Fill the void

di T612
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Informazioni di una certa importanza ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 _ 2018 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 _ 2019 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 _ 2020 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 _ 2021 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 _ 2022 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 _ 2023 ***



Capitolo 1
*** Informazioni di una certa importanza ***


ANNOTAZIONI D’OBBLIGO: 

 

Questo che state per leggere è un esperimento nato per caso, da fumetti consigliati per caso e scritto con l'entusiasmo breve ed intenso della fissa del momento. É una storia senza pretese, un modo per "riempire il vuoto" di 5 anni trascorsi in venti secondi su pellicola che dicono quello che serve come transizione sfumata a nero, ma che forse diventano ancor più un “mattone” se invece vengono calcolati come 1825 giorni (su per giù) e parlano di cinque ragazzini disadattati che non sono gli Avengers, ma potrebbero diventarlo.

 

Chi segue “WandaVision” ha già avuto un assaggio di chi siano gli Young Avengers (Billy e Tommy), quindi la mia vuole essere solo una piccola preview di cosa ci aspetta per i membri non ancora presentati (Elijah, Theodore e Katherine, i quali avranno il loro debutto ufficiale nel MCU rispettivamente in “Falcon and the Winter Soldier”, “Secret Invasion” presumo e “Hawkeye”).

 

ATTENZIONE:

 

Ho iniziato a scrivere questa storia, delineando di conseguenza la trama a monte, ancora a settembre 2020 quindi gli eventi narrati confermano e non smentiscono nulla di quanto si è visto / dedotto nei film fino ad Endgame, tutti i riferimenti a qualunque cosa sia stata pubblicata, ipotizzata, commentata, pubblicizzata e visionata dopo questa data è puramente casuale. Non sto neanche qui a specificare che i personaggi non sono miei, ma appartengono a Mamma Marvel (in tutte le sue salse).

 

ATTENZIONE pt2:

 

I “bimbi” di cui scrivo si possono tranquillamente considerare dei personaggi OC, ho apportato giusto qualche modifica ai rispettivi background per incastrarli all'interno del Blip, ma ho mantenuto i tratti caratterizzanti di ognuno, aggiustando leggermente le rispettive storie famigliari per renderle idonee ai cinque anni che prendo in esame. 

Per specifiche e chiarimenti vari ed eventuali, chi mi legge da tempo sa che sono una grande fan delle note a piè di pagina.

 

Per chi segue i fumetti, mi dispiace deludervi ma alla formazione originale (YA: Vol 1) mancano Cassie, Nathaniel e Jonas: in parte perchè Cassie è già presente nel MCU, in parte perchè incastrare Nate e Jonas risulta estremamente complesso quando mancano in tronco le basi che troveremo in “Ant Man 3” – non ho le competenze per inventarle o riadattarle di sana pianta –, in parte perchè gestirne cinque mi basta e mi avanza (sorry not sorry).

 

Ci tengo a specificare che gli eventi narrati sono filtrati dagli occhi di ragazzini che nel 2018 hanno dai 16 ai 18 anni, sono degli adolescenti e per questo i loro tentativi di "riempire il vuoto" ottengono i risultati che trovano.

 

Dulcis in fundo, i quattro mesi di gestazione sono stati causati dalla stesura completa di questa storia (composta da sei capitoli) e dalla mia folle idea di “potrei illustrarli, quanto vuoi che ci metta”. Ecco. 

Come al solito gli aggiornamente verranno pubblicati con cadenza settimanale ogni venerdì ed ogni opinione, commento o riflessione è sempre ben accetta… quello che dovevo dire l'ho detto, ora sto zitta.

Ci "risentiamo" tra due giorni.
_T612


[L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: tilde_stuff]

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 _ 2018 ***


Quel giorno il mondo non finì con un gran botto o con un sussurro a fil di voce,
ma piuttosto, con un urlo agonizzante alla volta portato via da una brezza grigiastra. 





 

CAPITOLO 1
_ 2018





 

L'autoradio trasmette un vecchio pezzo degli anni '70 che Faith canticchia a mezza voce spensierata, gli occhi rivolti al traffico del centro oltre il finestrino aperto e la mano che agita pigra il ventaglio con cui smuove l'aria tiepida di fine aprile. 

«Accendo l'aria condizionata se hai caldo, Nana.» propone Elijah di punto in bianco, il sudore che gli cola lungo la schiena e la speranza di ricevere un sì come risposta, le iridi nere che si scollano dal semaforo rosso e si spostano sulla nonna seduta al suo fianco. 

«Ho una certa età Eli, l'aria condizionata diretta non è l’ideale. Il ventaglio va benissimo.» sorride Faith con sguardo complice, i riccioli bianchi che le solleticano la pelle color caffè delle spalle ad avvalorare la propria tesi da ultrasettantenne, allungando poi le dita ad accendere l'impianto e rivolgendo i bocchettoni in direzione del nipote. «Bastava chiedere, sai? E poi non fa davvero così caldo, sei solo nervoso.»

«Odio guidare all’ora di punta, soprattutto in centro. Tutto qui.» spiega il ragazzo fremendo con il piede sul freno e tamburellando distratto contro il volante, ignorando lo stacchetto musicale radiofonico che segnala la fine della canzone e l’inizio delle news orarie, concentrandosi sul semaforo ora verde che gli permette di avanzare solamente di una cinquantina di metri prima di doversi fermare di nuovo, maledicendo in silenzio il fatto che la spesa mensile non era facilmente trasportabile in metropolitana. 

«Povero caro, la moglie deve essere preoccupata da morire.» commenta Faith con sincero sconforto, alludendo alla notizia appena passata per radio a cui Elijah non ha prestato minimamente attenzione, chiedendo una lecita spiegazione inarcando un sopracciglio. «Stark. L’attacco a Bleecker Street dell’altro giorno, i reporter dicono che non sanno ancora dove sia. La moglie deve essere preoccupata da morire.»

«Si sposano tra quattro mesi, Nana.» specifica Eli pignolo, l’immagine mentale dei titoli cubitali delle riviste patinate che gli attraversa la mente a tradimento sorprendendolo di conoscere certi gossip, prima di scoccare un’altra occhiata sbilenca all’espressione impensierita della nonna. «Ma una non ci fa l'abitudine? È Iron Man da dieci anni ormai…»

«No Eli, a questo genere di cose non ci si fa mai l'abitudine.» confessa Faith con la voce venata da un sentimento indefinito a metà tra un ricordo spiacevole ed una amara verità, scrollando la testa per scacciare l’ondata di momentanea tristezza, serrando il ventaglio di scatto e puntando lo sguardo sull’orologio digitale che lampeggia dal cruscotto. «Siamo in ritardo di mezz’ora, tuo nonno ormai avrà finito la visita cardiologica…»

«Siamo quasi arrivati, Nana. Eravamo d'accordo che ci aspettava in sala d'attesa, lo sa pure lui com'è il traffico a quest'ora.» la rassicura Elijah, confuso dal suo cambio repentino di umore, tornando a focalizzarsi sull’interminabile luce rossa con esasperazione montante. «Ma quanto dura questo semaforo?» 

«Dura quanto deve durare, che fretta hai?» indaga Faith tornando a farsi aria con il ventaglio, ormai rassegnata al traffico ed ora propensa a godersi la gita in auto con il nipote. «Stasera esci?»

«Mi trovo con Altman, andiamo al cinema.» confessa Elijah con una scrollata di spalle, ricalcolando nuovamente le tempistiche per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti e farsi trovare davanti al multisala puntuale, consapevole di quanto il suo migliore amico odiasse i ritardatari – soprattutto se lui era famoso per il suoi "cinque minuti" dalla durata fluida e se entrambi aspettavano da mesi il film in questione, il che era un più che ottimo, futile motivo per sforzarsi di spaccare il minuto.

«Sicuro che esci con Teddy? E non con una ragazza?» indaga Faith sospettosa, ottenendo un’esclamazione risentita in risposta, roteando gli occhi divertita nel vedere le guance di Eli imporporasi per l’imbarazzo. «Che c'è? Tuo nonno l’ho conosciuto quando avevo anch’io diciassette anni e ci siamo sposati tre mesi dopo.» 

«Perchè era il ‘61 e ti aveva messa incinta di zio Josiah, Nana.» ribadisce Elijah con un verso di strizza, grattando per inserire la marcia nella fretta di partire quando scatta il verde, giusto in tempo per salvarlo da una discussione che di certo non vuole affrontare in quel preciso istante con sua nonna, immettendosi nell’incrocio. «E comunque asp-...»

«ELI, l'auto!» sbraita Faith perforandogli un timpano, gridando in preda al panico quando la macchina proveniente da sinistra sbuca dal nulla e centra in pieno la portiera di Elijah senza aver mai dato cenno di fermarsi. «L'au-...!» 

L’impatto è veloce, il mondo gira a ritmo con il testacoda e cala il sipario contro il palo della luce all’altro lato della strada – Eli quasi non se ne rende conto, nelle orecchie rimane solo il fischio stridente delle gomme contro l’asfalto prima di piombare nel vuoto buio dell’ignoto.  

 

***

 

Il getto dell'acqua calda è quasi rinvigorente, Kate sospira sollevata inclinando la testa verso il soffione a labbra socchiuse, sciogliendo i muscoli esausti dall'allenamento appena concluso – Avrebbe bisogno di una vacanza, andarsene dalla città per un paio di giorni, prendere il sole sulla riva di Ibiza--... 

«Katherine, l'acqua calda non dura in eterno, devo farmi anch'io la doccia!» sbraita Charlotte dall'altra parte dell'abitacolo, picchiando contro la porta invitandola a muoversi. «Avanti, Bishop!» 

Kate sbuffa, chiude il getto dell'acqua che ormai aveva esaurito il compito principale di risciacquarla dal sapone da almeno dieci minuti, infilandosi l'accappatoio ed avvolgendo i lunghi capelli corvini in un asciugamano. 

«Tutta tua tesoro, quante storie.» scherza ottenendo uno sguardo adirato quando Charlotte la sostituisce nell'abitacolo, ignorando le altre compagne di scherma che finiscono di agghindarsi davanti allo specchio, aprendo la propria borsa da allenamento procurandosi la biancheria intima ed avviandosi dietro uno dei paraventi per cambiarsi. 

«Stasera sei dei nostri, Lottie?» esclama Victoria di punto in bianco una volta smaltita la bolgia, spingendo Kate a sollevare gli occhi al cielo nell'udire la sua voce stridula alzarsi di qualche ottava per farsi sentire da Charlotte sopra il rumore dell'acqua corrente. «Jeremy dà una festa, i suoi sono fuori città.»

Erano rimaste solo loro tre in spogliatoio e, pur frequentando insieme la maggior parte dei corsi della Hawthorne Academy, Charlotte e Victoria preferivano ignorare di buon grado la presenza di Kate, per niente intenzionate ad estenderle l'invito, a discapito della educata amicizia che avevano finto reciprocamente negli ultimi tre anni, tra scuole superiori e college – forse Katherine era diventata troppo schietta e realista per risultare una buona amica o, semplicemente, da un anno a quella parte il suo entusiasmo verso i festini alcolici e le pasticche offerte da Jeremy avevano drasticamente perso tutta l'attrattiva che avevano un tempo. 

«Dici che mi sta meglio il vestito rosso di Valentino o quello nero di Gucci?» chiede Victoria con voce stridula, un conto in banca a sei zeri che definisce la sua persona in un modo che Kate spera in cuor proprio di non rispecchiare più, pregando silenziosamente che la ragazza si ferisca un occhio con il pennino del mascara solamente per dare un po' più di colore alla frivola discussione in corso. 

«Nel dubbio, Gucci.» replica Charlotte dall'abitacolo della doccia, spegnendo il getto d'acqua per applicare lo shampoo.

«Tu che hai intenzione di metterti?» indaga l'altra ragazza, mentre Kate finisce di acconciarsi i capelli in una treccia ed inizia a rivestirsi sforzandosi di non prestare loro più attenzione di quanta se ne meritino, considerato il loro pallido tentativo di farla ingelosire con la vana promessa di un invito ad una festa, sollevando lo sguardo confusa quando la risposta di Charlotte alla domanda dell'amica si rivela essere un barattolo rotolante di shampoo aperto. 

«Lottie? Va tutto bene?» indaga Victoria con voce tesa, raccogliendo il flacone da terra e chinandosi per scorgere i piedi dell'altra ragazza oltre la fessura alla base della porta. «Lottie?! Non è uno scherzo divertente Charlotte!» 

Kate, se fino a quel momento si era sforzata di ignorarle, prende in mano la situazione spalancando la porta della doccia rivelando un abitacolo vuoto, lo sguardo calamitato da un mucchietto di cenere bagnata che sta pian piano scendendo nello scolo, affrettandosi ad aprire la porta della seconda doccia trovandola anch'essa vuota. 

«È scomparsa nel nulla…» afferma Katherine dubbiosa, il cervello che si sforza di processare l'informazione e catalogarla in qualcosa di conosciuto per giustificare l'accaduto, mentre la parte irrazionale che tentava di reprimere sempre in pubblico inibisce il nervo che le collega la testa alla lingua, ragionando a voce alta. «È quello che deve essere successo a Stark.»

«Ma a chi importa di Tony Stark!» sbraita Victoria, mentre Kate serra la mandibola per impedirsi di insultarla, stringendo i pugni nell'udire il medesimo tono usato da suo padre un paio di giorni prima quando si era messo a denigrare Stark e "la sua banda" appena i media avevano comunicato la notizia dell'attacco a Bleecker Street. «Lottie, dove sei? Non è divertente. Lottie?!» 

La voce di Victoria sfuma nel panico mentre si ostina a mettere a soqquadro lo spogliatoio, lasciando Kate libera di andare in avanscoperta lungo i corridoi della palestra dell'Accademia, fregandosene altamente di girare per la scuola in jeans e reggiseno. C'è qualcosa di strano nell'aria, una sottospecie di fuoco impalpabile, una perdita di gas che densifica l’aria… ma manca l'odore acre delle fiamme e la puzza di fumo, nonostante la cenere non scarseggi lungo i pavimenti, mentre persone sempre più disperate e confuse gridano in lacrime di aver visto sgretolarsi in polvere tutti i mucchietti che fino a cinque minuti prima erano persone. 

Katherine Elizabeth Bishop ha fatto pace con la propria paura ancora un anno prima, ma in quel preciso istante, con la consapevolezza vivida a bruciarle il cervello che come esistono gli Avenger evidentemente esiste anche la possibilità che la gente si sgretoli in massa in cenere, la sua tempra di acciaio inizia pian piano a venir meno… ed eccola lì, la paura atavica che le mette in subbuglio lo stomaco, il sospetto corrosivo come acido che qualcosa di veramente brutto si stia verificando senza punto di non ritorno, precipitandosi nuovamente in spogliatoio ignorando Victoria rannicchiata sul pavimento in preda ad un attacco di panico, troppo occupata a placare il proprio cercando frenetica il cellulare e componendo il numero di sua madre. 

Risponde la segreteria telefonica… 

«Merda!» impreca con isteria crescente, cercando di contattare anche la sorella e suo padre ottenendo il medesimo risultato. «Merda, merda, merda!» 

I piedi si muovono prima che il cervello detti l'impulso, Kate afferra scarpe, maglietta e borsone alla velocità della luce, rivestendosi e correndo fuori con il cellulare incollato all'orecchio che ricompone ciclicamente i soliti tre numeri, macinando chilometri di corsa adrenalinica fino a casa ignorando a forza gli incidenti stradali, le sirene spiegate e la folla agitata ed urlante che la aggredisce lungo la strada in cerca di aiuto. 

Il cuore di Kate sembra debba schizzarle fuori dal petto dopo aver fatto quaranta piani di scale fino al proprio attico, spalancando la porta di casa ed iniziando a chiamare sua madre senza ricevere risposta… Kate trova le ceneri di Eleanor Bishop sparse sul tappeto persiano dell’ufficio di suo padre e, di fronte a quel cumulo di resti, lo stomaco della ragazza cede, chinandosi veloce sul cestino sotto la scrivania per ribellarsi.

Katherine sbatte violentemente la testa contro il bordo del tavolo quando sente la notifica di un messaggio, leggendo le due righe di testo in croce con cui Susan le comunica che sta bene e le consiglia caldamente di darsi una calmata con le telefonate, lamentandosi di averle intasato la segreteria telefonica – non ricambia la domanda, non le propone di raggiungerla, non mostra nemmeno un briciolo di affetto che in una circostanza del genere dovrebbe essere quasi scontato… al contrario, le chiede spiccia se per caso è riuscita a contattare loro madre, replicando con un freddo “ah” quando Kate le conferma i suoi peggiori timori. Non una parola di più, non una parola di meno. 

Kate scaraventa il cellulare dall’altra parte della stanza arrabbiata, mentre le lacrime iniziano a rigarle le guance quando svuota il portapenne abbandonato sopra la scrivania trasformandolo in un’urna improvvisata, affondando le dita tra le setole del tappeto iniziando a raccogliere i resti di sua madre.

Derek, da bravo padre modello, le recapita una mail due ore più tardi: ci tiene ad informare la figlia che lui e la compagna stanno bene, ma che non sarebbero comunque tornati dalla Florida prima del weekend… in un post scriptum ha pure il coraggio di specificare che della sua ex moglie può occuparsene lei, lasciando intendere che doveva aver telefonato almeno a Susan e i due si erano accordati in modo da prendere le dovute distanze dalla disgrazia, spacciando il menefreghismo per fragilità emotiva. 

Sono anni che Katherine si è ormai resa conto che c’è un’ipocrisia di fondo alla base della propria famiglia, a partire da suo padre che amava tanto riempirsi la bocca di bei sermoni sulla virtù di esserci sempre nel momento del bisogno, quando era il primo a venir meno al proprio editto… l'Apocalisse confermava solo un'amara verità: Kate è rimasta sola al mondo, ma forse "sola" lo è sempre stata ed è stanca – di loro, della sua reggia dorata, di tutto. 

 

***

 

Billy vede le loro ombre prima ancora di sentirli parlare, deglutisce a vuoto, serra gli occhi e si maledice in silenzio – Gli serviva davvero il libro di letteratura? Non poteva portarsi a casa i libri senza passare per l'armadietto? La risposta ad entrambe le domande retoriche è un sonoro e categorico "no". 

«Eisenhardt [1]!» si fa avanti John Kesler, afferrandolo per una spalla con una manata in segno di goliardica amicizia, scuotendolo dalla testa ai piedi facendo ridere i due galoppini che lo seguivano sempre come due dobermann a guinzaglio. «Ti ho visto entrare in biblioteca con Altman prima, non ho potuto fare a meno di venire a chiederti come procedono le cose con il fidanzatino!» 

Billy stringe i pugni, le spalle strette nella morsa di Kesler ed il suo sorriso smagliante a pochi centimetri dal suo volto – Basterebbe una testata decisa per fargli sparire quel ghigno dalla faccia… ma non ora, aspetta il momento giusto Billy. 

«Fidanzatino?» chiede fingendo di cadere dalle nuvole con una interpretazione da premio Oscar, godendosi l'espressione confusa sul volto di Kesler quando dubita per due secondi della sua stessa presa in giro, facendo sfoggio del suo invidiabile cervello delle dimensioni di una nocciolina nel non capire anche la più facile ironia. 

«Altman. Ma scusa, non state insieme? Credevo di sì.» si riprende John dalla battuta di arresto, stringendo ancora di più la morsa sulle spalle di Billy, la puzza di sudore post-allenamento che gli solletica le narici rivoltandogli ancora di più lo stomaco. 

«Se avere una "D" in matematica e chiedere delle ripetizioni ad un amico di mio fratello vuol dire uscire con qualcuno…» ironizza William nascondendosi dietro la propria corazza di sfacciataggine, contando con le dita fingendo di eseguire un rapido calcolo a mente. «Wow. Ho avuto ben tre fidanzati negli ultimi due anni di superiori!» 

Lo schianto contro l'anta chiusa dell'armadietto è scontata quanto prevedibile, sapeva che John gli reggeva il gioco fino ad un certo punto, dopo un paio di convenevoli goliardici evidentemente iniziavano a prudergli le mani e, stando ai loro trascorsi, Billy era inspiegabilmente il suo punching ball preferito. La testata e lo sgambetto invece, i piccoli stratagemmi per darsi alla fuga che gli aveva insegnato Tommy per difendersi dagli attacchi dei bulli, sono del tutto inaspettati e gli fruttano una corsa rocambolesca di una ventina di metri prima che uno dei gorilla lo plachi come se quella in corso fosse una partita di football invece di un pestaggio gratuito, facendo finire entrambi contro una seconda fila di armadietti. 

«Eisenhardt così non vale, ci togli tutto il divertimento.» lo schernisce Kesler strappandogli lo zaino dalle braccia, lasciando Billy sguarnito di una protezione alla pancia, ritrovandosi riverso a terra su un fianco, con la schiena addossata alla parete di metallo ed un troglodita che torreggia su di lui con intenzioni tutt'altro che amichevoli. «Oggi deve essere proprio la mia giornata fortunata, sai Eisenhardt? Trovarti tutto solo, senza tuo fratello, Altman o uno dei tuoi amici tra i piedi.»

Il calcio allo stomaco gli toglie la vista per qualche secondo, tante piccole stelline colorate esplodono nel retro delle palpebre di Billy, scardinando i cancelli della paura – atavica, indomita, elettrica

«Ma che-...?!» sbotta uno dei leccapiedi di Kesler, arretrando di un passo terrorizzato, guardando con occhi allucinati il punto in cui il suo compagno di merende si è appena dissolto in un mucchietto di cenere. «John…»

L'ovvia, sensata e giustificata reazione di Kesler è quella di issare Billy da terra, fargli sbattere la nuca contro le porte chiuse degli armadietti e chiedergli urlandogli in faccia cosa diavolo avesse fatto a David – Perché Billy aveva la vista a raggi laser di Superman per incenerire i suoi nemici, no? Avrebbe dovuto saperlo, dopo sedici anni nei panni di un misero essere umano, il corpo allampanato e la predisposizione ai guai era solamente una copertura per passare inosservato tra i corridoi di scuola. 

«Eisenhardt, che cosa diavolo hai fatto?!» sbraita Kesler alimentato da un panico crescente, guardando allucinato il corpo del secondo gorilla disintegrarsi in polvere a sua volta, premendo l'avambraccio contro la gola di Billy, come se le parole di ignota spiegazione potessero uscire con più facilità se incitate a forza. «Voi Sokoviani siete tutti scherzi della natura, eh?! Dimmi che cosa gli hai fatto!» 

«Non sono stato io! Non è colpa mia…!» cerca di difendersi William, il cuore che batte così veloce da fargli temere un infarto, la paura trasformata in terrore famelico che esplode dal fondo della pancia ed inghiotte qualunque cosa. «Ti prego lasciami andare, lasciami andare. "Lasciami andare"

L'aria elettrostatica esplode per davvero, divampa in una fiamma azzurra della stessa tonalità del gas dei fornelli… una sola scintilla per scatenare un incendio che scaturisce dalle mani di Billy, colpisce John alla pancia e lo sbalza all'altro lato del corridoio – niente vista laser recidiva nascosta per un decennio e mezzo, ma le dita magiche sono una novità che William scopre di dover tenere improvvisamente di conto. 

Kesler macina insulti rannicchiato sul pavimento, lo chiama "mostro" ed osa un segno della croce a cospetto di un qualcosa che nemmeno Billy capisce, prima di vederlo disintegrarsi in cenere a sua volta… ed ha paura, perché sembra che il mondo si sia appena svuotato di colpo e lui si fosse sentito in dovere di riempirlo, sprigionando scintille azzurre dalle dita senza aver prima letto il libretto delle istruzioni, chiedendosi se i resti polverosi cosparsi sul pavimento siano davvero colpa sua o meno – Sembra di sì, il fuoco brucia ed incenerisce, giusto? Le sue dita hanno appena finito di sparare delle fottute scintille dai polpastrelli! 

Billy arretra contro il muro di metallo, scivolando fino a terra coprendosi le orecchie con le mani, le pupille talmente dilatate da far inghiottire l’iride nocciola dal nero – Non è successo, non è successo, non è successo. 

«Non voglio stare qui, "voglio tornare a casa".» Billy supplica un'entità sconosciuta, chiudendo gli occhi abbagliato quando un lampo azzurro lo centra in pieno senza capirne la provenienza, riaprendo le iridi sulle rassicuranti pareti giallo crema della propria camera da letto… dall'altra parte di Manhattan, distante chilometri dal proprio zaino, abbandonato tra i corridoi di scuola in compagnia di tre mucchietti di cenere. 

Billy non riesce a muoversi, raggomitolato ai piedi del letto con ancora le mani a coprirsi le orecchie, come se l'energia scaturita dalle sue dita gli avesse staccato le batterie nascoste tra le scapole, costringendolo a subire il mondo in modalità risparmio energetico… il telefono di casa suona, ma non ha la forza di alzarsi e rispondere, come se gli avessero segato le gambe in due impedendogli di camminare, rabbrividendo all'idea della suoneria della Marcia Imperiale installata nel suo cellulare che tuona incontrastata tra i corridoi vuoti della scuola, dettando una sentenza di morte che da figurata è diventata effettiva.

Billy non ha la più pallida idea di quanto tempo sia passato, il tempo scorre fluido, interrompendosi, riavvolgendosi, balzando in avanti a scatti… e all’improvviso sua madre spalanca la porta della sua camera in uno sprazzo di routine effimero, ma invece di intimargli di fare un po’ di ordine o scendere a preparare la tavola per cena, si inginocchia ai suoi piedi e gli getta le braccia al collo, il petto scosso dai singhiozzi mentre gli sussurra all’orecchio che non riesce a mettersi in comunicazione con suo padre, sforzandosi di pensare positivo illudendosi che l'uomo non può contattarli o raggiungerli perchè l’intera isola deve aver iniziato a riversarsi negli ospedali in massa chiedendo assistenza medica quando la gente aveva cominciato a sparire – quindi almeno la cenere non è stata davvero colpa sua, in teoria. 

«Billy, ti prego, dì qualcosa...» sussurra Rebecca Kaplan sconvolta, la voce che riecheggia nella gola cavernosa ruvida come carta vetrata, mentre dita nervose gli pettinano i riccioli corvini in una coccola volta a rassicurarlo. «Tesoro...»

Billy ci prova ad articolare un verso, uno qualsiasi, ma le sue corde vocali non emettono nessun suono... si limita a stringere la sua madre adottiva tra le braccia, trovando in lei un salvagente per portarsi a galla, lontano dai flutti torbidi dello shock e della paura. È in quel momento che si rende conto di non avere il cellulare in tasca, sprigionando una seconda ondata di terrore puro, costringendo la propria voce a formulare le sole due sillabe che lo separano dal precipizio affacciato sulla follia più profonda.

«Tommy...?» gracchia Billy artigliando le spalle di sua madre, lasciando in sospeso il resto della frase, rifiutandosi di trarne le peggiori conclusioni – Tommy è vivo? Sta bene? Dov’è? Quando gli racconterà cosa è successo, lo definirà anche lui “mostro”? O lo difenderà a spada tratta come ha sempre fatto, anche quando il mondo si era rivelato essere un luogo freddo e spaventoso?

Ma Rebecca lo fissa in silenzio, il medesimo dubbio a turbarla e nessuna certezza ad alimentarla – Fa che non sia morto. Fa che non sia morto. Fa che non sia morto.

 

***

 

Teddy salta i tre gradini del vialetto di accesso con un balzo, stacca il moschettone con appese tutte le chiavi utili dal passante dei jeans e sblocca il chiavistello, aprendo la porta di casa con una leggera spinta.

«Ma’, sono a casa!» urla in direzione della tromba delle scale, scalciando le sneakers addosso alla scarpiera e perdendo zaino e giubbotto in jeans sullo schienale del divano, virando poi in direzione della cucina puntando al frigorifero.

«Bentornato tesoro, com’è andata oggi a scuola?» replica la voce argentea di sua madre dal piano superiore, ormai chiusa nel suo studio da due giorni a portarsi avanti con il lavoro per chissà quale consegna inderogabile per zio Talos – Teddy ha il vago sospetto che il sovraccarico di scartoffie riguardi un piano di emergenza per far fronte alla minaccia aliena segnalata all’ufficio dello SWORD due giorni prima, ma non ne è del tutto certo. Dopotutto sua madre non parlava mai del suo lavoro segretissimo, ripeteva sempre che per lui l’ignoranza era la miglior protezione, ribadendogli che doveva aspettare almeno i ventun anni prima di essere reso partecipe ai "problemi dei grandi".

«Tutto bene, ho un saggio da preparare nel weekend, ma mi sono già preso avanti oggi in biblioteca.» grida Teddy per farsi sentire al piano superiore, riponendo la tanica di succo d’arancia nello sportello del frigorifero, cercando poi una fetta di pane ed il barattolo di marmellata nella credenza lì a fianco. «Preparo un sandwich anche per te, Ma’? Almeno facciamo merenda insieme!» 

«Sì, prepara. Ti aspetto su!» ribatte Anelle dall’ufficio, una nota dolce screziata da una virgola di colpa nel non essere una madre presente quanto vorrebbe – non che avessero alternative, Teddy sapeva che il lavoro di sua madre era fondamentale per la sopravvivenza della loro specie, soprattutto in terra straniera. Le case di accoglienza non erano mai abbastanza, le rotte interplanetarie non erano ancora del tutto efficienti e le stazioni, anche se costantemente sorvegliate, non erano di certo il luogo più sicuro del mondo.

«Come sta Billy? L’ha passato l’ultimo test di algebra?» indaga Anelle appena Teddy varca la soglia dello studio, reclinando lo schienale della sedia dopo aver accettato di buon grado il sandwich ed il bicchiere di succo, scostando una seconda sedia con la punta del piede scalzo in un invito al figlio di sedersi e farle compagnia per un po' – Anelle poteva essere una madre poco presente fisicamente, ma nessuno avrebbe mai avuto da ridire sulla sua costante e tenera volontà di tenersi aggiornata sulla vita del figlio. 

«Ha preso “B-”, siamo entrambi molto contenti del risultato.» conferma Teddy con una scrollata di spalle, chinandosi a posare un bacio sulla guancia rosata della madre, ottenendo un occhiolino ed una scompigliata di capelli biondo cenere in risposta. «Giornata di conferenze? A casa mi fa strano vederti con questo aspetto.»

«Lo sai meglio di me che non dobbiamo spaventare i Sapiens, Theodore.» ribadisce sua madre, svicolando con lo sguardo ed accigliandosi mentre cerca un argomento con cui cambiare discorso – per Anelle la condizione di rifugiati era uno stigma che poteva costantemente ritorcersi contro di loro, eleggendo l'adattamento ad un valore fondamentale, nonostante nel caso di Teddy la metà di corredo genetico umano ereditato da suo padre gli garantiva un aspetto che apriva tutte le porte del mondo dei Sapiens. «La prossima partita di campionato quand’è? Potrei liberarmi giusto il tempo per venire a fare il tifo dagli spalti.»

«Tra due settimane, giochiamo in casa.» conferma Teddy addentando il sandwich e reclinando a sua volta lo schienale della sedia, puntando lo sguardo all’orologio appeso alla parete facendo un breve calcolo delle tempistiche. «La caldaia è accesa? Vorrei farmi una doccia prima di andare al cinema.» 

«Cosa andate a vedere di bello?» chiede Anelle curiosa, dopo un breve cenno del capo che conferma la presenza di acqua calda.

«"Hunting Hydra" [2]. Vado con Eli, sai che lui ha un debole per questo genere di cose.» replica Teddy celando un mezzo sorriso nello sguardo, evitando di fremere di eccitazione all’idea che dopo quattro anni la Paramount era finalmente riuscita a raccogliere abbastanza dati ed interviste per rendere partecipe il grande pubblico di ciò che era realmente accaduto a Washington DC quando lo SHIELD era stato smantellato – Eli aveva fin troppe aspettative in merito al film, sperava ingenuamente che la gente la piantasse di insultare gratuitamente il Team del Capitano per le scelte attuate, mentre Teddy era semplicemente curioso di vedere quanta verità trapelasse dalla finzione su pellicola. «Hanno scelto Emily Blunt per interpretare la Vedova Nera, lei da sola mi sembra una più che ottima motivazione per pagare il prezzo del biglietto.»

Anelle ride di gusto sorvolando sulla mezza verità espressa dal figlio, venendo però distratta dal trillo di una notifica che le modifica il sorriso, incurvando gli angoli della bocca in una smorfia impensierita… un segnale che Teddy conosce fin troppo bene, deducendo che il suo tempo libero in compagnia della madre doveva essere appena terminato, alzandosi in piedi raccogliendo i bicchieri ed i due tovaglioli, pulendo la porzione di scrivania sporcata.

«Mi dispiace tesoro… sai, il lavoro--...» cerca di giustificarsi Anelle prima di venir presa in contropiede da un colpo di tosse che le scuote la cassa toracica, chinandosi in avanti afferrando il bordo del tavolo per reggersi, perdendo la concentrazione e la presa sul travestimento lasciando trasparire il colorito verdastro dell’incarnato. 

«Ma’...?» chiede preoccupato Theodore, abbandonando nuovamente sul ripiano i due bicchieri, precipitandosi incontro alla madre per fornirle aiuto, trovandosi a distanza ravvicinata con il suo labbro inferiore tremante color verde scuro. «Ma’?! Che succede…?»

«Dorrek...» sibila Anelle con una tacca di disperazione nella voce, scivolando nel suo nome da Skrull riservando al figlio uno sguardo di puro panico prima di dissolversi in cenere.

No. Non è successo. Non può essere successo… perché è risolvibile, no? 

L’istinto suggerisce a Teddy che l’incidente deve essere collegato all’attacco di Bleeker Street, quello per cui sua madre stava lavorando, quello di cui lui non sa assolutamente nulla se non quello che i telegiornali avevano condiviso perchè loro due non ne avevano mai parlato… ma zio Talos doveva sapere, qualunque altra persona al di là del monitor doveva sapere. Le dita di Teddy corrono veloci sui tasti del PC, sbloccando lo schermo inserendo le password di accesso, ritrovandosi davanti al dilemma linguistico di non aver mai voluto imparare la propria lingua natia, fronteggiando un alfabeto che non conosce minimamente e gli preclude ogni possibilità di contatto con la propria razza.

Impreca, con il panico crescente che inizia a comprimergli i polmoni in una morsa spiacevole, cercando invano di ricordarsi tutti i passaggi collaudati per mettersi in salvo dalle situazioni d’emergenza… ma quella che si ritrova a fronteggiare ora non è compatibile con nessuna delle famose “eventualità” per cui Teddy si era esercitato con sua madre in tutti i suoi diciassette anni di vita, afferrando il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans con dita tremanti, componendo il numero di zio Talos cercando di mantenere i nervi saldi con scarsi risultati di successo.

Risponde la segreteria telefonica…

No. Non è successo. Non può essere successo… ma la linea telefonica squilla a vuoto per innumerevoli volte, mentre il caos del vicinato inizia pian piano a filtrare dalle finestre, spingendo la bolla di panico nel petto di Teddy ad ingrandirsi fino ad inglobarlo – no, non può cedere al panico. Non così, non adesso.

Theodore inizia a contare le assi del pavimento per tranquillizzarsi, sforzandosi di non perdere il controllo ed iniziare a delirare definitivamente, calmandosi quel poco che permette al suo cervello di razionalizzare i pensieri e dedurre chi poteva essere il suo secondo contatto di emergenza in un momento simile se Anelle e zio Talos non erano reperibili – suo padre era morto da anni, lo SHIELD era stato smantellato, lo SWORD era talmente segreto da non avere un numero reperibile da Google, il computer ed il cellulare di sua madre erano impostati in una lingua a lui sconosciuta e la carenza di parenti in vita lo costringeva a ripiegare nella cerchia degli amici, ovvero la famiglia che lui si era scelto e probabilmente era attualmente reperibile quanto la propria. 

Elijah. Chiama Eli… questa volta deve rispondere. 

La linea telefonica squilla a vuoto per sette volte, mentre Teddy si aggrappa all’ultimo brandello di sanità mentale che gli rimane, passando dalle assi del pavimento al contare il “bip” della linea telefonica prima che scatti la segreteria. 

Le sue gambe alla fine cedono, Teddy frana incontro al pavimento ed abbandona definitivamente le speranze alla trentesima telefonata, rassegnandosi ad attendere che qualcuno lo contatti o passi a prelevarlo… perchè qualcuno doveva pur arrivare a prelevarlo, no? Un Agente dello SWORD, zio Talos, chiunque… ma tutto tace, e non è normale. Non crede lo sia, almeno… l’unico messaggio che ha ricevuto proviene dal cellulare di sua madre in una lingua che non comprende, riconoscendo però un paio di simboli grafici per farsi una vaga idea di quello che ai suoi occhi sembra un avviso di estrazione da verificarsi in un periodo di tempo non meglio precisato. Prova a comporre quel numero per chiamare chiunque gli abbia inviato il messaggio, ma nessuno gli dà risposta all’altro capo della linea, lasciando cadere il tentativo nel vuoto.

Teddy aspetta, conta altre quarantatre volte le assi del pavimento, ventisette volte le travi del soffitto e quindici volte le frange del tappeto… sobbalzando quando le note della sigla dei Pokemon riempiono il silenzio, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano mentre si precipita in direzione del proprio cellulare lanciato all’altro capo della stanza in uno dei suoi momenti di disperazione profonda che l'avevano colto in precedenza, leggendo sollevato il nome di Elijah sullo schermo prima di far scorrere il polpastrello sull’icona verde.

«Teddy, ci sei?» esordisce una voce dall’altro lato della linea, riconoscendo il nonno di quest’ultimo con un secondo di ritardo. «Tu e la mamma state bene?»

«No...» gracchia Teddy in risposta, le corde vocali che traballano ancora per via del pianto, correndo con lo sguardo al cielo blu notte che si vede dalla finestra, rendendosi conto che il tempo trascorso è decisamente di più di quello che ipotizzava. «La mamma… lei si è… dissolta. Sono solo, non riesco a chiamare nessuno e fuori c’è il finimondo.»

«Dammi l’indirizzo di casa, vengo a prenderti.» afferma Isaiah dall’altro capo della linea, usando un tono di voce talmente caldo e rassicurante che Teddy avverte l’istinto di seguire ogni sua singola direttiva con la consapevolezza che tutto andrà per il meglio ora che un adulto è a conoscenza della sua sopravvivenza. 

Ci vuole un'altra mezz'ora, ma quando gli apre la porta di casa Teddy si rifugia di corsa nel suo abbraccio e, a discapito dei suoi settant’anni inoltrati, Isaiah non fa nemmeno una piega quando il ragazzo si lascia andare di peso in quel contatto.

«Andrà tutto bene, figliolo. Ci sono qui io ora.»

«Elijah…?» chiede Teddy confuso, rendendosi conto – dopo diversi minuti carichi di confusione emotiva – della stranezza del non aver potuto parlare direttamente con il proprio migliore amico, spalancando gli occhi azzurro-verdi pensando subito al peggio. «Isaiah… Eli--...»

«Lui e Faith hanno avuto un incidente, mia moglie è fuori pericolo, Eli è stato operato e l'hanno portato in terapia intensiva… ha perso parecchio sangue, in ospedale c’è il disastro.» liquida il discorso l’uomo con un resoconto oltremodo brutale, sciogliendo l’abbraccio ed indicando con lo sguardo la garza e lo scotch che gli blocca parzialmente la mobilità di entrambi i gomiti, per poi sollevare un'enorme mano color caffè per scompigliargli i capelli biondo cenere in un gesto rassicurante. «Mi hanno prelevato qualche litro per fargli un paio di trasfusioni, Eli si rimetterà in sesto… ed andrà tutto per il meglio, okay?»

Teddy annuisce, e per assurdo non mette in discussione il fatto di credergli.

 

***

 

Le ruote dello skate mangiano sempre più metri d'asfalto a velocità crescente mentre Thomas Eisenhardt, zaino in spalla e stomaco che brontola in anticipo per la cena, si diverte a schivare all'ultimo minuto i pedoni intenti a portare a spasso il cane o a fare jogging – insulti gratuiti garantiti, tanto quanto la scarica di adrenalina che si nasconde effimera dietro alla bravata di spaventare gli sconosciuti perché forse lui sfreccia troppo veloce lungo i marciapiedi. 

Tommy non ha motivo di correre se non per il gusto di farlo, dopotutto i suoi programmi per la serata non prevedevano granché, c’era solo la mezza idea di raggiungere Casa Kaplan per vedere come se la cavava il suo gemello dopo essersi dato alla macchia per un intero giorno e mezzo, tra impegni scolastici ed altro… magari poteva rimediare una fetta della famosa crostata di Rebecca Kaplan, oltre alla classica partita a Cluedo del giovedì sera – Tommy non ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura, che la "serata dei giochi" sotto sotto gli piaceva, era più divertente lasciare Billy sulle spine e convincerlo che lui si sacrificasse per bontà d'animo, ricavandone poi un qualche tipo di guadagno. Di solito era un burrito offerto a pranzo mentre tornavano a casa da scuola, ma Thomas non era il tipo di persona in grado di lamentarsi delle proprie piccole conquiste. 

I colpi di batteria dei Rolling Stones che gli tuonano nei timpani vengono interrotti dal suono di una notifica quando il cellulare si ricollega finalmente al 4G dopo essere uscito dalla metropolitana, ma Tommy la ignora, sistemandosi meglio gli auricolari ed aggiungendo un grado di difficoltà all'impresa mettendosi in testa di schivare i sporadici "ostacoli" sul marciapiede a ritmo con le note incalzanti di "Paint in black", bilanciando il proprio peso sullo skate ignorando pure la voce esasperata del buonsenso – incarnata da Nonna Magda [1], pace all'anima sua – che gli intima di piantarla di fare il fenomeno in pieno centro abitato, ribadendo che in quel modo poteva ferire accidentalmente qualcuno, o peggio, le stringhe delle sue Vans consumate e perennemente slacciate potevano incepparsi tra le ruote dello skate facendogli eseguire un perfetto volo d'angelo incontro al marciapiede. 

Semplicemente la ignora, estinguendo la vocina alzando il volume della musica. 

…I wanna see it painted, painted black… 

Tommy compie una virata stretta a canzone quasi finita con tempismo perfetto, curva a gomito per svoltare nella propria via di casa, mentre la signora Jackson si porta veloce sul ciglio della strada salutandolo in modo colorito con un gestaccio per averle tagliato la strada, cercandola con la coda dell'occhio per replicare un cenno di scuse...

…Black as night, black as coal… 

… ma la signora Jackson si sgretola nel nulla a metà dell'ennesimo insulto, lasciando dietro di sé una polvere nerastra che si mescola alle foglie secche che ricoprono il marciapiede sul quale Thomas sta correndo, piantando il tallone a terra in risposta con una precipitosità tale da rischiare di farsi male per davvero, convincendosi che quello appena visto sia solo un brutto scherzo dettato dalla luce del sole.

...I wanna see the sun blotted out from the sky…

Thomas strappa via gli auricolari dalle orecchie, cercando di focalizzarsi su ciò che lo circonda invece di attraversare il paesaggio con una colonna sonora sotto le suole dei piedi, notando come il signor Jackson si precipiti fuori di casa a sua volta, lo sguardo allucinato che si perde a metà strada quando la gamba su cui sta caricando il peso scompare, infrangendosi anch’egli sull’erba tagliata di fresco con una spolverata di cenere. 

Tommy non è sicuro di aver davvero capito cosa stia succedendo, o meglio, il suo cervello si rifiuta di comprendere che i suoi dirimpettai si siano appena dissolti nell’aria, ricordandogli terribilmente la grafica anni ‘90 dei videogiochi che piacevano tanto a Teddy, quelli dove il nemico sconfitto si disintegrava in una manciata di pixel e scompariva dal monitor per consentire all’eroe di andare avanti… ma Thomas non crede proprio di essere un eroe, tantomeno di vivere in un videogioco – a malapena crede di iniziare a capire cosa stia succedendo quando, sfilando il cellulare dalla tasca vede il “leggo dopo” di Billy in risposta al suo tweet inviatogli un quarto d'ora prima quando lui si trovava ancora in metropolitana. Il post in questione rinviava ad un articolo del New York Bulletin, dove il giornalista di turno speculava su una seconda invasione aliena a New York definendo “astronave” la ciambella volante apparsa sopra Bleeker Street due giorni prima, a differenza del Daily Bugle che aveva preteso di placare gli animi delle masse descrivendo la navicella come un drone particolarmente elaborato di produzione Stark Industries.

“Invasione aliena” diventa un mantra da ripetere ad oltranza nella mente di Tommy, realizzando con orrore crescente che la famiglia Jackson non è stata la sola a venire cancellata via dall’esistenza, mentre urla e latrati di cani e gatti si levano dagli usci dell’intero vicinato, chiedendo con grida sempre più esasperate chi è rimasto e se c’è qualcuno a cui chiedere aiuto… ed i piedi di Thomas tornano sullo skate prima che il suo cervello inceppato detti l’impulso, non tanto per correre a casa e scoprire il destino dei suoi genitori adottivi, ma per soddisfare l’impellente bisogno di darsi alla fuga dal luogo del misfatto.

La porta di casa sbatte contro il muro, restituendo un eco assordante che si propaga per un altro paio di volte prima di scemare nel silenzio più assoluto, mentre il cuore di Tommy inizia a pompare adrenalina convertendola in panico quando non vede i genitori da nessuna parte, iniziando ad urlare i loro nomi nella speranza di ricevere in cambio una risposta, cercandoli frenetico in ogni angolo della casa con risultati nulli. Il sangue pulsa sempre più veloce nelle sue vene, levando un canto disperato che scardina ogni legge del buonsenso continuando ad urlare "mamma" e "papà" fino a perdere il fiato, raggiungendo un punto di non ritorno spalancando definitivamente i cancelli della paura – atavica, indomita, elettrica

«Mamma!» urla la propria voce al piano superiore, spingendo Thomas a bloccarsi sul posto studiando confuso le mura dello scantinato, respirando aria statica che gli fa prudere il naso e gli rizza i corti capelli biondi sulla nuca, abbassando lo sguardo sui propri calzini bucati chiedendosi quando di preciso ha perso le scarpe lungo il tragitto. «Ma che…»

Tommy ritrova la scarpa sinistra in salotto e la destra in bagno al secondo piano, sollevando lo sguardo nocciola sul proprio volto riflesso allo specchio, osservando confuso i ricci biondo platino sparati in ogni direzione come se avesse appena fatto i 200 km/h a bordo di una decappottabile… e quella che sta sperimentando crede sia la stessa lucida pazzia che aveva provato di fronte allo schermo della TV tre anni prima, permettendo al flash di una saetta azzurrina di balzargli a tradimento nella mente, ripercorrendo con essa le strade acciottolate del suo paese natale prima di vederlo precipitare giù dal cielo [1]. Il fratello gemello della Strega Scarlatta era morto a Sokovia, i giornalisti dicevano che sapesse correre più veloce del vento, ma l’unica prova tangibile erano immagini di repertorio caricate su YouTube a posteriori… le stesse che aveva visto a ripetizione subito dopo i servizi TG su Ultron, quelle che avevano alimentato le chiacchiere con Billy per mesi interi – Thomas davvero non capisce, crede di star impazzendo, scendendo i diciassette gradini che lo separano dalla cucina in un secondo netto a conferma alle proprie strampalate teorie… distraendosi, ritornando con la mente ai binari iniziali quando mette piede in cucina ed avverte un fortissimo odore di gas, trovando finalmente i resti di sua madre davanti ai fornelli e quelli di suo padre sull’unica sedia scostata dal tavolo, davanti ad una copia cartacea intonsa del New York Bulletin dove scrivevano di come l’attacco a Bleeker Street fosse solo l’inizio di un qualcosa molto più grande di tutti loro. 

Il cervello di Thomas si spegne, l’ultimo neurone rimasto gli ordina di chiudere la manopola del gas e di aprire le finestre prima di far esplodere la casa e tramutarsi anch’esso in cenere, per poi aggrapparsi al davanzale respirando aria pulita a grosse boccate, il sapore della bile sul fondo della bocca ed una paura atavica che gli impedisce di fronteggiare i cumuli di resti sparsi sul pavimento in gres… mentre quell’unico neurone che gli è rimasto impazzisce di colpo, sbatacchiando contro le pareti della scatola cranica attivando diecimila allarmi diversi, ma tutti che urlano “Billy” ad accomunarli – Billy è vivo? Sta bene? Dov’è? Dev’essere spaventato a morte e Tommy non è lì con lui a proteggerlo, ad impedirgli di rinchiudersi nella sua bolla fatta di panico… perchè è più facile concentrarsi sul presunto e probabile panico crescente di William che affrontare il proprio.

Tommy tasta le tasche dei jeans cercando il cellulare, rendendosi conto di averlo perso per strada nella sua corsa rocambolesca su e giù per le scale, obbligandosi a chiudere gli occhi e raggiungere il salotto a tentoni pur di non vedere nuovamente lo scempio cosparso sul pavimento della cucina, afferrando la cornetta del fisso componendo l’unico numero che conosce a memoria… ma il telefono di Casa Kaplan squilla a vuoto, la linea si interrompe più volte di quanto sia lecito, rinunciando ad aspettare di ricevere un segnale di vita all’altro capo della cornetta, decidendo su due piedi di fare l’unica cosa che a quanto sembra gli riesce talmente bene da aver preso il sopravvento cibandosi del suo panico.

Thomas ha l’accortezza di allacciarsi per bene le Vans prima di lanciarsi in strada e correre, il mondo di colpo sembra andare a rallenty, battendo i talloni sul selciato a ritmo con il suo cuore in fibrillazione, facendo scattare istantanee vuote ad un paio di autovelox lungo il tragitto e fermandosi solamente una volta giunto davanti alla porta di casa Kaplan – vagamente a corto di fiato, i muscoli delle gambe che bruciano, gli occhi che lacrimano, i timpani lesionati che colano sangue dai padiglioni auricolari e le suole delle scarpe perse ad una altezza imprecisata nei trentasette chilometri che separano la sua casa a Springfield da quella del gemello a Manhattan. Il ronzio persistente impedisce a Thomas di concentrarsi, arrancando malfermo fino alla porta di casa Kaplan in preda alle vertigini, battendo il pugno con forza sulla superficie di legno nella speranza che qualcuno lo senta e non lo lasci lì in balia della sordità semi-completa.

Tommy quasi inciampa sui propri piedi quando Rebecca, la sua "mamma numero due", gli apre la porta di casa con le lacrime agli occhi che gli fanno temere subito il peggio, osservando confuso le labbra della donna muoversi senza però udirne il suono, basandosi sulle vibrazioni della sua gola premuta contro l’incavo del collo di Tommy per decifrare il messaggio una volta che Rebecca si solleva sulle punte dei piedi e lo trascina giù in un abbraccio stronca-fiato.

«…--liam erava--... in pens-...ro, per fort…na tu sta--...e-ne.» afferma la donna tra i singhiozzi, l’udito ovattato di Tommy che pian piano torna a collaborare, sciogliendo la presa quando capta alcune delle lettere che compongono il nome del fratello, specchiandosi negli occhi castani di Rebecca con sguardo allucinato. «Di so--...illy è di sopra.»

Non se lo fa ripetere due volte, Thomas perde ufficialmente le carcasse delle scarpe ancora ancorate ai suoi piedi mentre corre ad andatura “umana” su per le scale, spalancando la porta della camera di Billy trovandolo raggomitolato ai piedi del letto, ridotto ad una zazzera di riccioli corvini ed uno sguardo spaventato che lo spiano dalla gabbia formata dai suoi stessi arti, balzando di colpo in piedi e gettandogli le braccia al collo con la pretesa di non lasciarlo più andare, finendo entrambi sul parquet in un intrico confuso di braccia e gambe alimentato dal sollievo totalizzante di vedere la rispettiva "metà" viva, vegeta e complessivamente illesa [*].

«Sta-...e-ne.» sussurra Billy al suo orecchio, la voce roca recepita a colpi da Thomas, il ronzio ancora insistente ad assillargli i timpani. «Ho comb--...ato un ca--ino… mi… mi è suc--essa una cosa.» 

«A parte la gente dissolta in cenere?» chiede Tommy, riuscendo a percepire le proprie parole grazie al vibrato della gola, staccandosi dall'abbraccio cercando lo sguardo limpido color nocciola del fratello. 

«A parte la gente dissolta in cenere.» conferma reticente William, lo sguardo che fugge all'angolo della stanza, riportato sul viso di Tommy con un buffetto leggero sulla guancia. 

«Anche a me.» si confessa Thomas, indicando distrattamente il sangue incrostato sui lobi, spingendo Billy a sfiorargli timoroso un orecchio guardandolo preoccupato, prima di abbassarlo in contemplazione dei calzini bucati talmente ridotti male da essere cestinabili. «Cose… strane

«Tommy…» esordisce William, il panico montante che gli dilata le pupille fino all'inverosimile, illuminando il nero con una flebile scintilla azzurra. «Tu stai… "non voglio che tu stia male"

Il mondo smette di ondeggiare all'improvviso, al punto che Thomas crolla in avanti stordito nel ritornare a percepire tutti quei rumori che il ronzio copriva, sollevando lo sguardo sull'espressione di puro panico che deforma i lineamenti del fratello – Okay, lui corre veloce, William sa pronunciare gli incantesimi. È normale, esistono gli Avengers, esistono gli alieni, esiste la possibilità che loro due abbiano i superpoteri. È normale, principalmente perché in un momento come quello non c'è davvero spazio per la paura. 

Thomas agisce d'impulso agguantando le mani di Billy con la sinistra, costringendolo ad un secondo abbraccio con la mano destra premuta a forza contro la nuca, premendo prima il pollice, poi l'indice e così via fino al mignolo come faceva Nonna quando erano più piccoli e se li stringeva entrambi addosso per scacciare via la loro paura dei temporali. 

«Va tutto bene, okay?» afferma Thomas con tono di voce perentorio, scendendo con la mano tra le scapole di Billy intimandogli di respirare a ritmo con lui, dandogli il tempo continuando a premere ritmicamente i polpastrelli contro la pelle del fratello. «Stiamo bene, siamo insieme… va tutto bene, e non è un problema. Okay?» 

«Okay.» 

 

***

 

Natasha Romanov non è religiosa, aveva smesso di credere sia in Dio che a Baba Jaga più o meno nello stesso periodo, quando aveva scoperto sulla propria pelle fino a che punto poteva spingersi la crudeltà umana… ma negli ultimi venticinque giorni, che le piacesse ammetterlo a sé stessa o meno, nei momenti di dormiveglia spesi sul divano si era ingenuamente ritrovata ad invocare una divinità qualsiasi perché la guidasse con determinazione mordente ad una soluzione. Totale, parziale, marginale non le importava… era arrivata al punto di sperare in un miracolo purché le consentisse di distogliere lo sguardo dagli schermi in costante aggiornamento, i quali riportavano giornalmente con massacrante puntualità i registri dei censimenti, facendo lievitare il numero dei Dissolti ad una cifra che le rivoltava sempre di più lo stomaco di ora in ora. 

Trovare il Giardino si rivela inutile, braccare Thanos pure… ed alla fine tutto ciò che le rimane è una testa mozzata, un pugno di cenere ed un mare di disperazione. 

Natasha semplicemente non ce la fa a fronteggiare lo sguardo di Tony quando rimettono piede sulla Terra, ma ciò non le impedisce di vedere la curva tesa delle sue labbra irrigidirsi ancora di più ed ingoiare un groppo in gola collettivo che tutti speravano invano di sciogliere… e forse sarà infantile, ma girare i tacchi di fronte alle proprie responsabilità mancate e scappare dai propri fallimenti infranti sul pavimento come schegge di vetro acuminate è la sensazione più liberatoria che Natasha abbia mai provato negli ultimi ventisette giorni da miserabile reietta. 

Una campana che avverte solo lei nella propria testa batte una condanna autoinflitta, fugge dalla mano timida di Steve che si allunga nella sua direzione in cerca di reciproco conforto, scegliendo per una volta i propri cocci invece di quelli degli altri – scappa, si lascia alle spalle musi lunghi ed urla pacate, alimentate da una disperazione profonda quanto l'oceano di lacrime che lei per prima aveva ostinatamente trattenuto di fronte al suo pubblico durante il viaggio di ritorno… perché il dolore che prova è una scheggia di adamantio incastonata irreversibilmente nel suo cuore fatto di ghiaccio, quel tipo di dolore vietato agli amici e men che meno consentito alla famiglia che si era scelta e costruita – Lei è fatta di ghiaccio, i ragazzi non sono ancora andati fuori di testa perché lei è fatta di ghiaccio e tale deve rimanere. 

Natasha quasi scoppia a ridere isterica quando, una volta chiusa la porta della camera alle spalle, concede alla propria mente di assillarla con il pensiero morboso che la sua intera esistenza può riassumersi come l'insieme di scelte sbagliate in situazioni avverse e decisioni discutibili in tempistiche opinabili. 

Hai quello che hai quando ce l'hai… 

Il suo stesso dogma perde di significato, si spezza in due e marcisce incompleto sul fondo della scatola cranica, sigillando oltre il muro dell'Oblio la piccola parte di sé a cui nell'ultimo paio d'anni aveva concesso di esistere, di crescere, di evolversi nella versione migliore di sé stessa, la stessa che aveva mantenuto i suoi nervi saldi e le aveva impedito di disperarsi in precedenza… ma ora che rimangono solo ceneri e silenzio non vede alternative se non quella di lasciarsi andare, affondando nella vasca d'acqua bollente nella speranza di sciogliere il blocco di ghiaccio che le comprime il petto, liberando la scheggia di adamantio incastonata a pochi centimetri dal suo cuore permettendole di perforarlo. Natasha non è sicura di volere un cuore, se ciò significa essere sopraffatta da tutto ciò che credeva a portata di mano ed ora non può più avere. 

Hai quello che hai quando ce l'hai… e nonostante tutto, abbiamo sempre la Luna. 

Ma la Luna è un disco freddo distante anni luce a malapena visibile dietro le nuvole, illuminando d'argento i resti di ceneri insanguinate che conferiscono all'Universo morente un vago sentore di stantio, di vecchio, di polvere. 

Ciò che rimane è cenere e sangue… e Natasha si fa piccola piccola sul fondo della vasca, grattandosi via lo sporco rosso-nerastro che a quanto pare è insolubile in acqua, scorticandosi la pelle pur di smacchiare la propria coscienza dai peccati che si sono incollati sotto le proprie suole in tutti i suoi anni di dura sopravvivenza – come orfana, come Zarina mancata, come Vedova, come Vendicatrice e, soprattutto, come Natalia

La Nota Rossa ricomincia a grondare sangue implacabile, di ogni razza e colore. 







 

Note:

[*] L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] La modifica più invasiva nei background dei PG è quella attuata su William Kaplan e Thomas Shepherd, i figli di Wanda e Visione, di cui abbiamo un assaggino in "WandaVision" e che per ovvi motivi hanno trascorsi leggermente diversi da quelli cinematografici e fumettistici per fare in modo di attribuire loro 16 anni nel 2018. 

Tento di riassumervi la dinamica fumettistica canonica: Wanda si prende incinta dei gemelli grazie ad un paio di frammenti d'anima rubati inconsapevolmente a Mefisto (o Devil) e, quando quest'ultimo se ne rende conto e riassorbe i corpi fisici dei gemelli in sè, le anime dei due “traslano” nel corpo del figlio dei Kaplan e del figlio degli Shepherd. Le due "reincarnazioni" si conoscono nel vero senso della parola e si identificano come fratelli solo una volta diventati adolescenti, quando si manifestano i poteri, Billy si unisce agli YA e tutti insieme appassionatamente liberano Tommy dal Penitenziario per Mutanti quasi per sbaglio e lo "adottano" all'interno del gruppo – non ci è dato sapere se l'anima preesistente nel corpo-ospite venga distrutta o si fonda con quella dei gemelli, come si ignora il perché i due siano la copia carbone dell'altro (capelli a parte) nonostante provengano da due famiglie diverse con corredi genetici diversi. 

Ora, dopo aver appurato che quelli della Marvel si calano più di qualche acido per partorire certe idee malsane, vi spiego come ho rimaneggiato la faccenda per darle un minimo di senso, avvalendomi dell’albero genealogico della Casata di Magneto: Erik Lehnsherr (nato Magnus “Max” Eisenhardt) si è sposato con Magda, la fidanzata gitana internata ad Auschwitz con lui, che lo abbandona appena si rende conto della condotta violenta e vendicativa che assume Erik nei confronti delle SS del Campo – Magneto scoprirà che Magda era incinta dei Gemelli ai tempi della fuga quando quest’ultimi da adulti si uniscono al Hellfire Club, i quali però si presentano come Maximoff perchè la madre biologica muore poco dopo il parto e vengono affidati alla coppia di gitani da cui prendono il cognome. 

Tornando a noi, facciamo finta che Thomas e William sono orfani di madre, non hanno mai avuto un padre, sono cresciuti con Nonna Magda fino ai sette anni e sono stati adottati rispettivamente dai Shepherd e dai Kaplan alla morte di quest'ultima.

[2] Il titolo della pellicola è stato gentilmente offerto dal catalogo film visibile in “Far From Home”, mentre Emily Blunt si è seriamente litigata il ruolo della Vedova Nera con Scarlett Johansson ai tempi del lontano 2010. Ci tengo a far notare che nell’MCU i supereroi hanno la stessa risonanza mediatica di un politico o di una stella del cinema, quindi non sorprendetevi più di tanto se cito gratuitamente interviste, copertine patinate, servizi TG, merchandise, film e fumetti sul loro conto, dato che sono degli effettivi inside-joke ed easter-egg presenti nei fumetti “reali” stessi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 _ 2019 ***


CAPITOLO 2
_ 2019





 

«Torni per cena?» la voce di Isaiah è come una lama ghiacciata che trafigge Eli tra le scapole, inchiodandolo sulla soglia con le chiavi di casa ancora in mano ed un aria furtiva che gli calza addosso come un vestito troppo largo – non era bravo in quel genere di cose, a volte si chiedeva perchè si ostinasse a sfidare l’udito ipersviluppato del nonno in quel modo.

«Non lo so, dipende dall’evolversi della serata.» azzarda una scusa Eli, grattandosi nervosamente il retro della nuca rasata, vacillando con il sorriso quando incappa negli occhi neri senza fondo del nonno. «Non dire a Nana dove vado.»

«Glielo dico se torni di nuovo alle tre di notte ricoperto di lividi e con le ossa rotte… sai quali sono i patti, Elijah.» infierisce Isaiah con tono paternalistico, sorvolando sulla alzata di spalle del nipote e sospirando rassegnato davanti al suo sguardo determinato profondo quanto il proprio. «E comunque tutti questi elaborati sotterfugi sono inutili, Faith lo sa, non è stupida… e detto francamente, nessuno ti ha chiesto di farlo Eli.»

«Bobo, il mondo è andato a catafascio… io--...» Elijah tenta invano di formulare l’ennesima spiegazione, perdendo il filo della frase quando Isaiah gli volta le spalle e lo liquida con un cenno della mano, risparmiandosi dal principio una strigliata che sapevano entrambi sarebbe entrata per un orecchio ed uscita dall’altro.

«Dico solo che non sei tenuto a farlo. Vorrei risparmiare alla nonna un paio di infarti, tutto qui.» afferma Isaiah con la voce venata da una consapevolezza colpevole, la stessa che gli impediva di metterlo in castigo a discapito dei suoi diciotto anni perchè lui per primo, a quell’età, si era ingenuamente venduto per gli stessi ideali. «Almeno sai se Theodore torna per cena?»

«Gli scrivo un messaggio, gli dico di avvisare.» afferma Elijah annuendo con il capo, intascando finalmente le chiavi e chiudendosi la porta di casa alle spalle, avviandosi poi in direzione della metropolitana. 

Eli non ricorda esattamente quando ha iniziato a dare per scontate le storie di suo nonno, a smettere di credere ed interrogarsi su quei dettagli che da piccolo gli suonavano sospetti… forse aveva smesso una volta compiuti otto anni, quando sua madre gli aveva preparato una valigia e l’aveva spedito nel Bronx a vivere con i nonni materni sfruttando la scusa del suo trasferimento in Arizona, ritenendolo un cambiamento troppo radicale e convincendo Eli che inserirlo in un'altra scuola all'altro capo del Paese con il rischio di venire licenziata dopo le prime settimane di prova al nuovo impiego era un azzardo che economicamente non potevano affrontare – Elijah doveva ammettere che per un bel po' era stata una bugia convincente, ma dopo mesi di assenze diventati anni aveva dovuto ricredersi quando la nonna gli aveva detto che Sarah Gail si era risposata e che, se lui voleva, poteva portarlo fino a Phoenix per conoscere la sua sorellastra appena nata. A conti fatti sua madre non aveva avuto nemmeno il coraggio di chiamarlo di persona per avvisarlo del matrimonio, ed Elijah si era sentito in diritto di non provare nemmeno un briciolo di colpa quando si era rifiutato di conoscere Stephanie. Era stata la sua sorellastra a contattarlo una settimana dopo la Decimazione, lei ed il patrigno stavano "bene", Sarah Gail… no – Elijah si era rifiutato categoricamente di piangerla, dopotutto lui aveva ben altri problemi a cui pensare. 

Le spunte blu su whatsapp lo avvisano che Teddy ha visualizzato il messaggio, aspettando il tempo necessario all'amico per digitare una risposta, bloccando lo schermo davanti ad un abitudinario "Ceno dai Kaplan, avviso io Faith" seguito dall'emoji di un pollice in su come rafforzativo al concetto – Elijah si è ormai convinto che sia questione di giorni prima che il suo migliore amico lo prenda da parte e lo informi che lui e Billy sono diventati ufficialmente una coppia, supposizione presumibilmente corretta fondata sullo scambio sempre più frequente di sguardi con gli occhi a cuoricino quando i due non pensavano di essere visti. Il fatto che Faith avesse liberato la stanza di zio Josiah apposta per Teddy non aveva fatto altro che aumentare le occasioni di Elijah per studiare il comportamento del proprio migliore amico – l'aria trasognata, il "pin" dei messaggi a notte fonda quando Teddy si dimenticava la suoneria del cellulare accesa, le partite alla Playstation con Thomas che sempre più spesso diventano una scusa per vedere il gemello di quest'ultimo. Se la reazione di Elijah alla Decimazione era stata isolarsi, quella di Teddy si era rivelata diametralmente opposta, aggrappandosi agli amici trasformandoli in un surrogato di ciò che aveva perso, ma conservando un occhio di riguardo per Billy Eisenhardt – il quale negli ultimi mesi aveva avuto una vertiginosa escalation da simpatia, interesse, amicizia ed infine attrazione… si mangiano con gli occhi quei due, perfino i suoi nonni aspettavano il lieto annuncio ed Eli continuava tuttora a non capacitarsi della loro mentalità così aperta. 

In realtà non dovrebbe sorprendersi più di tanto, considerati tutti i tabù di famiglia che erano venuti alla luce dopo l'incidente – l'amore era facile da razionalizzare se messo a confronto con super soldati, mutanti ed alieni… a tratti era l'unico fattore rassicurante perché comune denominatore in tutte le specie. 

Elijah, prima della Decimazione, aveva sempre pensato che Isaiah fosse vecchio, ma non si era mai soffermato a calcolare una età precisa da attribuirgli – Faith era del '44, nella sua testa Bobo doveva avere solo un paio di anni in più della donna, quindi per Eli era stata una doccia gelata scoprire che i due anni che credeva in realtà erano venti. Da quel "piccolo" dettaglio in poi le deduzioni seguenti erano state orribilmente facili – l'invecchiamento rallentato, la salute di ferro, la prestanza fisica, l'insonnia cronica e la fame insaziabile… tutte caratteristiche che in Sarah Gail e zio Josiah si erano tradotte in personalità mattiniere, affamate e particolarmente atletiche. Di colpo i biglietti di auguri natalizi spediti dal Signor Grant della 1472 Broadway [1], i racconti sul 107esimo e l'apprensione per gli Accordi di Sokovia e l'attentato a Vienna avevano trovato il loro posto nel grande schema delle cose. Quando la verità gli era piovuta addosso, Elijah si era sentito tradito nel scoprire quanto poco si fidasse Bobo della sua riservatezza… assaporando il gusto dolceamaro del raziocinio disperato quando il nonno si era concesso ad una spiegazione per far fronte alla serie di "anomalie" che si erano palesate in Eli una volta dimesso dal ricovero, scoprendo finalmente cosa fosse la "Decimazione" di cui tutti parlavano, spiegandogli che dal suo punto di vista donargli un litro e mezzo di sangue dopato era meglio di vederlo morire sul tavolo operatorio. 

Il gesto amorevolmente rischioso tuttavia non cambiava la spiazzante verità di fondo: Isaiah Bradley era il Paziente Zero, l'unica cavia sopravvissuta su centinaia reclutata dall'SSR per conto del Dottor Abraham Erskine, il "fortunato" senza danni collaterali gravi, lo stesso disgraziato che era stato catalogato come "punto di svolta" in laboratorio prima di venir cancellato dai libri di storia con un accordo di riservatezza che aveva fatto in modo di insabbiare l'intero accaduto. Gli storici preferivano sorvolare sulla sfuriata di Rogers quando aveva scoperto che il suo "salto nel buio" era stato già calcolato e testato a discapito delle vite di tanti altri innocenti, vedendosi negata la richiesta di un posto negli Howlings Commando per Isaiah dal Colonnello Philips in persona per timore che qualcuno di "non convenzionale" potesse oscurare il Capitano – Azzano, da quel punto di vista, era stata un ottima scusa per congedare il Soldato Semplice Bradley ed il restante 107esimo reggimento senza troppo clamore ed Isaiah, più per sopravvivenza ad un mondo che palesemente gli remava contro che altro, aveva assecondato gli ordini del Colonnello ed aveva fatto in modo di far perdere le proprie tracce a chiunque osasse cercarlo. 

I reali termini del congedo, quelli intuibili e mai messi per iscritto, avevano incattivito Isaiah in modi che Elijah capiva fin troppo bene… ma qualcuno con le sue attuali capacità era in dovere di far qualcosa, soprattutto se Spidey e soci erano spariti dalla circolazione – Bobo si era convinto che il nipote non si rendeva davvero conto di cosa comportava fare da vigilante lungo le strade della Grande Mela, ma dopo la Decimazione Eli aveva trovato una vera e propria ragione di esistere nel riempire i vuoti lasciati dalla cenere, raddrizzando torti di ogni genere. Elijah in quei mesi aveva imparato a tirare dritto senza porsi interrogativi esistenziali, convincendosi che ciò che faceva era qualcosa di necessario – per lui, per gli sconosciuti, per riequilibrare la bilancia cosmica –, crogiolandosi nell'illusione che il mondo fosse pronto per accogliere a braccia aperte e farsi aiutare da un… – Capitan America gli sembra utopico –… un "Bucky" che non fosse bianco, adulto e con un certo tipo di esperienza alle spalle. Ne ha bisogno, il resto sono solo chiacchiere. 

Forse se Eli fosse davvero convinto delle proprie illusioni non uscirebbe di casa con un passamontagna in tasca da usare come maschera nel momento del bisogno, non si getterebbe in situazioni ingestibili che prevedevano una denuncia anonima al 911 per il proprio operato eseguito con successo, fruttandogli collateralmente parecchie contusioni e qualche osso rotto riparato nel giro di una lunga dormita ristoratrice. Forse, ad essere davvero convinto delle proprie azioni, troverebbe il coraggio di parlarne con Nana ed opporsi a Bobo, confessandogli che il suo idolo non è mai stato Rogers ma Isaiah stesso… ma con i "forse" Elijah non va proprio da nessuna parte, anzi, si perde in un bicchiere d'acqua mentre cerca di spingere in avanti da solo un mondo arenato in dune grigiastre. 

 

***

 

«Sei sicuro che sia una buona idea?» chiede Elijah titubante, scoccandogli uno sguardo in tralice che dà ancora spazio ad un ripensamento. 

«Da qualche parte dovremo pur cominciare, no?» sospira Theodore sciogliendo la presa di ferro intorno alle chiavi della propria Volvo scassata che tiene in mano, rilasciando la tensione avvertendo il leggero pizzicore del segno rossastro inciso sul palmo, staccandosi dalla portiera dell'auto a cui è puntellato con un colpo di reni, avviandosi a passo deciso verso la porta della sua "prossimamente ex" casa. 

Teddy non varca la soglia della propria abitazione da un anno e mezzo ormai, da quando Isaiah era giunto a raccoglierlo dal pavimento e se l'era trascinato in ospedale – Theodore aveva passato interi giorni in sala d'attesa rifiutandosi di lasciare il capezzale di Elijah, cedendo al pianto quando il proprio migliore amico aveva inspiegabilmente aperto gli occhi per puro miracolo, autoproclamandosi sua personale guardia del corpo per tutto il periodo della degenza. Faith gli aveva liberato la vecchia stanza di Josiah comandando a bacchetta Isaiah, implacabile nonostante la gamba interamente ingessata ed il tutore al braccio, coordinando anche l'astellimento degli spazi quando l'uomo aveva chiesto a Teddy le chiavi di casa e si era incaricato personalmente del trasloco, come se quella serie di gentilezze fossero la prassi più naturale al mondo – era stato sempre Isaiah a raccogliere le ceneri di Anelle e prendere accordi con gli agenti del Damage Control, organizzando la veglia funebre e procurandosi i documenti necessari per impedire a Teddy di venir smistato in uno dei tanti centri accoglienza per orfani spuntati come funghi dopo la Decimazione, proteggendolo sotto il tetto sicuro di Casa Bradley. 

Teddy aveva apprezzato infinitamente il fatto che il giorno dell'inaugurazione del Memoriale di New York erano tutti e tre presenti al suo fianco, Eli gli aveva pure restituito il favore come guardia del corpo reggendolo in piedi quando era giunto il momento di rintracciare i gemelli Eisenhardt tra la bolgia, convincendo la solitaria Signora Kaplan ad unirsi a loro per una cioccolata calda, spezzando la tensione della giornata fin troppo carica di condoglianze di circostanza – la conversazione titubante davanti alla bevanda ci aveva messo un po' ad ingranare, sbloccandosi gradualmente quando William aveva preso coraggio puntando il dito sull'espressione tesa dipinta sul volto di Rogers, che in cima al palco vicino al Sindaco sembrava dimostrare tutti gli anni che si portava effettivamente sulle spalle, seguito a ruota dall'osservazione di Elijah in merito alle mani di Stark irrequiete che si allentavano ritmicamente i polsini della camicia con discrezione per tutta la durata della cerimonia, sedando un malcelato impulso di darsi alla fuga senza guardarsi indietro nemmeno una volta, entrambi sorvegliati a vista rispettivamente da Romanov e Rhodes per garantire il proseguimento della commemorazione senza intoppi non richiesti. Parlare degli Avengers in quei termini aveva sempre un ché di triste e deprimente, scoprirli umani era stata una bella batosta per tutta la metà di popolazione mondiale rimasta… anche se Teddy, nel vederli abbattuti, si era sentito meglio nel saperli tutti nella stessa barca – non aveva avuto il coraggio di esprimere il proprio pensiero ad alta voce, ma aveva il vago sentore che per chiunque altro il sentimento predominante fosse lo stesso. 

«Va bene, allora iniziamo.» concede Elijah seguendolo a ruota lungo il vialetto di entrata, con lo scotch per pacchi e gli scatoloni componibili sotto braccio. 

Teddy scosta il portoncino per dar spazio di manovra all'amico, soffermandosi ad osservare la polvere che ricopre i mobili, strofinandosi il naso irritato dal pulviscolo e dall'odore da chiuso… e la situazione è tosta, assopendo l'istinto di darsela a gambe, focalizzandosi sullo sguardo incerto di Eli che lo studia in silenzio a qualche metro di distanza. 

«Sai che non ti obbliga nessuno, vero? Possiamo tornare a casa e tornare quando ti senti… pronto.» si offre nuovamente Elijah, posando gli scatoloni a terra, annuendo al cenno della mano di Teddy quando declina l'offerta. «Va bene, come vuoi… come ci organizziamo?» 

Theodore lo osserva vacuo, dando voce al pilota automatico che suggerisce un "sono aperto a suggerimenti" incolore, ritrovandosi in mano uno scatolone e portando i propri piedi in salotto seguendo le direttive di Elijah, iniziando a riporre i libri disposti negli scaffali nella scatola – come inizio non è malvagio, la libreria è una modifica talmente marginale da essere catalogata dal suo cervello come transitoria. 

Era stata una idea di Faith quella di svuotare la propria abitazione trasformando l'azione in una elaborazione del lutto fisica, risparmiando sulla ditta di traslochi prima di mettere la casa in vendita all'asta, proposta subito appoggiata da Isaiah, il quale aveva rilanciato con il suggerimento di investire i soldi, fino a quel momento devoluti all'affitto dell'immobile, in un box magazzino dove accatastare tutti gli oggetti che Teddy desiderava tenere, risparmiandogli il cruccio di dover decidere troppe cose in un momento solo – Elijah, d'altro canto, si era limitato a ricordargli che il mercoledì era il suo pomeriggio libero dagli impegni scolastici di ogni tipo, rendendo implicita la sua ovvia partecipazione alla dinamica. 

«Ma tu sei davvero sicuro di non avere nient'altro di meglio da fare? Ci diplomiamo tra meno di un mese, non hai niente da studiare?» chiede Theodore a bruciapelo al terzo mercoledì di fila in cui Elijah sale sul sedile del passeggero, le chiavi del box magazzino in tasca ed altri scatoloni componibili stivati nel bagagliaio. 

«Ted, sei il mio migliore amico. Il mio unico amico.» ribatte spigliato Elijah con sguardo color ebano, allacciandosi la cintura ed intrecciando le mani in grembo. «Se non lo faccio per te, per chi altro dovrei farlo?» 

La domanda retorica si riversa su Theodore con lo stesso sconcerto di una doccia gelata, accantonando a forza il quesito morboso sul come trascorresse davvero il tempo libero Elijah quando non era in sua compagnia – sa che Faith era preoccupata per il nipote, temeva che Eli non socializzasse abbastanza, a discapito dell'impegno scolastico e i turni al bar per raccattare qualche spicciolo, o le occasionali serate in cui Teddy lo trascinava a forza dai gemelli per una partita alla Playstation, un binge-watching su Netflix o una pizza. 

«Giusto, chissà perché me lo chiedo.» cerca di sdrammatizzare Theodore, girando la chiave nel quadrante della Volvo avviando il motore, sorvolando sulla tensione latente che irrigidisce le spalle di Eli nel sentire il brontolio dell'auto in funzione. «Piuttosto, quand'è che ti decidi a riprendere in mano la macchina?»

«La metropolitana è una scelta pratica ed ecosostenibile.» sorride sfrontato l'amico, scrollando le spalle con noncuranza ed evitando a piè pari l'implicita frecciatina al fatto che dopo l'incidente l'auto di Faith era finita dal rottamatore ed Eli aveva opportunamente perso la patente "in giro".

Theodore rinuncia in partenza alla discussione, liquidando l'argomento con un cenno della mano prima di portarla sul retro del poggiatesta di Elijah, inserendo la retromarcia ed uscendo dal garage. 

Il pomeriggio trascorre lento, scandito dai viaggi su e giù per le scale per depositare gli scatoloni nel bagagliaio, stivando oggetti di ogni tipo – vestiti, soprammobili, libri, fotografie, le calamite appese al frigo raffiguranti tutti i luoghi visitati da Anelle per lavoro –, sbiadendo l'ombra del lutto nel semplice gesto di spostare gli averi da un luogo ad un altro, inscatolando ed etichettando con essi anche quei sentimenti che fino a quel momento erano creduti incomprensibili. 

«Ehi Ted, puoi venire qui un attimo?» Theodore si sente chiamare da Elijah, scendendo dalla sedia usata per raggiungere la mensola più alta nella cabina armadio di Anelle, sporgendosi oltre la soglia dello studio di sua madre, individuando l'amico davanti lo scaffale principale con uno scatolone vuoto a fianco, steso sul pavimento sommerso da taccuini e fascicoli di ogni tipo. «Stavo dividendo i taccuini per tipo ed argomento, ma certi sono scritti in… arabo? Tua madre parlava anche l'arabo?» 

«Non ne ho idea, può essere… lavora-... lavorava per l'ufficio esteri.» corregge il tiro Teddy, accartocciando la lingua contro il palato nel obbligarsi a coniugare il tempo verbale al passato, allungando una mano verso il fascicolo tra le mani di Elijah. «Dà qua, fa vedere.»

Il respiro di Theodore si interrompe di colpo, riconoscendo la lingua Skrull nei caratteri stampati, sollevando allarmato lo sguardo sullo scaffale ricolmo di verbali in alfabeto alieno riguardanti tutte le Missioni terminate da Anelle – evidentemente un comune hard disk di backup era troppo complesso, avrebbe dovuto immaginare che sua madre ne teneva una copia cartacea in casa per ogni evenienza. 

«Eli… lascia stare, di questi me ne occupo io che-...» esordisce con titubanza Teddy, avanzando con forse troppa precipitosità verso lo scatolone ai piedi di Elijah, attirandosi addosso uno sguardo carico di sospetto. 

«… che tu sai l'arabo? Dai, fammi-...» conclude Eli al suo posto con un sorriso ironico impresso sulle labbra, congelando i lineamenti all'improvviso quanto posa lo sguardo sulla carta intestata del primo fascicolo che prende in mano, ancora intestardito a rendersi utile e riconoscendo malauguratamente il logo dello SWORD sulla cima del foglio, iniziando a boccheggiare a vuoto gettando Theodore nel panico, il quale si precipita a strappargli via dalle mani il plico di documenti con violenza finendo addosso alla mensola adiacente, seminando sul pavimento i portafoto con un fragore di vetri infranti assordante. «Ted…?»

«Non è successo niente.» arranca una scusa Theodore, inginocchiandosi tra le schegge di vetro iniziando a raccoglierle, pretendendo di ignorare la scoperta con ottusa convinzione nonostante il danno fosse ormai fatto, ferendosi un palmo nella foga che spilla macchie di sangue nerastro. «Merda.»

«Ti sei tagliato? Fammi dare un’occhiata…» si fa avanti Eli sporgendosi nella sua direzione, spalancando lo sguardo allarmato quando nota il colore insolito del sangue che cola dalle dita dell'amico, scorgendo una trasparenza verdastra nella pelle sfregiata che pian piano inizia a rimarginarsi autonomamente. «Theodore…» 

Teddy, invece di arrancare una scusa o tentare una articolata spiegazione, si ritrova ad iperventilare, spaventato dalla possibile reazione di Eli nel scoprire la sua vera natura – Hai mantenuto il segreto per anni, non puoi aver commesso un passo falso così clamoroso… e se Elijah fugge? Se Faith e Isaiah lo sbattono fuori di casa? O peggio, se qualcuno viene a conoscenza della presenza di alieni nel Paese? L'ultima volta non l'hanno presa bene, il Congresso ha deciso di sganciare una testata nucleare su Manhattan per sbarazzarsi del problema.

«Teddy. Ehi, Theodore.» lo tranquillizza Eli portando le mani alla sua nuca, inchiodando gli occhi color ebano nelle sue iridi azzurro-verdi. «Respira, va tutto bene. Dai, uno..

Elijah inizia a contare a voce alta, arrivando alla quarantatreesima inspirazione prima di vedere il fiato di Theodore stabilizzarsi, aspettando un tempo che reputa consono prima di chiedergli gentilmente una spiegazione… e Teddy racconta, di zio Talos, di Carol Danvers e di Nick Fury, dello SWORD. Di New York, di come sua madre l'avesse portato in salvo dai Chitauri spacciandosi per una di loro, di come i geni di suo padre all'apparenza lo facessero sembrare un comune Sapiens quando in realtà non lo era. 

«Oh. Okay.» afferma infine Elijah a confessione conclusa, generando un'espressione di puro sconcerto nei lineamenti di Theodore. 

«"Okay"?» ribadisce stupito Teddy, incapace di metabolizzare il risvolto inaspettato della conversazione, scandagliando lo sguardo, la postura ed il sorriso di Eli in cerca di un qualsiasi cenno che tradisse la sua tranquillità, trovandone nessuno. «Hai sbattuto la testa, Elijah?»

«No, sto benissimo Dorrek.» ironizza Eli calcando la voce sul suo vero nome, permettendo a Teddy di vedere le sue pupille illuminarsi con una scintilla giocosa, promettendo di dargli il tormento in futuro aggiungendo "Dorrek" ai nomi detestabili con cui poteva appellarlo oltre a "Rufus". «Theodore Rufus Dorrek Altman, alla faccia dei nomi chilometrici da principe.»

«Ecco, lo sapevo… non mi piace quel nome.» replica Teddy incolore, astenendosi dal commentare la situazione. 

«Okay, scusami… ma di preciso che sai fare?» chiede Eli curioso, strabuzzando gli occhi quando la pelle ed i muscoli di Teddy si contraggono e si squagliano, riaggregandosi nella copia carbone dei connotati di Elijah. «OH mio… sei la mia copia esatta.»

«No, qualche dettaglio va sempre perso. Non mi piace cambiare forma, in modo così evidente almeno.» spiega Teddy con una scrollata di spalle, indicandosi distrattamente le iridi marrone scuro di due tonalità più chiare rispetto a quelle dell'amico e la sua fila di piercing rimasti su entrambe le orecchie invece di lasciare spazio al semplice anellino d'oro che pende dal lobo sinistro di Eli. «È ancora tutto "okay"?» 

«Lo è se smetti di parlare con la mia voce, mi metti i brividi.» ribatte Elijah aspettando pazientemente che la pelle di Teddy si schiarisca, gli rispunti la zazzera di capelli biondi sul capo e gli occhi tornino color acquamarina prima di interrogarlo con un "meglio?" incerto. «Molto… senza offesa, ma l'idea che tu possa-… indossare la mia faccia mi fa sentire a disagio.»

«La faccia di chiunque altro va bene invece?» chiede Theodore con innocenza, tastando guardingo il terreno prima di sbilanciarsi ed esporsi troppo. 

«Dovrei forse dedurre che questa non è la tua?» lo osserva confuso Elijah, indicando a spanne i suoi capelli biondi, la mascella squadrata e le spalle larghe, assottigliando lo sguardo quando il ragazzo fugge con le iridi in un'altra direzione. «Theodore

«È un concetto relativo, sai?» si stringe tra le spalle Teddy, prendendo a morsi la confessione di aver abusato delle proprie capacità dopo New York, seguendo la convinzione fuorviante che piacere alle persone fosse un scalino subito sotto al farsi degli amici… prima degli Accordi almeno, quando si era ufficialmente reso conto che i suoi cosiddetti "amici" lo prendevano in giro per il suo interesse in qualcosa che non fosse il basket o le cheerleader, iniziando a tagliare i ponti un po' con tutti e ritornando da Elijah con la coda tra le gambe quando la storia con Greg era ufficialmente trapelata tra i corridoi di scuola facendolo finire dalle stelle alle stalle nel giro di un weekend. «Una volta ci davo molto più peso, ma-…» 

«Dici, davvero?» lo interrompe Elijah, usando un tono di voce che lascia intuire come non gli avesse ancora perdonato del tutto il periodo di abbandono tra il secondo e il terzo anno di superiori. «Sono felice di sentirtelo ammettere, finalmente.»

«Eli, ne abbiamo già discusso e mi dispiace… ma io starei tentando di fare un discorso serio.» lo riprende Theodore, scrutandolo torvo fino a quando l'amico rinuncia a dar battaglia e si pone nelle condizioni di ascoltarlo. «Senti, questa è la faccia che mi piace avere, ma le mie cellule sono come creta… quindi è letteralmente solo una questione di autocontrollo.»

«E questo che vuol dire?» chiede Elijah interrogativo, corrugando la fronte nel vedere i suoi occhi cambiare colore, spostando poi l'attenzione sulla mano squamosa ed artigliata sollevata tra loro di un bel verde cangiante. 

«Vuol dire che devo giustificare visivamente la forza sovrumana.» spiega Theodore con l'ennesima scrollata di spalle, indicando distrattamente i propri muscoli definiti con gli artigli, prima di accorciarsi le unghie ad una misura umana e pettinandosi il ciuffo con le dita. «E poi alcuni trucchetti tornano utili, i miei capelli non vedono un paio di forbici da anni e la mattina non perdo tempo a radermi.»

«Quello torna effettivamente utile…» ammette Elijah riflessivo, realizzando come non aveva mai visto Theodore con un rasoio in mano a discapito dell'ultimo anno e mezzo di convivenza, liquidando la divagazione con un gesto della mano. «Comunque lo... accetto, ecco. Non è la notizia più sconvolgente che mi è capitato di sentire ultimamente.»

«Più strana di scoprire che il tuo migliore amico è un alieno?» indaga Teddy scettico inarcando un sopracciglio, puntellandosi all'indietro gravando con il peso sui palmi, seguendo Elijah con lo sguardo quando si sporge repentino a raccogliere un frammento di vetro, affettandosi un polpastrello prima che Theodore possa realizzare l'accaduto. «Eli, ma che diavolo...!»

«Hai presente Steve Rogers?» lo riprende Elijah con noncuranza, puntando il polpastrello verso l'alto lasciando che il sangue rosso vivo gli coli giù lungo il palmo fino all'avambraccio. 

«Possiamo evitare le domande ovvie, per favore? Per questo potrei sentirmi davvero offeso...» replica Theodore con espressione corrucciata, sgranando lo sguardo quando il sangue si placa da solo e l'epidermide ricomincia a rimarginarsi lasciando dietro di sé pelle intatta. «Okay. Credo… no, come?»

«Prima di iniettato a Rogers l'hanno testato su Bobo… ed è genetico, a quanto pare.» spiega spiccio Eli con tono lapidario, frugando nelle tasche dei jeans cercando un fazzoletto con cui pulirsi dal sangue. «Io ne ho semplicemente avuto una dose extra il giorno dell'incidente.» 

«Per questo non sei…?» azzarda Teddy lasciando cadere la domanda nel vuoto, indicando a spanne Eli per intero. 

«Morto? Già, per questo non sono morto.» conferma il ragazzo distrattamente, rinunciando a cercare un fazzoletto ed alzandosi per raggiungere il lavandino in bagno, aprendo l'acqua corrente per risciacquarsi. 

«Quindi ora che facciamo?» chiede Teddy seguendolo a ruota, appoggiandosi allo stipite della porta del bagno, fornendo una spiegazione al sopracciglio inarcato di Elijah. «Credo di aver finalmente capito dove sparisci fino alle tre di notte… quindi che facciamo? Ci ignoriamo, diventerò il tuo "uomo sulla sedia", facciamo squadra?» 

«Non lo so Ted, non dobbiamo deciderlo adesso.» lo liquida Elijah, tornando sui propri passi come a voler fuggire dall'argomento, bloccandosi davanti allo scaffale puntando i pugni ai fianchi prima di voltarsi nella sua direzione con un ghigno ironico dipinto sulle labbra. «Ufficio esteri, eh? Siamo in classe insieme dall'asilo, dici che non potevo arrivarci un po' prima?»

«Ne dubito.» sghignazza Theodore aprendosi finalmente in un sorriso, grattandosi il retro della nuca riflessivo, soffermandosi improvvisamente su un pensiero randomico. «Aspetta. Ma quindi quanti anni ha Isaiah?» 

«Troppi.» replica Elijah laconico, scrollando le spalle lasciando intuire che anche quello è uno degli argomenti su cui non desidera soffermarsi più di tanto. «Siamo d'accordo nel far finta di non aver mai avuto questa conversazione?» 

«Quale conversazione?» lo asseconda Teddy raccogliendo lo scatolone da terra, iniziando ad accatastare i fascicoli come se nulla fosse. 

«Appunto.»

 

[*]

 

***

 

«Ehi! C’è qualcuno in casa?!» la porta d’ingresso trema, percossa dai pugni impazienti di un ospite sconosciuto atteso da Kate sola, la quale tuttavia attende paziente seduta sulle scale che Susan o suo padre si scomodino ad aprire l’uscio al suo posto.

«Beth! Vai ad aprire?!» strepita la voce di Derek dal soggiorno, rassegnandosi a palesarsi sul corridoio d’entrata quando da lei non giunge alcuna risposta, scoccandole uno sguardo di profonda delusione mista a scetticismo. «Sei qui Elizabeth, potevi aprire la porta. Lascia stare… non stai facendo anche tardi per il tuo appuntamento?»

Kathrine non risponde, si limita ad incurvare gli angoli della bocca in un sorriso di circostanza, nascondendo la trepidante attesa nel vedere suo padre voltarsi verso la porta d'ingresso ed aprirla, ancora percossa dai pugni del loro ospite ormai spazientito ed incline a sfondarla al prossimo richiamo a vuoto – Derek la degna a malapena di uno sguardo, non si prende nemmeno la briga di interrogarsi sul trolley ed il borsone sportivo ai piedi delle scale, dello zaino sulle spalle della sua secondogenita e delle chiavi del Maggiolino viola con cui sta giochicchiando Kate nell’attesa. Forse avrebbe dovuto, si sarebbe risparmiato l’espressione di vivo sbigottimento che gli trasforma i lineamenti una volta aperto l’uscio, rivelando agli occhi dei federali la sua rabbia cieca quando Kate finalmente si alza dal gradino sul quale attendeva il segnale per la propria uscita di scena, lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita come si era ripromessa di fare da più di un anno.

Katherine lascia dietro di sé le urla, le imprecazioni e gli insulti collezionati sulle proprie spalle per quasi vent’anni, abbandona Susan alla sua reggia dorata in rovina, condanna suo padre ad un numero imbarazzante di anni in galera per tutto ciò che di fraudolento ed illegale aveva trovato nel suo ufficio il giorno in cui aveva inutilmente soccorso le ceneri di sua madre sparse sul tappeto persiano… inghiottendo a forza la rabbia ribollente che la invade nuovamente al ricordo della Commemorazione, quando sia Susan che Derek si erano dimenticati di presenziare all'Inaugurazione del Memoriale di New York, ricordando la solitudine ed il gelo che si era abbattuto su di lei come una scure, a malapena confortata dalle sole condoglianze di rito della sua analista – crede di essersi sbronzata, poi. Ne era abbastanza convinta perchè, fondamentalmente, l’ultimo ricordo che aveva della giornata erano Stark e il Capitano che voltavano le spalle alla ressa e salivano a spalle curve su una berlina nera.

Il semplice gesto di caricare il trolley ed il borsone nel bagagliaio riempiono Kate di un sollievo tale da darle le vertigini, mettendosi alla guida raggiungendo il monolocale che si è affittata vicino a West Village, scaricando i bagagli e parcheggiando l’auto prima di raggiungere a piedi l’ufficio di Rebecca Kaplan lì vicino. 

Il trasferimento – e l'implicita implosione della propria famiglia – non era stata una scelta presa a cuor leggero, ma era diventata una decisione vitale dopo la Decimazione, quando suo padre aveva iniziato a far sfoggio della sua vera natura che Eleanor negli anni aveva sempre tentato di nascondere alle figlie. Derek aveva trovato il modo di rendere il poco di convivenza effettiva esasperante, divertendosi a ripudiare Kate in ogni più piccolo ambito… di colpo la retta del college era troppo costosa, le lezioni di scherma e tiro con l’arco pure – aveva salvato il proprio arco dal raptus da casalinga disperata di Heather per puro tempismo, sopprimendo l’istinto di impalarla alla porta con una freccia quando la compagna di suo padre aveva minacciato di buttarle via tutti i suoi bersagli, obbligandola allo sport suicida della danza classica perchè “più adatto ad una ragazza dell’alta società”. Il concetto di “etichetta” ed il conseguente prestigio sposato dalla famiglia Bishop, spesso ignorato e rivoluzionato da sua madre, era tornato a soffocare Kate in modi che aveva dimenticato negli anni… ed è una vita che non vuole, soprattutto dopo aver scoperto che i soldi riciclati con cui Derek le pagava la retta alla Hawthorne Academy, gli sport extrascolastici e le sue ormai rare uscite del sabato sera derivavano dalle pasticche che quasi due anni e mezzo prima per poco non l’avevano rovinata ed uccisa.

A pensarci bene Kate aveva congelato i rapporti con Derek da molto prima, la mezza overdose e ciò che ne era seguito aveva solo atrofizzato ancora di più la situazione con lui e Susan, ma era stata la Decimazione a generare l’iceberg che ha affondato la sua famiglia – forse c’era un qualcosa di vagamente sadico nel aver sognato per mesi i notiziari che vedevano suo padre protagonista di un processo, di come il suo accordo con l’FBI le garantiva il completo anonimato e la possibilità di sparire nella folla come aveva sempre desiderato, lasciando a Susan tutti i riflettori che tanto amava e dai quali non si sarebbe potuta liberare per molto tempo… paradossalmente non c’era nemmeno il rischio che sua sorella la tirasse controvoglia in mezzo all’inghippo, da sempre portata in palmo di mano da Derek e cresciuta con l’abitudine consolidata negli anni che gli scandali andavano negati anche e soprattutto quando erano davanti agli occhi e sulla bocca di tutti. 

È ormai questione di giorni prima che Derek congeli i suoi conti e Susan inizi a definirla una “seccatura” davanti ai media, Kate conosceva i propri familiari al punto da aver già raccolto i suoi averi essenziali in due valigie, trasferito tutti i propri soldi su un nuovo conto corrente e trovato un tetto relativamente economico sotto cui vivere… il prossimo passo era cercarsi un lavoro, ma le riviste scarabocchiate sui sedili posteriori del suo Maggiolino già denunciavano la sua agguerrita volontà nel trovarsi un qualsiasi impiego con cui pagarsi l’affitto senza lapidare la propria piccola fortuna nel giro di tre mesi. Si era ripromessa di morire di freddo o di fame su un marciapiede piuttosto che tornare da suo padre con la coda tra le gambe, in quella che ormai era diventata una vera e propria questione di principio.

«Ehi, bellissima.» esclama qualcuno nel silenzio della sala d’attesa in cui Kate mette piede, spingendo la ragazza a guardarsi intorno alla ricerca della voce inopportuna che l'ha appellata, scovando una zazzera di capelli color platino e due iridi nocciola che la spiano da dietro un albo a fumetti. 

«Ehi, bellissimo.» si scopre a replicare assecondando il gioco, accomodandosi sulla prima poltroncina che si ritrova tra i piedi, stampandosi un micro sorriso sul volto tradendo una punta di curiosità davanti all'intruso dall'aria vagamente familiare. «Tu saresti…?»

«Il figlio della dottoressa.» ribatte spigliato il diretto interessato, raddrizzandosi composto sulla poltroncina abbandonando la posa stravaccata, chiudendo l'albo a fumetti sull'indice per tenersi il segno, rendendo implicito il desiderio di voler fare conversazione. «Sei una paziente nuova? Non ti ho mai vista.»

«No, sono di vecchia data… è che ho dovuto rivoluzionare la mia agenda.» si sbilancia Kate asciutta, stringendosi la borsa in grembo ed incrociando le caviglie in posa di difesa – Quello deve evitarlo, dopotutto si sta sforzando per tornare a socializzare come un normale essere umano –, sciogliendosi con un respiro profondo e tornando a posare lo sguardo sul suo interlocutore. «Mi chiamo Kate comunque, non Bellissima

Forse il complimento le è uscito come un insulto, spingendo il ragazzo a perdere lo sguardo canzonatorio realizzando la gaffe, affrettandosi a mormorare delle scuse e distogliendo l'attenzione da lei con un'espressione talmente buffa sul volto da accendere una lampadina nel cervello di Katherine, lasciando la lingua a briglia sciolta prima che il cervello possa placarla.

«Ti sei decolorato i capelli?» chiede a bruciapelo, attirandosi nuovamente le iridi nocciola del ragazzo addosso. 

«Mi confondi con William, mio fratello.» le spiega il diretto interessato, sporgendosi nella sua direzione a mano tesa con una esuberanza fin troppo esagerata per i gusti di Katherine. «Thomas, il gemello affascinante e simpatico.»

«Avrei da ridire su entrambe le cose.» ribatte la ragazza lapidaria, evitando di stringergli la mano e fulminandolo con due iridi celesti che gli intimano di rispettare i suoi spazi, sforzandosi di stamparsi un sorriso di scuse sul volto per fare ammenda – Cattiveria gratuita Katherine, non va bene. 

«Paziente di vecchia data, eh?» esordisce Thomas cercando di non lasciare morire il discorso scadendo in una domanda forse inopportuna, inciampando sul "credevo che William fosse figlio unico" di Kate, nel suo blando tentativo di rimediare alla propria indole scorbutica. 

Derek aveva preteso che Katherine iniziasse a frequentare un analista durante il periodo del divorzio dalla moglie, convinto che qualcuno di "esterno" potesse convincere la sua secondogenita che essere stato colto in flagrante a letto con una donna che non era sua madre era una motivazione ridicola per smettere di parlargli, trovando nella Dottoressa Kaplan una confidente per tutte le angherie commesse da suo padre nei suoi confronti. Era grazie al suo aiuto se aveva mantenuto dei rapporti civili con Derek per tutto il periodo dell'adolescenza, era sempre merito della Dottoressa se aveva imparato a limare alcuni lati del proprio carattere per poter scendere a compromessi con Susan… ed era stata Rebecca il primo contatto di emergenza chiamato la notte della mezza overdose, convocandola al suo capezzale per fare da scudo tra lei e suo padre. Non ha voglia di raccontarsi a Thomas, ma il ragazzo deve capirlo al volo, perché dopo la breve spiegazione sulla propria "adozione" torna a tuffare il naso nel fumetto su Scarlet Witch che aveva interrotto al suo arrivo come se quella piccola parentesi non si fosse mai verificata. 

Katherine ricorda di aver avuto paura, quella notte, così tanta che in confronto perfino la Decimazione impallidiva – Susan l'aveva bidonata all’ultimo minuto per una cena di lavoro e Kate, pur di non sprecare la serata, aveva accettato l’invito Facebook giratole da Victoria, raggiungendola ad uno dei festini organizzati dagli amici di Jeremy a Little Ukraine. Kate non sapeva esattamente chi e quando le aveva sciolto le pasticche nel Martini, ma ricordava fin troppo bene una voce che puzzava di alcol e delle mani che avevano fatto in tempo a strapparle le calze di dosso prima che dieci unghie laccate di nero intervenissero tempestive invitando il suo assalitore alla fuga. A Kate erano rimasti solamente dei ricordi fumosi sugli eventi di quella notte – capelli biondi, l'aroma di tabacco impresso sul tessuto dei sedili dell'auto, chiacchiere lacrimose incaute ed un riflesso metallico proiettato sul parabrezza –, erano state le infermiere a raccontarle che un bell'uomo aveva guidato una utilitaria grigia fino al pronto soccorso e che una donna graziosa le aveva fatto compagnia fino all'arrivo della Signora Kaplan, lasciando come unica traccia di sé un "Natalia Bar-qualcosa" scarabocchiato sul fondo del foglio dell'accettazione. Derek era arrivato tre ore più tardi, inscenando una faida in piena regola con le infermiere sostenendo che sua figlia non era stata drogata, vantando il medesimo accanimento nell'impedire a Katherine di sporgere denuncia perché l'imputato era il figlio di un suo cliente, macerando risentimento corrosivo quando Susan si era salvata dalla furia di loro padre affermando che non era la babysitter di Katherine e che non decideva lei le date delle sue cene di lavoro – la rabbia si era tramutata in furia determinata, in risentimento, in quel sentimento inconcepibile di sentirsi un pezzo di carne ridotto in silenzio… e Kate aveva goduto in silenzio quando aveva letto sul New York Bulletin dell'arresto del suo assalitore due settimane dopo il ricovero, covando il sospetto di doversi sdebitare con "Natalia" in una prossima vita in quanto fonte anonima decisiva per l’inizio del processo. 

«Katherine?» la riscuote la voce della Dottoressa Kaplan, scostandosi dalla soglia invitandola ad accomodarsi nell'ufficio, soffermandosi in sala d'attesa giusto il tempo per avvisare Thomas che la ragazza è la sua ultima paziente della giornata e poi possono tornare a casa, chiudendosi poi la porta alle spalle rivolgendole la sua completa attenzione. «Oggi è stata una buona giornata?» 

«Decisamente sì.» conferma Kate lasciandosi cadere sul divanetto, cercando lo sguardo di Rebecca per riferirle le due uniche parole che vale la pena di proferire, nascondendo in esse un non detto immenso che la Dottoressa riesce a recepire senza troppi fronzoli di contorno. «L'ho fatto. L'ho fatto… e mi sento benissimo.»

 

***

 

«Billy?» sussurra Thomas nel buio, sporgendosi oltre la sponda del letto a castello e sbirciando a testa in giù il grado di collasso del gemello.

«Che vuoi?» brontola William assonnato, disseppellendo la testa da sotto il cuscino, rigirandosi su un fianco individuando nel buio il profilo del fratello. «Che ora è?»

Tommy sparisce momentaneamente dal suo campo visivo, illuminando lo schermo del cellulare per appurare l'ora, tornando poi a testa in giù per comunicare al fratello che sono le quattro e ventisette del mattino.

«Thomas… domani mattina siamo a scuola, ed io ho compito di tedesco. Ho bisogno di dormire, per una volta che non mi assillano gli incubi.» puntualizza William innervosito, dandogli nuovamente le spalle sopprimendo uno sbadiglio. «Dormi, Bro.»

«Ormai il sonno l'ho perso… non riesco a spegnere il cervello.» arranca una scusa Thomas, rimanendo in attesa di una qualsiasi reazione da parte del gemello, mentre il sangue pian piano inizia ad andargli al cervello. 

«Conta le pecore.» commenta Billy lapidario sopprimendo un sospiro nel mentre, ricevendo una cuscinata a tradimento che gli fa scivolare dalle labbra una imprecazione in dialetto sokoviano che viene dritta dritta dal cuore. 

«Shhh, così svegli Rebecca…!» lo sgrida Thomas sottovoce, congelandosi sul posto ascoltando i micro-rumori al di là del corridoio, rilassandosi quando il russare della donna rimane invariato dopo più di trenta secondi di attesa. «Salta su.»

William, ormai sveglio, asseconda il volere del gemello arrampicandosi sul letto a castello portandosi dietro il cuscino, acclimatandosi sul fondo del materasso con il capo dal lato dei piedi e quest'ultimi seppelliti tra le coperte ai lati di Tommy. 

«Cosa c’è? Volevi compagnia?» brontola chiudendo gli occhi, aggiustando la posizione delle spalle e respirando a fondo per richiamare indietro il sonno… rinunciandoci a priori quando la luce dello schermo del kindle lo investe, portando velocemente le mani a coprirsi gli occhi. «Tommy…!»

«Taci, questo è l'unico momento in cui possiamo parlarne perché nessuno ci ascolta.» lo supplica Thomas enfatizzando sull'argomento taciuto, rifilandogli una leggera schicchera contro la coscia. 

«A meno che Mamma non abbia nascosto delle cimici qui in giro e noi non lo sappiamo.» scherza Billy a metà tra il sonno ed il cinismo, ricevendo una seconda schicchera per protesta. «Okay, va bene… cosa sto guardando?»

William abbassa lo sguardo sullo schermo del kindle abbandonando la domanda retorica a sé stessa, scorrendo le pagine del fumetto digitale sulla Strega Scarlatta con dei leggeri "tap" sul bordo dello schermo, apprendendo le nozioni che Tommy vuole fargli conoscere a forza. 

«Tu lo sai che non ho più fatto pratica, vero? L'ultima volta ti ho magicamente aggiustato i timpani per sbaglio, e anche male oserei dire, non hai più recuperato l'udito del tutto…» asserisce William con tono colpevole, muovendosi convulso sul materasso quando Tommy gli rifila una terza schicchera a tradimento. «E piantala…!»

«Io non ci sento bene perché mi ostino ad ascoltare i Van Halen a tutto volume.» lo assolve Thomas, supplicandolo con lo sguardo di dare ad entrambi una possibilità per sperimentare. «Non puoi sopprimere così un'altra parte di te.»

William si morde la lingua e lo fulmina con sguardo dardeggiante, ma Thomas non riesce proprio a farsene una colpa… negli anni Billy aveva imparato a smussare gli angoli della propria personalità per non infastidire nessuno, quando Tommy desiderava soltanto che il mondo iniziasse a guardare al gemello come l'eroe che era sempre apparso ai suoi occhi, a costo di convertire il mondo intero, a partire dal diretto interessato a colpi di indolenza e discorsetti motivazionali.

«Prima trova un posto dove farmi esercitare senza essere visti… e senza morire di freddo magari, dato che siamo ad ottobre, poi se ne può parlare.» cede Billy con un sospiro, ritrovandosi le braccia di Tommy al collo in un moto di entusiasmo esuberante. «Scollati

La tacita minaccia va a buon fine, Tommy si scusa per il contatto indesiderato e si rannicchia contro la propria porzione di letto, aspettando che William ceda nuovamente al sonno con un tenue sorriso dipinto sulle labbra… e Thomas vorrebbe sempre vederlo così: rilassato, protetto, felice. Tommy non poteva condividere ogni pensiero o azione di Billy, ma rimaneva testardamente fedele alla promessa fatta a sé stesso, a costo di mentire dipingendo un mondo rose e fiori su misura per William se ciò poteva aiutarlo a fronteggiare meglio i lunedì, i giorni di pioggia, i rientri pomeridiani in una scuola fantasma, le cene senza suo padre e l'apprensione di Rebecca trasformata in mania del controllo dopo la Decimazione. 

Per Thomas era ormai diventata un'abitudine intrinseca, vagamente dettata dal fatto di essere il "gemello maggiore" per dodici fatidici minuti, ma convertita in dogma il giorno in cui a sette anni Tommy aveva trovato Nonna Magda stesa sul pavimento della cucina – era riuscito a convincere Billy che la donna stesse dormendo fino a quando non era arrivata l'ambulanza per portare via il corpo, come era riuscito a rendere "divertente" l'anno e mezzo in orfanotrofio facendo scherzi agli altri bambini, o come si era sforzato di limitare i capricci ed incanalare positivamente l’iperattività quando i Shepherd ed i Kaplan li avevano portati in America, promettendo solennemente di farli frequentare assiduamente nonostante vivessero sotto due tetti diversi. Thomas ricordava fin troppo bene il mutismo, gli occhi spenti, la fame assente, l'aria inerte di William quando Mamma non era più tornata dall'ospedale… era stato fin troppo spaventoso, doloroso ed abrasivo, al punto da lasciare su di lui una ustione da freddo che respingeva ogni tipo di calore esterno, riflettendo e trasferendo su Billy ogni sciocchezza utile a riempire il vuoto che condannava il gemello ad un mondo troppo amplificato per un'anima così sensibile. La Decimazione, da quel punto di vista, era stata una catastrofe che andava ben oltre il conto dei “danni” a censimento concluso – i traumi, gli sfollati, i suicidi –, uno spartiacque decisivo tra il Prima e il Dopo, rivoluzionando la vita di Thomas e William in modo permanente. Il fatto che tre dei loro genitori su quattro si fossero Dissolti era stato un duro colpo, con conseguenze economiche e gestionali di un certo peso, ma il vero elemento discriminante rimaneva che Prima i gemelli potevano dar la colpa al loro essere degli emarginati per dei motivi comprensibili all'umana ignoranza, nel Dopo… i superpoteri non erano esattamente un fattore con cui solitamente si scendeva facilmente a patti, scatenando nei gemelli due reazioni diametralmente opposte. 

Se da un lato Tommy li vedeva come un movente per spiegare la sua perenne iperattività, per fare del bene, per mettersi alla prova e sentirsi valoroso quanto gli eroi che entrambi idolatrano fin da quando erano bambini, Billy invece li considerava la spinta definitiva verso l’autodistruzione – il gemello era terrorizzato di perdere il controllo, di ferire e ferirsi, tormentato ancora dagli incubi legati alla Decimazione e al proprio operato eseguito quel giorno. Thomas sa che la soluzione più ovvia era rubare l’auto a Rebecca e guidare fino all’Upstate, aveva provato a discuterne con William innumerevoli volte, ma il gemello riusciva sempre a portare in campo argomentazioni convincenti come una probabile fucilata a vista nel caso fossero riusciti ad oltrepassare i cancelli del Complesso, o il timore fondato di venir rinchiusi da qualche parte perchè ritenuti “pericolosi”... la diatriba degli Accordi di Sokovia e l’attentato a Vienna era un ricordo fin troppo fresco nella memoria di entrambi, nonostante l’ONU e i Capi di Stato di mezzo mondo avevano rinunciato ad una lista specifica in favore di un generico censimento globale.

«Tommy… sei ancora sveglio?» sussurra William di punto in bianco, chiamandolo con titubanza, come se non volesse disturbarlo ma allo stesso tempo era l'unico a cui porre determinati quesiti, nonostante fosse stato Thomas stesso a mettergli certi grilli nella testa che ora gli impedivano di dormire. «Bro...»

«Cosa c’è?» replica con gentilezza il fratello, sollevando la testa dal cuscino per poterlo fronteggiare. «Non avevamo detto di dormire?»

«Sì… ma devo chiederti una cosa, prima.» asserisce Billy, aspettando un cenno fisico o verbale da parte di Tommy per poter proseguire. «E se i poteri funzionano? Impariamo a controllarli eccetera, eccetera… poi cosa facciamo?»

«Billy… tu non hai mai provato ad usarli per un anno e mezzo, ed io ho fatto gran pochi progressi in tutto questo tempo.» lo rassicura Thomas con una scrollata di spalle, tenendo per sé il paio di furti ed un'altra manciata di azzardi che nei mesi trascorsi l'avevano tentato, servendogli occasioni irrinunciabili su un piatto d'argento offerto in slow-motion. «C’è tempo...»

«Ma io ho bisogno di un piano.» insiste William caparbio, ricambiando le schicchere ricevute in precedenza con un leggero calcio contro gli stinchi del fratello. «Se funzionano e li controlliamo, che facciamo?»

«Andiamo all’Upstate e suoniamo il campanello… Steve Rogers mi dà l’idea di una persona comprensiva, se gli spieghiamo perchè non ci siamo presentati prima.» afferma Tommy con logica ineccepibile, riferendo l’ipotesi con una naturalezza che contrasta di molto con i soggetti chiamati in causa.

«E se non li controlliamo e facciamo del male a qualcuno?» mormora Billy con un filo di voce, obbligando il proprio cervello a non fossilizzarsi su quell’ultima possibilità da incubo. «… se uccidiamo qualcuno?»

«La Vedova Nera ci darà la caccia, se il Damage Control non interviene prima.» conferma Thomas con tono lapidario, lasciando trasparire una freddezza innaturale nella voce, la stessa con cui gli Operativi dell’Agenzia avevano posto domande indiscrete su certe “anomalie” a loro e Rebecca sfruttando la scusa del censimento – dopotutto il cellulare e lo zaino di Billy erano rimasti a scuola quando lui si era smaterializzato in preda allo shock, mentre gli autovelox della loro zona avevano scattato fotografie vuote in concomitanza con l’arrivo di un Thomas trafelato a Casa Kaplan. Nulla di inspiegabile con un po’ di logica arrampicata sugli specchi, ma da quel giorno Billy aveva iniziato ad impegnarsi più del dovuto nel mantenere un “basso profilo” in ogni singola cosa che faceva, a differenza di Thomas che aveva ceduto alla tentazione più di qualche volta, biasimando la propria percezione rallentata del mondo per legittimarsi a correre e sfogare l'iperattività.

«Iniziamo a piccoli passi, okay? Evitiamo di strafare.» suggerisce Thomas dopo aver ponderato attentamente i pro e i contro della propria proposta, ricambiando il calcio leggero agli stinchi per smorzare la tensione palpabile. «Tu controlli me ed io controllo te. Ti sembra un buon piano, Bro?»

«Sì...» replica William titubante, rimuginando sull’idea appena espressa dal gemello per un paio di minuti buoni, cercando ogni possibile falla non trovandone nessuna di troppo audace o pericolosa. «Sì, mi sembra di sì.»

 

***

 

«Popcorn?» chiede Teddy di punto in bianco, mentre Billy si trova la ciotola sotto il naso e deglutisce a vuoto prima di afferrarne una manciata. 

«Grazie.» replica soprapensiero, inghiottendone un paio in velocità rischiando di farseli andare di traverso, spiando Theodore di nascosto chiedendosi se il ragazzo si fosse accorto o meno dell'inconveniente – Calmati William, state solo guardando un film. Seduti sullo stesso divano. A meno di dieci centimetri l'uno dall'altro… e sei solo stravaccato contro il fianco di Teddy, ma sono piccolissimi e trascurabilissimi dettagli. 

Era stata un'idea di Theodore quella di guardare un film, la soglia dell'attenzione di William se ne era andata a quel paese da ore, lasciando i restanti compiti di matematica abbandonati a sé stessi appena Teddy aveva annunciato di aver terminato le esercitazioni da consegnare per l'esame di fine novembre. Il fatto che Rebecca fosse ancora a lavoro, Thomas era andato a fare la spesa un paio di giorni prima portando a casa i popcorn e Netflix aveva messo "Gli ultimi Jedi" in catalogo era stata solamente una serie di fortunati eventi… condividere la ciotola si era rivelata una scelta pratica, che il divano fosse infossato verso il centro ormai era una logica conseguenza dettata dall'usura, ma era stato libero arbitrio al 101% quello di Teddy nel piazzarsi nella conca in centro e quello di Billy nel lasciarsi spingere dalla forza di gravità addosso a Theodore – tecnicamente Billy si era insaccato tra i cuscini del divano, era una pura coincidenza se la conca aveva fatto scivolare entrambi fino a farli scontrare spalla a spalla. 

«Davvero? Questo è il romanticismo partorito dagli sceneggiatori per l'ultima trilogia?» si lamenta Teddy all'improvviso gesticolando animatamente contro il televisore, puntando l'indice su un Kylo Ren infuriato per via dell'ennesimo rifiuto di Rey di passare al Lato Oscuro. «Spingerli ad ammazzarsi tra loro, ma nel frattempo girare scene al limite del cringe per far capire che "si amano troppo"?»

«Sono due anime unite nella Forza.» ribatte Billy asciutto, dispiaciuto più per aver perso l'appoggio contro la spalla di Teddy che per le opinabili scelte di trama sviluppate un po' da cani. «Come concetto regge.»

«Giusto, è tutto il resto che è un problema.» commenta irritato Teddy, il quale si era accollato l'ultimo Star Wars solo per farlo contento. «Perché lo stiamo guardando?» 

«Per completezza.» ribatte William spigliato, mordendosi la lingua chiedendosi in silenzio che genere di discussione avrebbero potuto imbastire se la scelta del film fosse ricaduta su Theodore, spezzando una lancia in suo favore chiamando in campo un argomento di suo interesse. «Ma principalmente per la CGI… non puoi dire niente contro gli effetti speciali.»

«Mh-m.» brontola Teddy in silenzio, risparmiandosi ogni tipo di frecciatina nonostante William sa di avergli appena visto ingoiare un "ma mi piacevano di più quelli vecchi con i modellini" di traverso – a volte sembrava che Theodore cercasse apposta un pretesto per bisticciare, ma dal silenzio e dall'occhiata che gli rivolge Billy crede non abbia gradito il suo cambio di posizione. «Se vuoi rimetterti come eri prima va bene, non mi davi fastidio.»

«No è che… ho bisogno di distendere la schiena, altrimenti poi quando mi alzo in piedi vedo le stelle.» William arranca una scusa improvvisata, girandosi su un fianco ed abbracciando il cuscino all'altro capo del divano, con le piante dei piedi che premono contro la coscia di Teddy in un debole invito a lasciargli spazio per distendersi – ed allontanarsi dal naso il suo profumo inebriante che lo deconcentrava dalla pellicola più di quanto fosse lecito, maledicendo Tommy in silenzio perché a forza di istigarlo Teddy si era realmente trasformato nel suo pensiero fisso. 

«Uhm… okay. Come vuoi.» replica Theodore asciutto con un sottotono vagamente dispiaciuto nella voce, nonostante Billy si autoconvince di star viaggiando troppo con la fantasia, sforzandosi inutilmente di perdersi nuovamente nel film seguendo con le iridi le luci colorate delle spade laser. 

Erano ormai tre anni che lui e Teddy si frequentavano, li aveva presentati Thomas durante una pausa pranzo quando Billy si era rifugiato al tavolo della squadra di basket pur di fuggire dagli scherzi inopportuni di John Kesler. William ricordava di aver pensato che i compagni di merenda del gemello fossero tutti dei gorilla senza cervello, ma erano meglio di niente considerata la sua situazione, preso di mira perché marchiato dall'unica colpa di avere un minimo di pensiero critico… un fattore evidentemente più imputabile del suo accento, della sua media scolastica, del conto in banca dei suoi genitori, di ritrovarsi un fratello come Thomas o il semplice essere "Billy". William, come al solito, anche in quella occasione era finito per interpretare l'asociale di turno sbocconcellando i propri sandwich in silenzio, eclissando le chiacchiere dei suoi commensali a rumore di fondo fino a quando qualcuno aveva tirato in ballo il discorso degli Accordi facendolo sentire chiamato in causa, non tanto perché fossero il frutto della sua patria natale ridotta ad un cratere dove non esisteva più la lapide di Nonna Magda, ma perché Billy era sinceramente curioso di scoprire se i gorilla sembravano stupidi o lo erano per davvero – non che a loro la sua opinione importasse o lui volesse condividerla, su quel fronte aveva già avuto una accesa discussione con Thomas, vedendo il gemello sul fronte opposto con aria catastrofista affermando che personalmente preferiva la latitanza in confronto a delle restrizioni stringenti come quelle applicate sulla Strega Scarlatta dopo l'incidente di Lagos. 

Immancabilmente i trogloditi pensavano che l'opposizione alla Firma fosse una scelta rivoluzionaria, seguendo la logica spicciola del "nessuno può dirmi che cosa fare e quando farlo"... in quel preciso istante Billy era stato molto propenso a condannare l'umanità a sé stessa su due piedi, obbligandosi a ricredersi quando una obiezione solitaria si era levata timida dal fondo del tavolo, puntando lo sguardo su quello che dopo un breve giro di convenevoli si era rivelato essere Teddy. La prima cosa che aveva pensato di lui era stata che indossava una quantità spropositata di piercing, notando con curiosità solo in un secondo momento che anche il ragazzo stava ignorando i compagni di squadra in favore dei propri scarabocchi a bordo pagina sugli spazi liberi del Daily Bugle. Teddy era stato l'unico dell'intera mandria a portare in campo l'implicazione identitaria, sottolineando che una delle possibilità che precludevano la Firma era quella di mentire sul proprio alter-ego, sollevando il giornale mostrando loro l'immagine di copertina affermando che far conoscere al mondo che "persona x" era Spiderman nel tempo libero aveva delle conseguenze non indifferenti. 

All'epoca la timidezza aveva impedito a Billy di alzarsi in piedi e dichiarare liberamente che in mezzo a tanta superficialità ce n'era almeno uno che si salvava dal suo giudizio, ma aveva avuto modo di rifarsi in seguito quando Thomas l'aveva obbligato a chiedere a Theodore di dargli qualche ripetizione in algebra dopo il mezzo scandalo che aveva sconvolto la scuola facendo terra bruciata intorno al ragazzo, lasciandosi scivolare tra i denti qualche apprezzamento gratuito per il modo di ragionare di Theodore dopo settimane di frequentazione, nei rari casi in cui non erano troppo impegnati a bisticciare per altri millemila motivi – era stimolante parlare con Teddy, a differenza di molti altri quanto ascoltava si concentrava davvero su ciò che quel qualcuno aveva da dire, facendo sfoggio di una empatia invidiabile al punto che Billy era finito per chiedersi se il ragazzo fosse capace di provare almeno una briciola di egoismo. In breve tempo quel dettaglio si era trasformato in una fissazione, divertendosi a testare la gentilezza tanto ostentata da Theodore con pacate frecciatine e preferenze assecondate, ritrovandosi ad obbligarlo ad imporsi per non far sentire Billy in colpa e così evitarsi le cose che in realtà odiava – tipo la musica troppo alta mentre guidava o le domande inopportune risposte a fatica quando non era in vena di condividere. 

A volte Billy pensava che avere Theodore nella propria vita fosse troppo bello per essere vero, peccando di negativismo spazzando via tutte le chiacchiere stimolanti e la complicità con l'evento della Decimazione… una volta appresa la morte del padre Billy aveva smesso di parlare con chiunque tranne che con Tommy, aprendosi gradualmente al resto del mondo a distanza di mesi, quando il gemello l'aveva trascinato per le orecchie fino a Casa Bradley per una pizza ed un paio di puntate del Trono di Spade con Elijah e Teddy – quest'ultimo gli aveva scritto la notte stessa, rompendo il ghiaccio per primo dopo settimane di silenzio tornando a discutere come nulla fosse su Tyrion Lannister e Casa Targaryen, finendo per spingere Billy a raccontargli di suo padre e trovando in Theodore lo stesso conforto che gli aveva dedicato Thomas nei giorni del suo auto-isolamento fisico ed emotivo… e Teddy non era obbligato a nulla di tutto ciò, semplicemente aveva un animo gentile

William era cotto a puntino ben prima di poter realizzare ed arrestare manualmente quei pensieri già trasformati in chiodi fissi, rendendosi la vita un inferno nelle settimane successive lanciando segnali a Teddy che evidentemente avevano una chiave di decriptazione diversa dalla propria, lasciandoli in balia di costanti tentennamenti estenuanti e fini a sé stessi – Come proporre di guardarsi un film insieme, per poi rifugiarsi all'angolo opposto del divano al primo ripensamento. Complimenti William, continua così, mi raccomando. 

«Okay, il finale non è poi così terribile.» afferma Theodore pensieroso appena compaiono i titoli di coda sullo schermo, la testa posata sul palmo all'altro capo del divano, voltandosi repentino in direzione di Billy quando non riceve alcuna risposta – se si era accorto di essere stato l'oggetto della sua attenzione nell'ultima mezz'ora non lo dà a vedere, attorcigliando ancora di più le viscere di William. «Quando sarebbe dovuto uscire il terzo?» 

«Otto mesi dopo la Decimazione, ma sia Abrams che Driver si sono Dissolti… tutto rinviato fino a data da destinarsi.» spiega asciutto Billy, alzandosi seduto sui cuscini pentendosene immediatamente, portandosi a meno di trenta centimetri dal viso di Theodore ed inalando una zaffata di profumo che gli fa arricciare le punte dei piedi, ritrovandosi a bocca asciutta davanti alle due aquamarine incastonate negli occhi di Teddy che lo osservano divertiti. «Che c'è?» 

«Ti è piaciuto il film?» chiede Theodore con un sorriso pericoloso ad incorniciargli le labbra, mandando Billy nella confusione più totale con un sopracciglio inarcato ad arte ed una fossetta sulla guancia. «Ti sei completamente perso l'ultima mezz'ora… c'era qualcosa meglio di Star Wars in programmazione?»

Quindi te ne sei accorto che ti stavo fissando, fantastico. 

«Può darsi...» la lingua di Billy inciampa sulle parole, ingoiando a vuoto e fremendo sul posto quando Teddy sembra prendere coraggio dalla sua mezza conferma ed accenna a muoversi nella sua direzione socchiudendo le labbra… ed il cervello di William si scollega all'istante lasciando i comandi d'emergenza all'istinto, mentre l'aria intorno a loro diventa elettrostatica ed una scarica di adrenalina gli scombussola lo stomaco mandandogli il cuore in fibrillazione, sciogliendogli la lingua e scardinando la morsa della mandibola senza riflettere. «"Baciami"

Le labbra di Teddy si incollano alle sue prima che Billy possa rendersi conto di ciò che ha fatto, mentre una scintilla azzurra illumina a giorno la sua scatola cranica riattivando il cervello per limitare i danni, uscendo dall'apnea dettata dal bacio con una scossa violenta che lo sbalza all'indietro… con la faccia sconvolta, i polmoni in fiamme ed una voglia matta di baciare Theodore una seconda volta, in un impulso tenuto forzatamente a freno mentre William si copre gli occhi con le mani per celare le fiammelle azzurre che animano le sue pupille scoppiettanti – Mesi interi di severo autocontrollo per non scatenare i poteri, e puntualmente si attivano nel momento meno opportuno… 

«Scusami, non so perché l'ho fatto.» afferma Theodore dispiaciuto dopo due secondi di silenzio densi di stupore, le mani che tremano appena e che non sa esattamente dove posare, fraintendendo il panico che traspare dai lineamenti di Billy come sconcerto per un bacio non voluto quando semmai è l'esatto contrario – E se Teddy scherzava? Se non voleva il bacio? Se è stato lui a rovinare tutto forzando qualcosa che non doveva succedere? 

«William… ehi, sono qui.» lo richiama indietro Theodore umettandosi le labbra, obbligandolo a focalizzarsi sulla sua voce, sul suo sorriso, sulle fossette che Billy desidera ardentemente baciare, decidendosi finalmente a posare le mani sulle sue ginocchia ancorandolo sul divano e riportando un brandello di calma nella sua mente caotica. «Billy, non vorrei spaventarti, ma posso baciarti di nuovo?» 

«Puoi…» replica William istintivamente, sciogliendosi come neve al sole quando Theodore si apre in un sorriso mozzafiato, prendendo l'iniziativa afferrandogli il retro della nuca con entrambe le mani ed annuendo convinto. «Puoi baciarmi tutte le volte che vuoi.» 

William è certo di non capire più niente, ma per una volta chiude gli occhi e si lascia andare… e baciare Teddy si rivela essere naturale, elettrizzante e normale come respirare – non crede di poterne più fare a meno, ma quello è un problema del prossimo futuro. 

 

***

 

«Hai cenato?» 

Natasha non si prende nemmeno il disturbo di rispondere, portandosi la sigaretta alle labbra inalando una densa boccata di fumo che le riempie lo stomaco. 

«Hai dormito stanotte?» la sua domanda centra il bersaglio, ottenendo in cambio il medesimo silenzio da parte di Steve, espirando la voluta di fumo con calma, come a voler drenare via dal proprio corpo qualunque sostanza la mantenga in vita. 

«Io posso tirare avanti con quattro ore di sonno a notte, tu non mangi da ieri sera Nat… e lo so perché ti ho obbligata.» interviene Steve dopo un tempo così lungo da sorprenderla, convinta che se ne fosse andato dopo aver puntualizzato quanto facevano pena entrambi in quel gioco che puntava all'auto-distruzione. «Nat…»

«Aggiungi un altra parola e me ne vado.» lo minaccia asciutta, puntandogli contro il mozzicone consumato con astio latente. «Non è serata.»

Steve inghiotte le sillabe a forza, girando finalmente i tacchi e lasciandola sola in terrazzo, rabbrividendo nella frescura della notte nascondendo le gambe sotto l'elastico della felpa nera… è abbastanza larga per permetterle di farlo senza rovinarla – o meglio, rovinarla più di quanto già non sia, con le macchie giallognole di candeggina, i polsini scuciti, la manica sinistra pizzicata in più punti e i cordini del cappuccio mangiucchiati. L'odore del tabacco ed il profumo della colonia di James se ne erano andati via al settimo giro in lavatrice, ma era ancora calda e morbida, quel tanto che consentiva a Natasha di chiudere gli occhi e fingere che l'ultimo anno e mezzo non si fosse mai verificato… ma purtroppo la Decimazione è un dato di fatto, e lei non può permettersi di piangersi addosso. 

Lei e Steve erano tornati al Complesso da un paio di giorni, il "tour di inaugurazioni" si era finalmente concluso nella Capitale tagliando l'ultimo nastro rosso davanti ad un cimitero di Lastre, mettendo una fine momentanea ai loro servigi per gli Stati Uniti ed accantonando il pensiero rassicurante che il resto del mondo si era rivelato un luogo più magnanimo, solo per aver scelto di non infierire sul loro operato pretendendo la loro presenza alle cerimonie di rito – Natasha dubita che Tony avrebbe potuto reggere altri insulti e sensi di colpa, come non si faceva troppe illusioni sul punto di rottura di Steve, sospirando una boccata di fumo sollevata per aver risparmiato al mondo intero lo spettacolo degradante che invece continua ad intrattenere le mura del Complesso. Avevano salutato Rhodes e Stark a Washington come da accordi, chiudendo a chiave altre due porte nel corridoio delle camerate, facendo compagnia alle altre sigillate dal giorno del trasloco dal Wakanda dopo la Decimazione. 

«Cosa vuoi, Steve?» chiede seccata Natasha a tradimento, voltandosi repentina nella sua direzione cogliendolo in flagrante mentre tallona la porta-finestra… il perché fosse incapace di lasciarla in pace è fin troppo palese, ma la donna sperava comunque invano di potersi guadagnare un po' di solitudine ora che erano finalmente tornati a "casa" – sempre se il Complesso può definirsi tale. «Il giochetto del gatto e del topo non porta da nessuna parte se ti limiti a fissarmi in silenzio.»

«È metà dicembre e fuori si gela, vieni dentro. Sul serio.» commenta Rogers asciutto, replicando alla sua solita indolenza con gentilezza, sforzandosi di appianare ogni divergenza reale o presunta pur di non vederla andare via come Natasha aveva minacciato di fare poco prima. «Per favore.»

Era carino pensare che fosse rimasto qualcuno a preoccuparsi per lei, a controllare che mangiasse, dormisse e non si fissasse in automatismi inconsci particolarmente distruttivi, soprattutto ora che il suo compito da balia era terminato – e purtroppo, per sua sfortuna, Steve negli anni di latitanza aveva imparato dove e cosa guardare per auto-rispondersi ad una domanda futile come "stai bene?". 

«Latte caldo e biscotti al cioccolato? Davvero?» chiede Natasha rientrando in cucina, puntando lo sguardo sul pacco di frollini posato sull'isola della cucina insieme alle loro tazze personali. 

«Tu sei a corto di zuccheri… io ho fame, e voglio compagnia per il mio spuntino di mezzanotte.» ribatte Steve conciso, raggiungendo il bancone e scostando uno sgabello in un invito inequivocabile, risparmiandosi la frecciatina che la accusa di non poter più andare avanti a toast ed esaurimenti nervosi. «Osi rifiutati?» 

«Sarei tentata.» commenta Natasha prendendo posto ed afferrando la propria tazza per scaldarsi le dita congelate, fulminando Steve con lo sguardo quando vede gli angoli delle sue labbra incurvarsi in un timido sorriso di vittoria. «Non fare quella faccia.»

«Non sto facendo nessuna faccia.» la sfida sfrontato prendendo posto al bancone, accaparrandosi tazza e biscotti con discreta nonchalance, rendendo implicito l'invito a seguire il suo esempio prima di arrischiare una domanda inopportuna. «Hai deciso quale sarà il nostro prossimo passo?» 

«Sei abbastanza grande per decidere qualsiasi cosa da solo, lo sai Steve?» scherza laconica, intingendo i frollini nel latte e riempiendosi la bocca per evitare di parlare, palesando che la sua concessione nel nutrirsi non implicava anche una predisposizione alle chiacchiere. 

Rogers sembra capire l'antifona, ingoiando il biscotto appena inzuppato e svicolando con lo sguardo, allungandosi ad afferrare il giornale vecchio di almeno tre settimane abbandonato lì vicino, iniziando a sfogliarlo – da quando erano tornati non parlavano molto, riempire il silenzio a forza lo rendeva solo più opprimente, soprattutto ora che erano rimasti ufficialmente in due. Il fatto che Natasha non aveva ancora deciso come e se fare ammenda in qualche modo rimanendo al Complesso non lo rendeva più facile, sempre più tentata nel seguire l'esempio di Barton e sparire dai radar – in quelle quarantotto ore di calma prima della tempesta Steve aveva avuto modo di intuirlo, ma ciò non gli aveva impedito di cercare ogni futile pretesto per farla rimanere, poco importava se le sue azioni erano mosse da bontà d'animo o dettate dall'egoismo che la voleva al suo fianco pur di non restare solo. 

«Questo è opera tua? Era uno dei nomi sulla tua lista, se non ricordo male.» interviene Steve al settimo frollino di Natasha, porgendole il giornale aperto sull'articolo di Karen Page riguardante l'arresto di Derek Bishop. 

«Come fa ad essere opera mia se fino all'altro giorno ero a Washington con te, Steve?» ribatte Natasha teorica, sopprimendo un mezzo sorriso sincero al "non lo so, tu sei multitasking" brontolato dal Capitano, leggendo tra le righe stampate la traccia di verità che ricollega la denuncia a colei che l'ha sporta. «È stata la figlia. È un risvolto… inaspettato

«Come fai ad esserne certa?» la interroga Steve confuso, inarcando un sopracciglio quando Natasha apre bocca per proferire un istintivo "come, non ricordi?" che le muore sulle labbra perché non era di ronda con lui quella notte – ad essere sinceri lei e James non erano nemmeno in servizio, si trovavano a Little Ukraine perché Natasha doveva recuperare qualche munizione extra in una delle sue case sicure e si erano trattenuti lì più del dovuto, approfittando della miracolosa assenza di terzi incomodi per godere a pieno del briciolo di privacy, trovando la ragazza sulla via di ritorno verso l'auto per mera coincidenza. 

«Conosco la ragazza, l'ho soccorsa… due anni e mezzo fa, ormai.» si riprende Natasha con una sviolinata che passa inosservata, obbligandosi a non pensare che sono trascorsi quasi tre anni da quando erano latitanti, felici e ancora tutti insieme, stringendosi in un abbraccio che scompare tra le pieghe di una felpa nera e rovinata che palesemente non è sua… e quello Steve lo nota, di solito cercava di rispettare la sua privacy, ma su certi dettagli non poteva o non voleva passarci sopra.

«Io sono qui Nat, ci sono… sono rimasto.» enfatizza Steve sporgendosi nella sua direzione, arrestandosi a metà di un tentativo di abbraccio quando intuisce che il contatto fisico non è tra i gesti benvoluti. «È meglio di niente.»

«Non dirlo come se ci stessimo facendo un favore a vicenda.» si lamenta Natasha stanca, con un tono che suggerisce il desiderio di voler seppellire nuovamente il discorso sollevato dal Capitano. 

«Non è così.» si ostina a ribadirle, dando per scontato che i suoi tentennamenti siano calcolati quando per una volta non lo sono, convincendosi di essere rimasto con lei al Complesso per solidarietà e non perché anche lui era a corto di alternative. «Hai quello che hai quando ce l'hai, giusto?» 

«Non-... non usare le mie parole contro di me.» replica Natasha piccata, accusando il colpo basso al ricordo delle sue stesse rassicurazioni espresse al termine del funerale di Peggy. «Tu non sai cosa vuol dire essere me, Steve.» 

«Allora dimmelo, parlarmene.» la supplica l'uomo, una stanchezza evidente ad inasprirgli i lineamenti mentre le sfiora un braccio, in un timido contatto volto a trascinare indietro quella parte di lei che è morta in Wakanda. «Rivoglio indietro la mia migliore amica, ne ho bisogno… quindi ti prego, non respingermi. Non ci sono telecamere, non c'è pubblico...» 

«Non è questo il punto.» ribatte Natasha asciutta allontanando la sua mano con uno scossone, chiudendo la propria mente a riccio per impedirsi di assecondare la sua richiesta – portare indietro quella parte di sé aveva un costo elevato, perché con essa riapriva le porte ad una speranza fine a sé stessa, ad un lavoro che porta a un traguardo dissolto in cenere ed a un lutto negato per mesi che ora lei teme come una chimera.

«Grazie per il latte con i biscotti, ma credo che ora andrò a dormire...» dichiara Natasha con un filo di voce, negandosi nuovamente girando i tacchi, portando a compimento la propria minaccia. 

«Natasha…» si ostina Steve a chiamarla, a trattenerla, a non permetterle di scomparire nel fantasma di sé stessa e non fare più ritorno dalle acque torbide in cui vuole annegarsi. 

«Natasha cosa, Steve? Cosa vuoi sentirti dire?! Una bugia per poter tornare a dormire la notte?» esplode infine quando la frustrazione ha la meglio sulla fuga, ritornando sui propri passi furente… cedendo alla debolezza, alla solitudine, al lutto, alle famose lacrime che si raccolgono agli angoli dei suoi occhi, alimentando la sua rabbia ribollente. «Vuoi che mi riduca in lacrime parlandoti di quanto mi manca Yelena, la mia famiglia o James? La-… la perdita fa parte del gioco, sono abituata a veder morire coloro che amo, e non è… funzionale piangerci sopra. [2]» 

«Ma se aiuta ad elaborare, a farti tornare in te, sì. Se ne senti il bisogno, ecco… è a questo che servono gli amici.» sussurra Steve tra i suoi capelli, stringendola in un abbraccio che pretende di tenerla in piedi quando lei si scioglie al contatto improvviso. «Non lo dico a nessuno se ti metti a piangere.» 

Natasha vorrebbe ribadire che non è sua intenzione cedere alle lacrime, ma ormai sta già inzuppando la maglietta di Steve per potersi tirare indietro… ed è rassicurante avere qualcuno con una testa talmente dura da ricambiare il favore e restare al suo fianco nonostante tutto, qualcuno che non si spaventi facilmente ai suoi più bassi istinti e si adatti ai suoi malumori quando si chiudeva a riccio per nascondersi e ferire il mondo a sua volta. 

«Grazie.» soffia Natasha contro il tessuto della maglietta di Steve dopo un pianto ininterrotto e liberatorio a distanza di almeno un quarto d'ora, cercando di ricomporsi con scarsi risultati. «È il massimo che avrai da me stasera.»

«È un inizio.» ribatte Steve comprensivo, posandole un bacio sulla sommità del capo. «Ora proviamo a dormire, che dici?» 

«Sai già che non ci riuscirò.» sussurra Natasha tirando su con il naso e staccandosi controvoglia dall'abbraccio, asciugandosi le guance sbrigativa con il dorso della mano. «E nemmeno tu… vai a correre o scendi in palestra?»

«La palestra è tutta tua.» le concede Steve con un cenno della mano, deviando verso il divano della sala comune recuperando una maglietta pulita spiegazzata ed una felpa abbandonate contro lo schienale, insieme al resto del bucato che una volta uscito dall'asciugatrice non aveva mai raggiunto l'armadio perché il Capitano aveva captato l'aroma del tabacco, trovandola a fumare di nascosto in terrazzo. «Compro la colazione da Starbucks quando torno da Central Park. Espresso?»

«E ciambella con la glassa al cioccolato.» aggiunge, più per abitudine che per fame. 

«Andata. Ci vediamo tra poco.»







 

Note:

[*] L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] Il "4 Times Square" (l'ex Condé Nast Building), è un grattacielo a Times Square a Midtown Manhattan situato alla 1472 Broadway tra la 42esima e la 43esima Strada Ovest. Geograficamente e fumettisticamente parlando è dove la Marvel ha piazzato la Stark Tower.

[2] Ogni headcanon, speculazione o accenno fa riferimento a quella che credo sia / potrebbe essere la trama di "Black Widow". Ci sarà un micro-sviluppo nei prossimi capitoli – rassegnatevi alla WinterWidow, almeno nel passato del MCU è esistita, altrimenti i miei due casi umani preferiti non reagirebbero in quel modo in presenza dell'altro. 


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 _ 2020 ***


CAPITOLO 3
_ 2020





 

Kate fissa il cursore lampeggiante aperto sulla pagina Word, lambriccandosi il cervello cercando uno slogan accattivante che possa invogliare la gente a contattarla, tamburellando distratta lungo il bordo del portatile scandendo i secondi sprecati alla ricerca di una buona idea. 

Sono già trascorsi ventitré lunghissimi e noiosissimi giorni da quando Jessica [1] le ha dato il benservito sbattendola fuori dalla Alias Investigation, usando la scusa del lavorare meglio da sola invece di ammettere ad alta voce che Kate aveva la tendenza ad affezionarsi troppo ai singoli casi per poter essere una brava detective – negli otto mesi intensivi trascorsi sotto la sua guida Jess le aveva insegnato ad osservare, a decifrare il mondo esterno, ad aprire porte che volevano rimanere chiuse… ma tutto il loro bel lavoro di pianificazione e ricerca andava in malora ogni qualvolta che la donna era costretta ad afferrare Kathrine per la collottola, impedendole di intervenire in prima persona portando giustizia a suon di pugni invece di limitare il loro operato a delle registrazioni o dei rullini incriminati consegnati a chi di dovere. 

Nonostante il suo stage composto da appostamenti, pedinamenti ed interrogatori si fosse concluso, Kate si era fatta un'idea abbastanza chiara su che genere di lavoro le sarebbe piaciuto fare se solo suo padre le avesse concesso di scegliere un college diverso dalla Hawthorne Academy… Jessica, da quel punto di vista, le aveva urlato dietro di iscriversi a giurisprudenza quando le aveva sbattuto la porta dell'ufficio in faccia, vantando una pacatezza che faceva ironicamente a pugni con la mezza bottiglia di Jack Daniels lasciata aperta sopra la scrivania. Katherine era tornata il mattino dopo con un espresso ed un paio di brioches al pistacchio per fare ammenda, curando la sbronza della Signora Jones come meglio poteva – forse era stata la glicemia soddisfatta a spingere Jessica ad un accordo, oppure si era semplicemente rassegnata alla testardaggine di Kate aprendo il cassetto dei casi declinati perché scomodi o troppo pericolosi, intimandole di non fare pasticci che potevano attirare l'attenzione di "persone indesiderate". Jess non era mai stata chiara se con quella oculata scelta di parole voleva riferirsi agli Avengers o ai collaboratori ancora a piede libero di Derek Bishop, ma Kate aveva incrociato le dita dietro la schiena quando le aveva promesso di non tentare di scoprirlo – non perché lo doveva a sé stessa, o perché voleva dimostrare qualcosa a suo padre o a Susan, ma perché di ragazzine messe a tacere come lei ce ne erano state fin troppe. Lo sapeva, aveva stilato una lista dettagliata con i fascicoli ritrovati nella cassaforte di famiglia, consegnandola all'Agente Knight [1] il giorno della denuncia. 

Katherine sa che in realtà l'arresto di suo padre non era dovuto al suo coraggio o al tempismo, ma era stato possibile solo perché insieme a quei due fattori si aggiungeva una Decimazione piovuta dal cielo che aveva eliminato dalla scacchiera parecchie pedine, scatenando una fuga di informazioni fatale per l'impero costruito da suo padre – per avvalorare la propria tesi Kate poteva esporre la parete della propria camera da letto, trasformata in un collage variopinto di articoli, post-it e congetture scarabocchiate su qualsiasi superficie incrollabile al muro, volto a stanare i ratti mancanti… ma per poter portare a termine la propria missione Katherine ha bisogno di altri casi, di informazioni e di muscoli per scovarli, perfettamente conscia che i documenti della sua cassaforte fornivano i traguardi di piste ormai smaterializzate, gli archivi di Jessica colmavano solo in parte le sue lacune e che una ragazza armata di pugni ed oggetti contundenti recuperati sul minuto poteva fare gran poco contro i traffici criminali di mezza città. L'accordo con l'Agente Knight aveva ancora la sua validità e Misty poteva intercedere per lei in caso di emergenza dopo oculate segnalazioni… ma rimaneva il fatto che ora, senza Jones ad indirizzarla e coprirle le spalle, Katherine è disperatamente a corto di clientela. 

«Cosa cerca la gente, Katie? Forza, concentrati.» brontola tra sé e sé, portandosi le dita alle tempie massaggiandosele nel tentativo di scacciare a forza il mal di testa montante, per poi sgranchirsi le dita schioccando le nocche, iniziando a digitare le prime righe di testo sulla tastiera man mano che il cervello inizia ad ingranare nella giusta direzione. 

 

"EROE" IN VENDITA
(non scherzo)

 
Torti corretti, Cattivi picchiati.
Nessun crimine è insignificante, nessun cattivo è imbattibile.
 

Kate sorride soddisfatta, come inizio non è per niente male. 

 

***

 

Le lettere si confondono e navigano sulla pagina alla ricerca di una cura per la stanchezza latente, spingendo il cervello di Thomas a spegnersi quando rinuncia pure a pasticciare il bordo pagina con l'evidenziatore, reclinando il capo contro lo schienale della poltrona e strofinandosi gli occhi con le dita sporche d'inchiostro per scacciare via la sonnolenza dettata dall'abbiocco. 

Tommy è esausto, la sera prima lui e Billy erano nuovamente sgattaiolati fuori di casa quando avevano avuto la certezza che Rebecca dormisse, facendo attenzione a passare inosservati mentre raggiungevano il palazzo di Bleecker Street [2]. Per assurdo era stato Billy a scovare in quella zona una vecchia biblioteca abbandonata munita di chiostro e soffitti alti dove poter esercitare i propri poteri senza pubblico, caratteristiche strutturali che al contempo permettevano a Tommy di correre in lungo e in largo senza essere visto da occhi indiscreti. I gemelli avevano consacrato il luogo come struttura idonea ai loro esperimenti "super-ricreativi" già la seconda volta che avevano messo piede al suo interno, dopo una oculata analisi di più fattori decisivi – anche se l'unico preso realmente in considerazione era che chiunque in città, a distanza di un paio d'anni, continuava a tenersi a debita distanza dal luogo dell'Attentato, influenzati dal fatto che la porzione di tetto visibile dalla facciata frontale era ancora sfondata e sul portone d'entrata era stato affisso un cartello che invitava la folla a tenersi alla larga dal perimetro del palazzo pericolante. 

I gemelli erano rientrati all'alba, si erano bevuti tre caffè a testa pur di rimanere svegli ed affrontare dignitosamente una mattinata di lezioni senza destare i sospetti di Rebecca, dei professori o dei loro compagni, perdendosi di vista prima di pranzo quando Thomas si era avviato verso lo studio della Signora Kaplan, approfittando della pausa per fermarsi a comprare un paio di sandwich lungo la strada per entrambi, come ogni altro giorno dispari della settimana. I pazienti, dopo la Decimazione, erano aumentati sensibilmente e Rebecca si era vista costretta a fare i doppi turni se voleva continuare a pagare il tetto sotto cui loro tre sopravvivevano… i gemelli si erano semplicemente adeguati, suddividendosi i giorni settimanali per assicurarsi che la donna mettesse qualcosa sotto i denti e non si dimenticasse di mangiare come il primo paio di mesi dopo la scomparsa del marito, anticipandosi con lo studio nella mezz'ora restante prima di rientrare a scuola per le lezioni del pomeriggio. 

«Tommy, le chiavi della bacheca.» lo sveglia di punto in bianco la voce di Rebecca, mettendo la testa fuori dall'ufficio quando accompagna alla porta il primo paziente del pomeriggio, lanciandogli le chiavi che Thomas ha l'accortezza di afferrare al volo, riscuotendosi dal proprio stato di torpore soporifero. 

«Per cosa? Devo cambiare gli annunci?» indaga Tommy scrutando la chiave prima di sollevare lo sguardo sulla bacheca in sughero, appesa alla parete e protetta da un pannello di vetro. «Ho appeso i flyer del FEAST e dell'orfanotrofio di St. Agnes la settimana scorsa.»

«Passa Katherine con altri volantini, devi aprirle la vetrinetta e riportare a casa le chiavi stasera.» commenta Rebecca spiccia, sistemandosi la montatura degli occhiali sul naso ed abbassando lo sguardo sulla scaletta degli appuntamenti prefissati. «Dovrebbe arrivare a minuti, credo… prima che tu riparta per tornare a scuola, in ogni caso. Il Signor Smith?»

«È arrivato in anticipo ed è sceso a prendersi un caffè al bar, vado a chiamarlo.» si offre Thomas volenteroso, alzandosi dalla poltrona ed avviandosi verso le porte dell'ascensore. «Tu torni per cena, Ma'? O devo cucinare qualcosa per me e Billy?» 

«C'è una teglia di lasagne in frigo, scalda quelle… dovrebbero bastare anche se cenate in più di due. Io mi fermo al take-away a qualche ora.» lo liquida la donna con un cenno della mano, dando per scontato che nonostante la sua assenza il posto a tavola non sarebbe rimasto vuoto, concedendosi di respirare a fondo quando le porte scorrevoli stanno per chiudersi e si illude di non essere vista dal figliastro – ci sono momenti in cui Thomas vorrebbe solo stringere la sua "mamma numero due" e non lasciarla più andare, nei rari casi in cui la sua sfera emotiva si espandeva oltre a Billy, ma rinunciava in partenza ogni volta temendo che la dimostrazione d'affetto non fosse gradita… o peggio, che Rebecca la iper-analizzasse vedendo in lui una carenza d'affetto e in lei un fallimento come madre. 

Thomas recupera il Signor Smith al piano bar, ordinandosi un caffè a sua volta per svegliarsi dallo stato comatoso da cui non è ancora uscito, trangugiandolo senza percepire alcun risultato… sobbalzando quando un indice laccato di viola gli picchietta una spalla per riscuoterlo nuovamente dalla sonnolenza. 

«Hai fatto le ore piccole, Bellissimo?» lo appella Katherine con un sorriso ironico dipinto sulle labbra, spingendo il cuore di Thomas in gola per lo spavento, voltandosi a fronteggiarla con un sorriso sornione impresso sulle labbra… e wow, i suoi occhi sembrano ancora più azzurri se indossa il mascara. [*] 

«Ehi, Bellissima.» replica a tono sciogliendo a forza il nodo alla lingua, rispondendo al gioco che lei ha iniziato per prima, scendendo dallo sgabello impallidendo di fronte alle lancette dell'orologio che gli suggeriscono di correre se non vuole perdere irrimediabilmente l'ora di letteratura, frugando nelle tasche cercando le chiavi lasciatogli da Rebecca. «Giusto in tempo… e le chiavi sono rimaste di sopra, seguimi.»

«Devi tornare a scuola?» indaga Kate curiosa, tallonandolo quando Thomas raggiunge l'ascensore e preme il tasto di chiamata. «Non hai una bella cera.»

«Parecchie ore di sonno in arretrato, nulla di preoccupante.» le spiega Tommy con una scrollata di spalle, approfittando delle pareti specchiate dell'abitacolo per scannerizzare Kate dalla punta delle all-star nere consumate fino alla montatura dorata dei rayban appesa allo scollo della maglietta. 

«Il caffè non funziona?» chiede la ragazza disinvolta, fingendo di non notare dove si siano soffermate le iridi riflesse color nocciola di Tommy, sistemandosi meglio la borsa in tela sulla spalla con nonchalance e rispondendo allo sguardo con un ghigno ironico. «I miei occhi sono almeno venti centimetri più su, Thomas. Giusto per.»

«È il caffè, non funziona. Il cervello si inceppa se non dormo.» arranca una scusa il ragazzo facendola ridere, salvandosi al "ding" dell'ascensore quando si precipita all'esterno senza fiatare, raggiungendo con ostentata nonchalance i propri averi abbandonati sulla poltrona prima di iniziare ad infilare il tutto nello zaino in fretta e furia, pregando che le punte delle proprie orecchie non siano davvero incandescenti come le percepisce. – Che figura di-... 

«Tommy, le chiavi.» la voce di Kate rapisce nuovamente la sua attenzione, sorridendo sfrontata porgendogli una mano a palmo aperto. «Dai che sei in ritardo, non abbiamo tutto il giorno.»

«Lo trovi divertente, uh?» ribatte Thomas melodrammatico, dandosi un contegno una volta issato lo zaino in spalla ed appese le cuffie al collo, giocando con le chiavi contese con fare capriccioso. «Deridere così chi soffre d'insonnia...»

«Thomas.» lo avverte Kathrine a metà tra lo spazientito e lo scherzo, reclamando il richiesto con un'occhiata inquisitoria nonostante il sorriso. 

«Noiosa. Sei noiosa, con te non si può mai fare una battuta.» si lamenta il ragazzo con più enfasi di quella necessaria, infilando la chiave nel lucchetto ed aprendo la vetrinetta. 

Dopo il loro primo incontro disastroso, lui e Katherine avevano avuto modo di incrociarsi nella sala d'attesa della Dottoressa Kaplan più volte di quelle ritenute "casuali"… a lungo andare le frecciatine si erano trasformate in simpatia, fino a quando Katherine non gli aveva chiesto esplicitamente se al prossimo incontro lui ci sarebbe stato a tenerle compagnia nei i momenti morti tra un paziente e l’altro. Per Thomas era stato fin troppo facile memorizzare gli appuntamenti della ragazza, riempiendo le sue attese di chiacchiere, porgendole un fazzoletto pulito quando all’uscita dello studio la trovava in lacrime, e ri-insegnandole a relazionarsi con il resto del mondo a piccoli passi – l’aveva portata al cinema un paio di volte, Kate gli aveva restituito il favore proponendo una uscita a quattro a Coney Island per festeggiare i primi tre mesi di relazione di Billy e Teddy, ed era sempre stato Thomas quello ad andare a recuperarle la benzina quando il Maggiolino l’aveva lasciata a piedi nel bel mezzo di un appostamento, subendosi la sfuriata di Jones quando la ragazza si era presentata all’Alias a mani vuote con una “mascotte a seguito”, come l’aveva amorevolmente definito Jessica. Katherine era l’unica persona al di fuori di Billy con cui Thomas aveva parlato dei suoi genitori, di quanto gli mancassero, di quanto volesse bene a Rebecca nonostante a volte si sentisse di troppo… e Kate, a distanza di qualche settimana, si era confidata a sua volta raccontandogli dei rapporti tesi con Susan, di come vivesse meglio senza la sua famiglia nonostante le mancasse ogni giorno, di quante volte a settimana si recava alle Lapidi per “parlare” con sua madre – la ragazza gli aveva chiesto se lui trovasse stupido che lei conversasse con una lastra di granito, ma Thomas si era limitato a rassicurarla dicendole che ognuno elaborava il lutto alla propria maniera, mordendosi la lingua continuando a tenere per sé la ninna nanna registrata cantata dalla voce melodiosa di sua madre che ascoltava ogni sera prima di andare a dormire.

Thomas non sa esattamente quando aveva capito di provare “qualcosa” per Kate, dopotutto aveva iniziato a notarlo solamente dopo le remore della ragazza in merito ad alcuni suoi comportamenti, chiedendogli direttamente se l'umorismo spiccio che le riservava serviva a far colpo su di lei o se i suoi costanti pretesti per importunarla fossero un semplice ed opinabile metodo per coltivare la loro amicizia – Tommy aveva optato per la seconda opzione e tuttora continuava testardo su quella strada, nonostante la prima ipotesi fosse un'ottima descrizione dei suoi recenti tentativi di approccio. Dopotutto era innegabile che Kate fosse una bella ragazza, come era abbastanza palese a terzi che Thomas le stava facendo il filo da più mesi di quelli considerati umanamente leciti attirandosi le battute di scherno del gemello, il quale si divertiva quasi giornalmente a ripagarlo per tutte le frecciatine subite negli anni fino a quando lui e Theodore non si erano ufficialmente messi insieme. 

«"Where do we go, now that they're gone?"... Positivo.» commenta atono Tommy leggendo a voce alta il titolo del manifesto che Kate sta appendendo al sughero con le puntine, soffermandosi a far conversazione a discapito del ritardo. 

«Sai, non tutti possono permettersi la parcella di tua madre.» replica Katherine incolore, tuffando un braccio nella borsa in tela pescando un pacco di volantini che suddivide sul tavolo sottostante. «Gli Avengers si rendono utili come possono ormai, Rogers almeno.»

«Lo tiene lui il gruppo di ascolto?» chiede Thomas curioso, scardinando le proprie convinzioni e familiarizzando a forza con l'idea che pure i Vendicatori sono dei comuni esseri umani – fragili e un po' sottotono ultimamente, sfuggevoli ai reporter accampati davanti al Complesso e per niente intenzionati a rilasciare dichiarazioni di alcun tipo. C'è chi si chiedeva se fossero ancora di una qualche utilità dopo la Decimazione, nonostante Romanov fosse apparsa in videoconferenza nei telegiornali di mezzo mondo rassicurando la popolazione mondiale in ben otto lingue diverse, recitando un numero d'emergenza lasciato in sovrimpressione e rintracciabile da Google per segnalare direttamente a loro ogni anomalia legata ai censimenti, irregolarità e inghippi provocati dalla Decimazione – la stessa inserzione era stata proferita anche dal Capitano, attecchendo maggiormente sul consenso del popolo, che della Vedova non si era mai fidato ed ancora si faceva qualche remora, preferendo affidarsi alle promesse proferite dalle labbra dell'Uomo d'America e chiudendo entrambi gli occhi di fronte alla consapevolezza che dietro alle unità dello SWORD mascherato da Damage Control ci fossero dita decisamente più precise, minute e femminili. 

«Già, facci un salto se vuoi portarti a casa un autografo.» ironizza Kate con una scrollata di capo, continuando a dargli le spalle sfilando un secondo flyer dalle risme, appendendone uno alla bacheca. 

«Quello invece che cos'è?» taglia il discorso Thomas puntando le iridi nocciola sul volantino lilla stampato a caratteri neri, non riuscendo a decifrare le parole per colpa della distanza, ma scambiandolo per un "annuncio ripetizioni" a causa del bordo inferiore ritagliato a striscioline con appuntato un numero di telefono. 

«Cerco clienti, Jones mi ha licenziata.» ribatte Katherine con una noncuranza sconfinata e palesemente ostentata. 

«Mi… dispiace?» azzarda Thomas, incerto sul come dovrebbe sentirsi al riguardo nel apprendere una notizia del genere, sapendo quanto la ragazza fosse entusiasta dell'impiego le prime volte che ne avevano parlato. 

«Non devi, collaboriamo ancora, ma mi metto in proprio. I soliti pedinamenti, più qualche lavoretto extra offerto per la stessa tariffa.» lo liquida Katherine con una scrollata di spalle, chiudendo la vetrinetta a chiave a lavoro ultimato. 

«Forte.» commenta Thomas, ritrovandosi un malloppo di volantini per tipo sotto il naso senza averli chiesti, insieme alle chiavi… e Kate gli sta sorridendo complice in un modo diverso dal solito, con gli occhi azzurrissimi cerchiati di mascara – Certo che a volte Kate si divertiva proprio a provocarlo, e chi è lui per non restituirle il favore?

«Se io ti distribuisco gratis i volantini, cosa ricevo in cambio? Un appuntamento?» indaga ironico Thomas gettando i flyer nello zaino senza degnarli di uno sguardo, beandosi delle guance rosse di Katherine mentre spalanca gli occhi azzurrissimi presa in contropiede – Ottima mossa Tom, almeno ci hai provato. 

«Un appuntamento? No!» sbotta Katherine mettendo ben in chiaro la situazione scivolando in una risatina isterica, portandosi una ciocca corvina dietro l'orecchio in vago imbarazzo per la reazione impulsiva in risposta alla sua domanda. «Ti offro la colazione, magari? O un pranzo, decidi tu.»

«Come ripiego mi piace.» si arrampica Thomas sugli specchi rimediando alla gaffe, dissimulando ad arte la delusione per aver visto le proprie possibilità di una relazione andare in fumo, aprendosi in un sorriso teso e passandosi nervoso le dita tra i ricci biondo platino. «Colazione da Starbucks? Domani mattina prima che io vada a lezione è troppo presto?»

«Non lo so? Ci organizziamo, tanto il mio numero ce l'hai.» azzarda Kate con un occhiolino, scacciando l'imbarazzo creatosi posandogli una mano sulla spalla con fare fin troppo intraprendente per una che generalmente detesta il contatto fisico, incurvando le labbra in un ghigno divertito. «A proposito di scuola, tu non stai accumulando un ritardo mostruoso, Bellissimo?» 

«Merda.» impreca Thomas sollevando il polso sinistro illuminando il fitbit, notando il ritardo e maledicendosi per non poterselo evitare in pieno giorno con uno scatto di corsa a velocità supersonica. «Ciao Bellissima, ci sentiamo dopo.» 

«Non ammazzarti per strada!» gli grida dietro Kate, sollevando gli occhi al cielo quando lo vede correre in direzione delle scale per risparmiare tempo. 

«Aww, carino che ti preoccupi Katie!» risponde a tono Thomas, perdendosi l'insulto in risposta lungo il tragitto, percorrendo le otto rampe di scale deserte in due secondi netti causandosi un capogiro a timpani scoperti ed avvertendo le lacrime salirgli agli occhi, mentre il fitbit vibra sul polso segnalando l'anomalia rilevata – Rallenta Tom, sai di non poter correre… anche se… 

«No, Thomas.» si riprende da solo costringendosi a rispettare le promesse fatte al gemello in merito al non abusare dei propri poteri per motivazioni futili, inforcando gli occhiali da sole ed indossando le cuffie, lasciando che i Muse facciano il loro lavoro martellandogli i timpani a ritmo di "Panic Station". 

Forse è la stanchezza, forse è la musica, forse è semplicemente il brivido di lasciarsi andare per una sola volta dopo mesi di severo autocontrollo… Tommy, invece di scendere le scale della metropolitana ad andatura sostenuta, si ritrova a sfrecciare lungo le stradine secondarie fino a scuola – Billy lo fissa allibito quando Thomas si ferma davanti al cortile, ma nessun altro sembra rivolgergli sguardi degni di nota. 

«Ti è andato di volta il cervello?!» esclama William rifilandogli uno scappellotto energico contro la nuca. 

«Taci… ho fatto le secondarie, non è scattato nessun autovelox.» sibila Thomas afferrando il gemello a braccetto, rassicurandolo con un sorriso. «Hai del collirio?» [3] 

Billy non ci prova nemmeno a contraddirlo, si limita a sollevare lo sguardo al cielo e recuperare la boccetta richiesta, sciogliendo la stretta quando arrivano al bivio del corridoio… tentennando, perché Thomas glielo legge negli occhi che William è dannatamente curioso. 

«730 all'ora Bro, non mi ha visto anima viva.» sussurra Thomas accendendo lo schermo del cellulare mostrandogli i risultati impazziti, con tanto di notifica che segnala un’anomalia di sistema per spiegare i dati raccolti, intascando lo smartphone e restituendo il collirio a Billy con un occhiolino. «Dopo testiamo se riesco a fare di meglio?» 

William non risponde, si limita a sollevare una mano in segno di saluto mentre getta il capo all'indietro e ride. 

Deve essere un sì. 

 

***

 

Billy fissa la lattina di Pepsi come se volesse darle fuoco con lo sguardo, concentrandosi al punto da mandare la vista fuori fase, chiudendo gli occhi stroppicciandoseli con dita stanche – dovrebbe decisamente dormire, le quaranta ore trascorse senza riposare le palpebre per mezzo minuto si facevano sentire con spiccato accanimento. 

«Dai, ti do una mano a concentrarti.» lo riscuote la voce di Thomas, percependo le sue mani arpionargli le spalle, piantandogli i pollici ai lati della cervicale sciogliendo i nodi di tensione. «Rilassati.»

William esegue il richiesto, nonostante desideri gettare la spugna… a quanto sembra saper pronunciare gli "incantesimi" era un compito più facile a dirsi che a farsi, dato che non riusciva mai a capire se la lattina che vuole far levitare non si librava in aria perché l'incantesimo non si attivava in sé, se era lui a sbagliare qualcosa, o se semplicemente non è portato [3].

«Ora focalizzati sulla lattina, visualizzala mentalmente.» sussurra Tommy inginocchiato al suo fianco sul parquet, cercando di dargli una mano, ma finendo solamente per distrarlo. 

«Sembri una di quelle voci pre-registrate stile guru… non è che a forza di ascoltarti e ripetermelo i miei poteri iniziano a funzionare miracolosamente.» commenta Billy ironico, socchiudendo un occhio e voltando la testa per spiare il fratello, mentre quest'ultimo stringe la presa sulle sue spalle perentorio e lo fulmina con le iridi nocciola. 

«Taci William, e fa quello che ti dico.» lo riprende Thomas, respirando a fondo ed aspettando paziente che il gemello si metta nell'ordine delle idee di dargli retta. «Visualizza la lattina.» 

«Okay.» sospira Billy sopprimendo una risata, serrando le palpebre con forza per osservare il buio, lasciando che le sue sinapsi sfrigolino in un contatto che illumina d'azzurro l'interno della sua scatola cranica, facendo apparire la proiezione iper dettagliata della lattina ammaccata che giace ai suoi piedi. «Ora?»

«Apri gli occhi e fissala.» sussurra Thomas con voce incoraggiante, allentando la presa alle sue spalle e soffiando al suo orecchio le parole successive. «Ora ripeti dopo di me: Io so far levitare la lattina, io voglio far levitare la lattina.» 

«"Io so far levitare la lattina, io voglio far levitare la lattina"

Il pezzo di metallo in questione traballa, come se nell'altra stanza ci fosse un orda bellicosa intenzionata a far irruzione di corsa nell'atrio in cui i gemelli si sono accampati, nonostante il parquet non vibri minimamente per motivazioni fisiche e tangibili… al punto che Tommy caccia un urlo euforico convinto di aver assistito al miracolo, Billy si deconcentra e, da in piedi, la lattina cade definitivamente e rotola via per un paio di metri. 

«L'hai mossa!» strepita Tommy sollevando le braccia sopra la testa in un gesto di esultanza, indicando poi con entrambe le mani la lattina sdraiata come a voler sottolineare l'evento inequivocabile. 

«Può essere stato il vento, Thomas.» commenta scettico William, nonostante nella stanza non ci sia nemmeno uno spiffero ed entrambi i gemelli non avevano fatto nessun tipo di movimento brusco che potenzialmente poteva causare la caduta della Pepsi. 

«No ti giuro Billy, l'hai mossa!» insiste Tommy, gli occhi spiritati che non rinunciano a credere al risultato appena compiuto, scemando velocemente l'entusiasmo quando non riscontra nessuna reazione euforica nel fratello. 

«Sarà, ma ora facciamo una pausa.» dichiara William liquidando la faccenda con una scrollata di spalle, massaggiandosi il collo prima di sdraiarsi sul pavimento, coprendosi gli occhi con la piega del gomito. «Sono sfinito.»

«Hai intenzione di addormentarti sul parquet?» indaga Thomas curioso, stendendosi al suo fianco imitando la sua posizione, ma abbandonandola iperattivo nel giro di un paio di secondi. «Come fai? Il pavimento è scomodo.»

«Taci, chiudo gli occhi solo un paio di minuti.» brontola William infastidito, aggiustando la posizione delle spalle ed obbligandosi ad ignorare il gemello per potersi illudere di riposare. 

Una volta terminate le lezioni lui e Thomas si erano fermati a mangiare un tacos per merenda prima di raggiungere Bleecker Street, chiudendosi all'interno della biblioteca per il restante pomeriggio – i gemelli avevano esplorato il posto durante il primo paio di visite e continuavano a visitarlo nei momenti di noia, ma in tutto quel tempo non avevano ancora capito che cosa fosse di preciso. I due ragazzi sapevano solo che certe porte a volte si aprivano ed altre no, a differenza di corridoi e scale che spesso e volentieri si modificavano vantando una disposizione sempre diversa degli specchi, nonostante né William né Thomas ne avevano mai spostato uno da quando avevano messo piede dentro il Palazzo.

«Tommy?» esordisce William dopo diversi minuti di silenzio inframezzati dai "tap-tap" del gemello contro lo schermo del cellulare, spostando il braccio per poterlo guardare negli occhi. «Non te l'ho più chiesto… perché eri in ritardo oggi dopo pranzo? Almeno, deduco tu fossi in ritardo…»

«Ho incontrato Kate in sala d'attesa, ha portato altri volantini. Jones l'ha licenziata e cerca lavoro.» replica Thomas asciutto, facendo spallucce senza distogliere lo sguardo dal cellulare. «Me ne ha lasciati un po' da distribuire, te ne cedo metà così mi dai una mano.»

«Quindi ora le distribuisci i volantini? Tom-... » sottolinea Billy scettico, venendo brutalmente interrotto dalla risata soffocata del fratello per un qualche messaggio letto sullo schermo, allungando una mano per afferrare la lattina vuota e tirargliela dietro. 

«Ahia! Che c'è?» chiede irritato Thomas massaggiandosi l'addome nel punto colpito, sbuffando di fronte allo sguardo fintamente innocente di William. «È Kate, ci stiamo organizzando… domani mattina andiamo a fare colazione insieme.» 

«Cosa!?» esclama Billy balzando seduto sul pavimento, sorpreso dalla reazione mogia di Thomas nel comunicargli l'ultimo risvolto del loro piano che puntava ad organizzargli una uscita con la ragazza. «Sono progressi! Perché tu non mi aggiorni mai sui tuoi progressi?» 

«Perché non ce ne sono, di progressi. Siamo solo amici, Billy.» lo smonta Tommy con rassegnata sconfitta, nonostante un microscopico sorriso faccia capolino all'angolo delle sue labbra, prendendo a morsi il resoconto della vicenda che si agita sulla punta della lingua del fratello, convertendola in un breve riassunto senza infamia e senza lode. «Mi offre del cibo per il volantinaggio, non lo definirei un “appuntamento”.» 

«Può sempre farle cambiare idea…» azzarda William con tono incoraggiante, stupendosi di come Thomas si demoralizzi facilmente nonostante l'indole spavalda con cui si approcciava solitamente al mondo. «Offrile tu la colazione ogni tanto, portarla a cena fuori-...»

«Fare in modo che mi guardi in modo diverso? Non ci sono riuscito in tutti questi mesi, figurati adesso… la conosci Katherine, andrà a finire che quello a cambiare idea sarò io.» commenta atono Thomas, intascando il telefono con Spotify in funzione collegato alle cuffie lasciate in mano a Billy, disseppellendo dal fondo dello zaino gli occhiali da aviatore recuperati da un vecchio costume di halloween, chinandosi poi ad allacciarsi meglio le Nike. «Mi cronometri?»

«Che tragitto fai?» domanda William lasciando cadere il discorso, sbloccando il cellulare aprendo la schermata del cronometro, riferendosi ai percorsi tracciati lungo il Palazzo con lo scotch colorato.

«Azzurro, trenta round.» replica Tommy spiccio, scegliendo il percorso da cinquanta chilometri, alzandosi in piedi ed iniziando ad eseguire qualche breve esercizio di stretching per riscaldarsi… bloccandosi dopo qualche piegamento quando non sopraggiunge nessuna obiezione da parte di Billy. «Non commenti?»

William vorrebbe obiettare ma sa che il gemello era più testardo di lui su certi argomenti, ben consapevole del fatto che Thomas non aveva la sua stessa indole aperta alla condivisione, specialmente per quanto riguardava le questioni amorose – se Katherine gli aveva davvero rifilato un due di picche, pur avendo tutte le ragioni del caso, Billy poteva star certo che la maschera di finta indifferenza indossata da Tommy avrebbe retto a lungo, fino a quando il gemello fosse esploso spiattellando la verità ai quattro venti o se ne fosse fatto una ragione incontrando qualcun'altra su cui fissarsi.

«Non la conosco Katherine, non bene quanto te almeno.» cede William per pietà del fratello, evitando di farlo penare più del necessario sottolineando che un paio di giri in giostra a Coney Island valevano quanto un paio di convenevoli scambiati sulla metro con uno sconosciuto, confermandogli di avere un confidente soprattutto nei momenti in cui pensava di essere solo… che i dodici minuti in più di vecchiaia lo rendevano il “gemello responsabile” su molte cose, ma non in tutto – a volte era stancante vivere sotto una campana di vetro, Billy vorrebbe solo poter prendersi cura del fratello senza che quest’ultimo si sentisse in colpa per aver osato rassicurarlo. «Dalle tempo, magari capita un miracolo.»

«Già il fatto che tu lo definisca “miracolo” non mi fa ben sperare...» ironizza Thomas ottenendo un’occhiata sbilenca da parte di William, il quale chiude il discorso al posto suo porgendogli le cuffie bluetooth, le quali non hanno mai smesso di diffondere musica spacca-timpani ovattata per tutta la durata della loro conversazione.

«Sta zitto e corrici sopra, va’.»

 

***

 

Quando Teddy si intrufola oltre il portone del Palazzo a Bleeker Street per poco non pesta la linea di scotch azzurro incollata alle assi del pavimento, avvertendo uno spostamento d’aria che gli scompiglia i capelli e notando con la coda dell’occhio un alone colorato rallentare, il quale assume le vaghe sembianze di Thomas quando scivola sulla catena del lampadario appeso al soffitto e rotola giù lungo la parete con un tonfo.

«Se perdi velocità quando sei a testa in giù ti schianti, Bro!» giunge la voce di William dall’altra stanza, sentendo i suoi passi correre sulla soglia che si affaccia al corridoio d’entrata, controllando ogni angolo cercando e trovando la carcassa tramortita del gemello stesa sul pavimento. «Stai bene?»

Thomas si limita a sollevare un pollice in su, raggomitolandosi su se stesso prendendo atto delle contusioni riportate senza emettere un suono, iniziando a stiracchiarsi pian piano controllando di non essersi strappato qualche muscolo nel capitombolo.

«Avrei dovuto bussare, vero?» chiede timido Theodore, grattandosi nervosamente la nuca e calamitandosi addosso lo sguardo nocciola di Billy, il quale si apre in un sorriso e gli cammina incontro roteando gli occhi. «Bae.»

«Hon.» lo appella William prima di sollevarsi sulle punte e rubargli un bacio, cingendogli i fianchi cercando una coccola aggiuntiva, distraendosi quando Thomas si rimette in piedi stendendo le braccia sopra la testa e facendosi scricchiolare sonoramente un paio di ossa. «Sicuro di stare bene, Tommy?»

«Ho la testa dura Bro, non preoccuparti.» afferma Thomas con noncuranza, sollevando il capo in un cenno di saluto quando nota l'intruso a ridosso della soglia. «Ehi, Ted… per fortuna sei una stanga e sei facile da schivare, dico bene?»

«Presumo di sì?» tentenna Theodore lasciando cadere la domanda retorica nel vuoto, ringraziando la sua buona stella e la maniacalità di Thomas nell'aver sempre il controllo della situazione mentre correva per non essersi ridotto ad interiora dipinte sul muro. «Sicuro di stare bene?»

Thomas, in tutta risposta, sbuffa e liquida entrambi sulla soglia con un cenno sbrigativo della mano, lasciandoli soli scomparendo nell’altra stanza per fuggire dalla loro apprensione e da eventuali smancerie da voltastomaco, uscendo di scena con un verso svogliato che si perde per strada.

«Giornata no?» indaga Theodore cauto riferendosi a Thomas con un lieve cenno del capo, chinandosi poi a ricambiare il bacio di William in segno di saluto.

«Sembrerebbe che Kate gli ha rifilato un due di picche senza volerlo, sta facendo finta che la cosa non gli importi.» confessa Billy sussurrandogli il pettegolezzo all’orecchio, venendo interrotto da un “tanto vi sento che state parlando di me!” urlato dal diretto interessato, che per lamentarsi giornalmente di essere diventato mezzo sordo vantava un radar di ultima generazione per percepire le calunnie sussurrate alle proprie spalle. «Sì… giornata nera, in parole povere.»

«Capito.» mormora Teddy in assenso, notando le occhiaie sul volto di Billy in un secondo momento, afferrandolo per il passante dei jeans quando il ragazzo prova a divincolarsi e fuggire dal suo sguardo improvvisamente serio. «Eravate qui anche stanotte? Lo sai che hai bisogno di dormire, William.»

«Dormirò quando sarò morto.» lo placa Billy con un tono che non ammette repliche, lo stesso che suggerisce a Teddy la presenza di incubi nella notte appena trascorsa e lo stratagemma di Tommy per scacciarli, trascinando il gemello ad esercitarsi nella speranza che la mente si stancasse insieme al corpo. Evidentemente non aveva funzionato. 

«Incubi, Bee?» azzarda Theodore in punta di voce, rincorrendo il ragazzo nella stanza accanto, rispondendosi da solo quando lo vede afferrare il quaderno abbandonato a terra ed il cronometro pretendendo di ignorarlo. «Billy…»

«Non ora, Tee.» lo zittisce il diretto interessato, incattivito dalla mancanza di riposo ed infastidito dalla sua apprensione, rivolgendosi a Thomas chiudendo definitivamente il discorso. «Ricominciamo, Tommy?» 

«Credevo non me l'avresti mai chiesto.» brontola il gemello nonostante incurvi le labbra in un sorriso, posizionandosi alla linea di partenza segnalata con lo scotch giallo, indicandola mentre si sistema gli occhiali contro il ponte del naso e riposiziona le cuffie sul capo. «Ultima corsa. Giallo, settanta round.» 

William prende nota sul quaderno, facendo il countdown con le dita avviando il cronometro… voltandosi repentino quando avverte lo scatto di apertura del tupperware e la zaffata di aroma al cioccolato che scaturisce dalla scatola, inchiodando gli occhi sull'offerta di pace trattenuta tra le dita di Theodore. 

«Faith ha preparato i biscotti, questi li ha messi da parte apposta per te.» spiega Teddy specchiandosi negli occhi enormi e luccicanti di Billy, distraendosi quando Thomas inchioda davanti a loro con uno stridio di suole allucinante, sprizzando scintille nell'aria che gli anneriscono le scarpe e sprigionano una puzza di gomma bruciata orrenda. «Scintille [3]. Questo è nuovo, prendi appunti Bee.»

L'esternazione strappa una risata ad entrambi i fratelli, mentre Billy prende effettivamente appunti ed annota delle possibili cause da approfondire in seguito. 

«Li voglio anch'io i biscotti! Sono anche per me i biscotti, vero?» cambia discorso Thomas, ritenendo più opportuno accaparrarsi qualcosa da mettere sotto i denti per merenda piuttosto di preoccuparsi delle scintille provocate per errore e senza una spiegazione logica con cui giustificarle apparentemente. 

«Mio fidanzato, miei i biscotti. Giù le mani.» annuncia William abbracciando la scatola, il tono scontroso e l'audacia di far finta di prendere a morsi le dita di Thomas quando si avvicina troppo al bottino, vedendosene sparire comunque un paio da sotto il naso perché contro la super-velocità del fratello non può far nulla di concreto. «Ehi!» 

I gemelli ridono a differenza di Theodore, il quale sorride e si gusta in silenzio le quattro sillabe pronunciate da William: fi - dan - za - to. 

È ancora insolito emozionarsi per un dato di fatto, dopotutto la relazione con Billy durava da più di un anno ed era un qualcosa di cui Teddy andava fin troppo fiero. I Bradley avevano accolto William in casa come un terzo nipote e nel corso dei mesi precedenti era capitato più di un paio di volte che il ragazzo dormisse nel suo letto, quando gli incubi lo svegliavano nel cuore della notte e provava pietà per Thomas, preferendo una gita notturna nel Bronx rispetto ad un "allenamento" senza supervisione a Bleecker Street – l'unica a rimanere all'oscuro dell'intera faccenda era Rebecca, per via dei timori di Billy che Teddy comprendeva e rispettava… dopotutto William faceva lo stesso con i Bradley, per quanto riguardava le sue reali origini ed i pomeriggi trascorsi al Palazzo quando invece credevano lui a studiare in biblioteca ed Elijah a lavoro. 

Per Theodore è rassicurante sapere che tra lui e William non ci siano segreti, aveva vissuto una vita intera nascondendosi ai Sapiens coltivando i timori di Anelle, crescendo con l’idea che alimentare la paura, l’ignoranza e l’odio nei confronti della loro specie dopo New York e la Decimazione non fosse una scelta auspicabile, soprattutto quando gli americani avevano una propensione innata per puntare un'arma contro a chiunque destasse il minimo sospetto di provenire da un altro pianeta, dimensione o lato sbagliato del corredo genetico – a meno che il reietto di turno non fosse una divinità nordica, in quel caso il popolo di internet era in grado di creare una fanbase su Twitter e minimo una trentina di fan page spartire tra Facebook ed Instagram a sostegno del povero disgraziato.  

«Sai che ora tocca a te Bestione, vero?» scherza Thomas decelerando davanti all'atrio dove Teddy e Billy si sono accampati per far merenda, scalzando le Nike e distendendo le dita dei piedi una volta portato a termine l'ultimo giro di corsa, sollevando lo sguardo al soffitto alto otto metri. «Vediamo se questa volta riesci a spiccare il volo, Teddy.»

«L'ultima volta ci sono riuscito, ho staccato i piedi da terra di mezzo metro.» commenta il diretto interessato puntando Thomas con le iridi azzurro-verdi, accennando un sorriso davanti all'espressione confusa del ragazzo. «Tu eri in giro con Kate per non so quale motivo, c'eravamo solo noi due ed Eli.»

«A proposito, Elijah ci raggiunge?» taglia il discorso William, dando voce al quesito che entrambi i gemelli si tenevano sulla punta della lingua da quando Altman si era palesato a Palazzo senza l'ombra di Elijah al suo seguito. 

«Oggi no.» replica Teddy asciutto, storcendo le labbra infastidito al ricordo del battibecco della sera prima in casa Bradley, riassumendolo in favore di terzi. «Abbiamo litigato, credo ci eviterà tutti e tre finché noi due non facciamo pace.»

Theodore non sa davvero come definire o spiegare la situazione con Elijah, gli voleva un bene dell’anima ma ultimamente non condivideva appieno la sua condotta solitaria e impavida, per non parlare dei suoi continui rifiuti per un qualsiasi aiuto, o della sua ostinazione a massacrarsi di lavoro per tenere la propria mente a guinzaglio, le volte in cui non usciva a pattugliare le strade e non tornava prima delle tre di mattina. Il motivo della lite risaliva a due sere prima quando Teddy si era alzato poco prima dell'alba – non c'era stato bisogno di svegliarsi, il sonno non era mai arrivato e lui non si era messo a cercarlo – perché preoccupato per non aver ancora sentito Elijah rincasare, trovando Isaiah al pascolo per il salotto quando si era avventurato in cucina per dissetarsi… nessuno dei due aveva parlato, ma nel giro di un paio di minuti ed uno scambio di sguardi che valeva più di mille parole Theodore era già fuori di casa con le scarpe ai piedi, cellulare in mano e "trova il mio iPhone" in funzione, tirando un mezzo sospiro di sollievo nel vedere il segnalino apparire, liberando l'altra metà di fiato trattenuto quando si era reso conto che il segnale proveniva da Bleecker Street e non da una discarica, un appezzamento di terra sperduto chissà dove o un qualche magazzino fatiscente abbandonato. 

Teddy aveva chiamato Isaiah una volta raggiunto il Palazzo, informandolo che lui ed Eli sarebbero rimasti fuori per il resto della notte, che stavano entrambi bene e che lui e Faith non dovevano preoccuparsi di nulla – ci aveva già pensato Theodore a perdere vent'anni di vita quando aveva beccato Elijah con il braccio fasciato, le garze sporche di sangue ed i lividi in via di guarigione… il suo migliore amico aveva avuto pure la faccia tosta di sorridergli dopo una frase innocua come "mi hanno sparato… ma ehi, mi hanno beccato di striscio, sto bene, sta tranquillo Dorrek". Theodore, a metà tra il mettersi a piangere e l'istinto di fracassargli il cranio contro la prima superficie disponibile, era finito per urlargli contro di piantarla di ostinarsi a voler fare tutto da solo – che Eli volesse ammetterlo o meno, loro due, Billy e Tommy erano una squadra, e cercavano principalmente di darsi una mano nel momento del bisogno, oltre all'hobby di pattugliare le strade di Manhattan nei panni di quattro vigilanti improvvisati. 

Il resto del pomeriggio trascorre a velocità rapida, Teddy fa buon uso delle ali riuscendo a compiere un paio di virate strette e qualche volteggio prima di atterrare con poca grazia, divertendosi a giocare con l'anatomia umana oltre a cambiare faccia su richiesta – le trasformazioni non sono sempre perfette, ma è migliorato notevolmente da quando si è trasfigurato davanti agli occhi allibiti di Elijah, scoprendo nuove abilità per gradi ed imparando ad usare la propria pelle verdastra come una corazza. 

«Hai voglia di lasagne, Ted?» chiede Thomas a bruciapelo ad allenamento concluso, chinandosi a raccogliere il proprio zaino con fare rocambolesco, perché di muoversi come un essere umano normale a quanto sembra non ne è più in grado. «Mamma torna a casa tardi, puoi fermarti a cena da noi se vuoi. Avviso anche Eli.»

«Quasi qua-...» inizia Theodore per poi interrompersi subito di colpo, quando Tommy solleva lo zaino lasciato aperto e riversa sul pavimento l'intero contenuto, con un fracasso di matite ed un'esplosione di fogli e post-it che si seminano a cascata sulle assi del parquet. 

«Sei un disastro, Thomas.» sentenzia William affranto, coprendosi gli occhi con i palmi respirando a fondo prima di chinarsi a raccogliere il contenuto insieme al gemello, cadendo con lo sguardo sul volantino lilla che gli capita tra le mani, soffermandosi a leggerlo spalancando sempre di più gli occhi nocciola di riga in riga. 

«Ehi, tutto bene Bee?» chiede Teddy preoccupato, sporgendosi oltre la spalla di Billy per leggere il volantino a sua volta. 

«Cosa c'è?» li interroga dubbioso Thomas, afferrando un secondo volantino per poter comprendere lo sconcerto nei volti dei due ragazzi. 

 

...
FAMMI RISOLVERE I TUOI PROBLEMI PER TE
Mezzo “supereroe” / Mezzo investigatore privato

 

«Oh.» Tommy deglutisce a vuoto, pentendosi di non aver letto il volantino prima, sollevando lo sguardo su Billy e Teddy, indicando con il pollice un punto imprecisato alle proprie spalle dove suppone sia caduto il cellulare. «Credo… chiamo Kate, ho capito.»

 

***

 

Elijah picchietta la sigaretta tra le dita, disperdendo la cenere mentre avanza a passo cadenzato verso casa, giocando con le chiavi lungo il tragitto riflettendo tra sé e sé sul quanto sia deprimente trascorrere in quel modo il proprio venerdì sera – i cinema e i bar avevano riaperto, la gente dopo tre anni dalla scossa di assestamento aveva ricominciato pian piano a vivere una parvenza di vita normale, pretendendo di andare avanti senza guardarsi indietro… nonostante tutti, chi più e chi meno, continuava a sbirciare il panorama desolato alle proprie spalle nella speranza di svegliarsi da un brutto incubo. 

Eli spegne il mozzicone sotto il tacco delle sneakers e tira dritto davanti alle scale della metropolitana, sorpassando gli accessi alla linea che scende a Bleecker Street, raggiungendo a passo spedito la seconda rampa ad un isolato di distanza… non è in vena di vedere Theodore e i gemelli, nonostante siano una valida alternativa agli occhi incolleriti di Isaiah che lo aspettano a tavola per cena, insieme all’abbraccio apprensivo di Nana, che pur non sapendo nulla dell’accaduto sembrava avere un radar per captare le malefatte, i problemi o semplicemente i dissapori che scorrono tra nonno e nipote.

Forse Eli ha davvero combinato una cazzata un paio di sere prima, le missioni in solitaria non erano ben viste dai ragazzi, ma non era esattamente colpa sua se i problemi gli capitavano tra i piedi e lui finiva sempre in mezzo alle peggiori situazioni – non è questione di "sfortuna", se vuole essere davvero sincero con sé stesso, in certi scontri Elijah ci finiva perché li cercava come un assetato andava alla ricerca dell'acqua… Tommy la chiamava scelleratezza, Billy lo definiva autolesionismo e Teddy, che per sua sfortuna lo conosceva meglio delle proprie tasche, gli aveva urlato in faccia di non confondere la determinazione e lo spirito di sacrificio con l'idiozia, l'eroismo fine a sé stesso ed una buona dose di ego. 

Theodore sosteveva che Elijah stesse aspettando inutilmente un cenno di approvazione da parte di Isaiah, insistendo sul fatto che rischiare l'osso del collo solo per dimostrare a Bobo di avere la stoffa per fare la differenza non era una scusa per comportarsi da eroe suicida senza macchia e senza paura – due sere prima Teddy gli aveva puntualmente fatto notare che non c'era bisogno di interpretare il "Bucky Barnes" di turno per farsi eleggere martire e fare la differenza, lasciandolo lì a Bleecker Street prendendosi l'ultima parola della discussione prima di uscire in gran carriera dal portone principale del Palazzo inseguendo l'alba. Il riferimento al Sergente era un dettaglio stupido, ma aveva attecchito sul suo ego ferito più di quanto ad Eli sarebbe piaciuto ammettere, incuneandosi subdolo tra le fila dei suoi pensieri inceppandogli il cervello per due giorni interi – non era solo, aveva qualcuno a guardargli le spalle, a filtrare la sua visione del mondo ed aiutarlo a farsi decifrare ed accettare per quello che era... Teddy aveva imparato a proprie spese che il modo più veloce per ragionare con lui era esserci: insolente, apprensivo, irritante. Quello era l'unico atteggiamento che lo spingeva giù dal piedistallo su cui Elijah si arrampicava sempre per indole e distacco emotivo, empatizzando solamente una volta rimessi i piedi a terra… a conti fatti era Theodore quello a portare una pazienza infinita, i gemelli in confronto non si sarebbero fatti troppi problemi a mandarlo a quel paese, tornando indietro a raccoglierlo con il cucchiaino solo e se Eli dal proprio piedistallo si fosse schiantato al suolo, augurandogli di rompersi le ossa nella speranza che così impari qualcosa – Affezionarsi a qualcuno non significa necessariamente venir ferito… non sono tutti egoisti ed insensibili come Sarah Gail o autoritari come Bobo.

Elijah arresta il passo e fa marcia indietro, afferrando il cellulare per chiamare Nana e dirle che non torna a casa per cena, soffermandosi a digitare una risposta al messaggio di Thomas che lo invita dai Kaplan se è in vena di lasagne riscaldate, eleggendo la cucina di Rebecca come il luogo idoneo per sottoscrivere l'accordo di pace – Basta aria supponente, basta scorribande solitarie e basta comportamenti lunatici... ma i ragazzi devono ascoltare, se vogliono far davvero squadra le cose in qualche modo devono cambiare

A tutti loro serve armonia, leadership, un modus operandi… hanno bisogno di un qualcuno che diriga gli altri tre e tenga testa a lui, qualcuno che non sia Teddy, per pietà del povero martire – inchiodando di colpo quando vede un volantino lilla sbatacchiare al vento contro la pensilina dell'autobus, accendendo una fiammella di curiosità nel petto di Elijah. 


"EROE" IN VENDITA (non scherzo)
Torti corretti, cattivi picchiati

Nessun crimine è insignificante, nessun cattivo è imbattibile
FAMMI RISOLVERE I TUOI PROBLEMI PER TE
Mezzo “supereroe” / Mezzo investigatore privato
NESSUNA CAUSA È PERSA, NON ESISTE MISSIONE TROPPO PERICOLOSA
VOGLIO SOLO FARE IL VOSTRO BENE
Tariffe economiche - Ottimi risultati - Pulizie leggere

PS: Sto cercando stagisti. Fatevi avanti, popolo! 


Elijah compone il numero di telefono annotato a pié di pagina prima ancora di riflettere, di prendere in considerazione l'idea di raggiungere Casa Kaplan ed informare gli altri, ponendosi come promotore del pacchetto completo chiedendosi se le sue "pulizie leggere" coincidevano con quelle di chi aveva impaginato il volantino. 

«Katherine Bishop a rapporto, come posso esserti utile?» giunge una voce spumeggiante dall'altro capo della linea, interrompendo il rumore statico prendendo in contropiede Elijah – Perché non ha preso in considerazione l'eventualità di parlare con una ragazza? Il volantino lilla non è un indizio di per sé grande quanto una casa?

«Ehi, ciao.» replica Eli improvvisamente nervoso, mentre i neuroni rimasti discutono tra loro in una lingua che non sembra inglese, chiedendosi se sia opportuno o meno presentarsi. «Elijah Bradley, piacere. Di preciso cosa intendi con “pulizie leggere”?» 

«Non credo sia quella la parte più importante del volantino, ma va bene.» una risata argentea risuona nei timpani del ragazzo, scoprendosi a sua volta a sorridere… e per essere uno che dice sempre di aspettare "quella giusta" perché in generale con le relazioni interpersonali è una frana su tutta la linea, non se la sta cavando troppo male. «Posso aiutarti in qualche modo, Elijah...? Elijah, giusto?» 

«Solo Eli. In realtà… beh, forse posso aiutarti io.» azzarda vantando una sicurezza che in realtà non possiede, facendo buon uso della lingua sciolta e dell'ansia momentaneamente assente per rompere il ghiaccio, mettendo a nudo il vero intento della telefonata. «Ho letto che cerchi personale, avrei qualche candidato da proporti.»

«Non cerco il classico impiegato, mi dispiace “Solo Eli".» scherza Kate dall'altro capo della linea, usando il tono di chi sta per riattaccare educatamente il telefono in faccia al proprio interlocutore. 

«Si dà il caso che io non lo sia-... noi non lo siamo, i classici impiegati intendo.» si affretta a specificare il ragazzo, spalmandosi violentemente una mano sul volto quando il cervello elabora e comprende la sequenza di parole che gli sono appena uscite di bocca – Cos’altro avrebbe dovuto intendere? Bradley, sei un’idiota. 

«Che dici, almeno a me lo fai un colloquio?» si salva in angolo stringendo con forza il cellulare tra le dita, attendendo trepidante una risposta affermativa. «Al massimo ci guadagni un caffè, offro io.» 

 

***

 

Natasha lo sente salire le scale del garage, prendendosi il diritto di non ricambiare il saluto, limitandosi a sollevare sopra la testa il fascicolo della CIA arrivato per posta quel mattino come un'offerta sacrificale. 

«Ronin?» la interpella Steve una volta appoggiate le buste contenenti il takeaway del thailandese sulla scrivania, afferrando e sfogliando il plico di documenti offerto. «Qualcuno che conosciamo?» 

«Non lo so ancora.» brontola la donna sciogliendosi contro lo schienale della poltrona girevole, vantando l'accortezza di scendere con i piedi dal tavolo ora che sulla superficie è stato appoggiato del cibo, inspirando a fondo il profumo delle pietanze. «Il gruppo di ascolto allo Stadio ti ha messo fame? È parecchio cibo, pure per te.»

«Un quarto è tuo, sono passato per la cucina prima di partire, ci sono ancora le tazze della colazione sul lavello.» sentenzia Steve chiudendo il fascicolo di scatto dopo una letta veloce, afferrandola per un gomito prima che la donna riesca a sgusciare via in direzione delle camerate. «Tu ceni con me, punto.»

Natasha rinuncia in partenza a negare, confermando silenziosamente che la supposizione dell'uomo sia corretta, mentre il suo stomaco reclama attenzioni brontolando sonoramente ora che gli vengono concesse. 

«Dai, mi racconti la tua giornata ed io ti racconto la mia.» propone il Capitano fingendo di non vedere la sua alzata di sguardo al soffitto, sopprimendo un sorriso soddisfatto quando Natasha afferra le buste e si dirige in cucina. 

«Mi auguro tu abbia preso-...» inizia la donna scontrosa, assecondando la lamentela per non rendere troppo palese la sua gratitudine nei confronti delle premure di Steve, aprendo una busta nel tragitto notando le due Chang in bottiglia che sgocciolano condensa contro la plastica. «Bravo.»

«Tranquilla, le birre me le ricordo.» la anticipa il Capitano leggendole il pensiero, accodandosi al suo seguito dopo aver raccolto le punte gessate dal pavimento e raccattati accendino e sigarette dalle tasche profonde della felpa nera gettata in un angolo. «Fare un po' di ordine nel caos è chiedere troppo?»

«Ricomincia ad usare la sala riunioni e farò questo sacrificio.» lo stuzzica Natasha iniziando ad impilare i contenitori del takeaway sopra l'isola della cucina, avvertendo un verso di esasperazione soffocato alle spalle alla sua puntualizzazione, voltandosi a fronteggiare il Capitano improvvisamente seria. «Com'è andato l'incontro? Tu stai bene?» 

«Non credo di poter stare peggio di così, quindi… » replica asciutto Steve accendendo l'impianto stereo per scacciare via il silenzio, prendendo poi posto a tavola e sporgendosi a stappare le birre con una lieve pressione del pollice mentre Natasha suddivide le porzioni. «È tosta, ma credo mi faccia stare bene… sentirmi utile.»

«Se ti aiuta a dormire.» afferma la donna incurvando le labbra in un sorriso incoraggiante dopo essersi seduta a sua volta al tavolo, rigirando le bacchette nel piatto cercando di convincere il proprio stomaco a farsi saziare, obbligandosi ad ingoiare un boccone di cibo sotto lo sguardo perspicace di Steve. 

«Notizie dallo spazio?» la interroga il Capitano ostentando nonchalance, giocando con le bacchette per prendere tempo, soppesando le parole con cui esprimersi, temendo una reazione scostante o scorbutica – la convivenza non è facile, ci ancora mattine in cui Natasha non si alzava dal letto e Steve le rubava un paio di sigarette di nascosto, ma ce ne sono molte altre in cui conversavano in merito ai rispettivi incarichi autoimposti da portare a termine e discutevano per chi dovesse andare in città a fare la spesa. 

«Carol non si fa sentire da una settimana, mentre Rocket ha consegnato un carico di alimenti a Ovunque stamattina… da quando la Capitale Galattica è stata distrutta il Mercato è diventato il punto di snodo principale.» lo aggiorna la donna tra un boccone svogliato e l'altro, concedendosi un sorso di birra ed una scrollata di spalle sorridendo ironica. «Devo ancora abituarmi all'idea che ricevo email da un procione.»

«Rimpiangi i tempi in cui la cosa più strana al mondo ero io?» scherza Steve portandosi la bottiglia di Chang alle labbra, sforzandosi di fare una battuta che nasce infelice ma fa ridere di gusto l'amica. 

«Per rimpiangerli avrei dovuto viverli, ma sì… il concetto è lo stesso.» replica Natasha liquidando il discorso con un cenno della mano. «Ho perso gran parte della giornata dietro al fascicolo che mi ha inviato Rhodes, ma a quanto pare Ronin è sbucato dal nulla e ha semplicemente fatto pulizia.»

«Zero tracce? Nessun collegamento?» indaga Steve conciso, scandagliando il volto della donna cercando brandelli di omissioni che tuttavia non trova.

«Finora l'Intelligence ha rilevato solamente tre incursioni, tutti clienti di Bishop che l'FBI non è riuscita a portare in tribunale l'anno scorso.» riassume spiccia Natasha, rigirando nuovamente le bacchette nel piatto. «Abbiamo un alleato a quanto sembra, non di quelli convenzionali, ma è meglio di niente.»

«A proposito di alleati...» tronca il discorso Steve sorvolando volutamente su cosa implichi il suo "non convenzionale" espresso in punta di voce, tastandosi le tasche posteriori dei jeans sfilando un volantino viola spiegazzato. «Te le ricordi le segnalazioni fantasma al 911 dei mesi scorsi? Ce ne è stata un altra un paio di sere fa, ed oggi ho trovato questo in metropolitana.»

Gli occhi verdi di Natasha analizzano riflessivi il foglio, annotandosi il numero di telefono nella rubrica dello smartphone prima di appallottolare il volantino e lanciarlo oltre la porta a vetri, mancando la scrivania della sala riunioni di un paio di metri. 

«Ci penso domani mattina.» afferma leggera sorridendo all'espressione confusa del Capitano, ingoiando a forza un altro boccone, costringendosi a sorridere per mascherare l’ironia velenosa. «Vuoi darmi sempre qualcosa di nuovo da fare, è così? Per tornare a casa e trovare qualcuno a cui offrire la cena.»

«Se non te la offro come faccio ad essere sicuro che mangi?» replica Steve spigliato, fissandola senza aggiungere altro finché non la vede masticare e deglutire un altro boccone – lo odia quando si comporta in qual modo, dopotutto Natasha non gli ricambiava il favore chiudendo a chiave la palestra o sciogliendogli il sonnifero nelle pietanze. Forse glielo lasciava fare perché Steve aveva ricominciato a dormire la notte e non le nascondeva più le sigarette, reputando una cena in compagnia un sacrificio nobile per il quieto vivere. 

«Non sono così meschina o masochista da lasciarmi morire di fame.» specifica Natasha per chiarezza, sorridendo velenosa lasciandosi scivolare addosso la provocazione, indicando la propria scrivania nella stanza affianco con un cenno del capo. «Quando lo trovo ti avviso o mi arrangio?» 

«Pedinalo, poi valutiamo.»







 

Note:

[*] L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] Jessica Jones: potenziata dotata di forza sovrumana, è un'alcolizzata ripulita dal carattere scorbutico che lavora come investigatrice privata. È sposata con Luke Cage, ha frequentato le superiori con Parker ed occasionalmente accetta casi per il Daily Bugle – nei fumetti è a lei che si rivolgono gli Avengers per stanare i ragazzi di cui parlo qui sopra. 

Mercedes "Misty" Knight: agente del NYPD, perde un braccio in missione che viene sostituito con una protesi high-tech. Collabora spesso e volentieri con i Defenders (di cui fanno parte Luke e Jess), attualmente nei fumetti è la fidanzata di Falcon.

[2] Il Sanctum Sanctorum di Doctor Strange è un luogo che custodisce ed attira magia di ogni tipo, non è poi così strano che venga scovato da Billy (che come Wanda è un Demiurgo, ovvero una entità in grado di modificare il Multiverso – nei fumetti viene scelto dal Dottore come nuovo Stregone Supremo, giusto per)... se ve lo state chiedendo, sì, Wong (che stando alla mia versione dei fatti è sopravvissuto allo Snap, contrariamente a quanto affermano i Russo) li sta tenendo d’occhio e li chiude spesso e volentieri nella “realtà specchio” a loro insaputa.

[3] I Gemelli 2.0 sono ancora più "forti" dei Gemelli Maximoff originali. Essendo di fatto la controparte organica della magia pura (in quanto nati da un desiderio di Wanda tramutato in carne ed ossa), sanno entrambi alterare e plasmare le leggi dello spazio e del tempo a loro piacimento. Thomas opera nel lato "fisico" della materia (raggiunge i 1220 km/h, sa disgregare i propri atomi per attraversare le pareti e riesce a scindere le particelle esterne provocando delle esplosioni), mentre William ne sfrutta il lato "ancestrale" (sa riscrivere le leggi della magia, del multiverso e della realtà stessa a voce, l'unico impedimento tangibile è la forza di volontà e l'esperienza).

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 _ 2021 ***


CAPITOLO 4
_ 2021





 

«Okay ragazzi, ora dovete davvero finirla.» la voce di Kate preannuncia la cuscinata di poco, mentre Teddy ha appena il tempo di sollevare lo sguardo dalla cartina per vedere le piume svolazzare intorno alla figura di Elijah quando viene centrato dal colpo preciso della ragazza. «Mi fate perdere il filo.»

«Perché "America's Next Top Model" è un programma difficilissimo da seguire.» la riprende Eli sbuffando spazientito, sollevando gli occhi al cielo di fronte alla linguaccia di Kate, giudicando tutti i presenti con lo sguardo prima di cercare bisognoso gli occhi azzurro-verdi di Teddy. «Possiamo finire di spartirci le zone di Ronda, per favore? Poi vi lascio in pace e me ne vado, giuro.»

«Sono in "pausa merenda", rassegnati amico.» lo consola Teddy con tono piatto, finendo di spuntare la lista di luoghi segnalati dalle chiamate anonime recapitate alla segreteria telefonica di Katherine. «Richiedilo ad episodio concluso e forse ti danno risposta.»

Theodore si astiene dal commentare che le statistiche stilate negli ultimi mesi segnalavano sempre le solite sette, otto zone che richiedevano la loro supervisione, assecondando la paranoia di Eli scarabocchiando su un post-it il perimetro che doveva coprire ognuno di loro per quella sera, porgendoglielo con sguardo limpido ed un sorriso stanco – Elijah era un'irriducibile idealista che sosteneva la prassi di prendere quasi ogni decisione insieme, ritrovandosi a bisticciare sempre con il resto della squadra, la quale preferiva raccogliere gli incarichi e discuterli collettivamente, ma poi ognuno si sceglieva le proprie missioni in base alle abilità necessarie per i singoli casi fino a quando la lista di commissioni non si riduceva a zero. 

«Tieni, soddisfatto ora?» ironizza Theodore vedendo le dita di Eli scattare verso il post-it, leggerlo con attenzione ed annuire deciso, accartocciando la prossima frase sulla punta della lingua quando Billy entra nel suo campo visivo, si risiede sul ginocchio offerto da Teddy in precedenza e piazza davanti loro due tazze fumanti di cioccolata calda. 

«Biscotti?» chiede Elijah inarcando un sopracciglio mentre accetta il cibo offerto da William, scrutando quest'ultimo quando si volta in direzione del piano cottura e punta ai biscotti visibili all'altro capo della stanza, valutando l'idea di alzarsi nuovamente o meno. 

«“Biscotti”.» mormora il ragazzo fissando l'anta aperta concentrato, materializzando il pacco di frollini dalla dispensa al tavolo su cui Eli e Teddy stavano ancora lavorando – negli ultimi mesi Billy era migliorato notevolmente nel pronunciare i propri incantesimi, era stata solo questione di indirizzare la propria volontà nella magia in sé e non incanalare gran parte della propria energia nel desiderio che essa si compisse. Era ben lontano dal traguardo degli incantesimi non verbali, ma per il momento si accontentava della formulazione standard. 

Theodore si rilassa contro lo schienale della sedia, cingendo i fianchi di Billy con un braccio e portandosi la tazza fumante alle labbra con la mano libera, ignorando Eli e spingendo lo sguardo fino a Thomas e Katherine spaparanzati sul divano, il primo immerso nella lettura con le cuffie alle orecchie e la seconda distratta dal reality show trasmesso alla TV mentre si dipinge le unghie con lo smalto. 

Quando Elijah si era presentato a Casa Kaplan due mesi prima brandendo vittorioso il volantino della ragazza, Theodore non aveva alba di idea di quello a cui stavano andando incontro – c'era stato un breve bisticcio che imputava Eli di prendere sempre da solo delle decisioni importanti che sarebbero dovute essere collettive, ma la diatriba si era subito placata quando tutti e quattro i ragazzi si erano chiamati d'accordo con la decisione presa: Katherine aveva esperienza, era una persona esterna al loro gruppo e soprattutto era donna, vantando una quantità di sale in zucca catalogato sotto la voce "istinto femminile" che i baldi giovani nemmeno si sognavano. 

Nessuno aveva idea di quanto la ragazza fosse carismatica, l'unico ad esserne consapevole era Thomas ma non aveva mai portato in campo l'argomento per godersi l'espressione di sconcerto sul volto di Elijah, il quale si era pentito all'istante della propria proposta di collaborazione quando Katherine aveva aperto bocca per impartire ordini a destra e a manca distribuendo loro il lavoro, scoprendo in lei una vera e propria rivale che lo zittiva più volte di quante il ragazzo avrebbe voluto ammettere – il caposquadra su carta rimaneva Elijah, ma Kate rivoluzionava talmente tante volte i piani prestabiliti da essersi auto-eletta la seconda in comando, obbligando spesso e volentieri Theodore ad intercedere per evitare che i due si saltassero alla gola a vicenda, per niente aiutato dal comportamento neutrale di William ed i palesi favoritismi di Thomas nei confronti della ragazza. 

I colpi secchi alla porta richiamano l'attenzione di Theodore, spostando lo sguardo sulla porta d'ingresso del monolocale di Katherine – eletto a loro base operativa logistica, relegando il Palazzo a Bleecker Street ad un centro addestramento poco assortito –, prima di specchiarsi confuso nelle iridi nocciola di Billy ed accennare riluttante in quella direzione con il mento, rendendo implicito il fatto che il ragazzo doveva alzarsi dalla sua gamba se lui voleva avvicinarsi all'uscio e scoprire chi bussava alla porta. 

«Eli, la apri tu? Mi si sta asciugando lo smalto.» risolve il problema Kate per loro, sfarfallando con le dita pitturate di viola scuro e rivolgendo uno sguardo da cerbiatta ad Elijah, il quale sbuffa e la asseconda fingendo che la richiesta lo scocci più di quanto faccia in realtà. 

«Approfittatrice.» la appella il ragazzo quando passa di fianco al divano su cui Katherine e Thomas sono spaparanzati, roteando gli occhi ed esprimendo un verso di strizza quando i colpi secchi alla porta diventano più insistenti. «Ho capito, arrivo!» 

Nel giro di un paio di secondi Theodore si ritrova ad assistere alla interpretazione più tragicomica del proprio migliore amico, notando come Elijah spalanchi l'uscio irritato senza guardare dallo spioncino, trasalisca e perda lievemente colore dalle guance scure, sbattendo poi la porta con forza incollandoci la schiena appresso per tenerla chiusa.

«Cosa c'è? Chi hai visto?» lo interpella William preoccupato, alzandosi in piedi liberando Teddy dal suo peso, ponendosi entrambi in atteggiamento di attacco registrando il grado di allerta dipinto sul volto di Elijah… comportamento anomalo che spinge Katherine a riporre la boccetta di smalto e serrare i pugni fregandosene di rovinarsi la manicure ancora fresca, richiamando a sua volta l'attenzione di Thomas che si toglie le cuffie e si mette seduto sul divano. 

«Che mi sto perdendo?» chiede Tommy in un sussurro, scannerizzando i volti dei quattro ragazzi presenti e focalizzandosi sullo sguardo color ebano stralunato di Eli, ancora palesemente agitato. «Ehi Bradley, tutto bene?» 

«Siamo nella merda fino al collo.» sussurra il ragazzo concitato, scannerizzando la stanza cercando vie di fuga, non trovandone nessuna se non un volo dalla finestra dal terzo piano – chiedere a William di teletrasportarli è fuori discussione, già riusciva a malapena ad aprirsi da solo i portali, figurarsi farci passare attraverso quattro persone oltre a sé stesso. «Perché stai sussurrando?»

«Perché tu stai sussurrando… perché stai sussurrando?» indaga Katherine sospettosa, dipingendosi sul volto un espressione rasente allo scetticismo, iniziando a considerare l'intero teatrino una colossale buffonata. 

«So che ci siete, non mi faccio problemi a buttare giù la porta!» li minaccia una voce femminile al di là dell'uscio, soffiata e vagamente sporca di un qualche accento che Theodore crede di aver già sentito da qualche parte. 

«Kate-...» cerca di richiamarla Thomas, ma osservandola stranamente immobile quanto la ragazza sposta Elijah di peso ed afferra la maniglia, affrontando di petto il proprio destino con il jingle del nuovo episodio di "America's Next Top Model" a farle da colonna sonora. 

«Ragazzi.» li saluta il Capitano Rogers cordiale, varcando la soglia superando Romanov, venendo accolto da un silenzio di tomba e cinque paia di occhi diffidenti, voltandosi in direzione della collega con sguardo rassegnato. «Potevi evitare di minacciarli, sai?» 

«La ripagavi tu la porta che ti facevo sfondare, si?» replica Natasha acuminata come uno spillo, scannerizzando l'appartamento irradiando rispetto reverenziale misto ad una vaga punta di qualcosa di mortifero, soffermandosi sul televisore prima di puntare a Katherine. «Quella possiamo spegnerla? Dobbiamo parlare.»

«...Cioccolata calda?» spezza il silenzio William con tono propositivo, vacillando appena mentre Thomas spegne la TV con discrezione, attento a non tradirsi con movimenti bruschi. 

«Dato che lo chiedi, due cioccolate. Grazie.» conferma Rogers prima di fare cenno di voler accomodarsi sul divano, aspettando lo scambio di sguardi ed il cenno di assenso di Elijah prima di procedere, dando collateralmente il permesso a Romanov di accamparsi sul tappeto di fronte al tavolino sul quale giacciono la boccetta di smalto, il telecomando ed i joystick dell'Xbox. 

«Allora… credo sia controproducente fare finta di non sapere perché noi due siamo qui, siete d'accordo?» annuncia la donna tuffando il braccio nella borsa, interpretando il silenzio che riceve in risposta come una conferma, recuperando un fascicolo che deposita sul tavolino da caffè che Theodore si prende la briga di sgomberare all'istante. «Ho fatto qualche ricerca, vediamo se-...» 

«Scusate, giusto per sapere…» la interrompe Elijah schiarendosi la voce richiamando l'attenzione collettiva, eleggendosi portavoce dello sconcerto comune, facendo rimbalzare ripetutamente lo sguardo da Rogers a Romanov nervoso. «Siamo nei guai oppure no?» 

Il "no" del Capitano si accavalla discordante con il "sì" della Vedova Nera, entrambi interrotti da William che riappare nella cerchia creatasi e consegna loro in mano le tazze fumanti. 

«Dipende.» concede Rogers cauto alla fine, portandosi la tazza alle labbra concedendosi una lunga sorsata, cercando Billy con lo sguardo brindando nella sua direzione. «Davvero ottima William, complimenti.»

«Oh, grazie.» mormora il diretto interessato, ammutolendo vagamente scosso dal sentirsi chiamare per nome da Capitan America, spalmandosi contro il muro pregando di diventare invisibile per togliersi lo sguardo dei due Avengers di dosso, mentre Theodore gli afferra una mano e lo àncora al suo fianco prima che il sovraccarico emotivo scateni risvolti imprevedibili – la camera di Billy ha ancora i muri lievemente anneriti dal principio di incendio che il ragazzo aveva appiccato involontariamente la prima volta che le cose si erano scaldate tra loro, dando vita ad un susseguirsi di malintesi e confessioni che aveva messo a nudo i due ragazzi più di quanto già non fossero. 

«Come avete fatto a trovarci? Siamo stati attenti a coprire le nostre tracce.» chiede Kate a bruciapelo facendosi avanti, usurpando il ruolo di Elijah come al solito strappandogli le parole di bocca, ricevendo in cambio uno sguardo calcolatore da parte di Natasha che vira velocemente nell'ovvio, aprendo il fascicolo posato sul tavolino rivelando uno dei suoi volantini spiegazzati, qualche fotografia sviluppata e degli appunti di vario genere stampati ed annotati a mano. 

«Si dà il caso che io sia dannatamente brava nel mio lavoro.» afferma la Vedova Nera con una scrollata di spalle, sfilando dal plico una foto scattata di sfuggita ad un alone sfocato che assomiglia terribilmente a Thomas. «E voi non siete bravi quanto credete a nascondervi, questa è di un paio di mesi fa.»

Tommy spalanca gli occhi nel vedere il proprio volto catturato da una macchinetta fotografica che credeva di aver evitato, cercando poi lo sguardo di Elijah quando Natasha solleva i suoi documenti di dimissione dal Metro-General Hospital relativi all'incidente di tre anni prima. 

«Ho trovato materiale interessante su ognuno di voi.» prosegue Natasha con tono incolore e professionale, gettando i ragazzi in uno stato di ansia statica, incapaci di valutare il tono positivo o negativo del "dipende" espresso dal Capitano, tenendo gli occhi incollati sulla donna mentre sfila dal plico la fotocopia di un passaporto timbrato dallo SWORD che fa sbiancare Teddy e lo spinge ad artigliare letteralmente la mano di William. «Sapevi di essere nell'indice dei dispersi, Dorrek?»

«Agente Romanov, abbiamo afferrato il concetto e-…» insiste Katherine quando vede i lineamenti di Elijah indurirsi e gli artigli di Theodore riassorbirsi nel giro di uno spasmo, cercando gli occhi di William rendendo implicito il suggerimento di tenersi pronto a contenere il suo fidanzato, mentre lei inchioda sul posto Bradley trattenendolo per un braccio ed intima a Thomas di non muoversi con sguardo inquisitore. 

«Quello che Natasha vorrebbe capire è se possiamo fidarci.» riassume Rogers facendosi avanti interrompendo il diverbio sul nascere, posando la tazza ora vuota sul tavolino, guardando tutti e cinque i ragazzi negli occhi prima di proseguire, soffermandosi con le iridi azzurre su Elijah. «Mentre io voglio sapere se possiamo collaborare. Tutelarvi

«Ci state offrendo un lavoro?» si sorprende Theodore, confuso dal modo in cui quella semplice proposta fosse stata stratificata da così tanti livelli di diffidenza da risultare incomprensibile – nonostante capisse il loro atteggiamento, per quanto ne sapevano Rogers e Romanov loro erano in grado di causare un incidente delle proporzioni di Lagos per puro capriccio. «È così?»

«Non ve la siete cavata male con la rapina dell'altra sera in centro.» commenta il Capitano con una scrollata di spalle, cercando lo sguardo indecifrabile di Natasha, la quale storce appena le labbra prima di sorseggiare la propria cioccolata. «Dai Nat, ammetti che potevano gestirla peggio… Sono stati bravi.»

«Continuiamo ad essere bravi anche se non abbiamo un corredo genetico… convenzionale?» chiede cauto William anticipando i presenti, indagando se la tutela di cui parla il Capitano si estenda anche al Damage Control, scoccando uno sguardo preoccupato a Theodore e il gemello con fare protettivo. «Usciamo gratis di prigione senza passare dal via anche se ora non veniamo con voi?» 

«Posso evitarvi di finire nella prima pagina del Daily Bugle per un po', ma siete… dei principianti.» si esprime finalmente la donna, lasciando trasparire una punta di una qualche emozione che Teddy non riesce a catalogare – È una critica? O preoccupazione… per la loro incolumità? Per il disturbo di doverli arrestare?

«Quando il mondo punterà gli occhi su di voi vi converrà avere una motivazione più che convincente per dimostrare alla stampa che non rappresentate una minaccia di un qualche tipo.» afferma Rogers con serietà, indicando se stesso e la collega con un veloce movimento di dita. «Noi due siamo la vostra uscita gratis da prigione, se ora venite con noi.»

«Non ci lasciate molta scelta, vedo.» commenta diffidente Elijah, in palese conflitto tra l'opportunità di essere legittimato e veder riconosciuto il proprio operato e la consapevolezza di non poter parlare a nome di tutti, non questa volta… il Capitano non lo dice ad alta voce, ma a tutti risulta fin troppo chiara la possibilità che, in caso le cose si mettano male, l'alternativa sia avere lui e la Vedova alle costole con un mandato di cattura firmato dall'ONU. «Possiamo discuterne tra noi? Pensarci?» 

«Abbiamo qualche tipo di condizione?» si accavalla Katherine, informandosi di tutte le clausole del caso per non rimanere fregata. «Dubito la cosa si limiti ad un abbonamento alla palestra del Complesso.»

«Non dobbiamo preoccuparci di tutto subito, intanto questa è la nostra offerta.» si sbilancia il Capitano alzandosi in piedi, zittendo Natasha in forma preventiva, porgendole una mano per aiutarla a sollevarsi da terra che viene rifiutata. «Leviamo il disturbo.»

«Nel caso, sapete dove trovarci.» afferma Natasha raccogliendo i propri averi e avvicinandosi alla porta, seguita a ruota da Rogers, voltandosi un'ultima volta nella loro direzione per porgere i loro saluti. «Grazie per la cioccolata e l'amabile chiacchierata, ragazzi.»

È solamente quando i due Avengers si chiudono la porta alle spalle che scoppia il finimondo. 

 

***

 

«Hai intenzione di guardarmi così ancora per molto?» esordisce Kate con tono seccato di punto in bianco, incoccando un’altra freccia all’arco e rilasciando la presa prima di spiare con la coda dell’occhio l’espressione corrucciata di Elijah, l'unico rimasto ad allenarsi in palestra fino ad orario di cena inoltrata. «Avanti, sputa il rospo.»

«Cosa dovrei dire?» si riscuote il ragazzo confuso nonostante abbia una buona intuizione, tornando a prestarle reale attenzione e rendendosi conto di averla palesemente fissata negli ultimi dieci minuti, rigirandosi svogliato il coltello da lancio che tiene tra le mani e premendo la punta della lama contro l’indice per saggiarne l’affilatura, dandosi un pretesto per distrarsi.

«Che sei contrario alla Missione di domani sera.» sottolinea Kate ovvia ostentando noncuranza, incoccando l’ennesima freccia e colpendo nuovamente il centro del bersaglio terribilmente vicina alla precedente, cambiando discorso nel blando tentativo di allontanare tutti i possibili moventi per iniziare a litigare come loro solito. «Dici che riesco a farlo un tiro alla Robin Hood?»

«C’entrare la freccia con una freccia?» chiede retorico Eli, avvicinandosi alla postazione di Katherine per non mettersi ad urlare da un capo all’altro della palestra, evitando a sua volta il discorso, rispondendo alla domanda in modo oggettivo ed involontariamente sgarbato. «Sei brava, ma quell'arco non compie miracoli… devi fare ancora tanta strada per raggiungere i suoi livelli, Katie-Kate.»

La ragazza apre la bocca per replicare, ma sembra ripensarci e la serra decidendo di passare sopra al nomignolo con cui Elijah si divertiva a tormentarla, inspirando a fondo ad occhi chiusi, instillando nel ragazzo il dubbio di essersi tramutato in un bersaglio mobile nonostante Katherine abbia appena abbassato l’arma – Hai detto la cosa sbagliata, Elijah. Complimenti, idiota. 

«La mia è solo un'osservazione, non voleva essere una critica.» si affretta a correre ai ripari Eli, maledicendo il freno inibitore malfunzionante che gli collega la lingua al cervello… ma ormai il danno è fatto e Kate ha spalancato gli occhi celesti adirata, impalandolo sul posto. 

«Sono curiosa, ti dà fastidio che Natasha non abbia dato a te il nostro primo incarico, o il problema è che non sarai lì a correggermi?» chiede Katherine con gli occhi azzurrissimi ridotti a due lastre di ghiaccio, strappandosi la domanda dai denti scocciata, palesemente stanca dei loro continui ed estenuanti battibecchi.

«Non è questo il punto.» ribatte Eli con tono offeso, gesticolando involontariamente rendendosi conto con un secondo di scarto di brandire un coltello, intascandolo in uno dei foderi che si era appeso alla cintura ad inizio allenamento. «Non è assolutamente questo il punto, Katherine...»

Erano trascorsi ormai nove mesi da quando Rogers e Romanov avevano invaso a tradimento l’appartamento della ragazza cogliendoli di sorpresa, lasciandoli nel delirio più totale togliendo loro tutte quelle sicurezze su cui facevano affidamento e depositando al contempo un’offerta di protezione sul tavolo delle trattative che i ragazzi, dal primo all’ultimo, reputavano idiota rifiutare – come aveva detto il Capitano, lui e Natasha erano la loro opzione migliore per "uscire gratis di prigione senza passare dal via"... l'opinione pubblica era feroce, soprattutto contro quelli che tentavano di fare del bene ma compivano l'errore di legittimarsi da soli. 

Era stata questione di giorni prima che decidessero di comune accordo di raggiungere il Complesso e varcarne i cancelli, sedendosi tutti e sette al vero tavolo delle trattative iniziando a discutere di diritti e doveri di entrambe le parti, trovando sensato l’obbligo di riservatezza in cambio di un addestramento mirato per ognuno di loro, storcendo tutti e cinque il naso alla domanda “ma i vostri genitori lo sanno?” proferita da un Capitan America esageratamente serio… era stata Natasha a pronunciarsi precipitosa in loro soccorso, sentenziando che la faccenda era "trascurabile" finchè non li inviavano sul campo, strappando un paio di compromessi a Steve come loro portavoce – Elijah non aveva capito perché l'avesse fatto, era stato Billy a spiegargli che imponendo loro delle regole così ferree fin da subito rischiavano di rivoltarseli contro, argomentazione presto sostenuta da Thomas, mentre Kate si era sentita in obbligo di sottolineare che mancavano almeno un paio d'anni per compiere tutti e cinque ventuno anni ed essere dichiarati legalmente maggiorenni [1]. Teddy non aveva detto una parola, ed Eli aveva deciso di seguire il suo esempio scegliendo di porsi i giusti quesiti al momento opportuno. 

Nel giro di un paio di settimane i ragazzi erano riusciti a traslocare al Complesso tutti i loro averi conservati al Palazzo di Bleecker Street, vedendosi offerte delle divise antiproiettile nuove di zecca ed un tetto sotto cui vivere nel caso ce ne fosse bisogno perchè, come aveva sottolineato Romanov con una leggerezza palesemente ostentata, abbondavano di camere libere che forse era giunto il momento di riempire – l’unica a prendere seriamente in considerazione la proposta era stata Katherine, ma alla fine aveva deciso di rinviare la decisione allo scadere dell’affitto del monolocale, preferendo farsi la tratta Manhattan-Upstate a bordo del proprio Maggiolino piuttosto di prendere decisioni affrettate dettate dall’entusiasmo del momento.

Elijah, con il trascorrere dei giorni, si era gradualmente abituato a vedere quasi quotidianamente il sorriso enigmatico dell’Agente Romanov, godendo appieno dei benefici della nuova "promozione" per imparare quante cose più poteva da niente di meno che la Vedova Nera – lui e Teddy non ne avevano mai fatto parola con Nana, ma Eli si era convinto che Bobo dovesse averle raccontato qualcosa, principalmente per spiegarle il perchè diavolo Capitan America si fosse fatto un giro nel Bronx solamente per salutare un vecchio compagno d’armi due settimane dopo il loro reclutamento. Eli non si era arrischiato a chiedere ad Isaiah un parere diretto in merito all’intera faccenda, ma Steve doveva aver compiuto miracoli con la sua parlantina perchè di colpo l’anziano non aveva più avuto da ridire sulle idee folli ed intraprendenti del nipote… forse saperlo sotto l’ala di Rogers lo rassicurava, o magari quell’aura di insolita fiducia era garantita dal fatto che Romanov era pronta a spronarlo a calci sul sedere se Eli non si applicava. 

In quei lunghi mesi i ragazzi avevano imparato cosa fosse la disciplina, perfezionandosi sotto la guida attenta e a tratti maniacale di Natasha… ed Elijah avrebbe dovuto capirlo prima, ma a sua discolpa poteva dire di non essere abituato a pianificare a lungo termine, usando la scusa di non conoscere per niente la sua istruttrice, trovando tuttora un mistero il come funzionino gli ingranaggi che muovono la mente machiavellica della russa nonostante i nove mesi di addestramento condivisi. Avrebbe dovuto intuirlo dai brontolii della donna quando arrivava in anticipo e passava per la sala riunioni, ascoltando Natasha discutere con l'ologramma degli Avengers rimasti in merito a Ronin ed altri problemi urgenti, o ci sarebbe potuto arrivare quando qualche settimana prima l'aveva vista scendere dalle camerate con la faretra e la custodia dell'arco di Barton, consegnandolo a Kate affermando che fosse uno spreco lasciarlo a prendere polvere in un angolo – forse quello era stato il gesto decisivo che aveva fatto da spartiacque tra l'incoscienza e la consapevolezza, iniziando pian piano a rivalutare tutto ciò che fino a quel momento aveva reputato logico e stimolante, come il fatto che Natasha avesse insegnato a lui e a Theodore a combattere con le lame, o le incitazioni dedicate ai gemelli volte a superare ogni record con sfide sempre più ardue che puntualmente i due superavano. 

Per Natasha Romanov i ragazzi si erano tramutati in una scommessa contro sé stessa, superando il mero incarico di addestrarli assegnatole da Rogers, cambiando modalità di insegnamento nelle ultime settimane, iniziando ad istruirli con il preciso scopo di proporre loro delle reali Missioni "innocue" sul campo all'insaputa del Capitano – la Missione della sera seguente ad esempio, che su carta non era nulla di troppo pericoloso, nonostante dovessero intercettare una partita di OCM e impedirne lo scambio… era talmente semplice che Romanov aveva deciso di farsi bastare solamente due persone, scegliendo William e Katherine senza predisporre alcuna squadra di recupero, piano B o precauzione di qualche tipo, convinta che con l'addestramento impartito loro non esistesse a prescindere la possibilità di un fallimento – Sono passati mesi dall'ultima volta, ma l'hai già fatto, Bradley… stai andando in paranoia per qualcosa che i ragazzi sanno gestire. 

«Allora quale dovrebbe essere il punto, Elijah?» insiste Kate con un tono di voce affilato come una lama, ancora infastidita dallo sguardo scontroso che le ha riservato fino a quel momento, convinta che lui parli mosso dalla sua solita arroganza – peccato che per una volta il ragazzo sia serio, sinceramente preoccupato per la sorte dell'amica, esulando dalla sana rivalità competitiva che generalmente gettava benzina sul fuoco in ogni loro diverbio o confronto. 

«Ci sono una miriade di fattori che possono andare storti.» si affretta a giustificarsi Eli, riflettendo che William dalla propria parte aveva degli incantesimi incredibili, mentre la ragazza era solo una comune mortale atletica ed armata… arrivando a chiedersi se si prenderebbe a cuore la faccenda in quel modo anche se al posto di Kate ci fosse Teddy o uno dei gemelli – Probabilmente no, Bradley. Tra quanto ti deciderai a chiamare l'apprensione immotivata con il suo vero nome? 

«Perché sono brava, ma non a questi livelli?» chiede indignata Katherine, facendogli il verso parafrasando la sua reale preoccupazione per l'incolumità della ragazza in mera gelosia per il ruolo che gli aveva soffiato, interpretandola come una dichiarazione ufficiale di sfiducia. «Ma va a quel paese, Bradley.»

Elijah non ha il tempo materiale per capire cosa diavolo sia successo, sa solo che di punto in bianco si ritrova l'arco di Barton – di Katherine – tra le mani quando la ragazza gli passa davanti e glielo preme con forza contro il petto, guadagnando poi l'uscita a passo di carica. 

«Kate…!» Eli sussurra un richiamo ad una stanza vuota, incupendosi per non essere riuscito ad esporre come voleva le proprie remore sincere… per una volta desiderava solo comportarsi da buon amico, essere comprensivo, gentile – Non sei tagliato per questo genere di cose, non piangerti addosso Bradley. 

 

*** 

 

William ha a malapena il tempo di pronunciare un incantesimo di protezione per sé stesso e Katherine, evitando che la granata sonica li schianti violentemente contro il muro, quando finiscono entrambi a terra nella confusione più totale mentre l'impianto elettrico li saluta finendo in cortocircuito – Doveva essere facile, non dovevano esserci intoppi… 

«Kate-... Kate, stai bene?» Billy arranca sui gomiti per raggiungerla, la voce venata dal panico ed il chiodo fisso delle remore di Elijah in merito all'intera faccenda che gli martella insistente i timpani. 

La ragazza mugugna in risposta e si preme una mano contro la tempia, trascinandosi seduta puntellandosi al muro adiacente, facendogli segno di fare silenzio… e Billy esegue gli ordini della più grande, mormorando un incantesimo per sparire agli occhi del caos, coprendo entrambi sotto un velo invisibile che li cela all'intruso al centro della stanza, intento a portare a termine il massacro iniziato con il lancio della granata. 

Quando Natasha era entrata in palestra due giorni prima con l'annuncio di una Missione impresso sulle labbra, le reazioni dei ragazzi erano state delle più disparate, soprattutto quando la donna aveva condiviso i dettagli ed aveva scartato l'intervento di tre di loro – Elijah non l'aveva presa bene, polemizzando all'istante per l'indole della Vedova nel non voler rendere partecipe il Capitano, quando lo sapevano tutti e sei che a chiederglielo la risposta sarebbe stata un sonoro e categorico "no". Il resto della discussione si era adagiata su un letto di coltelli, da un lato c'erano le due donne che reputavano la faccenda "divertente" e necessaria, dall'altro un Elijah irritato e contrario, supportato da un Thomas un filo troppo protettivo nel vedere il gemello gettarsi nella mischia senza di lui… Billy non aveva aspettato il commento di Theodore, consapevole di non poterlo reggere nel caso anche lui si fosse pronunciato contrario alla proposta, scappando dalla palestra senza guardarsi indietro – Teddy l'aveva raggiunto sul tetto una decina di minuti più tardi, affermando che la preoccupazione della squadra era giustificabile dato che erano fuori allenamento con il mondo esterno al Complesso, accantonando tutte le belle parole appena espresse chiedendogli di aver voce in capitolo perché quella, in fin dei conti, era l'unica cosa importante… "Te la senti, Bee? Sul fondo della pancia? Perché se dici sì non puoi più tirarti indietro." 

La carneficina finisce prima ancora di iniziare, le carcasse dei due spacciatori giacciono a terra insieme al cadavere del compratore e le sue otto guardie del corpo, mentre l'intruso pulisce le lame delle due katane e le rinfodera indisturbato. 

«Fermo dove sei.» lo minaccia Katherine con voce salda mentre si obbliga a reggersi in piedi sulle proprie ginocchia che tremano per lo sforzo, l'aria stordita che fa a pugni con gli occhi da tigre, tendendo una freccia con una determinazione tale da demolire il mondo e ricostruirlo da capo completamente da sola. 

«Mani in alto e voltati lentamente, amico.» recupera la voce William spezzando l'incantesimo precedente rendendoli nuovamente visibili, suonando più deciso di quello che si sente in realtà, rischiarando la stanza evocando una sfera d'energia luminosa per mano – Forse da fuori lui e Kate avevano un'aria minacciosa, nonostante lui dentro stesse tremando come una foglia… 

«Dio, siete dei ragazzini.» è l'unico commento a caldo che fuoriesce dalle labbra dell'intruso coperte dalla maschera che ne cela i lineamenti, puntando gli occhi calcolatori sulla freccia incoccata da Kate ed afferrando le else delle spade in risposta, disubbidendo agli ordini impartiti ponendosi sulla difensiva. «Okay, ora stiamo tutti calmi. La situazione è sotto controllo, c'è stato un malinteso.»

William vorrebbe obiettare che la situazione era sotto controllo prima dell'intervento dell'uomo incappucciato, lui e Katherine erano pure riusciti a fare un'entrata in scena da standing ovation spaventando i bersagli al punto giusto, cogliendoli con le mani nel sacco… ma il tutto era andato a rotoli quando la granata era stata lanciata giù da una delle bocche di lupo che si aprivano nel seminterrato in cui si trovavano, mettendo a soqquadro l'ambiente sbalzando gli ospiti ai quattro angoli della stanza e facendo volare le pasticche di OCM in ogni dove – Billy ignora se le droghe sintetiche siano "profumate" o meno, ma le capsule blu elettrico seminate ovunque sono talmente tante da far puzzare l'aria di marcio, come se si potesse intuire dall'odore che la provenienza non è chimica ma organica… a William viene tuttora il voltastomaco al solo pensiero che un folle fosse riuscito a sintetizzare l'Ormone della Crescita Mutante e venderlo alla prima industria farmaceutica in cambio di un bel assegno, generando un mercato di altrettanti folli che dopo la Decimazione volevano provare l'ebbrezza di sentirsi una divinità discesa in Terra per quindici minuti – ne avevano incontrati tanti di quei pazzi, in due anni che pattugliavano la Grande Mela risolvendo i loro danni [2]. 

«Credo di essermi persa un passaggio. Da quando undici cadaveri sono un malinteso, Ronin?» chiede Katherine velenosa, senza muoversi dalla propria posizione autoritaria di un millimetro, scalfendo appena la corazza di apatia in cui si è ingabbiato Billy per non cedere al vortice del panico – Guarda Ronin, non guardare per terra. Non. Guardare. Per. Terra... e respira con la bocca, William. 

«È così che mi chiamano ora? Carino… deve essere colpa delle katane.» commenta l'uomo incolore, inclinando il capo verso il basso puntando le iridi chiare sui corpi riversi a terra, dando voce all'affermazione seguente con un tono diverso. «Non che loro non se lo meritassero, comunque.»

«Non è una giustifica.» commenta Kate lapidaria, le braccia ancora in tensione e la punta della freccia allineata perfettamente al bersaglio… e William vorrebbe rendersi utile in qualche modo, oltre al suo attuale compito di lampadario umano, ma tutti gli incantesimi che gli sovvengono alla mente sono dettati dal desiderio che lo stallo in corso d'opera termini al più presto, e per esperienza personale sa di non dover essere "vago" quando gioca con la magia.

«Voi non capireste.» mormora l'uomo stringendo la presa sulle else, facendo scattare i "click" metallici di schiusura, riuscendo a rendere minaccioso anche il più banale e trascurabile dei gesti. «In questo caso…»

La freccia incoccata da Kate parte veloce e spedita, ma invece di affiggere il disgraziato al muro come aveva fatto tante altre volte con i manichini in palestra, manca il bersaglio di poco mentre il sorriso derisorio di Ronin gli raggiunge gli occhi rendendolo visibile anche da sotto la maschera, tranciando a metà la seconda con la lama e deviando la traiettoria della terza con tecnica invidiabile. 

«Non è l'arco a fare l'arciere, ragazzina.» commenta l'uomo sprezzante, mandando Katherine in escandescenza per un motivo che William non comprende a pieno, frenando il passo di carica dell'amica trovando la concentrazione necessaria per pronunciare un incantesimo e rilasciare una delle sfere che gli illumina le dita, centrando il loro oppositore al petto con uno scoppio di scintille azzurre che illumina la stanza a giorno e sbalza Ronin contro il muro adiacente. 

«Mi dici che diavolo ti prende...?!» sibila scocciato Billy abbassando le mani, tenendo comunque il palmo sinistro rivolto verso l'alto per continuare ad illuminare la stanza, scoccando uno sguardo confuso a Katherine, la quale respira affannosamente sul posto brandendo ancora il riser dell'arco come un bastone da combattimento. «Kate

La ragazza lo ignora, parte a passo spedito in direzione dell'uomo ancora riverso a terra, brontolando un qualcosa che suona come "ti faccio vedere io se è solo merito dell'arco" dando a William un chiaro indizio del contributo attivo di Eli nella crisi di nervi in corso per via del tono usato, osservandola preoccupato mentre atterra definitivamente l'uomo con un paio di vergate e gli pianta lo stivale contro lo sterno, tendendo la corda dell'arco mirando alla testa. 

«Kate!» insiste William riscuotendola dallo stato di furia accecante, avvicinandosi in tempo per sentirla ordinare allo spadaccino di togliersi la maschera, trasalendo e perdendo di convinzione entrambi quando l'uomo esegue il richiesto e si ritrovano addosso gli occhi chiari di Clint Barton a giudicarli. 

«Tipico di Natasha… scommetto che Rogers non sa nemmeno che siete qui.» replica l'ex Occhio di Falco con tono disilluso, facendo tentennare Kate, la quale abbassa l'arma improvvisamente… scarica, come se il meccanismo a molla che la animava si fosse appena inceppato. Le certezze di Billy si sgretolano mentre la consapevolezza che la carneficina appena conclusa sia opera di Clint Barton – uno dei buoni – sedimenta dentro di lui... non osa nemmeno immaginare cosa debba provare la ragazza in quel momento, nel vedersi puntare una freccia contro il suo eroe preferito di quando era bambina. 

«Pessima mossa.» dichiara Barton quando realizza di non essere più sotto tiro, muovendosi agile cogliendoli di sorpresa, riappropriandosi dell'arma strappandola dalle mani di Kate e spedendola a terra con un calcio, ribaltando le posizioni spostando il bersaglio su William con una repentinità tale da impedire loro di reagire. «Mani magiche in vista e niente movimenti bruschi, amico.»

Billy deglutisce sonoramente e non osa muovere un muscolo, a differenza di Kate che scalpita debolmente sotto lo stivale di Clint cercando di liberarsi con poca convinzione, mentre lo shock inizia a farsi strada nella sua testa immobilizzandola gradualmente in maniera definitiva – Ed ora che facciamo? Lo lasciamo andare… per forza.

«Questo me lo riprendo, se lo rivuoi chiedi a Romanov dove trovarmi ragazzina.» sentenzia Barton chinandosi a sfilare anche la faretra dalla spalla di Kate, non riscontrando alcuna reazione da parte di entrambi… fermandosi, lasciando da parte l’aria da duro, respirando a fondo dopo aver visto qualcosa negli occhi di Katherine che gli sconquassa il petto e gli fa stringere i denti. Se vuole aggiungere qualcosa non lo dà a vedere, anzi, sembra ripensarci e gira i tacchi lasciando i ragazzi a loro stessi con un intero seminterrato da “pulire”.

«Kate, ehi… stai bene?» Billy si china sulla ragazza, posandole una mano sulla guancia per concederle una carezza ed accertarsi di attirare il suo sguardo, ma gli occhi delusi di Katherine fissano il vuoto e non risponde alla sua domanda quando le chiede se ha sbattuto la testa durante la caduta – lo stato di trance preoccupa William a morte, trascinandola in piedi e stringendosela addosso in un abbraccio, avvertendo un tuffo al cuore quando Kate non si dimena per scollarselo di dosso ricordandogli quanto lei detesti il contatto fisico. «"...voglio uscire da qui… voglio uscire da qui… voglio uscire da qui…"»

La bolla di energia evocata li teletrasporta all’esterno su una strada deserta, costringendo Billy a riadattare la vista alla luce giallognola dei lampioni e respirando a pieni polmoni l’aria fresca, continuando a stringere spasmodicamente Katherine per la vita nel timore che la ragazza si accasci al suolo una volta sciolta la presa… pericolo presto sventato dal tacco dello stivale della ragazza che si impianta con forza contro la pianta del suo piede. 

«Lasciami! Lasciami andare, Billy!» strepita Kate stravolta risvegliandosi dallo stato di trance momentanea, dimenandosi con violenza mentre il ragazzo sopprime un grido di dolore e saltella via per un paio di metri, osservandola attento mentre Katherine si guarda attorno con le mani tremanti a tapparsi la bocca, realizzando cosa diavolo sia appena successo. «Merda. Oh merda, merda, merda!» 

Katherine inizia ad urlare imprecazioni di ogni tipo contro il cielo prendendo a calci l’aria, inveendo contro Barton per averla derubata, William per averglielo permesso, Elijah per averlo predetto ed iniziando ad insultarsi pesantemente da sola per la propria stupidità, arrivando a torcersi nervosamente le ciocche di capelli corvini al pensiero di dover informare Natasha ed ammettere ad alta voce di aver fallito clamorosamente la loro prima Missione sul campo, raggiungendo il pericoloso orlo delle lacrime decretando ad alta voce di essersi appena condannata a morte – la scena è talmente assurda nella sua drammaticità che William arriva a chiedersi da quanto Kathrine si autoflagellasse per situazioni di cui non aveva nessun tipo di controllo… era abituato a vederla sempre perfetta – calma, posata, spiritosa –, maledicendosi per non essersi reso conto prima di cosa si celava in realtà dietro alla facciata da dura, desiderando porre rimedio alle proprie mancanze. 

«Hai finito?» chiede il ragazzo guardingo, accucciandosi sui talloni portandosi alla stessa altezza di Katherine quando la ragazza dà cenno di essersi finalmente calmata, studiandola ad un paio di metri di distanza mentre lei ansima con il sedere sull'asfalto e le iridi azzurre fisse sulla luce del lampione più vicino, rifiutandosi ostinata a ricambiare lo sguardo di William. «Hai intenzione di lanciarmi dietro qualcosa o…?»

«Ora come ora mi sto concentrando a non scoppiare anche in lacrime, sai, per mantenere un minimo di dignità...» afferma Kate risoluta, perfettamente consapevole di sé stessa mentre sfrega il dorso della mano contro le guance asciutte per assicurarsi di non aver già liberato le cascate del Niagara involontariamente, arrischiandosi a fronteggiare il suo sguardo qualche minuto di silenzio più tardi ad “allarme lacrime” rientrato. «Non una parola con nessuno, Billy. Non con Teddy, non con Tommy e soprattutto non con Elijah.»

«Okay.» acconsente immediatamente il ragazzo annuendo con aria solenne, tentennando quando un dubbio assillante si ripropone fulmineo sulla soglia delle proprie labbra, liberandolo. «Kate… dici che Natasha lo sa? Che Ronin è Barton.»

«Non lo so.» sospira Katherine sconsolata, puntando i palmi sull’asfalto inclinandosi all’indietro, non dando cenno di volersi alzare da terra. «Non che faccia differenza… vai tu a capire come si muovono le rotelle nel cervello di Natasha.»

«Chiamo il 911, li aspettiamo e poi ti teletrasporto a casa?» propone Billy dopo un cenno secco del capo, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi… rivalutando la propria idea a telefonata anonima conclusa, immaginando la ragazza sola in un monolocale triste dopo una nottata del genere, desiderando di farle trascorrere un'ultima mezz'ora positiva nella speranza di conciliarle il sonno. «Oppure vuoi che ci fermiamo da qualche parte a mangiare qualcosa? Io avrei fame.»

«Vestiti così?» chiede scettica Kate indicando a spanne le loro tenute da combattimento una volta tornata in posizione eretta, sorridendo restia quando Billy risolve il problema appena sottolineato mormorando un incantesimo, facendo sparire le loro uniformi standard da "apprendisti Vendicatori" e sostituendole con i loro abiti civili lasciati nello spogliatoio del Complesso qualche ora prima. «Okay, se la metti così… dici che Taco Bell è ancora aperto a quest'ora? Ho voglia di cibo messicano.»

«Vada per il messicano.» sorride Billy offrendole il braccio, notando i lampeggianti rossi e blu in avvicinamento a sirene spiegate, mormorando un incantesimo ed una destinazione per far apparire un cerchio azzurro luminoso sull'asfalto. «Eisenhardt Express in partenza, destinazione Taco Bell.»

Katherine ride e, per quanto lo riguarda, al momento quella è l’unica cosa importante.

 

***

 

«Billy chiede se c'è il via libera.» annuncia Teddy sollevando lo sguardo dal cellulare che ha appena preso in mano, mentre Thomas si rotola sul materasso assonnato e pretende di non aver sentito la sua voce provenire dal letto sotto il proprio. «Thomas, so che sono le due di notte e hai sonno, ma concentrati. Rebecca dorme?» 

Tommy si stropiccia gli occhi e mette a fuoco la stanza, tendendo le orecchie per percepire il lieve ronfare della sua "mamma numero due" oltre il corridoio, facendo cenno a Teddy di poter procedere con uno stanco pollice in su… coprendosi gli occhi con una mano ed incollando l'orecchio al muro quando un cerchio azzurro si disegna sul tappeto al centro della stanza annunciando l'arrivo di Billy, il quale si materializza silenzioso spingendo tutti e tre a trattenere il respiro mentre Thomas si assicura che la Signora Kaplan stia ancora dormendo. 

«Via libera.» proclama Thomas mentre Teddy si alza dal letto a castello e tasta preoccupato il paio di graffi presenti sul volto di William. «Come è andata?» 

«Bene. Tutto bene.» afferma Billy con una scrollata di spalle, allungando le mani per bloccare i polsi di Theodore, ritirandosi infastidito quando gli sfiora un brutto taglio sulla fronte. «Tee, giù le mani. Sto bene

Nel dirlo, una filo luminescente appare dal nulla e si posa sulla ferita, annodandosi ad essa simulando dei punti di sutura, i quali vengono assorbiti in un battito di ciglia. 

«Visto? Non è niente.» insiste William sorridente, sollevandosi sulle punte dei piedi per stampare un bacio sulle labbra di Teddy, voltandosi poi in direzione di Thomas con fare apprensivo. «Mamma si è accorta di qualcosa, Bro?» 

«No. Convinta al cento percento di aver chiacchierato con suo figlio per l'intera durata della cena.» lo rassicura Tommy scendendo dal materasso ed allungandosi a sua volta nella direzione del gemello, premendo le dita dove fino a qualche secondo prima c'era la ferita ed ora rimangono tre cerottini bianchi da sutura a tenere insieme della pelle integra, grattando con l’indice per rimuoverli ed ignorando le proteste del diretto interessato, continuando imperterrito con il proprio discorso. «Dici che le vendono le statuette degli Oscar su Amazon? Voglio regalarne una a Teddy per il compleanno.» 

Theodore e William soffocano una risata scambiandosi uno sguardo d'intesa – non è la prima volta che usavano quel trucco, Tommy è seriamente convinto che a Rebecca prenderebbe un colpo se sapesse quante volte Teddy li aveva coperti a turno negli ultimi mesi assumendo le loro sembianze, specialmente le sere in cui lui sgattaiolava da Kate e lasciava la camera libera ai due piccioncini. 

«William, cosa non ci stai dicendo?» chiede Thomas sospettoso di punto in bianco, interrompendo la conversazione scherzosa tra i due ragazzi in merito al far imbucare Teddy ad una qualche festa con l'aspetto di una celebrità per vedere in quanti ci potevano cascare, notando come il sorriso del gemello non gli raggiunga lo sguardo, tradendolo – È forse successo qualcosa? Kate sta bene? Billy è tornato più tardi di quanto prestabilito, e lui e la ragazza non sono tipi che si fermano a bighellonare in giro a notte fonda senza un più che valido motivo. 

«Perché lo pensi?» chiede il gemello con tono guardingo, confermando i sospetti di Thomas e scatenando quelli di Theodore, scannerizzandolo con le iridi nocciola cercando ogni brandello di incertezza che può trasformarsi in un indizio… è risaputo ormai che William fosse terribile a mantenere i segreti, specialmente con loro due, che con il tempo avevano imparato a conoscerlo meglio delle loro tasche. 

«Dai Bro, non lo diciamo a nessuno.» sussurra Thomas accattivante, il sonno dimenticato e la fame di gossip da usare a proprio vantaggio che brontola famelica, notando come sulle labbra di Theodore si sia dipinto un ghigno speculare al proprio. 

William prova lo stesso a cambiare argomento, riuscendo a divagare almeno in parte nel tempo che gli serve per indossare il pigiama, vantando un'aria maldestra che non gli si addice quando urta la scrivania di proposito facendo cadere i piercing di Teddy che quest'ultimo aveva appoggiato lì sopra quando ore prima aveva cambiato i connotati in quelli del fidanzato, tuffandosi sotto il letto e scandagliando le setole del tappeto per ritrovarli… ma nulla impedisce ai ragazzi, quando Billy finisce ufficialmente i pretesti per distrarli, di strappargli di bocca ciò che sta palesemente tenendo loro nascosto. 

William finisce per vuotare il sacco, li mette al corrente di Ronin e della crisi di nervi di Katherine, accusando Thomas di non essersi accorto di nulla nonostante la ragazza fosse praticamente la sua migliore amica – Tommy si morde le labbra ed incassa la colpa, tenendosi per sé che il merito della scenata era da attribuire in parte anche a sé stesso, a causa del diverbio risalente ad una settimana prima nel quale lui si era arrischiato ad esporre delle congetture azzeccate sul perché a Kate dessero così tanto fastidio le frecciatine di Elijah. 

Theodore leva le tende solamente ad aggiornamento concluso, spiccando il volo dal davanzale per tornarsene a Casa Bradley dispiegando le ali draghesche, giurando di non farne parola con Eli – e di Teddy, da quel punto di vista, Tommy si fidava molto più che del gemello, assopendo l'istinto di scrivere un messaggio alla ragazza o di correre anche lui giù dal davanzale e non fermarsi fino a quando non avrebbe raggiunto il pianerottolo di Katherine a West Village, ma si impedisce di farlo per non mettere nei guai William più del necessario, confidando che tutti e tre tenessero la bocca chiusa sull’accaduto. 

Il problema però si palesa comunque il giorno seguente, quando Eli ha a disposizione tutto il pomeriggio per rendersi conto che tutti sanno qualcosa che a lui sfugge, intercettando una Katherine infuriata che quasi lo investe quando spalanca la porta della palestra e spinge via Thomas dalla propria traiettoria verso l'ingresso, mentre la voce filtrata di William che cerca di difenderla con scarsi risultati dagli attacchi di Elijah raggiunge le orecchie del ragazzo. 

Tommy non ci pensa due volte a correrle dietro, inciampando sui propri passi quando rischia di sbattere addosso a Romanov, trovandosi a fronteggiare due smeraldi affilati che gli intimano di seguire Katherine e allo stesso tempo li esorta a non cacciarsi nei guai – girando poi i tacchi e brontolando qualcosa in merito ai verbali che aveva dovuto far scomparire perché la sera prima Billy si era bellamente dimenticato di cancellare ogni traccia della loro presenza dal luogo dello scontro con Ronin. 

Tommy raggiunge il pianerottolo di Katherine molto prima della ragazza, accampandosi davanti la soglia della porta e rifiutandosi di andarsene, ammazzando il tempo dell'attesa con una partita all'Xbox mentre Kate si concede un piantino sotto la doccia e si mette in tiro per l'uscita a cui l'ha obbligata per staccare la spina. 

É solo a distanza di ore, davanti ai resti di un paio di double cheeseburger ed una vagonata di patatine fritte – alla faccia della dieta –, che Kate finalmente si concede ad una spiegazione integrativa, raccontando a Thomas del diverbio con Eli, della mazzata di scoprire che dietro la maschera di Ronin ci fosse Barton, dell'umiliazione di aver perso l'arco e della vergogna per aver dato spettacolo con una crisi di nervi plateale di cui William l'aveva sicuramente informato… ammettendo riluttante che forse Tommy aveva ragione quando la settimana prima, con il cuore sanguinante in palmo di mano, aveva insinuato che Kate si infuriava e prendeva le critiche di Eli sul personale perché, sotto sotto, il ragazzo le piaceva più di quanto le sarebbe piaciuto ammettere – “IO?! Katherine Elizabeth Bishop, perdere la testa per- per --... Elijah? Ma ti senti quando parli, Thomas?"

Kate gli spiega poi, aggirando la "Questione Eli" a pié pari fulminandolo con lo sguardo come a sfidarlo a tirarla fuori, che quella mattina si era presentata al Complesso all'alba buttando giù dal letto Natasha… quando Kate le aveva dato la notizia le si erano inumiditi gli occhi e si era concessa un microscopico sospiro con le labbra socchiuse in una piega afflitta, congedandola velocemente con freddezza glaciale senza tradirsi, per poi sentirla scaraventare qualcosa a terra e sopprimere i singhiozzi una volta chiusasi la porta alle spalle, consapevole che Katherine fosse rimasta lì con l'orecchio premuto ad origliare. Kate aveva fatto in tempo a stilare il verbale della Missione e preparare il caffè per tre prima di vederla scendere le scale delle camerate da sola, sentendosi rispondere che il Capitano non le avrebbe raggiunte per la colazione perché anche quella notte non si era fermato a dormire al Complesso – rifilando un calcio sugli stinchi a Thomas nel mentre, il quale basito si lascia sfuggire dalle labbra un "ma come, quei due non vanno a letto insieme?" di cui si pente all'istante, concordando sul fatto che quello non è il momento adatto alle chiacchiere da spogliatoio. 

«Ma quindi Natasha ti ha trovato l'indirizzo di Barton oppure no?» chiede Thomas a resoconto concluso, soffermandosi sulla strana richiesta di Ronin di farsi trovare se Kate voleva ritornare in possesso dell'arco – e vantarsene con Elijah, non l'ha detto, ma per il ragazzo quello è un secondo fine abbastanza ovvio. 

«Sì, l'ha trovato… è che…» si giustifica Katherine gesticolando con una mano, lasciando cadere la spiegazione nel vuoto, tradendo una punta di dubbio e reticenza che non le si addice per nulla. 

«Ti rode lo stomaco per l’obbligo di dover dimostrare qualcosa a chi ti ha delusa? O è comune ansia da prestazione?» azzarda Thomas mettendo in moto il cervello, estrapolando un paio di congetture valide a giustificare la titubanza della ragazza, ponendo il secondo quesito con tono intraprendente. «O credi di non poter eseguire una effrazione con scasso senza essere beccata? Perché per la seconda ti do una mano, per la prima ti accompagno.»

Gli occhi azzurri di Katherine si illuminano come due stelle, sporgendosi sopra il tavolo per gettargli le braccia al collo e stringerlo in un abbraccio, inspirando una zaffata inebriante del suo profumo ai lillà e sentendo le punte delle proprie orecchie andare a fuoco quando Kate inizia a tempestarlo di baci sulla guancia. 

«Kate-… mi stai strangolando.» la richiama Thomas in vago imbarazzo, mentre Katherine scioglie la presa e si scusa per il comportamento un filo esuberante, soffocando ogni istinto volto a baciarla o a dirle mezza parola più del dovuto, limitandosi a calarsi gli occhiali da aviatore sul naso, indossare le cuffie e farle cenno di salirgli in braccio per trasportarla ovunque lei abbia bisogno di andare. «Cerca l'indirizzo su Maps e salta su, Bellissima.»

«Ti devo una pizza, Bellissimo.» afferma la ragazza allacciandogli le mani dietro la nuca, mentre Thomas le passa un braccio sotto le ginocchia e se la stringe al petto, consigliandole di tenere gli occhi chiusi e tapparsi le orecchie con le dita, controllando per un'ultima volta il tragitto da percorrere fino a destinazione. 

«Mi accontento di Netflix gratis il prossimo mese.» scherza, facendo un ultimo check cellulare, portafogli e scarpe allacciate. «Affare fatto?» 

«Affare fatto.»

 

***

 

Katherine si fa lasciare davanti ad una vecchia palazzina in periferia, reduce da una corsa a tutta velocità tra le braccia di Thomas, rabbrividendo nel proprio cappotto per l'aria fredda di metà dicembre ed ordinando al ragazzo di avvisare Natasha della loro folle idea solo nel caso lei non lo telefoni entro un’ora, decretando irremovibile che da quel pasticcio doveva uscirne da sola, dimostrando a sé stessa di valere tanto quanto si vantava. 

Kate avanza silenziosa nel corridoio poco illuminato, sforzandosi di ignorare il nervosismo che pian piano inizia a torcerle le budella minacciando di mangiarla viva… prosegue muta e pronta ad affrontare qualunque cosa, assecondando il sospetto che uno come Clint Barton semplicemente sa quando qualcuno sconfina nel suo territorio, seguendo la stessa logica spicciola secondo la quale Natasha aveva ricevuto lo stesso tipo di addestramento e in un qualche modo finiva sempre per conoscere sempre tutto di tutti. 

«Ragazzina.» si sente chiamare da una porta in fondo al corridoio, notando la figura in controluce dell'uomo che la invita ad entrare, scannerizzandola dalla testa ai piedi mentre Katherine si avvicina, mettendola in soggezione e rendendola più nervosa di quanto già non sia. «Sai, ho fatto qualche ricerca oggi pomeriggio… non avrei mai immaginato che tu fossi una Bishop

«Come se valesse qualcosa… mi chiamo Katherine, comunque. Non ragazzina.» esordisce sfrontata con un coraggio di dubbia provenienza quando si porta a meno di due metri da Barton, partendo con il piede sbagliato già dall'insinuazione di far ancora parte della risma di suo padre, mandandole in ebollizione il sangue e rendendosi di conseguenza ancora più scorbutica e suscettibile, slacciandosi il soprabito e tenendolo sospeso tra loro in offerta. «Questo dove lo appendo?» 

«La scelta di venire qui è stata impulsiva, immagino.» elude la domanda l'uomo, prelevando il cappotto solo per gettarlo contro lo schienale del divano ad un paio di metri di distanza, continuando a studiarla da capo a piedi. «Capelli sciolti, vestito e profumo… avevi un appuntamento, stasera?»

«Non sono affari tuoi… in ogni caso, non sono il genere di persona che pianifica.» afferma Katherine con sicurezza ostentata per coprire il panico, l'irritazione presto sostituita dall'ansia statica dettata dai convenevoli passivo-aggressivi che procedono con relativa tranquillità, come se lei la sera prima non l'avesse visto trafiggere undici persone a sangue freddo, recuperando una briciola di calma riepilogando mentalmente tutti i coltelli che si era nascosta addosso quando era uscita di casa con Thomas – essere armata la fa sentire protetta, ringraziando mentalmente Natasha per averle inculcato in testa il bisogno di tenersi sempre un arma appresso, regalandole buona parte della sua armeria personale "per ogni evenienza". 

«Non sei una che stringe amicizia facilmente, vero?» commenta Barton retorico, circumnavigando il salottino in entrata sparendo nella stanza affianco, tornando con il premio ambito stretto tra le mani. «L'insolenza è un tratto che abbiamo in comune, a quanto sembra. E forse non è l'unico.»

Katherine contempla in silenzio reverenziale l'arco in questione, accennando un passo in avanti precipitosa con una mano protesa per ghermirlo. 

«Ah-a, calma ragazzina.» la placa Barton facendole segno di seguirlo in un altra stanza, consegnandole l'arma e la faretra solamente una volta giunti davanti ad una fila di bersagli bucherellati. «Fammi vedere perché Romanov te l'ha ceduto senza il mio permesso.»

Katherine ingoia ogni battuta sconveniente, preferendo dimostrare la propria bravura con le azioni invece di perdersi nel battibecco fuori dagli schemi in corso d’opera che apparentemente ha il potere di metterla in soggezione ed indurla a sbagliare, incoccando una freccia e centrando il bersaglio al primo colpo – *stud*

«Perché proprio tiro con l'arco? Sei una fan di Hunger Games?» chiede asciutto l'uomo senza dar cenno di essere impressionato o meno dal suo talento, aggirando a pié pari qualunque spiegazione in merito alla propria condotta violenta della sera prima, determinato a conoscere chi ha davanti piuttosto di discutere dei propri valori morali. 

«No.» commenta la ragazza spiccia, incoccando un'altra freccia ancora e centrando un bersaglio più lontano – *stud* –… tentennando e decidendo di rischiare, perché fan lo è, ma non di una qualche saga cinematografica. «Avevo undici anni quando ti ho visto in TV, hai centrato un Chitauro in movimento senza nemmeno guardarlo… ed è stato bello scoprire che non serve essere Hulk o Iron Man per contribuire a fare la differenza.»

«È per questo che lo fai? L’arco, Romanov e tutto il resto?» si sorprende Barton sforzandosi palesemente di non scardinarsi la mascella, mentre Kate continua a centrare bersagli imperterrita, ritenendo giusto non fissarlo spudoratamente mentre Clint elabora e comprende ciò che lei ha appena detto. «Per fare la differenza, Bishop?» 

«Non ho più il privilegio di essere una Bishop appunto perché ho voluto fare la differenza.» replica la ragazza fingendo una sicurezza che in quel momento non sente nelle proprie corde, chiedendosi perché quel cognome continui a definirla nonostante l'abbia ripudiato in tutti i modi, scoccando uno sguardo deluso in direzione di Clint perché non è così che si era immaginata il loro incontro, abbassando l'arma e facendo cenno di restituirgliela quando non le rimangono più bersagli liberi da centrare… concedendosi di mostrare un pizzico di sincerità, panico ed ansia da prestazione perché ormai non sa più che carta giocarsi e quella intera situazione le sembra essere frutto di un sogno febbrile. «Abbiamo finito? Perché in questo caso so dov'è la porta.»

Katherine non sa a cosa sia dovuto il ghigno che attraversa il volto di Clint dopo il breve momento di spaesato sconforto, se l'essere stato d'ispirazione per Kate sia servito a rimetterlo in carreggiata, o se invece il merito è dell'idea che il suo arco possa tornare ad essere uno strumento di giustizia "pulita"… la ragazza sa solo di essere giunta al momento del verdetto, preparandosi mentalmente ad un rifiuto dato il comportamento criptico di Barton.

«Scommettiamo cinquanta dollari che non riesci a fare un tiro alla Robin Hood?» la aizza volutamente l'uomo, incrociando le braccia al petto e sollevando il mento con superiorità, sorprendendola… perchè l’indifferenza è un conto, ma la derisione è ben altro – Clint Barton è solo un uomo, e tu sei Katherine Elizabeth Bishop, per la miseria. 

«Il tuo arco ne vale solo cinquanta?» replica spigliata ed incattivita, raccogliendo la sfida riacquistando la fiducia che la caratterizza… ne ha abbastanza di venire sottostimata, ci doveva essere più di un valido motivo se Natasha le aveva ceduto l’arma e Clint, per quanto la riguarda, aveva perso il diritto di confiscargliela il giorno stesso in cui l’aveva abbandonata in favore delle katane. «Scommettiamo l'arco che invece ci riesco?» 

Kate sfila una freccia dalla faretra ed aspetta un cenno dell'uomo per accettare e rendere valida la scommessa, preparandosi a tendere la corda con la massima concentrazione… e ripensa a Derek, che la condannava a non combinare mai nulla di buono nella vita perchè lei era la metà di Susan in qualunque cosa, alle costanti critiche di Elijah, alle battute sagaci di Thomas, a tutto ciò che l'aveva portata fino a lì e all'orgoglio provato quando Romanov le aveva consegnato l'arco per prima reputandola pronta – e Katherine lo è, in quel preciso istante se lo sente fin dentro le ossa. - - *stud*

La freccia già conficcata nel bersaglio si apre a metà, con grande sorpresa di Clint ed un grido di giubilo di Kate, mentre quest'ultima solleva le mani al cielo esultante, solo per rendersi conto della propria reazione esuberante recuperando velocemente il contegno perso in quel breve momento di pura gioia. 

«Una scommessa è una scommessa… consideralo il tuo regalo di Natale.» concede Barton alla fine, ponendo la concessione in tono ironico, scrollando le spalle ed indicandole l'uscita. «Riprenditi l'arco e fuori dalle scatole, Occhio di Falco.»

«Mi cacci così?» si sorprende Kate, realizzando con un secondo di scarto come l'ha appena appellata l'uomo, non riuscendo a frenare la lingua nervosa ora che intravede un brandello sfaccettato dell'uomo che idolatrava e non la sua ombra sanguinaria. «Avere una buona mira non significa che io sia davvero un "occhio di falco"… e potresti tornare a casa, insegnarmi.» 

«Per me non esiste una casa a cui fare ritorno, Katherine.» la riprende l'uomo scorbutico, dandole l'idea di aver toccato un nervo sensibile, fingendo di non notare la patina acquosa che gli copre lo sguardo alla menzione di una casa fantasma. 

«Credo di parlare a nome di Natasha quando dico che le porte del Complesso sono sempre aperte.» insiste flebile, ma perdendo subito di convinzione deducendo dal tono le possibili evoluzioni negative della conversazione, seguendo Clint fino all'entrata ed accettando il proprio cappotto in un gesto inequivocabile. 

«Volevo solo avere voce in capitolo su questo "passaggio di testimone", credo. Come ho voluto avercela per la questione degli Accordi.» sentenzia l'uomo con tono serio concedendole una motivazione alla strana serata, svicolando con lo sguardo sulle mani di Katherine strette intorno al riser dell'arco, dipingendosi un sorriso triste sulle labbra che sembra rimpiangere tutto ciò che ha perso e a cui ha scelto di rinunciare perché indegno – quel sorriso, Kate ne è convinta, è una delle cicatrici più dolorose che le fosse mai capitato di vedere, trovando paradossale come due persone potessero convivere con le stesse ferite da Decimazione facendo affidamento al medesimo oggetto, il primo rinunciandoci e la seconda acquisendolo. «Ronin ha perso il diritto di avercela, quella voce, da diverso tempo ormai… ma per una sera volevo ricordarmi com'è essere chi ero. Ciò significa reclutarti, non addestrarti.»

Katherine annuisce, insicura di come dovrebbe sentirsi nell'essere l'unica testimone delle dimissioni ufficiali di Clint Barton come Occhio di Falco, mentre la consapevolezza di cosa comporti quel ruolo e la sua rinuncia sedimenta dentro di lei e le lascia un segno indelebile… varcando la porta d'uscita, perché la sua missione è terminata e lei non ha più motivo di restare – "Una transazione non prevede sentimentalismi Katherine, non importa da chi prendi e a chi dai" le ricorda la voce di Romanov lapidaria, dandole uno sprone per affrontare quel saluto dignitosamente ed a testa alta. 

«Dì a Natasha di non cercarmi più, non c'è più un motivo o un modo per farmi tornare a casa.» sentenzia Barton, instillando in Katherine il sospetto di essersi appena immischiata in faccende che non la riguardano. «E dille anche di insegnarti ad usare le Boomerang, sono le più utili in battaglia.»

Katherine annuisce, confusa dalle ultime affermazioni ma restia a chiedere delucidazioni, confidando nell'intuito di Romanov mentre Ronin le chiude la porta in faccia senza troppe cerimonie – Che serata assurda… 

La prima cosa che fa, una volta fuori, è avvisare Thomas e declinare la sua offerta di tornare indietro per riportarla a West Village, cercando la fermata della metropolitana più vicina, scegliendo di fregarsene di farsi vedere in giro dai nottambuli con una faretra ed un arco in spalla, talmente euforica da prestare attenzione solamente al rilascio di endorfine che le fanno tremare le gambe – si sente una divinità scesa in Terra… e vuole urlare, gridare in faccia al mondo che "sì, ce l'ha fatta!", ma soprattutto, vuole sbattere la sua felicità esplosiva in faccia ad Elijah. 

«Kate, cosa diavolo…» commenta sorpreso il ragazzo aprendo la finestra al piano terra un’ora dopo, stroppicciandosi gli occhi gonfi di sonno che spalanca una volta puntato lo sguardo sull’arco e la faretra che le pendono dalla spalla. «Sei matta da legare, donna. Cosa ci fai qui?» 

«Ti auguro la buonanotte, uomo di poca fede.» sorride sorniona soffiandogli un bacio, facendo cenno di andarsene ora che il proprio ego è soddisfatto… ma Kate è troppo presa a gongolare per i propri traguardi da dimenticarsi di calcolare quando sia imprevedibile, agile e veloce Eli – e no, un bacio no che non se lo aspettava… come Elijah non si aspettava la cinquina sulla guancia per averla colta di sorpresa a sua volta.

«Non. Farlo. Mai. Più.» afferma spaventata, leggendo negli occhi del ragazzo uno sbigottimento tale da farla sentire in colpa quando Eli realizza il proprio gesto avventato e cataloga la sua reazione, lanciandosi in una sequela di scuse che la fanno sentire ancora più a disagio… mentre uno sciame di farfalle inizia ad agitarsi timido nel suo basso ventre, fornendo molte più risposte di quante ne richiedano le sue domande – Oh mio… Kate, sei proprio una sciocca testarda.

Katherine afferra lo scollo della maglietta di Elijah senza riflettere, assecondando l’urgenza di metterlo a tacere e spiegargli che non ha fatto nulla di sbagliato, posando precipitosa le labbra sulle sue ricambiando finalmente il bacio.

«Scusa, mi hai colta di sorpresa.» si giustifica Kate imbarazzata quando interrompe il contatto, la testa leggera e la propria euforia che ora tocca vette preoccupanti, cercando di ricomporsi con scarsi risultati mentre avverte le proprie guance andare a fuoco. «Puoi baciarmi, ma chiedimi il permesso prima. Per favore.»

«Sei un disastro di proporzioni cosmiche, Katie-Kate.» commenta il ragazzo prendendosi gioco del loro romanticismo mancato, scrutandola con un sorriso da ebete impresso sul volto e l'aria di chi si sente finalmente realizzato nella vita, mentre la ragazza scende dal davanzale e rimette i piedi per terra. «Questo non cambia nulla, suppongo.»

«Tu sei un disastro, io sono fantastica.» ribadisce Katherine prendendosi l'ultima parola, sfarfallando un saluto con le dita senza smentire o confermare quanto detto da Elijah, divertendosi a lasciarlo sulle spine… non tanto per fare la preziosa, ma perché effettivamente non sa come pronunciarsi sull'argomento, autodichiarandosi consapevolmente “fuori allenamento” con tutta quella serie di smancerie con cui non aveva più voluto aver a che fare da cinque anni a quella parte. «Ci vediamo domani, Bradley.»

«Aspetta, Kate-...!» la richiama indietro Eli, ma lui non scavalca la finestra per inseguirla e lei non si volta indietro a guardarlo, tornandosene a casa felice per la prima volta dopo tanto – troppo – tempo.

 

***

 

«Sei qui da sola?» 

Natasha volta le spalle ai resti del buffet al richiamo, fronteggiando Stark ed il flute di champagne che le offre, mentre il resto degli invitati continua a chiacchierare e ballare in pista senza aver dato cenno di aver riconosciuto l'intrusa. 

«Ciao anche a te, Tony.» sorride la donna eludendo la domanda, accettando la bevanda e portandosela alle labbra pitturate di rosso, sentendosi per niente fuori posto nel contesto nonostante lei sia a tutti gli effetti un ospite inatteso. 

«Nat. Come mai da queste parti?» non demorde l'uomo con sospetto, il nodo alla cravatta slacciato che denota il volgersi a termine della giornata, mentre Tony si prende due secondi per studiare la sua acconciatura impeccabile striata di biondo e di rosso, scendendo poi con lo sguardo fino all'orlo del vestito immaginando quante armi vi siano nascoste sotto. 

«Sono passata a salutare… per vedere come ti sta lo smoking e commentare il vestito della sposa.» ammicca Natasha, svuotando il bicchiere e porgendolo di nuovo in direzione dell'uomo. «Me lo riempi?» 

«Potrei procurarti qualcosa di più forte, se vuoi. Lontano da occhi indiscreti, magari.» propone Tony sciogliendosi in un sorriso furbo che gli incurva le labbra, vantando un atteggiamento più disponibile quando capisce di non dover temere l'entrata in scena di Steve da un momento all'altro. «Come l'hai saputo?» 

«Il tuo testimone di nozze è un pessimo bugiardo.» commenta la donna con una scrollata di spalle, sorridendo compiaciuta quando Tony le fa notare che per lei erano tutti dei pessimi bugiardi, prendendola a braccetto e trascinandola lontano dalla festa in riva al lago, risalendo la collinetta fino al portico in legno della casa e facendola accomodare su una poltroncina in vimini. 

«Brindiamo a qualcosa?» propone Natasha quando Tony torna dalla cucina con la bottiglia di whisky stappata di fresco ed un paio di bicchieri, accettando l'offerta accantonando il rumore indistinto della musica, rilassandosi contro lo schienale imbottito ignorando che quello fosse il loro primo incontro dopo quasi tre anni. 

«A cosa? Alla mia fede al dito o al tuo invito non pervenuto?» chiede retorico Tony facendo tintinnare i bicchieri mentre Natasha soffia un "entrambi", assaggiando un piccolo sorso di liquore dopo essersi lasciato cadere sulla poltroncina al suo fianco, posando il bicchiere ancora pieno sul bracciolo e reclinando la testa di lato per guardarla di sottecchi. «Non hai pubblico, puoi parlare ora. Perché sei qui, Romanov?» 

«È così strano che avessi solo voglia di vedere la tua faccia? Dopo tredici anni di tolleranza reciproca me lo aspettavo un invito alla cerimonia.» afferma Natasha con un tono di voce che si sforza di suonare leggero, ma tradendo una punta di nostalgia mentre svicola con lo sguardo che cade sul gazebo allestito una trentina di metri più in là, dove i pochi invitati rimasti continuano a festeggiare alla luce del tramonto riflesso nell'acqua – è una festa contenuta per essere il matrimonio di Stark, come se l'uomo avesse organizzato il tutto apposta per passare in sordina, senza accaparrarsi la prima pagina di una rivista di gossip [*]. «Me lo immaginavo diverso, questo giorno.»

«Cosa ti manca? La stampa o la squadra?» azzarda Tony avvertendo l'estremo bisogno di combattere l'improvvisa secchezza alla bocca, recuperando il bicchiere abbandonato sul bracciolo, mentre Natasha gli rifila uno sguardo abbastanza ovvio per rispondere alla sua sciocca domanda. «Gli altri come stanno?» 

«Non lo so di preciso, li ho persi di vista quasi tutti. Anche Steve si è trasferito, si è dato da fare con un gruppo d'ascolto a Brooklyn.» afferma spiccia, agitando pigramente il liquido ambrato nel bicchiere, gli occhi verdi ancora puntati in lontananza e le orecchie impegnate a captare qualche nota trasportata dal vento. 

«Barton?» azzarda Tony, fermo agli aggiornamenti di Washington quando si era congedato con Rhodes ed era sparito dai radar della Vedova, incredulo nel saperla così isolata e cercando di mascherare l'apprensione che grava sulla domanda inespressa – So dei ragazzi, so di Laura. Dov'è? Come sta? Tu, come stai?

«Non vuoi saperlo, credimi.» commenta lapidaria Natasha chiudendo il discorso prima di spargere sale sulla ferita ancora aperta, slacciandosi definitivamente i tacchi e raccogliendo le gambe al busto, perdendole tra le pieghe del vestito mentre Stark deglutisce a vuoto intuendo il non detto, spingendola implicitamente a cambiare discorso quando si schiarisce la voce per riempire il silenzio. «Ogni tanto Rhodes passa a bersi un caffè al Complesso, sai? Mi ha raccontato che sei il genere di papà che vizia la figlia.»

«Ho come l'impressione che la notizia non ti sorprenda.» scherza Tony, per nulla sorpreso che lei fosse riuscita a strappare di bocca certe indiscrezioni a Rhodey, ma stupito dell'argomento emerso senza troppe sovrastrutture a mascherare il sincero interesse. «Cos'altro dice in giro per rovinarmi la reputazione?» 

«Che sei felice, e che ti meriti di esserlo.» lo spiazza con una sincerità disarmante, rinunciando a mostrarsi algida e cercando di assorbire più possibile quel calore diventato estraneo di cui ormai conserva solo un vago ricordo… forse vedere con i propri occhi Tony voltare pagina poteva aiutarla a fare lo stesso, anche se inizia già a pentirsi della propria scelta dettata dalla debolezza. «Quanti anni ha adesso Morgan?» 

«Quasi due.» concede Tony con un sorriso timido che gli incurva le labbra in una smorfia, la medesima espressione buffa dipinta sul viso della bambina quando Natasha si era chinata all'altezza dei suoi occhi, porgendole il peluche che le aveva portato in dono e ricambiando il suo sorriso raggiante prima di vederla correre malferma sulle gambe fino ai piedi dei genitori, tirando la gonna del vestito da sposa della madre per mostrarle il nuovo giocattolo, additandola poi tra la folla. «A proposito, il peluche è davvero un peluche o lo devo controllare?» 

«Non ti fidi?» chiede Natasha suscettibile stando al gioco, sfarfallando con le ciglia e vantando un sorriso innocente dipinto sulle labbra rosso bordeaux. 

«Malefica insegna.» si spiega Tony, lasciando sottintendere che il contesto è terribilmente simile, risparmiandosi di ricordarle che di lei non si fida più troppo, soprattutto dopo Lipsia. «Mi sono fatto una cultura di cartoni animati molto istruttiva.»

«Non lo metto in dubbio.» commenta Natasha ironica senza fornirgli risposta, tornando a puntare le iridi verdi sull'uomo, posando i piedi a terra ed indossando nuovamente i tacchi. «So di non essere la benvenuta, quindi levo il disturbo. Ti vedo bene… volevo solo accertarmi di questo.»

«Tu invece? Stai bene?» chiede Stark per educazione, intuendo le sue reali intenzioni benevole con un secondo di scarto, alzandosi in piedi a sua volta quando Natasha si erge sui tacchi e si rassetta il vestito con l'intento di andarsene. 

«Sempre.» sorride falsa, nella speranza che la sua maschera di cera regga, richiamando alla memoria i loro sciocchi convenevoli risalenti ad una vita prima, quando potevano ancora considerarsi una famiglia allargata e non dei conoscenti che con gli anni si sono persi di vista. «Li vedo i tuoi accessi al vecchio database di FRIDAY, sai? I ragazzi ti incuriosiscono?»

«Un po', ma lo sai perché mi tengo alla larga.» ammette Stark facendole cenno di avvicinarsi per un abbraccio di congedo, mentre Natasha si chiede chi dei due ne abbia più bisogno. «Quante probabilità ci sono che torni Zia Nat a ficcanasare da queste parti?» 

«Dipende da te, a dire il vero.» sorride la donna, perdendosi nel contatto per una frazione di secondo, ricordandosi a forza di essere fatta di granito perché Tony, a differenza di Steve, sa riconoscere le crepe senza scambiarle erroneamente per venature del marmo. «Posso tornare [3]?» 

«Tutte le volte che Zia Nat ne sente il bisogno.» concede con una sfumatura di comprensione profonda nella voce, stringendo un po' di più la presa prima di lasciarla andare. «Basta che lasci Romanov fuori dalla porta.»

«Mi sembra giusto.»








 

Note:

[*] L’illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] Precisazioni d’obbligo, per evitare malintesi: gran parte del disastro che si scatena nei fumetti degli Young Avengers deriva dal fatto che emergono nella scena supereroistica poco prima della Guerra Civile dei superumani, quindi l’età, la loro gestione e l’eventuale addestramento di quest’ultimi viene penalizzato dal fatto che sono minorenni, senza alcun tipo di tutela e i genitori non sono a conoscenza delle loro abilità (o meglio, gli unici informati sono i genitori adottivi di Thomas, che lo rinchiudono in un riformatorio per Mutanti). In luce di ciò, vorrei far presente a tutti che nell’MCU attualmente non esiste il Xavier Institute, mentre ricordo che Steve ha firmato per diventare Capitan America, Natasha invece si è ritrovata nella Stanza Rossa da bambina senza volerlo, di conseguenza è più incline a mettersi nei panni dei cinque disgraziati a cui decide di fare da mentore / mamma orsa – la trovo un’alternativa carina all’idea iniziale dei Russo di volerle far gestire un'associazione per gli orfani della Decimazione, poi scartata per motivi di screen-time ed elaborazioni di trama varie.

[2] Il folle si chiama Hank McCoy AKA Bestia, e cercava solamente una cura per non dover più convivere con le zanne e la pelliccia blu, non è esattamente colpa sua se gli svaligiano il laboratorio e vendono il siero al primo offerente.

[3] Stando alla mia chiave di lettura, in "Endgame" il cenno fatto da Nat quando scende dalla macchina mi suggerisce che non sia la prima volta che si reca alla casa sul lago, come non sembra affatto sorpresa di Morgan, a differenza di Steve che non ne sapeva nulla o quasi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 _ 2022 ***


CAPITOLO 5
_ 2022







 

Le porte dell’ascensore si aprono sul loft e Kate marcia a passo spedito fino in cucina, asciugandosi distrattamente le guance rigate dalle lacrime piante lungo il tragitto in macchina, ancora infuriata per l’epilogo della serata, rifugiandosi nell’ultimo posto in cui Elijah sarebbe venuto a cercarla perchè troppo lontano da raggiungere a quell’ora… arrestando la propria corsa quando intravvede Romanov in terrazzo, lo sguardo perso nel vuoto ed una sigaretta tra le dita – … che sta… Natasha sta piangendo? Oddio. Panico.

Katherine arretra di mezzo passo con l’intenzione di andarsene, timorosa di essere piombata a tradimento nel bel mezzo di un momento inopportuno, fallendo miseramente quando urta il cassetto delle posate attivando un radar inconscio della Vedova Nera, la quale si affretta ad asciugarsi le guance e si volta fulminea a cercare l’intruso.

«Kate.» la individua nella penombra, squadrandola dalla testa ai piedi notando il suo viso smunto e gli occhi arrossati. «Serataccia?»

«Brutta quanto la tua, a quanto vedo.» commenta titubante Katherine, affacciandosi alla porta-finestra offrendo il terzo di teglia di tiramisù rimasta e la bottiglia di vino comprata lungo il tragitto. «È avanzata un po' di torta a cena… potremmo finirla e brindare insieme all'ultimo dell'anno, che dici?» 

«Non dovresti essere con i ragazzi a Times Square per il countdown?» replica Natasha educata spegnendo il mozzicone consumato nel posacenere abbandonato sul tavolino, avvicinandosi a prelevarle la bottiglia di mano e facendo cenno alla ragazza di appoggiare la teglia sul ripiano, accettando silenziosamente l’invito. 

«C'è stato un cambio di programma.» replica asciutta Katherine, scrollando le spalle con un gesto di noncuranza, adattandosi alla nuova situazione con la supposizione che Romanov avesse più bisogno di lei di compagnia in quel preciso momento. «Data la situazione… vorrei ubriacarmi con Natalia, dici che è possibile?» 

L’allusione a quel lato di Romanov che conoscevano in pochi e che Kate aveva riscoperto negli ultimi mesi, custodendolo gelosamente per sé, non ottiene gli effetti sperati, ritrovandosi due occhi verdi calcolatori acuminati come spilli puntati addosso.

«Convincimi.» replica spigliata Natasha, tenendo sotto sequestro il vino ostentando diffidenza… e, ormai colta in flagrante, tanto vale rendere Romanov partecipe dei fatti che scoprirà inevitabilmente nel giro di due giorni.

«È il mio compleanno ed è Capodanno, quindi un paio di brindisi sono quasi obbligatori.» azzarda Katherine, respirando a fondo prima di ammettere ad alta voce il motivo del suo malumore, molleggiando sui talloni e roteando gli occhi infastidita dall’occhiata penetrante della donna. «E può darsi che abbia visto Susan al Rockfeller Center oggi... e per questo ho mandato a rotoli l’appuntamento con Eli. Abbiamo litigato… ma quest'ultima cosa non è una novità, sarebbe strano il contrario a dire il vero.»

«Uhm… e come mai sei venuta in cerca di Natalia?» indaga la donna con leggerezza, parlando della parte migliore di sé come se si stesse riferendo ad una estranea a cui Romanov concedeva un’ora d’aria dai minuti contati ogni tanto, strappando la carta metallizzata che protegge il sughero e svitando la gabbietta con dita abili, scoccando a Katherine uno sguardo curioso – Natasha ha gli occhi ancora arrossati, ma Kate ha l’accortezza di sorvolare sul dettaglio, astenendosi dal chiedere chiarimenti in merito che sa le sarebbero stati negati a prescindere.

«Perchè Natalia mi sembra una persona amichevole quando ha la giornata giusta, ed ora ho un disperato bisogno di un’amica.» afferma Kate con praticità senza perdersi in astrusi giri di parole, dando voce al proprio istinto, incurante se con tale sentenza si sta esponendo più del dovuto – prima di tagliare i ponti con tutti, quando si autodefiniva ancora una ragazza superficiale con tutto da perdere e nulla da guadagnare, aveva l’abitudine di raccontare le sue vuote giornate a Susan, la quale a volte si ricordava di avere una sorella minore e aveva l’accortezza di comportarsi come tale nei suoi confronti quando la vedeva coinvolta in certi gossip, principalmente per assicurarsi che Kate non gettasse fango sul nome di famiglia. Negli ultimi anni la ragazza si era gradualmente abituata alla solitudine, trovando in Thomas un ottimo compagno di merende occasionale all’occorrenza, ma non era la stessa cosa… ed in quel momento Kate ha la netta sensazione che Natasha abbia un disperato bisogno di una serata tra ragazze tanto quanto serve a lei.

«L’appuntamento è andato davvero così male?» Natasha taglia la testa al toro ponendo la domanda con una delicatezza inusuale, stappando finalmente la bottiglia e versando loro del vino, prendendo poi posto a tavola scomposta, invitando Kate a fare lo stesso.

«No, è stato pure divertente… prima che si palesasse Susan.» commenta infastidita la ragazza, scostando la sedia e togliendo la pellicola dalla teglia, tuffando la forchetta  tra gli avanzi della propria torta di compleanno per soddisfare la fame nevrotica.

La sfortuna di compiere gli anni il 31 dicembre implicava che Kate non fosse mai riuscita a celebrare una festa di compleanno con la "F" maiuscola, l’evento passava in sordina agli occhi di tutti perché puntualmente si ritrovava incastrata in uno dei festini organizzati da suo padre dove una fetta di torta magari c'era, ma non era esattamente la stessa cosa. Solo negli ultimi quattro anni si era concessa di festeggiare come voleva: torta tiramisù, quattro invitati in croce che non fingevano di volerle bene ed i fuochi d'artificio visti da lontano, tenuti in sottofondo come promemoria che quello, in fin dei conti, era sempre l'ultimo dell'anno. 

«Cos’ha fatto di così scandaloso?» la incalza Natasha, con un’espressione incolore dipinta sul volto, accettando riluttante la forchetta offertale da Kate con una certa insistenza, sbocconcellando controvoglia la torta venendo meno alla sua dieta oltremodo discutibile – probabilmente, se solo Rogers si fosse degnato di trascorrere il Capodanno al Complesso, le avrebbe concesso un cenno di approvazione per aver convinto Romanov a nutrirsi come un normale essere umano.

«Ha… mostrato interesse. Mi ha chiesto se ho un lavoro, se vado ancora a scuola.» riporta Katherine ancora sconvolta dalla faccenda, infilzando la crema al mascarpone con una violenza tale da tradire una punta di furia al ricordo della faccenda, ghignando sprezzante cercando lo sguardo di Natasha con intenzione. «Neanche a dirlo mi ha squadrata dalla punta del pon-pon ai lacci delle scarpe e ha crocifisso Elijah con lo sguardo, ma a parte questo ha palesemente preteso che gli ultimi tre anni di silenzio stampa non ci siano stati.»

«E non è quello che volevi…?» chiede confusa la donna, mandando giù il dolce con un sorso di vino, ignorando il verso esasperato di Katherine e lo sguardo irritato rivolto al cielo.

«Non iniziare anche tu, ora.» la supplica la ragazza, il cinismo di Tommy che viene zittito dall’eco delle parole dei ragazzi espresse a cena che le martellano ancora le orecchie, mettendo il broncio all’idea di aver attraversato l’intera New York per fuggire da certi discorsi solo per doverli affrontare comunque, con un oratore spigliato ed irriducibile come Romanov per giunta – a momenti quasi rimpiange Elijah. Quasi.

«Non hai pensato che magari Susan non è più una persona così terribile ora che non è più sotto l'influenza di tuo padre?» azzarda Natasha dopo un silenzio troppo lungo per non essere calcolato, portandosi una forchettata di tiramisù alle labbra subito dopo per tenere la bocca occupata. 

«Ci ha già pensato Elijah a farmi questo discorso per mandarmi di traverso la cena. Lui, Billy, Teddy e anche i signori Bradley.» replica scorbutica Katherine, puntandole contro la propria forchetta con aria risentita. «È solo fiato sprecato, ha ragione Thomas nel dire che Susan è solo una opportunista… e comunque dubito fortemente che tu possa capire.» 

«Non essere sciocca… mettimi alla prova.» la sfida Natasha, riservandole un sorriso incoraggiante, afferrando il calice di vino e rilassandosi contro lo schienale della sedia, ponendosi nelle condizioni di ascoltarla con attenzione. «Sono tutta orecchi.» 

«Sei-… sei seria?» si sorprende Kate, basita dal fatto che qualcuno voglia davvero stare a sentire le sue motivazioni sul perchè una giornata promettente come quella si era trasformata in una serata nera, invece di zittirla ribadendole come l’incontro con Susan fosse un “regalo di compleanno” e non un raggiro bello e buono per comprare da lei qualche briciola di affetto. 

«Forza, racconta tutto a Zia Nat.» la incita la donna e Katherine sente le lacrime salirle agli occhi, minacciando di rigarle nuovamente le guance… ma non le importa, dopo le ultime due settimane la dignità l’ha persa, rivoluzionata e recuperata talmente tante volte da concedersi un’eccezione per gli occhi della sola Natasha – sono in due con i rubinetti aperti quella sera, possono concederselo per una volta.

E così Katherine inizia a raccontare a Romanov come suo padre avesse sempre dato per scontato che il benessere economico fosse sinonimo di benessere generale, trascurando le figlie e la moglie per inseguire un successo che l’aveva spinto a nuotare in cattive acque… le spiega come Susan si fosse adeguata a quello stile di vita, crescendo nell’ombra di Derek scoprendo intorno ai sei anni che se si comportava come un’oca giuliva veniva ricompensata da loro padre con qualche mezz’ora di tempo sporadica, gelosa delle improvvise attenzioni di loro madre riservate solo a Katherine quando le aveva scombinato i piani da figlia unica. Kate rischia di cedere alle lacrime quando nomina New York, spiegando alla donna che era stato in quel periodo che l’ambizione di suo padre aveva toccato vette pericolose, di come in quello stesso lasso di tempo aveva raccontato a sua madre di Heather ed Eleanor avesse chiesto a Derek il divorzio e la custodia delle figlie… perdendo la causa in tribunale, vedendosi preclusa l’occasione di proteggere Kate dalle grinfie del marito e dai capricci di Susan che voleva punirla per aver mandato in frantumi la famiglia, dissandola per essere diventata la cocca di mamma, vantando i propri privilegi da prediletta di papà. Di come, dipendendo in tutto e per tutto dal conto in banca di suo padre, Kate si fosse calata nei panni di un’oca giuliva triste, perennemente fuori posto e bisognosa di un legame con la sorella, illudendosi che condividere la piaga rappresentata da Derek fosse un collante abbastanza forte per tenerle unite… scambiando la disponibilità saltuaria di Susan per briciole di affetto, senza rendersi conto che la sorella la stesse usando, impegnata a mantenere integri i propri privilegi nascondendo a loro padre quanto fango gettava Kate sul nome di famiglia con il suo comportamento sconsiderato ed anticonformista. 

«… -le ho demolito la reggia dorata e invece di prendere le mie difese, schierandosi contro papà, mi ha definito una “seccatura” con tutti i giornalisti e ha cercato inutilmente di contenere lo scandalo.» brontola Kate finendo di spezzettare il fazzoletto di carta che Natasha le ha procurato durante il racconto, mettendo su il broncio quando solleva lo sguardo sulla donna cercando un riscontro dopo essere stata l’unica a parlare per un lasso di tempo così lungo. «È tornata con la coda tra le gambe perchè non le è rimasto più nulla sul conto in banca, oppure è rimasta sola e ora si fa andare bene anche la compagnia di una ruota di scorta… se le manco davvero quanto dice si sarebbe sicuramente fatta viva prima del mio compleanno. Sbaglio, forse?»

«Beh… non parli con Susan da tre anni, Katherine. Ne cambiano di cose, in tre anni.» afferma Natasha ricalcando in maniera snervante le parole di Eli espresse nel pomeriggio, ma distogliendo lo sguardo stringendosi tra le spalle come se stesse effettivamente parlando per esperienza personale e non per mera presunzione, tentennando appena prima di sciogliersi la lingua e spiazzarla. «Io con mia sorella non mi sono comportata tanto meglio… non ci siamo parlate per una dozzina d’anni, poi io mi sono cacciata nei guai e non ho avuto altra scelta se non chiedere il suo aiuto.»

«E tua sorella come l’ha presa?» chiede Katherine a bruciapelo, notando come gli occhi di Natasha continuino a puntare in un'altra direzione e siano tornati improvvisamente umidi. 

«Oh, beh… ce le siamo date di santa ragione, poi le ho offerto una birra ed abbiamo fatto pace.» sorride debolmente Natasha, con un ricordo dolceamaro sulla punta della lingua, liberando una risata spenta per una battuta persa nel tempo. «Raccontava in giro che ero un’insegnante di scienze e che mio… marito ristrutturava case.»

«Tuo marito?» non resiste Kate, parafrasando “insegnante di scienze” con “esperta di veleni” e “ristrutturare case” con “smantellare l’HYDRA”, fantasticando su che razza di uomo dovesse essere il suo fantomatico “marito” per tener testa ad una spina nel fianco come Romanov… fronteggiando il sorriso sagace di Natasha e la sua aria disillusa, dando alla ragazza l’impressione di aver fatto il passo più lungo della gamba ed aver chiesto qualcosa di proibito. «Parli di Barton?»

«Dipende… chi credi guidasse la notte che ti ho portata in ospedale?» la stuzzica Natasha, nonostante Katherine si avvalga del diritto di non rispondere, annuendo riflessiva… solo perchè lei aveva condiviso i propri drammi familiari con Romanov, ciò non implicava in automatico che la donna fosse del suo stesso avviso, ritenendo già un privilegio di per sé essere venuta a conoscenza dell’esistenza di una sorella di cui era certa che nessuno dei ragazzi ne fosse già a conoscenza. «Scommetto tu ci sia arrivata ormai, non è la prima volta che rispolveriamo questo discorso.»

La notte dell’ospedale rimaneva uno dei ricordi frastagliati più brutti nella memoria di Katherine, era sfuggita al peggio grazie all'intervento tempestivo di Romanov, ma aveva trascorso i mesi seguenti a torturarsi ogni notte riempiendo i propri vuoti con dettagli raccapriccianti, immaginando come potrebbero essere andate le cose se solo la donna non fosse passata di lì per caso in quel momento… era stato solo dopo il reclutamento ufficiale del Capitano Rogers che Kate aveva finalmente composto il puzzle, ridimensionando in parte i propri incubi notturni. La sua memoria lacunosa aveva avuto bisogno di un piccolo calcio in avanti per associare il caschetto biondo della donna senza volto dei suoi ricordi fumosi ai capelli tinti di Natasha rovinati dalla ricrescita ramata, poi le erano serviti un altro paio di mesi per farsi coraggio e beccare Romanov in un momento in cui fosse sola ed avesse una buona giornata, facendo ufficialmente le presentazioni con “Natalia” e venendo a conoscenza della maggior parte dei retroscena della vicenda. L’unica incognita su cui non era riuscita a spuntarla era il suo accompagnatore, Natasha parlava sempre di quella notte al plurale nonostante affermasse di essere sola, divagando puntuale ogni volta che Katherine menzionava il ricordo di un riflesso metallico proiettato sul parabrezza – la mancata risposta aveva spinto la ragazza ad indagare sul conto di Natasha con spiccato accanimento, assumendo le sembianze di un test per valutare la sua intelligenza, e con il passare delle settimane era arrivata ad una plausibile soluzione all’enigma… avviando involontariamente un giro di scommesse con i ragazzi nel frattempo, che si erano rivelati molto più pettegoli di lei in certi frangenti e le avevano dato una mano sostanziosa per avvicinarsi sempre più alla soluzione, sparlando nel mentre su molto altro.

«Lui ti manca, vero?» si arrischia Katherine, trovando inopportuno richiamare indietro per nome dei fantasmi oltremodo ingombranti, reputando equo cercare di fornire un po’ di sollievo a Natasha dopo il suo impegno altruista nel chiarire il suo disastro emotivo.

«Certi giorni più di altri, ma… hai quello che hai quando ce l’hai. L’amore, la famiglia, gli amici… è tutto relativo, temporaneo.» afferma la donna, svuotando il calice con cui aveva giochicchiato nell’ultima mezz’ora, rivolgendo lo sguardo all’alone perlaceo della Luna nascosto dalle nubi. «Approfitta dell’amore finché c'è Kate, fai sempre in tempo a trasformarlo in una privazione pragmatica.»

«Quindi il suggerimento è continuare a guardare avanti e prendere quello che viene?» traduce Katherine, svuotando l’ultimo goccio di vino nel proprio bicchiere, contemplando il vuoto della bottiglia e la teglia tirata a lucido dalle sue ditate nervose.

«E lasciarti le spalle scoperte? No… non io, almeno. Invidio chi ci riesce.» si contraddice la donna, con l’ennesimo sorriso triste della serata. – Guardi avanti per sopravvivere, ma allo stesso tempo guardi indietro perchè ti senti braccata… da chi? Dai fantasmi per cui piangi quando non pensi di essere vista? 

«La mia analista direbbe che non è esattamente "sano" come comportamento, men che meno normale.» replica atona Katherine, notando come Natasha posi il calice ed afferri le sigarette, sedando la solita carenza con un altro tipo di palliativo.

«Io non sono mai stata “normale” Kate, ma per te c'è ancora speranza.» commenta Romanov disillusa, dando fuoco al tabacco ed esalando una lunga boccata di fumo, cadendo con lo sguardo sulle lancette del proprio orologio da polso. «Bishop?»

«Si?» la ragazza solleva le iridi azzurre sulla donna, seguendo il suo sguardo e cadendo a sua volta sulle lancette dell’orologio che segnano l’una meno un quarto… ed è strano, trovarsi così lontani dal centro abitato da non aver visto nemmeno un fuoco d’artificio.

«Non è più il tuo compleanno.» sottolinea Natasha in quello che fa passare come un blando augurio di “buon anno” insieme all’avviso che quello sia il suo ultimo brandello di “Natalia” concesso, picchiettando la sigaretta contro il posacenere scoccandole uno sguardo penetrante con rinnovata freddezza. «Apriamo un'altra bottiglia o te ne torni a casa?»

«Me ne torno a casa.» afferma la ragazza, alzandosi in piedi e raccogliendo la teglia vuota… andandosene con la consapevolezza di aver imparato qualcosa che desidera mettere subito in pratica. «Non escludo che Elijah si sia accampato davanti la mia porta di casa… e gli devo una spiegazione e delle scuse, credo.»

«Te la senti di guidare? Hai bevuto un quarto di quello che ho buttato giù io, ma…» si informa Natasha mascherando al meglio il tono da mamma orsa, venendo interrotta da un cenno di Katherine che declina l'offerta implicita, ritrattando lo sprazzo di gentilezza riportandosi il filtro alle labbra e fingendo di non aver mai abbozzato una qualche proposta. «Buona fortuna, allora. Per noi persone orgogliose brucia sempre un po’ di più quando siamo dalla parte del torto.»

 

***

 

«Ero sicura di trovarti qui, avrei dovuto scommetterci dei soldi.» lo sveglia la voce di Katherine, spalancando gli occhi di soprassalto, mettendo a fuoco la ragazza accovacciata di fronte a lui con il viso ad un palmo dal suo naso. «Sono le tre del mattino.»

«Dove sei stata?» si informa Elijah sbadigliando, issandosi da terra aiutato dalla mano salda di Kate, addossandosi allo stipite ancora assonnato e con la schiena che scricchiola per la posizione assunta nell’ultimo paio d’ore a ridosso della soglia dell’appartamento.

«Ho guidato fino all’Upstate per bermi qualcosa con Natasha.» replica spiccia la ragazza, infilando le chiavi nella toppa e facendo scattare la serratura.

«Era intenzionale?» si sorprende Elijah nel capire, oltre la patina di sonno ed i fumi dell’alcol che gli rallentano il cervello, che Kate nelle ultime sei ore se ne è fatta quattro di macchina, incespicando oltre la soglia con gli occhi a mezz’asta.

«Ovviamente no, quando mai ho programmato qualcosa?» scherza Katherine sbadigliando a sua volta, chiudendo la porta a doppia mandata alle loro spalle, sfilandosi il cappotto e scalzando gli anfibi ricoperti di neve sporca. «Noi due dovremmo parlare.»

«Hai intenzione di farlo ora?» indaga Eli, il cervello che funziona a metà e l’unico neurone attivo che si agita confuso nel registrare i movimenti della propria ragazza, la quale gli sfila il piumino dalle spalle e gli toglie il berretto di lana dalla testa. «Mi stai spogliando.»

«Stai dormendo in piedi e sei un filo ubriaco.» Kate sottolinea l'ovvio con un sorriso divertito stampato sulle labbra, rassicurando in parte l’unico neurone rimasto in funzione nel suo cervello. «Riesci a toglierti almeno le scarpe? Mi sporchi tutto il pavimento.»

«Dormo sul divano?» chiede retorico Elijah in cerca di una conferma, scalzando gli scarponi fradici di neve e trascinandosi fino al salotto con passo malfermo, bloccandosi di colpo quando il corpo di Katherine aderisce al suo premendo la fronte in mezzo alle sue scapole e lo circonda con le braccia fino a posare le mani fredde contro il suo stomaco, mandando in allarme il povero neurone assonnato e confuso impegnato a non farlo crollare di faccia incontro al pavimento. 

«Facciamo un’eccezione per stasera.» sussurra Kate accattivante sollevandosi in punta di piedi per raggiungere il suo orecchio, sciogliendo la presa quel poco che gli consente di voltarsi a guardarla, per poi scendere in picchiata sulle sue labbra strappandole una risata soffocata. «Calmo, tigre. Si dorme… ho solo pietà della tua schiena.»

«Credo tu ti diverta a torturarmi, donna.» commenta Elijah con un sorriso sfrontato sulle labbra mentre permette a Kate di spingerlo a ritroso fino alla camera da letto, cadendo sopra il materasso di peso facendo gemere le molle con un rumore secco, sollevandosi sui gomiti sorridendole sfrontato. «Obiezioni se dormo in boxer?»

«Come ti pare, io mi strucco e mi metto il pigiama.» lo liquida la ragazza, scavalcandolo per recuperare gli indumenti da sotto il cuscino e chiudendosi a chiave nel bagno privato… ed Eli vorrebbe tanto rimanere sveglio, giocarsi l’evoluzione della serata con qualche altra frecciatina e un bel po’ di faccia tosta, ma ha appena le forze per spogliarsi dei soli jeans che crolla addormentato sopra le coperte molto prima che Kate riapra la porta e lo raggiunga.

Ciò che sveglia Elijah il mattino dopo non è il sole pallido che fa capolino dalle imposte, ma la confusione che lo pervade quando si rigira tra le coperte e si scontra con il corpo di un’altra persona – Ma quindi è successo davvero…? Dovevi proprio ubriacarti ieri sera, Bradley?

«Ehi, sexy.» biascica Eli con la bocca impastata, mettendo a fuoco Katherine seduta tra le lenzuola al suo fianco, nel suo discutibile pigiama viola chiaro con le stelline rosa e con il portatile acceso posato sulle gambe.

«Tu hai uno strano concetto di sexy.» gli augura il buongiorno Kate voltandosi a guardarlo, mentre Eli si issa sui gomiti e posa le scapole contro la testiera del letto, rendendosi conto che la sera prima Katherine doveva avergli sfilato anche calzini e maglione prima di trascinarlo a peso morto sotto le coperte, prementosi le dita contro la tempia destra che inizia a sbattere violentemente. «Aspirina?»

«Se ce l’hai...» borbotta Elijah, seguendo Kate con lo sguardo mentre rotola giù dal materasso, sparisce in cucina e torna con una pastiglia effervescente intenta a sciogliersi nel bicchiere d'acqua. «Grazie.»

«Pensavo l’alcol non ti facesse effetto [1].» commenta la ragazza, scavalcandolo di nuovo e tornando a sedersi nella sua porzione di letto riportando il computer sulle gambe, sollevando gli occhi azzurri su di lui qualche istante dopo quando non riceve risposta alcuna. «Eli, ci sei o ci fai?»

«Credevo fossi arrabbiata con me, l’atteggiamento disponibile mi confonde.» ammette il ragazzo, buttando giù in un lungo sorso la medicina e sporgendosi a posare il bicchiere sul comodino, stropicciandosi gli occhi nella speranza di abbandonare i recessi della sonnolenza, mettere in moto il cervello e tentare di capire la dinamica in corso. «Credo di dovermi scu-...»

«Scusare? Per cosa?» lo interrompe Kate, scrollando le spalle con noncuranza, tradendosi con l'accenno di un sorriso tirato, svuotando il sacco prima che Eli possa mettersi nell’ordine delle idee di farle il terzo grado. «Per una volta che hai ragione, tienitela.»

«Katie… okay, allora… se ora ti trasformi e vedo squame o della pelle verde potrei mettermi seriamente ad urlare.» la ammonisce Elijah, fissandola serio e discostandosi di qualche centimetro dalla loro posizione ravvicinata.

«È davvero così strano che ammetta che ho sbagliato?» ridacchia la ragazza, scoccandogli uno sguardo divertito che le illumina le iridi azzurre, memori entrambi del paio di volte in cui Teddy aveva assunto le sembianze di Katherine per esercitarsi e si fosse arrischiato a conversare con Eli per testare quanto era credibile nei panni di qualcun altro, scatenando sempre grosse risate quando il ragazzo presto o tardi se ne rendeva conto e si inviperiva.

«Si… molto, troppo strano.» afferma Elijah, scrutandola ancora con sguardo guardingo. «Quante volte sono scivolato sul ghiaccio ieri pomeriggio?»

«Otto, non te la sei cavata male… per essere stata la tua prima volta, intendo.» lo prende in giro Katherine, sorridendogli maliziosa e chinandosi per baciarlo sulle labbra, salendogli sopra di malagrazia e schiacciandolo sotto il suo peso. «Ho superato il test?»

«Si, ma non cambia il fatto che mi stai mettendo ansia. Inizia ad urlarmi contro, ti prego.» la supplica Elijah facendola ridere di gusto, lasciandosi andare al contatto al punto da dimenticarsi perchè hanno discusso e se c’è davvero motivo per continuare a farlo… e di colpo il momento magico finisce, Kate decide di essersi divertita abbastanza nel torturarlo e torna a dedicare la sua completa attenzione al PC che aveva abbandonato in un angolo, suscitando la curiosità del ragazzo. «Avevi detto che dovevamo parlare.»

«Dopo, goditi il momento di pace finchè te lo concedo.» lo liquida Kate con una scrollata di spalle, trascinandosi nuovamente il portatile in grembo, incurvandosi a gambe incrociate al centro del letto, chinando il collo in avanti lasciando scoperta la nuca… e la pelle bianca come il latte risalta contro la linea dei capelli corvini, mettendo in mostra le pallide lentiggini che sfumano sulle spalle di Katherine, lasciate scoperte ed invitanti alla vista di Eli dalla maglia del pigiama oversize. 

«A cosa stai lavorando?» si sbilancia Elijah, rinunciando a resisterle e sporgendosi a tempestarle il collo di baci per darle fastidio, approfittando della quiete a cui sono estranei per natura… concedendosi un istante per apprezzare il momento: loro due da soli senza i ragazzi ai margini intenti a bersagliarli con mille frecciatine, il silenzio scandito dal lieve tap-tap della tastiera del computer, la consapevolezza che nessuno li stesse aspettando da nessuna parte e potevano trascorrere pigramente l’intera mattinata a farsi le coccole, a discutere e fare la pace.

«Calmo, tigre.» lo placa la ragazza verbalmente con il sorriso sulle labbra, ma non fa nulla per respingere le sue mani che sconfinano sotto la maglia del pigiama. «Natasha mi ha messo un grillo pericoloso in testa, sto decidendo se nutrirlo o meno.»

«Il grillo?» chiarisce Eli, incastrando il mento contro la curva della spalla della ragazza, dando un taglio alle smancerie e spingendo lo sguardo d’ebano fino allo schermo, riconoscendo il nome dell’indiziata in mezzo alla decina di pagine internet aperte sul desktop. «Susan...? Vorresti dirmi che stai prendendo in considerazione l’idea di darmi retta e dare una seconda possibilità a tua sorella?»

«Non dirlo con quel tono compiaciuto, per favore.» sbotta Katherine scrollandoselo di dosso con un gesto secco delle spalle, spezzando la quiete e ristabilendo il naturale ordine delle cose, ritornando al clima di bisticcio perenne che rassicura notevolmente Elijah.

«E doveva fartelo capire Romanov?» ribatte scettico il ragazzo, sorridendo sfrontato e ritrovandosi la mano di Kate a coprirgli il volto spingendolo all’indietro contro il materasso, cadendo sui gomiti ed evitando di distogliere lo sguardo di fronte all’espressione di scuse che Kate gli concede da sopra una spalla. «Non guardarmi così, ieri sera hai fatto una scenata a cena quando ti abbiamo detto tutti quanti esattamente la stessa cosa. O meglio, tutti tranne Thomas.»

«Ed ecco che inizia...» sospira Katherine alzando lo sguardo al soffitto, accantonando di nuovo il portatile per voltarsi a fronteggiarlo, puntellandosi a sua volta sui gomiti fissandolo dal fondo del letto. «Ti prego, sfogati… tanto lo sappiamo tutti e due che muori dalla voglia di farmi la morale. Poi ti degni di ascoltarmi, ti penti di mezze cose che hai detto e facciamo pace.»

«E se passiamo direttamente alla parte in cui mi spieghi perchè ti sei comportata da pazza irascibile? Così per una volta posso gustarmi la consapevolezza di avere piena ragione? A quanto pare è un nesso che sfugge a tutti, meno che a Tommy.» contratta Elijah spigliato eludendo ad arte la punta di gelosia, intrecciando le mani sullo stomaco e sorridendo candido di fronte al cipiglio irritato di Katherine. «Ti prego, illuminami.»

«Ti odio.» sentenzia Katherine, guardando nuovamente il soffitto prima di porre il quesito a bruciapelo. «Non ti ho mai raccontato per intero che genere di rapporto avevo con Susan… quindi voglio sapere le tue impressioni a caldo su di lei, prima.»

Elijah tace, riflette e sceglie le parole con cura… il pomeriggio prima al Rockfeller Center non aveva avuto il tempo materiale per farsi una vera e propria opinione sulla donna, Katherine aveva liquidato la sorella in un quarto d’ora di convenevoli in punta di lama dove la tensione si poteva tagliare con il coltello, per poi trascinare il ragazzo in una caffetteria a tre isolati di distanza, ignorando le sue proteste sul essere stata sgarbata.

«Era in imbarazzo… per la situazione credo, si vedeva che ci teneva a farti una buona impressione.» azzarda Elijah, sforzandosi di ricordare qualsiasi altro dettaglio rilevante. «Tu sei stata una stronza, senza offesa. E palesemente io non le piaccio, a pelle.»

«Uhm.» l’espressione di Kate si contrae in una smorfia, svicolando con lo sguardo ad un lato del materasso prima di tornare a puntare gli occhi su Eli, boccheggiando un paio di volte riformulando frasi inespresse, calando l’asso con la delicatezza di un carro armato perchè dal suo punto di vista evidentemente è l’unico modo per farsi capire. «Mettiamola così: se tua madre ti cercasse il giorno del tuo compleanno solo per chiederti come va il college, come la prenderesti? Sincero.»

«Peggio di te.» ammette Eli con riluttanza dopo un paio di secondi di tentennamento, immaginando chiaramente l’aura di sospetto emanata da Sarah Gail per il suo ipotetico interessamento dopo dodici anni di silenzio stampa… desiderando per assurdo quel legame nonostante la presenza di Nana nella sua vita, che continua premurosa a fargli da madre senza mai sbilanciarsi sul comportamento discutibile della figlia. «Ma Susan ha l’attenuante di essere tua sorella, non tua madre. Non è esattamente la stessa cosa.»

«Però capisci.» insiste Katherine… e solo in quel momento Eli comprende il sospetto, la rabbia per l'idea di fronteggiare un secondo fine, la rinuncia ad alimentare una speranza vana, il dolore per desiderare, credere ed inseguire un abbaglio nonostante tutto perchè la famiglia è pur sempre la famiglia.

«Però capisco.» afferma Elijah con serietà, sciogliendo i lineamenti in un sorriso stiracchiato, allargando le braccia invitante chiedendole il permesso. «Coccole?»

Katherine non se lo fa ripetere due volte, si arrampica sulle lenzuola e gattona fino ai cuscini, incastrandosi al suo fianco e seppellendo il viso contro l’incavo del suo collo… e sembra piccola, una bambina indifesa che vive sola in un mondo troppo grande, usandolo come scudo per nascondersi agli occhi del cosmo per qualche breve minuto – è in momenti come quello che Eli capisce davvero cosa l’abbia spinto a cadere ai piedi di Kate, beneficiando del privilegio di potersi specchiare in occhi simili ai suoi senza la paura di venire giudicato o respinto.

«Per questo ti stai documentando?» deduce Elijah, iniziando a districarle le ciocche corvine e posando lo sguardo sullo schermo ancora acceso del portatile, abbandonato in equilibrio precario all’angolo del letto. «Per capire se puoi fidarti, o se invece devi dare retta al cinismo di Tommy.»

«Thomas a parte, non credo arriverò mai a fidarmi.» confessa Kate, circondandogli il busto con le braccia ed infilando i piedi gelati in mezzo alle sue gambe, percependoli come una nota di vago fastidio che tuttavia non rovina la quiete del momento. «Le concedo il beneficio del dubbio, però.»

«Comprensibile.» concorda Elijah, continuando a pettinarle le ciocche e posandole un bacio sulla sommità del capo, accarezzandole la guancia ed obbligandola ad alzare la testa. «Sono curioso, cosa ti ha detto Romanov di così rivoluzionario?»

«Che cambiano tante cose in tre anni… si lo so, non iniziare.» lo zittisce Kate prima che Eli possa aprire bocca per obiettare, facendole notare che quelle erano state le sue esatte parole appena terminato l’incontro con Susan, le stesse che la ragazza si era rifiutata di ascoltare finché non erano state proferite da Natasha. «Mi ha caldamente suggerito di apprezzare ciò che ho, finchè dura.»

«Tipo?» indaga il ragazzo, sfiorandole la spalla in punta di dita in una coccola.

«Tipo te.» sorride Katherine mentre le guance le si colorano di un rosa più intenso, abbassando lo sguardo e picchiettando distrattamente con l’indice contro il suo petto, valutando riflessiva il da farsi. «Se decido di darle una chance, vieni con me quando la incontro?»

«Mh-m. Se mi vuoi, io ci sarò.» annuisce Elijah, sporgendosi a baciarle le labbra, lasciandosi prendere a morsi e concedendosi istintivamente qualche libertà in più di quelle concordate a monte… avvertendo chiaramente il momento in cui il corpo di Kate si irrigidisce sotto il tocco dei suoi polpastrelli quando supera un tacito limite invisibile, spalancando gli occhi e fermandosi di colpo. «Ehi, Katie… tutto okay?»

«Tutto okay, solo… andiamo con calma, devo ancora abituarmi all’idea.» lo rassicura la ragazza mordendosi nervosamente le labbra, sforzandosi di sorridergli e sporgendosi a baciarlo per cancellare il momento di incertezza… quel discorso prima o poi andava affrontato, ma in quel preciso istante non sembra ad entrambi il caso. «Mi porti a pattinare?»

«Per ridermi dietro ogni volta che cado?» smorza la tensione Elijah assecondandola, facendo buon uso delle poche libertà che la ragazza gli ha concesso, baciandole in rapida successione le labbra, le guance e la fronte facendole arricciare la punta del naso, dipingendole sul volto un’espressione nuovamente spensierata e felice.

«Ovvio.» scherza la ragazza, scivolandogli via dalle dita come acqua, rotolando giù dal materasso per raccattare il bicchiere sporco ed avviarsi in cucina. «Andiamo a fare colazione da Starbucks? Ho voglia di brioches al pistacchio.»

«Ora? Vuoi andare a pattinare ora?» si sorprende Eli, rotolando giù dal letto a sua volta e seguendola nell’altra stanza, senza mai toglierle gli occhi di dosso quando Kate raggiunge il lavello e fa dietrofront, tornando in camera da letto e fermandosi in contemplazione delle ante dell’armadio aperte.

«Perchè no?» chiede la ragazza con un sorriso furbo dipinto sulle labbra, ammiccando da sopra una spalla. «Rispetto a ieri, a quest’ora c’è sicuramente meno gente a riderti dietro per tutte le volte che finisci con il culo per terra.»

«Oh, quindi ora saresti pure magnanima?» replica ironico Elijah al pensiero di come i suoi capitomboli del giorno prima fossero stati ripresi e dati in pasto al centinaio di follower della sua fidanzata, preparandosi all'assalto con un sorriso pericoloso ad incorniciargli le labbra. «Le ho viste le tue storie Instagram di ieri, sai? Mi hai taggato, tesoro

«Non so di cosa tu stia parlando, tesoro.» Katherine si limita a sorridergli innocente con i vestiti puliti sottobraccio, soffiandogli un bacio prima di chiudersi rapida dietro la porta del bagno, fuggendo alla guerra del solletico prima che Eli possa scatenarla lanciandosi all’attacco, il quale si schianta contro il legno mancandola di poco. «Ammettilo, mi ami anche per questo.» 

«Tu non sai quanto.»

 

[*] 

 

***

 

«Rispiegamelo, dov'è che l'hai trovata?» insiste Romanov, seduta stranamente composta alla scrivania dell'ufficio mentre scruta Teddy con sguardo inquisitorio, palesemente irritata dal fatto di non essere riuscita a brandire la spada che il ragazzo le ha portato come cimelio in sala riunioni. «Al Sanctum Sanctorum?» 

Theodore annuisce, lanciandosi nell'ennesima spiegazione della giornata sul come fosse stato Billy a trascinarlo a Bleecker Street, sottolineando che la loro fermata alla biblioteca del Palazzo era stata una leggera deviazione sulla via del ritorno dall'università per scopi puramente "accademici" – la facoltà di lingue non era sufficientemente impegnativa a detta di William e, da quando Natasha gli aveva presentato Wong asserendo che lei non aveva più motivo di addestrarlo, il suo fidanzato si era buttato a capofitto nel aramaico e nel sanscrito senza pensarci due volte, trascinandosi dietro Teddy ogni volta che ne aveva l'occasione per dargli un assaggio dei nuovi incantesimi appresi. 

«Stai divagando.» taglia corto Romanov obbligando Theodore a recuperare le fila del discorso, inarcando un sopracciglio e facendogli cenno con la mano di proseguire nel suo resoconto. 

«Divagazione d'obbligo, sei tu quella che vuole sempre sapere cosa combiniamo nella Dimensione Specchio.» insiste Theodore, mentre l'espressione sbigottita di William gli torna alla mente facendolo sorridere, ricordandolo allucinato e sorpreso nel vedersi porgere la mano dal Monaco, il quale si era congratulato per il suoi progressi fatti in solitaria mentre Natasha lo informava di dover ringraziare Stark, il suo ficcanasare tra i muri di una casa che non era più la propria e le sue improbabili conoscenze… ma l'irritazione che traspare dai lineamenti della donna è sufficiente per costringere Teddy a far ritornare il discorso sui giusti binari. «L'ho estratta dal portaombrelli dell'ingresso, comunque.»

«Il portaombrelli?» si sorprende Natasha, dipingendosi un'espressione sbigottita sul volto alzando lo sguardo sulla pioggerellina di inizio aprile che picchietta contro le vetrate del Complesso, per poi chinarsi in direzione della spada per osservarla meglio, afferrandosi le tempie per reggersi la testa, combattendo un probabile mal di testa. «E Wong te l'ha lasciata portare via?» 

«Sì, non l'ha voluta esaminare… e subito dopo ha sbattuto me e Billy sul marciapiede sotto il diluvio.» riassume Theodore, risparmiandosi ulteriori divagazioni sul come il proprio fidanzato li avesse teletrasportati nella palestra del Complesso evitando loro un viaggio "bagnato" di minimo un'ora, radunando e raccontando ai ragazzi l'intera vicenda – sfidandosi inutilmente a brandire la lama, che era risultata un macigno per chiunque tranne che per Teddy –, prima di convincere il ragazzo a salire in ufficio da Natasha e renderla partecipe della scoperta. 

«Questi simboli… credo di sapere dove li ho già visti.» riflette a voce alta Romanov dopo lunghi istanti di silenzio denso, allungando un polpastrello a tracciare l'iscrizione in lingua aliena incisa sulla lama ed i contorni dell'elsa lavorata a sbalzo. «Fare un tentativo non costa nulla…»

Theodore prende in considerazione l'idea di chiedere alla sua Mentore a cosa si riferisse di preciso con una affermazione del genere, ma si morde la lingua quando Natasha accende il proiettore olografico e invia una richiesta di chiamata a Capitan Marvel, attendendo paziente la caduta del segnale come se si aspettasse di vedere la barra di caricamento azzerarsi… e mascherando ad arte la sorpresa nel vedere Carol Danvers materializzarsi davanti ai suoi occhi, rispondendo al suo primo tentativo di contatto. 

«È una questione di vita o di morte?» esordisce la bionda con aria infastidita, ostentando una finta superiorità dettata dal proprio carattere, tentennando prima di riagganciare perché una chiamata da parte di Natasha è insolita al punto da passare per l'avvisaglia di un vero problema – Danvers e Romanov potevano collaborare civilmente e non tagliarsi su molti argomenti, ma entrambe non potevano ignorare l'utilità, l'efficienza e la professionalità dell'altra in quella stramba collaborazione interplanetaria che dura ormai da quattro anni. 

«Forse.» ribatte spigliata Natasha, mentre Teddy entra nell'inquadratura di Danvers, la saluta con un cenno della mano e solleva in bella vista la spada templare che aveva posato sul tavolo come una reliquia, esponendo all'ologramma l'elsa lavorata a sbalzo raffigurante una serie di borchie ed inclinando la spada per permettere alla luce di far risaltare la scritta aliena incisa sul piatto della lama. 

«Non è possibile… pensavo fosse una leggenda.» mormora Danvers meravigliata con gli occhi sgranati, allungando una mano azzurrina verso la spada, instillando in Teddy il sospetto che se la donna si fosse trovata realmente a portata di mano avrebbe fatto di tutto per provare a brandire l'arma. 

«Sai cos'è?» interviene guardinga Natasha, alzandosi dalla scrivania ed avanzando di un passo nascondendo parzialmente Teddy dietro di sé nonostante Carol fosse solo un ologramma e si trovi ad almeno una Galassia di distanza, probabilmente allarmata dallo sguardo incredulo che altera i lineamenti della donna. «Theodore l'ha trovata al Sanctum Sanctorum oggi pomeriggio… e a quanto sembra è l'unico in grado di sollevarla. Hai un'idea del perché, Danvers?»

«Beh, perché è sua… Excelsior si fa brandire solo dal Legittimo Re [2].» spiega spiccia la donna con tono ovvio, staccando gli occhi dalla lama quando realizza la frase appena espressa, cercando il viso confuso di Teddy e l'espressione indecifrabile di Natasha, sorridendo educata rivolgendosi direttamente al ragazzo. «Con rispetto parlando, non ho intenzione di inchinarmi.»

«Perché, dovresti?» si sorprende Theodore, mentre le parole "Legittimo Re" sedimentano nel suo cervello, facendolo ridere da solo… perché ciò che Danvers ha appena detto è assurdo – Lui? Legittimo Re? Ma per favore. 

«Sono seria, Dorrek. Hai compiuto ventun'anni, il fatto che sia apparsa la spada ha il suo senso… solo non pensavo apparisse sul serio.» annuncia Carol smorzando l'animo goliardico dei presenti, scoccando al ragazzo un'occhiataccia terribilmente seria sottolineando la situazione usando il suo nome Skrull, prima di rivolgersi a Romanov con tono basito. «Quando ci hai comunicato le tue intenzioni di addestrare i ragazzi, perché hai omesso il dettaglio che Altman è un mezzosangue?» 

«Mezzosangue?» interviene il diretto interessato dando aria alla bocca senza collegarla al cervello, cercando di carpire più informazioni possibili per potersi adattare al meglio alla dinamica quando forse ci sono domande più urgenti da porre, interrompendo il battibecco sul nascere, irritato dal fatto che Danvers e Romanov stanno parlando di lui come se non fosse presente, sentendosi appellare con un termine che il più delle volte significa qualcosa di dispregiativo. 

«Mezzo Skrull e mezzo Kree… sono sorpresa che tu sia vivo, la Suprema Intelligenza avrebbe dovuto mandare qualcuno ad ucciderti appena ha captato la tua firma energetica nell'universo.» afferma lapidaria Carol, apparentemente incurante dell'effetto che hanno le sue parole sui presenti… e c'è una sottospecie di ronzio che ottura le orecchie di Theodore ora, formato dalla miriade di domande in aumento, le quali si accavallano frenetiche nel suo cervello dettate dalle informazioni contrastanti in suo possesso, ma non ha tempo di curarsene perché Danvers sta proseguendo con il proprio discorso imperterrita. «Non si vede l'ombra un mezzosangue dalla Caduta di Andromeda, sei un'anomalia bella e buona Altman.»

«Stai forse insinuando che oggi Theodore compie ventun'anni e che suo padre doveva essere un Kree, Carol?» chiede conferma Natasha inarcando un sopracciglio confusa, ricatalogando mentalmente le informazioni in suo possesso sul ragazzo… scoccandogli un'occhiata obliqua nel vederlo taciturno, studiando i suoi lineamenti per stabilire se lui ne sapeva qualcosa e poteva confermare le sentenze espresse da Danvers. «Teddy?» 

«Io compio gli anni a novembre… e mio padre era un Sapiens, è morto di cancro quando ero piccolo.» ritrova la voce Teddy, opponendosi alle sentenze espresse da Capitan Marvel con tono saccente, andando contro l'idea di dubitare delle proprie certezze… ma Danvers scuote il capo contraria convinta delle proprie affermazioni, sottolineando che secondo il mito quelli erano i vincoli obbligatori per evocare la spada. 

«Appunto… secondo il mito.» insiste Theodore caparbio, ma Carol non si muove di un millimetro dalle proprie idee, ancorandosi allo sguardo sfuggevole di Natasha cercando in lei un'alleata. «Non dirmi che le credi, Romanov.»

«A dire il vero i tuoi dati registrati nel database dello SWORD sono-... come dire… bizzarri. La sua versione dei fatti avrebbe senso.» afferma Romanov togliendo bruscamente il terreno sotto i piedi di Teddy, rivolgendogli un sorriso di scuse dipinto sul volto. «Se la spada è "mitologica" tanto quanto Thor…» 

«Voglio vederli. I miei dati, quelli dello SWORD.» replica fulmineo Teddy senza riflettere troppo a lungo sull'insinuazione fondata espressa dalla propria Mentore, zittendo Carol quando prova a ribadire che lei "non ha tempo per questo", mentre Natasha si risiede alla scrivania e digita qualcosa sulla tastiera del computer eseguendo il richiesto, voltando lo schermo del portatile nella sua direzione.

«Nella pagina principale la tua data di nascita è a novembre, ma tutti i check-up annuali sono prenotati nel mese di aprile.» commenta Romanov indicandogli i vari valori, scorrendo la lista delle vaccinazioni, facendogli notare che la spunta sui geni "mutanti" iniziava ad apparire solamente dopo il 2012. «Questo non è normale, stando ai medici dello SWORD… in linea teorica avresti dovuto imparare a trasformarti autonomamente prima degli undici anni. Per non parlare delle tue analisi del sangue.»

«Quelle cos'hanno che non va?» indaga il ragazzo, stringendo i bordi della scrivania con forza crescente, evidenziando le vene che si colorano di verde avvisandolo della sua graduale perdita di controllo. 

«Alcuni valori sono recessivi… se tuo padre era davvero un umano non si noterebbe la differenza, il genoma Skrull è più forte del nostro.» lo condanna Natasha, mentre Theodore crolla seduto sulla sedia girevole lì a fianco… come poteva opporsi a dei dati scientifici? Quando non aveva nemmeno un ricordo del suo vecchio e, per quanto ne sapeva, sua madre gli aveva tenuto nascosta la verità sulle sue origini? 

Il cervello di Theodore si spegne, si lascia scorrere addosso i fiumi di parole di Carol, la quale racconta a Natasha della Caduta di Andromeda, un mito che ogni Kree e Skrull nella Galassia conosce a memoria e di cui Theodore non sa assolutamente nulla… i suoi neuroni sono impegnati a processare altro, a chiedersi su quante altre cose gli abbia mentito Anelle, se c'era un motivo valido per cui l'aveva tenuto all'oscuro di tutto. Si chiede se il suo essere "mezzo Kree" sia la reale motivazione per cui sua madre era restia ad insegnargli l'arte del trasformismo, una capacità che Teddy tuttora non riesce a padroneggiare alla perfezione… e, se sempre per quel motivo, Anelle non gli aveva mai mostrato il suo vero volto prima di New York, quando le circostanze l'avevano costretta a farlo. 

Il pensiero che oggi sia il giorno del suo ventunesimo compleanno lo sfiora appena, preferendo non soffermarsi sulla logica deduzione che sua madre gli aveva sempre mentito anche sulla sua data di nascita… ma ormai non può dubitare di quel dato di fatto, ha una spada magica a testimoniarlo, trovando estremamente buffo che il Cosmo abbia deciso di fargli un regalo donandogli un arma, distruggendo collateralmente tutte le sue certezze nel medesimo istante. 

«Teddy? Tutto okay?» lo ridesta la voce di Natasha, seduta all'altro lato della scrivania con un'espressione a metà tra il dolce e il preoccupato dipinta sul volto, mentre Carol lo fissa vagamente irritata dalla sua disattenzione per qualcosa che sta spiegando appositamente per lui, rimangiandosi qualunque osservazione pungente quando Natasha riapre bocca. «Quindi fammi capire… la tua teoria è che Anelle si sia rifugiata qui quando Ronan l'Accusatore ha giustiziato suo marito, fornendo allo SWORD i dati errati di Dorrek in modo che Ronan non lo rintracciasse?»

«È l'unica versione plausibile, altrimenti non mi spiego il fatto che sia sopravvissuto finora.» conferma Danvers annuendo convinta, ancora in piedi e con la schiena dritta come un fuso, scoccando sguardi fugaci ad Excelsior di tanto in tanto. 

«La spada…?» si schiarisce la voce Teddy, seguendo la direzione in cui sono puntate le iridi scure della donna. 

«È tua di diritto, puoi tenerla.» conferma Carol asciutta, accennando all'arma con un gesto sbrigativo della mano tradendo un moto di impazienza. «Ma il mio consiglio è di lasciare le cose come stanno, gli Skrull vivono finalmente in pace su Tarnax II [3] e i Kree sanno essere innocui se non si sentono minacciati… quindi non sentirti in dovere di reclamare un trono che nessuno vuole.»

«Okay, ricevuto. Grazie Carol.» conclude il discorso Natasha quando Teddy non dà cenno di voler spiccicare parola, ricambiano il cenno di saluto della donna prima di disattivare la chiamata, facendo sparire l'ologramma prima di voltarsi a contemplare il suo sguardo assente. «Sua Altezza Reale… ? Terra chiama Teddy, mi ricevi?» 

«Cosa?» rinsavisce Theodore scartando le proprie elucubrazioni mentali al richiamo della donna, sollevando lo sguardo sulle iridi verdi di Romanov. «Mi sono perso qualche passaggio… perché dovrei voler rivendicare il trono?» 

«Non hai ascoltato nemmeno una parola nell'ultima mezz'ora, vero?» sorride Natasha comprensiva, alzandosi in piedi ed aggirando la scrivania, porgendogli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. «Dato che a quanto sembra oggi compi gli anni… spiegazione, tè e pancake?»

«Va bene?» azzarda Theodore nella confusione più totale, mentre Romanov lo trascina in cucina e lo obbliga a sedersi su uno dei sgabelli del bancone, mette il bollitore sul gas ed inizia ad aprire ante e frigorifero per preparare l’impasto dei pancake, seguendo una ricetta che evidentemente conosce a memoria.

Natasha, nel mentre che spadella, riassume a Theodore tutto ciò che si è perso della conversazione con Carol quando il suo cervello era andato in cortocircuito, vantando un tatto non indifferente nell’esporre la Caduta di Andromeda ed il mito di Excelsior, fermandosi di tanto in tanto per accertarsi che il ragazzo la stesse ancora seguendo, rispondendo come meglio poteva ai chiarimenti richiesti. Romanov racconta come in un tempo imprecisato, talmente lontano da risultare mitologico, i Kree e gli Skrull avessero unito i due Regni per sterminare un popolo rivale, dando vita ad una monarchia di mezzosangue legittimata dalla fusione delle spade delle due stirpi a Nidavellir – Natasha non è sicura di aver pronunciato correttamente il luogo delle fucine, scrollando le spalle catalogandolo come un dettaglio irrilevante, girando il pancake in cottura nella padella nel frattempo –, garantendo la pace nella Galassia di Andromeda per interi decenni. Stando al mito, le cose erano precipitate quando la Suprema Intelligenza, l’entità creata ed eletta a Dea dei Kree, si stabilì nella cittadella di Hala e venne fondata una milizia di Nobili Guerrieri guidati da un Accusatore a protezione del tempio, dando vita ad una guerra sanguinaria per cieco fanatismo che aveva portato al genocidio dei mezzosangue, obbligando gli Skrull a fuggire nelle Galassie vicine e permettendo ai Kree di appropriarsi con violenza dei pianeti circostanti… andava da sé che, il giorno della Caduta dell’Impero di Andromeda, Excelsior era scomparsa ed aveva assunto connotazione mitologica [4].

Nella mezz'ora che Natasha impiega per riassumere a Teddy tutta la storia, fa in tempo a servire il tè ad entrambi, piazzare davanti al ragazzo una pila di pancake e sciroppo d’acero delle dimensioni degne dello stomaco di un super-soldato e pulire la cucina dove ha sporcato… e Theodore crede di sentirsi meglio, con qualche rara coccola in più e lo stomaco pieno.

«Danvers crede tu sia il primo mezzosangue nato dopo secoli.» conclude Natasha, tracciando il bordo della propria tazza di tè con il polpastrello prima di sollevare gli occhi verdi su Teddy. «I tuoi genitori non hanno mai dato fastidio a nessuno, ma la Suprema Intelligenza deve averti percepito come una minaccia… e per la legge Kree-...»

«Per la legge Kree è vietato “fraternizzare” con il nemico, per questo Ronan ha giustiziato mio padre… e mamma è fuggita con me, dato che idealmente ho il diritto di riunificare l’Impero e togliere ai Kree parecchi pianeti e colonie.» la interrompe Theodore, esprimendo il non detto a voce alta, mentre Natasha si allunga sul bancone e gli posa una mano sulla spalla, dando fondo ad una soglia massima di “gesti amorevoli” che Romanov ci tiene a non superare con i ragazzi – cucinare andava bene, ammazzarli di fatica durante gli allenamenti pure, un abbraccio al contrario è palesemente troppo… ma a Teddy non importa, chiude gli occhi e si perde nel contatto, illudendosi che la mano sulla sua spalla appartenga ad Anelle per una frazione di secondo. Sua madre gli manca, scatenando nel suo petto una spiacevole sensazione di vuoto, rimpiangendo all'improvviso tutto il tempo che non avevano avuto e tutti i segreti che lei non gli aveva mai confessato – vorrebbe dirle che la perdona per averlo ricoperto di bugie pur di proteggerlo… vorrebbe chiederle che tipo fosse davvero suo padre, se le mancava la vita che aveva perso pur di nasconderlo da una “divinità” sanguinaria che emanava sentenze per mano di un Accusatore tirannico. 

«Tutto bene?» chiede Natasha con gentilezza, aspettando paziente di ricevere una risposta.

«Credo di dover ancora metabolizzare il tutto.» afferma Theodore con un respiro profondo, alzandosi in piedi per sgranchirsi le gambe, mettendo in moto il fisico insieme al cervello per digerire il tutto meglio, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans.

«Dormici sopra, okay?» lo consiglia la donna, facendo suonare la frase come un ordine, indicandogli poi la porta… e Theodore esegue, lascia il Complesso e se ne torna a casa ma, nella furia di processare e fingere che vada tutto bene, la testa si dissocia dal corpo e viaggia da tutt’altra parte, il guazzabuglio che gli comprime il petto si sposta nello stomaco ed il pilota automatico che lo anima gli suggerisce di saltare la cena e chiudersi in camera appena rimette piede in Casa Bradley.

«Teddy, posso?» interviene la voce di Elijah a distanza di ore, la prima che il suo cervello in sovraccarico recepisce e comprende distogliendolo dalla conta ossessiva delle frange del tappeto, mentre il suo migliore amico apre la porta e gli porge una fetta di crostata, trasalendo a metà frase quando posa lo sguardo preoccupato sull'amico. «Nana chiede se vuoi almeno una fetta di do-... ehi, cosa c'è che non va?» 

«Non c'è niente che non va.» brontola Theodore con voce roca per via del lungo silenzio, mentre Eli inarca un sopracciglio interrogativo e posa il piattino con la fetta di dolce sulla scrivania, in un atteggiamento palesemente scettico… e Teddy diventa improvvisamente consapevole di essere rannicchiato sul materasso con le braccia strette al busto in un abbraccio solitario, le guance rigate di sale, gli artigli sfoderati a lacerarsi la felpa e a graffiarsi la schiena mettendo  in bella mostra la pelle verdastra, placando il tumulto incontrollato dei propri pensieri ritornando ad uno stato di calma apparente che lo induce a riassumere la forma umana. «Okay, forse c'è qualcosa che non va.»

«Ti va di raccontarmelo?» propone Eli, chiudendo la porta a chiave nel caso l'amico perda nuovamente il controllo delle proprie fisionomie, sedendosi a distanza a gambe incrociate sul pavimento. «Natasha ha scoperto da dove salta fuori la spada?» 

Theodore apre bocca per negare, ma la lingua libera si scioglie in un torrente di parole in piena… è solo quando termina il racconto, rivelando ad Eli tutta la storia, anche le parti che gli aveva sempre tenuto nascoste, che Teddy cade addormentato in un sonno di piombo. 

 

***

 

L’Anniversario è sempre una giornata strana. Billy non può fare a meno di pensarlo, seduto per terra davanti alle Lastre e con gli occhi nocciola puntati alle lettere incise sul granito che compongono il nome di Jeff Kaplan, Frank e Mary Shepherd.

Quella che si dipana davanti al ragazzo ha tutta l'aria di rivelarsi una classica giornata "normalmente anomala"... perché chi non si recava mai alle Lastre, per poter ignorare meglio la Decimazione ed i suoi effetti durante l'anno, si riversava in massa nei Cimiteri, al contrario di chi in quel luogo ci andava quasi settimanalmente e in quella particolare ricorrenza il dolore si rivelava talmente straziante da spingerli a desistere. Tuttavia tale dinamica non cambia il fatto che ogni giorno, a qualunque ora, c’era sempre qualcuno che puliva le tombe, accendeva candele ed abbandonava mazzi di fiori davanti alle Lapidi, nonostante al di sotto del granito fosse sepolto il nulla. 

Quello che si prospetta davanti a William si rivela essere l'unico giorno all'anno in cui non sa e non vuole scoprire dove siano gli altri, cosa facciano, come elaborano quelle ventiquattr'ore estenuanti… a differenza propria Eli pretendeva di non avere nessuno da piangere, per quanto Billy ne sapeva Kate visitava la tomba di Eleanor ogni volta che capitava in zona, mentre Teddy, che dopo l’Inaugurazione non aveva più messo piede al Cimitero, sosteneva convinto che per ricordare Anelle non gli serviva un nome inciso sul granito – uscivano al pomeriggio o la sera, ma prima di mezzogiorno Billy non aveva idea di cosa combinasse il fidanzato e di solito non ne parlavano mai direttamente. Per quello c'erano gli abbracci, i baci ed esisteva la ricetta dei biscotti alla cannella. 

Forse è strano ignorarsi quasi del tutto in un giorno così particolare, ma la Decimazione è una ferita ancora troppo fresca perché possano affrontare quella giornata con relativa serenità, senza l'università ed il lavoro part-time di Kate e Tommy su cui aggiornarsi a cena sotto il tetto del Complesso – probabilmente si ignoravano perché nessuno riusciva davvero a gestire la situazione, di certo i ragazzini non ne erano in grado, ma anche gli adulti non scherzavano… il giorno dell'Anniversario vigeva tassativamente la regola non scritta di tenersi a debita distanza da Natasha, in quei giorni la donna non era nell’umore di socializzare ed i ragazzi ritenevano opportuno lasciarle la libertà di deprimersi liberamente senza un pubblico.

Come la sua Mentore, nemmeno Billy era un gran fan della "folla" in determinate circostanze – per non dire in tutte –, adottando nell'ultimo paio d'anni l'abitudine di recarsi alle Lapidi alle quattro del mattino, seminando una manciata di sassi alla base della lastra in granito dei genitori adottivi di Tommy e di suo padre, accendendo le tre candele yahrzeit in religioso silenzio.

Resta lì tragicamente insonne, seduto a gambe incrociate davanti alla Lastra, cercando in silenzio una connessione, un ricordo, una motivazione per stringere i denti e tirare avanti… ma sotto il granito non c'è nemmeno un corpo, come se le anime di miliardi di persone fossero state distrutte, sopprimendo il pensiero che quello è esattamente ciò che è successo. Natasha aveva raccontato loro la versione integrale della vicenda una volta reclutati, ammettendo le parti omesse ai giornalisti che Rogers aveva ritenuto opportuno tacere per indorare parzialmente la pillola propinata alla massa, come un palliativo in attesa della vera medicina… perché c'è, Romanov sta ancora cercando una "cura" miracolosa – per oliare i rapporti arrugginiti con Steve, per riportare Barton a casa, per riavvolgere il mangianastri e cancellare lo schiocco di dita di Thanos dalla storia… William interrompe i propri pensieri di colpo, mentre la sua mente viene assalita da un’idea a dir poco folle, che tuttavia merita un tentativo audace. 

Billy affonda le unghie nel terreno circostante, cercando di connettersi alla distesa capillare di energia che unisce l'intero Cosmo come Wong gli ha insegnato a fare, disegnando un pallido cerchio di luce azzurra in mezzo allo spiazzo in cui si è accampato, chiudendo gli occhi e provando a desiderare ardentemente di riavvolgere il tempo e far tornare tutti indietro… ma non succede nulla. Forse Billy non è ancora abbastanza forte, forse i suoi poteri non possono competere con l'Universo, forse l’effetto delle Gemme non può essere invertito in nessun modo. 

William sospira triste, dissolve il cerchio di luce formato dal pentacolo e cerca di non alimentare quella sensazione di vuoto incolmabile che ora gli grava sul petto, trattenendo le lacrime serrando le palpebre con ancora più forza.

«Ti prego, dimmi che non ti ho appena visto tentare di scatenare un'apocalisse zombie.» lo sorprende Thomas alle spalle raggiungendolo per il loro appuntamento annuale, accendendo le candele e posando i propri ciottoli affianco ai suoi.

«Pure agli zombie serve un corpo, a quanto pare, e qua sotto non ce ne sono Bro.» replica Billy asciutto assecondando la battuta di spirito del fratello, staccando le mani dal suolo colto in flagrante, mentre Tommy lo raggiunge a terra incrociando le gambe a sua volta. «Sai, cercavo di riavvolgere il Tempo…» 

«Per quanto adori la fantascienza... non credo sia possibile, magia o meno.» lo consola Thomas, allungando una mano per stringere la sua con forza. «Non fartene una colpa, Bro.» 

I gemelli Eisenhardt rimangono seduti davanti alla Lapide per un tempo indefinito, non si schiodano nemmeno quando l'alba è ormai sorta ed i primi visitatori iniziano a mettere piede dentro il Cimitero, ma nessuno dei due se ne cura – Va bene così, una volta all'anno possono concederselo.

 

***

 

I ragazzi formano una buffa processione in fila indiana mentre risalgono le sale del garage sfiniti, orientandosi perfettamente al buio dopo un paio d'anni di addestramento tra le mura del Complesso, approdando alle porte del loft ed avviandosi lungo il corridoio che porta allo spogliatoio trascinando i piedi sul parquet. 

«…-Nana prepara il pranzo per tutti domani, la casa apre i battenti a mezzogiorno.» riepiloga Elijah rispondendo alla domanda di qualcuno che Tommy non ha sentito, strappandosi gli auricolari dalle orecchie recuperando l'udito giusto in tempo per il finale della frase, chiedendosi in cuor proprio dove Bradley trovasse le forze di fare conversazione in quel momento – Quindi non se l'è sognato, i ragazzi si sono davvero messi in testa di festeggiare il "Chrismukkah". 

«Chi doveva procurare il pandoro?» chiede Theodore distratto rendendo consapevole Tommy di essersi perso un discorso molto più lungo di quel che pensava a causa dei Guns N Roses sparati nelle orecchie, coprendo uno sbadiglio con la mano chiazzata di squame verdi, non del tutto sveglio e conscio del proprio corpo dopo essersi appisolato in macchina mentre Kate li riportava alla Base dopo un giro di Ronda relativamente tranquillo. «Faith cucina, noi avevamo detto di procurare il dolce.»

«Preso l'altro giorno al supermercato, Mamma domani mattina prepara anche la crema al mascarpone.» replica Billy, contagiato a sua volta dallo sbadiglio di Teddy, stiracchiando le braccia sopra la testa. «Kate, alla fine hai comprato i regali per Mamma e Faith?» 

«Ho preso due Stelle di Natale, non ricordo quanti dollari mi dovete di preciso a testa. Me lo sono segnata nelle note del cellulare.» risponde prontamente la ragazza, strattonando Eli in avanti per non pestargli i piedi essendo l'ultima a chiudere la fila, notando una luce bianca intermittente provenire dal salotto che la obbliga a fermarsi. «Ragazzi, chi si è dimenticato di spegnere le luci dell'albero quando siamo partiti?» 

Katherine gira i tacchi e si avvia a spegnere le decorazioni natalizie in salotto  senza aspettare di ricevere risposta, mentre Tommy si volta a capire dove sia andata quando la ragazza sparisce dal suo campo visivo periferico, sorridendo appena all'idea del pranzo che lo aspetta l'indomani – il Natale come festività in sé, le carole, la vista delle luminarie o l'albero addobbato non sono il genere di cose che entusiasmano troppo Thomas… nonostante avesse contribuito ad allestire l'abete sintetico in salotto quando Rogers li aveva reclutati in palestra tre settimane prima, interrompendo l'allenamento in corso solo per farsi dare una mano a scaricare gli scatoloni dall'auto con cui addobbare il Complesso. Doveva ammettere che era stato divertente, vederli cooperare tutti e sette per un oggetto futile come un albero di Natale, ignorando bellamente che quello del Capitano fosse solo l'ultimo tentativo di una lunga serie per cercare di rimediare alle divergenze e le assenze con Romanov – Natasha non lo dava a vedere, ma si era legata al dito il fatto che Rogers l'aveva abbandonata da sola al comando appena i ragazzi erano subentrati nelle loro vite a pieno regime, nonostante da parte dell'uomo ci fossero delle plausibili scusanti di fondo. 

Lo "spirito natalizio" aveva reso le ultime settimane più leggere, durante la Ronda di quella sera Tommy non aveva potuto fare a meno di notare che al di fuori delle mura del Complesso sembrava che tutti si stringevano l'uno all'altro per non dimenticare che in quella bagnarola in pieno mare aperto nessuno era solo, eclissando il pensiero cinico che c'era voluto un disastro di proporzioni cosmiche per riaccendere un briciolo di fratellanza tra i sopravvissuti… il Natale di colpo assumeva quasi degli effetti positivi, se il ragazzo si sforzava di osservarlo sotto quel punto di vista. Ma per Thomas il "brutto" del mese di dicembre è che ogni anno esasperava il suo moto di malinconia verso i propri genitori e Nonna Magda con intensità crescente – specialmente durante il periodo natalizio quando anche la pubblicità della Coca-Cola ricordava al mondo quando fossero importanti gli amici e la famiglia, così Tommy si ritrovava volente o nolente a ripensare con spiccata nostalgia alla Sokovia, a quando nei giorni di pioggia nonna Magda cucinava per lui e per Billy la sua zuppa di pollo dalla ricetta segretissima, li portava alla Fiera in estate o quelle sere di fine gennaio in cui la nostalgia per il nonno sovverchiava il risentimento e si ritrovava a raccontare a braccio la favola della "Regina Gitana e il Re dei Metalli" per farli addormentare. Normalmente parlerebbe con Katherine di quel strano stato di melanconia che gli grava sul petto, ma ultimamente a Thomas sembrava di essersi isolato in una bolla impenetrabile da chiunque, respingendo e venendo respinto per abitudine. 

«Ehi Bro, tutto okay?» chiede William riscuotendo Tommy dai propri pensieri, notando il suo sguardo assente posato sulla distesa di neve che copre il parco oltre la vetrata. «Sei taciturno.»

«Dicembre… sai, la Nonna.» riassume Thomas con una scrollata di spalle, cercando di scacciare ogni pensiero morboso a forza con scarsi risultati, fallendo miseramente nel evitare di attirarsi addosso la compassione di William, il quale allunga una mano timida per stringerlo in qualche forma di affetto soffocante. 

«Regali!» grida Kate euforica dalla sala comune salvando Tommy dal momento sentimentale, attirando i ragazzi in branco verso il salotto addobbato del loft. «Abbiamo dei regali!» 

Thomas varca la soglia della sala comune solo per bloccarsi di colpo, spalancando la bocca di fronte alla visione di Katherine con un sorriso da un orecchio all'altro e una scatola infiocchettata tra le braccia, mentre tende un indice elettrizzato in direzione dei pacchetti regalo accatastati sotto l'albero. 

«Non avevamo detto di scambiarci i regali del Babbo Natale Segreto domani a pranzo?» chiede Elijah dubbioso facendosi avanti, con un cipiglio confuso dipinto sul volto, osservando i doni con diffidenza. 

«Infatti non sono i vostri, quelli sono da parte mia.» irrompe la voce soffiata di Natasha alle loro spalle cogliendoli di sorpresa, attirandosi addosso cinque sguardi basiti per l'inaspettata gentilezza, accogliendoli in pigiama accentuando i loro sguardi increduli. «Non guardatemi così. Forza, apriteli.»

I ragazzi non se lo fanno ripetere due volte, si precipitano tutti e cinque sotto l'albero cercando di afferrare per primi il proprio dono, strappandolo dalle mani dei compagni quando vedono il proprio nome scarabocchiato sui cartellini… non che si legga benissimo, con le lucine bianche intermittenti dell'albero come unica fonte luminosa, dato che nessuno si era preso la briga di premere un interruttore della corrente una volta ritornati dalla Ronda. 

«"Luci".» mormora William leggendo il gemello nel pensiero, illuminando la scena comica che vede loro cinque accucciati ai piedi dell'albero con sguardi euforici, mentre Romanov li osserva divertita seduta sul divano in trepidante attesa di scoprire le loro reazioni. 

«Frecce Boomerang!» strepita Katherine elettrizzata quando spacchetta l'incarto argentato, sfilandone una dal mazzo ed iniziando a rigirarsela tra le dita come un bastone da majorette valutandone il peso e la flessibilità. «Sono più leggere… grazie Natasha!» 

«Non è l'unico regalo, ce ne sono diversi che non avete ancora aperto.» li riprende la donna indicando altri doni seminati alle loro spalle, dipingendosi un'espressione sul volto che li minaccia di atterrarli tutti e cinque dolorosamente sul tappeto se solo si azzardano ad assalirla con un ammucchiata per baci e abbracci di ringraziamento. «Quelle dobbiamo testarle se effettivamente funzionano meglio di quelle vecchie… e sì, quelli sono tuoi Eli, così magari smetti di rubare i miei.»

Thomas abbandona i suoi intenti di scartare il proprio regalo, sollevando lo sguardo su Bradley e sul suo sguardo reverenziale rivolto ai coltelli da lancio che tiene tra le mani, prima di chinare nuovamente il capo su quella che si rivela essere una scatola da scarpe… sfilando in fretta e furia gli stivali da combattimento standard consumati ed anneriti rivelando i propri calzini bucati e bruciacchiati, indossando le scarpe da ginnastica verde petrolio che gli calzano perfettamente, con tanto di plantari incorporati che non possono spostarsi mentre corre. 

«Il materiale è ignifugo, così se freni bruscamente le scintille non fanno colare le suole.» arriva in suo aiuto Natasha, indicandogli un pacchetto dorato che Thomas si affretta a scartare, rivelando degli auricolari bianchi con due piccolissime rotelline per poter regolare due canali di volume diversi. «Gli auricolari trasmettono musica, ma sono collegati a quelli degli altri, così puoi sentire anche tu cosa dicono invece di intuirlo e basta.»

«Dove l'hai trovata tutta questa… roba?» interviene Billy al suo posto rivolgendosi direttamente a Romanov, con quello che sembra un mantello in tessuto rosso appallottolato ai piedi ed uno sling-ring nuovo di zecca già infilato al medio e all'indice. «In quel posto dove sei sparita il weekend scorso, giusto? Ecco perché sei tornata con il bagagliaio pieno di scatole imballate che non ci hai permesso di toccare!» 

«Chi ha… progettato tutto questo?» si accavalla Elijah dando per scontata la provenienza dei regali, tenendo sollevata davanti a sé una giacca blu scuro dalla chiusura laterale a bottoni che ammira con il genere di sguardo che di solito riserva a Kate, dimenticandosi già del set di coltelli e stelle ninja posate al suo fianco sul tappeto. «I suggerimenti sono nostri e tu ne hai preso nota, ma qualcuno deve aver progettato-... costruito le nuove uniformi.»

«E nessuno dei presenti ha l'accesso al laboratorio di Stark al terzo piano, come FRIDAY ci ricorda ogni volta che tentiamo di scassinarlo per curiosare.» rincara la dose Teddy, con un fodero da schiena della misura di Excelsior in mano, evitando di farsi problemi nel confermare ad alta voce ciò che Romanov sapeva già in merito alle loro avventure esplorative in giro per l'edificio. «Quindi chi le ha fatte?» 

«Siete più perspicaci di quanto pensavo.» Natasha tenta inutilmente di eludere la domanda, sorridendo enigmatica. 

«Ci hai addestrati tu, sarebbe strano il contrario.» scherza Katherine con tono adulatore, stringendosi al petto la giacca antiproiettile viola nuova di zecca. «Sputa il rospo, Romanov.»

«Stai scherzando!» esclama Elijah stupefatto coprendo la voce della fidanzata, fornendo a Natasha un pretesto per divagare dall'argomento, finendo di strappare la carta celeste a stelline residua e sollevando lo scudo triangolare in vibrano di Rogers per mostrarlo ai compagni. «Questo non posso accettarlo, Romanov… Rogers non sa delle nostre scorribande, penso proprio se ne accorga se gli sparisce lo scudo di riserva dall'armeria da un giorno all'altro.»

«È una copia, Eli… "più funzionale" a detta del nostro Meccanico ficcanaso.» sorride Natasha indicando le telecamere di sicurezza con un gesto distratto, sollevando lo sguardo al soffitto divertita. «FRIDAY salva il filmato registrato da quella telecamera, mandalo a Stark. Gli farà piacere.»

«Stark?» chiede ironica Kate convinta che sia uno scherzo, elaborando quel paio di calcoli impliciti molto prima dei ragazzi, sfiorando la "A" serigrafata sulla spalla della nuova uniforme prima di sollevare lo sguardo incredulo sulla loro mentore. «Vuoi-… tu e Stark volete proclamarci Avengers? Avengers ufficiali… con tesserino identificativo, foto in prima pagina al Daily Bugle e merchandising?»

«Non è quello che volete da anni? Tra due settimane ne compiono ventuno pure i gemelli… siete tutti maggiorenni, Steve non ha più voce in capitolo.» afferma la donna con estrema pacatezza, mentre Thomas si sente improvvisamente tre sguardi euforici addosso – Quello sì che è un risvolto inaspettato, il miglior regalo di compleanno anticipato di sempre… l'avere le spalle coperte, qualunque cosa si mettano in testa di fare. 

«Hai intenzione di dirglielo? O glielo lasci scoprire dai giornali?» chiede Elijah incuriosito, gli occhi color ebano che sfavillano orgogliosi… ma Natasha si limita a sorridere enigmatica, alzandosi dal divano ed augurando loro la buonanotte prima di salire le scale che portano agli alloggi al quarto piano. 

«È Romanov, Rogers lo-...» sentenzia Katherine quando la loro Mentore si porta ufficialmente fuori dalla portata d'orecchio, mentre un coro di voci si aggrega alla sua facendo ridere tutti quanti. «–… lo scoprirà dai giornali.»

«Già.»

 

***

 

Natasha si chiude la porta della propria camera alle spalle, sorridendo quando le risate dei ragazzi risalgono la tromba delle scale e filtrano dalla porta, mentre lo schermo del proprio cellulare abbandonato sul piumone si illumina all'arrivo di un messaggio. 

"Sembrano contenti" commenta Stark allegando l'emoji di una chiave inglese e di un pollice in su, "Lo sono" replica Romanov asciutta con una faccina che fa l'occhiolino prima di spegnere lo schermo e gettare nuovamente il cellulare sul piumone, tornando a rannicchiarsi contro i cuscini del letto matrimoniale portandosi il PC sulle gambe, riprendendo le proprie ricerche da dove le aveva abbandonate quando FRIDAY l'aveva avvisata che il Maggiolino di Kate era entrato nel garage. 

Il cellulare vibra un altro paio di volte, ma Natasha lo ignora, ricaricando il "filtro notizie" dell'A.I. nella speranza di trovare qualche nuova news potenzialmente utile su cui mettere le mani… ma è Natale, per quella sera poteva rinunciare a sperare che succedesse qualcosa di rilevante degno della sua attenzione. 

Le risate dei ragazzi continuano a rimbombare su per le scale, deducendo che l'aria assonnata doveva essere sparita alla vista dei regali, chiedendo a FRIDAY a cosa fosse dovuto il trambusto un piano più sotto, vedendosi apparire sul monitor la registrazione della telecamera in cucina che riprende Teddy ai fornelli mentre prepara la cioccolata calda al fianco di Billy nel ruolo di assistente, scorrendo il dito sul touchpad passando alla telecamera del salotto che inquadra il televisore collegato a Netflix, mostrando Thomas intento a scartabellare la lista video sforzandosi di ignorare i piccioncini sul divano alle sue spalle – Natasha quasi li invidia, chiedendosi quando mai potrà riavere un momento del genere con la sua di squadra, ripensando ai tempi di Ultron e della Latitanza con malsana nostalgia. 

Il cellulare trilla di nuovo, obbligandola a riaprire la chat whatsapp con Tony, leggendo in rapida successione un "Nei prossimi giorni girami i risultati dei test", "L'hai già detto a Rogers?" e un "Nat" semplice e conciso a distanza di dieci minuti dai due messaggi precedenti che le rovescia lo stomaco sottosopra… ed il cellulare squilla all'improvviso dopo aver fissato lo schermo per lunghi istanti dilatati nel tempo, spaventandola, ritornando presente a sé stessa ed accettando la chiamata istintivamente senza riflettere. 

«È tutto okay?» chiede la voce di Stark dall'altro capo della linea appena Natasha esordisce con un "Dimmi" vagamente seccato, mentre la donna arresta il sistema del proprio PC e finisce per sdraiarsi a pancia in su sopra il piumone. 

«Ovvio che è tutto okay.» ribatte Romanov apatica, fissando le ombre proiettate dalla Luna contro il soffitto bianco della stanza, drizzando le orecchie quando sente un rumore di ferraglia di sottofondo. «Sei ancora in laboratorio?» 

«Armeggio, come al solito. Sei in vivavoce.» replica Tony con tranquillità, figurandoselo mentre fa spallucce e continua a giocare con bulloni e fusibili, incurante dell'ora. «Come ti ho scritto, aspetto i risultati dei test… posso lavorare su degli upgrade se qualcosa non funziona come dovrebbe.»

«Ci lavoriamo in settimana, ti invio tutto entro Capodanno.» conferma Romanov stanca, incurvando le labbra nel fantasma di un sorriso rivolto al soffitto. 

L’idea delle uniformi personalizzate le frullava da un po’ nella testa, ma non aveva mai pensato seriamente di concretizzarla fino a quando Tony non aveva aperto bocca per primo, mostrandole il progetto di alcune nuove frecce per Kate l’ultima volta che si era ritrovato Romanov sul tappeto del salotto, intenta a temperare le matite di Morgan man mano che la bimba gliele porgeva quando consumava la punta. Romanov e l'ingegnere avevano iniziato a parlarne per scherzo, ma già dall'incontro successivo si erano chiusi in garage e Stark l'aveva bersagliata di domande chiedendole le specifiche, le preferenze ed analizzando insieme le riprese delle sessioni di allenamento archiviate da FRIDAY, estrapolando una serie di tecnicismi utili per gettare le basi del loro "piccolo progetto ricreativo". 

Le tenute da combattimento standard erano funzionali ma, stando alla logica spicciola di Stark, se qualcosa funzionava già bene non significa che non si potesse migliorare. Erano partiti dalle frecce per Katherine e la sua tenuta di combattimento tinta di viola, seguendo il suggerimento di Clint di lavorare sul progetto delle Boomerang, rendendole più leggere e resistenti. Il problema seguente erano stati i timpani e le suole fuse di Thomas, studiando un materiale ignifugo per non dover cambiare le scarpe ogni mese, per poi passare al progetto di un paio di auricolari in grado di trasmettere la frequenza del canale di comunicazione degli altri ragazzi in contemporanea al canale audio collegato a Spotify. 

Il grosso del lavoro toccava a Tony, la sola vera complicazione per Natasha era stata prendere le misure di Teddy e di Excelsior senza destare i sospetti dei ragazzi durante gli allenamenti, inviando i dati a Stark per progettare il fodero da schiena della spada e cucire una giacca smanicata su misura, calcolando l'ingombro delle scapole e l'apertura alare di Theodore nel tentativo di rendere la tenuta meno scomoda di quella attuale. La parte facile invece era stata procurare le armi di Billy, nel briefing mensile con Wong sui progressi del ragazzo il Monaco aveva accennato ad un posto vacante tra le schiere di Kamar-Taj, chiedendole di consegnargli in sua vece una cappa della levitazione [5] e uno sling-ring per facilitare a William il compito di volare ed aprire portali, risparmiando energie che poteva incanalare in altri incantesimi più utili durante uno scontro.

Ben altro paio di maniche invece erano state le armi di Elijah. Romanov se ne era occupata personalmente, gli aveva già insegnato a battersi seguendo lo stile di combattimento del suo eroe preferito su sua specifica richiesta, finendo per pretendere da lui più di quanto chiedeva agli altri quattro – era stata una soluzione logica e sofferta cedergli il set di coltelli di James che custodiva sul fondo del proprio armadio, chiedendo a Tony di ridisegnare la tenuta di Eli su modello della divisa di Barnes ai tempi degli Howlings, acconsentendo al prototipo dello scudo che l'inventore aveva inviato al Palazzo Reale in Wakanda perché senza armi da fuoco da abbinare alle lame gli serviva una protezione extra con cui difendersi. 

Tony le aveva promesso di lavorare sul progetto solo quando aveva dei pomeriggi da riempire, Natasha non voleva togliergli tempo materiale per i nuovi brevetti delle Stark Industries. Sapeva da Pepper che con il trascorrere dei mesi l'uomo aveva gradualmente smesso di costruire e smontare armature nel cuore della notte, non era sua intenzione ricondurlo in tentazione offrendogli cinque progetti nuovi di zecca su cui scervellarsi… ma Tony era Tony ed aveva fatto di testa propria, si era impegnato, divertito ed alla fine era riuscito a portare a termine le consegne per Natale invece di procrastinare il lavoro fino al compleanno dei gemelli Eisenhardt.

«Grazie, comunque.» soffia Natasha sincera, lasciando vagare le iridi verdi sul soffitto cercando un appiglio su cui fissare lo sguardo… le ombre proiettate dalla Luna la mettono a disagio, sola nella penombra e con una voglia inesistente di allungare il braccio ed accendere l'abat-jour sul comodino. 

«E di che? Mi sento meno in colpa a concederti di spedirli sul campo all’insaputa di Rogers se sono protetti ed armati.» riassume Tony, tentennando nel tono di voce quel poco che permette a Natasha di pensare a Parker, sentendolo schiarirsi la voce prima di cambiare discorso. «A questo proposito, quando hai intenzione di dirglielo?» 

«Credo lascerò il compito ai giornali, una volta tanto… considerato come si è comportato dopo avermi piantata in asso con i ragazzi. Anche se potrei accennargli qualcosa domani a pranzo.» ammette la donna con una punta di cattiveria nella voce, affrettandosi a correggere il tiro al sospiro rassegnato di Tony dall'altro capo della linea… deducendo dal silenzio creatosi di dover cambiare discorso, dato che evidentemente nessuno dei due è in vena di prendere le difese di Steve o di sprecare ulteriori energie per criticarlo. «Come vanno le feste? Morgan ti ha già messo sotto a costruire pupazzi di neve?» 

«Magari si limitasse ai pupazzi di neve, ha iniziato a fare irruzione in garage a giocare.» afferma Stark divertito, reputando "Morgan" un argomento molto più accessibile per una chiacchierata dai toni leggeri al retrogusto di aggiornamento. «Ha messo gli occhi sullo scudo, crede sia una specie di snowboard e vuole testarlo a tutti i costi.»

Natasha si scopre a sorridere, chiudendo gli occhi immaginando Stark Jr aggirarsi per il laboratorio-officina all'insaputa del padre, ritornando concentrata sulla conversazione quando Tony replica alla sua risatina con un mugugno sarcastico, come a dirle "credimi sulla parola, non c'è nulla da ridere".

«È riuscita a tirarlo giù dalla mensola l’altro giorno.» specifica sconsolato l'uomo, liberando un sospiro stanco. «Scudo, mensola e tutto.» 

«Si è fatta male? Pesa parecchio quell’affare.» chiede Natasha per educazione, sopprimendo la punta di viva preoccupazione nella voce, mettendo a tacere l'istinto da mamma orsa. 

«Si è solo spaventata… per fortuna Pepper non era in casa, ci siamo risparmiati tutti e due una bella strigliata.» la rassicura Tony con tono sollevato, fiero di essere riuscito a scampare da un bisticcio con la moglie. «Le ho proibito di tornare a giocare in garage, ma dubito di riuscire a tenerla lontana per molto…» 

Natasha vorrebbe replicare con una battuta sagace o un consiglio disimpegnato, ma lo sferragliare in sottofondo cessa di colpo, sostituito da una vocina assonnata captata dal vivavoce che chiede al padre perché alle tre del mattino non fosse ancora arrivato Babbo Natale. 

«Nat devo lasciarti… cerca di tirare avanti fino alla fine delle feste, okay?» le augura Tony con tono incoraggiante, intuendo dai rumori di fondo che l'uomo doveva aver messo via il prototipo sul quale stava lavorando e si era chinato a sollevare di peso Morgan, lamentandosi a mezza voce del mal di schiena. «Maguna, saluta Zia Nat.»

«Ciao Ziaaa.» si sente chiamare con tono cantilenante dalla piccola, liberando una risata ricambiando il saluto. «Quando torni qua? Possiamo giocare a palle di neve contro papà!» 

«Passa quando vuoi… 'notte Romanov.» le concede sbrigativo Stark nel mentre che tenta di zittire la figlia, ordinando all' A.I. di spegnere il vivavoce e terminare la chiamata, lasciandosi dietro l'eco di un "adesso torniamo a dormire, signorina" che si chiude sul rumore statico intermittente della telefonata conclusa. 

«'Notte Tony.» sussurra Natasha al nulla, lasciandosi scivolare il cellulare di mano, il quale finisce dolorosamente a faccia in giù contro lo sterno lasciandola al buio semi-completo. 

Romanov si gira su un fianco ed allunga un braccio per accendere l'abat-jour, illuminando un portafoto dal vetro e la cornice crepate che contiene l'unica fotografia che non ha stracciato – era stata scattata ai tempi della Latitanza… c’era Steve seduto a gambe incrociate sul pavimento di un appartamento spoglio, la schiena puntellata alle gambe di un divano sgangherato, intento a leggere qualcosa alla luce soffusa di una lampada, ma Sam l'aveva tagliato via dall’inquadratura senza troppe cerimonie, preferendo concentrarsi sulla coppia addormentata tra i cuscini. Bucky era steso di schiena con la testa reclinata contro il bracciolo e le gambe che sporgevano dall’altra parte perchè troppo alto per il divano, il braccio di metallo abbandonato sopra la schiena di una donna minuta dai capelli biondi, la testa di quest’ultima incastrata sotto la curva del suo collo, la pancia appiattita contro il suo basso ventre, una gamba che spariva chissà dove ed una che sporgeva appena dall'intrico di gambe dove non si capiva dove iniziava uno e finiva l’altra. 

Il portafoto vola giù dal comodino con l'ennesimo rumore di vetri rotti, mentre Natasha si chiede seriamente se non sia giunta l'ora di perdere la speranza di riportarli indietro – "Cerca di tirare avanti fino alla fine delle feste, okay?"... Facile. Forse dovrebbe fare come Tony, Steve o tutti gli altri. Voltare pagina, illudersi di tirare avanti. 

Lo sguardo di Natasha cade sulla Luna, attratto da una forza invisibile… ma l'astro non offre risposte, si lascia guardare in un silenzio di tomba. 







 

Note:

[*] L'illustrazione è riperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] Il siero del super-soldato acuisce i cinque sensi, dona velocità, equilibrio e resistenza fisica, invecchiamento rallentato e guarigione accelerata, oltre ad un metabolismo che permette all’organismo di smaltire velocemente ogni tipo di sostanza assunta (quindi i soggetti mangiano il triplo del normale, non possono ubriacarsi e i farmaci / droghe non hanno nessun effetto tangibile, a meno che non ne assumano grosse quantità). Tutto l’elenco riportato qui sopra si applica a Steve, Isaiah, Bucky e Nat (questi due per via della versione sovietica del siero). Elijah, che a livello genetico dispone del siero della "terza generazione" amplificato dalla trasfusione aggiuntiva, beneficia degli effetti collaterali in una forma più “debole” in quanto diluito nel sangue – riassumendo: velocità, equilibrio, prestanza fisica sì, metabolismo e guarigione accelerata in parte, non quanto basta per impedirgli di ubriacarsi, etc.

[2] "Excelsior" appare per la prima volta nel 2016 e, editorialmente parlando, è l'incrocio tra Excalibur (sfoderata solo dal legittimo re dei Kree e degli Skrull), Mjöllnir (può essere sollevata solo dal legittimo proprietario e concessa a terzi, previa formula di rito per convalidare il passaggio) e la spada di Godric Grifondoro (appare a richiesta/invocazione ed assorbe qualunque cosa può fortificarla). Ho tentato di descriverla meglio possibile dal punto di vista estetico, ma per quanto riguarda l'incisione in alfabeto Skrull non ci hanno ancora concesso una traduzione.

[3] Il film di "Capitan Marvel" finisce con Carol che parte per trovare una pianeta in grado di ospitare gli Skrull, credo proprio che in una ventina d'anni sia riuscita. Nei comics Tarnax II è il pianeta colonizzato dagli Skrull dopo il ciclo di “Infinity Omnibus”.

[4] Riassunto della mia versione della genesi della guerra Kree-Skrull, estremamente semplificata e con solo il 30% di quanto viene riportato nei fumetti, nel mio tentativo di incastrarla nel MCU. Per quanto riguarda i genitori di Teddy, ho romanzato (AKA semplificato) un po' le cose, ma non di troppo.

[5] La cappa della levitazione nel film di "Doctor Strange" funge anche da "terzo braccio" per il Dottore assumendo le sembianze di un oggetto senziente, ma nei fumetti si limita a compiere lo scopo per cui prende il nome. Il mantello rosso di Billy ha circa la stessa utilità, Kate gliel'ha confezionato e probabilmente se l'è incantato personalmente, ma dato il mio precoce coinvolgimento del Dottore rispetto alla trama canonica, quella da me riportata è solo la soluzione più "adattabile". Tuttavia non escludo che "volare" rientri tra le skill base di Billy e il mantello serve solo a fare scena, non lo so nemmeno io, il PG esiste dal 2005 e apparentemente l'uomo è in grado di fare qualunque cosa – gli unici vincoli base finora sono che William deve essere "nel mood" per usarli bene, nel 90% dei casi deve riuscire ad udire la propria voce durante la formulazione dell'incantesimo per renderlo efficace, mentre l'intensità ed il raggio d'azione dipendono dal suo equilibrio emotivo (per dire, non riesce a guarire qualcuno che vuole morto a discapito di una sillabazione chiara, al contempo se Teddy o Tommy finiscono sotto attacco può tranquillamente raggiungere e mettere in atto il potenziale distruttivo di una bomba H senza emettere un fiato).

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 _ 2023 ***


CAPITOLO 6
_ 2023







 

Katherine si sorprende di avere tutto il tempo del mondo per raddrizzarsi contro lo schienale del sedile del guidatore, controllare lo stato dei propri capelli allo specchietto retrovisore ed aprire la portiera della macchina prima che Thomas si avvicini al bagagliaio ed appoggi la tanica di benzina sopra il tettuccio dell'auto. 

«Lo sai che la macchina non va avanti ad aria, vero? Se si accende la spia della riserva vuol dire che devi fare il pieno.» la prende in giro il ragazzo, dipingendosi sul volto una faccia da schiaffi che fa sbuffare Kate, costringendolo a sopprimere una risata sarcastica – Sapevi di non doverlo chiamare, sai a cosa andavi incontro

«Lo so, lo so…» liquida la battuta, chiudendosi la portiera alle spalle ed issandosi sulle punte per recuperare la tanica. «Perché ci hai messo così tanto?» 

«Non corro a velocità supersonica con una tanica di benzina in mano, Bellissima. Spericolato si, stupido anche no.» la riprende Thomas con tono leggero, osservandola curioso mentre aggira l'auto in sosta con aria scocciata, palesando il suo malumore mandando a quel paese con un gestaccio l'automobilista di passaggio che le suona dietro. «Perché non hai chiamato Bradley?» 

«Lascia perdere…» Kate tronca la conversazione sul nascere, risparmiandosi il riassunto di come Susan le aveva fatto accumulare un ritardo mostruoso dilungandosi con il brunch dopo le prove dell'abito, illudendosi di non essere così in riserva nonostante la lancetta sul cruscotto affermava il contrario da due giorni, ritrovandosi a piedi nel bel mezzo di un pedinamento ed impossibilitata a chiamare gli altri tre ragazzi perché erano a lezione. «Scusami per il disturbo, ti hanno fatto problemi a lavoro?» 

«Ho chi mi copre al centralino, stai tranquilla… e poi ho già terminato il mio turno di lavoro alla catena di montaggio, la supervelocità torna utile a volte.» la rassicura Thomas con una scrollata di spalle, puntellandosi alla portiera del passeggero mentre Kate si affaccenda con il serbatoio del Maggiolino, inclinando la tanica per fare rifornimento. «Il bersaglio di Romanov si è dato alla fuga quando la macchina ti ha lasciato a piedi?» 

«Già… ma gli ho piazzato un chip nella giacca, per stasera sono coperta.» Katherine liquida l'imprevisto con una scrollata di spalle, concentrata a non spargere la benzina in giro mentre gli occhi penetranti di Thomas la squadrano da testa a piedi. 

«Quindi per oggi abbiamo finito entrambi?» indaga il ragazzo con un tono fin troppo fiducioso per i gusti di Katherine. 

«Sembrerebbe di sì.» replica cauta con una scrollata di spalle, appurando di aver appena finito di svuotare l'intero contenuto della tanica nel serbatoio. 

«Pizza e partitina all’Xbox? È da un po' che non passiamo una serata solo noi due.» propone Thomas con prevedibile ed inguaribile ottimismo, incrociando le braccia al petto e vantando la sua solita faccia da schiaffi impressa sul volto. 

«C'è un motivo se non passiamo più una serata solo noi due, Tommy.» afferma Katherine lapidaria, improvvisamente interessata al tappo del serbatoio pur di non ricambiare lo sguardo color nocciola del suo migliore amico. 

«Non me la bevo la storia che Eli è geloso, abbiamo delle regole sacrosante tra noi ragazzi… quindi qual è l'altro motivo?» ironizza Tommy con un tono che gronda sarcasmo, irritato a sua volta per un qualcosa che Katherine ignora. 

«Non c'è un altro motivo.» scatta Kate prevenuta, inchiodando il ragazzo con lo sguardo rimanendo fedele al movente più ovvio… e sarà la giornataccia ancora in corso o l'idea della probabile sfuriata di Romanov – perché no, con il chip non è coperta per niente –, ma in quel momento trova irritanti le frecciatine di Tommy più del solito. «Chiariamo questa cosa una volta per tutte: non voglio darti false speranze, Thomas.»

«Kate, chiariamo un'altra cosa una volta per tutte: tu non sei al centro del mio universo.» replica sfrontato il ragazzo, esalando un sospiro spazientito che le suggerisce di aver frainteso alla grande l'intera dinamica, sputando finalmente il rospo che lo manteneva di malumore da settimane. «Sei solo uno dei tanti pianeti che mi ruotano attorno… ed ultimamente sei stata un'amica un po' di merda, quindi scusami se sto cercando di far funzionare le cose tra di noi.»

Thomas inclina la testa solo per guardarla irritato da sopra gli occhiali da sole, perdendo il sorriso ed abbandonando l'aria da spaccone pretendendo serietà… e quelle sono occasioni talmente rare che Katherine non le vede mai arrivare, generando sempre dei fraintendimenti colossali, soprattutto se ultimamente la comunicazione tra loro non è stata il massimo – Non ti azzardare a cercare la parte del giusto, Kate… lo sai che Tommy ha ragione. 

«Perdonami… ma sai, il lavoro… e l'ultimo paio di mesi sono stati un po'... eew.» Katherine azzarda un paio di giustificazioni in imbarazzo, maledicendosi in silenzio per essere saltata prematuramente alle conclusioni sbagliate… perdendo di convinzione, perché Tommy sta scuotendo la testa. 

«Non è solo il lavoro.» replica asciutto il ragazzo, svicolando con lo sguardo. «Bradley contribuisce in parte, ma lui posso anche capirlo… è che da quando è tornata Susan non hai più tempo, specialmente per me. Sono stanco di avere Billy come tramite.»

«Susan non mi prende così tanto tempo.» mente in automatico Kate, ritrovandosi le iridi nocciola di Thomas addosso che la scrutano con la stessa espressione di Eli quando le faceva notare l'influenza che la sorella esercitava su di lei… ammazzando un "stavolta è diverso" sulla soglia delle labbra, fissando il ragazzo spaesata. 

«Credo di aver capito il tuo ragionamento, sai? Mi eviti perché io ho la sfacciataggine di dirti tutto ciò che Eli pensa e tace per quieto vivere.» infierisce Thomas dando voce ad una risata spenta, scostandosi dalla portiera con un colpo deciso di reni, puntandosi l'indice contro. «Ma guarda un po', hai chiamato me per farti portare la benzina. Non Susan.»

«Thomas…» mormora Katherine sinceramente dispiaciuta, lasciando cadere nel vuoto la mano dalla quale Tommy si sottrae… e fa male, al punto che la ragazza si affretta a chiedergli un metro di giudizio per decretare di quanto si sia allontanata dalla sua cerchia ellittica di affetti. «Sono ai livelli di Mercurio? O sono finita dalle parti di Saturno?» 

«Mercurio è off-limits, nessuno ha il potere di spodestare Billy.» le sega brutalmente le gambe Thomas soppesando le parole con attenzione, al punto che Kate teme seriamente di essere stata declassata ai livelli di Plutone. «… ma ti aggiri ancora nell'orbita di Venere, puoi stare tranquilla Bishop. Altrimenti non ti portavo la benzina, dai.»

«Prima o poi ti arrivano due ceffoni Eisenhardt, farmi stare in ansia così…!» esclama Katherine sollevata, prendendo la rincorsa per premere la tanica vuota contro il petto di Thomas spingendolo all'indietro, afferrandolo per le spalle… e scoppiando a ridere al primo accenno di un sorriso da parte del ragazzo, smorzando lievemente la tensione. «Siamo ridicoli.»

«Tu sei ridicola.» la corregge Tommy, allungando prontamente una mano per cingerle i fianchi e scoccarle un bacio sulla guancia a sorpresa. «Allora, ora che sembri aver recuperato il senno… pizza e partitina all’Xbox?» 

Katherine sbuffa, rivolge gli occhi al cielo e cede, aprendo la portiera del passeggero a Thomas con fare forzatamente cerimonioso, allegandoci un'occhiata che lo scongiurava di non farla pentire della propria scelta, mettendosi poi alla guida. 

«Data la situazione, suppongo mi serva un breve corso di aggiornamento.» esordisce la ragazza dopo aver superato il secondo incrocio, tamburellando distratta contro il volante del Maggiolino gettando un altro ramoscello d'ulivo. «Come vanno le cose con Lisa? [1]» 

«L'ho piantata in asso dopo Capodanno.» replica Thomas con tono spento, fissando il paesaggio fuori dal finestrino di proposito mentre aspettano che scatti il semaforo verde. 

«Le mie fonti dicono che è stata lei a piantare in asso te.» commenta Kate leggera con una scrollata di spalle vantandosi dei gossip appresi di straforo, alimentando l'illusione di non essere stata un'amica così pessima se negli ultimi mesi era riuscita a tenersi aggiornata su chi si portava a letto chi, ingranando la marcia e svoltando in direzione di West Village.

«Billy ha frainteso l'intera faccenda.» mangia la foglia Thomas, scoccandole uno sguardo nocciola che trasuda rassegnata irritazione nel scoprire che il gemello aveva bisbigliato ai quattro venti le sue faccende private, ricambiando acuto alla sfacciataggine di Kate. «Non è così che ti risparmi le mie frecciatine, Bellissima. William me l'ha detto che tu e Bradley siete di matrimonio a fine mese.»

«Ti ha detto anche che ho provato a rifiutarmi dal fare da damigella a Susan e come alla fine mi ha presa per sfinimento?» Kate cerca di tirare acqua al proprio mulino, dipingendosi migliore di quella che è, con scarsi risultati a detta dell'occhiata che le riserva Tommy. 

«Sfinimento… diciamo che ti sei sciolta per un paio di lacrime di coccodrillo.» replica il ragazzo pungente, rigirando il coltello nella piaga risentito, manifestando la sua intenzione di non voler passare sopra all'argomento facilmente. 

«Questo non può avertelo detto Billy.» riflette Kate a voce alta, gli occhi fissi sulla strada, ma la testa da tutt'altra parte impegnata ad elaborare congetture. «Chi mi ha demolito la reputazione?» 

«Te l'ho detto, con te Bradley tace per quieto vivere.» la illumina Thomas, ma il chiarimento non ottiene gli effetti sperati, costringendo Kate ad inarcare un sopracciglio attendendo la continuazione della risposta… la quale non tarda ad arrivare, pungente ed ironica. «Tu lo sai che Teddy ed Eli vivono sotto lo stesso tetto, si? E che Altman è spesso e volentieri a casa nostra?» 

«Delle comari pettegole, ecco cosa siete.» si lamenta Katherine a vuoto, realizzando la congiura… sentendosi grata di avere Thomas a guardarle le spalle sempre e comunque, a discapito dei loro estenuanti alti e bassi. «Mi farò perdonare Bellissimo, promesso.»

«Questa volta te la rendo facile, Katie.» scherza Tommy recuperando il sorriso, uno di quelli genuini e sinceri, non la brutta copia del ghigno ironico che gli ha solcato il volto nelle ultime settimane. «Sei una donna dotata di cervello, usalo

 

***

 

Theodore si fissa le stringhe delle scarpe nell'attesa, addossato allo stipite della porta d'entrata di Casa Kaplan, intento a torturarsi le pellicine delle unghie per noia mentre placa la tentazione di controllare l'ennesima volta lo schermo del cellulare… ma tanto sa di doverci rinunciare, William evidentemente si è di nuovo preso a letto, stanno entrambi accumulando un ritardo mostruoso – dimezzando collateralmente le possibilità di trovare subito parcheggio al campus –, e di quel passo ci sono delle alte probabilità che la porta gli venga aperta da Rebecca. Teddy non ha nulla contro la Signora Kaplan, al contrario pensa sia la persona più premurosa e gentile che conosca, ma la donna sa essere anche spaventosa se infuriata ed ogni volta che se la trova davanti Theodore ha la netta sensazione che sappia leggerlo come un libro aperto. Tecnicamente è il suo lavoro, il ragazzo lo sa bene, ma è anche perfettamente cosciente che dilungarsi in una qualsiasi conversazione di una durata superiore ai quindici minuti con Rebecca equivale ad una seduta gratis di psicanalisi… e non gli sembra una grandiosa idea parlare, sciogliersi, lasciarsi sfuggire qualcosa e farla infuriare per le motivazioni più disparate. Tipo la sua relazione con William, il reclutamento da parte degli Avengers ed il fatto che Rebecca fosse ancora all'oscuro dell'intera faccenda. 

Teddy suona di nuovo il campanello, si strappa una pellicina ed osserva impassibile la ferita verdognola rimarginarsi in un battito di ciglia, ricominciando da capo… nell'attesa prende in seria considerazione l'idea di chiamare Thomas per suggerirgli di sbrandare Billy a forza, solo per ricordarsi che Tommy deve essere già uscito per recarsi a lavoro, ritornando concentrato al presente quando sente dei passi avvicinarsi dall'altro lato dell'uscio. Passi troppo leggeri per essere di William. 

Rebecca Kaplan spalanca la porta di casa facendolo trasalire impercettibilmente, lo squadra dalla testa ai piedi da sopra la montatura degli occhiali mettendolo spiacevolmente in soggezione e sbuffa al cenno di un suo sorriso… ed eccola, la sfuriata, Teddy può quasi percepirla nell'aria statica tra loro. 

«William! Ti conviene scendere in cucina in due secondi netti!» strepita la donna sollevando uno sguardo adirato al soffitto, seguito da un tonfo al piano superiore che la dice lunga su quante volte Billy avesse spento la sveglia prima di udire i toni soavi della madre adottiva, la quale si apre in un sorriso zuccheroso quando torna a posare le iridi castane su di lui. «Teddy, caro, hai fatto colazione stamattina? Vuoi del caffè? Pane e marmellata?» 

Theodore prova educatamente a declinare l'offerta citando il piatto di bacon e uova strapazzate che il suo stomaco sta ancora digerendo, ma volente o nolente si ritrova seduto a tavola con una tazza di caffè ed un paio di fette biscottate farcite sotto il naso, conversando con Rebecca mantenendosi su toni neutri mentre continua a lanciare occhiate ansiose alla porta della cucina. 

«Alla buon ora, ti si fredda la colazione.» esordisce Rebecca quando William appare finalmente sulle scale con due occhiaie spaventose ed i capelli sparati in ogni direzione, intento ad infilarsi una felpa degli Arctic Monkeys che ha visto tempi migliori, il tutto mentre evita di inciampare sui gradini o far cadere a terra la borsa a tracolla carica di libri e blocchi per gli appunti – Theodore è sicuro che la rilegatura in cuoio del libro che sbuca dalla borsa sia del Monastero, ma si astiene dal commentare gli studi extracurriculari di Billy eseguiti a notte fonda quando teoricamente dovrebbe preparare almeno tre esami per l'università da dare da lì a due settimane, limitandosi a fissare il proprio fidanzato con uno sguardo che implora un "salvami". 

«Vado a cambiarmi anch'io, devo essere in ufficio tra mezz'ora.» annuncia Rebecca con tono scocciato prima di correre su per le scale, intrecciando le dita tra i riccioli corvini del figlio quando gli passa affianco. «E datti una pettinata William, per l'amor del cielo.»

«Siamo in ritardo, ne sei consapevole vero?» Teddy augura il buongiorno a Billy con tono asciutto, non potendo concedersi ad esternazioni vagamente più affettuose quando sa di trovarsi in prossimità della Signora Kaplan. 

«Non di troppo, dai.» William tenta di giustificarsi debolmente nel mentre che prende posto a tavola, rubandogli una fetta biscottata dal piatto ed appropriandosi della sua tazza di caffè fumante. 

«Lo sai che la notte è fatta per dormire, si? Già tiriamo tardi per colpa delle Ronde…» inizia Theodore quando decide che Rebecca non dev'essere più a portata d'orecchio, indicando con lo sguardo prima le occhiaie sul volto del moro e poi il libro del Monastero che sbuca dalla borsa [*]. 

«Ma io ho dormito… la mia forma astrale un po' meno.» afferma Billy con una scrollata di spalle, alzando gli occhi al cielo in forma preventiva quando Theodore minaccia di ricordargli che non è sano sedare gli incubi migrando nel Piano Astrale. «Non iniziare…»

«Lo dico solo per il tuo bene.» si giustifica Teddy raddrizzandosi contro lo schienale della sedia e mettendo le mani bene in vista per denunciare le proprie buone intenzioni, rassegnandosi a mostrare interesse per il libro quando lo sguardo gli cade nuovamente sulla borsa stracolma abbandonata ai loro piedi. «Sì può sapere di cosa parla?» 

«Portali interdimensionali [2]… alla "Doctor Who", per intenderci... sai a cosa mi riferisco Tee, sai parlare la mia lingua.» spiega William sbrigativo, finendo il caffè in un sorso solo ustionandosi la gola a detta dell'espressione che gli attraversa il volto, facendo cenno al ragazzo di raccogliergli la tracolla da terra e seguirlo. 

«Comunque tua madre l'ha presa bene… mi ha offerto la colazione.» ragiona Theodore a voce alta a distanza di qualche minuto, indicando distrattamente in direzione della cucina mentre il riflesso di Billy lo scruta da sopra il lavandino del bagno con cipiglio interrogativo. «Se fosse infuriata per-...» 

«Non lo sa ancora.» gli smorza l'entusiasmo Billy, chinandosi a risciacquarsi la bocca dal dentifricio e riponendo lo spazzolino, fissando poi i propri capelli con aria critica rinunciando in partenza a domarli, passandosi una mano sul volto ed allungando il collo per specchiarsi meglio, decretando passabile pure l'ombra di barba che non ha il tempo materiale di radersi. «Devo trovare il momento giusto per non farle fare un esaurimento nervoso.»

«Non credo esista, il momento giusto.» afferma neutro Teddy, riferendosi al discorso tenuto dal Capitano ancora un paio di mesi prima al compleanno dei gemelli, facendo giurare loro di mantenere un basso profilo ed insistendo al contempo sul informare i genitori nonostante ormai non servisse più il loro consenso dal punto di vista "legale". A conti fatti l'unica ancora all'oscuro di tutto era Rebecca, Tommy per quella volta se ne era lavato le mani e Billy aveva procrastinato per intere settimane, cedendo infine qualche sera prima promettendo di informarla il "giorno seguente" – e forse Teddy non dovrebbe sorprendersi per l'ennesimo rinvio, considerati quanti tabù sono presenti tra le quattro mura in cui si trova. 

«Se non la prende bene puoi sempre… cancellarlo, ecco.» azzarda Teddy scostandosi dallo stipite della porta del bagno quando Billy lo urta di lato per passare, attirandosi addosso lo sguardo allucinato del proprio fidanzato, il quale si blocca interdetto a metà strada dalla scarpiera. «Cosa? La mia è solo un'idea.»

«Non ho intenzione di cancellare la memoria a mia madre, Tee…!» strepita William sottovoce per non farsi sentire da Rebecca al piano superiore, raggiungendo il mobile e prelevando le sneakers. 

«Il mio è solo supporto morale in casi estremi, Bee.» replica pacato Theodore notando in sordina l'ironia latente dell'intera situazione, controllando distrattamente l'orologio per accertarsi di quanto monta il loro ritardo, decidendosi a spezzare una lancia in favore della propria futura suocera. «La stai facendo più tragica di quello che è Hon, tua madre sa essere comprensiva… l'ha presa bene la faccenda dell'università, e da come ne parlavi tempo fa sembrava dovesse cascare il mondo.»

Teddy si ricorda fin troppo bene i temporeggiamenti eterni di Billy quando era giunta l'ora di comunicare a Rebecca, rinomata psicologa e moglie di un defunto cardiologo, che Medicina non era esattamente nelle sue corde – la diatriba si era risolta solamente quando Thomas aveva preso in mano la situazione al posto del gemello, annunciando alla madre adottiva "numero due" che si era trovato un lavoro, mettendo in palio i risparmi che gli Shepherd avevano messo da parte per un college che non era intenzionato a frequentare. 

«Non stai davvero paragonando Lingue a-…» inizia a polemizzare William nel mentre che si infila le scarpe. 

«Dico solo che ora è questione di tempo prima che la tua faccia esca in prima pagina sul giornale, William… come la mettiamo?» insiste Theodore con gentilezza, mentre il ragazzo gli fa cenno di zittirsi quando i passi di Rebecca li raggiungono. «Devi dirglielo, Bee.»

«Non mi ha detto che cosa?» deduce la Signora Kaplan captando l'ultimo brandello di conversazione, raggiungendo la fine delle scale a passo sostenuto e soffermandosi nel bel mezzo del corridoio d'entrata davanti ai ragazzi, studiandoli con uno sguardo da lince mentre indossa le perle ai lobi. «Allora?» 

«Beh, non so esattamente come…» azzarda William fermandosi a metà del gesto di chiudersi la zip del giubbotto in pelle, guardando Theodore con aria spaesata e spaventata in cerca di aiuto… e puntualmente Rebecca fraintende il discorso, ma centra perfettamente il contesto non detto. 

«Oh tesoro, lo so… dai, è evidente.» li sorprende la donna con sguardo emozionato, scardinando la mascella di William nello stesso istante in cui Teddy si sente afferrare per le spalle e tirare giù in un abbraccio soffocante. «Benvenuto in famiglia Theodore!» 

«Siamo in ritardo, 'Ma.» cerca di darsi alla fuga Billy dopo un paio di secondi densi di sbigottimento, in palese sovraccarico emotivo e con uno sguardo pericolosamente azzurro, artigliando la mano di Teddy tirandolo con sé fuori dalla porta d'ingresso. 

«Adesso siamo in ritardo?» scherza il ragazzo lasciandosi trascinare via dalle braccia di Rebecca, sopprimendo una risata isterica mentre incespica sul gradino d'entrata. «Lo scusi, Signora Kaplan.»

«Rebecca, Theodore. Per favore.» lo riprende la donna per automatismo, nonostante ormai Teddy dubita di imparare a rivolgersi a lei in modo diverso dopo così tanti anni di convenevoli educati, sospirando rassegnata di fronte alla reazione tragicomica del figlio. «Ci vediamo stasera a cena, tutti e due

William finge di non sentirla, raggiunge la macchina a passo di carica e cerca inutilmente di forzare la portiera chiusa, anticipando l'apertura automatica delle chiavi facendo scattare la serratura con una scintilla azzurra… mentre Theodore si prende tutto il tempo per aggirare l'auto, salutare Rebecca da lontano con un cenno della mano e prendere posto sul sedile del guidatore. 

«L'ha presa bene… noi due, intendo.» spezza il silenzio Teddy una volta allacciatosi la cintura di sicurezza, compiendo uno sforzo disumano per non scoppiare a ridere di fronte al connubio tra l'esasperazione e panico dipinto sul volto del fidanzato, notando sollevato che almeno le iridi di Billy si sono nuovamente scurite tornando di un rassicurante color nocciola. «Cosa?»

«Pesach… non sono psicologicamente pronto ad una cena di famiglia, tu non sei pronto ad una cena con la mia famiglia.» sentenzia William con occhi sgranati, fantasticando in avanzamento veloce. 

«Mancano settimane a Pesach, Bee. Per ora tua madre ci ha solo invitati ad una comunissima cena.» Teddy si sforza di suonare conciliante, obbligandosi a non soffermarsi sul pensiero di una vera e propria cena in famiglia con più di due persone sedute al tavolo, avviando il motore dell'auto. «Pensi di scappare così anche quando le dirai che tu e Tommy avete i superpoteri?»

«Taci e guida, siamo in ritardo.»

 

***

 

«Non sono mai buone notizie se rimani a piantonare la porta, William.» la voce di Rebecca Kaplan lo sorprende, ritrovandosi gli occhi della sua madre adottiva addosso, intenta a studiarlo pensierosa stesa sul divano. 

«Non sono brutte notizie, solo… sono in vena di coccole.» ammette Billy restio molleggiando sui talloni, sollevando lo sguardo dalle frange del tappeto per fronteggiare Rebecca nel modo più cauto ed indolore possibile. «Dici che sono troppo grande per le coccole?» 

«No, certo che non lo sei.» concede la donna aprendosi in un sorriso, scostando il plaid dalle gambe in un gesto invitante. «Vieni qui, tesoro.»

William non se lo fa ripetere due volte, attraversa scalzo il salotto, aggira il tavolino da caffè e si lascia cadere tra le braccia di Rebecca, acclimatandosi contro il suo fianco e posandole il capo contro lo sterno – rimangono in quella posizione per un tempo indefinito, Billy rannicchiato sotto la coperta con il corpo di sua madre a fargli da bozzolo, mentre Rebecca familiarizza con un vecchio scenario che entrambi non spolverano da diversi anni, pettinandogli distratta i riccioli ribelli con la mano libera mentre continua a fare zapping sul televisore cercando qualcosa che non sia un programma spazzatura. 

«Ci sono problemi con Theodore?» chiede la donna con finta noncuranza dopo lunghi istanti di silenzio, compiendo lo sforzo di tenere le iridi castane incollate allo schermo per mascherare meglio il tentativo di impicciarsi. 

«No, con Teddy va tutto alla grande.» replica piatto William, fissando i numeri dei canali TV che si susseguono a ritmo cadenzato, riformulando incessantemente nella propria testa un principio di discorso che non ha ancora il coraggio di proferire. 

«Bene… sai, sono contenta per voi due.» continua Rebecca con il solito tono leggero, preparando il terreno per l'interrogatorio a cui William sa di non potersi sottrarre, soprattutto in luce dell'attacco di "mammite" che l'ha preso all'imbarazzante età di ventun anni. «Mi piace Ted, è uno con la testa apposto…» 

«Stai rovinando il momento Mamma, evita di iper-analizzare.» la bacchetta il ragazzo con tono svogliato, desiderando solo un po' di pace senza interferenze per ritrovare la convinzione con cui era sceso in salotto in pigiama, facendosi carico delle ultime verità scomode che attendevano solo di essere rivelate. «Guardiamoci un film e basta, come una volta.»

Rebecca acconsente in silenzio, gli bacia la fronte e prosegue con il suo zapping, mordendosi la lingua e decidendo su due piedi di aspettare i suoi tempi – non ci vuole troppo perché Billy ritorni a parlare, basta un fotogramma fugace di Ewan McGregor per fargli puntare il dito contro lo schermo ed invocare esaltato il suo nome, costringendo la madre a tornare indietro. 

«Moulin Rouge? Di nuovo?» ironizza la donna sintonizzando il televisore su una folla festante intenta a cantare una versione decisamente rivisitata di "Smell like teen spirits", scoccando al figlio uno sguardo a metà tra la rassegnazione e l'incredulità. 

«Ewan McGregor, Ma'.» spiega Billy con tono ovvio, indicando a palmo aperto il volto dell'attore e il suo completo elegante, come se il semplice nome bastasse ad elencare tutte le motivazioni per cui un film come "Moulin Rouge" andava visto infinite volte a ripetizione senza mai stancarsi. 

«Mi dici che ci trovi in McGregor?» indaga Rebecca divertita dalla sua reazione enfatica, abbassando il volume di un paio di tacche. «Meglio Ryan Gosling.»

«McGregor sta una spanna sopra a Ryan Gosling.» la contraddice il ragazzo, evitando di comparare apertamente tutti i musical visti e citare in causa il fatto che McGregor, dopo il ruolo di Obi-Wan Kenobi, si era guadagnato il primo posto come sua celebrity-crush. 

«Se lo dici tu.» concede la donna, abbandonando la resistenza iniziale dopo il primo quarto d'ora, iniziando entrambi pian piano a canticchiare le canzoni a mezza voce durante la proiezione come avevano fatto altrettante volte prima di quel momento. 

La famiglia Kaplan aveva una sottospecie di tradizione estesa ad amici e parenti, la quale consisteva nel radunarsi intorno al tavolino da caffè ogni giovedì sera e scegliere un film da guardare in compagnia, alternando l'occorrenza con la "serata-giochi" sfidandosi a Monopoli, Scarabeo o Jumanji – quella era una delle prime tradizioni andate perse con la Decimazione, forse perché dopo la morte di Papà nessuno aveva più avuto voglia di cantare o di sedersi intorno ad un gioco da tavolo. Gli mancano quei momenti, William ricorda con nostalgia anche le finte lamentele di Thomas in merito ai giovedì sera trascorsi con i suoi genitori… sollevando distrattamente lo sguardo sul pendolo di fianco al televisore chiedendosi dove il gemello possa essersi fermato a cena, e deve essere il genere di pensiero che assilla anche Rebecca quando capta il suo sguardo, chiedendogli dopo attimi calcolati se Billy ha una vaga idea di dove si trovi Tommy in quel momento. 

«Da Kate.» azzarda un'ipotesi William, senza muoversi di un millimetro dalla posizione assunta e ritornando con gli occhi nocciola puntati al televisore, congratulandosi da solo per il tono perfettamente insospettabile e sentendosi allo stesso tempo in colpa per aver di nuovo mentito a sua madre. «Perché me lo chiedi?» 

«Ultimamente mi sembra di vivere con due estranei, tutto qui.» commenta asciutta la donna, acuendo la stretta al cuore di Billy perché effettivamente con il passare dei mesi Rebecca era stata relegata sempre più ad una figura di sfondo. «Devo preparare il pranzo per cinque domenica?» 

«Tommy e Kate non stanno insieme, Ma'... e in ogni caso devi seriamente piantarla di cucinare per un esercito, i nostri pranzi di famiglia sono imbarazzanti anche senza la presenza di fidanzati e fidanzate.» commenta William con tono brusco, rendendosi conto della frase espressa solo quando sua madre interrompe le carezze ritmiche lasciandolo inspiegabilmente a corto d'aria, come se qualcosa di crepato da tempo si fosse ufficialmente rotto. «Mamma…»

«Sai, i pranzi diventano imbarazzanti quando i commensali non si parlano da parecchio tempo. Qualcuno dice sempre mezza parola di troppo.» Rebecca si sforza di assumere un atteggiamento analitico, nonostante Billy glielo legge negli occhi quanto la sua ultima esternazione l'ha realmente ferita. «Perché non ci parliamo più, tesoro? Parlarci nel vero senso della parola.»

Quella espressa da Rebecca è una domanda estremamente sciocca, dato che entrambi conoscono la risposta… dopo la Decimazione ognuno si era chiuso nella propria bolla e parlare di qualsiasi cosa era diventato improvvisamente difficile, principalmente perché non c'era più suo padre a fare da intermediario tra madre e figlio. Jeff aveva l'incredibile capacità di saper intuire un problema appena si palesava nell'aria, deviando l'argomento in esame dall'apprensione morbosa e spesso immotivata di Rebecca, lasciando a Billy la possibilità di rimuginarci sopra per tutto il tempo che reputava necessario, accogliendolo poi a braccia aperte quando giungeva a confessarsi, decidendo insieme quale fosse l'approccio più utile per disinnescare i picchi ansiogeni di sua madre. 

«Non parliamo più perché tendi a dare di matto quando non puoi prevedere o controllare certe situazioni, Mamma.» ammette con semplicità William, nonostante comprenda perfettamente le reazioni della donna, considerata tutta la fatica che i suoi avevano fatto per farsi accettare i documenti per l'adozione e tenendo conto di tutte le stranezze a cui lui e Tommy li avevano testati fin da piccoli – A pensarci bene, in effetti, certi episodi potevano tranquillamente essere le prime avvisaglie dei loro poteri… 

«Sono più perspicace di quello che credi, William.» afferma Rebecca con tono conciliante, decidendosi a mettere il film in pausa e costringendo Billy a raddrizzarsi contro lo schienale del divano, sottintendendo che quella in corso era una discussione seria che andava affrontata con più compostezza di quella attuale. «Puoi parlarmi di qualunque cosa. A prescindere da quello che dirai non smetterò mai di volerti bene… lo sai, vero?» 

William percepisce con fastidioso imbarazzo le lacrime formarsi agli angoli dei propri occhi in risposta allo sguardo amorevole di Rebecca, deglutendo a vuoto perché tutto ciò che desidera in quel preciso istante è confessare a sua madre quanto incasinata sia diventata la sua vita... ritrovandosi tuttavia sprovvisto delle parole giuste per rendere innocua la costante minaccia di morte che grava sulla sua testa come una spada di Damocle. 

«Lo so… okay, in effetti c'è qualcosa che dovresti sapere… e probabilmente sarà dura da digerire all'inizio, ma…» William si fa coraggio dopo lunghi istanti di silenzio, perdendo di convinzione dopo un paio di frasi perché è decisamente partito con il piede sbagliato. 

«Un respiro profondo, tesoro.» lo incoraggia la donna, attendendo paziente che Billy trovi le parole più adatte per esprimersi. 

«L'altro giorno… quando hai-... dedotto che io e Teddy stiamo insieme, ecco…» azzarda il ragazzo dopo una decina di secondi, cambiando approccio, incredulo della piega positiva e fiduciosa assunta dalla conversazione. «Non era specificatamente quella la cosa che dovevo dirti… era una delle tante, ma non la più urgente.»

«Devo preoccuparmi?» scatta subito Rebecca bruciando parecchie tappe, spalancando gli occhi all'armata appena fiuta l'odore di guai all'orizzonte. 

«Cosa? No!» si affretta a tranquillizzarla Billy, rendendosi improvvisamente conto di essere caduto nella ragnatela intessuta da sua madre per strappargli qualche nuova informazione di bocca, rassegnandosi velocemente all'idea che ormai il discorso l'aveva iniziato e tanto vale portarlo a termine. «No, no… puoi stare tranquilla, io e Tommy la stiamo gestendo.»

«State?» chiede Rebecca ancora più confusa, corrucciando le sopracciglia con aria interrogativa perché evidentemente il coinvolgimento di Thomas non era contemplato e non doveva rientrare tra i parametri positivi – Calmo, William. Ricorda quello che ha detto Teddy, se Mamma va in escandescenza puoi sempre cancellarle la memoria e chiedere a Romanov di intercedere. 

«Vedi… come te lo spiego?» ragiona Billy a mezza voce, coprendosi il volto con le mani e tirandosi i ciuffi di capelli ribelli all'indietro – Natasha aveva parlato di genetica quando aveva definito cos'erano i Mutanti… poteva sempre riciclare la spiegazione, no? 

«Okay, allora… gli esseri umani hanno un certo numero di cromosomi, no?» esordisce William con una scelta di parole oltremodo discutibile. «E delle strane combinazioni possono causare… anomalie, ecco. Mi segui fino a qui?» 

«Non capisco dove tu voglia andare a parare, tesoro…» mormora Rebecca vagamente confusa, sforzandosi di razionalizzare man mano le varie informazioni. 

«Quello che voglio dire è che esistono degli errori in genetica… anche se magari quello che inizialmente si crede un errore è solamente lo stadio successivo di una scala evolutiva. Perché siamo destinati ad evolverci, cambiare…» prosegue Billy con maggiore sicurezza, tirando un mezzo sospiro di sollievo quando una madre annuisce, dandogli cenno di riuscire a seguire il suo discorso a grandi linee. «Ecco, io e Tommy a quanto pare siamo uno scalino sopra la media.»

«Parli per presunzione o…?» azzarda la donna con tono interrogativo, inarcando un sopracciglio in modo spaventoso. 

«Te lo mostro, ma promettimi di non spaventarti.» William pone subito le mani avanti, scatenando un mezzo sorriso tra i lineamenti di sua madre. 

«Se chiedi a qualcuno di non spaventarsi in genere ottieni l'effetto contrario, lo sai vero?» ironizza la donna per smorzare la tensione, studiando attentamente i movimenti del figlio quando si spinge all'altro capo del divano mettendo un po' più di distanza tra loro e rivolgendo il palmo sinistro aperto verso il soffitto. 

«Lo so, ma credimi faccio prima a mostrartelo… e può essere una novità spaventosa.» ammette il ragazzo sopprimendo una risatina isterica prima di ordinare all'impianto elettrico di spegnersi, evocando poi una pallina di luce azzurrina sul palmo della mano per rischiare la stanza semi-buia, ricambiando lo sguardo sgranato di Rebecca con le sue iridi luminose che hanno inghiottito la sclera in un uniforme bagliore biancastro. «Uno scalino sopra la media, vedi?» 

William si "spegne" ed ordina alle lampadine di riaccendersi… ed arrivato a quel punto è pronto a qualsiasi reazione: alle urla, agli insulti e le minacce, anche ad un segno della croce come quello di John Kesler quando Billy aveva manifestato i poteri per la primissima volta il giorno della Decimazione – Okay, un segno della croce forse no. Quello sì che sarebbe spaventoso, soprattutto se eseguito da sua madre. 

«E… ehm-mh.» Rebecca non urla e non va nemmeno in escandescenza, si limita ad articolare monosillabi senza suono per qualche istante, sorprendendo Billy in positivo perché un approccio pragmatico era l'ultima delle ipotesi a cui si era psicologicamente preparato. «Anche Thomas lo sa fare?» 

«No, lui hai un superpotere diverso.» afferma William con tutta la calma e la compostezza di cui è capace. «Corre velocissimo, sa far esplodere le cose…» 

«Superpoteri? Tipo gli Avengers?» chiede chiarimenti Rebecca, prendendosi del tempo per scegliere con cura le parole, cercando di definire l'inspiegabile con termini conosciuti per non iniziare a dare di matto. 

«Mh-m. Siamo stati reclutati, ci stanno addestrando… è questo che intendevo con "la stiamo gestendo".» prosegue Billy con cautela, vagamente spaventato dal inspiegabile mutismo di sua madre… arrivando a desiderare l'elenco di disturbi psicologici che potevano giustificare l'intera situazione, sulla falsariga delle minacce a vuoto legate a qualche disturbo alimentare immaginario per tutte le volte in cui William saltava i pasti. «Mamma, dí qualcosa.»

«Sto… elaborando.» lo placa la donna, chiudendo gli occhi e respirando a pieni polmoni, al punto che Billy può quasi vedere le rotelle muoversi nel cervello di Rebecca, perché sicuramente sua madre doveva aver notato qualcosa a cui non aveva dato peso e che ora di colpo quel qualcosa assumeva una spiegazione più o meno sensata. «Okay va bene, è solo una stranezza in più da aggiungere alla lista.»

«Stranezza?» si sorprende William per la curiosa scelta di parole, obbligandosi a non scardinarsi la mascella di fronte alla reazione quasi utopica di Rebecca. 

«Non è un termine necessariamente negativo… tu e Thomas siete sempre stati diversi, speciali.» lo rassicura la donna, fissando lo sguardo sulle lampade appese alle pareti per ricacciare indietro le lacrime, dando per scontato che se entrambi iniziano a piangere la situazione sarebbe degenerata irrimediabilmente. «Scusa, sto scaricando la tensione… avevo paura che fosse qualcosa di peggio, tipo una espulsione dal college o un cadavere nel bagagliaio della macchina.»

«Sempre positiva, vedo.» ironizza Billy, soffocando una risata isterica di fronte ai parametri di giudizio di sua madre. 

«In quanti siete? Tu, Tommy, Teddy e chi altro? Eli e Kate?» conta ad alta voce Rebecca, asciugandosi le lacrime fantasma con il dorso della mano, lasciando vagare lo sguardo nella stanza prima di focalizzarsi su Billy ed aprirsi in un sorriso ironico. «Si spiegherebbe perché siete qui quasi ogni sera a cena con una fame da lupi.»

«Non mi aspettavo che reagissi… così.» ammette il ragazzo con tono nervoso, grattandosi distrattamente il retro della nuca, insicuro sul dove posare le mani. 

«Che ti aspettavi? Che vi cacciasi di casa o pazzie del genere?» scherza la donna, scrollando le spalle come a togliersi di dosso la sola idea di compiere un gesto simile. 

«Più o meno.» ammette Billy con riluttanza, stringendosi nelle spalle con aria colpevole. 

«William, te e Thomas siete praticamente figli miei. Vi voglio bene per quello che siete, stranezze comprese… altrimenti che razza di genitore sarei?» conferma Rebecca con tutta la tranquillità del mondo, allungando una mano ad accarezzargli una guancia prima di afferrarlo per le spalle e trascinarselo addosso in un abbraccio stronca-fiato. «Però voglio parlare con il tuo… insegnante? Coach? Come si chiama in questi casi?» 

«Mentore, Ma'.» il ragazzo soffoca una mezza risata contro la sua spalla, divincolandosi nella morsa delle braccia di Rebecca quanto basta per tornare a respirare. «Preferisci Rogers o Romanov?» 

«Capitan America è davvero un'opzione?» si sorprende la donna, sciogliendo la presa e scrutandolo con sospetto, chiedendosi se la sta prendendo in giro o meno… dipingendosi un'espressione esaltata sul volto quando William annuisce e mormora un "Sì, Mamma" divertito. «Voglio Capitan America allora.»

«Okay.» sorride Billy, lasciandosi trascinare di nuovo nella posizione assunta ad inizio serata, accoccolandosi contro il fianco di Rebecca come se nulla fosse. «Ti voglio bene, Mamma.»

«Anch'io te ne voglio, tesoro.»

 

***

 

«Hai--…?» 

«…- voglia di noodles? Sì, ti prego.» lo interrompe David prima che Tommy possa formulare l'intera domanda, evitando di puntellarsi allo stipite della porta quando vede l'altro ragazzo afferrare il giaccone e venirgli incontro. 

«Quanti gattini hai salvato dagli alberi finora?» scherza Thomas avviandosi a seguito del collega, regolando l'andatura per non pestargli i talloni e fermandosi giusto il tempo necessario per timbrare il cartellino ed uscire in pausa pranzo. 

«Tommy, lo sai benissimo che non salvo gattini dagli alberi… credo di essere quasi impazzito stamattina, c'è stato un boom di telefonate e ho dovuto fare da solo il lavoro che ipoteticamente avremmo dovuto gestire in cinque.» si lamenta il ragazzo, stropicciandosi gli occhi stanchi con una mano color caffelatte, togliendosi gli occhiali da vista e pulendo le lenti sul bordo della felpa prima di posare nuovamente lo sguardo su Thomas. «A proposito di gente che non lavora, è da un po’ che non ti vedo da queste parti… sei venuto qui per farti pagare i tuoi quindici minuti mensili?» 

«Tu scherzi, ma per me quei quindici minuti sono tre mesi di lavoro no-stop. È sfiancante.» chiarisce Tommy lapidario, spintonando David con una spallata lungo il corridoio. «Velocizza il passo, ho fame.»

«Ti impegni ad essere così insofferente ai ritmi dei comuni mortali o hai seguito dei corsi?» lo spinge David in risposta, continuando a tenere le mani in tasca ed aprendo la porta d'uscita dagli uffici della sede amministrativa dello SWORD addossandosi di schiena al vetro smerigliato.

«Credo sia una dote naturale, sai?» replica a tono Thomas, dipingendosi un sorriso sardonico sulle labbra ed incassando l'insulto di risposta con allenata impassibilità, puntando alla metropolitana senza troppi ripensamenti. 

L'"impiegato del mese" David Alleyne era la persona più interessante che Thomas avvesse mai avuto il piacere di incontrare nei suoi turbolenti ventun anni di vita. Il ragazzo non aveva molti amici, Tommy non sapeva se attribuirne la causa alla sua noiosissima osservanza alle regole o alle sue capacità sovrumane che lo rendono di fatto un indiscreta ed inopportuna enciclopedia vivente [3], ma avevano più o meno legato in quei mesi trascorsi allo SWORD e l'idea che il ragazzo conosceva perfettamente come a Thomas piace bere il caffè e glielo faceva trovare ogni mattina sulla scrivania, era uno dei pochi motivi per cui non aveva ancora chiesto il licenziamento. 

Il lavoro allo SWORD era stata una gentile concessione da parte di Romanov, alla sua Mentore non piaceva l'idea di saperlo libero e incontrollato in giro per il mondo e, da quando Thomas aveva abbandonato gli studi, l'impiego agli uffici era diventata la sua nuova e tediosa routine – a conti fatti non aveva di che lamentarsi: percepiva uno stipendio, all'Agente Brand non interessava davvero come Tommy gestisse la mole di lavoro a patto che rispettasse le consegne e David lo intratteneva ogni giorno con gossip sempre più succulenti. 

«Alla fine hai risolto con la tua amica? Ti ho coperto con Abigail per una giusta causa?» David spezza la monotonia delle chiacchiere vuote portate avanti fino a quel momento, sistemandosi gli occhiali scesi sulla punta del naso e stringendo gli occhi a fessura per leggere quante fermate manchino a Times Square. 

«Chi, Kate?» si ridesta Thomas, appeso alla maniglia che pende dal soffitto della carrozza, distogliendo lo sguardo dalla tappezzeria consumata dei sedili. «Sì, più o meno… domani va comunque al matrimonio di Susan, ma almeno ha ripreso a parlarmi.»

«Sono curioso, ti dà fastidio che Katherine vada al matrimonio di per sé o ti rode perché porta Bradley come accompagnatore?» indaga David con una frecciatina che colpisce e lascia il segno, bruciante e vagamente doloroso, istigando Thomas a fulminarlo con uno sguardo risentito. «Per me chiunque è un libro aperto, te compreso Eisenhardt.»

«Credo di aver appena capito perché stai antipatico alle persone.» ribatte Thomas infastidito, valutando se mettere il broncio o meno per palesare l'orgoglio ferito, rinunciando in partenza all'idea del probabile silenzio imbarazzato che si sarebbe inevitabilmente creato. «Hai ricevuto qualche chiamata interessante? C'è un nuovo Sire Malvagio in città?» 

Thomas pone il quesito con tono leggero, mascherando ad arte i secondi fini della richiesta – Abigail, sfruttando le informazioni iper dettagliate su ogni argomento conosciuto da David, lo aveva assegnato al centralino per smistare le telefonate recapitate al numero verde rilasciato da Romanov a pochi mesi di distanza dalla Decimazione. La maggior parte delle volte il ragazzo si ritrovava a discutere con ipocondriaci e cacciatori di notorietà, ma ce n’erano altre in cui le segnalazioni riportate erano rilevanti ed avevano aiutato Natasha più di qualche volta a gestire eventuali problemi, stabilire le Missioni dei ragazzi e tenere d'occhio Barton senza intervenire personalmente. 

«Credo ci sia stato un momento che ha rasentato l'epicità a metà mattinata quando qualcuno ha segnalato il furto di un furgone OSCORP, ma è stato ritrovato a distanza di tre isolati con una ruota a terra.» lo accontenta David con un breve aggiornamento, scrollando le spalle con aria rassegnata e stanca. «Non è successo nulla di eclatante, la maggior parte della gente ha telefonato solo per sapere se ci sono stati aggiornamenti sui cinque tizi ripresi ieri sera in centro. Qualcuno li ha filmati e ha caricato il video su YouTube stamattina presto, sono diventati virali nel giro di due ore.»

«Chi c'è nel video?» indaga Thomas drizzando le orecchie preoccupato, considerato che la sera prima erano tutti e cinque in centro per conto di Romanov – David sapeva che lui e Billy erano dei Mutanti, negli ultimi mesi di conoscenza era finito per scoprire a grandi linee in cosa consistevano le abilità di Tommy, ma Rogers era stato categorico sul non condividere determinate informazioni con i civili per evitare di attirare sui ragazzi attenzioni premature ed indesiderate. 

«Nulla di che, cinque tizi vestiti da Avengers… hanno quasi distrutto la facciata della cattedrale di St. Patrick inseguendo dei rapinatori.» David liquida il discorso con un cenno distratto della mano, sottintendendo che quella non è la notizia più strana che gli è capitato di ricevere da quando presta servizio al centralino, facendo cenno a Thomas di scendere dalla carrozza quando giungono alla loro fermata e non lo vede muoversi. «Hanno fatto più visualizzazioni di Spidy ai tempi d'oro… da questa parte, Thomas.»

«Più visualizzazioni di Spiderman? Wow.» ripete il ragazzo con tono che si sforza di suonare incredulo, sperimentando nel mentre uno spiacevole ronzio molto simile a quello provato da una corsa supersonica a timpani scoperti – Thomas ricorda ancora la quantità spropositata di like che aveva lasciato sotto i video amatoriali apparsi in rete qualche mese prima degli Accordi, c'era stato addirittura un periodo in cui lui e William giravano per New York con il naso per aria nella speranza di vedere "l'amichevole ragno di quartiere" in azione, provando ogni volta una scintilla di speranza a scaldargli il petto nel sapere che i supereroi erano in circolazione per rendere il mondo un posto più sicuro… ora trova oltremodo surreale l'idea di aver sostituito Spidy, aiutando i ragazzi a tenerne viva la memoria portando avanti il suo operato sotto la guida di Romanov. 

«Non l'hai visto? Nei social non si parla d'altro.» si sorprende David spalancando le iridi scure, risalendo insieme le scale della metropolitana ed inoltrandosi nel mare di gente che popola la piazza. 

«Non entro su Twitter da un po', ultimamente non ho avuto tempo di perdermi via con il cellulare.» arranca una scusa Thomas, risparmiando la menzione al fatto che seguiva dei ritmi inconciliabili con gli orari dei notiziari, per non parlare dello schermo del proprio cellulare ridotto ad una costellazione di graffi e crepe dove è già tanto se riusciva a leggere il nome associato alle chiamate in entrata. 

Sono quasi usciti dalla piazza quando di punto in bianco appare il logo del Daily Bugle nello schermo principale di Times Square, presto seguito dall'iconico jingle che sovrasta il vociare della folla, facendo scattare parecchie teste in alto verso la stempiatura e l'occhiata burbera di Jonah J. Jameson… la bolgia indica, sussurra ed attende in fermento l'annuncio della prossima catastrofe, ma l'unica cosa che Thomas prova è una fortissima sensazione di straniamento quando vede la propria sagoma in movimento proiettata sul maxischermo, mentre David punta l'indice verso l'alto. 

«Eccolo! Questo è il video di cui ti parlavo.» esclama il ragazzo al suo fianco, mentre Tommy sgrana gradualmente lo sguardo nel vedere lui, William, Theodore, Katherine ed Elijah irrompere nel piazzale di St. Patrick – nello specifico vede sé stesso schiantarsi contro i portoni della cattedrale e disintegrare lo schermo del cellulare, quando la sera prima aveva provato inutilmente a rallentare con una fiammata collaterale. «La gente è letteralmente impazzita di loro, nessuno sa chi-...»

David si interrompe di colpo, spalanca la bocca sorpreso quando assorbe i pochi dettagli che gli mancano, specchiandosi nelle pupille dilatate di Thomas, ricollegando la zazzera di capelli bianchi del velocista allo schermo ai suoi ricci scarmigliati color platino. 

«Come ho fatto a non capirlo prima? Al centralino non si è parlato d'altro--…» le note di "Black Widow" irrompono dal suo smartphone a sorpresa interrompendo le prime congetture abbozzate di David, il quale ammutolisce quando lo sguardo gli cade sullo schermo crepato ed intravvede un "Natasha" inequivocabile, mentre Tommy prova inutilmente a premere sull'icona del verde senza ottenere alcun risultato. «Thomas?» 

«Scusa, devo-andare,-è-un-emergenza.» annuncia il ragazzo, velocizzando talmente tanto la frase espressa da farla suonare come un'unica parola incomprensibile e lunghissima, girando i tacchi e lasciandosi David alle spalle senza pensarci due volte, doppiando i propri pensieri cercando una soluzione per aver commesso l'involontario affronto di perdere la chiamata di Romanov, soprattutto quando lui era l'ultima persona da chiamare in caso di emergenza – Il primo vicino con un telefono, il primo-... vicino… West Village. Kate. 

«Tommy, che ci fai qui?» esordisce la ragazza quindici lunghissimi secondi più tardi, interrompendo la mitragliata di colpi sul legno aprendogli l'uscio fresca di doccia, ancora in accappatoio e con tanto di asciugamano in testa. «Scusami, ero sotto la do-...»

«Accendi-la-TV,-un-notiziario-qualsiasi.» afferma il ragazzo interrompendola bruscamente, sorpassandola quando Katherine si limita a guardarlo confusa senza decifrare nemmeno una sillaba, prendendo l'iniziativa affrettandosi a recuperare il telecomando del televisore. «Siamo in TV. Romanov ha provato a contattarmi, ma il mio cellulare si rifiuta di collaborare da ieri sera.» 

«E Romanov ha chiamato te?» replica Kate scettica, chiudendosi meglio l'accappatoio sul petto e perdendo la verve ironica quando si riconosce in formato pixel nel servizio del Daily Bugle. «Perché ha chiamato te?» 

«Eli non risponde mai al telefono, te a quanto vedo eri sotto la doccia, mentre Billy e Teddy… boh, non lo so, con ogni probabilità sono all’Università o al Monastero e non rispondono nemmeno loro.» elenca Thomas con voce meccanica, riguardando ancora ed ancora lo schermo, cercando di non lasciarsi scappare dalle dita la consapevolezza che Rogers e Romanov avevano promesso di tutelarli soprattutto per far fronte all'eventualità che le loro facce finissero in TV. «Sono l'ultimo da chiamare, ma l'unico che risponde a quanto pare.»

«Stavo per raggiungere Susan e controllare le ultime cose per domani, mi hai trovato per--… lascia perdere. Il mio cellulare è sotto carica in camera, vado a recuperarlo, magari…» l'annuncio di Katherine si perde nel vuoto mentre attraversa il monolocale a passo incerto, ancora sotto shock per la notizia – un conto era fantasticare, progettare e aspirare alla carica da Avengers, un'altro era fare davvero i conti con quella precisa possibilità. Lo sapevano da settimane ormai, era questione di tempo, ma ora che il momento è finalmente giunto fa decisamente uno strano effetto. 

«Ho una chiamata persa da Nat e due da-...» tenta di aggiornarlo la ragazza, presto interrotta dalle note incalzanti del Boss che le ricordano che Steve Grant Rogers è "Born in the U.S.A." [4] e la sta chiamando per la terza volta nel giro di tre minuti. «Pronto? Sì, Cap… Thomas è qui, l'abbiamo appena visto. Okay, va bene. Ah-a, ci vediamo dopo.»

«Cos'ha detto?» la interroga Thomas sforzandosi di scandire tutte le sillabe per non velocizzarle, mantenendo uno stato di calma apparente… ma Katherine chiude la chiamata e si porta lo schermo oscurato del cellulare alle labbra in religioso silenzio, zigzagando con lo sguardo lungo le pareti dell'appartamento con aria seccata, facendo mente locale tagliando fuori Tommy dall'intero processo. 

«Kate, pensi di rendermi partecipe o…?» insiste debolmente Thomas timoroso che la seccatura si trasformi in rabbia e venga indirizzata contro di lui, ma in tutta risposta Katherine gira i tacchi nervosa e raggiunge la camera da letto a lunghe falcate, chiudendosi poi la porta alle spalle. 

«Se entri te ne faccio pentire.» lo ammonisce Kate appena Thomas accenna ad abbassare la maniglia e seguirla, bloccandosi sul posto giusto in tempo per non fare danni, mormorando un "okay, ti aspetto qui" prima di addossarsi alla parete a fianco e scivolare giù fino al pavimento. 

Katherine riemerge dalla camera da letto qualche minuto più tardi con espressione infastidita, vestita di tutto punto e con i capelli intrecciati ancora umidi, rischiando di inciampare su Thomas quando svolta l’angolo con gli occhi fissi sulla rubrica del cellulare e lo trova steso a terra a pancia in su mentre scruta il soffitto con sguardo vacuo, con le gambe tese puntellate alla parete nel tentativo di evitarsi i crampi dopo aver corso a velocità supersonica per tre chilometri e mezzo senza aver fatto un minimo di riscaldamento. 

«Siamo nei guai? Più di quello che già siamo?» indaga il ragazzo con tono mesto, studiando il profilo di Katherine dal basso – Romanov era già indispettita per via della loro bravata della sera prima a St. Patrick, erano riusciti a tenerla buona solamente perché Billy aveva cancellato le bruciature dai portoni e ricostruito le parti demolite con la magia, ma ora che sono ufficialmente venuti meno all'accordo di attirare meno attenzione possibile, Thomas non se la sente proprio di assistere ad una paternale accorata da parte di Rogers. 

«Appena gli altri tre si fanno vivi ho l'ordine di scortarci tutti al Complesso, tutto qui.» annuncia la ragazza con una scrollata di spalle intascando lo smartphone, lasciando intendere che lei non ne sa molto più di lui sulla faccenda, addossandosi alla parete e lasciandosi scivolare fino al pavimento al suo fianco, afferrando la sua mano tesa e chinandosi leggermente in avanti per porre un quesito dall'importanza capitale con un ghigno di sfida. «Dovevo uscire a pranzo con Eli, ma dato che non risponde… ho degli avanzi del giapponese in frigo, mangiamo?» 

 

***

 

«Eli, Kate è fuori che ti aspetta!» si lamenta Faith rassegnata, interrotta da un secondo colpo di clacson che richiama il ragazzo fuori in strada con una certa urgenza, obbligandolo a calzare le scarpe a balzi lungo il corridoio d'entrata ed infilare il giaccone mentre tenta di aprire il portoncino, consigliando a Nana di darsi una calmata perché l'ha sentito il clacson e sì lo sa di essere in ritardo – non che abbia così tanta voglia di sorbirsi due ore di lamenti a vuoto da parte di Susan perchè, a meno di diciotto ore dalle nozze, i centrotavola non erano come quelli che lei aveva sostituito per la terza volta nell’ultima settimana… ma purtroppo la sua antipatia nei confronti della donna non è una motivazione sufficientemente valida per venire meno all’impegno preso con Katherine, soprattutto quando i rapporti con la sua fidanzata si aggirano sul passivo-aggressivo dalla sera prima.

Elijah si chiude la porta di casa alle spalle, intasca le chiavi e raggiunge a passo spedito il Maggiolino accostato al ciglio della strada, bloccando le scuse accorate per il ritardo sulla soglia delle labbra quando apre la portiera del passeggero e si trova il viso di Thomas ad un palmo del proprio naso. 

«Siamo stati convocati.» lo anticipa Katherine sporgendosi sopra il cambio quando nota la sua espressione confusa dipinta sul volto, picchiettando contro la spalla del biondo come a suggerire di cedergli il posto. «Ho appena finito di litigare con Susan al telefono, giusto perchè tu lo sappia.»

«Non deve aver preso bene il nostro ammutinamento forzato, immagino.» deduce Eli con ironia nella speranza di mascherare il sollievo per l’obbligo mancato, indietreggiando dalla portiera per lasciare a Thomas l'area di manovra necessaria per reclinare il sedile anteriore e farsi spazio sul retro di fianco al gemello, prendendo poi posto in auto a sua volta. «Dovevamo pranzare insieme però, se io ora avessi fame?»

«McDrive.» replica prontamente Theodore dai sedili posteriori allungandogli un sacchetto di carta che odora di fritto, accettando il proprio pranzo con famelica rassegnazione, pestando il piede contro il tappetino quando Kate parte con una sgommata verso nord ricordando a tutti i presenti di allacciarsi la cintura, levando un coro di accorate imprecazioni in sokoviano miste a qualche altro tipo di sentita contestazione. «Calma Schumacher, calma!» 

«Sì può sapere perché tu non rispondi mai al telefono?» li ignora Kate, fulminando il proprio fidanzato con un'occhiataccia obliqua a tratti terrificante, sottolineando che l'arrabbiatura della sera prima non è ancora acqua passata, anzi sembra aumentata per un qualche motivazione sconosciuta ad Elijah. 

«Stavo dando una mano a Nana con le faccende di casa ed il telefono è rimasto in camera, scusa.» si giustifica Elijah, dimenandosi sul sedile per recuperare lo smartphone dalla tasca posteriore dei jeans e strabuzzando gli occhi di fronte alle sette chiamate perse di Rogers, le cinque di Romanov e le tre di Katherine, ignorate a causa della suoneria in silenzioso. «Cosa diavolo è successo?» 

«Hai presente la tua splendida iniziativa disorganizzata di incitarci all'inseguimento ieri sera?» chiede retorica la ragazza, criticando apertamente i suoi contrordini della sera prima che erano solamente serviti a remare contro i tentativi di Kate di coordinarli, quando doveva essere lei quella al comando grazie alla maggiore visuale del campo di battaglia. «Ecco, a quanto pare eravamo sul giornale stamattina, siamo diventati un trend su Twitter intorno alle dieci, al punto che Jameson ci ha visti su YouTube e ci ha dedicato il servizio TG di mezzogiorno.»

«E se te lo stai chiedendo, ora Susan è incazzata come una iena e ha minacciato di non volere più Kate come damigella di nozze.» rincara la dose Thomas con tono seccato, soffocando un sibilo quando William gli rifila una gomitata contro le costole perchè evidentemente non c’era davvero il bisogno di richiamare in campo le discussioni via telefono diventate pubbliche per colpa del vivavoce, mentre Katherine in risposta pesta il piede sull'acceleratore e sorpassa un paio di auto con spericolata audacia. «Bishop!»

«Quel stramaledetto vestito mi sta troppo bene per perdere così l’occasione di indossarlo, ho il diritto di avere un diavolo per capello!» brontola la ragazza indispettita alludendo il fatto che, vestito da damigella d'onore a parte, non le andava troppo a genio l'idea di sprecare in quel modo l’occasione per mantenere dei rapporti quantomeno civili con la sorella, dopo così tanti mesi di tolleranza reciproca e rinnovato pseudo-affetto.

«Ed io te lo ripeto, non è un valido motivo per farci fare un incidente! Ti prego Kate, accosta.» strepita Theodore dai sedili posteriori, ancorato saldamente alla maniglia di sicurezza dall’inizio del viaggio in macchina, obbligando la ragazza a far scendere la lancetta dell'acceleratore ad una cifra consona agli autovelox lungo la strada ed inserire la freccia per fermarsi a bordo strada. «Dammi le chiavi, guido io.»

Il tratto d'auto restante prosegue in silenzio, Elijah non si azzarda a fiatare e si sazia con il proprio panino, mentre l'impianto stereo copre l'imbarazzo e le paranoie di ognuno man mano che raggiungono la meta. Il sentore di disagio che li assilla non si placa nemmeno quando arrivano al Complesso ed accedono all’ingresso secondario del garage, salgono le scale e raggiungono la sala riunioni, dove Rogers e Romanov li attendono in piedi al lato del tavolo con le braccia rigidamente conserte. 

«Ragazzi.» li accoglie il Capitano con tono di voce teso e la stella bianca trapuntata al petto, facendo loro cenno di prendere posto al tavolo senza dare alcuna spiegazione alle uniformi ufficiali indossate dall’uomo e la collega. «Mi spiegate perchè avete sempre il cellulare in tasca, ma quando vi chiamiamo per delle questioni urgenti non rispondete mai?»

Elijah apre bocca per giustificarsi, ma lo sguardo di Natasha li gela sul posto suggerendo a tutti e cinque di restare in silenzio, deducendo che quella di Steve sia una mera domanda retorica, cadendo con lo sguardo sulle copie del New York Bulletin e il Daily Bugle di quel mattino dove c’è una loro fotografia sgranata in prima pagina, sotto ad un “Young Avengers: alleati o minaccia?” a caratteri cubitali decisamente poco rassicurante.

«La prima pagina di stamattina, se non l’avete ancora vista… e per la cronaca, non sono il tipo di persona che dice “ve l’avevo detto”--...» prosegue Rogers colmando il silenzio, puntando i pugni sulla superficie del tavolo di vetro ed indicando con il mento le copie del giornale abbandonate sul ripiano.

«Non hai idea di quanto sia felice di sentirtelo dire, Cap.» ironizza Elijah a mezza voce, mordendosi l’interno del labbro inferiore quando Katherine gli rifila un calcio agli stinchi da sotto il tavolo a metà del discorso del Capitano, intimandogli di fare silenzio.

«Ma se fossi quel tipo di persona-…»

«… -ipoteticamente parlando-...» rimarca Thomas sempre a mezza voce, beccandosi una seconda gomitata da parte di William, in una dinamica che Eli percepisce solamente con la coda dell’occhio, insieme ad un secondo calcio sotto il tavolo da parte della propria fidanzata, stavolta rivolto a stinchi altrui.

«…- probabilmente direi qualcosa come “Visto? Questo è l’esatto motivo per cui vi avevo pregato di mantenere un basso profilo.» conclude Rogers, fulminando i due ragazzi per i commenti espressi in sottofondo, rivolgendo un veloce sguardo a Natasha cercando un qualche tipo di intesa prima di proseguire, ritornando a puntare le iridi celesti su Elijah e Thomas. «Hai qualcos’altro da aggiungere Eli? Tommy? O possiamo proseguire senza altre interruzioni?»

«Siete qui perchè avete quasi distrutto la Cattedrale di St. Patrick, non perchè siete finiti in TV… almeno quello l’avevamo messo in conto.» li rassicura Romanov con voce di velluto quando il silenzio imbarazzato si protrae per un paio di secondi densi come il miele, instillando nei presenti una punta di giustificata tensione. «Le gelosie ed i bisticci interni al gruppo vanno lasciati in spogliatoio quando siete sul campo, credevo di essere stata sufficientemente chiara su questo punto.»

Elijah abbassa lo sguardo sulle proprie mani, interessandosi improvvisamente alle pellicine e alle unghie mangiucchiate, mentre avverte su di sé lo sguardo di Romanov, Rogers e Katherine… ed il ragazzo non ha le forze di sottrarsi alle critiche, negare o giustificarsi in qualche modo. Meglio stare zitto, soprattutto quando il mezzo disastro della sera prima è effettivamente in parte colpa sua.

«Quindi ora che facciamo?» si azzarda a pronunciarsi Theodore quando deduce di essere l’unico membro del gruppo disposto ad un dialogo pacifico, con Kate ancora furiosa per la discussione avvenuta in auto che continua a lanciare occhiate di fuoco a tutti i presenti, Billy con il naso sepolto in mezzo al giornale intento a leggere l’articolo del Daily Bugle scritto sul loro conto, mentre Elijah e Thomas si spiano in cagnesco, ridotti al silenzio dagli adulti come dei cinquenni capricciosi. «Ignoriamo Jameson? O tranquillizziamo tutti con una conferenza stampa?»

«Se vi calmate entro un quarto d’ora e vi cambiate in tempi utili, i giornalisti sono già di sotto muniti di domande pre-concordate.» prende la parola Romanov spiazzando i ragazzi dal primo all’ultimo, spiegando implicitamente il perchè entrambi i loro mentori sono in uniforme e li scrutano con sguardo terribilmente serio. 

«Se siete collaborativi ci togliamo tutti velocemente dall’impiccio e William ti può teletrasportare da Susan, Katherine.» interviene Rogers con fare propositivo e conciliante, in un blando tentativo di far accettare loro l’idea più velocemente che in atrio c’è un’orda di giornalisti a cui darli in pasto, rivolgendo lo sguardo a Billy ancora assorto alla lettura, il quale sembra non aver minimamente prestato attenzione alla proposta o la discussione in corso. «Sempre se William è d’accordo, ovvio.»

«Cosa? Sì, sì certo.» acconsente il ragazzo sfarfallando indice e medio mettendo in mostra lo sling-ring indossato alle dita, chiudendo il giornale ed indicando a palmo aperto la loro foto in prima pagina. «Jameson ci ha già bollati come "Young Avengers", avete intenzione di presentarci al mondo con i soprannomi che ci ha affibbiato il Daily Bugle o ce li dobbiamo inventare noi in questo quarto d'ora?» 

«Perché, che propongono?» chiede Katherine con una punta di curiosità a colorarle la voce, alzandosi in piedi nel tentativo di dare il buon esempio e contagiare i compagni. 

«Patriot, Hawkeye, Speed, Hulkling e Wiccan.» annuncia William indicandoli uno ad uno, partendo da Eli, passando per Kate, Tommy e Teddy, prima di puntarsi il dito allo sterno con espressione dubbiosa. «La Wicca non è una specie di culto o religione?» 

«Sì… e credo sia il pentacolo che ti frega, Bee. Appare ogni volta che esegui un incantesimo particolarmente complesso, tipo quello di ieri sera.» interviene Theodore con una spiegazione ed una scrollata di spalle, seguendo l'esempio di Katherine per solidarietà nei confronti dell'amica, sollevando una mano sulla quale appaiono squame verdi ed artigli. «Vogliamo parlare di "Hulkling"?» 

«Okay ragazzi, abbiamo capito che la redazione del Daily Bugle scarseggia di inventiva.» taglia corto Elijah alzandosi in piedi ed avviandosi verso il corridoio che porta allo spogliatoio, in un tenue tentativo di rientrare tra le grazie della propria fidanzata, la quale gli scocca uno sguardo leggermente meno adirato. «Andiamo?» 

«Speed mi piace, io come alias me lo tengo.» annuncia Thomas con tono fiero, seguendo i compagni a ruota e trascinando il gemello con sé, rivolgendosi infine a Romanov e Rogers prima di voltare l'angolo. «Che genere di domande avete concordato?» 

«Nulla di sconveniente, inopportuno o a cui non sapete dare risposta.» li rassicura Rogers osservando divertito il corteo fermo davanti alla porta della sala riunioni, scambiando un mezzo sorriso divertito con Natasha. «Cominciate a familiarizzare anche con l'idea che ci sarà il vostro nome su ogni genere di rivista scandalistica, oltre a dover iniziare a convivere con i reporter e i fotografi che vi raggiungeranno a frotte ogni volta che verrete avvistati.»

«Steve, non spaventarli.» commenta ironica Natasha, scoccando uno sguardo all'orologio appeso alla sala riunioni. «Vi ricordo che non abbiamo tutta la giornata, ragazzi. Siate collaborativi

Elijah non sa perché, ma ha come l'impressione che le parole di Romanov siano indirizzate ad un altro paio di soggetti specifici oltre a sé stesso, ma non ha tempo di curarsene perché un quarto d'ora dopo si trovano tutti e cinque sotto una pioggia di flash, vestiti di tutto punto ai piedi dello scalone d'ingresso mentre Rogers conclude il suo discorso introduttivo e li indica con un ampio movimento del braccio. 

«Avengers-...»

 

***

 

«Potrei offrirmi di cucinati la cena, ma sembri già di cattivo umore.» si palesa Steve, addossato alla libreria che divide la sala riunioni dal mini-ufficio istituito da Natasha, il quale cerca di non soffermarsi sulle sue mani giunte davanti alle labbra, i suoi occhi ad un passo dalle lacrime o il suo misero sandwich eletto come cena. 

«Sei qui per fare il bucato?» chiede Natasha ricomponendosi, addossandosi allo schienale della sedia girevole ed alzando il mento, scrutando il borsone ai piedi di Steve con sospetto. 

«E per vedere un'amica.» contratta l'uomo, sottolineando implicitamente che i suoi buoni propositi di essere più presente non erano semplici tentativi utili a rientrare tra le sue grazie, ma veri e propri impegni che le aveva giurato di rispettare. 

«È ovvio che la tua amica sta bene.» continua caparbia Natasha nella propria farsa, rivolgendo brevemente lo sguardo al soffitto per ricacciare indietro le lacrime, perché nonostante tutto Steve non si è ancora riguadagnato il diritto di vederla piangere. 

«Ho visto un branco di balene mentre attraversavo il ponte.» tenta di coinvolgerla l'uomo propositivo, saggiando il terreno per capire se può procedere o se gli conviene battere una ritirata strategica. 

«Nell'Hudson?» gli dà corda Natasha, concedendogli un tacito permesso. 

«Ci sono meno navi, l'acqua è più pulita.» spiega Rogers scollandosi dalla libreria con un leggero colpo di reni, avanzando di un paio di passi nell'ufficio. 

«Allora, se sei venuto qui per dirmi di guardare il lato positivo…» lo frena subito la donna liberando una risata ironica vuota, incurvando leggermente le labbra soppesando le proprie opzioni e cadendo con lo sguardo sulla propria misera cena, ritornando con le iridi verdi puntate sul Capitano. «Sto per tirarti in testa un panino al burro d'arachidi.»

«Scusa, la forza dell'abitudine.» si giustifica accondiscendente Rogers, gettando il mazzo di chiavi sopra la scrivania e prendendo posto sulla sedia di fronte, mentre Natasha gli cede il proprio sandwich che improvvisamente non ha più voglia di mangiare sotto lo sguardo rassegnato dell'uomo – sono dei piccoli progressi, fino a qualche anno prima, dopo una giornata del genere, sarebbe sicuramente finita per digiunare senza sforzo per quarantotto ore di fila. «Continuo a dire a tutti che dovrebbero andare avanti, e crescere. Alcuni lo fanno… ma noi no.»

«Se andassi avanti chi farebbe questo?» replica Romanov alla sterile considerazione del Capitano, alludendo all'intera baracca a cui l'uomo l'aveva messa a capo pur di farla rimanere, ribaltando le loro posizioni in modo quasi surreale considerato chi dei due alla fine era finito per abbandonare il tetto sopra la loro testa. 

«Magari non serve più che vada fatto.» ragiona Steve in via ipotetica, scrutando i suoi occhi acquosi di un verde incredibile… e non ha tutti i torti, gli aggiornamenti ormai erano fini a sé stessi dato che apparentemente i maremoti non erano una sua competenza e Barton aveva messo ben in chiaro che non esisteva più un pretesto per spingerlo a tornare indietro. Anche i ragazzi avevano trovato la loro strada e negli ultimi mesi avevano imparato ad autogestirsi, togliendole l'onere ed il privilegio di fare loro da madre più che da Mentore, nonostante continuavano tutti e cinque ad essere una presenza fissa nella sua vita con gli allenamenti, i raduni in salotto dopo le Ronde e le camerate che si popolavano a fasi alterne all'occorrenza. 

«Non avevo niente prima, poi è arrivato questo. Questo lavoro, questa famiglia…

e mi ha resa una persona migliore.» ci tiene a specificare Natasha, ingoiando il groppo in gola all'idea che sono già cinque anni che James non c'è più, che Yelena si è dissolta, che la sua seconda famiglia si è disgregata. «E anche se loro sono… andati, io cerco ancora di essere migliore.» 

«Penso che dovremmo rifarci una vita.» commenta Steve atono, nonostante non ci creda lui per primo, non importa se si è trasferito in un appartamento a Brooklyn per non vedere più il fantasma del fratello, di Sam o di Sharon attraversare le pareti di ambienti familiari e costringerlo a voltarsi ad ogni mezza chiacchiera trasportata dal vento quando il cervello decideva di giocargli brutti scherzi.

«Comincia tu.» lo sfida Natasha, come a sottolineare che a quella situazione si erano condannati da soli e che lei, a prescindere, è decisa a non muoversi di un millimetro dalla propria posizione, aprendo la finestra pop-up della telecamera puntata sul vialetto d'entrata con un gesto automatico. 

«Sa-.. Salve, salve… c'è nessuno? Sono Scott Lang, ci siano conosciuti qualche anno fa all'aeroporto, in Germania--...?» li chiama una voce estranea, spingendo entrambi a prestare reale attenzione alla ripresa della telecamera… perché l'uomo che grida contro l'obbiettivo non ha l'aria di essere un giornalista, mentre il furgone alle sue spalle non assomiglia per niente al Maggiolino viola di Kate o alla Volvo scassata di Theodore, senza considerare che avevano dato ai ragazzi i telecomandi per aprirsi i cancelli da soli. «…- ero diventato enorme, avevo una maschera. Ero irriconoscibile--...»

«È un vecchio messaggio?» chiede Steve confuso, con l'aria di chi ha riconosciuto l'uomo e gli sembra di aver appena visto un fantasma. 

«… --Ant-Man, lo so che mi conoscete, sono sicuro-…»

«È all'ingresso principale.» conferma Natasha incredula, mentre una fiammella speranzosa si accende nel suo petto ed inizia ad irradiare calore, facendo evaporare pian piano il mare di lacrime che serba al proprio interno. 

«… --ho bisogno di parlare con voi.»

 

***

 

Quel giorno il mondo non ricominciò a girare con un gran frastuono o con un cigolio lieve,
ma piuttosto, con un brusio eccitato sempre più forte fino a diventare assordante. 







 

Note:

[*] L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] Lisa Molinari AKA Coat of Arms, nei comic lei e Thomas si sono conosciuti nel Riformatorio per Mutanti: lui è evaso ma da quel momento in poi si è impegnato a comportarsi bene, Lisa invece è uscita per buona condotta un mese dopo la sua fuga, ma è ricaduta nel giro dei malavitosi poco dopo. Si sono frequentati per qualche settimana nel periodo di "Dark Reign", ma lei ha rifilato un due di picche a Tommy sostenendo la tesi del "abbiamo due vedute ben diverse sul codice morale di un supereroe", schierandosi ufficialmente con i Villain.

[2] William ha una vera e propria fissazione per il Multiverso, ogni occasione è buona per aprire tutte le finestre possibili e sbirciare nelle altre Dimensioni, ma dato che logicamente non dovrebbe farlo scatena ogni volta dei disastri di proporzioni cosmiche. 

[3] I poteri di David AKA Prodigy sono di origine mutante e consistono, in parole povere, nell'apprendere le conoscenze delle persone con cui entra in contatto. Il problema fondamentale è che tali "conoscenze" vanno dalla piena comprensione della teoria del mondo quantico per via di quella volta che ha stretto la mano ad Hank Pym, al cosa piace a Scott Summer e Jean Gray quando vanno a letto insieme, non perché l'abbia chiesto o i due se ne siano vantati in qualche modo, ma semplicemente perché sono compagni di banco e David assorbe passivamente ogni cosa.

[4] La storia delle suonerie personalizzate non è farina del mio sacco, nei fumetti parte davvero "Born in the U.S.A." ogni volta che Steve telefona a Katherine.

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