribel aveva fatto una cosa così stupida e immatura? Davvero avrebbe interrotto un possibile incontro tra lui e Yelena, solo perché voleva portarselo a letto? O, forse, c’era veramente una minima possibilità che quella ragazza provasse qualcosa per lui?
Levi spostò gli occhi verso una stufetta spenta posata in un angolo del salotto. Si alzò da terra, spostò la stufetta di fronte il divano e l’accese. Andò in camera per prendere un plaid e posarselo addosso, poi si sistemò sul divano incrociando le gambe. Cercò di bearsi del calore di quell’oggetto, avvicinando le mani.
Ah, meno male. Si è levata dai coglioni Levi prese un profondo respiro e poi lasciò andare l’aria Certo, non mi aspettavo si arrendesse così facilmente… Levi alzò gli occhi verso il soffitto, studiandone ogni centimetro Quindi ho avuto la mia conferma. Bene. Voleva solo disturbarmi durante una discussione o una scopata con Yelena. Perfetto, mi sembra molto coerente con sé stessa. Rompicazzo fino all’ultimo…
Levi si tolse il plaid, lanciandoselo alle spalle. Scese in fretta dal divano, una nuova espressione di rabbia sul viso.
«E quindi, se veramente mi fossi trovato a letto con una donna, tu avresti maltrattato il mio campanello e la mia porta solo per uno stupido capriccio?»
Levi aprì la porta, intento a inseguire Maribel fino all’Ackerman Pub, nonostante fosse ancora in pantofole. E lo avrebbe fatto veramente, se non si fosse trovato Maribel ancora di fronte la porta.
«Volevo solo vendicarmi… solo questo»
Maribel disse quelle parole mormorandole e stava stringendo i pugni con lo sguardo basso. Ma Levi non poté notare una lacrima che le scendeva dalla guancia sinistra.
«Ma ti sei vista? Piangi? Alla tua età?»
«Sei veramente uno stronzo…»
Levi aprì ancora di più la porta, prendendo Maribel per la manica e tirandola dentro.
«Ma ti rendi conto che mi avresti fermato mentre stavo facendo sesso? Eh? Ringrazia che non stavo facendo letteralmente nulla…»
Maribel alzò la testa e fece per replicare, ma Levi, richiudendo la porta, spinse la ragazza contro di essa stringendole il mento così forte da costringerla a schiudere la bocca.
«Volevo solo farti sapere come ci si sente» disse lei, questa volta a voce ferma, prima che Levi l’azzittisse con un bacio improvviso, senza smettere di stringerle il mento.
 
Erwin fissava lo zaino di Maribel e, nel frattempo, Hanji si grattava la testa.
«Devo salire» disse poi, alzandosi dalla sedia «Perché, se non la fermo, in un modo o nell’altro Levi mi ucciderà»
«Ma che dici?» esclamò Erwin, prendendola per il polso «Ormai il guaio è fatto, no? E poi, non vedi che Maribel non sta tornando?»
Mikasa alzò lo sguardo e batté le mani.
«Forse l’interruzione è andata meglio del previsto» disse contenta, guardando Hanji «O, forse, non c’è stata alcuna interruzione. Magari Yelena non è mai salita a casa dello zio»
Mikasa prese il cellulare dalla tasca, componendo il numero di Armin.
«Che cosa fai?» chiese Hanji, voltandosi verso la ragazza.
«Chiamo a casa per vedere se sentono urla dal corridoio»
«Ehi!» una voce familiare fece voltare Hanji, Mikasa ed Erwin verso l’ingresso «Dov’è Levi? Stasera avremmo dovuto discutere del prezzo di questo buco di culo di locale»
 
Levi staccò le labbra da quelle di Maribel e riaprì gli occhi. Quelli di lei avevano smesso di lacrimare.
«Che schifo. Sai di sigarette di tabacco e di vino del discount»
Maribel non rispose. Lanciò uno sguardo al divano, dove, scomposta, era posata la coperta di Levi.
«Ti chiedo scusa. Ho sbagliato, hai ragione tu. Sono proprio un’idiota» Maribel si voltò, mettendo una mano sulla maniglia «Forse è meglio che io vada a dormire da papà, stasera…»
Levi mise una mano su quella che Maribel aveva posato sulla maniglia.
«Ma che problemi hai? Prima irrompi in questa maniera e poi te ne scappi? Ma che comportamento è?»
Maribel si voltò a guardarlo. Levi non riusciva a decifrare la sua espressione, ma i suoi occhi gli stavano comunicando tutta la sua voglia di restare.
«È che non è giusto. Per Yelena. Se siete tornati insieme, io…»
«Ma che cazzo stai dicendo?» Levi prese Maribel per le spalle, costringendola a voltarsi «Ma perché arrivi a certe conclusioni senza sapere niente? Yelena oggi si è ritrovata qui per un colloquio di lavoro e ha voluto vedermi per…» Levi scostò lo sguardo da quello di lei «Per salutarmi prima che io parta. Le cose con lei sono finite molto tempo fa, ormai dovresti…»
Maribel interruppe Levi con un altro bacio e lui l’accolse senza protestare. La strinse a sé leggermente, indietreggiando, nel frattempo, verso la camera da letto. Maribel sembrava volerlo seguire senza deviare, ma, all’improvviso, il campanello suonò nuovamente e Levi si trovò ad imprecare tra un bacio e l’altro.
Chiunque sia giuro che lo ammazzo qui e ora
Levi si staccò dall’abbraccio di Maribel, che, evidentemente a disagio, si passò la lingua sulle labbra e portò una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Levi, intanto, aprì la porta. Rabbrividì e si ricordò di un impegno che aveva preso la scorsa settimana.
«Non so perché i tuoi amichetti e tua nipote volevano impedirmi di salire» disse Pixis che, come al solito, non aspettò che Levi lo invitasse ad entrare per mettere piede dentro casa «Ma dobbiamo incontrare il notaio questa settimana, e…» Pixis guardò oltre la spalla di Levi, dove c’era Maribel che lo guardava con un’espressione spaventata «Ma tu che cavolo ci fai qui?»
 
 
 

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Capitolo 19
*** Arrivederci, Eldia! ***


Arrivederci, Eldia!
 
Halloween.
Erwin continuava ad aggrapparsi a quei fili che tenevano sospeso il seggiolino su cui era seduto. Sentiva l’aria graffiargli la faccia, mentre la velocità di quella macchina aumentava sempre più. Con la coda dell’occhio, cercava di mandare, ogni tanto, delle occhiate ad Armin: non si sarebbe fatto battere da quel ragazzino, non di nuovo.
La velocità era arrivata quasi ai livelli che Erwin stava aspettando. La fortuna, tra l’altro, sembrava essere dalla sua parte: si sarebbe trovato nel punto giusto al momento giusto. Non doveva temere gli altri presenti: d’altronde, erano tutti più bassi di lui. A Erwin sarebbe bastato allungare di poco il braccio, per prendere la zucca appesa sulla cima della giostra su cui si trovava. Arrivò finalmente al punto in cui la zucca si trovava e l’afferrò con decisione. Dietro di lui, una scia di urla di bambini riempì quello spazio aperto. Qualche seggiolino più avanti, Armin stava scalpitando nel vuoto, digrignando i denti e imprecando contro l’amico. Erwin, invece, alzò le braccia al cielo, soddisfatto: quella partita era stata vinta da lui.
Poco dopo, i due si trovavano con i piedi per terra sotto la giostra. Erwin aveva aperto la zucca di plastica, trovandoci un sacco di dolciumi al suo interno.
«Dove posso avere la mia rivincita?» chiese Armin, prendendo un lecca-lecca «Sugli autoscontri? Sulla giostra panoramica?»
Erwin aggrottò le sopracciglia.
«Come possiamo sfidarci sulla giostra panoramica?»
Armin alzò le spalle.
«Semplice. Ci sediamo su sedili diversi e quello seduto in una posizione più alta quando la ruota si ferma è il vincitore»
Erwin lo guardò con ammirazione, posando una mano sulla sua spalla.
«Complimenti, ragazzo. Mi piace molto come ragioni»
«Ehilà!»
Erwin e Armin si voltarono verso la voce che aveva parlato: era Mikasa.
«Ehi!» disse di rimando Armin, alzando la mano in segno di saluto «Dov’eravate finiti?»
Mikasa arrivò correndo insieme a Jean. Erwin sapeva che, da qualche tempo, i due avevano iniziato a frequentarsi: non che gli piacesse spettegolare o farsi i fatti altrui, ma si era sinceramente affezionato a quella ragazza e non solo perché era la nipote del suo migliore amico. Era felice che, finalmente, sembrava essersi slegata da quel rapporto morboso e a senso unico che aveva instaurato con Eren.
«Siamo andati a sparare al chiosco lì dietro» rispose Jean, trafelato «E ora Mikasa vorrebbe giocare a quel coso lì che devi prendere a pugni»
«Sì, ma lui non vuole» rispose Mikasa, guardandolo torvo «Solo perché non accetta il fatto che io sia riuscita a vincere un orso gigantesco con i miei proiettili e lui invece niente»
Jean sbruffò. Erwin sorrise.
«Ti sfido io» disse il biondo, passando la zucca ad Armin «Al… coso dei pugni. Ma, se vinco, che cosa ottengo?»
Mikasa lo guardò dapprima sbalordita ma, poi, le si illuminarono gli occhi.
«Il mio orso gigantesco» rispose, mentre Jean le lanciava un’occhiataccia «Che potrai regalare a Seraphine fingendo di averlo vinto con le tue stesse forze»
Erwin alzò le spalle, soddisfatto.
«Mi sembra giusto. Va benissimo così»
Fece per andarsene, ma Mikasa gli poggiò una mano sulla spalla, stringendo con forza. Erwin si girò verso di lei confuso, e vide uno sguardo omicida nei suoi occhi.
«Questo se dovessi vincere tu. Ma siccome è una cosa impossibile, dovrai unirti a me in una missione di spionaggio in casa di Levi»
«Eh?» disse Erwin.
«Eh?» ripeterono in coro Armin e Jean.
«Ma che te ne frega di quel nano di merda di tuo zio. Ancora non posso credere che lasci il pub a quello sbirro di Pixis…» urlò Jean, seccato.
Hanji cercava di capirci qualcosa di quell’intruglio in cui si era infilata. Ma, più provava a dare un senso ai suoi movimenti, più credeva di trovarsi sempre nello stesso punto.
«Maledetti specchi» bofonchiò, quasi inciampando sui suoi lacci delle scarpe.
Hanji si chinò per riallacciarsi le scarpe e notò a terra una macchia blu. Effettivamente, era difficile distinguere i colori in quell’atmosfera: il posto era abbastanza buio e veniva illuminato a scatti da luci al neon. Ma, quella macchia, era sicura, non l’aveva ancora incrociata.
Ah! Allora sto per raggiungere l’uscita!
Hanji si alzò, sorridendo. Continuava a guardare la macchia a terra. Poi alzò la testa, proprio mentre la voce registrata di un uomo che raccontava eventi raccapriccianti fece un risolino inquietante. Hanji si ritrovò a guardare lo specchio di fronte a lei e sobbalzò, urlando a squarciagola: nel riflesso c’era Eren, con il suo make-up perfetto da mostro di Frankenstein.
«Cazzo, Hanji!» urlò il ragazzo mettendosi le mani alle orecchie «Mi hai fatto prendere un colpo con le tue urla»
«Cosa?» esclamò la donna «Io ho fatto venire un colpo a te? Dio, è un miracolo che io non sia morta d’infarto!»
In quel momento, qualcuno mosse gli specchi di fronte a loro e da uno di essi apparve Historia, vestita da dottor Frankenstein.
«Ehi!» disse la ragazza, guardandoli preoccupata «Stavo iniziando a spaventarmi. Possibile che vi siate persi per così tanto tempo?»
Hanji guardò dietro le spalle della ragazza, dove c’era uno specchio leggermente inclinato e si rese conto che stavano per raggiungere l’uscita.
«Oh! Dolce, piccola Historia!» nel dire queste parole, Hanji si fece strada verso la giovane «Una luce in fondo al tunnel!»
Eren seguì Hanji che, raggiunta Historia, si fiondò in un batter d’occhio verso l’esterno. Historia ed Eren, tenendosi per mano, la seguirono.
«Complimenti, Hanji» disse Eren, seccato «Abbiamo scoperto che fai schifo con i labirinti»
Hanji si voltò verso Eren con uno sguardo torvo, stringendo i pugni.
«Senti chi parla!» poi guardò verso la piazza sotto di lei, come se stesse cercando qualcosa «E comunque, io vado a farmi un panino»
Hanji scese le scale che portavano alla piazza e Historia ed Eren la seguirono. Seduta su una panchina, intenta a mangiare dello zucchero filato, c’era Marzia.
«Finalmente» bofonchiò la bionda, alzandosi per raggiungere i tre.
«Colpa sua» disse Eren «Diceva di essere un fenomeno con la casa degli specchi e io, come uno stupido, l’ho inseguita tutto il tempo per cercare di arrivare prima di Historia»
«E invece io e Historia siamo arrivate per prime» disse Marzia, lanciando un occhiolino alla ragazza «Ma gli altri? Sapete dove si sono cacciati?»
«Vorrei saperlo anch’io» rispose seccato Eren che, da tempo, aveva iniziato a sentirsi escluso da Armin e Mikasa.
«Erwin starà continuando la sua gara contro Armin e Mikasa si starà slinguazzando con quello spilungone dietro il carro dei gelati. Mentre Levi…» Hanji si fermò di scatto, come se qualcosa avesse catturato la sua attenzione. Poi si voltò verso una giostra in particolare, squadrandola come se fosse qualcuno che volesse uccidere.
«Tutto ok?» chiese Marzia, posandole una mano sulla spalla.
«Dai, facciamolo» disse Eren, dando una gomitata a Hanji «Andiamo a vedere se Levi e Maribel stanno facendo sesso nella casa degli orrori»
«Cosa?» esclamarono Historia e Marzia in coro.
«Beh, sì, sarebbe abbastanza tipico di Maribel…» continuò poi Marzia, gettando il bastoncino dello zucchero filato dentro la spazzatura.
«Quei due» disse Hanji, stringendo i pugni e sputando a terra «Ma credono davvero che siamo così stupidi da non aver capito nulla?»
 
Levi si abbottonò l’ultimo bottone della camicia, cercando di rimanere nascosto dalla tovaglia del tavolo sotto la quale lui e Maribel si erano nascosti. Fortunatamente, quella casa degli orrori era gestita dal suo amico Eld e sapeva bene quali erano i posti dove avrebbe potuto allontanarsi con Maribel.
«In una barca sul Caronte» disse Maribel, legandosi i capelli «Tra le tombe di un cimitero e adesso sotto il tavolo di Hannibal Lecter. Ed è solo ora di cena»
Levi sorrise, poi si avvicinò a lei per darle un bacio dietro l’orecchio. Maribel rabbrividì.
«Ma io non ho ancora fame»
In quel momento, Levi e Maribel sentirono una voce fin troppo familiare provenire da qualche parte nella galleria che avrebbe portato alla cucina di Hannibal. Maribel rabbrividì nuovamente, ma per un altro motivo.
«Cazzo» disse, uscendo velocemente da sotto il tavolo seguita presto da Levi.
I due fuggirono da una porta anteriore nascosta, finendo dritti dentro il parcheggio. Entrambi si poggiarono al muro e Maribel si lasciò scivolare a terra, poggiandosi sui polpacci.
«Non vedo l’ora di andarmene» disse Levi, guardando fisso di fronte a sé.
«Ma che stai dicendo?» Maribel lo guardò torva, senza alzarsi «Lo sai anche tu. Ti mancheranno da morire»
Levi abbassò lo sguardo. Maribel aveva ragione: sebbene, negli ultimi mesi, ognuno sembrava aver ripreso a vivere la propria vita, Levi era grato di aver passato quell’ultimo anno insieme a Erwin e Hanji. Si era reso conto che, nel corso di quegli anni, i suoi amici gli erano mancati molto. Adesso, sarebbe stato lui a lasciare Eldia, con la speranza di un futuro diverso da quella routine che, ormai, era diventata troppo stretta.
Levi si chinò per raggiungere lo stesso livello di Maribel, accarezzandole la testa.
«Ma perché lo stiamo facendo? Perché stiamo cercando di nascondere agli altri la nostra relazione?»
Maribel lo guardò confusa.
«Ti ricordo che sei stato tu a dirmi di tenere la bocca chiusa. E poi…» Maribel abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente «Chi ti ha dato il permesso di chiamarla relazione
Levi sorrise. Dalla sera del loro primo bacio, Levi e Maribel avevano iniziato qualcosa di molto simile a una relazione. All’uomo faceva sorridere il fatto che, nonostante facessero l’amore tutte le sere, Maribel sgattaiolava in camera sua a dormire da sola appena lui prendeva sonno. Non sapeva cosa provasse di preciso per quella donna e non sapeva nemmeno dove quella cosa sarebbe andata a parare. Ma era stanco di farsi tante domande su tutto: voleva solo vivere il momento e lasciarsi andare.
«E va bene» disse Levi, alzandosi da terra «Non la chiamerò proprio, allora. Ma mi piacerebbe comunque addentrarmi qui dentro stringendoti la mano, se non la prendi come una proposta di matrimonio»
Maribel guardò disgustata la mano che Levi la stava porgendo. Tuttavia, accettò l’invito e, dopo essersi alzata, aprì la porta da cui erano usciti stringendo la mano che Levi le aveva porto.
«Dobbiamo farlo? Facciamolo»
Maribel entrò dentro, sparendo nel buio della cucina di Hannibal, ma Levi continuava a sentire il calore della sua mano. Sorrise. Hanji, Erwin e i ragazzi gli sarebbero mancati da morire. Ma la vita è lunga e avrebbero avuto un sacco di tempo per rivedersi ancora.
 
Levi chiuse il cofano della macchina e si voltò verso Mikasa per lasciarle le chiavi. La ragazza aveva gli occhi lucidi. Prese le chiavi e si lasciò andare a un pianto disperato stringendo lo zio tra le sue braccia.
«Oh, zio!» urlò tra le lacrime «Mi mancherai moltissimo!»
Levi non rispose, né si mosse. Continuava a fissare un punto indefinito davanti a sé, con la testa stretta nel petto di Mikasa. Poi, quando la ragazza allentò la presa, lui le accarezzò la testa, guardandola dolcemente.
«Puoi venire a trovarmi quando vuoi. Te l’ho detto, stupida mocciosa…»
Poi si voltò: dietro di lui c’erano Erwin ed Eren già pronto con le valigie.
«Stavo pensando» disse Erwin, avvicinandosi all’amico «Che il tuo agriturismo sembra un posto perfetto per trascorrere le ferie»
Levi gli diede un pugno su una spalla, poi lo abbracciò.
«Mi mancherai, Erwin»
Un aero passò sopra le loro teste e Maribel guardò l’orologio: era già tardi.
«Scusate» disse la donna «Non vorrei interrompere il vostro momento, ma tra un po’ l’aereo parte»
Levi annuì. Era rattristato dal fatto che Hanji non si fosse presentata. Non ce l’aveva con lei: sapeva che la sua amica amasse dormire e quell’orario era probabilmente troppo presto, per lei. Ma, anche se, probabilmente, l’avrebbe rivista tra due mesi per il Natale, gli dispiaceva andarsene senza poterla salutare.
«Andiamo» disse Levi a Eren, iniziando a muoversi.
Mikasa e Armin si voltarono verso i tre, salutandoli con la mano. Eren rispose con il dito medio e Levi si voltò a salutare per l’ultima volta Erwin. Poi il gruppo entrò dentro l’aeroporto e Levi fu colto da una botta fortissima che, per qualche secondo, gli impedì di vedere.
«Oh, cielo!» esclamò Hanji che, di fronte a lui, si teneva una mano sul petto «Mi hai fracassato il torace con la tua testa di…»
«Racchia di merda!» mormorò Levi, portandosi una mano alla fronte «Ma si può sapere perché cazzo stavi correndo così veloce senza guardare?»
Hanji si sistemò gli occhiali sul naso, schiarendosi la voce.
«È più di un’ora che cerco il tuo gate. Ho lasciato il cellulare a casa e non ho potuto contattare Erwin. E, alla fine, scopro che tu eri ancora fuori!»
«Già, stupida quattrocchi» disse Maribel dandole una pacca sulla spalla «Tre minuti»
Maribel si prese Eren sottobraccio e si allontanò dai due. Hanji e Levi la guardarono confusi e, nel frattempo, vennero raggiunti da Erwin.
«Ma che fine avevi fatto?» chiese l’ultimo arrivato.
«Ah!» Hanji esclamò di gioia «Quella stupida ci ha lasciati da soli!» Hanji abbracciò Levi, stringendolo a sé, e Levi iniziò ad averne abbastanza di tutti quei contatti fisici «Nano di merda, mi mancherai tantissimo!»
«Ma porca puttana» rispose lui, liberandosi dalla stretta «Ci vedremo per il mio compleanno, no?»
«È iniziato tutto qui e finisce tutto qui» disse Erwin, guardandosi attorno.
«Già» rispose Hanji, posando il gomito sulla spalla di Levi «Ma, in realtà, non finisce proprio un bel niente»
Levi cinse le spalle dei due amici, controllando sul tabellone che fosse ancora in tempo per l’aereo.
«Vi devo chiedere scusa. Vi devo chiedere scusa per tutte le volte che sono scomparso, per tutti i miei silenzi, per le chiamate senza risposta e per le spunte blu. Vi devo chiedere scusa per la mia incostanza, per non esserci sempre e per non essere l’amico che meritereste. Vi devo chiedere scusa per…»
«Ma finiscila con queste minchiate» lo interruppe Hanji, lanciando uno sguardo a Erwin «L’unica cosa che ci importa è che tu sia felice»
Levi lanciò uno sguardo prima a lei, poi a Erwin. Ed era contento, incredibilmente contento di poter continuare a contare su di loro anche se si stava preparando a una nuova vita in un nuovo paese.
Levi si allontanò dai due e cominciò a indietreggiare. Notò che una lacrima si era formata all’angolo sinistro dell’occhio di Hanji e lei l’asciugò subito con un dito.
«Ci vedremo presto!» disse Levi, alzando una mano in segno di saluto.
Erwin sorrise e ricambiò il saluto. Hanji cominciò a piangere e abbassò la testa in cerca di un fazzoletto dentro la borsa.
Levi si voltò e si diresse verso il gate.
Arrivederci, Eldia!
 
Quel dicembre sembrava fare più freddo del solito.
Hanji, dentro l’Ackerman Pub che, nonostante il cambio di gestione, non aveva cambiato nome, stava finendo di decorare l’albero. Era terribilmente tardi, quell’anno: chi si preoccupava di montare l’albero proprio il giorno della vigilia?
In quel momento entrò Erwin. Aveva un cappotto abbastanza pesante e si stava sfilando i guanti.
«Sei pronta?»
Hanji guardò l’orologio: era veramente troppo tardi.
«Mezz’ora» disse lei «Trattienilo solo per mezz’ora. I preparativi ci sono tutti, ma lui è ancora sul cesso»
 
La macchina di Levi si fermò di fronte l’Ackerman Pub. Non ci aveva pensato, in quei mesi, ma, quel posto, gli era mancato terribilmente. Sebbene si trovasse a Eldia già da qualche giorno, non era ancora passato da lì. Ma quella sera era la Vigilia di Natale e Hanji aveva chiesto a Pixis di poter usare il locale per il cenone. E, poi, era certo che stessero preparando una sorpresa per il suo compleanno.
«Allora, ti vuoi sbrigare?» esclamò Levi seccato, guardando dallo specchietto retrovisore Maribel che si stava cambiando i vestiti. A quanto pare, lui le aveva messo troppa fretta e lei non aveva avuto il tempo di prepararsi a dovere.
«Quanto rompi il cazzo» disse Maribel, abbottonandosi una camicia rossa «E comunque non è normale»
«Cosa non è normale?»
«Che mi guardi spogliarmi e vestirmi senza che ti venga voglia di gettarti addosso a me»
Levi sbruffò.
«Sei proprio una cretina»
Maribel fu finalmente pronta e aprì lo sportello della macchina. Levi fece lo stesso e prese la ragazza per mano, incamminandosi verso il pub. Maribel non si liberò dalla presa e Levi si lasciò andare a un sorriso: quella sera, per la prima volta, si sarebbero mostrati anche a Pixis. Non che Levi non fosse nervoso, ma non gli andava di passare la Vigilia e il suo compleanno lontano da Maribel solo per quel segreto. E, poi, Pixis era ormai lontano dalla sua amorevole figlia: non avrebbe potuto assoldare nessuno per impedire la loro relazione. Forse…
Levi aprì la porta dell’Ackerman Pub e trovò tutti quanti intenti a sistemare i tavoli. Rimase deluso: si aspettava di non trovare nessuno e di veder spuntare tutti quanti in seguito al “tanti auguri” urlato da Hanji. Ma, effettivamente, non era ancora mezzanotte. Non avrebbe perso le speranze…
«Buonasera!» urlò Hanji, comparendo davanti a loro con un vassoio di tartine e tramezzini «Iniziate a sedervi perché ho veramente fame!»
 
La cena andò come previsto. Tutti mangiarono fino a scoppiare, il cibo, cucinato da Sasha, era squisito e ognuno sembrava divertirsi. Poi, Erwin venne catturato da qualcosa al di fuori della finestra. Il gruppo uscì fuori e si ritrovò sotto i fiocchi di neve che cadevano da cielo. Erwin alzò le braccia e chiuse gli occhi, mentre dei fiocchi gli cadevano sulla fronte e sul naso. Seraphine si strinse a lui, cercando anche di mantenersi al caldo.
Hanji si chinò a fare una palla di neve, nonostante fosse senza guanti. Eren, Armin e Mikasa avevano cominciato una guerra e lei non voleva essere da meno. E il tempo passò, tra una palla di neve e l’altra, tra un pupazzo di neve e l’altro. Finchè, a un certo punto, Hanji si fermò di scatto e tutti seguirono il suo esempio. Levi si guardò attorno dapprima perplesso, ma poi capì. Doveva essere arrivata la mezzanotte.
«Tanti auguriiii a teee» iniziò a cantare Hanji, voltandosi inquietantemente verso l’amico «Tanti auguri a teeee! Tanti auguri al nostro hobbit, tanti auguriii a teee»
Levi applaudì, con aria seccata, mentre tutti gli altri seguivano l’esempio di Hanji.
«Sì, certo. Tanti auguri»
«Buon Natale, Levi»
Levi rabbrividì. Conosceva quella voce, la conosceva fin troppo bene. Ma non poteva essere vero.
Levi si girò piano, quasi come se, alle sue spalle, avesse potuto vedere un fantasma. E, in un certo senso, fu così.
«Kenny
Kenny sorrise. Si avvicinò all’uomo, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Proprio io, Levi. A quanto pare, neanche il diavolo in persona ha il coraggio di incontrarmi»
«Ma come…»
«Non lo so. Non me lo spiego io e non se lo spiegano nemmeno i medici. Ma sono ancora qui, e sto ancora bene. Perciò…» Kenny aprì le braccia, come a voler accogliere Levi «Sono contento di poter passare un altro Natale con te»
Levi si tuffò tra le braccia di Kenny e si lasciò andare a un pianto disperato, ma silenzioso. Non voleva che gli altri lo vedessero o lo sentissero.
La neve continuava a cadere e i suoi amici continuavano a lanciarsi palle di neve. Lui continuava a piangere, ma, in realtà, non si era mai sentito più felice di così.
Si staccò dall’abbraccio e, abbassando la testa, si asciugò le lacrime. Poi si voltò a guardare Erwin e Hanji.
Se Marley fosse stato veramente il suo porto sicuro, loro due non avrebbero comunque mai smesso di essere la sua ancora.
 

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