Buon compleanno… Ivanoeuf

di Aky ivanov
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buon compleanno…

Ivanoeuf!

prologo

 

 

 

Ivan fin dal suo abbandono davanti alla porta di un disadattato monastero aveva compreso la bellezza dell’ignoranza, c’erano domande di cui non era necessario conoscere le risposte. Per tal motivo a gambe incrociate continuava a ruotare il cucchino nel caffè osservando silenziosamente Boris al capo opposto del tavolo. Ogni domenica il suo compagno di squadra perdeva la testa per qualcosa di diverso assumendo i connotati di uno scienziato pazzo alle prese con esperimenti dalla dubbia utilità. Due settimane prima sfamando gattini randagi di passaggio fino al creare una colonia felina sul davanzale dell’appartamento, la settimana prima mettendo su un folle sistema con il filo da pesca fatto passare attorno al corrimano del vano scala, nelle porte e nelle rientranze dei muri del condominio pur di riuscire a staccare il contatore della corrente al cinese del pian terreno.

«Perché stai tormentando Xiao Yuhan?» aveva allora chiesto saggiamente Yuri sulla soglia spalancata dell’appartamento all’ennesimo viaggio del povero uomo in cantina.

«Crede di farmi fesso ma si sbaglia! Nessuno può ostacolare Boris Kuznestov!» era stata la psicotica risposta di Boris sul pianerottolo mentre il filo da pesca con l’uncino legato all’estremità scorreva febbrilmente fra le dita attraverso la tromba delle scale «Gliela faccio vedere io a quel mangia gatti e al suo stupido nuovo doberman chi comanda nel condominio!»

Yuri non aveva nemmeno provato a farlo ragionare, rientrato in casa si era immerso nel lavoro contabile ignorando completamente il compagno chiuso fuori e la scarica di imprecazioni cinesi proveniente dal portone del palazzo. Almeno finché l’araba della porta accanto non aveva bussato lamentandosi delle “brutte parole” straniere che la figlia di cinque anni aveva iniziato a ripetere.

Dati i presupposti Ivan si era preparato al peggio per quella domenica ma l’ingegno mal applicato di Boris l’aveva stupito ancora una volta cogliendolo impreparato. Il numero verde della ditta di derattizzazione accuratamente salvato in rubrica non era servito, anziché dover vedersela con una mandria di topi attirata nel cortile (per richiamare i gatti) avrebbe dovuto fare i conti con il diabete precoce.

La cucina era diventata la sede distaccata di un negozio di prodotti da forno alle prime luci dell’alba, quando Boris rientrato da una delle sue vaganti e abituali passeggiate notturne aveva portato con sé sacchetti ricolmi di cornetti dalle più improbabili farciture.

Boris, il ragazzo che odiava anche la più piccola briciola di zucchero nel suo caffè.

Ivan contemplò il cornetto al pistacchio allungato davanti a lui, il quarto da quando aveva messo piede in cucina, chiedendosi perché in primo luogo si fosse alzato così presto. Era il suo unico giorno libero dai corsi scolastici e finché avrebbe rifilato tale scusa, Yuri non avrebbe provato a svegliarlo. Quando si parlava di scuola il suo capitano incarnava i panni del genitore perfetto dilungandosi in osservazioni serie su quanto l’equilibrio fra istruzione e riposo fosse importante. Al contrario dei commentini sarcastici sussurrati da Boris su tale insolita parlantina, lui non aveva mai provato a contraddirlo non solo per paura di una delle occhiate gelide alla Ivanov ma per il motivo nascosto per cui Yuri continuava a insistere affinché finisse gli studi. Era il più piccolo, l’unico ancora non coperto da responsabilità lavorative che gli altri tre si erano addossati, l’unico a poter scegliere liberamente il suo futuro senza essere condizionato.
Non che gli altri tre non potessero, semplicemente avevano scelto un altro percorso di vita in base alle necessità del momento distanziandosi dai libri, ad eccezione di Sergej.
Era grato per quelle premure nascoste dietro i burberi sguardi e come ringraziamento, poteva pure accettare di sacrificarsi dando il suo parere – richiesto con insistenza da Boris –  sulla dolciastra crema verdognola che trasbordava dall’involucro di pasta sfoglia.

«Non sarà di certo peggiore del primo che mi hai fatto assaggiare…» mormorò con tono sconfortato dopo un profondissimo sospiro «La mia mente ha fortunatamente rimosso quel sapore orrendo»

Boris chinato a degustare con la grazia di un uomo del paleolitico il suo cornetto al cioccolato bianco fu però di tutt’altro avviso tra i bofonchi sconnessi «Bufono quelfo là!» e il sorriso sornione enfatizzato dalle guance abbuffate.

Ivan alle ditate di zucchero a velo lasciate sul suo maglioncino blu in uno scatto isterico strappò il cornetto dalla mano dell’amico schiaffandoglielo in faccia.

«Buono un corno!» sbottò inginocchiandosi sul tavolo con l’intento di infilarglielo di forza giù per la gola.

«Ivan torna al tuo posto!» intervenne Sergej afferrandolo per il colletto della maglia.

«È lui che ha iniziato!»

Ivan si ritirò seduto sulla sedia controvoglia, il gomito inchiodato sul tavolo e il volto stizzito voltato nella direzione opposta al nuovo arrivato. Sergej non si faceva mai gli affari propri neanche quando sosteneva di volersi rinchiudere nella sua camera a studiare nell’unico giorno libero della settimana. Finiva sempre così, attendevano con ansia la domenica per stare tutti insieme “come una famiglia” per poi finire a litigare inevitabilmente o per una cosa o per un’altra.

Erano solo ad inizio giornata e già non ne poteva più di Boris e il suo insistere nel mangiare i dannati cornetti che lui invece non si stava facendo problemi a ingurgitare.

«Ehi Ivan» voltatosi verso Sergej sedutosi stancamente a capotavola come arbitro della situazione restò in attesa del proseguo «Prima parlavi dell’abbinamento: cioccolato piccante fondente con crema alla banana e ricotta?»

Annuì schifato al saporaccio risalitogli sulla lingua e fortunatamente per lui l’occhiataccia di Sergej placò il nuovo possibile apprezzamento positivo di Boris che con una scrollata di spalle tornò a sorridere schizzato – gli zuccheri erano sicuramente il male per la sua sanità mentale – addentando l’ennesimo cornetto della giornata.

Ivan suppose che l’inquietante ammasso rosso sgocciolante dalla mascella fosse marmellata alla ciliegia e riluttante prese il proprio pregando di non morire.

«Perché devi essere verde come il veleno?»

Sergej sembrò voler dire qualcosa ma richiuse la bocca guardando confusamente Boris e qualunque domanda Ivan avesse voluto porre finì in secondo piano ai passi strascicati proveniente dal corridoio. L’orologio segnava le otto e mezza sottolineando silenziosamente quegli insoliti ritardi che Yuri aveva iniziato ad avere da un mese a quella parte. Il loro capitano era sempre stato il primo a svegliarsi non oltre le sei del mattino e seppur non vi fosse necessità di vederlo in piedi prima delle nove, restava comunque un comportamento strano. Apparentemente non vi era nulla di sbagliato in qualche ora di sonno aggiuntiva ma Ivan aveva incominciato a dubitare che Yuri dormisse. Lo stesso Sergej aveva fatto notare le occhiate violacee sempre più pronunciate ricevendo in cambio una rispostaccia dall’interessato. Boris che condivideva la stanza con Yuri aveva però compiuto l’azzardo peggiore, gli aveva somministrato delle gocce per il sonno a sua insaputa. Per oltre due settimane i due non si erano rivolti la parola spingendo lui e Sergej a temere di lasciarli dormire all’interno della stessa camera.

Ivan addentò insicuro la sfoglia masticando il pistacchio interno come un composto pronto a esplodergli in bocca, sbiasciando un buongiorno all’ingresso del capitano, stentatamente ricambiato nonostante lo stato di zombie vagante.

Sergej arricciò le labbra contrariato all’uso spropositato che Yuri aveva iniziato a fare del caffè senza voler dar voce a dei rimproveri che sarebbero caduti nel vuoto. Ivan lo vide alzarsi e recuperare dal ripiano più alto della cucina l’involucro rossiccio con la miscela prima che Yuri intuita l’ubicazione del nuovo nascondiglio iniziasse ad arrampicarsi sul ripiano marmoreo.

Erano passati sette mesi dallo scontro contro l’organizzazione professionistica folle messa su da Vorkov e nessuno di loro voleva vedere la testa del loro capitano battere per una stupida caduta. Boris l’aveva definita una “paura irrazionale” ma nonostante l’ostentata spensieratezza era sempre stato il primo ad entrare in apprensione, come in quel momento. L’occupazione mangereccia era stata messa da parte finché Sergej non era intervenuto.

Ivan si ritrovò ad apprezzare il suo cornetto più di quanto inizialmente supposto, la scusa perfetta per nascondere l’attento studio diretto allo spettro appoggiatosi stancamente al bancone della cucina con le braccia incrociate. Yuri ancora nel suo pigiama bianco somigliava ad uno dei fantasmi dei film horror che tanto piacevano a Boris, la pelle si confondeva con il tessuto e se non fosse stato per i capelli sgargianti sarebbe parso un’apparizione mistica in piena regola.

La caffettiera gorgogliò diffondendo l’aroma della caffeina.

«Stamattina sei libero, perché non torni a dormire?»

Ivan smise di masticare imitato da Boris in apprensione. Sergej aveva posto la domanda tabù afferrando la caffettiera prima delle dita pallide, brandendola come merce di scambio per una risposta che altrimenti non sarebbe arrivata. Gli occhi azzurri restrinti indispettiti provocarono un brivido lungo le loro schiene senza sortire lo stesso effetto sul biondo.

«No, non posso. Sono alla BBA» fu la glaciale risposta che non ammise le repliche nascenti «A mezzogiorno scaricano i materiali per la sala di monitoraggio e devo firmare per la consegna, catalogare e controllare che tutto sia arrivato, oltre a terminare una serie di altre pratiche. Ora, posso avere il mio caffè?»

Sergej non del tutto soddisfatto riempì per metà una tazzina portando il restò con sé al tavolo lasciando Yuri ad afferrare l’aria dove prima c’era la caffettiera.

«Sergej» lo richiamò imperioso il ragazzo con una vena pulsante.

«Non puoi vivere solo di caffè» Sergej ondeggiò uno dei libri sulla corretta alimentazione raccolto dalla poltrona aggirando il tavolo «Devi mangiare qualcosa, la colazione è il pasto più importante della giornata e non deve essere tralasciato!»

«Non mettere di nuovo in mezzo al discorso i tuoi studi per diventare pediatra!» ciocche di capelli cremisi sfuggirono alla stretta dell’elastico ricadendo sul volto contratto.

«Perché no? Ti comporti esattamente come un bambino»

Yuri non digerì l’accusa serrando i pugni lungo i fianchi in una visibile emozione di rabbia, nemmeno la maschera imperturbabile rimasta sul posto nei momenti cruciali riusciva a stare al passo con la stanchezza. Sergej sollevò sfrontatamente un sopracciglio invitandolo a controbattere, in una palese provocazione che se avesse visto Boris come destinatario si sarebbe conclusa con una rissa. Ma, era di Yuri che si stava parlando, neppure nel suo stato più folle avrebbe mai provato ad ingaggiare una lotta corporea contro di lui, avrebbe preferito sempre quella verbale. Ed era proprio quella mancanza di botta e risposta sprezzante che caratterizzavano l’amico a confermargli quanto non stesse bene.

«Senti Yuri, non voglio litigare con te. Non sei stupido e sai bene che continuando così ti autodistruggerai. Lo so che salti spesso il pranzo e no, non fulminare Boris, non ci voleva la sua conferma per vedere quanto peso hai perso» raggiunse l’amico e con un sospiro adagiò la caffettiera «Ti sei sempre preso cura di tutti noi, ora lasciaci fare lo stesso, non può andare Boris al posto tuo?»

«No, sono doveri che mi competono»

Sergej dichiarò la sua resa affogando il proprio dispiacere in uno dei cornetti, Yuri in mezzo secondo aveva trangugiato un’intera tazzina di caffè sembrando un drogato in astinenza. La marmellata all’albicocca gli allietò però la vista della sconfitta ricevuta a metà, il resto del liquido dipendente era stato lasciato intoccato. Yuri gli aveva scoccato un’occhiata risentita incrociando le braccia per non bere la seconda tazza e Sergej per il bene della sua vita aveva evitato di sottolineare come gli sembrasse un bambino messo in punizione.

Il telefono squillò smorzando la pesantezza caduta nella cucina.

Boris continuò a mangiare, Ivan punzecchiò la sfoglia come se potesse muoversi da un momento all’altro e Yuri guardò lui con un sopracciglio inarcato prima di sbuffare mormorando epiteti non proprio carini. Non erano esattamente persone socievoli circondate da amici, il loro numero fisso era conosciuto da quattro persone contate, di cui tre vivevano in Giappone e una in Spagna.

L’unica a poter chiamare tanto presto era soltanto una, Hiwatari.

L’asociale per eccellenza avrebbe parlato solo con Yuri.

«Cribbio, Ivan! È pistacchio non plutonio radioattivo!»

«Se ci tieni mangialo tu allora!»

«Mi hai preso per un cane? Non mi avvicinare i tuoi avanzi!»

Sergej masticò tra un sospiro e l’altro ignorando i due sbraitanti accanto a lui che gli impedivano di ascoltare la conversazione telefonica. La cornetta era stata stretta spasmodicamente e per impedire alla sua curiosità di prendere il sopravvento aveva dirottato tutta la sua frustrazione sul vassoio d’ardesia a centro tavola. L’aveva comprato alcuni mesi prima ad un mercatino dell’usato per via dei ghirigori intagliati: un lupo, un falco, una balena e una vipera. Associazione animalesca apparentemente orribile per chiunque ma non per lui che ad ognuna di quelle figure aveva associato uno degli inquilini della casa. Probabilmente era il risultato di qualche strana – e fallimentare – idea di merchandising per omaggiare la loro squadra, finito abbandonato nel dimenticatoio di una polverosa scatola in un altrettanta polverosa bettola in cui l’aveva acquistato.

Per mantenere intatta la sua virilità aveva tenuto per sé il dettaglio di aver dovuto lottare con un’arzilla signora di settanta tanni invaghita del loro capitano per accaparrarselo, soprattutto perché all’arrivo a casa Ivan aveva fin da subito espresso il suo sdegno per la vipera troppo piccola, Boris gli aveva detto che faceva schifo provando a lanciarlo dalla finestra e Yuri era rimasto a fissarlo assorto senza dire alcunché.

Nessuno l’aveva apprezzato, eppure, non c’era giorno in cui non finisse sul tavolo.

Grattò via dalle linee raffiguranti la coda della balena tracce di zucchero incrostato irritandosi all’idea di dover passare più tempo del previsto per ripulirlo.

La cornetta sbattuta ferocemente sull’apparecchio telefonico inchiodato al muro, una, due, tre, quattro volte interruppe i suoi tormenti congelandolo sul posto insieme agli altri. Il primo pensiero fu l’ennesima conferma dei timori sull’instabilità emotiva e psichica in cui Yuri versava dalla fine del campionato, il secondo invece, il volerlo aiutare a rimettere insieme i pezzi della sua persona sull’orlo dell’autodistruzione.

Il pugno adirato abbattuto sul ricevitore seguito dal ringhio strozzato esacerbò quella rabbia repressa che Yuri da qualche mese a quella parte non riusciva più a controllare.

Sergej osservò la schiena del suo amico immaginando facilmente i lineamenti del viso contratti. Il suo aiuto sarebbe stato scacciato come uno di quei fastidiosi volantini pubblicitari piazzati tra le mani in mezzo alla strada. Il mucchietto pelle e ossa ambulante avrebbe fatto prevalere il proprio stramaledettissimo orgoglio ancora una volta, dimenticandosi di non dover più dar conto della sua vita e dei suoi comportamenti a nessun altro se non sé stesso. Vorkov aveva fatto un lavoro certosino su quel fronte, la fortuna l’aveva assistito concedendogli un bambino fortemente indipendente e fiero di sé fin dalla tenera età. Aveva trasformato il punto di forza di Yuri nella sua più grande debolezza.

Tutti loro avevano orgoglio in gran quantità ma dopo aver riottenuto la libertà tanto ambita avevano imparato a metterlo a tacere fra quelle quattro mura, tranne Yuri. A muoverlo non era la smania di prevalere come al Monastero né l’inclinazione caratteriale odiosa mostrata da Hiwatari, erano piuttosto le migliori intenzioni applicate nel modo sbagliato.

Yuri non avrebbe chiesto aiuto per mostrarsi capace di risolvere tutto, di addossarsi tutti i loro problemi, continuando ad assumere il ruolo di punto di riferimento costante attribuitogli ai tempi della creazione della squadra. Yuri si era assunto responsabilità extra di sua iniziativa, diventando quella figura stabile che qualunque ragazzo vorrebbe avere in famiglia dimenticandosi di averne bisogno a propria volta.

Dimenticandosi di non essere più un soldatino ma un ragazzo normale.

Tutti avevano un limite e Yuri aveva raggiunto il proprio restando l’unico a non rendersene conto. L’esito del torneo paradossalmente anziché risolvere e dar luce alla sua vita, l’aveva resa soltanto più oscura e solitaria. Persino Boris da sempre considerata l’unica persona in grado di penetrare a fondo nei sentimenti del capitano era stato escluso da ogni confidenza. Tutte le loro relazioni erano state ridotte allo stretto indispensabile.

«Smettila di prendertela con il telefono» fu la quieta osservazione di Boris alzatosi coraggiosamente per affiancare la belva furente «L’unico risultato che potrai ottenere sarà comprarne uno nuovo. Qual è il problema?»

Sergej scosse silenziosamente il capo alla mano di Boris adagiata in segno di conforto sulla spalla, immediatamente scostata da una spinta seccata. Yuri per nulla incline ad accettare un gesto fraterno l’aveva fulminato uscendo a passo di marcia dalla cucina, tenendo per sé la rispostaccia bloccata all’ultimo minuto.

La porta sbattuta risuonò nel corridoio lasciandoli sospirare all’unanimità.

«Sempre più simpatico il nostro Hiwatari dei poveri» commentò sarcasticamente Ivan abbandonando l’informe pastrocchio verdognolo «È il modo carino insegnatogli da Kei per dirci di farci i fatti nostri?»

«Non paragonarlo a lui»

Boris poggiatosi alla parete a braccia incrociate continuò a osservare la soglia della cucina corrugando la fronte. Yuri non gli aveva ancora perdonato la faccenda dei sonniferi, era lampante. Le sue scuse non erano bastate a risanare la perdita di fiducia che schiettamente gli era stata sbattuta in faccia. Yuri non osava più addormentarsi prima di lui, più volte aveva dovuto fingere di essersi lasciato andare alle braccia di morfeo per farlo crollare a orari decenti.

«Perché no?»

«Yuri non è Kei» continuò imperterrito guardando il piccoletto riluttante a dargli ragione «È solo esausto e fottutamente orgoglioso per ammetterlo. Non ha il carattere di merda di Hiwatari, quel rompipalle è perennemente una spina nel fianco»

La porta sul fondo del corridoio si riaprì ammutolendoli all’istante ed i passi pesanti rimbombarono sul finto parquet finché il ragazzo dai capelli rossi non rientrò in cucina. Yuri armato di forbici senza degnare nessuno di uno sguardo tranciò il cavo telefonico con espressione di pura soddisfazione, ritornandosene poi, sempre silenziosamente, da dove era venuto.

Boris contemplò il filo penzolante accanto a lui riprendendo lentamente a respirare. Per un attimo aveva pensato di essere lui il bersaglio, Yuri l’aveva trafitto con quei suoi occhi gelidi e seppur felice di essere scampato alla furia mal contenuta non poteva evitare di chiedersi perché il suo amico dovesse adottare tali idee drastiche.

Sarebbe bastato togliere la spina per non farlo squillare di nuovo.

«Qualcosa mi dice che Hiwatari l’ha fatta grossa» cantilenò Ivan gettando i resti del cornetto nel cestino e il piatto nel lavello «Il lato negativo è che dovremo sorbircelo noi e non mr. simpatia dall’altra parte del mondo»

«Smettetela entrambi, sapete benissimo quanto Kei si stia adoperando per aiutarci con la nostra causa» tutto ciò che Sergej ricevette furono due smorfie contrariate «Non va a genio nemmeno a me ma non possiamo negare che una volta tanto ha deciso di mettere in mostra il suo lato altruistico»

«Altruistico?» sghignazzò Boris gettandosi scompostamente su una delle sedie libere, non mancando di mostrare tutto il suo cinismo «Sta cercando di soffiare al nonnino l’atto di proprietà del monastero solo per fargli l’ennesimo dispetto. Non si accontenterà finché non lo vedrà crepare di crepacuore dietro le sbarre»

Ivan annuì in accordo indicando il compare e lasciando il biondo a combattere una sfida impari.

«Se fosse per scopo egoistico non si preoccuperebbe di informare Yuri dopo ogni sviluppo»

«Tu credi lo stia facendo per Yuri»

«Sì»

Boris sollevò un sopracciglio scettico accompagnato da Ivan riemerso dal mucchio di cuscini del piccolo divano su cui aveva deciso di lasciarsi morire per il resto della giornata. Risultava davvero difficile pensare al loro egoistico ex compagno di squadra sotto un’ottica positiva. Anche se non era infido come l’unico parente rimastogli in vita, Kei non ci aveva pensato due volte a voltare le spalle al loro capitano agonizzante per unirsi alla squadra di Vorkov. Il voltagabbana aveva ignorato Yuri finito in coma per perseguire i suoi ideali senza provare il più piccolo interesse per il loro amico in lotta tra la vita e la morte.

L’unica volta in cui l’avevano visto in ospedale non era certo per una visita di cortesia, vi era stato trasportato d’urgenza dopo lo scontro con Brooklyn unendosi a Yuri per giocare all’appassionante edizione del “vediamo chi schiatta per primo”.

«Sarà…ma a me Yuri non è sembrato particolarmente felice» commentò Ivan abbracciando uno dei cuscini sgualciti.

«Evidentemente Kei gli avrà detto che non è ancora riuscito a ottenere ciò che serve per realizzare l’obbiettivo. Sai quanto Yuri desideri dare nuova luce a quel posto, la sua scrivania è piena di progetti e idee per renderlo una struttura sana e vivibile per i bambini di strada…non ha più la pazienza per aspettare»

«Per questo noi oggi gli miglioreremo la giornata!»

Ivan si raddrizzò di scatto sul divanetto guardando apprensivamente verso Boris, fin troppo euforico per il malumore alleggiante nella casa. Si era sbagliato una seconda volta, l’idea malata della domenica non era ancora entrata in azione.

«Di cosa stai parlando?» domandò circospetto non volendo nemmeno conoscerla la risposta.

«Prepareremo una torta di compleanno!»

«Una torta…»

Boris annuì vigorosamente con una gioia che non gli aveva mai visto addosso facendo venire i brividi ad Ivan sempre più terrorizzato all’idea di vivere sotto lo stesso tetto con il ragazzo.

«…di compleanno?»

Ivan lasciò trasparire una certa inquietudine al termine della domanda, non tanto per l’essersi dimenticato il compleanno del suo capitano ma per l’enfasi con cui i capelli lilla venivano scossi. Loro avevano rudimentali basi di cucina, non erano morti di stenti soltanto grazie alle ricette trovate in rete che avevano fornito informazioni relative allo stretto indispensabile per sopravvivere. Sergej si era rivelato il più incline a imparare, lui aveva superato lo stadio quel tanto necessario a renderlo commestibile e Boris…bruciava ogni cosa che toccava.

No, Ivan non voleva cucinare una torta insieme a Boris.

«Sergej dimmi che tu sei incluso nel progetto»

Sergej annuì ridacchiando alla smorfia irritata di Boris per quella supplica per nulla velata.

«Tzé, nano di poca fede, sono capace di cucinare una torta!»

«Boris non dire cretinate, sei stato capace di far asciugare completamente l’acqua nel pentolino con delle uova sode!»

«Sciocchezze» borbottò il ragazzo punto sul vivo.

«L’araba della porta accanto ha chiamato la polizia! Pensava ci fosse stata una sparatoria dentro casa per le uova che son schizzate via bombardandoci tutta la cucina! Ti sembra una sciocchezza?!»

«Quella tipa è tutta strana»

Ivan si strofinò le mani sul viso sperando di trovarsi in un incubo. Boris imperterrito aveva bloccato il suo futuro elenco di reminiscenze sulle sue scarse doti in cucina mostrandogli orgoglioso persino le foto di una ricetta scritta con tanto di disegnini d’accompagnamento per far capire i vari procedimenti. Strizzò gli occhi per decifrare la scrittura alternando sempre più perplesso il volto dal display agli occhi blu elettrizzati.

«Boris…perché è scritta in spagnolo?»

«Oh, Julia l’ha fotografata da un ricettario di sua nonna»

«Julia…» ripeté dubbioso schioccando la lingua «Chi diavolo è Julia

«Come chi è? Il peperino facente parte degli F-Sangre, quante Julia conosci?»

Sergej alzò gli occhi al cielo ormai pronto ad abbandonare la giornata di studio, di quel passo non avrebbe avuto modo di aprire i libri fino al giorno successivo. Boris aveva omesso il piccolo particolare di eseguire una ricetta elaborata scritta in un’altra lingua, con metà degli ingredienti non presenti in casa e il tutto tenendo a distanza il suo capitano anche dopo l’orario di lavoro.

«Nemmeno una dato che non ero con voi durante il campionato!»

«Oh, giusto…comunque quella lì»

«E perché ti avrebbe dato la ricetta?»

Boris sogghignò facendo ad Ivan un circospetto cenno della mano finché il ragazzino non si sporse completamente verso di lui a portata d’orecchio. Incuriosito e dubbioso al contempo per lo stato mentale eccitato del suo amico.

«Porque Yuri es el hombre de sus sueños...» (*)

«…Cosa?»

«È innamorata di lui»

Ivan si allontanò cercando una conferma nel terzo ragazzo in sala che se ne lavò completamente le mani tirandosi fuori dalla questione. Boris con l’espressione al pari di un pappone di un porno di bassa lega annuiva accondiscende vantandosi di saperla lunga su occhiate languide e attrazioni, ammettendo candidamente di aver seguito Yuri durante una passeggiata con la madrilena nella tappa egiziana del campionato. Alla chimica presente fra i due e altre associazioni poetiche strampalate tirate fuori da chissà dove per darsi un’aria saggia che non gli apparteneva. Boris non era nemmeno mai uscito con una ragazza.

«E Yuri avrebbe assecondato queste avance

«Di chi credi di star parlando?» Boris agitò scioccamente una mano nell’aria appoggiandoci infine il palmo «Quell’idiota nemmeno si era accorto di imbambolarsi a guardarla durante gli scontri finché non gliel’ho fatto notare»

«Non è bello parlare degli assenti»

«Sergej dai, lo hai visto anche tu in Egitto! Si è seduto sulla gradinata al sole pur di non allontanarsi da Julia e il succinto vestitino da odalisca…ed ammetto che quello è stato lo scontro più piacevole del campionato!»

Ivan ascoltò i sussurri chiedendosi se stessero parlando dello stesso Yuri e se la vittima di quei pettegolezzi non sarebbe comparsa all’improvviso alle loro spalle facendogli fare la stessa fine del cavo telefonico. Per il bene della sua e altrui sopravvivenza avrebbe fatto meglio a mettere a tacere quelle dicerie.

«Boris, almeno sei sicuro che la torta piacerà a Yuri?»

«Sicuro, perché pensi abbia comprato tutti questi cornetti?»

«Cosa centrano i cornetti?» cominciava a non riuscire più a seguire i repentini cambi discorso insensati.

«Dovevo capire quale crema preferisse» rispose l’altro con uno sbuffo mostrando la stessa esasperazione nel ripetere una cosa per la centesima volta quando in realtà era la prima «I cornetti sono la copertura perfetta»

«E di grazia come pensi di scoprirlo se è così di cattivo umore?»

«Lo ha già scoperto»

Ivan inclinò il capo confuso verso Sergej che poggiato al bordo del tavolo era concentrato nella lettura della ricetta con le dita agitate nel vuoto atte a mimare una scrittura invisibile.

«Chi pensi mi abbia aperto stamattina?» proseguì Boris allungando i piedi sul divano dove incominciò la lotta di gambe per l’appropriazione del posto libero «Mamma Ivanov mi aspettava sulla soglia pronta a farmi la sua ramanzina per aver dimenticato le chiavi, gli ho rifilato uno dei cornetti per metterlo a tacere. Anche se gli ha dato solo due morsi contati, ho scoperto il suo gusto preferito: fragole»

«Aspetta un attimo» sibilò Ivan avvertendo la vena pulsare sul collo mentre tirava un calcio alle gambe adagiate sulle sue «Tu hai scoperto tutto ciò alle cinque del mattino e nonostante tutto hai continuato la tiritera facendomi ingurgitare controvoglia quella roba abominevole inutilmente?!»

«Esattamente» rispose piattamente Sergej senza scollare gli occhi dallo schermo.

«Boris, a saperlo prima giuro che ti avrei soffocato davvero con quel cornetto»

 

______

Note finali

(Ivanoeuf) - È scritto volutamente male
(*) -
Perché Yuri è l'uomo dei suoi sogni...

Potevo mai mancare dal fandom il giorno del compleanno di Yuri?!
Ovviamente no!
💙
Sono sempre in prima linea quando si parla del mio lupacchiotto preferito.

Questa storia doveva essere un’unica oneshot e…fermi! Prima che vi ritrovi con i manganelli in mano, non le farò fare la fine di quella del matrimonio, promesso! >.<
Tranquilli, aggiornerò anche quella ma il compleanno di Yuri ha la precedenza attualmente e questa storia ha già il suo bellissimo schemino con tanto di conclusione ma ahimè, una forza superiore chiamata “tempo” mi ha obbligato a suddividerla.
Visto che il tema della storia è proprio il giorno del compleanno di Yuri, mi sembrava d’obbligo mettere oggi almeno l’incipit u.u

Cosa potrà mai succedere al festeggiato e a dei poveri blader intenzionati a fargli una torta?

Non vi anticipo nulla! Lo scoprirete nel prossimo capitolo :p

 

Aky


 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Takao Aoki, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


Buon compleanno…

Ivanoeuf!

primo capitolo

 

 

 

Yuri si massaggiò le tempie inspirando profondamente per non soffocare la donna dinanzi a lui rischiando così un soggiorno in carcere, magari avendo per vicino di cella lo stesso Vorkov.

I pochi addetti presenti nella sede della BBA nei giorni festivi si erano dimostrati una massa di incompetenti. Al suo arrivo la receptionist catapultatasi addosso l’aveva trascinato giù per le scale fino alla cascata artificiale ricreata nel muro da un muratore che aveva leggermente sbagliato punto da trapanare. Ritrovatosi tra intonaco disciolto e calcinacci vaganti scaraventati in giro dalla pressione dell’acqua, Yuri aveva evitato di chiedersi come con una punta di appena sedici millimetri avesse creato una voragine di un metro. Preferendo concentrare le sue energie nel nuoto, unico escamotage utile a raggiungere il pannello di controllo dall’altra parte dell’edificio.

«Ivanov hai avuto un’idea geniale!»

L’istinto gli aveva persino suggerito di provare ad affogare il suo coetaneo neoassunto per metterlo a tacere insieme alle ovvie precisazioni decantate giusto per dare aria alla bocca. Era servito tutto il suo sangue freddo per non sradicare la valvola dell’acqua appena chiusa ed usarla come arma bianca.

D’altro canto, la situazione drastica aveva reso necessario un cospicuo numero di mani per mettere in salvo tutte le apparecchiature elettroniche. Gli ultimi tre quarti d’ora passati tra una corsa e l’altra nella pozza d’acqua arrivata alla sua pancia – in attesa dei pompieri che quel mattino avevano deciso di prendersela comoda – gli avevano fatto sperare che il peggio fosse passato.

Yuri Ivanov, povero illuso.

«Signor Ivanov?»

Yuri trasse un profondo respiro seduto sulla scalinata per metà ostruita dall’acqua afferrando di malvoglia la cornetta tesa dalla segretaria, più per togliersela finalmente di torno che per il desiderio di dover intrattenere quella conversazione.

«Buongiorno presidente Daitenji» esordì con calma forzata continuando a massaggiarsi la tempia pulsante ed aggiungendo mestamente «Mi scusi, volevo dire buonasera. A Tokyo sarà ormai sera»

«Oh Yuri non preoccuparti di queste formalità! Volevo ringraziarti per aver accettato l’incarico all’ultimo momento, mi è dispiaciuto toglierti il giorno libero» le interferenze della linea non attutirono il tono caloroso dell’uomo che per un attimo riuscì a placare i nervi del russo «Inoltre, volevo informarti di prenderti domani una bella giornata di risposo. Lo so che sei un eccellente lavoratore ma non devi fare tutto tu, ho assunto altri impiegati appositamente!»

La calda risata dell’uomo risuonò nell’apparecchio, nettamente in contrasto con il lugubre ed incessante gocciolio del tubo sul pantano creatosi nel seminterrato.

Yuri mordicchiò le proprie labbra non del tutto convinto dell’“ottimo lavoro” svolto. Il compito affidatogli era di aiutare nella gestione uno dei più importanti centri di allenamento per il Beyblade della Russia, non di trasformare la suddetta sede in una piscina in cui istruire futuri bagnini.

«Non si preoccupi, ho accettato di buon grado»

Yuri lo pensava sul serio. Avrebbe fatto di tutto per ringraziare le cure di quell’uomo rimastogli costantemente accanto durante il suo coma ma dopo aver terminato la frase si era ritrovato a mettere in discussione lui stesso la veridicità di tali parole. Uno dei tecnici passatogli accanto aveva perso l’equilibrio ruzzolando giù per le scale, insieme allo schermo di un computer, in un volo leggiadro fino allo schianto nell’acqua sottostante.

A fior di labbra aveva sussurrato esasperato il suo addio al secondo monitor ormai distrutto nella mattinata non sapendo se optare per la sottrazione della cifra esorbitante alla paga dell’operaio – che probabilmente si era appena rotto una gamba – o assumersi la responsabilità del disastro in quanto supervisore e responsabile dei lavori.

Poteva già avvertire il suo portafoglio più leggero con banconote dotate di ali immaginarie pronte a spiccare il volo.

«Yuri, va tutto bene?»

L’uomo caduto nella pozza rilasciò una vivace imprecazione che il russo riuscì ad attutire per metà con la mano sul cordless. Il presidente gli aveva concesso un posto altamente di rilievo nella struttura nonostante la giovane età, non avrebbe permesso ad alcun incidente di sottrarglielo né di darla vinta alle dicerie dei nuovi associati sulla ricerca di personale più qualificato. Il presidente Daitenji poteva essere messo al corrente della disastrosa faccenda appena accaduta anche l’indomani, quando il danno sarebbe stato risolto.

«Sì, benissimo» mentì spudoratamente sperando che la sottile isteria venisse coperta dalle interferenze telefoniche «Mi scusi ma ora la devo lasciare, incontri di beyblade turbolenti»

 

 

 

Ivan tirò su col naso nascondendosi il più possibile nello strato della sciarpa.

Il suo istinto gli aveva detto di non ascoltare Boris e le sue idee strampalate ma lui si era fatto fregare ugualmente come un allocco insieme a Sergej, trovandosi nelle strade del distretto di Tverskoj a spingere sotto la neve il loro ferrovecchio.

«Giuro che questa è la volta buona che ti uccido» soffiò inferocito nella stoffa, privato della sensibilità alle dita diventate due stalattiti.

«Zitto e spingi, mancano ancora dieci minuti alla pompa di benzina»

I passanti lanciarono loro occhiate di sottecchi mantenendosi a debita distanza dal ciglio strada contro cui loro incespicavano nella fanghiglia a passo di lumaca. Lo spazzaneve aveva fatto il proprio ottimo lavoro per la viabilità automobilistica gettando tutto agli angoli, rendendo di contro un inferno la mattinata di Ivan.
Le sue piccole gambe non erano fatte per camminare in strati di neve alti mezzo metro.

«Perché diavolo Sergej se ne sta seduto in macchina?! Sarebbe più utile di me!»

Le giunture arrugginite dello sportello verdognolo cigolarono all’apertura stagliandosi contro il resto dell’intelaiatura porpora della vettura. Ivan dubitava altamente che la loro Reliant Robin degli anni Settanta – amorevolmente etichettata da Yuri come “una trappola mortale col motore di una Ferrari” – avesse mai visto effettivamente dei giorni per così dire, migliori. Il sol fatto di aver avuto diciotto proprietari precedenti avrebbe dovuto essere un monito per stare alla larga ma Boris non aveva sentito ragioni preferendo dar ascolto ad Andrej, la loro ex conoscenza del monastero impiegata allo sfascio. Avevano acquistato un’auto che alla prima curva si era ribaltata con loro dentro finendo contro un albero, costringendoli non solo a pagare i danni per la distruzione del recinto di una proprietà privata ma a sborsare un capitale per un pezzo di ricambio, ovviamente introvabile, se non tramite importazione dall’Inghilterra.

«Avete dimenticato voi di far benzina» fu l’ammonimento di Sergej enunciato con la schiena aggobbita a causa dell’angusto spazio lasciato a disposizione dall’abitacolo «Ora pagate per i vostri errori, così la prossima volta starete più attenti»

«Ti ricordo che l’obiettivo della giornata non è farci da insegnante di vita ma preparare per tempo una torta a Yuri!»

«Allora, la vostra fatica la renderà più gustosa»

«In realtà, dovremo preparare anche la cena» aggiunse tra sé Boris interrompendo il futuro scatto del piccoletto accanto a lui a cui iniziò a ticchettare nervosamente il sopracciglio.

«Perché ogni fottuto dovere che esce dalla tua bocca è sempre al plurale?!»

Ivan sbatté la mano sul cofano per marcare la sua poca accondiscendenza. A sedici anni si era ritrovato a provare la stessa frustrazione di una mamma a tempo pieno bloccata in casa a badare ad un marito e pargoletti rompiscatole. Puliva e rassettava la casa non solo per via dei turni di lavoro di Boris e Yuri alla BBA e i corsi universitari di Sergej, ma soprattutto perché la lista con la suddivisione delle faccende inizialmente stilata era diventata – dopo soli due giorni – un semplice ornamento del frigorifero.

«Siamo una squadra»

«Eh no! Non ti rigirare le parole di Kinomiya a fatti tuoi!» con pochissima difficoltà l’avanzata rabbiosa di Ivan fu bloccata da una mano premuta sulla fronte, il piccoletto si ritrovò a scalciare nella neve e dimenare le braccia a vuoto nel tentativo di avvicinarsi «Se non fosse per Sergej che si prende la briga di cucinare solo per la paura di poter essere avvelenato e l’ossessione di Yuri per l’ordine, a quest’ora sarei un povero schiavo!»

«Non sei felice? Sei importante per la squadra» il sorrisetto accattivante di Boris fece salire il sangue al cervello ad Ivan che senza pensarci due volte sfruttò la bassa statura per saltare sul ginocchio piegato del compagno e prendere lo slancio fino al viso.
Colto alla sprovvista Boris ritirò il braccio allontanandosi di qualche passo per evitare il ragazzino che finì per rotolare a terra nel pasticcio nevoso. Il sogghigno derisorio stampato sul viso sorse spontaneo e non venne meno nemmeno al successivo attacco del piccoletto che con il capello mezzo calato sugli occhi inveiva contro di lui tra i cumuli di neve tentando di rialzarsi e al contempo sistemare la propria vista oscurata dalla lana.

Sergej dopo un ultimo sguardo di disapprovazione al duo richiuse lo sportello tirando il freno a mano. Come da sua previsione i due dietro di lui aveva iniziato a litigare non considerando minimamente di essersi fermati in pendenza.

 

 

 

Lo specchio dell’ufficio contabile restituì il riflesso di un volto pallido decisamente contrariato. I jeans, la camicia e la giacca del classico abbigliamento da lavoro ormai bagnati fradici erano diventati completamente inutilizzabili lasciando a Yuri due alternative: girare come un pulcino bagnato fino a sera col rischio di prendersi un malanno, oppure, indossare una delle divise della BBA per evitare di camminare in mutande nella struttura.

Yuri contemplò dubbioso la tuta intera blu elettrica di due taglie più grande risvoltata tre volte alle caviglie e attorno ai polsi domandandosi internamente se indossarla fosse stata davvero la scelta più giusta. L’abbigliamento extralarge urlava fino alla più piccola fibra quanto Sergej avesse ragione nei suoi rimproveri e rendeva la sua figura esteticamente fin troppo fragile e delicata. Così simile al sé di tredici anni prima disperso nelle strade di Mosca, racchiuso in abiti estranei toppo grandi e fuori misura da farlo sentire il reietto del mondo.

Il logo plastificato della BBA svettante sul petto era l’unico dettaglio a mantenerlo ancorato al presente, a rammendargli di aver ormai superato quella fase brutale anche se l’inconscio sovente ricascava nel passato tormentandolo con brutti ricordi e associazioni che voleva dimenticare.

Istintivamente le sue dita ricalcarono sullo specchio il contorno degli occhi cerchiati da un alone violaceo accertandosi al contatto freddo col vetro di essere ancora all’interno dell’associazione e non in un’illusione.

Aveva sempre avuto quell’aria così malata?

Spostatisi sui lineamenti induriti della mascella, i polpastrelli vennero ritratti di scatto all’improvviso bussare e alla conseguente apertura della porta.

«Cosa c’è ora?» tuonò infastidito per l’interruzione della sua privacy fregandosene altamente di indossare un’aria di forzata cordialità dopo aver espressamente ribadito centinaia di volte di aspettare un “avanti” prima di entrare.

Inna, impalata sulla soglia, doveva essersi appena ricordata tale particolare.

La giovane ventenne sua collega nelle assenze di Boris era il tipo di persona che Yuri detestava. Accondiscendente e docile, Inna aveva sempre una parola buona per tutti, persino per il ragazzo che l’aveva lasciata da sola a occuparsi di una bambina di due anni. Non alzava mai la voce, arrossiva per un nonnulla, parlava guardando sempre altrove, si scusava di continuo e si prodigava sempre verso il prossimo, anche verso chi non se lo meritava.

Il classico esempio di troppa bontà e buonismo che faceva passare per babbeo.

Nonostante ciò, nei pochi mesi di lavoro fianco a fianco non era riuscito a odiarla completamente, involontariamente si era persino un pochino affezionato a lei. Dopo una giornata di lavoro estenuante all’ennesimo ordine lei aveva sbottato mandandolo a quel paese, urlandogli contro come una dannata. Dalle semplici polemiche di lavoro si era ritrovato ad ascoltare uno sproloquio sull’intera vita insoddisfatta della ragazza.

Poteva essere l’unico uomo sulla faccia della terra a desiderare di passare del tempo in compagnia di una donna nel suo periodo mensile. Quei giorni rendevano la sua collega più spontanea e menefreghista dell’opinione altrui.

Molto più incline al carattere delle persone che gli andavano a genio.

«Allora?» addolcì leggermente la voce dopo aver constatato di non essere nel tanto sperato periodo rosso, anche se leggero ne fu il cambiamento tonale «Cosa dovevi dirmi di tanto urgente da non poter aspettare due secondi pur di entrare?»

«Oh, ecco…sono arrivati i fornitori! Uno di loro ti sta aspettando nell’atrio»

Yuri annuì stancamente oltrepassandola e facendole silenziosamente intendere con un’occhiataccia gelida di non parlare. Lo stato di cucciolo indifeso era sparito dalla ragazza lasciando spazio alla perplessità dirottata al suo vestiario e alla successiva velata risatina trattenuta a fior di labbra difficile da non notare.

«Se la situazione ti diverte tanto, la prossima volta mi assicurerò di farti sgobbare al mio posto per ore in mezzo a quintali di acqua stagnante» decretò seccato imboccando la rampa di scale seguito dallo scalpiccio dei tacchi al suo fianco.

Inna dichiarò immediatamente la resa scuotendo frettolosamente la treccia bionda con le mani sollevate davanti al petto e un tenue rossore sulle guance.

«Mi dispiace aver fatto tardi ma la babysitter di Alexia mi ha dato buca stamattina e ho dovuto accompagnare la piccola da mia zia dall’altra parte della città, come se non bastasse c’è stata una bufera e ho dovuto rallentare per non fare un incidente e…»

Gli occhi azzurri di Yuri si contrassero per l’esasperazione alle chiacchiere frettolose che evidenziavano un mix completo di ansia ed apprensione, e senza indugi smise di ascoltarla dopo il quarto gradino per non ritrovarsi con un’emicrania. Inna poteva fornirgli tutte le attenuanti del mondo poiché non era lei la fonte dei suoi mali della giornata, ma uno stupido tubo in un altrettanto stupido muro che nemmeno doveva essere bucato.

Anche se fosse stata presente al momento del disastro di certo non avrebbe lasciato a lei l’ingrato compito. La sciocca giunta al suo fianco, infatti, doveva aver completamente dimenticato di averlo messo al corrente della sua paura dell’acqua a causa di un incidente in piscina quando era poco più che una bambina.

Alla coscienza di Yuri bastava l’operaio ingessato.

Giunto nell’atrio si avvicinò con lei al seguito agli scatoloni ammassati nell’angolo, allungando senza mezze cerimonie la mano al fattorino che anziché consegnargli la cartellina per firmare continuò a squadrarlo da capo a piedi.

«Si decide a darmi quel foglio? Non ho tutta la giornata»

L’uomo sulla quarantina si aggiustò gli occhiali guardandosi intorno diverse volte prima di riportare l’attenzione su Yuri decisamente infastidito da tutto quel tergiversare.

«Mi dispiace ragazzino ma non posso consegnarti nulla»

«Come mai?» fu la contro risposta sibilata con un sopracciglio tremolante e le dita della mano tesa a mezz’aria contratte a scatti.

Inna poggiatasi ad uno degli ingombranti cartoni giocherellò tesa con l’estremità della treccia alternando lo sguardo fra i due uomini presenti lì con lei. Nonostante la stazza non le era difficile credere che quello più corpulento avrebbe fatto la fine peggiore. Fino alla sua assunzione non sapeva nemmeno cosa fosse il beyblade ma le era bastato recuperare le riprese dei precedenti mondiali per inquadrare che tipo fosse il suo collega.

Evidentemente il fattorino non aveva la sua stessa cultura per lo sport, oppure, non ci teneva poi tanto alla propria vita.

«Devo consegnarla a Yuri Ivanov. Quindi, potresti gentilmente chiamarlo?»

Yuri considerò l’opzione di prendere la penna a scatto e piantarla di forza nella gola del corriere, non solo per l’odioso e incessante clic clac che gli stava perforando il cervello.

«Sono io Yuri Ivanov»

Inna tossicchiò coprendosi repentinamente la bocca, optando per distogliere lo sguardo e ammirare le sue décolleté nere pur di non incrociare di nuovo due iridi azzurre omicide.

Erano le tredici passate di un giorno festivo, in una struttura quasi del tutto vuota, compreso l’atrio in cui c’erano soltanto loro. Le risultava fin troppo facile immaginare il proprio corpo smembrato e richiuso in uno degli scatoloni insieme al fattorino.

« certo, ed io sono lo zar» la grassa risata di scherno proruppe dall’omaccione che si chinò intimidatorio verso il russo di una spanna più basso «Moccioso, la prossima volta ruba almeno una divisa della tua taglia se vuoi spacciarti per qualcuno che non sei. Così non sei per niente credibile, levati di torno e fammi lavorare»

Yuri inspirò a fondo contando mentalmente fino a dieci sotto le occhiate sempre più preoccupate di Inna che vedeva il petto del russo abbassarsi e sollevarsi sempre più freneticamente. La donna gettò un urletto spaventato allo scatto repentino di Ivanov che sigillate le dita attorno al polso dell’uomo ne aveva strappato con forza la cartellina dalle mani, lanciandogli addosso quella che aveva tutta l’aria di essere un passaporto.

«Controlli» fu l’ordine imperioso soffiato tra i denti digrignati mentre scribacchiava la propria firma «Potrà notare come sia io l’uomo che sta cercando»

Inna piombò nel mezzo dei due litiganti prima che la situazione potesse precipitare accaparrando ogni genere di scusa possibile all’individuo che non aveva per nulla digerito l’atteggiamento sfacciato.
Yuri dopo aver sbattuto la cartellina sullo sterno dell’omaccione aveva ignorato gli improperi girando sui tacchi per dedicarsi al controllo del carico come se l’uomo urlante non fosse più presente. Consapevole di aver perso il suo proverbiale autocontrollo rendendosi la brutta copia di sé stesso. Infastidito altamente dall’essersi comportato nel medesimo atteggiamento sempre rimproverato ad Hiwatari.

Lui non era così.

Al solo ricordo del mezzo russo l’ondata di rabbia mattutina tornò prepotente facendogli mormorare imprecazioni solitarie, fortunatamente distanziato dal fattorino che finalmente aveva deciso di sloggiare e continuare il suo giro di consegne. Dallo pseudo amico riccone passò a maledire l’amico biondo che più degli altri compagni quella mattina l’aveva infastidito, ritrovandosi infine a detestare il mondo intero.

Come se non avesse già fin troppi grattacapi nella testa.

«Che diavolo prende a tutti per paragonarmi ad un bambino?» bisbigliò iroso sbarrando con stizza dalla lista il materiale appena rinvenuto in uno degli scatoli.

«Da giorni ti comporti come tale»

Yuri abbassò il foglio voltandosi repentinamente verso Inna rimasta bloccata sul posto con gli occhi sbarrati puntati verso un punto indefinito. Riscossasi dalla trans la donna lasciò andare lo strato di nastro adesivo a malapena tirato via arretrando istintivamente di qualche passo, con un sorrisetto teso stampato sul viso e con molta probabilità l’intero rosario recitato nella testa.

«Per essere una che si fa problemi pure sul perché l’acqua scorra in senso antiorario, la lingua non riesci proprio a tenerla a freno» proferì seccato il russo aumentando il rossore sulle guance della donna che copertasi la bocca simulò un colpo di tosse per nulla discreto.

«Mi disp-…»

«No, non ti azzardare» Yuri incrociò le braccia assottigliando gli occhi nel classico sguardo rifilato ai suoi compagni quando non voleva sentire repliche «Se vuoi parlare fallo ma senza rifilare una delle tue stupide scuse di circostanza. Parla chiaro»

Nonostante l’enorme fastidio di trovarsi sotto il mirino di tutti preferiva quelle rispostacce sincere alle frasi di falsa cordialità rifilategli continuamente.

«Cosa dovrei dirti allora?» domandò lei confusa con una vocina delicata a malapena udibile «Che da qualche mese a questa parte sembri un tiranno dispotico? Che il tuo aspetto è sempre più simile a uno spaventapasseri? Che sei diventato talmente insopportabile da star sulle scatole a metà dei dipendenti per il tuo improvviso bipolarismo?» trasse un profondo sospiro prima di aggiungere sempre più debolmente sopraffatta dalla penetrante occhiata celeste «È davvero quello che vuoi sentirti dire?»

«Se è quello che pensi, sì»

«Bene, se la metti così» agguantando tutto il suo coraggio ella avanzò parandosi impettita davanti al ragazzo che sbatté gli occhi colto di sorpresa «Qui ci penso io, posso sopravvivere senza la tua glaciale presenza per mezz’ora»

Yuri inarcò un sopracciglio scettico trovandosi il braccio della donna puntato imperioso verso destra.

«Ora, muovi il culo e vai a pranzare» fece per protestare ma Inna glielo impedì intimandogli con l’altra mano di far silenzio in un atteggiamento combattivo che non le aveva mai visto «Non accetto un no come risposta. Ti conviene andare prima che decida di legarti ad una sedia e imboccarti come mia figlia, chiaro?»

Yuri per qualche secondo fissò interdetto le iridi castane puntate fermamente su di lui chiedendosi perché tutti quel giorno volessero costringerlo a mangiare qualcosa. Il suo rifiuto nell’accettare un ordine venne però meno davanti al broncio intimidatorio divenuto man mano poco convincente. Tutto quello che riuscì a fare fu aprirsi in un ghigno divertito ed esasperato al contempo, i suoi tentativi di farla uscire dalla perenne insicurezza gli si erano ritorti contro.
Perlomeno poteva ritenersi soddisfatto di qualcosa.

«Leghi tua figlia a una sedia?»

«Niente scherzi. Hai capito benissimo il punto Ivanov»

«Tu sei davvero sicura di non aver mai parlato con Sergej?»

 

 

 

«Hobbit di poca fede, guarda e piangi!»

Ivan mollò la presa sul carrellino di plastica sforzandosi di non prendere uno dei barattoli in vetro sul ripiano del supermercato e frantumarlo così sulla testa del suo amico.

Boris pieno d’orgoglio e sfacciataggine era salito su di una scala con le rotelle utilizzata dai dipendenti per ergersi sulla sommità come Cristoforo Colombo alla vista della terra, con la differenza di non star indicando l’America ma il ripiano colmo di confetture.

«Scendi da lì deficiente, non hai trovato delle pepite d’oro ma della comunissima e scadente marmellata di fragole. Confezionata in chissà quale recondito luogo del pianeta, piena di schifezze e altri addensanti…probabilmente nemmeno ci sono le fragole lì dentro!»

«Non sai accettare una sconfitta mio piccolo hobbit»

«Piantala di chiamarmi come gli esseri di quello stupido film fantasy!» urlò esasperato calciando violentemente la scala che slittò in avanti lungo il corridoio, distanziando Boris dal suo obiettivo in vetro «E sconfitta di cosa?! Ti avevo detto che era impossibile trovare delle fragole fresche in pieno febbraio a Mosca, ed infatti avevo ragione io. Nessuno dei quattordici fruttivendoli che abbiamo visitato ne aveva!»

«Non farmici pensare, abbiamo solo sprecato benzina» mormorò sconfortato Sergej gettando nel cestino dei panetti di burro mentre Boris deciso a non scendere dalla scala per spostarla verso la precedente postazione era ormai proteso in avanti cercando di arraffare il vasetto di marmellata.

Un allungamento estremo del braccio, il peso spostato sulla mezza punta, la gamba sollevata per darsi equilibrio e il barattolo divenne più vicino nello stesso istante in cui Sergej vide le rotelle posteriori della scala sollevarsi dal pavimento.

«Boris!» maledicendo il suo amico si tuffò sulla scala balzando agilmente sui pioli inferiori per fare da contrappeso, non calcolando l’esatta differenza di stazza fra loro.

Boris ondeggiò avanti e indietro agguantando due vasetti di marmellata che non servirono a ridargli l’equilibrio perduto. Agitando vanamente le braccia nell’aria cadde dal suo punto di vedetta coinvolgendo Sergej nello schianto sul pavimento.
La presa sul bottino venne meno, i vasetti volarono in aria ed Ivan si gettò imprecando in aramaico verso il presunto punto di atterraggio.

Il “no” sembrò fuoriuscire a rallentatore dalla bocca mentre le ginocchia e i gomiti sferzarono contro le piastrelle nel tentativo di agguantare la marmellata. Il vasetto terminò la sua discesa tra le mani a coppa ma prima che potesse anche solo definirsi migliore di Michael – non avendo nemmeno mai giocato a baseball l’altro vasetto atterrò con un sonoro tonfo sulla testa di Boris ormai collassato addosso a Sergej.

Ivan spolveratosi i pantaloni e raccolto il vasetto miracolosamente ancora intatto, sbuffando si era avvicinato ai due ancora ancora distesi in terra, ondeggiando una mano davanti al volto di Boris intento a mormorare strane associazioni su Vorkov, delle fragole, Yuri e la benzina.

«Boris?» picchiettò due dita sulla fronte del ragazzo senza ricevere alcuna risposta coerente «Boh, avrà perso l’ultima rotella integra... Sergej tu invece stai bene?”

Il ragazzo biondo annuì scostando il compagno per rimettersi in piedi, ma l’eventuale tentativo di rianimare Boris fortunatamente per lui non fu necessario. Alzatosi di scatto, perfettamente vigile anche se barcollante, Boris come se nulla fosse accaduto aveva strappato dalle mani di Ivan il vasetto innalzandolo al cielo al di sotto del neon.
Urlando la propria vittoria ad una scommessa mai stipulata.
Sergey sospirando pesantemente annotò sul suo taccuino quell’ennesimo strano comportamento constatando di aver esaurito lo spazio a disposizione. Aveva iniziato la stesura di quegli elenchi per studiare al meglio la psicologia dei suoi amici, ma Boris aveva superato ogni aspettativa occupandone buona metà in meno di un mese.
Avrebbe dovuto comprare un nuovo block-notes.

«Boris, ho capito che abbiamo trovato la stramaledetta marmellata ma ciò non toglie che hai quasi distrutto un reparto per prenderla!»

«Ivan e che cavolo, falla finita! Mi sembri Yuri»

«Vuoi preparare una torta ma nemmeno la spesa riesci a fare! E sai perché?! Perché non la fai mai!»

«Sei proprio una casalinga schizzata»

«Ma come? Poco fa non ero Yuri?»

«Appunto»

«Smettetela tutti e due…ora ci serve la farina» sbiascicò innervosito Sergej afferrando il carrellino per metà ricolmo di prodotti che perlopiù non avevano nulla a che vedere con la preparazione di una torta, ad incominciare dalle quattro bottiglie di vodka.
«Questo è un giochetto da ragazzi» spingendo da parte il compagno alle prese con la lista, Boris si avvicinò allo scaffale colmo di sacchetti trasparenti prendendone uno di un’intesa tonalità giallognola «Vedi piccolo hobbit? Non ci vuole nulla a fare la spesa»
«Capra, hai preso quella sbagliata!» il piccoletto sorpassò a sua volta Sergej prendendo dal ripiano superiore una confezione plastificata di un giallo leggermente più chiaro «Questa è la farina che serve a noi!»
«Non dire scemenze! Pensi che non sappia riconoscere nemmeno la farina?!»
«Sì! Juliette o come cavolo si chiama lei, ti ha dato una ricetta fin troppo complicata se non sai nemmeno prendere l’ingrediente basilare!»
Sergej abbassò sconfortato il braccio con la lista osservando rassegnato i due individui lì con lui sbattersi rispettivamente in faccia i pacchi di farina ostentati come esatti fra vaganti epiteti poco carini. Due anni prima nemmeno nei suoi sogni più strampalati avrebbe potuto assistere ad una scena tanto surreale, a quel punto gli mancava solo Vorkov con il grembiulino e cappello da chef per poter dire di averle viste tutte.

Ai granelli dorati svolazzanti fuoriusciti da chissà quale sacchetto decise di porre fine a quello scempio di ignoranza culinaria bloccando i due per le spalle, indicando con un gesto secco il cartello sopra le loro teste.

“Preparati dolci e salati”

«Questa non è farina per fare una torta, ma un preparato per la polenta» brontolò scontroso riponendo sullo scaffale la confezione trattenuta da Ivan, strappando poi con poca grazia il pacchetto preso da Boris «Quest’altro invece è purè preconfezionato»
Ivan e Boris continuarono a guardarsi in cagnesco per qualche secondo, indecisi se rinfacciarsi l’errore a vicenda prima di optare silenziosamente per un fronte comune.
«Ovviamente lo sapevamo» sputò fuori Ivan incrociando le braccia onnisciente eguagliato da Boris che aggiunse «Volevamo vedere se eri attento».
Sergej inarcò un sopracciglio squadrando il duo tronfio dirigersi alla fine del corridoio nella sezione dedicata alle farine senza scrollarsi di dosso un brutto presentimento.
Boris e Ivan baldanzosi giunti dinanzi allo scaffale restarono a contemplarlo all’unanimità fino a poter quasi udire delle cicale in sottofondo. Quattro ripiani estesi per oltre due metri esponevano pacchetti variopinti recanti il nome delle più svariate marche e tipologie di farine, ognuna adatta a una preparazione diversa secondo le microscopiche etichette.

Boris si grattò adagio la nuca lanciando di sottecchi un’occhiata ad Ivan che con una mano sotto il mento e lo sguardo concertato ricercava i segreti dell’universo in una confezione dalla sgargiante carta rosa.

«Farina per dolci, farina per dolci soffici, farina per dolci super soffici…» Boris aggrottò le sopracciglia confuso facendo scorrere nuovamente il dito su quel “super” che pensava di aver letto male «Che diavolo di differenza c’è fra un dolce soffice e uno super soffice?!»
«Non lo so, non me lo chiedere» fu la concisa e alquanto perplessa risposta di Ivan.

«Farina per pancake, farina per pasta frolla, farina per dolci di cocco, farina 0, farina 00…sì, farina 007 tra poco, diventa un agente segreto» commentò inacidito scostando uno dei pacchetti con fin troppa foga, tanto da far sollevare uno sbuffo bianco fra le fessure di carta «A che serve scrivere il peso se la perdi per strada? Mah…farina di tipo 1, farina di tipo 2, ora passiamo alle farine geneticamente modificate? Ah no, c’è quella bio»

Ivan si strofinò le palpebre sentendo il mal di testa aumentare alla quantità spropositata di nomi che imperterrito Boris continuava a elargire nel suo fastidioso mormorare.

«Farina di carruba, farina di grano tenero, farina dura, farina super indurente…»

All’improvviso spegnimento della litania colto dal timore dischiuse le palpebre voltandosi lentamente verso Boris rimasto inebetito a contemplare un sacchetto bianco e azzurro, recante al di sotto della scritta l’immagine di due tortine tondeggianti cosparse di panna montata con tanto di fragola decorativa sulla sommità.

«Non ci credo… questa è perfetta per Yuri!»

Ivan sudò freddo alla macabra ed esaltata nota entusiastica prodotta dall’amico, inquietandosi maggiormente quando lo vide abbassare lo sguardo sulla patta dei pantaloni per poi annuire vigorosamente al sacchetto di farina tra le mani.

«Boris…» lo chiamò turbato senza essere minimamente ascoltato.

«Cosa non si inventano pur di vendere!» commentò sarcastico l’altro con un ghigno malizioso stampato sulla faccia «Ora vogliono spacciare persino la farina che migliora il sesso! È proprio il caso di dirlo: prendo due piccioni con una fava»

«Boris…di cosa diavolo stai parlando?»

«Della fantomatica farina stimolatrice sessuale! Guarda qua che inventiva, hanno paragonato dei semplici bomboloni ripieni ad un altro tipo di bombe ricoperte di panna! La compriamo, ci facciamo la torta e poi consigliamo a Yuri di utilizzarla per cospargere di panna qualcosa di Julia…Credo di aver visto questa stessa associazione su una di quelle riviste dal meccanico quando abbiamo portato l’auto…beh, veritiera o meno, Yuri sicuramente non rifiuterà una situazione del genere con Julia. Ci sono persino le fragole»

Ivan fissò perplesso il cartoncino posizionatogli davanti la faccia sempre più convinto non solo di voler trovare una fidanzata al suo amico per placare quegli squilibri ormonali che di lì a poco avrebbero coinvolto il loro capitano, ma prima di tutto fu pienamente convinto di volerlo portare da un oculista.

«Boris…farina “super dura” non indurente» esordì adagio spingendo diligente le mani di Boris sullo scaffale per riporre il sacchetto in questione «Si parla del tipo di grano non di quello che pensi tu… vedi? Sta scritto sull’etichetta»

Boris strizzò gli occhi sulla confezione con aria contrita.

«Non puoi negare che quei dolci ricordassero davvero due seni però…»

Chiaramente insoddisfatto dei suoi strani progetti andati in fumo, controvoglia tornò a leggere le varie didascalie senza però cessare di inserire qua e là le sue perverse associazioni fra Yuri e una certa spagnola.

«Farina di cocco, farina di mandorle, farina di castagne…»

Alla lista di farine derivate dalla frutta Ivan sentì di aver toccato l’apice della sua pazienza.

Afferrato il braccio dell’amico inspirò a fondo per non iniziare a urlare come uno schizzato nel bel mezzo del supermercato a causa dei crampi della fame e il mal di testa prepotente.

«Boris… puoi leggerle tutte pure dieci volte ma non sapremo ugualmente quale prendere»

A malincuore Boris asserì in accordo volgendosi simultaneamente con Ivan in direzione di uno spazientito Sergej rimasto a osservali da lontano, a braccia conserte e con un piede battuto ritmicamente sulla mattonella.

«Allora?» chiese con tono lievemente irritato «Volete prendere la farina così possiamo tornare a casa o volete aspettare il calare della notte?»

Boris alternò lo sguardo dallo scaffale alle sue spalle all’amico spalancando le braccia esasperato all’ennesima insistenza.

«Quale? Ce ne sono centinaia»

Sergej mormorando termini che un bambino farebbe meglio a non udire mai, si diresse a passo di marcia verso lo scaffale trascinando con malagrazia il carrellino che accidentalmente finì per colpire la caviglia di Boris.

«Questa»

Il sibilo sommesso accompagnò il cartoncino blu piazzato ad un centimetro dal naso del ragazzo dolorante prima di essere gettato malamente nel cestino insieme al resto della spesa.

Sergej senza aspettare risposta, dopo aver preso altri pacchetti, afferrò il manico del carrellino proseguendo furente verso il prossimo reparto non accertandosi nemmeno di essere seguito.

Ivan sbuffando sonoramente si avviò malvolentieri nella medesima direzione, sentendosi per la prima volta nell’arco della giornata affine allo stato umorale di Boris. 

«E saremo io e Yuri quelli schizzati?»

 

 

 

Yuri tirò un sospiro di sollievo quando la luce del semaforo divenne finalmente verde.

Fiondandosi in avanti anticipò la massa di persone al seguito sull’attraversamento pedonale scansando agilmente l’ondata umana controcorrente. Non gli piaceva camminare in mezzo alla folla, solitamente usciva nelle ore meno caotiche o nelle zone poco trafficate ma il quartiere in cui sorgeva la BBA per sua sfortuna era nella zona centrale in cui era un incubo muoversi anche con l’auto. Non che potesse comunque usufruire del veicolo messo a disposizione dalla sede. Sapeva guidare perfettamente ma la patente ufficialmente ancora non l’aveva e non desiderava altri motivi per alleggerire il suo stipendio.

Non si sentiva particolarmente fortunato da quella mattina.

Era perseguitato dalla sfortuna.

Tanta sfortuna.

Yuri pensò per una frazione di secondo di abbandonare il cellulare vibrante estratto dal cappotto in uno dei cassonetti sulla strada. Quel giorno era ormai chiara la sua poca voglia di parlare con le persone, tantomeno con quelle in grado di far peggiorare il suo umore apparendo soltanto sottoforma di nome sul suo display.

«Dimmi» ringhiò avvicinando il cellulare all’orecchio.

«Oh, ciao anche a te Ivanov» la sarcastica e pacata risposta attraversò pungente la linea statica «Nessuno ti ha mai insegnato che è da maleducati chiudere il telefono in faccia alle persone?»

«No, mia madre mi ha abbandonato quando avevo tre anni e mio padre quando non era troppo ubriaco mi usava come personale sacco da box» disse gelidamente senza nemmeno pensarci «Se invece parli di Vorkov, lui era troppo occupato ad insegnarmi come mutilare e ferire gravemente il prossimo per preoccuparsi della mia educazione»

«Un bambino adorabile»
«Che diavolo vuoi Hiwatari?»

«Parlare con te» il voluto accento sull’ultima parola giunse perfettamente chiaro anche a chilometri di distanza «Non con la tua brutta copia nevrotica. Sei una merda anche in versione originale ma perlomeno lì non mostri un unico neurone»

«Giuro che riattacco se non ti muovi a parlare»

Una macchina giallo fluo sfrecciò fin troppo vicino al bordo del marciapiede costringendo Yuri a balzare istintivamente all’indietro per non tirare precocemente le cuoia, nel medesimo istante in cui il semaforo pedonale divenne nuovamente rosso.

«Cosa stai facendo?» domandò Kei alla delicatissima frase dal marcato accento russo udita nel costoso cellulare: un dolce e poco velato invito a morire schiantandosi contro un albero.

«Diffondo il mio spirito patriottico» commentò l’altro seccamente osservando il proprio riflesso in una delle vetrine retrostanti, la vistosa tuta blu accompagnata dal cappotto bianco faceva a pugni con i capelli svolazzanti rosso sgargiante «Letteralmente».

Kei accomodato sulla poltrona dello studio di suo nonno allontanò il cellulare per accertarsi di star parlando con la persona giusta prima di riprendere il discorso.

«Sono contento che oltre a maledire il sottoscritto tu abbia anche altri hobby» spostò uno dei plichi ingombranti dalla scrivania recuperando pigramente un foglio dallo scanner «Comunque, come ti ho detto da alcuni mesi a questa parte e come ti ho già ribadito stamattina, mio nonno continua a non voler cedere la proprietà del monastero» dall’altra parte del mondo una smorfia deformò i lineamenti diafani «Ma, prima che ti venga nuovamente in mente di chiudere il telefono senza farmi finire la frase, io credo di aver trovato una via alternativa»

Yuri abbassò il pollice sollevato sul display inspirando al fondo con gli occhi al cielo prima di tornare a scrutare la fissa luce cremisi.

«Avanti, parla»

«Sul monastero non ho autorità ma parte delle quote dell’azienda mi appartengono, dopo il fiasco con Vorkov per non farla chiudere Hito è stato costretto a cederla insieme ad una discreta cifra della sua eredità»

Yuri sbatté gli occhi all’improvviso spintone realizzando con ritardo della luce finalmente verde. Rimasto in silenzio si era estraniato nei propri pensieri dimenticandosi del semaforo.

«Vorresti comprare il monastero?» domandò sorpreso incamminandosi titubante sulle strisce.

«Provo a comprare il monastero»

Yuri oltrepassò le porte scorrevoli del supermercato allentando la chiusura del cappotto per non sciogliersi al di sotto del getto bollente dei condizionatori. Dopo la disastrosa chiacchierata mattutina e la morte augurata ad Hiwatari, ricevere una tal proposta non aveva sfiorato neppure il più fantasioso dei suoi pensieri. Si era aspettato uno schietto dietrofront da parte del nipote del vecchio.

«Ti giocheresti metà della tua eredità»

«Lo so»

«Non ci guadagneresti nulla»

«Lo so»

Sorpassò il banco frigo recuperando una bottiglietta d’acqua. In assoluto silenzio svoltò tra diversi reparti prima di arrivare presso il gradevole profumo del banco alimentare. Tra due persone di poche parole la conversazione poteva dirsi ormai giunta a una situazione di stallo.

«Kei. Se lo stai facendo perché Boris o gli altri ti hanno detto qualco

«Non fraintendermi Ivanov» lo interruppe bruscamente Kei senza celare l’acidità «L’ultima persona a cui darei ascolto è proprio Kuznestov e non mi interessa nemmeno ciò che dicono Sergej o Ivan. Voglio comprare il monastero giusto per non essere più rotto le scatole da te»

«Solo per togliermi di torno»

«Esatto»

Yuri si ritrovò scuotere la testa a vuoto con un ghigno divertito stampato sul volto fregandosene altamente se l’interessato avrebbe capito il suo divertimento. Per togliere di torno una persona che abitava a diecimila chilometri di distanza non serviva sborsare un capitale, bastava tagliare un filo telefonico come aveva fatto lui.

«Se andrà a buon fine, allora non dovrò nemmeno ringraziarti»

Qualunque fosse la risposta scorbutica, Yuri non riuscì a capirla.
Le parole di Kei furono surclassate dal frastuono di vetri in frantumi a pochi passi da lui che persino il mezzo russo a Tokyo riuscì a udire attraverso il telefono.

Yuri voltatosi di scatto si avvicinò perplesso al carrellino della spesa abbandonato alle sue spalle che ancora ruotava su sé stesso dopo essersi ribaltato. Due delle quattro bottiglie di Vodka erano andate in frantumi al brusco contatto spaccandosi in tanti piccoli pezzi mentre il liquido trasparente era finito sul resto della spesa. Il tutto contornato da un vasetto di marmellata scheggiato dal quale la poltiglia rossastra era scivolata via facendo sembrare quel piccolo incidente una scena del delitto.

«Yuri cosa hai appena distrutto?»

«Io nulla… ma c'è un gruppo di ubriachi che a parte disseminare alcool in giro, probabilmente ha scambiato la farina per qualche sostanza stupefacente per quanta ne ha comprata» rispose piattamente spostandosi di alcuni passi all’arrivo degli addetti del supermercato «Mi domando chi siano tali disadattati»

 

 


Sergej inginocchiato dietro al cartonato del banco del pesce, si scrollò di dosso alcuni gamberetti surgelati caduti durante la repentina fuga alla ricerca di un nascondiglio.
«Non mangia mai, proprio oggi doveva iniziare?!» sussurrò fra i denti scrutando nel piccolo spiraglio sotto al bancone i piedi di Ivanov a pochi passi da loro «Tra l’altro, dove si è cacciato Boris?!»

«La domanda esatta sarebbe un’altra…» mormorò a propria volta Ivan seduto nella strettoia con il gomito poggiato sul ginocchio «Perché siamo venuti nell’unico supermercato vicino alla sede della BBA?»

 

 

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Note finali
Cos’è la gif messa qui sopra?
Ovviamente la sicurissima Reliant Robin dei nostri russi preferiti!
💙
Il mio fidanzato non ha ancora capito che le idee strampalate e i video idioti che mi fa vedere io li uso per davvero nelle mie fanfiction…>.>

Tralasciando i retroscena nella creazione del capitolo, nel prologo avevo dimenticato di dirlo ma il giorno del compleanno di Yuri è davvero l’otto febbraio. Takao Aoki dopo venti anni ha finalmente deciso di farci sapere quando sono nati i nostri beneamati blader…anche se mi manca l’idea fanmade che lo vedeva nato il 23 dicembre xD
Detto ciò, fra uno Yuri schizzato e Boris e compagnia incapaci di fare una spesa per comprare quattro ingredienti, vi do appuntamento al prossimo capitolo dove finalmente vedremo i poveri russi ai fornelli! >.>

Si salvi chi può.


Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto, recensito e inserito la storia tra le preferite e le seguite! Davvero, siete la mia gioia in questo periodo
💙

 

Aky

 

Ps: avevate mai notato quanti tipi di farina sono in commercio? :o



Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Takao Aoki, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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