Una lunga estate di ONLYKORINE (/viewuser.php?uid=1040879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Springfield non si smentisce mai ***
Capitolo 2: *** Inviti ***
Capitolo 3: *** L'uscita con Milhouse ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** Problemi ***
Capitolo 6: *** Confidenze fra estranei ***
Capitolo 7: *** Birra per Maggie, grane per Nelson ***
Capitolo 8: *** Sorelle ***
Capitolo 9: *** Niente per il verso giusto ***
Capitolo 10: *** Incomprensioni ***
Capitolo 11: *** Pungoli e pungiglioni ***
Capitolo 12: *** Stecche e stoccate ***
Capitolo 1 *** Springfield non si smentisce mai ***
***Metto le note all'inizio perché mi sembra d'obbligo. Non
so come andrà questa storia, non so come sarà, se
sarà un flop oppure no, se ne sarò contenta o se
deciderò di abbandonarla. PErò... Sono qui. E
l'ho iniziata a scrivere, non so dove mi porterà
(né tantomeno se il titolo è proprio il suo, devo
ancora decidere) ma non ho trovato ff su questa coppia e allora,
conscia del fatto che cadrò in una miriade di
cliché e diventerà così OOC da
diventare quasi un'originale... Io la scrivo. Grazie per l'attenzione.
E, se vi va, leggete. 😊
-
Springfield
non si smentisce mai
-
-
Lisa
girò la chiave nel
quadro dell’auto e non successe niente. Niente. La macchina
di sua madre non
dava segni di vita.
Sbuffò prima di posare il
capo sul volante: era tornata a Springfield da poche ore e
già quell’orribile
città le stava dando il tormento. Si pentì di
essere tornata: perché non era
rimasta anche quell’estate a Cambridge a frequentare i corsi
estivi? Eh, perché
si era laureata e aveva promesso a sua madre di tornare almeno per un
po’. E
soprattutto perché non poteva permetterselo: se voleva
frequentare il corso di
veterinaria per la cura di animali selvatici, doveva risparmiare ogni
dollaro.
Scese dall’auto,
parcheggiata lungo la via davanti al piccolo fruttivendolo, e diede un
calcio
alla ruota anteriore. “Stupida auto!”
“Serve aiuto?”
Lisa si voltò verso la voce
che l’aveva interpellata, pronta a ringraziare.
“Sì, grazie. L’auto non si
accende…” Si interruppe quando dovette alzare lo
sguardo per guardare l’autista
del carro attrezzi sulla corsia opposta. Quel ciuffo di capelli castani
e
quella smorfia sul viso giallo le erano familiari, ma non riusciva a
inquadrare
il ragazzo in questione: un bel ragazzo, fra l’altro.
“Lisa,
Lisa Simpsons? La
piccola Lisa è tornata a Springfield…”
La ragazza sbarrò gli occhi e sbuffò,
alzando poi lo sguardo al cielo. Il ragazzo pensò che
l’avesse riconosciuto
solo in quel momento.
“Nelson… Che piacere
vederti” disse lei, ironica. Nelson non ci fece neanche caso
e scese dal suo
mezzo, lasciandolo nel bel mezzo della strada.
“Che succede?” chiese,
avvicinandosi all’auto.
Lei si riscosse da
qualcosa che le aveva preso i pensieri e, sorpresa, gli rispose:
“Oh… Non lo
so. La chiave gira, ma non si accende…”
“Posso?” Il ragazzo non
aspettò che lei rispondesse, ma aprì la portiera
e si accomodò sul sedile del
guidatore. Girò la chiave e guardò il quadro:
spento. “Mi sa che si è scaricata
la batteria” spiegò a una Lisa ancora stranita.
“E come si fa?”
“Posso accenderti la
macchina con i cavi, ma devi controllare la batteria. Potrebbe essere
da
cambiare.”
Lisa
annuì alle parole di
Nelson senza ascoltarle bene. Cosa doveva fare con la batteria?
“Ci sei? Hai capito?” Il
viso del ragazzo era un po’ corrucciato e una ruga si era
disegnata sulla sua
fronte.
“Sì… Sì, ho capito. Va
comprata nuova ma puoi accendere la macchina. Giusto?” Lui
annuì ma lei ebbe il
dubbio che non fosse troppo convinto che lei avesse capito davvero.
Cosa
verissima, comunque. Lisa si guardò intorno e poi si
passò una mano fra le
corte ciocche di capelli mentre sospirava.
“Esatto. Io te la accendo
ma se non si ricarica conviene sostituirla. Stai andando a
casa?” Lisa annuì
ancora. Cosa gli interessava a Nelson se stesse andando a casa o no?
“Se torni
a casa, non c’è problema. Spiega a tuo padre o a
Bart della batteria e loro
sapranno cosa fare”.
“So anch’io comprare una
batteria nuova!” esclamò, indignata.
Nelson rise scuotendo la
testa in un modo che a Lisa fece mordere le labbra, e mise mano sotto
al
volante, facendo aprire il cofano dell’auto. “Va
bene, va bene. Intanto vediamo
di accenderla.”
Si spostò davanti all’auto
e aprì il cofano. “Sembra vecchiotta…
Io la cambierei. Vedete voi se…”
“Ho detto che…” Nelson
rise ancora e alzò le spalle. “Allora valla a
comprare tu, ma stai attenta,
perché è possibile che la prossima volta che
spegni l’auto poi non si accenda
più, come è successo adesso”. Oh, e
cosa sarebbe successo se non avesse trovato
una batteria nuova?
Il ragazzo attraversò la
strada e salì sul carro attrezzi. “Dove
vai?” chiese, spaventata, Lisa. La
stava lasciando lì? Lì con un auto in panne
e… il cofano aperto?
“Prendo l’avviatore con i cavi
e arrivo.”
Lisa si sentì un po’
stupida e annuì, osservandolo mentre parcheggiava il mezzo
per lasciare libero
il passaggio. Lui tornò con quello che le sembrò
un trolley e iniziò, notò
impressionata, con gesti sicuri, a snodare dei cavi elettrici.
“Sali in macchina e quando
te lo dico metti in moto.”
Lei non pensò neanche a
contraddirlo: aveva la patente ma non un’auto e non si era
mai trovata in
quella situazione.
“Vai!” Lisa girò la chiave
e la macchina sussultò, prima di accendersi. Sì!
Il rumore del motore le riempì
le orecchie e lei si sentì vittoriosa. Anche se non aveva
fatto niente.
“Grazie” disse, scendendo
dall’auto e raggiungendolo vicino al cofano, improvvisamente
più propensa nei
confronti del ragazzo.
Nelson
le fece segno di
stare indietro e dopo un po’ iniziò a staccare le
pinze: non doveva farsi
distrarre, una volta era scattata una grossa scintilla e ci aveva quasi
rimesso
il naso e le sopracciglia.
“Ok, fai un giro lungo e
lasciala accesa almeno per venti minuti, così magari si
ricarica. Ma io la
sostituirei lo stesso” le spiegò.
Lei annuì e guardò il
cofano mentre Nelson gli dava il colpo per richiuderlo.
“Dove la compro una
batteria qui a Springfield? E come si fa a sostituirla?”
chiese poi, abbassando
lo sguardo e guardandosi le scarpe. Nelson seguì il suo
esempio e percorse con
gli occhi il corpo della ragazza, forse guardandola veramente per la
prima
volta da quando aveva fermato il carro attrezzi. I capelli portati
corti le
lasciavano scoperta la curva del collo e lui continuò a
scendere nonostante il
brivido che provò a vedere la pelle gialla sparire sotto
l’orlo della maglietta
rossa. Una gonna marrone le copriva le cosce e le sue gambe, snelle e
tornite,
finivano dentro a due scarpette rosse dalla punta quadrata e il tacco
grosso.
Sospirò silenziosamente e guardò da
un’atra parte per non dare l’impressione di
volerla spogliare.
“Posso montarti una
batteria usata per venti dollari.”
Lisa
alzò lo sguardo
improvvisamente: sarebbe stato perfetto! E gliela avrebbe data subito?
La
macchina le serviva per potersi spostare e comunque si sarebbe fatta
ridare i
soldi da sua madre.
“E… ce l’hai qui?” chiese
infatti, guardando verso il carro attrezzi.
Il ragazzo si passò una
mano fra i capelli. “Ehm, no. Ce l’ho in officina.
Però, non è molto lontano,
appena fuori Springfield”.
“Ok. Vengo a prenderla:
fai strada.” Salì in macchina velocemente, si
allacciò la cintura e guardò
fuori dal finestrino, in attesa che lui si desse una mossa.
Nelson,
che non si era
neanche accorto di averle fatto quella proposta, si riscosse e
raggiunse
velocemente il carro attrezzi. Ma cosa aveva fatto? Perché
le aveva detto che
le avrebbe montato la batteria invece di dirle di andare in un
supermercato o
da un meccanico? Mise in moto e si immise sulla carreggiata,
controllando che
lei lo stesse seguendo. Quando vide l’auto lasciare il
posteggio, si passò
ancora una volta una mano fra i capelli: che Lisa Simpson fosse
già tornata non
andava bene. Che lui si fosse fermato a parlare con lei, neanche. Che
stesse
andando a casa sua, poi, non andava bene per niente.
-
***
-
Lisa
seguì il mezzo per
tutta la cittadina e continuò a seguirlo anche quando
lasciarono il centro. Per
tutto il tempo ebbe paura che improvvisamente l’auto si potesse
spegnere, ma non
accadde mai. Quando svoltò per una via laterale deserta e
oltrepassò un grosso
cancello, capì il perché l’officina di
Nelson fosse fuori da Springfield: era
uno sfasciacarrozze. Un enorme sfasciacarrozze.
Continuò a seguire il carro
attrezzi lungo la strada ghiaiosa, in mezzo a macchine accatastate
l’una
sull’altra. Un grosso topo si fermò sul bordo e si
raddrizzò sulle zampe
posteriori, come per osservarla: chinò anche la testa di
lato, come faceva il
Piccolo aiutante di Babbo Natale tanti anni prima. Lisa
rabbrividì. Dov’era
capitata?
Nelson
posteggiò e scese
proprio davanti al portone dell’officina. Si voltò
a guardare se la ragazza lo
avesse effettivamente seguito e quando vide la macchina fermarsi dietro
al
mezzo, un po’ si sorprese: pensava che lei sarebbe scappata e
che non avrebbe
neanche oltrepassato il cancello.
Il cimitero delle macchine
era una cosa obbrobriosa, sia da vedere che da tenere in cortile. Non
era
ancora riuscito a organizzare lo sgombero. Fece cenno a Lisa di venire
più
avanti e lei seguì le sue istruzioni. Strano: non aveva mai
ubbidito in quella
maniera. Mai e a nessuno. O la piccola Lisa era cambiata o aveva capito
che non
poteva fare diversamente.
Lisa
scese dall’auto e non
riuscì a non guardarsi intorno: l’odore del
metallo era nauseante, le riempiva
le narici e le dava un senso di vertigine, mentre le carcasse delle
auto erano orribili
da vedere, tutte schiacciate, con le lamiere a pezzi e i vetri
infranti:
sembrava una discarica. Per non parlare dell’altezza di quei
rottami:
superavano il tetto della struttura che c’era in mezzo al
piazzale, dandole la
sensazione di esserne sommersa.
Vide Nelson sparire oltre
una saracinesca e continuò a osservare
l’abitazione: era una casa. Una casa di
quelle vecchie, con il porticato e le colonne a reggere la tettoia,
probabilmente una volta era stata una fattoria. Poco lontano, nascosto
dall’accumulo delle macerie, c’era una costruzione
che ricordava un fienile.
Probabilmente ora fungeva da garage.
“È casa tua?” gridò verso
la saracinesca.
La risposta di Nelson fu
un po’ strana, ma comunque affermativa.
Si avvicinò alla porta
d’entrata quando sentì il forte abbaiare di un
cane. Si guardò intorno, senza
riuscire a capire da dove arrivasse il rumore, finché non
vide arrivare, dal
cortile laterale, un grosso cane nero. Lui abbaiava e il suo latrato
rimbombava
nelle orecchie di Lisa che indietreggiò. Le zampe del cane
raschiavano la terra
da tanto il suo correre era veloce e pesante. Di taglia media, sembrava
un
grosso bufalo impazzito e abbaiava così forte che la ragazza
sentì vibrare lo
orecchie e il petto. I suoi denti erano ben visibili e per un attimo
lei si
chiese se l’avrebbe morsa davvero.
Leggermente impaurita, ma
conscia del fatto che non dovesse temere un animale, poiché
aveva intenzione di
curarli, Lisa si fermò a guardarlo arrivare. E
lui stava arrivando bello
carico.
Lisa
era ferma ad
osservare il cane che correva verso di lei.
Un topolino corse, anche
lui spaventato, per scappare dal cane e le passò sulla punta
delle scarpe. Lisa
gridò inorridita e sorpresa, facendo un saltello e un altro
passo indietro, ma
inciampò e cadde sul sedere, riuscendo solamente a osservare
il topo che
scappava e il cane che arrivata abbaiando. La sua non era una posizione
favorevole.
Trovarsi così in basso non aiutava il fatto di convincersi a
non avere paura.
Anzi… Osservò ancora il cane correrle incontro.
Cosa sarebbe successo una volta
che l’avesse raggiunta? L’avrebbe morsa?
L’avrebbe attaccata e tenuta ferma?
Al suono di un fischio,
forte, lungo e fastidioso, il cane si fermò, a due metri da
lei, guardandosi
intorno. Quando vide Nelson avvicinarsi a loro sorridendo, si
infuriò ma non
voleva darlo a vedere, così cercò di rialzarsi,
ma si accorse che le gambe le
tremavano un pochino.
Nelson
aveva visto Batman
scattare dalla sua cuccia appena la macchina di Lisa si era fermata nel
cortile,
non aveva pensato che il cane sarebbe corso all’impazzata
così, abbaiando e
spaventandola. Non lo teneva legato, che era un cane docile, nonostante
il
latrato pesante.
Probabilmente lei non lo
sapeva, ma Batman era abituato a ‘far le feste’ a
chiunque arrivasse,
soprattutto se arrivava insieme a lui, ma lei doveva aver frainteso
l’atteggiamento del cane.
Fischiò per richiamarlo,
lo stesso rumore che gli aveva insegnato quando si allontanava troppo e
per cui
di solito veniva sgridato, così, quando si
avvicinò lo fece sorridendo e con
andatura rilassata: i cani capivano il linguaggio del corpo, in quella
maniera
gli avrebbe trasmesso serenità.
Si avvicinò a Batman, gli
fece una carezza sulla testa e poi si diressero insieme verso Lisa, che
era
ancora in terra. Allungò una mano verso di lei e
approcciò una scusa: “Non è
abituato alle ragazze con i tacchi, lui non…”
Lei si tirò su e lo
interruppe: “Di solito vengono con gli stivali impermeabili e
la tuta
protettiva?”
Lisa
si pentì di aver
detto quella brutta frase quando il sorriso sparì dal viso
del ragazzo. Il cane
nero, che si era avvicinato al suo fianco, le mise il muso vicino alla
coscia e
le leccò una mano. Lei abbassò lo sguardo e il
suo cuore si intenerì quando vide
i suoi occhioni. “Oh, come sei dolce!” Fece un
po’ di carezze al cane e notò la
targhetta con il nome: “Batman”.
“Batman! Hai un nome
bellissimo!” Si chinò un po’ e, ridendo,
continuò a strapazzarlo come faceva
con il loro cane e il cuore le si strinse un po’, al pensiero
che non ci fosse
più da qualche anno. Si rialzò e, imbarazzata,
prese a spolverarsi la gonna a
pieghe. “Scusa, non avrei dovuto dire…”
“Lascia
stare” la
interruppe Nelson “qua non viene mai
nessuno…”
Il ragazzo si girò e tornò
verso l’entrata dell’officina. Così non
vide che lei era veramente dispiaciuta.
“Dentro c’è il bagno, se
vuoi…” disse, indicando la porta
d’entrata di casa sua, ma non si girò per
vedere se lei avesse accettato il suo invito o meno. Entrò
nell’officina e si
diresse velocemente verso l’armadio in fondo, dove sapeva di
avere almeno un
paio di batterie ancora funzionanti. Prima avesse fatto il lavoro,
prima lei se
ne sarebbe andata.
Lisa
entrò dalla porta che
lui aveva indicato e si trovò in un lungo corridoio.
Curiosò in giro: le
piaceva osservare i dettagli e le cose delle altre persone: si capiva
tantissimo di loro anche solo guardando di cosa si circondavano.
La prima porta portava in
una graziosa cucina. Era modesta e con il minimo essenziale: una cucina
economica con il forno era accanto a un piccolo lavello, mentre un
piano di
lavoro ben attrezzato era sotto la finestra che dava sul cortile. Un
tavolo e due
sedie erano appoggiati alla parete da dove era entrata la ragazza.
C’erano
persino delle tende alla finestra. Era piccola, ma molto, molto carina.
E in
ordine. E pulita. Non si era aspettata nessuna delle due cose. Quindi
Nelson
viveva lì? Oltrepassò la porta della cucina e
andò in cerca del bagno. Anche lì
rimase sorpresa: piccolo e pulito.
Si lavò le mani e si
inumidì la gonna, pulendola dalla polvere. Quando ebbe
finito, prima di
andarsene, si guardò intorno: amava i particolari.
Aprì gli sportelli di fianco
allo specchio e trovò il tubetto di dentifricio e uno
spazzolino blu, afferrò
il barattolo della schiuma da barba e poi il contenitore della lametta,
li
osservò e poi li rimise giù, prendendo un
boccetto in vetro che doveva essere
il dopobarba. Lo aprì e lo annusò. Quando chiuse
gli occhi si rese conto di
quello che stava facendo e lo rimise via velocemente. Doveva uscire
subito.
Si girò velocemente: vide
il box doccia e dietro la porta, appeso, un accappatoio grigio scuro.
Passò le
dita contro il vetro, mentre usciva, e cercò di immaginarsi
la spugna avvolgere
il corpo del ragazzo che stava aggiustando la sua macchina. La sua
macchina!
Era lì per quello! Non per curiosare nel bagno di un
ragazzo! Uno come Nelson,
poi!
Uscì dal bagno e dalla
casa più velocemente di come era entrata e subito si diresse
verso l’auto: lui
stava trafficando dentro il vano motore, aveva metà del
corpo coperto dal
cofano e lei poteva benissimo vedere l’altra metà.
Indossava degli stivali
che andavano di moda dieci anni prima ma che, notò Lisa, gli
stavano effettivamente
molto bene e i jeans erano attillati sulle cosce e sul sedere, forse
per via
della posizione che aveva assunto, ma non era assolutamente una brutta
visione.
Il cane era accucciato ai suoi piedi. Quando lui imprecò,
spostando la testa,
colpendo il metallo e imprecando ancora, si riscosse; lo aveva fatto di
nuovo:
si era scordata che fosse Nelson!
“Ci sei riuscito?” chiese
lei avvicinandosi. Questa volta il cane non si mosse.
Nelson
sbucò da sotto il
cofano e sventolò una mano.
“Sì sì, mi sono solo
scottato” disse. Era un idiota. Lo sapeva che la macchina era
appena stata
spenta, quindi il motore era caldo, perché aveva fatto la
stupidata di toccare
proprio lì?
“Comunque è a posto. Sali
e prova ad accenderla.”
Lisa ubbidì e salì in
macchina senza chiudere la portiera. Girò la chiave e il
motore non sussultò
neanche, si accese immediatamente. Scese sorridendo e tornò
verso di lui, che
stava cercando di darsi sollievo alla mano con uno straccio.
“Grazie!”
“Ti ho dato quella messa
meglio. Cosa faccio di questa? La butto io o…” le
chiese, indicando con la
punta della scarpa la vecchia batteria. Lei annuì, guardando
dentro al vano
motore. Lui si passò di nuovo lo straccio sulla mano e si
avvicinò, indicandole
la batteria e spiegandole come funzionasse.
Non l’aveva mai vista
sorridere così tanto in sua presenza.
Lisa
vide l’interesse
negli occhi del ragazzo mentre le spiegava come la batteria
dell’auto si
ricaricasse da sola mentre la macchina andava e quando non si caricava
più, era
inservibile. Notò anche la smorfia mentre si toccava la mano
dove si era
bruciato. “Dovresti metterla sotto
l’acqua” suggerì. Lui annuì e
disse che lo
avrebbe fatto presto.
Lisa si riavvicinò alla
macchina e prese la borsetta, ci frugò dentro, ma non
trovò il portafoglio.
Dov’era? Non lo aveva lasciato dal fruttivendolo, vero? Forse
era caduto in
auto. Guardò in macchina ma non c’era neanche sul
tappetino. Dannata
Springfield! Lo sapeva, lo sapeva, lei, che era una cattiva idea
tornare lì.
“Non ho il portafogli…”
iniziò a scusarsi, ma Nelson non c’era. Lo vide
uscire dall’officina con uno
straccio bagnato a coprirgli le dita scottate e gli andò
incontro. “Scusami,
non ho…”
“Ho sentito. Posso farmeli
dare domani da Bart.”
“Bart?” chiese Lisa.
“Sì, passo in città,
domani, vado al Jet Market e me li faccio dare da lui, ok? Ma digli che
sono
trenta dollari.”
Oh. Era vero. Bart
lavorava per Apu. Sospirò. Ehi, un attimo, ma
perché…
“Perché trenta dollari?
Avevi detto venti!”
“Venti da te. Da Bart,
trenta” spiegò, ridendo, il ragazzo.
“Allora te li porto io!”
“Va bene, dolcezza. Di
sicuro, è meglio vedere te che Bart!” Nelson
ammiccò e Lisa non seppe
ribattere. Lui la osservò per un momento e Lisa si
sentì trasparente.
Trasparente ma desiderabile. Non era mai successo, neanche quando
Milhouse le
rivolgeva i suoi soliti complimenti.
Nelson
si girò subito dopo
aver detto quella sciocchezza e la salutò con la mano per
non doverla guardare
più. Non era riuscito a spiegarle che Bart avrebbe tirato
sul prezzo e alla
fine gli avrebbe dato comunque venti dollari. E l’aveva
chiamata dolcezza! E ora era
fregato: aveva
appena fatto un lavoro per niente: non sarebbe mai andato da Bart a
farsi
prendere in giro per quello che aveva detto a sua sorella e lei non
sarebbe mai
tornata a portargli i soldi.
La guardò dal fondo
dell’officina mentre, con la borsetta in mano e guardandosi
intorno, risaliva
in macchina e se ne andava.
***
Quella
sera, dopo essere
passata dal fruttivendolo e aver scoperto che il suo portafoglio era
lì, ma
senza più soldi, Lisa tornò a casa arrabbiata e,
dopo aver salutato a malapena,
si rifugiò in camera sua e si coricò sul letto.
Il suono della chiamata in
arrivo sul cellulare le impedì di pensare, ancora una volta,
di aver fatto un
errore madornale.
“Kristen” rispose al
telefono, dopo aver visto il nome della sua compagna di stanza del
college,
nonché unica migliore amica da tanto tempo.
“Lisa, tesoro, com’è
andata? Come è stato tornare a casa?”
“Una merda. Ho perso dei
soldi, la macchina mi ha lasciato a piedi e sono stata aggredita da un
topo”
spiegò, esagerando. Non voleva dire che era stata spaventata
da un cane, perché
si era sempre vantata di non averne paura.
“Oh, mamma mia, deve
essere proprio un postaccio, questa Springfield! Ecco perché
non volevi tornarci.
E la tua famiglia? Che ha detto?”
“Riguardo a cosa, del topo?”
E cosa avrebbe detto la sua famiglia quando avesse saputo che a casa di
Nelson
aveva annusato il suo dopobarba?
Dall’altro lato della
comunicazione Kristen rise. “Ma no! Che ha detto la tua
famiglia del lavoro?”
Lisa spalancò la bocca: si
era completamente dimenticata di dire alla sua famiglia del lavoro!
-
-
-
***
e niente... grazie di essere arrivati fino a qui.
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Capitolo 2 *** Inviti ***
Inviti
-
Nelson
si coprì con
l’accappatoio e si guardò la mano: era rossa,
dannazione. Ci mancava solo
quello. Imprecò e si diresse verso la camera da letto,
strofinandosi i capelli
con una salvietta e la mano buona.
Il cellulare, posato poco
prima sul comodino, suonò e vibrò e il ragazzo
guardò il display prima di
rispondere: Ellie.
“Pronto!”
“Ciao, tesoro!” Nelson
sorrise: non c’erano guai in vista.
“Ciao, Ellie. Tutto bene?”
“Sì. Stasera ceniamo
insieme”. Non era una domanda. Ellie era un terremoto.
“Davvero?”
“Sì. O hai altro da fare?”.
Nelson sentiva chiaramente che stava facendo qualcosa mentre era al
telefono
con lui.
“No, assolutamente. E dove
mangiamo?” chiese, anche se sapeva già la risposta.
“Da te!”
“E chi cucina?” Sapeva che
Ellie adorava quel giochino fra di loro.
“Se cucino io dobbiamo
chiamare i pompieri, lo sai”. Ellie rise mentre si muoveva.
Nelson immaginò che
avesse il telefono incastrato fra la spalla e il viso.
L’aveva vista truccarsi
così un sacco di volte. Chissà se anche Lisa lo
faceva quando era al telefono.
Ma forse lei non si truccava…
“Chi?” chiese la ragazza
al di là della conversazione. Nelson capì di aver
parlato senza riflettere e
tossì.
“Cosa? Non ho detto
niente, deve essere stata un’interferenza. Allora, vieni
qui?” chiese, per
deviare l’argomento. Sperò di non aver nominato
Lisa chiaramente come lo aveva
pensato.
“Sì. Vengo lì e mi cucini
qualcosa di buono, ok?”
“Ok. Come vieni?”
Nelson non vide Ellie
alzare le spalle, ma se la immaginò benissimo e sorrise.
“Vengo con l’auto del
vecchio. Stasera…”
“Ellie! Avete litigato
ancora?” Nelson sospirò: ogni volta che Ellie
litigava con suo padre, lo
chiamava sempre ‘il vecchio’.
“Poi ti spiego. Vengo alle
sette, ciao!”
Nelson appoggiò il
telefono sospirando. Il guaio era che di solito era d’accordo
con Trevor e
doveva subirsi lo stesso tutte le lamentele della ragazza.
Si alzò dal letto e
continuò ad asciugarsi i capelli. Cosa avrebbe potuto
cucinare?
***
“Mamma?”
Lisa si affacciò
in cucina e guardò sua madre china sul piano di lavoro.
Quando si voltò verso
di lei vide chiaramente il suo viso invecchiato, le rughe vicino agli
occhi,
quelle sulla fronte e come la pelle gialla avesse perso la
luminosità che la
ragazza pensava indelebile. Ma poi Marge sorrise e tornò
giovane come Lisa la
ricordava.
“Tesoro, sei tornata!”
esclamò, come se il fatto che fosse tornata a casa solo dopo
quattro anni le
dava la possibilità di sparire tutte le volte che varcava la
soglia di casa.
“Sì. Avevo detto che sarei
tornata, quando sono uscita.”
Si avvicinò a lei e la
guardò tagliare le verdure per la cena. Per fortuna si era
ricordata che non
mangiava carne. Lisa sorrise.
“Richard verrà? Quando ce
lo farai conoscere?” Lisa si bloccò di colpo:
aveva allungato una mano per
prendere delle noci dal portafrutta, ma si immobilizzò con
il braccio in aria.
“Mamma… Devo dirti una
cosa…”
“No! Vi siete lasciati? Mi
dispiace!” Sua madre non la fece neanche finire di parlare e
Lisa non riuscì a contraddirla.
Non avrebbe detto niente. Non c’era differenza fra un
‘essersi lasciati’ e un
‘non essere mai stati insieme’ se alla fine il
risultato era lo stesso, giusto?
Marge continuò a tarolare di amori passati e perduti, di
porte e portoni e di
pesci nel mare mentre continuava ad affettare le verdure.
“…E poi chi lo sa, magari
troverai un bel ragazzo proprio qui, a Springfield!”
finì il suo monologo la
madre. Lisa non disse niente: Springfield non le aveva riservato un
buon bentornato per pensare di
rimanerci, ma
non voleva ancora discutere con sua madre.
In quel momento, dalla
finestra del salotto si vide una macchina sportiva parcheggiare sul
vialetto di
casa Simpson e buttare giù la cassetta delle lettere. Homer
si alzò dal divano
senza quell’agilità che tanto non aveva mai
posseduto neanche da giovane e aprì
la porta urlando: “Milhouse! Brutto idiota, hai di nuovo
rotto la cassetta
della posta!”
“Mi scusi, Homer…” rispose
il ragazzo scendendo dall’auto e guardando sconsolato il
danno.
“Chiamami Signor Simpson!”
gridò Homer prima di sbattere la porta e ritornare a sedersi
sul divano.
“Speriamo solo che non sia
Milhouse, ne siamo scampati una volta…”
sussurrò sua madre più a se stessa che
a Lisa, mentre osservava la scena dalla porta della cucina.
Lisa sospirò. Era stata
con Milhouse al liceo. Aveva praticamente odiato il liceo, dopo il
primo anno,
quando ancora non aveva capito come funzionasse davvero. Era odiata da
tutti,
era definita la secchiona della scuola e qualche volta aveva fatto la
spia
quando qualcuno infrangeva le regole. Solo le lezioni erano
interessanti, ma la
maggior parte dei professori insegnava senza impegno né
voglia e questo si
sentiva benissimo. Lei ce l’aveva messa tutta, aveva
organizzato corsi
extrascolastici, manifestazioni e aveva lavorato per il giornalino
scolastico.
Ma gli altri studenti non apprezzavano il suo impegno nel sociale o il
suo
essere insistente, così alla fine, la lasciavano sola. Aveva
fatto un sacco di
cose, ma la sua mancanza di socializzazione aveva reso quegli anni un
po’
pesanti.
O forse la odiavano perché
stava con Milhouse? Poteva essere. Lisa ridacchiò portando
la mano davanti alla
bocca e cercò di rassicurare sua madre:
“È bastata una volta anche per me,
mamma”. Una volta durata un anno e mezzo e la sua
verginità, ma una volta sola.
“Vai da tuo fratello e
digli che sta arrivando Milhouse. Che non scappi detto a Bart cosa
c’è per cena
o quel piccolo scroccone tenterà di invitarsi: sua madre gli
fa mangiare
surgelati e non li scongela sempre!”
Lisa annuì spalancando gli
occhi e salì le scale per tornare al primo piano.
Passò davanti alla camera di
Bart e lo sentì imprecare mentre giocava ai videogiochi.
Bussò, ma non gli
rispose, bussò ancora, ma lui non la invitò a
entrare.
“Babi…” Lisa aprì piano la
porta della stanza di suo fratello e lo chiamò, prima di
fare irruzione, ma lui
le dava le spalle, aveva le cuffie nelle orecchie e stava giocando alla
play
mentre dava ordini a qualcuno. “Babi…”
Bart sobbalzò quando la sorella gli
toccò la spalla e imprecò ancora.
“Lisa, diamine! Mi hai
fatto morire!” Bart la guardò malissimo e poi
toccò qualcosa vicino
all’orecchio. “J-red, mi spiace,
c’è quella rompiballe di mia sorella, ci
becchiamo domani. Stessa ora”.
“Cavolo, Lisa, sei tornata
oggi e già mi hai fracassato la…”
“Bart! Ma ti sembra il
modo di darmi il bentornato?” esclamò Lisa,
contrariata dal suo comportamento.
“Ma ti ho salutato
stamattina! Quando sei tornata, no?” Lisa sbuffò.
Ma era impensabile che suo
fratello non fosse maturato neanche un pochino? Poco pochino?
“Dai, siediti qui
e guardami mentre gioco… ma stai zitta!” Lisa
alzò gli occhi al cielo, ma si
sedette sul piccolo divanetto accanto al fratello.
“Sta arrivando Milhouse”
gli comunicò, mentre Bart riniziava a giocare, questa volta
da solo.
“Cosa c’è per cena?”
chiese lui, come se le cose fossero collegate.
“Non lo so. Cos’è che non
piace a Milhouse? Surgelati?” Bart scoppiò a
ridere e le diede una pacca sulla
coscia. “Ascolta…” riniziò a
parlare, subito dopo, sussurrando. “Oggi la
macchina della mamma non si accendeva più
e…”
“È la batteria che inizia
a fare le bizze. Papone ha detto che la settimana prossima la va a
comprare.
No, lo ha detto due settimane fa…” Bart non la
guardò e alzò il joypad come se
dovesse accompagnare il protagonista del videogame nella sua corsa.
“Ecco! Beh, l’ho cambiata
io. Ne ho presa una usata.”
Bart
smise di giocare e si
voltò verso la sorella. “Cosa hai fatto? E
l’hai montata tu?”
Sua sorella lo aveva fatto
davvero? Lisa si morse le labbra e guardò da
un’altra parte.
“No, Babi… Mi hanno
aiutato… L’ha fatto un tipo…”
Bart tornò a giocare: aveva molto più senso.
“Quanto ti ha preso? Ti ha
fregato?”
“Non lo so, io penso di
no… Ha voluto venti dollari” rispose.
“Se te ne ha chiesti venti
vuol dire che potevi tranquillamente tirare a dieci! Devo andare a
farmeli
ridare?“
Lisa
rise: un po’ per
l’atteggiamento del fratello e un po’
perché aveva capito perché Nelson pensava
di chiedere di più a Bart.
“Penso che venti fosse il
prezzo giusto” rispose. Ma tanto Bart aveva alzato le spalle
come per dire
‘come vuoi’ e aveva ripreso a giocare, senza
calcolarla più di tanto.
“Dove sei andata a fartelo
fare?”
Lisa si morse di nuovo il
labbro inferiore, indecisa se dirglielo o meno. “Da Nelson
Muntz”.
Bart non staccò gli occhi
dallo schermo. “Nelson è bravo. Hai fatto
bene”.
Oh. Davvero? Lisa si
incuriosì: non si era neanche voltato verso di lei come
prima. “Lo pensi
davvero?”
Suo fratello alzò le
spalle. “Penso sia il meccanico migliore, qui a
Springfield”. La ragazza aprì
la bocca, ma non disse niente.
“Ma… Da quand’è che sei
amico di Nelson?”
Bart alzò di nuovo le
spalle. “Ci siamo trovati alla Springfield University
insieme. Non lo vedevo
dalle elementari… Ti ricordi che ha frequentato la Middle
Town e non quella
dove siamo andati noi?” Lisa annuì: loro gli anni
delle medie e del liceo li
avevano fatti in una scuola diversa da quella di Nelson.
“Ecco, poi ci siamo
trovati all’università. Abbiamo fatto amicizia
lì. Lui era… diverso. Non so
bene… Non mi sono fatto tante domande. Ora ci tiriamo pugni
sul ring in
palestra invece che nel cortile della scuola. È ancora
più forte di me, ma
almeno adesso è divertente”. Bart sorrise e Lisa
si meravigliò ancora. Tirarsi
pugni era divertente? Doveva essere una cosa da maschi, visto che non
la capiva.
“Sei
amico di Nelson!” La
voce lagnosa di Milhouse fece girare Bart verso la porta.
“Milhouse, stai
origliando?”
“Perché sei amico di
Nelson? Sono io, il tuo migliore amico! Non è lui il tuo
migliore amico, vero,
Bart?”
“Beh, Milhouse, non è che tu
sia proprio…” Il colpo che Bart ricevette da Lisa
lo mise in guardia e cercò di
cambiare strategia. “È che quando se
andato al college non c’era più nessuno
che…” Questa volta, invece, venne interrotto
direttamente dall’amico.
“Ma non dovevi sostituirmi!
Sono io il tuo amico…”
Bart sbuffò: come odiava
Milhouse quando faceva così la femminuccia. Era proprio
odioso.
Milhouse
aveva quel tono
che a Lisa non era proprio mancato. Sembrava avesse ancora dieci anni
invece di
ventiquattro.
“Milhouse, sono sicura che
tu sia ancora un caro amico di Bart, vero Bart?” Milhouse
spalancò gli occhi,
probabilmente non si era accorto che c’era anche lei. Lisa
non lo vedeva dalla
fine del liceo. Così come non aveva visto nessun altro.
“Lisa! Sei tornata! Come
sei bella!” Il ragazzo, totalmente scordatosi del problema
‘miglior amico di
Bart’, ora la stava guardando con uno sguardo un
po’ viscido. Lisa ebbe un
brivido.
“Già…”
“Posso baciarti?” chiese,
avvicinandosi e sporgendo le labbra verso di lei.
“Oddio, Babi, aiutami” sussurrò.
“Hei,
Milhouse, prendi un
joypad, se vinci contro di me, puoi fermarti a cena.”
Il ragazzo dai capelli blu
sorrise e annuì. I suoi occhiali si spostarono nel movimento
e dovette
sistemarseli. Lisa si alzò dal divanetto per far posto
all’amico, ma lui riuscì
a fermarla prima che riuscisse a scappare dalla camera.
“Però potremmo uscire
insieme, cosa dici, Lisa? Sono passati tanti
anni…” buttò lì la proposta,
bloccandole la strada.
Lei non riuscì a negargli
anche quello e sospirò. “Da amici,
però” concesse.
“Certo, da amici. Una
chiacchierata e basta. Domani?”
Lisa, pensando che lui
volesse invitarla fuori a mangiare, cercò di far morire
subito qualsiasi
iniziativa che implicava l’impegno di troppo tempo.
“Ok, domani dopo cena. Da
amici” chiarì. Milhouse non era di certo il tipo
di ragazzo a cui avrebbe
annusato il dopobarba nel mobiletto del bagno.
Si sentì le guance rosse,
di nuovo, al pensiero di quello che aveva fatto nel pomeriggio e, con
una
scusa, uscì velocemente dalla stanza.
Entrò in camera sua e
prese in mano il sax. O amico sax. Lo accarezzò e lo
avvicinò alla bocca.
Quando chiuse gli occhi e iniziò a soffiare,
però, nessuna melodia uscì dallo
strumento. O dal cuore di Lisa.
“Hai
visto?” chiese
Milhouse, eccitato, a Bart.
“Cosa?”
“È diventata rossa: le
piaccio ancora!”
“Sarai diventato
daltonico”. Il rumore dello scapaccione che gli
rifilò Bart si sentì anche in
cucina.
-
-
-
***Eccomi! Come dicevo, non
so se sto andando nella direzione giusta, quindi spero che la storia
non sia uno schifo... Grazie a tutti quelli che leggono!
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Capitolo 3 *** L'uscita con Milhouse ***
L’uscita
con Milhouse
-
-
“Te
lo ripeto: solo da
amici, va bene?” Lisa cercò di mettere le cose in
chiaro un’ultima volta prima
di salire sull’auto sportiva di Milhouse.
“Certo, certo, come vuoi
tu, mia principessa.”
Lisa sbuffò alzando gli
occhi al cielo, già pentita di aver accettato, quando, una
volta seduta, guardò
l’auto dall’interno: era una macchina sportiva di
ultimo modello,
probabilmente. Non che lei ci capisse molto, ma sapeva ancora come
giravano
alcune cose.
“Bella macchina” si
complimentò.
“Sì. Me l’ha regalata la
mamma” spiegò lui.
Come? Lisa dovette
trasformare una risata in un colpo di tosse. “Uhm…
Tua madre?”
“Sì. Adesso lavoro con
lei, sai?”
“Oh, bella cosa”. O no?
Milhouse alzò le spalle
mentre metteva in moto l’auto e si spostarono dal marciapiede.
“Penso di sì, ma non la
vedo mai. Facciamo orari diversi e mi ha messo a lavorare in un altro
piano.
Non posso dire che sono suo figlio e non possiamo mangiare
insieme.”
Lisa spalancò gli occhi e
fece un sorriso tirato per l’imbarazzo di quello che aveva
detto. Uno di quei
sorrisi che mettono in mostra solo i denti. Tutti. Sembrava un
emoticon. Richiuse
la bocca appena se ne accorse.
Dopo un po’ di giri per le
vie serali di Springfield, il ragazzo prese la strada per PineHill,
dove le
coppiette andavano a imboscarsi nella pineta sulla collina, e Lisa si
agitò.
“Milhouse, ho detto che
uscivamo da amici…”
“Non preoccuparti, Lisa.
Vedrai che sarà bello.”
Cosa? Cosa sarebbe stato bello?
“Cosa?”
“Chiacchieriamo, dai”
concesse lui.
Lisa non era del tutto
convinta, ma non disse niente. Quando spense la macchina, allineata nel
parcheggio della collina insieme alle altre, la ragazza non seppe
più cosa
dire. Cosa poteva raccontare a Milhouse? Niente. Assolutamente niente.
Ma come
al solito lui le aveva fatto pena e aveva accettato di uscirci. Ora se
ne stava
pentendo.
“Non mi dici niente?” le
chiese lui dopo un po’.
Lisa, pensando che se non
avesse aperto bocca lui ci avrebbe provato, disse la prima cosa stupida
che le
venne in mente. E il guaio è che non ci mise molto.
“Ieri ho avuto un problema
con la macchina e Nelson mi ha aiutato”. La ragazza si
sarebbe voluta strozzare
da sola.
“Nelson? A quanto pare non
è che abbia fatto molto da quando andavamo a scuola! Vive in
quel posto
orribile e pieno di ogni schifezza immaginabile. Sai che ha un cane
cattivissimo
che scatena contro la gente?” Lisa spalancò gli
occhi: ma chi, Batman? Poteva
sembrare un cane cattivissimo, ma in verità era molto dolce,
pensò. Si guardò
la mano, che il cane di Nelson aveva annusato e leccato con dolcezza e
con cui
lei gli aveva fatto le coccole.
“Non penso che…” cercò di
interromperlo, ma Milhouse, forse reduce dal giorno prima, ce
l’aveva a morte
con il ragazzo e continuò la sua tiritera.
“Mia madre ha detto che
hanno firmato una petizione, prima della fine del mese gli
sequestreranno tutto
se non ripulisce il cortile. Tu non sai quante cose ha davanti a casa
sua:
vecchie lavatrici, macchine, vecchi trattori, ha anche la carrozza di
un treno.
Ci fa i festini di notte, invita i suoi amici criminali e giocano
d’azzardo
insieme alle prostitute!”
Lisa non riusciva a
crederci. Stava quasi per ridere, perché lei non aveva visto
né trattori né vagoni
e la tiritera dell’amico le sembrava un gran chiacchiericcio
da bar, però aveva
detto anche una cosa interessante…
“Che petizione?” chiese.
Milhouse, contento di
avere l’attenzione della ragazza, continuò sulla
sua strada. “Una petizione per
cui gli porteranno via tutto: l’immondizia, la casa, anche il
carro attrezzi e
l’officina!”
Lisa sgranò gli occhi: gli
avrebbero portato via tutto? Davvero? E quando? Ma poi…
“Ma la casa è sua?”
Milhouse alzò le spalle come se la cosa non gli interessasse
e disse solamente:
“Basta che lo buttino fuori dalla
città…”
“Perché? Bart dice che non
dà più fastidio a nessuno…”
“Bart!” La voce di
Milhouse si fece carica di rabbia e il corpo gli vibrò di
indignazione. Lisa
capì il vero motivo per cui ce l’avesse a morte
con Nelson. “Sei geloso di
Bart? Perché ha detto che si frequentano?”
“Loro non si frequentano!”
urlò il ragazzo, innervosito. Lisa decise di non infierire
ulteriormente e
stette zitta, un po’ preoccupata per l’amico e un
po’ per il futuro
dell’officina di Nelson.
Dopo poco il braccio del
ragazzo si posò sul suo poggiatesta e lui si sporse
pericolosamente verso di
lei. “Milhouse, cosa stai facendo?”
Le labbra del ragazzo si
arricciarono e si avvicinò ancora, sempre di più.
Lisa si appiattì contro la
portiera della macchina e cercò di tenerlo a bada.
“Ascolta, io…”
“Sì, anch’io!”
gridò
Milhouse saltandole addosso. Lisa si bloccò nella posizione
in cui era perché
non si aspettava una cosa simile e il ragazzo ne approfittò
per prenderla per
le spalle e spingerla verso il finestrino. Si avvicinò
ancora e le sue labbra
si posarono violentemente su quelle di Lisa, mentre la sua lingua la
invadeva.
“Milhouse, no. Avevamo
detto che…”
“Dai, Lisa, diamine! Ti
prego, solo qualche bacio!” Lisa scosse la testa e
sospirò quando lui la baciò
ancora, ma venne scossa da un brivido di disgusto quando la sua saliva
le
imbrattò le labbra. “No, no.
Non…” disse lei, scostandolo e pulendosi le labbra
con l’orlo della maglietta.
“Ma allora cosa siamo
venuti a fare? Dai, dolcezza, ti ricordi quando abbiamo fatto
l’amore? Quanto è
stato bello, eh?”
Lisa, che al termine
‘dolcezza’ pensò a un altro ragazzo, si
spazientì e lo ammonì: “Milhouse,
è
stato un disastro! Tu hai pianto e non è stato…
sì, ecco un granchè…”
“Allora rifacciamolo! Ti
giuro che stavolta…”
“Milhouse, ti prego,
basta, non voglio far l’amore con te, siamo usciti da
amici!”
“Ma quali amici, Lisa, io
ti voglio!” Il ragazzo si sporse ancora e quando Lisa
capì che non sarebbe
riuscita a farlo smettere, aprì la portiera e scese dalla
macchina. “Ma dove
vai? Non puoi tornare a Springfield a piedi!”
gridò lui.
“Oh, sì che posso!”
borbottò Lisa, stringendosi nel golfino e guardandosi
intorno: c’erano un sacco
di macchine, in fila sulla collina, con la vista delle luci notturne
della
città, in alcune poteva vedere distintamente le ombre dei
ragazzi avvinghiati a
baciarsi. Qualche macchina aveva tirato dritto sulla piccola piazzola e
si era
avventurata nella pineta, dove c’era più privacy e
i ragazzi facevano di più
che scambiarsi qualche bacio.
La ragazza si voltò e si
incamminò lungo la strada che scendeva verso la
città: quante miglia erano?
Sicuramente non troppe.
***
Dannati
ragazzini che si
imboscavano nella pineta dopo la pioggia! Nelson risalì sul
suo automezzo e
sbuffò. Ma poi sorrise quando contò le banconote
che aveva in tasca: aveva
quasi trecento dollari.
Non era la prima volta che
qualcuno di quei mocciosi neopatentati si impantanasse nel fango e
chiamasse il
suo servizio per farsi aiutare. E capitava spesso che fossero ricchi
figli di
papà, a cui non andava di essere presi in giro da genitori e
amici, o non volessero
far sapere dov’erano o con chi, e gli chiedessero di tenere
la bocca chiusa. E
allora lì iniziava il suo momento.
Nelson mise in moto il
carro attrezzi e abbassò il finestrino per godersi
l’aria della sera: di solito
non adorava particolarmente l’estate, non da quando non era
più un adolescente,
ma le ultime sere erano state serene e lui si era sentito bene, come
quando la
sera stappava una bottiglia di Duff sotto il portico di casa sua.
Fuori dalla pineta,
oltrepassò il parcheggio pieno di macchine sportive e
imboccò la strada buia
che tornava a Springfield. Si strofinò un occhio quando vide
qualcosa sul
ciglio della strada e rallentò: non c’erano
lampioni lì, infatti era per questo
che Pinehill piaceva molto a chi preferiva discrezione. Quando
notò che la
creatura che camminava sul bordo della strada era una ragazza, di cui
si
distingueva nella notte solo la gonna che le sbatteva contro le gambe a
ogni
passo, rallentò ancora e tirò giù il
finestrino dalla parte del passeggero. Chi
diavolo poteva essere che scendeva a piedi dalla collina degli amori?
Qualcuna
che aveva sorpreso il fidanzato con un’altra? No,
immaginò Nelson, altrimenti
ci sarebbero state grida e schiamazzi e lui non aveva sentito niente.
Forse…
Una che aveva cambiato idea?
Mentre faceva queste
supposizioni la ragazza inciampò e si sporse troppo verso la
carreggiata, tanto
da costringerlo a frenare bruscamente per non investirla e a suonare il
clacson.
Lisa
aveva sentito il
rumore del motore e aveva visto le luci dei fari già da un
po’ ma, immaginando
che fosse Milhouse che la stesse cercando, aveva deciso di non girarsi.
Fu
quella maledetta radice che sporgeva fuori dal terreno a farla
inciampare e lei
per poco non cadde per terra.
Il suono del clacson la
colse comunque di sorpresa e si ritrovò a gridare, girandosi
verso la strada.
Voleva farle avere un infarto?
“Lisa!” gridò una voce che
riconobbe bene.
“Nelson?” chiese, di nuovo
nel giro di due giorni, ma questa volta si scoprì molto
più felice del giorno
prima.
“Tutto… a posto?” Nelson
si sporse verso il finestrino dal lato passeggero e lei
annuì, abbracciandosi
le spalle, nel fresco della sera.
“Vuoi
un passaggio?” le
chiese, quando lei fece quel gesto con le braccia. Cosa diavolo ci
faceva lì?
Con chi era venuta? Lisa annuì ancora e lui, allungando il
braccio, le aprì la
portiera, invitandola a salire.
Lisa
ci pensò forse un
secondo, o forse due, ma quando vide i fari di un’auto
scendere la strada dal
parcheggio, preferì accettare il passaggio e salire,
tirandosi dietro lo
sportello. “Grazie” disse solamente.
Sperò che lui non le chiedesse cosa ci
facesse lì, perché si sentiva
un’emerita stupida ad aver creduto che Milhouse
avesse accettato di uscire come semplici amici. Così
preferì parlare lei. “A
qualcuno si è scaricata la batteria
dell’auto?” chiese, tentando di essere
simpatica.
Il sorriso che si disegnò
sul viso del ragazzo non aveva niente a che fare con il ghigno che lui
aveva da
ragazzino e lei si sentì un po’ strana, in quel
momento. Forse era colpa della
poca luce che c’era, che le faceva immaginare cose che non
c’erano.
“A
volte qualcuno rimane
impantanato nel fango.”
Nelson non disse
nient’altro. Non disse che di solito lo chiamavano alle ore
più disparate o con
pretese più o meno assurde. Non disse che lui li guardava
tutti con sufficienza,
loro, le loro macchine costose e i loro soldi.
“Mi spiace, quindi lavori
sempre?” Come? Nelson si voltò verso la ragazza.
Lei non lo aveva ancora
guardato con sufficienza. Eppure era l’unica che potesse. O
l’unica a cui lui
lo avrebbe lasciato fare. Ma non voleva dire che i soldi guadagnati
così erano
i più facili, si sentiva… un ingannatore.
“E tu che facevi? Di
solito non si torna a piedi da PineHill…” Nelson,
che aveva imparato che
l’attacco è la miglior difesa, decise di sviare la
domanda, ma aveva
sottovalutato la ragazza, che non si scompose minimamente.
“Se non vuoi rispondere,
basta che non rispondi, Nelson”. Il suo naso si
arricciò mentre parlava e lui
pensò che c’era ancora quella ragazzina di otto
anni che ricordava benissimo,
lì sotto da qualche parte.
“Anche
tu” rispose Nelson
e Lisa sentì le guance calde.
Non prestò attenzione a
dove stessero andando e quando si fermarono, vedendo che non erano
nella via di
casa sua, dove i suoi abitavano da sempre, un po’ si
agitò: cosa aveva pensato Nelson
quando le aveva offerto il passaggio? Lei aveva pensato che lui
l’avrebbe
riaccompagnata a casa e invece… Oddio, possibile che tutti i
ragazzi fossero
uguali? Possibile che ci fosse un altro posto come PineHill? La
tristezza un
po’ le fece male. Era troppo ingenua?
“Dove siamo?” chiese,
sporgendosi verso il finestrino per guardare fuori: ma era tutto buio e
non riusciva
a vedere niente.
“Dove
siamo?”
Il tono di voce della
ragazza era sospettoso e Nelson non seppe se esserne contento o meno.
Ma decise
di non dar corda a certi pensieri e disse solamente: “Sembra
che tu abbia
bisogno di un gelato”.
“Gelato?” Lisa si voltò
verso di lui e, probabilmente, vide il diner al di là della
strada solo in quel
momento, a giudicare dalla sua faccia.
“Sì” continuò Nelson,
indicando il locale. “Sai, stamattina ho trovato questi sotto
la porta di casa
e ho pensato che il modo migliore per spenderli sia proprio il
gelato…” Mostrò
una banconota da venti dollari piegata.
Lisa
aggrottò le
sopracciglia riconoscendo il denaro che lei gli aveva infilato, con un
biglietto, sotto la porta quando quella mattina era andata da lui per
pagarlo e
non lo aveva trovato.
“E quindi?” chiese, ancora
stranita.
“Non vuoi una coppa di
gelato con panna montata e noccioline? Ok, ti porto a
casa…” La sua mano scattò
alla chiave per riaccendere il carro attrezzi, quando Lisa si
sentì smarrita.
“No, ok. Va bene il
gelato. Ma la panna deve essere tanta” disse lei, indicandolo
con il dito.
Stava già pregustando il freddo del cioccolato sulla lingua,
socchiudendo gli
occhi all’idea delle righe che avrebbe mostrato il ricciolo
di panna montata,
mentre si vedeva già con il cucchiaino a rompere la
crosticina bianca che si
formava quando era a contatto con il freddo del gelato.
Nelson
scese e aspettò che
lei lo raggiungesse da quel lato del mezzo, prima di attraversare.
Cercò
comunque di non toccarla, non sfiorarla, non fare… niente.
Si infilò le mani in
tasca e lì le tenne fino a quando non entrarono nel locale.
Il ragazzo conosceva
benissimo il diner: ci aveva lavorato sua madre, lo conoscevano tutti
ed Ellie
ci faceva il turno del pranzo, ora che non andava a scuola.
Il bancone lungo e lucido,
con gli sgabelli e le tovagliette, i contenitori di condimenti e lo
zucchero in
barattolo lo fecero subito sentire a casa. Alle medie, quando sua madre
aveva
iniziato a frequentare Trevor e aveva iniziato ad avere
un’esistenza
equilibrata, Nelson ci aveva passato interi pomeriggi, su quel bancone.
Ed era
proprio lì che aveva conosciuto Trevor. E anche Ellie.
Voltò lo sguardo e
riconobbe con gli occhi della mente i tavoli e i divanetti rossi, la
plastica
rumorosa e consumata, i menù infilati con cura dietro ai
barattoli di maionese
e ketchup.
“Sicuro che qui ci sia il
gelato?” gli chiese la sua accompagnatrice e Nelson dovette
ammettere che forse
non era stata una buona idea portarla lì, ma Lisa aveva
quella faccia triste e
lui aveva pensato subito a quando sua madre gli preparava la Happy Cup, come la chiamava lei, per
risollevargli il morale quando era particolarmente giù.
“Sì,
certo” rispose lui e
le fece cenno di sedersi. Lisa si strinse nelle spalle e si
avvicinò a un
tavolo, strisciando sul divanetto di finta pelle e andando a sedersi
vicino
alla vetrina.
“Come va la mano?” gli
chiese.
Lui alzò una spalla, si
sedette di fronte a lei e poi si guardò la mano: non era
messa malissimo, però,
dopo il lavoro alla pineta, tutte e due non sembravano molto pulite.
“Vado in
bagno”.
Lisa non disse niente e
guardò di nuovo fuori dalla vetrina.
Nelson
uscì dal bagno e
per un attimo pensò che lei non ci sarebbe stata. E invece
era ancora lì. Lisa
era seduta esattamente dove era dieci minuti prima, stava guardando il
menù e
sorrideva da sola. Era cambiata, dall’ultima volta che
l’aveva vista o che le
aveva parlato. Era più alta, più formosa,
più… bella. Diavolo, Lisa Simpson era
bella. MA questo, Nelson lo aveva sempre saputo. Lei era bella e
intelligente.
Sapeva anche che se ne sarebbe andata, un giorno, e aveva pensato che
non
sarebbe tornata più. E invece eccola lì.
Lì, al diner di Springfield. Con lui.
Ma che gli era venuto in mente? Doveva portarla a casa! Ecco cosa
avrebbe
dovuto fare: portarla a casa. E invece no.
“Nelson!” La voce di Ellie
lo fece girare e quando vide la ragazza che usciva dalla stanza sul
retro del
bancone, tornò indietro di due passi.
“Ellie. Che fai qui?” La
ragazza, con ancora il camice addosso, stava lavorando, ma di solito
finiva
alle quattro del pomeriggio.
“Sto coprendo anche il
turno di Trisha. Tu, invece?” Scrollò le spalle:
non sapeva bene cosa dire.
“Beh, mi va benissimo, mi dai un passaggio a casa? Finisco
fra quaranta minuti”.
Lui stava per risponderle
qualcosa quando lei continuò, ma alzando la voce di
un’ottava, come minimo. “Ma
sei qui con una ragazza!” Nelson si voltò verso il
tavolo dove era seduta Lisa,
l’unico occupato nel locale e notò che lei li
stava guardando tutti e due.
“Non è come pensi… Non è
un…”
“A me sembra proprio una
ragazza, Nelson!” Ellie ridacchiò e a Nelson
ricordò molto la bambina che era
stata anni prima.
“Non intendevo…”
“Oddio, che ottuso che
sei! Ho capito cosa intendevi!” disse lei, avvicinandosi al
tavolo, ma girando
la testa verso di lui per sorridergli. “Non preoccuparti,
faccio da sola!”
Lisa
aveva sentito quella
ragazza gridare il nome di Nelson con gioia e aveva alzato la testa,
incuriosita, ma poi loro avevano parlato sottovoce e non aveva sentito
cosa si
fossero detti. Aveva continuato a osservarli, ma poi quando si erano
voltati
verso di lei, lui l’aveva beccata a guardarli e si era
sentita un’intrusa. Chi era
quella ragazza? E perché era così contenta di
vedere Nelson?
Ma a lei cosa interessava?
Erano fatti loro! Ma non riuscì a non guardarli. E a non
sentire un po’ di
emozione che le stringeva il petto.
Quando la ragazza si
incamminò verso di lei, con un’andatura baldanzosa
e gioiosa, Lisa notò che
Nelson aveva una faccia preoccupata. Che fosse la sua ragazza e andasse
da lei
a chiederle cosa ci faceva al tavolo con lui? Un po’
preoccupata, anche se
innocente, la guardò avvicinarsi.
“Ciao! Sono Ellie, Ellie
Reed!” si presentò la ragazza, porgendole la mano.
Lisa rimase un po’ stupita e
guardò Nelson prima di stringerla. Lui alzò le
spalle e si sedette di nuovo
davanti a lei.
“Io sono Lisa Simpson…”
“Lisa Simpson? Lisa?
Simpson? Davvero?” La ragazza impazzì alla
notizia: i suoi occhi si
spalancarono e anche la sua bocca fece lo stesso. Si voltò
prima verso Nelson e
poi ancora verso di lei e poi di nuovo verso il ragazzo.
Lisa, che ancora stringeva
la sua mano, spalancò gli occhi preoccupata: che era
successo? Perché quella
ragazza conosceva il suo nome? E perché gridava contenta in
quel modo?
“Sì, l’ultima volta che ho
controllato era ancora il mio nome…”
“Oh, Nelson, perché non mi
hai mai detto che conoscevi Lisa Simpson?” la ragazza si
girò verso di lui e
lui si strinse nelle spalle.
“Non pensavo fosse così
importante.”
Lisa cercò di non
rimanerci male: per un attimo aveva sperato che fosse stato proprio
Nelson a
parlare di lei alla ragazza. A… Ellie. C’era da
dire che era simpatica,
comunque. Suo fratello le aveva dato un bentornato molto più
contenuto.
“Non pensavi fosse
importante? Ma… Tu sai chi è lei?”
chiese ancora Ellie.
“La sorella di Bart
Simpson?” provò a dire.
Lisa si morse un labbro. Forte.
Lei era la sorella di Bart Simpson per Nelson? Eh, sì,
effettivamente, lei era
proprio quello. Cos’altro avrebbe potuto essere? La
fidanzatina di quando aveva
dieci anni? Una storia durata un battito di ciglia? Chissà
se Nelson sapeva di
essere stato il suo primo bacio…
“Forse intendi Maggie
Simpson? Comunque… Lei è la leggenda dello
Springfield West High!” La ragazza,
no, Ellie, perché dopo una presentazione del genere, da quel
momento in poi
sarebbe stata Ellie, continuò a raccontare con gli occhi
spalancati. “Lei è la
prima studentessa a essere uscita con il massimo dei voti dal liceo di
Springfield West. Attiva in tantissime attività
extrascolastiche, ha
manifestato contro la vivisezione di rane e altri animali, ha fondato
un club
per i diritti delle donne, ha scritto per il giornalino della scuola e
il
giorno del ballo scolastico si è rifiutata
di…”
“Ok, basta, basta…”
Lisa interruppe la ragazza
quando arrivò al fatto che avesse saltato il ballo
scolastico per protesta. Sua
madre le aveva detto di non farlo. Aveva rifiutato tre inviti al ballo,
anche
se solo uno degno di nota, ed era rimasta ferma sulla sua decisione di
protesta. Ma era stata l’unica. L’unica a non
essere andata al suo ultimo
ballo. E le altre ragazze, al College, avevano parlato tutte del ballo,
nessuna
non c’era andata per protesta. Neanche quelle che non avevano
ricevuto nessun
invito. C’erano andate da sole o in compagnia di altre amiche
e si erano
divertite.
Anche Kristen parlava
ancora del Prom.
Nelson
vide lo sguardo
triste di Lisa e intervenne per fermare l’uragano Ellie.
“Ellie, puoi farci
portare una Happy Cup e una coca?”
Il ragazzo avrebbe
preferito prendere una birra, una pinta di birra, se avesse potuto
scegliere,
vista la situazione in cui si era cacciato, ma alla fine aveva deciso
per la
coca cola. Qualcosa gli suggeriva che avrebbe dovuto essere lucido.
“Una Happy Cup? Perché?
Che è successo?” chiese la ragazza, alzandosi dal
divanetto e guardando verso
le cucine. “Se è per te, Lisa, la faccio io.
Sarò un onore. Vedrai che
funzionerà!”
Ellie scappò via, tornò
dietro il bancone e si intrufolò nel retro.
Nelson la guardò sparire e
poi riposò lo sguardo su Lisa.
“Che voleva dire?” chiese
lei, con la fronte aggrottata.
“La Happy Cup era
un’invenzione di mia madre. Una grossa coppa di gelato quando
la tua giornata è
andata male o sei triste. Ti aiuta a farti tornare il
sorriso”. Nelson alzò le
spalle.
Lisa
formò un cerchio
perfetto con le labbra, ma non disse niente. Nelson pensava che lei
avesse
bisogno di un po’ di gelato. Perché pensava che
fosse triste. Sentì le guance
arrossarsi: lui aveva capito che era successo qualcosa di spiacevole?
Tipo
tutta la sua vita? Annuì e decise di tacere. Decise anche di
tacitare il suo
petto che implorava spiegazioni su quella giovane ragazza bellissima e
ultra
intraprendente che sembrava avere con Nelson una confidenza che lei gli
invidiò
tantissimo, così deviò l’argomento su
qualcosa che per lei era molto più sicuro
e stabile.
“Tua madre?” chiese
soltanto: la madre di Nelson era abbastanza famosa a scuola, era stata
abbandonata dal marito e faceva la spogliarellista per mantenere lei e
il
figlio. E anche se poi si era saputo che lui non l’aveva
veramente abbandonata,
non era cambiato molto e lei non sembrava proprio un esempio di materna
virtù.
Nelson
immaginava quello
che tutti pensavano di sua madre quindi la domanda non lo
stupì più di tanto.
Ma si sentì in dovere di dare onore alla sua memoria.
“Quando avevo undici anni
mia madre iniziò a frequentare un tipo. Io non lo capii
subito, ma era una
brava persona, uno a posto. In poco tempo lei mollò il suo
lavoro e iniziò a servire
qui, in questo diner e la nostra vita si normalizzò un
po’. Non molto, ma un
po’…”
Lisa
ascoltava Nelson
parlare di sua madre e della sua infanzia senza dire niente. Lui non la
guardava negli occhi, ma raccontava solo quello che era successo. Senza
grandi
discorsi, senza cerimonie, solo… come accaddero le cose. La
sua vita era
cambiata una volta finite le elementari e quando aveva cominciato le
medie, sua
madre si era trovata un compagno. Un compagno vero, non come gli altri,
aveva
chiarito lui. Ecco quando Nelson era cambiato. Era bastata una vita
normale.
“Così sei cambiato…” disse
lei.
“Chi? Io? No, non sono
cambiato per niente. Mi sono adeguato. Mia madre mi costringeva a stare
qui il
pomeriggio e controllava che facessi i compiti. La odiavo. Non ero
più libero
di andare in giro con gli altri e…”
Gli altri… Lisa li
ricordava, gli altri bulli con cui lui girava: Patata, Secco e Spada.
Erano
tutti più grandi di Nelson. Chissà che fine
avevano fatto.
Nelson
si agitò un po’ sul
divanetto. Lei non aveva capito. Pensava che lui fosse cambiato. E
più le
spiegava che lui non era cambiato per niente, più continuava
a guardarlo con
quel sorriso. Bellissimo, fra l’altro. I suoi denti bianchi
brillavano e lui
non era neanche sicuro che una cosa del genere potesse accadere.
“Frequentavo gli altri di
nascosto e mia madre mi sgridava quando se ne accorgeva. E poi mi
presentò
Trevor. All’inizio odiavo Trevor. Pensavo fosse come tutti
gli altri: che
volesse far colpo su mia madre e fingesse di interessarsi a me. Ma poi
ho
capito: lui… ci teneva. Loro erano insieme da un
po’ e quando andammo ad
abitare insieme, mi insegnò a stare al mondo.”
Nelson fece una pausa
pensando a quando, a quindici anni, lui e gli altri avevano rotto una
gamba a
un ragazzino e Trevor, che lo aveva scoperto, aveva promesso di non
parlarne
con sua madre soltanto a determinate condizioni. Nelson aveva
accettato, sua madre
lo aveva minacciato con l’iscrizione a una scuola militare e
pensava che
sarebbe stato più facile stare alle condizioni di Trevor.
Invece se n’era pentito:
Trevor lo aveva obbligato a presentarsi a casa del ragazzo che avevano
pestato,
a scusarsi davanti ai suoi genitori e lo aveva obbligato ad andare a
casa sua
ogni giorno finché lui non aveva tolto il gesso e ripreso a
camminare da solo.
Aveva dovuto servire il ragazzo, aiutarlo e obbedirgli.
All’inizio era stato
umiliante, i primi due giorni erano stati una lezione amara, in quanto
lui si
era voluto vendicare, ma poi, avevano iniziato a farsi compagnia a
vicenda e
ora, Nelson, poteva tranquillamente sostenere che Steve Sprike fosse
uno dei
suoi migliori amici. Era stata una lezione di vita, ma Nelson non lo
aveva
capito subito.
“E ora?”
Nelson ritornò al presente
e non seppe cosa gli stava chiedendo la ragazza. “Ora
cosa?”
“Tua madre. Lavora ancora
qui?”
“No, mia madre è morta
qualche anno fa…”
Oh,
cavolo. La madre di Nelson
era morta. “Oh, mi spiace, io…”
“Non preoccuparti” disse
lui, scuotendo le spalle. Ma poi il suo sguardo si voltò
verso il bancone del
locale.
Non sapendo più cosa dire
chiese di Trevor. Che fine aveva fatto, almeno lui? Era ancora in zona?
La voce di Ellie, che
reggeva un vassoio con una grossa coppa di gelato e una coca,
interruppe i suoi
pensieri, rispondendo alla sua domanda: “Trevor? Il vecchio
è a casa che guarda
il baseball, ci scommetto. Anzi, di sicuro dormirà e quando
lo sveglierò mi
dirà che non stava dormendo!”
Come? Lisa non riusciva a
concentrarsi mentre la mano esperta di Ellie le appoggiava davanti la
più bella
coppa gelato che avesse mai visto, intanto
che la ragazza parlava.
“Ellie…”
Nelson cercò di
sgridare la ragazza, ma non riuscì ad andare avanti.
“Sì, Nelson, lo so, lo so…
‘Ellie non chiamare tuo padre vecchio
solo perché non vuole che ti faccia un tatuaggio o il
piercing sulla lingua…’
ne abbiamo già parlato, dai, lasciami
sfogare…”
“Padre?” La voce di Lisa
arrivò un po’ stranita da dietro la coppa gelato.
Nelson la guardò e cercò di
scusarsi con un’occhiata che comunque lei non poté
vedere.
“Non parlavate di Trevor
Reed, fratellone?” Ellie si fece graziosamente curiosa mentre
gli rivolgeva la
domanda.
Il
padre di Ellie. Il compagno
della madre di Nelson era il padre di Ellie. Mentre la ragazza
continuava a
guardarla stranita, Lisa prese il cucchiaino e lo affondò
nella panna fino a
rompere la famosa crosticina a contatto con il gelato. Sorrise mentre
portava
il suo bottino alle labbra: buonissimo.
“Quindi siete fratelli?”
chiese, mentre affogava il cucchiaino nel gelato.
Oh, la Happy Cup stava
funzionando davvero.
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***Eccomi! La storia va avanti, anche se io sono ancora insicura...
Spero che a qualcuno piaccia. :-)
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Capitolo 4 *** Segreti ***
Segreti
In
quel momento un uomo
entrò al diner facendo suonare il campanello appeso alla
porta, un regalo degli
anni ottanta probabilmente, ed Ellie gli andò incontro.
Una volta rimasti al
tavolo da soli, Lisa disse: “Non ricordavo che avessi una
sorella. Forse i
vostri genitori si sono messi insieme dopo le elementari?”
Nelson annuì. “Sì, ero
alle medie”.
Lisa gli sorrise, ma lui
non la vide perché era concentrato sulla sua coca.
“Allora sei cambiato per
Ellie…” disse, affondando di nuovo il cucchiaino:
quel gelato era buonissimo.
Nelson
sbuffò. Perché lei
continuava con quella storia che fosse cambiato? Perché
voleva a tutti i costi
pensarlo?
“Non sono cambiato.”
La sua voce era un po’
sostenuta, se ne rese conto da solo, ma l’argomento lo stava
facendo
innervosire.
“Non sei cambiato, dici…
Quindi picchi ancora i ragazzini?” Nelson si agitò
sul divanetto e guardò verso
Ellie, che stava facendo accomodare il nuovo cliente in fondo al locale.
“Non sono più un ragazzino.”
“Quindi picchi quelli
della tua età?” Lo sguardo di Lisa era tremendo,
proprio come lei: petulante e
smanioso di particolari.
“Non picchio nessuno
perché al prossimo arresto finisco dentro.”
Sperò che quella frase le
facesse capire che non era un argomento di cui gli piacesse parlare. Ma
lei era
la piccola Lisa Simpson e non si fermò.
E Nelson aveva anche
immaginato che sarebbe potuto succedere.
Lisa
pensava che lui
avesse detto quella frase per infastidirla, ma non si fece ingannare,
quando si
metteva in testa qualcosa ci arrivava fino in fondo, così
pensò di provocarlo.
“Ah, e ti hanno arrestato
parecchie volte?”
Nelson
guardò ancora verso
Ellie, che stava tornando verso di loro, sperando che lei potesse dare
un freno
alla lingua della sua amica. Ma la ragazza non si risedette e
tirò dritto per
raggiungere la cucina.
Si girò a guardare Lisa e
lei sostenne il suo sguardo. Nelson lo abbassò e
tracannò un lungo sorso.
Lisa
pensò di aver fatto
una gaffe. Lo avevano arrestato davvero? Aveva pensato che lui avesse
esagerato
apposta. Decise di cambiare argomento e alzare la bandierina della
pace. “Bart
mi ha detto che vi siete incontrati all’università
di Springfield”.
“Già. Cos’è, sai
già tutto
e volevi una conferma da me?” Lisa sbarrò gli
occhi. Sapere cosa?
“Come? Io… Volevo cambiare
argomento. Forse…” Si guardò intorno, e
poi pensò che forse sarebbe stato il
caso di uscire e tornare a casa. Da sola.
Nelson
riconobbe, sul viso
di Lisa, la sincerità. Lei non lo aveva detto apposta.
Sospirò.
“Forse sono suscettibile
sull’argomento. È che sono stato espulso dalla
Springfield University proprio
perché sono stato arrestato e pensavo che avessi domandato
per…” si interruppe
e lei scosse la testa.
“Scusami, no, non lo
sapevo.”
Lisa
si dispiacque. Così
Nelson non aveva continuato l’università? Se
c’era arrivato, non era uno
stupido anche se lei sapeva già che non lo fosse. Era
proprio un peccato. Una
cosa simile a Bart. Solamente che Bart aveva lasciato
l’università perché era
stato bocciato.
Finì tutto il gelato in
silenzio senza chiedere più nulla e poi appoggiò
il cucchiaino. Lo guardò
mentre finiva la coca. Cercò di ricordarsi qualcosa che gli
aveva detto Bart e
che avrebbe potuto usare.
“Bart dice che vi prendete
ancora a pugni, però.”
Cercò di dare alla frase l’intonazione
giusta e capì di aver fatto centro quando vide un piccolo
ghigno, quasi un
sorrisetto, comparire sulle labbra del ragazzo.
Nelson
sorrise senza
accorgersene. Bart intendeva il ring della palestra. Se non ci fosse
stata la
palestra Nelson non era sicuro che sarebbe riuscito a tirare avanti.
Trevor lo
aveva portato in palestra la prima volta quando aveva tredici anni. E
Nelson
aveva iniziato a tirare pugni al sacco invece che agli altri ragazzi.
Era
meglio in quanto poteva andare avanti finché non ce la
faceva più e si trovava
esausto e non fino a quando arrivavano i genitori o la polizia e lui
doveva
scappare.
Tornare a casa con le ossa
rotte e la stanchezza sulle spalle era terapeutico. Tutte le volte.
Logicamente aveva
continuato a fare qualche cazzata, ma frequentando Patata, Secco e
Spada molto
meno di prima, le occasioni erano diminuite parecchio. Anche se a volte
se
l’era andata a cercare.
La voce di Ellie lo
riportò al presente. “Eccomi qui! Cavolo, sono
stanchissima…” disse, sospirando.
“A che ora sei arrivata?”
le chiese Nelson guardando l’orologio che aveva al polso:
erano le dieci.
“Ho iniziato al solito
orario, ma non c’era nessuno oggi al turno del pomeriggio e
mi sono fermata.”
“Perché non c’era nessuno?
Trisha è malata?”
La ragazza alzò le spalle.
“Trisha è andata a
PortLand da sua madre, che non sta bene. Il problema è che
anche un’altra
ragazza è rimasta a casa. Domani il capo dovrebbe mettere il
cartello per
cercare personale, non possiamo andare avanti così, anche
facendo un giorno per
uno è impossibile…”
Lisa
drizzò le orecchie:
poteva essere una buona occasione. “Cercate personale? Posso
candidarmi?”
Ellie annuì. “Aspetta”
disse quando il cliente in fondo aveva alzato la mano. “Torno
subito e ti
spiego”.
“Perché vuoi venire a lavorare
qui?” le chiese Nelson, una volta rimasti soli, aggrottando
la fronte.
“Perché no?” rispose lei.
Nelson
alzò un
sopracciglio praticamente senza accorgersene. Perché Lisa
voleva servire al
diner? Non avrebbe dovuto fare… qualsiasi cosa per cui
avesse studiato?
“Non mi sembra una cosa
adatta a te…” rispose un po’ impacciato.
Non voleva dire che lei non doveva
lavorare lì, per non mancare di rispetto alla madre e alla
sorella, ma non
capiva proprio perché lei volesse farlo.
“È un lavoro. E io ho un
prestito studentesco da pagare.”
Come? Lei aveva cosa?
“Ma non ti avevano dato
una borsa di studio?”
Lisa
spalancò la bocca. E
lui come faceva a saperlo?
“E te che ne sai?”
Il ragazzo alzò le spalle.
“Se non l’hanno data a te, la borsa di studio, non
vedo proprio chi avrebbe
potuto meritarselo”.
Le sue parole, dette di
getto e, probabilmente, senza rifletterci su tanto, fecero uno strano
effetto
su di Lisa. Lui pensava che lei fosse intelligente e una persona degna
di una
borsa di studio.
“Bhe, Nelson, diciamo che
non sei l’unico a nascondere segreti: la borsa di studio non
copriva tutto e valeva
solo nel caso ci fossero stati determinati requisiti. E uno di questi
era avere
una media alta. Molto alta. Purtroppo il mio terzo anno non
è stato proprio…”
Lisa si interruppe e cercò le parole per spiegare meglio la
situazione.
Nelson
osservò il viso di
Lisa intristirsi e capì che la cosa la infastidiva
particolarmente, così decise
di intervenire. “Spero che tu ti sia divertita, allora, al
tuo terzo anno!”
Alzò il bicchiere come in un brindisi e si
dissetò.
Lisa alzò le spalle. Mmm.
Qualcosa diceva a Nelson che non aveva avuto una media bassa
perché impegnata
in qualcosa di divertente.
Alzò un sopracciglio quasi
senza accorgersene: Lisa Simpson non aveva imparato l’arte
del divertimento
neanche al college. E quindi che aveva fatto? Aveva solo studiato?
Davvero?
Lisa
riconobbe
un’espressione di pena e di scherno sul volto di Nelson, che
le ricordò
tantissimo il bulletto di dieci anni che faceva dispetti nei corridoi
della
scuola, e si arrabbiò mentalmente.
Forse non si era divertita
come gli altri, e Lisa lo sapeva benissimo, ma non voleva dire che lei
non
fosse una persona che sapeva come divertirsi. Improvvisamente, avrebbe
voluto
che Nelson pensasse che lei fosse una che passava il tempo a
divertirsi. O che
fosse divertente.
Si morse il labbro. Lei
era comunque una persona divertente, giusto? Appena fosse arrivata a
casa
avrebbe mandato un messaggio a Kristen e glielo avrebbe chiesto: lei
era sempre
sincera, anche quando doveva dire le cose brutte.
Per un attimo valutò
l’idea di raccontarle della sua serata.
Nelson
stava per dire
qualcosa per consolare la ragazza, qualcosa di cui si sarebbe pentito,
probabilmente, ma che magari l’avrebbe fatta sorridere,
quando Ellie tornò da
loro, dicendosi pronta per andare.
***
“Ciao,
Bart.”
Nelson entrò, il giorno
dopo, al market di Apu. Prese due bottigliette d’acqua e si
avvicinò al
bancone.
“Nelson!” Bart, seduto
dietro al bancone, sollevò una mano dal joypad e
salutò l’amico sventolando la
sigaretta. Nelson alzò un sopracciglio e sul suo viso si
fece strada un ghigno
sorridente. “Apu ti permette di fumare qui?”
chiese, alzando la voce.
Apu, che era appena
entrato nel retro dalla porta che dava sul vicolo, arrivò a
passo veloce verso
di loro, passò l’uscio che divideva il negozio dal
locale retrostante e si mise
le mani sui fianchi. “Bart Simpson! Spegni subito sigaretta!
Non si può fumare dentro
al negozio!”
Nelson rise e si beccò
un’occhiataccia da Bart che, scusandosi con Apu,
buttò la sigaretta per terra e
la schiacciò con la scarpa, prima di riportare il piede
sullo scaffale vicino
alla tv. “E tira giù tue gambe da
scaffale!”
Bart
sbuffò: Apu sembrava
sua madre quando entrava nella sua stanza quando era un adolescente.
Beh, forse
anche adesso: non è che lui fosse molto cambiato con il
tempo.
Guardò Nelson che ghignava
e gli lanciò una brutta occhiata, ma non se la prese
particolarmente.
Quando Apu se ne andò,
dicendo che sarebbe andato via, gli ordinò di spegnere la tv
e di servire i
clienti.
Bart mise in pausa il
videogioco e si alzò per far pagare Nelson.
“Potrei avere una buona
notizia…” gli disse, mentre prendeva le sue
banconote.
Nelson
alzò di nuovo un
sopracciglio e chiese: “Del tipo?”
“È stato fissato un
incontro per il mese prossimo. Ti interessa? Potrei presentarti
io.”
Il ragazzo prese il resto
e lo infilò in tasca meccanicamente, poi afferrò
una delle bottigliette e svitò
il tappo, portandosela alla bocca.
Un incontro? Quando si
rese conto di pensarci su troppo, smise di bere e richiuse la
bottiglia. Scosse
la testa. “No” rispose soltanto.
Bart lo guardò con la coda
dell’occhio e alzò le spalle.
“Ok”.
“Ehi, Bart, hai della
cioccolata?” Tutti e due i ragazzi si girarono verso
l’entrata del negozio dove
Milhouse aveva appena fatto il suo ingresso.
“Oh, Nelson, ci sei anche
tu…” disse, squadrandolo e allargando il percorso
per non passargli vicino.
“Tieni un bounty coockie…”
Nelson prese uno snack dal bancone e glielo porse, senza dire niente
per le
parole e l’atteggiamento del ragazzo.
“Sono allergico al cocco!
Volevi uccidermi?” esclamò Milhouse, sbarrando gli
occhi. Bart alzò i suoi al
soffitto. “Milhouse, datti una calmata, nessuno vuole
ucciderti…”
Nelson si morse un labbro
facendo un brutto ghigno, ma non disse niente. Riappoggiò lo
snack e ne prese
un altro, porgendolo al ragazzo dai capelli blu.
Milhouse allungò la mano
per prendere il cioccolato, e quindi avvicinarsi al bancone, quando
Nelson
piegò il braccio prima che lui potesse afferrarlo. Il
ragazzino sbuffò e Nelson
rifece quel giochetto due volte, prima di ridere.
Bart
non riuscì a
trattenere la risata: Milhouse stava facendo la figura dello stupido.
Non che
fosse diversa da quella che faceva normalmente, però
sbuffò e i suoi occhiali
si appannarono mentre il suo ciuffo svolazzava.
Quando alla fine Nelson
lasciò che Milhouse prendesse lo Snickers, Bart
sospirò prima di dire: “Lisa
dice che ieri è stata bene”.
“Davvero?”
Bart alzò lo sguardo su
Nelson, che non si era reso conto di aver risposto sottovoce e poi
guardò
Milhouse che invece, non aveva sentito.
“Davvero? Bene! Non ero
sicuro, ma se lo dice Lisa…” Lo sguardo di
Milhouse era trasognato e lui iniziò
a giocherellare con lo Snickers sul bancone.
Bart aveva incrociato Lisa
sulle scale e lui, sapendo che era uscita con il suo amico, le aveva
chiesto
com’era andata, visto che la serata era durata anche molto di
più di quello che
aveva immaginato. Lei aveva risposto sorridendo e dicendo che era
andata bene e
Bart un po’ si era preoccupato: non avevano intenzione di
tornare insieme,
vero? Sperò proprio di no.
“Sei
uscito con Lisa,
ieri? Ieri sera?” Nelson si girò verso Milhouse
dopo aver ricambiato l’occhiata
strana di Bart.
Il ragazzino si gonfiò di
orgoglio mentre rispondeva: “Sì!”
“E fammi indovinare: siete
andati a Pinehill.”
Milhouse strabuzzò gli
occhi, sorpreso. “E tu come lo sai?”
“Milhouse, i tipi banali
come te portano sempre le ragazze a Pinehill…”
Bart
osservò Nelson
prendere le bottigliette d’acqua con troppa forza, stringendo
i pugni e poi lo
guardò quando, alzando una mano per salutare,
uscì dalla porta.
“Hai portato mia sorella a
Pinehill?” chiese seccato a Milhouse.
Quando lui non rispose,
Bart si sbagliò con i calcoli dei dolcetti che aveva
comprato e lo fece pagare
di più.
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Capitolo 5 *** Problemi ***
Problemi
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Lisa
appoggiò il vassoio
sul ripiano e iniziò a sistemare i piatti sporchi nel retro
del diner. Non era
il lavoro dei suoi sogni di sicuro, ma era un buon posto e le mance non
erano
male.
Verso le undici il
campanello suonò e lei finì velocemente per
andare ad accogliere i clienti. Si
pulì le mani prima di tornare nel locale e poi si
bloccò: la nuova postina
stava consegnando a Ellie qualcosa, dicendole che forse avrebbe
preferito
vederla subito. La ragazza sorrise e annuì, ringraziandola.
Lisa osservò la scena e poi,
all’arrivo di un nuovo cliente, disse a Ellie di prendersi
una pausa e lo
accompagnò lei al tavolo, prendendo al volo la caraffa del
caffè e servendolo.
Appena ebbe un attimo
libero, Lisa andò a cercarla e la trovò nel
piccolo locale dove si cambiavano.
La ragazza stava leggendo una lettera e aveva le lacrime agli occhi.
“Tutto bene, Ellie?”
Ellie si tirò su e, come
se fosse appena tornata al presente, annuì, asciugandosi il
viso.
“Cattive notizie?” le
chiese, quando la vide così scossa. Forse la postina avrebbe
dovuto portarle la
posta a casa, invece di consegnargliela lì, sul posto di
lavoro.
“No, no, sono bellissime”
mormorò, con la voce roca. Lisa si avvicinò a lei
e le mise un braccio sulla
spalla. Lei sembrava contenta davvero, solo molto emozionata. Forse la
postina
ci aveva visto giusto.
“Lui è Seth” le disse,
facendole vedere una foto: un bambino di quattro o cinque anni, biondo,
sorrideva alla macchina fotografica. Lisa annuì e, non
sapendo bene cosa dire,
disse: “È molto carino”.
Il viso di Ellie si
illuminò. “È anche molto intelligente,
sai?” Lisa, non rispose niente, perché
la domanda non era veramente rivolta a lei, visto che la ragazza
continuava a
guardare la foto. “È mio figlio e ha
già quattro anni…”
Lisa sbatté forte gli
occhi. Chi era? Guardò ancora la foto e, effettivamente,
notò qualche
somiglianza nelle linee del viso con Ellie. Aveva la sua stessa
attaccatura di
capelli, che sembravano dello stesso colore e gli occhi chiari sembrano
possedere la stessa luminosità. “Tuo
figlio?”
Lei sospirò. “Sono rimasta
incinta il mio primo anno di liceo… Il mio
ragazzo… vabbè... Non ho abortito e
abbiamo preferito darlo in adozione. Un’adozione aperta. Sai
come funziona?”
Lisa sbatté di nuovo gli
occhi. Come, come, come? Scosse la testa e tornò a guardare
ciò che la ragazza
aveva in mano oltre alla foto: una lettera con una grafia elegante e
fitta, un
disegno fatto con i pastelli e altre immagini del bambino non in primo
piano.
“Ho qualche vaga idea…”
ammise, senza esserne del tutto convinta.
“I suoi genitori sono
meravigliosi, sai? Sono persone dolcissime che hanno deciso di aiutarmi
in un
momento difficile. Hanno una bambina di otto anni adottata anche
lei...” Ellie
iniziò a raccontare e, dalla velocità con cui
spiegava le cose, Lisa capì che
lo raccontava più per se stessa che a lei. Adozione aperta
voleva dire che
quando il bambino viene dato in adozione, la madre naturale
può chiedere sue
notizie e informarsi. Ma Ellie non aveva mai dovuto fare niente di
tutto ciò,
perché i genitori che avevano adottato Seth le spedivano
foto e lettere
regolarmente e lei poteva seguire la crescita del bambino. E lui stava
crescendo benissimo. Quando arrivò in fondo alla storia,
Lisa le sorrise.
“Sei stata molto brava
anche tu. Hai fatto una scelta consapevole. Hai bisogno che ti copra
per il
resto del turno? Vuoi andare dal padre del bambino?”
Ellie spalancò gli occhi e
scosse la testa. “Assolutamente no! Lui neanche sa di
Seth!”
Lisa sentì le guance
scaldarsi: che gaffe!
“Scusami, quando hai detto
‘abbiamo preferito’ pensavo che aveste preso la
decisione insieme. Non avevo
capito.”
“Abbiamo preferito noi.
Io e la mia famiglia. Mio padre e
la mamma di Nelson. Mary mi è stata vicina, mi ha aiutato
tantissimo, io…” La
voce della ragazza si incrinò e Lisa si sentì
ancora più colpevole.
“Scusami ancora, non
volevo essere invadente…”
“Sei stata molto gentile,
invece. Grazie. E comunque non lo vedo da quando gli ho detto che ero
incinta.
Fra noi… sì, insomma, lui era ciò che
mia nonna definiva ‘un mascalzone’.”
Lisa annuì, comprendendo
ciò che intendeva.
“Ti copro per un po’,
prenditi il tempo che ci vuole.”
Lisa tornò nel salone e si
apprestò a tornare in servizio.
***
“Nelson,
sei venuto a
prendermi?”
Lisa si voltò verso Ellie
e guardò nella direzione in cui stava guardando lei: Nelson
era appena entrato
nel diner e aveva uno zainetto sulla spalla. Annuì alla
sorella e poi lanciò un
cenno di saluto a Lisa. Lei si sentì arrossire e non
capì bene perché. Ricambiò
il suo saluto, mentre Ellie diceva ad alta voce: “Ma sei in
anticipo. Perché
non ti siedi? Ti porto qualcosa?”
Nelson annuì e si guardò
intorno. Lisa lo osservò scegliere un tavolo in fondo, uno
di quelli davanti
alla vetrina da cui si vedeva la strada e dirigersi lì. Era
uno dei suoi
tavoli. Uscì da dietro al bancone e andò a pulire
il tavolino vicino a quello
del ragazzo, stupendosi ancora del proprio atteggiamento scostante.
Perché si
sentiva nervosa?
Osservò Nelson tirare
fuori una carpetta dallo zainetto, una calcolatrice, un blocco e una
penna.
Quando lui alzò lo sguardo verso di lei, gli chiese:
“Che fai?”
“Controllo i conti. È la
parte più noiosa di tutte, ma bisogna farla. Come i compiti
a scuola…” Lisa
sorrise e annuì.
“Ti porto una birra?”
Lui guardò l’orologio in
alto sulla parete e annuì. Lisa immaginò che lo
avesse fatto per controllare
che non fosse troppo presto per bere. Ma poi ci ripensò:
Nelson non sembrava il
tipo che stava attento a certe cose.
“Una Duff, allora?”
Nelson fece un cenno con
il capo e portò l’attenzione sui fogli che aveva
tirato fuori dalla carpetta.
Lisa scrisse la comanda
sul foglietto e lasciò una copia sul tavolo, ma prima di
girarsi per tornare al
bancone, però, il suo sguardo corse fuori dalla vetrina e la
sua bocca imprecò
sottovoce.
Nelson
alzò lo sguardo
verso Lisa quando la sentì indistintamente dire:
“Merda!”. Lei stava guardando
fuori dalla vetrata e il ragazzo si girò per capire cosa
avesse visto.
L’auto sportiva di Milhouse,
appena oltre al marciapiede, si muoveva avanti e indietro, in maniera
scomposta
e mal funzionale. Probabilmente quell’idiota non riusciva a
parcheggiare.
Tornò a guardare verso la
ragazza che aveva lo sguardo incollato fuori e vide i suoi occhi
spalancati. La
sua tasca del grembiule vibrò e lei prese il telefono
abbassando lo sguardo
sullo schermo.
“Non riesco a venirti a prendere.
Ti mando Miloser”
mormorò, leggendo
il messaggio. “No, Bart, non puoi farmi questo. Miloser
no…”
Nelson non riuscì a
trattenere una risatina sciocca. Lei non voleva andare via con lo
sfigato. E
sembrava che Bart gli avesse dato un soprannome adatto.
“Miloser? Carino. E quella
è la stessa macchina che c’era a PineHill
la sera che ti ho…” Nelson stava per dire
‘rimorchiato’ perché era la parola
che avrebbe usato normalmente per via del carro attrezzi, ma si
interruppe,
perché in quel momento gli sembrava la parola sbagliata e lo
metteva
stranamente in imbarazzo.
“Sì, lascia stare va…”
rispose
lei, iniziando a digitare sul telefono. “Bart? No, no,
ascoltami tu! Richiamalo
subito. Non torno a casa con quel troglodita, ok? Vengo a piedi,
piuttosto. No.
No…” La voce di Lisa si affievolì,
mentre si dirigeva verso il bancone e
abbassava la voce per non farsi sentire.
Nelson la vide varcare la
soglia della cucina, così tornò a guardare il
ragazzo che stava ancora tentando
di parcheggiare.
Si mosse avanti e indietro
altre due volte, ma poi dovette rinunciarci perché scese
dalla macchina,
nonostante fosse tutta storta e la ruota posteriore fosse un bel
po’ fuori dal
parcheggio.
Nelson continuò a
guardarlo e, quando il ragazzino scese dall’auto, lo
osservò mentre rispondeva
al telefono. Milhouse non era troppo lontano dalla vetrina e Nelson
riuscì a
sentire tranquillamente quello che diceva. “Bart!
Sì, sono arrivato”. Lo
sfigato guardò verso l’entrata del diner ma non lo
vide in vetrina. “Perché
devo venire via? No, no, dai… Ah, ok. Non… Lisa
ha un altro passaggio? Ah, va
bene…”
In quel momento Nelson si
sentì carico e picchiettò sul vetro per attirare
l’attenzione del ragazzo.
Quando Milhouse lo vide, Nelson gli sorrise e lo salutò con
la mano. Il suo
sorriso si fece ancora più ampio quando lui lo riconobbe e
rimase a bocca
aperta. Mosse le sopracciglia su e giù al gesto di saluto
che lui gli fece in
risposta: sembrava che il braccio del ragazzo si muovesse di
volontà propria e
in modo scoordinato.
Lo osservò salire in macchina
e ripartire. Ridacchiò quando il paraurti
dell’auto sportiva strusciò contro la
corteccia dell’albero del viale.
Lisa
portò la birra a Nelson
e lanciò un’occhiata fuori. Sospirò:
lui se n’era andato.
“Andrai a casa a piedi,
quindi?” gli chiese il ragazzo, pagando la consumazione. Lei
alzò le spalle.
“Me la sarei fatta a piedi
comunque. Come l’altra sera.”
“L’altra sera ti ho
portato a casa io, non sei andata a piedi.”
“Vero. Ma avevo già
scelto.”
Lisa si chiese se lui le
avrebbe offerto un passaggio anche quel pomeriggio o se
l’avrebbe obbligata a
chiederglielo. Non aveva problemi a camminare, ma qualcosa dentro di
lei
suggeriva che le sarebbe piaciuto molto di più farsi
accompagnare da lui.
Lo guardò, ma lui ghignò e
non disse niente, guardandola di proposito. Lisa si morse il labbro.
Ecco
dov’era finito il vero Nelson. Aveva ragione: non era
cambiato per niente.
“Immagino che chiederti…”
“Va bene, accompagno anche
te” disse, senza lasciarla finire.
Lisa si infastidì e
sbuffò, mentre si girava e andava alla cassa a depositare i
soldi: lui aveva
spettato che lei glielo chiedesse. No, non era cambiato per niente.
***
“Salutami
Maggie” esclamò
Ellie quando Lisa scese dal carro attrezzi una volta arrivata a casa.
Un po’ la
ragazza si stranì: conosceva sua sorella? Beh, erano andate
allo stesso liceo,
quell’anno.
Ellie le aveva confidato
di aver perso un anno di scuola e di aver cambiato liceo quando era
rimasta
incinta, così aveva frequentato l’istituto vicino
a casa di Lisa invece che
quello dove avrebbe dovuto andare per stradario. Per un caso del
destino non
avevano frequentato il liceo insieme.
“Lo farò senz’altro” le
disse, sorridendo.
“E dille che mi mancherà
fare le lezioni del coro insieme!”
Il coro? Maggie era nel
coro scolastico? Maggie sua sorella? Scosse le spalle un po’
confusa e
ringraziò Nelson che le fece un cenno con il capo.
Entrò in casa, salutò i
genitori e salì le scale per andare al piano superiore.
Stava per aprire la
porta della sua camera, quando ci ripensò e ci
passò davanti, per andare verso
la stanza di Maggie.
Bussò, ma non ricevette
risposta. Eppure sentiva dei rumori, era sicura che Maggie fosse
dentro. Bussò
ancora. “Maggie? Ci sei?” Quando non ricevette
risposta, abbassò la maniglia ed
entrò. “Maggie?” la chiamò
ancora.
Sua sorella era sdraiata sul
letto a leggere una rivista, quando l’abbassò vide
che aveva gli auricolari
delle cuffie nelle orecchie e quindi non poteva sentirla. Maggie si
tolse una
cuffietta per prestarle attenzione e Lisa buttò
lì: “Ti va di fare una
chiacchierata?”
La ragazza scosse le
spalle e indicò le cuffie, rigirandosi verso la finestra.
Oh. Lisa ci rimase
malissimo, ma chiuse la porta e tornò in camera sua.
Una volta entrata guardò
il sax nell’angolo e si avvicinò. Lo
guardò per quella che le sembrò
un’eternità,
poi il suo pc, posato sulla scrivania, iniziò a suonare.
Si voltò e osservò lo
schermo che si stava illuminando: Kristen la stava video chiamando su
skype.
Per fortuna qualcosa di buono esisteva ancora, pensò
accettando la chiamata.
“Ciao Kristen, come stai?”
“Non sai cosa mi è
successo oggi, Lisa!”
***
“Cosa
sta succedendo con
mia sorella?”
Nelson mancò il colpo
successivo e la faccia di Bart divenne strana.
“Con Lisa? Niente,
perché?”
Bart riprese posizione e
Nelson continuò ad allenarsi. Ma fece più fatica.
“E l’altra sera?”
Nelson sospirò e colpì
ancora i paracolpi che il ragazzo reggeva su ogni mano. Non aveva
voglia di
giocare, voleva sfiancarsi di pugni e stancarsi fisicamente, non
mentalmente.
“L’altra sera sono andato
a PineHill a togliere dal fango il nipote del sindaco e l’ho
vista sulla strada
che tornava a piedi.”
Si trattenne dal chiedere
se e cosa gli avesse raccontato Lisa, su quella sera.
“Ah! Bene!”
“Bene?” Nelson si fermò e
rimase con i pugni puntati verso il soffitto. Bart ghignò e
gli fece cenno di
continuare.
“Era uscita con Milhouse,
ma la cosa non mi piace. Se lei era da sola allora hanno litigato
subito e vuol
dire che non torneranno insieme di sicuro.”
Nelson
annuì
meccanicamente, e riprese a picchiare, ma i suoi colpi persero un
po’ di
intensità e Bart lo notò con facilità;
ghignò un pochino, ma il pugile non se
ne accorse.
“Lisa e Milhouse sono
stati insieme?” gli chiese Nelson, con quella che a Bart
sembrò una finta
noncuranza.
“Sì, al liceo. Penso che
siano stati a letto insieme.”
Bart, che aveva voluto
provocare Nelson apposta, per studiarne la reazione, non
calcolò che
effettivamente era riuscito nel suo intento e abbassò la
guardia senza prestare
attenzione ai colpi del ragazzo, così un pugno non fermato
dal paracolpi lo
colpì in pieno viso.
“Merda!”
gridò Bart,
lasciando cadere i paracolpi.
“Cazzo! Perché ti sei
spostato?” esclamò invece Nelson, sbarrando gli
occhi e cercando, con lo
sguardo, aiuto intorno a lui.
Uno di quei vecchi che non
avevano niente da fare e giravano per la palestra a curiosare, si
avvicinò a
loro per aiutarli ma Bart si agitò. “Non mi sono
spostato! Mi hai colpito tu!”
“Ti sei spostato, sì!”
sostenne Nelson, ma capì lui stesso di non esserne convinto
del tutto.
Possibile che lo avesse colpito apposta? Per quello che aveva detto?
Ma poi, cosa gli
interessava se Lisa e Miloser erano stati a letto insieme o no? Niente.
A lui
non interessava niente.
“Ti vado a prendere del
ghiaccio” disse il vecchio, prima di allontanarsi.
Bart lo guardò male. “Se
mi viene un occhio nero mi offri una Duff”. L’altro
annuì distrattamente.
“Adesso?” chiese, contento di scroccargli una birra.
Nelson lo guardò alzando
un sopracciglio. “Finito l’allenamento”
ordinò e Bart annuì, andandosi a sedere.
Nelson fece un cenno a uno
degli aiutanti per farsi tenere il sacco e decise di pensare ad altro
altrimenti
avrebbe pestato anche il nuovo ragazzo e dopo non avrebbe avuto
più nessuno
sano con cui allenarsi.
***
“Puzzi
come una puttana.”
Bart aveva ancora il
sacchetto del ghiaccio premuto contro il viso, anche se, secondo Nelson
non
c’era più bisogno: ormai ciò che era
fatto era fatto.
“Si chiama lavarsi con il sapone,
in verità.
Dovresti provare” rispose Nelson, facendo cenno a una delle
cameriere del pub,
mentre si sedevano a un tavolino con due divanetti.
La ragazza si avvicinò
sorridendo, ma quando vide Bart il suo viso si dipinse di
preoccupazione. “Ma
cosa hai fatto, Bart?”
Bart fece un sorriso
tirato e Nelson capì che lo stava facendo apposta, visto che
stava bene fino a
poco prima. “Sono stato aggredito da un bandito”
spiegò.
La bocca della ragazza di
allargò in un cerchio perfetto. “Un
bandito?”
“Sì, una vecc… signora è
stata aggredita da uno scippatore e io l’ho
salvata” sussurrò Bart,
all’indirizzo della ragazza che, per sentire cosa stesse
dicendo, si era
chinata su di lui. “Ma non dirlo a nessuno, sai, non mi piace
vantarmi…”
“Oh, Bart, ma che bella
cosa! Sei stato molto coraggioso!” Quando la ragazza fece il
gesto di alzarsi
per rivolgersi a Nelson, Bart, con un gesto calcolato,
abbassò il ghiaccio
sintetico e lei si trovò di nuovo sorpresa. “Mamma
mia, hai tutta la guancia
viola! Deve farti malissimo”.
Nelson sbuffò quando vide
Bart fare gli occhi dolci alla cameriera. “Ci puoi portare
due Duff?” chiese
quindi, cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
Lei annuì nella sua
direzione e tornò a guardare Bart; allungò una
mano verso il viso del ragazzo e
lui appoggiò la guancia alle sue dita, facendo una smorfia
di dolore.
“Mi aiuteresti a tenerci
su il ghiaccio, dopo? Io sono così stanco… Sai
tutto quel trambusto…”
“Bart…” Nelson ne aveva
abbastanza di quella scenetta.
“Ma c’eri anche tu,
Nelson?” gli chiese la ragazza, voltandosi verso di lui. Non
si stupì che lei
lo avesse chiamato per nome, visto che lui e Bart andavano in quel pub
spesso
dopo gli allenamenti e quindi li conoscevano.
“Sì, io ero lo
scippatore.”
La ragazza ora era
confusa. Nelson gettò un occhio alla targhetta appuntata sul
suo petto: Stacy,
la cameriera si chiamava Stacy. A giudicare dal suo sguardo, non doveva
essere
molto più intelligente di Stacy la bambola di plastica con
cui sua sorella
giocava quando era piccola.
“Stacy, in cucina!” gridò
una voce dal retro.
“Solo due Duff, allora?”
chiese la ragazza, prima di fare un passo indietro per obbedire
all’ordine.
“Anche una porzione di chips
& chicken!” gridò Bart e Stacy
annuì con il capo.
Bart
ridacchiò, gettando
il ghiaccio sintetico sul sedile accanto a lui.
“Sei un idiota” lo accusò
l’amico. Bart rise più forte.
“Avrà diciotto anni…”
Bart alzò le spalle. “Li
ha di sicuro, se lavora qui. E questa è l’unica
cosa importante. Hai visto che
lato b?” Bart vide Nelson lanciare un’occhiata
verso la porta della cucina e
scuotere la testa.
“Idiota.”
“Parliamo dell’incontro”
esordì.
Nelson sbuffò.
“Ti ho detto che non mi
interessa.”
“Neanche se ti dicessi che
so chi è il tuo avversario?” Bart notò
il guizzo negli occhi di Nelson. Lo
aveva incuriosito. “Neanche se ti dicessi che ti piacerebbe
pestarlo per bene?”
Ora
Nelson era incuriosito
davvero. Chi era il suo avversario? Per un attimo, il viso di Miloser
apparve
nei suoi pensieri, ma scosse il capo per scacciarlo.
Bart dovette interpretare
male il suo gesto, perché alzò le spalle.
“Ok. Anche se sarebbe un’occasione
perfetta”.
“Tutti quelli che voglio
pestare non li voglio affrontare sul ring. Preferisco prenderli a pugni
in
vicoli bui e maleodoranti.”
Bart sorrise e gli puntò
contro l’indice, guardandolo fisso. “Ma non puoi.
Soprattutto questo qui”.
Come? Nelson si mosse sul
divanetto: di chi parlava? Guardò l’amico ma lui,
capendo di aver avuto la sua
attenzione, ghignò e guardò verso il locale.
Nelson sbuffò e cercò di
fare finta di niente, ma Bart dovette intuire il suo gesto e sorrise
ancora.
Dopo dieci minuti Bart, a
bruciapelo, gli fece un nome. Quel nome. Nelson digrignò i
denti: aveva
ragione, lo avrebbe pestato volentieri. Ma, come aveva detto poco
prima,
avrebbe preferito farlo a mani nude e senza spettatori. Però
non poteva.
Arrivarono le birre e si
alzò anche la musica.
“Potresti pensarci” disse
Bart, prendendo un lungo sorso e poi iniziando a muovere le braccia
come se
fosse in pista a ballare.
“Potrei” rispose Nelson,
con sguardo serio.
***
Lisa
guardò il sax, sul
suo piedistallo nell’angolo della camera, vicino alla vecchia
scrivania che
aveva usato in tutti gli anni scolastici, e sospirò. Non
riusciva a suonare. Al
liceo suonare la calmava e la riempiva di serenità e
adrenalina, ma poi…
niente. Non le faceva più effetto. Era convinta di non
riuscire più a suonare
decentemente. Per i quattro anni passati al college non era riuscita a
tenersi
in allenamento tanto quanto avrebbe voluto, ma lì aveva dato
la colpa a
svariate cose: lo studio impegnativo, la sua compagna di stanza, il
dormitorio…
Ogni scusa era buona. Ogni scusa per non dover dire che non riusciva
più a
suonare. O che suonare non le riusciva più bene
perché non era in grado di
farlo.
Avrebbe voluto liberare la
mente e suonare un po’ di blues con il sax
l’avrebbe aiutata. Di sicuro quattro
anni prima lo avrebbe fatto.
Ora era impegnata a tenere
i pensieri sotto controllo. Il pensiero di Maggie, che sembrava
così distante,
anche se Lisa aveva pensato che la passione per la musica avrebbe
potuto unirle
e invece non era successo, e il fatto che quella sera era uscita con
dei
ragazzi più grandi per andare a una festa e non era ancora
tornata.
I suoi genitori erano
usciti, ma lei era sicura che non avrebbero comunque controllato Maggie
come
Lisa si aspettava che facessero dei genitori. Doveva essere
perché lei era la
terza dei figli e quindi le concedevano più
libertà. Sì, sua madre aveva detto
una cosa del genere. È che Lisa non riusciva a togliersi
dalla mente il bambino
di Ellie e il fatto che lo avesse avuto proprio
all’età di Maggie…
Il pensiero di Ellie, poi,
le faceva venire in mente Nelson e lei si sentiva ancora confusa
pensando a
lui.
Doveva pensare ad altro.
Doveva fare assolutamente qualcosa per non pensare a niente.
Camminò lungo il corridoio
e quando sorpassò la camera di Bart, si fermò: il
giorno prima aveva beccato
suo fratello che fumava in camera. E non una sigaretta!
Aprì la porta ed entrò
nella tana di Bart. Il letto disfatto e il disordine per terra facevano
pensare
alla stanza di un adolescente. Lisa storse il naso e andò
dritta verso il
comodino: fondamentalmente suo fratello era banalmente prevedibile.
Non dovette neanche
cercare tanto: una busta trasparente e un pacchetto di sigarette si
fecero
trovare subito. Guardò il sacchetto, trattenuto da un
elastico, da cui le verdi
foglie si notavano a occhio nudo. Aprì il pacchetto sperando
di non dover fare
molto e fu subito ricompensata: sorrise mentre tirava fuori una canna
già
rollata infilata insieme a due sigarette. Rimise tutto a posto,
afferrò un
accendino con il testimonial della Duff dalla mensola sopra il letto e
si avviò
verso la finestra, ma poi ci ripensò: meglio andare fuori.
Scese le scale e uscì
dalla porta principale di casa: se doveva controllare quando sua
sorella fosse
tornata, non poteva stare nel giardino sul retro.
Il vialetto e la poca erba
del prato non nascondevano la strada, ma Lisa andò dritta
verso la finestra
squadrata del bovindo e si sedette sopra l’asse di legno che
suo padre aveva
adagiato su quattro mattoni chiamandola ‘panchina’,
e tirò fuori il suo
peccato. Ridacchiò come una bambina scema e poi si
calmò, accendendo la canna
come se fosse stata un’esperta in materia. Aspirò
e dovette trattenere due
colpi di tosse: non c’era abituata, ma poi la seconda volta,
fu molto meglio.
Quando il carro attrezzi
si fermò davanti a casa sua, strabuzzò gli occhi
e per la sorpresa fece cadere
la canna per terra. Quando Nelson scese e la guardò con uno
sguardo strano,
divenne rossa, come se fosse stata scoperta a rubare al supermercato.
“Lisa!” esclamò Bart,
scendendo dal lato del passeggero.
“Bart! Ma cosa…” Lisa
spalancò la bocca quando vide suo fratello scendere
dall’automezzo in modo poco
stabile: doveva essere ubriaco.
“Lisa, la mia cara
sorellina!” Si avvicinò verso di lei e Lisa gli
andò incontro. Quando furono
vicini, lui le mise un braccio sulle spalle e
l’attirò a sé. “Nelson! Sai
che
Lisa preferisce andare al polo nord a guardare il cielo piuttosto che
stare qui
a Springfield con la sua famiglia? Non odia solo questo posto, odia
proprio
tutti noi!” Poi il ragazzo inciampò e cadde per
terra, trascinandosi dietro la
sorella.
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Capitolo 6 *** Confidenze fra estranei ***
Confidenze
fra estranei
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“Aspetta,
ti aiuto.”
Nelson le fu subito
accanto e l’aiutò ad alzarsi, porgendole una mano,
esattamente come aveva fatto
il primo giorno che lei era tornata a Springfield.
“Grazie” disse,
imbarazzata, stringendogli la mano e dopo, una volta in piedi, facendo
finta di
togliersi della polvere dai jeans.
Nelson
guardò Bart che,
sdraiato per terra, rideva. Si passò una mano fra i capelli
e sospirò. “Ci sono
i tuoi in casa?” chiese a Lisa, guardandola.
Lei scosse la testa. “Sono
sola”.
Ok. Il ragazzo si chinò e
prese un braccio di Bart portandoselo sulla spalla e tirandoselo sulla
schiena.
“Fammi strada” disse, rivolto al Lisa.
Lisa
osservò stupita
Nelson che si caricava addosso Bart e rimase imbambolata a guardarlo.
Quando
lui le chiese di indirizzarlo scrollò le spalle e
annuì, entrando in casa e
salendo le scale meccanicamente davanti a loro.
“Lisa… Lisa…” la chiamava
suo fratello.
“Bart, ma cosa hai
combinato? Perché hai bevuto così
tanto?”
“Oh, Lisa, non mi hai
visto? Nelson mi ha dato un pugno, ho tutta la faccia
nera…”
“Cosa?” Lisa si girò di
colpo e per poco Nelson non le finì addosso. “Cosa
gli hai fatto?”
“Non è andata proprio
così…” si giustificò lui.
La risata roca e
biascicosa di Bart tranquillizzò un po’ Lisa, che
cercò di vedere con i propri
occhi il danno.
“Facciamo che lo metto sul
letto e lo guardi lì? È un po’
pesante…” Lisa divenne rossa, annuì
alle parole
di Nelson e aprì la porta della stanza di Bart, facendogli
cenno di entrare.
Nelson
raggiunse il letto
e ci lasciò cadere, forse un po’ troppo
pesantemente, un Bart ridacchiante e
ciarliero.
“Cosa avete combinato?” Il
tono di rimprovero di Lisa lo fece imbarazzare, ma poi si riprese quasi
subito.
“Non abbiamo combinato
niente. Bart voleva far colpo sulla cameriera e ha continuato a
ordinare da
bere…”
“E perché non lo hai
fermato?” Lei aveva ancora quel tono.
“Perché non sono la sua
balia, forse? È grande abbastanza” disse, alzando
le spalle.
Ma Nelson si sentì in
colpa quando Lisa guardò il fratello con occhi preoccupati.
“Ma starà bene?” Quando
lei si morse il labbro, Nelson dovette fare un passo indietro e
togliere lo
sguardo.
“Certo. Vero, Bart, che
starai bene?” gli chiese, toccandogli un piede con la punta
della scarpa. Per
tutta risposta, lui scalciò le scarpe e si mise su un
fianco, blaterando di
metodi per la buonanotte.
Quando Bart frugò nel
comodino, vide Lisa trasalire e se ne stupì.
“Sì, starò bene dopo che
avrò fumato qualcosa per addormentarmi… Ehi, ma
dov’è il mio spliff?
Non lo trovo… Cavolo, pensavo di
averlo lasciato qui… Ehi, Nelson me ne rolli uno?”
“Te sei fuori… Non ti
rollo niente!”
“Allora devo cercare
dov’è…” disse Bart, cercando
di mettersi seduto per alzarsi.
“Adesso è il caso che tu
dorma…”
“No, voglio trovare il
mio…”
“Bart, mettiti giù, non
c’è più la tua…
canna…” La voce di Lisa era quasi un sussurro,
mentre si
avvicinava al fratello e cercava di spingerlo a sdraiarsi.
Bart la guardò in viso e
si lasciò cadere mentre rideva. “Oddio, me
l’hai fumata tu? Grande sorellina!
Allora non sei noiosa…”
Nelson vide chiaramente
Lisa bloccarsi e rimarci male per le parole del fratello.
“Bart, fai meno
l’imbecille, dai. Mettiti giù e smettila di
parlare” intervenne lui, spostando
la ragazza e pigiando una mano sul petto di Bart. Lui annuì
e non fece
resistenza.
“Ok… Finché non si ferma
la stanza, rimango sdraiato.”
“Ecco, bravo…” Nelson vide
Lisa avviarsi verso il corridoio e, una volta che lei ebbe varcato la
soglia
della stanza, si chinò su Bart. “E smettila di
dire certe cose a tua sorella,
c’è rimasta male, idiota”. Gli diede un
pugno su una spalla ma cercò di non
fargli male.
Si alzò, ma prima che
riuscisse a rimettersi dritto, Bart gli afferrò un braccio
con un gesto
preciso, come se fosse diventato sobrio tutto d’un tratto.
“Ti piace Lisa?” Scosse il
capo.
“Sei stato stronzo.”
“Lei ci odia. Odia tutto
di Springfield. Forse odia anche te.”
“Me ne farò una ragione.”
Bart lo guardò con
l’ultimo barlume di lucidità e poi chiuse gli
occhi sospirando.
Lisa,
dal corridoio, dove
si era rifugiata quando Bart aveva detto quello che aveva fatto,
osservò Nelson
sospirare e raggiungerla subito dopo. Senza dire una parola percorsero
a
ritroso il tragitto di poco prima e, una volta fuori, lui disse:
“Ti giuro che
non ho fatto apposta, è stato un incidente in
palestra”.
Lei annuì: di sicuro, se
si fossero picchiati, Nelson non avrebbe
riaccompagnato a casa Bart e, sicuramente, non lo avrebbe messo a letto!
“Grazie per averlo
riportato, allora.”
Si avviò verso la panchina
artigianale di suo padre e si sedette. Mentre cercava quel che era
rimasto
della canna, lanciò qualche occhieta verso Nelson che era
rimasto sul vialetto
e la guardava con uno strano cipiglio.
Nelson
la guardò sedersi e
poi, quando lei si voltò verso di lui, si sentì
in imbarazzo: forse lo stava
invitando ad andarsene. Quando Lisa raccolse qualcosa da terra e
rabbrividì,
appoggiandosi al muro della casa, le chiese perché stesse
fuori.
“Sto aspettando mia
sorella. È uscita con dei tipi che non conosco
e…” Nelson sorrise, mettendosi
le mani in tasca.
“Capisco perfettamente”
disse. Ellie lo aveva fatto preoccupare svariate volte e non aveva
ancora
smesso.
“Vero, anche tu hai una
sorella…” La voce di Lisa era stanca, ma sorrise
quando lo disse.
“E non sai quanto mi ha
fatto dannare!”
“Aspetti con me?” Quando
Lisa lo interruppe, Nelson non seppe cosa rispondere, così
si voltò verso il
carro attrezzi come per trarne ispirazione.
Poi, lentamente, annuì.
“Va bene. Ma sposto il mostro” disse, indicando il
mezzo.
Lisa
osservò il ragazzo
salire sul carro attrezzi e si chiese perché gli avesse
domandato di rimanere
con lei. Quando tornò, dopo pochi minuti, camminando sul
marciapiede, pensò di
aver fatto un errore madornale. Ma poi lui, senza dire niente, si
sedette di
fianco a lei sulla panchina e, quando la guardò, Lisa
provò una sensazione
bellissima.
Non dissero niente per
qualche minuto, ma il loro silenzio era così pieno di
serenità, che Lisa pensò
che fosse un peccato infrangerlo.
Lei
tirò fuori un
accendino dalla tasca della felpa che indossava e accese una canna che
era
apparsa magicamente nella sua mano, secondo Nelson. “Allora
ce l’avevi tu
davvero!” esclamò Nelson, sorpreso: non lo avrebbe
mai detto.
“Pensavi anche tu che
fossi noiosa, eh?” disse, un po’ triste.
“E invece vi sbagliate. Vi sbagliate
tutti…” La sua voce si affievolì subito
prima di aspirare un tiro e poi iniziò
a tossire.
Lisa
si diede della
stupida: aveva fatto la grande, mostrando la canna e tutto il resto e
poi aveva
iniziato a tossire come una tredicenne! Sarebbe sembrata proprio quello
che
era: non noiosa, ma stupida. Lei aveva fumato forse due volte in tutta
la sua
vita, al college, con Kristen, e di sicuro, non era la grande esperta
che
voleva far credere.
Tossiva come se avesse un
polmone in gola e dovesse sputarlo per sopravvivere. Nelson le tolse di
mano la
canna e le batté delicatamente la mano sulla schiena. Oddio.
Lisa smise di tossire e
lui aveva ancora in mano la canna che, stranamente, non si era ancora
spenta.
“Non sei noiosa” disse, prima di fare un tiro anche
lui. “Sei saputella,
precisina, perfezionista e pignola. Ma non sei noiosa”.
Aveva ancora la mano sulla
sua schiena. La mosse su e giù e Lisa ci mise un attimo di
più a rendersi conto
di cosa le aveva detto.
La
ragazza lo guardò con
un’occhiataccia. Nelson pensò che gli avrebbe
detto di andarsene. Appoggiò la
mano sulla panchina, pronto ad alzarsi e diede un altro tiro alla
canna: se
doveva andarsene subito, tanto valeva approfittare della situazione.
“Nient’altro?”
Nelson trattenne una
risata. “No. Nient’altro”.
“Sicuro di non esserti
scordato niente?”
Lui annuì, dopo aver fatto
finta di pensare e sorrise: si stava divertendo.
“Sicuro”.
Vide chiaramente quanto
lei cercasse di non dire ciò che stava pensando.
“Puoi dire anche tu quello che
pensi di me. Mi sa che ormai siamo in confidenza: offendimi
pure” concesse,
divertito.
“No.”
La risposta di Lisa lo stupì,
lei lo capì benissimo. Si allungò verso di lui,
si riprese la canna e ci
riprovò: tossì solo una volta e riuscì
a inspirare il fumo senza morire
soffocata. Lo prese come un traguardo e sorrise, guardando quella
piccola
ciminiera di veleno. “Ci sono riuscita”.
Quello che non disse era
che non sapeva cosa pensasse di lui, non aveva ancora le idee chiare.
Tornare
dopo quattro anni e trovarselo davanti aveva scombussolato la sua mente.
Si ricordava benissimo
quando lo incontrava per le vie di Springfield gli anni passati,
soprattutto
quando erano al liceo: Nelson girava con gente che a lei piaceva poco e
la
guardava sempre facendola sentire insicura. A volte l’aveva
presa in giro,
incontrandola da Apu o da qualche altra parte, a volte lei si
nascondeva per
non essere vista e lo guardava quando era con gli altri. Forse una di
quelle
volte che lo aveva visto con delle ragazze, c’era in mezzo
anche Ellie.
“Cos’è
la storia del polo
nord?” Nelson si decise a chiedere quando lei non
parlò più.
“È un lavoro che ho
trovato.”
Il ragazzo annuì come se
fosse una cosa normale, per lui, andare a lavorare al polo nord.
“Te lo ha trovato
l’università? Per… quello che hai
studiato? Cosa hai…”
“Veterinaria.”
Nelson annuì ancora, come
se dovesse dimostrare di essere d’accordo.
“Quindi vai per studiare
gli orsi…” Nelson cercò di pensare
velocemente: al polo nord c’erano gli orsi
polari o i pinguini? Perché confondeva sempre le cose? E
perché ci teneva così
tanto a dire la cosa giusta?
“No”. Il tono risoluto di
Lisa lo mise al suo posto.
“Oh, ho sbagliato? I
pinguini, allora.”
“No. Non hai sbagliato: è
giusto, ci sono gli orsi polari. Io però vado in Groenlandia
e sarò in una
stazione per l’osservazione metereologica.”
Nelson si stupì. “E cosa
ci vai a fare?” Lei alzò le spalle.
“Francamente poco, da quel
che ho capito. Saremo in tre. Bastava avere la laurea e ti prendevano,
ma non
ci voleva andare nessuno. Infatti è pagato molto
bene…”
“Lo fai per pagare il
prestito universitario?” le chiese lui.
Lisa
si sorprese della sua
domanda. Gli aveva detto del prestito la sera che erano andati al diner
e lui
se lo ricordava ancora. Si sentì le guance in fiamme a
scoprire che la cosa le
faceva un enorme piacere.
“Voglio pagarmi un corso
extra per curare le specie selvatiche dell’Africa e
dell’Asia… Ma non posso
aprire un altro prestito, né chiedere i soldi ai miei
genitori.”
“Africa e Asia? Quindi è
vero che odi Springfield e vuoi andartene.”
“Beh, non mi sembra che
Springfield sia così bella!”
“Ma c’è la tua famiglia. I
tuoi genitori, i tuoi fratelli…”
Lisa alzò le spalle.
Nelson
avrebbe dato un
occhio della testa per poter rivedere sua madre, nonostante tutto. E
aveva
sacrificato l’università per Ellie, la sua
sorellastra. E ora stava curando
Trevor che dopo il primo infarto aveva problemi seri. Per un attimo si
innervosì: le persone che avevano così tanto non
se ne accorgevano mai.
“Sei mai andato fuori da
Springfield, Nelson?” Ora il tono di Lisa non gli piaceva
più: sembrava
accondiscendente, come quando parli a un bambino stupido cercando di
farlo
ragionare. Lei doveva pensare che lui fosse un povero provincialotto.
Si stupì
del fatto che fosse più deluso che offeso dalla cosa.
“Certo che sono andato
fuori da Springfield. Non conosco solo le mura di casa mia. Ho visto
anche
altri posti. Mio padre mi ha anche portato in Europa. È solo
che mi piace stare
qui. A casa.”
Nelson si alzò.
Lisa
capì di averlo offeso
e si vergognò di come avesse posto la domanda.
“Non intendevo…”
“Veramente immagino
proprio che tu lo intendessi. Ma posso capire, sai? Probabilmente lo
avrei
pensato anch’io. Devo essere molto diverso da quei ragazzi
che escono dall’università
e indossano camicie e cravatte.”
Quando sentì il suo tono
rassegnato, Lisa si sentì una stupida. “No,
scusami, non dovevo…” Allungò una
mano verso di lui e gli afferrò il braccio, la parte
più vicina a lei.
Nelson
abbassò lo sguardo
sulla mano della ragazza e vide le sue piccole dita stringergli il
braccio poco
più su del polso. Il suo contatto era una carezza lieve e
capì che lei era
veramente dispiaciuta perché la sua mano tremava un pochino
mentre cercava di
trattenerlo dall’andarsene. Quando spostò lo sguardo su di lei, Lisa lo
guardò negli occhi
e Nelson non riuscì a dire più niente. Si
risedette e lei fece un piccolo
sorriso.
“Ti va una birra?” gli
chiese, ma il ragazzo scosse la testa. “Una coca?”
insistette.
Lisa
sperò che dal suo
tono non si capisse la voglia che aveva di rimediare
all’errore e rimase ad
aspettare con ansia la sua risposta. Quando lui annuì,
sorrise e si alzò per
andare in casa.
Cercò di fare il più
presto possibile e quando tornò, dopo pochi minuti, con due
lattine, Lisa si
stupì che non se ne fosse andato lo stesso.
Nelson
voleva andarsene,
ma non gli piaceva l’idea di farlo quando lei era in casa.
Gli sembrava di
nascondersi e invece non doveva più farlo. E non voleva.
Quando lei tornò fuori,
gli porse la lattina e si risedette, aprendo la sua e bevendo un lungo
sorso.
“Quando mia madre è morta,
mio padre mi portò via per un po’. Sai, lui non
aveva problemi di soldi e mi
chiese se volessi vivere con lui. Per un po’ ci andai. Lui
viaggiava un sacco
e io non sapevo cosa fare della mia vita. Ma non mi piaceva neanche la
sua.
Sono stato in posti diversi, ho conosciuto do… persone
diverse…” Nelson si
interruppe e un po’ si vergognò quando aveva
voluto censurare la parte sulle
donne. “La sua era una vita fantastica: viaggi, culture, cibi
totalmente
diversi. Ma io sono tornato qui. A Springfield. E sai
perché?”
Lisa
ascoltò Nelson
parlare e gli rispose annuendo con il capo: stava capendo.
“Sei tornato per
Ellie?”
Il ragazzo si avvicinò la
lattina alle labbra e guardò verso la strada. Anche mentre
parlava non aveva
mai guardato verso di lei. Quando finì di bere si
passò la lingua sulle labbra
e disse: “Sì, proprio per Ellie. Per Ellie e
Trevor. Se mio padre e mia madre
erano la famiglia che mi è capitata, Ellie è la
sorella che mi sono scelto…”
Bevette ancora.
“È una cosa molto bella
quella che hai detto, Nelson” sussurrò. Lui si
voltò verso di lei, ma non disse
niente. “E lo sfasciacarrozze?”
“Me lo ha lasciato mio
padre l’anno scorso, quando è morto.”
“E chi ti ha insegnato ad
aggiustare le auto?” gli chiese Lisa, ancor prima di pensare
la frase.
“Trevor. Aveva un’auto
degli anni ’60 in garage, l’abbiamo ristrutturata
insieme. Ho imparato da lui
tutto quello che so.”
La ragazza sorrise e lui
non disse più niente. Passarono pochi minuti di silenzio e
poi Lisa, memore di
ciò che le aveva detto Milhouse, disse: “Tu sai
che è stata fatta una petizione…”,
ma si interruppe quando vide passare davanti a casa proprio la macchina
di
Milhouse con il ragazzo che guardava verso di loro. “Ma cosa
cav…”
La macchina sportiva
sbandò, quasi finendo sull’altro marciapiede.
Nelson
si alzò di nuovo.
“Forse dovrei andare…” Ma Lisa lo
guardò con uno sguardo così brutto che si
bloccò.
“Non puoi aspettare che
torni indietro?” gli chiese.
“Come?”
“Milhouse abita di là”
disse, indicando con il braccio la direzione opposta a quella dove era
andata
l’auto del ragazzo. “Tornerà indietro e
se mi vedrà da sola, si fermerà
e…”
Lisa sospirò e si passò una mano fra le ciocche
di capelli.
Nelson però non si
risedette. “Lisa, vai in casa se ti dà fastidio
Miloser, io me ne vado” disse.
“Grazie, sei molto
gentile” borbottò ancora, ironica. Nelson rise, ma
non cambiò idea.
Possibile che lei non
capisse? Se Milhouse fosse tornato veramente indietro e li avesse visti
ancora
lì, cosa avrebbe pensato? Un conto era dare fastidio allo
sfigatello facendogli
paura, un conto era tirare in ballo Lisa.
“Fidati, ti sto facendo un
favore” disse.
Lisa
alzò lo sguardo su di
lui, senza capire le sue parole. Alzò un sopracciglio e,
senza accorgersene, arricciò
il naso. Si alzò in piedi, ma prima che potesse dire
qualsiasi cosa lui abbassò
lo sguardo sulla lattina che ancora teneva in mano. “Potrebbe
pensare che noi…”
Lisa sentì le guance
arrossarsi. Non aveva pensato che far sedere Nelson in giardino avrebbe
potuto
dar adito a certe voci. Poi aggrottò la fronte.
“Sei un amico di Bart. Lo hai
appena portato a casa perché era ubriaco e stai aspettando
con me mia sorella.
Perché Milhouse dovrebbe pensare qualcosa di
diverso?”
“Perché è un idiota”
rispose lui, alzando le spalle, ma sorridendo. Rise anche Lisa.
“Giusto.”
Fece due passi e gli prese
la lattina dalle mani. “Vai pure a casa, Nelson. Non
attenterò alla tua
reputazione” disse la ragazza, ma prima di entrare in casa a
gettare le lattine
si voltò e, mentalmente, aggiunse: “Non
stasera”. Appena lo pensò si scoprì a
ridacchiare e le sembrò di essere tornata al liceo. Al primo
anno, quando il
liceo era ancora una cosa simpatica.
Il
rumore di una frenata brusca
fece alzare a Nelson lo sguardo, ma si scoprì sorpreso
quando notò che non era
Miloser: era un’auto grigia, decapottabile e, al volante, un
ragazzino troppo
giovane per essere l’idiota dai capelli blu.
Maggie, la sorella di Lisa
e Bart, scese dal sedile posteriore, salutando i ragazzi seduti davanti
e
parlando di qualcosa che avrebbero dovuto fare l’indomani.
Senza accorgersene,
Nelson si alzò e si avvicinò all’auto:
conosceva sia la macchina che l’autista.
Lisa
sentì le gomme
fischiare sull’asfalto fin dalla cucina e corse verso il
salotto per guardar
fuori dalla finestra e controllare se per caso Miloser, come lo aveva
chiamato
Nelson, fosse effettivamente tornato e si fosse fermato davanti a casa
loro. Ma
la macchina che vide non era quella del perdente e vide scendere sua
sorella da
un’auto decapottabile e abbastanza nuova.
Quando uscì per
assicurarsi che Maggie stesse bene, la vide che osservava Nelson, che
si era
avvicinato al lato del volante e aveva appoggiato la mano sullo
sportello,
parlando con il ragazzo che guidava.
“Che succede?” chiese alla
sorella, una volta fuori.
“È un amico tuo, lui?” le
rispose Maggie, indicando Nelson.
“Perché?” Lisa non sapeva
cosa rispondere. Era un suo amico? E se avesse detto di sì,
Nelson se la
sarebbe presa?
“Cosa sta dicendo a Cory?”
Lisa alzò le spalle. Non sapeva chi fosse Cory, anche se
immaginava che fosse
il ragazzo al posto di guida. E non aveva la più pallida
idea di cosa si
stessero dicendo.
Le ragazze si avvicinarono
all’auto, ma questa se ne andò e loro rimasero sul
marciapiede, insieme a Nelson.
“Che hai detto a Cory?”
chiese Maggie, un po’ sostenuta, al ragazzo.
“Niente. Cose nostre.”
La
ragazzina lo stava
guardando male. Aveva nello sguardo la determinazione di Lisa e un
po’
dell’arroganza di Bart. Doveva essere un peperino.
“Cosa vuol dire cose
vostre?”
Nelson scosse la testa e
le spalle.
“Ma te lo scopi questo
qui?” chiese la piccoletta rivolgendosi alla sorella.
Lisa divenne rossa sulle
guance prima di esclamare: “Maggie!”, stupita da
quello che aveva detto.
“Ehi, ragazzina!” la
sgridò lui.
“Ehi, tu! Ma chi cazzo
sei?”
Lisa
fece un passo avanti
e cercò di salvare la situazione, anche se nessuno dei due
sembrava a disagio.
“Lui è Nelson, Maggie.
Andava a scuola con Bart…” Maggie non poteva
ricordarselo, ma alle elementari
avevano parlato spesso di Nelson e della sua banda. E di solito non ne
parlavano bene, in famiglia.
Sua sorella continuò a
guardarlo male e sbuffò senza dire niente.
“Visto
che tua sorella è
tornata, vado a casa. Buonanotte.”
Nelson aveva ignorato la
ragazzina, così come lei stava facendo nei suoi confronti e
salutò direttamente
Lisa.
“E dov’è che abiti tu?”
chiese Maggie, guardandosi intorno. “Non hai una macchina,
quindi sei venuto a
piedi?”
Nelson ghignò:
fondamentalmente lei gli piaceva, era sveglia. Non era una di quelle
che avrebbe
trovato in una macchina infangata a Pinehill che ridacchiava o
piagnucolava,
esattamente dove aveva trovato Cory Dowson la settimana prima. Nelson
gli aveva
solo detto che la prossima volta non avrebbe voluto trovarlo nella
stessa
situazione e in compagnia della sorella di Lisa.
“Ho il carro attrezzi lì
dietro” disse, indicando con il pollice la strada alle sue
spalle.
“Il carro attrezzi? Sei
Nelson il fratello di Ellie Reed?”
Nelson si fece attento e
strinse un po’ gli occhi.
Lisa
sentì il tono di voce
della sorella cambiare: sembrava quasi impressionata e il suo modo
arrogante di
parlare era svanito.
“Sì” rispose Nelson. Anche
lui sembrava incuriosito dal cambio di atteggiamento.
“Allora dovresti essere un
tipo a posto. Buonanotte”. Maggie si girò e si
incamminò verso la porta di casa,
alzando il braccio senza voltarsi quando augurò la buona
notte.
Loro la guardarono entrare
e poi Lisa disse, voltandosi verso Nelson: “Avevi ragione,
hanno pensato male”.
“Lei non è un’idiota. Sono
sicuro che capirà se glielo spiegherai.”
Lisa annuì alle sue
parole, contenta del fatto che lui non se la fosse presa.
Nelson
le fece un cenno
con il capo e si girò per incamminarsi verso il carro
attrezzi, quando notò per
terra qualcosa che prima non c’era. Si chinò e
raccolse quella che sembrava una
catenina. Si tirò su, tenendola in mano e osservando il
dondolio di un piccolo
ciondolo a forma di plettro.
“Cos’è?” gli chiese Lisa
avvicinandosi.
“Penso sia un ciondolo.”
“Un ciondolo a forma di
plettro!” esclamò lei, avvicinandosi.
“Sarà di Maggie” le disse
lui, porgendoglielo e notando che era nello stesso posto dove prima era
la
ragazzina.
“Oh, non ho visto chitarre
in camera sua…”
“Potrebbe essere un
regalo, allora.”
“Forse.”
“Tieni, portaglielo.”
Lisa
si avvicinò e prese
la catenina dalle mani di Nelson. Quando le loro dita si toccarono lei
sentì un
brivido percorrerle la pelle e si morse un labbro.
Anche lui dovette sentire
qualcosa, perché la guardò in modo strano.
Nelson
pensò per un attimo
di fare un passo avanti e di stringere Lisa fra le braccia. Quando lei
aveva
preso il ciondolo, le sue dita lo avevano sfiorato e lui aveva sentito
una
carezza molto più intensa di quello che c’era
stato veramente e gli era
mancanto il respiro, come quando un colpo lo colpiva
all’improvviso. Poi lei si
era morsa il labbro inferiore e lui aveva iniziato a non ragionare
più.
Per fortuna in quel
momento il rumore di un’auto che strusciava contro il
marciapiede li fece
voltare e ruppe quel momento di incanto.
Nelson si girò e, per la
prima volta in vita sua, ringraziò il cielo che Miloser non
fosse un bravo
pilota e che, per guardare cosa stessero facendo loro, fosse finito di
nuovo
contro il marciapiede.
-
-
-
***Eccomi
con un altro capitolo! Grazie a chi legge!
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Capitolo 7 *** Birra per Maggie, grane per Nelson ***
birra per Maggie, grane per Nelson
Birra
per
Maggie, grane per Nelson
-
-
A
Lisa mancava un’ora
prima della fine del turno. Quel giorno Ellie avrebbe fatto il
pomeriggio e la
mattinata sembrava non passare più.
“Scusa…”
Lisa si girò verso il
nuovo cliente, che si era seduto su uno sgabello al bancone del bar e
l’aveva
chiamata cercando di attirare la sua attenzione.
“Ciao” lo salutò lei,
vedendo che era un ragazzo e che le aveva dato del tu. “Posso
portarti qualcosa?”
Lui le guardò il petto e
poi tornò a guardala in viso. Lisa sentì il
nervosismo salirle sulle spalle
quando lui la sorprese e disse: “Sì, Lisa, mi
potresti una tazza di caffè macchiato?”
La ragazza abbassò lo
sguardo e capì che lui le aveva guardato la targhetta per
poterla chiamare per
nome e arrossì per aver pensato male.
“Arriva subito!” esclamò,
improvvisamente molto vivace. Si voltò e afferrò
la caffettiera, tornando a
versargli un’abbondante dose di liquido nero e poi si
allungò a prendere il
bricco del latte.
“Allora, quali novità ci
sono qui a Springfield?” le chiese lui, dopo aver bevuto un
sorso di caffè e
aver allungato una mano al menù.
“Sei tornato da poco?”
Il ragazzo annuì e lei
rimase a chiacchierare con lui un altro po’, fra un cliente e
l’altro. Quando
se ne andò, dopo un’ora, Lisa si stupì
che il tempo fosse volato via tanto
velocemente.
***
Bart
era al bancone del
market e giocava con il cellulare; Apu gli aveva portato via la
televisione e
lui non aveva nient’altro da fare se non servire i clienti.
Quando entrò Milhouse, nel
tardo pomeriggio, fu contento: almeno avrebbe avuto qualche distrazione.
“Milhouse! Prendi due
birre dal frigo” lo invitò. Milhouse
obbedì e Bart lo fece pagare prima di
stappare le due Duff. Sbatté la bottiglietta contro quella
dell’amico e gli
chiese come fosse andata la giornata.
Milhouse alzò le spalle.
“Il solito. Però la mamma mi ha salutato quando
l’ho incontrata in ascensore!”
Bart espirò forte dal
naso, come a contenere una risata. “Guarda,
c’è mia sorella!”
Gli occhi di Milhouse
brillarono quando iniziò a guardarsi intorno:
“Dove? Dove?”
Bart rise più forte e
indicò la porta del locale con la bottiglietta.
“Lì!”
Milhouse si avvicinò al
vetro per guardare fuori, quando la porta venne aperta verso
l’interno e gli
sbatté sul naso. “Ahia!”
piagnucolò il ragazzo.
“Mi scusi…” iniziò a
scusarsi la ragazza che aveva aperto la porta, ma poi lo riconobbe.
“Oh,
Miloser, sei tu!”
“Non chiamarmi Miloser,
Maggie!” la sgridò Milhouse, guardando male Bart.
Ma lui rise. “Oh, scusa
Milhouse, pensavi ci fosse Lisa?”
“Bart! Shhhh… vuoi farlo
sapere a tutti? E poi, non sgridi tua sorella per quello che mi ha
detto?”
Bart annuì e si voltò
verso Maggie. “Non dovresti scusarti quando entri in un
negozio. Se la porta si
apre verso l’interno, deve fare attenzione chi
c’è dietro la porta, non tu!”
“Ma Bart…” piagnucolò
ancora il ragazzo quando notò i due fratelli ridere alle sue
spalle.
“Ok: scusami Miloser se
non sono Lisa” lo prese in giro ancora la piccola Simpson.
Bart rise e batté il
pugno chiuso contro quello della sorella.
“Dammene un goccio” disse
Maggie al ragazzo, indicando la sua Duff.
“No. Questa è mia.”
Maggie alzò gli occhi al
soffitto, ma non insistette.
“Guarda, Milhouse, c’è
Lisa!” disse Bart, indicando la porta da dove stava entrando
una signora di
mezza età seguita dai figli e da altre persone.
“Molto spiritoso, Bart,
bravo…” Milhouse non si voltò neanche e
prese un lungo sorso di birra solamente
per fare un dispetto a Maggie che lo stava guardando.
“Hei,
ciuccellona!”
“Ciao, Babi…” salutò Lisa
entrando nel Market e tenendo la porta aperta per Ellie.
“Cavolo! Lisa! Couff….”
Milhouse iniziò a tossire e si diede dei colpi al petto da
solo quando nessuno
lo aiutò. “C’era davvero
Lisa!” esclamò, una volta finito, con le lacrime
agli
occhi dallo sforzo e guardando male Bart che alzò le spalle
in risposta.
“Ciao, Maggie” salutò Lisa,
lanciando un’occhiataccia al ragazzo dai capelli blu.
“Maggie! Ci sei anche tu!”
Ellie fece due passi verso di lei e le ragazze si scambiarono due baci
sulle
guance.
“Ellie” disse Bart, con un
cenno del capo e la ragazza ricambiò, avvicinandosi al
bancone con un foglietto.
“Ciao, Lisa… Come stai?” Mentre
Ellie chiedeva informazioni a Bart su alcune cose che le servivano,
Milhouse
fece qualche passo avanti per affiancare Lisa, ma lei fece un passo
indietro.
“Milhouse, guarda che non
ho scordato l’altra sera!” lo rimproverò
lei, ma a bassa voce. Lui non disse
niente e incassò il colpo. Ma poi, come se si fosse
ricordato qualcosa in quel
momento, esclamò: “Ti ho visto l’altra
sera con Nelson!”
Lisa lo fulminò con lo
sguardo e lo ignorò avvicinandosi a Bart, rimasto solo al
bancone. “Mamma dice
di non fare tardi che ci sono zia Patty e zia Selma stasera a
cena.”
Bart alzò gli occhi al
soffitto e annuì, continuando a bere. Tutti e due
continuarono a ignorare
Milhouse. La signora entrata poco prima, portò due bottiglie
di latte sul
bancone e sgridò i figli quando tentarono di prendere dei
dolci vicino alla
cassa. Bart la fece pagare e allungò delle caramelle sfuse
al bambino più
piccolo mentre gli altri stavano uscendo.
Mentre
Milhouse si
avvicinava ancora a Lisa, cercando di parlarle ed Ellie si
avventurò lungo la
corsia delle bibite, Maggie si avvicinò di nuovo al bancone
e mise due banconote
da venti dollari sul bancone, vicino alla mano del fratello.
“Per cosa sono, Maggie?”
chiese Bart sospettoso, quando notò che Maggie si era sporta
verso di lui.
“Mi serve della birra per la
festa di stasera…” iniziò lei, ma Bart
la interruppe subito. “No” disse, prima
di tornare a bere, ma continuando a guardarla.
“Dai, Bart, non devi
vendermela. Non rischi niente, basta che la porti a casa. Poi stasera
quando…”
“Forse stasera non
dovresti uscire, Maggie”. Bart continuò a bere e a
guardarsi intorno. Ma Maggie
non la prese bene.
Lisa
stava cercando di
scrollarsi di dosso Milhouse, così, quando sentì
Maggie rispondere a Bart con
un verso strano e strabuzzando gli occhi, si avvicinò a loro.
“Che succede?” chiese, una
volta essere riuscita a staccarsi dal ragazzo.
“Niente” rispose Maggie.
“Maggie vorrebbe portare
della birra a una festa…” disse Bart e la
sorellina gli scagliò un’occhiataccia
come se l’avesse tradita.
“Birra? Ma Maggie non…”
iniziò Lisa, scuotendo la testa.
“Oh, piantala Lisa!” La
ragazzina la ignorò dopo averla interrotta e si rivolse di
nuovo al fratello.
“Dai, Bart, tu di sicuro sai come funziona, lei che ne
sa…”
“Ehi!” esclamò Lisa quando
si rese conto che sua sorella la stava ignorando e probabilmente anche
denigrando.
Maggie si voltò di nuovo
verso di lei e sbuffò. Forte. “Dai, Lisa fatti un
giro sto…”
“Maggie, smettila tu. Non
dovresti bere, né tantomeno portare alcolici a una
festa!”
Sua sorella la guardò
divertita e, con una smorfia che a Lisa non piacque per niente, le
chiese: “Sei
mai stata a una festa, Lisa?”
“Certo che sono stata a
una festa!” esclamò, quasi scandalizzata, la
ragazza. Ma quando Maggie rise
ancora, pensò di non aver dato la risposta giusta.
“E avevi più di dodici
anni, l’ultima volta che ci sei andata?”
“Maggie,
ora basta…” Bart si
era intromesso fra le ragazze. Era una cosa strana, non gli era mai
successo
che loro litigassero. Neanche quando erano più piccole,
quando Lisa era ancora
a casa.
Maggie lo guardò, ancora,
e l’occhiata che gli lanciò lo macchiò
di tentato tradimento, come se avesse
scelto Lisa invece che lei. Per un attimo Bart si sentì
malissimo, ma poi gli
passò. “Ho detto di no. Questione chiusa,
Maggie” le disse, ma abbassò gli
occhi. Non poteva aiutarla. Non quella volta.
“Sei…” Ma non finì la
frase e per Bart fu peggio che se lo avesse insultato.
Maggie
guardò malissimo
Lisa, pensando che se non ci fosse stata lei, sicuramente Bart non
avrebbe
fatto storie. Lo aveva visto fumare Marijuana in camera sua! Non era di
sicuro
un bacchettone come la sorella.
“Perché non sei rimasta a
Cambridge? Qui si stava meglio senza di te!” E corse fuori
dal market.
Corse e corse ancora, con
le lacrime che le scivolavano sulle guance fino a quando non
pensò di scoppiare
per lo sforzo.
Si fermò e si premette la
mano sul fianco, dove sentiva un male allucinante.
“Maggie! Tutto bene?”
Christopher Logan,
bellissimo in tenuta da jogging, le si fermò accanto.
Maggie, se era senza
fiato già prima di vederlo, con la maglietta tirata sul
petto e i capelli lucidi
e spettinati dalla corsa, ora non sarebbe riuscita più a
dire niente.
“Sì, ho solo litigato con
i miei fratelli” disse, dopo un po’, asciugandosi
le guance di nascosto.
“Oh, mi spiace. Qualcosa
di grave?” Maggie alzò una spalla.. “Oh,
anch’io litigo spesso con i miei
fratelli. Noioso, vero?” la consolò lui, ma
dovette trovarla piuttosto triste,
perché le propose: “Che fai? Ti va di fare due
passi insieme?”, e in quel momento
Maggie si sentì la persona più fortunata del
mondo.
***
“Sei
stato bravo, Babi.”
Lisa toccò il braccio al
fratello quando notò che era un po’ giù
di morale dopo la frecciatina di
Maggie.
“È stato difficile.”
Lisa sorrise tristemente e
gli accarezzò il braccio. “Ma hai fatto
bene”. Bart annuì e poi riportò lo
sguardo per il negozio. Era rimasta solo Ellie da servire, mentre
Milhouse era
appoggiato al frigorifero dei gelati e guardava il bancone senza dire
niente e
continuando a bere dalla bottiglietta.
“Oh,
dì
a mamma che stasera non so a che ora arrivo, passo dalla palestra,
convincere
Nelson a fare un incontro e…"
Bart venne interrotto dal ragazzo con i capelli blu che si
staccò dal
frigorifero andando verso di loro.
“Ancora Nelson? Ma cosa ci
troverete in lui? Ma vi ricordate quando faceva il bullo con tutti?
Quante
volte mi ha picchiato? Non capisco proprio perché lo
frequentate!”
Ellie, che si stava
avvicinando al bancone dopo aver finito la spesa fra gli scaffali, alle
spalle
di Milhouse spalancò occhi e bocca. “Mio fratello
era un bullo?”
Tutti
si girarono verso di
lei. Bart vide Milhouse diventare rosso e lo sentì
balbettare. “Tuo… fratello?”
Milhouse si voltò verso di lui e Bart fece una smorfia e
alzò le spalle. Ma
Milhouse non capì. “Quel bastardo di Nelson
è tuo fratello?” chiese alla
ragazza che lo guardava con gli occhi lucidi. “Ah, gran bella
famiglia! Tu
invece cosa fai? Rubi nei negozi? Bart, io controllerei la sua borsa,
dalla
sorella di Nelson non mi aspetterei niente di meno!”
Ellie fece cadere il
cestino con i suoi acquisti e guardò Bart con gli occhi
terrorizzati. “Ti
giuro, Bart, che non ho mai rubato niente…” Il
ragazzo uscì dal bancone per
andarle incontro, mentre notò che anche Lisa
cercò di raggiungerla.
“Ma figurati! Avete
sentito che Nelson è stato anche arrestato? È un
criminale! E le mele non
stanno mai lontane dall’albero!” Milhouse si
dondolò sui talloni e gongolò
delle sue parole, soprattutto quando parlò
dell’arresto di Nelson.
Ellie non si era ancora
ripresa, ma Lisa era riuscita ad affiancarla e a metterle un braccio
sulle
spalle, mentre Bart si era chinato a prendere il cestino.
“Nelson
è stato arrestato
per colpa mia” sussurrò la ragazza a nessuno in
particolare, ma Lisa la sentì
benissimo.
“Sono sicura che ti
sbagli. Vieni, non ascoltare questo stupido…”
“Perché sono stupido
secondo te?” esclamò Milhouse, arrabbiato.
“Perché dico la verità sul quel
mostro?”
Ellie si mosse fra le
braccia di Lisa e scappò via dal market, più
velocemente di come aveva fatto
l’amica poco prima.
“Si dice ‘Perché sarei
stupido?’, Milhouse” lo ribeccò Lisa.
“E sei uno stupido perché…”
“Perché sì!” intervenne
Bart, dandogli uno scapaccione. “Dammi venti
dollari!”
“Perché?” chiese il
ragazzo.
“Perché sei uno stupido!”
gli rispose Bart.
Milhouse borbottò e
brontolò a bassa voce, ma tirò fuori il
portafoglio e diede una banconota
all’amico. Bart la prese e allungò il cestino con
la spesa di Ellie a Lisa,
dicendole di portargliela.
“Tanto in settimana gli
portano via tutto” disse Milhouse quando Lisa stava per
uscire.
“Quando?” chiese la ragazza,
girandosi prima di aprire la porta.
Milhouse alzò le spalle e
fece un brutto ghigno. “Non lo so. Ma la mamma dice che
questa settimana sarà
tutto pulito. E lei ha contatti con il comune, non so se capisci cosa
intendo…
Noi non siamo come certe famiglie che…” Lo
scappellotto che si beccò da Bart lo
interruppe e Lisa ringraziò il fratello con gli occhi, prima
di uscire.
***
Lisa
guidava controllando
tutti i marciapiedi, ma non vedeva Ellie da nessuna parte. Si era
guardata
intorno appena uscita dal market, ma lei non c’era,
così era salita in macchina
e aveva percorso la strada per andare verso casa della ragazza.
Guidò forse per dieci
minuti prima di notarla: una piccola furia arrabbiata che camminava
veloce
lungo il marciapiede. Notò qualcuno scansarsi quando le
arriva davanti, come se
fosse spaventato. Un piccolo sorriso le si disegnò sul viso:
era un vero
uragano.
“Ellie!” la chiamò, ma lei
non si girò, così Lisa accelerò,
accostò al margine del marciapiede, poco più
avanti, e scese di corsa, per bloccarle la strada.
“Ellie” disse, quando
riuscì a raggiungerla e a fermarsi davanti a lei. La ragazza
la guardò ed
esclamò, arrabbiata: “Mio fratello era un
bullo!”
Eh, sì. Era proprio
quello. Ma Lisa non disse niente. “E ruba nei
negozi?” chiese, improvvisamente.
“Scommetto che lo faceva
solo da ragazzino. Sai, si può essere molto stupidi quando
si è piccoli…”
rispose Lisa, sperando di non mentire.
“Quando ero alle
elementari i bulli mi prendevano in giro… Lui…
è come loro…” La ragazza si
guardò intorno, senza vedere niente veramente, tanto era
accecata dall’ira.
“Ecco perché avevano iniziato a lasciarmi stare!
Perché lui li aveva picchiati!
Aveva fatto quello che loro facevano a me!” Nervosa, alla
ragazza tremavano fin
le spalle, da tanto era agitata.
“Vieni, ti accompagno a
casa, vuoi?” Ellie annuì e la seguì
docilmente fino all’auto. Una volta seduta
in macchina, la ragazza si riprese.
“Sono una stupida… Devi
pensare che io sia proprio una stupida…”
“Non penso che tu sia una
stupida, Ellie.”
“Tu non eri sorpresa dalle
parole di quel ragazzo… quel Miller…”
Lisa rise quando lei tentò
di ricordarsi il nome di Milhouse. Probabilmente aveva sentito il suo
soprannome, Miloser.
“Milhouse? Già,
non ero sorpresa. Nelson era in classe con Bart, mio fratello.
Lo… conoscevo”.
“Che idiota che sono! Solo
io non ci ho mai pensato? Fammi indovinare, era uno di quei bambini che
tua
madre ti proibiva di frequentare?” Lisa continuò a
guardare davanti a sé,
mentre guidava verso casa di Ellie. Annuì e non disse niente.
“Ha picchiato il mio
ragazzo, quando mi ha lasciato perché ero incinta. Pensavo
lo avesse fatto per
me… E ha anche picchiato i ragazzini che mi infastidivano
alle medie. Avrei
dovuto capirlo, non era quello il modo di comportarsi. Sono una
stupida. Quelli
che reagiscono così non sono brave persone. E il suo amico,
quel tipo con cui
usciva sempre, Secco, lo sapevo che non era un tipo per
bene…” Fece un profondo
sospiro e guardò fuori dal finestrino. “Nelson non
era…” disse, interrompendosi
subito dopo. Lisa immaginò che parlare male del fratello la
facesse soffrire.
“Ma lo sai che quando ero piccola lo adoravo? Pensavo fosse
il più bravo
fratello del mondo…”
“Ellie, ciò che tuo
fratello ha fatto, non cambia ciò che prova per te. E lo ha
dimostrato nel modo
che conosceva. Ti ha difeso e vuol dire che ti vuole bene.”
La ragazza sbuffò,
arrabbiata e a Lisa ricordò molto Maggie.
“Perché ho una visione
diversa di lui da quella che hanno tutti?”
Lisa sorrise, cambiò
marcia e le accarezzò la mano posata sul sedile.
“Perché è tuo fratello e lo
avevi idealizzato. Prima o poi ci si scontra contro il fatto che in
verità sono
persone con i propri limiti e difetti. E che ci possono
deludere…”
Mentre parlava si rese
conto di dover parlare con Maggie e quando parcheggiò
davanti a casa della
ragazza, disse: “Devo assolutamente scappare. Mi sono
ricordata di dover fare
una cosa. Sicura di stare bene?”
Ellie annuì, molto più tranquilla
di quando l’aveva fatta salire in macchina.
“Dovrò fare una bella chiacchierata
con Nelson!”
Lisa guardò la ragazza
scendere dall’auto con una strana energia e per un attimo,
solo per un attimo,
ebbe pietà di Nelson. Non immaginava che lei non sapesse del
suo passato, ma il
fatto che non ne fosse a conoscenza, faceva pensare a Lisa che lui non
fosse
più il teppista che era e che se era riuscito a tenere
nascoste le cose che
faceva, probabilmente non aveva più fatto niente di grave. A
parte picchiare il
ragazzo che l’aveva abbandonata mentre era incinta.
Quello Lisa poteva quasi
capirlo, però… Cavolo, se il bimbo aveva quattro
anni, voleva dire che Nelson si
era messo a picchiare un ragazzino quando già andava
all’università?
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Capitolo 8 *** Sorelle ***
Sorelle
“Ciao,
Maggie, posso
entrare?”
Lisa questa volta non
aveva bussato e non aveva aspettato che la sorella rispondesse alla sua
domanda, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
“Cosa vuoi?” Maggie, che
era di nuovo sdraiata sul letto con le cuffie del cellulare, si mise
seduta e,
senza togliere la musica dalle orecchie, le aveva fatto quella domanda
con tono
sostenuto.
“È tua, questa?” Le chiese
Lisa, mostrando nella mano la catenina che Nelson aveva raccolto sul
vialetto
qualche sera prima.
Maggie si alzò dal letto
velocissimamente e Lisa fece appena in tempo a lasciare andare il
ciondolo che
la sorella glielo strappò dalle dita. “Ce
l’avevi tu!” gridò la ragazzina.
“L’abbiamo trovata sul
vialetto. Non te l’ho di certo rubata. E un
‘grazie’ sarebbe carino, sai?”
Maggie continuava a guardarla male e sbuffare, ma Lisa non cedette e
sostenne
il suo sguardo.
“Ok… Grazie. Pensavo me
l’avessero fregata alla festa…”
Lisa sorrise. “Però non è
stato merito mio. L’ha trovata Nelson”.
Maggie si rigirò il
plettro fra le dita e poi alzò lo sguardo su di lei,
annuendo. “Il fratello di
Ellie…”
Annuì anche Lisa. “A
proposito di fratelli…” Maggie sbuffò e
a Lisa sembrò ancora la bambina che
giocava con Stacy Malibù insieme a lei. “Se volevi
comprare la birra per far
colpo su un ragazzo…”
“Io non ho bisogno di far
colpo su nessuno. Non sono una sfigata!” Lisa capì
di aver sbagliato approccio.
“Ok, scusami. Non
intendevo che tu fossi una sfigata. Ma…”
“È
che delle stronze mi
hanno ingannato e…” Maggie sospirò e
spiegò alla sorella ciò che era successo:
il gruppetto di Ashley, la biondina capo delle Cheerleaders, le aveva
fatto uno
scherzo e le ragazze le avevano detto che per rimediare avrebbe dovuto
portare
della birra quella sera per la festa che Ashley aveva organizzato per
il suo
compleanno.
Quando aveva incontrato
Chris, nel pomeriggio, lui le aveva raccontato che l’anno
prima, per il
compleanno di Janine, un’altra delle cheerleaders, avevano
fatto lo stesso con
un’altra ragazza, ma lei non era riuscita
a trovare la birra e le avevano imposto una punizione imbarazzante alla
festa.
L’avevano derisa pesantemente davanti a tutti e lei aveva
cambiato scuola.
Sembrava lo facessero con le ragazze del primo anno per divertirsi alle
loro
spalle e deriderle davanti a tutti.
Maggie ancora non sapeva
se lui fosse a conoscenza del fatto che lei aveva subito lo stesso
scherzo, ma
era contenta di averlo saputo prima. Strinse forte la catenina a forma
di
plettro e la infilò nella tasca dei jeans.
“Ho appena scoperto che
avevano organizzato tutto per farmi fare una figuraccia e ora non posso
tirarmi
indietro senza sembrare…”
Sospirò e alzò gli occhi
verso sua sorella, interrompendosi. In fin dei conti, cosa poteva
interessare a
lei? Alla perfetta Lisa, che al liceo aveva il massimo dei voti ed era
andata a
studiare lontano, in una prestigiosa università per
diventare la veterinaria
più brava del mondo e di cui sua madre tesseva le lodi a
ogni persona che le
chiedesse della figlia.
Lisa
sentì una rabbia nel
petto come non le era mai successo: aveva subito scherzi anche lei,
essere una
secchiona (e sì, la chiamavano proprio così, sia
alle medie che al liceo) non
portava punti nel club della popolarità. E avere idee
anticonformiste non
l’aveva mai aiutata a stringere amicizie, ma sua sorella non
andava toccata.
Era buffo, perché da
quando Lisa aveva smesso di difendersi con accanimento, anche gli altri
non
l’avevano più considerata interessate come vittima
di scherzi, ma la rabbia che
sentiva dentro per l’ingiustizia subita da Maggie, per non
parlare dello
scherzo, la faceva tremare di indignazione.
“Devi andare dal preside!
Devi…”
La
risata di Maggie, bassa
e nervosa, scattò senza che lei lo volesse. Non voleva
offendere Lisa, ma non
era riuscita a trattenersi.
“Lisa… La scuola è finita
e al preside non interessa niente! E tirare in ballo gli adulti
peggiorerebbe
le cose. Devo risolverla da sola.”
Maggie si risedette
pesantemente sul letto e sospirò: si sentiva in trappola. Da
un lato non aver
capito che lo avevano fatto apposta e non perché volessero
invitarla nel loro
gruppo, la faceva sentire stupida e dall’altra il pensiero
che volessero
prendersi gioco di lei, la riempiva di ira. Purtroppo le due cose
insieme le
impedivano di escogitare una soluzione per uscirne indenne. Non voleva
non
presentarsi alla festa, perché loro non
l’avrebbero più lasciata stare,
ricordandole il debito, anche se ingiusto, e dall’altro non
voleva che
pensassero che lei avrebbe sempre fatto ciò che loro le
ordinavano. E Maggie
non voleva più avere a che fare con loro.
Toccò in tasca il
ciondolo: quello che aveva comprato perché le ricordava
Chris, che suonava la
chitarra nel coro della scuola. Sognava di regalarglielo ma non aveva
ancora
avuto il coraggio. Pensava di farlo la sera della festa, ma non sapeva
che ci
sarebbe stato anche Cory, così l’aveva messa in
tasca. Quando poi era arrivata
in camera e non l’aveva trovata, aveva pensato di averla
persa a casa del
capitano di football o addirittura che gliela avessero rubata. Era
contenta di
averla ritrovata.
Anzi, che lei l’avesse
ritrovata: guardò Lisa, ma sua sorella la guardava con uno
sguardo strano.
Lisa
stava pensando. Anche
lei aveva avuto una spina nel fianco, al liceo: una ragazza popolare,
con un
gruppetto di amiche stronzette e il trucco sempre perfetto. Ragazze che
avevano
fatto finta di essere amiche solo per poi prenderla in giro davanti a
tutti.
Solo che la sua si chiamava Britney. Si ricordò di quando la
riempiva di
frecciatine in classe e in tutta la scuola, verso la fine del primo
anno,
quando Lisa aveva capito che il liceo non era tutta manna dal cielo.
“Sono
sicura che Bart saprà
consigliarmi un modo per fargliela pagare” disse, dopo un
po’ di silenzio,
Maggie.
“Sì, Bart ha ottime idee.
Ma serve un tocco in più.”
Maggie osservò Lisa tirare
fuori il telefono, guardarsi intorno e andare alla scrivania della
sorella,
prendere una penna e un foglio di carta colorata e iniziare a scrivere.
Poi
disse al cellulare: “Babi, ti ricordi quando abbiamo fatto lo
scherzo delle
birre a papone?”
Maggie ascoltò, con occhi
sgranati, Lisa parlare al telefono con Bart e lanciarle ogni tanto
qualche
occhiata vincente, sorridendo. Che stava succedendo? Lisa interruppe la
chiamata dopo cinque minuti e l’ultima frase che disse fu:
“Portaci due casse
di bottiglie piccole di birra”.
Maggie
la stava guardando
ammirata e Lisa lo vedeva benissimo. La cosa la faceva sentire come se
si fosse
laureata un’altra volta. Una laurea con il titolo di miglior
sorella del mondo.
“Una volta abbiamo fatto
uno scherzo a papà e gli abbiamo svuotato una confezione di
bottigliette di
birra. In garage abbiamo una macchina che serve per tappare le
bottiglie di
vetro: le avevamo richiuse e messe in frigo. Papà
è andato giù di testa quando,
ogni volta che ne apriva una, la trovava vuota. Ha minacciato di
denunciare
Apu, pensando che gli avesse venduto aria confezionata. Quando gli
abbiamo
svelato di essere stati noi ha quasi strangolato Bart. Tranne quella
parte, per
il resto è stato divertente.”
Lisa raccontò la storia
con aria sognante, come se fare quello scherzo con suo fratello le
avesse dato
un brivido.
“Vorresti vuotare le
bottiglie che devo portare a casa di Ashley?” chiese Maggie,
un po’ confusa.
Maggie
non dubitava che lo
scherzo che avessero fatto a Homer fosse venuto bene, ma non le
sembrava quello
adatto alla sua situazione. Loro avrebbero potuto immaginare chi avesse
vuotato
le bottiglie e ne avrebbero bevute altre mentre la prendevano in giro.
Ma Lisa la sorprese. “No”
disse, mentre strappava una parte di foglio e gliela porgeva.
“Ci metteremo
dentro questo, lo vendono al supermercato”.
Maggie lesse la parola
scritta sul foglietto e aggrottò la fronte.
“Cos’è?”
“Un potete lassativo
insapore.”
A Maggie si illuminarono
gli occhi: quello sì che andava bene per Ashley e le sue
amiche! Poi Lisa disse
qualcos’altro sul fatto di stappare bene le bottiglie senza
piegare il tappo di
metallo e continuò a parlare da sola.
Lisa
iniziò a scrivere
tutto ciò che dovevano fare e poi sorrise a Maggie che la
guardava con la
fronte aggrottata.
“Cosa c’è?”
“Chi cavolo è Britney?”
Lisa non disse niente e
scosse le spalle, ridendo.
***
“Eri
un bullo?”
Nelson aprì la porta di
casa e sospirò alle parole della sorella, che lo aspettava
lì fuori, nel buio,
sotto il piccolo portico laterale.
“Vieni dentro, Ellie”
disse solamente. Sapeva che lei non aveva mai capito quello che lui
faceva
prima di conoscerla e ora era arrivato il momento in cui chiedeva
spiegazioni.
Sapeva che sarebbe successo, solamente non era il momento giusto. Non
quella
sera.
Bart gli aveva dato buca
dicendo che doveva fare qualcosa con sua sorella e Nelson aveva pensato
a Lisa
per tutto il tempo dell’allenamento e Blackwall, il vecchio
pugile amico di Trevor,
lo aveva preso in giro chiedendogli perché fosse
così scarso quella sera.
Nelson aveva dovuto richiamare tutto il suo autocontrollo per non
tirargli un
pugno sul naso.
È che sapeva che aveva
ragione: sul ring si sale senza pensieri. Trevor glielo aveva detto un
sacco di
volte: non portare sul ring nient’altro che concentrazione e
resistenza. Sii
più tenace dell’avversario e lascia in tribuna le
donne.
Donne! Come se a lui
potesse interessare Lisa Simpson! Come se lui avesse
possibilità con una come
lei. Come se… Come niente!
Entrò in casa, seguito
dalla sorella e andò direttamente al frigorifero: prese una
Duff porgendo a lei
una coca. Ellie la prese in silenzio e si voltò, andando
verso il portico sul
retro.
Era
una serata magnifica,
Ellie riusciva a vedere le stelle perché il giardino sul
retro della casa di
suo fratello era tutto buio. Un’enorme distesa di erba,
l’orto recintato, qualche
albero, cespugli e un cielo infinito: quasi il paradiso.
Stappò la sua lattina
e si sedette su una delle sedie sdraio che c’erano sotto il
portico.
Quando Nelson la
raggiunse, si sedette su una sdraio vicino a lei, ma non disse niente.
“Allora? Non dovremmo
parlare del fatto che io non sapessi che eri un bullo?” gli
chiese.
Alla luce della luna Ellie
vide chiaramente le spalle di suo fratello alzarsi e abbassarsi, mentre
beveva
un lungo sorso di birra.
Sbuffò. “Non avevi pensato
di dirmelo?”
“Per quale motivo avrei
dovuto farlo?” le chiese lui, sorpreso, alzando un
sopracciglio.
“Perché lo sono venuta a
sapere da Miller e ho fatto la figura della sciocca! E non mi piace
fare la
figura della sciocca, lo sai!”
Suo fratello, come tutti i
maschi, ascoltò solo quello che voleva e le chiese:
“Chi è Miller?”
Ellie sbuffò ancora. “Quel
tipo con i capelli blu che ci prova sempre con Lisa, ma non
è di questo che
volevo parlare! Io…”
“Miloser?” domandò ancora
lui. Ellie scosse le spalle, perché effettivamente non era
importante e
continuò: “Eri un bullo? Uno di quelli che ruba i
soldi per il pranzo ai
ragazzini e li picchia? Come…” Guardò
per un attimo il prato e poi riportò lo
sguardo verso di lui. “Come facevano gli altri con
me?”
Nelson
non rispose. Non
sapeva cosa dire. Poi annuì.
“E perché?” gli chiese
lei, ma la sua voce si affievolì un pochino. Scosse le
spalle.
“Ero un ragazzino. Ero
stupido e incazzato con il mondo; gli unici amici che avevo erano dei
delinquenti e pensavo fosse divertente fare quello che facevano loro.
Ero un
delinquente. Ma questo lo sapevi già, no? Non ti ricordi le
urla di mia madre?”
Ellie sorrise al pensiero
di sua madre, Nelson sapeva che lei le aveva voluto molto bene, un
affetto che
sua madre aveva ricambiato sinceramente.
“Sì, mi ricordo. Ma sai…
L’idea che tu facessi qualcosa di sbagliato agli occhi di tua
madre non mi
rende inquieta come sapere che picchiavi gli altri
ragazzi…”
“È grazie a tuo padre se
ho smesso di picchiare gli altri: mi ha insegnato che il sacco da boxe
non si
lamenta, non si contorce e non mi avrebbe denunciato. Posso dire di non
essere
più un bullo dalle scuole medie. È un bene,
no?” tentò di scusarsi lui.
Ellie annuì, ma poi
divenne triste.
“Quindi non era la prima
volta che picchiavi qualcuno quando hai
picchiato…” La sua voce divenne di
nuovo sottile e Nelson dovette bere ancora.
Ellie
sapeva che Nelson
aveva picchiato Speek, il suo ragazzo, quando lei si era ritrovata
incinta e
lui l’aveva accusata di averlo fatto apposta e di voler
tentare di affibbiargli
un figlio non suo. Lei aveva pianto tantissimo e quando suo fratello lo
aveva
scoperto, era successo quello che era successo.
Non poteva dire niente,
perché era stata colpa sua: non avrebbe mai dovuto dire a
Nelson chi era il
padre del bambino. Lui lo aveva picchiato a scuola ed era stato espulso
dall’università.
“No” rispose Nelson.
“Mi dispiace, però. Avevi
smesso e per colpa mia…”
“Non è stata colpa tua.
Ero in grado di prendere le mie decisioni. Avrei potuto…
gestire la cosa
diversamente. Meglio, probabilmente. Ma sono stato io. È
stata una scelta mia.”
Ellie si ricordò di quando
Lisa le aveva detto: ‘Ti ha difeso nell’unico modo
che conosceva’, e il suo viso
si intenerì. Si allungò verso il fratello e gli
mise una mano su un ginocchio.
“Grazie” disse, cercando di guardarlo negli occhi.
Lui tirò su la testa di
scatto. “Non devi neanche dirlo, lo sai!” Ellie
annuì. Ma quel discorso lo
avevano già fatto.
“Almeno è stata l’ultima
volta che ti sei messo nei guai? Qualsiasi tipo di guai?”
Nelson
scosse la testa e
basta: non disse niente. Non riuscì a guardare in faccia la
sorella. Nonostante
la poca luce della luna rendesse tutto più scuro e lei non
potesse vederlo
bene, non riuscì a guardarla. Così
guardò il prato anche lui.
Si era messo nei guai
un’altra volta, l’ultima. E sapeva che non era
fuori del tutto neanche da quel
casino. Ci sono cose che non se ne andranno mai e te le porterai sulle
spalle
come uno zaino ingombrante e troppo pesante per la strada della vita.
Pregò che lei non gli
chiedesse niente su quella faccenda e, forse per la prima volta in vita
sua, fu
accontentato.
“Sai che penso del tuo
giardino, Nelson?”
“Che pensi del mio
giardino, Ellie?” chiese lui in risposta, sospirando, sapendo
già che sarebbe
stata una punizione per il suo desiderio di poco prima.
“Che sarebbe il posto
ideale dove organizzare un party per il mio compleanno, la settimana
prossima!”
Nelson finì la birra e non
disse niente mentre si voltava verso una Ellie molto sorridente,
capendo di
essere stato fregato.
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Capitolo 9 *** Niente per il verso giusto ***
niente per il verso giusto
Niente
per il verso giusto
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“Com’è
andata?”
Lisa aspettava in macchina
da dieci minuti. Aveva parcheggiato e aspettato il messaggio di Maggie
e quando
l’aveva vista arrivare aveva sospirato di sollievo. Un conto
è esserci e sapere
cosa fare, un conto era spiegare a qualcun altro e non poter gestire il
tutto.
Così un po’ aveva avuto paura che potesse andare
male.
“Benissimo! Ho chiuso due
dei tre bagni, come mi avevi suggerito. Ho mangiato la torta e poi ho
detto che
stavo troppo male, che sarei andata a casa. Hanno iniziato a ridere,
penso che
fosse il momento in cui avevano previsto di fare lo scherzo a me, ma
poi Ashley
ha fatto una faccia strana ed è corsa in bagno. Quando anche
Tamara si è
alzata, sono uscita. Forse avrei dovuto aspettare per godermi un
po’ la scena…”
Maggie era salita in
macchina sorridendo. Lisa le batté il cinque a mano aperta e
le indicò la
cintura, prima di accendere il motore.
La sorellina sbuffò. Ma
poi obbedì e Lisa fece partire l’auto.
Quando
tornarono a casa,
ridacchiando, incrociarono Marge in salotto che copriva, con una
coperta, un
Homer addormentato sul divano. La madre sorrise alle figlie e chiese
loro se
andasse tutto bene. Maggie guardò Lisa ridacchiando e
annuì, salendo le scale
di corsa. Marge lanciò un’occhiata a Lisa e la
vide sorridente. Contenta
per le sue figlie, si sedette sul divano vicino al marito.
Maggie
entrò in camera
carica come una molla.
Aveva dato pan per
focaccia a quelle oche che volevano soltanto prenderla in giro e,
sorridendo,
si lanciò sulla sedia a rotelle della scrivania e la spinse
verso il muro prima
di farla girare. Girò ancora un po’ e poi
guardò Lisa.
“Oh, Lisa, è stato
fantastico! Mi sono sentita… come Bart!” Rise
ancora e ridacchiò verso la
sorella. “Grazie. Non mi divertivo così
da…” Poi divenne triste.
Sapeva da quanto tempo non
si divertiva così tanto. Ma non voleva dirlo: era stato
prima che sua sorella
partisse.
Lisa le venne vicino e si
sedette sul suo letto.
“Mi dispiace” iniziò.
Maggie scosse la testa e sentì le lacrime pungerle gli
occhi: doveva aver
capito. “So
che non…"Ma
Maggie non aveva intenzione di scusarla. Neanche per averla aiutata a
fare
quello scherzo strepitoso ad Ashley e alle altre.
“Tu non sai niente, Lisa:
non c’eri.”
Lisa
strabuzzò gli occhi
alle parole della sorella e si interruppe, incapace di andare avanti.
“Non c’eri, non chiamavi,
non ti facevi viva. Con tutti gli strumenti che abbiamo
adesso…” La sua mano si
sollevò a indicare il computer sulla sua scrivania, sotto le
foto di quando era
piccola appese al muro.
Lisa abbassò lo sguardo:
era vero. Aveva ignorato tutti. Infatti non aveva raccontato a nessuno
dei suoi
compagni di loro, solo Kristen era a conoscenza della sua famiglia e da
che
città venisse lei.
“Sì, ma io…”
“Non penserai mica che
quello che è successo oggi basti a sistemare tutto,
vero?”
“Come?” Lisa sbarrò gli
occhi: cosa intendeva Maggie?
“Mi hai aiutato, sei stata
carina, sì… Ma non è che basta che tu
torni per qualche settimana e noi siamo
di nuovo amiche, ci mettiamo a giocare con Malibù Stacy e
non è successo
niente…”
“No, Maggie, hai ragione,
ma…”
“Ma niente, Lisa. Tanto a
settembre te ne andrai di nuovo, no? Dov’è che
vai? Ah, sì, al Polo Nord…”
“Veramente è la
Groenlandia…” Lisa non riuscì a stare
zitta e sua sorella le scoppiò a ridere
in faccia.
“Come se ci fosse
differenza, precisina Lisa! Sarai sempre lontano da qui e farai finta
di non
conoscerci! Come se noi non fossimo veramente la tua
famiglia!” La voce della
sorella si incrinò un po’ e Lisa si
sentì in colpa.
Quando Maggie si buttò sul
letto, Lisa si avvicinò e provò a sedersi vicino
a lei.
“Senti, perché non te ne
vai nella tua stanza? Siamo uno schifo di famiglia ma almeno non
dobbiamo
dividere la camera per dormire…”
Lisa sentì la tristezza
nel cuore e non disse niente, ma si alzò e uscì
dalla stanza.
Maggie
appoggiò la faccia
sul cuscino e tirò su con il naso. Non voleva piangere.
Quando sentì la porta
chiudersi alle spalle della sorella, si girò sulla schiena,
prese il cellulare
dalla tasca della felpa e mandò un messaggio.
‘Che si fa quando i
fratelli maggiori ti fanno girare le scatole?’
La risposta non tardò ad
arrivare.
‘Si esce con un amico e si
sparla di loro.’
Maggie sentì il cuore
batterle forte. ‘Dove lo trovo un amico disponibile
adesso?’
‘Io sono disponibile.
Usciamo insieme?’
La ragazza sorrise, digitò
sullo schermo la risposta, poi si asciugò le lacrime,
aprì la finestra e sparì
nella notte.
Quando
chiuse la porta
della stanza di Maggie, Lisa era devastata. Andò nella sua
stanza trascinando i
piedi, come se avesse sulle spalle il peso del mondo. Voleva suonare
per
tirarsi su, ne aveva estremo bisogno. In quella famiglia, in quella
città,
niente le dava serenità come il suonare il sax. E, dopo la
discussione con la
sorella, doveva assolutamente trovare il modo per estraniarsi e lasciar
vagare
la mente. O almeno provarci, visto che non ci riusciva da troppo tempo.
Entrò nella sua stanza e
si diresse verso il sax, decisa a riprovarci, quando notò
che lo strumento non
era al suo posto, ma era vicino alla finestra. Probabilmente sua madre
aveva
pulito la stanza e si era scordata di rimetterlo vicino al letto. Lisa
sbarrò
gli occhi e sperò che il sax non fosse stato sotto il sole
tutto il giorno. Si
avvicinò e lo toccò: dannazione, non era freddo
come doveva essere il metallo.
Lo tirò giù dal
piedistallo e controllò le chiavi una a una. Sembravano
rigide, e si muovevano
con sforzo. Troppo. Avvicinò le labbra al bocchino e
provò a suonare, soffiò e
le sue dita si animarono magicamente sui tasti, ma quasi le scoppiarono
i
polmoni: il sax era muto. Dannazione!
***
La
mattina dopo Lisa uscì
dal ‘King's Toot's music store’ il negozio di
strumenti musicali di
Springfield, dove il nuovo proprietario le aveva consigliato qualche
piccolo
trucchetto per rimediare al danno dei tamburi secchi delle chiavi delle
sax.
Secondo lui sarebbero
bastate delle clamp sulle chiavi, ma ci sarebbe voluto qualche giorno,
così le
aveva anche consigliato di tenere il sax nella custodia da viaggio con
uno
straccio bagnato nella campana per qualche ora, poi avrebbe dovuto
riprovare a
suonare.
Lisa era scettica ma lui
le aveva assicurato che le sue chiavi non erano rovinate e che avrebbe
potuto
farlo tranquillamente, così era uscita dal negozio
alleggerita di cinquanta
dollari e con il pensiero di tornare al più presto a casa
per sistemare il
danno.
Quando uscì dal negozio si
diresse verso l’auto di sua madre e appoggiò la
custodia del sax nel bagagliaio
sopra alla coperta che vi aveva steso a casa: il suo povero strumento
aveva già
le chiavi in quello stato, l’ultima cosa che doveva succedere
era che prendesse
troppe vibrazioni. Chiuse piano il portellone del baule e fece qualche
passo
per salire in auto, quando vide un poliziotto dall’altra
parte della strada
parlare con un uomo vicino a un grosso escavatore, di quelli con un
braccio
mobile davanti, per raccogliere le cose di grosse dimensioni e
spostarle.
Quando il poliziotto indicò la strada e mosse la mano per
intendere di
proseguire la via l’uomo annuì e risalì
sul suo macchinario e Lisa osservò
altri due camion seguirlo.
“Lisa!” si sentì chiamare,
così tornò con lo sguardo verso la strada, verso
il poliziotto ancora fermo
sull’altro marciapiede. Poi, lentamente, lo riconobbe e un
sorriso le si
dipinse sul viso.
“Ralph!” gridò, tentando
di attraversare la strada. Ralph, il ragazzino pacioccone con cui aveva
condiviso insegnanti, merende e lezioni!
Quando riuscì ad arrivare
dall’altra parte della via lo abbracciò stretto:
Ralph era un ragazzo d’oro,
molto ingenuo e bersaglio facile per tutti, era stato un ottimo amico
per Lisa.
“Avevo sentito dire che
eri tornata” disse lui, sorridendo. Lisa abbassò
lo sguardo, sentendosi un po’
in colpa: mentre era lontano era stato facile dimenticarsi di tutti, ma
tornare
lì, voleva dire affrontare tutte le sue mancanze.
“Eh sì… Sono tornata
qui…”
affermò, guardandosi intorno. Purtroppo il traffico
mattutino non era una scusa
valida per non tornare a guardare il ragazzo, ma lui era sempre il
solito
Ralph, infatti sorrise in modo dolce.
“Hai visto?” le chiese,
indicando il distintivo.
“Sei un poliziotto!” Lisa
sorrise felice. Sapeva che Ralph voleva fare il poliziotto fin dalle
scuole
medie, quindi esserci riuscito doveva dargli molta soddisfazione.
“Ma che
bravo!”
Lui arrossì e poi guardò
la strada. Lisa ebbe l’impressione che le volesse dire
dell’altro ma, avendo capito
tempo indietro che la cotta per lei non gli era passata, decise di
cambiare
argomento, nel caso lui volesse farle qualche proposta a cui avrebbe
faticato a
dire di no. “Cosa voleva
quell’escavatorista?”
“Oh, chiedeva indicazioni.
Non era di qui.”
“Cercava qualcosa in
particolare?” chiese Lisa. Una brutta sensazione la
colpì, ricordandosi delle
parole di Milhouse e della storia della petizione firmata per far
chiudere lo
sfasciacarrozze di Nelson.
“Sì, cercava l’officina di
Muntz. Sai che adesso ha aperto…”
Lisa trattenne il respiro
e lo interruppe subito dopo. “Oh, Ralph, mi sono scordata di
una cosa
importantissima, devo scappare, scusami tanto. Magari un giorno di
questi passo
a trovarti. Oppure vieni tu, ora lavoro al diner sulla West Hickory, ci
prendiamo un caffè insieme!”
Appena il tempo dei saluti
e Lisa salì in macchina per cercare di raggiungere al
più presto la proprietà
di Nelson. Non si preoccupò del sax nel baule né
delle vibrazioni che stava
prendendo mentre lei schiacciava il pedale dell’acceleratore,
pensando solo al
fatto che se avesse avuto il suo numero di telefono ora avrebbe potuto
avvisarlo che gli escavatori stavano andando a casa sua per
espropiargli tutto.
***
Quella
mattina Steve
sapeva che non ci sarebbe stata Lisa al diner sulla West Hickory,
glielo aveva
detto lei proprio il giorno prima, ma aveva deciso di andarci lo
stesso. Sapeva
che lei ci sarebbe stata. Anche
quello glielo aveva detto Lisa, solo che lui non le aveva detto che lui
la
conosceva già. E che lei conosceva lui.
Davanti alla porta vetrata
fece un sospiro profondo e spinse forte sulla maniglia; il campanello
attaccato
al soffitto suonò e la ragazza, quella per cui era tornato
lì a Springfield,
alzò gli occhi sulla porta.
Ellie
stava togliendo le
stoviglie pulite dal cestello della lavastoviglie, quando la porta si
era
aperta, lasciando entrare un cliente. Con un gesto meccanico
alzò gli occhi
sull’uscio e lo vide lì, immobile.
“Che ci fai qui?” gli
chiese con la fronte aggrottata.
***
Lisa
arrivò a casa di
Nelson proprio nel momento in cui la prima ruspa stava per oltrepassare
il
cancello automatico. Accelerò, pigiando sul pedale con tutta
la sua forza e
passò fra il palo del cancello di ferro e il mezzo pesante,
fermandosi di
traverso proprio sulla sua traiettoria.
“Fermi!” gridò, scendendo
velocemente dall’auto con le braccia aperte. Si
sentì carica e piena di vita:
non le succedeva da una vita. Dall’ultima manifestazione a
cui aveva
partecipato, probabilmente.
“Ma che succede? Chi sei,
tu?” L’uomo che scese dall’escavatore era
basso e tozzo, con un accento
marcato. “Dobbiamo lavorare, ragazzina, spostati”
rimarcò, con esasperazione.
“Non potete entrare!”
Lisa, con la voce grossa, mantenne la sua posizione. L’uomo
guardò dietro di
lei e chiese ad alta voce: “Figliolo, potresti dire alla tua
ragazza di
spostarsi? Già siamo in ritardo, se vuoi il lavoro finito
entro la settimana,
ci conviene iniziare al più presto…”
Lisa non si voltò. Aveva
imparato da tempo a non distrarsi in quelle occasioni. “Non
potete…” esclamò
ancora, ma questa volta venne interrotta da una voce alle sue spalle:
“Lisa…
Lisa…” La mano di Nelson le prese il braccio e lei
l’abbassò prima di voltarsi.
“Nelson, so come funziona:
non devi farli entrare!”
“Ehm…” Nelson alzò una
mano verso l’uomo e disse: “Calvin, dammi un
attimo”, poi prese Lisa per mano e
si allontanò di qualche passo.
Nelson
si era allontanato
da Calvin e gli altri perché aveva già visto
sulle loro facce qualcosa che non
gli piaceva, ma prima doveva risolvere il problema davanti a lui,
vestito di jeans
e con una maglietta rossa a pois troppo accollata per essere estiva.
Sospirò
quando Lisa continuò a guardare verso gli operai. Cosa ci
faceva lì? E perché
diamine non voleva che Calvin portasse via tutto?
“Lisa… Che stai facendo?”
sussurrò.
La ragazza si voltò verso
di lui e i suoi occhioni lo immobilizzarono sul posto.
“Milhouse mi ha detto
della petizione. Non puoi farti portare via tutto!”
Nelson scoppiò a ridere.
“Milhouse? Petizione? Cosa dice
quell’idiota?”
Lisa
si bloccò nel momento
in cui lui rise. Sentì le guance prendere fuoco: stava
ridendo di lei? Di lei
che voleva aiutarlo?
“Diceva che volevano
buttarti fuori…”
“Buttare fuori me? Me?”
chiese lui, smettendo di ridere. Quando lei annuì, lui
sospirò. “Ok. Ascolta, ho
chiamato io Calvin. Lui e i suoi porteranno via tutto il ciarpame.
Li… li ho
chiamati io…”
Oh. Lisa sbarrò gli occhi
e arricciò le labbra imbarazzata. Oddio. Guardò
velocemente verso gli operai e
poi portò di nuovo lo sguardo su Nelson.
“Li hai chiamati per…
ripulire?”
“Già. Ti ricordi i topi?”
Il viso di Nelson ora era strano. Lisa annuì senza dire
niente.
“Se
avete risolto, noi
dovremmo iniziare i lavori…” Calvin fece un passo
e Nelson vide chiaramente
Lisa voltarsi verso di lui.
“Sì, potete entrate” disse,
con il tono di una regina e il disappunto di chi ha perso un incontro
di
pugilato.
Calvin rise un po’
sguaiatamente e indicò l’auto di Lisa.
“Allora, tesoro, dovresti spostarci la
macchina, il mio escavatore ancora non vola!” E rise ancora,
voltandosi verso
gli altri che gli fecero cenni d’assenso.
“Non mi chiami ‘Tesoro’!”
gridò Lisa, aggrottando la fronte e facendo un passo verso
di loro.
Calvin rise ancora e
disse, salendo sul mezzo: “Va bene, amore,
che ne diresti allora di portarci un bel caffè?”
Lisa, che stava per salire
in macchina, si voltò verso l’uomo e
gridò: “Il caffè lo può
venire a prendere
al diner per un dollaro e cinquanta la tazza!”
Nelson soffocò una risata,
mentre Calvin rimase a occhi spalancati fermo sul gradino della ruspa.
“Lo faccio io il caffè,
Calvin!” gridò e l’uomo fece una smorfia
di assenso.
Lisa
chiuse la portiera e
girò la macchina verso il cancello, ma questo era bloccato
dall’escavatore che
era venuto verso di lei, bloccandole l’uscita.
Aspettò che l’uomo maleducato che
guidava si spostasse per lasciarla passare, ma lui ghignò
nella sua direzione e
non si mosse.
Il colpo che Nelson diede
sul tettuccio della macchina per attirare la sua attenzione e farle
segno di
retrocedere fino all’abitazione, la stupì come se
le avesse dato uno schiaffo
sul sedere.
Lisa ingranò la retro e si
girò per percorrere la strada verso il piazzale davanti alla
casa. Quando
scese, Nelson l’aveva quasi raggiunta. “Vuoi un
caffè anche tu?” le chiese e
lei annuì. Se doveva rimanere lì, tanto valeva
bersi un caffè.
Il frastuono del ragno
meccanico che sollevava una carcassa la fece incassare la testa fra le
spalle e
le vibrazioni del terreno quando l’auto cadde per terra, le
fecero sbarrare gli
occhi. Guardò il baule dell’auto: il sax!
“Non
è che hai uno
straccio bagnato?”
Alla domanda di Lisa,
Nelson si chiese se per caso fosse finito su candid camera.
“Un… che?”
***
“Che
ci fai qui?”
Ellie aveva sentito il
cuore rimbalzare nel petto appena Steve era entrato dalla porta. Lui,
con i
capelli scuri che si arricciavano sul collo, il viso abbronzato e il
sorriso
più bello del mondo, stava lì, con lo sguardo
incerto.
“Ciao, Ellie, cercavo
proprio te.”
Oh. La ragazza pensò per
un attimo di averlo sognato. Poi si riscosse e prese la caffettiera,
uscendo da
dietro il bancone. “Mi spiace, sto lavorando” disse.
“Posso aspettare” rispose
lui, annuendo e sedendosi su uno degli sgabelli. Ellie non disse
niente, lo
guardò con la coda dell’occhio e annuì,
dirigendosi in fondo al locale per
servire un cliente vicino alla vetrina.
Steve
guardò la ragazza e
seguì tutti i suoi movimenti: sembrava che danzasse. Si
allungava e le sue
braccia volteggiavano verso il tavolo, accarezzando l’aria,
si spostava e
seminava nel mondo suoni e profumi, svegliando i sensi di tutte le
persone
presenti. Questo, perlomeno, era quello che sentiva Steve. Ma lei era
la
sorella di Nelson e Steve sapeva quando Nelson fosse protettivo nei
suoi
confronti. E cavolo, Nelson tirava di boxe da dieci anni.
Non che per Ellie non ne
valesse la pena, eh. Lei era speciale e Steve non la vedeva da due
anni. Due
anni in cui si era ripromesso di non cercarla. E sapeva che lei sarebbe
stata
arrabbiata con lui.
“Chi non muore si rivede,
eh?” Ellie era tornata al bancone e si era sporta per
appoggiare la caffettiera,
ma Steve non rispose alla sua provazione.
Ellie
un po’ ci rimase
male quando lui non disse niente. Il bello, fra di loro, era che si
erano
sempre detti tutto, Steve frequentava casa sua da quando lei era
piccola e, da
che lei ne avesse memoria, lui l’aveva sempre stuzzicata e
trattata come una
sorellina piccola. Beh, fino a due anni prima.
“Sono tornato la settimana
scorsa” disse solamente. Nient’altro.
“Buon per te”. Ellie girò
intorno al bancone, per mettere almeno quella distanza fra di loro. Se
lui era
tornato una settimana prima, perché lei non lo aveva saputo?
“Nelson lo sa che sei
tornato?”
Lui annuì. “Gli ho scritto
stamattina: vado da lui stasera. Ha detto che è impegnato
con lo sgombero del
cortile”.
Ellie scosse la testa su e
giù: era vero, suo fratello era impegnato. Sentì
il cuore in gola mentre
caricava i bicchieri sporchi nel cestello e chiese, senza guardarlo:
“E allora
perché sei qui?”
“Per te.”
Il bicchiere le cadde di
mano, ma prima di fracassarsi contro il piano, lui lo
afferrò al volo. Ellie
alzò lo sguardo e Steve le sorrise.
-
-
-
-
***Eccomi!
Sono tornata! Spero di trovarvi ancora tutti qui!
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Capitolo 10 *** Incomprensioni ***
Incomprensioni
Incomprensioni
“Certo
che Calvin è
veloce.”
Lisa osservava i movimenti
dell’escavatore e dovette ammettere che quel tipo odioso era
veramente bravo
nel suo lavoro. Nelson la raggiunse sotto al portico, bevendo un sorso
dalla
sua tazza di caffè. “Ho chiamato lui anche per
questo. È un amico di Trevor”.
Lisa annuì e abbassò lo
sguardo sulla sua tazza. “Mi dispiace di essere arrivata qui
e aver pensato
che…”
“Volevo liberarmi di tutto
questo da un po’, ma ho dovuto aspettare. Le autorizzazioni,
il denaro… Dava
fastidio anche a me. Non è che volessi allevare
ratti…” la interruppe lui e
Lisa apprezzò che non le avesse fatto finire la frase.
Il ragno meccanico
accartocciò una carcassa, la fece sparire nel cassone di un
camion e, quando la
lasciò cadere, il terreno tremò. Lisa
sobbalzò e pensò al suo sax, al sicuro
nella custodia sopra il letto di Nelson. Si era sentita molto in
imbarazzo
quando gli aveva chiesto se poteva metterla sul materasso, ma lui non
si era
fatto problemi e aveva alzato le spalle, indicandole una stanza.
Così Lisa era entrata
nella camera da letto di un ragazzo che non era suo fratello e che non
frequentava il suo dormitorio, per la prima volta. Si era guardata
intorno
affamata di particolari e aveva guardato quel letto, più
grande di quello che
lei aveva in camera, chiedendosi un sacco di cose. Aveva notato che il
letto
non era stato rifatto, ma che era ancora in ordine per metà
e questo voleva
dire che Nelson aveva dormito da solo. Si era pentita subito per averlo
pensato
e aveva tirato la coperta a coprire tutto, materasso e pensieri
scottanti e ci
aveva appoggiato sopra la custodia del sax.
Nelson era venuto a
cercarla quando si era persa a guardare fuori dalla finestra aperta che
dava
sul giardino posteriore e lei si era, di nuovo, sentita una ficcanaso.
Il suo caffè, ormai
freddo, non le era mai sembrato così interessante come in
quel momento. Quando
Batman le venne vicino, allungò meccanicamente la mano e
accarezzò il cane come
se fosse suo e lo conoscesse da una vita.
Nelson osservava
la
ragazza con la coda dell’occhio. Era una situazione strana.
Lei era arrivata lì
e sembrava aver messo radici. Quando aveva capito che non sarebbe
potuta andare
via finché Calvin e gli altri non avessero fatto la pausa
per il pranzo non
aveva detto niente, ma aveva messo il sax in camera sua e aveva girato
per casa
come un gatto che controllava un nuovo territorio. E ora, come un
gatto, si
arruffianava il cane. E la cosa più strana era che a Nelson
non dava per niente
fastidio.
Non desiderava che andasse
via, ma non riusciva a capire come mai si fosse presentata
lì, tentando di
fermare l’escavatore come la leader di qualche gruppo green
che impediva il
disboscamento. Era una cosa che Nelson si immaginava tranquillamente:
Lisa avrebbe
potuto farlo benissimo, soltanto, non avrebbe mai pensato che avrebbe
difeso lui.
Visto che non ce n’era bisogno.
Avevano chiacchierato un
po’ e, anche se all’inizio era stato un
po’ forzato, la loro conversazione era
poi diventata naturale, come se non avessero smesso mai di frequentarsi
e fossero
sempre stati amici. A Nelson non era dispiaciuto per niente, ma che lei
fosse
una persona interessante, lui lo sapeva già.
“Cosa ci farai quando sarà
tutto vuoto?” La voce della ragazza lo distolse dai suoi
pensieri e Nelson si
girò verso di lei alzando le spalle.
“Ancora non lo so. Trevor
dice che una volta ripulito il terreno si potrebbe coltivare. Ma non
sono
convinto. Faccio fatica anche a seguire
l’orto…”
“Hai un orto?” esclamò
Lisa, subito incuriosita.
Nelson rise e si grattò il
retro della nuca.
“Sì,
ma ho poco tempo,
quindi non è molto grande. È sul retro”
spiegò, indicando con il pollice
l’abitazione dietro di lui.
Lisa si voltò verso la
porta aperta e guardò oltre al corridoio che portava alla
camera da letto. “Il
giardino che si vede dalla tua camera? Posso vederlo?” Per un
attimo Nelson
pensò cose sbagliate. Troppo sbagliate.
Quando Lisa inclinò la
testa, in attesa, si rese conto di non aver risposto.
“Sì, sì.
Ma come dicevo non è un…”
si interruppe e
mosse il braccio per invitare la ragazza a entrare in casa. Una volta
si poteva
passare anche girando intorno all’abitazione, ma Nelson aveva
chiuso il
giardino con una rete quando si era trovato i ratti sul prato. Sperava
di poter
togliere tutto una volta vuotato il cimitero delle macchine.
Quando Lisa si
avvicinò
alla porta, Batman, che si era accucciato ai suoi piedi, si
alzò di corsa e le
passò vicino per superarla ed entrare in casa prima di lei.
La ragazza vacillò
e, se non fosse stato per la mano di Nelson che l’aveva
afferrata per un braccio,
sicuramente sarebbe caduta.
“Stavolta ho fatto in
tempo” disse, lasciandola andare così velocemente
che Lisa pensò si fosse
scottato.
“Mi faccio sempre fregare.
Non è carino che una veterinaria si faccia mettere le zampe
in testa dai suoi
pazienti, eh?” cercò di scherzare lei quando vide
che il ragazzo si era fatto
serio.
“È che pensa che stiamo
andando in cucina. Guarda…” Il viso di Nelson si
distese e si girò verso
l’abitazione, dove il cane attendeva in corridoio,
aspettandoli. “Batman, lo
vuoi un biscotto?” A quelle parole Batman
scodinzolò e tornò indietro qualche
passo verso la cucina, fermandosi davanti all’entrata e
abbagliando verso di
loro.
Lisa sorrise alle feste
che il cane stava facendo per un biscotto e, insieme, entrarono in
casa. In cucina
Nelson prese un contenitore di metallo, sfilò un biscotto e
lo fece vedere al
cane, che si sedette, in attesa. Quando il ragazzo glielo
lanciò, Batman lo
prese al volo.
“Vuoi?” le chiese,
porgendole il contenitore, mentre con l’altra mano ne aveva
preso uno anche
lui.
“Biscotti per cani?”
“No, biscotti per tutti”
rispose, mangiando il suo biscotto.
“Non dovresti dare a
Batman i biscotti che mangi tu. Sono pieni di zucchero e conservanti
e…”
Nelson ritirò il braccio e
fece un sorriso strano, alzando un sopracciglio.
“Non hanno conservanti. E
non ci metto tanto zucchero. Batman ha sempre mangiato i biscotti,
basta non
esagerare.”
Lisa lo sentì chiaramente
dire a bassa voce ‘saputella’, ma il suo tono la
fece sorridere invece di farla
arrabbiare. “Fai tu i biscotti?”
Nelson
alzò le spalle.
Pensò che la sua domanda avesse un altro scopo in quanto
gliela aveva fatta
subito dopo la sua frecciatina. “Perché?”
“Non pensavo cucinassi” fu
la risposta della ragazza, che continuava a guardarlo in un modo strano.
“Mangio, quindi cucino”.
Nelson alzò le spalle, non capendo dove lei volesse arrivare.
“Giusto. Giusto. Immagino
che funzioni così.”
Nelson la guardò
incuriosito. “Tu non cucini?”
Lei scosse le spalle. “Non
mi fa impazzire”.
“Ecco perché sei così.
Mangia un biscotto che ti fa bene.”
Lisa
allungò la mano verso
la scatola di metallo che lui le porgeva senza neanche accorgersene.
Cosa
intendeva? “Così come?” chiese,
guardando il biscotto che aveva in mano.
Uno degli operai gridò il
nome di Nelson per chiamarlo fuori e lui uscì dalla cucina,
seguito da Batman
che abbaiava, lasciandola lì da sola, con un biscotto, una
tazza di caffè
freddo e una domanda senza risposta in testa.
Quando sentì le voci del
ragazzo e degli altri operai, si rassegnò e
mangiò il biscotto, facendo due
passi per uscire dalla cucina. Ma, dopo il primo morso,
tornò indietro e prese
un altro biscotto dalla scatola prima di uscire.
Nelson
tornò in casa e
attraversò l’abitazione fino ad arrivare sul
retro. Lisa era lì sotto il
portico e guardava verso il recinto dell’orto.
“Sono buonissimi” disse
lei, alzando una mano e mostrando un pezzo di pasta frolla. Il ragazzo
non rispose,
ma si avvicinò. “E qui è bellissimo.
Non lo avrei mai detto…”
Nelson sbuffò. “Già, non
lo direbbe nessuno”.
“Non intendevo
offenderti.”
Stavolta il ragazzo rise.
“Questa volta no?”
“No. Lo farò la prossima!”
Sorrise, camminò nel prato, si guardò intorno e
poi si avvicinò al piccolo
orto. Lui la raggiunse e rimasero a parlare un po’. Nelson si
sentiva così bene
che si dimenticò anche di Calvin e gli altri. Batman correva
dietro agli
uccelli e portava la sua pallina a Lisa che lei gli lanciava lontano
rendendolo
un cane felice.
Quando gli sembrò che il
tempo non sarebbe potuto essere più bello di
così, Lisa sospirò. “Dici che
andranno in pausa, adesso? Dovrei proprio andare…”
E Nelson si sentì un po’
perso.
“Sì,
sì, penso che ormai
sia ora.”
Lisa si era sentita una
guastafeste a rovinare così quel momento. Sarebbe rimasta
lì per sempre, ma
aveva detto la verità, si era fatto tardi e doveva proprio
andare.
Tornarono dentro casa e
Lisa passò a prendere il sax.
Aprì la custodia, staccò
tutte le protezioni e lo guardò: sembrava tornato a posto.
Guardò fuori dalla
finestra, dove Batman correva ancora dietro ai passerotti che gli
tendevano
trappole senza mai farsi prendere e, senza neanche pensarci, chiuse gli
occhi,
infilò il bocchino e lo avvicinò alle labbra.
Lisa non era
più uscita,
proprio come quando aveva portato il sax in camera. Nelson
tornò in casa per dirle
che Calvin aveva deciso di fare la pausa e si bloccò quando
sentì la musica.
Camminò lentamente verso
la sua camera, come se il fatto di arrivarci velocemente potesse
cambiare la
sensazione del suono che sentiva e si avvicinò senza fare
rumore alla porta
della stanza da cui proveniva la musica.
Lisa aveva gli occhi
chiusi e il suo corpo dondolava seguendo lo strumento, cullato dalla
melodia. Nelson
non riusciva a staccare lo sguardo. Lei era ipnotica. E dannatamente
bella.
Rimase lì a guardarla per
qualche giorno o mesi d’estate, con il calore del sole sulle
spalle e
consapevolezza di non voler mai andarsene da quella sensazione. Ma in
verità
furono una manciata di minuti. Una decina, forse, in cui il tempo si
era
fermato e il cuore aveva iniziato a rimbombare ritmicamente come le
onde di un
mare agitato sugli scogli.
Nelson toccò senza volere
la maniglia della porta, questa cigolò e lei si
fermò, interrotta da quel
rumore, girandosi verso di lui.
“Scusa…
Io…” cercò di
scusarsi lei, avvicinandosi al letto e rimettendo il sax nella
custodia. Non
doveva mettersi a suonare lì. Si accorse di non aver
smontato il bocchino ma,
imbarazzata, pensò di farlo una volta rimasta sola. Doveva
andarsene. Non
avrebbe dovuto farlo.
“È stato…” disse invece
lui, come se fosse incredulo, scuotendo la testa.
“Devo andare.”
Nelson non disse niente,
per fortuna, mentre lei gli passava accanto con la custodia e
raggiungeva il
corridoio. Non riusciva a suonare da tanto tempo e l’unico
posto dove era
riuscita a mettere insieme qualcosa era la stanza di Nelson Mutz? Lisa
pensò di
avere qualcosa che non andasse. Qualcosa che non funzionava a dovere.
Non
poteva esserci un’altra spiegazione. Non poteva essere
diversamente.
Nelson vide Lisa
scappare
via e la raggiunse prima che uscisse dalla porta. Se ne stava andando
perché
l’aveva interrotta? Doveva scusarsi?
“Lisa…” la chiamò, mentre
uscivano insieme dall’abitazione.
“Scusami davvero. Non so
cosa mi sia preso.”
“Non…”
La ragazza mise la
custodia del sax in macchina e ci girò intorno per
raggiungere il lato guida.
“Devo andare”.
Nelson rimase a guardarla
mentre cercava le chiavi della macchina e poi, non sapendo bene che
dire per
non lasciarla andare, propose: “La settimana prossima
è il compleanno di Ellie.
Facciamo un barbeque. Magari potresti venire
anche…”
Lisa lo interruppe quando
mise in moto. “Non mangio carne, Nelson, sono
vegetariana”. Lui la guardò
andare via, lungo lo stradello che portava al cancello, pensando che
finché
erano rimasti in giardino era andato tutto bene e invece ora lei era
proprio
scappata, e si sentì un idiota. Un idiota a cui avevano
appena dato picche.
***
“Tutto
bene, Lisa?” le
chiese Marge quando tornò a casa.
Lisa era nervosa perché
aveva preso due volte il marciapiede venendo via da casa di Nelson e le
tremavano
ancora le mani per ciò che aveva fatto.
Nervosa per ciò che era
successo e per quello che lei aveva risposto al ragazzo quando
l’aveva invitata
al compleanno di Ellie, si rivolse alla madre con più
durezza di quanto
meritasse.
“Se non mi avessi prosciugato
il sax, andrebbe molto meglio!” esclamò, salendo
le scale con rabbia, reggendo
il peso della custodia dello strumento.
“Come?”
chiese Marge alla
schiena di Lisa, che non le rispose, e si voltò verso Homer,
in cucina davanti
alla porta del frigorifero aperta.
Lui alzò le spalle e la
moglie sospirò. Poi guardò di nuovo le scale e
poi la cucina. Si tolse il
grembiule che le copriva il vestito e lo appoggiò sul primo
pomolo del
corrimano e iniziò a salire i gradini, per raggiungere la
figlia.
“Lisa…” Marge bussò allo
stipite della porta e la socchiuse per mettere la testa dentro la
camera della
figlia. “Lisa…”
La donna vide la ragazza
seduta alla scrivania, davanti al pc ancora chiuso; il sax riposava
nella sua
custodia appoggiata sul letto.
Lisa si
voltò verso la
madre e sospirò. “Mamma… Volevo
videochiamare Kristen, ti dispiace?” disse,
aprendo il coperchio del pc e schiacciando il tasto di accensione.
La donna entrò nella
stanza e si avvicinò a lei. “Lisa, mi dispiace
tantissimo per il sax, mi sono dimenticata.
Si è… rotto definitivamente?”
Lei sbuffò e girò sulla
sedia con le rotelle: sapeva che sua madre non lo aveva fatto apposta.
“No,
mamma, non preoccuparti. Ora il sax funziona bene”. Il
pensiero che fosse
riuscita a suonare solo a casa di Nelson, ancora, la fece vibrare di
vergogna.
Ma perché, poi? Non era stata colpa sua. Ma il fatto che
fosse successo, che
lui avesse dovuto andare in camera a cercarla perché lei
aveva perso il senso
del tempo, la faceva fremere di imbarazzo.
“Sono contenta, allora”.
Marge sorrise e si sedette in fondo al letto, girata verso di lei.
“Allora
cos’è che ti rende così…
inquieta?”
Lisa scosse le spalle. Non
lo sapeva neanche lei, come poteva spiegarlo a qualcun altro?
Marge
allungò una mano
alla testa della figlia. “Oh, tesoro, sono questioni
d’amore?”
Ma Lisa si scrollò dal suo
contatto. “Mamma, non c’è solo quello,
sai? Ci sono anche altre cose…”
“Ma non hai altri
problemi, Lisa. Ti sei laureata, non ti manca il lavoro e andrai a fare
il
mestiere che desideri, stai bene di salute, cosa vorresti di
più? È solo
l’amore che ti manca. Forse pensi ancora a Richard?”
Lisa
sbuffò forte. Aveva
raccontato di Richard alla madre solo perché continuava a
farle domande
pressanti sui ragazzi. E lei con Richard non c’era neanche
stata, erano
soltanto usciti insieme tre volte. “Mamma, non mi interessano
i ragazzi adesso,
ho intenzione di puntare su di me. Voglio fare un percorso ben studiato
e
riuscire a prendere il master in…”
“Ma non starai esagerando,
Lisa? La perfezione non esiste… E poi non è che
il tempo si fermi, lo sai,
vero? Fra un po’ ti ritroverai a
rimpiangere…”
“Mamma! Basta con queste
cazzate! Si può essere felici anche senza sposarsi e avere
figli, sai?”
Sua madre fece un verso
strano con la bocca e poi si alzò, probabilmente quando
capì che lei era molto
arrabbiata.
“Ma si può essere felici
da soli?”
Lisa si voltò quando sul
pc apparve il desktop e disse alla madre che aveva bisogno di rimanere
da sola.
Marge
uscì dalla stanza e
sua figlia non si girò a salutarla.
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Capitolo 11 *** Pungoli e pungiglioni ***
pungoli e pungiglioni
Pungoli e pungiglioni
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Nelson era
appoggiato al
cofano di una Ford parcheggiata proprio davanti all’entrata
del diner e
osservava la porta da dieci minuti, pensando se fosse il caso di
entrare o
meno. Sbuffò e scalciò un sasso che
rotolò verso il centro della strada.
“Non devi venire qui!”
Nelson si alzò dalla macchina e si voltò al
richiamo di quella voce fastidiosa
e petulante, guardò quello che sembrava ancora un ragazzino
smunto e alzò un
sopracciglio.
“Che cosa?”
“Ho detto che non devi più
venire qui” disse ancora lui. La sua voce, però,
aveva perso un po’ di
sicurezza da quando gli si era parato davanti e aveva dovuto alzare gli
occhi
per guardarlo.
“Altrimenti che succede,
Van Houten?” rispose Nelson con tono stanco. Il ragazzino
doveva aver inteso
male, perché vide sul suo volto passare un lampo di paura.
“Io… Io…” iniziò a
balbettare Milhouse, ma non andò avanti.
Nelson sospirò, scocciato
dalla sua presenza come un adolescente che deve uscire con gli amici
trascinandosi dietro il fratello piccolo.
“Non devi venire a
prendere Lisa!” gridò il ragazzo dai capelli blu.
Nelson alzò un sopracciglio
e la sua bocca si spalancò sorpresa. Lisa? Al ragazzo venne
in mente l’ultimo
incontro avuto con Lisa, il giorno prima, e fece una smorfia.
“Devi lasciarla stare!”
esclamò ancora.
Nelson iniziò a stufarsi.
“Ascolta, Van Houten, non scocciarmi…”
disse, dondolando la mano cercando di
liquidarlo, e voltandosi verso il diner.
“Lo so che vuoi provarci
con lei! Ma Lisa è la mia ragazza e devi starle
lontano…”
Nelson si spazientì e si
rigirò verso di lui. Il suo viso cambiò
espressione e si avvicinò, prendendo il
ragazzo per la maglietta. “Non ho intenzione di provarci con
lei!” sussurrò sul
suo viso, quasi ringhiando, sperando di non mentire. Aveva imparato a
stare al
suo posto.
“Ti conviene!” esclamò
Milhouse. Nelson spalancò gli occhi dal nervoso e
digrignò i denti. Strinse la
mano sulla maglietta del ragazzo e la spinse contro il torace del
nanerottolo,
prima di sollevarlo da terra. “Altrimenti?” chiese,
più per dispetto nei suoi
confronti che per aver campo libero con Lisa.
Il piccolo Van Houten
strabuzzò gli occhi mentre faceva oscillare i piedi cercando
un appiglio.
Quando cambiò colore e sussurrò qualcosa, Nelson
si sentì chiamare.
Ellie era uscita
dal diner
quando aveva visto dalla vetrina Nelson strattonare Miller o come si
chiamava
il tipo dai capelli blu, e, pensando che si sarebbe messo nei guai, era
corsa
fuori per fermarlo.
“Nelson!” gridò,
praticamente senza accorgersene. Il fratello si girò verso
di lei e il suo
braccio si abbassò, facendo toccare i piedi del ragazzo al
suolo.
Appena ne ebbe l’occasione,
Miller scattò indietro e si liberò dalla stretta
di Nelson che, distratto dalla
sorella, aveva allentato la presa.
“Se mi tocchi ancora ti
denuncio. E allora ti arresteranno!” gongolò,
dondolando sui talloni.
“Non ho intenzione di
picchiarti se mi stai lontano. Tu stammi lontano e non ti
sfregerò il tuo
brutto muso.”
“E tu stai lontano dalla
mia ragazza!”
Ellie, che non aveva
ancora detto niente, lo guardò stranita: quel tipo aveva una
ragazza? E perché
continuava a chiedere a Lisa di uscire?
“Hai una ragazza, Miller?”
Il ragazzo si voltò verso
di lei e, squadrandola da capo a piedi, disse: “Come mi hai
chiamato?”
“Scusa, pensavo che ti
chiamassi…” Si voltò verso Nelson, in
cerca d’aiuto.
“Milhouse” le venne
incontro lui.
“Milhouse, se hai una ragazza,
perché sei sempre qui a dare fastidio a Lisa?”
Nelson dovette
soffocare
una risata e sbuffò. L’esile Van Houten gemette
come se gli avesse dato quel
pugno che sognava di propinargli nel bel mezzo dello stomaco e
precisò: “È Lisa
la mia ragazza”, ma il suo tono fu così tremolante
che ne venne fuori un
mormorio confuso.
“Ma Lisa si nasconde negli
spogliatoi quando ti vede arrivare. Sicuro che lei sappia di essere la
tua
ragazza?”
Quando il ragazzo dai
capelli blu balbettò ancora qualcosa, Ellie
lanciò un’occhiata divertita a
Nelson e lui non riuscì a trattenere una risatina.
Ellie fece
fatica a non
ridergli in faccia quando quello stupido disse che Lisa era la sua
ragazza. Ma
non lo fece. Un po’ perché capiva di avercela con
lui per averle detto del passato
di Nelson e Ellie capiva perfettamente che non era colpa sua, e un
po’ perché quando
insisteva tanto con Lisa, un po’ le faceva pena.
Ma quando il ragazzo,
arrabbiato per la loro reazione, diede un calcio alla macchina a cui
era appoggiato
poco prima Nelson, Ellie spalancò gli occhi: cosa stava
facendo?
“Ehi, aspetta, cosa…”
Anche suo fratello era venuto in aiuto.
“Così impari, brutto…
bullo!” esclamò lui, colpendo con il piede il
fanale posteriore e fracassando
il vetro.
Nelson si
avvicinò al
ragazzo e tentò di fermarlo, ma lui si divincolò
e passò alla parte anteriore
della macchina, e lui riuscì a bloccarlo solo dopo che aveva
lasciato un altro
segno sulla carrozzeria della fiancata.
Nelson non vide uscire il
proprietario del diner, né notò il poliziotto che
si stava avvicinando alle sue
spalle, finché lui non disse: “Ci sono
problemi?”
“Sì, agente, mi sta
picchiando! Lo arresti!” gridò Milhouse mentre lui
lo teneva fermo.
Nelson si voltò e
riconobbe Winchester, il tipo strano che faceva le elementari nella
loro
scuola.
“No, Ralph, questo idiota
sta prendendo a calci la mia macchina e Nelson lo ha solo fermato, per
fortuna!” intervenne Bob, il proprietario della tavola calda.
“Come? Non è tua questa
macchina?” Miloser si agitò e Nelson lo
lasciò andare.
“No” rispose lui, secco.
Milhouse si afflosciò e
capì di aver perso quell’incontro.
Guardò prima Bob e poi l’agente e
scoppiò a
piangere, parlando di ingiustizie e di imbrogli. Alla fine, dopo
qualche
tentativo di riappacificamento, il ragazzo dai capelli blu decise di
non
mettere in mezzo la burocrazia e diede il suo consenso per pagare i
danni
all’auto del proprietario del diner, che tirò
giù gli estremi dei suoi
documenti sotto la supervisione di Winchester.
Ellie
osservò un attimo la
situazione e chiese a Bob se ci fosse bisogno che lei rimanesse, ma lui
le
disse di andare tranquillamente a casa. Così si
voltò verso Nelson e gli disse:
“Vado a cambiarmi, torno subito”.
Lui annuì. “Che idiota… A
momenti si prende due cazzotti… per niente!”
disse, mentre controllava ancora
la situazione vicino all’auto, dove Bob si era messo a
scrivere appoggiato al
cofano. “Di’ a Lisa che porto a casa anche lei, se
vuole” aggiunse subito dopo.
Non si era ancora girato verso di lei.
“Lisa è andata via un’ora
fa. È venuto un ragazzo a prenderla.”
Finalmente Nelson
si voltò a guardarla ed Ellie rise
della sua espressione, quando aprì la bocca per chiedere
qualcosa e la richiuse
capendo che voleva solo metterlo alla prova. “Ancora sicuro
che Miller sia
venuto per niente?”
Nelson
guardò la sorella
dirigersi verso il locale ed entrare. Non aveva capito se fosse vero o
no
quello che aveva detto. Voleva prenderlo in giro o cosa? Lisa era
davvero
andata via con qualcuno? E se sì, con chi?
In quel momento avrebbe
voluto poter colpire Miloser al viso. Due volte. O anche di
più. No, no. Doveva
andare in palestra.
‘Allenamento extra?’
scrisse in un sms mentre aspettava che sua sorella si cambiasse.
Bart rispose
immediatamente.
***
“Bowling
o biliardo?”
Steve si girò verso il
bancone, alla domanda di Lisa. “Come?”
Lisa alzò lo sguardo su di
lui e mise via il telefono. “Scusami. Stavo parlando da
sola… E non dovrei
neanche usare il cellulare…”
Steve prese la sua tazza e
indicò la ragazza mentre lei caricava di nuovo la
caffettiera. “Non c’è
nessuno, tanto…” disse, guardandosi intorno.
“Sì, ma non è bello da
vedere” ammise lei, con un sorriso.
“Allora, devi scegliere
fra bowling o biliardo per cosa?” le chiese.
“Devo uscire con un’amica.
Mi ha detto di scegliere. E non so cosa risponderle.”
“Non so. Cosa ti piace di
più?”
“Eh, e chi lo sa” rispose
lei, ridendo. “Non ho mai giocato a nessuno dei
due”. Lisa uscì dal bancone al
cenno di un cliente e lo lasciò da solo.
Quella ragazza non aveva
mai giocato a biliardo o a bowling? Era una cosa strana.
Lisa tornò e diede
l’ordinazione del tavolo 18 alla cucina, prima di tornare al
bancone per
caricare i contenitori delle salse.
“Allora? Suggerimenti?”
chiese al ragazzo.
“Direi biliardo. E andate
al Pool’s, che la birra è buona.”
Lisa aggrottò le
sopracciglia. “Birra?”
“Non dirmi che non hai
neanche mai bevuto la birra!” Lisa sentì le guance
diventare rosse, ma per
fortuna non dovette mentire.
“No, no, ho assaggiato la
birra” ammise ridendo un po’ nervosamente.
“E mi piace, anche. Non sono
così…”
si interruppe prima di dire ‘noiosa’, ma
effettivamente, anche ai suoi occhi,
sembrava proprio noiosa. Pensò di dire che il suo pensiero
era andato a Ellie,
che non aveva l’età per bere alcolici, ma poi
stette zitta.
Prese il telefono e digitò
un messaggio per l’amica, proponendo il biliardo. La sua
risposta fu un emoji
che suonava la trombetta. Pensò che anche a lei piacesse di
più del bowling.
Per un attimo si sentì
carica e sorrise: fra due giorni avrebbe giocato a biliardo!
***
Nelson guardava
Calvin
andarsene alla fine del quarto giorno di lavoro e si sentì
soddisfatto: avevano
praticamente finito. Il giorno dopo avrebbero soltanto ripulito dagli
ultimi
scarti e il lavoro sarebbe stato a posto.
Batman gli si avvicinò con
una pallina e la fece cadere ai suoi piedi. Nelson abbassò
lo sguardo.
“Andiamo dietro a giocare,
Batman.”
Raccolse la pallina ed
entrò in casa per uscire nel giardino sul retro.
Lanciò la pallina e Batman
corse per andarla a prendere.
Non si accorse del
cespuglio di fiori selvatici blu che c’era in fondo al prato,
ma notò che il
cane, invece di raccogliere il gioco, gli si era avvicinato e aveva
iniziato ad
abbaiare.
Lentamente si avvicinò,
richiamando Batman, ma il cane non ubbidì, continuando ad
abbaiare contro il
piccolo cespuglio.
Quando vide una vespa
volare fra le foglie, accelerò il passo, chiamando il cane
più forte. Batman si
voltò verso di lui, ma poi fu di nuovo distratto
dall’insetto e gli abbaiò
ancora, avvicinandosi di più al cespuglio.
Nelson vide altre tre vespe
uscire dal cespuglio e il cane tentare di mangiarne una.
Capì che erano troppe
e corse verso la canna dell’acqua attaccata alla fontana.
Batman uggiolò e iniziò a
strofinarsi il muso con le zampe anteriori, mentre il ragazzo ormai
correva
verso il cespuglio. Quando ci fu davanti aprì il getto
dell’acqua verso la
pianta e vide due vespe volare via, oltre la rete di recinzione.
Si chinò sul cane e gli
spostò le zampe dal muso: le guance erano gonfie e tendenti
al rosso e Batman
piangeva cercando di grattarsi.
Nelson tirò fuori il
telefono e chiamò sua sorella.
“C’è Lisa lì con
te?”
esordì, senza neanche salutarla, quando Ellie rispose.
***
Lisa
sbuffò e appoggiò il
sax al suo sostegno. Aveva fatto la doccia dopo il lavoro, aveva
meditato e ora
voleva soltanto suonare un po’ di jazz e invece…
Non riusciva a suonare. Il
sax funzionava perfettamente, ma lei non riusciva a trovare il giusto
spirito
per riuscire a mettere insieme le note e creare la solita magia.
Tranne tre giorni prima
quando aveva suonato in camera di Nelson. Sbuffò
più forte e si sedette pesantemente
sul letto, buttandosi poi indietro con le braccia spalancate. Non
poteva
sicuramente andare da Nelson a suonare! Oh, santo cielo, come avrebbe
dovuto
fare? Quasi pregò di avere un segno quando il suo telefono
squillò.
Si allungò a prenderlo sul
comodino e guardò il display: il numero non era salvato. Lo
prese e sospirando,
rispose.
“Ehm… Lisa, sono Nelson.”
Nelson? Lisa scattò in
piedi, come se lui fosse stato lì nella sua stanza.
“Nelson?”
“Sì… Mi ha dato il tuo
numero Ellie, io… Ho un’emergenza.
Penso… penso che Batman sia stato punto da
una vespa. Ce ne erano un po’ in giardino e lui ha tentato di
mangiarle… Ora ha
tutto il muso gonfio e sta iniziando a respirare
male…”
Lisa non lo fece neanche finire.
“Ci vediamo davanti allo Springfield Center, ho visto una
farmacia sul lato
ovest. Devo vederlo”.
Quando Nelson aveva chiuso
velocemente la chiamata, Lisa si era messa a cercare le scarpe sotto al
letto e
aveva aperto la porta per gridare alla madre che avrebbe preso la
macchina.
“Esco io con la macchina
di mamma” disse Bart, davanti alla sua porta spalancata, un
minuto dopo, mostrandole le chiavi.
“Portami
allo Springfield
Center” ordinò Lisa e Bart capì, dal
suo tono, che non si poteva contrattare.
Per fortuna non era un grosso problema. Doveva andare al negozio di
fumetti e
il centro commerciale era sulla strada.
Bart annuì e scese le
scale, aspettando la sorella, che scese dopo poco.
“Che è successo?” chiese
lui, quando salirono in macchina.
“Il cane di Nelson è stato
punto da delle vespe. Lo sta portando al centro commerciale, ci vediamo
lì.”
Bart annuì, mentre lei smacchinava
con il cellulare. “Secondo te è grave?”
le chiese.
“Se Nelson si è scomodato a
chiamarmi, penso di sì.”
Bart alzò un sopracciglio
alle parole di Lisa, ma lei non lo stava guardando.
“Dici?”
“Mi sa che non gli piaccio
molto” ammise lei, alzando le spalle.
Oh. Bart aggrottò la
fronte: e sì che lui aveva avuto un’altra
impressione.
“Dici che il Pool’s sia un
buon posto per giocare a biliardo?” gli chiese Lisa,
cambiando totalmente
argomento.
“Oh, direi che è il
migliore. E hanno anche la birra a doppio malto.”
Lisa annuì guardando
avanti, come se non lo stesse ascoltando e Bart si chiese quanto avesse
ascoltato veramente.
Allora doveva
essere vero,
pensò Lisa: quel posto era famoso sia per il biliardo che
per la birra. Doveva
essere un segno. Annuì e tornò a guardare la
strada, sperando di fare presto:
se Batman fosse stato allergico alle vespe non si poteva aspettare
troppo.
Bart arrivò al parcheggio
ovest del centro commerciale e Lisa scese al volo, vedendo Nelson sul
retro di
un Pick-up scuro, mentre osservava la strada.
Si diresse direttamente
verso di lui, che osservava Batman sul cassone, mentre il povero cane
si strofinava
il muso con le zampe. Non sembrava un’allergia,
però, constatò, prendendogli il
muso fra le mani, facendogli aprire la bocca e osservandolo bene. Forse
era
stato punto da più di una vespa e basta.
“Aspetta qui, vado in
farmacia” disse, verso il ragazzo, senza neanche salutarlo;
lo vide annuire
distrattamente ed entrò nel locale, per comprare una
siringa, antibiotico e
cortisone.
Nelson
guardò una Lisa
serissima visitare il suo cane e, una volta che lei ebbe varcato
l’entrata
della farmacia, dicendogli di non preoccuparsi, lasciò
andare il respiro che
non si era accorto di trattenere.
“Ohi, ti va se domani ci
facciamo un biliardo?” Bart si era materializzato al suo
fianco e Nelson lo
guardò, girando la testa.
“Pool’s?” chiese solamente
e Bart annuì.
Bart sapeva
perfettamente
che aveva promesso a Milhouse di uscire con lui, quel
venerdì, ma stava
scoprendo che era sempre più difficile sopportarlo.
Non disse all’amico che
aveva appena parlato con Lisa proprio dello stesso locale.
Quando Lisa
uscì, fece un’iniezione
al cane e diede gli ultimi suggerimenti a Nelson su cosa fare. Gli
disse che
secondo lei non ci sarebbero stati altri problemi e che il cane avrebbe
dovuto
fare un’altra puntura di antibiotico dopo qualche giorno.
Mentre parlava il suo
telefono squillò e quando vide il nome di Kristen sullo
schermo, Lisa rispose,
ma poi tranquillizzò Nelson dicendo che aveva il suo numero
e poteva chiamarla
tranquillamente se avesse avuto bisogno.
Lo sguardo che si scambiò
con Bart mentre lo diceva la fece arrossire, ma poi si
concentrò e rispose
all’amica, allontanandosi da loro.
“Sì, scusami Kristen, ma
il cane di Nelson è stato punto da una vespa e sono venuta a
visitarlo, non ti
ho chiamato…”
Bart
osservò la sorella
camminare lungo il parcheggio mentre parlava al telefono gesticolando e
poi si
girò verso l’amico. “La porti a casa tu?
Io ho un impegno” disse a Nelson e lui
annuì, alzando le spalle e guardando il cane.
Nessuno dei due gli aveva
chiesto dove stesse andando, così Bart non ne
parlò con nessuno, ma mise in
moto e guidò fin davanti al negozio di fumetti.
Jeffrey Albertson lo
salutò appena Bart entrò nel negozio, senza
neanche alzare gli occhi
dall’ultimo numero della Marvel, e il ragazzo gli rispose con
una battuta su un
supereroe.
“E
ora?” chiese Nelson.
Lisa buttò via la siringa
vuota e guardò il cagnolone accucciarsi sul cassone del
pick-up. Allungò una
mano e gli fece una carezza, controllandogli gli occhi. "Aspettiamo un
po'
e se non succede niente, mi porti a casa". Lui annuì senza
dire altro.
Lisa notò, dall’altra
parte della strada, un bar, e si voltò verso il ragazzo. “E potresti
prendere due caffè, nell'attesa”.
E gli indicò il locale.
Lui annuì di nuovo e la
lasciò sola con Batman.
Nelson guardava
Lisa
accarezzare il suo cane dalla vetrina del bar, mentre una cameriera di
mezz’età
di nome Mandy gli preparava due caffè con latte.
Non sapeva perché avesse
chiamato proprio lei. Aveva il numero di un altro veterinario, anche se
era di
Shelbyville, ma appena si era reso conto di aver bisogno di aiuto,
aveva
chiamato Lisa. E lei non si era tirata indietro.
E ora cosa avrebbero
fatto? Dopo che lei era scappata da casa sua e dopo la sua infelice
proposta?
Sospirò e si voltò verso il bancone quando Mandy
lo chiamò.
Pagò e uscì per
raggiungere il marciapiede reggendo due bicchieroni di carta.
“Grazie” disse Lisa,
prendendo quello che lui le porgeva. “Guarda”
continuò, mostrandogli una vespa
morta fra le zampe del cane. “È molto probabile ce
ne fosse più di una e che
sia stato punto più volte…”
Lisa
controllò che
l’insetto fosse effettivamente morto e lo lasciò
cadere sull’asfalto. “Può
essere che siano state troppe anche per un soggetto non
allergico…”
Alzò gli occhi su Nelson,
che la stava osservando, tolse il coperchio al caffè e ne
prese un sorso. Il
ragazzo abbassò il portello del cassone e le fece un cenno
del capo,
indicandolo. Quando lei si sedette, lui si accomodò di
fianco a lei.
“Perché non stai facendo
pratica con gli animali?” le chiese.
Come? “Eh?”
“Perché lavori al diner?
Non dovresti assistere un veterinario o una cosa
così…” Lisa prese un altro
sorso e poi disse, guardando lungo la strada: “Al liceo
facevo volontariato
presso i rifugi degli animali. Mi sono anche occupata più
volte della
salvaguardia di animali colpiti da disastri climatici. Non sai quante
piume ho
pulito dal petrolio… Così ho scelto veterinaria.
"Ho lavorato tutte le
estati che sono rimasta al campus universitario. I primi due anni ho
aiutato a
lavare cani e gatti in un negozio per animali, mentre l’anno
scorso sono stata
assistente di un ‘vero’
veterinario…” Si girò verso di lui e
poi continuò.
“Sai, io adoro gli animali, davvero. Mi piace curarli quando
sono malati,
salvarli, vederli stare bene…”
Notò Nelson stringere gli
occhi e vide due linee sulla sua fronte mentre cercava di capire dove
volesse
arrivare.
“Io vado d’accordo con
tutti gli animali. Ma non sopporto molti dei loro padroni”
ammise, alla fine.
Lui rise. Lisa si bloccò e
continuò a osservarlo. “Per questo hai intenzione
di fare il corso per gli
animali esotici?” le chiese, quando finì di
ridere. “Perché non hanno padroni?”
Lisa alzò una spalla,
sorridendo. “Mi sembrava una buona idea”.
“Ti ci vedo.”
“Nella giungla a
rincorrere le scimmie?” gli chiese lei, cercando di non
ammettere quando la sua
frase le avesse fatto piacere.
“A fare qualcosa di
straordinario”. Nelson avvicinò il bicchiere del
caffè al suo in una sorta di
brindisi e Lisa sentì le guance prendere colore.
Nelson si
voltò a guardare
Batman, ma lui continuava a stare accucciato sul fondo del cassone.
Allungò una
mano e gliela posò sulla testa, posata fra le due zampe
anteriori, accarezzandolo
delicatamente.
“Non è peggiorato. Sta
andando bene” disse Lisa e lui annuì.
“Come vanno i lavori di
sgombero?”
Nelson alzò gli occhi dal
cane e si sentì un po’ imbarazzato, al ricordo di
come fosse finita qualche
giorno prima.
“Calvin ha quasi finito.
Manca veramente poco. Domani sarà tutto pulito. Pronti per
il barbecue di
domenica. Ellie non… Oh!” Il ragazzo si interruppe.
Lisa sorrise. “Possiamo
parlare di barbecue, Nelson. Non è un
tabù”. Il ragazzo annuì.
“Ellie dice che vuole che
venga anche tu.”
“Sai che faccio una fatica
bestiale a frenare tua sorella? È cocciuta quasi quanto
Bart!” Lisa fece
ciondolare le gambe nello spazio vuoto sotto l’auto.
“Dovresti venire, allora”
disse Nelson. Non aggiunse che gli avrebbe fatto piacere,
perché sembrava
strano anche a lui. “Potrei grigliare verdure o comunque
cucinare anche altre
cose…”
“E lo
faresti per me?” La
voce di Lisa si era fatta un po’ stridula, ma lei era
veramente sorpresa.
Guardò Nelson come se le avesse appena detto che aveva
adottato un elefante.
Lui alzò le spalle.
“Mi piace cucinare”
ammise, come se si trattasse di un segreto.
“Lo so”. Le parole di Lisa
lo stupirono e lei se ne rese conto dalla sua espressione.
“Me lo ha detto
Ellie” svelò l’arcano lei.
“Mia sorella parla troppo,
mi sa” disse Nelson, dopo un po’ di silenzio.
“Oh, la mia non parla per
niente. Ecco perché vanno così
d’accordo!” Lisa tentò di
sdrammatizzare, ma poi
divenne seria. “Ma almeno Ellie ti
stima…”
“Maggie è in un’età
difficile. E tu sei stata via tanto…”
Lisa si girò verso di lui
e lo guardò negli occhi: lei non aveva capito subito che il
problema di sua
sorella fosse proprio il fatto di essere stata lontano da casa. Nelson
invece aveva
afferrato subito il problema. Più passava tempo con lui
più iniziava a
condividere il pensiero di Ellie nei suoi confronti.
Lisa sospirò, guardò verso
la strada, ormai il sole stava calando e presto avrebbe fatto buio. Saltò
giù dal cassone, si chinò a controllare
Batman e poi si rivolse direttamente al ragazzo. “Torniamo a
casa”.
Nelson
annuì, sistemò il
cassone e la fece salire sul pick-up. “Comunque dicevo
davvero, prima: potresti
venire. A Ellie farebbe piacere”.
Mise in moto e partì,
immettendosi in strada. “E a te, farebbe piacere?”
chiese Lisa dopo un po’,
mentre lungo la strada sorpassavano madri in bicicletta con i figli e
minivan
parcheggiati davanti alle gelaterie.
Nelson si voltò verso di
lei, osservandola: il suo braccio penzolava fuori dal finestrino e lei
apriva e
chiudeva la mano al contatto con l’aria, muovendo le dita in
una carezza al
vento. Poi si voltò verso di lui, guardandolo direttamente e
chiedendo una
risposta alla sua domanda. Cosa voleva sapere?
Il ragazzo non rispose niente
e lei continuò: “È casa tua in fin dei
conti, no?”
Ma mentre lo diceva i suoi
occhi vacillarono e tornarono a guardare fuori
dall’abitacolo. Ah. Intendeva
quello. “Ma certo”.
Fu con sollievo, comunque,
che vide casa Simpson in fondo alla via.
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Capitolo 12 *** Stecche e stoccate ***
Stecche e stoccate
Stecche
e stoccate
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Lisa
entrò in casa e si
diresse velocemente in camera sua per accendere il computer e chiamare
Kristen:
era una cosa stupida che la risposta di Nelson l’avesse messa
in crisi così? E
poi, perché le interessava così tanto sapere se a
lui avrebbe fatto piacere o
no? Forse era il caso di accettare la cosa e di essere sincera con se
stessa: a
lei piaceva Nelson. E doveva assolutamente chiamare l’unica
persona che le
avrebbe consigliato cosa fare. L’ultima volta non aveva
gestito bene la cosa,
vero che aveva solo otto anni, ma la sua capacità di gestire
i sentimenti non
era cresciuta molto in quegli anni. Bastava guardare Miloser.
Passò davanti alla cucina
salutando velocemente la madre, che stava preparando la cena, e che la
guardò cogliendo
ogni sua espressione, sorridendo senza dire niente.
Dopo pochi minuti di
preparazione del pc e di tentativi di connessione, Kristen apparve sul
suo
schermo in tutto il suo splendore: era una bellissima ragazza con
capelli biondo
scuro e gli occhi chiari e Lisa sapeva che aveva un cuore grandissimo.
Quando le raccontò tutto
quello che era successo quella sera, Kristen arrivò alla
conclusione a cui lei
era arrivata poco prima ed esclamò: “Ti
piace!”
Lisa rise e guardò verso
la porta chiusa: finché non era sicura dei propri pensieri,
non doveva saperlo
nessun altro. Kristen, però, aveva iniziato a supporre
situazioni e a darle
troppi consigli campati in aria per poter continuare quella
conversazione, così
preferì cambiare argomento.
“Lo sai che domani vado a
giocare a biliardo?” le confidò, mentre sistemava
delle cose sulla scrivania.
“Che stronza! Quando ci
venivi insieme a me, non hai mai giocato!” Lisa rise ancora,
perché sapeva che
Kristen era una vera amica e le voleva bene, anche se era
maledettamente
diretta e non ti mandava a dire niente.
“Imparerò così quando ci
rivedremo andremo a giocare insieme” dichiarò, ma
subito dopo divennero tristi
tutte e due perché sapevano che sarebbe passato molto tempo
prima che fosse
possibile rivedersi.
***
"Ok, allora,
ricapitoliamo: tu entri con un documento falso, ma non bevi."
Ellie sbuffò all'ennesima
frase di Lisa. "Sì, mamma.
Al
Pool's non posso entrare se non ho ventun anni, ma prometto di non
bere".
"Forse dovremmo
andare da un'altra parte…"
"E impedirti di bere
la birra? Dai, non succederà niente, vedrai. E poi io guido
per tornare a casa,
ricordi? Non bevo comunque. Un posto vale un altro."
Ellie aveva avuto meno
problemi a convincere suo padre a farle fare un tatuaggio due anni
prima. Cercò
di mantenere un atteggiamento rilassato, ma aveva il terrore che Lisa
potesse
far saltare la serata.
"Va bene"
acconsentì dopo un po'. Ellie le avrebbe buttato le braccia
al collo.
"Perfetto!
Vedrai che
il biliardo ti piacerà!" le disse ancora la ragazzina. Lisa
sorrise: lei
era veramente contenta della situazione. E iniziava anche a essere un
po'
eccitata.
"Chi ti ha insegnato
a giocare a biliardo?"
"Come, chi? Nelson!"
rispose prontamente la ragazza, aprendo la portiera della macchina.
"Prego, fanciulla, sarà una serata bellissima!"
Lisa salì al lato
passeggero e aspettò che Ellie si mettesse al volante.
Avrebbe dovuto
immaginarlo: anche Bart aveva tentato di portarla a giocare a biliardo,
ma alla
fine non lo avevano mai fatto. Quand'è che si era
allontanata anche da suo
fratello? Per fortuna l'allegria di Ellie era contagiosa,
pensò sorridendo.
Parcheggiarono davanti
all'entrata del Pool's e mostrarono i documenti prima di entrare, anche
se Lisa
guardò da un'altra parte quando il buttafuori
controllò quello di Ellie.
"Niente birra,
eh!"
"Niente birra,
promesso" confermò Ellie e si avvicinò alla cassa
chiedendo un tavolo, una
Duff e una coca.
In men che non si dica
Lisa si ritrovò con una birra in una mano e una stecca da
biliardo nell'altra.
Ellie ammiccò nella sua direzione quando sistemò
le palle nel triangolo.
***
Bart era in
ritardo, ma
non se ne curava mai tanto. Stava cercando qualche spicciolo prima di
andare a
giocare a biliardo con Nelson e notando che la stanza di Lisa era
aperta, si
avventurò dentro, per vedere se avesse monetine sparse sotto
il letto.
Si chiuse la porta alle
spalle e si avventurò vicino al comodino, ma Lisa era troppo
ordinata per
cercare qualcosa per terra, così si avvicinò alla
scrivania. Sulla mensola
c'erano diversi barattolini, magari in uno di questi potevano esserci
dei
quarti di dollaro.
Prese contro la sedia che
colpì il pc aperto sulla scrivania e lo schermo si
illuminò, come se lei lo
avesse solo messo in pausa e Bart lo avesse riavviato. Merda. Doveva
spegnerlo?
Provò a vedere come
rimetterlo in standby, quando il pc iniziò a suonare, mentre
l'immagine di una
ragazza lampeggiava davanti allo schermo. Bart si chinò per
guardare meglio la
foto: era una gran gnocca. Si avvicinò di più e
qualcosa dentro uno dei
barattoli cadde sulla tastiera, rimbalzando e facendo cambiare la
schermata:
ora la ragazza era in tutto lo schermo, non solo in un quadrato.
"Lisa? Ci sei? Non
sai cosa ho scoperto!"
Bart osservò quella ragazza
che gesticolava e parlava, senza riuscire a emettere alcun suono.
"Lisa?
Non ti vedo, sei in piedi?"
Il ragazzo capì ormai di
essere stato scoperto, così si chinò davanti allo
schermo, spostandosi finché
in un quadratino in basso a destra riuscì a vedere la sua
faccia.
"Chi sei?" gli
chiese lei.
"Eh… Ciao, sono il
fratello di Lisa…"
"Oh, devi essere
Bart, allora!" Bart alzò un sopracciglio. Sua sorella aveva
parlato di lui
a quella splendida ragazza? Si sedette sulla sedia.
"Sì, che ti ha detto
Lisa di me?" tastò il terreno lui.
"Oh, non molto a dir
la verità. Ma… Lisa non c'è?"
"No, è andata a
giocare a biliardo" la informò.
"Oh, è vero… Vabbé
niente, magari le telefono dopo, allora…" E subito dopo aver
detto questo,
tirò su con il naso. Oh. No, le belle ragazze non dovrebbero
piangere.
"Stai bene? È
successo qualcosa?" Si sentì in dovere di chiedere, mentre
un po' di
curiosità iniziava a fare capolino.
"A parte il fatto
che ho appena beccato il mio ragazzo a letto con un'altra, per il resto
sì."
"Oh. E l'idiota è
ancora vivo? O hai bisogno di aiuto per nascondere il cadavere?"
Lei rise di quella battuta
e Bart appoggiò le cose che aveva in mano a lato del pc,
sistemandosi meglio
sulla sedia.
"Sì, è ancora
vivo…" Lei però sorrise e il ragazzo
capì di aver detto la cosa giusta.
Che culo, almeno per una volta…
"E allora dimmi cosa
vorresti fargli. Potrei darti delle idee niente male."
La ragazza rise ancora e
Bart si tolse le scarpe.
"È venerdì sera,
Bart, sicuro di non aver niente da fare che testare omicidi via Skype
con una
sconosciuta?"
"Non ho programmi per
stasera" mentì, "e se magari mi dici come ti chiami,
potresti non
essere più una sconosciuta…"
Lei rise ancora mentre gli
diceva il suo nome: Kristen. Bart non aveva mai pensato che esistesse
un nome
così bello.
***
"Una Duff doppio
malto, grazie."
"Vuoi anche un
tavolo?" gli chiese il cassiere.
"Dopo, sto aspettando
un amico."
Il cassiere alzò il
pollice in segno affermativo e gli passò un bicchiere pieno
di birra. Nelson lo
prese e si girò per andare a cercare un posto dove aspettare
Bart.
Il pool's era un grosso
open space, dove i tavoli da biliardo erano ordinati in file da due
come i
letti di una caserma. Su ogni tavolo due lampade che pendevano dal
soffitto
illuminavano il panno verde con precisione, dando anche la giusta
atmosfera.
Fra una postazione e l'altra erano posizionati tavolini e alti
sgabelli, così
da permettere a chi non giocava, una tribuna di tutto rispetto.
"Dai, ok, allora,
riproviamo…" La voce di Ellie lo fece voltare di scatto:
cosa ci faceva
sua sorella lì? Si incamminò velocemente fino al
tavolo dove la ragazza stava
sistemando le palle nel triangolo, ma prima di chiamarla si
bloccò: c'era anche
Lisa.
Nelson non se lo
aspettava.
"Nelson!" Ellie
alzò la mano quando vide suo fratello fermo impalato poco
lontano da loro.
Il ragazzo si avvicinò
appena lei si fece un po' più rumorosa ed Ellie
batté la stecca ai suoi piedi.
"Non sapevo venissi anche tu! Non me lo hai detto!"
"Veramente pensavo
che tu non potessi neanche entrare…"
Lisa vide Nelson
avvicinarsi e prese un lungo sorso di birra quando lui le fece un cenno
del
capo per salutarla. Alzò una mano per ricambiare ma le cadde
la stecca per
terra.
"Tutto a posto?"
le chiese lui, avvicinandosi mentre la raccoglieva.
"Sì, siamo venute
perché Lisa deve imparare a giocare a biliardo. Ma
è proprio negata…"
ammise Ellie e Lisa sentì le guance diventare rosse per
l'imbarazzo.
"Ma non è vero…"
Ma poi rise.
Nelson la guardò e alzò un
sopracciglio. "Mi sa che quella non è la prima birra che
bevi" le
disse, indicando il suo bicchiere.
"A dir la verità è la
seconda. Ha scoperto stasera che le piace la doppio malto…"
precisò Ellie,
ma sorrise all'amica.
Nelson scosse il
capo.
"Ellie, hai bevuto anche tu?" chiese alla sorella.
"No. Io guido"
rispose lei e, almeno su quello, Nelson fu tranquillo. Ma Lisa era
brilla. Non
ubriaca, ma era strana. E i suoi occhi brillavano divertiti. Mmm si
sarebbe
fermato lì con loro intanto che aspettava Bart.
Guardò l'orologio: in fin dei
conti era in ritardo solo di mezz'ora. Per fortuna lui era arrivato
solo dieci
minuti prima, conoscendo la puntualità dell'amico. Gli
mandò un messaggio
chiedendo se si fosse perso e poi rimise il cellulare in tasca.
"Ok" disse,
appoggiandosi a uno sgabello sotto a un tavolino alto, "fatemi vedere
cosa
le hai insegnato". Lisa appoggiò il bicchiere sul tavolino
di fianco a lui.
"Non è che abbia
imparato molto fino a ora. Anzi, diciamo proprio che Ellie mi ha
stracciato fin
da subito."
Nelson osservò sua sorella
preparare il triangolo e spostare le palle con gesto esperto, per poi
andare
dall'altra parte del tavolo, spaccare con la stecca e fare un passo di
lato.
Ellie si avvicinò a Lisa e le fece notare alcune biglie che
era più facile
colpire di altre, tipo la tre, che era proprio davanti alla buca.
Notò sua sorella aiutare
Lisa a mettersi in posizione, ma le ragazze erano veramente
inguardabili e
quando colpì la bianca con la stecca, questa
scivolò un po'sulla superficie
liscia della palla.
No, no. Quelle ragazze
avrebbero ucciso il buono sport. Avrebbero ammazzato il biliardo prima
della
fine della serata. Doveva intervenire.
Appoggiò la birra e
oltrepassò il tavolino per raggiungere le ragazze. Nel farlo
dovette lanciare
un'occhiataccia a due individui che si erano appostati vicino a loro e
le
stavano guardando con uno sguardo che a Nelson non piaceva per niente.
Per
fortuna capirono e si spostarono a un altro tavolino.
"Non posso
lasciartelo fare… Vieni qui" disse a Lisa, appena
toccò di nuovo a lei.
La ragazza si voltò verso
di lui. "Come?"
"Avvicinati"
iniziò. Le fece scegliere quale palla cercare di mandare in
buca e le spiegò
dove colpirla per far sì che procedesse nella giusta
direzione. "Dovresti
ricordarti la geometria, no?" le disse e Lisa annuì quando
capì la sua
spiegazione. Le piaceva anche, la geometria. "Prendi il gesso,
lì sulla
sponda. Ti faccio vedere come strofinarlo sulla punta"
spiegò ancora e la
ragazza ubbidì, prese il quadratino blu e glielo porse.
Nelson le fece vedere
come ingessare la stecca e lei riuscì a farlo nello stesso
modo.
"Brava. Ora vieni
qui. Appoggia la mano qui, e ti chini. Allarga le gambe. Ok,
sì così…"
Nelson le si era
avvicinato e la stava aiutando a posizionarsi. Quando si
piegò sul tavolo,
iniziò a sentirsi in imbarazzo per averlo così
vicino, ma lui sembrava
veramente intenzionato solo a mostrarle la posizione più
adatta. Non aveva
osato, non si era allargato troppo. Lisa quasi se ne dispiacque. E,
forse un
po' per colpa della birra, decise di posizionare male la stecca.
"No, come ti ho fatto
vedere prima…" Nelson dovette sporgersi sopra di lei, per
prenderle la
mano e Lisa inalò profondamente il suo profumo.
Ellie stava
osservando
Nelson che si era avvicinato a Lisa perché aveva posizionato
male la mano su
cui appoggiare la stecca per colpire la biglia e sentì il
suo telefono vibrare
in tasca: lo aveva messo silenzioso, ma non aveva tolto del tutto la
possibilità di ricevere telefonate. Lo tirò fuori
dalla tasca dei jeans e
guardò il numero: sconosciuto. Cosa fare? Alzò
gli occhi sui ragazzi, ma li
scoprì a discutere su qualcosa, così non la
sentirono mentre diceva che si
spostava in un punto meno chiassoso per rispondere.
"Pronto?"
Nelson
sentì la spalla di
Lisa contro il petto e si rese conto di esserle troppo vicino.
Dannazione!
Prima ancora che lui riuscisse a spostarsi, lei girò il viso
e lui ne ebbe la
conferma: il suo viso era a pochi pollici da lui. Poteva sentire il
calore del
suo respiro.
"Nelson" lo
chiamò lei in un sussurro.
No.
No. Spostati.
"Nelson…" disse
ancora e la sua voce sembrava provenire da molto lontano.
"Lisa…" Il
ragazzo si tirò su e lei lo seguì, forse
perché ancora le teneva la mano e la
stecca. Lasciò andare tutte e due le cose e tentò
di fare un passo indietro, ma
lei, con la mano libera, lo bloccò, posandola sul suo
fianco. "Baciami,
Nelson" mormorò.
Nelson sentì un colpo al
cuore. No, lei non lo aveva detto. No, lei non lo pensava. Quando Lisa
si
avvicinò di più, diede la colpa alla birra:
doveva essere ubriaca. Non c'era
un'altra spiegazione. Non era il tipo da baciare qualcuno nel bel mezzo
della
sala del Pool's. Anche se il Pool's aveva visto anche di peggio.
"Ragazzi…"
La
voce della ragazza arrivò a Lisa come se fosse stata
sott'acqua. Si girò verso
di lei e lasciò il fianco di Nelson, portando la mano sulla
stecca.
Lui fece un altro passo
indietro e si passò la mano fra i capelli, lanciandole
strane occhiate.
"Ragazzi... Stanno
portando papà in ospedale…" Lisa
realizzò il significato di quelle parole
nello stesso momento in cui lo fece anche Nelson, se ne rese conto
perché lo
stava ancora osservando.
"Cosa?" Lui fu
velocissimo e la raggiunse, mentre Lisa faceva il giro dall'altra parte
del
tavolo. Ellie era impallidita e il suo sguardo faceva paura.
"Papà
ha avuto un
infarto…" sua sorella alzò su Nelson uno sguardo
così spaesato che lui si
sentì quasi in colpa. "Andiamo…" Ellie si
voltò, lanciando occhiate
alla sala, ma senza sapere bene cosa fare, probabilmente.
Nelson osservò Lisa
metterle un braccio sulle spalle e dirle che sarebbe andato tutto bene.
Si
guardò intorno anche lui: dovevano andare da Trevor.
"Lisa…" la
chiamò e anche se il suo tono era molto diverso da poco
prima, si sentì lo
stesso in imbarazzo per quello che era successo. Quando lei lo
guardò,
continuò. "Porta le palle in cassa, e fatti ridare la
caparra. Andiamo
via".
Lisa annuì, lanciando
un'ultima occhiata a Ellie. "Non penso che lei sia in grado di
guidare…" disse, prendendo il triangolo e il contenitore
delle biglie.
"Ho il pick-up,
venite con me. Ti porto a casa e poi andiamo in ospedale."
Ellie non
riusciva a
pensare, figuriamoci a ragionare! Suo padre, l'ultimo genitore che le
era
rimasto, aveva avuto un infarto. Come stava? Stava bene?
Era… No, non voleva
neanche pensarlo.
Vide Lisa tornare dalla
cassa e si lasciò prendere sottobraccio. "Vengo con voi"
disse lei a
suo fratello. Oh, sì, Lisa le sarebbe stata vicino. E poi
Ellie voleva vedere
Trevor subito. Doveva assolutamente assicurarsi che stesse bene.
Lisa dovette
discutere con
Nelson mentre uscivano dal Pool's, perché lui voleva
accompagnarla a casa prima
di andare in ospedale, mentre lei invece voleva andare con loro.
"Lasciamo
qui la mia macchina?" chiese una stralunata Ellie.
"Certo, domani ti
accompagno io a prenderla, va bene?" la tranquillizzò Lisa e
la ragazza annuì,
salendo sul pick-up del fratello.
Lisa lanciò uno sguardo a
Nelson e lui sospirò, ma annuì e lei
capì che si era rassegnato e sarebbe
riuscita ad andare con loro.
***
Il viaggio fino
all'ospedale fu silenzioso e pesante, perché non sapendo
bene cosa aspettarsi,
ognuno di loro aveva pensato a dei possibili scenari. E nessuno ammise
di aver
pensato anche a quello più brutto.
Per fortuna riuscirono ad
arrivare in poco tempo e, dopo aver chiesto a un infermiere e a due
dottori,
entrarono nel reparto giusto.
"Parenti del signor
Reed?" chiese loro un'infermiera e loro annuirono tutti e tre: sarebbe
stato complicato spiegare chi fossero, a parte Ellie.
"Venite…" Fece
loro strada verso un corridoio cieco e spiegò quello che era
successo: Trevor
aveva avuto un infarto, ma si era reso conto della cosa mentre stava
succedendo, così aveva chiamato i paramedici.
"Sì, ne ha avuto uno
anche tre anni fa, deve aver capito cosa gli stava succedendo" disse
Nelson e Ellie si girò verso di lui, con gli occhi sgranati.
Lisa pensò che lei non lo
sapesse perché il ragazzo non incrociò il suo
sguardo ed evitò di guardarla
apposta.
"Sta bene?"
chiese Ellie, tornando a guardare il medico.
L'uomo annuì. "Sì e
potete vederlo, ma per poco, non deve affaticarsi…" Dopo
poche altre raccomandazioni,
i ragazzi riuscirono a entrare nella stanza dove era ricoverato Trevor
e a
parlargli.
Alle prime luci
del
mattino riuscirono a tornare a casa, dopo aver parlato con dottori e
infermieri,
aver compilato scartoffie e moduli incomprensibili e burocraticamente
estenuanti, ed essersi assicurati che lui non avrebbe avuto bisogno di
altro
fino alla prossima visita.
"Non voglio
festeggiare, domani, Nelson" disse la ragazza, mentre in macchina
tornavano verso il centro città.
"Certo che
festeggerai, Ellie. Lo ha detto anche Trevor" cercò di
convincerla Nelson,
ma anche lui era stanco e forse il suo tono non era molto convincente.
"È stata colpa mia se
ha avuto l'infarto, non voglio festeggiare niente…" Ellie
sospirò e guardò
fuori dal finestrino.
"Dubito che sia stata
colpa tua" mormorò Lisa, mentre le metteva un braccio
intorno alle spalle
e la stringeva con fare materno. Nelson le lanciò
un'occhiata e fece un cenno
del capo per ringraziarla. Se non ci fosse stata lei, forse loro si
sarebbero
persi nei meandri della burocrazia e del panico.
"Sono stata accettata
all'Accademy of Art di San
Francisco.
Lui ha detto che era contento per me, ma ho paura di avergli dato un
dispiacere...
San Francisco è così lontano, in fin dei
conti… Ma tanto rimarrò qui, andrò
all'Università di Springfield e…"
"Sai
perché non ha
voluto dirti niente quando ha avuto il primo infarto? Aveva paura che
tu
reagissi così, Ellie" spiegò Nelson, con un
sospiro.
"Così, come?
Preoccupandomi per mio padre?" Il tono di Ellie era un misto fra
l'arrabbiato e il deluso. "Mi trattate sempre come una
bambina…"
sbuffò. Era una cosa che le dava totalmente sui nervi:
secondo loro lei non
doveva sapere le cose perché altrimenti avrebbe reagito male.
"È successo tre anni
fa. Tu eri in vacanza con mia madre, ricordi?" Ellie annuì
alle parole del
fratello, ma era ancora nervosa. "Lui non voleva che voi tornaste a
casa
prima o che cambiaste i vostri programmi. Diceva che non sarebbe stato
giusto.
Ho solo rispettato i suoi desideri" spiegò ancora.
"Ma quindi non lo
sapeva neanche Mary?" chiese, stupendosi della cosa.
Nelson scosse la testa
senza mai staccare gli occhi dalla strada ed Ellie guardò
Lisa che però,
osservava anche lei suo fratello.
Sospirò: Mary era stata
portata via da un cancro veloce e letale e quella vacanza era stato un
regalo
che si erano concesse dopo tutte le cose brutte che erano successe: il
dolore
del dare il suo bambino in adozione, la malattia di Mary…
Non disse niente
perché la madre di Nelson era morta poco dopo quella vacanza.
Nelson non
osò spostare lo
sguardo dalla strada: se non le avesse guardate non si sarebbe sentito
in colpa
e avrebbe continuato a pensare che assecondare Trevor fosse stata la
cosa
migliore.
"Per questo non sei
andato via con tuo padre quando te l'ha proposto?" gli chiese Ellie e
lui
si ammutolì subito dopo aver aperto la bocca per parlare:
era stanco e aveva
bisogno di controllare il traffico, si disse, sapendo di mentire. Non
voleva
voltarsi. Non voleva incrociare lo sguardo con la sorella o, peggio,
con quello
di Lisa. Si sentiva in colpa e pensava di aver sbagliato tutto. Senza
considerare
il fatto che non sapeva come comportarsi con Lisa, in quel momento.
Dovevano
parlare di quello che era successo prima, al Pool's. O forse dovevano
stare
zitti e non parlarne mai. Forse quella era la soluzione migliore.
"Trevor è contento
che tu sia stata ammessa all'Accademia delle Arti, Ellie. Sarebbe molto
dispiaciuto se sapesse che stai pensando di non andarci. Non devi
preoccuparti
per lui: ci sono io" tentò di rassicurarla un'ultima volta.
"Io…" Ellie
sospirò e Nelson capì benissimo la guerra che
lottava dentro di lei.
"Non si prendono
decisioni quando si è tristi, Ellie" la interruppe Lisa.
"Sai che
facciamo? Adesso vai a casa a riposarti e oggi pomeriggio torniamo a
trovare
tuo padre. Sono sicura che ti dirà le stesse cose che ti sta
dicendo Nelson e
tu sarai più tranquilla. Sei solo stanca e, dato quello che
è successo, è
normale che tu veda tutto nero. Vedrai che domani Trevor
starà meglio
e anche tu vedrai le cose
diversamente."
Ellie, stranamente, annuì.
"Posso dormire da te, Nelson? Non voglio andare a casa…"
Quando suo
fratello fece un cenno con il capo, tornò a guardare fuori.
Lisa scese dal
pick-up che
ormai si era fatto chiaro ed entrò in casa dirigendosi in
camera. Mandò un
messaggio a Bob, dicendo che avrebbe coperto il turno di Ellie e
impostò la
sveglia dopo due ore. Si addormentò quasi subito e non si
accorse che le cose
sulla sua scrivania non erano posizionate allo stesso modo di quando
era
uscita.
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