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di Woody Lee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ci sono quelle serate in cui entro in camera, chiudo la porta a chiave, mi metto le cuffie e immagino di essere una stella della musica, una vera leggenda. Con un pettine in mano, davanti allo specchio, fingo di intonare quasi tutta la mia playlist di Spotify, senza che nessuno entri in scena e o mi interrompa. Di solito sono completamente fatto come una pera oppure ubriaco perso, dipende anche dalla giornata vissuta.
Ci sono invece quelle serate in cui la mia mente vaga nella caotica complessità dei miei pensieri e mi spaventa il fatto di non riuscire ad esporre in parole le mie emozioni. Mi sento sempre la testa pesante quindi mi sdraio, rimango sveglio al buio e parlo da solo.

“Cosa vorresti in questo momento?”

Ci pensai su. Non è una domanda alla quale si trova facilmente una risposta se si è in uno stato di assoluto odio verso se stessi. Provo anche una forte gelosia per tutti quanti, come quando vedo i miei vecchi compagni di classe attraverso Internet: mi è impossibile non paragonare la loro vita alla mia e provare un senso di rimorso ogni volta che mi chiedo se avessi scelto la strada giusta. Dopodicè un solo pensiero mi rimbomba nella testa: anche tutti gli altri hanno le loro paranoie. Poco o niente ci distingue dalla massa, seguiamo tutti , lo stesso filo invisibile quando si tratta di routine. Magari qualcuno riesce perfino a staccarsi quel filo dalla propria pelle e iniziare a cambiare la propria vita. Non si tratta di avere tanti soldi o di vivere nella povertà più assoluta. Una mente bene aperta rimarrà sempre tale anche quando il mondo proverà a chiudersi in se stesso. In poche parole, tento di confortarmi a seconda dei pensieri che mi assalgono. Il mio è un volere nostalgico, basato sui ricordi della mia vita e sulle scelte fatte finora che ancora suggestionano la mia mente. Dove andrò? Non saprei dirlo e questo mi terrorizza ma almeno ho la certezza di poter ancora fare delle scelte importanti.
La Volontà e la Costanza fanno di un uomo o una donna tali. Non sempre però ho avuto il piacere di averle entrambe contemporaneamente e provare anche la sensazione di Creatività Assoluta. Voglio scrivere, è ciò che mi riesce meglio, qualcosa in cui sono modestamente bravo. Mi considero colto e attivo ma delle volte mi spengo anche per giorni interi.


Sedevo sul divano. La televisione era posta di fronte a me e in onda c’era un documentario di Attenborough, mostrava lui e un orango tango. Mi è sempre piaciuto lui, la sua voce e il suo accento inglese, che io trovo molto più affascinante dell’americano, mi rilassavano e col silenzio a cui ero abituato in casa, l'eco della sua voce rimbalzava sulle pareti del salotto. I miei occhi caddero nel vuoto e in un attimo mi addormentai.
Mi risvegliai verso le quattro del mattino, avevo la bocca secca e il braccio addormentato, il pizzicore aumentò fino a farmi male. Imprecai, spensi la tv e andai a pisciare. Mi guardai allo specchio e mi sembrò di vedere un fantasma. Andai in cucina e bevvi mezzo litro di acqua direttamente dalla bottiglia, ero illuminato dal chiaro di luna che entrava dalla grande finestra che mi separava dal resto del mondo. Me ne tornai a dormire senza fare il minimo rumore, come se avessi timore di svegliare qualcuno che dormisse in un’altra stanza. Passai davanti al mio computer prima di andare a letto. La mia mente venne invasa dalle allucinazioni di tutte quelle storie e racconti di fantasmi, di cowboy di stregoni e di amori, tutto talmente veloce che ,arrivato a letto, mi dimenticai già tutto.
Mi attirava l’idea di vivere altre vite e di raccontarle a chiunque abbia avuto la voglia di leggere ciò che riesco a scrivere di tanto in tanto. Le novelle a cui sono abituato creare, sono lunghe come minimo una ventina di pagine e quasi mai le finisco.
Magari, mentre sono nel “processo creativo” e ho bisogno di trovare un finale adatto alla storia, riesco a fermarmi anche per settimane. Alla fine potrei anche riuscire a trovare un epilogo decente, ma la pigrizia vince sulla Costanza e sulla Volontà citate prima, convincendomi che mettere per iscritto quelle parole è un opzione in più. A volte mi rendo conto che la storia a cui sto lavorando è una strada senza uscita, il che mi rende nervoso.
Non so se queste righe finiranno dimenticate, ma sono qua e sto ancora scrivendo. Potrei trasformarlo in una lettura piacevole, veloce e senza giri di parole oppure potrei metter giù termini che nemmeno uso nel mio gergo e fare la figura dell’intellettuale. Ma sì, un pubblico lo si trova sempre. La prima persona da impressionare deve essere un editore a cui piacciano i rischi

Mi svegliai verso le otto e decisi di farmi una doccia. Magari dopo mi sarei preso dieci minuti per controllare la posta elettronica.
Prima di entrare in doccia, metto la mia playlist di Spotify per distrarmi, oppure inizierei a vagare con la mente verso soliloqui senza senso e confusi. Riesco a intonare almeno quattro o cinque canzoni prima di uscire definitivamente dal bagno.
Dopo essermi vestito e tutto, mi sedetti alla scrivania del computer che dava sul fiume Hudson e aprii la posta. Diedi un occhiata in giro tra le varie cartelle e tra le ultime mail ricevute, ne trovai una interessante da parte di un’azienda chiamata GlassCon. La mail citava:

Benvenuto

Aiden Rowe

GlassCon è un’azienda futuristica alla ricerca costante dell’avanguardia tecnologica. Abilita nel campo della medicina, della scienza, nelle forze armate e nell’istruzione. È la prima multinazionale a portare nelle case degli americani un nuovissimo utilizzo di Internet e il futuro della connessione mondiale, il tutto eseguito con un “batter d’occhio”.
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L’Illimitatore Astrale è un dispositivo in grado di collegare Internet direttamente alla retina del vostro occhio e di navigare senza limiti. Le magie che l’AU (Astral Unlimiter) riesce a trasmettere, sono inarrivabili da qualsiasi altro strumento mai utilizzato finora.
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Sperando che l’orizzonte possa esserVi sempre più vicino,
Lewis Lynom



Ne avevo sentito parlare ovviamente, è ormai dappertutto questo Illimitatore Astrale. Il mio più caro amico, Steve, l’aveva comprato qualche settimana dopo l'uscita sul mercato e me la descrisse come la cosa più importante che fosse accaduta al genere umano dopo la creazione di Internet stesso. Rilessi più volte l’ultima frase della mail: Sperando che l’orizzonte possa esserVi sempre più vicino. La trovai brillante.
Lewis Lynom era un uomo di gran talento, un puro genio oserei dire. L’AU fu una sua invenzione e secondo le poche fonti che parlavano di lui, aveva speso tutta la sua vita per realizzare quella tecnologia. Pensai che la gente avrebbe visto una cosa del genere solo agli inizi del prossimo secolo, invece eccoci qua nel 2020 quando un uomo qualunque mette sul mercato una delle più grandi invenzioni del nuovo millennio.
Di lui si sapeva fin poco, era un uomo riservato e di poche parole. Le informazioni sulla sua vita erano molto limitate. Nessuno sapeva da dove venisse o che scuole avesse frequentato, nessuno sapeva niente sulla sua famiglia, non aveva recapiti telefonici, nessun indirizzo mail, nessun indirizzo di casa. C'è chi lo considerava un fantasma...oppure un idiota.
Fece una presentazione Online del prodotto qualche giorno prima che venisse effettuato il lancio dell’AU sul mercato (che avvenne il 15 Gennaio 2020) e ricordo di essere rimasto incollato allo schermo del pc per tutta la durata della diretta. Divenne l’uomo più misterioso del mondo, i telegiornali non parlarono d’altro per settimane, vennero aperti molti fan club in suo onore e in molti dibattiti televisivi non si parlava d'altro che di lui.
Sembrava avesse meno di 30 anni, portava degli occhiali spessi, i suoi occhi erano grigi e i capelli corti, neri. Nessun neo o altro segno particolare in volto, il suo naso greco lo rendeva più affascinante di quanto sembrasse e le labbra erano piccole e strette. Tutti impazzivano per sapere di più su di lui. Non si è abituati al mistero in un mondo dove si può accedere ai dati di chiunque.

Lynom, di conseguenza, guadagnò miliardi con l’AU e il dispositivo venne venduto il tutto il globo. Una tecnologia perfetta, nessun bug, nessun difetto di fabbrica. Come diceva la mail che ricevetti, l’AU venne usato anche in medicina per le ricerche sul corpo umano e lo studio delle malattie infettive e un aiuto enorme sulle diagnosi poiché il processore registrava ogni tipo di malessere, sia fisico che mentale. Nell’istruzione veniva usato per le ricerche, venivano organizzate gite scolastiche in qualunque posto presente sulla terra. Bastava creare una stanza e invitare tutta la gente che si voleva, come nei videogiochi, le conferenze, cinema, shopping. Ha migliorato notevolmente la vita quotidiana di miliardi di persone. Anche i metodi di pagamenti online vennero aggiornati con l’AU, niente più carte di credito. Lewis Lynom reinventò il mondo digitale e fece dell’informazione una meraviglia.

La usai anche io, ovviamente.
Il pacco che mi venne consegnato era poco più grande di un pacchetto di sigarette, all’interno c’era un astuccio nero in plastica con scritto in oro AU e un foglio illustrativo di poche righe:

1. Mettersi comodi
2. Indossare le lenti a contatto e pronunciare la parola “Lux”
3. Godersi il viaggio
LEWIS LYNOM HA IL PIACERE DI PRESENTARVI
L'ILLIMITATORE ASTRALE


Decisi di sdraiarmi a letto. Tirai fuori le lenti a contatto dall’astuccio e le osservai sulle punte delle dita. Erano opache e di color bianco. Le appoggiai entrambe sui miei occhi, con cautela, mi appoggiai al cuscino e cercai di scandire bene la parola.
LUX
Un bagliore di luce mi accecò e vidi tutto nero per qualche istante. Riuscivo a sentire un fruscio, come se stessi camminando in mezzo ad un campo di grano. Poi mi parve di sentire lo scoppiettio di un camino, oppure qualcuno che camminava su dei rami secchi.
Aprii gli occhi e mi trovavo in una stanza completamente bianca, come la Struttura in Matrix.
“Wow” dissi prima che un uomo che riconobbi proprio come Lewis Lynom apparve dal nulla dietro di me.
“Ciao.”
Rimasi di pietra. Lynom non si mosse, era in stand by.
“Uhm...ciao”
“Ti do il benvenuto nell’Illimitatore Astrale, io sono Lewis Lynom. Tu come ti chiami?"
"Aiden" Lynom riprese a muoversi e mi sorrise.
"Bene...Aiden. Ti accompagnerò in questo brevissimo tutorial per aiutarti ad usare al meglio il programma, ti va?” Era vestito di Bianco e portava una cravatta rossa. I capelli ordinati e gli occhiali che di tanto in tanto tirava su con l’indice. Sembrava reale.
“D’accordo“ dissi
“Bene, pensa ad un qualsiasi posto ti venga in mente, uno che conosci bene, che ti faccia stare bene. Qualsiasi cosa.” sorrise di nuovo e andò di nuovo in stand by.

All’inizio credevo di pensare a casa mia ma era troppo scontato. Mi venne in mente poi quella gelateria a San Francisco dove papà mi portava da piccolo, ogni fine settimana e dopo un lieve lampo riuscivo a vedere davanti a me l’entrata della gelateria Stiamo al Fresco.. Ricordo benissimo quando stavamo seduti davanti alla vetrina a contare i piccioni che svolazzavano sulla strada, a gustarci le nostre coppette a due gusti e a ridere degli scherzi che facevamo alla mamma quando rientravamo dopo le lunghe passeggiate. Era un posto magnifico, così pieno di colori.
“Porca troia!” Gridai
“Magnifico, vedo che ti piace!” Disse Lynom sorridendo
“È tutto vero?” Gli chiesi
“Ovviamente no, è solo dentro la tua testa, ma le emozioni si. Quelle sono reali al 100%. Quello che vedi è una simulazione costruita interamente dal tuo cervello e grazie all’Illimitatore Astrale, tutto ciò a cui pensi viene registrato e materializzato davanti ai tuoi occhi. Mi segui fino a qui?”
“Direi di sì” rimasi a guardare la vetrina del negozio. Intorno a noi non c’era anima viva, la città sembrava deserta.
“Come mai non c’è nessuno?” Chiesi
“Il ricordo base mostra solo il luogo, sei tu a decidere se vuoi compagnia o no”
“Questo posto ha chiuso nel 2005, quando il signor Johnson morì. Sono più di quattordici anni che non ci entro”
“Beh, fatti un giro, no?”

Feci un bel respiro e mi avvicinai alla vetrina.
Non so bene come esprimere che emozioni stavo provando in quel momento, sentivo il mio cuore battere e le mani che tremavano. Non credevo di rivivere mai la sensazione di varcare ancora la soglia di Stiamo al Fresco e prendermi un gelato.
Aprendo la porta in vetro, il campanello d’entrata squillò con un motivetto allegro. Le pareti erano di colori diversi, c’erano molti quadri appesi di attori famosi degli anni cinquanta e sessanta. Il signor Johnson mi guardava dietro il bancone in vetro con tutti i gusti esposti.
“Buongiorno Aiden, ti stavo aspettando” Mi disse il signor Johnson.
“Davvero?”
“Ti preparo subito la tua coppetta”
“Si” Era tutto così reale, sembrava che non fosse passato nemmeno un giorno dall’ultima volta che entrai in quel posto così bello, così vivace.
Guardai Lynom dietro di me che mi rispose con due pollici alzati e un sorriso smagliante, poi mi voltai di nuovo verso il signor Johnson che mi porgeva la coppetta a due gusti.
“Ecco qua giovanotto, cioccolato e vaniglia" Mi sorrideva.
“Grazie” dissi. Presi la coppetta e assaggiai il gelato.
“Com’è?” Mi chiese curioso Lewis.
“Ottimo” dissi “però manca qualcuno”
“Chi?”
Chiusi gli occhi. Pensai alle fotografie incorniciate della mia famiglia che avevo in salotto. In una c’eravamo io e i miei genitori a tavola durante l’ultimo Natale di papà, prima che il cancro ce lo portasse via.
Pensai al suo viso, alla sua voce, alla sua risata, al modo in cui pronunciava il mio nome.
Riaprii gli occhi e lo vedevo seduto al tavolo davanti alla vetrina mentre osservava la strada deserta
Mi avvicinai a lui silenziosamente e appena sentì la mia presenza, si girò e mi sorrise.
“Ciao papà” dissi
“Aiden, vieni a sederti”
Lo feci.
Porca puttana, che giostra di emozioni che provai quel giorno.



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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


“Chi ha passato la vita a descrivere la realtà non sa come farne parte”.

È una citazione che lessi da qualche parte, molto tempo fa, non ricordo chi la pronunciò o chi la scrisse però penso che una frase del genere sia azzeccata per questo capitolo. Coloro che iniziarono ad usare l’Illimitatore Astrale, persero la cognizione del tempo e soprattutto faticavano a distinguere la realtà dalla finzione, come in Inception. Un’importante percentuale di utenti, chiese un risarcimento alla GlassCon poiché decisero che la loro vita non andasse “buttata” dentro una realtà virtuale. La compagnia rispose con i dati ottenuti proprio dall’uso dell’AU da parte di quelli insoddisfatti, dimostrando che il 79% di essi non avevano nemmeno seguito il tutorial d’inizio. Lewis Lynom mi suggerì di non saltarli poiché la mia esperienza dentro al programma dipendeva proprio dai tutorial. Dopo aver visitato la gelateria trapelata dai miei ricordi d’infanzia, l’ologramma di Lynom mi insegnò a spostarmi attraverso il globo facendomi materializzare in cima all’Everest, sulle spiagge di Sidney e Al Polo Sud. Mi insegnò a creare una stanza personalizzabile, tutta mia, dove potevo invitare gli amici che mi sarei fatto nell’AU e creare feste, convention, viaggi da un punto del mondo all’altro in pochi secondi e con la compagnia di chi avrei voluto io, se avessi voluto.
L’AU ha un potenziale infinito, uno strumento capace di cambiare le vite delle persone immuni alle meraviglie della vita. La realtà, per quel genere di persone, non era altro che un’odiosa assenza di felicità e che dopo anni di sforzi inutili non erano ancora riusciti ad averla. Ma chi ci dice che quello che abbiamo sempre desiderato sia la nostra felicità? Ma poi, chi l’ha detto che sia un bene materiale invece che un senso di libertà, un’emozione, magari anche un solo brivido lungo la schiena? 

In Portogallo, esiste un posto chiamato Cabo da Roca. È famoso per essere il punto più occidentale d’Europa e i tramonti sono unici. Il panorama è spettacolare, sembra che l’unica cosa che divida me dal Sole sia l’immenso oceano Atlantico che lo stesso Cristoforo Colombo navigò seicento anni prima. È strano pensare che a distanza di secoli si possano osservare gli stessi identici fenomeni naturali, quali i tramonti, le albe, le costellazioni, che gli uomini e le donne più importanti mai esistiti abbiano osservato dando chissà quale spiegazione scientifica o mitologica. Non dimenticherò mai le sfumature dei colori caldi causati dal tramonto fino a sparire nell’oscurità della notte; il vento mi scompigliava i ricci che mi cadevano sulla fronte e per la prima volta riuscivo a sentire la sua musica quando mi passava tra le orecchie. Ma niente di tutto ciò era paragonabile ai capelli della donna che conquistò il mio cuore.
La conobbi alla Brown University, nell’aula di scienze. Stavo aspettando il professor Rogers per rivedere gli orari dei corsi che avrei seguito poiché scelsi tre facoltà diverse e non avevo ancora la minima idea di cosa farne della mia vita. Ricordo che varcò la soglia e si fermò a guardarmi. Aveva i capelli di molte sfumature di rosso, alla chioma erano più scuri e sulle punte il rosso sfociava in un arancione fiammante. Indossava denim jeans, nere Nike ai suoi piedi, una    Polo nera con lo stemma della Brown e un anello bianco all’anulare destro. Era una visione fuori dal comune, rimase a guardarmi per qualche secondo in silenzio. Girò lo sguardo verso l’aula vuota e posò di nuovo gli occhi su di me. 

“Ciao” dissi.
“Chi sei?” Mi chiese.
“Sono Aiden, e tu?” Le porsi la mano. Io ero in piedi alla cattedra leggendo un capitolo di Harry Potter e l’Ordine della Fenice mentre aspettavo.
“Perché sei qua?” Mi chiese avvicinandosi e ignorando la mia mano aperta. Eravamo ai lati esterni della cattedra e nell’aria si sparse un buon profumo, credevo fosse entrato qualcuno con un grosso mazzo di fiori freschi.
“Aspetto il professore di Scienze, il Signor Rogers. Gli farò qualche domanda sugli orari delle lez-“
“Il signor Rogers non ci sarà oggi. Ha comunicato che tarderà il suo rientro dal Brasile per un’altra settimana” alzò un sopracciglio e io chiusi il libro. Aveva gli occhi chiari con sfumature verdi. La sua voce era tiepida, in un certo senso la rendeva più formale.
“Ma le lezioni inizieranno...” provai a dire ma mi fermò subito.
“Lo so. Ma il professore ha avuto qualche screzio con la burocrazia brasiliana.” serrò le labbra.
“Come fai ad avere certe informazioni su un professore?”
Esitò guardando il mio libro di Harry Potter chiuso tra le mie mani ma non rispose.

“Va bene, non sono affari miei” dissi prendendo il mio zaino da terra e infilandoci il libro.
“Non è come pensi” disse subito con voce alta.
“Non sto pensando a niente” mi feci sfuggire un sorriso.
“Come no.” Rimase a guardarmi offesa. Cercai subito un argomento per cambiare discorso.
“Non mi hai ancora detto il tuo nome”
“Elena...Rogers”
“Curioso, come il professore, siete imparentati?” Elena arrossì tanto da confondersi con i capelli. Non rispose.
“Elena?”
“Si” 

Non capii bene se rispondesse alla mia domanda o al suo nome ma ci fu qualche attimo di silenzio e notai il suo viso tornare al solito colore roseo e restammo a guardarci.
“Beh è stato un piacere, ora devo proprio andare” Elena si aggiustò lo zaino in spalla e si girò per andarsene.
“Elena” la chiamai mentre varcava la soglia.
“Si?”
“Mi chiedevo se...” credo stessi arrossendo perché sentivo la mia fronte bollente “...ti andava di, non so, bere un caffè. Se non bevi il caffè conosco un bar dove fanno dell’ottimo pollo fritto e se non mangi il-”
“Di sicuro ci vedremo in giro. Ciao Aiden” mi salutò con un veloce gesto della mano e uscì dalla classe. Credevo di aver sbagliato tutto con lei e non avrei più avuto il coraggio di guardarla negli occhi da quel momento.
“Idiota” mi dissi a bassa voce.

 

Steve lo conobbi qualche giorno prima. Mia madre che mi aveva accompagnato in macchina anche per aiutarmi a sistemare le mie cose. Entrammo nella stanza 109 del dormitorio maschile e notai appeso sul muro, sopra uno dei letti, sette poster di cantanti e gruppi piuttosto famosi. Riconobbi i Queen, i Rage Against The Machines, i Led Zeppelin e David Bowie. Gli altri tre poster non mi dicevano niente, ma amavo il modo in cui si confondevano con la parete Bianca. Steve uscì dal bagno mentre si tirava su la cerniera lampo. Aveva i capelli corti, biondi, occhi chiari e un piercing al sopracciglio sinistro. Era veramente un bel ragazzo. Vide me e mia madre con due scatole in mano e si bloccò.

“Chi è lo studente qui?” Disse poi sorridendo mettendosi le mani in tasca.
Mia madre ne uscì lusingata a quanto pare. Steve si avvicinò e mi tese la mano.
“Io sono Steve, piacere” gli strinsi la mano.
“Aiden, piacere. Quando sei arrivato?” Gli chiesi mentre appoggiai lo scatolone con i libri sul mio letto.
“Ieri sera. Volevo mangiarmi il pollo fritto al diner qua vicino, dicono sia una tradizione mangiarlo la prima sera al campus. Se vuoi ti aiuto a sistemare così possiamo farci un salto. Non credo di averlo mai mangiato così buono”
“Mi hai convinto” dissi mentre mia madre entrò con altre due scatole stracolme di libri.
“Voi due farete bene a tenere questa stanza in ordine” ci disse posando le scatole sul letto.
“Non si preoccupi” disse Steve.
“Ce la caveremo” dissi io.

In effetti c’è la cavammo per qualche tempo. Siamo riusciti a tenere la nostra stanza piuttosto pulita per qualche settimana, ma agli inizi di novembre, con gli esami di fine semestre che cominciavano ad avvicinarsi sempre di più, ci concentrammo di più sui nostri libri che all’igiene della 109 e non ci meravigliamo se trovavamo qualche appunto perso giorni prima, tra gli indumenti ancora da lavare ammassati al proprio angolo del letto.
Io e Elena seguivamo quasi le stesse identiche classi. Filosofia e Storia dell’Arte le ho volute evitare per concentrarmi di più su Lettere , Inglese e Storia. Ci vedevamo sempre in classe, si sedeva accanto a me, ma anche sugli spalti del campo, al diner, in biblioteca e Scoprii che le interessavano i film europei, in particolare Bertolucci e Von Trier, le piaceva la musica classica e leggeva davvero ogni libro che le consigliavano. Era puro oro, senza nessun dubbio lo è ancora. 

La presentai anche a Steve, una sera, al Diner.
Per tutta la sera, parlarono di musica e del fatto che le donne non sappiano guidare. Poi passarono alla politica ed è lì che andai in bagno. Passammo una serata piacevole a mangiare pollo fritto e a bere soda. Credetti di aver trovato i miei Ron e Hermione ma non ci vollero sette anni perché iniziassero ad uscire assieme. A quanto pare, Elena aveva occhi e orecchie solo per Steve e il suo immenso sarcasmo.
Steve riusciva ad ottenere buoni risultati in ogni materia, ma aveva difficoltà a comprendere alcune regole di Fisica o Psicologia perciò Elena veniva nella nostra stanza ad aiutarlo a studiare. Mi avevano chiesto se non fosse di disturbo il fatto che ci fossero lì anche loro a studiare ma dissi che non era affatto un problema.
Perciò, senza farmi sentire, stavo sul mio letto a leggere o a studiare per conto mio. Ogni volta che Steve sbagliava a pronunciare i nomi di Nietzsche o Freud, Elena lo ammoniva. A volte stava in silenzio e io la osservavo dietro ai  miei libri mentre i suoi occhi erano posati su Steve che non riusciva a capire dove avesse sbagliato.
Lui non la meritava visto l’esito del loro divorzio, ma sarei una persona orribile se dicessi che con me avrebbe avuto una vita degna della sua importante figura. Fu la persona più brillante che io abbia mai conosciuto, sapeva badare a se stessa e non sarei mai riuscito ad amare la vita come l’amava lei. Era speciale ascoltarla mentre parlava della sua giornata. Riusciva a spiegare un capitolo di storia rendendolo veramente interessante, insomma, ne ero perdutamente innamorato. 

A malincuore dico di non essere mai riuscito a condividere i miei sentimenti per lei, sono sempre stata una persona piuttosto riservata e l’Amore non è mai stato il mio sentimento preferito. Non che fossi un codardo, così la penso io, ma la sentivo lontana da me come se ci fosse un posto di blocco a due passi dal suo cuore. 

Si sposò con Steve qualche anno dopo terminata l’università e entrambi si trasferirono a Boston cosicché lei potè avere il ruolo di  di sostegno alla Northeastern University mentre Steve poteva dedicarsi a tempo pieno alla sua musica. Rimasi in contatto con il mio migliore amico ovviamente, ogni tanto li rivedevo, sembravano felici; comprarono una proprietà niente male e riuscirono a stabilirsi ma col passare degli anni, anche i fiori più belli sono destinati a morire e finirono con spegnere l’ultima scintilla di passione che li teneva ancorati l’uno all’altro.

Steve lasciò la casa ad Elena e si trasferì qui a New York dove tutt’ora produce musica dentro al suo studio di registrazione/appartamento. Riusciva a guadagnare componendo musica per le pubblicità televisive oppure producendo qualche pezzo per cantanti di discreto successo. Ci siamo promessi di berci uno shot ogni volta che in tv apparivano le pubblicità con i suoi brevi motivi musicali. Una sera, sulla CNN andarono in onda tre pubblicità di fila dove i sottofondi erano stati composti dal mio Steve e finii col tornare a casa cantando a squarciagola la canzoncina della pubblicità di uno spazzolino elettrico. Ero fiero di lui e lo sapeva benissimo.
Poi l’AU arrivò nelle nostre case e Steve dedicò tanto tempo, dentro il programma, a cercare nuove ispirazioni per le sue opere. Decise di produrre un album tutto suo con le nozioni apprese su Internet e creando un concept album davvero niente male. Ci trovammo sempre più spesso dentro la sua stanza personalizzata nell’AU. Aveva creato un’immenso parco giochi solo per noi due con una piscina a forma di osso, un barbecue sempre acceso, alcol e droghe di vario tipo e un luminosissimo palco dove poteva esibirsi alla sua consolle ogni volta che voleva. Lui era la star lì dentro, io il suo fan numero uno.
Il mio personale ologramma di Lewis Lynom mi spiegò come creare la mia stanza. All’inizio erano solo quattro bianche mura con una finestra che dava sull’universo, in particolare si poteva vedere perfettamente la costellazione di Orione. Iniziai a immaginarmi Disneyland ma non essendoci mai stato, il programma materializzò davanti a me il classico castello che si vede sempre all’inizio di ogni film targato Disney. 

“Wow” 

Essendo un uomo di trentaquattro anni in crisi d’identità, cancellai subito Disneyland e mi concentrai sul Tanafjorden, in Norvegia. È stato uno dei posti più suggestivi che io abbia mai visitato. Decisi che semmai fosse andato tutto male nella mia vita, avrei comprato un terreno presso il villaggio di Torhop e avrei vissuto da eremita con le poche famiglie che abitavano quel villaggio. Le coordinate sono 70.4814366 , 27.9858681 .

Grazie all’Illimitatore Astrale, in un lampo mi trovai proprio in riva al fiordo ed essendoci stato in agosto, il programma ricreò perfettamente il clima fresco di un fiordo norvegese in estate. Il sole era alto, il cielo di un brillante azzurro. L’aria era pulita e feci un respiro profondo. Sentii l’ossigeno arrivarmi dritto al cervello e decisi che quello era il posto perfetto per la mia stanza.
Riuscii anche a settare dalle impostazioni dell’AU, il punto di log-in. Ogni volta che sarei entrato nel programma, il mio punto di partenza sarebbe stata la mia casa in legno a Torhop sulle rive del Tanafjorden. Il panorama mi avrebbe aiutato a schiarirmi le idee, a procedere con la mia scrittura creativa e magari sarei riuscito anche ad iniziare un libro. Chissà.
Per l’architettura della casa mi ispirai all’opera dell’architetto scandinavo Alvar Aalto che trovai dentro uno dei libri di Arte di Elena. Sembrava il tronco di un enorme albero. Le finestre illuminavano tutte le stanze circolari della casa, il rivestimento era in legno naturale e le linee curve, in un certo senso, ne definivano il volume. Decisi che avrei seguito un design minimalista per gli interni. Puro legno scandinavo per i mobili essenziali con lavabi e vasca idromassaggio in ceramica. Un comodo divano nel salotto che offriva un ampio panorama del fiordo e un seminterrato per il mio spazio lettura circondato da alti scaffali (sempre in legno) pieni dei libri che ho letto durante la mia esistenza.
Quando fui sicuro che fosse tutto finito, invitai Steve nella dimora dei miei sogni e rimase a bocca aperta. Si congratulò per la mia immaginazione, soprattutto per l’area fumatori (che era appunto il balcone che dava sul fiordo) dove ci trovavamo in quel momento.

“Sai cosa manca però?” Mi disse mentre uno spinello si materializzò tra le sue labbra che accese all’istante con una piccola palla di fuoco uscita fuori dal nulla.
“Illuminami” gli risposi.
“Le donne. Certo, non è una tana del sesso questa, ma faresti bene a mettere qualche pianta in giro. Le donne vanno pazze per il verde...qualcosa di afrodisiaco magari”
“Se lo dici tu, ma ti ricordo che siamo dentro ad una realtà virtuale e posso pensare a qualsiasi donna incontrata nell’arco della mia vita”
“Non hai tutti i torti ma non puoi scopare con dei pixel a forma di donna sexy”
“Non hai tutti i torti” ripetei a bassa voce. Poteva sembrare molto superficiale come persona ma ricordo che questo Steven Henson era riuscito a conquistare l’unica donna che avessi mai desiderato. Mi passò la canna.
“E dove si fa amicizia in una realtà virtuale?” Chiesi
“Al forum ovviamente”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il giorno dopo la laurea, un gruppo di studenti decise di andare al mare a festeggiare. Ai tempi nessuno ti impediva di accendere un falò e di portare litri di alcol per una buona causa quale l’inizio del resto della nostra vita. Molta della gente presente collassò sulla sabbia fredda. Qualcuno fece pure il bagno nudo. Carl Besly portò la droga e lo aiutai a rollare qualche spinello. Non ricordo molto altro, tranne che per il momento in cui qualcuno fece partire dallo stereo una vecchia canzone di Phil Collins di cui vagamente ricordo il testo.

  Well, the hurt doesn’t show, but the pain still grows
  It’s no stranger to you and me.

Elena e Steve erano presenti alla festa ed essendo una coppia, stettero insieme tutta notte ed essendo io da solo e triste, li guardavo con malinconia. Steve, delle volte, entrava molto nel dettaglio se doveva raccontare una storia, seguiva un percorso tortuoso, riuscivo a immaginare la punteggiatura nella mia testa e tirava fuori nomi di persone che conoscevamo ma che non mi sarei mai aspettato facessero parte di quelle vicende. Come quando passò la notte con Elena nel dormitorio femminile:
“Eravamo io e lei a letto. Scopavamo di brutto e sai che a Elena vengono quegli acuti imbarazzanti quando è particolarmente eccitata...come quella volta che ha incontrato Stephen King alla macchinetta del caffè, sai, quando è venuto a farci la lettura. Ecco, le esce un acuto talmente forte che, Stacy Williams, la biondina della mensa, te la ricordi? La sua camera è al di là del muro e quindi stava sentendo tutto. Ad un certo punto, entra correndo in camera credendo che qualcuno stesse uccidendo Elena. Aveva in mano una cazzo di mazza baseball e mi colpisce dritto nel culo. BAM. Sulle chiappe. Per fortuna avevamo su il lenzuolo che ci copriva, se no non sarei più riuscito a sedermi su una sedia per il resto della mia vita. Il giorno dopo Stacy non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi, in mensa. Che puttana, non mi ha nemmeno chiesto scusa.”
Io, con la testa tra le mani, annuivo e ridevo, fingendo, ovviamente, di essere interessato alla sua storia. Col passare del tempo, iniziai ad apprezzare di più i racconti di Steve. Mi potevano cambiare la giornata in meglio, se ne avevo bisogno potevo chiamarlo e farmi raccontare qualcosa. Che sia vera o no, una storia di Steve va ascoltata oppure vissuta se ritorno sul discorso dell’AU. Potevamo rivedere qualsiasi ricordo che ci venisse in mente.

Per collegarsi al forum dell’AU, bisognava terminare l’intero tutorial seguendo le indicazioni di Lewis Lynom. Dopo aver dettato il punto di log-in e dopo aver creato la mia stanza privata, Lynom mi insegnò a inviare le richieste di amicizia, a scrivere messaggi privati e come trovare le persone nel programma. La barra di ricerca spuntò davanti a me, all’altezza della mia testa e l’ologramma di una tastiera apparì davanti alle mie mani. Lynom mi disse di scegliere un username a piacere ma non volendo complicare troppo le cose, decisi di scrivere il mio nome. Aiden86. Dopo aver premuto invio, Lewis Lynom mi strinse la mano e mi diede il benvenuto nel programma.
“Che l’orizzonte possa esserti sempre più vicino” mi disse. 
“Ma cosa vorrebbe dire?” Gli chiesi poco prima che ogni centimetro della sua pelle, compresi i vestiti, iniziassero a trasformarsi in minuscoli pixel per poi svanire letteralmente nell’aria, seguito da un leggero fruscio.
“Lo chiederò a qualcun altro!” esclamai. 
Mi trovavo nella mia casetta in legno a Torhop, sul Tanafjorden. Uscii sul balcone e ammirai il paesaggio per qualche istante volendo realizzare che tutto quello che stavo vivendo era reale, o meglio, una realtà virtuale talmente avanzata che a volte dimenticavo di essere ancora vivo e di avere un lavoro, degli amici, un gatto di nome Jackie Brown e una madre che viveva sulla west coast che non vedevo da un anno. 
Mi arrivò un messaggio privato di Steve. Aprii il palmo della mano e su di esso, a qualche millimetro dalla mia pelle, si accese un display. 
“Se hai finito con LL, passa da me”. 
Seguii i suoi ordini e venni trasportato tramite quello che chiamo un ‘buco nero’ anche perché non saprei come descriverlo. In un lampo mi trovai davanti alla porta d’ingresso della stanza di Steve. Una grossa porta in legno con il pomello d’oro, ai miei piedi uno zerbino con scritto ‘scarpe vietate’, perciò me le tolsi.
Steve aveva eseguito qualche cambiamento alla sua stanza, la rese molto più grande. Al posto dell’erba decise di volere la sabbia, provai una bella sensazione ai miei piedi, era calda e il suo colore mi riportò per un attimo in Portogallo, a Cabo da Roca. Trasformò la sua stanza in una spiaggia. C’erano divani e poltrone di sabbia messe in cerchio attorno ad un falò sempre acceso, strumenti musicali sotto gli ombrelloni, impressionanti palme con annesso frigobar alla cima e un bar completamente in legno. Appoggiai le mie scarpe accanto a quelle di Steve e lo trovai sulla sua poltrona rossa, davanti al maxi schermo, dove riconobbi Elena ai tempi del college. Stava riguardando un ricordo, in particolare una partita di bowling datata maggio 2005. Mi sedetti accanto a lui senza dire una parola, gli diedi una pacca sulla spalla per salutarlo e ci guardammo il suo ricordo. C’ero anche io quel giorno. Steve ed Elena mi convinsero ad uscire dalla mia stanza, una sera, e mi portarono a giocare a bowling con loro. Mi venne da ridere vedendo Steve perdere contro Elena e lui rise di me per il modo docile e scoordinato con cui lanciavo la palla verso i birilli. Mi giustificai dicendo di non essere mai stato bravo negli sport e Steve mi diede della femmina e dello sfigato per aver chiamato il bowling uno sport. Elena rimproverò il suo ragazzo per il primo epiteto. Rivedendo il ricordo è chiaro che non stesse difendendo me dall’essere chiamato femmina ma invece non accettò il fatto che il suo sesso venga così dispregiato. Steve si scusò e le diede un bacio prima di segnare uno strike, quello vincente. Alla faccia mia.
“Bel ricordo” gli dissi.
“Grazie, è uno dei miei preferiti.” Disse schioccando le dita. Il maxi schermo sparì come una folata di vento.
“Ah. E come mai?”
“Non lo saprei. Forse per il fatto di averti stracciato.” Mi spinse.
“Tutta fortuna la tua, se mi fossi messo a giocare seriamente avresti pianto”
“Ma non dire cazzate!” Mi urlò e mi lanciò della sabbia in faccia.
Dopo essermi ripulito, seguii Steve al bar e notai che dietro al banco c’era Jennifer Aniston, così le ordinai un mojito. Poggiai il sedere sullo sgabello.
Jennifer prese la menta in mano e Steve andò a scegliersi una chitarra.
“Perché Jennifer Aniston mi sta facendo un mojito? E perché indossa il più piccolo dei bikini?” Chiesi a Steve che teneva in mano una bellissima Gibson SJ-200.
“Perché questo è un mondo migliore Aiden, il mio volere è uno script di Java.” 
“Ma che belle parole” dovetti riconoscerglielo. Mi sedetti sullo sgabello e lo guardai suonare I’ll Be There for You a Jennifer che completò il mio mojito. Ci scolammo i drink e salutai Rachel e le chiesi se veramente lei e Ross erano in pausa ma non ha saputo rispondermi. 
Steve aprì la mappa dell’AU sul palmo della sua mano. Era palesemente l’isola di Manhattan e lèssi sopra Central Park la scritta ‘Forum’.
“Stammi vicino” mi disse. Appoggiai la mia mano alla sua spalla, appena il suo dito toccò la scritta, svanimmo nel nulla seguito da un lampo, esattamente come Lewis Lynom fece davanti a me. Il programma ci fece catapultare a Times Square a New York, davanti ad un palo con quattro cartelli che segnavano a nord la Piazza Rossa di Mosca, a ovest piazza Tienanmen, a est la Macroplaza di Monterrey e il centro di Tokyo a sud. Attorno a me un assembramento di voci, gente che correva, che saltava, che rideva. Palazzi altissimi costeggiavano le strade, quasi non riuscivo a vederne la fine. All’orizzonte, davanti a me, riuscivo a intravedere i pinnacoli della cattedrale di San Basilio e Steve mi urlò di seguirlo in mezzo a quella calca di persone senza apparente meta. 
“Questo è il forum?” Gli gridai. Sopra la mia testa, un trampoliere mi scavalcava seguito da altri trampolieri che raggiungevano l’altezza di ben venti metri. Si stavano divertendo da matti. 
“È solo il punto di caricamento, non fermarti!” Mi urlò Steve che era davanti a me di qualche metro e guardava il palmo della sua mano senza che nessun ologramma fosse presente. Pensai che probabilmente fosse in modalità privata cosicché nessuno poteva leggere ciò che vedeva lui. 
Alla mia sinistra, un gruppo di donne atterrò col paracadute sul retro di un furgone e tutto sparì in un lampo lasciando spazio ad un bambino con una dozzina di cani e gatti attorno a lui che correvano nella direzione opposta alla nostra. Attraversammo la 49a strada e osservando sulla destra, sempre all’orizzonte, notai delle montagne russe ridicolmente alte. Sulla sinistra la strada era chiusa per lavori, dietro ai cartelli vi erano cumuli di macerie di edifici abbattuti in chissà quale modo. Steve mi prese la mano e mi tirò verso di se. Non riusciva a comprendere che vedevo quel posto per la prima volta, che non era la New York alla quale ero abituato.
“Mi spieghi dove dobbiamo andare?” Gli urlai nell’orecchio. Il frastuono era tale da coprirmi la voce e tutti i miei pensieri. 
“Dobbiamo salire. Ti faccio conoscere un po’ di amici!”
“Salire dove” Le mie urla graffiavano la gola e non ebbi tempo di aspettarmi una risposta che Steve fece un salto e sparí in aria ad una elevata velocità. Non potevo credere ai miei occhi, scomparve oltre la cima di un grattacielo e rimasi immobile quasi come se il mio cervello si fosse offuscato e cercasse una spiegazione ragionevole a ciò che abbia appena visto. Mi guardai attorno, vedevo solo facce estranee e divertite. Mi appoggiai ad un muro, sul lato della strada, volevo sparire da quel posto e ritrovare il silenzio a cui sono abituato. 
Ma Steve tornò, trasformandosi dall’apparire come un punto nel cielo alla sagoma di un uomo, cadendo in posizione eretta davanti ai miei occhi. I suoi piedi toccarono terra e mi disse qualcosa spazientito, purtroppo l’udito era andato letteralmente a puttane, mi prese la mano, piegò leggermente le ginocchia e saltò di nuovo. 
Sentii il suolo staccarsi dai miei piedi e appena puntai gli occhi verso il basso, la strada su cui camminavo diventava sempre più piccola e lontana, come tutte le persone ammassate tra loro. Mi sentivo leggero, senza peso. Una forza a me sconosciuta lanciò Steve e me in aria ad una velocità assurda. Riconobbi il mio riflesso e quello del mio amico sulle finestre a specchio del grattacielo che stavamo salendo perpendicolarmente. Urlai, Steve mi guardò dall’alto ridendo. Arrivammo finalmente alla cima del palazzo e finalmente il peso del mio corpo ritornò ad essere normale. Sul tetto riconobbi le sagome di altre persone, poi il luogo attorno a loro mi sembrò prendere forma. 
Steve mi lasciò la mano appena i nostri piedi toccarono il suolo. Lui andò avanti mentre io mi accasciai per qualche secondo, toccando il pavimento freddo, molto grato di essere ancora intero. Mi tirai su e guardai Steve avvicinarsi ad un gruppo di persone sedute a dei tavoli, dando il cinque a tutti. Deglutii e camminai barcollando verso la loro direzione.
Quel posto era interessante. I tavoli erano sotto degli ombrelloni multicolore e alle spalle di quelle persone, vi erano quattro arcade molto vecchi. Riconobbi Pac-Man e Sonic poiché erano gli unici che conoscevo. Non c’erano mura attorno ma una lunga siepe, ben curata e verde che delimitava il perimetro di quell’attico. Una radio emetteva della musica in sottofondo e un gatto nero, accomodato sulle gambe di una ragazza, mi giudicava con gli occhi socchiusi.
“Chi è quello?” Sentii quella voce farsi sentire più delle altre e tutti rimasero in silenzio, guardandomi. Forzai il mio sorriso migliore.
“Lui è il mio migliore amico, Aiden, è ancora un novellino. Siate buoni”. Mi avvicinai ai tavoli. Erano tutti più giovani di me di almeno dieci anni o così sembrava, li salutai con un cenno della mano e Steve mi fece sedere accanto ad un giovane coi capelli rasati. 
“Io sono Jonathan. Piacere” gli strinsi la mano.
“Che cos’è questo posto?” Chiesi ottenendo l’attenzione di tutti.
“Ma come Steve, non gli hai detto niente?” Davanti a me una donna con una piccola cicatrice sulla guancia destra sbatté il pugno sul tavolo guardando Steve.
“È più divertente così, fidati!” Allargò le braccia e andò a giocare agli arcade. La donna sbuffò.
“Io mi chiamo Debbie, piacere. Questo, Aiden, è il Covo della Cinquantesima. Il nostro punto di ritrovo.” Piroettò entrambi gl’indici volendo indicare tutti i presenti. 
“E quello è l’unico modo per salire?” 
“No, c’è l’ascensore” rispose dietro di me un’altra ragazza di cui non notai la presenza all’inizio.
“Aiden giusto? Michelle” mi diede la mano, la strinsi debolmente. Non superai ancora lo shock di pochi attimi fa. “Dove ti colleghi?” Mi domandò spostandosi la treccia bionda dal retro della sua testa alla spalla. 
“Io sono di New York. E voi?”
Steve abbandonò un arcade dopo averci giocato per pochi secondi, imprecando, e si abbandonò su una sedia. 
“Intende dire dove hai la casa nel programma” mi disse. 
“Oh, ma certo. Norvegia, vicino ad un villaggio chiamato Torhop, sulle rive di un fiordo.”
“Wow” esclamò Jonathan tirando una striscia di cocaina. Cercai di non guardarlo mentre lo faceva, Michelle mi fissava imperterrita. 
Volendo continuare le presentazioni, puntai lo sguardo sul tipo col cappello di paglia, dread  e canottiera che leggeva un grosso libro.
“Lui è Roger” mi disse Debbie “è muto ma molto simpatico”.
Infine, i miei occhi caddero sulla ragazza col gatto. Sembrava non essersi accorta della mia presenza poiché continuava ad accarezzare il felino. Jonathan si alzò e si diresse verso Steve che gli chiese una striscia e lo guardai con rabbia. Michelle si sedette al posto di Jonathan, osservando il mio sguardo su quella ragazza.
“Puoi parlarle! È solo timida, come te!” Mi bisbigliò nell’orecchio.
“Ma io non sono timido”. Il suo sopracciglio si alzò.
“Ti mostro”
Steve tirò su di naso e si alzò in piedi, facendo cadere la sedia all’indietro. 
“E che cazzo!” Gridò. Lo ignorai e mi avvicinai a quella ragazza.
Aveva i capelli neri, lisci e lunghi fino alle spalle. Appena alzò gli occhi su di me notai il suo colore, un intenso grigio nel quale riuscivo a distinguere la mia sagoma. Sorrise e non trovai nessuna parola, la mia bocca si aprì ma non uscì niente. 
“Puoi accarezzarla se vuoi. Si chiama Ethel”. Disse infine.
Con lentezza allungai la mano e passai le dita sul pelo della gatta. Era morbida e le sue fusa mi intenerirono del tutto. Il delicato suono gutturale che emetteva ad ogni suo respiro, i suoi occhi socchiusi, la lunga coda che seguiva la forma del suo corpo mi ricordavano il mio gattino, Jackie Brown, che amavo più di me stesso. Era a suo agio, nulla al mondo l’avrebbe smossa da quella posizione. Mentre passavo il dito sulla zampina di Ethel, tornai a guardare la ragazza che osservava attentamente i miei movimenti.
“Io sono Aiden. E tu?” Lei sorrise. 
“So chi sei, Steve ci ha parlato molto di te. Io sono Anna.” Ci stringemmo la mano. La sua era calda, la mia fredda. Mi diede sollievo.“Ah si? E che vi ha detto su di me?”
“Ha detto che siete amici dall’università e che sei uno scrittore” 
“Tecnicamente non lo sono ancora ma ci sto lavorando”

Quando a sedici anni, il mio medico curante, mi prescrisse per la prima volta gli antidepressivi, la mia mente era in un posto buio e tenebroso, niente mi suscitava curiosità e la vita non era poi così buona con me. Dunque, essendo in uno stato catatonico con l’ansia che mi assaliva ogni giorno per futili motivi, anche i miei racconti divennero sempre più dark e controcorrente. Le parole che utilizzavo sconvolgevano il lettore che veniva immerso in quei mondi molto simili al nostro ma che risultavano senza speranza e dimenticati da Dio, o qualcosa del genere.
A Elena piacevano quegli scritti. Certo, li trovava logoranti e politicamente scorretti e anche un po’ strani dal punto di vista umano ma adorava la loro  struttura, mi invogliava a scrivere di più, mi aiutava a trovare le parole giuste per trasportare le immagini, che vedevo del mio subconscio, su carta e creare trame sempre più complesse.
Riuscii a pubblicare dei capitoli su dei magazine dedicati a tema horror e il mio editore e manager ai tempi, Mark Quinson, il quale mi scoprì su internet dopo aver letto qualche trafiletto dal mio blog che aggiornavo settimanalmente, mi dedicò molto del suo tempo riguardo al tipo di scrittore che sarei dovuto diventare. Mi fece leggere molti libri autobiografici di scrittori e registi del passato per farmi un’idea di come la vita giochi scherzi di merda affinché uno possa reagire nel modo giusto. Quando venne pubblicato “Everywhere at the End of Time” sul ‘New York Times’, un breve racconto horror introspettivo che celava la mia incomprensione per la vita e soprattutto parlava della fine del mondo moderno poiché la guerra nucleare sterminò tutta la popolazione mondiale, il mio malessere raggiunse il picco. 
Ero all’ultimo anno di università e mi ero distanziato dagli amici, dalla famiglia e dallo studio. Non praticavo più esercizio fisico, non riuscivo più a leggere, evitavo il contatto fisico ed emotivo con chiunque e alla fine decisi di finirla lì, tagliandomi i polsi come un codardo, nel bagno della 109, la stanza che io e Steve condividemmo al college. Che cosa mi portò a quel gesto? Come avrei potuto evitarlo? Everywhere at the End of Time poteva avere un finale diverso, quindi con uno spiraglio di luce in fondo a quel tunnel dell’orrore?
 Mi salvarono in extremis, dopo aver perso litri di sangue, contro la mia volontà. In ospedale mi diedero l’aiuto che mi serviva e anche se la convalescenza risultava più lunga del previsto, riuscii a laurearmi in lettere. Avevo tutti al mio fianco, tutti coloro con cui ho ricordi bellissimi, di cui non potrei farne a meno e proprio non capisco come possa non essermene reso conto prima di diventare ‘quello che cercato di uccidersi nel bagno della 109’. 

“Come mai la Norvegia?” mi chiese Anna che giocava con le orecchie della sua gatta. Mi grattai la fronte.
“A dire il vero, non lo so. È un posto lontano, silenzioso e poco abitato, per questo mi piace. Tu invece?”
Mi ascoltava con un accenno di sorriso e non potei far altro che emularla.
“È un po’ una sorpresa. Nessuno l’ha mai visto. Devo essere sicura di quello che ho creato, ma a Ethel piace...vero piccolina?” Alzò la gatta al livello del suo viso e Ethel le leccò la punta del naso.
“Cambierei ancora qualcosa” disse Ethel. Io la guardai con sgomento.
“Ethel parla?” Chiesi ad Anna che non fece in tempo a rispondere poiché la gatta si dimenò dalla presa della sua padrona per saltare sul tavolo. Si stiracchiò le zampe posteriori e prese a fare stretching.
“Certo che parlo. Secondo te la mia Anna non mi avrebbe dato una voce?” Guardai Anna che mi fece spallucce.
“Non sapevo che gli animali potessero parlare nell’AU! Ti chiedo...scusa.” Mi resi conto di aver chiesto scusa ad una gatta che mi rispose con un inchino. Non dissi più niente. Era così strano parlare con un gatto, la sua voce era piccola e i movimenti così innaturali per un felino. Sgranai gli occhi e li puntai su Steve che mi guardava ridendo.
“Devi vedere la tua faccia” mi disse. 
“Dovresti vedere la tua” gli risposi. Sembrava sciupato e stanco. La cocaina, come tutte le altre droghe e l’alcol non hanno effetto dentro al programma, ma crea solo l’illusione di essere sotto stupefacenti. Ogni tanto ci fumavamo qualche canna io e Steve e il programma mi rallentava, quasi impercettibilmente, i riflessi, i colori erano più saturi e, in un certo senso, i pensieri scivolavano nella mia testa come gocce d’acqua su un finestrino di una macchina in autostrada.
Debbie, temo si stesse annoiando, prese la parola e aggiunse di volere visitare la mia stanza, tutti gli altri concordarono con lei e in un attimo mandai l’invito a tutti i presenti. Uno per volta sparirono nel nulla, seguiti da piccoli lampi di luci. Prima Debbie, poi Jonathan, Michelle e Steve. Roger rimase a leggere il suo librone senza alzare lo sguardo . Anna rimase un po’ a discutere con Ethel del perché lei non poteva venire con noi e che l’avrebbe raggiunta nella loro stanza, più tardi.
Ethel mi squadrò da capo a piedi, mi fece la linguaccia e infine prese fuoco. Le sue ceneri volarono in aria e guardai inorridito Anna.
“Tranquillo, sta bene. Andiamo?” 
“Ok” deglutii e sparimmo dal quel luogo in un lampo.

La spiaggia di Torhop era silenziosa, proprio come la descrissi ad Anna poco prima. Il cielo azzurro e il sole alto, un leggero vento estivo. Tutto rendeva quella giornata perfetta per essere passata in compagnia.
“È un posto meraviglioso Aiden” mi grido Debbie che correva con Michelle sulla riva, bagnandosi i piedi nudi. 
Jonathan e Steve entrarono nella mia casa e non uscirono da lì dopo ore.
Anna e io, invece, ci sedemmo sulla sabbia a guardare il mare in silenzio. Potrebbe sembrare un cliché ma non ci servivano parole, anzi, in qualche modo ci capivamo solo tramite i nostri timidi sguardi. Lei mi piaceva, la sentivo simile a me, non c’è altro da dire su quei sentimenti verso una mezza sconosciuta.
Sopra il rumore delle onde e del vento, la voce di Anna squillò nella mia testa.
“Vuoi fare un giro in mongolfiera?”
“Hai una mongolfiera?” Le chiesi.
“Certo, l’ho comprata! A caro prezzo oserei dire. Allora?”
“Assolutamente si” 
Anna si alzò in piedi, aprì il suo inventario oleografico e materializzò come per magia, un’immensa mongolfiera rossa a pochi metri da noi. 
“Andiamo” allungò la sua mano, la afferrai e mi tirò su in piedi. 
Il cesto era abbastanza spazioso per due persone e la gola, cioè il buco alla base del pallone era largo il doppio. Il bruciatore sparava aria calda dentro al pallone ed eravamo già pronti per salire.
“Sei capace di guidarlo?” Le chiesi.
“No.” Mi rispose con tutta la sincerità del mondo
“Si guida da sola. Rilassati” disse quando il cesto si staccò dal suolo. Debbie e Michelle ci guardavano dalla spiaggia e ci salutarono. Pochi secondi dopo apparve una seconda mongolfiera, questa volta blu, a pochi metri dalle due ragazze. Anna mi osservava, sentivo i suoi occhi addosso. Non so cosa volesse captare ma ero sia affascinato che terrorizzato dall’idea di una mongolfiera con l’auto pilota.
Raggiungemmo un’altezza incredibile e potevo notare benissimo il disegno che il fiordo creava. 
“È ora” gridò Anna. Si aggrappò alle funi che teneva ancorato il pallone al cesto e si sollevò in piedi sul bordo.
“Ma che fai?” Le urlai. Invece di rispondermi, Anna mi allungò di nuovo la sua mano. Dopo aver esitato, la presi, aiutandomi anche con le funi e tastai con cura i piedi sul bordo di ferro. Sentivo il calore del bruciatore riscaldarmi le spalle e la testa e più guardavo in basso, più il sudore mi bagnava la fronte.
“Sii concentrato su te stesso e non su quello che ti sta attorno” mi disse Anna.
“E come?” Strinsi di più la sua mano.
“Fa’ quello che faccio io” e fece il passo nel vuoto tirandomi con se.
Iniziai ad urlare, sprigionando tutta l’aria che avevo nei polmoni. Io e Anna stavamo cadendo almeno da dieci mila metri di altezza e non c’era nulla che poteva fermarci, nulla di ovvio.
Anna prese entrambe le mie mani e le strinse forte. La nostra caduta decelerava e la frizione del vento diminuiva. 
“Immagina di volare” mi gridò Anna in faccia. Eseguii i suoi ordini e mi spremetti le meningi per cercare di visualizzare nella mente l’immagine astratta della parola volare. 
Mi sentii strattonare e l’aria mancare. Ci fermammo a mezz’aria, a chissà quanti metri di altezza. Anna mi guardava e assicurò che tutto sarebbe andato bene. Mi disse di aprire gli occhi e quando lo feci la vidi sorridermi. Eravamo fermi, in aria. Accanto a noi saliva la mongolfiera blu di Debbie e ci salutarono.
“Stai volando Aiden! Stai volando!” Mi gridò Michelle.
Dal mio petto uscì una piccola luce che si trasformò in una grossa coppa argentata, sollevata sopra la mia testa. Sotto di essa, apparve la scritta “sto volando Jack” e mille punti AU. La coppa svanì dietro centinaia di piccoli fuochi d’artificio e per finire, uscì la scritta in oro “il trofeo è stato aggiunto al tuo inventario”.
Porca puttana, stavo volando! Feci qualche piroetta in aria e Anna rise divertita, emulandomi poco dopo.

Passai la giornata a volare con Anna e a divertirmi con gli altri fino a quando dovetti effettuare il log-out dal programma.
Andai a letto con l’immagine del sorriso di Anna nella testa, sorrisi anch’io e chiusi gli occhi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Sedevo alla mia scrivania. Le dita battevano sulla tastiera. Ad ogni paragrafo completato, alzavo lo sguardo sulla finestra davanti a me. Tra le calme acque del fiume Hudson trovavo le parole adatte a ciò che componevo. Le mattinate le passavo tra silenzio e alta concentrazione e più andavo avanti nel processo creativo, più quella finzione trovava modo di celarsi nella realtà; riuscivo a immedesimarmi nei personaggi e nelle loro vicissitudini, qualsiasi scrittore di qualsiasi rango dovrebbe avere la capacità di poterlo fare, ma avendo un aiuto implementare quale era l'AU, la qualità del prodotto finale divenne di media, superlativa. Le mie idee, dentro al programma, prendevano vita proprio come in primavera sbocciavano i fiori e non potevo desiderare di meglio. Tuttavia, le giornate passavano troppo in fretta e per chissà quale motivo i miei attacchi d'ansia moltiplicarono quasi trasformandomi in un uomo timoroso della vita e delle relazioni. Steve era uno dei mille motivi delle mie ansie, non che gli dessi la colpa o che la nostra fosse un'amicizia tossica, anzi, se non fosse per lui sarei gia morto da tempo, ma delle volte mi fa veramente incazzare per come si comporta e per come mi tratta. 

Il giorno del mio compleanno, eseguii il log in nell'AU alle otto del mattino (avevo il giorno libero) e impostai il log out automatico, una delle nuove funzioni ottenute dall'ultimo aggiornamento, esattamente alle otto di sera. La GlassCon suggeriva sin dall'inizio un uso responsabile dell'AU per gli utenti. Per ogni effetto negativo, collaterale, sulla persona causato appunto da un utilizzo scorretto e molto prolungato del programma, con la pena in aggiunta di aver ignorato ogni sollecitazione a riguardo, l'azienda non poteva essere denunciata in nessun modo. 
Quindi, o seguivi le loro indicazioni oppure ti facevi friggere il cervello.

Poichè nel programma il tempo passava molto più lentamente, constatai che dodici ore del tempo reale equivalevano a circa trentasei ore virtuali e ciò poteva seriamente infliggere tanta confusione e fatica al nostro povero cervello. 
Malgrado tutto questo, passai il compleanno più lungo della mia vita, forse il migliore degli ultimi vent'anni.


Aprii la scatoletta targata AU e con cura indossai le lenti a contatto opache. Appoggiai la testa al cuscino e ad alta voce esclamai "LUX"
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi i miei occhi si accesero. Una luce forte, bianca, mi corse incontro travolgendomi. Strizzai gli occhi e captai dei piccoli movimenti. Piccole linee comparivano dal nulla, disegnando nero su bianco, in tre dimensioni, la forma di un divano, poi un tavolo e infine una parete che diventò una stanza con finestra. Ad ogni linea si aggiungeva un'altra linea. Si dividevano, zigzagavano, salivano, scendevano, curvavano. Si aggiunsero i minuscoli dettagli ai colori e tutto divenne più nitido seguito da un rovente scoppiettio di un camino o rami secchi calpestati in un bosco. Fuori dalla finestra vedevo le stesse linee dividersi e moltiplicarsi disegnando un paesaggio costiero, il mare fino all'orizzonte e infine le nuvole e il sole. Tutto veniva disegnato e riempito di colore, il Tanafjorden prese vita.

Per prima cosa controllai la posta. Oltre i vari messaggi giornalieri dell'AU circa promozioni e sconti su qualsiasi gadget inerente al programma, ne trovai uno di Steve con un video in allegato, lo selezionai.
Il filmato, girato la sera prima, mostrava Steve al concerto di un Dj apparentemente famoso ed era completamente impazzito. Urlava, saltava e mandò a quel paese varia gente ammassata attorno a lui. La telecamera sembrò essere volante poiché le inquadrature parvero terribilmente fluide in confronto all'ambiente circostante. Chiusi il video a metà promettendomi di finirlo prima dell'arrivo del mio amico. Controllai se fosse online ma non vi era nessun pallino verde accanto al suo nome.
Nella "Sala dei Trofei", che era solo una lunga lista di traguardi non ancora raggiunti, ritrovai la coppa argentata che ottenni quando Anna mi insegnò a volare dopo essermi buttato dalla sua mongolfiera. Guadagnai mille punti AU che potevano essere spesi in numerosi oggetti rari e interessanti. Feci un giro tra i vari prezzi e trovai la mongolfiera che costava cinquemila punti. Gli animali costavano dai duemila per i pappagalli ai cinquantamila per i leoni, gli animali più costosi. I gatti valevano diecimila punti. 
Per le modifiche bisognava pagare un incentivo di cinquemila punti per poi spostarsi all'editor e sceglierne il sesso, il timbro della voce, nome e, cosa più importante di tutte, il carattere. 
Anna spiegò che la sua gatta, Ethel, era sia dolce e premurosa che incredibilmente testarda e viziata. Le piaceva discutere con lei di qualsiasi cosa, esplicava concetti fuori dal comune e cantava benissimo. Mi sarebbe piaciuto avere una scimmietta, come quella di Ross in Friends, gli avrei dato la voce di Kevin Hart e una nuova casa. Non credo che possa gradire un fiordo norvegese ma se ne riparlerà un'altra volta.

Anna è online.
Guardai la sua foto per qualche secondo. Si, le avrei scritto qualcosa, ma cosa?

Avrei passato volentieri tutto il giorno con lei e giocare, ascoltare musica e ballare, leggerle dei versi dalle mie poesie preferite e dedicarle a lei, disegnarla su un foglio bianco e renderla mia. Lo avrei fatto, si, ma una cosa è dire, un'altra cosa è fare. Mi massaggiai le tempie assicurandomi che tutto quello che sentivo dentro di me era solo una fugace idea del mio ego: io vorrei, io farei, ecc...
Non so cosa mi prese veramente di lei, forse il suo silenzio in mezzo alla folla o il fatto che abbia una gatta parlante, ma aggiunse dei motivi nelle mie giornate, degli scopi quasi irraggiungibili prima di conoscerla. Come se Anna fosse una goccia di colore incandescente in un lago salato di grigia monotonia, la mia vita. Sarà stato solo l'estasi di aver conosciuto persone nuove e particolari, ma non riuscivo a pensare ad altro se non ai suoi capelli neri e alle sue pallide guance.

Ma lei cosa vuole?
Forse niente.
"Aiden, l'hai conosciuta l'altro ieri!" Diceva così una voce dentro la mia testa.
"Lo so!" Dissi. "Invece di continuare a pensare a lei, potresti farmi dormire".
Le avrei davvero scritto qualcosa...se non mi avesse scritto prima lei.




- § -



Feci qualche cambiamento nella mia casa a Torhop.
Aggiunsi un intero piano suddividendolo in due ampie stanze: un ufficio con computer, uno scaffale ricolmo di libri di racconti e poesie scritte e lette nell'arco di tutta la mia vita; l'altra invece diventò un salottino, molto più grande di quello del pianoterra che diverrà probabilmente una sala giochi.
Aggiunsi tre divani e altrettante poltrone con un bel tavolo in vetro al centro, poi un Picasso, un Van Gogh e un Monet appeso alle tre pareti e un largo terrazzo con vista  sulla quarta parete. Fatemelo dire, come interior design facevo pena ma quell'habitat mi era gradevolissimo. 
Nell'ufficio avrei passato la maggior parte del mio tempo a scrivere, rileggere i miei vecchi lavori e correggerli se mai avessi avuto la voglia. Pensai che quel luogo avrebbe migliorato la mia creatività e il programma mi avrebbe aiutato a visualizzare la storia e commettere meno errori circa la narrativa, la descrizione dei personaggi e le loro emozioni.
Scesi di sotto e agguantai il primo libro che mi capitò, Joyland di Stephen King. Uno dei miei preferiti.
Mi sedetti sulla poltrona accanto a me e dalle impostazioni attivai il "Connettore di Memorie" e iniziai a leggere le prime pagine. Devin Jones, il protagonista, uscì da un flash di luce bianca incandescente davanti a me, esattamente come me lo stavo immaginano. Si guardava attorno senza apparenti espressioni. Sfogliai lei pagine e mi concentrai leggendo le descrizioni degli altri personaggi. Devin sparì dando posto a Erin, sua amica e collega a Joyland. I suoi capelli rossi, corti e gli occhi versi mi fecero capire quanto fosse importante per il mio lavoro un'applicazione del genere. Immagini i più grandi letterati del mondo, registi, pittori e artisti di qualunque tipo usare questa funzione dell'AU per ottenere la Creatività Assoluta, che desideravo più di ogni altra cosa.

Steve entrò sbattendo la porta e la sua attenzione cadde su Erin e la sua corta gonna verde che lasciava vedere le gambe chilometriche e annuì con un ghigno quasi macabro.

"Carina, chi è?" Erin sparì in un fascio di luce.
"Hai presente il connettore di memorie?"
"Quello che ti aiuta a ricordare? E Allora?" gli puntai un indice.
"Con quello posso vedere ciò che leggo, ma molto più importante, ciò che scrivo."
Steve sorrise e iniziò a scorrere tra i suoi messaggi privati guardando lo schermo olografico sul polso.
"Vale anche per i porno?" chiese.
"Penso di si...Ho aggiunto un piano, lo vuoi vedere?
"Non abbiamo tempo adesso. Ti devo parlare" chiuse l'ologramma e diventò serissimo. Lo spinsi su per le scale e ci sedemmo sui divani nuovi, lui in verità si buttò come un sacco di patate, sdraiandosi. Si guardò attorno velocemente.
"C'è molta più luce...quello è un Van Gogh?" recensì così il mio creato.
"Allora, di cosa mi devi parlare?" 
Steve sospirò.
"Ti ricordi di Elena, no?" 
Quasi mi venne da ridere. Stai per caso parlando della ragazza che non solo mi conquistò il cuore ma tutta l'anima? La stessa Elena con cui, per colpa tua, non riuscii mai a dimostrarle ciò che avrei dovuto riguardo i miei sentimenti, quindi, lasciandola a te, che le spezzasti il cuore dopo soli due anni di matrimonio?

"Si" mi uscì piuttosto aspro.
"Beh, mi ha mandato un messaggio qualche giorno fa. Vorrebbe una rimpatriata. Ci stai?"
"Qualche giorno fa? E non me l'hai detto? Ma...ma per quale motivo?" iniziai a iperventilare.
"Ma ti vuoi calmare" mi gridò.
"Rispondi e basta!" gridai più forte.
"Ma il motivo non lo so, ce lo dirà lei stessa a quanto pare, oggi, nella mia stanza"
Balzai in piedi
"Oggi!?" presi a camminare in circolo attorno ai divani grattandomi il mento.
"Si oggi. Quindi ci sarai?"
"Certo che ci sarò" mi sedetti di nuovo.
"Bene, le mando un messaggio" riaprì di nuovo i messaggi privati con un gesto della mano e scrisse su una tastiera volante.
Premette invio.
"Non hai in mente niente che possa farci intuire il motivo della sua visita?"
"A parte il tuo compleanno? No. Siamo suoi amici, è questo il motivo Aiden" 
Lo guardai con così tanta ironia che lo feci alzare. 
"A proposito, buon compleanno" disse. Si sedette accanto a me, appoggiò la testa sulla mia spalla e mi strinse tra le sue braccia. In silenzio.
"E' in giorni come questo che ricordo quanto io sia fortunato a chiamarti mio fratello".
Dopo aver rialzato la testa e nascosto un piccolo sorriso, aprì il pannello dei profili e cliccò sul mio.

Impostazioni Utente.

Invia Regalo.

100.000 Punti AU

Invia.

"Ho racimolato questi bei soldini facendo praticamente tutto quello che c'era da fare in questo programma, voglio darli a te"
"Wow, non so cosa dire. Steve, sei sicuro?" Lui annuì.
"Grazie bello, li userò per qualcosa di speciale" Già immaginavo la mia scimmietta sulla spalla che mi raccontava di quanto fosse assurdo Tarzan.
"Fanculo le specialità! Usali e basta." Disse alzandosi in piedi. "Ehi, hai visto il video che ti ho mandato?
Mi arrivò la notifica del trasferimento dei punti AU sul mio conto.
"Non proprio"
"Sfaticato! Verso gli ultimi dieci secondi del video riesci vedere un astronave aliena che mi tira su in aria!"
"Ti hanno rapito gli alieni?"
"Per così dire..." uno spinello si materializzò tra le sue labbra ed uscì sul terrazzo.
Lo seguii e rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Ci godemmo l'erba virtuale e la vista. Pensai ad Elena, poi ad Anna e infine ad Elena di nuovo. Chissà cosa ci avrebbe detto.



- § -


Steve decise di tornare nella sua stanza. Io mi sedetti al computer e aprii l'ultimo file salvato. Erano le nove e mezza e scrissi per almeno tre ore, era la prima fase di scrittura perciò ogni frase che mettevo giù era provvisoria, l'avrei editata affinché diventasse una lettura interessante. 
Inviai il capitolo a Steve che leggeva davvero ogni storia che scrivevo ma non era propenso a seguirle attentamente. Delle volte mi chiedeva di scrivere di lui, di renderlo un eroe. Gli rispondevo che doveva leggere usando la testa, che basandomi su persone reali dei quali conoscevo ogni dettaglio della loro vita, riuscivo a creare dei personaggi bizzarri e interessanti. Steve era dappertutto ma se non riusciva a cogliersi tra le pagine che leggeva, il problema era suo. Uno scrittore non può dire troppo delle sue creazioni, rovinerebbe l'emozione della lettura. 
Ma chi legge più per l'emozioni? O per il piacere di farlo? Persone del genere sono rare, se ne conoscete qualcuno, tenetevelo ben stretto, sono fonti illimitate di sapienza e divertimento.

Aggiunsi un giradischi sul tavolo al secondo piano. Nella biblioteca musicale gratuita del programma, trovai un vecchio vinile di Tom Waits, Used Songs, i miei occhi brillarono.
Tom cantava e io riposavo la mente finchè un messaggio di Steve fece squillare il mio polso.
Aprii le notifiche e vi era un messaggio di Steve.
Diceva solo "Muoviti" e così feci.
L'ansia mi assalì come quando la campanella a scuola segnava l'inizio delle lezioni e già alla prima ora c'era in programma il test di matematica e non avevo studiato. 
Mi teletrasportai all'entrata della stanza di Steve, tolsi le scarpe che le aggiunsi all'inventario e varcai la soglia. 
Non c'era nessuno a parte Jennifer Aniston al bancone del bar mentre puliva i bicchieri e canticchiava spensierata. Camminai verso di lei, la sabbia ai miei piedi era perfettamente tiepida e il sole accecante mi convinse a togliermi la maglietta. Jennifer mi chiamò a se, chiese se volessi divertirmi con lei. Le dissi no, immaginai il tipo di divertimento che offriva ma ignorai ogni avance. Dedussi che i bot o NPC erano stati creati appositamente per uno scopo, cioè servire gli utenti secondo il loro volere, bello o brutto, qualunque esso sia.

"Oggi mi sento Hemingway" le dissi con un mezzo sorriso.
"Vuoi morire o vuoi un mojito?" 
"Mmh, decisamente un mojito"
"Ottima scelta Aiden" rispose mettendosi al lavoro.

Tagliò a cubetti due fette di lime e con lo zucchero di canna li versò nel bicchiere, con il pestello amalgamò il contenuto ottenendo un succo più dolce che aspro.
Annusò la menta e la spezzettò dentro al bicchiere, aggiunse il ghiaccio a cubetti (il vero mojito si fa con il ghiaccio a cubetti e non tritato come lo fanno in Europa. E' buono lo stesso se fatto bene, ma diventa tutto un casino verso la fine. Per esperienza personale, non riuscivo mai a capire quando effettivamente finivo il drink.) tre dita di rum scuro e uno di chiaro, top di soda e cannuccia. Mescolata tattica e infine me lo servì con una ciotola di Doritos piccanti. Lo assaggiai. 
Mi diede un piacere estremo. Buonissimo, alzai il bicchiere in onore delle mani di Jennifer. Lei fece un inchino.
Steve invece, mi tirò un coppino.
"Ahia, sei deficiente?"
"Oh, chiedo scusa, sei diventato sordo? Ti ho chiamato tre volte. Dovresti prendere un po' di sole, sembri un cadavere." Non aveva tutti i torti, scavalcò il bancone con un balzo e baciò Jennifer con così tanta foga che persero entrambi l'equilibrio e caddero a terra.
Si rialzarono pulendosi i lati della bocca.
"Ci voleva" disse lui.
"Era da immortalare"
Si sedette sullo sgabello accanto al mio e mosse la mano davanti a se. Un orologio al neon comparì davanti a noi. L'una e venti. Ripeté il gesto con la mano e l'orologio sparì, poi rivolse il suo sguardo su di me.
"Allora, che ne pensi di Anna? E' single, sai." Io esitai. 
"Simpatica" annuii e bevvi un sorso di mojito che mi diede la forza.
"Simpatica? Sei proprio scemo" Mi prese il bicchiere dalle mani e se lo bevve tutto. Ne ordinai altri due.
"Si, è molto simpatica e credo che un giorno, prima o poi, ti possa rimpiazzare." captò la mia ironia.
"Lo spero per te, davvero. Te la meriti una sana di mente"
"Che cosa vorresti dire?"
"Mm, non lo so, parole al vento"

Jennifer ci piazzò i bicchieri davanti, brindammo alle donne che mandavano avanti il mondo, quelle al potere, quelle senza privilegi, quelle sane di mente e quelle pazze, belle, brutte. Brindammo a Jennifer e al suo mojito quando notai che spostò lo sguardo in un punto dietro di noi.
"Steve, abbiamo visite" disse Jennifer. Ci girammo entrambi a vedere.

Una donna con le scarpe in mano, una camicia blu e jeans entrò nella stanza. Aveva i capelli rosso fuoco, lunghi fino alle spalle e con l'outfit con cui si presentò, sembrava che emanassero luce propria. Si continuava guardava in giro poi puntò gli occhi su di noi. Steve svuotò il bicchiere e si alzò dallo sgabello. Cadde un silenzio innaturale sulla spiaggia. Le corse incontro e si abbracciarono a lungo. Mi alzai anche io dallo sgabello e li aspettai in silenzio. Si scambiarono qualche parola che non riuscii ad udire poi i suoi occhi caddero su di me e un calore inaspettato mi avvolse tutto il corpo, come se quegli occhi mi avessero acceso una fiamma dentro. 
Elena Rogers venne ad abbracciarmi. Le toccai i capelli e le presi la mano, me la strinsi al petto. Era bellissima, lo è sempre stata.
"Ciao Aiden" disse timidamente, la sua voce non cambiò affatto dopo tutti questi anni. Passò le sue dita tra i miei ricci, esattamente come faceva a scuola ogni mattina. 
"Ciao Elena" le dissi sorridendo. Mi persi qualche istante di coscienza e tutti i suoi ricordi mi riempirono il cervello come api in un alveare, mi resi conto di aver lasciato il connettore di memorie attivo. Lo spensi in poche mosse.
Questo era reale, me lo sentivo nelle vene, nell'aria artificiale attorno. Lei era li con noi.
Tutte le ansie che sentivo prima sparirono all'istante appena la vidi. Sapevo che niente mi avrebbe fatto male se ci fosse stata lei.

"Ma vi rendete conto?" disse Steve. "siamo di nuovo insieme dopo un fottutissimo decennio, porca puttana!" Ci strinse tra le sue braccio e saltellò. 
Io caddi sulla sabbia e risi di gusto. 
"Che posto magnifico Steve. Quella è Jennifer Aniston?" Jennifer la salutò sbracciandosi.
"Si, è la nostra barista" Approvò con il pollice.
"Ma quindi come stai?" Le chiesi. Il suo sguardo vagò nel vuoto e poi sorrise.
"Sto benissimo. Ero in ansia di rivedervi. Questo AU è geniale!"
"Da quanto sei dentro?"
Steve ordinò da bere. Materializzò uno spinello tra le sue labbra, schioccò le dita e una palla di fuoco si accese. Sbuffò il fumo in aria e me la passò.
"Da qualche giorno. Insomma, lo uso solo per le lezioni in università. Sono professoressa di lettere, sapete? Ho all'incirca quindicimila studenti ogni giorno. Solo grazie al programma, l'istruzione è entrata a casa della gente che nemmeno si poteva permettere la retta. Per poterlo usare privatamente, però, l'ho dovuto comprare di tasca mia." Le passai la canna. Jennifer ci portò i drink: mojito per me e Steve e un margarita a Elena. Brindammo a noi.

"Dov'è la tua stanza?" Le chiesi dopo un sorso.
"Nella Savana, in Africa, la tua?"
"Ci avrei giurato. La mia sta sulla riva di un fiordo..."
"...dai tuoi viaggi in Norvegia, si. Hai passato così tanto tempo in Europa, mi sarei sorpresa se non avessi scelto uno di quei luoghi"
Mi completò a tal punto che l'unica cosa che potessi rispondere era un ennesimo brindisi. 
Notai Steve che ci osservava sorridente. 
"Steve, qui dove siamo?"
"Grazie per avermelo chiesto, a nessuno è mai fregato un cazzo in realtà" Frecciatina nei miei confronti. "Siamo sull'atollo di Steve, il punto più lontano del modo dalla civiltà. Esiste veramente, aveva anche un nome ma ora non me lo ricordo."

Per chi lo volesse sapere si chiama "Point Nemo", [45°52'.6s, 123°23'6w]. Le persone più vicine a quelle coordinate sono gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale a circa quattrocento chilometri in altezza.
"E' un posto speciale" spiegò Steve.

Elena era incredibile, una vera forza della natura. La sua figura, quasi materna oserei dire, mi mancava tantissimo. Riuscivo a sentire le emozioni che provavo ai tempi del college, forse un po' più lievi, parlando con lei.
Steve spegneva l'ennesimo spinello nella sabbia e notai che Elena mi guardava, pareva che i suoi occhi volessero leggermi ogni ruga superflua del mio volto. Quando ricambiai lo sguardo, una forte sensazione mi colpì nel petto, mi sorrise e con la mano spostò la ciocca di capelli rossa dietro l'orecchio. Lessi molto a riguardo, ricordai anche Steve mentre diceva che quando una donna, guardandoti negli occhi, timidamente sorridente si tocca i capelli, è un chiaro segnale che lei sia attratta in qualche modo a te. Non so molto di psicologia femminile ma se Elena fosse attratta da me, per chissà quale motivo, e se quello fosse davvero un segnale di quel genere, non avrei saputo come comportarmi se non ne avessi parlato con Steve.

Elena ci invogliò a rivivere due suoi ricordi dopo aver notato il maxi schermo sulla spiaggia. Steve impostò l'orario notturno cosicché avessimo una nitidezza superiore delle immagini sullo schermo. 
Il sole tramontò all'orizzonte e l'oscurità prevalse. Alzai lo sguardo e vidi le stelle sopra di noi, miliardi e miliardi di puntini scintillanti nel nostro cielo che riflettevano sull'oceano circostante all'atollo di Steve.
Il primo ricordo di Elena fu la volta in cui ci conobbe all'università. Mi vidi attraverso i suoi occhi: un giovane ragazzo coi ricci straripanti sulla fronte, occhiali neri e senza un filo di barba, quasi non mi riconoscevo. D'altronde, quello fu il mio famoso periodo nero ma ai suoi occhi parevo un qualsiasi studente universitario di primo anno pronto a vivere quella "grande avventura".

Il secondo ricordo fu un po' imbarazzante, soprattutto per il mio migliore amico. Sullo schermo vedemmo uno Steve più maturo rispetto al ricordo precedente, decisamente invecchiato, mentre firmava le carte del divorzio. Posò la penna sul foglio e rimase a guardarlo in silenzio, incrociando le dita sulle sue gambe. Elena gli prese le mani e le strinse. Girai lo sguardo verso il mio amico e l'umiliazione sul suo viso era trasparente come un ruscello di montagna.
"Perché dobbiamo vedere questo?" chiese affranto Steve.
"Ma t'immagini se fossimo ancora sposati? Che vita avremmo avuto?"
"A essere sincero ragazzi, divorziare è stata la cosa migliore che avreste potuto fare." dissi. Cercai di non alzare l'asticella della tensione poiché era ancora una questione delicata quella del loro divorzio, non ci fu mai stato modo di parlarne per tutti questi anni perciò decisi di aprire a loro il mio cuore. 
"Avete chiuso un capitolo deludente della  vostra vita e ne avete subito aperto un altro, con prospettive migliori, un futuro migliore. Insomma, guardatevi. Elena è professoressa universitaria con quindicimila studenti ogni giorno, oddio, ma come fai?. Tu, Steve, crei musica, ci guadagni anche dei bei soldini e stai lavorando al tuo primo album che sono certo sarà una bomba! Sono stati i vostri sogni fin dal primo giorno in cui vi ho conosciuti". Captai il sorriso di Elena ma continuavo a guardare Steve per avere una sua reazione. Ricambiò il mio sguardo annuendo.
"Non hai tutti i torti in fondo" disse, poi voltò verso Elena e le sorrise. 
"Abbiamo quello che molta gente cerca per tutta la vita, un legame che ci accompagnerà fino alla fine dei nostri giorni. La nostra amicizia, la voglio pensare così, durerà anche dopo che i nostri cuori smetteranno di battere. Niente può davvero dividerci se dopo dieci anni siamo ancora assieme."
Gli occhi di Elena luccicavano al chiarore del falò davanti a noi. 
"Non ci sarebbe un Aiden Rowe a dirvi tutto questo e non ci sarebbe nessuno a scrivere delle vostre grandi personalità senza il vostro aiuto. Mi avete salvato la vita e vi amerò per sempre."
Steve si strinse a me e così fece anche Elena. Li avvolsi con le mie braccia in quella notte splendente sull'atollo di Steve e guardammo le stelle per qualche minuto in silenzio. 
"Per fortuna non avete avuto figli, riuscite a immaginare il disastro?" scoppiarono a ridere a quell'immagine nelle loro menti con tante piccole miniature di Steve ed Elena che distruggevano casa giocando a Cowboy e Indiani.

Elena dovette salutarci, il suo dovere chiamava ma ci fece promettere che l'avremmo contattata almeno una volta al giorno. Inoltre, mi obbligò a mandarle tutto il mio materiale inedito scritto negli ultimi dieci anni. Le dissi che impossibile per lei leggere tutto, perciò la mattina dopo mi sarei messo al lavoro per selezionare una top ten dei miei lavori migliori ancora sconosciuti a lei. Obbligò anche Steve a mandarle tutte le tracce da lui scritte e prodotte. Voleva stare al passo con i nostri lavori e noi con il suo. Volevamo seguire una lezione ma non essendo studenti registrati era complicato fare quello che volevamo, ma ci assicurò che avrebbe provato a trovare una soluzione.
La salutammo e sparì in un fascio di luce, i nostri sorrisi non svanirono per ore. Che giornata!


- § -


Steve propose di salire al Covo della 50a e lo seguii. Questa volta usai l'ascensore invece di saltare per settanta piani fino al tetto. 
Appena le porte si aprirono, uno scoppio di voci e applausi si levarono in aria per tutto l'attico. Un grande striscione con scritto "Buon Compleanno" era appeso al gazebo e un tavolo imbandito con cibo e bevande nel mezzo.
Il primo viso che riconobbi fu quello di Anna con i suoi occhi chiari, l'ombretto nero che li risaltava e il sorriso di un angelo.
E' curioso come quando dopo aver conosciuto una persona interessante, la sola cosa di cui ci ricordiamo (o almeno per me)  è quanto incredibilmente bello è stato far parte della loro giornata e chiacchierare e creare legami con essa e sperare che possa durare sempre di più. Mi mette anche ansia sapere di affrontare un carattere così espansivo come il suo, di Anna. E se sbagliassi tutto dicendo stronzate? E se non fossi così interessante per lei da iniziare a costruire un'amicizia partendo da zero? Sono adulto, è un peso che potrei sopportare, è ciò che continuo a dirmi da anni.
E se non fosse così? Rimarrei solo con le mie fantasie a sognare ad occhi aperti una vita lontanissima alla mia. Com'era solito dire Lewis Lynom, il creatore dell'AU, che l'orizzonte possa essermi sempre più vicino. Pensai che l'orizzonte fosse proprio la vita che sognavo; se non fossi così insicuro di me stesso e se davvero non davo importanza al giudizio degli altri avrei potuto essere più felice, qualsiasi cosa voglia dire quella parola.
So solo che quel giorno mi sentivo davvero felice. Ho rivisto Elena dopo tanto tempo, ho festeggiato il mio compleanno con i miei amici, ci siamo divertiti come matti e non un solo pensiero negativo mi costrinse a chiudermi in me stesso.
A fine giornata, prima di eseguire il log out dal programma, mandai un messaggio privato al profilo di Lewis Lynom. Non mi sarei aspettato una risposta ma era mio dovere da scrittore e soprattutto da anima perseguitata dal suo passato riformulare quella frase tanto misteriosa con il quale l'Admin dell'AU era solito chiudere le comunicazioni.

"Che tu possa raggiungere il tuo orizzonte ideale".
Chiusi tutto soddisfatto, mi risvegliai nel mio letto e uscii fuori a guardare il cielo. La Luna splendeva e come lei, lo feci anch'io.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

 

 

Il cellulare squillò, assordante e vibrante sul comodino accanto al letto. Mi svegliò da un incubo.
"Pronto" la persona dall'altra parte riconobbe la mia voce rauca e profonda.
"Oh no, ti ho svegliato?" Era una voce femminile. Provai a essere cordiale e negai dicendo di essermi solo assopito al computer.
"...ma chi è che parla?" Mi alzai dal letto sbadigliando.
"Sono Anna, ti ricordi di Ethel? Ti volevo parlare di lei", barcollai brevemente appoggiandomi alla scrivania.
"Anna? Ma chi ti ha dato il mio numero?"
"Steve, di sua iniziativa. Ha detto che potevi aiutarmi"
"Chiaro" mi sedetti sulla sedia impaziente appoggiandomi allo schienale. La mia gamba saltellava sul parquet.
"Sai Ethel, la mia gatta, ecco, sta avendo un brutto periodo. Steve ha detto che con le questioni di cuore sei la persona giusta a cui chiedere"
"Questioni di cuore?" La mia gamba si fermò.
"Non ti disturberei se non fosse importante ma..."
"Non c'è problema, dammi il tempo di collegarmi e ti raggiungo" mi alzai dalla sedia guardando fuori dalla finestra, era una giornata grigia e le acque dell'Hudson parevano irrequiete, come se capissero la mia insolita mattinata.
"Ma aspetta..." Aggiunsi. Anna rimase ad ascoltare. Deglutii. "Dove ti raggiungo?"
"Ti mando l'invito."
"D'accordo"
"Grazie grazie grazie, ti devo un favore gigantesco!" Strillò.
Ci salutammo e chiusi la chiamata.
Mi trovai in bagno, non ricordavo nemmeno di aver camminato. Mi guardai allo specchio e avevo un sorriso stampato in faccia,sembrava forzato, come se i muscoli della mia faccia avessero coscienza propria. Un nodo immenso allo stomaco si scioglieva, sentivo delle note musicali nell'aria, come se qualcuno avesse aperto una finestra che dava su un palcoscenico dove una piccola orchestra suonava ad un ritmo incomprensibile delle note squisite che salivano verso il soffitto dove miliardi di minuscoli violini alati a loro volta suonavano perfettamente in disordine.
Mi sciacquai la faccia, mi lavai i denti e tutto mi sembrava più colorato.
Possibile che fosse tutto reale? Insomma, ero pienamente cosciente di quello che stava succedendo. Nella mia mente facevo schifo ma esteriormente sembravo un pavone.
Che cosa ero diventato?
Con sentimenti di gran lunga fuori posto, una fitta allo stomaco e queste le chiamano farfalle?

"Lux"
E tutto si accese, di nuovo come un sogno.
I gradini in legno della mia casa in riva al fiordo erano freddi ai miei piedi e il sole brillava sull'acqua. Inspirai aria fresca e una notifica apparve davanti a me, una lampadina rossa.
Il display si aprì e lessi "Anna ti ha invitato nella sua stanza". Cliccando su "Partecipa", i miei pixel presero il volo.

Ero a piedi nudi in una foresta. All'inizio pensai a quella amazzone ma parve troppo silenziosa.
I rami degli alberi facevano passare coprivano i raggi del sole e dovetti aspettare qualche secondo affinché i miei occhi si abituassero alla poca luminosità del luogo.
Camminai in avanti per qualche metro, l'aria era fresca, l'erba ancora di più, mi diede conforto alle piante dei piedi. I tronchi degli alberi erano spesso almeno un metro e nulla sembrasse celarsi dietro uno di essi, di Anna nemmeno l'ombra. Provai a chiamarla continuando a camminare finché trovai un sentiero e un cartello.
"L'albero di Anna" e sotto, aggiunto in un secondo momento, "e Ethel". Una freccia verde puntava a destra e io la seguii.
Ci vollero qualche decina di metri affinché arrivassi al luogo esatto.
Non era una casa, ne un palazzo. Era un gigantesco albero, di almeno venti metri di diametro, non riuscivo a vederne la fine. L'entrata era un portone pesante, di legno scuro, c'erano piccole finestre su tutta la corteccia del maestoso albero e i rami, spessi come armadi a quattro ante, dotati di muri e finestre a loro volta, creavano stanze e addirittura quartieri, tutti illuminati di vari colori.
Rimasi affascinato da quella struttura scolpita nel legno, mai nella vita avrei pensato di vedere così tanta creatività in un solo luogo.
Anna uscì dal portone e paragonandola ad esso, era minuscola.
"Buongiorno Aiden, benvenuto alla mia casetta sull’albero. Che te ne pare?" Quasi saltellava.
"Ti dirò che fai bene a tenerlo segreto. Solo Tolkien potrebbe descriverlo"
"Wow, lusingata. Dai entriamo, ti faccio fare un giro"
Seguii Anna all'interno e un milione di luci calde mi avvolsero dalla testa ai piedi. Attorno alle pareti c'erano lanterne accese che seguivano una lunghissima scalinata che portava fino in cima. Centinaia di porte nascondevano chissà quali stanze.
Al centro dell'atrio c'era un ascensore, sempre in legno, illuminato da due focolai e collegato con robuste liane fino alla sommità.
"Ma è pazzesco, Anna!"
"Non è ancora finito, mancherebbero altre quarantasette stanze da creare, ognuna delle quali ha un proprio preciso compito. Per esempio..." Mi indicò la prima porta a sinistra dell'entrata. Aveva una fotocamera intagliata su di essa ed era verniciata di oro.
"Quella è la stanza delle foto dove posso trovare tutte le fotografie che ho scattato nella mia vita, saranno un milione. Andiamo su."
Salimmo sull'ascensore e Anna tirò una leva, iniziammo a salire.
Indicò un'altra porta, questa volta intagliata da un fulmine bianco .
"Quella invece è la stanza elettrica, per darmi le scosse"
"Perché mai vorresti darti le scosse?" Le chiesi.
"Per elettrizzarmi!" Disse.
"Quell'altra invece, quella con la mezza Luna, è la stanza della pittura. Scelgo un posto, una persona o un sentimento nella mia mente e come per magia riesco a svilupparlo in un bellissimo quadro, ne ho fatti 8 fin'ora, ma solo perché la stanza è nuova e non ho molto da dipingere al momento"
"Dovrei provarla"
"Vacci piano Picasso. Non è così facile come sembra, ci vuole maestria e pazienza, tanta pazienza. A te interesserebbe di più... quella"
Indicò un portone a forma di libro aperto con delle parole scritte su tutta la superficie, non riuscivo a leggerle.
"Quella è la biblioteca, ogni libro mai scritto e conosciuto all'umanità è lì dentro."
"Tutti i libri?"
"Tutti, giuro"
"Mi prendi in giro"
“Se oggi andrà tutto bene, ti farò fare un giro.”
Non le credetti.
"Stai scrivendo qualcosa al momento?"
"Io scrivo sempre”
“E di cosa?”
“Di qualsiasi cosa ma è raro che un mio lavoro diventi qualcosa di concreto. Per guadagnarmi da vivere faccio il redattore di una rivista mensile, scriviamo di storie vissute"
" E dove le trovate le storie?"
"Abbiamo i nostri giornalisti sparsi per il mondo a descrivere la vita. Centinaia di nostri lettori, inoltre, ci inviano racconti di storie realmente accadute o leggende dalle loro provenienze, noi ne prendiamo alcune, le stiliamo in qualcosa di più scorrevole, sai, adatto per una rivista e le pubblichiamo"
"Ma è bellissimo! Perché non ne ho mai sentito parlare?"
"Non è molto ricercato come brand, ma una volta trovato non lo si lascia più. Ti invierò una copia."
"Molto gentile. L'hai mai scritto un libro?"
"No, penso sempre di esserne in grado ma è complicato"
"Che cosa lo è?"
"È complicato essere me"
Ci guardammo un attimo negli occhi e ci sorridemmo timidamente. Speravo tanto che non riuscisse a sentire il battito del mio cuore.
L'ascensore si fermò e le sbarre di legno si aprirono. Non eravamo per niente in cima, mancavano ancora un centinaio di metri. Puntai lo sguardo al soffitto e una luce bianca entrava da un foro abbastanza largo per l'ascensore, pensai ad un attico, oppure alla stanza di Anna.
"Di qua" mi disse e la seguii per un corridoio.
"Spiegami il motivo per cui sono qui, cosa intendevi per questioni di cuore?"
"E’ un po' imbarazzante ma davvero, non ti avrei chiamato se non fosse importante. È ormai una settimana che si comporta così"
"Così come?"
Ci fermammo davanti ad una porta, la forma di un gatto era intagliata nel legno, immaginai che fosse la stanza di Ethel.
"Ethel ha conosciuto un micio qualche settimana fa, al forum, e sono diventati molto amici e alla fine si è innamorata. Il problema è che quel micio sia in realtà una persona vera, un utente dell'AU, ciò che lei odia con tutto il suo cuore digitale"
"Aspetta, possiamo diventare gatti?"
Anna roteò gli occhi nelle orbite.
"Puoi decidere di essere una pianta se proprio ti va, si chiama Illimitatore Astrale apposta, non hai limiti su ciò che puoi fare o essere, concentrati! Ora Ethel non si fida di nessuno e non esce dalla sua stanza da una settimana. Non vorrei che continuasse così, tu sei l'ultima speranza prima di doverla... resettare" bisbigliò l'ultima parola per evitare di farsi sentire dalla sua gatta dall'altra parte della porta.
"Ok, ho due domande"
"Spara" incrociò le braccia al petto.
"Esattamente Steve cosa ti ha detto di me?"
Anna arrossì lievemente e abbassò gli occhi.
Me li puntò di nuovo addosso.
"Ha detto che capisci quanto possa essere ferita una persona e che trovi sempre le parole per motivarla verso la strada giusta"
"Ma Ethel non è una persona"
"Ma ha dei sentimenti!"
"Già, a quanto pare. Seconda domanda. Se io fallissi, in cosa consisterebbe il...reset?" bisbigliai anch'io quella parola.
"Niente. Perderebbe la memoria e tutte le esperienze che abbiamo passato sarebbero annullate per sempre, quindi cerca di non farlo."
"Penso che sia una cattiva idea, anzi terribile"
"Ma come?"
"L'hai detto tu stessa che odia gli utenti del programma! Sentirsi dire di quanto l'amore non corrisposto o illuso faccia schifo e che deve cercare una via di fuga dal dolore che prova sono le ultime cose che vorrebbe sentirsi dire"
"Ma tu gli piaci, ha detto che sei un tipo apposto. E poi sai già cosa non dirle. Fallo per me, ti prego!"
"Ha detto che sono un tipo apposto? E questo cosa significherebbe?"
Anna fece spallucce.
Strinsi i denti e il pugno.
"Lo faccio per te". Dissi guardandola. I suoi occhi brillavano, probabilmente anche i miei.
Anna bussò e un miagolio triste in lontananza ci fece da benvenuto nella fantastica stanza di Ethel.

Misi piede in uno spazio aperto, sembrava un giardino zen giapponese con petali di ciliegio che cadevano dal cielo. Nell'aria sentivo profumo di pesche e erba appena tagliata. Un piccolo lago d'acqua cristallina bagnava la riva a destra, a sinistra invece, altalene e scivoli, un albero avente in cima una grossa casa color viola con tegole nere, un piccolo palco per le esibizioni e uno spazio infinito per correre. La riva del lago era circondata da prati immensi, foreste silenziose e le montagne, all’orizzonte, parevano essere alte decine di chilometri.
"L'hai creato tu questo?" Chiesi ad Anna sottovoce.
"È tutta opera di Ethel" mi rispose bisbigliando.
"Sono scioccato" si trattava di una creazione sublime, un luogo mistico, perfetto per stare da soli. In quel contesto non potrei mai sentirmi fuori dal bene.
Entrambi camminammo verso l'albero con la casa viola e Anna mi spinse verso gli scalini a chiocciola.
"Avanti forza" mi disse.
"Si si, vado" non mi piaceva essere comandato ma ormai non potevo più tirarmi indietro.
"Ethel! È venuto a trovarti un amico!" Gridò verso l'alto.
"Coraggio" disse a me.
Deglutii.
Dovetti arrampicarmi a gattoni sulla scalinata poiché i gradini erano assai piccoli e arrivando in cima osservai l'interno della casetta.
Era un mini soggiorno con cuccetta, due ciotole per l'acqua e il cibo e delle palline con un sonaglio all'interno, i giocattoli di Ethel. Mi sarei aspettato chissà quale arredo chic, invece era molto minimalista.
Su una delle pareti una foto di Ethel sulle spalle di Anna. La gatta, sdraiata supina al pavimento, sembrava dormisse serenamente. Il pelo corto e nero si alzava e si abbassava impeccertibilmente.
"Ethel, ciao"
Niente, la gatta non si mosse.
Guardai Anna dall'alto, mi spronó con un movimento di braccia.
Maledizione, pensai, guarda cosa sono disposto a fare per una ragazza, parlare ad una gatta parlante col cuore spezzato. Poteva andare peggio?
Entrai nella casa con non poco sforzo e notai che ci entravo solo se rimanevo con le ginocchia al petto, almeno non dovetti piegare la testa. Senza farlo apposta colpii le palline a sonaglio facendo rumore.
Le orecchie di Ethel rizzarono e si girò dall'altra parte.

"Scusami" dissi. A questo punto iniziai a pensare di mettermi nei suoi panni, o in questo caso, nel suo pelo e iniziai a parlare. Anna non seppe mai ciò che dissi a Ethel, le feci giurare di non raccontare mai della nostra chiacchierata, di tenere il segreto a chiunque, che sia di forma umana o animale o vegetale e di non disperarsi poiché avrebbe vissuto in eterno, almeno finché l'intero programma sarebbe rimasto online.
Anna rimase ad aspettare in riva al lago, giocava con la sabbia guardando l'orizzonte, la chiamai facendola voltare. Mi vide scendere gli scalini lentamente con Ethel sulla mia spalla, arrivati abbastanza in basso da poter balzare senza pericolo, mi diede una leccatina di ringraziamento alla guancia e la gatta, miagolando a
squarciagola, spiccò il volo per correre verso la sua amica che la aspettava a braccia aperte. Rotolarono abbracciate insieme sulla sabbia e quando mi avvicinai notai che stava piangendo.
"Stupida gatta, mi hai fatto preoccupare così tanto."
Poi mi vide accanto a loro.
"Aiden!" Si alzò e venne ad abbracciarmi, forte. Come un peso morto si lasciò cadere tra le mie braccia appoggiando la sua testa al mio petto.
"Grazie, grazie, grazie! Ma che le hai detto?" Mi chiese.
Ethel faceva le fusa tra i nostri piedi, si arrampicò sui i miei vestiti per accoccolarsi sulla mia spalla destra.
"Questo non te lo possiamo dire" le rispose Ethel, "lui ascolta, pensa e dice come un vero sentimento. Avevo bisogno di un cuore nuovo e lui mi ha dato un pezzo del suo, bisogna proteggerlo a tutti i costi".
Chiuse gli occhi e fece le fusa con la mia guancia.
Anna mi guardava come un tesoro appena scoperto, come se sentisse una melodia bellissima mai sentita prima, come se provasse il miglior piatto mai cucinato al mondo. Riconoscerei quello sguardo tra mille.
Cosa avrei dato per avere qualcuno che mi guardasse ancora in quel modo, che qualcuno mi tenesse la mano, che ringraziasse la mia presenza con un timido sorriso.
"Ma dove si nascondono le persone come te?" Mi chiese.
Non le seppi rispondere, non aveva conclusione quella domanda.

Cosa intendeva per 'persone come me'? Come sono le persone come me? Come si diventa una persona come me? Posso scegliere di non essere più me stesso e diventare qualcun'altro?
Cercavo da ormai troppo tempo, un'ultima affermazione per chiudere definitivamente quel rapporto con il ragazzo con la mente al buio. Cercavo quel tunnel per uscire alla luce e vedere finalmente a colori, forse Anna aveva le risposte, non tutte, certo, nemmeno i computer hanno tutte le risposte.
Forse il senso di tutto questo è trovare qualcuno con cui rispondere almeno ad un numero imprecisato delle infinite domande che ci poniamo. Se mai trovassi una persona del genere nella vostra vita, cercherei di evitare le stronzate.
Vorrei avere non solo il coraggio, ma il cuore di far vivere le emozioni tra di noi. È chiaro che ci voglia tempo per essere sicuri che la persona che ho davanti sia quella della mia vita o semplicemente una compagna di avventure, non per forza deve trattarsi di passione.
L'amore è vago. Miliardi di canzoni, film, libri e dipinti ne trattano cercando di trasmettercelo il meglio possibile.
Cosa stavo vivendo in quel momento? Era realtà o solo frutto della mia immaginazione? Anna mi stava veramente abbracciando, quelle piccole mani che tenevo nelle mie, erano veramente le sue? Ricordai il famoso quadro di Magritte, “Gli Amanti”. L’ho osservato per la prima volta al “Museum of Modern Art” di New York quando mi trasferii a Manhattan.
Ricordai anche quella stessa sera, seduto al computer, fissavo la tastiera con paura e non trovavo il coraggio di scrivere la mia verità: quello che i miei occhi hanno realmente visto in quella tela. In un certo senso, provai di nuovo quegli stessi sentimenti osservando l’orizzonte.
Un brivido risalì la mia spina dorsale e inconsciamente strinsi Anna a me.
Riprendemmo a respirare entrambi appena ci lasciammo guardandoci negli occhi....

Quando uscii dal programma, all'esterno pioveva a dirotto, lo scroscio mi cullava mentre sistemavo la mia scrivania. Accesi il computer e iniziai a scrivere di quella mattina. Chissà a cosa stesse pensando Steve in quel momento, a quali film mentali si stesse aggrappando pur di vedermi finalmente felice.
Anna mi apparve di nuovo in mente e così mi feci un espresso.
Era una bella ma alquanto strana sensazione quella che provavo al momento, quella lucidità mattutina in cui esprimi tutto te stesso per un fine simbolico più che concreto. È come scrivere una nuova canzone, registrarla e produrla pur sapendo che alla fine sarai l'unico ad ascoltarla in loop.
Essere così era insolito: ero abituato ad allungarmi in soliloqui silenziosi per intossicarmi la mente con ricordi inutili ai quali cadere di nuovo in ginocchio ma quella mattina no, quella volta era sopportabile.
Il merito era ovviamente di Anna.
Volevo portarla in qualche posto speciale, magari ripercorrendo insieme il viaggio in Europa che feci dopo la laurea, farle vedere i posti che mi hanno ispirato e fatto sognare.
Ma lei non era lì. Almeno, non in carne e ossa. Mi faceva storcere' il naso sapere che tutto quello che vivevo nell’AU fosse un ologramma, una semplice quanto avanzata tecnologia in grado di farmi vedere cose che potrebbero essere reali ma che alla fine, se ci pensi su, sta tutto dentro nella tua testa. Ti confonde, ti opprime, ti illude alle meraviglie di una realtà spietata. Quello che si può avere dentro al programma è impossibile da avere fuori, sono anni ormai che lo dico e quasi tutti sono d'accordo con me.
Come puoi fidarti di qualcuno se non hai la certezza della sua esistenza?
Provai a chiamare Steve ma non rispose.
Provai e riprovai.
Niente.
Strano, di solito ce l'aveva sempre attaccato al culo il telefono, pensai.
L'avrei chiamato più tardi.

Indossai il cappotto ma lasciai l'ombrello. Dovevo correre in ufficio, era comunque un buongiorno per cantare nella pioggia.

 

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