L'uomo con più memoria di Dio

di Stregatto230K
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- Ricordi dell'inizio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2- Rivelazione ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Suoni e speranze ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- Ricordi dell'inizio ***


<< La memoria è la chiave di tutto. Noi esseri umani siamo la combinazione di ricordi e scelte nel presente. Ogni nostra esperienza determina ciò che siamo nel presente e la nostra proiezione futura modifica la percezione del passato. Ciò che percepiamo viene immagazzinato nella nostra memoria. Quest'ultima può essere a breve termine e, seguendo la teoria di Miller, presenta un range massimo di memorizzazione di 7 più o meno 2 elementi e ha un tempo limitato; oppure a lungo termine, la quale ha una dimensione quasi infinita nel senso che qualsiasi informazione che viene immessa può essere richiamata a posteriore. Alcuni celeberrimi psicologi indagano su una memoria iconica come Sperling, altri la definiscono come una sorta di memoria sensoriale o a tampone. Tuttavia, ogni memoria presenta questo punto: l'informazione viene codificata. Non si possono memorizzare dati così come sono e dunque... >> Avrei preferito continuare, ma Gabriele mi bloccò.
<< Stai andando per le lunghe, non stiamo facendo una tesi di laurea, ma un gioco di carte. >> Disse Gabriele mentre si sistemava il bavero del grembiule. Eravamo due bambini delle elementari, ma con dei talenti fuori dal comune. Io avevo la passione per la matematica e l'antica arte della filosofia. All'età di soli 7 anni già sfogliavo Cicerone e studiavo le integrali quando gli altri bambini semplicemente credevano che fosse la pasta integrale e leggevano a malapena Topolino. Gabriele adorava la scienza medica. Conosceva il nome di ogni singolo osso come se fosse semplicemente il nome di un Pokémon. L'altra sua grande passione era la musica. Aveva il cosiddetto orecchio del musicista. Nella sua testa si poteva creare un fantastico concerto basato sul rumore dei bicchieri o sui suoni della strada. Un piccolo Mozart con il bisturi. Questi talenti hanno una spiegazione biologica, almeno così pare. I nostri genitori ci portarono da psicologi e neruoscienziati professionisti perché presentavamo entrambi una malformazione celebrale che i medici normali non riuscirono a capire. Dopo anni dissero che semplicemente eravamo dei bambini speciali e che tale anomalia non avrebbe comportato nulla di male, forse una maggiore propensione allo studio. Solo che ora, a distanza di 20 anni, posso dire che mi ha cambiato "leggermente" la vita e anche una lieve propensione allo studio, nulla di serio da quello che potete vedere. 
<< Chesh, concentrati, che carta ho in mano?>> Dice Alessia, una delle bambine più carine della classe. Teneva stretta tra le sue manine una carta che aveva pescato da un mazzo. Mi ricordo che quel giorno aveva un profumo gradevole di mandorle forse era il suo nuovo shampoo. 
<< Un due di fiori >> Le risposi. 
<< Come ci sei riuscito? >> Chiese incredula lasciando cadere la carta.
<< Teoria della probabilità applicata. >> Ammiccai e sorrisi. 
<< Cos'è una probabilità?>> Chiese dubbiosa. Già, mi dimenticavo spesso che io ero diverso dagli altri. 
<< Si tratta di eventi possibili che possono accadere. Hai presente le previsioni meteo? Ecco. Loro usano la teoria della probabilità per capire se domani piove o c'è il sole. >> Dissi sorridente.
<< Wooow Cheshire sai tantissimissime cose!>> 
<< Oppure ha semplicemente guardato il riflesso dei tuoi occhiali! Sei un imbroglione!>> Urlò Simone. Nano malefico, era il bulletto della scuola. Mi odiava profondamente e il sentimento era piacevolmente ricambiato. 
<< D'accordo e allora sfidami.>> Dissi.
<< Pensi seriamente che mi lascerò ingannare da te? Adesso vedrai come smaschererò te e le tue propapilità!>> Prese i mazzo di carte e lo mescolò davanti a me.
<< Si dice probabilità>> Lo corressi.
<< Zitto secchione!>> Disse mentre si impegnava a mescolare le carte. << Che carta è questa?>> Disse estraendo una carta a caso. Purtroppo non ero preparato. Non mi aspettavo che mescolasse le carte. Le avevo collocate secondo un ordine e quindi potevo prevedere le carte in quel modo. Stavo per fare la mia più grande figuraccia della mia vita. Umiliato da quel brutto nano e dai suoi modi arroganti. Per di più davanti ad Alessia ed a Gabriele. C'era di mezzo la mia dignità. Ansia. Deglutii. Avevo un tentativo. Tutta la mia vita era basata su quella maledettissima carta. 

E perché dovrei raccontarvi una storia simile vi starete chiedendo. Perché fu in quel momento che avvenne ciò che si chiama "Rivelazione". Nella mia mente apparve un proiettore. Ero in uno sfondo nero con solo questo proiettore ed un pulsante rosso. Click! Come al cinema: proiettò un film, una serie di fotogrammi sullo sfondo nero. Ero impaurito. Non sapevo se fossi solo io a vederlo. Non sapevo cosa stesse succedendo. Ma, notai una cosa: era il film dei movimenti di Simone che mescolava le carte. Improvvisamente la scena divenne 3D: le carte si illuminarono, comparvero una ad una in sequenza e vidi un miracolo: si spostavano in gruppo come... come se fossero spostate da Riccardo. E poi la scena di prima: << Che carta è questa?>>. Le carte vibrarono fortemente e presero tutte fuoco... tranne una: il quattro di quadri. La stanza si illuminò e ciò che sentii immediatamente dopo fu la sua bruttissima voce da bambino. 
<< Il povero secchione ora non può fare nulla, piccolo bambino imbranato! E ...>> 
<< Se indovino starai per il resto della giornata con la parola "Scemo" scritto sulla fronte>>
<< Non ci riuscirai mai tanto. Se non indovini, lo farai tu!>> Disse arrabbiato e offeso per quella sfida. 
<< D'accordo. La carta che hai è ... >> (Pausa di suspense). Anche Alessia era in ansia, Gabriele era il solito menefreghista che sapeva già la fine di tutto ciò. Come quando vai a vedere un film e lui già sa il finale, anche se non lo aveva mai visto; ecco com'era avere Gabriele come amico, mai una soddisfazione. 
<< Quattro di quadri>> Dissi.
<< Maledetto secchione! Hai barato>> Buttò all'aria il mazzo di carte e mi stava per picchiare. Entrò la maestra in quel momento. Riproverò con stizza Simone e gli disse di andare a mettersi a sedere. Simone, che aveva già un pugno alzato per picchiarmi, mi lasciò andare sbuffando. Gabriele si sedette accanto a me, mentre Alessia si era andata a sedere vicino alla sua amica Lucrezia. 
<< Non ti sei mosso minimante nonostante il pericolo di Simone. Sapevi che poteva picchiarmi comunque fosse andata. Come facevi a sapere che avrei indovinato la carta e che sarebbe entrata la maestra?>> Dissi a Gabriele.
<< Come fai a sapere che io sapevo che tu sapevi?>> Mi rispose.
<< Dalla tua espressione.>>
<< Visto? Ti sei risposto da solo.>> Sorrise. Che scocciatore, lui e il suo linguaggio del corpo. Iniziammo la lezione, intanto Simone si scrisse "Scemo" sulla fronte.  

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Capitolo 2
*** Capitolo 2- Rivelazione ***


Ciò che avvenne a scuola restò un mistero per qualche giorno. Sulle prime pensai che fosse stato un caso di immagine mentale, di semplice bias cognitivo o di carattere illusorio. Però, l’immagine del proiettore era qualcosa che mi tormentò per il resto della mattina. Con i nostri quozienti intellettivi, seguire una lezione di analisi grammaticale era una bazzecola, per questo mi dedicai a capire l’origine di tutto ciò. Avevo sentito di una famosa disputa di psicologi per quanto riguardava le rappresentazioni mentali: alcuni sostenevano che ci sia una traduzione delle immagini in una sorta di linguaggio descrittivo, nel “mentalese” come direbbe Fodor; d’altra parte, altri studiosi sostenevano che esistesse un codice completamente basato su immagini vere e proprie. Ero abbastanza confuso per dire cosa fosse vero e cosa no. Avevo assistito esattamente ad una proiezione degli eventi con tanto di rielaborazione della mia psiche. Una cosa era certa: non era sotto il mio dominio. Tutto ciò era avvenuto in pochi e brevi istanti. La percezione del tempo durante un ricordo o un calcolo è profondamente alterata, per questo per me era assai difficile definire con precisione il tempo trascorso in quello stato. Tuttavia, avevo avuto la certezza di esserci stato per delle frazioni di secondo altrimenti Simone mi avrebbe picchiato. Per cui la domanda è: la proiezione è durata esattamente quanto quella della realtà? E poi: poiché non era sotto il mio dominio, giacché le carte si muovevano da sole, si può parlare di “fenomeno inconscio”? Spiegai a Gabriele il mio punto di vista e l’evento di poco fa.
<< Sembri uno di quei film che si vede mamma, uno di quelli di Hitchcock. >> Disse beffardo. Che bell’amico.
<< Sei più utile di un sesto dito del piede!>> Gli sussurrai.
<< Chesh, sono sincero: non so cosa dirti perché a livello medico non ho mai fatto degli esperimenti a livello neurologico. Però, questo vuol dire che potrei iniziare ora con te.>> Disse dubbioso.
<< Gabriele, ti devo ricordare che quella volta in cui hai provato a sezionare una rana morta per riprodurre gli esperimenti di Galvani per poco la maestra non ci restava secca. >> Dissi arrabbiato. Era un pasticcione in questi ambiti.
<< Era per la scienza! >> Rispose sbuffando.
<< Siamo stati sospesi una settimana e mamma mi voleva portare da uno psicologo… di nuovo!>> Risposi a tono.
<< Permaloso. Comunque, la base del metodo scientifico di Galilei è l’osservazione. Quindi, conviene analizzare il contesto in cui te hai avuto questa reazione e la frequenza con cui si può manifestare. Così almeno possiamo teorizzare qualcosa sulle cause. Anche se una rondine non fa primavera ... >> Disse Gabriele mentre frugava nello zaino. Dopo qualche secondo, estrasse un quaderno di Spiderman. << Toh, è nuovo. Annota qui sopra tutte le caratteristiche salienti di quel momento, così possiamo ricreare l’evento.>> Mi passò il quaderno contentissimo.
<< Ci tieni così tanto a farmi diventare la tua cavia? Comunque… lo ammetto: fu divertente vedere la maestra svenire. >> Scoppiammo a ridere e la maestra ci riproverò. Eravamo dei geni racchiusi nel corpo di due bambini. Ci salutammo all’uscita di scuola e tornai a casa. La mia dimora, quanto amavo quella casa: un giardino enorme, una casa al piano terra con una piccola veranda e una mansarda. Quella era la mia tana. Da piccolo pensavo che fosse il mio piccolo laboratorio, come nel cartone animato di Dexter. Conservavo libri, fogli colmi di appunti, zibaldoni ovunque. Poi c’era l’immensa libreria di famiglia. Papà collezionava libri famosi ed opere anche originarie molto antiche. Fu proprio grazie a quei libri che imparai tutto ciò che so ora. Mamma lavorava in banca e papà era un imprenditore. Nessuno sa delle mie doti. Quando ero piccolo, dai 3 anni in poi, mi affidavano a delle tate, ma spesso scappavano impaurite. Avevo imparato a leggere a 3 anni grazie a mamma che, seguendo i consigli dei medici, aveva capito che fossi un bambino precoce, anche troppo. Poi, per errore, venni a scoprire dei libri di latino di papà. Le tate credevano che stessi invocando dei demoni al posto di leggere. Fu un anno molto duro per gli altri. Solo una rimase con me per tre anni ossia fino allo scorso anno, si chiamava: Rosa. Una ragazzina sui 12 anni che sperava di racimolare qualche spicciolo dai miei. Le chiedevo di leggermi Platone e Cesare e lei acconsentiva perché << Finché mi pagano e posso stare tranquilla, tanto vale restare e leggerti qualche autore morto.>> Poi i suoi si trasferirono e non vene più da me. I miei non presero più tate dopo di lei perché ero diventato “grande”. In pochi mesi, dopo la dipartita di Rosa, finii quasi una trentina di libri. Mi affascinava il mondo della matematica e della filosofia. Tuttavia, decisi di non rivelarlo ai miei, altrimenti chissà quale psicologo mi avrebbero fatto conoscere per capire il mio genio. Lo stesso vale per Gabriele. La sua formazione fu molto simile alla mia, unica eccezione fu che il padre era uno dei chirurgi più famosi nel suo ambito. Per questo motivo, studiò principalmente anatomia, medicina e si dedicò anche alla veterinaria. La mamma era una pianista con un certo talento; forse avrà ereditato da lei le sue qualità musicali. Le nostre famiglie si conobbero dentro uno di quei centri di studi professionali in cui ci portarono da bambini per capire le nostre menti. Ironia della sorte, scoprirono che abitavano a circa 500 metri da ognuno.
 
Quando arrivai a casa, mamma stava preparando il pranzo. Entrai nella veranda e l’odore di pollo si era diffuso per tutta la casa.
<< Cheshire, vai a lavarti le mani, è pronto! >> Disse mamma.
<< Vado>> Le risposi. Mi diressi in bagno per lavarmi le mani. Il bagno era dipinto di giallo e si trovava vicino alla porta della libreria di famiglia. Quella occupava più di una stanza. Papà la chiudeva a chiave di sera per paura che i suoi cimeli venissero toccati e rovinati da qualche ladro. Arrivai in cucina dopo aver finito di lavarmi le mani e posato lo zaino. Ci sedemmo a tavola e poco dopo arrivò papà.
<< Scusate, ero al telefono>> Disse sedendosi e versandosi dell’acqua.
<< Problemi al lavoro?>> Chiese mamma.
<< Non proprio, era qualcosa di stupido avvenuto per colpa di un collega sbadato.>> Disse prendendo il pollo. Pollo e patate. Il mio piatto preferito. Guardai l’orologio sulla parete per sbaglio: le 13:50.
<< Capisco, tu, Cheshire? Cosa hai fatto a scuola?>> Chiese mamma mentre mi preparava il piatto. Tutto fu buio, niente pollo, sedia, tavolo, famiglia. Oscurità di un mondo il cui ricordo di luce era ormai caduto nell’oblio. Non percepivo nulla, era come se fossi sospeso nel nulla; non sapevo neppure se fossi seduto o in piedi. Di nuovo il proiettore e quel pulsante rosso. Click! Apparve il filmato. Non sapevo cosa aspettarmi. Stavo impazzendo dentro. Lentamente il proiettore fece girare la pellicola e comparvero i fotogrammi della mia giornata. Uno ad uno, uno dopo l’altro. Raffiguravano ogni atto della mia giornata mattutina. Comparve pure l’audio. Sentivo la voce di Gabriele, di Alessia, della maestra, persino quella di Simone. Tuttavia, mancavano delle parti. Erano quelle più monotone a mancare. Rividi pure il mazzo di carte e il quaderno di Spiderman. L’ultima scena fu quando salutai Gabriele. Poi, di colpo, la luce. Pollo, sedia, tavolo, famiglia.
<< Cheshire, tutto bene?>> Domandò la mamma. Ripresi lucidità quasi subito e senza battere ciglio descrissi la più banale giornata di un bambino delle elementari. Cercai di capire cosa fosse successo. Le mie ipotesi erano confermate: non era sotto il mio dominio e non si poteva quantificare. Avevo appena rivisto scene che duravano ore, ma mi voltai verso l’orologio sulla parete: le 13:50. Meno di un minuto. Quindi si deve calcolare in secondi. Per avermi rifatto la domanda, vuol dire che erano passati almeno una decina di secondi. Una manciata di secondi per dei ricordi che valevano ore. Com’era possibile vi starete chiedendo, beh, la risposta la scoprii il pomeriggio. Dopo il pranzo, aiutai mamma a sparecchiare. Mi diressi verso la mia cameretta e presi il quaderno di Gabriele. C’era un appunto suo: “Le osservazioni si basano su: frequenza, intensità, latenza e durata. Prima si delineano il luogo ed i soggetti, poi occorre descrivere il fenomeno ed infine, partendo dai dati di prima, si formula un’ipotesi che possa prevedere l’evento e spiegarne le cause.” Iniziai a scrivere le informazioni che avevo carpito da questi due eventi. Riempii un paio di pagine e poi mi misi a riflettere. Non era il luogo adatto però, i modellini dei Lego mi distraevano. Andai nella libreria. Papà era dovuto scappare al lavoro perché erano successi di piccoli impicci, quindi avevo via libera. Trovai una soluzione interessante: Sant’Agostino. Per il Papa il tempo è l’insieme di più impressioni dell’anima che sommati assieme rendono il concetto di tempo. Riflettei per un istante. Un’impressione di coscienza è alterabile per le strutture mentali e per le emozioni. Un ricordo di circa 5 ore è stato accelerato fino ad un massimo di una manciata di secondi. La noia percepita in quei momenti mi aiutò a trasformare quei minuti pressoché infiniti in decimi di secondi anche tagliuzzando le parti più monotone. Una proporzione assurda, aiutata sicuramente dal mio genio, ma inspiegabile. E poi: il proiettore? Perché? Era una proiezione della mia mente di cosa? Perché funziona solo in certi momenti? Che sia dovuta ad una memoria ambigua? Troppe domande, cose strane. Ero un bambino, la fantasia prevaleva sulla ragione anche per me. C’era solo un altro genio che mi poteva aiutare: Gabriele. Però, avevo capito una cosa: qualcosa in me stava cambiando, la mia psiche viaggiava oltre il mio dominio ed io non potevo farci nulla. Tornai al quaderno e scrissi tutto quello che sapevo. Non era molto, ma era già qualcosa.
 
La sera fu un incubo. Dopo qualche ora, arrivò papà a casa e dovetti uscire dalla libreria. Andai a giocare e a costruire modellini Lego e castelli di carte; era un passatempo costruttivo. Arrivò l’ora di cena. Cenammo con del pesce che mamma aveva preso al mercato quella mattina. Aveva approfittato del suo giorno libero per fare compere. Ad un certo punto, papà iniziò uno strano discorso.
<< Certe volte mi ricordo di quando andavamo nei centri per vedere che avesse di strano Cheshire>> Disse pulendosi la bocca con un tovagliolo.
<< Caro, non dire così davanti al bambino!>> Lo riproverò la mamma.
<< Ma dai, era interessante vedere come quei professori si ammattivano per capire il problema di nostro figlio. Ironia della sorte si è dimostrato un falso allarme come per la famiglia di Gabriele. Poi abbiamo conosciuto pure una famiglia simpatica dai.>> Disse sorridendo.
<< Beh, è vero. Fu anche carino quando il padre di Gabriele propose di far fare conoscenza ai due bambini.>> Commentò mamma.
<< Sì, dai. Per certi versi sono anche contento che quei giorni così brutti per Cheshire si siano rivelati l’inizio di una bella amicizia. Alla fine, non sono stati un brutto ricordo.>> Disse con un mezzo riso. Di nuovo: buio, oscurità, proiettore, pulsante rosso e … Click! Stavo per mettermi ad urlare, sapevo cosa stesse per succedere: gli orrori di quei giorni stavano per riapparire. Una serie infinita di aghi, di dolore, di lacrime, di medici che si impaurivano per non riuscire a trovare una soluzione, di mamma di notte che piangeva, di papà che imprecava contro tutti al lavoro, di difficoltà per l’azienda che vide un periodo bruttissimo per sostenere le spese immani necessarie per gli studi su di me, di scene di papà che aveva le occhiaie ogni giorno per gestire anche un secondo lavoro e del suo dispiacere nel vendere alcuni suoi libri, io che non ne potevo più di fare controlli e non sapevo cosa fare. Il filmato non smetteva, non potevo muovermi, ero pietrificato: l’esercito di medici, le ennesime false speranze, Gabriele che urlava alla vista degli aghi, io che piangevo fiumi di lacrime alla vista dell’ennesimo ospedale, dell’ennesimo macchinario, le prese in giro a scuola per essere un bambino diverso e poi le sensazioni. Erano tutte identiche a quei momenti terrificanti, le ripercorrevo. Le emozioni erano come colpi di pugnali al cuore. Ero terrorizzato, non riuscivo a parlare, a muovermi, a pensare; ero completamente immobilizzato e costretto a ripercorrere quello strazio. Finché non vidi lui: il Professore Layer. L’ultima speranza. Un uomo vecchio con un’enorme barba bianca, gli occhi di fuoco per gli anni passati al lavoro su macchine, libri e per le nottate passate a leggere le mie ultime analisi. Mi portò in quella che per me fu una stanza dei giochi: una gigantesca libreria e mi porse un libro. Poco dopo entrò Gabriele a cui gli diede uno xilofono. Io sfogliai il libro e Gabriele suonava lo xilofono. Era un libro privo di figure, scritto in una lingua indecifrabile di cui ricordo solo una parola “Memoria”. Il professore fece entrare dopo i nostri genitori e disse queste famigerate parole: “Signori, dopo anni posso dirvi finalmente cosa succede: i vostri figli sono un prodigio. La strana malformazione di Gabriele e Cheshire è regredita improvvisamente, ora stanno bene. L’unica cosa: cercate di stimolare sempre la loro piccola e straordinaria mente.” Si rivolse poi a noi e sentii quelle parole: “Memoria e udito”. Avevo 2 anni quando iniziò quel macello e tutto terminò quando ne ebbi 5. Tre anni infernali conclusi così, con l’intuizione di un genio che al posto di farci fare esami assurdi, ci lasciava giocare. Luce di nuovo. Famiglia, tavola, cucina, casa.
<< Cheshire? Stai bene? Hai gli occhi rossi. >> Disse mamma un po’ impaurita. Guardai il mio riflesso nel quadro che avevo di fronte. Avevo gli occhi rossi, ma il resto era normale.
<< No mamma, tutto bene, ho solo tanto sonno.>> Dissi con uno sforzo immenso. Invece per me si era riaperta una ferita immensa composta solamente da traumi. Mi alzai da tavola appena finito e corsi in camera a scrivere ciò che era successo. Dopo mi buttai sul letto e piansi in silenzio.
“Gabriele, solo tu puoi aiutarmi ora.” Questa fu l’ultima cosa che pensai prima di dormire.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Suoni e speranze ***


La mattina dopo mi preparai per scuola e l’esperienza della sera precedente non aiutava la mia stabilità mentale. Come si può creare e gestire una cosa simile? Gabriele aveva le conoscenze giuste per potermi aiutare; parlarne con i miei era fuori discussione e i ricordi vividi della scorsa sera ne erano una conferma: mi avrebbero portato in qualche laboratorio per le ennesime futili analisi. Mi diressi a scuola ed intravidi Gabriele. Corsi verso di lui.
<< Ho brutte notizie, è successo di nuovo; non so come sia possibile. Si tratta di qualcosa orribile, fuori dal mio controllo. >> Gli dissi con un filo di voce mentre ero affaticato dalla corsa.
<< Buongiorno anche a te amico mio, abbassa la voce. >> Mi disse abbastanza tremante.
<< Ma non ho fiato. >> Gli feci notare. Storse il naso. All’improvviso un piccione ci volò vicino e Gabriele fece un balzo spaventato coprendosi le orecchie. Non ci volle un genio per notare come la sua percezione dei suoni fosse alterata rispetto a quella di ieri.
<< Che succede?>> Chiese abbastanza timoroso.
<< Ieri sera è risuccesso nuovamente.>> Dissi abbassando la voce.
<< Racconta.>> Disse mentre ci avviammo verso scuola.
<< Una valanga di brutti ricordi, una serie infinita di sensazioni e di immagini terrificanti. Ti ricordi del nostro passato? Ecco, quelle esperienze stavano riaffiorando ieri sera.>>
<< Mi avevi parlato ieri di un proiettore. Le sensazioni che hai percepito qui, come sono state create? Le immagini sono dovute al proiettore e i suoni? E anche la sensazione degli aghi? >>
<< Analizzando la situazione da un punto di vista scettico, direi che sono semplicemente ricordi insiti in me. Si dice che si possiede una memoria muscolare degli ultimi gesti eseguiti e che la perizia guadagnata in un certo movimento si possa ripresentare anche a distanza di tempo grazie ai ricordi conservati nei nostri muscoli. Può essere quella? >>
<< Certo che tu una soluzione semplice non la riesci a vederne mai! >> Disse alzando la voce. Di scatto si coprì le orecchie. Si fermò davanti alla porta della classe.
<< Gabriele, tutto bene?>> Chiesi.
<< Sì, solo che ho sentito una macchina frenare troppo bruscamente… >> Disse togliendosi le mani. Guardai la finestra che dava sulla strada: c’era effettivamente un’automobile ferma sulle strisce pedonali ed un gatto che si stava infilando nei cespugli. L’automobilista aveva frenato per evitare di prendere il felino. La cosa strana era che la finestra era chiusa e la strada era almeno un centinaio di metri distante dalla scuola. Iniziammo le lezioni e intanto capii che, oltra a me, anche Gabriele stava per cambiare a causa di qualche inspiegabile reazione biologica. Verso mezzogiorno notai lo sguardo angosciato di Gabriele. Per l’intera mattinata non aveva fiatato e detto qualcosa. Era fisso sul quaderno a scrivere. Erano numeri, misure di frequenze in Hertz e l’altezza del timbro. Aveva creato una piccola tabella con una P, una M e una O sopra. Sotto la colonna della P (probabilmente era “percepito” il significato della P) c’erano dei valori dei decibel che si aggiravano intorno a 130. Un numero molto alto visto che a 120 si percepisce del dolore. Mentre le frequenze in Hertz erano sui 20100. L’orecchio umano può raggiungere fino ai 20000 e non oltre. La colonna della M era vuota mentre in quella della O c’era l’orario. In tutto erano stati segnati 6 valori. Ad una prima occhiata era chiaro che avesse dei picchi poco frequenti di ipersensibilità uditiva.  All’improvviso scrisse una frase di scatto e si attappò le orecchie. Si voltò verso di me e notai una lacrima. Lessi la frase: “Sto per impazzire, riesco a sentire Alberto in 5°C che urla. Dici alla maestra che non sto bene e fai chiamare mamma.” Feci esattamente quello che mi aveva chiesto. Quindici minuti dopo arrivò la madre a prenderlo. Non staccò le mani dalle orecchie neppure quando la madre lo venne a prendere. Stava per iniziare anche per lui un periodo terribile.
Tornai a casa per le 13:50 come mio solito. Mamma aveva lasciato una pentola col sugo e una con l’acqua. Cucinai un piccolo piatto di pasta. Non era molto, ma mi credevo uno chef a 5 stelle. Passarono un paio d’ore e finii di fare i compiti. Mamma doveva fare il turno fino a tardi mentre papà era alle prese con una serie di problematiche in azienda, quindi ero da solo a casa. Presi il telefono di casa e chiamai la mamma di Gabriele. Rispose dopo pochi squilli.
<< Cheshire, sei tu? >> Chiese la mamma di Gabriele.
<< Sì, salve signora. Come sta Gabriele? >> Dissi.
<< Si è chiuso in camera subito dopo pranzo, ha solo in po’ di mal di testa e non ha la febbre. Mi ha chiesto di chiamarti prima che si chiudesse in camera. >> Disse un po’ preoccupata. Logico: non aveva nessuna persona con cui parlare oltre a me.
<< Vengo subito allora! >> Dissi. Chiusi la telefonata. Scarpe ginniche e via. Arrivai a casa sua poco dopo. Salutai i genitori ed entrai in casa. Ero davanti alla porta della camera di Gabriele. Non bussai, aprì subito la porta. Mi aveva sentito nonostante avessi fatto estremamente piano. Entrai nella camera azzurra. Notai un fortino di cuscini con cui si era chiuso Gabriele sul letto e una scrivania piena di fogli. Aveva gli occhi lucidi. Mi abbracciò. Prese un foglio e una matita, si poggiò sulla scrivania e scrisse sopra qualche frase. Vista la situazione era la scelta migliore, non potevo rischiare di fargli ancora più male parlando. Avevo capito dai suoi appunti e dalla situazione che l’udito di Gabriele stava peggiorando percependo suoni sempre più acutamente. Lessi il foglio: “Sono riuscito a sentire da camera mia una conversazione al telefono tra papà e un’infermiera. La cosa più tragica è che ho sentito anche la voce di lei come se fosse a casa mia. Cosa possiamo fare?” Ci riflettei per parecchi secondi. Non era una situazione semplice. Di certo non potevamo fare molto io e lui, serviva qualcuno di competente, un esperto, una persona geniale, un professionista, un professore . . . Buio. Proiettore, pulsante rosso, click. Questa volta avvenne una cosa strana, non era un video, era un solo fotogramma con una specie di demone, un uomo da una folta barba bianca e con gli occhi di fuoco: il professore Layer. Luce, camera, Gabriele, foglio. “Questa storia del proiettore è diventata odiosa eh.” Pensai abbastanza accigliato. Presi un’altra matita e scrissi: “Proviamo a contattare il professor Layer, magari può aiutarci. Fu l’unico a trovare la soluzione ai nostri problemi. Non facciamoci scoprire dai nostri genitori, però, altrimenti la situazione potrebbe peggiorare.” Gabriele lesse e annuì. Continuai a scrivere: “Prendi il telefono di casa. Proviamo a chiamarlo.” Appena lo lesse, Gabriele andò a prendere il telefono. Intanto riflettevo su alcune cose: perché ora? Tutto ciò è connesso alle nostre esperienze passate e alla nostra genialità innata? Arrivò Gabriele col telefono, chiuse delicatamente la porta e scrisse una cosa sul nostro foglio: “Hai il numero?” Stavo per scrivere di no, ma . . . Buio. Proiettore, tasto rosso e click. Fotogramma singolo nuovamente: apparve un foglio bianco con il nome di Erick Layer e lentamente dei numeri come se si stessero condensando. Era il suo numero di telefono. Quel foglio bianco lo diede ai miei genitori molto tempo fa, durante il loro primo incontro. Luce, camera, scrivania, matita. Scrissi il numero. Forse la mia particolare mente aveva deciso di mettere al mio servizio questa dote particolare per aiutarmi. Non ero solo capace di memorizzare e riprodurre sequenze di eventi, ma potevo anche materializzare nella mia mente singoli oggetti, dettagli ed immagini. Gabriele scrisse subito dopo: “Di nuovo il proiettore?”. Risposi così: “Sì, la cosa mi spaventa come possa accadere con così poca facilità. Solo il professore può aiutarci o almeno lo spero”. Gabriele mi guardò negli occhi. Era bloccato da una gabbia di suoni ed io di ricordi. Digitammo il numero. Qualche squillo. Non era necessario mettere in vivavoce visto che Gabriele sentiva fin troppo bene. Di colpo gli squilli si fermarono ed eccolo, la nostra ultima speranza, l’ultima spiaggia, l’uomo che comprese i nostri problemi mentali.
<< Pronto? >> Sentimmo la sua voce roca e profonda. Qualche anno fa pensavamo che fosse più vecchio di Matusalemme ed invece ha solo settant’anni.
<< Professor Layer, sono Cheshire, qui c’è anche Gabriele . . .  >> Dissi con una voce molto angosciante e con un tono leggermente alto per le emozioni.
<< Shh! Abbassa la voce Cheshire! Altrimenti sanguineranno le orecchie di Gabriele! >> Mi interruppe tuonando. Sapeva già tutto, proprio come la prima volta.
 

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