Il silenzio delle tue parole - Destiel

di smartiess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avvertenze ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Avvertenze ***


 

ciao! sono tornata con una nuova fan fiction che stavolta è ambientata dopo la 15x20 ( trovate già il primo capitolo pubblicato :p ). 

È abbastanza faticosa, ma vi prometto l'happy ending (lo so scioccante) che tutti ci meritavamo. 

Spero questa storia  vi tenga compagnia come l'ha tenuta a me scrivendola,  perché, forse proprio come me, non siete ancora pronti/e a lasciare andare questi personaggi che occupano per me, come credo per voi, uno spazio davvero importante nel cuoricino, sia come singoli che come coppia. 

Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni stellina, critica o commento significano tanto🤍 Come già detto in altre avvertenze o commenti, ci sono sempre se qualcuno vuole sclerare o avete voglia/ bisogno di qualcuno con cui parlare. 

Non ci saranno altre avvertenze, spero vi piaccia!

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Capitolo 2
*** 1. ***


 

Erano muti, senza parole, l'uno vicino all'altra,

come le querce e i grandi pini che hanno radici nei monti,

e stanno, senza vento, vicini ed immobili,

ma poi sotto il soffio del vento si agitano

e sussurrano senza fine: così a quel modo 

stavano per parlare a lungo, ispirati da Amore.

 

                                                                                                                         (Argonautiche, Apollonio Rodio) 

 

 

 

 

Camminare in quel luogo è il rinascere ad ogni passo. 

 

Tutto ciò che i suoi  sensi incontrano è infinitamente dolce, tanto che,  qualunque  suono sente lontanamente , qualunque  odore e visione  abbracci il suo corpo, Dean si sente un po' più libero: non è più un cacciatore, un mero strumento nella mani di suo padre, un giocattolo per un Dio che altro non ha fatto se non   scaraventarlo da un'impresa all'altra, facendogli rilegare una cicatrice dopo l'altra. È solo, finalmente, un uomo come tanti.

 

Si attacca a quella concezione di se stesso con forza, cercando di allontanare quella leggera sensazione di  tristezza e amarezza che lo pervade di tanto in tanto. "Sei libero" mormora quindi  mentre la sua macchina, nera e scintillante come non mai,  sfreccia sulla strada deserta con gli alberi, alti e folti, che la cingono.  "Avrei voluto vivere" gli replica, sussurrando,  la voce nella sua testa, viscida e fastidiosa. Ed è a quel punto che Dean abbassa il capo, stringe le mani al volante e chiude gli occhi, solo per un attimo. 

 

La sua vita era stata ingiusta, acida e straziante e quando aveva finalmente avuto la possibilità di riscattarsi, di possedere una vita che fosse veramente sua- non di suo padre, non di Dio, non degli angeli o dei demoni e delle loro insulse guerre civili-  questa gli era volata via dalle mani  come risucchiata  dal vento in un turbine d'aria , tanto che non aveva nemmeno fatto in  tempo ad accarezzarla che  questa gli era già stata sottratta per sempre.  

 

 

 

 

"Sei libero" ripete a se stesso  di nuovo. Stavolta accade mentre Sam lo avvolge  in un lungo abbraccio e Dean rilascia  un sospiro che non sapeva di star trattenendo. Vedere Sam è un immergersi in acqua dopo una giornata fin troppo calda:  annega  nel suo abbraccio con un sorriso sul volto. Suo fratello aveva avuto una bella vita e Dean, gli occhi verdi e lucidi ed il sole che gli illumina  le lentiggini sul viso, tenta  ,per quell'attimo in cui i loro volti  si incontrano,  di prendersi  un po' di quella vita che vede ritratta nel suo sguardo e che non aveva potuto vivere. 

 

Aveva avvertito la vita dal  viso del fratello , dal sorriso soddisfatto di qualcuno che abbandona l'esistenza mortale con un saluto. Aveva  sentito la vita sulla propria pelle- i peli del braccio che si drizzavano impercettibilmente- assieme alla consapevolezza che lui non ne aveva mai avuto la possibilità. Quella stessa vita  che aveva sognato a lungo nelle notti in cui dormire sembrava impossibile; Notti in cui l'unico pensiero in grado di calmarlo era la speranza che prima o poi avrebbe smesso di stringere con forza la fredda  pistola  sotto il proprio cuscino, pronto ad un eventuale scontro; Un giorno, si diceva,  quella pistola non ci sarebbe proprio stata sotto il cuscino.  E ripeteva il pensiero nella mente quasi fosse un mantra- "Un giorno, un giorno, un giorno"- finchè la cadenza della sua voce non lo cullava nella notte. 

 

                                         ****

 

 

Dean cammina e cammina e cammina. Aspetta un segno, qualcosa che gli dica che si deve fermare, che, se appoggia il piede su quel masso poco lontano da dove si trova, se guarda in quella direzione dove un'ape si sta  posando su un fiore rosa, se si volta a sentire  il leggero camminare degli scoiattoli sull'albero alla sua destra,  Castiel comparirà al suo fianco. 

 

Sospira ed alza gli occhi verso l'alto. Si passa una mano sulla bocca e, poi, quando le voci di Sam e Bobby, ormai lontani, gli appaiono indistinte e le figure sono troppo distanti per essere intraviste, le sue labbra tremano e con un sussurro si decide a parlare.

 

«Cas» sussurra. Dean sente un nodo stringergli il petto. Il desiderio di vederlo e la leggera ansia  che ne deriva si accavallano fra di loro, sfidandosi nel suo animo e lasciando il resto della frase sospeso nella bocca dell'uomo.

 

 Deglutisce. «Sono Dean..» dice e aspetta.

 

« Credo tu già sappia perchè sono arrivato qui»

 

Il vento soffia e le piante si muovono e il cielo si adombra:  Dean ha ancora gli occhi chiusi, il sospiro spezzato in gola ed i pugni delle mani  che si stringono e si rilasciano su se stessi attorno ai fianchi. 

 

« Io vorrei parlarti, Cas. Devo ... dirti tante cose, ma non so come trovarti» continua, sbuffando una piccola, nervosa risata  « Questo posto è infinito, amico*, e credo sia più facile che sia tu a trovarmi»

 

Apre un occhio, come a voler sbirciare, e si guarda attorno. Non c'è nessuno. 

 

Dean sospira. Ancora.

 

« Allora... io ti aspetto qui  » conclude, deglutendo e mettendo le mani nelle tasche della giacca blu, incerto. 

 

Poi, un fruscio di vento, più forte del precedente e un battito di ali:  Dean avverte la presenza dietro di lui. La sua bocca si contrae in un sorriso accennato e si gira, le labbra aperte a pronunciare il suo nome. 

 

"Cas" sembra voler dire, ma le parole gli muoiono in gola.

 

«Dean» 

 

«Jack...» sospira Dean. Uccide la delusione che sente bollirgli in gola e sorride. Nessuna ferita copre il volto o il corpo del ragazzo, avvolto dal giacchetto beige.  Un  grande sorriso è  stampato sul suo  viso ed  alcuni dei  suoi capelli biondi gli  ricadono sulla fronte: sta bene.

 

  Jack- leggermente più alto dell'ultima volta che lo aveva visto-  si avvicina ed avvolge Dean in un abbraccio. Dean gli sussurra con una risata  che gli sembra cresciuto, mentre Jack replica che "Non ti aspettavamo così presto" e la sua voce è tenera e docile come sempre mentre pronuncia quelle parole, ma Dean ne avverte comunque la tristezza.

 

« Già bè... sono stati dei mesi difficili» replica, accennando una risata.

 

Jack annuisce nell'abbraccio e poi lascia andare il corpo di Dean, che si accinge a parlare. 

 

« Non dovresti essere sulla Terra o... non so da qualche parte a comandare  gli angeli.. giudicare quelli che arrivano?» chiede con le sopracciglia inarcate , gesticolando distrattamente con la mano.

 

«Dean, non mi permetterei mai di giudicare qualcuno »

 

«Jack»

 

«Si?»

 

«Sei Dio»

 

Jack sorride di sfuggita ed alza le spalle. Poi, con un cenno del capo, lo invita a camminare con lui. 

 

« Le cose sono cambiate da quando ho preso questo incarico. Mi piace pensare alle persone come esseri più... liberi, diciamo. Non mi occupo delle loro faccende terrene, ma tento di aiutarli quando posso»

 

« Mi dispiace che tu.. si, insomma che tu sia dovuto diventare il nuovo Dio, Jack» 

 

« Non nego sia una grande responsabilità. Ma, mi piace ... posso fare del bene»

 

Dean annuisce, silenzioso. La conversazione si protrae con altre domande su quello che Jack fa o non fa e Dean ascolta ogni riposta con un sorriso sul volto. Non ha ancora, nonostante i mesi, dimenticato quello che è successo, ma gli mancava quel ragazzo. Poi, mentre Jack si appresta a elencare  le persone in Paradiso di sua conoscenza, Dean si decide a parlare e lo interrompe « Jack, hai visto Cas di recente, per caso?»

 

Dean odia il modo in cui il volto di Jack si contrae, in cui la sua mandibola si stringe in una dura morsa, come cosciente che la domanda sarebbe inevitabilmente arrivata; Odia il modo in cui inclina leggermente il capo da un lato- un atteggiamento che Dean ha visto fare così tante volte a Castiel che ne ha perso il conto- ed in cui, infine volta da un'altra parte  lo sguardo, incerto.

 

Rimane in silenzio. Uno, due secondi e Dean pronuncia nuovamente il suo nome. 

 

Dean odia il modo in cui gli occhi verdi di Jack lo guardano, il modo in cui scuote la testa nella  sua direzione, in cui il suo giacchetto gli si stringe con più forza sul corpo, mosso da una brezza che Dean è certo ora non vi sia. È tutto immobile , stabile. Il mondo è fermo e Dean con lui ed odia, ancora,  il modo in cui  Jack lo sta guardando, timido e fragile, quasi gli stia chiedendo scusa senza pronunciare una parola. E quando Dean diventa insistente e le domande risuonano nell'aria calda, odia le risposte che ne conseguono e desidera non averle mai fatte, quelle domande.  

 

                                        ****

 

Il vuoto si accosta al corpo di Dean in ogni luogo, freddo e potente come qualsiasi organismo primordiale. È tutto nero, profondamente oscuro. Il chiudere gli occhi o tenerli aperti non implica alcuna differenza : tutto ciò che Dean incontra è il buio. Le sue mani si stringono in duri pugni e sospira camminando a vuoto e nel Vuoto. 

 

«Cas» urla e si sente così stanco. È ingiusto che dopo tutto quello che ha passato, dopo tutto quello che hanno passato, Dean debba ancora essere lì-  il nulla che lo circonda e lo avvolge e lo soffoca, le occhiaie segnate sotto il verde degli occhi spenti, la dura linea in cui la bocca si conforma- a gridare, ad urlare, a sentire le sue membra stringersi mentre la rabbia e l'amarezza lo invadono. L'arrivo in Paradiso era stato complicato, difficile da accettare, ma il pensiero che finalmente tutto il male era finito lo aveva tenuto in piedi. Ora, invece, il male sembrava essere ritornato come se non se ne fosse mai andato. O meglio, come se gli avesse lasciato qualche ora per respirare, per abituarsi ad un'illusione e  poi, una volta che si era adattato, gliela avesse strappata via, di nuovo, ancora. 

 

« Cas» ripete.

 

Dean sente la presenza del Vuoto prima di vederla. C'è un'aria indolente, quasi gelida che attraversa il corpo di Dean e lo fa rabbrividire. Poi, quando si volta è la figura di una donna, Meg**,  che gli appare dinanzi,  in quello stato di buio freddo e perpetuo.

 

«Winchester» inizia allora. La  sua voce percorre il corpo di Dean con un brivido «Com'è che si dice? Chi non muore si rivede»

 

 «Anche chi muore, a quanto pare» replica Dean con un sorriso scaltro ed ignora il modo in cui le parole gli si stringono alla gola prima di uscire. Un secondo di sorpresa attraversa il volto del Vuoto, prima di essere sostituito da un ghigno sottile.

 

Il cacciatore aspetta che quell'essere parli, ma quello  si limita a voltare per un attimo lo sguardo prima di tornare nuovamente  con gli occhi su Dean ed osservarlo quasi ad ispezionarlo.

 

Dean si schiarisce la gola e le sue dita  accarezzano d'istinto la lama angelica contratta nella sua mano. «Dove è l'angelo?» 

 

«Tesoro, questo è il cimitero di quei graziosi esseri piumati» dice annoiata, strascicando le parole come se la lingua le pungesse «Dovrai essere più specifico»

 

Dean si avvicina pericolosamente a quella con uno scatto. Il suo respiro è pesante « Smettila con questi giochetti. So che sai di chi sto parlando»

 

«Oh, povero piccolo » dice, e le sue labbra si stringono in una linea maliziosa. La sua mano si tende per accarezzargli la guancia. Dean si ritrae  «Ti manca il tuo ragazzo?»

 

Il suo respiro si blocca per un attimo. Le sue ciglia si chiudono sui suoi occhi lentamente, quasi tentando di riprendere fiato con tutto il suo corpo.

 

Poi, il Vuoto sorride. «Oh giusto, che sbadata» dice e la sua mano si ferma per un attimo sulla tempia in un gesto fin troppo umano « Dimenticavo che la tua codardia non ti  ha mai permesso di dirgli quello che davvero provavi per  lui»

 

La mano di Dean è lesta nel avvicinarsi al suo volto ma sa che non può ucciderla. Non davvero. 

 

Ricorda le parole di Jack: "Il Vuoto è una forza primordiale quanto Dio stesso e in quanto tale non risponde a nessuna legge di natura, se non alla propria"

 

Dean, l'anima che gli si lacerava nel petto, aveva boccheggiato che Bobby gli aveva detto che Castiel aveva aiutato Jack nella costruzione del Paradiso e Jack, con il cuore pesante gli aveva riferito che Castiel non era mai uscito dal Vuoto. Aveva aiutato perché era grazie a lui se un Paradiso del genere poteva esistere, era grazie a lui se Jack era ancora vivo, se Jack aveva potuto ridimensionare quel luogo a suo piacimento. 

 

Quel Paradiso - Il paradiso-  gridava il nome di Castiel in ogni foglia, in ogni fiore, in ogni angolo che Dean aveva guardato, ma Castiel, in quel posto, non c'era mai stato.

 

Dean avrebbe voluto collassare, scaraventarsi a terra e colpire il pavimento finchè questo non si fosse aperto sotto i suoi piedi, lasciandolo sprofondare di nuovo, magari sulla Terra, magari all'Inferno, perché, tanto, che differenza faceva?

 

Ed invece era rimasto in piedi e mentre un grido gli moriva nel petto, aveva sospirato, guardato Jack e ordinato che lo mandasse nel Vuoto. E Jack aveva provato a dirgli che non sarebbe cambiato niente, che Castiel sarebbe rimasto lì, ma  Dean aveva continuato ad ordinarglielo finchè il ragazzo non aveva ceduto e Dean era stato sommerso dal buio più oscuro.

 

« Tu» dice, guardando il Vuoto negli occhi « Tu non sai niente»

 

«So abbastanza per poter dire che è troppo tardi per cambiare le cose»

 

E Dean crolla. La mente gli si annebbia completamente. Sente di star perdendo contatto, per un attimo, con la realtà. Tutto quello che lo circonda è nero, ma Dean crede di non vedere più nemmeno quello.

 

Poi, chiude per un attimo gli occhi ed  un suono stringato lascia la sua gola. Ed è patetico, gracile e vulnerabile, ma a Dean davvero non importa « Lascialo andare, ti prego» 

 

«Commovente, davvero, ma un patto è un patto, Winchester»

 

« Fanculo» urla  Dean- la sua voce roca e arrabbiata-  più a se stesso che ad altri.« Fanculo, fanculo, fanculo»

 

Si volta nuovamente verso quell'essere, detestandone ogni parte «Prendi me. Lui non se lo merita» dice « Prendi me al suo posto.»

 

Ma quell'essere scuote la testa e gli dice che non è cosi che funziona perché Castiel è un angelo e Dean solo un umano  e Dean sente di non riuscire più a parlare. Ha perso Castiel, ancora. 

 

"Ero la sua felicità" sente la sua stessa mente dire  in un sussurro e le parole che vorticano incessantemente nella sua mente sono troppo pesanti da sopportare.

 

«Amare te è stata la sua felicità» risponde il Vuoto. Dean si chiede se quello abbia l'abilità di leggere nella sua mente o se sia stato lui stesso a pronunciare quella frase ad alta voce. Si rende conto che non ne ha idea ed alza il viso mentre sente il Vuoto continuare a parlare.  «Non interamente differente da quanto hai detto tu, ma di sicuro più tragico se la vedi sotto questo punto di vista»

 

Dean non riesce a fare altro se non recuperare il respiro. La sua mascella è serrata, i suoi pugni chiusi e duri, la sua lama trema nella mano, ma non riesce a trovare la forza di avanzare, di scagliarsi contro all'essere. 

 

«L'amore è ciò che lo ha ucciso, infine» 

 

Dean vuole replicare che non è stato l'amore ad ucciderlo, ma il patto che ha accettato dal Vuoto. È colpa di quell'essere spregevole che sputa parole e frasi fatte su Dean se Castiel è eternamente rinchiuso in quel posto. Ma poi una vaga, timida possibilità si affaccia nella sua mente.

 

« Cosa succederebbe se Castiel non si ricordasse di me. Se non avesse trovato in me la sua felicità? Sarebbe libero dal patto, giusto?»

 

Il Vuoto lo schernisce con un sorriso infastidito «L'avrebbe trovata in qualcos'altro»

 

«Probabile, ma Castiel-- Lui entrerebbe a contatto con le stesse cose che ha sempre vissuto e queste non sono state mai abbastanza forti da renderlo felice. Non del tutto, almeno»

 

Perchè quelle cose non sono me.

 

«Dolcezza, stai proponendo una scappatoia al mio stesso patto?» chiede solo per metà  retoricamente « Sono io che  l'ho stipulato , perché mai dovrei sottrarmene?»

 

« Non vuoi davvero tenerlo qua»

 

« Magari voglio»

 

Dean sospira e aguzza gli occhi nella sua direzione « Non me ne andrò via. Se non lo lasci andare rimarrò qua, giorno e notte. Io... ti impedirò di dormire»

 

Ricorda le parole di Jack e l'impossibilità del Vuoto di addormentarsi in presenza di una qualsiasi intrusione.

 

« Credi davvero, ragazzino,  che io non sia capace di scaraventarti fuori di qui con uno schiocco di dita?»

 

« Lo avresti potuto fare immediatamente- Gesù, mi sembrano ore che parliamo- ma non lo hai fatto. E ho la protezione di Ja..- di Dio... sai di non poterlo davvero fare»

 

Sono momenti di silenzio che si strascicano all'infinito, dove l'unico suono percepibile è il sospiro di Dean. Le sue sopracciglia sono inarcate, e la rabbia gli ribbollisce nelle vene mentre la stanchezza lo ferma dal compiere qualsiasi gesto azzardato.

 

Poi, il Vuoto parla « Cosa vuoi?» chiede

 

«Castiel» 

 

Il Vuoto lo fissa in silenzio e Dean non allontana mai lo sguardo mentre quella pausa si protrae per fin troppi attimi. 

 

E poi: « Ritornerà in Paradiso, odio queste visite continue ... ma stammi a sentire Winchester» dichiara e gli si avvicina pericolosamente al viso « Il primo gesto sbagliato, il primo barlume di pura, vera  felicità come quello nel bunker e Castiel ritorna qui, stavolta per sempre»

 

Il respiro gli si spezza nuovamente in gola e Dean annuisce impercettibilmente; il petto che si alza ed abbassa velocemente. 

 

« Sarà divertente» afferma poi « Non ricorderà nulla di te, non il tuo nome, non la tua storia, non alcun sentimento che avrà mai provato nei tuoi confronti. Tutti, tranne te.  Ricordagli di essere la sua felicità, e Castiel è un angelo  morto»

 

E, dette queste parole, un turbine nero risucchia Dean mentre il Vuoto scompare, dissolvendosi nel buio, sotto i suoi occhi attenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Uso il termine "amico" per mancanza di una traduzione inglese  più fedele all'originale della parola "man" che Dean utilizza spesso come intercalare quando parla :3

 

**Quando parlo del vuoto uso sia il genere maschile che femminile dato che è incarnato nel personaggio di Meg

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Capitolo 3
*** 2. ***


 

 

L'unica cosa che Dean avverte intorno a lui è il vento che soffia, il fruscio dell'aria contro i pini, le querce, i cipressi che si stagliano verso l'alto. 

Un boato rimbomba sopra il suo corpo. Immobile, con  gli occhi ancora chiusi, Dean percepisce il suo corpo acquistare lentamente coscienza di ciò che lo circonda. 

 

 Arrivano prima gli odori: l'erba bagnata, il profumo dei fiori, l'aria limpida e fresca in ogni dove. Poi i suoni: distinti, inconfondibili, eppure  lontani. Dean sente due persone parlare in lontananza, la risata di un bambino ( il  suo cuore si stringe impercettibilmente  al solo pensiero), il ronzare di un'ape accanto a dove si trova. Si passa una mano sul viso e  chiude ed apre gli occhi un paio di volte, cercando di abituarsi nuovamente alla luce, prima di aprirli definitivamente con cautela. Dean sa di esserci prima ancora di verificarlo con la vista, ma la certezza che ne deriva è comunque liberatoria: È di nuovo in Paradiso.

 

 

Espira profondamente , sollevato, e si alza lentamente da terra, rientrando in contatto con quella realtà che appare ancora così surreale. Il solo alzarsi gli provoca dolore: le sue gambe sembrano voler rimanere a terra per un tempo che Dean ora non ha, e la sua testa gira come se stesse sbattendo con costanza contro una qualche superficie. 

 

Si guarda intorno e lì accanto a lui, fra la terra smossa ed il verde del prato, fra il vento che soffia piano e che accarezza i capelli di Dean, fra il profumo distinto della primavera,  c'è Castiel. È rannicchiato a terra, il volto schiacciato contro il pavimento,  ed il suo corpo, ricoperto  a macchie dalla sostanza nera e melmosa di cui anche il Vuoto è fatto,  è fermo e non accenna alcun movimento.

 

Dean apre la bocca per parlare, per dire qualcosa - qualsiasi cosa-, ma l'unica cosa che esce dalle sue labbra rosa e incrinate è un rantolo di voce. Il sospiro gli si spezza in gola e le gambe sembrano cedergli, ma stringe i pugni, si avvicina ed accascia nuovamente sull'erba, toccando d'istinto l'uomo accanto a lui, mentre il cuore si perde nell'emozione. 

 

Castiel è vivo, Castiel sta bene. È tutto quello a cui riesce a pensare. 

 

Posa impulsivamente  una mano sul braccio dell'angelo e tocca inevitabilmente la sostanza appiccicosa, la stessa sostanza nera e viscida  che glielo aveva portato via solo poco tempo fa. Rabbrividisce al contatto e tenta di posare le proprie mani su una parte libera da quel composto. Gli prende, allora, il volto fra le mani, annaspando frasi che muoiono prima di uscire.

 

L'angelo ha gli occhi chiusi, ma le sue palpebre si stringono e rilasciano su se stesse in continuazione, come stesse sognando. Dean tenta di sollevarlo cautamente da terra: Il primo tentativo fallisce- le gambe di Dean cedono prima di riuscire ad alzarsi e la testa di Castiel si appoggia sulla spalla dell'ex-cacciatore, che chiude gli occhi per un attimo al flebile contatto. Poi sussurra un "Okay", riprende fiato  e punta i piedi a terra, avvolgendo un braccio attorno al corpo dell'angelo per reggerlo, e riesce ad alzarsi. Sospira velocemente, ancora e ancora, e poi si dirige verso la piccola casa dove Bobby l'aveva salutato al suo arrivo in Paradiso, trascinandosi dietro il corpo dell'angelo e pregando per un altro miracolo. 

                                       ****

 

Sono solo pochi metri quelli che li separano. Metri durante i quali Dean non riesce a pensare ad altro se non a Castiel che sostiene con le braccia e metri in cui Dean chiama Bobby e Sam più volte, ma di loro non vi è alcuna traccia.  Dean sale il pianerottolo scricchiolante e si precipita all'interno della casa.   

Il corpo di Castiel è freddo contro il proprio e Dean lo appoggia sul divano scuro all'ingresso. Gli prende nuovamente il volto fra le mani e la pelle di Castiel è soffice contro le sue dita sporche di terra. 

 

«Cas. Ei? Cas?» lo chiama, ma l'angelo ha ancora gli occhi chiusi e sospira sommessamente ed il suo corpo è perennemente attraversato da un brivido che non accenna a cessare  e Dean non ha idea di cosa fare.

 

Si guarda di lato e vede la vasca nel bagno. Rivolge nuovamente lo sguardo verso Castiel- il corpo che trema incessantemente- ed ingoia un sospiro. C'è una pila di fazzoletti bianchi, puliti all'apparenza, sparsi disordinatamente sul comodino accanto al divano. Dean si alza, ne afferra alcuni e ricade sul pavimento freddo. Castiel è seduto e la sua schiena preme contro lo schienale del divano.  Appoggia un fazzoletto contro una delle macchie scure, nere e appiccicose  e questo sembra avvolgerla come con una qualsiasi pozza d'acqua.  

Il suo volto è l'unica cosa priva di quella sostanza: Tutto il resto- dalle braccia scoperte, al trench abbandonato su un lato del divano, ai pantaloni che indossa- è intriso di nero.   Quella sostanza risiede ferma e  immobile sul corpo dell'altro, ma  Dean non riesce a fare a meno di sfregarla violentemente  con i fazzoletti, pregando solo che vada via, perchè ricorda il modo in cui la stessa era penetrata dal muro e lo aveva catturato e avvolto, quella volta, così velocemente che Dean a malapena aveva avuto la possibilità di registrare quanto avvenuto, ed, al solo ricordo, ingoia un sospiro.

 

  Dean sfrega, ancora. Si dice di fare piano perchè non vuole fargli male, ma più i suoi occhi la incrociano, più Dean sente il suo respiro incrinarsi. Il corpo di Castiel, intanto, continua a tremare. Dean guarda nuovamente la vasca che si intravede dalla porta semi-aperta del bagno e rivolge lo sguardo ancora sull'angelo, incerto.

 

Afferra piano il primo bottone della camicia bianca  e glielo slaccia. Aspetta, ancora, sperando si svegli, ma dentro di sé sa di non avere tempo. Slaccia il secondo, e poi il terzo e il quarto, e le sue mani tremano perché Castiel è di nuovo lì accanto a lui e questa consapevolezza lo uccide. 

Il suo petto , a dispetto dei suoi vestiti, è pulito e nessuna ferita sembra adombrarlo. Dean rilascia un sospiro sollevato.

 

Poi, mentre si accosta alla sua spalla per sfilargli la camicia, si accorge di due occhi blu che lo guardano.

 

Gli occhi di Castiel seguono il volto di Dean e lo osservano per un attimo, ancora leggermente socchiusi. 

 

Dean lo guarda e apre la bocca per parlare, ma poi gli occhi dell'angelo si richiudono e non importa quanto Dean lo chiami più incessantemente di prima, Castiel ha perso nuovamente conoscenza.

 

                                     ****

 

Castiel è nella vasca – il petto nudo, i pantaloni bagnati che gli avvolgono le gambe muscolose (Dean aveva indugiato sul se toglierglieli o meno, ma aveva deciso di lasciarglieli) ed i capelli scuri che si arruffano leggermente sulla testa per l'umidità. Il suo corpo ha smesso da qualche attimo di tremare e Dean ne è grato. 

L'ex-cacciatore  accarezza con una mano l'acqua calda e bagna la spugna che tiene salda fra le dita. La trascina sulle braccia candide, sul petto che si alza ed abbassa docilmente, sul collo leggermente sollevato contro la fine della vasca su cui il corpo è appoggiato. 

La sua pelle è soffice, bella e Dean passa la spugna con dolcezza sul suo corpo, come se stesse chiedendo scusa con ogni suo gesto. 

L'acqua ne bagna il torso e vorrebbe poter dire che distoglie lo sguardo dal petto nudo, dalle braccia muscolose, dai capelli che gocciolano sul suo collo, una volta che l'acqua ha spazzato via la sostanza nera, ma non vi riesce. Non c'è malizia nel suo sguardo, piuttosto si tratta di un'adorazione silenziosa. Vorrebbe poter pensare che non è questo il momento - Castiel è ancora lì, gli occhi chiusi e, sebbene abbia smesso di tremare da qualche momento, c'è ancora qualche brividio che talvolta attraversa il suo corpo seminudo-, ma Dean non può fare a meno di guardare. 

Un nodo gli stringe il petto mentre lo pensa, ma Castiel è così bello. 

Nonostante la situazione, nonostante il senso di vertigine che l'uomo prova ancora e ancora, Dean guarda Castiel e trova in ogni suo dettaglio un senso di pace: É nella curva del suo naso, nel pomo d'Adamo del suo collo bagnato che si alza ed abbassa, nelle sue mani grandi, nella percezione di una dolcezza silenziosa che tutto quel corpo emana. 

 

Dean non si avvicina ancora, non lo fa, ma quando quegli occhi blu avevano incontrato i suoi per un attimo nel salone,  gli era stato così vicino che il suo odore lo aveva scosso ed aveva sentito un infinito turbine farsi strada nel suo corpo. Castiel odora di notte, di fresco, di pulito, di puro, di qualcosa di alieno, estraneo  al mondo umano e Dean vorrebbe non farlo, ma  ne ama ogni parte.  

 

È  il tatuaggio in enochiano che si era fatto quando era diventato umano per quel breve lasso di tempo  che stride, tuttavia, con i pensieri di Dean.

Pensa al Castiel confuso e totalmente disorientato che si era trovato davanti, alla sua prima espressione di fronte ad un cibo che non sapeva di molecole, alla sua smorfia di dolore per una ferita che tempo prima avrebbe dissolto con  un lampo di luce. Pensa alla sincerità con cui le parole " Sai che mi piace sempre parlare con te" alla sua  richiesta  di confrontarsi avevano reso i minuti a seguire estremamente difficili, a come poco dopo  gli aveva intimato  di andarsene dal bunker, al viso di Castiel contratto in un dolore solo parzialmente mostrato ed al suo, di dolore, mascherato nella birra che aveva in mano e in un ghigno finto sul viso, troppo spaventato per lasciare che vedesse il suo vero stato d'animo.

 

  Guarda le piccole rughe ai lati degli occhi che si evidenziano quando sorride, pensa alla cravatta abbandonata sul divano che così spesso ricadeva storta sulla sua camicia bianca, ai modi di dire che con gli anni aveva imparato ad usare e si chiede quando Castiel fosse  effettivamente divenuto consapevole di essere cambiato. Quando è- si chiede Dean- che si era accorto di essere sì un angelo con le ali e la lama angelica, ma meno austero, più posato, più libero, più affettuoso, più, infine, umano.

 

 

Dean passa la spugna sulle spalle e quando l'acqua incontra le macchie nere, queste si sciolgono nella vasca da bagno.

 

« Mi dispiace tanto, Cas» sente se stesso dire d'un tratto « Riuscirò a sistemare le cose, te lo prometto. Io...»

 

La  voce di suo fratello  cigola fra gli stretti corridoi della casa. Dean si alza velocemente e mentre appoggia la mano sulla maniglia , Sam fa irruzione nella stanza- il viso contorto in un'espressione preoccupata- e lo avvolge in un rapido abbraccio.

 

« Dean, grazie a Dio» dice con voce pressante. E poi, lasciandolo: « Ma io dico ti sei bevuto il cervello? Jack mi ha detto tutto: è un'ora che ti cerco.»

 

Dean sospira sommessamente e quando Sam si appresta a dirgli quanto è stato pericoloso ciò che ha fatto, la sua voce si blocca mentre, guardando alla sua destra, nota il corpo di Castiel fra l'acqua scura.

 

Sam sospira una nota di sorpresa, ma non parla e per qualche attimo osserva semplicemente l'angelo, poi di nuovo Dean, sospirando.

 

« Come hai...»

 

Ma Dean scuote semplicemente la testa.

 

« Quando Schopenhauer diceva che la vita è un pendolo fra la noia e il dolore, non ci aveva ancora conosciuti.»

 

Dean stringe le sopracciglia e inclina il volto « Eh?»

 

« Perché noi non conosciamo la noia, capito?»

 

Dean continua a guardarlo: le sopracciglia strette e il volto inclinato.

 

« Se solo tu aprissi un libro ogni tanto»

 

« Nerd»

 

Sam sbuffa una risata e si passa una mano fra i capelli. «Me ne occupo io, Dean. Da quanto è che sei qui dentro? Sembri distrutto»

 

« Non lo so... qualche ora al massimo»

 

«Esci» gli intima il fratello.

 

« No. Resto qua»

 

«Dean..»

 

«Ti ho detto di no, Sam» replica il più grande, inasprendo il tono della voce.

 

«Se solo mi lasciassi..»

 

« No, Sam. È colpa mia se si trova in questo stato. Ho tutta l'eternità per riposarmi o sbaglio?»

 

Sam sbuffa qualcosa che Dean non comprende e poi il rumore dell'acqua della vasca li fa voltare entrambi.

 

Lì, nella vasca d'acqua scura, due occhi blu si spostano fra i due uomini che lo fissano senza muoversi.

 

Dean inspira così forte che sembra voler accumulare dentro il suo corpo tutta l'aria che gravita pesantemente nella stanza. "Cas" mima con la bocca, ma le parole non ne fuoriescono mai veramente, e si perdono fra il silenzio stringato della stanza, fra lo scroscio dell'acqua della vasca. 

 

Castiel tossisce e la sua mano si posa davanti alla  bocca. Apre e chiude gli occhi un paio di volte. Alza nuovamente il volto e, stavolta,  il suo sguardo si posa sul  fratello più piccolo.

 

«Sam» sussurra allora. Sam guarda Castiel, Dean e poi di nuovo Castiel. Cerca di nascondere la fronte aggrottata con un sorriso e si avvicina verso l'angelo, salutandolo. Gli passa una mano attorno alla spalla sinistra e lo aiuta ad alzarsi dall'acqua imbevuta di nero. I suoi muscoli si tendono ed una smorfia di dolore gli contorna il viso mentre posa i piedi nudi sul pavimento del bagno freddo. Sam accenna alcune parole di conforto ed altrettante domande che già sa non avranno un'imminente risposta e Dean è lì, accanto a loro, che guarda e calibra ogni movimento dell'angelo, indeciso sul da farsi. Si schiarisce la voce, quasi a richiamare non altri, ma se stesso all'attenzione, e prende un asciugamano poco lontano da dove si trova. 

Tende l'asciugamano bianco verso Castiel ed è in quel momento che l'angelo lo guarda fisso negli occhi. Ogni parola che Dean riesce anche solo a immaginare di pronunciare  trema nella sua bocca e, inaspettatamente,  sorride ,quasi, perchè gli occhi di Castiel sono blu, così blu e anche se Dean teme ogni sua mossa, ogni suo respiro, Castiel è lì di fronte a lui e questa consapevolezza è abbastanza.

 

 Perché Castiel lo sta guardando e a Dean davvero non interessa nient'altro. Perchè ha passato notti insonni a struggersi fra le coperte del suo letto, con le macchie di alcol di bottiglie rovesciate sulle lenzuola, con nocche rosse e le guance bagnate a sussurrare un nome fra le labbra, a lasciare che la sua testa oscillasse da un pensiero all'altro, a chiedersi il perchè di tutto questo. Ha passato notti e giorni a convincersi di essere degno di vivere, a far sì che il sacrificio di Castiel servisse davvero, effettivamente a qualcosa, quando, forse, gli sarebbe bastato guardare l'angelo  dall'altro lato del tavolo, ridere con lui, incrociare il suo sguardo ancora e ancora senza che tutto ciò fosse mai esplicato.

Avrebbe preferito vivere così, se significava poter avere Castiel accanto. 

Ma Castiel lo aveva salvato e per farlo aveva dovuto amarlo e morire per questo, perchè infine Dean per Dean cosa era se non perenne distruzione?

 Come poteva lui che si era odiato e soppresso per così tanto, pensare di essere " l'essere umano più amorevole e  premuroso" che Castiel avesse mai incontrato, se infine amarlo aveva assunto il significato di morte? Come poteva amarsi se la sua stessa esistenza, il solo fatto di essere vivo e di poter essere amato aveva condotto un altro alla morte? 

 

La mano dell'angelo si avvicina alla sua, senza sfiorarla, e prende l'asciugamano che gli è stato offerto. Sussurra un grazie ed è sul punto di asciugare una gocciolina che gli attraversa il petto nudo, quando:

 

«Piacere» dice, cercando nuovamente la mano di Dean, ancora ferma a mezz'aria « Castiel»

 

Dean apre e chiude gli occhi un paio di volte, ingoia l'amarezza che gli lacera la gola e stringe i pugni. Sente lo sguardo del fratello fisso su di lui e non ha il coraggio di incrociare i suoi occhi.

 

« Dean» dice solo e Castiel annuisce con il volto, ancora austero e serio come Dean è solito vederlo.

 

 

 

Dean inspira, ancora. È tutto così surreale. Guarda l'angelo che l'ha salvato più volte, l'amico che gli è stato accanto senza che riuscisse a rendersene conto, l'amore che ha cercato di nascondere, sopprimere, uccidere per anni perché la paura che lo avvolgeva era troppa da sopportare.

 

Sente una pressione all'altezza dello sterno. Ha bisogno di vomitare. Apre e chiude la bocca cercando di recuperare aria mentre il mondo sembra cadergli addosso, ancora e ancora e Dean ha coscienza di non avere più la forza necessaria per urlare quando Dean vorrebbe solo gridare. Ma nonostante tutto, si dice, Castiel ora è qui e Dean lo sta guardando e ringrazia il cielo perchè va bene così. Va bene così anche se ha nostalgia di qualcuno che gli è davanti. Va bene così anche se il Castiel che aveva detto di amarlo e che lo aveva amato in ogni sua parte e dimostrato in ogni suo gesto  e di cui Dean non aveva mai voluto accorgersene, che gli aveva confessato qualcosa che lui non era mai riuscito a dire, che lo aveva salvato come la prima volta, ora non esiste più. Guarda Castiel e ne riconosce ogni tratto: i capelli scuri, il viso pallido e marmoreo, la mascella chiusa in una dura morsa, lo sguardo curioso ed ancora leggermente disorientato, gli occhi, blu e attenti che seguono ogni suo movimento.

 

E mentre Dean riconosce ogni tratto di Castiel, Castiel guarda Dean per la prima volta, senza nessuna precoce  idea di chi lui sia.

 

                                         ****

 

Dean esce dal bagno e dalla casa ed il freddo gli penetra nelle ossa. Si stringe attorno al giacchetto. Sente suo fratello corrergli dietro, vede Bobby sull'uscio della porta guardarlo con confusione, ma non se ne cura. Ha un lembo della maglietta bagnato e l'aria gelida gli si appiccica al corpo in modo fastidioso e viscido. Respira. Sapeva che sarebbe andata così, che Castiel non si sarebbe ricordato di lui e va bene così, si ripete. Va bene cosi.

 

 Dean stringe il giacchetto attorno a sé ancora e ancora, cercando invano di scaldarsi.

 

"Perche?" sussurra al vento che gli accarezza i capelli senza aggiungere altro. Ma il vento non risponde, non può farlo, e Dean guarda in alto. È in paradiso, non c'è un "alto" piu alto di questo ed a questa consapevolezza, si sente solo.

 

Sente delle voci poco lontane e poi, i passi del fratello avvicinarsi nella sua direzione, e Dean davvero non ha voglia di discutere, adesso.

 

Sam gli si avvicina e le cime dei cipressi vicino a loro si abbassano, quasi a formare un arco attorno a loro, quasi a volerli proteggere. Dean si volta, piano, vicino al fratello. 

 

Sam annuisce, come fa di solito quando aspetta che sia l'altro a parlare, come se nella sua mente stesse elaborando la situazione.

 

Ma Dean non parla e si volta da un'altra parte e  Sam gli gira attorno come in una danza e si pone nuovamente di fronte all'altro. 

 

Dean si passa una mano sul viso. Dio, è cosi stanco.

 

Incrocia il suo sguardo, guarda in alto, poi di nuovo in basso. 

 

« Dean...» 

 

«Chi c'è con Castiel?» 

 

«Castiel? Dean, quale Castiel... non si ricorda nemmeno di te! Chi è quell'uomo?» dice sbuffando, sconcertato.

 

Dean stringe i pugni e serra la mascella. Lascia che una finta risata si appropri della sua voce. « È Castiel. Quello originale intendo. Semplicemente non si ricorda di me»

 

« Ah, beh se la metti così allora. Perdonami non avevo visto quanto fosse tutto così sensato»

 

« Come se qualcosa nelle nostre vite fosse mai stato sensato»

 

« Dean, hai detto che Castiel era stato portato via dal Vuoto, hai chiesto a Jack di mandartici e qualche ora dopo, Castiel  è vivo, sano e salvo nella vasca da bagno di Bobby e senza alcun ricordo di te » Poi il volto di Sam si contorce ancora di più « Non hai fatto un patto... vero, Dean? Dimmi che non hai seriamente fatto un patto»

 

Il respiro di Dean è pesante, fastidioso.

 

« Non ti devo alcuna spiegazione»

 

« Invece si, Dean. Tendi a dimenticartene, ma Castiel era anche mio amico»

 

Dean sbuffa una risata di scherno.

 

« Forse non vuoi crederci, ma la sua morte non è stata difficile solo per te. Io, Claire, Jack... noi non gli abbiamo mai detto addio»

 

« Dio santo» dice Dean con voce acida e sommessa. Sfida il fratello con lo sguardo « Tu davvero credi che io gli abbia detto addio?»

 

« Era con te quando è morto»

 

Eccola di nuovo. Quella sensazione di colpa, vergogna che si stanzia sul suo petto, che sale fino alla sua gola e gli rende cosi difficile parlare.

 

« Tu proprio non capisci eh, Sammy?»

 

« No, e sai perché, Dean? Perché ti ho chiesto decine di volte di raccontarmi cosa è successo quella notte e tutto quello che ho ricevuto da parte tua sono state occhiate storte e grugniti. Quindi no, non capisco»

 

«È colpa mia se è morto. Lui mi ha salvato»

E Dean non riesce a andare avanti.

 

« Questo già lo sapevo. Lo avevi detto a me e Jack il giorno dopo. Ma perché?» ,

 

« Lui... fanculo» dice Dean e colpisce un sasso che gli è accanto.

 

« Fanculo. Lui.. lui mi amava, Sammy? Va bene? Mi amava e mi ha fatto questo grande discorso -quel figlio di puttana- per dirmi tutto quello che provava per me, perché amare me in tutti questi anni... e il dirmelo è stata la sua felicità » dice, incredulo e con un'ilarità appassita nella voce.

 

«Jack... Castiel lo aveva riportato in vita stringendo un patto con il Vuoto. Lo avrebbe portato via quando sarebbe stato finalmente felice. E io non glielo ho mai ridetto. Castiel stava... stava piangendo, aveva le lacrime agli occhi e sulle guance e io.. io non lo avevo mai visto piangere, okay? E c'era Billy, nella stanza accanto e mi ricordo di avergli detto che ci avrebbe ucciso entrambi e Castiel lui... Io non glielo ho mai detto, Sammy. E ora lui non si ricorda di me, perché se lo facesse, se mi amasse, il Vuoto lo riprenderebbe per sempre. Non ha mai saputo che io lo amavo. Non lo saprà mai. Ha detto che l'unica cosa che voleva, sapeva di non poterla avere. Ma...» Ed è qui che la voce di Dean si rompe   «lui non me l'ha mai chiesto. Ed io sono stato tutto questo tempo,  tutti questi anni a credere che lui non avrebbe mai potuto provare qualcosa per me... perché guardami sono un disastro e lui un angelo.. e mi aveva detto così tante volte che gli angeli non possano provare sentimenti...Ed invece lui voleva me ed ha passato questi anni a credere che per me non fosse lo stesso. Mi ha detto che l'ho cambiato. Io? Capisci. Io. Lui... lui è sulla terra da sempre, da miliardi di anni e io... io l'ho cambiato»

 

Sam cerca di parlare, ma sa che nessuna parola riuscirebbe a confortarlo e le frasi che vorrebbe pronunciare si perdono come le tante altre che Dean ha soppresso nell'ultimo periodo, incapace di metabolizzare, di elaborare, di capire, di vivere.

 

« Dean...» dice solo. 

 

Dean sbuffa una risata, ma ha le lacrime agli occhi ed un bruciore che gli minaccia la gola « Già»

 

« Io...»inizia, ma si blocca. Ha la fronte aggrottata e  deglutisce sonoramente. 

 

Poi Sam gli si avvicina, più di quanto non lo fosse prima e lo abbraccia perchè le parole non saranno mai abbastanza. E Dean lo stringe un po' più forte. 

 

 «Mi sei mancato» gli dice Sam. Ed è in quel momento che Dean si rende conto di aver appena raccontato tutto ciò che lo ha tormentato per mesi, di avergli raccontato di essersi innamorato, di sentirsi attratto da qualcuno che non è una ragazza. E afferra più voracemente  quelle parole, inaspettate e forse fuori contesto, che risuonano e vorticano nell'aria,  e si lascia cullare da quelle ulteriori inespresse altre frasi  che Sam lascia cadere sul suo corpo con un abbraccio.

 

« Okay..» dice dopo qualche attimo « Okay, va bene. Basta abbracci per oggi » 

Si ferma per qualche istante e poi ride, piano, mentre guarda il fratello . « Non sembri troppo sorpreso dal fatto che sì.. beh...»

 

« Non eravate esattamente  discreti» dice Sam, sorridendo, ma ha il viso ancora contratto in un'espressione di dolore  «Cosa accadrà adesso?» chiede quindi.

 

«Non lo so» ammette Dean, sincero. «Credo sarà più semplice per me. Sarà come conoscere un'altra volta il Castiel soldatino di Dio che mi ha tirato fuori dall'Inferno all'inzio» continua.

 

«No» sussurra  dopo qualche attimo Sam «Lui.. Castiel si ricorda di me, di Jack, del Vuoto. Non si ricorda solo di.. te» afferma.

Dean lo guarda, pensieroso.

«Sarà lo stesso Castiel di sempre» dice e sta per aggiungere qualcosa, ma Dean lo ferma con lo sguardo, perché ha capito e non ha bisogno di sentirselo dire. Il Castiel che tu hai cambiato. 

Sam sospira. « Mi dispiace» conclude allora.

 

«Sto bene» replica  Dean in un sussurro e  le cime degli alberi che li circondando  sembrano attorcersi ancora più verso il suo corpo.

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Capitolo 4
*** 3. ***


 

 

Nei giorni seguenti Dean non evita Castiel. Non lo fa, ma cambia stanza quando riconosce i passi dell'altro calpestare il pavimento della casa in cui anche Sam si trova ed  aggira minuziosamente i luoghi dove sa che  l'angelo potrebbe essere presente, tanto che, a distanza di giorni,  le ultime  parole che si sono scambiati  sono state le presentazioni del giorno in cui Castiel era in giunto in Paradiso e l'unico contatto era stato  il fievole  sfioramento di dita nel passarsi  l'asciugamano.  Null'altro.

 

Dean passa le giornate in casa, fuori casa, dorme, cammina, esce, parla, trema, grida, rompe, vaga. Nulla di tutto ciò accade con Castiel. 

 

 

Talvolta, Dean vorrebbe tornare nel Vuoto, camminare nel buio e chiedere all'entità di cancellare Castiel anche dalla sua,  di  memoria o al massimo di spedirlo in un altro posto- qualsiasi altro- perchè è solo con l'assenza dell'altro  che Dean sente che sarebbe in grado di metabolizzare le circostanze attuali: Aveva temuto per tutta la sua vita di perdere le persone  a lui care e questa paura non aveva fatto altro che amplificarsi e confermarsi volta dopo volta ed aveva ingoiato massi e massi di sensi di colpa, ansie ed angosce, ed ora che la persona che aveva calpestato  e ripudiato per così tante volte era tornata in vita per l'ennesima volta, sente di essere  riuscito a perderla comunque.

 

Ma la cosa peggiore, per quanto nella sua mente sia sensata, per quanto ragionevole, è che  Dean trova nello sguardo lontano di Castiel, nei suoi gesti solo avvistati, nelle sue parole solo immaginate, un senso di pace che custodisce segretamente dentro di sè e che sprigiona ogni qual volta sente la sua mente cedere. Guarda le proprie  nocche scavate, rosse, violacee e sospira, tremante, ma la voce di Castiel è sempre udibile da dove si trova e avverte le parole solo poco distinguibili accarezzargli la mano, avvolgerla in un panno, guarire le ferite con un suono. Ma, allo stesso tempo, vorrebbe potergli essere accanto, parlargli, scherzare, dirgli una di quelle sue stupide  battute per cui sa che Castiel non riderà, ma che si dimostrerà , ad ogni modo,  pronto ad ascoltare,  perchè, per quanto tenti di convincersi che sia sufficiente così, la sua presenza solo percepita da lontano e mai sentita, lo lacera giorno dopo giorno sempre più nel profondo. 

 

E la presenza di Castiel, nelle infinite contraddizioni della mente di Dean, inizia ad equivalere al tutto del passato ed al nulla del presente,   perchè Castiel gli ricorda tutto e allo stesso tempo, solo esistendo, cancella simultaneamente quegli stessi molteplici ricordi che mai ritorneranno ad essere attimi. E quegli occhi blu, che un tempo significavano sicurezza, ora sono solo minaccia.

 

Dall'altra parte, Sam aveva riferito a Castiel  che Dean era suo fratello e gli aveva detto, mentendogli, che era semplicemente morto molto tempo prima che l'angelo potesse farne conoscenza. Castiel- gli aveva raccontato Sam- aveva indugiato :"Non mi avevi detto di avere un fratello", ma Sam aveva alzato le spalle e la conversazione era morta prima di nascere. 

 

Ed  anche la voce di Sam che gli dice che  così non ha alcun senso, che non può passare l'eternità ad ignorarlo, rimane una delle tante voci che  risuonano a vuoto nella sua mente, ma Dean, ad ogni eco di queste, sente di non poter comunque fare altro. 

 

Non sa come comportarsi, non sa come muoversi. Si sente come un infante ai primi passi: ha paura di cadere ad ogni piede che poggia a terra. L'unica differenza è che il bambino non sa di poter cadere, o, se lo sa, cade,  piange o sghignazza e si rimette in piedi e riprova poco dopo; Dean sa che al primo passo sbagliato, il rialzarsi sarebbe solo un'illusione. 

 

Nella memoria di Castiel, Dean non è mai esistito ( i  ricordi dell'angelo nei confronti della famiglia Winchester  iniziano con Sam nella gabbia insieme a Michele e Lucifero, al suo corpo salvato, eppure privo di anima) e, forse, Dean inizia a credere, è meglio così

 

 

                                          **** 

 

Dean ricorda vagamente di essersi addormentato, ma si sveglia fra le coperte di un letto già sfatto. Le lenzuola bianche si intrecciano sul suo corpo in una disposizione che gli ricorda particolarmente il letto che aveva da piccolo- quello in cui la madre lo svegliava la mattina con l'odore di biscotti ed un sorriso dolce sul volto- solo molto più grande.

 

Si spoglia dai vestiti del giorno precedente ed entra nella doccia. L'acqua calda gli colpisce il volto, svegliandolo dal torpore mattutino. Guarda le gocce calargli sul petto, sulle mani e cadere fino ai suoi piedi, risuonando in delle piccole pozze che si sciolgono nello scarico argenteo.

 

 

É tutto così tranquillo, quotidiano quasi, che Dean riesce a fatica a ricordarsi di essere in Paradiso. Inspira profondamente ed esce dalla doccia.

Si guarda allo specchio, un asciugamano nero che gli avvolge il corpo ed il vapore dell'acqua calda che copre gradualmente lo specchio. Dean guarda il suo riflesso: le occhiaie scavate, i capelli bagnati che gocciolano sulla fronte, il petto che si alza ed abbassa al ritmo del suo respiro. Guarda in basso le braccia che si reggono al lavandino, respira e  si rivolge nuovamente  verso lo specchio. 

 

Il vapore inonda la stanza e copre la superficie in cui l'uomo si specchia finché Dean non vede più riflesso nemmeno se stesso.

 

                                         ****

 

 

Quando Dean esce, non si aspetta che sia una pioggia fitta ad accoglierlo. L'acqua bagna i fiori, le piante, bagna il tetto delle abitazioni che si susseguono l'un l'altra. Dean osserva le gocce bagnargli le scarpe, ma non se ne cura e attraversa il campo verde che gli si prospetta davanti.

 

Tutto tace: solo il rumore della pioggia lo accompagna. Dietro di lui, Castiel cammina nella sua direzione. 

 

Dean si gira, piano e lo guarda di sfuggita. Volta nuovamente lo sguardo e continua a camminare.  

 

 

I passi retrostanti, ora, risuonano insieme alla pioggia che cade a terra incurante. Dean riesce a sentire distintamente le scarpe dell'angelo calpestare con suono cadenzato l'erba bagnata e fangosa, cercare di annullare la distanza che li separa. 

 

Dean cammina, ancora. Chiude gli occhi ed avanza imperterrito, come se dietro a lui non ci fosse la persona che negli ultimi mesi ha lottato per riavere, come se non fosse stato il suo ricordo a tenerlo in vita dopo che la sua stessa, mera esistenza aveva condotto alla morte  la  persona che più aveva amato,  come se non ci fosse suono più bello della voce che gli è dietro, individuo più puro con cui abbia mai parlato, come se non fosse tutto ciò in cui Dean aveva trovato un luogo sicuro, come se quella persona non fosse stata la prima a credere davvero in lui, a credere che meritasse di essere amato, a vedere  ogni sua  ferita ed  a trovarvi solo un'infinita bellezza mentre  Dean si guardava allo specchio e non vedeva altro che un fallimento per se stesso e per gli altri. 

O forse è proprio per questa ragione, è proprio nella consapevolezza di tutto ciò che chi gli è dietro realmente è , che Dean decide di  ignorarlo, e cammina ancora, di più, più veloce , perchè se solo Dean lo facesse, se solo si girasse, se solo guardasse la persona che ha amato, che ha voluto, desiderato, a cui ha anelato per anni, non crede che avrebbe la forza necessaria per non crollare.

 

Ma poi, d'un tratto, inaspettatamente,  il suono dei passi dietro di lui cessa e, all'assenza di rumore, Dean si ferma. 

 

Si dice di non voltarsi, di non girarsi e  sospira e chiude gli occhi e aspetta. Ma Castiel è dietro di lui, e Dean alla consapevolezza, non riesce, non può controllare se stesso e, quando, infine, si volta, con il cuore in subbuglio, Castiel è lì, a pochi metri da lui, che lo guarda confuso.

 

Dean apre la bocca per parlare, ma non ne esce alcun suono. 

 

Non riesce a capire: Castiel non si ricorda di lui. Cosa fa allora lì, fermo e sotto la pioggia, bagnato da capo a piedi e con gli occhi blu che lo osservano quasi aspettasse qualcosa?

 

Dean si schiarisce la voce  «Non credo che gli angeli siano immuni ad una polmonite, sai?»

 

« Ci conoscevamo noi due» afferma Castiel e le parole sferzano l'aria come se impugnasse un coltello. Dean è gia fermo quando lo sente parlare, ma, alle parole, sente il suo corpo bloccarsi ulteriormente.  « Non è vero?» continua l'altro.

 

E Dean si volta e riprende a camminare.

 

« Dean...» Ed il modo in cui lo dice è cadente, confuso, autoritario, invitante, stanco e fin troppo simile al modo in cui l'angelo  era solito chiamarlo per richiamare la sua attenzione. E mentre il suono comunque dolce e fluido e bello  di quel nome sembra diramarsi di  eco in eco, Dean   è costretto, ancora una volta, a ricordarsi che quello lí è davvero Castiel e non un suo mero sostituto.

 

« Cosa te lo fa credere?» chiede allora Dean , sovrastando il rumore della pioggia fitta e che cade sui loro volti  vorace.

 

« Il fatto che continui ad evitarmi»

 

« Non ti sto evitando» 

 

« Allora fermati»

 

« No» Non posso, vorrebbe aggiungere, ma non lo fa.

 

E poi Castiel parla ed i passi di Dean si assestano da sé. « Mi dispiace» dice.

 

Dean si volta, piano e la sua voce è arrogante anche quando non vorrebbe che lo fosse  « Cosa?»

 

La pioggia batte sulle finestre di una casa poco distante e il ticchettio risuona nell'aria come un orologio che scandisce i secondi, i minuti, i respiri e gli affanni che condividono nell'essere distanti.

 

« Se fossi davvero morto tempo prima che io ti conoscessi non cercheresti di cambiare stanza ogni volta che occupo anche io il medesimo spazio...» dice e la sua voce attacca stancamente il rumore delle gocce che a tratti lo sovrastano,  tanto che Dean fatica a sentire quello che dice. «Credevo fosse una coincidenza inizialmente, rapportata al fatto che sono pochi giorni che mi trovo qui anche io e che avessi bisogno di abituarti ad una nuova presenza in un ambiente nel quale tu vivi già da tempo, ma le probabilità che questo accada così spesso sono davvero poche in addizione al fatto che anche Sam cambia espressione quando io e te  siamo nello stesso posto»

 

Dean lascia che il suo sguardo attraversi il corpo ed il viso dell'altro per pochi istanti. 

 

«É evidente che tu abbia una ragione per evitarmi di cui io non sono a conoscenza come non sono a conoscenza di chi tu sia o di quando io sia entrato nella tua vita, ma se serve a mantenere una pace comune credo sia meglio scusarmi con te, Dean e ritirarmi in qualunque angolo di paradiso mi sia più adatto»

 

« Cosa? No» dice, mentre tenta di elaborare le parole dell'altro « Aspetta» 

 

Tossisce per il brivido che lo pervade ed indica la casa poco distante con un cenno della testa. Castiel lo segue, senza pronunciare una parola. 

 

Dean si siede sul porticato, al riparo dalla pioggia. Castiel aspetta, guardandolo. Dean appoggia la mano sulla struttura di legno, invitandolo a sedere accanto a lui. Castiel si siede, silenzioso e le loro ginocchia, vicine,  quasi si sfiorano. 

 

Nessuno dei due proferisce parola per qualche istante. 

 

Un boato di vento apre una delle finestre della casa che cigola in risposta e l'acqua che si abbatte sulle mura, sul porticato,  sparisce, cadendo nel verde dell'erba. Dean scosta il giacchetto bagnato e lo appoggia alla sua sinistra, continuando ad osservare la leggera nebbia che ora si dirama dinanzi a lui e che si confonde nel rumore della pioggia.

 

« Noi ci conoscevamo» inizia Dean e la sua voce risulta tremolante persino alle sue  orecchie « tempo fa» aggiunge dopo un battito.

 

Castiel annuisce. Non è sorpreso o arrabbiato: il suo viso è fermo, attento, pensante. Poi, fa la cosa che Dean teme più di tutte le altre: si volta e lo guarda.

 

 I suoi occhi lo osservano come era solito fare, quasi a studiarlo, quasi ad analizzarlo. E che Dean sia dannato se aveva anche  solo potuto pensare che non avrebbe ritrovato lo stesso senso di sicurezza, se aveva anche solo potuto pensare che quegli occhi blu gli avrebbero ricordato costantemente l'incombente, persistente, intimidazione di ciò che Dean non gli deve fare ritornare alla memoria; perchè il corpo di Dean non può far altro se non rabbrividire alla vista,  quasi fosse nudo nel mare d'acqua fredda che li circonda, e vorrebbe dire che distoglie gli occhi e guarda altrove, ma la verità è che  Dean riesce solo a ricambiare quello sguardo, anzi,   è  quasi Dean stesso che cerca con insistenza lo sguardo dell'altro perchè infine, nonostante tutto, quello è Castiel; e Castiel gli manca da morire. E quegli occhi, che dovrebbero fargli paura, gli ricordano l'oceano, il cielo dopo una tempesta e da che dovrebbero apparire alieni, estranei, risultano essere solo umani . E, d'un tratto, tutto questo risulta così incredibilmente familiare che, per quei piccoli, miseri istanti, Dean sente di poter ingannare se stesso, di fingere di trovarsi sulla terra di qualche mese fa e credere che tutto questo sia solo uno dei tanti  brutti sogni che si è ritrovato a vivere una notte.

 

« Eravamo amici?»

 

 

No « Si» 

 

Poi, quando crede di non esserne più in grado, Dean distoglie lo sguardo. «  Si, Cas. Eravamo amici»

 

Dean odia il suo indugiare mentalmente. Lui e Castiel erano davvero stati amici. Non erano mai stati solo quello, ma lo erano stati. Non gli sta mentendo, si dice, ed incrocia i palmi delle sue mani fredde, sferzandoli tra di loro, cercando di scaldarsi. 

 

« Non mi ricordo di te» dice Castiel, sommessamente.

 

Dean sospira. « Lo so» risponde dopo qualche attimo, incrociando nuovamente il suo sguardo.

 

Castiel lo guarda, silenzioso, ed inclina la testa di lato « Perché non mi ricordo di te?» 

 

Dean non risponde- non si fida della sua voce- ed alza distrattamente le spalle.

 

Il crepitio della pioggia continua dinanzi a loro, ma sembra affievolirsi goccia dopo goccia.

 

« C'è stata qualche azione che ho fatto per ferirti in passato per la quale tu mi eviti adesso, Dean?»

 

« No»

 

« E allora perché lo fai?»

 

Dean ingoia un brivido e lo maschera con una piccola, incredula, risata « Diciamo che non è esattamente semplice ricostruire un rapporto con qualcuno che non si ricorda di te»

 

Castiel incrina le labbra in quello che appare un sorriso accennato, e si guarda attorno « Mi piace pensare che ne abbiamo di tempo a disposizione»

 

Dean sorride genuinamente- il primo da quando è arrivato qui- e scuote la testa.

 

«Credi ci sia un modo per ricordarmi di te?» chiede l'altro.

 

Dean abbassa lo sguardo. La terra sotto di lui è bagnata e si attacca alle sue scarpe in un fango che sarà difficile da lavare via più tardi « No» dice, « Abbiamo già provato» mente. 

 

Castiel sospira, silenzioso, ed annuisce. 

 

Dean tossisce, ancora e stringe maggiormente a sé la sua camicia verde di flanella  che si appoggia bagnata e appiccicosa alla sua pelle.

 

Il silenzio che ora condividono si protrae per alcuni, lunghi istanti finchè poi, d'un tratto, in un sussurro, Castiel parla : « Avevi bisogno di parlare» dice, e non è una domanda, ma Dean assottiglia gli occhi, lo guarda di sfuggita ed, infine, annuisce.

 

« Credo di sì» conferma ugualmente,  seppure incerto. « Cos'è? Qualche sorta di potere angelico?»

 

Castiel scuote la testa «Solo la natura»

 

Dean inarca le sopracciglia «Ti dimentichi di me da cinque  giorni  e mi diventi  un istruttore di yoga»

 

Castiel sorride appena «La relazione che c'è tra individuo e natura in paradiso è più profonda e intima di quella che si avverte sulla terra, Dean»

 

Dean si guarda attorno e la pioggia, prima battente, forte e violenta, ora è ridotta a poche, dolci,  fievoli gocce che a lunghi intervalli cadono dal cielo. 

 

« Spesso si identifica con lo stato animo di qualcuno, altre volte si trasforma in ciò di cui l'individuo sente segretamente di avere bisogno, talvolta è manifestazione di qualcosa che non riesce ad essere espresso esplicitamente ...»

 

Dean guarda Castiel: gli occhi blu, la voce calda, la mascella imponente, le labbra screpolate,  la leggera barba che nasce sulla sua pelle. Quando Castiel si volta, l'angelo  tenta di incrociare il suo sguardo, ma Dean si è già voltato.

 

 « Credevo che il Paradiso fosse solo sole e felicità»  dice quindi Dean mentre percepisce   lo sguardo dell'altro  fermo sul proprio volto.

 

« La natura umana è estremamente complicata. Morire non significa necessariamente  la risoluzione di qualcosa, solo il trasporto del dolore in uno  stadio più ampio, sereno, quieto»

 

Dean annuisce impercettibilmente e sospira i pensieri che non riesce a pronunciare. Vorrebbe parlare, ma la sua voce si blocca in un colpo di tosse.

 

« E per rispondere alla tua domanda ...» inizia Castiel, avvicinandosi al suo corpo. La mente di Dean gli dice di allontanarsi, il suo corpo non lo fa « No, noi angeli non possiamo prendere la polmonite, o meglio.. potremmo ma saremmo in grado di elaborarla rapidamente, voi umani invece... Posso?» chiede dunque, sollevando di poco la mano in direzione del suo viso.

 

Lo sguardo di Dean si sofferma sulle dita della mano dell'altro e dovrebbe voltarsi e andare via, ma non fa nulla di tutto ciò:  I suoi occhi verdi brillano come le foglie degli alberi bagnati attorno a loro, come l'erba accarezzata dalle poche, rare gocce che adesso si appoggiano dolcemente sul terreno e si sente impotente di fonte allo sguardo altrui. Tenta  di essere disinvolto ed al proposito  inarca un sopracciglio, contorce il suo viso in un'espressione confusa  ed alza le spalle, ma quando la mano di Castiel si avvicina al suo viso, e le sue dita sfiorano la sua fronte, Dean si dimentica di qualsiasi facciata stia cercando di mostrare e, come anelasse a quel tocco,   avvicina maggiormente  la testa e quasi chiude gli occhi mentre i polpastrelli  si fermano sul proprio viso. Avverte la sua gola, prima irritata, risanarsi ed i brividi di freddo che provava, anche se tutt'ora i suoi vestiti bagnati si attaccano alla sua pelle,  essere  sostituiti da un dolce torpore.  

 

Castiel è così vicino e la mente di Dean gli urla incessantemente  di non avvicinarsi ancora , ma quando sente che il suo corpo si sta allontanando, le dita affusolate di Castiel indugiano sul proprio viso ed il respiro di Dean si spezza prima che possa  uscire dalla sua bocca in un sospiro.  

 

Dean chiude gli occhi e deglutisce sonoramente « Grazie» dice poi. 

 

Ma  tutto quello che rimane di Castiel è il rumore di un battito di ali.

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Capitolo 5
*** 4. ***


 

Le mura della casa sembrano stringersi sotto il suo fievole, accennato tocco. La luce che penetra dalla finestra inonda la sala di una calda ombra mentre  il pavimento si incrina con un suono acido sotto i suoi passi attenti.

«C'è qualcuno?» chiede Dean d'un fiato. E solo il silenzio gli risponde.

 

Cosí - la stanza vuota, l'eco tenera della sua voce che ora ondeggia, rimbomba e chiama a sé tra le pareti bianche, l'assenza di odore  rara in quel luogo - sembra un sogno. Se solo, infatti,  Dean si apprestasse ad aprire la porta scura che dista di qualche metro, è certo che l'odore del prato inonderebbe la stanza ed inebrierebbe le narici di chiunque si assesti solo per qualche attimo a lasciarsi avvolgere dal profumo.

 

Si muove di un passo, due ed aguzza la vista da parete a parete, cercando di catturare con lo sguardo tutto ciò che riesce a intravedere. La sua mano si posa su una cornice argentea, impolverata su un comodino altrettanto intriso di grigio, che potrebbe  applicarsi ad una foto come ad abbracciarla in motivi floreali se solo- nota Dean girandola- ce ne fosse una. La cornice è vuota, scarna, non c'è alcuna immagina dentro e Dean inarca le sopracciglia ed aggrotta la fronte, confuso. 

 

Poi, avanzando, la lascia andare. 

 

Ogni rumore che Dean potrebbe immaginare scompare, si dissolve nel suo solo sospiro e nello scricchiolare del pavimento sotto le sue scarpe ancora sporche di fango.  Ogni odore che vorrebbe sentire è assente e l'unica cosa percepibile diviene il sudore che gli imperla la fronte, il lascito del profumo del sapone sui suoi capelli. Quella stanza è vuota e l'unica cosa che diventa testimone di quella realtà è Dean stesso. Le stanze, così come le decine di altre case in cui oggi è entrato e che si era immaginato piene di persone, quasi fossero dei vicini  in quel luogo di pace che altro non è che il riposo dell'anima,  sono sgombre. È l'odore di Dean quello che inonda le pareti, è il rumore che Dean produce che incrina il silenzio, è il tatto di Dean che sembra donare luce agli oggetti che sfiora, altrimenti morte nell'ombra dove la luce della finestra non riesce ad arrivare. Ed è mentre Dean cammina da una sala all'altra, tutte vuote, uguali, silenziose e inodori,  che capisce che è solo  nella sua presenza che questa abitazione sembra viva.

 

  

Poi, quando anche l'aria sembra aggravarsi sul suo corpo per la troppa, insormontabile staticità, un fruscio di vento incrina la stanza e quando Dean, al suono, si volta,  Castiel lo sta giá guardando.

«Ciao, Dean» 

Dean indietreggia di qualche passo mascherando l'azione in un sussulto di sorpresa, come se lo avesse spaventato,  quando invece è solo la sua troppa  vicinanza la causa del suo veloce allontanarsi. 

«Hey» replica, accennando un lieve sorriso. « Anche tu da queste parti?»

 

Le labbra di Castiel si curvano leggermente in quello che per tutti non è nulla, ma che Dean sa ormai riconoscere essere un sorriso.

 

 «Ad ogni modo» dice allora mentre gli rivolge un viso contrariato e si posa una mano sul petto, sbuffando  in modo drammatico « Uno di questi giorni dovremo metterti un campanellino. A meno che tu non voglia mi prenda un infarto»

 

I loro incontri sono fugaci, brevi, rapidi. Durano attimi e Dean ad ogni incontro sente il desiderio di parlare ancora con Castiel. Prima, quando erano sulla Terra, erano rare le occasioni in cui restavano soli, in cui potevano parlare l'uno con l'altro perchè  la rabbia, l'angoscia ed i rimorsi che li incatenavano erano davvero troppi. Ora, ogni suo avvicinamento equivale ad una mancanza. Ed ogni sua mancanza equivale alla sensazione di averlo perso un'altra volta, per sempre. E ogni sua vicinanza equivale, allo stesso tempo,  a quella aspra, viscida  sensazione  che si fa strada nel suo corpo e gli provoca un brivido che si dirama in ogni suo arto e lo fa sentire paralizzato: lui con Castiel  non dovrebbe parlare. Se non lo facesse, tutto questo sarebbe molto più semplice.

 

« Le possibilità che il tuo corpo subisca una necrosi ischemica in un luogo come questo sono infinitamente ridotte, Dean. Senza considerare che un ipotetico attacco cardiaco non ti condurrebbe alla morte dato ch-»

 

« Sisi Cas, ho capito. Lo so» lo interrompe  Dean, la voce colorata di una risata solo brevemente accennata. «È solo un modo di dire» afferma poi, per rispondere alla confusa espressione in cui il volto dell'angelo è contratto. 

 

Castiel annuisce e rimane in silenzio per qualche attimo finchè non inclina il viso ed assottiglia gli occhi, guardando fisso negli occhi di Dean « Allo stesso modo non credo un campanellino risolverebbe il problema considerando...» E Castiel continua a parlare - il volto leggermente  inclinato, la fronte  aggrottata,  i suoi occhi investiti di blu  assottigliati- e Dean vorrebbe ridere, sollevare gli occhi e spiegargli, per l'ennesima volta, che si tratta solo di strane espressioni umane, ma tutto quello che il suo corpo riesce ad elaborare è l'improntarsi  della sue  labbra  in un piccolo, tenero, impercettibile  sorriso- e tutto quello a cui riesce  a  pensare è  a quanto gli piacerebbe baciarlo. 

 

                        

 

« Ti ho cercato questa mattina» afferma poi Castiel, mentre la sua mano si trascina distrattamente su una delle pareti della casa, quasi ad accarezzarla, quando l'unica risposta di Dean diviene un cenno del capo.

«Oh» riesce solo a dire Dean.

Castiel ritrae la mano e guarda nuovamente il suo volto in silenzio.Dean deglutisce e si passa una mano sulla nuca, distrattamente. 

«Ti... serviva qualcosa?» chiede allora, incerto.

 

Castiel lo guarda, ancora «No» afferma e poi, dopo qualche attimo: «Volevo solo parlare con te»

Dean, in assenza di parole, annuisce, ancora.

 

 

«Qualcosa in particolare?» suggerisce allora.

Castiel scuote piano la testa.

«Okay... beh sei come sempre di molte parole» dice, combattendo invano un sorriso di scherno «Allora... Stavo osservando le case qui intorno» inizia «Sono entrato in alcune, ma non c'è nessuno. Cioè vuote, completamente.»

«Vuote» ripete Castiel.

« Vuote, proprio come questa.» 

«Cosa significa?» chiede Dean, il volto fermo in un'espressione confusa  e derisoria « Che nel Paradiso ci siamo solo io, te, Sam e Bobby?»

 

« Il paradiso è costruito sui nostri ricordi, Dean. È un luogo fondamentalmente individuale nella sua universalità»

 

«Quindi tutto...questo» inizia Dean, allargando le braccia per enfatizzare le sue parole e guardandosi intorno « Sono solo ricordi accumulati»

 

« Esatto» afferma l'altro « La realtà che ci viene presentata è solo il ripresentarsi di luoghi già visti, già sentiti, ma rielaborati dalla nostra mente in quello che potrebbe far sentire maggiormente al sicuro la nostra anima»

 

Dean sospira, guardandosi ancora una volta intorno « Quindi la mia serenità è in.. cosa esattamente?» sbuffa in un riso  e mentre parla, quasi senza accorgersene, si siede sul pavimento della casa, incrociando le gambe «...Case vuote? Essere completamente dissociato da qualunque persona?»

 

Castiel lo guarda per qualche attimo e poi imitando Dean, si siede al suo fianco.

 

« Forse. Non lo so, Dean»

 

Poi si volta per guardarlo. « Hai avuto problemi nel rapportarti con le persone quando eri in vita?»

 

Dean sorride ed alza un sopracciglio, malizioso « Sessualmente, intendi? No, mai. »

 

Castiel assottiglia lo sguardo « Dean»

 

Dean sorride, ancora, ma stavolta è un sorriso piccolo, dolce, che si riflette sui suoi occhi verdi che così timidamente cercano di evitare il blu dell'altro. « Non saprei. Ma non credo che questo sia ciò che voglio. Anzi... so che non è ciò che voglio.  Ho perso così tante persone nella mia vita, ora che posso mi piacerebbe rivederle. Tipo rimpatriate o cazzate simili, capisci? Giusto per alleviare questo schifo.»

 

« La tua permanenza qui non ti soddisfa?»

 

E Dean non riece, non può e non vuole trattenersi e sbotta in una risata mentre si passa una mano sul viso « Dio, Cas. Non puoi dire questo genere di frasi! Sembra l'inizio di un porno»

 

Castiel ride leggermente e cosa Dean non farebbe per poter sentire quel suono più spesso. 

 

 È così diversa dalla sua:  Dean è rumoroso, un sorriso tutto denti ed una risata a piena voce, ma  Castiel... Castiel ha un suono così dolce, calmo, pacato  tanto che gli angoli della sua bocca quasi si dimenticano di aprirsi e sono principalmente i suoi occhi che mostrano il suo lasciarsi andare in quel  raro, timido sorriso. Non è una risata contagiosa la sua, ma il suono è così delicato che Dean ferma forzatamente la propria solo per ascoltarla e il suo stomaco si stringe in una fitta.   

 

Crede, talvolta, che quegli occhi blu, forti e vividi e decisi, che lo guardano e si illuminano e vengono incorniciati da piccole rughe ai loro lati quando esprimono un sorriso, siano di Castiel e Castiel soltanto. Non vi è alcuna traccia di Jimmy Novak. Lì, in quegli occhi blu, Castiel è più evidente che in qualsiasi parte del suo corpo e forse, pensa Dean, è per questo motivo che divertire dal suo sguardo è per lui un'impresa così ardua. 

 

In quegli occhi blu si cela Castiel e Dean sente di non poter fare a meno di guardarlo. 

 

Sospira mentre lo osserva e non può fare a meno di sentirsi così  incredibilmente vulnerabile. Lascia cadere il suo sorriso e parla, gli occhi fissi sul volto dell'altro «É complicato» risponde alla domanda precedentemente postagli.

 

Castiel ha uno sguardo tenero mentre cerca il suo sguardo  « Ognuno qui ha il suo piccolo angolo di Paradiso, Dean. Il fatto che tu non abbia ancora incontrato nessuno dei tuoi vecchi amici non equivale necessariamente ad una tua intima difficoltà. Forse semplicemente i vostri universi individuali non si sono ancora incrociati, forse non ti senti ancora pronto a rivedere alcune di queste persone»

 

Dean annuisce e poi la sua voce cala fino a divenire un mero sussurro. Si pente delle parole che dice  non appena le sente uscire dalle sue labbra, strette in una dura linea « A volte credo di non meritare di essere qui» 

 

Stringe gli occhi non appena il silenzio avvolge la stanza. Quando riapre gli occhi, Castiel è seduto di fronte a lui.

 

« Ho ucciso tante persone, Cas. Ho provocato la morte di altrettante. E si, certo ne ho salvate molte. Ma...» sente la sua voce bloccarsi. Sospira « Non lo so, insomma. Forse non sono mai stato destinare a vivere. L'unica volta che ne ho avuto la possibilità.Vivere davvero, intendo io... beh» cerca di dire e poi ride, indicando se stesso « Lo sai»

 

Il volto di Castiel è contratto in un'espressione tanto buona quanto preoccupata mentre dice: «Sei una bella persona, Dean»

 

« Non puoi saperlo»

 

« Lo so, invece»

 

La luce della finestra non arriva dove sono seduti: il buio della stanza li avvolge come una coperta in una notte invernale ed il silenzio discende su di loro tanto che il solo parlare risulterebbe strano, fuori luogo. 

 

Per questo se Dean vorrebbe dirgli "No, davvero. Non lo sai",non lo fa. 

 

Invece, piano, le sue dita sfiorano il polso di Castiel, coperto dalla camicia bianca. Ignora il tremolio che percepisce al solo contatto e sa che non sta ragionando razionalmente mentre lo  avvolge e  porta la mano di Castiel alla fronte. Quando le dita dell'angelo sfiorano la sua pelle timidamente,  un chiaro, forte lampo di luce si accende nella sua mano.

 

                                          ****

 

« Dove ci troviamo?» chiede Castiel.

 

« Lawrence, Kansas» replica Dean.

 

Due bambini, sullo sfondo,  stanno litigando. 

 

« Quello sono io» dice Dean. Il bambino che indica ha il viso ricoperto di lentiggini ed un'espressione autoritaria che nessun ragazzo di quell'età dovrebbe avere. Sta urlando, ma la sua voce esce comunque piccola e  bassa, come se non avesse la forza necessaria per gridare. « E quello» continua, indicando l'altro bambino «É  Sam»

 

Sam ha il corpo avvolto in una felpa che gli sta fin troppo grande e le sue mani scompaiono tra le maniche di questa. Ha un'espressione corrucciata, arrabbiata  ed urla quanto il fratello finchè d'un tratto Dean, che nel ricordo sfumato trattiene le lacrime a stento, non gli colpisce il volto con uno schiaffo.

 

È più simile ad una botta accennata che ad uno schiaffo vero e proprio, ma Sam posa la mano sulla sua stessa guancia, guarda Dean con confusione e corre verso il bagno, chiudendosi la porta dietro di sé. Dean tenta di raggiungerlo  "Sam, Sammy!".

"Lasciami in pace" urla di rimando l'altro dalla porta chiusa e Dean si accascia sul pavimento, guardandosi la mano.

 

« Non avevo mai alzato le mani contro mio fratello» dice Dean in un sussurro, mentre le parole dei due bambini si perdono nello stesso ricordo « Non ci avevo mai nemmeno pensato. Stavamo litigando ed io d'istinto l'ho colpito. Certo, non gli avevo fatto del male, ma ricordo che quella sera  non ho potuto fare a meno di pensare a quanto fossi simile a mio padre»

 

Dean si volta verso Castiel. « Ogni volta che tornava a casa ubriaco, ogni volta che gridava, che insultava, che alzava le mani.. Mi ripetevo che non sarei mai diventato come lui...»

 

Castiel non parla. 

Nella stanza vuota, mentre  l'unica fonte di luce è quella emanata dal palmo dell'angelo, Castiel tocca con maggiore intensità la fronte dell'altro ed il ricordo cambia.

 

Ancora una volta, il ricordo è rumoroso. Una decina di ragazzi più e meno grandi sono sul palco, vestiti in abiti medievali.

 

Fra gli spettatori, Dean in un sedile rosso come la felpa che indossa, ha  un sorriso sul volto. È più grande del ricordo precedente ed i suoi capelli  che schizzano in ogni luogo del suo capo, sono intrisi di gel.  Castiel direbbe che ha l'aspetto di un adolescente.

 

Dean appare contrariato dal cambio di ricordi, ma, allo sguardo attento dell'altro, si decide a parlare comunque. 

 

«Secondo anno di liceo» sbuffa, mentre alza le spalle « Mio padre non riusciva mai  ad andare ad uno degli spettacoli di fine anno di Sam, così ci andavo io»

 

Castiel rivolge nuovamente lo sguardo verso il palco e, con una spada di gomma in mano, Sam dice la sua battuta. È incerto, timido e visibilmente imbarazzato, ma incontra lo sguardo del fratello – fiero, attento, divertito e che conforma le mani in due pollici alzati come segno di incoraggiamento -  fra il pubblico annoiato e,  alla battuta dopo, il fratello più piccolo sembra più sicuro di sè.

 

Quando Castiel si volta nuovamente, Dean ha un rossore che gli colora il collo e le guance ed allo sguardo dell'altro, rotea gli occhi « Si beh, come ti pare» 

 

Sam sta ancora pronunciando la battuta quando il ricordo si incrina: le pareti sembrano cadere e danneggiarsi su se stesse. 

 

 

Il buio cala sulla scena. 

Dean è in una stanza e si lava le mani violentemente, ma il sangue non va via, non va via, non va via, e rompe lo specchio dinanzi a sé, mentre l'acqua scende in macchie e gocce rosse sul lavandino bianco. Ed il contrasto di colori fa quasi impressione.

 

Ha uno strano segno sul braccio, nota Castiel, ed è quando il Dean del ricordo passa in mezzo allo spazio che li separa e Castiel riesce a vedere quello  più chiaramente che espira un suono atterrito « Tu.. oh, Dean»

 

« Già, bello stronzo quel marchio» sospira « Non pensavo ne sarei mai uscito»

 

Il Dean del ricordo apre la porta e lì, nella stanza che attraversa con passo deciso, le occhiaie scavate ed alcuni capillari degli occhi rotti finchè non è il colore rosso quello che si appropria e prevarica il verde dei suoi occhi, ci sono diversi uomini e donne,  stesi sul pavimento bianco e senza vita. 

 

Dean volta lo sguardo.

 

 

 

Il ricordo cambia, ancora  e Castiel sente di non avere più  la forza di dominarli. Cerca Dean, perchè è la sua di mente ad aver preso il sopravvento e che passa da ricordo a ricordo come diapositive di un film che nessuno dei due vuole davvero guardare. 

 

Ma Dean non si volta e si allontana da un qualsiasi tocco dell'altro. Sospira e va avanti perchè se Castiel riuscisse  a vedere, per una volta, tutta la distruzione e null'altro che si cela dietro la persona che ha amato, forse, pensa Dean, questo paradiso finto ha una qualche possibilità di sussistere. Perchè Dean non vuole lasciarlo andare. Non può permettere che Castiel  si innamori nuovamente di lui.  

 

 

Nei ricordi, Dean uccide, urla, grida, si spacca le nocche fra i mobili di una stanza, beve finchè non vomita tutto il liquido che ha ingerito. Sono le scene peggiori della sua vita, alcuni dei quali ha soppresso e che ora si susseguono uguali in tutta la loro violenza, uno dopo l'altro, incessanti. 

Nessuno  dei due ha  la forza di elaborarli veramente.

 

 

Tra le pareti dell'abitazione vuota, il corpo di Dean sta tremando. La mano di Castiel si abbassa e si posa sulla sua guancia insieme all'altra mano. Stavolta la luce che emanano è più ferrea, più calda. 

 

« Non sei questo» gli dice Castiel e la voce rimbomba fra i corridoi ed i ricordi della sua mente.

 

« Non lo sai. Non lo puoi sapere. Tu non mi conosci» grida Dean, gli occhi ancora chiusi.

 

« So che sai di meritare questo posto, Dean. Dopo tutto quello che hai passato, so che lo sai»

 

I ricordi continuano, ancora  più cruenti, più dolorosi di quelli precedenti. 

Sono tutti rumorosi, forti, cattivi. 

 

Dean, mentre i ricordi sullo sfondo si susseguono, ha il volto abbassato e rifiuta di incrociare gli occhi dell'altro. Castiel è spaesato e confuso e non sa come richiamare la sua attenzione. 

" Dean" lo chiama. Ma Dean non si volta 

 

" Dean". 

 

Castiel gli posa una mano sulla spalla.  

 

Sul pavimento freddo della sala vuota, Castiel gli parla « Perché credi di non meritare di essere felice?» 

 

E Dean cede. I ricordi si dissolvono sotto le loro dita. Ora, il Dean dei ricordi sorride, ride.

 

Dean è piccolo ed aiuta una bambina  d'età inferiore alla sua a salire sull'altalena. La bambina lo ringrazia con un sorriso e Dean si mette le mani fra le tasche, alzando le spalle.

 

Dean è più grande e mentre John urla contro Sam- una bottiglia di birra ancora in mano, l'altra già rotta sulla terra ed il liquido che si espande incessantemente nella cucina inondandola dell'odore acre- il fratello più grande  si frappone tra loro due, finchè il padre con un riso di scherno alza gli occhi, rompe l'altra bottiglia ed esce dalla casa sbattendo la porta. Dean raccoglie i resti delle bottiglie  a terra, ma Sam gli rivolge un sorriso e per Dean è abbastanza. 

 

Dean è con Sam in un'abitazione. Sono vestiti in abiti eleganti e Dean sbuffa un "Vinci sempre tu" mentre la sua mano imita una forbice e quella di Sam è chiusa in un pugno. Dean attraversa la stanza e, quando sa che Sam non può vederlo, sorride perché sa che, perdendo, è lui quello che affronterà la parte più pericolosa o più noiosa del caso.

 

Ma Castiel non riesce a fare a meno di notare come in ogni ricordo, in ogni istante, anche in quelli più brutti presentatisi prima e  che Castiel aveva visto esplicarsi di fronte al suo sguardo, l'anima di Dean brillasse. E brilla sia nel più profondo  dolore che in un sorriso appena  accennato  ed anche quando tutto il buio sembra gravargli addosso, la sua anima è luminosa e Castiel ne è convinto: Dean è una bella persona. 

 

 

 

I ricordi si susseguono tanto quanto gli altri, ma nel buio della realtà Dean si rende conto che  il corpo di Castiel è troppo vicino al proprio.

La felicità dei ricordi si guasta. Dean è in una stanza altrettanto  buia, si tiene la testa fra le mani ed ha un'impronta rossa sulla spalla di una  giacca verde. Singhiozza e trema e sembra voler aprire la bocca per parlare, ma ogni sospiro gli muore in gola. Un telefono, al suo lato, squilla incessantemente, ma Dean non risponde.

 

Dean sussulta e Castiel, la mano ancora ferma sulla spalla dell'altro,  lo guarda.

 

« Avevo appena perso una persona» sussurra allora.

 

« Stavi... piangendo. Perché la tua mente  categorizza questo ricordo  come se fossi una persona cattiva?»

 

Ma Dean tace e il ricordo si rompe in frammenti sotto i loro sguardi.  

 

Quando entrambi riaprono gli occhi, Dean si allontana con uno scatto dal corpo dell'altro  e tenta  di riprendere fiato « Cazzo» dice, e si mette le mani fra i capelli e socchiude gli occhi, ancora. 

 

Castiel lo guarda in silenzio e respira con lui ed al gesto di Dean non può fare a meno di notare quanto questo sia simile a come nel ricordo di prima si  stringeva i capelli in quella stanza buia, seduto a terra con le lacrime che gli rigavano  le guance.

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Capitolo 6
*** 5. ***


PERDONATEMI PER IL RITARDO. LOVE YOU

 

 

 

 

Il sole tramonta ed abbandona sul mondo i suoi raggi caldi. Le sfumature rosse si perdono fra il verde delle foglie e nella distesa di prato rigoglioso che contorna ogni spazio. 

Il Paradiso è un luogo atemporale e fuori da ogni spazio che  si potrebbe immaginare: Esiste e nella sua esistenza è eterno  e Dean, con il passare dei giorni,  si dimentica, allo stesso modo, quasi mimetizzandosi in quel luogo che crede non gli appartenga davvero, del concetto di tempo. 

I giorni trascorrono, si susseguono, ma diventano attimi, istanti più o meno lunghi, scanditi solo dalla pioggia, dal vento, dal tramonto e dall'alba che cambiano e variano come più idonei al suo animo, alla sua mente. 

 

In quelle che ormai  potevano risultare settimane come mesi, ma che per Dean erano sempre lampi fuggitivi, Castiel, nel temporale agghiacciante di una notte, aveva dispiegato le ali ed aveva lasciato che una di queste coprisse il suo corpo.  

 

Dean non se ne era accorto in un primo momento: per un attimo la pioggia non lo aveva più colpito e ne era stato grato ma quando, confuso, aveva poi  alzato lo sguardo, aveva visto delle piume più nere della notte stessa ondeggiare in alto a lui, in una danza contro il freddo. La sua bocca si era contratta in un "Oh" di sorpresa ed aveva sollevato una mano istintivamente. 

Quando le sue dita stavano sfiorando solo minimamente le piume sovrastanti ( tanto che l'angelo poteva percepire il calore delle sue dita toccarlo anche non facendolo), Dean si era voltato verso l'altro. 

 

« Castiel» aveva detto in un rantolo di voce, quasi questa gli fosse stata rubata. 

 

Castiel lo aveva semplicemente guardato- gli occhi blu che nell'oscurità notturna rappresentavano  una luce in cui poter approdare-  e la sua ala sinistra si era contratta, quasi arruffandosi  mentre  il suo volto  aveva presentato una tonalità rosastra che Dean non gli aveva mai visto prima, ma che credeva essere adorabile. 

 

« Ho solo pensato avessi freddo, non volevo..» aveva accennato piano, in un veloce sussurro quasi a non voler disturbare il silenzio precedentemente condiviso.

 

« Sono bellissime» aveva detto Dean e lo pensava davvero. « Posso..?» 

 

 

 E Castiel aveva annuito e Dean aveva nuovamente  teso la mano verso l'ala che,  dispiegata sopra il suo corpo, si era tesa verso di lui. Aveva toccato fievolmente con le dita le piume più esterne e poi quelle più interne,  per poi attraversarla nella sua interezza  con la mano aperta, abbandonando il palmo ad oscurarsi fra le piume infinitamente morbide e nere sotto lo sguardo attento ed ugualmente curioso dell'altro.

 

Alcune piume, che aveva preventivamente evitato di toccare, erano risultate danneggiate,  bruciate tanto che parte di queste  penzolavano dall'ala quasi sarebbe bastato un soffio di vento a farle staccare, denunciandone ogni fragilità solo percepibile.  « Cosa..?» aveva iniziato Dean, ma la voce gli aveva abbandonato le parole una volta che si era ricordato della caduta che Castiel e gli altri angeli avevano subito. Improvvisamente, l'averlo mandato via di casa una volta che era diventato umano - la felpa rossa rubata chissà dove  che si attaccava al suo corpo decisamente troppo stretta e scomoda, lo sguardo perso, disorientato, spaventato e vulnerabile che cercava il suo e che Dean deliberatamente  decideva di evitare- aveva assunto, ancora una volta,  una verità più nascosta, più profonda e fin troppo delicata.  Aveva ingoiato il nodo che gli si era stretto alla gola e le parole si erano perse nel ricordo di quella notte scura e nello sguardo così diverso e caldo  con cui ora Castiel lo osservava e con cui seguiva la sua mano che attraversava l'ala piano.

 

« Credevo che te le avessi già mostrate sulla Terra» aveva sussurrato  d'un tratto Castiel, riferendosi alle ali. Dean lo aveva  guardato per un attimo e poi  aveva fatto ritornare i propri occhi sull'ala,  scuotendo la testa con un sorriso « Mai. Ho sempre visto solo l'ombra in battaglia o..» Dean aveva  pensato  al primo incontro, al fienile abbandonato, alle luci che erano esplose sopra le loro teste «.. in altre circostanze. Sai, quando volevi sembrare un tipo tosto e tutto d'un pezzo»

 

« Non lo sono?»  gli aveva chiesto in un ghigno che gli ricordava il proprio. 

 

Dean aveva sorriso, ed aveva sentito il suo cuore fare lo stesso  « Lo eri, all'inizio ... Sembrava avessi sempre un palo su per il culo: Sempre freddo, autoritario, impassibile. Voglio dire, tutti gli angeli erano degli stronzi prepotenti ... e tu eri il loro più perfetto esempio»

 

La sua mano si era smarrita  fra le piume nere « Poi qualcosa è cambiato» 

 

E Castiel lo aveva guardato, ancora,  ma non aveva detto nulla e la conversazione si era persa fra il rumore della pioggia.  

 

 

Tuttavia, maggiore è il tempo oggettivo che Dean trascorre in Paradiso, maggiore i ricordi che si accumulano tra le stanze delle abitazioni a lui vicine, fra gli infiniti  campi in cui cammina ed in cui mai davvero si perde.  

 

Una volta, Dean si era ritrovato in una distesa di fiori gialli, bianchi e  rosa e si era seduto ad osservarli: nessuno di questi era appassito.  

 

Quando  nessun alito di vento scorreva sopra la sua testa, un pomeriggio Castiel gli era comparso sul sedile passeggero dell' Impala con il suo solito "Ciao, Dean" e Dean, mentre la macchina percorreva la strada per una meta non tracciata, non esistente e non pensata, con le cassette che cantavano alcune delle sue canzoni preferite, gli aveva domandato il perché di quei fiori mai morti. 

 

« Sulla terra, ogni cosa è vita e morte allo stesso tempo. Nel momento in cui un bambino, un animale, un qualsiasi vegetale nasce, traccia implicitamente l'inizio della sua morte»

 

« Minchia che felicità» aveva sbottato Dean, mentre Castiel, lo sguardo perso fuori dal finestrino, riferendosi al Paradiso  sussurrava un: «Qui c'è solo vita» 

 

                                          ****

 

« Ti piace essere il fratello di Sam?» gli aveva chiesto un giorno, mentre il sole rendeva difficile anche il solo sollevare lo sguardo.

 

« Che razza di domanda è?» aveva replicato Dean « Sono suo fratello, è ovvio che mi piaccia» 

 

Castiel aveva inclinato il capo e solo dopo qualche attimo aveva annuito. 

 

« Perché?» 

 

« Conversazione, credo. Non facevamo conversazione sulla Terra?»

 

« Mh no. Cioè guardavamo film ogni tanto, passavamo del tempo insieme ... ma direi che fare conversazione non è mai stato il nostro forte» 

 

« Eppure  sembri una persona socievole, Dean»

 

« Lo sono» afferma l'altro « Non avevamo tempo di parlare, credo. O forse era solo una scusa ... parlare è difficile»

 

Castiel annuisce, ancora.  Dean sospira.

 

« Mi piace essere suo fratello. Di Sam, intendo. Cioè è stato difficile a volte, soprattutto quando eravamo piccoli o adolescenti.  Eravamo.. Siamo..»  si corregge Dean « sempre stati molto legati. Dalle circostanze, immagino.  Quando è andato al college non è stato facile»

 

« Tu non ci sei andato?»

 

« Dove?»

 

« Al college» 

 

Dean sbuffa una risata « Non ne ho avuto la possibilità. Sai, lavoro di famiglia» 

 

« Ma ti sarebbe piaciuto andarci?» 

 

« Improbabile che sarei comunque riuscito a entrare» dice, sorridendo ed ingoiando un sorso di birra «  Sammy è sempre stato l'intelligente della famiglia. Ha sempre avuto A in tutte le materie io.. beh diciamo che preferivo altre lettere dell'alfabeto»

 

Dean si aspetta, come tante altre volte,  che Castiel sorrida o rida, ma quello rimane in silenzio, assorto nello sguardo dell'altro.

 

« Credo tu sia molto più intelligente di quanto credi» gli dice poi, d'un tratto, con chiarezza e semplicità e non come se avesse appena sferzato l'aria attorno a loro, detto parole che l'altro non si era mai sentito dire prima ed in cui, di conseguenza, non riesce davvero a credere. 

 

Dean scuote la testa e cambia velocemente argomento, ma un forte calore gli attraversa il petto.

 

                                         ****

 

È notte fonda quando Dean esce dalla sua casa con passi pesanti e con le nocche della mano che sanguinano.  Rompe a terra la bottiglia di alcol che tiene tra le mani ed i vetri rotti si spargono sul campo sottostante, solo raramente illuminati dalla fievole luce della luna. 

 

Dean rilascia un sospiro che non sapeva di star trattenendo e si passa una mano fra i capelli. Il sangue delle nocche tocca la parte più esterna della sua guancia e risposa sul suo volto come una macchia che Dean non si cura di cancellare. 

 

Si allontana e le sue scarpe calpestano i residui della bottiglia che risuonano in scricchiolii stridenti contro il silenzio concesso dalla notte. 

 

Si allontana ancora,  finchè la sua abitazione non diviene che un'ombra e le sue gambe non gli chiedono di fermarsi. Ma Dean avanza, imperterrito, perché non sa che altro fare.

 

 Nota la sua auto, parcheggiata a pochi metri dal luogo in cui si trova, e la raggiunge fra il dolore che il suo corpo reclama. 

 

La sua testa si appoggia al sedile in un sospiro e,  con un rombo del motore, la sua macchina irrompe nella strada. Il piede è tanto spinto sul pedale da fargli quasi  male e crede che un pezzo di vetro si sia conficcato in quella stessa suola, ma a Dean non interessa e continua a premere sull'acceleratore finchè il contagiri non sembra spingere per elevarsi fin sopra al suo stesso  limite. Accende  lo stereo e la cassetta inserita canta nel silenzio distruggendolo. Ed il rumore è tanto che Dean, finalmente, non riesce a sentire nemmeno i suoi pensieri. 

 

Potrebbe essere un instante come ore dopo quando l'angelo compare al suo fianco chiamandolo, ma a Dean non interessa ed alza ancora  il volume prodotto dallo stereo. 

 

La macchina sbanda da una parte della corsia all'altra e Dean ride nella più completa disperazione come sente di non aver mai fatto prima. 

 

Sente Castiel chiamarlo " Dean", "Dean, basta" 

 

« Che c'è Castiel, eh?» urla allora l'altro, trascinando le parole con il sapore della birra ancora pungente sulla propria lingua, eppure  il rumore è tanto alto che si confonde con la voce dell'artista che nessuno dei due sta ascoltando, divenendo  quasi un sibilo « Tanto cosa può succedermi eh?»

 

Dean si volta per guardarlo e vorrebbe non averlo fatto. 

 

Si gira, ancora, verso la strada e stringe con più forza le mani violacee sul volante, sbottando una sonora risata « Cosa può succedermi eh, Castiel? Cazzo! Morire? No! Sono confinato qui per l'eternità.  A vivere le mie giornate fingendo ancora, come ho fatto sulla Terra»

 

 Dean – gli occhi di un ghigno quasi maniacale-  preme il piede sul freno all'improvviso, e la macchina li sbalza con velocità  verso il vetro. 

Castiel con una mano rallenta l'inevitabile, prevenendo che entrambi sbattano i volti in avanti. 

 

Dean spegne la radio.

 

« Che intendi?» chiede Castiel. 

 

« Dio, perché devi fare così?» sbuffa Dean, annoiato « Lo capisci che non può succederci niente?» grida e sbatte la testa contro il vetro dinanzi.  La sua fronte si imperla di un rossore, ma il vetro dell'auto  è ancora intatto. 

 

« Dean» urla Castiel, appoggiando istintivamente una mano sul suo braccio, fermandolo. 

 

« Cosa?» dice, ridendo, ma nella sua voce non c'è alcun sorriso. «  È tutto finto, Castiel» continua, colpendo ancora  la fronte contro il vetro con un tonfo sordo.

 

« Dean, smettila. Ti prego»  gli dice, afferrandolo con più forza e la sua voce è preoccupata, fievole e sincera. 

 

Le dita di Dean tremano incessantemente contro il voltante che si ostina a stringere con forza. Poi, il suo sguardo cade sulla mano dell'altro, ferma mentre stringe il suo giacchetto. La osserva, in silenzio, per qualche attimo, poi con un rapido, brusco  movimento del braccio,  la scosta « È  tutto finto, Castiel» dice, ancora «  È tutto finto» 

 

Castiel guarda Dean- le ciglia nere che coprono gli occhi verdi fissi in direzione della sua mano, le nocche sbucciate, la fronte rovinata, il corpo che tenta di respirare e che si spezza talvolta in un sussulto- e  gli sfiora la guancia con una mano.  Dean, al contatto tanto anelato, voluto e desiderato , chiude gli occhi.

 

Sono attimi, istanti, in cui non parlano e solo i loro respiri- quello di Dean simile ad un singulto continuo che si ostina a non diventare pianto; quello di Castiel calmo e controllato, quasi a voler indurre l'altro ad imitarlo- colmano l'aria soffocante dello spazio ristretto in cui si trovano. Eppure, Dean non sa che sono secondi, attimi: Per lui potrebbero essere giorni, settimane come minuti, ore, ma è nella presenza di Castiel affianco a lui, che capisce che non gli interessa. Finchè Castiel è con lui- che si trattino di giorni come di istanti- Dean si sente al sicuro.

 

 « Non posso» sussurra poco dopo mentre  il suo corpo ancora trema e la mano di Castiel è ancora  ferma e calda sulla propria  guancia.

 

« Cosa non puoi, Dean?»

 

Dean incrocia lo sguardo di Castiel e ne ama e detesta  ogni parte e non riesce, non vuole e non può  spiegare a se stesso e all'altro nulla di tutto ciò che sta provando e che non dovrebbe provare. 

Sembra aprire la bocca- è un cenno piccolo quasi indistinto- ma  poi, con uno scatto, apre la portiera dell'auto e si getta sul ciglio della strada, vomitando tutto l'alcol precedentemente ingerito. 

 

                                          ****

 

La mente di Dean gira e gira ed il letto su cui è steso sembra condurre ad una spirale buia e senza confini. La sua bocca è secca, la sua gola asciutta.  

Sente una coperta coprirgli il corpo ed accenna un verso di dolore che si riduce ad un semplice, piccolo rantolo. 

 

Prova a sollevarsi con le braccia, ma queste cedono e Dean sprofonda nuovamente nel letto. 

 

Si gira, ancora. Sul suo comodino c'è un bicchiere d'acqua e Dean si allunga per afferrarlo. Quando si volta, Castiel è accanto al suo letto, una bacinella fra le mani. 

 

Dean posa le mani sulla sua stessa testa, tentando disperatamente di mettere a fuoco la sua figura. Per qualche attimo nessuno dei due proferisce parola.  « Ho letto che ti potrebbe servire» dice Castiel poi , poggiando la bacinella ad un lato del letto « In caso ti sentissi male di nuovo»

 

Dean ride, ma vorrebbe solo piangere « Dio, sono un disastro» dice, la voce che si trascina su sillabe che non è sicuro di star pronunciando correttamente. 

 

Castiel sistema la coperta che Dean scosta prontamente dal suo corpo « Ho caldo» sbuffa allora.

 

« Potresti prendere freddo, Dean. È meglio che tu la tenga» 

 

« E tu potresti essere mia madre» mormora annoiato, prima di voltarsi  per guardarlo e puntate un dito contro il suo viso, accusatorio « Anzi, sei decisamente meglio. Mia madre non c'è mai stata per me»

 

Castiel si siede all'angolo del letto, sospirando « Questo, Dean, è perché tua madre è venuta a mancare quando eri piccolo. Sono sicuro che sarebbe stata una fantastica madre se fosse stato altrimenti»

 

« Lo dici solo per farmi stare meglio» sbuffa ancora, le parole camuffate dalla stoffa del cuscino « Mi sono convinto per così tanti anni che era una persona bellissima. Dovevo convincermi ... era più semplice. Ma sai cosa? Non  è vero niente. Sarebbe stata una madre terribile»

 

Poi, in un mormorio Dean parla, ancora « Volevo solo essere felice»

 

Entrambi fingono di non averlo sentito.

 

Il letto di Dean si muove sotto il suo peso. Quando alza lo sguardo, Castiel è in piedi.

 

« Dove vai?» 

 

« Dean...» 

 

« Resta» gli dice, afferrandogli il polso « Per favore»

 

Castiel si volta ed incontra il suo sguardo. Si siede alla sua altezza- Dean steso sul proprio letto e Castiel in ginocchio sul proprio peso, con i piedi sul pavimento « Dean» dice in un sussurro ed il tono della sua voce è così dolce che questo risulta abbastanza per far sì che una lacrima righi il viso di Dean. Non ti merito, mormora la sua mente, ed è tutto quello a cui riesce a pensare. 

 

« Tu puoi essere felice. C'è qualcosa che ti ferma dall'esserlo  e io non so cosa sia.  Ma, per quello che vale, farei qualunque cosa per smettere che questa cosa ti ferisca, qualunque essa sia»

 

Dean non parla- non può farlo-, nasconde il volto fra le lenzuola e stringe con più forza la sua mano sul polso di Castiel, invitandolo a salire sul suo letto. 

 

Castiel, incerto, si stende al suo fianco e lascia che Dean- il volto contratto, quasi arrabbiato-  lo copra con la coperta che è stesa sul suo stesso corpo. 

 

Poi, Dean si volta, e gli rivolge le spalle. Castiel osserva la sua schiena, avvolta da una maglietta a maniche lunghe e grigia ed  il suo alzarsi ed abbassarsi di un respiro per lo piú  rotto da un sussulto. 

 

Qualche attimo dopo, Dean sta piangendo. 

 

Il suo corpo è attraversato da brividi di freddo e sussulti e Castiel, accanto a lui, guarda il suo corpo voltato ridursi in singhiozzi che non riesce a controllare e sente il suo cuore spezzarsi nel vedere Dean così- distrutto, spezzato, impaurito e avvilito. Tenta di avanzare una mano e toccarlo, cercando  di fermare i suoi continui sussulti, ma non vi riesce e la sua mano si posa fra i loro corpi, immobile ed impotente  sulle lenzuola, e riesce solo ad aspettare che quelli termino e che il respiro di Dean si riassesti e che si  addormenti, contemplando la notte che penetra dalle finestre e che lascia sul corpo di Dean delle sfumature violacee che gli ricordano le nocche arrossate che poco prima non avevano smesso di tendersi contro il volante. 

 

                                         ****

 

 Nei giorni seguenti, Dean e Castiel non parlano di quanto accaduto ed il ricordo  sfuma tra quelli di tanti altri. 

 

Le uniche testimoni di quella serata rimangono le dita di Dean, rosse sulle nocche e contornate di lividi, il suo viso violaceo ed il suo sguardo stanco. 

 

Ed è in un'altra notte scura, in cui parlano di tutto e del nulla, che Castiel le nota di nuovo.

 

« Le tue nocche...» dice Castiel.

 

Dean volta il pugno chiuso della sua mano « Lo so» ghigna « Mi fanno apparire come un duro. Cadranno tutte ai miei piedi»

 

« Ti fa male?» chiede l'altro. 

 

Dean alza le spalle distrattamente « Non tanto» 

 

Poi, la mano di Castiel si avvicina alla sua- il palmo aperto ed una forte  luce che esce da questa- e quella di Dean  si apre istintivamente sotto quella dell'altro.

 

Dean osserva le loro mani, una sopra l'altra e le sue nocche rosse sparire sotto il raggio emanato dall'altro.

 

Castiel  guarda Dean. Le fronde degli alberi si agitano in un brusco, inaspettato movimento. «Cosa provi se tocco la tua mano?» gli chiede, sincero.

 

« È ... calda» risponde, incerto. 

Le sue nocche sono intatte, ricomposte. Apre e chiude la mano e questa non gli fa più male, ma il palmo di Castiel è ancora sopra il proprio  e le sue dita sfiorano la pelle dell'altro come una brezza che muove le prime foglie. 

 

Dean respira con un tremore « Cas, io...»

 

« Dean...» Ed il suo nome esce dalle sue labbra fin troppo incerto e prima che possa continuare la frase, Dean ha giá capito. «...C'è qualcosa in te, riguardo te... Non lo so» dice, lasciando che la luce dalla sua mano evada « Io... Io credo..» cerca di dire. 

 

Il suo sguardo si solleva ed incontra quello dell'altro e prima che quello possa evitarlo, Castiel parla « Tu mi fai provare delle cose»

 

L'aria, per qualche istante, è statica e rimane tale. Poi, un boato scuote gli alberi che li circondano e che sembrano allontanarsi da loro. Il rumore sale e sale e sale e le orecchie di Dena fischiano in un sibilo continuo e che sembra non poter mai cessare.

 

Si alza da terra velocemente ed il suo sguardo è perso, smarrito e arrabbiato e non ha idea di cosa fare. Non riesce nemmeno a pensare. 

Dean ingoia un sussulto e parla con un sussurro della voce  « Che tipo di cose?»

 

Castiel  si alza e guarda Dean ed i suoi occhi si posano sulle sue labbra. Dean trema sotto il suo sguardo. 

 

Quando Dean incontra di nuovo i suoi occhi, nel buio della notte, mentre il vento s'infuria tra le foglie degli alberi circostanti, si accorge della loro troppa, eccessiva vicinanza.  Sente il respiro dell'altro scontrarsi contro il proprio e le sue labbra sono così vicine. E la cosa peggiore è che è tutto ciò che Dean vuole. Vuole baciarlo, toccarlo, sfiorarlo, guardarlo senza timore e non può farlo ed allo stesso tempo ad ogni parola dell'altro , il ricordo del patto si affaccia alla sua mente, e Castiel gli appare più lontano.

 

« Non posso» sussurra e si allontana. Il vento è freddo e colpisce Dean con violenza. Ogni passo che Dean compie nella direzione opposto sembra essere fermato dal vento stesso. Ogni parola che Castiel pronuncia viene trasportata alle sue orecchie come una vecchia, cadenzata melodia che non ha voglia di sentire.

 

 Castiel con calma, dietro di lui, parla: « Non eravamo solo amici...»

 

Dean sente di non riuscire a respirare. Guarda il cielo, le lacrime che gli pizzicano gli occhi, la mascella stretta, i pugni chiusi e non sa nemmeno a chi rivolgersi. 

 

« Quando eravamo sulla terra, quando ancora mi ricordavo di te.... Perché non mi ricordo di te, Dean?»

 

Dean non risponde. Non ci riesce, non può. 

Sente l'acqua salirgli alla gola. Il sospiro spezzarsi, la paura bloccargli le ossa.

 

« Non è vero, Dean?»

 

« Smettila... di parlare» riesce solo a dire in un mormorio violento  che cade tra le sue labbra  e si allontana, ancora. 

 

« Dean ti prego»  lo chiama Castiel, avvicinandosi « Quando sono con te, quando penso a te...  da quando ti conosco provo delle.. non ho mai provato qualcosa del genere prima»

 

« Stronzate. Non è niente, Cas, ignora queste cose ... qualunque cosa siano» 

 

« So che sai che non sono stronzate, Dean. So che lo sai»  sussurra. 

E sono lontani l'uno dall'altro, ma i loro sguardi si incontrano ed è abbastanza per farli sentire vicini. 

Il vento è forte, violento e potente e poi all'improvviso, si placa. 

 

Dean sente di non avere più nemmeno il suo aiuto. La natura non lo sta ascoltando. È solo e Castiel gli sta parlando e Dean odia ogni parola che esce dalla sua bocca 

 

« Dimmi che le provi anche tu ... queste sensazioni. So che è cosi»

 

« Devo andare» 

 

« Rimani, per favore» E nella sua voce  c'è quella stessa vulnerabilità che Dean aveva avvertito nel suo corpo qualche sera precedente, lo stesso desiderio dell'altro, la stessa controllata , consapevole paura. 

Ha fallito, ancora.

 

« Io... io non posso» 

 

« Perché?» chiede Castiel e Dean vorrebbe gridargli contro tutto quello che ha passato e che Castiel sta distruggendo con delle semplici parole. 

 

« Cas, io... tu non capisci. Io- Io non posso»

 

« Non volevo spaventarti. Volevo solo ... avere un confronto con te riguardo questi...»

 

« Bè, non lo fare» afferma e si allontana, ancora, di più. 

 

« Cosa è che ti spaventa così tanto?»

 

Ed al Paradiso non importa affatto che sia notte e la luna, in un istante, cede il posto al sole, mentre quello che fino a poco prima era inondato dal buio si illumina, piano. 

Le fronde ondeggiano, le foglie cadono ed il sole avanza verso il cielo. 

 

E quella che poco prima era notte, ora è alba. 

 

« Castiel, smettila» grida, ma sente i suoi passi avvicinarsi, colmare la distanza che li separa ed è tutto troppo e sente di star perdendo Castiel di nuovo e l'aria gli manca e sente il suo respiro cedere e la testa gli fa male e Castiel lo continua a chiamare e Dean sente di odiare il suo nome. 

E poi, Castiel si avvicina ed è un attimo e la sua mano, grande e imponente, si posa sulla sua spalla,  cercando di fermarlo e collide con l'impronta solo parzialmente svelata dalla maglietta, ma è troppo tardi e basta un sussurro della sua voce ed un rapido sguardo al volto dell'altro  per far capire a Dean che tutto è finito.

 

« Dean» dice. 

 

Un fiore, accanto a lui, appassisce.

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Capitolo 7
*** 6. ***


CIAO A TUTTI/ E. QUESTO È  L'ULTIMO CAPITOLO DELLA STORIA. IL PROSSIMO CHE PUBBLICHERÒ SARÀ L'EPILOGO. (Quindi questo è il penultimo praticamente ahahah)  

Buona lettura, spero vi piaccia 🤍

 

 

 

 L'aria è fredda ed i respiri affannati si coagulano in delle piccole, bianche nuvole che si dissolvono dinanzi ai loro volti attenti. I rumori sono assenti o per lo più lontani: l'unica cosa che Dean avverte sono le sue ginocchia piegate sul terreno arido di fronte a quelle dell'altro, il fischio basso, fastidioso e continuo delle sue orecchie, il suo cuore palpitare nella cassa toracica con un ritmo forte che risuona scostante.

 

Un fiore accanto a loro- uno di quelli che Dean si era soffermato a guardare una volta, candido, pulito come se nessuna macchia di sofferenza vi si fosse mai abbattuto- è ormai secco. I petali sono accartocciati, rinsecchiti,  tesi verso il basso. Un sospiro di morte si insidia nel Paradiso come una presenza cattiva ed inquietante, ma nessuno dei due riesce a curarsene, troppo assenti l'uno nella presenza dell' altro. 

 

Non ci sono parole. Dean pensa non ci saranno mai, ma Castiel- Castiel-, la mano tremolante ancora ferma sull'impronta parzialmente visibile dalla sua maglia e gli occhi fissi su essa- solleva di poco lo sguardo.

 Ha il respiro spezzato, ansimante, la bocca semi-aperta ed i suoi occhi blu, dilatati come non mai, si soffermano sul viso dell'altro, incapaci di guardare altrove.

 

« Dean» dice in un sussurro, un mormorio, un rantolo di voce.

 

Ed è abbastanza perché Dean capisca: Castiel si ricorda di lui.

 

È nel suo sguardo, nel modo in cui lo guarda, nella voce che cade dalle sue labbra dolce, meravigliata, attonita e stanca ed è impossibile che la mente di Dean ignori cosa questo comporti.

 

 Castiel si ricorda di lui. Castiel è ancora innamorato di lui. 

 

Le parole del Vuoto risuonano viscide in echi che si scontrano nel proprio cuore " Il primo gesto sbagliato, il primo barlume di pura, vera felicità come quello nel bunker e Castiel ritorna qui, stavolta per sempre", ed il ricordo è abbastanza perché Dean senta il proprio  fiato essergli sottratto in uno strattone violento della sua stessa mente. 

 

Non c'è tempo, Non ce ne sarà mai. E questo getta una nuova, subdola consapevolezza sulle sue spalle.  

 

Dean ingoia un sussulto, un nodo che sente salire e stringergli la gola e impedirgli di parlare, di fare, di guardare. Per un attimo, la mascella serrata, la bocca stretta in una dura, ferma linea, la fronte aggrottata e le sopracciglia inarcate in una domanda che non ha il coraggio di fare, sono solo un ricordo lontano: i suoi occhi- verdi, brillanti, sofferenti e stanchi - ,incontrati quelli dell'altro, appaiono nuovi.  La sua mascella e la sua fronte si rilassano, i suoi pugni stretti ai lati si liberano e con la voce che esce dalla  bocca in un sospiro tremolante, Dean parla:

 

« Castiel» dice solo, ma sembra abbastanza.

 

« Dean» dice ancora Castiel ed il suo nome è pregno di un sorriso e di una sorpresa  solo vagamente accennati sul suo volto.

 Castiel è fermo, quasi non riesce a muoversi, ma Dean riconosce in quella immobilità il suo farsi disperato e frenetico, mai accentuato se non nello sguardo.

 E, ancora, guardandolo, Dean nota la troppa e stessa riverenza e devozione; la stessa gioia, lo stesso amore.

 E Dean, riluttante, soccombe.

 

« Castiel» ripete di nuovo Dean in un sorriso smorzato e fin troppo tormentato per apparire tale; ed è l'unica cosa che riesce a dire, l'unica parola che riecheggia e che la sua mente riesce ad elaborare.

 

Non sta piangendo, ma i suoi occhi pizzicano di lacrime che vogliono essere pronunciate e la sua gola brucia e non riesce, per quanto cerchi di recuperare fiato, a ricordare come si respiri normalmente.

 

« Come...» cerca di dire l'altro, ma la sua frase è interrotta dalle braccia di Dean, che si avvinghiano al suo corpo in un singhiozzo.

 

« Brutto figlio di puttana» sussurra Dean, stringendo il corpo dell'altro contro il proprio, finchè le sue nocche, aggrappate al trench beige che cade ai fianchi dell'altro come una coperta, non divengono bianche.

 E non ci sono parole per esprimere  quello che prova, ma Dean - il cuore in subbuglio e le mani che si stringono con più forza contro l'altro, la voce che esce roca, grave e stremata- parla comunque.

 

« Ti amo» dice « Così tanto»

 

Il corpo di Castiel, stretto vigorosamente  in quello dell'altro, si irrigidisce. Il respiro, che aveva tentato  di divenire regolare, si spezza nuovamente in un sussulto solo accennato. 

 Castiel si allontana leggermente dall'altro. 

 Il suo sguardo è timido, spaventato, sconcertato «Tu...» riesce solo a dire e Dean sente il proprio cuore spezzarsi. Castiel lo sta guardando con una vulnerabilità che non gli ha mai visto in volto e Dean vuole solo farlo sentire amato. 

 «Dio Cas. Come hai potuto pensare che..» tenta di dire, ma le parole sono troppe. 

 

Ci sono troppe cose da dire e nessuna sembra colmarle.

 Dean prende il volto di Castiel fra le mani che tremano incessantemente. E con la paura e l'incertezza  che si dilania nel suo cuore a suon di sentimenti e sensazioni che non ha mai potuto e voluto esprimere ad alta voce, continua: « Mi hai sempre avuto. Per tutto questo tempo tu... io. Dio, Cas perdonami.»

 

Dean non è abituato a questo genere di cose: non è abituato alla fragilità, al piccolo, ancora incerto sguardo che segue il proprio in cerca di una conferma, non è abituato a condividere il respiro con un altro e a sentire come se ogni suono sia troppo in quell'atmosfera  che li circonda. Non è abituato agli occhi che, dolci, guardano il suo viso come se vedessero solo bellezza, non è abituato a nulla di tutto quello che sta succedendo e che sente accadere mentre tenta di elaborarlo. Eppure ogni gesto, ogni sguardo, ogni sospiro che avverte è di Castiel-  il Castiel che credeva non avrebbe mai più visto, il Castiel che gli verrà portato via di lì a poco, ancora, di nuovo - ed alla consapevolezza, sempre più vicina, più forte, più evidente,  il suo volto si arrende ad un sorriso liberatorio. 

 

Dean affonda sulle labbra dell'altro con disperazione e Castiel, le labbra screpolate ed una lacrima che si confonde con le proprie, imita i suoi movimenti impazienti eppure dolci, puri, sereni. E la liberazione è tanta che Dean si sente crollare e tutto quello che riesce a fare è baciare con movimenti più confusi e disperati l'altro, perdendosi in un turbine profondo di emozioni negate per tutta la sua vita.

 

Castiel è lì, è vero, è vivo e Dean non riesce a crederci. 

 

Per qualche attimo, ci sono solo i loro respiri ansimanti, il silenzio, le fronti che si toccano l'un l'altra, gli occhi chiusi e socchiusi a sbirciare il volto dell'altro, il fiore appassito loro accanto.

 

Castiel è il primo a parlare: «Dean tu... tu sei..» mormora, mentre tenta di riprendere fiato e posa delle dita fievolmente sulla guancia di Dean, osservandolo ed acquistando consapevolezza del luogo in cui si trova. 

 

"Morto? Si." vorrebbe mimare con la bocca, per completare la sua frase, ma Dean non sa parlare, non ci riesce e cerca di nuovo il suo profumo, le sue dita che si posano delicate sulla sua guancia, le sue labbra rossee, la barba ispida che riga contro il proprio viso.

 

« Dean...» mormora Castiel, ancora.

 

Dean si ritrae, piano « Un caso con dei vampiri. Io..»

 

Dietro di loro, il Paradiso subisce una scossa. In un lampo viola, dove un tempo sorgeva il fiore ormai appassito, nasce uno squarcio nero verticale che, con zampilli dello stesso colore, bagna l'erba rigogliosa di un eterno buio. 

 

Castiel si volta verso Dean, confuso. Il suo viso è stanco e gli occhi blu emergono dalle occhiaie segnate e dal pallido viso come fulmini a ciel sereno. Dean lo trova ugualmente bellissimo.

 

Non c'è tempo. Non ci sarà mai. 

 

Dean guarda i suoi occhi attoniti cercare il proprio sguardo, il fantasma di un sorriso prima accennato, l'ancora visibile, incredula quasi diffidente sorpresa sul proprio volto, un tremore leggero nei respiri che condividono. 

 

Dean ne vuole ogni parte. Vuole i suoi occhi vividi, i suoi occhi stanchi, i sorrisi appena accennati e le sue risate cristalline; Vuole le litigate, i pianti, vuole ascoltare le nozioni che Castiel conosce e che dalla bocca di chiunque altro risulterebbero noiose, pesanti, ma che dalla sua non potrebbero mai risultare tali. Eppure, Dean vuole anche quello: Dean vuole annoiarsi con Castiel, stare così tanto con lui da non sapere più cosa dire, rotolare su un letto e non avere alcuna idea di cosa fare durante la giornata. 

 

Vuole tutto con Castiel, ma la presenza del portale affianco a loro che vomita nero sull'erba su cui sono seduti, risulta una presenza perenne, costante, soffocante. Si rifiuta di guardarla, ma ciò non cambia nulla:  è lì e la paura gli attanaglia il cuore. 

 

Strattona l'angelo  per un braccio « Cas» dice « Cas, dobbiamo andare». È  l'unica cosa che gli viene in mente, l'unica che pensa di poter fare. 

 

« Dean...» cerca di dire Castiel, guardando l'altro  dimenarsi sul posto, trattenerlo con un braccio e  guardare il portale poco distante da loro, così strano, così fuori luogo. 

 

« Cazzo!» mormora l'altro « Fanculo! Sono...». Dean tenta di muoversi, di alzarsi, di allontanarsi da quel piccolo portale che ad ogni sguardo sembra aumentale, ingrandirsi, avvicinarsi viscidamente verso loro. Ma è bloccato, trattenuto sul posto come un albero alle sue radici. Non riesce ad alzarsi, non riesce a muoversi e il panico si dilaga sul suo viso.

 

 Castiel prova lo stesso. Anche lui, in una paura che non riesce a condividere perché non la comprende, ma che percepisce nel corpo e nell'animo di Dean e sente come propria, è bloccato sul proprio posto, impossibilitato ad alcun movimento se non in quel piccolo, ristretto spazio delineato dai loro corpi. 

 

« Cosa stai...?»

 

« Il vuoto. Cas, mi sei mancato così tanto. Così tanto, Cas tu... io... e il patto e io ho cercato, ma non.. io non--» E le parole si sovrappongono e il respiro di Dean sembra venire meno, ma Castiel, nel suo blaterale confuso e disordinato, ricorda e capisce e la consapevolezza si diffonde sul suo volto. E Dean non può smettere di pensare a quanto tutto questo sia ingiusto.

 

« Va bene così, Dean. Va bene così»

 

« Cazzo Castiel non dire così. Io.. Io non ci riesco-- non posso perderti di nuovo» mormora.  

 

In un ingenuo, illusorio sussurro Dean guarda Castiel e parla ancora  con un disperato  rantolo di voce « Ti prego, non amarmi»

 

« Ti prego Cas. Non posso lasciarti andare. Non un'altra volta. Ti prego. Ti prego non amarmi ... Se tu.. tutto questo. Ti prego» ripete, ancora. 

 

Castiel ha le lacrime agli occhi ed è la seconda volta che Dean percepisce vagamente cosa sta per succedere ed in cui  non vuole accettarne la realtà; la seconda in cui Castiel lo guarda con un amore che Dean non ha mai visto nei suoi confronti negli occhi di nessuno; la seconda in cui Castiel piange; l'infinita, ennesima voglia in cui nessuno dei due sa cosa dire, ma i loro sguardi comunicano abbastanza. 

 

« Dean, sai che non posso» sussurra. 

 

Dean scuote la testa « Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo...» E Dean si dimena ancora sul posto. Cerca di alzarsi, ma i suoi sforzi sono vani e il suo sguardo vaga e vaga e vaga  imperterrito da una direzione all'altra, in cerca di un aiuto, un qualsiasi aiuto. 

 

«Troveremo una soluzione. Deve esserci. Cas, io... Cazzo, Cazzo, Cazzo»

 

« Dean» lo richiama Castiel « Dean» dice ancora con maggiore sicurezza  quando il volto dell'altro evita di soffermarsi sul proprio. 

 

Dean si volta, spaventato, e i suoi occhi verdi vagano anche sul suo stesso viso con una paura fin troppo evidente. 

 

Il portale, dietro a loro, si innalza e tutto ciò che è dietro, attorno a Castiel è solo puro buio. 

 

« No, no, no,no, no» mormora Dean e afferra il polso di Castiel nuovamente. 

 

« Non te ne andare» gli dice « Mi hai capito, Cas? Tu non devi andartene. Non te ne andrai. Io.. io... Dio, ti prego non te ne andare» 

 

Lo sguardo di Castiel, dietro ogni preoccupazione, ogni paura, ogni stanchezza, nei confronti dell'altro risultano dolci. Una mano gli accarezza il viso stremato, cercando quanto più di rassicurarlo. I secondi di silenzio che si susseguono tra i respiri affannati dell'altro che tenta di recuperare la calma, tra lo sguardo di Castiel attento e preoccupato,  culminano nella parole dell'angelo  « Ti amo» dice d'un tratto.

 

« Non... dirlo» prova a dire Dean- "Non farlo, non dirlo, non amarmi" pensa, "perché se lo dici è reale e se è reale vuol dire che tutto questo tra poco sarà solo nulla"- ma, avendo incontrato  lo sguardo di Castiel, sorride appena. 

 

« Non dirlo, okay?» propone allora, sotto una nuova luce «Non saremo la coppia smielata di turno» 

 

E Castiel sorride con lui, le lacrime che gli rigano ormai le guance. 

 

« Ti amo, Cas» gli dice Dean, stremato. E quelle parole sono difficili da dire, impossibili da pronunciare per Dean ancora una volta. Sente il senso di colpa chiudergli il cuore in una gabbia insieme ad una creatura, viscida e macabra, divorarne e strapparne ogni parte; e ha così tanta paura di dire quelle parole, perché non le ha mai dette con questa importanza a nessuno, perché ha negato, represso questi sentimenti per anni e anni, perché l'ultima volta che qualcuno gliele aveva dette, era stato portato via; perché, anche stavolta, i "Ti amo" si confondo con un sentimento di morte. «  Mi dispiace di non avertelo mai detto, mi dispiace che siamo dovuti arrivare a questo. Io avevo così tanta paura e tu ... tu eri un angelo io non credevo ... non pensavo potessi.. Cas come hai potuto pensare che io non ti volessi, che tu non potessi avermi. Tutto questo tempo io... io e tu non ne avevi idea» 

 

Castiel trema nell'incredulità delle parole dell'altro. Smorza un sorriso. 

 

Un viscido nero lo circonda in ogni dove ed entrambi sanno che è solo questione di tempo. Un tempo che non hanno, che non hanno mai avuto, che mai ci sarà.

 

« Sicuro di non essere tu l'elemento sdolcinato, Dean?» 

 

 Dean ride, ma la sua gola è irritata e le lacrime gli offuscano la vista e la sua mano deve asciugarle  dal suo volto in continuazione e la sua risata risulta roca persino alle proprie orecchie « Chiaramente non lo sono»

 

Castiel inclina il volto « Lo saresti»

 

« Cosa?!» continua « Ascolta non so che idea tu ti sia fatto di me, ma io sono tutto tranne che sdolcinato»

 

E Castiel sorride e Dean fa lo stesso, mentre il corpo dell'angelo viene piano risucchiato in un vortice senza fondo e Dean vi  si aggrappa con più ferocia.

 

« Dean...»

 

« Non posso, Cas. Vengo con te.. Se deve prenderti prenderà anche me io non posso ... non ancora. Non di nuovo... »   

 

Non per sempre.

 

« Va tutto bene, Dean. Va tutto bene. Lasciami andare»

 

« Non posso, Castiel. Non posso, ti prego»

 

Castiel viene tirato con uno strattone  ancora lontano da lui, ma con uno sforzo tenta di avvicinarsi nuovamente. Il suo sguardo si posa sul suo viso, sulle sue labbra e con una dolcezza mai davvero avvertita, collide le sue labbra con quelle dell'altro. 

 

È un bacio più sospiri che labbra, e le loro fronti si toccano con una leggerezza disarmante.

 

« Starai bene, Dean. Promettimi che strarai bene» 

 

Dean ingoia un singhiozzo, ma non parla. 

 

Il corpo di Castiel si dissolve nel buio sotto il suo sguardo e Dean non può fare altro che guardare e aggrapparsi con più forza al suo corpo, mentre un grido gli muore nel petto.

 

«  Troverò un modo per ritornare da te, Cas» sussurra « Troverò un modo»

 

E Castiel sorride e prima che possa dire altro, il portale si chiude con una scossa e  il suo volto è solo un ricordo.

 

Dean non ha il tempo di metabolizzare e la sua mente non riesce a fare altro che collezionare disordinatamente tutto quello che sembra essere successo in un attimo durato troppo poco. Le sue mani vagano dinanzi a lui, ancora in cerca del corpo a cui si era aggrappato,

 

« No..No, no» mormora ancora e ancora,

 

«Cas! Castiel!» grida ma le sue urla non hanno risposta e Dean sprofonda sul terreno umido – il cuore che batte incessantemente, gli occhi spenti e che ardono ancora di panico, le guance bagnate, il corpo tremolante- fissando il luogo in cui Castiel si è dissolto. 

 

Stavolta, per sempre.

 

                                        ****

 

Dean rimane seduto sull'erba che quelli che potrebbero essere giorni, ma che sono solo ore. Il suo volto ha smesso da un po' di produrre lacrime e lì, sul terreno ancora freddo, ancora bagnato di coaguli neri che opprimono i colori delle piante sottostanti, l'odore acre dei suoi vestiti lo sguardo perso e la bocca aperta in cerca di un respiro, Dean si sente patetico.

 

Non c'è nulla. Non gli è rimasto nulla. E non si tratta solo di quello: Aveva dato a Castiel la possibilità di essere di nuovo in un luogo che non fosse costernato dal buio, un luogo in cui poteva essere felice, forse in un altro modo, forse non con lui, ed aveva fallito, ancora. Aveva tentato di stargli lontano, di evitare che si potessero presentare le occasioni perché Castiel lo conoscesse di nuovo, perché ricordasse le circostanze di sguardi e parole non dette in cui avevano convissuto per anni; aveva tentato di farsi odiare, che si rendesse conto, almeno quella volta, dell'eterna distruzione che davvero è,  e a cui Castiel non aveva sembrato credere. Ma ora, Castiel non c'è più e Dean rinnega ogni cosa.

 

 Stremato, guarda il luogo in cui si è dissolto, incapace di alzarsi. 

 

È lo stesso sentimento che aveva provato quella notte, nel pavimento del bunker a stringersi la fronte tra le mani, cercando di fermare i suoi pensieri dal fargli ancora più male, cercando di evitare che la sua mente ripetesse incessantemente quelle dannate parole che Castiel gli aveva detto. 

 

Ed era stato tutto quello che Dean aveva voluto e tutto quello che non poteva avere.

 

I suoi vestiti si attaccano alla sua pelle in modo fastidioso e Dean sa di doversi alzare, di asciugare le tracce secche di lacrime sul proprio volto, di farsi una doccia e dimenticare tutto quanto in litri di alcool. Ma Dean non può, perché l'incredulità è la stessa di quel giorno, lo stesso sentire Castiel accanto a lui un attimo e in un secondo troppo rapido essergli sottratto sotto il suo stesso sguardo, incapace di fare altro.

 

Dean non riesce a pensare ad altro ed è stanco e vorrebbe sprofondare ancora sul terreno bagnato, farsi coprire di nero e svegliarsi in un giorno qualsiasi, basta che non sia questo.

 

Il cielo è coperto da delle nuvole, grigie, nere, sinonimo di pioggia imminente, ma non sembrano voler cedere. Le fronde degli alberi sono ferme immobili, non c'è vento, i fiori accanto a lui sono immersi e bagnati di nero. 

 

Nel silenzio, un rumore forte, simile ad un boato sferza l'aria. Dean è seduto, le gambe incrociate sotto il proprio peso, il tentativo di respirare un pensiero costante della sua mente e non si preoccupa di sapere da dove venga il rumore. Il cielo è ancora coperto di nuvole, le fronde sono ancora ferme, il vento è assente e i fiori sono neri. Nulla sembra essere cambiato, tutto è uguale a prima e Dean, al pensiero, vorrebbe solo gridare, ma sente di non avere la forza di fare neanche quello. 

 

Avverte il cinguettio degli uccelli, lo scostarsi raro dei cespugli, le formiche salire sugli alberi. Tutto è uguale a prima, eccetto che non è così, eccetto che non sarà mai così. 

 

Poi, un rumore, meno forte del precedente, ma più vicino a dove si trova,   lo desta da quello stato di incoscienza.

 

Dean solleva lo sguardo. 

 

Castiel –tremante, il petto nudo, e gli occhi stanchi- sprofonda sul terreno.

 

Dean guarda la sua figura per qualche istante, stanco, diffidente, e si chiede quale scherzo della sua mente sia tanto crudele da fargli provare una sensazione simile. Ci ha creduto troppe volte ed ognuna di queste si è rivelata una farsa, un'illusione ed alla vista di qualcuno che decisamente non è Castiel-  perché non può essere Castiel, perché Castiel gli è stato portato via per sempre, per l'ultima volta, ore fa- non riesce a muoversi, ma ingoia comunque un sospiro tremante.

 

Non ha la forza, non riesce a respirare,  non ci riesce, non vuole crederci, non sa cosa stia succedendo e la sua mente non riesce ad elaborare. Eppure quella persona sembra così vera, così vicina, così reale- stesa lì, rannicchiata mentre stringe i fili d'erba circostante fra le mani, mentre sussulta in respiri troppo scostanti da sembrare tali, mentre apre e chiude la bocca come un uccellino in punto di morte e che aspetta, vulnerabile, che chi lo incontra decida cosa fare di lui. 

 

Dean non riesce, non può e scuote la testa in un sospiro tremante, ma si alza comunque e affonda sul terreno accanto all'altro. 

 

Avanza una mano con cautela, quasi l'altro scottasse, e, piano, prende il suo viso  fra le mani. Gli occhi gli bruciano, offuscati e sente tutto il suo corpo tremare, ma non riesce a comprenderne il perché. 

 

Sono gli stessi occhi blu, le stesse labbra rosee, la stessa barba ispida con cui si è rigato il viso poco prima, ma non è Castiel, non può essere Castiel, perché Castiel gli è stato portato via e questo è solo uno stupido, brutto e crudele scherzo della sua mente. 

 

Eppure, la sua pelle nuda è morbida, pallida e tesa e la sua bocca si apre e pronuncia il suo nome, e i suoi occhi blu, che sembrano aver perso ogni vitalità, continuano a guardarlo, incerti, stanchi, stremati e sembra poter perdere conoscenza da un momento all'altro. 

 

Dean- in ginocchio, le mani sulle guance dell'altro, il sospiro tremolante e la nausea che gli avvolge il corpo- chiude gli occhi, per un istante.

 

Inspira profondamente e butta fuori tutta l'aria che riesce a far entrare. Le sue mani tremano, le sente tremare, ma stanno tremando su qualcuno, sulla pelle di qualcuno, sulle guance di qualcuno, e le sue ginocchia sono piegate verso il terreno umido e bruciano sotto il peso del proprio corpo e i suoi occhi sono ancora chiusi, arrossati, violentati ma prima stavano guardando il volto di qualcuno. 

 

Dean inspira, ancora e quando apre gli occhi, vede un volto parlare.

 

"Dean" mima quello con la bocca, ma non ne esce alcun suono e cade sul suo petto  con dei sospiri affannati e doloranti. 

 

E Dean non riesce a crederci, non può crederci, ma ingoia la diffidenza, l'incredulità e per un attimo crede, ed è abbastanza. 

 

Posa una mano sulla sua schiena, tentando di reggerlo, tentando di avere la forza per non far crollare entrambi.

 

« Castiel!»  tenta allora di  urlare, ma ha perso la voce a suon di grida e tutto quello che ne fuoriesce è un sussurro incredulo.

 

Quello- piccolo e vulnerabile, rannicchiato sul suo petto con ansimi doloranti- trema. E Dean non capisce, non può capire, ma abbandona qualsiasi istinto razionale e si abbandona a quello che avverte attorno a lui.

 

Lo sfiora, ancora. È reale, è tutto reale. Dean non capisce, non comprende, ma Castiel è lì, accanto a lui, ed  è vivo e sta tremando. 

 

« Cas.. cosa...?» riesce allora a dire. 

 

« Jack...» sussurra l'altro, le sopracciglia inarcate e la bocca stretta mentre tenta di parlare  « Lui.. il Vuoto. Dean..» 

 

Poi, il petto bianco nudo di Castiel si colora  di un rivolo di sangue che scende sulla sua pelle in modo perverso, viscido e che cade sui suoi fianchi. La purezza del suo corpo viene contaminata d'un tratto.

 

«Cas! Stai..» cerca di dire Dean e la sua mano, precedentemente posata sulla sua schiena, è ora ritratta e pregna di sangue.

 

« Oddio.. Castiel!» 

 

Castiel scuote semplicemente la testa, tenta di parlare, ma non riesce e, dolorante, può solo guardarlo.

 

Dean si sporge oltre il petto dell'altro, cercando la fonte di quel sangue che scivola sul suo corpo e sui suoi stessi vestiti. 

 

Castiel- la schiena bianca, pallida- ha due ampie ferite che si stagliano parallele sul suo corpo e da cui il rosso non può fare a meno di cadere. Ci vuole poco perché Dean  si renda conto di cosa si tratta e perché  un sospiro gli muoia, tacito,  in gola.

 

« Cas...» cerca di dire in un sussurro attonito «... Le tue ali»

 

Il sangue sgorga dalle ferite invano e Castiel guarda Dean con sofferenza e con un dolore che non gli ha mai visto prima segnargli il viso. Il suo corpo è sudato ed i capelli si attaccano alla sua fronte con veemenza. 

 

Le mani di Dean tremano e  l'incredulità prima avvertita è solo un ricordo. Ora, questa viene sormontata dalla preoccupazione che si diffonde sul proprio volto. 

 

Avvolge un braccio attorno al corpo dell'altro e cerca di farlo alzare, ma cadono entrambi.

 

 « Cas! Cas ho bisogno del tuo aiuto.. okay? Rimani con me. Rimani con me. Ei...» gli dice, mentre gli prende il volto fra le mani e quello tenta di mettere a fuoco il luogo circostante. 

 

Castiel abbassa lo sguardo- la fronte aggrottata e le sopracciglia inarcate- e si sofferma sul sangue che gli colora il petto. Scuote la testa, ancora e ancora e sembra non riuscire a guardare altro.

 

Dean lo richiama a sé « Ei, no. Cas, Cas guardami. Ecco, bravo. Guarda me, rimani con me. Cas, stai bene, starai bene, okay? Ci sono io con te»

 

Castiel annuisce, vago. Dean ritenta, ancora. Le  gambe gli tremano incostante ed il suo petto palpitante risuona nelle sue orecchie in battiti troppo forti ed il senso di nausea aumenta solo le vertigini che avverte mentre tenta di sollevarsi. Eppure, vi riesce ed aiuta Castiel ad alzarsi mentre il prato verde sottostante si perde sotto le loro scarpe che calpestano le tracce rimanenti del viscido nero. 

 

 Il fiore appassito rimane tale. Un altro, ricoperto e occluso di viscido nero, fuoriesce ed i petali colorati fanno sembrare il nero solo un' amara memoria.

 

                                         ****

 

 È un mormorio di voci che accompagna il suo risveglio. Una luce penetra una finestra e gli colora il volto di un calore fioco che fanno sembrare i suoi occhi cristallini. 

 

Dean è in piedi e sta parlando con Sam a bassa voce. Castiel si muove sul letto in cui è sdraiato, ma un rantolo di dolore esce involontario dalla sua bocca e Dean, al suono, si volta e si avvicina al letto. Un sorriso gli contorna le labbra e Castiel lo trova bellissimo.

 

« Ei» dice Dean  e la voce è tanto dolce e preoccupata  da non sembrargli sua. Posa una mano sulla sua spalla destra  e, titubante, aspetta. 

 

« Ciao» risponde Castiel, mentre tenta, con l'aiuto dell'altro, di sedersi sul letto. I movimenti sono lenti, attenti, sbagliati, ma Dean lo accompagna in ciascuno di questi; gli occhi verdi che non smettono di guardarlo.

 

Una lacrima involontaria gli riga il viso « La devi smettere di fare così, Cas. Sono diventata una fottuta fontana da quando ti ho incontrato» 

 

Castiel sorride con dolcezza e Sam, all'angolo della stanza, lo saluta. Castiel ricambia, ignorando le fitte di dolore che sente all'altezza della schiena, Poi con un sorriso, Sam si allontana dalla stanza, lasciandoli soli. La camera ricade in un silenzio d'attesa ed è qualche minuto dopo che sentono la porta chiudersi, che iniziano a parlare. 

 

« Come ti senti?» gli chiede Dean.

 

Castiel lo guarda per qualche attimo. Poi, piano, abbassa lo sguardo verso il proprio petto e segue le garze bianche arrotolate sul suo corpo in una X che continua sulla schiena, attento. Sospira e le sue dita tremano contro il tessuto bianco, quando si avvicinano all'attaccatura dove un tempo sorgevano le ali. Ingoia un sussulto e si specchia alla  finestra poco distante,  guardandosi  per un attimo, in silenzio. 

 

Rivolge nuovamente lo sguardo su Dean. « Sono umano» dice semplicemente, il tono tranquillo, calmo, eppure tremolante, mormorato. Dean lo guarda, ancora e capisce dal suo sguardo che Dean lo aveva già capito.

 

« Cosa è successo?» gli chiede allora.

 

Castiel sospira, di nuovo, apre la bocca per parlare, ma non ne esce alcun suono.

 

Dean si siede al suo fianco. Il letto, sotto di loro, cigola.  « Ei... Cas?»

 

« Ero nel Vuoto, Dean. Immerso nel buio» inizia, incerto. « Jack... lui stava parlando con il Vuoto. Non sono riuscito  a sentire chiaramente le voci, ma sembravano arrabbiati, credo stessero discutendo » continua « Penso la presenza di Jack non fosse gradita in quel luogo»

 

« Jack...» cerca di dire Dean « Mi ha detto che il Vuoto non segue il volere di Dio.. Come..?»

 

Castiel si volta e si guarda alla finestra, ancora una volta.  Poi riporta lo sguardo su Dean.

 

« Per la stessa ragione per cui tu non potresti mai essere prelevato dal Vuoto, non mi ha potuto trattenere» dice « Il Vuoto è costruito per gli angeli, Dean. Non sarei potuto rimanere in quel luogo in una forma non da esso consentita. Jack non c'entra. Credo gli abbia solo indicato qualcosa che già si sapeva.  Mi ha prelevato la Grazia ... Ho sentito ... le mie ali spezzarsi, strapparsi dall'attaccatura» ingoia un sospiro e posa le mani su quelle di Dean. Le sue unghie sono ancora leggermente sporche di sangue secco. « Era l'unico modo per tornare da te, Dean. L'unico modo per non essere trattenuto dal Vuoto»

 

Per qualche istante, i loro solo respiri si confondono. Hanno le mani l'una in quelle dell'altro, ma non si parlano, non si guardano. 

 

« Io... Cas. Mi dispiace così tanto» sussurra dopo qualche attimo Dean « Non meritavi tutto questo. Meritavi di non so.. svolazzare per il Paradiso con gli altri angeli, essere felice, non ... diventare umano»

 

« Dean» mormora Castiel, cercando il suo sguardo « Sono diventato umano nel momento in cui mi sono innamorato di te»

 

Le parole sono forti, belle, ma Dean – il senso di colpa che gli stringe il petto- tenta un sorriso « Questo non mi fa sentire meglio»

 

« Dean, ascoltami. La grazia, le mie ali.. non mi hanno mai reso un angelo. Lo sono stato per tanto tempo. Ho seguito ordini che mi venivano imposti ed in cui davvero non credevo. Ho ucciso persone, combattuto in guerre e vedevo il sangue e la disperazione e non mi importava, non davvero, perché non sentivo. Erano solo fatti, ordini, cose che accadevano di fronte a me e di cui mi sentivo parte solo nella misura di un quadro provvidenziale, un quadro più grande» dice e il suo sguardo incontra quello dell'altro «Sono diventato umano quando ho scelto me stesso, quando ti ho incontrato, quando per la prima volta ho provato qualcosa. Non voglio essere un angelo se essere umano significa poter stare con te. Abbiamo sofferto abbastanza, credo che entrambi meritiamo di essere felici ... in qualunque forma questo sia possibile»

 

Il sole colpisce i loro volti ed un bacio si chiude fra le loro labbra. E non ci sono parole, non bastano, ma si guardano e sorridono, ed è abbastanza.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Volevo solo ringraziare di cuore chi si è preso un momento per leggere questa storia. Sembrerà stupido, ma ho lasciato tanto di me in queste pagine e in questi personaggi e condividerle  con voi è stato tanto vulnerabile quanto rassicurante. Grazie ancora🤍

 

 

 

 

Il passato fa male. Continua a fare male. 

 

Le fasciature sul corpo di Castiel sono un promemoria costante e fastidioso di quanto accaduto. 

Gli stringono il petto, la schiena e  le sue spalle si muovono in convulsioni e  movimenti che non riesce a controllare e che tentano di ricreare quel battere di ali invano. 

 

Bruciano la mattina quando si volta per baciare Dean - il sole che penetra dalla finestra, le coperte che si scostano fra i loro corpi nudi- e quando nel torpore mattutino si dimentica momentaneamente della loro presenza, e le garze premono con troppa forza contro il materasso sottostante;  Bruciano sotto le magliette per il tessuto che le  schiaccia  contro la ferita; Bruciano quando è a petto nudo e si guarda allo specchio,  solo,  nella stanza da letto, una mano che sfiora le fasciature  e il corpo che  inizia a tremare di un dolore non interamente fisico; ma quando Dean lo aiuta a cambiarle- le sue nocche rotte, le sue mani violacee e rovinate  eppure così delicate -, il ricordo fa meno male. 

 

D’un tratto non sono più sinonimo di dolore, delle piume che volano e cadono d’impeto nel  buio del Vuoto e si sciolgono nel nero sotto i suoi occhi; non sono più ossa che si spezzano, sangue che cola copioso sulla sua schiena,   sono solo, unicamente fasce. 

Fasce  che coprono il suo corpo, che lo proteggono, che stanno agevolando la guarigione di una parte del suo corpo.

Ed è grazie al modo in cui Dean sfiora con le dita le garze- piano, attento-, che ciò accade. Grazie al modo in cui posa un bacio sulla sua fronte quando un sospiro si blocca nella sua gola mentre nemmeno le fasciature  lo coprono più e sente solo vuoto; nel modo in cui le sue guance arrossiscono quando Castiel lo osserva rivolgendogli un piccolo sorriso-- forse di ringraziamento, forse di felicità. 

 

 

 

Il passato fa male negli incubi di Dean, nel sudore che gli attraversa la fronte appena sveglio, nelle grida che attraversano la stanza nelle notti buie, quando solo il silenzio vorrebbe- dovrebbe- colmarle, negli occhi verdi e belli e vividi eppure terrorizzati, spaventati; nel suo scivolare sul pavimento, farsi piccolo, attaccarsi alla parete e stringersi la testa fra le mani e tentare in silenzio di calmare se stesso. 

 

E Castiel si alza dal letto sfatto  e scivola sul pavimento accanto a lui. E Dean non parla, non ci  riesce ma Castiel è lì comunque e lo bacia e gli sussurra che è bellissimo, che va bene così, che va bene essere tristi, che va bene non sopprimere le emozioni che avverte disintegrargli l'anima, che non deve rispondere "sto bene" anche così, anche con le mani e le dita che tremano e che stringe incessantemente fra di loro, che può lasciarsi andare, che è la persona più forte che abbia mai conosciuto; 

 

E Dean lo guarda e non parla, ma il suo sospiro ritorna regolare, le mani tremano meno ed il pavimento sembra meno freddo.

 

                                          ****

 

 

Il presente è sulla loro pelle: nei ricordi che condividono, nei sospiri calmi, sereni che li fanno sentire parte di qualcosa di più grande di loro, nelle continue novità di Castiel nell' abituarsi ancora una volta all'essere ormai umano,  nelle dita che tremolanti attraversano i corpi dell'altro, incerte, curiose. 

 

È scolpito in attimi, momenti, istanti. 

 

È Dean che balla in  cucina mentre inforna la torta che ha voluto preparare- la musica in sottofondo, una lacrima di marmellata sulla sua guancia- e in Castiel che lo guarda divertito e nel "No, no Dean. Dean, io non ballo. Dean. Dean.",  invano. 

 

È nelle battute di Dean decisamente e costantemente fuori luogo e che Castiel non capisce totalmente, ma per cui sorride ad ogni modo, tanta è l'eccitazione sul volto  dell'altro.  

 

È nelle frasi che Castiel sussurra a Dean di tanto in tanto con una naturalezza irreale ed a cui Dean non è abituato e a cui non riesce rispondere se non baciandolo con più dolcezza e poi con più foga.

 

È tra le lenzuola della loro camera che cadono verso terra e nel sospiro spezzato di Dean mentre l'altro è dentro di lui;  

 

È nei sorrisi piccoli, accennati, nelle attenzioni che rivolgono l'un l'altro,  nel Paradiso  che piano piano, giorno dopo giorno si riempie sempre più delle persone che Dean aveva conosciuto in vita, come se finalmente fosse pronto ad accettare questa condizione di buona morte eterna– ingiusta, cattiva,  invadente e  che ha confermato ogni pensiero avesse mai avuto su come sarebbe morto, un giorno-. 

E non accetta  il suo essere in Paradiso troppo giovane, troppo presto in uno sguardo rassegnato, stanco, stremato, ma nel volto di un uomo che finalmente si riposa, che accoglie ciò che veramente è e che per tutta la sua vita ha negato, distrutto, represso.

E il Paradiso inizia a sembrare tale.

 

              

Il presente è nelle loro litigate. Litigate  che iniziano sempre per un motivo che faticano a ricordare più tardi e continuano sempre con un toccarsi vago, ma fermo, costante perché nessuno dei due riesce a sostenere l'assenza dell'altro  nella confusione di parole dure. 

Ed allora Castiel tiene una mano di Dean fra le sue, gli accarezza una guancia, si sofferma con una mano sulla sua spalla. 

Sono tocchi indecisi, a malapena accennati, ma è abbastanza per far sentire Dean al sicuro, per dirgli che nonostante stiano  discutendo, Castiel è sempre con lui, che non se ne andrà come hanno fatto tutti- come lui stesso ha fatto- che anche e nonostante le incomprensioni,  lo ama ogni giorno di più; 

 

E quell'amore può essere trovato in ogni suo sguardo, in ogni suo sfiorare l'altro, e non è necessario guardare in profondità: è chiaro agli occhi di tutti.

 

                                         ****

 

Il futuro è nelle loro parole, nelle loro risate e in Dean che parla e parla e parla e gli racconta di tutte le  cose che non ha mai fatto e che vuole assolutamente fare un giorno  e Castiel lo guarda e l'eternità sembra poca se passata con lui. 

 

È un affannarsi continuo, un credere costante che non vi sia tempo per fare tutto, un guardare l'altro ed avvertire la sensazione che una forza oscura penetrerà nel Paradiso ed al risveglio una parte del letto  sarà fredda  per l'assenza dell'altro; 

e serve tempo per convincersi che non è così, che stanno bene, che staranno bene ancora e ancora  e le parole per tranquillizzarsi  non bastano: non sono mai bastate e non bastano tutt'ora, ma per la profonda consapevolezza che non vi sia  dolcezza  più bella  dello sguardo dell'altro, sorriso accennato più caro, toccarsi vago più nuovo e delicato, le parole non sembrano necessarie.

 

                                          ****

 

Ci sono cose che non possono essere spiegate. 

Cose come la mano di Dean che incontra quella di Castiel mentre fanno l'amore e si stringe accanto ai loro corpi; come gli occhi di Dean quando vengono colpiti dalla luce pomeridiana- calda, rovente,  bella- e le sue lentiggini che nascono con l'inizio dell'estate;  come lo sguardo  che Castiel gli rivolge, ancora puro, ancora devoto, ancora meraviglioso nonostante tutto o forse proprio  a causa di tutto,  come l'incredulità che ogni tanto si dilaga sui loro volti perché tutto appare ancora  surreale. 

 

Cose come i loro silenzi e le parole non dette. Cose come le braccia di  Dean che stringono l'altro a sé e che affonda con il proprio volto sulla sua parte di petto non coperta dalle garze, e nel suo chiudersi degli occhi fievole, nel suo respirare costante. 

 

Sotto il cuscino di Dean non vi è più alcuna arma: si sente al sicuro. 

 

C'è solo amore.

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