La Casa di Pony (Le origini)

di Gatto1967
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel nome Paulina non lo avrebbe dimenticato più ***
Capitolo 2: *** Due grandi amiche fin dall'infanzia ***
Capitolo 3: *** Non so nuotare ***
Capitolo 4: *** L'estate dei loro 15 anni ***
Capitolo 5: *** Dobbiamo chiamare la Polizia ***
Capitolo 6: *** L'anziana signora Owen ***
Capitolo 7: *** Una ragazza veramente speciale ***
Capitolo 8: *** È la Provvidenza che ci ha fatto incontrare di nuovo ***
Capitolo 9: *** Il Pony sulla collina ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Quel nome Paulina non lo avrebbe dimenticato più ***


New York, anno 1876

-Edizione Straordinaria! Edizione Straordinaria!-
La voce dello strillone che vendeva i giornali per strada, appena fuori dal St Jacob Hospital, investì in pieno le due ragazze appena uscite dall’ospedale.
-Il massacro del 7° cavalleria del generale Custer a Little Big Horn! Edizione Straordinaria!-
La ragazza mora, paffutella e con gli occhiali si avvicinò al ragazzo dalla voce stentorea e comprò una copia del giornale. Raggiunta la sua amica bionda, lesse rapidamente l’inizio dell’articolo.
-Accidenti! Un reggimento quasi distrutto!- Fu il suo primo commento.
-Generale Custer… mi sembra di aver sentito questo nome…-
-Dico: ma dove vivi Mary Jane? Solo una “sbadatella” come te può ignorare chi sia il generale Custer!
È l’ufficiale più famoso dell’esercito americano! Era addirittura in procinto di candidarsi alle elezioni presidenziali!-
-Era?-
-Beh sì, era. Ormai non potrà più candidarsi a niente. Gli indiani Sioux l’hanno fatto a pezzi insieme al suo reggimento.-
-Sarà meglio che ci incamminiamo Paulina. I miei genitori ci stanno aspettando in quel ristorante vicino al fiume Hudson.-
-Sei sicura che la mia presenza sia opportuna? I tuoi sono venuti a trovarti dall’Indiana e io… che c’entro?-
-Ti ho già detto di piantarla! I miei ti conoscono fin da quando sei nata e sanno benissimo che per me sei come quella sorella che non ho mai avuto!-
-Va bene ma…-
-Niente “ma”, ok? Piuttosto… non mi va che mi chiami “sbadatella”, mi ricordi quell’arpia della Fletcher!-
Paulina ridacchiò.
-Non prendertela dai! Sai benissimo che la Fletcher vuole solo spronarti a essere meno distratta sul lavoro. Tu sei un’ottima infermiera ma sei veramente “sbadatella”.-
-Non parliamone più, ok?-
Paulina capì che non era il caso di punzecchiare ancora la sua amica di sempre. Si volevano davvero un gran bene, ma Mary Jane era molto suscettibile su quell’argomento.

Raggiunsero rapidamente il ristorante vicino all’Hudson River dove erano attese dai signori Frakes, i genitori di Mary Jane, che le accolsero calorosamente.
Mary Jane aveva ragione: i suoi genitori volevano un gran bene a Paulina che conoscevano fin dal giorno in cui era nata.
Le due ragazze erano nate a un mese di distanza l’una dall’altra, ed erano cresciute insieme nello stesso villaggio dell’Indiana.

-Ma come ragazze…- disse loro la madre di Mary Jane mentre sedevano a tavola aspettando le loro ordinazioni –Non ditemi che non avete ancora un fidanzato?-
-Andiamo Mamma! Lavoriamo tutto il giorno e non abbiamo il tempo di pensare a certe cose.-
-Si d’accordo, ma il lavoro non è tutto nella vita, e voi avete diciotto anni. Dovreste un po’ guardarvi intorno…-
-Come sta mia madre signora Frakes?- la interruppe Paulina un po’ per troncare l’imbarazzante discorso, e un po’ per sincerarsi delle condizioni di sua madre.
Nelle sue ultime lettere Carolyn Giddings rassicurava sua figlia circa le sue condizioni di salute che pure non erano ottimali.
-Sta bene Paulina. Ti manda i suoi saluti e si dispiace di non essere potuta venire con noi, ma l’emporio le dà sempre un gran da fare…-
In realtà la signora Giddings non stava affatto bene, ma non voleva dare pensiero a sua figlia. Voleva che Paulina vivesse la sua vita senza preoccuparsi per lei.

Dopo pranzo Paulina trovò una scusa per lasciare la sua amica da sola con i genitori, e se ne andò per i fatti suoi in giro per New York. Viveva in quella città già da un anno, e la conosceva appena.
La madre di Mary Jane non aveva tutti i torti quando diceva che avrebbero dovuto guardarsi un po’ intorno.

Dopo un’ora che girava a vuoto per quella città, una delle più grandi e famose degli Stati Uniti, Paulina cominciò a essere un po’ stanca. Veniva da una dura mattinata di lavoro, e quella camminata l’aveva fiaccata. Si decise a dirigersi verso l’appartamento che divideva con Mary Jane, ci sarebbe voluto ancora un po’ prima che la sua amica e i suoi genitori si recassero lì, sicuramente avrebbero voluto trascorrere del tempo insieme.
Nell’atto di girarsi per cambiare direzione e tornare verso casa sua, Paulina urtò contro qualcosa o qualcuno, e cadde rovinosamente a terra.
-Ehi dico! Volete fare attenzione quando…-
Si interruppe quando si avvide della persona che senza volerlo, l’aveva fatta cadere.
Si trattava di un bambino, o meglio di una bambina.
Davanti a lei c’era una bambina dall’aria poverissima, con abiti logori e sudici, lunghi capelli di un colore fra il castano chiaro e il rossiccio.
Paulina rimase sconcertata.
-E… tu chi sei?-
-Mi scusi… signorina…-
-Non… non fa niente piccola. Non mi sono fatta niente…- disse mentre si rialzava.
La bambina dimostrava intorno ai 7-8 anni e sembrava veramente appartenere a una famiglia poverissima. Probabilmente abitava nei bassifondi della città. I quartieri poveri di New York erano posti davvero brutti dove vivere.
-Dove abiti piccola?-
-Alla casa dei bambini senza genitori.-
Paulina rimase come paralizzata. Quella bambina viveva in un orfanotrofio.
-Vuoi… vuoi qualcosa da mangiare?-
La piccola fece vigorosamente di sì con la testa. Non mangiava da ventiquattro ore.
-Vieni con me.- disse Paulina porgendo la mano alla piccola orfana.

Poco dopo la bambina assaporava con gusto un panino con la salsiccia che Paulina le aveva comprato, lei la guardava con un misto di sentimenti contrastanti. Da una parte la contentezza di aver fatto del bene, sia pure in misura minima, a quella bambina. Dall’altra un sincero dolore se pensava alle condizioni in cui doveva vivere quella creatura.
-Dov’è…- stava per dire “il tuo orfanotrofio", ma si fermò in tempo -…la tua casa?-
-Non voglio tornare lì!- disse la bambina quasi piangendo e tremando.
Ma come diavolo la trattavano in quell’orfanotrofio? Si chiese Paulina.
-Ascoltami piccola: non puoi stare in mezzo alla strada. La strada è un posto pericoloso per una bambina come te.-
Era la verità. Che diavolo di prospettive poteva avere quella bambina in mezzo alle strade di una città come New York?
-Alla casa… mi picchiano…-
-Chi ti picchia?-
Come a voler rispondere alla domanda di Paulina una mano si abbatté pesantemente sulla testa della bambina dai capelli castano rossicci.
Era la mano di una donna sui cinquant’anni che cominciò a malmenare la bambina insultandola pesantemente e chiamandola con il suo nome.
-Basta, basta! Ma che maniere sono queste? Che modo è di trattare una bambina?-
La donna tirò via da una parte la piccola che piangeva e squadrò minacciosamente Paulina.
-Stammi a sentire sbarbatella! Provaci tu a mandare avanti una casa con cinquanta piccoli bastardi che non fanno altro che scappare per andare a rubare. Provaci tu a sentirti i rimbrotti dei poliziotti che ti chiedono conto dei guai che combinano questi sciagurati. Poi potrai parlare! Fino a quel momento TACI sgualdrina!-
Poi prese di nuovo a malmenare la piccola fuggiasca mentre la trascinava via.
Ripeté ancora il nome di quella bambina mentre la portava via imprecando.
Quel nome Paulina non lo avrebbe dimenticato più.

A lenti passi la ragazza si diresse verso casa, dove arrivò dopo un’ora circa trovandovi già Mary Jane e i genitori. Con loro simulò un atteggiamento sereno cercando di dimenticare quello che aveva visto.
Quella sera, dopo che i genitori di Mary Jane erano tornati in albergo, Paulina si mise a letto più presto del solito, ma non riuscì a chiudere occhio, pensava sempre a quella povera bambina orfana.



Scritto da Gatto1967
 

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Capitolo 2
*** Due grandi amiche fin dall'infanzia ***


La Porte, anno 1870

- Sbrigati, Pauly! Corri più in fretta!

- Jane, più veloce di così non posso! È tutta colpa tua! Anche oggi arriveremo tardi a scuola!

- Non se attraversiamo per i campi.

- Ma dovevamo proprio andare allo stagno di prima mattina! Jane, a cosa ti serve quella rana? Non vorrai mica fare uno dei tuoi soliti scherzi a quell'antipatica di Lucy?

- È il momento migliore per la cattura. Non ti preoccupare, oggi nessuno scherzo, te lo prometto. La rana è per Victor.

- Chi? Victor Carson? Il nuovo arrivato? Quello con i capelli rossi? Non dirmi che ti piace!

- Ma cosa dici, Pauly! Victor mi ha promesso che se gli procuravo una rana bella grossa mi avrebbe insegnato a dissezionarla.

- Mio Dio, che schifo! Jane, ti metterai nei guai, quella rana non starà buona fino alla fine delle lezioni.

- Sì che lo farà! Le ho dato un bel colpetto per tramortirla come mi ha insegnato Victor. Sai, mi ha detto che da grande vuole diventare un medico chirurgo.

- Ah sì? E da quando siete diventati così grandi amici e confidenti?

- Uffa, Pauly, adesso non metterti a fare la gelosa per una nuova amicizia, tanto Victor resterà in paese per poco tempo. La sua famiglia è diretta verso Ovest, nelle terre di frontiera, in cerca di fortuna. Mi ha riferito che il padre intende percorrere la pista dell'Oregon. Tutto qua.

Mary Jane e Paulina, due grandi amiche fin dall'infanzia, per non fare tardi a scuola, tenendosi per mano correvano a perdifiato sulla stradina tutta bianca che portava in paese, sollevando un polverone dietro di loro come se stesse passando un carretto trainato da un cavallo in corsa.
Se qualcuno si fosse fermato in quel momento ad osservare l'insolita scenetta campestre avrebbe riso a crepapelle nel vedere quelle due ragazzine che correvano a tutta birra, sembrava avessero le ali ai piedi tanto erano veloci.

Mary Jane, alta e magra come un chiodo, occhi acuti ed intelligenti e con la pelle sempre abbronzata dal sole, trascinava nella sua veloce corsa l'amica Paulina, affettuosamente ribattezzata Pauly, appena più bassa di lei ma di corporatura più grassottella e con un paio di occhiali da vista tondi sul naso che le conferivano un'aria particolarmente graziosa e vispa. Erano due ragazzine di 12 anni, tanto diverse nell'aspetto quanto simili nel carattere, buone e generose con tutti, brave a scuola e con un grande desiderio di conoscenza, ma erano altrettanto vivaci e monelle come tutti i bambini di quell'età ed anche loro combinavano spesso e volentieri qualche marachella.

Mentre correvano sulla strada, dalla direzione opposta videro arrivare il signor Charles Whites, un fattore della zona vedovo e senza figli, un buon uomo che conoscevano da sempre e che era molto affezionato alle due bambine poiché spesso andavano nella sua fattoria per passare un po' di tempo con lui e per giocare con il suo cane.
Charles fermò il carretto, trainato dal vecchio cavallo baio, per salutarle.

- Buongiorno mie belle bambine. Vedo che anche oggi siete in ritardo per andare a scuola – disse il buon fattore facendo loro l'occhiolino.

- Buongiorno signor Charles! - esclamarono all'unisono Mary Jane e Paulina, fermandosi e sorridendo all'uomo.

- Ci dà il permesso di attraversare il suo campo per arrivare prima in paese? – chiese tutta trafelata Mary Jane, mentre Paulina approfittava della fermata per respirare a pieni polmoni.

- Certamente, ma state attente a non sporcarvi. Ieri l'ho arato in previsione della nuova semina e le zolle sono ancora troppo morbide per camminare sopra, correte il rischio di restare infangate.

- Grazie! Non si preoccupi, saremo leggere come due uccellini! – trillò Mary Jane.

- Che Dio la benedica, signor Charles! E buona giornata – riuscì solo a dire Paulina, prima di riprendere la corsa, mano nella mano, con Mary Jane che la trascinava di nuovo di gran carriera dentro il campo arato.

- Buona giornata a voi, bambine – disse il buon fattore, anche se le due monelle ormai non potevano più sentire le sue parole, essendo già lontane. Sorridendo, restò ancora un attimo ad osservarle mentre correvano veloci come il vento tra le zolle del suo campo, per poi riprendere il cammino fischiettando allegramente un motivetto che conosceva da sempre.

Mary Jane e Paulina arrivarono a scuola che la lezione era già iniziata.
Se non fosse stato per il loro ottimo rendimento scolastico, la giovane insegnante Rose Dingley le avrebbe sempre punite per tutti quei ritardi, ma erano le migliori allieve della classe e per questo chiudeva spesso un occhio, a volte anche due.

- Buongiorno, signorina Dingley! – dissero in coro entrando di corsa in classe e prendendo subito posto al loro banco, lasciando dietro al loro passaggio una scia di terriccio sul pavimento in legno.

Lucy Dalton, la pettegola della scuola, che non aspettava altro che un'occasione per deriderle, esclamò ad alta voce:
- Ma le guardi, signorina Dingley! Sono zozze come un contadino che è appena tornato dai campi!

In effetti attraversare il campo appena arato e bagnato dalla rugiada del mattino per fare prima, non era stata una buona idea. Gli stivaletti di Mary Jane e di Paulina erano sporchi di terra come gli orli dei loro vestiti, inzaccherati da una buona dose di fango.

- A tutto c'è una spiegazione logica, Lucy – disse l'insegnante in loro difesa – sia per il ritardo che per la terra sul pavimento, ed ora Mary Jane e Paulina ce la diranno – continuò la signorina Dingley guardando affettuosamente le due allieve, certa che avrebbero inventato un'altra bella scusa come giustificazione.

Paulina, che nel frattempo si era preparata cosa dire per l'ennesima volta per coprire il loro ritardo, esordì: - Ci scusi per il ritardo, signorina Dingley, ma questa mattina prima di venire a scuola, io e Mary Jane siamo andate dal signor Charles Whites per portargli della zuppa calda appena fatta da mia madre. In questi giorni non sta molto bene e già che eravamo lì abbiamo provveduto a dar da mangiare ai polli, a pulire i suoi due maiali ed a raccogliere la verdura nell'orto.

Con lo sguardo rivolto all'insegnante, Mary Jane rimanendo impassibile fece solo cenno con la testa che tutto ciò che la sua amica del cuore raccontava corrispondeva al vero.

- Che schifo! Ecco cos'è questa puzza che avete addosso! – esclamò Lucy, facendo una smorfia e tappandosi il naso.

L'insegnante si trattene dal ridere poiché le bugie fantasiose di Paulina le piacevano sempre un sacco e perché non si sentiva proprio nessuna puzza come invece alludeva Lucy. Sapeva benissimo che quella bugia appena raccontata non corrispondeva alla verità. Aveva visto il signor Whites attraversare il paese per andare a lavorare nei campi poco meno di mezz'ora prima, mentre era diretta a scuola ed il buon fattore, che godeva di ottima salute, l'aveva salutata cordialmente. In fondo, anche se ben congegnata per giustificare il ritardo, sembrava una bugia del tutto innocente e lasciò perdere.


- Bene, ora che anche questo caso è risolto, riprendiamo con la nostra lezione.


La mattinata proseguì con le consuete lezioni e tutto andò bene fino quando ad un certo punto, nel silenzio della classe mentre tutti erano concentrati a risolvere un complicato problema di matematica, si udì un potente "Cra! Cra! Cra!" ed una rana uscì dal cestino della merenda di Mary Jane per finire spavalda sul banco adiacente, proprio quello di Lucy Dalton.

Alla vista di quella rana bella grossa, Lucy iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola, non sopportava proprio le rane, e si creò un gran trambusto. La rana iniziò a saltellare in giro per la stanza, mentre Mary Jane aiutata da Victor cercava di prenderla, finendo per scontrarsi più volte con il ragazzo nel tentativo di afferrare quella rana così indisciplinata.

Una rana spaventata non si cattura tanto facilmente e l'insegnante ovviò alla situazione aprendo la porta e lasciando andare l'animaletto che, finalmente libero, continuò a saltellare per le vie del paese andando a nascondersi nel giardino dell'anziana signora Marta Owen.

Chiusa la porta, con un'espressione severa in volto la signorina Dingley si girò a guardare Mary Jane e sulla classe calò il silenzio. Era vietato portare animali a scuola senza il permesso specifico dell'insegnante e per giunta di nascosto. Non poteva soprassedere a questa manchevolezza e, a malincuore, doveva punire Mary Jane, altrimenti la sua autorità nei confronti del resto della classe sarebbe stata messa in discussione.

- Mary Jane, si può sapere cosa ti è saltato in mente? Lo sai che è proibito portare animali in classe, ora devo assegnarti una punizione – disse l'insegnante avvicinandosi al banco dell'allieva, la quale in silenzio e con il capo chino sembrava molto dispiaciuta, ed infatti lo era, ma non per la punizione che stava per ricevere bensì per aver perso la rana che aveva catturato per il suo nuovo amico, Victor Carson.

- Signorina Dingley, la prego mi ascolti, non punisca Mary Jane – esordì Victor ad alta voce e facendosi subito avanti.
– La colpa è soltanto mia. Sono io che le ho chiesto di portarmi una rana facendole commettere questa infrazione, perciò se qualcuno merita una punizione quello sono io, non Mary Jane.

L'insegnante restò colpita dalla proprietà di linguaggio e dal generoso gesto del ragazzo che aveva preso le difese di Mary Jane, comportandosi come un perfetto gentiluomo e si trovò un attimo in imbarazzo non sapendo come procedere. Allora disse alla classe che in questa circostanza andavano puniti tutti e due e ordinò a Victor ed a Mary Jane di fermarsi entrambi al termine delle lezioni per la punizione che avrebbe deciso nel frattempo.


Concluse le lezioni, mentre alunni ed alunne uscivano festosi dalla scuola per rientrare a casa, la signorina Rose Dingley invitò Victor e Mary Jane a prendere posto nel primo banco. I due ragazzi obbedirono preparandosi alla punizione che li attendeva.

- Bene, ora che siamo soli mi volete dire cosa volevate fare con quella rana? Sappiate che non ho intenzione di punirvi ma voglio sapere la verità, tutta la verità e senza bugie fantasiose di contorno.

Mary Jane che di solito non aveva peli sulla lingua, non sapeva cosa dire in quella circostanza.
Fu Victor a prendere la parola per raccontare tutta la verità.

- È vero, signorina Dingley, sono stato io a chiedere a Mary Jane di prendere una rana per me. Volevo mostrarle come si fa a dissezionarla per poi osservare gli organi interni. Non è la prima volta che lo faccio, così mi esercito poiché voglio studiare per diventare un bravo dottore. Un giorno io sarò un medico chirurgo.

L'insegnante restò profondamente colpita dalle parole di quel ragazzo non ancora tredicenne ma con le idee ben chiare in testa su ciò che voleva fare nel futuro e, dimenticandosi delle regole e delle punizioni, restò ancora un po' a chiacchierare con loro, parlando di biologia e di anatomia del corpo umano, notando con suo grande piacere che sia Victor che Mary Jane avevano una spiccata propensione per tali materie.
Quell'ora passata assieme e la mancata punizione restò un segreto tra loro tre ed il giorno seguente avrebbero raccontato ai compagni della classe che l'insegnante li aveva obbligati a leggere a turno per un'ora intera alcune pagine di Storia Americana.

Salutata l'insegnante, Mary Jane e Victor in silenzio si incamminarono sulla strada principale per fare ritorno alle rispettive case. Ad un tratto: - Grazie Victor per... - Grazie Mary Jane... esclamarono insieme.

Colti entrambi da un leggero imbarazzo, si misero a ridere.

- Prima tu – disse Victor sorridendo e cedendo la parola alla sua nuova amica.

- Victor, grazie per aver condiviso la punizione con me.

- Mary Jane è stato un piacere e sono io che devo ringraziarti per aver catturato quella grossa rana per me. Sei stata proprio brava.

- Già, la rana. Mi dispiace che sia scappata – rispose Mary Jane mortificata – ci tenevo tanto alla tua lezione su come dissezionarla. Però possiamo sempre catturare un'altra.

- È una bella idea! E quando possiamo farlo?

- Anche adesso, Victor! Andiamo!

Non appena pronunciate quelle ultime parole, Mary Jane d'istinto come faceva sempre con Paulina, prese Victor per mano ed iniziò a correre. Il ragazzo, sorpreso, strinse forte la mano dell'amica ed iniziò a correre stando perfettamente al suo passo finché arrivarono allo stagno che si trovava poco distante dalla fattoria del signor Charles Whites, a confine con un piccolo boschetto.

Quel pomeriggio Paulina aspettò inutilmente Mary Jane per fare i compiti assieme come loro solito.
Per la prima volta dacché si conoscevano, Mary Jane si era completamente scordata di Paulina, la sua amica del cuore, e passò molte ore allo stagno in compagnia di Victor, chiacchierando, ridendo e scherzando, e dimenticandosi di tutto il resto. Aveva appena scoperto di avere una passione in comune con quel ragazzo dai capelli rossi e con gli occhi azzurri.
Purtroppo non riuscirono a catturare un'altra rana ma insieme si divertirono un mondo nel tentativo di farlo.



Scritto da Tamerice
 

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Capitolo 3
*** Non so nuotare ***


New York, anno 1876

Paulina si alzò presto quella mattina, aveva dormito poco e male, il pensiero di quella povera bambina orfana non le dava pace.
Nella sua mente sembravano alternarsi l’immagine di lei che veniva brutalmente malmenata, e la sgradevole voce della donna che l’aveva trascinata via.
“Provaci tu a mandare avanti una casa con cinquanta piccoli bastardi che non fanno altro che scappare per andare a rubare. Provaci tu a sentirti i rimbrotti dei poliziotti che ti chiedono conto dei guai che combinano questi sciagurati.”
E se non avesse avuto tutti i torti? E se davvero la responsabilità che aveva quella donna fosse tale da richiedere davvero certi sistemi?

Decise di non pensarci più: non era certo in suo potere di rimediare a tutti i mali del mondo!
Nel massimo silenzio, per non svegliare Mary Jane, Paulina si vestì e uscì di casa dopo aver lasciato un biglietto alla sua amica.
Quel giorno aveva il turno di pomeriggio, quindi poteva permettersi di passare la mattina gironzolando per conto suo. La casa era in ordine, non c’era spesa da fare e quindi aveva del tempo tutto per sé.

La stagione estiva che avanzava rendeva piacevole passeggiare per New York a quell’ora del mattino. D’inverno quella città si trasformava in una ghiacciaia, ma l’estate diventava fin troppo calda!
Giunse in vista del fiume Hudson e si sedette su una panchina in riva al fiume.
L’acqua che scorreva davanti a lei fra la riva del fiume e l’isola di Manhattan la rese malinconica. Le veniva da pensare al tempo che scorre inesorabile, a suo padre morto da poco tempo, a sua madre che non stava tanto bene di salute, a se stessa che si sentiva tanto sola nonostante la presenza nella sua vita della carissima Mary Jane.
Il sole si fece più alto nel cielo e cominciò a picchiare duro. Paulina se ne accorse e si chiese se per caso non si fosse addormentata sulla panchina.
-Sarà meglio che vada.- si disse a voce alta –Non ho ancora fatto colazione.-
Risalì il lieve pendio fra la riva del fiume e la strada battuta, ma poco prima di potersi incamminare verso il più vicino bar che conosceva, qualcuno la urtò facendola ruzzolare di nuovo lungo il pendio e ruzzolando insieme a lei.
Prima che potesse ancora realizzare a pieno quanto stava accadendo, Paulina si ritrovò a bagno nel fiume e fu presa dal panico più totale: lei non sapeva nuotare!
Cominciò a gridare convulsamente cercando al tempo stesso di rimanere disperatamente a galla.
-NON SO NUOTARE!- gridava con quanto più fiato avesse in gola.
All’improvviso qualcuno la afferrò cingendola col braccio sotto le ascelle
-Stai calma! Ti tengo! Non corri nessun pericolo! Solo non ti devi agitare.-
Paulina fece cenno di sì con la testa allo sconosciuto che l’aveva afferrata, lo stesso uomo che l’aveva fatta cadere in acqua.
Con poche bracciate l’uomo riuscì a raggiungere la riva.
-Coraggio! Afferrati qui! Io salgo a riva e ti tiro fuori!-
Così fu. L’uomo, un tipo sui trent’anni, vestito elegantemente e con un paio di baffi che spiccavano in un volto da tipico anglosassone, salì rapidamente sulla riva del fiume e tirò fuori Paulina.
-Accidenti! Quanto pesi ragazza!-
-Ma… come si permette? A momenti mi fa affogare, mi rovina il vestito e mi prende pure in giro?!?!? Se ne vada o chiamo la Polizia!-
-Avanti signorina, non faccia così! Mi scuso per l’accaduto e per l’infelice battuta. Mi permetta di rimediare.-
Paulina guardò l’uomo davanti a lei con un misto di curiosità e sospetto.
-Permetta che mi presenti: io sono Robert Engalls, e sono un avvocato.-
-Molto lieta.- rispose lei abbassando la guardia e porgendo la mano al suo interlocutore. –Io mi chiamo Paulina Giddings, e lavoro come infermiera all’ospedale St Jacob… ma lei è ferito!-
L’uomo infatti aveva una ferita sanguinante alla mano destra.
-Ah sì, devo essermi ferito mentre cadevo.-
-A me sembra un taglio netto.-
-Probabilmente c’era qualche vetro rotto per terra.-
-Già, le strade di New York sono piene della peggiore spazzatura! I cocci di vetro poi li trovi dappertutto! Venga con me, andiamo in un bar, ci faremo imprestare dell’alcool per disinfettare la ferita.-

Poco dopo i due sedevano a un bar che Paulina e Mary Jane conoscevano molto bene perché spesso e volentieri ci facevano colazione, infatti stava sulla linea che da casa loro portava al St Jacob, a non molta distanza da quest’ultimo.

-Ecco fatto! Il taglio non è profondissimo, ma se volesse farsi vedere all’ospedale dove lavoro, non è molto distante da qui.-
-No signorina, non è necessario. E poi devo andare: ho un appuntamento di lavoro con un cliente molto importante che devo assistere in una causa.-
-E ci va così al suo appuntamento molto importante?-
L’uomo ridacchiò.
-Prima passo da casa, sa abito qui vicino. Prima andavo di corsa, ecco perché non l’ho vista. Mi scuso di nuovo per l’accaduto.-
Anche Paulina rise sotto i baffi.
-Non ha importanza, anch’io sono una sbadata cronica!-
-Spero di rivederla signorina.-
-Lo spero anch’io avvocato. Arrivederci allora!-

Passarono alcuni giorni da quell’incidente, e Paulina continuò la sua vita regolare scandita dal lavoro e dalle rare uscite insieme a Mary Jane.
La domenica successiva all’incontro-scontro col piacente avvocato Engalls, Mary Jane e Paulina avevano lo stesso turno di mattina in ospedale, così che cambiatesi d’abito scesero la scalinata che dal loro reparto portava all’uscita dall’ospedale.
Paulina non avrebbe mai saputo dire perché, ma quella scalinata le procurava sempre un senso di tristezza.
Uscirono all’aperto, dove una bella e calda giornata estiva le mise subito di buon umore.
Adoravano l’estate: a entrambe ricordava le spensierate e felici giornate estive della loro infanzia, trascorse a correre e giocare nella campagna intorno al loro villaggio.
A Paulina luccicavano gli occhi, come se stesse piangendo.
-Cos’hai?-
-Niente, pensavo alle estati della nostra infanzia.-
-Come dimenticare quei tempi… siamo state felici… e lo siamo ancora! Bando alle malinconie!-
-Hai ragione! Stiamo sempre insieme, facciamo un lavoro che adoriamo, viviamo in una città bellissima, cos’altro possiamo volere dalla vita?-
-Signorina Giddings! Signorina Giddings!-
Paulina e Mary Jane si girarono insieme nella direzione da dove proveniva la voce e Paulina riconobbe l’uomo che la chiamava.
-Avvocato Engalls! Che fa da queste parti?-
-Passavo di qui per caso e l’ho vista uscire dall’ospedale. Lei lavora qui giusto?-
-Sì avvocato, faccio l’infermiera qui. Lasci che le presenti la mia amica Mary Jane Frakes, che per me è come una sorella.-
-Molto lieto signorina.- disse il giovane avvocato esibendosi in un inchino che sapeva di altri tempi.
-Ero qui a quel bar con un mio cliente e l’ho vista passare. Volete farci la grazia di unirvi a noi per il pranzo? Naturalmente siete nostre ospiti.-
Le due ragazze si guardarono un po’ titubanti, ma poi fu come se le parole della madre di Mary Jane risuonassero nel cervello di entrambe: “dovreste guardarvi un po’ intorno”, così che accettarono l’invito dell’avvocato.

-Vi presento il signor Anthony Edwards, sa signorina Giddings, il signor Edwards è la persona da cui mi stavo recando l’altro giorno, quando ci siamo… scontrati.-
Paulina sorrise al ricordo mentre stringeva la mano al signor Edwards, un uomo dall’apparente età di circa trenta, trentacinque anni.
-Molto lieta signor Edwards, io sono Paulina Giddings.-
-Il piacere è mio signorina.-
-Mary Jane Frakes!- disse Mary Jane come irrompendo nella conversazione.
Il signor Edwards sembrò come incantato davanti alla bionda infermiera e anche Mary Jane sembrava affascinata dall’uomo.

-Di cosa vi occupate signor Edwards?- chiese Mary Jane mentre sedevano aspettando il cibo che avevano ordinato.
-Io sono il direttore della filiale newyorkese della banca di Chicago. Occupo questa posizione da nemmeno un mese.-
-I miei complimenti signor Edwards! È una posizione molto importante e lei sembra piuttosto giovane!-
L’uomo ridacchiò ostentando una specie di imbarazzo.
-Si certo, ho solo trentadue anni, ma i miei superiori di Chicago hanno ritenuto di affidarmi questa responsabilità, e cerco di fare del mio meglio perché la loro fiducia sia ben riposta, signorina Frakes.-
-Sono sicura che se la caverà benissimo!-
Paulina era stupefatta: non aveva mai visto la sua amica cinguettare così con qualcuno. Evidentemente il fascinoso direttore di banca aveva fatto colpo!

La conversazione continuò su questo filone per circa due ore, tempo che passò veloce senza che le due ragazze ne avessero il minimo sentore.
Fu il giovane direttore di banca ad accorgersi del tempo trascorso dando un’occhiata al suo orologio da taschino.
-Che disdetta signorine, adesso dobbiamo proprio lasciarvi, ma vorremmo invitarvi a cenare con noi una di queste sere, sempre che a voi faccia piacere.-
-Ma certamente signor Edwards!- cinguettò ancora Mary Jane sfoderando un larghissimo sorriso. –Noi lavoriamo al St Jacob, potete rintracciarci lì! Basta che chiediate alla reception!-
Quando i due uomini si furono allontanati e le due ragazze ebbero ripreso la strada verso casa loro, Paulina si rivolse alla sua bionda amica.
- Di un po’, ma non staremo facendo una sciocchezza?-
-Andiamo Paulina! Ti sembrano due malfattori quei tipi?-
-Beh no, ma non sappiamo niente di loro.-
-Ci hanno soltanto invitato a cena! Mica a fare un’orgia in un postribolo!-
-Ma… che linguaggio è questo Mary Jane?!!!!!- esclamò Paulina diventando di mille colori.
Mary Jane rise di cuore.
-Scusami. Devo aver frequentato troppo quegli scaricatori di porto ricoverati nel nostro reparto.-

Nei giorni successivi le due amiche, pur senza dirselo chiaramente, attendevano frementi un messaggio, un segnale, una visita dai due uomini, ma niente: l’avvocato e il direttore di banca sembravano svaniti nel nulla, e loro si convinsero che quell’invito fosse stato niente più che una forma di cortesia poi disattesa magari per una semplice dimenticanza. In fondo due uomini con quelle posizioni e quegli impegni avevano ben altro per la testa.
Poi dieci giorni dopo il pranzo al bar davanti all’ospedale, mentre Paulina passava davanti alla reception dell’ospedale per recarsi al suo reparto, la collega di turno al banco delle informazioni la chiamò.
-Hanno portato questo biglietto per te e Mary Jane.-
-Grazie Candice.-
-Dov’è Mary Jane?-
-Oggi ha il giorno di riposo. È rimasta a casa borbottando perché “doveva fare quelle pulizie che io non faccio mai”- disse distorcendo la voce per prendere in giro l’amica di sempre.
Congedatasi dalla collega dopo aver ridacchiato insieme a lei, Paulina lesse rapidamente il biglietto.
“Gentilissime Paulina e Mary Jane,
se questo sabato siete libere avremmo piacere di invitarvi a cena con noi.
Lasciate pure la vostra risposta alla reception dell’ospedale.
Robert Engalls e Anthony Edwards.”
Emozionata come una scolaretta Paulina si fermò sulla scala del St Jacob, e fece mente locale.
Quel sabato Mary Jane aveva il turno di mattina e lei quello notturno, ma non era un problema: proprio Candice, la collega appena salutata al banco delle informazioni, sarebbe stata ben felice di sostituirla. Spesse volte loro due si erano scambiate i turni per farsi reciproci favori.
A pranzo si vide con Mary Jane e ovviamente lei fu felice di accettare l’invito, così subito dopo rintracciarono Candice e come previsto, lei accettò di scambiare il turno di notte con Paulina.
Lasciarono quindi la risposta e tornarono a casa.

La notizia del loro appuntamento galante fece rapidamente il giro dell’ospedale, e per quanto loro due si mostrassero infastidite dal tanto vociare su di loro, ovviamente non stavano più nella pelle.
Un altro biglietto dei loro fascinosi cavalieri le informò su luogo e ora dell’appuntamento, e finalmente arrivò il giorno tanto atteso.


Scritto da Gatto1967

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Capitolo 4
*** L'estate dei loro 15 anni ***


Monroe Manor, anno 1873

La scuola era appena finita e l'estate, con le tanto attese vacanze, era ormai alle porte.
Mary Jane e Paulina pensavano a cosa fare di bello e divertente in quella nuova estate, che si preannunciava più calda delle precedenti, pregustando tutti i momenti da trascorrere insieme con le passeggiate in giro nella campagna, le letture nel boschetto vicino allo stagno, le visite alla fattoria del signor Charles Whites ed i piccoli lavoretti a casa dell'anziana signora Marta Owen. Era l'estate dei loro 15 anni.

Pochi giorni prima della fine della scuola, Carolyn Giddings aveva ricevuto una lettera da parte della sorella Emily la quale da appena un mese era rimasta vedova con 4 figli di età compresa tra i tre ed i dieci anni. Il marito, John Wilder, era morto a seguito di un incidente nella segheria in cui lavorava da anni. La sua prematura scomparsa era stata un duro colpo per la famiglia ed Emily aveva scritto all'amata sorella maggiore chiedendo l'aiuto della nipote Paulina per tutta l'estate per accudire i suoi figlioli mentre era al lavoro presso la sartoria del paese.

- Ascolta Paulina, è arrivata una lettera da parte di zia Emily. Ti andrebbe di passare l'estate da lei per starle vicino e badare ai suoi figli mentre è al lavoro?
- Certamente, mamma! Ma ad una condizione...

Paulina era davvero entusiasta all'idea di rivedere i suoi cuginetti - John Jr, Evelyn, Noah e la piccola Josephine - ma allo stesso tempo non voleva separarsi dalla sua amica del cuore e così disse alla madre che andava molto volentieri a Monroe Manor a condizione di andarci con Mary Jane. In questo modo avrebbero comunque trascorso tutta l'estate insieme e fatto una nuova ed utile esperienza al di fuori dell'ambito familiare.

Quel pomeriggio la madre di Paulina andò a trovare la madre di Mary Jane e dopo una lunga ed affabile chiacchierata, le due donne convennero che alle loro ragazze avrebbe certamente fatto bene passare l'estate in un altro paese, responsabilizzandole nell'accudire i quattro bambini Wilder. Erano ormai cresciute ed erano delle giovani donne.


La casa della zia Emily era piccola ma con le stanze ben disposte e molto confortevoli.
Paulina e Mary Jane furono sistemate in una grande camera tutta per loro e si adattarono subito alla nuova vita ed alle nuove mansioni. Al mattino svegliavano i bambini e facevano sempre colazione assieme, insegnarono loro tanti nuovi giochi e raccontarono molte interessanti favole ma anche aneddoti sulla vita scolastica. Si occupavano di alcune faccende domestiche e di tenere curato il giardino per dare un po' di sollievo a zia Emily e rimaneva loro anche del tempo libero per gironzolare per il paese con i quattro bambini alla scoperta del posto.

Le giornate diventavano sempre più torride ed in una mattinata particolarmente calda ed afosa, decisero di portare i bambini a rinfrescarsi nel fiume situato appena fuori il paese. Prepararono tutto l'occorrente per fare un bel picnic e si avviarono mano nella mano con i piccoli Wilder verso il fiume. Le acque del fiume fresche e scintillanti invitavano a tuffarsi ma nessuno dei piccoli sapeva ancora nuotare per cui rimasero tutti a giocare spensierati sulla riva del corso d'acqua, immergendo ogni tanto i piedi in ammollo nella parte più bassa del fiume per rinfrescarsi e per divertirsi spruzzandosi l'acqua addosso gli uni con gli altri.

A dire il vero nemmeno Paulina sapeva nuotare, mentre Mary Jane che aveva imparato a nuotare fin da piccola, era diventata una provetta nuotatrice.

- Bene, ora basta giocare – dissero Paulina e Mary Jane, chiamando i bambini.
- È ora di mangiare qualcosa. Tutti a dare una mano per preparare il nostro picnic.

I quattro fratelli non se lo fecero ripetere due volte.
- Arriviamo! - esclamarono in coro, correndo veloci verso le due ragazze.

Nonostante il caldo, avevano consumato molte energie nei giochi ed erano parecchio affamati.
Bicchieri, acqua da bere, pane, formaggio, frutta ed una invitante torta fatta da zia Emily, furono sistemati su una colorata tovaglia all'ombra di un grande albero e consumarono tutto in men che non si dica, per poi distendersi sulla tovaglia a guardare il cielo terso con il sole che attraversando i rami del grande albero faceva strani giochi di luce.

- Pauly, è proprio bello questo posto. Dobbiamo venirci più spesso con i bambini.
- Hai ragione, Jane. Anche se fa caldo, qui si sta proprio bene e i piccoli si divertono. Sono proprio felice che tua madre ti abbia lasciato venire con me.
- Se mi avesse detto di no, credo che sarei venuta lo stesso, di nascosto.
- Ed io sono sicura che lo avresti fatto.

Mentre le due amiche chiacchieravano tra loro, i bambini Wilder, complice lo stomaco pieno e la stanchezza da giochi, si erano addormentati sulla tovaglia. Tutti tranne la piccola Josephine, la quale vedendo una farfalla bianca svolazzare verso il fiume aveva deciso di inseguirla per prenderla, all'insaputa di Paulina e Mary Jane che intente a chiacchierare non si erano accorte che Josephine si era alzata per rincorrere il vivace insetto nel suo volo disordinato.

Zigzagando con le manine rivolte in alto all'inseguimento della farfalla, la piccola Jo percorse diversi metri allontanandosi dal gruppetto e, senza guardare dove metteva i piedini, finì dritta dentro il fiume in un punto in cui la corrente dell'acqua era parecchio forte e perse l'equilibrio tra le acque agitate.

- Mamma! Mamma! - gridò forte Josephine con la sua vocina rotta dal pianto.

In quel momento Paulina e Mary Jane realizzarono quanto era successo.
- Buon Dio! Josephine! - urlò Paulina correndo in direzione delle grida di Josephine con appresso Mary Jane ed il resto dei bambini che si erano svegliati di soprassalto.
Mentre i piccoli Wilder piangevano impauriti e Paulina disperata continuava a chiamare Josephine, Mary Jane si sfilò la veste e si tuffò nelle acque del fiume. Nuotando più veloce che poteva, raggiunse la piccola Jo, l'afferrò e la portò in salvo sulla riva dove l'attendeva Paulina, agitata e bianca in volto. La piccola Jo era svenuta dalla paura, ma con alcuni schiaffetti ritornò in sé rigurgitando l'acqua bevuta e lasciandosi andare ad un pianto disperato ma liberatorio tra le braccia di Paulina, che con gli occhi pieni di lacrime stringeva a sé la cuginetta.
- Oh, Jane, non so come ringraziarti. Se non ci fossi stata tu...
- Pauly, non ci pensare. È tutto finito per il meglio e Josephine sta bene, ha solo preso tanta paura, come tutti noi del resto – disse Mary Jane abbracciando gli altri tre fratellini per calmarli, mentre stavano ancora singhiozzando per lo spavento.
Per allentare la tensione, guardando affettuosamente i piccoli, Mary Jane esclamò:
- Bisogna proprio che io vi insegni a nuotare come dei bei pesci guizzanti! Da domani inizieremo le nostre lezioni di nuoto!

Quanto successo al fiume rimase un segreto di quell'estate e la zia Emily restò all'oscuro della brutta vicenda.
Alla sera, mentre si preparavano per andare a dormire, Paulina e Mary Jane ripensarono a quella giornata, rendendosi conto che avevano sfiorato una tragedia.
- I bambini sono davvero imprevedibili – disse Paulina sospirando e pensando alla piccola Josephine, mentre si sistemava i capelli nella cuffia da notte.
- Ed i pericoli sono sempre in agguato – aggiunse Mary Jane infilandosi nel letto – ma da questa esperienza abbiamo imparato molto e ne faremo tesoro, d'ora in poi non abbasseremo mai la guardia.
- Sono d'accordo con te, cara la mia Jane, con i bambini è necessario prestare la massima attenzione e non staccare mai gli occhi da loro. Se un giorno avrò dei bambini miei, sarò attenta e prudente, essere mamma è davvero una grande responsabilità.
- Intanto domani insegnerò a nuotare ai tuoi cuginetti, ed anche tu dovresti imparare a nuotare, Pauly.
- Lo sai che ho sempre avuto paura dell'acqua fin da piccola, e temo che non supererò mai questa paura. Ora dormiamo, sono esausta. Buonanotte, Jane.
- Buonanotte, Pauly - rispose l'amica spegnendo la lampada ad olio.


L'estate a Monroe Manor passò in fretta. Tra lunghe passeggiate, corse e giochi all'aperto, tra letture ed arrampicate sugli alberi vicino al fiume, per Paulina e Mary Jane arrivò il momento di lasciare i piccoli Wilder e fare ritorno al paese natio, a La Porte.
- Ragazze, non potrò mai ringraziarvi abbastanza per quanto avete fatto per me e per i miei piccoli in tutto questo tempo – disse la zia Emily mentre abbracciava e baciava Paulina e Mary Jane per salutarle.
- Siamo state molto bene qui da te, zia Emily, ed abbiamo trascorso una bella estate, perciò siamo pari. Ciao, miei piccoli cuginetti – disse Paulina con un groppo in gola.
Si era talmente affezionata a quei bambini che ora le sembrava doloroso separarsi da loro.
- Lo stesso vale per me, signora Wilder, è stata davvero una bella esperienza. Grazie per avermi ospitata – continuò Mary Jane – e mi raccomando voi quattro fate i bravi ed obbedite sempre alla vostra mamma.
Con qualche lacrimuccia che scendeva a bagnare quelle belle guanciotte rosee, i fratelli Wilder abbracciarono Paulina e Mary Jane con la promessa che avrebbero scritto loro tante belle lettere.

Mentre la carrozza si avviava sulla strada principale del paese tagliando in due nel suo percorso la luce di quel mattino luminoso di fine estate, la zia Emily ed i suoi figlioli restarono a guardarla farsi sempre più piccola e lontana e continuarono a salutare con la mano Paulina e Mary Jane, le quali ricambiarono il saluto fino a che la zia ed i bambini Wilder scomparvero dalla loro vista.



Scritto da Tamerice

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Capitolo 5
*** Dobbiamo chiamare la Polizia ***


New York, anno 1876

Vennero portate a cena in uno dei più esclusivi ristoranti di New York nel prestigioso quartiere di Manhattan.
La serata fu piacevole e divertente, i loro cavalieri si rivelarono due conversatori piacevoli e divertenti, soprattutto l’avvocato Engalls. Il pur fascinoso direttore di banca era più taciturno anche se non mancava di intervenire nella conversazione.
Poi a un certo punto la serata rischiò di prendere una piega spiacevole.
-Sembra che la campagna contro gli indiani Sioux si stia rivelando più difficile del previsto.- esordì Robert.
-Dopo la clamorosa vittoria al Little Big Horn gli indiani si sono sparsi ai quattro venti e le nostre truppe hanno difficoltà a rintracciarli. Si pensa che molti di loro potrebbero espatriare in Canada.-
-E cosa cambierebbe per loro?- disse Paulina. –In un modo o nell’altro per quella gente è finita.-
-Lo dice con una punta di rammarico miss Giddings.- notò l’avvocato.
-Mio nonno per buona parte della sua vita fu un trapper, viveva nei boschi a stretto contatto con molte tribù indiane, e lui mi ha sempre parlato bene di loro. Diceva che erano persone semplici e accoglienti, e che presso di loro ha sempre trovato ottimi amici e persone leali.-
-Sono un branco di straccioni!- proruppe con veemenza Anthony. –Ma per fortuna i nostri soldati li spazz…-
Si fermò all’improvviso, come colpito da una folgorazione, in realtà Robert gli aveva appioppato un calcio negli stinchi.
-Quella è gente a cui noi bianchi stiamo levando tutto signor Edwards! E questo dovrebbe pesare sulla coscienza di ogni uomo giusto!-
La replica di Paulina era stata altrettanto veemente
-Naturalmente miss Giddings.- cercò di intervenire Robert Engalls –Il signor Edwards non intendeva emettere giudizi affrettati.-
-Ehm… no signorina, certo che no.- confermò il giovane direttore di banca come cercando di rimediare a una gaffe.
-Forse è meglio che noi si paghi il conto e si continui la serata altrove signorine.- suggerì l’avvocato.
-Prego signorine aspettateci fuori, noi rintracciamo il cameriere, paghiamo il conto e vi raggiungiamo.-
-Veramente… vorremmo contribuire…- disse timidamente Mary Jane
-Non se ne parla nemmeno!- rispose Robert –Siete nostre ospiti e non dovete versare un centesimo! Prego signorine, non insistete.-
Le due ragazze rimasero indubbiamente compiaciute di questo atteggiamento cavalleresco, e non insistettero accogliendo l’invito dei loro cavalieri.
Una volta uscite all’aperto Mary Jane riprese Paulina.
-Di un po’, ma ti sembrava il caso di polemizzare con quella storia sugli indiani?-
-Non volevo polemizzare! Semmai è stato il tuo direttore di banca a esprimersi in malo modo. Ma lo hai sentito? Sembrava uno scaricatore di porto in una bettola di infimo ordine!-
-D’accordo, non voglio litigare con te, ma ammetterai che il suo è il pensiero più diffuso.-
-Non vuol dire che sia un pensiero giusto.-
L’argomento meritava sicuramente una discussione seria e approfondita, ma non ebbero modo di dilungarsi oltre, il direttore di banca e l’avvocato le raggiunsero.
-Ecco fatto signorine, se volete farci questo onore, saremo felici di accompagnarvi a casa.-
-Grazie avvocato.- disse Paulina sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
-Casa nostra è a circa tre miglia da qui, forse sarebbe il caso di prendere una carrozza.-
-E privarci così di una piacevole passeggiata al chiaro di luna? Cosa saranno mai tre miglia?-
-Beh, bisogna ammettere che è una bella serata estiva, e questo cielo stellato invoglia ad una passeggiata per le strade di New York!- dichiarò Mary Jane porgendo il braccio al signor Edwards. Lui le prese la mano e iniziarono a correre verso il vicino ponte ridendo insieme.
Paulina guardò l’amica di sempre con uno sguardo stupito: era davvero quella la Mary Jane che conosceva da sempre?
Poi i suoi occhi incrociarono quelli dell’avvocato Engalls e anche lei si lasciò andare. Prese la mano del bell’avvocato e corsero via insieme inseguendo i loro amici in direzione del ponte.

Le due ragazze non poterono accorgersi che dal ristorante uscirono di corsa due camerieri che squadrarono i dintorni con lo sguardo fino a vedere le due coppie che correvano ormai in mezzo al ponte.
-Inseguiamoli!-
-No, sono lontani ormai, e inseguirli per la città sarebbe pericoloso.
Dobbiamo chiamare la Polizia!-
L’altro cameriere annuì.

In men che non si dica arrivarono sotto casa delle due ragazze. Loro abitavano in un appartamento al secondo piano di uno stabile modesto ma dignitoso.
Proprio al secondo piano, da una finestra, traspariva la luce di un lume a petrolio.
-La signora Jackson è ancora sveglia.- constatò Mary Jane
-Magari si è addormentata in poltrona con la luce accesa. Ultimamente le capita spesso.-
-Forse è il caso di andare a controllare.-
-Controllare cosa?- chiese Robert a Paulina.
-La signora Jackson è la nostra vicina di casa. È anziana e vive da sola. Non si è mai sposata e non ha figli o parenti. Passa le serate in casa a leggere e ultimamente si addormenta spesso con il lume a petrolio acceso.-
-Alquanto pericoloso direi.-
-Già, una volta a momenti scoppiava un incendio. Sarà meglio che andiamo a dare un’occhiata, sapete noi abbiamo…- Paulina stava per rivelare che loro erano in possesso delle chiavi di casa dell’anziana signora Jackson.
Si fermò, ma non in tempo.
I due uomini cambiarono espressione.
-Bene. è quello che volevamo sapere signorine!- anche la voce di Robert era cambiata, e messa la mano nella tasca della giacca, ne estrasse un coltello a serramanico.
Anche l’altro uomo prese un’analoga arma dalla propria tasca e, afferrato con l’altra mano il braccio di Mary Jane e lo torse dietro la sua schiena.
La ragazza gridò e il sedicente “direttore di banca” le intimò all’orecchio:
-Non gridare vacca! O ti taglio la gola da parte a parte!-
La lama del coltello sfiorava la gola di Mary Jane e sia lei che Paulina ritennero opportuno obbedire.
-Cosa… cosa volete da noi?- riuscì a dire Paulina in lacrime quasi strozzandosi la voce.
-Adesso saliremo su a casa vostra e voi ci darete le chiavi dell’appartamento di quella vecchiaccia!- le rispose il sedicente Robert.
-Ma… perché? Che volete da quella donna?- l’espressione di Paulina era un misto di stupore, dolore e terrore.
-Quella vecchiaccia è straricca e…- a parlare era stato Anthony, ammesso che quello fosse il suo vero nome e Robert lo zittì.
-Non dire altro imbecille!-
Era evidente che fra i due, Robert era il capo.
-Avanti signorine, aprite la porta e saliamo in casa!-
Paulina estrasse le chiavi del portone dalla sua borsetta e aprì la porta del condominio, così che i quattro entrarono e si avviarono rapidamente lungo le scale.
-Non provate a fare il minimo rumore signorine.- la voce di Robert era perentoria.
Arrivarono rapidamente al secondo piano, e sempre Paulina aprì la porta del loro appartamento.
Dopo che furono entrati in casa Anthony richiuse la porta dell’appartamento e Robert intimò a Paulina di accendere una luce.
-Non provare a fare scherzi cicciona! Sarebbe l’ultima cosa che fai in vita tua!-
Obbedì all’ordine e accese un lume a petrolio che tenevano sul tavolo in mezzo alla sala d’ingresso.
-Adesso vogliamo le chiavi della Jackson! Subito!-
Stavolta Paulina esitò.
-Obbedisci cicciona! O il mio compare taglia la gola alla biondina!-
Con la faccia stravolta dal pianto Paulina aprì un cassetto della loro credenza e ne estrasse una chiave.
-Questa… è la chiave della signora… vi prego… non fatele del male… è una brava donna…-
-Non le faremo niente, sta tranquilla. Vogliamo solo i suoi gioielli.-
-Gioielli? Quali… gioielli?-
-Ho detto troppo. Adesso girati e metti le mani dietro la schiena cicciona!-
Paulina obbedì e l’uomo che diceva di chiamarsi Robert estrasse da una tasca interna della giacca un paio di manette e ammanettò la malcapitata ragazza. Poi la imbavagliò con uno straccio e la obbligò a sedersi per terra.
La stessa operazione fu ripetuta con Mary Jane, e i due uomini uscirono dall’appartamento richiudendo la porta.

Paulina e Mary Jane sedevano affrante davanti al capitano Aleson, della Polizia di New York.
-Abbiamo verificato la vostra versione dei fatti, signorine.- esordì l’uomo dopo essere entrato nella stanza e essersi seduto davanti alle ragazze.
-Un testimone, seduto vicino al vostro tavolo al ristorante, ha confermato che voi siete uscite dal ristorante su invito dei vostri… chiamiamoli così… “cavalieri”. E quindi decade ogni sospetto nei vostri confronti di aver voluto truffare il ristorante. Quei due vi hanno fatto uscire dal ristorante e poi dopo un po’ hanno fatto finta di cercare il cameriere e sono usciti dal locale.-
-Ma se quei due volevano rapinare la signora Jackson, perché rischiare così tanto per scroccare una cena a un ristorante di lusso?- chiese Paulina –Avrebbero potuto portarci in un ristorante più economico, se non avevano i soldi per pagare.-
-Faceva tutto parte della commedia, dovevano farvi credere di essere due ricchi borghesi della buona società di New York per conquistare la vostra fiducia.-
-Quindi l’incontro vicino al fiume non è stato casuale…-
-Probabilmente no.
Quel giorno il sedicente “avvocato” stava scappando da alcune persone che aveva cercato di truffare. Era riuscito a fuggire ma era stato ferito a una mano con un coltello ed aveva perso i soldi che voleva truffare. Ecco perché hanno scroccato la cena al ristorante: non avevano un soldo! Probabilmente aveva adocchiato la signora Jackson già da tempo e spiandola aveva scoperto che voi abitavate sul suo stesso pianerottolo e ci stavate in confidenza.-
-Come facevano a sapere che la signora Jackson aveva dei gioielli in casa?-
-Quella gente sa come attingere informazioni, credete a me. Nei bassifondi di grandi città come New York si creano reti di informazioni incredibilmente complesse.-
-Ma se quei due non erano chi dicevano di essere, chi diavolo erano?-
A quella domanda il capitano fece un cenno ad un agente, che aprì una porta secondaria da cui entrarono altri due agenti e un uomo ammanettato. Era l’uomo che loro avevano conosciuto come Anthony Edwards, il sedicente “direttore” della filiale newyorkese della banca di Chicago.
-Quest’uomo si chiama Neal Oldman, pregiudicato, coinvolto in risse, rapine e reati di varia natura. Vive nei bassifondi di New York, saltuariamente lavora come scaricatore al porto.-
-Non ti ricordi di me biondina?- disse con tono beffardo –Sono stato ricoverato al tuo ospedale. Ma tu eri troppo cotta di me per ricordartene.-
Mary Jane abbassò lo sguardo e iniziò a piangere sommessamente.
Paulina perse il controllo di sé:
-Brutto bastardo! Come hai potuto?-
L’uomo fece uno sguardo truce.
-Hai detto bene cicciona! Io sono un bastardo! Sono cresciuto in un maledetto orfanotrofio, e credimi: in quei posti si diventa davvero bastardi! In tutti i sensi!-
Ad un altro cenno del capitano l’uomo venne portato via.
-Tutto bene signorina?-
Mary Jane fece cenno di sì, Paulina cercò di confortarla in qualche modo ma lei la scansò via in malo modo e continuò a piangere.
-Qualche tempo fa quell’uomo è stato avvicinato dall’uomo che avete conosciuto come Robert Engalls che gli ha proposto un colpo in casa della signora Jackson e gli ha spiegato il suo piano.
Avrete già capito qual era questo piano: conquistare la vostra fiducia, e usarvi per entrare in casa della Jackson.
Engalls, o come diavolo si chiama in realtà, sapeva già che vivevate vicino alla Jackson e in qualche modo l’aiutavate.
L’incontro forse fortuito e forse no con lei signorina, gli ha dato il pretesto per entrare nelle vostre grazie…-
Ormai le due ragazze singhiozzavano, e il poliziotto ritenne opportuno di non calcare oltre la mano.
-Avete… avete notizie… della signora Jackson?-
L’uomo esitò ma poi ritenne di dover rispondere.
-Mi dispiace darvi questa notizia, ma la signora Jackson è deceduta un’ora fa all’ospedale dove voi lavorate.-
-è… è stata colpa nostra…- disse Paulina straziata dal dolore.
-Non dica così signorina. Voi siete vittime in questa storia. La signora era molto anziana e lo spavento per aver visto quei due malfattori in casa sua, le è stato fatale.-
-E… e quell’altro delinquente…- riuscì a mormorare Mary Jane
-Lo stiamo cercando, ma crediamo che abbia già lasciato la città. Da quello che ci ha raccontato Oldman crediamo che si tratti di un professionista molto abile, specializzato in truffe e rapine di alto livello. Probabilmente deve aver avuto qualche imprevisto negli ultimi tempi, per cui era rimasto senza denaro contante disponibile, ma ritengo che abbia riserve di denaro altrove. Dubito che lo troveremo mai. Forse quello che gli avete visto non era neanche il suo vero volto, ma un abile travestimento teatrale.-

Poco dopo le due ragazze vennero riaccompagnate a casa.

Quella brutta vicenda riportò alla mente delle due ragazze l'anziana signora Marta Owen e le fece riflettere sul fatto che Marta era stata davvero fortunata ad abitare in un piccolo e tranquillo villaggio come La Porte circondata dall'affetto dei compaesani.


Scritto da Gatto1967

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Capitolo 6
*** L'anziana signora Owen ***


La Porte, anno 1875

In una bella mattinata di sole di inizio primavera, la campana del vecchio campanile suonava allegramente a festa, invitando i fedeli a radunarsi per la funzione religiosa domenicale nella modesta chiesetta in legno situata al centro del paese di La Porte.

Come erano solite fare quasi ogni domenica da circa due anni, Paulina e Mary Jane raggiunsero la casa dell'anziana signora Marta Owen per accompagnarla in chiesa.

L'età avanzata di Marta e la sua andatura ormai lenta ed insicura non erano di certo un impedimento per colei che un tempo era stata una valida insegnante, che desiderava ancora recarsi in chiesa come ogni buon cristiano.
Da quando aveva iniziato ad avere difficoltà nel camminare, quello era anche uno dei rari momenti in cui usciva di casa per recarsi in paese e rivedere i suoi compaesani, che nutrivano ancora un particolare attaccamento per quella maestra di paese che aveva insegnato a genitori ed anche ai loro figli e nipoti.

- Buongiorno signora Owen! – esclamarono con voci squillanti Paulina e Mary Jane entrando in casa mentre la governante tuttofare finiva di preparare e pettinare l'anziana, comodamente seduta in un'elegante sedia in legno massello con lo schienale finemente intagliato.

La signora Marta Owen era una donna molto precisa e meticolosa e desiderava apparire sempre al meglio durante le sue brevi uscite domenicali. Una mente a tratti ancora brillante in un corpo che si avviava piano ma inesorabilmente al suo tramonto. Ora che la sua vista non era più quella di un tempo adorava ascoltare le voci di Paulina e di Mary Jane mentre a turno le leggevano le sue storie preferite e poi chiacchieravano e si confrontavano assieme sulla lettura.

L'arrivo delle due ragazze portava sempre una ventata di allegria in quella casa tanto silenziosa.

- Buongiorno ragazze, sono proprio felice di vedervi. Voi due siete il bastone della mia vecchiaia, non so cosa farei senza di voi. Oggi siete invitate a pranzo, Milly ha preparato per noi dei piatti veramente speciali.

- Ci fermiamo molto volentieri, signora Owen. Dobbiamo anche finire quel racconto lasciato in sospeso domenica scorsa, voglio proprio sapere come andrà a finire la storia di quel nobile e valoroso cavaliere e della sua giovane promessa sposa – disse Paulina mentre l'aiutava ad alzarsi dalla sedia e Mary Jane le offriva prontamente il suo braccio per accompagnarla fuori casa.

- Le mie care Paulina e Mary Jane, siete proprio come il nostro nobile cavaliere, sempre gentili e premurose.

Con il sostegno di Paulina e di Mary Jane, la signora Marta si avviò alla porta e dopo aver salutato Milly, tutte e tre assieme, piano piano, un passo dopo l'altro, raggiunsero la chiesa.


Il pranzo preparato da Milly era squisito, Paulina e Mary Jane mangiarono di gusto, mentre la signora Marta chiacchierò per tutto il tempo, raccontando vicende del suo passato di insegnante ed anche fatti della sua vita privata.

- Vi ho raccontato di come ho conosciuto il mio Thomas?

- Un milione di volte... – disse a bassa voce Mary Jane, strizzando l'occhio a Paulina, che si trattenne dal ridere, mentre la signora Marta iniziava per l'ennesima volta il racconto di come aveva incontrato il suo grande amore, un ragazzo di nome Thomas Larson, di come si erano innamorati e subito dopo sposati e purtroppo di come il destino crudele glielo aveva portato via in seguito ad una terribile febbre infettiva, lasciandola vedova molto giovane. Da allora non si era mai più risposata ed aveva dedicato la sua vita all'insegnamento presso la scuola di La Porte.

Poi i discorsi dell'anziana Marta si concentrarono sulle due ragazze.

- Ragazze, ditemi, andrete questa sera alla festa di primavera in paese?

- Certamente, signora Owen! Gregory e Justin ci hanno invitate a ballare con loro per tutta la serata - rispose prontamente Mary Jane.

- Ah, che cavalieri i fratelli Cooper. Sapete, ogni tanto passano a farmi visita e mi portano sempre dei fiori freschi – raccontò Marta per poi aggiungere: - Non fateveli scappare, sono veramente due bravi ragazzi.

- Al momento con loro intendiamo solo ballare, non fidanzarci – rispose scherzosamente Paulina.

- E comunque abbiamo altri progetti per il nostro futuro – continuò Mary Jane.

- Raccontatemi ragazze, cosa intendete fare nella vita? Quali sono questi progetti?

- Frequenteremo un corso per allieve infermiere! – rispose di getto e con grande entusiasmo Mary Jane che non vedeva l'ora di partire per la città di New York con la sua amica Paulina.

Mary Jane da sempre desiderava studiare in modo più completo le sue materie preferite, biologia ed anatomia del corpo umano e ad occhi aperti già immaginava di camminare tra le corsie di un grande ospedale per poi entrare nelle camerate a controllare gli ammalati e portare loro parole di conforto, suscitando le simpatie dei suoi numerosi pazienti.

L'insegnante Rose Dingley l'aveva spronata a seguire questa sua naturale inclinazione e pertanto le aveva consigliato di frequentare un corso per diventare infermiera, con un apposito percorso di studi e lavoro. E naturalmente Mary Jane aveva coinvolto l'inseparabile amica Paulina a seguirla nella sua scelta di studio e lavorativa.

- Brave le mie ragazze. Avete scelto una professione molto nobile e da parte mia vi auguro ogni bene per raggiungere i vostri obiettivi. Dedizione, costanza e senso di responsabilità, sono doti che non vi mancano e sono sicura che diventerete tutte e due delle ottime infermiere.

- Grazie, signora Owen! Grazie per queste sue parole di incoraggiamento! – rispose Paulina con voce piena di affetto per l'anziana.

Terminato il pranzo, per il resto del pomeriggio Paulina e Mary Jane si alternarono nella lettura delle fantastiche gesta di un Re nobile e giusto e dei suoi fedeli cavalieri, tra amori, avventure e battaglie che Marta conosceva a memoria ma che ascoltava sempre con piacere dalla voce delle due ragazze, fino a che nel sentirsi particolarmente stanca chiese a Milly di accompagnarla nella sua stanza per fare un riposino prima di cena.

Salutò affettuosamente Paulina e Mary Jane abbracciandole con un'intensità che non aveva mai lasciato trasparire prima ed augurò loro di divertirsi alla festa di primavera, facendosi promettere nel contempo di ritornare presto a trovarla per raccontarle tutti i particolari della serata. Se soltanto non si fosse sentiva così stanca avrebbe partecipato volentieri alla festa, anche se non era più in grado di ballare, restare seduta a guardare gli altri mentre danzavano le infondeva sempre tanta gioia e rendeva il suo cuore allegro.


Marta Owen si spense serenamente quella stessa notte, durante il sonno, all'età di 89 anni.
L'ultimo suo pensiero prima di addormentarsi fu rivolto a Paulina e Mary Jane, era certa che quelle due brave ragazze avrebbero fatto grandi cose nel loro futuro, lo sentiva chiaramente nel suo cuore e sapeva che il cuore non mente mai.
Poi la sua mente, ormai debole e stanca, divagò rapita dalla prestante figura di un cavaliere, nella sua scintillante armatura, il quale le offrì la mano per condurla per sempre nel regno eterno e leggendario di Camelot.
Quel cavaliere aveva il volto di Thomas Larson, il suo grande amore perduto e mai dimenticato.

Scritto da Tamerice
 

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Capitolo 7
*** Una ragazza veramente speciale ***


La Porte, anno 1876

Paulina entrò di corsa nella stanza di sua madre e subito si inginocchiò al suo capezzale chiamandola ripetutamente.
-Mamma! Mamma!-
La donna riuscì con uno sforzo sovrumano a volgere lo sguardo verso di lei.
-Mamma sono qui! Ti sono vicina… vedrai che… che…-
Non riuscì a pronunciare altre parole mentre sua madre le toccava la faccia come ad asciugarle le lacrime.

Poco fuori dalla stanza, appena oltre la porta d’ingresso, Mary Jane parlava con il dottor Collins, il medico del villaggio.
-Quante speranze ci sono dottore?-
-Non ci sono speranze. La scienza medica non può guarire ogni malattia, e la malattia della signora Giddings è incurabile. Ormai è questione di giorni, forse di ore.-
-Ma perché non le avete detto niente?!!!- si rivolse rabbiosamente lei ai suoi genitori che le stavano alle spalle.
-Siete venuti a New York a parlarci di fidanzati, e non avete ritenuto di dover dire a Paulina come stavano le cose?!!!-
-è stata Carolyn a chiederci di non dire niente.- Cercò di spiegare Margaret Frakes a sua figlia.
-Non voleva che Paulina si preoccupasse e soprattutto che mollasse la sua vita a New York per precipitarsi qui.-
-Avete sbagliato…- disse Mary Jane in lacrime –Paulina doveva sapere… doveva sapere…-
Sua madre l’abbracciò anche lei in lacrime.

Nella stanza Carolyn Giddings cercava di portare le mani in direzione del collo, come a voler prendere la catenina con la croce che portava sempre con sé da svariati anni.
-Che c’è mamma?- chiese Paulina che si era seduta vicino alla madre.
La donna riuscì a toccare la croce, e cercava di portarla verso sua figlia.
Con la morte nel cuore Paulina capì, sua madre voleva dargli la croce della felicità, quel piccolo ciondolo che aveva avuto in dono da sua nonna tanti anni prima.
Vincendo il dolore che le stringeva il cuore, Paulina prese quella croce e se la mise al collo davanti a sua madre, prima che lei chiudesse gli occhi per sempre.

Da fuori la stanza Mary Jane e gli altri sentirono Paulina chiamare la madre con voce straziata.
Entrarono, e il dottor Collins non poté fare altro che constatare la morte di Carolyn Giddings, mentre Mary Jane abbracciava la sua amica di sempre e la portava fuori dalla stanza.

Carolyn Giddings fu sepolta nel piccolo cimitero del paese dopo una cerimonia alla quale parteciparono tutti gli abitanti. Carolyn era benvoluta da tutti a La Porte.
La sua tomba fu scavata accanto a quella del marito, Ronald Giddings, morto da pochi anni.
Paulina era affranta ma tenne un atteggiamento forte e dignitoso, mentre la sua amica Mary Jane la sosteneva.
Nella sua mente rivisse i momenti più belli passati insieme a sua madre, e se la immaginò presente a quella cerimonia, in piedi davanti a lei a darle coraggio.
Strinse con la mano il crocefisso che sua madre le aveva donato in punto di morte, e le sembrò di sentire le parole pronunciate da Carolyn tanti anni prima quando lei aveva appena sei anni.
-Mia nonna mi disse che questa è la croce della felicità, e che soltanto persone speciali possono portarla. Lei volle darla a me e io un giorno la darò a te.-
Quale persona potrà essere così speciale da meritarsi in dono la croce che tu hai portato per tanti anni mamma? Si chiese Paulina abbandonandosi alle lacrime.

Dopo la cerimonia Paulina fu ospitata in casa dei genitori di Mary Jane che si dissero disposti a tenerla con loro finché non avesse deciso che fare della sua vita.

-è così mamma. Per la faccenda con quei due malviventi l’ospedale ci ha licenziate entrambe.-
-Ma non possono farlo! Voi non avete fatto niente! Voi siete vittime in quella brutta storia!-
Mary Jane abbassò lo sguardo come se si sentisse colpevole di qualcosa.
-Il direttore ha detto che non poteva rischiare che il nostro “discutibile e libertino” atteggiamento gettasse “discredito e disonore” sul nosocomio da lui rappresentato.-
La madre di Mary Jane ebbe un moto di impazienza alzandosi dal tavolo, ma poi cercò di dominarsi per fare forza alla figlia.
-Ascoltami tesoro: non pensarci più. Il St Jacob di New York non è certo l’unico ospedale degli Stati Uniti, e troveremo qualche direttore più intelligente che saprà apprezzare due brave infermiere come voi!-
Mary Jane notò il “due”, era chiaro che si riferiva a Paulina.
-Non so cosa vorrà fare Paulina, le ci vorrà un po’ di tempo per decidere…-
-Lo so, e noi la aspetteremo, povera ragazza! Dovrà decidere cosa fare dell’emporio di sua madre, non sono decisioni da poco.-
-Potrebbe anche decidere di restare qui…-
-E in quel caso dovrai rispettare la sua decisione. Capisco che tu la consideri come una sorella, e anche noi le vogliamo bene come a una figlia. È sempre stata in casa nostra da quando è nata! Ma in questo momento deve prendere una decisione, e deve farlo da sola.-

Erano passati dieci giorni dalla morte di Carolyn, e Paulina sembrava l’ombra di sé stessa. Andava tutti i giorni al cimitero, si sedeva davanti alla tomba di sua madre e passava ore intere in silenzio davanti a quella lapide.
Qualcuno arrivò alle sue spalle e le si sedette accanto.
-Mary Jane.-
Si abbracciarono e lei diede libero sfogo alle sue lacrime. Era dal giorno del funerale che nessuno la vedeva piangere.
-Coraggio Paulina, coraggio! Tua madre non vorrebbe vederti così.-
-Grazie Mary Jane… grazie per starmi vicina… non dev’essere facile sopportarmi in questi giorni…-
-Ah, sei stata anche peggio di così!-
-Ah davvero?-
-Certo! A New York non ti sopportavo proprio quando lasciavi sempre il bagno sporco e poi toccava a me pulire!-
Paulina diventò di mille colori.
-Ma… non è vero! Brutta bugiarda!-
Cominciarono a ridere entrambe e Paulina diede una spinta all’amica di sempre facendola cadere sull’erba.

-Grazie davvero Mary Jane… di tutto…-
-Ti voglio bene Paulina.-
-Anch’io Mary… anch’io…-
E abbracciandosi si misero entrambe a piangere.

-Ascoltami. Sono venuta a cercarti anche per dirti una cosa.-
-Ti ascolto.-
-I miei genitori mi hanno proposto di trasferirmi con loro nell’Illinois.-
-Nell’Illinois? E perché nell’Illinois?-
-Beh come sai loro sono originari di lì e hanno ancora delle conoscenze in quello stato. Un loro amico è un medico e loro dicono che sarebbe disposto a farmi assumere come infermiera presso l’ospedale per cui lavora.-
Paulina ebbe un sorriso triste.
-Ti manca il nostro lavoro vero?-
Lei fece cenno di sì.
-Mi manca tantissimo… non posso proprio farne a meno, mi capisci?-
-Sì certo, ti capisco.-
-Sai, il mio sogno è di poter un giorno, insegnare il mestiere alle allieve infermiere, di trasmettere loro la mia stessa passione per questo lavoro.-
-Sono sicura che ci riuscirai Mary. E chissà, magari un giorno affibbierai a qualche tua allieva il soprannome di “Signorina Sbadatella”!-
-AH non contarci!- rispose allegramente Mary Jane –Sono molto gelosa di quel soprannome, e non lo darò mai a nessuna! Solo una ragazza veramente speciale potrà meritarselo!-
Una ragazza veramente speciale, si ritrovò a pensare Paulina.
-Perché non vieni con noi? Sono sicura che anche tu potresti…-
Paulina fece cenno di no.
-No Mary Jane, non posso venire. Non posso mandare alla malora tutto quello che mia madre ha fatto qui. E poi non potrei mai pesare sui tuoi. Mi vogliono bene lo so, ma io devo restare qui.-
Mary Jane aveva gli occhi che le tremavano e cominciò di nuovo a piangere abbracciando la sua amica.
-Mi mancherai Paulina, mi mancherai!-

Il sole tramontava illuminando di riflessi rossastri i volti delle due amiche bagnati dalle lacrime.
In fondo al loro cuore sapevano che forse non si sarebbero viste mai più.
Il domani aveva in serbo per le ragazze due destini molto diversi.

Scritto da Gatto1967
 

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Capitolo 8
*** È la Provvidenza che ci ha fatto incontrare di nuovo ***


La Porte, anno 1895

In una fredda giornata di fine autunno, una giovane suora camminava in gran fretta per la strada principale del villaggio di La Porte, tenendo per mano una bambina e con al seguito altri due ragazzini. Erano tre orfani: Ben di 12 anni, Tobia e Laura, due fratelli rispettivamente di 11 e 9 nove anni, che infreddoliti e silenziosi tenevano il passo veloce della suora.

Erano appena arrivati con la diligenza delle ore 10.00 ed il postiglione, che doveva provvedere ad abbeverare i cavalli, aveva dato loro mezz'ora di tempo per sgranchirsi le gambe, prima di ripartire in direzione della città di Indianapolis.

La suora decise di approfittare di quella mezz'ora di tempo per fare alcuni acquisti presso l'emporio del villaggio che aveva intravisto poco più in là lungo la strada. Si sentiva profondamente triste per il compito che doveva assolvere e che le era stato assegnato dal suo convento, ossia accompagnare quei tre bambini presso l'orfanotrofio "La casa felice" ad Indianapolis.

Il nome dell'orfanotrofio la fece riflettere e si ritrovò a pensare quando mai un orfanotrofio poteva considerarsi una "casa felice". Lei stessa era stata ospite di una struttura simile da bambina e sapeva quanto la vita là dentro poteva essere dura e difficile. Si rammaricò di non poter fare nulla di più per quei bambini, se solo avesse potuto crescerli personalmente la loro vita sarebbe stata diversa, ma non aveva né i mezzi né il posto dove poter coltivare il suo sogno di fondare un orfanotrofio dove i bambini potessero crescere felici e venissero trattati con umanità e rispetto.

Con questo pensiero in testa e con un'espressione alquanto mesta, entrò con i bambini nell'emporio gestito da Paulina Giddings, dove vennero accolti da una voce dolce e pacata.
- Buongiorno Sorella, cosa posso fare per lei?
- Buongiorno signora, avrei bisogno di alcune cose per questi bambini.

La suora aveva deciso di spendere quel poco denaro che aveva con sé per acquistare una calda sciarpa per Laura, un paio di scarpe per Tobia, visto che le sue si aprivano sul davanti ad ogni passo, ed un berretto di lana per Ben, che continuava a tirare su il bavero della giacca tutta rattoppata per proteggere le orecchie arrossate dal freddo pungente di quella mattinata.

Fatti gli acquisti necessari, avanzarono ancora alcune monete e visto che i bambini guardavano con occhi sognanti i barattoli in vetro delle caramelle ben disposti sul banco di vendita, la suora comperò loro anche alcuni bastoncini di liquirizia con grande riconoscenza da parte dei tre bambini.

- Grazie infinite, Suor Lane! – esclamarono in coro Ben, Tonia e Laura, che mangiarono la liquirizia con una tale voracità da lasciare la suora e Paulina a bocca aperta, sembrava che non mangiassero da giorni.

- Mi scusi Sorella, ma lei si chiama Lane? - chiese Paulina con curiosità, mentre quel nome "Lane" le riportava alla mente un ricordo di tanti anni prima, quello di una bambina che aveva incontrato per caso a New York, una bambina poverissima che indossava un abito logoro e sudicio e che era tanto affamata.

- Sì, è il mio nome di battesimo, almeno così mi hanno detto coloro che mi hanno cresciuta – disse la suora senza dare troppo peso alla risposta mentre si avviava verso l'uscita.

Paulina restò per un attimo sbalordita, possibile che si trattasse della stessa persona?
Possibile che Suor Lane fosse quella povera bambina che aveva visto picchiare ed insultare da quella donna così manesca per le strade di New York?

La suora non era ancora uscita dall'emporio che, imprecando, entrò il postiglione per chiedere un'informazione.
Vista la suora, l'avvisò che non era possibile ripartire subito in quanto una ruota della diligenza si era allentata ed alcuni raggi di legno si erano staccati dal cerchione, pertanto necessitava di essere riparata con urgenza, non era sicuro viaggiare in quelle condizioni fino ad Indianapolis.
- Sono spiacente Sorella, ma dovremo fermarci in questo villaggio presumo per un paio d'ore, sperando che ci sia un fabbro nei paraggi.
- Questa non ci voleva proprio, mi aspettano all'orfanotrofio per l'ora del pranzo, contavo di arrivare puntuale – disse pensierosa Suor Lane guardando i bambini.

Intanto il postiglione che si era avvicinato al banco di vendita, chiese a Paulina se in quel villaggio c'era un fabbro che poteva provvedere alla riparazione della ruota.
- Buongiorno signora, c'è un fabbro in questo villaggio?
- Certamente, e lo può trovare in fondo alla strada che porta verso le colline.

- Sorella, intanto che vado dal fabbro, le conviene fermarsi con i bambini nella locanda di fronte, dove starà al caldo e potrà mangiare qualcosa, le assicuro che lì il cibo è buono, e appena riparata la ruota verrò a prenderla per proseguire il viaggio.
- Purtroppo ho finito il denaro che avevo con me e dubito che ci daranno da mangiare gratuitamente, anche se sono una suora. L'aspetterò con i bambini in chiesa.
Il postiglione, dopo essersi accordato con la suora, ringraziò Paulina ed uscì dall'emporio per recarsi dal fabbro.

Paulina, che nel frattempo aveva ascoltato tutta la conversazione, continuando ad osservare la suora e rimuginando sul suo nome, d'istinto si offrì di aiutarla prima che uscisse dall'emporio.
- Sorella, potete restare a mangiare da me, se volete. Sono sicura che ai bambini piaceranno molto i miei panini con la salsiccia – disse Paulina sorridendo ai tre orfani che già avevano l'acquolina in bocca al solo sentire pronunciare le sue parole.
- Grazie, che il Cielo la benedica, lei è davvero una donna buona e generosa – rispose Suor Lane e nel guardare meglio il volto di Paulina, all'improvviso si rivide bambina intenta ad assaporare con gusto un panino con la salsiccia che una giovane ragazza, incontrata per strada e per caso a New York, le aveva comperato, e riconobbe in Paulina quella ragazza che era stata tanto premurosa e generosa con lei e che lo era tuttora.
- Buon Dio! Ma è proprio lei! - esclamò Suor Lane ritornando verso Paulina.

Successe tutto in un attimo ed anche Paulina non ebbe più dubbi, la giovane suora che ora stava di fronte a lei era proprio quella bambina, la piccola Lane.
- È la Provvidenza che ci ha fatto incontrare di nuovo – disse Suor Lane alzando le mani al Cielo in segno di riconoscenza e gratitudine.
Non ci fu bisogno di ulteriori parole, il ricordo comune del loro incontro avvenuto a New York tanti anni prima, era riaffiorato nella mente di entrambe in modo del tutto inaspettato ed in quel momento le due donne avvertirono la sensazione di essere inspiegabilmente legate l'una all'altra.


Più tardi nella piccola cucina di Paulina, mentre i bambini mangiavano con voracità i panini con la salsiccia, le due donne chiacchierarono amabilmente come se si conoscessero da tempo, proprio come due buone amiche. Paulina raccontò a Suor Lane che alla morte della madre era ritornata a La Porte e da allora gestiva direttamente lei l'emporio, ma non si sentiva pienamente soddisfatta della vita che conduceva, sentiva in lei il bisogno di fare qualcos'altro, ma non riusciva a capire in quale direzione la sua vita doveva andare.

Suor Lane raccontò a Paulina che lasciato per sempre l'orfanotrofio che l'aveva ospitata, aveva sentito farsi strada in lei la vocazione alla vita religiosa, così aveva preso i voti e da allora viveva nel convento di Des Plaines nell'Illinois. (*)
Confidò a Paulina che era diretta ad Indianapolis per affidare quei tre bambini ad un orfanotrofio e che il cuore le piangeva nel doverlo fare. Coltivava da sempre un sogno, quello di fondare un orfanotrofio per prendersi cura degli orfani e dei bambini abbandonati che vivevano per strada, per dare loro una nuova vita e speranza in un futuro migliore. Ma questo suo desiderio sarebbe rimasto per sempre un sogno nel cassetto, poiché non aveva né il denaro né un posto dove poter realizzare questa impresa straordinaria. Paulina rimase affascinata dal sogno di Suor Lane.

Arrivato il momento del commiato, le due donne si salutarono come due buone vecchie amiche con la promessa di scriversi per mantenere i contatti, ora che entrambe conoscevano i rispettivi indirizzi. Suor Lane con i bambini si avviò verso la chiesa dove era fissato l'incontro con il postiglione, mentre Paulina restò ancora per un attimo sull'uscio dell'emporio a guardarli allontanarsi. Si sentì sola e malinconica, realizzò che da tempo non aveva nemmeno più notizie della cara Mary Jane, forse era il momento giusto per scriverle.
Nell'ultima lettera che aveva ricevuto da Mary Jane, molti mesi prima, la sua amica le comunicava che era in procinto di aprire una scuola per allieve infermiere in cui lei stessa, come direttrice, si sarebbe occupata della gestione dei corsi di studio ed inoltre avrebbe insegnato personalmente alle allieve per prepararle ed avviarle al lavoro di infermiere, futuri angeli tra le corsie degli ospedali.


Suor Lane con i bambini non era ancora arrivata in chiesa che vide arrivare la diligenza, la ruota era stata riparata e preso posto all'interno della grande carrozza, il postiglione ripartì in direzione di Indianapolis.

Uscendo dal villaggio di La Porte, l'attenzione di Suor Lane venne catturata dalle colline circostanti.
Il panorama era incantevole con la natura che si preparava alla stagione invernale, quel luogo infondeva pace e serenità. In quel momento alcune nubi basse e grigiastre si diradarono ed un timido sole illuminò quelle alture e poco più in là, in mezzo alle colline, la suora vide una chiesetta solitaria con un campanile svettante verso l'alto. La croce in ferro, tuttora ben posizionata in cima al campanile, brillava colpita dai deboli raggi del sole e sembrava toccare il cielo.

Si trattava di un piccolo edificio, in pietra e legno, costruito dai primi pellegrini per ringraziare il Signore per il lungo e periglioso viaggio intrapreso, che li aveva portati incolumi sul territorio americano. Era un luogo dedicato alla preghiera che nel corso dei secoli era stato abbandonato in seguito alla costruzione di un'altra chiesa più grande e capiente all'interno del villaggio di La Porte. La struttura, formata da un campanile centrale e da due piccole e modeste navate laterali, aveva resistito al passare del tempo ed al cambio di stagioni e generazioni.

Negli anni, una famiglia del luogo, i Cartwright, proprietaria di molti terreni nelle vicinanze, aveva rivendicato il possesso anche di quell'appezzamento sul quale si ergeva la chiesetta, con l'intenzione di utilizzarlo come pascolo per il bestiame, ma essendo una famiglia profondamente religiosa, non aveva mai sfruttato il terreno ed aveva sempre rispettato la sacralità della struttura, anche se da tempo l'edificio versava in completo stato di abbandono ed incuria.

Nel vedere la chiesetta in disuso allontanarsi dalla sua vista, Suor Lane percepì un forte richiamo verso di essa, una sensazione di appartenenza a quel luogo mai provata prima. Sembrava quasi che l'edificio stesse sorridendo alle colline che lo circondavano e lo proteggevano, in attesa di qualcosa o di qualcuno.


Quella notte Paulina si girava e rigirava nel letto, non riusciva a prendere sonno. Dopo l'incontro con Suor Lane, aveva continuato a pensare alla suora ed alla sorte di quei tre bambini, ma soprattutto pensava alle parole dette da Lane sul fatto che era stata la Provvidenza a farle incontrare nuovamente ed al suo sogno di fondare un'orfanotrofio. Il loro ritrovarsi forse era davvero dettato dal destino, un destino comune ad entrambe per realizzare qualcosa assieme. All'improvviso, nella mente di Paulina si fece strada un'idea, come una visione inaspettata ed altrettanto straordinaria.

Suor Lane non aveva i mezzi per sostenere le spese per fondare un orfanotrofio, ma lei sì. Suor Lane non aveva un luogo dove realizzare il suo progetto, ma lei conosceva il posto adatto, ed era proprio quella chiesetta da tempo abbandonata che si ergeva sulle colline poco fuori il villaggio, e che tante volte aveva guardato con malinconia durante le sue passeggiate in cerca di funghi e castagne. Con le giuste riparazioni sarebbe diventata la struttura ideale per ospitare un orfanotrofio. Quella notte Paulina maturò la decisione più importante della sua vita: vendere l'emporio per realizzare il denaro necessario per aprire un orfanotrofio con Suor Lane e realizzare il sogno della suora che era appena diventato anche il suo.

Mentre nella notte silenziosa l'orologio a pendolo dell'emporio scandiva tre rintocchi, Paulina con questa nuova consapevolezza finalmente si addormentò felice. Era sicura che quello era il disegno del destino per lei e per Suor Lane, il motivo per cui la Provvidenza le aveva fatte incontrare dopo tanti anni.

Alcuni giorni dopo, di buon'ora, Paulina Giddings partì per il convento di Des Plaines per incontrare Suor Lane e proporle la sua idea ed il suo aiuto economico, certa che la giovane suora avrebbe accettato con gioia la proposta di fondare insieme un nuovo orfanotrofio a La Porte, per condividere assieme un meraviglioso progetto di vita.


(*) Convento Sisters of the Holy Family of Nazareth fondato nel 1875

Scritto da Tamerice

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Capitolo 9
*** Il Pony sulla collina ***


La Porte, anni 1895/1896

Suor Lane pregava nella cappella del suo convento, le sue preghiere erano tutte rivolte a quei tre bambini che aveva da poco accompagnato a Indianapolis.
I gestori di quell’orfanotrofio le erano sembrati brave persone, non come quella povera donna semi-alcoolizzata che la picchiava in continuazione quand’era piccola. Tuttavia l’orfanotrofio di Indianapolis le era sembrato grande e dispersivo, e certamente pur con tutta la buona volontà di questo mondo, a quelle persone sarebbe risultato quantomeno complesso seguire individualmente ognuno di quei bambini. Loro erano in pochi e quei bambini tanti.
La voce di una consorella la distrasse dalle sue considerazioni interiori.
-Scusami sorella, non volevo disturbarti, ma c’è una visita per te.-
Una visita? E chi poteva essere? Si chiese la giovane suora.
-Nessun disturbo Suor Anna, arrivo subito.-
Si fece rapidamente il segno della croce e seguì la consorella nella sala d’ingresso del convento.
-Miss Giddings! Cosa fa qui?- chiese con una voce che esprimeva insieme sorpresa e contentezza.
-Sono venuta per parlarle sorella. Dove possiamo…-
-Venga con me, oggi è una bella giornata e possiamo sederci fuori all’aperto.-
Suor Lane condusse la sua amica miss Giddings fuori dal convento, vicino ad una panchina situata sotto un grande albero.
-Mi dica miss Giddings.- disse dopo che si furono sedute -Cosa la conduce qui? È un bel viaggetto da La Porte!-
Miss Giddings sembrò quasi prendere fiato.
-Ho venduto il mio emporio.-
-Cosa ha fatto?- chiese sinceramente stupita Suor Lane
-Sì ho preso una decisone: quella vita da commerciante sola e insoddisfatta non faceva più per me.-
-E… cosa vuole fare?-
-Voglio fondare un orfanotrofio a La Porte.-
La giovane suora sgranò gli occhi.
-Che cosa vuol fare?-
-Ha capito bene sorella. Voglio dare alla mia vita un senso diverso da quello che ha sempre avuto fino a oggi. Voglio fondare un istituto che ospiti bambini orfani, e ho in mente anche il posto dove fondarlo.
Sorella, vuole aiutarmi? Vuole essere con me in questa avventura?-
Suor Lane non credeva alle sue orecchie: quella donna tanti anni addietro le aveva dimostrato pietà, anche se le loro strade si erano separate subito, e ora le stava offrendo la possibilità di realizzare il suo sogno.
Non ebbe bisogno di pensarci, le bastò solo riprendersi dalla sorpresa per pronunciare il sì più importante per la vita sua e di tanti bambini che avrebbe potuto aiutare.

-Ecco Sorella, questa è la vecchia chiesa di cui le ho parlato.-
La suora rimase senza fiato, quella era la chiesa che aveva visto allontanandosi con la diligenza da La Porte!
Ecco spiegata la sensazione di “richiamo” che aveva percepito quel giorno. Possibile che il suo cuore già sentisse che quell’edificio avrebbe visto realizzarsi il suo sogno? Che sarebbe stato legato all’esperienza probabilmente più importante di tutta la sua vita?
Non lasciò trasparire le sue emozioni, in quel momento c’era solo di che rimboccarsi le maniche!
-Beh, c’è proprio da lavorarci, cade letteralmente a pezzi.-
-Intanto c’è da chiedere il permesso al signor Cartwright di insediarsi qui. Questi terreni formalmente appartengono a lui.-
-Che tipo è questo signor Cartwright?-
-È un ranchero che possiede un importante allevamento di bestiame poco distante da qui. Avrà più o meno la mia età, e visto da fuori sembra il classico uomo dedito solo al lavoro e al guadagno.-
-Un uomo così difficilmente avrà a cuore il destino dei bambini orfani.-
-Sembrerebbe, ma sono convinta che ci concederà l’uso di questa struttura.-
-Che aspettiamo? Andiamo da lui!-

Il signor Cartwright rifletté a lungo sulla richiesta delle due donne.
-D’accordo signore. Quel terreno non mi serve quindi avete il mio permesso di utilizzare la vecchia chiesa per realizzare il vostro orfanotrofio, ma ci sono due condizioni: primo, io non vi darò neanche un centesimo, e secondo, se un giorno vorrò ampliare i miei pascoli voi sgombererete senza colpo ferire, sono stato chiaro?-
Paulina si inchinò davanti a quell’uomo.
-La ringraziamo infinitamente signor Cartwright, Dio ve ne renda merito.-

Lasciato il ranch del signor Cartwright le due donne si diressero verso la vecchia chiesa, volevano fare mente locale sul da farsi per mettere in sicurezza quel posto.
-La struttura è tutto sommato abbastanza solida, bisognerà ripulirlo bene dentro, rifare tutte le finestre e mettere una nuova porta d’ingresso.-
L’occhio analitico di Paulina aveva già individuato i lavori principali da fare perché quel posto tornasse abitabile.
Dove c’erano i vecchi locali della sagrestia si potevano realizzare il necessario ufficio, la cucina, e le stanze delle due direttrici.
Là dove si svolgevano le funzioni, si potevano mettere le stanze dei bambini, un locale comune che fungesse da sala pranzo e aula scolastica insieme.
-Ci vorranno tempo, denaro e manodopera, miss Giddings.-
-Il denaro non è un problema, di tempo ne abbiamo a disposizione, quanto alla manodopera sono sicura che gli abitanti di La Porte ci daranno volentieri una mano nel tempo libero.-
-E io ho già i primi ospiti ansiosi di popolare la nostra casa miss Giddings!-

Era una bella domenica mattina di inizio estate.
Ben stava aiutando il falegname di La Porte, il signor Robson, a segare le assi che dovevano costituire la base portante delle nuove stanze del futuro orfanotrofio, mentre Tobia stava aiutando alcuni uomini intenti a lavorare alle finestre, e Laura dava una mano a Suor Lane a preparare il pranzo per tutti quei volontari.
Nel frattempo le donne del paese erano affaccendate a ripulire la vecchia chiesa per renderla abitabile il prima possibile.
Il signor Robson era un brav’uomo, che aveva messo a disposizione il materiale quasi gratuitamente. Certo alcune spese aveva dovuto farsele rimborsare, quel materiale lui lo pagava.
Uomini e donne del villaggio mettevano a disposizione buona parte del loro tempo libero, e i lavori procedevano spediti. Persino l’arido signor Cartwright aveva donato del materiale.

Miss Giddings sedeva davanti ad un rozzo tavolaccio approntato fuori dalla ex-chiesa, intenta alle necessarie pratiche burocratiche con l’aiuto di un simpatico avvocato di un paese vicino che si era prestato ad aiutarla.
-Ha già pensato a un nome per il suo orfanotrofio miss Giddings?-
-Un nome?- con tutto il daffare che aveva avuto in quell’ultimo periodo a Paulina Giddings non era certo venuto in mente di mettersi a pensare a un nome.
Sentirono la voce della piccola Laura che stava apparecchiando la tavola dove avrebbero pranzato tutti insieme.
-Il pony!-
-Quale pony?- le chiese Suor Lane.
-Il pony sulla collina!-
Già! Sul pendio della collina lì vicino, quella con il grande albero in cima, brucava tranquillamente un piccolo pony.
-Deve appartenere al signor Cartwright.- commentò miss Giddings.
Come richiamato dalla voce di Laura, l’animale scese il pendio della collina e passò di fianco a miss Giddings. Lei istintivamente si scansò per evitarlo e ruzzolò a terra.
-Miss Giddings! Si è fatta male?- chiese con apprensione l’avvocato chinandosi su di lei e aiutandola a rialzarsi.
-No, no, non è niente.-
Nel frattempo il pony si dirigeva verso la chiesa puntando dritto lo spazio dove doveva sorgere la porta, e prima che qualcuno potesse fermarlo entrò nell’edificio.
-La Casa di Pony!- esclamò ridendo la piccola Laura.
Miss Giddings fu come fulminata da queste parole.
-Avvocato, che ne dice di… Casa di Pony?-
-La Casa di Pony… è un nome simpatico.-
-Vada per Casa di Pony allora!-

Più tardi, mentre tutti pranzavano Paulina Giddings si alzò e propose un brindisi.
-Alla Casa di Pony!-
-Alla Casa di Pony!- risposero in coro tutti i presenti.
-A miss Pony!- aggiunse la piccola Laura
-E chi è miss Pony?-
-È lei miss Pony!-
-Figliola benedetta! E cosa sono? Un cavallo?-
-No, è la direttrice della Casa di Pony!-
-A miss Pony!- disse Suor Lane
-A miss Pony!- ripeterono in coro i presenti. E per un istante miss Giddings alias miss Pony si sentì di nuovo la ragazzina di un tempo, quella che era partita per New York sognando mirabolanti avventure…
 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


La Porte, anni 1897/1898

Nel giro di un anno dalla sua apertura l'orfanotrofio La Casa di Pony funzionava a pieno ritmo.
L'edificio era in grado di ospitare una dozzina di bambini ed ai primi tre bambini accolti, Ben, Tobia e Laura, si erano aggiunti altri orfanelli, riempiendo la grande camerata ben attrezzata con i letti a castello.

La vetusta e solitaria chiesetta in mezzo alle colline era diventata una struttura di tutto rispetto, molto conosciuta nella zona. Il silenzio che l'aveva accompagnata in tutti quegli anni di disuso ed abbandono era stato prontamente sostituito dalle allegre risate e dalle voci chiassose e ciarliere dei bambini, i quali ogni mese festeggiavano uno o più compleanni.

Al suo interno, le stanze ricavate in seguito alla sistemazione erano accoglienti e confortevoli, con lo stretto necessario per i bambini per vivere in modo semplice e modesto. Nell'orfanotrofio i bambini vivevano in totale armonia e nel rispetto del prossimo. Ogni tanto capitava qualche bambino un po' difficile da gestire, ma la rabbia e la disperazione che portavano nel cuore venivano prontamente curate con la grande pazienza e con l'amore incondizionato delle due direttrici.

All'esterno, sul davanti dell'edificio, Paulina creò un piccolo giardino in cui tanti fiori colorati mettevano allegria a chi li guardava. Ogni tanto qualche procione dispettoso nativo della zona rovinava le aiuole alla ricerca dei bulbi piantati, ma la direttrice con grande pazienza e dedizione sistemava nuovamente le piantine e le bordure.
Sul retro invece Suor Lane, dopo aver personalmente zappato la terra rendendola pronta alla coltivazione di ortaggi e piante aromatiche, realizzò un orticello esclusivo e fece costruire anche un grande pollaio in legno.

Tra le fattorie della zona c'era chi contribuiva portando il latte fresco di mucca, chi dell'ottimo formaggio di pecora, chi la legna per l'inverno. L'orfanotrofio beneficiava anche delle donazioni in denaro da parte di alcune famiglie prestigiose residenti nei dintorni.

Ben presto Paulina Giddings e Suor Lane scoprirono di essere molto affiatate tra loro, come se si conoscessero da sempre. Erano totalmente in accordo sulle decisioni da prendere e sulla gestione dell'orfanotrofio, per portare avanti nel migliore dei modi le attività quotidiane.

Per Paulina gli anni trascorsi nell'emporio di famiglia, e l'esperienza ivi acquisita, si rivelarono molto utili per gestire la contabilità dell'orfanotrofio. Per di più Paulina era diventata una brava cuoca e provvedeva personalmente a cucinare i pasti da servire per il pranzo e per la cena di tutti i bambini.

Suor Lane invece si occupava alacremente di tenere curato l'orto e di allevare animali da cortile, quali oche, anatre e galline, in questo modo le verdure, la carne e le uova non mancavano mai e l'orfanotrofio poteva considerarsi autosufficiente per le prime necessità legate all'alimentazione dei bambini.

Inoltre le due direttrici insegnavano a leggere ed a scrivere ai bambini quel tanto che bastava, per prepararli ad affrontare il mondo fuori dall'orfanotrofio. Grazie ai loro insegnamenti, nel momento in cui gli orfanelli venivano adottati, le due direttrici restituivano alla società dei bambini contenti ed educati, pronti per essere accolti da una nuova famiglia.

Nel corso degli anni l'orfanotrofio divenne il testimone silente ma felice dell'entrata e dell'uscita di tanti di quei bambini di ogni età che Paulina e Suor Lane erano davvero liete del ritmo delle adozioni. Bambini arrivavano e bambini se ne andavano, con nuove mamma e nuovi papà.

Ogni tanto le due direttrici si concedevano una breve gita sul vicino Lago Michigan ed i bambini trascorrevano la giornata divertendosi a nuotare e pescando il pesce che sarebbe diventato il piatto principale della loro cena. Non mancavano mai le passeggiate tra le colline ed i boschi alla ricerca di funghi e castagne ed alla scoperta dei nidi e delle tane degli animaletti della zona.

La vita all'aria aperta ed a contatto con la natura, quando la stagione lo permetteva, era prioritaria ed i bambini crescevano tutti sani e robusti, vispi e monelli ma sempre rispettosi gli uni degli altri.

Paulina e Suor Lane avevano trasformato un sogno in realtà ed ogni giorno i loro cuori battevano felici per quanto erano riuscite a realizzare, ed entrambe si sentivano pienamente e totalmente soddisfatte della nuova vita che conducevano con i loro bambini, assaporando gioie e dolori come tutte le mamme.

Durante una fredda serata d'inverno dell'anno 1898, con la neve che scendeva copiosa a coprire le colline del villaggio di La Porte e tutta la campagna circostante, alla Casa di Pony accadde qualcosa di straordinario.

Gli occupanti dell'orfanotrofio si stavano preparando per la cena, e le due direttrici erano molto indaffarate a sistemare i più piccoli a tavola. Uno di loro, un bambino di nome Tom, quella sera era particolarmente irrequieto, continuava a scendere dalla sua sedia per andare alla finestra a battere sul vetro, cercando in questo modo di attirare l'attenzione di Suor Lane e Miss Pony.

- Tom, ma che ti succede questa sera? Smettila di fare il monello ed inizia a mangiare la tua zuppa prima che si raffreddi – disse Suor Lane prendendo il bambino in braccio e sistemandolo per l'ennesima volta sulla sedia.
- No, no. Fuori, fuori – continuava a ripetere il piccolo Tom, scendendo un'altra volta dalla sedia, mettendo a dura prova la pazienza delle due direttrici.
- Suvvia, Tom, fai il bravo – disse anche Miss Pony mentre cercava di afferrare il bambino che di corsa era già ritornato alla finestra mettendosi a gridare: - Piange, piange.

In quel momento Miss Pony guardò Suor Lane che nel frattempo si era avvicinata alla finestra.
- Lo senti anche tu, Lane? Sembra il pianto di un bambino.
- Paulina, è proprio il pianto di un bambino! Ecco cosa cercava di dirci Tom!

Le due direttrici si precipitarono immediatamente fuori dall'orfanotrofio e sull'uscio trovarono una cesta con dentro una neonata infreddolita che piangeva a dirotto.
- Povera piccolina – disse Miss Pony, mentre prendeva in braccio la neonata per cullarla dolcemente.
- Paulina, c'è un biglietto nella cesta – disse Suor Lane e dopo averlo letto continuò: - Questa bambina si chiama Annie.

Non passò molto tempo che un secondo pianto, anzi uno strillo acuto, proveniente dall'albero lì vicino riecheggiò nella serata nevosa facendo correre la suora all'albero, dove un'altra neonata era stata abbandonata.
- Paulina, qui c'è un'altra bambina! - esclamò Suor Lane, prendendo subito la cesta e ritornando verso l'orfanotrofio.
- Due bambine trovate nello stesso giorno. Lane, ora siamo al completo.

La suora prese in braccio la seconda neonata che scalciò di felicità nel sentire il calore di quell'abbraccio.
- Paulina, guarda come sono belle, una bionda ed una mora.
- C'è un biglietto nella sua cesta? - chiese Miss Pony.

Suor Lane, tenendo la bambina in braccio, frugò nella cesta.
- Non c'è nulla, solo questa bambolina di pezza con la scritta Candy sul vestitino.
- Candy... Direi che è proprio un bel nome – affermò Miss Pony.
- Allora tu sarai la nostra Candy – rispose Suor Lane stringendo affettuosamente la bambina.
- Presto Lane, entriamo in casa, prima di prenderci tutte e quattro qualche malanno.

Quelle bambine trovate nella stessa serata, Annie, dal carattere timido e dolce, e Candy, forte e combattiva, sono cresciute insieme come due sorelle ed hanno trascorso un'infanzia molto felice presso l'orfanotrofio La Casa di Pony in mezzo alle colline di La Porte, ma la loro è tutta un'altra storia ed è già stata raccontata.

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