L'arte del tè - Golden flower flavored

di JoSeBach
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui piange in lutto, sopraffatto dal passato. ***
Capitolo 2: *** E lei apparre, cercando LOVE. ***



Capitolo 1
*** Lui piange in lutto, sopraffatto dal passato. ***


Salve. Lo so, è passata una settimana dalla pubblicazione di questo capitolo, ma ci tenevo a darvi i miei saluti e i miei auguri per un anno nuovo che si spera migliore di quello appena trascorso.
Questo testo proviene da un vecchio lavoro incompiuto di 4 capitoli scritto nell'aprile del 2020 in inglese e ho deciso di recente di rivederlo, oltre che tradurlo. Come sempre consiglio la consultazione dell'originale. A ogni modo, buona lettura! Critiche e commenti sono ben accetti.
Come sempre, ringrazio Lady K per le critiche. Tradurre è davvero una gatta da pelare.

Ne era passato di tempo. Asgore non sapeva quanto, però, i giorni sempre più distanti e vuoti dopo quel crepuscolo e quel giovane cadavere, affiancato dalla polvere che disperdeva copiosamente semi ignoti per il giardino. In seguito venne scoperto che si trattavano di semi della stessa specie di fiori che l’umano aveva chiesto di rivedere al suo ultimo respiro, una specie completamente ignota al Sottosuolo.

Però, come il primo fiore sbocciò fiero verso la luce esterna, Asgore si accorse che del corpo umano e della moglie non vi era rimasta alcuna traccia, la bara del primo lasciata scoperta. «Quindi siamo rimasti solo tu e io, figliolo,» pensò lui, prendendosi cura delle piante come se i suoi occhi non stessero lacrimando o le sue mani tremando. Col tempo il giardino sarebbe diventato la sua unica fonte di felicità: vedere i petali diffondersi per tutto il verde era uno spettacolo mozzafiato, come se quel piccolo angolo del Sottosuolo fosse uno spicchio di Sole.
Per forza Chara se ne affezionò così tanto.
Per forza Asriel li portò lì sotto.
Per forza quegli umani li calpestavano: loro volevano soltanto distruggere le sue speranze, i loRO SOGNI―

Si irrigidì al pensiero che faceva eco tra le sue corna, le piastre del guanto ancora più aderenti al tridente scarlatto, pronto per essere scagliato al nemico. Ritornato il senno, smaterializzò l’arma e costrinse i suoi occhi impauriti a fissare gli accecanti raggi, sperando che avessero potuto in qualche modo estinguere tutto quell’odio. Ma non ebbe mai funzionato prima, e neanche questa volta era un’eccezione: l’oscurità iniziava a inghiottire il cielo, l’aria a farsi sempre più gelida, i fiori a chiudersi in loro stessi, pronti per tornare a respirare dopo il digiuno diurno. Anche i suoi muscoli gli imploravano un po’ di riposo. Sì, era ora di andare a dormire. Lasciò la sala del trono, il suo volto sempre silenzioso per tutto il tragitto.

Mentre saliva gli scalini, i suoi occhi incrociarono il calendario, ancora appeso al muro. Quant’è passato da quando è stato abbandonato a sè stesso? Quant’è passato da quando ha ucciso quei sei bambini per la libertà, per la sua gente? Anni, alcuni decenni o persino secoli?
Lui era certo di alcune cose, e una di queste era che i numeri non combaciavano i molti mesi passati nella più completa solitudine. Gli mancava tutto e tutti terribilmente, e non era raro che si chiedesse il perché fosse dovuta accadere a lui la disgrazia, che cosa avesse fatto per meritare tanto dolore, o se forse ci fossero davvero delle soluzioni nascoste da qualche parte, pronte per essere trovate.
Sapeva soltanto che non poteva più sopportare questa solitudine. Eppure è riuscito a restare in vita per tutto questo tempo, ridendo e singhiozzando mentre il pensiero di cadere e non rialzarsi più dilaniava nella sua mente stanca. Ahahah. Non fa ridere.

Si avviò verso la sua camera, il corridoio impregnato da un torbido e soffocante silenzio. Almeno i fiori dorati davano un po’ di colore all’ambiente, no? Non come le tife delle Rovine.
Finalmente raggiunse il materasso, le coperte fredde, nude e inutili. Si distese completamente sul letto matrimoniale, il riposo ancora più gelido e breve a causa dell’assenza della sposa. Alzò gli occhi al soffitto, sperando quasi che alcune stelle potessero manifestarsi e rivelargli cosa gli riserbava il futuro, ma non venne nessuna. Lui allungò il braccio alla sua sinistra. Piagnucola sommessamente il suo nome, come se lei stesse per apparire lì per perdonarlo e confortarlo e abbracciarlo― Qualche singhiozzo ilarato gli sfuggì dalle labbra mentre l’immagine veniva dissolta dalla luce che indiscreta filtrava nelle palpebre. Quel tanto agognato soffice e caldo mantello era sparito, senza traccia. Sapeva di essere un idiota ad anche solo pensare che lei avesse potuto andare contro i suoi principi. A differenza sua, lei aveva sempre seguito fedelmente la propria morale.
Forse era meglio così: lui non avrebbe mai voluto coinvolgerla in una missione così sanguinaria ma, cribbio, non riusciva più a nascondere tutto questo dolore. Dopo tutto… da chi doveva nasconderlo?
Oh, lei gli mancava. Gli mancava così tanto la sua integrità, la sua giustizia, la sua fermezza. Tutti nel Sottosuolo erano ormai consci che, nonostante la stazza di lui, era lei il supporto del re, la mente dietro il trono, essendo la più vicina confidente e consigliera nei riguardi della gestione del regno; qualunque fosse il problema lei era sempre lì, pronta ad ascoltare e comprendere e dire la sua. Non era il genere di persona che edulcorava la questione: se una punizione era necessaria, lei si rassicurava di essere sufficientemente chiara.
Eppure, nonostante tutto, lei era pur sempre la sua appassionata moglie, la sua famiglia. Così amabile da non avere problemi a baciarlo o stuzzicarlo con nomi buffi in pubblico, tantomeno nella riservatezza della loro camera da letto, i suoi sorrisi i più brillanti, le sue carezze le più delicate, i suoi baci i più dolci.
Lei era così appassionata in ciò che trovava anche il più piccolo interesse che la sua conoscenza non conosceva limiti, permettendole così di insegnare ai suoi stessi figli le meraviglie del mondo, approfondendo gli argomenti ma senza dimenticarsi di alcune pause per giochi di parole e battute. Santo Angelo, le battute… è vero, le sue non erano le migliori, alcune di quelle erano pure squallide, ma non riuscì mai a trattenersi dal sorridere e ridere. Non era per pena. Non era neanche per prenderla in giro. Cribbio, non era per soddisfare il disperato desiderio di lei di sentire divertimento alle sue parole. Era solo grazie alla sua voce perfetta, perfettamente adatta per ogni parola, dorandole con la sua bocca.

La stessa bocca che si rifiutò di sorridergli quella volta, la stessa voce che si rifiutò di ragionare con lui quella volta, abbinandosi con lo sguardo completamente disgustato che gli lanciò prima di andarsene per sempre. Era ovvio che lei si fosse sentita tradita: lui stesso sapeva di non essere stato lucido e, a causa di ciò, il dado è tratto. Peccato che fosse solo uno: anche con la fortuna più sfacciata, il risultato li avrebbe solo illuso tutti con vane speranze di una libertà inesistente. E ha già raggiunto il numero maledetto, il sei, solo l’Angelo sa da quanto. Lui ridacchia singhiozzando al ricordo di quel discorso pieno di lutto, tormento e rabbia, così tanta effimera, codarda rabbia, pura rabbia che morì appena le conseguenze dei suoi piani gli calpestarono i fiori. Ma in che altri modi poteva altrimenti placare il dolore diffusosi tra tutte le deboli ANIME?! Non era stata la morte di una persona qualunque: loro erano il futuro degli umani e dei mostri, loro erano i piccoli monarchi del regno, loro erano i loro bambini.

… Loro erano solo dei bambini. Dei gioiosi, innocenti e gentili bambini, sempre pronti a sollevare il fardello anche dello spirito più misero, qualunque fosse il loro stesso umore. Amavano semplicemente tutti con così tanta genuinità e la loro amicizia era una delle più rare e preziose. Non avrebbe dovuto stupirsi quando, al termine della malattia di Chara, la fedele ANIMA di Asriel si fuse con la sua. Solo per poter soddisfare la sua ultima volontà. Solo per poter fargli vedere i fiori. E per questo lui doveva morire! Perché voleva portare il fratello sotto la luce del sole e onorarlo e farlo riposare in pace―
Una pace che presto si dissolse in polvere sul prato. Quando trovarono il loro figlio giacente sul giardino che a fatica manteneva la sua forma con un debole sorriso, l’ANIMA di Asgore sprofondò negli abissi più remoti, anche sotto lo stesso Sottosuolo, lì dove il sogno da lungo atteso da tutti i mostri dimorava morente. Chara se n’era andato. Asriel se n’è andato. E anche Toriel lo lasciò con le sue gambe disgustata― Ma come poteva reagire altrimenti?! Dopo tutto quello che gli umani hanno fatto ai mostri e a Chara, dopo aver portato via il piacere di poter vedere il cielo, le stelle, la pace di vivere in libertà, questo non lo poteva accettare, non più. La crescente disperazione non poteva essere placata se non con una promessa di libertà, per quanto assurda o impossibile sarebbe potuta sembrare. E comunque… gli umani non se l’erano forse cercata?

Lui rabbrividì, realizzando che delle lacrime gli segnavano le guance. Si sedette sull’angolino dell’intero letto, dell’intera stanza, dove tutta la speranza che era rimasta si era accumulata. Singhiozzò, coprendosi gli occhi con le stesse mani che una volta ebbero abbracciato i figli. Le stesse mani che avrebbero brandito il tridente scarlatto e reclamato l'ultima ANIMA che li teneva lontani dalla libertà.

Gli occhi di quei innocenti giovani lo tormentavano… «So chi sei tu! Io ti ho visto nella piazza, ricordo bene quelle corna―» Bambini… Ignari bambini…
Non c’è una guerra senza vittime.

Si alzò, provando a concentrarsi al corridoio buio avviandosi verso la cucina, passando per il salotto, la poltrona un ristoro per le ombre proiettate dalle finestre. Il camino era spento, un vortice di cenere danzava col vento. I suoi piedi percorsero tranquillamente per il pavimento oscuro, non era che avrebbe potuto calpestare qualche giocattolo lasciato indietro dai bambini…

Le ombre formarono una sagoma ignota. Un intruso.
Lui agì, voltandosi e richiamando delle fiamme nelle sue mani, pronte a estinguere il nemico, gli occhi rivolti verso il nulla. Non c’era più nessuno dietro di lui, o fin dall’inizio. Va bene, non importa.

Finalmente accedette alla cucina, accecato per un istante dalla loquace lampadina. Un sopraffacente e pungente fetore raggiunse il suo naso. Oh, giusto, le torte.
Lui ricordava ogni singolo tentativo, anche quelli di praticamente una vita fa, accompagnati dalle vigorose risate dei bambini, divertiti dal suo volto dispiaciuto per la pasta rovinata, e quasi lo facevano sorridere.
Nonostante tutta la sua attenzione e dedizione posta nel seguire i tutorial di Toriel sull’arte culinaria, non aveva ancora trovato il segreto delle sue paste.
Lui aveva già provato a usare gli stessi e identici ingredienti: quella torta di ranuncoli lo scombussolò e trattenne a letto per diversi giorni, ma comunque sarebbe potuta venir bene, no? Be’, preparare una torta al butterscotch e cannella era forse troppo presto, ma provare un’altra delizia come la torta alle lumache? Lui aveva provato a seguire la ricetta alla lettera, andando fino alle Cascate a cercare quella fattoria che Toriel aveva sempre frequentato. Il risultato fu una mistura impossibile da descrivere e analizzare. Il suo stomaco lo aveva rigettato al primo assaggio. No, non c’era traccia di ranuncoli… E sarebbe dovuta essere una torta di lumache, eheh, ironico, non è vero?
Ma… ma certo, il fuoco! Lei era solita usare la fiamma magica per preriscaldare il forno. Tutte le interiora rimasero carbonizzate.
E per quanto riguardava la teglia? Non era la stessa! Lui aveva persino provato a usare la stessa e identica pirofila che lei preferiva, la sua forma perfettamente tonda. Eppure nulla. Non importavano tutti gli sforzi e i tentativi e le speranze, la pasta risultava sempre troppo cruda o bruciata, amara o nauseantemente sdolcinato.
E se… E se ci fosse un ingrediente di cui lui non sapeva nulla?
Ma il fetore proveniente dal cestino ricordò al suo stomaco che non quella era una buona idea.
Cacciò via dalla mente la sua apprensione, troppo esausto per preparare altri rifiuti organici. Doveva farla finita.

Prese il bollitore e lo riempì con acqua corrente e gelida. I movimenti improvvisi fecero traboccare qualche goccia, bagnando il pelo esposto, ma non pulendolo dalla terra e dai petali. Posizionò la pentola sul fuoco, preparandosi all’assordante ma familiare grido dell’acqua bollente.
Si avvicinò alla credenza, numerose forme e colori di ceramica dimoravano sullo scaffale, un memento mori di chi se ne andò. Gli piaceva guardare le singolari tazze, ricordando come quella stellata fosse sempre stata riempita con acqua bollente, il bordo sempre più luccicante a ogni sorso, o come quella gialla fiorita evitava il tè e preferiva invece un liquido più scuro, denso e dolce, oppure come invece quella bianca e tonda optava caffè.

Le strilla non si fecero attendere, rapide ad aumentare di volume. Si affrettò a togliere il bollitore dal calore, attento a non bruciare l'inutile mantello. Si servì prendendo una busta fatta da lui di tè di fiori dorati, voltandosi poi verso la credenza per scegliere la tazza da utilizzare. I suoi occhi caddero su una ceramica in particolare, deformata e pallida, la superficie recitante un infantile buon-cmplnn-sign-re.
Era una tradizione della sua famiglia quella di scambiarsi tazze artigianali per regalo, e perciò era lui a preparare la tazza più adatta, mettendoci tutta la sua ANIMA per crearla. Eppure quella, nonostante la forma imperfetta e le lettere mancanti, aveva ancora rinchiusi i loro sorrisi fatti apposta per lui soltanto.

Si riempì una tazza qualunque. Fece un paio di sorsi, sorpreso poi dal liquido bollente che gli bruciò lungo la lingua, ma era un sollecito alle conseguenze che doveva affrontare.

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Capitolo 2
*** E lei apparre, cercando LOVE. ***


Salve. Finalmente mi sono decisa a tradurre anche questo capitolo. Spero gradiate la lettura!


Nonostante il pungente tepore del tè, le palpebre si facevano pesanti, le occhiaie profonde. Non ne era sorpreso: proprio come lui non accoglieva più il sonno, la stanchezza non gli dava più tregua. Era un patto siglato ormai da molto tempo.
Come suo solito, Asgore finì di bere la bevanda con l’aggiunta di alcuni biscotti alla sua povera colazione, così da poter reintegrare un altro po’ di magia, oltre che poter avere qualcosa da sgranocchiare e gustare.
Pulita la tazza, iniziò a sistemare il resto della stanza, con l’unico compito di spazzare via alcuni granuli di polvere solitari. Lo fece usando le sue stesse mani, non avendo attrezzature più indicate al compito. Non che gli importasse sporcarsi con delle particelle naturali, o con qualunque altra cosa. Non che lì ci fosse qualcuno pronto a rimproverarlo, non da parecchio, comunque. E nessuno degli umani se ne fregò di qualche granello di polvere nell’angolo della casa, quindi perché stava perdendo tempo lì quando ci sono questioni di gran lunga più importanti, come la povertà, la sovrappopolazione e la crescita dei caduti, tu ingrato―

Dei gelidi schizzi inumidirono il suo volto, le sue mani tremanti per l’improvviso sbalzo. Riprese coscienza di sé, accorgendosi che era di nuovo in cucina, il rubinetto ancora aperto fluiva indisturbato, lì per ricordare alle sue orecchie che il tempo stava scorrendo. Era tornato nella realtà. Era vivo. Era solo. Forse sarebbe durato per sempre. Lui lo sperava e temeva al contempo, il futuro confuso, i desideri ignoti allo stesso autore. Ma dovrebbero importare? Non era che lui avesse una scelta, avendola sacrificata per il suo popolo. Pazienza, questo non cambia il fatto che deve mantenere la sua promessa, i loro sogni, che ne richiedevano molta, di pazienza. E se gli umani tardavano a venire doveva solo aspettare.

Sì, aspettare. E perché non poteva provare a distrarsi nell’attesa? Beh, è proprio quello che stava facendo, specialmente mentre si occupava dei fiori, cosa che stava giusto per eseguire: infatti stava già percorrendo i gradini delle scale, i piedi ormai esperti della stessa monotona danza, e appena guardò il giardino lo accoglievano i raggi, il loro tepore narcolettico. Raggiunse il prato, abbassandosi con le mani sulle ginocchia e curando i fiori dorati in tutto, raccogliendo e trasferendo tutti gli insetti che stavano portando disturbo alla vita sedentaria dei corpi verdi e lasciando che il sole attivasse l’incredibile mistero della fotosintesi clorofilliana.
Se i fiori fossero senzienti, poteva scommettere che avrebbero riso alle sue sdolcinate gentilezze.
Se fossero i suoi figli, sapeva che sarebbero cresciuti viziati, pretendendo più e più giochi, agi e privilegi.
Che genitore disgustoso che era.

Vide la polvere avanzata a terra, ancora attorno al primo fiore, la singolare corolla di cinque petali più uno a proteggere il pallido disco. Lui voleva soltanto… nulla. Non importava.
Strappò le erbacce che minacciavano la vita dei corpi dorati, i gesti meccanici a muovere i suoi arti paralizzati.

E qualcuno uccise il silenzio. «Dove ti nascondi, RE?» urlò la voce. Era sconosciuta, stridula. Molto giovane.

Sperava solo in un’allucinazione, come quella di ieri, come quella dei giorni passati, come sempre. Ma non poteva non sentire quella forza, unica, inconfondibile, determinata. La fine era vicina.
L’orrore si arrampicò sui polmoni e la gola a ogni singolo passo pesare contro il pavimento legnoso. Si trova di sopra. Deve ancora esplorare la casa deserta.

Una distante ma potente e divertita risata riempì il vuoto, non temendo nulla nel suo cammino. «Hai paura di me? Beh, e ci credo! Ti devono tremare un sacco le ginocchia, vero? Scommetto che ora te la stai facendo addosso sotto le lenzuola.» I passi brevi ma pesanti seguirono in marcia, con l’intento di farsi sentire prepotenti dall’ANIMa. Poi si arrestarono. «FATTI VEDERE!» e una tavola di legno gridò, gettata contro un muro. Il silenzio permeava, diffondendo il lamento. «Cos’è questo, nascondino? Mi prendi in giro?!» Non aspettò di ricevere la risposta. «Sai cosa? Va bene! Ma guarda che ti troverò!» La fonte della provocazione voleva ancora esplorare le stanze vuote prima di percorrere tutto il corridoio e accedere alla sala reale.

Aveva tempo a sufficienza per prepararsi. Evocò nella mano il tridente scarlatto, la presa stretta. Fissò il prato ai suoi piedi, dando le spalle all’unica via di accesso; il verde e l’oro iniziarono a tingersi di secco rosso, diffusosi poi sul suo pelo. Sangue. Sangue giovane. Il pomo d’Adamo assalì la gola, immobile come le sue dita.

«Oh, andiamo! Fammi vedere di che pasta sei fatto e affrontami!»

La stretta si fece più forte, sicura, repellendo tutti i timori e i ripensamenti e… e l’ipocrisia. Lo aveva già fatto altre sei volte, nonostante il suo pentimento, nonostante le lacrime versate nelle notti insonni, nonostante tutto. Non dovrebbe essergli tanto diverso farlo di nuovo, farlo ora. Già, ripensarci adesso era da stupidi. Non poteva più tirarsi indietro.

«Ora mi sono stancata dei tuoi giochetti! Fatti vivo subito, oppure…!»

Il tridente era lì per lì per polverizzarsi in mille pezzi. Calmo, vedila come, pensala come… una visita dal dentista, sì!

«Credi che questo possa fermarmi?!» degli anelli di metallo risuonarono sul pavimento, esplodendo in un rumoroso boato. «Ritenta la prossima volta.»

Una visita dal dentista… una semplice visita… E poi saranno tutti liberi… E lui dovrà… Dovrà fare cosa?

«Ti sei nascosto in cantina? E ti credi anche una persona intelligente?» Non mancava ancora molto.

Come reagiranno gli umani? Si potrà ancora parlare di diplomazia? Ma perché considerarla ancora come un’opzione? Se non ha funzionato secoli fa quando i rapporti erano abbastanza stabili, figuriamoci dopo aver ucciso sei– Per l’Angelo, no! Sette! Sette bambini morti! Ed è solo l’inizio di un inevitabile genocidio! E quanti di loro ci saranno in Superficie– Milioni? Miliardi?

«Perché quel coso non avrebbe neanche fermato un poppante.» Risuonarono i passi più forte. «Credi davvero che tutti gli altri siano così scarsi e stupidi? Non ti sprechi neanche a farti vivo?»

… Sarà in grado– Avrà il coraggio di fare tutto questo, da solo?

«O hai paura?»

Un sussulto gli rubò l’aria, scalando e sprofondando nella gola, scombussolando la testa di ansia.

«Hai così tanta paura degli umani, di me?»

Non di lei. Di se stesso, del futuro, delle conseguenze.
Non era pronto.

Il suo piede si fermò.

Asgore poteva sentire l’esasperato ma incontenibile sorriso alla sua schiena, sadico come quello di un predatore alla preda, sicuro come quello di un eroe alla nemesi.

Lei rise ancora, il mantello violaceo troppo leggero per poter nascondere l’inquietudine di lui. «Già, stai davvero morendo dalla paura per me.»

Si stringe forte in un abbraccio. Tieni duro, questo sarà l’ultima, diamine, e poi si assicuRERÀ DI FAR PAGARE AGLI UMANI PER TUTTI I CRIMINI CONTRO I MOSTRI–
I tremori continuavano indisturbati, come la fifa e il rimorso. Lui voleva solo che tutto questo non fosse mai accaduto, voleva dirle di andarsene in Superficie e di non tornare indietro–
I tremori continuavano indisturbati.

La voce non lo aiutava, determinata, aggressiva, sorridendo di gusto, assaporando la preda contorcersi sulla sua tomba. «Hai paura, e hai anche ucciso sei umani a sangue freddo, ahah. Mi prendi in giro.»

Non era la prima volta che gli veniva detto, il vecchio ricordo di una voce più giovane e giudiziosa urlargli quell’accusa ancora fresco nella memoria. «Hai paura, e hai anche ucciso due bambini senza pietà. Mi fai schifo.»
La testa gli ciondolava vuota, la mandibola cadente lasciava entrare l’aria rarefatta, gli occhi persi nel verde, nell’oro e nel vecchio rosso ai suoi piedi. Non dovrebbe esserci tutta questa luce, dov’è l’ombra, l’oscurità, il sogno, l’incubo? Eppure, nonostante tutto, quello che stava provando era reale e, nonostante tutti gli sforzi a negarlo, lo sentiva come vero, tanto da fargli pregare che fosse soltanto uno dei numerosi scherzi che la mente usava giocargli. Era così tanto pazzo?

«Ah, non hai delle ultime parole? Beh, almeno non te la sei svignata, un avversario decente, per una volta!» La voce era così deliziata della visione. «E poi non è che le ultime parole siano utili a qualcosa!»

Ma quella frase è di Gerson– Asp– Cosa– Cosa gLI HA FATTO—

Lei richiamò con lo sguardo l’ANIMa dietro il mantello. E partì il combattimento.

Lui DOVEVA muoversi, DOVEVA girarsi, DOVEVA vedere in faccia l’umana. E provò a dimenarsi, a ruotare il busto o solo il collo, provò tutto, ma gli era impossibile, i suoi grandi piedi piantati a terra con i fiori. La sua ANIMa era verde.
Cosa– Non hanno mai usato questa magia—

«Preparati, perché ora devi affrontare me

Oh no.

«the Undying,»

No!

«il mostro più forte del Sottosuolo!»

No– aspetta COS—

Lei balzò da terra pronta a sferrare qualunque fosse l’arma che aveva in mano contro il suo cranio, pronta a ucciderlo, pronta a mettere fine a tutto.

L’attimo si liquefò nella mente estendendosi in una serie di informazioni e dettagli che il cervello troppo allenato o stanco elaborava. Si sentiva la testa scoppiare, come il tridente a destra, provata dalla fatica e dall’orrore che permanevano nell’aria. Tutto questo era solo un terribile errore, un errore a cui doveva rimediare immediatamente.
Si allungò sulla destra, i sensi richiamati dal colpo che gli bisbigliò alle sue orecchie.

Il paio di stivali si gettò di suola contro il prato, calpestando tutto il verde circostante. La piccola figura di spalle rilasciava profondi ansimi, ma le dita stringevano pulsanti il bastone marcio. «I tuoi riflessi non scherzano.» Si voltò, espandendo l’area devastata dalle sue impronte. «Non sei affatto un bersaglio facile.» Affermò con voce euforica, alle orecchie del vecchio amara. «ADORO le sfide!»

Alzò la testa di scatto, incrociando i suoi occhi. Era una ragazzina, come aveva potuto dedurre dalla voce, ma la sclera non era bianca, rimpiazzata invece con un giallo acceso, un giallo tagliente come quello delle due zanne che le fuoriuscivano dalla bocca, la pelle ricoperta di scaglie celesti.
Questa bamb― questo giovane MOSTRO lo stava solo provocando!
Il pensiero gli gelò l’ANIMa, fredda come in quei momenti che avrebbe preferito dimenticare. Che cosa gli era saltato in mente? Cosa pensava di fare? Cosa credeva di fare?! Le ginocchia gli tremavano, nonostante la magia gli impedisse di muoversi.

Lei rise alla scena, apparentemente buffa. «Paura, eh, vecchio? Almeno non mi vedi semplicemente come una marmocchia.» Corse verso il suo fianco sinistro.

Schivò il colpo roteando il bacino a destra. Notò che la piccola tendeva a evitare quel lato; doveva essere per colpa dell’occhio sinistro che teneva chiuso costantemente.

«Non male, ma che ne dici di questo?!» Mugugnò esausta e poco divertita, tirando altri svariati attacchi in risposta.

Col tridente stretto al petto, si assicurò di evitarli tutti. Cosa non tanto impegnativa: le bastonate diventavano via via sempre più prevedibili e imprecise. Il combattimento unilaterale continuò per diversi minuti.

Finché la piccola non si fermò, la bocca in cerca di aria, le mani sulle ginocchia, la schiena ricurva verso il suolo. Il sudore le avvolgeva la fronte, non risparmiando la palpebra sinistra che strizzava in cerca di sollievo. Le gocce piovvero pesanti sui fiori passivi. «N–non credere che io abbia finito con te! La prossima volta vedi di ritrovarti la lingua!»

Prima che lui potesse effettivamente parlarle la bambina fuggì. Si accorse che la magia era sparita, ma era già troppo tardi.


L’oscurità lo dannò di nuovo, segno della resa del suo corpo alla stanchezza che avrebbe preferito ignorare. Nonostante non stesse più incanutendo, si sentiva più vecchio di secoli. Non sapeva se aveva raggiunto il materasso o se si era lasciato andare sul pavimento, visto che la sua schiena gli doleva comunque. Non che gli sarebbe fregato, non che qualcuno lo avrebbe rimproverato.

E lei era lì. Il pallore del suo manto era così accecante contro lo sfondo vuoto che lui doveva coprirsi gli occhi. Ma le sue stesse mani erano inesistenti e socchiudere le palpebre era impossibile, anche perché non poteva non sorridere alla vista del volto che attendeva da così tanto tempo: solo lei poteva aiutarlo—

Ma il suo sguardo corrucciato diceva ben altro. Era un idiota a credere a un sogno così palese.

«Asgore Dreemurr.» Le sue labbra non si mossero di un centimetro. Lui sentiva che la delusione in quegli occhi lo avrebbe ucciso prima o poi. «Non dovrei stupirmi di te: già mi fai ribrezzo, dopo aver trascinato la tua gente in questa follia e aver ucciso sei bimbi innocenti. Sono stata una sciocca a pensare di costruire una famiglia con te. Se l’avessi saputo prima, avrei riconsiderato il tuo ruolo di padre. Ma poi hai anche voluto rubare l’ANIMa di un povero mostro. La tua follia davvero non conosce limite. Ahahah…» La brillante risata era contaminata dalle lacrime che lo bruciavano come la pioggia acida alla terra divenuta sterile.

«Io…» ma le parole gli morirono in bocca.

«Una bambina, una morte evitabile, inutile. Un danno alla nostra stessa gente.» Gridò ancora. «Se sei davvero così… AVRESTI POTUTO UCCIDERE I NOSTRI BAMBINI PER LE LORO ANIME.»

«Noooo!» Tornarono la luce e l’ombra, il sudore abbracciò il pelo e le fibre del tappeto su cui era disteso, pungenti sulla pelle vulnerabile. Gli sembrava quasi che il volto gli si sciogliesse per il tumulto. Era un idiota per esserci cascato, per aver provato a parlare a lei, un’immagine della sua mente.

No, non poteva uccidere qualcun altro. Aveva bisogno di cercare aiuto.
Si alzò, le gambe tremolanti sotto al peso scomposto.
Aveva dormito ma non si sentiva riposato, c’era solo altro dolore. Come sempre.

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