Die Gemeinde

di Schoko26
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Die Gemeinde

 

 

 

 

La vita poteva essere crudele, infima, asfissiante; era capace di toglierti tutto e lasciarti in un vicolo senza un soldo, la tua famiglia o la sola volontà di andare avanti. Lei era così - poco dolce, ironica e spesso capace di prenderti per il culo come nemmeno il bulletto dell’infanzia era stato in grado di fare. 
Ma… 
Giá. Ma… a volte la vita sapeva anche essere stucchevole - come il miele che ti avvolge la lingua, ogni papilla gustativa, bloccandosi poi in gola e lasciandoti con mille domande nella testa. E la prima é proprio perché. Del tipo << Perché cazzo ho mangiato del miele? >> . Ma poi quel torpore dato dalla consistenza pastosa lascia spazio alla dolcezza e al benessere - a quel sapore ineguagliabile, unico, capace di coccolarti anche se non ha mani o braccia. 

E allora la seconda domanda che ti sorge spontanea é << Perché diavolo non l´ho fatto prima? >> 

<< Perché non sono riuscito a godermi la vita prima d’ora? 

Perché era così difficile? >> Per poi abituarsi così facilmente a quel sapore e a quel senso di stentata felicità da dimenticare tutto il giorno dopo - quando la sveglia suona alle sei e tu odi il mondo solo per l’ovvio fatto di esserti alzato dal letto a quell’ora indecente. 
E allora, in momenti come quelli, Andreas Schneider arrivava alla conclusione che non era la vita ad essere così. Ma la loro anima. La sua e… quella della sua famiglia. 
Era come una maledizione. Una spada di Democle perennemente pendente sulla testa - capace di annullare qualsiasi sentimento che si avvicinasse alla felicità per fare spazio solo all’eterna insoddisfazione che li attanagliava. 
Eppure… in momenti come quelli, Andreas, sulla soglia dei quaranta, si rendeva conto di essere felice. E in pace con se stesso. Come mai gli era capitato in tutta la sua turbolenta vita.
Era strano come riuscisse ad identificare la parola felicità in un banale Brunch domenicale con tutte le persone che aveva imparato a voler bene nel corso della sua vita. In primis sua moglie, la bellissima donna dai capelli rossi intenta a versarsi del succo d´arancia mentre insultava amabilmente suo fratello maggiore.
L´unica che in ventisette anni gli era stata accanto anche quando non voleva - anche quando la sua parte buia era venuta fuori in tutta la sua prepotenza, stordendolo. Cambiandolo. Quasi uccidendolo. Come se non avesse fatto altro nella sua esistenza che prepararsi per venir fuori. 
<< Lo scotch alle due del pomeriggio non ti sembra un pó troppo Inglese persino per i tuoi gusti, papà? >> mormorò una voce leggera al suo orecchio sinistro e Andreas concesse uno dei suoi rari sorrisi a sua figlia minore, che gli attorciglió le braccia lunghe e pallide al collo. 
<< Quando c´é tutta la famiglia di tua madre al completo non é mai troppo presto per l’alcol, bambolina >> disse di rimando, godendo nel sentirla ridere. 
Angelica lasció la presa e prese posto sulla sedia di vimini al suo fianco, avvolta in un´impalpabile vestito di tulle bianco che avvolgeva il suo corpicino come una nuvola soffice.
Sua figlia era l’esempio lampante dell´insoddisfazione. Del tormento interiore che non riesce a cogliere alcuna felicità se non la completa perfezione di ogni singola sfaccettatura che era la vita. 
O bianco o nero, o tutto o niente o la vita o la morte. Non c’erano vie di mezzo o scale di grigio sulla sua strada, ma solo infinite salite costruite con le sue stesse mani e che le rendevano la vita difficile - proprio come piaceva a lei.
Proprio come era piaciuta a lui, tanto tempo fa - capace solo di incolpare la sua intera e ingiusta esistenza. 
<< C´é Louis questa sera >> disse, afferrando un piatto ricolmo dal tavolino di ferro battuto alla sua sinistra e guardandolo con gli occhi verde chiaro un pó lontani.
Andreas guardó verso l´entrata posteriore del giardino, osservando un ragazzo dai capelli neri fermo a coccolare Terry - il suo Golden Retriever, felice di quella riunione improvvisata. O del fatto di un essere un cane e quindi felice anche di aver fatto la cacca un paio d’ore prima.
Erano dannati, era quella la verità. Una famiglia maledetta che cercava, cercava e ancora cercava, senza mai arrivare alla fine. Lasciandosi sfuggire felicità e tranquillità - gioia e casa. - 
E sarebbero morti cosí. Lui lo sapeva. Andreas lo aveva visto. Con quella fiammella che era la loro anima, inquieta, mai soddisfatta - mai sazia. 
<< Sí, é venuto a darci la bella notizia >> rispose, lasciando che il ghiaccio si sciogliesse nello scotch. 
Angelica legó i capelli rossi, come quelli di sua madre, in una crocchia disordinata e lo fissò con i suoi grandi occhi capaci di magie; Andreas si era innamorato di quello sguardo a prima vista, quando in un letto d’ospedale lei aveva annunciato la sua nascita con un lungo vagito invece che con un pianto. L’aveva presa tra le braccia e aveva capito … sí, forse aveva capito che avrebbe potuto smettere di cercare. Da quel momento in poi. Per sempre.

<< Che notizia? >>

Samira Schutz, che altri non era la figlia del fratello di sua moglie, afferrò un bicchiere di cristallo e con un cucchiaino tintinnó delicatamente, attirando l’attenzione del resto della famiglia. 
Erano una trentina, ammassati lí nel giardino di casa sua e questo solitamente accadeva durante qualche festività o prima dell’inizio della scuola per i ragazzi - e quest’ultima era una di quelle. 
Angelica lo guardó sospettosa, ma si limitó a fissare la cugina intenta a scuotere i lunghi capelli castano ramati con un sorriso che resentava quasi la follia.
<< Possiamo rubarvi qualche minuto? >>

Louis la raggiunse, imbarazzato e Andreas nascose un sogghigno quando vide Etzel - il suo secondogenito - mimare un conato di vomito fingendo di ficcarsi due dita in gola.
Sua moglie prese posto sulle sue gambe, fasciata in un paio di pantaloni  blu notte che risaltavano - insieme alla camicetta di seta - i suoi grandi occhi verdi. Gli stessi della sua Angelica. E di Jakob, il suo primogenito. 
<< Io e Louis volevamo informarvi che quando quest’anno scolastico avrà fine, in estate, siete tutti invitati al nostro matrimonio! >> cinguettó Samira e in un attimo fu circondata da una trentina di persone pronte a congratularsi.
Angelica lo guardó furiosa e incapace di proferir parola, proprio come sua madre quando se ne usciva con una delle sue frasi sessiste, si alzò dalla sedia solo per andare a rintanarsi in camera sua - seguita dal cane.

<< É proprio persa. >>
Andreas guardó sua moglie Anja con curiosità e lei fece spallucce, scuotendo la testa. << Certo che a voi maschietti se anche la verità vi ballasse nuda sotto gli occhi, sareste in grado lo stesso di non accorgervene >> disse divertita, indicando con un cenno del mento sua nipote Samira e… il suo figlioccio, Louis.
<< Ma di che accidenti stai parlando? >>
Anja gli rubó un sorso di scotch con aria furba.
<< Louis é cresciuto in casa nostra e Angie gli é sempre stata appiccicata come una cozza. Lui era quello che la difendeva, che le portava un cioccolatino tutte le sere prima di andare a dormire… o che addirittura ci dormiva insieme se aveva paura.
Lei é sempre stata la sua "piccolina" e ad un certo punto, crescendo - e venendo invasa dagli ormoni - Angelica si é presa una bella cotta, una di quelle pesanti.
É stata dura per lei quando ha scoperto che usciva con sua cugina, ma addirittura sapere che si sposano… >> disse la donna, accendendosi una di quelle sigarette -  che si concedeva raramente - alla vaniglia.

<< Che cosa? >>
Di tutto quel discorso, sinceramente, Andreas aveva capito solo una cosa: pericolo. E gli lampeggiava sotto il naso con una grande scritta al neon capace di accecare persino un cieco.
<< Oh, andiamo… pensi davvero che Louis sarebbe stato capace di toccare anche solo col pensiero Angelica? Dopo tutti i sensi di colpa che si porta dietro nell´averlo accolto in casa nostra e cresciuto come un figlio?
Non lo farebbe mai. Ferirti, intendo. >> sbuffo Anja, guardandolo come se gli fosse spuntato un corno sulla fronte.

Ed era vero. Andreas poteva leggerglielo negli occhi d’ambra ogni volta che li incrociava. La paura, la tristezza, l’odio e la gratitudine - per essere stato cresciuto come il figlio che all’epoca doveva ancora arrivare. Per aver perso i suoi genitori quando non era ancora in grado di camminare - per essere un peso, una zavorra, un problema.
A volte Andreas odiava che si sentisse cosí. Perché, nonostante le ferite, il dolore e tutto ciò che era capitato negli anni in cui lui lo aveva preso in custodia, voleva veramente bene a Louis come se fosse suo.
<< Ciao >>

E parlando del diavolo…
<< Spuntano le corna >> borbottò a bassa voce, burbero, guadagnandosi un’occhiata interrogativa da parte del figlioccio - che prese il posto appena lasciato vacante da Angelica.
<< Congratulazioni >> Anja lo strinse in uno dei suoi delicati abbracci e Louis vi ci perse per qualche secondo prima di ringraziarla con voce timida.
<< Beh. Grazie. Ma in realtá sono qui anche per darvi un’altra notizia >> continuo, questa volta guadagnando la piena attenzione di entrambi. 
Anja questa volta non si sedette, rimanendo alle spalle del marito, e qualcosa dentro lei gli suggerì che non fosse una buona idea. Era come se… sí, come se un piccolo serpente le strisciasse sotto pelle - simile ad un antico richiamo - portandole un lungo brivido dietro la schiena.

<< Ti ascoltiamo >>
Louis afferró un piatto dal piccolo tavolino di ferro battuto, già ricolmo di cibo e continuò a sorridere, abbastanza tranquillo. << Come sapete, l´anno scorso mi hanno assunto come supplente nella scuola dei ragazzi - nulla di serio, per adesso, ma le cose vanno abbastanza bene >> inizió, spullicando le uova nel piatto.
Andreas annuí, orgoglioso del fatto che appena laureato Louis avesse trovato subito un impiego. E una moglie, a quanto pare, visto che a breve avrebbe fatto parte a tutti gli effetti della famiglia - visto che sposava nientepocodimeno sua nipote.
<< E che questo rimanga tra noi, ma in via del tutto confidenziale mi hanno detto che i ragazzi quest’anno partiranno per uno scambio interculturale con la partner ufficiale della nostra scuola, a Minneapolis, in America.
Rimarranno lí per tre mesi e sarà un’esperienza pazzesca! Angelica e Etzel rientrano nel gruppo scolastico scelto per lo scambio, naturalmente convocheranno una riunione con i genitori per informarli della scuola, degli spostamenti e tutto ciò che faranno i ragazzi una volta lí. 
E indovinate? Io sono stato scelto per essere uno degli accompagnatori! Fico, no? >> se aveva iniziato in modo molto pacato, il tono di voce era diventato quasi stridulo sulle ultime frasi - incapace di trattenere l’emozione nel vedersi affidato un compito così importante.

Andreas sbiancó e con gli occhi corse a sua moglie, col cuore che sembrava volergli scoppiare in gola. Lo sentiva contro le pareti dello sterno come se volesse rompergli le ossa e trapassargli la carne - ed era terribile.
Minnesota. Minneapolis. 
Il solo sentire il nome di quella città gli provocava violenti conati di vomito e negli occhi di sua moglie incontró la stessa paura, la stessa spregevole ansia in grado di divorare tutto ciò di buono che incontrava sul proprio cammino.
Stava per succedere qualcosa. Qualcosa che avrebbe rovinato tutto ciò che, con tanto impegno e dedizione, si era costruito nella vita; qualcosa che come un uragano impazzito avrebbe distrutto il castello di favole di cui si era circondato - fasullo, instabile, con fondamenta di carta pesta.

<< Andreas… >>
Non era possibile. 
Era come se dopo tanti anni il passato avesse deciso di tornare più infimo che mai - ricordandogli che non si scappa da ciò che era stato, da ciò che di terribile aveva fatto. Perché i fantasmi non sarebbero mai morti e lo avevano inseguito anche lí, a kilometri di distanza.
E ora… e ora volevano prendersi i suoi figli. I tre punti fermi che gli avevano impedito di impazzire dopo quello che aveva fatto. Quello che era stato in grado di fare.

<< Andreas, stai bene? Non devi preoccuparti, ci sarò io con loro e non permetterò - a costo della vita - che gli capiti qualcosa >> lo riprese Louis, ora solenne. 

<< Ma questa é un’esperienza davvero importante e i ragazzi non possono perdersela >> e con quelle parole guardò anche Anja, che si era aggrappata alle spalle del marito. Aveva le unghie conficcate nella maglia di cotone gialla e guardava il sole alto.
<< Sí, hai ragione >> mormorò e suo marito la guardò come se fosse impazzita.
Ma Anja lo sapeva. Ah, se lo sapeva. Sarebbe potuta scappare dal suo destino quanto voleva, ma lui sarebbe ritornato ancora e ancora, finché non gli avrebbero dato modo di compiersi.

E quella volta non ci sarebbero stati Santi o preghiere a salvarli, perché il destino - quella volta - ruotava attorno ciò che aveva di più caro al mondo.
Etzel. Angelica.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I








La sveglia toccó con la lancetta il numero cinque proprio in quel preciso istante, ma Angelica aveva già gli occhi aperti e concentrati sul soffitto - che era un’esplosione di luce e colori. 

Le ciglia lunghe e ricurve erano imperlate appena di lacrime e gli occhi grandi e verdi rossi e lucidi. Un sorriso amaro le curvó appena le labbra piene e per un attimo si sentí ridicola - perché quel sentimento non le apparteneva.
Le era tutto cosí estraneo da darle la nausea eppure non riusciva a smettere di piangere. E di sentire il cuore batterle ferocemente in petto - come a volerle ricordare che lui era lí, presente, e che doveva dargli conto. Volente o nolente.
Odiava sentire il sapore metallico del sangue in bocca, per tutte le volte che se l’era morsa come un animale rabbioso, o semplicemente la nausea a chiuderle lo stomaco già debole di suo.
Tutto quello non le apparteneva. Non era suo. E Angelica si detestava in quel momento; detestava i piccoli morsi sulle braccia per non urlare dalla rabbia e le guance rosse per il continuo sfregarsi. E nonostante questo aveva continuato tutta la notte, non curandosi dell’alba che lenta sorgeva… e del fatto che di lí a poche ore iniziasse di nuovo la scuola.
E lui. Perché lui era lí e lei era costretta a vederlo ogni santo giorno come un prigioniero é costretto a vedere la sua guardia carceraria. 
Lui e i suoi capelli neri. Lui e le sue mani grandi. Lui e le sue braccia sempre pronte ad accoglierla. Lui, lui, lui - sempre e solo lui, come una cantilena che non smette di rimbombare nella testa. Come un chiodo che batte nella testa ripetutamente e non ti lascia pensare ad altro.
E intanto lei sentiva il sangue scorrerle sul viso insieme alle lacrime e a quel cazzo di pugnale che lui le aveva conficcato nelle spalle a tradimento. 

Tradimento. Non riusciva nemmeno a capire perché si sentisse così tradita da qualcuno che non l’aveva nemmeno mai guardata diversamente da come facevano i suoi fratelli. O suo padre. Mentre lei intanto si crogiolava in un sentimento che esisteva solo nella sua testa. 
Aveva davvero creduto che lui provasse qualcosa per lei - ma quel matrimonio aveva lasciato cadere tutte le maschere, compresa la sua. 
Giá. Angelica aveva perso il conto di quante maschere avesse e di quante ne cambiasse il giorno, in base all´occasione - come un vestito che aveva imparato a portare con grazia e leggerezza, ma che una volta tolta, sola nella sua stanza, lasciava solchi sul viso che sembravano invecchiarla di trent’anni.
Bella merda essere adolescenti.

Alle cinque e dieci decise che ne aveva abbastanza di tutto quel teatrino e si alzò con decisione, scalciando le coperte e spegnendo il lumino che illuminava il soffitto a giorno.
Quello sarebbe stato il suo primo giorno di scuola e se anche avesse dormito, sicuramente avrebbe impostato la sveglia a quell´ora esatta. Le piaceva fare le cose con calma, come lo scendere giù in cucina e preparare il suo caffè fissando la brocca riempirsi come una clessidra girata al contrario.
Si inebriava del profumo che lasciava per tutta la cucina d’acciaio Inox e quasi riempiva la tazza fino a l’orlo, lasciando giusto spazio per il latte e lo zucchero. 
E poi cominciava la sua routine. Crema idratante, mascara e rossetto - quello che si permetteva durante la scuola - una spazzolata lunga minuti ai capelli lunghi e ondulati, che legava raramente per evitare che si spezzassero, e poi cominciava a vestirsi senza pensarci troppo. Ma senza lasciare nulla al caso.
Era fatta cosí. Ogni cosa doveva essere al suo posto, come gli slip e il reggiseno coordinati o l’infinità di calzini di ogni colore e stampa. La borsa rigorosamente firmata con dentro i libri e l´astuccio con penne, matite ed evidenziatori di ogni tipo.

Suo fratello Etzel odiava tutto quell’ordine e a volte gli spezzava le matite solo per fargli dispetto, ma il massimo delle reazioni che gli riservava Angelica era buttare quello che lui aveva rotto nell´immondizia. Ma effettivamente loro erano l’opposto: lui distruggeva tutto quello che trovava sul suo cammino, senza curarsi di poter ferire o meno gli altri. Mentre lei gli altri a stento li vedeva - o a stento li includeva nella sfera affettiva che negli anni era andata sempre più a diminuire.
E c´era da dire che quella sfera affettiva non comprendeva certo se stessa. Era troppo complicato amarsi, e lei preferiva spendere le sue energie nello studio. O nel disegno - che le riusciva abbastanza bene se non era in crisi totale.

Infiló i jeans neri e la t- shirt bianca con inerzia, fissando il proprio riflesso nello specchio ovale appeso alla parete di fianco la specchiera di legno bianco. 
Era dimagrita ancora e odiava quando succedeva; i vestiti cominciavano ad essere larghi e lei detestava l’aria sciatta che le davano. Ma se solo avesse provato a chiedere a suo padre altri soldi per i vestiti, allora sí che lui avrebbe cominciato ad indagare.
E non gli sarebbe piaciuto sapere che era arrivata a pesare quasi quarant´otto chili. Anche se sarebbe piaciuto a lei vederlo picchiare il responsabile.
Ma sarebbe voluto dire sbilanciarsi. Aprirsi. E lei non lo faceva. Mai. Forse l’unica che era capace di leggerle nel pensiero era sua madre… ed era straordinario, perché l’unico vanto della sua vita era essere un libro chiuso. O un mistero, come amava chiamarla amabilmente suo padre.

<< Hn, guarda guarda… >> mormoró tra se e se quando, afferrando il cellulare, si accorse della moltitudine di messaggi arrivati durante la notte. Erano tutti del gruppo di classe di cui faceva parte e sembrava che tutti fossero emozionati per qualcosa.
"Mia madre me lo ha confermato proprio ieri sera. Scambio interculturale, una figata!“
Angelica corrucció le sopracciglia, non troppo sorpresa nel leggere i numerosi messaggi di Dilara Wagner - sua compagna di banco e figlia di una delle coordinatrici di classe.
"Ma cosa dici? Sei sicura?“ Aveva scritto Jake e lei aveva cominciato con la solita manfrina del „mia madre non dice bugie“ e del fatto che fosse più importante di lui e che quindi la confidenza del rivolgerle la parola nessuno gliel’aveva data.
<< Carina >> rise, per buttare il telefono nella borsa senza dargli peso più del necessario.

Scambio interculturale. Non era male come idea e non era nemmeno sorpresa: l’insegnante di Inglese, la signorina Müller, aveva accennato qualcosa prima che finisse l’anno e la possibilità di esercitare la lingua in un paese madre non sembrava così remota con la raccolta fondi fatta l’anno prima.
Scese le scale per lasciare la borsa proprio all’entrata, entrando in cucina e trovandoci seduto suo fratello con gli occhi ancora semi-chiusi e la bocca impastata di fiocchi d’avena.
<< Buongiorno fiorellino >> salutó, sarcastica e in ricambio ebbe soltanto un ruggito.
Sua madre, già ai fornelli, gli rivolse uno dei suoi sorrisi - capace di illuminare tutta l’aria circostante - e venne subito ricambiata. << Grazie per il caffè >> disse, facendole l´occhiolino.
Dall´immensa finestra sul lavello che mostrava il giardino non penetrava ancora luce e il lampadario intrecciato  di Swarovski illuminava la piccola penisola dove suo padre era poggiato per la colazione.
<< Dormito bene? >> le chiese infatti, dopo una lunga occhiata penetrante.
Benissimo. C´era qualcosa nei suoi occhi che le suggeriva qualcosa, come se avesse capito che in realtà non tutto andava bene come lei voleva mostrare.
Angelica guardó suo madre.
<< Bene, grazie. E tu? >> disse, versandosi un’altra goccia di caffè nella tazza che aveva riportato indietro da camera sua.
Sua madre aveva capito qualcosa e di conseguenza ne aveva parlato con suo padre. Quella era l’unica spiegazione plausibile - visto che da solo non sarebbe arrivato da nessuna parte.
Era cosí ingenuo quando si trattava di lei…

<< Non mi lamento >>
Hn. Beato te, pensó - tenendo per per se i propri pensieri.
Guardó l´orologio e si accorse che erano le sei e quarantacinque in punto. E sorrise.
Se solo si fosse cronometrata, si sarebbe accorta che ogni movimento, parola o interazione era tutto un programma - come se fosse un robot e il suo cervello una scheda madre che esegue ordini.
<< Perché non ci andate insieme a scuola, stamattina? >> propose sua madre, indicando col mento Etzel ancora mezzo addormentato. Angelica fece una smorfia.

Diciotto anni rovinati, era quella la verità.
<< Non voglio arrivare tardi il primo giorno di scuola >> disse, ansiosa di cominciare il quinto anno e togliersi di dosso tutta quella tensione. 
Studiare era come una valvola di sfogo di lei, qualcosa su cui applicarsi - lasciando andare il resto. Una cosa anormale per qualsiasi adolescente, in verità, ma per lei era così. Un po´come quando qualcuno faceva a pugni e sfogava la propria rabbia su un sacco da box. O una persona.
Doveva provarci, qualche volta…
<< Nemmeno io. Cinque minuti e sono pronto >> borbottò Etzel, alzandosi dallo sgabello con imbottitura di pelle nera e salendo le scale per raggiungere la sua camera.

Angelica guardó i suoi per almeno due minuti buoni prima di schiarirsi la gola. Sua madre finí di cucinare e la guardò con aria interrogativa, mentre suo padre si limitò ad alzare gli occhi dal giornale per farle capire che era tutto orecchi.
<< Sapete qualcosa di questo scambio, voi? >>
Era una domanda retorica, naturalmente. Era sicura al cento percento che sapessero qualcosa - visto che il loro carissimo figlioccio lavorava proprio alla sua scuola.
Al pensiero di doverlo rivedere da lí a poche ore tutti i santissimi giorni le si rovesciarono le viscere. Le bastó lo sguardo schifato di suo padre e quello rassegnato di sua madre per capire che sí, era tutto vero.
<< Ce ne ha parlato Louis poco dopo che tu sei andata in camera tua >> disse sua madre, poggiando i fianchi sulla penisola di marmo e guardandola a mo´di scuse.
Hn. Non aveva avuto alcun dubbio.
<< Non é una cattiva idea >>
Suo padre grugnì.
<< Che c´é? Non ti piace quello che stai leggendo, papà? >> domando, ironica, sapendo che anche solo l’idea di saperli a spasso per il mondo senza i suoi occhi incollati addosso lo facesse impazzire. 
<< No. Il mondo sta crollando a pezzi >> borbottò, con tono lugubre, strappandole un sorriso controvoglia. 
<< Non é un cattiva idea, no. Ma io e tuo padre non siamo tranquilli >> i suoi occhi verdi erano guardigni e Angelica evitó di essere sarcastica quella volta.
Quando sua madre si arrabbiava diventava veramente impossibile e l’impronta delle sue ciabatte andava via dopo settimane quando si divertiva al tiro a piattello.

<< Senti, mamma… sono pochi mesi e sono sicura che dopo la riunione con i genitori ti sentirai più tranquilla >> disse, giusto per rassicurarla.
Lei non era un´irresponsabile. Odiava fare cose avventate e le piaceva riflettere prima di fare qualsiasi mossa e questo spiegava il perché non avesse tanti amici.
<< Si. Hai ragione. Oh, ecco tuo fratello >> e girandosi Angelice evitó di roteare gli occhi per quieto vivere.
Etzel era un barbone. E a volte non capiva cosa ci trovassero le ragazze in lui, oltre ad un bel paio di iridi e un cervello completamente vuoto.
<< Non immagino la puzza.
Ci vediamo questa sera >> mormorò, lanciando un bacio con la punta delle dita ad entrambi i genitori e seguendo la scia di dopobarba che suo fratello lasciava dietro sé tipo … tipo… fogna.
<< Ricordami che al tuo compleanno devo regalarti un profumo >> cinguettó, infilandosi nella Smart grigia di suo fratello con un’enorme sorriso. Etzel ricambió con un bel dito medio schiaffato sulla faccia. 
<< E invece a me devi ricordare che devo cambiare camera e prendere quella in soffitto, perché i muri sono troppo sottili e ti ho sentita prendere a morsi il cuscino stanotte mentre piangevi >> sibiló e questa volta fu Angelica a guardarlo male.
Cristo Santo, nonostante abitassero in una villa a due piani non c’era privacy in quella benedettissima casa.
Ma di cosa cazzo erano fatte le mura? Di carta pesta? 
<< Fatti gli affari tuoi. >> 
<< Allora hai anche tu qualcosa che ti batte nel petto >>
Come non detto. 

Angelica non rispose e si chiuse nel suo guscio, incrociando le braccia al petto e guardando fuori dal finestrino.
Lei e suo fratello avevano in realtà un rapporto assai controverso. Erano cresciuti insieme, frequentato le stesse scuole, condiviso gli stessi giochi - forse da bambini le stesse passioni - e lui, anche se gli faceva fatica ad ammetterlo, l’aveva sempre difesa con i suoi amici. 
Quando tutti la prendevano in giro per i suoi capelli rossi o perché avesse sempre il naso a punta ficcato in qualche libro a caso, che le risparmiava la vista di tutti quegli idioti; lui era sempre stato in prima fila, per lei. Ad incoraggiarla, anche se le tirava i capelli e le rovinava i libri.
Ma lui era l’unico che poteva farlo. Lui, non gli altri.
<< Lo so perché stavi piangendo. Ed é stupido. E infantile. Aggettivi che non ti si addicono >> sbuffó Etzel, rompendo il silenzio. Angelica sogghignó appena, ma non spostó lo sguardo dalla città che scorreva sotto i suoi occhi.
Ai cani a passaggio, alle persone che si accalcavano sulla metro. E alle nuvole grosse e nere che facevano a gara per chi contenesse più acqua nonostante non fosse nemmeno Settembre.

<< Louis sta con Samira da anni, ormai e: uno, ha quattordici anni più di te. Due, anche se ne avesse meno e Samira sarebbe solo un miraggio, non farebbe nulla che potesse metterlo contro papà >> e con quello, Angelica sentí il cuore rallentare di battito.
Lo sapeva. Tutto quello che le stava dicendo Etzel erano parole già ripetute a mantra nella sua testa, più e più volte, come una lezione di Filosofia. Non era nulla di particolarmente nuovo.
E tutti sapevano di quella sua ridicola cotta, a quanto pare. Tranne suo padre. Per fortuna.
<< Non ci pensare più >> e con quello il discorso per suo fratello era definitivamente chiuso, perché finalmente arrivarono a destinazione.
Etzel parcheggió all’esterno della scuola, un grosso istituto a cinque piani interamente di pietra ai confini della città. Avevano entrambi scelto di fare il Gymnasium, anche se Etzel aveva deciso di concludere dopo i sei anni invece di prolungare come lei.
Lui non era il migliore del suo corso, ma era sicuramente più intelligente dei suoi compagni - che Angelica proprio non capiva cosa ci facessero lí, in una delle scuole secondarie più difficili della Germania.

Aveva sempre amato la sua piccola città, Essen, un agglomerato di negozietti e bar vivaci che di notte movimentavano le strade; le case in centro erano abbastanza caratteristiche e fermate dei bus e treni erano ovunque - capaci di portarti ovunque. Non era grande o caotica come Berlino, ma a lei piaceva.
<< Ho grandi notizie! >>
Angelica alzó gli occhi al cielo nel sentirsi sussurrare quelle parole una volta scesa dalla macchina. Dilara aveva un radar incorporato nel cervello, quello era chiaro, o proprio non si spiegava come facesse a individuarla ovunque fosse. 
Od ovunque fosse suo fratello.
<< Ho letto qualcosa nel gruppo stamattina. Se non tieni la bocca chiusa, in un giorno di questi sospendono te e pure tua madre >> sbuffó Angelica, alzando gli occhi al cielo e venendo affiancata da Dilara - intenta a sorpassare i cancelli di ferro battuto della Goeth Gymnasium. 
<< Oh, nessuno fará assolutamente nulla. Cosa che non stai facendo neanche tu a quanto pare.
Ma qualcosa ti emoziona nella vita? O ti ecciti solo guardandoti allo specchio? >>
Angelica rise. 
<< Gonna scozzese, camicetta bianca… cravattino, stivaletti al ginocchio… ti hanno mandato in una scuola privata? >> replicó quest’ultima, mentre Dilaria si portava con un gesto secco i capelli biondo platino alle spalle.

<< No. Ma ho saputo che a tuo fratello, invece del proprio riflesso, eccitano i Manga >> ridacchió, frivola, strappandole un brivido di disgusto dietro la schiena.
<< Ti prego… ma chi te le dice queste cose? >> sibiló Angelica, infastidita e l’altra fece spallucce - guardando con gli occhi azzurri alle proprie spalle, dove Etzel aveva raggiunto un gruppo di amici. O deficenti, come amava chiamarli lei e suo fratello Jakob. 
<< Non posso rivelarti le mie fonti >> sospiró, attorcigliando una ciocca di capelli lisci al dito. 
Era bella fusa…
<< Comunque… la riunione tra Genitori e Insegnanti e fissata per domani sera. Ci saranno un bel pó di cose da discutere, ma é incredibile, non trovi? 
America! E chi se lo sarebbe mai immaginato! >> continuó, tutta frizzante di prima mattina e Angelica, forse come poche volte in vita sua, questa volta si trovó d’accordo con lei. 

America… forse quella sarebbe stata una bella avventura, qualcosa di nuovo. Una ventata d’aria fresca. 
<< E sono sicura che i tuoi non ti faranno problemi, perché c´é anche il tuo sexy fratellastro nella lista degli accompagnatori! >> cinguettó Dilara e in un attimo la tranquillità, il senso di libertà e l’aria fresca sul viso che si era immaginata in quell’intenso minuto, sfumarono come una sigaretta accesa durante una giornata di vento.
<< Louis? Ma sei sicura? >> mormorò, bloccandosi proprio all’entrata e guardando l’amica - ora insicura.
Quella traballó appena, sbattendo ripetutamente le palpebre e le lunga ciglia finte - che in quegli anni avevano attratto non pochi ragazzi. << Beh… sí, ma posso chiedere di nuovo a mia madre, se ti interessa >> disse, sorpresa dalla sua reazione.
<< No. Va bene così. >> sibiló, funerea, ora lucida come non mai sulla reazione dei suoi genitori quella mattina.
<< Ma non sei felice? Forse questa é la volta buona che te lo porti a letto >> ridacchió Dilara, mentre proseguivano nei corridoi. Angelica la guardò malissimo.
<< Prima cosa, non alzare la voce che qui anche le mura hanno le orecchie. E seconda cosa, io non voglio portarmi a letto proprio nessuno.
Terzo, quando torniamo da questo bel viaggio verso il Mattatoio, si sposa con mia cugina >> uno dei suoi tanti doni era quello della sintesi - e dopo aver ascoltato con la propria voce il riassunto che altri non era la sua vita di merda in quegli ultimi mesi, si recò verso la classe di Biologia, venendo inseguita da una Dilara - quella volta - a corto di parole. 


 
***
<< Vuoi? >>
Appena finite le lezioni, Angelica e Dilara erano al solito posto che occupavano ormai da quando si erano conosciute al primo anno - per caso - quando erano scoppiate a ridere all’unisono in faccia al professore di Chimica, quando sedendosi gli si era strappato il pantalone proprio ad altezza sedere.
Forse una taglia in più non avrebbe fatto di sicuro male.
<< No. >> rifiutó Angelica, evitando con uno sguardo la sigaretta che le stava offrendo l’amica. E anche i suoi occhi chiari e limpidi - a volte superficiali, ma spesso capaci di leggerle così in profondità da farla sentire male.
<< Oh, andiamo, bambolina. Smettila con questo muso! >> sbuffó allora l’altra, infastidita dal suo mutismo. Angelica alzó gli occhi al cielo per quel ridicolo nomignolo che si portava indietro dall’asilo. 
<< Non ho nessun muso >>

Dilara stavolta sghignazzó in modo maligno, tirando dalla sigaretta e fissando con la coda dell’occhio alcuni suoi compagni di classe, raggruppati ancora ai cancelli della scuola.
<< Io credo che questa sia una buona opportunità per te. 
Niente stupidi schemi, fratellastri o i tuoi no, no e no. >> disse, quasi ipnotizzata. E Angelica per un attimo si zittí. Effettivamente quella volta Dilara aveva ragione.
Quella poteva essere una buona chance per ricominciare, magari per essere qualcuno che non era… lei. Si era data così tanto da fare in quegli anni che non aveva mai dato ascolto a ciò che sentiva dentro e forse quella era la volta buona per essere qualcun’altra. 
Dare ascolto a ció chi era veramente…
<< Certo che innamorarsi del proprio fratellastro é un gran bel cliché da romanzi rosa >> borbottò, odiando anche solo la tipica situazione in cui si trovava e che avrebbe preso in giro in caso contrario.
<< Te lo fossi almeno scopato… >> sbuffó Dilara e Angelica scoppió a ridere, scuotendo la testa.

Effettivamente forse era l’unica di tutte quelle che conosceva ad essere vergine. L’altra se non con cinque, ma almeno con tre ci era stata sicuro -ma gli altri due erano sempre stato un mistero, perché ne aveva parlato poco e niente, cosa abbastanza strana per lei che aveva la bocca larga quanto una betoniera. 
<< Sai, come l’inizio dei film sui siti porno, dove tu gli chiedi aiuto nello studio e poi… >>
Angelica non la lasció finire, perché le tappó la bocca con una mano - rossa come un peperone. << Smettila! Sei terribile >> disse, sicuramente più leggera di quella mattina.

Forse proprio per quel motivo erano così amiche; lei era quella parte che la completava, che la rendeva felice - frivola, superficiale, libera.
E quello la salvava ogni volta, ogni singolo istante dove pensava che non ne valesse la pena. Era lei, lei, che ne valeva la pena.
<< Fossi cosí terribile sarei già riuscita a farmi tuo fratello >> sbuffó Dilara, facendo l’ultimo tiro di sigaretta per schiacciarla sotto le scarpe.
<< Ah, tu e Etzel! Ma cosa ci trovi in lui? Sai che spesso e volentieri evita di farsi la doccia? E mette anche le dita nel naso? É praticamente l´antisesso >> 
Dilara le scoppió a ridere in faccia, incredula << Certo che se dovesse affidare a te la sua vita sentimentale, rimarrebbe vergine e single a vita >> rispose, scuotendo la testa.
Angie sogghignó. Era proprio vero. Sapeva di essere veramente cattiva in certi casi, ma anche quando Etzel portava qualcuno a casa, lei faceva di tutto per rovinargli i piani. Forse perché sapeva che Dilara gli moriva dietro, anche se lei stessa non faceva una vita da suora, ma le disturbava il pensiero che lui potesse spezzarle il cuore così. 
<< Lascialo perdere e sarai felice. Non vorrei davvero dovergli fare male o i miei dopo ne farebbero il triplo a me >> disse, anche se in fondo sapeva di essere la preferita, visto che era l’unica femminuccia e pure la più piccola.
<< Come no. L´unico modo con cui ti ferirebbe tuo padre é con la carta di credito, per sbaglio. >> e con quello il discorso si concluse, lasciandole con le gambe a penzoloni e gli occhi rivolti verso il cielo.
Occhi che, in compagnia l´una dell’altra, sembravano più leggeri.

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