Here we meet again

di marla_singer93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Byakuya Kuchiki si trovava ancora convalescente in un letto, in uno degli alloggi della Quarta Divisione. Guardava fuori dalla finestra aperta gli abitanti del Seireitei che si affrettavano per le strade. Una brezza leggera entrava nella stanza.

Erano passati alcuni giorni dalla scomparsa di Aizen e con lui dei capitani Ichimaru e Tosen. L’intera faccenda aveva scosso tutto il Gotei 13, che lentamente stava cercando di ritornare a una parvenza di normalità.

Seduto su una sedia non troppo distante, si trovava il suo luogotenente, Renji Abarai. Era sporto leggermente in avanti con i gomiti appoggiati alle ginocchia, lo sguardo immerso nei suoi pensieri.

“Renji.”

“Sì, signore,” rispose Renji, alzando la testa all’improvviso.

“Non è necessario che tu venga a trovarmi tutti i giorni, scommetto che hai faccende più importanti da sbrigare...”

“Niente affatto, signore...”

“… come occuparti della Sesta Compagnia in mia assenza, per esempio.”

Renji rimase per un momento senza parole. “Sì, capitano, io...”

“Prima che tu vada, Renji, vorrei porti alcune domande.”

Passò un attimo di silenzio, contaminato dalle sole voci degli shinigami per le strade del Seireitei provenienti da fuori dalla finestra.

“Sono rimasto molto sorpreso, per non dire scosso, da tutta la faccenda di Rukia. La mia nobile sorella condannata a morte per aver trasferito i suoi poteri ad un ragazzino umano… quello stesso ragazzino umano levare la spada contro i luogotenenti e i capitani del Gotei 13 per accorrere in suo salvataggio… ma quel che forse mi ha più sorpreso è stato il tuo accorrere in suo salvataggio. Il tuo levare la spada contro di me, il tuo capitano, per soccorrere Rukia. Confesso di essere rimasto confuso quando appresi prima del tuo esserti scontrato da solo, contro qualsiasi genere di direttiva, con Ichigo Kurosaki, e poi nel vederti affrontare me. Ancora adesso fatico a comprendere.

"Ero a conoscenza del fatto che tu e Rukia proveniste entrambi dai bassifondi di Rukongai, come da te rimarcato la sera del suo arresto, e sentendo che vi rivolgevate l’un l’altra con i vostri nomi di battesimo, quella stessa sera, immaginai che quella non fosse la prima volta che vi rivolgevate la parola.” Byakuya fece un momento di pausa e rivolse lo sguardo a Renji, per assicurarsi che stesse seguendo il suo discorso.

“Ma al di là di questo, era mia convinzione che voi due foste pressoché estranei. A parte alcuni saluti di circostanza e inchini di cortesia nell’incrociarvi per i corridoi del Gotei, non mi sembra di avervi mai visto intrattenere alcun tipo di rapporto, né mi sembra di aver mai sentito Rukia menzionare te o viceversa.

“Ti sarà chiara, dunque, la mia sorpresa nel vederti affrontare i tuoi stessi compagni e il tuo stesso capitano per precipitarti da Rukia al Sokyoku. Mettere tutto quanto a repentaglio, la tua posizione di fronte alla legge, la tua appena acquisita carica di luogotenente… per un’estranea.” disse con voce placida.

“La domanda, dunque, sorge spontanea, Renji. Cosa ti ha spinto a correre in soccorso di Rukia? In che rapporti, esattamente, sei con mia sorella?”

Renji guardava il suo capitano con sguardo serissimo, la mascella irrigidita. Sospirò lentamente cercando di radunare le parole. “Ecco, capitano...”

“… eravate forse amici ai tempi dell’Accademia? Ti confesso, Renji, che ho sempre avuto l’impressione di averti già visto da qualche parte, prima di incontrarti ufficialmente come candidato luogotenente, e ancor prima di averti visto da lontano ai tempi in cui appartenevi alle fila dell’Undicesima e della Quinta compagnia. È possibile che ti abbia intravisto proprio all’Accademia degli shinigami, magari il giorno in cui comunicai a Rukia del nostro desiderio di adottarla?”

Renji respirò profondamente. “Capitano. Sì, io e Rukia eravamo amici ai tempi dell’Accademia, e sì, io e lei ci incrociammo per la prima volta proprio quel giorno in cui venne a dare la notizia dell’adozione a Rukia. Non… pensavo che lei si ricordasse di me.” Omise di dirgli che lui, invece, si ricordava molto bene di Byakuya Kuchiki. Del loro primo incontro in quella grande aula dell’Accademia, della sua pressione spirituale così potente da togliergli il respiro e da fargli abbassare lo sguardo. E omise di digli che, dal giorno in cui portò Rukia via con sé, giurò che si sarebbe allenato ogni giorno per raggiungere il suo livello, e che da allora divenne il suo modello di riferimento. “In ogni caso, signore, io e Rukia ci conoscevamo già da ben prima dei tempi dell’Accademia.”

Byakuya guardava Renji con sguardo interrogativo, visibilmente desideroso di sapere dell’altro.

“Io e Rukia siamo cresciuti nello stesso distretto di Rukongai. Per l’esattezza, io e Rukia siamo cresciuti... insieme. Ci siamo incontrati da bambini per le strade del 78esimo, e abbiamo passato i successivi 10 anni in compagnia l’uno dell’altra e di altri bambini nostri amici. Eravamo… molto legati. Abbiamo preso insieme la decisione di entrare in Accademia, dopo aver visto tutti i nostri amici morire anno dopo anno. Eravamo rimasti solo noi due.” Renji abbassò lo sguardo al pavimento. Ripensare a quei giorni costituiva sempre un certo peso per lui, rievocare fantasmi appartenenti al passato e il ricordo malinconico di lui e Rukia da giovani era un’attività che evitava volentieri.

“Eppure, come dicevo, non mi sembra di avervi mai visti intrattenere alcun tipo di rapporto in questi anni nel Gotei.”

“Come ha ben notato, capitano, io e Rukia ci limitavamo ai ‘buongiorno’ di cortesia se ci capitava di incrociarci per i corridori delle Divisioni.” Fece una pausa cercando di soppesare le parole. “Sospesi ogni rapporto con Rukia il giorno in cui le venne comunicata l’offerta di adozione nel Casato Kuchiki. La sera del suo arresto, io e Rukia non ci parlavamo da quarant’anni.”

Nella stanza della Quarta Divisione calò un denso silenzio. Fu Byakuya il primo a parlare.

“Eppure, dopo quarant’anni di totale assenza l’uno dalla vita dell’altra, ti sei comunque precipitato in suo soccorso per fermare la sua esecuzione.”

“… di nuovo, eravamo molto legati,” disse Renji, abbassando il capo.

“Capisco. Molto bene, luogotenente, ho ricevuto le risposte che stavo cercando. La mia intenzione, dopo averti fatto arrestare e poi averti sconfitto dopo la tua evasione, era quella di sollevarti dal tuo incarico di luogotenente, ovviamente, e di appellarmi alla Camera dei 46 perché venissi sollevato da qualsivoglia incarico in qualità di shinigami. Sempre che tu fossi sopravvissuto.”

Renji deglutì rumorosamente. Perché ne stavano parlando di nuovo? Pensava di poter tenere il suo posto da luogotenente.

“Naturalmente, visti i successivi sviluppi riguardo il piano ordito da Aizen per giustiziare mia sorella ed appropriarsi dell’Hogyoku… e la conseguente scarcerazione di Rukia… direi che possiamo lasciarsi quest’infelice storia alle spalle.”

Dio, ti ringrazio, pensò Renji.

“Sei congedato. Mi aspetto di tornare operativo nell’arco di pochi giorni, nel frattempo la sovraintendenza della Divisione è nelle tue mani.”

“Sì, signore, emh... buon pomeriggio, signore.”

A passo svelto, Renji si diresse nervosamente fuori dalla stanza.

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Rukia si stava dirigendo a passo svelto verso la Quarta Divisione. Indossava uno yukata di un viola intenso, adornato da fiori gialli e avorio.

Camminare di nuovo per le strade del Seireitei dopo due lunghi mesi di assenza passati nel mondo degli umani, e diverse settimane di prigionia, le sembrava ancora estraniante. I suoi poteri non erano ancora ritornati, e nessuno sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto ancora, se mai fossero tornati. Inoltre, l’estrazione dell’Hogyoku dal suo corpo l’aveva lasciata molto destabilizzata, perché la piccola gemma aveva portato via con sé buona parte del suo reiatsu.

Nell’attesa di recuperare le forze fisiche e, sperava, i suoi poteri spirituali, indossava abiti da civile e aveva parecchio tempo libero a sua disposizione. Ne stava approfittando, quindi, per la visita quotidiana al suo nobile Fratello.

La dipartita di Ichigo e dei suoi amici terrestri aveva lasciato un grande vuoto dentro di lei. Ma la malinconia che provava era dolce. In cuor suo, sapeva che quello non era il loro ultimo incontro, e per quanto si fosse perdutamente innamorata del mondo degli umani e avesse lasciato parte del suo cuore proprio lì, tra i suoi amici adolescenti, era felice di essere tornata nella Soul Society. Rukia Kuchiki era una shinigami, e quella era la sua casa.

Varcò le porte della Quarta Divisione e si incamminò lungo i corridoi di legno verso le stanze dove alloggiavano gli infermi e i convalescenti. Di tanto in tanto qualcuno la riconosceva, e si inchinava educatamente al saluto di “buongiorno, signorina Kuchiki”.

Ancora non capiva esattamente come gli altri la guardassero e la giudicassero dopo tutta la faccenda dell’arresto e dell’esecuzione. Tutta la Seireitei, oramai, era a conoscenza di come erano andate veramente le cose: è vero, aveva ceduto i suoi poteri ad un essere umano, il che costituiva un crimine, ma l’idea dell’esecuzione si era in realtà rivelata un piano ordito da Aizen per appropriarsi dell’Hogyoku. In normali circostanze, infatti, la pena sarebbe stata del tutto spropositata rispetto a quanto da lei commesso. Le settimane trascorse in prigionia vennero quindi ritenute come la giusta pena per il trasferimento dei poteri a Ichigo Kurosaki, e a quel punto ogni altra accusa cessò di pendere nei suoi confronti.

Ciononostante, le sembrava che la gente la guardasse ancora in modo un po’ strano, e che i saluti che le rivolgevano quando la incontravano per strada fossero alquanto impacciati e imbarazzati. Non capiva se sotto sotto qualcuno la considerasse ancora una sorta di criminale, se il suo aver trasferito i poteri a un umano, seppure in circostanze di grave necessità e di imminente pericolo di morte, l’avesse in qualche modo disonorata in eterno… Oppure se la gente la guardasse stranita all’idea che l’intera Seireitei e l’intero Gotei 13 fossero precipitati nel caos più totale affinché venisse salvata lei, nobile ma insignificante signorina nessuno senza seggio della Tredicesima Compagnia. Sperava davvero di lasciarsi questa faccenda alle spalle il prima possibile, e che tutto tornasse a una sorta di normalità.

Era quasi arrivata alla stanza di Byakuya, quando vide qualcuno provenire da quella direzione proprio verso di lei.

“Renji!”

“Oh… ciao, Rukia.”

I due si fermarono in mezzo al corridoio. Calò un silenzio imbarazzante nel quale cercarono di evitare l’uno lo sguardo dell’altra, non sapendo bene cosa dirsi.

Non avevano ancora avuto modo di parlarsi come si deve dal giorno del salvataggio. Dopo la scomparsa di Aizen, Renji venne immediatamente trasportato alla Quarta compagnia per ricevere le adeguate cure. A quanto pare venne dimesso in fretta, perché due giorni dopo si erano visti quando tutti si erano radunati per dare l’arrivederci a Ichigo e gli altri, ma non ebbero occasione di dirsi molto se non qualche frase di circostanza, perché Renji venne subito richiamato ai suoi doveri di luogotenente, in assenza di suo fratello Byakuya, e a sua volta Rukia aveva alcune faccende da sbrigare riguardante i documenti della sua scarcerazione.

Sapeva da suo fratello che Renji era andato a trovarlo tutti i giorni, ma fino a quel momento non si erano ancora incrociati, scegliendo probabilmente sempre orari diversi per andare a fargli visita.

Di fatto, quindi, l’ultimo momento che avevano passato insieme e in cui avevano effettivamente parlato, era quello in cui stavano scappavano dal luogo dell’esecuzione, mentre Renji la teneva in braccio.

In quegli ultimi giorni, in effetti, aveva pensato diverse volte all’intera faccenda.
Tutto era successo estremamente in fretta. Renji era ripiombato nella sua vita all’improvviso.

Non si parlavano da quarant’anni, e durante il loro primo incontro dopo tutto quel tempo lui si trovava lì per arrestarla, l’aveva ferita sfoderandole contro Zabimaru, e l’aveva sbattuta contro un palo della luce prendendola per la gola. Poche settimane dopo, lo stesso Renji la stringeva tra le braccia, sfoderava la sua spada contro Aizen e urlava: “non la lascerò mai andare, bastardo!”. C’era decisamente qualcosa che le sfuggiva.

La cosa ancora più strana era che, dopo quarant’anni in cui avevano cercato attentamente non solo di non incrociarsi per i corridoi del Gotei, ma di non incrociare nemmeno i loro sguardi, avevano ricominciato a parlare come se niente fosse. La sera del suo arresto, il luogotenente Abarai la chiamava colloquialmente “Rukia” come se si fossero visti per l’ultima volta il giorno prima. Era andato a trovarla in prigione, l’aveva presa per il culo, le aveva detto di togliersi quel broncio dalla faccia e di decidersi a buttare giù qualcosa nello stomaco. Le aveva sbattuto una mano sulla spalla per sussurrarle all’orecchio che dei ryoka avevano fatto irruzione nella Soul Society. E quando Byakuya le aveva annunciato che la pena per i suoi crimini sarebbe stata la morte, era visibilmente sgomento.

Pensava che, dopo quarant’anni in cui avevano cercato a tutti i costi di evitarsi, sarebbe stato estremamente imbarazzante tornare a parlare con lui, come spesso accade quando incontri una persone appartenente al tuo passato dopo tanti, tanti anni, nei quali il calore e la complicità appartenenti alla gioventù si sono trasformati in freddezza e impacciatezza. Invece, anche per lei sembrava non essere passato nemmeno un giorno.

Forse era tutto dovuto all’irruenza dell’intera situazione. La sera del suo arresto non c’era di certo stato tempo per i convenevoli. Non c’era tempo per i “signorina Kuchiki” e i “luogotenente Abarai”, mentre Renji sfoderava la sua zampakuto contro Ichigo, c’era solo da saltargli sulla schiena, afferrargli la mano e cercare di fermare il suo attacco.

O forse era tutto dovuto all’assurdità dell’intera situazione. In prigione non c’era stato tempo per piangere, per disperarsi. Lui le aveva tirato calci contro le sbarre per spronarla a reagire, e lei l’aveva preso per il culo per le sue sopracciglia. Non era cambiato molto dai tempi in cui i calci glieli tirava sul sedere nei corridoi dell’accademia, e si stuzzicavano e si prendevano in giro all’infinito.

Quando Byakuya le aveva comunicato della pena capitale, tuttavia, e Renji aveva tentato di consolarla, lei si era messa su una bella maschera e aveva iniziato a blaterare su quanto sarebbe stata eccitante la sua fuga, e a dirgli di smetterla di preoccuparsi per lei ma di preoccuparsi per le sue stramaledette sopracciglia. Se n’era andato via infuriato augurandole di morire. Non si dicevano mai quello che provavano davvero. Due ragazzini di Rukongai non erano bravi ad avere a che fare con le loro emozioni. No, neanche quello era cambiato dai tempi dell’Accademia.

Eppure, adesso stavano lì nel mezzo del corridoio, l’uno di fronte all’altra, un po’ impacciati. Chiusa la parentesi dell’esecuzione e del salvataggio, avrebbero continuato a parlare come i due amici di una volta, o sarebbero tornati alla freddezza di un tempo? Non lo sapevano bene neanche loro.

“Come… come stai? Come vanno le tue ferite?” chiese Rukia.

“Praticamente a posto. Sono già tornato a lavorare da qualche giorno. Tuo fratello mi ha fatto la grazia di non sollevarmi dall’incarico di luogotenente, quindi in sua assenza ho avuto parecchio da fare alla Sesta.”

“Capisco...”

“E tu? Come stai? Fai visita a tuo fratello?”

“Sì, sì, esatto. Vengo qui ogni giorno. Sto bene, ma mi sento ancora debilitata dall’estrazione del... sai, l’Hogyoku”. Nominare con leggerezza quella piccola gemma di oscuro potere che aveva creato un tale scompiglio sembrava essere una sorta di tabù. E il pensiero che avesse dimorato proprio all’interno del suo corpo la metteva particolarmente a disagio. “Naturalmente, nessuna traccia ancora dei miei poteri.”

“Abbi fiducia. Sei nata con i poteri spirituali. Non è qualcosa che si può spazzare via, è un’impronta che hai dentro di te. Torneranno a riemergere.”

“Spero proprio tu abbia ragione.”

Di nuovo silenzio. Rukia non voleva assolutamente che la conversazione finisse lì. Nei suoi giorni di riflessione su quanto era successo, aveva pensato diverse volte di chiedere a Renji di parlare.

Non potevano far finta che non fosse successo nulla, che lui non avesse contribuito al suo salvataggio, che in qualche modo non fossero tornati a far parte l’uno della vita dell’altra, seppur in maniera così improvvisa e imprevista. Non l’aveva nemmeno… ringraziato. Non potevano tornare a far finta di essere due perfetti estranei.

“Beh, ti lascio alla tua visita. Suppongo che ci vedremo in-”

“Renji, ti andrebbe di parlare, uno di questi giorni?”

“Mh?”

“Magari potremmo… bere qualcosa. Parlare di quanto accaduto. Penso che… abbiamo parecchie cose da recuperare.”

“… cos’è, un appuntamento?”

E tanti cari saluti impaccio e imbarazzo.

“Brutto idiota! Ti ho chiesto solo di bere qualcosa mentre parliamo! Ma se non vuoi va benissimo così, faccio a meno di vederti...”

Renji sogghignò leggermente. “Sto scherzando, sto scherzando… sì, va bene, beviamo qualcosa. Suppongo che abbiamo parecchie cose da raccontarci.”

“Bene” disse Rukia incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo da lui, leggermente spazientita.

“Venerdì sera può andare bene? Alle 9?” chiese Renji.

“Va bene. Vediamoci direttamente nella piazza centrale” rispose Rukia.

Si salutarono e Rukia si apprestò ad entrare nella stanza di Byakuya.
 

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Wow. Non scrivo una fan fiction da dieci anni. Non so nemmeno se è ancora abitudine che gli autori lascino un loro commento alla fine di ogni capitolo.
Ho riesumato Bleach dopo anni di lettura interrotta a metà, ed è riemersa la mia ossessione per la coppia RenRuki. La sorte ha voluto che questo pairing sia altamente impopolare qui in Italia, penso di essere una delle poche persone italiane esistenti ad amare questa coppia. Sarei felicissima se qualcuno là fuori mi smentisse.
Nelle mie intenzioni dovrebbe essere una fic moderatamente lunga, è probabile che il rating cambi col passare dei capitoli.
Ad ogni modo, è stato molto divertente scrivere questo primo capitolo, se arrivo veramente alla fine della fic mi stringerò la mano da sola.
Apprezzerei tantissimo qualsivoglia recensione: palesatevi <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

Rukia bussò gentilmente alla porta della stanza in cui era ricoverato Byakuya.

 

“Avanti.”

 

Rukia entrò timidamente. Erano oramai diversi giorni che faceva visita a suo Fratello, ma le sembrava sempre di invadere in qualche modo la sua privacy.

 

“Buon pomeriggio, Fratello”. Si inchinò leggermente, prese una sedia lì nei paraggi e la avvicinò un po’ di più al letto di Byakuya, quindi si sedette con le mani conserte. “Come stai, oggi?”

 

“Molto bene, Rukia. Sento di star recuperando le forze sempre di più. Come dicevo poc’anzi a Renji, conto di tornare operativo nell’arco di pochi giorni, che la Quarta Compagnia sia d’accordo o meno nel dimettermi.”

 

“L’ho incontrato proprio un attimo fa, in effetti,” disse Rukia.
 

“Immaginavo, è uscito un attimo prima che arrivassi. E tu come stai, Sorella?”

 

Rukia non era proprio abituata a nulla di tutto ciò. In quei pochi giorni di visite ospedaliere, lei e Byakuya avevano parlato probabilmente di più che negli ultimi quarant’anni trascorsi nella famiglia Kuchiki. Rukia teneva spesso lo sguardo abbassato in segno di rispetto e riverenza, ma quando si concedeva di alzare gli occhi notava che quelli di suo fratello era sempre posato su di lei, con attenzione e interesse sincero. Non le aveva mai rivolto lo sguardo in quarant’anni.


Ma non solo. Mai Byakuya si era dimostrato in qualche modo interessato a lei. Non personalmente, quantomeno, ma solo riguardo ai suoi eventuali progressi all’interno della Tredicesima Compagnia. Questo nuovo Byakuya, che le chiedeva come stava e come precedeva il suo stato di salute, era qualcosa di decisamente nuovo. Era quasi… gentile.

 

“Sto bene, Fratello. Solo… inizio ad essere preoccupata riguardo ai miei poteri. Sappiamo che il loro mancato ripristino era dovuto, inizialmente, al gigai nel quale mi ritrovavo… ma oramai sono passate diverse settimane dal mio ritorno qui alla Soul Society, e ancora non sento traccia di potere spirituale in me. Comprenderai che sono desiderosa di tornare ai miei doveri presso la Tredicesima Compagnia il prima possibile”.

 

“Qual è, a tal proposito, il parere della Quarta Compagnia?”

 

Rukia guardò accigliata le sua mani posate in grembo. “Non sono certi del tempo che ci vorrà. Non sono certi di nulla, a dire il vero. La cessione di poteri shinigami è un evento piuttosto inusuale, rispetto al quale esiste poca documentazione.”

 

“Capisco”. Byakuya chiuse gli occhi e si fermò a riflettere.

 

“Ne parlavo proprio un attimo fa con Ren.. con il luogotenente Abarai. Secondo lui, essendo io nata con i poteri spirituali, prima o poi torneranno a riemergere, come fossero un’impronta impressa in me indelebilmente.”

 

“Confido anch’io possa essere così. Ad ogni modo, non c’è bisogno di ricorrerei ai convenevoli, Rukia. Ho parlato con Renji poco prima che tu arrivassi, e sono stato informato dei vostri… trascorsi,” disse Byakuya, guardando Rukia con sguardo eloquente.

 

Oh, quelli.

 

Rukia se l’era chiesto, in effetti. Chissà come il suo nobile Fratello aveva giudicato il coinvolgimento di Renji nel suo salvataggio. Nei suoi lunghi anni di appartenenza alla famiglia Kuchiki, Rukia non aveva mai menzionato la sua passata amicizia con Renji. A partire dal giorno in cui le venne fatta la proposta di adozione, Rukia racchiuse la sua amicizia con Renji in un cassetto, la sigillò accuratamente ed ebbe poi cura di buttare via la chiave. Lo relegò nei meandri del suo cuore e della sua mente, laddove non potesse più fargli visita, così che fosse stato più semplice, per lei, dimenticare la sua vita passata, e dare il benvenuto a quella nuova della nobile signorina Kuchiki.

 

Da allora le era capitato di vederlo in giro, ovviamente. Durante le esercitazioni aperte e le dimostrazioni per le nuove reclute, le era capitato spesso di vederlo combattere. Ogni volta le sembrava di vedere un fantasma appartenente a una vita precedente prendere forma. Stava ben attenta ad osservarlo da lontano, per il minor tempo possibile e con il massimo distacco. Se qualcuno al suo fianco tesseva le sue lodi di combattimento, lei non commentava in alcun modo e si limitava ad annuire con indifferenza. E se per caso, malauguratamente, capitasse loro di incrociarsi per strada o nei labirinti delle Divisioni, stava ben attenta a rivolgere lo sguardo altrove, e al massimo a pronunciare un lievissimo buongiorno. Praticamente, faceva finta di non conoscerlo.

 

Non sapeva neanche che fosse diventato il vice-capitano di Byakuya fino al giorno del suo arresto.
Di conseguenza, immaginava che l’improvviso piombare di Renji sulla collina del Sokyoku alla volta del suo salvataggio avesse lasciato suo fratello quantomeno perplesso. Si era anche chiesta se le azioni di Renji gli avrebbero comportato qualche guaio in qualità di luogotenente, ma le era parso di capire che Byakuya aveva sorvolato sulle sue azioni e che Renji fosse stato reintegrato nelle sue mansioni.

 

Non sapeva bene cosa rispondere. “Suppongo, allora, che ti abbia raccontato della nostra gioventù a Rukongai”. Menzionare il suo passato da povera bambina dai piedi sporchi la faceva sentire terribilmente in imbarazzo. Oramai si era abituata all’idea di essere una nobile, ma ripensare a Rukongai la faceva sempre sentire un impostore e le ricordava che sarebbe sempre stata una Kuchiki solo a metà, una mezzosangue mai del tutto inserita in quella facoltosa famiglia.

 

“Di quella, e della vostra decisione unanime di entrare all’Accademia Shino”.

 

“Capisco. Immagino tu sia stato confuso dal suo prendere parte al mio salvataggio,” disse sentendosi a disagio.

 

“Sì, è così. Non avevo idea del legame che vi unisse durante la vostra gioventù, quindi sono rimasto totalmente sorpreso nel vederlo affrontarmi in battaglia a costo di correre in tuo aiuto”.

 

Nel vederlo fare... cosa?

 

“Affrontarti… in battaglia?” chiese Rukia, con uno sguardo confuso e le sopracciglia aggrottate.

 

“Oh, certo… tu non puoi saperlo. D’altronde ti trovavi in prigione durante la maggior parte del tempo.”

 

Era così. Dall’arrivo di Ichigo e gli altri nella Soul Society, fino al momento in cui il ragazzo aveva fermato il Sokyogu e l’aveva tratta in salvo, Rukia era stata reclusa tra le quattro mura di una prigione. Le era giunta voce del loro arrivo da una soffiata di Renji, sapeva che i ragazzi stavano creando un certo scompiglio all’interno del Seireitei e che era stato lanciato un allarme per contrastarli. Aveva anche visto Ichigo confrontarsi con Byakuya prima che venisse prontamente portato via da quella donna dalla pelle scura rivelatasi poi essere il gatto amico di Urahara, il signor Yoruichi… ma per il resto, Rukia si era persa la maggior parte degli avvenimenti che si erano svolti fuori dalle mura del carcere, e negli ultimi giorni era stata aggiornata solo brevemente su quello che era accaduto e su chi aveva combattuto contro chi.

 

Si era ripromessa di chiedere maggiori dettagli a suo fratello, ma non aveva voluto tormentarlo con certi discorsi durante la sua convalescenza. Aveva capito, essenzialmente, che Ichigo aveva tenuto testa a un buon numero di capitani e vice-capitani prima di arrivare a lei, così come gli aveva raccontato lui stesso nei giorni precedenti. E sapeva che Renji doveva essersi ribellato agli ordini, ad un certo punto, avendo raggiunto Ichigo al Sokyogu per trarla in salvo. Ma che avesse combattuto contro… suo fratello? Questa gli era nuova.

 

“Di cosa stai parlando, Fratello? Che cos’ha fatto Renji?”, chiese turbata.

 

“Ichigo Kurosaki ti ha tratta in salvo dal Sokyogu un momento prima che venissi giustiziata, dopodiché hai visto arrivare Renji, che ti ha fatta allontanare da lì. Quello che probabilmente non sai, è quel che ha fatto Renji prima di arrivare lì in tuo aiuto,” disse Byakuya con tono di disappunto.

 

“In realtà dovresti prima sapere che, all’arrivo dei ryoka nel Seireitei, contravvenendo alle direttive ricevute, Renji si è recato in completa autonomia ad affrontare Kurosaki, nel tentativo di fermarlo. È stato miseramente sconfitto ed è stato fatto rinchiudere in prigione”.

 

Cosa? Renji aveva cercato di fermare Ichigo una volta giunto nella Soul Society? Che cosa diavolo aveva in mente, quell’idiota? Prima cerca di uccidere Ichigo, e pochi giorni dopo si unisce a lui nel tentativo di salvarla?

 

“Non so con quale criterio abbia cambiato idea nell’arco di così poco tempo, ma una volta riprese le forze, Renji è evaso di prigione, è sparito per circa mezza giornata, dopodiché si è diretto verso di te. Malauguratamente ha incrociato me per la sua strada che gli ho intimato di non proseguire oltre. Si è rifiutato di obbedire e ha deciso di affrontarmi”.

 

Wow. Era… decisamente grave. Ichigo, Orihime, Chad… erano un branco di ragazzini terrestri che non avevano niente da perdere nel gettarsi a capofitto nella mirabolante avventura di provare a salvarla. Appartenevano alla Terra e non avevano nessun legame nei confronti della Soul Society. Ma Renji era uno shinigami. Sapeva che aveva fatto qualcosa di molto grave nei confronti della legge e del Gotei 13 venendo a salvarla. Ma addirittura combattere contro il suo stesso capitano? Levare la spada contro un suo diretto superiore, contro il nobile Byakuya Kuchiki? Doveva essere impazzito.

 

“E… cosa… come…?” le parole le sfuggivano nel tentativo di formulare un pensiero logico.

 

“Quando ho lasciato il campo di battaglia, pensavo onestamente di averlo ucciso.”

 

Rukia spalancò gli occhi in un’espressione di orrore. Tutto tornava. Quel giorno in cui aveva sentito il reiatsu di Renji sparire dalla sua sfera di percezione. Gin Ichimaru era lì con lei. Aveva appena combattuto con suo fratello, e ne era rimasto quasi ucciso.

 

“Ha combattuto fino allo stremo delle forze. Non ho mai visto nessuno rialzarsi dopo aver sferzato Senbonzakura Kageyoshi.”

“Hai… hai dovuto utilizzare il bankai contro di lui?”, chiese Rukia con un tremito nella voce.
 

“Renji stesso ha utilizzato il bankai contro di me”.

 

Rukia era sgomenta. Troppe informazioni tutte in una volta. Renji aveva affrontato Ichigo. Era stato messo in prigione. Era evaso di prigione. Aveva affrontato suo fratello. Adesso aveva anche raggiunto… il bankai. Non solo Ichigo, ma adesso anche lui. Wow. Decisamente troppe informazioni tutte assieme.

 

“Comprenderai, quindi, la gravità delle sue azioni. Ad ogni modo, era giusto che lo sapessi”.

 

Rukia abbassò lo sguardo e parlò con voce debole: “E nonostante tutto, hai deciso di mantenerlo nella sua posizione di vice-capitano?”

 

“Sì, così ho deciso. Perché per quanto gravi e sprovvedute, le sue azioni hanno contribuito… a salvare te, Rukia. Il che è la cosa più importante. Il fatto che le azioni di Aizen siano state sventate. Il fatto che tu sia ancora qui”.

 

Rukia alzò lo sguardo verso Byakuya, in un’espressione di stupore, e si guardarono negli occhi.

Non aveva parole per quel che suo fratello aveva detto, si sentiva profondamente commossa.

 

“Fratello, io...”

 

“Quando sarò fuori di qui, avrò cura di metterti al corrente di tutti gli altri avvenimenti di cui sei stata all’oscuro durante la tua prigionia. Abbiamo ancora molto di cui parlare, Rukia”.

 

Era vero. C’era ancora molto di cui avrebbero dovuto parlare. E c’era ancora molto che Rukia avrebbe voluto sapere. Nel giro di una giornata, la sua vita era cambiata completamente. Era sfuggita a una condanna a morte, aveva scoperto di essere stata la dimora dell’Hogyoku… aveva scoperto di aver avuto una sorella. E che Byakuya era stato il suo lo sposo. Hisana. Il solo suono di quel nome le procurava un senso di vuoto. Aveva sentimenti del tutto contrastanti rispetto a quella sorella di cui non ricordava nulla, che non aveva mai fatto parte della sua vita e che allo stesso tempo ne aveva determinato l’intero corso. Avrebbe voluto chiedergli di più di lei, ma non lo fece. Sarebbe stato per un’altra volta.

 

Rimase in compagnia di Byakuya ancora per un po’, dopo di che lasciò che suo fratello potesse riposare. Uscendo dai cancelli della Quarta Compagnia, Rukia inspirò profondamente l’aria estiva di fine pomeriggio, e si godette il ritorno a casa tra le strade affollate.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Erano le ore 8 di venerdì sera. Rukia si trovava nelle sue stanze di Villa Kuchiki e guardava assorta il suo guardaroba.

 

Doveva vedere Renji quella sera. Gli aveva proposto lei di uscire a bere qualcosa, “per parlare” aveva detto, ma adesso improvvisamente le sembrava una pessima idea. Innanzitutto, Rukia non usciva a bere. Mai. Tanto meno alla sera. Tipicamente passava le sue giornate presso la Tredicesima compagnia, e la sera, se non era assegnata a qualche missione, si ritirava nella solitudine della sua grande casa. Più in generale, Rukia non usciva mai con nessuno. Pertanto, l’idea di un’uscita a due, per di più con un suo ex amico ripiombato dal nulla nella sua vita, la metteva alquanto a disagio.

 

Non era una creatura sociale. Gli unici tempi nei quali ricordava di essere stata socievole, aperta e spensierata erano durante la sua infanzia a Inuzuri. Era sfrontata e dispettosa, si faceva rispettare e sapeva il fatto suo, ma stringeva facilmente amicizia con tutti, e tutti le volevano bene. Le cose erano cambiate una volta entrata in Accademia. Il susseguirsi dei lutti dovuti alla morte dei suoi amici d’infanzia l’aveva resa via via sempre più insensibile e distante nei confronti delle altre persone. Inoltre, quell’ambiente totalmente nuovo le sembrava del tutto distante dalla realtà delle strade nelle quali era cresciuta. Non riusciva ad integrarsi ed evitava di stringere amicizia con i suoi compagni.


Dal giorno della sua adozione le cose erano ulteriormente peggiorate. L’ingresso nel Casato Kuchiki la catapultò in un mondo di freddezza, rigidità, etichetta e buone maniere. Il fatto di non possedere sangue nobile attirava su di lei continui sguardi di disapprovazione e alimentava le maldicenze nei suoi confronti. Ma allo stesso tempo, il fatto di appartenere a una famiglia nobile faceva che sì che i suoi compagni di Divisione la trattassero con distacco e con un certo timore reverenziale. Tutto ciò contribuì a farla chiudere ancora di più in sé stessa, e più lei si chiudeva più i suoi compagni si tenevano alla larga. All’interno della Tredicesima, dunque, si limitava a intrattenere rapporti di cortesia e ad essere educata con tutti. Ma non aveva mai stretto amicizia con nessuno, e quando gli altri shinigami uscivano assieme per delle serate amichevoli dopo una giornata di lavoro, declinava gentilmente l’offerta di unirsi a loro, finché non smisero del tutto di invitarla.

 

L’unica eccezione a tutto ciò poteva dirsi il suo rapporto con il capitano Ukitake. Il capitano era stato sempre estremamente gentile nei suoi confronti. Le si rivolgeva con cortesia e amichevolezza, e in qualche modo sembrava in grado leggere nelle profondità del suo animo, e scorgere chiaramente la sua solitudine e il suo isolamento. Si sentiva capita in sua presenza. Ukitake non le rivolgeva né gli sguardi pietosi e di superiorità che le riservavano gli altri nobili, né la trattava diversamente e con distacco come facevano i suoi compagni. Agli occhi di Rukia, era la cosa più vicina che avesse mai avuto a una figura paterna.

 

E poi c’era stato Kaien. Kaien era stato una boccata di aria fresca, la ventata di normalità che tanto disperatamente agognava. Le opprimenti mura della Villa Kuchiki, le gelide parole di suo fratello, la freddezza dei suoi compagni di squadra… era arrivata al punto di sentirsi totalmente nauseata, smarrita, isolata all’interno di una bolla nera dalla quale urlava disperatamente senza che nessuno la sentisse dall’esterno. Kaien l’aveva afferrata per un braccio e strattonata fuori di lì. L’aveva fatta riemergere dai meandri della sua solitudine e aveva riportato un po’ di calore nel gelo del suo cuore.

 

Kaien-dono

 

Scosse la testa per allontanare i ricordi che andavano riemergendo, e tornò a concentrare l’attenzione sul suo guardaroba. Fece scorrere la mano sui i capi d’abbigliamento ordinatamente appesi. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto mettere. Era un’occasione informale, giusto? Non c’era bisogno che scegliesse nulla di troppo elegante. E non doveva certamente preoccuparsi di sembrare carina. Perché ci stava mettendo tanto? Spazientita, sospirò rumorosamente e afferrò a caso uno yukata. Era blu scuro con delle semplici decorazioni floreali bianche e un obi rosso a contrasto. Lo indossò velocemente e si sedette al suo tavolo da toeletta. Si spazzolò i capelli guardandosi allo specchio e pensò che prima o poi avrebbe dovuto tagliarli. Sospirò un’ultima volta guardando la sua immagine riflessa, e uscì di casa.

 

Era una serata piacevole, e nell’aria si respirava il tipico profumo delle serate estive. Era buio da poco ma le strade del Seireitei brulicavano già di persone, illuminate dal susseguirsi di chioschi e locali. Vide Renji da lontano aspettarla nella piazza principale, standosene in piedi a braccia incrociate.

 

“Oi!”, fece Rukia avvicinandosi e salutando con la mano.

 

Sentendola arrivare, Renji si voltò nella sua direzione: “Oi, Rukia.” Indossava una bandana bianca intorno al capo e un semplice kinagashi verde salvia con un obi marrone.

 

“Aspetti da tanto?”, chiese Rukia leggermente in imbarazzo.

 

“No, sono qui da poco”, rispose Renji.

 

“Allora, dove andiamo?”, chiese Rukia.

 

“Conosco un locale qui vicino, si beve e si mangia bene”

 

“Bene, aggiudicato allora!” disse Rukia sorridendo.

 

Si incamminarono per le strade affollate, chiacchierando di banalità come la giornata appena trascorsa per evitare silenzi imbarazzanti. Rukia dovette trotterellargli accanto per stare al passo delle sue lunghe falcate. Le faceva strano camminare al suo fianco e dover levare lo sguardo dal basso verso l’alto per potergli parlare. Standogli vicino poteva sentire un profumo di fresco e di pulito provenire dai suoi abiti e dalla sua pelle, e quella vicinanza la faceva sentire un po’ a disagio. L’ultima volta che avevano camminato per strada l’uno accanto all’altra era probabilmente ai tempi di Inuzuri. Già ai tempi dell’Accademia c’erano state sempre meno occasioni di stare insieme, visto il susseguirsi di impegni scolastici e la loro appartenenza a classi diverse.

 

Arrivarono all’ingresso di un izakaya piuttosto affollato, ma trovarono comunque posto a sedere per due persone. Entrando, Renji salutò amichevolmente i dipendenti e alcuni dei clienti, mentre Rukia si limitò a chinare educatamente il capo con un sorriso timido, distogliendo in fretta lo sguardo. Non era mai stata in un posto del genere. Era chiassoso, la gente era rumorosa e stava ammassata stretta ai tavoli, i camerieri correvano affannati da una parte all’altra portando vassoi stracolmi di bevande e tenendo in bilico piatti fumanti di invitanti pietanze. Le luci calde del locale contribuivano a rendere l’ambiente conviviale e alla mano.

 

Un giovane cameriere indaffarato li fece accomodare a un piccolo tavolino contro una parete. Si sedettero l’uno di fronte all’altra e diedero un’occhiata ai menù. Renji ordinò una birra e degli yakitori, mentre Rukia del semplice tè freddo. Mentre attendevano l’arrivo dell’ordine, Rukia si guardava curiosamente intorno, soffermandosi a osservare vari cartelli e decorazioni appesi alle pareti.

 

“Niente alcol?” chiese Renji.

 

“Non bevo mai alcol,” rispose Rukia.

 

“Non è esattamente quello che ricordavo...” continuò Renji sogghignando.

 

Rukia fece per controbattere ma venne interrotta dall’arrivo del cameriere. Il giovane posò velocemente sul tavolo un enorme boccale di birra fredda, facendo traboccare un po’ di schiuma, un bicchiere di tè freddo, un piatto di profumatissimi yakitori e un piattino di edamame da poter stuzzicare.

 

Renji si avventò per prima cosa sugli yakitori. Ne addentò uno e fece una teatrale espressione

di appagamento. “Non ne mangio da un sacco di tempo… questi in particolare sono ottimi...”

 

Mentre Renji continuava a parlare e a divorare avidamente i suoi yakitori, Rukia si soffermò ad osservarlo. Non lo guardava così attentamente e da vicino da parecchio tempo. Durante la fuga dal Sokyoku era rimasta per la maggior parte del tempo spiaccicata contro il suo petto, mentre durante le visite in prigione studiare le fattezze di Renji non era stata esattamente la sua priorità. Formulare quel pensiero la metteva alquanto a disagio, ma doveva ammettere che Renji era molto bello.

 

Era alto, e aveva delle spalle enormi. Sembrava ci stessero a malapena nel suo kimono maschile. Quand’erano piccoli, Renji non era molto più alto di lei. Ma quando fece ingresso nell’età dello sviluppo, crebbe a dismisura nel giro di un ridicolo ammontare di tempo. Il petto e le spalle gli si allargarono all’improvviso, facendolo diventare una specie di armadio a due ante, il suo viso perse la morbidezza dell’infanzia e la mascella gli divenne squadrata e virile. Anche la sua voce perse la tonalità da fanciullo e divenne incredibilmente profonda e leggermente roca. Rukia, invece, crescendo mantenne pressoché immutato il suo viso da ragazzina, crebbe di una spanna a dire tanto, sviluppò un seno ridicolo e una quasi totale assenza di fianchi.

 

Ricordava bene la sua frustrazione nel vedere il suo amico diventare alto e forte mentre lei rimaneva piccola e gracile. Ma il repentino mutamento dell’aspetto di Renji non solo la faceva sentire piccola e sminuita in sua presenza. L’improvviso esplodere della sua virilità aveva fatto sì che Rukia iniziasse a sentire una strana attrazione nei suoi confronti. Ricordava molto bene come, i primi tempi, posare lo sguardo sul suo ampio petto e sui muscoli del suo corpo la facesse improvvisamente avvampare e sentire in imbarazzo.

 

Quando erano più piccoli, erano soliti dormire vicini, schiena contro schiena, per ripararsi dal freddo. Smise immediatamente di farlo al primo comparire di quegli strani sintomi. La vicinanza dei loro corpi durante la notte aveva smesso di essere una cosa innocente. Nonostante non fosse mutata molto nell’aspetto, Rukia era comunque diventata una giovane donna, e sentiva in lei l’emergere di pulsioni e sensazioni sconosciute fino a quel momento. Non potendo permettere che nulla di tutto ciò emergesse nei confronti di Renji, cercò di correre ai ripari al più presto. Si creò il suo giaciglio in un angolino il più lontano possibile da lui, e si impegnò fortemente a tenere lontana dalla sua mente l’allettante immagine del suo corpo. Alla fine i sintomi scomparvero.


Continuava a osservarlo paragonandolo all’immagine passata che aveva di lui, e le sembrò che col passare del tempo si fosse ingrandito ancora di più, perché le sue spalle gli sembravano più muscolose di quanto ricordasse. Probabilmente era a causa dei continui allenamenti. Ogni volta che aveva avuto occasione di vederlo combattere, Renji sembrava sempre più forte.

 

Fece scendere il suo sguardo sull’apertura del suo kimono e si soffermò sul suo petto, dove poté intravedere alcuni tatuaggi che continuavano al di sotto degli indumenti, ma che non aveva mai visto per intero. Fece vagare lo sguardo sulle braccia scolpite e ben definite, poi risalì al collo e ai segni tribali tatuati ai loro lati. Quanti tatuaggi aveva? Il viso non era cambiato molto da come lo ricordava, ma valutò che forse i suoi lineamenti si erano induriti ancora un po’. Fece scorrere gli occhi sulla linea imponente della sua mascella, le labbra sottili, il naso lungo e stretto e gli occhi intensi e profondi...

 

“Rukia?”

“… cosa?” chiese Rukia, ridestandosi improvvisamente.

 

“Ti ho chiesto, non bevi il tuo tè?” chiese Renji.


“Sì, scusa, ero sovrappensiero...” rispose Rukia. Bevve velocemente un sorso di tè freddo, afferrò un edamame e iniziò a sbucciarlo nervosamente.

 

Renji bevve un altro sorso della sua birra e deglutì rumorosamente. “Allora… di cosa volevi parlare, esattamente?” chiese.

 

Rukia tamburellò le dita contro la superficie umida del suo bicchiere. “Non lo so. Cosa ci si dice esattamente dopo non essersi rivolti la parola per quattro decenni?” disse, suonando più aspra di quanto avesse voluto.

 

Renji alzò le sopracciglia, non si aspettava un inizio così diretto. “Wow. Beh, dimmelo tu, signorina Kuchiki. Cosa vorresti dirmi, dopo tutto questo tempo?”

 

“Scusami, io non…” cercò di trovare le parole giuste “Forse dovremmo parlare degli ultimi giorni,” suggerì Rukia.

 

“Intendi dire di Aizen?”

 

“No, intendo del tuo coinvolgimento nel mio salvataggio.”

 

“Oh. Quello.” Renji si appoggiò comodamente allo schienale della sedia e bevve un altro sorso di birra. “Beh, cosa c’è da dire? Sei salva, evviva, non sei contenta? E poi io non ho fatto molto, ringrazia piuttosto quell’Ichigo.”

 

“Lascia perdere Ichigo, Renji. Ichigo è un adolescente, è completamente sprovveduto, non aveva idea di cosa stesse facendo e non aveva niente da perdere. Ma tu, Renji, non avevi alcun obbligo nei miei confronti. Hai messo tutto a repentaglio per venire a salvarmi. Diamine, eri appena stato nominato vice-capitano! Mio Fratello mi ha raccontato tutto. Hai combattuto contro di lui per correre in mio aiuto. Sei quasi morto.”

 

“Sì, beh, cos’avrei dovuto fare, lasciarti morire senza fare niente per impedirlo?”

 

Rukia lo guardò con le labbra serrate e lo sguardo sorpreso. Bevve in tutta tranquillità un sorso del suo tè e poi appoggiò lentamente il bicchiere sul tavolo.

 

“A dire il vero, ero convinta che non vedessi l’ora di vedermi morire,” disse lentamente.

 

Renji aggrottò improvvisamente le sopracciglia, un’espressione confusa sul volto. “Di cosa diavolo stai parlando?”

 

“Beh, sei stato tu ad arrestarmi a Karakura Town,” disse Rukia asciutta.

 

Renji abbassò lo sguardo e scosse il capo. “Rukia, lo sai, stavo solo eseguendo gli ordini, ed ero al seguito di tuo fratello, non potevo certamente oppormi. E poi te l’ho detto, il fatto che siamo stati proprio noi a venire a prelevarti è stata una sorta di clemenza nei tuoi confronti...”

 

“… Naturalmente, naturalmente,” proseguì Rukia, facendo scorrere il dito sul bordo del bicchiere “eppure non ci hai pensato due volte a sfoderarmi contro Zabimaru,” disse, gelandolo con lo sguardo.

 

Renji si irrigidì “… senti, Rukia...”

 

“Era proprio necessario ferirmi?” chiese Rukia.

 

“Ti ho lasciata schivare, idiota!” sbottò Renji.

 

“E poi hai giurato che al successivo colpo mi avresti uccisa!”

 

“Era solo per provocarti!” continuò Renji visibilmente agitato.

 

“E hai tentato di strangolarmi.”

 

“… cos’è che avrei fatto?” disse Renji, confuso.

 

“Quando ho cercato di soccorrere Ichigo.”

 

“Ma quale strangolare! Stavo cercando di farti un favore…”

 

“Wow, davvero un gran favore!” lo interruppe Rukia.

 

“… cercavo di impedire un aggravamento della tua condanna per aver tentato di aiutarlo!”.

 

“Va bene, va bene, ma se non ricordo male anche in prigione mi hai augurato di morire,” proseguì Rukia in modo sprezzante.

 

L’idea iniziale di Rukia era stata quella di uscire con Renji per ringraziarlo, forse recuperare qualcosa degli anni perduti, ristabilire un contatto. Non aveva programmato di vomitargli addosso tutta quella serie di accuse. Non sapeva neanche lei da dove le fossero uscite. Era onestamente grata nei confronti di Renji per aver aiutato Ichigo a salvarla. Era commossa. Ma all’improvviso si era resa conto dell’amarezza che provava nei suoi confronti dalla notte dell’arresto.

 

Era vero, avevano interrotto ogni rapporto da tempo, lei aveva commesso un crimine e Renji stava eseguendo un ordine nel riportarla indietro. Ma se avesse dovuto fare una lista delle dieci cose che riteneva più improbabile le accadessero nella vita, tra i primi posti ci sarebbe stato sicuramente il suo amico d’infanzia sfoderare la spada contro di lei e minacciare di ucciderla, come fosse una criminale qualunque.

 

“E se ricordo bene...”, continuò Rukia.

 

“Ero fottutamente incazzato, va bene?!” sbottò Renji esasperato.

 

Calò il silenzio, e Rukia lo guardò confusa. “… eri arrabbiato? Perché?”

 

“Diamine, Rukia…,” rispose Renjii, appoggiando un gomito sul tavolo e sorreggendosi la fronte con una mano.

 

“Siamo cresciuti insieme. Siamo passati attraverso la stessa merda. Avevi tutto, tutto quello che ti meritavi. E all’improvviso ti ritrovi... senza poteri. Senza poteri, capisci? E tutto per colpa di chi? Di un perfetto sconosciuto, un misero ragazzino umano, che cercavi di proteggere a tutti i costi!”


“Renji…,” cercò di interromperlo Rukia.

 

“Pensavo fossi morta. Morta. Divorata da un fottuto hollow. E invece cosa scopriamo dopo due mesi dalla tua assenza? Che non solo non eri morta, ma che te ne stavi nascosta in mezzo agli umani, a recitare la parte di una di loro!”, disse Renji. Si sporse leggermente in avanti e la guardò a occhi stretti.

 

“E onestamente, Rukia… come credi che mi sia sentito? Pensi sia stato felice di ricevere l’ordine di riportarti indietro con la forza, e di ucciderti se necessario? Pensi sia stato felice di scortarti in gattabuia? Pensi mi facesse piacere doverti parlare dall’altra parte delle sbarre e non poter fare assolutamente nulla per te? Diamine, io…” Sospirò profondamente e abbassò lo sguardo, un sorriso amaro comparì sul suo volto.

 

“Sai, il giorno della tua partenza per la Terra è stato il giorno che venni nominato Vice-Capitano. Non appena fossi tornata dalla missione, volevo venire da te e dirtelo,” disse Renji, guardandola con un’onestà che la lasciò spiazzata.

 

Rukia lo guardò con un velo di tristezza negli occhi “… davvero?”

 

“Sì.”

 

Rukia abbassò lo sguardò e guardò le sue mani strette intorno al bicchiere.

 

“Avevo… intenzione di recuperare i contatti con te, in qualche modo,” aggiunse Renji.

 

“Avevi intenzione di ripiombare nella mia vita così all’improvviso?”

 

“Beh, mi sembra sia successo comunque, in un modo o nell’altro.”

 

“Già...” disse Rukia con un sorriso triste. Si sentì svuotata. Tutta la rabbia accumulatasi sembrava essersi dissolta e si rese conto che non si era comportata bene nei suoi confronti. Non si era presa la briga di guardare la situazione dal suo punto di vista, improvvisamente si sentiva una stupida ad essersi arrabbiata con lui.

 

“Ascolta, Rukia...”

 

“Sono contenta che tu l’abbia fatto,” lo interruppe Rukia.

 

“Che cosa?” chiese Renji.

 

“Che tu sia ripiombato nella mia vita.”

 

“Oh,” disse Renji sorpreso. Passò un momento di silenzio nel quale cercarono di trovare le parole giuste.

 

“Pensi che... potremmo essere ancora amici?” chiese Rukia.

 

Renji la osservò per un momento. “Certo”.

 

“Affare fatto allora” disse Rukia, e si scambiarono un sorriso. Entrambi tornarono a sorseggiare dai loro bicchieri.

 

“Allora… vice-capitano, eh?” chiese Rukia.

 

La discussione continuò per un paio d’ore, dopodiché uscirono dal locale. Tirava un’aria fresca, c’era ancora un po’ di gente per strada ma la maggior parte della folla si era dileguata. Renji si offrì di accompagnare Rukia fino a casa. Dopo la litigata iniziale, il resto della serata era passato in totale spensieratezza, tra chiacchiere e risate. Camminavano l’uno accanto all’altra e Rukia si sentiva molto più a suo agio rispetto a qualche ora prima. Arrivarono finalmente ai cancelli di Villa Kuchiki.


“Wow,” disse Renji, guardando le maestose mura della magione. “Mi mette sempre piuttosto in soggezione”.

 

“Ci si abitua, te lo garantisco,” rispose Rukia sorridendo. “Renji… grazie.”

 

“Per cosa?” chiese Renji sorpreso.

 

“Per la serata e… per avermi salvata. Non dovevi. Grazie.”

 

“Sciocca, ti ho già detto una volta che non devi ringraziare,” disse Renji sorridendo. “Beh, dovremmo rifarlo, se vuoi,” suggerì Renji.

 

“Salvarmi?” chiese Rukia.

 

“Ma no, intendo la serata,” rispose Renji.

 

“Oh, certo. Mi sembra un’ottima idea,” rispose Rukia”.

 

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