STELLE

di Moby9090
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LIVIDI ***
Capitolo 2: *** DISCIPLINA ***
Capitolo 3: *** SORRIDERE ***
Capitolo 4: *** SOPRAVVIVERE ***
Capitolo 5: *** ACQUA ***
Capitolo 6: *** SOLLIEVO ***



Capitolo 1
*** LIVIDI ***


 LIVIDI 


 
 
Si risvegliò totalmente spossata, il caldo torrido di quelle giornate la stava uccidendo, persino il letto sembrava una brace. Aveva sognato di essere rincorsa da un gigante. Bene.
Guardò fuori dalla finestra, era ancora notte fonda.
-‘Uff, che noia’- pensò la mora togliendosi le lenzuola appiccicose di dosso.
Sebbene fosse stata sempre ligia agli ordini da seguire, come ore di sonno e sveglia, delle volte non riusciva proprio a chiudere occhio e, come ormai faceva da qualche notte, si diresse verso l'esterno della base militare. Respirare un po’ di aria fresca la tranquillizzava parecchio quando i suoi pensieri più cupi cominciavano a tormentarla, soprattutto nell’ultimo periodo.
Cosa sarebbe ancora potuto accadere alle loro povere vite? Avrebbero, un giorno, raggiunto un equilibrio? O avrebbero continuato a lottare fino allo stremo delle forze senza ottenere un minimo cambiamento? Le battaglie si facevano sempre più difficili da superare, e lei cominciava ad avvertirne il peso, giorno dopo giorno, sulla sua pelle… O forse, sul suo cuore?
Sentì un leggero rumore alle sue spalle, ma preferì non muoversi, così non l’avrebbe notata nessuno (anche perché, essendo solo in vestaglia, la cosa sarebbe stata abbastanza imbarazzante). Dopo poco se ne dimenticò, aprì silenziosamente il grande portone all’ingresso dell’edificio, scese le scale di legno che portavano al cortile, e vi si sedette sopra. Un timido venticello le sfiorò il viso imperlato di sudore, e i capelli cominciarono a sparpagliarsi umidicci su di esso.
Stese le sue gambe stanche e le osservò: magre, chiare e piene di lividi.
Dopo poco avvertì di nuovo quel rumore, sentendo chiaramente il legno cigolare sotto il peso dei passi di qualcuno che la stava raggiungendo. Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che fu richiamata da un individuo alle sue spalle.
- “Hey Ackerman, torna a letto.” - quella voce. Per l’amor del cielo, poteva lasciarla in pace almeno di notte? Dopotutto, quello, era anche il suo tempo libero!
Cominciò ad alzarsi, ma si fermò non appena vide il Capitano Levi prendere posto al suo fianco. Era in canotta!? Sudato?! Allora non era l’unica a patire quell’inferno!
- “Capitano, mi deve scusare, sono uscita a prendere una boccata d’aria… Ecco perché sono qui, adesso tornerei dentro...” - disse silenziosamente lei, in procinto di alzarsi e mantenendo lo sguardo basso.
Lui non rispose, puntando gli occhi al cielo. Il suo viso pallido era illuminato ancora di più dalla luna piena che vi era quella notte. Scorse delle leggere occhiaie, ma il suo sguardo vivo e un po’ sinistro che lo caratterizzava era lì, ad analizzare le stelle.
- “La prossima volta che hai idee simili, abbi almeno l’accortezza di uscire vestita in modo adeguato. Ricorda il tuo ruolo e dove ti trovi.” - fece lui squadrando le sue gambe.
Fino al giorno prima, durante le sue passeggiate notturne, aveva sempre indossato la divisa. Ma, quella notte era così calda, e soprattutto così presto, che non avrebbe mai potuto pensare di incontrare qualcuno.
Eppure, osservò la mora, anche lui era in canotta. La legge non era forse uguale per tutti?
‘È comunque più vestito di te, cara Mikasa’, pensò poi la giovane.
Rossa in viso riuscì ad abbozzare solo delle misere scuse: - “Mi dispiace, torno subito a letto. Buonanotte capitano.” - lo guardò ancora una volta e corse via.
In altre circostanze, ed altre vesti, avrebbe sicuramente risposto a tono a quell’ordine, ma quella sera si era sentita profondamente imbarazzata e turbata. Il capitano l’aveva redarguita per rispetto verso le regole, o per proteggerla da occhi indiscreti? Aveva per caso guardato le sue gambe?
Effettivamente di donne se ne vedevano poche in giro, e il loro corpo militare era composto prevalentemente da uomini.
Sicuramente, rifletté lei, voleva proteggerla da occhi indiscreti e, convinta di questo, si incamminò verso la sua stanza.
Confusa da mille pensieri, si mise finalmente a letto, dove, riosservando le sue gambe nude, pensò a come sarebbero state senza quell’infinità di lividi.
‘Dormi Mikasa’









Salve gente, questa è la prima volta che mi cimento in una fanfiction. Ho scoperto da poco l’Attacco dei Giganti e ne sono rimasta piacevolmente colpita. È solo una prova, mi piacerebbe continuare a scriverla, ma vorrei avere qualche dritta da voi! Qualsiasi dubbio, curiosità o errore da farmi notare non esitate a scrivere. Sono iscritta ad EFP dal 2012 e solo ora trovo l’ispirazione, quindi grazie anche a chi legge solamente!

AGGIORNAMENTO: CAPITOLO REVISIONATO. 

 

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Capitolo 2
*** DISCIPLINA ***


DISCIPLINA
 


 
 
L’alba era finalmente giunta, e con essa gli uccellini che cinguettavano al di sopra dei tetti della base. La finestra semi aperta permetteva alla luce dei primi raggi di sole di entrare nella piccola stanza, e posarsi sui volti delle guerriere dormienti. A questo punto, potevano definirsi tali, in quanto l’epiteto ‘donna’ sarebbe stato riduttivo, per delle macchine da guerra come loro. Una delle tre emise uno sbadiglio scomposto, e si buttò giù dal letto, provocando un tonfo che destò le altre due.
- “Buongiorno donzelle! Una nuova giornata è arrivata! È ora di darsi una mossa! Sveglia!! - gridò la brunetta.
Mikasa sbuffò scocciata, odiava sentire la voce acuta della coinquilina appena sveglia. Tuttavia, quello squillare, soprattutto nell’ultimo periodo, l’aveva aiutata a destarsi più e più volte da quel sonno catartico che ormai l’aveva colpita da quando…Da quando Eren era fuggito senza dare più notizie. Dov’era andato? Che fine aveva fatto? Stava bene? Sospirò rumorosamente, e si avviò verso il bagno. Forse, lavandosi, avrebbe rimosso la sporcizia provocata da quei pensieri ossessivi, che ormai la torturavano da giorni.
-Sasha per carità, fa silenzio! Non possiamo dare spettacolo ogni mattina…Dobbiamo dare il buon esempio alle nuove reclute! - esclamò una figura occhialuta alle sue spalle. Poi continuò: - “Tra poco sarete delle donne adulte, non potete comportarvi come delle ragazzine! Disciplina! - detto ciò, si alzò dal letto dirigendosi ai bagni.
Il caposquadra Hanjie ormai dormiva con loro da un bel po’, l’ultimo scontro a Shiganshina aveva acuito il suo senso di solitudine. Non vi erano più donne della sua età nel corpo di ricerca e sicuramente dormire col Capitano Levi non sarebbe stata la soluzione giusta. Quindi, aveva, a malincuore, deciso di dividere la stanza con Sasha e Mikasa, sebbene volesse evitare di avere ulteriori complicazioni di tipo sentimentale, viste le precedenti perdite.
Le ragazze del centoquattresimo, ormai, avevano guadagnato una certa fiducia nel Corpo di Ricerca e, con loro, trascorreva la maggior parte del suo tempo. Sia durante i periodi di riposo, che durante i lunghi giorni in battaglia. Ognuna, col proprio carattere e con la propria storia da difendere e, impegnate, per un unico obiettivo. Salvare Eldia. Già, così sembrava davvero chiamarsi il loro mondo.
Finita la doccia, si vestì per dirigersi in ufficio, dove aveva da ordinare alcuni rapporti. Prima però, si raccomandò con le giovani di farsi trovare pronte per le sette, dopo aver fatto colazione. Si sarebbero allenate con i nuovi dispositivi, come ormai facevano da tempo, in attesa del prossimo scontro.
***
Mikasa e Sasha uscirono per l’allenamento, raggiungendo il resto dei loro compagni: l’aria si faceva già torrida. Salutarono il resto del gruppo, tra cui Armin, Connie e Jean. I ragazzi sembravano abbastanza tranquilli, scherzavano e ridevano serenamente tra loro.
Mikasa decise di levare la giacca con lo stemma del Corpo di Ricerca, per rimanere in camicia. Stava cominciando a odiare quelle temperature altissime, che si aggiungevano, tra l’altro, a quella serie di cose che la torturavano in quel periodo. Osservò la folla di fronte a sé, quante nuove reclute! Ricordava benissimo i suoi primi giorni in quel nuovo mondo, pieni di interrogativi, di sorprese, ma, forse, meno consapevoli di quello che sarebbe successo.
Il peso della consapevolezza lo sentiva forte sulle spalle, come anche il peso delle perdite, delle rinunce e delle sconfitte.
- “Soldati, in postazione!” - gridò il Capitano Levi, in piedi su di un palchetto di legno, in modo tale che tutti potessero sentirlo e vederlo. In altre circostanze avrebbe riso di gusto nel vedere tale spettacolo.
‘Eccolo qui il nanetto impertinente!’ pensò la ragazza.
Poi continuò: - “Gli allenamenti di quest’oggi saranno corpo a corpo. Inoltre, ci serviremo di armi trafugate da Marley. E non ammazzatevi, avrete il tempo e l’occasione giusta per morire. A mezzogiorno vi voglio lavati e sistemati in mensa. Forza, non c’è tempo da perdere. – affermò severo il capitano.
Una volta finito il discorso, fece un cenno a Mikasa, ordinandole di seguirlo. La giovane ne fu inizialmente sorpresa, ma poi ricordò l’accaduto della notte precedente e non poté fare altro che acconsentire all’ordine del suo superiore. Mentre lo seguiva, notò che nemmeno lui indossava la giacca.
‘Ci risiamo Mikasa. Smettila di osservare il tuo capitano… Tra l’altro prima di essere sicuramente punita!’
Entrarono nel suo ufficio, Levi la fece accomodare su una delle sedie di fronte alla sua scrivania. Alcune gocce di sudore le imperlavano la fronte. L’aria si stava facendo davvero pesante. Il Capitano, si sedette a sua volta accavallando le gambe, com’era solito fare. Dopodiché, cominciò a fissarla, tamburellando le dita sul grande tavolo di legno.
- “Dimmi Mikasa, come stai?” - chiese poi, lo sguardo sbieco a scrutarla.
- “Bene, Capitano” - rispose non troppo sicura.
-Stai dicendo la verità?” - insistette lui, sistemandosi meglio sulla sua sedia.
- “Certo che sì, Capitano. - la ragazza non andò oltre, non aveva davvero voglia di discutere.
- “Ho notato che nell’ultima settimana, durante la notte, esci sempre all’esterno… Hai qualche problema di sonno? Le tue compagne non ti permettono di riposare? – domandò Levi.
- “I-Io…” -
- “Tu?” -
- “N-non riesco a dormire bene in questi giorni… Ma non è colpa di Sasha o del Caposquadra Hanjie, è un problema mio” - ammise omettendo qualcosa. Nel mentre, continuò a fissare un punto sulla parete, in modo tale da non incrociare lo sguardo del suo superiore.
Lui si alzò, dirigendosi verso la finestrella in fondo alla stanza, scrutò le reclute che si allenavano e poi, lentamente, si voltò verso di lei raggiungendola. Mikasa era ancora rivolta verso la scrivania, ma lo sentì arrivare alla sua sinistra. Poi lui si fermò, abbassandosi alla sua altezza:
-Hey Ackerman, so quello che ti lega a quel marmocchio di Eren, ma ormai non possiamo farci nulla. Quel dannato prima o poi si farà vedere. Quindi stai tranquilla, avrai tutto il tempo per proteggerlo. Ma se continui così, non riuscirai a combinare proprio un bel niente. Togliti le tue stupide fisse dalla testa, allenati, riposa. Recupera la tua disciplina o sarai tu la prima a cadere. E poi, non vorrei vederti morire di crepacuore per non essere riuscita a parare il culo a quel moccioso di merda.” -
Moccioso di merda. Poteva metterseli in quel posto i suoi monologhi del cazzo. Non capiva. Proprio non ci riusciva. La ragazza, rossa in volto dalla rabbia, le lacrime salate che fuoriuscivano veloci dagli occhi, si alzò di scatto, stringendo la camicia del capitano nel pugno destro. Lo strattonò a sé mantenendo comunque una certa distanza:
- “Lei… Tu non capisci cosa io stia passando, dannazione! Sono giorni che non vedo Eren e l’unica cosa che posso provare è disperazione.” - strinse i denti - “Disperazione perché non posso sapere cosa sta facendo, come sta! Lui è importante per me, se lo ricordi.” - cominciò a piangere più forte, lasciò la camicia di Levi e si accasciò sul pavimento. Che figura pietosa…
Il Capitano la osservò dall’alto alquanto schifato. Non poteva credere che una delle guerriere più serie e tenaci che avesse mai conosciuto potesse ridursi in uno stato simile, per colpa di un ragazzetto con la “fortuna” di avere tra le mani un potere troppo grande, e la “sfortuna” di una responsabilità enorme.
Mikasa aveva le mani piantonate al pavimento, versava lacrime come se fossero acqua corrente.
- “Stai sporcando il mio pavimento ragazzina” - mormorò infastidito Levi, prima di tirarla su per capelli e prenderle il mento con una mano. Quella sciocca non si reggeva nemmeno in piedi.
- “Innanzitutto, vedi di darti una regolata. Dannazione, sei pur sempre un militare! Per quanto riguarda stanotte, sei in punizione. Oggi pulirai e sistemerai il mio ufficio da cima a fondo senza pranzare. Al mio ritorno, questa sera, dovrà essere tutto in ordine. Secondo, odio i piagnistei e soprattutto chi non è avvezzo, solitamente, a questo genere di esternazioni. Non sai frignare, quindi adesso alzati e datti una mossa.” - detto ciò, la lasciò cadere nuovamente a terra. Si pulì le mani e uscì fuori dalla stanza come una furia.
‘Cara Mikasa, il capitano ha ragione. Il tuo obiettivo è proteggere Eren, ma, in queste condizioni, saresti solo mangime per i nemici.’
Si rialzò, asciugò le sue lacrime e cominciò a sistemare quell’ufficio, sebbene fosse già quasi del tutto in ordine…
Mentre rassettava la libreria, ripensò più e più volte alla sua infanzia: certo, aveva perso la sua famiglia quando era ancora piccolissima, ma era riuscita, grazie all’aiuto di “qualcuno” a ricrearsi il suo piccolo nido. Quel qualcuno che, però, le aveva anche squarciato il petto. E il cuore, che le bruciava così tanto. Chissà se Armin provava i suoi stessi sentimenti, chissà se anche lui era rimasto deluso dall’amico d’infanzia. Ma Eren era sempre stato così, agiva impulsivamente, era testardo e si cacciava sempre nei guai.
Persa ancora una volta in quei pensieri, Mikasa si portò una mano alla fronte. La testa le pulsava come non mai. Poi si girò verso la finestrella in fondo alla piccola stanza, aveva cominciato a piovere. Sperò vivamente che l’aria si rinfrescasse un pochino. Almeno, avrebbe evitato ulteriori uscite notturne e, ulteriori punizioni.
***
Si fecero le cinque del pomeriggio, l’ufficio era completamente pulito. Però, doveva aspettare il ritorno del Capitano, che le avrebbe permesso di andare in sala mensa per la cena. Aveva proprio fame, ma si sentiva anche profondamente stremata.
Le poche ore di sonno, il digiuno e la fatica la costrinsero a sedersi su una poltrona in un angolo della stanza; poggiò un gomito su uno dei braccioli, reggendosi la testa pesante con una mano. Pensò di rilassare un attimo gli occhi, forse, si sarebbe sentita meglio. Li chiuse, provando una sensazione di piacere indescrivibile, ma poi crollò inavvertitamente in un sonno profondo.
***
Nel frattempo, il Capitano Levi aveva concluso con i suoi impegni giornalieri. Da quando Erwin non c’era più, le scartoffie erano diventate tutte sue. Hanjie le compilava e lui le riordinava per spedirle al “quartier generale”. Cominciò a dirigersi verso il suo ufficio, ma ebbe il desiderio impellente di una bella tazza di tè caldo.
La pioggia aveva risvegliato in lui sensazioni fredde, per cui, quella deliziosa bevanda ci sarebbe stata benissimo a quell’ora (sebbene le temperature fossero ancora elevate).
Ordinò ad una recluta di portare del tè nel suo ufficio, specificando che avrebbe avuto bisogno di due tazze. Aveva lasciato Ackerman a pulire il suo rifugio personale senza grandi motivazioni e, sicuramente, aveva almeno bisogno di idratarsi dopo una giornata a digiuno. Dopotutto, non era mica un ostaggio. Certo, l’aveva trovata alquanto discinta e spossata al di fuori del palazzo, ma di certo non era quella la motivazione per la quale l’aveva punita. Il motivo era, come al solito, il suo punto debole, Jeager.
A lui i sentimentalismi facevano schifo, e di donne come Mikasa ce n'erano poche, quindi, vederla in quello stato per colpa di quel babbeo lo irritava non poco.
In fondo, era nel corpo di ricerca per combattere e non per cercare marito. Anzi, proteggere il suo futuro marito, che, però, sembrava ignorarla completamente.
E poi, innamorarsi sul campo di battaglia? Mai! Nel corso degli anni, aveva conosciuto diverse coppie nell’esercito che aspiravano ad un futuro roseo: un matrimonio, una casa, dei figli. Tutti sogni infranti da qualche gigante troppo affamato.
Ma, lui stesso, pur evitando qualsiasi tipo di implicazione sentimentale, aveva sofferto per amore: amore per una sorella, di nome Isabel, e per una compagna speciale, di nome Petra. La prima era morta tragicamente durante la loro prima spedizione al di fuori delle mura, mentre la seconda, era caduta in battaglia contro il gigante dalle fattezze femminili. E poi, aveva perso dei compagni fedeli, degli amici, ed Erwin. Ma il tempo scorreva veloce e bisognava andare avanti.
E anche Mikasa doveva farlo: staccarsi per un po’ da Eren l’avrebbe fatta soffrire, ma, a lungo andare, il suo spirito ne sarebbe uscito più forte. Ne era certo.
Percorrendo il lungo corridoio, in attesa di arrivare a destinazione, si ricordò di aver recuperato la giacca della giovane. La tastò leggermente fra le sue mani, quasi sorpreso di aver potuto compiere un gesto tanto gentile nei confronti di qualcuno. Poi, raggiunse la porta, spinse la maniglia ed entrò nella stanza.
Vi trovò la giovane completamente addormentata su una delle sue poltrone. Poi diede un veloce occhiata all’abitacolo, era splendente. Nel frattempo, gli fu portato il tè. Che profumo delizioso.
Decise di svegliare la marmocchia, quella non era una camera da letto. Ma, mentre si avvicinava, la osservò attentamente: aveva perso qualche chilo, il viso si era sfinato, e aveva acquisito dei tratti più maturi. Poi, lasciò che il suo sguardo cadesse sulla camicia e sulle sue gambe, perfettamente fasciate dalla divisa militare. Mikasa non era più una ragazzina.
Si bloccò spalancando gli occhi: stava davvero facendo degli apprezzamenti su una sua sottoposta, per giunta con qualche anno di troppo in meno? In fondo era un uomo come tutti gli altri. Per quanto potesse essere freddo, distaccato e stronzo, aveva avuto i suoi successi in amore. Ma nessuno sapeva granché di questo suo lato, anche perché, certe cose dovevano rimanere private.







 

Spazio Autrice:
Ciao a tutti, come penso già sappiate, si è conclusa la prima parte della stagione finale de “L’Attacco dei Giganti”. Questo anime ha accompagnato le mie serate da gennaio. Devo dirvi la verità, all’inizio non ci stavo capendo un granché, ma con il passare delle puntate ho vissuto emozioni indescrivibili. Quindi, non aspetto altro che il prossimo anno per la seconda parte della stagione finale! Mi sarebbe davvero dispiaciuto chiudere con AoT così presto.
Per cui avrò il tempo per leggere bene il manga e riguardarmi tutti gli episodi!
Tornando a noi, ecco un nuovo capitolo! Spero vi piaccia… Se trovate errori o incongruenze fatemelo sapere. Aspetto anche le vostre recensioni (mi farebbe davvero piacere ricevere un feedback di qualsiasi tipo!).
Per chi avesse questo dubbio, la mia storia è inizialmente ambientata tra la terza stagione e l'inizio della quarta, precisamente poco prima dell’attacco di Eren a Marley. Mentre, la seconda parte della storia sarà collocata alla fine dell’anime/manga.
Per quanto riguarda la coppia che ho scelto, Mikasa x Levi, sono consapevole che non sia proprio così gettonata, anche per il probabile legame di sangue tra i due, essendo due Ackerman. Ma, non essendoci troppe spiegazioni nell’anime/manga, mi avvalgo del piccolo mistero sulla loro parentela per scrivere questa fanfiction.
Secondo me, Levi e Mikasa hanno tanti aspetti in comune (vissuto, modo di fare). Quindi, eccovi qua una storia su di loro! XD
Detto questo, alla prossima. Un bacio, Moby9090

CAPITOLO REVISIONATO.

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Capitolo 3
*** SORRIDERE ***


 
SORRIDERE



 
 
Si sentiva… in colpa? Fissare le reclute donne non era mai stata una delle sue passioni, soprattutto se queste erano delle ragazzine testarde e petulanti… Ma quella, quella non era una ragazzina normale. No, non lo era affatto. Quella donna davanti a lui era una macchina da guerra, per la miseria!
Strinse i denti. Accidenti, si stava completamente rammollendo.
Da quando Eren aveva deciso di fuggire, la situazione si era davvero fatta pesante per tutti, nessuno escluso. Vivevano costantemente in allarme, allenandosi come matti in vista della prima occasione per cui combattere.
Non che prima vivessero diversamente…Ma, la realtà in cui si trovavano adesso, si era complicata in maniera esponenziale. L’esercito eldiano non aveva ancora compreso quali fossero le reali intenzioni di Zecke, dei Marleyani e persino di quel folle di Eren. Per questo, avevano bisogno di tempo: per riflettere, per organizzare, per chiarire.
Se solo ci fosse stato Erwin con loro, diamine!
Ma chi stabiliva la durata del loro tempo? Sarebbero potuti morire da un momento all’altro in quel cazzo di castello e nessuno avrebbe avuto modo di salvarsi. Ma morire, e come? Ormai nemmeno la morte era una cosa chiara. Come sarebbe avvenuto? Chi sarebbe stato il loro carnefice? Un gigante anomalo? No, quelli non esistevano più a Paradise, in quanto li avevano già sterminati tutti. Forse, sarebbero stati dei civili, magari con dei fratelli, figli e parenti ad attendere il loro glorioso ritorno…
Poggiò la giacca di Mikasa su di una sedia, poi, si mise una mano sulla fronte, dilaniato da quei pensieri ossessivi, finendo per sedersi sulla poltrona accanto a quella della giovane. Accavallò le gambe e incrociò le braccia al petto, quasi a voler aspettare che lei si destasse.
Dopo qualche minuto interminabile, la mora, finalmente, si svegliò.
Mikasa, resasi subito conto di essere stata beccata a dormire, si alzò di scatto, mettendosi sull’attenti. Il nano era comodamente seduto a fianco a lei, ma ciò non lo rendeva meno pericoloso. In fondo, si trattava sempre del Capitano Levi…
Lui, rimase seduto a fissarla, quasi schifato da quel gesto fatto in fretta e furia. Sembrava stanca.
- “Buonasera, Capitano. Ho terminato il compito da lei assegnatomi quest’oggi, posso andare adesso? – chiese lei freddamente.
Levi sbuffò alzando gli occhi al cielo, poi, ignorando la richiesta della ragazza, si alzò, avvicinandosi alla scrivania.
Mikasa, leggermente stranita dalle azioni del capitano, rimase immobile, notando che l’uomo le stava porgendo una tazza ancora fumante di tè. Ciò significava che non doveva essere arrivato da tanto.
‘Che fortuna’ pensò.
La ragazza accettò la bevanda e cominciò a sorseggiarla, ma si riscoprì assetata come non mai. Doveva ammettere che era proprio deliziosa, e, quel leggero sapore fruttato, le ricordava i pochi momenti sereni durante le loro prime spedizioni. Quando lei e tutti i suoi compagni del centoquattresimo si ritrovavano a bere un tè caldo, ancora molto piccoli, scherzando di fronte ad un camino, o ai tizzoni ardenti di un fuoco ristoratore, magari in mezzo a qualche bosco sperduto. Sorrise impercettibilmente, ma quella tazza terminò velocemente, così come il flusso dei suoi ricordi.
Alzò lo sguardo verso Levi, che nel frattempo le faceva compagnia sorseggiando la sua tazza con una lentezza disarmante: sembrava abbastanza provato, le occhiaie della notte precedente non erano affatto sparite. Poi, decise di interrompere quel silenzio imbarazzante.
- “Grazie, Capitano. Ne avevo bisogno, m-ma forse non è un po’ troppo caldo per bere del tè?” - sorrise imbarazzata lei, nuovamente accaldata.
‘Da quando ti piace fare battute, Mikasa’ pensò, sorpresa dalle parole che le erano uscite di bocca.
- “Al tè non si dice mai di no. - rispose infastidito il moro. – “In ogni caso, ho solo rallentato i tuoi processi biologici. Tra poco sverrai, se non metterai qualcosa sotto i denti. Va’ in sala mensa, ti ho fatto lasciare da mangiare. Domani pomeriggio però, dopo l’allenamento, torna qui in ufficio, dobbiamo chiarire alcune cose.” - fece lui serio.
- “Non mancherò, Capitano” -
- “Mikasa” - lei lesse un po’ di indecisione nel suo sguardo.
- “Cosa?” -
- “La tua giacca” - fece poi Levi, indicandola con lo sguardo.
- “G-grazie Capitano, a domani…” - prese la giacca ed uscì correndo. La temperatura del corridoio era molto più vivibile rispetto a quella infernale dell’ufficio del suo superiore. Raggiunse finalmente la cucina, dove trovò i suoi amici: Connie ed Armin stavano terminando di sciacquare delle stoviglie, mentre Jean e Sasha stavano discutendo su chi dovesse lavare il pavimento.
- “Hey Mikasa, tutto bene? Sembri appena uscita dai lavori forzati!” - fece Connie, mentre cercava di togliere una brutta incrostazione da una posata.
Armin, invece, la raggiunse con il suo solito sguardo comprensivo, le mani ancora umide, ad indicarle il piatto lasciato per lei dopo pranzo.
Il biondo la seguì a tavola, sedendosi al suo fianco. La giovane non disse nulla, cominciando a divorare il piatto come se non avesse mai visto cibo. Si sentì subito meglio. Almeno non l’avrebbe data vinta al Capitano, che aveva profetizzato un suo svenimento di lì a poco.
La tristezza un po’ le era passata, ma una brutta sensazione si era nuovamente fatta spazio nel suo cuore. In quel momento, guardò Armin negli occhi: forse, anche lui aveva avvertito lo stesso infausto presagio? Lui la fissò serio, per poi sorriderle dolcemente.
- “Mikasa, se c’è qualcosa che non va, io sono qui. So bene quanto tu stia soffrendo, ti ascolto.” - fece timido il biondo.
- “Ho solo una brutta sensazione, tutto qui. - rispose lei, con lo sguardo perso nel vuoto.
Il ragazzo le mise una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarla.
- “Qualsiasi cosa accada, io ci sarò sempre! - le sorrise candidamente, ancora una volta.
E ancora una volta, quel giorno, era sull’orlo di una crisi di pianto. Decise che avrebbe evitato, almeno di fronte ad una delle persone più importanti della sua vita e, soprattutto, di fronte ai suoi compagni, che credevano in lei più di chiunque altro.
Quindi, sorrise lievemente al biondo che, vedendola più serena, la lasciò al suo pasto. Mentre portava il cucchiaio alla bocca, notò che Jean si stava avvicinando a lei: prese una sedia, la girò al contrario, e le si sedette di fronte. Si mise ad osservarla mentre mangiava. Un tempo, un gesto del genere le avrebbe dato fastidio, ma capì che quello, era solo il suo personale modo di tenerle compagnia.
 Doveva ammettere che era maturato parecchio, da quando lo conosceva. E poi, si, quei capelli leggermente più lunghi gli stavano decisamente bene. Già, era diventato proprio un bel ragazzo. Sebbene i primi anni le avesse fatto una corte spudorata, lo aveva sempre rifiutato, per ovvi motivi. Ma non l’aveva odiata, aveva invece continuato sinceramente a fare il tifo per lei, in ogni occasione.
- “Tutto okay col Capitano, Mikasa?” - chiese incerto Jean.
- “Certo che sì, mi ha punita perché ieri gli ho risposto male, dopo l’allenamento.” -mentì la giovane.
- “Ormai lo conosciamo da anni, dovresti aver capito com’è fatto!” - rispose il giovane, ridacchiando leggermente.
- “Anche lui dovrebbe aver capito come sono fatta io. Cerco di trattenermi, ma è più forte di me” - alzò scocciata gli occhi al cielo, mentre ingoiava l’ennesimo boccone succulento.
- “Ah, va bene, come non detto.” - Jean alzò le mani in segno di resa – “In ogni caso, ti credo. Se il Capitano dovesse darti ancora fastidio, non esitare a chiamarmi. Ti aiuterò a punirlo come si deve, quel nano. Pestarlo, è il mio sogno da quando ho messo piede nel Corpo di Ricerca. - sorrise sghembo Jean, dimenticando per un attimo il momento delicato in cui si trovavano.
- “Credo sia il sogno di tutti, qui dentro!” – si intromise Connie, mentre lucidava l’ennesima forchetta.
- “Hey Jean, vedi di non importunare Mikasa! Potresti, invece, tornare qui ad aiutarmi, e smetterla di chiacchierare come una vecchia pettegola? Sai, mangiare è la cosa più importante da fare dopo una giornata impegnativa, quindi, non romperle le scatole, brutta faccia da cavallo che non sei altro!” - urlò inviperita Sasha, mentre cercava di stricare una mattonella sporca.
Jean, profondamente risentito da quell'insulto, strinse i pugni e digrignò i denti. Maledisse mentalmente quel babbeo di Eren, che anni prima gli aveva affibbiato quell’insulto spregevole. Poi, si alzò, e rimboccandosi le maniche, riprese lo straccio che aveva abbandonato poco prima, tornando a stricare il pavimento della mensa.
Nel mentre, pensando a chi avrebbe dovuto giudicare il suo operato, diventò rosso dalla rabbia, e cominciò a sputare insulti ad alta voce.
- “Anni ed anni di allenamento, centinaia e centinaia di giganti squartati, per cosa? Per fare la sguattera? Quel fottuto Levi è un dannato, per la miseria. Quell’essere sottosviluppato continua a schiavizzarci per soddisfare la sua fissa per la pulizia. Uff.” - continuò, facendo il verso al Capitano: - “Le nuove reclute non hanno tempo per imparare l’arte della pulizia, quindi è compito vostro!” -.
- “Spero non chieda alle sue amanti di igienizzarsi a fondo, prima di farle entrare nel suo letto” - continuò Connie, con un sorriso perverso sul volto.
- “Perché, secondo te, quel babbeo ha delle amanti? Secondo me, quello non ha mai nemmeno sentito l’odore di una…” - Jean stava per terminare, ma fu interrotto da un Armin un po’ troppo imbarazzato.
- “Hey ragazzi!” - fece lui grattandosi la testa – “Dovreste smetterla di dire queste sciocchezze, potrebbe sentirci qualcuno…” - continuò paonazzo.
Effettivamente, pensò Mikasa, se qualcuno li avesse sentiti, avrebbero certamente fatto una figuraccia.
Poi, Sasha si piazzò alle spalle di Armin, la faccia scura e un sorrisino ambiguo sul volto.
- “Uhm, Armin, ma quanto sei pudico… In fondo è una cosa normale, sono certa che il capitano si rotoli nelle lenzuola con qualche nuova recluta. A meno che, non sia davvero tutto d’un pezzo.” - si mise il mento tra le dita pensierosa, mentre il biondo moriva dall’imbarazzo – “Ma preferisco escludere la seconda opzione. Chissà com’è, diciamo, in certe situazioni, ehm insomma, nudo! Beh, se è bravo come in battaglia, chissà come destreggia bene, ecco, in altri territori nemici, la sua lama…” -
La bruna scoppiò in una fragorosa risata, per quel pensiero proibito fatto a voce altra. Armin, da parte sua, cercò il più possibile di tapparle la bocca. Sasha era proprio incorreggibile!
Anche gli altri due ragazzi nello stanzone risero come matti, tranne Mikasa. La sua mente aveva cominciato ad immaginare una possibile scena in cui Levi vestiva i panni di amatore. La sua lama? Ah, si sentiva proprio una pervertita. Mise una mano sulla fronte, mentre alzava gli occhi al cielo.
Ma cosa stava succedendo a tutti quanti? Era sicuramente colpa di quel maledetto caldo.
- “Hey Mikasa, tu cosa ne pensi? - la provocò Sasha, ancora nel pieno delle risate. La mora ebbe la brutta sensazione che quella conversazione non sarebbe terminata lì.
Non rispose, girando la testa verso la finestra che dava sul cortile interno.
- “In fondo – continuò ridendo la sua compagna di stanza – anche tu sai usare bene le lame!” - la brunetta e Connie scoppiarono in una fragorosa risata, mentre Jean e Armin si bloccarono, arrossendo vistosamente. Si fissavano a vicenda senza sapere cosa dire.
Mikasa, paonazza, le braccia incrociate al petto, sospirò profondamente.
“Sasha, se non vuoi che dica al Capitano Levi che sei tu, quella che ruba le salsicce dalla dispensa, chiudi il becco!” - la minacciò la mora.
La ragazza patata sbiancò di colpo, poi, si inginocchiò a lei, chiedendole umilmente perdono. Mikasa, guardandola dall’alto, sorrise candidamente, arruffandole i capelli. Sasha era proprio buffa. Certo, l’argomento la destabilizzava non poco ma, anche solo per un attimo, era riuscita a farla sorridere. Di nuovo. In quell’istante capì di volerle davvero un mondo di bene. Poi, all’improvviso, la brunetta l’abbracciò calorosamente, togliendole quasi il respiro.

***

Quella giornata si concluse con un bel bagno rinfrescante, che sicuramente, le sarebbe servito a distendere i nervi e anche a rilassarsi un po’. Doveva riposare, altrimenti non avrebbe dato il massimo negli allenamenti del giorno a venire. I suoi compagni, qualche ora prima, le avevano riferito che l’indomani, avrebbero testato le nuove uniformi, per verificare se fossero adatte alla grande quantità di movimenti che, dei guerrieri come loro, erano soliti compiere in battaglia.
Aveva sentito dire, dal Caposquadra Hanjie, che si trattava di un materiale super-elastico, recuperato dagli infiltrati Marleyani che collaboravano con loro da un po’.
Uscì dalla grande vasca in legno, prese l’asciugamano, e cominciò ad asciugare il suo corpo. Mentre sfregava la sua pelle, pensò di nuovo ad Eren. Come tutti i suoi compagni, era convinta del fatto che fosse ancora vivo, per cui, viaggiando un po’ troppo con la fantasia, pensò che, in caso di vittoria, le sarebbe piaciuto vivere con lui. Magari in un’accogliente casetta su di una montagna, nel bel mezzo della natura, dove, ogni sera, avrebbero fatto il bagno insieme, avrebbero lavato e curato le proprie ferite di guerra, e forse, avrebbero anche fatto l’amore…
Cavolo! Non aveva mai fatto un pensiero simile prima d’ora. Sapeva di provare un fortissimo sentimento nei suoi confronti, ma non si era mai spinta ad immaginare cose del genere. Tra l’altro, un po’ per via della sua giovane età, un po’ per il contesto in cui si trovava, il loro rapporto era rimasto del tutto platonico. E soprattutto, nella sua mente.
Tra l’altro, nel corso degli anni, il contatto più intimo che aveva avuto con Eren, era stato un abbraccio un po’ troppo lungo. Presa da questi ragionamenti, cominciò a chiedersi se lui l’avesse mai considerata come sua possibile compagna di vita. Sospirò intristita.
Una volta finito di asciugarsi, indossò la vestaglia da notte e si mise a letto. Sasha stava sgranocchiando qualcosa nel letto, Hanjie invece, non era ancora tornata.
Stanca, si addormentò subito: chissà, magari il giorno seguente si sarebbe svegliata davvero in una casetta in montagna, col suo amato Eren.
 
***
 
Il Capitano Levi, visibilmente agitato, batté con forza la porta, uscendo dalla sua camera personale come una furia alla ricerca di Hanjie. Un suo sottoposto gli aveva appena consegnato una lettera: lui si era fatto vivo, e aveva bisogno di loro.
Quella stessa mattina, si tenne una riunione speciale fra i comandanti dei maggiori corpi militari. Discussero per molte ore, pianificando nel minimo dettaglio ogni azione a venire contro il nemico. Ancora una volta, si sarebbero mossi, a difesa della loro unica speranza: Eren Jeager.
Qualche ora dopo, nel tardo pomeriggio, tornò in ufficio. Avrebbe comunicato i piani dell’esercito ai componenti rimasti del centoquattresimo, la sua fottuta squadra.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da qualcuno che bussava alla sua porta.
- “Avanti” -
Era Mikasa. Si ricordò che il giorno prima aveva fissato lui stesso quell'appuntamento, in quanto voleva continuare a fare la ramanzina alla sua sottoposta. Ma, gli eventi della mattinata, lo avevano sconvolto non poco, per cui, se n’era completamente dimenticato. Appena la vide, abbassò lo sguardo, indeciso se rivelarle tutto subito, o aspettare i suoi compagni.
- “C-capitano, m-mi scusi…” – cominciò Mikasa, sedendosi di fronte a Levi, ma si bloccò quando lo vide zittirla facendole un gesto con la mano.
- “Ascoltami bene, questa mattina è arrivata una lettera da Marley e indovina un po’, ce la manda il tuo amato Eren” - la ragazza si alzò di scatto, il respiro affannato e le gote arrossate. Poi si strinse la mano al petto, facendo scorrere qualche lacrima silenziosa dai suoi occhi.
‘Eren, allora, stai bene…’
- “Dice che sta organizzando un attacco a Marley, in occasione di un incontro che si terrà il mese prossimo con le più grandi potenze mondiali. Ovviamente, noi andremo lì per salvarlo e, arrestarlo. Ma tu, ti senti pronta? Sei abbastanza lucida? Possiamo contare su di te, Mikasa?” - fece Levi, guardandola negli occhi.
- “Certo Capitano, potete contare su di me, come sempre. Andiamo a riprenderci Eren!” – affermò sicura la giovane. Poi, ancora con la mano al petto, ma con gli occhi fissi nei suoi, continuò:
- “Ieri mattina non ero in me. Ho accettato quell’inutile punizione solo per rinfrescarmi un po’ le idee, tutto qui. Credo l’abbia capito lei stesso che il compito datomi, sia stato assolutamente inutile, vista la mia posizione in questo esercito. Sono una sua sottoposta, certo, ma non più una mocciosa. Come tutti, ho le mie debolezze, soprattutto se si tratta di cose a cui tengo particolarmente. Eren è la persona più importante della mia vita, è la mia famiglia! E io lo difenderò con tutta me stessa, mio caro capitano. Quindi, a prescindere dal mio ruolo militare, le chiedo di comprendere e rispettare i miei sentimenti…” – fece lei, lo sguardo di nuovo basso, le guance arrossate dal pianto.
- “Solo se rimarrai lucida, Mikasa.” - la interruppe lui, alzandosi in piedi. Poi continuò, raggiungendola: - “Lo farò, se vuoi. Rispetterò i tuoi sentimenti, ma non li comprenderò. Perché non sai nemmeno tu cosa provi per Jeager.” – la sfidò l’uomo, consapevole di aver toccato un tasto dolente.
La giovane voltò la testa verso la parete, infastidita. Non riusciva a dare una misera risposta a quel dannato. Sembrava essersi arreso, eppure…
 



 



…CONTINUA



NDA
Eccomi qui! Dopo un bel po', nuovo capitolo. Credo sia un po' di passaggio, ma descrive un po' l'atmosfera tra i soldati prima della battaglia successiva. In questa parte della storia mi sto rifacendo molto a quello che accade nell'anime, poi, ovviamente, qualcosa cambierà. Per qualsiasi errore, correzione o dubbio, non esitate a scrivermi! Le vostre recensioni sono fondamentali per me! Spero che il capitolo vi piaccia, vi mando un bacio e... Alla prossima! Moby9090

CAPITOLO REVISIONATO

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Capitolo 4
*** SOPRAVVIVERE ***


SOPRAVVIVERE

 

 

- “Visto che non mi rispondi, lo farò io per te. Tu credi che, togliendo quel babbeo ogni volta dalle braccia della morte, un giorno, quando forse tutto questo sarà finito, vi sposerete, avrete dei figli e farete l’amore ogni notte come qualsiasi uomo e donna su questa terra…” –

Mikasa strinse i denti, diventando paonazza per quelle parole così indelicate.

 – “Ma il tuo “uomo” non è uno qualsiasi, lui è un fottuto gigante, che tra l’altro ha pochi anni di vita davanti a sé, e sempre che non si faccia uccidere prima.” – Levi fece un giro attorno a lei, poi continuò: - “Tuttavia, se le cose andassero per il verso giusto, sei sicura che ti vedrebbe come una donna? E non come la sua sorellina protettiva, che cerca continuamente di salvarlo da qualsiasi pericolo? Dovresti cominciare a pensare un po’ più a te stessa, per una buona volta! Al Corpo di Ricerca, al giuramento fatto! Ai tuoi doveri…” – disse il Capitano poggiandole una mano forte sulla spalla.  – “Tu sei una delle guerriere più forti che io conosca, Ackerman! Non dimenticarlo mai.” -.

Mikasa non seppe cosa fu, ma ebbe l’esigenza di abbracciarlo. Agli occhi dei più, quello sarebbe apparso un gesto sconveniente, ma in quel momento, aveva la necessità di stringere qualcuno. Al diavolo la sua fredda maschera, al diavolo i ruoli. Ormai, aveva già toccato il fondo con l’ultimo pianto, e l’unico ad averla vista, era stato proprio lui, il suo Capitano.

E Levi, l'aveva lasciata fare, l’aveva accolta e sorretta. Incredulo, ma fermo e dritto. Gli occhi sbarrati per l’inaspettato contatto, il respiro pesante. Non sapeva dove poggiare le mani, ma la sentiva addosso, tremante e piangente, sicuro che sarebbero state le ultime lacrime di quella maledetta giornata. E poi, l’aveva avvertito, il suo morbido seno poggiarsi leggero sul suo petto. Non avrebbe dovuto, si disse, fare quel pensiero. Eppure, perché non si muoveva? Da quando era diventato così accondiscendente a tali debolezze? Forse un abbraccio ristoratore serviva anche a lui?

Dopo qualche secondo, Mikasa si staccò, asciugando le guance bagnate dalle sue lacrime. Si allontanò, ancora incredula per quel contatto, riprese la sua giacca e uscì da quell’ufficio, quasi come se stesse scappando da un nemico pericoloso.

Levi rimase impalato a fissare la porta che si chiudeva: sentiva che qualcosa di sbagliato stava nascendo dentro di lui, ma cosa?

 

***

Mikasa raggiunse di corsa il dormitorio femminile, aveva le guance totalmente arrossate ed il respiro corto. Il Capitano Levi le aveva fatto un complimento? Doveva odiarlo? Doveva andarne fiera? Non le importava. Era felice, nervosa, elettrica, euforica. Avrebbe potuto spaccare il mondo da un momento all’altro se solo avesse voluto.

Entrò nella sua camera e si gettò sul letto, sorrise, rise di gioia. Si tirò su, e poi si rimise giù. Si sentiva come una bambina che aveva appena ricevuto il suo regalo di compleanno.

‘Eren, grazie. Capitano Levi, grazie’

 

***

Nei giorni seguenti, il Corpo di Ricerca aveva già cominciato a pianificare le operazioni che sarebbero state eseguite a Marley. Certo, questa volta non ci sarebbe stato il Capitano Erwin Smith a guidarli nel loro cammino, ma di sicuro Hanjie Zoe non si sarebbe rivelata da meno.

I componenti del 104° avevano accolto la notizia con una strana calma: dopo diversi anni di vita militare, erano abituati a ricevere sorprese o improvvisi cambi di programma durante le loro missioni. Poi, se il mittente di tali novità era un certo Jeager, le cose si facevano serie, e l’unica scelta era quella di adempiere ai propri doveri.

Le nuove reclute invece, erano in fibrillazione. Non solo avrebbero combattuto al di fuori delle mura, ma l’avrebbero fatto addirittura in un nuovo stato. Così diverso dal loro, ancora così sconosciuto e sinistro. Inoltre, gli era stato comunicato che era consentito uccidere altri esseri umani in caso di pericolo. Eh già, i nemici non erano più giganti puri o anomali, ma dei comunissimi esseri umani come loro.

***

Il tramonto si era fatto spazio in una di quelle tante giornate in attesa della folle lotta che avrebbe innescato il loro compagno di avventure militari. Era bello il cielo fiammante e carico di vita, con quelle sfumature di rosso, arancione e giallo.  

Un tempo le aveva osservate con i compagni della sua vecchia squadra speciale, ma adesso si ritrovava lì, solo, e con qualche anno in più, ad osservare un altro giorno che volgeva al termine. Quanti altri tramonti avrebbe scrutato con i suoi occhi, quante altre sfumature avrebbe carpito e poi, una volta calata la notte, quante altre stelle avrebbe contato?

Levi ricordò che quando era piccolo e viveva nella città sotterranea, aveva desiderato ardentemente di poter osservare il cielo, le nuvole, e tutto ciò che lo avrebbe sovrastato una volta salito in superficie. Viveva ardentemente per scoprire come fosse il mondo lì sopra e anche un po’ per vendicare sua madre.

Le aveva voluto bene, anche perché era riuscita a mettere al mondo un figlio senza l’aiuto di nessuno, facendolo sopravvivere come meglio poteva. Durante gli anni della sua adolescenza e prima giovinezza aveva fatto diverse cose: aveva lottato, aveva rubato, aveva seminato il panico alle sue spalle… Aveva condotto insomma uno stile di vita totalmente opposto a quello che svolgeva adesso, in un corpo militare ufficiale, con delle grandi responsabilità addosso e anche con una fama del tutto rispettabile.

Kenny aveva certamente plasmato in lui la figura del combattente, ma qualcun altro aveva tolto quello stesso dalla melma in cui si ritrovava sepolto. Aveva capito che forse qualcosa di buono c'era in quell’essere ribelle, che forse i suoi occhi blu notte sempre vacui e tristi un giorno avrebbero potuto ardere, e anche per nobili motivi. Erwin era stata la sua ancora di salvezza, e mai avrebbe smesso di ringraziarlo.

Ma il destino aveva continuato a scegliere per lui la strada della disperazione. Si era salvato, si era evoluto, era cresciuto, ma in fondo, chi nasce quadrato non può morire tondo. Di tutti i destini che il fato aveva scelto, gli era capitato proprio quello del capitano del Corpo di Ricerca. Un misto di speranza e sofferenza, due elementi che correvano veloci, ma su due strade parallele, ovviamente.

Decise di scendere dal tetto del castello del Corpo di Ricerca per rientrare dentro e raggiungere la sua stanza. Si era fatto tardi. Salì le scale che lo avrebbero portato al suo piccolo abitacolo e voltò il corridoio alla sua destra. Si sorprese quando trovò la sua collega Hanjie ad aspettarlo dinanzi alla sua camera: la donna aveva in mano una bottiglia e due bicchierini.

La osservò stranito. Non era la prima volta che si presentava alla sua porta per bere insieme, ma dalla morte di Erwin non era mai più successo. Di solito erano loro tre che smezzavano qualche bicchierino durante la notte, magari facendo qualche confessione, architettando qualche piano o sparlando di qualcuno in particolare.

Sarebbe stato lo stesso in due?

-“Che diavolo vuoi quattrocchi di merda?”- sbuffò il moro poggiandosi al muro com’era solito fare.

Lei gli sorrise teneramente indicando la sua stanza.

‘Dio, spero solo non abbia cattive intenzioni’

-“Hey Levi, credo sia proprio la sera giusta per una bella sbronza!”- il moro alzò gli occhi al cielo, poi la brunetta continuò: -“So che il nostro grande Capitano ha bisogno di riposare, ma domani è domenica, quindi…”- fece lei speranzosa.

L’uomo non le rispose. Si diresse verso la sua stanza, prese le chiavi, e aprì la porta. L’abitacolo era immacolato, minuziosamente pulito ed ordinato. Mentre toglieva la giacca, le fece segno di accomodarsi su una delle due poltrone al fianco di un tavolino vicino alla finestra. Hanjie vi poggiò la bottiglia e i bicchierini notando che su di esso vi era un piccolo vaso, con all’interno un fiore di colore viola. Immaginò il nanetto mentre raccoglieva quel fiore: era davvero capace di un gesto simile? Si mise le mani alla bocca ridendo di gusto.

-“Dimmi Hanjie, sei già ubriaca? O sei in astinenza da giganti?” – chiese lui prendendola in giro.

La donna scoppiò a ridere di nuovo, mentre si gettava dispettosamente sul letto del capitano.

-“Hey non cominciare a fare la deficiente! Togliti di lì, i tuoi vestiti sono luridi e puzzolenti!” - protestò Levi.

-“Ho fatto la doccia prima di venire qui, e i miei abiti sono lindi e pinti”- lei gli fece una linguaccia, poi balzò giù dal letto. Si voltò verso il tavolino, afferrò la bottiglia e cominciò a versare il liquido alcolico nei bicchieri. Ne porse uno al moro e poi alzò il suo:

-“Comincio col dirti che il qui presente Comandante Hanjie domani indirà una giornata di riposo per il Corpo. Poi, brindo a noi due, ormai una coppia di fatto, almeno lavorativamente parlando. Infine, questo potrebbe essere il nostro ultimo brindisi, per cui, alla nostra salute Levi! Uuh!” – dopo quel mezzo urletto Hanjie buttò giù il contenuto del suo bicchiere, mentre il collega rimase interdetto per qualche secondo.

Decise infine di accompagnarla, in quanto non voleva dover assistere ad ulteriori spettacoli, visto che la vedeva più rincoglionita del solito. Si mise una mano alla testa. Che matta!

Dopo che ebbero terminato quel breve cicchetto, la donna si mise a sedere su una sedia. Levi aveva l’impressione che avrebbe cominciato un lungo monologo, probabilmente si sarebbe addormentata e avrebbe dovuto prima svegliarla e poi prenderla a calci in culo per rispedirla in camera sua. Che donna pesante. Invece, a dispetto di quanto aveva immaginata, fu molto concisa:

-“Dimmi tre cose che vorresti fare se dovessi sopravvivere, Levi”- chiese Hanjie, assumendo uno sguardo indagatore.

-“Non saprei, non ho troppe pretese…”- rispose lui, accomodandosi sull’altra sedia.

-“Allora penserò io a queste tre cose! E tu penserai a tre cose che dovrei fare io!”- fece lei sorridendogli.

L’uomo incrociò le braccia al petto. Nemmeno Eren in fase preadolescenziale avrebbe mai proposto una sciocchezza simile. Poi, la incitò a parlare.

Hanjie sistemò gli occhiali, schiarì la voce e accavallò le gambe.

‘Questa serata sta davvero degenerando’ pensò lui.

Levi osservò quasi schifato tutti i suoi movimenti, era certo che qualcosa di imbarazzante sarebbe uscito da quella fottuta bocca.

-“La prima cosa che dovresti fare, secondo il mio parere personale, è trovarti una fidanzata”- fece lei ambigua.

-“Sto per cacciarti”- sbottò Levi.

-“Secondo, farti una benedetta scopata! Scaricheresti la tensione accumulata in tutti questi anni” - il moro la fulminò con gli occhi, ma le permise di continuare.

-“Terzo, dovresti diventare padre e formare una famiglia.”-

Famiglia? Partner? Scopata? Levi si ammutolì per qualche minuto. Dopo un po’ sospirò rumorosamente.

-“Hey Hanjie, se sopravviverai, auguro lo stesso a te. Te lo meriti.”-

La brunetta si zittì, tornando seria. Nessuno dei due seppe dire altro. Si erano augurati di sopravvivere, quindi, in altre parole, avevano ammesso di volersi bene a vicenda.

Mentre osservava Hanjie uscire meccanicamente dalla sua stanza, forse ancora un po’ scossa da quello scambio inaspettato, ripensò a quelle tre parole che la collega gli aveva rivolto.

Gli tornarono alla mente delle immagini: una giovane donna addormentata su di una poltrona, una guerriera indomabile e infine, delle lacrime salate che scorrevano rumorosamente.

‘Mikasa’

 

NDA

Buonasera a tutti! Dopo un bel mesetto di assenza, mi è tornata l’ispirazione (ops). Spero vivamente che il capitolo vi piaccia. È successo ancora troppo poco, ma spero che queste righe vi abbiano incuriosito. Un primo contatto, delle belle parole e alcuni momenti di riflessione. Per qualsiasi cosa, non esitate a contattarmi. Aspetto le vostre recensioni. Grazie anche a chi legge solamente.

Un bacio, Moby9090

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Capitolo 5
*** ACQUA ***


CAPITOLO REVISIONATO 
ACQUA


 
Aprì gli occhi improvvisamente, aveva la camicia mezza sbottonata e aggrinzita dal sudore. Sollevando la testa dal cuscino notò una strana macchia: aveva sbavato, proprio come un poppante.
Sbuffò scocciato mettendosi a sedere sul bordo del letto, portò i capelli all’indietro e tenendosi la testa pulsante tra le mani, pensò a ciò che aveva fatto la notte prima per ritrovarsi in quello stato. Mise a fuoco la bottiglia di alcool che Hanjie aveva lasciato in camera sua e ricordò, pentendosene amaramente, di averne ingurgitato volontariamente tutto il contenuto. 
Già, l’aveva fatto perché non voleva rimuginare. In quel periodo la sua mente sembrava essersi inceppata in uno straziante loop di riflessioni. Non poteva descriversi come uno impulsivo, ma nemmeno come un tipo riflessivo e dedito all’eccessiva meditazione su sé stesso.
Eppure, la sera prima, facendo irruzione nel suo habitat come un tornado, Hanjie, con poche affermazioni, aveva fatto centro in molte delle questioni aperte che affliggevano il suo animo: la vita dopo la guerra, l’avere delle possibili relazioni, dei figli... Insomma, aveva considerato la possibilità che potessero sopravvivere e fare cose assolutamente normali…

Sospirò rumorosamente, si alzò dal letto e si diresse verso il piccolo bagno nella sua camera. Cominciò a lavarsi velocemente, cercando di eliminare l’odore dell’alcool, massaggiando il volto stanco e segnato da profonde occhiaie per potersi scollare di dosso quelle angoscianti riflessioni…
 
Dopo aver asciugato accuratamente il corpo, indossò lentamente la divisa annodando con estrema accuratezza il fazzoletto bianco che portava ogni giorno.
Scese giù in mensa cercando di trovare posto per fare colazione. Le nuove reclute erano davvero insopportabili, schiamazzavano continuamente e non capivano cosa fosse l’ordine. Un vero porcile per i suoi gusti.

Volse l’attenzione verso l’ingresso, vide la sua collega quattrocchi dirigersi verso il centro della grande stanza. La donna richiamò l’attenzione dei giovani intenti a consumare i propri pasti sbattendo un povero volume di chimica su di un tavolo del grande refettorio.

- “Buongiorno Corpo di Ricerca! Eccezionalmente per questa domenica, accantoneremo i nostri adorati allenamenti e schemi di guerra per dedicarci a qualcosa che mi sta molto a cuore. In realtà, dopo pranzo, avrete il pomeriggio libero, ma solo se mi aiuterete!” – ridacchiò la donna.

La fulminò con gli occhi. Che diavolo aveva in mente quella pazza?

- “Bene. La tabella di marcia prevede una bella passeggiata nel bosco qui vicino: dovrete cercare una lista di erbe medicali che servono urgentemente in infermeria. Pranzeremo in mezzo alla natura e infine, se qualcuno avrà il piacere di fare questa esperienza, potremo godere delle terme naturali!” –

I commilitoni rimasero in silenzio interdetti. La donna sbuffò rumorosamente alzando gli occhi al cielo.
Levi, invece, sebbene fosse non troppo entusiasta di perdere ore fondamentali da dedicare all’allenamento, si riscoprì interessato all’attività proposta dalla sua collega.
Anni addietro, quando le spedizioni erano ancora fallimentari e allo stesso tempo enigmatiche, si era trovato a dover curare alcune ferite utilizzando delle erbe speciali che aveva imparato a riconoscere nella natura.  

-“E va bene! Questa gita nel bosco non è obbligatoria. Raccoglierò le vostre adesioni entro le otto. Chi non partecipa si godrà una giornata intera di riposo!”-
La donna, consapevole del fatto che quasi nessuno avrebbe partecipato, strinse le spalle e posò un foglio di carta sul tavolo per la raccolta delle firme.
 
Poi, una volta presa la sua razione di cibo, si voltò verso le tavolate. Avrebbe voluto mangiare con le sue ragazze, ma notò un ometto dallo sguardo vacuo in uno degli angoli isolati della grande stanza. Si avvicinò a lui, gli sorrise e si accomodò al suo fianco. Thè e biscotti. Che uomo abitudinario!
- “Buongiorno Levi! – esordì raggiante la donna.
Lui non rispose, continuando a fissare il vuoto.
- “Verrai con me, vero?” - chiese speranzosa Hanjie.
L’uomo rimase in silenzio per qualche secondo, facendo rimanere la donna sulle spine, poi le rispose:
- “Va bene, almeno mi prenderò qualche ora di pausa…” - non aveva altra scelta che accompagnarla. Avrebbe cercato di costringerlo, in caso contrario.
- “Grazie, credo che l’alcool ti abbia addolcito un po’ stanotte!” – affermò ridacchiando la brunetta, mentre ingurgitava avidamente il suo pasto.
-Per caso era liquore avvelenato? Stamattina mi sento uno straccio…- indagò lui con fare inquisitorio.
Hanjie fece un sorrisino sghembo, effettivamente il nanetto non aveva una bella cera…
-Dai Levi, rimani comunque un capitano affascinante! – esclamò la donna facendogli l’occhiolino. Era davvero divertente farlo innervosire, cominciava a sbuffare e diventava tutto rosso.
-Stupida quattrocchi! – sbottò il moro.

D’un tratto notò una figura familiare varcare l’ingresso della mensa. Si avvicinava lentamente a loro, camminava sicura. Non poté fare a meno di non squadrarla da cima a fondo, così fiera, così... Mikasa.
‘Ma cosa diavolo sto pensando. Riprenditi Levi!’
La mora li raggiunse, i loro sguardi si incrociarono, come se fossero calamite.
- “Se il Capitano Levi non ha nulla in contrario, io e i miei compagni siamo lieti di accompagnarla, Caposquadra Hanjie. Ci farebbe molto piacere.” –
- “Certo che non ho nulla in contrario, mocciosa. Ma vi accompagnerò, nel caso doveste perdervi…” - rispose provocatorio lui.
- “Va bene, allora vado. Con permesso” – fece la giovane con tono antipatico.
Il moro alzò gli occhi al cielo infastidito, quella ragazza aveva già recuperato tutta la sua spocchia.

***

La mattinata si prospettava essere meno calda rispetto ai giorni precedenti, la pioggia aveva rinfrescato l’aria e le loro divise erano ritornate ad essere vivibili.
Purtroppo per Hanjie, pochi avevano aderito a partecipare a quella scampagnata domenicale. La maggior parte dei soldati aveva preferito rimanere un giorno in più a letto, visti gli allenamenti e tutte le battaglie che avrebbero dovuto affrontare nei giorni a venire.

Era da tanto che non calpestava dell’erba, o che non percorreva un sentiero alberato… Per quanto fosse un tipo solitario, a Levi non era mai dispiaciuto sentire il canto degli uccelli o riposarsi vicino a qualche fiume in movimento. Lo scorrere dell’acqua aveva un effetto terapeutico su di lui.
Era salito in superficie un bel po’ di tempo prima, ma quando si scontrava con certi paesaggi era come se fosse la prima volta. Inoltre, da quando avevano ucciso tutti i giganti fuori e dentro le mura, poteva permettersi di abbassare la guardia, anche se entro certi limiti…

Come tutti, aveva con sé la lista delle erbe mediche da cercare, che per fortuna conosceva molto bene. Hanjie aveva abbozzato dei piccoli disegni affianco ad ogni nome, in modo tale che tutti le riconoscessero: cardo mariano, acerola, amamelide, boswellia, celidonia e altre ancora.
I migliori nella ricerca furono Armin e Sasha, i quali riuscirono a raccogliere un quantitativo importante di ogni tipologia di erba richiesta. Infatti, ricevettero, per la gioia della brunetta, una doppia razione di zuppa… Alla fine, Hanjie decise di premiare tutti con una bella fetta di torta alle mele. Sebbene fossero tutti entusiasti della mattinata appena trascorsa, c’era un silenzio quasi assordante fra i soldati, interrotto da qualche risata sommessa. Già, tra qualche giorno ci sarebbe stata la grande resa dei conti e a tutti risultava difficile sorridere troppo.

Levi si guardò attorno, poi notò che Mikasa era appena tornata con un sacco di erbe.
- “Scusate, mi sono persa!” - tutti scoppiarono a ridere mentre la ragazza sorrideva imbarazzata, la osservò attento mentre prendeva posto sul telo che i suoi compagni avevano posizionato sull’erba per il pranzo. Mangiò silenziosamente, mentre gli altri si apprestavano già a raggiungere le piccole terme, che distavano pochi metri dal loro accampamento.

Levi decise di avvisare Hanjie, avrebbe aspettato che tutti fossero andati via per fare il bagno. Non aveva intenzione di sopportare nessun ragazzino molesto in acqua. Avrebbe provato a rilassarsi un po’, dopotutto non sapeva quando avrebbe potuto ripetere un’esperienza del genere. Sarebbe stato solo, a riflettere, come al solito, ma in modo più piacevole.


***
 
Nel tardo pomeriggio decise di avviarsi verso le terme, le giovani reclute avevano finito di fare il bagno e la maggior parte di loro si era già messa in cammino verso la base.
Arrivò a destinazione e cominciò a spogliarsi, tolse tutto, tranne le mutande bianche.
Il suo corpo era diventato particolarmente atletico per via degli interminabili allenamenti che lo tenevano occupato da mattina a sera.
Osservò l’acqua: era limpida e fumante, poi controllò che alle sue spalle non ci fosse nessuno e una volta sicuro di essere completamente solo, immerse prima un piede e poi l’altro.
L’acqua era davvero calda, piacevolmente calda.
La sua pelle cominciava ad arrossarsi, un po’strano per un tipo pallido come lui. Poi, dopo aver preso un po’ di coraggio, decise di immergersi completamente. Rimase sott’acqua qualche minuto, si sentì rinato, come se quel liquido stesse rigenerando tutte le sue ferite, soprattutto quelle dello spirito.
 
Uscì di scatto, sistemando i capelli all’indietro.
Attraversando quelle acque così calde, trovò una roccia abbastanza comoda a ridosso della sponda del laghetto e mantenendo metà corpo ancora immerso, si sistemò sdraiandosi tra due scanalature della superficie rocciosa, poggiandovi la testa e beandosi di quel piacevole calore che pian piano lo stava rasserenando.
Piccole goccioline di acqua scendevano veloce attraversando il suo viso, le sue spalle ed il suo torace.
Chiuse gli occhi, sentiva solo il rumore dell’acqua che sgorgava poco distante, il cinguettio di qualche uccello, la sola natura attorno a sé.

CLOMP!

- “Maledizione, quanto è bollente! Ahi! - urlò improvvisamente una voce poco distante da lui –“Che male!” – continuò urlando la stessa voce.
 
Era una donna, non aveva alcun dubbio… Forse Hanjie voleva fargli uno scherzo di cattivo gusto e invece… Sorrise impercettibilmente, l’avrebbe lasciata soffrire nell’acqua rovente.

- “Uffa, mi sono persa per un ciuffo d’erba! Volevo fare il bagno con gli altri!”-

Quando si rese conto che quella voce non apparteneva ad Hanjie, immerse quasi tutta la testa in acqua senza farsi sentire, lasciando fuori solo gli occhi. Ma chi poteva essere allora?
Tra l’altro era mezzo nudo, aveva lasciato i suoi vestiti troppo lontano per andarli a recuperare o per rivestirsi senza essere visto. Diamine! Non vedeva nulla, così, decise di spostarsi ancora un po’.
Improvvisamente sentì un tonfo.
 
AAAGH!

- “Ahi che male!” –

‘Ma è caduta?’ pensò Levi dubbioso.


Uscì completamente dall’acqua, riuscendo finalmente a vedere chi fosse la malcapitata che aveva avuto l’ardire di disturbarlo durante il suo momento di relax. Intercettò una testa mora completamente sommersa dall’acqua.
Comunque, chiunque fosse doveva aiutarla.
 
Si avvicinò alla donna, la prese per i capelli e la tirò fuori dall’acqua, senza alcuna delicatezza. Era Mikasa!
 
Mentre lei si dimenava con gli occhi ancora chiusi per via dell’acqua, Levi, alquanto scioccato dalla scoperta, abbassò involontariamente lo sguardo sulla giovane, scoprendola solo in biancheria intima.
Strabuzzò gli occhi e arrossì fino alla cima dei capelli.
 
La ragazza aprì gli occhi, e con la vista ancora appannata realizzò che era stato un uomo a salvarla:

- “Non mi toccare, chiunque tu sia! Animale pervertito!” -


Offeso da quel tono così maleducato, Levi la lanciò come se fosse un sacco di patate sul prato fuori dall’acqua.

- “Ahi! – fece lei tenendosi le gambe abrase dall’impatto col terreno, poi alzò lo sguardo e finalmente i loro occhi entrarono in contatto.
 
-“Ah è lei! Ough, Capitano, mi ha fatto male!” - esclamò la mora puntando il dito verso di lui, anche se un po’ imbarazzata dal fatto che anche lui aveva solo una pezza addosso.
 
Lui non le rispose, continuando a guardarla furioso per essere stato interrotto e anche insultato dopo averla recuperata, ma soprattutto per essere stato beccato in mutande!
Dopo poco, la raggiunse con fare minaccioso. Prese il suo polso, la tirò su una spalla e la gettò poco elegantemente in acqua. Decise di farle fare qualche immersione. Maledetta cocciuta!


Quando vide che era rimasta senza fiato, la riportò a galla tenendola saldamente per un braccio. Lei, per ripicca, gli sputacchiò dell’acqua in faccia, urlando imprecazioni e dimenandosi affinché la liberasse.


- “Hey signorina, apri gli occhi! Ho delle domande da farti.” - urlò Levi, verso la giovane.
- “Mmmmh” – ruggì lei.
- “Mi spieghi cosa ci fai ancora qui? Non dovresti essere già alla base? Non hai visto la mia roba sul prato? E poi, ti rendi conto di come sei conciata?” -
- “Perché, come sarei conciata?” - rispose Mikasa sfidandolo con lo sguardo.
- “Sei mezza nuda!” - rispose l’uomo sgranando gli occhi.
- “Anche lei!” - strillò lei sbattendo i pugni sul petto dell’uomo che prontamente ne afferrò uno.
Nel dimenarsi, la ragazza inciampò su sé stessa, ma Levi riuscì a salvarla prima che cadesse e si facesse male.
La giovane finì sul petto del Capitano, e lui la trattenne a sé posandole una mano forte sulla schiena.
- “Può lasciarmi?” - sbraitò lei visibilmente infastidita. L’uomo la trafisse col suo sguardo stringendola ancora più forte. Mikasa cercò di liberarsi inutilmente.

Ad un certo punto, Levi notò la spallina del reggiseno della giovane cadere e così, entrambi si resero conto di quanto fossero pericolosamente vicini e di quanto sbagliata fosse quella situazione.
Lei girò la testa imbarazzata, mentre lui rimase imbambolato per qualche secondo.
Risvegliatosi da quel momentaneo stato di trance, attirò ancora più vicino la giovane, e fermando la sua bocca vicino al suo orecchio, le ordinò a denti stretti:
- “Vattene via, subito!” - fece severo lui, notando come entrambi avessero il fiatone.
Aveva gli occhi completamente sgranati, come se lei fosse un nemico in battaglia. E Mikasa li conosceva bene, quei pezzi di ghiaccio.
Ma, prima di andare via da quel maledetto posto lo schiaffeggiò, mettendoci dentro tutto il rancore che poteva avere in corpo.
Lui ringhiò iracondo e diede un calcio all’acqua, aveva dato di matto? Non avrebbe dovuto reagire così… Aveva combinato un casino. Ma perché?


Si mise una mano sulla fronte, ripensando al corpo della ragazza vicino al suo… Troppo grazioso per combattere quelle battaglie così dure, e troppo giovane per un uomo come lui. Cosa? Troppo giovane per lui?
Quei pensieri dovevano assolutamente sparire dalla sua mente.
 
Aveva osservato Mikasa diverse volte in battaglia, e diverse volte si era fermato ad analizzare il suo carattere. Aveva cercato persino di dare una spiegazione al suo atteggiamento nei confronti di Eren. Inizialmente non aveva dato troppo peso a questo suo interesse nascosto. Poi, l’incontro notturno, le loro discussioni, i loro scambi di opinione e ora, questo? Un incontro al dir poco ridicolo. Ma…
Strinse i pugni.
Non solo si sentiva attratto militarmente e mentalmente dalla giovane, ma si era riscoperto turbato dal suo corpo. Turbato dal suo essere donna, e senza che lei facesse nulla per provocare tutto questo.
Era tutto sbagliato.
Lei era troppo pura, lui era troppo marcio dentro.
Lei era già innamorata di un altro, lui l’amore non lo considerava nemmeno.
Lei sarebbe sopravvissuta e lui sarebbe morto.
Fissò il cielo, a furia di pensare, si era fatto buio.
Ma notò un particolare, le stelle brillavano, come quando, qualche notte prima, aveva trovato Mikasa ad osservarle.
 
FINE PRIMA PARTE






 
NDA
Buonasera a tutti, e grazie per essere arrivati fin qui. Ho modificato il capitolo, migliorando alcune parti che personalmente non apprezzavo. Adesso lo trovo più dignitoso rispetto alla versione precedente.
Che dire, siamo arrivati alla fine di questa prima parte, che si posiziona prima della quarta stagione e tutto ciò che ne consegue. La seconda parte ripartirà dalla fine del manga.
Spero di avervi incuriositi ancora e grazie. Questi capitoli sono un’introduzione, la causa di tutto quello che verrà dopo.
 
GRAZIE MILLE E ALLA PROSSIMA!
 
Moby9090

 
 
 


 

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Capitolo 6
*** SOLLIEVO ***


SOLLIEVO
 
 
Erano ormai passati tre anni dallo scontro che aveva coinvolto tutta l’umanità.

Il mondo sembrava essersi tranquillizzato, molte cose erano cambiate, ed in positivo. Certo, non poteva parlarsi di pace assoluta, ma di sicuro quello, sembrava essere un buon inizio.

Aveva appena compiuto trentatré anni, aveva perso due dita, quasi un occhio ed una gamba. Si trovava in una condizione alquanto irritante per uno come lui. Uno che amava la perfezione, la pulizia e l’ordine. Tre elementi che aveva sempre cercato di mantenere su sé stesso e su quello che gli stava attorno.

Negli anni, rimuginandoci sopra, si era ritrovato spesso pentito di non aver compiuto prima quel gesto. Quella condizione di insubordinazione nella quale si era ritrovato braccato aveva sempre fatto vacillare quel desiderio recondito di agire con la sua testa e farla finita, prima che accadessero altri episodi spiacevoli. L’estrema curiosità di Erwin di conoscere la verità dalle labbra del suo nemico lo aveva portato alla morte e quello stesso desiderio svilente inculcato nel suo sottoposto aveva quasi ucciso Levi.

Al termine della grande battaglia fu ricoverato d’urgenza.

Grazie alle conoscenze di Onyankopon fu trasferito in un importante ospedale di Londra. Gabi e Falco si presero cura di lui, andando a trovarlo tutti i giorni e facendo da tramite fra i medici e la regina Historia.

Fu proprio grazie all’aiuto economico di Historia, che riuscì a sottoporsi a diverse operazioni chirurgiche: i medici londinesi gli dissero che il suo occhio destro non aveva completamente smesso di funzionare, ma che in pratica era stato inglobato dai tessuti rattoppati da Hanjie.

Una volta appurati tutti i problemi fisici che lo affliggevano e le possibili cure da applicare, in primis gli furono ricucite le ferite sull’occhio, in modo tale da permettergli l’apertura della palpebra, facendo sì che si riabituasse alla luce, con la speranza che potesse recuperare più vista possibile.

Per quanto riguardava il resto degli squarci sul suo viso, le grosse e ancora fresche cicatrici gli furono disinfettate e suturate con cura. Anche in questo caso, i medici non gli nascosero l’ovvietà del fatto che le avrebbe portate con sé per tutta la vita, rassicurandolo però sul fatto che avrebbe potuto camuffarle grazie a delle cure mediche specifiche.

D’altro canto, se per le sue dita mozzate non vi era stata alcuna soluzione, per la sua gamba spezzata dovette portare un gesso per qualche mese, utilizzando la sedia a rotelle e affrontando successivamente delle sessioni di riabilitazione.

 
***

 
I primi mesi furono tremendi, mangiava poco, aveva spesso la febbre ed il suo umore era pessimo. Viveva come una salma, non rivolgeva la parola a nessuno e a mala pena faceva qualche cenno con gli occhi.

Un anno dopo, ancora in ospedale, ricevette un’inaspettata visita. Era Historia.

La regina, ormai una giovane donna, si era recata al suo capezzale per comunicargli che il suo periodo di cure stava per terminare e che gli offriva un lavoro a vita come Generale Responsabile Superiore delle Carceri dell’Isola di Eldia. E non solo.

Avrebbe ricevuto un ingente risarcimento di guerra, degli onori militari, oltre che uno stipendio a vita.

Quella donna gli stava offrendo una seconda possibilità.

Inizialmente non le aveva dato risposta, era depresso e scocciato. Non aveva ancora rivisto il resto del 104° e sapeva poco e niente della situazione nel mondo.

Era certo che non avrebbe potuto più combattere come una volta e dentro di sé percepiva un vuoto, un qualcosa di inspiegabile che voleva trattenerlo nel limbo in cui si era ritrovato dopo la guerra. Non era sicuro di avere la voglia di ricoprire nuovamente un ruolo del genere, e soprattutto senza sottostare ai comandi di qualcuno. Forse sarebbe stato meglio aprirsi un negozio di tè ed infusi.

Poi, in balia di un’ultima speranza, decise di accettare.

E così, risvegliatosi da quel languido torpore che lo faceva sentire inerme, si trasferì nella capitale, acquistò una casetta in campagna, non troppo lontana dal centro e vicina al cimitero cittadino dei militari caduti in guerra. Quindi, dopo un anno e mezzo di fermo, tornò a lavorare.

A poco a poco, era tornato ad avere una routine giornaliera.

Si svegliava all’alba, svolgeva le faccende domestiche e si incamminava verso il carcere. Lavorava fino alle sei del pomeriggio e poi faceva visita al cimitero. Ogni giorno, cambiava i fiori ai suoi compagni caduti in guerra e un’ora dopo, ripartiva verso casa. Che piovesse o fosse buio a lui non importava affatto. Non mancava mai a quell’appuntamento serale che si era prefissato. La sera, preparava qualcosa da mangiare e, prima di andare a letto, si coccolava con una bella tazza di tè caldo.

Tutto sommato, non gli era andata affatto male. Viveva in una bella casa, aveva ottenuto un buon lavoro, visitava il palazzo reale ogni fine settimana per il consueto pranzo della domenica ed aveva un buon rapporto con Historia e la sua famiglia. Insomma, poteva dirsi anche tranquillo.

Ma no, in realtà non lo era affatto. Era frustrante ritrovarsi a vivere come un umano qualsiasi. Non aveva amici e oltre che svolgere le solite quattro cose al giorno, il resto era tutto spento e irritante. Ogni tanto si occupava di riordinare la biblioteca militare, ma per il resto non aveva alcun obiettivo se non quello di sopravvivere. La sua vita non aveva più tanto senso, era triste, molto triste.

 
***

 
Un giorno, tornando a casa, notò una lettera infilata sotto il portone. Historia, dopo tanti convenevoli, e cercando di essere il più delicata possibile, gli aveva consigliato di mettere su famiglia. Per una serie di svariati motivi: avere una moglie amorevole, dei figli da crescere, qualcuno a cui lasciare il suo cognome e le sue proprietà. Inizialmente fu solo stizzito dalle parole della donna, poi, si riscoprì abbastanza irritato.

A lui, come anche in passato, non erano mai interessati i legami amorosi o familiari. Per cui, sempre per iscritto, inviò a palazzo una risposta alquanto risentita e negativa in merito alla questione sopra citata.

Non voleva nessuna donna accanto, non aveva desideri sessuali tali da doversi sfogare con qualcuno e di certo non aveva intenzione di procreare. Al limite, avrebbe assunto una persona che si occupasse di lui durante la vecchiaia e avrebbe lasciato tutto ai vivi, una volta morto. Poco gli sarebbe importato che fine avrebbero fatto i suoi averi, sottoterra.

Negli anni, aveva, tra le varie cose, sviluppato un senso di rabbia nei confronti dei suoi sottoposti del 104° Corpo di Ricerca. Tranne qualche sporadica occasione, non aveva avuto più modo di parlare con loro, non si facevano mai vivi (escluso Armin con il quale comunicava via posta ogni fine mese), e di certo non doveva essere lui a cercare loro.

Chi non aveva proprio più incrociato era stata Mikasa. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere ad Armin che fine avesse fatto, ed in giro si diceva che vivesse sola e come una contadina nelle campagne di Shinganshina, vegliando ogni giorno sulla tomba di Eren. Per carità, era possibile.

 
***

 
Come ormai faceva da qualche anno, si diresse verso la tomba di Eren. Era solita rilassarsi in sua compagnia nel primo pomeriggio, facendosi cullare dal vento che soffiava su quelle montagne ricche di erba, foglie e grano. Ripensava al suo sguardo, alla sua voce ed a tutti i bei momenti passati insieme. L’avrebbe amato per sempre, il suo Eren. Sarebbe sempre stata la sua colonna portante, la spina dorsale che l’avrebbe sorretta per tutta la vita. Il suo vero e unico amore, Eren.

Poi, però, ogni giorno il cielo si faceva scuro, e doveva tornare alla realtà. Doveva affrontare il fatto di essere una giovane donna sola, in una casa enorme, che cercava di sopravvivere e di andare avanti. In cuor suo, avrebbe voluto solo tornare indietro, ed egoisticamente avrebbe voluto rivivere in loop la sua vita con Eren fino al giorno della sua morte.

Sbuffando, si alzò da terra e decise di tornare a casa. La sua dimora constava di un salotto, tre camere da letto e due bagni comodi. Un alloggio un po’ troppo spazioso per una tipa solitaria come lei, ma l’unico costruito così vicino a lui. Inoltre, dinanzi alla sua abitazione aveva creato un piccolo orto, dal quale ricavava diversi prodotti che impiegava in cucina, proprio come facevano i suoi genitori.

Ma cos’era diventata Mikasa in quei tre lunghi anni? Una povera contadina in passione? Una vedova addolorata in isolamento volontario? Non proprio.

Qualche tempo prima, oltre a ricevere il suo risarcimento per aver partecipato alla grande guerra, Historia l’aveva letteralmente costretta a rivestire nuovamente un ruolo istituzionale: era diventata Responsabile Superiore nel settore delle Immigrazioni sull’isola di Eldia. Insomma, si occupava di controllare chiunque arrivasse sul territorio eldiano.

L’unica condizione che aveva imposto alla regina era stata quella di rimanere nell’anonimato. Purtroppo, la sua figura era diventata oggetto di grande curiosità da parte delle alte cariche dello stato e dei pettegolezzi della gente comune.

Per cui, lavorava per corrispondenza o recandosi in incognito sul posto di lavoro, aveva dei fedeli collaboratori che la informavano sul da farsi e di tanto in tanto si recava a palazzo per comunicare delle informazioni riservate alla regina.

Non frequentava nessuno. Armin era l’unico che l’andava a trovare ogni mese e che passava qualche giorno in sua compagnia. Con il resto dei suoi compagni si sentiva per posta, ma evitava di incontrarli. Per lei era troppo presto. Doveva ancora superare del tutto il suo grande dolore.

Forse, un giorno, sarebbe di nuovo uscita alla luce del sole.

 
***

 
Tornata a casa, una volta raggiunta la porta d’ingresso, notò una lettera col sigillo reale sul pavimento.

Alzò gli occhi al cielo. Historia aveva di nuovo voglia di ciarlare. Sì, quelle lettere private avevano un unico scopo: farle cambiare idea sulla sua prospettiva di vita. In realtà, avevano solo il potere di irritarla e di rovinarle la giornata.

Non aveva bisogno di un marito e nemmeno di un figlio.

Entrò in casa, e dopo essersi tolta il cappotto di dosso, si buttò sul divano, tentando di aprire la busta della lettera. Poi, ne lesse il contenuto ad alta voce:

Cara Mikasa, come stai? Io sto molto bene, ti scrivo questa lettera per informarti che si avvicina il compleanno del mio adorabile bambino. So che non hai voglia di vedere o sentire nessuno, ma sarà una festa privata. Mi farebbe tanto piacere che tu partecipassi, almeno potrei finalmente farti conoscere mio figlio. Ti aspetto tra un mese a palazzo, manderò una carrozza a prenderti. E non scomodarti per il vestito, ne sceglierò uno adatto a te… Ho fatto acquistare anche una macchina fotografica per l’occasione, così la proviamo insieme, che ne dici? Ti voglio tanto bene.
Tua, Historia Reiss.
 
Ah, che pesantezza. Ogni volta cercava di includerla in qualche festicciola familiare. Non aveva alcuna voglia di presentarsi in pubblico. Sicuramente, l’avrebbero riempita di domande sulla sua vita privata, vista la sua assenza da qualsiasi tipo di evento. Quindi, meglio evitare.

 
***

 
UN MESE DOPO
 
Maledizione, Historia era riuscita a fregarla. L’aveva fatta chiamare con una scusa ed ora si ritrovava rinchiusa in una stanza del palazzo reale e per giunta fasciata da un abito elegante.

Qualche ora prima aveva mandato delle donne a conciarla in quel modo ridicolo: le avevano fatto fare un bagno caldo, sistemato i capelli e persino fatto il trucco. Poi, senza badare alle sue lamentele, le avevano fatto indossare un abito blu notte, composto da un corpetto ed una gonna lunga e morbida. Provò un forte imbarazzo nell’osservare il suo petto prosperoso enfatizzato ancora di più dalle linee di quell’abito. Inoltre, indossava dei gioielli appariscenti e avvertiva chiaramente il dolore dei tacchi sotto le piante dei piedi.

La sua pazienza aveva un limite, cosa significava tutto questo? Osservò la sua figura allo specchio. I suoi lunghi capelli erano stati acconciati in un semi raccolto e le sue braccia scoperte erano state fasciate da dei lunghi guanti blu.

Diamine! Historia voleva per caso metterla in bella mostra dinanzi a qualche ricco signore della capitale?

Che squallore. Se solo avesse potuto avrebbe spaccato tutto. Ci era proprio cascata. E non aveva alcuna via di fuga, tra l’altro. Ogni finestra era stata sigillata e la porta era chiusa a chiave. Poteva definirsi un vero e proprio sequestro di persona.

D’un tratto riconobbe una figura familiare fare il suo ingresso in camera.

- “Mi spieghi cosa diavolo stai tramando alle mie spalle?” – urlò Mikasa con fare minaccioso verso Historia.

La biondina rise di gusto. Questo atteggiamento fece alterare la mora ancora di più. Strinse i pugni sui fianchi.

- “Vieni con me, Mikasa. Quando saremo uscite di qui capirai tutto…” - così, la regina prese a braccetto la sua ex compagna di guerra e si incamminò verso la sala da pranzo reale.

Mikasa era senza parole, tutto le sembrava troppo strano e alquanto bizzarro. Ma non riusciva a proferire parola…

Era tutto un sogno vero?

Le luci dell’enorme salone quasi la abbagliarono e non poté non rimanere a bocca aperta osservando le suntuose decorazioni che erano state posizionate sui soffitti affrescati. Cascate di fiori abbellivano ogni angolo di quell’immensa stanza e poi, notò un immenso banchetto ed una imponente orchestra che riempiva di dolci melodie quell’atmosfera sfarzosa e principesca.

Poi, abbassò lo sguardo verso i presenti. Vi era tutta l’alta società eldiana, alcuni vecchi soldati e… loro.

I suoi compagni.

Armin, Annie, Jean, Connie, Reiner, Gabi, Falco, Onyankopon e persino Pieck e Niccolò. C’erano tutti quanti. Da quanto tempo non li vedeva? Erano davvero tutti lì, con un sorriso stampato in viso.

Le sue guance si fecero rosse dalla vergogna, era rimasta davvero a bocca asciutta. Poi, voltò lo sguardo verso Armin.

- “Hey Mikasa, ci sei mancata sai?” –

Non riuscì a trattenere le lacrime. Stese le braccia ai lati del corpo e abbassò lo sguardo.

- “Anche v-voi” - fece timidamente lei, crollando in un pianto liberatorio.

Li abbracciò tutti, le erano davvero mancati. Pianse, a suo modo, ma pianse. La festa si trasformò in una vera e propria rimpatriata. Non le interessava che degli sconosciuti potessero scorgere il suo lato più intimo e tenero. Un’improvvisa voglia di vita la travolse, si stava, per la prima volta, rilassando?

Quella sera ballò, rise, mangiò e bevve in abbondanza. Lei ed Annie avevano persino scherzato insieme. No, non poteva essere vero.

Verso mezzanotte si ritrovò sudata e con il corpetto che le dava ancora più noia, visto che si era completamente appiccicato alla sua pelle. Decise di prendere una bella boccata d’aria su uno dei balconi dell’immenso salone.

Alzò lo sguardo verso il cielo, che magnifico spettacolo: le stelle brillavano luminose in cielo e un leggero venticello le scompigliava i capelli, donandole un po’ di sollievo. Appoggiò le mani sul grande parapetto della balconata e sorrise chiudendo gli occhi, respirando a pieni polmoni quell’aria benefica e riparatrice.

D’un tratto avvertì una presenza affianco a sé. Spaventata, aprì gli occhi di scatto, voltando la testa alla sua sinistra.

- “CAPITANO!” - urlò incredula Mikasa.

Il suo sguardo non era affatto cambiato: aveva lo stesso buio della notte e l’intensità delle stelle.

- “MIKASA” –


 



ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ciao a tutti!! Sono tornata dopo qualche mese con un nuovo capitolo… Spero vi piaccia. Come sempre sono di poche parole e quindi vi auguro semplicemente una serena Pasqua. Grazie a chi mi scrive e anche a chi legge solamente. Alla prossima!
Baci, Moby9090

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