Le solitudini elettive.

di coopercroft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'arrivo a Londra ***
Capitolo 3: *** Mycroft ***
Capitolo 4: *** i miei coinquilini ***
Capitolo 5: *** Il lavoro al San Bart ***
Capitolo 6: *** La cena inaspettata con Mycroft ***
Capitolo 7: *** Ricordi dolorosi ***
Capitolo 8: *** La minaccia. ***
Capitolo 9: *** Mycroft cambia strategia. ***
Capitolo 10: *** L'archivio e la discesa negli inferi ***
Capitolo 11: *** Esperienze investigative e rimproveri ***
Capitolo 12: *** Prendersi cura del British Government. ***
Capitolo 13: *** Serata da Holmes. Prima parte ***
Capitolo 14: *** Serata da Holmes. Seconda parte. ***
Capitolo 15: *** Il racconto di Laura ***
Capitolo 16: *** Anthea si rivela un'amica ***
Capitolo 17: *** Una cena per due. Prima parte ***
Capitolo 18: *** Una cena per due. Seconda parte ***
Capitolo 19: *** Una amicizia letale ***
Capitolo 20: *** Il corpo di Gwen ***
Capitolo 21: *** Il bunker di Mycroft ***
Capitolo 22: *** Il ferimento di Laura. ***
Capitolo 23: *** Il bacio ***
Capitolo 24: *** La partenza di Mycroft ***
Capitolo 25: *** Le solitudini elettive ***
Capitolo 26: *** In attesa del suo ritorno ***
Capitolo 27: *** Un rientro angoscioso ***
Capitolo 28: *** Le confidenze con John ***
Capitolo 29: *** Ancora sir Malvest ***
Capitolo 30: *** Prove di strategia ***
Capitolo 31: *** Un armistizio precario ***
Capitolo 32: *** Mycroft è furioso ***
Capitolo 33: *** Niente è perfetto nemmeno l'amore ***
Capitolo 34: *** L'addio a sir Edwin Malvest ***
Capitolo 35: *** Partner of relevance ***
Capitolo 36: *** Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore ***
Capitolo 37: *** Quello che conta è averti al mio fianco. ***
Capitolo 38: *** Le onde e la barchetta chiamata Amore ***
Capitolo 39: *** Fastidiose interferenze ***
Capitolo 40: *** Iniziare insieme ***
Capitolo 41: *** L'angoscia di Mycroft ***
Capitolo 42: *** La misura del dubbio ***
Capitolo 43: *** Problemi e Chiarimenti ***
Capitolo 44: *** Convivenza ***
Capitolo 45: *** Quando il sesso completa l'amore ***
Capitolo 46: *** Epilogo: Westminster Abbey ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Avevamo aspettato troppo, presi a studiarci, a provocarci, entrambi chiusi nelle nostre fortezze.

La solitudine che ci aveva accompagnati per anni, era fiorita e ci aveva uniti.

Mi ricordai del libro di Goethe che mi aveva così tanto colpito quando l’avevo letto e quella frase che mi aveva emozionato : 

In questo lasciare e prendere, fuggire e ricercarsi, sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto legittimo un termine tecnico come affinità elettive.” 

Solo che la nostra era stata una sorta di “solitudine” elettiva.

Appoggiai la fronte al vetro, consapevole che non avevo avuto molto e non avevo dato altrettanto. L’orgoglio si era portato via tutto.

Se qualcosa era stato seminato ora era congelato. Freddo, sospeso alla mercé del caso.

 

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Capitolo 2
*** L'arrivo a Londra ***


 

 

 

 L’arrivo all’aeroporto di Londra fu in perfetto orario.

Lasciare l’Italia con il sole e ritrovarsi a respirare la prima nebbia della città, fu traumatico, ma avrei dovuto abituarmi in fretta visto che avrei trascorso sei mesi di tirocinio al St. Bartholomew’s Hospital  per diventare patologa forense. 

Mi strinsi nella giacca, desiderando un po' di calore, intanto cercavo con lo sguardo il mio tutor che attendeva nella sala degli arrivi. 

Vidi la dott. Hooper la riconobbi perché aveva in mano un cartello con il mio nome su cui spiccava un bel “Dott.ssa Laura Lorenzi, MD.” 

Mi inorgoglii della mia laurea e della mia futura specializzazione. Mi diressi verso la figura vestita con una giacca di lana con colori vistosi, che indossava un buffo cappello. Non era certo un tipico abbigliamento da inglese formale.  

“Dott. Hooper, che piacere incontrarla.”  Il mio inglese non era certo perfetto, ma contavo di migliorarlo in quei mesi. Le strinsi la mano con forza, sentii la delicatezza del suo tocco, una mano sottile, ma energica. 

“Venga Laura,” Hooper storpiava un po' il mio nome italiano, ma era normale pronunciato con quel tipico accento inglese.

 “La ospito a casa mia, finché non si libera una stanza dalla signora Hudson, una cara vecchia amica.” Le sorrisi, mentre mi trascinavo la borsa da viaggio.  Non avevo portato molti cambi di vestiario, decisa a fare acquisti nella City.  Prendemmo un taxi e attraversammo la città,  

La mia tutor abitava in una graziosa zona residenziale, divideva la casa con  altri colleghi, ma non poteva ospitarmi che per pochi giorni.  Mi sistemò in una camera con un’ampia finestra luminosa, un letto confortevole e una scrivania funzionale.  Appoggiai la mia borsa su di una sedia. 

“Mi spiace Laura di non poterti ospitare da subito.  Ti ho trovato una stanza a Baker Street,  per ora posso solo affidarti alle cure della signora Hudson e dei suoi stravaganti inquilini.”  Mi guardò pensierosa, ma si fece serena.

 “Con loro non ti annoierai di certo. Uno dei due collabora con me e con la polizia. Quindi sono di casa in un certo senso.”   Io annuii un po' distratta.

“Va bene dottoressa Hooper, di solito riesco ad adattarmi a qualsiasi situazione.” Cercai di tranquillizzarla facendole capire che non ero una persona schizzinosa.  Mi avvicinai ascoltando quello che mi stava per dire.

“Dovrai condividere parte dell’appartamento con due maschi adulti e una bimba, figlia del dottor Watson,  la cui moglie è morta circa due anni fa.  Loro dopo tante indecisioni, sono una coppia.”   Si fermò e fece scivolare le mani sui fianchi, mi sembrò imbarazzata.  “Questo può essere un problema per te?”   Non so perché non fui sorpresa, ma la mia famiglia adottiva in Italia era di ampie vedute e io ero cresciuta tollerante e disponibile a qualsiasi apertura mentale.

“Non ho nessun pregiudizio, dottoressa sono venuta per studiare non per giudicare la vita degli altri.”

Lei fu contenta della mia risposta, mi prese da subito in simpatia, poi mi lasciò nella mia stanza ad aspettare la cena.

 

 

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Capitolo 3
*** Mycroft ***


 

Era il primo giorno e mi svegliai presto, vidi la luce filtrare da sotto la tenda. Mi alzai,  stiracchiandomi aprii la finestra, guardai gli ordinati giardini delle villette della periferia di Londra. Trovai tutto così calmo e ordinato.  Rabbrividii investita dall’aria umida e richiusi in fretta, poi mi preparai, feci una rapida doccia e indossai dei Jeans, una bianca camicia di cotone, e un caldo pullover azzurro. Scesi in fretta per  non farmi aspettare.

Mi ero scordata delle abbondanti colazioni inglesi, io a Siena prendevo solo un cappuccino o un caffè.

Così declinai le offerte della dottoressa Hooper di mangiare, e mi limitai a prendere un tè leggero visto che non sapevo cosa mi avrebbe atteso all’obitorio. Certamente non volevo appesantirmi.

“Laura, non ti preoccupare all’inizio ti affiderò il laboratorio, solo più avanti ti farò sperimentare il resto.”  Molly era decisamente un ottimo tutor che non mi avrebbe spinto a decisioni forzate. Fare autopsie forensi non era una scelta facile, ancora non sapevo se sarei riuscita a superare certi blocchi psicologici. Aiutai la mia tutor a sparecchiare e lasciammo la casa.

 Fu Molly stessa a portarmi con la sua vecchia auto al San Bart. Il viaggio fu breve e silenzioso, ancora faticavo a parlare un inglese scorrevole. Molly mi indicava i vari nomi dei luoghi dove passavamo e cercavo di memorizzare il più possibile.

Arrivammo in orario.  L’edificio era maestoso, un po' retrò, alto e impersonale. Mi mise addosso una leggera inquietudine.

Hooper parcheggiò all’ interno nei posti assegnati, scendemmo dall’auto e percorremmo un viale con delle siepi curate, delimitato da alti alberi. Raggiungemmo un ampio parco con al centro un vecchio pozzo sigillato, attorniato da panchine di legno, dove erano seduti degli studenti. Un palazzo più piccolo si delineò davanti a noi.

“Laura ecco il laboratorio, e anche l’obitorio.”  Hooper aprì con il pass la massiccia porta a vetri e mi si parò davanti un ampio ambiente che portava ad altre stanze.  Fui subito colpita dall’odore di disinfettante, che non fu piacevole al primo impatto.

Lei vide la mia faccia contratta. “Stiamo cercando di migliorare questo odore troppo forte, che non è piacevole per nessuno. Fatti forza Laura ti ci abituerai.”

 La seguii senza dire nulla, raggiungemmo la sala del personale dove lei mi affidò il lavoro per quella mia prima giornata. Dovevo analizzare dei reperti, e catalogarli.  Mi assegnò il mio armadietto con tutto l’occorrente per il mio lavoro.  Molly prese il cartellino con il mio nome e il codice e lo appuntò sul taschino del camice.

Mi portò al laboratorio, che si trovava alla fine di un corridoio lungo ma ampio con delle finestre che davano sul cortile interno. Vicino alla porta a vetri c’era un tavolo di legno con una panchina appoggiata al muro, alcune bacheche erano appese piene di fogli e avvisi. Hooper aprì la porta e ci ritrovammo nel laboratorio, con le attrezzature sistemate in un lungo tavolo al centro, ordinate e tecnologiche.  Alla fine della stanza una scrivania era ingombra di carte e cartelle rosse. Mi indicò quella e il lavoro da svolgere.

“Bene Laura, comincia pure, se hai bisogno sono di là a fare una autopsia, quindi bada ad entrare. Fallo quando ti senti pronta.”  La ringraziai e mi misi al lavoro, lei era decisamente simpatica e alla mano. Sopportava con pazienza il mio Inglese difficoltoso, mi ripromisi di dedicare più attenzione alla lingua, che dovevo riuscire a pronunciare in modo perfetto.

 Fu completamente assorbita. Passai buona parte del tempo a catalogare, a compilare cartelle rosse indirizzate ad un ufficio del Governo. Su cui spiccava un bel Top Secret, che mi incuriosì.  Tutte le analisi erano inviate agli uffici governativi del Mi6.

Non che sapessi molto della gerarchia del Governo di sua maestà, però capii che erano importanti. Passai buona parte della mattina a scrivere e riordinare le carte accumulate sulla scrivania.

Hooper entrò e mi chiese come stava andando. Vide il buon lavoro e mi affidò un altro compito.

“Laura dovrebbe arrivare il signor Sherlock Holmes.

Dovresti consegnargli queste cinque cartelle. Arriverà tra circa una mezzora. Così conoscerai il tuo futuro coinquilino, che collabora molte volte con la polizia per le indagini di omicidio.”  Molly mi sorrise. “Se hai problemi chiamami. Lui è un po' particolare, ma è una brava persona.”

Rimasi perplessa, non feci in tempo a chiederle nulla, la dottoressa se ne era già andata. Alzai le spalle e ripresi il lavoro. Dovevo ancora prendere la misura al mio nuovo incarico. Lasciare l’Italia non era stato facile. Dopo la laurea volevo fortemente quel tirocinio, lo dovevo ai miei genitori adottivi morti assassinati durante una rapina nella nostra villa. Ne portavo ancora i segni nei polsi e nelle caviglie, quando mi avevano legato.

Sentii bussare, e lasciai i miei pensieri pesanti, mi  ricordai del mio incarico presi le cartelle rosse e mi avviai decisa verso la porta a vetri.

Aprii con leggerezza, ma mi trovai davanti una persona che non sembrava corrispondere alle descrizioni di Hooper.

Mi fermai con le cartelle in mano e lo guardai sospettosa, era un uomo maturo, vestito con ricercatezza inusuale, un completo tre pezzi elegante e indossava un Crombie scuro, con una sciarpa di seta costosa.  Aveva un ombrello che stringeva tra le mani, che puntò a terra. Ci appoggiò il peso e mi scrutò. Sollevò le sopracciglia e strinse gli occhi grigi. Era nel complesso un uomo piacevole.

 Mi mise decisamente in imbarazzo, all’inizio non ebbi nessuna empatia con lui.

“Dottoressa Laura Lorenzi? “Alzò l’ombrello puntandolo sul cartellino appuntato sul camice. “È la nuova tirocinante?  Italiana a quanto pare.

“Ha indovinato.”  Fui asciutta,  lo osservavo con curiosità.   “Quindi è a lei che devo consegnare le cartelle? È il signor Sherlock Holmes?”

Lo vedi stringere la mascella, ma mascherò rapido l’imbarazzo, era decisamente molto controllato.  

“Direi di no, sono il fratello, ma le può consegnare a me. E comunque, dottoressa io non indovino, osservo!” Lo puntualizzò era certo poco propenso a essere gentile, probabilmente era abituato a comandare. Si appoggiò nuovamente al suo ombrello, già mi sembrava strano visto che fuori c’era il sole. Certo era un tipo curioso. 

Sorvolai, abbozzando un mezzo sorriso, ma fui decisa.

“Mi spiace, ho l’ordine di darle al signor Sherlock, quindi attenda qui, sento come mi devo comportare!”

Sbuffò seccato, perse un pò di “English aplomb”, ma mi lasciò uscire senza aggiungere altro.

Raggiunsi Molly che mi confermò del fratello di Sherlock.

“Laura, non farci caso se sarà scortese, quella è proprio una sua caratteristica, diciamo così. Non ama essere contradetto.” Mi sorrise divertita vedendo la mia faccia contrariata.

Ritornai sui miei passi, decisa a non lasciarmi intimorire, certamente sorpresa da quell’uomo particolare.

 Quando uscii lo trovai voltato a guardare il parco, subito con fare canzonatorio, si girò.

“Bene allora, dottoressa Lorenzi, sono stato approvato per la consegna delle cartelle?”

 Cercai di essere fredda, gli risposi incolore. “Certo sig. Holmes, mi scusi, mi dia il suo nome la devo registrare.”

Questo lo irritò di più, mi ritrovai divertita a stuzzicarlo, perché non mi sembrava una persona da temere.

Appoggiai le cartelle sul tavolo, con lui vicino che mi osservava e aspettava.  Visto che non parlava lo sollecitai.

“Signor Holmes il suo nome, prego? Devo compilare la ricevuta.” Presi il registro   e aspettai.

“Per Dio, dottoressa Lorenzi!  Mi chiamo Mycroft Holmes, le va bene?”

Fece una smorfia che doveva essere un sorriso. “Vuole anche la mia carta d’identità, o il pass governativo?”

 Non raccolsi il suo sarcasmo. “Un nome inconsueto, come Sherlock del resto!”  Ridacchiai mentre lui mi guardava sottecchi.

Si avvicinò e firmò le carte. Il suo profumo di acqua di colonia cedrata coprì per un istante l’odore del disinfettante, mi fissò infastidito.

“Spero che non dovrò fare tutte le volte questa storia. Visto che mi vedrà spesso a ritirare le cartelle.”

“Bene, la terrò presente signor Mycroft Holmes.”  Se ne andò seccato, dopo avermi squadrato, mi salutò con un cenno del capo.  “Dottoressa Lorenzi a presto.” 

 lo guardai uscire mentre ondeggiava il suo amato ombrello. Eppure non mi fu antipatico, mi diede l’impressione di essere un uomo atteggiato, che aveva in realtà una grande solitudine, forse come la mia.

 Allora non ero a conoscenza di chi fosse e quali poteri avesse, solo più tardi seppi, che era lui stesso il British Government.

 

 

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Capitolo 4
*** i miei coinquilini ***


La giornata trascorse veloce, Molly Hooper fu contenta del mio lavoro, nonostante il mio inglese non perfetto.

 Contavo di dare alcuni esami per aumentare la qualità del mio lavoro, era importante riuscire a comprendere bene la lingua. Così mi ero munita di libri e decisa a studiare la sera. E avessi dato l’ esame di secondo grado avrei avuto più crediti per rimanere altri tre mesi. 

“Vedo che ti dai da fare Laura. Stasera ti porto a conoscere i tuoi coinquilini, poi vedrai quando trasferirti.”

Fui d’accordo meglio accelerare i tempi, prima mi inserivo meglio era per la mia vita sociale.

Così a fine turno Hooper mi portò a Baker Street, che non era nemmeno troppo distante. La via era affollata,  l’entrata era vicina ad un piccolo pub. L’ edificio era grande e ben tenuto. Bussammo alla porta e ci aprì una gentile arzilla signora di una certa età

“Eccola dunque la nostra nuova ospite! Venga cara si troverà bene con quei due squinternati di sopra!”

Fissai Molly sorpresa, che mi sorrise e mi spinse su per le scale.

“Non ti spaventare Laura, sono brave persone infondo…”  Il modo di fare di Molly mi fece presagire giornate non proprio tranquille, ma ero spesso fuori per lavoro e lo studio, perciò mi rassegnai, abbozzai ed entrai.

La mia prima impressione fu sconcertante, la casa era sicuramente “vissuta”, piena di oggetti, anzi decisamente ingombra. Delle poltrone piuttosto usate erano di fronte ad un camino, il tavolo nelle vicinanze zeppo di libri. Nel fondo della stanza si intravvedeva la cucina, dove scorsi un uomo con una bambina in braccio, che si dimenava per scendere e correre verso Molly. In fondo c’era un altro tipo con i capelli neri ricci, che osservava al microscopio.

Pensai subito che fosse il fratello del compassato Mycroft, perché ne aveva gli stessi atteggiamenti. Sollevò il volto e mi squadrò con la stessa tecnica del fratello.

John, così lo aveva apostrofato Molly, era invece il padre della piccola Rosie.

Fu cordiale e si presentò, pensai che almeno uno dei tre era normale.

Parlammo giusto il poco che era necessario, poi la signora Hudson mi portò al piano superiore dove trovai la mia camera, fortunatamente sgombra e luminosa, con una piccola libreria un tavolo dove poter studiare. Il letto era ampio, e soffice al tatto.  Nel fondo sulla destra c’era un piccolo bagno pulito e funzionale. Fui soddisfatta, e decisi di trasferirmi l’indomani.

Raggiunsi Molly di sotto, che parlava con Sherlock che mi guardò appena.   Rosie allungò le braccia verso di me, ne fui piacevolmente sorpresa. Rosie era affettuosa e morbida, la tenni in braccio volentieri.

“Laura, non fare caso ai fratelli Holmes, sono poco inclini ai gesti affettuosi. Ma quando servirà potrai contare su entrambi. Vero Sherlock?”  Molly diede una gomitata al riccioluto, che mi salutò con un mezzo sorriso forzato.

 Risposi ridendo, pensando a che tipo di rapporto ci potesse essere tra i due Holmes visto la mancanza di empatia.

“Ho conosciuto suo fratello stamane. E si è molto risentito perché l’avevo scambiato per lei.  Si offeso di più quando non gli ho consegnato le cartelle. Quindi posso capire il vostro modo di fare, Holmes.”

“Mycroft, scambiato per me doveva essere uno spasso! Ha il mio rispetto Dottoressa Lorenzi, immagino la sua faccia!”   Lui rise alzandosi e si avvicinò per salutarmi con più attenzione. Era decisamente più attraente del fratello maggiore. I lineamenti morbidi, il volto delicato e due occhi chiari incorniciati da ricci neri.

Era attento, e sembrava studiare le persone come le stesse sezionando. Mi sorrise, e fu educato come il fratello, ma era più schietto, più diretto.

“Spero si troverà bene con noi tre, siamo alquanto tolleranti ma incasinati, le prometto che non le invaderemo la sua stanza! Sicuramente il suo Inglese migliorerà visto che non stiamo mai zitti.”   

“Quindi siamo d’accordo, domani mi trasferisco e spero di non darvi fastidio, ma se voleste della giusta privacy dovete solo dirmelo.” Sapevo di rompere un po' i loro equilibri, avrei cercato di non essere invadente.

“Bene Laura, mi sembra già positivo il nostro primo incontro, e poi Rosie ti ha già in simpatia.”  John sembrava il più felice dei due, perché aveva capito che mi piacevano i bambini.

Lasciammo Baker Street, soddisfatte Molly era convinta che tutto sarebbe andato per il meglio. E anche io lo speravo vivamente.

 

 

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Capitolo 5
*** Il lavoro al San Bart ***


Il mattino seguente Hooper mi affidò ancora del lavoro al laboratorio, preparavo e compilavo le cartelle per il governo, quelle che poi puntualmente ritiravano gli Holmes. Un lavoro semplice in attesa di cominciare le mie prime autopsie. Puntuale alle dieci arrivò Mycroft  bussò alla porta a vetri, lo feci entrare visto che stavo ancora finendo.

“E’ in ritardo stamattina dottoressa Lorenzi, non ho molto tempo.” Era seccato e frettoloso,  vestito con la solita cura, come se fosse appena uscito da casa, appoggiò il suo ombrello sulla poltrona  e si sedette di fronte alla scrivania.

Era partito con il piede sbagliato, così finii per vendicarmi. “Ho quasi finito, stia sereno, le firmo e gliele consegno. Ma badi di non restituirmele scombinate come ieri.”

Aggrottò la fronte. “Nessuno nel mio ufficio mette in disordine le vostre cartelle!”

“Qualcuno si, visto che ho dovuto ripassarle tutte. Quindi la prego avvisi i suoi sottoposti che siano ordinati.” Fui troppo dura, ma mi irritava che mettesse in forse le mie parole.

Il risultato fu che la  prese malissimo, si alzò seccato, finì per girare a vuoto per la stanza. Osservava con finto interesse qualsiasi cosa gli capitasse davanti, sorrisi a testa bassa, mascherandomi bene.  Compresi che non amava essere redarguito, così smorzai un po' i toni.

“Forse la fretta non ha permesso di mettere tutto in ordine, capita, non ne faccia un problema”

Cercai di per metterlo a suo agio, ma si mantenne sulle sue. Ora di fronte a me con le mani piantate in tasca, che mi fissava severo. Tornai a lavorare il più rapidamente possibile per lasciarlo andare via.

“La smetta di fissarmi, Mycroft, mi mette in imbarazzo, sta studiando ogni mio movimento. Fa così con tutti?” Lo rimbrottai tediata.

“Le dà fastidio?” Fu come al solito arrogante e fastidioso.

 “Si, mi sembra un comportamento immaturo!” mi era presa la voglia impellente di provocarlo.

“Mi dà dell’immaturo?”  Roteò gli occhi, sbuffando.

Lo guardai con stampato un sorriso ironico. “Non sia mai, Mister Holmes,  soprattutto  a lei che tratta con ministri e regnanti.”

Si allontanò poco convinto. Il primo round lo avevo vinto, ora si sarebbe comportato gentilmente.

Finii per consegnargli le cartelle, che afferrò senza dire nulla.

Poi per stemperare la cosa, lo informai della mia visita a Baker Street e del mio imminente trasferimento.

“Mio fratello mi ha informato stamattina. Quindi la incontrerò più spesso di quanto credessi, Lorenzi!”

“E non sarà contento di vedermi di più Mister Holmes?”  Ci misi quel tanto di ironia che servì per pungolarlo.

Infatti borbottò qualcosa di incomprensibile, uscì fissandomi torvo.  Sorrisi ma allo stesso tempo mi rammaricai di averlo trattato così, non mi spiegavo il mio comportamento.

Molly entrò in quel momento e mi vide pensierosa.

“Che hai fatto a quel povero uomo laura? Bada che non è una persona facile, ed è molto di più di quello che sembra, praticamente tira le fila dello stesso governo. Sii cauta” 

“Lo sarò se lui si comporta da persona civile e non con quell’aria da superiorità. E qui potrebbe anche andare bene, ma quando ci incontreremo a Baker Street spero sia più gentile..”   Molly annuì.

“Sii paziente e vedrai che riuscirai a stabilire un rapporto o al limite una tregua. Perché gli Holmes sono persone particolari ma affidabili.”  Mi pizzicai il naso pensierosa e pentita,  poi andai con lei al laboratorio che precedeva l’obitorio,  mi prese il braccio e mi portò fino alla porta.

“Che dici di entrare? Solo per mostrarti com’è dentro.”  Pensai fosse una punizione per come mi ero comportata con Mycroft, ma non era così, perché Molly fu gentile e aspettò che rispondessi.

Acconsentii, ed entrammo nell’obitorio. Il primo impatto fu devastante, l’odore di disinfettante era totale. Le luci fredde e irreali. La seguii titubante chiedendomi se era quello il lavoro che volevo fare.

“Oggi ti faccio solo visitare la stanza,  il resto un poco alla volta.”  Il mio tutor fu quanto di meglio potessi avere,  mi guidò piano senza forzarmi dandomi il tempo di adeguarmi. La mia prima volta fu senza cadaveri,

e gliene fui grata.

 Quando uscii mi sembrò che il mondo al di fuori  fosse bellissimo, persino l’aria era leggera e apprezzai di più il fatto di essere viva e di respirare.

 

 

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Capitolo 6
*** La cena inaspettata con Mycroft ***


Quella sera mi trasferii dalla sig. Hudson. Mi accompagnò Molly che mi aiutò disfare i miei pochi bagagli. Sistemai la camera mentre pensavo al primo giorno al San Bart, e come avrei affrontato la mia prima vivisezione. Ero preoccupata ma decisa a imparare in fretta.

Finii di rifarmi il letto e scesi. Molly se ne andò quasi subito e così rimasi con John e Rosie. Preparai la tavola e diedi una mano per la cena.  Sherlock non c’era, conversai con John della mia visita all’obitorio, lui era un medico e poteva capire le mie difficoltà. Fu comprensivo e mi incoraggiò a continuare. Poi gli raccontai della visita di Mycroft, e sogghignò per tutto il tempo.

“Laura, non hai cominciato bene con Mycroft, devi prendere le giuste misure con lui.” John era sincero, conosceva già da tempo il fratello di Sherlock, e il rapporto complicato che li legava.

“Ma come, se è sempre così sopra le righe! Con quel fare saccente e irritante. Pensare che l’inizio mi era sembrato pure simpatico.  E solo.” 

“La solitudine per lui non esiste, ci sta bene dentro, non ama avere amici, nè relazioni, nel suo ambiente lo chiamano Ice Man.” Non mi stupii più di tanto vista la freddezza che mi aveva dimostrato.

“Starò più attenta visto che sarà spesso da queste parti. Cercherò di essere più tollerante.”  Finii di apparecchiare e presi in braccio Rosie per leggerle un libro di favole. Ci sedemmo sulla poltrona.

Non passò molto tempo, sentimmo dei passi salire le scale, la porta si aprì e invece di Sherlock fece la sua apparizione Mycroft. Una visita inaspettata vista la faccia di John, che non nascose la delusione.

“Se cerchi tuo fratello non è ancora tornato.”  Lui alzò la mano all’indirizzo del dottore.  Si era piantato al centro della stanza, con autorità.

“Sono venuto per dirti che stasera e forse domani sarà fuori. Un lavoro governativo improvviso, ma niente di pericoloso.” Appoggiò tutto il peso sull’ impugnatura del suo ombrello, inquadrandomi irritato. Mi aveva degnato della sua attenzione. Gli rimandai un sorriso falso.

 John si alterò.  “Avrebbe potuto avvisare, voi e i vostri segreti di stato!”  Poi sbuffò. “Almeno rimani a cena visto che avevo già preparato per tre.” 

 Mycroft tergiversò mi osservava mentre coccolavo Rosie. Stava valutando se passare una serata dove ci fossi anche io,  sembrava poco convinto.  Gli indirizzai un cenno del capo come saluto. Lui si accigliò e prese ancora tempo.

 John stava perdendo la pazienza, tormentava i fornelli con rabbia.  Allora intervenni, in fondo potevamo convivere  nella stessa stanza per un paio d’ore senza azzuffarci.

“Rimanga Mycroft, per pietà o John darà fuoco alla casa.”  Presi in braccio Rosie e la portai al padre. Mi rivolsi a lui che sembrava tediato.

“Perché non mi dà una mano, Holmes, così John si calma. Le prometto che non le darò fastidio.”  Risi vedendo la faccia di entrambi, John allibito, Mycroft contrariato.  Non gli lasciai il tempo di rispondere presi il grembiule, e glielo allungai, lo invitai a togliersi la giacca.  Volevo farmi perdonare per come l’avevo trattato.  

“Avanti Mycroft, mi dia una mano, trascorra la serata con noi.”  Contrasse i muscoli delle spalle, ma accettò.

 Tolse la giacca, e la sistemò accuratamente piegata sulla sedia, rimase in camicia e gilet con due buffe giarrettiere alle maniche, gli allacciai il grembiule dietro la schiena dritta e stretta, le spalle si allentarono un poco.  Magro e alto, profumava ancora di bucato fresco.  lo indirizzai ai suoi compiti di cuoco. 

John ci osservava dalla poltrona con la bocca aperta senza dire nulla, perfino Rosie cinguettava felice.

“Chiudi quella bocca Watson, lo faccio per riparare al danno di mio fratello, che si è defilato.” Holmes fece un lungo sospiro rassegnato. A capo chino sogghignavo, ma mi piaceva vederlo allentare quella sua stupida freddezza.

Devo dire che si comportò bene in cucina,  fu all’altezza, evidentemente cucinava spesso da solo. Sapevo della perspicacia degli Holmes e subito la trovai esposta.

“Che c’è Lorenzi?  Pensava fossi un impedito ai fornelli? “Mi rivolse un mezzo sorriso, che fatto da lui era decisamente molto.  Affettava le verdure con perizia, poi  io le saltavo in padella. Non invadeva i miei spazi, e non era pedante nel dare consigli, semplicemente svolgeva il suo lavoro attento. Che fossero documenti governativi o semplici verdure per Mycroft era uguale, stessa meticolosa attenzione.  Era difficile che si distraesse, che si sporcasse, cosa che invece regolarmente accadeva a me.

“Due grembiuli non le basterebbero Lorenzi.” Mi guardò già sporca di sugo, ghignando nel avermi sorpresa così maldestra.

Alla fine portammo in tavola la cena, ci raggiunse John con la piccola Rosie,  si era calmato per la  lontananza di Sherlock.  Mycroft era seduto al mio fianco, si dimostrò educato e gentile, mi riempiva il bicchiere come un perfetto gentleman, mi passava il cibo. 

Conversammo di cose leggere o di Rosie, ma mai del lavoro o di quelle cartelle così importanti. Nemmeno John chiese nulla.  

 Il British Government era rilassato appoggiato alla sedia, si era rimesso la giacca. Non avrebbe mai cenato in disordine. Notai che manteneva una costante distanza, difficilmente si lasciava toccare o avvicinare. Lo permetteva solo a Rosie.  Che spesso era attirata da lui e mai  si tirò indietro. La coccolava discretamente e le parlava come un’adulta. Lei lo ricambiava imbrattandolo di cibo, ma non perse mai la pazienza, mi sopresi di vederlo così disponibile. Per pochi minuti vidi una parte di lui che credevo non avesse : era premuroso.  John a testa bassa mi guardò e mi sorrise complice. 

Rosie cominciò a sentire la stanchezza.  John ci lasciò soli mentre la preparava  per la notte. 

Ci prendemmo carico di riassettare la cucina. Mi alzai e Mycroft mi seguì silenzioso per riordinare. Ruppe il silenzio dopo un po', forse non sapevamo entrambi come approcciarsi.

“Come va il tirocinio, Lorenzi?”  Mi sorpresi alla sua domanda, nessuna inclinazione nella sua voce.

“Bene, qualche difficoltà con L’inglese. Non sono mai stata ferrata nelle Lingue.” Fui gentile in fondo se lo meritava.

Mi fissò ironico, “Un lavoro così complesso e una cosa semplice come l’Inglese la spaventa?”  Ecco lì che ricominciava ad essere stressante!

“Non mi spaventa Holmes, ma ho delle difficoltà  con i termini tecnici,  non possiedo la sua “notevole intelligenza.” Così presi a infastidirlo anch’io.

“Chi le ha detto del mio quoziente intellettivo?” Fece una smorfia, mentre asciugava le stoviglie con meticolosa attenzione.   

“Voci che hanno messo in giro :   “Mycroft Holmes, the British Government”,   “The Smart one” o  soprannominato “Ice man”.  Risi e lui si offese, cambiò in volto, evidentemente non gli piacevano i nomignoli che gli avevano affibbiato. “E’ stato Sherlock?”

“Non svelerò le mie fonti.” Soghignai alla sua irritazione. “Nemmeno sotto tortura!  Oh, avanti Mycroft era una battuta, la sua fama la precede. Non fanno altro che dirmi di esser tollerante con lei.”

“Tollerante? “  Mi fissò arcigno e aumentò la forza con cui  si adoperava sulle forchette.

“Beh, non so mai come prenderla, in verità tende a offendersi spesso.”  Lo guardai divertita mentre gli caddero   le posate nella lavastoviglie.

“Non sono così difficile, sono gli altri che sono irritanti. Siete tutti cosi lenti.” Ora era ironico, era passato al contrattacco.   Lo aiutai a rimettere a posto il danno che aveva fatto.   “Ci scusi “Smart one” se non siamo alla sua altezza.”  Le cose stavano degenerando tra noi. Misi fine alla discussione.

“Smettiamola Holmes, ora basta finiamo la serata tranquillamente.”  Mi avvicinai, troppo per la sua area confort, lui indietreggiò.

“Non tema non voglio toccarla, nessun gesto che potrebbe ferirla.” Mi fissò stupito, chiedendosi come facessi a sapere dei suoi limiti autoimposti. “Non si preoccupi, ho notato che non ama il contatto fisico e per me non è un limite o un problema.”

Grugnì, si sottrasse al mio sguardo e scivolò di fianco. “Sto bene così, non ho bisogno di sostegno psicologico.”

“E non glielo darò, tranquillo.”  Le sue spalle si irrigidirono di nuovo, raggiunse il suo cappotto  e faticò a indossarlo.  Non lo aiutai, sapevo che non avrebbe apprezzato, non quando si sentiva messo alle strette.

“Comunque è stata una bella serata, e lei è un ottimo zio.”  Fui educata, non volevo che andasse via con un brutto ricordo.  Rimase silenzioso, mentre con la testa inclinata di lato per un lungo attimo mi valutò,  poi dopo una specie di assoluzione, si avviò alla porta con il suo amato ombrello.

“E’ stata piacevole anche per me. E Rosie è un’ottima nipote.”  Uscì dedicandomi uno sguardo fugace.

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Ricordi dolorosi ***


 

La mattina seguente incominciai in anticipo il mio tirocinio. Avevo deciso di assistere all’autopsia in programma, che iniziava alle 7,30, così uscii frettolosamente. Non feci colazione visto quello che mi aspettava, non sapendo se il mio stomaco avrebbe retto.

“Laura se ti senti sicura io ti ammetto in sala, ma se ti accorgi di non farcela esci e siediti in laboratorio a riprendere fiato. Oppure va a fare due passi.”  Cercai di rassicurarla, e mi armai di buona volontà. Indossammo le protezioni, tute verdi, guanti e cappello. Forzai il respiro e entrammo.

La temperatura della sala era bassa, ma non fastidiosa, forse la cosa che disturbava era l’odore di disinfettante. La camera era attrezzata con tavoli funzionali, in acciaio lucido, che già mettevano ansia per il loro aspetto ascetico.  Anche la luce interna era bianca e fredda. Nel lato destro le celle frigorifere erano disposte in ordine di data.  Molly ne aprì una e portò la salma sul tavolo, e devo dire che cominciai già a tremare. Hooper dettò il nome e cognome del corpo, la causa della presunta morte e cominciò il lavoro.

 Mi dava ogni tanto un’occhiata mentre mi spiegava cosa fare. All’inizio ressi bene, almeno un’ora la sostenni, ma quando arrivò ad aprire il cranio sussultai e sbiancai.  Molly se ne accorse e mi mandò fuori senza tante scuse.

“Laura, basta per oggi, riprendi fiato, sei stata brava. Bada a non svenire e farti male. E se te la senti consegna le cartelle come al solito.”   Non risposi, ma fui grata di poter uscire.

Respirai appena raggiunsi il laboratorio, vidi che erano quasi le dieci, così decisi di prendere le cartelle e aspettare gli Holmes nel corridoio.  Mi lasciai andare nella panchina che era vicino alla finestra, appoggiai le cartelle sul tavolo e attesi. Ma ero sconvolta e avvilita di non aver affrontato bene quella prima volta. Davanti al corpo di quell’uomo avevo subito pensato a mio padre adottivo, e questo non era stato un bene. Vecchi ricordi dolorosi si erano palesati con tutta l’angoscia di quella morte assurda. L’assassinio dei miei genitori adottivi e l’incubo di aver assistito alla loro morte, perché disgraziatamente c'ero e avevo pagato un conto salato di dolore fisico e mentale, mai superato. Appoggiai la nuca sulla parete fredda presa dallo sconforto e dalla nausea, chiusi gli occhi cercando di respirare ritmicamente. Avrei voluto piangere, ma quello non era il posto. Rimasi così cercando di calmare l’ansia. Passò un po’ di tempo.  Non mi accorsi dell’incedere di Holmes, pochi passi silenziosi e mi fu vicino.

“Giornata difficile, dottoressa Lorenzi?” Sentii la sua voce raggiungermi, era calma e gradevole.

Aprii gli occhi scostando il capo dal muro, vidi Mycroft di fronte a me. Era vestito come sempre con un vestito tre pezzi chiaro, aveva una cravatta di un rosso cupo insolito, intravidi il suo abbigliamento perché aveva il cappotto aperto.   Benché fossi contenta che fosse lui, fui subito scortese perché presa in un momento difficile.  “Le sue amate cartelle sono lì sopra, stia sereno non le farò perdere tempo.”

Cercai di abbozzare un mezzo sorriso, ma mi venne quasi un ghigno.

“Decisamente una giornata difficile!”  Affermò Mycroft, che rimase imperturbabile indeciso e titubante. fece una cosa inusuale per i suoi parametri, si sedette al mio fianco. Appoggiò l’ombrello e sfogliò le cartelle con noncuranza, come se fosse normale mettersi a rivederle lì.

“Qualsiasi possa essere il problema lo risolverà Laura, ne sia certa.” Io mi voltai a fissarlo stupita da tanto slancio di affetto e fui ancora una volta sarcastica. “Mio dio, crollerà Londra dopo queste parole.”

Ghignò, ma rimase fermo, la nausea era passata e il dolore si era un po' sciolto. Mi sistemai il cartellino sul camice bianco che pendeva pericolosamente. Lui era così vicino da sentire il profumo speziato   della sua colonia, che per un attimo cancellò lo sgradevole odore del disinfettante.

“È sempre così nervosa Laura, volevo essere gentile.” Era vero, mi rivolsi a lui meno tesa, e fui quasi arrendevole. “Ha ragione Mycroft è stata una mattinata difficile, la mia prima autopsia, credevo di reagire meglio, invece vecchi ricordi sono tornati prepotenti e forse non se ne erano mai andati.”  Mi scompigliai i capelli castani agitando la mano nervosamente.

“Deve lasciare fuori dalla porta il passato o la seppellirà in una marea di dolore Laura, e non sarà obiettiva.”  Holmes fingeva di leggere i faldoni, ma sapevo che aspettava, ero indecisa se dirgli la mia storia.

“Non è facile resettare i ricordi ed essere lucidi, non per me perlomeno. Non ho una mente così elastica come la sua.”

Lui alzò la testa, appoggiò nuovamente i faldoni, avvicinò le dita al mio polso destro e   scostò la stoffa del polsino, mettendo in evidenza le lesioni lasciate dal filo di ferro. Rabbrividii ricordandomi cosa rappresentano.

“Sono queste che deve dimenticare Laura, se vorrà diventare un buon patologo forense. Non si lasci distruggere da quelle cicatrici.”  Rimasi senza fiato, immaginavo le avesse viste la sera prima in cucina, lui era un acuto osservatore. La mia reazione fu di dolore represso, lui aveva già dedotto che erano dovute alla costrizione di essere stata legata in modo brutale, erano profonde e avevano segnato per sempre i miei polsi. Me li massaggiai sospettosa.

“Scusa Holmes, ma ora non mi sento di parlarne. Sono parecchio confusa, non prenderlo per un rifiuto capriccioso.” Lo osservai mentre cercava di darsi un contegno pari all’emozioni che provava e che lo infastidivano perché sconosciute.   Riprese le cartelle e si raddrizzò.

“Scusami Lorenzi, forse sono stato troppo invadente, ma era mia intenzione cercare di tranquillizzarti.” 

La voce era modulata gentile, e sembrava realmente dispiaciuto, era stranamente comprensivo. Mi sentii colpevole e decisi di stabilire un contatto fra noi.  

“Potremo stabilire una tregua, magari diventare amici, che ne dice Mycroft.?

Stavo tentando qualcosa di folle almeno per lui.

“Friends? Non ne ho mai avuti. Per quale motivo dovrei accettare Lorenzi?”

Ma era serio? Pensai sconfortata.  Passai al tu troppo avvilita dal suo comportamento. “Scusami non volevo distoglierti dal British Government accollandoti   un amico, donna per giunta.”  Aggrottò la fronte, chiedendosi se fossi impazzita. Non capivo bene cosa stesse pensando.

“Lasciamo stare Holmes. Forse non sai nemmeno cos’è.” 

“Certo che lo so, è una cosa impegnativa avere un “Friend” e nella mia posizione lo è ancora di più.”  Scosse la mano seccato, come se stesse scacciando un pensiero folle.

“Appunto, lasciamo stare. Ho voluto provarci, scusami.”  Mi alzai e feci per andarmene, lui era una partita persa già in partenza.

Sentii un profondo respiro e un mugugno, mi fermai, “Lorenzi, aspetta, forse potrei prendere in considerazione la tua richiesta.”

“Mycroft non devo compilare un “form” per diventare tua amica! Per Dio, è solo per aver un minimo di colloquio normale e affetto, se proprio la devo dire tutta.” Mi girai a fissarlo, seria e contrariata allo stesso tempo.

“Affetto?” Sembrava offeso, quasi sdegnato.

“D’accordo ho sbagliato termine, se ti spaventa diciamo …rispetto reciproco.”

“Meglio, ma io rispetto sempre e comunque chi frequento.” Mio Dio, questo discorso rasentava l’assurdo. Così glielo buttai lì, sconfitta.

“Non sempre Holmes. Non come ci siamo presi noi”

“Presi?”  Era sconcertato.

“Scusa, devo migliorare il mio inglese. Diciamo affrontati.”  Scossi la testa avvilita, pensai che facesse apposta.

“Se ho capito bene, pensi che tra noi non ci sia un’intesa.” Ora aveva afferrato, boccheggiò.

“Eccola mettiamola così Holmes.”  Lo studiai con attenzione emise due respiri profondi e portò le mani in tasca. Sembrava che gli interessasse, che volesse stabilire un legame con me.

“Io sono stato onesto Laura, cosa volevi che facessi, se tu continui a irritarti.”  Si piantò ondeggiando davanti a me.

“Forse è per il tuo atteggiamento, sempre così spocchioso.” Non ero riuscita a trattenermi e mi morsi il labbro per la mia inettitudine. Tutto contribuì a farmi diventare acida, la giornata difficile, i ricordi devastanti e lui che non riuscivo a collocare nella mia vita.

“Spocchioso, Lorenzi!   Spero ti sia sbagliata di nuovo con la Lingua.”  Erano saltati i fragili puntelli che ci sostenevano, lui indietreggiò, e io mi persi.

“No, sei irritante, decisamente, anche se cerco di avere un rapporto normale con te visto che frequento i tuoi amici, cioè scusa i tuoi conoscenti, e tuo fratello.”  Avevo oltrepassato il limite. Si girò trattenendosi, mosse due passi prese le cartelle, travolto dalle mie parole.

“Ho sopportato abbastanza, e bada Lorenzi che sono stato tollerante, forse “friends” fra noi non può esistere.” Afferrò l’ombrello appoggiato al muro, e con le cartelle strette sotto braccio uscì senza voltarsi.

Avevo scavato la fossa al nostro debole rapporto, se c’era stato, eppure la sera prima era stato piacevole stare con lui. La giornata era cominciata male e finì decisamente peggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** La minaccia. ***


    

Passai la giornata irrequieta, specialmente dopo lo scontro con Mycroft, quell’uomo mi esasperava eppure non riuscivo a eliminarlo completamente dai miei pensieri.

 Il suo carattere chiuso, il suo modo di porsi, l’abbigliamento ricercato e maniacale così fuori dagli schemi

 e quella noncuranza con cui trattava le persone mi scombussolavano.

 Avevo percepito la sua solitudine come uno scudo a qualcosa che non riuscivo a comprendere, un’estrema difesa contro il resto dell’umanità. Che infondo usavo anch’io, ma tutto ciò era dovuto al mio passato doloroso.   Dall’adozione quando avevo appena sei mesi, alla morte violenta dei miei genitori adottivi, un insieme di eventi che mi avevano portato a rinunciare agli affetti. 

Non fui lucida per il resto della mattinata, così Hooper che lo aveva percepito mi lasciò andare a casa prima dell’orario. Ero abbattuta per come avevo affrontato la mia prima volta   in sala autoptica.  Molly fu gentile mi rassicurò.

“Laura, non pensare di aver fallito, devi essere paziente. Le cose andranno meglio un poco per volta. Fai due passi ci penso io a mettere in ordine.”  Mi sfilai il camice, convinta di non essere ancora pronta.

“Mi prendo una pausa, compro dei biscotti per Rosie poi torno a casa. Comunque sei molto paziente con me Molly, te ne sono grata.” Sollevò la testa mentre sistemava i vetrini al microscopio, seduta al tavolo centrale del laboratorio.

“Con Mycroft oggi com’è andata?”  Era curiosa dello strano rapporto che avevamo intrapreso.

“Lui è stato gentile, invece io sono stata acida, alla fine abbiamo bisticciato, se ne è andato offeso.  Non riesco mai a trattenermi quando comincia ad arroccarsi in quel modo irritante.”   Sospirai sedendomi sullo sgabello vicino a lei.   “Eppure sento che vorrebbe avvicinarsi, ma improvvisamente si defila, come se avesse paura di stringere una innocua amicizia.”  Molly si strinse nelle spalle, si fece confidenziale.

“Sherlock era ancora più complicato, io l’ho amato molto. Ma lui era scostante e aveva altri progetti, così imparai ad essergli amica. Vedi gli Holmes sono difficili da comprendere, mancano di feeling, nessuna empatia, poche emozioni.”  Scosse la testa bruna, tristemente. “Dopo la morte di Mary Watson, quello che avevo sempre sospettato accadde.  Sherlock amava John, alla fine anche lui capitolò, molti sono bisex e non fu un problema.”

Rimasi perplessa, pensai che anche Mycroft potesse avere un compagno, glielo chiesi.   Ma Molly fu categorica, lui era semplicemente un’isola, non permetteva a nessuno di entrarci.  Per lui c’era solo il lavoro e la famiglia, cioè Sherlock, con cui però aveva un rapporto difficile, benché si amassero molto.

Molly mi fece capire che nessuno dei due aveva mai chiarito il perché del loro rapporto così complicato.  

 Rimasi sorpresa per la sua confessione.

“Grazie per avermelo detto Hooper, sarò più prudente con gli Holmes, specialmente con il fratello maggiore.”  

“È una brava persona, se ti prende sotto la sua protezione, mantiene le sue promesse in modo totale. Cerca di essere tollerante, anche se te l’ho già detto.”  Rise e riprese a lavorare.

Presi la mia borsa, indossai la mia giacca blu e mi sistemai i capelli castani che svolazzavano ribelli.   Uscii   a piedi dirigendomi verso il centro, percorsi il fiume, mentre guardavo i negozi dal lato opposto cercando il negozio Ben's Cookies per Rosie.

 Non feci molta strada quando un’auto simile a quella che avevo intravisto accompagnare Holmes al San Bart, mi affiancò, dalla portiera dietro scese un uomo agghindato come lui. Abito tre pezzi costoso da dirigente governativo. Mi fermai quasi obbligata dalla curiosità.

“Dottoressa Lorenzi?  Posso scambiare due parole con lei?” Non feci in tempo a rispondere perché continuò deciso.  “Abbiamo un amico in comune, Mycroft, ma stia tranquilla non sono una persona pericolosa.”  Lo osservai e notai che non aveva niente della sua trasparenza, né la padronanza. Mi misi sulla difensiva quando accennò al maggiore degli Holmes.

“Non ho molti amici a Londra, né tanto meno il signor Holmes. Mi dica il suo nome, credo di non averlo compreso bene.” Fui sarcastica, ma lui rispose pacato. “Sono Sir Edwin Malvest, lavoro nello stesso dipartimento di Holmes, so che viene spesso al san Bart. Questo mi incuriosisce alquanto, vorrei sapere il perché di questa frequentazione metodica.”

Io sorrisi chinando il capo, lo fissai decisa, chiaramente irritata.

“Sir Malvest, perché non lo chiede a lui direttamente?   Se lavorate al British Government cosa posso risponderle io, che sono una specializzanda? La prego mi faccia il piacere, mi lasci passare.”  Mi scostai cercando di superarlo, ma scortesemente mi afferrò per il braccio. Una sensazione di disgusto mi assalì, quella mano che mi tratteneva fu decisamente troppo, lo affrontai senza arretrare di un passo, mi avvicinai così tanto al suo volto che si ritrasse spaventato. “Sir Malvest si comporti da Gentleman, tolga la sua mano dal mio braccio. Subito.”  Il mio tono non ammetteva repliche, quello arretrò e lasciò la presa seccato.

 In quello stesso istante sentii arrivare un’auto stridendo, era una Bmw nera, tipica auto governativa. Accostò, stavolta Mycroft scese velocemente, con il cappotto aperto e senza il suo prezioso ombrello, mi fu subito vicino. Accennò un saluto chinando lievemente il capo.  Rimasi senza parole, lo fissai stupita chiedendomi da dove arrivasse e come sapesse che ero lì.

 Si rivolse sprezzante all’uomo. “Buongiorno, mio caro collega, vedo che non sei stato molto cortese con la dottoressa, un vero peccato dimostrare di non essere all’altezza del titolo che porti.” Sir Malvest si allontanò quel tanto da non essergli troppo vicino, ma lui non lo lasciò arretrare. “Le questioni tra noi si risolvono tra uomini, non importunando una specializzanda. Edwin, non tollererò altre iniziative di questo genere credimi, ma già lo sai, so essere molto determinato, non provocarmi.” 

Mycroft lo sovrastava, la voce era tagliente, ma faticava a trattenersi, non me lo aspettavo che perdesse la sua proverbiale calma.  Così decisi di intervenire.

“Non è successo niente di grave, forse è meglio smorzare i toni. Sir Edwin sarà più misurato in avvenire.”  Presi prudentemente la manica di Mycroft, lo sollecitai ad andarcene. Si scosse, distese la fronte solcata da due segni profondi, riprese immediatamente la calma. Tolsi subito la mano, sembrò non notarlo, fece un breve saluto al rivale e si girò verso di me.

“Vieni Lorenzi, dimentica questo increscioso episodio.” Cercò di trascinarmi all’auto, ma io lo fermai.

 “Santo Dio, ma da dove arrivi Holmes?  Come hai fatto?”   Lui rivolse lo sguardo verso l’alto.” Telecamere, le abbiamo ovunque.”

“Lo so delle telecamere, ma disponi del controllo di tutta Londra?  E quindi mi spii?  Ma chi sei in realtà?” Gli rifilai uno sguardo sbalordito, lui fece un sorrisetto complice. “Un funzionario Governativo con un piccolo incarico.” 

 Mi limitai a sogghignare. “Ne dubito.” 

“Dobbiamo discuterne in strada o vuoi salire in auto, Lorenzi?” Allungò il passo gli andai dietro poco convinta. Solo poche ore prima ci eravamo lasciati malamente, ora lui era apparso dal nulla, come un super eroe dei fumetti. 

Salii nel Bmw, salutai l’autista, che gentile rispose sorpreso, lui invece mi guardò sconcertato, troppa confidenza ai suoi sottoposti non gli garbava.

Vista la mia faccia sbottò. “Lui è Albert, il mio autista personale, fidato e attento.”  Si accomodò meglio e mi guardò di straforo. Spostò il suo amato ombrello per farmi posto.

“Ma non avevamo litigato noi due?”  Lo rimproverai guardandolo ironicamente, mentre si sistemava la cravatta che probabilmente si era spostata di qualche millimetro.

 “Avresti preferito che ti lasciassi a Sir Malvest?  Ma Laura, forse un amico serve molto di più a questo, che a quello che credi tu.”

“Magari se non mi avessi messo in pericolo con i tuoi traffici.  Per Dio! Cosa nascondono quelle cartelle che ti ostini a consultare?”  Se voleva un modo per farmi arrabbiare ci stava riuscendo. Mi scostai da lui temendo di essere troppo vicina, mi appoggiai allo schienale, aspettando la sua reazione. 

“Ma sono stato presente! Sempre.” Respinse indignato la mia accusa, ma ebbe un attimo di incertezza, mentre inclinò la testa verso di me e mi scrutò attento. “Ora non ti posso spiegare, ma è di vitale importanza continuare quel lavoro.”

“Avrei preferito comprare i biscotti per Rosie, senza dovere essere spiata e trascinata via.”  Strinse la mascella quasi chiuse del tutto gli occhi. “Prenderò altri provvedimenti, non limiterò la tua libertà.”  Gli uscì la voce   secca e bassa.

“Bene, fallo Mycroft, perché questa cosa non mi piace.”  Mi voltai, lo trafissi con un’occhiata gelida. “Non voglio avere paura, Holmes.”

 

   

 

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Capitolo 9
*** Mycroft cambia strategia. ***


    

Trascorsi la serata, girando annoiata per casa, con la testa presa dalla giornata movimentata che avevo trascorso. Mycroft mi aveva accompagnato a Baker Street senza dire più nulla, ero scesa dall’auto salutando soltanto Albert, talmente risentita dal suo comportamento.

Non comprendevo come potessi essere finita nel bel mezzo di un affare di stato.

 Ero arrivata a Londra per studiare non certo per guardarmi costantemente le spalle. 

Sherlock dalla poltrona mi osservava, la cosa finì per infastidirmi così mi avvicinai.  Mi lasciai cadere sulla poltrona di fronte a lui. E iniziai a travolgerlo di parole su quello che era successo.

“Era da prevedere che non sarebbero passate inosservate le nostre frequentazioni al San Bart. Ma sta tranquilla Laura, Mycroft cambierà strategia.”

 Vedeva la mia preoccupazione. “Probabilmente deciderà di consultarle da voi, così i vostri amabili scontri si intensificheranno.” Sorrise enigmatico, mentre io lo guardai seccata.

“Quindi sai che spesso finiamo per litigare!”

“E il bello è proprio quello, perché gli opposti si attirano e più all’opposto di voi due…” Rise come solo lui sapeva fare, abbassando la testa e scuotendo i ricci neri.

“Sherlock per Dio, ma sei serio? Tuo fratello è una lotta continua! Non riusciamo a stabilire nessun contatto.”

Mi guardò con un ghigno smaliziato.  “Mia cara Laura! Non vedete le cose più ovvie.”  Rimasi senza risposta, mi diede un colpetto sul ginocchio, lo guardai impettita e andai ad aiutare John.

Avevo la testa in fiamme, mentre affettavo verdure e cuocevo la pasta. Pensavo alla frase di Sherlock senza capire dove era l’ovvio di cui parlava.

Alla fine mi arresi, cenammo tutti insieme con Rosie che si arrampicava sulle mie gambe, felice di sporcarmi di cioccolata i Jeans nuovi.

 

Il mattino dopo arrivai al san Bart in anticipo, non avevo fatto colazione sempre in tensione per l’obitorio. Trovai Molly già al lavoro affaccendata alla scrivania che compilava la lista delle autopsie.

“Ciao Lorenzi. Ho una novità, spero la prenderai bene!” Alzò lo sguardo e vedendo la mia faccia sorpresa continuò.

“Mycroft si sposterà nel piccolo ufficio di fronte al laboratorio, non porterà più via le cartelle, le consulterà qui. Spero gli darai una mano a scendere nell’archivio, e a rendere agibile quell’ufficio dimenticato e ingombro.” 

Annuii incerta, mentre appoggiavo la giacca e la borsa.  “Tranquilla non vi disturberete, poi riprenderai il tuo tirocinio e le autopsie.” 

Increspò le labbra scrutandomi, le mandai un sorriso rassicurante, visto che non potevo fare altro.

 Avrei aiutato Holmes cercando di trovare un punto di intesa.  Sherlock in fondo mi aveva già avvertito che quello poteva essere il prossimo passo, così mi preparai ad affrontare una doppia sfida: Mycroft e le autopsie. Non sapendo quale delle due fosse la più impegnativa.

Mi cambiai rapidamente e mi rassegnai.  Cominciai a guardare dentro quella specie di ufficio che era più che altro un deposito di vecchi faldoni.

Accelerai i tempi, presi a fare un po' di ordine. Hooper si stava occupando di un caso di omicidio. E mi irritai maggiormente pensando che potevo assistere, invece ero lì a spostare faldoni polverosi.

In quel momento arrivò Holmes e come accoglienza ricevette un’occhiata velenosa. Salutò e si stampò in faccia quel sorrisetto ironico così fastidioso.

Mi girai rispondendo appena mentre tossivo per la polvere che mi invadeva le narici. Presi in malo modo una mascherina e la indossai.

“Allergica alla polvere Lorenzi?” Era divertito dalla mia insofferenza, soprattutto se rivolta a lui.

“Mycroft per piacere non cominciare, cerca di essere comprensivo e dammi una mano.” Mi fermai con i faldoni in braccio, lo squadrai. 

“Come farai a pulire vestito così.”  E sì!  Perché era arrivato al san Bart agghindato come se dovesse presenziare una riunione al consiglio di stato.

“Farò, tranquilla Lorenzi.”  Lo guardai ghignando, mentre si toglieva cappotto e giacca rimanendo in gilet e camicia, arrotolò le maniche, allargò le braccia e mi guardò sogghignando. “Va bene Laura?”

Sbuffai divertita, non riuscii a trattenere una risata sincera da sotto la mascherina.

“Forza, Mycroft, comincia a portare i faldoni nel ripostiglio.”  Non era caldissimo nel laboratorio, che fosse in camicia mi preoccupò non poco. Sperai non si prendesse un accidente.

Lavorammo silenziosi, lui era attento come sempre, qualsiasi cosa facesse la svolgeva con impegno.

In breve l’ufficio fu sgombro, così passai alle pulizie, tolsi la mascherina e mi dedicai alla scrivania, mentre lui si occupava della poltrona vecchia, ma funzionale.

“Non hai freddo? Non è caldissimo qui dentro.”  Si fermò a guardarmi, che si preoccupassero per lui era una novità, piacevole o no rimase perplesso.

“È una cosa che fanno i “Friends,” angosciarsi a vicenda?  Ma Laura sto bene e non ho freddo!” 

“Sono tutto fuorché angosciata, però non mi va di averti sulla coscienza.” Inarcò le sopracciglia e riprese a lavorare con lena.

Ordinai tutto meglio che potevo, consapevole che odiava la confusione. Era troppo pignolo e preciso nei modi, perché potesse lavorare dove non ci fosse equilibrio e precisione.

Alla fine la stanza sembrava più accogliente. Anche la luce che filtrava dalla finestra era funzionale, non troppo eccessiva secondo i gusti di Holmes.

Lo guardavo armeggiare con una lampada da tavolo con una precisione chirurgica, alla fine riuscì a recuperarla.

“Non ti sapevo così esperto nel bricolage.” Lo canzonai mentre si alzò con i suoi pochi capelli spettinati. “Basta osservare e le cose si possono aggiustare con facilità.” 

Risi, mi guardava serio riaggiustandosi la poca chioma che aveva.  “Ti chiamerò quando non mi funzionerà qualcosa in casa.” 

Stavolta non raccolse, ma rimase serio, troppo preso dal suo lavoro.

“Bene posso occuparmi del laboratorio, adesso?”  Divenne pensieroso, mentre si rimetteva in ordine e indossava la giacca. “Laura, ti chiedo un’ultima cosa. Dovrei scendere in archivio, ho bisogno del tuo aiuto per individuare i faldoni.” 

Annuii poco convinta, scendere di sotto mi metteva un po' d’ansia. Era un posto buio che si raggiungeva scendendo una scala ripida, poi percorrendo un lungo corridoio poco illuminato, che portava ad una porta blindata. Ci voleva il pass per aprirla, questa introduceva in più stanze adattate ad archivio.

Mycroft indossò il cappotto e io la giacca. Presi il pass e una lampada di emergenza, avvertendo una leggera agitazione.

 

 

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Capitolo 10
*** L'archivio e la discesa negli inferi ***


Scendemmo la scala attenti, lui mi precedeva. Holmes accese la luce e il corridoio si illuminò debolmente, delle luci più forti sarebbero state necessarie. Lo percorremmo, mi strinsi nella giacca tremando di freddo.

“Lorenzi, che hai? Paura per così poco?” Si era girato fissandomi incerto. “Vuoi aspettarmi qui?”

Diedi fondo a tutto il mio orgoglio.  “Tremo di freddo, non di paura.” Sentenziai acida.

“Bene allora andiamo.”  Infilai il pass e la porta si aprì cigolando, entrammo. Lui impassibile, io nel caos. Una zaffata di muffa ci investì, arricciammo il naso.

“Cerco la lettera M, sai dove trovarla?”

“Certo, ho visto la pianta e la disposizione dei faldoni. Andiamo in fondo da quella parte.”  Lo guidai verso una stanza piccola e più buia.

 Tentennavo davanti alla porta, lui se ne avvide, mi disse di aspettarlo fuori. “Farò presto vedo che questo posto non fa per te.” Mi fece un sorriso, ma la presi per una burla. “Non sei simpatico,” gli borbottai seccata. Si girò senza aggiungere nulla.

Rimasi sulla porta guardando in giro. Ma il buio ingigantiva la mia ansia, mi tornò tutto in mente, vivido come se non fosse mai passato. Le ferite sui polsi mi diedero delle fitte dolorose.

Le massaggiai piano, terrorizzata dalla porta buia che mi si apriva davanti. Uguale a quella che portava alla camera dove fui rinchiusa dagli assassini dei miei genitori, quando iniziarono a rivolgere le loro attenzione malate su di me.

Persi il controllo, quello cercato per anni. Presi a sudare nonostante il freddo umido e mi sentii soffocare.

Mi appiattii sul muro e rimasi impietrita, incapace di inghiottire aria.

Così mi trovò Mycroft.

“Laura, che ti succede?”  Cercò di prendermi per le spalle, ma terrorizzata dai ricordi e non riuscendo a vederlo per il buio, lo spinsi via in malo modo. “Non mi toccare!” Gli gridai così forte che indietreggiò spaventato. 

Lo fissavo terrorizzata sovrapponendo i volti dei due balordi che mi avevano seviziata, al suo.

“Laura, sono Mycroft, guardami sono io.” 

Teneva le braccia alzate e le mani aperte in alto. Aprì la porta per far filtrare la poca luce che c’era. Ma io non rispondevo a nessuno stimolo.

“Guardami Laura, sono Mycroft.”  La sua voce era calma, ma ero in pieno panico, mi lasciai scivolare giù   sul pavimento raggomitolata su me stessa spaventata a morte.

“Laura, ti prego guardami, sono Holmes, il tuo  “friends”. Lo rammenti?”  Era dolce, la voce modulata. Lasciò cadere i faldoni e tentò di avvicinarsi un pò di più, ma urlai senza ritegno.

 Non lo vedevo era maledettamente   buio e percepivo solo una presenza maschile ostile e il dolore ai polsi divenne acuto.

“Non mi toccare, ti prego. Non colpirmi, non farmi del male.”

Mi uscì una voce piagnucolosa, che lo fece fermare. Trafficò con la lampada e la puntò sul suo volto.  Ora la luce lo illuminava e misi a fuoco.

“Sono Mycroft, mi vedi ora. Non ti farei mai del male, fidati di me e usciamo di qui.  Cosa ne dici?  Ce ne andiamo?”

 Lo inquadrai e allungai la mano tremando. La prese titubante, temeva in una mia reazione incontrollata, ma visto che non mi agitavo, la afferrò saldamente.

 Non riuscivo a emettere nessun suono, presi a iperventilare mentre mi tirava su in piedi e mi appoggiava al muro. 

“Non ora! Non farmi anche questo adesso, respira per Dio.”  Mycroft distese il braccio sotto la mia giacca, allargò la mano, cominciò a forzarmi per riprendere aria spingendo sul diaframma ritmicamente. “Avanti Lorenzi, non farmi perdere la pazienza, non soffocare. Non c’è nulla di cattivo qui sotto. A parte me.” Sorrise e quella battuta stupida mi diede forza.

Annuii, faticavo a riprendere fiato, piantò i suoi occhi grigi rabbiosi sui miei. “Avanti Laura, sai fare di meglio. Respira o ti riempio di schiaffi.” Cercai di seguirlo ma mi perdevo. Cambiò metodo, mi prese la mano e la piantò sul suo petto, sotto il cappotto. “Segui il mio ritmo, forza.” Lo guardavo allo sbando, imbarazzata per quello che mi stava accadendo. Ma lui era tranquillo, i suoi occhi si addolcirono, la sua rabbia divenne placida. E cominciai a respirare, con una cadenza regolare, mentre sentivo le mie dita intorpidite scaldarsi all’altezza del suo cuore, tra le pieghe della sua camicia costosa...

La sua sicurezza trascinò anche me. Piano rinsavii, abbassai la testa turbata e a disagio. Ritrassi la mano, mi aveva permesso di toccarlo, sapendo quanto gli costava.

“Mi dispiace, non so cosa mi sia preso, erano anni che non mi succedeva.” Balbettai. “ Non so nemmeno cosa ho detto, cosa ho fatto, scusami.”  Lui mi sollevò il mento.

“Stai bene ora?”  Toccò i miei polsi con delicatezza.  “Brutti ricordi legati a queste ferite?  Non preoccuparti di nulla, ora non voglio spiegazioni. E usciamo di qui.”  Per un breve attimo lo sentii vicino, e tremai, ma non di paura nè di freddo. Mycroft era stato gentile, premuroso e rude al punto giusto e gliene fui grata.

Lo aiutai a riprendere le cartelle.

“Guarda che guaio mi hai fatto combinare.”  Sorrise. “La prossima volta preferisco scendere da solo. Ok Lorenzi?”  Annuii, ma se aveva imparato a conoscermi anche di poco, sapeva che ci avrei riprovato. Alzò lo sguardo e capì.

“Va bene, se dovessimo scendere insieme, mi porterò una luce più forte, chiederò a Molly di intervenire in questo posto. O tu ci morirai qui sotto.” 

Raccogliemmo le ultime cartelle   insieme. Poi lo seguii mentre mi spingeva per  la vita  e mi teneva. “Non cadrò, Mycroft, l’ho superata, sono anni che convivo con questo dolore.” 

Mi lasciò lentamente assicurandosi che fossi stabile, e mi dispiacque. La sua mano era calda e rassicurante. Ma mi gettò in un turbamento che non avevo mai provato.

Tornammo di sopra, appoggiai le cartelle sulla scrivania del nuovo studio, e andai a sciacquarmi la faccia. Mycroft rimase a sistemare il suo piccolo ufficio, lo intravidi togliere il capotto pensieroso.  

Me lo ritrovai poco dopo sulla porta del bagno.

“Tutto bene Lorenzi?” Rimasi sorpresa dalla sua sollecitudine. “Mycroft, sto bene, tranquillo, mi rimetto in sesto. Mi dispiace, credo avrai capito cosa mi è successo e perchè…” Abbassai la testa e i capelli mi coprirono la fronte. Tremavo, ma lui fu rapido, mi prese il viso fra le mani. Rimasi sorpresa da quel gesto inusuale, poco nelle sue corde.

“Non dire nulla adesso, prenditi il tuo tempo Laura, io ci sarò sempre.”

 Annuii senza parole, godendomi il calore che mi davano le sue dita delicate, mi fissò con gli occhi grigi limpidi. Inaspettatamente, come se qualcosa lo avesse turbato lasciò la presa, ritornando il Mycroft di sempre. Fece un mezzo sorriso, affondò le mani in tasca, si girò e tornò al suo ufficio.

Rimasi sconcertata, presi a lavorare al minimo piena di dubbi.  Alcuni riguardavano la mia reazione al buio e altri la strana deviazione che stava prendendo il mio rapporto con Myc. Fui confusa e irritata, sbagliai i reperti, li catalogai senza riflettere... 

 Mycroft ricevette una telefonata, indossò il cappotto elegante, si assicurò ancora che stessi bene e se ne andò, afferrando il suo amato ombrello. 

Apprezzai molto che non mi chiedesse nulla, rimasi da sola in laboratorio, turbata.  Non capivo se Mycoft avesse intuito dello stupro che avevo subito.   Quell’abuso impietoso che mi avevano riservato gli assassini dei miei genitori, chiusa in quella stanza buia che puzzava di morte e violenza.

Non avevo più cercato affetto in un uomo e mi mantenevo distante da qualsiasi rapporto di coppia.  Per me l’amore non esisteva, l’avevo sempre evitato temendo di non riuscire a superare il trauma. Almeno fino ad ora.

 

 

  

 

 

 

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Capitolo 11
*** Esperienze investigative e rimproveri ***


 

  

Non fu una mattinata facile, dopo che Mycroft se ne andò, fui presa da mille dubbi. Soprattutto per quello che mi era accaduto.

Dopo la morte violenta dei miei genitori, ero stata seguita da uno psicologo, sembrava che avessi superato le paure che mi avevano segnato. Ma ora mi domandavo per quale motivo fossero ritornate prepotentemente a galla.

Dovevo cercare di trovare la causa, pensai che la prima autopsia su quell’uomo le avesse per così dire, risvegliate. 

Se non avessi superato le mie paure avrei dovuto abbandonare il San Bart, e il mio progetto di vita.

Preoccupata, saltai il pranzo, completai gli esami di laboratorio della salma che avevo esaminato il giorno prima.

Mi ritrovai sconcertata a riflettere sulla sensazione che avevo provato, quando Holmes, aveva appoggiato la mano sulla mia schiena. Mi aveva destabilizzato, creando un sottile disagio. Non riuscivo a mettere a fuoco cosa provassi per lui. Se fosse dovuto solo al momento o alla paura che avevo provato.  Mi resi conto che mi mancava vederlo trafficare nel suo studio precario.

Mi diedi dell’imbecille, strappai malamente i fogli di appunti sbagliati, e cominciai a riesaminare il corpo che avevo lasciato incompleto.

Non mi accorsi del tempo che passava, mi occupai di Hugo, così avevo chiamato la povera salma, non lasciando nulla da parte.

 Esaminai ogni ferita, cercando di non pensare a papà e alle torture che aveva subito. Hugo svelò tutti gli indizi necessari a trovare i colpevoli dell’aggressione e della sua morte. Sotto le unghie pezzi di pelle mi guidarono al Dna. Piccole tracce ematiche secche, e tagli mi fornirono altri dettagli.  I corpi dei miei genitori uccisi, erano riusciti con i loro indizi a dare le informazioni che avrebbero incastrato i colpevoli.

Due balordi mandati a punire mio padre per non aver ceduto la terra e le vigne. Persero la testa e li uccisero nel peggiore dei modi. Io vidi tutto, perché ero presente, legata con il filo di ferro, che nella foga per tentare di liberarmi si era conficcato nei polsi.

Ma le prove erano poche, e se non fosse stato per un professore di anatomia forense, che insegnava nella mia stessa università che mi aiutò con meticolosa attenzione, l’avrebbero scampata.

Ne rimasi affascinata, e decisi di intraprendere la stessa carriera. Volevo rendere giustizia ai morti in modo violento.

 Notai che Hugo aveva le dita sporche di verde, quel verdore che rimaneva attaccato alle mani, quando toccavi le foglie dei pomodori maturi.  E di certo non era la loro stagione. Lo sapevo bene, perché i miei genitori avevano avuto l’orto più rigoglioso di Siena. Riflettevo su quella terra sotto le unghie, che avesse quel colore rosso, e le mani di Hugo callose. Mani di chi lavorava a contatto con il terreno. Quindi avrebbe potuto lavorare in una serra.

Londra era una città enorme e il corpo era stato trovato in un vicolo, e non corrispondeva di certo.

Chiusi in fretta la salma e salutai un’ultima volta Hugo.

Pulii e riassettai, andai alla scrivania  e sul computer cercai la pianta di Londra e le coltivazioni di ortaggi che fossero in zona del ritrovamento del povero Hugo.

 Ed eccola lì la serra di coltivazioni bio, non troppo lontana, che aveva tutte le caratteristiche che cercavo. Se il poveretto fosse stato ucciso in serra la terra sotto le scarpe e nelle unghie mi avrebbe fornito la prova. Le piante di pomodoro poi sono di diverse specie e avrebbero potuto confermare la mia ipotesi. Per ora mi sarebbe bastato un campione di terra.

Presa dal sacro fuoco del detective dilettante, decisi di andarci di persona senza avvedermi dell’ora.

Afferrai borsa e campionatura, chiamai un taxi. Dovevo essere sicura di non prendere un granchio che mi sarebbe costato troppo come tirocinante.

Il taxi arrivò puntuale, fornii l’indirizzo e mi accomodai dietro, mandai un sms a John che avrei tardato.

Non ci mettemmo molto a raggiungere il posto, pagai il tassista, con l’idea di tornare con la metro.

La serra non era distante, era sittuata nel mezzo di un ampio parco vicino al fiume, un sentiero sterrato portava all’ingresso. Ed era rossiccio, come il terreno sotto le scarpe di Hugo.

 Ne presi un campione e entrai in serra che stavano quasi per chiudere. Con la scusa di acquistare piante da orto per i miei parenti, mi feci portare nella parte della serra dove un raccolto rigoglioso di pomodori maturi faceva bella mostra.

Mentre la commessa era impegnata, presi il campione di terriccio sotto le piante. Alcuni frammenti di legno e poca torba.

Acquistai due piante che avrei regalato alla signora Hudson.  E me ne andai, complimentandomi con loro, per i rigogliosi frutti. Non feci domande, meglio essere sicura dei risultati.

Quando sentii squillare il cellulare, mi accorsi che erano quasi le otto. Risposi a John che mi cercava. Mi cercavano un po' tutti.  Gli dissi dov’ero, ma non il perché.

“Per Dio, Laura, ma cosa ci fai lì?  Di sera  poi, non è un posto molto sicuro.”  Si interruppe, sentii la voce di Mycroft in sottofondo. “Rimani lì, in una zona illuminata, arriva Albert.” Mugugnai, ma acconsentii.

“Va bene, mi porto all’inizio del parco.”

Camminai svelta e raggiunsi la strada che era molto più frequentata.   Avrei dovuto dare spiegazioni e si sarebbero arrabbiati, già mi immaginavo Mycroft. 

Arrivò la berlina scura, misi le piante nel baule e Albert cominciò subito a sgridarmi.

“Dottoressa, è molto tardi, non doveva finire in un posto come questo. Avrebbe potuto chiamarmi, lo sa che il Signor Holmes mi ha messo a sua disposizione.”

“Scusami Albert, ho perso la cognizione del tempo. Dovevo verificare una cosa. Lo so che si arrabbieranno.”

“Specialmente il Signor Holmes che le aveva detto di non tardare e di non allontanarsi da sola.”

Stavolta lo rimbrottai.

“Se ne farà una ragione, Albert, non posso vivere blindata.”

Scosse la testa, e non disse null’altro. Poco dopo arrivammo a Baker Street, lo salutai con affetto.

“Grazie e scusami, sono una spina nel fianco per te!”

“Non si preoccupi è il mio lavoro.”   Scesi pensierosa e dopo aver preso le mie piante salii le scale incrociando la Signora Hudson.

“Laura, è tardissimo, eravamo in pensiero!”  La tranquillizzai dicendole che ero rimasta al lavoro un po’ più del previsto. Le consegnai le piante e lei ne fu felice, dimenticò subito il mio colpo di testa.

Quando entrai nella stanza mi ritrovai tutti gli occhi puntati addosso.

“Avanti, cosa poteva essermi successo?”  Sbuffai, risentita, allargando le braccia, però mi faceva piacere che si fossero preoccupati per me.

Sherlock sorrise enigmatico, mentre suo fratello, seduto di fronte a lui era scuro in volto e agitava il povero ombrello roteando l’impugnatura.

Non capivo cosa ci facesse ancora a Baker Street a quell’ora. Non si voltò e cominciò subito a riprendermi.

“Dirti di rispettare degli orari è contro le tue regole, Lorenzi? E finire addirittura fuori Londra di sera, nonostante le mie raccomandazioni?  Complimenti, bella collaborazione.”

Appoggiai borsa e cappotto e lo avvicinai, non avevo voglia di litigare.

“Mycroft, scusami e fammi respirare. Non voglio discutere.”  Sherlock sghignazzava, mentre lui si alzò a fissarmi incattivito. “Respirare come stamane, Laura?” Avvampai.

“Sei un bastardo Mycroft.” Lo sibilai furiosa, era un segreto che doveva restare fra noi. “Ti sei divertito a raccontarlo?”

John ci fissò stralunato e anche Sherlock aveva spostato la sua attenzione su di noi.

Non intervennero, anzi John mi chiamò a cenare. E ne avevo di fame visto che avevo saltato il pranzo. Scansai Mycroft, sembrava pentito di quella battuta infelice. Era rimasto al centro della stanza, interdetto, mi seguì con le mani strette nelle tasche che sembrava volesse sfondarle.

Mi scaldai la zuppa e mi preparai la cena, e lui, forse pentito mi aiutò silenzioso ad apparecchiare.  Sherlock aveva chiamato John al computer, lasciandoci lo spazio per chiarirci.

Si sedette di fronte a me, mentre cominciavo a cenare. Prese il bicchiere me lo riempì.

“Scusami.”  Lo borbottò così piano che quasi non lo sentii.

“Valgono a poco le scuse dopo avermi tradito.” Ingoiai un cucchiaio di zuppa, troppo calda.

“Non l’ho fatto, Laura, ero arrabbiato e non ho pensato a chi era presente. Ma non sanno nulla.”

Si vuotò dell’acqua nel bicchiere e bevve tutto di un fiato. Tossi un paio di volte.

“Ero seccato perché non ascolti, stare al san Bart oltre l’orario può essere pericoloso, ma tu sei andata oltre, ti sei esposta troppo raggiungendo quel luogo, per fare chissà che cosa.  Non voglio che le persone che ho coinvolto siano in pericolo.”  Lo fissai annoiata.

“Tu e le tue cartelle! Ma io avevo un lavoro da sbrigare, perché ho un lavoro anch’io. Stavo verificando una prova.” Gli dissi tutto, di Hugo, delle piante di pomodoro del terriccio. Del sentiero di terra rossa. Lui ascoltava, non mi interruppe, alla fine vidi le rughe sulla sua fronte distendersi. E un leggero sorriso.

“Quindi abbiamo un altro investigatore sul campo. Potevi avvertire e avere un po' più di fiducia.”

“Ora basta, avvertire di cosa?  Era un mio dovere, niente altro. Mycroft mi prendo le mie responsabilità, mi dispiace che tu ti sia preoccupato.” Cercai la sua mano, ma la paura che lui la ritraesse, mi fermò.

Notò la mia indecisione, mi sorprese perché fu lui a sfiorare la mia. Il calore fu subito piacevole.  

Non disse null’altro, poi piegò la testa di lato. “Starò più attento, farò in modo che tu sia al sicuro.”

Scossi la testa avvilita. Lui era così, le persone le doveva proteggere. Mi fece tenerezza.

“Non devi difendere tutti quelli che ti stanno intorno. Devi pensare anche a te.”  Tossì ancora, e pensai che avesse preso freddo quella mattina e che lo avrebbe pagato.

Gli allungai un fazzoletto di carta.

“Mi dispiace di averti creato problemi, è stata una giornata difficile e lo sai.”

Si asciugò il naso, soffiando forte. “Sono stato manchevole, ho fatto una battuta avventata.”

Rimasi silenziosa, mentre Mycroft si alzava e cominciò a dondolarsi, guardando le sue scarpe costose.

“Laura, cerca di essere prudente, non posso chiederti di più.” Non feci tempo a rispondere che si stava già preparando per uscire. Lo raggiunsi e lo accompagnai alla porta. Sherlock e John si erano già ritirati. La casa era silenziosa.

Mi venne spontaneo allacciargli la sciarpa, perché tossì ancora una volta.

“Copriti, alla fine questa mattina, ti sei raffreddato. Fa un bel bagno caldo, ti farà bene.”

Sorrise ammiccando e si girò afferrando l’ombrello, fidato compagno di una vita. E sparì.

 

 

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Capitolo 12
*** Prendersi cura del British Government. ***


 

 

 

La mattina seguente trovai Mycroft già al San Bart, dentro il suo ufficio.   Avevo tardato perché avevo dovuto accompagnare Rosie al nido, sia Sherlock che John erano impegnati.

Lo salutai rapidamente, mi seccò che mi rivolgesse appena uno sguardo.

Lavorai ai reperti del corpo di Hugo che confermavano le mie ipotesi, preparai la cartella per Scotland Yard e contattai al telefono l’ispettore Lestrade, come mi aveva suggerito Molly.   

Arrivò al San Bart in mattinata.  

Mi si parò davanti un uomo dal fare deciso, quasi rude, di bel aspetto, brizzolato e alla mano.

Si presentò sbrigativo.

“Dottoressa Laura Lorenzi? Bene, sono l’ispettore Gregory Lestrade, Hooper mi ha parlato di lei, e molto bene. Mi dica pure.” Mi diede una stretta di mano vigorosa. Gli sorrisi ricambiandolo.

“Forse ho degli indizi per voi, se vuole la metto al corrente delle mie conclusioni.” Annuì severo, ma pensai che fosse solo apparenza. Si spostò verso la scrivania, tolse il cappotto e lo lasciò sulla sedia, ci sedemmo, lui ascoltò annuendo e complimentandosi.

“Bene questo ci permetterà di trovare il colpevole, ben fatto Lorenzi, posso chiamarla Laura?” Accavallò le lunghe gambe.

“Certo che sì, e io posso chiamarla Gregory?” Lo fissai divertita, era completamente diverso dal compassato Mycroft.

“Sono Greg per tutti. Ho sentito che vive con Sherlock. E frequenta anche Mycroft a quanto vedo.” Lo indicò con lo sguardo.

“Beh, si è spostato qui, quindi lo vedo per cause di forza maggiore.”  Greg si voltò e gli mandò un saluto agitando le mani e urlando per farsi sentire.

“Giorno Mycroft! È diventato un patologo adesso?”  Lui tossì, e rispose con la mano, e con un mezzo sorriso.

“Sta lavorando, cascasse il mondo non si riesce a distrarlo, però anche se brontola è affidabile.” Mi sorpresi a giustificarlo.

Greg mi guardò pensieroso. “Ne parli con indulgenza, ti ha concesso la sua amicizia?”

Risi. “Tu senz’altro lo conosci da tempo. Ci sto provando, ma a volte svicola via lesto.”

Mostrò un sorriso aperto, con una fila di denti bianchi.

“Tipico da parte sua. Ma Sherlock è lo stesso. Sono persone   fidate i due Holmes, ma poco emozionali.”

Appoggiò le mani sui braccioli e si alzò.

“Bene, Laura torno al lavoro, per qualsiasi cosa ci sono. Anche se vuoi bere una birra, con Molly o con qualche collega.” Lo ringraziai, gli risposi che ne avrei tenuto conto. Prese il cappotto, salutò Holmes mentre se ne andava.

Mycroft gli aveva risposto e si era alzato, lo intravidi sistemare le cartelle. Le appoggiava sullo scaffale con precisione, una sopra l’altra. Poi tornò a sedersi. E tossi di nuovo.  Trafficai al laboratorio e di tanto in tanto gli rivolgevo un’occhiata. Era così assorto che non si accorgeva nemmeno di quanto spesso mi spostassi per esaminare i reperti.

Lo avevo sentito spesso tossire, ma non mi ero preoccupata più di tanto, lui era così rigoroso sulla sua salute. Sicuramente non era nulla di allarmante.

Ma quando cominciò anche a starnutire capii che il suo raffreddamento stava evolvendo, ma in peggio.

Quello era il risultato di aver lavorato in maniche di camicia il giorno prima. Presi la decisione di passare a vedere come stava, senza essere diretta. Sapevo che non amava essere indisposto, né tanto meno commiserato.  Entrai bussando sullo stipite, lui sollevò gli occhi sorpreso.

“Problemi?”  Fu subito sulla difensiva, trattenne l’ennesimo colpo di tosse.

“Volevo fare una pausa e chiederti se ti andava del tè.”  Si appoggiò allo schienale e ripose la penna. Alcune goccioline di sudore erano comparse sopra le labbra, e la fronte era lucida. La giugulare pulsava velocemente, gli occhi arrossati. Aveva la febbre, ne ero certa. 

“Mi stai fissando Laura, non sei qui per il tè!”  Sapevo che era difficili ingannarlo, cosi fui sincera. “Ti ho sentito tossire e visto i trascorsi di ieri sera, ho sospettato che non stessi bene. Ora ne ho la conferma.”

Mi guardò divertito. Incrociò le braccia. “E quindi cosa ne hai dedotto, Lorenzi?”

“Che hai preso freddo, ostinato come sei stato ieri, e ora hai la febbre.”  Sollevò le sopracciglia.

“Quindi che farai, mi curerai amorevolmente come fanno i “friends? Vedo che ora ne hai un altro sulla lista.” Chiuse le labbra, in una linea sottile.

“Scusa, chi?  Parli di Greg? L’ho appena conosciuto, che diamine.” Allargai le braccia. “E dai, Mycroft..”

Rimasi sbalordita, era forse una frase di gelosia? O forse gli era scappata perché febbricitante?

Sorrisi maliziosa, si stava sciogliendo il ghiaccio di Myc?  Era irritante, sarcastico come sempre, ma le mani erano leggermente malferme. Mi intenerii e non dissi altro.

“Ti farò un buon tè caldo e ti darò del paracetamolo, che prenderai senza fare tante storie.”

Lo fissai truce. “Non ti comporterai da bambino capriccioso vero Mycroft?  Sai che ne hai bisogno e che ti farà stare meglio, se vuoi sbrigare il tuo lavoro.”

 Stavolta rimase in silenzio, poi capitolò, sciolse le braccia e si portò sulla scrivania. “Va bene.  Sarò giudizioso. Farò come dici, se ti fa contenta.” Mi sorrise rassegnato, prese la penna e iniziò di nuovo il suo lavoro.

 Voltai le spalle, e andai a preparare il tè. Lo osservai mentre con il fazzoletto si asciugava il sudore.

 Dannato testardo, mai avrebbe chiesto aiuto, né tanto meno a me. Non era certo il tipo di uomo che ammetteva la sua debolezza.

Tornai con il tè, e pochi biscotti per proteggere lo stomaco, sospettavo che non avesse mangiato nulla. Appoggiai sul tavolo il vassoio, dove mi aveva fatto posto, gli allungai la pastiglia e avvertii il calore della mano quando la prese.  Non riuscii a trattenermi, era bello febbricitante.

“Per Dio Holmes, ma non senti il calore che ti porti addosso.” Forse fui troppo irruente, si ritrasse temendo che gli sentissi la fronte. “Tranquillo non ti tocco, prendi il paracetamolo e mangia dei biscotti, altrimenti lo stomaco ne risentirà.”  Stranamente fu remissivo, mi guardò con gli occhi lucidi di straforo, e prese a mangiarne uno.

Decisi di andare a prendere il termoscanner, e quando tornai mi mandò un’occhiata disperata. Mi resi conto che lo destabilizzavo, non era abituato che qualcuno si preoccupasse per lui. Lo puntai sulla fronte mentre lui sbuffava seccato.

“38 gradi, eccolo lì il risultato.”  Sbottai arrabbiata.

“Starò bene e solo un pò di temperatura.” Agitò la mano come se scacciasse una mosca fastidiosa.

“E’ un eufemismo dire un po'. Prendi il paracetamolo, ci vorrà una mezzora perché faccia effetto, poi quando la febbre scende te ne andrai a casa. Dove spero avrai un letto caldo che ti aspetta.”  Lui mi osservava attonito con la bocca aperta, incapace di dire altro, nessuno gli ordinava cosa doveva fare, tanto meno io che ero una specializzanda. Mi fissò torvo un po’ seccato e un po’ dispiaciuto.

“Laura devo finire, poi prometto che andrò a casa.”  Fu morbido, quasi gentile. 

“Bene, ma adesso mettiti comodo, togli la cravatta, slaccia la camicia o soffocherai.”  Ci pensò un po’, poi la sua mente elaborò che avevo ragione e mi ascoltò.  Prese a tremare preso dai brividi, non riuscì a sbottonarla e perse la calma.

“Posso aiutarti, se me lo permetti, non farò nulla di più che metterti a tuo agio.” Capitolò vinto dalla febbre che stava salendo, considerando che si sentiva stringere e respirava con fatica, mi lasciò fare.

Si appoggiò allo schienale della poltrona, mi avvicinai cauta, e senza toccarlo troppo, lo aiutai a liberarsi della cravatta. Allentai il primo bottone della camicia, e sentii il suo respiro liberarsi. Bruciava, il calore gli saliva dal corpo, mi chiesi se il paracetamolo sarebbe bastato. 

“Mycroft, cerca di riposare. Dai il tempo alla medicina di fare il suo lavoro.” 

Non rispose, mi lanciò uno sguardo di sfida, ma si arrese, chiuse gli occhi e tenne la testa ferma lasciandola scivolare di lato.  Mi spaventai.

“Stai bene?” Annuì con la testa.  Non dovevo chiedergli troppo, già mi aveva concesso molto dimostrandomi tutta la sua debolezza. E non era certo da lui.

“Ti chiamo se arriva qualcuno, socchiudo la porta, stai tranquillo.” Abbassai le luci.

Fu allora che finalmente mi concesse la sua beneamata amicizia. “Grazie Laura.”  Sussurrò piano. 

 

Tornai al mio lavoro e lasciai che Mycroft si riposasse finché il paracetamolo facesse effetto.

Finii il mio lavoro, ogni tanto guardavo nella direzione dello studio, temendo che riprendesse a lavorare.  

Mai visto un uomo tanto cocciuto! Eppure mi dispiaceva vederlo così.

Trascorsa una mezzora circa, lo raggiunsi nel piccolo studio, lo trovai che era ancora appoggiato nella poltrona. Gli occhi chiusi.

“Mycroft come stai?”  Non rispose subito, ma era a disagio, alzò la testa e mi fissò stranito. Mi avvicinai e come prevedevo aveva la camicia bagnata di sudore. Questo lo innervosiva parecchio, era fuori dei sui standard di confort. Così decisi per lui.

“Senti, va a casa, presto avrai freddo perché i vestiti sono zuppi, è inutile che tu rimanga al lavoro in queste condizioni.” Mi fissò severo, ma stava valutando la situazione.

“Avanti ascoltami per una volta, mi occuperò io dei faldoni.”  Non era sicuro di darmela vinta. “Laura, non puoi stare qui dentro oltre l’orario. Non è sicuro.”

Ci pensai un po'.   “Bene ti porto a casa quelli che non riesco a finire. Così mi assicuro di come stai” 

Si alzò, tremava e si strinse nella giacca, afferrò la sua cravatta e la infilò ben piegata nella borsa, ma accettò.  Si girò e accorciò le distanze.

“Ti verrà a prendere Albert, non tardare molto.” Era una decisione sentita.

  Presi il suo cappotto, lo aiutai ad indossarlo, si lasciò accudire senza protestare, gli misi la sciarpa attorno al collo e la strinsi per bene. “Bada di andare a casa, ora sei sfebbrato, fai un bel bagno caldo e mettiti a letto.” Annuì con poca forza, tossì un paio di volte mentre lo accompagnavo alla porta, il bmw nero era già lì.

“Ci vediamo più tardi.”  Gli infilai il blister di paracetamolo in tasca. “Ricordati solo tre al giorno, e una l’hai già presa.”  Sbuffò infastidito. “Laura non sono un bambino, ho vissuto da solo, per anni.”

Gli allungai il suo amato ombrello e lo seguii fino all’ auto, mentre saliva tenni ferma la porta, e mi rivolsi ad Albert perentoria.

“Portalo dritto a casa.” Il British Government soffiò rassegnato, roteò gli occhi e mi fissò con aria minacciosa.

Lo lasciai così, colpevolmente sghignazzante, ma soddisfatta di averlo aiutato.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Serata da Holmes. Prima parte ***



 

Cercai di portare a termine i miei impegni, quelli che mi aveva affidato Hooper. Mi ricavai un po' di tempo per le cartelle di Mycroft.
Feci il possibile per alleggerirgli il lavoro. Un pensiero mi disturbava, il fatto di aver invaso la sua zona confort. Sapevo della difficoltà che dimostrava nel concedersi e dare fiducia agli altri. Era radicato nella sua solitudine, dava poco spazio agli affetti qualsiasi essi fossero. Temevo che si arroccasse di più e che la nostra già debole amicizia naufragasse.

Lavorai nervosamente, poi decisi di fare il mio dovere come medico e come sua amica. Se mi avesse respinta avrei capito, perché sapevo esattamente chi era l'ice man che conoscevo.

Alle sei chiusi il laboratorio, decisa a raggiungere Mycroft, presi la mia borsa medica, raccolsi le cartelle rimaste e uscii. Con mia enorme sorpresa poco oltre, trovai Albert ad aspettarmi. Mi accolse con un sorriso sincero.

"Il signor Holmes mi ha dato ordine di scortarla da lui." Lo seguii senza dire nulla, avvertii John che avrei tardato, che ero da Mycroft. Sorvolai il resto, meglio non irritare Holmes sbandierando la sua salute compromessa.

Albert guidò scrupoloso per mezza Londra, fino a che non fummo fuori città. Mentre osservavo dal finestrino mi venne un dubbio.

"Albert, ma Anthea? So che lo segue costantemente." Fu indeciso se rispondermi. Sbuffai risentita. "Avanti Albert, non stai tradendo Mycroft."

Mi guardò dallo specchietto retrovisore. "Al lavoro, dottoressa Lorenzi, sostituisce mister Holmes, quando lui si assenta." Ora capivo che lei era il suo braccio destro, praticamente insostituibile. Lo ringraziai, mi accomodai meglio seguendo la strada, finché giungemmo a una specie di villa antica, ben protetta da telecamere.

Dio pensai. Ci mancava che abitasse in un maniero, questo completava la personalità tortuosa di Mycroft.

Albert mi lasciò nel viale, lo fissai perplessa. "Segua il sentiero, alla fine troverà l'ingresso." Mi sorrise, guardandomi in faccia. Non ero semplicemente sbalordita, lo ero di più. Sapevo dei pericoli che correva, ma che vivesse in un fortino era veramente troppo.

Uno scanner all'ingresso mi esaminò il volto. La porta si aprì.

La casa era decisamente inusuale, un tipico maniero inglese. Legno alle pareti, quadri antichi, statue, sembrava un museo. Percorsi un corridoio, scesi la scala e mi ritrovai in una stanza con un grande tavolo di legno, un camino e due poltrone di pelle, su una di queste vidi sprofondato Mycroft, e mi arrabbiai.

"Non dovevi essere a letto! Non mi hai ascoltato, Holmes." Lui si girò con aria indignata. "Buonasera Lorenzi, bada che sono appena sceso dalla camera." La voce era sotto tono, grezza, finì per tossire risentito dal mio rimprovero.

Mi avvicinai, lo scrutai meglio, mentre appoggiavo le cartelle sul tavolo e la borsa. Manteneva la sua aristocratica eleganza anche indossando un pigiama. Era di flanella blu a quadri grigi, abbottonato sul davanti, i pantaloni dello stesso colore terminavano mostrando la caviglia con dei calzini in tinta.

Le pantofole di panno con uno stemma colorato sul davanti erano abbandonate sul tappeto. Una vestaglia di panno blu a losanghe lo avvolgeva.

In mano reggeva un libro che appoggiò nel tavolino tra le due poltrone. Sembrava sfebbrato, ma gli occhi erano un po' arrossati. Qualche colpo di tosse lo scuoteva ancora, rabbrividì e si strinse nel plaid colorato che aveva sulle ginocchia.

"Perché sei sceso? Il letto era più comodo e più caldo." Lo interrogai fingendomi severa, ma ero felice di vederlo star meglio.

"Per aspettarti che altro? Dovevo pure accoglierti. La casa è grande."

Allungò le mani, prendendo il fazzoletto di carta nel contenitore e si soffiò il naso. "Lorenzi, per Dio, non potevo farti girare ovunque per trovarmi." Aveva ragione, ma rimasi zitta pensando a come fargli digerire la parte seguente. Volevo sottoporlo a una visita medica.

Così mi sedetti di fronte e scandii bene le parole con calma.

"Sai che sono un medico vero?" Già la frase gli parve sospetta. Aggrottò la fronte, annuì  col capo mentre si puliva il naso per l'ennesima volta.

"Bene, quindi non ti opporrai se ora ti faccio un controllo." Alzò gli occhi al cielo rimbrottando. "Laura! Ma sto bene, non sto morendo."

"Lascialo dire a me." Cercai di essere determinata, irremovibile. "Fatti guardare, dammi un po' di fiducia."

Non rispose, valutò la situazione. Probabilmente pensava al perché mi preoccupassi per lui. Nessuno si prendeva la briga di sapere come stesse, forse Anthea, ma lei lo faceva per lavoro.

"Siamo "friends" te lo ricordi? Sono un medico, quindi lasciami fare." Si appoggiò allo schienale, fissandomi perplesso, la testa di lato e si arrese. Forse la stanchezza, la febbre, la voglia di tornare a lavorare. O sentire il piacere di qualcuno che avesse cura di lui.

Annuì arrendevole, lo feci rilassare un paio di minuti sulla poltrona. Aprii la mia borsa, presi l'ossimetro e mi avvicinai alla sua mano. Con garbo lo inserii nel dito sottile, cercando di non urtarlo, arrotolai la manica e gli presi la pressione. Mi lasciò fare senza protestare, ma non riusciva a guardarmi turbato mentre le mie dita lo sfioravano e lui combatteva con sé stesso per mostrare indifferenza. Impietoso l'ossimetro aumentò la frequenza.

"La pressione è un po' bassa Mycroft, ma è dovuto sicuramente alla febbre." Ascoltò taciturno. "Il ritmo cardiaco va bene, l'ossimetria anche."

Arrivò la parte più difficile, gli aprii la vestaglia, slacciai i bottoni del pigiama.

"Tranquillo non ti farò prendere freddo, sarò veloce."

Rimase immobile, emotivamente scoperto, la testa di lato fissando un punto indefinito nello spazio.

Portava una maglietta intima bianca, a mezze maniche, la sollevai e appoggiai lo stetoscopio dopo averlo scaldato. Chiusi gli occhi e ascoltai il suo cuore, il suo respiro. Era un po' agitato, mi ritrovai a sorridere a testa bassa, per averlo sorpreso in difficoltà.

Lo feci tossire un paio di volte. Era intasato, ma non ancora compromesso, però decisi per un antibiotico leggero. Lo feci sporgere in avanti e gli scoprii la schiena, ascoltai attenta. L' antibiotico era necessario.

"Bene, Mycroft ho finito." Lo aiutai a rivestirsi. Riprese il controllo, non era irritato, forse sconcertato dalla mia vicinanza, finì di sistemarsi e si avvolse nella calda vestaglia. Lo aiutai a coprirsi con il plaid.

"Quindi dottoressa, conclusioni? Sono molto malato?" Era ironico, aveva ripreso la sua indole sarcastica.

Non raccolsi, misi in ordine la mia borsa, senza voltarmi. "Mycroft ti prescrivo un antibiotico, lo prendi subito insieme a delle vitamine. Vorrei che Albert lo andasse a ritirare. Se posso, naturalmente."

Inarcò le sopracciglia stupito, ma non per la preoccupazione della sua malattia, ma per la professionalità delle mie decisioni. "Va bene, ora lo chiamo." Borbottò rassegnato e preso il cellulare lo avvertì. Scrissi la ricetta soddisfatta.

"Ora pensiamo al tuo stomaco, devi mangiare! Cosa contiene la tua cucina di commestibile?" Era sulla destra pulita e in ordine.

"Se ne occupa Anthea, vai pure a curiosare." Mi fece cenno con la mano. Entrai, e sbirciai. Se avessi trovato gli ingredienti giusti avrei cucinato qualcosa. Sapeva fare bene il suo lavoro, Anthea, il frigorifero era in ordine, e c'era quello che mi serviva.

"Ti preparo della zuppa, con dei crostini." Mi affacciai a guardarlo. "Che ne dici?"

"Va bene, ma se resti a cenare anche tu." Si coprì meglio e mi sorrise guardingo.

"Quindi invito a cena forzato?" Risi e si sciolse anche lui. "Me la immaginavo diversa la nostra prima cena da amici." Si appoggiò alla poltrona sorridendo. "Anche io se devo dire la verità."

Albert entrò in sala e gli diedi istruzioni, annuì fissando il suo capo. "Tranquillo Albert sta bene, procurami questi e domani sarà già in forma." Uscì sogghignando, mentre Mycroft sbuffò come sempre e brontolò. Non gli piaceva farsi vedere fragile.

Andai in cucina e mi affaccendai, preparai la vecchia zuppa di mamma, che tanto mi piaceva.

Ogni tanto gli davo un'occhiata, si era rimesso a leggere, ma presto si assopì, corsi rapida a recuperare il libro prima che cadesse a terra.

Abbandonato nel sonno Mycroft sembrò più giovane, il volto era disteso, nessuna ruga o smorfia sarcastica. Lasciai che dormisse tranquillo cercando di fare poco rumore.

Albert ritornò, gli feci cenno di fare piano, mi consegnò le medicine.

"Laura, ha fatto un miracolo! Mai Holmes si è lasciato andare così." Fu una concessione fuori dal comune.

"Forse non è così di ghiaccio come vuol far credere." Sussurrai

Albert uscì sorridendo e scuotendo la testa.

Lo lasciai riposare ancora un po' mentre, mi sentivo stranamente a casa. Certo, ero in una città nuova, senza amici se non questi che mi circondavano con affetto.

Piena di dubbi e problemi.

Stranamente attratta da quell'uomo che ora dormiva sulla poltrona e che mi concedeva così poco.

Stupida, dovevo essere completamente pazza, avrei dovuto essere ragionevole e stare fuori dalla cerchia di Holmes, del suo lavoro misterioso, dal suo modo freddo di trattare la gente. E invece ero lì che aspettavo che si risvegliasse per stare un po' con lui. Mi lasciai andare sulla sedia mentre giravo lo sguardo per casa, incuriosita.

Mi appoggiai con le mani sul tavolo e sospirai.... Pensare che Holmes potesse diventare qualcosa di più solido di un semplice amico era una idiozia  totale.

 

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Capitolo 14
*** Serata da Holmes. Seconda parte. ***



 

Era ora di cena, mi avvicinai e lo chiamai gentilmente, lo scossi appena.

"Mycroft forza, ceniamo. Stai bene?" Si stiracchiò, e cercò di darsi un contegno. Si aggiustò la vestaglia e mi fissò stordito. Cercò il suo libro.

"Te l'ho salvato io. Ho visto che era una edizione limitata." Annuì e si alzò faticosamente, non era molto ciarliero.

"Dai Mycroft, non morirai se ci facciamo compagnia stasera." Cercai di essere seria, ma vederlo così smarrito mi faceva sorridere.

"Ti ho dato questa impressione? Di essere seccato dalla tua presenza?" Mi guardò sospettoso come se gli avessi letto nel pensiero.

"No, ma sembri a disagio. Non ho avvelenato ancora nessuno." Non poté fare a meno di sorridere.

Ci sedemmo a tavola, iniziammo a cenare, e mangiò con appetito. Si servì con abbondanza, e ne fui felice.

"Bene, devo dire che ci sai fare, dottoressa Lorenzi. Era gustosa la tua zuppa." Sembrava soddisfatto di aver assaggiato la mia cucina. Appoggiò il tovagliolo.

"Allora servo a qualcosa mio British Government, sembri apprezzare la semplicità."

"Per forza Laura, con tutte le volte che mi trascinano in pranzi ufficiali, dove si mangia di tutto. Un po' di genuinità a volte è gradito." Cominciò a tossire di nuovo, si alzò prese i fazzoletti di carta e ne consumò alcuni.

Cercai di metterlo a suo agio, lo vedevo indifeso perché mostrava un lato di sé che difficilmente traspariva.

"Mycroft, non so a cosa stai pensando, ma gli amici servono a questo." Lo guardai mentre si asciugava il naso.

Ripose la scatola, si pulì le mani, e tornò a sedersi.

"Non ti farai tornare la febbre, vero? Gli cercai la mano. Non ero certa che lo avrebbe accettato, ma restò fermo e gli sorrisi felice di ritrovarla fresca.

"Uhm... è passata, ma preferisco tu prenda lo stesso l'antibiotico, per evitare inutili ricadute." La accarezzai senza alcuna malizia. Continuai prendendolo in giro.

"Tu non sei il tipo che rimane a casa a lungo, per quel poco che ti conosco." Stranamente non si ritrasse e ascoltò silenzioso. Inclinò la testa di lato, e mi studiò, poi mi diede fiducia e si abbandonò nella sedia.

"Laura, scusami sotto certi aspetti non so molto rapportarmi, non ho avuto amici, né nessuno che si prendesse cura di me. Cerca di capire. Il mio comportamento non è rivolto a te." Agitò la mano sotto la mia, la girò titubante e mi accarezzò lievemente. Niente di eclatante ma fatto da Mycroft aveva un valore enorme. Si concedeva a me, al mio contatto e devo dire che ne fui contenta.

"Certo che ti capisco, non ti sto chiedendo troppo, voglio solo farti stare bene. Non ce nulla di male nel farsi aiutare, lo hai fatto per me, ora lascia che sia io a farlo."

Gli lasciai la mano con dispiacere, ma sapevo che non dovevo andare oltre, non potevo oltrepassare i suoi limiti. Cosi cambiai argomento. E gli chiesi del libro tanto prezioso che stava leggendo.

E fu una buona idea perché si lasciò andare e parlò di quella edizione limitata che aveva cercato ovunque. Gli piacevano i libri, quelli antichi. Mi raccontò di quante volte aveva rincorso una versione limitata di un libro di Shakespeare, che ancora cercava, uno fra i primi pubblicati.

Ascoltavo assorta, vederlo parlare era piacevole, anche se la sua voce era rauca, ma modulata e dolce.

Dopo la cena sparecchiai la tavola, lui cercò di aiutarmi, ma lo fermai perché iniziò di nuovo a tossire, non volevo si stancasse. Obbedì e si accomodò sul divano, si stese la coperta e prese a leggere il suo libro prezioso.

Gli preparai del latte caldo e le medicine. Lo raggiunsi appoggiai la tazza e le pastiglie sul tavolino gli spiegai come prenderle.

"Mycroft è un antibiotico leggero solo per tre giorni stasera cominci, una ogni otto ore e finisci la scatola. Se hai la febbre lo sai che puoi prendere il paracetamolo."  Annuì fissandomi sconcertato che lo trattassi come un bambino. Risi e mi sedetti vicina sul divano.

"Avanti Mycroft non sono cattiva. Fidati di me, starai meglio subito." Aggrottò le sopracciglia, un arco perfetto sopra gli occhi grigi.

"Va bene ti ascolto, Laura. Ti sto ascoltando!" Sbuffò scocciato, smisi immediatamente di tediarlo. Fissavo il suo libro prezioso, se ne accorse.

"Il mercante di Venezia? Qualcosa di Shakespeare che parla dell'Italia? Che buffa coincidenza."

Sorrisi contenta che ci fosse una cosa in comune.

"Dovresti leggere il nostro Dante. Ci farò un pensiero, potrei procurartelo." Ci riflettei un po' su, mentre mi guardava inorridito.

"Va bene, è in italiano volgare, lo so, ma tu impari velocemente. Potrei aiutarti nella lettura." Aggrottò la fronte e i suoi occhi si fecero chiari. "Beh, se ho il tuo aiuto, allora... Non sai nemmeno capire questo! Voglio vedere come la metterai a tradurmi Dante Alighieri."

Mi sfiorò con un leggero tocco sul ginocchio, cosa insolita e mi piacque quella poca confidenza che mi concedeva. "Non sono un'ignorante Laura, ma vorrei proprio vedere come farai a spiegarmelo." Si mise a ridere, ma finì per tossire, mentre io gli feci una smorfia di vendetta.

Riprese il suo amato libro. "Te lo leggo Lorenzi, così fai esercizio con la lingua." Si era addolcito e c'era qualcosa di insolito nel suo sguardo. Sembrava...felice che gli fossi vicino.

Cominciò a leggere ad alta voce, ogni tanto si interrompeva per assicurarsi che capissi, certi termini non erano nel linguaggio corrente. Annuivo e ascoltavo assorta, chiusi gli occhi.

Era piacevole la sua voce, era come tornare bambina a Siena, quando sentivo mio padre seduto al mio fianco che leggeva il giornale. Tra noi cominciò formarsi una specie di serena magia, difficile da definire.

Mycroft era una scoperta, certamente aveva un lato di sé che nessuno conosceva, quella sera non avevamo litigato, forse per la prima volta. Mi strinsi nella maglia di lana, mi guardò premuroso, mi allungò la coperta prendendo sotto anche me, mi appoggiai più vicino, ma attenta a non invadere i suoi spazi.

Lo osservai, mentre leggeva con un ritmo costante, tra un colpo di tosse e un sorriso, quando mi interrogava su dei termini sconosciuti. E rideva quando storpiavo le frasi.

"Sei una frana, Laura! Sarei più veloce io a imparare l'italiano." Allontanò il libro, e mi guardò irritato. "Ma fai sul serio, Lorenzi? Fatichi a beccarne una giusta!"

"Mycroft, avanti! È tardi, non sono concentrata a quest'ora." Mi lasciai andare sulla spalliera, guardai l'orologio un po' risentita.

"Sei lo "Smart One" lo so bene, potresti dare l'esame di lingue straniere al posto mio." Gli feci una smorfia buffa. Lui capì la mia stanchezza, mi scrutò preoccupato, riprese il suo libro più dolcemente e rimarcò con aria divertita.

"Farei faville, Lorenzi. Non ci sarebbero voti per me." Sollevai gli occhi al cielo.

"Sei sempre modesto Myc." Gli diedi uno schiaffetto sul braccio. Riprese la sua lettura con un sorriso disteso che mi fece bene al cuore.

Ricordo che ascoltai le poche domande che mi fece e biascicai le prime risposte, poi più nulla.

Improvvisamente sentii il pendolo battere le dieci. Mi ero addormentata come una stupida, perché mi ritrovai appoggiata alla sua spalla. Mi raddrizzai di colpo imbarazzata.

"Dio, scusami Mycroft. Non volevo pesarti." Mi fissò con un sorriso aperto su una fila di denti bianchi.

"Ti ho appoggiato la testa sulla mia spalla, perché ciondolavi da tutte le parti." Rise, una risata gentile.

"Non sei particolarmente pesante Laura. Però hai sentito poco del libro." Quasi mi sgridò poi sembrò dispiaciuto.

"Ti prometto che leggerò la parte che non ho sentito." Bisbigliai stiracchiandomi. Mi resi conto di non avergli fatto molta compagnia, lui capì i miei pensieri mentre cercavo la mia borsa e la giacca.

"Non preoccuparti, so che eri stanca. Oggi hai lavorato anche per me." Non si alzò, rimase seduto, appoggiò il libro che gli dondolava dalla mano. Lo guardai mentre mi infilavo la giacca, mi assicurai che stesse bene, non aveva la febbre e sospirai soddisfatta.

"Devo tornare A Baker Street, tu ora vai a letto, le medicine le hai prese, riposa." Sbadigliai, mi guardava senza distogliere lo sguardo. Chissà a cosa pensava. "Ci sentiamo domani, sai dove sono. Buonanotte Mycroft."

"Buonanotte Laura e... Grazie. È stata piacevole la tua compagnia, anche quando ti sei addormentata." Lo guardai indecisa se mi stesse prendendo in giro, ma era serio e vista la serata piacevole e il suo volto sereno, mi sentii di allungargli un bacio sulla fronte.

Si sorprese, tossì, non sapendo come reagire. Lo rassicurai ridendo. "È solo un bacio affettuoso per avermi tenuto sulla tua spalla, niente di pauroso, non lo farò mai in pubblico stai tranquillo."

"Lo so, sei una persona speciale, forse non me lo merito." Abbassò leggermente lo sguardo, rimasi senza parole, per un attimo non seppi cosa rispondergli, mi aveva spiazzato. Mi allacciai i bottoni, sbagliando la sequenza.

"Non dire stupidaggini, do per scontato che lo dici perché hai avuto la febbre. Notte Myc."

"Laura, rimetti a posto la giacca." Mi indicò l'abbottonatura sbagliata aggrottando la fronte, sapevo che odiava l'asimmetria.

Sorrisi,  mi si sciolse nel cuore quella  malinconia data dal fatto di doverlo lasciare solo in quella casa enorme.

Presi la mia valigetta, lo lasciai nella poltrona, che mi fissava assorto, mentre me ne andavo. Non sapevo il perché, ma mi sentivo in ansia. Come se temessi che tra noi presto qualcosa si sarebbe rotto

Albert mi riportò a casa, mentre guardavo la strada, pensierosa, consapevole che frequentare Holmes era ogni giorno una sorpresa.

 Non riuscivo a togliermi dalla testa quello sfiorarsi,  quando le nostre mani si erano incontrate, e accarezzate e si erano dette più di tante parole.  

Più di quanto avessi cercato in quegli anni bui, dopo la violenza in Italia. Eppure la magia non durava per sempre, ne ero consapevole e domani era un altro giorno.

Frequentare Mycroft,  a volte era piacevole, a volte un tormento.

 

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Capitolo 15
*** Il racconto di Laura ***


Mi resi conto di essere in ritardo, quando sentii la signora Hudson riordinare di sotto, mi preparai velocemente senza fare colazione, scesi le scale due gradini per volta, imboccando la porta di Baker Street, mentre mi infilavo la giacca.

Il san Bart non era lontano, ma dovetti accelerare il passo, sembravo una maratoneta.

Trafelata aprii la porta del laboratorio, e vidi Molly con il cellulare in mano.

"Laura, ma dove eri finita? Cominciavo a preoccuparmi." Era quasi vicina alla scrivania, la sua borsa ancora appoggiata alla sedia.

"Mi sono svegliata tardi, stranamente di sotto non hanno fatto rumore." Diedi un'occhiata al precario ufficio di Holmes, che era vuoto. Non avevo nemmeno provato a inviargli un messaggio, perché speravo stesse riposando. Sapendo benissimo che faceva quello che voleva.

Molly mi diede disposizioni per la giornata, lei uscì per i soliti impegni di consulenza a Scotland Yard, finii come al solito per rimanere sola. Mi aveva lasciato un esame autoptico da finire. Il corpo di una poveretta morta in un incidente. Molly l'aveva già esaminato mentre io dovevo stilare il rapporto finale. Così passai parte della mattina a repertare la causa del decesso.

Lavoravo e pensavo che la magia con Holmes era finita. Difficilmente si sarebbe ripetuta la vicinanza della sera prima.

Ero stata bene insieme a lui, si era creata una situazione piacevole, ma con Mycroft niente durava per troppo tempo. Tutto girava attorno a lui, era sempre al posto giusto nel momento perfetto. Toccava agli altri raccogliere i cocci che lasciava nel suo percorso.

Non mi accorsi del suo arrivo. Lo vidi battere sulla porta a vetri, e lo raggiunsi.

Avevo indossato la tuta verde, mi tolsi i guanti e la mascherina.

"Cosa ci fai qui? Non sei uscito troppo presto?" Lo guardai contrariata, ma sembrava stare bene. Il volto disteso e gli occhi limpidi.

Scosse la mano. "Sto bene, Lorenzi i tuoi antibiotici hanno fatto miracoli." Era vestito come al solito in modo meticoloso. Dal cappotto intravedevo un paio di calzoni chiari e la cravatta ocra. Naturalmente con l'ombrello nella mano destra.

"Già però un giorno in più di riposo, non ti avrebbe fatto male." Cominciai ad armeggiare con la giacca della tuta, che era decisamente fastidiosa da portare. Dovevo tornare dentro a finire il lavoro. "Hai bisogno di qualcosa?" Mi girai a guardarlo mentre tentavo di aprire la corazza verde.

"Volevo dirti che sono qua." Si schiarì la voce. "Se vuoi pranziamo insieme, più tardi." Rimasi sorpresa che mi concedesse tanto.

"Certo, ma lasciami finire, forse mi ci vorrà un po'." Sorrise compiaciuto, ma mentre si stava per girare mi venne un dubbio. Lo apostrofai lesta. "Mycroft, devi scendere in archivio? Perché sei a corto di fascicoli, che io sappia."

"Si, ma scendo da solo, non voglio vederti star male." Si era voltato con un fare guardingo, e mi fece un piccolo sorriso di circostanza. Dovevo decidere subito e così feci. Storsi un po' le labbra. "No, scendiamo insieme. È importante per me farcela."

"Testarda come sempre." Sbottò, prese le carte abbandonate sulla scrivania e le tenne strette nelle mani. "Chissà perché non mi stupisco." Brontolò ammettendo la sconfitta.

"Dammi dieci minuti, metto in sicurezza i reperti e arrivo. Finirò il resto più tardi." Filai veloce in sala, e feci l'impossibile per raggiungerlo poco dopo.

Lui mi aspettava, mezzo seccato, seduto sulla sedia della mia scrivania, si alzò afferrò una lampada di emergenza e insieme ci avviammo verso l'archivio.

"Laura, stai vicino a me e non fare scherzi, se ti senti in difficoltà avvertimi." Mi spinse davanti a lui brontolando che ero una sconsiderata, che poteva fare da solo. Ma rimasi muta, mentre aprivo la porta e scendemmo insieme le scale. Il solito odore umido di muffa ci investì, arrivammo di sotto, ebbi un attimo di indecisione, sentii la sua mano sulla schiena. Fu confortante saperlo con me, non mi spinse, non disse nulla, semplicemente aspettò che prendessi fiato.

"Bene, dimmi che lettera cerchi." Lo dissi annaspando un po' d'aria, ma lui non me lo fece pesare.

"Mi serve la lettera S e la Y. Sai dove trovarla?" Annuii, lui accese le luci e anche la lampada, mentre lo portavo nella stanza alla fine del corridoio. Più avanzavo più la luce diventava fioca. Tremai, mi strinsi nel cappotto.

"Laura, tutto bene? Non aspettare di crollare prima di dirmelo!" Mi prese e mi strinse al suo fianco, mi osservava il respiro. "Sto bene, Myc, entriamo."

La piccola porta si aprì e il buio che mi investì fu devastante, mi aggrappai senza ritegno a lui. Al momento credevo si risentisse e mi prendesse in giro come era solito fare. Invece mi tenne stretta, la sua mano libera mi prese il volto e lo portò vicino al suo petto. "Non avere paura, Laura ascolta il mio cuore." Chiusi gli occhi sentii il suo ritmo calmo, il suo respiro disteso, e mi sentii sollevata.

"Laura, se stai meglio prendiamo i faldoni e usciamo, che ne dici?" Avrei indugiato di più appoggiata a lui, ma non potevo rimanerci in eterno, così mi decisi annuii e lo aiutai.

Stargli vicino mi dava sicurezza, non mi staccavo molto dal suo raggio e lo osservavo mentre prendeva le cartelle deciso, le appoggiava sullo scaffale e mi dava un'occhiata, di tanto in tanto. Dovevo avere una faccia poco rassicurante, perché mi allungò una carezza sulla guancia sorridendo. "Tranquilla ho finito, usciamo." Il solo sentire la sua voce mi confortava.

Io davanti e lui dietro, ritornammo alla luce. Presi fiato tutto quello che potevo, e lo abbracciai mentre lui si irrigidì. "Scusami lo so che non ti piace, ma grazie di avermi sopportato." Mi sollevò il mento con la mano.

"Perché pensi che non mi piaccia?" La sua faccia era dubbiosa, mentre mi teneva.

"Perché ti ho sentito irrigidirti. Perché so di invadere i tuoi spazi." Mormorai indecisa mentre cercavo di stargli il più vicino possibile.

L'espressione dei suoi occhi era diversa, profonda e dolce. "Non è come pensi, Laura, anche se tutti credono che io sia di ghiaccio non è così." La sua voce quasi tremò, un po' mi spaventai, era una parte di lui che non conoscevo. Lo guardai meglio, vidi un uomo diverso, nascosto sotto il vestito costoso percepii un Mycroft amorevole bisognoso di affetto. E solo, una solitudine condivisa, una solitudine elettiva che ci univa in un certo senso, la sua costruita e la mia imposta dalla violenza subita. Mi lasciai andare sulla panchina nel corridoio e decisi di raccontargli tutto. Forse glielo dovevo, forse ne sentivo il bisogno dopo tanti anni di angosciosa solitudine.

Lui rimase in piedi, spaesato dalla mia voglia di condividere il dolore, poi affranto mi venne vicino. E iniziai, tesa e dolorosamente consapevole di donargli più di quanto avessi mai fatto.

Non ho mai saputo chi fossero i miei veri genitori, sono stata adottata dai Lorenzi a sei mesi e li ho sempre considerati come tali. Loro avevano una vasta proprietà terriera a Siena, in toscana. Ed è lì che crebbi, piena di affetto e di gratitudine. Per tutta la mia vita pensai che quello sarebbe stato il mio scopo di vita: la tenuta. Ma purtroppo faceva gola ad un uomo senza scrupoli, che voleva allargare i suoi possedimenti. Mandò due balordi per spaventarli e cedere la terra e la vigna. Ma persero la testa, credendo di trovare soldi e gioielli e torturarono papà. Mamma per difenderlo venne accoltellata, morì dissanguata e papà che urlava disperato, fu ammazzato a furia di botte. Io vidi tutto."

Non riuscii a continuare, presi aria, Holmes mi concesse la sua solidarietà afferrandomi la mano. "Vuoi fermarti Laura? Non è necessario continuare se non vuoi." "No, voglio che tu sappia. Non l'ho mai raccontato. Ma va bene." Sospirai, non lo guardavo, eppure lo sentivo vicino. Mi tremò la voce.

"Io avevo 24 anni, ero giovane, terrorizzata ormai sola, e loro erano in due."

Ispirai aria più che potevo. Mycroft non respirava, era in apnea. Continuai senza guardarlo.

"Fecero i loro comodi, soddisfarono i loro istinti bestiali. Urlai piansi e pregai di morire, ma il mio corpo non cedette e vissi tutto lo stupro. Ero in quella stanza, Myc, la stanza buia con la porta chiusa, che mi fa paura, dove sono morti i miei genitori e anche io."

La mano di Myc mi strinse più forte.

"Mi lasciarono a terra sporca di sangue e vomito, piena di lividi con i polsi legati dal filo di ferro che si era conficcato nella carne fino all'osso. Persi i sensi, entrai in coma per una settimana. Ero sola, orfana di nuovo, piena di dolore, ma viva."

Lui taceva con il volto scuro, la fronte tesa e la testa china. Io presi aria a pieni polmoni. Continuai decisa piena di rabbia, mentre gli tenevo la mano cercando quel poco di amore che potevo pretendere da un estraneo.

"Ma quando, una volta catturati, quei tre bastardi per un cavillo e la mancanza di prove oggettive, stavano per scamparla, decisi che i corpi martoriati dei miei genitori potessero ancora parlare e dire cosa gli era successo. Mi rivolsi ad un avvocato e ad un bravo professore che conoscevo all'università, era patologo forense. Facemmo eseguire un'autopsia accurata dove venne spiegato ogni colpo subito dai loro corpi. E il verdetto cambiò, la giuria si indignò e quei bastardi finirono all'ergastolo insieme al mandante."

Feci una pausa, senza capire bene dove fossi in quel momento. Eppure mi tenevo stretta a Myc, cercando coraggio. Mormorai poche frasi finali, mentre il mio cuore era in piena tempesta.

Dio non poteva aver creato tanto dolore, né perdonato. Sospirai rassegnata che quello era stato il mio destino lo avessi voluto o no.

"Quella, Myc, fu la molla che mi portò a desiderare di essere un medico forense, dovevo imparare a far parlare i corpi delle vittime."

Poi ci fu il silenzio. Guardavo in basso e presi a contare le mattonelle del pavimento. Una, due, tre ...Un perfetto gioco della mente per allontanarmi dal dolore.

"Laura, guardami." Mi sentii prendere per le spalle, mi fece voltare verso di lui. Perché Mycroft, era lì, l'unica persona a cui lo avevo raccontato.

"Basta ora. Andiamo via di qua." Lo seguii docile, svuotata, mi prese saldamente per mano, e mi trascinò con lui. Le cartelle sotto al braccio. Era arrabbiato, impotente, lo sentivo da come mi teneva la mano. "Mycroft, mi stringi troppo. Mi stai facendo male." Fiatai, respirai, qualsiasi cosa fosse mi uscì dal profondo. "Ti prego, non lasciarmi."

"Scusami." Allentò piano, ma non mi lasciò mai. Finché non arrivammo al laboratorio.

"Siedi, ti prendo del tè." Lasciò le cartelle sulla mia scrivania e mentre crollavo giù sulla poltrona, trafficò sul boiler per prepararlo. Notai le sue mani sottili che tremavano. Mi sentii in colpa, non avrei dovuto dirgli quella parte di me così nascosta. Non sapevo come l'avrebbe presa. Avevo sempre taciuto per paura di essere compatita e considerata "rotta". Non volevo che lui avesse pietà di me. Nessuno doveva avere pietà di me.

Tornò con il tè fumante, mi confortò stringere tra le mani la tazza calda. Sorseggiai piano, poco alla volta. Mycroft seduto di fronte non disse nulla, beveva anche lui silenzioso, soffiando sul vapore che disegnava il tè bollente.

"Buono?" Mi sussurrò guardandomi con un'aria diversa. "E' una miscela che amo." Sorrise, e mi sentii una parte del suo essere, coinvolta nel suo fare gentile.

"Si molto, è fruttato e delicato." Ero grata che non parlassimo di me. Che lasciasse le cose sospese, e tornassimo alla normalità. E per questo lo apprezzai molto, quando si scosse e cambiò timbro.

"Forza Laura, ora si lavora." Si prese le due tazze, e mi sorrise, gli occhi grigi sfumarono al chiaro dolcemente, non mi concesse alcuna falsa pietà. Era tutto ciò di cui avevo bisogno.

Fu solo quell' unico attimo che mi concesse di vedere, poi si staccò e ritornò il Mycroft di sempre.

"Allora Laura, il tuo estinto ti aspetta, non lo lascerai da solo ad aspettarti." Rise, prese le cartelle e andò nel suo precario ufficio.

Ma purtroppo la bufera, per l'ennesima volta, doveva ancora arrivare.

 

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Capitolo 16
*** Anthea si rivela un'amica ***


 

Prima di mezzogiorno arrivò Anthea. Finalmente vidi in volto la misteriosa segretaria di Mycroft. Più che segretaria era il suo braccio destro. E naturalmente era bellissima come sospettavo, lui non era tipo da circondarsi di segretarie basse e pienotte.

Entrò in obitorio come se fosse il posto più naturale del mondo. Elegante, un tailleur beige sobrio, i capelli ramati che scendevano sulle spalle, il trucco leggero, occhi castani chiari. E naturalmente un corpo sinuoso.

Un sottile fastidio mi prese allo stomaco.  Holmes doveva essere uno stupido a non averla mai frequentata, o perlomeno ad averle rivolto un pensiero lussurioso.  Cieco e stolto se non avesse visto quanto era piena di fascino.

“Buongiorno dottoressa Lorenzi, finalmente ci conosciamo.” Mi raggiunse alla scrivania, camminando elegantemente e mi allungò la mano.

“Buongiorno a lei Anthea, Mycroft la nomina spesso, finalmente ora ha un volto.” Le sorrisi bonariamente, come si faceva a non ammirare la sua educata cortesia. Rimase in piedi, dritta e statuaria.

“Il mio capo esagera, io faccio solo il mio lavoro.” Si schernì senza malizia.

“È una costante questa del lavoro, siete così legati ai vostri impegni che difficilmente sembra abbiate una vita sociale.”

“No, tranquilla, io mi ricavo i miei spazi, anche se Mycroft li assorbe spesso. Non mi permette molte distrazioni, è uno stacanovista.” Fece un risolino compiaciuto. “Ma penso già lo sappia, visto che lo vede spesso.”  Mi fissò divertita, come se sapesse di più. Mi chiesi cosa, e lei capì.

“Tranquilla, Mycroft non si concede molto, ma lei ha scalfito un po' della sua corazza.”  Anthea si voltò con noncuranza, si assicurò che lui non sentisse.

“Grazie per essersi presa cura di lui, non si lascia avvicinare molto quando è in difficoltà.”

Abbassai lo sguardo, e le rimandai un sorriso sincero. “Me ne sono accorta. Peccato che si nasconda dietro alla sua armatura lucente. Vuole proteggere tutti.”

“Non tutti Lorenzi, solo quelli a cui tiene, e sono poche dita di una mano.” Mi sorpresi che mi facesse queste confidenze, la guardai in modo diverso, lei sapeva molte cose del suo capo, perciò era molto attendibile, sicuramente disinteressata al mio rapporto con lui.

“Laura, non le sono nemica, ma Holmes meriterebbe una certa stabilità.”   La fissai, stranita.  “Ora devo raggiungerlo o diventerà sospettoso, se non lo è già. Le mando il mio numero di cellulare, lo memorizzi. Sono sempre disponibile, naturalmente sono i suoi ordini.”

La ringraziai e lei scivolò verso l’ufficio provvisorio di Mycroft, mentre la seguivo con gli occhi.

Mi lasciai cadere sulla poltrona della scrivania, presi i resoconti delle autopsie in corso, ma non riuscii a concentrarmi nel lavoro. Perché la mia mente girava a cerchio intorno a quella frase.

Anthea mi aveva fatto capire che contavo qualcosa per lui.

Io, Laura Lorenzi contavo qualcosa per il British Government. Mi passai la mano nervosamente nei capelli e scacciai il fastidioso pulsare delle tempie.

 Infondo lo avevo voluto come “friend” e anche lui, ma la cosa stava andando oltre. Dio, ora mi sentivo fuori sincrono, però era stata una decisione sofferta raccontargli la mia storia, mi sentii sbilanciata un po' spinta in una confidenza che non avevo dato a nessuno. E che adesso sentivo pesante, temevo che lui mi tradisse o mi allontanasse. Non sapevo che comportamento avrebbe avuto, e mi spaventai.

Alzai la testa inquieta e li vidi uscire insieme. Lui si staccò e si avvicinò, mentre Anthea rimase in disparte.

“Laura, devo andare, un impegno che non posso evitare. Ti avrei portata a pranzo, perdonami.”

“Non fa niente, tranquillo.” Riordinai malamente la scrivania, accartocciando le cartelle. Alzò le sopracciglia mentre mi guardava sorpreso dal mio fare maldestro. Scosse la testa.

“Bada a seguire le mie raccomandazioni. Chiudi la porta principale quando vai in sala obitorio. Non tardare, e non fare di testa tua. Ti scongiuro avvertimi.”  Quel “scongiuro” mi addolcì e mi rese malleabile.

“Va bene farò la brava, ma una passeggiata concedimela.”

“Chiama Albert, se devi spostarti. Ti mando tutti i numeri necessari, memorizzali e usali.” Inclinò la testa di lato con un sorrisetto ironico.

“Tanto lo so che sei testarda.” Lo vidi trattenersi pensieroso, portò la mano al mento sfregandosi la barba che stava già ricrescendo.

 “Laura, visto che non posso portarti a pranzo, che ne dici se ceniamo insieme stasera.?” Mi guardò titubante aspettando la mia risposta, sembrava contento della sua idea.

Rimasi incerta pensando che fosse una serata tra amici e nulla di più, lui di certo non sarebbe andato oltre.

“Perché no? i piacerebbe uscire di sera, e con te mi sento sicura.” Lo guardai sorridendo pensando che fosse simpatico rimanere un po' con lui, soprattutto perché non c’erano molte occasioni di stare insieme.

“Bene allora alle otto vengo a prenderti, ti prometto di non farti fare tardi. E di ripagarti per le tue attenzioni.”

Avevo un dubbio non sapendo quali luoghi frequentasse, ma di certo non comuni. “Spero non sia un posto troppo elegante.” Impensierita lo fissai cercando di fargli capire che non ero propriamente una delle dame dell’alta borghesia che conosceva.

“Tranquilla, niente di stressante, stasera solo relax.” Agitò la mano in aria. Mentre con l’altra ondeggiava il suo ombrello soddisfatto si voltò, raggiunse Anthea, che mi salutò approvando con lo sguardo, e uscì.

Sospirai mentre li vidi scomparire oltre la porta a vetri, ed ero in pace con me stessa, perché Mycroft si era comportato come desideravo.

Nemmeno un accenno a quello che gli avevo raccontato, non un cambio di umore, né di atteggiamento.

Era un perfetto gentleman. Non c’era che dire, mi aveva trattata senza quella fastidiosa pietà che i miei parenti in Italia mi dispensavano tutte le volte che mi incrociavano. Cercare di dimenticare il passato in quel modo non era possibile. Holmes lo aveva capito e gliene fui grata.

Così passai la mattinata da sola. Finii per pranzare come spesso accadeva davanti al distributore automatico a mangiare un panino. Ma certa che avrei recuperato alla sera.  Alle sei me ne filai a casa, per riassettarmi e prepararmi per la serata.

 

 

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Capitolo 17
*** Una cena per due. Prima parte ***


 

Trovai i miei coinquilini affaccendati in cucina, li avvisai che quella sera ero fuori. Mi ritrovai i loro occhi puntati addosso e le loro bocche aperte.

“Tranquilli esco con Mycroft.” Sospirai a labbra strette e salii rapida in camera prima che mi tempestassero di domande.

 Indossai un vestito a fiori, piccoli e delicati, acquistato a Firenze. Le mie compagne di corso lo avevano trovato adatto al mio fisico, legava con il colore dei miei occhi castani chiari. Non era troppo scollato, né audace, era semplice e delicato. Un copri spalle azzurro completò l'insieme. Ravvivai i miei capelli castani che si erano fatti più ondulati, e mi passai un po' di trucco leggero, mi piaceva apparire per quella che ero. Infondo non avevo bisogno di mascherarmi.

Scesi, e aspettai di sotto l’arrivo di Holmes.  John mi fisso sorpreso, e Sherlock sorrise tra il divertito e il compassato.

“Dove ti porta quell’orso di Myc?” Esordì seduto nella sua comoda poltrona, lasciò il violino e aspettò la mia risposta.

“A cena, come risarcimento per l'aiuto che gli ho dato al san Bart. Oggi è dovuto andare via presto, mi aveva promesso il pranzo, ma ha optato per la serata.”  Mi aspettavo la solita battuta ironica, e invece fu delicato e quasi contento. Mi andai a sedere di fronte a lui.

“Bene, era ora che si decidesse.”

“E dai, Sherlock, è una cena tra amici. Lo sai com’è.”  Mi accomodai meglio accavallando le gambe. Lui ebbe un cenno di sorpresa, era la prima volta che le notava, il più delle volte indossavo dei Jeans.

“Io lo so, visto che è un Holmes, ma tu lo sai, com' è lui?”  Riprese la sua lotta fratricida, ma sembrava accettare il fatto che il suo contorto fratello avesse una simpatia per me.  “Non fare il saccente, è già tanto che mi conceda una sera.”

“Appunto, credo non esca da secoli, a meno che non si tratti di lavoro.”  L’ironia della sua voce non mi lasciava molto scampo. Mi aggiustai la gonna. “Non preoccuparti, lui non ha secondi fini, speriamo di non litigare come al solito.” Rise, come se sapesse leggere nei miei pensieri. E naturalmente conosceva bene il fratello.

“Credo sia una vostra prerogativa, non esistereste come coppia se non vi azzuffaste. Gli sai tenere testa e questo lo intriga.”  Si alzò e si avvicinò. “Bene Laura, buona fortuna. Mandagli un saluto da parte mia. È arrivato.” Come facesse a riconoscere l’auto di servizio era un mistero. Mi alzai e mi affacciai alla finestra e infatti era di sotto.

Indossai la giacca e scesi, arrivai alla porta, e Sherlock mi chiamò. “Laura comunque non ti merita, sei bellissima stasera.” John rise dalla cucina vedendo le mie guance rosse. “Concordo vivamente Laura.”

“Oh, ma smettetela.” Agitai la mano scacciando inutili preoccupazioni che sembravano volermi disturbare.

Scesi di sotto già nervosa. L’auto nera era già lì che mi aspettava.

Lui in piedi, le mani dentro le tasche del Crombie nero, che oscillava guardandosi le scarpe lucide, come uno scolaretto imbarazzato. Abbassai la testa e sorrisi felice.

 Si, perché ero contenta di stare con lui, fuori dal san Bart o dalla casa della signora Hudson. Finalmente un po' di intimità nostra. Mi inquadrò e mi aprì la porta.

“Mycroft, non essere così formale, sono sempre io, quella che sgridi in continuazione.”

Mi fissò con sorpresa. Mi vedeva sempre con i Jeans e il camice, ora scopriva qualcosa di diverso. La donna in me che aveva intravisto solo poche volte. “Sei molto elegante, Laura.” Mormorò con occhio critico, però la voce lo tradiva perché tremava appena.

“Grazie, anche tu non sei male. Ma stasera sei ancora più British del solito.” Mi accomodai in auto e salutai Albert.

“Buona sera dottoressa, mi permetta di dirle che è splendida stasera.”   Mycroft brontolò per quella affermazione fuori luogo.

Gli diedi un colpetto affettuoso sul braccio, e si rabbonì subito. 

Aveva una sciarpa di seta azzurra allacciata sotto al cappotto, da cui spuntavano dei calzoni chiari spinati. E il suo profumo di spezie ambrate era delicato. Guardava in avanti, ma sentì il mio sguardo addosso.

“Che c’è Laura? Sono il  Mycroft di sempre, non mi riconosci?” Inclinò la testa di lato come faceva spesso quando era in modalità di studio. Elaborava il perché della mia attenzione, non voleva essere messo a disagio.

“È la prima volta che non mi rapisci, né che siamo ai ferri corti, quindi stasera è tregua dichiarata.”

Si rese conto che era la verità. “Certo che sì, nulla ci dovrà far litigare. Capito Lorenzi?” Lo sottolineò marcando di più la voce.

“Certo, Holmes. Hai la mia parola.” Ripresi a guardare la strada, era una serata con il tempo imbronciato, sembrava volesse piovere di lì a poco.

La berlina scivolò lungo le vie fino al centro di Londra, dove ci lasciò davanti a un ristorantino che sembrava tipicamente italiano, elegante e semplice, attorniato da una siepe che nascondeva al suo interno dei tavoli pronti per l’estate.  Mycroft scese, mi aspettò stringendo il suo ombrello, che almeno in quella serata poteva tornare utile.

“Che ne dici Laura, ho scovato questo posto dove ti sentirai a casa!” Infatti rimasi a bocca aperta. Era a conduzione italiana, e i profumi della cucina mi portarono subito al mio paese.

“Myc, è bellissimo.” Riuscii a bisbigliare, stupita.

“Cucinano come vuoi tu. Non certo piatti rivisti con influenze britanniche.”  Lo presi sottobraccio, ero così felice di trovare la mia patria, che non mi accorsi di stringermi a lui, accettò senza battere ciglio quel contatto. Anzi mi diede due buffetti sulla mano. “Spero ti sentirai un po' serena, dopo questo periodo difficile.”

Il grazioso ristorante era delizioso, pulito e non troppo affollato, con dei tavoli apparecchiati con tovaglie chiare con al centro un piccolo vaso con una candela colorata. I tovaglioli intrecciati a fianco dei piatti. Le sedie comode con alti schienali.  Aveva riservato un tavolo un po' appartato.  Fu gentile, mi aiutò a liberarmi del cappotto, mi scostò la sedia. Accortezze che non ero più abituata a trovare in un uomo. Lui si sedette di fronte. Aveva un completo nuovo che non gli avevo mai visto, in un delicato beige spinato, camicia candida e cravatta marrone con disegni di piccole foglie più chiare.

Era attraente, non c’era nulla da dire, la maturità e la sicurezza che mi restituiva era perfetta. Mi sentii in difficoltà, ma fu solo per un attimo. E lui lo notò come sempre, leggendo il mio modo di pormi.

“Laura, sei perfetta, non sentirti imbarazzata. Sei una donna combattiva e indipendente, e devo dire stasera decisamente sorprendente.” Prese il tovagliolo e lo sistemò allineandolo perfettamente al piatto.

“Mycroft, mi lusinghi, ti rammento che ti ho infastidito fino a poche ore fa.”  Mi schernii appena un po' cercando di trovare la giusta misura per affrontare la serata.

“Bene, ma ora vedo il rapporto fra noi in modo più chiaro, stasera siamo alla pari.” Mi ritrovai a ridere, mentre gli scompigliavo il tovagliolo, per provocarlo.

“Avanti Laura, non giocare con me.”  Ma lo lasciò così, fuori dalle sue simmetrie misteriose, mi regalò un sorriso divertito.

“D’accordo, vediamo cosa mangiare che sia una novità italiana, piacevole per un British dispotico come te.”

Mi fissò, sornione. Prese la lista del menù e la scorse. Dopo poco la lasciò cadere sul tavolo.

“Scegli tu, fammi sentire in Italia.” Annuii, avevo il suo benestare.  Scelsi un antipasto di prosciutti tipici doc, e scaglie di Parmigiano.  Come primo degli spaghetti saltati nel pomodoro fresco e olive taggiasche. Spolverati con dei tocchetti di bufala.  Un piatto di filetto di maialino cotto alla brace, con contorno di cicoria saltata. E pane senza sale tipico toscano. Per finire una macedonia di frutta fresca.

Il vino non fu una scelta difficile, perché ero consapevole che papà lo esportava all’estero, quindi optai un rosso di Siena della tenuta Lorenzi. Lui era un mago nel produrre un prodotto di qualità, che aveva vinto diversi concorsi.

“Questo vino dunque proviene dalla tua tenuta? Laura sei una sorpresa.”  Mycroft rimase piacevolmente colpito da quella novità. “Non mi avevi mai detto che eri l’erede di una tradizione cosi tipicamente Italiana.”  Assaggiò il rosso fermo, saporito e profumato di campi e di sole. 

“Ti piacerà, c’è il cuore e gli insegnamenti di mio padre lì dentro, lo zio Pietro continua il suo lavoro, loro condividevano la stessa passione ed erano molto vicini.” Brindammo, fui felice di essere con lui a condividere il vino del mio amato padre.

La cena fu deliziosa, Myc assaporava quella cucina diversa, poco elaborata, ma gustosa. Silenziosi assaporavamo tutto, mentre ci guardavamo complici, in quella serenità acquisita, ritrovai una parte di me che avevo lasciato a Siena anni fa, sepolta sotto dolorosi ricordi.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Una cena per due. Seconda parte ***


 

Mycroft posò il bicchiere e si rilassò sulla sedia.

“Non ti senti sola Laura? Non hai nessuno a Londra, è una città difficile, non deve essere stata una scelta facile quella di partire.”

“No, certamente, ma volevo una svolta e l’ho trovata. E poi non è vero che non ho nessuno.” Mormorai lentamente, scandendo bene le parole.

“Scusa?” Mi fece eco, incuriosito da quella risposta, evidentemente credeva mi sentissi isolata.

“Tu sei il mio amico, voi tutti lo siete. Sherlock, John, Molly, Lestrade, Anthea, la signora Hudson.  Cosa potrei pretendere di più? Tu poi, non fai altro che proteggermi.”  Risi vedendo la sua faccia corrugata.

“Beh!  Per adesso ti ho causato solo guai, Laura..”

“Tuo malgrado, credo. Però stasera sei perdonato.”  Si rilassò e incrociò le braccia, le mie parole lo avevano colpito.

“Sei troppo buona, mi concedi un perdono che non mi merito.”  Cambiò espressione, gli occhi si adombrarono, lo interpretai come un dolore nascosto, una vicenda passata che però gli costava ancora.

“Perché cosa hai fatto di così grave? Non mi sembri così temibile.” Prese del tempo, sciolse le braccia e le lasciò cadere lunghi i fianchi, fece un lungo respiro.

“A volte, non sono riuscito a proteggere le persone a cui volevo bene.”

“Detto da te, quel voler bene la dice lunga. Parli di tua sorella, vero?” Mi appoggiai sul tavolo, dimostrandogli la mia solidarietà, lo fece anche lui. Ci ritrovammo vicini, piantò i gomiti e portò le mani sotto al mento.” Come lo sai? Cosa ti hanno detto?”

Era sulla difensiva, temeva che mi avessero raccontato delle falsità.

“L’ho saputo da Molly, e un po' da John, so che hai nascosto la reclusione di tua sorella per proteggere la tua famiglia.”

Non eravamo molto lontani, adesso sentivo il suo profumo e probabilmente lui il mio.  “Tu sei così protettivo, non badi a nulla pur di fare il bene degli altri. So che Sherlock l’ha capito, ma i tuoi genitori invece no.” 

Abbandonò le mani sul tavolo e prese a lisciare la tovaglia, sembrava imbarazzato da confidenze che non faceva a nessuno.   “Via!  Lo sai che ti vogliono bene, dovresti cercare di mettere fine a questa storia. Va a fargli visita, porta dei fiori a tua madre, fa un gesto di buona volontà.”

Allungai la mano e presi la sua. Non si ritrasse, lasciò che lo confortassi, lo accarezzai cercando di rasserenarlo. Avevo toccato un punto dolente, abbassò lo sguardo e corrugò la fronte. Non si accorse nemmeno del cameriere che riassettava la sala.

Mai si sarebbe concesso a qualcuno così scoperto, lo tenni per mano e la strinsi forte.

“Mycroft, avanti, voglio sentirti fare una battuta sarcastica, mi piaci di più. Anche se fosse rivolta a me.”

Scosse la testa, non alzò gli occhi, lo sentii muovere appena il braccio sotto la mia stretta.

“Ho sbagliato tanto, sono morte delle persone, Eurus ha ucciso. Questo è stato il mio più grande fallimento.” 

Respirammo quasi in sincrono, ma sentivo tutta la sua stanchezza, portare quel peso per metà della sua vita gli era costato molto.

“No, nessun fallimento Myc. Tutti sbagliamo, a volte molto, credendo di farlo per amore. E tu hai fatto del tuo meglio.” 

Sorrise tristemente, alzando la testa e guardandomi.  “Sai, me l’hanno già detto, che ho fatto la cosa giusta. Ma non mia madre.”

“Ma tuo fratello si, e so che ci tieni a lui.”

 Annuì, sembrò placarsi. Fu lui a prendere la mia mano e tenerla stretta. “È bello averti come Friends.”

Detto da lui fu come toccare il cielo con un dito. Anche se avrei voluto che dicesse qualcosa di più, perché mi tremava il cuore nel tenergli la mano.  Sentivo un calore inaspettato, che mi percorreva lento, e mi piaceva.  Una sensazione mai provata, dolce e sofferta allo stesso tempo. Mi chiesi se anche lui provava lo stesso. Rimanemmo così, senza parole, per un breve momento. E questo stupì entrambi.

 Ma come sempre accadeva, come se avesse un pulsante dove resettare i sentimenti che provava, si scosse, tornò a essere quello di sempre.

“Si è fatto tardi, dobbiamo andare.”

Si allontanò e la magia scomparve.  Lo accettai, mi ritrassi insicura per quello che provavo io, e quello che lui sentiva per me.  Fu, al solito, gentile e formale mentre mi aiutava a indossare il cappotto.

Aveva preso a piovigginare e salimmo veloci in auto. 

Mycroft mi sorrise complice e chiese ad Albert di portarci a vedere il Tamigi.

Non scendemmo, fece fermare l’auto per pochi minuti lungo la riva, aprimmo il finestrino dalla mia parte. La pioggia e il fiume erano da incanto.

Lui si avvicinò e mi premette sul fianco, lo sentii così vicino come mai era successo prima. Mi chiesi se lo avesse percepito, di solito manteneva le distanze, la sua zona “confort”.

“Ti piace? È bello qui, peccato la pioggia, ma ci verremo ancora.”  Si fermò indeciso. “Se vorrai, naturalmente.”

“Certo, che lo voglio, è un posto bellissimo e romantico.”  Si scostò improvvisamente, i nostri volti erano troppo vicini.

“Scusami.”  Balbettò. “Non vorrei pensassi che io... sono stato scortese…non sono quel tipo d’uomo, Laura, perdonami.”  Era mortificato. “So quello che hai passato.... non voglio ferirti. Sono stato imperdonabile.” 

“Mio Dio, Myc non mi hai fatto nulla! Su stai sereno!” Era adorabile, mentre un filo di rossore gli infiammava le guance.

Pensai di approfittare del momento. “Però, visto che sei stato così imperdonabile come dici tu, un bacio casto sulla guancia, che sancisce il perdono, quello lo pretendo.”

“Laura!” Sbottò da in fondo al sedile che aveva raggiunto in fretta.

 Vide il mio sorriso provocatorio e si lasciò andare, restituendomi una mezza smorfia divertita. "Va bene, quando siamo a casa, te lo prometto.”  Albert ripartì, il vetro interno era chiuso, pensai che avesse capito tutto.

Quando arrivammo a Baker Street scesi e anche Myc. “Sono stata bene, mi sono rilassata. Sei un “friend” attento e gentile.”

“Anche per me è stato lo stesso, lo rifarei ancora se vorrai.” 

“Sempre che domani non torniamo a beccarci come due galli. Però adesso che c’è questa tregua voglio il mio pegno.” Lo fissai decisa.

Strinse le labbra. “Non bacio nemmeno Rosie. Però visto che te l’ho promesso, Laura  my friends, lo farò.”

Si avvicinò al mio viso, e adorai il profumo della sua pelle. Mi stampò un bacio delicato sulla guancia che mi fece tremare, anni di solitudine finirono in fumo.

“Il più bel bacio che abbia ricevuto.  A parte quello umido di tua nipote.” Mi venne spontaneo accarezzargli   la guancia, che si era fatta un po' ispida.   Non si scostò, accettò quel gesto affettuoso.

“Hai già la barba che ricresce,  Ice man.” Si accigliò e si passò preoccupato la mano sul mento. Risi, per il suo imbarazzo, come si faceva a non amarlo?  Si, perché era questo che gridava il mio cuore. Peccato che lui non lo sapesse, mentre io, ormai,  ero totalmente persa.  

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Una amicizia letale ***


 

La mattina seguente mi svegliai presto, con la sensazione di sentirmi bene. Indossai i miei soliti jeans e una maglietta di cotone bianca con degli inserti colorati, ma decisi d'infilarmi anche un pullover leggero azzurro, visto il tempo incerto.

Scesi di sotto e non ci trovai nessuno. Solo un biglietto appeso al frigo che mi avvertiva che erano usciti con Rosie a fare delle commissioni. John gentile come sempre, mi aveva lasciato la colazione pronta.

Entrò la signora Hudson con le borse della spesa e l'aria trafelata.

"Laura, ancora a casa? Ti credevo già al lavoro." Appoggiò i suoi acquisti in cucina e si lasciò cadere sulla sedia.

"Sono sempre in ritardo, ha ragione. Ha bisogno di aiuto?" Mi mostrai disponibile mentre mangiavo un biscotto zeppo di marmellata. Lei si avvicinò con gli occhi curiosi, mi studiò giusto un attimo.

"No, ragazza mia. Piuttosto come è andata ieri sera, con quel pezzo di marmo di Mycroft?

Sbuffai avvilita per il poco feeling che aveva con Holmes. "Via signora Hudson, le assicuro che non è un uomo freddo quando vuole." Mandai giù un sorso di tè per non strozzarmi.

"Ecco per l'appunto dovrebbe sciogliersi un po'. Ma con tutti e più spesso." Sentenziò come un verdetto finale.

Le toccai la mano che stava togliendo poche briciole dal tavolo. "Lo farà prima o poi, ma cerchi di non prendersela troppo con lui." Storse le labbra, poco convinta. "Uhm, lo farò se lui diventerà gentile."

Le diedi due colpetti sul braccio. "Vedremo signora Hudson, in tanto prendiamolo per quello che è. Ora vado, speriamo che non mi sgridino per il solito ritardo."

Uscii dandole un bacio in fronte, e mi precipitai in strada.

Arrivai al san Bart in tempo per salutare Molly, che stava uscendo. Mi anticipò la sgridata, ma la voce era gentile.

"Ti ho scritto tutto, l'ho messo sulla scrivania." Mi lanciò uno sguardo d'intesa. Laura, anticipa la sveglia al mattino."

Annuii agitando la mano in segno di scusa, poi volai in laboratorio. Naturalmente Holmes non c'era, come al solito spariva e di lui non sapevo più nulla. Non avevamo nemmeno l'abitudine di sentirci per messaggio, quindi era il buio completo.

Vidi le istruzioni di Hooper e cominciai a sbrigare il lavoro il più velocemente possibile.

Ogni tanto guardavo l'ufficio di Myc e mi dispiaceva vederlo vuoto. Mi sedetti alla scrivania e pensai amaramente che tutto il bello della serata se ne era volato via. Non capivo cosa lui provasse per me, non mi aveva dimostrato particolare attaccamento. Forse mi considerava semplicemente un passatempo da accudire di tanto in tanto.

Catalogai reperti e cartelle cliniche, e presto arrivò l'ora di pranzo.

Uscii rigorosamente sola, e andai nel bar di fronte al san Bart a mangiare il solito panino, che sbocconcellai mentre passeggiavo nei dintorni, ma sempre in posti affollati. Feci quattro passi in solitudine nella via che attraversava il quartiere, rimuginando del silenzio di Mycroft.

Rientrai mentre arrivarono all'obitorio due nuovi corpi, e una chiamata di Lestrade.

"Lorenzi, so che Molly è fuori. Ho bisogno di un rapido resoconto su uno dei corpi che è arrivato da te. Una donna uccisa malamente, credo torturata. Guarda se puoi dirmi qualcosa di più."

"Va bene, me ne incarico subito, puoi venire tra un paio di ore."

Le torture mi avevano già messo in agitazione. Ma dovevo affrontare subito la cosa, altrimenti non ne sarei mai uscita. Chiusi la porta dell'ingresso come mi aveva raccomandato Myc, ero sola ed era meglio essere al sicuro.

Indossai la tuta verde e cominciai il mio lavoro.

Data, età, sesso, morte presunta per....

Il povero corpo della donna, giovane caucasica, bionda, era stato seviziato. Ampi tagli nell'addome, non mortali, bruciature sul collo. I polsi erano stati fermati con delle fascette di plastica, erano riconoscibili perché lasciavano segni precisi. Le mancavano le unghie delle mani e dei piedi.

Molti ematomi, alcuni dovuti a pugni.

Era stata picchiata da nuda, ma non aveva subito violenza. La morte per ipotermia, emorragia interna. Non si sarebbe salvata anche se l'avessero trovata in tempo. Presi un lungo respiro, non era facile vedere una morte del genere. 

Mentre le guardavo il volto, mi incuriosì una striscia di bava rossiccia che le era uscita dal lato della bocca e si era rappreso. Sembrava colore. Aprii lentamente vista la rigidità cadaverica e ci trovai dentro un pezzo di mezzo centimetro di plastica semi rigido, di colore rosso.

Mi mancò il respiro.

Dio, sembrava un pezzo della copertina che avvolgeva le cartelle di Holmes. Presi un vetrino, appoggiai il reperto e andai rapidamente al microscopio elettronico.

Tremai mentre sospettavo qualcosa di troppo difficile da digerire.

Infatti la conferma era lì. Quello era decisamente un pezzo dei faldoni tanto misteriosi dell' Mi6, che consegnavo regolarmente a Holmes.

Ora era da capire perché lo avesse in bocca, forse lo aveva ingoiato dopo averlo strappato con i denti.

Quindi? Era un indizio che ci aveva lasciato o che altro? Se fosse stata torturata per quei fascicoli voleva farcelo sapere.

Ma non sembrava una donna comune, il corpo era sodo e allenato. Tornai dentro la sala e la studiai meglio. Aveva resistito alle percosse. E ne aveva date, le nocchie delle mani erano arrossate.

Nelle braccia tagli da difesa. Era forse un agente? E Mycroft c'entrava qualcosa? Coprii il corpo, e lo rimisi nella cella frigorifera, almeno per un po'. Mi decisi piena di risentimento, a chiamare Holmes. Presi il cellulare con le mani sudate.

Rispose al secondo squillo.

"Che succede Lorenzi? Sono in riunione." Era sorpreso, si irritò per il disturbo della chiamata, si fece freddo e impersonale come sempre, così esplosi al limite dell'esasperazione.

"Vedrai che ora lascerai la tua dannata riunione! Hanno portato un corpo qui, una donna bionda, giovane e atletica, che temo possa riguardarti." Non riuscii a trattenermi, la mia voce era tagliente.

"Scusa?" Sentii il gelo dall'altro lato del cellulare.

"Una donna morta per le torture, che aveva un regalo per te." Lo sibilai furiosa, non riuscendo a trattenermi. "Vieni prima che arrivi Lestrade. Credo sia roba vostra, Holmes. Non devo dirti altro, probabilmente ci arriverai da solo."

Non lo sentii nemmeno respirare. "Bene, arrivo. Non aprire a nessuno. Bada Laura, fai come ti dico."

"Mycroft, sei un bastardo! Non capisco chi tu sia veramente. Mi fai paura." Chiusi la chiamata.

Tornai in sala, sconvolta. Quanto valevano quelle cartelle? Quanto in pericolo mi trovavo? E se la povera donna era un agente, cosa rischiavo a sapere degli intrallazzi di Holmes?   

A

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Capitolo 20
*** Il corpo di Gwen ***


Aspettai il suo arrivo, ero talmente nervosa e allarmata che non riuscii nemmeno a catalogare i reperti.

 Se Lestrade fosse arrivato prima di Mycroft, non avevo idea di come comportarmi. Avere Scotland Yard e i servizi segreti dell’Mi6 anteposti era una situazione difficile da gestire.

Finalmente il cicalino della porta emise il suo suono monotono e andai ad assicurarmi che fosse Holmes.

Aprii furente, indossavo ancora la tuta verde.   Lui entrò con la faccia scura piena di risentimento, forse per quel bastardo che gli avevo gridato. Non riconoscevo niente in lui della sera prima. Un dolore sottile mi percorse fino allo stomaco.

“Non saltare a conclusioni affrettate, portami a vedere il corpo.” La voce bassa e tagliente, il crombie nero aperto, doveva essere venuto in fretta, non aveva nemmeno l’ombrello, e non si era portato dietro   nemmeno Anthea. In silenzio entrammo nella sala settoria. Lo vidi titubare e irrigidirsi, sapevo che l’odore era pungente e infastidiva la maggior parte delle persone, cercai di essere comprensiva anche se lo avrei preso a schiaffi.

“Mettiti la mascherina e non ti avvicinare se non te la senti.”  La prese e la indossò. “Non sono un bambino, Lorenzi.” Sibilò seccato mentre mi seguiva risoluto.

“Bene, allora stai vicino a me.”  Sogghignai ironica e lo portai dentro, ma cercavo di assicurarmi che stesse bene.

Lo scrutai un paio di secondi prima di scoprire il corpo. Sembrava stabile.  Fissò la poveretta, e io fissavo lui. Il suo volto passò rapido dal dolore alla rabbia, gli occhi dal grigio al nero denso.

“La conosci, vedo.” Annuì silenzioso abbassando la testa, mentre pietosamente la coprivo, cercai di essere rispettosa del corpo della giovane donna, mentre lui non dava nessun segno di rammarico, così mi infastidii.  “Ho un problema imminente, sta arrivando Lestrade. Cosa devo fare?” Brontolò, mentre uscivamo dalla sala autoptica. Lui mi precedeva, le spalle sembravano portare un peso enorme.

Tolse la mascherina e la gettò nei rifiuti, mentre io mi liberavo dalla tuta verde. Si sedette sulla sedia del laboratorio, quasi scomposto.

Era pallido. “Come è morta?” La voce nascondeva una nota di stanchezza.  Presi un bicchiere d’acqua dal dispenser e glielo allungai. “Bevi, senza protestare.” Lo accettò e mi accorsi di un impercettibile tremore delle mani mentre lo afferrava, ne mandò giù un lungo sorso.  Mi sistemai davanti a lui in piedi sovrastandolo, mi appoggiai al bancone, e gli raccontai tutto quello che avevo trovato. Per ultimo gli allungai il reperto che conteneva il pezzo di carta rosso che aveva inghiottito.

Non alzò mai la testa, ascoltò tormentando il bicchiere di carta e bevendo a piccoli sorsi. Alla fine non disse nulla, rimase impietrito, arroccato dentro la sua freddezza. Io non capivo se provavo dolore o rancore per quel suo modo di agire al limite della legalità.

“La conoscevi?”  Lo studiai mentre mi rispondeva.

“Si, era una brava agente, scrupolosa e fidata.”  Sospirò. “Talmente tanto che si è fatta uccidere per tenere il segreto.”  Alzò gli occhi che si erano fatti più limpidi, sembravano pieni di pietà. Mi fissò turbato, quasi dispiaciuto. “Per questo voglio che tu non sappia nulla di quelle cartelle.”  Sbuffai ironica, incrociai le braccia e sibilai per niente garbata.

“Come se servisse Holmes. Dici delle stronzate.” Lui non capì il mio inglese italianizzato.

“Stronzate?”

“Delle cose stupide, tradotto per te.”  Non afferrò l’offesa e non brontolò come al solito... “Dimmi che devo fare con Greg.”

Si alzò e riprese la sua freddezza. “Me ne occupo io, quando arriverà.” 

“Bene, finisco in sala.” Mi avviai per indossare nuovamente la tuta verde, ma mi fermò prendendomi il braccio.

“Laura, il corpo di Gwen lo portiamo via noi. Sii gentile, preparalo nel migliore dei modi.”  Lo fissai, vidi un attimo di profonda disperazione passagli sul volto.

“Allora il suo nome era Gwen? Mi dispiace, te la restituisco il più dignitosamente possibile.” Riprese il suo usuale contegno. 

Il cicalino annunciò l’arrivo di Lestrade. Li lasciai soli e andai a dare l’ultimo saluto a Gwen.

Ero convinta, mentre la ricomponevo, che Holmes l’avrebbe vendicata. Credo anche che sapesse già di chi era la colpa, ma c’era un che di oscuro nel suo lavoro che mi fece rabbrividire.

Poco dopo entrarono due uomini del trasporto mortuario e portarono via Gwen.

Intravidi Lestrade che usciva furioso, imprecando contro Holmes, che immobile lo seguiva con lo sguardo.

“Vedo che hai un nuovo amico.” Gettai la tuta nei rifiuti, abbattuta da quella situazione assurda. 

“Fa un po' di scena, ma ha capito, ed è una brava persona.”  Holmes si avvicinò alla porta. “Io devo andare, tu rimani ancora?” 

“Te ne vai così senza nessuna spiegazione?”  Mi irritavano questi suoi silenzi assurdi, dove non esistevo più, dove non ero più la sua “friend”.

“Non ti devo nulla, Lorenzi.” Un sorriso sprezzante gli si stampò in volto. Fu scortese, si sistemò la sciarpa con noncuranza.

 Com’era possibile passare dalla dolcezza di un abbraccio alla freddezza che mi buttava addosso in quel momento. Non riuscii più a trattenermi, mentre tutto l’affetto che avevo per lui si disintegrava.

“Sei sempre il solito, Mycroft!  Non riesco a capirti, ora non sono più la “tua friend”?  Cosa sono in questo momento? Solo un ostacolo al tuo maledetto lavoro!  Mi sento una stupida ad averti aperto il mio cuore. Vattene. Va via.” 

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì nulla, era turbato dalla mia rabbia.

“Esci, fuori di qui.” Quasi urlai, mi voltai e lo lasciai lì, con il suo cappotto costoso e la sua aria di superiorità.

La porta a vetri, si chiuse e rimasi sola in laboratorio.

Finii per entrare nella sala autoptica piena di rancore e iniziai a pulire rabbiosa.

Non capivo perché mi tenesse all’oscuro di tutto, avrebbe potuto parlarmi del suo lavoro, anche senza entrare in quei particolari rischiosi che non dovevo conoscere, ma   non riponeva in me nessuna fiducia.  Gli avevo offerto la mia amicizia, ma lui non faceva altro che contraddirsi. Ora mi cercava, ora mi allontanava. Anche con tutta la sua voglia di proteggermi mi aveva già ampiamente compromessa. Sapevo di essere in pericolo e rabbrividii. Sapeva quello che avevo patito, eppure ora non c’era, era sparito, come faceva sempre lasciandomi sola e impaurita mentre mi dibattevo tra odio e amore nei suoi confronti. 

Non desideravo altro che un po' di continuità e fiducia nel nostro rapporto. Nulla di più.

 

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Capitolo 21
*** Il bunker di Mycroft ***


Chiusi il laboratorio e mi preparai per uscire, era già buio e faceva freddo. Camminai fino all’uscita e mi accorsi dell’arrivo di Albert.  Rimasi interdetta e aspettai che mi raggiungesse.

“Dottoressa salga, la accompagno dal signor Holmes.”  Lo guardai accigliata, non capivo cosa significasse quel cambiamento.

“Ma per quale motivo, Albert?” Ero sospettosa, visto che avevo cacciato Mycroft in malo modo un’ora prima.

“Non lo so, ma ho questo ordine.” Mi passai la mano sulla fronte cercando di raccogliere le poche certezze che avevo e capire cosa volesse ancora da me. Così feci una cosa infantile e mi rivolsi titubante ad Albert.

“Faccio bene ad accettare? Visto che abbiamo litigato poco fa.”

“Dottoressa la prego, salga, il signor Holmes avrà una ragione.  Io ho ricevuto questo incarico. Si fidi.”

“Sta bene andiamo, avverto Watson.”  Salii dietro, Albert chiuse la porta e andò a sedersi alla guida.

Rimasi silenziosa per tutto il viaggio mentre percorrevamo buona parte di Londra. Entrammo in un edificio imponente, chiuso da un cancello massiccio protetto da telecamere. All’interno, un giardino e un colonnato bianco, abbellivano un palazzo signorile. Notai che anche lì le telecamere erano posizionate ovunque. Albert mi avvisò che eravamo arrivati, mi augurò una buona serata, mentre vidi Anthea venirmi incontro.   Scesi innervosita guardandomi intorno.

“Ciao, che ci faccio qui? Non poteva aspettare domani?”  Scosse la testa e la massa dei capelli ramati.

“Non lo so Laura, ma è tornato piuttosto inquieto e ha deciso di farti portare qui. Sai che eseguo gli ordini, seguimi.”  Le trotterellai dietro, lei aveva un passo deciso. In breve accedemmo all'ascensore che ci portò ai piani interrati. Rabbrividii pensando come si potesse lavorare in un posto così buio, illuminato dalla luce artificiale. Passammo porte blindate e corridoi impersonali.  Finché mi lasciò davanti all'anticamera di uno studio, mi aprì la porta e con un cenno del capo si allontanò.

Mi ritrovai di fronte a Holmes.

“Gesù, ma lavori qui sotto?” Sbottai sconcertata dal sistema di protezione adottato per la sua incolumità. Lui era dietro alla scrivania più costosa che avessi mai visto, in ulivo massiccio. Appoggiò la penna e mi rivolse lo sguardo.

“Ho uffici migliori con finestre, ma oggi avevo da fare in questo.”  Mi osservai intorno, decisamente un posto poco colorato e ordinato in modo maniacale. Una libreria con i suoi romanzi preferiti, la scrivania con pochi essenziali oggetti, qualche quadro di valore alle pareti e due poltrone dall’aria scomoda. Tipico studio da Holmes. Lui mi esaminava, ci eravamo lasciati male e io ero poco propensa al perdono.

“Cosa vuoi, Mycroft? Volevi impressionarmi? Perché ci sei riuscito.”  Mi fece cenno di sedermi. Mi lasciai cadere sulla poltrona decisamente poco accogliente, come lui del resto.

“Ho pensato di doverti una spiegazione. In fondo ti ho messo già in pericolo, senza nemmeno riuscire a proteggerti.” La sua voce era incolore e questo mi fece già male. Tutto l’affetto che mi aveva dimostrato anche se raramente, era sparito. Fui sulla difensiva incapace di essere gentile.

“Vedo che hai un lavoro importante e complicato.”  Cominciai a capire quale personalità complessa avessi davanti. Solo ora percepivo la difficoltà del suo lavoro, tutto il peso di decisioni forse al limite della legalità. E quindi la solitudine di cui si era circondato, per non ferire le persone che amava.

“Ti sarai divertito con una ingenua come me, vero Mycroft? Ero facile da abbindolare!”

“Laura sei sempre polemica.”  Si avvicinò alla scrivania, piantò i gomiti e intrecciò le mani sotto al mento.

“Ti era sembrato che mi approfittassi di te?  Il mio comportamento non era studiato. Del resto tu non mi hai chiesto nulla del mio lavoro.” Fu ironico, mi sembrò di essere ritornata indietro di settimane, quando ci conoscevamo appena.

“Come avrei potuto, se eri sempre così misterioso e mi dicevi che era meglio non sapessi nulla. Razza di presuntuoso bugiardo.” Scoppiai, tutta la rabbia che non riuscivo più a controllare se ne uscì fuori. “Cercavo di mediare con te una parvenza di amicizia, ma non mi consideravi degna.” Lo fissai seccata, decisa ad andarmene via in fretta. “Ora dimmi perché mi hai trascinato qui!”

Aggrottò la fronte, mantenendo un distacco stoico nonostante lo avessi insultato, socchiudendo gli occhi allo stesso modo di come trattava le persone fastidiose che incontrava.

“Mi dispiace, ma la storia delle cartelle del San Bart ci è sfuggita di mano. Gwen era una nostra agente che doveva trovare una talpa all’interno del dipartimento. E sai come è finita.”

 Si fermò prendendo fiato, sembrava impietrito, consapevole dello sbaglio che aveva fatto.  “Ora sei coinvolta anche tu.  Sai di lei e soprattutto mi frequenti e questo ti mette in pericolo. Credimi, non ho potuto fare altrimenti.”

Gli risi in faccia piena di rancore e questo liberò i suoi freni inibitori. “Non lo prendere per un gioco, Lorenzi!” Mi ringhiò dietro.

“Lo so, che non è un gioco, maledizione! Ma io ero venuta a Londra per studiare, non per trovarmi coinvolta nei tuoi sporchi affari.” Lo sibilai al limite della sopportazione.

“Bada, Laura! Lavoro per la sicurezza tua e di tutta la nazione. Mi sottovaluti e di molto!” Si aggrappò ai braccioli della sua costosa poltrona e le mani gli divennero bianche, ma non si alzò.

“Bravo! Volevi farmi vedere quanto sei importante? Per dimostrarmi che fai un lavoro prestigioso! È per questo che mi hai trascinato qui, vero Mycroft? Non pensare di intimorirmi, con la tua ostentazione di potere.”

 Non riuscivo a riprendere la calma. Ero esasperata, mi sembrò un perfetto estraneo, mi spaventai. 

“Tirami fuori dai guai.”

Lui si accorse della mia paura, rimase sconcertato, annaspò aria e si ricompose appoggiandosi allo schienale.

 La mia voce si fece debole. “Lo sai cosa ho passato, non farmi pentire di avertelo confidato. Non sei “Friends” e nemmeno un uomo quando ti comporti così.”

Abbassai la testa, i capelli mi scivolarono sulla fronte, ma non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi cedere.

Mi sollevai dalla sedia, lui teso e muto si era messo a guardare i fogli distesi sulla scrivania, cercava di recuperare. Gli girai le spalle e fui vicina alla porta.

“Fammi tornare a casa, non voglio rimanere un minuto di più.”

Sentii scorrere la poltrona e i suoi passi, avvertii la sua presenza dietro di me, il calore della sua mano sulla spalla.

“Laura, lasciami finire, so quanto ti costa. Volevo avvertirti che devo metterti sotto scorta, tu e Hooper.”  Si interruppe, ma la voce era cambiata, era…  leggera. “Lei lo sa dei pericoli che corre frequentando noi Holmes.”

 Non dissi nulla mi limitai ad ascoltare, lui mi premette la spalla e mi fece girare adagio e me lo trovai davanti con il volto addolorato, sembrava pentito. “Sarà una cosa discreta Laura. Ma ti prometto sarà per poco. Sto già studiando come porvi rimedio.”  Si era addolcito, ma era teso, forse troppo. Pensai a Gwen ed ebbi un fremito di paura, non sapevo più cosa fare.

“Sai Mycroft? Non ci credo poi molto alle tue promesse.” Mi tremava la voce, ma cercai di non cedere, tanta era la voglia di sentirlo vicino e abbracciarlo perché potesse rassicurarmi. Mycroft  lasciò scivolare la mano sul mio braccio, e lo percorse fino a raggiungere la mia e la trattenne per pochi secondi.

Era così vicino da sentirne il respiro, era perplesso ma fu gentile.

“Va bene, Laura hai tutte le ragioni per dubitare, ma l’importante è che tu sappia che farò di tutto per proteggerti.”

Si staccò e chiamò Anthea. La nostra conversazione rimase sospesa come il nostro malconcio rapporto.  Me ne tornai a Baker Street con il cuore spezzato, mentre i dubbi sui sentimenti di Mycroft mi stavano soffocando.

  

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Il ferimento di Laura. ***


La serata a Baker Street fu rilassante.  Cercai di non pensare a quello che era accaduto, anche se provavo un sottile dispiacere. Non raccontai nulla a John, invece Sherlock credo sapesse già tutto. Rimase silenzioso nella sua poltrona osservandomi di tanto in tanto. Io mi limitai a coccolare la piccola Rosie, e sfinita andai a letto presto.

Unica nota positiva: trovai la sorpresa di un sms di Mycroft, che mi chiedeva come stavo. Gli risposi un laconico “Sto bene.” E mi infilai sotto le coperte brontolando all’indirizzo dei fratelli Holmes.

L’indomani trovai Molly che mi aspettava, voleva mettere in chiaro la situazione in cui mi ero trovata, così parlammo di quello che era successo.

Lei si scusò per tutto il trambusto provocato dall’arrivo di Mycroft, ma mi fece capire che grosse pressioni erano state fatte al san Bart per appoggiare l’MI6. Non protestai e cercai di capire il suo punto di vista.

“Molly va bene così, l’importante è che tutto sia regolare. Non voglio problemi con lui.” Hooper acconsentì che mi fermassi fino a tardi ma comunque protetta da una scorta invisibile.

 Holmes arrivò più tardi, lo vidi entrare con la solita flemma, mi sbirciò da lontano mentre ero occupata al microscopio.

“Buongiorno Laura.” Fu titubante, rigirava involontariamente il manico del suo amato ombrello.

Sollevai la testa e gli lanciai un’occhiataccia.

“Buongiorno anche a te, spero sarà una giornata tranquilla.” Ironizzai, ma vidi il suo volto cambiare, arrossì brevemente. Si ricompose subito e annuì, ma poco convinto.

“Che c’è? Non mi nasconderai qualcosa?”  Mi insospettii, ma non replicò, strinse l’ombrello e se ne andò nel suo ufficio.

Ecco la nostra conversazione era tutta lì, mi sentii sopraffatta dal suo modo di fare, ma ero assuefatta a quel comportamento altalenante. Forse lui era semplicemente una perdita di tempo.

 Mi rassegnai e sbrigai il lavoro di Molly. 

Il British Government passò la mattinata nel suo piccolo ufficio, non si mosse mai, non sollevò nemmeno la testa. Lavorò alacremente, fece chiamate al cellulare dove parlava fitto, probabilmente muoveva le sue pedine al governo.

Mentre io sprofondavo per essere così platealmente messa da parte, un buco enorme mi si formò dentro al cuore.

 Hooper mi chiese di pranzare con lei e accettai di buon grado. Avevo bisogno di uscire e prendere aria.

“Vediamo se Mycroft vuole venire, cerchiamo di essere gentili.”

Molly si avvicinò al suo ufficio e lo interpellò, ma lo vidi scuotere il capo, e lanciarmi una debole occhiata.  Me lo immaginavo, era guerra aperta fra noi.  Ritornò a lavorare, e io non ci provai nemmeno a sollecitarlo, lo lasciai lì, meglio rimanere lontani per un po'.

“Mi sa che Holmes ha una giornata difficile. Mi ha detto di lasciarlo in pace per almeno due ore.” Rise e mi prese sottobraccio.

 “Gli piace digiunare. Lo sai che da piccolo era piuttosto tondo? Poi Sherlock mi raccontò che si mise a dieta. Ora lo vedi com’è diventato.”

“Già però ne ha perso in simpatia.” Grugnii divertita pensando a come potesse essere, paffuto e brufoloso.

“Laura, so che ci tieni a lui, non negarlo. Però ti sei presa a cuore l’uomo più difficile di tutta Londra. Forse di tutta la terra.”

“Vero, la mia stupidità è stata totale, non mi riesce di stabilire un rapporto soddisfacente. Anche se me lo ritrovo sempre intorno.”

 “Il fascino dei fratelli Holmes! Mia cara Laura, devi tenere duro, lui ci tiene a te a quanto vedo, fa di tutto per tenerti lontana. Credo abbia semplicemente paura per te.  Forse quando finirà questa storia, il vostro sentimento si sistemerà.”

Annuii silenziosa. “Oppure si affosserà del tutto.” Mormorai avvilita.

 Raggiungemmo a piedi un piccolo pub di fronte al san Bart. E parlammo d’altro. Hooper ricevette una chiamata e dovette andare via prima, al San George, un ospedale dall’altra parte della città.

“Ti lascio Laura, mi dispiace, tu continua pure il tuo lavoro.”  Nessuna delle due si era ricordata del consiglio di Mycroft, di non ritornare prima.

Rimasta sola, non sapendo come passare il tempo rientrai, e fu l’inizio di un incubo.

Dovetti usare il pass per entrare, le porta era chiusa. Mi insospettii pensando al motivo per il quale Myc si fosse chiuso dentro.

Forse se ne era semplicemente andato.

Camminai fino alla scrivania, notai l’ufficio di Mycroft chiuso mentre mi toglievo la giacca, con la strana sensazione di essere osservata.

 Sussultai quando seduto sulla mia sedia ci trovai un tipo poco raccomandabile con una pistola in pugno.

Vestito di scuro, capelli neri e due occhi cattivi che mi fissavano.

“Eccola di ritorno la nostra dottoressa! Ora faremo quattro chiacchiere.”  La sua voce era un misto di ironia e rabbia.

“Chi sei? Cosa vuoi?” Cercai di capire cosa fare e soprattutto scoprire se ci fosse Mycroft da qualche parte.

Lui capì.

“Il tuo capo è di là, ora andiamo a trovarlo. Così quando ti vede gli si scioglie la lingua e stavolta parla. Visto che ultimamente vi vedete spesso.” Fu sarcastico e disgustoso e mi spinse malamente dentro l’ufficio di Holmes.

Era legato, due fascette di plastica gli serravano le braccia alla poltrona e gli aveva infilato un fazzoletto in bocca.

“Lo soffochi così!” Gridai appena lo vidi. “Levagli quel bavaglio.”  Lui rise velenoso, mentre Myc socchiuse gli occhi e vidi la fronte solcata da due rughe profonde.

“Come sei premurosa. Vediamo quanto lo sarà lui con te.”

 Fu rapido, mi afferrò la mano e la torse dietro la schiena, sussultai per il dolore e mi ritrovai a fissare Mycroft che stringeva con forza le mani sui braccioli e mi fissava in un misto di dispiacere e rabbia.

 Il bastardo si era liberato della pistola, aveva una lama affilata stretta alla mia gola. Cercavo con la mano libera di proteggermi il braccio che dolorava. Mi spinse vicino a Holmes.

“Prendi il bavaglio e non essere gentile, mia cara. Guarda Holmes, che bella sorpresa ti ha fatto la dottoressa a tornare durante il nostro colloquio.”

Lo fissai dispiaciuta e tirai la stoffa con delicatezza cercando di fare il più presto possibile. Tossì, ma riprese subito fiato, strinse le labbra e sibilò rapido.

“Lei è soltanto una dipendente, non vale il prezzo che chiedi!” Le sue parole furono taglienti, precise, senza alcuna inflessione, se mascherava inquietudine lo faceva bene.

“Davvero Holmes? Da come la frequenti non si direbbe. Saresti disposto a parlare o le devo lasciare un segno del tuo cinismo?”

Lui era cinereo, potevo vedere la sua rabbia contenuta. Cercava di dominarla come meglio poteva cercando una indifferenza che non aveva, lo conoscevo bene e sapevo cosa provava.

 “Dì a Malvest, che pagherà tutto questo.” Rimasi sorpresa che lo nominasse. Sir Edween era coinvolto.

“Non c’è che dire, sei bravo a capire come vanno le cose Holmes! Ma ora devi parlare.” Indicò il laptop che stava appoggiato di fianco alla libreria dietro di me.

Il tizio mi mormorò all’orecchio. “Brutta cosa stringere amicizia con Holmes.”

 Il suo fiato sul collo fu forse peggiore della lama che mi penetrò bruciante alla base del collo, sentii il calore del sangue colare lento. Strinsi i denti, non emisi nessun suono. Socchiusi gli occhi cercando di mantenere la calma. Anche se ero in tumulto.

“Ti piace quello che hai visto British Government? Ora parla perché sennò te la restituisco sfregiata.”

Riaprii gli occhi, Mycroft mi fissava con la faccia tirata, i suoi occhi erano neri come pece.

“Lasciala, avrai quello che vuoi! Fammi copiare il file dal laptop, e avrete le vostre risposte.”  La sua voce sembrava piatta, ma una piccola inflessione mi fece capire che allarmato.

 Mi spinse sulla sedia, pulì il sangue sulla sua manica e ripose il coltello. Non riuscivo a reagire per dolore, e lui fu rapido a legarmi alla sedia con due fascette di plastica. Tenni duro, la testa bassa le fitte acute sul collo e alla spalla, ma non volevo che Myc cedesse per me.

“Non fare qualcosa di cui ti pentirai Myc, non cedere per me.” Mi uscì un soffio di voce, lo vidi aggrottare la fronte e si adirò.

“Zitta, ora pensa per te. Questo è il mio lavoro. Ne hai già fatti di guai Lorenzi.”  Quel cambiamento improvviso mi lasciò senza parole, chinai il capo, gli occhi mi divennero umidi per il suo rimprovero.

“Sei un uomo di ghiaccio come dicono Holmes! Meglio non essere tuo amico.”  Gli liberò le mani, lui si alzò per raggiungere la libreria per  prendere il laptop e mentre passò vicino  mi sfiorò con la mano la guancia.

 Allora compresi e mi sentii stupida, cercava di allontanarmi, perché non infierisse su di me, io ero il suo “pressure point” e questo non era un bene per entrambi.

 

 

 

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Capitolo 23
*** Il bacio ***


 

Quello che accade dopo fu rapido

Ritornò alla scrivania, si sedette e mi diede una breve occhiata rassicurante. Sembrava sicuro di sé, come se tutto fosse programmato.

 Sapevo che non lasciava niente al caso, ma c’ero finita dentro e avevo pagato.

Si affrettò a digitare sulla tastiera del portatile, il tizio era alle sue spalle assorto a guardare il laptop credendo di portare a casa le password. 

Holmes urtò il suo ombrello, rimasto appoggiato vicino alla sedia e lo afferrò per non farlo cadere. Nello stesso istante due fumogeni rotolarono da sotto la porta.

 Mycroft si sfilò di fianco alla scrivania, prese qualcosa sotto di essa. Il fumo si diffuse rapidamente, si distingueva poco o nulla. Due uomini armati irruppero nella stanza con addosso delle maschere. Il sequestratore tossiva senza tregua, cercando aria e strofinandosi gli occhi.

 Intravidi Myc scivolare verso di me con una maschera simile, probabilmente era sotto la scrivania ed era per lui, ma la mise rapido sul mio volto. 

“Laura respira, ci sono i miei uomini.” Protestai perché lo vidi tossire, ma lui la tenne stretta sul mio volto. Non potei fare altro perché ero ancora legata.

Ovunque c’era fumo, i suoi collaboratori bloccarono il bastardo senza tanti complimenti, e lo portarono via, mentre scalciava, urlava e bestemmiava cercando aria.

Uno dei suoi uomini gli impose la maschera. Lo vidi prendere dei profondi respiri seduto al mio fianco e mi tranquillizzai.

I suoi occhi erano nei miei. Mi accarezzò la mano e la tenne stretta.

“Signore, gli ordini? Ha bisogno di aiuto medico?” Si sfilò la maschera. “No, va tutto bene.”  Respirò profondamente prendendo aria.    

 “Lo voglio vivo, devo sapere chi lo manda.” L’uomo vestito di scuro con un microfono all’orecchio annuì. “E la dottoressa, signor Holmes?” 

“Me ne occupo io. Fate una bonifica veloce.”  Era preciso e rapido nel dare ordini. Non l’avevo mai visto così autorevole, sembrava un’altra persona, un po' mi spaventò.

 “È finita Laura. Sei tornata troppo presto, mi dispiace.” Tossì un po', ma la stanza era stata arieggiata e si avvicinò premuroso. Mi tolse la maschera. “Respira ora, c’è aria pulita.”

Non riuscii a trattenermi, e lo assalii subito. “Lo sapevi vero? E per quello che volevi restassimo fuori di più. Se solo fossi stato più chiaro… se mi avessi dato fiducia…”

 Lui annuì lentamente. “Speravo non tornassi così presto. Non correvo inutili pericoli, ma con te dentro le cose sono cambiate.”

Intanto mi esaminava, mi liberò le braccia delicatamente.

 Ma reagii malissimo, lo coprii di insulti, lo colpii sul petto con la mano sana. Urlai e mi disperai minacciando di ucciderlo, mentre sfogavo la mia rabbia mista alla paura che avevo dentro.

Ma lui non indietreggiò di un passo, mi abbracciò con forza, mentre mi portava nella stanza di servizio del personale e mi fece stendere sul divano. Ero spossata, arrabbiata, ma soprattutto terrorizzata per averlo visto in pericolo.

Sentivo l’odore del sangue e il bagnato sul collo, e tutta la tensione accumulata mi fece capitolare, chiusi gli occhi e mi abbandonai a lui. Lo sentii fremere.

“Laura, guardami, stai bene?” La voce era preoccupata, mi scosse dolcemente.  “Ti prego continua a insultarmi. Lo preferisco.”

Prese delle garze e cominciò a tamponare il taglio con decisione. Mi contorsi un poco per il dolore e mi lamentai per la sua irruenza. “Fa piano, Gesù! Così mi fai male.”

Allentò la mano. “Non è profondo, tranquilla, ma sanguina. Cosa devo fare?”  Mi guardò con gli occhi smarriti. “Forse è meglio chiamare i soccorsi.”

 Mi resi conto che si stava perdendo, l’Ice man era in difficoltà.  Nei suoi occhi vidi passare il dubbio, si tormentava la mascella. Così mi calmai e decisi di aiutarlo.  “Myc, non sai disinfettare una ferita?”  Gracchiai irritata.  Si fece coraggio, mi fissò e annuì.

Prese la cassetta del pronto soccorso. Si tolse la giacca arrotolò le maniche della camicia e disinfettò le mani.  Cominciò a pulire con cura la ferita. Mi osservava, ad ogni mia piccola smorfia di dolore si fermava.  Poi cercò di unire i lembi del taglio.  Ma brontolò. “Ci vorranno dei punti, sei tu il medico!  Chiamo John o Molly. Io non lo so fare.” 

Sorrisi, perché lo sorpresi con le mani tremanti, le presi e le strinsi, cercai di rassicurarlo.  “Prendi uno specchio dentro il mobile dello studio e portalo, Ti guido io.” Ero tranquilla, aggrottò la fronte non del tutto convinto. “Va bene ci provo se ti fidi di me.” Lo fulminai. “Dopo quello che mi hai fatto? Devo per forza.” 

I suoi occhi mi rimbalzarono addosso. “Mi dispiace.” Mormorò, così flebilmente che quasi non lo sentii, si girò e tornò poco dopo. Sistemai lo specchio, e lo guidai. Gli spiegai come applicare i punti adesivi.

Il taglio non era profondo, era di circa cinque centimetri, netto e pulito.  Molto basso alla base del collo, probabilmente la cicatrice sarebbe rimasta.

Mycroft fu preciso, mentre gli davo le istruzioni e lui le seguiva attento. Non tremava più, ma era nervoso, un piccolo tic gli era comparso sul labbro superiore. E sudava.

“Tranquillo, vai bene, sei bravo.” Lo rassicurai come potevo. “Un po' meno come “friends” e questa ferita me lo ricorderà.”

Rabbuiò in volto, non riuscì a rispondermi. Sembrava meditare mentre riponeva la cassetta del pronto soccorso.   “Metterò fine a tutto questo Laura, sono stato uno sconsiderato. Partirò.”

La voce tradì una strana rassegnazione.

Cercai di sedermi sul lettino, la spalla mi doleva, ma non era lussata, con un paio di antidolorifici sarebbe stata a posto.

Lo fissavo con le spalle curve e sentii una preoccupazione sottile percorrermi. “Che intendi dire per partire? Sembri sconfitto, ti sei arreso?”

“Già, forse lo sono, visti tutti i pericoli che ti ho fatto correre. Devo andare alla fonte di tutti questi problemi e devo muovermi io.”  Si girò per aiutarmi a rimettermi in piedi, mi scortò fino alla poltrona.

Sembrava improvvisamente invecchiato. Prese a girare per la stanza.

“Mycroft hai solo sbagliato a non dirmelo, lo fai spesso per proteggere le persone, preferisci non coinvolgerle.”

 Il volto fu percorso da un rimpianto mai passato. “Già, come per mia sorella Eurus. I miei genitori non me l’hanno ancora perdonato.”  Agitò la mano come per allontanare un fantasma.  Sapevo cosa aveva fatto per tenere protetta la famiglia da lei.

“Ora basta! Non cambierai il tuo atteggiamento. Sei così e rimarrai tale. Iperprotettivo e anche arrogante.” 

“Hai ragione, lo sono, soprattutto arrogante.” Tentennò mentre decideva cosa fare.

 Ero sporca di sangue, la camicia era imbrattata, non potevo rimanere così.

Lui aveva acquistato serenità, smise di girare per la stanza come un animale in gabbia, aveva trovato una soluzione.

“Ti porto a casa mia a Pall Mall, ti prendi mezza giornata. Avviserò Molly.” 

Non feci in tempo a protestare, la ferita e la spalla si fecero sentire, lo vidi parlare al telefono, venne verso di me. “È tutto sistemato, Anthea farà il resto.”  Tentai di oppormi, ma la stanchezza si fece sentire tutta.  

“Avanti non essere testarda come sempre, vieni con me!”  Stavolta me lo ordinò.

Lo avrei preso volentieri a schiaffi se solo la spalla mi avesse retto. Eccolo lì che ci ricadeva! Lui decideva sempre tutto e anche la vita degli altri.

“Mi hai messo in pericolo, e mi chiami testarda? Hai una bella faccia tosta!” Ero amareggiata dal suo comportamento così strafottente.

Mi fissò silenzioso, poi mi prese per la vita e mi sostenne.

“Discuteremo in seguito, ora dammi la possibilità di curarti, quando ho avuto la febbre io te l’ho data.”  Ero senza forze, mi lasciai andare, lui mi strinse di più.

“Ti porto a casa, mi prenderò cura di te, è il minimo che possa fare. Ma soprattutto ho voglia di stare in tua compagnia.” Mi sorpresi per l’ultima frase. 

Sicuro che non ruzzolassi a terra, prese la giacca mi aiutò a indossarla, si caricò la mia borsa e sempre tenendomi per la vita mi portò all’auto.

Albert ci venne incontro e sussultò quando mi vide, cercai di convincerlo che stavo bene, ma mi uscì una affermazione talmente debole che feci peggio.

Mycroft mi accomodò dietro, poi salì e mi fu affianco.

Istintivamente appoggiai la testa sulla sua spalla. Mi protesse con la sua mano, e mi tenne vicino. L’altra la portò sul mio braccio dolorante. Sentii il suo odore, sapeva di tabacco, forse fumava anche se non l’avevo mai visto. Il profumo di biancheria pulita. Persi ogni ritegno per tutto lo stress accumulato. e piansi piano, ma temendo di infastidirlo, cercai di scostarmi un po' più in là.

“No, Laura, rimani, sono stato io a portarti a questo.” Mi abbracciò forte, e mi tenne con lui. Aveva cominciato a caricarsi di tutte le colpe. Non c’era nulla da fare, era Mycroft con l’armatura lucente, pronto a sacrificarsi per le persone che amava

Sapevo che invadevo la sua zona confort dove non permetteva a nessuno di entrare. Eppure mi avvolgeva di calore, mi sentii meglio, rimasi con la testa affondata a bagnargli la giacca costosa. Mi diede il tempo di decomprimere.

“Stai bene?” Mi sollevò il volto e tolse di tasca il suo prezioso fazzoletto, quello che non usava mai, asciugò le mie lacrime.

“Sei un bastardo Myc, mi fai stare male, eppure è qui che voglio essere.”  Tra una lacrima e un sorriso mi uscì un mormorio rauco. Mi sorrise dolcemente, nascondeva il rimorso negli occhi.

“È vero Laura, sono un bastardo, non merito la tua amicizia.”  Ma non era amicizia quella che provavo in quel momento era di più. Avevo paura che lo capisse, allentai il suo abbraccio.

Ma eravamo pericolosamente vicini, il suo volto era lì a pochi centimetri. Provai l’impulso di baciarlo.

“Myc, non essere stupido? Pensi davvero che questa sia amicizia? Sei troppo intelligente, sai quello che proviamo.” 

Si fece serio, ma mi tenne più forte, fece per dire qualcosa mentre era indeciso. “Laura, io non voglio forzarti. Ho poco da offrirti se non pericoli e incertezze.” 

Lo sentivo vibrare, mentre sul volto gli passava la vita intera, piena di rinunce, di solitudine, di dolorosi rimpianti.

 Gli accarezzai la guancia, scivolai con la mano sulla nuca, gli sfiorai i capelli corti e lo percorsi lentamente.

Ci avvicinammo di più, desiderosi, le labbra vicine.  Fu un semplice appoggiarsi, poi la voglia di conoscerci, di assaporarci fu irrefrenabile e il bacio divenne profondo, liberatorio.

Mycroft era rilassato, per la prima volta lo sentii mio, era dolce e abbandonato. Niente più mura alte e invalicabili, ora era soltanto un uomo emozionale. I nostri occhi chiusi mentre imparavamo l’uno dall’altro. Ci staccammo quasi senza fiato, mi teneva il volto fra le mani, mi guardava perso dentro ai miei occhi, io dentro ai suoi. 

“Laura…” Mormorò.

 “Mycroft…” Sorrisi…

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** La partenza di Mycroft ***


Arrivati a Pall Mall, Albert ci lasciò all’ingresso della villa. Era testimone della nostra intesa e del nostro primo bacio. Mycroft lo sapeva fidato, non si preoccupò più di tanto. Mi aiutò a scendere e mi sorresse anche se protestai decisa, ma insistette così tanto che dovetti cedere.

“Ora farai un bel bagno caldo, ti rilasserai fino all’ora di cena.” Lo fissai sorridendo. “Scusa e come mi vesto, che non ho nulla con me.” Lo strattonai ridendo.

“Ma come, sono l’uomo oscuro più potente di Londra, e non ho pensato alla tua biancheria? Mi sottovaluti Laura.” 

“Uhm…Aspetta fammi pensare…Anthea? Hai ordinato a lei di portarmi un cambio?”

Gli si stampò un sorriso malizioso sulle labbra.

“Indovinato! Un cambio completo che ti ripaghi del tuo, rovinato dal sangue. Era il minimo che potessi fare.” Prese a roteare il suo ombrello, felice di avermi sorpreso.

“Myc, sei un manipolatore! Ti eri già preparato, dimmi la verità?” Gli diedi una spinta affettuosa.

“No, mia dottoressa operosa, sei talmente imprevedibile che ho atteso la tua decisione. Ma ero certo che avresti ceduto.”  Aggrottò la fronte mi prese per la mano e mi trascinò lungo il vialetto. 

“E per quale motivo, uomo oscuro più potente di Londra?”

“Perché mi ami, che altro.” Aprì le braccia in segno di resa.

“Non ho detto di amarti e nemmeno tu l’hai fatto!”  Ribadii abbassando la testa, lui storse il naso.

“Anche questo è vero. Forse non abbiamo ancora superato la fase friends.” 

“Dopo quel bacio? Non dirmi che non hai provato nulla, mentiresti, perché sappiamo entrambi il sentimento che ci avvicina sempre di più.” Mi fermai, respirai profondamente, non volevo dubitasse di me.

 Lui annuì, ma parve esitare. Mi domandai cosa lo turbasse.

“Prendiamoci del tempo Laura, ora però ti riposi.” Evitò di parlarne e io non lo sollecitai.

 Eravamo giunti in casa, salimmo di sopra dove c’era la sua camera. Una matrimoniale ampia, con colori chiari, un lungo mobile basso di fronte al letto, con appoggiato un ampio specchio. Un armadio a muro che probabilmente conteneva i suoi costosi vestiti.  Un portabiti di legno vicino alla finestra.  Il letto coperto con una trapunta panna con ricami in tinta. 

Mi buttai in malo modo sul matrimoniale e mi raggiunse un’occhiata truce.

“Tira su le coperte, piccola selvaggia! Fila a lavarti, tra poco arriva Anthea con il tuo cambio.”   Mi mostrò un bagno alla fine della stanza, con doccia e un ampio idromassaggio. Per non bagnare la ferita, optai per la vasca, così Myc la riempì.

“Per Dio, hai praticamente le terme in casa.” Era il bagno più lussuoso che avessi visto, con tutti i confort.

Strizzò gli occhi. "Qualche comodità ci vuole, dopo tutto l’impegno che metto nel lavoro. Fai pure, la biancheria l’appoggio sul letto. Usa il mio accappatoio è pulito.”

“Non lo metto in dubbio, conoscendoti.” Si irrigidì alla mia frase.

“Perché, che vuoi dire?” 

Agitai le mani in aria girandomi a guardarlo. “Non andare in allarme Myc, volevo dire che sei sempre così preciso nel fare le cose.”

“Vuoi dire pignolo, Laura? Perché ti conosco, piccola selvaggia.”

Sbuffai, e non risposi, iniziai a spogliarmi e lui uscì discreto.

Mi immersi nella vasca, mi sentii molto meglio, rimasi a mollo un bel po'. L'idromassaggio era divino, rilassante al punto giusto. La stanchezza si fece sentire, così uscii cercando di non allagargli la stanza. Il suo bagno era così ordinato e pulito, nemmeno il tubo del dentifricio era piegato in modo asimmetrico. Non era pignolo, era proprio un maniaco dell’ordine.

 Mi asciugai nel suo accappatoio e sorrisi pensando che era morbido e avvolgente come il bacio che ci eravamo scambiati.

Sul letto c’era la mia biancheria intima, e una maglia di cotone oversize bianca che probabilmente era di Myc, la indossai come pigiama, sentivo la voglia di distendermi un po'. Tirai indietro le coperte, attenta a non fare danni. Il cuscino aveva il suo profumo, appoggiai la testa e lo respirai. La spalla si era calmata e la ferita sul collo era inerme. Mi addormentai come una stupida.

Sentii i rintocchi del pendolo del corridoio, mi svegliai coperta, con la stanza e il bagno in ordine. Mi maledissi per non aver messo a posto le sue cose, sapevo quanto ci tenesse.

Mi cambiai, infilai la camicia azzurra e i Jeans che aveva portato Anthea, scesi di sotto curiosa di vedere cosa stesse facendo.

Era seduto sul tavolo, vicino al camino in camicia, le maniche arrotolate con le buffe giarrettiere, il gomito appoggiato sul tavolo e la mano sotto al mento, guardava il suo prezioso laptop. Non si avvedeva di nient’altro.

Scesi le scale in silenzio e mi avvicinai.

“Laura, sei sveglia. Come stai?”  Alzò gli occhi e chiuse di scatto il laptop.

“Sto meglio, ma non avere paura, non voglio sbirciare il tuo prezioso computer.” Evitai di avvicinarmi troppo, ma la sua reazione mi aveva infastidito. Se ne avvide.

“Meglio che tu ne stia alla larga, molti vorrebbero metterci le mani.”

“E lo metti in mostra così?”  Glielo indicai.  “Mi avrebbero ucciso per quello.”  Sorrisi amaramente e mi accucciai sulla poltrona vicino al camino a godere del tepore del fuoco.

“Già è vero,” si pizzicò il naso, la fronte piegata dalle rughe, “ho deciso di cambiare metodo.”

“E quale Myc?  Qual è la soluzione che ci allontani dai pericoli e dalle tue maledette cartelle!”  Stavo andando oltre e me ne rammaricai.

“Non ti do torto Laura, ho messo in pericolo molte vite.” Si fermò un paio di secondi. “Parto...  Domani vado in Europa dell’est.” 

Se mi avessero sparato avrei reagito in modo più sobrio.

“Come, parti? Ma per quale motivo.”   Mi accomodai meglio, arrancai senza fiato.

“Volevo dirtelo dopo cena, ma fa lo stesso, se dobbiamo litigare facciamolo subito.”  Mi alzai seccata. “Hai una faccia che non promette nulla di buono. Cosa stai per dirmi?”

 

 

“Siedi e ascolta ti prego.”  Lo feci svogliata e preoccupata. Lui si accomodò di fronte. Il camino crepitava e sarebbe stato bello stare abbracciati a godere del suo calore. E invece no!  Aveva il potere di rovinare tutto. Parlò lentamente, la voce però era decisa.

“Ci era giunta voce di un attacco terroristico alla linea British Airways. Così decidemmo di preparare un volo con persone decedute, che in caso di abbattimento fossero verosimilmente…morte: il nome in codice “Bond Air.”  Sherlock mi aiutava con l’aiuto di Molly, venivo all’obitorio a cercare cartelle di persone decedute, che nessuno reclamasse.  Sventato l’attentato, la trappola per individuare i mandanti, avrebbe dato i suoi frutti.  Ma qualcosa è andato storto.”

Prese tempo, si versò dello scotch che io invece rifiutai.

“Sappiamo che Sir Malvest fa il doppio gioco, ma non ne abbiamo le prove. Ha cominciato a insospettirsi e mi ha mandato un avvertimento, importunando… te.  Fu allora che incaricai Gwen di introdursi nelle sue fila.” Mandò giù lo scotch troppo in fretta e tossì.

“Non so come l’ha scoperta, ma per mantenere il segreto, lei si è fatta uccidere.”

La voce gli mancò.  “Edwin sa che ti proteggo, come tutta la mia famiglia, siete il mio “pressure point”.  Appoggiò il bicchiere, sospirò.  “Così inscenai l’esca di stamane facendo filtrare la notizia che il laptop conteneva tutti i codici del piano.   Una loro visita e la dimostrazione della mia debolezza mi avrebbe spinto a consegnare i piani. Un virus informatico e Malvest sarebbe caduto in trappola.”  Si abbandonò sulla poltrona.  “Non avevo calcolato il tuo ritorno e ho dovuto cambiare i miei piani.”

Agitò la mano per scacciare un dolore nascosto.  “Il resto lo sai, certo non potevo lasciare che ti facessero del male. Così ho chiesto l’intervento della sicurezza.” Si alzò e si portò davanti a me, che ero completamente spiazzata. Avevo mandato a monte la sua trappola.

“Mi dispiace di averti rovinato tutto, ma Molly è andata via prima e di conseguenza sono rientrata. Mi alzai e lo raggiunsi, lo presi per il braccio. “Dio, scusami.”

Myc afferrò le mie mani. “Di cosa, Laura? Di un piano che era traballante? Dove ho rischiato di coinvolgere altre persone? No, io ho sbagliato mettendoti in pericolo e io rimedierò.” Si allontanò senza che potessi trattenerlo. Temevo qualcosa di inaspettato. La sua voce mi spaventò, era dura.

“Per tenerti al sicuro, per tenervi tutti al sicuro, devo partire, risalire a loro, nel loro stesso covo.”  Si fermò al centro della stanza, si voltò con la fronte percorsa da rughe profonde. 

“Il mio rapimento è già programmato, dovrò resistere tre o quattro giorni, poi arriverà Sherlock e li prenderemo tutti. Solo allora finirà ogni pericolo.”

 Si aspettava la mia reazione che arrivò puntuale.  “Dico, ma sei ammattito? Ti tortureranno, vorranno i codici a qualsiasi costo!  Finirai per farti uccidere.”   Balbettai, incespicai nelle parole confusa mentre lo fissavo esasperata. “Ti vuoi sacrificare per Dio! Mycroft sei completamente fuori!”

“Fuori? Come? In che senso?”

“Non fare questi giochetti con me e la Lingua. Pazzo, va bene, vuol dire PAZZO!”  Mi alzai fuori di me, gli occhi lucidi, incapace quasi di respirare. Ma mantenni la distanza mentre il mio cuore sembrava fermarsi.

“Ma che razza di piano è? Fai più presto a spararti un colpo in testa!”  Fu lui ad avvicinarsi, mi prese per le spalle dimenticandosi della torsione. Mi lamentai.

“Scusami, non volevo.”  Abbassò rapidamente le mani.  “So che tieni a me, so anche quanto, ma non posso fare altro Laura, è il mio lavoro ed è un mio errore. Sono comunque addestrato, non sono sempre stato dietro ad una scrivania.” Sospirò, ma la voce mi sembrò incerta.  “Forse potrebbe non succedere nulla, ci sono molte variabili.”

“Parli come un martire!  Gesù Cristo! Ma ti rendi conto cosa vuol dire resistere a quattro giorni di torture?”  Non riuscii a trattenere le lacrime, perché sapevo, ero assolutamente certa che non si sarebbe fermato.

“L’hai vista Gwen come l’hanno ridotta? Per Dio, Myc.”  Singhiozzai, lo fissavo, lui era dannatamente vicino.

“Chi l’ha uccisa ha già pagato.” Un ghigno cattivo gli passò sul volto.

“E questo ti consola? Dovrebbe consolare anche me?  Lei aveva una vita, te ne rendi conto.” Gridai, troppo e malamente.

“Era un agente, sanno a cosa vanno incontro, anch’ io lo so.”

Persi la ragione, piena di dolore e paura.

“Ma ti senti? Senti quello che dici?” Lo spinsi via da me, furiosa. La voce mi morì in gola.  

“Laura, mi dispiace, avrei voluto avere più tempo, ma è andata così.” Mi tenne testa, si riavvicinò e mi abbracciò. La sua stretta mi sembro disperatamente rassegnata, mi lasciò piangere sulla sua spalla.

“Non puoi farmi questo, Myc! Non così.”  Mi lasciò sfogare come fossi una bambina capricciosa, mi dondolò dolcemente, poi mi prese il volto fra le mani. 

“Promettimi che se tornerò cambiato, sarai paziente col tuo British Government, anche se non dovessi essere…. propriamente in me.”

 

Annuii, con il volto bagnato, gli stampai un bacio sulle labbra che lui ricambiò dolcemente, ma non andammo oltre.

Ora non ero più sicura di nulla: se provavo amore, se dolore, se rabbia per la sua partenza.

E nemmeno lui capiva bene come comportarsi. Lo sentii esitare, ma si allontanò, perché ebbe il sopravento il suo senso del dovere di proteggere la nazione. Mi asciugai le lacrime, un mutuo accordo passò tra noi. Nessuno dei due doveva parlarne più.

 Cenammo mantenendo una falsa serenità. L’unico contatto che mi permise, fu tenergli la mano e accarezzarla.

Parlammo dei suoi libri preziosi, stemperammo un po' la tensione.  Riordinammo in cucina, prima che me ne andassi perché doveva prepararsi e non potevo restare di più.

 Si avvicinò alla poltrona, prese il suo libro prezioso: Il mercante di Venezia.  “Laura, prendilo tu e rileggilo, ma non finire l’ultimo capitolo,” si fermò a respirare profondamente, “lo finiremo insieme quando tornerò.”

Mi mancò l’aria, annuii e afferrai saldamente quel libro che tanto mi legava a lui. Mantenni la calma cercando di non fargli pesare la partenza.

“Promettimi che tornerai.” Mormorai.

“Te lo prometto, perché ora ne ho il motivo... e sei tu, Laura Lorenzi.”

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Le solitudini elettive ***


 

Albert mi aspettava in auto. Mycroft mi accompagnò, ma prima di salire si fermò, mi guardò con attenzione. “Stai lontana dai guai, esci sempre con qualcuno almeno per i primi giorni. E riposa, guarirai più in fretta.” Mi sfiorò con le dita il cerotto sul collo. Gli occhi tradirono un sottile tremore. “Perdonami per la situazione assurda in cui ti ho portato.” 

Presi la sua mano, era fredda.  “Ora basta, se devi partire voglio che tu sia sereno. Starò bene. Promesso”

Eravamo vicini, troppo. Lo baciai, fu io a reclamarlo, ma sentivo che anche lui lo voleva senza avere avuto il coraggio di chiedermelo.

Fu un bacio, dolce e amaro, di abbandono, ma di speranza. Imparavamo uno dall’altro. Il suo sapore lo avrei tenuto con me, e lui avrebbe portato il mio nel suo viaggio pericoloso, altro non potevamo donarci. Mi staccai turbata, tremavo di paura, ma lui non mi lasciò, abbassò la testa. Mormorò debolmente, la voce incrinata.

“Non posso prometterti nulla, sei una specializzanda e io un diplomatico già navigato.  Cerca di capire che mi sento combattuto. Devo partire e non so cosa potrà succedere. Non voglio che tu rimanga ad aspettarmi inutilmente.”

“Lascialo dire a me, se voglio farlo o no, non decidere per me!” Lo scossi con forza, le mani strette sulle sue spalle. Riuscii a fare in modo che mi guardasse. Sbottò di colpo, incupito.

“Laura, sei una incognita che ho incrociato nella mia vita già programmata! Lo capisci o no? Ho un lavoro difficile. E tu sei giovane, hai tutta la vita davanti.” Non lo lasciai, ora lo tenevo stretto per le braccia. Temevo di perderlo così senza una spiegazione.

“Una incognita Myc? No, non lo sono, perché so di volerti bene. Quando tornerai, sarò pronta per iniziare con te qualcosa di più solido, diverso dal tuo prendere e lasciarmi. Così mi fai solo del male.” Ero disperatamente attaccata alle sue risposte, volevo almeno una certezza.

Lui non si dava pace, pensava che lasciarmi fosse la soluzione giusta. “È per questo che non voglio illuderti, tu hai bisogno di stabilità. E io non posso garantirtela.” Fece per voltarsi, ma lo tenni stretto con tutte le forze che mi rimanevano.

“Sei sL empre stato presente, ti ho ritrovato al mio fianco ogni volta che sono stata in difficoltà. Come fai a dire una stupidaggine del genere.”  Gemette di dispiacere. Dovevo sapere, non avevo alternative.   “Guardami, dimmi la verità, dimmi che non provi nulla per me!”

 Lui si riscosse dal torpore, non voleva del tutto perdermi, la sua voce si fece decisa. “Non essere sciocca, lo sai cosa sento per te! Ma ti sto dicendo le difficoltà a cui andremo incontro continuando questo rapporto. In più ora io devo partire, e non sono sicuro di nulla.”

Gli presi il volto con entrambe le mani. “Ti sto facendo capire che non mi importa, perché voglio un futuro con te. Vuoi che te lo dica chiaro e ben scandito, razza di stupido?   Ti amo!  E niente può cambiare in me.” Glielo gridai con tutta la disperazione che avevo nel cuore.

“Dio, Laura. Mi rendi tutto così difficile! Mi stai sconvolgendo la vita.”  Un sospiro leggero lo tradì.  “Sei arrivata nel momento sbagliato.” Afferrò le mie mani strette sul suo volto e le tenne forte, ci accomunò un dolore irrazionale. Mi decisi, fui secca e determinata per un’ultima volta.

“Dillo, Myc, ora lo devi dire.  Guardami dritto negli occhi. Dimmi se provi quello che io provo per te. Ma dì la verità, non mentire a te stesso e a me.”

“Laura. Lo sai cosa sento, non obbligarmi a…” Balbettò, cercando aria.

“Dillo.” Ero decisa, lo incalzai di più, non me ne sarei andata senza una risposta.

“Ti amo Laura… E questo mi distrugge.”  Era solo un filo di voce, le sue mani bianche tormentate, presero ad accarezzare il mio volto.

“Va bene. Va bene così. Non ti assillerò più. Quando tornerai io ci sarò, mi basta sapere del tuo amore per avere la forza di aspettarti.  Si allontanò di pochi passi, scosse la testa vinto dalle mie affermazioni.

“Ti stai dannando, mia piccola selvaggia! Non sai quello che ti aspetta con me.”  Mi fissò quasi smarrito, ma rasserenato dalla mia perseveranza.

“La risposta la sai. Amo quello che sei, per come sei. Per quando litighiamo e ti trovo poco dopo vicino a me. Per tutte le volte che sei insolente e subito dopo dolce e protettivo. Ti amo, Mycroft Holmes e ti aspetterò.”

“Laura…. Non so se merito una simile fiducia. Non sai come tornerò. Potresti aspettarmi per niente.”

“Non mi importa, sarò paziente, lo decideremo insieme al tuo ritorno, ma dovevo sapere cosa provavi.”

Gli posai sulle labbra un ultimo bacio. Lo sentii tremare, lo accarezzai sulla nuca. “Ricordati di questo, quando ti sentirai solo. Io ci sarò.” Annuì, infilò le mani nelle tasche del suo vestito costoso. È così che lo volevo ricordare, elegante e fiero. Il mio perfetto gentleman.

Trattenni le lacrime per non adombrarlo, salii in auto, mentre Albert discreto non fece nemmeno un respiro. Non mi voltai, mentre l’auto scivolava via, eppure sentivo i suoi occhi seguirci.

Avevamo aspettato troppo, presi a studiarci, a provocarci, entrambi chiusi nelle nostre fortezze. La solitudine che ci aveva accompagnati per anni, era fiorita e ci aveva uniti. Mi ricordai del libro di Goethe che mi aveva così tanto colpito quando l’avevo letto e quella frase che mi aveva emozionato:In questo lasciare e prendere, fuggire e ricercarsi, sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto legittimo un termine tecnico come affinità elettive.”  

La nostra era stata una sorta di “solitudine” elettiva. Appoggiai la fronte al vetro, consapevole che non avevo avuto molto e non avevo dato altrettanto. L’orgoglio si era portato via tutto. Se qualcosa era stato seminato ora era congelato. Freddo, sospeso alla mercé del caso.

Una lacrima salata solcò la mia guancia: ero consapevole che lo amavo. Il freddo British Government aveva intaccato il mio cuore, con un tatuaggio indelebile. Strinsi forte il suo libro prezioso, la cosa più cara che avevo.

Albert mi avvisò che eravamo arrivati. Lo salutai mestamente.

“Dottoressa, conti su di me. Sono al suo servizio.”

“Oh, Albert hai altro da fare, che stare dietro a me.”

 “Laura, è un ordine di Mycroft.”  Fu lento e confidenziale nel dirlo. E sinceramente me lo aspettavo.

“Albert, se ho bisogno so che ci sarai, e comunque grazie!”

 Si girò sorridente, quasi rassicurante.  “Tornerà, dottoressa, perché ora ne ha il motivo.”

Fece salire il finestrino prima che potessi replicare. Così lo salutai con la mano mentre metteva in moto   l’auto e andava via.

Baker Street era già sonnolenta, poche luci accese, salii i 17 gradini e aprii la porta.

“Ciao Laura, ti aspettavo.”  Lo vidi sprofondato sulla poltrona il fratello “sulle gambe” di Mycroft, quello che si annoiava continuamente.

“Ciao, Sherlock. Penso che tu sappia già cosa è successo oggi, quindi sorvola.”  Mi toccai il cerotto sul collo, lui aggrottò la fronte.  Mi invitò a sedermi. “Che vuoi?” Lo apostrofai risentita. Suo fratello si sacrificava costantemente per lui. E lui lo avrebbe fatto?

“So quello che pensi, ma lo abbiamo deciso insieme. Non mando mio fratello a farsi ammazzare. Nemmeno per l’English Establishment intero.”

Lo fissai seccata. “E quindi?”  Gli buttai addosso senza pensare.

“Non sarà solo, te lo garantisco. Lo riporterò a casa.”  Congiunse le mani sotto al mento come faceva spesso quando elaborava. “Ma tu non chiedermi nulla. Né cosa succede, né tanto meno notizie su di lui.” Scossi la testa avvilita, era così che agivano gli Holmes, dovevi accettare e basta.

“Sta bene.” Mi alzai.  Lo fissai stizzita.

“Fallo tornare, possibilmente vivo, se questo è il tuo compito.” La voce tradì la mia inquietudine.  Me ne andai di sopra e lo lasciai lì, solo e turbato.  Ero frustrata da questo loro atteggiamento, dove i sentimenti non esistevano. Io avevo un cuore ed era rosso e speranzoso, come quello della maggioranza della gente.

Uniche eccezioni loro tre: Mycroft, Sherlock e la loro congelata sorella Eurus. 

 

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Capitolo 26
*** In attesa del suo ritorno ***


 

Andare al San Bart ogni mattina divenne pesante. Soprattutto perché Mycroft non c’era. Mi ritrovavo a guardare il suo ufficio improvvisato, credendo di scorgerlo mentre assorto in maniche di camicia studiava quelle maledette cartelle che lo avevano allontanato da me. Magari era rientrato e mi voleva sorprendere.

E invece passarono i giorni e lui non tornava. Non avevo nessuna notizia, l’ultimo messaggio me lo aveva mandato la mattina che era partito.

L’avevo conservato. Mi dava il buongiorno, null’altro. Gli avevo risposto nello stesso modo.  Poi più nulla.

Nei giorni seguenti, controllavo che Sherlock fosse ancora a casa e questo mi sembrava un buon segno. Non parlavamo mai di Mycroft, lui evitava qualsiasi argomento.

Così lavoravo molto, forse troppo. Mi impediva di pensare.

Molly, quasi in una mutua intesa, mi affidava sempre più casi. Frequentavo molto di più Lestrade,  perché  sostituivo Molly a Scotland Yard.

Era un uomo burbero, ma corretto, l’unico che Sherlock tollerava e considerava una specie di amico.   Cominciavo a superare le difficoltà del lavoro, imparai a mantenere la calma necessaria per essere un buon patologo, gestii le mie paure.

L’inglese migliorava, presto avrei dato l’esame.

Alla sera Albert, mi aspettava e mi accompagnava a fare delle commissioni.

“Come va dottoressa? Una passeggiata le farebbe bene.” Era discreto, mentre prendeva la mia borsa e la metteva nell’auto. Io annuivo silenziosa e lui mi portava lungo il Tamigi. Camminavo lentamente lungo il fiume e raggiungevo una vecchia panchina dove mi fermavo a guardare scorrere l’acqua impetuosa.

Chissà se Myc stava bene, se mi pensava come io facevo con lui. Riflettevo mestamente che quell’amore fosse tutto dalla mia parte. Mi sentivo insicura, e traballavo dentro assurde paure. Albert, paziente, mi aspettava in auto, vederlo mi faceva sentire la vicinanza di Mycroft, una sensazione strana, ma che mi confortava.

Silenziosi tornavamo a casa.

 Gli chiedevo della sua famiglia, lui trasgredendo alle regole mi rispondeva sereno. Così il peso che mi opprimeva nel cuore si affievoliva. E passava un’altra giornata.

Anthea si faceva vedere più spesso, soprattutto la mattina, qualche volta pranzava con me.

“È lui che ti ha chiesto di venire?” Glielo chiesi mentre eravamo sedute in un piccolo ristorante, pochi giorni dopo la sua partenza.  Abbassò il capo, annuì lentamente. “Non voleva che ti sentissi sola, mi ha sollecitato di farti compagnia. Ma lo faccio volentieri.” Mi prese la mano e la strinse. Gliene fui grata. Lo conosceva meglio di me e questo mi aiutava.

“Tipico da parte sua essere presente adesso che non c’è.” Anthea rise, poi si fece seria, piegò il tovagliolo e lo ripose con cura. “Tornerà Laura, gli hai fornito un valido motivo per farlo.

“Già, spero che si ricordi di me. Non ho fatto altro che dargli il tormento.” Scossi la testa consapevole che tra noi non c’era stato molto, niente che saldasse il nostro rapporto.

Passai altri giorni fra tristezza e speranza. Fra paranoia e disperazione. Lavorando quanto più potevo.

Fino alla sera che non trovai Sherlock a casa. E tremai.

“Sherlock?” Rivolsi lo sguardo verso John. Lui in cucina preparava la cena.  “Siamo noi tre Laura, ora coraggio, non pensarci. Rosie ti reclama.” Mi sorrise. Non riuscii a dire altro, con il cuore in tumulto mi presi cura della piccola.

Passarono altri giorni, tra il lavoro e le serate con John e Rosie. Lo sguardo correva alla porta, nell’attesa di vedere il ritorno di Sherlock.  Molly a volte si fermava da noi e stemperava l’ansia che mi assaliva, chiacchierando fino a tardi.

Una sera particolarmente pesante mi chiese come andava.

“Molly, sento la mancanza di Myc.”

Mi sprofondai nella poltrona di Sherlock, lei era in quella di fronte. John era già a letto con Rosie. Accarezzavo il libro che mi aveva lasciato.

“È suo?” Chiese lei dolcemente. “lo tratti come una reliquia.” Soffiai, e passai un dito sulla copertina.

“Ci tiene così tanto.” Le sorrisi. “Lui è fatto così. Ama i suoi libri, forse più delle persone.”

“Oh, lo sai che non è così!” Molly agitò la mano. “Non te lo avrebbe affidato.”

“Non abbiamo fatto altro che litigare. Era così irritante, così freddo e lontano dai miei gusti.  Lui e la sua maniacale eleganza, il suo ombrello, il suo sguardo seccato quando lo investivo di parole.” Mi fermai sorpresa dalla mia irruenza. Abbassai il tono. “Eppure quando si è lentamente aperto, credo di averlo amato subito.” 

Mi girai nascondendo gli occhi lucidi, non volevo far vedere la mia debolezza. “Non so nemmeno se lui è vivo, se sente la stessa cosa per me.”  Alzai la testa. “Non ci siamo promessi nulla, nessuno dei due l’ha fatto. Potrebbe tornare e non sentire più nessun sentimento.” 

Ripiombai giù nel morbido schienale della poltrona, stanca di quella attesa estenuante.

Mormorai con voce rotta. “Purché lui sia vivo, sono disposta a defilarmi se non mi vorrà.”   Molly mi toccò le ginocchia, la mano strinse forte.

“Quando tornerà scioglierai i tuoi dubbi. Se sarà amore lo capirete entrambi. Ma bada che se torna ferito fisicamente e nell’anima, avrà bisogno di tempo.” 

Mi turbò la sua risposta, perché sapevo che Mycroft non si lasciava andare facilmente quando era in difficoltà e il contatto fisico lo disturbava. Accennai un debole sì con il capo.

“Spero di avere forza abbastanza per tutti e due.” 

Finimmo le nostre chiacchiere, lei ritornò a casa, felice di avermi fatto compagnia.

La mattina dopo indugiai di fronte al calendario, erano passati 40 giorni da quando era partito.  Dieci da quando mancava Sherlock. Forse l’aveva portato a casa, o forse no.

 Mi vestii come al solito meccanicamente, scesi le scale per salutare John e Rosie.

Ma quando vidi la figura di Sherlock seduta sulla sua poltrona, la sorpresa fu tale che mi cadde la borsa a terra. 

“Sherlock, sei tornato.” Quasi gridai, riprendendo la mia borsa rotolata sul pavimento, lo travolsi di parole. Lui alzò la mano per fermare la mia irruenza. Ma adocchiai John dalla cucina che sorrideva con Rosie in braccio. Mi persi letteralmente nel suo volto sereno, intuii che era vivo.

Mycroft era vivo.

“Vieni Laura, ti devo parlare.” Era stranamente serio e questo mi frenò.

“L’ho portato a casa, ma il prezzo che ha pagato è stato alto. Non è stato solo torturato, ma anche trattato con crudeltà. Purtroppo per un ritardo di due giorni l’ho trovato in condizioni pietose.”  Portò le mani giunte sotto al mento, si concentrò, il volto contratto. Mi sentii sprofondare.

“Temevo di perderlo, Laura. Siamo tornati dieci giorni fa, con un trasporto aereo speciale, ha ricevuto le prime cure, al Saint George la struttura governativa che lo ha sempre seguito.” Prese un respiro profondo. John ci portò del tè. Mi tremò la tazza nelle mani, perché sentivo che doveva dirmi qualcosa di gravoso.

Rimasi muta aspettando che riprendesse a parlare.

“Laura, non so cosa ci fosse tra di voi, ma lui ha resettato tutto. Non ha voluto chiarire quello che gli è successo, quello che gli hanno fatto. Temo qualcosa di troppo personale. Non è riuscito a decomprimere, si limita a tacere ostinatamente.”

Prese la tazza e anche Sherlock il fratello freddo e dedito a esasperarlo, vacillò.

“Laura, non so quale comportamento adotterà con te, tu gli vuoi bene, forse anche di più.” Mormorò lento, la tazza che tremava.  Mi rivolse un sorriso complice. “E’ molto cambiato, dovrai essere paziente, perché quello che temo è che cercherà di allontanarti.  Vorrà metterti alla prova. Sarà insopportabile e forse cattivo.”  Rimase in silenzio, guardandomi fisso, cercava un segno di assenso. “La sua mente elabora piani tormentati di amore e pietà e li confonde. Devi essere attenta a non entrare nella sua zona confort. Ora è completamente isolato.” Appoggiò la tazza, quasi rovesciandola.

“Va bene. Prima di partire ci siamo chiariti. Cercherò di capirlo, del resto voleva che lo aiutassi, se non fosse tornato al meglio di sé stesso.” Feci una smorfia sofferta, mentre mi ricordavo il suo bacio.  “Non c’è stato il tempo di approfondire quello che provavamo, ma io ero sicura del mio sentimento, forse lui era incerto. Gli darò tempo, ma ciò non impedirà che questo mi faccia soffrire.” 

“Ho fiducia in te Laura, sei anche un medico, quindi so che sarai attenta. Domani lo porterò qui, a Baker Street e ti posso assicurare che non è stato facile farlo restare con noi. Almeno fino a quando non sarà in grado di gestirsi da solo. Sai bene quanto sia orgoglioso e solitario.”  

Sherlock si appoggiò allo schienale, rassegnato a seguire quel fratello così scontroso, il cui rapporto era spesso stato al limite.

Anche se dopo Sherrinford si erano lentamente riavvicinati.

“Farò il possibile.” Mi alzai decisa, con il cuore a mille, ma felice che fosse vivo. “Grazie per aver mantenuto la tua promessa.”

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Un rientro angoscioso ***



Sherlock aveva deciso di riportare a casa il fratello nel pomeriggio. Mi ero accordata con Molly per poter tornare a Baker street in anticipo.

Per tutta la mattina ero stata nervosa, alternavo alla gioia di rivederlo, la paura del suo rifiuto. Nel pomeriggio sul tardi, mi arrivò un sms di Sherlock che mi avvisava che erano parcheggiati di sotto. Scesi i pochi gradini di Baker Street, incespicando, con il cuore in tumulto.

Mi davo mentalmente della stupida, senza riuscire a calmarmi. Ero felice di rivederlo, anche se tremavo pensando che i soli due baci che ci eravamo scambiati, potevano non essere stati sufficienti a cementare il nostro amore.

Non ero sicura di lui, tanto quanto ero sicura di me. Avvolta nella giacca, la strinsi forte e mi decisi ad accettare la sua reazione, qualunque essa fosse.

La berlina nera era ferma poco oltre l'inizio della via. Sherlock era già sceso, si era portato vicino allo sportello posteriore. Si girò un solo attimo verso di me, fece un cenno con il capo.

Mi avvicinai titubante, non distavo che pochi metri. Mi fermai, seguii con lo sguardo il giovane Holmes che aprì la portiera e aspettò con pazienza.

Mycroft scese con lentezza, si raddrizzò con fatica, Sherlock non lo aiutò, lo lasciò fare sapendo l'indole del fratello maggiore piena di dignitosa alterigia. Solo alla fine gli allungò la stampella che aveva sostituito il suo amato ombrello.

Mi si gelò il sangue, quando vidi com'era dimagrito. Il cappotto era diventato largo, la sciarpa appena appoggiata, mancava della cura con cui la annodava. Intravidi le sue mani delicate parzialmente fasciate, poche dita libere, alcune riusciva a muoverle, perché impugnò la stampella, cercando stabilità.

Zoppicando, fece alcuni passi. Il lampione illuminò il suo volto. Mi sentii mancare quando vidi i suoi capelli, troppo corti e radi, anche se in qualche punto stavano già ricrescendo. Aveva ematomi sul collo e piccoli tagli vicino all'orecchio. Altri sulla guancia.

Uno molto più profondo sul lato destro della fronte, scuro e irregolare che era stato suturato con pochi punti.

Si incamminò lento, il capo chino, ma come se mi avesse percepito si girò e mi vide.

Rimasi immobile, senza respirare, i suoi occhi sui miei. Avvertii il suo dolore passare dentro di me, senza riuscire a confortarlo. Mi feci sorridente e diedi fondo a tutta la mia capacità di attrice.

Feci i pochi passi che ci separavano. Quelli che avevo sognato di fare per abbracciarlo in quei quaranta giorni. E invece rimasi immobile, una statua di sale.

"Ciao, bentornato. Giusto per cena." Gli sorrisi garbata. "Vedo che hai avuto qualche divergenza di vedute con i tuoi rapitori." Cercai di essere spiritosa, anche se me ne pentii subito. Una battuta idiota.

Lui bofonchiò qualcosa di incomprensibile. Un'ombra passò nei suoi occhi, ma subito tornarono limpidi. Mi studiava, valutava quello che vedeva. "Ciao Laura. Sei cambiata." Mormorò esitante.

"In meglio o in peggio? Perché potrei preoccuparmi!" Mi sforzai di fare una mezza risata. Il mio impulso era quello di abbracciarlo forte, di accarezzarlo e di confortarlo. Invece lui, e tutto il suo corpo si era irrigidito, si era fermato, creando una linea di sicurezza. Un fossato d'acqua immaginario. Nessun ponte levatoio abbassato. Allora capii che dovevo stare alle sue regole, si era allontanato da me ancora una volta, aveva resettato tutto il sentimento che c'era stato tra noi. Mi sentii sprofondare, insieme al mio amore a senso unico.

Mycroft impostò la voce, come se fosse distante. "Sembri più forte, più sicura, e i tuoi capelli sono più lunghi." Non cambiò in volto e questo mi spaventò, mi mancavano i suoi sorrisi sinceri.

"Questo lo prendo per un complimento, detto da te. E sì, ho lasciato crescere i capelli, mi piacciono così, mi fanno sembrare più matura." Li toccai distrattamente.

Stavolta accennò una smorfia. "Dici? Sei sempre stata testarda, più che matura." Non raccolsi quel rimprovero gratuito, forse tre mesi prima sarebbe nato il solito battibecco, ora non ne avevo voglia e rimasi zitta.

Si rizzò in tutta la sua altezza e si avviò lentamente, mentre Sherlock che era rimasto al suo fianco silenzioso, prese la borsa dal baule.

Salutai con un gesto Albert, che aveva una faccia di circostanza, niente affatto piacevole. Era stato il testimone silenzioso della nostra storia.

Mycroft zoppicava, ma la stampella era efficace, lo aiutava a compiere i pochi passi che gli servivano ad arrivare a casa. Lo affiancavo, cercando di non pesare sul suo orgoglio. Sapevo che non voleva aiuto, testardo com'era.

Finalmente salimmo le scale interne, con Sherlock che scherzava sulla sua lentezza. Dentro di me, saliva un dolore sordo per vederlo in quelle condizioni.

Fu accolto dalla signora Hudson con gentilezza, visto come lo trattava di solito. Gli diede un'occhiata malinconica e scosse la testa.

Watson invece fu più pratico lo apostrofò con la determinazione tipica del medico qual era, e lo fece accomodare sulla poltrona di fronte al camino. Gli fece sollevare la gamba per farla appoggiare sul cubo porta giochi di Rosie.

"Siedi, Mycroft ti aspettavamo, ti preparo un buon tè. E ti mando tua nipote che vuole salutare il suo zio preferito."

Sherlock portò la sua borsa nella sua stanza che avevano sistemato vicino alla sala, si fermò a osservarlo quando John gli portò Rosie e la sedette sulle sue ginocchia. Controllava che la piccola non lo appesantisse. Io rimasi in disparte, dato che lui nemmeno mi cercava con lo sguardo.

Sherlock si sedette al suo fianco, mentre Mycroft si sciolse al calore che gli restituiva la piccola Rosie. La coccolò dolcemente e questo mi intenerì.

"Sai che Laura collabora con Scotland yard? È diventata parecchio brava." Sherlock fu quasi tenero nel suo tentativo di introdurmi tra loro.

"Non ne dubito, solo il suo Inglese non è migliorato." Fu duro, persino Sherlock aggrottò la fronte guardandomi. Non aveva nemmeno sollevato lo sguardo.

"Beh, migliorerò ancora, se la mia pronuncia di infastidisce." Rimasi in piedi, non tentai nemmeno di sedermi vicino a lui. Ma cominciai a irritarmi.

"Dopo tutti questi mesi? Non credo proprio! La tua inflessione è ancora italiana." Sbuffò seccato.

"Bene, se ti dà fastidio sentirmi parlare, resterò muta. Tu sei molto British lo so, scusami." Fui ironica, tutto sembrava tornato come mesi prima.

"Quello che non hai migliorato è la voglia di essere polemica, e la mancanza di un minimo di educazione." Stavolta fu decisamente cattivo. Credo che il mio volto tradisse il disappunto per essere trattata in quel modo, perché Sherlock sbuffò. "Per favore, ora basta se volete scannarvi fatelo più tardi"

Mycroft mi guardò per un breve attimo e quella fu l'unica attenzione che mi concesse.

"Ti lascio con tuo fratello, visto che non sopporti la mia vicinanza. Scusami."

Lui brontolò, abbassò lo sguardo e mi ignorò.

John non fiatò quando lo raggiunsi in cucina. Presi a tagliare le verdure per cena, ne avrei tagliate a quintali.

"Laura, avanti, non sentirti ferita. Sai quanto è orgoglioso. Dagli tempo." Mormorò sottovoce. Mi aiutò, cercando di evitare che nella foga mi tagliassi una mano, non riuscivo nemmeno a inquadrare il tagliere, gli occhi appannati. Sapeva i miei sentimenti per Myc.

"Avrà tutto il tempo che vorrà, se lo desidera, non sarò certo io a spingerlo nelle mie braccia, non ne ho bisogno." Appoggiai il coltello e guardai il povero John costernato.

"Non ci siamo promessi nulla, forse non era nemmeno innamorato! Come poteva esserlo, lui, che era l'uomo di ghiaccio."

Non potevo negare che mi dispiaceva il suo comportamento per quanto mi sforzassi di capire.

Mi chiusi in un mutismo esasperante, tanto che John brontolò. Il mio cuore batteva più forte, Dio mi era testimone di quanto avrei voluto abbracciarlo e tenerlo stretto. Ma se c'era stato del sentimento quello era solo da parte mia. Non potevo chiedergli di più.

Preparai la tavola, John fece in modo che lui si sedesse vicino, protestai con il capo sottolineando un duro no, ma insistette. Dovevo essere cauta, capire quanto spazio potevo occupare, prima che si sentisse assillato.

La cena presto fu pronta. Ci raggiunsero entrambi, Sherlock si sedette a capotavola, con John vicino.

Mycoft mi guardò malamente, ma accettò di essere vicino a me. Fu Watson che servì i primi piatti, io mi limitai ad aspettare il mio turno.

"Mycroft, sperò ti vada bene è una pasta condita semplice, niente di elaborato."

Lui annuì e ne chiese pochissima, infatti mangiò con difficoltà, un po' per la pressione che subiva, un po' per le mani impedite.

Non chiese aiuto, gli cadde la forchetta un paio di volte prima di reggerla con decisione. D'istinto cercai di aiutarlo, ma si scostò seccato

"Posso farlo da solo, grazie." Fu tagliente, mi fece male sentirlo così distante. Cercai un punto di contatto, ma non mi diede nessun appiglio, alla fine mi arresi.

Fui brava ad inghiottire il suo rifiuto, mentre sentivo il mio cuore frantumarsi. Gli osservavo le mani, quelle magre e delicate, che tanto avevano alimentato il mio amore. Ora insicure, deboli, fasciate, con alcune dita probabilmente senza unghie, e sentii dentro di me lo stesso dolore che avevo provato quando ero stata presa con la violenza.

Dio, avevo amore da dargli! Eppure mi ignorava. Abbassai la testa e finii la cena in silenzio, facendo finta di ridere alle battute di John e Sherlock, mentre mi disintegravo dentro. Eppure lui era lì vicino, ma non potevo toccarlo e mi sembrò una tortura che non mi meritavo. La serata passò senza che mi avesse mai rivolto la parola e il benché minimo sguardo. Mi alzai con poco ritegno, forse lo avevo perso del tutto.

"Scusate, devo prendere una cosa nella mia camera. Sono stanca e domani devo alzarmi presto." Mycroft mi guardò incerto e fu l'unica gentilezza che mi concesse. Fui rapida, scesi quasi subito e lo ricompensai del suo abbandono.

"Ti restituisco il tuo libro prezioso. Non ne ho più bisogno." Lo affermai con durezza. Lui strinse gli occhi, la fronte aggrottata.

"Bene, spero ti sia servito." Sentenziò convinto.

Sorrisi beffarda. "No, Mycroft ,non mi è servito per nulla." Gli allungai quel libro che tanto ci aveva unito.

"L'ho trattato bene. Ho mantenuto la mia promessa, Mycroft. Quello che non posso dire di te." Lui ebbe un moto di stizza, ma fu bravo a trattenersi.

"Buona notte e scusa il mio inglese imperfetto, mister "smart one." Appoggiai il manoscritto sulla tavola tra gli sguardi allibiti di John e Sherlock e volai di sopra senza che lui avesse il tempo di replicare.

Non so come raggiunsi la porta accecata dalle lacrime, forse dalla stupidità di essermi esposta ad un sentimento che sentivo solo io. Mi lasciai andare nel letto e piansi per i quaranta giorni di ansia che avevo vissuto, per un uomo che ora mi allontanava, ferito nel corpo e nella mente. Che non voleva il mio conforto e aiuto, che preferiva la sua solitudine al mio amore.

Mentre io non riuscivo a dominare il mio cuore.

Gli avevo dato la mia fiducia, e questo era ciò che ne avevo ottenuto.  

 

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Capitolo 28
*** Le confidenze con John ***


Non avevo voglia di dormire, così ripassai per l'esame di abilitazione al San Bart, con la speranza di restare a Londra molto di più del consentito. Qualcuno salì deciso le scale e dopo un rapido bussare entrò John.

"Laura, come stai? Sei praticamente scappata." Appoggiai il laptop e agitai la mano.

"Se vuoi sapere come mi sento per il comportamento di Myc, ammetto che sto malissimo. Mi sento abbandonata. Non sono riuscita a gestire la sua indifferenza. Avrei voluto un po' di empatia e invece..." John si sedette, guardò le mie mani che non smettevano di tormentare il computer.

"Lascialo covare le sue decisioni, credo che si senta smarrito e le torture che ha subito non lo aiutano di certo, ma ti vuole bene e non vuole la tua pietà. Laura, pazienta, non sentirti sconfitta." Mi toccò la mano cercando di mettere fine alla mia inquietudine.

"Ma non posso aspettare per sempre se non vuole continuare a frequentarmi, come posso forzarlo? Ho poco tempo, devo lavorare o non mi terranno al san Bart."

"Dagli un po' di giorni, ho sentito che deve venire in laboratorio per sistemare quello che ha lasciato nel suo piccolo ufficio provvisorio." Watson era gentile mentre cercava di rassicurarmi, evidentemente credeva che ci fosse del margine di ripresa tra noi. Io dubitavo, lo avevo aspettato così tanto e vederlo trattarmi con freddezza mi aveva spezzato il cuore.

"Ci mancava vederlo nel suo studio per ignorarmi durante tutta la giornata. Mi farà lavorare malissimo." Ma John insistette, la sua voce si fece decisa...

"Prova a parlargli, cerca di fargli capire che ti sta facendo del male." Scossi la testa perché lo conoscevo bene.

"No, si sentirebbe forzato in un rapporto che non vuole, in debito, e non voglio. John ti giuro che va bene così."

Mi prese una curiosità, lo fissai. "Chi si prende cura di lui? Chi si occupa delle sue ferite?" Watson si alzò e si avvicinò alla finestra, scostò la tenda e guardò fuori. Era un medico e sapevo bene cosa fosse il segreto professionale.

"Se ne prende carico la clinica governativa dove è stato ricoverato, qualche volta anch'io, quando me lo concede. Si lascia aiutare, anche se brontola in continuazione." Ridacchiammo, sapevamo che carattere scontroso avesse.

Lisciai il portatile, spinsi via il mouse. "Avrei voluto farlo io, mi sarei dannata per aiutarlo a guarire." John capì il mio tormento. Si fece serio e si decise a rivelarmi qualcosa in più.

"È molto riservato sulla sua condizione, non permette nemmeno a me di spogliarlo e visitarlo completamente. E Sherlock è muto."

Avevo un sospetto che mi tormentava da quando lo avevo visto, il suo atteggiamento scontroso e nervoso assomigliava molto a quello che avevo adottato io dopo la morte dei Lorenzi. Riposi il laptop alzai la testa decisa a raccontargli di me e di quello che sospettavo.

"Chi lo ha seviziato non gli ha risparmiato certe "attenzioni". Temo che abbia subito delle torture profonde e intime. Come quelle che ho subito anch'io." Ripresi fiato guardando il volto allibito di John. Si lasciò cadere sulla sedia, la fronte corrucciata, allungò le dita sottili e mi sfiorò il braccio.

"Cosa mi devi dire di così grave, Laura?" Avevo lanciato il sasso, ora non dovevo ritirare la mano. Sospirai e gli raccontai quello che mi era successo in Italia, durante la rapina e la morte dei miei genitori.

Lui ascoltava silenzioso, a volte sembrava non respirare. Tossì un paio di volte, si scusò, prese la bottiglia dell'acqua riempì uno dei bicchieri di plastica e la mandò giù tutta in un fiato. Mi fermai, lasciandogli il tempo di elaborare la brutalità del mio stupro.

"Mycroft lo sa." Una lacrima mi rigò la guancia. "È per questo che mi devasta il suo allontanamento. Perché sa che posso capire quello che sta passando."

John mi fissava stravolto. Mi scusai per averlo turbato. Cercava delle parole consolatorie, che non trovava. Mi allungò il suo fazzoletto, la mano gli tremava. "Mi dispiace, Laura, non sapevo nulla, non l'ho nemmeno sospettato."

Gli sorrisi, mentre mi asciugavo il volto. "Credo che Sherlock lo abbia capito, aveva visto i miei polsi feriti. E sapeva della morte violenta dei Lorenzi."

Watson scosse la testa castana. "Con me ha taciuto, così come Mycroft."

"Beh, loro hanno un rigore morale accentuato. Non direbbero mai una parola su questo." Mi alzai, appoggiai la mano sulla sua spalla, sembrava portare il peso delle mie parole.

"John, non rattristarti per me, è già passato del tempo, ma Mycroft è in pieno tormento e se i miei sospetti fossero veri, mi lascerebbe senza nessuna spiegazione." Lui annuì lentamente.

"Motivo in più per stargli vicino. Ha delle crisi di panico e dorme poco. La lista delle medicine comprende anche degli antidepressivi. Ma li subisce e li tollera poco." Lo ringraziai dandogli un bacio sulla guancia.

"Sei un amico sincero." Cercai i suoi occhi chiari. "Amo Mycroft e prima di partire per il suo viaggio disastroso, ci eravamo ritrovati innamorati. E ora è come se avesse annullato il nostro sentimento."

Prese la mia mano con gentilezza. "Persevera Laura, sono convinto che ti vuole, ma devi seguire i suoi tempi. Deve riuscire a metabolizzare le torture, specialmente quelle profonde."

Abbassai lo sguardo per non fargli vedere che i miei occhi erano nuovamente lucidi.

"Ora dormi Laura, e stai tranquilla." La sua voce si fece bassa. "Mi dispiace per il male che ti hanno fatto."

Alzai la testa, e gli regalai il sorriso più rassicurante che possedevo. "Grazie John, mi ha fatto bene parlare con te."

"È quello che devi fare con Myc, appena te ne darà modo."

Uscì tranquillo, convinto che presto Mycroft si sarebbe arreso al sentimento che ci legava. Mi preparai per la notte, infilai il pigiama over size. Mi sarebbe piaciuto scendere e augurare la buona notte a Myc, ma dovevo accettare che per ora fosse così.

 

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Capitolo 29
*** Ancora sir Malvest ***



La mattina seguente mi alzai presto, lasciai un biglietto in cucina per John e corsi al San Bart. Non avevo voglia di sguardi compassionevoli, né d'innervosirmi nel vedere Mycroft nel suo atteggiamento arrogante. Raggiunsi il laboratorio così presto, che c'erano ancora le donne delle pulizie che mi guardarono con mal celato sospetto.

Brontolai per la mia fretta e presi a lavorare con lena, solo verso mezzogiorno mi fermai esausta.

Fare una riposante pausa pranzo divenne vitale, vista la stanchezza accumulata, e poi volevo godermi quel poco sole che era uscito pigramente in una Londra ovattata. Mi incamminai verso il piccolo pub, che era diventato una meta fissa. Attraversai il giardino interno, sulle panchine soggiornavano svogliatamente alcuni studenti. Li osservai ripensando al periodo dell'università a Siena. La malinconia mi attraversò il cuore, mi mancava il caldo e il sole della Toscana.

Troppo presa dai ricordi non avvertii la berlina scura che si avvicinò, mentre attraversavo la strada. Il mio cuore accelerò. Quell'arrivo mi prese alla sprovvista, ma quando vidi scendere Sir Malvest mi ritrovai dentro al peggiore degli incubi.

Mycroft, mi aveva garantito che avrebbe messo fine a tutto! Cosa ci faceva ancora in giro quel maledetto?

Scese in modo sgarbato e fu così rapido che mi impedì di attraversare la strada.

Strinsi forte la borsa, feci un passo indietro e sbottai. "Guarda chi si rivede! Speravo di non incontrarla mai più, Sir Edwin."

Rise sarcastico. "Diciamo che il suo lord protettore ha altro a cui pensare in questo momento." Si avvicinò troppo e indietreggiai. "Si sta leccando le ferite, non ha tempo di correre dietro al suo bel faccino. Holmes è fuori servizio e quando è in difficoltà si libera delle cose che non gli servono."

"E lei che ne sa, Sir Edwin?" Gli lanciai un'occhiata furiosa, aggrappata alla mia povera borsa che pendeva pericolosamente dalla spalla.

"Si ricorda il mio nome! Complimenti dottoressa Lorenzi!! Conosco da tempo Mycroft e le posso assicurare che pensa solo al suo tornaconto." Fece una smorfia poco piacevole che mi diede il voltastomaco. "Lei è molto carina. Ma adesso..."

"Che cosa vuole? Venga al punto, ho poco tempo." Mantenni lo spazio sufficiente per non sentire il suo alito fastidioso, impregnato di fumo.

Era divertito, gli occhi da rapace. "Potrei diventare il suo paladino, aiutarla a migliorare la sua posizione. In cambio di alcune attenzioni e confidenze."

Scossi la mano, arretrando appena. "Non voglio entrare nei vostri giochetti, ne ho abbastanza."

"Però vuole rimanere a Londra ed essere consulente per Scotland Yard. Avanti, dottoressa, è quello a cui ambisce." Lo sguardo subdolo di chi sapeva dove spingere il discorso.

"Lasci stare, le ho già risposto che non voglio saperne più nulla, né di lei, né di Holmes." Arricciò il naso, un mezzo sorriso acido, calcolato, come un ragno che tesseva la tela.

"Ci ripensi Lorenzi, le mando un sms con il mio numero, non lo butti, rifletta." Si voltò agitando la mano verso la strada. "Come vede il suo paladino oggi non arriverà. Non dopo il trattamento che gli ho riservato in Serbia." Rise sguaiato, sembrava una iena troppo vicina alla preda e quella ero io.

Mi feci sospettosa. "Di cosa parla, se è lecito." Ero al limite della sopportazione, temevo che fosse stato lui il mandante che aveva ridotto Myc in quelle condizioni.

"Beh, il suo fidanzato è tornato con una parte del corpo che non funziona a dovere, quella che è essenziale per ogni uomo che si ritenga tale. Non è molto virile, in questo momento, il nostro caro Mycroft." Mi sentii raggelare il sangue, mi si fermò il cuore per pochi istanti, gli occhi mi si appannarono. Aveva seviziato Myc! I miei sospetti erano confermati.

"Come ha potuto torturarlo così, viscido serpente! Non era il mio fidanzato, lui appartiene solo a sé stesso, se dice di conoscerlo bene lo sa. Imbecille."

Questo lo provocò ancora di più, era compiaciuto della mia reazione. Mi guardò languido e maledettamente lascivo. "È per quello che dovrebbe venire con me. Io la soddisferei... In tutti i sensi."

Persi la ragione, gli allungai un ceffone che lo fece barcollare. Rispose altrettanto rapidamente, mi afferrò la mano e strinse troppo forte. "Non ci provare mai più, se voglio sarai mia, stupida Italiana."

"Miserabile pezzo di merda, mi lasci la mano o mi metterò a urlare." Cercò di darsi un contegno. Era troppa la gente che ci osservava.

"Attenta che la mia pazienza ha un limite." Sibilò, scuro in volto, ma lasciò la presa.

"Se ne vada. Brutto cialtrone." Gli diedi una spinta, mi sottrassi. Lo sentii risalire in auto e respirai sollevata. Guadagnai la strada fino al San Bart, mi chiusi dentro scioccata.

Raggiunsi la mia poltrona e mi lasciai cadere, cercai di riprendere il controllo, il mio respiro si era fatto corto. Chiusi gli occhi: risentivo le parole che mi aveva buttato in faccia: aveva torturato Mycroft per colpa mia. L'aveva umiliato, e lui colpito nella sua parte più intima, incapace di reagire, mi aveva allontanato.

Scoppiai in un pianto disperato, ero stata stupidamente arrogante, non avevo capito e protetto il suo disagio. L'oltraggio che aveva subito, era incolmabile per un uomo come lui, abituato al controllo maniacale del suo corpo e delle sue emozioni.

La testa mi pulsava forte, massaggiai le tempie, cercando di respirare a tempo.

Mycroft, aveva smantellato la cellula serba e fermato gli attentatori, ma non aveva risolto la faccenda con Malvest nonostante il suo sacrificio.  E il nostro debole rapporto si era complicato molto di più.  

 

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Capitolo 30
*** Prove di strategia ***


Essere sola al San Bart non fu d'aiuto. Mi accorsi che la mia mente elaborava piani contorti, ma in verità non sapevo bene che fare. Sarebbe stato facile ricorrere a Mycroft, aveva ancora saldamente in mano tutto il potere della governance. Avrei potuto accusarlo del suo fallimento, di avermi abbandonata. Ero certa che sarebbe intervenuto, sapevo quale era il suo rigore morale, mi avrebbe difeso. Non volevo la sua compassione, odiavo che si tormentasse per come si erano accaniti su di lui. Malvest era un pericolo imminente, si era invaghito di me e ora la situazione era precipitata nel modo peggiore.

Pensai a John, l'unico che avrebbe potuto consigliarmi. La mia indecisione finalmente si placò.

Lo chiamai al cellulare e gli chiesi se poteva passare al san Bart. Si preoccupò subito e mi dispiacque coinvolgerlo.

Non mangiai molto, l'appetito mi era sparito, per fortuna c'era il distributore automatico e ingoiai un paio di merende super caloriche. Passai il pomeriggio a stilare resoconti di decessi, catalogando povere vittime d'incidenti mortali.

Avevo ripreso quella poca padronanza di me stessa, necessaria per allontanare il pensiero della mattina. Ma la sensazione che provavo per le ferite così sconvolgenti che aveva sopportato Myc, si era fatta straziante. Rabbrividii e mi strinsi nel camice in cerca di calore. Ma nulla mi confortava.

Mai avrei immaginato di combattere così tanto per un uomo che non riuscivo a comprendere pienamente, che mi sfuggiva chiuso nel suo dolore. Eppure sentivo di amarlo profondamente. Se Malvest era arrivato a punirlo così ferocemente era comprensibile il suo rifiuto, il suo orgoglio era troppo radicato perché potesse condividere i suoi abusi. Lo sapevo bene perché era stato difficile anche per me ammetterli e confidarmi con qualcuno.

Lavorai fino a stordirmi, senza fermarmi un minuto. Finché non arrivò Watson. Mi guardò con l'aria di chi prevedeva cattive notizie.

"John, ho bisogno di un consiglio, non allarmarti così." Lo feci sedere con la forza, si slacciò la field Jacket scura e ascoltò attento. Gli raccontai tutto, come un fiume in piena.

"Per fortuna hai detto che non dovevo allarmarmi." Esplose alzandosi di scatto. "Per Dio, Laura, i tuoi sospetti erano veri! Malvest è un porco infame."

Camminò, la giacca aperta, le mani affondate nelle tasche, cercava di riflettere. "Solo Mycroft potrebbe proteggerti."

"Non voglio, John! Non voglio si prenda sulle spalle anche questo. Ora sta soffrendo, non deve tornare da me per compassione." Mi sentivo sicura della mia scelta. "Capisci in che situazione si dibatte? So qual è la sua difficoltà. So cosa lo allontana da me."

John si fermò, si massaggiò la nuca con forza. "Lo scoprirà, Laura, e si arrabbierà. Sherlock tenterà di tenerlo all'oscuro, ma c'è poco da fare con Myc. Lo sai che controlla tutto."

Era vero, ma volevo proteggerlo, volevo avere tempo per affrontare le sue torture.

Lo guardai sconfortata. "Non c'era a proteggermi oggi, è evidente che ha tolto la sorveglianza. E Malvest lo sapeva. Ha agito sentendosi al sicuro."

John capì, annuì lentamente, vide la mia disperazione. "Parlerò con Sherlock."

Abbassò lo sguardo tormentato dai dubbi. "A volte per troppo orgoglio, in una coppia ci si perde, ed è quello che state facendo voi due. Tenere Myc all'oscuro di tutto potrebbe irritarlo di più, ma se questa è la tua volontà, va bene, vedrò cosa posso fare."

Aveva ragione e ne aveva da vendere, ma l'orgoglio come diceva Watson mi impediva di correre da lui e farmi proteggere. Non volevo riaverlo in quel modo, costasse anche la sua rabbia.

"Ci vediamo stasera a Baker Street, vedi di non rimanere da sola." Mi salutò abbottonandosi la giacca. Mi sorrise. "Stai alla luce, ragazza." Nominò un vecchio film horror, che tanto mi spaventava: nel buio si nascondevano mostri oscuri che divoravano le loro vittime. Lo stesso che stava accadendo a me e a Mycroft.

Portai a termine un paio di certificati di persone decedute, decisi di tornare a Baker Street insieme a Molly. Inventai una scusa banale, lei fu gentile, mi accompagnò fino sotto casa. Salii le scale, i pochi gradini che portavano all'appartamento più misterioso di Londra. Tutti conoscevano la fama dei fratelli Holmes. Trovai la signora Hudson intenta a pulire la cucina, con la musica a tutto volume. Beata donna! Era una forza della natura.

John mi salutò, con la piccola Rosie in braccio.

"Ciao, Laura." Sherlock si avvicinò guardingo. "Stai bene? John mi ha raccontato tutto."

"Sì, molto meglio." Lo guardai incuriosita. Gli occhi chiari immersi in un azzurro limpido, i capelli neri mossi e scomposti. Non c'era nulla da dire, tutto il fascino degli Holmes era finito a lui.

Sembrò leggermi dentro. "Mycroft ha altre qualità, lo sai bene Laura." Sorrise sornione. "So che lo ami, più di quello che si merita."

Alzai la mano e disegnai un diniego. "Avanti, Sherlock, sai quanto è complicato stare vicino a lui."

Mi prese per il braccio, cosa insolita e mi trascinò fino al camino. "Siediti e ascolta. Malvest ha le ore contate, non manca molto alla sua cattura. Ti ha importunato cercando una via di fuga. Un ultimo tentativo di corrompere Myc." Si appoggiò allo schienale. Prese un respiro profondo. "Forse mio fratello lo ha giudicato con superficialità e ha allentato la tua sorveglianza. Ma stai tranquilla, presto tutto finirà."

Non controllai la tensione e i miei occhi si inumidirono. "Sai quello che gli ha fatto, vero? Penso che tu lo abbia capito da subito quando lo hai visto." Lui annuì stancamente.

"Laura, lui mi ha implorato di tacere." Due lacrime mi scesero lente, brucianti fino a cadere giù.

"Siete sempre così solidali voi due, anche se continuate a provocarvi." Lo guardai sfidandolo. "Quanto ami tuo fratello, Sherlock? Da nasconderlo così bene, per non dargli la soddisfazione di ammetterlo."

Lui abbassò la testa. I capelli gli nascosero il volto. "Edwin Malvest pagherà tutto il male che gli ha fatto.

Ti chiedo solo di pazientare." Mormorò quelle poche parole quasi con timore. "Laura, cerca di essere forte perché sta passando un momento delicato, e tu sei il suo punto di rottura. Non escludo che cercherà di allontanarti con tutte le sue forze."

John ci portò due tazze di tè. Ci fu una breve pausa. Sorseggiammo la bevanda calda, mi sentii meglio.

"Lo terremo all'oscuro, almeno per il momento. Ma presto lo scoprirà. E la sua reazione potrebbe essere scomposta." Appoggiai la tazzina. "So quello che vuoi dire, il fatto che prenda dei farmaci antidepressivi non lo aiuterà di certo."

Sherlock si avvicinò, appoggiò la sua tazza. "Bada Laura, lui non è quello di prima, ma vista la sua salute malferma per ora non gli dirò nulla. Il rischio lo correrai inevitabilmente tu." Scossi la testa, sapevo a cosa potevo andare incontro.

"Ti scorterà Lestrade, con la scusa delle tue collaborazioni al san Bart. So che è fidato e si comporta da gentleman." Sorrise e si lasciò andare sullo schienale. "Non vorrai ingigantire la gelosia di quello stupido di Myc, vero?" Ridemmo insieme, anche se ancora preoccupati per la piega che avevano preso gli avvenimenti. Divenne serio.

"Laura, sta attenta e non girare da sola, lo so che la sorveglianza di Myc sarebbe stata più incisiva. Ma ora va bene così."

Nel frattempo la porta si aprì e comparve Mycroft, seguito da Anthea. Lei mi salutò con un sorriso benevolo. Holmes aveva raddoppiato le stampelle e zoppicava vistosamente.

Il ginocchio era peggiorato, era ritornato in clinica per degli accertamenti. La sua fidata segretaria consegnò a Watson un referto.

Myc si trascinò vicino a noi e affondò sulla poltrona. Ci fissò perplesso, spostò lo sguardo su di me.

"Beh, che state cospirando voi due? Avete un'aria che non promette bene." Mi concesse una smorfia ironica. Gliela restituii grande il doppio.

John agitò la mano stringendo la lettera. "Nuova cura vedo, Myc." Lui sbuffò e scosse la testa. "Il ginocchio non mi regge molto. Stasera rinuncio alla visita dai nostri genitori. Mi dispiace, Sherlock."

Si era rivolto al fratello più giovane. Lui annuii comprensivo, portò le mani unite sotto al mento. Se lo conoscevo almeno un po', stava elaborando un piano.

"Bene, ma noi usciamo lo stesso, portiamo Rosie da Violet." Una fila di denti candidi comparve sul suo viso angelico. "Potresti rimanere una sera con Laura, cercando di essere gentile? Si occuperà di te."

Mycroft, sembrò sprofondare di più, io non respirai. E Sherlock naturalmente sogghignò. "Affare fatto allora?" Nemmeno il tempo di replicare che era già diretto nell'altra stanza. John vedendo la mia faccia, rise.

"Auguri Laura, non assassinarlo subito, dacci almeno un paio d'ore." Guardare il disappunto di Myc era impagabile. Il mio cuore si era fatto leggero. Passare una serata con lui non mi dispiaceva affatto.

Il British Government, cercò di aggiustarsi il colletto della camicia che sembrava stringergli troppo, poi rassegnato incrociò le braccia.

"Farò il possibile per sopportarlo, state tranquilli." Watson si avvicinò mentre indossava la giacca.

"Mycroft, lascia che Laura ti medichi le mani e ti sostituisca le fasciature." Lui brontolò mormorando che non ne aveva bisogno.

"Avanti Myc, è un medico anche lei, non fare i capricci."

Mi sorrise mentre prendeva in braccio Rosie.

"Lo fa sempre, si lamenta in continuazione, tu cerca di non ascoltarlo." Baciai la testolina di Rosie, e li accompagnai alla porta. Holmes, seduto sulla poltrona, cercava di darsi un contegno tentando di afferrare il libro di Shakespeare.

Sorridemmo complici, Sherlock gridò con la mano sulla porta. "Tratta bene Laura, cerca di essere gentile!" Lui sollevò la testa e arricciò le labbra. Agitò la mano cacciandoli via. Risero vedendomi in allarme, li spinsi fuori farfugliando di lasciarlo stare.

Tornai dentro decisa a tenere una conversazione decente con l'uomo di ghiaccio.

 

 

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Capitolo 31
*** Un armistizio precario ***


Rimanemmo soli dopo settimane di lontananza. Mycroft, non era cambiato molto nel modo di fare, era sempre attento nel vestire. Era elegante anche nella situazione delicata che stava vivendo. Indossava un completo tre pezzi chiaro, la camicia rigorosamente bianca. Da quando lo avevo conosciuto era sempre stata la sua prima scelta. La cravatta marrone, spinata, annodata alla perfezione fermata dalla spilla argentata. Solo i calzoni sul ginocchio erano sformati, probabilmente per una fasciatura.

Lo avvicinai con le mani alte, in segno di resa.

"Perché non ti metti un po' comodo, ci siamo soltanto noi due."

Lui mi fissò allibito. "Dovrei apparire trasandato? Lo sai che non mi piace."

"Perché non allenti la cravatta, indossa un maglione comodo e più caldo." Gli indicai il mio cashmere azzurro.

Sembrò inorridire. "Per favore, Laura, va bene così!" Sospirai, con lui la battaglia sull'abbigliamento era già persa in partenza.

"Posso sedermi?" Annuì rassegnato dalla mia presenza.

"Certo, non sono così maleducato." Mi accomodai alla sua destra e presi il libro caduto a terra.

Glielo porsi, un gesto per invitarlo a reagire, infatti sbuffò avvilito. "Ci sarei riuscito anch'io."

"lo so è stata solo una gentilezza." Grugnì, gli comparve una smorfia di dolore mentre cercava di sistemare la gamba. Strinsi le labbra dispiaciuta per quella improvvisa sofferenza. Cercai di essere accomodante. Mi sistemai le maniche della maglia, che si erano accorciate nel prendere il libro.

"Come va il ginocchio? Non bene visto il dolore che ti provoca."

"Ma guarda! Cos'è, una deduzione? Certo che fa male, grazie." Mi fissò stringendo il libro con troppo vigore, cercò di aprirlo, ma con le mani in quelle condizioni finì per arrendersi.

Era irritante, ma sapevo bene perché la mia vicinanza lo mettesse a disagio.

Mi sistemai nella poltrona, cercando una posizione migliore. La sofferenza che aveva provato era quanto la mia nel vederlo chiudersi di nuovo nella sua solitudine. Non voleva la mia pietà anche se mi faceva male ammetterlo. Lo ignorai volutamente, mi alzai presi il contenitore dei giocattoli di Rosie che avevo giudicato dell'altezza giusta, lo sistemai di fronte alla poltrona.

"Ora ci metterai la gamba e la terrai distesa." Gli indicai il cubo dei giochi con aria perentoria. "Non dire niente, altrimenti la prendo e ce la sbatto sopra. Ok?"

Ricevetti uno sguardo truce, ma capitolò, cercò di alzarla, il dolore lo fece desistere.

Mi avvicinai, gli piantai gli occhi addosso e visto che non diceva nulla, presi delicatamente la gamba e gliela sistemai sul supporto improvvisato.

Strinse i denti, cercando di non darmi la soddisfazione di mostrarmi la sua difficoltà. Si appoggiò con la nuca sulla spalliera e chiuse gli occhi. Certo soffriva e non riusciva a mascherarlo. Mi concesse tacitamente di accudirlo. Gli tolsi la scarpa elegante e costosa dove sacrificava il suo piede gonfio e parzialmente fasciato. Non riuscivo a capire come potesse sopportare quel tormento.

"Portare una calzatura più comoda non sarebbe il caso?" Lo redarguii mantenendo la voce gentile per non innervosirlo.

"Non per me, sai che mi piace vestirmi in modo consono."

"E il risultato è la caviglia gonfia. Devi stare con la gamba in alto. Stubborn english man!"

Il risultato fu la riapertura di un occhio solo con cui mi fissò ironico. "Hai migliorato il tuo inglese? Ma la pronuncia è ancora lontana dall'essere perfetta."

"E infatti voglio si senta che ho origini italiane." Mi stampai in volto un sorrisetto ironico.

Accennò una risata, era qualcosa. "Va bene se è una tua scelta. Stubborn italian woman."

Naturalmente il suo timbro così British mi scaldò il cuore. Mi guardò indulgente, e ne approfittai subito.

"Ti alleggerisco la gamba, non andare in allarme." Mi sedetti di fronte prima che potesse protestare. Presi il piede con lentezza, tolsi le calze, lo massaggiai piano evitando le ferite sulle dita. Gli mancavano le unghie. Tremai pensando al dolore che aveva patito quando gliele avevano strappate.

Forte del fatto che non protestasse e mi considerasse un alieno che invadeva il suo pianeta deserto cercai di vedere se riuscivo a farlo parlare.

"Ti hanno fatto lo stesso trattamento delle mani, vedo. Ma il ginocchio, perché? Sei ferito?"

Corrugò la fronte, gli occhi divennero due linee sottili. Era in allarme, dal tremore della mano appoggiata al bracciolo capii che aveva paura che gli chiedessi di più del consentito, che invadessi la sua zona confort dove non permetteva a nessuno di entrare.

Ma si arrese, consapevole che due mesi prima, eravamo stati molto vicini e mai lo avevo deluso.

"Una bastonata. Me lo hanno rotto." Gli scivolò la frase in un soffio. Non sollevai la testa e continuai a occuparmi della sua caviglia gonfia. Sembrava cedere un po' del suo orgoglio. Continuai cercando di stimolarlo.

"Un dolore devastante, come hai potuto sopportare?" Scivolò verso il basso, la schiena incurvata.

"Non ho sopportato. Ho gridato...molto...e vergognosamente... e sono svenuto. La mia mente mi ha tradito non controllava più il corpo."

Chiuse gli occhi. Delle rughe profonde comparvero sulla fronte. "Mi avevano legato ad una sedia di metallo, muovevo troppo la gamba cercando di sottrarmi alle percosse."

Il suo petto si sollevò in un paio di respiri profondi. Cercai di modulare la voce, anche se dentro vacillavo.

"Nessuna mente può controllare una tortura del genere, Myc, forse sei umano anche tu." Non si spostò di un centimetro. Si chiuse a riccio, tossì un paio di volte. "Laura, ceniamo, non voglio parlarne...Non ora ti prego."

"Scusami, stai sereno. Ti preparo la cena." Gli infilai il calzino costoso e chiusi il discorso.

"Cosa ti hanno detto del ginocchio?" Avevo nuovamente la sua attenzione, riaprì gli occhi.

"Di stare a riposo per un paio di giorni, ho forzato troppo. Mi hanno aumentato gli antidolorifici."

Gli accarezzai la caviglia. "Ti porto le pantofole, rimani qui tranquillo. Leggi il tuo libro."

Alzò la testa, gli occhi addolciti e mi sembrò il Mycroft gentile di tempo addietro. "Non ho molta fame..."

"C'è qualcosa che vorresti?" Cercai di essere accomodante.

"Una delle tue zuppe famose, Laura."

Risi divertita. "Te ne ricordi ancora? Va bene, si può fare, vedo se John ha quello che mi serve."

Dondolò la testa di lato e mi fissò. "Bene, è l'unico cibo che mi sento di mangiare stasera. Scusami."

"Cercherò di accontentarti, ma tu sforzati un po'."

Si era calmato, era sereno, avevamo avuto il primo colloquio normale e una parziale ammissione delle torture subite. Pensai che mi avesse concesso molto.

Mi avviai verso la cucina con il cuore in subbuglio. La giornata era stata piena e con lui in quelle condizioni mi sentivo persa. Mi distruggevo dentro, tra la rabbia di soccorrerlo e quella di picchiarlo per la sua freddezza. Lavorai con calma, ogni tanto lo guardavo. Cercava di leggere, ma spesso finiva per appoggiarsi e chiudere gli occhi spossato.

Cucinai tesa, ma alla fine ottenni una zuppa cremosa e delicata.

"Mycroft, è in tavola. Ce la fai?" Fu una domanda stupida, perché di certo non si sarebbe fatto aiutare.

Dopo un paio di tentativi si alzò e riuscì a trascinarsi con le due stampelle fino alla tavola. Si accomodò, mal celando una smorfia. Fu stranamente gentile. Gli occhi per pochi secondi mi sembrarono velarsi. "Mi dispiace di non averti potuto aiutare. Mi piace cucinare con te, Laura."

Un'ammissione che non mi aspettavo.

"Beh, magari quando starai meglio faremo una cena completamente italiana."

Sorrise, una piccola impercettibile concessione.

Gli porsi il piatto e cominciò lentamente a mangiare. Reggeva le posate con difficoltà, ma mi guardai bene dall'invadere i suoi spazi. Alla fine sembrò soddisfatto.

"Beh, dottoressa Lorenzi, sei stata all'altezza, un piatto semplice che mi ha fatto venire appetito." Appoggiò il cucchiaio, si pulì con il tovagliolo. "E' un periodo difficile, non ho mai molta fame."

Mi versai un po' di vino e riempii anche il suo bicchiere. "Sono contenta che tu abbia mangiato qualcosa, sei dimagrito e dovresti recuperare."

Strinse le labbra e appoggiò la mano sulla tovaglia. "Lo so, ho perso peso, ma spero di rimettermi presto." Sospirò. "L'unico cibo che mi passavano in quel buco di prigione era una ciotola di acqua e patate bollite." Faticava a guardarmi negli occhi. Abbassava spesso la testa, per nascondere l'imbarazzo, lui che era stato sempre altezzoso e fiero.

"Mycroft, puoi guardarmi. Sono sempre io, Laura. Ti faccio così paura ora?"

E fu un errore madornale, si arroccò in difesa, alzò le barriere a protezione della sua debolezza. "Non ho paura di te, cosa te lo fa pensare? Ti credi così importante?" Lo sibilò con cattiveria e mi puntò gli occhi grigi addosso.

Mi arresi, senza condizioni. "Scusami, non volevo farti arrabbiare. Volevo aiutarti. È stata una battuta infelice." Avevo perso la piccola apertura che mi stava concedendo.

"Chissà perché volete tutti aiutarmi! Forse qualcuno si è mai occupato di me prima?" Piantò la mano fasciata sul tavolo, con troppa violenza.

"Non permettevi a nessuno di avvicinarti. Per Dio, Mycroft, ti vogliamo bene, è semplicemente questo il motivo." Sbottai, spingendo indietro la sedia.

Brontolò, cercò di alzarsi, ma barcollò. Temendo che cadesse, lo aiutai. Lo presi per la vita e lo tenni dritto. "Guarda che lo faccio solo perché ho promesso a Sherlock di farti arrivare vivo a sera. Non prenderlo come un gesto di affetto."

Fui acida e cattiva per proteggerlo dalle sue insofferenze. Lo strinsi accorta, mentre si sistemava le stampelle e acquistava forza.

Non replicò, quando lo vidi stabile lo lasciai. "Sei un uomo impossibile, Mycroft Holmes." Mi allontanai mentre lui sbuffava, gli occhi rivolti in alto.

"Sparecchio in fretta e ti sistemo le fasciature alle mani, poi sei libero di andare a letto." Non mi voltai nemmeno a guardarlo. Lo sentii trascinarsi fino al camino. lo osservai di sottecchi mentre sistemava la gamba sul rialzo.

Il suo modo di fare era devastante, non mi permetteva nessun accesso. Sembrava un perfetto sconosciuto. Mi mancava la sua ironia, quella sua aria bonaria, quel volto che mi guardava preoccupato e protettivo. Sarei stata al suo fianco sempre, se solo me lo avesse permesso. Ma Mycroft era cambiato, stentavo a riconoscerlo. Eppure, sapevo cosa lo tormentava. Finii per distrarmi, mi cadde un bicchiere che andò in pezzi

Lui alzò la testa, e mi guardò mentre raccoglievo i cocci.

"Non ti taglierai, vero?" Grugnì. "Laura, sono io quello che deve essere medicato, non tu." Sorrisi e quella battuta, mi alleggerì il cuore.

"Starò attenta. Non vorrei morire dissanguata nella cucina di tuo fratello. Potrebbero pensare che sia tu l'assassino."

Rise sommesso. "Potrebbero, sì." Tornò al suo libro e io pulii il mio danno.

Più tardi lo raggiunsi con il necessario per medicarlo, avvicinai il tavolino che c'era tra le due poltrone. Mi passai la mano sulla nuca indolenzita, cominciavo ad avvertire tutta la stanchezza della giornata. Aggrottò le sopracciglia e mi studiò.

"Sei stanca, Laura? Mi dispiace che Sherlock ti abbia costretta a fare tardi con me."

"Non preoccuparti, recupererò la stanchezza con una bella dormita." Intravidi in lui una parte di quel Mycroft tanto amato: gentile e premuroso.

"Bene, appoggia il tuo libro e sistemiamo le tue mani. La ferita alla fronte la lasciamo per domani."

Fece una piccola smorfia, infilò il libro sul fianco della poltrona e distese le mani.

Tolsi le bende con delicatezza, era teso quanto me. Mascherai bene la mia inquietudine, ma quando le scoprii, mi smarrii. Come sospettavo gli mancavano le unghie: un paio a destra e tre a sinistra. La mano di sinistra aveva un profondo taglio sul dorso che la trapassava.

I miei occhi si fecero lucidi. Le sue belle mani, delicate e pallide, erano ora gonfie e scure.

Balbettò, scusandosi. "Non ti crucciare, Laura, guariranno, è per questo che non volevo che ti occupassi delle mie ferite." Annuii cercando di darmi un contegno. "Ti faccio stare male e non volevo succedesse."

Le ritrasse, tremando, abbassò lo sguardo.

Mi diedi della stupida, non era così che lo aiutavo, eravamo quasi in sintonia, fui sincera. "Scusami, so che non vuoi dell'inutile pietà. Non si ripeterà lo prometto."

Prese fiducia e le appoggiò sul tavolino. Si lasciò andare alle mie cure. Un paio di volte si contrasse per il dolore, mi fermai e lo lasciai riprendere fiato. Disinfettai e pulii bene, senza mai guardarlo. La ferita nel centro mi preoccupò un po'.

"È arrossata e profonda, cerco di fasciartela stretta." Non so perché decise di raccontarmi di quella ferita brutale.

La voce era piatta, come se cercasse di mascherare il disappunto di quel ricordo angoscioso.

"Volevano le informazioni e la password del portatile. Prima furono quasi maldestri, mi strapparono le unghie una alla volta, cominciando dai piedi. Ma ressi bene, almeno per un po'. Persi il controllo quando arrivarono alla mano sinistra, non riuscivano a tenerla ferma."

Lo sentii ansimare, gli diedi tempo. Aspettavo con la testa china mentre gli stringevo la fasciatura.

"Mi piantarono il coltello sul dorso e la inchiodarono al tavolo di legno." Fece una smorfia ironica.

"Rimasi fermo per forza, il dolore della ferita superò la rimozione delle unghie." Il suo bel viso era percorso dalla rabbia.

"Mi torturarono senza pietà per il gusto di farlo." Sistemai la benda e tremai, sapendo bene chi avesse ordinato quelle crudeltà laceranti.

Non riusciva a compensare, il fiato gli si era fatto corto, allora mi fermai cercando di non andare oltre.

"Starai bene, Myc le unghie ricresceranno più forti di prima e la tua bella mano tornerà come nuova." Annuì sollevato che avessi finito la mia cura.

Ordinai il tavolo, lo vidi prendere il libro, cercare di alzarsi afferrando le stampelle per andare in camera.

"Aspetta le medicine, poi sei libero." Presi la vaschetta che mi aveva lasciato John. Conteneva sei capsule diverse, alcune per il dolore, antiinfiammatori, antibiotici, vitamine e per ultima un antidepressivo.

Mi urtò vedere che glielo avevano prescritto. Una medicina che influiva sul suo umore non era certo un bene per quella mente acuta che aveva. Forse era questo che lo rendeva così irritabile e scontroso. Fui combattuta, ma decisi di chiederglielo.

"Mycroft, perché ti hanno prescritto degli antidepressivi? Che ti succede?" Mi fissò sulla difensiva, seccato era dire poco.

"Mi aiutano a superare l'ansia e gli attacchi di panico. Non riesco a dormire molto." Presi il bicchiere d'acqua e glielo porsi. Lui buttò giù tutto in un fiato.

"Scusa era solo per capire quanto fossi coinvolto, so che non ti piace limitare la tua mente." Mi restituì il bicchiere, la mano tradiva un leggero tremolio.

"Mi limitano molto, ma devo obbedire anche se a volte mi sento...irascibile e confuso." Ora capivo meglio il suo stato. Ma sapevo che erano necessarie.

"Chi ti segue, sa quello di cui hai bisogno."

Sorrise tristemente, prese le due stampelle. "Mi spiace, ma ho certi obblighi e farmi curare dal team dei medici del governo è uno di questi." Con difficoltà, prese il suo libro prezioso che mesi prima era stato il nostro punto di unione.

"Bene, ora hai sodisfatto la tua curiosità. Posso andare?" Fu brusco. Tornò il Mycroft irritante e sgarbato, lo sconosciuto perfetto. Abbassai la testa, consapevole di avere davanti una personalità altalenante che soffriva per i farmaci e per le violenze subite che non riusciva a compensare.

"Sono troppo invadente, hai ragione. Dormi bene." Mantenni la giusta distanza.

"Buonanotte, Laura. Riposa anche tu, ti ho stressato abbastanza stasera. Faccio da solo, non preoccuparti. E grazie."

Fu gentile: Mycroft era il risultato di una accozzaglia di comportamenti contrastanti che cambiavano in fretta.

Avrei voluto dargli un bacio su quelle labbra screpolate, un abbraccio, una carezza, stringerlo così forte da soffocarlo, per farlo sentire al sicuro. Ma rimasi ferma, di pietra, muta, stupidamente incartata in una disperazione lacerante.

 

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Capitolo 32
*** Mycroft è furioso ***


Quando sentii rincasare John e Sherlock, ero nella mia camera. La giornata era stata pesante, infilai il vecchio pigiama svogliata e mi lasciai andare nel letto. Mi voltai a fissare la lampada accesa sul comodino. La mente mi restituì impietosa le immagini delle mani ferite di Mycroft, il tormento del suo volto, la devastante confessione delle torture.

Le lacrime scesero lente, il mio corpo avvertì le sevizie che avevo patito in Italia. Sentii il dolore delle costrizioni. Lo schifo che avevo subito. Mi resi conto che Malvest aveva fatto lo stesso con lui, lo aveva devastato fisicamente e moralmente. Ero certa che se non fosse riuscito a decomprimere il suo calvario, non mi avrebbe permesso di avvicinarlo e la nostra storia sarebbe finita.

Con la testa affondata nel cuscino, soffocai un singhiozzo. "Ti amo, stupido uomo di ghiaccio, come puoi non capire?"

Mi addormentai spossata e mi svegliai il mattino seguente nella stessa posizione. Iniziava un'altra giornata da portare a casa.

Assonnata indossai i miei jeans preferiti, una camicia colorata e un comodo maglione blu.

Quando scesi cercai con lo sguardo Mycroft. La porta della sua stanza era chiusa, evidentemente riposava ancora. Sherlock stava accudendo Rosie nella sua cameretta.

John mi guardò incuriosito mentre preparava la colazione.

"Allora, Laura, come è andata ieri?" Gli raccontai della serata decente che avevamo passato, della piccola apertura che mi aveva concesso. Del suo comportamento altalenante.

"Penso che i farmaci non lo aiutino molto. Ha sbalzi di umore troppo rapidi." Watson annuì. Poteva capire che il suo comportamento non fosse normale, perché lo conosceva bene.

"John aiutalo tu, io devo lavorare, cerca di farlo riposare."

Si rigirò fra le dita l'orologio da polso mentre lo allacciava. "Laura, va tranquilla, ma sai quant'è testardo." Mi versò del caffè.

"Scusami, sono troppo apprensiva, ma vederlo così mi fa male."

Arrivò Lestrade, vidi l'auto sotto casa. Buttai giù il caffè, indossai il cappotto e scesi rapida.

"Ciao, Lorenzi, sali." Era alla guida di un'auto anonima. Aprii e mi accomodai al suo fianco.

"Come stai? Brutta storia con Malvest. Sherlock ha detto che se ne occuperà, intanto ti tengo d'occhio." Lo guardai divertita. Aveva quel piglio deciso e alla mano che era esattamente il contrario di quello di Holmes.

"Sto bene, ma se non puoi venire vedo di tornare con qualcuno." Brontolò. "Abbiamo altre auto di servizio per proteggerti, non c'è solo il British Government."

"Ok, ti prendo in parola." Lo rassicurai stringendogli la mano sulla spalla e sorrisi vedendolo guidare preoccupato.

Il viaggio fu breve, lo salutai e mi avviai al san Bart. Ligio al suo compito aspettò che entrassi. Era una brava persona, la sua schiettezza era disarmante.

Molly era già al lavoro, un caso importante la trattenne per oltre due ore, la aiutai e immagazzinai tutto quello che potevo. Era la più giovane patologa di Londra, preparata e competente.

Non potevo che ammirarla.

"Crescerai Laura, la stoffa la possiedi. Abbi più fiducia in te stessa." L'abbracciai riconoscente. "Grazie Molly." Mi chiese di Mycroft. Le raccontai lo stretto necessario, tralasciando gli abusi.

Uscimmo per pranzare insieme, ne approfittai per non rimanere da sola.

Solo nel primo pomeriggio, Hooper dovette andare a Scotland Yard per una consulenza.

Non dissi nulla di Malvest per non preoccuparla. Ma quando tornai, mi chiusi inquieta dentro al laboratorio.

Stare sola non mi piaceva, ma presa dal lavoro presto l'ansia mi abbandonò.

Sembrava una giornata tranquilla, quasi noiosa.

E invece.... tutto precipitò quando verso le tre del pomeriggio, sentii bussare alla vetrata e vidi comparire Mycroft. Si reggeva pesantemente sulle due stampelle. Aveva il volto indurito, la maschera che usava con le persone che detestava.

Gli aprii sorpresa. "Ma che fai qui? La parola riposo non ti dice nulla? Vuoi compromettere il ginocchio?"

Fissai Anthea che lo seguiva defilata, la faccia più scura di quella del suo capo, la mano che tamburellava sul cellulare. Allargò le braccia.

"Avanti, Laura, sto bene, non farmi la paternale! Devo andare in quella specie di ufficio." Mi superò senza darmi il tempo di spostarmi, sospettai che fosse arrabbiato e che ce l'avesse proprio con me.

Mi assalì una frustrazione profonda, fui acida e lo rimproverai.

"Vediamo come finisce stasera, quando il ginocchio ti presenterà il conto! Guarda, Mycroft, fai pure quello che credi, ma non aiuti nessuno a comportarti così. Sei presuntuoso e arrogante." Non riuscii a controllarmi e me ne pentii immediatamente.

Mi guardò velenoso, accennò un movimento con le labbra, ma si trattenne. Si voltò, strinse le mani sulle stampelle così forte che le nocche sbiancarono.

Lo avevo offeso, zoppicò indignato fino al suo ufficio. Provai un rancore profondo per quel suo comportamento irresponsabile.

Anthea mi appoggiò la mano sul braccio solidale. "Ha una brutta giornata. Gli hanno consegnato dei rapporti che lo hanno messo di cattivo umore. E ha voluto venire al san Bart."

Lo accompagnò nel suo studio e se ne andò mezzora dopo, contrariata, lanciandomi uno sguardo confuso.

Non avevo prestato molta attenzione alle loro discussioni. Certo qualcosa era successo. Per un secondo ebbi la sensazione che lui sapesse di Malvest.

Un presentimento che si avverò pochi minuti dopo. Mycroft si avvicinò alla porta del piccolo ufficio, con un'aria che non lasciava intendere nulla di buono.

Mi chiamò perentorio come fossi un suo sottoposto. "Lorenzi vieni, voglio parlarti."

Fui infastidita che mi avesse chiamato con il mio cognome, sospettai che fossero guai.

Non riusciva a stare in piedi, si sedette dietro alla scrivania appoggiando le mani fasciate ai braccioli.

"Che c'è? Non sono più Laura?" Mi stringevo nel camice, cercando un'inutile protezione. "Mi devi sgridare?"

Faticava a trattenersi, la sua voce fu brusca e sgarbata.

"Non provare più ad offendermi davanti ad Anthea! Bada Laura, non prenderti delle libertà che non hai."

Rimasi senza respiro, era adirato, ma ancora si conteneva.

Non era il mio Mycroft. Mi balzò il cuore in gola, il suo modo di fare canzonatorio era sparito, la sua ironia aveva lasciato il posto alla crudeltà dei suoi occhi. Ebbi paura e mi tenni distante.

"Scusami." Sussurrai pentita, mantenendo un tono distensivo.

Lui non si acquietò. "Lorenzi, se non hai capito, sono un uomo con delle responsabilità! Non trattarmi come uno stupido bambino! Non sono il tuo giocattolo da ragazzina viziata. Ti ho concesso la mia attenzione, non farmene pentire!"

Non risposi, impreparata dalla sua sfuriata.

Persi la fiducia, tutta la sicurezza che avevo riposto in lui sparì bruciata in pochi secondi. Arretrai di un passo. Se ne avvide, ma non si fermò.

Non riusciva a contenere la sua ira, lui che sapeva gestire così bene le emozioni era totalmente fuori controllo.

"Perché non mi racconti di Sir Malvest? Visto che sei così dannatamente presuntuosa da avermelo tenuto nascosto. E hai assurdamente coinvolto mio fratello, trascinandoti dietro anche Lestrade." Alzò troppo la voce, lo sguardo fisso su di me.

Balbettai allo sbando. "Non so come tu lo abbia saputo."

"Le telecamere, ti ricordi?" Portò il busto in avanti irritato da tanta ignoranza. I gomiti piantati sulla scrivania, le mani giunte.

Il suo comportamento pacato e misurato era totalmente assente. Non era l'uomo che mi aveva teneramente baciato settimane prima.

Dovevo reagire, correre qualche rischio, vedere fin dove potevo spingerlo. "Allora, Myc, se hai visto le registrazioni, sai cosa è successo!"

Sbuffò e si riappoggiò allo schienale. "Ma non so cosa ti ha detto!" Aveva allentato la presa.

Dovevo trascinarlo dove volevo io, metterlo davanti alla verità. "Perché dovrei dirtelo? Visto che non l'hai tolto di mezzo e mi hai gettato fra le sue viscide braccia."

"Laura!" Batté le mani fasciate sul tavolo, incurante del dolore che gli provocarono. Gli occhi grigi erano diventati scuri.

"Non si tratta di te, Mycroft! Vuole me adesso. In tutti i sensi." Sibilai rabbiosa, mentre mi sentivo sprofondare in quella lite che ci allontanava sempre di più.

Lo vidi annaspare, ma si riprese subito. "Non fare la stupida, sa che ti frequento ancora, perché dovrebbe intromettersi?"

"Mi vuole allontanare da te." Mi fermai, sapendo che lo avrei ferito rivelandogli quello che mi aveva fatto intendere Malvest. Ma ero stanca di trovarmi coinvolta in una situazione pericolosa, dove suo malgrado, mi aveva trascinato anche lui. "Non fare lo sprovveduto Myc, sai bene quello che mi ha detto. Non hai la fama di Smart One?"

Socchiuse gli occhi, le labbra strette. Le mani gli tremarono, le nascose rapido sotto la scrivania.

Aveva capito.

Era percorso dal rancore, sia verso di me che non lo assecondavo, che dall'umiliazione che gli aveva imposto Malvest. Faticava a reggere tutto insieme. Cercai di essere più dolce.

"Mycroft, ti ha fatto seviziare per vendetta personale nel suo contorto ragionamento che ti avrei lasciato e avrei cercato la sua protezione."

Cercava di ragionare velocemente, di capire dove aveva sbagliato, le mani ferite erano aggrappate ai braccioli della poltrona. Rincarai le accuse, sentendomi lacerata per la sua assenza. "Hai fatto il suo gioco, mi hai allontanato. E mi hai tolto la sorveglianza."

Lui tossì, prese un respiro profondo.

Abbassò la testa, sibilò a denti stretti. "Quindi ieri sera sapevi già tutto, e non hai detto nulla."

Annuii, decisa a continuare. "Sì, dovevo rispettare i tuoi tempi. Dovevi essere tu a dirmelo." Cercai di addolcirlo e replicai prontamente.  "E' questo il motivo per cui mi hai allontanato?"

Alzò la testa, esitava, si passò la mano fasciata sulla fronte. Gli tremò la voce. "Tu hai bisogno di un uomo al tuo fianco. Dopo le torture che ho subito, non sono più quello che conoscevi."

Esplosi seccata, incapace di capire i suoi contorti ragionamenti da maschio.

"Chissà perché tutti e due pensate che mi dovete scopare: tu che ti logori perché non riesci, e lui per la sua perversione."

"Laura, sei volgare, non è da te." Sbraitò indignato, ma sapeva che era vero.

"Per Dio, Mycroft! Mi hai allontanata soltanto perché non puoi soddisfarmi sessualmente. È incredibile." Mi avvicinai affranta. "Te l'ho mai chiesto? Ti ho forse detto che era indispensabile il sesso per continuare a frequentarci?"

Si sollevò inclinandosi in avanti, ribadì tutta la sua convinzione. "Una coppia lo desidera, come puoi pensare che io limiterei la tua vita con la mia impotenza."

"Basta Myc! Sapevi quello che avevo patito in Italia. Non ti ho mai chiesto notti di fuoco, ma amore, rispetto, tenerezza e condivisione." Esasperata, al limite della sopportazione, persi il controllo.

"Non sei diverso da Malvest! Mi volete possedere come fossi un oggetto! Sono Laura, guardami."

Era immobile, ansimò scomposto incapace di riprendere un minimo di equilibrio mentale.

Ci fu un silenzio aspro, nessuno dei due continuò.

Io tremavo nella concitazione della mia difesa, sembravo una scolaretta in punizione di fronte alla sua scrivania.

Mycroft ebbe un moto di disgusto, le mani nervose stropicciavano i fogli davanti a sé, che probabilmente erano il resoconto di quello che i suoi agenti avevano scritto sui miei movimenti.

Avrebbe potuto abbozzare, invece non era soddisfatto, mi attaccò nuovamente.

Ero consapevole che non riusciva a perdonarsi di essere tornato cambiato fisicamente e di aver fallito con Edwin.

Riprese quel tono asciutto, indispettito, che non mi piaceva.

"Disobbedire è una tua costante! Dovevi dirmi subito quello che era successo! Ma sei stata presuntuosa. Se sono qui a penare con il mio ginocchio è perché non potevo affrontarti a Baker Street e farti fare la figura della stupida." Lanciò i fogli sulla scrivania che si sparsero ovunque.

Ero stanca, quella discussione non ci portava a nulla. Mi passai la mano sulla fronte, cercando di ritrovare un minimo di forza.

"Non volevo obbligarti a riprendere un rapporto che non volevi continuare! Ne volevo che ti sentissi forzato a proteggermi."

Ero dritta in piedi al centro del piccolo ufficio, feci un piccolo passo in avanti, ma lui era glaciale...

"Laura, non ti avevo promesso nulla, ero stato chiaro!" Sbottò acido.

"È vero, ma avremmo potuto ricominciare. Myc, mi hai ostinatamente ignorato senza spiegarmi nulla."

"Te l'ho detto, non c'era nessun obbligo tra noi. Tu correvi troppo velocemente." La sua voce mi feriva, eppure continuavo a difendere quel poco che restava di noi.

"E quei baci che ci siamo scambiati? Non dirmi che non sentivi nulla! Hai ammesso che mi amavi."

"È stato prima che partissi, ora è tutto diverso, sai quello che ho patito e quello che penso del nostro rapporto." Fu leggermente morbido.

"Quindi mi allontani per la tua virilità? Non pensi che posso amarti così come sei?" Mi sentii umiliata e incompresa.

"Io ti ho concesso il mio amore incondizionato, quando sapevi bene che non sono integra come le altre donne che ti sei sbattuto!" Gridai furiosa, pensando che tutto si riduceva alle lenzuola arruffate di un letto.

"Non sei diverso da quel porco schifoso di Malvest, non ti salvi nemmeno tu, Mycroft, che ti ritieni così intelligente." Rimasi immobile aspettando la sua reazione.

Si alzò trascinato dalla rabbia, non prese nemmeno le stampelle. Zoppicò fino a me.

Arretrai, il suo viso non era quello che conoscevo, dolce e amorevole. Raramente si lasciava trasportare dalla collera, feci un passo indietro, arrivai con le spalle al muro, impaurita dal suo sguardo pieno di rancore. Ormai mi sovrastava.

"Laura, non offendermi ancora, la mia pazienza ha un limite!" Le sue mani erano contratte, strette in due pugni pericolosi. Lo sentivo vibrare di rabbia repressa.

Era troppo vicino. Ero terrorizzata, delusa, smarrita dal suo attacco. Eppure gli tenni testa decisa a spingerlo al limite. Volevo capire se si sarebbe fermato. O lo avrei perso per sempre.

Fui tagliente, le mie braccia vibravano distese lungo i fianchi. "Il tuo non può essere amore. Ho sbagliato a fidarmi di te. Non mi importa del sesso e non mi ripeterò più. Ti amo per quello che sei ora. Non ho bisogno d'altro."

Eravamo così vicini da sfiorarci, il suo corpo teso a pochi centimetri dal mio.

"Colpiscimi Mycroft! Non farò nulla per difendermi se questo fa accrescere il tuo ego maschile. Infondo sono abituata alla violenza degli uomini che non hanno avuto rispetto della ragazza innocente che ero."

Le lacrime mi scesero dolorose e impetuose, ero in suo potere.

Non avevo difese, gemetti rassegnata. "Avanti, Ice Man, fammi vedere come si addomestica una stupida ragazza che ti ha dato il suo cuore."

Rimasi paralizzata, pronta subire come era successo anni prima, quando ero diventata un oggetto nelle mani dei miei aguzzini...

Mycroft si era fatto pallido, era pietrificato di fronte a me. Un silenzio irreale pulsava con i nostri cuori, avvertivamo i nostri respiri che ansimavano e crescevano, intrecciando strisce di dolore che riempivano la stanza e ci costringevano a guardarci dentro.

Come se un'onda di deliro fosse passata su di noi a lambirci entrambi, lui tremò, sussultò, abbassò lo sguardo. Allargò le mani come se si risvegliasse da un sogno. Le fasciature saltate e insanguinate.

"Dio, cosa mi sta succedendo!" Gli rotolò sulle labbra una presa di coscienza devastante, cercò aria, si portò le mani sul volto. Singhiozzò, si voltò e barcollò fino alla scrivania dove si resse letteralmente.

"Io non sono questo, io non sono così..." Balbettò incespicando in quelle poche parole. Le mani aperte sul tavolo, la testa china, tutto il peso del corpo sulle braccia. Tossì e tossì, cercando aria.

Ero troppo sconvolta per avvicinarlo, benché lo vedessi in difficoltà, la tensione mi fece crollare in un pianto disperato. La paura che avevo provato mi gettò letteralmente nel panico.

Lo lasciai da solo e corsi in bagno.

Mi rinfrescai il viso sotto l'acqua fresca, mentre piangevo senza freno. Crollai sul pavimento con l'angoscia nel cuore, la testa vuota.

Avevo concesso la mia fiducia, i miei ricordi, la mia stessa vita ad uno sconosciuto.

Stupida, ero stata stupida! 

Certo avevo avuto le mie colpe, ma non avrei mai immaginato di avere paura di Mycroft Holmes.

 

 

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Capitolo 33
*** Niente è perfetto nemmeno l'amore ***




Rimasi seduta sul pavimento del bagno con lo stomaco in subbuglio. Avevo asciugato le lacrime, ma non riuscivo ancora a calmarmi, il dispiacere che provavo era forte. Presi a tremare mi accorsi di essere allo sbando.

La consapevolezza che Mycroft fosse il nemico mi soffocava. Eppure non potevo credere di essermi sbagliata su di lui. Non c'era niente di Myc in quell'uomo che mi aveva spaventato poco prima. Quello che era ritornato dalle torture non era il mio irritante, ma gentile Holmes. La persona premurosa che mi proteggeva comunque andasse tra noi. Era uno sconosciuto di cui avevo paura. Cercai di alzarmi, ma le gambe non mi reggevano.

Sentii lo strascicare delle stampelle accompagnate dai suoi passi, mi tirai indietro. La porta era socchiusa, mi riparai dietro quella debole difesa.

"Laura, non temere non mi avvicino. Dimmi solo se stai bene, solo questo." Parlava a voce bassa, lentamente, aveva perso la sua autorevolezza. Si interruppe, lo sentii respirare con difficoltà.

"Sta arrivando Anthea, avrà cura di te." Ascoltavo dispiaciuta e allo stesso tempo arrabbiata. Insisteva quasi supplicante. "Ti prego, rispondimi, dimmi che stai bene. Non me ne andrò se non ti sento."

Mi feci forza, addolorata nel sentirlo così abbattuto. "Sto bene, sto meglio." Cercai di essere convincente nella stupida idea di tranquillizzarlo.

Il suo tono si fece rassicurante, riconobbi la dolcezza dei primi tempi.

"Laura, sono stato imperdonabile. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto e disprezzarmi per il male che ti ho fatto e che ti sto facendo. Forse i farmaci per la depressione non mi aiutano."

Si interruppe, prese tempo, si rendeva conto che qualcosa in lui non andava. "Sono totalmente confuso e incapace di mantenere uno stato accettabile di stress. Mi sento nervoso e irritato, non riesco a recuperare un equilibrio tollerabile. Mi dispiace, Laura."

Un silenzio pesante ci avvolse, ma la paura, la rabbia e il dolore mi trattennero dall'uscire e abbracciarlo. Nonostante tutto lo amavo e sentivo la sua sofferenza.

Assunse un tono smarrito che mi sorprese, come se parlasse a sé stesso, stava ripercorrendo il suo calvario cercando di giustificare il suo cambiamento.

"Non sono mai tornato dalla mia prigionia, Laura, sono sempre lì con la mente. Legato a una sedia, mentre mi torturano e mi insudicio e puzzo, non riuscendo a controllare il mio corpo." Annaspò in cerca d'aria. "Ho gridato e implorato senza ritegno."

Si fermò, un sottile dolore mi percorse la schiena, rabbrividii: soffriva e ammetteva le torture. "Mi hanno abusato con crudeltà per il piacere perverso di umiliarmi, ora sai il perché e chi lo ordinò."

Due lacrime mi scesero brucianti mentre lo ascoltavo. Mi alzai e sbirciai dalla porta socchiusa. Il cuore smise di battere quando lo intravidi. Era appoggiato con la schiena allo scaffale, reggeva le stampelle nelle mani. La nuca appoggiata, la fronte rivolta verso l'alto. Gli occhi socchiusi. Si era slacciato la cravatta, aperto il collo della camicia, il suo costoso gilè sbottonato. La giacca pendeva sulle spalle.

"Non sono l'uomo che ricordi." Lo udii appena, un silenzio sordo ci penetrava come una lama, distruggeva le mie deboli difese, mentre il mio cuore si spaccava in mille pezzi. Ma la lite di prima era stata brutale e reale, rimasi colpevolmente dietro alla porta.

Malvest aveva compiuto la sua vendetta personale sull'uomo che amavo, ed era riuscito a dividerci.

Come se avesse avvertito il mio pensiero, la sua voce si fece improvvisamente aspra e secca.

"Edwin pagherà per tutto questo, per come è riuscito a cambiarmi, ma ti prometto che non dovrai più temerlo."

Riconobbi la sua determinazione. "Ti chiederà scusa."

Mi sorpresi per quella affermazione, rabbrividii quando spiando lo vidi sistemarsi il vestito con cura, afferrare le stampelle e assumere quell'aria fredda e determinata che ricordavo bene.

Era tornato l'uomo di ghiaccio che faceva paura a molti.

Riconobbi la voce decisa dei primi tempi. "Laura, tra poco sarà qui Anthea. Si prenderà cura di te. Perdonami se riesci."

Si allontanò, con le spalle dritte, il passo sicuro. Non feci nulla per fermarlo, mi maledissi per amarlo così tanto da non riuscire a stargli lontana. Finivo per perdonargli tutto. Sapevo che aveva bisogno di me, ma nessuno dei due riusciva ad avvicinarsi, una maledizione che non si scioglieva e lentamente ci stava distruggendo.

Pochi minuti e Anthea fece capolino sulla porta socchiusa. "Sono io, Laura, non avere paura, fammi entrare." Sospirai di sollievo nel vederla, aveva una faccia tesa, mi scrutava attenta.

"Stai bene? Respiri ora?" La rassicurai, ma aver visto Myc in quelle condizioni mi aveva turbato. Mi trascinò fuori premurosa e mi fece sedere nella parte privata del laboratorio. Andò al distributore automatico e mi riempì un bicchiere colmo d'acqua. Lo mandai giù in fretta e tossii. Si sedette vicina e fui un fiume in piena.

"Ho avuto paura, Myc era così...diverso, minaccioso...non lo riconoscevo." Lei appoggiò il bicchiere di carta, lo teneva troppo stretto, ne rovesciò un po'.

"Lui non decomprime, Laura, mai. È abituato a tenere il dolore dentro di sé, non concede a nessuno di vedergli dentro. Finisce per allontanare tutti. Anche le persone che gli vogliono bene."

"Mi ha spaventato! Anthea, temevo mi colpisse. Era fuori controllo!" Le presi le mani, cercando di trasmetterle il mio tormento.

"Laura, lo sai che prende i farmaci antidepressivi?" Annuii, lei continuò decisa. "Si lamenta che lo limitano molto. Si sente inquieto, nervoso, assente, ma sono necessari. Li vuole sospendere il che vuol dire che sarà esposto agli attacchi di panico che ora riesce a controllare." Anthea sembrava dubbiosa per la decisione del suo capo. Aveva ragione, ma nessuno era sicuro che i suoi cambi di umore fossero dovuto ai farmaci.

Mi sporsi dalla sedia avvilita. "Se peggiorerà mi sentirò in colpa, ma cosa posso fare per aiutarlo? Mi ha praticamente lasciato." Mi aggiustò i capelli che disordinati mi ricoprivano la fronte.

"Fa quello che senti dentro al cuore, Laura, perché il tuo è grande."

Mi strinsi nelle spalle piena di dubbi.

Anthea sorrise, conosceva bene il suo capo, collaborava con lui da anni. "Mycroft ha bisogno di tempo per capire che lo ami anche se è tornato ferito." Mi prese le mani. "Di una cosa sono sicura, lui ti ama e sta combattendo con sé stesso perché ha paura di deluderti." Forse aveva ragione... Forse.... Chissà.

Un timore mi agitava, mi procurò una fitta allo stomaco. "Dov'è andato Mycroft?"

Sussurrò incerta, sapeva di violare le regole. "Credo voglia affrontare Edwin in modo definitivo."

Mi allarmai pensando al suo stato. "Ma non è in grado, non sta bene!"

Anthea, strinse le labbra, percorsa da una fermezza inaspettata, sapeva bene chi era il Mycroft della governance.

"Sa quello che fa Laura. È arrivato il momento di fermare quel bastardo. Non la passerà liscia dopo quello che gli ha fatto, e soprattutto per come si è comportato con te." Si alzò e mi accarezzò il volto. "Sta serena, Laura. Non sai molto di lui, ma presto capirai di quale potere dispone."

Abbassai la testa, sapevo che non era un funzionario governativo qualunque, tremai turbata da quelle ammissioni. "Sta con lui Anthea, non voglio si comprometta." Lei mi massaggiò la schiena con complicità.

"Tranquilla, andiamo, ti accompagno a casa, ti prendi una pausa."

Mi aiutò a sistemare lo studio, si assicurò che avessi superato la crisi e lasciammo il san Bart. 

 

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Capitolo 34
*** L'addio a sir Edwin Malvest ***




Ci mettemmo poco a tornare a Baker Street, Anthea mi salutò lasciandomi sotto casa per non suscitare sospetti.

Salii le scale, quei pochi gradini, con una stanchezza crescente e il cuore a pezzi.

Fortunatamente John era uscito con la figlia, salutai solo la signora Hudson giustificando il mio ritorno anticipato accampando un mal di stomaco in parte vero.

"Hai una faccia strana Laura." Mi scrutò attenta, dovetti distogliere lo sguardo. "Non avrai problemi con Mycroft?" Sollevò la mano per aria. "Non ti merita per nulla." Sentenziò acida. Abbozzai sapendo che non era propriamente il suo Holmes preferito.

"Va tutto bene, Marta, lo sa che ha sofferto. Non sia così severa." Cercai una inutile difesa, lei sbuffò e continuò a pulire le scale.

Mi ritrovai a sorridere, certo che Mycroft era antipatico a molte persone, eppure sapevo che il suo cuore era rosso e amorevole come quello di chiunque altro.

Nella mia cameretta ritrovai un po' di pace, mi tolsi le scarpe e mi lasciai cadere nel letto vestita. Rimasi immobile a fissare il soffitto.

Davanti agli occhi rivedevo la rabbia di Myc, il corpo che vibrava, quelle mani, anche se fasciate, strette in pugni pericolosi. Non potevo ammettere di essermi sbagliata su di lui. E se fossi stata io la causa di quella tensione che non riusciva a controllare? Se non fosse riuscito a gestirla, mi sarei dovuta allontanare per proteggerlo.

La lite era stata esasperante. Consapevolmente lo avevo spinto al limite, ma si era fermato. Questo voleva dire che il suo essere c'era.

Mi assopii in un dormiveglia insolito per quell'ora.

Fu la voce di Rosie che strillava e correva di sotto a svegliarmi. Infilai la testa sotto al cuscino e rimasi lì, incapace di alzarmi. Erano solo le sei di sera.

Al diavolo gli Holmes.

Il cellulare vibrò, lo cercai a tentoni sul comodino. Era un messaggio di Mycroft, voleva vedermi e parlarmi. Mi aspettata di sotto, in auto.

Mi assicurava che non era pericoloso perché c'era Anthea.

Fu indecisa.

Ero ancora tesa, ma il dispiacere che provavo per la piega tossica che aveva preso il nostro rapporto e la voglia di capire, mi spinse a scendere. Ero testarda e innamorata, nonostante tutto.

Indossai la giacca, al piano di sotto trovai John, lo avvertii che uscivo con Mycroft. Mi lanciò un sguardo curioso, capì che era successo qualcosa.

"Lo sa?" Si fece serio, mi avvicinò.

Annuii. "Sì, avevi ragione. Si è arrabbiato e molto."

"Va tutto bene?" Mi fissò allarmato, avevo gli occhi arrossati e lui non era stupido.

"Sì, ora va meglio. Di pure a Sherlock che lui sa tutto. Esco, c'è anche Anthea."

Strinse le labbra, mi accarezzò la spalla. "Sta serena, mi fido di Mycroft."

Non dissi altro, abbottonai la giacca e scesi le scale con il cuore in tumulto.

La berlina nera era poco più avanti. Albert, silenzioso e cortese scese, mi aprì la portiera. Anthea era seduta davanti, mi salutò con un sorriso, Mycroft dietro, quasi addossato alla portiera.

"Entra Laura, non sono pericoloso, ci sono anche loro." 

Agitò la mano per indicarli, la voce era roca, gli occhi socchiusi, come se la luce lo infastidisse. Era in disordine, il cappotto aperto faceva intravvedere la giacca sbottonata, la cravatta storta. La camicia bianca spiegazzata. Aveva bevuto e fumato parecchio, perché si sentiva odore di brandy e tabacco. Aveva l'aspetto di chi fosse stato al chiuso in una stanza per ore avesse conversato molto.

Salii dentro sospettosa. Lui non si mosse, le mani erano strette sulle ginocchia. Le fasciature logore. Non si girò. "Qualcuno vuole vederti Laura, prima di partire per un lungo viaggio."

Non capivo. Guardai Anthea dubbiosa che era voltata verso di me.

"Va tutto bene, tra poco capirai." Lei tornò a guardare il suo cellulare.

L'auto si avviò lentamente. Mycroft, sembrava assorto dallo scorrere della strada. Sentivo il suo respiro pesante. Nel silenzio la sua voce mi sembrò vibrare colma di amarezza.

"Mi dispiace, Laura, non immagini quanto." Percepii la sua insicurezza, le mani non smettevano di lisciare i calzoni.

"Era necessario bere e fumare così tanto?" Insinuai velenosa mentre lo osservavo. Si girò, abbassò la testa. "Solo un paio di bicchieri, ho dovuto trattare con persone complicate...ma alla fine ho ottenuto quello che volevo."

"Che volevi per te?" Sibilai acida.

"No di certo. Quello che volevo era metterti al sicuro per sempre." Titubò per un breve attimo. "Ma forse hai ragione. Era anche per me."

La testa gli ciondolò stancamente. I capelli in disordine. Una fitta mi attraversò il cuore, era provato e indifeso come mai lo avevo visto.

"Non risolvi niente stordendoti di alcool." Non replicò, si morse il labbro.

"Dovevo prendere una decisione importante, chiedere alcuni favori." Si interruppe, i suoi occhi erano su di me.

"Favori? Immagino che dovrai renderli. Ne valeva la pena?" Sapevo che certe richieste erano esigibili a lungo andare, sperai non fosse andato oltre.

Sbuffò. "Qualche limite ce l'ho anch'io, volevo mettere fine a questa vicenda."

Ero in ansia e lui lo avvertì. "Ti sei compromesso? Non sarà a causa mia, spero."

"No, tranquilla. E tutta la questione che ho gestito male, ed è stata solo mia la colpa." Distolse lo sguardo. Fu dolce.

"Laura ti chiedo di pazientare un po'. Poi ti spiegherò tutto."

Non parlammo più. Lui tornò a fissare la strada, mi strinsi nella giacca e nascosi il volto sotto il bavero.

Quel viaggio misterioso e la nostra vicinanza, mi face penare. Lui sempre così attento, da rasentare la perfezione, sembrava cercasse un appiglio per ritrovare sé stesso. Ma non cedetti, con lo avvicinai, mi dibattevo tra il perdono e la rabbia che ancora sentivo.

Albert prese una strada sterrata, mi strinsi di più nella giacca e tremai, ma non per il freddo, era l'angoscia di non sapere quello che mi aspettava. Lui se ne accorse.

"Non avere paura, presto capirai." Riconobbi la gentilezza della sua voce, questo mi confortò. Anthea si voltò sorridente. "Laura fidati di noi." Mi ritrovai con un sorriso smorzato fra le labbra, piena di dubbi.

Una vecchia villa abbandonata si stagliò alla fine della via.

"Che posto è questo?" Farfugliai cercando il volto di Mycroft.

Indeciso, sembro farsi coraggi, mi afferrò incerto la mano. Accettai il suo contatto, non mi dispiacque sentire il suo calore, lo ricambiai con forza. Lui sorrise confortato e abbassò la testa.

"Stai serena, presto sarà tutto finito. Tutto si sistemerà." La mia mente turbinava di ipotesi e tutte portavano a Malvest, Anthea si era tradita dicendo che Myc lo avrebbe "sistemato".

Era buio pesto, la vecchia casa era sorvegliata, gli stessi uomini che erano intervenuti mesi prima al san Bart: i misteriosi, efficienti collaboratori di Mycroft.

Albert fermò l'auto, scendemmo silenziosi. Mycroft faticò a mettersi in piedi, si sistemò il cappotto, si diede un contegno. Io rimasi vicino ad Anthea.

Procedemmo adagio vista la sua difficoltà. Ci mettemmo un bel po' per salire pochi gradini che portavano ad una maestosa porta di legno intarsiata, deteriorata dal tempo.

La vecchia villa abbandonata era spettrale. Tremavo di freddo e di paura. Sentii la mano di Anthea sulla mia spalla, la sua stretta delicata mi rassicurò. Percorreremo un lungo corridoio appena illuminato da lampade portatili. Il silenzio ovattato era rotto dal ticchettio delle stampelle di Holmes. Le poche stanze erano chiuse e disadorne, e tutto puzzava di muffa e di stantio.

Arrivammo a un uscio socchiuso che lasciava filtrare della luce. Mycroft, che si era portato al mio fianco, si fermò. Anthea mi prese per il braccio e mi tenne vicina.

Lui, aggrappato alle due stampelle, puntò i suoi occhi grigi nei miei. Cercava una risposta, una reazione al mio turbamento.

"Laura, sai che il mio lavoro ha luci e ombre. Questa è una delle ombre che avrei voluto evitarti. Lì dentro c'è Edwin Malvest. Dimmi se lo vuoi vedere."

Non distolse lo guardo, aspettava il mio consenso. "È uno dei favori che ho chiesto."

"Perché vuoi che lo veda? Avresti potuto fare tutto senza la mia presenza." Qualcosa mi turbava, ma sospettavo che lui volesse più di una resa totale del suo nemico.

Mycroft mi osservò, il volto tradiva il rimpianto.

"Voglio che veda che sei rimasta al mio fianco." Respirò, tenne la testa dritta. "Che ci sei nonostante quello che mi ha fatto." Voleva qualcosa di più di una rivincita voleva annientare il suo nemico sbandierando il nostro amore.

Vederlo così esposto, mi fece decidere senza indugi. Lo avrei appoggiato qualsiasi fosse la causa.

Assentii, determinata. "Sì, va bene. Sarò al tuo fianco."

Anthea aprì, lui si portò dentro per primo, si rizzò con forza, nonostante le stampelle. Entrai, Anthea mi teneva la mano sulla schiena.

Quando lo inquadrai, rabbrividii di rabbia e di dolore. Sir Edwin Malvest, scarmigliato, scomposto, legato a una sedia si agitava. Dietro di lui due uomini di Mycroft: abiti neri, occhiali scuri, le braccia incrociate dietro la schiena. Ero terrorizzata, ma il risentimento superò la compassione. Feci due passi in avanti, lui mugolava e si contorceva. Mycroft appoggiò le stampelle e mi accarezzò il braccio. Sanciva la nostra unione, il nostro rapporto.

"Edwin ti vuole chiedere scusa, Laura, prima di partire e raggiungere i suoi amici sicari in Serbia. Vero Malvest?"

Ciò che restava del mandante di tutte le nostre disgrazie era lì, che si contorceva senza alcuna dignità.

"Che gli farete?" Guardai Myc, lui mi regalò un sorriso rassicurante. "Nulla, non mi ridurrò al suo livello, lo consegneremo ai suoi amici. Li ha traditi per salvarsi e ora lo attendono premurosi."

Malvest singhiozzò, tutta la prosopopea sparita.

Socchiusi gli occhi, il cuore mi tremava. "Rischierà la vita?"

"Forse, non mi riguarda, Laura." Myc lo avvicinò, camminò zoppicando senza aiutarsi con le stampelle. Si fermò a pochi passi da lui. "Mi sono raccomandato che gli restituiscano "la cura" che ha fatto riservare a me." La sua voce tagliente mi scosse. Capii quanto aveva sofferto, tanto da nascondere i suoi sentimenti per me.

Fece un cenno all'uomo vestito di scuro, questo con due mosse, gli tolse il bavaglio. "Mycroft fu acido. "Sii gentile, almeno alla fine, Edwin."

Mi guardò, singhiozzò, piagnucolò senza ritegno. "Mi aiuti, Lorenzi. Mi dispiace per quello che le ho detto. Mi salvi il prego. Lei non è come loro." Rivolse la testa verso Anthea e Mycroft, che erano indietreggiati di alcuni passi. Aspettavano silenziosi.

"Non mi consegni ai Serbi." Gridò allo sbando. Esitai, ma fu un attimo, il corpo devastato di Gwen mi apparve nitido avvolto nel lenzuolo dell'obitorio. La cruda esecuzione ordinata da Malvest.

 Mi avvicinai, Anthea cercò di trattenermi.

"Malvest ha fatto delle scelte. Ha appoggiato un attentato che avrebbe ucciso molte persone. Ha fatto torturare e uccidere Gwen. Sono rimasta ferita a causa delle sue macchinazioni. Ha seviziato pesantemente Mycroft per pura vendetta personale!"

Lo fissai lungamente, sapendo che avrebbe popolato i miei incubi per molto tempo. Ma lui era stato il lato peggiore del mio soggiorno a Londra. Scossi la testa.

"Che perdono potrei dare a un traditore." 

Avevo il calore in volto, la rabbia delle ferite di Myc nella testa. 

"Mai potrei perdonare il male che ha inflitto all'uomo che amo." 

 Fui a pochi metri da lui, prontamente raggiunta da Anthea. 

 "Buon viaggio, Sir Edwin Malvest. Spero di non incontrala mai più. Mi auguro che i suoi amici siano più comprensivi di quanto lo è stato nei nostri confronti."

Mi voltai rapida, gli occhi offuscati, feci un cenno a Mycroft e lui ai suoi uomini.

Malvest gridò, imprecò, maledì, ma non ascoltammo. Anthea rimase dentro, noi due uscimmo consapevoli di legarci ancora di più.

Vacillai, mi appoggia al muro, la carta da parati strappata era l'immagine del mio cuore.

Mycroft mi fu subito vicino, appoggiò le stampelle mi abbracciò stretta. 

"Laura è finita. Ora andiamo." Affondai il volto sulla sua spalla. Rimasi immobile, mentre respiravo il suo sentore di tabacco e brandy. 

Mi sentii sicura, lui era tornato, era l'uomo che amavo. "Portami a casa Mycroft." Mormorai piano.

"Non ti merito Laura, la tua caparbietà è qualcosa di inaspettato. Sono stato uno stupido incosciente." Si scostò, mi osservò per assicurarsi che stessi bene. Vacillò insicuro.

Presi le sue stampelle e gliele porsi. 

 "Prendi, uomo di ghiaccio, o rovinerai a terra." Sorrise appagato, bilanciò il peso sui supporti.

Gli accarezzai la guancia. "Sei uomo letale e pericoloso Mycroft Holmes, meglio non esserti nemico."

Lui si schernì. "E arrendevole quando si tratta di te." 

Aveva recuperato una parte di quel ironia che tanto mi aveva conquistato. "Grazie per avermi appoggiato, Laura, non era scontato."

Non sentivo rimorso, eppure sapevo che avrei condiviso per sempre quella serata.

"Peccato per questa villa abbandonata, doveva essere fantastica. Ora è soltanto un posto desolato e decadente."

"Già, come quel uomo che ci ha fatto tanto male." Mycroft guardò la porta chiusa, i suoi occhi luccicavano al buio.

Anthea uscì,  fece cenno che tutto era finito. Raggiungemmo l'auto. Albert ci fece salire.

Quella berlina nera rappresentava il potere, molte volte mi aveva affascinato. Ora sapevo quanto fosse temibile.

Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Fuori, vista dal finestrino, Londra era perfetta avvolta dalla foschia. La città dalle mille opportunità e dai mille misteri.

Le lacrime mi scesero lente, non mi voltai, la mano di Mycroft mi sfiorò e mi porse il fazzoletto, non disse una parola.

Non parlammo più di Malvest e mai Mycroft ne accennò.

Accompagnammo Anthea a casa e rimanemmo da soli.

 

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Capitolo 35
*** Partner of relevance ***



Tornammo a Baker Street. Mycroft era stretto nell'angolo dell'auto, tormentava i bottoni del cappotto nero. Le stampelle, appoggiate al sedile, minacciavano di cadere sul fondo dell'auto. Le sistemò e iniziò la conversazione.

"Laura, spero tu abbia capito che tipo di persona sono. Non volevo spaventarti, questo è il mio lavoro."

Annuii. "Non sono una stupida, sapevo che non eri un semplice impiegato governativo."

Rimase silenzioso. "Non sei obbligata a frequentarmi se ti senti in pericolo. Ma volevo che quel bastardo sapesse che non ci aveva diviso. Tu sei stata tenace molto più di me."

"Non ti ho mai lasciato, anche nelle condizioni in cui sei tornato."

"lo so, ero io che stavo facendo il suo gioco perverso. Ti avrei consegnato a lui, se non fosse stato per la tua caparbietà." Sospirò. "Non sono così intelligente quando si tratta di sentimenti: ho fallito miseramente con te."

"Dovevi avere fiducia in me, Myc, so quello che hai passato e conosco bene i tuoi limiti auto imposti. Sapevo che amarti non sarebbe stato facile, però sono qui." Mi strinsi nella giacca, tremai.

"Hai freddo?"

"Non proprio Mycroft." Feci una smorfia malinconica. "Vorrei che ti fidassi di me. Sono Laura e nessun'altra."

"Non ero io quello che hai visto oggi al san Bart. Ti ho fatto del male, te lo vedo addosso, ma io..."

Si fermò, stringeva le mani senza accorgersi che si stava lacerando le fasciature.

"Non sto bene Laura, gli antidepressivi mi tengono calmo, ma mi rendono aggressivo, intollerante agli stimoli troppo forti." Respirò tutta l'aria che poteva.

"Ho deciso di smetterli." Aspettò la mia reazione. Lo guardai indecisa, non era una scelta da prendere con troppa fretta.

Era pentito, lo leggevo nei suoi occhi tristi che cercavano di capire se potessi assolverlo.

"Starai peggio, come adesso che ti stai massacrando quelle povere mani." Le aprì inconsapevole del danno che si stava procurando.

"Questo è quello che rischi a non controllare l'ansia, ti farai solo del male." Scosse la testa con vigore. Si piegò in avanti per rafforzare la sua decisione.

"Meglio che diventare violento, non sono quel tipo di persona! Anche se dovessi penare, non prenderò più nulla!" Sbottò, sapevo che non avrebbe desistito, cercai di farlo ragionare.

"Non farai solo del male a te stesso, ne farai anche a me che ti vedrò affondare." Fui troppo acida e mi pentii. "Scusami, ma vederti star male non mi aiuta di certo a essere serena."

Mi passai stancamente la mano sulla fronte.

"Stai bene?" Si preoccupò subito, ero stanca e la giornata era stata dura. "Ce la posso fare, Myc, ma ho poca autonomia. Dimmi cosa vuoi fare."

Allora capitolò, consapevole che c'ero sempre stata non abbandonandolo mai, ma che non avrei aspettato oltre.

Lo sentii ansimare. "Ti chiedo di aiutarmi, di starmi vicino. Non voglio essere quell'uomo che hai visto oggi." Tossì, si schiarì la voce, stava per dirmi qualcosa di importante.

"Ho pensato di modificare le mie regole d'ingaggio, il mio è un lavoro complicato, lo sai." Si sistemò il cappotto come se fosse necessario darsi una forma di autorevolezza.

"Vorrei che il nostro rapporto fosse riconosciuto ufficialmente, avere la certezza che se mi succedesse qualcosa saresti avvisata e tutelata."

Mi girai di scatto e lo guardai sorpresa. "Che stai dicendo Mycroft?" Aggrottai la fronte, fui percorsa da un brivido che non sapevo se fosse di orgoglio o di dolore.

"Vorrei aggiornare i miei documenti e alla voce "partner of relevance" mettere il tuo nome. Questo ti consentirà di essere in contatto con me, di reclamare di vedermi, e potrai prendere delle decisioni se non ne fossi in grado." Concluse con risolutezza, la voce che vibrava. "Sempre se lo vorrai."

Sentii il cuore accelerare, era tornato mezzo morto e non volevo si ripetesse, certamente non era una delle mie priorità.

"Non pensare di farmi altri scherzi del genere Mycroft! Io ti voglio vivo e sano."

Sorrise, ridacchiò vedendo la mia faccia arrabbiata. Ma mi stava concedendo molto, soprattutto mi consegnava la sua totale fiducia.

Non riuscii a recuperare subito, stupita per quella dichiarazione d'amore contorta e inaspettata. Incespicai nelle parole.

"Va bene, ma voglio che Sherlock e la tua famiglia approvino, non ci tengo a scavalcarli."

 Si appoggiò stancamente allo schienale imbottito della costosa auto diplomatica. Chiuse gli occhi.

"Va bene, parlerò con mio fratello. Di tutto. Anche del male che stavo per farti. Sta tranquilla, mia operosa dottoressa."

Lo lasciai respirare, allungai la mia mano per prendere la sua e la accarezzai. Le sue labbra si strinsero in una smorfia dolorosa. Cercò di posizionare la gamba e il ginocchio.

"Non è serata Laura, ho bisogno di una comoda poltrona."

"Tra poco sarai seduto a Baker Street." Era stanco quanto lo ero io. Ma eravamo più vicini di quanto non lo fossimo mai stati.

Albert percorse pochi isolati, fermò l'auto.

"Mycroft, siamo arrivati, fammi vedere che ti fidi di me, è da quando sei tornato che mi hai escluso."

Aveva capito.

Lo raggiunsi dalla parte opposta, lo aiutai a scendere. Lo sorressi fino a che non fu in grado di stare dritto. Gli abbottonai la giacca e il cappotto, la cravatta ben annodata come piaceva a lui, la sciarpa ben stretta. Gli allungai le stampelle. Lo affiancai mentre camminavamo quietati senza dire nulla... Zoppicava malamente, stringeva la mascella, stava al mio passo e io rallentavo per lui.

Quella malaugurata giornata ci aveva distrutti entrambi. Mi feci forza cercando di non darlo a vedere, ma faticavo a reggere la stanchezza. Pochi passi, Mycroft cedette, mi prese sottobraccio.

"Laura, aiutami." La sua richiesta mi destabilizzò, lo sorressi con gentilezza sapendo che si stava lasciando andare alle mie cure, presi le stampelle e lo scortai fino a casa.

Quando entrammo ci guardarono sorpresi, John ci corse incontro. Fece sedere Mycroft che si lasciò letteralmente affondare nella poltrona con un mugugno.

Sherlock ci guardò preoccupato. "Che avete fatto? Sembrate allo stremo. Gesù, non so chi devo sgridare dei due." Aggrottò la fronte, si avvicinò al fratello.

"Mycroft mi devi delle spiegazioni? Dalla faccia di Laura credo di capire che centri Malvest."

Mi sentivo debole, la fatica e la tensione mi mordevano la nuca, mi allontanai. Lasciai Sherlock con suo fratello, gli si sedette di fronte aspettando le sue spiegazioni.

John ci chiese se avevamo cenato.

"No, ma grazie lo stesso, io non ho fame." Risposi con poca voce, si rese conto che non ero stabile.

Tutto lo stress della serata mi presentò il conto. Barcollai, John mi prese al volo. Nella testa avevo le grida di Edwin che mi stordivano, il ricordo della sua faccia atterrita mi dava la nausea. Crollai sulla sedia della cucina con John che mi sorreggeva.

"Laura, stai bene?" Mi prese il polso e mi auscultò.

"Sì, sto bene." Mi uscì una voce roca che non lo tranquillizzò per nulla. Mi guardò in volto. Mi coprii gli occhi, la luce mi feriva, la testa pulsava dolorosamente.

"Mi scoppia la testa." Biascicai.

"Laura che hai?" Mycroft gridò allarmato fece per alzarsi. Sherlock lo afferrò e lo tenne fermo. "Siediti, non ti reggi, stupido. C'è John che l'aiuta."

Watson si fece serio. "Mi occupo io di Laura, stai tranquillo e spiegaci perché è così sconvolta e stanca."

Le mani delicate di John mi accarezzavano la nuca. Cercavo di restare con gli occhi chiusi per proteggermi dal riverbero della luce. Mi preparò del tè caldo e mi portò delle pillole per il mal di testa.

Sherlock fremeva nel vederci distrutti entrambi, ma si trattenne e con dolcezza affrontò il fratello.

"Avanti Myc, che cosa è successo con Malvest, perché è di lui che si tratta vero?"

Lui prese dei respiri lenti, con la voce sommessa raccontò tutto. Non tralasciò nulla di quello che era successo in quella giornata interminabile. Si fermò un paio di volte quando raccontò di aver perso la calma e di avermi minacciata. Io ascoltavo con la testa fra le mani. John seduto al mio fianco mi rassicurava tenendomi il braccio.

"Myc, ne hai combinata una peggio dell'altra. Specie quella di portare Laura da Malvest. Ma che ti dice il cervello?" Sbottò seccato per la sua stupidità.

"Volevo vedesse che Laura è rimasta al mio fianco, nonostante l'oltraggio e la violenza che mi aveva inflitto! Doveva capire che non l'avrebbe mai più toccata!"

Mycroft gridò così forte che mi scossi, si era tirato in avanti, tornò a ribadire la sua convinzione.

"Ho chiesto a Laura se lo volesse rivedere, non glielo ho imposto! Non sono un essere abbietto come credi." Sussultò, una smorfia di dolore lo percorse. Si portò la mano al ginocchio ferito.

Sherlock lo spinse indietro, gli sollevò la gamba con delicatezza, la posizionò sul rialzo dove la sistemava di solito, ma Mycroft mugolò di dolore.

"Fa piano, stasera è un tormento." Brontolò rauco.

Era provato, non volevo che si affaticasse più di così o non avrebbe retto. Così intervenni per mettere fine alla discussione.

"Sherlock, tuo fratello ha ragione, mi ha chiesto se volessi affrontare Malvest. Ho accettato e ho dato il consenso di spedire Edwin dai suoi aguzzini. Pagherò per le mie colpe, non sono cosi ingenua come credi."

Avevo ritrovato un po' di energia, le medicine stavano facendo effetto e anche se mi ero parzialmente ripresa, John non mi abbandonava. La sua mano sul braccio mi dava sicurezza, gli feci cenno che ero stabile. Mi alzai e mi diressi verso di loro.

"Finitela Holmes. Ora voglio solo dormire e dimenticare. John prenditi cura di Mycroft. Io sono sfinita."

Mi avvicinai, gli appoggiai la mano sulla spalla, Mycroft sollevò il volto stanco. "Myc, parlagli degli antidepressivi e delle tue decisioni su di me. È la tua famiglia." Indicai Sherlock che taciturno ascoltava, le mani giunte sotto al mento in una calma imperturbabile.

"Laura, mi dispiace così tanto. Stai meglio ora?" Mormorò fiacco studiandomi con attenzione.

"Sì, ma non direi di te, ti lascio alle cure di John, sei stravolto, mio Ice Man."

Gli diedi un bacio delicato sulla guancia. "Sarò con te qualunque cosa tu decida."

Mi rivolsi a Sherlock.

"Non cruciarti, Malvest è un bastardo, se lo merita. Non mi pento per quello che ho deciso. Ha fatto del male a tutti. Ha torturato con cattiveria Myc. Come potevo perdonarlo?"

Gli sfiorai i capelli ricci con una carezza leggera.

"Non sono così buona come credi, Sherlock." Si contrasse sorpreso.

"Sei un buon fratello, sii paziente con lo Smart One." Strinse gli occhi azzurri, un leggero sorriso comparve dietro le sue mani giunte.

Mi avviai verso le scale.

"Grazie, John, sei un uomo come pochi." Li lasciai silenziosi, Myc si era abbandonato con gli occhi chiusi sulla poltrona, ma sapevo che era in ottime mani con Watson.

Salii le scale, il cuore in tumulto, la stanchezza in ogni parte del corpo.

Con Mycroft ora dovevamo solo andare avanti. Lo avrei aiutato a ritrovare sé stesso, a superare le torture che aveva subito. Con mille difficoltà certo, ma insieme sarebbe stato più facile.

 

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Capitolo 36
*** Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore ***


Il primo sole che illuminò la stanza mi risvegliò intontita. Chiamai Molly Hooper e la avvertii che mi sarei presa una pausa, ero svogliata. La notte era stata tormentata, un po' perché di sotto c'erano stati dei rumori sospetti, un po' per l'agitazione. Mi buttai controvoglia sotto la doccia, mi vestii e scesi di sotto.

Watson, appena mi vide, mi sorrise. "Come va Laura?" Era premuroso come sempre.

"Direi bene, ma voi invece? Ho sentito un po' di trambusto." Si fece serio, si fermò con la caffettiera in mano.

"Mycroft ha avuto una notte agitata." Mi allarmai, ma mi tranquillizzò subito.

"Ora sta bene. Il ginocchio non gli dava tregua e ha avuto una leggera febbre." Si avvicinò al tavolo e sistemò un vassoio con la colazione.

"Non ci avrebbe chiamato se Sherlock non l'avesse sentito lamentarsi."

"Perché non mi avete avvertito? Lo avrei aiutato. "Laura non ti reggevi in piedi. Cosa avresti potuto fare? Se ne è occupato Sherlock, e poi lo conosci l'orgoglio di Myc." Mi passai la mano sulla nuca, dispiaciuta per non esserci stata, ma del resto John aveva ragione non ero molto in forze la sera prima.

"Ora come sta?"

"Ha dormito ed è sfebbrato. Se vuoi puoi portagli la colazione e farlo mangiare perché protesterà come al solito." Rise, e trascinò anche me. Aveva ragione perché si lamentava sempre che non aveva appetito.

"Va bene, vado io. Spero sia sveglio." Toccai con un colpetto affettuoso il braccio di John.

"Sono a casa oggi a riposo, va bene dottore?" Sorrise, per quella decisione. "Bene, dottoressa Lorenzi, fare una pausa ti farà bene."

Presi il vassoio, John mi accompagnò mi aprì la porta della stanza di Mycroft.

Era sveglio, sprofondato nei cuscini, alzò la testa per mettermi a fuoco.

"Laura stai bene?"

John aprì la finestra, il sole invase la stanza. "Io sto bene. E tu, stubborn english man?"

Sbuffò e si lasciò cadere giù stancamente.

"Diciamo che ci ha dato la sveglia un po' prima. Vero Mycroft?" Watson gli misurò la febbre.

Sorrise soddisfatto, le sue cure avevano fatto effetto.

"Laura te lo lascio, è sfebbrato, fallo mangiare. E dagli le medicine." Uscì mentre appoggiavo con attenzione il vassoio sul tavolino e lo osservavo di nascosto.

"Do il tormento a tutti..." Mormorò il mio compagno di sventure, si girò con il volto verso la finestra. Era pallido, le occhiaie scure.

"Non fare la vittima, siamo qui per te. Tutti insieme."

Mi sedetti sul bordo del letto, gli accarezzai la mano stretta al lenzuolo. Si rilassò, respirò come se dovesse scalare una montagna.

"Su Myc, ora cerca di mangiare qualcosa..."

Girò il capo costernato. "Non ho fame..."

"Sei monotono con questa frase."

Ridacchiai guardandolo negli occhi, sembrava un bambino capriccioso. Gli accarezzai la guancia, la barba era cresciuta ispida e folta.

"Se fai il bravo e mangi qualcosa ti rado. E bada che sono brava."

Mi prese la mano, scuotendo la testa divertito.

"Mi rado da solo da secoli!" La sua stretta era forte, nonostante sembrasse debole e provato.

Puntò il suo sguardo acuto su di me, la testa di lato, se lo conoscevo bene stava per dirmi qualcosa di importante.

"Ho firmato i documenti di partner of relevance, Sherlock lì porterà ad Anthea stamattina. Ha accettato di buon grado, si fida di te. Abbiamo deciso di togliere i farmaci, diminuendoli poco per volta."

"Mi sembra una saggia decisione, visto come sei stato stanotte."

"Te ne do atto, mia dottoressa operosa. Non voglio sconvolgere la vita di tutti voi. Ma ora quando torno in clinica voglio che tu sia con me."

Ero contenta che Sherlock avesse un discreto ascendente su di lui, e infondo speravo che la mia vicinanza potesse aiutarlo a guarire prima.

Indicò il ginocchio. "Devo rifare il controllo in giornata." Gli brillavano gli occhi, anche se avvertii la voce inclinarsi due toni sotto.

"Va bene ci sarò." Ero certa di andare incontro a qualche difficoltà, ma accettai di buon grado.

Si sollevò dai cuscini. "Comporterà qualche fastidiosa occhiata essere la mia compagna. Non per il tuo aspetto o la tua provenienza, ma per il posto che ricopro." Cambiò il timbro di voce.

"Tu non badare a loro. Sei con me."

Stemperai la sua apprensione per avermi al suo fianco.

"Ho sopportato Malvest, che sarà mai qualche malevolo burocrate che mi è ostile?"

Ridacchiò, si lasciò andare tra le coperte.

"Sei una donna testarda, li affosserai tutti." Gli occhi gli luccicarono di piacere.

Era così disarmante in quel ruolo di innamorato sprovveduto. Gli pizzicai il braccio.

"Ora fai colazione, non trovare altre scuse."

Mi arrivò un brontolio che feci finta di non sentire.

Sistemai i cuscini sulla testiera del letto perché potesse appoggiarsi e lo aiutai cercando di non forzargli il ginocchio. Non era facile reggerlo, ma alla fine fu sistemato a dovere. Avvicinai il tavolino con la colazione.

Dapprima fu scostante, mangiava a fatica. Lo distrassi con una conversazione leggera, ottenni lo spiluccare di due fette biscottate infarcite di marmellata e una tazza abbondante di tè.

Fui soddisfatta, era quello che volevo.

"Bene, Myc. Ora le medicine e riposo."

Due occhi spalancati mi fissarono sgomenti. "Non mi farai stare a letto tutto il giorno, vero Laura?"

Sogghignai. "Certo che no, ma ci rimarrai almeno fino a pranzo."

Si lasciò cadere sui cuscini, fissando il soffitto.

"Avanti, il ginocchio richiede un po' di riposo. Cosa ti costa stare ad oziare nel letto una volta nella vita." Mi alzai e sistemai il vassoio.

"Non vai al san Bart?" Si era insospettito che passassi con lui più del tempo necessario.

"No, mio caro oggi stiamo insieme." Lo sorpresi che mi seguiva con lo sguardo preoccupato.

"Avevo voglia di una pausa Myc, non sarei stata molto attenta al lavoro."

Effettivamente ero stanca e un po' di riposo mi avrebbe giovato, e poi volevo godermi la sua compagnia.

Sistemai i cuscini nella poltrona vicino al letto e mi accomodai. "Ora rilassati che parte la tortura."

Si sollevò allarmato, non riuscendo a mascherare il disappunto. "Che vuoi fare? Non ti metterai a medicarmi le ferite?"

Sul mio volto comparve un ghigno diabolico.

"Peggio, Myc, ti leggerò, "The merchant of venice di Shakespeare" rigorosamente in inglese con la mia inflessione italiana: un vero supplizio per un British come te."

Una bella risata che non vedevo da tempo gli illuminò il volto, alzò le mani come per difendersi.

"Va bene Laura, procedi, straziami le orecchie." Un sorriso disteso gli addolcì il volto e il mio cuore si sciolse.

Iniziai la lettura, si era adagiato tra le coperte e ascoltava attento. Di tanto in tanto scuoteva la testa trattenendo un sorriso sarcastico, mi fermava, mi correggeva.

Mi piaceva quando brontolava e finiva per arrabbiarsi perché la pronuncia scivolava un po' troppo.

"Laura, sono mesi che sei a Londra! Ancora non hai la sicurezza che dovresti!" Sbottò all'improvviso.

Allontanai il libro. "Dici davvero? Perché a me sembra di essere quasi perfetta."

Socchiuse gli occhi grugnendo rassegnato.

Mi avvicinai con una scusa. "Vedi la frase, "She kissed him passionately?"

Mycroft si sporse per leggere, incuriosito che nel libro ci fosse una frase del genere. Il suo viso era vicino al mio.

"Dici che avrebbe potuto... fare così?" Gli presi fulminea il volto fra le mani e lo baciai.

Rimase stupito, spalancò gli occhi grigi, ma non perse un solo secondo e mi ricambiò. Le sue mani mi accarezzarono il volto, anche se parzialmente fasciate mi piacque sentirle. Lo abbracciai forte, lo desideravo da tanto, quello che doveva essere un semplice bacio, uno scherzo, divenne qualcosa di più.

Fu un contatto profondo, così forte da fermarmi il respiro. Ritornai a sentire il suo sapore che mi era mancato così tanto. Sentivo di appartenergli e lui mi ricambiava ansimando di piacere.

Ci staccammo lentamente e ci tenemmo la mano.

"Laura, ti sei approfittata di me!" Si rese conto di quanto tempo avesse perso a macerarsi nel dubbio. "Come ho potuto essere così ottuso. Non ti merito."

"Sì che mi meriti, perché ti amo Myc."

Ero convinta perché era quello che volevo, restare con lui, vivere insieme. Lo sollecitai, volevo sentirgli dire quella parola magica.

"E tu mio British Government, non mi hai detto ancora nulla!"

"Vuoi sentirtelo dire?" Sorrise malizioso. "Ti amo Laura Lorenzi, stubborn italian woman."

Mi persi nella sua tenerezza. Ma così come era stato allegro, il suo volto si rabbuiò.

"Che c'è ora?" Chiesi stupita.

Prese un lungo respiro. Si fece serio e mormorò poche frasi.

"Mi aiuteresti a cambiare il pigiama? Ho sudato parecchio."

Si era deciso a condividere il suo dramma, voleva mostrarsi, voleva che vedessi il suo corpo martoriato.

Mycroft voleva fare quel passo in avanti che tanto mi aveva negato, mi alzai e rispettai la sua decisione. Fingendo una tranquillità che non avevo, gli chiesi dove fosse il suo prezioso pigiama.

Mi indicò la cassettiera nella parete opposta, vicino al bagno.

"Bene, allora cominciamo mio British Government." Lo dissi per alleggerire un po' la tensione.

"Mi chiami ancora così? Ora non lavoro." Feci un gesto plateale, una specie di inchino.

"Se sai tutto di tutti! Non fare il falso modesto."

Cercavo di rendere quel momento sereno, mi alzai e andai a prendere il suo pigiama.

Era blu, con dei piccoli disegni esagonali, diverso dai suoi standard abituali, ridacchiai.

"Che c'è, non ti piace?" Sogghignò. "Sinceramente nemmeno a me, me lo ha regalato la signora Hudson."

Una risata sonora mi uscì incontrollata sapendo quanto poco stimasse Mycroft. "Allora è stata la sua vendetta!"

Rise anche lui, e si rassegnò a indossare quel capo poco consono

Lo aiutai a liberarsi del pigiama usato. Era impacciato con le mani, lo aiutavo solo se lo vedevo in difficoltà. Gli parlai del mio lavoro per distrarlo e superare l'imbarazzo.

Mycroft non era una persona distratta, lui ascoltava sempre tutto con attenzione, era esattamente lì che risiedeva la sua intelligenza e la capacità di deduzione. Sapeva ascoltare e immagazzinare dati.

La giacca di cotone scivolò via, fu difficile mantenere indifferenza vedendo le braccia ferite. La t-shirt bianca lasciava intravvedere gli ematomi e le medicazioni.

"Myc, che ne dici, se do un'occhiata?" Accennò un sì, senza pensarci.

"Non sono un bello spettacolo."

"Va bene, me ne farò una ragione."

Presi la cesta con le creme e i disinfettanti che teneva sopra la cassettiera.

Gli sfilai adagio la maglietta, tremò un po'.

"Hai freddo?" Mosse la testa in segno di diniego, ma la mantenne abbassata, fissando le ciabatte di panno sul pavimento.

Mi morsi il labbro, trattenendo la disperazione nel vedere la sua schiena percorsa da lividi scuri, in via di guarigione certo, ma che dimostravano tutta la crudeltà che gli avevano riservato.

Sul torace non aveva ematomi vistosi, ma due bruciature sul fianco, che mi fecero vacillare. Come avesse fatto a sopportare tutto quel dolore era per me incomprensibile.

Lasciai che tenesse la testa abbassata. Lo esaminai, gli sfiorai piano le ferite. Soffocai le lacrime, mandai giù la rabbia, lo disinfettai senza riuscire a dire nulla.

Mycroft iniziò a respirare affannato, prese a tormentarsi le mani, mi accorsi che lo stavo escludendo, non era così che lo aiutavo.

"Mio caro Holmes, non ti sei fatto mancare nulla! Farei meglio a passarti con uno straccio imbevuto di disinfettante su tutto il corpo. Non hai una parte che sia sana."

Lo accarezzai cercando di sollevarlo dal disagio in cui era precipitato, fui delicata per quanto mi tremassero le mani.

Sollevò il capo e mi guardò perplesso.

"Scherzo, stupido! Finalmente alzi quella testa! Che facevi? Contavi le mattonelle della stanza? O deducevi chi avesse cucito le tue benamate ciabatte?" Mugugnò con le labbra strette.

"Laura, mi prendi in giro?"

"Sì, se te ne stai crocefisso con la testa altrove."

Lo baciai con forza in fronte. "Tranquillo, Ice Man, ho quasi finito."

"Non chiamarmi così! Non sono più l'uomo di ghiaccio. Non con te vicino!"

Finalmente mi sorrise e scosse la testa.

"Sei una selvaggia Laura, ma ti amo."

"Attento, potrei baciarti di nuovo." Lo minacciai con l'aria più cattiva che potessi permettermi.

Aggrottò le sopracciglia, si allontanò con la testa.

"Ti ricordi quello che stavo per farti ieri mattina?" Gli infilai la maglietta volutamente sgarbata.

"Non sei il Myc di ieri, ne vuoi un esempio?" Senza dargli il tempo di reagire, appoggiai le labbra sulle sue, la sua consistenza morbida mi fece fremere, lo esplorai senza riuscire a fermarmi.

Aprì la bocca voglioso, mi ricambiò, pieno di desiderio e di rimpianto per tutto quello che ci era stato negato.

Le sue mani furono sui miei fianchi, sulla mia schiena, mi attirò a sé. Provai un appagamento, un piacere delicato mentre i nostri occhi sembravano scambiarsi tutto l'amore possibile.

Si staccò improvvisamente, come se la magia fosse finita bruscamente. "Scusami." Mormorò titubante, mi allarmai.

"Laura, manca una parte del pigiama." Perse il suo bel sorriso. "È importante che tu veda."

La tristezza gli segnò il volto. Gli infilai la giacca del pigiama, si stese lentamente nel letto.

Mancavano i pantaloni, sospettavo cosa nascondessero: le torture più intime, quelle difficili da confessare che lo avevano spinto ad allontanarmi. Mi avvicinai, cercando dentro di me la forza di mantenere un aspetto disteso.

"Qualsiasi cosa ci sia sotto questo pigiama, per me non cambierà nulla."

Presi l'elastico e con garbo sfilai la parte sotto. Lui si contorse, socchiuse gli occhi, ebbe un ripensamento, mi fermò la mano mentre lo spogliavo.

"Laura...io ..." Mormorò turbato con gli occhi nei miei.

"Va tutto bene Myc, supereremo ogni problema insieme, stai tranquillo."

Mi lasciò la mano, e tolsi lentamente quell'ultima barriera che ci aveva diviso, la parte che lo rendeva fragile e insicuro.

Man mano che i calzoni scendevano, scoprivo tutto il male che gli avevano fatto. Cercai di non indugiare sull'inguine e sugli ematomi scuri, sui boxer bianchi e stretti che fasciavano la sua intimità. Le cosce, nella parte interna, erano segnate da lividi violacei. Si coprì appena fu libero con il lenzuolo, le mani aggrappate al bordo, le nocche bianche.

Era stato torturato, violato, seviziato. Fu difficile mantenere un distacco adeguato, le sue ferite mi riportarono indietro nel tempo, al tormentato ricordo dello stupro che avevo vissuto

Mi voltai impotente, incapace di dargli conforto afferrai il pigiama e lo portai nella cesta del bucato. Presi vergognosamente tempo cercando di mandare giù il dolore che mi devastava.

Mycroft era una persona attenta, perspicace, sapeva bene quali erano i ricordi che mi tormentavano.

"Mi dispiace, Laura, so quello che provi. Ora sai perché ti volevo allontanare. La violenza che ho subito è come la tua, mi ha reso incapace di amarti. Se mi conosci sai che non voglio la tua pietà."

Gli si incrinò la voce. "Come avrei potuto darti una vita sessuale appagante. Non sono l'uomo di prima."

Due lacrime mi scesero lente, era la stessa sensazione che avevo provato io, quella che mi aveva fatto allontanare dall'amore. Per molto tempo mi ero sentita rotta, imperfetta. Lui invece mi aveva accettata per quella che ero.

Ci fu il silenzio fra noi. Lasciò che piangessi, nascosi il volto fra le mani singhiozzando, e sfogai tutta la mia frustrazione e la rabbia per il male che gli avevano fatto.

"Non piangere mia dottoressa operosa." Mi prese la mano, la scostò dal volto, le sue poche dita libere mi accarezzarono il polso sfiorando le cicatrici, i suoi occhi non mi lasciavano un solo secondo. Presi quel poco coraggio che mi era rimasto e parlai sommessamente.

"Myc, mi hai amato lo stesso, sapendo quello che avevo passato. Perché pensavi che ti avrei abbandonato? Perché ti eri convinto che non capissi quello che provavi? Ti amo, per quello che sei adesso."

"E queste lacrime Laura?"

"Piango per le torture che hai subito, non perché tu sia virile o no. Ci sono tanti modi per amarsi, basta volerlo e avere pazienza."

Sbottò amareggiato stringendo la mia mano.

"Desideravo tanto essere il tuo compagno! Insegnarti che l'amore fisico, quello pulito, che non hai mai provato, è bello mia delicata Laura, pieno di dolcezza e sentimento."

Gli occhi erano lucidi, tremava sdraiato nel letto.

"Non ho mai voluto possederti, volevo amarti con tutto me stesso! Non pensare mai che io voglia altro da te." La voce vibrò, non lo avevo mai sentito disperarsi in quel modo, non si abbandonava spesso ai sentimenti.

"Quel bastardo di Edwin mi ha tolto tutto! Mi sembrava una pena troppo gravosa per una donna giovane come te."

Gli accarezzai la guancia.

"Lascialo decidere a me, cosa voglio o non voglio. Col tempo starai meglio, ti aiuterò a superare il tuo disagio e mi insegnerai ad amarti." 

Presi la sua mano, quella delicata e gentile, a cui avevano strappato le unghie con crudeltà e mi ricordai di una citazione che avevo letto. La sussurrai al suo orecchio

"Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore."

"Myc, promettimi che lo faremo anche noi, quando ci sentiremo insicuri."

Cacciai via i rimpianti e i dubbi, ora c'era solo il presente.

"Forza mettiamo il resto del pigiama o prenderai freddo. Allontanai il lenzuolo che lo copriva, lo aiutai a indossare i pantaloni puliti...

Si infilò sotto la coperta rasserenato, ora che avevamo condiviso i suoi tormenti. Nella stanza c'era una calda armonia che ci pervadeva, una sensazione di benessere. Mi sedetti sul letto spiegazzando il suo lenzuolo prezioso

"Se ci trasferissimo a Pall Mall, Laura? Saremmo più comodi, la casa è grande." Mi osservava cercando di capire dall'espressione del mio volto quanto mi piacesse la sua proposta.

Mi allettava restare con lui nel suo rifugio, dove aveva vissuto appartato.

"È una buona idea. Però lavoro tutto il giorno, è difficile per me cucinare sempre." Mi sorrise enigmatico.

"Ho una governante che ci pensa, Laura. Non sarebbe un problema."

Gli diedi un bacio sulla guancia. "È una proposta di convivenza? O mi ospiti solamente?" Si strusciò sulla mia spalla facendo le fusa come un gatto. "Decidi tu, io sono disponibile per entrambe le cose."

"Beh, vivere insieme è una buona idea, voglio conoscerti meglio, my British Government, abbiamo molto da imparare insieme."

"Perché non cominciamo subito? Vieni sotto le coperte, mi piacerebbe sentirti vicina." Socchiuse gli occhi tessendo la sua trappola. "Non vorrai rimanere al freddo?"

"Sono vestita Myc." Sorrisi a quella richiesta bizzarra.

"Meglio, non cadrò in tentazione." Allungò la mano per invitarmi.

Ridemmo come due stupidi, John sarebbe ritornato presto, ma noi ci sentivamo come degli adolescenti irrequieti e vogliosi.

Mi liberai del golfino e dei calzini, mi infilai sotto le coperte, mi strinsi al suo corpo, il suo calore era confortante.

Brontolò quando infilai i piedi vicino ai suoi.

"Sono freddi, Laura!" Scosse la testa rassegnato. "Pensi che mi dovrò abituare alle tue estremità ghiacciate?

"Estremità?" Ridacchiai a quella parola inusuale per descrivere un piede. "Penso proprio di sì, se no a cosa servi?"

"Piccola selvaggia." Fece un broncio indulgente, e mi baciò. "Però sei adorabile."

Appoggiai la testa al suo petto. Sentivo il suo cuore battere forte e regolare.

"Leggimi qualcosa Myc. Mi piace sentire il tuo timbro così British."

Si concentrò nella lettura nel suo perfetto Inglese.

Tutto sembrava essere ritornato come prima della sua partenza. La sua voce era dolce, suadente e finii per addormentarmi stretta a lui.  

 

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Capitolo 37
*** Quello che conta è averti al mio fianco. ***


"Laura, sveglia credo sia tornato John." Mi ci volle un po' per rendermi conto dove fossi. Mycroft, passò la mano e le sue dita libere fra i miei capelli.

"Se ci trova così ci prenderà in giro per un bel po'." Ridacchiò, posò un bacio sulla mia fronte.

"Hai ragione, scusami mi sono addormentata di nuovo. Mi fai uno strano effetto Myc." Borbottai assonnata.

Mi accarezzava lentamente, sul collo e sulle spalle.

"Eri stanca, ti ha fatto bene riposare, vuol dire che ti fidi di me, mia operosa dottoressa." Una risata complice ci travolse.

"È meglio che vada, devo aiutare John in cucina. Ti aspetto." Si spostò per lasciarmi uscire dal tepore del letto.

Aveva i capelli arruffati, mi fece tenerezza mentre cercava di sistemarli.

"Se hai bisogno di aiuto torno, ti radi da solo, Ice Man?"

"Tranquilla posso farcela, mi sento molto meglio." Gli scompigliai i capelli, quei pochi che aveva sistemato.

"Laura..." Brontolò tirandosi indietro. "Vai ora." Accettava i miei scherzi con meno riluttanza, si era addolcito in quei giorni, come mai era successo prima.

Indossai velocemente i miei vestiti, lo salutai agitando la mano.

"Allora ti aspetto, e non cominciare a lamentarti che non hai fame."

"D'accordo mi impegnerò a soddisfare lo stomaco." Si sollevò dal letto impaziente di vestirsi e raggiungermi.

Che fosse più in forza era evidente, mi sentivo tranquilla, anche se nel pomeriggio ci aspettava la clinica governativa, dove era stato ricoverato quando lo avevano riportato in patria. Mi chiesi come mi avrebbero accolta, visto la novità di vedere una partner al suo fianco.

In cucina trovai Watson già affaccendato e la piccola Rosie che giocava vicino alla tavola.

"Ehi, finalmente. Ti aspettavo Laura!" Mi osservò attento. "E scoppiata la pace tra voi due? Era ora."

Gli allungai una spinta benevola. "Beh, oggi siamo stati bene insieme."

"Uhm. Speriamo che vi siate chiariti." Era dolcissimo John, Mary era stata fortunata, anche se per poco, ad averlo come marito. Accarezzai la testolina bionda di Rosie, lei emise dei gridolini di approvazione.

Iniziai a lavorare per preparare il pranzo.

Mycroft arrivò poco dopo, vestito in modo informale. Non aveva la cravatta, la camicia bianca aveva il colletto aperto, ma era tanto per i suoi standard. Aveva un cardigan di panno grigio chiaro, un pantalone spinato dello stesso tono. Niente gilè. Rimasi sorpresa da quel nuovo look.

Stampellò fino in cucina, salutò la nipote, mi sorrise malizioso.

"Che c'è, mi guardi come avessi avuto un'apparizione."

Inghiottii a vuoto. "Sei...sei, molto carino."

Chinò il capo di lato. "Solo carino?"

"Beh, anche affascinante."

Rise e anche John vedendo il mio imbarazzo.

"Laura, per così poco?" Rimarcò avvicinandosi troppo, credevo volesse baciarmi davanti a un attonito John.

Lo rimbrottai e lo spinsi a sedersi, ma ero felice di vederlo cambiato. "Non ti avevo mai visto così." Mormorai soddisfatta.

John scuoteva la testa, mentre affettava il pane. "Ehi voi due, c'è una bambina, fate i bravi."

Mycroft cercò di aiutarci ma fu prontamente redarguito.

"Tra poco arriva Sherlock e pranziamo insieme. Tu stai fermo a coccolare tua nipote." John fu perentorio, era veramente un uomo gentile e attento.

Volevo così tanto passare una giornata serena, senza problemi, senza pensare al lavoro e a tutto quello che ci aspettava.

Sherlock tornò poco dopo. Aveva acquistato un regalo per Rosie, un libro illustrato con storie di pirati.

Ci guardò insospettito.

"Sembra che tutto funzioni, finalmente!  Fratello sei stato un perfetto idiota a metterci così tanto."

Mycroft agitò la mano, fece una faccia seria ma senza impegnarsi molto, capì perfettamente quanto Sherlock tenesse a lui. Dopo tante incomprensioni, il disastro causato da Eurus li aveva riavvicinati e appianato alcune storture nel loro rapporto. La loro famiglia si era allargata, comprendendo anche lui.

Il mio partner allungò la gamba e fissò il fratello che sfogliava il libro alla piccola di casa Holmes. "Hai avuto problemi quando hai consegnato le nuove disposizioni?"

Sherlock titubò un po', gli rispose con garbo.

"Non si aspettavano che tu avessi una compagna, diventano sospettosi quando qualcuno ti si avvicina."

"Laura è importante per me." Sottolineò pensieroso, disegnando con le dita cerchi immaginari sul tavolo.

"Non è me che devi convincere, ma i tuoi colleghi." Si rivolse a me e mi guardò benevolo. "Spero tu le abbia detto che non la prenderanno benissimo."

Non era difficile capire che avrei avuto qualche difficoltà, nello stare al fianco di un uomo tanto potente.

"Mi ha accennato qualcosa, ma non è stato chiarissimo il mio Mycroft!" Lo ammonii e lui si risentì.

"Suvvia, Laura, ti ho fatto capire quello a cui andrai incontro, non sono stato reticente. Prima ti conoscono e prima ti accetteranno. È per questo che ti voglio con me in clinica." Sbottò infastidito, misi fine subito alle sue rimostranze, perché mi sembrò teso per quel cambiamento che influiva tanto nel suo lavoro.

"Ci sarò, permaloso, e tu Sherlock non ti preoccupare. Cercherò di superare anche questa."

Il detective più noto di tutta Londra sorrise.

"Laura, non ti invidio, ma spero che ora vi sosterrete a vicenda." Fissò il fratello.

"Ci siamo capiti, vero? Va bene il tuo cinismo, ma riversalo sui tuoi colleghi." Gli occhi azzurri di Sherlock saettarono sul maggiore.

Mycroft, accusato il rimprovero rimase silenzioso per un po', poi riacquistata la calma si sporse sul tavolo e accarezzò le manine della piccola Rosie.

"Vorrei tornare a Pall Mall insieme a Laura." Alzò la testa per studiare il fratello. "Se accetta naturalmente."

"Non stai benissimo e peseresti su di lei che deve comunque lavorare." Sherlock spalancò le braccia.

Mycroft abbassò la testa annuendo.

"Deciderà Laura. Non voglio gravarla della mia situazione e comunque non sarà subito."

Intervenni per chiarire la nostra situazione.

"Lo accompagno in clinica e poi vedremo in base agli esami, soprattutto se può riprendere a lavorare a regime ridotto, che lo aiuterebbe a sciogliere la tensione, visto che non riesce a star fermo..."

Gli rivolsi lo sguardo. "Sicuramente non subito. Non lo lascerei a casa da solo nelle condizioni in cui è."

"Laura, ho vissuto per anni in solitudine, devi stare tranquilla so badare a me stesso." I cerchi astratti che disegnava sul tavolo divennero più ampi, ma la mano tremò.

"Sono pronto ad andare in clinica con te." I nostri due coinquilini ci ascoltavano senza intervenire.

Mi voltai con il cucchiaio in mano, la pasta era quasi pronta. Capivo che voleva rendere ufficiale la nostra convivenza. "Va bene, meglio fare il controllo che devi. Poi decidiamo."

Sherlock approvò con un cenno del capo, prese Rosie, la strinse forte. Mi chiesi cosa provasse in quel momento, forse gli dispiaceva che lasciassimo Baker Street.

Iniziammo il pranzo con il cuore leggero.

Tutte le tensioni svanirono, perfino le proteste di Mycroft che ancora non aveva appetito furono sopportate con benevolenza, mi teneva la mano di tanto in tanto, come se avesse bisogno di sostegno e io la stringevo per fargli capire che c'ero.

John ci sorrideva e sembrava il più felice di tutti. Quando lo aiutai a sparecchiare, mentre i due fratelli conversavano al solito posto di fronte al camino si avvicinò silenzioso.

"Devi amarlo molto, Laura." Scosse la testa castana.

"Hai ancora un bel po' di strada da fare. Non vorrei sembrare pesante, ma non mollare adesso che ti sta aprendo il suo cuore."

Indicò Mycroft rilassato, la gamba appoggiata al rialzo, le mani sui braccioli, un sorriso leggero sul volto. E il fratello minore davanti a lui, che discorreva senza nessuna tensione sulle spalle.

"Io lo amo, ma tu mi sembri molto coinvolto, gli vuoi così bene?"

Lo guardai incuriosita, il British Government non era simpatico a molti.

"Diciamo che ho imparato a capirlo, all'inizio mi era decisamente antipatico. Ma dopo Sherrinford ero parecchio preoccupato per il suo isolamento, e avevo chiesto a Sherlock di occuparsi di lui."

 Puntò gli occhi sulla figlia che giocava ai piedi dello zio Myc.

"Non l'aveva presa benissimo quando Sherlock gli aveva gridato che noi due eravamo la sua famiglia. Si sentiva estromesso. E ho avuto paura."

C'era qualcosa che velava i suoi occhi e non mi fu difficile capire.

"Non fece niente di stupido, vero? Non provò a farsi del male? Me lo puoi dire, John."

Mi prese le mani con forza.

"No, no, sta tranquilla, ma fui in pena per un lungo periodo, e anche Sherlock." Mi sorrise con gli occhi che brillavano.

"Quando arrivasti e vi vedemmo coinvolti, pensammo che fosse una via di salvezza per lui, infondo lo meritava."

Era stato un amico attento, lo ringraziai con lo sguardo per la sua cura. "John, mi ha fatto penare parecchio. E temo che avremo nuovi problemi, anche se lo sento vicino e per ora mi basta."

Watson mi lasciò le mani, il suo calore mi era stato di conforto. "Sai che se ti senti in difficoltà ci saremo."

"Te l'ho già detto che sei una brava persona? Perché ne sono proprio convinta." Ridacchiammo insieme sotto l'occhio attento di Mycroft.

"Meglio sistemare la cucina, Laura, sospetto che l'Ice man diventi geloso."

"Ti bacerei, ma ingelosirei tutti e due, fa come lo avessi fatto."

Sghignazzammo complici, avevamo riassettato la cucina senza accorgercene. Raggiunsi Mycroft mi sedetti vicino e gli accarezzai la guancia.

"Se vuoi andiamo. Ti devi cambiare? Hai bisogno di aiuto?"

"Posso vestirmi da solo, ma oggi, quello che conta di più è averti al mio fianco."

Mi turbò quella frase, mi dava un'autorità che mi spiazzava. Sherlock se ne avvide, mi strizzo l'occhio. Lo aiutai ad alzarsi con cautela

Il detective riccioluto, sospirò.

"Mi raccomando voi due. La vostra unione è la vostra forza. Laura hai la responsabilità di questo cocciuto di un fratello che mi ritrovo. Scegli quello che ritieni giusto."

Mycroft gli mandò un'occhiataccia, io ridendo salii di sopra. 

 

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Capitolo 38
*** Le onde e la barchetta chiamata Amore ***



Albert aveva parcheggiato vicino a casa per permettere a Holmes di non affaticarsi troppo, ci aspettava seduto alla guida.

Mycroft si era attardato nel vestirsi era ritornato al suo vecchio stile: completo tre pezzi grigio chiaro spinato, camicia bianca, cravatta rosso scuro. Pensai fosse una specie di divisa che gli permetteva di darsi rispettabilità e una autorevolezza visto il ruolo che ricopriva. Lo aiutai ad indossare il cappotto.

"Sei una sorpresa costante, Laura." Aveva mormorato mentre lo vestivo.

Era rimasto stupito, quando mi aveva visto scendere con un tailleur beige e una camicetta in tono che dava risalto alle mie forme e alle mie gambe che spesso erano nascoste da Jeans e maglioni over size. Mi rendeva un'eleganza equilibrata che non stonava nell'essere al suo fianco. Era quello che volevo, non ero una ragazzina sprovveduta e irretita dall'uomo di potere, lo amavo e volevo che ne fosse sicuro.

Rimase silenzioso, ma un sorriso malizioso gli illuminò il volto mentre allungava le mani per prendermi per la vita.

"Sei bellissima." Si sciolse, mi prese sottobraccio e si fece aiutare nello scendere le scale.

I pochi passi fino all'auto furono difficoltosi ma tollerò lo sforzo.

Albert con la solita gentilezza ci accolse e guidò silenzioso fino alla clinica.

Londra scivolava via velocemente alle nostre spalle, era il primo pomeriggio e brulicava di gente indaffarata.

Mycroft, abbandonato sullo schienale, tamburellava con le dita sane sull'impugnatura delle stampelle, parte della sua inquietudine si trasferì in me.

"Va tutto bene, Myc?" Girò la testa arricciando le labbra.

"Mentirei se ti dicessi di sì, penso a quanto hai lottato per me e per quanto lo dovrai ancora fare." Si zittì, la sua mano si distese verso la mia.

"Tutto il tempo che sarà necessario." Risposi sollecita per cancellare i suoi dubbi.

Temeva che avermi portato con sé potesse pesarmi in termini di stress, cercai d'impedire che si sentisse in colpa.

"Sai cosa penso del nostro rapporto Myc? È come se fossimo due naufraghi in mezzo al mare in tempesta aggrappati a una barchetta chiamata amore. Non ci siamo che noi e quella zattera che ci tiene a galla. Dobbiamo adoperarci per farla navigare affrontando le onde. Non affonderemo se la ripareremo insieme quando qualche squarcio aprirà la chiglia. La abbelliremo, la renderemo più forte, accoglierà le nostre notti e anche i giorni di sole. Se saremo uniti arriveremo alla meta, il mare diverrà piatto e ci sarà amico."

Incuriosito, la fronte aggrottata mi guardò con gli occhi addolciti, quanto di più bello avessi visto in quei giorni.

"Ti amo Myc, sai che ci sarò sempre nonostante tutto, tu fidati di me."

Avvertii il suo respiro che si calmava, la carezza delicata delle sue dita.

"Non ti facevo poetessa, ma d'altronde sei Italiana e...Italians are people of saints, navigators and poets."

Era bello il suo timbro di voce che spesso mi incantava, gli diedi un bacio sulla guancia, lui si schernì leggermente. "Ti dovrai abituare anche a questo, siamo un popolo caloroso e gesticolante."

Una delicata fossetta gli comparve sul volto.

"Tutto il contrario del "British aplomb", così freddo e lontano dai tuoi modi, ma non avrò problemi a essere baciato mia piccola dottoressa operosa." Mi strinse al suo fianco, la mano sulla schiena mi procurò un brivido.

Albert imboccò una strada privata che ci condusse fino a una villa con un ampio colonnato bianco.

Assomigliava più a una casa di cura che a una clinica. Il viale era alberato, molti cipressi e pini e tanto prato lussureggiante.

Quando arrivammo nel piazzale mi accorsi che c'erano gli stessi uomini vestiti di scuro con gli auricolari che avevo visto al san Bart. Controllavano la zona con discrezione.

Vide la mia sorpresa. "È una clinica particolare per agenti in servizio che hanno avuto qualche "incidente" di percorso o per alte cariche dello stato e impiegati come me. Naturalmente l'accesso non è per tutti. Solo i familiari stretti e i partner of relevance."

"Sherlock ti ha portato qui? È rimasto con te?" Chiesi stupita, osservando tutta la villa e i visitatori.

Il suo bel volto si contrasse, socchiuse gli occhi, i ricordi dolorosi di quei giorni sembravano tormentarlo.

"Mi hanno trasportato qui con un volo speciale quando mi hanno ritrovato. Non ero propriamente in me, Sherlock è rimasto fino a quando non sono stato in grado di capire. Decideva per me. Ora lo farai tu."

Rimasi spiazzata immaginando in quali condizioni precarie fosse arrivato. Mi tranquillizzò sorridendo. "Ora sto molto meglio Laura."

Lo aiutai assicurandomi che fosse stabile e ci avviammo verso una scalinata bianca piuttosto alta, ma che aveva un accesso per disabili.

Al lato opposto c'era un ordinato giardino dove i degenti soggiornavano seduti su delle panchine con alcune infermiere accanto. Altre si occupavano di quelli in difficolta a deambulare. Tutto molto discreto e silenzioso, rabbrividii pensando che quel posto non era propriamente allegro, mi strinsi nel cappotto.

Mycroft ridacchiò. "Lo so, fa questo effetto anche a me. Tutto è così ascetico da mettere soggezione. Ma è uno dei vincoli a cui sono sotto posto."

"Non puoi decidere dove andare?"

"Diciamo che tutelano la mia salute ed essendo parte della governance non potrei svincolarmi, sono a conoscenza di interessi troppo delicati per lasciarmi alla mercè di altri medici." Mi prese sottobraccio e lo sentii stringermi delicatamente.

"Laura, sai del mio lavoro particolare e ora lo dovrai condividere e accettare."

Ero consapevole da tempo del suo incarico e dei poteri di cui disponeva e dopo i fatti di Malvest ancora di più.

Camminammo insieme fino all'ingresso.

All'accettazione, dopo vari convenevoli, Mycroft mostrò le mie credenziali. Dal suo portafoglio uscì una tessera magnetica che venne inserita in una banca dati.

Il pass era attivo e me la consegnò appena varcata la soglia.

"Tienila con accortezza Laura, ora sei parte del sistema." Non replicai e misi via la card, mi tremò un po' la mano.

"Non avere paura, mia piccola dottoressa operosa, ti proteggerò con tutto il potere di cui dispongo dovesse cadere Londra stessa."

Non dissi nulla tanta era la durezza che avevo avvertito nella sua voce. Ci avviammo senza fretta, ricambiando con gentilezza i saluti referenti che le persone ci rivolgevano.

Era molto conosciuto, molti si complimentavano per la sua guarigione.

Si appoggiò al mio braccio, consapevole di dimostrare la sua dichiarazione di fiducia. Il mio orgoglio crebbe, essere al suo fianco era infinitamente piacevole.

Alla fine del corridoio, un infermiere ci fece accomodare in uno studio elegante e spazioso. Sulla porta spiccava il nome del primario professor Ernest Green.

Due minuti dopo entrò un uomo distinto di media statura con un camice immacolato. Capelli grigi e sguardo indagatore, mi fissò e mi mise subito in soggezione.

Allungò la mano a Mycroft. "Ciao, Holmes. Vedo che sei in compagnia." Mi rivolse uno sguardo sospettoso. La prima impressione fu quella di non piacergli affatto.

"Ciao Ernest, lei è la dottoressa Laura Lorenzi, la mia attuale compagna."

Mi indirizzò un sorrisetto piccato. "Italiana? E dove lavora di preciso?" Mi allungò la mano che strinsi con vigore, lo feci principalmente per Mycroft.

"Al Sant Bartholomew's  Hospital sono patologa forense." Sfoderai il miglior accento possibile.

Si appoggiò allo schienale con fare distaccato, le mani allungate sui braccioli. Gli ero proprio antipatica. "Immagino vi siate conosciuti per lavoro."

"Certamente dottor Green, come potrebbe essere altrimenti? Mycroft non è un tipo mondano!" Mi stampai un ghigno ironico, mentre il mio "compagno" sorrideva come un gatto che sta vedendo la fine del topo.

Il dottor Green capitolò, fu tregua, almeno per il momento.

"Uhmm, bene, allora vediamo i risultati dell'ecografia al ginocchio e degli esami del sangue. Mycroft, la dottoressa può rimanere in sala di attesa."

"Direi di no, Laura sarà con me."

Affermò secco Holmes. Compiaciuta del suo orgoglioso intervento gli accarezzai il braccio. Green ingoiò il rospo

"Bene Myc, sai la trafila, ti mando Costance e vai con lei." titubò, "andate con lei, scusate." Si sollevò dalla sua comoda poltrona con un atteggiamento altezzoso.

"Così va meglio, Ernest, più presto ti ci abitui più andremo d'accordo."

Mycroft gli batté la mano sulla spalla mentre gli passava vicino. Zoppicava faticosamente, ma era bello vederlo arrogante e sicuro di sé nonostante il dolore per quel ginocchio devastato.

Arrivò Costance che era un'infermiera spiccia e cordiale, ci accompagnò nell'ambulatorio.

Ebbe pazienza di aspettare Mycroft, intanto parlava della giornata che era stata clemente, quasi tiepida in quel fine inverno.

Non incontrammo molte persone, ma questo ne faceva un posto sicuro e protetto da occhi indiscreti.

L'ambulatorio era decisamente all'avanguardia, era fornito di un ecografo che riconobbi di ultima generazione, non avevano problemi di budget in quella clinica.

Costance lo aiutò a sistemarsi sul lettino, Mycroft si era liberato della giacca e del gilè rimanendo in camicia e pantaloni, ma non voleva toglierli. Insisteva, così intervenni e arrotolai il calzone liberando il ginocchio. Ci guardammo complici, il suo non era uno stupido capriccio e sapevo bene il perché.

Sopportò tutto senza lamentarsi mentre gli prelevava il sangue e prendeva i parametri di rito, non dava segni di nervosismo.

Quando Costance ebbe finito mi chiamò con un sorriso complice. "Siedi vicino a me Laura, non ti faranno problemi."

Ero indecisa, non volevo imbarazzare il dottore che si sarebbe occupato dell'ecografia, guardai prima lui poi Costance.

"Non si preoccupi dottoressa, il dottor Trevor è tollerante. E poi lei è una collega."

"Già, ma di solito faccio eco a qualche cadavere!" Mi fissò stupita. "È una patologa?"

"Sì, ma non si spaventi, ne capisco anche dei vivi." Mycroft ridacchiò, passò le mani sulla camicia appiattendo pieghe immaginarie.

Il dottor Trevor, al contrario del primario, era un giovane cordiale e aperto, ci mise subito a nostro agio.

Accettò di buon grado la mia presenza.

"Signor Holmes dovrò spingere un po'. Potrebbe sentire dolore, se non riesce a sopportarlo le farò un anestetico.

Mycroft annuì.

"Cercherò di sopportare."

Cercò i miei occhi, incerto. Non si faceva toccare facilmente il ginocchio specie quando lo medicavo. Mi prese la mano di nascosto.

All'inizio resse ma quando Trevor iniziò a premere lo strumento sul davanti prese a muoversi troppo, sussultando e stringendo la mascella.

"Dottor Trevor sarebbe meglio fermarsi un po'."

Lo interruppi con gentilezza cercando di fargli capire che il suo paziente soffriva. Quando vide il volto contratto di Holmes si fermò costernato.

"Non si preoccupi il mio compagno non si lamenterebbe mai." Gli sorrisi rassicurandolo, decise di iniettargli un leggero anestetico che fece presto effetto, Mycroft intrecciò le dita alle mie e i suoi occhi si rasserenarono.

Lo avrei preso a schiaffi per quanto era testardo! Non avrebbe mai chiesto al medico di fermarsi.

Il dopo fu sopportabile, allentò la sua presa e socchiuse gli occhi.

Il dottore osservava il monitor con attenzione e anch'io vedevo il disastro dei legamenti di quel ginocchio dove avevano infierito con cattiveria.

"Dottoressa vede anche lei?" Strinse le labbra con lo sguardo rivolto alle immagini.

"Vedo e il mio caro Myc dovrà portare un tutore se vorrà camminare."

"Che... cosa?" Sussurrò appena sentì quella parola. "Un tutore antiestetico e ingombrante?"

"Lo porterai o starai a letto. Quindi decidi." Trevor rise vedendo la faccia allibita di Holmes. Sapeva quanto ci tenesse alla raffinatezza dei suoi completi di marca.

"Non per molto signor Holmes. Non ha alternative per ora. Costance lo adatterà e le insegnerà a indossarlo. Sono sicuro che non sgarrerà, con una collega e partner così attenta."

Mycroft sbuffò e sbuffò, ma si arrese quando lo fissai risoluta. Non riuscii a trattenermi dal sorridere, perché era in quei momenti che l'ice man che conoscevo, diventava umano come tutti.

Green entrò in quel momento con una cartelletta dove probabilmente c'erano i risultati degli esami.

Non fu contento di trovarmi lì.

Il mio partner irritato dal suo modo di fare, si vestì frettolosamente e si fece scostante, seguì l'infermiera con riluttanza.

"Ernest parla con Laura. Io indosso quel coso. Lei è la mia compagna e ha tutta la mia fiducia. Non farmi rimpiangere di esserti amico." Sibilò a denti stretti.

Seguì l'infermiera e mi ritrovai faccia a faccia con il primario.

Era sconcertato, una ruga sulla fronte dimostrava la sua stizza, cercai di stemperare la situazione scherzando.

"Lo perdoni è arrabbiato per dover sciupare i calzoni di marca con il tutore."

"Lo conosco bene, Lorenzi." Agitò la mano in aria.

"Mi permetta di dirle che la sua comparsa così improvvisa mi ha confuso. Non sapevo nulla di lei e Mycroft è sempre stato...solo."

"Non più ora, le cose cambiano dottor Green."

Un'espressione cattiva gli passò in volto.

"Ricopre una posizione particolare! Che io sappia non ha dato mai confidenza a nessuno."

"Non mi faccia ripetere la stessa cosa. Non più ora. La sorprende così tanto che possa essere innamorato di me?"

"Mi permetta lei è molto giovane!" Sibilò stringendo la cartella.

"Grazie, lo prendo come un complimento, perché tra noi ci sono otto anni di differenza e non ne vedo il nesso."

Non si accontentò. "Sa in che condizioni è arrivato qua dottoressa Lorenzi? C'era solo Sherlock con lui."

"Si tranquillizzi, so bene il perché non mi ha voluto vicino." Mi sforzavo di contenere la rabbia che mi saliva incontrollabile.

"Sa degli abusi che ha subito? Difficilmente sarà sessualmente attivo." La buttò lì con un'ironia che mi offese ancora di più.

"Green, abbia rispetto di Mycroft visto che si reputa suo amico. Lo lasci dire a noi se avremo una vita sessuale appagante. Non la riguarda!"

Sbottai per quella mancanza di rispetto per un uomo che aveva dato tutta la sua vita per il lavoro.

"E comunque grazie del modo delicato che ha avuto nell'avvisarmi della sua condizione! Ne sono a conoscenza, si tranquillizzi."

Strinsi le mani a pugno, fossi stata un uomo lo avrei colpito.

"Forse perché nemmeno lei è in grado di avere rapporti carnali." Incalzò soddisfatto.

Era indecente come mi buttava in faccia quello che avevo passato.

Non mi trattenni più, la mia parte italiana venne fuori tutta. Mi avvicinai al suo volto.

"Vedo che sa tutto di me, si è documentato! Non mi aspettavo che fosse così meschino Ernest. Le è piaciuto leggere i particolari dello stupro che ho subìto?"

Si piccò che lo avessi chiamato per nome, ma fece un passo indietro cercando di recuperare l'offesa gratuita che mi aveva fatto.

"Sono un primario ed esigo rispetto." Lo fissai e sogghignai ironica.

"No, Ernest è soltanto un uomo arrogante e prepotente come quelli che non mi hanno rispettato."

"Mi offende, non mi può paragonare a dei criminali." Le vene del collo gli pulsavano di collera.

Sibilai furiosa. "Lei è soltanto un emerito imbecille pomposo, signor primario. Badi di curare il mio uomo al meglio. Non una sbavatura sulla diagnosi o userò tutto l'ascendente che ho su di lui per rovinarla."

"Ora mi dica tutto e faccia alla svelta, non voglio che Mycroft veda quanto si fidava di un uomo villano come lei."

Le mani del piccolo uomo arrogante tremarono, si aggrapparono alla cartella, respirò più volte.

Stava valutando di cambiare approccio, temeva l'ira di Holmes.

Sciolse la rabbia mentre lo fronteggiavo apertamente, non fu facile digerire le parole offensive che mi aveva rivolto.

Lui chinò la testa, mi fece strada per il suo studio.

Fu finalmente professionale, prescrisse i farmaci adeguati e mi ascoltò con più attenzione. Accettai quella tregua silenziosa per amore di Mycroft.

"Dottor Green mi occuperò di aiutarlo al meglio, non ho scavalcato suo fratello, ridurremmo di comune accordo i farmaci antidepressivi. In modo costante e lento."

"Lo sa che non sono d'accordo."

"Ma lo sarà se gli è amico, lo accetterà per il bene di Myc."

Mi guardò soppesandomi, mi studiava con gli occhi ostili che non riuscivano a mascherare il disappunto di avere una donna troppo giovane che gli teneva testa. Improvvisamente si sgonfiò come un palloncino bucato.

"Ora capisco perché Mycroft l'ha scelta, è caparbia e innamorata come poche."

"Vedo che ha compreso anche se in ritardo, mi preme solo la sua salute. Se Myc non mi avesse voluto mi sarei fatta da parte."

Abbassò la testa scuotendola rassegnato, appoggiò la cartella sulla scrivania.

"Mi scuso per come l'ho trattata. Sono stato offensivo senza pensare quello che ha passato e che dovrete affrontare insieme."

"Per amore di Mycroft resterà fra noi. Forse lei gli vuole bene nel suo modo contorto, temendo che io sia la persona sbagliata e possa farlo soffrire." Mi appoggiai alla sedia, lasciando la rabbia svanire.

"Lo conosco da anni Lorenzi e so quanto la solitudine lo abbia limitato."

"Dottor Green ora è con me e farò l'impossibile per aiutarlo, ne sia certo." Era meglio chiudere la questione al più presto.

"Lorenzi, mi scuso ancora. Mi chiami Ernest, voglio bene a Holmes e voglio sia sereno, vedo che è in buone mani. Se avrà bisogno io ci sarò."

Mi allungò la mano e lo ricambiai semplicemente perché mi serviva: era il medico che aveva aiutato Mycroft e non volevo fosse un nemico.

Quando Holmes tornò con la sua gamba stretta nel tutore, nessuno di noi disse più nulla. Esercitammo un controllo formale per non insospettirlo. Anche se il mio compagno intuì qualcosa, si limitò ad accettare la situazione e si concentrò sulle direttive mediche di Green.

"Bene Ernest, vedo che hai capito che ho una totale fiducia di Laura, non scordartelo mai."

Il dottor Green annuì sorridendo.

"Beh, è decisamente inflessibile su quello che ti riguarda, mi dispiace per la mia presunzione."

"Credo che ci siamo chiariti Mycroft, a tutti e due preme la tua salute." Sorrisi in parte per rassicurare il mio compagno, in parte perché volevo superare quel momento di pura follia.

Ce ne andammo silenziosi, mentre lo accompagnavo ripensavo a tutti gli avvertimenti che mi aveva fatto riguardo i suoi colleghi e sentii crescere un vuoto dentro il cuore.



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Capitolo 39
*** Fastidiose interferenze ***


Credevo che la giornata fosse finita e invece...

Eravamo fermi nel grande atrio perché Mycroft era andato a salutare due uomini della scorta, quelli vestiti costantemente di nero che probabilmente erano suoi collaboratori. Mi ero appartata sulla destra dove c'era un salotto con delle comode poltrone e ne approfittai per dare un'occhiata ai risultati dei suoi esami.

Scorsi Anthea varcare la soglia della clinica con passo deciso, che non mi fece presagire nulla di buono. Mi fece un cenno con il capo e andò dritta da Mycroft con cui parlottò fitta.

Chiusi la cartella mentre mi raggiungevano con Myc che arrancava in fretta.

Li fissai cercando di capire cosa stesse succedendo.

"Laura, le notizie volano veloci. Non sarà una serata facile, una collega di lavoro con cui collaboro da anni sta arrivando. Mi dispiace, mia dottoressa operosa, sono diventati tutti curiosi."

Il suo bel sorriso era sparito e sul volto gli leggevo la rabbia, si reggeva sulle stampelle come se avesse un peso in più sulle spalle.

Sospirai, avevo già capito che un'altra persona prevenuta e curiosa di conoscermi ci avrebbe raggiunto a breve. Mi passai la mano sulla fronte, Mycroft mi fissò preoccupato.

Anthea si avvicinò comprensiva. "Non sono riuscita ad avvertirvi in tempo, mi dispiace Laura." Scossi la mano per rassicurarli. Ma dentro non ero tranquilla.

Mycroft brontolò. "Non volevo stressarti così tanto, Laura. Ce ne andiamo in fretta."

"Troppo tardi, credo di averla intravista alle vostre spalle."

Una donna matura, sobria ed elegante, scortata da due uomini entrò nell'atrio, camminava con un'autorità che gli dava la sicurezza di essere ai vertici del potere.

Mycroft si girò con un'aria seccata e irritata che stentava a trattenere. Si posizionò al mio fianco mentre Anthea si defilò con eleganza. Presto la sua collega ci fu davanti con la faccia sorpresa che dimostrava quanto fosse un'abile attrice.

"Alicia, che curiosa coincidenza trovarti qui!" Holmes assunse il portamento distaccato che conoscevo bene, la sua voce si fece formale senza alcuna inflessione.

Lei, altezzosa e affettata nei modi, evitò il mio sguardo.

"Mycroft, vedo che arranchi ancora benché tu abbia un tutore di ultima generazione! Come sta il tuo ginocchio?" Si stampò un sorriso di circostanza alquanto irritante.

"Puoi chiederlo alla mia partner, la dottoressa Lorenzi, ha molte più competenze di me." Gli rispose misurando le parole.

Solo allora la nostra interlocutrice spostò lo sguardo verso di me. Sentivo Mycroft fremere, nonostante si controllasse con maestria.

"Laura, vista l'educazione con cui mi hanno cresciuto ti presento lady Alicia Smallwood, mia collega di lavoro." Mosse altèra la testa bionda al mio indirizzo.

Holmes la fissò ironico, e sorrise divertito vedendo la sua faccia infastidita. "Laura, è patologa al san Bart ma credo tu sappia già tutto Alicia." Io accennai un sorriso educato.

"Non passo tutto il giorno dietro alla vita dei miei colleghi." Ironizzò seccata distogliendo lo sguardo da me e portandolo sul mio compagno.

"Davvero Alicia? È strano trovarti qui, hai sempre detto che questo posto ti dà i brividi e hai l'aria di essere arrivata di fretta, ti aspetta qualcuno?" Ridacchiò, sollevò le stampelle reggendosi sulla gamba sana, voleva dimostrare di essere in forze.

Giudicai fosse troppo pericoloso lasciarlo in quella posizione. Lo sgridai con lo sguardo e lo invitai a reggersi.

Quel battibecco non portava a nulla di buono, mi rivolsi a lei in modo gentile.

"Lady Smallwood, conoscere i colleghi del mio compagno è per me un grande piacere. Spesso siete delle entità suggestive e alquanto misteriose."

Mi fissò malamente, Mycroft, che era tornato a reggersi sulle odiate stampelle, abbassò la testa e lo vidi sogghignare.

"Ci percepisce così dottoressa Lorenzi?"

"In effetti, Lady Smallwood, non capita spesso di vedere il volto di chi è alla Governance del vostro paese."

Ammisi sarcastica appoggiando la mano su quella di Myc. La girò appena cercando di non fare ruzzolare la stampella a terra e mi accarezzò.

"Eppure ne frequenta uno, e molto spesso negli ultimi tempi." Rispose con un mezzo ghigno.

"Diciamo che mi ha concesso la sua fiducia, ma io lo conosco come un uomo gentile e affettuoso."

Ridacchiò e quel suo modo di fare mi sorprese.

"Non si direbbe che lei stia parlando del mio vecchio amico, ha passato molto tempo da solo."

Mycroft sogghignava al mio fianco, non accennò a nessuna risposta, il calore della sua mano mi dava la forza.

"E' la seconda volta oggi che mi viene fatto notare che era un solitario, quindi mi ripeto nel dirle che ora non più."

Rimase interdetta, probabilmente mi valutava come aveva fatto Green.

Fui io che strinsi la mano di Mycroft.

"Se vuole sapere della salute del mio compagno, sappia lady Smallwood che sta molto meglio, ha l'assistenza che merita per il suo sacrificio. E presto tornerà a occuparsi della Governance, se è questo che la preoccupa." Non mossi un solo muscolo del corpo. "Non influirò nel suo lavoro, né gli chiederò di fare nulla di più."

Mycroft si avvicinò, sembrava ancora più alto, inorgoglito dalla mia difesa.

"Alicia, credo tu abbia capito che Laura è la persona che amo. Non credo di aver nulla d'altro da aggiungere."

Dovetti respirare in fretta per compensare. Aveva ammesso il suo amore in un modo che metteva fine alle ingerenze da parte dei colleghi della governance, e lei era una che stava al vertice.

Lo trattenni per il braccio perché stava per andarsene e non volevo essere la causa di rotture nel loro rapporto, non doveva prendere le distanze da chi poteva aiutarlo nel tempo, si fermò accigliato a osservarmi e capì da buon Holmes qual era.

Con una calma stoica presi la decisione di smorzare i toni.

"Non voglio essere la causa d'incomprensioni, Lady Smallwood, non nutro risentimenti e posso capire la sua difficoltà nel accettare questo cambiamento nella vita di Mycroft, ma non influirò nelle sue scelte, né nel suo lavoro, sarò semplicemente al suo fianco e mi prenderò cura di lui."

Aspettai la sua risposta ero stata conciliante per non urtare né lui, né lei.

Sorrise, scosse la testa bionda, poi guardò Holmes. "È decisamente troppo saggia per te Ice Man,

ma infondo ti meriti l'amore con cui ti protegge."

Si rivolse a me mentre lui si schiariva la voce sorpreso di quella resa.

"Di una cosa certamente ha ragione dottoressa Lorenzi è stato sempre così solo che il vostro rapporto sembrava una forzatura, invece anche Myc ha trovato la sua "cura", quella che ripeteva spesso non essere un vantaggio. Vedo che ha una forza notevole, Laura. Mantenga il suo amore vitale come lo è adesso, sempre."

Mi tese la mano e gliela strinsi senza aspettare, non avevo bisogno d'altro.

Per Mycroft era necessario sentirsi al sicuro nel suo lavoro, ed era vitale visto i rischi che correva, quella dichiarazione di pace ci avrebbe solo giovato.

"Prenda dottoressa, questo è il mio numero privato, mi mandi il suo. Penso che avremo occasione di risentirci spesso."

Mi sorrise compiaciuta, mentre infilavo il biglietto in borsa, ci fissava entrambi soddisfatta, la mano di Mycroft sulla mia schiena tremava. Era veramente ora di andare, stare in piedi tutto quel tempo era troppo per lui.

Così allentai la tensione e buttai lì una frase di congedo.

"Arrivederci Alicia, porto a casa l'ice man, prima che crolli sul pavimento". Ridemmo insieme mentre lui ci guardava torvo, spalancando gli occhi grigi e roteandoli in alto. Ma mi sorrise riconoscente.

Anthea ci raggiunse e ci scortò fino all'auto. Camminammo adagio per permettere a Mycroft di riprendere il ritmo.

Prima di salire nel Bmw scuro mi diede un bacio casto sulla guancia. "Sei fantastica mia dottoressa operosa e Alicia ha ragione, sei saggia molto più di me." Arrossii come una scolaretta.   

 

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Capitolo 40
*** Iniziare insieme ***



Albert come al solito ci aspettava paziente, Mycroft con il tutore posizionato sul ginocchio sembrava soffrire molto meno, anche se brontolava per quell'aggeggio ingombrante. Le stampelle rimbalzavano sulla ghiaia e stavo attenta che non finisse per scivolare.

"Stai bene Laura?"

Strinse le labbra mentre mi guardava con attenzione. In realtà mi sentivo malissimo e forse non lo mascheravo per niente.

Salutammo Anthea che mi sorrise complice per aver salvato la conversazione e l'amicizia con la Smallwood. Ci accomodammo in auto, Myc si sistemò nel sedile cercando di allungare la gamba. Lo aiutai ma fui poco attenta, non riuscivo a guardarlo in volto e fu uno sbaglio. Lui percepì subito che qualcosa non andava, ma lasciò che mi prendessi del tempo.

Quando Albert partì, mi attirò vicino a lui allungando il braccio attorno alla mia vita.

"Laura è stato in pomeriggio stressante, non volevo coinvolgerti, ma sembrano tutti in allarme per la tua vicinanza." Sbuffò seccato, mentre appoggiavo la testa sulla sua spalla.

"Ernest è stato scortese?" Aggiunse con voce severa.

"No, non è successo niente. Deve imparare a conoscermi! Come tutti i tuoi colleghi che si interrogano sulla tua solitudine e sul mio arrivo improvviso. Sei riuscito a tenermi nell'ombra, a quanto pare." Mormorai sfregandomi sulla sua spalla un po' avvilita per la piega che avevano preso gli avvenimenti.

"Con Malvest in giro era meglio tenerti al sicuro. Non ho azzardato di più." Mi accarezzò i capelli pieno di tenerezza e un po' pentito per quello che avevo dovuto sopportare. "Sei stata fantastica, ma del resto lo sapevo che avevi grinta da vendere."

"Non tanta, Myc, mi sento svuotata. Pensa che vorrei essere al san Bart insieme ai miei morti." Pensavo veramente alla pace dell'obitorio dove nulla mi infastidiva.

"Laura, non succederà più. Era Alicia lo scoglio più grosso." Lo sentii irrigidirsi, appoggiò la fronte sulla mia.

"Lo immaginavo, aveva un autorità non indifferente sia nei modi che nel parlare."

Socchiusi gli occhi silenziosa, con la testa altrove, incapace di sollevarmi dall'inquietudine che mi cresceva dentro come un'onda che arrivava lenta, la mia insicurezza stava prendendo il sopravvento, non riuscivo a chiarirmi con lui, che sembrava in attesa. La sua mano mi teneva stretta a sé, come per rassicurarmi.

Avevo lottato tanto per Mycroft, avevo aspettato, rispettato i suoi tempi, i suoi allontanamenti, le litigate. Quando finalmente eravamo riusciti a ristabilire un rapporto reciproco, mi ritrovavo a dover combattere con il suo lavoro e con i suoi colleghi.

Dover dimostrare che ero all'altezza del suo amore, delle sue attenzioni, mi rendeva fragile. Forse quello che mi sconvolgeva di più era che sapessero del mio passato doloroso che avevo cercato di seppellire sotto montagne di psicoterapie e forza di volontà. E invece era lì davanti a tutti come un libro aperto.

Mi mancò il respiro come succedeva quando mi prendevano gli attacchi di panico. Ebbi la paura insensata di non farcela, di non riuscire a stargli vicino, di non essere una compagna adeguata al suo rango.

Quanto potevo contare sull'amore che gli dimostravo? Se ora anche queste intromissioni ci avrebbero ostacolato. Tremai così forte che lui si spaventò.

"Laura, che hai? Albert accosta." Ordinò perentorio. Mi sollevò la testa tremando più di me.

"Ho bisogno d'aria fresca Myc." Cercai di tranquillizzarlo, ma non ci riuscii per niente.

Quasi gridò. "Albert, aiutami. Prendi Laura e falla uscire."

Mi tenne abbracciata mentre l'auto si fermava. Albert sollecito praticamente mi trascinò fuori.

Mi appoggiò alla fiancata dell'auto, rassicurandomi e tenendomi per le spalle per dare il tempo a Myc di uscire. Mi maledissi per causargli ancora dolore con il ginocchio in quelle condizioni.

Ero in affanno, cercai di respirare tutta l'aria che potevo, controllando la respirazione.

"Dottoressa prenda un po' d'acqua." Albert mi porse una bottiglietta che gli aveva allungato Mycroft. Cercava di scendere il più in fretta possibile. Ne bevvi dei piccoli sorsi nella convinzione di stabilizzarmi.

"Scusami Albert." Mormorai vedendo il volto preoccupato del mio amico.

"Stia serena dottoressa, lei è una donna forte e il mio capo è molto innamorato." Mi sussurrò all'orecchio cercando di non farsi sentire.

"Grazie, sei un aiuto prezioso." Mi sorrise mentre Mycroft era riuscito finalmente a raggiungermi.

Sostituì Albert e mi fu accanto con il volto tirato, e lo vidi per quello che era in realtà: l'uomo che tutti credevano razionale e autoritario non c'era più. Era teso e agitato e le sue mani erano incerte, incapace di dare forma al suo groviglio emotivo.

Mi sciolsi e gli accarezzai il volto. Se volevo una dimostrazione d'amore era in quella angoscia che vedevo nel suo volto.

"Stai bene? È colpa mia! Dovevo capire che eri già stressata e invece ti ho caricato di un peso ulteriore. Sono un imbecille Laura, ti prego perdonami." Respirava quasi meno di me, la voce rotta e la fronte corrucciata.

Mi chiuse il cappotto elegante, forse troppo per una come me che spesso era in jeans e maglietta. Mi alzò il bavero. "Prenderai freddo." Sussurrò.

Lo guardai negli occhi non riuscendo a mascherare un'infinita tristezza per dover ancora lottare.

"Mi sento inadeguata, Myc, sarò mai capace di essere al tuo livello? E se non mi accettassero per quella che sono? Pensano che ti abbia confuso, che ti possa allontanare dal tuo lavoro."

"Lo sai che non è così, non sarei rimasto se non fossi sicuro di te, della donna che sei. Perché ti voglio e ti amo, mia piccola dottoressa operosa."

Mi abbracciò così forte che sussultai. "Non pensare mai di essere inadeguata, perché sei molto più di tutti loro. Forse dovevo darti del tempo, ma desideravo così tanto che fossi con me. Mi rende orgoglioso che tu sia il mio sostegno."

Affondai il volto sul suo petto. Il suo calore, il suo profumo mi calmò. Le sue mani si fecero forti e decise, mi accarezzavano piene di amore, mi sentii appagata e stupida allo stesso tempo, perché ci amavamo contro tutto e tutti.

"So che senti un peso ulteriore sulle spalle, Laura, non soltanto sono un uomo difficile e ammalato, ma ho una vita sociale importante da gestire."

Mi sollevò il mento, i miei occhi erano pieni di lacrime. Sorrise gentile.

"Ti ricordi di quella barchetta che hai paragonato al nostro amore? Beh, ora aggiusteremo anche questo squarcio e andremo avanti."

Scoppiai a piangere come una stupida, lui mi spinse delicatamente la testa al centro del suo petto dove c'era quel cuore che tutti dicevano essere di ghiaccio e mi dondolò mentre non riuscivo a calmarmi. Sussurrava al mio orecchio che saremo stati bene, che avremmo navigato a vele spiegate.

"Ci sarò Laura, sempre, non temere. Non soffrire, divideremo il peso di tutti i problemi che verranno."

Quanto calore, quanto amore potevo assorbire da lui? Da quelle mani ancora fasciate, torturate in quel modo atroce, che cercavano di annodarsi fra i miei capelli. Dai baci gentili che mi appoggiava sulla testa. Dal suo corpo, magro e ancora sofferente che mi avvolgeva, dalla tenerezza di quel dondolare che mi dava sicurezza.

Lo amavo, lo avrei amato anche di più. Aveva ragione, avremmo fatto navigare quella barchetta, che sarebbe diventata una nave grande e robusta.

"Ti amo Myc. Perdonami ho avuto paura. Ma se mi aiuti sarò forte, sarò la tua amica, la tua compagna, la tua donna." Il suo corpo vibrò, mi allontanò appena un po', fissandomi con quegli occhi grigi che tanto ammiravo.

"Bene, perché ora un bacio lo merito, visto che sto in equilibrio su di una sola gamba."

Ridemmo, e ci regalammo un bacio dolce e profondo. Lo ressi io, cercando di non pesargli. Perché lui sapeva che lo avrei sorretto sempre e comunque.

Albert si era appartato, come sempre testimone di tutta la nostra storia.

Si era fatto già tardi, sollecito e sorridente il nostro amato autista ci riportò a Baker Street.

Avevamo deciso che saremo stati con loro qualche giorno in più. Almeno fino a quando Mycroft non avesse ripreso a lavorare a livello ridotto.

Trovammo i nostri amici che ci aspettavano. Mycroft si fermò a parlare con Watson mentre la piccola Rosie sembrava attratta dal tutore che gli comprimeva il ginocchio e lo osservava curiosa.

Informai Sherlock delle condizioni di Myc, e rise un bel po' quando lo vide con il tutore sulla gamba.

"Immagino quanto avrà brontolato. I suoi calzoni si sciuperanno e per lui questo è un affronto bello e buono." Mi fissò e, da come mi studiava scuotendo la testa, compresi che aveva capito che non era stato un pomeriggio tranquillo. Così decisi di chiarirmi subito.

"Va bene, ho dovuto lottare un po' con Green. E anche con Lady Smallwood. Ma ci siamo capiti."

Strinse le labbra e socchiuse gli occhi. "Però ti hanno fatto soffrire, a quanto vedo. Green vuole bene al testardo di Myc, a suo modo, naturalmente." Mi sorrise dolcemente. "Ha salvato la vita a mio fratello quando l'ho riportato a casa."

"Lo so mi ha detto che sei sempre rimasto al suo fianco. Ho sempre saputo che sei un buon fratello. Tu e John siete stati perfetti dopo Sherrinford." Ma Sherlock, che era il miglior investigatore di Londra, capì.

"Immagino sappiano tutto di te e del tuo passato. Purtroppo è un prezzo alto da pagare per stare al suo fianco. Ma tranquilla resterà all'interno del suo ufficio, e conoscendo l'ira di Mycroft se lo venisse a sapere, è come se fosse sepolto sotto una spessa lapide." Fu tagliente, le labbra strette. "Sono interferenze che potrebbero evitare, non riescono a restare fuori dalla nostra vita privata.

Sospirai perché era vero, stare con un Holmes aveva un prezzo.

"Non dire nulla a Mycroft, Green non è stato molto gentile con il mio passato. Ma per il suo bene ho smorzato i toni." Sherlock allungò la sua mano delicata sopra la mia. Un gesto inaspettato.

"Sei saggia Laura, ma se ti infastidiranno puoi dirlo a me." Sentii il suo calore passarmi attraverso la pelle. "Ci penserò io. Sta serena e cerca di non abbatterti." Quella carezza gentile, fatto da lui che era meno espansivo di Mycroft mi diede ulteriore coraggio.

"Lotterò stanne certo, avrò cura di lui."

Mycroft ci raggiunse con lo sguardo severo, forse aveva visto il gesto del fratello, che ritrasse rapido la mano.

"Che state complottando voi due?" Sorrise ironico. "Bada fratellino lei è la mia donna."

"La tua cosa?" Esclamammo in coro. Aggrottò la fronte. "La mia compagna?"

"Meglio," risposi ridendo "ma va bene lo stesso, stupido." Mi baciò sul fronte, quasi gli caddero le stampelle.

"Come siete sdolcinati!" Sbuffò ironico Sherlock. "Fratello sei cotto al punto giusto! Chi si occuperà dell'Inghilterra adesso..."

"Sempre io, ma doserò le forze e il mio tempo. Laura sarà al primo posto, lo Stato può andare avanti anche senza di me."

"Mi lusinghi oscuro uomo di potere. Ma lo sai che non voglio che tu rinunci al tuo lavoro. Bada che l'ho promesso, nessuna interferenza da parte mia." Ridacchiai vedendo il suo volto imbronciato.

"Va bene ma allenterò un po' gli impegni, voglio passare più tempo con te."

Sherlock sbuffò agitando la chioma nera, ci guardava mascherando la sua felicità, sapeva che suo fratello ora era al sicuro. Dopo tanto tempo ora poteva lasciare andare la sua irritazione e le incomprensioni che lo avevano allontanato da Mycroft.

Sogghignò. "Fa il bravo fratello, fate i bravi tutti e due, non voglio più riaggiustare i vostri cuori infranti." 

 

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Capitolo 41
*** L'angoscia di Mycroft ***



La serata trascorse tranquilla, dopo cena ci ritirammo nella sua camera. Volevamo restare un po' insieme. Sherlock e John non dissero nulla che potesse ferirci, capivano che volevamo un po' di privacy.

"Se sto meglio e riprendo a lavorare ci trasferiremo a Pall Mall?" Eravamo seduti sul letto con le mani vicine. Mycroft sembrava impaziente di iniziare una vita insieme, ma anch'io lo desideravo.

"Dagli esami e se il tuo ginocchio migliora, ci possiamo provare." Lui annuì, titubò solo per un attimo.

"Se avessi qualche crisi, ti peserei molto. E tu devi lavorare."

Gli sorrisi e gli sfiorai le dita della mano. "Vediamo come ti trovi con la cura, i problemi li affronteremo in seguito. Intrecciò le dita alle mie. "Non so come aiutarti Laura, cercherò di controllarmi." Mi fece tenerezza detto da lui che teneva salde le redini dello stato.

"Lo sai che non dipende da te. Ora che siamo più vicini spero che questo ti dia la giusta tranquillità." Appoggiò la sua fronte sulla mia.

"Stare con te mi aiuta, ma vederti penare mi uccide. Non sono abituato a lasciarmi andare. Lo sai."

Gli accarezzai la nuca con dolcezza.

"Ti conosco mio ice man, ora sono più consapevole dei tuoi punti di pressione."

Lo abbracciai e rimanemmo così per un po'. Lo aiutai a indossare il pigiama, non si ritraeva alle mie cure e accettava che la nostra familiarità si saldasse, mostrandosi come mai aveva fatto prima.

Ridevo mentre brontolava quando gli infilavo il pigiama mezzo storto, e lo sistemava subito con la solita cura.

Mentre si infilava nel letto mi venne voglia di stare con lui, di andare oltre.

"Che ne dici se rimango con te questa notte? Il letto è abbastanza grande."

Aspettai la sua risposta con tranquillità, gli occhi gli brillavano pieni di malizia.

"Certo che sì, ma a tuo rischio e pericolo, non so se sarò molto gentleman."

"Uhm... metterò a repentaglio la mia sorte, vado a mettere il pigiama e torno." Spalancò la bocca per dire qualcosa ma si trattenne e ridacchiò complice. "Attenta ai nostri coinquilini! La tua reputazione..."

"Capiranno." Agitai la mano e uscii felice di passare la notte con lui.

C'era solo Sherlock che armeggiava al microscopio, alzò la testa e la scosse, ma quando tornai in vestaglia e in pantofole, non riuscì a trattenere un sorriso ironico.

"Dio mio, Laura. Bada che è ancora a pezzi."

Gli restituii una smorfia beffarda. "Cercherò di aggiustarlo, tranquillo."

Ritornò a guardare nel microscopio passandosi una mano nei ricci neri.

"Due adolescenti, ecco cosa siete." Ridacchiai mentre entravo nella stanza.

Mycroft, sospirò. "C'era Sherlock immagino!" Sollevai la mano per allontanare ogni dubbio.

"Va tutto bene." Mi tolsi la vestaglia e presi il libro per leggere un po'.

"Delizioso il pigiama rosa con gli orsetti, Laura." Rise così forte che inclinò la testa all'indietro sbattendo la nuca sulla spalliera del letto.

"Cosa pretendevi? Che scendessi con una lingerie di pizzo trasparente? Ancheggiando per tutta la casa?"

Si massaggiò la testa mentre mi osservava divertito. "Beh, magari più avanti, però non mi sarebbe dispiaciuto."

"Smettila, non siamo soli." Mi alzò la coperta perché scivolassi al suo fianco. Indicò i miei piedi. "Sono ghiacciati come al solito?"

"Sì, ti ci devi abituare, my british government."

Mugugnò tirandomi vicino a lui, mi accarezzò la schiena.

"Mi piacciono gli orsetti. Da bambino li amavo, ora che te li vedo addosso ancora di più."

"Non riesco a immaginarti, piccolo e che ti abbracciavi a dei pupazzi a forma di orso. Dovevi essere carino."

Gli diedi una gomitata indulgente e iniziai a leggere, si accoccolò sulla mia spalla, ma

era poco attento, sbagliai la pronuncia un paio di volte e nemmeno se ne accorse.

Era impegnato ad accarezzarmi le spalle, a toccarmi i capelli, a scendere sul collo. Il suo respiro si face rapido, si soffermò con le dita sulla ferita di mesi prima.

"Mi dispiace per quella volta. Ti misi in pericolo." Mi soffiò nell'orecchio, il suo alito caldo mi fece rabbrividire e mi baciò.

Quel gesto gentile annullò la cicatrice e una sensazione smaniosa mi percorse il collo, il libro mi cadde sul letto.

Era così vicino, si offriva colmo di tutto quell'amore che in quei mesi avevamo dovuto trattenere. Ma per un breve istante mi chiesi se lui fosse pronto, se non fosse troppo presto.

"Sei sicuro Myc? Per me va bene." Gli sussurrai inquieta, ma in risposta mi prese il volto fra le mani. Le sue labbra non volevano altro, fu il bacio più intimo e dolce che avessi mai immaginato.

Lo avvolsi tra le mie braccia, e allacciai la sua schiena che era ancora ferita dalle torture.

Sapevo che poteva eccitarsi, com'era naturale avvenisse, e sentire dolore. Mi staccai brevemente per dargli tempo.

"Piano, Myc, coccoliamoci un po'." Cercai di convincerlo a essere cauto, lui capì.

"Non essere in pena per me, Laura, anche tu hai sofferto. Voglio solo sentirti vicina e non andremo oltre."

Ci desideravamo, sentivamo la voglia di conoscerci, di toccarci, le nostre mani erano vogliose della nostra pelle accaldata. Gli sbottonai la giacca del pigiama, la lasciai scivolare sul letto, non mi staccavo dai suoi occhi. Mi tremarono le mani mentre gli sfilavo la maglietta bianca, sul suo petto liscio c'erano ancora degli ematomi e sussultai addolorata.

"Va tutto bene Laura." Sussurrò con un bacio dolce sulle mie labbra.

La mano sul suo petto, avvertiva la forza dei suoi muscoli, nonostante quello che aveva sofferto, la sua pelle mi rendeva un piacere palpitante mentre lo sentivo infiammarsi. Percorsi con le dita, quei segni di tortura mentre mi toglieva la maglia con gli orsetti e trasaliva nello scoprirmi.

"Allora c'era del pizzo, mia dottoressa operosa." Sussurrò appoggiando un bacio sull'incavo del collo. Il reggiseno bianco ricamato lo fece arrossire di piacere e voglia.

Lo aiutai a sfilarlo, fui libera da costrizioni e la mia nudità lo fece ardere di desiderio.

"Laura, sei dolcissima...va tutto bene?" Si assicurò con gentilezza.

lo invitai a continuare, mentre le mie mani erano sul suo torace voraci di sentire la sensazione di piacere che emanava il suo corpo. Il suo profumo era piacevole, liberava una voglia che stentavo a trattenere. Le sue dita sottili, quelle libere dalle fasciature, mi accarezzarono delicatamente i seni, avvicinò il suo volto e mi ricoprì di baci sensuali e leggeri. Il piacere che avvertii fu irrefrenabile e quella prima sensazione eccitante mi sconvolse. Non avevo mai provato quel desiderio lussurioso che mi pervadeva e soprattutto sentivo una voglia crescente di essere sua.

"Laura, devo rallentare." Mormorò smarrito ed eccitato, allontanò le mani, le fece scivolare sui miei fianchi, assaporò la consistenza della mia pelle. Rallentai le mie carezze per aspettare che prendesse le misure del suo piacere.

Avevamo bisogno di conoscerci entrambi. Lo vidi adombrarsi, anche se solo per un attimo. Socchiuse gli occhi e abbassò la testa.

"Myc tranquillo, sono qui per te." Avvicinai la mia fronte alla sua, intrecciai le dita dietro la sua nuca e lo coccolai cercando di calmarlo.

Respirava affannato, il suo cuore era accelerato, le sue mani mi cingevano la schiena, salivano e scendevano restituendomi una serie di brividi, affondò il suo volto fra i miei seni, iniziò un gioco delicato di baci e respiri caldi che lambivano la mia pelle sensibile. Persi il tempo e la ragione, avvertendo solo lui e il suo corpo.

Ma nello stesso istante lo sentii ritrarsi, ansimando sconvolto, gli occhi limpidi si oscurarono, li socchiuse, sentivo che non riusciva a controllarsi.

Le torture e gli abusi avevano lasciato degli strascichi notevoli. Si contrasse, la mascella stretta dolorosamente, irrigidì le gambe, tese tutto il corpo magro e imprecò.

In quel momento lo persi, era andato oltre.

"Myc rilassati. Forse siamo stati troppo impulsivi." Cercai di prendergli il volto fra le mani ma si girò e lo affondò sul cuscino, singhiozzò, mentre si portava le mani all'inguine. Gli uscì un lamento roco che mi trafisse il cuore.

"Scusami, Laura, non mi controllo. Ho fatto un pasticcio."

Gli accarezzai le spalle, lo baciai fra le scapole tese. Appoggiai il mio seno alla sua schiena rendendogli calore e amore. Ma il conforto era inutile perché prese a tremare.

"E' la prima volta, dobbiamo essere pazienti, Myc. Non angustiarti."

"Laura, il dolore è forte." Mi rivestii per non urtarlo. Non volevo farlo sentire in colpa. Il medico che era in me prese il sopravvento.

"Non contrarti, rilassati, rimani disteso a pancia sotto e allunga le gambe. Tieni le braccia e le mani lungo i fianchi."

Era a schiena nuda. "Sta tranquillo, ti faccio un massaggio leggero."

Lasciò che le mie mani lo confortassero, iniziai dal collo e scesi sulle spalle tese, piano e con movimenti circolari arrivai fino al fondo della sua schiena irrigidita. Sui fianchi spinsi di più, mentre fui più delicata al centro, appena sotto l'elastico dei calzoni del pigiama. Il calore delle mie mani lo calmava, il respiro si fece regolare, smise di sussultare, le mani si distesero e si rilassò.

"Vuoi parlarmene Myc? Dovresti provarci. Ti aiuterebbe."

Decisi di andare oltre, doveva rivivere le sue paure. Glielo chiesi con gentilezza accarezzandogli la nuca, sperando si sbloccasse.

Era il momento giusto, sapevo che non era facile per lui così controllato e arroccato nelle sue convinzioni.

Mi stesi al suo fianco, il suo volto era affondato nel cuscino. Gli sussurrai nell'orecchio.

"Fammi vedere i tuoi occhi Myc. Non privarmi del tuo sguardo. Sai che sono testarda e non me ne andrò."

Si sollevò adagio, appoggiò la testa rivolto verso di me, gli occhi umidi.

Respirò troppo in fretta, come avesse freddo, lo tirai verso di me presi la sua maglia e lo rivestii, gli feci indossare la calda giacca del pigiama. Cercava conforto e si strinse forte a me, con la voce angosciata iniziò a liberarsi del passato.

"Laura, sai quello che mi hanno fatto, lo hai visto dalle ferite. Non avevo pensato che arrivassero a tanto." I nostri volti quasi si toccavano. Sospirò più volte in cerca di forza. La mia mano era sulla sua guancia ormai ispida, continuò con la voce addolorata.

"Mi vennero a prendere nella mia cella, ero ferito e sporco. Immaginavo un ulteriore interrogatorio. Il mio gioco era semplice, consegnavo loro alcune password fasulle per prendere tempo e aspettare l'arrivo di Sherlock. E invece quell'ultimo giorno giunsero degli ordini, parlottarono tra di loro e il resto fu un incubo."

Sussultò, lo fermai per fargli prendere fiato, facendogli sentire la mia vicinanza. "Ora lo sai Laura di chi erano quegli ordini." Continuò con la voce incerta.

"Feci resistenza quando capii quello che volevano farmi, perché mi denudarono, mi tolsero i calzoni e mi sentii esposto in modo vergognoso. Fui legato a una sedia di ferro aperta sotto. Non mi fu difficile capire quello che volevano farmi. Sopra il tavolo di metallo c'era un generatore di corrente e nelle mani di uno di loro, quello strumento che chiamano picana."

Rabbrividii pensando a quella specie di bastone elettrificato che usavano nelle parti intime della vittima.

Una smorfia di dolore gli deturpò il volto. Si contrasse in posizione fetale, riportò le ginocchia sul mio ventre. Gli presi le mani e le strinsi con forza.

"Va tutto bene, liberati da quell'incubo."

Lo baciai castamente, finché non si rilassò abbandonando le mie mani. Tremando accarezzò il mio volto. "Mi dispiace per il tormento che ti sto causando Laura."

Era vero che avvertivo dentro un dolore acuto che mi prendeva lo stomaco, ma sorrisi cercando di rassicurarlo. Riprese a parlare con una mestizia oscura.

"Gridai così tanto per la rabbia, la sofferenza e l'impotenza che provai per quel supplizio vergognoso quando cominciarono con le scariche elettriche. Un dolore atroce mi fece svenire due volte." Prese una pausa mentre lo tenevo vicino a me. Riprese avvilito. "Se smettevano era perché rivelassi i codici veri. Malvest era venuto a conoscenza che le password non avevano funzionato, e così spaventato dalle minacce dei serbi ordinò quella tortura brutale. Aveva poco tempo e per non deluderli, infierì."

Lo fermai con un bacio sulle labbra perché tremava così tanto che mi spaventai.

Mi fissava con gli occhi spenti, forse nemmeno mi vedeva, sapevo quanto fosse devastante lo schifo che aveva subito, ma ero decisa che si togliesse quel ricordo brutale.

Lo tenni stretto mormorandogli che c'ero, lui prese forza e continuò.

"Mi svegliarono con dell'acqua ghiacciata, mi ritrovai nello stesso incubo dolorante, sporco e sanguinante, pensai di morire devastato in quel modo." Prese tempo stringendo il mio volto rigato di lacrime che non riuscivo a trattenere. "Ci fu un breve attimo che ti pensai, nella speranza di tornare, di abbracciarti, di dirti che ti amavo più di prima."

Fu io che lo strinsi più forte. "Ora sei qui Myc, con me." Socchiuse gli occhi travolto dal rimpianto.

"Il mio corpo non rispondeva più alla mia mente, per anni mi ero impegnato a costruire la mia personalità, fredda, distaccata, arrogante, ma in quel momento piangevo e imploravo come un bambino che la smettessero."

"Come pensavi di poter resistere Myc, nessuno può."

Si portò le mani alle tempie, e strinse forte. "Non ero più niente, Laura, nemmeno un uomo, mi avevano tolto la mia dignità. Un pensiero cattivo, terminale mi passò nella mente, volevo mettere fine a tutto, inclinai la sedia puntandomi sulle gambe e spinsi con tutta la forza buttandomi sul tavolo che avevo davanti, la fronte colpì lo spigolo e iniziò a sanguinare. Li sentii imprecare e urlare ma solo per poco, perché presto tutto divenne nero." Soffocò un singhiozzo cupo, che sembrava venirgli dall'anima.

Fui felice che Malvest pagasse per il male che gli aveva fatto. Avrei rifatto la scelta di consegnarlo ai suoi aguzzini mille volte ancora.

"Quella ferita che hai sulla fronte è dovuta a quella decisione terribile?"

"Sì, e li fermò e fu la mia salvezza, perché ore dopo mi risvegliai nella cella con Sherlock che mi sussurrava di resistere, che mi parlava di te che mi aspettavi. Mi dava il primo soccorso, ma soprattutto vide cosa avevo subìto, mi coprì con il suo cappotto, per nascondermi dagli sguardi indiscreti degli altri agenti. Li mandò via per curarsi della mia privacy, ebbe cura di proteggermi. Mi portò fuori in braccio, con una forza che non mi sarei mai aspettato."

Rimasi senza respiro per la bellezza di quel gesto, per quell'amore protettivo e fraterno di Sherlock.

"Nessuno ti ha mai abbandonato Myc, soprattutto tuo fratello." Alleggerito dal racconto di quelle torture disumane sorrise placato e si tirò su appoggiandosi alla spalliera, mi avvicinai e mi posai sulla sua spalla.

"Un volo mi riportò in patria, in quella clinica che hai visto oggi."

"Perché decidesti di lasciarmi?" Si fece serio, ripercorreva quei giorni difficili.

"Quando mi resi conto di non poter gestire il mio corpo e che avrei compromesso la nostra intesa sessuale, capii che dovevo lasciarti andare, non dovevi rimanere per pietà." Appoggiò la nuca sollevando lo sguardo al soffitto.

"Senza chiedere il mio parere? Myc, mi hai allontanato, tu che sapevi cosa avevo subìto. Non pensavi che avrei capito più di qualsiasi altra?" Soffio aria e tornò a guardarmi.

"Laura te ne renderai presto conto che il sesso è importante per una coppia." Mi prese il volto fra le mani.

"Io voglio che tu sia appagata dalle mie attenzioni, e invece guardami cosa ho combinato. Non ho avuto il controllo del mio corpo...non sono riuscito a trattenermi..."

Gli sorrisi perché sapevo che presto sarebbe stato bene, ma eravamo impazienti entrambi.

"Andrà meglio, non voglio vederti abbattuto, non tornare a chiuderti in te stesso. Abbiamo tempo."

Si portò le mani negli occhi, strinse forte da farsi male.

"Laura come potrò amarti in queste condizioni e con il desiderio che provo nel vederti e nel sentirti."

Non c'era modo per ora di consolarlo, fui solo delicata mentre lo avvolgevo in un abbraccio.

"Non pensarci. Ti ricordi della barchetta che dobbiamo far navigare? Togli quelle mani e guardami."

Si abbandonò lasciò scivolare le mani sul lenzuolo. Mi fissò tristemente pieno di dolore.

"Non provare a lasciarmi, non provare ad avvilirti, non allontanarti da me. E soprattutto non darla vinta a tutti quelli che ci sono contro."

Ero con lui, non mi sarei mai arresa.

Accennò un sorriso e finalmente ridacchiò puntando l'indice sul mio pigiama.

"Preferivo il pizzo bianco, mi intrigava di più. Gli orsetti sono simpatici, ma quel delizioso reggiseno era affascinante. Sei bellissima e adorabile mia dolce dottoressa paziente."

"Non sono più operosa?" Rise. "No hai una pazienza sconfinata." Lo abbracciai così forte che si lamentò.

"Laura mi fai male! Sei irruente."

"Per così poco? Vedrai quando starai bene." lo cinsi forte e lui mi ricambiò. Ora tutto quello che aveva passato era sepolto sotto una lapide scura che nessuno avrebbe più rimosso. Lo baciai più volte felice che si fosse liberato dal dolore.

Lo aiutai ad alzarsi e lo accompagnai in bagno. Cercai un paio di boxer puliti, glieli allungai attraverso la porta socchiusa.

Gli lasciai la sua privacy, mi appoggiai con la schiena al muro con le braccia conserte ad aspettarlo.

"Sai Myc? Te ne voglio regalare un paio con degli orsetti. Che ne dici?"

Si affacciò alla porta socchiusa, sembrava aver superato l'imbarazzo del nostro primo rapporto.

"Non ci provare ho una certa dignità!" Borbottò imbronciato, poi sorrise vedendo che ridevo.

"Tanto te li regalo lo stesso." Gli risposi ironica, lo sapeva che non avrei desistito.

"Laura, sei una selvaggia." Da dentro il bagno sentii un sospiro rassegnato. "Se li indosso, quando sarà l'occasione giusta, me li toglierai tu? Che dici, stringiamo un patto."

Si riaffacciò alla porta socchiusa con un sorriso provocante sul volto, gli occhi luccicanti.

Strinsi le labbra, lo feci penare giusto due secondi.

"Accettato, quando sarà il momento giusto te li sfilerò via io e vedrai...."

Ritornò dentro ridendo.

"Mi ripeto, sei una selvaggia, ma ti amo così tanto Laura."

 

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Capitolo 42
*** La misura del dubbio ***


La nostra prima notte era passata senza ulteriori problemi. Eravamo rimasti accoccolati divorando pagine del nostro libro. Mycroft aveva letto per me, mentre con la testa sul suo petto ascoltavo la sua voce calda e il suo cuore.

Alla fine eravamo scivolati nel sonno e lui non si era mai mosso per quasi tutta la notte, ero io che spesso mi spostavo.

Le rivelazioni sulle torture che aveva subìto mi avevano agitato, e finivo per trovarmi addossata al suo fianco. Lo sentii mugugnare un paio di volte, ma fu paziente e non mi allontanò sopportando la mia invadenza. Quel nostro stare insieme diventava sempre più familiare ed era sconcertante vedere quanto fosse cambiato il mio Ice man.

La mattina mi ritrovai con il suo viso davanti. La mia mano appoggiata sul suo fianco e la mia gamba pericolosamente infilata tra le sue.

Mi ritrassi cercando di non svegliarlo. Mi intenerii osservandolo abbandonato al sonno: era sereno, la fronte distesa, le labbra formavano due fossette delicate sulle guance. I capelli che stavano ricrescendo erano scompigliati, i pochi gli invadevano la fronte. La ferita si era fatta meno vistosa, meno arrossata e quasi coperta dai capelli. Aveva il braccio piegato con la mano magra sotto al viso, l'altra, quella con la ferita da taglio, lungo il fianco. Entrambe mostravano la ricrescita delle unghie.

Ero imbarazzata dalla mia curiosità, temevo si svegliasse e mi cogliesse in difetto.

Il suo corpo asciutto era avvolto nel pigiama, le sue gambe lunghe, distese. I suoi piedi erano vicini ai miei. Il ginocchio ferito era leggermente piegato. Come avesse potuto sacrificarsi per la governance e sopportare quello che gli avevano fatto era per me incomprensibile, ma il lavoro per lui era tutto.

Mi venne una voglia malsana di toccarlo, di accarezzarlo, mi sentii turbata dal desiderio impudico che provavo, dalla voglia che sentivo. Pensai che la definizione giusta fosse "lussuria."

Lasciai scivolare la coperta e lo fissai mentre respirava regolarmente, inconsapevole dei miei pensieri indecenti. Aveva ragione sul fatto che lo avrei desiderato carnalmente e questo mi scombussolava nel profondo.

Non avevo conosciuto intimamente altri uomini dopo la violenza. Mi ero isolata, e ora avere Myc così vicino mi metteva in agitazione. Non lo conoscevo ancora così bene, solo quei pochi baci sul seno mi avevano creato un desiderio crescente. Se avesse continuato non sarei riuscita a fermarlo.

Non sapevo come avrei reagito quando lui avrebbe avuto la capacità di essere pronto al rapporto completo.

Tremai, mentre la follia di quella notte in Italia mi ritornò in mente: lo stupro e la morte dei miei genitori mi avevano segnata per sempre.

Avevo fiducia nell'uomo che era, ma prima lui doveva sentirsi sicuro, guarire nell'anima, poi avrei pensato a dirgli le mie paure.

Eppure sentivo un desiderio carnale mai provato, che mi sconvolgeva. Chiusi gli occhi, dovevo essere saggia e gestire la cosa senza lasciarmi travolgere.

"Uhmm, che fai Laura?" Si era svegliato, borbottò qualcosa di indecifrabile ancora assonnato.

"Ciao, Myc, spero di non averti dato il tormento." Lo accarezzai sulla guancia. Aprì un occhio e mi fissò.

"Che stavi facendo? Sembri sveglia da un po'."

"Nulla, ti osservavo, dormivi così bene."

"Aspetti il bacio del buongiorno?" Sorrise e si sollevò.

"Anche, ma devo andare al lavoro perché è già tardi."

Mi prese per la vita e mi tirò a sé. "Baciami, poi ti lascio andare." Gli diedi un bacio gentile, non particolarmente focoso, e se ne accorse.

"Che c'è? Tu stai pensando a qualcosa." La sua mano era sul mio fianco, l'altra tra i miei capelli che li arruffava.

Mi guardò con attenzione, distolsi gli occhi, non volevo che capisse il mio tormento.

"Hai paura di me, mia dottoressa operosa?" Presi tempo imbarazzata e cercai di scivolare fuori dal letto, ma lui mi tenne per la mano. "Laura, non reagire così, dimmi quello che temi. E forse per ieri sera? Ci vuoi ripensare?"

Risposi con forza eccessiva. "No, no di certo."

"E allora, cosa?" Era accigliato, la fronte contratta, mi osservava perplesso.

Era tardi, evitai di parlarne e non mi accorsi di insinuargli il dubbio.

"Ascolta Myc. Non si tratta di te, ma di me. Ti spiegherò tutto ma ora devo andare. Ma sta sicuro che non è per ieri sera."

Mi lasciò la mano, era facile per lui leggermi dentro con quella intelligenza deduttiva che si ritrovava.

Mormorò comprensivo. "Non avere paura di me, Laura. So cosa hai passato."

Mi alzai troppo in fretta e troppo agitata, indossai la vestaglia sgarbatamente.

"Scusami, Myc, a volte il passato mi uccide. E divento instabile, credo di capire poco o nulla di me stessa..."

Si tirò su facendo leva sulle braccia.

"Stai rivolgendo tutte le attenzioni su di me, ma anche tu sei ugualmente ferita." Non aggiunsi altro, lo baciai sulla fronte e lo lasciai nel letto contrariato.

Lo sentii sospirare mentre uscivo dalla stanza, incapace di tranquillizzarlo.

Volai letteralmente al san Bart. Molly mi aspettava impaziente.

Le raccontai, come un fiume in piena, il motivo della mia assenza. Sorvolai sulla parte intima del mio rapporto con Mycroft, ma le parlai delle nuove difficoltà che nascevano e di quelle che invece si scioglievano.

Lei mi spronò a continuare senza dimenticare anche me stessa. Fu più un'amica che una tutor. Mi prese il braccio con uno sguardo radioso.

"Ti lascio in mano il laboratorio, hai delle autopsie da completare. Aspettano i referti a Scotland Yard. Hanno un'ottima opinione di te." Si fermò con un sorriso enorme e gli occhi brillanti. "Credo che il san Bart ti contatterà per rinnovarti il contratto. Sei diventata indispensabile in tempi come questi."

La fissai incredula, lei rise divertita. "Complimenti, dottoressa Lorenzi."

Non riuscii a trattenere un urlo di gioia, e tutta la mia indole italiana venne in superfice: abbracciai Molly così forte che si lamentò. "Grazie Hooper sei stata fantastica come insegnante e come amica." La baciai sulla guancia e rimase stupita.

"Tieni questi baci per il tuo Holmes, Laura." Ridacchiò rossa in volto.

"Ne ho molti da regalare Molly, siete stati tutti così comprensivi." Lei si schernì agitando la mano...

"Ti auguro tutta la felicità che meriti. Ora parto per il San George. Se ci sono problemi chiamami, sei tu la referente ora."

Ero al settimo cielo, ero una patologa forense e sarei rimasta a Londra per molto tempo.

Molly se ne andò poco dopo. Ero così entusiasta che lavorai tutta la mattinata scordandomi in parte i problemi con Mycroft.

Dovevo stabilire le cause della morte di una giovane donna deceduta in un improbabile incidente domestico, la Yard aveva dei dubbi.

Buona parte del tempo lo trascorsi in sala autoptica dimenticandomi il cellulare sulla scrivania e finendo per trascurare tutte le chiamate personali.

Presa dall'ingrato compito di sezionare il corpo, non mi accorsi che Mycroft era entrato in laboratorio. Aveva ancora la chiave di accesso che probabilmente gli era rimasta nel periodo che frequentava il San Bart. Vidi il suo volto che sbirciava dalla porta della sala sterile.

La mia sorpresa fu grande, tanto che lasciai cadere il bisturi a terra sbalordita per quella visita inaspettata.

"Che ci fai qui?" Sbottai con gli occhi spalancati. "Non è un bel posto dove stare."

Raccolsi il bisturi e lo posai nello sterilizzatore a secco, mi tolsi i guanti e lo raggiunsi sulla porta con l'intenzione di fermarlo.

"Lo sai che ore sono, Laura? Sai quante volte ti ho chiamato?" Cercava di mascherare un'irritazione crescente, appoggiò le stampelle alla porta, si resse in equilibrio sulla gamba sana.

La mia reazione fu da manuale: arrossii con le guance in fiamme. "Scusami, ho lasciato il cellulare sulla scrivania." Borbottai colpevole.

"Di solito non lo abbandoni in giro, perché è importante averlo vicino con il lavoro che fai." Mi redarguì con un vigore inaspettato, incrociando le braccia.

"Mi sono già scusata, Myc." Mormorai, cercando di rabbonirlo mentre lo spingevo fuori dalla sala autoptica, ma si impuntò e non lo smossi di un metro.

Mi accorsi subito della sua freddezza, non aveva perso la sua irritante ingerenza nella vita degli altri ed era facile innervosirlo per un nonnulla, soprattutto per me che disubbidivo ai suoi standard di sicurezza.

"Hai così tanto da fare," affermò sarcastico, "che sono le tre e probabilmente ti sei dimenticata di mangiare!"

In effetti era tardissimo e avevo saltato il pranzo.

"E dai Myc, ero troppo presa dal lavoro." Agitai la mano infastidita, ma poi mi ricordai della bella notizia e sorridendo aggiunsi. "Oggi Molly mi ha confermato che sarò assunta e mi sono sentita investita di responsabilità e piena di voglia di fare." Ma ottenni da parte sua soltanto una smorfia distaccata.

"Lo vedo." Replicò piccato senza gioire della notizia.

Persi la pazienza. Se iniziava con queste ridicole gelosie non saremmo andati lontani con la nostra "barchetta."

"Ma che ti prende Myc? Dove potevo essere? E cosa potevo fare se questo è il mio lavoro!"

Strinse le labbra e si aggrappò con la mano al battente della porta. Eppure sapeva che era importante per me farmi valere e dimostrare che ero degna di quell'incarico. Così lo rimarcai in modo tosto.

"Non assillarmi nel mio lavoro Myc, perché io non lo farò con il tuo."

Attenuò leggermente il disappunto sul suo volto, scosse la testa e si addolcì con un sospiro di resa.

"Scusami, mi sono comportato da stupido. Ero in pensiero per stamane, non riuscivo a capire cosa ti fosse successo e mi sono sentito in colpa."

Capii perfettamente che si era fatto un sacco di domande per il mio atteggiamento scontroso.

"Va bene, hai ragione non sono stata chiara, ma non cominciamo a litigare per questo." Gli sorrisi pentita. "Quando lavorerai anche tu, immagino che dovrò aspettarti ed essere paziente." Chiusi il discorso e lo spinsi fuori, ma lui insistette.

"Sto con te se non ti dispiace. Vorrei vederti al lavoro." Mi regalò uno sguardo costernato, evidentemente non voleva rimanere da solo ad annoiarsi in laboratorio.

"Uhmm, non è un bel posto e sto sezionando Myc, non vorrei doverti soccorrere." Scosse la testa con decisione.

"Ti osservo soltanto." Pregò con la voce addolcita. Sospirai perché era un testardo impenitente.

"Va bene, ma seduto e un po' lontano." Lo aiutai a indossare le protezioni ed entrò con me trascinando le stampelle.

Lo feci sedere dove non avesse la vista totale sul corpo e ripresi a lavorare assicurandomi che fosse comodo.

"Certo che sei strano mio Ice Man, non è da tutti assistere a una autopsia." Risi sotto la mascherina ma lo osservavo attenta che non cambiasse colore.

"In verità ero in ansia per stamattina. E saperti qui non mi tranquillizzava."

"Dove dovevo essere, sarò spesso qui da oggi in poi." Annuì consapevole che avevo bisogno della sua fiducia, rimanemmo silenziosi mentre lui osservava tutto con attenzione.

"Sei molto più esperta adesso. Chi è quella povera donna?"

"Una morte sospetta, un incidente dovuto ad una caduta dalle scale." Alzai lo sguardo. "Purtroppo però era già morta."

"Come già morta?" Chiese aggrottando la fronte e allungando il collo.

"Soffocata, forse un cuscino. Poi buttata dalle scale."

"E da cosa lo vedi?" Chiese attento.

"I polmoni collassati, il colore della pelle. Le fratture non erano mortali. E poi altre cose strane. Sai, aveva abortito, e nelle testimonianze il marito non ne sapeva nulla."

"Forse aveva un amante, che non voleva il figlio." Sentenziò scuro in volto, si avvicinò. Lo fulminai con lo sguardo. Alzò la mano per tranquillizzarmi.

"Lasciami fare Laura, sto bene."

Osservò il corpo da più vicino.

"Era una donna curata, ma nel passato si era lasciata andare ed era ingrassata, la pelle ne dimostra il dimagrimento." Si fermò a riflettere. "Si era riappropriata della sua vita, la sua muscolatura era più tonica. Le mani curate, le unghie laccate."

Girò attorno al tavolo zoppicando mentre lo osservavo stupita.

"Teneva al suo corpo, faceva attività fisica, ha delle vesciche sui piedi, le scarpe non erano adatte e ha camminato molto." Indicò le piante dei piedi che avevo già osservato.

Concordai con le sue riflessioni, lo fissai ironica.

"Mi rubi il lavoro adesso, Smart One?" Scosse la testa e rise. Per lui era un gioco, per me un lavoro. Però non lo fermai perché era sorprendente vederlo dedurre come faceva Sherlock.

Visto che lo approvavo, continuò.

"Un amante violento, guarda i suoi polsi," indicò un ematoma sottile, era straordinario il suo modo di ragionare. "eppure lei continuava ad amarlo, quelli sulla coscia sono graffi che le ha lasciato nel impeto di possederla." Era vero, li avevo notati e avevo pensato che fosse un tipo focoso, forse troppo.

"Si curava i capelli, ma ha cambiato la tinta ultimamente. Era più scura poi si è fatta bionda. La tinta è recente e dalla foto è sempre stata mora. Una signora non cambia così facilmente la propria immagine, probabilmente lo ha fatto per piacergli di più."

Mi indicò la cartella che era aperta sulla scrivania, dove c'era una foto della donna, aveva sbirciato di nascosto. Mi fissò orgoglioso di avermi sorpreso.

"Lui era un bastardo esigente e faceva quello che voleva. Non credo sia difficile trovare un tipo simile fra le sue conoscenze." Continuò con voce bassa.

"O Myc, sei decisamente un genio." Ridacchiai, aveva confermato i miei sospetti, solo che ci aveva messo meno tempo.

"Basta osservare Laura, tutto quello che siamo lascia un segno." Era vero ma dietro ad un corpo c'era dell'altro.

"Quando sezioni un cuore, non è mai solamente un muscolo, sembrano tutti uguali, ma non è così. Credimi."

Mi rivolse uno sguardo attonito, non capiva dove volessi arrivare. Forse gli sembrava una considerazione fuori luogo.

"E quindi?" Buttò lì distrattamente, ma era come sempre attento.

"In realtà sono tutti diversi, questo per esempio ha sofferto, ha gioito, si è anche ammalato. Era parte della vita di questa donna." Riflettevo a voce alta continuando il mio lavoro.

"Sei malinconica Laura." Accennò un mezzo sorriso e chinò il capo.

"A furia di vedere corpi martoriati cerco di scorgere in loro una specie di eternità." Il suo rimbrotto arrivò chiaro.

"Decisamente malinconica! Che hai?" Inclinò il capo di lato. "Se ce ne andassimo a fare due passi? Ti farebbe bene una pausa." Era sarcastico ma la voce ebbe un leggero tremore, si era allarmato.

"Oh Myc, stare con i morti ti cambia. Ti accorgi di quanto sia bello essere vivi, sani e di vedere la bellezza del sole, la vita a volte può essere molto breve." Aggrottò le sopracciglia, un arco perfetto sopra i suoi occhi grigi.

"Laura, devo preoccuparmi? Sei diventata fatalista e filosofa e non so quale parte mi spaventi di più."

Zoppicò senza le stampelle fino a me. Aveva le mani affondate nelle tasche, e si dondolava come faceva quando rifletteva o cercava risposte.

"Già, hai ragione, finisco e poi passiamo del tempo insieme..." Sentivo il suo sguardo che mi studiava cercando la crepa in quella frase incomprensibile.

"Va bene ti aspetto." Smise di dondolarsi. La gamba richiedeva le stampelle, mi allontanai e gliele portai.

"Anch'io sento il bisogno di starti vicino." Il suo volto si era disteso, rilassò la fronte, liberò le mani dalle tasche, ma non smise di seguirmi con gli occhi.

"Oggi sei distante. Non mi piace Laura."

Una leggera insicurezza lo fece barcollare mentre si sosteneva con le stampelle, ma la mascherò in fretta, non voleva appesantirmi con i suoi problemi fisici.

Sentiva che quella mattina qualcosa mi aveva preoccupato.

Mi venne una curiosità, mi avvicinai e gli chiesi. "Hai detto che basta osservare per dedurre, allora lo fai anche con me?"

"No." Ribadì risoluto. "Con le persone che amo non lo faccio, a meno che non sia necessario."

"E stamattina era necessario?" Chiesi guardandolo in volto.

"Credo di sì, eri cambiata, eri turbata..." Mormorò con un filo di voce poi si zittì. "Però non l'ho fatto, voglio che sia tu a parlarne." Io presa in contro piede non risposi.

Lo spinsi sulla sedia, gli feci cenno di rimanere seduto. Portai il corpo della donna nella cella frigorifera. Pulii come al solito e riposi i reperti. Lui mi guardava attento, soppesava i miei spostamenti e io mi sentivo in esame. Rimanemmo congelati nei nostri dubbi come quella stanza fredda.

Mi seguì strascicando le stampelle, fui scortese perché non lo aiutai. Ero presa dall'ansia di dovergli delle spiegazioni.

Raggiungemmo il laboratorio. Ci togliemmo le protezioni non guardandoci in volto.

Era tardi, non avevo mangiato nulla e forse nemmeno lui. Non si era preso la briga di portarmi del cibo, almeno il conforto di una tazza di tè. Si era chiuso nel dubbio che mi fossi pentita.

"Devo stilare il resoconto, se vuoi aspettarmi rimani seduto e in silenzio, poi ce ne andiamo."

Annuì, con gli occhi puntati verso di me, si distese sulla poltrona di fronte, allungò la gamba.

"Però non continuare a guardarmi così, prendi leggi questo libro che tengo con me."

Gli porsi una guida di Londra, la accettò brontolando e come uno scolaretto in punizione la prese e si finse interessato.

 

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Capitolo 43
*** Problemi e Chiarimenti ***



Avevo compilato schede e resoconti e li avevo inviati senza fretta allo Yard. Mycroft, seduto sulla poltrona era irrequieto, sfogliava la guida di Londra senza voglia, lo sorpresi un paio di volte a guardarmi di nascosto.

Si schiarì la voce. "Hai acquisito sicurezza nel tuo lavoro, Laura. Scusami per non essermi complimentato per la tua assunzione. Te la meriti." Finalmente aveva biascicato due parole uscendo da un imbarazzante mutismo.

"Grazie, detto da te è un grande complimento, ma ora la tua tortura è giunta al termine: ho finito e possiamo uscire." Non se lo fece dire due volte, si alzò con una rapidità inusuale nonostante le stampelle e prese il cappotto.

Albert come sempre ci aspettava in auto, mi domandai quanta pazienza potesse avere quel povero uomo agli ordini di Holmes. Quante volte aveva sopportato i nostri capricci rimanendo nell'ombra!

Mycroft gli chiese di portarci in un locale appena fuori Londra. Avevamo bisogno di passare la serata insieme che ci permettesse di rilassarci. 

Lui, affondato sul sedile, aveva allungato la mano avvicinandola alla mia ma non era andato oltre, sorrisi a quella sua incertezza, gli accarezzai la mano e intrecciai le dita alle sue. Si rilassò, continuando a interessarsi alla strada, ma la sua stretta si era fatta forte.

 In realtà capivo che era turbato e nascondeva la preoccupazione per il mio atteggiamento, ma presa dal disagio di dovergli dei chiarimenti non dissi nulla e mi limitai a poche banali frasi sul viaggio.

L'auto si fermò lungo il Tamigi, Mycroft sapeva che adoravo il fiume che scorreva placido prima di entrare in città, le rive curate e verdeggianti mi ricordavano l'Italia.

"Grazie per avermi portato qui." Gli sussurrai all'orecchio mentre lo aiutavo a uscire dall'auto.

Lui bofonchiò una scusa. "Visto che ho dovuto leggere la tua guida di Londra sottolineata in più punti, beh eccoci qua."

Risi divertita dal suo sguardo malizioso. "Te ne sei approfittato! Nessuna deduzione stavolta, razza d'imbroglione."

Alzò le sopracciglia. "Detto da te lo accetto, perché mi piace vederti sorpresa. Arricci le labbra e sei deliziosa."

"Come sei galante, e quanto ti piace?"

"Da baciarti se non fosse che c'è gente che ci osserva." Ridacchiò ed era un bene perché il suo volto si era rasserenato e questo aiutava anche me. Lo presi sottobraccio e sfregai la testa sulla sua spalla.

"Andiamo my lovely english man"

Il locale era semplice, c'erano alcune sale con tavoli un po' appartati e apparecchiati con delicate tovaglie fiorate. Il posto era frequentato da molte coppie e da giovani che schiamazzavano. Scegliemmo un posto che ci garantisse un po' di privacy. 

 Mycroft chiese una bottiglia di vino bianco italiano prodotto dalla tenuta Lorenzi, un gesto che apprezzai molto, difficilmente si scordava qualcosa. Ordinammo e senza fretta assaggiamo dei fantastici appetizer. La prima ora trascorse tranquilla, mi accorsi che lui tamburellava sul tavolo con le dita ormai libere dalle costrizioni delle fasciature. Era nervoso e mi sentii in colpa.

"Myc, non devi stare in pena. Non è niente che ti riguardi, nessuna "marcia indietro," in Italia diciamo così per confermare le scelte fatte senza rimpianti di sorta." Le dita si fermarono, mi prese la mano che era appoggiata sul tavolo.

"Che c'è Laura? Ti ho osservato, ma non ho voluto dedurre, voglio che sia tu a dirmelo. Ma hai parlato di libidine e credo di ...capire che..."

Inghiottii a vuoto, presi coraggio decisa a chiarirmi con lui.

"Sono combattuta tra il desiderio di aiutarti a uscire dalla situazione in cui sei e la paura del dopo." Aggrottò la fronte, gli occhi si fecero scuri e la sua mano allentò la presa.

"Quando io sarò in grado di...?" Inclinò la testa di lato, socchiuse gli occhi e si fece guardingo. "Tu pensi che io non sappia dei tuoi bisogni?"

Aprì la mano e la distese sopra la mia ed ebbi la paura immotivata che la lasciasse.

"Non penserai che sia così cieco, così meschino da non aver cura delle tue pulsioni." Arrancò con la voce rotta. "Hai fiducia in me Laura? Perché non mi sembra."

Il suo sgomento mi fece mancare l'aria. Sentii il freddo attanagliarmi lo stomaco, forse impallidii.

"Non era mia intenzione offenderti, non prenderla così sul personale." Mi mancò la voce e faticai a finire la frase. "Mycroft, io ho ...paura."

Gli tenni la mano con una stretta disperata, temendo che la mia mancanza di fiducia nei suoi confronti urtasse i suoi sentimenti. Non ebbe nessuna reazione immediata, ma rimase stranamente immobile incapace di capire dove volessi arrivare.

Dovevo essere chiara o avrei rovinato tutto, perché sapevo che lui non aveva parametri sulle emozioni, ne veniva travolto e finiva per allontanarsi pensando di non essere amato.

"Mycroft, non ho mai avuto rapporti dopo lo stupro. Non ho mai cercato uomini..." Non mi uscì altro, chinai la testa e attesi la sua reazione.

Avvertii il suo respiro aumentare, allontanò la sua mano ma solo per riempirmi il bicchiere. Mi versò due dita di vino bianco, mi sollevò il mento e mi allungò il bicchiere. "Bevine un sorso Laura. Scusami, mia piccola dottoressa operosa."

Incrociai i suoi occhi velati di una tristezza strana, come se fosse conscio della sua incapacità di affidarsi completamente al mio amore.

"Non sono molto bravo a gestire i sentimenti Laura. Ti sei presa cura di me costantemente e io guarda come ti ricambio." Si appoggiò alla sedia avvilito dal modo maldestro in cui aveva reagito. "Sono stato imperdonabile per tutti i dubbi che ho avuto."

Mandai giù il vino e gliene versai anche a lui. Lo buttò giù in un fiato, lo avevo tormentato con inutili paranoie e ora gli dovevo la fiducia che meritava.

"C'è dell'altro che devo dirti." Si portò sul tavolo, appoggiò il gomito, le mani sotto al mento e mi ascoltò senza distogliere lo sguardo.

"Non riesco a capire quello che mi sta succedendo. Stamattina quando mi sono svegliata al tuo fianco, io ti ho... desiderato."

Ansimai conscia del rossore che mi scaldava le guance. "Ti volevo in un modo lussurioso che non credevo mi appartenesse." Le ultime parole mi morirono in gola.

Sorrise, i suoi occhi brillarono indulgenti e le spalle si distesero mentre gli rivelavo una parte di me che mi faceva sentire vergognosamente inesperta.

Ridacchiò scuotendo la testa, lo vidi schernirsi dietro quella risata che scioglieva la sua tensione, quella che si era portato dentro per tutto il giorno.

È normale che ti succeda Laura, te l'ho avevo detto, che avresti voluto di più. Non ce nulla di male in questo."

La sua voce era addolcita, mentre gli luccicavano gli occhi, il suo bel volto disteso aperto a un sorriso affascinante.

"Provo la stessa cosa per te, ma lo sai che sono in difficoltà e per ora non riesco...sai cosa è successo ieri sera."

Avvertii un dispiacere vergognoso per quel desiderio che aumentava di giorno in giorno e che lo metteva a disagio.

"È questo che mi uccide! Sapere di forzarti, quando avevo detto che ti avrei aiutato. Mi sento una ninfomane vogliosa che non sa trattenersi. E subito dopo mi contorco nella paura per quando sarai pronto! Dio, Mycroft." Mi coprii gli occhi con le mani e scossi la testa. "Non capisco cosa mi sta succedendo."

Scostò le mie mani e prese il mio volto fra le sue, consapevole di attirare l'attenzione degli altri commensali. Ma non gli importò un granché, me lo ritrovai davanti con un delicato rossore sulle guance. Mycroft, che era sempre così controllato da soffocare le sue emozioni, sembrava contento che mi sentissi attratta da lui.

"Laura, sei solo inesperta e hai paura di ferirmi per la mia situazione. Ma è normale che ti senta attratta da me, avrei dovuto essere più cauto e darti più tempo e invece mi comporto come un adolescente in tempesta ormonale."

Le sue mani mi scaldavano le guance, un sorriso sornione sul volto, gli occhi luminosi e pieni di amore.

"My loving care, dovevi dirmelo subito. Lo sai che mi hai spaventato? È vero che devo guarire, ma lascia che possa occuparmi di te senza forzarti, fino a quando ti sentirai sicura." Mi alleggeriva il cuore vedere i suoi occhi sciogliersi.

"Andremo ad abitare a Pall Mall, avremo la giusta privacy per conoscerci meglio anche intimamente, con più calma."

Mi accarezzò la guancia e il calore si propagò fino al cuore. Mi sentii una stupida ragazzina inesperta ma lui da gentleman qual era, non me lo fece pesare.

"Laura, promettimi che mi dirai sempre tutto. Non avere vergogna di me, lo so cosa hai passato."

Gli toccai il polso e sentire il tepore della sua pelle mi rassicurò.

"Ti amo Myc, non immagini quanto."

"Lo so, nessuna donna avrebbe lottato tanto per me, per la persona complicata che sono." Strinse le labbra in una smorfia che sapeva di resa. "Non lasciarmi Laura... io ho bisogno di sentirti vicina, di sapere che ci sei."

"Mycroft, non dubitare di me, sai che ci sarò. Faremo navigare la nostra barchetta che in questo momento è in piena tempesta tra la passione e l'incapacità di amarci, ma chi dei due curerà l'altro?"

"Entrambi, ci aiuteremo insieme. Sarò un amante attento anche ai tuoi bisogni. Basta pensare a me."

 

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Capitolo 44
*** Convivenza ***


Quando tornammo a Baker Street, tra qualche mugugno e perplessità, parlammo a Sherlock e a John della nostra decisione di andare a vivere insieme.

Alla fine capirono la nostra voglia di costruire un rapporto più solido e complice.

Ci aiutarono a radunare le nostre cose. La signora Hudson versò qualche lacrima, ma la rassicurai che saremmo passati a trovarla spesso.

Coccolai la piccola Rosie garantendo a John che avrei fatto da baby sitter quando ne avesse avuto bisogno.

Passammo quell'ultima serata tutti insieme e fu piacevole rilassarsi con loro, provavo un sottile dispiacere nel lasciarli ma ero consapevole che dovevo andare avanti con Mycroft. Rimanemmo a conversare fino a tardi. Quando tutti si ritirarono ci concedemmo un bacio nella sua camera, poi ci separammo per andare nelle nostre rispettive stanze, con la promessa di trasferirci il giorno dopo nel pomeriggio.

Infatti dopo il lavoro Mycroft, puntuale come sempre, venne a prendermi al San Bart.

Aveva già fatto trasferire i miei bagagli in mattinata.

Quando entrò in laboratorio era raggiante, non sentiva nemmeno il peso del tutore sul ginocchio.

"Sembri impaziente! Dove hai smarrito il tuo British aplomb, Myc?" Gli baciai la guancia e gli sistemai la cravatta.

"Difficile essere freddi e misurati quando ti sono vicino. Laura non ho fatto altro che pensarti tutto il giorno! Sei una distrazione continua. Il mio lavoro ne risentirà." Brontolò attirandomi a sé. Le stampelle ruzzolarono a terra, fecero un tonfo sordo che risuonò nella stanza.

"Stai diventando uno sconsiderato, guarda cosa hai combinato." Ma non sentì ragione perché reclamò un bacio più intimo.

"Non mi importa di nulla, sono contento di essere uno sconsiderato se la causa sei tu." Le sue labbra furono sulle mie, il suo sapore era quello che conoscevo bene, che mi apparteneva. Mi piaceva accarezzagli la nuca, intrecciare le dita tra i capelli, e ancora di più sentire il suo abbandonarsi.

I passi delle inservienti ci sorpresero e ci staccammo ridendo per il nostro imbarazzo. Mi chinai a raccogliere le stampelle e lasciammo il laboratorio.

Albert sembrava gongolare, mi salutò con un inchino e mi aprì addirittura la porta della berlina.

Mycroft sorrideva appagato, zoppicò al lato opposto. Ora capiva quanto gli fosse affezionato quell'uomo taciturno ma fidato.

Ci tenemmo per mano durante tutto il viaggio, sereni e complici di iniziare una nuova vita, il desiderio di stare insieme era sia mentale che fisico.

La villa di Pall Mall era bellissima immersa nel tramonto, l'auto percorse il viale che mesi prima avevo lasciato con il cuore distrutto per la sua partenza. La gioia di tornare stretta a lui era un sogno accarezzato da tempo.

"Grazie Albert, sei stato prezioso." Lo salutai abbracciandolo prima che se ne andasse. Mycroft sorrise, sapeva che gli volevo bene, mi era stato vicino molte volte durante il periodo della sua assenza.

"Dottoressa, per così poco!" Si schernì incespicando nelle parole.

"Chiamami Laura, Albert."

Annuii, con le guance rosse, salì alla guida e partì.

Mycroft guardava il giardino studiando ogni piccolo cambiamento avvenuto in quei mesi. Ci avvicinammo alla porta mentre lui non riusciva a nascondere l'emozione di ritornare nella sua amata casa.

Era così cambiato dall'uomo freddo e scostante che avevo conosciuto nei nostri primi incontri. Era gentile e amorevole, e colmo di premure inaspettate. Digitò il codice di sicurezza, la porta si aprì con uno schiocco secco, la spinse con la mano tremante.

"Mi sembrano passati secoli, Laura. Vieni ti spiego come funziona, da fuori sembra una vecchia casa ma in realtà è molto tecnologica. E soprattutto sicura."

Passai un po' di tempo ad ascoltare tutte le sue direttive. Ogni tanto mi dava un bacio in fronte, per assicurarsi che avessi capito. Mi portò in giro come un perfetto cicerone.

La casa era ampia e abbondava di stanze. Al piano terra c'era il soggiorno dove avevamo cenato mesi prima. Nella parte finale c'era una biblioteca ben fornita, con una scrivania in un angolo dove lavorava. Di fronte c'era una sala adibita a palestra.

Il tutto si affacciava in un piccolo giardino interno, ordinato e ben tenuto. Il muro che lo delimitava era abbellito con un roseto che lo ricopriva quasi interamente.

"È bellissimo Myc. Qualche volta potremo cenare qui fuori." Lui rise e si strinse al mio fianco.

"Ora sei tu la padrona, mia dottoressa operosa. Credo di averti detto tutto, ma se hai dei dubbi, beh sono qui."

"Come mi hai chiamato?" Mi voltai a guardarlo con un finto broncio.

"Dottoressa operosa? Perché ti dispiace?"

Gli pizzicai il braccio, sfiorando con la fronte la sua spalla. "No di certo! Ma sai cosa fanno le dottoresse operose?"

Si accigliò socchiudendo gli occhi, era già in allarme. "No, cosa? Dove vuoi arrivare?"

"Che qualcuno che conosco bene e amo anche di più, è stato troppo in piedi e si deve prendere una pausa!" Gli sussurrai all'orecchio.

"Laura! Non mi trattava così nemmeno mia madre quando mi ammalavo." Mi rispose sorpreso per quella premura a cui non era abituato.

"Non sono tua madre, ma tengo a te. Ora ti siedi e ti riposi un po'." Fui convincente e capitolò. Si sedette sul divano vicino al camino, gli sistemai la gamba ferita e mi accoccolai vicino a lui.

"Dovrai abituarti alle mie cure, non sei più solo Myc." Per risposta appoggiò la testa alla mia spalla, il suo contatto era diventato familiare, rassicurante.

"Chi si occupa del camino? Chi lo fa ardere?" Gli chiesi per capire come muovermi all'interno della casa.

"Avviso la governante e il giardiniere lo accende. Mi piace sentire l'odore della legna. Una vecchia reminiscenza di quando stavo in campagna a Musgrave."

"Quindi abbiamo una governante?"

"Certo, ti avevo avvertito che avresti avuto un aiuto, lavoriamo entrambi. Ma sarai tu a decidere ora."

Lo baciai sulla guancia. "Mi vizierai, my loving care. Ma stasera cucino io, che ne dici?"

"Che è perfetto, mi piace stare ai fornelli con un'italiana. È la garanzia di un'ottima cena." Mi sollevai dal comodo divano, mi ravvivai i capelli.

"Vado di sopra a mettermi comoda. So dov'è la tua stanza."

"La nostra stanza Laura." Sottolineò con decisione.

"D'accordo, ma non sarai così raggiante quando ti scombinerò i cassetti e gli armadi."

"Mi adatterò anche a questo." Lasciò cadere le stampelle dal divano e mi afferrò per i fianchi stringendomi a sé.

"Chi è il selvaggio adesso." Risi chinandomi sul suo volto addolcito. Mi sentivo al settimo cielo con lui vicino.

"È tutta oggi che aspettavo di stringerti. Al diavolo il ginocchio e le stampelle! Baciami Laura."

Non me lo feci ripetere, lo abbracciai e lo tenni stretto e lo baciai con tutto l'amore che mi rimandava il mio corpo teso che lo reclamava. Poterlo accarezzare con una complicità che finalmente era solo nostra avverava il desiderio che aspettavo da molto. Infilai le mani sotto la giacca, accarezzando la camicia che mi restituiva il calore del suo corpo, la sua schiena era snella e compatta. Le sue mani, libere dalle fasciature, non smettevano di accarezzarmi il collo e la nuca, non avevo paura di stare fra le sue braccia, la mia fiducia era totale.

E lui consapevole di quello che avevo passato mi lasciava la libertà di toccarlo, di esplorarlo, ma non mi imponeva la sua voglia. Era attento ai miei tempi, era perfetto.

Mi staccai dalla sua bocca e lui sorrise senza forzarmi.

"Beh, forse è meglio cenare. O perderò la testa Myc. Se mai ne ho una." Biascicai stordita da quel bacio pieno di passione.

"Giusto, Laura, prendiamoci il tempo che vogliamo."

Salimmo di sopra insieme, lo aspettai mentre si arrampicava aggrappandosi al corrimano della scala di legno che portava alle stanze. La sua camera, che avevo già visto mesi prima, era pulita e in ordine. Sul letto matrimoniale, una trapunta beige con fiorellini scuri, rendeva l'ambiente accogliente. C'era un armadio per i miei vestiti e una cassettiera dove ordinare le mie cose. La mia valigia appoggiata sulla poltrona.

"Vuoi sistemare i tuoi abiti? Intanto mi svesto anch'io." Annuii, e cercai un cambio dentro il mio bagaglio. Ne approfittai per sistemare i capi nella cassettiera.

Lui abbandonò le stampelle e zoppicò con il tutore fino allo specchio. Si tolse la giacca, il gilet, la cravatta e li ripose con naturalezza, mi consegnava la sua intimità quella che aveva custodito per molto tempo. lo spiavo di soppiatto finché rimase in camicia.

Andò nel bagno, quello con l'idromassaggio più high teck che avessi mai visto.

Intanto mi sfilai la maglietta e la camicetta. Quando uscì dal bagno mi fissò sorridendo, zoppicò fino all'armadio e indossò un cardigan di lana azzurro. Scosse la testa, ridendo.

"Laura, se mi avvicino a quel reggiseno in pizzo che indossi con tanta classe, credo non scenderò più di sotto per cena. Grazioso, nero, di ottima fattura." Cercava di mantenersi in equilibrio sulla gamba sana appoggiato all'armadio. Volutamente, mi avvicinai, presi le stampelle e gliele portai.

"Non così vicina, my loving care, così non resisto." Mormorò rauco. Allungò la mano indeciso e con le dita percorse il bordo del pizzo e del seno e raggiunse l'incavo. Era così disarmante vederlo arrossire di piacere, si appoggiò con la schiena al mobile per reggersi.

"My loving care è bellissimo detto da te." Gli sistemai maliziosa il tutore che lo sosteneva.

"Forse è meglio scendere a cucinare." Gli baciai la guancia, mi allontanai ancheggiando, mi infilai una maglietta di cotone misurando i gesti per provocarlo, mi ravvivai i capelli in modo sensuale, mentre lui mi osservava stranito.

Scoppiai a ridere. Lo afferrai per la mano e lo tirai. "Avanti scendiamo, Myc sei adorabile! Vuoi cenare visto che è la nostra prima serata insieme?"

"Ho già un appetito formidabile, e non solo di cibo." Gracchiò con la mano libera dalle fasciature che sembrava di fuoco.

"Adulatore." Mormorai seducente e lo trascinai letteralmente di sotto.

Ci perdemmo a cucinare, Anthea aveva rifornito il frigorifero di tutto quello che poteva servirci.

Sapevo quello che piaceva a Mycroft e lui sapeva quello che piaceva a me. Era così bello ritrovarsi insieme senza tensioni, a tagliare verdure, a salare l'acqua per la pasta all'italiana e infornare un dolce al cioccolato, coperti di farina.

Lo sorpresi a canticchiare. Ogni tanto mi dava un'occhiata, e brontolava perché mi sporcavo.

"Laura, dovresti essere attenta in cucina come lo sei quando lavori al San Bart. Selvaggia." Si scherniva e scuoteva la testa e mi copriva di piccoli baci affettuosi. Mentre aspettavamo che la pasta cuocesse, mi abbracciò per le spalle, la sua camicia che sfregava sulla pelle del collo sembrava seta. Era accaldato e il suo profumo maschile era invitante.

"Non sono mai stato bene come stasera, non mi merito tutto questo visto il male che sono riuscito a farti."

Mi dondolò piano e mi baciò i capelli, mormorò con la voce tremante. "Profumi di buono, My loving care, cercherò di essere un partner attento, ma aiutami anche tu ad amarti."

Strinsi le sue mani al mio petto. "Lo farò, Myc. Non aspettarti nulla di meno."

Cenammo ascoltando della musica classica che piaceva ad entrambi, conversando di libri, di un viaggio in Italia che presto avremmo fatto insieme. Nessuno dei due parlò del passato, volevamo vivere il presente perché era quello che contava di più.

Alla fine della serata dopo aver riordinato insieme, ci lasciammo andare sul divano, il calore del camino acceso che crepitava lentamente.

Mycroft, sistemata la gamba ferita, iniziò a leggere il suo libro prezioso. Mi accoccolai al suo fianco con la testa appoggiata sulla sua spalla, mentre lui assorto leggeva a voce alta. Era tutto così perfetto da non sembrare vero.

E mi presi le mie libertà: allungai la mano sul suo braccio, rimasi appoggiata così per alcuni secondi, poi sbadigliai e la portai sul suo fianco.

Si voltò a guardarmi, gli regalai un sorriso innocente. Riprese a leggere, ma brontolò aggrottando la fronte.

"Stai ascoltando Laura?"

"Ma certo." Gli risposi con voce calma, mentre tramavo la mossa successiva. Lentamente, mentre lui leggeva assorto, feci scivolare la mano sotto al suo cardigan accarezzando la camicia e sentendo il calore del suo corpo.

Mi fermai. Rimasi immobile cercando di sembrare interessata alla lettura, lui si mosse appena un po' sorpreso. Presi a giocherellare con i piccoli bottoni, annuendo di tanto in tanto alle sue riflessioni sul libro. Pensò che perdessi solo del tempo e che non ci fosse malizia in quel gesto, mi lasciò fare, si schiarì la voce e continuò a leggere.

Sbottonai un paio di bottoni, e infilai rapida la mano sotto la camicia, fra la sua maglietta di cotone e la pelle.

"Laura." Brontolò lasciando il libro. "Che fai, mi stai spogliando?" Si accigliò non capendo bene dove volessi arrivare.

Dio! Era così disarmante che soffocai una risata.

"Dovrei?" Gli risposi contrita, intanto gli arruffai la canottiera e trovai finalmente il contatto con il suo petto.

"Laura!" Ansimò, sorpreso da quella intrusione.

Allargai la mano sulla sua pelle, assorbendo il piacere di sentirla calda e liscia e deliziosa al tatto. Lo accarezzai lentamente con desiderio crescente.

Mycroft indugiò, sentii il suo respiro aumentare, si lasciò accarezzare, il suo libro ormai dimenticato pendeva dalla sua mano. Appoggiò la testa all'indietro sulla spalliera e si arrese.

"Ti stai approfittando di me." Mormorò con la voce smorzata da brividi di piacere.

"Ti sto curando Myc. E curo anche me stessa, voglio sentirti, conoscerti."

"Non sono insensibile, la tua vicinanza mi toglie il controllo. " Accarezzò le mie spalle avvicinandomi di più.

"Lo vedo Myc, sento che ti piace. Non devi temere per me, perché lo voglio anch'io." Un leggero piacere lo percorreva, ansimava e il suo corpo sembrava gradire.

"Sono semplici carezze, nulla che possa infastidirti, non ti forzerò Myc." Mi strinse a sé, il corpo accalorato come lo era il mio.

"Mia dottoressa operosa, ti amo troppo." Scivolò con le mani sui miei fianchi.

Eravamo appassionati e vogliosi, ci accarezzammo imparando quello che piaceva l'uno dell'altro.

Fu l'inizio della nostra intesa e della nostra vita insieme, ma non andammo oltre.

Ci staccammo tenendoci per mano. "Non avere paura, Laura, non temere non mi spingerò oltre."

Lo disse con una dolcezza infinita, una lacrima mi scivolò lenta sulla guancia.

"Voglio amarti Myc. Non ho paura, non sentirti colpevole per il male che mi hanno fatto. Sei tu l'uomo che desidero."

Mi asciugò la lacrima, mi baciò la guancia e mi coccolò tenendomi stretta a sé.

 

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Capitolo 45
*** Quando il sesso completa l'amore ***


Avvertenza :  Ci sono alcune scene di sesso ma trattate in modo adeguato alla coppia che ho portato nel cuore per così tanto tempo

La lettura del capitolo può essere saltata per attendere l'epilogo che uscirà a breve.

                                                ***************************

 

La nostra prima notte di convivenza fu di conoscenza reciproca, solo la familiarità del prepararsi per dormire insieme e indossare i nostri pigiami ci legava sempre di più. Lui così compìto nel suo completo di blu e azzurro e io con una tutina con gli orsetti rossi: poco sexy ma molto comoda.

Sorrideva, mi guardava con gli occhi addolciti.

Zoppicò abbandonando il tutore e le stampelle sulla poltrona della stanza, si infilò sotto alla coperta, mi aspettò appoggiato al cuscino. Lo raggiunsi e mi stiracchiai appoggiando la testa sulla sua spalla. Abbassò le luci sul comodino rilassandosi, socchiuse gli occhi.

"Buona notte Laura." Farfugliò sbadigliando, sapeva che avevo bisogno del mio tempo, mi tenne stretta a sé, finché sentii il suo abbraccio cedere, il respiro rallentare: si era assopito. Mi abbandonai tra le sue braccia in un'intimità che andava oltre al sesso. Quello sarebbe arrivato in seguito, io guarivo le mie ferite al suo fianco e lui le sue. Eravamo noi e tutto il resto non aveva nessun valore. Il suo respiro regolare mi cullava, quella notte dopo tanto tempo dormii senza incubi.

Era tutto così perfetto.

La mattina dopo mi svegliai, lo cercai con lo sguardo. Mycroft si stava vestendo. Era un mattiniero che indugiava poco a letto. "Ben svegliata, Laura. Dormivi così bene che ti ho lasciato continuare."

Lo osservai mentre si stava abbottonando la camicia. Aveva indossato dei calzoni grigi spinati, mi dava di spalle davanti allo specchio che era appoggiato al grande comò. Stava reggendosi in equilibrio con la stampella di lato.

Un brivido impudico mi attraversò il corpo, guardare le sue spalle forti mi infiammava.

Scivolai fuori dal letto e scalza mi avvicinai mentre si stava sistemando i polsini. Lo abbracciai da dietro, lo strinsi dolcemente e allacciai le mani al suo petto. Il calore del corpo calmava la mia voglia e la mia mente in tempesta.

"Che c'è piccola selvaggia? Stai tremando." Strinse le sue mani alle mie e inclinò la testa appoggiandola alla mia fronte. La sua pelle era profumata, respirai tutta la dolcezza che emanava.

"Sai Myc, ti amo così tanto che mi sono accorta di dipendere da te." Gli sussurrai all'orecchio.

"Uhmm e non è un bene questo lo sai." Ci dondolammo godendo di quel legame che diventava sempre più forte.

"Lo so, forse sono troppo immatura per questo amore. La paura di perderti mi tormenta." La mia voce si affievolì nelle ultime parole.

Mycroft si sciolse dall'abbraccio, si portò di fronte a me. "Laura le mie mani sono ancora insicure per le ferite." Le alzò per farmele vedere.

"Stai già molto meglio." Aggiunsi sfregando la fronte sulla sua spalla.

Le osservò con il volto contratto, le unghie stavano ricrescendo, e le ferite si stavano schiarendo.

"Vorrei tanto che fossero sensibili come lo erano prima." Allungò la mano sul mio viso cercando il contatto. Non le controllava ancora bene ma non si perse d'animo, mi accarezzò il volto. "Vorrei percepire ogni parte di te, mi sembra una tortura non sentirti del tutto."

"Col tempo miglioreranno, non avere fretta." Gli risposi baciandogli la guancia, era liscia e sapeva di dopobarba. Si era già rasato.

Rimanemmo al centro della stanza, i nostri corpi vicini. Stese le mani incerte donandomi carezze appassionate e presto avvertii il desiderio aumentare. Le sue dita percorrevano ogni centimetro del mio volto, lo prese fra le mani e lo attirò al suo. Le nostre labbra si incontrarono e fu piacevole sentirlo.

Lo desideravo, ardevo nel volerlo mio.

Il suo bacio fu profondo, attesi la sua intrusione, lo assaporai e fui in lui con la stessa passione esplorando la sua bocca e attirandolo a me per sentire i nostri corpi uniti. Le mani, strette sulla sua nuca, si saziavano del suo calore, il profumo delicato di dopobarba mi inebriò stordendomi. Intrecciai le dita nei corti capelli.

Mycroft fece scivolare le mani sul mio collo, passando all'incavo della gola e soffermandosi per prenderne la misura, scese lungo la spalla scoperta, restituendomi dei brividi lungo tutta la schiena. Ci staccammo con le bocche sazie. Alzò lo sguardo, gli occhi grigi acquietati mi restituivano un'intimità profonda. Erano di una dolcezza disarmante, mi persi senza percepire il tempo e lo spazio.

Mi sentivo pronta, volevo il suo corpo, lo volevo affamata dentro di me.

Sentivo di appartenergli: quel muro che avevamo eretto per proteggere le nostre solitudini, il dolore degli abusi che avevamo subìto, si stava disgregando e andava in mille pezzi. Sapevo che soffriva per le torture che lo avevano allontanato da me, ero consapevole della sua difficoltà a raggiungere una virilità convincente.

Mi sarei frenata aspettando la sua voglia, non volevo forzarlo.

Capì il mio disagio, mi sorrise e i suoi occhi mi confermarono la sua decisione.

"Laura, va tutto bene, se lo vuoi io ci sono." Sussurrò appoggiando le labbra sul mio collo, la sua bocca calda era una sensazione meravigliosa, lo presi per mano e lo accompagnai al letto.

Mi sentivo pronta ad amarlo, e anche lui lo era. Quell'uomo che avevo voluto così tanto, tremava di desiderio, di dolore, di passione, nella consapevolezza di avere davanti una persona ferita.

"Sei sicura?" Mi chiese con un filo di voce. "Perché possiamo aspettare."

"Ti amo, non ho paura Myc, ho fiducia in te."

Annuii orgoglioso della mia concessione. "Mi fermerò se non vorrai."

"Lo so, è per questo che ti ho scelto." Lo presi per mano e lo portai sul bordo del letto.

Ci sedemmo e ci accarezzammo esplorando i nostri corpi che reclamavano attenzione reciproca. La sua camicia bianca era seta scivolosa tra le mie dita, la sfilai con lentezza, una inutile difesa che il mio desiderio di toccarlo, di sentirlo reclamava spudorata. Il suo petto accaldato era liscio e tonico, gli baciai il collo stuzzicando la sua pelle.

Un gesto delicato, misurato e la maglietta del pigiama scivolò sul pavimento.

"Allora c'era il reggiseno di pizzo!" Mormorò affannato.

Lo slacciò mentre un bacio profondo ci univa. Avvicinò tremante le mani sui miei seni accarezzandoli e misurando la sua voglia che aumentava.

Quel contatto mi fece trasalire. Affondò il viso nell'incavo, dove la sua bocca calda e la sua lingua fremente non mi davano tregua. Respirai il suo profumo e trattenni il capo annodandolo con le mani.

"Oh Myc...!" Con maestria sfilò l'ultimo residuo di salvezza al nostro desiderio impellente: rimasi nuda e provocante davanti ai suoi occhi.

"Sei bellissima, Laura." Balbettò ammirato, le mani che percorrevano i miei fianchi le sentivo bruciare di lussuria

Ero stretta al suo corpo, la stoffa dei pantaloni che premeva sulla mia coscia, la sua voglia prepotente era completa. La sicurezza che maturava il suo corpo e la sua mente seppellivano per sempre i ricordi delle torture che aveva patito.

Eravamo affamati di baci e impazienti, gli sfilai la cintura e si liberò dei calzoni, quando vidi i boxer sorrisi.

"Allora li hai indossati? Molto carini gli orsetti grigi."

Ridacchiò malizioso e mi accarezzò la guancia.

"Te l'avevo promesso, hai detto che me li avresti strappati." Arrossì fino alle orecchie, era teso come lo ero io.

"E lo farò." Mi sfregai con la coscia ai boxer tesi, gemette avvinghiandomi a sé.

Il mio seno, appoggiato al suo petto, assorbiva il calore prosciugando ogni residua resistenza. Lui trasalì eccitato.

Lo desiderai da non riuscire a respirare. Mi calmò, rallentò le carezze, i suoi baci divennero delicati, le mani affondate nei capelli.

"Piano Laura, prenditi il tempo necessario, sono al tuo fianco, non scordarlo." Sigillò la sua promessa con un piccolo bacio sul collo.

"Ti voglio, Mycroft. Sono sicura di questo."

Infilai le dita nell'elastico dei boxer e lo liberai da quell'ultima costrizione. Lui boccheggiò quando toccai la sua voglia turgida e intima. Iniziammo un gioco di carezze e di conoscenza reciproca, mentre i nostri corpi svelavano tutta la nostra voglia spasmodica di appartenerci e di svelarci per quello che eravamo: innamorati e liberi.

Le nostre mani frenetiche erano nelle pieghe più nascoste della nostra pelle accalorata.

Mycroft mi stuzzicava con carezze intime in quella parte del mio corpo che era stata violata senza alcun rispetto. Era attento ai miei spasimi, si fermava se mi contraevo, aspettava che mi rilassassi, preparava la mia voglia al suo ingresso. Le sue cure erano dolci, si fermò e lasciò la mia bocca per scendere con lentezza lungo il mio ventre contratto, mentre la sua lingua calda mi restituiva brividi di piacere intensi. Baciò le cicatrici che erano rimaste, cancellando ogni residuo dolore.

"Nessuno ti farà più del male, my loving care. Te lo prometto."

Il mio corpo era teso e lui scese sempre di più fino a quando la sua lingua mi assaggiò avida in un gioco profondo che fu incontrollabile e disperatamente appagante.

Mi infiammava pieno di attenzioni quell'uomo che tutti credevano di ghiaccio.

Scivolò sopra di me, le mie gambe erano tese nello spasimo, la schiena inarcata. Mi guardò dolcemente, dondolò il corpo e lo desiderai impudica e vogliosa adorando la sua virilità maschile, pronta per me.

"Ti amo, Laura."

Mycroft intrecciò le dita delle mani alle mie, le portò appena sopra alle mie spalle. Le strinsi con forza, mentre attraverso i suoi occhi addolciti leggevo tutta la fiducia e l'abbandono che gli accordavo nel vederlo disteso sopra di me. Non c'era niente in quello sguardo e in quella posizione della violenza che mi aveva confinato in un inferno per anni e che ora lui mi aiutava a superare.

Lo attesi e lui fu in me.

Sussultai, la sua dura intrusione mi riempiva ma senza dolore, si fermò un solo attimo, attento alla mia reazione.

"Sì, Myc." Gli rimandai ansimando e godendo del suo corpo. I miei muscoli si strinsero e gli restituii un piacere forte che stentava anche lui a reggere.

Arrivò in profondità, con lentezza. Bisbigliai il suo nome più volte mentre mi catturava le labbra con baci languidi, mi inarcavo accompagnando le sue spinte, quel piacere così intimo invase ogni parte del mio corpo. Una eccitazione che non avevo mai conosciuto. Rallentò, mi diede tempo, mi baciò le labbra e giù fino al collo, respirò la mia pelle e quando mi sentì sicura, riprese le sue spinte che si fecero più veloci.

Strinsi le gambe attorno alla sua schiena.

Mycroft si contorse bloccato dalla mia forza.

Lasciai il calore delle sue mani e con le dita scivolai, incapace di trattenermi, sulle sue natiche contratte graffiandolo: reclamavo il suo vigore forte e duro. Aumentò il ritmo avvertendo la mia sicurezza, i nostri corpi si toccavano in una danza di spinte che mi resero così sensibile che il mio corpo rispondeva solo a lui. La sua pressione si fece secca e incontrollabile.

"Mycroft, ti amo." Mormorai al pulsare frenetico dei suoi glutei, consegnandogli il mio corpo sensibile e arrivando all'apice insaziabile nel tenerlo dentro di me.

Il calore e le strette del mio inguine furono così intense che lo spinsero al limite.

"Laura, non resisto...io." Gli occhi addolciti si legarono ai miei, le spinte forti e costanti divennero lente, le sue gambe contratte si rilassarono: lasciò il controllo.

Annaspò e gemette, un calore caldo e umido mi inchiodò al suo orgasmo.

"Laura, mia Laura ..." Biascicò stringendo la mascella sudato e tremante. Lo lasciai libero e lui si abbandonò sopra al mio corpo e delicato scivolò sul fianco. Ci abbracciammo nudi e appagati, testimoni della bellezza della nostra unione, dei nostri corpi pieni di amore e conoscenza.

E non smetteva di osservarmi e accarezzarmi.

"Stai bene my loving care?"

"Sto bene, Mycroft, mai stata meglio." Volavo in alto toccando il cielo ed era bellissimo vederlo innamorato e confuso.

"Laura ho avuto paura di forzarti." Singhiozzò con gli occhi lucidi.

"O smettila, non ho provato nulla di più bello, ora so che il sesso completa l'amore." Lo assalii di baci, per tranquillizzarlo. Non ero più la ragazza chiusa e solitaria che era arrivata dall'Italia piena di problemi.

Ora c'era lui.

Lui, che misurava ogni mio gesto colmo di attenzioni. Iniziai ad accarezzarlo spingendomi oltre e mi lasciò fare.

Scesi con la mano sul suo inguine liscio, e toccai la sua intimità con una consapevolezza del corpo maschile che spesso mi ero negata, non si ritrasse, si concedeva alla mia curiosità.

"Ti amo, piccola dottoressa operosa." Mi sussurrò all'orecchio ansimando. "Mi piace sentirti appagata e sicura di te."

"Allora non sai quello che ti succederà tra poco."

Mi guardò incuriosito, mentre le mie carezze si fecero più intime, ora il mio corpo di donna era libero da lacci e da paure represse per anni.

"Vuoi che continui, my british lovely man?"

Annuì muovendo il capo senza staccare gli occhi dai miei, la bocca aperta per lo stupore.

Ero io al comando, si lasciò andare alla mia voglia, il suo respiro aumentò affannato mentre lo toccavo lussuriosa, lo provocavo e il corpo rispondeva smanioso agli stimoli.

"Per fortuna che il dottor Green aveva detto che non eri sessualmente attivo! Dio come si sbagliava." Ridacchiai mentre si eccitava sempre di più.

"Un emerito imbecille, Laura. Anche se è un mio amico." La voce era roca, tesa dal desiderio.

Mi lasciava fare, scivolai sopra di lui, e lui dentro di me. Era prepotente per quanto mi voleva, mi teneva i fianchi mentre gli danzavo contro e accompagnava il mio ritmo. Mugolava, si contorceva e mormorava il mio nome senza fermarsi. E con lui mi appropriavo della mia forza di donna, del mio corpo che era vitale che voleva godere dell'uomo che amavo per cui avevo lottato tanto.

"My loving care." Sussurrò non riuscendo a trattenersi. "Sei la mia stessa vita Laura."

Tremò incapace di fermare il suo orgasmo, le sue dita strette nella carne dei miei fianchi, doloranti di piacere.

"Ti appartengo Laura." Strinse le labbra, si lasciò andare. Il volto rilassato era quanto di più bello avessi desiderato vedere. Sentirlo gemere sotto ai miei colpi era un dono prezioso, fino a quando il suo calore umido mi invase e raggiunse un piacere intenso che trascinò anche me, mi accompagnò reggendomi salda a lui.

"Myc, ti appartengo." Esplosi, mi contorsi sopra il suo inguine caldo. Non c'era nessuna barriera tra noi, niente che ci potesse ferire.

E gli crollai al fianco stanca e appagata, il passato definitivamente sepolto, l'Italia lontana. Mi afferrò e mi tenne da farmi male. "Sei la mia donna, non scordarlo mai."

Lo osservai abbandonato al mio fianco, sudato e accalorato, i capelli scompigliati, il volto rilassato. Le labbra addolcite. Lo baciai con troppa foga. "Mycroft Holmes sei l'uomo giusto per me. Sei l'amore che ho sempre voluto." Lui ridacchiò, si schernì. L'uomo della governance era sparito, era soltanto il mio uomo innamorato.

"Laura Lorenzi sei la donna giusta per me, sei l'amore aspettato per anni." Lo assalii tenendolo stretto stretto al mio corpo.

"Mia selvaggia..." biascicò

Eravamo belli, nudi, vicini e liberi dal dolore che avevamo patito entrambi, e colmi di quell'amore che ci era stato negato per tanto tempo, e che ci riprendevamo a piene mani.

"Fottettevi tutti." Mormorai stretta al suo fianco, lui rise e replicò.

"Sì, hai ragione... Che si fottano e che crepino di invidia."

 

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Capitolo 46
*** Epilogo: Westminster Abbey ***


La nostra convivenza divenne complicità. Il lavoro al San Bart mi assorbiva molto e anche Mycroft, che aveva ripreso a lavorare, era spesso in ritardo.

Ma dopo i primi inconvenienti riuscimmo a ricavarci del tempo tutto nostro. Ritrovarci a casa alla sera, per stare insieme, ci alleviava tutte le sofferenze della giornata.

Fu un periodo di conoscenza reciproca, a volte ero io a sostenerlo, a volte era lui a consolarmi con una pazienza infinita.

Fu un amante attento e la nostra intesa sotto le lenzuola divenne piena e appagante. Il suo amore colmò anni di rinunce e paure. Lui acquistò sicurezza al contrario di tutte le previsioni nefaste che aveva fatto Green.

La mattina faticavamo a lasciarci perché non smettevamo di accarezzarci e spesso lo inducevo in tentazione. Finivamo per arrivare in ritardo al lavoro e Anthea ci sgridava scuotendo la testa. Spesso la vedevo sorridere di nascosto, compiaciuta nel vedere finalmente sereno il suo capo.

Le ferite di Mycroft guarirono, abbandonò tutore e stampelle, il suo ginocchio migliorò anche se zoppicava quando era troppo stanco. Ma vederlo camminare al mio fianco quando Albert ci portava a passeggiare lungo il Tamigi, mi riempiva il cuore di una gioia immensa.

Una volta alla settimana, andavamo a Baker Street a cenare, passavamo del tempo a coccolare Rosie, e mi sorprendevo a guardare il volto di Mycroft addolcito, mentre stringeva la nipote. Sarebbe stato un ottimo padre, ne ero certa.

Era questo l'uomo che volevo e per cui avevo tanto lottato. Sapevo che aveva un cuore immenso di cui nessuno si era mai accorto.

                                                      °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Un mese dopo, una sera, mi venne a prendere al lavoro prima della chiusura dell'obitorio al San Bart.

"Vieni voglio portarti in un posto." Brontolai un po' perché ero stanca e volevo correre a casa per stare fra le sue braccia.

Mi baciò la fronte, mi accarezzò la schiena. Un sorriso dolce sulle labbra.

Salimmo in auto, Mycroft diede delle indicazioni ad Albert, che sorrise compiaciuto, come sempre era discreto e affidabile.

Mi abbandonai al suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre la sua mano mi stringeva al suo corpo.

Notai che stavamo entrando nella City, in pieno centro. Sbirciai dal finestrino.

"Non curiosare Laura. Ora vedrai." Mi redarguì divertito, e pochi isolati dopo Westminster Abbey mi apparve sulla destra.

"Albert lasciaci qui, più tardi ci sentiamo."

Lo guardai incredula. "Ma perché scusa? Mi sembra tardi per visitarla ora."

"Non per l'oscuro uomo più potente di Londra." Ironizzò lui baciandomi la guancia.

Scendemmo e lo aspettai, camminammo affiancati fino un'entrata laterale, visto che a quell'ora era interdetta ai visitatori.

"Ma come fai a sapere..." Gli chiesi guardandolo negli occhi che si beavano nel vedermi sorpresa.

"Fidati di me, Laura Lorenzi." Ridacchiò mentre prendeva il cellulare dalla tasca interna della giacca.

Mandò un sms e pochi minuti dopo ci aprì la porta un custode rigorosamente in divisa che salutò con referenza Holmes.

"Buonasera Capo Reggente Mycroft, bentornato." L'uomo lo salutò portando la mano a pugno sul petto.

"Buonasera Correggente Gregorio. Sono in compagnia questa sera, spero di non disturbarti." Holmes lo ossequiò allo stesso modo.

"No di certo, prego accomodati." Ero sbalordita, entrammo scortati per i primi metri, poi ci lasciò proseguire da soli.

Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.

"Capo cosa?" Mormorai mentre gli stringevo il braccio.

"Un po' di sana massoneria, The Great Abbey. Mi sussurrò di rimando orgoglioso e io alquanto perplessa.

"Ma vieni qui spesso? Da come ti ha accolto sembri un visitatore abituale." Parlavo a voce bassa visto il posto avvolto in un ovattato silenzio.

"Mi piaceva rimanere un po' da solo in questo luogo quando non c'erano turisti. Vedrai la sua atmosfera è rilassante."

La chiesa era deserta, ma le luci soffuse le donavano un che di magico. 

I nostri passi erano l'unico rumore che si avvertiva.

"Questo è il mio posto preferito." Mycroft si avvicinò a un altare dove una serie di panchine delimitavano l'imponente sagrato. Le pitture, le statue da quel punto erano quasi tutte visibili.

"Vieni siediti, ascolta. Il silenzio parla." Mi diede un bacio leggero sulla tempia, ascoltai come mi aveva suggerito. Ero sorpresa che mi avesse condotto lì, non mi aspettavo che lui venisse in una chiesa a rilassarsi.

"Sei religioso, my loving care?" La sua mano si posò sulla mia.

Scosse la testa. "Non molto, ma mi piace questo luogo religioso." Si volse verso di me staccando lo sguardo dal soffitto di quella cattedrale così importante. "E tu mia dottoressa operosa?"

"Sono italiana e sono cattolica. Ma diciamo che la fede un po' l'ho persa dopo la morte dei miei."

Strinse le labbra sottili e poche rughe gli segnarono la fronte. "Io vengo qui per trovare un po' di pace, mi rende tranquillo, mi apre la mente."

Lo osservai con attenzione imparando una nuova parte del suo carattere. "Sei una sorpresa Mycroft. Hai un'anima delicata, e l'hai tenuta ben nascosta a tutti."

"Era il prezzo da pagare per il lavoro che facevo e faccio. Ma anch'io sono come gli altri, a volte i dubbi e le decisioni mi sembrano insormontabili ma poi vengo qui e tutto si acquieta."

Appoggiai la testa sulla sua spalla e mi struscia un po'. "Anche pensando a me sei venuto in questo posto per chiarirti?"

"Sì, ero pieno di dubbi. Ma tu sei stata più forte di questa stessa chiesa."

"È per questo che mi hai portato qui?"

"Sì, perché il tuo amore supera in tutto la sua mole. Non so perché mi sono meritato tanto."

"Ora sei tu il poeta." Ridacchiamo tenendoci stretti, la sua mano scivolo sul mio fianco. Mi portò a sé e avvertii la sua tensione, si schiarì la voce e mormorò.

"Sposami Laura Lorenzi. Ti voglio con me per tutto il tempo che mi sarà concesso. Concedimi la tua mano davanti a questo altare, a qualsiasi Dio ci possa sentire in questo momento. Sposami e rendi la mia vita migliore."

Smisi di respirare. Si voltò a guardarmi, gli occhi grigi gli brillavano pieni di dolcezza.

E mentre riprendevo fiato, davanti a quell'altare giurai che lui era tutto ciò che volevo, era l'uomo che desideravo al mio fianco.

"Sì, lo voglio Mycroft, sarò la tua donna e la tua sposa per tutto il tempo che mi sarà concesso."

Una lacrima solitaria, mi scese fino alle labbra, Mycroft Holmes, il mio Ice Man, mi accarezzò il volto e mi baciò, era ciò che sanciva la nostra unione.

La sua mano scivolò nella tasca, sorrideva malizioso. Un piccolo contenitore di velluto rosso comparve tra le sue dita. Tremai incapace di dire altro.

Lo aprì, un delizioso anello con il simbolo dell'infinito, contornato da piccoli brillanti mi scombussolò così tanto che non avevo più voce.

"Mycroft!" sussurrai "mi sorprendi ogni giorno di più." 

Mi prese la mano, e visto che non riuscivo a smettere di tremare, lo infilò al dito. Era perfetto.

"Non mi sarei mai sbagliato, mentre dormivi ho preso la misura. Eri così dolce mentre tramavo nell'ombra."

Risi e piansi insieme. Mi coccolò dolcemente e rimanemmo abbracciati consapevoli della nostra promessa.

Il silenzio religioso di quella chiesa sacra fu nostro testimone, e rese i nostri respiri un rumore assordante.

 

                          --------------Le solitudini elettive---------------

                                 A Laura Lorenzi, alla sua caparbietà

                                      e a Mycroft Holmes, l'Ice man.

                                 A tutti quelli che  hanno letto di loro 

                            e li hanno accompagnati nel  loro percorso.

 

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