Il y a pire que ne pas connaître l'amour

di Talitha_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Première partie: Prologue ***
Capitolo 2: *** I. Monstres ***
Capitolo 3: *** II. Regret ***
Capitolo 4: *** III. Câlin ***
Capitolo 5: *** IV. Lettre ***
Capitolo 6: *** V. Message ***
Capitolo 7: *** VI. Toit ***
Capitolo 8: *** Deuxième partie - I. Maman ***
Capitolo 9: *** II. Fleur ***
Capitolo 10: *** III. Dîner ***
Capitolo 11: *** IV. Réveil ***
Capitolo 12: *** Épilogue ***



Capitolo 1
*** Première partie: Prologue ***


Première partie

 

«Il y a pire que ne pas connaître l’amour, c’est de le trouver dans un temps de ta vie qui le rend impossible.»

 

Prologue 

 

Parigi, 10 gennaio 2017

 

Adrien sapeva.  

Marinette sapeva

Sapevano entrambi la verità, quella che i loro cuori da tempo avevano iniziato a palesare. Da quando Ladybug arrossiva di fronte alle battute e agli sguardi d’amore di Chat Noir, e da quando Adrien si era reso conto che Marinette non poteva essere solo un’amica

Ora, erano uno di fronte all’altra, i corpi sferzati dalla gelida aria d’inverno di una notte parigina. 

Eppure, nessuno dei due aveva freddo. 

Tremavano, sì, ma perché erano innamorati, e perché avevano paura di quello che sarebbe venuto dopo. O meglio, di quello che non sarebbe potuto venire

“A-Adrien” mormorò Ladybug, e quel nome sussurrato si perse in una nuvoletta bianca di calore.

Chat Noir deglutì, e un altro di quei brividi d’amore e di paura gli scese giù lungo tutta la spina dorsale. La voce con cui Ladybug aveva pronunciato il suo nome era... diversa. La consapevolezza con cui lo aveva pronunciato era diversa. Ora sapeva che lo amava, e non solo come il perfetto e bellissimo modello Adrien, ma anche come lo spiritoso, sornione, pieno di sé - ma anche incredibilmente affettuoso - Chat Noir. Il suo cuore saltò un battito, perché anche solo pensare una cosa del genere gli sembrava impossibile. Un sogno finalmente divenuto realtà. 

Eppure, quando Chat Noir alzò i suoi occhi verdi su Ladybug, tutta la sua felicità scemò via. Vi lesse, infatti, un sentimento duro, un velo di dolore che subito aveva sorpassato la gioia di lei. 

“N-non possiamo stare insieme, Adrien” disse subito dopo, senza alcun tipo di preavviso. Il cuore di Adrien perse un altro battito. Dalla paura, adesso. 

È incredibile, pensò, come una semplice frase possa causare tanta infelicità dopo una gioia così dolce e pura. 

“Non possiamo stare insieme” ripeté Marinette, come a convincersi lei stessa. “E lo sai benissimo anche tu”.

Chat Noir protese una mano verso di lei, e si slanciò un poco in avanti. “Milady, p-possiamo prov...”. 

“No”. Due lettere, una sillaba. Un cuore in frantumi. 

Ladybug si ritrasse dal tocco della sua mano sul braccio. Indietreggiò di qualche passo, fino ad arrivare con la schiena contro un muro di pietra, su cui, metri più in alto, alcuni camini accesi rilasciavano sbuffi di fumo. Marinette premette i palmi delle mani contro il muro, poi chiuse con forza i pugni, tanto che persino da sotto la tuta sentì le unghie conficcarsi nella pelle. Quel “no” imperioso era stato pronunciato nonostante il nodo in gola che quasi le impediva di respirare. Adesso teneva gli occhi fissi sul pavimento, perché sapeva che se li avesse alzati su di lui sarebbe scoppiata in lacrime. 

Adrien non rispose. Semplicemente, perché non sapeva cosa dire. Non intendeva certo rinunciare - così - a lei, soprattutto adesso che sapeva di essere ricambiato sotto ogni aspetto. D’altra parte, però, aveva visto il lampo di dolore che aveva attraversato gli occhi di Marinette quando gli aveva parlato, e non se la sentiva di insistere, di causarle ancora più sofferenza. 

Tuttavia, non valeva la pena fare un tentativo? Il loro amore - lei - non valeva forse il rischio? Adrien sapeva che avrebbe fatto di tutto per stare con lei, tutta la vita, insieme per sempre. 

E non era, quello, solo uno di quei pensieri leggeri come il vento che attraversano, le volte, la mente dei ragazzini. Lui lo sentiva. Sentiva il filo rosso che il univa, sentiva come tutti i momenti della loro vita li avessero portati ad incontrarsi in quelle vesti, come supereroi, per permettere loro di imparare a conoscersi come forse nessun altro sarebbe stato capace di fare. Chi, come Ladybug, conosceva così bene il suo lato scherzoso, bambinone, malizioso, giocherellone? Nessuno. Lui si sentiva libero di comportarsi così solo con lei, e sapeva che c’era un motivo se erano finiti uno di fronte all’altra, in quel momento. 

C’era un motivo se erano finiti per provare un sentimento d’amore così puro e totale l’uno per l’altra. E l’unica cosa che Adrien sapeva di volere era vivere quell’amore in tutta la sua completezza, e respirarlo e assaporarlo ogni giorno della sua vita. Con lei. 

Forse, se in quel momento Adrien avesse dato voce a i suoi pensieri, forse - e dico forse - tra di loro sarebbe finita in un modo diverso. Ma Adrien rimase in silenzio, mentre Ladybug lottava con tutte le sue forze per trattenere le lacrime e cercare di sciogliere il magone che le bloccava la gola. 

Era sbagliato. Tutto quello era sbagliato. Maestro Fu non avrebbe dovuto dare i Miraculous proprio a loro, sapendo come sarebbe andata a finire. Lo sapeva? Probabilmente sì. I pensieri si susseguivano nella mente di Marinette alla velocità della luce, e lei non riusciva a stare dietro a tutti. Si sentiva di stare per impazzire, le gambe le tremavano e sarebbe caduta a terra se la voce di Adrien non avesse attirato la sua attenzione. 

Milady”. Un sussurro. Un brivido. 

Ladybug scosse la testa, perché non voleva, non poteva, rispondere a quel richiamo così dolce ed invitante. Sentì un leggero fruscio, quello della coda di Chat Noir che sferzava l’aria mentre lui si avvicinava a lei. Lentamente. Quasi avesse paura di spaventarla se fosse stato troppo brusco nei movimenti.

Quando il corpo di Chat Noir fu vicino quel tanto da percepirne il calore, una calma rasserenante invase il cuore di Marinette. Avvertì una mano delicata schiudere uno dei suoi pugni, che teneva ancora stretti rabbiosamente, quasi potessero catturare quel qualcosa di inafferrabile che a lei sfuggiva. Forse, sperava, la soluzione a tutti i loro problemi.  

Il palmo di Ladybug si schiuse dolcemente sotto il tocco delicato delle sue dita. Persino sotto due strati di tuta, Chat Noir poteva percepire il calore della sua pelle. Nelle orecchie, invece, gli rimbombavano i battiti feroci dei loro cuori, confusi, tristi e stremati. Troppe emozioni nel giro di così poco tempo

Milady” ripeté Chat Noir, e questa volta gli occhi di Ladybug gli risposero. 

Verde e azzurro si incrociarono, e nessuno dei due poté fare a meno di notare la patina lucida negli occhi dell’altro, quel sentore di pianto che solitamente precede le lacrime.  

Il cuore di Adrien si strinse in una morsa quando osservò lo sguardo confuso e disperato di lei, le guance pallide e il naso rosso per il freddo. E il respiro affannato che dava vita a innumerevoli nuvolette di aria calda. 

Era bellissima e innamorata e sofferente. Innamorata di lui, per la precisione. E sofferente a causa sua

Chat Noir non riuscì a impedire alla propria mano di accarezzare quella guancia morbida, con la speranza di farle tornare un po’ di colore, o quantomeno di riscaldarla. 

Ladybug trasalì al suo tocco, il battito sempre più forte del cuore le riecheggiava in tutto il corpo. Avvertiva uno strano formicolio nella pancia, come se la sola vicinanza di Adrien potesse risvegliare le farfalle nel suo stomaco e farle svolazzare tutte insieme. 

Risvegliatore di farfalle. Mmh, suonava molto bene. 

Per un solo istante, Ladybug provò a considerare quella strana vocina che le sussurrava di lasciarsi andare al tocco delicato di Adrien sulla sua guancia. 

Chiuse gli occhi. 

Mentre percepiva il leggero strofinio del suo pollice contro lo zigomo sinistro. 

Mentre con la mano destra accettava la stretta delle dita di Adrien, che adesso avevano completamente sciolto il suo pugno. 

Per un solo istante, Ladybug si lasciò andare, e sembrò che una strana magia si fosse appropriata di quello spazio così stretto tra i loro corpi, spazzando via tutto il dolore e la sofferenza. 

Sussultò quando Adrien fece per avvicinarsi, ma non gli impedì di farlo. Il suo corpo aderì perfettamente a lei, mentre la sua abilità di risvegliatore di farfalle gli stava forse sfuggendo un po’ di mano, perché Marinette avvertiva adesso ali svolazzanti percuoterla tutta, dalla punta dei capelli a quella dei piedi. 

Nel frattempo, i suoi respiri - i loro respiri - si stavano facendo sempre, sempre più corti. Forse, pensò Marinette, perché a forza di respirare la stessa aria l’ossigeno tra loro era finito. Forse. 

Tuttavia, per quel singolo, unico istante che sembrava sospeso nel tempo, cercò di svuotare la mente da ogni pensiero che non riguardasse lui. Lui e il suo pollice delicatissimo che ancora le accarezzava la guancia. Lui e quel suo sguardo da innamorato perso che le faceva mancare la terra sotto i piedi. Lui e quella mano che fino a un momento prima era stretta alla sua e che adesso... oh, adesso stava risalendo un po’ più su, fino ad arrivare alla sua vita e...

Marinette emise un gemito, perché il suo tocco in quel punto l’aveva colta impreparata. Decisamente impreparata. 

Adrien sorrise, una nota di sadismo nella curva delle labbra. Incoraggiato dalla sua reazione a quel semplice sfioramento, inclinò leggermente il capo verso sinistra, richiamando l’attenzione dello sguardo di lei. Marinette alzò gli occhi, ora profondamente imbarazzata, e con un adorabile rossore che le dipingeva le gote. Strizzò gli occhi, e due piccole lacrime emersero dalle sue ciglia scure. Vi erano rimaste incastrate da diversi minuti, e il freddo aveva quasi minacciato di congelarle. Vi erano rimaste incastrate da quando, prima, gli aveva detto che non potevano stare insieme. 

Prima, in un tempo che le sembrava lontanissimo, quando aveva avuto la voglia di piangere e urlare e in cui aveva desiderato di non aver mai conosciuto Adrien. Che i loro cammini non si fossero mai incrociati. 

Era incredibile come in un lasso di tempo così breve il suo desiderio fosse cambiato tanto profondamente. Ora nella sua mente c’era solo e soltanto lui, e la sua mano che le circondava il fianco, e il suo viso sempre più vicino che adesso...

Che adesso sembrava tanto esprimere la voglia di baciarla. Oh, quanto voleva essere baciata da lui. E parve quasi che oltre a risvegliare le farfalle Adrien fosse anche incredibilmente capace di leggere nella mente, perché proprio in quel momento le sue labbra furono tanto vicine da sfiorare le sue, poi da lambirle e accarezzarle, conoscerle e assaporarle per quella che entrambi consideravano come la prima volta. 

Il tutto in quel singolo, dannato istante. Un fruscio, un battito mancato, poi morbido su morbido. Nasi e ciglia che si solleticavano. 

E Marinette si sorprese nel constatare come quel bacio fosse così diverso da tutti quelli che si erano potuti scambiare nel corso degli anni in cui si conoscevano, perché c’era la consapevolezza da parte di entrambi di essere parte di un tutto, di una cosa grande meravigliosa invitante cui entrambi avrebbero potuto prendere parte. 

Marinette visse ogni istante di quel bacio cercando di imprimere nella memoria tutte le sensazioni che le stava facendo provare. Forse perché una parte di lei sapeva che non ce ne sarebbero stati altri in futuro, perché tutto quello era difficile e impossibile, forse sbagliato. 

Ma non fu a questo che pensava mentre le labbra di Adrien catturavano le sue e ci giocavano e le punzecchiavano e le scoprivano per la prima volta. Oh, no. In quel momento pensava solo a quanto potesse essere incredibilmente bello e liberatorio un bacio, soprattutto uno come quello, che sembrava quasi il frutto di un incantesimo di una fata dei boschi.  

Fu solo dopo, quando le loro labbra si separarono con uno schiocco dolcissimo, che Ladybug si ritrovò a fissare gli occhi verdi di Chat Noir - e a immaginare un futuro in cui in ogni singolo istante poteva girarsi e guardarli - che si rese conto di essersi lasciata andare un po’ troppo. Perché non poteva esserci nessun futuro tra lei e Chat Noir, nessuno

Nessun futuro in cui le sarebbe bastato voltarsi per trovare conforto nel verde dei suoi occhi, o nella morbidezza delle sue labbra. 

Perché lei era Ladybug e lui Chat Noir, e non era permesso loro neanche di conoscere le rispettive identità. Figurarsi di stare insieme

Per questo, quando Adrien riaprì gli occhi dopo quel bacio magico e bellissimo, si scontrò di nuovo con lo sguardo duro di Ladybug, che adesso premeva i palmi contro il suo petto cercando di allontanarlo da sé. Di allontanare quelle mani così dolci e gentili, che sapeva mai le avrebbero fatto del male. 

Adrien non capiva. Aveva per caso sbagliato qualcosa? Le aveva fatto male? L’aveva fatta sentire a disagio? Lui non...

“Adrien”. La voce tagliente di Ladybug interruppe il flusso dei suoi pensieri. 

M-Milady ho fatto qualcosa di sbagliato? Io...”

Ladybug scosse la testa. “Adrien, tutto questo è sbagliato, noi, qui, adesso” disse, puntando un dito verso di lui e poi verso di sé. 

“Sbagliato? Ma...?”

Come poteva una cosa tanto eterea e perfetta essere addirittura sbagliata?

Ladybug rifuggì il suo sguardo, gli occhi piantati a terra. “Non possiamo montarci la testa, Adrien. Tra noi non può esserci niente.”

“M-ma perché?”, rispose lui, nella voce un sentore di pianto. 

Intorno a loro, quell’atmosfera che prima era così magica era tornata ad essere fredda e buia. Se prima sembrava che la luna splendesse solo per loro in cielo, insieme con le sue amiche stelle, adesso la loro luce aveva un che di pallido e lattiginoso. 

La felicità nel petto di Adrien era completamente smorzata, afflosciata, e cercò invano di trattenerla afferrando con decisione la mano di Ladybug che lo aveva spinto via. “Perché pensi che una cosa bella come l’amore, il nostro amore, possa essere sbagliata? Da quando l’amore è una cosa da mettere da parte?”

Adrien pronunciò quelle parole con rabbia, perché conosceva la luce di ostinazione negli occhi di Ladybug, e sapeva che non ci sarebbe stato nulla in grado di farle cambiare idea. Era così dannatamente cocciuta e orgogliosa. 

“Da quando è tra noi” si costrinse a rispondere Marinette, nel tono più glaciale e imperioso che potè. “Non possiamo stare insieme, Adrien. Per quanto lo vogliamo, semplicemente... n-non possiamo”.

Adrien sentì una gelida disperazione montargli nel petto. Non poteva finire così. Non si sarebbe arreso. Mai. 

Strinse il pugno libero, mentre con l’altra mano teneva ancora stretta quella di Ladybug. “Dimmi perché?”, disse tra i denti, la voce spezzata. “Dimmi perché ti ostini a negare i tuoi sentimenti, quando sappiamo benissimo entrambi che sono la cosa più bella che ci sia mai potuta capitare?”

Una prima lacrima - prima di una lunga serie di lacrime - rigò il volto disperato di Chat Noir.  “Dimmi perché” esclamò tanto forte che la sua voce risuonò lontana, nell’eco della notte “ti ostini a farci soffrire entrambi, quando sarebbe così facile, così terribilmente facile, mettere tutto il resto da parte e vivere felici?”

Ladybug rimase ferma, impietrita. Non aveva il coraggio né la forza di ribattere. 

La sua mano era diventata inerte in quella di Chat Noir, che continuava a stringerla con forza, senza però farle del male. Sentiva ancora sulle labbra il profumo di lui, quello della sua pelle soffice e vellutata. Si prese con forza un labbro tra i denti, cercando di scacciare quella sensazione bellissima e terribile. Probabilmente non l’avrebbe provata mai più. 

Quel singolo istante in cui si era lasciata andare, poco prima, le sembrava ormai lontanissimo, surreale. Come quando la mattina ci si sveglia dopo un sogno e si ha il dubbio di aver sognato veramente. 

Il volto di Chat Noir era distorto da una smorfia di dolore, le guance completamente zuppe di lacrime. Quando lui tirò leggermente la sua mano, lei avanzò mollemente di un passo. Pareva non avesse neanche più il controllo del proprio corpo. 

“Ti amo, Marinette” un sussurro lontano le giunse alle orecchie. L’unica nota di dolcezza in una canzone di sofferenza. “Ti amo” ripetè Adrien, raccogliendo con la lingua alcune lacrime che si erano depositate sulle sue labbra, quelle che fino a pochi secondi prima l’avevano baciata, amata, e… 

“… e mi dispiace se ci ho messo così tanto per capirlo” continuò Adrien, afferrando con delicatezza anche l’altra mano di Ladybug, che sembrava sempre più un’estranea nel suo corpo. “Sono stato uno stupido, lo so. Perché per tutto questo tempo ho avuto la verità proprio sotto al naso e non ho avuto il coraggio di fare due più due.”

“Adrien…” un mormorio bassissimo, appena udibile. Marinette sentiva la gola completamente arida. 

“Aspetta, fammi finire” le disse con dolcezza, avvicinandosi ancora un poco a lei. “I-io… riconosco di essere stato un idiota, ma so anche di essere terribilmente, perdutamente innamorato di te e…”

“Adrien.”

“… e non posso fare a meno di pensare che senza di te nella mia vita, Milady, tutto sareb…”

Adrien.”

Una preghiera, una supplica

Ti prego, non dire più niente. Non faresti altro che peggiorare la situazione.”

Chat Noir alzò gli occhi su di lei, e quasi non la riconobbe con quello sguardo duro, distaccato, freddo. 

“M-Marinette?”

Ladybug scosse la testa. “Non sono Marinette, per te. Non devo esserlo. Non possiamo dimenticare chi siamo, ma possiamo evitare di venire ancora una volta meno ai nostri doveri di supereroi.”
“E tu credi che stare con la persona che si ama implichi venir meno ai propri dov…”

Basta!”, urlò Ladybug, sprigionando tutte insieme le emozioni e le lacrime che aveva faticosamente nascosto dietro un muro di freddezza. “Credi che mi piaccia dover dire queste cose?! Rinunciare a te, dopo tutto questo tempo passato ad amarti e a disperarmi, perché pensavo che non avresti mai ricambiato i miei sentimenti?”

Chat Noir la guardò spiazzato. La guardò mentre il suo volto si trasformava in una maschera di tormento e sofferenza, mentre lacrime su lacrime su lacrime le uscivano dalle ciglia come fiumi in piena. Dio, non aveva mai visto tante lacrime tutte insieme su un volto così bello, e…

“Mi chiedi perché non possiamo stare insieme? Non è forse ovvio? Come pensi ci comporteremmo con i nostri amici, in pubblico, in veste da supereroi? Dovremmo nascondere a tutti la nostra relazione, e metteremmo in pericolo tutte le persone che ci circondano! Non possiamo stare insieme, Adrien. Per quanto il nostro amore sia forte, e credimi” singhiozzò violentemente, mentre scuoteva la testa in preda alla disperazione “io so che lo è, sono anche la guardiana dei Miraculous, e non posso permettere che la nostra missione e le nostre identità vengano compromesse a causa dei nostri sentimenti.”
Chat Noir indietreggiò, troppo sconvolto da quelle parole per dire, fare, persino pensare, qualunque cosa. Le loro mani, l’unica cosa che ancora li univa, si sciolsero bruscamente dal loro intreccio. Ladybug si premette con forza un palmo sulle labbra, come a contenere i singulti che le squassavano il petto. 

Adrien la fissava terrorizzato, perché la vista di lei, così sofferente, piccola, tremante e bisognosa di affetto lo colpì come una palla al petto. E se da una parte l’unica cosa che voleva fare in quel momento era prenderla, abbracciarla, consolarla, baciarla e asciugare quelle orribili lacrime dal suo volto, dall’altra si costrinse a non dare azioni ai suoi pensieri. Perché, sebbene tutto quello gli sembrasse completamente e irragionevolmente ingiusto, se lei non voleva stare con lui - a prescindere dal motivo che aveva causato questa sua scelta - lui non l’avrebbe mai forzata.

Il suo cuore sperava ancora, segretamente, che un giorno sarebbe stato possibile, per loro due, trovare la felicità. Ma lì, in quel momento, il suo posto non era tra le braccia di Marinette, bensì in un luogo lontano, freddo e solitario, come d’altronde sempre la sua vita, fino a quel momento, era stata. 

Chat Noir indietreggiò ancora di un passo quando Ladybug, annichilita, si ripiegò sulle ginocchia, le mani ancora premute sulla bocca. Indietreggiò di un solo passo, e subito fu pronto ad andare da lei ed offrirle un braccio, per sostenerla, si ripetè, solo per sostenerla in piedi, quando la voce di Ladybug lo colse di sprovvista, ancora una volta. “Vattene, Adrien” un mormorio che somigliava al suono di un’ala che si spezza. “Ti prego, vattene. Non rendere le cose più difficili.”

Chat Noir boccheggiò, fece per parlare, ma nessuna parola diede voce ai suoi pensieri. 

Vattene” ripetè Ladybug, in un lamento lungo e strascicato. 

Quante volte ancora quella singola parola avrebbe continuato a risuonargli nella mente. Quante volte ancora l’immagine di lei rotta e spezzata e ripiegata su se stessa avrebbe infestato i suoi incubi. 

Eppure, in quel momento, l’unica cosa che Adrien riuscì a fare fu ordinare alle sue gambe di muoversi, e di mettere quanta più distanza tra lui e Marinette. 

 

Quella notte - ogni suo avvenimento, battito, sussulto o brivido che sia - rimase scolpita indelebilmente nei cuori di Ladybug e Chat Noir. 

Quella notte, compresero e vissero un dolore talmente grande, potente, enorme da lasciare nella loro anima come un buco nero di sofferenza. 

 

Perché c’è di peggio che non conoscere mai l’amore: trovarlo in un tempo della propria vita che lo rende impossibile. 

 

[continue…]

 

 


 

Convenevoli finali:

Ahhh, non mi sembra vero!!! Finalmente è giunto il momento di condividere anche con voi lettori questa nuova storia *w* 

È la prima volta che scrivo una fanfiction con più capitoli (legati da un filo logico, almeno xD), quindi ci ho ripensato tante e tante volte prima di cimentarmi seriamente e cercare di portarla ad un punto d’arrivo che fosse sensato (e credetemi, ho faticato tantissimo ahah). 

Forse un piccolo chiarimento prima di leggere i prossimi capitoli: il fulcro di questa fic è la storia d’amore tra Adrien e Marinette. Anche se ci saranno spunti per parlare di altro, per favore, non rimaneteci troppo male se non lo farò, perché questi serviranno solamente come base per portare alla conclusione che ho in mente. E niente, ci tenevo soltanto a precisarlo per evitare scontenti o delusioni, anche se probabilmente non potete ancora capire cosa intendo, e forse è meglio così xP. 

Comunque, bando alle ciance! Vi prometto che cercherò di fare il possibile per aggiornare una volta alla settimana. Ho aspettato appositamente di avere le idee chiare in mente prima di pubblicare la storia, così da non farvi penare più di tanto :)

Non sarà una storia molto lunga, però credo che nel frattempo la raccolta di OS sarà momentaneamente in pausa (ovviamente continuerò ad aggiornarla una volta terminata questa, non preoccupatevi <33).

Bene, perdonatemi se ho abusato di questo spazio che mi ricavo ogni tanto, però non ho altro modo qui su Efp di avvisarvi e finisco sempre per scrivere saluti papireschi. 

Ovviamente, vi attendo con ansia nei commenti! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo prologo, e anche se avete qualche teoria per i prossimi capitoli!!

 

Grazie di cuore per aver(mi) letto fin qui, 

A presto, 

Talitha_ 

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Capitolo 2
*** I. Monstres ***


I. Monstres

 

 

Parigi, 4 aprile 2021

 

1.

 

Marinette non aveva mai dimenticato le parole che aveva pronunciato quella sera. Le aveva scolpite nella mente, tutte quante, e ogni tanto tornavano a tormentarla come i fantasmi delle fiabe che si divertono ad infestare case abbandonate. 

C’erano giorni in cui faceva finta di non accorgersene, e ignorava i sussurri minacciosi che le inviavano. Altri, invece, in cui la sua forza di volontà non era così tenace, e finiva per arrendersi a quell’eco fredda e crudele.  

In quei giorni, cercava di tenersi il più impegnata possibile, e di non parlare con nessuno. Anche perché, come le faceva notare la sua amica Alya, diventava davvero insopportabile. 

“Certe volte, cara mia, faccio fatica a riconoscerti” le diceva sempre. “Lanci certi sguardi assassini e ti comporti come se non ti importasse più di nessuno. Arrivo persino a dubitare che quella che mi sta davanti sia la stessa dolce e imbranata Marinette che conosco da una vita”. 

Ovviamente, Alya si azzardava a dirle cose del genere soltanto nei momenti in cui Marinette tornava ad essere normale, e quella luce di freddezza non le illuminava, inquietante, gli occhi e il volto. Marinette le rispondeva sempre con un sorriso imbarazzato, e poi sviava l’argomento, perché non le faceva mai piacere parlarne. 

Si vergognava. Oh, se si vergognava. 

Quando quei mostri le infestavano la mente, e ritornava col pensiero alla sera gelida di tanti anni prima, un profondo senso di vergogna le saliva nel petto. Erano state quelle sue parole, dette con l’apposito scopo di ferire, la causa non solo della propria sofferenza, ma anche della persona che, nonostante tutto, continuava ad amare. 

E non importava che fossero passati quattro anni da quando aveva costretto quella speranza d’amore ad affievolirsi per sempre. Quello che provava nel cuore era un sentimento talmente profondo che non sarebbe mai riuscita ad estirpare. 

“Ecco fatto!”, la voce soddisfatta di Alya interruppe il corso malinconico dei suoi pensieri. Marinette osservò l’amica battere le mani eccitata, e accogliere con lo sguardo tutta la grande stanza intorno a loro. Si trattava di un modesto soggiorno, con un angolo cucina addossato alla parete destra, e una grande finestra in fondo che dava su un piccolo balconcino. A sinistra, due porte davano accesso alle loro camere da letto, mentre il bagno e un ripostiglio erano posti subito dopo l’ingresso. Era un appartamento luminoso ed accogliente che si affacciava su Rue Antibes, e in cui entrambe avevano sognato di abitare da quando, due anni prima, avevano scoperto che una coppia di amici dei loro genitori si sarebbe trasferita da lì in un’altra città. “Un giorno, io e te vivremo insieme in questo delizioso appartamento”, aveva detto eccitata Alya. 

Marinette l’aveva guardata scettica. “Non se tu e Nino vi sposate prima”, era stata la sua risposta, pronunciata con tono canzonatorio. Alya l’aveva guardata con fare rassicurante. “Oh, non preoccuparti di questo. Io e Nino non abbiamo intenzione di sposarci così presto”. 

Da allora, anche quando l’appartamento era stato preso in affitto da una vecchia signora, ogni volta che lei e Alya passavano per Rue Antibes - più spesso di quanto non fosse necessario - la sua amica cominciava a fantasticare su tutte le cose meravigliose che avrebbero potuto fare una volta coinquiline. Era stato proprio durante uno di quegli sproloqui, pochi mesi prima, che erano venute a sapere che la povera vecchina era venuta a mancare, e Alya, con un inquietante sorriso, aveva preso in mano le redini della situazione. E detto fatto, adesso si erano trasferite. 

In realtà, all’inizio Marinette era stata poco convinta circa la proposta di Alya. Insomma, aveva già una casa, e, da studentessa universitaria quale era, non aveva certo voglia di caricarsi delle spese di un appartamento. 

Tuttavia, continuava molto spesso a lavorare come baby-sitter (non più di Manon, grazie al cielo), e quando aiutava in pasticceria i genitori le davano spesso e volentieri un piccolo compenso. 

Inoltre, si trovava in un periodo della propria vita in cui i mostri del suo passato non sembravano darle un attimo di tregua, e vivere rinchiusa in quella stanza al terzo piano stava diventando sempre di più una tortura. Marinette sentiva bisogno di aria di novità, di qualcosa che la distraesse dai suoi pensieri cupi e malinconici, che le permettesse di avere la mente occupata e di dedicarsi ad altro. 

Negli ultimi tempi, Papillon aveva diradato i suoi attacchi, per cui non solo gli impegni della sua vita da super-eroina erano stati drasticamente alleggeriti, ma non aveva neanche più la scusa per vedere Chat Noir. 

Perché, anche se aveva definitivamente smesso di pensare a lui come ad un possibile partner anche nella vita amorosa - o meglio, così sperava - la sola presenza di Adrien accanto a lei la rinvigoriva, e tutte le sofferenze scemavano via come fumo al vento. Quando gli occhi verdi di Chat Noir incrociavano quelli di Marinette, per un breve, brevissimo istante, al mondo esistevano solo loro due, niente dolore o solitudine. 

Il peggio veniva dopo, quando erano costretti a separarsi un’altra volta, e l’unica cosa che servisse a consolare Marinette era ritornare con la mente a quei fugaci momenti: per quanto pochi ed effimeri, rappresentavano la sua unica distrazione da una vita di monotonia e solitudine. 

E adesso che lei e Adrien non si vedevano da quasi due mesi, le sembrava di star sprofondando sempre più giù, in un mare di oscurità. 

Per questo aveva deciso di cogliere l’opportunità che le aveva offerto Alya. Probabilmente non avrebbero vissuto in quell’appartamento neanche un anno, ma, per il momento, preferiva non pensarci. 

“È-è davvero bellissimo”, convenne Marinette, un sorriso timido dipinto sulle labbra. “Bellissimo?!”, le chiese contrariata Alya. “Fantasmagorico, vorresti dire! Oh” aggiunse, andandosi a sedere accanto a Marinette sul piccolo divano rivolto verso la finestra. Da fuori si scorgeva il panorama di una vibrante Parigi, e il cielo era talmente azzurro da somigliare al colore degli occhi di Marinette. “Ci pensi a tutte le cose che potremmo fare?! Sono proprio sicura che ci divertiremo taaantissimo. Prima di tutto, dobbiamo organizzare una festa con tutti i nostri amici. Che ne pensi?”.

Marinette si volse verso Alya, incrociando le gambe sul divano. “Una festa? Qui?”, chiese, non molto convinta. Non era in vena di festeggiare. Non in quel momento.
“Certo, e dove sennò!”, ribatté con ovvietà Alya. “Tesoro, tutto bene?” continuò con dolcezza, vedendo l’espressione crucciata di Marinette. Le si avvicinò e le mise una mano dietro la schiena, cominciandola ad accarezzare con fare materno. “Marinette?”, la chiamò, e la osservò sorridere con circostanza. “Non è niente Alya, davvero. Sono solo un po' stanca.”

“Allora niente festa, forse è meglio così. Non avevo comunque intenzione di fare qualcosa di esagerato, sai. Solo qualcuno dei nostri amici. Ma non ti preoccupare, ci sarà tempo per recuperare” la rassicurò. 

Marinette obiettò: “No, non scartare l’idea della festa per me. Sono sicura che sarà divertente. Purché non vengano troppe persone.”

“Ne sei sicura?”, le chiese Alya con circospezione. Sapeva che Marinette non se la stava passando proprio benissimo, eppure ogni volta che cercava di cavarle qualcosa di bocca lei rifuggiva le sue domande. 

Marinette annuì con un leggero sorriso rassicurante in volto. “Sicurissima, non preoccuparti.”

Alya le prese una mano. “Bene allora”, disse contenta, “inizieremo subito con i preparativi. Anzi, tu va’ a riposarti, qui ci penso io.”

“Oh, no. Io…”

“Niente ma, signorina. Ora fila a letto”, le disse con tono scherzoso, puntando con il dito verso la porta della camera di Marinette.
“Grazie, Alya”, le rispose, abbracciandola forte. “Grazie” ripeté in un sussurro, il volto appoggiato sulla spalla dell’amica. Teneva gli occhi chiusi, cercando di ignorare l’immagine di un certo ragazzo che continuava a tormentarla. 

Eppure, quando si mise a letto e riuscì ad addormentarsi, lui venne a cercarla ostinato persino nei sogni. 

 

 

 

Parigi, 5 aprile 2021

 

2.

 

Marinette si pentì di aver acconsentito ad Alya di organizzare quella festa nel momento esatto in cui, aprendo la porta ad uno degli invitati, si ritrovò davanti il volto perfetto e bellissimo di Adrien. 

In quel preciso istante, il suo cervello smise di funzionare, e il cuore prese a batterle selvaggiamente nel petto, tanto che Marinette era pronta a giurare che tutta Parigi potesse udirlo. 

“A-Adrien…” farfugliò maldestramente, e le parve di tornare a quando, nei primi tempi dopo essersi innamorata di lui, si comportava in quel modo ogni volta che se lo ritrovava davanti. 

“Ciao, Marinette”, la salutò Adrien, e la sua voce - il suo nome pronunciato da quella voce - le risvegliò in un istante tutte le farfalle sopite nel suo stomaco. Beh, non c’è che dire: le erano mancate. Tanto che Marinette pensava fossero morte per sempre, perché nessuno oltre a lui era in grado di farle vivere o svolazzare tanto freneticamente. 

Marinette annaspò alla ricerca di qualcosa da dire, perché non aveva minimamente immaginato che Alya avrebbe invitato Adrien - anche se era pur vero che non le aveva chiesto di non farlo. 

Comunque, il fatto era che non se lo aspettava, e adesso lui era lì, di fronte a lei, e le parve più bello che mai, anche se erano evidenti le occhiaie che gli segnavano il volto, e anche un leggero pallore che, alla vista di Marinette, aveva subito iniziato a dileguarsi. 

Marinette si aggrappò con le mani sudate alla maniglia in ottone della porta di casa. Non riusciva a dire o fare niente. Ogni tentativo di reagire fu totalmente inutile: il suo cervello non rispondeva. Non potè far altro che continuare a guardarlo, intensamente, con le labbra leggermente schiuse e gli occhi azzurri spalancati. 

Anche Adrien la osservava, col fiato mozzato, perché era talmente tanto che non la vedeva che la sola presenza di lei nelle vicinanze lo aveva mandato letteralmente in tilt. 

La osservava con attenzione, negli occhi mille pagliuzze verdi di meraviglia e le labbra scosse da un debole fremito. Incantato, indugiò con lo sguardo sui lineamenti del volto di Marinette e le dolci curve del suo corpo, e la trovò semplicemente adorabile. Indossava una maglietta rosa un poco aderente e dalle maniche a sbuffo. Continuò ad abbassare lo sguardo, fino a scorgere una normalissima gonna di jeans, e continuò ancora fino a quando non…

Oh. 

Fino a quando non vide le sue ginocchia nude

Adrien boccheggiò. Normalmente, la vista delle ginocchia di una qualsiasi altra ragazza lo avrebbe lasciato decisamente impassibile, ma se si trattava di Marinette… 

Era tutta un’altra storia. Semplicemente, Marinette non era una qualsiasi altra ragazza

Lei era… insomma, la sua anima gemella. Lo sentiva, Adrien, in ogni fibra del suo essere. Non era un caso che il solo scorgere del profilo delle sue ginocchia avesse riacceso in lui una piccola fiammella da molto estinta, e che subito si era sentito rinascere. Gli parve di non averla mai vista così bella e attraente prima, ed immediatamente avvertì il desiderio di stringerla tra le braccia, e di baciarla e assaggiarla tutta, e di farle tutta una serie di innumerevoli cose che soltanto nei sogni si era permesso di immaginare e… 

“C-ciao, Adrien. Io…” la voce dolce di Marinette lo risvegliò dalle sue poco innocenti fantasie “… non sapevo saresti venuto. Ehm…”

Adrien si bloccò. Marinette non sapeva che lui sarebbe venuto. Quindi non era stata lei a chiedere ad Alya di invitarlo?

Povero illuso, certo che no. Marinette continuava a non voler avere niente a che fare con lui. Non lo voleva nella sua vita. Lo aveva più volte messo bene in chiaro. 

Adrien deglutì. Era stata una pessima idea accettare quell’invito. Non sarebbe dovuto andare. Oh, che idiota. 

Fece un leggero passo indietro, quando vide Marinette trattenere il respiro, con lo sguardo abbassato sul piccolo mazzo di primule gialle che teneva in mano. 

Dannazione, i fiori. 

D’improvviso quella dei fiori gli parve un’idea terribile, tanto più dopo aver capito che non era stata lei ad invitarlo. Certo, fino all’ultimo aveva rimuginato sulla tipologia di fiori da regalarle, perché non voleva che una scelta sbagliata potesse rovinare tutto. 

Sin da subito aveva scartato le rose. Le uniche due tra cui poteva scegliere erano le bianche - amore puro - e le rosa - amicizia. Nel primo caso, se lei avesse voluto invitarlo solo in qualità di amico, ci avrebbe fatto una figuraccia, e anche nel secondo caso, se lei lo avesse invitato con l’intenzione di…

Non lo sapeva neanche lui. Dar loro una seconda opportunità?

Povero illuso, si ripetè nella mente. 

“S-sono per me?”, chiese a fior di labbra Marinette. Nel suo tono, Adrien lesse timore e speranza, come se neanche lei sapesse cosa voleva davvero. 

“Sì, io… voglio dire, no. Insomma, per te e per Alya”, farfugliò imbarazzato, portandosi la mano libera dietro la nuca. 

Il cuore di Marinette saltò un battito. Era adorabile, anche da impacciato. Soprattutto se impacciato. 

Lui si schiarì la gola, 

“Questa volta mi sono informato, davvero, non come quando ti ho regalato rose gialle pensando simboleggiassero amicizia quando in realtà erano gelosia e…” arrossì, e si sentì ancora più stupido. 

Si passò una mano nei capelli biondi e tornò a guardarla. Intensamente. “Le primule” cominciò, in un tono che a Marinette parve fin troppo… sensuale. Subito sentì le ginocchia farsi instabili, e si aggrappò con più forza alla maniglia della porta. 

Con le gote completamente rosse, Adrien continuò “sono fiori che sbocciano anche nel freddo dell’inverno. Rappresentano la rinascita dopo il superamento di ogni avversità, l’augurio di tornare forti dopo un momento difficile. Marinette, io… ho pensato che…”, si bloccò. La vista di lei che lo ascoltava con le guance imporporate era così dolce, così come il leggero luccichio che proprio in quel momento illuminò i suoi occhi azzurri, e come…

No, basta così. 

Adrien strizzò gli occhi. 

Quello era davvero il momento di andarsene, prima che la situazione degenerasse del tutto. Non voleva rendersi ancora più ridicolo ai suoi occhi. Già lei non aveva una buona opinione di lui, non voleva peggiorare le cose. 

Fece per girare i tacchi, quando una raggiante Alya - la cara Alya - fece capolino alle spalle di Marinette ed esclamò battendo le mani: “Adrien! Finalmente, eccoti qui! Dai, vieni dentro”, e lo prese per un braccio trascinandolo oltre la porta. Lo fece con talmente tanto vigore che Adrien non riuscire ad impedire alla sua spalla sinistra di sfiorare il corpo delicato di Marinette. E a quella semplice, leggerissima carezza, un desiderio incontrollabile di continuare a toccarla prese il sopravvento, e Adrien non credeva sarebbe riuscito a trattenersi se non fosse stato per Alya. La cara Alya. Lo tirò per il braccio fino al salotto, dove alcuni dei loro amici si già erano radunati. 

“Adrien!”, lo raggiunse Rose. Gli schioccò un bacio amichevole sulla guancia, poi esclamò con un gran sorriso: “Che piacere vederti, ci stavamo giusto chiedendo quando saresti arrivato”. 

Adrien la salutò distrattamente, perché avvertiva ancora la presenza di Marinette alle sue spalle, e non riusciva a fare altro che pensare a lei. Al fatto che non lo volesse lì, a casa sua. 

Sospirò pesantemente, mentre il suo corpo - che risentiva della vicinanza di lei - era ancora preda di brividi. 

Quella sì che sarebbe stata una lunga serata. 

 

***

 

Adrien era appoggiato da un buon quarto d’ora sul bancone della cucina, intento ad osservare la figura di Marinette che, fuori dalla finestra, teneva i gomiti poggiati sulla balaustra di un piccolo balcone. Era sgusciata via non appena ne aveva avuto l’occasione, quando pensava che nessuno la stesse guardando. 

Ma si sbagliava, pensò Adrien. Come poteva pensare che, dopo tutto quel tempo lontano da lei, lui la perdesse di vista anche solo per un secondo?

Così era rimasto a guardarla da quel punto della stanza, senza preoccuparsi di nessun altro dei presenti. 

Scorgeva la sua figura soltanto a metà, perché il resto era coperto dalle tende di lino bianco della porta-finestra. Ma gli andava bene così. Dopo mesi passati a rievocare i lineamenti del suo volto e le curve del suo corpo, gli bastava scorgere la figura di Marinette intenta ad osservare le stelle nel cielo. O almeno, si costringeva a pensare che gli bastasse.

“Va’ a parlarle”. 

Udì una voce alle sue spalle. Adrien si voltò e riconobbe Alya, in viso un’espressione di pura preoccupazione. 

“Cosa?”, chiese, perché credeva di non aver capito bene. 

“Va’ a parlarle, ti dico” ripetè Alya, poggiandogli una mano sul braccio. “Ti prego, Adrien. So che le cose tra te e Marinette sono molto complicate, ma… è tantissimo tempo che non la vedo sorridere veramente, e sono molto preoccupata. Finge sempre che tutto vada nel migliore dei modi, ma io so che non è così”. Rivolse uno sguardo distratto alla figura abbattuta di Marinette appoggiata alla balaustra del balcone, e continuò: “Non so esattamente cosa sia successo tra voi due, perché lei non me ne ha mai parlato, e rispetto la sua decisione. Ma credo anche che questa storia stia andando avanti da troppo tempo. N-non la riconosco più, Adrien. È sempre triste, malinconica, con la testa da un’altra parte. C’è qualcosa che la tormenta, e credo che tu sia la sola persona che ne conosca davvero il motivo. Ti prego, vai e parlale” gli chiese, stringendo leggermente le dita intorno al suo braccio.

Adrien osservò le primule gialle alle spalle di Alya. Rose le aveva sistemate con cura in un bel vaso sul tavolo della cucina, e ogni volta che lo sguardo di Adrien vi cadeva sopra non poteva fare a meno di pensare quanto fosse stato un gesto stupido quello di regalargliele. 

“È per questo che mi hai invitato?”, le chiese tristemente, dopo qualche secondo di silenzio. “Per parlare con lei?”. 

“Intendi se è per questo che ho organizzato la festa? Sì, perché altrimenti sarebbero passati mesi prima che vi rivedeste. Mi dispiace se ti ho ferito, ma ero disperata. Sono disperata”, ammise. 

Adrien scosse la testa con amarezza. “È Marinette a non voler parlare con me. È lei che ha deciso che tra noi non poteva esserci niente. Non credo sia una buona idea andare a parlarle, adesso”. 

Alya lo guardò confusa. “Stai dicendo che è stata lei a rifiutare te?”

Adrien volse gli occhi a terra, leggermente offeso. Come se lui avesse mai avuto la forza di lasciarla. Adrien era un’egoista, non avrebbe mai rinunciato a Marinette, neanche se questo significava non essere più Chat Noir. Plagg lo avrebbe odiato, per questo, ma Adrien aveva sofferto fin troppo, e adesso voleva soltanto essere felice. Era forse un peccato, sognare la felicità?

Alya si accorse di aver formulato male la sua domanda, e di averlo ferito. “Adrien, non volevo. Io…”

Lui la interruppe: “È inutile parlarne adesso, Alya. Non capiresti”. Nel suo sguardo e nel tono della sua voce, Alya scorse un dolore profondo, che mai aveva visto prima. 

Se non negli occhi di Marinette. “Va bene, va bene”, gli concesse “anche se pensi che lei non voglia parlarti, almeno va’ fuori a salutarla. Tieni” gli prese le mani “dalle la tua giacca. Quell’incosciente è uscita senza neanche una felpa indosso”. 

Adrien la guardò incerto. “Credi che si arrabbierà?”.

Alya strizzò gli occhi, e si portò una mano alla fronte. Ma perché mai le cose tra quei due dovevano sempre essere così complicate? 

“No, scemo”, gli disse con una punta di affetto. “E sono pronta a scommettere che il motivo per cui sta così male è che non ti vede da settimane. Ora ti prego, vai da lei e dalle la tua giacca. Anche se non le dici niente, va bene lo stesso. Capito?”.

Adrien annuì. Fuori era freddo, e Marinette non aveva niente che potesse coprirla. Doveva andare da lei. 

Giusto?

“V-va bene. Grazie, Alya”. 

Lei gli rispose con un sorriso triste. E prima che lui se ne andasse, gli diede un forte abbraccio. Adrien ne rimase piuttosto spiazzato, ma non si scostò. Si sorprese nel constatare che gli abbracci di Alya somigliavano molto a quelli di una mamma affettuosa, e rimase fermo ad annusare il profumo dolce dei suoi capelli fino a quando lei non si scostò e gli diede un ultimo bacio sulla guancia. “Adesso vai” gli disse, dandogli un pugno affettuoso sulla spalla.  

 

 

***

 

Fuori faceva freddo. 

Non come quella sera. Ma era comunque freddo. 

Marinette, però, non se ne curava. Era in piedi appoggiata sulla ringhiera del piccolo balconcino che affacciava sulla Senna, lo sguardo fisso su un punto in lontananza, e i pensieri persi da tutt’altra parte. 

Adrien. 

Era quella l’unica accozzaglia di lettere che il suo cervello riusciva a mettere insieme. L’unica che continuava a ritornarle alla mente, sebbene si sforzasse di pensare ad altro. 

Era uscita fuori proprio per questo. Perché non ce la faceva a stare nella stessa stanza con lui, perché si sentiva soffocata dagli sguardi di tutti - dal suo sguardo - che si chiedevano cosa cavolo le fosse successo. Dal profumo di quelle primule che… che…

Quanto tempo non riceveva fiori di Adrien? Tanto, troppo. 

Tuttavia, era stato un errore permettere ad Alya di organizzare quella festa. Permetterle di invitare Adrien, a quella festa. 

Rivederlo aveva risvegliato in lei talmente tanti ricordi, pensieri. E sì, persino le farfalle, perché nonostante tutto i suoi sentimenti erano ancora lì, nel suo cuore, intatti e bellissimi, e quando lei li accarezzava come fossero corde delicate di un’arpa e ne udiva la melodia meravigliosa...

Allora si ricordava che tra di loro non ci sarebbe mai stato niente, e tutto tornava buio, silenzioso, freddo. 

Un fruscio. Il cuore di Marinette le balzò in petto quando avvertì, dietro di sé, il fruscio della porta-finestra che si apriva. 

Inconsapevolmente, sperò che fosse lui. Che fosse lui a raggiungerla col suo sorriso e il suo calore e le sue battute. In quel momento, sapeva che solo una delle sue stupide battute sarebbe stata in grado di strapparle un sorriso. 

“Ti disturbo?”, le chiese lui - Adrien - mentre lo sentiva avanzare cautamente. 

Marinette non si girò. Rimase ancora un po' a fissare quel punto indefinito all’orizzonte, e in un battito di ciglia fu in grado di avvertire il calore di Adrien accanto a lei. 

Strinse con fare convulso le dita intorno al ferro della balaustra, leggermente destabilizzata. Non era pronta ad averlo così vicino, e ignorò il più possibile quell’istinto che le chiedeva disperato di accogliere Adrien a sé, contro il proprio corpo. 

Volse leggermente la testa verso di lui, e lo salutò con un triste sorriso. “Ciao”. 

Anche lui sorrise, certo non debolmente come lei. 

Oh, no. 

Il sorriso con cui le rispose Adrien era uno di quelli capaci di riscaldare mente e anima di coloro che ne fanno esperienza. E infatti, come per magia, subito il peso sul cuore di Marinette si fece un pochino più leggero. Un luccichio di vita le illuminò gli occhi, e Adrien si permise di ricambiare il saluto. 

Forse, pensò, quella sera non avrebbero litigato. 

“Ciao”, sussurrò, con lo sguardo fisso verso di lei. 

A quel singolo, unico mormorio, Marinette sentì le gambe vacillare. 

Stupida. Ti ha solo salutata, e tu già tremi come una foglia? Cosa succederebbe se… se…?

Marinette non si permise di andare oltre, e neanche ne ebbe il tempo, perché - a riprova di quanto temeva - rabbrividì ancora di più quando le loro spalle furono tanto vicine da sfiorarsi e da emettere un leggero strofinio.

Era come se la sola presenza di Adrien fosse capace di inviarle tutta una serie di scariche elettriche lungo il corpo, e Marinette si odiò per questo. Quelle scariche elettriche, per quanto piene di energia, erano sbagliate. Perché, nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per liberarsene, reagiva ancora così quando se lo ritrovava accanto?

Vedendola scuotersi dal freddo, Adrien ricordò improvvisamente il motivo per cui era andato da lei. O meglio, la scusa che aveva prontamente afferrato per poterle parlare. 

“Ehm” cominciò, e subito Marinette si voltò a guardarlo. “Ho pensato che potesse fare freddo qui fuori, e-e in effetti avevo ragione”, emise un risolino nervoso, e Marinette lo guardò incantata con i grandi occhi azzurri spalancati e le labbra rosse leggermente schiuse. 

Oh, quelle labbra. Sembravano pronte ad accogliere un suo bacio. Sarebbero state perfette, Adrien lo sapeva, perché una volta si erano baciati, ed era stato bellissimo, e Adrien sapeva anche che quel bacio - almeno quello - non era stato il frutto della sua immaginazione. 

“Ti ho portato la giacca, l-la mia giacca in realtà. Ho chiesto ad Alya se poteva darmene una tua, ma lei mi ha detto che era impegnata e di prendermela da solo, e siccome non sapevo dove tenessi le giacche ho pensato che la mia potesse andare bene lo stesso, perché sarei disposto a morire di freddo pur di far stare al caldo te, non che fuori faccia così freddo, insomma e...” 

Scemo, ma che diamine stai blaterando? Ti rendi conto che Marinette - Marinette - è proprio qui di fronte a te, dopo quattro mesi interi passati a sognarla e a desiderarla e adesso che hai la possibilità di parlarle, ti rendi ridicolo in questo modo?

Marinette lo guardava incantata, intenerita. Il viso di Adrien era arrossato sul naso e sulle guance, e le sue dita erano scosse da un tremolio leggero mentre si muovevano freneticamente in tutta una serie di gesti impacciati e adorabili. 

“E...?”, lo esortò allora con un sussurro, tanto flebile che Adrien dubitò di averlo sentito veramente. 

Tuttavia, quando il suo sguardo incrociò gli occhi ammaliati di Marinette, attenti vispi e affascinati, si rese conto che davvero lei stava aspettando che lui continuasse. 

Quindi, tutto d’un fiato, esclamò: “Tieni la mia giacca”, e velocemente la dispiegò tra le mani e gliela poggiò sulle spalle. 

Così facendo si avvicinò a lei. 

Si avvicinò un po’ troppo a lei, perché Marinette avvertì distintamente il suo respiro sul collo. 

E, semplicemente, fu sopraffatta da una sensazione che non riuscì a controllare.  

E si scostò di scatto dal suo tocco sulle spalle e dal suo respiro sul collo. 

Così di scatto che l’aria intorno a lei emise un leggero sibilo, mentre un lampo di paura le attraversò gli occhi, perché non ricordava l’effetto disarmante del respiro di Adrien sulla sua pelle. Non che avesse avuto molte occasioni per sperimentarlo, certo. 

Lui la guardò così, con le braccia a mezz’aria, e si spaventò ancor più di lei scorgendole in volto quello sguardo da animale braccato. 

“T-tutto bene?”, le chiese incerto, improvvisamente un magone in gola che quasi gli impediva di respirare. 

L’aveva spaventata? Non era sua intenzione. Lui non voleva... non voleva...

Marinette deglutì. “S-sì, scusami” rispose, scuotendo la testa con noncuranza e tornando ad appoggiarsi sulla ringhiera. Erano ancora vicini, ma non come prima. 

“Sicura?”, chiese ancora Adrien, per nulla convinto dalla sua risposta. 

Lei annuì, e gli rivolse un sorriso rassicurante. Certo, non era uno di quei sorrisi che le illuminavano tutto il volto e che la facevano sembrare più bella e raggiante di una dea delle fiabe, ma era comunque un sorriso, e tanto bastò ad Adrien per tranquillizzarsi un pochino. 

“Mi hai solo colta di sprovvista, tutto qui” spiegò allora lei, tornando a guardare l’orizzonte per evitare il suo sguardo indagatore. Quello sguardo che le pareva in grado di leggere tutte le sue emozioni, quasi fosse la chiave per accedere ai sentimenti del suo cuore. 

“I-io... mi dispiace, Marinette. Non intendevo...non intendevo assolutamente spaventarti. Mi dispiace davvero tanto”, disse portandosi una mano al petto in un gesto di rimorso e pentimento. 

Marinette tornò a guardarlo per un singolo istante, ma le sembrò che la forza del suo sguardo fosse ancora troppa da sostenere, e allora chiuse gli occhi e gli rispose: “Non preoccuparti, Adrien. Davvero. Mi hai solo presa ehm... impreparata. Non è colpa tua.”

Lui si morse un labbro con fare nervoso, ancora tremendamente dispiaciuto e mortificato. E anche un po' ferito, perché non si aspettava che un gesto naturale come quello - compiuto con le migliori intenzioni, tra l’altro - potesse avere su di lei un effetto tanto negativo. A lui quella vicinanza, per quanto breve, era sembrata come una boccata d’aria fresca: per la prima volta dopo tanto tempo aveva aspirato il profumo dolce e fiorato dei suoi capelli, e, se solo si fosse avvicinato un po' di più, avrebbe anche potuto godere dell’odore di miele della sua pelle. 

Se, se, se. 

Preferì non rispondere, e, senza sapere bene come comportarsi, decise di appoggiarsi anche lui con i gomiti sulla ringhiera del balcone. Forse doveva andarsene. Anzi, sicuramente Marinette non lo voleva lì, accanto a lei. 

Eppure, colto da un moto di egoismo, non ce la fece a prendere le distanze e ad andarsene, perché sapeva che sarebbe passato ancora tanto tempo prima di rivederla. Ah, che ironia. Mai avrebbe pensato che gli attacchi di Papillon gli sarebbero mancati tanto, ma ormai quelli erano diventati la sola scusa per vederla, e gli stringeva il cuore vedere come questi si facessero sempre più rari. 

Ah, dannazione

Averla così vicina, così maledettamente vicina, e non poter far nulla - neanche poggiarle la giacca sulle spalle - senza che lei si ritraesse, lo stava facendo impazzire. 

Forse era davvero meglio andarsene. 

Con una mano ancora poggiata sulla ringhiera, si girò leggermente verso di lei. “Credo sia meglio che me ne vada, adesso.”

“No!”

Cosa?

Cosa aveva appena detto Marinette? No? 

Era forse il frutto della sua mente - che desiderava ardentemente che lei lo trattenesse ancora un po’ - o le sue labbra scarlatte avevano appena pronunciato quell’invito a restare? 

Era forse il frutto della sua immaginazione, o davvero Marinette aveva afferrato la sua mano con forza, nel tentativo di non lasciarlo andare via? 

Marinette lo fissò incredula. Forse perché aveva reagito istintivamente, e non si era resa conto di quello che aveva detto e fatto se non quando lui le chiese in un dolce sussurro: “Cosa?”

Sbatté le palpebre, ignorando la piacevole sensazione della mano di Adrien stretta tra le dita. La lasciò subito andare. 

“N-no, io…”. Non sapeva cosa dire. Perché lo aveva trattenuto? Perché non aveva semplicemente accettato il fatto che lui se ne andasse via, lasciandola sola fuori, al freddo, come d’altronde aveva già fatto altre volte? Come lei lo aveva già implorato di fare altre volte?

“Non vuoi che vada?”, le chiese Adrien, nel suo tono una scintilla di speranza. Sì, voleva restare, se era quello che voleva anche lei. Sarebbe rimasto, a costo di soffrire perché non poteva avvicinarsi, se lei glielo avesse chiesto. 

E glielo aveva chiesto. L’aveva quasi supplicato di restare. 

Marinette arrossì violentemente, nella ricerca disperata di qualcosa da dire. Annaspò e disse, guardandosi i piedi: “Puoi restare ancora un po’. Se vuoi.”

“Certo che voglio, Milady”, disse di getto Adrien. 

E quelle sue parole così spontanee, così dolci e vere, insieme con l’appellativo di Milady, con cui da troppo tempo non la chiamava più, fecero sbocciare un timido sorriso sulle labbra di Marinette. Alzò di nuovo gli occhi verso di lui, e quando lo guardò felice, il suo cuore perse un battito. E quando riprese a muoversi, lo fece con una tale selvaggia velocità che le parve quasi le sarebbe uscito dal petto. 

Imbarazzata, distolse di nuovo lo sguardo e lo diresse di nuovo verso la Senna, scintillante e silenziosa sotto di loro. Nel riflesso delle sue acque brillavano alcune delle innumerevoli luci delle notti parigine, e il calmo dondolio delle onde, che prima sembrava preannunciare un roboante silenzio, adesso pareva il preludio di una nuova felicità. 

Perché si sentiva felice, adesso. Libera da quel peso che le opprimeva il petto, libera dal senso di colpa che la tormentava giorno e notte, come un felino che studia e caccia la sua preda, prima di acchiapparla e di non lasciarla andare più. 

Era sbagliato sentirsi felice? No, pensò. Era bellissimo e liberatorio. Avrebbe quasi voluto urlare e ridere la sua gioia, quando si ricordò che quella non poteva avere seguito. 

Che sarebbe finita quando Adrien avesse lasciato quel balcone, perché certo non poteva rimanere lì per sempre, anche se lo voleva tantissimo. Eccome, se lo voleva. 

Si costrinse a mettere da parte quei pensieri fastidiosi, e di concentrarsi solo sul dolce respiro di lui al suo fianco, e della giacca di pelle nera poggiata sulle spalle. Emanava un odore - l’odore di lui - che le riempì tutte le narici e i polmoni, e pareva quasi capace di infonderle nel cuore una vita nuova. Se la strinse un poco sulle spalle, come avesse paura che il leggero vento la portasse via. No, l’avrebbe tenuta sempre lì, a proteggerla dal freddo e dalla solitudine, almeno finché l’odore di Adrien vi sarebbe rimasto impresso. 

Erano passati alcuni minuti di silenzio, un silenzio dolce e sereno, quando Adrien le chiese piano: “Posso farti una domanda?”

Marinette lo guardò sorpresa, perché non si aspettava che lui avesse qualcosa da chiederle. Senza rendersene conto, si prese un labbro tra i denti, e lo sguardo di Adrien non potè fare a meno di cadere su quelle dolci curve, e subito gli tornò in mente com’era stato bello baciarle e assaporarle e stringerle tra le sue. 

“Sì” gli rispose Marinette, dopo qualche interminabile secondo. Continuava ad osservarlo con occhi attenti, e lo sguardo che lui le dedicò fu così dolce e pieno d’amore che le gambe le tremarono talmente tanto che, se non fosse stata appoggiata sulla balaustra in marmo, avrebbe sicuramente avuto bisogno di afferrare il suo braccio. 

Ma, fortunatamente, c’era la balaustra. Perché era una fortuna, giusto? 

Marinette si immaginò subito come sarebbe stato tenersi stretta al suo braccio per non cadere. Lui sicuramente l’avrebbe stretta forte, e le avrebbe circondato la vita con l’altro braccio, per sorreggerla meglio. Rabbrividì di piacere al solo pens… 

No, no, no. 

Marinette scosse la testa. Era davvero una fortuna che ci fosse la balaustra. Perché tutto il resto non sarebbe mai dovuto accadere. Non più, almeno. 

Erano questi i suoi pensieri, mentre Adrien si inumidì le labbra ormai secche, e con voce esitante le chiese: “Ti sei mai pentita di aver detto di no? A noi, alla nostra storia?”

C-cosa?

 

[continue…]

 

 

 

Convenevoli finali:

Eccoci arrivati alla fine del primo capitolo della storia! Mi sono divertita tantissimo a scriverlo, anche se devo ammettere che la revisione è stata piuttosto travagliata ^^’

Comunque, spero davvero vi sia piaciuto, e preparatevi al prossimo, perché ne vedremo delle belle ;)

 

A presto,

Talitha_ <33

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Capitolo 3
*** II. Regret ***


II. Regret

 

Parigi, 6 aprile 2021

 

1.

 

“Ti sei mai pentita di aver detto di no? A noi, alla nostra storia?”

Le parole di Adrien risuonarono qualche secondo nella testa di Marinette, prima che lei potesse comprenderne a fondo il significato. 

Si era pentita di quello che aveva fatto? Di aver negato con tutta la forza di cui era stata capace i suoi sentimenti e il loro amore?

Sì. 

Oh, SÌ. 

Certo che se ne era pentita. Ogni giorno della sua vita dal maledetto momento in cui aveva deciso che tra loro non ci sarebbe mai stato niente. 

Ma era stata una decisione sbagliata? Forse, non lo sapeva più neanche lei. 

Da una parte Marinette cercava di convincersi il più possibile che quello che aveva fatto era stato per il bene di tutti. Che era necessario. 

Aveva visto con i propri occhi cosa sarebbe potuto accadere una volta conosciute le rispettive identità. 

Un ricordo le riaffiorò nella mente, e Marinette rabbrividì. Avrebbe fatto di tutto pur di non vedere più un mondo distrutto dal loro amore. 

Pur di non vedere ancora Chat Noir in quello stato. Disperato, preda della pazzia e del potere di Papillon. 

Per questo, in quella sera che le sembrava lontanissima, un incubo surreale, aveva pensato che, se avesse dato loro una possibilità, entrambi sarebbero andati dritti incontro a quel futuro. 

Marinette non aveva potuto cancellare i ricordi di Adrien circa la sua identità, ma aveva fatto qualunque cosa in suo potere per far sì che tutto quello non si avverasse. 

E sarebbe dovuta essere fiera di se stessa, perché se fino a quel momento ogni cosa era andata per il meglio - se quel futuro non si era realizzato - era stato solo grazie ai suoi sacrifici. Ai loro sacrifici, di lei e di Adrien. 

Ma

D’altra parte, molte - moltissime - volte la sua mente si era chiesta come sarebbero andate le cose se…

Se se se. 

No, era inutile immaginare una vita di se, quando ormai il danno era fatto e non si poteva più tornare indietro. Quando ormai per loro due non c’era più speranza. 

“No”, disse con un filo di voce. Non si era accorta di aver rivolto lo sguardo verso il pavimento fino a quando non tornò a guardare Adrien in volto. “Non me ne sono pentita” mentì, nel tono più convincente che potè. “Credo ancora che fosse la decisione giusta da prendere.”

Lui la guardò come un cucciolo smarrito, l’ultima scintilla di speranza che si affievoliva velocemente. 

“E-e…” , ribatté, prendendosi coraggio. “E non ti sei mai chiesta coma sarebbe andata se ci fossimo dati una possibilità? Se avessimo trovato un modo di…”

“Non c’era altro modo, Adrien. Non serve a nulla pensarci adesso”, lo interruppe Marinette “non parliamone più, per favore.”
Adrien protese una mano verso la spalla di lei. “Ma…”

Adrien”, insistette lei, tagliente. Si scostò bruscamente dal suo tocco, le braccia avvolte intorno al corpo in un abbraccio solitario. Adrien rabbrividì quando i loro occhi si incrociarono di nuovo. Quelli di lei sembravano svuotati, quasi avessero espresso tutte le emozioni di cui erano capaci negli ultimi venti minuti. 

Adrien indietreggiò. Che stupido era stato. Credere che il suo invito a restare potesse significare qualcosa di più di un semplice…

Dannazione, non sapeva neanche lui cosa

“Va bene, scusami”, mormorò dopo quasi un minuto di silenzio. “Non ne parleremo più.”

Marinette aveva iniziato a tremare già da diverso tempo, e non riusciva a smettere. Né a trarre conforto dalla giacca di Adrien che teneva ancora avvolta intorno al corpo. 

Pensò che non sarebbe potuta andare peggio di così, quando Adrien fece per andarsene, dandole le spalle, e un brivido ancora più violento la scosse tutta. 

Non la saluto, né lei salutò lui. 

Soltanto quando la tenda della finestra si chiuse alle spalle di Adrien, Marinette si permise di piangere. 

 

 

Parigi, 7 aprile 2021

 

2.

 

Marinette era rannicchiata sul letto. Le persiane della finestra erano abbassate, e la pallida luce del tramonto filtrava a trattini nella stanza. 

Era rannicchiata in posizione fetale, e tutto il suo corpo tremava leggermente. Si consolava pensando che se Adrien l’avesse vista in quel momento l’avrebbe stretta la le sue braccia forti e sarebbe stato lì con lei fino a quando non fosse tornata a sorridere. Tuttavia, si rese conto, probabilmente Adrien avrebbe provato solo pietà di fronte a quella scena miserabile. 

E di certo ne aveva tutto il diritto. Quante volte Marinette lo aveva fatto soffrire, quante lo aveva cacciato via? Via dalla sua vita e dal suo cuore, anche se in questo era ancora una presenza costante, e forse vi sarebbe rimasto per sempre. 

Perché per quanto Marinette potesse impedire a loro due di stare insieme, i suoi sentimenti per lui erano impossibili da sradicare. E anche se cercava il più possibile di usarli come mezzo per riscaldare la sua anima, d’altra parte non facevano che ricordarle tutto quello che avrebbe potuto avere se avesse dato loro una possibilità. 

Se se se. 

Marinette si sentiva in colpa, come poteva non farlo. 

Si ripeteva che era colpa sua se lei e Adrien continuavano a soffrire, se tutto nella sua vita era sempre così difficile. Erano anni, ormai, che conviveva con il senso di colpa, e anche se inizialmente pensava che si sarebbe abituata, col passare del tempo, ora era anche peggio, perché aveva scoperto che così non era. Casomai il contrario. 

Ogni giorno si svegliava e si chiedeva come sarebbe stato se Adrien fosse stato lì con lei. Come sarebbe stata la sua vita adesso, e a che punto della loro relazione si sarebbero trovati. 

Avrebbero fatto la doccia insieme, come sapeva facevano Alya e Nino? Gli avrebbe dato le chiavi del suo appartamento, così come Alya le aveva date a Nino? 

Non poteva fare a meno di compararsi ad Alya e Nino, per quanto questo la facesse star male. Perché guardarli felici e sapere che anche lei e Adrien avrebbero potuto esserlo, se le circostanze della loro vita non glielo avessero impedito, la logorava

E se a volte desiderava con tutto il cuore di non aver mai conosciuto Adrien, altre si chiedeva come sarebbe finita se, invece, non avesse incontrato Maestro Fu. 

Ma poi si rendeva conto che se lei non fosse mai diventata Ladybug, comunque non ci sarebbe stata alcuna speranza per lei e Adrien, perché non sarebbero mai riusciti a conoscersi così bene come avevano avuto la possibilità di fare nelle loro vesti da supereroi. Se Adrien non fosse diventato Chat Noir, lei gli avrebbe mai mostrato anche il suo lato determinato, sicuro di sé, fiero? E lui le avrebbe mai rivolto le sue battute squallide e i suoi giochetti stupidi, e le avrebbe mai permesso di conoscerlo come aveva fatto con Ladybug?

No, probabilmente no. 

Ergo, se non avesse mai conosciuto Maestro Fu, Marinette sarebbe rimasta per Adrien solo un’amica, per sempre. Lui non si sarebbe mai innamorato di lei, e lei mai completamente di lui. 

Neanche in quel caso ci sarebbe stato un futuro insieme, solo lei e Adrien. 

Marinette aveva provato per tutta una vita a valutare le singole possibilità, ogni scorcio di possibilità che avrebbe reso le cose tra loro più semplici. Fattibili. Aveva analizzato ogni probabile futuro alternativo, per anni e anni, e ci era ritornata e ritornata su, e non aveva mai trovato nessuna soluzione. 

Niente di niente. C’era sempre qualcosa che non andava. 

E adesso, semplicemente, si era stancata di provarci. Doveva andare avanti, dimenticare Adrien. 

Provare a vivere, tornare a sorridere e a divertirsi, e a trovare piacere nelle piccole cose della vita. Anche senza avere nessun altro al suo fianco. Anche senza Adrien. 

Ma lei era forte, giusto? Se, in qualità di guardiana, avesse dovuto sacrificare la sua vita per il bene delle persone che la circondavano, Marinette lo avrebbe fatto. 

Tante e tante persone prima di lei lo avevano fatto. Non doveva essere così difficile, giusto?

Marinette era rannicchiata sul letto, in posizione fetale, il suo corpo tremava leggermente, e al petto stringeva la giacca in pelle nera di Adrien. Quella che lui la sera prima le aveva gentilmente poggiato sulle spalle, e che lei aveva rifuggito con lo sguardo di un animale braccato. 

La stringeva con le dita e con le unghie, con una forza tale da disegnarci sopra piccole lunette bianche, perché aveva paura che, se avesse alleggerito un po’ la presa, qualcuno sarebbe arrivato e gliel’avrebbe strappata via. L’ultima cosa di Adrien che le era rimasta. 

Gli aveva ridato tutto quando si erano lasciati (o meglio - visto che non erano mai stati insieme - quando lei aveva detto di no), persino l’ombrello nero che lui le aveva prestato quel primo giorno di scuola di tanti anni prima, quando lei si era innamorata per la prima volta di lui. 

Perché, strano ma vero, Marinette si era innamorata tantissime volte di Adrien. Persino la sera prima, quando aveva aperto la porta e se lo era ritrovato di fronte, era sicura che l’espressione sul suo volto fosse la stessa che aveva avuto in quel giorno di pioggia. 

Doveva essergli parsa ridicola. 

Marinette continuava ad innamorarsi di Adrien, ogni volta che lo vedeva, e ogni volta era sempre peggio. Era stanca di innamorarsi di lui. Voleva dimenticarlo, sì, dimenticarlo, e…e…

E cosa? Vivere felice? Non poteva immaginare un’esistenza senza di lui, perché sarebbe stata ancora più vuota e triste di quella di adesso. 

Perché se lo avesse dimenticato non avrebbe avuto più neanche la sua unica consolazione: accarezzare i sentimenti che provava per lui come le dita di un musicista che, piano, con grazia, pizzicano le corde di un’arpa. Quasi avesse paura di romperle. 

In tutto questo, Marinette continuava a stringere con forza la sua giacca, e ad aspirarne freneticamente l’odore, perché se avesse aspettato troppo tempo se ne sarebbe andato via, e lei doveva coglierne ogni singola sfumatura. Il suo scopo era quello di creare un piccolo cassettino nella sua memoria, con su scritto “odore di Adrien”, che avrebbe aperto ogniqualvolta avrebbe sentito il suo bisogno. Un cassetto perennemente aperto, in pratica. 

Marinette era rannicchiata sul letto, in posizione fetale, il suo corpo tremava leggermente, e al petto stringeva la giacca in pelle nera di Adrien, e la annusava freneticamente, perché il suo scopo era quello di trasferire quel suo odore in un cassetto della sua memoria, che avrebbe aperto quando aveva bisogno di lui. 

Senza abusarne, però, aggiunse mentalmente. 

Senza abusarne. 

E mentre Marinette era rannicchiata sul letto, e pensava pensava pensava - e l’oggetto dei suoi pensieri non poteva che essere Adrien - calde lacrime le rigavano il volto, e leggeri singhiozzi le scuotevano il corpo. 

Ah, ecco perché tremava. 

 

***

 

Quella sera, gli occhi gonfi di pianto e uno strano baluginio negli occhi, Marinette emerse dalla sua camera, con le sembianze di un simpatico spettro. 

Indossava una semplice maglietta bianca e i pantaloni del pigiama, e i capelli erano raccolti in uno chignon afflosciato. 

Alya, in piedi dietro al bancone della cucina, la guardò impressionata. “Tesoro, tutto bene?”, le chiese, e si sorprese ancor di più quando Marinette le disse: “Alya, devo vedere Adrien”. 

Alya lesse urgenza in quelle parole, quasi come fossero l’espressione di un bisogno fisico troppo a lungo represso. E prima che potesse aprir bocca per risponderle, Marinette aggiunse, gesticolando con le mani: “Devo vederlo, giusto? M-mi sembra di impazzire altrimenti. Come ho fatto a stare quattro mesi, e dico quattro mesi, senza vederlo?”

“Marinette, io…”, prese a dire Alya, ma si fermò subito quando scorse il riflesso di lacrime silenziose che attraversavano il volto della sua amica. 

Marinette si avvicinò al tavolo, si sedette, e appoggiò la fronte sui gomiti, perché forse il peso della sua testa era troppo per tenerlo solo sulle spalle. 

“Cosa devo fare, Alya?”, gemette poi, in un respiro strozzato. “Non so cosa fare, non so…”

“Marinette”, la chiamò leggermente Alya, che subito era corsa per sederle accanto. Sporse il volto verso di lei, cercando i suoi occhi, ma Marinette seppellì la testa tra le braccia, e ciuffi di capelli si sparpagliarono silenziosamente sul tavolo. Un fremito le scosse il corpo, e Alya si avvicinò di più a lei, una mano premuta sulla schiena di Marinette nel tentativo di rassicurarla. 

“Aiutami, Alya”, la supplicò Marinette, in un tono che le fece sciogliere il cuore. 

“Marinette”, ripetè, nella voce una dolcezza rassicurante “se non mi spieghi cosa succede non so cosa posso fare per aiutarti”.

Finalmente, Marinette alzò il volto dal tavolo, e fissò dritto negli occhi Alya. Aveva le gote rosse e gli occhi gonfi, le labbra scarlatte a forza di stringerle tra i denti. Gli occhi azzurri rilucevano del riflesso delle lacrime, mentre Alya scostava con una mano ciocche di capelli dalla fronte sudata. “Non posso” gemette in un sussurro, le labbra contorte da una smorfia di dolore. “Non posso dirti niente, m-mi dispiace, Alya” singhiozzò. Poi si tuffò tra le sue braccia, e Alya non potè far altro che accoglierla, e sussurrarle nell’orecchio che tutto sarebbe andato bene, anche se non aveva la minima idea di cosa fosse successo e di come tutta quella storia sarebbe andata a finire. 

Sentì Marinette appoggiarsi con forza alla sua schiena, quasi avesse paura di sprofondare giù giù giù. 

“M-mi dispiace” continuava a ripetere Marinette, quasi meccanicamente. I singhiozzi scuotevano tutto il suo corpo, che in quel momento sembrava così fragile. Pronto a frantumarsi in mille pezzi. 

O forse era si era già frantumato, e quei mille pezzi erano andati perduti in un mare di oblio e sofferenza. 

 

***

 

Dopo quella sera in cui si era rifugiata tra le braccia di Alya, e aveva dato libero sfogo alle sue lacrime, non era passato un singolo istante in cui Marinette avesse smesso di pensare ad Adrien, e alla voglia matta che aveva di incontrarlo, e di scusarsi con lui se era stata così fredda l’altra sera. E negli ultimi quattro anni. 

Si era calmata, aveva analizzato la sua idea da un punto di vista razionale, e non le era parsa poi così male. Voleva rivedere Adrien. E lo avrebbe fatto. 

O meglio, voleva restituire la giacca di pelle al suo proprietario, e per fare questo doveva necessariamente vedere Adrien, giusto?

Giusto. 

Nulla di più facile. 

Avrebbe semplicemente provato ad andare a casa sua, e gli avrebbe restituito la giacca con tutta la disinvoltura possibile. Poi lo avrebbe ringraziato per aver accettato l’invito di Alya, e si sarebbe scusata se non lo aveva salutato quando se ne era andato. Poteva farlo, no?

Per questo, uscendo dalla sua camera, disse ad Alya per la seconda volta in due giorni:“Alya, devo vedere Adrien”. 

Alya, seduta sul divano immersa nella lettura di un libro, scattò in piedi, perché non aveva sentito Marinette arrivare alle sue spalle - ma che era diventata quella ragazza, un fantasma? - e perché aveva già sentito pronunciare quella frase la sera prima e non voleva che una scena del genere si ripetesse di nuovo. L’aveva straziata vedere Marinette in quello stato, e non era sicura che sarebbe riuscita ad affrontare un’altra sessione in qualità consolatrice. Almeno, non così presto. 

Per questo, si sorprese quando si ritrovò davanti una Marinette completamente diversa da quella della sera prima. 

Si era lavata i capelli, che adesso teneva sciolti sulle spalle, e non sembravano più spenti e malaticci, ma lucenti e pieni di vita. Indossava un leggero vestitino rosa pallido che la faceva sembrare una piccola bambola, insieme con gli occhioni blu limpidi e attenti. Stavano aspettando una sua risposta.

“S-sei sicura, Marinette?”, le chiese allora, mentre la osservava prendere posto sul divano. Marinette annuì con aria serena. “Credo… credo di sì”, disse, e alzò gli occhi su Alya, guardandola speranzosa, come in attesa della sua approvazione. 

“Vuoi chiamarlo? Vuoi che ti dia il suo numero di telefono?”, le domandò Alya, ancora confusa da tutta quella situazione. 

Cercando di raccapezzarsi su quello che stava accadendo, ritornò sul divano, poggiando prima un ginocchio e poi sedendosi sopra la sua gamba ripiegata, e prese un profondo respiro. “Ha cambiato numero di telefono, lo sai vero?”.

Marinette annuì. “Lo so, ma forse è meglio se non me lo dai”, disse, mentre raccoglieva le gambe in un abbraccio, e poggiava il mento sulle ginocchia. 

“Perché no?”, chiese Alya, senza capire. Marinette voleva incontrare Adrien senza avere il suo numero di telefono?

Marinette fece spallucce. “Voglio vederlo solo una volta, non di più. Se avessi il suo numero di telefono sarei tentata di chiamarlo, di mandargli un messaggio, e…” si interruppe, fissando un punto indistinto del tappeto ai piedi del divano. 

“E…?”, la incoraggiò Alya. 

Marinette la guardò. “Non credo sia una buona idea avere il suo numero di telefono”, mormorò. 

Alya sbuffò: “E invece torturarti pensando che vederlo una sola volta possa risolvere tutti i tuoi problemi ti pare una buona idea?”

Marinette la guardò sbattendo le palpebre. Poi sorrise amaramente, scuotendo la testa: “Non puoi capire, Alya”.  

"Certo che posso” esclamò lei. “Se solo tu me ne dessi l’opportunità, capirei eccome. Non sono mica stupida, sai” ribatté piccata. 

Marinette si difese: “Non ho detto che sei stupida, e… non è questo il punto! Volevo solo dirti che ho deciso di andare da Adrien. Domani.”

“Domani?”, ripetè scettica Alya. 

“Domani”, confermò risoluta Marinette, continuandola a guardare. 

“Cos’è, vuoi la mia approvazione?”, chiese allora Alya, perché sinceramente non riusciva a capire il punto di quel discorso. Riafferrò il libro, che nello scatto di prima era caduto a terra, e riprese da dove si era interrotta. 

“Alya”, disse Marinette, con tono supplichevole. “Per favore, non odiarmi” sussurrò, il mento ancora poggiato sulle ginocchia. 

Alya la guardò incredula. “Io non ti odio” proferì. “Anzi, ti voglio bene. E mi preoccupo per te. E voglio che tu sia felice. Ma non è un problema mio se non vuoi dirmi cosa ti passa per quella testolina, quindi se vuoi andare dal tuo Adrien fallo pure, purché tu reputi sia una buona idea”. 

“È che non sono sicura che…”

“Che sia una buona idea?”, la interruppe Alya con un sorriso amaro. “E come vuoi che faccia io a saperlo se non so niente di te e del tuo rapporto con Adrien?”

Marinette si morse un labbro. Non era così che voleva andassero le cose. Non voleva litigare anche con Alya, nonostante sapesse che la sua amica aveva ragione. 

“Va bene, non importa” disse sconsolata. “Volevo solamente fartelo sapere. Credo che andrò domani a casa sua. Per restituirgli la giacca”. 

“E se non c’è?”, le chiese Alya, e Marinette la guardò sorpresa, perché non aveva pensato a questa eventualità. 

“Se non c’è” rispose dopo qualche secondo “la lascerò lì e gliela darà qualcun altro”. 

“Fa’ come vuoi” le rispose Alya con uno sbuffo. Marinette si sporse verso di lei: “Alya”, la supplicò. “Ti prego, so che hai tutti i motivi per essere arrabbiata con me…”

“Certo che ce li ho”.

“Lo so ma… cerca di capirmi. Ho bisogno di te, ho bisogno che qualcuno mi dica che vedere Adrien è una buona idea, perché ho paura… ho paura che…” si interruppe, lo sguardo di nuovo fisso nel vuoto. 

Alya cercò di mettere per un attimo da parte la sua rabbia, perché era evidente che in quel momento non sarebbe servita a nessuna delle due. Sì, probabilmente Marinette sbagliava nascondendole la verità, ma poteva avere anche le sue buone ragioni, e Alya non era nessuno per giudicarla. 

Appoggiò il libro sul bracciolo del divano, e, come la sera prima - solo con molte meno lacrime e singhiozzi - tornò a prendere una smarrita e bisognosa Marinette tra le braccia. “Se pensi sia giusto, in questo momento, vedere Adrien”, le sussurrò tra i capelli “allora dovresti andare da lui”. 

Marinette ricambiò il suo abbraccio, aspirando con un sorriso il profumo di Alya. “Grazie” mormorò. “Grazie mille, Alya”. 

 

 

 

Parigi, 9 aprile 2021

 

3. 

 

Din don. 

Il suono del campanello le rimbombò nelle orecchie. 

Marinette si strusciò con fare nervoso le mani lungo le cosce. Tremava tutta, e si sentiva anche terribilmente sudata, sebbene si fosse fatta una doccia appena prima di uscire di casa. 

Indossava lo stesso vestitino rosa a fiori bianchi della sera prima, e si era persino truccata con un velo di mascara e un lucida-labbra rosso ciliegia, che faceva sembrare le sue labbra due dolci frutti maturi. 

Si trovava di fronte al cancello di casa Agreste, che mai in vita sua le era parso così enorme. Era alto e imponente, pronto ad aprirsi in una voragine di ferro e a divorarla tra le sue fauci appuntite. 

“Sì?”, una voce fredda e meccanica le rispose dopo una manciata di secondi. 

Marinette sussultò. Era ancora in tempo per girare i tacchi e tornare a casa, ed evitare di commettere quella sciocchezza. 

Sapeva che non doveva, ma questa volta non era riuscita a resistere agli impulsi del suo inconscio. Erano così invitanti, carezzevoli, ed avevano avuto la meglio sulla sua parte razionale. 

Marinette sapeva per esperienza che ogni volta che seguiva i suoi istinti le cose andavano irrimediabilmente male. Malissimo. 

Per questo aveva cercato di trovare scuse su scuse che potessero giustificare quello che stava facendo. 

La giacca in pelle di Adrien sembrava essere molto costosa. Sicuramente lo era. Non sarebbe sembrato che la stesse rubando? Doveva restituirla. 

Sembrava anche una giacca molto pratica. Sicuramente Adrien la indossava tutti i giorni, e adesso che non l’aveva più si sarebbe dispiaciuto. Era giusto che gliela riportasse. 

Giusto?

Marinette annuì convinta. Poteva farcela. 

Posso farcela. 

“E-ehm, salve”, disse con voce allegra e imbarazzata. “Sono Marinette, u-un’amica di Adrien.”

Un’amica di Adrien? Ma per favore, Marinette.  

Marinette inspirò. “S-sono venuta per vedere Adrien”, riprese. "Devo…devo restituirgli una cosa.”

Ridicola

Uno cigolio metallico la fece scattare sul posto. 

“Entri pure” disse una voce dall’altoparlante, che solo in un secondo momento Marinette si accorse appartenere a Nathalie. A proposito, quanti anni erano passati dall’ultima volta che aveva visto Nathalie?

Marinette scosse la testa. No, non era quello il momento di perdersi in pensieri futili. Doveva vedere Adrien e restituirgli la sua giacca. O meglio, doveva restituire la giacca ad Adrien, e casualmente questo implicava incontrarlo. Casualmente. 

Quando le sue mani sudate toccarono il freddo gelido del cancello, per spingerlo ad aprirlo, un brivido le percorse la schiena. 

Puoi farcela, si disse, i pugni chiusi con forza. Puoi farcela, si ripetè, quando inciampò in una leggera sporgenza del terreno. Fino ad un secondo prima Marinette avrebbe giurato non ci fosse. 

 

***

 

Era Marinette Dupain-Cheng quella che aveva appena suonato al citofono. La stessa Marinette Dupain-Cheng di cui Adrien era profondamente innamorato. 

Nathalie alzò incredula le sopracciglia, increspando un poco la maschera di impassibilità che le incorniciava il volto. Sicuramente, da anziana, non avrebbe avuto molte rughe. 

Marinette Dupain-Cheng Marinette Dupain-Cheng Marinette Dupain-Cheng. 

Non sapeva come stessero le cose tra lei ed Adrien, ma sapeva che lui era innamorato di lei, e che avrebbe fatto di tutto pur di vederla e di passarci un po' di tempo insieme. 

Il problema, però, era che Adrien in quel momento non era in casa. E la ragazza se ne sarebbe andata se avesse scoperto che lui non c’era. E chissà quando sarebbe tornata. Se fosse tornata. 

Nathalie non poteva permettere che accadesse, perché sapeva quanto Adrien ci sarebbe rimasto male una volta scoperto che lei era stata lì e lui non aveva potuto incontrarla. 

Un raggio di luce si riflesse negli occhiali di Nathalie, che, seduta alla sua impeccabile scrivania, col suo impeccabile completo e la sua impeccabile aria da segretaria, prese il cellulare e inviò un messaggio al suo padroncino.

 

Marinette Dupain-Cheng è qui ad attenderla. La tratterrò fino al suo ritorno. 

 

 Fatto questo, si alzò con grazia regale per andare ad accogliere personalmente la sua ospite. Ed assicurarsi che non scappasse via. 

 

***

 

Marinette si trovava nell’atrio enorme di quella casa. Evidentemente, tutto lì dentro rispondeva alle esigenze di megalomania di Gabriel Agreste, e questo la metteva incredibilmente a disagio. Avvertiva nella borsa la presenza ingombrante della giacca di Adrien, che aveva accuratamente ripiegato. Aveva anche pensato di portarla in lavanderia, ma così facendo l’odore di Adrien sarebbe andato via, ed era rabbrividita al solo pensiero. 

No, non avrebbe posto fine a quella fonte di odore idilliaco, anche se doveva restituire la giacca al suo proprietario. 

Marinette si trovava in piedi già da un paio di minuti lunghi come secoli, e si sentiva una stupida. Tutto intorno a lei regnava il silenzio, insieme col rintocco sinistro di un orologio che probabilmente stava in sala da pranzo. 

Solo quando iniziò ad accarezzare l’idea di andarsene (perché gridare chi è l’avrebbe fatta sentire più ridicola di quanto già non fosse), avvertì un ritmico scalpiccio di tacchi. 

Finalmente, pensò. 

La figura spettrale di Nathalie emerse dopo alcuni istanti dalla porta che conduceva allo studio di Gabriel, e in cui sapeva esserci anche il suo piccolo ufficio. 

Un moto d’ansia travolse il petto di Marinette quando la donna richiuse la porta alle sue spalle e fece per dirigersi verso di lei. Cosa le avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto?

“Per di qua, signorina” le disse, accompagnandola con un cenno della mano. “Il signorino la riceverà in sala da pranzo”. 

Marinette arrossì violentemente. “Oh… oh” boccheggiò, guadagnandosi un’occhiata stranita da parte di Nathalie. “N-non è necessario che Adrien mi riceva” disse, contorcendosi le dita. “Devo solo restituirgli la sua giacca. A-anzi” aggiunse, afferrando un manico della borsa che aveva in spalla iniziando a frugarci dentro “l-la do direttamente a lei. Non c’è bisogno di disturbare il… signorino”. Ridacchiò nervosamente. 

Ma perché alla veneranda età di ventuno anni continuo ancora a fare figuracce davanti a tutti manco fossi una ragazzina di tredici?

Nathalie entrò in panico (ovviamente, senza darlo a vedere). Marinette stava frugando con fare impacciato nella borsa alla ricerca disperata di qualcosa, a quanto pare la giacca di Adrien. Non poteva permettersi di prenderla e farla andare via. 

“Mi dispiace, signorina” disse allora, e a quel tono di ghiaccio Marinette ebbe un sussulto, e smise di cercare di estrarre la giacca dalla borsa. “Il signor Agreste non vuole che accetti niente dai suoi ospiti, non se possono essere presi direttamente da lui o dal signorino. Venga, mi segua. Adrien la raggiungerà subito”. 

Adrien la raggiungerà subito. Un’improvviso moto d’ansia si impossessò di Marinette. Nathalie quasi si impressionò quando colse quella sfumatura di paura negli occhi azzurri dell’ospite, per cui preferì distogliere lo sguardo. Fece di nuovo cenno con la mano di seguirla, e si diresse, con la ragazza al seguito, verso l’altro capo dell’atrio. 

“Va bene, allora” accettò Marinette, per nulla convinta. Nathalie la sentì sospirare alle sue spalle, e mormorare qualche frase di incoraggiamento che non riuscì bene a comprendere. 

Spalancò le porte della sala da pranzo, e Marinette si sentì sopraffatta dalla vista di quella tavolata infinita. Si immaginò Adrien, giorno dopo giorno, mentre vi mangiava in completa solitudine (spesso glielo aveva raccontato nei panni di Chat Noir) e una morsa le strinse il cuore. 

A sinistra del tavolo c’era un grande caminetto in marmo bianco, sopra il quale troneggiava un quadro di famiglia, e intorno al camino quattro piccole poltroncine in pelle, che davano l’aria di essere molto, molto comode. Marinette avrebbe tanto desiderato sprofondarci dentro, talmente in basso da non riuscire a risalire più. I tacchi di Nathalie risuonavano ancora sinistri sul pavimento bianco e nero, il cui motivo ricalcava tanto il simbolo Agreste. Delle piccole farfalle bianche su uno sfondo di buio e oscurità. 

“Prenda pure posto su una di queste poltrone, signorina”, la invitò Nathalie. “Presto verrà servito il tè”. 

Marinette si allarmò. “Il tè?”, ripetè, perché le era parso di non aver capito bene. 

“Sì, signorina. Il tè” rispose Nathalie, come se quella fosse la frase più ovvia al mondo. Visitare casa Agreste e attendere nella sua enorme magione sorseggiando in preziosissime tazze di tè. 

E mi raccomando, badate bene a non versarne una singola goccia sulla pelle del divano o sul tessuto del tappeto!, scimmiottò Marinette nella sua testa. 

“O forse preferisce del caffè?”, le chiese Nathalie con falsa cortesia. 

Non sapeva perché, ma Marinette percepiva un velo di ironia nel suo tono, come se si stesse prendendo gioco di lei. Per questo, decise di raddrizzare la schiena e di darsi un po' di contegno. “Il tè va benissimo” disse, e fu contenta di essere riuscita a non balbettare. 

Nathalie sorrise con garbo. 

Sì, aveva visto bene Marinette. Nathalie aveva sorriso con garbo. 

Che bizzarria era mai quella?

“Perfetto, signorina” disse allora Nathalie. “Si sieda, il signorino ed il suo tè arriveranno in un istante”. 

Marinette si morse il labbro. Non era così che aveva previsto che andasse. Doveva soltanto lasciare la giacca per Adrien ed andarsene, poco importava che non lo avesse visto. Anzi, forse era meglio così, perché immaginava che anche per Adrien potesse essere doloroso vederla, e non avrebbe mai voluto recargli sofferenza. 

Come se non fosse lei la causa stessa del dolore con cui lui conviveva da anni, ormai. 

Dettagli. 

Guardando la segretaria lasciare la stanza con passo deciso, Marinette si convinse sempre di più di essere stata raggirata da quella donna subdola. Certo, non aveva idea del motivo per cui Nathalie potesse voler vendicarsi di lei in quel modo, ma si convinse che era andata proprio così. Quel suo sorrisetto sadico quando lei aveva accettato, seppur controvoglia, di restare, o il tono ironico con cui le si era rivolta per tutto il tempo. 

Forse voleva che Marinette pagasse per la sofferenza causata al suo amato signorino. Si chiese se Adrien si fosse confidato con lei, non certo riguardo le loro identità, ma in generale a proposito delle dinamiche del loro complicato rapporto. 

Marinette scosse la testa per scacciare quelle elucubrazioni. Nathalie stava solamente seguendo gli ordini di Gabriel Agreste, nulla di più. Forse col passare degli anni quella nota di sadismo che Marinette non ricordava si era di poco accentuata, ma di certo Nathalie non aveva intenzione di fargliela pagare per qualcosa torturandola in quel modo. 

Marinette si arrese al fatto di essere intrappolata in quella situazione, sola in una stanza enorme e soffocante al contempo. E le parve di capire forse per la prima volta quello che doveva aver provato Adrien tutti i giorni della sua vita dalla morte della madre, solo e senza nessuno con cui parlare. 

Con le gambe che ancora le tremavano dall’ansia e dal nervosismo, Marinette ripose la borsa sul tappeto, accanto ai piedi di una delle poltrone, e si sedette con tutta l’eleganza di cui fu capace sul divano. Aveva scelto una poltrona che non dava le spalle all’entrata, così che quando Adrien sarebbe arrivato… beh, se lo sarebbe ritrovato davanti. In effetti quella della poltrona non era una scelta molto intelligente. 

Ma non voleva sentirsi ancora più stupida cambiandola, anche perché era sicura che gli occhi minacciosi di Nathalie fossero in grado di osservarla anche dopo aver lasciato la stanza (Marinette sapeva benissimo che in realtà Nathalie non era dotata della vista a raggi X, e che era molto più probabile che delle telecamere la stessero riprendendo. Il che, pensò, era ancora più inquietante). 

Marinette saggiò con le mani il rivestimento morbido della poltrona su cui era seduta, e si appoggiò con delicatezza allo schienale. Solo per un istante si concesse di chiudere gli occhi, e godere della dolce sofficità del tessuto su cui poggiava il suo corpo. 

Inspirò profondamente, nel vano tentativo di calmare i suoi poveri nervi.

E si disse quasi rilassata quando un rumore di piedi in corsa e il tonfo di una porta che si apriva di scatto la ridestò dal suo apparente stato di calma. 

Davanti a lei, un particolare esemplare di Adrien Agreste - tutto sudato e col fiatone - si reggeva con una mano alla maniglia, e la fissava incredulo. 

Come se lei fosse puro frutto della sua immaginazione. 

Come se fosse impossibile vederla proprio lì, in carne ed ossa. Bellissima, nel suo leggero vestitino a fiori, e i capelli acconciati in una morbida crocchia dietro la nuca, cui alcuni ciuffi ribelli erano sfuggiti. 

“M-Marinette”, sussurrò dopo qualche istante perso a osservarla, gli occhi spalancati dalla meraviglia. 

Non osando alzarsi in piedi - sicura che le gambe non le avrebbero retto - Marinette sorrise sinceramente, perché la sola vista di Adrien davanti a lei le aveva riempito il cuore di felicità. 

E anche se sapeva che quella felicità era sbagliata ed un sentimento da reprimere, ignorò la voce della sua coscienza, e si concentrò solo sul meraviglioso sorriso che Adrien le regalò, in risposta al suo. 

 

[continue…]

 

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Capitolo 4
*** III. Câlin ***


III. Câlin

 

 

1. 

 

Non appena aveva ricevuto il messaggio di Nathalie, Adrien aveva iniziato una corsa contro il tempo cercando di arrivare a casa il prima possibile. 

Cosa cavolo significava il messaggio: 

 

Marinette Dupain-Cheng è qui ad attenderla. La tratterrò fino al suo ritorno. 

 

!?!?!

Marinette era a casa sua? Lo stava aspettando a casa sua? Era andata a trovarlo, ma perché? Perché, se l’altra sera lo aveva cacciato via per l’ennesima volta? Perché, se gli aveva fatto bene intendere che tra di loro non ci sarebbe mai stato niente?

Perché perché perché

Adrien sapeva soltanto una cosa in quel momento. Che doveva muoversi. Se davvero Marinette era a casa sua per vedere lui - per vedere lui!!! - allora non poteva sprecare neanche un secondo di tempo. 

E, visto che era bloccato in un ingorgo poco fuori Parigi, aveva deciso che l’unico modo per arrivare in fretta a casa fosse usare i propri poteri a scopo personale. 

Solo questa volta, si disse. 

Non ci sarebbe stato nulla di male. 

Per questo Nathalie lo guardò con faccia sorpresa quando se lo ritrovò davanti dopo solo quindici minuti da che gli aveva inviato il messaggio, quando sapeva che per tornare a casa avrebbe dovuto impiegarci come minimo un’ora. 

E dire che aveva inventato tutto un nuovo protocollo sull’accoglienza in casa Agreste - e aveva anche introdotto il rito del tè - per trattenere la ragazza, quando in realtà Marinette avrebbe dovuto attendere solo pochi minuti. 

L’unica spiegazione che Nathalie riuscì a trovare per giustificare quell’apparizione fulminea era che il Dio Amore avesse dotato Adrien di ali di piume bian… 

Nathalie scosse la testa. Ridicolo

Scacciò quei pensieri con un battito di ciglia. Non aveva importanza come Adrien fosse riuscito ad arrivare fin lì in così poco tempo, non quando avrebbe potuto vedere Marinette,  parlare e forse chiarire con lei e…

Sotto sotto - ma proprio sotto - Nathalie era per davvero un’inguaribile romantica, o forse voleva soltanto bene ad Adrien, e sperava che lui trovasse finalmente la felicità. 

 

***

 

Quando Adrien si ritrovò, sudato e senza fiato, nell’atrio di casa sua, diresse freneticamente lo sguardo in ogni angolo della stanza per individuarla, e rimase un poco deluso quando invece scorse solo Nathalie. 

Nathalie, impegnata a spingere un elegante carrellino tra le mani - con sopra una montagna di tazzine e teiere e di altri gingilli atti ad inaugurare il nuovo rito del tè - e con indosso un grazioso grembiulino bianco ricamato ai bordi.

Nathalie. 

Per poco Adrien non scoppiò a ridere. E non solo per dare sfogo a tutta l’ansia che aveva accumulato negli ultimi minuti - che era tanta - ma perché chiunque avesse conosciuto Nathalie sarebbe scoppiato a ridere di fronte a quella scena davvero molto singolare. 

“S-signorino, è già arrivato?”, mormorò in un sussurro Nathalie, di nuovo le sopracciglia leggermente inarcate e la pelle della fronte increspata. A furia di provare emozioni, quel giorno, di sicuro le sarebbero apparse delle rughe sulla fronte. 

Accidenti. 

Adrien trattenne un sorriso, mentre cercava di riprendere fiato. “È qui?”, chiese soltanto. 

Nathalie annuì, indicando la porta della sala da pranzo. Il sorriso che Adrien le rivolse a quel gesto la ripagò di tutti i suoi sforzi e delle future rughe, e forse anche di più. 

Con il cuore che le batteva forte (non sapeva neanche lei perché), seguì con lo sguardo la figura di Adrien dirigersi di corsa verso la sala da pranzo, spalancare la porta e fermarsi incredulo, appoggiato allo stipite, come se la vista della persona di fronte a lui fosse troppa da reggere in un solo momento. 

“M-Marinette?”, lo udì sussurrare meravigliato. 

E allora, con un timido sorriso, Nathalie dichiarò svolto il suo compito. Ora sarebbe toccato a loro due risolvere le cose. 

Adesso, però, rimaneva la domanda: che cavolo ci avrebbe fatto con gli arnesi per il tè?

 

*** 

 

Adrien vide Marinette sorridere e sospirare sollevata, come se un peso le fosse appena stato tolto dal petto. La vide contorcersi le mani in grembo, forse troppo agitata per alzarsi e andare a salutarlo, ma… ma… 

Le sembrò davvero contenta. 

Marinette era contenta di vederlo. 

Il cervello di Adrien ripetè quel singolo pensiero più e più volte, perché era, a dir la verità, ancora piuttosto scettico (il cervello, non Adrien: lui ormai era completamente andato), ma anche perché era passato talmente tanto tempo da che si era ritrovato ad elaborare una simile informazione che non era più tanto abituato. 

Qui fu il cuore a venirgli in soccorso - neanche lui era più abituato, però si mise a battere forte lo stesso. Quello non era un sogno. 

Oh, no, il cuore lo sentiva. Lei era davvero lì. Era venuta lì da lui, per lui. Forse ci aveva ripensato, forse aveva trovato un modo, forse…

Forse forse forse. 

Adrien si teneva ancora appoggiato - o meglio, ancorato - alla maniglia di ottone della porta, perché anche lui, come Marinette, si sentiva troppo agitato per reggersi in piedi da solo. 

Passarono secondi sospesi nel vuoto, in cui i contorni del mondo intorno a loro si fecero sbiaditi. Esisteva soltanto la figura dell’altro, quella sì che era nitida, chiara, bellissima.

La luce filtrava dolcemente dalle grandi vetrate in fondo alla stanza, e diffondeva tutto intorno un'atmosfera di calore e pace. I ticchettii di un orologio risuonarono come lontani anni luce, sostituiti dal rimbombo dei loro cuori nelle orecchie.  

Sembrava davvero che il tempo si fosse fermato, e tutti e due trattennero il respiro, incapaci di fare altro.

Adrien osservò Marinette, 

bellissima bellissima.

Le parve più bella che mai, perché era tanto che non la vedeva sorridere felice - felice di vederlo - e sentì il petto sussultare quando le sue labbra dolci e rosse si schiusero e sussurrarono piano: “Adrien?”. 

Quella sola parola, il suo nome, pronunciato dalla voce di Marinette, suonò così caldo alle orecchie di Adrien. Un invito, una richiesta. 

Un richiamo. 

Senza che se ne rendesse conto, Adrien lasciò il porto sicuro della maniglia della porta, si slanciò verso di lei, e in ampie falcate (che non ricordò poi di aver percorso), la raggiunse. 

Marinette lo accolse alzandosi in piedi, e se lo ritrovò di fronte, e trattenne il fiato perché non ricordava che fosse così alto. Alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi, e quando i loro sguardi si incrociarono, scoprì piccole lacrime di gioia e libertà rigare il volto di Adrien. 

Stava piangendo. Stava piangendo per lei, perché era felice di vederla. Il cuore di Marinette saltò un battito, due, e poi riprese a battere selvaggiamente. I battiti erano talmente forti che le rimbombavano nelle orecchie. Quelli, insieme col suono dolce del respiro di Adrien. Quel respiro sarebbe stato caldo sulla sua pelle, Marinette lo sapeva. Caldo e da brividi. 

Si trovavano ancora a pochi passi l’uno dall’altra. 

Pochi passi li separavano. 

Sembravano finitezza e immensità al contempo, perché erano ancora troppo lontani per toccarsi, ma così vicini dopo tanti anni separati. 

Così vicini che se Adrien avesse teso un braccio, sarebbe riuscito ad accarezzare la guancia di Marinette, morbida e imporporata da un’adorabile rossore. E sarebbe stato capace di sfiorare con il pollice le sue labbra rosse, così rosse che sembravano ricoperte dal succo di un frutto maturo. E ne sentiva già la morbidezza sulla mano e sulle sue labbra che…

Che non potè più trattenersi. 

Oh, non ce la fece più. 

Perché erano anni che desiderava stringerla tra le braccia, accarezzarla e annusarla e baciarla, e non lasciarla andare più. Mai più. 

Per questo, prima che lei potesse fare nulla per fermarlo, la raggiunse con due passi e… l’abbracciò. 

L'abbracciò. Che termine banale per descrivere quello che fece. 

Le circondò la vita con le braccia e la strinse forte a sé, e tuffò la testa nel suo collo e inspirò profondamente il suo profumo idillico. Quel profumo. Non appena gli lambì i polmoni, Adrien si sentì rinato. Ma non si limitò a fare questo. Oh, no

Le sue mani continuavano a muoversi freneticamente sulla schiena di Marinette, come a verificare che lei fosse tutta intera tra le sue braccia. 

Sotto di lui, Marinette sembrava una bambola inerte, e non aveva la più pallida idea di quello che fosse accaduto se non quando… se non quando… 

Avvertì le labbra di Adrien respirare contro il suo collo, e lei tremò come una foglia sotto il suo tocco, e poi… -  occavoli, era un bacio sul collo, quello? Un bacio sul collo, le labbra di Adrien premute contro la sua pelle delicata e profumata. Un bacio sul collo, e poi un soffio e un altro bacio. 

Marinette sentì migliaia e migliaia di farfalle risvegliarsi tutte insieme e sventolare le loro piccole, minuscole ali contro ogni anfratto del suo povero corpo, e poi le labbra e le mani di Adrien tastarla e assaporarla, e la sua voce sussurrare il suo nome come fosse quello di una dea greca, e Marinette non riuscì a trattenere un gemito. 

Un piccolo, perfetto gemito le sfuggì dalle labbra, e Adrien lo udì distintamente, perché il suo orecchio destro era proprio lì accanto. La strinse ancora più forte, e Marinette percepì alcune lacrime bagnate sulla pelle della spalle e del collo. 

Poi, siccome le sembrava di non star partecipando attivamente a quel momento magico e bellissimo - e infatti era ancora intrappolata contro il corpo di Adrien - cercò di liberare le braccia dalla sua stretta, e poi gliele avvolse intorno, tuffandosi anche lei nel suo collo, e tornare ad annusare il suo profumo, così vivido e intenso che al confronto l’odore della giacca di pelle non sembrava che una pallida imitazione. 

Com’era riuscita a sopravvivere tutto quel tempo senza il suo profumo a riempirle i polmoni? Senza quel respiro a farle battere il cuore? Marinette non lo sapeva, e sinceramente poco le importava, adesso.  

Voleva solo pensare a godersi quell’abbraccio, alla morbidezza dei suoi capelli biondi tra le dita, alle mani di Adrien che le accarezzavano la schiena e la stringevano forte, al suo respiro caldo contro il collo, e a quell’immensa felicità che apparentemente veniva solo da un semplice abbraccio. 

Abbraccio

Era solo un abbraccio, si ripetè. Non c’era niente di male vero?  

Non c’era niente di male. 

Oh, cavolo. Era tutto sbagliato. Tutto, tutto sbagliato. Lei tra le braccia di Adrien: aveva giurato che non sarebbe accaduto mai più. Perché era stata così debole, perché aveva finito per cedere?

Un nuovo, meraviglioso bacio fu depositato sul suo collo. Era una sensazione talmente bella che Marinette pensò sarebbe potuta vivere di Adrien e baci sul collo per il resto della sua vita. 

Solo che…

Solo che…

Adrien non poteva far parte della sua vita. Non poteva. 

Non potevano

Un muto terrore prese il sopravvento nel cuore di Marinette. Un terrore cui non era capace di dar nome. Perché l’idea di separarsi adesso dalle braccia di Adrien, di venire strappata dal suo corpo, le parve peggio che morire lì, all’istante. Con lui che la stringeva e l’accarezzava e piangeva e la baciava sul collo. Sarebbe stata una bella morte, pensò. 

Milady” mormorarono per l’ennesima volta le labbra bollenti di Adrien contro la sua pelle. 

Sbagliato sbagliato sbagliato. 

Marinette premette con forza i palmi sul suo petto, nel tentativo di allontanarlo, perché doveva porre fine a quello strazio. Più avrebbe aspettato, peggio sarebbe stato.  

Adrien la guardava confuso. Teneva ancora le mani poggiate sulla sua vita, e ci stavano così bene, come se fossero state modellate per toccarla con perfezione proprio in quel punto. 

“Marinette?”, chiese in un bisbiglio. Era incredibile come un solo nome potesse essere pronunciato in modi tanto diversi, ad esprimere emozioni diametralmente opposte. Se solo pochi istanti prima Adrien l’aveva chiamata con un tono d’amore e felicità, adesso quella stessa parola suonava amara e spezzata tra le sue labbra.

Marinette si permise di guardarlo un’ultima volta con la speranza che tutto non sarebbe andato a rotoli. Poi si ricordò quello che doveva fare, e abbassò lo sguardo, perché sentiva che non ce l’avrebbe fatta ad affrontarlo. 

Come sempre, era tutta colpa sua. Era stato un terribile errore andare da lui: gli aveva dato delle false speranze, e questo era ancora peggio che rifiutarlo con uno sguardo di ghiaccio. Perché gli aveva fatto credere, seppur per pochi istanti - che sarebbe stata sua per sempre e che avrebbe accettato il suo amore, e poi si era tirata indietro. 

Era tutta colpa sua. 

Marinette iniziò a piangere. Silenziosamente, certo, ma Adrien se ne accorse. Anche se lei teneva la testa bassa - troppo codarda per guardarlo - lui se ne accorse. Teneva ancora le sue mani intorno alla vita di Marinette quando un moto di rabbia lo travolse. Tutta la rabbia che aveva incassato - rifiuto dopo rifiuto, anno dopo anno - emerse in un getto incontrollato. La sentì invadergli il cuore e la mente, e per un istante ci vide nero. Solo un istante. 

Un istante in cui si rese conto che lei lo aveva illuso. Che lei gli aveva fatto credere che ci sarebbe stata una possibilità per loro, quando in realtà non era così. 

In quell’istante in cui vide tutto nero udì i singhiozzi strozzati di Marinette, e poi un gemito di dolore pronunciato dalle sue labbra: “Mi dispiace, Adrien. Mi dispiace”. Marinette lo colpì debolmente sul petto. “Volevo soltanto riportarti la giacca, non pensavo che…”.

“Non pensavi che…?”, le chiese tagliente Adrien, e Marinette alzò di scatto gli occhi su di lui, perché non gli aveva mai sentito quella rabbia nella voce. 

“Non pensavi cosa, Marinette? Che per una volta che eri tu quella a venire da me io non pensassi - non sperassi - che qualcosa fosse cambiato?”, le urlò in faccia con una voce disperata. "Che mi avresti detto di sì? Era questo che non pensavi?”, e - vedendo che lei lo fissava con gli occhioni blu bagnati e spaventati, senza osar dire parola - la spinse via con uno scatto delle mani. Marinette indietreggiò di qualche passo, barcollando. Si tenne in piedi per qualche secondo, con le gambe tremanti. Poi le ginocchia le cedettero e si accasciò a terra, sul morbido tappeto, e si nascose il viso tra le mani. 

Adrien la fissò terrorizzato, ma la rabbia era ancora troppo potente e gli impediva di pensare ad altro se non all’azione subdola di Marinette. 

“Mi dispiace, i-io… avevo solo voglia di rivederti. Volevo vederti, Adrien” mormorò confusa, le mani ancora premute sul viso. Aveva iniziato a singhiozzare violentemente. 

Adrien non riuscì a dire niente. 

“Volevo solo vederti”, ripetè Marinette, in preda all’angoscia più profonda. Adrien non ce la faceva più a vederla così, rannicchiata a terra mentre piangeva e gli diceva che le dispiaceva. Era una scena miserabile. Entrambi, erano due miserabili. 

“Volevi solo vedermi, Marinette?”, le chiese con un tono pieno di amarezza. La sua voce gli suonò stranamente bassa, se paragonata alle grida di prima. “Io volevo solo amarti, Marinette. Amarti ed essere felice. N-non chiedevo altro” aggiunse, e le corde vocali gli tremarono. La rabbia era meno furente di prima, ma c’era ancora. Piano piano, stava facendo spazio al dolore. Un dolore freddo e vuoto, buio e profondo. Lo avrebbe inghiottito presto, Adrien lo sapeva. C’era passato già altre volte, ognuna delle quali gli era sembrata peggio. 

“Adrien…”, mormorò Marinette, e finalmente alzò lo sguardo su di lui. Gli occhi erano lucidi, le ciglia imbrattate di lacrime. Il volto l’espressione dell’infelicità. Sembrava colpita dalle sue parole, come se Adrien non gliele avesse mai rivolte prima. Patetica, pensò lui. Le voltò le spalle, perché improvvisamente non sopportava la sua vista. Non sopportava di essere osservato da quegli occhi color del cielo, perché sembrava che potessero leggere la sua anima senza alcuna difficoltà. 

“Ti prego, va’ via” le disse allora. Non avrebbe mai creduto che un giorno sarebbe stato lui a rivolgerle quelle parole. A cacciarla. Ma la presenza di Marinette in quella stanza stava diventando sempre più soffocante. 

“Cosa?”, udì un bisbiglio incredulo alle sue spalle. 

"Vorrei che te ne andassi, adesso, Marinette”, le rispose con un tono…vuoto. Privo di ogni emozione. 

Marinette si rimise in piedi. Avvertì una stilettata al cuore. 

Faceva male, malissimo, sentirsi rivolgere quelle parole. E pensare che era quello che lei gli aveva ripetuto ogni volta che si erano visti - non molte, comunque - negli ultimi quattro anni. 

Marinette si passò una mano sul volto, nel vano tentativo di asciugarsi le lacrime, riprese la borsa che era ancora poggiata accanto alla poltroncina in pelle bianca che aveva scelto per guardarlo arrivare. Tirò su col naso, poi si diresse verso la porta. Doveva passare accanto ad Adrien per uscire dalla stanza, e quando i loro corpi si sfiorarono, entrambi avvertirono un sussulto nel petto. Ma finì presto, e Adrien non potè far altro che guardare la figura di Marinette che apriva la porta e se ne andava - se ne andava - e stavolta fu lui ad accasciarsi sul pavimento. 

Iniziò a piangere e a singhiozzare, e perse totalmente la percezione del tempo e dello spazio, perso nel suo mondo di buio e angoscia. 

L’unica cosa che avvertì, pochi o tanti istanti dopo, fu la presenza confortante di Nathalie accanto a lui. Si era inginocchiata sul pavimento e gli teneva una mano premuta sulla schiena. Lo aveva preso tra le braccia e stretto al petto caldo, e lo consolò fino a quando i suoi singhiozzi non furono altro che spasmi leggeri, e i suoi occhi erano troppo stanchi per rimanere aperti. 

Lo consolò proprio come avrebbe fatto sua madre, pensò Adrien. 

 

2. 

 

Nino avvertì uno, poi due colpi alla porta. Suonavano timidi e leggeri, e gli parve strano. Alya era sempre molto rumorosa quando bussava alla porta. Perché si trattava di Alya, giusto? Chi diamine poteva essere altrimenti, a quell’ora della sera?

Nino si alzò controvoglia dal letto e attraversò l’appartamento buio cercando di soffocare gli sbadigli. 

La casa era vuota: i genitori erano partiti per il fine settimana in un piccolo paesino di provincia, mentre il fratello era rimasto a dormire da un amico. Si lamentava sempre quando doveva rimanere da solo con Nino, perché lui lo sgridava per ogni monelleria che combinava, e Chris sapeva che avrebbe fatto la spia ai genitori, una volta di ritorno.  

Quindi ogni scusa era buona per lasciare Nino a casa da solo. Non che a lui dispiacesse, certo. Men che meno se Alya andava a trovarlo. 

Deve essere per forza lei, pensò, cercando a tentoni con la mano l’interruttore della luce. Chi altri, sennò?

Forse i suoi genitori che avevano deciso di anticipare il ritorno? Forse Chris che ne aveva combinata un’altra delle sue? 

Nino si affrettò ad accendere la luce dell’ingresso e ad aprire la porta. 

Sull’uscio di casa, scorse la figura di Alya. Sembrava stranamente piccola, con le spalle ricurve e il capo chino a terra. 

“Alya?”, la chiamò sorpreso Nino. Forse stava ancora sognando. 

Alya alzò lo sguardo su di lui, e solo allora Nino notò che aveva pianto. Osservò la sua ragazza mordersi un labbro, poi chiedere debolmente: “P-posso restare qui con te, stanotte?”.

Lui alzò le sopracciglia. “Certo che sì”, rispose subito, scostandosi dalla porta per farla entrare. “È…è successo qualcosa?”.

Alya scosse la testa con un sorriso triste sulle labbra. Quando lui richiuse la porta alle sue spalle, gli infilò le braccia intorno al petto e si sciolse nel suo calore. “Non mi va di parlarne, voglio… solo stare qui con te”.

Nino ricambiò l’abbraccio, ancora confuso dallo strano comportamento di Alya. L’aveva vista sempre felice, e tante volte arrabbiata, ma mai così triste, inerte… spenta. 

Se la strinse al petto e le soffiò un leggero bacio tra i capelli. “Lo sai che puoi venire da me ogni volta che ne hai bisogno” le sussurrò dolcemente. “Vuoi che ti prepari del tè? O un po' di latte?”

Alya scosse la testa. Cinse il corpo di Nino con più decisione, e si permise di lasciare che poche, silenziose lacrime gli scivolassero sul collo. 

Sentì Nino poggiare la testa sulla sua. Il suo respiro la cullò per qualche minuto, fino a che lui non la condusse in camera da letto. Le tolse le scarpe e la aiutò a svestirsi, poi le prestò una delle sue magliette. Quando le indossava Alya rideva sempre, perché le arrivavano fino alle ginocchia e lo trovava buffo. Questa volta non rise. 

Nino le sfilò delicatamente gli occhiali e li poggiò sul comodino, insieme ai suoi. Poi si stese accanto a lei, e la circondò con le braccia. 

Alya sospirò. Ora si sentiva molto meglio. 

Lì, tra le braccia di Nino, non avrebbe sentito i singhiozzi angoscianti di Marinette rimbombarle nelle orecchie, ora dopo ora dopo ora. 

Lì si sentiva protetta, al sicuro e amata, e niente avrebbe interrotto i suoi sogni. 

Alya si sentì subito una codarda. 

 

 

3. 

 

Gabriel Agreste non era un uomo che si arrendeva facilmente. 

Oh, no. 

Aveva passato gli ultimi cinque anni - ogni giorno minuto secondo - a cercare di riportare sua moglie indietro. Di ridare una madre a suo figlio, e una vita ad un corpo apparentemente morto. 

Aveva provato di tutto, davvero di tutto. E adesso era stanco. 

Era stanco, perché aveva vagliato ogni singola possibilità, e non aveva trovato niente. 

Era stanco, perché ormai il suo corpo era solo un guscio vuoto, e il cuore al suo interno incapace di provare emozioni. 

Se anche fosse riuscito a portare in vita Émilie, lui cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato ad essere un buon padre di famiglia, un buon marito? No, non poteva più. Non poteva

Anni e anni di tentativi avevano lacerato la sua anima, e ora non vi rimaneva dentro che buio e oscurità. 

Gabriel Agreste era stanco

Si trovava a Londra da circa una settimana, ed era da solo. A suo figlio e Nathalie aveva detto di essere partito per affari, ma era una bugia. 

Non sapeva neanche lui perché era andato a Londra. 

O forse sì. Forse perché era lì che lui ed Émilie si erano incontrati la prima volta, ed era stato un giorno bellissimo, che aveva cambiato in meglio la sua vita. 

Ma adesso Émilie non c’era più, e gli unici due motivi che potevano tenere in vita Gabriel erano suo figlio Adrien e la volontà di riportarla indietro.  

Aveva giurato che ci avrebbe provato ogni giorno della sua vita, per Émilie, perché lei gli aveva fatto conoscere l’amore e lui glielo doveva. 

Ogni volta che lo sguardo di Gabriel si posava su quel corpo inerme e bellissimo, la bile gli risaliva in gola. Era lui a dover stare in quella teca, non Émilie. 

Non Émilie e i suoi occhi serenamente chiusi, occhi verdi di cui probabilmente non avrebbe rivisto più il luccichio. Non Émilie e le sue mani piccole e sottili, che tante volte Gabriel aveva stretto tra le sue, e che tante volte avevano stretto quelle di Gabriel. Non Émilie, l’unica donna che era riuscita a vedere in lui quella bontà celata dietro una maschera di impassibilità, e che adesso, senza di lei, sembrava completamente perduta. 

Gabriel era un guscio vuoto. 

Il suo cuore non provava più emozioni. 

Non ce la faceva più a vivere con la speranza di provare e riprovare e forse riuscire a tenere di nuovo Émilie tra le braccia. 

Émilie Émilie Émilie. 

Gabriel stava diventando pazzo. Lo sentiva, in ogni fibra del suo essere. La pazzia stava prendendo piede nel suo animo corrotto, e Gabriel aveva paura. Perché sapeva di non essere più capace di controllarsi, e non voleva rischiare di ferire Adrien nell’immane tentativo di portare indietro Émilie. O forse aveva già perso anche lui. 

Per questo, con i suoi ultimi barlumi di ragione, Gabriel aveva deciso di andare a Londra. 

Per accarezzare un’ultima volta il ricordo puro di Émilie. E porre fine alla sua vita. 

A nessuno sarebbe mancato, pensò. 

Adrien probabilmente lo odiava, e se ancora non lo faceva, lo avrebbe di sicuro una volta scoperto tutto quello che aveva fatto. Gli aveva scritto una lettera, a lui e a Nathalie, ed una anche ad Émilie, anche se davvero non sapeva perché, visto che lei non l’avrebbe mai letta. 

Comunque, aveva scritto delle lettere, in cui rivelava chi era - Nathalie lo sapeva già - tutto quello che aveva fatto, i motivi per cui lo aveva fatto - anche se non valevano come giustificazione - e il motivo per cui aveva deciso di morire. 

Gabriel era stanco. Stava impazzendo. Aveva paura di nuocere ad Adrien. Il suo amato Adrien, per cui era stato il peggiore dei padri. Suo figlio non lo meritava. 

Mi dispiace, Adrien’ un sussurro tra le corde della sua anima. ‘Spero, un giorno, di riuscire ad ottenere il tuo perdono’. 

Gabriel Agreste era in piedi su di un tetto di un alto edificio nel centro di Londra. La sua morte avrebbe destato scalpore, ma a lui non interessava. Era proprio sul tetto di quell’edificio che per la prima volta gli occhi di Émilie avevano sciolto il suo cuore, ed era lì che voleva morire. 

Gabriel si mise in piedi sulla sottile balaustra del tetto. Era spessa soltanto pochi centimetri, ma riuscì a tenersi in equilibrio. 

Puntò lo sguardo in alto, verso il cielo stranamente limpido di Londra. Era azzurro terso, e Gabriel pensò che a Émilie sarebbe piaciuto, e lo avrebbe guardato con i occhioni scintillanti. 

“Émilie”. 

Fu questo l’ultimo nome che le sue labbra pronunciarono, prima di darsi una leggera spinta col piede e iniziare a cadere giù giù giù. 

Questo l’ultimo pensiero a cui andò la sua mente, prima che il suo corpo si schiantasse a terra. 

Crack

Fu l’unico rumore, e Gabriel Agreste era morto. 

 

[continue…]

 

 

 

Convenevoli finali:

Bene bene, le cose iniziano a farsi interessanti muahaha

Innanzitutto, perdonatemi tanto se questo capitolo è più corto rispetto agli altri, ma inserire altre scene in cui farvi soffrire mi sembrava troppo una crudeltà, quindi credo proprio dovrete aspettare la prossima settimana per sapere cosa succederà ^^’

Perché, non c’è che dire, questo capitolo è stato proprio intenso (e devo ammettere che per il momento è anche il mio preferito xD). 

Comunque dai, un altro po' di sofferenza e poi forse questa storia vedrà arrivare un po' di giuoie (vi assicuro che quando avevo iniziato a scriverla non doveva essere così drammatica ahah). 

Tra parentesi, oggi è uscito anche Vérité e non potevo essere più contenta e sofferente, perché è stato un episodio bellissimo e ricco di emozioni, e quasi quasi ci scappava la lacrimuccia. Quasi, eh. 

Bando alle ciance, sono tanto curiosa di sapere cosa ne pensate, quindi vi rimando ai commenti!!

 

A presto, 

Tallita_

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Capitolo 5
*** IV. Lettre ***


IV. Lettre 

 

 

1. 

 

‘Non siate annoiati, ma di notizie assetati! Buongiorno, Parigi! Qui Nadja Chamack. Eccoci tornati dalla pubblicità con una delle notizie più sconvolgenti negli ultimi giorni: il suicidio del noto stilista Gabriel Agreste. A soli quarantadue anni ci lascia uno dei talenti più fenomenali della moda francese ed internazionale di questo periodo. Le circostanze della morte sono inequivocabili. È indubbio, infatti, che lo stilista sia morto suicida dopo essersi gettato da un comunissimo palazzo nel centro di Londra. Sconosciute sono ancora le cause che lo avrebbero spinto a questo atto estremo: il figlio e la segretaria, apparentemente le persone a lui più vicine, non ci hanno ancora concesso alcuna dichiarazione. Anche la polizia ha preferito tenere segrete le proprie indagini. Che forse il signor Agreste non sia mai riuscito a dimenticare la scomparsa altrettanto tragica dell’amatissima moglie? Lo ritengo molto probabile, eppure non ne abbiamo ancora la conferma. Tutto è ancora avvolto da un’aura di mistero. Qui è tutto dallo studio, la parola alla nostra inviata Clara in diretta da Londra. Clara, ci sei?’

 

 

2. 

 

Caro Adrien, 

Così iniziava la lettera di suo padre.

Adrien non aveva ancora trovato il coraggio di andare avanti, di spostare lo sguardo oltre quelle due singole parole, scritte in una calligrafia corsiva rigida e… disciplinata. 

Proprio come lui, pensò. 

Aveva dispiegato la lettera circa un’ora prima, con le mani tremanti e le lacrime agli occhi. Era passata già una settimana da quando suo padre era morto, e finalmente gli avevano consegnato quello che lui gli aveva lasciato scritto.

Quando aveva preso la lettera tra le mani, Adrien aveva avvertito l’irrefrenabile impulso di stracciare la busta che la conteneva e divorare ogni singola parola al suo interno. 

Voleva sapere. Doveva

Poi, però, quando aveva fatto per aprirla, e aveva pensato che solo pochi giorni prima suo padre - suo padre, che ora non c’era più! - l’aveva pensata, scritta e tenuta in mano, si era fermato. Quindi era rimasto a fissarla per più di un’ora, perché strappare quella busta, per quanto delicatamente, gli dava l’impressione di profanare in qualche modo la sua memoria. 

Allora aveva passato un’ora a piangere, sudare, mordicchiarsi le unghie, disperarsi e ancora piangere. Poi si era fatto una doccia. In effetti, aveva sudato davvero tanto; e i suoi nervi erano talmente tesi che neanche un potente getto di acqua bollente era servito a rilassarli. 

E quando finalmente aveva trovato il coraggio di aprirla… si era bloccato alla prima riga. E di nuovo era cominciata tutta la processione di lacrime, sudore e… insomma, abbiamo capito. Adrien sentiva di star impazzendo. 

Caro Adrien Caro Adrien Caro Adrien. 

Aveva appreso della morte di suo padre da Nathalie, dopo un solo giorno dal litigio con Marinette, proprio quando gli sembrava che le cose nella sua vita non potessero andare peggio. 

Ed invece, eccola. Un’altra disgrazia. 

D’altronde doveva pur esserci un motivo, pensò Adrien, se Maestro Fu lo aveva scelto come il portatore del Miraculous del Gatto Nero. 

La sfortuna lo perseguitava

Aveva appreso la notizia della morte di suo padre, e la sua prima emozione era stata un senso di… ovattamento. 

Sì, si era sentito prigioniero come di una bolla ovattata, da cui tutto il resto del mondo pareva lontano anni luce, irraggiungibile. Era impossibile per lui tornare a vivere come una persona normale, sorridere giocare ridere scherzare come una qualunque persona di quel mondo distante e inaccessibile. 

Sì, ancora adesso si sentiva in quella bolla ovattata, chiusa in un buco nero e buio, lontano da tutto e da tutti. 

Tuttavia, adesso che Adrien - suo malgrado - aveva una certa esperienza in materia di lutti familiari, sapeva che in realtà il momento peggiore non è quello in cui si viene a conoscenza della morte di una persona cara. Certo, quell’istante, traumatico e indimenticabile, resterà scolpito per sempre nella memoria di chi lo vive, e tornerà molte volte, in futuro, a tormentarlo e perseguitarlo, come se provasse piacere a farlo soffrire. 

Ma no, il peggio era iniziato dopo

Giorni dopo, Adrien quando si era accorto della sua assenza in casa. Sebbene suo padre non fosse mai stato una persona particolarmente partecipativa alla vita familiare, aleggiava in quell’enorme villa la mancanza di qualcosa. L’assenza di qualcuno. 

Mai casa sua era stata tanto vuota e silenziosa. L’unico rumore che risuonava era quello dei singhiozzi di Adrien, che rimbombavano giorno e notte, e sembravano non esaurirsi mai. Perché ogni giorno sembrava sempre peggio, e quando pensava di aver toccato il fondo, ecco che subito un’altra enorme voragine gli si apriva sotto i piedi e lui continuava a sprofondare giù giù giù. 

Suo padre era stato un pessimo genitore, questo Adrien lo sapeva. Ma sapeva anche che era l’unica persona che gli era rimasta, e adesso che lui non c’era più aveva sentito per la prima volta l’orribile sensazione di averne bisogno. Avrebbe dato tutto quello che aveva per vederlo un’ultimo istante, per abbracciarlo ed imprimere nella mente i lineamenti spigolosi della sua figura austera. Di salutarlo, e di digli che, nonostante tutto, gli voleva bene. 

Che, nonostante tutto, lui rimaneva sempre suo padre. 

E per quanto fosse stato assente, severo, freddo, distante, Adrien non poteva fare a meno di volergli bene, e di volerlo lì con lui in quel momento difficile. 

Immaginò di averlo di fronte, di abbracciarlo e di percepire in quell’abbraccio il calore del suo corpo. 

Il calore del suo corpo. 

Impossibile. 

D’improvviso l’idea di morire gli parve così bella, invitante. Ma Adrien l’abbandonò subito con disgusto, perché non si sarebbe mai comportato in maniera così vigliacca, come aveva fatto suo padre. Adrien avrebbe vissuto, perché forse sperava che la vita avesse ancora qualcosa da offrirgli. E poi, lui rimaneva pur sempre Chat Noir, e sebbene volesse tanto odiare Marinette - con ogni fibra del suo essere - non poteva abbandonare Ladybug e la loro missione di sconfiggere Papillon. 

Caro Adrien,

Rilesse. E ancora e ancora. Tanto che ogni singolo tratto, curva o linea di quelle due parole gli si impresse nella mente in maniera così indelebile che Adrien era pronto a giurare di riuscire a riprodurle alla perfezione. Sarebbero parse scritte dalla mano stessa di Gabriel, con quella sua calligrafia rigida e composta. 

Adrien non aveva mai fatto caso alla calligrafia di suo padre, forse perché lui aveva una segretaria che faceva tutto al posto suo, o semplicemente perché non aveva mai scritto niente che potesse pensare di condividere con suo figlio. 

Ora che era morto, Adrien non avrebbe più potuto vederlo scrivere. Non avrebbe potuto più fare tantissime altre cose. Neanche odiarlo, pensò. Neanche urlargli contro la sua rabbia, il suo dolore. 

Neanche dirgli che gli voleva bene. Nonostante tutto. 

Sentì il cuore invaso da un infido senso di colpa. Adrien non aveva mai cercato di fare caso alla calligrafia di suo padre prima, e, anche se questa poteva sembrare una cosa stupida, c’erano così tante altre cose a cui poteva non aver pensato mai, e anche se non ancora le sapeva tutte - ed era convinto che giorno dopo giorno gli si sarebbero rivelate e lo avrebbero tormentato all’infinito - si sentiva in colpa, perché non aveva mai avuto l’esigenza di scoprirle.

Forse, dopotutto, non era solo Gabriel ad essere stato un pessimo genitore. 

Anche lui era stato un pessimo figlio. 

Ma adesso non aveva importanza, pensò Adrien, perché lui non era più il figlio di nessuno, ormai. Era solo uno sventurato ragazzo rimasto orfano a ventuno anni, e tutti avrebbero provato pietà quando lo avessero incrociato per strada. 

Senza che se ne rendesse conto, il suo pensiero andò a Marinette. Era inevitabile, non poteva impedirselo. Pensava a lei sempre, anche in un momento come quello. Cercò di pensare a come lo avrebbe consolato, ai consigli che gli avrebbe dato. AL modo in gli sarebbe stata vicino in un momento come quello. Avrebbe asciugato le sue lacrime con le sue mani bianche e affusolate? Lo avrebbe stretto forte forte tra le braccia, soffocando i suoi singhiozzi a suon baci?

Baci. 

Loro si erano scambiati un unico bacio - che lui potesse ricordare - e quel ricordo gli parve al contempo lontanissimo e vivido nella sua mente. Adrien pensò che se in quel momento Marinette gli avesse regalato un altro bacio lui si sarebbe sentito un poco meglio. Un poco, sì. Ma comunque meglio. 

Caro Adrien Caro Adrien Caro Adrien. 

Guardandola da fuori, la sua vita gli sembrò così patetica. Davvero patetica. 

Adrien continuò a rigirarsi la lettera tra le mani. Era piuttosto lunga, quattro fogli avanti e retro, dalla scrittura fitta e ordinata. In quel momento l’aveva richiusa a metà, perché improvvisamente quel Caro Adrien, gli sembrava una presa in giro. 

Se veramente era stato caro a suo padre, perché lo aveva lasciato solo? 

Perché perché perché. 

Forse la risposta era in quella lettera. 

Adrien si passò le mani sui capelli, in un gesto di disperazione. Non sapeva più cosa fare, come agire. Voleva solo starsene chiuso nel suo dolore, libero di piangere e urlare, e non avrebbe mai più dato fastidio a nessuno. 

Cosa gli avrebbe detto Marinette, se fosse stata lì con lui? Adrien sentì l’impellente bisogno fisico di stringerla tra le braccia. Lanciò un grido di frustrazione, mentre continuava a stringersi i palmi contro le tempie, nell’invano tentativo di sopprimere i suoi pensieri. 

Caro Adrien Caro Adrien Caro Adrien.

Con uno scatto, Adrien riprese la lettera in mano e la dispiegò per bene con i polpastrelli. Finalmente, riuscì a sorpassare quelle due orribili parole, e…

E scoprì tutta la verità. 

Oh, sì. Proprio tutta

 

 

2. 

 

Marinette sentiva il bisogno di starnutire. Anche di piangere, in realtà, ma a quello cercava di non fare caso. 

Stava sbattendo l’impasto del pane con talmente tanta forza sul tagliere in legno della pasticceria che alcuni sbuffi di farina le erano arrivati fino al naso. Con il dorso della mano si pulì frettolosamente il volto. Aveva paura che se si fosse distratta dal suo lavoro anche un solo secondo di troppo avrebbe finito per pensare ad Adrien e…

Ed eccola che ci ricascava. 

Il problema era che non riusciva ad impedire alla sua mente di pensare a lui. Per quanto il suo ricordo la facesse star male, Adrien era diventato talmente importante per lei che le risultava impossibile fare finta che lui non esistesse. 

Marinette pensava sempre ad Adrien, nonostante tutto. Se lo immaginava in quel momento, carico di una sofferenza senza pari. Senza lei a consolarlo e a cercare di alleviare il suo dolore. 

Sciocca Marinette, ti rendi conto di non avere alcuna prerogativa su di lui? Su quali basi fondi le tue pretese di riuscire a consolarlo, quando sei proprio tu la causa di parte della sua infelicità? 

Marinette si sentiva duplicemente in colpa, perché era a causa sua se adesso Adrien non voleva più vederla. Era causa sua se adesso non solo lui si ritrovava a soffrire per la morte del padre, ma anche per gli esiti piuttosto… bruschi del loro ultimo incontro. 

Scosse la testa con forza, cercando di concentrare tutte le sue energie e i suoi pensieri su quel povero impasto, che stava stritolando e spingendo con forza contro il tavolo, quasi fosse l’incarnazione di quei problemi di cui tanto voleva liberarsi. 

Strizzò con forza gli occhi quando li avvertì farsi umidi, perché davvero non voleva piangere, in quel momento. Non voleva piangere più. In quei giorni aveva versato talmente tante lacrime che si chiedeva come fosse possibile averne ancora un’infinita riserva. Perché le lacrime erano sempre così pronte ad uscire, mentre la felicità era così restia a mostrarsi? Perché non poteva esistere anche una scorta inesauribile di felicità? Chiedeva forse troppo?

Da quasi due settimane Marinette viveva con un logorante senso di colpa e la voglia di piangere ad ogni ora del giorno e della notte. 

Fortunatamente per lei e per le persone che aveva intorno, aveva sviluppato una certa abilità nel trattenersi. Lavorando, ad esempio. Si era buttata a capofitto nel lavoro in pasticceria, e aveva addirittura proposto ai genitori di prendersi qualche giorno di pausa dal lavoro, ché avrebbe pensato a tutto lei. 

“Sicura, tesoro?”, le aveva chiesto sua madre guardandola con preoccupazione. 

Marinette si era costretta a mostrarsi il più convincente possibile. “Certo, mamma” aveva esclamato con un tono quasi normale, anche se non le riuscì di sorridere. “State tranquilli e godetevi un paio di giorni di meritato riposo. Sono sicura di farcela”.

Tom l’aveva guardata scettico, anche lui pieno d’apprensione. “E… e con l’università? Non devi studiare?”

Marinette aveva scosso la testa. “Ho tutto organizzato, davvero. Mi farebbe molto piacere occuparmi qualche giorno della pasticceria”.

A quel punto Tom e Sabine si erano guardati negli occhi, ancora non troppo convinti. Ma, se era quello che voleva Marinette, loro non avrebbero certo detto di no. 

Alla fine, avevano acconsentito, ma le avevano promesso che comunque non sarebbero andati da nessuna parte. Sarebbero stati lì, se lei ne avesse avuto bisogno, e Marinette ne fu inconsciamente molto sollevata. Perlomeno, se avesse combinato qualche pasticcio…

No, anche in quel caso se la sarebbe cavata da sola. Era o no Ladybug? Era sopravvissuta a cose molto peggiori. 

Oh, molto peggiori. 

Tutto sommato, il lavoro in pasticceria non si stava rivelando niente male. La teneva occupata, cosa di cui non poteva essere più grata, e le permetteva anche di dedicarsi ad una delle attività che le erano sempre piaciute di più. 

Tra l’altro, scoprì che una delle occupazioni che si rivelò particolarmente liberatoria era proprio impastare. La aiutava tantissimo sfogarsi con un’attività manuale, e le piaceva la sensazione di creare con le proprie mani qualcosa di buonissimo che altrimenti non sarebbe mai esistito. 

In effetti, in quei giorni aveva impastato un po' troppo, tanto che le vetrine della pasticceria brulicavano delle più disparate tipologie di pane, ognuno con forma, farina o semi differenti. 

Marinette continuava a impastare e infornare, a servire clienti e a decorare dolcetti. Il tempo le scivolava tra le mani senza che se ne rendesse conto, anche se si sentiva terribilmente stanca, e sapeva che una volta tornata a casa si sarebbe buttata sul letto e avrebbe dormito tutta la notte. 

Forse non avrebbe neanche sognato. E non ci sarebbero stati incubi. 

Le venne quasi da sorridere al pensiero. Poi si morse un labbro, perché sapeva fosse piuttosto improbabile dormire sogni tranquilli come quando era ragazza. 

Quando non ancora conosceva Adrien né Maestro Fu, e la sua vita era così facile - seppur tremendamente vuota, questo doveva ammetterlo - che il peggior incubo partorito dal suo inconscio riguardava un semplicissimo brutto voto a scuola. 

Tsk. Un brutto voto a scuola. 

Da quando era diventata Ladybug aveva iniziato a prenderne molti, soprattutto nel primo periodo, in cui la sua doppia vita era ancora una novità e non sapeva come comportarsi per riuscire a conciliare tutto. 

Solamente negli ultimi tempi - e, per fortuna, con l’inizio dell’università - gli attacchi di Papillon si erano diradati, e Marinette era tornata ad avere più tempo da dedicare allo studio e a se stessa. 

Ma… avrebbe volentieri scambiato quel poco di libertà in più con delle scuse per vedere Chat Noir, nonostante sapesse perfettamente che vederlo non avrebbe fatto bene a lei, né a lui. 

Comunque, adesso non aveva più importanza, perché Papillon non sembrava una minaccia incombente e tra loro due le cose non sarebbero potute andare peggio. 

Con un brusco tonfo, l’impasto sbatté sul bancone, ancora e ancora. 

Marinette sentiva le braccia dolere a furia di modellare quella materia morbida e compatta. 

Era talmente concentrata nel suo lavoro che per poco non le venne un accidente quando sentì una voce dal negozio chiamare il suo nome con insistenza. O meglio, chiamare qualcuno che venisse a servirla. 

Marinette storse leggermente il naso quando udì quella voce con più chiarezza. Le parve stranamente familiare. Tuttavia, non le riusciva proprio di collegarla ad un volto in particolare, forse perché era stanca morta, o perché non le importava più di tanto, visto che in pochi secondi ne avrebbe scoperto il proprietario. 

Tuttavia, quando uscì dalla cucina della pasticceria, si sorprese quando si trovò davanti Chloé. 

Chloé

Proprio la stessa Chloé che non vedeva da quanto… sei mesi? Marinette era sicura che Alya l’avesse invitata alla festa al loro appartamento, un paio di settimane prima. Da come le era parso di capire, non era potuta venire perché fuori città. Ad esser sincera, Marinette non aveva indagato oltre, perché, come sappiamo, quella sera alla festa aveva avuto ben altro a cui pensare. 

“Ah, Dupain-Cheng”, si lasciò sfuggire Chloé, apparentemente sorpresa quanto lei. “Non sapevo lavorassi qui” aggiunse dopo qualche secondo passato ad osservarla. Marinette corrugò leggermente la fronte, rendendosi conto del motivo per cui non aveva subito riconosciuto la sua voce. Aveva un’intonazione… diversa. Più gentile e calda. 

Chloé inarcò un sopracciglio, in attesa di una sua risposta. 

Marinette sbatté le palpebre come per destarsi da un sogno, poi sorrise debolmente, e scuotendo piano le mani in avanti disse: “Ciao, Chloé… ehm… Oh, no, non lavoro qui. Ogni tanto aiuto i mei genitori.”

Chloé la squadrò da capo a piedi, e non potè fare a meno di notare - oltre al grembiule sporco di farina e i capelli scompigliati - quanto Marinette apparisse dimagrita, debole e fragile. Era piuttosto pallida, e le guance un poco scarne. Gli occhi non le brillavano, e anche le labbra sembravano aver perso il loro abituale sorriso. 

Chloé corrugò le sopracciglia. “Tutto bene, Dupain-Cheng?”, le chiese, quasi preoccupata, notò stupita Marinette. 

Arrossì di vergogna. Non sapeva cosa rispondere. Si morse un labbro, e cercò di mettersi più dritta sulle gambe. “S-sì, tutto bene. E tu come stai? È passato tantissimo tempo dall’ultima volta che ci siamo viste”.

Chloé non si lasciò sfuggire il modo impacciato con cui Marinette aveva cambiato argomento. Tuttavia, fece finta di niente. E con un sorriso che fece dubitare Marinette di avere davanti la Chloé che aveva sempre conosciuto, rispose: “Io sto bene. Molto bene, in effetti”.

Marinette la guardò con occhioni azzurri spalancati. Certo, sapeva che nell’ultimo periodo Chloé era notevolmente migliorata. Era stato un percorso lungo e tortuoso, ma alla fine era riuscita a liberarsi dei traumi della sua infanzia. 

Ma… adesso era diversa, felice. I capelli biondi le ricadevano lucenti sulle spalle, e si sorprese ad osservare lo stile casual dei suoi abiti. Normalissimi vestiti, certo sempre nel suo stile, ma finalmente qualcosa che avesse l’aria di essere comodo e di non costare una fortuna. 

Chloé rise divertita. “Dupain-Cheng, mi guardi come fossi un alieno. Luka mi fa sempre notare quanto io sia migliorata, ma non credevo fino al punto di non farmi riconoscere da te”.

“Luka?”, chiese Marinette a fior di labbra. Cosa c’entrava lui, adesso?

“Ma come, Alya non ti ha detto niente? Ero convinta di sì”, le rispose sorpresa, avvicinandosi di più al bancone. Solo allora Marinette notò le sue scarpe da ginnastica colorate da macchie di colore sgargianti e dalle forme più disparate. Aveva visto bene. Scarpe da ginnastica colorate.

“Dirmi cosa?”

Chloé alzò le sopracciglia. “Ah, Dupain-Cheng. Sai che anch’io fatico a riconoscerti? Che fine ha fatto la dolce, gioiosa Marinette, perennemente col sorriso sulle labbra e sempre pronta ad aiutare gli altri?”

Marinette sorrise amaramente. “Me lo chiedo anch’io” rispose prima di rendersene conto. Strabuzzò gli occhi sentendo le proprie parole.

Patetica, si disse. 

Chloè scosse la testa schioccando la lingua.  “Dupain-Cheng, così non ci siamo. Affatto. Non riesco a credere che adesso sia tu ad aver bisogno di me”, disse con una punta d’orgoglio che la rese quasi irritante. 

“Io non ho bisogno di te” ribatté Marinette, incrociando le braccia. 

“Oh, certo che ne hai bisogno. Sembri un relitto vivente”, le rispose con tono secco, in cui Marinette riconobbe una pallida ombra della vecchia Chloé.

Strinse i pugni. “Senti, Chloé. Sono molto contenta di vederti così cambiata e…” la guardò negli occhi “sì, felice. Ma non ho proprio bisogno che anche tu mi faccia la paternale, perché…”

Una risata cristallina la interruppe. “Mi hai fraintesa, Dupain-Cheng. L’ultima cosa che voglio è farti una paternale”. Si sporse un poco più in avanti, dietro la vetrina dei dolci. “Solo”, disse con voce improvvisamente gentile “mi farebbe piacere ascoltarti, e ricambiare almeno uno dei tanti favori che mi hai fatto in passato. È anche grazie a te se oggi sono una persona migliore”. 

Marinette era sempre più stupita da quell’incontro e dalla loro conversazione. Mai si sarebbe aspettata un’offerta simile da una come Chloé. Si sentì punta nel vivo, perché mentre la sua amica aveva fatto passi da gigante lei era regredita in maniera spaventosa. 

Ancora una volta, si ritrovò senza niente da dire. “G-grazie, io…”

Chloé sventolò la mano in aria. “Oh, non c’è bisogno che mi ringrazi. E neanche che tu mi parli adesso. Tieni”, le disse, porgendole un bigliettino appena estratto dalla borsa, “questo è il mio numero. Chiamami quando vuoi. Mi piacerebbe prendere un caffè insieme”.

Marinette raccolse tra le dita fredde e sporche di farina quel foglietto. Continuava a fissare Chloé e poi il bigliettino estremamente confusa, le labbra schiuse e gli occhi azzurri pieni di sorpresa. 

Chloé rise. E non in modo irritante o derisorio. Assolutamente. “Non montarti troppo la testa, Dupain-Cheng. So ancora essere cattiva, se voglio.”

E prima che Marinette potesse trovare le parole per risponderle, Chloé si era già richiusa la porta del negozio alle spalle. E le uniche prove che lei fosse stata lì erano il tintinnio del campanello all’ingresso e il bigliettino di carta che teneva tra le mani. 

Soltanto quella sera, al caldo sotto le coperte, si rese conto del motivo per cui quella visita le era sembrata tanto strana. 

Chloé non aveva comprato niente. 

 

***

 

Uscita dalla pasticceria di Marinette, Chloé tirò un profondo respiro. Alya l’aveva avvertita sulle condizioni della sua amica, e nonostante questo, Chloé era rimasta profondamente scioccata dallo stato in cui aveva trovato Marinette. L’aveva vista spenta, vuota. La luce che la illuminava di solito… scomparsa. 

Uno degli idoli che avevano sempre ispirato il suo cambiamento, adesso non era altro che un fiore appassito. 

Si avviò lungo Rue Gotlib, attraversò Place des Vosges e riemerse sulla Place du Châtelet. Proprio lì, appoggiato con nonchalance alla fontana, si trovava Luka. Chloé sorrise, mentre sentiva il cuore battere forte mano a mano che si avvicinava a lui. D’improvviso, ogni pensiero cupo scemò via dalla sua mente. Senza che se ne rendesse conto, si ritrovava già tra le sue braccia, respirando con forza il suo profumo. 

“Com’è andata?”, le chiese lui tra i capelli biondi. “Sta davvero così male? Vuoi che vada io? Lo sapevo che dovevo andare, ma tu sei cocc…”

“Sai benissimo che se fossi venuto con me non avremmo risolto niente. Anzi, avresti peggiorato la situazione”, lo interruppe Chloé, ancora appoggiata con la guancia al suo petto. Strinse con più forza le dita dietro la sua schiena, anche se aveva avvertito la spallina della borsa scivolarle sul braccio. 

“Non è vero, io…”

Chloé alzò lo sguardo su di lui. Gli stampò un leggero bacio sul naso, e sorrise dolcemente. “Sì che è vero. L’avresti messa in imbarazzo, e sicuramente mostrarle quanto siamo felici insieme non l’avrebbe aiutata.”

Luka le regalò un sorrisino adorabile. “Quanto siamo felici insieme?”, le chiese spavaldo, migliorando la presa delle sue mani sulla vita di lei. 

“Scemo”, lo rimproverò Chloé alzando gli occhi al cielo. Luka la trovò adorabile, tanto che avvertì il bisogno di stamparle un bacio sulla guancia. E poi un altro sul naso, e un altro ancora su quelle invitanti labbra corrucciate. 

Chloé rise.  Gli premette una mano sulla bocca: “Ecco perché non volevo che venissi anche tu. Marinette si sarebbe sentita ancora più miserabile.”

“Miserabile?”, le chiese lui con aria preoccupata. “Davvero l’hai trovata in stato miserabile?”

Chloé strinse le labbra. “Potrei essere gelosa, sai? Tu che ti preoccupi così tanto per un’altra ragazza”.

Lui le portò il viso contro il collo. “Sai che non provo niente per Marinette. Non più, almeno. Adesso è soltanto una cara amica” le sussurrò sulla pelle. Aveva un odore buonissimo, di miele e cannella. Pungente, proprio come lei.  

Chloè sorrise, perché il respiro di Luka contro il collo le faceva solletico, e perché sapeva che Luka stava dicendo la verità. Non era gelosa, non di Marinette. Lo prendeva in giro soltanto perché la divertiva immensamente stuzzicarlo. 

“Lo so”, gli rispose con un sorriso, alzando la spalla per fargli alzare la testa. Guardandolo dritto negli occhi azzurri, aggiunse con voce improvvisamente triste: “Tornando al discorso di prima, forse “stato miserabile” è un po' esagerato. Ma insomma, praticamente siamo lì”. 

Luka le scrutò gli occhi. “Davvero?”, le chiese a fior di labbra. 

Chloé annuì sconsolata. 

“P-posso vederla?”

“Oh, tesoro. Se la vedessi, ne rimarresti impressionato. Credo sia meglio di no, per te ed anche per lei. Aveva ragione Alya quando mi ha detto che bisogna farla reagire con un atteggiamento più fermo e deciso. Con qualcuno che la punga sul vivo e la sproni a darsi una mossa. Tu sei troppo dolce e sensibile” concluse con un sorriso malizioso.

Luka la guardò divertito. “Disdegni a tal punto la mia dolcezza e sensibilità?”

Chloé fu colpita da una scia di brividi quando le mani di Luka presero ad accarezzarle sapientemente la schiena. Si morse un labbro. “Forse”, disse con voce rauca. 

Dannazione, perché lui aveva su di lei sempre quell’effetto così… così… destabilizzante?

“Forse?”, la riprese lui, in un tono che le mozzò il fiato. 

“Mmh”, mugolò lei in risposta. Luka era così vicino, adesso, e la guardava con occhi luccicanti e pieni di desiderio, come ogni volta prima di baciarla. Chloé conosceva bene quell’espressione, l’aveva addirittura soprannominata “sguardo da bacio”. 

Ecco, era proprio uno ““sguardo da bacio” quello che lui le stava rivolgendo in quel momento. Uno famelico ed eccitato. 

Indubbiamente, il suo preferito. 

 

3. 

 

“Per tutto questo tempo, tu sapevi la verità - la sapevi” sibilò rabbioso Adrien, le lacrime che gli offuscavano la vista “e non hai fatto niente?! E non contenta, lo hai anche aiutato?!”

“Adrien”, la risposta di Nathalie suonò come un sussurro incrinato.  “N-non è così, io…”, la voce le si bloccò in gola. 

“Tu cosa?”, le chiese Adrien, lo sguardo perso nel vuoto. Aveva appena finito di leggere la lettera di suo padre. Tutta la lettera. 

E, semplicemente, aveva scoperto la verità. 

Tutta la verità. 

L’identità di suo padre, i suoni piani loschi, la vera storia dietro la morte della madre. La presunta morte della madre, la collaborazione di Nathalie. Tutto quanto. Era strano pensare come si fosse bloccato per più di due ore su quelle prime due parole - Caro Adrien - mentre il resto della lettera gli aveva richiesto solo pochi minuti di lettura.  Dopodiché, con una rabbia in petto che lo avrebbe spaventato se fosse stato nella piena coscienza di sé, si era diretto subito da Nathalie. Aveva spalancato le porte della sua camera, e l’aveva trovata seduta sul letto, per la prima volta con i capelli sciolti sulle spalle e senza un tailleur perfettamente stirato indosso. 

Sembrava così piccola, indifesa, sofferente. Non contento, Adrien le aveva urlato addosso parole terribili. 

Era sconvolto. Più di quanto lo fosse mai stato in vita sua. Improvvisamente, gli pareva di non conoscere più se stesso, né niente avesse mai fatto parte della sua esistenza. Suo padre, Papillon. Nathalie, Mayura. Sua madre… viva? Marinette… oh, Marinette

Adrien aveva urlato contro Nathalie parole che, se non fosse stato talmente scioccato, sconvolto, inorridito e terrorizzato, non si sarebbe mai azzardato a pronunciare. Neanche a pensare. 

Ma in quel momento, Adrien non era Adrien. Negli occhi gli brillava una luce minacciosa mista a lacrime, le labbra tremavano convulsamente, così come il resto del corpo. 

“Adrien”, mormorò debolmente Nathalie. Così piano, che il respiro pesante di Adrien quasi era in grado di coprire la sua voce. 

Nathalie piangeva. Piangeva silenziosamente, così come ogni cosa che faceva. Nel cuore sentiva un dolore tale da squarciarle il petto, da impedirle di respirare, parlare, pensare. 

“Vi rendete conto di cosa avete fatto?”, chiese Adrien, la voce incrinata. Bassa. Non urlava più, gli faceva male la gola. Le corde vocali chiedevano pietà. 

Anche lui chiedeva pietà, tregua. Cosa aveva fatto di male per meritare tutto quello? Il dolore, l’angoscia e la disperazione. 

Nathalie alzò lo sguardo su di lui. Mai Adrien aveva visto occhi così sofferenti. Erano tristi, lucidi, piegati all’ingiù. Non sapeva come, ma erano proprio piegati all’ingiù. Vi traspariva tutto il suo strazio, quasi fossero in grado di parlare da soli. Nonostante la stanza fosse immersa in un buio totale e spettrale - con la debole luce del sole che filtrava a tratti dalle persiane chiuse - Adrien riuscì a vedere perfettamente gli occhi di Nathalie. 

“Mi dispiace, Adrien”, mormorò ancora lei. Era seduta sul letto, e reggeva il corpo puntando i palmi sul materasso. D’un tratto, le braccia le cedettero e lei si ripiegò su se stessa, il petto lungo le cosce e le mani ripiegate intorno al corpo.

Adrien accorse subito da lei. Le lacrime gli ricoprivano il viso, le sentiva da tutte le parti. Sulle labbra, sul mento, lungo la gola. Sulle guance, gli zigomi, tra le ciglia. Se le asciugò in fretta, perché gli offuscavano la vista e lo facevano sentire debole. Si sedette accanto a Nathalie, e la prese per le spalle. Lei si voltò a guardarlo, e Adrien fece fatica a riconoscerla. “Nathalie, tutto bene?”, le chiese. Era veramente preoccupato per lei. Adesso si pentiva di tutte le parole che le aveva sputato addosso, perché lei era l’unica persona che gli era rimasta. L’unica che gli fosse sempre stato vicino, perlomeno. 

Nathalie rifuggì il suo sguardo. “Dovresti essere arrabbiato con me, Adrien. Continua ad urlarmi contro, per favore. Me lo merito”. 

“Nathalie”, sussurrò Adrien. Calde lacrime ripresero a scorrergli lungo le guance. Si rannicchiò vicino a lei, e la abbracciò. In quel momento avevano entrambi bisogno l’uno dell’altra, e quel bisogno superava ogni risentimento. 

Si cullarono a vicenda, e Adrien si sorprese di trovare in Nathalie un conforto simile a quello di una madre. 

Una madre. 

La sua c’era ancora. O comunque, non era morta. Voleva… voleva…

“Voglio vederla, Nathalie”, le chiese, dopo minuti interminabili in cui l’unico suono era quello dei flebili spasmi che scuotono il corpo dopo tanto tempo trascorso a piangere. Il suono di quei leggeri singulti parve molto dolce ad Adrien, forse perché rappresentava una sorta di calma dopo la tempesta. Il tempo di smetterla di commiserarsi e iniziare ad agire. 

Nathalie lo guardò con un misto di affetto e tristezza. Sapeva che un giorno sarebbe dovuto arrivare quel momento, solo, sperava che almeno Adrien avrebbe potuto stringere Émilie tra le sue braccia, viva. Non vederla addormentata in una bara di vetro. 

Gli accarezzò una guancia secca di lacrime col pollice, in un gesto dolce e tenero. 

Si alzò in piedi, e subito lui le offrì il braccio quando la vide vacillare sulle gambe. “Vieni”, gli disse in un sussurro, e Adrien la seguì. 

 

[continue…]

 

 

Convenevoli finali:

Ufff, che parto è stato scrivere questo capitolo!! Davvero, non ero mai soddisfatta di niente, e ci sono state parti che ho riscritto tantissime volte perché mi sembravano troppo vuote e confusionarie. Non sono ancora completamente convinta del risultato finale, ma credo che se avessi continuato a rimuginarci su non avrei mai più aggiornato questa storia, quindi alla fine mi sono decisa xD

E niente, spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto, e se così non fosse non preoccupatevi, perché neanche a me fa impazzire ahah

 

A presto, 

Talitha <33

 

 

 

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Capitolo 6
*** V. Message ***


V. Message

 

 

 

1.

 

Émilie era sempre stata bellissima.

Dolce, intelligente e amorevole. 

Adrien ne ricordava ancora gli occhi, verdi come i suoi, che lo guardavano ogni volta con amore puro e incondizionato. 

Era una sensazione meravigliosa, essere guardato con amore dagli occhi verdi della sua mamma. 

Quando Émilie era morta, Adrien era stato molto male. Per la prima volta aveva conosciuto il dolore, quello vero. 

Quello che ti prende con una morsa il cuore e non lo lascia andare più. 

Quello che ti tormenta e di perseguita, giorno e notte, notte e giorno. 

E ci sono momenti in cui sembra quasi possibile conviverci, ma poi scopri che era solo una presa in giro, come se il dolore provasse piacere a farti soffrire. 

Questo Adrien l’aveva capito a dodici anni. 

Ora ne aveva ventuno, e la situazione non era molto differente. O meglio, non era migliorata. Affatto. 

Tuttavia, quando Adrien posò lo sguardo sul corpo addormentato della sua mamma - della sua mamma, oh, che parola dolce - quel dolore sembrò veramente più facile da sopportare. Forse lo stava ancora prendendo in giro, forse era tutta un’illusione, ma… in quel momento non gli importava. 

Si concentrò soltanto sulla pelle bianca della sua mamma, leggermente più pallida di come la ricordava, le sue ciglia lunghe e i capelli biondi. 

Era vestita di bianco, e sembrava un angelo addormentato. Serena e tranquilla, quasi sorrideva. Era circondata da tanti e tanti fiori, e pareva che anche loro la considerassero una qualche dea scesa direttamente dall’Olimpo. 

Voleva chiamarla - mamma - ma non ci riuscì. Come se quella parola si fosse arrugginita, a forza di non pronunciarla. Come se le sue corde vocali avessero perso la combinazione giusta, o semplicemente fosse troppo doloroso chiamare il nome di una persona che non c’era più. 

Ma lei era lì, proprio davanti ai suoi occhi. Giusto? 

Era lì, in carne ed ossa, ed Adrien si sporse un poco in avanti per controllare che stesse ancora respirando. Che ci fosse ancora qualcosa di vivo, in lei. 

Il suo petto era immobile. 

Oh. 

Adrien sentì il cuore saltare un battito. Si voltò con uno scatto verso Nathalie, al suo fianco. Un brivido di paura lo attraversò. “N-non respira”, disse a fior di labbra. 

Nathalie gli andò vicino e gli prese una mano con delicatezza. 

“Dorme”, mormorò. “Non temere, Adrien. Sta solo dormendo”.

Adrien si girò di nuovo verso la sua mamma, e fu di nuovo colpito dalla sua figura delicata e dolce. Teneva le mani incrociate in grembo, al dito la fede. 

Adrien ricordava ancora la morbidezza e il profumo di quelle mani, quando da piccolo gli accarezzavano la guancia. Si chiese se la sensazione sarebbe stata la stessa anche adesso. Si chiese se, una volta spostata la teca di vetro, le mani della sua mamma sarebbero ancora state morbide e profumate contro la guancia.

Adrien continuava a guardare Émilie, con occhi incantati, spalancati dalla meraviglia. Sì, era proprio una meraviglia quella di fronte a lui. 

Un miracolo. 

La sua mamma era ancora viva - addormentata - e Adrien sentì accendersi nel cuore una minuscola fiammella di speranza. Adesso era ancora minuscola, ma certamente sarebbe cresciuta col passare dei giorni, sempre sempre di più. 

Avrebbe continuato a crescere e a farsi fuoco e fiamme, e non si sarebbe fermata se non quando Adrien avesse visto Émilie aprire gli occhi e respirare. 

Fino ad allora, Adrien non avrebbe mai perso la speranza. 

 

***

 

Adrien sarebbe rimasto ad osservare Émilie per ore e ore, perché tutto gli sembrava così magico e onirico che aveva paura davvero fosse solo un’illusione. 

Forse si sarebbe svegliato ancora una volta tutto sudato nel letto? No, quella era la realtà, pura e semplice realtà. Eppure gli sembrava finalmente così bello, dopo tanta e tanta sofferenza, uscire per un istante dalla bolla ovattata che lo teneva prigioniero. Accarezzare un po' di luce. 

Tuttavia, osservando il volto di sua madre, si era anche reso conto che vederla addormentata non gli bastava. Voleva vederla negli occhi, sorridente e calda, voleva abbracciarla e sentire di nuovo le sue dita tra i capelli. Il suono della sua voce. Voleva di nuovo condividere con lei tutte le sue gioie e le sofferenze - sebbene forse fosse un po' troppo grande, adesso - suonare insieme sonate a quattro mani, udire di nuovo la sua dolce risata, così luminosa e raggiante. 

Adrien doveva agire, lui doveva… doveva…

Doveva parlare con Marinette. 

No no no. 

Con Ladybug. Doveva parlare con la sua partner Ladybug, dirle tutta la verità, dirle che lui voleva…

Tornare ad abbracciare la sua mamma. 

Nathalie lo aveva messo in guarda, gli aveva detto che Gabriel era arrivato alla pazzia - al suicidio - nel tentativo di riportare in vita Émilie. 

Ad Adrien non importava. Gabriel aveva scelto la via del male, nonostante il suo nobile obiettivo. Adrien non avrebbe mai scelto il male. Loro ce l’avrebbero fatta. Lui, lui ce l’avrebbe fatta. 

Non voleva immischiare Ladybug. Non gliel’avrebbe mai chiesto. Solo, lei aveva il diritto di sapere tutta quanta la verità. Inoltre, in qualità di Guardiana, forse avrebbe saputo qualcosa che gli sarebbe tornato utile. Ma nulla più di questo. 

Adrien non voleva che Marinette lo aiutasse, sarebbe stato troppo imbarazzante lavorare di nuovo fianco a fianco. Inoltre, non voleva che lei corresse alcun tipo di pericolo. 

L’amava ancora, tanto, tantissimo. 

Più di quanto potesse capacitarsi, più di quanto fosse esprimibile a parole. Non era più arrabbiata con lei, per averlo illuso e poi gettato via per l’ennesima volta. Perché, nonostante tutto, per un momento aveva potuto tenerla tra le braccia, tuffare il volto nel suo collo, quel morbido, profumatissimo collo. L’aveva stretta forte, e l’aveva sentita tutta contro di lui. Viva, tremante, meravigliosa. 

E anche se nei primi giorni dopo averla cacciata Adrien non ci aveva visto più dalla rabbia, adesso ripensava a quel momento dolcissimo e sentiva il cuore sciogliersi. Già aveva dimenticato il modo orribile con cui si erano lasciati. La vita era troppo breve per serbare rancore, soprattutto nei confronti delle persone amate. 

Adrien si costrinse di voler vedere Marin… no, Ladybug soltanto per metterla al corrente della verità. 

Tuttavia, inconsciamente, voleva anche chiederle scusa per averla cacciata, per averle rivolto quelle parole meschine. Si sentiva uno schifo solo a pensarci. 

Doveva vedere Ladybug per informarla, ma voleva, oh voleva vedere Marinette, e arrossire di fronte al suo sguardo, e morire dalla voglia di baciarla, e sentirsi battere forte il cuore soltanto perché lei era a pochi passi da lui ed era impossibile non sentire il suo profumo inebriante. 

Adrien si congedò da Nathalie, assicurandosi che si mettesse a riposare, e tornò di corsa in camera sua. Non aveva ancora rivelato a Nathalie di essere Chat Noir. Voleva prima parlarne con Ladybug, non avrebbe permesso che qualcuno scoprisse la sua identità senza prima averne discusso con lei. Anche se si trattava di Nathalie. 

Dunque, questa era una scusa per vederla il prima possibile. 

“Non montarti la testa, amico”, disse causticamente una vocina proveniente dalla tasca della giacca. 

Adrien scosse la testa, e l’ombra di un sorriso gli dipinse il volto. “Non mi monto la testa, Plagg. Sono solo ottimista”.

Plagg si materializzò in pochi secondi davanti al suo naso, e lo scrutò attentamente. “Oh, dèi. Non ti ho proprio insegnato niente in sette anni che sono il tuo kwami? Sempre essere pessimisti, mio caro. È la mia filosofia”.

“Pensavo fosse quella di Schopenhauer”, ribatté divertito Adrien, incrociando le braccia. Un sorrisetto sornione stampato in faccia. 

Plagg annuì soddisfatto. Era riuscito a far sorridere Adrien, e quella era l’unica cosa che gli importava, al momento. Forse per il suo padrone le cose stavano finalmente prendendo una piega migliore. 

“E chi credi l’abbia suggerita a Schopenhauer?”, gli chiese con tono di sfida. 

Adrien si finse scioccato. Spalancò i grandi occhi verdi, e, ancora sorridendo, disse: “Non mi dire. Adesso mi tocca pure denunciare Schopenhauer per plagio?”

Plagg agitò con fare plateale la mano in aria. “Non credo ce ne sarà bisogno, quel bisbetico ha già avuto la sua lezione.”

“Credo di non volerla conoscere”.

“E fai bene”, concluse Plagg, mentre iniziava a frugare con insistenza nella credenza del formaggio. Adrien sbuffò. “Ma devi mangiare proprio adesso? Devo trasformarmi!”

Plagg accolse tra le manine nere un prelibato esemplare di Camembert fermier. “Proprio perché devi trasformarti ho bisogno di mangiare. Prevedo una serata davvero molto intensa”, osservò, ponendo un fastidioso accento sull’ultima parola. 

Adrien sbuffò impaziente, e riuscì ad aspettare solo pochi secondi prima di esclamare - non senza un velo di eccitazione - “Plagg, trasformami!”

Dopodiché, prese il suo bastone e scrisse un messaggio a Ladybug. 

Poi, non gli restò che aspettare. 

 

 

2. 

 

Da quando aveva incontrato Chloé alla pasticceria, quella mattina, Marinette aveva iniziato a sentire come un senso di inquietudine farsi strada nel petto. 

Non era più riuscita a stare ferma, con le mani in mano. Passava frenetica da un’attività all’altra, si contorceva le dita e si mordeva le labbra. 

Quando aveva incontrato Chloé, felice e sorridente, qualcosa aveva smosso Marinette. Forse un sentimento egoistico, perché non sopportava di vedere Chloé così migliorata, mentre lei regrediva sempre, sempre di più. 

Le sembrava che da troppo tempo la sua vita non la facesse sentire davvero soddisfatta. Realizzata. 

Da tanto non alzava più gli occhi verso il cielo e si sentiva grata di tutte le cose e le persone belle che la circondavano. 

Marinette voleva cambiare, voleva fare qualcosa per cambiare. Dopo anni e anni di inerzia, forse era arrivato il momento di muoversi. 

Sì, ma muoversi e fare cosa?

Adrien Adrien Adrien. 

Il suo nome tornava sempre, a volte quasi fastidioso, come il ritornello di una canzone ripetuta all’infinito. 

Marinette aveva sempre creduto che, per tornare di nuovo ad essere felice, l’unica soluzione fosse dimenticare Adrien, una volta per tutte. 

Ma dopo anni e anni di tentativi, si era finalmente resa conto che era impossibile. Non poteva dimenticare Adrien. Lui era una parte di lei, e per quanto fosse forte, decisa, determinata, Marinette aveva riconosciuto di non potercela fare da sola. Da sola avrebbe anche sconfitto mille mila cattivi, ma non avrebbe mai potuto vivere per sempre senza la presenza di Adrien al suo fianco. 

Ecco, riconoscerlo era già un primo passo, pensò. Giusto?

Dunque cos’altro fare? Andargli incontro, invece di scappare? 

Ma era davvero possibile? 

Marinette credeva ancora di no. “Credeva” - non “era sicura” - perché forse era arrivato il momento di mettere in discussione quello che si ostinava a ritenere giusto e ricominciare da capo. Con un nuovo punto di vista. 

Forse vedere la situazione da un’altra angolazione l’avrebbe aiutata. Aveva mai provato a mettersi nei panni di Adrien? Come doveva essersi sentito lui, per anni e anni rifiutato e senza una minima spiegazione da parte di Marinette? 

Marinette si rese improvvisamente conto di quanto fosse stata egoista. E anche cattiva, perché aveva sempre pensato solo a se stessa, a proteggere da sola Adrien e il mondo, e non lo aveva mai messo al corrente della verità. Se fosse stata al posto di Adrien, a Marinette sarebbe piaciuto sapere la verità. 

L’avrebbe quasi esatta, la verità. 

Il suo comportamento era stato incredibilmente infantile. 

All’improvviso, Marinette sentiva il bisogno di vedere Adrien, di spiegargli tutto. Forse, insieme, sarebbero riusciti a trovare una soluzione. Forse, adesso, sarebbe riuscita a mettere da parte il suo egoismo e a cercare di lavorare insieme per loro due, e la loro felicità. 

Ma ancora, si stava comportando da egoista. 

Adrien adesso era in lutto, e dopo il modo in cui si erano lasciati l’ultima volta, aveva tutto il diritto di odiare Marinette per quello che aveva fatto. Per averlo ingannato e illuso e poi gettato di nuovo via. 

Marinette ripensò ancora e ancora a quel loro ultimo incontro. Ripercorse con la mente ogni singolo istante: le mani di Adrien sulla sua vita, il suo respiro sul collo, le sue labbra…

le sue labbra contro la pelle, morbide e delicate, che le regalavano alcune delle sensazioni più belle che Marinette avesse mai provato. Baci sul collo, e brividi e sospiri. 

Nonostante questo, lei lo aveva ancora rifiutato. 

Lui si era prostrato ai suoi piedi, si era offerto completamente a lei, senza nessun indugio. E Marinette lo aveva rifiutato. Come uno straccio sporco, o un essere reietto. 

Adrien si sarà sicuramente sentito un miserabile, indegno di lei. Si sarà chiesto cosa avesse fatto di male per non meritarla. 

Tutta la crudeltà che Marinette aveva usato nei suoi confronti emerse improvvisamente a galla, e la fece sentire una persona abominevole. Adrien aveva sofferto tanto, e solo per colpa sua, e lei non aveva nessun diritto di andare da lui e cercare di trovare una soluzione ai problemi che lei, solo lei, aveva creato. 

Marinette si accasciò senza forze sul letto della sua camera, le braccia che le dolevano a causa del lavoro in pasticceria. Era tornata a casa molto tardi dopo aver chiuso il negozio, e si era sorpresa di incontrare Alya ancora alzata ad aspettarla. 

“Com’è andata?”, le aveva chiesto, mettendo in pausa il film che stava vedendo. 

Marinette l’aveva guardata incredula, senza sapere bene come risponderle. “B-bene, grazie”, aveva farfugliato infine, e Alya le era parsa soddisfatta, perché si era girata verso la televisione e aveva ripreso a vedere il film. 

Marinette l’aveva salutata con un sorriso debole, e si era diretta prima in bagno, per farsi una doccia, e poi subito in camera. 

Si sentiva incredibilmente spossata, come se tutte le energie l’avessero abbandonata. Era stata una giornata intensa, quella, non c’è che dire. 

Si infilò una leggera canottiera bianca e dei pantaloncini rosa a pois, poi si sotterrò sotto le coperte. Chiuse gli occhi brucianti, dopo tante ore passate a lavorare, e sperò con tutto il cuore di addormentarsi il prima possibile. Cercò di svuotare la mente da ogni pensiero, con la sola voglia di lasciarsi tutto alle spalle e di riprenderlo soltanto la mattina seguente, dopo una bella dormita. 

Tuttavia, per quanto i suoi muscoli urlassero riposo, la sua mente non potè impedirsi di continuare a pensare. 

E pensare e pensare. 

Ah. 

Marinette si agitò tra le coperte, convita che il motivo per cui non riuscisse a dormire fosse la posizione sbagliata. Si girò e rigirò, ma era passata un’ora e ancora non riusciva a prendere sonno. 

I suoi pensieri continuavano a tormentarla: l’incontro con Chloé, il volto di Adrien, la sua voce carica di sofferenza. 

Cosa starà facendo adesso, Adrien? Come starà adesso?

Senza sapere perché, Marinette cominciò a ripercorrere con la mente tutti i loro incontri degli ultimi quattro anni. Ogni volta che si erano visti, e gli occhi di Adrien avevano brillato di speranza, e lei lo aveva scacciato via come una mosca fastidiosa. 

Marinette rimuginò su tutte le parole affilate e taglienti che gli aveva lanciato addosso. E tutte le ferite che le sue parole affilate e taglienti dovevano avergli provocato. 

Voleva scusarsi, doveva scusarsi. Doveva dirgli tutta la verità. 

Marinette annaspò in cerca d’aria, e con uno scatto si tirò su a sedere. Sporgendo lo sguardo, scorse la figura di Tikki appollaiata su di un piccolo cuscino che teneva appoggiato sul comodino. Respirava dolcemente, mentre dormiva. 

I kwami possono avere gli incubi?, si chiese. 

Marinette scosse la testa, cercando di tornare con la mente al motivo per cui si stava alzando dal letto. In punta di piedi, sgusciò fuori dalla stanza, dirigendosi verso l’ingresso, in cui aveva lasciato il cappotto. Afferrò il cellulare dalla tasca, e si volse a guardare il resto dell’appartamento, vuoto e buio. Alya aveva finito di vedere il suo film già da un pezzo, e probabilmente anche lei, come Tikki, si era addormentata.

Marinette si morse un labbro, cercando di fare il meno rumore possibile mentre prendeva il cappotto e se lo infilava sopra il pigiama. Si diresse verso la cucina e poi verso la porta-finestra del salotto. La aprì lentamente, e rabbrividì quando entrò a contatto con l’aria fredda della notte. 

Dalla tasca della giacca, estrasse con una mano un bigliettino ancora sporco di farina. Senza sapere davvero cosa stesse facendo, né tantomeno perché, compose il numero di telefono che vi era scritto sopra.  

 

***

 

Chloé si ridestò dai suoi pensieri quando, immersa tra i cuscini morbidi del letto, sentì improvvisamente il suo telefono squillare. 

Si sporse di scatto verso il comodino, e il voltò le si illuminò di felicità pensando all’unica persona che poteva chiamarla a quell’ora di notte. 

Luka. 

Per questo le sue labbra si corrucciarono in una smorfia di disappunto - e di sorpresa - quando il nome che apparve sullo schermo del telefono si rivelò quello di un’altra persona. 

Non Luka, il suo ragazzo. 

Ma Marinette. 

La stessa Marinette con cui aveva parlato quella mattina, dopo circa sei mesi dal loro ultimo incontro. La stessa Marinette che aveva sorpreso Chloé, con gli occhi vuoti e il volto pallido. 

“Dupain-Cheng?”

“Chloé?”, si sentì rispondere, proprio dalla voce di Marinette. “T-ti disturbo?”

“Senza contare che sono le due di notte? Non credo, no”. 

“No?”

“No”, rispose piccata Chloé. 

“Ah.”

“Bene.”

“Bene”, convenne Marinette. 

Chloé schioccò la lingua. “Cosa dovevi dirmi, Dupain-Cheng?”

Silenzio dall’altro lato. Poi un sussurro: “Niente. H-ho sbagliato a chiamarti. Forse è meglio se…”
“No!”, esclamò Chloé, d’istinto. Se Marinette l’aveva chiamata a quell’ora di notte, significava che c’era qualcosa di importante che voleva dirle. O semplicemente, si sentiva sola e aveva bisogno di qualcuno con cui parlare. Tante volte era capitato anche a Chloé, per questo si decise che avrebbe fatto di tutto pur di trattenere Marinette, e di aiutarla, per quanto possibile. “Non andare”, aggiunse con voce gentile. “Non mi disturbi, davvero. Tanto non stavo dormendo”.

“Ah no?”, chiese incredula Marinette. “T-tutto bene?”

 Chloé rise. “Certo che sto bene, soffro solo d’insonnia. A volte. Quando dormo sola”.

Quando non c’era Luka, accanto a lei. 

“Oh”, rispose Marinette. Non poteva vederla parlando al telefono, ma Chloé era sicura che la sua amica si stesse contorcendo le mani e meditando di riattaccare. 

Per questo si sorprese quando la sentì rispondere: “T-ti va un po' di compagnia?”

Chloé sbatté le palpebre. Poi, accomodandosi meglio sui cuscini, disse: “Va bene”. 

“Bene”, mormorò Marinette, dopo un sospiro di sollievo. 

Chloé rimase in silenzio alcuni minuti, senza sapere cosa dire. Aveva la sensazione che quella conversazione sarebbe stata molto imbarazzante. 

Si morse il labbro. Forse toccava a lei fare il primo passo, perché sembrava che dall’altro capo del telefono Marinette fosse scomparsa. Non riusciva a sentire neanche il suo respiro, tanto era silenziosa. 

“Bene” ripeté Chloé. “Forse è meglio se comincio io con i miei problemi, che ne dici?”

“V-va bene”, le rispose Marinette. 

Chloé prese un bel respiro. “D’accordo, iniziamo. Anche se oggi ti sono sembrata cambiata in meglio, continuo ancora ad avere tante cose con cui scendere a patti. Per questo spesso non riesco a dormire. Ogni tanto, per esempio, mi sento terribilmente attratta dalla cattiveria. È un modo così semplice di comportarsi con gli altri. All’inizio ho trovato molta difficoltà a provare ad essere gentile. Non credevo potesse essere così scomodo. Certo, adesso mi viene naturale, e questa per me è una grande vittoria. Ma continuano ad esserci tanti momenti di oscurità, in cui preferirei abbandonare tutto e tornare ad essere quella di prima. 

“Poi, però, ripenso a tutti i motivi che mi hanno spinta a cambiare. Ero rimasta sola. Completamente sola. Il mio atteggiamento acido aveva allontanato tutti, e non m’era rimasto altro che me stessa. Dovevo cambiare, volevo cambiare. Volevo che le persone mi incontrassero e non rifuggissero il mio sguardo. Che invece mi sorridessero e che il loro volto si illuminasse, come succedeva con te, con Adrien. Con tutte le persone che avrebbero potuto essere mie amiche, e che io avevo rifiutato, credendomi superiore. Mi sbagliavo, non ero affatto superiore. L’ho capito quando ho incontrato Luka, è stato lui che mi ha fatto vedere tutti i lati di me che mi costringevo ad ignorare, tutte le mie parti oscure. Ecco perché ho voluto cambiare tutto. E ogni volta che ripenso a com’ero prima, se all’inizio mi sembra che sia così facile essere semplicemente una brutta persona, poi mi ricordo a com’era triste essere sempre sola, rifiutata da tutto e da tutti. 

“Cambiare non è facile, Dupain-Cheng. E non sto parlando solo di me, ma del cambiamento in generale. È un processo lungo e difficile, e tante e tante volte si è tentati di tornare indietro. Però ogni volta che riesco a fare un passo avanti, mi sento così soddisfatta di me stessa, e così felice che… tutti gli sforzi che ho fatto per arrivarci vengono immediatamente ripagati. È…” si interruppe, cercando di trovare le parole adatte “è normale avere paura prima di prendere una strada completamente diversa da quella che si è sempre percorsa. Io lo so, per esperienza. Ma so anche io - e tu - abbiamo la forza necessaria per fare qualsiasi cosa vogliamo. Basta solo provarci. Una volta arrivati al fondo non ci resta altro che risalire, giusto? Non abbiamo nulla da perdere, e…”

“E come si fa a capire di essere arrivati davvero al fondo? Che niente di peggio può accadere?”. Il sussurro di Marinette la interruppe, lasciandola sorpresa. 

“Credo… credo che sia il nostro cuore a dirci quando è arrivato il momento di reagire, di smettere di cadere e cadere, perché rimanere inerti senza fare niente per migliorare le cose non può portare a nulla di buono. Tu sei pronta a seguire il tuo cuore, Marinette?”

 

***

 

La domanda di Chloé l’aveva colpita come un pugno al petto. Tutte le sue parole, in realtà, l’avevano sorpresa e lasciata a bocca aperta, perché non se lo aspettava. Non si aspettava che Chloé - la stessa Chloé che conosceva da anni - fosse capace di parlare con tanta saggezza, e persino di darle consigli. 

Tu sei pronta a seguire il tuo cuore, Marinette?

Era proprio questa la domanda cui tanto faticava a dare una risposta. 

“Io…io…”

Marinette si bloccò, un nodo in gola le impediva di parlare. Inspirò con decisione l’aria fredda della sera, e si passò il telefono alla mano sinistra, perché le dita della destra erano completamente congelate. 

Diresse lo sguardo all’orizzonte, quell’orizzonte che fino a poche sere prima aveva contemplato con Adrien, la sua giacca di pelle sulle spalle. 

Quanto voleva che in quel momento ci fosse lui, lì accanto a lei. 

“Pronto?”, chiese Chloé dall’altra parte del telefono. “Ci sei, Dupain-Cheng?”

Marinette si ridestò. “S-sì, ci sono.”

Altri interminabili secondi di silenzio. 

“Marinette”, disse allora Chloé, dolce e decisa. Marinette alzò le sopracciglia, perché era la prima volta da quando si erano incontrate quella mattina che la chiamava per nome. 

“È normale essere spaventati, avere paura di non riuscire a farcela, di non poter… lasciarsi tutto alle spalle e di prendere una strada sconosciuta. Ci si chiede se si è davvero pronti, se si è capaci, se ne vale davvero la pena. È questo che devi chiederti, Marinette. Ne vale la pena?”

Ne vale la pena?

La pena in questione era Adrien, e Marinette pensò che la valeva tutta. Certo che la valeva. Il solo pensiero di Adrien, di loro due insieme, felici, le sollevava il petto, la faceva sentire leggera come una piuma, libera da tutte le sue preoccupazioni. 

Ma era davvero possibile?

“Chloé, io…”

“Non devi rispondermi adesso, Marinette. È una domanda difficile, e ci vuole tanto per trovare una risposta. Sappi solo che se hai bisogno di aiuto, io…” Marinette la sentì interrompersi per qualche secondo, poi riprendere “potrai sempre contare su di me, Marinette. Così come tu hai aiutato me, io aiuterò te”.

Marinette sbatté le palpebre, incredula. Quand’è che aveva aiutato Chloé?

Chloé rise divertita. Poi sbadigliò. “Ah, forse è meglio andare a dormire. Abbiamo entrambe avuto troppe emozioni, oggi”.

Marinette si infilò una ciocca ostinata dietro l’orecchio. “Va bene” riuscì a rispondere. 

“Buonanotte, Dupain-Cheng”.

“B-buonanotte, Chloé. E grazie” aggiunse, prima di riattaccare. 

“Non c’è di che”. 

 

In tutto questo, a pochi isolati di distanza, Luka non riusciva proprio a capire perché da venti minuti la linea telefonica di Chloé fosse occupata. 

 

***

 

Marinette sospirò, riponendo il telefono nella tasca della giacca e rientrando in casa. 

L’aria calda dell’appartamento la fece subito sentire più rilassata, anche se non aveva alcuna voglia di andare a dormire. 

Si sentiva frizzante, piena di adrenalina. 

Nonostante si fosse svegliata presto, quella mattina, e avesse lavorato tutto il giorno senza fermarsi mai, il suo cervello era sveglio e vispo, e i suoi pensieri non sembravano inclini a darle una tregua. 

Non sarebbe riuscita a dormire comunque, pensò, anche se si fosse messa a letto. 

Si diresse in camera in punta di piedi, per evitare di svegliare Alya, e si fermò proprio davanti al comodino, su cui Tikki stava ancora riposando. Con l’indice della mano sinistra, Marinette scosse leggermente il corpicino del piccolo kwami. Le dispiaceva svegliarla a quell’ora della notte, ma Marinette sentiva uno strano bisogno di trasformarsi. 

Come se qualcosa la stesse chiamando. Qualcuno?

“Tikki? Tikki?”, la chiamò a bassa voce.

Tikki si destò dal suo sonno leggero. In gesto adorabile si strofinò gli occhi col pugno della mano, poi sussurrò: “Cosa succede, Marinette? Un attacco akuma?”

Marinette scosse la testa. “No, Tikki. Ho… ho bisogno di trasformarmi”.

Tikki la guardò, sorpresa. 

Marinette si morse il labbro. “Mi dispiace se ti ho svegliata, ma…”

“Non fa niente, Marinette” la rassicurò Tikki. Marinette tirò un sospiro di sollievo. 

“Sei sicura che vada tutto bene?”, le chiese ancora. 

Marinette annuì. “Sì, t-tutto bene”. 

Tikki la guardò senza molta convinzione, ma si destò dal morbido cuscinetto su cui era addormentata fino a poco prima, e quando Marinette mormorò a bassa voce il solito ‘Tikki, trasformami!’, si mise all’opera. 

 

3. 

 

Non appena si fu trasformata in Ladybug, Marinette aprì silenziosamente la finestra della sua camera ed uscì nel buio della notte. Non faceva più così freddo, pensò. Forse perché il suo costume da Ladybug la proteggeva anche dalle basse temperature. 

Un sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra. Era tanto che non sentiva la pressione del suo costume aderente contro la pelle, e la sensazione di volare saltando da un tetto all’altro di Parigi. 

Marinette non sapeva perché aveva sentito il bisogno di trasformarsi. Forse pensava che, trasformandosi, avrebbe lasciato da parte i problemi di Marinette e sarebbe stata libera di svuotare la sua mente per un poco, o forse…

Bip bip. 

Un messaggio. 

Al suo yo-yo era arrivato un messaggio.  

C’era una sola persona che poteva scriverle un messaggio. Una sola persona da cui era possibile riceverlo. 

Ladybug atterrò sulle tegole di un tetto.

Non riusciva a pensare a niente, se non che Adrien le aveva appena inviato un messaggio. O forse glielo aveva mandato giorni prima, e lei lo riceveva soltanto adesso. A contatto con le tegole scivolose, i piedi vacillarono subito, e Marinette rischiò quasi di cadere se non fosse riuscita in tempo ad aggrapparsi con una mano ad una parete lì vicino. 

Respirò profondamente, evitando il più possibile di entrare nel panico. 

Adrien le aveva inviato un messaggio, ma probabilmente non era niente di importante. Forse solo una comunicazione di servizio. 

Forse. 

Con le dita tremanti, portò il suo yo-yo all’altezza del viso, e quasi le venne un colpo quando constatò che effettivamente Chat Noir le aveva inviato un messaggio. 

Che risaliva a quella sera stessa. 

Marinette sentì quasi di stare per piangere. Guardò in alto le poche stelle del cielo, poi lo spicchio di luna, che brillava debolmente. 

Respirò forte, prima di abbassare nuovamente lo sguardo sullo schermo dello yo-yo. Cliccò sull’icona contrassegnata da un pallino rosso. 

1 nuovo messaggio. 

Era molto breve e conciso. 

Nessuna battuta, o faccina sorridente. 

Recitava esattamente così: 

 

Ladybug, ho bisogno di parlarti. Per favore, richiamami quando visualizzi questo messaggio. 

 

 

[continue…]

 

 

Convenevoli finali:

Bene bene, eccoci arrivati anche alla fine di questo capitolo! Dai, su, che le cose stanno migliorando, no? 

Innanzitutto ringrazio tantissimo tutti coloro che stanno seguendo questa storia, che commentano assiduamente o che anche solo l’hanno inserita tra le seguite. 

Il vostro sostegno significa davvero tanto, e ogni volta che mi fate sapere con quanto interesse seguite ogni aggiornamento, mi spronate a fare sempre meglio. 

Prima che me ne dimentichi, vi avviso anche che il prossimo capitolo sarà l’ultimo della prima parte! Inizialmente la storia non doveva essere così lunga, però ci sto prendendo la mano, e fino a che ho ispirazione mi piacerebbe portarla avanti xP

Comunque, direi che siamo quasi giunti a metà, e la metà che ci aspetta sarà sicuramente la più interessante… non vedo l’ora!!

 

A presto con un nuovo aggiornamento, 

Talitha_<33

 

 

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Capitolo 7
*** VI. Toit ***


VI. Toit

 

 

1.

 

Dopo aver mandato quel messaggio a Ladybug - Marinette - Adrien aveva subito avvertito l’impulso di cancellarlo. Rileggendolo, si era accorto che il suo tono suonava troppo formale e distaccato. Si immaginò Marinette, mentre lo leggeva, che ci rimaneva male perché lui non le aveva rivolto nessuna battuta (per quanto le avesse sempre sdegnate, Adrien sapeva che Marinette amava le sue battute). Se la immaginò, anche, mentre corrucciava le labbra rosate in una smorfia di confusione e disappunto. 

Alla fine l’aveva inviato lo stesso, quel messaggio, anche se suonava freddo e distaccato. Non aveva cambiato una sola virgola, e non sapeva bene neanche lui quale fosse il motivo. Forse non voleva darle false speranze, pensiero assolutamente assurdo dato che era stata lei a troncare ogni rapporto tra di loro. 

Adrien si morse un labbro, cercando di non pensarci troppo. Si sforzò anche di non iniziare a speculare sul momento in cui Marinette avrebbe letto quel messaggio, perché sapeva perfettamente che per riceverlo doveva prima trasformarsi. 

Plagg gli aveva suggerito subito di farsi dare da Nino il numero di Marinette, così che le interazioni tra di loro sarebbero state più immediate. 

Ma c’erano due motivi che avevano spinto Adrien a mettere subito da parte quella proposta. Innanzitutto, possedere il numero di Marinette gli sarebbe sembrato troppo invitante, quasi un richiamo irresistibile a chiamarla e a parlare con lei. Inoltre, Adrien pensava che aspettare qualche giorno prima di parlare con Ladybug gli avrebbe dato l’opportunità di prepararsi a quell’incontro, per evitare - come suo solito - di agire impulsivamente e rovinare tutto. Sentiva ancora il bisogno di un po' di tempo da solo, per pensare e varare ogni singola possibilità, poi sarebbe stato pronto a parlare con Marinette delle sue scoperte e dei suoi progetti, e chiederle il permesso di iniziare la sua ricerca. 

Dunque si era messo sin da subito l’anima in pace: probabilmente sarebbero passati alcuni giorni prima che lei potesse ricevere il suo messaggio. O forse un mese o due. Dopotutto, Papillon non c’era più. 

Non c’era più. 

Nonostante quelle ultime due settimane gli fossero sembrate le più lunghe ed estenuanti della sua vita e la morte di suo padre sembrava un miraggio lontano, Adrien faticava ancora ad abituarsi al pensiero che lui e Ladybug non avrebbero più affrontato un akumizzato di Papillon, suo padre. 

Non negava che in futuro si sarebbe potuta profilare una minaccia simile, ma ora che il Miraculous della Farfalla sarebbe tornato nella Miracle Box dopo così tanti anni (quasi due secoli), Adrien era sicuro che Marinette avrebbe fatto di tutto per proteggerlo. 

Adrien, ancora nelle vesti di Chat Noir, sospirò pesantemente. Si mise a sedere sul divano della sua camera, e volse lo sguardo verso il cielo oltre le vetrate, blu scuro e puntellato di timide stelle. La finestra era aperta, e lasciava entrare nella stanza una leggera brezza. Era talmente fresca e piacevole, carica di un sentore estivo, che Adrien se ne sentì quasi cullato. Rimase così, seduto sul divano, a rimirare il cielo notturno e a godere dell’odore dell’aria della sera. Intorno a lui tutto era calmo: neanche la presenza di Plagg, ancora nell’anello, poteva distoglierlo dai suoi pensieri. 

Adrien si scoprì stranamente calmo, nonostante le emozioni della giornata, e la consapevolezza di aver mandato un messaggio a Marinette. Che di lì a poco tempo l’avrebbe rivista e parlato con lei, e le avrebbe dato delle belle notizie. Più o meno. 

Ovviamente, Adrien ritornò con la mente anche ad Émilie, al suo incontro con lei, e si chiese quanto sarebbe stato bello tornare a guardarla negli occhi e sentire ancora una volta il suono della sua voce. E si sorprese nello scoprirsi quasi euforico al pensiero di poter trovare un modo per salvarla dal suo eterno torpore. Non importava quello che la sua ricerca sarebbe costata, Adrien non si sarebbe fermato mai. Non fino a quando la sua mamma gli avesse sorriso e chiamato per nome: “Adrien”. 

 

***

 

Lo squillo del bastone lo fece trasalire sul posto. Era talmente immerso nei suoi pensieri che un semplice squillo gli aveva fatto balzare il cuore in gola. Beh, forse non si trattava di un semplice squillo. Perché, d’improvviso, quell’insistente bip bip bip gli parve il suono più dolce del mondo. Significava che Marin… no, Ladybug lo stava chiamando. 

Aveva ricevuto il suo messaggio, e lo stava chiamando. 

Adrien si prese qualche secondo per elaborare quella situazione, lo sguardo perso nel vuoto. Era ancora seduto sul divano, improvvisamente scomodissimo, e si rigirava freneticamente il bastone tra le mani, quasi fosse fatto di un qualche materiale incandescente. 

Si rese conto di non essere in grado di mettere insieme nessun pensiero di senso compiuto, perché non avrebbe mai immaginato che Marinette si sarebbe trasformata così presto. Quanto tempo era passato da che aveva spedito il messaggio, un’ora? Forse meno, forse più. Adrien non avrebbe saputo dirlo con certezza. Comunque, sempre troppo poco. 

Entrò nel panico. Non era preparato, non sapeva ancora cosa dirle. Avrebbe finito col rovinare tutto, come suo solito. 

Si portò una mano al volto, cercando di ragionare in modo sensato sul da farsi. Sicuramente doveva risponderle. D’altronde, era stato lui a chiederle di chiamarla. Bene, bisognava risponderle. E poi? 

Adrien strizzò le palpebre, cercando di pensare a cosa Plagg gli avrebbe suggerito in un momento come quello. Ovviamente non poteva sciogliere la trasformazione e constatarlo di persona, perché la chiamata si sarebbe interrotta, e allora tutto sarebbe andato a rotoli. 

Dunque doveva rispondere. Poi avrebbe spiegato a Ladybug che le aveva mandato quel messaggio perché doveva parlarle, e il resto sarebbe stato rimandato al loro incontro. 

Adrien sospirò, si disse che poteva farcela. Portò un dito allo schermo del bastone. Osservò l’artiglio del suo pollice indugiare un secondo sulla cornetta verde, prima di scivolare leggermente verso sinistra e accettare la chiamata. Col cuore in gola, Chat Noir si portò il bastone all’orecchio. 

“L-Ladybug?”, chiese, tremante. 

Nessuna risposta dall’altro capo. Solo un silenzio pesante e angoscioso. Chat Noir portò per un secondo lo schermo del bastone agli occhi per accertarsi che la chiamata fosse effettivamente in corso, e non che avesse risposto troppo tardi facendo scattare la segreteria. 

No, constatò, la chiamata era in corso, i secondi scattavano lentamente. 

00.09

00.10

00.11

00.12

Si riportò il bastone all’orecchio, fece per chiamare di nuovo il nome della sua interlocutrice, quando le sue orecchie di gatto udirono un debole fruscio. 

No, non un fruscio. Un singulto. 

“L-Ladybug?”, chiese cautamente, tutta la tensione accumulata fino a quel momento sostituita da un inaspettato senso di preoccupazione. Marinette stava piangendo?

M-Milady, tutto bene?”, domandò allora, ogni arto teso in attesa di una sua risposta. “Marinette? Ti prego, rispondimi. Dove sei?”  

Un altro gemito, poi il rumore di un naso che tira su, e infine un fragile sussurro: “Adrien?”

Adrien avvertì una fitta al petto. “Sì, sono qui”, rispose, nella voce un trasporto che non era riuscito a trattenere. Dannazione. 

“A-Adrien”, mormorò ancora la voce di Marinette, rotta dal pianto. 

Adrien si passò una mano tra i capelli, senza sapere cosa fare. Come ci si comporta quando la ragazza di cui si è innamorati piange al telefono? A lui non era mai capitata una situazione del genere, prima d’allora. 

“Ti prego, Milady. Non piangere” sussurrò. 

Lei tirò ancora su col naso. Adrien la sentì annaspare come alla ricerca di parole, poi, con sguardo risoluto, scostò con decisione il bastone dall’orecchio e inserì il viva-voce, mentre, scorrendo il menù, andava alla ricerca del dispositivo GPS. Doveva andare da lei, provare a consolarla. Se avesse continuato a sentire i suoi singhiozzi al telefono, senza poterla toccare, guardare negli occhi, sentiva che sarebbe impazzito. 

“M-mi dispiace, Adrien. Io…”, si bloccò ancora, scossa da un fremito. “Non… non so neanch’io perché sto piangendo, e…”

Din din. Marinette era all’incrocio tra Rue Lagrange e Rue de l’Hôtel Colbert. Adrien si riportò il telefono all’orecchio e farfugliò un veloce ‘arrivo’. 

 

***

 

Marinette non era in grado di spiegare perché, non appena aveva udito la voce di Adrien che la chiamava al telefono, era scoppiata in lacrime. Prima che se ne accorgesse, la sua vista era offuscata da una patina trasparente, e le sue ciglia già imperlate sbattevano furiosamente cercando di mandarle indietro. Niente da fare. Era come se tutte le emozioni che aveva trattenuto fino a quel momento si fossero sbloccate in un solo istante, e fossero esplose scombussolandola tutta. 

Marinette aveva cercato di trattenersi, ma non c’era riuscita. Il pensiero di parlare al telefono con Adrien, dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che lui aveva passato, e il ricordo di come si erano lasciati, del loro ultimo incontro… fu tutto improvvisamente troppo da contenere. 

Allora aveva provato ad essere il più silenziosa possibile, sperando che Adrien non se ne accorgesse. Povera illusa. Al minimo singhiozzo imperfettamente soffocato, lui era balzato dall’altra parte, e da meraviglioso ragazzo qual era - quale continuava ad essere, nonostante tutto - aveva iniziato subito a preoccuparsi per lei, ansioso di capire cos’era che non andava. 

Marinette aveva avvertito distintamente il suo cuore fare una capriola quando Adrien aveva l’aveva chiamata Ladybug, e poi un’altra ancora, più forte stavolta, quando la sua voce aveva pronunciato il suo soprannome preferito, Milady

E poi, come se non bastasse, un’ultima piccola e perfetta parola, farfugliata contro l’orecchio prima di sentirsi richiudere il telefono in faccia. 

“Arrivo”.

 

2. 

 

Spesso, in quei giorni, quando aveva pensato a come sarebbe stato rivedere Adrien, Marinette si aspettava di trovarlo arrabbiato, addolorato, rannicchiato in un angolo a piangere e a serbarle rancore. Tuttavia, quando distinse la figura di Chat Noir balzare agilmente nella sua direzione, da un tetto all’altro sotto un cielo di stelle, Marinette si sorprese nel constatare tutto il contrario. 

Adrien le comparve davanti, bellissimo e innamorato, e una leggera scintilla di preoccupazione gli illuminava gli occhi. Forse, alla luce del sole e senza la maschera, Marinette avrebbe potuto notare le sue guance leggermente pallide ed emaciate, o le occhiaie che testimoniavano le lunghe notti passate in bianco. Ma quella sera era buio e Marinette non ci fece caso, e comunque non credeva le sarebbe importato. Chat Noir era di fronte a lei, con le braccia che si protendevano verso il suo corpo, ma senza toccarla. 

Forse… forse, se avesse fatto anche un solo passo avanti, le dita delle mani di Chat Noir le avrebbero sfiorato i fianchi, con quella delicatezza insita in ogni suo gesto. Marinette pensò che sarebbe stata proprio una bella sensazione, quella. Sentire le dita timide di Adrien solleticarle i fianchi. 

No no no. Scosse la testa, era sbagliato. E anche se non lo fosse stato - e Marinette era quasi certa che forse era lei quella ad essersi sempre sbagliata - sicuramente Adrien non l’avrebbe più voluta. Non dopo che lei l’aveva rifiutato e gettato via. Non adesso che suo padre era morto e che Adrien aveva cose certamente più importanti a cui pensare. 

per questo, invece di avanzare di un passo e permettere alle dita di Adrien di accarezzarle la vita, Ladybug indietreggiò un poco, in bilico su una tegola. 

Si asciugò velocemente le lacrime, e alzò i suoi grandi occhi blu fino ad incontrare quelli verdi di Adrien, e poi…

Tutto si fermò. Il tempo, l’aria, i respiri, i battiti dei cuori. 

Ma durò solo un attimo. Un attimo bellissimo, certo. Ma pur sempre un attimo. Un battito di ciglia, ed era tutto finito. 

Marinette strizzò le palpebre ed espirò, sentendo le gambe vacillare sotto il peso dello sguardo indagatore di Adrien. 

“Stai bene?”, lo sentì chiederle. 

Lei scosse leggermente la testa, come a risvegliarsi da un sogno. Poi le labbra si curvarono in un leggero sorriso. “Sì, s-sto bene.”

“Sicura?” Adrien si protese di poco verso di lei, senza volerlo. Quando si accorse di essersi avvicinato un po' troppo - tanto da riuscire ad avvertire il suo profumo di zucchero e miele - si allontanò. 

Ladybug annuì. “Sicura”, sorrise timidamente, le guance rosse, e Adrien sentì il cuore sciogliersi nel petto. Era questo quello che voleva, questo quello di cui si sarebbe felicemente accontentato. Godere della presenza di Marinette al suo fianco, preoccuparsi per lei e arrossire ad un suo sorriso. Questo nessuno poteva impedirglielo, giusto?

Rimasero qualche istante a guardarsi negli occhi, senza avere il coraggio di distogliere lo sguardo, né di pronunciare una singola parola che potesse rompere quella fragile armonia. 

Ladybug fu la prima ad infrangere il silenzio. “Ehm… di cosa volevi parlarmi?”, chiese con un velo di imbarazzo. Non lo guardava più negli occhi, non ne aveva le forze: le sembrava all’improvviso che quello sguardo fosse capace di leggerla fin dentro l’anima, e la cosa la metteva terribilmente a disagio, sebbene non riuscisse a capire bene il perché. 

Lui si ridestò, ricordando improvvisamente il motivo per cui aveva chiesto di vederla. 

Oh. 

Papillon, Mayura, Gabriel, Émilie. 

Marinette vide Chat Noir passarsi una mano tra i capelli, pensoso. 

“Tutto bene, Chaton?”, chiese senza pensare. Subito si portò le mani alle labbra quando si rese conto di averlo chiamato Chaton. Non aveva più pronunciato quel soprannome, non da quella sera gelida e vivida e lontanissima. Tuttavia, adesso era suonato così naturale sulle sua labbra che, forse… 

No no no. 

Era troppo tardi, ormai. 

Anche Adrien, all’udire quel dolce suono, era parso sorpreso quanto lei. Poi, però, un leggero rossore gli aveva imporporato le guance e un piccolo ghigno gli aveva curvato le labbra.“Chaton, eh?”, ripetè con tono malizioso. 

Ladybug lo guardò con occhi meravigliati e stupefatti. Da quanto tempo Adrien non osava far emergere quel suo lato da Chat Noir che da tanto aveva imparato ad amare? Il cuore le batteva fortissimo nel petto. Stava… stava per caso cercando di flirtare con lei?

Colta da un moto d’allarme, Ladybug indietreggiò di un passo. Il suo sguardo era pieno di timore, mentre le labbra erano partite alla ricerca disperata di una risposta adeguata. Avrebbe dovuto ribattere a tono e stare al suo gioco, oppure rimettere le cose bene in chiaro prima che la situazione potesse degenerare? 

Schiuse le labbra leggermente tremolanti e fece per rispondergli, quando sentì la  voce mortificata di Adrien prevenirla. “Scusami, io… mi dispiace, non avrei dovuto.”

Ladybug alzò gli occhi su di lui. Lo guardò contorcersi dalla voglia di rimangiare quelle parole, di tornare indietro e rispondere semplicemente che sì, andava tutto bene, e che aveva urgente bisogno di parlarle. 

Marinette si prese un labbro tra i denti, come faceva sempre quando era nervosa, e cercò di combattere contro la voglia che aveva di prenderlo per mano, baciarlo, accettare le sua avances e flirtare con lui fino a che, esausta, non si sarebbe addormentata cullata dalle sue braccia e dal respiro calmo del suo petto contro l’orecchio. 

“N-non preoccuparti” disse solo “è stata colpa mia. Non avrei dovuto chiamarti…”, si bloccò. Non osava ripetere quella parola. Chaton. Era pericolosa, pensò. Capace di rievocare sensazioni e ricordi che avrebbero fatto meglio a rimanere al sicuro nel cassettino della sua memoria. 

Lui scosse la testa. “Va tutto bene, lo capisco”, ridacchiò nervosamente. “Anche io, a volte, ti chiamo Milady senza rendermene conto”. 

Marinette sentì la terra mancarle sotto i piedi, o forse le gambe farsi improvvisamente troppo deboli per reggerla. Sbandò leggermente, riuscendo a recuperare subito l’equilibrio. D’altronde, la super agilità di Ladybug doveva pure esserle utile a qualcosa. Ad evitarle figuracce in momenti come questo. 

Adrien continuò ad osservarla, intensamente, e non potè far a meno di pensare che fosse adorabile, con le ciglia lunghe e gli occhi spalancati, le guance rosse e le labbra schiuse. Cercò di godere al massimo della sua presenza di fronte lui, e anche di capire se lei avesse ancora qualcosa da dirgli. Ma Ladybug non accennava a proferire parola (forse per paura di tradirsi ancora), e dunque Adrien si sforzò di tornare dritto al punto. 

Si rimise ben in equilibrio sulle gambe, un piede di fronte all’altro sulle tegole in cemento del tetto, e infilò agilmente il bastone al suo posto, dietro la schiena. 

“Ladybug”, iniziò, cercando di mantenere il tono di voce il più formale possibile. “Ho bisogno di parlarti. In qualità di Guardiana dei Miraculous. H-ho fatto alcune scoperte nell’ultimo periodo, e…”. Adrien si interruppe. Prese un respiro profondo, poi infilò una mano in tasca e ne estrasse due piccoli oggetti. Marinette seguì con estremo interesse ogni suo movimento: come le sue dita si richiudevano con cura intorno al contenuto del palmo guantato, come Adrien continuava a fissarla cercando di carpire ogni singolo pensiero che sfrecciasse nella mente di lei. 

Poi, vide Adrien avvicinare il pugno davanti a lei, e schiuderlo leggermente. 

Inizialmente, Marinette pensò che Adrien la stesse prendendo in giro, e che non era affatto divertente, perché non era un momento per scherzare, quello. Pensò che le due spille che giacevano sul palmo guantato del suo partner fossero dei giocattoli. A prima vista, l’azzurro e il blu e il viola le parvero colori troppo cangianti per una spilla da adulti. 

Poi, però, strinse gli occhi e sporse avanti il collo, aguzzando la vista - perché era buio e non si vedeva bene. Adesso, riuscì a distinguere perfettamente i contorni degli oggetti che Chat Noir le stava consegnando. 

Non erano spille giocattolo dai colori troppo vivaci. Forse, non era neanche uno scherzo. 

Ladybug strabuzzò i grandi occhi azzurri. “Ma dove… come…?!”

Vide Chat Noir sorridere, e con la mano libera prenderle delicatamente il polso e il dorso della mano, facendole scivolare le due spille sul palmo. 

Fu così che Ladybug si ritrovò tra le mani i Miraculous del Pavone e della Farfalla, da lungo tempo andati perduti. 

 

 

3. 

 

“Dove li hai presi?! Adrien, ti rendi conto del pericolo… Io…”, la voce di Ladybug si perse nel buio. Era ancora troppo scioccata per elaborare un pensiero di senso compiuto, per cercare di capire come, cosa…

Chat Noir richiuse delicatamente le dita di Ladybug intorno ai Miraculous. Marinette sussultò al tocco leggero delle sue dita. Poi scosse la testa, non era tempo né momento di farsi distrarre dai suoi sentimenti per lui. 

“Mi dici dove li hai presi, o…?”

Vide Chat Noir sorridere debolmente, poi alzare gli occhi su di lei. “Che ne dici se andiamo a sederci da qualche parte? Abbiamo… tante cose di cui parlare.”

Ladybug lo guardò allarmato. “Devo preoccuparmi? Perché non mi hai detto niente?”

“Te lo sto dicendo adesso”, sussurrò dolcemente Chat Noir. Poi prese il bastone da dietro la schiena e con un cenno della testa la invitò a seguirlo. “Vieni?”

Ladybug annuì, prima di prendere il suo yo-yo e riporre i due Miraculous con estrema cura al loro posto nella Miracle Box. Risollevò lo sguardo quando avvertì un fruscio di coda, e rimase a fissare per pochi istanti la figura di Chat Noir librarsi nel cielo. Sbatté le palpebre, e con un leggero slancio si issò al suo seguito. 

 

***

 

“Hai tante cose da dirmi.”

“Lo so.”

“Ogni cosa. Ogni singolo dettaglio.”

“Lo so.”

“Voglio sapere tutto. Tutto.”

Chat Noir annuì, e un fremito scosse le sue orecchie di gatto. 

Erano seduti sulla cima della Tour Eiffel, e sebbene quel luogo avrebbe potuto risvegliare in loro tanti e tanti ricordi, caldi e dolorosi, adesso non c’era spazio per nulla al di fuori della loro missione. Del loro lavoro da supereroi. Erano solo Ladybug e Chat Noir, un duo di partner perfetto, certo, ma pur sempre supereroi con un compito da portare a termine. O meglio, il compito spettava a Chat Noir, Ladybug doveva soltanto venire a conoscenza dei suoi piani. 

“Chat Noir”, chiese Ladybug, e nel tono con cui pronunciò il suo nome Adrien vi lesse un sentimento di formalità. Si stava rivolgendo anche lei al lui supereroe. Niente più Adrien e Marinette. Mai più. Che dire, faceva ancora male. 

“Mmh?” Chat Noir voltò la testa verso di lei, alla sua sinistra. 

Lo sguardo di Ladybug era forte e deciso, e Adrien non fu più in grado di leggervi l’emozione che li aveva fatti brillare solo qualche minuto prima, quando stava cercando furiosamente di asciugarsi le lacrime. 

“Voglio sapere tutto”, ripetè Ladybug a fior di labbra. Distolse lo sguardo, e tornò a fissare la città di luci in basso. 

“Va bene”, rispose semplicemente Adrien, e le raccontò tutto. Di quando suo padre era morto e lui aveva trovato la sua lettera, e aveva scoperto la sua vera identità, la sua storia e i suoi piani. Le raccontò che lui era Papillon, e che era stato contro suo padre che avevano combattuto contro tutti quegli anni, cercando disperatamente di scoprire chi fosse quando la verità era proprio sotto il loro naso. Le raccontò di Nathalie, da sempre sua complice, che forse era da biasimare, anche se in fin dei conti aveva sempre agito per amore della famiglia Agreste. 

Ladybug ascoltò attentamente, come fanno i bambini quando si legge loro una storia. Sì, le sembrava di star ascoltando una fiaba, lontana impossibile e magica, come se lei non fosse uno dei personaggi chiamati in causa, ma una semplice ascoltatrice incantata. Pendeva dalle labbra di Chat Noir, e beveva ogni sua singola parola, ma tutto le sembrava così irraggiungibile, certo affascinante, ma pur sempre una fiaba. 

Chat Noir, vedendo che Ladybug non dava segni di risposta, continuò con la sua storia. 

Le raccontò del viaggio in Tibet di Gabriel e sua madre, di quando avevano trovato i Miraculous del Pavone e della Farfalla e avevano iniziato ad usarli nella speranza di portare il bene nel mondo, fallendo miseramente. Émilie era caduta malata prima, addormentata dopo, e ancora adesso riversava in un sonno profondo da cui sembrava impossibile risvegliarla. Ma Adrien non avrebbe permesso che sua madre continuasse a dormire per sempre senza fare nulla per salvarla, senza portare a termine ciò che suo padre non era riuscito a fare. 

E lo avrebbe fatto da solo. Per questo aveva chiesto di parlare con lei. Per ridarle i Miraculous perduti, affinché lei potesse custodirli ed evitare che cadessero di nuovo nelle mani sbagliate. E per chiederle il permesso di partire alla ricerca di una soluzione, di un modo per tornare a rivedere il sorriso di sua madre e il verde dei suoi occhi. 

“Mi lascerai andare, Ladybug?”

Lei lo guardò incredula, ancora troppo scioccata da tutte quelle rivelazioni per comprendere appieno il significato della sua domanda. Gabriel Agreste era Papillon, Nathalie Sancoeur Mayura, la madre di Adrien era ancora viva e giaceva addormentata in una bara di vetro, e neanche il bacio del vero amore era riuscito a…

“Ladybug?”

La voce di Chat Noir la riportò alla realtà. Marinette sbatté le palpebre, cercando di sforzarsi, e capire che quella non era una fiaba, ma la pura realtà. E loro, Adrien e suo padre, e la segretaria e la madre, erano i protagonisti. E anche lei, in qualità di Guardiana. 

Si portò una mano alla fronte e si passò le dita tra i capelli. Sotto i guanti, le sentiva terribilmente sudate. Chiuse gli occhi, e si prese qualche secondo per mettere in ordine i pensieri. 

Ad Adrien quei pochi minuti parvero infinito, anche se non sapeva da dove veniva tutta quell’ansia. Cosa avrebbe potuto dirgli di brutto Ladybug? Che gli negava il permesso di andare a cercare un modo per salvare sua madre? Adrien era certo che Marinette avrebbe capito. Che avrebbe compreso quanto fosse importante per lui tutta quella missione. Per questo credette di aver udito male quando alle sue orecchie arrivarono nette le parole di Ladybug. 

“No”, rispose semplicemente. 

Adrien vacillò. No?

“C-come no,? Io…” esclamò, la voce leggermente incrinata. 

“Non andrai da solo. Non lo permetterò. È troppo pericoloso, Chat Noir. Tutto questo…” protese le mani in avanti, cercando di afferrare un qualcosa di enorme e immaginario che solo lei era in grado di vedere. 

“Ma io…” iniziò Chat Noir, senza sapere come andare avanti. 

Chat Noir si scontrò con gli occhi azzurri forti e risoluti di Ladybug. Conosceva bene quello sguardo. Era quello che adottava quando aveva preso una decisione, e non ci sarebbe stato nulla che le avrebbe fatto cambiare idea. Era lo stesso sguardo che avevano assunto i suoi occhi quando, quella sera di tanti anni prima, Marinette aveva deciso che tra di loro non ci sarebbe mai stato niente. 

No. Per quanto continuasse ad amare profondamente Marinette, Adrien non avrebbe permesso che ancora una volta una sua decisione influisse sulla sua vita. 

“Non posso permetterti di andare da solo, hai visto quello che è successo co…”

“Ladybug, non voglio che tu venga con me”, la interruppe Chat Noir, forse con troppa fermezza. 

Marinette lo guardò sorpresa. “C-cosa?”

Di fronte al tono contrariato della voce di lei, Adrien si pentì di aver parlato. Ma ormai era troppo tardi. “Voglio andare da solo, ho deciso così.”

Ladybug si girò un poco verso di lui, per guardarlo meglio negli occhi. “Non ti lascerò andare da solo. Abbiamo sempre agito insieme, lo faremo anche questa volta.”
Chat Noir scosse la testa. Forse, in un altro momento, le parole di Ladybug avrebbero fatto breccia nel suo cuore, ma adesso c’era talmente tanta tensione tra di loro che non riuscì ad andare a fondo al loro significato. Non riuscì a capire subito che Ladybug voleva ancora lavorare con lui, nonostante tutto. Che ci teneva ancora a lui, perché altrimenti non avrebbe insistito tanto nell’aiutarlo. Non ci pensò, in quel momento. Per questo andò avanti, ancora fermo nella sua idea. 

“Come hai detto tu” cercò di spiegarsi “è troppo pericoloso. Non voglio che corri un rischio inutile per aiutarmi. È chiaro che…”

… che con me non vuoi avere più niente a che fare. 

Lo avrebbe detto, ma un nodo gli si formò in gola e semplicemente… non ne ebbe il coraggio. Non sapeva perché quelle parole gli sembrassero tanto crudeli, ma si convinse che forse era perché in fondo - tanto in fondo - non rispecchiavano la realtà. Magari a Marinette importava ancora di lui e voleva aiutarlo e…

“È chiaro cosa?”, lo interrogò Ladybug. 

Adrien boccheggiò, senza sapere cosa dire. Poi si fece coraggio e rispose: “Non voglio metterti in pericolo, se so che potresti evitarlo. E poi…”

“E poi…?”, lo incoraggiò lei, nella voce una puntina di speranza. Speranza che lui facesse trasparire ancora una volta i suoi sentimenti per lei, che le facesse comprendere che per loro c’era ancora una possibilità. 

Adrien abbassò lo sguardo, troppo imbarazzato per guardarla negli occhi. “Non sarebbe troppo… ehm, strano?”

“Strano?”

“Sì, strano”, mormorò, e tornò a guardarla. “Tu e io, in missione insieme, dopo così tanto tempo…”, la sua voce suonava improvvisamente troppo rauca. 

Marinette arrossì sotto lo sguardo intenso e appassionato di Chat Noir. Sentì il cuore tremarle in petto, tutta la pelle vibrare, bisognosa di un contatto con lui. Una stretta di mano, una carezza, un sussurro. Un bacio. 

Ladybug, senza il suo volere, pensò. Pensò e si lasciò andare all’immaginazione, a loro due fianco a fianco, a lavorare e passare del tempo insieme, senza tensioni o rancori, solo armonia. Due partner affiatati, come sempre erano stati prima che lei rovinasse tutto. Si poteva ancora avere tutto quello, no? Anche se lui non la voleva più nella sua vita quotidiana, forse Marinette sarebbe riuscita a cavarsi un posticino nella loro vita da supereroi. 

No, aveva deciso. Era impensabile che lei se ne stesse con le mani in mano mentre lui rischiava la vita per salvare la madre. Gabriel era diventato pazzo ed era ricorso al suicidio per lo stesso motivo, e Ladybug avrebbe impedito che ciò accadesse anche con Adrien. Era compito suo, in qualità di Guardiana e portatrice del Miraculous della Coccinella, aiutare le persone in difficoltà, Adrien, e salvare sua madre. 

Forse, in quel momento, Marinette ragionò condizionata dai suoi sentimenti per Adrien. Forse avrebbe dovuto metterli da parte e pensare razionalmente, in maniera parziale. 

Tuttavia, non vi riuscì. Per troppo tempo aveva permesso che le sue azioni fossero dettate unicamente dalla ragione, ed aveva visto dove la sua vita l’aveva condotta. 

Forse, non era sbagliato seguire una volta tanto il proprio cuore. 

“Non sarebbe strano” rispose a fior di labbra. “Non siamo sempre stati un duo, tu ed io? Possiamo ancora agire insieme contro il mondo, come una volta. Ricordi?”, chiese, e la sua voce suonò dolce come le note di un flauto. “Lascia che ti aiuti, Adrien.”

Adrien Adrien Adrien. 

Il cuore di Adrien sussultò. Non sapeva esattamente come, ma adesso Ladybug si era avvicinata di più a lui, e riusciva a sentire il suo profumo e la morbidezza del suo corpo contro il proprio. “Non posso lasciare che tu… io…”

Ladybug ridacchiò, sorprendendolo ancor di più. “Potrei sempre riprendermi il tuo Miraculous, lo sai.”

Lui alzò le sopracciglia. “Non lo faresti.”

“Oh, certo che sì.”

Sì, lo farebbe, pensò. 

Ne era capace. 

“E io andrei avanti anche senza Miraculous”, ribatté. 

“Sarebbe un suicidio”.

“Andrei lo stesso”, ripetè Chat Noir. 

“Lo so”, convenne risoluta Ladybug. 

“E-e allora?”, chiese lui, confuso. Non capiva dove volesse andare a parare con tutto quel discorso. 

Ladybug cercò il suo sguardo, i grandi occhi azzurri scintillanti nel buio. Inaspettatamente, gli prese una mano, e ne carezzò il dorso col pollice. “Allora verrei a salvarti”, sussurrò. “Così da aiutarti lo stesso, alla fine”. 

Adrien aveva perso il conto dei battiti del suo cuore. Correva talmente veloce che gli sembrava capace di uscirgli dal petto da un momento all’altro.

Cosa… cosa stava succedendo? Perché Ladybug lo guardava così dolcemente, quasi non fosse passato un singolo giorno da che avevano scoperto le loro identità? Adrien non se ne capacitava, ma in quel momento non se ne curò. Ladybug gli stava rivolgendo uno sguardo d’amore, il suo aiuto e il suo supporto, e lui non sarebbe mai stato capace di rifiutare. 

Accolse la presa della mano di Marinette nella sua. 

“A quanto pare, saremo ancora una volta tu ed io contro il mondo, Milady”, rispose, cercando di non pensare a quanto le sue parole potessero essere fraintese. Si aspettava che lei si arrestasse, che rimangiasse tutto, che si scostasse e se ne andasse via come sempre negli ultimi quattro anni. Invece sorrise, felice. Strinse più forte la sua mano e mormorò: “Insieme”.

 

 

Da quella parola, semplice e forte e bellissima, ebbe inizio il viaggio di Ladybug e Chat Noir. 

Una ricerca verso… non sapevano bene cosa, ma non importava. 

Erano insieme, e avevano dato prova tante e tante volte della potenza delle loro forze unite per il bene. 

Per questo, anche nei momenti di sconforto, quelli in cui sembrava che non ci fosse alcuna via d’uscita, non si persero d’animo, sicuri che ne sarebbero usciti vincitori, ancora una volta. 

 

Cercarono e cercarono, e infine, dopo dieci lunghi mesi, la trovarono. 

Émilie. 

 

 

Première partie: fin. 

 

[continue…]

 

 

Convenevoli finali: 

Wow, siamo arrivati alla fine della prima parte. Davvero non ci credo, mi sembra solo ieri da che ho iniziato a scrivere questa storia, e allo stesso tempo un secolo fa. 

Grazie a tutti di cuore per aver letto fino a qui, 

 

Un bacio, 

Francesca <3

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Capitolo 8
*** Deuxième partie - I. Maman ***


Deuxième partie 

 

«L’amour est une fleur délicieuse, mais il faut avoir le courage d’aller la cueillir sur les bords d’un précipice affreux.»

 

 

I. 

 

Parigi, 24 maggio 2022

 

All’udire di un timido bussare, Émilie volse lo sguardo verso la porta. Un sorriso raggiante le illuminò il volto: già intuiva il proprietario di quella mano dal battito leggero e incerto. Sorrise ancor di più quando scorse la testa bionda di suo figlio - bionda come la sua - fare capolino nella stanza. 

Adrien sospirò di sollievo alla vista della madre seduta sul divano bianco accanto alla vetrata. Da quando Émilie si era ristabilita abbastanza per uscire dall’ospedale e tornare a casa, ogni volta che Adrien entrava in una stanza temeva di non trovarla più. O peggio, trovarla accasciata a terra, pallida di morte. Proprio come quel giorno di tanti anni prima, quando credeva che lei avesse solo un po’ di tosse e una semplice febbre - come gli aveva fatto credere suo padre - e invece non l’aveva rivista più. 

Ecco, Adrien continuava ad avere questa inconscia paura, che lei potesse sparire da un momento all’altro, lasciandolo solo in quella casa immensa. Troppi anni vi aveva vissuto in completa solitudine, e non era certo lo avrebbe sopportato una seconda volta. Per questo, quando la vide allegra e serena, si sentì subito sollevato e ricambiò con dolcezza il sorriso che la madre gli aveva rivolto a mo’ di saluto. 

Avanzò timidamente nella stanza, perché non si era ancora abituato all’aura così armoniosa e delicata che la presenza di Émilie emanava. 

“Buongiorno, M-Maman”, disse in un sussurro, inceppandosi proprio su quella parola che suonava come arrugginita sulle sue labbra. Quando lei era morta - o meglio, quando lui credeva che lei lo fosse - quella parola, mamma, così dolce e soave, non l’aveva pronunciata più. Era troppo doloroso per lui, non ci riusciva. Quando ci provava, sentiva come un nodo bloccargli la gola, e se infine ce la faceva, suonava talmente arida e vuota da disgustarlo. 

Ma adesso - Maman - questa parola si invigoriva sempre di più, come se le sue corde vocali avessero finalmente ritrovato la giusta combinazione, e il suo cuore la debita dose di sentimento. 

E nonostante quel Maman gli parve ancora un pizzico acerbo (doveva assolutamente eliminare la balbuzie, quale normale figlio balbetta rivolgendosi alla propria mamma?), sicuramente erano stati svolti grandi progressi. 

Anche Émilie sentì il cuore palpitare nel petto al suono di quella parola. Questo perché, nonostante per lei neanche un singolo giorno sembrasse passato da che si era “addormentata”, vedere Adrien così adulto e cresciuto le aveva fatto comprendere realmente quanto tempo fosse trascorso, e quanto dovesse essere difficile, per lui, affrontare tutto questo. 

“Tesoro”, gli disse con voce dolce, seppur un po' rauca. Batté una mano sul posto libero accanto a lei. “Vieni, siediti qui con me” lo invitò. 

Adrien non se lo fece ripetere due volte, e si diresse con passo leggermente nervoso verso il divano a cui la madre sedeva. 

La luce aranciata del tramonto adesso permeava tutta la stanza, in un gioco di colori e luci che fecero brillare gli occhi di Adrien, quasi...

Quasi come stesse per piangere. 

L’occhio di madre di Émilie notò subito quel bagliore, e il suo bel sorriso venne smorzato da un moto di preoccupazione.

“Oh, Adrien” mormorò così dolce, tanto che Adrien dovette chiedessi come fosse possibile che la sola presenza di Émilie accanto a lui potesse dare vita a quell’atmosfera di amore e magia. 

Quanto le era mancata, dannazione. 

Quanto quanto quanto. 

Si sedette sul morbido cuscino del divano leggermente tremante, e sebbene fece uno sforzo immane per trattenere le lacrime, l’istante in cui i suoi occhi incrociarono quelli luminosi di Émilie ebbe su di lui l’effetto contrario. E prima che potesse rendersene conto, stava piangendo tra le braccia di sua madre. 

Sì, proprio tra le braccia di sua madre. Non sulla sua tomba o di fronte alla sua statua o alla sua foto. Ma proprio con la testa poggiata contro il suo petto morbido, le braccia sottili di lei intorno al corpo e il suo profumo dolce e intenso e capace di risvegliare tutta una serie di vecchi e bellissimi ricordi. 

Adrien si abbandonò completamente alle carezze della sua mamma, nonostante adesso avesse quasi ventuno anni e fosse praticamente un adulto. Ma non vi fece caso. Per troppo tempo aveva temuto perduta per sempre ogni possibilità di ascoltare ancora una volta il battito del cuore di Émilie contro l’orecchio. Rimanevano pur sempre un figlio e sua madre, della cui morte egli era stato convinto per tanti, troppi anni. 

I leggeri singhiozzi di Adrien riecheggiavano nell’intera stanza, ed Émilie non esitò a consolarlo, mentre un senso di colpa sempre più acuto le invadeva il cuore, perché era solo a causa sua e della sua ostinazione se lei a Gabriel avevano fatto soffrire Adrien. 

“Ti prego, tesoro. Non piangere più” gli sussurrò contro l’orecchio, una mano candida e affusolata premuta contro i suoi capelli biondi. “Non piangere più,” ripetè “altrimenti piango anch’io”. E, detto ciò, due timide lacrime le attraversarono le guance ancora lievemente pallide (di certo anni passati ad appassire dietro una teca di vetro non avevano giovato al suo colorito). 

Maman”, mormorò Adrien, con la voce debole e spezzata. Il suo petto si muoveva convulsamente al ritmo dei pochi singhiozzi che ancora lo scuotevano. “Io…io…”

“Shhh, Adrien. Va tutto bene, sono qui, adesso. Rimarrò sempre qui, e non ti lascerò mai più.”
“Non... te ne andrai mai, mai più, Maman. Me lo prometti?”, chiese lui, alzando di poco la testa, per guardarla negli occhi. Émilie sorrise debolmente. In quel momento, Adrien sembrava ancora il bambino piccolo di tanti anni prima, che scruta con le lacrime agli occhi lo sguardo della madre, alla ricerca di un’approvazione o di una risposta ai suoi problemi. 

“Mai più”, confermò con dolcezza, mentre con le dita prese ad asciugargli le lacrime dalle guance. Quando percepì un leggero cenno di barba sulla sua pelle liscia e dorata, Émilie sentì il cuore stringersi. Ancora un segno di tutto quello che aveva perso in quegli anni di cui non aveva avvertito il trascorrere.

Guardando intensamente Adrien negli occhi, con le mani ancora sulle sue guance, disse a fior di labbra: “Oh, Adrien. Ho perso così tanto della tua vita che non potrei mai perdonarmi se morissi adesso lasciandoti solo.”

Accarezzò con un ultimo movimento del pollice la sua guancia, poi lo prese per le spalle e lo invitò a tirarsi su. “Ma adesso basta piangere. D’ora in poi voglio vederti solo sorridere. Siamo intesi?”, chiese, con un tono da dolce rimprovero. 

Adrien annuì, gli angoli delle labbra che già protendevano verso l’alto. Émilie sorrise entusiasta, poi premette i palmi sul cuscino del divano per mettersi a sedere più comoda. Non riuscì a trattenere una smorfia di sforzo - il suo corpo era ancora troppo debole dopo tutti quegli anni passati addormentata in una teca sotterranea - e Adrien si lanciò subito in suo soccorso. La prese delicatamente per le braccia e la issò di un poco sulla poltrona, poi le aggiustò la coperta sulle ginocchia e le chiese concitato se avesse sete, o se non volesse mangiare qualcosa. 

Émilie scosse la testa. 

“Sei sicura, Maman? Posso chiedere al cuoco di cucinare quella zuppa che ti piace tanto, o… o se vuoi posso prepararti un bagno caldo. Ti va?”

Émilie sorrise, e declinò con gentilezza. 

Adrien corrugò le sopracciglia. “Ma… credo che un bagno caldo ti farebbe bene. Oppure preferisci andare a letto? Posso portarti io, naturalmente. Non c’e bisogno di disturbare nessuno. Non devi fare altro che chi…”

Adrien si interruppe al suono cristallino della risata di Émilie. “Com’è strano, adesso sei tu a prenderti cura di me. O cielo, sono diventata davvero una decrepita vecchia.”

Adrien scosse la testa, contrariato. “Ma cosa dici, Maman? Lo sai che per me è un piacere aiutarti. Non sai quanto…”, e lì si bloccò, perché temeva che se avesse continuato avrebbe di nuovo cominciato a piangere. 

Émilie prese una mano tra le sue, piccole e delicate, bianche come marmo. Dopo qualche istante di silenzio passato a guardarsi negli occhi, Émilie esclamò: “Oh, ma devi raccontarmi tutto. Tutto tutto.”

E vide il suo Adrien arrossire quando aggiunse: “Soprattutto della tua Ladybug. O meglio” si corresse, col sorriso di chi la sa lunga “Marinette”. 

Il cuore di Adrien mancò un battito, poi riprese a battere talmente forte che sentì il sangue bollente arrivargli fin nel cervello. Sicuramente era arrossito come un peperone. Sarebbe stato totalmente inutile nasconderlo, visto che sua madre conosceva ogni singola espressione del suo viso, che in quegli anni erano rimaste del tutto invariate. 

“Per caso il gatto ti ha mangiato la lingua, tesoro? Oh, cielo. Che battuta terribile” un dolce risolino le sfuggì dalle labbra. 

Adrien farfugliò qualche parola incomprensibile. Poi ancora: “L-Ladybug, hai detto?”

“Mmh” annuì Émilie, con ancora un sorriso sornione stampato sulle labbra. 

“L-la mia Ladybug?”, chiese ancora, incredulo. Come aveva fatto sua madre a capire i sentimenti che…?

“Sì, tesoro. Non mi pare di conoscere altre Ladybug. Né Marinette, se per questo.”

Adrian batté le ciglia, ancora troppo sorpreso per rispondere. Mai avrebbe pensato di parlare di Marinette con sua madre, ed invece eccolo qui. Si tirò più su a sedere. 

 

***

 

Sebbene in quei dieci mesi non ci fosse stato neanche un singolo istante per… parlare di loro due, le cose tra Adrien e Marinette erano decisamente migliorate. Parlavano naturalmente, come due amici di vecchia data che si conoscano perfettamente, e avevano condotto un lavoro di coppia impeccabile. Ad Adrien andava bene così. Era stato bello, perché anche nei momenti più difficili erano riusciti sempre a trovare una via d’uscita, affiatati ancora una volta come tanti anni prima, quando avevano iniziato a combattere Papillon. 

Erano davvero un duo perfetto, e Adrien si era costretto a pensare che gli bastasse quello che erano riusciti a costruire. 

Un duo, un’amicizia bellissima. 

Si era convinto che questo era tutto quello che voleva. Non morire dalla voglia di catturare le labbra morbide e rosate di Marinette tra le sue, o baciare ogni singola lentiggine sul suo viso, o affondare il volto nel suo collo e rimanere per sempre lì, fermo ad ascoltare il profumo di fragole e zucchero di Marinette. 

Aveva creduto di non aver bisogno di tutto questo, e faceva di tutto pur di non pensare a quello che avrebbero potuto avere. 

Avevano quello che avevano, e tanto bastava. 

Inoltre, adesso che avevano trovato il modo di riportare indietro Émilie, Adrien aveva cose più importanti a cui pensare. Ad una spiegazione plausibile da dare al mondo circa la risurrezione di Émilie Agreste, a come prestare a sua madre tutto l’aiuto possibile senza soffocarla di attenzioni, a come rimettere ordine nella sua vita e capire cosa sarebbe venuto dopo, adesso che Papillon non c’era più e sua madre era di nuovo lì con lui.

Adrien avrebbe dovuto finire i suoi studi e capire cosa fare del suo futuro. Non quel futuro di cui aveva sognato tanto, quello con Marinette, una casa tre figli e un criceto. Un futuro più realistico, più… vuoto. 

Ancora non riusciva ad immaginarselo, ed era per questo che si sentiva così confuso. Adesso, però - in quel momento, in quei giorni - l’unico pensiero che lo accompagnava era quello di Émilie. Avrebbe fatto di tutto pur di farla reintegrare al meglio in casa e nel mondo al di fuori, e doveva assicurarsi che nulla andasse storto. Poi… poi avrebbe pensato a cosa fare della sua vita, del suo futuro con la casa, i tre figli e il criceto e…

E nessuna Marinette. 

 

***

 

“Allora?”, la voce di Émilie lo riportò alla realtà. 

Adrien alzò lo sguardo. Non si era reso conto di essersi perso di nuovo nei pensieri che non aveva più le forze di affrontare. Abbozzò un sorriso tirato. “Non c’è nulla di cui parlare, Maman.”

Émilie corrugò le sopracciglia. “Cosa intendi dire?”

“Che… c-che non c’è niente tra me e… e Marinette”. Non sapeva perché, ma pronunciò queste parole con più difficoltà di quanto avesse previsto. Eppure quella era la verità, no? Non c’era nulla tra lui e Marinette. Solo una sana amicizia. Una partnership perfetta. 

Émilie sorrise saggiamente. cDal modo in cui la guardi, e lei ti guarda, non si direbbe”, disse piano. 

Adrien non seppe cosa dire. Com’era che lo guardava, Marinette? 

Émilie gli accarezzò una spalla con la mano. “Perché non mi parli lo stesso di lei? Non ho ancora avuto l’opportunità di conoscerla bene, ma dalle poche volte che l’ho incontrata mi è sembrata una bellissima persona.”

“Oh, lo è”, rispose Adrien, con più fervore di quanto non volesse. 

Émilie ridacchiò, e Adrien arrossì fino alla punta delle orecchie. “Sei proprio innamorato”, mormorò, cercando di nascondere una leggera inclinazione nella voce. Suo figlio si era innamorato e lei se lo era perso. Émilie scacciò quei pensieri dalla mente scuotendo leggermente la testa. 

Adrien la guardò imbarazzato. “I-io… non sono…”

Émilie fece un gesto con la mano, come a zittirlo. “Non dire sciocchezze, tesoro. Si vede lontano un miglio che sei pazzo di lei. E lei di te.”

“E lei di me?”, ripetè con un fil di voce lui, a dir poco confuso. 

Émilie annuì con un gran sorriso. Gli occhi verdi emisero un leggero baluginio, che per fortuna Adrien non notò. Aveva lo sguardo come perso nel vuoto, forse a pensare alle possibili implicazioni di quello che sua madre aveva appena detto. 

“Oh”, riprese lui, dopo infiniti secondi “anche se mi ricambiasse, tra di noi non potrà mai esserci nulla.”
La sua voce le sembrò stranamente anonima, come se Adrien stesse ripetendo un discorso imparato a memoria per cercare di convincersi. O di non darsi false speranze. 

Émilie schiuse le labbra e fece per chiedergli perché, quando fu interrotta da un leggero colpo alla porta. Adrien rizzò la testa. Sembrava quasi che l’istinto gli avesse in un qualche modo suggerito la presenza che stava per entrare. 

Émilie fece di tutto per nascondere un sorriso complice e si schiarì la gola. “Potresti andare ad aprire, Adrien?”

Lui la guardò incredulo. Poi scattò in piedi e si diresse a grandi falcate verso la porta della stanza. 

Una volta poggiata una mano sulla maniglia di ottone, un brivido gli percorse la schiena. Si convinse che era perché la maniglia era gelida. 

Adrien sentì il corpo teso come una corda di violino quando abbassò la maniglia e la porta si schiuse. Fu subito investito dal suo profumo, fragola e zucchero e miele. Indietreggiò di un passo, con le gambe tremanti. 

Non era preparato alla visione che gli si parò davanti. Una Marinette sorridente e raggiante, con in mano una piccola ed elegante scatola di macarons. 

“Buongiorno, Chaton”, il suo saluto risuonò limpido e cristallino nella stanza.
“M-Marinette”, farfugliò. Dannazione, non era pronto a vederla, non quel giorno. 

Marinette sorrise, inclinando leggermente la testa verso sinistra, come per scorgere la figura seduta dietro ad Adrien. 

“Émilie!”, esclamò poi, poggiando delicatamente una mano sul braccio di Adrien - una mano sul braccio di Adrien! - come a farsi un po' di spazio. Adrien seguì con lo sguardo ogni singolo movimento della sua figura leggera e sinuosa, che aveva improvviso illuminato tutta la stanza. Più di quanto non avesse già fatto la presenza di Émilie, ovviamente. 

Marinette si mosse verso Émilie, ancora seduta sul divano, troppo debole per alzarsi. Marinette baciò sua madre sulla guancia, e iniziò a parlarle come se la conoscesse da sempre. 

“Come hai dormito, stanotte? Bene? Sono contenta! Adrien mi ha detto che hai avuto un po' di problemi la scorsa settimana, ma mi fa piacere vedere che stai meglio!”, poi, mettendosi a sedere sullo stesso punto dove Adrien era stato fino a pochi istanti prima, continuò: “Mio padre ha insistito affinché ti portassi qualcosa da mangiare, allora ho preparato questi macarons al frutto della passione. È il gusto preferito di Adrien, quindi ho pensato potessero piacere anche a te.” Poi, arrossendo, porse ad Émilie la scatola bianca ad intarsi dorati. Émilie sorrise con gratitudine, poi volse lo sguardo ad Adrien, ancora impalato come uno stoccafisso vicino alla porta. 

Adrien si risvegliò come da un sogno. Chiuse la porta alle sue spalle e andò a sedersi su una poltrona a fianco di Émilie. 

“Ti ringrazio tantissimo, Marinette. È davvero un bel pensiero.”

Marinette si morse un labbro, imbarazzata. Adrien sentì il cuore fare una capovolta. “N-non è niente di che, davvero… ehm…” 

Aveva iniziato a contorcersi le mani poggiate in grembo, e Adrien la trovò adorabile, così impacciata e balbettante. 

Poi… Marinette ricambiò il suo sguardo, e lo guardò

Lo guardò con tanto ardore che le viscere di Adrien si agitarono tutte e centinaia - anzi, migliaia - di farfalle avevano preso a svolazzare e a contorcersi nello stomaco. Adrien non capiva il perché di quello sguardo. Non gli era mai parso che Marinette lo osservasse in questo modo, nello stesso modo in cui lui guardava sempre lei. O forse era sempre stato così, e lui se ne rendeva conto solo adesso, risvegliato dalle parole di sua madre.  

Dal modo in cui la guardi, e lei ti guarda, non si direbbe. 

Si vede lontano un miglio che sei pazzo di lei. E lei di te. 

Émilie guardò prima Adrien, poi Marinette, mentre quei due continuavano a fissarsi come due ebeti. Si schiarì la gola con un sorriso consapevole stampato sulle labbra, perché quei due erano innamorati ed adorabili ed era suo compito assicurarsi che finissero insieme. 

“Marinette, grazie ancora. Anche a me piace tantissimo il frutto della passione. Purtroppo”, disse, fingendo uno sbadiglio, “sono troppo stanca per parlare, oggi pomeriggio. Credo… credo proprio di aver bisogno di riposare.”

Adrien scattò di nuovo in piedi. “Ti accompagno a letto, Maman.”

Émilie scosse la testa: “Non disturbarti, Adrien. Ho chiesto a Monsieur Delacroix di passare a prendermi per le cinque, e dovrebbe arrivare a minuti. Ah, eccolo che bussa alla porta. Avanti!”, esclamò, e la sua voce dolce arrivò fino alle orecchie del caro Monsieur Delacroix, che con un gesto deciso spalancò la porta della stanza. “Monsieur, venite giusto in tempo. Vi dispiacerebbe accompagnarmi fino alla mia stanza?”

Il gorilla - sì proprio lui - annuì con un grugnito, e prese con una delicatezza inaspettata Émilie Agreste tra le sua braccia, come fosse abituato da una vita ad assistere la sua signora. Prima di lasciare la stanza, Émilie si volse ad Adrien: “Ti prego, tesoro. Fai compagnia alla nostra ospite. Mi dispiacerebbe troppo averla invitata per farla andare via subito. D’accordo?”

Adrien annuì come un automa, senza rendersi conto veramente di ciò che la madre gli aveva appena chiesto. 

“Bene, buon pomeriggio Marinette. Grazie ancora per i macarons, sono sicura saranno buonissimi”. 

Marinette, ancora rossa per l’imbarazzo, non fece in tempo a balbettare una risposta che il gorilla - alias Monsieur Delacroix - si era richiuso la porta alle spalle, con la bella e fragile Émilie tra le braccia. 

Adrien si schiarì la gola. Marinette abbassò gli occhi fino al costoso tappeto che ricopriva il parquet del salotto. Dopo qualche istante di puro silenzio, si alzò in piedi e disse: “Forse è meglio che vada, sicuramente avrai di meglio da far…”
“No!”, la interruppe bruscamente Adrien, in piedi di fronte a lei. “Voglio dire,” aggiunse, portandosi una mano alla nuca. “Resta. Non ho altro da fare e… so che a mia madre farebbe piacere.”
Marinette si morse nuovamente il labbro. Adrien non potè fare a meno di far cadere il suo sguardo su quel labbro rosa e pieno. Ma subito scosse la testa e tornò a guadarla negli occhi. Occhi azzurri e pieni e bellissimi. 

“V-va bene”, sussurrò Marinette, e si rimise a sedere. Adrien, che finalmente aveva trovato l’occasione di avvicinarsi un po’, ne approfittò per andarsi a sistemare accanto a lei. 

Quando per la terza volta i loro occhi si incrociarono, quel pomeriggio, Adrien sentì l’ennesima capriola nel petto. 

“Perché sei così nervoso, Chaton? Non voglio mica mangiarti”, rise Marinette. 

Adrien la scrutò in volto. Era bellissima come sempre, ma quel giorno una luce nuova le illuminava gli occhi, e la faceva risplendere tutta. “È che… è strano”, ammise poi. 

Marinette alzò le sopracciglia. “Cosa è strano?”

“Tu… io, senza più una missione da compiere.”

Marinette scosse la testa. “Ti sbagli, micetto. Avremo sempre missioni da compiere, tu ed io. Siamo o no dei supereroi?”

“Sì… io…”. Adrien era confuso. Non capiva perché si sentiva così nervoso in quel momento. Negli ultimi tempi aveva imparato a controllarsi e a mascherare il suo imbarazzo dietro battute maliziose. Ma non oggi. Forse l’aver visto Marinette senza alcun preavviso, e soprattutto averla vista ridere e scherzare con sua madre come se si conoscessero da tutta una vita. Come se fossero amiche. Le due donne più importanti della sua vita. 

Sarebbe dovuto essere felice, giusto? E di certo lo era, ma adesso non poteva fare a meno di pensare a Marinette. E rimase incantato ad osservare le sue ciglia scure e lunghe e le piccole lentiggini che le puntellavano le guance. A godere del suo profumo dolce che gli aveva riempito i polmoni.

Marinette se ne accorse. Lo sentiva, lo sguardo intenso di Adrien su di lei. E sebbene una parte di lei volesse saltare e gridare di gioia, l’altra la portò a controllarsi e a fare finta di niente. Ci era abituata, ormai. Dopo tutti quei mesi passati a mettere in secondo piano qualsiasi cosa non riguardasse la loro missione, le sembrava quasi naturale fare finta che tra lei e Adrien non ci fosse mai stato nulla. 

Sentì Adrien respirare a fatica accanto a lei. Per alleggerire l’atmosfera, decise di offrirgli uno dei macarons dentro la scatola. Tirò delicatamente un’estremità del nastro dorato che la teneva chiusa, poi alzò il coperchio e gli porse il contenuto sotto gli occhi. 

“Non credo che tua madre riuscirà a mangiarli tutti. Li ho fatti anche per te, sai.”
Adrien la guardò incredulo, poi con una mano tremante estrasse un perfetto macaron dalla scatola. “G-grazie”, riuscì a farfugliare, prima di portare il dolce alle labbra e staccarne un morso. Un sapore dolce e fragrante gli si sciolse in bocca, e subito fece per addentarne un altro pezzo. 

“Mmh” mugugnò. “Sono buonissimi. Davvero”. 

Marinette sorrise. “Grazie, Adrien.”

Adrien. Era la prima volta che lo chiamava per nome da quando era entrata in quella stanza. Adrien sentì una scossa elettrica percuoterlo tutto, e la voglia improvvisa di baciarla. Di dirle che la amava. 

“Hai delle mani d’oro, Milady. Te l’ho mai detto?”

Marinette batté con l’indice due adorabili colpetti contro il mento. “Una volta o due, mi pare” disse infine. Poi distese le ginocchia e puntò i talloni sul tappeto, un sorriso stampato sulle labbra. 

Adrien si rilassò un poco. C’era qualcosa, nel tono di Marinette, che gli fece comprendere che anche lei si stava rilassando. Era calma e serena, come da tanto tempo non la vedeva più. 

“MI rimane una domanda, comunque”, le chiese allora con tono malizioso. 

Lei si girò a guardarlo, gli occhi azzurri sorprendentemente luminosi. “Cosa?”

“Non ricordo di averti mai detto di andare pazzo per il frutto della passione”.

Marinette arrossì. Fece per parlare, ma alla fine decise di rimanere in silenzio. 

“Allora?”, la pungolò Adrien, dandole un’affettuosa spallata. 

Marinette ridacchiò, e con gli occhi di nuovo fissi sul tappeto ammise in un fil di voce: “Non esistono segreti per le ragazze innamorate”.

Adrien si chiese se avesse sentito bene. 

Marinette si chiese se avesse davvero parlato ad alta voce. Voltò di scatto la testa verso Adrien, e lo trovò a fissarla ancora con quegli occhi verdi e intensi. 

“Capisco”, rispose lui con un dolce sorriso, poi tese la mano alla ricerca di quella di Marinette. La trovò che stringeva convulsamente il cuscino del divano, la afferrò delicatamente e se la portò alle labbra. Marinette rabbrividì quando sentì lo schiocco del leggero bacio di Adrien sulle sue nocche. Era un suono che credeva non avrebbe sentito mai, mai più. 

“A-Adrien…”, boccheggiò Marinette, senza tuttavia ritirare la mano, ancora custodita dalla presa ferma e calda di quella di lui. 

Ci pensò Adrien a rimetterla a posto dal punto in cui l’aveva presa. “M-mi dispiace, Marinette. Mi… mi sono fatto trasportare, come sempre.”

Marinette apparve un poco delusa, tanto che afflosciò leggermente le spalle, vedendo che Adrien si era ritratto così velocemente. Ma preferì rimanere in silenzio. 

“Marinette?”, chiese allora Adrien, con un tono talmente serio e basso che Marinette quasi sobbalzò sul posto. 

“Sì?”, chiese a fior di labbra. 

Adrien prese un profondo respiro. E anche tanto coraggio. “Sei ancora innamorata di me, non è vero?”

“C-cosa?”, sussurrò. La domanda l’aveva presa completamente di sprovvista. Non era certo quello che si aspettava di sentire. Aspettò che Adrien si scusasse, che si ritrasse e fece finta di non averle affatto rivolto la parola, ma questa volta pareva ostinato a ricevere una risposta, e continuava a guardarla con occhi febbrili. 

Marinette inspirò profondamente. Si preparò a dire ‘no’, come in ogni altra circostanza avrebbe fatto. Ma in quel momento le sue labbra si mossero da sole, e senza che lei potesse fare nulla per fermarle un debole “Sì” le sfuggì, scivolandole come burro sulla lingua. 

All’udire quell’unica, singola sillaba, gli occhi di Adrien divennero ancora più grandi, e si accesero di vita. 

“Sì?”, chiese, come per conferma, e si sporse leggermente col busto in avanti. 

Marinette si scostò, e con un sorrisino nervoso rispose: “Sì, sì. Ma adesso non montarti la testa, Chaton. Sono sicura che il tuo ego sia già in proc…”

Adrien le prese una mano. “Marinette”, la chiamò, la pregò di guardarlo. 

Marinette si abbandonò al quel suono. Voltò delicatamente la testa, e incrociò i suoi occhi di fiamme. “S-sì, Adrien?”, bisbigliò, e i loro sguardi si intrecciarono. 

Marinette avvertì distintamente i polpastrelli di Adrien accarezzarle il dorso della mano nel gesto più delicato al mondo. Avrebbe voluto sottrarsi - avrebbe dovuto sottrarsi - ma quel tocco era così caldo e piacevole che le sembrò un peccato rifuggirne. 

“Marinette”, la chiamò ancora Adrien, con un tono di voce bassa e rauca. La guardava davvero con occhi di fiamme, come il più innamorato degli innamorati. E se quegli occhi non bastavano ad esprimere tutto il suo amore, ci pensò la sua voce a metterlo bene in chiaro. “Anch’io sono ancora innamorato di te, Marinette. Sono pazzo, pazzo di te. Ti prego!”, esclamò, quando la sentì vibrare e indietreggiare sotto il suo tocco. Senza sapere dove trovò il coraggio, lasciò la sua presa sulle mani di Marinette e spostò le braccia fino a circondarla completamente. Avvertì il respiro dolce di Marinette battergli contro il collo, come la carezza di ali di farfalla. “Ti prego”, le sussurrò tra i capelli. “Non dirmi di no. Non rifiutarmi ancora. Non lo sopporterei.”

“Adrien, io…” le sue parole si persero nel vuoto. 

“Shhh. Non dire niente, forse è meglio così”. La voce di Adrien risuonò così dolce ed invitante, sembrava quasi una ninna nanna. Marinette pensò che non sarebbe stato male addormentarsi così, con il volto premuto contro l’incavo del collo di Adrien, e l’odore inebriante della sua colonia invaderle le narici. 

Sentì le dita di Adrien accarezzarle dolcemente i capelli, il suo naso ispirarne il profumo. La sua adorazione per lei la fece sentire quasi come una dea o il più prezioso dei tesori, e pensò che non ci fosse nulla di male a rimanere ancora un po' ferma e godere del contatto con il suo corpo. D’altronde, il loro non era altro che un abbraccio. Un’abbraccio da amici, giusto?

Passarono così, nel silenzio, dieci venti secondi, dieci venti minuti. Chissà. 

Fu Marinette la prima a trovare il coraggio di staccarsi. La solita, terribile immagine le aveva coperto la vista - un gatto bianco e un mondo distrutto - e allora l’orrore le aveva dato la forza di smetterla con quella pantomima. 

Scosse la testa, come per liberarsi del segno che le mani di Adrien avevano lasciato dove l’aveva abbracciata, lungo la schiena. Le parve ancora di sentirle, calde grandi e rassicuranti su si lei. 

“Tutto bene, Milady?”, le chiese allora Adrien, scrutandola con occhi attenti e preoccupati. 

Marinette evitò il suo sguardo. Cercò di ricomporsi quando disse: “Credo…sia proprio il momento di andare.”

Si alzò, ma non fece in tempo ad avanzare di un passo che Adrien le afferrò di nuovo la mano. “Perché devi andare? Sai che puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi. È… è per qualcosa che ho fatto? Mi dispiace, io… non sono riuscito a trattenermi. Ma ti prego” le disse, alzandosi a sua volta in piedi. “Non andare via. Voglio… voglio stare ancora un po' con te.”

A Marinette si strinse il cuore nel vederlo così, annichilito e sofferente, di fronte a lei. “A-Adrien” mormorò, scuotendo debolmente la testa. “N-non capisci, io… non posso proprio restare.”

“Perché no?”, chiese lui con fervore. 

E Marinette allora fece una cosa che lui non si sarebbe mai aspettato. Allungò la mano libera dalla sua stretta e arrivò a sfiorargli la guancia. Accarezzò con il polpastrello del pollice la sua pelle liscia e perfetta. Poi, si alzò leggermente in punta di piedi e… gli schioccò un leggero bacio sulla guancia. 

Sulla guancia, sì. Ma pur sempre un bacio. Adrien riuscì persino a sentire il suo respiro dolce rimbalzare contro la sua pelle, e quel suo profumo mandargli in tilt il cervello. 

Marinette si ritrasse e tornò a guardarlo in volto, e con la più dolce delle carezze lo spinse a ricambiare il suo sguardo. “Adrien, io…” cominciò, la voce talmente bassa da sembrare l’eco di un sussurro lontano. “Continuo a pensare che sia troppo pericoloso stare insieme”. 

“M-ma perché? Papillon non è più una minaccia, mia madre è sana e salva, e non c’è nessun motivo per cui…”

“Sì, c’è” lo interruppe Marinette, la voce rotta dal pianto. Presto le prime lacrime sarebbero arrivate a rigarle le guance. 

Adrien avrebbe voluto spazientirsi, gridare, chiedere spiegazioni. Ma quella storia andava avanti da così tanto tempo che gli parve quasi normale che l’ennesimo ostacolo gli si parasse davanti. 

“Marinette?”, chiese infine, incerto. 

“Sì?”, rispose subito lei, quasi come stesse aspettando con impazienza quella domanda. 

“Per quale motivo non possiamo stare insieme?" 

 

[continue…]

 

 

 

Convenevoli finali:

Lo so, lo so. È imperdonabile da parte mia avervi fatto aspettare tutto questo tempo per un aggiornamento. Vi prometto che non mi sono dimenticata di voi né di questa storia, è solo che questo ultimo periodo non è stato dei migliori e non ci stavo proprio con la testa per mettermi a scrivere. 

Spero comunque che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, ci sentiamo nei commenti!!

 

A presto, 

Tallita_ <33

 

 

 

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Capitolo 9
*** II. Fleur ***


II. Fleur 

 

 

1.

 

“Per quale motivo non possiamo stare insieme?”

La domanda di Adrien era chiara e semplice. La risposta a quella domanda… mmh, non tanto. 

Marinette inspirò. Si diede qualche secondo per osservare il volto bellissimo di Adrien, e con un ultimo movimento del pollice gli diede una carezza sulla guancia. Poi, con la mano sinistra ancora intrecciata a quella destra di Adrien, lo tirò leggermente e lo condusse di nuovo sul divano. 

“Mi prometti di non prendermi per pazza?”, sussurrò debolmente. 

“Che sei pazza di me lo hai appena fatto presente, Milady”, le fece notare Adrien con un sopracciglio alzato e un piccolo ghigno disegnato sulle labbra. 

Marinette alzò gli occhi al cielo con un sorriso. “Non è il momento di fare lo scemo, Chaton.”

Lui annuì, tenendo le labbra serrate per trattenere una risata. “Ai tuoi ordini, Buginette”.

“Quindi?”

“Quindi?”, le fece eco lui. 

“Non penserai che io sia pazza? O che mi stia inventando tutto di sana pianta?”

“Lo sai che mi fido ciecamente di te.”

Le parole di Adrien le andarono dritto al cuore, che le sobbalzò nel petto. Un brivido le corse lungo la schiena, e allora strinse le mani di Adrien tra le sue, come per farsi coraggio. 

Adrien abbassò lo sguardo sull’intreccio delle loro mani, e sentì un calore familiare avvolgerlo tutto. Poi tornò a guardarla, e rimase colpito dall’ennesima volta nel giro di quei pochi minuti dalla sua bellezza. Fu solo un istante, in cui rimase destabilizzato dal peso dei suoi brillanti occhi azzurri e le sue labbra rosate. Poi sbatté le palpebre e cercò di concentrarsi. Marinette stava per confidarsi con lui, e Adrien l’avrebbe ascoltata con tutta l’attenzione di cui era capace. Notò che era incredibilmente nervosa, con le ciglia tremanti e le mani sudaticce, per questo le mormorò: “Di cosa hai paura, Marinette?”

Lei lo guardò con ansia. “Che tu non mi creda.”

“Ma io ti crederò!”, esclamò con trasporto. “Perché mai non dovrei farlo?”

Marinette abbassò lo sguardo. “Perché tu non ricordi niente di quello che è accaduto.”

Adrien corrugò le sopracciglia. Non capiva di cosa stesse parlando. 

Poi, però, ricordò che già una volta era capitato loro di perdere la memoria a causa del potere di Ladybug, e questo Adrien non lo sarebbe mai venuto a sapere se non avesse visto la foto di lui e Ladybug che si baciavano. Forse anche per la volta di cui parlava Marinette era andata così, solo che non c’erano prove a testimoniarlo, e a quanto pare Marinette era l’unica a ricordarsene. Perché?

La domanda gli rimasa incastrata tra le labbra. Adrien moriva dalla curiosità e dal bisogno di sapere, ma vedeva anche quanta difficoltà stesse facendo Marinette ad aprirsi, e non voleva metterle pressione. 

“Qualsiasi cosa sia, Milady, prometto di crederti”, la rassicurò, stringendole la mano tremante. 

Marinette prese un profondo respiro, e gli raccontò di quella strana avventura, che sembrava più un sogno che realtà. O meglio, un incubo, che l’aveva tormentata per tanti e tanti anni. 

 

***

 

“Mi stai dicendo che mio padre mi ha akumizzato, che io sono diventato pazzo e ho distrutto il mondo e la luna, e che la te del passato mi ha salvato quando la Ladybug del presente era già… morta?”

Marinette si portò una mano al volto. “Non mi credi, non è vero?”

Adrien si sporse in avanti ed esclamò subito: “No! Certo che ti credo. È solo che… è tutto molto difficile da digerire, ecco.”

“Adrien”, gemette Marinette, gli occhi lucidi. 

Milady, ti prego, non piangere”, disse Adrien, prendendola per le spalle e tirandola a sé. 

“Mi dispiace”, continuò Marinette, come se non avesse sentito le parole di lui. “Avrei dovuto dirtelo prima, ho sbagliato. Non sai quanto mi dispiace. Però”, disse, ed un primo singhiozzo la scosse tutta. Adrien la sentì tremare sotto di sé, e il cuore gli si strinse in una morsa. La circondò con più forza. 

“Però”, riprese Marinette, dopo aver tirato su col naso, “ogni volta che ci provavo, le parole non mi venivano e… e ripensavo a quando ti ho visto così, pazzo e spezzato, il mondo caduto a pezzi, e quando…”, si bloccò, forse per trovare la forza di continuare “e quando mi hai chiamata per nome, e mi hai detto che… che nel futuro io e te stavamo insieme, io…”, la voce le mancò. 

Adrien le prese il volto tra le mani, allontanandola dal suo petto. “Va tutto bene, Marinette. Va tutto bene”, sussurrò dolcemente. 

Lei scosse la testa con fervore. “Non capisci. Non puoi capire. Tu c’eri, ma non puoi ricordare niente. Adrien”, gli disse, con voce improvvisamente seria. “Quando ho visto a cosa il nostro amore aveva portato, alla morte di tutti e alla fine del mondo, ho giurato che… che non avrei mai permesso che nulla del genere accadesse.” Lo guardò dritto negli occhi, con le iridi azzurre che si muovevano freneticamente a destra e a sinistra. “Ho promesso che tra me e te non ci sarebbe mai stato niente, perché era troppo pericoloso e avremmo causato solo dolore e sofferenza. E non solo a me e te, ma al mondo intero.”

Adrien rimase in silenzio a fissarla, mentre le parole di Marinette facevano breccia nel suo cuore. “Perché non me ne hai mai parlato?”, mormorò infine. 

Marinette strizzò gli occhi e abbassò la testa. “Ci ho provato. Dio solo sa quanto. Ma ogni volta che trovavo il momento per parlartene, le parole non mi venivano e…”, le lacrime le offuscarono la vista, e si portò agli occhi il dorso della mano per asciugarle. 

Milady”, la chiamò con dolcezza Adrien.
“Mi dispiace, Adrien. Mi dispiace così tanto. Tu avevi il diritto di sapere, e io… non so perché non ci sono mai riuscita.”

“Cos’è che rende oggi così diverso?”

Lei lo guardò con aria interrogativa. 

“Perché oggi sei riuscita a parlarmene?”, specificò lui. 

Marinette inspirò profondamente. “H-ho pensato che… oh, non lo so cosa ho pensato. È solo che mi guardavi con quegli occhi e… ho creduto che fosse il momento giusto.”
“Con quegli occhi incredibilmente belli, intendi?”

Lei rise tra le lacrime. “Sì, esatto.”

Adrien le portò una mano alla guancia. “E credi ancora sia così pericoloso rischiare di amarci?”

“Ma io ti amo già”, rispose lei subito, col tono di star dicendo una delle cose più scontate al mondo. 

Adrien scosse la testa, mentre la prendeva per le spalle. “Scusa”, disse con un sorriso “mi sono espresso male.” Si leccò le labbra e prese un respiro: “Credi ancora sia così pericoloso per noi due stare insieme?”

Lei lo guardò con occhioni azzurri grandi e smarriti. 

“Intend0”, aggiunse Adrien “adesso che Papillon non rappresenta più una minaccia, e che non c’è il rischio che io venga akumizzato. Adesso che mia madre è sana e salva, e che lo shock di sapere che era per lei che mio padre aveva terrorizzato tutta Parigi per anni e anni e già passato.”

Marinette disse semplicemente: “Non lo so”. 

Quelle tre paroline le fuoriuscivano dalle labbra deboli e incerte, ma ad Adrien suonarono così piene di speranza da cancellare tutto il resto. 

Eppure… non era ancora il momento. Marinette tremava dai singhiozzi, e i suoi occhi erano talmente smarriti che pensò ci fosse ancora bisogno di tempo prima di decidere cosa fare. 

Adrien si chinò su di lei, ancora con le mani sulle sue spalle, e stavolta fu lui a stamparle un bacio sulla guancia. “Non devi rispondermi adesso”, le sussurrò contro il volto. 

Marinette lo guardò con gratitudine. “Grazie”, disse, e poi circondò le sue spalle con le braccia. “Grazie”, ripetè contro i suoi capelli biondi, aspirando il profumo della colonia di Adrien. Lui ricambiò l’abbraccio, stringendola delicatamente tra le braccia. 

Voleva rimanere così, accanto a lei, per sempre, ma non passarono che pochi minuti prima che Marinette si staccò e si ricompose. Adrien le porse un fazzoletto (ne teneva un pacchetto dentro la tasca dei jeans, in quei giorni si sentiva fin troppo emotivo), e lei si soffiò il naso e asciugò le guance dalle lacrime. 

“Credo sia davvero il momento di andare”, disse allora Marinette. 

Adrien voleva che restasse, ma sapeva che Marinette aveva bisogno di un po' di tempo per pensare. “Certo, io…”, si alzò in piedi “ti accompagno alla porta. O anche a casa, se vuoi”. 

Marinette sorrise. “Alla porta va bene”. Raccolse la borsa dal divano e lo seguì fuori dalla stanza. Si tennero la mano fino al cancello di casa Agreste. 

 

 

2. 

Parigi, 26 maggio 2022

 

Lei e Adrien non si sentivano da due giorni. Eppure, il loro non era uno di quei silenzi che seguono un litigio, doloroso e insopportabile, in cui entrambi rimuginavano con rimorso alle brutte parole con cui si erano lasciati. 

No, no. Questo era un silenzio piacevole, di quelli che seguono una dolce pioggia estiva. A Marinette sembrava quasi di sentirlo, l’odore fresco e pungente della pioggia. 

Sebbene avesse sempre pensato che, nell’eventualità in cui quel momento fosse arrivato, si sarebbe sentita tesa come una corda di violino ed estremamente nervosa, adesso era tutto il contrario. 

Era stranamente calma, come se il suo cuore avesse già trovato una risposta a tutte le sue domande. 

Erano passati due giorni dal pomeriggio in cui Émilie aveva invitato Marinette - con la palese intenzione di far passare a lei ed Adrien un po' di tempo insieme - e l’unico segnale che aveva ricevuto da Adrien era stato un messaggio, arrivatole pochi minuti dopo essere ritornata a casa. 

 

Ci sarò sempurre per te, Milady

 

Marinette aveva sorriso, come un’adolescente innamorata. Ecco, innamorata lo era ancora, adolescente non molto. Ma non importava. 

Quei due giorni li aveva passati a ripercorrere col pensiero tutta la loro storia. Dal momento in cui si erano incontrati, con Adrien a scuola - intento a togliere la gomma dalla sua sedia - e con Chat Noir attorcigliata al filo del suo yo-yo. 

Aveva ripensato a tutti gli istanti belli e brutti che avevano condiviso, e a come la loro storia d’amore fosse progredita nel corso del tempo. Poi c’era stato quel periodo buio che solitamente preferiva non ricordare, e che adesso le sembrava come un’eco di un incubo lontano. E infine quei dieci mesi passati fianco a fianco, affiatati come tanti anni prima, alla ricerca di un modo per aiutare Émilie. 

Erano stati due giorni molto strani, quelli, e Marinette li aveva vissuti come in apnea. Poi, era stata risvegliata dallo squillo del cellulare, e dalla voce allegra di Émilie. “Pronto, Marinette?”

“Émilie! Ehm… ciao!”, Marinette era sorpresa. Non si aspettava di certo una chiamata da casa Agreste, tanto meno da Émilie. 

Sentì la risata candida di Émilie dall’altro capo del telefono. “Sono finalmente riuscita a comprare un cellulare, questi aggeggi sono diventati davvero formidabili. Mi sono fatta dare il tuo numero da Adrien, spero non sia un problema.”

“Certo che no!”, proruppe Marinette, che al sentire pronunciato il nome di Adrien aveva iniziato a tremare. 

“Bene, sono contenta!”, esclamò Émilie. “Ti ho chiamata per dirti questo, e anche per invitarti a prendere un tè questo pomeriggio. Prometto che questa volta non ti do buca”, aggiunse con una dolce risata. 

“U-un tè?”, farfugliò Marinette, che aveva preso a contorcersi una ciocca di capelli. 

“Sì, un tè tra sole donne. Adrien è partito stamattina per Londra e non tornerà prima di domani. Mi piacerebbe avere un po' di compagnia, ma se hai già altri impegni…”

“No!”, la interruppe Marinette. “Un tè tra donne va benissimo”, aggiunse, ponendo una grande enfasi su quelle due paroline che non implicavano la presenza di Adrien. “Ci vediamo alle cinque, allora?”

Émilie annuì. “Perfetto, alle cinque. A dopo, Marinette.”

“A dopo”, rispose lei. Poi sentì che Émilie aveva già riattaccato, ma Marinette tenne ancora per qualche secondo il telefono appicciato all’orecchio, come per elaborare bene quella chiamata. 

“Oggi alle cinque, tè fra donne. Adrien è a Londra, non torna prima di domani”, mormorò meccanicamente. 

“Puoi farcela, Marinette”, le sussurrò una dolce vocina. 

Marinette abbassò lo sguardo ad osservare il suo kwami. “Lo spero proprio, Tikki.”

 

3. 

 

Casa Agreste le pareva ogni volta sempre più imponente. Marinette si stupiva sempre, perché credeva di essere preparata all’immensità di quella villa, ma puntualmente doveva ricredersi. 

Forse le pareva così insormontabile perché quando vi si recava era sempre in ansia, e respirava a fatica e strofinava le mani sulle gambe nel tentativo di asciugarle dal sudore. Anche adesso, la stessa identica cosa. 

Non sapeva perché era così nervosa al pensiero di vedere Émilie. Non era certo la prima volta che andava a trovarla, ma adesso…

Sapere che per lei ed Adrien c’era una piccola, minuscola speranza, le faceva vedere l’incontro con Émilie come ad uno con… sua suocera. Ed era spaventata, perché non sapeva se sarebbe stata in grado di passare l’esame. 

Ma che vai a pensare, Marinette? Émilie è la persona più dolce del mondo. E ama sinceramente Adrien. 

Ecco, ma forse proprio perché amava tanto suo figlio, avrebbe impedito la loro relazione per paura che lei lo facesse soffrire ancora. E, pensò Marinette, non ne avrebbe avuto tutti i torti. 

Marinette scosse la testa e si costrinse a non pensarci. Passo dopo passo dopo passo, arrivò alla stanza in cui Émilie l’aspettava, la stessa in cui lei ed Adrien avevano parlato due giorni prima. 

La porta era aperta, ma Marinette si fermò lo stesso sulla soglia. Scorse Émilie seduta sul divano, così fiera ed elegante che non sembrava per nulla essersi risvegliata dopo quasi dieci anni di sonno. Sembrava assorta nei suoi pensieri, con lo sguardo rivolto alla finestra, e probabilmente non aveva ancora avvertito la presenza di Marinette. 

Per questo premette due colpi sulla porta, e subito Émilie si volse a guardarla. Il suo sguardo si illuminò, poi fece per alzarsi, facendo forza sui palmi delle mani. 

Marinette si allarmò e le corse subito incontro. “Émilie! Non devi, sei ancora troppo debole!”

Émilie scosse la testa con un sorriso. “Non preoccuparti, tesoro. Mi sento molto meglio oggi. Già ieri ho provato a camminare, e non mi sono mai sentita così bene da… ecco, dieci anni a questa parte.”

Marinette la aiutò ad alzarsi, sostenendola con le braccia. “Sei sicura? Adrien lo sa?”  

Émilie ridacchiò, afferrando la stampella appoggiata al bracciolo del divano. “Sì, lo sa. Anche se pensa che dovrei riposarmi di più. Ma non riesco più a stare seduta. Ti va di andare a prendere il tè in giardino?”

Marinette la osservò reggersi con forza alla stampella, e sorridere fiera dei propri progressi. “I- io… sì, certo”, rispose confusa. “Hai già parlato con il dottore?”

Émilie annuì. “Non preoccuparti, Marinette. Sarà solo per poco. E poi, se mai dovesse accadere qualcosa, Monsier Delacroix sarà nei paraggi.”

Marinette annuì con poca convinzione. Tuttavia, vedere Émilie così contenta di uscire fuori e camminare un po’ le fece mettere da parte le sue preoccupazioni. “D’accordo, andiamo”, concesse con un sorriso. 

 

***

 

Marinette non aveva mai avuto la possibilità di esplorare i dintorni di Villa Agreste. Rimase affascinata dalle siepi ben curate, le mura decorate, e dall’intera atmosfera di calma e serenità che vi regnava. Émilie aveva fatto sistemare un tavolino di legno vicino ad una piccola piazzetta, che coincideva con una rientranza delle mura di casa. Il tavolo era stato apparecchiato con cura, sotto le direttive di Émilie. Un servizio da tè di porcellana giapponese riluceva sotto il sole del tardo pomeriggio, e Marinette riuscì anche a scorgere su un’alzatina di cristallo una sfilza di dolci e mignon. 

“Mi sono permessa di ordinarli dalla pasticceria di tuo padre. Da quando ho assaggiato i tuoi macarons mi sono innamorata della vostra cucina.”

Marinette arrossì. Balbettò un incerto ‘grazie’ e aiutò Émilie a sedersi. Poi, si sistemò di fronte a lei dall’alto capo del piccolo tavolino. 

Servì il tè ad entrambe, mentre Émilie la scrutava attentamente sotto le sue ciglia bionde. 

“Volevo ringiraziarti, Marinette. Per tutto l’aiuto che hai prestato ad Adrien e me”, proruppe all’improvviso. 

Marinette la guardò sorpresa, ancora più rossa di prima. Scosse la mani in avanti: “Oh, non c’è bisogno di ringraziarmi, io… ehm, l’ho fatto con amore, no! piacere, sì, piacere.”

Émilie sorrise, e Marinette si sorprese nel constatare quanto la sola presenza di Émilie facesse sembrare il mondo un posto più bello in cui vivere. 

Émilie si sporse un poco verso di lei, e le prese dolcemente una mano, che Marinette teneva poggiata sull’orlo del tavolo. “Adrien è stato fortunato ad incontrarti. Grazie per averlo aiutato quando io non ci sono stata per lui.”
Marinette rimase a bocca aperta. Letteralmente. 

Non sapeva cosa dire. 

Émilie rise amabilmente. “Voglio che tu sappia che sarai sempre la benvenuta in questa famiglia. Ho capito che…” iniziò, osservandola dritto negli occhi “le cose tra di voi non sono mai state semplici, ma non per questo impossibili?”

Marinette si schiarì la gola e trovò il coraggio per chiedere: “In che senso?”

Émilie strinse affettuosamente la mano di Marinette. “Stendhal diceva: ‘L'amore è un fiore delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andare a coglierlo sui bordi di un precipizio spaventoso’.”

Marinette la guardò assorta, con le labbra leggermente schiuse. 

Émilie riprese: “Anche tra me e Gabriel le cose non sono mai state semplici, soprattutto all’inizio. Venivamo da famiglie di estrazione sociale completamente opposte, e non è stato per nulla facile rischiare di perdere l’amore della mia famiglia per seguire quello di un altro uomo. Ma non me ne sono mai pentita. Ovviamente la vostra situazione è completamente diversa e… comprendo i rischi che state correndo. Però”, aggiunse, e la sua voce dolce suonava come il canto di una sirena “la vita è troppo breve per rinunciare a qualcosa di talmente meraviglioso come l’amore per paura di farsi male.”

“Ma io… non voglio che sia Adrien, a farsi male. Non voglio farlo soffrire.”
“Più di quanto non stia soffrendo già?”, mormorò Émilie. Marinette sentì gli occhi pizzicarle. Se fosse stata un’altra persona - una qualsiasi altra persona - a parlarle in quel modo, di sicuro si sarebbe sentita offesa. 

Ma con Émilie era impossibile. Le sembrava un po' la voce della sua coscienza, un dolce angelo venuto ad aiutarla nella sua decisione. Le sue parole bruciavano, facevano male, ma la stavano aiutando a vedere la sua situazione da un punto di vista differente. 

Quando la prima lacrima rigò la guancia di Marinette, Émilie si sporse subito verso di lei. “Mi dispiace, Marinette. Non dovevo parlarti in questo modo. Io… voglio solo che tu e Adrien siate felici. Niente di più.”

Marinette scosse la testa, asciugandosi il viso col dorso della mano. “Non devi scusarti, Émilie. È… hai detto semplicemente la verità. È solo che… forse sono davvero troppo codarda per prendere questa decisione.”

“Non sei affatto codarda, Marinette. È normale avere paura, soprattutto quando c’è in gioco la felicità della persona che si ama.”
Marinette si limitò ad annuire, perché non si fidava più della sua voce, e voleva evitare di scoppiare a piangere di fronte alla madre di Adrien. 

Gli occhi verdi di Émilie brillavano con talmente tanta intensità da farle ricordare quelli di Adrien. Dentro, Marinette vi trovò riflesso anche un sentore di senso di colpa. Senza sapere cosa fare, né tantomeno cosa dire, entrambe presero tra le mani la propria tazza di porcellana e sorseggiarono in silenzio il tè caldo. 

Émilie fu subito capace di cambiare discorso, e chiese a Marinette di parlarle della sua passione per la moda e di insegnarle a preparare quei deliziosi macarons. La compagnia di Émilie era talmente piacevole che Marinette riuscì quasi a dimenticarsi dell’inizio imbarazzante della loro conversazione, e si sorprese nel constatare che parlare con Émilie era semplice tanto quanto con confidarsi con la propria madre. 

Trascorsero così una buona mezz’ora, in cui il sole aveva iniziato la sua discesa dietro il profilo del muro che circondava la villa, e una deliziosa brezza estiva le accarezzò i capelli. 

“Davvero credevi fosse stato lui a mettere quella gomma sulla tua sedia?”, rise di cuore Émilie. 

Marinette fece una smorfia divertita. “Sì, più ci ripenso adesso e più mi sembra assurdo. In realtà stava solo cercando di toglierla. E io che lo credevo complice di Chloé.”

Le risate di entrambe si persero nell’aria, interrotte solo dal rumore di passi sul selciato. Émilie si volse verso sinistra, ancora scossa da tutto quel ridere. 

“Vi si sente ridere fin dalla strada”, esclamò divertito Adrien. 

Marinette trasalì a quella voce. Émilie non le aveva forse detto che Adrien non sarebbe tornato prima del giorno successivo? Si girò lentamente verso di lui, e il cuore si fermò quando i loro sguardi si incrociarono. 

Adrien stava camminando verso di loro, bellissimo e luminoso, come il dio Elios in piedi sul suo carro volante. Stava guardando sua madre, poi lei, e quegli occhi fiammanti la fecero avvampare tutta. 

Émilie, visibilmente sorpresa, fece per alzarsi premendo le mani sui braccioli della sua sedia. “Adrien! Non dovevi tornare domani?”

Adrien accorse vicino a lei. “Maman, non c’è bisogno che ti alzi”, disse, e la aiutò a sistemarsi sulla sedia. Poi la salutò con un bacio sulla guancia. “Sono tornato prima perché sono riuscito a sbrigare tutto in tempo nel primo pomeriggio. Non sei contenta di vedermi?”, sorrise, poi si girò, alla ricerca di una sedia per unirsi a loro. Marinette balzò in piedi. “T-tieni, Adrien. Pensi, voglio dire, prendi, prendi questa. Stavo comunque per andarmene.” E detto questo, prese la borsa appesa allo schienale della sedia.
Adrien la osservò incepparsi con le parole, come spesso faceva tanti anni prima. Era davvero adorabile, con le guance rosse e le labbra scarlatte, e i capelli sciolti che le incorniciavano disordinatamente il viso. 

Émilie aprì la bocca per protestare, ma in modo del tutto inaspettato Adrien la sovrastò e disse con gentilezza: “D’accordo, ti accompagno alla porta”.

Émilie e Marinette lo guardarono sbigottite. La prima perché non capiva il motivo per cui Adrien non avesse approfittato dell’occasione per trattenerla, e la seconda perché non credeva di essere riuscita a cavarsela tanto facilmente. 

“A-ah sì?”, chiese sbigottita. Adrien rise. “Certo, Milady”, esclamò, prendendola per mano. “Maman, ti dispiace?”

Émilie scosse la testa con fervore. “Certo che no, tesoro. Vai pure, ti aspetto qui.”
Adrien annuì e si girò verso un’inebetita Marinette. “Andiamo?”, le chiese, con un tono che la mandò più in subbuglio di quanto già non fosse. 

Rimase qualche secondo a fissarlo, poi fece di sì con la testa. Lui mosse qualche passo, e quando il loro braccio unito si tese, lei si costrinse a muovere le gambe e a seguirlo. Dopo aver preso a camminare, Marinette si voltò verso Émilie, perché si era resa conto di non averla salutata, e le fece un cenno con la mano libera. 

Émilie esclamò: “A presto, Marinette! È stato un piacere chiacchierare con te!”, e poi scomparve dietro una siepe. 

 

***

 

Adrien e Marinette proseguirono in silenzio fino all’enorme cancello di Villa Agreste. Si fermarono all’ingresso, e Adrien le si mise davanti. 

Marinette teneva lo sguardo basso, perché sapeva che se lo avesse guardato negli occhi le gambe le avrebbero ceduto e allora Adrien avrebbe dovuto trasportarla in braccio, come faceva con sua madre. Non che fosse una cattiva prospettiva, questa. Assolutamente. 

“Eccoci qui”, mormorò Adrien. Era talmente vicino che Marinette era in grado di sentire il suo profumo e il rimbalzo del suo respiro.

“E-eccoci qui”, riuscì a farfugliare, con il capo chino a terra. Lo sguardo fisso sulle loro mani ancora intrecciate. 

Adrien abbassò leggermente la testa e piegò le ginocchia, come per scrutarle il viso. Marinette allora non potè continuare ad ignorarlo, e, facendosi coraggio, si preparò a scontrarsi con il verde dei suoi occhi. L’impatto fu peggio del previsto, tant’è che sentì subito le gambe farsi deboli e la testa girare. 

Adrien la afferrò prontamente per il braccio. “Tutto bene?”, le chiese preoccupato. 

Lei boccheggiò. “Sì, sì, certo. Tutto bellissimo. Benissimo. Alla grande. Mi hai colto solo di sorpresa, tutto qui.”

Adrien annuì, allentando la presa sul braccio di Marinette. “Vuoi che ti riaccompagni con la macchina?”, propose con gentilezza. 

Marinette agitò le mani. “Oh, no. Non ce n’è bisogno. È così vicino, d-davvero, che…”
“Vuoi che ti riaccompagni a piedi?”, disse allora lui, che probabilmente non si fidava a lasciarla andare, ancora scossa com’era. 

Marinette si sforzò di mostrarsi il più padrona possibile delle sue facoltà fisiche. Anche se con lui davanti che la guardava intenerito e servizievole non era proprio semplice. “Non preoccuparti, Adrien. Sto benissimo. E poi, non vorrei che lasciassi sola tua madre, lei ha più bisogno di te, e… ehm”, si bloccò, perché non sapeva cosa dire, e osservò Adrien guardarla come se si aspettasse che continuasse. 

“Allora, ehm… mi avvio”, e partì come un razzo verso l’uscita. 

“Aspetta!” Adrien la prese per un braccio. 

Marinette si voltò lentamente. 

“Volevo ringraziarti. Per essere venuta a fare compagnia a mia madre.”

Perché mai tutti la stavano ringraziando, quel giorno?

“N-non c’è di che. È stato bello chiacchierare un po’.”

Il volto di Adrien risplendeva come il sole. “Marinette?”, mormorò. 

“Sì?”

“Ti andrebbe di venire a cena da noi, domani sera? Nathalie ha portato a termine gli ultimi affari che aveva da sbrigare in Tibet e tornerà domattina. Ci farebbe piacere averti con noi.”
Marinette lo fissò, con le labbra schiuse, senza sapere cosa rispondere. 

“Ovviamente non devi se non vuoi”, aggiunse subito Adrien. “È solo ch…”
“Va bene, ci sarò”, lo interruppe lei, entrambi sorpresi della sua audacia. 

Adrien si prese qualche secondo per realizzare che lei avesse effettivamente accettato. “Davvero?” Sorrise di gioia. 

Marinette annuì con convinzione. La mano di Adrien, ancora posata sul suo braccio, le scivolò delicatamente addosso fino ad incrociarsi nuovamente con la sua. Una scossa elettrica la immobilizzò sul posto. 

“A domani, allora”, le disse lui, in faccia un’espressione da stoccafisso. 

Marinette si riscosse e si sistemò bene sulle gambe. “A do-doma-mani”, balbettò, e in quel momento si sentì la ragazza più goffa ed impacciata dell’intero pianeta. 

Ma ad Adrien sembrava non importare, anzi, continuava a guardarla con occhi meravigliati. 

Marinette trovò il coraggio di scostarsi via, e sgusciò fuori dal cancello di casa Agreste. 

Il cuore le batteva talmente forte da risuonarle nelle orecchie. 

Tum-tum tum-tum tum-tum. 

 

***

 

“Adrien, non avresti potuto portare a casa ragazza migliore”, dichiarò tutta contenta Émilie quando vide Adrien riemergere da lontano.  

Adrien, ancora tutto scombussolato dall’incontro con Marinette - e dal fatto che lei avesse accettato il suo invito, sì, lo aveva proprio accettato! - andò a sedersi di fronte a lei al tavolino, sulla sedia che Marinette aveva occupato fino ad un momento prima. 

“N-non l’ho mica portata a casa. Non stiamo insieme”, ribatté tutto rosso. 

Émilie sorrise. “Non ancora, tesoro.”

Maman, sei terribile”.

Lei ridacchiò. 

“Ha accettato di venire domani sera”, disse lui tutto d’un fiato. 

Il viso di Émilie si illuminò. “Davvero?”

Adrien fece di sì con la testa. Émilie sbatté contenta le mani. 

Lui si schiarì la gola. “Tifi così tanto per noi due?”

“Sono la vostra fan numero uno”.

Adrien sentiva caldo. Tanto tanto caldo. 

“Adrien, sei tutto rosso. Che ti prende?”

Adrien distolse lo sguardo, il suo interesse improvvisamente catturato dalla fantasia a fiori della tovaglia. “È… è strano parlare di… di lei, con te.”
Émilie si allungò per prendergli una mano. “Sei adorabile”, dichiarò. E prima che lui potesse ribattere, riprese: “Sta iniziando a rinfrescare, ti dispiace accompagnarmi dentro?”

Si aiutò con la stampella ad alzarsi, e al braccio di suo figlio rientrò in casa.  

 

 [continue…]

 

 

 

Convenevoli finali:

Salveeeee!! Non mi aspettavo di aggiornare così presto, ma oggi è una giornata di festa e volevo farvi un regalo!!

 

A presto, 

Talitha_ <33

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Capitolo 10
*** III. Dîner ***


III. Dîner

 

1.

 

Marinette era in ansia. Tanta, tanta ansia. Si chiedeva perché diamine avesse accettato l’invito di Adrien. Era stato l’impulso del momento, forse, eppure Marinette sapeva quanto fosse pericoloso seguire i suoi istinti. 

Ma adesso era troppo tardi. Il danno era fatto, e Marinette non poteva certo chiamare Adrien e dirgli che aveva cambiato idea. 

Per questo, era costretta ad andare a cena da lui. Ovviamente, non solo con lui, si ripeté. Anche con Nathalie ed Émilie, che di certo non avrebbero avuto la malsana idea di lasciarla sola con Adrien. 

Oh, nonono. Qualcosa le diceva che forse, forse, non era così improbabile. Émilie aveva già fatto bene intendere di essere favorevolissima alla loro relazione, e questo spaventava a morte Marinette. 

Ma doveva restare calma, giusto?

Calma calma calma. 

“Stai calma, Marinette”, le disse anche Tikki, con la testolina che sbucava dalla borsetta rosa. 

“Calma, Tikki? Io sono calma. Calmissima. Super calma. Sono nata calma. Calma è il mio secondo nome. Non vedi? Non sto tremando e sudando o dando di matto. Le gambe non mi cederanno e sono sicura che non balbetterò. Uh uh,” mosse un dito per aria, e di certo i passanti che la osservavano parlare da sola e gesticolare la presero per una pazza “non un singolo istante.”

Tikki ridacchiò. “Se lo dici tu, Marinette.” 

“Certo che lo dico io. Perché sarà così. Andrà tutto bene. Vero, Tikki? Andrà tutto bene”, si ripetè, mentre camminava a falcate sempre più incerte verso villa Agreste. 

Era incredibile quante volte in quei giorni avesse percorso quella stessa strada. Le sembrava così strano, ma al tempo stesso tanto naturale. Le sarebbe piaciuto recarsi a casa di Adrien tutti i giorni, perché questo avrebbe significato vederlo e parlargli. 

A quel pensiero, Marinette ebbe un brivido. Non aveva ancora deciso la risposta da dare ad Adrien. O meglio, il suo cuore sapeva perfettamente cosa voleva dirgli, ma Marinette aveva paura di prendere una decisione troppo affrettata, guidata solo dal sentimento. Forse sbagliava, ma forse no. 

“Tutto bene, Marinette?”, le chiese per l’ennesima volta Tikki. 

Marinette annuì con convinzione, forse troppa. “Sì, Tikki. Tutto alla grande”, disse, ma chissà perché Tikki non le credeva poi molto. 

 

***

 

Marinette aveva appena suonato il campanello del portone, e parve che Adrien la stesse aspettando impazientemente dall’altro lato, perché lei non aveva fatto in tempo neanche a staccare il dito dal pulsante che lui aveva già aperto la porta. 

“Ciao.” Il sorriso di Adrien la colpì dritto al petto. 

“C-ciao”, rispose Marinette - colta del tutto impreparata - e si maledì per non essere riuscita neanche a salutarlo in maniera decente. Quella serata di profilava un gran disastro. 

“Sei bellissima”, mormorò Adrien, con un leggero ed adorabile rossore che gli aveva tinto le guance. 

Il rossore di Marinette, al contrario, non era affatto leggero, né adorabile. Abbassò lo sguardo al vestitino rosa che indossava, piuttosto semplice e modesto, e che non lasciava intravedere nessuna parte del corpo particolarmente imbarazzante. Se non le ginocchia. 

Ah, le ginocchia. Se Marinette avesse conosciuto un po’ meglio i gusti di Adrien avrebbe saputo che lui trovava le sue ginocchia estremamente sensuali, e allora avrebbe optato per un pantalone. 

Tuttavia, il danno era fatto, e Marinette non poteva certo tornare a casa e cambiarsi. Per cui si limitò a rispondere con un timido ‘grazie’, e al che Adrien spostò lo sguardo dalle sue ginocchia ai suoi occhi. 

Oh

Come ogni singola volta che il suo sguardo e quello di Adrien si incrociavano, Marinette sentì mancarsi la terra da sotto i piedi. Forse era meglio permettergli di continuare a fissarle le gambe. 

“Anche tu non sei bello. Male. Anche tu non sei male. Ovviamente sei bello. Bellissimo. O, Dio.”

Zitta, Marinette. Zitta’, si disse mentalmente. 

Adrien ridacchiò. “E non mi hai ancora visto in costume da bagno”. Le fece l’occhiolino, un ghigno malefico stampato sulle labbra. 

Marinette sentiva le orecchie fischiare. Improvvisamente faceva troppo, troppo, caldo. Adrien in costume da bagno, la sua pelle dorata esposta al sole, i muscoli guizzanti delle braccia, il suo petto tonico e gli addominali e…

“Tutto bene, Milady?”, le chiese Adrien, e nelle sue parole non era affatto percepibile quella sfumatura di preoccupazione sempre presente quando le si rivolgeva in momenti come quelli (per la cronaca, quelli in cui lei andava completamente in pallone e iniziava a balbettare e dire cose senza senso). No, il suo tono non era affatto preoccupato, ma piuttosto... provocatorio. Oh, sì, Adrien la stava stuzzicando, e ci stava riuscendo perfettamente

Marinette si morse un labbro. Non poteva certo dargliela vinta così. Per cui si rimise bene in piedi sulle gambe, portando un piede di fronte all’altro - ed esponendo il suo bel ginocchio. Un sorrisino malizioso le dipinse il volto, e con voce bassa e calda gli rispose sicura: “Prima di parlare, Chaton, aspetta di vedere me, in costume da bagno.”

A quanto pare aveva centrato pienamente il segno, perché questa volta fu Adrien ad arrossire come un peperone. Marinette ridacchiò, assaporando appieno la sua vittoria, e avrebbe di certo continuato a stuzzicarlo se non fossa stata interrotta dalla voce di Émilie che risuonava nell’atrio. “Adrien, è arrivata Marinette?”, chiese contenta. 

Adrien si girò verso di lei, seduta su una sedia a rotelle trascinata dal gorilla. “S-sì, Maman. È...” si schiarì la gola “è arrivata.”  

La sedia di Émilie avanzò fino alla soglia. Quando scorse Marinette, bellissima e sorridente - che ancora godeva del suo tiro a segno - le rivolse un gran sorriso. Marinette si sporse verso di lei per salutarla, ed Émilie la catturò inaspettatamente in un abbraccio. Era buono, il profumo di Émilie. Sapeva proprio... di mamma. Era dolce e accogliente, e Marinette si sentì così a suo agio tra le sue braccia che in quei pochi secondi dimenticò quasi del tutto l’ansia che l’attanagliava. 

Émilie la prese per le spalle. “Sei incantevole, tesoro”, le disse, e poi la invitò in sala da pranzo, dove la cena stava per essere servita. 

 

***

 

Adrien sentiva caldo. E quanto caldo. Immaginare Marinette in costume da bagno lo aveva completamente destabilizzato. Ancora pensava di vederla, la sua pelle bianca risplendere al sole, le sue gentili curve, morbide al tatto. I capelli lisci scivolargli tra le dita, e quelle adorabili lentiggini colorarsi di una tinta più scura. 

“...anto a Marinette, Adrien?”

Adrien sbatté le palpebre e tornò improvvisamente alla realtà. 

“Come scusa?”, chiese alla madre, la voce un po' roca e lo sguardo del tutto smarrito. 

Émilie sorrise e ripeté con pazienza. “Ti dispiace sederti accanto a Marinette? Io e Nathalie preferiamo occupare quest’altro lato del tavolo. È più vicino alla porta.”

Certo, come no. Più vicino alla porta. Tsk. 

Adrien annuì. “Certo, certo. Vicino a Marinette. Va benissimo.”

Il sorriso di Émilie si allargò, e una luce quasi malefica le scintillò negli occhi. Adrien le lanciò un’occhiataccia piuttosto significativa. ‘Maman, per favore. Non ricordi cosa mi hai promesso, prima? Non saresti intervenuta. L’hai giurato.’ In risposta a quello sguardo, Émilie si limitò a ridacchiare. 

Dopo aver aiutato la madre a sedersi sulla sedia, Adrien si diresse all’altro lato del tavolo, accanto a Marinette, che a sua volta sedeva di fronte a Nathalie. Non sembrava nervosa come Adrien si era aspettato, e lui ne fu subito contento. Significava che Marinette si sentiva a suo agio, e che forse, per una volta, le cose tra di loro non sarebbero state imbarazzanti. 

Ebbene, si sbagliava di grosso.

In realtà, la serata iniziò piuttosto bene. Marinette chiese a Nathalie gli ultimi aggiornamenti del suo viaggio, e poi si informò sulla salute di Émilie, chiedendole perché fosse tornata sulla sedia a rotelle e non stesse usando le stampelle. Si sentiva forse più debole?

“Oh, no, tesoro. Sto benissimo. È solo che mio figlio, lì”, e lo indicò col dito “non vuole che mi sforzi troppo, e mi costringe a stare sempre seduta.”

Maman, il dottore ha detto che…”

“Tsk”, sbuffò Émilie. “Il dottore ha detto che non devo camminare troppo, non affatto.”

Adrien mise un adorabile muso. “Ma è ancora troppo presto, cosa succederebbe se… se…”

Adrien per poco non sobbalzò quando avvertì la pressione della mano di Marinette sulla sua gamba sinistra. 

“Adrien è solo preoccupato per te, Émilie. So che a volte può essere molto protettivo…”

“Ehi!”, Adrien si finse ferito, in realtà era ancora troppo scosso dalla vicinanza di Marinette. 

La sua mano calda premuta contro la gamba. 

Dannazione

Lei ridacchiò. “Neghi forse di essere protettivo?”

Vicina, sempre più vicina!!!

Adrien indietreggiò un poco con la testa, definitivamente a disagio. “Io…io…”

Marinette si allontanò, un’espressione trionfante sul volto. Ma cosa aveva intenzione di fare, mandargli in pappa il cervello?

Émilie scoppiò in una risata, e anche Nathalie si lasciò sfuggire un sorriso. 

“Sei adorabile, tesoro”, dichiarò Émilie. 

Maman…”, Adrien arrossì fino alla radice dei capelli. 

Marinette lo guardava maliziosa, ma anche tanto, tanto intenerita. Il cuore di Adrien si sciolse un altro po’. 

Si schiarì la gola e si preparò a distogliere lo sguardo dal suo profilo e dalle sue labbra sorridenti, che adesso stavano dicendo qualcosa a Nathalie, quando… 

Oh. Oh

Gli occhi di Adrien caddero accidentalmente sull’orlo un pochino rialzato della gonna di Marinette, a scoprire abbondanti centimetri di pelle liscia e bianca come l’avorio. La bocca di Adrien si seccò all’istante. Subito, subito, distolse lo sguardo e afferrò con forza il suo bicchiere, mandando giù lunghi sorsi di acqua fresca. “Tutto bene, Adrien?”, chiese Émilie, e Adrien annuì con il bicchiere ancora stretto tra le labbra. 

A quanto pare, Marinette non si era accorta che sedendosi la stoffa della gonna si era rialzata, e Adrien si ritrovò per i successivi trenta minuti - ovvero fino a che lei non chiese il permesso di andare in bagno - a gettare accidentalmente e ripetutamente lo sguardo verso il basso. 

Dannazione dannazione. 

Al ritorno dal bagno, Marinette gli parve fresca come una rosa. Forse perché aveva ritoccato il trucco, che comunque non era affatto pesante, o perché semplicemente era talmente bella che la sua vista lo lasciava secco ogni volta. La cena proseguì così, tra commenti imbarazzanti e occhiate furtive, e Adrien fece di tutto pur di evitare di fissare Marinette mentre mangiava, parlava, beveva e rideva. Non sapeva come facesse ad essere sempre bellissima, sempre impeccabile, sempre desiderabile

E starle così vicino, tanto da avvertire il suo profumo e il calore del suo corpo, lo stava mandando fuori di testa. 

Ogni volta che Marinette si girava a guardarlo, e magari gli rivolgeva la parola per chiedergli di passarle l’acqua o un tovagliolo, lui… lui… si scioglieva. 

Letteralmente. 

Stava davvero diventando una tortura, quella. Una tortura a cui lui stesso aveva deciso volontariamente di sottoporsi. 

Passarono circa due ore, in cui Adrien non riuscì a seguire poi molto le conversazioni delle altre tre donne, troppo distratto dalla presenza di Marinette accanto a lui anche solo per formulare una frase di senso compiuto. Eppure, era perfettamente capace di immaginarla ancora in costume, ma anche senza vestiti, e…

‘Adrien, per amor del cielo, datti un po' di contegno’. 

Ma quanto era difficile. Tanto, troppo difficile. Marinette era così vicina che Adrien non poteva impedirsi di lasciar scivolare lo sguardo sulle sue labbra rosa, lucide, piene, morbide, invitanti e sorridenti. Moriva dalla voglia di baciarla. E forse lo avrebbe fatto, se solo non ci fossero state sua madre e Nathalie ad osservarli, e ovviamente se Marinette fosse stata d’accordo. Cosa di cui Adrien non era poi così sicuro. 

Dunque, la serata procedeva così. Un vero e proprio supplizio per Adrien, mentre le altre tre, apparentemente incuranti del suo disagio o del suo silenzio, continuavano a conversare, ridere e scherzare nel più amabile dei modi. 

Questo fino a che uno sbadiglio non sfuggì alle labbra di Émilie, che allora si scusò e disse che era davvero molto stanca, e che probabilmente sarebbe andata a dormire. Adrien era talmente distratto che quasi non se ne accorse, tanto da non proporsi neanche di accompagnare la madre a letto. L’offerta venne comunque da Nathalie, ed Émilie la accettò con un sorriso. 

“Adrien”, gli si rivolse sua madre prima di uscire dalla stanza “sii così gentile da tenere ancora un po' di compagnia alla nostra ospite, o di accompagnarla a casa se anche lei si sente stanca.”

Poi aggiunse qualcosa rivolta a Marinette - che Adrien non riuscì a cogliere - e uscì dalla stanza spinta da Nathalie, che si richiuse la porta alle spalle con un sorriso per nulla innocente stampato sulle labbra. Quelle due erano davvero due diavoletti, pensò Adrien, che solo in quel momento comprese la natura della situazione in cui era stato incastrato. Si voltò allarmato verso Marinette, che lo guardava estremamente divertita. 

‘Ti diverti a prendermi gioco di me?’, le avrebbe chiesto, se non fosse stato talmente confuso e nervoso. 

Per cui rimase in silenzio, e prese a giocare nervosamente con l’orlo della tovaglia. 

Anche Marinette sembrava pronta a ribattere con malizia, ma forse si era resa conto che se lo avesse fatto avrebbe imbarazzato Adrien ancora di più e allora non avrebbe risolto niente. 

Ci furono brevi istanti di intenso disagio, soprattutto da parte di Adrien, e il loro silenzio fu interrotto soltanto dalla voce dolce e chiara di Marinette: “Ti va di andare a fare una passeggiata? Stasera c’è la luna piena.”

“Oh”, fu l’unico suono che le labbra di Adrien riuscirono ad articolare. 

Marinette ridacchiò. “Sarebbe un sì?”

Lo sguardo speranzoso che gli rivolse Marinette lo fece svegliare all’improvviso. 

“Sì!”, esclamò, e il sorriso di lei gli scaldò il petto. Dopotutto, forse più tardi avrebbe dovuto ringraziare sua madre e Nathalie. 

 

2.

 

Era una serata piacevole. Una leggera brezza soffiava nell’aria, anche se Adrien sentiva talmente caldo da non accorgersene. Tuttavia, quando Marinette rabbrividì leggermente dopo un rivolo di vento più forte degli altri, Adrien non esitò a poggiarle la sua giacca sulle spalle. Marinette protestò debolmente, ma dopo aver visto il rossore che ancora imporporava le guance di Adrien si decise di accettare la sua gentilezza, ripagandolo con un bel sorriso.  

Adrien andò ancora una volta in brodo di giuggiole. 

Marinette si lasciò scappare un’adorabile risata, tornando a guardare la strada illuminata davanti a loro. 

Stavano camminando sulla strada che affacciava sulla Senna, non poco lontano dalla casa dei genitori di Marinette. Adrien era grato che lei non abitasse più lì, perché altrimenti la loro passeggiata sarebbe stata talmente breve che lui non avrebbe neanche avuto la possibilità di tenerla per man…

Trasalì. Come se gli avesse letto nei pensieri, Marinette gli aveva afferrato con noncuranza la mano e attorcigliato le sue dita sottili e delicate a quelle di Adrien. 

“Adrien?”, chiese Marinette, stavolta la sua voce così… seria? che Adrien si girò subito a guardarla. 

“È tutta la sera che ti comporti in modo strano. Sicuro di stare bene?”

Oh, com’era bella. E adorabile. E meravigliosa. La luce della luna piena si rifletteva nei suoi grandi occhi azzurri, come quella sera di tanti anni prima in cui lui le aveva confessato il suo amore e lei gli aveva rivelato di essere già innamorato di un altro ragazzo. 

Che altri non era che lui in persona. 

Dio, ma perché le cose tra di loro dovevano essere sempre così complicate? Adrien non riusciva a capacitarsene. 

Comunque, Marinette stava ancora aspettando una sua risposta, per cui ingoiò il groppone che avvertiva in gola e rispose un rauco ‘sì’, dandole una leggera strizzata alla mano, come per rassicurarla. 

Lei lo guardò dritto negli occhi, per nulla convinta. “Sicuro di… ehm, non essere arrabbiato con me?”, chiese in un sussurro. 

“A-arrabbiato? E perché?”

“Per averti nascosto per tutto questo tempo la verità”.

“No! No, certo che no! Perché mai dovrei esserlo?”

Un peso parve scivolare via dalle spalle di Marinette. “È che… stasera non mi hai rivolto per niente la parola, e quando ero io a parlarti mi rispondevi a grugniti.”
“N-non è vero!”, protestò lui. 

Lei annuì. “Sì, che è vero. All’inizio pensavo che fossi imbarazzato, ma poi ho avuto paura che…”
Adrien si fermò, rompendo l’intreccio delle loro mani e prendendo Marinette per le spalle - con tutta la delicatezza del mondo, si intende. “Marinette, non sono assolutamente arrabbiato con me, mi dispiace che tu l’abbia pensato. È solo che…”, si interruppe. Come poteva spiegarle che non le aveva rivolto la parola perché se lei avesse ricambiato il suo sguardo lui non era sicuro di uscirne indenne? Anche adesso la vista dei suoi occhioni blu riflessi della luce pallida della luna lo stava altamente destabilizzando. In senso positivo, ovviamente. Molto positivo. 

“Che…?”, lo incitò Marinette, inarcando leggermente le sopracciglia. Si erano fermati già da alcuni secondi, e l’unico rumore in grado di raggiungere le loro orecchie era lo sciabordio calmo e costante delle acque del fiume. 

“Marinette, io -”, prese a dire Adrien, ma improvvisamente lo sguardo gli ricadde di nuovo sulle sue labbra lucide e dischiuse, e questa volta il cervello smise definitivamente di funzionare. 

E tuttavia non era il solo, dato che anche Marinette parve iniziare a risentire della pericolosa vicinanza dei loro corpi, dello sguardo bruciante di Adrien su du lei, dei loro respiri via via più affannati che si mescolavano nell’aria. 

Senza accorgersene, Marinette fece un passo avanti. Poi un altro, meno timido. 

Adrien vacillò. 

“Marinette?”

“Mmh?”

Il suo respiro caldo rimbalzava sulla pelle di Adrien. Il volto di Marinette era così vicino. Le sue labbra erano così vicine. 

“Potrei baciarti”, le bisbigliò contro. 

“Fallo”, rispose Marinette con un filo di voce. 

Cosa?

“C-cos-”

Marinette non lo lasciò continuare. Semplicemente, si alzò sulle punte dei piedi, colmò la poca distanza che li separava, e lo baciò

Adrien spalancò gli occhi dalla sorpresa. Non poteva credere che Marinette lo stesse baciando, e…

Oh. ‘Ma quanto sono morbide le sue labbra? Non ricordavo fossero così, e… dannazione, è passato decisamente troppo tempo dall’ultima volta e…’

E poi, Adrien smise di pensare. 

Per i primi lunghi, minuscoli, infiniti secondi, entrambi rimasero semplicemente così, le labbra di uno premute contro quelle dell’altro. Poi, Adrien sentì una qualche molla scattargli nel petto. 

Chiuse gli occhi. 

E la ricambiò. 

Marinette sospirò di piacere quando lo avvertì chinarsi con decisione su di lei. Fu questo, forse, a darle coraggio. O magari semplicemente la voglia pazza di approfondire il bacio. Adrien sentì chiaramente le mani di Marinette risalire il suo petto fino a poggiarsi sulle sue guance, e la punta rossa della sua lingua sfiorare il suo labbro superiore. 

Oh, Dio. 

Adrien sussultò dalla sorpresa, ma si riebbe subito, perché Marinette aveva finalmente deciso di permettergli di baciarla, e lui non l’avrebbe certo delusa. 

Le cinse la vita con le braccia, avvicinandola a sé, e sentì Marinette ansimare e stringersi più forte contro di lui, le mani adesso attorcigliate dietro il suo collo. 

Quel bacio, iniziato in maniera del tutto inaspettata, stava prendendo una piega che ad Adrien non dispiaceva affatto. Le labbra di Marinette, morbide calde e profumate, richiedevano con urgenza il contatto con quelle di Adrien, quasi per rimediare a tutti gli anni sprecati a trattenersi e a tenersi lontani. 

Adrien gemette quando avvertì di nuovo la lingua di Marinette sfiorare le sue labbra e la sua, di lingua, e Marinette ridacchiò contro di lui. Poi ripartì all’attacco, colta forse da un’improvviso slancio di passione - questo Adrien non lo sapeva, e non gli importava poi molto, dal momento che Marinette lo stava baciando e lui non era nessuno per negarle questo piacere. Perché di certo di un grande piacere si stava parlando, visti gli adorabili gemiti che le sfuggivano e che riuscivano a mandargli completamente in tilt il cervello. La parte egocentrica di Adrien gli suggerì di dover essere proprio un bravo - anzi, ottimo - baciatore, visti i sospiri e i sussulti, e il desiderio di Marinette di continuare ad essere baciata, ancora e ancora. 

Si staccarono soltanto per riprendere fiato, le fronti premute, gli occhi fissi in quelli dell’altro. Fu proprio allora che Adrien si rese conto che quello non era un sogno, che davvero lui e Marinette si erano baciati. Eppure, nonostante la realtà dei fatti fosse ben chiara - e il sapore delle labbra di Marinette sulle sue ne fosse una più che sufficiente conferma - ad Adrien parve all’improvviso che la situazione fosse troppo assurda per essere vera. Insomma, davvero dopo tutti quegli anni Marinette aveva deciso finalmente che era arrivato il momento di accettare il suo amore, come se nulla di tutto quello che l’aveva sempre costretta a rifiutare fosse accaduto?

Fu a causa di questi pensieri che, quando Adrien vide Marinette socchiudere gli occhi e avvicinarsi ancora, le premette le mani sui fianchi e si scostò un po' da lei. 

Marinette lo guardò confusa, un lampo di panico le attraversò gli occhi. 

“C-cosa?”, riuscì a farfugliare, il respiro ancora pesante. 

“Marinette, sei sicura?”, le chiese Adrien, la voce rauca e bassa. Marinette sentì le dita dei piedi arricciarsi. 

Annuì con forza, e prima che Adrien potesse fare qualcosa per impedirlo, si tuffò di nuovo a baciarlo. Adrien voleva - oh, quanto lo voleva - perdersi semplicemente in quel tocco e nella morbidezza delle sue labbra, ma… non ci riusciva. Si sentiva la coscienza sporca, senza neanche sapere perché. 

La ricambiò senza molta convinzione, e Marinette parve subito accorgersene, perché si ritrasse, seppur riluttante. Il suo sguardo incrociò quello di Adrien, e lui non seppe sinceramente cosa vi lesse, perché notò subito i suoi occhi azzurri spalancarsi e il suo corpo indietreggiare di qualche passo. 

“A-Adrien, mi dispiace… io-”  

“Marinette”, disse con decisione Adrien, abbandonando la presa sulla sua vita e prendendo le mani di lei tra le sue. “Voglio soltanto essere sicuro che… prima di farmi false speranze… ehm, tu voglia…”

“Sì, Adrien. Lo voglio”, lo interruppe Marinette, stringendo con forza le sue mani. “In questi giorni… ho pensato tanto a quello che mi hai detto, a noi e…”, si fermò per riprendere fiato, e mai pausa così breve fu più straziante, per Adrien. Si leccò le labbra e proruppe: “Adrien, ti amo. Ti ho sempre amato, dal primo giorno che ti ho visto. So che può sembrare pazzo, e anche tanto pericoloso, e non pensare che non abbia paura, infatti sono terrorizzata, ma…” lo guardò intensamente negli occhi “voglio stare con te. Sempre e solo con te. Non c’è stato un singolo giorno, negli ultimi otto anni, in cui io non mi sia svegliata senza pensare a te, a come sarebbe stato se tu fossi stato lì, se quella sera ti avessi detto sì, e…”

Eccola qui, di nuovo con i suoi sproloqui adorabili e senza senso. 

Gli occhi di Marinette si fecero improvvisamente lucidi, e due piccole e perfette lacrime le sfuggirono dalle ciglia nere. “Ti ho fatto soffrire così tanto, Adrien. Mi dispiace, mi dispiace davvero. Non so se sarai mai in grado di perdonarmi, ma… mi piacerebbe tanto, tantissimo provare a renderti felice. So che forse non ne sono all’altezza, ma…”

“Certo che ne sei all’altezza, Milady. In ogni istante, ogni secondo la tua sola presenza mi rende felice”, e detto questo, le portò di nuovo le mani alla vita e la attirò a sé. Marinette continuava a guardarlo intensamente, mentre lacrime sempre nuove le rigavano il volto. 

“Ti prego, non piangere”, le sussurrò Adrien contro la pelle, e Marinette sussultò al suono delle sue parole, così dolci e piene d’amore. Avvertì subito il pollice di Adrien asciugarle con carezze delicate le sue guance, e la sua voce mormorare: “Nessuno sarà mai più degno di te, Marinette.”

“Anche se ti ho fatto soffrire così tanto?”

“Anch’io ti ho fatto soffrire tanto.”

“Non tanto quanto me.”

Adrien ridacchiò e le schioccò un leggero bacio sulla punta naso. “Va bene, allora. Se ti fa sentire più tranquilla, ti perdono di tutte le volte in cui le tue parole mi hanno ferito. In realtà, ti ho già perdonata da tanto tempo.”
“Davvero?”, bisbigliò incredula Marinette. 

“Mmh”, annuì lui, ancora intento ad asciugarle le guance. 

Marinette chiuse gli occhi a godere del suo tocco leggero, e quando li riaprì, vide che Adrien la stava fissando come se fosse la dea più bella dell’Olimpo. Afrodite stessa avrebbe avuto di che esser gelosa, a causa di quello sguardo. 

“Marinette?”

“Sì?”

“Vorresti essere la mia ragazza?”

“Oh”

Lui rise. “Sarebbe un sì?”

Lei si morse un labbro, come a cercare una risposta, poi scrollò il capo e si sporse verso di lui, pensando forse che il modo migliore per dirgli di sì fosse con un bacio da togliere il fiato. 

E glielo tolse veramente il fiato, ad Adrien, perché dopo neanche un minuto si ritrovò a corto d’aria nei polmoni e furono entrambi costretti a staccarsi. 

Adrien strinse la presa intorno alla vita di Marinette. Lo sciabordio della Senna e il clacson di qualche macchina lontana completamente sovrastati dal suono meraviglioso del suo respiro affannato. 

“Posso farti una domanda?”, le chiese. 

Lei annuì, completamente persa nei suoi occhi verdi. 

Adrien si profuse in un leggero ghigno. “Quando valuteresti da uno a dieci la mia abilità di baciatore?”
Marinette ridacchiò, avvicinandosi ancora una volta a lui. “Credo di avere bisogno di altre dimostrazioni prima di dare una risposta definitiva.”
“Sono tutto tuo, Milady”. 

Adrien le fece l’occhiolino. 

Marinette non fece complimenti. 

 

3.

 

Dopo un’ora e tanti baci, entrambi arrivarono di fronte al portone di casa di Marinette. 

Sentì Adrien tirarle la mano col tentativo di spingerla a sé, e lei non protestò. Essere accolta tra le braccia di Adrien si stava rivelando ogni volta estremamente piacevole, e Marinette era convinta che si sarebbe abituata sin fretta e senza problemi alla pressione delicata della mano di lui sulla sua vita. 

Adrien le schioccò un tenerissimo bacio sulle labbra. Il cervello di Marinette aveva smesso da tempo di contare i baci che si erano scambiati quella sera, ma sapeva che questi avevano raggiunto un numero che superava di gran lunga i venti. 

A quel pensiero, il cuore le saltò un battito. Sapeva di essere diventata tutta rossa, e nascose la testa contro il petto di Adrien, facendo scivolare le mani intorno al suo corpo. 

“Non andare”, le sussurrò Adrien tra i capelli. 

Marinette ridacchiò. “E restare tutta la notte qui fuori con te?”
“Non ti piacerebbe?”

“Sì”, gli rispose dopo qualche secondo. “Mi piacerebbe tanto.”
“E allora facciamolo”, propose lui, prendendola per le spalle per poterla guardare negli occhi.

Marinette sorrise. Portò una mano al volto di Adrien, e prese ad accarezzarlo con gesti lenti e delicati. Adrien inclinò leggermente la testa verso sinistra, accogliendo le carezze di Marinette. “Non credo sia possibile, Chaton”, mormorò. “Domani ci aspetta una giornataccia e dobbiamo entrambi riposare. Ricordi? Alle sette abbiamo l’appuntamento con Nadja per quella stupida intervista.”

Lui si morse le labbra. “Potremmo sempre rimandare ad un altro giorno.”

“Sì, se non ti importa che Nadja ci sbrani vivi con le sue domande indiscrete per vendicarsi di aver mandato all’aria i suoi piani.”
Marinette odiava quella donna. Adrien lo sapeva, e annuì con comprensione, arrendendosi alla realtà dei fatti. Eppure, gli si strinse il cuore al pensiero di dover lasciare andare Marinette, per poterla rivedere soltanto la mattina successiva. Che ingiustizia. 

Marinette gli pizzicò con dolcezza un sopracciglio con le dita. Si alzò in punta di piedi e gli schioccò un bacio veloce. “Ovviamente, qualunque cosa ci chieda quello’arpia, tu nega tutto. Non mi va che il mondo intero scopra che stiamo insieme prima ancora che io ancora realizzi che tu sia il mio ragazzo.”
Il suo ragazzo. Adrien arrossì, e poi sorrise malizioso. Le strinse la vita e le stampò un bacio sul collo, che le strappò un delizioso gemito e la fece rabbrividire tutta. “Ai tuoi ordini, Milady”, le sussurrò contro la pelle. “Fino a che mi permetterai di essere il tuo ragazzo”, e a questa parola sghignazzò “non mi importa che il resto del mondo sia all’oscuro di tutto. Anzi”, aggiunse “credo che sarebbe meglio tenere la cosa segreta anche per le fan di Adrien Agreste. Sono sicuro che non la prenderanno molto bene.”

“Quasi quasi mi dispiace per loro. Non hanno idea di cosa si perdano”, rise Marinette, stringendolo forte. 

“Non devi, Milady. Il mio cuore è sempre stato tuo, anche prima che molte di loro diventassero mie seguaci.”
Marinette arrossì, e Adrien la baciò ancora, perché la trovava talmente adorabile che non seppe resistere. 

Quando si staccarono, Marinette appoggiò la testa sulla sua spalla e represse uno sbadiglio, poi disse piano: “Credo sia ora che vada”. 

“Oh, no”, Adrien la strinse di più. 

Marinette si sciolse sotto il suo tocco deciso e quella protesta così spontanea. Stava quasi per dargliela vinta, quando si rese conto che era già molto tardi e che non voleva privare Adrien del suo sonno. 

Lei, da parte sua, sapeva che quella notte non avrebbe chiuso occhio. 

“Se mi lasci andare adesso”, disse, prendendogli il viso tra le mani “ti prometto che domattina, prima di incontrare Nadja, ti porterò una di quelle brioches al cioccolato che ti piacciono tanto.”
“E mi darai anche tanti baci?”, lo sguardo di Adrien si accese all’idea. 

Marinette rise. “Sì, anche tanti baci.”
“Credo che questo sia un buon compromesso”, constatò Adrien. Premette per un’ultima volta le sue labbra su quelle di Marinette, e poi, con non poca riluttanza, la lasciò andare. 

“Buonanotte, Milady.”
“Buonanotte, Chaton.”
Marinette sentì su di sé lo sguardo di Adrien fino a che il portone non le si richiuse alle spalle. Prima di salire le scale fino alla porta del suo appartamento, si premette una mano sulla bocca per trattenere un urlo di gioia. 

‘Sta’ calma, Marinette. Calma è il tuo secondo nome, ricordi?’

Ovviamente, una volta sulla soglia di casa, Alya - che da brava amica aveva aspettato alzata il suo ritorno - le saltò addosso e le chiese di raccontarle tutto. 

Fu solo allora che Marinette realizzò che tutto quello non era stato affatto un sogno. 

 

 [continue…]

 

 

Convenevoli finali:

E anche un nuovo capitolo è andato!! Onestamente non credevo di poterlo postare così presto, ma sono contenta di essere riuscita un po' a sbloccarmi con la scrittura di questa storia, che davvero mi sembra non finire più xD. Comunque, anche se da una parte sono contenta che sia quasi finita (mancano soltanto due capitoli!!), dall’altra non posso non essere dispiaciuta, perché questa è stata la mia primissima long, e perché in fin dei conti mi sono divertita molto a scriverla. 

 

Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto (preparatevi ad un nuovo appuntamento super fluffoso), un abbraccio e a presto, 

Talitha_ <33

 

 

 

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Capitolo 11
*** IV. Réveil ***


IV. Réveil

 

1.

 

Da quando lui e Marinette stavano insieme, Adrien aveva scoperto una cosa molto interessante: amava svegliare la sua ragazza a suon di baci. 

La prima volta che era accaduto era stata puro frutto del caso. Marinette si era addormentata attorcigliata a lui sul divano, e Adrien aveva cercato di godere il più possibile del calore del corpo di Marinette accanto al suo, i respiri profondi e regolari e il suo viso adorabile mentre dormiva. Avrebbe fatto di tutto pur di addormentarsi insieme a lei e svegliarsi il mattino dopo ancora con lei, ma sapeva anche che la loro relazione era appena cominciata e che lui non voleva fare nulla che potesse mettere a disagio Marinette. Quando il film era finito e il sonno aveva cominciato ad arrivare, Adrien aveva deciso che era arrivato il momento di svegliarla. 

Oh, ma come svegliarla, era questo il problema. Sicuramente non avrebbe avuto il coraggio di scuoterla e ridestarla dai suoi sogni senza alcuna considerazione per il suo riposo. Aveva provato allora a sussurrarle qualche volta il nome nell’orecchio, senza alcun risultato. Marinette dormiva profondamente, gli occhi chiusi, le guance rosate e le labbra...

Oh, le labbra

Fu osservando quelle sue labbra invitanti che ad Adrien era venuta l’idea. Quale risveglio più dolce di quello che scaturisce da un bacio? 

Allora si era chinato su di lei e sistemato come meglio poteva (Marinette era quasi ancorata a lui, non che ad Adrien dispiacesse), e fu così che la risvegliò per la prima volta al suon di dolci, piccoli baci. Si era concentrato prima sulle labbra, poi sugli angoli della bocca, le guance, il collo, le palpebre chiuse, e poi di nuovo le labbra, fino a che non aveva sentito Marinette mugugnare contro di lui e ricambiarlo con sempre più decisione. 

Era stato bellissimo, ed Adrien si era ripromesso che quella sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di dolci risvegli. 

Da quel momento, ogni occasione era buona per portare avanti il suo obiettivo - anche quando Marinette non dormiva accanto a lui, perché di certo nulla gli impediva di correre a casa sua prima che lei si svegliasse e mettere in atto il suo piano. 

Era estate, e Marinette lasciava sempre la finestra aperta mentre dormiva (e comunque, Adrien sapeva dove nascondeva la chiave di riserva - anche se sospettava che presto ne avrebbe avuta una tutta sua). 

In realtà, quella mattina Adrien non si era svegliato con l’intento di andare a baciare Marinette. Voleva soltanto vederla da fuori, osservarla mentre dormiva e forse sognava. Lo sognava. 

Poi, però, aveva trovato la finestra aperta, quasi come un caloroso invito ad entrare. E Chat Noir non se lo lasciò assolutamente scappare. Socchiuse piano la finestra, cercando di non fare rumore, anche se sapeva che il sonno di Marinette era pesante e che ci sarebbe voluto ben più di un cigolio per farle aprire gli occhi. 

Sogghignò sotto i baffi - non letteralmente, si intende, dato che di baffi non ne aveva - scavalcò la finestra e si diresse in punta di piedi verso il letto di Marinette (c’era pur sempre Alya, che dormiva nell’altra stanza). 

Vide Tikki ridacchiare a trapassare la parete della stanza, per lasciar loro un po’ di privacy. Adrien trattenne una risata e si accucciò con eleganza ai piedi del letto di Marinette. 

Lei dormiva come un angelo, le ciglia un po’ spiegazzate e una macchia di mascara sotto l’occhio sinistro. Adrien la osservò dormire beatamente per una manciata di minuti, e quando Marinette sussultò nel sonno lui dovette tapparsi la bocca per non scoppiare a ridere. 

Forse dovrei lasciarla dormire ancora un po’’, disse una vocina interiore, che lui non aveva alcuna voglia di ascoltare. 

Ma guarda il suo visino, aspetta soltanto di essere baciato!’, sussurrò una seconda vocina, più malefica della prima, con cui Adrien si ritrovò perfettamente d’accordo. È vero che era piuttosto presto (per gli standard di Marinette, a cui la mattina piaceva sempre dormire fino a tardi), ma Adrien sapeva anche, dalla loro esperienza di qualche sera prima, che Marinette non gli avrebbe certo rimproverato di averla svegliata, se in cambio avesse ricevuto tanti baci e un po’ di coccole. E Adrien era dispostissimo ad assecondare ogni sua richiesta. 

Si appoggiò con i gomiti sul letto e le leggere lenzuola di lino bianco di Marinette emisero un basso fruscio. Chat Noir avvicinò pericolosamente il viso a quello di lei, fino a percepire il rimbalzo del suo respiro regolare e profondo sulla pelle. La guardò con occhi incantati, e poi le premette un piccolo bacio sulle labbra. Marinette era ancora addormentata e probabilmente non aveva sentito niente, ma quel singolo contatto con la sua pelle morbida e calda spronò Adrien a riprovarci ancora, ancora ed ancora. 

Dopo un paio di minuti e tanti baci sul collo, Marinette iniziò a dare segni di vita. Quando avvertì le labbra di Adrien premere sulla sua pelle delicata lo scacciò con uno scatto, come si fa con una mosca fastidiosa. Chat Noir non si diede per vinto, e si spostò di nuovo sulle labbra, che sentì piano piano adattarsi al ritmo dei suoi baci leggeri. 

Finalmente, Marinette aprì gli occhi, e le sembrò di star ancora sognando quando si accorse che la sua visione era piena di Chat Noir. Si ritrasse spaventata. 

Adrien ridacchiò. “Buongiorno, Milady. Dormito bene?”

Attirò di nuovo Marinette a sé, con le ginocchia ancora poggiate sul pavimento. Le avvolse un braccio attorno alla vita, sebbene Marinette fosse coperta dalle lenzuola fin su al mento. 

“A-Adrien?”, chiese lei, confusa. La voce era ancora impastata di sonno, e Adrien la trovò assolutamente adorabile. 

“Mmh”, confermò lui, ancora intento a osservarla dritto negli occhi. 

“C-cosa ci fai qui?”

“Sorpresa”, le rispose lui, con un ghignetto stampato sulle labbra. Le strappò un bacio veloce. “Contenta di vedermi?”

Marinette sbatté le ciglia e si strofinò gli occhi con il pugno. Poi sbadigliò e si tirò un po’ più su sul letto. Il lenzuolo le scivolò addosso, e la visione di una spalla nuda e perfetta riempì gli occhi di Chat Noir. Marinette indossava soltanto una leggera canottiera bianca e rosa, le cui spalline erano talmente sottili che di sicuro sarebbero scivolate via così facilmente e...

Chat Noir fu riscosso dal sussurro di Marinette. “Perché sei qui? Se Alya dovesse vederti darebbe i numeri.”

Chat Noir appoggiò la testa contro il suo corpo caldo. “Mi mancavi”, mormorò, con un tono che sapeva avrebbe sciolto Marinette. 

E infatti, la conosceva fin troppo bene. 

“Vuoi che me ne vada subito?”, aggiunse, e si staccò così improvvisamente da lei che Marinette fece una smorfia di disappunto. Lo prese per le mani e lo tirò di nuovo a sé. “No, non ancora. Ormai il danno è fatto, e se mi prometti di fare il bravo gattino ti faccio restare ancora un po’.”

Un po’ quanto?”

Marinette sorrise. “A volte sembri proprio un bambino. Un po’ fino a che non lo dico io.”

Chat Noir sembrò accontentarsi della sua risposta (sapeva quanto Marinette adorasse le sue coccole, e di sicuro non lo avrebbe cacciato troppo presto), e si sdraiò accanto a lei sopra alle lenzuola. Marinette colse l’occasione per infilare le dita sottili tra i suoi capelli biondi. Gli accarezzò le orecchie da gatto, e subito Chat Noir iniziò a fare le fusa. Marinette ridacchiò, e si sistemò meglio vicino a lui, premendo l’orecchio contro il suo petto per auscultarne i battiti. Adrien fece scivolare le mani intorno alla vita di lei, e la strinse più forte a sé, come se avesse paura che qualche forza maligna la potesse portare via da un momento all’altro. Le diede un bacio sui capelli, e poi poggiò il mento sulla sua testa. Marinette si accucciò a lui il più possibile, circondandogli a sua volta il busto con le mani. 

Chat Noir sospirò di felicità. Magari avesse avuto la possibilità di stringerla così, tra le braccia, ogni singola mattina. 

“A cosa pensi?”, lo ridestò la voce di Marinette. 

Adrien meditò se dirle la verità o meno, ma poi si chiese quale sarebbe stata la reazione di Marinette alle sue parole e pensò che era qualcosa che non voleva perdersi. Indietreggiò leggermente con la testa, spingendola a guardarlo negli occhi. Con una mano le ricoprì la guancia sinistra, e le accarezzò lo zigomo con la punta del pollice. “Penso a quanto mi piacerebbe svegliarmi con te ogni mattina, e restare abbracciati come adesso.”

Marinette arrossì e nascose di nuovo la testa nel suo petto. Anche Adrien era arrossito, ma la reazione di Marinette ne era valsa totalmente la pena. 

“Anche a me piacerebbe”, il sussurro di Marinette lo colse totalmente di sorpresa. 

“Cosa?”

Marinette ridacchiò. “Ti sembra strano?”

“N-no, è che… non me lo aspettavo.”

Adrien la vide finalmente alzare la testa a guardarlo. “E dire che stavo pensando la stessa cosa”, disse a fior di labbra. 

Chat Noir sentiva caaaaldo. Per evitare di risponderle - come si risponde ad una dichiarazione del genere?! - la baciò, per l’ennesima volta quella mattina. Marinette sembrò apprezzare, perché subito mugugnò di piacere e inclinò il capo per assecondarlo. Chat Noir sentì l’intero corpo vibrare quando avvertì la lingua di Marinette premere per incontrare la sua. La accolse e gemette e la baciò con passione, intensità, amore, desiderio, e poi… 

Qualcuno bussò alla porta. 

“Marinette, tutto bene lì dentro?”

Alya. Oh, Alya. E dire che Adrien aveva così tanto di che esserle grato. E adesso, adesso…

Marinette scattò seduta. “S-sì, Alya. Tutto bene. Alla grande. Perché?”

Alya rise da dietro la porta. “Mi è sembrato di sentire dei rumori.”

Marinette lanciò uno sguardo disperato ad Adrien. O meglio, a Chat Noir. “Destrasformati!”, mimò con le labbra, perché un conto era se Alya la beccava con Adrien, che sapeva essere il suo ufficiale ragazzo, e un altro totalmente diverso era se la sorprendeva con Chat Noir, mentre tradiva Adrien. 

“Marinette?”, la chiamò ancora Alya. 

“Sì?”

Alya socchiuse la porta, e un’ondata di panico colse Marinette. Non sapeva perché si sentiva così nervosa all’idea che la sua amica la scoprisse con Adrien, nonostante avessero già spiattellato a tutti di stare insieme. La testa rossa di Alya emerse dallo spiraglio di porta aperta. Marinette si irrigidì, prima di vedere che la sua amica stava tenendo gli occhi rigorosamente chiusi. Alya sorrise. “Divertitevi”, sussurrò malefica, poi si richiuse la porta alle spalle, strillò un ‘Io vado!’, e uscì di casa. 

Solo quando Marinette sentì il portone che si chiudeva emise un sospiro di sollievo, si volse verso Adrien, alla sua destra, e lo trovò…

Beh, detrasformato. 

Nella sua mise notturna. 

Che a quanto pare non consisteva in altro se non un paio piuttosto succinto di boxer. 

Un. Paio. Succinto. Di. Boxer.

Marinette boccheggiò, alla ricerca disperata di aria. Adrien era… bellissimo, un dio greco sceso dall’Olimpo, un angelo caduto dal cielo, un…

“Ti piace quello che vedi, Milady?”

Oh, Dio. 

Marinette spalancò gli occhi, completamente rossa in viso. Lasciò indugiare ancora qualche secondo lo sguardo sulla sua pelle dorata, liscia e perfetta, i suoi addominali scolpiti, le braccia tornite, il rigonfiamento prosperoso dei boxer. 

Adrien gettò la testa sul cuscino, e si sistemò ben bene al suo fianco. Marinette, che era ancora seduta, si ritrovò ad avere una perfetta visuale del suo intero corpo, e improvvisamente i polmoni le parvero insufficientemente grandi per accogliere tutto l’ossigeno di cui aveva bisogno. 

Respira, Marinette. Respira. È una situazione del tutto normale, questa. Adrien non è forse il tuo ragazzo? Il tuo ragazzo, ommiodddioo.’

Era come se Marinette stesse realizzando solo in quel momento che lei ed Adrien fossero effettivamente una coppia. Ed era così strano, perché dopo tutti quegli anni passati a soffrire, a pensare per ‘se’, ‘ma’, ‘però’, ‘comunque’, le sembrava quasi impossibile che quella fosse effettivamente la realtà. 

“Non sono mica materiale da vivisezione, sai”.

Adrien rise imbarazzato, e Marinette osservò incantata i muscoli del suo petto vibrare e contrarsi al ritmo della sua risata. 

Oddio oddio oddio. 

Sentiva le orecchie fischiare, il sangue fin nel cervello, e le mani le tremavano talmente tanto che Adrien dovette prenderle tra le sue per farle calmare. 

“Te l’ho detto che non ero niente male.” Le fece l’occhiolino. 

“Oh, smettila”, riuscì ad esclamare Marinette, che ritirò le mani dalle sue e si nascose sotto le lenzuola dall’imbarazzo. 

Adrien rise più forte. Si stava divertendo davvero un mondo a prenderla in giro. 

Marinette sentì il materasso piegarsi sotto il peso di Adrien, che si chinò su di lei e tirò giù con delicatezza il lenzuolo che la riparava. 

“Perché ti nascondi?”, le chiese dolce, non appena il viso rosso di Marinette riemerse dal suo nascondiglio. 

“Non fare il finto tonto, sai benissimo perché.”
Adrien si portò l’indice al mento. “Mmh, se non vuoi dirmelo credo che mi toccherà provare ad indovinare.” Finse di pensarci per qualche secondo, in cui continuava a guardarla dritto negli occhi, e Marinette premette la testa sul cuscino dall’imbarazzo sempre maggiore. 

“È forse perché sono troppo bello?"

Marinette sollevò la testa e gli scoccò un’occhiataccia. “Troppo pieno di te, vorresti dire?”

“Mi fraintendi, Milady. È che non riesci ad ammettere che sono più bello di quanto tu sia mai stata capace di immaginare. O sbaglio?”, ghignò. 

Adesso, Adrien giaceva sdraiato di profilo, con la testa appoggiata sul gomito sinistro, e lei era proprio sotto di lui, inondata dal profumo della sua pelle e completamente stordita dalla sua vicinanza. Si sentiva così piccola ed indifesa - senza nessun’arma per poter controbattere i suoi attacchi spietati - ma allo stesso tempo protetta e amata, tanto che avrebbe felicemente accettato di continuare a godere di quella posizione per ancora molto, molto tempo. 

Senza sapere bene cosa stesse facendo, Marinette allungò una mano verso il collo nudo di Adrien. Lo circondò con il braccio sinistro e si accoccolò contro di lui. Rabbrividì al contatto col suo corpo tonico e la pelle esposta, ed improvvisamente desiderò che la sua canottiera scomparisse, per poter finalmente verificare quanto potesse essere piacevole la sensazione del suo petto nudo contro il suo. 

“In effetti”, sussurrò infine contro il suo collo profumato, e Adrian rabbrividì “mi rendo conto solo ora che la mia immaginazione non è affatto degna della realtà dei fatti.”
“Stai ammettendo che la mia bellezza supera il potere dell’immaginazione di Ladybug?”, si finse scioccato. 

“Mmh”, mugugnò Marinette, senza il coraggio di guardarlo negli occhi. 

“È un sì?”

“Smettila.” 

Adrien rise. “Lo prendo come un sì.”

“Prendila come vuoi.” 

Una brezza fresca entrò dalla finestra, ancora aperta, e Marinette si accorse solo allora che Adrien era praticamente nudo e scoperto. Afferrò l’orlo del lenzuolo e lo invitò a mettersi sotto accanto a lei, e anche se Adrien non aveva affatto freddo, non si lasciò sfuggire quell’opportunità. 

Strinse Marinette tra le braccia e appoggiò la testa sull’incavo della sua spalla, dopo averle schioccato un tenero bacino sulla sua pelle bianca e calda. Sentì Marinette aderire completamente al suo corpo, e intrecciare le gambe sottili alle sue. Aveva i piedi ghiacciati, e Adrien rabbrividì e la prese in giro, e Marinette gli rispose che se gli davano tanto fastidio poteva sempre alzarsi ed andarsene via. Adrien non si lamentò più, e si mosse subito per cercare un modo per riscaldarli. 

Rimasero così, vicini vicini, a scambiarsi qualche parola, bacio, battuta, e a godere semplicemente della presenza dell’altra persona che li stringeva. 

“Che ore sono?”, chiese dopo un po' Marinette. 

Adrien scosse la testa contro il suo collo. “Non è importante”, rispose con voce rauca. 

Marinette rise. “Adrien, ho lezione alle dieci."
Adrien respirò e la baciò e Marinette rabbrividì. “A-Adrien…”

“Uffa, hai rovinato la magia”, si lamentò lui. 

Marinette gli scompigliò i capelli. “Magia, eh?”
“Mmh.” E sbadigliò. 

“Non ti starai mica addormentando?”

“Forse”, rispose, con tono colpevole. 

“Adrien!”, Marinette lo prese per le spalle e cercò di allontanarlo, invano. Lui la strinse più forte. 

“Guastafeste”, grugnì lui. 

Marinette sospirò esasperata. Già era estremamente difficile allontanarsi da lui, le mancava soltanto che lui la trattenesse. Non era sicura che sarebbe riuscita a resistere. 

“Ah, peggio per te, Chaton!”

“Cosa?”, chiese lui curioso. 

Marinette fece un sorrisino trionfante. “Proprio stamattina avevo in mente di preparare dei gustosi pancake al cioccolato.”

“Fondente?”

Marinette annuì. “Fondente”, confermò. 

Lui alzò la testa e la guardò dritto negli occhi. “Mi dispiace”, disse “credo che rinuncerei senza rimpianti a dei pancake pur di restare ancora un po' qui con te.”

Oh, ma si può essere più dolci?!

“Adrien, ti prego!,” insisté lei. “Credi che a me faccia piacere lasciare te per andare all’università?”

Lui rise. “Colpa della mia irresistibilità.”

“Sei impossibile.”
“Sono innamorato di te.”
Marinette si morse le labbra. Era talmente adorabile che non riusciva nemmeno a fare finta di essere arrabbiata con lui. 

“Facciamo così”, propose come ultima speranza. “Adesso mi lasci andare, io vado a prepararti una colazione coi fiocchi, e stasera, puoi tornare qui per un altro po' di coccole.”

“Davvero?”, Adrien la guardò speranzoso. 

“Davvero”, confermò Marinette. 

“E…emh”, iniziò Adrien, tuttavia ci ripensò e preferì star zitto. 

“E…?”, lo incitò Marinette. 

“Niente, non preoccuparti”, le disse lui con un sorriso, e le diede un bacio sulla fronte. 

“No, adesso sono curiosa. Dai, dimmi”, dichiarò Marinette. 

Adrien scosse la testa. “Non è niente, davvero.”

“Niente colazione”, lo minacciò Marinette. 

Adrien mise il broncio. “Ma non è giusto!”

“Spara, allora.”

Lui sospirò. Nascose la testa nel cuscino, e mugugnò: “Volevo solo chiederti se potevo rimanere a dormire qui con te.”

Marinette alzò le sopracciglia dalla sorpresa, e prima che potesse dire qualcosa Adrien alzò la testa e aggiunse: “Ma non devi assolutamente dire di sì! Dicevo solo per dire, sai.”

Marinette si morse il labbro. “E se volessi dire di sì dovrei lo stesso stare zitta?”
Adrien la guardò sorpreso. “S-sei seria?”

Lei annuì e sorrise. “Mai stata più seria in vita mia.”
il viso di Adrien si illuminò, le prese il volto tra le mani e la ricoprì tutta di baci. Marinette rideva mentre lui continuava imperterrito, e non fu contento fino a che non ebbe baciato ogni singolo centimetro del suo volto. 

“Adesso dobbiamo proprio andare, altrimenti non faccio in tempo a preparare la colazione.”

Adrien annuì obbediente, e seguì senza indugio la sua ragazza in cucina.  

 

 

2.

 

Seduto al tavolo, Adrien fissava un’affaccendata Marinette ai fornelli. La vista che gli si presentava, doveva ammetterlo, non era niente male. 

Eppure si sentiva in colpa a starsene lì, con le mani in mano, mentre lei era occupata a preparargli da mangiare. Si alzò dalla sedia con un unico e fluido movimento, dirigendosi verso Marinette. La sentì trasalire sorpresa quando con le braccia le avvolse la vita, il petto premuto contro la sua schiena. 

“Adrien!”, protestò lei, leggermente arrossita. 

Lui ridacchiò contro il suo orecchio, cosa che contribuì ad aumentare il tremolio delle gambe di Marinette. “Mi chiedevo se potevo fare qualcosa per aiutarti”.

Lei voltò la testa verso sinistra. “Sì che puoi. Torna a sederti, altrimenti qui si brucia tutto.”

La sua voce era piuttosto severa, ma Adrien sapeva che era per smascherare l’imbarazzo. “E perché mai dovrebbe bruciarsi qualcosa? Ti credevo una cuoca provetta”, la stuzzicò. 

Marinette sbuffò, trattenendo un sorriso esasperato. “Il tuo ego non conosce limiti, non è vero?”

“Volevo solo una conferma che fossi io il motivo per cui la colazione potrebbe carbonizzarsi. Tuttavia, non te ne farò una colpa”, e così dicendo, prese ad accarezzarle con un movimento lento ed esasperante la vita, giocherellando con il lembo della canottiera di Marinette. 

Lei sussultò al tocco delle sue dita calde ed esperte. Sgusciò sotto di lui. “Hai ragione, contento? Ora torna a sederti se ci tieni tanto alla tua colazione.”

Con un ghigno stampato sulla faccia, Adrien tornò a sedersi al suo posto, da gattino obbediente qual era. 

Non ci volle molto prima che Marinette portò i pancake in tavola. Ed evidentemente si era dimenticata che lui fosse ancora in boxer, perché ci mancò poco che il piatto con la colazione le scivolasse dalle mani e si schiantasse a terra. Adrien la accolse con un sorrisino malizioso ancora stampato in volto. Marinette alzò gli occhi al cielo, rossa come un pomodoro. 

“Ti faccio arrossire, Milady?”

“Oh, e smettila”, borbottò lei. Si sentiva tutta scombussolata, ed Adrien se ne accorse, perché si alzò in piedi e l’aiutò a riempire i piatti. Senza che lo volesse, lo sguardo di Marinette cadde accidentalmente sul petto nudo di Adrien. Non potè impedirsi di constatare che la sua pelle era semplicemente perfetta, calda, rosata e vicinissima a lei. 

“Mi stai mangiando con lo sguardo, ancora”, le fece notare Adrien con un sussurro. 

Marinette strizzò gli occhi e scosse la testa. “Non è vero.”

Adrien sorrise. “Sì, che è vero.”

Marinette fece per protestare, ma decise infine di arrendersi. “Non è colpa mia”, incrociò le mani al petto, senza osare incrociare il suo sguardo. “Sei troppo bello.”

Questa volta fu Adrien ad arrossire. Marinette lo guardò con dolcezza mentre balbettava una protesta. Era fatto così, Adrien. La stuzzicava senza tregua per cavarle di bocca qualche complimento, e poi arrossiva imbarazzato quando lei gliene concedeva. 

Era adorabile. 

“Tu sei più bella”, rispose lui dopo qualche secondo di silenzio. “Anzi, bellissima. Molto più di me. E ce ne vuole, sai”, aggiunse con una risata. 

Marinette voleva ribattere, ma le parole di Adrien l’avevano sciolta più di quanto non volesse ammettere, per questo preferì rimanere in silenzio e godere del suono dolce della risata di Adrien. 

Lo osservò prendere un boccone dei suoi pancake, e mugugnare di piacere. “Sono buonissimi. Davvero li hai preparati mentre io ero lì a distrarti?”

Lei annuì con un sorriso. “Non è stato facile, però.”

Adrien non rispose. Marinette alzò lo sguardo su di lui, e sentì un brivido scuoterla tutta quando si scontrò con gli occhi verdi ed intensi di Adrien. 

“Marinette?”, la chiamò poi, con la voce leggermente rauca. Si schiarì la gola. 

“Sì?”

Adrien le prese la mano, e le accarezzò il dorso con il pollice. “Sei felice con me?”

Marinette per poco non si strozzò. “C-cosa?”

Adrien deglutì. “Intendo… ehm, sei felice di essere la mia ragazza? Di aver detto sì?”

Nei suoi occhi Marinette fu in grado di leggere un sottile velo di paura. Temeva forse la sua risposta?

“Oh, Chaton”, disse, alzandosi dalla sedia e facendo spazio per sedersi sulle sue gambe. Gli prese il volto tra le mani e gli stampò un leggero bacio sulle labbra. Sapevano di zucchero e cioccolato. “Certo che sono felice. Cosa ti ha fatto pensare il contrario?”

Adrien parve rilassarsi un poco. Ma solo un poco. Marinette gli accarezzò entrambe le guance con delicatezza, e gli diede un altro bacio. 

“È solo che…”, riprese lui, incerto. 

“Che…?”, lo incitò Marinette. 

Ci un un breve silenzio, poi Adrien parlò ancora. “Marinette?”

“Mmh?”

Adrien le prese una ciocca di capelli tra le dita. “Lo sai che a volte faccio apposta lo scemo, vero?”

Marinette rise e alzò la testa per guardarlo negli occhi. “Certo, Chaton”, gli sussurrò contro le labbra. “Ti amo anche per questo. E nessuna delle tue freddure potrà mai cambiare i miei sentimenti.”

“Freddure?”

Lei rise, cercando di stemperare l’atmosfera. E parve funzionare, perché sentì chiaramente Adrien farsi più rilassato sotto di lei. Marinette gli avvolse le braccia intorno al collo e tuffò la testa contro di lui, aspirando con forza il suo profumo. 

Adrien arrossì, e sentì uno stormo di farfalle svolazzargli nello stomaco. Marinette era sempre così incredibile, e sapeva come farlo sentire in paradiso con pochi, semplici gesti. 

“Quindi non hai cambiato idea?”, le chiese ancora. 

“No”. 

“Sicura?”

Marinette rise. Sapeva che con quella domanda Adrien non intendeva soltanto se lei fosse sicura riguardo il suo carattere. Ma alla loro intera relazione. Al fatto che erano ancora Ladybug e Chat Noir, e che non solo conoscevano le rispettive identità, ma che erano anche una coppia nella vita vera.

Attorcigliò il dito intorno ad una ciocca dei suoi capelli biondi. “Sicura”, sussurrò.

E in quel momento fu come se i mostri del suo passato l’avessero finalmente lasciata in pace, libera di vivere con la persona di cui era perdutamente innamorata.  

 

 

BONUS

(aka una bozza che non volevo cancellare e che siete costretti a sorbirvi lo stesso lmao)

 

Quella sera, Marinette constatò per la prima volta quanto fosse difficile avere un’amica giornalista. Non che prima non lo fosse, ma il fatto era che Marinette non stava ancora insieme all’amore della sua vita, che guarda caso era anche Chat Noir. 

“Sono tornata!”, urlò a squarciagola Alya, facendo tintinnare le chiavi tra le dita. 

“C-ciao, Alya”, la salutò Marinette. Sapeva che sarebbe seguita una conversazione imbarazzante con la sua amica, perché non si erano più viste da che lei li aveva beccati quella mattina in camera di Marinette.

Alya entrò in soggiorno e sogghignò. “Hai qualcosa da dirmi, ragazza?”

Ovviamente, Alya andava sempre dritta al punto. Arrossì come un peperone. “Q-qualcosa?”

Un ghigno si dipinse sul volto di Alya. Oh, quanto amava prendere in giro la sua cara amica Marinette. 

“Sai, tu e Adrien, in camera da letto, rumori di baci e sospiri…”

“Alya!”, esclamò una imbarazzatissima Marinette. “N-non è come pensi, lui… era appena arrivato, stavamo solo…”

Alya prese l’amica per le spalle. “Tesoro, stavo solo scherzando. Non devi certo giustificarti con me sulle cose che fai col tuo ragazzo. E neanche accampare scuse che non stanno né in cielo né in terra. Sappiamo entrambe che Adrien non poteva essere appena arrivato. Da dove sarebbe entrato altrimenti, dalla finestra?”

Marinette sbatté le palpebre. Ovviamente, non poteva dire la verità ad Alya. Ovvero che lui era Chat Noir e che era davvero entrato dalla finestra. Forse era meglio farle credere che lei ed Adrien avevano dormito insieme. 

“Scusami, io… avrei dovuto chiederti il permesso. Ma sai com’è Adrien, quando ha voglia di vedermi prende e parte. Se vuoi posso parlargli, dirgli di avvisarmi quando viene così da dirlo anche a te…”

Alya sorrise affabilmente. “Oh, ma per me non è assolutamente un problema. Solo”, aggiunse seria, prendendola per le spalle “per favore, non fatelo sul divano. Non lo sopporterei.”
Marinette si sentì morire dall’imbarazzo. Agitò le mani come una pazza: “Oh, ma noi non abbiamo ancora fatto niente. Te lo giuro. Veramente, Alya. Devi credermi. Niente di niente.”

Alya alzò maliziosa un sopracciglio. “Non ancora. Dici bene, tesoro. Comunque, sei avvisata: niente schifezze sul divano, per il resto divertitevi. E se hai bisogno di qualche consiglio”, le fece l’occhiolino “sai a chi chiedere.”
Marinette ingoiò a fatica il groppone che sentiva in gola. Si limitò ad annuire, e prese come scusa lo squillo del telefono per sottrarsi a quella conversazione. 

Era Adrien. 

Sorrise come una scema prima di rispondere. “Pronto, Chaton?”

“Si può sapere purrrché diamine hai lasciato la finestra chiusa?”

Dannazione. ‘Perché diamine ti ostini a voler entrare dalla finestra?’, voleva rispondergli. Tuttavia, si morse il labbro e si trattenne. Alya era lì accanto a lei, e per un secondo Marinette andò in panico. Non poteva fare entrare Chat Noir dalla finestra, non con Alya lì presente. 

Poi riprese sicurezza, e con molto ben simulata nonchalance disse la prima cosa che le venne in mente: “D’accordo, ci vediamo tra venti minuti all’ingresso del cinema.” Riattaccò senza aspettare la sua risposta. 

“Non mi avevi detto che tu e Adrien andavate al cinema”, constatò Alya. 

Marinette si chiese perché la sua amica fosse sempre così dannatamente sveglia. Fece spallucce e rispose: “Non dovevamo, infatti. Ma ad Adrien è venuta voglia e ha trovato uno spettacolo che inizia tra poco. Ora scappo! Ci vediamo più tardi”, le diede un veloce bacio sulla guancia, afferrò chiavi e borsa e se ne uscì di tutta fretta. Sotto casa, un gatto voglioso l’aspettava tra le ombre. 

“Cinema, quindi?”, sentì una voce sussurrarle nell’orecchio e due mani prenderla per i fianchi. 

“Adrien, ma sei ancora trasformato? È pericoloso!”, lo rimproverò lei, mentre arrossiva violentemente. Marinette ringraziò che fosse buio, e non solo perché nessuno sarebbe stato in grado di scorgere bene la figura di Chat Noir. Così neanche lui avrebbe potuto prenderla in giro per il suo imbarazzo. 

Eppure, lui fu in grado di percepirlo lo stesso, l’abbracciò stretta e sghignazzò contro il suo collo. “E cinema sia”, disse infine. “Però dopo torniamo a casa tua. Una promessa è purrr sempre una promessa, Milady." Infilò una mano sotto le ginocchia di Marinette e spiccò il volo con lei in braccio. Si detrasformò in un vicolo, dopo che lei ebbe attentamente controllato che nessuno li avesse seguiti. 

Era sera tardi, e al cinema non davano nessun film interessante, ma Marinette insistette lo stesso per vederne uno, perché era convinta che Alya sarebbe stata capace di fiutare in qualche modo una sua bugia, e non voleva accampare ancora tutta una serie di scuse quando avrebbe potuto evitarlo. 

Alla fine, scelsero un documentario sui criceti. Quella sera, per la prima volta addormentatosi con Marinette tra le braccia, Adrien pensò che non sarebbe stato male, un giorno, regalarle un criceto. 

 

 

 [continue…]

 

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Capitolo 12
*** Épilogue ***


Épilogue 

 

“Sai una cosa?”, le aveva chiesto un giorno Adrien. Erano accoccolati sul letto enorme di lui, avvolti nelle coperte bianche, una mattina presto in cui i raggi del sole avevano iniziato timidamente ad illuminare la stanza. Marinette teneva la testa appoggiata sul suo petto, mentre lui le disegnava sulla schiena piccoli cerchi con le dita. 

“Cosa?”, rispose Marinette, con gli occhi chiusi e un sorriso dolce stampato sulle labbra. 

“Che anche nei periodi più bui, quelli in cui avevi messo bene in chiaro che tra di noi non ci sarebbe mai stato niente, io ho sempre continuato a sperare che un giorno saremmo stati felici, insieme."
“Ah, sì?”, chiese Marinette, che si alzò sui gomiti e lo osservò dritto negli occhi. 

“Mmh”, annuì Adrien, che si sporse un poco per stamparle un bacio sulle labbra. E un altro e un altro ancora. Adrien non poteva fermarsi. Le labbra di Marinette creavano dipendenza. Ed il problema era che lei era diventata talmente esperta in questione di baci - dopotutto, avevano avuto occasione di fare molta pratica - da conoscere tutti i modi per farlo andare fuori di testa. 

Ma adesso Marinette si tirò indietro, e lo guardò dritto in quei suoi occhi brillanti, felini, maliziosi, e pieni d’amore per lei. Lo guardò fisso negli occhi e si chiese come avesse fatto per quattro interminabili anni a negarsi il piacere di perdersi in quel verde sconfinato. 

«Anch’io», sussurrò poi. Adrien la guardò con fare interrogativo, quasi anche lui si fosse perso negli occhi di lei e non ricordasse più quello di cui stessero parlando. 

Marinette sorrise dolcemente: «Anch’io non ho mai perso la speranza. Ho sempre sperato di trovare uno spiraglio nel buio, un modo per stare insieme ed essere felici senza ostacoli. Anche se…» abbassò lo sguardo e si morse un labbro. «Devo ammettere che a volte io stessa mi ponevo ostacoli. Non perché non volessi stare con te» si affrettò ad aggiungere. Adrien alzò le sopracciglia. «È solo che… ero così spaventata dai sentimenti che provavo, che mi chiedevo se, anche nel caso in cui il futuro di Chat Blanc non si fosse realizzato… se fossi stata alla tua altezza. Se…» si fermò un poco, e tornò a guardarlo negli occhi, «se i sentimenti che provavo per te fossero abbastanza per renderti felice». 

Adrien la guardò incredulo. Si girò sul fianco, e prese le mani di Marinette tra le sue: «Ma cosa dici?», sussurrò dolce, sensuale, «Certo che sei alla mia altezza, certo che sei capace di rendermi felice. Ogni giorno mi rendi felice, Marinette. Lo sai questo, vero?»

Lei non riuscì a trattenere una lacrima, che le cadde calda e salata sulla gota. Poi annuì con forza. «Certo, certo che lo so. Solo che… prima di trovare il coraggio di dirti di sì ero terribilmente spaventata. Dalla potenza dei miei sentimenti, dalla paura di non essere degna di te, da…»

«Degna di me?», la interruppe Adrien, stringendole le mani con più decisione. Poi fece scivolare la mano sinistra sulla sua guancia, col pollice le asciugò la lacrima che era appena caduta. Avvicinò il suo volto a quello di lei, e le loro labbra si sfiorarono, si toccarono, e poi Adrien la baciò in un modo che si riproponeva di trasmetterle tutto quello che non sarebbe riuscito a dire a parole. 

Una guizzo della lingua. Ti amo. 

Un sospiro contro le sue labbra. Certo che sei degna di me. 

La carezza di una mano contro il fianco. Certo che mi rendi felice.

Un bacio sull’angolo della bocca. Uno qualche secondo dopo sulla fronte. E io farò del mio meglio per rendere felice te. 

Poi si allontanò dal volto di lei, occhi lucidi ed emozionati, e semplicemente le sorrise. 

Oh, quel sorriso

Marinette non si sarebbe mai stancata di vederlo. Neanche più volte al giorno, per ogni giorno per il resto della sua vita. 

A quel sorriso, Marinette ne rispose con un altro. Poi tuffò la testa contro il suo petto, l’incavo del suo collo, inspirò il suo profumo, circondò le braccia contro il busto di lui, e in quel momento sapeva di non avere più alcun dubbio, alcuna paura. Adrien era lì con lei, per lei, per sempre, e non c’era niente di cui essere spaventati, né timorosi. 

Dopo qualche secondo si mise a ridere. Bisbigliò contro la sua pelle: «Dio, come fai ad essere così perfetto? A sapere sempre cosa dire, e…cosa fare?» aggiunse con un lampo di malizia negli occhi. 

Adrien si tirò un po' indietro, e quando Marinette incrociò di nuovo i suoi occhi non si sorprese nel trovarvi la stessa malizia che era sicura lui poteva leggere nei suoi. «Ah sì? E cos’è che faccio che mi rende così perfetto ai tuoi occhi?»

Marinette si morse il labbro divertita: «Sei proprio impossibile, Chaton». 

«Può darsi, ma non pensare di averla vinta per questo.» 

Oh Dio, in che guai si era cacciata con una singola allusione alle sue… azioni

Adrien non sembrava disposto in effetti allargare la presa. Continuava a guardarla con sguardo interrogativo, in attesa di una risposta. 

Cos’è che faccio che mi rende così perfetto ai tuoi occhi?

Quante cose faceva. Non sapeva neanche da dove cominciare. 

«Mmmh, vediamo un po’», iniziò, e si portò l’indice al mento facendo finta di pensare. Adrien la stava divorando con lo sguardo. «Per esempio», continuò, e spostò il dito dal suo mento al braccio di Adrien, iniziando a percorrerlo lentamente, verso il basso. «Per esempio», ripeté, tornando a guardarlo negli occhi, «mi regali sempre fiori perché sai che mi piace tenerli sul tavolo della cucina. Ti offri sempre per asciugarmi i capelli perché ti piace prenderti cura di me. Capisci quando ho bisogno di un abbraccio, o semplicemente di qualcuno con cui parlare.» Continuò imperterrita ad accarezzare il braccio di Adrien con l’indice, notando con piacere la pelle d’oca che seguiva il percorso del suo dito.  

«Solo questo?», le chiese Adrien dopo qualche secondo di silenzio. 

Marinette continuò a fare finta di pensarci. «No, in effetti, anche i tuoi baci non sono niente male», disse infine, proprio mentre spostava la mano dal suo braccio, infilandola nell’incavo tra questo e il fianco, fino ad arrivare alla sua schiena. Si avvicinò molto a lui, e iniziò ad accarezzare la sua pelle con movimenti circolari delle dita. Non c’era nulla di innocente nel suo gesto, quasi volesse… provocarlo. 

«Ti piacciono i miei baci, quindi?», la voce di Adrien la riscosse dopo qualche secondo, e Marinette alzò la testa per guardarlo negli occhi. «Mmh», replicò, in un mormorio che somigliava molto ad un gemito. 

«E ti piacciono solo i miei baci?», insistette lui. 

«Che intendi dire?», fece finta di niente Marinette. Le unghie gli stuzzicavano la schiena. 

Lui ridacchiò. Una risata bassa, felina, che la scosse tutta. «Sai benissimo cosa voglio dire, Milady. Ti sto chiedendo se ti piace altro oltre ai miei baci». 

Marinette assunse un’espressione di sfida negli occhi. «Sai,» sbatté innocentemente le palpebre, mentre la sua mano - quella ancora intenta ad accarezzargli la schiena - proseguiva giù, sempre più giù, fino a raggiungere i sodi glutei di Adrien. «Sai», ripeté «in questo momento ho proprio un vuoto di memoria, e ti sarei grata se potessi ripetere queste altre cose che tu pensi possano piacermi per darmi una rinfrescata». 

Adrien ghignò. 

«Capisci» riprese Marinette, avvicinando le labbra a quelle di lui «così che possa darti una risposta completa su quali siano esattamente tutte le cose che ti rendono perfetto ai miei occhi». 

Adrien la guardò negli occhi un singolo istante prima di catturare le labbra di Marinette con le sue. E si preoccupò di darle una accurata dimostrazione di tutto quello che era capace di fare, oltre a baciarla molto bene sulle labbra. 

 

***

 

Una volta Émilie le aveva detto che l’amore è come un fiore posto sul bordo di un precipizio. Per coglierlo bisogna attraversare tante avversità, ma se si ha davvero il coraggio di affrontarle tutte, una volta riusciti ad accarezzare con le dita i suoi petali morbidi e profumati ci si sentirà ripagati di tutto. 

Marinette pensò che Émilie avesse perfettamente ragione, ed era infinitamente grata di averla incontrata, perché era quasi certa che senza il suo aiuto non avrebbe mai trovato il coraggio di abbandonarsi alla felicità. 

E fino a quel momento, Marinette non si era mai pentita della decisione che aveva preso. Di aver detto di sì ad Adrien. 

Si meravigliava di come ogni giorno lui fosse capace di renderla più felice, più viva, più innamorata. 

Si meravigliava del modo in cui lui continuava ad amarla, e a farla sentire la ragazza più bella e fortunata del mondo. 

Come quando si risvegliava e il primo colore che distingueva era il verde dei suoi occhi, o quando andava a dormire cullata dal battito regolare del suo cuore. Quando lui le sussurrava dolci parole d’amore contro l’orecchio, o la toccava come fosse la perla più rara e preziosa al mondo. 

Marinette era felice, e non avrebbe mai cambiato questa felicità con nient’altro. E anche se questa comportava altre sofferenze, problemi, avversità, l’amore di Adrien ne valeva la pena. Tutta quanta.  

 

 [fin.]

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