Niente si oppose alla notte (tranne noi)

di Lisbeth Salander
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Niente si oppose alla notte (tranne noi)

 

Il primo problema che pone sempre una guerra è saperla riconoscere
È soltanto nel vedere gli eventi per ciò che sono, che ci si può preparare a combatterla, a capire chi è il nemico da fronteggiare.Si tratta di un principio essenziale, matematico, quasi asettico nella sua ovvietà ma di difficile applicazione. 
La verità è che nessuno vuole riconoscere una guerra, prepararsi all’idea di combattere o rassegnarsi al fatto che tempi di pace e serenità sono conclusi e voltare la testa dall’altra parte è terribilmente semplice.
È la più naturale e normale delle tentazioni, il più primordiale degli istinti: conservare il proprio mondo intatto, preservarlo da forze esterne che arrivano a scuoterlo. 
Nessuno ama stare in allerta e riconoscere i segni di una guerra, nessuno ama squarciare il velo e vederci attraverso ma alcuni sembrano destinati a farlo.

 

Capitolo 1

 

Hogwarts 

5 novembre 1970

 

Albus Silente cammina avanti e indietro, senza sosta, da ore percorrendo infinite volte il perimetro della stanza. 
Sulla sua scrivania, al centro dello studio, giace l’Edizione Straordinaria de La Gazzetta del Profeta, elegantemente affiancata da alcuni numeri precedenti.
Ormai la consapevolezza di quel che sta accadendo gli fa compagnia da giorni: a nessuno piace riconoscere i segni di una guerra divenuta ineluttabile, persino quando tutti continuano a negare, negare, negare perché ammettere la loro esistenza significherebbe non poter tornare indietro.
È un terreno difficile su cui muoversi, ne è certo. 
Gli eventi delle ultime settimane hanno scosso gli animi di tutta la comunità magica ma, come si è trovato a considerare più volte, non abbastanza
Ancora cullati dalla convinzione che, dopo l’arresto di Grindelwald, ogni pericolo sia ormai lontano e volutamente dimentichi di ogni pericolo, i più importanti esponenti della società sembrano aver pericolosamente sottovalutato il malcontento che si è diffuso negli ultimi anni e la minaccia che si sta diffondendo a macchia d’olio.
Quando Alastor Moody irrompe nel suo studio con passo sicuro e deciso, Albus Silente è certo che l’Auror sia una delle poche persone ad aver riconosciuto i segni di quella guerra imminente.
Conosce bene il suo ex alunno e sa che, se non fosse turbato, se non ci fosse qualcosa che gli annerisce i pensieri, non avrebbe mai lasciato il Quartier Generale Auror. 
«Hai già letto la notizia, non avevo dubbi», commenta con il tono pungente e diretto che lo ha sempre contraddistinto, guardando con distacco i fogli sparsi sulla scrivania.
«Vorrei sapere, in tutta franchezza, cosa ne pensi».
Albus continua a camminare, a mettere in fila un passo dopo l’altro nella stessa traiettoria che percorre da ore.
«Albus, io…».
«Sappiamo bene che quella scritta dal buon Ferguson Clarich1 è una notizia sin troppo scarna e povera di dettagli per corrispondere a realtà».
Alastor si lascia andare su una delle poltrone presenti senza nascondere il peso di giorni e giorni di lavoro. 
Silente nota che ha lo sguardo stanco e segnato, le occhiaie profonde sintomo di notti in bianco.
«Sono stati devastati tre villaggi, tutti nei dintorni di Wick. Le vittime sono solo Babbani. Non hanno risparmiato nessuno, nemmeno bambini. C’erano centinaia di corpi. Hanno usato ogni genere di Maledizione, Albus».
Il tono di Alastor non tradisce emozioni, ben temprato dalle vicissitudini della sua professione. 
Da anni Capo del Dipartimento Auror, distintosi sin dal primo giorno per una carriera brillante, ha l’aria di chi non è più sorpreso di scoprire quanto ogni volta possa spingersi lontano l’uso indegno e brutale della Magia Oscura. 
Eppure, c’è qualcosa nel modo in cui scandisce ogni parola che tradisce un profondo disgusto per ciò che è stato costretto a vedere.
«Che genere di Maledizioni?», chiede Silente con fermezza.
«Molti sono stati torturati, per ore, a giudicare dallo stato dei corpi. Altri hanno usato la Maledizione Imperius, soprattutto sulle donne. Hanno bruciato e tagliato qualsiasi cosa fosse sul loro tragitto».
Il volto di Albus si contrae in una smorfia di orrore e ripugnanza.  Ha l’aria di chi sta combattendo una battaglia con se stesso per costringersi a raccontare. 
«Credi ci sia stata una ragione particolare?», chiede con voce stanca.
«È il sesto villaggio che devastano quest’anno. Ho visto altre venti famiglie Babbane attaccate, torturate e decimate, nonostante Il Profeta abbia dato notizia soltanto di sei di queste».
«È questa la linea di Eugenia2? Me ne sorprendo».
«Credeva che saremmo riusciti ad arginare le prime senza troppe difficoltà. In altri casi, non credevamo nemmeno fossero casi di nostra competenza», spiega Alastor.
«Pensava che sarebbe stata facilmente risolvibile come le rivolte di tre anni fa3, suppongo», sibila Silente, sistemandosi gli occhiali a mezzaluna sul naso.
«Aveva concesso maggior tolleranza ai Purosangue per placare le rivolte ma non si è resa conto di aver soltanto differito l’inevitabile», sentenzia Alastor, tagliando a corto.
«Ora ci dev’essere qualcosa che ha intenzione di fare».
«Non abbiamo niente in mano, niente se non quel marchio».
Silente si accarezza la barba, in tono distratto. 
«Certo, non si può dire che un teschio ed un serpente siano di straordinaria originalità», commenta dopo alcuni minuti di silenzio, «Tuttavia, stanno lentamente riuscendo nel creare un clima di terrore».
Alastor scuote la testa mentre il sopracciglio sinistro si alza in segno di profondo scetticismo.
«Non credo che la gente, la nostra gente sia terrorizzata, Albus. Non credo che siano molti quelli che hanno capito ciò che ci aspetterà in futuro».
Un sorriso soddisfatto spunta sul volto del Preside. È tutta la sera che aspetta di sentire quelle parole: è sempre stato sicuro che un uomo di battaglia come Alastor Moody abbia intuito sin dal primo istante il pericolo rappresentato dai Mangiamorte e, soprattutto, da colui che li guida. 
Tom Riddle, il suo ex brillante studente, è diventato il capo di una banda criminale prendendo da qualche anno il nome di Lord Voldemort, nome che da lì a poco sarà destinato a riecheggiare molto di più.
Che ci sia lui, dietro le atroci azioni che da mesi hanno iniziato a susseguirsi, è un sentore che Silente ha iniziato ad avere sin dal primo istante. Gli indizi che ha raccolto personalmente lo hanno immediatamente messo in allerta e sono mesi che è consapevole di quanto l’ideologia malsana, sottesa agli atti perpetrati dai Mangiamorte, si stia diffondendo tra le famiglie Purosangue.
«Su questo, amico mio, temo di doverti dare ragione». 
Lo sguardo dell’anziano Preside si assottiglia mentre intreccia le mani e osserva l’espressione di Alastor divenire, se possibile, ancora più dura.
«Al momento, in ogni caso, non abbiamo alcuna prova certa che siano stati questi sedicenti Mangiamorte e, soprattutto, che dietro ci sia Lord Voldemort», afferma l’Auror. 
«Immagino che Eugenia non voglia forzare i Protocolli di sicurezza».
«Tu lo faresti? Ha sedato le rivolte dei Purosangue per quelle poche briciole riconosciute ai Maghinò. Se forza i Protocolli, se impone controlli di bacchette a tappeto e ci autorizza a piombargli in casa, senza uno straccio di prova, tanto vale lasciare la poltrona».
Se c’è una cosa in cui Alastor è impareggiabile, è nel presentare la realtà per quel che appare, nuda e cruda, senza fronzoli e abbellimenti. 
È per questo, del resto, che è il miglior Auror in circolazione da anni ed è per questo che Albus è certo di non potercela fare senza di lui, di aver bisogno di unire le sue forze a quelle di Alastor.
Le sue parole scottano ancora, forti della ragione nell’affermare che la protesta dei Maghinò e le rivolte dei Purosangue in risposta a quella protesta sono una questione ancora fresca e indimenticata per il Ministero.
Ministro soltanto da pochi mesi, Eugenia Jenkins si era trovata, due anni prima, a fare i conti con le pretese di coloro che vivevano ai margini della Società Magica.
La protesta dei Maghinò era presto degenerata e finita nel sangue a causa dell’intervento di alcuni convinti Purosangue, che La Gazzetta del Profeta aveva efficacemente definito come «Irriducibili»
C’erano stati tre arresti ed un decreto che riconosceva ai Maghinò il diritto di avere una minuscola delegazione al Wizengamot e minime garanzie di partecipazione per la tutela dei loro diritti.
Il malcontento che quella vicenda aveva provocato nell’élite della società magica aveva cementificato il dissenso per quella politica troppo aperta, troppo progressista, come aveva commentato Abraxas Malfoy durante una delle sedute del Consiglio di Hogwarts.
«Quel che ci occorre, Alastor, è che nelle persone maturi la consapevolezza della guerra», sussurra, finalmente, Silente.
«Certo, Albus. Ora mi metto a gridare che siamo ad un passo dalla guerra e tutti mi crederanno. Non è così che funziona e non è questa la linea ufficiale», ringhia Moody.
«Allora, dovremo ricorrere a mezzi diversi dalla linea ufficiale».
Il silenzio che cala nell’ufficio dopo le sue parole è interrotto solo dal sospiro di Alastor quando comprende, finalmente, dove voglia arrivare l’amico.
«Non posso contrastare apertamente il Ministero, Albus. Non sarebbe produttivo e, francamente, Eugenia non merita questo», puntualizza con la solita severità.
«Ho intenzione di provare a parlare con Eugenia ma ho il sentore che le mie parole saranno vane. Quanto al resto, temo di dover concordare con te».
«Come pensi di fare?».
«Vedi, Alastor, ci serve una strategia di persuasione ed istruzione. Dobbiamo lavorare con intelligenza, muoverci con estrema cautela e rendere la gente pronta per il momento in cui non ci si potrà più tirare indietro».
«Ed in questo non c’è nessuno più bravo di te».
«In verità, amico mio, qualcuno c’è».

 

Bisbrooke, Rutland

7 novembre 1970

Quell’autunno la pioggia sembra non concedere loro alcuna tregua. Picchia incessantemente, senza mai lasciare che il cielo divenga terso e lì, nelle Midlands Orientali, quel giorno non è possibile scorgere nemmeno un brandello di cielo.
Dinanzi al portone dell’enorme maniero della famiglia Meadowes, Alastor Moody non fa altro che lamentarsi della scarsa visibilità a causa della pioggia. 
«Tu sei convinto che ci aiuterà?», chiede nuovamente ad Albus, che, al contrario di lui, non sembra essere minimamente infastidito dall’attesa che le porte si spalanchino.
«Lo spero, Alastor, lo spero», sussurra con il solito tono sibillino.
Alastor non riesce a non reprimere uno sbuffo d’irritazione.
Ha già provato, nei giorni precedenti, a dire all’amico come la richiesta d’aiuto, ai limiti della disperazione, a Dorcas Meadowes sia destinata ad essere un buco nell’acqua.
Appartenente ad una delle più note e celebrate famiglie tra le Sacre Ventotto, Dorcas Meadowes è una delle donne più chiacchierate e misteriose dell’Alta società magica.
Da quel poco che ha saputo nel tempo, ha sposato un suo cugino in modo da non perdere il cognome e da non mischiarsi ad altre famiglie, nessuna reputata sufficientemente all’altezza. 
Nonostante tutti si aspettassero una brillante carriera politica per il suo carattere brillante e carismatico, la Meadowes aveva stupito tutti e si era ritirata alcuni anni prima in quel maniero, riducendo al minimo i suoi impegni sociali e mondani.
Le voci che si sono rincorse negli anni sussurrano che Dorcas Meadowes non sia cambiata dai tempi della scuola e, nonostante siano passati quasi trent’anni dai tempi in cui entrambi erano ad Hogwarts, Alastor Moody ricorda perfettamente quel che ha pensato di Dorcas Meadowes, di qualche anno più piccola, non appena l’ha incontrata anni prima. 
Dorcas Meadowes era, all’epoca, la più grande rompiboccini che avesse mai incontrato e oggi è pronto a giurare che l’età non abbia fatto altro che peggiorarla.
Quando le porte del maniero si aprono, non può fare a meno di gettare uno sguardo profondo a quanto lo circonda.
Che i Meadowes fossero ricchi lo ha sempre saputo, né avrebbero potuto non esserlo date le costanti elargizioni al Ministero. 
Che i Meadowes fossero così schifosamente ricchi, avrebbe dovuto immaginarlo dal modo in cui chiunque è solito pronunciare il loro nome con maggiore sacralità di quello di Merlino.
Dorcas Meadowes li attende in piedi accanto al camino, con le braccia eternamente conserte, proprio come Alastor la ricorda, avvolta in una veste da maga bianca mentre sul suo anulare sinistro risalta l’anello con lo stemma di famiglia.
Dall’espressione severa e impenetrabile che ha, Alastor ha la certezza che Dorcas Meadowes è rimasta la stessa rompiboccini di sempre.
Si salutano rapidamente, mentre Dorcas non esita a fare gli onori di casa offrendo loro dell’Idromele e invitandoli ad accomodarsi.
«Devo dirvi che sono sorpresa da questa visita», dice portandosi il calice alla bocca ma dando segno di essere in allerta.
«Ottimo Idromele, come al solito», replica Silente, eludendo, in un primo momento, il commento di Dorcas, che continua a fissarlo accigliata. 
Alastor osserva con fervido interesse la scena, incuriosito dal modo in cui Albus convincerà Dorcas Meadowes a mettersi in società con loro e opporsi ai tempi bui che verranno.
«Ho saputo che sei Capo del Dipartimento, Alastor. Congratulazioni», dice Dorcas con sincera cortesia.
«Ti ringrazio. Mi aspettavo che tu saresti diventata, come minimo, Stregone Capo del Wizengamot», replica lui, non riuscendo a trattenersi.
«Quel genere di carriera non faceva per me», incalza affilata, rigirandosi più volte e nervosamente gli anelli che le adornano le dita.
«Alastor, ha ragione, mia cara. Hai sempre avuto uno spiccato intuito politico combinato ad una intelligenza fuori dal comune».
Alastor non può fare a meno di pensare che le parole di Albus hanno sempre l’effetto di sospendere il tempo e colpire corde inaspettate mentre lo sguardo di Dorcas si fa ancor più severo nel soffermarsi su Silente esigendo risposte che stentano ad arrivare.
«Qual è la ragione di questa visita?».
«Siamo venuti a farti una proposta», esordisce Silente.
Dorcas si irrigidisce immediatamente ma tenta di dissimulare ogni emozione versando altro Idromele.
«Dubito di poterti essere utile, Albus. Sono una donna di campagna, ormai», replica con un sorriso tirato ed incredibilmente amaro e in quelle parole Alastor sembra cogliere una forma di rimpianto, insoddisfazione, di rabbia.
«Sono certo che tu abbia letto dei terribili attacchi di questi ultimi mesi ai danni dei Babbani e che abbia notato come si stiano intensificando», prosegue Albus con tono serafico.
«Sono un’accanita lettrice della Gazzetta, Clarich non mi perdonerebbe mai se mancassi un’edizione straordinaria e nell’ultimo periodo ce ne sono state molte».
«Naturalmente, vogliamo tutti dare soddisfazione al lavoro del caro Ferguson. Tuttavia, sei una donna troppo intelligente per non esserti posta domande su quel che sta accadendo nel nostro mondo, Dorcas».
«Sarebbe impossibile non porsi domande davanti ad atti del genere», taglia rapidamente a corto.
«Sei anche troppo intelligente ed acuta per non esserti data delle risposte».
Dorcas si alza scattante con uno sguardo ancor più indurito e l’espressione sospettosa che non l’abbandona mai.
«Che cos’hai intenzione di chiedermi?», ripete ancora una volta in tono calmo e deciso.
«Aiuta me ed Alastor a combatterli. Trova un modo insieme a noi».
«Voi dovete essere completamente fuori di testa».
Dorcas inarca il sopracciglio sinistro e poi scuote la testa, fissandoli come se le avessero proposto una vacanza al San Mungo.
«Sei l’unica che può farlo. Non conosco nessuno che abbia il tuo intuito e la tua lungimiranza, nessuno che conosca i meccanismi di questa società meglio di te», replica Silente per nulla scalfito dal rifiuto della padrona di casa.
«Ed è proprio la mia lungimiranza che mi fa dire che siete fuori di testa. La piega che prenderanno gli eventi è chiara, Albus. È inutile girarci intorno».
«Si può sempre tentare di cambiare quella piega», afferma Alastor, intromettendosi finalmente in quella discussione.
«È una battaglia persa e quello che abbiamo visto fino ad ora non è assolutamente nulla rispetto a quello che verrà. Non c’è niente, assolutamente niente, che si possa fare per fermarli». 
«Non c’è niente che non si possa fermare, non c’è Mago Oscuro che non abbia una debolezza, non c’è persona che non commetta errore. È su questo che si fonda il mio lavoro. Non esistono battaglie perse, non per me», replica con durezza.
Se c’è una cosa di cui Alastor Moody è sempre stato convinto, è che non esista guerra che non possa essere vinta, che la battaglia contro il Male sia una battaglia da combattere ogni giorno, ogni istante, senza mai cedere, senza mai arrendersi, senza mai abbassare la guardia, esercitando una vigilanza costante sul mondo circostante ma combattendone ogni pericolo.
Dorcas vacilla e lui è convinto di intravedere nei suoi occhi un barlume di sorpresa e ammirazione.
«Sono delle bellissime parole ma questa è una battaglia che non ho intenzione di combattere».
«Perché?», chiede Silente con curiosità.
«Proprio perché conosco sin troppo bene questa società, ti dico che non c’è possibilità. Il vero potere è concentrato in mano a pochissime famiglie, il Ministero e la stessa Hogwarts sono legati a questi stessi soggetti…».
«Mi permetto di contraddirti su Hogwarts…», la interrompe Albus mentre Alastor tace, condividendo intimamente quella parte di discorso di Dorcas.
«Oh, Albus, insomma! Tu sei l’unica persona che prova a contrastarli ma nel Consiglio ci sono anche io e so perfettamente cosa c’è dietro Hogwarts e quali siano gli interessi che muovono l’amministrazione della scuola», s’accende Dorcas, «Saresti davvero sorpreso se uno tra i più insospettabile dei tuoi studenti fosse nelle schiere di questi Mangiamorte?».
L’obiezione di Dorcas è più dolorosa di una stilettata. Silente china il capo amareggiato e Alastor, memore delle conversazioni degli ultimi giorni, sa bene che è già certo che alcuni dei suoi studenti si siano arruolati pronti a torturare, uccidere, maledire senza scrupolo alcuno.
«Non direi sorpreso. Deluso».
«E sono anche consapevole che tu sappia che non è tutto qui, che non è questa la vera ragione».
Alastor si schiarisce la voce e chiede spiegazioni.
«Li appoggeranno, silenziosi ed omertosi come solo certi maghi sanno essere» sentenzia Dorcas, con un moto di disgusto.
«Siamo preparati a questo. È per questo che bisogna agire ora», si infervora Alastor alzandosi in piedi e attirando l’attenzione della padrona di casa.
«E come vorresti agire? Le fonti ufficiali non dicono nemmeno che i responsabili sono sempre gli stessi, non viene indicata chiaramente una minaccia. Per cosa, esattamente, la gente dovrebbe mettere mano alla bacchetta?».
«Quale migliore causa se non quella di difendere i più deboli?», chiede Silente.
«Be’, Albus, magari su questa motivazione dobbiamo lavorarci», sbotta Alastor. Pragmatico e lucido, è consapevole che in quella fase, in cui la minaccia non è ancora esplicita ma è rimasta imbrigliata nei sottotesti di tutte le atrocità commesse, dovranno puntare a qualcosa di più immediato che ai soli ideali.
«Volete chiedere alle persone di combattere in una causa che non ha nemmeno dei confini noti e che non siamo in grado di vincere».
«Dovresti avere maggiore fiducia negli esseri umani. Te lo dicevo anche quando ero soltanto un tuo Professore», predica affettuosamente Silente.
«E io ti ho sempre detto che non ho mai capito da dove provenga il tuo straordinario ottimismo, anche davanti ad eventi del genere».
Alastor scuote la testa, percorrendo nervosamente il salone, con un unico pensiero a tormentarlo: stanno perdendo tempo.
«Quindi, non ci aiuterai?».
«Non mi avete nemmeno detto cosa dovrei fare esattamente».
Albus si alza e raggiunge Alastor in pochi istanti, fissando Dorcas con la sua solita aria imperturbabile.  «Credevo fosse ovvio a questo punto. Aiutarci a trovare persone che vogliano impedire l’arrivo di questi tempi così bui, che sappiano scegliere tra ciò che è giusto piuttosto che ciò che è facile».
Dorcas distoglie lo sguardo, stringendo con forza le dita inanellate attorno alla veste bianca.
«Niente si oppone alla notte, Albus. Dovresti saperlo», afferma con tono malfermo.
«Potremmo opporci noi», continua Alastor, conscio di quanto Dorcas Meadowes abbia un’intelligenza e peso politico necessario in quella battaglia.
«Prima accetterete che è una causa persa, prima potrete conviverci». 
«È un peccato che tu ci abbia detto di no. Avrei voluto chiederti di parlare con Eugenia», continua Silente con tono pacato, come se Dorcas Meadowes non abbia appena reso palese che il loro viaggio in quella landa inospitale sia stato un fallimento totale.
«Eugenia non ascolta più i miei consigli da tempo, Albus. Credevo fossi a conoscenza anche di questo».
«Sono a conoscenza del fatto che la Dorcas che conoscevo non aspettava che un consiglio fosse richiesto», sibila con tono indecifrabile.
«I tempi sono cambiati. Eugenia è il Ministro ed io non sono più la sua consigliera politica da anni». 
«E, se posso permettermi, si vede», chiosa Silente prima di far segno di congedarsi ad Alastor.
 

Londra, Ministero della Magia 

27 novembre 1970

Ha impiegato venti lunghissimi giorni a convincersi, venti giorni in cui le parole di Albus Silente e Alastor Moody non hanno fatto altro che rimbombare nella sua testa come un’eco molesta di ideali lasciati andare anni prima.
Una parte di sé è ancora fermamente convinta di quanto ha detto loro: non c’è possibilità di combattere e vincere retaggi e  pregiudizi di una società saldamente ancorata all’idea della primazia del sangue, una primazia che si riverbera in ogni ambito.
Quegli ideali muovono le fila del Ministero, di Hogwarts, del commercio, impediscono passi avanti reali e concreti, tracciano linee immaginarie ma insuperabili tra chi ha il potere e chi sarà eternamente ostacolato e visto con sfavore per mere ragioni di nascita.
Dorcas ha la consapevolezza di chi è nata dalla parte giusta e ha visto infinite porte spalancarsi dinanzi a sé.
Un’altra parte di se stessa, però, freme al pensiero di abbattere i pilastri di quel mondo che non ha mai condiviso, in cui s’è ritrovata prigioniera a causa della sua stessa famiglia. 
Si è ritrovata a stendere liste di nomi, a pensare ad amici e conoscenti che non esiterebbero a mettere mano alla bacchetta se fosse necessario. 
Le ha accartocciate con rabbia e rimorso - sentimenti con i quali convive da tempo - tornando a convincersi che, no, non c’è alcuna possibilità contro quella rivoluzione sanguinosa che incombe.
La piccola sala d’attesa fuori l’Ufficio del Ministro è un luogo che non le è familiare.
Fino a pochi anni prima, per lei non era mai esistita attesa. 
Adesso, invece, passeggia nervosa in quell’atrio così insolito, carica di tensione ed impegnata a reprimere ogni risentimento.
«Il Ministro Jenkins ha detto che si può accomodare», sussurra la voce incolore della giovane strega intenta a gestire la posta di Eugenia.
Dorcas annuisce e non esita ad entrare.
Il silenzio, la tensione e l’imbarazzo che avvolgono lei e il Ministro della Magia sono talmente pesanti da poter essere tagliati con un coltello.
Anni d’amicizia, sogni condivisi e traguardi raggiunti si sono sgretolati contro le prime difficoltà degli incarichi politici di Eugenia. 
Il loro ultimo incontro risale a qualche anno prima, dove si sono urlate e rinfacciate di tutto, ogni singolo episodio fino a fare a brandelli tutto ciò che c’era stato di bello. 
Dorcas era uscita sbattendo la porta e, da allora, c’era stato solo silenzio.
Eugenia non si alza neppure, limitandosi a poggiare lo sguardo su di lei e ad osservarla mentre s’avvicina alla poltrona predisposta per gli ospiti. Ha un’espressione dura mentre accende uno dei suoi sigari. 
Dorcas non può fare a meno di pensare che sia solo il primo dei modi in cui l’ex amica tenterà di infastidirla, ben conscia di quanto detesti l’odore del sigaro.
«Sono sorpresa di vederti qui», prende parola il Ministro.
«Sono sorpresa di essere qui», replica con velocità Dorcas mentre Eugenia non reprime un sorriso amaro.
Per due persone come loro, abituate a parlare di tutto, il silenzio ferisce come cento spade.
«A cosa devo l’onore?», chiede Eugenia con una punta di sarcasmo.
«So bene quali sono i nostri rapporti e sono consapevole del fatto che tu abbia mille motivi per non ascoltarmi», esordisce Dorcas, avvertendo una difficoltà ed un fastidio che non ha mai provato in precedenza nella sua veste di consigliera, «Pensavo fosse mio dovere venire qui».
«Ti ascolto».
«Non puoi sottovalutare gli attacchi ai villaggi dei Babbani, il modo indegno e disgustoso in cui questa gente sta utilizzando la magia».
Le parole sono uscite fuori con maggiore durezza di quella che aveva preventivato, assumendo le pericolose sembianze di un ordine, ordine che non può più permettersi di dare.
«I miei Auror stanno facendo tutto il possibile. Sono fiduciosa nel fatto che in breve tempo prenderemo questi balordi e daremo loro una punizione esemplare».
«Tu sai chi c’è dietro tutto questo?», chiede Dorcas.
«Mi è arrivato qualche nome, voci, più o meno prive di fondamento», conclude con sufficienza Eugenia, continuando a rigirare il sigaro tra le mani.
Dorcas si irrigidisce immediatamente nel realizzare che il muro che Eugenia ha tirato su le appare insormontabile.
«Dovresti parlare alla stampa e allertare i Maghi, porre in evidenza il genere di minaccia che rappresentano».
«Non c’è nessuna minaccia per la quale io debba terrorizzare la popolazione, Dorcas. Sono finiti i tempi dei ‘dovresti’, non sai più cosa accade qui dentro. Sono perfettamente in grado di gestire questa… situazione», puntualizza perentoria e rancorosa, proprio come l’ultima volta che si sono viste.
Dorcas inghiotte rancore e veleno, pur di continuare a rimanere lì, seduta su quella sedia, ad implorare un passo politico che non arriverà mai - ormai le è chiaro.
«Stavo cercando di tenderti una mano, non di darti ordini. A te arrivano voci, così come arrivano anche a me. Non lavoro più qui ma sono ancora informata su quello che accade nella società di cui sono parte», continua con fermezza, «ed è proprio per il bene di questa società che so esserti tanto cara se ora sono qui. Oggi massacrano Babbani, domani massacreranno i Nati Babbani, poi ancora i Magonò, non esitando a calpestare chiunque li osteggi, e non si potrà più gettare la testa sotto la sabbia».
«Sono lieta che tu non ti sia isolata. Mi era stato riferito diversamente», commenta con evidente livore, «Dubito che le nostre fonti siano le medesime. Come ti ho detto, è tutto sotto controllo e non c’è nessuna minaccia che sta per distruggere il mondo magico ma ti ringrazio ugualmente per la preoccupazione».
Dorcas sospira, rassegnata e sconfitta, dinanzi all’ostilità dell’amica di un tempo mentre sotto la pelle affiora un desiderio di giustizia che era sopito da anni.
«Mi rattrista vedere come tu non riesca ad andare oltre i nostri dissidi personali. La donna con la quale ho lavorato era in grado di riconoscere i pericoli che doveva fronteggiare».
Non appena pronuncia quelle parole, è certa che il suo tempo in quella stanza è ormai concluso. Il lampo di risentimento negli occhi di Eugenia è tale da non lasciare alcun dubbio.
«Ti pregherei di accomodarti fuori. Non ho altro tempo da concederti», le dice perentoria, indicandole la porta con un cenno del capo.
Dorcas non proferisce parola nel catapultarsi fuori dall’Ufficio del Ministro. Gira il suo anello più volte, tentando di barcamenarsi nel vortice di pensieri che le aggrovigliano la mente.
Percorre velocemente i corridoi stretti e chiacchierati del Primo Livello: la voce che Dorcas Meadowes ha rimesso piede al Ministero si è sparsa con una velocità incontrollabile e gli occhi dei Ministeriali le si posano addosso con fastidiosa insistenza.
S’avvicina agli ascensori tesa e nervosa, convinta di voler uscire immediatamente da quel luogo che sembra toglierle aria dai polmoni.
Invece, inspiegabilmente, si trova a dire «Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge Magica».
Ancora seguita e importunata dal chiacchiericcio che l’accompagna, stringe distrattamente mani ed elargisce sorrisi di circostanza prima di arrivare finalmente al Quartier Generale degli Auror.
L’accoglie un giovanotto imberbe, con occhiali minuscoli e rotondi, e un’aria spaurita che non si addice ad un Auror.
«Ho bisogno di parlare immediatamente con Alastor Moody. Sono Dorcas Meadowes». 
Quando pochi minuti dopo si ritrova nell’ufficio di Alastor Moody, non può fare a meno di notare il sorriso compiaciuto e soddisfatto dell’Auror. 
«Se tu e Albus non avete desistito, sono dei vostri» annuncia, guardandolo negli occhi.
«Credevo che avessi detto che niente potrà opporsi alla notte», replica sorridente ma con aria di sfida.
«Tranne noi, Alastor. Noi possiamo farlo».
 


1Ferguson Clarich, Direttore della Gazzetta del Profeta, personaggio originale.
2Eugenia Jenkins, Ministro della Magia, eletta nel 1968. Fonte Lexicon e Wizarding World.
3Le proteste dei Magonò, cui segue la rivolta dei Purosangue, sono riportate dal sito Wizarding World e dal Lexicon e si svolgono dopo il 1968. 


Note: il tema della Prima Guerra Magica è uno di quelli a cui mi sono sempre avvicinata, ho girato intorno, studiandolo perché tra i tanti periodi è quello che mi ha, da sempre, più affascinata nella lettura della saga. Quella Prima guerra, i suoi protagonisti, le sue logiche si riverberano, inevitabilmente, anche sulla seconda. 
Di quel periodo, però, non sappiamo praticamente nulla se non le poche (e insoddisfacenti) informazioni che l'autrice ha dato in merito. 
Personalmente, ho cercato di partire da lì, da quelle pochissime informazioni e di immaginare la mia versione dei fatti, cercando sempre una sorta di quadratura del cerchio.
E, quindi, qui siamo agli inizi di una guerra che, come detto da Silente nel Primo Capitolo di Harry Potter e la Pietra Filosofale, durerà undici anni e tra le poche cose che si sanno c'è la creazione di questa società segreta, fondata da lui stesso, che si oppone alla minaccia di Voldemort e dei Mangiamorte.
Non sarà una storia d'azione, quanto più che altro di riflessione, sul perché sia stato necessario e sul modo in cui questa associazione nasce, vive e, a suo modo, muore. 
Non sono in grado di delineare un ritmo nell'aggiornamento, che temo seguirà molto i miei umori. Posso soltanto ringraziare chiunque deciderà di leggere anche una piccola parte di questa storia, anche se un ringraziamento particolare va alle mie amiche che ho tediato per giorni con le mie paturnie per questa storia.
Un abbraccio,
Fede

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



 

Capitolo 2


3 dicembre 1970
Tamworth, Staffordshire

Quando si è presentata nel luogo indicatole da Albus Silente, non si aspettava di trovare un edificio fatiscente dai mattoni rossi e dalla tegole sin troppo inclinate.
Stretta nel mantello nero, tra la mobilia impolverata, pensa e ripensa al fitto scambio di lettere tra lei, il suo ex Professore di Trasfigurazione e Alastor Moody, pronti ad imbarcarsi in quella che ha tutte le carte per essere una missione suicida.
Per quanti siano i timori, le rimostranze, le perplessità, Dorcas riesce soltanto a pensare che dalle sue dimissioni come consigliera personale del Ministro nulla è riuscita ad appassionarla fino a quando non è arrivata quella causa giusta, quella battaglia nuova da combattere e in cui credere.
Il rumore della Materializzazione spezza il flusso di pensieri, dandole, al contempo, una scarica di adrenalina che non provava da troppo tempo.
Albus Silente e Alastor Moody incedono nella sua direzione e nei loro gesti, così come nei propri, c’è una consapevolezza diversa dall’ultima volta che sono stati tutti nella stessa stanza.
Non ci sono più convenevoli tra loro: l’urgenza di opporsi ha spazzato via tutto, lasciando spazio ad una complicità nuova.
«Dobbiamo rendere questo posto vivibile», commenta Dorcas perentoria, agitando rapidamente la bacchetta per eliminare gli strati di polvere, accendere luci, riportare ogni sedia al suo posto.
«Per questi primi tempi sarà la nostra base operativa. Hogwarts non può esserlo e Alastor ha bisogno di riservatezza e casa tua…» continua Silente.
«Casa mia è fuori discussione, così come la partecipazione di Christopher, mio marito, e dei miei figli. Loro non sono inclusi».
Sorprendendo persino se stessa, Dorcas si è resa conto di aver iniziato a dettare le sue condizioni di partecipazione, condizioni cui aveva appena accennato nelle lettere.
«Dorcas, potrebbe arrivare il momento in cui non ci sarà più possibilità di scelta e sarà necessario coinvolgere tutti. Arriverà un momento in cui nessuno sarà esente dal combattere», commenta Alastor con il suo solito pragmatismo.
«I miei figli, eccetto l’ultimo, non vivono più in Gran Bretagna e non ho intenzione di coinvolgerli in questa cosa. Per quanto riguarda mio marito, non posso garantire che sceglierà di stare dalla nostra parte», puntualizza con tono fermo mentre il continuo movimento di anelli tradisce il nervosismo che l’assale.
Moody si limita ad annuire e scrollare le spalle, mostrando ancora una volta un modo di fare che Dorcas ha scoperto esserle congeniale. 
Ogni discorso vagamente relativo al suo matrimonio è da anni fonte di ansie e disagi ma dinanzi a quei suoi compagni d’avventura la possibilità che suo marito scelga di schierarsi tra le fila opposte sembra essere una problematica di non particolare importanza.
«Ho un’altra condizione».
«Fidati, non ne dubitavamo che ce ne fossero altre».
«Non voglio ragazzini. Non porto a morire persone che hanno l’età dei miei figli, perché sapete entrambi che, se le cose degenereranno nel modo in cui pensiamo tutti e tre, le probabilità di morire sono ben più alte di quelle di sopravvivere».
«Tranquilla, Dorcas, non ho intenzione di reclutare i miei studenti», commenta con tono fintamente distratto Silente, intento ad aprire pergamene e mappe sul lungo tavolo da pranzo. 
«Nemmeno ragazzi che hanno appena messo il naso fuori dalla scuola, Albus, o aspiranti Auror che non hanno ancora terminato l’addestramento. Abbiamo bisogno di gente esperta, acuta e, soprattutto, allenata a combattere. Dev’esserci un lavoro differente dietro e non sarò responsabile di eccidi». 
«Siamo sempre lì. Potremmo aver bisogno dell’aiuto di tutti, dovremo essere noi ad allenare la gente a combattere in futuro. Non dobbiamo spronarli a chiudersi nelle case mentre lavorano a maglia ma svegliarli e invitarli ad essere pronti all’allerta», borbotta Alastor.
«Non dobbiamo offrirli come vittime sacrificali perché, parliamoci chiaro, questo sarebbero».
«Per il momento, non è degli studenti o delle nuove reclute degli Auror che dobbiamo preoccuparci», interrompe Silente, «Concordo con Dorcas. Ci serve gente svelta e in grado di contrastare questa minaccia, visto che, da come mi hanno riferito, il Ministro non ha intenzione di fare altro».
Dorcas alza gli occhi al cielo, prendendo posto alla sinistra di Silente, lasciandosi sfuggire uno sbuffo di dissenso nel ripensare al suo ultimo incontro con il Ministro Jenkins.
«Eugenia non farà assolutamente nulla. Lo ha ribadito nella riunione di stamattina», ribadisce Alastor.
«Questa sarà la sua rovina politica. Quando la minaccia incomberà e si farà più seria, la sua poltrona sarà la prima a cadere. Sarà il capro espiatorio e accuseranno lei di essere stata inadeguata», spiega Dorcas, nel tentativo di quietare l’inspiegabile dolore al petto che avverte.
La rovina di Eugenia le appare la cronaca di un disastro annunciato, decisa com’è a mettersi sullo stesso sentiero di tanti altri prima di lei e a commettere i medesimi errori.
«Per allora, però, noi dovremo cercare di contrastare e disinnescare questa minaccia con ogni mezzo possibile, nella speranza che, quando il Ministero deciderà di attrezzarsi, ci sarà una speranza in più».
Continua nervosamente a stringere gli anelli, ripercorrendo le liste di nomi fatte in quei giorni e ponderando le parole di Silente. 
«Dorcas, tu sai perché ti ho voluta insieme ad Alastor e perché penso tu sia essenziale in questa operazione. Mi fido del tuo intuito, ovunque ci porterà».
«Abbiamo bisogno di contatti, di informazioni. Non dobbiamo semplicemente trovare persone allarmate da ciò che succede. Ci servono persone utili, in grado di aiutarci realmente a prevenire ogni mossa e questo significa anche andare a cercare in ambienti improbabili», dice tutto d’un fiato.
«Che intendi per ambiti improbabili esattamente?», le chiede Alastor dubbioso.
«Ci servono agganci al Ministero, oltre te. Questa è una guerra che va combattuta dall’interno: dobbiamo cercare gli anelli deboli dei Purosangue, quelli disposti a cedere i loro diritti».
A Dorcas non sfugge il lampo che attraversa gli occhi di Silente e il leggero incurvarsi delle sue labbra. 
«Come te, quindi», ribatte rude Alastor.
«Esattamente come me». 
«Hai dei nomi?», chiede a bruciapelo Albus.
«Ne ho uno che potrebbe fare al caso nostro. Cercare un Purosangue che sia disposto ad andare contro tutti i privilegi del proprio status è come cercare di conversare di Divinazione con un Centauro e poi, in questo momento, dobbiamo far leva sulle giuste corde. Piuttosto, avete idee su chi potrebbe essere preoccupato per questi attacchi al Ministero?».
«Credevo avessi contatti anche lì». 
«Eugenia è stata sufficientemente intelligente da far capire che chiunque fosse in contatto con me non sarebbe più stato visto di buon occhio al Ministero. Le mie notizie le ho da fonti extra - ministeriali, per così dire».
«Fonti che sono egualmente preziose. Ad esempio, tutto quel che passa per la Testa di Porco è una fonte diretta e, oserei dire, estremamente utile». 
«Del resto, è grazie ad Aberforth se conosciamo alcuni tra i Mangiamorte», commenta Alastor.
«Di chi parliamo?».
«Nott, Rosier, Dolohov, Mulciber1. Dovrebbero essere i suoi fedelissimi ma ho il sentore che abbiano raccolto più consensi» elenca Silente.
Dorcas non batte ciglio: li conosce tutti. In quel circolo chiuso che è la società magica, è impossibile che famiglie come quelle, come la loro, come la sua, non si conoscano, pronte a muovere i propri interessi a scapito d’ogni altra esigenza.
«Non sarà facile arrivare a loro» sentenzia mentre pensa, in particolare, a Rosier e Nott, protetti dall’aura di intangibilità che dà loro il sangue.
«Hai idee?», chiede Silente a bruciapelo.
«Non siamo ancora nelle condizioni di arrivare ad uno scontro diretto, Albus».
«Dobbiamo anticiparli e in questo puoi aiutarci solo tu», conclude Alastor.
«Posso provarci. Intanto, non possiamo essere solo noi tre e dovremo attivarci per trovare le persone giuste, senza far allarmare né una parte, né l’altra».
«Io potrei avere una persona al Ministero ma devo capire come agire. Albus, come intendi procedere?».
«Direi che da oggi in poi dovrebbe essere Dorcas a rispondere a questa domanda», risponde aggiustandosi gli occhiali a mezzaluna, «Del resto, è per questo che l’abbiamo voluta così tanto».
Dorcas non riesce a reprimere un sorriso compiaciuto ed elettrizzato all’idea di tornare ad essere il comandante in carica. Sa che Albus proverà sempre a tirare i fili nella direzione da lui voluta - è quel che fa da sempre - ma quella missione è un’opportunità che non può perdere.
«Dobbiamo trovare nuove persone e fidate ma, soprattutto, cercare di capire se ci sono in programma altri attacchi a villaggi Babbani. Prima o poi, il loro piano d’azione cambierà e non dovremo farci trovare impreparati».
«Non lo saremo», replica Alastor con tono agguerrito, «Sei pronta a mettere mano alla bacchetta o sei troppo arrugginita?».
«Io non sono mai arrugginita, Moody, mai».


16 dicembre 1970
Londra, Ministero della Magia


Sin dall’incontro con Dorcas e con Silente, Alastor ha pensato attentamente a come avvicinare Benji Fenwick, impiegato all’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia.
Benji Fenwick ha quasi cinquant’anni, tra i capelli nerissimi fanno capolino alcuni ciuffi grigi e ha, di tanto in tanto, l’abitudine di toccarsi i baffi quando c’è qualcosa che non lo convince e di fare piccoli movimenti circolari con le mani quando un racconto lo appassiona.
Alastor lo ha notato, fermandosi ad ascoltare le storie sulla sua avventurosa vita, dal semestre frequentato nella scuola di Koldovstoretz2, al ritorno nella casa materna a Mumbai. 
Benji Fenwick, secondo il suo occhio allenato di Auror, è un uomo che conosce il mondo e, ancor di più, è un uomo che conosce gli uomini, abituato com’è a trattare ogni giorno con ciascuno di loro, a trovare una soluzione ad ogni problema, districandosi tra le questioni internazionali di applicazione della legge magica.
È un uomo che non potrebbe essere più diverso e distante da lui, pronto eternamente all’azione e poco ai filosofismi, ma del quale quella neonata associazione che Albus ha deciso di mettere insieme ha estremamente bisogno. 
Benji ha qualcosa che manca a tutti loro: un’incredibile umanità, di cui vi è poca traccia nella misteriosa onniscienza di Silente, nella mente analitica e intuitiva di Dorcas e nelle proprie capacità strategiche.
Se il loro piano dovrà funzionare, avranno bisogno anche del capitale umano, di qualcuno come Benji che sappia come guarire le ferite, senza perdersi in un bicchiere d’acqua, ma affrontandole con il pragmatismo che lo ha sempre contraddistinto.
Decide di bloccarlo quella sera, quando l’Atrio è ormai semideserto e stanno andando via soltanto gli ultimi ministeriali, con una scusa che regge poco ma della cui efficacia non dubita.
«Fenwick, avrei bisogno di un parere…confidenziale», borbotta, prendendolo sotto braccio come fossero da sempre migliori amici e passandogli il fascicolo della strage di Wick.
Alastor scruta attentamente le sue reazioni mentre Benji legge la fitta relazione che ha stilato, tradendo l’orrore e la preoccupazione.
«Non è il mio ambito di competenza, Moody», gli dice richiudendolo con un unico movimento secco.
«Lo so. È il mio, ma vorrei sapere se hai sentito altro».
Benji lo guarda con aria sospettosa, toccandosi nervosamente i folti baffi neri.
«Hai parlato con Marcus Darby?».
Quella domanda e il riferimento al Segretario Anziano del Ministro coglie Alastor di sorpresa, che si trova a scuotere la testa prima ancora di poter decidere quale reazione avere.
«Capisco», sussurra Benji, «E come mai credi che io sappia altro?».
«Conosco il modo in cui lavori, Fenwick. L’ho apprezzato più volte e so che sei in grado di capire il genere umano più di chiunque altro…»
«Non vedo come questo c’entri con questo orrore».
«Temo, purtroppo, che abbia tutto a che fare con questo orrore e credo che lo sappia anche tu».
Benji sospira e, dopo un lungo momento di silenzio, annuisce sussurrando «Preferisco parlare in un posto più confidenziale».


16 dicembre 1970
Bath, Somerset


Si è ritrovato velocemente nel piccolo salotto di Benji Fenwick con la pressante e odiosa sensazione di tasselli che non riescono ad andare al loro posto.
Il riferimento a Marcus Darby, il secondo in comando dopo Eugenia Jenkins, ha acceso un campanello d’allarme difficile da spegnere e al quale non poteva resistere. 
Per quanto ne ha sempre saputo, Marcus, da quando Dorcas è stata messa fuori dai giochi, si è preoccupato di mantenere alto il gradimento della sua superiore, con un occhio di favore alle tasche dei Purosangue con cui finanziare la prossima campagna elettorale.
«Si può sapere cosa c’è di tanto importante?», chiede con impazienza mentre Benji fruga, con una lentezza infinita, tra i cassetti della propria scrivania.
«Qualche settimana fa, è venuto da me Dearborn, Caradoc Dearborn, uno stagista dell’Ufficio Passaporte, un novellino del secondo livello. Diceva di aver notato qualcosa di strano e che la cara Patricia O’Neil lo aveva mandato da me per spicciare la cosa».
Alastor non ne è stupito. È cosa nota che l’Ufficio Trasporti aspetti da tempo il pensionamento della O’Neil, ormai anziana e annoiata, nota per la sua inefficienza ma anche per l’essere imparentata con i Fawley.
«Di che si trattava?».
«Di una strana attivazione di Passaporte non autorizzate. L’Ufficio, o meglio, lui aveva rilevato una serie di movimenti sospetti dall’Albania».
«Albania? Di che periodo parliamo? Perché dovrebbero interessarmi?».
«Si tratta di ingressi ripetuti tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre ma non soltanto è questa la cosa interessante».
«Ci sono stati ingressi illegali nel periodo della strage di Wick e non sarebbe interessante? Per tutti i fondatori, Fenwick, ma perché non sono stato avvisato prima?», sbotta carico d’ira.
«La cosa più anomala», continua Benji, per nulla scalfito dall’impeto di Alastor, «è che tutte le Passaporte erano concentrate in un raggio di cinque miglia da lì». 
«Vengono dall’estero, quindi».
«La teoria di Dearborn, che mi sono sentito di appoggiare, è che loro facessero base all’estero per evitare di poter essere tracciati in alcun modo».
«Ormai il Ministero non concede praticamente a nessuno la tracciabilità della Materializzazione. Ci vuole l’intervento dell’intero Wizengamot. Indagare in questo modo è diventato più complicato di scoprire la tomba di Salazar Serpeverde», borbotta Alastor, costantemente infastidito dal modo in cui tutte quelle inutili autorizzazioni gli sbarrano la strada ogni giorno.
«Mi rendo conto», sussurra Benji, «ma sai meglio di me che ogni Magia lascia tracce e che in questo modo seguire i segnali sarebbe stato molto più complesso».
«Vediamo se ho capito bene, Fenwick, perché sono stanco, molto stanco. La teoria tua e dello stagista è che ci sia un’organizzazione molto più ampia dietro questi presunti attacchi e che questo coinvolga anche Maghi di altre Nazioni?».
«Non so se ci siano Maghi di altre Nazionalità ma c’è, di sicuro, un collegamento con l’Albania. Non so per quale ragione, ma il mio intuito mi fa pensare che sia così». 
Alastor chiude gli occhi, nel tentativo di elaborare informazioni, di capire cos’è che gli sfugga del quadro generale e come quella indagine, quella storia, che già appariva complessa sin dall’inizio, si sia improvvisamente complicata.
C’è una ragione, però, se ha scelto proprio Benji Fenwick in quell’impresa assurda che ha deciso di intentare con Albus e Dorcas e una di quelle è il senso di affidabilità e fiducia assoluta che gli trasmette.
In quel momento, non ha altra scelta che fidarsi dell’intuito di Benji Fenwick e pensare che, sì, esiste un’organizzazione molto più strutturata ed organizzata di quella che aveva immaginato, probabilmente con mezzi e risorse che loro non avranno mai.
«Quindi, mi vuoi spiegare perché non ne sono stato informato?», chiede dopo alcuni minuti di silenzio.
«Darby è venuto da me, pochi giorni dopo il mio incontro con Dearborn. Gli servivano delle relazioni per il Ministro e abbiamo parlato del più e del meno e anche della strage di Wick. Lì temo di aver commesso un terribile errore».
Benji Fenwick - glielo si legge in faccia - è un uomo poco abituato a sbagliare sulla natura delle persone e nel caso di Marcus Darby quella delusione brucia ancora al punto.
«Gliene hai parlato?».
«Gliene ho parlato e lui si è agitato, chiedendomi di consegnargli tutte le pratiche e di non parlarne con nessuno perché si trattava di una vicenda della massima segretezza. Ho capito subito di aver sbagliato, ho preso tempo, eseguito un Incantesimo Gemino e gli ho consegnato le pratiche volute».
«Darby è coinvolto in qualche modo», conclude Alastor, «Dubito sia tanto idiota da partecipare attivamente ma probabilmente conosce chi c’è dietro e vuole evidentemente fare il loro gioco».
«Questo vorrebbe dire che il Ministro appoggia degli assassini?», suggerisce Benji, tradendo per la prima volta, da quando hanno iniziato a parlare, il proprio pensiero. 
«Eugenia è una brava persona, ma è consigliata male».
«Le cose sono cambiate da qualche tempo a questa parte e, infatti, non è finita qui».
«Hai rivisto Darby?».
«Si è ben guardato dal comunicare con me soltanto tramite posta via gufo».
«Classico dei codardi».
«Hanno licenziato Dearborn».
«Di punto in bianco?».
«Di punto in bianco. Sono andato a cercarlo poche ore dopo e la O’ Neil mi ha detto che era venuto il Segretario Anziano del Ministro in persona a parlare con lui. Pare gli abbia offerto un lavoro meglio retribuito alla Gringott».
«E la O’ Neil se l’è bevuta? Per tutti i fondatori, quella donna è sempre stata una sciocca».
«Sì, ha borbottato qualcosa sull’essere stata lasciata senza stagista per qualche zellino in più. In ogni caso, Dearborn non ha mai avuto quel posto».
«Come lo sai?».
«Ho i miei contatti alla Gringott. Non mi ha mai risposto neanche ad una delle lettere che gli ho inviato».
«Sarà risentito con te. Gli hai pur sempre fatto perdere il posto».
«Non credo sia questo, credo ci sia qualcosa di diverso» conclude laconico Benji, «Se non ti ha parlato Darby, come mai hai deciso di venire da me?».
Sorpreso dalla domanda, Alastor si rende conto di aver quasi dimenticato il reale motivo per cui ha deciso di avvicinare Fenwick quella sera.
«Sei un funzionario molto valido».
«Lavoro all’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia e questo caso non presentava alcun profilo di internazionalità in base al fascicolo».
Nella risposta di Benji, Alastor ha una conferma di più sulle sue sensazioni: Fenwick è l’uomo di cui lui, Albus e Dorcas hanno bisogno. 
«Ho una proposta da farti, Fenwick, ed è una questione di massima segretezza». 


17 dicembre 1970
Tamworth, Staffordshire


Quando ha lasciato l’appartamento di Benji qualche ora prima, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in quella che poche settimane prima avevano eletto la loro base operativa. 
È bastato uno scambio di gufi con Dorcas perché entrambi concludessero che nulla poteva essere più prudente che vedersi in quell’edificio che di giorno in giorno viene rafforzato con nuove protezioni.
Dorcas è già lì, in piedi davanti al camino e avvolta in abiti più informali delle altre volte.
Vestita così - pensa Alastor - gli viene sembra quasi priva di quella serietà che l’accompagna ovunque, soprattutto quando lo accoglie con una tazza calda prima di sedersi e ascoltare ogni dettaglio di quanto scoperto quella notte.
Dorcas non lo interrompe mai, mentre passo passo lui le descrive ogni scoperta, ogni dettaglio che Benji gli ha riferito poche ore prima, mentre entrambi prendono ancor più consapevolezza di quanto corrotto sia un sistema di cui entrambi hanno fatto gli interessi.
Quando Alastor finisce, sta quasi albeggiando e c’è un silenzio pesante tra loro.
«Darby è un abile uomo politico, molto attento alle alleanze» dice Dorcas, più a se stessa che ad Alastor, «e mi sembra palese che abbia deciso da quale parte giocare».
«Credi che Eugenia ne sia consapevole?».
«Che Darby abbia deciso di coprire le stragi? No, ma non è del tutto inconsapevole».
«Non penso di seguirti».
«Il fine giustifica i mezzi, Alastor. Lei non vede, lei non sa ma vuol rimanere dov’è e Darby le assicura i risultati. È una questione di metodo».
«È per questo che te ne sei andata?».
«È complicato» chiosa.
«Se la smetti di parlare per enigmi, può diventare molto semplice».
«Eugenia ha perso di vista l’obiettivo. Ad un certo punto, non so dirti esattamente quando, ha dimenticato tutto quello per cui avevamo lottato ed è diventata esattamente quello che avevamo combattuto».
«E tu sei andata via».
«È più complicato di così ma, sì, sono andata via e lei ha trovato qualcuno che facesse il lavoro di sempre, alle sue condizioni».
«Quindi, Eugenia è il nemico?». 
«No. Non è lei il nostro nemico, neanche all’interno del Ministero. Lei sarà solo la prima a cadere, proprio perché non vuole né vedere né sentire, né assumersi alcuna responsabilità sarà semplicissimo farla crollare».
Alastor nota che Dorcas stringe le mani attorno ad una tazza che ormai è diventata fredda, assorta nel fissare un punto imprecisato della stanza.
Sono ad un bivio e lo sanno entrambi perché forse, proprio come dice Dorcas, Eugenia non è un nemico ma i nemici, quelli veri, quelli che uccidono e torturano senza uno schema ben preciso, hanno risorse ben maggiori di quanto avrebbero realmente pensato e loro sono tre, anzi quattro con Benji, a combattere una guerra della quale nessuno sembra accorgersi.
«Questi movimenti dall’Albania… cosa ne pensi?» le chiede reclamando la sua attenzione.
«Non hanno paura». 
«Che intendi? Credevo non volessero lasciare tracce».
«E userebbero una Passaporta non autorizzata? Non hanno paura perché sanno di essere coperti».
Alastor le fa cenno di continuare perché non è certo di seguire l’intuito di quella donna che riesce persino a fargli rimpiangere i discorsi assurdi di Albus. 
Dorcas sorride comprensiva, in un modo che oserebbe definire materno, prima di rispondergli.
«Le leggi magiche in Albania sull’utilizzo di Magia Oscura sono, per usare un eufemismo, estremamente flessibili e loro devono saperlo. In altri termini, è gente a cui piace sperimentare, piegare i limiti della Magia, spingersi e non essere rintracciati. La strage di Wick è solo un’ulteriore riprova di quanto abbiano deciso di spingersi in là ma sappiamo entrambi che non si fermeranno qui».
«E così vanno in Albania per sperimentare?».
«Sì, e per cancellare le tracce. Su questo sono d’accordo. Per l’utilizzo di Passaporte non autorizzate, basta pagare una lauta somma. Non si passa per il Wizengamot».
«La tracciabilità della Materializzazione è praticamente impossibile da ottenere».
«Ti servono gravi indizi di colpevolezza, Alastor. Un movimento di Passaporte non è abbastanza. È un elemento circostanziale, ma non hai nulla in mano per aprire un’inchiesta e una cosa del genere sarebbe uno scossone per il Ministero. Farebbero fuori te, piuttosto che andare a fondo».
«Come minimo, Darby proverebbe a farmi spedire in Kazakistan se provassi a mettergli il bastone tra le ruote».
«Tu saresti un bell’osso duro. Altro che quel povero stagista!».
«Ma prima o poi quel damerino avrà ciò che gli spetta. Ora dobbiamo capire quali tracce copre».
«Sappiamo già quali tracce copre. Rosier, Nott…i soliti nomi che fanno laute donazioni a questo o quel Dipartimento». 
«Mai al mio, però!».
«Pensi sia un caso? Non conviene! Molto meglio avere un Ufficio Passaporte disposto a chiudere un occhio ma con i fondi per un altro stagista, piuttosto che aiutare Cacciatori di Maghi Oscuri».
Alastor batte i pugni sul tavolo in un moto di stanchezza mista ad esasperazione. Non è solo una banda di criminali da combattere, non sono semplicemente Maghi Oscuri. 
È una lotta più profonda, più complessa, più sottile e difficile di quanto aveva creduto quando nello studio di Albus ha deciso di arginare quest’ondata d’odio e paura che sta pian piano travolgendo il Mondo Magico.
«Mi servi in azione, Dorcas» le dice a bruciapelo.
«Quando ci sarà da metter mano alla bacchetta…».
«Non parlo di mettere mano alla bacchetta, non in questo momento. Parlo di sapere quando mettere mano alla bacchetta e prima che sia troppo tardi. Spalanca tutte le porte che ti sono aperte, fai buon viso a cattivo gioco. Dobbiamo trovare i maledetti gravi indizi di colpevolezza, dobbiamo trovare qualcosa che mi consenta di fermarli, dobbiamo anticiparli o questa nottata e le prossime che faremo non saranno servite a niente. Hai una mente straordinaria ma non possiamo limitarci a pensare. È il momento di agire».
Dorcas si irrigidisce e stringe ancora più forte la tazza che ha tra le mani, mentre il sole è ormai alto e ricorda ad entrambi di un mondo che corre anche se loro si sono fermati a riflettere.
«So cosa fare» sussurra lei, non appena Alastor si volta verso di lei in procinto di andare via.


18 dicembre 1970
Londra, Downing Street3


C’è un senso di disagio profondo che l’ha sempre avvolta nel dover tessere relazioni sociali. 
Nonostante la professione svolta per tanti anni, lei, così autoritaria ed inflessibile, non è mai stata a suo agio nel doversi rapportare, nel dover ricercare compromessi, nel dover adattare le proprie soluzioni alle altre.
Mentre si trova seduta nel salotto della residenza dei Vance, non può fare a meno di chiedersi se stia facendo la scelta giusta a rivolgersi a quella donna tanto diversa da lei o se non sia un fallimento annunciato.
Emmeline Vance è tutto ciò che Dorcas, con sommo dispiacere di sua madre, non è stata: una perfetta socialite, introdotta nei migliori salotti della città, con una fitta rete di amicizie e di inviti, nonostante la discendenza non perfettamente pura, pronta a sorridere con gentilezza e a conversare per ore, inserita e ben voluta praticamente ovunque.
È un fatto noto nell’alta società magica che la madre di Elliot Vance, il padre di Emmeline, fosse imparentata con la famiglia reale inglese4
 e che questo aveva leggermente declassato i Vance dalla cerchia di famiglie Purosangue maggiormente ambite, già da diversi decenni.
I Vance non sono abbastanza Purosangue per rientrare nelle Sacre Ventotto ma lo sono a sufficienza per essere invitati a tutti i più importanti eventi sociali, non troppo nobili per la politica magica ma solo per l’Alta società.
Questo Dorcas lo ha sempre avuto ben chiaro dagli anni accanto ad Eugenia e dalle fitte corrispondenze intrattenute con la maggior parte delle famiglie magiche moderate. 
Tra lei ed Emmeline Vance, del resto, c’è sempre stata una cortesia quasi glaciale, uno scambio di sorrisi e gentilezze fredde e fini a se stesse che non sono mai riuscite a tramutarsi in amicizia.
Emmeline è una donna dalla quale Dorcas si è sempre sentita lontana, una donna che non è mai realmente riuscita a capire e la cui bellezza così vistosamente aristocratica l’ha sempre intimorita.
La bellezza di Emmeline è sempre stata ingombrante, impossibile da ignorare per chiunque si trovasse nella sua stessa stanza, magnetica e in grado di intimidire persino una donna che non è abituata mai a chinare il capo.
C’è un filo sottile di cortesie che si scambiano da mezz’ora, incapaci entrambe di fare un passo oltre e andare al di là dei convenevoli per svelare i propri pensieri. 
È sempre stato quello il problema tra loro: calare gli scudi che si sono costruite per mostrare cosa c’è dietro.
Se c’è una cosa di Emmeline che Dorcas ha imparato nei loro incontri superficiali, è che è una donna che non si tradisce mai, fedele sempre a se stessa e alle proprie idee, imperturbabile, chirurgica in ogni movimento ma soprattutto nel pensiero. 
È di quest’aura di bellezza e imperturbabilità che Dorcas ha bisogno per aprire portoni di una società da cui ha sempre tentato di scappare e in cui Emmeline, che del distacco cordiale ha fatto un’arma invincibile, sembra destreggiarsi benissimo.
«Mi hanno raccontato che il mese scorso sei stata a trovare il Ministro», le dice cambiando, senza alcun tipo di preavviso, il tono della conversazione.
«Dovevo fare un tentativo. Immagino ti abbiano anche detto che è miseramente fallito». 
Emmeline accenna un sorriso di assenso, senza che nessun muscolo del viso tradisca realmente quel che sta pensando.
«Il Ministro è una donna complicata», commenta enigmatica.
«Credevo che il suo nuovo sottosegretario mantenesse i contatti con i suoi vecchi elettori».
«In questo momento, credo stiano guardando altrove». 
Nello sguardo e nelle parole controllate che si scambiano, Dorcas è certa di cogliere uno scintillio di insofferenza da parte di Emmeline, scintillio che aveva solo potuto immaginare attraverso una sommaria ricostruzione di alcuni eventi della vita della donna che le sta di fronte.
«Non credi sia arrivato il momento di parlare delle reali ragioni di questo incontro?», le chiede Emmeline senza indugiare oltre, con una ferma gentilezza che non riesce ad essere sbrigativa ma soltanto esigente.
Dorcas si apre finalmente nel primo vero sorriso sincero, come se il senso pratico della sua ospite non fosse altro che una conferma ulteriore delle proprie intuizioni.
«Prima ho bisogno di sapere qualcosa», le dice cogliendola di sorpresa.
«Sono curiosa di sapere la ragione che ti ha spinta a chiedermi di vederci dopo così tanto tempo e senza che avessimo mai davvero parlato in modo confidenziale».
Dorcas non reprime un risolino nervoso, consapevole che è arrivato il momento di scoprire le carte in un modo che potrebbe anche ritorcersi contro di lei.
«Ho bisogno di sapere per quale ragione lo scorso anno hai interrotto il tuo fidanzamento con Antonin Dolohov».
Emmeline scoppia a ridere, poco prima di agitare la bacchetta e riempire ancora i calici dinanzi a loro.
«Spero tu sia libera per cena perché ne avremo per molto». 

 


Fonte: Harry Potter e il Principe Mezzosangue, I Ed., Capitolo 20, pag. 406:«Allora se dovessi andare alla Testa di Porco adesso, non ne troverei un gruppo - Nott, Rosier, Mulciber, Dolohov - in attesa del tuo ritorno?».
Koldovstoretz, una delle undici scuole di Magia registrate presso la Confederazione Internazionale dei Maghi ed indicata da. J.K. Rowling. Dovrebbe trovarsi presumibilmente in Russia.
Downing Street è la strada in cui ha la residenza e sede il Primo Ministro britannico. Nel libro Harry Potter e il Principe Mezzosangue viene riportata la notizia dell'omicidio di Emmeline anche sui giornali Babbani proprio perché avvenuto a pochi passi dal Primo Ministro.
Emmeline è descritta come una strega dall'aria nobile e mi sono divertita ad inserire questo piccolo particolare.


Note: Come avevo già annunciato, i miei tempi sono particolari e tengo troppo a questa storia per lasciare qualcosa di intentato. Ragione per la quale temo che gli aggiornamenti saranno un po' lunghi. Nonostante io tenda a scrivere di getto, ho bisogno costante di ricontrollare tanti piccoli dettagli e cercare di far incastrare quello che è il mio personalissimo canon con il vero canon.
In questo capitolo, che è ancora preparatorio in senso stretto, ho presentato Benji, il personaggio al quale, probabilmente, devo la nascita dell'intero progetto. Mi è capitato in una lista di personaggi per un gioco di scrittura e per lui ho immaginato una storia che all'epoca non sono riuscita a scrivere ma che, quando ci arriverò, sarà una parte fondamenale di questa storia e che mi ha motivata a scrivere e ad allargare da quel singolo episodio a tutto il resto. La descrizione di Benji Fenwick si basa su pochissime indicazioni date su Pottermore, che lo descrivono dalla carnagione più scura, ragione per la quale ho cercato di costruire un background un po' diverso.
Insomma, non voglio dire che da ora in poi la storia sarà in discesa ma conto di essere leggermente più rapida.
Per chiunque abbia speso un briciolo del proprio tempo per questa storia, ho soltanto infiniti ringraziamenti.
Fede



 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

19 dicembre 1970 

Tamworth, Staffordshire


La prima cosa che Emmeline nota, entrando in quello che Dorcas Meadowes pochi giorni prima ha definito il quartier generale, sono le assi del pavimento, cigolanti e usurate dal tempo, così diverse da quelle che è solita percorrere. 
Dalla loro chiacchierata di pochi giorni prima, non ha mai messo in dubbio l’impegno preso. È da tempo che aspetta una via d’uscita, come le ha detto pochi giorni prima, un modo per togliersi da dosso quel senso di colpa che da un anno non smette mai d’essere con lei in ogni istante.
Si è detta che in tutto quel tempo non ha fatto altro che attendere un’occasione per riscattarsi, per fare di più di interrompere un fidanzamento, per combattere ed invertire la follia che aveva scoperto ma mai denunciato. 
«Quando ti ho chiesto di entrare in azione, non credevo mi portassi una bambola» riecheggia, senza il garbo cui è abituata, la voce di Alastor Moody.
Emmeline sorride, sentendo la risposta pronta di Dorcas che sprona Alastor a fidarsi di lei e delle sue scelte. Senza dire una parola, stringe la mano ferma che Benjy Fenwick le ha teso.
«A quanto pare, siamo le nuove reclute», le dice con tono affabile mentre le sposta la sedia invitandola a sedersi.
«Francamente, non vedevo l’ora» dice Emmeline aprendosi in un gran sorriso.
Non c’è nulla come la rivalsa personale che l’abbia motivata tanto. Pur avendo celato il tutto dietro i modi cordiali e freddi, dentro di sé non è ancora riuscita a sopire la scottatura, a far rimarginare la ferita, a perdonarsi per essersi sbagliata tanto. 
Far parte di quel gruppo disomogeneo ed assurdo di persone le è sembrato, sin dal primo istante, l’unica scelta possibile per poter finalmente fermare una brutalità della quale era a conoscenza ma cui non aveva avuto la forza di opporsi e Dorcas, una donna che conosce bene ogni logica e contraddizione della loro società, non ha faticato a intuire che dietro la rottura del suo fidanzamento con Antonin Dolohov vi fosse un’altra storia.
«Miss Vance, è un piacere rivederla».
La voce di Albus Silente, il suo ex Professore di Trasfigurazione, ha l’effetto di farla sentire ancora una volta studentessa, nonostante sia passato oltre un decennio dall’ultima volta che ha frequentato Hogwarts. 
«È un piacere anche per me. Non immaginavo situazione più giusta di questa».
«Devo dire che non sono affatto stupito che abbia deciso di unirsi a noi. Sono certa che con le sue capacità potrà fare la differenza».
Emmeline si limita a sorridere e a scambiare uno sguardo complice con Dorcas, certa che non abbia condiviso tutti i dettagli, in particolare quelli più intimi e confidenziali, della loro conversazione.
Quando anche Silente prende posto, è Alastor il primo a prendere parola ma le conclusioni sono amare: non hanno nulla di fatto, i progressi sulla strage di Wick sono del tutto inesistenti, l’Ufficio per l’Applicazione della Legge Magica ha chiaramente ribadito la volontà del Ministro di non cambiare i Protocolli di sicurezza. 
La motivazione addotta è stata semplice: i Protocolli possono essere mutati soltanto in caso di guerra e lo stato di guerra formalmente non è stato dichiarato dal Wizengamot1. Inoltre, le sparizioni e le morte sospette continuano ad essere celate alla stampa magica e per il momento riguardano per la maggior parte Babbani. 
La comunità magica non ha ancora conosciuto la brutalità di quel movimento sommerso e può ancora voltare la testa dall’altra parte.
Quelli che si fanno chiamare Mangiamorte, infatti, non hanno ancora avuto il coraggio di toccare un membro appartenente alla società magica ma è solo questione di tempo perché ciò accada.
Emmeline legge con attenzione alcune pagine del Times, appoggiate sul tavolo insieme a ritagli di stampa locale, storie che ha già letto e che si ripetono con sempre maggior frequenza, prima di schiarirsi la voce.
«Da quel che ne so, sono cavie, passatempi. L’idea è sempre stata quella di spingersi oltre con la magia ma Dorcas mi ha già detto che questo lo avevate immaginato».
«Il problema è che non sappiamo come agiscono, chi colpiranno, cosa faranno dopo. Non conosciamo i loro schemi».
«Questo Lord Voldemort che tutti seguono», continua Emmeline, «ha fatto leva su ragioni antiche per accaparrarsi un buon seguito».
«Il sangue» commenta Benjy con amarezza.
«Non solo quello. Al momento anche la certezza della compiacenza politica. Il Ministero non metterà mai il naso negli affari dei Purosangue finché sono quei soldi a finanziarlo e questo ha consentito ai vari Rosier, Dolohov di turno di agire indisturbati».
«Emmeline ha la certezza che ci siano contatti non soltanto con l’Albania ma anche con altri Stati» interviene Dorcas.
«Che io sappia sono in contatto con alcuni membri della comunità magica della Bulgaria, della Serbia e della Russia. Ricordo questo dalla corrispondenza di Antonin che mi è capitato di intercettare qualche volta».
Il sospiro di Benjy attira l’attenzione generale mentre con dei movimenti che ad Emmeline sembrano lentissimi si sistema gli occhiali sul naso prima di prepararsi a parlare.
«Bulgaria, Serbia, Russia sono tre Paesi noti per la loro particolare tolleranza verso le Arti Oscure. Durmstrang, del resto, ha posto un argine soltanto quando erano fuori controllo, come insegna il caso Grindelwald. C’è grande attenzione alla scoperta di nuovi Incantesimi e grande flessibilità. È uno dei Paesi con cui la Cooperazione Magica ha sempre qualche problema» specifica.
«Che intendi con qualche problema?» chiede Dorcas con impazienza.
«Intendo che gli incidenti internazionali sono numerosi, che i Bulgari vengono qui e si aspettano di comportarsi esattamente come fanno nel loro Paese e quando intervengono le autorità ministeriali bulgare le differenze emergono tutte».
«In cosa c’è precisamente differenza?» incalza Alastor attento e pragmatico.
«Tutti questi Stati, tanto per cominciare, hanno una differente regolamentazione delle creature magiche e del relativo uso. Mancano tutte le restrizioni che sono state introdotte qui e questo alimenta il contrabbando nel Regno Unito ma è motivo di attenzione da parte di molte personalità. Più rilevanti sono le discrepanze nell’uso della Magia. Escluse le Maledizioni Senza Perdono, è difficile dire cosa sia vietato e cosa, invece, sia concesso: ci sono mille scappatoie e mille cavilli per evitare sanzioni rilevanti. Ricordo che durante il mio periodo di studio a Koldovstoretz, ormai svariati anni fa, uno dei Professori, Nicolaj Kuznetsov2, era entrato in possesso di alcuni diari di Rasputin3 e non aveva esitato a condividere con gli alunni ciò che aveva appreso ampliando le conoscenze in materia di necromanzia. Non dimenticherò mai le formule e gli Incantesimi che ci spiegò. Vale l’idea di una Magia con pochissimi limiti e pochissime restrizioni e di una legge magica che si piega agli interessi di chi è al potere». 
Le parole di Benjy, pronunciate con il suo tono calmo, pacato e profondo, hanno l’effetto di provocare un brivido in Emmeline ed anche negli altri, che si scambiano sguardi preoccupati ma soprattutto smarriti.
«Dobbiamo immaginare, dunque, che ad un certo punto ci troveremo davanti a creature magiche, ad Inferi e a magie sconosciute» conclude Silente, accarezzandosi la lunga barba bianca.
«Dobbiamo capire come fermarli prima che ciò avvenga» puntualizza Dorcas giocherellando con i suoi anelli. 
«Bisogna capire quali siano le loro intenzioni e come prevenirli ma anche quali sono le risorse che hanno oggi a disposizione. Abbiamo intercettato Rosier, Mulciber, Dolohov ma è probabile che le schiere siano molto più fitte a questo punto» dice Alastor, alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare per la sala.
«Emmeline ed io proveremo a carpire qualche informazione sulle loro intenzioni».
«Come avete intenzione di fare?» chiede Benjy con curiosità.
«Nonostante tutto ho ancora un certo credito verso Dolohov» mormora Emmeline sfoggiando nervosamente un sorriso di cortesia.
«Non dovete dare sospetti. Per il momento l’effetto sorpresa è l’unica vera arma che abbiamo» borbotta Alastor con tono di rimprovero, come se stesse parlando ad uno degli Auror sotto la sua direzione.
«Non ne daremo ma abbiamo bisogno di Veritaserum» rilancia Dorcas rivolgendosi perentoria a Silente e Moody, sotto gli occhi divertiti di Emmeline.
«Sarò io a procurarvela ma dovrete restare con lui fin quando l’effetto non scompare» precisa Albus.
Emmeline annuisce prontamente, senza tradire l’agitazione che inizia ad avvertire per la prima volta da giorni all’idea di ingannare l’uomo che un tempo ha amato. 
«Dobbiamo iniziare a pensare ad una scorta di Pozioni da tenere qui per riserva. Non solo il Veritaserum, ma più in là potrebbe servirci anche la Polisucco o semplici Distillati» osserva Dorcas.
«Questo posto va indubbiamente attrezzato» conviene Benjy «Nel frattempo, vorrei dirvi che ho svolto alcune ricerche su una persona scomparsa, un Mago, per l’esattezza, Caradoc Dearborn».
«È lo stagista che ti ha fatto notare l’esistenza di Passaporte irregolari, giusto?» chiede Alastor.
«Esatto. Ho cercato al suo ultimo indirizzo e quelli che credo fossero i suoi coinquilini mi hanno detto che non hanno più notizie di lui da settimane. Secondo i miei calcoli, dal giorno in cui è stato licenziato».
«Credi che i Mangiamorte lo abbiano attaccato?» ipotizza Emmeline, preoccupandosi per un ragazzo la cui storia gli è ancora sconosciuta.
Benjy, però, scuote la testa rivelando di essere fermamente convinto del fatto che Caradoc abbia deciso di mettersi di sua sponte ad indagare.
«Non sono riuscito a trovare traccia della sua famiglia di origine. Sembrano spariti anche loro nel nulla da qualche settimana a questa parte. Credo che Caradoc abbia voluto mettere in salvo i genitori ma penso di sapere dove potrebbe essere».
«Sarebbe una reazione comprensibile, avendo messo in allerta il vice del Ministro della Magia» commenta Dorcas con un tono sprezzante che ad Emmeline non sfugge.
Non ha potuto fare a meno di notare l’acrimonia che Dorcas ha nei confronti di tutto l’ambiente ministeriale che, del resto, soltanto pochi anni prima l’ha ostracizzata dopo averla vista protagonista per anni.
Le chiacchiere che si sono rincorse sulle dimissioni di Dorcas Meadowes sono state molteplici, anche per il carattere chiuso di quella donna che agli occhi di Emmeline pare essere destinata ad assumere la leadership di quel gruppo.
Che l’asso nella manica di Eugenia Jenkins fosse l’intuito e il genio di Dorcas non è mai stato realmente un segreto e, del resto, non appena la direzione di Dorcas è venuta meno il Ministro ha iniziato a incasellare errori dopo errori, con un crollo verticale della relativa popolarità.
Tuttavia, è impossibile non notare la tendenza prevaricatrice di Dorcas, desiderosa di avere le redini e poco incline ad ammettere di essere nel torto o in difetto.
Quel che è successo tra lei e il Ministro della Magia, a parere di Emmeline, resterà sempre un mistero ma il modo in cui Dorcas si riferisce agli attuali consiglieri di Eugenia non fa altro che confermare come si senta tuttora espropriata di un ruolo che ritiene intimamente essere il proprio.
«È su quest’altra pista che vorrei indirizzarmi. Voglio cercare Caradoc, capire se ha trovato qualcosa che ci sfugge. Voglio cercare nei dintorni di Wick» chiarisce Benjy.
«A Wick?».
«Lui ha collegato tutto e tutto porta a Wick. Credo sia lì e vorrei andare a cercarlo». 
«Ha senso», commenta Silente, «E nessuno di noi è tornato lì, in effetti».
«Ci sono gli Auror che sono tornati lì, più e più volte», replica piccato e punto nel vivo Alastor.
«Non per cercare Caradoc Dearborn, però» ribatte Dorcas, dando pieno appoggio a Fenwick.
«Continua pure a cercare Dearborn, per Merlino. Intanto, io sto cercando un modo per smuovere le cose al Ministero, senza insospettire Darby» annuncia Alastor.
«Hai già pensato a chi potrebbe aiutarci?» chiede Silente.
«Barthemius Crouch, Ufficio Applicazione della Legge Magica. È un fedelissimo del Ministero, però, non potrò mai chiedergli di fare questa cosa con noi».
Dorcas si alza anche lei, continuando a girare infinite volte i suoi anelli, assorta nei suoi pensieri, mentre Emmeline segue con vivido interesse i ragionamenti relativi alla dinamica ministeriale che non conosce a sufficienza. 
È sempre stata brava a capire la società magica, le loro logiche e il lato più frivolo. Non le è mai interessato sedersi al tavolo di chi decide ma soltanto oggi si rende conto di quanto quegli aspetti risultino inevitabilmente legati e imprescindibili l’uno dall’altro.
«Barty è un uomo di Legge. È fedele a quella soltanto, più che ad un Ministro in particolare e questo, nel nostro caso, è un vantaggio» sentenzia Dorcas.
«Questo vuol dire che, pur non andando apertamente contro Eugenia, non esiterà ad evidenziare gli errori della sua amministrazione».
«Esattamente, Albus, ed è per questo che voglio partire da Crouch, da uno che le leggi e i protocolli può cambiarli davvero e, statene pure certi, lo farà quando vedrà che siamo ad un passo dalla guerra». 
 

23 dicembre 1970 

Chatworks, Derbyshire

L’ansia che si impossessa delle sue viscere tutte le volte in cui è tenuta a presenziare ad eventi della società magica è un disagio del quale non si è mai liberata del tutto. 
Suo marito, il cui braccio è puntualmente martoriato dalle mani di Dorcas durante quegli eventi, ha sempre sottolineato quanto fosse paradossale che lei, una donna abituata a parlare alla folla, a fronteggiarsi con persone di potere, viva con tanta sofferenza e angoscia quelle che per una gran parte del mondo sono occasioni di divertimento.
Ci sono eventi, però, a cui non è possibile sottrarsi e il fidanzamento ufficiale della prima figlia di Cygnus Black e Druella Rosier con il primogenito dei Lestrange è uno di questi, è una di quelle leggi non scritte a cui Dorcas ha sempre saputo di dover obbedire.
Cygnus Black4 è stato uno dei più grandi amici di suo marito ad Hogwarts e, nonostante i rapporti tra loro si siano progressivamente raffreddati e formalizzati, non avrebbero mai potuto disertare quell’evento.
Tracce del tocco frivolo e civettuolo di Druella vi sono sin dal momento in cui le porte del maniero si spalancano dinanzi a loro, rivelando gli sfavillanti addobbi natalizi che animano l’intero giardino.
I padroni di casa, affiancati dai due futuri sposi, li attendono all’ingresso del maniero, impettiti e fieri di quella prima unione così riuscita.
Mentre Druella le afferra le mani con una cortesia a tratti eccessiva, decantando le lodi e la felicità della primogenita, lo sguardo di Dorcas corre a poggiarsi su Bellatrix, tanto bella quanto visibilmente inquieta.
La ragazza dai capelli e occhi nerissimi non ha l’aspetto trasognato delle convenzionali future spose. Non sembra una diciannovenne pronta a coronare il proprio sogno d’amore mentre se ne sta impettita e seria a salutare gli ospiti. Piuttosto, sul suo volto si può leggere l’alterigia, la fierezza e una certa smania di svincolarsi da quella festa mentre Rodolphus Lestrange, di tanto in tanto, le stringe la mano sussurrandole parole che per pochi istanti sembrano acquietarla.
«La futura sposa non mi sembra così felice» le sussurra in maniera eloquente Christopher, una volta entrati nel salone.
«Di certo meno dello sposo».
«Sai come sono fatti i Black. Per loro nessuno è degno del loro rango, un po’ come i nostri genitori».
E in quelle parole, Dorcas lo sa, c’è probabilmente gran parte dell’amarezza che ha caratterizzato spesso il suo matrimonio: non propriamente infelice, ma non esattamente felice.
Trovare Emmeline tra le vesti scintillanti dei presenti si rivela un’impresa più difficile del previsto, che le riesce soltanto quando finalmente la scorge in compagnia del nemico.
Lei, infatti, è intenta a sorseggiare Acquaviola con Evan Rosier, cugino della padrona di casa, e Abraxas Malfoy e le rispettive consorti.
«Oh, Dorcas, eccoti qui!» esclama con tono squillante, «Conoscerete la mia amica Dorcas Meadowes, vero?».
La naturalezza di Emmeline in quell’habitat le riconferma, una volta di più, l’importanza di averla come alleata.
«Ci siamo incrociati qualche volta alle riunioni del Consiglio di Hogwarts ma non abbiamo mai avuto il piacere di fermarci a conversare» dice con fermezza Evan Rosier mentre le tende la mano. 
«Stavamo parlando dell’ultima proposta di legge presentata al Wizengamot, quella che restringe ancor di più le possibilità di utilizzo di manufatti Babbani», spiega Emmeline lanciando a Dorcas uno sguardo complice.
«Sono abbastanza fiducioso nel fatto che non passerà» continua piccato Abraxas Malfoy mentre la sua biondissima signora annuisce passivamente.
«Io ne sono certo», afferma Rosier aggiustandosi le maniche del vestito da cerimonia.
«Da cosa deriva tanta certezza?» chiede Dorcas, comprendendo perfettamente le intenzioni di Emmeline nell’inserirla in quel discorso.
«Non mi pare che la politica del Ministro Jenkins stia andando in questa direzione».
«L’amministrazione Jenkins è sempre stata piuttosto compromissoria, in verità». 
«Non posso darle torto ma una legge del genere non credo che le assicurerà un sereno prosieguo del suo mandato. Per di più, poco fa Marcus Darby si è mostrato piuttosto divertito all’idea che una legge del genere possa passare». 
Il riferimento a Darby è solo uno dei campanelli d’allarme che quella breve conversazione le ha fatto scattare. 
Rosier, dall’alto della propria posizione sociale, dei propri mezzi e, soprattutto, dell’appoggio politico, ha esposto il suo legame con Darby e la relativa influenza.
Anche Dorcas è certa che una legge ulteriormente restrittiva sui manufatti babbani non potrà mai avere l’approvazione del Wizengamot ma è l’assoluta certezza di Rosier a disturbarla.
Senza che nemmeno se ne renda conto, Emmeline la trascina via da quelle chiacchiere sotto braccio con la scusa di salutare altri vecchi amici.
«Antonin è appena arrivato», le dice lapidaria e per la prima volta Dorcas avverte un tremito nella voce.
«Sei pronta? Hai tutto?».
Lei annuisce mentre sorride cordialmente alle figlie minori di Cygnus e Druella, intente a conversare con la zia Walburga a pochi passi da loro.
«Se tu volessi tirarti indietro, lo capirei», incalza Dorcas stringendole il braccio in segno di comprensione.
«Perché dovrei tirarmi indietro?» le chiede brusca Emmeline «Credo sia la cosa più sensata che faccia da anni. Non penso di avere motivi altrettanto validi per non tirarmi indietro».
«L’amore. Tu eri innamorata di lui».
«Non mi sembra abbastanza e, Dorcas, pensi che sarei davvero in grado di amare ancora un pazzo razzista e pluriomicida?». 
La domanda non presuppone una risposta ed Emmeline sguscia via rapida, in direzione del suo vecchio amore con la sua solita espressione indecifrabile dipinta sul volto.
Dorcas li osserva da lontano, come hanno convenuto nei giorni precedenti, e ciò che le arriva immediato, lampante e inequivocabile è la totale ammirazione e devozione di Antonin Dolohov per Emmeline.
Antonin pende dalle sue labbra, sussulta ogni volta che la mano di Emmeline sfiora con studiata casualità la sua veste, si apre in un sorriso sincero ad ogni sua frase. 
È possibile distinguere con facilità le parole di supplica che il Mangiamorte rivolge ad Emmeline nella richiesta di ricostituire il loro fidanzamento. È una continua ed infinita proposta di matrimonio cui lei, con fare civettuolo, riesce a sottrarsi mentre gli porge l’Acquaviola in cui ha prontamente versato il Veritaserum.
Le confidenze di qualche sera prima rimbombano ancora nella testa di Dorcas, affascinata da quell’abilità impareggiabile di Emmeline nell’interagire con il nemico e nel riuscire a tenere il vantaggio.

«Una mattina mi sono svegliata da sola a casa di Antonin. Lui era già andato via, non era la prima volta che accadeva. 
Nessuno di noi due è, per fortuna, sufficientemente Purosangue per sottostare alle assurde regole delle Sacre Ventotto e, infatti, sin da subito il nostro fidanzamento è stato piuttosto libero e appassionato.
Mi ero innamorata davvero di lui, del suo modo di fare, di trattarmi, di quella cultura così diversa dalla mia. È diverso da me, dal mondo in cui sono cresciuta e questo mi aveva attratta sin dal primo istante.

Lui mi ha fatto una corte spietata per mesi. A modo suo, sono convinta mi abbia amata tantissimo.
Mancava pochissimo al matrimonio e noi già vivevamo da marito e moglie. La famiglia di Antonin è lontana e lui ha sempre vissuto qui solo. Questo ci ha dato una libertà tale da trascorrere innumerevoli notti insieme. 
Tornando a quella mattina, era la prima volta che trovavo il suo studio aperto e sono entrata lì e dirti che mi si è aperto un mondo sarebbe riduttivo. 
Sulla scrivania c’erano centinaia di lettere, di cui molte scritte in cirillico ma di questo non mi sono stupita perché Antonin mi ha sempre detto che ha mantenuto i rapporti con la famiglia che vive tra la Bulgaria e la Russia. 
Mi è bastato poco per comprendere che non fossero fratelli o cugini a scrivergli: una delle lettere indicava alcuni incantesimi anche in lingua inglese. Erano Incantesimi di tortura ma questo l’ho potuto scoprire e verificare soltanto dopo perché sul momento la formula evocava scenari sinistri che non ero ancora pronta ad accettare. 
Lì, nel suo studio, con la sola veste da camera e quella lettera in mano, non riuscivo a credere che si trattasse di formule in grado di farti esplodere ogni singola vena, di farti arrestare il cuore senza ucciderti, di indurti allucinazioni devastanti. 
In compenso, guardandomi intorno ho realizzato che mi trovavo in un vero e proprio ricettacolo oggetti oscuri, che non potresti trovare neanche a Nocturn Alley. 
C’era questa sorta di giavellotto che aveva attirato la mia attenzione: Antonin ha sempre respinto ciò che è babbano, ragion per cui trovare una tradizionale arma Babbana sulla sua scrivania mi ha incuriosita immediatamente. Non appena l’ho toccato è diventato completamente di fuoco e emanava delle scariche. Ho cercato di capire da dove venisse nei giorni successivi ma sono solo riuscita a comprenderne il funzionamento. 
Anche questo è uno strumento di tortura, non ferisce il corpo ma la mente. Se scagliato, consente di intrufolarsi nella mente di una persona, impossessandosi dei suoi pensieri mentre il cervello è percosso da continue scosse.
C’erano anche delle maschere argentee, un disegno di un teschio che non riuscivo a comprendere con sotto una formula Morsmordre
Ho iniziato a collegare Antonin e tutto quel che avevo visto sino a quel momento ai Mangiamorte di cui si parlava, che vanno in giro vestiti di nero, mascherati e lasciano come segnale del proprio passaggio il teschio. 
Non avevo ancora il quadro completo e, quindi, ho continuato a vagare per lo studio nel tentativo di trovare altre cose. 
Ti confesso che ho sperato di trovare qualcosa che smentisse ogni mio timore ma, purtroppo, è stato un incubo che è soltanto peggiorato. 
C’era una cassapanca piena di cimeli delle vittime, non solo oggetti normali, come gioielli, orologi, pezzi di bacchetta, ma anche dita, occhi, pezzi del corpo. 
Il primo istinto è stato quello di scappare e vomitare per quanto avevo visto ma alla fine ho deciso di continuare a frugare fino a quando ho trovato questa sorta di diario, in cui erano annotati esperimenti, giornate di tortura, sensazioni provate mentre giocava con la vita delle persone.
A quel punto sono corsa via e tornata a casa mia. Non ho avuto il coraggio di confessare a nessuno quel che avevo scoperto ma ho annotato tutto quel che avevo appreso e l’ho messo al sicuro in luogo sicuro per quando sarebbe stato opportuno. 
Cos’altro avrei potuto fare? Andare dagli Auror e dire che avevo scoperto che l’uomo che in meno di un mese avrei dovuto sposare era un torturatore omicida? Mi avrebbero dato credito a fronte dei contatti di Antonin, delle donazioni che il Ministero riceve costantemente da questo forestiero che si è impiantato in Inghilterra?
Ho deciso di interrompere il fidanzamento da un momento all’altro, senza mai rivelargli quel che avevo scoperto. Lui mi ha sempre amata troppo per usarmi qualsiasi violenza ma, se sapesse che so tutta la verità sul suo conto, non credo che mi lascerebbe vivere in tranquillità.
Ho scelto di non riversargli addosso tutto lo schifo e la rabbia per quel che avevo scoperto. Ho solo aspettato il momento giusto ed ora è arrivato».

Dorcas nota il flusso di parole che Antonin sta sussurrando ad Emmeline che annuisce e stringe rassicurante le sue mani, nonostante stia visibilmente trattenendo il disgusto. 
Non sa quanto tempo passi abilmente nascosta ad un passo dallo studio di Cygnus Black dove Emmeline ha trascinato Antonin per quella loro prima missione.
È solo quando Emmeline sfodera la bacchetta e la punta contro Antonin, pronta a cancellare il ricordo di quegli ultimi istanti e a sostituirli, che comprende che la partita è chiusa. 
Quando le viene incontro, asciugandosi una lacrima furtiva, sussurra «Con questo abbiamo annullato ogni vantaggio. Quando saprà, mi ucciderà».

 

27 dicembre 1970

Tamworth, Staffordshire

«Questo piano è da folli» afferma Alastor infastidito.
«Converrai, amico mio, che è l’unico modo per fermarli» replica Silente, senza dar segni di turbamento.
«Non abbiamo altro modo, Alastor» continua Dorcas.
«Siamo noi contro almeno una decina di Mangiamorte che agiranno senza alcuno scrupolo il 1 gennaio».
«Secondo quanto ha detto Antonin sotto effetto del Veritaserum, il prossimo attacco è alla Bombed Out Church a Liverpool. Nel periodo natalizio c’è un gran via vai di gente e l’obiettivo è colpire ogni genere di Babbano, così ha detto» ripete Emmeline, rabbrividendo.
Alastor scuote la testa ancora una volta, carico di rabbia per la mancanza di mezzi e risorse.
Sono solo loro cinque, sempre che Silente decida di partecipare, ad impedire l’ennesimo massacro di Babbani, che sembra presentarsi come più efferato e straziante della strage di Wick.
Mobilitare il Dipartimento Auror significherebbe svelare apertamente di far parte di una organizzazione militare parallela al Ministero e per questo sarebbe lui stesso a rischiare, se non Azkaban, il licenziamento immediato. 
«La cosa positiva è che gli ingressi della chiesa è uno solo. Quella negativa è che noi siamo in cinque e questa è un’operazione che richiederebbe quanto meno il doppio della risorse» sottolinea Alastor.
«Se solo riuscissi a trovare Dearborn in tempo…» sospira Benjy, stropicciandosi stancamente gli occhi.
«Benjy, non smettere di cercarlo» incalza Dorcas, interrompendo Alastor.
«Dobbiamo camuffarci» istruisce quest’ultimo, nel tentativo di star dietro a tutti i possibili scenari catastrofici.
«È ovvio, non potremo mica presentarci con le nostre facce» salta su Emmeline.
«Vi ho portato un po’ di appunti dall’addestramento Auror per il camuffamento. Non possiamo farci trovare impreparati» continua mentre, con un rapido movimento di bacchetta, fa comparire dinanzi ai compagni lunghe pergamene.
«Il piano è coglierli impreparati e contrastare le loro barbarie» dice Albus con un tono imperturbabile che fa che irritare ancor di più Alastor.
Più di una volta da quando si è imbarcato in questa missione si è chiesto quanto l’amico sia conscio di ciò che rischiano, quanto, oltre la saggezza dietro cui si trincera, abbia ponderato i rischi che tutti loro hanno deciso di correre, quanto, soprattutto, gli importi.
«Qualcuno deve rimanere fuori, altri devono essere dentro» puntualizza l’Auror con una punta di irritazione che non riesce a soffocare.
«Benjy, te la senti di entrare con me?» chiede Dorcas mentre l’altro subito annuisce.
«Alastor ed io agiremo dall’esterno, Dorcas e Benjy, invece, saranno già dentro. Lei, Professor Silente, sarà fuori con noi?» chiede Emmeline scrutando ancora una volta la cartina della Bombed Out Church.
«Io sarò dove vi sarà bisogno, mia cara».
«Dobbiamo pensare ad un segnale nel caso in cui qualcuno si ferisca o le cose vadano male. È fondamentale. È una delle prime prassi in qualsiasi evento» spiega meticolosamente Benjy.
«Scintille?» suggerisce Emmeline.
«Non potranno mai vedersi nel caos generale e tenderebbero a confondersi con quelle natalizie. Se scoppia un combattimento, nessuno di noi avrà il naso per aria» sbuffa Alastor.
«Non credo che per il momento abbiate altra scelta, Alastor, ma il modo di comunicare è, in effetti, un punto dolente. Ci serve un metodo di comunicazione rapido» incalza Albus.
«Albus, con tutto la comprensione di cui sono capace, pensa tu al metodo di comunicazione. Noi staremmo cercando il modo per salvare un numero imprecisato di Babbani da morte certa, cercando di aver salva la pelle» sbotta definitivamente Alastor, sotto lo sguardo comprensivo di Dorcas.
Albus si limita a sorridergli alzando le spalle, non nuovo ai suoi modi.
Si sono sempre intesi così, dopotutto, loro due: Albus è sempre stato perso nei filosofismi, nelle ragioni per cui il mondo va cambiato, in nuovi studi da compiere, in altri meccanismi da capire; Alastor, dal canto suo, ha sempre preferito scendere in campo e cambiarlo davvero il mondo, guardando e superando ostacoli reali, risolvendo problemi pratici. 

«Converrà a tutti studiare questo materiale utilissimo dato da Alastor e ritrovarci il 1 gennaio qui».
Benjy, con il suo tono calmo, sembra riuscire a smorzare la tensione con una naturalezza invidiabile e, se ha timore, non lo dà a vedere. Dietro il ministeriale ligio, dietro gli occhiali pesanti, c’è un uomo solido, che nulla sembra scalfire e che sa sempre come evitare che la situazione degeneri.
In fin dei conti, è da anni alla Cooperazione Magica e dev’essere stato abituato a sbrogliare ogni giorno beghe di quel tipo.
«Pensi davvero che sia così rischioso?».
Perso nei suoi pensieri, non si è neanche accorto che Dorcas gli si è avvicinata allontanandosi da Benjy ed Emmeline, ancora intenti a discutere con Albus.
«Siamo in quattro a salvare potenzialmente centinaia di Babbani da almeno una dozzina di Mangiamorte. Non penso sia rischioso, Dorcas. Lo è» sentenzia dall’alto della sua esperienza da Auror.
Dorcas deglutisce e sembra reprimere ogni traccia di ansia e timore.
«Andrà bene» dice più a se stessa che a lui.
«Ci impegneremo perchè vada bene ma dovremo star bene attenti ad ogni cosa».
«Questa volta abbiamo un vantaggio, Alastor. Loro non sanno che c’è qualcuno che sa e che li ha anticipati, non ora. Pensano di agire indisturbati».
«È su quello che dobbiamo contare. L’effetto sorpresa è tutto. Per questo, come ho detto prima, dobbiamo essere ben nascosti e sabotarli con intelligenza, senza bruciarci subito».
«Riuscirà. Non abbiamo ingannato Dolohov per morire al primo tentativo» incalza Dorcas.
«Siete state brave, anche se non avete condiviso i dettagli di questa operazione con noi altri» ammette, per la prima volta, Alastor.
«Almeno lo hai ammesso!» esclama Dorcas, suscitando il primo vero sorriso di entrambi.
«Questa faccenda della società segreta inizia a piacerti, per essere una che si dichiarava fortemente contraria».
«Mi piace scommettere soprattutto contro me stessa».
«Spero ti piaccia vincere».
«Io non perdo mai, Moody, mai. Non so farlo».
 

30 dicembre 1970

Wick, Scotland 

Da quando ha lasciato la propria casa pochi minuti prima per Materializzarsi a Wick, Benjy non riesce a fare altro che tenersi ben saldo alla bacchetta.
Fino a quel momento è riuscito a fingere che i rischi che sta correndo non lo spaventino ma ora, ora che è solo in quel paesino a camminare nella neve, il terrore è un nemico difficile da scacciare.
Ha cercato di non tradire emozioni nel salutare moglie e figli, di essere sempre ben allegro e rassicurante nel suo «ci vediamo tra poco» ma ad ogni passo si sente sempre più insicuro di quelle parole.
I luoghi segnati dalle stragi hanno sempre un’aura funesta, che i Babbani scambiano per suggestione ma che i Maghi rintracciano immediatamente.
Ci sono varie forme di Magie e Benjy questo lo sa bene. La Magia della Terra è una di quelle branche che pochi studiano ma che è terribilmente affascinante. 
Wick è intrisa di una forza motrice negativa, proprio come lo erano i siti in cui in passato venivano uccisi maghi e streghe. È una regola implicita in qualsiasi incantesimo: ogni Magia lascia un segno.
Benjy lascia impronte nella neve dietro di sé mentre percorre quelle strade che soltanto poche settimane prima hanno conosciuto l’orrore. Ha individuato una posizione strategica che Caradoc Dearborn potrebbe aver individuato per continuare ad indagare, per cercare una falla in quella strage che consenta loro di prevenire le prossime, di capire il modo di agire.
Gli è subito parso chiaro che i Mangiamorte si muovono nella sicurezza dell’inerzia politica e dell’omertà di una parte della società magica. Ha scritto lettere su lettere a tutti i suoi amici in ogni parte del mondo per avere risposte, per capire fino a dove si sia estesa quella rete di Magia Oscura.
È certo che esista un ponte, un canale di comunicazione con i Maghi dell’Est Europa e che sia un ponte difficile da bloccare. Per questo non ha esitato ad attivare altre strade, a sperare che ci sia una parte della comunità magica che decida di ascoltare la loro voce così isolata.
I Paesi dove Grindelwald ha seminato il terrore soltanto pochi decenni prima sono sordi alle nuove minacce, ora che hanno riassaporato la tranquillità e la serenità che dà un tempo di pace.
La Gran Bretagna, vissuta al limite tra la guerra aperta e un regime di latente terrore, è, invece, un nuovo terreno perfetto per quel genere di sentimento anti-Babbano, per quelle nuove teorie sul sangue.
C’è una pericolosa somiglianza, come ha notato, tra le idee di Grindelwald e il suo «Per il bene superiore» e il sentimento di odio e ripugnanza patrocinato da Lord Voldemort e i suoi seguaci.
È soltanto l’approccio che è inverso: se Grindelwald suggeriva l’idea che la dominanza dei Maghi volgesse a favore dei Babbani, Lord Voldemort non fa altro che sottolineare la netta supremazia dei Maghi, in particolare dei Purosangue, rispetto ai Babbani, cavalcando l’onda di un sentimento che ha antiche radici nella storia britannica.
Ed infatti, la leggenda narra che fosse stato proprio lo stato di sangue degli studenti di Hogwarts a generare la più grande frattura tra Salazar Serpeverde e gli altri tre fondatori. 
È solo la storia a far compagnia a Benjy in quella infinita camminata verso il numero 43 di Telford Street, dove, secondo le sue indagini, si dovrebbe trovare Dearborn. 
Quando vi si trova davanti, non vede altro che una minuscola casa in pietra e una luca fioca che illumina la stanza del piano inferiore.
Bussa tre volte e tutte e tre le volte teme che il cuore gli esploda dal terrore. 
Non riesce a dire nulla.
L’ultima cosa che vede è il volto rabbioso di Caradoc Dearborn e un lampo di luce rossa.

 

Che lui ricordi non è mai stato Schiantato prima, perché quella sensazione terribile di stordimento è certo di non averla provata neanche quando bersagliato dagli strani Incantesimi che lanciavano i suoi compagni di Koldovstoretz.
Caradoc lo osserva con i suoi occhi verdissimi e risentiti dall’altro lato della stanza, visibilmente scosso e tremante.
«Ho già perso il lavoro a causa tua».
«Non è stato a causa mia, te lo assicuro», replica pacato, «ma la prossima volta ti pregherei di non Schiantarmi. Sono più per il dialogo, qualsiasi siano le cose da dire».
«Come hai fatto a scoprire che ero qui?».
«Ho i miei trucchetti, Caradoc. Lasciamo tutti tracce, io mi sono limitato a seguire le tue».
Caradoc si siede di fronte a Benjy, mettendosi le mani nei capelli e non nascondendo il terrore che lo perseguita da settimane.
«Io non ho né trucchetti né altro. Ho ventitré anni e l’unica cosa che volevo era lavorare al Ministero».
«Per quel che vale, eri un ottimo dipendente, scrupoloso ed attento».
«Il Consigliere Darby non la pensava così» sibila con un moto di risentimento.
«Non credo che il Consigliere Darby sarà lì per sempre e a quel punto spero che tu possa riavere il posto che ti spettava».
Caradoc continua ad agitarsi nervosamente e Benjy ha la sensazione che solo adesso, lì con lui, si stia lasciando andare a disperazione mista a paura.
«Sono riuscito a fare poche indagini. Speravo di trovare qualcosa di più qui a Wick, invece nulla. Il fuoco ha portato via tutto, anche se credo che abbiano usato un fuoco diverso».
«Ardemonio?» osa Benjy.
Caradoc scrolla le spalle, alzandosi poi frettolosamente per recuperare alcuni resti dell’incendio, curiosamente corrosi dal fuoco, e mostrarglieli.
«L’oggetto non è completamente distrutto, pur essendo in legno. Non è curioso?» chiede.
Benjy continua a girare e rigirare la cassetta di legno, consunta ma non distrutta.
«Cosa pensi di fare?» domanda, poi, a bruciapelo a Caradoc.
«Ho convinto i miei genitori a trasferirsi in Norvegia. Penso che li seguirò. Qui non posso più lavorare da quando Darby…».
«Potresti restare».
«Non capisci, Fenwick? Darby è colluso con questi Mangiamorte. È l’unica cosa che sono riuscito a scoprire: Darby ha ricevuto una lauta somma poco dopo la strage di Wick. Sai per che cos’era? Per aver messo a tacere il tutto, per aver distolto l’attenzione della Gazzetta del Profeta».
Benjy, intimamente certo di non essere Schiantato di nuovo, si avvicina al ragazzo.
«Se lo desideri, se vuoi combattere e fermare questi Mangiamorte, conosco un modo per farti restare. Non preoccuparti per l’alloggio. Rimarrai a casa mia». 


Secondo il Lexicon e Wizarding World, il Wizengamot svolge sia funzioni di Parlamento, sia di Tribunale supremo.
Nicolaj KuznetsovPersonaggio di mia invenzione, Professore presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Koldovstorez.
Grigorij Rasputin. Personaggio storico, mistico russo e consigliere privato dei Romanov.
Piccola precisazione su Cygnus Black: in base all'albero genealogico dei Black pubblicato anni fa da J.K.Rowling, Cygnus sarebbe nato nel 1938 e avrebbe dovuto avere la primogenita Bellatrix nel 1951 a soli 13 anni. Per questo ho corretto questa assurdità nella long e immaginato che la data di nascita fosse di dieci anni precedente, ossia nel 1928.

 


Note: sono finalmente riuscita a tornare da questa storia che, soprattutto nei capitoli iniziali, mi sta dando un bel po' di filo da torcere ma il peggio dovrebbe essere passato, anche per quanto riguarda le mie tempistiche. 
La trama, come avevo anticipato, non è incentrata sull'azione ma più su quel che esiste dietro l'azione, sui legami tra Società Magiche e le relative classi sociali, con uno sguardo sempre alla politica. 
Grazie a tutti coloro che hanno trovato un momento non soltanto per recensire, ma anche per leggere questa storia.
Un abbraccio,
Fede

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


1 gennaio 1971
Liverpool, Merseyside


L’atmosfera cupa di quel primo giorno dell’anno resiste persino al vociare senza sosta dei Babbani in festa. 
Caradoc continua a camminare all’esterno della Bombed Out Church, senza mai smettere di tenere gli occhi su Alastor ed Emmeline, timoroso di dimenticare il loro travestimento.
Non è certo di quel che lo ha portato ad accettare la proposta di Benjy, quando la cosa più giusta da fare sarebbe stato raggiungere la sua famiglia e sparire, senza lasciare alcuna traccia di sé. 
Nelle ultime notti non ha fatto che pensare ad oltranza a quella scelta, perennemente in bilico tra un desiderio di rivalsa, di vendetta, di combattere l’ingiustizia e la voglia di allontanarsi dalla Gran Bretagna e dimenticare ogni cosa, ricominciare altrove.
Ha deciso di non rivelare a nessuno, neanche a Benjy che gli ha offerto una stanza, un pasto, un tetto, il luogo in cui è nascosta la sua famiglia ma è sempre stato abituato a vivere eternamente sull’attenti, ad aspettarsi in ogni momento un attacco.
La sua diffidenza, contro ogni aspettativa, è piaciuta ad Alastor Moody e Dorcas Meadowes, attirandogli uno sguardo torvo da parte di Emmeline e un altro indecifrabile da parte di Silente.
Ad essere completamente onesto con se stesso, Dorcas non è sembrata estasiata non appena l’ha visto, borbottando qualcosa sul suo essere un ragazzino.
È stato soltanto quando Benjy ha iniziato a parlare e quando Caradoc ha rivelato lo stato delle sue ricerche che un lampo le ha attraversato gli occhi e le ha fatto fare un cenno inequivocabile con il capo.
Le ultime settimane di indagini e spostamenti sono state meno fruttuose di quanto avesse immaginato. Ha vagato, bussato a porte di vecchi compagni di scuole che si sono immediatamente richiuse, ha provato a fare domande fino a giungere alla tecnica più antica del mondo.
Del resto, suo nonno diceva sempre che non c’è miglior momento per scoprire un segreto di quando si ha un buon bicchiere di birra davanti. 
Babbani e Maghi non sono poi così diversi e ha battuto ogni pub magico nel tentativo di trovare le informazioni ricercate.
Essere un perfetto Signor Nessuno, come ha commentato Alastor al termine del suo racconto, ha grandi vantaggi e per Caradoc altro non è stato che un passpartout per i peggiori ritrovi della Gran Bretagna.
Al Paiolo Magico, quando ormai il locale iniziava a svuotarsi, aveva trovato una posizione strategica dove appostarsi per non essere disturbato né dal barista né dagli avventori. 
È stato lì che ha appreso come la strage di Wick non è stata altro che un regalo di fidanzamento per Theseus Nott1, promesso sposo di Evangeline Rosier, la secondogenita di Evan Rosier, e come Nott e il futuro suocero abbiano sperimentato un nuovo Incantesimo che corrode le vittime prima internamente e poi esternamente. 
Alla Testa di Porco, invece, aveva sentito Dolohov e Mulciber levare i calici a Radolphus Lestrange2 che aveva ufficialmente presentato il figlio al Signore Oscuro affinché si unisse ai Mangiamorte, elettrizzati all’idea di una nuova cerimonia di iniziazione.
Sempre lì, li aveva sentiti complimentarsi in absentia con Evan Rosier per la brillante idea di aver ricoperto di galeoni Marcus Darby affinché le disattenzioni commesse a Wick passassero inosservate.
Se qualche ora dopo aver ascoltato quella conversazione Benjy non avesse bussato alla sua porta, Caradoc sarebbe probabilmente andato via, nauseato ed impotente dinanzi alla mancanza di scrupoli e alla crudeltà dei Mangiamorte.
Invece, aveva deciso di restare, ipnotizzato dalla convinzione con cui quelle cinque persone erano convinte di poter ribaltare le sorti di una società ormai al collasso.
«Sono arrivati, state in guardia».
La voce di Alastor ha l’effetto di riportarlo immediatamente alla realtà e di spingerlo a cercare tra i mille volti tracce dei loro nemici.
Non è poi così difficile scorgerli dal momento che non hanno dismesso i loro abiti da Maghi e che camminano nascosti dalla maschera. La folla natalizia, il freddo e il cielo grigio fanno sì che la gente non si accorga di nulla. 
«Stanno entrando tutti. Credo che non resti nessuno qui fuori. Sicuri che non dobbiamo entrare?», chiede Caradoc, tradendo nervosismo.
«Attieniti al piano, Dearborn».
Le parole di Alastor sono immediatamente seguite da urla disperate dall’interno della chiesa.
È un secondo - neanche il tempo di incrociare gli occhi spaventati di Emmeline - prima di vedere le fiamme levarsi, insieme a delle timide scintille all’interno.
«Dall’ingresso principale, presto». 
Alastor, con il piglio e il pragmatismo di chi ogni giorno salva vite e affronta Maghi Oscuri, li trascina all’interno, in quello che è uno spettacolo terrificante di fuoco e lampi di luce di ogni colore, prima che le fiamme dell’incendio possano impedire l’ingresso.
Quando sono lì, abilmente nascosti tra le rovine di quella chiesa già lambita una volta dal fuoco, Caradoc sa che il piano è ufficialmente iniziato, che Emmeline ha eseguito l’Incantesimo, bloccando l’accesso dall’esterno. 
Grazie a Silente entro le mura della chiesa non ci si può né Materializzare né Smaterializzare. 
Una volta che avranno messo in salvo i Babbani e saranno usciti di lì, i Mangiamorte resteranno bloccati lì dentro in attesa che arrivino gli Auror con un biglietto di sola andata per Azkaban.
Questo è il piano e, come Moody non ha fatto altro che ripetere, deve funzionare.
Bloccati lì dentro mentre Emmeline si assicura della tenuta dell’Incantesimo, lui e Alastor tentano di domare le fiamme, di abbassarle per comprendere meglio cosa sta accadendo al centro della chiesa.
Il fuoco resiste in modo anormale e Caradoc quasi si sente prosciugato. Continua per una promessa a se stesso, perché non può abbandonare i compagni, non può lasciare che Benjy, l’uomo che lo ha cercato, trovato e voluto, possa essere inghiottito da quel fuoco.
Gocce di sudore imperlano anche la fronte liscia e appena visibile di Emmeline, unitasi anche lei ai compagni. 
«Che succede al fuoco? Avevi detto che sarebbe durato ore!».
Il vociare infastidito e rabbioso dei Mangiamorte arriva chiaro e forte alle loro orecchie.
«Non capisco. A Wick ha funzionato ed è durato per ore».
«Che c’importa, Dicky! Ormai sono qui e possiamo divertirci».
Emmeline si fa più vicina e in un sussurro rivela che, nonostante le maschere e il caos, è riuscita a distinguere uno dei Mangiamorte. Quello che si lamenta della scarsa tenuta del fuoco altri non è che Benedikt Mulciber, uomo dal temperamento rabbioso e dai violenti scatti d’ira.
Cosa i Mangiamorte si apprestano a fare è presto chiaro quando in coro urlano Imperio puntando le loro bacchette sulla folla impaurita, usando i Babbani come marionette.
«Dobbiamo agire. Adesso», ordina Alastor e senza esitare Schianta tre dei dieci Mangiamorte presenti.
È in quel preciso istante che Caradoc realizza le reali implicazioni del loro effetto sorpresa.
I Mangiamorte che non sono stati colpiti dallo Schiantesimo, aggrappati alle loro bacchette, cercano di scrutare in ogni direzione, tentando una controffensiva verso un nemico invisibile. 
Dall’altro lato della chiesa, proprio dove dovrebbero essere Dorcas e Benjy, arrivano altri lampi di luce rossa, pronti a travolgere altri Mangiamorte.
«Non fate saltare la copertura. Non osate farla saltare», intima Alastor a Caradoc ed Emmeline, dirottando il fuoco appiccato dai Mangiamorte per potersi spostare indisturbati e colpirli da un punto diverso.
Dallo spiraglio che sono riusciti aprire su un lato scoperto della chiesa, i Babbani cominciano a fuggire incitati da Benjy e Dorcas nascosti e camuffati tra la folla.
«Dobbiamo bloccarli qui dentro, ricordate. Devo tornare in vesti ufficiali».
«Alastor, ricordiamo perfettamente il piano. Al momento stiamo rischiando la pelle esattamente come te» sbotta Emmeline, mentre Caradoc respinge per un soffio uno Schiantesimo.
«Non vedo più né Dorcas, né Benjy. Saranno usciti» dice Caradoc, «I Mangiamorte sono impegnati a risvegliare gli Schiantati. È il momento».
Alastor annuisce e fa strada verso l’uscita di emergenza. Dall’altro lato della strada, in un vicolo riparato che hanno scovato nei giorni precedenti, intravedono la sagoma tremante di Benjy.
«Dov’è Dorcas?» urla Alastor.
«Non l’ho più vista, non l’ho più vista. Ho provato a tornare indietro ma non…».
Benjy scuote la testa con terrore, mentre fissa la chiesa ancora in fiamme.
Il fuoco dei Mangiamorte, ora che non c’è più nessuno a contrastarlo, riprende vigore sempre più velocemente.
Caradoc si avvicina a Benjy posando un braccio sulla sua spalla, mentre Emmeline trattiene a stento le urla.
«Io rimuovo l’incantesimo e torno dentro. Porta immediatamente Albus qui». 
Alastor si rivolge ad Emmeline, tornando a grandi falcate verso la chiesa e con la bacchetta alla mano. 
Il rumore della Smaterializzazione di Emmeline lascia Caradoc e Benjy sospesi, ormai assuefatti alle urla disperate dei Babbani. 
«È stata colpa mia, non sarei dovuto uscire» mormora Benjy.
«Hai seguito il piano. Non è stata colpa tua! Poteva capitare a chiunque… non è morto nessuno, Benjy, ascolta. Dorcas non morirà, lei è una tosta, vedrai».
Caradoc pensa a com’è finito lì, al fatto che è il 1 gennaio del millenovecentosettantuno e lui è fuori da una chiesa in fiamme e non a mangiare lo stufato di sua madre. Ha il braccio attorno ad un uomo che fino a due giorni prima era un perfetto sconosciuto ed oggi è la cosa più simile ad un padre che gli è rimasta.
Non sa quanto tempo sia passato, se un minuto, dieci o un’ora, prima che Emmeline e il Professor Silente riappaiano nel vicolo.
Nessuno parla, Caradoc intuisce che il Preside deve aver rimosso l’incantesimo dagli sguardi intensi che sembra lanciare incessantemente nei confronti della chiesa.
Emmeline, invece, tiene gli occhi bassi e le mani impigliate nel foulard che le avvolge la testa.
«Fanny è qui» sussurra Silente, aprendosi in un sorriso e muovendo un passo verso l’enorme fenice che viene verso di lui.
L’accarezza con dolcezza sussurrando parole che Caradoc non riesce a distinguere.
«Alastor e Dorcas stanno bene. Fanny è corsa in loro aiuto».
«Eccoli», li indica Benjy, avvicinandosi a loro.
Alastor trascina Dorcas verso il vicolo e Caradoc nota che sono entrambi coperti di cenere e graffi, più scossi e tremanti che mai.
Dorcas continua a parlare, scuote ripetutamente il braccio di Alastor e di tanto in tanto fa per tornare indietro, mentre lui la blocca e la riporta nella loro direzione.
«Non puoi tornare lì» afferma perentorio.
«È tutta colpa mia, Dorcas, non avrei dovuto lasciarti lì» si intromette Benjy, ancora disperato e in preda ai sensi di colpa.
«Non è colpa tua. Sei stato bravissimo, Benjy! Li abbiamo salvati tutti» continua lei sbrigativa e Caradoc non sa se Dorcas pensi davvero che non è stata colpa di Benjy o se sia semplicemente presa da altro.
«Non capisci? Devo tornare lì, devo andare di nuovo là dentro».
«Sei tu che non capisci!» sbotta Alastor, «Potevi morire! Sei, siamo vivi per miracolo! Ci sono sfuggiti ma potrebbero tornare. Anzi, molto probabilmente torneranno perché, grazie a tutti i Fondatori, nonostante tutto, la nostra copertura non è saltata e questo vuol dire che non sanno chi c’è dietro».
«Se non torno lo sapranno!» urla Dorcas disperata.
«Ma che cosa è successo? Perché vuoi tornare lì?» chiede Emmeline.
«Il mio anello, quello con lo stemma di famiglia, mi è scivolato e non riesco ad Appellarlo».
Dorcas si tocca in modo nevrotico e disperato l’anulare destro, spoglio di quell’anello che continuava a toccare ad ogni riunione.
«Posso provare a tornare io lì», propone Caradoc mentre Dorcas lo guarda speranzosa, «sono pur sempre un Signor Nessuno».
«Temo che Alastor abbia ragione. In questo momento, non possiamo tornare lì dentro».
Alle parole di Silente, Dorcas si accascia a terra, probabilmente sovraccarica delle emozioni appena vissute.
«Proverò a tornare io domani. Mi porto quale Auror per sicurezza, così nessuna delle nostre coperture salterà e cercherò di trovare questo dannato anello. Adesso andiamo via di qui o di questo millenovecentosettantuno non vedremo il secondo giorno».


16 gennaio 1971
Bath, Somerset


Sono quindici giorni che Benjy vede tutte le albe, quindici giorni che si sveglia con il cuore in gola, rivivendo gli attimi di terrore in cui, spinto dai Babbana in fuga, ha perso Dorcas di vista e ha temuto che morisse lì, tra i Mangiamorte, in quella vecchia chiesa in fiamme.
Quei quindici giorni sembrano averlo stravolto completamente. Sua moglie e le sue figlie continuano a domandargli ripetutamente quale sia il problema, che cosa sia accaduto, perché appaia così inquieto.
Sua moglie, Leela, cerca di scavargli l’anima con il solo sguardo, come ha sempre fatto da quando l’ha conosciuta, e lui sa che non riesce a comprendere, che arriverà un momento in cui sarà chiamato a spiegare cosa sta accadendo, che dovrà dare conto di quel ragazzino di ventitré anni che dorme nella stanza degli ospiti. 
Le ha soltanto detto che è il figlio di alcuni amici, che è in difficoltà e che è giusto che sia qui.
Non ha detto null’altro, perchè in questo momento non sapere, non essere consapevole è un lusso che sente di dover regalare all’amore della sua vita e alle figlie. 
È certo che quella spiegazione non basterà per sempre ma soltanto per un po’. Dopotutto, la loro casa è sempre stata un porto di mare e la stanza degli ospiti aperta ad amici provenienti da tutto il mondo.
Leela non si è mai stupita e li ha sempre accolti con un sorriso ma questa volta con Caradoc avverte una tensione ed una diffidenza che sono solitamente estranee a sua moglie.
In parte - ne è certo - non approva che in una casa in cui ci sono due ragazze appena uscite da Hogwarts viva un ragazzo scapolo e avvenente, con tutta l’aria di essere uno scavezzacollo. Persino lui, che è proverbialmente cieco dinanzi alle questioni di cuore, ha notato l’imbarazzo delle figlie nel ritrovarsi Caradoc in casa.
Dall’altro lato, c’è qualcosa di quel giovane che gli sfugge. Una parte di lui lo ha spinto, sin dal primo momento, a volerlo proteggere da una società che lo stava schiacciando, ma l’altra parte di lui non fa che rivedere quello che non esita a Schiantare se è in un momento di difficoltà.
Caradoc, qualsiasi sia la sua storia, ha fatto della diffidenza e del sospetto una seconda pelle. Si ha sempre la sensazione che sia attaccato alla bacchetta, che sia pronto ad attaccare per difendersi. 
Di sé ha raccontato pochissimo, soltanto che ha un padre Babbano ed una madre che ha scelto di usare il meno possibile la Magia, che è cresciuto nel Dorset, a Poole, dove suo padre lavorava in un cantiere navale. 
Qualche volta, in rarissimi momenti in cui abbassa di poco le difese, dice che forse un giorno salirà su una nave e sparirà senza lasciare tracce e che i Maghi non sanno cosa si perdono a non conoscere il mare.
Benjy ha sempre la sensazione che prima o poi si sveglierà e troverà la stanza degli ospiti vuota senza alcun tipo di spiegazione.
Poi, però, si concentra sulla passione che quel ragazzo sta mettendo nella loro missione, in uno spirito di abnegazione pari solo a quello di Dorcas. Caradoc sembra aver fatto di quella guerra silenziosa e sconosciuta al mondo uno scopo di vita, ferito dall’ingiustizia subita da Darby.
Non c’è giorno in cui dietro consiglio di Silente non continui a cercare notizie. In breve tempo, è diventato un abile conoscitore di ogni vicolo di Nocturn Alley.
Moody non fa altro che dirgli che non appena sbatteranno fuori Marcus Darby metterà una buona parola tra gli Auror per lui.
Grazie a Caradoc sono riusciti ad ottenere notizie apparentemente frivole e poco rilevanti ma che hanno consentito loro di avere un quadro sempre più completo del nemico che fronteggiano.
Dopo l’attacco qualcosa è scattato nei Mangiamorte, che, infatti, non hanno rivendicato quell’attacco con il loro marchio, ma soprattutto nel fantomatico Lord Voldemort.
Dal racconto sommesso che alcuni Mangiamorte hanno fatto alla Testa di Porco il loro Signore Oscuro era furioso per il piano fallito perché il fidanzamento di Theseus Nott non era l’unica ragione per la quale l’attacco alla Bombed Out Church era così rilevante.
È su quel piano non svelato del tutto neanche ai suoi seguaci che Benjy lavora da giorni, da cui non riesce a distogliere il pensiero.
Ne ha discusso a lungo con il Professor Silente e anche lui ha convenuto che non sia un caso, perché proprio come accaduto a Wick la terra non dimentica gli orrori ma li trattiene.
La storia Babbana racconta di un bombardamento che ha travolto e distrutto la chiesa nel 1941, ma c’è un’altra leggenda che racconta di un attacco di alcuni seguaci di Grindelwald e del sacrificio di una strega bulgara, Tatia Hristova.
Come spesso accade, nelle pieghe dei grandi eventi storici Babbana si annidano i conflitti dei Maghi3.
La lettera che durante la notte gli è stata consegnata viene da un suo vecchio amico in Bulgaria, Stoyan Kostadinov, uno storico della Magia, rifugiatosi a Bath quando Grindelwald seminava terrore.
Benjy legge e rilegge le righe alla ricerca di conferme, nel tentativo di rimettere insieme ogni pezzo e di anticipare mosse.


Mio caro amico,
 Ricordo bene gli eventi della chiesa di San Luca a Liverpool e il periodo di terrore che ne seguì. Come ricorderai, all’epoca ero in fuga da Grindelwald e dagli orrori del mio Paese ma anche qui non riuscii a trovare la pace sperata.
Non sono molti i dettagli che si conoscono di quell’evento. Un unico sopravvissuto ha raccontato i particolari di quella strage ma le reali ragioni del massacro sono chiuse in una cella di Nurmengard.
Tatia Hristova era una strega brillante, un’ex insegnante di Antiche Rune della Scuola di Durmstrang, aperta oppositrice di Grindelwald. La leggenda narra che lui volesse da lei informazioni necessarie alla sua ricerca del Bene Superiore e che Tatia abbia resistito.
L’unica fonte narra che l’intenzione di Grindelwald non fosse ucciderla ma solo torturarla per estorcerle le informazioni ma che tale fu la resistenza di Tatia che in un moto d’ira Grindelwald fece convergere le bombe Babbane sulla chiesa condannandola a morte.
Purtroppo, questa morte è passata sotto traccia, confondendosi insieme alle altre, ma credo che tu sia nel giusto quando dici che la chiesa ha conservato memoria. 
La Storia, amico mio, insegna che i Maghi Oscuri scelgono spesso luoghi che già conoscono massacri, che già conoscono una traccia di Oscurità per compiere nuovi rituali. La Magia Oscura è difficile da eliminare, resiste al tempo e a qualsiasi intemperie, ma è semplice da risvegliare.
Alcuni storici ritengono che, quando un mago o una strega vengono assassinati, il luogo dell’omicidio trattiene la loro Magia e che il compimento di altri omicidi nello stesso luogo rafforzi la potenza dei Maghi che li commettono.
Nulla è stato provato. È una branca della Magia difficile e che non oso studiare. Troppe sono state le morti e troppo oscure e ignote ne sono le conseguenze.
Quanto allo strano incantesimo del fuoco di cui mi hai domandato, temo di non poterti essere di alcuna utilità. Incantesimi di questo genere sono qui all’ordine del giorno, eternamente in balìa di gruppi di nostalgici che sfuggono alle autorità.
Concludo dicendoti che conosco solo di nome Antonin Dolohov e me ne rallegro. La parte della sua famiglia che vive qui è circondata da un’aura oscura; alcuni di loro sono a Nurmengard, ex seguaci di Grindelwald. Tutto ciò che posso dirti è che l’ultima volta che è stato qui era sempre in compagnia di un suo ex compagno di scuola e che sono stati coinvolti in uno scontro acceso. 
Con la speranza di esserti stato utile,
Stoyan


I timori che aveva covato sin dall’inizio si stanno progressivamente rivelando fondati: in questo momento, la tortura e gli omicidi non sono soltanto un semplice divertimento ma anche un canale per rinforzare la Magia.
Quanto i vari Nott, Mulciber, Dolohov sappiano di essere uno strumento nelle mani di Lord Voldemort è difficile da dire ma Benjy è pronto a scommettere che quell’uomo non abbia fatto altro che usare l’atavico odio che alcuni Purosangue covano nei confronti dei Babbani per piegarlo ai propri scopi.
In questo momento, secondo le ricostruzioni fatte da lui e dal resto del gruppo, Voldemort si sta muovendo su due fronti: utilizzo quasi incontrollato della Magia e ricerca di nuove reclute, per creare un esercito ancora più forte.
La politica fallimentare del Ministro Jenkins, sorda a qualsiasi richiesta, rende giorno dopo giorno più semplice e più ghiotta la scelta di unirsi ai Mangiamorte, che promettono impunità e privilegi. 
Lui ed Alastor, occhi attenti e vigili all’interno del Ministero, assistono impotenti a quella disfatta annunciata, vedono aumentare il malcontento, persino tra i colleghi, con la consapevolezza che, quando il momento verrà, nessuno sarà davvero pronto.
«Anche tu sveglio».
La voce di Caradoc lo scuote dai suoi stessi pensieri, cogliendolo di sorpresa.
«Non riuscivo a riaddormentarmi e mi è arrivata questa da un vecchio amico», dice Benjy porgendogli la lettera.
Caradoc muove le labbra in quello che sembra quasi un sorriso.
«Sei pieno di vecchi amici».
«Sono vecchio e ho tanti amici».
«Non hai ancora cinquant’anni, Benjy! Silente è vecchio, tu sei soltanto un tipo con molti amici» sghignazza prima di lanciarsi nella lettura della lettera.
«Che ne pensi?».
«Dobbiamo scoprire chi è questo ex compagno di scuola», commenta sbrigativo Caradoc.
«Sì, ci sarebbe utile per capire se anche lì ci sono Mangiamorte o se vogliono agire soltanto qui».
«Per quanto riguarda la Magia, invece, è difficile».
«Questo Lord Voldemort non è esattamente prevedibile».
«Possiamo cercare tutti i luoghi delle stragi nel Regno Unito da…».
«Sarebbe un buco nell’acqua, non abbiamo le risorse per coprirle tutte. Tra l’altro, ho la sensazione che queste stragi, questi massacri non servano a lui ma a cementare il rapporto con i suoi seguaci. Lui non partecipa mai».
«E quindi?», chiede disorientato Caradoc.
«Non è lui ad incanalare la Magia, sono i Mangiamorte o come si fanno chiamare loro. Io credo che lui abbia creato qualcosa che li tenga molto, molto uniti».
«Pensi che li abbia legati a sé con la Magia?».
«Onestamente, mi stupirei se non lo avesse fatto».


18 febbraio 1971
Downing Street, Londra


L’enorme appartamento di Emmeline Vance nel cuore della Londra Babbana non potrebbe rappresentarla di più ma probabilmente quello è un pensiero da ex professore impiccione.
Emmeline non ha battuto ciglio quando se lo è ritrovata sulla porta di casa, come se il suo arrivo non l’avesse colta per niente impreparata.
Del resto, Albus ricorda bene il piglio da studentessa che odiava essere colta in fallo. Di quella adolescente dai lunghi capelli biondi ricorda soprattutto l’attenzione profusa nell’autocontrollo.
Mai una volta che sia riuscito a vederla scomposta. 
Anche adesso, mentre gli versa il tè, Emmeline gli appare misurata in ogni gesto ed è per questa ragione che ha deciso di presentarsi a casa sua, perché è l’unica talmente abituata a nascondere i propri pensieri e le proprie emozioni a cui poter chiedere di fare un passo in più.
«È successo qualcosa Professore?», chiede Emmeline con la sua schietta gentilezza di sempre.
«Mia cara, se fosse successo qualcosa, non avrei aspettato il tè».
Emmeline sorride, anche se in questo sorriso cortese Albus rintraccia facilmente il fastidio derivante dal non capire le ragioni della sua visita.
«Volevo parlarti in privato. So che è Dorcas che si occupa di coordinarvi e che voi due siete molto in sintonia ma credo che ci siano aspetti che non avete considerato».
Il discorso che sta per fare ad Emmeline è scomodo, scivoloso e probabilmente gli procurerà infiniti grattacapi con Dorcas ed Alastor ma è un’occasione unica e necessaria e in guerra c’è poco spazio per i moralismi e gli scrupoli.
Emmeline aggrotta la fronte mentre sorseggia la tazza di tè, disorientata dalle sue parole. 
Fino a quel momento ogni decisione è stata rimessa a Dorcas ed Alastor, i migliori quanto ad intuizione e strategia, ma Albus ha sempre saputo che ci sono dei limiti anche per loro.
Se l’Auror semplicemente non si figura certi scenari, Dorcas ne è radicalmente contraria. 
«Il tuo lavoro con Dolohov è stato esemplare, Emmeline. Hai dimostrato coraggio, tempra morale, lucidità ed anche alla chiesa hai dato prova di grande sangue freddo».
«Forse oggi il Cappello Parlante sceglierebbe diversamente per me».
«Oh, sai, non credo. Penso che tu sia la perfetta incarnazione dei Corvonero perché la tua prima arma, Emmeline, è sempre la mente e questo è un dono».
Emmeline si apre in un sorriso gentile ma ancora enigmatico ed Albus le legge sul volto lo scetticismo che la anima.
«Sono sempre stata benissimo tra i Corvonero, gli anni di Hogwarts sono stati magnifici».
«Eri una studentessa modello, brillante e sono contento di leggere tuoi articoli spesso e volentieri».
«Ho sempre amato gli Incantesimi e mi piace continuare a studiare».
«Sono contento che tu non abbia sposato Antonin Dolohov. Quel genere di matrimonio ti avrebbe spenta».
L’effetto delle parole di Albus è immediato perché per la prima volta Emmeline trema un po’ e la tazza di porcellana italiana insieme a lei.
«Credo che il principale problema fossero le sue tendenze da torturatore e da omicida, Professore, e non soltanto la mia vitalità».
«Ottimo argomento, Emmeline, ottimo argomento. È proprio di questo che vorrei parlarti, in verità».
«Delle ragioni per cui non ho sposato Dolohov?».
«Oh, no, quelle penso siano validissime ma del vostro legame, che credo esista ancora».
Emmeline si alza di scatto, prima di iniziare a passeggiare nervosamente lungo il salotto.
«È un uomo che ho amato profondamente, Professore, questo non si può cancellare».
«Neanche il più potente Incantesimo di Memoria potrebbe farlo», annuisce Albus studiando ogni movimento della sua ex allieva.
«Mi rendo conto che il fatto che io sia stata legata sentimentalmente ad uno dei nostri nemici possa rendermi maggiormente esposta ma, Professore, come ho detto a Dorcas sin dal primo momento, non aspettavo altro che cambiare le cose, che combattere il senso di impotenza che mi è piombato addosso per due anni. Io le posso giurare, in nome di Corinna e tutti i Fondatori, che mai potrei tradire la nostra causa e collaborare con Antonin Dolohov».
Le guance di Emmeline sono rosee come mai prima, infervorata com’è dal discorso appena fatto. Lei, disorientata da se stessa, sembra faticare a ritrovare il suo proverbiale autocontrollo ed è soltanto quando Albus le porge nuovamente la tazza di tè che torna a sedersi e sembra riacquistare pienamente padronanza di se stessa.
«Non ho mai dubitato di te, Emmeline, e sono rammaricato che tu lo creda possibile», la conforta Albus.
«La ringrazio, Professore».
«La relazione che hai avuto con Dolohov, proprio per la sua intensità, può essere un ottimo strumento nelle nostre mani e di questo ne abbiamo già avuto la prova. Se non fosse stato per te…».
«E per Dorcas», lo interrompe Emmeline.
«Se non fosse stato per te e per Dorcas, naturalmente, decine di Babbani sarebbero morte poco più di un mese fa».
«Era il minimo che potessi fare, mi spiace soltanto non poter fare di più e non avere più un vantaggio».
Albus le sorride enigmaticamente, conscio del fatto che stanno finalmente per arrivare alla vera ragione della sua vita.
«Non ne sarei così sicuro».
«Non credo di poter giocare ancora con la memoria di Antonin. È un uomo più scaltro di quel che appare».
«Non devi giocare con la sua memoria».
Albus si alza lentamente, sotto gli occhi vigili della padrona di casa, e comincia a percorrere senza sosta il salotto, conscio dell’attesa che ha generato in Emmeline.
«Voi due non siete stati semplicemente fidanzati, giusto?».
Emmeline, arrossita nuovamente, annuisce.
«Soltanto due amanti, due persone che si sono amate e conosciute nel profondo, potrebbero avere questo legame così resistente al tempo, non certo gli amori organizzati dei Purosangue».
Quanto davvero lei sia turbata, Albus non è in grado di dirlo con esattezza. Sa di aver catturato la sua attenzione e di averla colpita su un tasto ancora dolente, usando tutta la sua personale esperienza, consapevole che un certo tipo di amore, un certo tipo di affetto resiste anche agli orrori.
«Non credo che lui abbia avuto quel genere di intimità soltanto con me».
«Oh, Emmeline, al momento credo di sì. Non che lui non abbia altre relazioni ma credo che tu abbia toccato il cuore di Dolohov come nessun altro prima e questo genere di cose lascia il segno».
Albus le poggia una mano sulla spalla, in un moto di affetto e conforto per quella donna della quale sente di poter comprendere le tempeste emotive.
A ben pensarci, Emmeline è molto più solida, più decisa e più convinta di quanto non lo sia mai stato lui, lui che ha atteso anni e anni prima di riuscire ad affrontare l’uomo che amava apertamente.
«Professore, lei vuole che torni ad essere l’amante di Dolohov?», chiede Emmeline a bruciapelo, mentre Albus reprime a stento un sorriso soddisfatto.
«Non posso chiederti una cosa del genere, Emmeline» le dice con convinzione mentre si siede accanto a lei, «ma ti chiedo di pensare con attenzione a quel che potresti fare».
«Non posso sposare quell’uomo».
«Non credo sarebbe sicuro per te».
«Lei non capisce», sbotta Emmeline, «io non sono sicura di poter fingere ancora con Antonin che non so. Come potrei parlare tranquillamente con lui quando so che potrebbe aver torturato e ucciso poco prima?».
Il tono sconvolto di Emmeline è una variabile che Albus ha messo in conto dal momento in cui ha deciso che quella strada doveva essere percorsa.
«Emmeline, quel che è accaduto a Liverpool è soltanto un assaggio di ciò che ci troveremo ad affrontare prossimamente. Il nostro intervento li ha rallentati, li ha messi sul chi va là, perché ora sanno che c’è qualcuno che sta mettendo loro i bastoni tra le ruote. Solo tu sai ciò che sei in grado di fare, quanto la tua mente ed il tuo corpo possono sopportare. Quel che ti chiedo è di pensare attentamente e di riflettere. Se pensi che sia impossibile arrivare ad altri segreti di Antonin, se credi che il canale di comunicazione tra di voi sia del tutto interrotto, considera questa conversazione come mai avvenuta. Se, invece, in cuor tuo credi che il vostro rapporto possa essere usato per fermare altre morti inutili, altre torture, altre barbarie, ti chiedo di valutare, anche non nell’immediato, un modo di utilizzarlo».
Emmeline annuisce, con lo sguardo perso nel vuoto, senza rispondere ed Albus è consapevole di aver smosso qualcosa, di aver toccato le giuste corde. È certo che non oggi e forse neanche domani ma in futuro Emmeline Vance riuscirà ad ingannare ancora Antonin Dolohov.
«Emmeline, tu sei una risorsa fondamentale per questo gruppo. Sei una donna pratica, sveglia, conosci esattamente le insidie di questo mondo e riesci non solo a vederle prima che arrivino ma a sfruttarle sempre a tuo vantaggio e, soprattutto, sai domare i tuoi malumori. Non lasci mai che siano i tuoi pensieri a domare te, hai sempre uno scudo tra te e il resto del mondo e questa, ragazza mia, è sempre stata la tua più grande risorsa. Mentre Dorcas viene travolta da qualsiasi sentimento, tu sei impenetrabile e sono certo che non esista al mondo un uomo in grado di trarti in inganno. Non aver paura di usare le redini. Le hai sempre avute tu».


15 marzo 1971
Pendennis, Cornovaglia


Quando due famiglie Purosangue come i Black e i Lestrange si uniscono, tutta la società magica non può che riunirsi attorno a loro, pronta ad ossequiare quella che sembra essere l’unione del secolo.
Dorcas non ha neanche osato pensare di mancare, perché un matrimonio come quello è un’occasione unica per tutti.
Gli ospiti sono stati indirizzati nell’immenso giardino della tenuta dei Lestrange in Cornovaglia: dal ramo francese della famiglia Lestrange ai più importanti funzionari ministeriali, tra cui Marcus Darby, non manca nessuno.
Riconosce diverse file più indietro, tra coloro che hanno il sangue puro ma non troppo, la chioma bionda di Emmeline stranamente abbassata. Sono settimane che sembra sfuggirle e che ha l’aria di essere eternamente pensierosa, avvolta da una nube di tristezza che Dorcas non riesce a decifrare.
«Non credo di essere pronto a fare niente del genere per i nostri figli» commenta Christopher, indicando gli addobbi della sala, ammiccando con aria complice.
«Credo che ci disconoscerebbero seduta stante» conviene osservando con attenzione Walburga ed Orion Black con i due figli maschi poco più avanti.
Quando si imbatte nei Black, c’è sempre uno strano brivido che le percorre la schiena, quasi potesse percepire una possibile vita che le è sfuggita.
In alcuni momenti si è chiesta quanto diversa sarebbe stata la sua vita se suo padre non avesse deciso di troncare le trattative matrimoniali con Arcturus Black, padre di Orion.
È certa che nessun altro marito avrebbe tollerato il suo ruolo di Consigliera al Ministero, perché nessuno dei Capofamiglia Purosangue ama essere eclissato da sua moglie.
Christopher, invece, era stato diverso e, contrariamente a quanto il padre di Dorcas aveva immaginato e sperato, l’aveva lasciata libera di essere chi voleva, non ostacolando mai la sua passione politica.
Non le aveva mai detto «te l’avevo detto», anche quando le sue parole erano state profetiche. Era stato lui il primo a farle notare il cambiamento di atteggiamento di Eugenia, il modo in cui aveva smesso di essere sua alleata e sua amica e si era trasformata in un’avversaria.
Il loro matrimonio aveva rappresentato per Dorcas l’unica vera certezza, senza che nemmeno se ne rendesse conto, e a distanza di anni si era trovata a ringraziare suo marito per aver sempre lasciato cadere le sue provocazioni, provando a smussare i tratti più spigolosi del suo carattere.
«Dov’è finito il tuo anello?» le chiede Christopher improvvisamente, cogliendola di sorpresa, «È un po’ che non te lo vedo al dito».
Dorcas corre rapida a stringere l’anulare che le sembra così innaturalmente nudo, prima di decidere cosa rispondere.
«Non lo trovo più. Deve essermi scivolato». 
Christopher assottiglia gli occhi, senza dire nulla, e Dorcas quasi crede che la ramanzina che il figlio dodicenne di Orion e Walburga sta ricevendo a pochi minuti dal matrimonio della più grande delle sue cugine sia un argomento che attiri di più l’attenzione di suo marito.
«Non so cosa tu stia combinando» le sussurra, invece, infrangendo il silenzio, «ma sta’ attenta alle persone che frequenti. Non sono bei tempi».
Dorcas si irrigidisce immediatamente, perché, se le sue idee politiche sono sempre state chiare, quelle di suo marito, invece, le sono sempre apparse grigie. 
«Di che cosa stai parlando, Christopher?».
«So che stai lavorando a qualcosa. Siamo sposati da ventitré anni, Dorcas. Percepisco sempre quando sei coinvolta in qualcosa».
«E da chi dovrei stare in guardia?».
«Lo sai».
«Se te lo sto chiedendo, evidentemente no».
«Non offendere la mia intelligenza, Dor. Ultimamente c’è più di una fuga di gas e capitano strani incendi nel mondo Babbano».
«Credi che c’entri io?», chiede piccata.
«Sei mia moglie».
«Questa non è una risposta».
«È l’unica che avrai, perché credo di averti dimostrato a sufficienza quanto ti stimi e ti rispetti ma la mia stima e il mio rispetto sono sempre stati condizionati all’essere sposato con una brava persona. Non condividerei il mio letto con un’assassina».
Il tono di Christopher è un bisbiglio mentre Dorcas incassa le parole amare di quel marito che in quei lunghissimi ventitré anni ha sottoposto ad innumerevoli prove.
«Scusami. Non so cosa mi è preso», gli dice toccandogli la mano in un gesto di pace.
Christopher si rilassa immediatamente e le stringe la mano, annuendo, ancora assorto, spostando spesso lo sguardo sui volti dei presenti.
«Sta’ attenta. Tutto qui», le sussurra poco prima che l’orchestra cominci a suonare.
Le sorelle della sposa, avvolte in eleganti vestiti verdi, precedono l’ingresso di Bellatrix, elegantissima e splendida nel vestito bianco e argento, e di suo Cygnus Black.
l’espressione della sposa continua a sembrarle indecifrabile e sfuggente. Le poche volte che Dorcas l’ha scrutata con attenzione vi ha sempre letto un’inquietudine profonda, che ha avuto il potere di farla tremare.
Ha sentito alcuni invitati malignare ed affermare che i Black odiano sempre l’idea di legare il proprio cognome a quello di altri, che Bellatrix Black avrebbe reagito negativamente all’idea di divenire Lady Lestrange. 
Eppure, Dorcas è convinta che ci sia qualcos’altro a scuotere la giovane.
Il volto di Bellatrix non tradisce un’emozione, persino durante il rito prescelto, mentre ciascun membro della famiglia trattiene le fedi nuziali augurando prosperità e lunga vita alla coppia4.
Se il viso di Druella trasuda gioia e soddisfazione da ogni poro per l’unione appena celebrata, quello della primogenita le appare imperturbabile anche una volta iniziati i festeggiamenti.
Tra i volti degli invitati arrivati dopo la celebrazione, Dorcas rintraccia presto molti dei Mangiamorte, un elemento in più per corroborare le voci che Caradoc ha raccolto.
Rodolphus, molto più gioviale della consorte, viene presto raggiunto da Dolohov e Nott e, pur non riuscendo a cogliere le parole che questi gli rivolgono, Dorcas riesce a cogliere un’espressione compiaciuta e soddisfatta.
Se non fosse stata così attenta a scrutare ogni gesto, ogni dettaglio di quella conversazione, probabilmente si sarebbe accorta della sedia che suo marito ha momentaneamente abbandonato, ora occupata da Evan Rosier.
«Lady Meadowes», le dice con tono cordiale.
«Signor Rosier, anche lei qui». 
«Ero dall’altro lato della sala. Druella è mia cugina» spiega rapidamente, come a voler giustificare la collocazione in postazioni differenti.
«Splendida cerimonia. La cara Druella è imbattibile in questo genere di feste».
«Sono certo che ne sarà compiaciuta e, poi, ne è valsa la pena, no?» chiede, con fare retorico, ammiccando in direzione di Rodolphus.
«Immagino di sì».
«Notavo che osservava con attenzione lo sposo».
«È pur sempre il suo giorno e ho perso di vista la sposa» replica prontamente Dorcas.
«Naturalmente. Altrimenti, mia cugina non sarebbe contenta di sapere che quel prezioso vestito passa inosservato».
«Mi preoccuperò di dire a Druella che il vestito di Bellatrix è incantevole, Signor Rosier, ma le lezioni di buone maniere sono finite molti anni fa per me».
Evan Rosier ghigna nel rintracciare il nervosismo di Dorcas e l’unica cosa che lei riesce a pensare è che, mentre lei scrutava Rodolphus, Rosier scrutava lei.
«Mi sembra di ricordare che questo appartenga a te, Dorcas», le dice improvvisamente più serio, più duro, fissandola negli occhi e poggiando sul tavolo l’anello con lo stemma di famiglia dei Meadowes.
Delle strade percorribili in quel preciso istante, Dorcas decide di seguire quella della più spudorata diplomazia.
«Ti ringrazio, Evan», ribatte con una glaciale e costruita cortesia, «Devo averlo smarrito durante una delle riunioni del Consiglio. Erano settimane che lo cercavo».
Rosier la scruta attentamente, nel tentativo di cogliere qualsiasi espressione che possa farla cadere, che possa metterla a rischio più di quanto non sia già.
«Sono lieto di esserti stato d’aiuto, allora».
«Esattamente quand’è che siamo passati a darci del tu?», chiede Dorcas nel tentativo di rimettere una maggiore distanza tra lei e il suo interlocutore.
«Credo che tutto ciò sia avvenuto nel momento in cui hai sabotato il mio, il nostro piano, perché, no, tu questo anello non lo hai semplicemente smarrito, soprattutto non lo hai smarrito al Consiglio. Entrambi sappiamo perfettamente dove hai perso questo anello e che non eri lì per caso».
Dorcas deglutisce, spiazzata dalla schiettezza di Rosier e alla disperata ricerca di argomenti che possano respingerlo ma riesce a pensare soltanto a chiudersi, a barricarsi in un silenzio e nella più totale negazione degli eventi.
«Non so di cosa tu stia parlando».
Rosier scoppia a ridere riuscendo ad irritarla e colpirla nell’orgoglio ancora di più.
«Facciamo così, Dorcas. Non so come tu sia arrivata lì ma, per essere la donna che ha sussurrato alle orecchie di una totale incapace come Eugenia Jenkins al punto da renderla Ministro della Magia, ho sempre saputo di avere davanti una strega di enorme talento».
Dorcas si irrigidisce e i suoi occhi corrono dall’altro lato della sala dove siede il Ministro Jenkins, circondata dal suo nuovo entourage, intenta a fumare uno dei sigari che lei tanto detesta. 
Le parole di Rosier non sono altro che un’eco della sua ultima litigata con Eugenia e di quelle venute prima.
Dal momento in cui si è seduta sul seggio, Eugenia ha avvertito tutto il peso di una consigliera ingombrante come lei, così poco abituata ad essere contraddetta e comandare, così scomoda nelle retrovie. 
Più di ogni altra cosa, una volta arrivata in cima, ha sentito il bisogno di non condividere il suo successo con nessuno, di non essere più, come l’avevano definita più volte i suoi avversari, un «fantoccio nelle mani di Dorcas Meadowes» e ha reciso tutti i suoi rapporti con lei.
«Non credo di capire il punto, Signor Rosier, ma la pregherei di essere breve perché vorrei andare a cercare mio marito».
«Il punto, Dorcas, è che potresti unirti a noi».
Dorcas sbatte le ciglia, impreparata a quella proposta.
«A voi chi?».
«A Lord Voldemort. Potresti avere finalmente il posto che ti spetta e mostrare a quell’inetta filo-Babbana della Jenkins com’è che si governa una comunità magica».
«Non credevo avessi ambizioni politiche, Evan».
«Non ne ho, infatti, ma tu sì».
«Se le avessi avute, le avrei coltivate prima».
«Sappiamo bene entrambi che Philodemus non te lo avrebbe mai permesso ma non è questo quel che volevo dirti. Puoi fare qualsiasi cosa tu voglia, puoi eliminare qualsiasi tipo di ostacolo di questa società, puoi piegare questa società ai tuoi scopi».
«Temo di non essere interessata, Signor Rosier. Non amo le carneficine» incalza Dorcas, abbandonando finalmente la strada della diplomazia.
«Siamo Maghi. Dobbiamo usare la Magia», ghigna Rosier.
«Non per uccidere e torturare, non per essere degli assassini».
«Credo che la legge magica sia più complicata di così e in fin dei conti…sono solo Babbani, no?».
«Anche voi siete solo Maghi».
«Non hai idea di che tipo di Mago sono».
«Oh, no, Evan. Dall’inizio della nostra conversazione è questo che ti sfugge: io so perfettamente che razza di Mago sei, so perfettamente quel che sei disposto a fare e quali sono le tue risorse. Tu, invece, temo sia in alto mare perché, se solo avessi avuto la vaga percezione della Strega che sono, non avrei mai e poi mai osato chiedermi una cosa del genere».
Rosier si alza di scatto, finalmente irritato ed infastidito, serrando le mani in un pugno per seppellire la rabbia.
«Non ho intenzione di sprecare sangue magico, ma sono sicuro che un giorno riconsidererai la mia offerta» le dice prima di andarsene.
«Credo che per allora l’inferno sarà gelato».
La mente di Dorcas corre veloce a quello strano modus operandi di Rosier, a mille interrogativi che avrebbe potuto porgli, cercando di capire se la sua sia stata un’iniziativa isolata o se quella proposta di reclutamento sia arrivata dal Signore Oscuro in persona.
In entrambi i casi, questo conferma solo i suoi timori: i Mangiamorte sono alla costante ricerca di nuove forze nella prospettiva di nuovi e più efferati attacchi. 
Il punto finale di quel piano non può che essere avere un Ministero al loro servizio, giorno dopo giorno, pronto ad autorizzare e a chiudere gli occhi dinanzi ai loro orrori.
Di quel che le sembra un quadro piuttosto chiaro, le sfugge ancora il momento in cui Lord Voldemort deciderà chiaramente e dichiaratamente di iniziare a seminare il terrore tra i Maghi.
Per il momento è soltanto una leggenda, un uomo che si muove nell’ombra e di cui nessuno sa nulla, ragione per la quale comprendere cosa voglia è una vera e propria impresa.
Il suo storico motto «Conosci il tuo nemico» le sembra inapplicabile in questa guerra, come se stesse giocando a scacchi con un uomo senza volto.
Muovendosi per la sala, nel tentativo di ritrovare Christopher, scruta ogni volto nel timore che qualcosa sia per accadere ma la festa sembra uguale a tante altre e non c’è nulla di diverso se non il suo evidente turbamento.
Quando rintraccia finalmente la sagoma di suo marito, legge sui suoi occhi un’ombra nera e una furia che non gli ha mai visto.
Nei loro ventitré anni di matrimonio, suo marito è sempre stato la personificazione della calma, non lasciando mai a nulla il potere di scalfirlo. 
La raggiunge con pochi passi, noncurante delle persone urtate senza grazia.
«Dobbiamo andare via di qui. Immediatamente» dice perentorio.
«Che sta succedendo?».
Christopher si guarda intorno e trascina sua moglie fuori dalla sala lontana da occhi e orecchie indiscreti.
«È qui» le sussurra.
«Di chi stai parlando?».
«Lord Voldemort, il Signore Oscuro. È qui» le ripete non smettendo di stringerla in un moto di goffa protezione.
Dorcas realizza finalmente le ragioni di quel terrore e si stupisce nel sentirsi più vicina che mai a suo marito.
«Vuole attaccare…».
«No, Dor, non vuole attaccare. È un ospite, anche d’onore a giudicare da com’è circondato. Credo che i Lestrange abbiano deciso di seguirlo, alla fine» spiega frettolosamente.
«Che intendi con ‘alla fine’?» chiede Dorcas sospettosa.
Christopher scuote la testa e sospira, sempre accorto a non essere ascoltato, attraendo sempre più a sé la moglie.
«È successo un paio d’anni fa. Tu lavoravi ancora con Eugenia e sospetto che sia stato questo il motivo principale per cui sono stato invitato. Rosier aveva organizzato un incontro, proponendoci di affiliarci a questo gruppo per ‘scoprire nuovi orizzonti della Magia e riportare il giusto ordine nella società’. Sono andato via quasi subito, insieme ad Orion Black, ma molti erano attratti, soprattutto Lestrange… Merlino, Rodolphus avrà ventidue anni…».
Nel tentativo di elaborare le informazioni apprese da suo marito, Dorcas si impone una calma innaturale. Dopotutto, ha la possibilità di incontrare finalmente quel nemico invisibile, di vedere il suo volto e di scrutare, anche se solo per poco il suo modo di agire.
«Chris, ascoltami. Non possiamo lasciare il ricevimento così, facendo un’offesa a Cygnus e Druella. Diremo che ho avuto un malore e che è meglio rientrare. Va’ a cercare Cygnus, io ti raggiungo tra pochi istanti. Devo trovare Emmeline e andare via».
«Da quando tu sei amica di Emmeline Vance?».
«In questo momento non è rilevante. Arrivo tra pochissimo» lo esorta Dorcas, prima di sgaiattolare nuovamente all’interno.
Scruta la sala velocemente, scartando angolo dopo angolo il luogo in cui trovare Lord Voldemort in persona.
Trascina via Emmeline dalla chiacchierata con la sorella minore della sposa, senza spiegarle nulla, muovendosi a tentoni senza realmente vedere chi cerca di fermarla, chi rivolge loro uno sguardo scettico e chi si lamenta dell’andatura brusca.
«Mi spieghi che sta succedendo?», chiede Emmeline disorientata.
«È qui, Lord Voldemort è qui», dice Dorcas sbrigativa mentre l’amica si irrigidisce immediatamente.
È solo alla fine di un corridoio che ha visto percorrere da Theseus Nott che finalmente trovano l’ospite d’onore. 
«L’onore che avete fatto a mio figlio è grande, Signore», biascica  Radolphus Lestrange con un tono reverenziale che stride con la sua personalità autoritaria e boriosa.
«Sono certo che Rodolphus si rivelerà una grande risorsa per i nostri scopi».
Lord Voldemort sembra quasi a disagio in quella grande sala, nascosto ed eternamente protetto da alcuni dei suoi seguaci.
«Andiamo via. Non si sente nulla», dice Emmeline, visibilmente scossa.
Dorcas annuisce, voltandosi più volte mentre torna verso la sala, con addosso la sensazione pulsante di dover fare di più, persa a cercare un modo, uno solo, per poter bloccare quel gruppo di assassini chiusi in quella sala.
Ha appena rimesso piede nel salone quando si sente stringere il braccio con violenza da Evan Rosier che la osserva con l’aria più seria e minacciosa che mai.
«Glielo ripeto con congruo anticipo, Lady Meadowes. O con noi o contro di noi» sussurra prima di scomparire nel corridoio, verso il Signore Oscuro.

Theseus Nott, padre di Theodore. Ho scelto io il nome.
Radolphus Lestrange, padre di Rodolphus e Rabastan Lestrange.

3 La stessa JKR ha dichiarato che eventi magici e babbani tendono a sovrapporsi.
Il riferimento è al rito del Ring-Warming, rito anglosassone in cui le fedi passano di mano in mano. Ho immaginato che nel loro caso passassero con degli Incantesimi benauguranti.

Note: questo capitolo, in realtà, era pronto da fine Settembre. Ho atteso a pubblicarlo un po' per il Writober, un po' perchè speravo di aggiungervi altre tre scene. Ho provato e riprovato ma alla fine mi sono resa conto che stridevano e ho deciso di rielaborare diversamente.
Questo capitolo è un po' più corposo dei precedenti mentre il prossimo sarà l'ultimo conclusivo di questa prima parte della Prima Guerra Magica (almeno nella mia testa e salvi cambiamenti di programmi).
I dati sulla Bombed Out Church sono tutti controllati, mentre ovviamente la storia della strega bulgara è inventata di sana pianta. 
Sperando che vi sia piaciuto e ringraziandovi per l'attenzione,
Un abbraccio
Fede

 

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