una nuova speranza

di Sebassssss
(/viewuser.php?uid=1132320)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** cosa sta succedendo? ***
Capitolo 3: *** Primi passi ***
Capitolo 4: *** Nell'ufficio del preside ***
Capitolo 5: *** Professori e serpenti ***
Capitolo 6: *** Delusioni ***
Capitolo 7: *** Abbiamo un Cercatore ***
Capitolo 8: *** Grifondoro VS Corvonero ***
Capitolo 9: *** Il Medaglione ***
Capitolo 10: *** Incubi ***
Capitolo 11: *** La coppa di Tosca Tassorosso ***
Capitolo 12: *** Salvare ed essere salvati ***
Capitolo 13: *** Passeggiate nella nebbia ***



Capitolo 1
*** prologo ***


PROLOGO
 
Una fredda nottata stava volgendo al termine. Una nuova alba stava per sorgere. La guerra era finita, l’ultima grande battaglia era stata combattuta. Il più biblico tra gli scontri: luce contro le ombre, il bene contro il male. Non c’erano vincitori, se non il silenzio e la morte. I primi raggi del sole stavano alzando il sipario su un truce spettacolo, il frutto della guerra.
Hogwarts era un ammasso di macerie e mura diroccate, il parco invece una distesa senza fine di cadaveri mutilati e sangue. Studenti, insegnanti, gente comune e mangiamorte. Nessuno era sopravvissuto. Nessuno a parte uno. Una figura infatti stava camminando senza meta tra quei corpi, il suo sguardo perso nel vuoto, i vestiti stracciati e impregnati di sangue e polvere. Era solo lui, colui che doveva essere la speranza per la luce, il riscatto nei confronti delle tenebre. Aveva assolto al suo compito infine, aveva ucciso Voldemort. Aveva vendicato tutte quelle morti, i suoi amici, la sua amata, la sua famiglia. Ma a quale prezzo?
Non era riuscito a salvarli, non aveva mantenuto la promessa di proteggerli. Il suo nemico giaceva tra quella moltitudine di cadaveri, come un uomo qualsiasi. Era stato proprio lui un tempo a dirgli che avrebbe perso ogni cosa, e il fatto che avesse avuto ragione gli faceva ancora di più aumentare il dolore e il senso di colpa dentro di sé.
Ne era valsa veramente la pena? Era stata la scelta giusta ribellarsi alla tirannia e all’oscurità per difendere la luce?
Doveva allontanarsi da lì, non poteva resistere oltre. Fu così che si ritrovò sulle sponde del lago, quelle stesse sponde in cui aveva passato i momenti più felici della sua vita, in cui si sentì per la prima volta amato in compagnia della ragazza che da sempre lo aveva sostenuto e difeso, che era stata la sua forza nei momenti difficili.
Lacrime amare discesero sulle sue guance, percorsero il suo volto raggiungendo il mento, per poi cadere finalmente a terra.  Si sentiva prosciugato, si sentiva come un contenitore vuoto. Era sopravvissuto si, ma non si sentiva vivo.
Volse il suo sguardo al cielo che man mano diventava di un celeste sempre più profondo e luminoso. Volse il suo sguardo alla scuola, che lo aveva accettato ed incluso in quello che era il suo vero mondo, avvolta in dense colonne di fumo nero.
No, non poteva andare avanti con la consapevolezza di tutte quelle morti, nella consapevolezza che era stata solo colpa sua. Si inginocchiò a pochi passi dal lago, contemplando la sua immensità. Una brezza gli scompigliò i capelli ribelli. I suoi ultimi pensieri andarono ai suoi due migliori amici, ai suoi genitori e alla ragazza che amava. Era conscio che erano tutti lì ad aspettarlo sorridenti e felici, dall'altra parte del "velo". Finalmente potevano stare insieme per il resto dell’eternità, finalmente poteva essere in pace.
Prese un profondo respiro portandosi la bacchetta alla tempia, non aveva paura, non più. Sapeva che era la cosa giusta da fare. Sussurrò due semplici parole, non bastava altro. E poi il nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** cosa sta succedendo? ***


CAPITOLO I
 
“Avada Kedavra”. Un lampo verde abbagliante. E il nulla. Harry si sentì come se sprofondasse in un profondo abisso, ma non soffriva, non sentiva nulla, non vedeva nulla. È come se i suoi sensi di fossero annullati. Era una bellissima sensazione di leggerezza, finalmente era in pace. Non era in nessun luogo e in nessun tempo.
Non sapeva quanto fosse passato, se secondi, ore, giorni o anni, ma ad un certo punto è come se si sentisse calamitato verso un punto indefinito. Fu così che incominciò ad intravedere una piccola e fioca luce in lontananza che si avvicinava sempre di più, ingrandendosi e diventando sempre più luminosa. La luce crebbe così tanto da diventare accecante.
Ad un tratto i suoi sensi incominciarono a acutirsi. Ovunque fosse finito, quel posto aveva l’odore di medicinali e disinfettante. Si accorse di giacere su di un letto non particolarmente comodo. Strano, non era così che si aspettava “l’altra parte”, non si sentiva “morto”. Anzi, dopo neanche qualche secondo il dolore fisico ritornò prepotentemente, ogni livido e ferita della battaglia sembrava ricordargli che non era finita, non ancora.
Non capiva. Si sforzò di riaprire le palpebre lottando contro quei due macigni che le tenevano serrate. Dopo diversi tentativi e non poche difficoltà riuscì per lo meno a socchiuderli, una piccola fessura da cui sbirciare l’ambiente circostante.  Un soffitto sopra la sua testa indicava che si trovava in luogo chiuso. Aprì ancora di più gli occhi e si guardò attorno. Brandine, mensole con pozioni e medicinali… non c’era dubbio, si trovava in ospedale. Eppure era un ambiente famigliare, come se… no un momento! L’infermeria di Hogwarts? Ma come era possibile?
“Ahh, finalmente si è svegliato! Incominciavo a temere che non sarebbe più tornato cosciente, sa?”
disse una voce femminile.
Fu in quel momento che gli si affiancò una donna dai capelli grigi raccolti in una retina e dallo sguardo risoluto.
“Madama Chips?” chiese Harry alquanto disorientato e confuso.
“Conosce il mio nome? Strano non l’ho mai vista tra gli studenti” rispose la donna inarcando le sopracciglia.
“Cosa?” Harry non capiva… già il trovarsi in infermeria dopo essersi auto-scagliato l’anatema addosso dava dell’inverosimile, in aggiunta il fatto che Poppy non lo riconoscesse era ancora più ambiguo visto tutte le volte che aveva fatto visita a quella stanza durante il corso dei suoi anni a scuola.
Notando che il giovane paziente si stava agitando, l’infermiera gli porse subito una piccola boccetta contenente un liquido ambrato “non si agiti, stia tranquillo è normale essere disorientati dopo una settimana di convalescenza, prenda questa, l’aiuterà a riposare”.
Harry non capiva, cosa stava succedendo? Mille pensieri e dubbi gli risalirono nella mente. Dubbi che non trovavano risposta.
“Madama Chips cosa sta succedendo?” chiese ansimando Harry.
“La prego si calmi, prenda questa pozione e vedrà che si sentirà subito meglio”
Harry osservò attentamente la boccetta, era confuso voleva delle risposte, ma una tremenda emicrania non gli permetteva di pensare o essere lucido, così decise di berla senza pensarci troppo su. L’effetto fu quasi istantaneo, il dolore diminuiva, l’agitazione si affievoliva e la capacità di ragionamento aumentava.
“Meglio no?” chiese Madama Chips non distogliendo lo sguardo dal ragazzo.
“Si, g-grazie. Mi scusi ma cosa mi è accaduto?” chiese gentilmente Harry.
“Beh di preciso non lo so, alcuni studenti l’hanno trovata priva di sensi sulle rive del lago, era messo veramente male. Così è stato portato qui d’urgenza, Silente ha deciso gentilmente di ospitarla finché non si fosse ristabilito.”
Harry spalanco gli occhi sentendo l’ultima parte. Silente? Quello stesso Silente che era morto l’anno precedente? Il suo mentore e guida? Cosa diamine stava succedendo?
“S-Silente?” domando Harry con un filo di voce.
“Albus Silente, si. Il preside di questa scuola.” Rispose corrucciata Madama Chips.
“Silente è vivo?” chiese Harry più a sé stesso che alla donna che aveva di fronte.
“Che domande, certo che è vivo! Mi ha chiesto di avvisarlo quando lei si sarebbe svegliato, la vuole incontrare e sarà qui fra poco” disse l’infermiera.
La mente di Harry era in subbuglio, domande e domande gli affollavano la testa. Aveva visto personalmente Silente morire dinanzi ai suoi occhi, aveva visto il suo corpo senza vita, aveva assistito al suo funerale. Come faceva essere vivo, come faceva lo stesso Harry ad essere vivo?
“mi scusi ma qual è il suo nome” domandò Madama Chips osservando lo sguardo perso nei propri pensieri del giovane ragazzo.
“il mio nome?” rispose Harry confuso più che mai.
“sì il suo nome caro, come le ho detto prima non l’ho mai vista tra gli studenti e nessuno riesce ad entrare nei confini di Hogwarts senza il permesso del preside.”
Harry non ebbe modo di risponderle, poiché le porte dell’infermeria si aprirono rivelando la presenza di un uomo che il giovane non avrebbe mai creduto possibile di incontrare di nuovo. Silente si avvicinò al letto del ragazzo, sorridente come sempre.
“Buongiorno ragazzo, sono lieto di vederla finalmente sveglio. Io sono Albus Silente, il preside di Hogwarts, la scuola di magia in cui lei si trova ora. Ci ha fatto preoccupare non poco devo dire” disse Silente in tono calmo e allegro. E dopo una piccola pausa riprese: “Non vorrei essere scortese, ma di questi tempi è difficile fidarsi degli estranei, lei non è di certo uno studente, quindi sarebbe così gentile di dirci chi è e da dove viene? ma soprattutto come mai era privo di sensi sulle rive del lago?”
Ad Harry manco un battito, possibile che Silente non lo riconoscesse? Era tutto così strano, niente aveva senso. Poi un ulteriore dubbio avanzò nella sua mente, e se fosse una trappola dei mangiamorte? Un piano escogitato nei suoi confronti? Sembrava tutto troppo surreale anche per questa ipotesi, ma non poteva rischiare, doveva scoprire cosa stava succedendo ad ogni costo. Alzo immediatamente le barriere mentali per sicurezza, non sapeva se era veramente il suo Silente, ma se era un nemico non poteva permettergli di entrare nella sua mente. Poi ragionò se rivelare chi era o meno? Poteva fidarsi? Come era quel detto? Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, no? Optò per un’identità falsa, ma quale nome scegliere? James? Tom? No Tom di sicuro no. Merlino quanto era difficile…
“dunque?” lo incalzò sempre sorridendo Silente interrompendo il flusso di pensieri di Harry.
sarà meglio buttarsi e basta” pensò il ragazzo.
“mi chiamo Jake.” Rispose di getto. “fra tutti i nomi proprio Jake? Un nome più stupido no?” rifletté tra sé e sé. “Jake Sullivan” continuò. “sono stato attaccato, sono scappato, ho usato una passaporta, ma mentre l’attivavo qualcuno mi deve aver colpito alle spalle e ho perso i sensi. Poi mi sono svegliato qui.”
“chi ti ha attaccato?” chiese Silente non smettendo di fissarlo negli occhi.
“mangiamorte” risposi Harry.
“e sei riuscito a sfuggirgli? Devi essere un ragazzo molto capace o forse semplicemente fortunato” intervenne Madama Chips. Harry la guardò con aria innocente cercando di apparire come la vittima di quella situazione, non voleva apparire come una minaccia.
Silente continuava a fissare il ragazzo, Harry capendo immediatamente le sue intenzioni, si concentrò di mantenere intatte le sue barriere occlumantiche al tentativo di infiltrazione di Silente nella sua mente. L’uomo inarcò un sopracciglio innegabilmente incuriosito da quel ragazzo.
“Molto bene sig. Sullivan, non ha nessun genitore o parente che potremmo contattare? Saranno di sicuro in pensiero per lei” chiese in tono pacato il preside.
Ad Harry gli si strinse il cuore, la domanda che gli era stata appena rivolta aveva ridestato il ricordo delle innumerevoli perdite che aveva subito. A Silente parve di notare negli occhi del ragazzo un’ombra di malinconia e dolore, ma essa durò solo un secondo, tanto fugace da far pensare che fosse stata un’illusione.
“No. Non ho nessuno. Sono solo” sussurrò il ragazzo spostando lo sguardo verso le pieghe delle lenzuola.
“Mi dispiace ragazzo, il regime sta mietendo sempre più vittime distruggendo sempre più famiglie, e Voldemort accresce sempre di più il suo potere. Lo so quanto può essere difficile, ma Hogwarts vive per dare rifugio e protezione ai ragazzi come te e finché ci sarò io, lui e i suoi seguaci non entreranno nei confini della scuola glielo assicuro.”
Voldemort era morto, lo aveva ucciso, come era possibile che fosse ancora vivo? Merlino doveva sapere dove fosse finito. E se forse…
“mi scusi signor Preside, mi perdoni la domanda un po' fuori luogo, ma mi potrebbe dire che giorno è oggi?
“Oggi è giovedì 4 febbraio sig. Sullivan”. Era esattamente una settimana dopo la battaglia.
“mi scusi, mi potrebbe dire l’anno?”.
Silente a questa domanda parve sorpreso, ma decise comunque di rispondere al ragazzo.
“1998… sicuro di stare bene sig. Sullivan? Forse un altro po' di riposo non potrebbe che non giovarle”
“no, no sto bene non si preoccupi, ho solo perso un po' la cognizione del tempo”
“comprensibile caro ragazzo, comprensibile. Beh io la lascio nelle amorevoli cure della nostra Poppy, fra un’oretta arriverà il pranzo” disse Silente amichevolmente.
“Oh si, ha bisogno di riposare, non ammetto repliche.” Aggiunse Madama Chips.
“Bene, con il vostro permesso, io me ne andrei. Spero di vederla al più presto sig. Sullivan” così dicendo il preside sorridendo si diresse all’uscita dell’infermeria.
“Arrivederci, professore” rispose Harry.
 
No, non era tornato indietro nel tempo, almeno quello poteva escluderlo, ma allora dove si trovava?
Continuando a non capire, e obbligato da Madama Chips al riposo, lasciò che la stanchezza respingesse almeno per un po' i mille dubbi che affollavano la sua testa, e si riaddormentò.
 
Era passato un giorno. Harry era più che deciso ad uscire da quella stanza, e dopo un accesa discussione, l’infermiera acconsentì ad accompagnarlo in Sala Grande per la colazione. Era tornato in forma, fortunatamente aveva ancora la sua fidata bacchetta, almeno non correva rischi. Gli fu data una divisa scolastica dai colori neutri, come quella dei bambini del primo anno prima di essere smistati, e assieme al Madama Chips si avviò, direzione Sala Grande.
Era strano per Harry vedere i corridori sgombri da cadaveri e detriti. Dopo il lungo assedio da parte delle truppe di Voldemort durato mesi, il castello che si ricordava lui non era nient’altro che un covo di macerie, sangue e morte. Qui invece era come se tutto questo non fosse mai accaduto, Hogwarts qui, come d’altronde sé stesso e Silente a quanto pare, era ancora viva.
Mentre camminavano, Harry dovette subire le prolisse descrizioni dei vari ambienti che incontravano man mano lungo la strada da parte di Madama Chips, ambienti che Harry però conosceva praticamente a memoria, in fondo quella era stata la sua casa. Perciò non le prestava molto ascolto, preferendo riflettere sulla situazione in cui si era cacciato. Perso nei sui pensieri, nemmeno si accorse di aver varcato il portale della Sala Grande.
Si bloccò di colpo, con gli occhi spalancati e il viso pallido. L’ultima volta in cui era stato in quella sala, file e file di cadaveri erano adagiate sul pavimento, il soffitto era crollato, gli stendardi delle case erano sgualciti e in parte carbonizzati sulle pareti perturbate dai segni lasciati da centinaia di incantesimi. Lì aveva visto i cadaveri martoriati dei suoi amici e conoscenti. Lì aveva assaporato l’odore acre del sangue e della morte. Ora invece, il solito soffitto incantato mostrava un limpido cielo azzurro e quattro lunghi tavoli ospitavano centinaia di studenti assonati intenti a degustare la loro colazione. Se ne stette li impalato per qualche secondo, con lo sguardo perso, finché non fu ridestato dai suoi pensieri dal braccio di Madama Chips che gli cinse le spalle preoccupata dalla sua reazione.
“Tutto bene ragazzo? Oh merlino lo sapevo che non era pronto per alzarsi dal letto…”
“sto bene, sto bene. Solo che questo posto è bellissimo!” mentì Harry. L’infermiera lo osservò un’ultima volta per poi esclamare: “oh certo, ok va bene… dai venga, si siederà accanto a me al tavolo degli insegnanti”.
“non è necessario davvero, mi posso sedere benissimo in uno di questi tavoli” tentò di dire Harry.
“no, insisto, voglio tenerla d’occhio”
Harry non volendo discutere con lei davanti a tutti gli studenti, che ormai si erano già voltati tutti verso il nuovo arrivato, si diresse senza fare storie verso il lungo tavolo dall’altra parte della stanza che ospitava i professori, tenendo lo sguardo sul pavimento. Non aveva mai sopportato di essere al centro dell’attenzione e nonostante dopo 7 anni si era leggermente abituato, gli dava comunque fastidio.
Arrivato in fondo riuscì a stento a stare saldo sulle gambe quando li vide. Erano lì, davanti ai suoi occhi. Non poteva crederci, non poteva essere vero. “R-Remus, Piton, McGrannit, Hagrid” pronunciò i loro nomi nella testa. Li osservava, uno ad uno, tentando di capire se erano veramente loro e più i secondi passavano più si rendeva conto che erano perfettamente uguali a come se li ricordava, anche se forse un po’ più in forma. I professori risposero al suo sguardo indagatore, finché non intervenne Silente: “Buongiorno! Si accomodi pure sig. Sullivan, non abbia timore”. Confuso più che mai Harry si andò a sedere tra Madama Chips e Hagrid al lato del tavolo. Lo sguardo perso sul piatto vuoto, non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo… erano tutti vivi!
“…iavi e dei luoghi di Hogwarts, piacere” Solo allora si accorse che Hagrid gli stava rivolgendo la parola.
“s-scusi come?” riuscì a dire Harry.
“Io sono Rubeus Hagrid, custode delle chiavi e dei luoghi di Hogwarts, piacere”
“oh io sono Ha-Jake, Jake Sullivan, il piacere è tutto mio” rispose con un leggero e timido sorriso imbarazzato.
“quindi sei riuscito a svignartela da quella feccia di Mangiamorte eh. Purtroppo sono pochi i posti rimasti sicuri di questi tempi, a parte Hogwarts ovviamente, oh si!”
“già.. me la sono vista brutta”
“Sig. Sullivan vedo che ha conosciuto il nostro caro Hagrid bene. Signori, questo ragazzo si chiama Jake Sullivan e sarà nostro ospite per un po'” intervenne Silente rivolto ai membri del tavolo.  
Harry con un cenno salutò tutti i professori, i quali continuavano ad osservarlo con sguardo indagatore tentando di analizzare quel curioso ragazzo piombato privo di sensi nel parco della scuola di punto in bianco.
“allora, da dove viene sig. Sullivan?” chiese Piton con il suo solito tono inquisitorio.
“io, ehm, io e i miei genitori eravamo in fuga dai mangiamorte, abbiamo viaggiato per tutta l’Inghilterra non fermandoci mai per più di due settimane in luogo, ma ci hanno trovato e i miei sono stati uccisi, io sono scappato con una passaporta, ma mi hanno colpito credo e ho perso i sensi…per poi ritrovarmi qui”
Piton gli rispose con un cenno, ma continuava a mantenere il suo sguardo fisso su di lui. Harry sapeva che Piton era sempre stato il più diffidente tra i presenti ed era consapevole che non credeva alla sua storia.
Era strano rivedere il buon vecchio Piton nelle vesti del professore di pozioni burbero, arrogante e odioso che era stato fino al suo quinto anno, quando il loro rapporto evolse in un reciproco tentativo di sopportazione.
E poi, come un filmine a ciel sereno capì una cosa. E se gli altri conoscevano mio padre e mia madre? In fondo Harry somigliava molto a suo padre, a parte gli occhi, che aveva preso da sua madre, come si sentiva ripetere fino all’esaurimento dalle persone. Forse non era solo per l’essere stato ritrovato svenuto nel parco gli sguardi indagatori degli insegnanti, forse era per l’assomiglianza con i suoi genitori?
“deve mangiare qualcosa ragazzo, si deve mettere in sesto” lo ammonì madama Chips che non smetteva di tenerlo d’occhio.
Harry optò per una semplice fetta di pane tostata con la marmellata. Non aveva fame. Il bisogno di avere spiegazioni lo attanagliava. Remus era a pochi metri da lui, non aveva il coraggio di guardarlo, non voleva illudersi che fosse vivo per poi scoprire che era tutto un sogno, o peggio.
Sentiva ancora gli studenti dai tavoli che lo fissavano e parlavano di lui, decise così di alzare lo sguardo. Gli sembrò di ritornare al suo quinto anno, quando ancora era uno studente, e nessuno gli credeva sul ritorno di Voldemort.
Diede una rapida occhiata ai tavoli divisi per casate. I Serpeverde erano posti a ridosso della parete sul lato opposto rispetto alla sua posizione, poi avvicinandosi vi era il tavolo dei Corvonero, poi dei Tassorosso e proprio davanti a sé, il tavolo dei Grifondoro.
Una lacrima tentò disperatamente di uscire quando notò che tutti i suoi compagni, che credeva morti, erano in realtà di fronte a lui, a saziarsi dell’abbondante colazione, a ridere spensierati. E poi, come le fiamme di una lanterna che illuminava un ambiente buio, vide due chiome di capelli rossi stagliarsi sulle altre, affiancati da una massa di capelli ricci castani.
Ron, Hermione… Ginny”
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Primi passi ***


CAPITOLO II
 
Ron, Hermione… Ginny”
 
Dovette trattenersi dallo scavalcare il tavolo e correre verso di loro per abbracciarli. Non riusciva a distogliere lo sguardo. La sua mente era in un blackout totale.
Solo dopo qualche secondo si rese conto dell’espressione da ebete che aveva dipinta sul volto, e sperava di non essere parso come un completo imbecille.
Si sentiva impazzire, voleva urlare, voleva ballare sul tavolo e gioire per i suoi amici ancora in vita.
 
Fu però in quel momento che si accorse di una cosa che lo fece tornare alla realtà... sempre se di realtà si poteva parlare. Nel loro sguardo c’era qualcosa che non aveva mai visto, specialmente quando era rivolto verso di lui, ma non sapeva bene cosa. Non sapeva spiegarlo, ma era diverso.
Alla fine lo comprese: distacco.
Era uno sguardo distaccato, asettico, privo del tipico affetto a cui era abituato. E quello gli fece più male di qualsiasi altra cosa, come se migliaia di spilli gli stessero perforando il cuore e lui non poteva allontanarli. La realtà è che loro non lo conoscevano, non sapevano che lui esisteva.
 
Gli mancò l’aria. Le pareti della Sala Grande si stavano stringendo sempre di più. Si sentiva asfissiare, doveva uscire da lì.
“Tutto bene sig. Sullivan?” gli domandò preoccupata Madama Chips.
Harry si accorse di stare iper ventilando.
“N-no non sto bene, devo uscire da qui” rispose Harry in tono supplichevole.
“cos’ha?”
“voglio solo uscire da qui, la prego”
“oh va bene… si certo, mi segua qua dietro, c’è un’uscita secondaria”
 
Harry senza nemmeno rispondere si diresse a passo di marcia verso una piccola porta non tanto distante da quella della stanza in cui era entrato dopo che il suo nome spuntò fuori dal calice di fuoco durante il suo quarto anno.
 
Aveva percorso diversi corridoi, sempre affiancato dalla donna, quando si ritrovò inspiegabilmente di nuovo in infermeria. Stava ancora iper ventilando e sudava freddo, Madama Chips gli porse subito un’ampolla contenente il solito liquido ambrato. Lo bevve immediatamente e come la prima volta, l’effetto fu immediato.
Calmatosi si sedette su uno dei letti vuoti dell’infermeria.
“a quanto pare ha avuto un attacco di panico sig. Sullivan, la pozione che gli ho dato dovrebbe farla sentire meglio, non è così?”
“sì, grazie va decisamente meglio”
“ora insisto che lei si corichi e si riposi. Lo avevo detto io, non era ancora nelle condizioni ideali per uscire!”
 
Harry non la stava molto a sentire perso nei suoi pensieri, che andavano a quegli sguardi. Merlino come faceva male.
Per sua fortuna, nel corso dell’ultimo anno, aveva deciso di impegnarsi seriamente nell’apprendere la fine arte dell’occlumanzia. Aveva quindi scoperto di come essa potesse regalare importanti benefici, soprattutto in battaglia.

L’occlumanzia infatti, non solo permetteva di proteggere i propri ricordi, sentimenti ed emozioni da attacchi esterni, ma anche da sé stessi. Aiutava a seppellirli nello strato più profondo della propria mente, a nasconderli, così da non avvertirne la presenza. In battaglia ciò si manifestava in una completa lucidità e concentrazione. Harry così riusciva a diventare a tutti gli effetti una spietata e calcolatrice macchina da guerra priva di rimorsi. 

Applicò lo stesso principio in quel momento, non aveva tempo di essere schiavo delle proprie emozioni, doveva estraniarle così da poter ragionare sul da farsi.
 
molto meglio! Dunque, partiamo dai fatti: sembra che dovunque io sia finito, sono tutti in vita, ma non mi riconoscano. Ma soprattutto Voldemort è vivo, e questo è un grosso problema. Ma d’altronde anche Silente è in vita per fortuna, e questo limita o per lo meno aiuta a contrastare il problema precedente. Inoltre, essendo Hogwarts ancora in piedi, presumo che anche in questo… “mondo”, Tom abbia ancora una fottuta paura di Silente, così da portarlo a non attaccare la scuola. Be’ per lo meno non corro il rischio di essere attaccato mentre cerco una soluzione a questo casino.
Non è molto su cui lavorare. Restano ancora troppe incognite... L’unica soluzione per ora è trovare un modo per avere informazioni. Non me la sento di chiedere al Preside, non mi fido delle persone qua, potrebbe essere ancora una specie di trappola. Devo necessariamente trovare delle informazioni, ma come? …necessariamente, ma certo! Se la cosa che desidero di più al momento è avere risposte, questo è l’unico modo!”

 
Pochi minuti dopo, mentre Harry architettava il suo piano, entrò nella stanza Silente.
“ci ha fatto preoccupare un’altra volta sig. Sullivan, spero che non sia scappato così velocemente per via del banchetto” disse ridacchiando il preside.
“oh no, non è per quello. Mi sono solo risaliti i ricordi dell’attacco. È stata dura. Le chiedo scusa di averle mancato di rispetto andandomene in malo modo”
“non deve scusarsi di nulla mio caro, comprendo perfettamente. Volevo solo sincerarmi che stesse meglio ora”
“si-si i rimedi di Madama Chips sono eccezionali”
“molto bene, molto bene. Sa, vorrei chiedere alcune cose, ovviamente quando si sentirà meglio, non voglio di certo provocare l’ira di Poppy” sorrise Silente “perciò appena si sarà completamente ristabilito la attendo nel mio ufficio”
Harry era sempre più convinto dei sospetti di Silente nei suoi confronti, ma l’unica possibilità per ora era assecondarlo.
“non c’è problema professor Silente” rispose Harry sorridendo sua volta.
“perfetto, ora io vi lascio. Sig. Sullivan, Poppy, io vi saluto” e con un leggero inchino del capo uscì dalla stanza.
Harry non aveva alternative, doveva agire questa notte.

Non ritornò in Sala Grande per il pranzo e la cena, preferendo farsi portate il cibo direttamente in infermeria. Non era pronto ad incontrare gli altri, doveva prima sapere dove era finito.
 
Fu una noia mortale aspettare il passare delle ore, non c’era molto da fare se non attendere il calare della notte. Le uniche distrazioni furono i diversi studenti che ogni tanto facevano capolino in infermeria, chi con i lobi delle orecchie che gli arrivavano alle spalle, chi con la pelle che aveva assunto un particolar color mirtillo, chi con una violenta ed improvvisa crescita di enormi brufoli.
 
Finalmente giunse la notte. Harry si guardò intorno controllando che non ci fosse nessuno. Via libera. Era il momento di agire. Prese la bacchetta e praticò una combo di incantesimi che lo aveva tratto in salvo da molte situazioni spinose. Erano due incantesimi: uno creava un doppione di sé stesso, mentre l’altro era un semplice incantesimo di disillusione.
Così, mentre la sua controparte rimaneva sdraiata a letto, lui poteva muoversi indisturbato per il castello.

Per un momento si ricordò i bei vecchi tempi in cui vagava per la scuola fregandosene del coprifuoco per le sue mille malefatte. L’unica cosa differente erano le numerose ronde che pattugliavano i corridoi, non solo insegnanti, ma anche quelli che lui riconobbe come auror.
 
Il suo obbiettivo si trovava al settimo piano, l’infermeria era al primo, quindi la strada da fare non era poca. Passando per le diverse scorciatoie, Harry arrivò a destinazione in tempi piuttosto celeri rispetto ai suoi standard e senza incontrare grandi ostacoli.
 
Quello che cercava si trovava davanti all’arazzo di “Barnaba il Babbeo”. Pensò intensamente a quello di cui aveva bisogno, camminando avanti e indietro per tre volte, finché una vecchia porta non apparì dove prima c’era solamente una spoglia parete.
 
Non sa quante volte la stanza delle necessità aveva aiutato lui e i suoi amici nel corso degli anni, di sicuro questa si andava ad aggiungere all’elenco.
Aprì la porta.
Nel corso delle sue avventure la stanza si era trasformata in molte cose: un’aula pienamente attrezzata per lezioni di difesa contro le arti oscure, in una stanza in cui nascondere qualsiasi cosa, in un rifugio, in un caldo salotto in cui passare il tempo con la propria ragazza e così via. Tutto quello di cui avevi bisogno, la stanza ce lo aveva.
A quanto pare, quello di cui aveva bisogno Harry in quel momento era una stanza vuota con una sedia e un tavolo posti nel centro, su cui erano posti un plico di giornali, un piccolo libricino e una lampada.
Harry si diresse verso il tavolo, si sedette sulla sedia ed incominciò a sfogliare i giornali. Erano disposti in ordine cronologico partendo da quello meno recente, collocato in cima. La data del primo giornale era 1° novembre 1881.
 
TRAGEDIA A GODRIC’S HOLLOW
 
Ieri, durante la notte di Halloween, un tragico evento ha turbato la tranquilla cittadina di Godric’s Hollow. Il piccolo Harry Potter, di appena un anno, è stato rapito dalla abitazione dei suoi genitori. Gli investigatori stanno ancora portando avanti le indagini, ma ad una prima analisi sembrerebbe che sia Peter Minus, fidato amico di famiglia, il primo sospettato. Si pensa che Minus abbia agito per conto di Voi-Sapete-Chi. Le ragioni sono ancora ignote, ma in attesa di saperne di più, la Gazzetta del Profeta gradisce esprimere la propria solidarietà ai coniugi Potter in questo momento difficile.
 
L’altro giornale risaliva all’8 novembre 1881.
 
RITROVATO IL CORPO SENZA VITA DEL PICCOLO HARRY POTTER
 
È finita nel peggiore dei modi la vicenda di Godric’s Hallow. Durante la giornata di ieri qualcuno ha riportato il corpicino senza vita del piccolo Harry a casa, depositandolo sulla soglia avvolto in un panno bianco. È stato il padre del bambino, James Potter, a ritrovare il corpo rincasando da lavoro. Non si sa ancora chi sia il mandante, ma tutte le prove portano a pensare che dietro ci sia la mano di Voi-Sapete-Chi. Nessuna notizia invece di Peter Minus, che continua a sfuggire agli auror dai fatti della settimana scorsa. I signori Potter si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni. Molte persone si sono recate a casa Potter per rivolgere le proprie condoglianze, tra cui ricordiamo il preside di Hogwarts, Albus Silente e lo stesso Ministro della Magia. (…)
 
Harry lesse attentamente tutti i giornali presenti. In poche parole, qui lui è morto e Voldemort non è mai stato sconfitto, permettendogli di raccogliere sempre più seguaci e accrescere il suo potere nel corso degli ultimi 20 anni. Il ministero era caduto, era solo una facciata ai servigi di Voldemort. Divagano corruzione, sparizioni ed omicidi.
 
Alla fine della lettura, Harry si accasciò allo schienale della sedia pizzicandosi la radice del naso. In quel momento, solo un pensiero gli rimbombava nella testa.
“che situazione del cazzo!”
 
Mancavano ancora due grandi interrogativi: come era giunto qua? Ma soprattutto perché?
L’ultima cosa che la stanza gli offriva era un piccolo libricino. Harry lo prese in mano, e cominciò ad osservarlo con attenzione. Sembrava molto antico e fragile. Aveva una copertina rigida rivestita in tela nera sgualcita in più punti. Nessuna scritta nella parte esterna, niente di niente. Così decise di aprirlo. Quando lo fece, non poté contenere una risata isterica. Per la prima volta in vita sua la stanza non lo stava aiutando a dovere. Maledicendo lo stesso Godric continuava a sfogliare il piccolo libretto, pagina dopo pagina. Giunto alla fine, si lascio andare in un lungo e profondo sospirò di rassegnazione. Possibile che la sfiga continuasse a perseguitarlo anche qui?
 
C’erano tre materie che Harry non amava particolarmente, anzi non le sopportava proprio: storia della magia, divinazione e rune antiche. Mai e poi mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe pentito di non aver seguito quest’ultima. Ovviamente conosceva alcune proprietà delle rune antiche, soprattutto il fatto che i loro effetti magici erano molto più duraturi dei comuni incantesimi e a volte molto più efficienti, ma erano molto più complicate da studiare e lui per molto tempo le aveva bellamente evitate.
Rise pensando agli scherzi del destino. Le più importanti questioni che lo ossessionavano in quel momento, trovavano probabilmente risposta in un piccolo e anonimo libro scritto in antiche rune, che lui ovviamente non comprendeva.
 
“Dunque… indipendentemente da quella che possa essere la ragione per cui ora io mi trovo in questo casino, una cosa è certa: non importa se mi trovo in un altro mondo, in un’altra dimensione, o semplicemente in un sogno, le persone che amo sono vive e non le perderò un’altra volta. Quindi Tom, preparati, che questa volta sarai solo tu e i tuoi fetidi seguaci a morire. È una promessa.
Io sono qui ora, e tu hai le ore contate” fu l’ultimo pensiero di Harry prima di mettersi il piccolo libro in tasca e dirigersi verso l’uscita.
 
__________
 
Rimase per quasi 5 minuti con la mano sulla maniglia della porta della stanza delle necessità, perso nei suoi pensieri. Infine, arrivò ad una conclusione: sapeva quale sarebbe stata la sua prima mossa.
Infondo non c’è tempo da perdere” rifletté Harry uscendo dalla stanza e vedendosi la porta scomparire alle sue spalle. Ma non si diresse in infermeria.
Bensì rimase lì, incominciando a camminare avanti e indietro per tre volte. Sapeva quello che voleva.
Un’altra porta ricomparì nello stesso punto della precedente, una porta questa volta più antica e logorata dal tempo.
 
Il ragazzo entrò. Proprio come se la ricordava, la stanza ora aveva assunto le dimensioni di un’enorme cattedrale ospitante una miriade di oggetti lasciati nel corso dei secoli da migliaia di studenti. La stanza degli oggetti nascosti.
Harry incominciò la sua ricerca volendo prima controllare nel punto in cui l’aveva visto l’ultima volta. Con sua amara sorpresa però, il diadema di Corvonero, uno degli Horcrux creati da Voldemort, non era lì. “ovviamente non poteva essere così facile” rise tra sé Harry.
 
Nonostante tutto, lui percepiva qualcosa. Fu Silente a spiegargli di come la magia, specialmente quella oscura, specialmente quella scaturita da un potente mago, lascia sempre qualche traccia.
Quest’ultimo gli insegnò anche a come captare e riconoscere queste tracce. Una lezione molto utile se la tua missione è stanare manufatti della più oscura tra le magie.
 
Harry chiuse gli occhi. Doveva acutire i sensi e allo stesso tempo farsi permeare dalla magia di quel luogo. In un certo senso, la magia di Harry doveva entrare in risonanza con quella dell’ambiente circostante. Manufatti oscuri come gli Horcrux interferiscono con il campo magico circostante. Harry non doveva fare altro che riconoscere quella particolare perturbazione e seguirne l’andamento fino alla fonte. Si incamminò lentamente, passando tra banchi rotti, lavagne crepate, armadi e diversi oggetti sconosciuti. Passò un po' di tempo, ma alla fine raggiunse il suo obbiettivo.
Era un piccolo bauletto in mogano finemente ornato con intarsi dorati, posto all’interno del cassetto di un vecchio scrittoio. Un ghigno degno della stirpe Malfoy apparì sulla bocca di Harry alla vista del contenuto di quel bauletto. Aveva trovato il diadema.
Tom, Tom, Tom… neanche immagini quanto sei nella merda” considerò Harry.
A quel punto, prese l’horcrux, si spostò in una zona di pavimento sgombra da oggetti e lo adagiò per terra.
 
Erano pochi i metodi per distruggere un horcrux: ardemonio, veleno di basilisco e l’Anatema che Uccide nel caso questo si tratti di un essere vivente.
In questo caso la soluzione era ovvia.
Harry estrasse la bacchetta. Controllò il proprio respiro, doveva essere lento e regolare così da aiutare la concentrazione, e dopo un complicato ma fluido movimento di polso pronunciò l’incanto. Dalla bacchetta scaturì una piccola fiamma cremisi dalle sembianze di un serpente, che si avventò immediatamente sul diadema. In un paio di secondi esso si incenerì, sfrigolando ed espellendo uno strano e denso liquido scuro simile al sangue.
Harry mantenne la concentrazione sulla serpe di fuoco maledetto, che d’innanzi a sé aveva preso ad avvolgersi in diverse spire. Con un ultimo fluido movimento di bacchetta essa si tramutò infine in una densa nube di fumo nero che andò a dissiparsi nell’aria.
Del diadema non rimaneva nulla.
Fuori uno, ne mancano cinque.
 
Completato il lavoro, un soddisfatto Harry si diresse - sempre sotto il proprio incantesimo di disillusione - in infermeria, infilandosi a letto dopo aver fatto scomparire la sua controparte, conscio di aver compiuto un passo verso la sconfitta del vecchio zio Tom. 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Nell'ufficio del preside ***


CAPITOLO III
 
 
Al risveglio Harry era particolarmente di buon umore. Madama Chips notando come il ragazzo si fosse ristabilito non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente, decise che poteva essere tranquillamente dimesso.  
 
Ad Harry furono resi i suoi effetti personali: aveva con sé il mokessino regalatogli da Hagrid - con dentro il boccino d’oro, la mappa del malandrino, e diverse fiale di pozioni – e una manciata di denaro. Solo quello. Quello era tutto il retaggio della sua vita.
Venne poi accompagnato dall’infermiera verso l’ufficio del preside.
 
Quando giunsero davanti al gargoyle di pietra, Madama Chips pronunciò la parola d’ordine e la statua scattò di lato rivelando la scala a chiocciola che conduceva allo studio del professore.
Ringraziando la donna, Harry incominciò a salire su per i gradini di pietra.
 
L’ufficio era proprio come se lo ricordava, pieno di stranissimi e rumorosi oggetti magici e non, disposti alla rinfusa. Fanny poggiava sul suo trespolo. Silente lo attendeva sorridente dall’altra parte della scrivania.
“Buongiorno sig. Sullivan, prego si accomodi”
Harry eseguì, andandosi a sedere proprio di fronte al vecchio mago.
“allora come si sente? Gradisce una caramella Mou? o magari delle api frizzole? Io ne vado matto” chiese Silente agguantandone una manciata per sé.
“sto bene e no, sono apposto grazie”
“molto bene. Dunque, si chiederà il perché io abbia voluto incontrarla qui”
Harry rispose con un’alzata di spalle.
“capirà certamente che questi sono tempi bui. Voldemort sta diventando sempre più avventato e infiltrarsi all’interno di Hogwarts lo avvicinerebbe a sopprimere una delle ultime resistenze al suo regime”
“quindi ha il sospetto che io lavori per Voldemort…”
Silente fu sorpreso dal sentire pronunciare quel nome con tanta noncuranza.
“non esattamente sig. Sullivan. Curioso, i suoi seguaci non lo chiamerebbero mai in quel modo, d’altronde neanche i suoi nemici”
“è solo uno stupido nome che si è scelto uno stupido pazzo egocentrico” rispose Harry con disgusto.
Gli occhi di Silente erano puntati su quelli del ragazzo, che gli restituì uno sguardo indignato.
“non gradisco quando si prova ad entrare nella mia mente sig. Preside, gradirei che la smettesse per favore”
“Mi perdoni, è un mio piccolo vizio. Occlumanzia eh? E anche molto potente vedo”
Harry alzò le spalle.
“dunque non sta dalla parte di Voldemort… ma nasconde comunque qualcosa non è vero?”
“come tutti non crede?”
“certamente, ma non tutti nascondono la loro identità… vede ho fatto delle ricerche su Jake Sullivan. Sembra che lei non esista purtroppo. Il suo nome non risulta in nessun registro, inglese o estero. Perciò le chiedo, chi è veramente lei?”
 
Gli ingranaggi del cervello di Harry erano a pieno regime per trovare una soluzione. Era difficile aggirare Silente, quello vero perlomeno. Il dubbio era: quello che aveva davanti era il vero Silente?
 
“prima di risponderle Silente, può provare che lei è veramente Albus Silente?”
Il professore rimase confuso dalla richiesta del giovane. Non capiva il motivo della domanda. Ma vedendo la serietà nel tono del ragazzo, decise di accontentarlo.
“la mia parola non basta?” chiese di rimando.
 
Harry sorrise. “non credo professore”
“mi dica lei un modo per dimostrarlo allora” disse pacato Silente.
Il prescelto meditò qualche secondo. Poi guardo dritto negli occhi il preside con determinazione.
“potrebbe dirmi chi ha ucciso Ariana?”
 
Silente sgranò gli occhi scioccato. Come poteva saperlo? Non aveva mai rivelato a nessuno di quell’avvenimento. Il preside si accasciò sulla sedia incupendosi.
Era strano per Harry vedere il preside in quelle condizioni, non il potente e saggio mago, ma solo un vecchio anziano con tanti rimpianti.
 
“non lo so. Non l’ho mai voluto sapere” rispose sinceramente con un filo di voce.
Harry lo fissò attentamente. Avvertiva nella voce del professore una nota che lui conosceva molto bene, quella della colpa e della disperazione.
 
“Professore” sussurrò di sollievo Harry. Era lui, non c’era dubbio.
Silente annuì.
“ora che ha avuto la sua conferma, è il suo turno sig. Sullivan”
 
“credo che lei abbia già un sospetto su chi io possa essere sig. Preside. Insomma, mi guardi…” disse in tono di sfida Harry allargando le braccia.
Silente inclinò la testa continuando a fissare il ragazzo con attenzione. Il dubbio lo aveva attanagliato dalla prima volta che aveva incrociato il giovane in infermeria il giorno del suo ritrovo. Il dubbio che lui potesse essere… i lineamenti del viso, i capelli mori scompigliati… gli ricordavano terribilmente James Potter da giovane, ma come era possibile?
 
“forse, ma non è possibile” disse il preside.
“già, lo credevo anche io, ma invece…”
“Harry Potter?” sussurrò Silente, più a sé stesso che al ragazzo.
“esatto”
“Harry Potter è morto sedici anni fa”
“l’Harry Potter di questo mondo è morto sedici anni fa, Silente”
“di questo mondo?”
“mondo o dimensione… non lo so ancora. Fatto sta che io non sono di qui. Da dove vengo io sono stati i miei genitori a morire quella notte, e io sono orfano”
Silente non rispose. Rimase accorto nei suoi pensieri osservando il paesaggio fuori dalla finestra.
 
Dopo qualche minuto, Harry decise di rompere il silenzio che si era creato.
 
“so che è difficile da credere, ma è la verità”
Silente si ridestò dalle sue riflessioni, gli occhi azzurri del professore si allacciarono a quelli smeraldo di Harry “gli occhi di Lily” pensò.
“ti credo Harry, ti credo. Ma come sei arrivato qui?
“bella domanda…” rispose sarcastico il ragazzo passandosi la mano tra i capelli “io ricordo solo di aver sconfitto Voldemort, e di…” si interruppe. Non voleva dire cosa è avvenuto successivamente, non era vergogna, ma più che altro paura. Paura della consapevolezza di quel gesto.
“non ricordo bene” mentì infine.
 
Silente si irrigidì sulla sedia.
“hai sconfitto Voldemort?”
“sì… quella maledetta profezia a designato me per farlo no? E io ho compiuto il mio destino” rispose con un’ira celata Harry.
“sai della profezia?”
“certo che so della profezia, me lo ha rivelato lei durante il mio quinto anno… cioè il lei del mio mondo”
Silente era colpito. Non aveva mai rivelato a nessuno della profezia, nemmeno a James e a Lily per non provocargli ulteriore dolore.
 
“quindi è vero. Tu sei colui che lo sconfiggerà” esclamò Silente orgoglioso. Dopo tutti quegli anni, dopo tutte quelle morti, la speranza. Ma il ragazzo si incupì e abbassò lo sguardo.
“non si illuda sig. preside. Non lo faccia anche lei.”
“cosa vuoi dire?”
“lo so cosa sta pensando. Il salvatore del mondo magico è arrivato, siamo salvi! Ma non è così. Nessuno è in salvo, nessuno è al sicuro. Nel mio mondo siete tutti morti credendo in questo. Ciò che la profezia non rivela è quanto sia alto il prezzo per la vittoria. Un prezzo in vite umane. Le vite dei tuoi cari. Ciò che la profezia non rivela è la colpa che ti corrode l’anima per aver tradito le loro speranze. Poveri illusi, tutti quanti!” quasi urlò Harry “non si illuda perché lui potrebbe ancora vincere, infine siamo o io o lui no?”.
 
Silente rimase in silenzio. Vedeva la sofferenza negli occhi del ragazzo, la rabbia e il senso di colpa.
 
Il ragazzo si avvicinò alla cattedra, lo sguardo deciso puntato sul professore.
“so cosa si aspetta da me. So cosa tenterà di dirmi. Le risparmio la fatica professore. Sì, lo farò. Io svolgerò il mio compito. Ma alle mie condizioni, lei dovrà fidarsi delle mie decisioni. E inoltre mi deve assicurare una cosa. Deve tenerli a sicuro. Tutti quanti. Non posso perdervi ancora di nuovo, non posso. D’accordo?”
 
Silente fece un lungo sospiro. Davanti a sé aveva un ragazzo con una tale determinazione e un fuoco interiore che in pochi possedevano. Un ragazzo affamato di vendetta.
“d’accordo Harry” rispose Silente. “farò il possibile”
“grazie” disse Harry ritornando a sedere.
“Harry, ti andrebbe di raccontarmi la tua storia?” chiese il preside.
“la mia storia?” rispose Harry con un sorriso privo di allegria “be’ come le ho già detto io sono orfano, Voldemort ha ucciso i miei genitori i quali si sono sacrificati per me. Ma quella notte, quando mi scagliò contro l’anatema-che-uccide, esso gli rimbalzò addosso grazie al sacrificio d’amore di mia madre, lasciandomi solo questa cicatrice” disse scoprendo la fronte “Lui scomparve. Ci fu la pace. Ma ovviamente non era morto definitivamente. Lei lo sapeva bene e per questo mi ha lasciato crescere nella famiglia babbana della sorella di mia madre, perché io fossi protetto tramite il legame di sangue fino al raggiungimento della maggiore età. Inoltre Sirius era stato ingiustamente condannato ad Azkaban, incolpato di avere ucciso Peter Minus e con lui dodici babbani” la rabbia nella voce del ragazzo era tangibile “Quel viscido essere. Quindi scoprì di essere un mago ad undici anni quando ricevetti la lettera da Hogwarts. Voldemort tentò di tornare in vita ovviamente, durante il mio primo e secondo anno, prima con la pietra filosofale e poi sottoforma di ricordo contenuto in un diario. Entrambe le volte lo fermai” fece una pausa. “infine ci riuscì durante il mio quarto anno. Sotto l’incredulità e la negligenza del Ministero lui ritrovò i suoi seguaci, acquisiva potere. Poi lei morì due anni dopo, non prima di avermi addestrato a combattere per fronteggiare Tom ad armi pari e mi affidò una missione. Trovare e distruggere gli Horcrux. Con la sua morte Voldemort assunse il controllo del ministero e di Hogwarts. Cinque mesi fa… siamo riusciti a riprendere il castello. Ma Voldemort non era d’accordo” disse in tono sarcastico Harry “ha ingaggiato battaglia. Abbiamo resistito cinque mesi. Fu una carneficina.  Alla fine eravamo rimasti solo io e lui. E lo uccisi” concluse Harry con la testa inclinata verso il basso.
 
Ricordare la battaglia era doloroso. Aveva omesso di raccontare tante cose sulla sua vita, ma Silente per ora si doveva accontentare.
Il preside lo guardava con un misto di compassione e orgoglio. Povero coraggioso ragazzo pensò.
Ma poi gli tornò in mente una cosa detta da Harry.
 
 “Horcrux? Ha creato degli Horcrux”
“Lei non lo sa?” rispose accigliato Harry. Ricordò allora solo in quel momento che Silente incominciò ad avere i suoi sospetti sugli Horcrux solo dopo la distruzione del diario alla fine del suo secondo anno. Ma non essendoci nessun Harry qui, allora nessun diario e… Merlino! E il basilisco è ancora in vita! Dannazione. Un'altra questione da risolvere.
 
“no, ma con il senno del poi, potevo arrivarci” rispose deluso Silente accasciandosi sullo schienale.
“Non poteva saperlo. Comunque bisogna distruggerli, così Tom tornerà ad essere mortale”
“e quali sono questi Horcrux? E quanti?”
“sono sei. Sei oggetti che Tom ritiene degni di ospitare la sua anima ovviamente. Il medaglione di Serpeverde, la coppa di Tosca Tassorosso, il diadema di Corvonero, l’anello appartenuto a Orvoloson Gaunt ovvero il nonno materno di Tom, un diario risalente al suo periodo ad Hogwarts e Nagini”
“il suo serpente?”
“esatto”
“ha diviso la sua anima in sette parti…” rifletté Silente.
“Otto in realtà” pensò Harry.
“E dove li tiene questi Horcrux” chiese intrecciando le dita Silente.
“devo fare delle verifiche prima di risponderle” disse in tono deciso Harry, facendo intuire che non glielo avrebbe rivelato.
“Permettimi di aiutarti Harry”
“ce ne sarà occasione Silente. Ma adesso per ora devo agire da solo e ho bisogno della sua fiducia”
“mi fido Harry.”
“Ah, ovviamente non dovrà rivelare a nessuno della nostra conversazione e della mia vera identità. Meno persone sanno, meglio è”
“naturalmente. Potrei consigliare a riguardo di farti rimanere qui ad Hogwarts? Potresti fingerti uno studente, avere una copertura… stare vicino alle persone che ami…”
“le persone che mi stanno vicino… muoiono” disse cupo il giovane.
“Harry, non so come ma ti è stata offerta una seconda possibilità. Una possibilità che molti si sognerebbero di avere. Non sprecarla!”
 
I pensieri di Harry andarono allo stesso Silente e al suo desiderio di riavere Ariana. Tanto disperato da essere stato tentato dalla pietra della resurrezione, tanto dall’indossare l’anello e cadere in balia della maledizione che lo condannò a morte.
“potrei soggiornare a Diagon Alley, o Hogsmade…” rispose Harry dubbioso.
Silente inclinò la testa, lo sguardo sofferente.
“Diagon Alley è distrutta Harry, rasa al suolo da un attacco di mangiamorte 3 mesi fa. Ad Hogsmade un ragazzo senza una scorta di adulti desterebbe sospetti”
Diagon Alley distrutta… distrutta. La situazione era più grave del previsto.
Harry annuì e acconsentì alla richiesta del preside.
“quindi rimarrai qui ad Hogwarts. Credo che la casa di Grifondoro possa andare più che bene”
Dopo un breve lasso di tempo, Harry prese la sua decisione:
“accetto. Ma badi bene, so che mi tiene qui per tenermi sotto controllo. Voglio essere chiaro: non sarò la sua marionetta. E devo essere libero di uscire ed entrare liberamente da Hogwarts”
Silente fece un profondo respiro.
“d’accordo Harry”
“bene”
 
Harry aveva una questione importante che gli premeva lo stomaco e perciò si azzardò a chiedere:
“i miei genitori… i miei genitori sono ancora vivi?” doveva aver la certezza assoluta su questo.
“sì Harry. Lily e James Potter sono vivi” rispose delicato Silente.
“e Sirius?”
“anche lui. Vuoi che li faccia venire qua? Sarebbero contenti di sapere che il loro ragazzo è ancora tra noi”
“per quanto mi piacerebbe… prima devo assolvere al mio compito. Non immagino quanto possa essere lacerante perdere il figlio una seconda volta, e io potrei non farcela.”
Spiegò Harry, tralasciando un’altra ragione più intima. Aveva paura che loro non lo volessero più dopo essere venuti a conoscenza di cosa era diventato e di quello che era stato costretto a fare. Una paura rilegata nel più profondo del suo cuore che non era pronto ad affrontare.
“anche se probabilmente glielo riferirà Remus, è troppo intelligente e scaltro per non notare la somiglianza con i miei genitori” aggiunse il ragazzo-che-è-sopravvissuto.
“è una probabilità si. A meno che non venga avvisato di non farlo”
Harry alzò le spalle. Seppellì le sue paure e optò per la soluzione più razionale.
“lasciamo che gli eventi facciano il proprio corso per ora”
“come ritieni più giusto, Harry” sorrise il preside.
“Bene. Potrei ora fare una chiacchierata con il cappello parlante?”
“il cappello parlante? Va bene ragazzo, fai pure” rispose Silente incuriosito.
 
Harry ringraziando con un cenno, prese il cappello dalla mensola sul muro, se lo rigirò tra le mani e lo indossò.
Ricordava la prima volta che gli posero il cappello sulla testa e di come questo fosse talmente grande da scivolargli sugli occhi, mentre adesso dopo circa 6 anni gli calzava a pennello.
 
Harry Potter, quale onore” esclamò il cappello.
“l’onore è tutto mio”
“sempre a cercare guai vedo”
“no, io non cerco i guai…”
“sono loro a trovare lei”
“beh, si”
“ahah, ovviamente non è venuto a chiedermi di smistarla in una casa, vero?”
“vero. Mi trovo bene a Grifondoro, ma le volevo chiedere della spada”
“è ancora degno, se è questo che la preoccupa”
“perfetto. Grazie infinite”
“a lei, sig. Potter”
 
Terminata la breve conversazione mentale, Harry si tolse il cappello, lo capovolse ed afferrò la spada di Grifondoro magicamente apparsa al suo interno. Silente rimase colpito e ammaliato dalla visione del ragazzo che impugnava la lucente spada argentata tempestata di rubini davanti a se.  
“non finisce di stupirmi sig. Potter” esclamò il Preside.
Harry sorrise, mentre rimpiccioliva la spada e la infilava nel mokessino che aveva con sé sotto la camicia.
“bene, posso andare?”
“certamente. La parola d’ordine del dormitorio è “colibrì”. Qualcosa mi dice che non serva accompagnarla. Troverà tutto l’occorrente e l’orario delle lezioni sul suo letto sig. Sullivan, spero mi terrà informato sugli sviluppi. Ci si rivede a pranzo” concluse Silente sorridente congedando il ragazzo.
 
___________________________
 
Se c’era in atto una guerra, tra quei corridori non si avvertiva. Hogwarts non era mutata. Era viva, pulsante e… rassicurante. Non la carcassa di pietra gorgogliante che si era lasciato indietro, questa era la vera Hogwarts.
 
Harry era diretto alla torre dei Grifondoro. Camminava lentamente, placido e silenzioso. Quasi come non volesse infrangere quella sottile e velata illusione di normalità in cui si era immerso.
Aveva passato praticamente l’ultimo anno della sua vita a correre, scappare e schivare, con il costante pericolo di pareti che crollavano, pavimenti che implodevano e maledizioni che ti sfioravano.
 
Ora invece, dopo tanto, troppo tempo, poteva semplicemente camminare e lasciare vagare ricordi ed emozioni. Ogni angolo, ogni corridoio o aula gli riportava un ricordo. Ricordi belli e ricordi terribili, ricordi che colmi di gioia e felicità e ricordi di orrore e colpa. Ricordi e ricordi che si susseguivano come in una pellicola babbana. Ricordi, prima e dopo la guerra, che si miscelavano e intrecciavano nella testa di Harry creando un denso e colloso ammasso di scene di vita vissuta. Scene che collidevano tra loro nel tentativo di prevalere sulle altre. Scene vissute attraverso gli occhi ingenui, acerbi e ovattati di un undicenne al suo primo anno nella scuola di magia e scene vissute dagli occhi stanchi, afflitti e sofferenti di un diciasettenne con il peso della disperazione sulle spalle.
 
Lì è dove ad Hermione le era ceduta la borsa eccessivamente caricata di libri e pergamene. Lì era dove Lavanda Brown aveva regalato un enorme e imbarazzante peluche a Ron durante il sesto anno. Lì invece è dove i resti di Colin Canon erano schizzati sulle pareti e le volte del corridoio, lì invece e dove la carotide della professoressa Sprite fu tralciata dai denti di Greyback.
 
Harry si sentiva allo stesso tempo svuotato e pieno. Aveva caldo e freddo. Era riposato e stanco. Integro ma spezzato. Era semplicemente troppo da reggere per un semplice ragazzo. Ma Harry non è mai stato un semplice ragazzo, non gli è stato concesso. Ed Harry era l’unico in grado di poter sostenere quella montagna di responsabilità e dolore che avrebbe potuto sotterrare chiunque.
Doveva andare avanti, non per sé stesso, ma per loro. Per tutti loro.
 
Fu necessario ricorrere a tutta la sua volontà e concentrazione per reprime tutti quei ricordi nelle estreme profondità della sua mente. L’occlumanzia lo stava salvando dal lento sprofondare nella disperazione.
 
Varcata la soglia della sala comune, Harry si accorse di come anche lei fosse rimasta immutata. Calda ed accogliente con le soffici poltrone, il camino scoppiettante e gli arazzi rosso ed oro delle pareti. Proprio come è sempre stata.
Era praticamente deserta a quell’ora essendoci le lezioni in corso. Le poche anime presenti erano chine sui libri a studiare o intente a scrivere su rotoli di pergamene. Nessuno lo degnò di uno sguardo. “Meglio così” pensò il ragazzo, che prese ad incamminarsi su per le scale del dormitorio.
 
Non gli ci volle molto per riconoscere quello che doveva essere il suo letto. L’unico sommerso da libri, pergamene, piume, ingredienti per le pozioni, un calderone, un baule vuoto e una divisa completa da grifondoro. “beh, almeno ho risparmiato sugli acquisti a Diagon Alley…” disse ironicamente tra sé Harry.
C’era anche la lettera con l’orario delle lezioni, come promesso dal preside. Era di nuovo uno studente di Hogwarts.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Professori e serpenti ***


CAPITOLO IV
 
La voce di un nuovo studente si diffuse in fretta tra studenti e insegnanti. Harry era abituato a sentirsi gli sguardi delle altre persone addosso, non gli piaceva certo, ma aveva raggiunto un alto grado di sopportazione nel corso degli anni. La situazione in questo mondo, nonostante fosse praticamente un sig. nessuno, non era cambiata.
 
Gli studenti di Hogwarts erano particolarmente “curiosi” verso le novità. Specialmente i grifondoro. Specialmente i grifondoro che si trovano a metà dell’anno un nuovo compagno piombato dal nulla, taciturno, misterioso e a quanto pare, non desideroso di relazionarsi con gli altri.
 
Harry stava pranzando al tavolo della sua casa in sala grande. Aveva scelto un posto abbastanza isolato tra gli studenti del quarto e del quinto anno. La sensazione di stranezza nel vedere così tante facce spensierate e sorridenti non lo aveva abbandonato.
 
Per quanto riguarda la questione dei suoi migliori amici e di Ginny, aveva deciso di tenersi a distanza per il momento.
Si stava concentrando sulla coscia di pollo che aveva adagiato sul piatto, cercando di alienarsi dagli altri e dai loro chiacchiericci. I temerari che tentavano un approccio con il ragazzo ricevevano in cambio uno sguardo eloquente sul farsi gli affari propri.
 
Qual è il prossimo passo Harry? Si ripeteva tra sé. Qual è il prossimo passo?
 
Rimanevano 5 Horcrux, la cui ubicazione poteva non corrispondere a quelli del suo mondo. Basta pensare al diadema, trovato sì nella stanza delle necessità, ma non nel punto che si ricordava. E poi la questione del basilisco, che costituiva un grave pericolo interno per la scuola. Tutto sommato, approfittando del fatto che si trovava a scuola, decise che avrebbe fatto una visita di cortesia alla Camera dei Segreti terminate le lezioni del pomeriggio. Trasfigurazione e Difesa contro le Arti Oscure.
 
Durante l’ora della McGrannit, era confortante per Harry vedere come non fosse cambiata di una virgola. La severa, inflessibile e buona professoressa che si era battuta fino allo stremo delle forze per difendere i propri studenti.
 
I grifondoro a questo giro condividevano la classe con i corvonero. Si era seduto in fondo all’aula, dove poteva vedere Ron ed Hermione più aventi in seconda fila. Ad Harry gli erano parsi più uniti rispetto ai suoi Ron ed Hermione. Non gli erano sfuggite le rapide timide occhiate che si rivolgevano, o le fugaci carezze. Che stessero insieme? Ron finalmente aveva deciso di superare le sue paure? Un ghigno di compiacimento si disegnò sulla bocca di Harry al pensiero.
 
Argomento della lezione di oggi: incantesimi di animazione.
 
La McGrannit iniziò a spiegare la teoria della trasfigurazione di oggetti inanimati in oggetti animati. Harry conosceva già ovviamente l’argomento e la sua applicazione. Silente era un insegnante di trasfigurazione dopotutto e durante il suo “addestramento” aveva ampiamente dimostrato come questa disciplina potesse dare un enorme contributo in combattimento.
 
Harry non prestò realmente attenzione alla lezione, aveva altre preoccupazioni al momento. Prima tra tutte il basilisco.  
 
“Sig. Sullivan sta prestando attenzione?” chiese la voce perentoria della McGrannit.
 
Harry torno al presente e si guardò intorno. Tutta la classe compresa la professoressa lo stava osservando.
“Come scusi?” chiese titubante il ragazzo
“Le ho chiesto, se le sue conoscenze in materia sono sufficienti per stare a passo con gli altri studenti.” disse accigliata la professoressa.
“Oh, be’… credo di sì”
 
La McGrannit lo stava squadrando attraverso le lenti dei suoi occhiali.
“Molto bene, vorrebbe provare ad animare quella statua allora? Se non le dispiace” disse indicando una scultura marmorea di un cavaliere posta vicino alla cattedra.
Gli occhi di Harry passarono dalla McGrannit alla statua e infine agli sguardi curiosi e beffardi degli altri studenti.
Non gli piaceva essere al centro dell’attenzione, ma allo stesso tempo non gli piaceva essere deriso dagli altri, e tutti sembravano guardarlo come si guarda un agnello cotto al forno. Per cui decise di dare una piccola dimostrazione ai ragazzi in aula, così per mettere in chiaro le cose.
“Non c’è problema professoressa” rispose affabile con un sorriso Harry.
Si diresse verso la cattedra ed estrasse la bacchetta.
“Si ricordi che il movimento di polso deve essere fluido e deciso mentre pronuncia l’incanto Piertotum Locomotor, e non si preoccupi se non accadrà nulla, per poter padroneggiare questo incantesimo vi occorreranno settimane” aggiunse la McGrannit rivolgendosi anche al resto della classe.
 
Gli studenti si prepararono al fallimento imminente del nuovo arrivato. Nessuno poteva riuscirci già alla prima lezione essendo un incantesimo che richiedeva grande forza di volontà, precisione e determinazione.
 
In una frazione di secondo, il grifondoro agitò la bacchetta tanto velocemente da risultare impercettibile, e senza nemmeno pronunciare l’incanto, la statua prese vita inchinandosi con riverenza al ragazzo e iniziando a camminare per l’aula a passo di marcia.
 
Tutti rimasero increduli dalla dimostrazione di talento del ragazzo. La McGrannit dopo un attimo di sbigottimento sorrise orgogliosa.
“10 punti grifondoro, sig. Sullivan. Molto bene”
 
Harry si voltò verso gli altri notando compiaciuto lo stupore generale, soprattutto quello di Ron e di Hermione. Si sforzò di sopprimere una risata alla vista dei ragazzi, mentre ritornava a sedere.
 
Il resto della lezione la passò ad osservare il resto dei compagni che tentavano inutilmente di animare le diverse statue e statuine sparse per l’aula. Solo Hermione era riuscita a far compiere un passo alla propria.  
“Ovviamente” pensò Harry sorridendo.
 
Terminate le due ore di trasfigurazione arrivò il turno della prossima materia.
 
La lezione di difesa contro le Arti Oscure era sempre stata la sua preferita, anche se scoprì con sorpresa che l’insegnante non era Remus come si era aspettato, ma Piton.
 
Nonostante fosse rammaricato da ciò, Harry non poté non sorridere alla possibilità di avere la propria piccola rivincita nei confronti del suo ex professore di pozioni.
Ricordava come i due si fossero sopportati a vicenda durante i due anni successivi alla morte di Sirius. Piton gli insegnò personalmente l’occlumanzia e alcune pratiche un po' più… oscure. Silente era un mago potente certo, aveva anche una vasta conoscenza della magia, ma a differenza di Piton -che era dai tempi di Hogwarts che sguazzava nelle arti oscure- non gradiva usufruire di tali pratiche. A suo malgrado fu però lo stesso Silente a persuadere il riluttante ex mangiamorte ad insegnagliele, comprendendo la necessità del ragazzo di avvalersi delle stesse armi a disposizione del nemico.
 
Il rapporto di Harry e Piton evolse in piccoli contrasti quotidiani, di battute acide che si lanciavano l’uno contro l’altro, ma tutto contornato da una sorta di “rispetto” che si nutrivano a vicenda. Purtroppo al professore Harry ricordava troppo il dolore per la perdita di Lily, gli ricordava l’odiato James Potter che gliela aveva portata via, quindi quello era il massimo che si poteva ottenere.
 
Harry si sedette ancora in fondo all’aula. Questa volta erano Grifondoro e Serpeverde a seguire la lezione. All’entrata del professore il brusio degli alunni cessò all’istante.
 
“Dopo i temi ripugnanti che mi avete consegnato sugli inferi, mi sorprende come voi siate stati capaci di arrivare all’ultimo anno di questa scuola. Se fosse per me vi boccerei tutti all’istante” disse acido Piton rivolto intenzionalmente più agli studenti di Grifondoro che ai Serpeverde.
 
Certe cose non cambiano.
 
“Oggi affronteremo le maledizioni senza perdono” disse sogghignando agli allievi, sollevando agitazione e paura tra i banchi. Piton si godette lo spettacolo dei loro volti spaventati e poi continuò con la spiegazione:
 
“Le maledizioni senza perdono sono tre: l’Imperius, il Cruciatus e l’anatema-che-uccide. L’imperius, pone la vittima sotto il completo controllo di chi lancia l’incantesimo.
Il Cruciatus è la maledizione della tortura e del dolore, provoca alla vittima un indicibile sofferenza. L’anatema-che-uccide, nota come Avada Kedavra, provoca la morta istantanea e si pensa anche indolore del soggetto colpito”
 
Fece una pausa gustandosi la paura generale che si percepiva.
“contro queste maledizioni non esiste incantesimo scudo in grado di annullarle. L’unica possibilità è schivarle. Inutile dire che la potenza degli incantesimi è direttamente proporzionale al potenziale magico del mago che li esegue”
 
“oggi tratteremo dell’Imperius! Dovete sapere che solo chi è dotato di grande forza di volontà e determinazione può resisterle, per questo in pochi riescono a contrastarla efficacemente. Abbiamo volontari?” chiese malignamente il professore. Tutti si stupirono alla sua richiesta, non si aspettavano di poter ricevere una maledizione senza perdono da un insegnante di Hogwarts.
“Signorina Granger, niente alzata di mano questa volta?” disse stuzzicando la ragazza.
Hermione terrorizzata non riuscì a proferire parola.
“Su avanti in piedi”
La ragazza obbedì tremante.
“Io ora le lancerò la maledizione Imperius, lei tenterà di respingerla”
“Ma professore, è illegale usare queste maledizioni contro le altre persone…”
“Mi dica Granger, pensa che ai seguaci del Signore Oscuro importi qualcosa se è illegale o meno?”
Hermione abbassò lo sguardo imbarazzata e intimorita allo stesso tempo.
“Dovete capire cosa si prova. Dovete riconoscere la maledizione e auspicabilmente tentare di contrastarla, ora si prepari.” Disse puntando la bacchetta contro Hermione. Lei alzò la testa spaventata verso il professore che non provava un minimo di compassione.
“Imperio!”
 
Harry vide con disappunto la ragazza incominciare ad agitare le braccia in aria e saltellare sul posto per una manciata di secondi. Tutti i serpeverde si misero a ridere. Il ragazzo dovette trattenersi dal lanciare un qualche incantesimo orticante in faccia al caro professore. Ron divenne rosso in faccia, mentre gli altri Grifondoro provavano pietà per la povera malcapitata.
 
“Una ragazza brillante come lei dovrebbe applicarsi di più” disse Piton sprezzante dopo aver interrotto la maledizione.
Un’Hermione abbattuta si risedette immediatamente sulla sedia con la faccia racchiusa tra le mani.
 
“Povera Herm” pensò Harry, guardando poi truce Piton.
 
Molti altri studenti provarono a turno l’esperienza, stranamente per la maggior parte Grifondoro. Nessuno riuscì a contrastarla, e nessuno poteva esimersi dal compiere gesti ridicoli e imbarazzanti.
 
 
Arrivò il turno di Harry.
“Sig. Sullivan, il ragazzo apparso dal nulla” gli si rivolse il professore.
“Si professore?” ripose con tono innocente Harry.
 
Piton squadrò il ragazzo. Gli ricordava così tanto James Potter nell’aspetto e nel comportamento, anche se i suoi occhi… Sapeva che stava nascondendo qualcosa e avrebbe scoperto cosa a tutti i costi.
 
“Si prepari”
“A cosa?” replicò Harry sempre in tono innocente.
Sapeva che così facendo lo avrebbe fatto innervosire, ed era proprio il suo intento.
 
Piton sembrava volesse incenerire Harry con lo sguardo. Si stava senza dubbio incazzando per l’insolenza del ragazzo.
 
“Facciamo gli spiritosi eh sig. Sullivan?”
“Non so di cosa stia parlando professor… scusi non ricordo il nome” proferì il giovane.
 
Gli occhi dell’insegnante si serrarono in due fessure e una vena particolarmente gonfia comparve sul suo collo.
Harry sorrise appagato.
“Io sono il professor Piton e lei è meglio che cambi atteggiamento con me se non vuole finire in punizione già dal suo primo giorno!”
 
Harry per nulla impressionato continuò:
“Mi scusi professor Piton se le ho mancato di rispetto in qualche modo. La prego, non mi faccia saltare su per i banchi. Sa c’ho un leggero fastidio all’anca e non vorrei mai che peggiorasse. Inoltre sarebbe alquanto imbarazzante non trova?” disse in tono beffardo.
 
La vena sul collo del professore si ingrandì ulteriormente. La classe guardava con sgomento lo scambio tra il ragazzo e il professore. Harry si azzardò a rigirare il coltello nella piaga.
 
“Anche se temo che non ci riuscirebbe. Come ha detto lei prima: la potenza degli incantesimi è direttamente proporzionale al potenziale magico del mago che li esegue. Ergo, temo che il suo incantesimo non possa essere abbastanza potente per controllarmi” sostenne in tono pratico il ragazzo.
 
“Come osa. Insolente!”
“Non credo di essere insolente signore, sto solo enunciando un dato di fatto. Possiamo tranquillamente dimostrarlo se vuole” disse allargando le braccia in segno di invito.
 
I ragazzi intorno stavano assistendo allo spettacolo attoniti, i serpeverde con espressioni di odio e disprezzo, i grifondoro con sguardi quasi di ammirazione.
 
Piton persa completamente la pazienza, scagliò la maledizione Imperius contro il giovane sfacciato.
Non accadde nulla. Harry rimase con le braccia aperte fissando dritto negli occhi il professore. Un mormorio si diffuse tra gli studenti. Quel Sullivan era riuscito a contrastare la maledizione come se nulla fosse.
 
“Come le dicevo, è un dato di fatto professore” concluse Harry con un inchino del capo.
 
Piton rimase a bocca aperta, incredulo su quanto accaduto. Non era riuscito neanche a scalfire la sua mente. Per la prima volta gli studenti videro il professore rimanere senza parole, quasi come sconfitto. Piton tornò cereo in volto alla sua cattedra. Con disgusto diede 5 punti a grifondoro e poi sbraitò a tutti di uscire dall’aula proclamando la fine della lezione.
 
Harry fu uno dei primi ad uscire dalla classe. Era di gran lunga soddisfatto. “Una piccola rivincita”.
Con difficoltà, riuscì a distanziarsi dalla massa di studenti diretta verso le proprie sale comuni. I grifondoro non mancarono di lodarlo lungo la strada per aver affrontato in quel modo l’odioso professore.
 
Non si accorse che una ragazza dai voluminosi capelli castani e un ragazzo dai capelli rossi gli stavano correndo incontro.
Prima che potessero incrociarsi, i due videro Sullivan virare e scomparire in un piccolo corridoio li affianco, facendo perdere le proprie tracce.
 
­­_________________________________________
 
Ringraziando i mille passaggi segreti di Hogwarts e l’incantesimo di disillusione, Harry si ritrovò in poco tempo nel bagno delle ragazze del secondo piano. Non ci volle molto prima che Mirtilla Malcontenta, il fantasma che infestava il bagno, fece capolino dal gabinetto.
“E tu chi saresti?” domando irritata.
“Un amico” rispose pacato e sorridente Harry.
“Un amico? Io non ho amici”
“Da ora si. Mi chiamo Jake Sullivan, piacere”
“Io sono Mirtilla. Strano tutti scappano quando mi vedono, perché tu invece no?”
“Ne avrei motivo?” chiese Harry inclinando la testa.
“Lo sai che questo è il bagno delle ragazze, vero?”
“Si lo so, ma ho una piccola missione da compiere”
“Che missione?”
“Una missione segreta. Vado ad uccidere il mostro responsabile della tua morte Mirtilla. Vado a vendicarti”
Mirtilla sgranò gli occhi. “Tu, tu come fai a sapere…”
“So molte cose Mirtilla, come ho detto prima sono tuo amico. Però mi devi promettere che non ne farai parola con nessuno della missione e della mia presenza qui. Me lo prometti Mirtilla?”
 
Il fantasma era titubante e perplesso, ma annui.
“Be’ nel caso tu morissi, sarei felice di avere la tua compagnia qui nel mio bagno” disse ammiccando il fantasma.
“Oh gentile da parte tua Mirtilla” rispose un po' imbarazzato Harry.
 
Detto ciò si diresse verso i lavandini, individuando subito quello che permetteva l’accesso alla camera, l’unico con un piccolo serpente inciso sul rubinetto. Harry sorrise per poi sibilare qualcosa in serpentese. 
 
Mirtilla trattenne a malapena un sussulto nell’udire quegli ambigui e terrificanti suoni provenire dalla bocca del ragazzo, e ancor di più alla vista del lavandino che sprofondava nel pavimento marmoreo rivelando un grosso tunnel sotterraneo che scendeva quasi in verticale. 
Harry salutò con un cenno la ragazza, poi evocò una fune che prese ad avvolgersi attorno ad uno dei lavandini. La afferrò saldamente ed incominciò a scendere delicatamente ma deciso giù per il tunnel.
 
Erano passati cinque anni dall’ultima volta che Harry mise per la prima volta piede nella Camera dei Segreti. Una vasta sala fredda, umida, dall’atmosfera verdastra e sinistra, con grandi statue di serpenti che gettavano lunghe ombre sulle umide lastre di pietra del pavimento.
 
Percorse la stanza per tutta la sua lunghezza, andandosi a posizionare direttamente davanti all’enorme statua grottesca raffigurante Salazar Serpeverde. In quell’esatto punto cinque anni prima giaceva il corpo morente di Ginny.
Un brivido gli percorse la schiena mentre ripensava a come Tom fu così vicino dal portargliela via quella volta, talmente vicino. La sua Ginny. Fantastica, forte e solare Ginny. Lei che riusciva a comprenderlo più di chiunque altro con un semplice sguardo. Lei che gli faceva dimenticare ogni suo tormento con un semplice sorriso.
Quella volta era arrivato in tempo. L’aveva salvata. Quella volta. Quell’unica volta.
Scuotendo la testa, Harry tornò al presente. Lo sguardo di Salazar incombeva su di lui. Estrasse la bacchetta preparandosi ad affrontare quello che da lì a poco sarebbe uscito dalla bocca della statua.
Era pronto.
 
Chiuse gli occhi sibilando alla statua di aprirsi. La bocca marmorea si spalancò lentamente liberando l’enorme serpente.
Harry, pur tenendo gli occhi chiusi per evitare il suo letale sguardo, poteva percepire il mostro far vibrare l’aria circostante con la sua stazza imponente. Sentiva il suo lento strisciare sul pavimento umido mentre si avvolgeva in più spire.
 
“Questo lurido ragazzino osa disturbare il Re dei Serpenti, osa profanare la sua dimora, questo ragazzo pagherà con la vita” sibilò il basilisco.
“Saluti a te, o grandioso Re dei Serpenti” rispose Harry elargendo un inchino sommesso.
“Il ragazzo parla la nobile lingua, il ragazzo è l’erede del venerabile Salazar?”
“A dire il vero, è complicato. Il mio nome è Harry Potter. Sono qui per offrirti un dono”
“Un dono? Che dono ha da offrire il ragazzo?”
“La vita”
 
Il serpente si strinse nelle sue spire, confuso dalle parole del prescelto.
“Il ragazzo si sta prendendo gioco di me”
“Oh niente affatto. Vedi la tua esistenza sta per giungere al termine, ma se rinneghi Tom Riddle e abbandoni le tue convinzioni sull’epurare la scuola da quelli che il tuo padrone definisce “sangue-sporco” e ti allei contro di lui, allora ti farò dono di lasciarti in vita”
“Ahahah, il ragazzo è pazzo. Io non tradirei mai il nobile Salazar e il suo erede. Il solo parlarne è un insulto”
“Pensa bene alla mia offerta. Lui ti ha confinato in questa lurida e umida sottospecie di cantina per più di un secolo. Sei davvero sicuro di rivolgere la tua lealtà a lui? A loro?”
“L’erede mi libererà e io adempierò la volontà del grande Salazar Serpeverde”
“Capisco. Quindi scegli la morte?”
“L’unico a morire oggi sarai tu, stolto ragazzino mezzosangue” sibilò con rabbia il basilisco per poi scattare fulmineamente verso di lui.
 
Harry aspettandosi questa reazione, sollevò la bacchetta ed erse un potente scudo sul quale andò ad impattare la bocca spalancata del serpente. Il mostro si ritrasse emettendo versi striduli e contorcendosi dal dolore. La parte del muso che aveva impattato contro la barriera magica rimase gravemente ustionata.
 
Harry, costretto a tenere gli occhi serrati non poteva impiegare incantesimi offensivi di precisione per colpirlo, ma soltanto quelli ad ampio spettro.
 
SECTUSEMPRA” pronunciò Harry compiendo un ampio arco con la bacchetta.
Sentì il suo avversario strepitare mentre quelle che dovevano essere ampie e profonde ferite si aprivano sul suo ventre.
 
Harry avvertì un brusco spostamento d’aria. Si buttò istintivamente per terra prima che la possente coda del basilisco lo tranciasse in due. Si rialzò, pronto a scagliare la prossima maledizione. “exedo nebula” disse evocando una densa nube nera che prese a diffondersi in direzione del serpente. Appena essa entrò in contatto con la pelle squamosa del rettile, iniziò a corroderla rapidamente, arrivando ben presto ai muscoli sottostanti. “Non la più simpatica delle maledizioni devo ammettere, ma è terribilmente efficace” commentò tra sé il ragazzo.
 
Ogni movimento che la creatura compiva si tramutava in un atroce supplizio. Harry senti l’enorme serpente allontanarsi dalla nube per poi tentar una nuova scoccata rabbiosa con le enormi fauci.
 
Sollevò nuovamente la barriera, sentendo immediatamente la testa del rettile impattarle contro. Urla di dolore echeggiarono nella sala.
 
"Maledetto mezzosangue!” sputò con ira il serpente agonizzante.
“Tutto quello che sta avvenendo non è altro che la conseguenza delle tue scelte” sibilò Harry calmo e spietato poco prima di scagliare una potente maledizione lacerante in direzione della voce del basilisco.
 
La creatura non ebbe tempo di emettere alcun suono. La maledizione le tranciò di netto la parte superiore del corpo, facendole rovinare la testa a diversi metri di distanza. Quello che sentì Harry non fu altro che un tonfo sordo sul pavimento e il corpo del basilisco contorcersi pervaso da violenti spasmi. Poi il silenzio.
 
Il ragazzo, sicuro del tracollo dell’avversario, riaprì gli occhi. Prese visione degli effetti delle sue maledizioni sul suo corpo affusolato. Una massa contorta di muscoli e viscere corrosi e lacerati in più punti. Una macchia vermiglia e collosa si era riversata sulle piastre marmoree del pavimento. Il fetido miasma emanato dalle viscere permeò le narici di Harry.
 
Nessun diciassettenne dovrebbe mai sentire un simile fetore. L’odore oleoso e pungente dei cadaveri che per Harry purtroppo era fin troppo famigliare.
 
Si avvicinò alla testa decapitata poco distante. La bocca semiaperta e gli occhi come rivestiti da una patina cerea. Si inginocchiò a ridosso delle fauci e staccò alcuni denti pregni di veleno. Prese poi la spada di Grifondoro dal mokessino che aveva appeso al collo e la ingrandì facendola tornare alle dimensioni originarie.
Fece colare il veleno sulla lama, il cui metallo lo assorbì completamente. Soddisfatto del lavoro ultimato, Harry rimpicciolì di nuovo l’arma e la ripose via.
 
“Sarebbe tornato utile avere questa bestiolina da sguinzagliare contro Voldemort e i suoi seguaci… ma almeno abbiamo un arma in più per distruggere gli Horcrux” rifletté Harry mentre si dirigeva verso l’uscita della camera.
 
Risalì il tunnel con l’ausilio della fune, salutò cordialmente Mirtilla e silenziosamente si diresse verso la sala comune.
 
Rispetto a quella mattina, in cui tutti gli studenti erano a lezione, la sala comune era ora gremita di ragazzi. Appena varcato il buco nel ritratto una marea di occhi incuriositi si puntarono verso la sua direzione, compresi quelli appartenenti ai suoi due migliori amici, Neville e Ginny, che erano seduti sulle comode poltrone in pelle vicine al camino.
 
Chinò il capo, concentrandosi sulle fughe del pavimento, tentando di dirigersi il più velocemente possibile verso le scale del dormitorio evitando tutti i presenti. Seamus Finnigan non era dello stesso parere e gli si parò davanti con un’espressione di pura ammirazione dipinta sul volto.
“È. Stato. Fantastico!” esclamò con vigore.
Harry inarcò un sopracciglio confuso. A cosa si riferiva?
“È vero! Nessuno aveva mai osato affrontarlo in quel modo” gli diede corda Dean Thomas raggiungendo Seamus.
Sapevano del basilisco? No era impossibile. Di che stavano parlando?
“Non so a cosa vi riferite” rispose perplesso Harry.
“Ma come? A Piton ovviamente!” rispose energicamente Seamus.
Harry ricordò solo in quel momento del suo piccolo teatrino messo su con il professore. Sorrise compiaciuto, per poi rivolgersi ai due ragazzi.
“Ah… quello. Sì, ecco ho solo detto la verità”
“E hai contrastato la maledizione Imperius come se fosse un incantesimo del primo anno!” aggiunse Lavanda Brown spuntata alle sue spalle.
Harry notò con dispiacere di essere praticamente circondato da studenti curiosi ed entusiasti. Doveva uscire da quella situazione.
“Sentite non è stato nulla di che” rispose sbrigativo il ragazzo.
“Oh non dire cazzate. In pochi riescono a contrastarla, e soprattutto non dei ragazzi come noi!” disse Seamus.
Harry incominciava a spazientirsi, voleva solo stare da solo.
“Dovreste applicarvi di più allora” concluse il ragazzo-che-è-sopravvissuto, defilandosi dal gruppo di grifondoro per salire verso i dormitori.
 
Giunto in prossimità del letto fece profondi respiri per riacquisire la calma.
“Dovevi aspettartelo! Così impari a dare spettacolo” gli disse la sua coscienza.
I suoi occhi caddero sulle sue mani lerce e sudate. In effetti non faceva una buona doccia da settimane. Entrò quindi nei bagni chiudendosi la porta alle spalle. Scrutò il ragazzo che gli si presentava dinanzi riflesso allo specchio. Toltosi i vestiti poté per la prima volta constatare gli effetti della guerra sul proprio corpo. Cicatrici, lividi, contusioni e ustioni ancora in fase di guarigione, nonostante l’ovvio intervento da parte di Poppy. Aveva riacquisito il suo fisico tonico e asciutto. Sul volto aveva impresse delle occhiaie marcate e un accenno di barba affiorava dalle sue guance. I capelli corvini più lunghi e scompigliati di quanto si ricordasse, erano impastati e unti per via dell’umidità presente nella Camera. Si appoggiò con le braccia ai lati del lavandino fissando attentamente il suo riflesso per qualche minuto.
“Ok...” disse sospirando “diamoci una sistemata”.
 
Uscì dal bagno mezz’ora dopo con un aspetto decisamente migliore, con i capelli accorciati, sbarbato e rinvigorito.
Si andò a sdraiare sul letto a baldacchino, chiuse le tende addormentandosi poco dopo.

Nessuno vide il misterioso ragazzo quella sera a cena.

 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Delusioni ***


CAPITOLO V
 
Dobbiamo correre. Ci dobbiamo sbrigare. Non abbiamo tanto tempo. Se ne saranno accorti, stanno arrivando. Dannazione quanto è grande questo posto?! Guardo Ron alla mia sinistra trasportare tra le braccia Hermione. Le manca una mano e buona parte dell’avambraccio, corrosi probabilmente da qualche acido, con le ossa che ne fuoriescono dall’estremità. La faccia sfigurata è coperta dai capelli intrisi di sangue esiccato e umidità. Oh Herm. Mi dispiace. Scusa. Scusa. Ringrazio che almeno è incosciente al momento, così non può avvertire dolore. Ron la tiene il più delicatamente possibile tra le sue braccia, anche se esse vanno inevitabilmente a sfregarsi contro le lacerazioni che ricoprono la pelle di Hermione. Scusa. Scusa. Lui arranca dolorosamente, ma senza emanare alcun gemito di sofferenza. È messo male anche lui. Ma Ron continua ad avanzare. Ron la vuole portare in salvo. Perché non hai permesso che la portassi io Ron? Dobbiamo correre. Svoltiamo nel corridoio a destra di quell’orribile dipinto. Dove è l’uscita maledizione?! Resisti Herm. Resisti. Ti ucciderò Bellatrix per questo. Ti ucciderò! Sento un rumore provenire da dietro noi. Stanno arrivando. Dobbiamo uscire. Devo portarli in salvo. Stanno arrivando.
 
 
Harry si svegliò di soprassalto. Ansimava e sudava freddo. Sperava disperatamente che fosse solo un incubo. Un terribile incubo. Ma era accaduto veramente, lui lo aveva vissuto. Quei terribili ricordi erano tornati a perseguitarlo nel sonno. Mentre stava in infermeria era imbottito della pozione sonno-senza-sogni, mentre ora ne era sprovvisto. Cercò di normalizzare il respiro, mentre ricorreva all’occlumanzia per controllare le emozioni. Si guardò intorno. Una flebile luce mattutina filtrava dalle finestre. Il sole doveva essere sorto da poco, se pur pallido, esso riusciva ad illuminare l’interno del dormitorio e i suoi occupanti.
 
Si stupì di vedere al suo fianco il suo vecchio e rumoroso amico dai capelli rossi, che stava russando energicamente con la bocca semiaperta, facendo sfuggire un sorriso al ragazzo. Certe cose non cambieranno mai. Ispezionò gli altri letti. Seamus, Neville e Dean erano ancora pesantemente addormentati. Sembrava proprio di essere tornato indietro nel tempo, più precisamente al suo quinto anno: stesso dormitorio, stessi compagni… lui che si svegliava in preda agli incubi. Guardò la sveglia babbana che Seamus teneva sul comodino. Erano le cinque di mattina. Harry sapendo che ormai non avrebbe più preso sonno, decise di compiere qualche esercizio fisico per tenersi in forma. Era diventata una routine nei mesi precedenti. Un corpo allenato era più efficiente in combattimento dopotutto, inoltre lo sforzo fisico gli permetteva di scaricare la tensione.
 
Terminò il tutto con una doccia fredda e scese in sala comune, ovviamente deserta. Si diresse verso le poltrone adiacenti il camino e accese il fuoco con un gesto della mano. Rimase a contemplarlo per svariato tempo, perso nel sinuoso movimento delle fiamme e dallo scoppiettio delle braci.
 
“Anche tu mattutino vedo” disse una voce femminile molto famigliare alle sue spalle. Harry si voltò in direzione della ragazza dai folti capelli castani che gli sorrideva timidamente.
“In realtà no, ma è difficile dormire con compagno di stanza che russa neanche fosse un troll di montagna” rispose sorridendo di rimando Harry, sapendo che Hermione avrebbe riconosciuto a chi si stava riferendo.
“Ahahahah sarà stato indubbiamente Ronald, il mio ragazzo”
I sospetti di Harry erano stati verificati. Finalmente Ron si era dichiarato! Merlino finalmente. Era dannatamente contento per loro.
“Russa così tutte le notti?” chiese Harry con finto tono esasperato conscio già della risposta.
“Purtroppo si. Dice che è una prerogativa della sua famiglia, i Weasley. Ma tranquillo ci farai l’abitudine… forse” aggiunse titubante la ragazza andandosi a sedere nella poltrona affianco.
“Forse?”
“Magari dopo qualche mese ecco”
Entrambi i ragazzi risero sommessamente.
“Oh ma non mi sono presentata! Io sono Hermione Granger piacere” disse porgendo la mano al ragazzo. Harry le sorrise contraccambiando il gesto.
“Piacere Hermione. Io sono Ha-Jake!”
Io sono Jake Sullivan, Jake Sullivan, Jake Sullivan si ripeteva il ragazzo. Per poco non rovinava tutto, Merlino.
“Lo so” rispose lei educatamente “sei molto bravo in classe ho notato. Prima a trasfigurazione e poi con Piton” disse marcando con tono disgustato il nome del professore.
“Non è molto amato vero? Questo Piton?”
“Oh tutti noi lo detestiamo. Coglie ogni occasione per denigrare gli studenti che non appartengono alla sua casa. Come hai potuto vedere ieri”
“Sì, l’ho notato. Mi dispiace per come si è accanito su di voi, su di te in particolar modo” disse in tono gentile Harry.
“Oh grazie, ma ci sono abituata” arrossì la ragazza.
“Comunque ho notato che anche tu sei particolarmente brillante a lezione!” aggiunse tentando di risollevarle l’umore.  
“Mi piace studiare, tutto qua.”
I due si sorrisero a vicenda. La ragazza era tesa, continuava ad attorcigliarsi le dita e fissava il pavimento. Poi chiese titubante:
“non vorrei sembrare scortese, ma tu da dove vieni?”
 
Harry iniziò a raccontare la solita storia inventata: in fuga dai mangiamorte, genitori uccisi, colpito alle spalle, passaporta, lago.
Hermione era evidentemente rattristata e rammaricata dalla storia del ragazzo.
“Mi-mi dispiace. Davvero, non pensavo…”
“Non ti preoccupare” la rassicurò Harry.
“I miei genitori sono dovuti scappare in Australia, sai sono babbani… e l’Inghilterra non era più un posto sicuro. Non li vedo da due anni” disse fissando il fuoco.
Povera Hermione pensò lui. Anche qui non deve essere stato facile con Voldemort che è al potere da quasi due decenni.
 
Ricordò come lei era stata costretta ad allontanare i suoi genitori anche nel suo mondo, a fargli dimenticare della loro unica figlia per giunta. Come lui, e gli altri, aveva sacrificato e sofferto tanto per colpa di Tom Riddle.
“Almeno sono al sicuro, no?” provò a rincuorarla.
“Per adesso, ma non so per quanto tempo ancora”
Harry si sporse verso la ragazza appoggiandogli delicatamente la mano sul ginocchio.
“Finirà presto tutto questo, credimi” disse con grande risolutezza Harry, guardandola negli occhi.
Lei fu inspiegabilmente colpita dalla determinazione del ragazzo, come se quello che aveva appena detto fosse un fatto, una certezza. Era strano ma sapeva di potersi fidare, sentiva che era la cosa giusta da fare. Fissò il ragazzo con riconoscenza.
“lo spero” disse infine. Harry le sorrise e tornò ad appoggiarsi sullo schienale.
 
 
Passarono una buona mezz’ora a conversare. Hermione gli spiego diverse cose sulla scuola, dei M.A.G.O. che si sarebbero svolti quell’anno, delle gite ad Hogsmade sotto stretta sorveglianza degli auror e degli insegnanti, ma una cosa lo colpì più di altre: Remus qui insegnava Cura delle Creature Magiche. L’insegnante precedente infatti, era scomparso poco prima dell’inizio dell’anno scolastico e Silente ha chiesto un favore a Remus, che prima insegnava Difesa contro le Arti Oscure. Lui ha accettato, passando la cattedra a Piton e Lumacorno fu assunto per ricoprire l’incarico di professore di Pozioni.
Hermione poi gli ricordò le lezioni che avrebbero affrontato durante la giornata: Incantesimi, Erbologia e Pozioni.
 
Stavano ancora conversando quando studenti dall’aria assonata incominciarono a scendere in sala comune, pronti a dirigersi a fare colazione.
“Be’ sarà meglio che vada a prepararmi” esclamò Hermione.
“Mi sa anche io” rispose Harry.
“Ci incontriamo in sala grande!” disse lei salutandolo con la mano mentre si dirigeva verso i dormitori femminili.
Il ragazzo contraccambiò il saluto avviandosi verso la parte opposta.
 
Risalito le scale notò che i quattro ragazzi che aveva lasciato addormentati sui propri letti, ora erano in piedi intenti a vestirsi con le uniformi della scuola e a caricare gli zaini con i libri delle materie del giorno. Tutti lo salutarono cordialmente.
Ron si diresse verso di lui.
“Hey ciao. Non abbiamo avuto occasione di conoscerci, io sono Ronald Weasley, ma puoi chiamarmi Ron” si presentò ancora mezzo addormentato.
“Ciao, Jake Sullivan”
“Lasciati dire che sei stato grande ieri con Piton amico” disse passandosi la mano tra i capelli.
“Già, me lo dicono in molti.” Osservò Dean e Seamus dietro di lui che lo guardavano con aria colpevole.
Ron notando lo sguardo dei due intervenne:
“Oh loro invece sono Seamus Finnegan e Dean Thomas, mentre lui è Neville Paciock”
“Piacere ragazzi” disse inclinando la testa.
“Bene direi che ora possiamo andare a mangiare! Avrei una certa fame” proferì Ron sfregandosi la pancia con le mani.
“Che novità…” lo denigrarono in coro i tre ragazzi.
Harry non riuscì a trattenere una risata spontanea notando il rossore che pervase le gote e le orecchie del suo migliore amico. 
“Zitti un po'!” rispose Ron agli altri.
Cambiatosi e preparato lo zaino Harry e i quattro ragazzi si diressero verso la sala grande.
 
Hermione li stava aspettando al tavolo dei Grifondoro.
“Buongiorno” salutò felicemente i ragazzi che contraccambiarono.
Ron si sedette affianco a lei, salutandola con un fugace bacio.
“Jake ti unisci a noi?” gli chiese Hermione.
“Vi conoscete?” si intromise un Ronald accigliato.
“Si, abbiamo parlato un po' stamattina. Ha detto che è stato svegliato dal tuo russare” rispose con noncuranza la ragazza.
“Oh!” L’imbarazzo di Ron era tangibile mentre tutti gli altri ragazzi compresi Hermione ridevano. “S-scusa” disse rivolto a Harry con la testa china.
“Non ti preoccupare, un incantesimo silenziante e la questione è risolta” rispose ghignando Harry.
“Allora?” insistette Hermione dopo aver smesso di ridere. Harry era rimasto l’unico ancora in piedi.
“Uhm… si grazie, mi siederò qui” disse accomodandosi di fronte alla coppia. Doveva ammetterlo, era veramente bello vederli insieme.
 
La felicità accumulata scemò pochi minuti dopo.
Harry si stava imburrando la fetta di pane tostato, quando una voce angelica attirò l’attenzione del gruppo.
“Buongiorno a tutti” salutò Ginny andandosi a sedere affianco ad Harry.
“Guarda chi è arrivata” annunciò Dean con fare plateale.
“Oh smettila Dean” rispose come finto rimprovero la rossa.
“Permalosina già di mattina… Eh? Amore
“Può darsi” disse con tono sornione Ginny poco prima di baciarlo.
 
La fetta di pane sfuggì dalle mani di Harry. Gli occhi spalancati mentre guardava i due baciarsi. I battiti accelerarono. No, no, no. NO. NO! Non può essere vero…
Li fissò con un’espressione indecifrabile. Ginny si voltò verso il gruppo notando solo in quel momento il nuovo arrivato. Gli occhi dei due si allacciarono per un lungo istante. Oro fuso contro verde smeraldo. Nessuno dei due parlò. Erano come immobilizzati. Il tempo aveva cessato di scorrere. I rumori delle tavolate scomparvero. Per lui c’erano solo quegli splendidi, luminosi, magnifici occhi dorati.
 
“Ginny… Ginny… GINNY!” disse Dean scuotendo la spalla della ragazza, la quale rinvenne dai suoi pensieri distogliendo lo sguardo dal ragazzo misterioso.
“Che ti è preso?” chiese in un misto di rabbia, preoccupazione e gelosia.
“Niente, niente” tentò di svicolare lei.
“Ginny ti presento Jake Sullivan. Jake lei è Ginny Weasley” intervenne Hermione con una velata nota di malizia nella voce.
Ginny passò lo sguardo da Dean ad Hermione, per poi tornare su Harry.
“Piacere” disse imbarazzata porgendogli la mano.
Harry si ridestò in quel momento.
“Piacere mio, Gin” le sussurrò stringendole la mano.
 
Non aveva mai notato di quanto la mano di lei fosse così calda e levigata, strano come ti accorgi del valore delle piccole cose nel momento in cui le perdi…
Sciolta la presa i due ragazzi si focalizzarono sulla propria colazione in silenzio.
Dean aveva osservato la scena confuso. Hermione sorrideva, mentre beveva il suo succo di zucca. Ron ovviamente non aveva notato nulla di quello che era avvenuto così intento a fagocitare la propria fetta di torta.
 
Harry indugiava sulla fetta imburrata a metà caduta nel piatto. Lei e Dean? Perfetto. L’incubo vissuto durante il suo sesto anno ritornava prepotentemente. Fanculo.
 
La giornata procedette senza particolari intoppi. Il professor Vitious fece un ripasso degli incantesimi metereologici. Durante il pranzo, Harry dovette trattenere gli impulsi omicidi verso Dean che non perdeva occasione di manifestare le proprie effusioni e manie di possesso nei confronti di una imbarazzata Ginny, e l’ora di erbologia la trascorse prevalentemente a riflettere sulla sua missione, sui prossimi pezzi da muovere sulla grande scacchiera. In Pozioni, anche senza il libro regalatogli dal Piton del suo mondo -appartenuto a Severus quando ancora era uno studente di Hogwarts- se l’era cavata molto bene. Era quasi certo di avere stuzzicato la curiosità di Lumacorno a tal punto che non si sarebbe meravigliato di ricevere un invito alle “prestigiose” ed esclusive cene del Lumaclub, che ovviamente avrebbe “cordialmente” declinato.
 
Terminate le lezioni, Harry si diresse verso i giardini. Varcati i monolitici portali di quercia del castello dovette fare i conti con le glaciali raffiche di vento tipiche dell’inverno scozzese. La neve compatta e ruvida, caduta probabilmente pochi giorni prima, scrocchiava sotto i suoi piedi mentre marciava verso il Platano Picchiatore.
Il freddo pungente lo convinse a lanciarsi contro un incantesimo riscaldante per evitare di diventare il-bambino-che-è-sopravvissuto-per-morire-poi-congelato.
 
Inutile dire che il Platano, appena Harry gli fu sufficientemente vicino, tentò di tranciarlo con i propri rami. “Pietrificus Totalus”. L’incantesimo immobilizzò l’albero all’istante, permettendo ad Harry di infilarsi con facilità nell’insenatura del tronco e da lì percorrere l’angusto passaggio verso la Stamberga Strillante.
 
Giunto al fatiscente casolare trasfigurò la sua divisa studentesca in abiti più consoni al mondo esterno e le proprie sembianze così da non correre rischi di essere riconosciuto. Invecchiato, con capelli biondo cenere, gli occhi azzurri e una folta barba si smaterializzò.
 
 
Una giovane coppia si affrettava a rincasare il prima possibile. Il sole stava per tramontare e non era sicuro stare fuori con il buio. Negli ultimi anni le strade di Londra non erano più sicure di notte. La gente parlava di losche figure con lunghe vesti nere che terrorizzavano, uccidevano e rapivano i poveri cittadini con il favore delle tenebre. Le autorità non riuscivano a contrastarli. Il sindaco era incapace di intervenire. La capitale e la nazione tutta erano pervase dal terrore.
 
I due riuscirono finalmente a rientrare nel loro appartamento. Agitati e preoccupati com’erano non si accorsero minimamente dell’uomo che comparì in quell’istante dal lato opposto della piazza, proprio difronte a quel curioso errore di numerazione tra la palazzina numero 11 e 13.
 
Giunto a Grimmauld Place, Harry si guardò attorno in cerca di segnali di pericolo. Non sentì nulla a parte il traffico in lontananza e le spoglie chiome degli alberi smosse dal vento. Osservò i palazzi ordinariamente babbani di fronte a sé.
“La nobile dimora dei Black si trova al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.” pensò ripetutamente tentando di proiettare mentalmente l’immagine della casa.
 
Non ci volle molto prima che la austera casa gli apparve davanti agli occhi. Estrasse la bacchetta varcando il cancello. Era venuto lì con l’intenzione di prendere il medaglione. O almeno ci sperava. Come sperava di non incappare in grandi complicazioni nel mentre.
Si appostò davanti alla porta d’ingresso. Nera come la pece, priva di buca per le lettere e con un battente d’argento a forma di serpente attorcigliato.
 
Harry sfiorò con la bacchetta la porta in cerca di eventuali incantesimi di protezione, trappole o allarmi. Dopo aver effettuato le proprie verifiche, e constatato l’assenza di dispositivi di sicurezza, aprì silenziosamente la porta. L’interno era buio e solenne allo stesso tempo. Qualcosa non andava. Aveva abitato quel posto per diverso tempo e poteva dire di conoscerlo abbastanza bene. Si ricorda perfettamente come nonostante le grandi e disperate opere di pulizie perpetuate da lui e i suoi amici nel corso del tempo, quella casa aveva mantenuto ostinatamente una parvenza di casolare abbandonato da secoli. Come se non fosse realmente abitato.
 
L’odore. L’odore era la cosa che meglio ricordava. L’odore di polvere, di muffa, di stantio. Un odore pungente e persistente che lui riconduceva alla sua infanzia. Ai suoi undici anni passati nel ripostiglio del sottoscala a Privet Drive. Probabilmente per questo non aveva mai particolarmente sopportato questo posto.
 
Ma ora… ora era diverso. Non percepiva quel odore vischioso. Pur immerso nel buio poteva intravedere come la carta da parati del corridoio non fosse consunta e sbiadita dal tempo, ma tutto l’opposto.
“Visibula Noctambulus” pronunciò Harry mentalmente. L’incantesimo non verbale gli permise di vedere il lungo corridoio attraverso il buio con facilità. Era tutto così ordinato e pulito.
 
Harry si rivolse contro la bacchetta lanciando un incantesimo di disillusione e uno silenziante, così da non poter essere né visto e né udito.
Non era sicuro che il medaglione si trovasse in quella casa, ma doveva comunque procedere con cautela e controllare.
 
Avanzò cautamente lungo il corridoio superando il quadro ritraente una dormiente Walburga Black, la madre di Sirius, non accortasi dell’intruso.
Poteva benissimo lanciare un Homenum Revelio per avere la certezza di non avere compagnia, ma conscio di come l’incantesimo avrebbe rivelato non solo la presenza di altri eventuali occupanti, ma anche la propria, decise che fosse meglio procedere alla vecchia maniera, perlustrando l’ambiente in prima persona.
 
Ma dove sarà Kreacher? Si domandava il ragazzo mentre giungeva alla rampa di scale in fondo al corridoio. Tum. Tum. Tum. Harry si fermò di colpo, bacchetta spianata pronta al minimo cenno del polso. Il rumore di passi giungeva sordo all’orecchio di Harry. Tum. Tum. Tum. Una cosa era certa: non era solo. Si guardò attorno. Sembrava che il rumore provenisse dai piani superiori. Sicuro di non poter essere individuato, Harry prese a salire cautamente le scale. Le teste dei defunti elfi domestici dei Black troneggiavano come lugubri ombre sulle pareti. Tum. Tum.
 
Gradino dopo gradino cresceva la consapevolezza che quei passi non potevano appartenere a Kreacher, ma ad un umano, ed anche piuttosto robusto a giudicare dalla loro pesantezza. Tum. TUM. TUM. Una porta si spalancò improvvisamente, irradiando di luce le scale e il salotto del primo piano. Harry levò l’incantesimo per la vista notturna per non rimanere accecato. Gli ci volle qualche istante per rifocalizzare l’ambiente circostante e soprattutto l’uomo che aveva appena fatto la sua comparsa.
 
Era alto, con lunghi capelli mossi e scurissimi, ammantato in una pesante cappa nera. Non si accorse del ragazzo sulle scale. Sembrava che avesse fretta. Harry rimase a fissare quello stranamente famigliare individuo. Gli ricordava tremendamente il suo padrino. La somiglianza era disarmante, ma non era Sirius. Il naso era più pronunciato e gli occhi più distanziati. No, non era Sirius. Ma chi diamine era allora?
 
“Kreacher!” tuonò l’uomo. Il vecchio e malandato elfo domestico apparì pochi istanti più tardi.
“Il padron Regulus ha chiamato Kreacher signore?” chiese prostrandosi umilmente.
“Sì, il Signore Oscuro esige la mia presenza per un incarico importante. Non tornerò prima di due giorni. Tu occupati della casa in mia assenza” disse imperativo.
“Sarà un piacere padron Regulus, Kreacher vive per servire la nobile casata dei Black!”
“Ah, consegna questa a Lucius. Digli di provarla su quella feccia di prigionieri sangue-sporco se si ostinano ancora a non collaborare”. Sogghignò malignamente estraendo una fiala contenente un liquido denso e violaceo e porgendola all’elfo.
“Come desidera, padrone” rispose orgogliosamente.
“Ora levati dai piedi!”
“Si padron Regulus, immediatamente” si affrettò a dire l’elfo per poi smaterializzarsi.
 
Harry assistette alla scena sconcertato. Era Regulus quindi… Regulus Arcturus Black. Fratello di Sirius, ex seguace pentito di Voldemort. Era stato lui a sostituire il medaglione di Salazar Serpeverde custodito in quella fottuta ed oscura grotta maledetta, perdendo per giunta la vita nell’impresa.
 
Ora le cose si complicavano. Il Regulus Black che stava osservando in quel momento non dava l’idea di essere né morto, né pentito, ed era un problema.
Harry dovette pensare in fretta al da farsi. Fra poco il mangiamorte se ne sarebbe andato in missione per conto di Voldemort. La sua mancanza avrebbe destato sospetti in Tom e questa era l’ultima cosa che Harry desiderava, quindi schiantarlo non era fattibile. Il ragazzo vide Regulus dirigersi verso il camino e prendere una manciata di polvere da un secchio li vicino. Tra pochi secondi si sarebbe volatilizzato nel nulla. Harry quindi risalì gli ultimi gradini, e coprendo velocemente la distanza tra il camino e il pianerottolo, arrivò a pochi passi dall’uomo puntandogli contro la bacchetta.
 
Regulus, ignaro di essere sotto tiro dal ragazzo celato dietro gli incantesimi di camuffamento, entrò nel camino scandendo il nome della sua destinazione. “RIDDLE MANOR”. Le tipiche fiamme verdi vorticanti lo avvolsero e in un baleno l’uomo scomparve.
 
Harry mantenne la bacchetta protesa verso il camino ormai vuoto. Lo aveva lasciato andare.
 
Passò la restante mezz’ora nell’ormai improbabile ricerca del medaglione nella casa.
Di sicuro le tracce di magia oscura non mancavano. Harry venne diverse volte sviato dalla firma magica di alcuni oggetti sconosciuti pregni di magia nera che confuse per quella dell’Horcrux. Ma del medaglione nulla.
 
L’ultima stanza che volle controllare fu quella del suo padrino all’ultimo piano. Aperto la porta, ciò che gli si presentò davanti fu uno spettacolo orribile. Ogni singolo centimetro quadrato della camera era rivestito da uno strato di materia carbonizzata. Dei mobili, del letto, delle tende non rimanevano altro che un cumolo indistinto di ruderi e cenere. L’aria era asfissiante così pregna di fuliggine com’era.
Qualcuno aveva dato alle fiamme la stanza di Sirius. Probabilmente la madre o il fratello o persino quella pazza squilibrata di Bellatrix, chi lo sa?
 
Harry si richiuse la porta alle spalle con rammarico e rabbia. Maledetti bastardi.
Uscì dalla casa prima che Kreacher tornasse, smaterializzandosi una volta giunto al marciapiede.
 
Ritornò alla Stamberga Strillante deluso dai recenti avvenimenti. Non aveva trovato il medaglione e purtroppo questo significava una cosa sola: doveva trovarsi ancora nella grotta. Si tolse gli incantesimi di disillusione e assunse le sue solite sembianze per poi dirigersi al castello.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Abbiamo un Cercatore ***


 
CAPITOLO VI
 
Il giorno successivo Harry si svegliò ancora in preda agli incubi, e si convinse che avrebbe fatto meglio a chiedere a Madama Chips quella benedetta pozione sonno-senza-sogni. Gli incubi notturni, in aggiunta allo stress frutto degli ultimi avvenimenti, lo stavano consumando molto più del previsto, non sul livello fisico, ma bensì sul piano mentale. Si sforzava e sforzava ma in queste condizioni non riusciva a venire a capo dei propri quesiti: dove è quella grotta? Come faccio a prendere il medaglione senza rimanere debilitato dalla pozione in cui è immerso?
 
Scrutava nei suoi ricordi qualche indizio, un aiuto a cui aggrapparsi, ma niente. Si era smaterializzato con Silente direttamente davanti a quell’alta scogliera. Ricordava il mare irrequieto. Ricordava il freddo, il vento, la schiuma sfrigolante delle onde… ma nessun appiglio a cui aggrapparsi per poter individuare l’esatta ubicazione della caverna.
 
Dalla frustrazione scagliò un calcio ad un sasso che ebbe lo sfortunato destino di incappare sul suo percorso. Il sasso rimbalzò sulla parete e roteò nel bel mezzo del corridoio. Harry ne seguì la traiettoria fin quando la sua attenzione non cadde su un gargoyle lapideo che lo scrutava dall’estremità opposta dell’androne.
“Forse e dico forse… il vecchio potrebbe darmi una mano per questa volta” di disse il ragazzo, dirigendosi verso la statua.
“Quale sarà la stramaledetta parola d’ordine… Api frizzole!” tentò senza avere risultati. “Gomme bolle bollenti!” ancora nulla. “Oh andiamo… Pallotti cioccocremosi! Bignè alla crema! Pallini acidi! Zuccotti di zucca!” ritentò disperatamente, ma il Gargoyle non sembrava intenzionato a schiodarsi dal suo posto.
“Stammi a sentire stupido, inutile, orripilante Gargoyle. Ora tu ti levi dai coglioni e mi fai passare se no giuro su Godric che ti disintegro seduta stante. Chiaro?!?” tuonò spazientito Harry afferrando la bacchetta.
 
Il giovane grifondoro stava lanciare un Reducto di tale potenza che lo avrebbero avvertito dalla dannata Hogsmade, quando una voce autoritaria parlò:
“Sig. Sullivan, le sarei grata se ora abbassasse la bacchetta e si desse una calmata”
Harry volse il capo verso la professoressa McGranitt, che si era palesata alle sue spalle.
“Professoressa McGranitt buongiorno… ehm mi scusi ma dovrei urgentemente parlare con il signor Preside per una questione molto importante”
“E quale sarebbe questa questione molto importante?”
“Non vorrei risultare scortese professoressa ma è una faccenda privata tra me e il preside”
La McGranitt lo perforò attraverso le sue iridi color smeraldo, per poi annuire severa e pronunciare la parola d’ordine.
Con un banale “budino al cioccolato” il gargoyle saltò di lato rivelando la scala a chiocciola retrostante.
“Molto bene sig. Sullivan, buona fortuna per la sua questione molto urgente con il preside”
“La ringrazio molto professoressa” le rispose mentre imboccava la scala.
Bussò tre volte prima di entrare nell’ufficio. Silente lo attendeva al di là della scrivania.
 
“Harry che piacere, accomodati pure”
“Salve professore”
“Non credo sia una visita di cortesia la tua Harry, quindi dimmi: come posso esserti d’aiuto?” disse Silente sorridendo.
“Bene andrò dritto al punto, il medaglione di Salazar Serpeverde… ha presente?” chiese Harry sedendosi sbrigativamente davanti al preside.
“Certamente, è uno degli horcrux di cui mi avevi parlato”
“Esatto. Ora le dovrò raccontare una breve storia sig. Preside, quindi se ha la pazienza di ascoltarla gliene sarei grato”
“Nessun problema ragazzo, prego inizia pure” lo spronò cordialmente Silente.
Harry allora si protese verso la scrivania, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e congiungendo le mani.

“Le avevo già detto di come la sua controparte mi ha addestrato al combattimento e di come mi ha affidato la missione di trovare e distruggere gli Horcrux. Il tutto è incominciato alla fine del mio quinto anno ad Hogwarts, in cui lei mi svelò l’esistenza della profezia e degli Horcrux, rivelandomi delle sue ricerche attraverso i ricordi di persone che erano entrate in contatto con Riddle per scoprire dove potessero essere nascosti e quali fossero. Lei scoprì l’ubicazione del medaglione l’anno successivo. Era in una grotta, inaccessibile via terra per i babbani. Tom, quando era lì in gita con gli altri bambini dell’orfanotrofio da piccolo, portò alcuni di questi all’interno della caverna spaventandoli a morte.
Credo abbia scelto quel luogo significativo per nascondere uno dei suoi preziosissimi Horcrux, perché è stato lì che per la prima volta ebbe un assaggio del potere e della paura che poteva infondere negli altri” fece una pausa per vedere se Silente lo stesse seguendo. “Lei mi condusse tramite smaterializzazione congiunta nella caverna. Affrontammo le diverse difese poste da Tom per proteggere il medaglione.
Un’offerta di sangue, un lago oscuro stracolmo di fottutissimi inferi, e ultima ma non ultima, una versione perfezionata da Voldemort stesso della pozione della disperazione nella quale era immerso il medaglione. Inutile dire che per prendere il medaglione eri obbligato a bere per intero la pozione.” Lo sguardo del preside si incupì d’un tratto.
“Lei sì offrì di berla al posto mio non accettando repliche a riguardo” continuò Harry con una forte nota di rammarico nella voce “e questo la debilitò notevolmente. Diciamo che è uno dei motivi che portarono alla sua morte; infatti quando tornammo al castello scoprimmo che i mangiamorte erano riusciti ad entrare…” Silente lo stava ora fissando con un velo di terrore, ma Harry proseguì imperterrito “giungemmo alla torre di astronomia… ma loro stavano arrivando e… lei mi immobilizzò e mi nascose appena in tempo. Per questa distrazione venne disarmato da… Draco Malfoy. Malfoy fu quello che fece entrare i mangiamorte nel castello, Malfoy fu quello incaricato da Riddle di ucciderla… ma non ci riuscì, perché Malfoy non era un assassino. Ma lei lo sapeva. Lei dopotutto aveva già conosciuto un altro ragazzo che fece tutte le scelte sbagliate possibili non è vero? Voleva evitare che Draco Malfoy commettesse gli stessi errori e si macchiasse di questo crimine. Fu Piton ad ucciderla quella notte… Piton la uccise sotto suo ordine, per sua volontà”
Silente sprofondò nella sedia avvilito.

“Sfortunatamente, il medaglione che prelevammo quella sera dalla caverna era un falso.” Harry vide lo stupore negli occhi del preside. “Curioso il destino vero? Scoprii più avanti che Regulus Black, tradendo Voldemort, aveva sostituito il medaglione e morì in quella caverna. Poco prima di morire però, riuscì a consegnare al suo elfo domestico Kreacher l’horcrux, ordinandogli di distruggerlo in qualche modo. L’elfo obbedì. Lo portò a Grimmauld Place, ma nonostante tutti i suoi tentativi non riuscì nell’impresa.”
Harry diede il tempo al preside di metabolizzare le informazioni appena ricevute.
“Ed è lì che mi sono diretto ieri sera. Pensavo di trovare il medaglione e Kreacher, ma ho trovato Regulus e nessuna traccia dell’horcrux nella casa. Ed è qui il problema, perché se il medaglione non c’era e Regulus è ancora vivo, allora significa che è ancora nella caverna, ma io non ho la minima idea di dove essa possa trovarsi con esattezza e speravo che lei potesse dirmi qualcosa a riguardo”
Concluso il racconto tra i due calò il silenzio. Gli ingranaggi nella testa di Silente lavorarono febbrilmente per assimilare tutto ciò che Harry gli aveva appena rivelato. Si portò stancamente la mano sulla fronte prima di prendere la parola.
“Dunque…” sospirò il vecchio professore “innanzi tutto mi fa piacere di essere morto per una nobile causa” disse sorridendo flebilmente “purtroppo per la caverna non so dirti nulla. Non sapevo neanche della sua esistenza, mi dispiace ragazzo”.
 
La delusione si fece strada nel cuore del ragazzo che si alzò in piedi camminando da un lato all’altro dell’ufficio. Silente pareva veramente mortificato per non essere stato d’aiuto per Harry mentre lo guardava passargli avanti e indietro con la mano che passava ripetutamente tra i capelli scompigliati. In una copia fedele di James Potter quando era stressato, si ritrovo a pensare il professore.
 
Il ragazzo si fermò di colpò osservando deciso negli occhi Silente.
“Mi servirebbe il suo pensatoio” esordì imperativamente.
“Nessun problema ragazzo, prego faccia pure” disse confuso l’anziano preside facendo lievitare il bacile di pietra in mezzo ai due. Harry si fermò a contemplare la sostanza argentea e luminescente, né liquida né gassosa, vorticare placidamente nel contenitore. Successivamente, con la bacchetta estrasse una filamentosa striscia di luce argentea dalla sua tempia e la depose nel bacile. “Questi sono i miei ricordi della caverna signore, la prego di visionarli e aiutarmi a trovare la sua posizione.”
 
Silente si alzò dalla scrivania e raggiunse lentamente Harry davanti al pensatoio,
posando lo sguardo sul filamento luminoso che piano piano si andava ad amalgamare nel bacile. Poi sorridendo ad Harry gli rispose: “certamente Harry, credo che li visionerò immediatamente.”
“La ringrazio, le dispiace se vengo con lei? Forse potrei notare io stesso particolari che mi sono sfuggiti”
“Dispiacermi?” chiese ridacchiando Silente “mio caro ragazzo, sono i tuoi ricordi questi; io non sono altro che un ospite.”
Harry gli sorrise timidamente. “Quando vuoi” lo invitò il preside.
 
Immersero la testa nel bacile in contemporanea. L’ufficio del preside sparì vorticosamente sostituito da un mare tempestoso e da un’alta, minacciosa scogliera grigiastra. Davanti a loro, posizionati su uno scoglio al riparo dalle onde furenti, c’erano le loro controparti che visionavano l’inquietante e oscura insenatura davanti a loro.
 
Harry tentò di concentrarsi alla ricerca di ogni particolare di quel posto, non solo visivo, ma anche olfattivo e uditivo. Qualsiasi cosa. Poi il ricordo mutò ripercorrendo tutti i fatti avvenuti all’interno della caverna. Gli si strinse il cuore nel vedere il ricordo di Silente soffrire in balia di atroci visioni, mentre Harry gli faceva ingurgitare quella che poteva apparire come semplice acqua cristallina.
Il ricordo terminò con loro che si smaterializzavano al di fuori di quel luogo infernale.
 
Riemersi dal bacile, Silente sembrava al quanto scosso. Harry che lo osservava. Non si era ancora abituato a questo nuovo Silente, molto diverso dal potente e autorevole mago che quasi venerava nei suoi primi anni di scuola. Questo Silente era senza dubbio… più umano.
 
Il preside si andò ad appoggiare alla scrivania turbato dai suoi pensieri.
“Grazie Harry” proferì infine. Notando l’espressione corrugata di Harry, si prestò ad aggiungere: “grazie per avermi mostrato questi ricordi e di esserti aperto con me su questa faccenda.” Disse sorridendo. “Ora, per quanto riguarda la caverna, penso di aver riconosciuto quelle scogliere”.
 
Harry spalancò gli occhi incredulo. “Davvero? Dove sono?”
“Sono quasi certo si trattino delle alte scogliere di Moher” rispose annuendo convinto il vecchio mago.
“Scogliere di Moher…” rispose incerto Harry. “Non le conosco”
“Sono situate nella costa occidentale del Clare, in Irlanda. La leggenda narra che nel castello di Doonagore, che sorge a picco sul mare, abbia trovato dimora un potente stregone oscuro, Cathal Murchadh, conosciuto in particolar modo come l’inventore della pozione della disperazione.”
 
Il respiro del ragazzo cessò per un istante. “Non può essere una coincidenza” sussurrò appena.
“Sono d’accordo” rispose Silente.
“Almeno ora abbiamo un’idea di dove possa essere la caverna.”
“Probabilmente. Anche se i nostri problemi non sono finiti qui”
Il giovane e il vecchio si scrutarono negli occhi consapevoli di questo fatto.
“Già… quella maledetta pozione.” Esclamò Harry. “Bisogna assumerla in qualsiasi caso se voglio prendere il medaglione.”
“Sempre se non vengo con te, riprendendo la stessa strategia del mio omonimo”
“Ahahahah” rise asetticamente il prescelto “Non se ne parla. È fuori discussione!”
“Harry…” disse sospirando.
“No! Non può chiedermi questo” sputò il ragazzo.
 
Silente scosse la testa combattuto.
“Allora potrei chiedere a Lumacorno e Piton di lavorare su un antidoto, così da riuscire almeno a contenere gli effetti e non deliberarti troppo.”
Harry sollevò il capo alla proposta del preside. Era sensato.
“Potrebbe essere utile” gli rispose pensieroso.
“Molto bene. Riferirò ai due professori di quest’incarico, ovviamente non rivelandogli nulla della tua missione” concluse Silente.
“Perfetto” annuì il ragazzo.
“Ora credo che tu abbia una lezione ora, no? Se ricordo bene con il professor Lupin” disse con un cenno di intesa il professore.
 
Harry sobbalzò. Aveva completamente trascurato le lezioni quella mattinata dimenticando che avrebbe avuto Cura delle Creature Magiche con Remus. Un misto di gioia e terrore crebbe nello stomaco al pensiero.
“Già, sarà meglio che vada” rispose titubante salutando Silente e dirigendosi all’uscita. Poco prima di giungere alla porta però, si voltò di nuovo verso il professore tornando sui suoi passi. Il pensatoio galleggiava ancora in mezzo all’ufficio. Harry lo raggiunse inserendogli dentro un altro ricordo che si estrasse sul momento. Silente lo fissò con curiosità.
“Stavo pensando che lei dovrebbe avere il diritto di sapere tutte le circostanze che portarono alla sua morte, così da non commettere gli stessi errori… Non è obbligato a saperle, quindi può tranquillamente buttare quei ricordi, ma in un qualche modo io glielo dovevo. Tutto qua.” Disse Harry uscendo definitivamente dall’ufficio di Silente.
Quest’ultimo lo guardò chiudersi la porta alle spalle, poi fissò il pensatoio dubbioso. Poco dopo si immerse nell’argento vorticoso.
 
 
“Buongiorno ragazzi” esordì Lupin mentre si posizionava davanti al gruppo di studenti che si erano radunati a pochi passi dalla capanna di Hagrid.
Harry si accodò appena in tempo per l’inizio della lezione. Remus notò immediatamente il nuovo arrivato e gli sorrise calorosamente facendo riscaldare il cuore al ragazzo.
“Allora” iniziò a parlare l’uomo sfregandosi le mani “ho saputo che il professor Vitious vi ha fatto fare un bel ripasso sugli incantesimi metereologici ieri, corretto?” chiese sorridendo. Il gruppo annuì timidamente. “Perfetto, perché oggi studieremo una bestia molto rara proveniente dal nord America, il Thunderbird!” disse elettrizzato.
I ragazzi mormorarono trepidanti e sopresi. “Qualcuno mi sa dire qualcosa su questo fantastico animale?” chiese incoraggiante Remus.
 
Hermione, inutile dirlo, fece scattare la sua mano tesa verso il cielo nuvoloso.
“Signorina Granger, prego” la esortò indicandola col dito.
“Il Thunderbird, noto come tuono alato, è un rapace magico di grandi dimensioni originario delle regioni desertiche dell’Arizona. Possiede la capacità di prevedere situazioni di pericolo imminenti e di creare vere e proprie tempeste con le proprie ali mentre è in volo.”
“Eccellente, 10 punti al Grifondoro!” disse raggiante il professore. “Si dà il caso che alcuni funzionari del ministero ci abbiano affidato in cura uno bellissimo esemplare femmina” continuò indicando un punto indefinito dietro la capanna del guardiacaccia da cui spuntò Hagrid che teneva al “guinzaglio” una maestosa aquila dorata con sei paia di ali e due code che si librava in aria a pochi metri dal suolo.
 
Tutti rimasero ammaliati e attoniti, compreso Harry, alla visione di tanto splendore.
Fu una delle lezioni di Cura delle Creature Magiche più belle che il ragazzo si ricordava, e fu veramente orgoglioso di constatare come Remus fosse veramente portato per l’insegnamento e di come fosse così tanto amato dai suoi studenti.
 
Durante la lezione il professore non mancò di lanciare diverse occhiate curiose in direzione del ragazzo, che gli rispondeva con sorrisi impacciati.
Remus più osservava quel Sullivan, più rivedeva il suo miglior amico Ramoso. “Curiosa coincidenza. Davvero curiosa” pensò Lupin.
 
“Altro che quello stupido di Errol, voglio un Tuono Alato come gufo, immagina che figata!” esclamò Ron mentre lui ed Hermione si dirigevano verso la Sala Grande per il pranzo.
“Non dire sciocchezze Ronald! Non hai sentito Lupin? È una specie a rischio d’estinzione per colpa del bracconaggio. E poi voglio proprio vederti tenere quel bestione all’interno di una gabbia o meglio ancora vederlo riuscire anche solo ad entrare dalle finestre per consegnare la posta…” lo denigrò affettuosamente Hermione.
“Hey, lui non ha bisogno di finestre… le abbatte con un fulmine e il gioco è fatto”
“Che stupido” rispose la ragazza ridendo e negando con la testa.
 
Sullivan stava osservando raggiante il loro battibecco pochi passi più indietro. “Mi siete mancati ragazzi” pensò mentre seguiva la comitiva in Sala Grande.
 
Ad attenderli al tavolo, c’era una furente ragazza dalla chioma rosso fuoco.
“Ciao Ginny! Tutto bene?” le chiese Hermione sedendosi con Ron al suo fianco.
“Oh magnificamente!” rispose ironica con un tono più acuto del normale.
Harry, che si sedette non tanto distante, conosceva bene Ginny da sapere con certezza una cosa: guai in vista.
“Sicura? Sembra che manchi poco a che ti esca il fumo dalle orecchie” infierì Hermione che ricevette in cambio un’occhiata adirata dalla giovane Weasley.
“Molto divertente” sbuffò Ginny.
“Su avanti, dicci cosa è successo” la esortò paziente Hermione mentre caricava il piatto di gustose prelibatezze.
“Succede che siamo nei casini!” disse la rossa allargando le braccia in segno di disperazione.
“Che casini?” chiesero in coro Ron ed Hermione.
“Jimmy Peakes ha lasciato la squadra!” ruggì Ginny.
“Cosa?!? Per quale motivo?” chiese sbalordito Ron.
“Dice che si deve concentrare sui M.A.G.O quest’anno.”
“Ma… ma… non può farlo! Non a metà campionato!” incominciò a scaldarsi Ron battendo con foga il pugno sul tavolo.
“A quanto pare può farlo…” sibilò la sorella.
“Non c’è nessuno con cui sostituirlo?” osò chiedere ragionevolmente Hermione.
“Non conosco nessun cacciatore decente che possa andarlo a sostituire.”
“Tu sei brava come cacciatrice!” intervenne Ronald.
“E con questo? Potrei sostituirlo io ma dopo mi servirebbe un cercatore, che sono ancora più difficili da trovare. E la settimana prossima abbiamo la partita con i corvonero e la Chang come cercatrice avversaria; ci tenevo tanto a vincere questo campionato come capitano ma se perderemo… i Serpeverde ci supereranno con il punteggio” rispose Ginny rassegnata infilzando con violenza la bistecca.
“Io lo uccido!” disse schiumando di rabbia Ron.
“No tu non uccidi nessuno Ronald. È più che comprensibile che voglia concentrarsi sullo studio” tentò di placarlo Hermione.
“Il Quidditch è più importante” bisbiglio rosso in viso Ron.
 
Harry aveva origliato in disparte a tutta la conversazione non rimanendo poi così tanto sorpreso dallo scoprire Ginny capitano della squadra di Grifondoro. Vedendo però la tristezza, la rabbia e la delusione nei volti della ragazza e del suo migliore amico, non riuscì a trattenersi:
 
“Potrei darvi una mano io se volete” si offrì titubante.
I tre ragazzi si voltarono in contemporanea verso di lui. Ginny arrossì lievemente accorgendosi solo ora della sua presenza. Mentre Ron lo stava analizzando con curiosità.
“Tu giochi a Quidditch Jake?” chiese quest’ultimo interessato.
“Me la cavo” rispose Harry con nonchalance.
“In che ruolo giochi?” insistette il rosso.
“Io sono un cercatore” gli rispose sorridendo.
“Sentito Ginny? Un cercatore! Abbiamo la soluzione!” si rivolse sinceramente entusiasta verso la sorella.
 
La più piccola di casa Weasley osservò attentamente Sullivan, sprofondando inevitabilmente in quelle iridi smeraldo che sembravano emanare luce propria.
“Oggi alle cinque ci sarà l’allenamento… presentati e vedremo cosa sai fare” gli disse pragmatica.
Harry le sorrise teneramente. “Ci sarò. Capitano”.
I due si guardarono per qualche secondo per poi tornare a concentrarsi sul proprio pranzo.
 
 
Harry si presentò al campo di Quidditch con largo anticipo deciso a testare una delle vecchie Comet 180 della scuola. Gli sembrava di volare attraverso la melassa da quanto pareva lenta rispetto alla sua amata Firebolt. La manovrabilità non era male, teneva piuttosto bene durante le imbardate ed aveva un angolo di cabrata alquanto ridotto, purtroppo peccava in velocità che per un cercatore era fondamentale.
 
Ben presto però, le sue analisi critiche sul mezzo sfumarono verso una genuina spensieratezza che solo il volo poteva offrirgli. Il vento tra i capelli, il silenzio, la sensazione di leggerezza, la vista delle cime innevate e del lago ghiacciato. Si era dimenticato di quanto fosse meraviglioso volare, di come tutte le sue preoccupazioni rimanessero a terra distanti mentre lui si vibrava in aria, sempre più un alto, sempre più libero.
Dopo una buona mezz’ora trascorsa sulla sua non tanto prestante Comet 180, avvistò delle macchie rosso-oro in lontananza che si dirigevano verso il campo.
Scese allora di quota atterrando delicatamente sull’erba umida.
Una chioma rossa guidava la testa del gruppo a passo spedito.
“Jake! Sei già qui bene” esclamò Ginny.
“Ragazzi forse alcuni di voi conosceranno già Jake Sullivan, sapete tutti che Peakes ci ha abbandonati, quindi Jake si è gentilmente proposto come rimpiazzo nel ruolo di cercatore.” Tutta la squadra fissò Harry tra sguardi indagatori e sopresi, tranne Ron che pareva più che altro fiducioso, e Dean che al contrario sembrava al quanto infastidito dalla notizia.
“Ovviamente Jake deve ancora dimostrare di essere degno o meno di entrare nella squadra, quindi oggi ci darà una prova delle sue capacità” concluse Ginny.
 
La squadra annui andandosi prima a cambiare e poi iniziare il riscaldamento in campo.
“Dunque Jake…” disse il capitano apparendo alle spalle di Harry e battendogli un colpo sulla spalla “sei pronto?”.
 
Il ragazzo le rispose con un ghigno: “sono nato pronto!”
“Risposta giusta” disse Ginny sorridente “Ora libero il boccino, vediamo in quanto tempo riesci ad acciuffarlo, o per lo meno… avvistarlo” gli ammiccò.
 
Harry ci mise poco meno di due minuti a catturare il boccino la prima volta. E neanche uno la seconda. Nonostante la scopa malandata stava uscendo, grazie al suo talento, una prestazione più che soddisfacente.
I ragazzi contemplavano in silenzio lo stile aggraziato e cristallino con cui Sullivan si librava in aria alla ricerca della fuggevole sfera dorata.
È perfetto…” si ritrovò a pensare Ginny mentre guardava Jake compiere un giro della morte privo di sbavature.
Quando catturò per la quarta volta il boccino, Harry fu richiamato a terra.
“Credo non ci siano dubbi, fai ufficialmente parte della squadra” disse soddisfatta il capitano con una nota di sollievo nella voce.
 
Il ragazzo la ringrazio calorosamente prima di essere assalito dai suoi nuovi compagni euforici compagni di squadra. “La coppa è già nostra!” esclamò Ron complimentandosi con un abbraccio. Appena Harry riuscì a riemergere dalla calca di ragazzi, si accorse che sugli spalti Hermione gli stava applaudendo sorridente, assieme a Neville e Luna. Le rispose con un cenno della mano prima che tutti quanti riprendessero affiatati l’allenamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Grifondoro VS Corvonero ***


CAPITOLO VII
 
Dopo che dei perplessi Piton e Lumacorno acconsentirono a provvedere all’antidoto per la pozione della disperazione, stimarono una settimana di tempo per distillarlo; Silente provvide a riferirlo ad Harry.
“Non possiamo fare altro che aspettare ragazzo” disse il preside al ragazzo mentre passeggiavano in uno degli splendidi chiostri del castello.
“Purtroppo…” rispose pensieroso Harry.
“Ho visionato i tuoi ricordi riguardanti la mia morte…”  disse Silente soffermandosi ad osservare alcune delle candide rose che crescevano nel chiostro.
Il giovane grifondoro alzò lo sguardo mortificato sul preside.
“Devo dire che non ne sono rimasto sorpreso” continuò “è molto plausibile che l’altro me possa essere stato tentato dalla pietra per rivedere mia sorella, io avrei commesso la stessa leggerezza” disse con un velo di malinconia, voltandosi verso Harry sorridendo tristemente.
“Sono stanco Harry, stanco di questa guerra e di vedere soffrire così tanti innocenti… come Ariana. Ricevo ogni giorno brutte notizie sulla scomparsa di persone di mia conoscenza, di miei ex studenti che ho visto crescere tra queste mura… e questo da ormai venti anni. La verità è che stiamo perdendo la guerra Harry, e i miei sforzi sembrano vani, e la lista dei rimpianti si allunga sempre di più.
Ma poi sei arrivato tu, e con te una flebile, accennata speranza di vittoria. Non potrei essertene più grato Harry, davvero… Grazie. Grazie di avere dato speranza a questo povero vecchio.”
 
Le parole sembravano essersi rintanate nel più nascosto anfratto della gola di Harry, e non accennavano a uscirne. Così il ragazzo rimase lì, con un’espressione confusa sul volto, senza proferire parola scosso dalle parole del preside.
Non fu necessario aggiungere altro poiché Silente, dopo avergli elargito un dolce e stanco sorriso, si allontanò scomparendo dietro ad un colonnato.
 
 
Il weekend arrivò alquanto velocemente. Harry trascorse i giorni tra lezioni e allenamenti non potendo fare altro che attendere il momento in cui la pozione sarebbe stata pronta. Quel pomeriggio ci sarebbe stata la partita, Grifondoro contro Corvonero. Si stava dirigendo verso la Sala Grande per la colazione, fuori i fiocchi di neve cadevano formando eleganti arabeschi smossi dal vento, quando incontrò Luna che saltellava per i corridoi. Indossava degli strani orecchini che emanavano una luce di un rosa acceso, e sembrava intenta a cercare qualcosa.
“Ciao Jake.” Lo salutò con il suo tipico tono da sognatrice quando la vide.
“Io mi chiamo Luna Lovegood, sono un’amica di Ginny.”
“Ciao Luna è un piacere conoscerti.” rispose educatamente Harry.
“Ginny mi ha parlato molto di te sai?”
Harry non poté che sorridere imbarazzato a quell’affermazione.
“Ah, davvero?” chiese grattandosi la nuca.
“Già già, dice che sei carino. E sei bravo a Quidditch.” Rispose rivolgendo il suo sguardo trasognato fuori dalla finestra.
 
La sincerità e la spontaneità di Luna lo aveva sempre, come dire, inquietato. Ma aveva incominciato ad apprezzare questa particolarità della ragazza, unito al fatto che era incredibilmente intelligente certo. Ci mise un po' a registrare quelle parole.
“Ginny mi trova carino?” ripeté Harry incuriosito.
“Mh-mh” rispose Luna senza distogliere lo sguardo dal paesaggio fuori le vetrate.
“Probabilmente si sarà imbattuta in qualche nargillo” rispose ironico Harry.
 
Luna si girò verso di lui scrutandolo con i suoi grandi occhi azzurri, per poi distendere le labbra in un dolce sorriso.
“Tu sai dei nargilli?” chiese sinceramente felice Luna.
“Oh certamente, ne vedo parecchi qua a scuola” disse Harry. Non sapeva perché stesse affrontando questo discorso, ma vedendo l’espressione grata di Luna si convinse che probabilmente era uno dei pochi a scuola a seguire le stranezze della ragazza, e se poteva stare dalla sua parte lo avrebbe fatto volentieri. Ricordandosi del dipinto a casa di Luna, loro erano amici.
“Stai attento mi raccomando, non vorrei che ti entrassero nella testa prima della partita di oggi.”
“Non ti preoccupare, starò attento di sicuro.”
“Bene, ora credo che andrò in Sala Grande, spero che ci sia il budino.”
Esordì improvvisamente la ragazza.
“Oh v-va bene, mi stavo dirigendo anche io la. Ti accompagno se vuoi” disse Harry.
“Gentile da parte tua Jake” rispose lei sorridendo, per poi incamminarsi assieme al ragazzo.
 
Giunti in Sala Grande l’agitazione e l’entusiasmo era palpabile.
I membri delle rispettive squadre erano circondati da una folla di ragazzi incoraggianti, mentre altri erano raggruppati per le non tanto celate scommesse pre partita. Harry si ricordava del fiorente business messo in piedi da Fred e George ai suoi tempi, che in pochi anni si erano assicurati il monopolio delle scommesse all’interno della scuola. Se uno voleva fare una puntata vincente doveva passare da loro due. Molte cose si potevano dire dei gemelli, ma non che non avessero fiuto per gli affari.
 
Ora invece sembrava che per quanto riguardasse i Grifondoro almeno, la figura del contabile l’avesse assunta Seamus, che proprio in quel momento stava incitando un non tanto convinto ragazzino del secondo anno a puntare qualche falce.
 
Ginny e Ron erano intenti in una stretta conversazione che, notando i movimenti che compivano le mani di lei, trattavano presumibilmente di tattiche segrete e moduli.
Dal tavolo dei Corvonero, Cho Chang non sembrava aver toccato cibo, mentre la sua espressione rasentava la determinazione e concentrazione.
Ci sarà da divertirsi” pensò il ragazzo, per poi salutare Luna e andarsi ad accomodare davanti ad un irritata Hermione intenta a leggere un libro dall’aria molto antica.
“Hermione…” la salutò con un cenno del capo.
“Oh ciao Jake.” Le rispose con un sorriso appena accennato. “Quidditch… non lo capirò mai. Sembra che tutti impazziscano nei giorni delle partite” disse guardando torva i due fratelli Weasley che non avevano smesso di conversare.
Harry rise compatendo la povera ragazza. L’interesse di Hermione per lo sport era diametralmente opposto alla sua voglia di leggere un libro di incantesimi.
“Già, il Quidditch fa questo effetto…” disse Harry prendendo un po' di succo di zucca e degli invitanti bignè al cioccolato. Hermione sbuffò rumorosamente riprendendo a leggere.
“Tu non sei teso come gli altri però” continuò lei da dietro il libro.
“Naa, non ce n’è bisogno. So già che vinceremo” rispose in modo disinteressato.
“Quanta sicurezza! Come mai sei così convinto della vittoria?”
“Ho un presentimento positivo diciamo”
“Be’ speriamo che si avveri, chi lo sopporterebbe Ron se perdeste.”
“Ahahaha suppongo tu” la stuzzicò.
“Oh non credo proprio! Pensa che una volta hanno perso contro i Serpeverde e non ha toccato cibo per un giorno intero quello stupido”
“Ron che non tocca cibo? Mi sembra impossibile”
“O credimi è molto possibile. Anche se quella che l’aveva presa peggio era stata Ginny, ancora oggi non si perdona per quella sconfitta. E un gruppo di Serpeverde non perdeva occasione per rinfacciarglielo, povera. Soprattutto Malfoy.”
 
A sentire quel nome Harry strinse i pugni tanto da fare diventare le nocche bianche.
Malfoy… non aveva ucciso Silente quella notte sulla torre, ma lo riteneva responsabile per quello che era accaduto al Malfoy Manor… quando Hermione…
Il ricordo del sangue e delle ferite, lui e Ron che correvano per quei corridoi. La loro amica agonizzante tra le braccia del suo migliore amico. Flashback di quella notte apparvero nella mente di Harry come lampi nel cielo durante un temporale estivo.
Malfoy era il colpevole.
“…Malfoy” si lasciò sfuggire il ragazzo in un sussurro.
“Jake tutto bene?” chiese intimorita Hermione notando il tremolio del ragazzo e dal pallore che comparve sul suo viso.
Harry si voltò di scatto. Lo sguardo a scrutare ogni volto del tavolo dei Serpeverde. Come aveva fatto a non notarlo prima? Come aveva fatto? Riuscì ad intravedere le sorelle Greengrass, Zabini, quelle due scimmie poco sviluppate di Tiger e Goyle… ma Malfoy mancava. In effetti non lo aveva mai visto fino ad ora.
“Jake!” Hermione lo stava chiamando, e dal tono sembrava che non fosse il primo tentativo. Ora anche Ron e Ginny avevano smesso di conversare e avevano puntato i loro sguardi preoccupati su di lui.
 
“Questo Malfoy, è qui a scuola?” chiese piatto Harry.
“No, non è più… ha lasciato la scuola l’anno scorso per unirsi a tu-sai-chi” disse Hermione.
Quella notizia colpì Harry in un prima istante, ma dopo una breve riflessione, probabilmente era la cosa più scontata, tenendo conto di quel senza palle di suo padre.
“È ancora vivo?” continuò Harry pensieroso.
“Sì… credo di sì almeno” rispose titubante lei.
“Oh certo che ancora in vita quella serpe, mio padre riceve ogni tanto fascicoli su attacchi di Mangiamorte a cui hanno partecipato Malfoy padre e figlio” si intromise Ron con tono schifato.
“Oh ma non parliamo del biondo platinato ora! Abbiamo una partita da vincere e dobbiamo pensare solo a quello. D’accordo?” questa volta fu Ginny, il capitano della squadra, a parlare. Harry sapeva bene che più che una richiesta era un ordine, e decise per il momento di lasciar perdere Malfoy, avrebbe avuto occasione di imbattersi sicuramente in lui in futuro.
“D’accordo” le rispose Harry rilasciando finalmente i pugni tesi da sopra il tavolo.
 
L’orologio scorse, e ben presto segnava le tre del pomeriggio. Fra mezz’ora sarebbe iniziata la partita e tutti gli studenti si avviarono al campo di Quidditch. Il tempo sembrava essere clemente. Aveva smesso di nevicare e lo strato di nubi si stava diradando facendo penetrare luminosi raggi solari, mentre il vento invernale divenne poco più di una brezza. Tempo quasi ideale per volare, se non fosse stato per il freddo pungente, al quale però Harry avrebbe posto facilmente rimedio con un incantesimo riscaldante.
 
Ron si stava già cambiando nello spogliatoio quando Harry fece il suo ingresso.
“Hey Jake, pensavamo che fossi rimasto bloccato nella neve” disse ilare il ragazzo dandogli una pacca sulla spalla.
“Vi stavate preoccupando per me?” chiese Harry con un ghignò.
“Eravamo solo preoccupati di come ti avrebbe conciato Ginny se non ti fossi presentato. Ahahahah”
“Tu Ron lo sai bene vero? Mi ricordo ancora di quella volta che ti affatturò per essere arrivato in ritardo quella volta all’allenamento” intervenne Dean provocando una risata generale tra i ragazzi.
“Bastardi” rispose il rosso sorridendo e infilandosi le protezioni da portiere.
Anche Harry stava sorridendo. “Si, mai far incazzare Ginevra Weasley.”
Si tolse la felpa e la maglietta rivelando le svariate cicatrici che aveva sparse sul corpo. I ragazzi diventarono impressivamente seri a quella vista. Avevano già avuto la possibilità di notarle durante gli allenamenti, ma nessuno aveva avuto il coraggio di domandargli come se le fosse procurate. Ma erano certi che qualunque fosse stato il modo, era stato estremamente doloroso.
 
Quando furono pronti, i componenti femminili e maschili della squadra si ritrovarono per la riunione prepartita. Ginny incoraggiò tutti i presenti con un bel discorso motivazionale, prima di uscire sul campo e venire accolti da un boato provenire dagli spalti dei Grifondoro. Bandiere oro-rosse sventolavano concitate, seguiti da fumogeni dei medesimi colori e striscioni non proprio amichevoli nei confronti dei Corvonero. Quest’ultimi, d’altro canto, non si fecero cogliere impreparati e dalla parte opposta del campo intonavano inni di sostegno per la loro squadra.
 
Madama Bumb si diresse al centro del campo facendo levitare una cassa di legno con sé. Una volta posizionatosi, scrutò tutti i componenti delle due squadre con i suoi occhi da falco, per poi aprire la cassa facendo scattare in volo i due bolidi.
“Che la partita abbia inizio!” disse per poi lanciare la pluffa in aria che venne intercettata per prima da uno grifondoro.
Harry e Cho al contrario degli altri, levitarono in alto, non coinvolti nelle azioni di attacco e difesa, ma nella ricerca del boccino d’oro.
 
Dopo 10 minuti di partita i Grifondoro conducevano per un punteggio di 60 a 40. Purtroppo Harry constato ben presto che il livello di bravura tra le due squadre non era così molto distante. La vittoria non sarebbe stata così semplice.
Micheal Corner segnò una doppietta a Ron che fece diventare pari il punteggio, nell’arco di due minuti.
“Forza Ron! Non ti abbattere. Ha avuto solo culo!” tentò di spronarlo il capitano.
Tutti sapevano come fosse precaria la sicurezza mentale di Ron quando prendeva gol, Harry probabilmente più degli altri.
“Dai Ron” sussurrò Harry.
Ginny segnò poco dopo infilando la pluffa nell’anello alle spalle del portiere Corvonero, portandogli ancora in vantaggio. Gli avversari non avevano alcuna intenzione di demordere però.
Del boccino ancora nessuna traccia, allora Harry decise che avrebbe contribuito mettendo un po' di scompiglio tra gli avversari.
Fece finta di aver avvistato la sferetta dorata e si mise all’inseguimento.
Cho abboccò all’amo e incominciò a pedinarlo. “Molto bene Chang, vediamo se mi riesci a stare dietro”. Nonostante la Comet 180 che impugnava tra le gambe, Harry riusciva a tenere distanziata la talentuosa cercatrice avversaria.
Mentre sorvolavano il campo compiendo rapide imbardate e repentini cambi di direzione, i Grifondoro guadagnarono altri venti punti. I Corvonero erano intimoriti alla vista dell’imminente sconfitta. Harry decise che era giunto il momento della ciliegina sulla torta.
 
Impennò sulla sua scopa salendo di quota, rallentando per assicurarsi che Cho diminuisse la distanza. Quando incominciò a sentire letteralmente il fiato della ragazza sul collo, si buttò all’indietro in picchiata. Stava spremendo tutto il possibile da quella Comet, che aveva incominciato a vibrare eccessivamente per la grande velocità.
Trenta metri, venti metri, dieci e quando fu a poco più di cinque tirò a sé la scopa. Fu necessario uno sforzo fisico notevole, ma riuscì a non schiantarsi a terra. Cho poco dietro di lui, non fu abbastanza fortunata. Riuscì a raddrizzarsi, ma non abbastanza da evitarle di capottare sull’erba poco dopo.
Harry si accertò delle sue condizioni, sembrava solo un po' intontita e altrettanto incazzata ma stava bene. Non si poteva dire la stessa cosa della sua scopa, spezzata in tre punti che giaceva a pochi metri da lei.  
Tutti i ragazzi si fermarono ad osservarlo, attendendo che mostrasse il boccino tra le mani. Ma ciò non avvenne. Harry sorrise innocentemente allargando le braccia.
“Ops” disse con tono fintamente ingenuo.
“Sullivan ha effettuato quel che sembra essere una perfetta esecuzione della finta Wronski, signori miei.” Intervenne il commentatore della partita, un ragazzo dei Tassorosso che Harry non aveva mai visto.
 
Harry ignorò i cori di entusiasmo che si ergevano dalle tribune dei Grifondoro, e dei complimenti da parte dei suoi compagni.
“La partita non è ancora finita ragazzi!” esclamò rivolto agli altri. “Tornate a giocare!”
La sua squadra rimase interdetta qualche secondo, poi fu Ginny ad intervenire: “Sullivan ha ragione! Forza tornate ai vostri posti!”. A quel punto ci fu un segno di assenso da parte di tutti e ripresero le loro posizioni. Harry fissò per un secondo Ginny che gli fece un occhiolino in segno di intesa.
I Corvonero erano disorientati, avevano perso momentaneamente il loro cercatore, e Harry aveva a disposizione del tempo per cercare il boccino in tutta tranquillità, mentre Madama Chips si accertava delle condizioni di una furibonda Cho Chang.
 
Fu in quel momento che lo avvistò. Era distante una decina di metri di distanza, pressappoco alla sua stessa altezza. Lo tenne d’occhio con disinvoltura per non fare comprendere gli altri che lo aveva avvistato.
Quando Madama Chips diede il via libera a Chang di continuare a giocare, le fu data una nuova scopa e si riprese a giocare, con Grifondoro che conduceva il gioco novanta a sessanta. Non perdendo tempo, Harry schizzò in direzione del boccino, Cho era troppo distante e non fece in tempo a raggiungerlo.
 
 
Jake Sullivan era sulla bocca di tutti nelle ore successive alla fantastica vittoria dei Grifondoro. Come era da tradizione l’intera torre dei Grifoni era in festa. Harry era felice per aver portato la sua squadra, non solo alla vittoria, ma anche al primo posto a parimerito con i Serpeverde in classifica. Per la prima volta da tanto tempo, non stava pensando alla guerra, per la prima volta da tanto tempo si poteva ritenere un ragazzo come tutti gli altri.
 
Stava bevendo il suo terzo bicchiere di Whiskey Incendiario di contrabbando, e stava parlando disinvolto con Ron della partita. In qualunque mondo, tempo o dimensione si trovassero, una cosa non sarebbe mai cambiata: la sua amicizia con Ronald Bilius Weasley.
Hermione si aggiunse in loro compagnia, felice – nonostante non lo avrebbe mai ammesso – della vittoria della sua casa.
“A quanto pare il tuo presentimento era corretto Jake” disse ridendo Hermione, che baciò dolcemente Ron sulle labbra.
“Te lo avevo detto” rispose convinto Harry.
“Direi di fare un brindisi allora, alla vittoria!” intervenne Ronald riempiendo tre bicchieri con una dose generosa di Whiskey.
“Ron sai che io non bevo quella bevanda infernale” rispose Hermione piccata.
“E dai amore, bisogna festeggiare! Siamo primi in classifica per la miseria” disse Ron con un’espressione supplichevole.
Hermione tentò di rimanere incorruttibile ma alla fine cedette.
“Va bene.” Rispose rassegnata. “Ma solo per questa volta Ronald! Non ti fare strane idee” disse prendendo in mano il bicchiere e osservando disgustata la bevanda ambrata al suo interno.
“Non oserei mai!” disse Ron ridendo assieme a Harry. “Allora alla vittoria!” esclamò alzando il bicchiere in aria.
“Alla vittoria!” si aggiunsero in coro gli altri due. Hermione prese a tossire energicamente dopo aver preso un solo piccolo sorso, provocando le risate di Harry e Ron.
“Sia dannato l’inventore del Whiskey Incendiario” disse a denti stretti la ragazza una volta smesso di tossire.
Harry sorridendo teneramente alla ragazza, estrasse la bacchetta e fece levitare a sé un bicchiere di burrobirra da un tavolo lì vicino.
“Tieni forse questo lo gradirai di più” disse porgendole il bicchiere.
“Decisamente, grazie mille Jake.”
“Be’, vuol dire più whiskey per noi!” disse Ron rivolto ilare a Harry.
“Puoi ben dirlo!” lo sostenne, facendo un secondo brindisi.
“Uomini” disse sbuffando Hermione con gli occhi rivolti al cielo e un sorriso accennato.
 
La serata procedette senza intoppi, fino a quando Ginny, probabilmente con un po' troppo alcol in corpo, non incominciò a ballare con Dean e Seamus una sorta di danza della pioggia.
“Beene, credo che porterò tua sorella a dormire ora.” Intervenne Hermione rivolta al suo ragazzo.
“Si, si lo credo anche io” rispose il rosso guardando torvo i tre.
“Buonanotte amore” disse Hermione baciando Ron, “Buonanotte Jake, assicurati che il mio ragazzo vada a letto ad un orario decente che domani dobbiamo ripassare trasfigurazione insieme e lo voglio attento.” Aggiunse rivolta ad Harry, che rise notando il rossore comparso sul volo dell’amico.
“Ti do la mia parola, signorina Granger” disse Harry mettendo una mano sul cuore e l’altra alzata con il palmo aperto in segno di giuramento.
Hermione si allontanò, prelevando Ginny che dopo un minuto di convincimento salì con lei le scale del dormitorio femminile.
I due ragazzi andarono a letto pochi minuti più tardi.
 
 
Harry si svegliò la mattina dopo con un forte mal di testa.
“Maledetto whiskey”. Si guardò intorno. Tutti i ragazzi dormivano ancora beati nei propri letti anche se il sole era già sorto fuori dalle finestre.
La sveglia di Seamus segnava le otto di mattina. Si mise gli occhiali, e fu allora che notò una lettera lasciata sul proprio comodino.
La prese in mano per esaminarla. Gli eleganti caratteri obliqui recitavano “Per Jake Sullivan”. Harry sorrise, avrebbe riconosciuto quella calligrafia tra mille. Aprì la busta e ne lesse il contenuto:
 
Buongiorno sig. Sullivan,
 
La volevo informare che il prodotto da lei richiesto è pronto. La attendo nel mio ufficio in giornata.
 
Cordiali saluti,
 
il preside.
 
P.S. complimenti per la vittoria di ieri.
 
Harry fu colto da un misto di felicità e preoccupazione. Da una parte il piano stava andando avanti, dall’altra si rese conto che nonostante i festeggiamenti di ieri, fuori imperversava una guerra e lui aveva un compito da svolgere.
 
“Molto bene” di disse alzandosi dal letto per poi farsi una bella doccia per levare i postumi della sera precedente. Dopo i soliti esercizi fisici si vestì e si diresse a fare colazione.
 
La sala grande era quasi deserta alle otto di domenica mattina, e Harry fu grato di questo. Poté mangiare in tranquillità. Terminato di mangiare e bevuto una tazza fumante di caffè, Harry si era appena alzato dal tavolo quando fu raggiunto da Hermione. La più mattiniera tra i suoi amici. “Buongiorno” disse gentilmente Hermione.
“Buongiorno!”.
“Già finito di fare colazione?” chiese la ragazza.
“Si, il preside mi vuole vedere nel suo ufficio non so per cosa.”
“Di domenica mattina?”
“A quanto pare…” rispose ingenuamente Harry.
Hermione titubante sembrò credergli.
“Va bene, allora a dopo” disse lei.
“Certamente Herm, a dopo e buona colazione!” concluse lui incamminandosi.
 
Giunto davanti al gargoyle di pietra e detto la parola d’ordine, salì per la scala a chiocciola. Il preside lo attendeva affianco alla sua scrivania intento ad accarezzare Fanny. 
“Buongiorno Harry, dormito bene?”
“Meglio del solito, signore”
Il professore gli rivolse un caloroso sorriso e aprì uno dei cassetti della scrivania, tirando fuori un’ampolla contenente un liquido giallastro.
“Ci sono riusciti quindi?” domando retorico Harry.
“Ebbene sì, infondo sono due dei migliori pozionisti della Gran Bretagna, assieme a Lily Evans naturalmente”
Al sentire il nome di sua madre, il cuore di Harry mancò un battito. Gli era difficile credere che i suoi genitori fossero realmente ancora in vita, la fuori.
“Immagino” fu l’unica cosa che riuscì a dire Harry.
“Sarebbe fiera di te lo sai? Entrambi i tuoi genitori lo sarebbero. E lo saranno” disse Silente vedendo il volto pensieroso del ragazzo, il quale si limitò a sorridere imbarazzato.
“Sei ancora convinto di tenergli nascosto che il loro unico figlio sia vivo?”
Harry divenne serio all’improvviso.
“Si, lo sono”
“Mio caro ragazzo…”
“Ho detto che lo sono” ripeté con convinzione lasciando intendere che il discorso era chiuso lì.
“Va bene.” Disse rassegnato Silente. “Tornando a noi. Questo antidoto non annullerà completamente gli effetti della pozione, ma li limiterà, permettendoti di rimanere vigile e lucido. Non voglio ingannarti Harry, soffrirai ugualmente”
Harry osservò l’ampolla e poi il preside, con sguardo risoluto.
“Non si preoccupi, sono abituato al dolore” disse porgendo la mano al preside, il quale gli passò l’antidoto.
“Quando hai intenzione di partire?” gli chiese il preside preoccupato.
“Immediatamente”
“Immediatamente? Non ti sembra avventata come cosa?”
“Ho un piano, e il tempo non è dalla mia parte. Più tempo passa, più aumentano le probabilità che possa accadere qualcosa alle persone che amo.”
“Sii prudente Harry, per favore”
Harry sorrise al preside. “Come sempre, signore”.
“Molto bene. Per quanto riguarda il viaggio, credo che tu sappia che non ci si possa smaterializzare all’interno di Hogwarts. Nonostante ciò credo tu non abbia problemi a riguardo non è vero?”
Harry sorrise malignamente a Silente.
“Può darsi”
“Sta attento a non farti vedere mentre sbuchi da quei passaggi, se i nemici ne venissero a conoscenza…”
“Professore così mi insulta. Pensa che non sia abbastanza intelligente da depistare i fantocci di Tom?” rispose fintamente offeso Harry.
“Assolutamente no, ma la prudenza non è mai troppa. Buona fortuna Harry.”
“Grazie professore.”
 
Harry lasciò l’ufficio del preside. Prima di incamminarsi nel passaggio segreto attraverso Platano Picchiatore, doveva fare una piccola deviazione per il campo di Quidditch, dove avrebbe trovato una componente importante per il suo piano. Una scopa. La sua Comet 180 lo attendeva nello stanzino delle scope vicino agli spogliatoi. Doveva ammettere che nonostante le sue innumerevoli limitazioni rispetto alla Firebolt, ci si era affezionato. La rimpicciolì con un incantesimo, e se la infilo nel Mokessino che teneva sempre sotto i vestiti e si diresse verso l’imboccatura del passaggio segreto, guardandosi intorno per essere sicuro di non essere seguito.
 
Una decina di minuti più tardi, Harry fece la sua comparsa su di un alto scoglio flagellato dalle impetuose onde atlantiche. Una profonda insenatura incombeva davanti a lui.
Procediamo.”

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il Medaglione ***


CAPITOLO VIII
 
Harry osservò le onde infrangersi sotto i suoi piedi. Il tempo era proibitivo, e la grotta era separata dal suo scoglio da circa venti metri di acque gelide e furibonde. Arrivare alla grotta a nuoto era chiaramente un suicidio, poco ma sicuro. L’unico modo per raggiungerla in sicurezza se non si aveva a disposizione una barca, era in volo.
Montò quindi sulla scopa che aveva appena ingrandito a dimensioni normali e si diresse con difficoltà verso l’insenatura, contrastando le forti raffiche di vento che lambivano la base dell’alta scogliera.
L’interno dell’insenatura era oscuro, umido e odorava di salsedine. Il rumore del mare si andava ad attenuare sempre di più man mano che Harry procedeva verso l’interno. Poco dopo giunse alla terminazione della grotta, un punto cieco, una nera parete di roccia da cui grondavano filamenti d’acqua infiltrata dalla superficie.
Harry avvertì immediatamente la magia oscura di quel luogo. Era nel posto giusto.
 
Scese dalla scopa, appoggiandola contro la parete umida della grotta. Sapeva qual era la prossima mossa. Il tributo di sangue. Prese perciò la bacchetta e se la punto sul palmo della mano sinistra. “Diffindo”. Un taglio non tanto profondo ora e percorreva il palmo diagonalmente per tutta la sua lunghezza dalla base dell’indice all’attaccatura del pollice. “Ecco a te Tom, il mio tributo.” Disse sarcastico Harry prima di strisciare la mano insanguinata sulla parete.
 
Dopo alcuni attimi in cui non accadde nulla all’improvviso nella roccia si aprì uno stretto passaggio. Era pronto. Lanciò un incantesimo cicatrizzante sul taglio del palmo che scomparve all’istante. Afferrò la scopa appoggiandosela sulla spalla, mentre con l’altra mano teneva puntata la bacchetta dinanzi a sé.
Si incamminò ancora più in profondità, superando il varco appena creatosi.
La visibilità era pressoché nulla, ma sapeva di essere ormai prossimo all’enorme lago sotterraneo con al centro l’isolotto che conteneva il bacile di pozione con dentro il medaglione.
“Bene”. Disse lanciando verso il centro una sfera di luce bianca accecante che rimanendo sospesa a diversi metri d’altezza illuminò come un sole artificiale l’interno della grotta.
Harry aveva ragione. Era giunto sulla riva del lago. L’acqua sembrava densa come petrolio, e non permetteva di vedere l’assembramento di inferi che abitava sotto la sua superficie. Sembrava una distesa di pietra vulcanica perfettamente levigata. Nessuna increspatura, o movimento. L’acqua era immobile.
 
Harry porse la sua attenzione sull’isolotto centrale. Decise di agire. Sali sulla sua scopa e silenziosamente volo nella sua direzione.
Harry avvertiva la traccia oscura sprigionata dal medaglione custodito all’interno del bacile farsi sempre più forte.
Raggiunse la meta appoggiando il piede sul terreno roccioso intorno al bacile. Il liquido al suo interno era cristallino e all’apparenza innocuo. Harry lo osservava disgustato e interessato allo stesso tempo.
Lasciò a terra la scopa prendendo dalla tasca l’ampolla con l’antidoto.
“Vediamo se funziona.” Disse prima di stapparla e berne il contenuto tutto d’un fiato.
Il sapore era qualcosa di orribile. Molto peggio della polisucco. Indecifrabile. Harry non riusciva a descriverlo, ma di sicuro avrebbe preferito mille volte bere un calice di piscio di folletto.
 
Dopo aver rischiato di rimettere un paio di volte, appoggio le mani ai lati del bacile, osservando il liquido cristallino. Prese due respiri profondi e titubante incominciò ad ingerirlo.
 
Già al primo sorso avvertì qualcosa di tremendamente sbagliato farsi avanti dentro di lui: paura. Una paura primordiale, asfissiante, assoluta. L’occlumanzia non servì a nulla. Tutte le emozioni vennero cancellate, lasciando unicamente spazio alla paura. E poi incominciarono le allucinazioni. C’erano tutti, i suoi genitori, il suo padrino, Remus, i suoi amici, Ron ed Hermione e Ginny, tutti loro. Lo osservavano con occhi vitrei, privi di anima. Erano posizionati intorno a lui in cerchio. E si avvicinavano, si avvicinavano sempre di più allargando le loro braccia scheletriche verso di lui.
“È colpa tua Harry, solo colpa tua. Se non fossi nato noi saremmo ancora in vita!” lo incriminava sua madre. “Dovevi morire tu quella notte, non mia moglie, non io. Tu. Stavamo così bene prima che tu arrivassi. Eravamo felici. Eravamo vivi. E tu ci hai ucciso!” continuò suo padre.
“Vorrei non avverti mai incontrato quella volta sul treno. Vorrei non averti mai rivolto la parola in quella carrozza.” Si aggiunse Ron. “Ci hai ucciso Potter. Ci hai ucciso tutti.”
“Colpa tua” “Si, solo colpa tua”
“Harry...” lo chiamò Ginny. “Harry… perché? Io ti amavo. Ti amavo. Perché mi hai fatto questo? Perché hai rovinato la mia famiglia? Perché hai ucciso Fred? Perché hai ucciso Ron? Harry perché?” continuò urlando “ti odierò per sempre per quello che hai fatto! Ci hai usato! È colpa tua!”
 
“No, no, non è vero!”  incominciò a ripetere Harry piangendo. “Non è vero, vi prego c-credetemi.”
“Colpa tua.” “Colpa tua.”
Vide i loro volti intrisi di odio, di disprezzo. E le sue gambe non furono in grado di sorreggerlo. Cadde in ginocchio, le figure si avvicinavano sempre di più. “Colpa tua!”
“Mi dispiace…” sussurrava con il volto tra le mani.
 
Poi pian piano le voci si fecero sempre più lontane e indistinte. Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare la base del bacile.
La sua mente stava tornando al presente. L’antidoto stava contrastando la pozione.
Si rimise in piedi a fatica e notò che aveva bevuto circa tre quarti del contenuto.
Con uno sforzo immane prese un altro sorso. E poi un altro ancora. Le voci tornavano. Più forti di prima. Ma lui continuava a bere. “Ci hai ucciso tutti!” “Avrei dovuto ucciderti quando ne ho avuto occasione” disse Remus. Le lacrime scendevano sul viso di Harry. Un altro sorso. “Noi eravamo felici senza di te!” disse Hermione.
 
Il dolore fu insopportabile, ed Harry crollo ancora una volta in ginocchio in preda a degli spasmi. Tentava di ripescare ricordi felici dalla sua mente, ma non c’era niente. Solo paura. Solo colpa. Solo disperazione.
 
Molto lentamente il buio si stava dissipando. Le voci avevano ripreso ad affievolirsi un’altra volta. L’antidoto stava assolvendo al suo compito.
E ci fu il silenzio.
 
Harry, con le gambe tremanti ed instabili si tirò su. Non sentiva più niente se non una cosa. La sete. Come se non bevesse da giorni, anzi mesi. Ma riuscì a concentrarsi sul bacile ormai vuoto. Il medaglione era lì, a portata di mano. Ce l’aveva fatta. Ci era riuscito. Compì dei respiri profondi. Si concesse qualche minuto per riprendersi. I tremori cessarono. La sete lo spingeva ad affondare la testa nell’acqua del lago ma doveva resistere alla tentazione. Sapeva che era proprio quello che si aspettava Tom e non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
 
Ripresosi dagli effetti della pozione, prese il medaglione in mano. Poteva sentire una sorta di battito regolare provenire dall’oggetto. Come di un cuore. Sorridendo Harry lo adagio per terra. Prese la spada miniaturizzata dal mokessino e la ingrandì. Osservò la lama lucente intrisa del veleno del basilisco. La impugno con due mani, elevandola sopra alla sua testa.
Fissò per l’ultima volta il medaglione, pronunciando qualche indistinto verso in serpentese. Il medaglio si aprì, facendo fuoriuscire una nube densa e oscura, da cui provenivano grida e urla. Harry sapeva che se non avesse agito subito, l’anima di Voldemort avrebbe tentato di corromperlo o disorientarlo pur di non essere distrutta. Ma non gliene diede il tempo. Il tutto durò una frazione di secondo.  
Con un fendente rapido, potente e deciso Harry distrusse il medaglione. Le grida e la nube scomparvero.
 
Harry non ebbe neanche il tempo di realizzare quanto fosse successo, poiché delle figure biancastre e ripugnanti incominciarono a fuoriuscire dall’acqua circostante. Si dimenavano in maniere innaturale, scomposta, sbagliata. Gli inferi avanzavano verso di lui velocemente nonostante si muovessero come neonati deformi.
“Cazzo!”
Harry scattò in piedi e si voltò verso l’unico mezzo che poteva usare per fuggire, la sua scopa, che distava da lui di pochi passi. Con le creature che si avvicinavano velocemente non ci pensò due volte e si precipitò verso la Comet 180. L’aveva appena afferrata quando un infero gli afferrò la caviglia con le sue viscide e lunghe dita biancastre mostrando le fauci affilate come rasoi.
Harry lo decapitò con un fendente di spada, facendone fuoriuscire un liquido verdastro dalla carotide tranciata del collo. Ne abbatté un altro immediatamente dopo affondandogli la lama nell’orbita oculare. In poco tempo fu circondato. Tranciò il braccio ad un terzo. E ne decapitò altri due. Quando si decise a saltare sulla scopa un infero gli saltò sulla schiena affondandogli i denti nella spalla, pericolosamente vicino al collo. Harry gridò dal dolore, ma riuscì a scattare in aria, con l’essere ancora aggrappato alla sua schiena e i denti affondati nella sua carne.
 
Harry incominciò allora a roteare su sé stesso a grande velocità con la scopa, colpendo il mostro con gomitate energiche. Alla fine, l’infero cedette e cadde nell’acqua da una decina di metri di altezza. Harry reggeva la scopa con una mano, mentre con l’altra teneva saldamente la spada. Stava perdendo molto sangue.
L’isola sotto di era ormai ricoperta da quelle bestie infernali e molte altre stavano giungendo dalla riva.
“È il momento di andarsene” si disse prima di puntare la sua scopa verso l’uscita.
Nonostante stesse praticamente manovrando con una mano sola, Harry riuscì a passare per la il passaggio nella roccia e percorrere in volo la grotta per tutta la sua lunghezza raggiungendo finalmente l’esterno. Dovette combattere contro le potenti raffiche di vento che lo sferzavano lateralmente, ma una volta allontanatosi a sufficienza, focalizzò la sua meta nonostante la vista prese ad offuscarsi, e si smaterializzò ancora a cavallo della sua scopa.
 
In un attimo si ritrovo a sorvolare la stamberga strillante senza controllo, la smaterializzazione aveva inficiato sul suo equilibrio e precipitò al suolo a pochi passi dall’entrata del casolare. Ringraziò la neve per aver attutito il colpo, ma ben presto si rese conto delle sue condizioni. Stava sanguinando, e anche parecchio. Prese la bacchetta da sotto la giacca, se la puntò sulla ferita pronunciando qualche incantesimo curativo. Niente. Riprovo con diversi incantesimi, dal più semplice al più potente e complicato che conoscesse ma la ferita non sembrava volersi richiudere. “Dannazione” imprecò sotto voce.
La neve attorno stava prendendo a tingersi di un cremisi acceso.
Il ragazzo non aveva molte possibilità, l’unica che lo poteva aiutare in quel momento era Silente. Usando la spada come appoggio, si alzò in piedi ed entrò nella casa dalla quale avrebbe poi imboccato il passaggio che conduceva al platano picchiatore.
Il tunnel sotterraneo era molto angusto, non costituiva un grosso problema di solito per Harry, ma ora la ferita non faceva che impattare contro le strette pareti del passaggio provocandogli lancinanti fitte di dolore.
 
Il ragazzo sapeva di non avere tanto tempo, stava incominciando a perdere lucidità. Inciampò diverse volte, ma con determinazione proseguì. Dopo quella che gli parve un’eternità, giunse all’uscita del tunnel. Immobilizzò il Platano Picchiatore con un incantesimo e prosegui verso il castello.
Vide diversi gruppi di studenti giocare con le palle di neve in lontananza nel parco.
Di sicuro se fosse spuntato fuori di nuovo morente, insanguinato e per giunta con una enorme spada nella mano avrebbe destato ancor più sospetti di prima.
A malincuore decise di rimpicciolire la spada, suo unico sostegno, e di nasconderla sotto la giacca. Poi con la bacchetta evoco un pesante mantello che si appoggiò sulle spalle per nascondere il sangue e con la più grande disinvoltura che riuscì a tirare fuori passò tra i ragazzi diretto dal preside.
 
Varcate le soglie dell’ufficio, si precipitò dal professore che sedeva dietro alla scrivania.
Alla vista del ragazzo, Silente scattò in piedi allarmato.
“Harry cos’è successo? Tutto bene?”
“Sono stato meglio a dire il vero.” Rispose sofferente Harry lasciando cadere a terra il mantello con una smorfia di dolore e rivelando la ferita che non aveva smesso di sanguinare.
Gli occhi azzurri del professore ispezionarono attentamente la spalla del ragazzo.
“Inferi.” Disse solamente Harry confermando i timori del preside.
“Ho provato con diversi incantesimi curativi, anche alcuni belli potenti ma nulla. Credo che nel loro morso abbiano una specie di anticoagulante resistente agli incantesimi. Le sarei grato se potesse chiedere a Fanny di lasciarsi sfuggire qualche lacrima per me.” Chiese Harry appoggiandosi ad un tavolino in mogano lì vicino.
Silente annuendo senza proferire parola, si diresse verso il trespolo sopra il quale la fenice scrutava i presenti.
Il professore gli sussurrò qualcosa, e dopo un attimo il maestoso volatile spiegò le sue ali dorate e planò verso il ragazzo. Harry ricordava benissimo l’ultima volta che Fanny lo soccorse, nella camera dei segreti. La fenice si avvicinò cauta portandosi a pochi centimetri dalla sua faccia. I loro occhi si incrociarono per un lungo istante, poi la creatura scrutò il morso sulla spalla di Harry, e lasciò cadere poco dopo tre lacrime cristalline sulla ferita.
In un attimo, il sangue cessò di fuoriuscire e il dolore si placò. I fori impressi dai denti dell’infero si richiusero non lasciando alcun segno sulla pelle.
“Ti ringrazio Fanny.” Disse gentilmente Harry accarezzandone il morbido piumaggio.
 
Questa sembrò inclinare il capo in segno di assenso per poi ritornare sul suo trespolo. Silente sorrideva mentre fissava il ragazzo.
“Sai le fenici sono esseri molto potenti e misteriosi, ma una cosa è certa: bisogno essere in un certo senso “degni” ai loro occhi per ricevere un aiuto come questo. Destinati a grandi cose insomma.”
“Fanny mi ha già aiutato una volta sa? Non ce l’avrei fatta se non fosse venuta in mio soccorso quella volta. Gli devo la vita.”
“Credo ti abbia preso in simpatia.” Disse Silente accarezzando la testa della fenice. “Probabilmente voi due siete legati. Sono loro a scegliere il padrone, un po' come le bacchette Harry” continuò ridacchiando “Se mai avrai ancora bisogno di Fanny, prova a invocarla mentalmente, se lo terrà necessario verrà in tuo soccorso.”
“Ma tornando a noi Harry, ce l’hai fatta?” Chiese interessato Silente avvicinandosi al ragazzo.
“Certamente, aveva dubbi?” rispose malandrino Harry.
“Nessun dubbio alcuno, caro ragazzo.” Disse complice il preside, per poi diventare pensieroso. “Con il medaglione siamo a due Horcrux distrutti non è vero?”
“Esattamente, i più semplici da trovare e levare di mezzo, per gli altri la questione è… più complicata”
Silente lo guardava perplesso, guadagnando l’attenzione di Harry.
“Suvvia professore, ho detto complicata, non impossibile.” Intervenne ghignando.
Silente demorse, e con un cenno di assenso andò a sedersi dietro la scrivania, congiungendo le mani davanti al volto.
“Molto bene allora, credo che ora tu abbia bisogno di un bel po' di riposo, ragazzo mio.”
“Riposo? No non credo. Quello di cui ho bisogno è una pozione rimpolpa-sangue e un bel bicchiere di Whiskey incendiario.” Rispose malandrino. “Credo che farò una visita a Poppy.” Concluse avviandosi verso l’uscita dopo aver fatto evanescere il mantello pregno di sangue. “Arrivederci professore.” Disse aprendo la porta dell’ufficio.
“Arrivederci sig. Sullivan” lo congedò Silente.
 
***
 
“Asticello.” Pronunciò Harry. La Signora Grassa si fece da parte per permettergli di accedere alla torre dei Grifondoro. Era appena stato da Madama Chips per la pozione, che stranamente gliela aveva data senza fare troppe domande. “Probabilmente c’era lo zampino del preside.” Si ritrovò a pensare il ragazzo.
Poco importava, ora la priorità era quella di fare una bella doccia per lavare via il sangue ormai essiccato ma soprattutto per togliersi quel tanfo di fogna e putrefazione di quegli esseri da addosso.
Varcato l’ingresso della Sala Comune si ritrovò Ron e Seamus intenti a giocare a scacchi, Hermione intenta naturalmente a leggere merlino solo sa quale libro vicino al camino scoppiettante e Ginny e Dean abbracciati che guardavano distrattamente la l’alfiere di Ron sfasciare letteralmente la torre di Finnigan. Nessuno sembrò accorgersi della sua presenza. Meglio, non era conveniente farsi vedere in quelle condizioni, con i vestiti incrostati di sangue.
Con passo felino, si diresse verso le scale del dormitorio, sperando di non essere notato.
“Jake! Cosa ti è successo?” Naturalmente non andò così. Era stata Ginny Weasley a parlare, che ora lo scrutava con apprensione rivolgendo l’attenzione del gruppo sul sottoscritto.
“Oh. Nulla di che tranquilli.” Tentò di sminuire Harry.
“Ma quello è sangue…” Intervenne suo fratello maggiore.
“Perspicace Ronald” pensò lui.
“Questo, be’ in effetti si. Ma come ho detto, non è nulla. Stavo andando a fare una doccia e cambiarmi vestiti proprio adesso. Quindi…” tentò di svicolare, voltandosi verso le scale con un sorriso educato.
“Chi ti ha fatto questo, Jake?” continuò il rosso.
“Nessuno Ron, direi più qualcosa. Come lo chiamate voi? Platano Strozzatore?” tentò di sviare Harry.
“Platano Picchiatore” Lo corresse Hermione osservandolo con grande attenzione.
“Giusto, Platano Picchiatore. Stavo passeggiando per i giardini e me lo sono trovato davanti. Ma ho imparato la lezione, ora se volete scusarmi…” Si congedò finalmente salendo su per le scale a chiocciola, lasciando i suoi amici apprensivi in Sala comune.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Incubi ***


CAPITOLO IX
 
Ci smaterializziamo nell’acquitrino. È buio e freddo intorno a noi. Guardo il cielo. Non c’è la luna. Sotto i miei piedi gli stivali sono sprofondati qualche centimetro nel pantano ghiacciato. Mi giro, Ron è lì con me. Sempre con me, nonostante tutto. Non riesco a vedergli il viso, ma so che è preoccupato e determinato. Lui si volta verso di me. Non dice niente, io non dico niente. Ma è come se ci fossimo detti tutto. Guardo davanti a me. Vedo la sagoma contorta e deforme della Tana. Lo stomaco si contorce, le budella si rigirano in strette spirali. No, non posso farmi soggiogare dalle emozioni. Ricorro all’occlumanzia, tentando di applicare i consigli di Piton. Non sono portato per l’occlumanzia io, troppo emotivo, troppo sentimentale. Debole. Così avrebbe detto il professore. Ma non posso permettermi di essere debole. Non ora, no. Mi sforzo. Sento le emozioni allontanarsi, disgregarsi, come cumoli di sabbia smossi dal vento. Provo ancora qualcosa: paura. Paura fottuta, ma riesco a controllarla. Lo devo fare. Tiro fuori la bacchetta e avanzo cauto tra il canneto. I passi di Ron seguono i miei. Ci avviciniamo cauti. Le luci della cucina e della sala sono accese. Mi guardo intorno. Non vedo nessuno. Faccio un respiro profondo e avanzo ancora. Siamo sulla soglia del canneto. Un altro passo e saremo nel giardino infestato di gnomi dei Weasley. In casa non sembra esserci nessuno. Ti prego no. Faccio segno a Ron di avanzare da ovest, dal retro della casa. Io passerò da est. Procediamo. Tento con tutte le forze di reprimere le emozioni. È dannatamente difficile, è come tentare di trattenere il fumo a mani nude. Tenterà sempre di sfuggire al tuo controllo. Ma devo essere forte. Mi guardo attorno. La flebile luce proveniente dalla finestra della cucina illumina debolmente la porzione di terreno davanti a me. Noto in quel momento tante piccole protuberanze spuntare dall’erba incolta. Le osservo meglio. Sono crateri, più o meno piccoli, circondati da terra scoperchiata. Sono molti, e sono tutti intorno a me. Le tracce sono inconfutabili. Incantesimi esplosivi. Sono a 20 metri dall’abitazione. Avanzo cauto. Attento a ciascun rumore, movimento o sussurro. 5 metri. La porta di ingresso è proprio davanti a me. Ma c’è qualcosa di strano. C’è una massa scura, proprio lì sui gradini della veranda. È buio. Faccio fatica a distinguerne i bordi ma- Oh merda! Cazzo no, ti prego. Mi avvicino. È un cadavere. È steso prono, sui gradini, con il braccio proteso verso la porta. Noto adesso la striscia di sangue lunga qualche metro che si protende dal cadavere verso la mia direzione. Deve aver strisciato fin lì mentre si dissanguava. Chiunque fosse voleva entrare in casa a tutti i costi. Mi avvicino al cadavere. Oh no… Signor Weasley… Arthur… Mi sforzo di contenere le emozioni, i sentimenti, tutto quanto. Ma è fottutamente difficile. Sento… sento rabbia. Guardo quello che è stato a tutti gli effetti una figura paterna per me, il padre che non ho mai avuto, e che probabilmente non meritavo. Morto. Lì sulla soglia di casa sua. Faccio un respiro profondo, con uno sforzo immane mi costringo a scavalcare il corpo del signor Weasley, ed entro in casa. Sono di fronte alla porta, e con gran rammarico noto che è socchiusa. Deglutisco e con una leggera pressione la apro.
Sento il cuore mancare di un battito mentre osservo il raccapricciante spettacolo dinanzi a me. Percy, Fred, George, Charlie e Molly sono stesi sul pavimento. Spezzati, immobili. Morti. Rimango lì sulla soglia. Non riesco a distogliere lo sguardo dai loro corpi. L’aria è asfissiante e pregna di sangue. Sento un rumore provenire proprio davanti a me. Un singhiozzo. E vedo il mio amico, il mio migliore amico dall’altra parte del soggiorno, cinereo in volto. Gli occhi spalancati. Sembrava stare in piedi per miracolo, come se uno spiffero di vento lo potesse far crollare a terra. Le braccia lungo i fianchi. Mi dispiace Ron. So cosa sta provando, perché io l’ho già provato. Molte. Troppe volte. Anche in questo momento. Perdere la propria famiglia, perdere le persone che si amano più di sé stessi è un supplizio che nessuno dovrebbe mai provare. Il dolore interiore talmente…vero e genuino da sembrare fisico. Come se qualcuno stesse veramente lacerando i tuoi organi interni con un uncino rovente. E non diminuisce, oh no. Anzi aumenta, aumenta così tanto che finisci per implodere. I Weasley erano stati la mia famiglia. Guardo Molly. Gentile, forte, apprensiva Molly. Immagino che abbia lottato fino allo stremo per difendere i suoi piccoli, con le unghie e i denti. Ma alla fine è caduta anche lei. Il suo corpo, vestito con una camicia da notte rosa a fiori, era proteso davanti a quelli dei gemelli, in ultimo disperato tentativo di proteggerli immagino. Mi guardo intorno e noto che la casa è stata messa a soqquadro. I mobili sono distrutti, la carta da parati è macchiata da schizzi di sangue scuro. L’orologio da parete della signora Weasley è caduto per terra, il vetro del quadrante è rotto e le lancette, con le foto di ciascun membro della famiglia era posizionata su Pericolo Mortale. Mi concentro sulla lancetta più piccola e spalanco gli occhi. Ginny mi stava sorridendo fiera e bellissima dalla sua foto. Ginny! Guardo il soggiorno freneticamente. Lei non c’è… Avanzo al centro del soggiorno, schivando i cadaveri. Chiamo Ron. Non mi sente. Lo chiamo un'altra volta con più forza. Lui gira di scatto gli occhi verso di me, come se si rese conto solo ora della mia presenza, come se fosse ritornato alla realtà dopo tanto tempo di assenza. Il suo sguardo era perso, asettico. “Ron dobbiamo cercare Ginny!” Spalanca gli occhi, per poi guardarsi attorno. Anche lui sembra rendersi conto della sua mancanza. “Andiamo a controllare di sopra” gli dico io determinato. Lui annuisce silenziosamente. Saliamo su per i gradini scricchiolanti della Tana con le bacchette spianate. Ho le mani sudate, e dietro di me sento il respiro affannato di preoccupazione di Ron. Arriviamo davanti alla porta della camera di Ginny. Piccola, luminosa e accogliente. I poster delle Holyhead Harpies appeso sulla parete sopra il letto. Una nostra foto sulle rive del Lago Nero sul comodino. Ma lei non c’è. Guardo Ron. Lui incomincia a negare energicamente con la testa ed esce dalla stanza. Lo sento aprire le altre porte e salire su per le scale velocemente. Io invece rimango lì, nella stanza di Ginny. So che dovrei seguirlo, ma… ma non ci riesco. Prendo la foto sul comodino. Quanto eravamo felici. Quanto eravamo innamorati e spensierati. È una foto di una eternità fa. Una vita fa. Difficile credere sia solo passato un anno da quando Colin ce la scattò. I miei pensieri vengono interrotti dal ritorno di Ron. Mi volto verso di lui e non c’è bisogno di chiedergli nulla. Non l’ha trovata. Stiamo per dirigerci rassegnati giù nel salotto, quando sento diversi rumori provenire dal giardino. Poop, Poop, Poop. Spalanchiamo gli occhi allarmati e ci dirigiamo verso la finestra per osservare. Diverse figure incappucciate si stavano avvicinando. Ne conto venti, anzi no trenta. Quaranta. Merda. Merda. Merda. Sono qui, e siamo circondati. E poi vedo qualcosa di strano, c’erano due persone con loro. Erano legate e venivano fatte levitare in aria. Ron si irrigidisce di colpo quando riconosciamo quelle persone. Erano Ginny e Bill”
 
 
“Jake. Jake! Svegliati!” Lo chiamò una voce familiare mentre due forti braccia lo scuotevano. Harry spalancò gli occhi in un istante, afferrò i polsi di chiunque lo stesse assalendo e facendo leva con il ginocchio lo spedì violentemente giù dal letto. Alzò la mano stretta a pugno su di lui, ma prima di scagliare il colpo si bloccò, riconoscendo la chiama rosso fuoco del ragazzo impaurito che lo fissava sotto di lui. Era Ron. Disorientato, Harry notò gli altri ragazzi della stanza guardarlo altrettanto impauriti. Neville più di tutti. Tutti tranne Dean che sembrava più incazzato che impaurito. Realizzò di trovarsi nel suo dormitorio e che quello di prima non era stato che un maledetto incubo. Si mise in piedi lentamente porgendo la mano a Ron per aiutarlo ad alzarsi. Il ragazzo ancora spaventato strinse la mano di Harry. “Scusa Ron, non volevo.”
“N-Non fa niente” gli rispose Ronald ancora scombussolato. “Devi avere avuto un brutto incubo, ti dimenavi e… urlavi. Noi abbiamo provato a svegliarti ma non rispondevi.”
Harry gli sorrise debolmente imbarazzato: “Capisco… mi dispiace di avervi svegliato ragazzi.”
“Tanto fra poco meno di dieci minuti sarebbe suonata la sveglia di Seamus, e sarebbe stato comunque un brusco risveglio.” disse Ron tentando di alleggerire l’animo suscitando timide risate generali.
 
Mentre si stavano preparando per andare a fare colazione, ad Harry non sfuggirono le diverse occhiate che si scambiavano di nascosto i ragazzi. Decise di non farci caso fino a quando Seamus non si avvicinò e con un sorriso malandrino gli chiese: “Senti Jake, noi ci chiedevamo… ecco il perché tu avessi sognato Ginny Weasley.” Harry inarcò le sopracciglia sorpreso. “Come scusa?”
“Ginny Weasley… non facevi che ripetere “Ginny, Ginny” mentre dormivi.”
L’imbarazzo si fece strada dentro Harry. “Che figura di merda, Potter” si disse tra sé.
Volse il suo sguardo verso Ron, che lo guardava con un misto di imbarazzo e gelosia.
“Oh, davvero?” disse Harry fingendo di essere appena caduto dalle nuvole.
“Davvero” gli rispose Dean a braccia conserte. “E questo spiega perché prima sembrasse incazzato.”
Potter fece un respiro profondo, doveva ideare una soluzione per uscire da quella situazione di merda. Di certo non avrebbe rivelato dell’incubo, ma così pareva in un certo senso che lui avesse sognato Ginny per altri motivi. Non trovando scuse credibili congedò il tutto con un “mi dispiace, non ricordo di aver sognato la Weasley” e detto questo prese le sue cose e uscì dal dormitorio.
 
Quella mattina Harry non se la sentì di fare colazione e decise di girovagare per il castello. Incontrò diversi auror posti di guardia, alcuni dei loro visi gli erano noti. Avevano combattuto al suo fianco in diverse battaglie, perdendo la vita uno dopo l’altro.
Erano uomini valorosi e capaci, ed era grato del fatto che fossero stati scelti loro per questo incarico. Stava camminando per i corridoi del terzo piano quando si imbatté nell’Auror posto a guardia di quella sezione di castello: Ninfadora Tonks.
Harry si perse nello studiare i capelli rosa confetto della giovane auror, niente a che vedere con il grigio cenere della Tonks del suo mondo. Era semplicemente… lei, forse un po' più matura chissà.
 
“Qualche problema?” Gli chiese lei notando la strana espressione con la quale il ragazzo la stava osservando. 
 
“Benissimo.” Le rispose Harry sorridendole gentilmente.
Tonks lo analizzò con attenzione. Le ricordava terribilmente il suo collega James, stessi capelli, stessi tratti. Poi si ricordò dello strano ragazzo di cui le parlò una sera a cena Remus, e della sua somiglianza con il suo amico. Come aveva detto che si chiamava? Jake qualcosa.
“Non ti ho mai visto a scuola, qual è il tuo nome ragazzino?” Chiese curiosa.
“Mi chiamo Jake Sullivan, in effetti sono un nuovo studente di Hogwarts da poco più di una settimana.”
“Sullivan…” La ragazza socchiuse gli occhi pensierosi. La voglia di svelare quel mistero spinse Tonks a porgli la domanda che Remus si era trattenuto dal fare.
“Una curiosità Sullivan, sei per caso imparentato in qualche modo con i Potter?”
Harry fu spiazzato da quella domanda improvvisa. Nonostante la sua somiglianza con il padre gli fosse stata ricordata ogni singola volta nel corso della sua vita precedente, questa osservazione da parte di Tonks gli provocò un inspiegabile inquietudine interiore. Finché erano gli alleati ad accorgersi di questa somiglianza poteva andare anche bene, ma quando lo avrebbero scoperto i nemici… avrebbe reso la sua missione decisamente più complicata di quanto già non fosse.
“I Potter? Non credo. Anzi non credo di aver nemmeno mai sentito nominare di questi Potter. Sa non sono di questi parti.” Rispose con aria indifferente.
Tonks si accigliò un secondo, per poi scoccare le labbra. “Non fa niente, era solo una curiosità.” Gli rispose sorridendo. “Ora credo che tu abbia lezione. Jake”
“Ha ragione, con permesso.” Si congedò il ragazzo, allontanandosi da una Tonks ancora pensierosa.
 
***
 
La mattina trascorse abbastanza velocemente con le ore due ore di Trasfigurazione.
Rispetto alla prima lezione, ora Harry tentava di darsi un contegno e non attirare troppo l’attenzione della classe con la sua bravura, ma nonostante questo continuava a risultare il migliore della classe assieme ad Hermione. Quel giorno però i suoi due amici erano strani. Hermione sembrava più interessata a lui rispetto gli altri giorni, e lanciava sguardi indagatori dalla spalla di Harry. Ron invece lo osservava di nascosto, parlottando ogni tanto con la sua ragazza. Harry pensò che fosse tutto dovuto agli ultimi avvenimenti: lui che si presentava in sala comune con le vesti sporche di sangue, lui che svegliava tutti in preda ai suoi incubi, e ultimo ma non ultimo il fatto che avesse pronunciato il nome della sorellina di Ron nel sonno.
Dopo che Harry ebbe fatto evanescere alcuni oggetti di diverse dimensioni e averne evocati altri, la lezione si concluse con l’assegnazione di 10 punti per i grifoni.
 
Durante il pranzo Harry decise di mangiare in disparte. Un po' per il velo di imbarazzo che si era formato tra lui e Ron sia per ragionare sul suo piano.
Erano rimasti la coppa, il diario, l’anello e l’animale domestico di Tom. Volendo procrastinare il più possibile questa situazione di anonimato nei confronti del nemico, la cosa più ragionevole era occuparsi della coppa, essendo gli altri tre nelle immediate vicinanze di insediamenti nemici e da Voldemort stesso. Ovviamente ciò non significava che trovare la coppa e distruggerla fosse una passeggiata, no di certo. In teoria si trovava nella camera blindata dei Lestrange alla Gringott, la banca dei maghi, a Diagon Alley. Uno dei posti più protetti del mondo magico, almeno così recitava la brochure. Nonostante questo Harry non era così preoccupato, perché sapeva come intrufolarsi al suo interno eludendo i controlli. Quello che lo preoccupava era quello che non sapeva, ovvero se esisteva ancora una maledettissima banca. Diagon Alley in questo mondo era stata completamente distrutta da un attacco dei mangiamorte tempo addietro. E Harry non sapeva delle condizioni attuali in cui versava la cittadina. Questa era l’incognita che doveva risolvere.
 
“Un penny per i tuoi pensieri.” Harry si ridestò dalle sue riflessioni per guardare Hermione che prendeva posto vicino a lui.
Harry le sorrise gentilmente facendole posto.
“Ciao Hermione.”
“Ciao. Allora, cosa ti affligge?”
“Nulla tranquilla.”
“Sai Jake, non ti farebbe male confidarti con qualche amico ogni tanto. Tenersi tutto dentro non è mai l’ideale.”
“Mh-mh. Peccato che non ci sia nulla che mi affligge, tranquilla.”
“Oh andiamo. Se non ci fosse veramente nulla, allora perché te ne staresti in disparte ora. Perché stamattina ti sei svegliato in preda agli incubi. Perché diamine torni insanguinato alla sera inventando balle sul platano picchiatore?”
“Hermione cosa vuoi da me?”
“Voglio essere tua amica Jake! E gli amici si supportano a vicenda.”
“Amica? Ma se ci conosciamo da meno di due settimane.”
“Lo so, ma io, Ron, anche Ginny, sentiamo che con te c’è una sorta di… legame. Un’intesa particolare, come se ci conoscessimo da anni.”
Harry a quelle parole fissò Hermione negli occhi, che contraccambio con determinazione.
“Lo so che è strano…” continuò lei.
“No, non lo è infondo.” Rifletté a voce alta Harry.
“Come?”Rrispose lei inarcando le sopracciglia.
“Niente. Come ho detto prima: non c’è nulla. E anche se ci fosse, non potrei dirtelo Hermione mi dispiace.”
 
Lei chino la testa rassegnata.
“Va bene Jake, non ti posso certo costringere a rivelarmi cosa ti passa per la testa, come hai detto tu: ci conosciamo da neanche due settimane. Non sono affari miei, scusa.” Disse affranta.
Harry la fissò. Gli dispiaceva trattare Hermione in quel modo, ma lo faceva per proteggerla, per proteggere tutti loro. Meno sapevano, meglio era. Ma questo non placava il senso di colpa che provava nei suoi confronti. Perciò prese con delicatezza la mano di lei, che a quel gesto ebbe un sussulto.
“Hermione…” disse dolcemente “ti ringrazio di preoccuparti così per me. Credimi, mi riempie di gioia, però ti chiedo di fidarti di me se ti dico che non posso dirti nulla per adesso sui miei casini.”
Lei sollevo lo sguardo e gli sorrise.
“Va bene, Jake. Mi fido, se c’è però qualsiasi cosa che io, o gli altri possiamo fare… non ti basta che chiedere, d’accordo.”
“D’accordo” rispose lui contraccambiando il sorriso. “In realtà, forse potresti aiutarmi” continuò lui pensieroso procurandosi l’attenzione dell’amica. “Cosa mi sai dire della Gringott?”
 
***
 
Erano quasi scoccate le due di notte, Harry era seduto su una delle tante poltroncine imbottite della sala comune intento ad elaborare il piano per impossessarsi della coppa di Tassorosso. Dopo le rivelazioni di Hermione, era riuscito almeno in parte ad ottenere informazioni cruciali. La Gringott esisteva ancora grazie ad un patto stretto tra i folletti e Voldemort, in cui uno prometteva di non profanare i tesori custoditi nella banca e gli altri di finanziare l’esercito di mangiamorte. Diagon Alley era naturalmente in mano alle forze di Voldemort e i pochi abitanti rimasti erano costretti a collaborare con loro per aver salva la vita e non incappare in ritorsioni.
Gli estranei che giungevano in città dovevano farsi riconoscere e provare la loro fedeltà a Voldemort e alla sua causa, e senza nemmeno dirlo provare di non essere sangue-sporco.
“La situazione non è proprio delle più favorevoli, ma mi sono trovato in casini peggiori”
Erano ore che elaborava fantasiose strategie per giungere in città e accedere ai livelli inferiori della banca – dove erano collocate le camere blindate – senza farsi beccare o rivelare della caccia agli Horcrux in corso a Tom.
La lancetta dei minuti compì un giro completo all’interno del quadrante dell’orologio appeso sul camino, quando Harry decise che era giunto il momento di una pausa. Appoggiò gli occhiali sulla pergamena che aveva utilizzato per scarabocchiare schemi e appunti, poi si adagiò allo schienale chiudendo gli occhi e pizzicandosi la radice del naso con le dita.
 
L’ultima volta che aveva ideato una rapina alla Gringott era stato a Grimmauld Place. Ricordava quei giorni bui come se fossero marchiati a fuoco nella sua mente. Ricordava lui, intento a elaborare quel piano assurdo stando fisso su mappe e schemi proprio come adesso. Ricordava Ron, mentre gli faceva compagnia quelle rare volte che non stava nella camera di Hermione, con gli occhi spenti e il viso pallido come la cera. Non interveniva mai, non parlava o mangiava ma se ne stava lì, seduto al fianco di Harry. Non era più stato lo stesso da quando avevano liberato Hermione da villa Malfoy. Bellatrix l’aveva torturata per giorni per ottenere informazioni sulla loro missione, ma Hermione non cedette mai. Caparbia e coraggiosa Hermione. Quando la trovarono, in un angolo freddo e umido all’interno di una cella angusta della loro Hermione non era rimasto molto. Era priva di sensi, con il corpo profondamente deturpato.
Harry ricordò il senso di impotenza e la rabbia a quella visione.
 
Decisero di riportarla indietro, dovevano portarla al sicuro, a casa. Ron la prese in braccio con una delicatezza assurda, come se fosse stata fatta di cristallo finissimo. Riuscirono a scappare dalla villa per un soffio con i mangiamorte alle calcagna. La portarono a Grimmauld Place e si presero cura di lei. Ma lei… lei non si svegliò mai. Lui e Ron le stettero sempre accanto, giorno dopo giorno.
Harry fu il primo a rendersi conto che probabilmente erano arrivati troppo tardi, che non l’avevano mai realmente salvata e che della loro Hermione ormai non esisteva che un involucro vuoto.
Ma Harry sapeva che a suo malgrado doveva continuare con la missione, la sua Hermione avrebbe voluto così. E si mise al lavoro, pianificò quel folle, irrealizzabile piano. Passò giorni a tenersi occupato su quelle carte per non pensare alla sua migliore amica e a quel demone interiore che esigeva vendetta. Ron invece non si arrese mai e sperò fino all’ultimo secondo che Hermione potesse svegliarsi da quel coma profondo in cui era caduta. Anche quando il suo cuore smise di funzionare. Anche quando la seppellirono in giardino e l’ultimo mucchio di terra fu gettato sulla bara.
 
Harry aprì gli occhi, tornando al presente. Si asciugò una lacrima solitaria che era riuscita a sfuggire sulla guancia ringraziando che nessuno potesse vederlo in quel momento, scosse la testa infilandosi gli occhiali e si rimise a lavoro con più convinzione di prima, la sua Hermione avrebbe voluto così.
 
Quando arrivò l’alba Harry stava limando gli ultimi dettagli. Per il suo piano era necessario assumere le sembianze di qualcuno che in questo mondo possedesse una camera blindata alla Gringott, possibilmente in profondità, tra le più protette. Bellatrix Lestrange sarebbe stata perfetta ovviamente, ma avvicinarla avrebbe comportato tempo e fatica inutile, quindi la scartò immediatamente. La sua ricerca era circoscritta ai mangiamorte, così avrebbe evitato controlli eccessivi e non avrebbe sollevato sospetti. Ma chi tra i mangiamorte era così ricco da permettersi una delle camere blindate ai livelli inferiori della banca? Lucius Malfoy era tra i più papabili, e Harry doveva ammettere che far visita al buon vecchio Lucius era un’idea che lo allettava non poco, ma poi ebbe l’illuminazione. C’era un mangiamorte, discendente di un’antica e nobile casata, con una bella camera blindata posta ad un solo livello di distanza da quella dei Lestrange. E soprattutto, che Harry aveva già avuto l’onore di incontrare. Regulus Black. A questo punto, trovato il mangiamorte giusto era necessaria la pozione polisucco. Ora, realizzare la pozione non rappresentava un problema di per sé, il problema erano i tempi di preparazione. Un mese per l’esattezza, e Harry sapeva di non poter perdere tutto quel tempo, perciò prese le sue cose e mentre gli altri studenti scendevano per dirigersi in Sala Grande, lui uscì in direzione dell’ufficio di Lumacorno, situato nei sotterranei. Tra le sue scorte, Harry era sicuro che avrebbe trovato la pozione in questione, pronta all’utilizzo.
 
Giunse nella stanza dove Lumacorno era solito tenere le sue scorte. La porta era ovviamente sigillata con un paio di incantesimi protettivi che Harry disabilitò senza grandi difficoltà. Una volta entrato e chiusosi la porta alle spalle, osservò le diverse scansie con miriadi di ampolle, provette e boccette dalle forme più disparate, come i loro contenuti. Il vecchio Harry si sarebbe messo ad ispezionare ogni singola pozione in quella stanza perdendo tempo prezioso e maledicendo i fondatori d’ogni tanto.
 
Ora invece gli bastò puntare la bacchetta ed appellare la polisucco senza tante cerimonie: se c’era, sarebbe giunta nella sua mano in men che non si dica, se non c’era, non avrebbe sprecato inutilmente tempo nella sua ricerca. Per fortuna dopo aver scagliato l’incantesimo, un’ampolla con un’anonima etichetta bianca prese a scendere da uno degli scaffali superiori e levitò verso il ragazzo. Harry la afferrò e leggendo l’etichetta:
Pozione Polisucco
Realizzata in data 07/09/97
Da: Professor Horace Lumacorno.
VIETATO L’USO AGLI STUDENTI
 
Harry ripose l’ampolla in tasca compiaciuto. “E questa è fatta.” Si disse prima di uscire dalla stanza.
Percorse qualche metro quando un uomo paffuto con i baffi da tricheco e con un abito verde scuro a quadri non sbucò nel corridoio andandogli quasi ad impattare addosso.
“Oh Sullivan, mio caro.” Disse il professor Lumacorno sorridente.
“Professore…” Rispose Harry con un sorriso cordiale.
“Non dovresti essere a fare colazione con gli altri?”
“Oh sì, ma vede…” tentennò Harry in cerca di una scusa credibile.
“Mi sono perso!” esclamò. Dopotutto era plausibile che Jake Sullivan si potesse smarrire in quell’enorme castello dopo solo qualche settimana.
Il professore sembrò credergli senza indugio.
“Certamente, è perfettamente plausibile caro mio.” Disse ridendo sotto i suoi baffi brizzolati, mentre Harry si limitò solo a sorridere.
Poi lo sguardo del professore si fece pensieroso.
“Sig. Sullivan vorrei approfittare di questa occasione per riferirle che mi è solito ogni anno creare una sorta di gruppo di ragazzi speciali, i più talentuosi per così dire. Il Lumaclub mi piace chiamarlo.” Disse ridendo e battendosi orgogliosamente le mani sulla pancia più che abbondante. “Quindi, visto il suo talento nella mia materia, sarei onorato se facesse parte dei nostri.” Concluse attendendo sorridente la risposta del ragazzo.
 
Harry aveva intuito che prima o poi sarebbe successo. Gli sembrava di essere tornato al suo sesto anno, con la differenza che all’epoca era stato merito del libro di Piton se era così bravo in pozioni, mentre ora si affidava alle sue conoscenze acquisite in quegli anni di guerra. Ma Harry era certo di una cosa: quel club era di una noia mortale e aveva già abbastanza casini a cui pensare. Perciò con aria fintamente dispiaciuta, declinò l’offerta del professore lasciandolo interdetto.
“Non nascondo che mi dispiaccia di questa sua decisione, sig. Sullivan. Se mai cambierà idea non si faccia problemi a venire!” disse infine. Poi i due si salutarono e tornarono ognuno sulla propria strada.
 
***
 
Il giorno seguente Jake Sullivan, senza dire niente a nessuno, scomparve. Non si presentò a lezione, né ai pasti in Sala Grande. Non si trovava né in Sala Comune né in nessuna altra parte. Così, come era apparso misteriosamente settimane addietro sulle sponde del lago nero, era misteriosamente scomparso.
 
A miglia di distanza, nel centro di Londra a Grimmauld Place, Harry si materializzò nella zona verde al centro della piazza, in un punto riparato tra gli alberi innevati. Erano all’incirca le sette di mattina, e la temperatura doveva essere di qualche grado sotto lo zero. Come l’ultima volta, si era trasfigurato i connotati del viso per non farsi riconoscere, risultando anche più vecchio di una ventina d’anni.
In giro per le strade, le poche persone che giravano a piedi, sembravano intimorite e spaventate e camminavano a passo spedito guardandosi furtivamente attorno.
“Non deve essere una situazione piacevole neanche per loro.” Pensò Harry.
 
Il civico numero 12 fece la sua comparsa una volta che Harry focalizzò l’indirizzo nella sua mente. Attraversò la strada con passo deciso e salì i tre gradini che separavano il portone d’ingresso dal piano stradale. Aprì la porta con un incantesimo e la spinse con cautela cercando di non fare rumore.
 
Il corridoio interno era di gran lunga più illuminato rispetto alla sua ultima visita, con i raggi del sole che si riflettevano sui numerosi quadri appesi alle pareti e sui vasi di finissimo cristallo posti su scafali in mogano.
Harry vide in fondo al corridoio il ritratto della madre di Sirius che dormiva beata sulla sua poltrona. Nel resto della casa regnava il silenzio.
“Bene, vediamo se c’è qualcuno in casa. Homenum Revelio”
L’incantesimo scansionò l’intera abitazione e rivelò una presenza umana all’ultimo piano dell’abitazione, proprio dove si trovavano le camere di Regulus e Sirius.
“Forse è il mio giorno fortunato.” Pensò il ragazzo.
Conscio del rischio di aver rivelato la sua presenza con l’incantesimo, si rese invisibile e prese a salire su per le scale.
 
Giunse all’ultimo piano senza difficoltà, trovandosi la porta della camera di fronte a sé con le lettere R.A.B. incise sul battente. Harry pose la mano sul pomello, tenendo la bacchetta spianata con l’altra, e aprì.
 
Non ci fu tempo di pensare, ebbe appena il tempo di vedere il lampo rosso venirgli incontro, che si buttò di riflesso di lato. L’incantesimo lo schivò di un soffio e andò ad abbattersi contro parete alle sue spalle. Ringraziando ancora una volta i riflessi da cercatore ereditati da suo padre, si alzò in piedi andandosi a proteggere dietro la parete.
 
“Chi sei? Cosa ci fai in casa mia?” Gli urlò una voce da dentro la stanza.
“Regulus! Non è così che si accolgono gli ospiti, non ti hanno insegnato le buone maniere?” Lo provocò Harry.
“Chi diavolo sei?” tuonò Regulus di risposta.
“Non ha importanza chi sono Regulus, almeno per te.” Disse Harry scagliando un incantesimo sulla parete che gli permetteva di vedere tutto quello che c’era dall’altra parte.
“Non sai contro chi ti sei messo!” Lo minacciò Black.
Harry finalmente lo avvistò. Era inginocchiato dietro al letto, con la bacchetta puntata contro la porta, visibilmente alterato.
“Oh lo so benissimo invece. Regulus Arcturus Black. Mangiamorte. Serpeverde. Purosangue. Sei praticamente uno stereotipo vivente caro mio.” Lo stuzzicò mentre prendeva la mira.
“Ora basta! Rivelati codardo. Esci allo scoperto. Voglio vederti negli occhi prima di ucciderti!” Gli urlò contro l’altro.
Harry rise alla sua minaccia. “Uccidermi? Lo sai quanti dei tuoi amici hanno tentato di uccidermi? È sempre la stessa storia, siete monotoni. Ora ascoltami bene Regulus, mi sono divertito, ma non ho intenzione di perdere altro tempo con te. Butta la bacchetta a terra ed esci dalla stanza con le mani in vista e non ti accadrà nulla di male.” Disse calmo ma glaciale.
“Tu sei pazzo!” Gli rispose il mangiamorte.
“Solo un po'.” Sussurrò Harry prima di scagliare un incantesimo perforante che trapasso con facilità la parete e colpì la mano armata di Regulus spezzandogliela in due. La bacchetta venne scagliata via assieme ad una considerevole quantità di sangue, mentre l’uomo sbraitava dal dolore tenendosi quel che gli rimaneva della mano.
 
A quel punto Harry entrò nella stanza sciogliendo l’incantesimo di disillusione, ma mantenendo i suoi tratti trasfigurati.
Alla sua vista, Regulus si mise freneticamente alla ricerca della propria bacchetta, che tentò di afferrare una volta trovata, ma questa guizzò via dritta nella mano di Harry.
“Questa non credo che ti serva più, Regulus.” Disse con calma rivolto all’uomo che ora stava inginocchiato vicino al letto.
“C-C-Che cosa vuoi da ME?” Urlò disperato l’altro.
Harry gli sorrise, accomodandosi ai piedi del letto.
“Voglio principalmente due cose. Un tuo capello e informazioni.”
Regulus lo guardò confuso, non capendo cosa intendesse.
“Che cosa?” Chiese affannato. Il dolore alla mano doveva essere insopportabile.
“Un tuo capello e informazioni.” Ripeté con una tranquillità disarmante.
“Io non capisco…”
Harry sospirò volgendo gli occhi al cielo. “Eh va bene, facciamo così.” Disse prima di alzarsi dal letto e andare, con un movimento secco, a strappare una ciocca dalla lunga chioma del sig. Black che si lasciò sfuggire un altro grido di dolore.
“E sta buono, sono solo capelli.” Lo schernì Harry per poi tornare a sedersi mentre inseriva la ciocca in un piccolo contenitore di vetro che aveva estratto dalla tasca.
“Perfetto. Ora passiamo alle informazioni…” disse posando di nuovo lo sguardo sul fratello di Sirius.
“Che informazioni?” Chiese l’altro preoccupato.
“Prima di tutto, il numero della tua camera blindata.” Chiese sorridendo.
Regulus sgranò gli occhi. “Ah è di questo che si tratta? Vuoi derubarmi, non è così?” soffiò astioso.
Harry scoppiò a ridere. “Oh cielo no! Non mi interessa dei tuoi soldi tranquillo.”
“Se non ti interessano i soldi allora perché…”
“Dammi quel numero, Black.” Disse imperativo Harry tornando improvvisamente serio.
“No, mai!” Rispose convinto il mangiamorte.
Improvvisamente un dolore atroce, quasi mortale pervase il corpo di Regulus, come se qualcuno stesse conficcando centinaia, anzi no, migliaia di coltelli roventi nella sua carne. Un dolore che la mente umana non riuscirebbe minimamente a concepire e che nessun uomo dovrebbe mai subire. Il tutto durò alcuni secondi, anche se gli parvero decenni.
Black non era nuovo a quel dolore, lo conosceva bene, come l’incantesimo che lo provocava, uno dei più usati dal Signore Oscuro per punire chi lo deludeva o disubbidiva.
Aprì gli occhi, con il corpo percosso da tremiti, e la gola in fiamme, come se avesse urlato a squarciagola.
 
Harry lo guardò inespressivo, tranquillo, come se non niente fosse successo.
“Come ho detto prima, non ho molto tempo da perdere con te. Rispondi alle mie domande velocemente e soprattutto sinceramente, o sarò costretto a infliggerti dolore.
Quindi te lo ripeto, dammi il numero della tua camera blindata?”
 
Regulus lo fissava con un misto di odio e timore, mentre una voce dentro di sé gli diceva di rispondere senza fare troppe storie.
“Sette-uno-uno.” Disse a denti stretti guardando il pavimento.
“Bene. Visto? Non ci voleva molto. Quanti mangiamorte ha posto Voldemort a guardia della Gringott?”
 
A sentire quel nome, Regulus scattò in piedi scioccato.
“Tu come OSI PRONUNCIARE IL SUO NOME?” Gli urlò addosso.
Harry rimase seduto, per nulla allarmato o intimorito dalla sua reazione. Si limitò solamente a puntargli addosso la bacchetta. “Torna giù, Regulus.”
 
Il mangiamorte lo fissò ancora sconvolto e ansimante, con gli occhi spiritati.
Non gli era mai successo di sentire pronunciare il nome del Signore Oscuro con così tanta disinvoltura e poco rispetto.
Tentennò un paio di secondi, ma decise di tornare in ginocchio.
“Ora rispondi.” Insistette Harry freddamente.
Regulus fece un profondo respiro. “Tre mangiamorte a protezione delle scalinate d’accesso, con i Ghermidori che pattugliano le strade.” Rivelò riluttante.
“E all’interno?”
“All’interno la sicurezza è affidata completamente ai folletti e alle guardie da loro assoldate.”
“Parlami di queste guardie.”
“Ce ne sono due poste ai lati del portale di ingresso. E quattro o cinque che sorvegliano il salone principale.”
“I sotterranei?”
“Non ce ne sono, non ce n’è bisogno.”
“Quali sono le misure di sicurezza adottate dai folletti per i sotterranei?”
“Non lo so, i soliti. Incantesimi di anti-smaterializzazione, anti-passaporta. La cascata del ladro che è una cascata dov-“
“Lo so cos’è. Continua.”
“Ci sono draghi, sfingi e anche dissennatori ai livelli più inferiori.”
“Nient’altro?”
Regulus sembrò pensarci su ma scosse la testa. “No, mi sembra tutto.”
Harry lo fissò per capire se gli stesse mentendo, era diventato bravo a capire quando una persona gli mentiva, dopo che per la sua intera adolescenza non avevano fatto altro che usarlo e mentirgli. Regulus diceva la verità.
 
I suoi pensieri furono interrotti da un “crack” provenire fuori dalla porta.
 
Si voltò allarmato, e vide Kreacher, l’elfo domestico, appena comparso sul pianerottolo fuori la stanza.
“Kreacher! Aiutami, fa qualcosa!” Gli ordinò disperato Regulus alle sue spalle.
Vide l’elfo dubbioso poco prima di schioccare le dita. “Oh merda!” Furono le ultime parole di Harry prima di venire catapultato al di là della stanza, contro il camino in marmo, sbattendo la testa e crollando sul pavimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La coppa di Tosca Tassorosso ***


CAPITOLO X
 
“Oh merda!” Furono le ultime parole di Harry prima che venisse catapultato al di là della stanza, contro il camino in marmo, sbattendo la testa e crollando sul pavimento.
 
 
“Questa l’ho sentita.” Disse Harry massaggiandosi la testa, avvertendo qualcosa di bagnato e caldo tra i capelli. Sangue.
Tentando di mettere a fuoco la camera, vide l’elfo andare verso Regulus. I due si stavano dicendo qualcosa che non riuscì a comprendere, con l’uomo che dimenava il braccio insanguinato. Poi l’elfo schioccò le dita e la mano di Regulus guarì magicamente.
Harry sapeva di dover far qualcosa, e subito.
Per sua fortuna la bacchetta era a portata di mano, vicino alla gamba. Senza perdere tempo l’afferrò e scagliò l’incantesimo più velocemente possibile. Né Kreacher né tanto meno Regulus riuscirono ad impedire che l’incantesimo colpisse quest’ultimo.
 
Ma non accadde nulla. L’uomo era ancora in piedi e illeso, con Kreacher che lo fissava preoccupato. “Padron Regulus, signore si sente bene?” Ma Black non rispondeva, se ne stava lì, immobile. 
 
Kreacher allora si voltò verso Harry: “Voi, voi avete fatto del male al Padron Regulus!?”
Stava per schioccare di nuovo le dita rivolto contro il ragazzo, ma Regulus lo fermò.
“Kreacher basta! Vai via. E non dire a nessuno quello che hai visto adesso in questa stanza. Hai capito?”
L’elfo si bloccò e guardando confuso il suo padrone, che lo guardava con aria assente.
“Si padron Regulus, Kreacher ha capito, signore.” Disse poi.
“Bene, vai ora!” Gli ordinò e l’elfo scomparve nel nulla.
 
Due imperdonabili in una sola mattina. Il Ministero non sarebbe fiero di me.” Pensò Harry mentre si rimetteva in piedi. Si curò la contusione dietro la testa e sciolse la maledizione Imperio dal sig. Black, che si rianimò allarmato.
 
“Purtroppo per te, gli elfi domestici obbediscono sempre agli ordini del loro padrone, anche se questo è sotto gli effetti della maledizione Imperio.” Spiego Harry mentre si avvicinava a Regulus, che lo fissava con odio. “Detto ciò, credo che ora io debba proprio andare. Ma prima…” Gli disse prima di puntargli la bacchetta contro.
 
Regulus spaventato indietreggiò, inciampando e cadendo sul pavimento.
“Vuoi uccidermi?” Gli chiese con il terrore che si impossessava di lui.
Harry inarcò le sopracciglia perplesso.
“Assolutamente no. Solleverei troppi sospetti se ti uccidessi qui, a casa tua. No?”
Regulus appariva confuso più che mai.
“Quindi… se non vuoi uccidermi, che vuoi farmi?”
Harry sorrise malignamente.
“Non preoccuparti. Oblivion!”
 
***
 
In quella che una volta era la variopinta e caotica Diagon Alley, regnava ora il silenzio. Poche persone si arrischiavano ad avventurarsi per le sue vie in degrado, e nessuno osava fermarsi per parlare con un conoscente o amico per strada. Il cielo era perennemente nuvoloso, la temperatura proibitiva, e la felicità aveva da tempo abbandonato questo luogo. Voldemort aveva lasciato che i dissennatori vagassero liberi per il paese quando salì al potere e questi ne erano gli effetti.
Macerie, crateri e ciottoli di porfido erano ammucchiati ai lati della strada tra le cataste di neve congelata. Molti negozi avevano chiuso i battenti e i civili preferivano rimanere rintanati nelle proprie abitazioni, o almeno in quello che ne rimaneva, e uscivano solo se strettamente necessario, per comprare viveri, pozioni o altri beni di prima necessità. La paura era palpabile e molto, molto reale.
 
Harry si smaterializzo in un vicolo buio e stretto della città, a pochi passi da quello che una volta era il negozio di bacchette di Olivander. Aveva duplicato con un incantesimo la divisa da mangiamorte che indossava Regulus compresa della tipica maschera che fortunatamente gli aveva trovato in tasca.
La mania per la teatralità di Voldemort, che includeva far indossare spaventose maschere ai suoi seguaci incappucciati, gli stava tornando utile. Questa e la polisucco lo avrebbero fatto passare inosservato senza troppe difficoltà. Black sarebbe rimasto incosciente per cinque ore prima di svegliarsi nel suo letto senza alcun ricordo della piccola visita che gli aveva fatto, mentre la polissucco sarebbe durata un’ora esatta. Questa è la finestra di tempo di cui disponeva.
Prese la fiala contenente la pozione e la trangugiò in un sol sorso. “Che schifo.” Disse dopo aver ingerito la disgustosa e viscida soluzione fangosa.
 
Percepì immediatamente la pelle bruciare come se fosse cera calda e dei forti crampi propagarsi su tutto il corpo. I suoi capelli incominciarono ad allungarsi fino a raggiungere le spalle, le sue gambe acquistarono qualche centimetro e la sua vista cominciò a peggiorare.
L’agonia durò qualche minuto, per poi cessare all’istante. Tutto intorno a lui era sfocato e distorto. “Ma certo, gli occhiali.” Disse prima di levarseli e riacquisire la vista. Si tastò i folti capelli mossi e il viso barbuto. Ora era Regulus Arcturus Black, mangiamorte.
Prese la maschera dalla profonda tasca del cappotto di pelle nero. Era d’argento, con fini decorazioni su tutta la superfice. Unica per ogni mangiamorte. “Patetico”. Sospirò Harry prima di indossarla.
 
Si affacciò sulla strada principale per valutare la situazione. C’era un gruppo di ghermidori, dieci per l’esattezza, che perlustrando il viale si stavano avvicinando verso di lui. Due giovani ragazze sulla trentina e dall’aria preoccupata camminavano con la testa china trasportando dei sacchetti di juta, probabilmente contenenti cibo, al di là del marciapiede.
Dopo essersi fatto un’idea di quello che c’era in giro uscì allo scoperto, e con passo deciso si incamminò lungo la via principale verso l’imponente edificio in marmo bianchissimo che troneggiava su tutti gli altri: La banca dei maghi.
Incrociò i ghermidori e la sua mano andò istintivamente a posarsi sulla punta della bacchetta che teneva nascosta all’interno della manica del cappotto. Se avessero provato ad attaccarlo, si sarebbe fatto trovare preparato. Ma questi, al contrario, si limitarono ad abbassare lo sguardo con riverenza. Questo lo tranquillizzò.
Gli arrivò una ventata del fetore che quei luridi individui emanavano, un misto di alcol e sudore che Harry trovava stomachevole. Ma nonostante tutto continuò per la sua strada. Non aveva tempo da perdere.
 
Giunse alla scalinata marmorea della banca. Sugli scalini, con rammarico di Harry, sostavano tre mangiamorte. Doveva immaginarlo che Voldemort avrebbe messo alcuni dei suoi uomini fidati a guardia della banca. Oltre ai mangiamorte, ai lati del portale di ingresso, c’erano inoltre due guardie assoldate dai folletti e con molta probabilità ne avrebbe incontrate altre all’interno. Non facendo trasparire la sua preoccupazione all’esterno, incominciò a salire su per gli scalini.
I tre mangiamorte stavano chiacchierando tra di loro quando si accorsero della sua presenza. Uno inclinò la testa e farfugliò qualcosa ai suoi compagni prima di rivolgere la parola al nuovo arrivato.
“Ehi Black! Sei tu, vero? Che ci fai da queste parti?”
Harry deglutì, dovevano aver riconosciuto la maschera. La voce di quell’uomo comunque, gli era famigliare, ma non era certo di chi fosse. Dove aveva già sentito quella voce? Chi si nascondeva dietro a quella maschera?
“Black?” Chiese l’altro di nuovo.
“Sì. Sono io.” Rispose Harry camuffando il suo tono per farlo risultare più rauco e simile a quello di Regulus.
“Vecchio diavolo! È lui ragazzi! Da quanto tempo, eh? Da quando non ci vediamo?”
Chiese in tono confidenziale appoggiandogli una mano sulla spalla.
Harry dovette trattenere l’istinto di spaccargli le ossa del braccio.
“Troppo.” Rispose vago.
“Che ci fai qui? Non dovresti occuparti assieme agli altri della rivolta a Manchester?”
Di che rivolta parlava? Harry fu colto alla sprovvista, non sapeva di nessuna rivolta.
“S-si. Ma il Signore Oscuro mi ha affidato una commissione qui, alla Gringott.” Tentò si sviare il ragazzo. Stava perdendo troppo tempo.
“Che commissione?” Chiese il mangiamorte dubbioso.
Harry si stava spazientendo. Rischiavano di scoprirlo.
“Non sono affari tuoi.” Rispose brusco.
 
L’altro indietreggiò sullo scalino.
“Scusa. Hai ragione.”
Harry prese un lungo respiro. Doveva controllarsi.
“Ora se non vi dispiace, avrei una certa fretta.” Concluse con calma, continuando a salire le scale, sperando di essere stato abbastanza convincente.
I tre mangiamorte lo guardarono avviarsi verso il portale di ingresso.
“Si comportava in modo strano, non trovate?” Chiese quello che aveva interloquito con Harry.
“Andiamo Yaxley, non fare il solito sospettoso. È Black, è sempre stato strano quello.” Disse l’altro.
“…sarà.” Meditò Yaxley prima di voltarsi di nuovo verso gli altri e riprendendo la loro conversazione.
  
Sulla soglia della banca una delle guardie si parò davanti a Harry. Era corpulenta, con enormi baffi rossastri. Gli ricordava vagamente Zio Vernon.
“Buongiorno.” Disse la guardia. “Si identifichi, prego.”
“Sono Regulus Black.” Rispose Harry deciso.
La guardia schiuse la bocca. “Può mostrare il volto, gentilmente.”
Harry obbedì, d’altronde aveva assunto la polisucco proprio per questa evenienza, e quindi si tolse la maschera.
 
La guardia, dopo averlo fissato per qualche istante, prese la bacchetta dalla fodera della cintura. Harry si irrigidì. Ecco. Lo avevano scoperto, pensò. Era pronto a schiantare la guardia, ma quest’ultima non gli puntò contro la bacchetta, ma evocò invece un enorme libro di cuoio che Harry guardò accigliato. L’uomo aprì il libro che lievitava a mezz’aria scorrendo le diverse pagine di pergamena giallastra. In ogni pagina c’erano una foto e una didascalia.
“Ecco.” Disse la guardia una volta giunta alla pagina con la foto proprio di Regulus. Fece scorrere il dito calloso sulla pergamena, leggendone velocemente il contenuto. “Sì.” Aggiunse annuendo con la testa. “Le do il benvenuto alla Gringott, signor Black.” Concluse facendo scomparire il libro con un tocco di bacchetta per poi tornare alla sua postazione. Harry sospirò prima di incamminarsi.
 
L’interno della banca era costituito da un enorme sala altissima, con due lunghe file di banconi in legno sopra i quali i folletti analizzavano, pesavano e contavano pietre preziose e monete. La temperatura all’interno era decisamente più confortevole rispetto all’esterno dovette convenire il ragazzo. In fondo, quasi dall’altra parte della sala, chinato sul suo bancone a scrivere chissà cosa, Harry riconobbe una sua vecchia conoscenza: Unci Unci, il folletto che lo condusse alla sua camera blindata quando aveva scoperto di essere un mago, e che lo aveva aiutare a derubare la banca sette anni dopo.
 
Decise di rivolgersi a lui anche questa volta, e si mise ad attraversare la sala mentre decina di piccole teste con le orecchie a punta lo scrutavano da dietro i banconi.
 
Dovette schiarirsi la voce per farsi notare.
 “Che piacere rivederla signor Black, cosa posso fare per lei?” Chiese il folletto ossequioso.
“Interessante, vedo che non sei più altezzoso come un tempo eh?” pensò Harry.
“Voglio prelevare dalla mia camera blindata” Rispose freddamente.
“Certamente. Prego mi segua.” Disse Unci Unci prima di scendere e girare attorno al bancone per raggiungere l’uomo.
“Da questa parte signor Black.” Gli fece cenno indicando una porta dietro di lui.
 
Il carello che trasportava Harry e il folletto sfrecciava sulle rotaie e scendeva sferragliando rumorosamente. Una piccola lanterna era l’unica fonte di luce nell’oscurità di quei sotterranei. Superò il livello della sua camera blindata, o meglio, dei suoi genitori e scesero ancora e ancora. Passò il punto in cui l’ultima volta vennero sommersi dalla “cascata del ladro” e poco dopo il folletto attivo i freni essendo ormai prossimi a destinazione.
 
Harry a quel punto, da sotto la veste, scagliò di nascosto l’incantesimo Imperius contro Unci Unci, che non rendendosene neanche conto fu presto sotto il controllo del ragazzo.
“Continua, non fermarti. Portami alla camera blindata dei Lestrange.” Gli ordinò nella sua testa.
Il folletto, con lo sguardo inespressivo, mollò i freni e sfrecciò davanti alla camera 711 continuando a scendere ancora più in profondità.
 
Quando il carrello si fermò strigliando, Harry fece scendere il folletto e gli ordinò di fargli strada.
Mentre camminavano Harry si preparò mentalmente al prossimo ostacolo da superare: il fottutissimo Panciasquamato Ucraino posto a guardia di quelle camere blindate. C’era un solo modo per tenerlo a bada: il rumore. Metodo barbaro avrebbe detto Hermione, ma efficace.
 
Dopo una manciata di passi, in una grande stanza circolare, il drago era lì, ad attenderli.
Era molto più imponente di quanto si ricordasse. Lungo circa sedici metri e pesante ad occhio 8 tonnellate, era tenuto fermo da enormi catene di ferro strette attorno a collo e zampe.
 
Harry trovò dei campanacci contenuti in una cassa poco distante, usati dai folletti per produrre rumore e intimorire la bestia, e si mosse rapidamente per afferrarne un paio. Il drago appena notò i due intrusi si erse in tutta la sua possenza, emettendo un profondo ed inquietante verso gutturale, in segno di inequivocabile avvertimento.
 
“Calma piccolo, calma.” Disse Harry mentre si dirigeva lentamente verso la camera blindata, tenendo d’occhio il drago.
La bestia non sembrava incline ad ascoltare il ragazzo, infatti stava diventando sempre più irrequieto, dimenandosi e ringhiando, fino a quando non inarcò all’indietro la testa prendendo un lungo e profondo respiro.
Harry capì immediatamente quello che si apprestava a fare: incenerirli sul posto.
“Merda!” Imprecò, cominciando a suonare il campanaccio che aveva in mano.
Il drago, appena udito il suono, si agitò ancor di più per la paura, indietreggiando e chinando il capo in segno di sottomissione, mentre Harry e il folletto entravano in un secondo vano, al sicuro dalla bestia.
 
“Muoviti. Camera blindata dei Lestrange, ora!” Ordinò ad Unci Unci una volta posati i campanacci ed essersi lasciati il drago alle spalle.
Il folletto fece strada e poco dopo erano davanti ad una enorme, pesante porta nera in ferro battuto. Una targa d’ottone riportava il numero 805.
Harry ora poteva percepirlo, avvertiva la sua magia. L’horcrux era dietro quella porta.
“È qua dentro. Forza, aprila!” Disse rivolto al folletto.
Al piccolo banchiere bastò appoggiare la mano sulla porta e un forte rumore metallico di serrature che si aprivano e scorrevano preannunciava la sua lenta e cigolante apertura.
“Lumos.”
La candida luce scaturita dalla punta della sua bacchetta illuminò l’interno della camera blindata, o meglio, di quella piccola grotta austera traboccante di monete d’oro, antichi artefatti, quadri, armature e là, sulla parete di fondo, su una piccola mensola di legno, una coppa dorata.
 
Il tempo a sua disposizione non era molto, aveva contato indicativamente 40 minuti da quando aveva assunto la pozione, questo voleva dire che aveva a disposizione poco meno di 20 minuti. “Devo darmi una mossa.” Si disse tra sé. “Accio coppa.” Pronunciò diretto verso l’artefatto, ma questa non si mosse di un millimetro. “E brava Bellatrix.” Esclamò sorridendo, intrigato dalla sfida. “Vediamo cosa hai messo in serbo per gli ospiti.”
Harry incominciò a compiere articolati movimenti con la bacchetta sussurrando parole incomprensibili, mentre la punta si illuminava di diversi colori. Blu, giallo, porpora e così via. Alla fine della procedura, gli incantesimi rivelatori da lui lanciati avevano indicato diverse maledizioni. Come l’ultima volta, sugli oggetti erano state scagliate le maledizioni Geminio e Flagrante, alle quali si aggiungevano la maledizione asfissiante e quella paralizzante. Un mix a dir poco letale per chiunque avesse sfiorato uno qualunque di quei tesori. Tra lui e la coppa erano stati disseminati pile di oggetti ed era impossibile raggiungerla senza prima disabilitare quelle maledizioni.
 
Dovette sprecare dieci minuti del prezioso tempo che gli rimaneva per annullarle, e una volta riuscitosi prese a scavalcare quei cumoli di preziose cianfrusaglie per prendere il vero tesoro custodito la dentro, la coppa di Tosca Tassorosso.
Era piccola, dorata e finemente cesellata con il simbolo di un tasso.
Harry, mentre pianificava il furto in Sala Comune, aveva pensato al miglior modo per non suscitare sospetti, e la soluzione gli arrivò pensando ad un’altra reliquia di uno dei quattro fondatori: la spada di Godric Grifondoro, o meglio alla sua copia. Se Bellatrix fosse per qualche motivo venuta nella sua camera blindata, avrebbe trovato una fedele copia della preziosissima coppa affidatole dal suo padrone.
 
Perciò, una volta presa in mano, Harry la duplicò e constatato che fosse identica in tutto per tutto, ripose il falso, mise quella autentica in tasca e lasciò la camera.
“Chiudi la porta e riportami in superfice.” Ordinò al folletto che lo aveva atteso sulla soglia.
 
Quando il carretto giunse alla fermata adiacente al grande salone principale, Harry calcolò che gli rimanevano pressappoco cinque minuti prima che l’effetto della polissucco terminasse. Doveva far presto. Accompagnò il folletto al suo posto da lavoro dietro al bancone, levando di nascosto l’Imperius per sostituirlo con l’incantesimo Confundus non verbale. Volse il suo sguardo sul resto della sala dove i folletti stavano svolgendo le proprie attività. Per fortuna sembravano non essersi accorti di nulla. Molto bene. Mancava poco. Si diresse verso l’uscita lasciando un confuso Unci Unci alle sue faccende, avvertendo tanti piccoli occhi su di lui, mentre percorreva a ritroso il salone tra le due lunghe file di banconi lignei, ma nessuno lo fermò o diede l’allarme.
 
Giunto all’esterno tirò un sospiro di sollievo. Era andata bene. Ora però si doveva allontanare al più presto. Delle urla in lontananza attirarono però la sua attenzione. Vide i ghermidori strattonare alcune persone in mezzo alla strada, mentre queste urlavano e piangevano. C’erano anche due bambini tra di loro, e riconobbe anche quella che doveva essere la loro madre dimenarsi mentre li separavano.
 
Harry aveva completato la sua missione, non poteva perdere altro tempo o sarebbe stato scoperto, questo lo sapeva, ma quelle urla… Cosa stava succedendo?
Si mise la maschera e si avviò giù per i gradini. “Ah Black! Appena in tempo!” Lo chiamò uno dei tre mangiamorte che nel frattempo non avevano abbandonato la loro posizione ed assistevano come spettatori al cinema quello che stava avvenendo in fondo alla strada.  Harry si avvicinò cauto ai tre.
“Cosa succede?” Azzardò a chiedere. Tic Tac.
“Hanno scovato dei luridi sangue-sporco nella cantina del Ghirigoro. Una bella famigliola. Guarda come si disperano. Ahahahah.” Rise assieme agli altri.
Harry disgustato dalle loro risate dovette compiere dei respiri profondi per calmarsi. Tic tac.
Erano un uomo e una donna, con loro figlia che doveva avere pressappoco l’età di Harry. Erano vestiti con abiti babbani consunti e avevano il viso sporco di fuliggine che faceva risaltare i loro occhi azzurri e i capelli biondi. Dove si erano dovuti nascondere... pensò dispiaciuto.
D’un tratto la figlia riuscì a sfuggire alle grinfie dei perseguitori. “Scappa Sophia, scappa!” La incitò il padre, mentre lei correva in direzione proprio della Gringott. Diversi incantesimi si mossero verso di lei mancandola di poco mentre alcuni ghermidori la inseguirono gridando. Harry non poteva fare nulla per lei, una sola mossa e sarebbe stato scoperto.
“Che incapaci.” Esclamò uno dei mangiamorte che deluso estrasse la bacchetta puntandola contro la ragazza distante una ventina di metri. L’incantesimo che ne scaturì esplose davanti a lei scagliandola all’indietro violentemente. Harry lo fulminò con uno sguardo ricolmo d’odio, che venne celato però dalla maschera.
“Bel colpo Yaxley.” Si congratulò il suo compagno. Yaxley. Ecco perché gli risuonava famigliare la sua voce. Era Yaxley, quel figlio di puttana.
“Guarda si sta rialzando. Tenace la ragazzina.” Aggiunse l’altro.
 
Harry ricolmo di rabbia volse lo sguardo verso la strada. La ragazza barcollante sulle gambe malferme, si guardava attorno disorientata tenendosi la testa con la mano. I ghermidori l’avevano ormai raggiunta. Era finita. Lei tentò quindi di smaterializzarsi ma una forza invisibile sembrò gettarla a terra con violenza.
 
“Non dirmi che ha tentato veramente di smaterializzarsi… Pensava veramente che non avessimo alzato le barriere anti-smaterializzazione quella sciocca?” La schernì Yaxley.
Questo era un problema anche per Harry. Se avevano alzato veramente le barriere, neanche lui se ne sarebbe potuto andare… doveva trovare un altro modo quindi.
Mentre vedeva la ragazza venire afferrata con forza dai ghermidori che l’avevano raggiunta, una dolorosa fitta lo colpì allo stomaco. No dai, non ora. E poi fu la volta della pelle, che cominciò a bruciare come se fosse cera calda. Cazzo, no! E poi la vista che cominciava ad offuscarsi e il respiro che diventava affannoso. Purtroppo il tempo era scaduto. L’effetto della polisucco era giunto al termine.
“Black? Cosa ti prende?” Gli chiesero allarmati gli altri, mentre Harry si allontanava di fretta. “Black?!” Gli urlarono dietro.
Scesi i gradini, entrò in uno dei tanti vicoli bui di Diagon Alley. La vista senza gli occhiali era praticamente nulla e la maschera non gli permetteva di respirare correttamente, perciò stizzito se la levò scagliandola con forza contro la parete di pietra del vicolo. Inforcati gli occhiali, infilò la mano nella tasca del cappotto e si tranquillizzò al tocco con la gelida superficie dorata della coppa.  Ma la tranquillità non durò molto, visto che un rumore di passi si stava avvicinando alle sue spalle, dalla strada.
 
“Black sei qua?” Chiese Yaxley raggiunta l’entrata del vicolo assieme agli altri due suoi compagni. Harry rimase di spalle, mentre i suoi occhi indugiarono sulla maschera a terra distante pochi passi. “Si può sapere cosa ti sia pre-“ Ma Yaxley si bloccò non appena fu vicino abbastanza da riscontrare che quello che aveva davanti nella penombra, benché fosse voltato, non era Regulus Black. “Ma tu non sei… Chi sei tu?!” Chiese intimidatorio estraendo la bacchetta seguito dai suoi due compagni.
 
Harry valutò le sue alternative, che a dirla tutta non erano tante. Era in trappola, si trovava in un fottuto vicolo cieco in territorio ostile e non poteva smaterializzarsi. Ma non c’era tempo per farsi prendere dal panico, infondo si poteva dire che lui fosse abituato a trovarsi in queste situazioni. Accennò un sorriso mentre coglieva l’ilarità della situazione.
“Mi hai sentito? Voltati! Chi sei? Perché ti spacciavi per Black?” Intervenne Yaxley visibilmente irritato. Per Harry c’era un unico modo per uscire da lì: darsela a gambe combattendo e tentare di raggiungere in fretta il Paiolo Magico, da lì avrebbe potuto trovare un punto nascosto nella Londra babbana da cui smaterializzarsi.
 
“No ti prego, lasciala stare!” Si sentì urlare in lontananza.
E si ricordò di quella famiglia che stavano perseguitando al di là del villaggio! Ora che la copertura era saltata poteva e doveva provare a portarli in salvo, Silente le avrebbe poi trovato una collocazione sicura.
 
Si voltò verso i tre mangiamorte rivelandosi a Yaxley, che inclinò la testa. Era un ragazzino, un maledettissimo ragazzino!
“Non sai in che guai ti sei cacciato ragazzo! Ahahaha” Lo schernì con tono derisorio. Harry rimase calmo, non facendo trasparire nessuna emozione sul suo volto.
“Fingersi un mangiamorte è un reato molto grave.” Aggiunse l’altro. “Oh sì. Il Signore Oscuro non approva un tale sacrilegio.”
Harry non rispose, non dando l’idea di essere intimorito.
“Guardatelo. Si crede un duro. Be’ vedremo se farai ancora il duro adesso.” Disse Yaxley puntandogli contro la bacchetta. “Crucio.” E la maledizione colpì Harry che non tentò nemmeno di difendersi. E fu dolore. Puro e semplice dolore. E cadde in ginocchio mentre la sensazione di migliaia di lame roventi che gli trafiggevano la carne si diffondeva su tutto il corpo. E i mangiamorte ridevano.
In questi momenti Harry si trovava spesso a pensare alla sua sanità mentale visto che si riduceva sempre a sfornare queste tattiche masochistiche. Quale sano di mente si farebbe cruciare per far abbassare la guardia al suo nemico? In ogni modo, la sua tattica per quanto astrusa, per quanto demenziale stava funzionando. Pensando di aver reso innocuo il ragazzo infatti i tre non si aspettarono minimamente un contrattacco.
 
E fu così che fingendo uno spasmo di dolore, Harry fece scivolare la bacchetta dalle pieghe della manica e la puntò rapidamente in direzione di Yaxley.
L’ultima cosa che il mangiamorte vide fu un lampo di luce verde colpirlo al petto, mentre gli altri due fissarono scioccati l’uomo cadere all’indietro privo di vita. Il dolore che prima stava attanagliando Harry cessò all’istante, lasciandolo libero di ingaggiare i due seguaci di Voldemort rimanenti. Evocò delle catene che guizzarono rapide verso il collo del mangiamorte di destra, che colto alla sprovvista si lasciò cadere la bacchetta a terra mentre veniva alzato da terra. Gorgoglii sommessi risuonarono per lo stretto vicolo mentre l’uomo moriva soffocato tentando disperatamente di levarsi le catene a mani nude, inutilmente. Il suo compagno, l’ultimo rimasto, tentò di salvarlo ma Harry glielo impedì ingaggiandolo in duello.
Avada Kedavra!” Invocò adirato il mangiamorte, ma l’anatema venne schivato dal ragazzo con relativa facilità. “Muori!” Sputò, mentre la paura si faceva largo dentro di lui. E così scagliò un altro anatema, e un altro ancora ma il ragazzo li schivò tutti quanti.
Harry stava per contrattaccare per porre fine alla vita del nemico, ma quest’ultimo in un ultimo disperato tentativo gli fece esplodere il muro affianco sbattendolo a terra tra calcinacci e polvere. “Cazzo…” Esclamò Harry con le orecchie che gli fischiavano tremendamente, mentre tentava di rialzarsi scostandosi i detriti da addosso.
Davanti a sé, il mangiamorte era fuggito.
 
“Venite. Aiutatemi! Siamo stati attaccati, muovetevi idioti!” Lo sentì urlare in lontananza probabilmente rivolto ai ghermidori in fondo alla strada.
La situazione stava peggiorando. I ghermidori non erano abili quanto i mangiamorte in combattimento, ma sapevano essere una vera spina nel fianco.
 
Si sporse sulla strada e li vide correre verso di lui con a capo il mangiamorte.
“Eccolo!” Urlò uno e diversi incantesimi volarono verso Harry che fulmineo si ritrasse poco prima di essere colpito, proteggendosi dietro il muro di una casa.
Doveva spostarsi assolutamente da quel vicolo o avrebbe fatto una brutta fine. Si accorse allora del buco lasciato nella parete dell’edificio adiacente dall’incantesimo esplosivo scagliatogli poco prima. Era sufficientemente grande da farci passare un uomo e i passi sempre più vicini convinsero Harry ad attraversarlo senza pensarci due volte. “Reparo”. Disse una volta dentro l’edificio e i vari frammenti si ricomposero sigillando l’apertura. Fu così travolto da un fortissimo odore di naftalina, e nella penombra della stanza poco illuminata numerose figure slanciate sembravano averlo circondato. Harry di istinto ne schiantò una, ma avvenne qualcosa di insolito: questa infatti nel volare all’indietro sembrò spezzarsi in diverse parti. Busto, braccia, gambe volarono qui e là sul pavimento di legno impolverato. “Che cosa…” esclamò Harry confuso. E quando la poca luce che filtrava dall’esterno illuminò i restanti individui vide che quelli non erano uomini, ma bensì dei semplici manichini vestiti con abiti tra i più disparati, sia femminili che maschili. Abiti da maghi.
File e file di vestiti riempivano il resto della stanza, tra qui numerose uniformi di Hogwarts. Lesse a fatica un’etichetta che pendeva da uno di essi, che recitava:
 
Madame McClan: Abiti per tutte le occasioni.
 
Era finito nel negozio di sartoria dove tutti gli studenti di Hogwarts compreso lui, andavano a comprare le proprie uniformi. O almeno… una volta. Sembrava in effetti tutto abbandonato da tempo ormai con la polvere e le assi di legno inchiodate alle vetrine.
 
“È sparito!”
“Dove è andato?”
“Yaxley è morto… “
“Anche Selwyn.”
“Dove diavolo è sparito?”
“Questa parete era esplosa durante lo scontro… Deve essere fuggito da questa parte.”
 
Merda. Le voci provenienti dall’esterno allarmarono Harry che si mise a correre tra le file di abiti.
Ci fu un’esplosione che produsse un nuovo varco nella parete.
“Forza muovetevi!” Senti urlare dietro di sé. Harry animò alcuni manichini che si trovò a tiro ordinandogli di attaccare i nuovi ospiti. Giunto dall’altra parte della stanza sfondò una porta ritrovandosi nel vano scale dell’edificio.
 
“Toglietemelo di dosso!”
“Aiuto!”
Sentì urlare, con una certa dose di soddisfazione, i suoi inseguitori, mentre lui saliva ad ampie falcate su per le scale. Aveva quattro rampe da percorrere. Passato il primo pianerottolo però, un incantesimo fece esplodere una porzione della ringhiera in legno poco davanti.
“Sta salendo!” Urlarono da giù.
Harry, non lasciandosi scoraggiare, rispose al fuoco mentre continuava a salire, lanciando un incantesimo verso i piani inferiori che esplodendo mise fuori gioco tre ghermidori.  
 
Riuscì infine a raggiungere l’ultimo pianerottolo, su cui si affacciava un’unica porta di legno.
La aprì richiudendosela alle spalle. “Colloportus.” E questa venne bloccata. Almeno li avrebbe ostacolati. Si guardò attorno. Era nel sottotetto polveroso dell’edificio. Avanzò verso l’abbaino a pochi passi, da lì avrebbe avuto accesso al tetto. Così fece, mentre le voci dietro di lui si facevano sempre più vicine.
Faticò a mantenere l’equilibrio sullo strado di neve ghiacciata che ricopriva le tegole, ma riuscì comunque a muoversi lungo la falda e saltare sul tetto della casa attigua. Gettando uno sguardò sulla strada avvistò i due genitori con i loro tre figli. Erano ancora tutti vivi fortunatamente, inginocchiati al centro della via principale e cosa molto importante, con due soli uomini a tenerli d’occhio. Era la sua occasione per poterli salvare!
 
Dalla sua posizione elevata non gli fu difficile schiantare i due ghermidori.
“Correte verso il Paiolo Magico!” Urlò alla famiglia indicando la fine della strada distante solamente quattro case. “Vi copro io! Forza!”
Dopo un attimo di titubanza i due adulti, con un cenno di assenso, presero i propri figli e corsero più veloci che poterono verso la via di fuga.
Poco più indietro gli inseguitori erano riusciti a giungere sui tetti e lo stavano raggiungendo a fatica. Agitando la bacchetta scagliò diverse tegole verso di loro mentre lui scappava nella direzione opposta.
 
Saltò dall’ennesimo edificio all’altro.
“Ok. Basta correre sui tetti come un idiota.” Si disse affannato. Dietro vide che erano rimasti 4 ghermidori e il mangiamorte ad inseguirlo a due tetti di distanza. 
“Non puoi scappare per sempre!” Gli disse quest’ultimo scagliandogli contro un raggio rossastro. Harry mosse fiaccamente la bacchetta e questo si dissolse nel nulla.
“E chi sta scappando?” Rispose guardando in alto il cielo plumbeo e nervoso.
Alzò la bacchetta in aria e compiendo lenti movimenti circolari disse: “Fulminem Persecutio” e saette impetuose si formarono tra le nuvole. “Proviamo questo.” Disse Harry abbassando di scatto il braccio in direzione dei nemici, e una pioggia di fulmini si abbatté su di loro.
Uno morì folgorato all’istante, il suo corpo carbonizzato scagliato lontano, gli altri riuscirono a resistere come poterono con scudi magici improvvisati, ma quelle erano folgori intrise di magia oscura, praticamente ineluttabili, come scoprirono a loro spese mentre le loro barriere cedevano come castelli di carta. Uno venne trapassato da parte a parte e cadde giù dal tetto, un altro ancora tento di scappare ma venne colpito alla schiena e scagliato via.
 
Harry sarebbe volentieri rimasto ad assistere allo spettacolo, ma il Paiolo Magico lo attendeva. Dando un ultimo sguardo al mangiamorte, che doveva ammettere essere particolarmente ostinato a non morire, e all’ultimo ghermidore rimasto intenti a schivare le folgori maledette, saltò giù su un piccolo balcone e da lì atterrò sul ciottolato della strada iniziando a correre verso il Paiolo Magico.
La famiglia era ferma davanti al muro di mattoni che dava al retro del pub, il padre sembrava inveire contro parete. Harry li raggiunse in poco tempo.
“Papà, papà. Arriva l’uomo nero!” Urlò uno dei due bambini che lo avvistò per primo. Il padre smise di imprecare e con fare protettivo si parò davanti a lui.
“Che succede? Perché non lo avete ancora attraversato?” Chiese Harry indicando il muro dietro di loro.
L’uomo lo guardò serio, come per capire se si poteva fidare di quello strano ragazzo, un mangiamorte per giunta…
“Chi sei tu?” Gli chiese con una punta di paura nella voce osservando i fulmini alle spalle di Harry. 
Ma perché tutti gli facevano quella domanda quel giorno?
“Non ha importanza. Dobbiamo andarcene prima che ne arrivino altri.”
“Sei un mangiamorte! Perché dovremmo fidarci di te? Chi ci dice che non vuoi consegnarci a Tu-sai-chi?” Intervenne velenosa la figlia. Harry la fissò negli occhi. Emanavano quasi la stessa energia di quelli della sua Ginny. Sì. Loro sue andrebbero d’accordo, pensò.
Harry le sorrise per poi scostarsi per mostrargli l’ultimo ghermidore rimanere folgorato proprio in quel momento. “Credi che se fossi veramente un mangiamorte attaccherei i miei compagni? Credi che mi sarei scomodato per farvi scappare?”
Lo sguardo della ragazza vacillò.
“Appunto. Dobbiamo andare, ora. Coraggio.” Continuò Harry avvicinandosi alla parete.
L’uomo, che ora appariva meno diffidente, disse con tono deluso: “Non si apre. Abbiamo tentato, ma è bloccato e non abbiamo le bacchette...”
“Va bene. State indietro, farò saltare il muro.” Gli ordinò. Loro eseguirono retrocedendo di qualche passo.
Bombarda.” Disse facendo esplodere la parete in migliaia di pezzi.
“Fate attenzione. Potrebbero esserci nemici all’interno.” Disse prima di avanzare sui mattoni frantumanti disseminati per terra.
Il retro del pub appariva più lurido ed abbandonato che mai, con rifiuti, ratti e un odore di avanzi avariati da far accapponare la pelle.
Harry si fermò davanti alla porta che dava acceso al locale. “Rimanete dietro di me. E voi bambini…” disse rivolto ai più piccoli “rimanete vicino a mamma e papà. Intesi?” Un po' spaventati e un po' intimoriti dal suo tono autoritario i due annuirono fermamente stringendosi ai genitori.
Con la bacchetta spianata aprì la porta che fece un cigolio sinistro.
Le logore toghe del pavimento scricchiolarono sotto il peso dello stivale di Harry.
Stupeficium!” Urlò d’un tratto una voce all’interno del buio locale, che si illuminò di un rosso acceso mentre l’incantesimo viaggiava contro di loro. Ma il ragazzo non si fece cogliere impreparato e lo rispedì al mittente, capendo di essere andato a segno quando sentì un gemito di dolore e il tonfo di qualcuno cadere pesantemente a terra.
 
Alzò immediatamente una barriera magica per difendersi da eventuali ulteriori attacchi che purtroppo non tardarono ad arrivare. Diverse voci dall’interno evocarono una moltitudine di incantesimi e maledizioni che si infransero contro la barriera di Harry, producendo lampi variopinti che illuminarono il bancone, i tavolini e i tre uomini riparati dietro ad essi che lo stavano attaccando.
Non gli ci volle molto per schiantarli tutti.
“Erano solo dei ghermidori.” Disse rivolto alla famiglia spaventata.
“Solo?” Replicò sarcastica la giovane ragazza spaventata.
 
Uno dei bambini alle sue spalle incominciò a singhiozzare terrorizzato, guadagnandosi un’occhiata apprensiva da parte di Harry. Quel posto non faceva per i bambini, pensò mentre la madre pendeva il piccolo in braccio per tranquillizzarlo.
Doveva ammettere che un po' lo invidiava. Lui non ha mai goduto dell’effetto rassicurante che solo un abbraccio materno poteva dare. Ha passato la sua infanzia in solitudine, a contare sulle proprie forze in quel fottuto sottoscala. Abbandonato e privo di affetto, perché i suoi genitori erano morti. Assassinati. Poteva sentire ancora sua madre implorare Voldemort di risparmiare la vita di Harry, offrendo la propria in cambio. Poteva sentire le sue urla, chiare e nitide. Urla…
“Mamma, mamma ho freddo…” La voce del bambino ridestò Harry dai suoi cupi pensieri. In effetti, la temperatura era scesa di parecchio rispetto a prima. Perplesso abbassò lo sguardo su una bottiglia di Sherry abbandonata lì sul pavimento, dove sulla superfice di vetro verdastro si stava formando una leggera patina di ghiaccio biancastra. E allora capì.
 
“Tutti dentro! Veloci!” Gridò perentorio agli altri.
“Cosa succede?” Chiese il padre.
“Dissenatori. Entrate!”   
  

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Salvare ed essere salvati ***


CAPITOLO XI
 
Lumus.” La punta della bacchetta illuminò l’interno del sudicio locale una volta chiusosi la porta alle spalle. Il ghiaccio avanzava sulle pareti, sul pavimento e sul soffitto.
“Dobbiamo attraversare la sala. La porta è laggiù. Prendete le bacchette di questi ghermidori, ne avrete bisogno.” Disse perentorio Harry facendo strada agli altri. Dovevano esserci parecchi dissenatori all’esterno visto che persino lui, nonostante facesse uso dell’occlumanzia, stava subendo la loro spregevole influenza.
Avanzarono velocemente ma cauti attraverso i tavoli della locanda, quando di colpo la porta alle loro spalle si spalancò rivelando un essere oscuro, incappucciato, con lunghi e scheletrici arti in putrefazione.
 
“Non fermatevi!” Ordinò agli altri visibilmente terrorizzati, mentre i dissenatori calarono su di loro all’inseguimento. Il padre raggiunse per primo la porta di ingresso e la spalancò per permettere a tutti di uscire da quella trappola mortale, mentre altri dissenatori giungevano dalle scale dei piani superiori. Troppi per essere contati. I tre figli con loro madre riuscirono a raggiungere l’uscita ma Harry, che era rimasto indietro, venne afferrato alla gamba da uno dei dissenatori che lo fece cadere a terra.
Sentì i più terribili ricordi del suo passato abbattere quel muro che con difficoltà li teneva arginati, e travolgerlo come un fiume in piena.
“Non voltarmi le spalle Harry Potter, voglio che tu mi guardi quando ti ucciderò, voglio vedere la luce lasciare i tuoi occhi”
“Così debole, così... vulnerabile... guardami.
Sei uno sciocco Harry Potter... e perderai... ogni cosa.”
Harry combatteva per rimanere nel presente mentre i dissenatori gli sradicavano ogni ricordo felice lasciando solo tormento e dolore.
Vide sulla soglia di ingresso i due genitori mentre proteggevano i propri figli dalle grinfie delle oscure presenze, scagliandoli contro inutili incantesimi. L’unico in grado di allontanare quegli esseri era il patronus, Harry lo sapeva. Si accorse però di tenere stretta nella mano ancora la sua fidata bacchetta. “Concentrati Harry. Basta un ricordo felice. Un ricordo…”
Scavò a fondo nella sua memoria, ma fu come cercare una pagliuzza d’oro sotto uno spesso strato di fango e merda che ti impastava le dita e ti trascinava sempre più giù. Harry aveva vissuto le peggior esperienze, aveva vissuto traumi di quelli che ti marchiano a vita, e di cui i dissenatori amano saziarsi e fagocitarsi.
Mentre annegava nei suoi incubi, un dissennatore afferrò il padre della famiglia e lo sollevò in aria tra le grida di sua moglie e dei suoi figli.  Harry quasi incosciente intravide l’essere levarsi il cappuccio dal capo e sapeva fin troppo bene cosa stava per accadere: il bacio, l’arma più letale a disposizione dei dissenatori, con la quale ti sradicavano l’anima dal corpo.
“N-no.” Sussurrò Harry. Era suo compito salvarli tutti, e non poteva fallire un’altra volta. No, non lo avrebbe permesso. E vederli in vita, vedere i suoi cari, i suoi amici felici e liberi dalla guerra, vedere Ron ed Hermione sposati, lui e Ginny con i loro figli, e soprattutto la possibilità di rivedere i suoi genitori e Sirius... gli diedero la forza di cui necessitava. Era questa la sua felicità, e nessuno gliela avrebbe negata.
Stese il braccio con la bacchetta tremante sopra la sua testa.
 
“Expecto… Expecto Patronum!” Urlò facendo scaturire un maestoso e regale cervo di luce argentea, la cui aurea infuse calore e serenità nel cuore dei presenti, facendo riacquisire lucidità al ragazzo.  
“Avanti bello.” Il patrono caricò furente i dissenatori allontanandoli dalla loro vittima e cacciandoli fuori dalle finestre. L’uomo ricadde a terra privo di sensi. Harry si rialzò con fatica e raggiunse gli altri.
“William, William!” Lo chiamava la moglie disperata nella speranza di farlo tornare cosciente. Harry si fece spazio tra la cerchia dei famigliari e si inginocchiò per sincerarsi delle sue condizioni. L’uomo, William, aveva gli occhi chiusi e il viso cinereo. Il dissennatore non aveva completato il bacio, ma erano stati comunque a stretto contatto, e questo sugli animi più deboli poteva essere ugualmente devastante.
Reinerva.” Disse Harry, sperando che l’incantesimo guaritivo facesse effetto ma non successe nulla. Scosse la testa, imprecando sotto voce.
“E’ m-morto?” Gli chiese la ragazza in lacrime, come i suoi fratellini.
“No… ma deve essere curato immediatamente.”
“Tu sai come?” Domandò la madre della ragazza impaziente.
Harry scosse la testa. “Io no, ma conosco qualcuno che potrebbe, ad Hogwarts.”
Si rialzò in piedi. “Usciamo da questo posto, così potremmo smaterializzarci.” E senza aspettare risposta afferrò l’uomo, se lo caricò in spalla e aprì la porta che dava sulla Londra babbana.
 
Charing Cross Road che ricordava bella trafficata, ora era sgombra.
Come a Diagon Alley anche qui la situazione non sembrava andare per il meglio, con molte saracinesche abbassate, pochi pedoni sui marciapiedi e altrettante poche vetture per la strada. Perlomeno gli alti palazzi che si affacciavano sulla via erano ancora in piedi e non c’erano cumoli di rovine. La guerra sembrava una cosa lontana ma ugualmente palpabile nel mondo babbano.
Dall’altra parte della strada c’era un piccolo parco giochi che Harry trovò perfetto per potersi smaterializzare.
“Attraversiamo qui. Presto, nel parco.”
 
Harry stava dietro di loro e lanciava continue occhiate verso l’ingresso del Paiolo Magico. Aveva un brutto presentimento. Si nascosero dietro ad alti cespugli innevati, e posarono William per terra.
“Qui va bene. Allora…”
Ma si interruppe quando sentì dal Paiolo riversarsi in strada diverse persone. Si accucciò quindi tentando di vedere chi fossero attraverso l’intreccio di rami, e da uno spiraglio intravide degli uomini incappucciati.
La madre e la ragazza seguirono il suo sguardo allarmato fino alla compagine di mangiamorte che prendeva posizione su Charing Cross Road, sussultando dallo spavento. Ma quello che ad Harry preoccupava di più non erano i mangiamorte, ma la donna che aveva appena fatto la sua comparsa tra le loro file.
Magra, lunghi e folti capelli neri e occhi indemoniati. Bellatrix Lastrange guidava la compagine elargendo ordini di cercare e trovare i ribelli. In un qualche modo erano riusciti a chiamare rinforzi.
 
In quell’istante, Harry si dimenticò della famiglia che stava proteggendo, dei mangiamorte e di tutto il resto come se fosse calata una folta nebbia nella sua mente lasciando come unico spiraglio il volto di Bellatrix Lastrange. Lei che aveva torturato a morte Hermione, lei che aveva sterminato innocenti studenti del primo anno durante la battaglia, lei che aveva ucciso… Sirius. No, non poteva lasciarla in vita. E fanculo l’occlumanzia, sentiva l’odio e la rabbia crescere dentro di lui, e lui voleva sentire tutto questo. Voleva vendetta, la pretendeva.
 
“Ragazzo! Ragazzo!” Lo chiamò a bassa voce la signora, facendo dissipare la nebbia d’odio. Si accorse di star tremando dalla rabbia.
“Dobbiamo andarcene!” Continuò la donna terrorizzata, stringendo forte i suoi figli.
Harry spostò il suo sguardo da William, a sua moglie e su Bellatrix, che non si era ancora accorta della loro presenza. Sarebbe giunto il momento in cui avrebbe avuto la sua vendetta, ma non era quello.   
“Ha ragione. Mettetevi attorno a me. Faremo una smaterializzazione congiunta. Afferrate le mie braccia. Mi raccomando tenetevi forte, capito bambini?” I due bambini annuirono convinti con la testa e tutti eseguirono disponendosi attorno al lui.
“SONO QUI MIA SIGNORA!” Tuonò una voce poco distante. Un mangiamorte li aveva scoperti, ma prima che potesse fare qualunque cosa, Harry e la famiglia si erano già smaterializzati.
 
Tutto intorno a loro incominciò a girare e girare, come se fossero su una giostra impazzita, facendogli perdere ogni punto di riferimento. Quando si fermarono, gli edifici londinesi erano stati sostituiti dall’enorme cancello in ferro battuto di Hogwarts.
Era la prima volta che Harry traportava così tante persone in una volta sola ed era stato più difficoltoso del previsto mantenere la concentrazione.
“State bene?” Chiese agli altri.
“S-Sì…” Rispose la donna un po' disorientata a nome di tutti.
Harry le sorrise rassicurante, poi osservò prima William, suo marito, disteso svenuto nella neve. Doveva chiamare aiuto, o non ce l’avrebbe fatta. Si diresse verso il cancello, dove un uomo e una donna montavano la guardia. Quando Harry li riconobbe rimase di stucco. Lì aveva già visti anni fa, prima in una vecchia foto e poi al San Mungo, anche se nei suoi ricordi erano dispersi nella propria pazzia, molto diversi dalle due persone che si ritrovava davanti.  
 
Frank e Alice Paciock, i genitori di Neville.
Lui aveva lo stesso aspetto paffuto di suo figlio, leggermente stempiato e con una vistosa cicatrice sulla guancia. Lei invece appariva come una donna sicura di sé, dai capelli corvini portati a caschetto e dal corpo minuto.
E soprattutto parevano più lucidi che mai adesso, visto che gli puntarono addosso, praticamente all’unisono, le bacchette non appena Harry osò compiere un movimento verso di loro.
“Chi siete? Identificatevi!” Urlò Frank.
Da quello che gli avevano detto sui genitori di Neville, loro erano eccellenti auror ai loro tempi, membri dell’Ordine, quindi sperava di poterli convincere delle loro buone intenzioni senza farsi schiantare.
 
“Salve. Il mio nome è Jake Sullivan. Sono uno studente di Hogwarts. Quest’uomo…” Disse indicando l’uomo privo di sensi dietro di lui “è stato attaccato dai dissenatori e ha urgente bisogno di cure. Loro sono sua moglie e i suoi tre figli. Apriteci il cancello per favore.”
I due auror abbassarono lo sguardo sulla famiglia, che pareva più disperata che mai, poi Alice sussurrò qualcosa al marito che Harry non riuscì a comprendere.
“Hai detto che ti chiami Sullivan?” Chiese Alice con una voce delicata e apprensiva.
“Si.” Rispose Harry.
I due abbassarono le bacchette, e Alice mandò un patronus con le sembianze di un delfino verso il castello.
“Ti stavamo cercando tutti a scuola, Sullivan.” Disse lei mentre Frank scioglieva i vari incantesimi difensivi.
“Dovrai rispondere a parecchie domande… ma prima occupiamoci di lui.” Disse indicando l’uomo disteso a terra. Aperto il cancello visitò William.
“Dove è stato attaccato?” Chiese alla moglie che stava lì vicino.
“Diagon Alley…”
“Diagon Alley?” Esclamò Alice sgomenta guardando anche Harry, che stava lanciando un’occhiata ammonitrice all’altra donna. Nessuno doveva sapere della sua missione, stava rischiando troppo. “Per Morgana, cosa ci facevate in quel luogo?”
“Non è importante, salvate lui.” Disse impaziente Harry.
Alice scoccò la bocca in segno di dissenso, ma si concentrò sull’uomo.
“Stann0 arrivando!” Disse Frank dal cancello puntando il dito verso il castello. Harry allungò il collo per vedere di chi si trattasse, e con sollievo vide Silente accompagnato da Madama Chips e la McGranitt. Perfetto, le persone giuste per aiutarlo.
“Buongiorno sig. Sullivan, è bello sapere che sta bene.” Lo salutò cordialmente Silente una volta raggiunti, mentre Poppy si fiondava sull’uomo al fianco di Alice.
“Buongiorno Professore… professoressa McGrannit…” Ricambiò Harry.
“Sullivan dove è stato? Chi sono queste persone?” Chiese quest’ultima in un modo tra il preoccupato e il rimproverante. 
“Ehm…”  E adesso come poteva spiegarlo…
“Io sono Sophia Decker. Lei è mia madre Elisabeth, loro i miei fratelli Dylan e Caleb. Lui è mio papà William Decker.” Si intromise la ragazza, forse notandolo in difficoltà. “Siamo stati catturati da dei ghermidori, che ci avrebbero sicuramente uccisi se non fosse intervenuto lui” Disse indicando Harry e sorridendogli grata “Poi sono arrivati dei dissenatori e hanno preso mio papà… Lui li ha cacciati, ma papà non si riprendeva e lui ha detto che ad Hogwarts lo avrebbero curato… e ci ha portati qui… è così? Potete salvare mio papà?” Chiese speranzosa.
 
Silente la osservò per qualche secondo con i suoi profondi occhi azzurri, e le si avvicinò lentamente ponendole una mano sulla spalla. “Faremo il possibile mia cara Sophie. Hogwarts aiuta e aiuterà sempre gli innocenti in difficoltà.”
Sophie annui riconoscente.
“Albus.” Lo chiamo Madama Chips che intanto si era alzata in piedi. “Ce la farà… ma dobbiamo portarlo dentro in infermeria… Ha bisogno di cure e riposo.”
La famiglia esultò abbracciandosi dalla gioia, anche Harry sorrise sollevato, così come Silente che rispose: “Molto bene, rientriamo tutti allora, non è saggio stare fuori dalle mura così a lungo.”
“Grazie, grazie davvero.” Disse la madre di Sophia in lacrime.
“Di nulla. Di nulla. Seguiteci.”
E così dicendo Madama Chips fece comparire una barella di legno e stoffa su cui adagiò William, e la fece levitare al loro fianco mentre varcavano i cancelli.
 
Durante il tragitto Silente prese cortesemente in disparte Harry lasciando che il gruppo andasse avanti.
“Ammirevole da parte tua salvare quelle povere povere.” Iniziò.
Harry sorrise. “Chiunque avrebbe fatto lo stesso.”
“No Harry… non chiunque.” Negò Silente.
 
Harry si perse a guardare il sole tramontare immergendo i giardini di Hogwarts, bellissimi e quieti, in una tenue luce arancio.
“Li terrà al sicuro professore?”
“Certamente. L’Ordine possiede diverse case sicure sparse in Inghilterra e in Europa nonostante tutto. Dopo che si sarà rimesso loro padre gliene assegneremo una.”
“La ringrazio.”
“Mi sono giunte delle voci riguardo ad uno scontro a Diagon Alley, tra gli uomini di Voldemort e un misterioso uomo, e ho l’impressione che tu c’entri qualcosa. Non è così?” Chiese Silente curioso.
“Le voci girano veloci da queste parti vedo.” Rispose Harry neanche poi tanto meravigliato facendo ridere il preside. “Forse potrei c’entrare qualcosa si…” Ammise con aria colpevole.
“Inutile dirti quanto sia stato rischioso da parte tua, ma suppongo che tu abbia avuto un valido motivo.”
Harry ghignò malandrino. “Un validissimo motivo direi.” E tirò fuori la coppa dalla tasca, mostrandola al preside, che la guardò interessato.
“La coppa di Tosca Tassorosso…”
“Esattamente.” Confermò Harry soddisfatto.
“Eccellente Harry, ottimo lavoro.” Si congratulò il vecchio “Si trovava a Diagon Alley quindi?”
“Si. Alla Gringott, nella camera dei Lastrange. Non è stato facile, ma ora è nostra.”
“Magnifico. I miei complimenti Harry.”
Harry sorrise riponendo la coppa in tasca, ormai erano ai portoni del castello.
Incontrarono i primi studenti che passeggiavano lungo i corridoi della scuola, felici e spensierati dopo aver terminato le lezioni.
Si diressero in infermeria dove Poppy iniziò a medicare il signor Decker.
La sua famiglia gli stette vicinò tutto il tempo, un’eccezione che Poppy e il preside concessero vista la situazione. Anche Harry rimase a fargli compagnia, mentre fuori il cielo diveniva sempre più scuro per far posto alla notte, con Madama Chips che somministrava diverse pozioni accompagnate da incantesimi guaritivi. La McGranitt e Silente avevano lasciato l’infermeria per presidiare al banchetto in Sala Grande.
Harry se ne stava seduto in disparte su una brandina vuota, non voleva recare disturbo.
L’orologio segnava le otto di sera quando William Decker finalmente aprì timidamente gli occhi.
“Mamma, papà si è svegliato!” Gridò entusiasta la figlia più grande, Sophie, e tutti corsero ad abbracciarlo e risero e piansero. Harry si alzò in piedi sinceramente contento per loro, ma il suo compito era finito, poteva andare. E senza farsi notare uscì dall’infermeria.
 
Mentre camminava per i corridoi l’adrenalina e la tensione che aveva accumulato durante la giornata stavano scemando lasciando posto alla stanchezza e alla fame.
Era andato praticamente tutto storto. No, non tutto. Aveva salvato il signor Decker e gli altri e aveva recuperato la coppa. Sperava solo che Voldemort non venisse a conoscenza del furto, o almeno non adesso. In effetti non vedeva l’ora di sbattergli in faccia la sua mortalità una volta distrutti tutti gli horcrux, ma sapeva di dover attendere per questo.
A proposito di distruggere gli horcrux… doveva togliere di mezzo quello che aveva in tasca. Gli serviva però un posto lontano da occhi indiscreti, e la buona vecchia stanza delle necessità faceva a caso suo ancora una volta.
Svoltò per uno dei tanti passaggi segreti di cui aveva una non tanto comune conoscenza e salì piano dopo piano fino a giungere al settimo.
 
Questa volta la stanza delle necessità si palesò come un’enorme sala vuota, illuminata da un grande lampadario con centinaia di candele nel centro.
Harry adagiò la coppa per terra ed ingigantì la spada di grifondoro che portava sempre con sé, intrisa del veleno del basilisco. La afferrò con due mani e con violenza la calò sull’horcrux che crepitò sputando fuori una densa nube nera che si erse in alto, sul soffitto. Fuori tre.
 
Ritornò alla Sala Comune del Grifondoro. Tutti gli studenti erano a cenare perciò era stranamente deserta. Si diresse nel dormitorio dove poté cambiarsi e fare una bella doccia ristoratrice.
Fu combattuto tra il mangiare o il dormire, ma era da tutto il giorno che non metteva niente sotto ai denti e aveva speso molte energie. Perciò si diresse in Sala Grande per il banchetto.
Varcata la soglia fu investito dal rumore di chiacchiericcio e posate degli studenti.
In fondo alla sala vide il preside e gli altri professori chiacchierare tra loro. Vicino a loro, su un piccolo tavolo messo lì appositamente, vide Sophia i suoi fratellini e la madre mangiare con gusto.
Harry fu felice anche di rivedere, seduti al tavolo dei grifondoro, i suoi vecchi amici. Solo in quel momento si accorse di quanto gli erano mancati, nonostante fosse passata solo una giornata.
“Ciao Jake!”
“Ehi ragazzi, guardate chi c’è!”
“Jake per Merlino, dove eri finito?”
Hermione, Ron e gli altri lo bersagliarono di domande felici e sollevati di rivederlo.
Li doveva avere fatti preoccupare, e doveva ammettere di sentirsi un po' in colpa. Ok, tanto in colpa.
“Ciao ragazzi, posso sedermi qua con voi?” Chiese lievemente imbarazzato.
“Certo!” E si sedette tra Hermione e Neville che gli fecero posto.
Sul tavolo c’erano solo torte, bignè al cioccolato, zuccotti di zucca, crostate e calderotti e i dolci più svariati e squisiti. Dovevano essere alla fine del banchetto.
“Allora? Cosa ti è successo?” Gli chiese Ron.
“Non sono stato tanto bene, tutto qui.” Mentì vago.
“Ma non eri da nessuna parte! Hermione e Ginny sono andati da Silente, ma anche lui non sapeva nulla!”
 
Harry allora guardò Ginny dall’altro lato che gli sorrideva con le guance leggermente arrossate. La sua Ginny. Non aveva ancora avuto modo di parlare con lei, parlare veramente. Ma lei era comunque andata dal preside con Hermione, nonostante lui non fosse nessuno per lei, per questa Ginny. Non gli aveva dato modo di legare con lui, ma si era ugualmente preoccupata. E allora si rese conto di starlo facendo di nuovo: la stava lasciando ancora in disparte, come all’epoca. Harry credeva nel destino, dopotutto se fin dalla tua nascita hai una spada di Damocle sotto forma di profezia sospesa sopra la testa, ci devi pur credere al destino, e forse era scritto che lui in qualunque vita e in qualunque mondo si trovasse avesse degli splendidi amici come Ron ed Hermione e Ginny come anima gemella. Ma lo sguardo d’odio che gli lanciò Dean, seduto affianco a Ginny, gli ricordò che lei era fidanzata e che…. Oh no… Che aveva pronunciato il nome di lei nel sonno e gli altri lo avevano sentito il giorno prima! Morgana che imbarazzo quella volta.
“Scusate se vi ho fatto preoccupare.” Disse poi con sincero rimosso non pensando alla sua figura di merda.
“Ah non fa niente.” Rispose Hermione posandogli una mano sulla spalla.
“Starei attento a Piton nel dubbio, non gli piace quando qualcuno salta le sue verifiche.” Intervenne Ron agguantando una fetta di torta di mele.
Harry sorrise. Fra tutti i suoi problemi, Piton era quello che lo preoccupava di meno.
“E comunque spero che ci sarai domani agli allenamenti. Abbiamo i Tassorosso la settimana prossima.” Intervenne Ginny con un tono che non ammetteva repliche.
“Ovviamente!” Rispose Harry iniziando a cibarsi di quelle prelibatezze.
Mentre fagocitava la sua torta alla melassa gli altri gli raccontarono di come Silente aveva presentato la famiglia Decker a tutti, dicendo che sarebbero stati loro ospiti nella scuola per qualche giorno.
Da quello che Harry aveva potuto capire Silente non aveva fatto riferimento al fatto che fosse stato lui a portarli alla scuola. Anche se sospettava che una mente arguta come quella di Hermione potesse fare due più due.
“Sembrano brave persone, non si meritano quello che gli è successo.” Intervenne quest’ultima dispiaciuta. Harry comprendeva il suo stato d’animo e le era vicino. Conosceva la storia dei genitori di Hermione, che erano dovuti scappare in Australia, e sapeva che lei appena uscita da Hogwarts sarebbe probabilmente stata perseguitata in quanto “sangue-sporco” dall’attuale comunità magica. Una vera ingiustizia.
 
Quando Silente congedò tutti a fine banchetto, Harry e gli altri si alzarono per andare in Sala Comune.
In una serata dal freddo particolarmente pungente, era un sollievo per Harry stare attorno al calore sprigionato dal camino scoppiettante in compagnia dei suoi amici.
Era letteralmente sfinito. Sprofondato su una poltrona di pelle avvolto in uno spesso panno di lana. Hermione, Ron, Ginny e Dean chiacchieravano del più e del meno, ridevano e scherzavano. Harry partecipava saltuariamente, ma preferiva assistere da spettatore a quella loro genuina spensieratezza, e farsi cullare dal suono delle loro risate finché non andarono tutti a dormire.
 
 
 
***
 
Nel frattempo, a diverse miglia di distanza nella villa della famiglia Riddle, si stava tenendo una riunione dell’alto comando dei Mangiamorte, il circolo ristretto dei fedelissimi, presieduta da Voldemort stesso.
“…siamo riusciti ad appropriarci di Sheffield e Bristol. La sacca di resistenza a Manchester è stata sgominata per un totale di 29 decessi tra le nostre fila, di cui 9 mangiamorte, 15 ghermidori e 5 lupi mannari. 7 invece sono i feriti. Mentre sono 86 i deceduti e 25 i feriti tra i ribelli. Abbiamo fatto 49 prigionieri. Mio signore.” Finì di elencare il bollettino del giorno Lucius Malfoy soddisfatto.
Tutti i presenti erano disposti attorno ad un lungo tavolo nero di pietra levigata. Il Signore Oscuro era posto al suo capo. Il suo viso serpentino incuteva ancora più terrore illuminato dalle fioche candele della grande sala di rappresentanza. Le lunghe dita biancastre sorreggevano un calice di pregiato vino elfico.
“Molto bene Lucius, molto bene.” Si complimentò con la voce velenosa e sibilante di un rettile.
“Interrogate i prigionieri, estorcetegli più informazioni possibili e poi sbarazzatevene.” Continuò glaciale.
“Sì mio signore, sarà fatto.” Rispose ossequioso Lucius inclinando il capo.
“E tutto?”
“No mio Signore c’è dell’altro.” Intervenne Bellatrix dal posto a fianco di Voldemort. Era l’unica tra tutti a poter fissare negli occhi il suo padrone, senza incappare in pene severe, o peggio, la morte. Aveva un trattamento, per così dire, preferenziale.
“Dimmi Bellatrix?” Chiese Voldemort con la voce leggermente meno caustica rispetto a prima.
“Abbiamo subito un attacco a Diagon Alley. Yaxley e Selwyn sono stati uccisi assieme una manciata insignificante di ghermidori. Mentre Jugson è rimasto ferito gravemente e ora ricoverato al San Mungo.”
Gli occhi cremisi di Voldemort sembrarono lampeggiare per un istante.
“Chi è stato?”
Bellatrix si schiarì la voce. “Non lo so, mio Signore.”
“Non lo sai?” Chiese a bassa voce.
I presenti si scambiarono sguardi preoccupati. Diagon Alley era stata una delle prime città a cadere nelle loro mani, era una loro roccaforte. Se qualcuno aveva osato attaccarli lì, il Signore Oscuro l’avrebbe presa come un affronto personale.
“Non ne siamo certi. Abbiamo ricevuto una richiesta di soccorso da Jugson questo pomeriggio, quando siamo arrivati lui versava in condizioni molto gravi. Al Paiolo alcuni ghermidori sopravvissuti, mi hanno raccontato una volta ripresa conoscenza di un… ragazzo. Questo ragazzo li avrebbe attaccati e tratto in salvo un gruppo di sangue-sporco presi in custodia durante un rastrellamento. E… sono riusciti a fuggire.”
Voldemort rimase in silenzio per lungo tempo, a riflettere.
“Vorresti farmi credere, Bellatrix, che tre dei miei mangiamorte e un manipolo di ghermidori sarebbero stati sopraffatti da una sola persona? Un ragazzino per giunta?” Sibilò Voldemort.
Bellatrix sostenne il suo sguardo d’odio.
“Si. Mio Signore. Ma c’è dell’altro…” Disse con una certa remora.
Voldemort non disse nulla, si limitò a tamburellare con le lunga dita sulla pietra del tavolo, chiaramente infastidito.
Bellatrix lo prese come un incentivo a continuare.
“Il ragazzo… indossava una divisa da mangiamorte.”
Un vociare stupefatto si erse intorno al tavolo. Un mangiamorte? C’era un traditore tra loro? Chi era? Qual era il suo scopo?
“Silenzio!” Si impose il Signore Oscuro riportando l’ordine. Si alzò, le braccia appoggiate al tavolo e le pupille rosse come il sangue ridotte a fessure.
“Scoprite chi è. Cercatelo. Trovatelo. Portatelo da me!” Dispose ai suoi prima di lasciare l’enorme sala.


Nota dell'autore:
Salve a tutti! Non avevo ancora scritto nessuna nota alla fine dei capitoli precedenti, perchè... bè, non avevo nulla di particolare rilevanza da dire. Ma credo sia più rispettoso ringraziare tutti voi che siete arrivati fin qui, a leggere l'undicesimo capitolo di questa umile storia, nonostante non sia e non aspiri ad essere un capolavoro. Spero che questo racconto sia riuscito a intrattenervi nei momenti di noia, e che continuerà a farlo per i capitoli successivi di questo 2021!

A presto.

S.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Passeggiate nella nebbia ***


CAPITOLO XII
 
Il sole sorse su Hogwarts dando inizio ad un nuovo giorno. Stranamente, Harry non si svegliò in preda agli incubi per questa volta. Tutto sommato era stata una notte tranquilla e serena. Sbadigliò tirandosi su dal letto.
“Buongiorno.” Disse salutando Ronald nel letto affianco.
“Mmh…giorno.” Rispose quest’ultimo con la voce impastata e gli occhi socchiusi.
Harry si alzò guardando fuori dalla finestra. Il paesaggio incontaminato intorno alla scuola e al Lago Nero era illuminato dal sole immerso in un cielo terso. Si presagiva una bella giornata.
Viste le particolari difficoltà che Ron e gli altri avevano nello svegliarsi e prepararsi, Harry decise di scendere ed attenderli giù per la colazione.
Poco prima di giungere alla Sala Grande, però, una voce femminile lo chiamò da dietro le sue spalle.
 
Si voltò per vedere chi lo stesse chiamando e con grande sorpresa scoprì che era stata Sophia Decker, la ragazza che aveva salvato il giorno prima.
Portava in mano un vassoio pieno di cibo tra le mani e ora che ci faceva caso, senza gli abiti stralciati e il viso sporco di fuliggine, doveva ammettere che era veramente una ragazza carina. Poteva quasi rivaleggiare con Fleur, pensò.
Entrambe avevano gli occhi azzurri e i capelli biondi, anche se Sophia sembrava essere più giovane. Non si sarebbe stupito se avessero avuto la sua stessa età, soprattutto ora che portava l’uniforme scolastica che danno a quelli del primo anno prima di essere smistati nelle diverse case.  
“Ehm, ciao.” La salutò titubante guardandosi in giro. Sarebbe stato alquanto difficile da spiegare il come lui conoscesse la ragazza.
“Ciao.” Salutò lei imbarazzata portandosi una ciocca dorata dietro l’orecchio. “Ti chiami Jake Sullivan giusto?”
“Sì, esatto. E tu sei Sophia Decker.”
“Già, piacere.” Disse lei porgendogli la mano che Harry strinse cordialmente.
“Come sta tuo papà? È ancora infermeria?” Chiese interessato.
“Sì è ancora lì. Sta meglio. Mia mamma e i miei fratellini sono da lui adesso, l’infermiera vuole però tenerlo sotto controllo per oggi, perciò io sono venuta qui per portargli qualcosa da mangiare.” Spiegò mostrandogli il vassoio di dolci.
“Bene! Mi fa piacere che stia meglio.” Rispose Harry entusiasta.
“Ieri sei sghignato via e non ho avuto modo di ringraziarti per tutto quello che hai fatto per lui e per noi. Quindi… grazie!”
“Figurati, non mi devi ringraziare, davvero.”
“Farebbe piacere anche a mio papà ringraziarti. Potresti passare da lui quando hai del tempo libero? Sempre se ti va ovviamente.”
“Certo, oggi passerò a fargli una visita.”
“Ancora grazie. Sai a prima vista pensavo che fossi un mangiamorte che voleva solo trarci in inganno, ma a quanto pare mi sbagliavo di grosso! Anzi, sei uno studente di Hogwarts!” Disse indicando la divisa di Harry.
“Sì, è una lunga storia. A proposito…” Disse avvicinandosi a lei e abbassando la voce “Gli studenti qui non sanno della mia piccola gita a Diagon Alley, del travestimento da mangiamorte o che sono stato io a salvarvi. E sarebbe meglio che non lo scoprissero o potrei finire nei guai. Quindi perdonami se ti chiedo di non dire niente a nessuno e… be’…far finta di…”
“Fare finta di non conoscerci?” Concluse lei sorridendo.
Harry si mise le mani in tasca. “…Sì” Confermò sentendosi in colpa.
“Sarà fatto.” Disse Sophia per nulla offesa, con fare complice. “Se c’è qualcosa che possa fare per te chiedi pure. Sarà meglio che vada ora. Ci vediamo Jake e grazie ancora.” Lo salutò dandogli un bacio sulla guancia.
 
Harry una volta che la ragazza si era allontanata, tornò verso la Sala Grande.
Ginny ed Hermione erano già sedute ai loro posti mentre Silente lo salutò dal tavolo dei professori.
“Buongiorno.”  Salutò le due ragazze accomodandosi di fianco a Ginny.
Il profumo di fiori dei suoi capelli lo inebriò tanto da compiere profondi respiri per non lasciarsi sfuggire nessuna di quelle note aromatiche. Aveva sempre amato quel profumo, lo faceva diventare sempre di buon umore.
“Buongiorno.” Dissero in coro le altre.
Hermione stava sfogliando il Cavillo, il giornale del padre di Luna Lovegood. Trovò buffò che una persona razionale come Herm potesse leggere un giornaletto tutt’altro che “sobrio e razionale” come il Cavillo. Proprio adesso in copertina notò una gigantesca immagine raffigurante una specie di unicorno rosa con le ali.
Si lasciò sfuggire un sorriso al pensiero, che però non sfuggì alla ragazza.
“Che c’è da ridere?” Chiese curiosa.
Harry scosse la testa “niente niente.” Disse mettendo le mani avanti.
“Su dai dimmelo.” Insistette lei posando il giornale.
“È solo che non ti facevo una da Il Cavillo.” Spiegò lui indicando la rivista.
“Sì lo so. Ma questa rivista è l’unica rimasta che spiega cosa accade veramente nel mondo. È tutto decifrato ovviamente, ma se sai come leggerlo ti spiega tutta la verità.” Spiegò Hermione, lasciando stupefatto Harry. Ingegnoso. In effetti ora che ci pensava, il Cavillo era così stravagante da non costituire un grave minaccia agli occhi della propaganda di Voldemort. Chissà se c’era una specie di Radio Potter anche qui.
“Wow. Posso?” Chiese indicando il giornale.
“Tutto tuo.” Disse Hermione porgendoglielo.
Harry lo sfogliò velocemente.
 
GLI UNICORNI SONO IN REALTA’ CREATURE MALVAGIE?
 
RIMEDI CONTRO LA SALIVA DI GIRILACCO.
 
ALLA SCOPERTA DEL COCOCIAMPA: LA CAPRA ACQUATICA
 
“Mmm.” Esclamò dubbioso Harry non trovando un nesso logico in quegli articoli.
Hermione rise assieme a Ginny vedendo la sua perplessità.
“Se vuoi ti spiego come decifrarlo.”
“Sì grazie te ne sarei grato.” Disse sorridendole.
Ginny scorse di lato andandolo quasi a sfiorare. Un brivido corse lungo la sua schiena e il cuore incominciò a battere forte. Da tempo non si trovavano così vicini e questo gli era tremendamente mancato.
“Allora parte tutto dalla prima pagina. Se noti le lettere del titolo principale hanno diversi colori.” Harry fissò il titolo dedicato agli unicorni e in effetti aveva sempre dato per scontato che le lettere colorate non fossero altro che un’altra delle stranezze di questo giornale. “Questi variano ogni giorno, ma tu devi contare le lettere in rosso. Questa volta sono quattro.” Harry annuì interessato.
“Poi basta che con la bacchetta pronunci l’incantesimo Verbum Revelio toccando il giornale per quattro volte, e le lettere cambieranno di posto formando nuove parole. Il tutto visibile solo a chi ha pronunciato l’incantesimo. Semplice ma efficace”
“Figo.” Esclamò Harry stupefatto.
“Avanti prova.” Lo spronò Ginny.
Harry allora tirò fuori la bacchetta e seguì le sue istruzioni. Una volta fatto le lettere vorticarono indistintamente e le immagini mutarono mostrando non più unicorna rosa o buffe creature, ma città in rovina e foto di diverse persone.
Harry spalancò gli occhi attratto dai nuovi articoli.
In prima pagina il titolo principale recitava:
 
STRAGE A MANCHESTER
È fallita la resistenza dei cittadini della comunità magica di Manchester all’occupazione nemica, iniziata più di 7 mesi fa e conclusasi in una vera e propria strage. Mezzo centinaio dei ribelli sono stati fatti prigionieri e altrettanti hanno perso la vita. Un’altra città è caduta nelle mani di voi-sapete-chi, che si va a sommare alle altre come Liverpool, Londra, Birminghman, Newcastle e Bristol.
Voi-sapete-chi ha così conquistato tutta l’Inghilterra meridionale e centrale.
Solamente i territori a nord sembrano ancora resistere, ma temiamo che sarà solo questione di tempo prima che le forze oscure muoveranno verso settentrione.

RINVENUTO IL CORPO DI CORNELIUS CARAMELL
Dopo tre settimane dalla sparizione dell’ex Ministro della Magia, la peggiore tra le ipotesi si è avverata: il suo corpo è stato rinvenuto in un canale di scolo nei pressi di Lancaster. Caramell è stato l’ultimo ministro del vecchio ordinamento prima dell’ascesa di voi-sapete-chi. (…)
 
Harry finì di leggere gli altri articoli e di visionare le fotografie del necrologio. Ben 7 pagine. C’erano anche bambini con meno di cinque anni per la miseria. Alla fine della lettura si passò una mano tra i capelli frustrato e arrabbiato.
“Grazie.” Disse restituendo il giornale ad Hermione.
“Purtroppo non ci sono mai buone notizie. La maggior parte della gente spera solo di non trovare il nome di qualche famigliare o amico.” Disse sconsolata Ginny.
Il ricordo di Ron, sempre in attesa ad ascoltare dalla sua piccola radio l’elenco delle vittime durante la guerra, riaffiorò nella mente di Harry. “Li posso capire.” Disse tirando un respiro profondo.
In quel momento giunsero Ron, Dean e Seamus e tutti presero a fare colazione.
 
Silente ad un certo punto si alzò, richiedendo l’attenzione dei presenti tintinnando con il coltello su un calice di cristallo.
“Potrei avere cortesemente la vostra attenzione cari studenti?” Chiese educatamente facendo zittire tutta la sala.
“Come molti di voi sapranno, questo sabato sarà il 14 febbraio. San Valentino, la festa degli innamorati.” Tutti cominciarono a scambiarsi sguardi in attesa di sapere dove volesse andare a parare il preside: le ragazze con trepidazione, mentre i ragazzi con un velo di panico.
“Ebbene, in via eccezionale abbiamo organizzato una visita ad Hogsmade per l’occasione.”
E si alzò un reboante chiacchiericcio.
Hermione e Ginny si guardarono elettrizzate.
“Fantastico, saranno passati mesi dall’ultima volta!” Disse Herm.
“Finalmente una bella burrobirra come si deve ai tre manici di scopa!” Esultò Ron con Seamus.
“Ronald…” Lo ammonì Hermione.
“Che c’è?” Chiese quest’ultimo ingenuamente.
 
C’era stato un grande fermento dopo l’annuncio di Silente che continuò fino all’inizio delle lezioni. Quella mattina avevano trasfigurazione con la McGranitt. Lei era con Silente quando Harry aveva riportato i Decker al castello, e non gli aveva rivolto parola da quel giorno. Si limitò solo a fissarlo per qualche secondo prima di cominciare l’argomento del giorno: gli animagus. 
 
Harry ne sapeva qualcosa. Sirius e suo padre erano animagus, e anche egli stesso aveva tentato di trasformarsi, riuscendoci dopo poco più di anno di pratica, ma lo sforzo necessario alla trasformazione e al mantenimento della propria forma animale, lo hanno portato a lasciar perdere questa pratica. Seguì comunque con interesse la lezione della professoressa, almeno per staccare per un po' dalla sua missione, dove era meglio lasciar calmare un attimo le acque. Il diario, l’anello e il serpente si trovavano nel cuore del dominio di Voldemort, e sarebbe stato sospetto se dopo Diagon Alley fossero stati attaccati anche uno di questi siti. Aveva deciso quindi di far terminare questa settimana prima di agire nuovamente.
 
A fine della lezione, mentre tutti uscivano dall’aula la professoressa McGranitt chiamò Harry.
“Sig. Sullivan, può venire qui alla cattedra gentilmente.” Harry un po' confuso fece segno a Ron ed Hermione di continuare e raggiunse la professoressa che lo fissava con il classico cipiglio.
“Mi dica professoressa.” Chiese cordialmente.
Ormai tutti gli studenti avevano lasciato l’aula ed erano rimasti loro due.
“Prego si accomodi.” Disse indicando una sedia accanto alla cattedra. Harry obbedì. “Le volevo parlare di quello che è successo ieri.” Cominciò lei.
Harry respirò a fondo e la lasciò continuare.
“Sarò franca. Mi appare molto sospetto il suo comportamento: il modo in cui è arrivato qui, le sue sparizioni, le capacità da lei dimostrate durante le mie lezioni e infine l’avvenimento di ieri pomeriggio. Certo, è stato una bella azione quella che lei ha compiuto, però capisce che molte cose non tornano. Ho chiesto al Preside delucidazioni e lui mi ha ribadito a me e al resto del corpo docenti più volte la sua fiducia in lei, ma non mi ha voluto riferire nessuna informazione. Nulla.”
Fissò negli occhi Harry per un attimo prima di continuare.
“Io mi fido del preside, e se lui si fida di lei, io farò altrettanto. Ovviamente so che lei ha un secondo fine, buono o cattivo che sia. So che lei sta mentendo a tutti noi. E se metterà in pericolo la scuola, o la vita degli studenti stessi, se la dovrà vedrà personalmente con me. Intesi?”
Harry non rispose. Ammirava la professoressa, la ammirava profondamente. Sa che, come lui, avrebbe dato la vita per proteggere la scuola. Voleva raccontarle la verità, voleva raccontarla a tutti, ma non poteva o li avrebbe messi veramente in pericolo.
“Mi dispiace professoressa. Ha ragione, su tutto. Ho un secondo fine, sto mentendo a tutti voi, e non sono chi dico di essere.” Ammise, provocando un leggero tremito nel sopracciglio della McGranitt “Non so se sia la cosa migliore, ma credo sia la cosa più giusta. Non posso dirle niente per adesso, ma arriverà presto il momento in cui saprete tutti la verità. Ma una cosa gliela posso dire.” Disse sporgendosi verso la professoressa che rimase impassibile. “Le giuro, su tutto ciò che mi è più caro al mondo, che io non metterei mai in pericolo la vita degli studenti di Hogwarts. Tutto ciò che faccio…” Disse riflettendo attentamente sulle sue parole “è per salvarvi tutti, e far fuori Voldemort una volta per tutte.” Disse con risolutezza.
La McGranitt si aggiustò gli occhiali fissandolo attentamente, come se lo stesse scrutando nel profondo. Poi annuì.
“Va bene, sig. Sullivan. Le darò fiducia. Può raggiungere i suoi compagni. Buona giornata.”
Harry le sorrise. “Grazie professoressa. Buona giornata.” E così dicendo uscì dall’aula.
 
Giunse con leggero ritardo alla lezione di Incantesimi, ma per il resto la mattinata procedette fluidamente. Poco prima di pranzo, Harry decise di far visita ai Decker in infermeria.
Con la scusa di andare in bagno prese un passaggio segreto che lo porto a due passi dall’infermeria. Aprì la porta con cautela e sbirciò all’interno.
Vide i Decker in fondo alla stanza, Sophia e sua madre erano in piedi ai piedi del letto dove era coricato il Signor Decker, mentre i due bambini sembravano dormissero sul lettino affianco. Il resto dell’infermeria era stranamente vuota. Meglio così. Harry entrò silenzioso chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. Una volta a metà stanza, Poppy uscì fuori dal suo stanzino come una pantera a cui hanno violato il territorio. “Signor Sullivan come mai da queste parti?”
In quel momento la famiglia alle spalle di Madama Chips si accorse della sua presenza e lo salutarono sorridenti.
Sophia e sua madre si avvicinarono a lui.
“Ciao!” Lo salutò Sophia raggiante.
“Ciao! Salve signora Decker.” Contraccambiò Harry per poi rivolgersi a Poppy: “Sono venuto a trovare loro.”
“Sì glielo chiesto io.” Confermò Sophia.
L’infermiera parve pensarci su. “Mh. D’accordo. Ma solo dieci minuti.” Disse con agitando l’indice come uno schermidore con la spada.
“Nessun problema.” Rispose Harry.
“Buongiorno sig. Decker, non ci siamo ancora presentati, mi chiamo Jake Sullivan. Come sta?” Chiese Harry una volta davanti all’uomo, porgendogli la mano. Parlava a bassa voce per non svegliare i piccoli.
“Piacere mio Jake, ti prego chiamami William! Sto molto bene grazie. Dicono che mi dimetteranno questa sera.”
“Ottimo! Silente vi ha trovato un posto sicuro dove andare?”
“Sì, ha parlato di un piccolo villaggio nell’ovest del paese. Lo sapremo con precisione quando ci arriveremo. Una passaporta è prevista per domani mattina all’alba.”
“Spero possiate rifarvi una vita lì in tranquillità.” Commentò Harry.
“Ci proveremo… Ovviamente tutto per merito tuo.” Disse grato il signor Decker.
Harry sorrise leggermente in soggezione, mentre tutti lo guardavano con gratitudine e ammirazione.
“Non solo per merito mio, mi creda. Ho avuto parecchia fortuna.” Tentò di minimizzare.
“Troppo modesto…”
“Tempo scaduto!” Giunse il grido ammonitore di Poppy.
“Va bene, è meglio che vada. Se non ci dovessimo più vedere, è stato un vero piacere incontrarvi.”
“Anche per noi.”
La signora Decker e Sophia andarono ad abbracciarlo, e una volta salutati tutti uscì dalla stanza.
 
Si stava dirigendo a pranzo quando ad un certo punto il passaggio venne intralciato da un gruppo di ragazzine Tassorosso che parlavano fittamente tra loro con agitazione e coinvolgimento.
Per Harry era ormai troppo tardi per cambiare percorso perciò decise di passarci attraverso. Mai errore fu più grave.
Quando lo videro partirono gridolini acuti e risatine. Harry non capiva cosa stesse succedendo, ma l’unica cosa certa era che doveva allontanarsi da lì il prima possibile.
“Permesso” disse cercando di farsi strada “permesso per favore.”
Con la coda dell’occhio notò una ragazza dare un colpetto con il gomito alla sua compagna indicando Harry concitata.
“Permesso!” Disse spazientito prima di riuscire finalmente ad uscire da quel pantano infernale. Si girò riservando uno sguardo d’astio a tutte quante, prima di continuare per la sua strada. Cosa stava succedendo?
 
***
 
Quel pomeriggio c’era l’allenamento al campo da Quidditch, ma la bellissima giornata di sole era stata scansata da una fitta nebbia, che non permetteva di vedere ad un palmo dal naso.
“Non si vede un cazzo!” Esclamò frustrato Dean.
“Miseriaccia ha ragione! Non vedrò mai la pluffa in queste condizioni.” Convenne Ron grattandosi la testa.
“Forse dovremmo rinviare l’allenamento, Ginny.” Propose Demelza Robins.
Ginny fissò sconsolata il cielo, o almeno dove avrebbe dovuto esserci il cielo.
“Maledizione!”
“Potremmo provare con uno degli incantesimi metereologici che ci ha insegnato il professor Vitious!” Propose invece Katie Bell.
“Con un nebbia del genere è impossibile!” Rispose Dean scettico facendo calare una rassegnazione generale.
“Jake! Potresti provarci tu!” Saltò fuori d’un tratto Ron facendogli aggrottare le sopracciglia. “Perché io?” Chiese Harry perplesso.
“Perché sei il più bravo della classe… con Hermione.”
“O andiamo, è troppo anche per lui.” Disse Dean alzando gli occhi al cielo.
 
Harry lo fissò male, ma poi Ginny si avvicinò a lui, guardandolo in un modo così tenero che lo aveva da sempre conquistato. Quando stavano assieme era la carta che Ginny giocava per fargli fare tutto quello che voleva, o “per tenerlo al guinzaglio” come diceva Ron per prenderlo in giro. Era una delle tante qualità di quella ragazza, conquistarlo con un semplice sguardo.
“Ci riusciresti?” Gli chiese implorante.
Come poteva dirle di no? Dopotutto tentare non gli costava nulla. E poi se ci fosse riuscito l’avrebbe resa felice e questa era la cosa più importante.
“Posso provarci.” Disse prima di solcare il manto erboso del campo. Prese la bacchetta e si concentrò.
Nebula Absumo.” Una volta pronunciato l’incanto la nebbia si diradò lenta ma inesorabile. Era come qualcuno avesse messo una cupola invisibile sul campo. Così sbucarono gli spalti, le torri e gli anelli.
 
“Grandissimo!”
“Evvai!”
“Ottimo lavoro Jake!”
La squadra si complimentò con lui affascinata.
“Grazie.” Gli sussurrò Ginny grata. “E ora tutti sulle scope razza di sfaticati, abbiamo molto lavorò da fare!” Urlò poi severa agli altri, ma con un suo sorriso che faceva trapelare la sua felicità.
Harry prese la sua Comet 180 e con una spinta si vibrò in aria pronto ad un nuovo massacrante allenamento.
 
Terminato l’allenamento Harry e Ron si stavano cambiando negli spogliatoi maschili.
“Accidenti oggi mia sorella ci voleva proprio morti!” Esclamò Ron massaggiandosi una spalla.
“Già.” Convennero tutti un po' acciaccati.
Anche Harry era un po' dolorante. Lui era molto meno duro nell’assegnazione degli esercizi quando era capitano; in effetti Ginny sembrava più la reincarnazione di Oliver Baston. Gli vennero i brividi al solo pensiero, mentre indossava il maglione a righe arancioni e rosse della sua casa.
“Ora mi tocca anche andare a studiare per pozioni o Hermione mi ucciderà.” Disse Ron rassegnato.
“Posso venire con te? Anche io sono messo male in quella materia.” Aggiunse Dean.
“Certo. Forse Hermione concederà delle ripetizioni anche a te, ahahah. Dai andiamo. Jake vieni con noi?” Chiese Ron.
“No no andate pure. Caso mai vi raggiungo dopo.” Rispose Harry, che non voleva avere Dean nelle vicinanze. Era messo così male?
“Okay, a più tardi allora!” Lo salutò Ron uscendo e lasciandolo solo nello spogliatoio.
 
Mentre Harry riponeva la sua scopa nel capanno, gli giunse un inconfondibile profumo di fiori da campo e sentì alcuni passi soffocati dalla neve avvicinarsi alle sue spalle.
“Weasley.” Disse sorridendo senza nemmeno voltarsi.
“Come facevi a sapere…” Chiese stupita Ginny.
“Il tuo passo pesante è inconfondibile.”
“EHI! IO NON HO IL PASSO PESANTE!” Esclamò fintamente offesa la ragazza.
Harry si girò ridendo. Non una risata maligna, ma innocente e sincera, che fece addolcire Ginny. Quel ragazzo era un vero mistero per lei, a volte sembrava freddo e distaccato e altre dolce e gentile. La spiazzava.
“Dammi pure.” Disse Harry allungando la mano.
Ginny sembrò non comprendere.
“C-cosa?”
“La scopa. Non sei venuta per metterla nel capanno?” Spiegò accennando alla Scopalinda 6 che Ginny teneva in mano.
“Ah sì. Ehm, grazie…” Disse porgendogliela imbarazzata.
“Ecco fatto.” Esclamò Harry rimettendo il lucchetto al capanno.
Stava facendo buio ormai e la nebbia era diventata densissima.
“Sarà meglio tornare al castello, che dici?” Chiese Harry mentre una nuvoletta di condensa gli usciva dalla bocca e andava a fondersi con la nebbia grigiastra.
“Dovrei aspettare Dean.” Rispose Ginny guardandosi attorno.
“Dean è andato con Ron a studiare pozioni.” Disse Harry avvicinandosi “non te l’ha detto?” Chiese titubante.
“No, non me l’ha detto.” Disse amareggiata.
Reprimendo l’impulso di andare a strozzare Dean per la sua stupidità Harry accompagnò Ginny al castello.
Agitò la bacchetta creando una piccola sfera di luce celeste che gli fece strada, facendoli orientare all’interno di quella disorientante massa grigiastra. 
“Come ti stai trovando ad Hogwarts?” Chiese lei mentre risalivano su per la collina.
“Come a casa.” Rispose Harry sincero.
“Sì, per molti studenti è lo stesso.”
“Anche per te?”
“Per un certo senso sì. Certo, non sarà mai come la mia vera casa. Preferirei aiutare la mia famiglia, combattere come fanno loro. Ma mia madre è più serena sapendo che due dei suoi figli sono al sicuro, soprattutto dopo la morte di mio fratello, e quindi rimango qua.” Disse lei malinconica. Dopo averlo detto, Ginny si rese conto che Jake era rimasto indietro di qualche metro.
Fratello morto? Chi? Harry era catatonico, il discorso di Ginny gli fece rendere conto di essere stato così impegnato a combattere Voldemort da non aver mai chiesto a Ron o a Ginny della loro famiglia.
Aveva dato per scontato che stessero bene, perché dovevano stare bene, ma se non era così? Che egoista che era stato.
“Jake?” Lo chiamo Ginny, facendo fatica a riconoscerlo nella nebbia.
Harry si avvicinò lentamente.
“Scusa, è che non sapevo nulla di tuo fratello…”
Ginny abbassò lo sguardo.
“Si chiamava Percy.” Disse cupa tornando a camminare, seguita da Harry.
Percy? Merda. Per un periodo lui e Harry avevano avuto qualche alterco, per la sua fedeltà verso il Ministero, ma avevano fatto pace e Percy si era riscattato in pieno.
Gli rincresceva veramente questa notizia. Doveva saperne di più.
“Mi dispiace Ginny.” Disse Harry addolorato.
“Anche a noi.” Rispose lei.
“Come è successo?” Chiese lui “Se te la senti di dirmelo.” Aggiunse poi.
Ginny si prese un minuto prima di rispondere.
“Lui… lui… lui è stato assassinato l’anno scorso. Lavorava al Ministero della Magia, ed aiutava la resistenza come spia. Ma un giorno lo scoprirono. Hanno trovato il suo cadavere impiccato all’entrata del Ministero, con un cartello con su scritto traditore.”
Raccontò con difficoltà Ginny, ma non pianse, anche se sembrava sul punto di farlo. Ginny non piangeva mai. Harry le poso una mano sulla spalla facendola fermare.
Lei teneva il capo chinato e lui glielo alzò delicatamente con due dita, portando i loro sguardi ad incrociarsi.
Ed Harry ritornò alla guerra. Un ricordo lontano, assopito nella memoria. C’erano loro due, ma non era inverno come in quel momento, ma fine estate. Erano sulla torre uno di fronte all’altro con un meraviglioso tramonto a fargli da cornice. Un arancio vivissimo fuso ad un rosso fuoco. Ginny aveva perso praticamente tutta la sua famiglia e nei suoi occhi c’era la stessa sofferenza, lo stesso dolore che Harry vedeva adesso.
Lo sguardo di chi soffre ma che non vuole farlo trasparire all’esterno.
“Oh Ginny.” Disse prima di abbracciarla. Fu un gesto spontaneo e antico.
Ginny si irrigidì, ma lentamente si rilassò godendosi quella sensazione di protezione che le infondevano le braccia di Harry. Come se il corpo del ragazzo fosse diventato la sua armatura, il suo scudo contro il male del mondo. E lo abbracciò a sua volta. E rimasero così per diverso tempo, ma nessuno dei due voleva lasciare l’altro.
Quando si staccarono il freddo vento invernale li investì prepotentemente. E leggermente imbarazzati, senza dire niente continuarono per il loro cammino.
“Percy è sempre stato un po' particolare.” Continuò lei “la persona più pignola e rispettosa delle regole che abbia mai conosciuto. Ma era lui che mi raccontava le favole da piccola, che giocava con me, ed era con lui che mi confidavo.”
Harry sorrise al pensiero di Percy giocare con le bambole con Ginny nella sua cameretta, o a bere con lei il tè immaginario in piccole tazzine rosa.
“Sembrava una gran persona.” Commentò Harry.
“Lo era.” Confermò lei.
Ma Harry voleva sapere anche del resto della famiglia Weasley.
“E il resto della tua famiglia?” Chiese mentre varcavano il portale del castello, lasciandosi il freddo pungente alle spalle.
“Oh noi siamo numerosi. Ho altri 4 fratelli, oltre a Ron. Bill, Charlie e i due gemelli Fred e George. Io sono la più piccola… È facile riconoscerci” Disse ridendo indicando i suoi inconfondibili capelli rossi “Ora sono tutti impegnati a contrastare Tu-Sai-Chi con i miei genitori. I gemelli sono due personaggi… dovresti conoscerli.”
Harry ringraziò Merlino che gli altri fratelli di Ginny stessero bene, anche se rischiavano le proprie vite. Probabilmente facevano tutti parte dell’Ordine della Fenice ora.
“Mi piacerebbe.” Rispose mentre si fecero largo tra un gruppo di Corvonero del terzo anno. Fra i esse, notò alcune ragazze indicarlo ridacchiando e parlottando tra loro.
“Qualche problema?” Chiese Harry scocciato e minaccioso.
Loro rizzarono intimorite senza rispondere.
“Bah.”
Attraversarono l’ultimo corridoio prima della Sala Comune.
“Probabilmente aspettano di sapere con chi uscirai a San Valentino.” Gli confidò Ginny in merito al gruppo incontrato prima.
“E come mai?” Chiese Harry confuso.
“Non lo sai?”
“Cosa dovrei sapere?”
“Come posso dire… Molte ragazze qui ti trovano… attraente?” Disse lei arrossendo leggermente.
“Ah. Strano forte.” Rifletté Harry. Non si era mai ritenuto un figo, anzi tutt’altro. Non era di certo come un Cedric Diggory o un Victor Krum o anche un Seamus Finnigan. Ma chi le capiva le ragazze? E soprattutto…
“Anche tu?” Chiese provocando Ginny.
Chissà cosa pensava lei. Ma il lieve rossore che comparve sulle sue guance rispose per lei.
“Io sono fidanzata, Jake.” Rispose lei a bassa voce.
“Purtroppo.” Sussurrò Harry, facendo strabuzzare gli occhi a Ginny, “Ghirigoro” pronunciò poi la parola d’ordine il ragazzo davanti al quadro della Signora Grassa.
 
***
 
Regulus Black si massaggiò il braccio sinistro dolente dove il marchio nero gli stava ustionando la pelle. Si era attivato dieci minuti prima, mentre stava supervisionando alcune spedizioni di pozioni esplosive giunte al porto di Londra da contrabbandieri olandesi. Era il particolare modo del Signore Oscuro di convocare i suoi seguaci. Così si era immediatamente smaterializzato a Little Hangleton, fuori dal perimetro della tetra Riddle Manor. Voldemort aveva fatto erigere nei dintorni della villa un accampamento militare ospitante 450 mangiamorte, 200 ghermidori e addirittura due giganti. Questo, unito alle decine di fatture e incantesimi difensivi tra i più oscuri e antichi conosciuti posti da Voldemort stesso, rendevano il posto inespugnabile a chiunque.
Faceva fottutamente freddo quel giorno, con nuvole in cielo talmente dense da sembrare una distesa di cemento che non faceva passare neanche un flebile raggio di sole.
All’interno dell’imponente magione in pietra era consentito smaterializzarsi esclusivamente al Signor Oscuro, chiunque altro doveva per forza passare dall’accampamento, e dalle dieci guardie poste all’ingresso principale.
Regulus dopo aver superato i controlli salì lo scalone monumentale interno di marmo nero che dava al primo piano. La temperatura interna non era molto dissimile da fuori, nonostante i candelabri disseminati lungo le pareti.
Percorse un lungo corridoio austero e tenebroso con grandi vetrate gotiche che si aprivano su di un lato e un alto soffitto. I suoi passi riecheggiavano nel vano nonostante il tappetto di velluto verde scuro disteso a terra. In fondo al corridoio c’era una porta a due battenti da cui si accedeva alla stanza dove il Signor Oscuro riceveva i suoi sudditi.
Chissà perché aveva convocato solo lui. Non gli sembrava di aver fatto nulla di sbagliato. Forse voleva affidargli un altro incarico?
 
Bussò per farsi ricevere e aprì timoroso la porta.
La sala era a pianta quadrata, con grandi quadri di battaglie appesi alle pareti e uno stemma d’argento sul lato opposto raffigurante un intimidatorio teschio dalla cui bocca usciva un lungo serpente avvolto in spire. Lo stesso impresso sul braccio di Regulus. Il loro simbolo.
 
Davanti al mangiamorte, seduto su un trono di ossidiana ornato con centinaia di crani umani e figure grottesche, c’era Voldemort.
Gli occhi iniettati di sangue nella penombra lo facevano risultare ancora più minaccioso e letale, non uomo, ma demone.
“Mio signore.” Regulus si avvicinò di qualche passo per poi inginocchiarsi con riverenza “Desiderava vedermi?” Chiese con voce tremante.
“Sì, Black. È così.” Sibilò. “Mi sono giunte spiacevoli notizie: abbiamo subito un attacco a Diagon Alley due giorni fa.”
Regulus inarcò un sopracciglio sorpreso. Erano anni che nessuno attaccava più Diagon Alley, fin dalla purga del 1992, che ha visto la morte di centinaia di civili e la distruzione della città. 
“Attaccata? Chi? Chi è stato mio Signore?”
“Curioso che tu me lo chieda, Black. Si direbbe che sia stato un ragazzo.”
“Un ragazzo?”
“Sì, un ragazzo con la divisa da mangiamorte, che ha ucciso Yaxley e Selwyn e ridotto in fin di vita Jugson. Ho ordinato che venissero fatte delle ricerche sull’accaduto e risulterebbe che tu Black, fossi alla Gringott a Diagon Alley poco prima dell’attacco, mentre dovevi essere a Manchester.”
Regulus sbiancò e fissò spaventato il suo padrone.
“N-no, impossibile. È falso io non sono mai stato a Diagon Alley. È una menzogna io…” Voldemort gli fece cenno di tacere.
“Non mentire a me.” Soffiò.
“Non oserei mai. Io le giuro, le giuro che non sono mai stato lì. AHHHH-“
Regulus si contorse per terra urlando per via della cruciatus che gli era stata scagliata.
Voldemort si avvicinò all’uomo ansimante accasciato a terra.
“Cosa ci facevi a Londra?” Chiese impaziente.
“Non c… non c’ero. Mio Signore.”
Con un colpo di bacchetta il corpo di Regulus si rimise in ginocchio e alzò la testa così andando a fissare gli occhi cremisi del Signore Oscuro.
Legilimens.”
Voldemort scavò a fondo nei ricordi del mangiamorte, ripercorse le sue azioni, i gesti da lui compiuti, fino a giungere al momento dell’attacco e… scoprì che diceva il vero. Era veramente a Manchester. Ma come era… un momento. Cosa era quello? C’era qualcosa che non tornava. Nella mattina di quel giorno c’era un buco. Non c’era nulla. Come se mancasse un tassello nella sua memoria. Era stata rimossa, cancellata dall’esterno. Lo avevano obliviato… Sì, ne era certo.
Interruppe il collegamento più adirato che mai, iniziando a camminare meditabondo per la stanza.
Regulus confuso e spaventato rimase lì immobile.
“Idiota!” Urlò d’un tratto Voldemort cruciandolo sul posto.
“AHHHHH!”
“Ti sei fatto obliviare come uno stupido! Crucio!
Le grida di Regulus riecheggiarono per la villa per diversi minuti.
Una volta sfogatosi, Voldemort tornò a sedere sul suo trono.
“Incapaci. Vattene!” Ordinò a Black, che sofferente e con le ultime forze rimaste si mise in piedi e dopo aver fatto i suoi ossequi uscì zoppicando dalla stanza.
 
“Andrò a capo di questa faccenda, Nagini.” Sussurrò Voldemort all’enorme serpente appena giunto ai suoi piedi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3899679