L'amico misterioso (Storie dall'Africa)

di Gatto1967
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una lettera dall'Africa ***
Capitolo 2: *** La condotta medica ***
Capitolo 3: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 4: *** Il signor Smith ***
Capitolo 5: *** All'ospedale di Najmat ***
Capitolo 6: *** Il Cairo ***
Capitolo 7: *** Little Jumbo ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Albert e Amir ***
Capitolo 10: *** Un infame traffico ***
Capitolo 11: *** Di nuovo in Africa ***
Capitolo 12: *** Zaira ***
Capitolo 13: *** Salvare un amico ***
Capitolo 14: *** La verità ***
Capitolo 15: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 16: *** Il procione Candy ***



Capitolo 1
*** Una lettera dall'Africa ***



- Buongiorno Signor William, la corrispondenza di oggi.
- Grazie, Georges –, rispose Albert prendendo il pacchetto per appoggiarlo sul tavolo con l'intenzione di esaminarlo più tardi, poiché già impegnato a visionare un contratto per un affare imminente.
- C'è una lettera dall'Africa, signore... -, sottolineò Georges con voce pacata e garbata.
- Dall'Africa? -, disse di rimando Albert con tono sorpreso, mentre riprendeva velocemente in mano il pacchetto alla ricerca di quella lettera arrivata da così lontano per leggerla subito.


Caro Albert,

o forse dovrei scrivere

Caro William Albert Andrew?

Sono Mary, spero vivamente che tu ti ricordi ancora di me, abbiamo lavorato fianco a fianco nella condotta medica di un piccolo villaggio egiziano, Wahat Alsahrà.
Sorpreso?
Mai quanto me nello scoprire che quel ragazzo, così simpatico ma misterioso e arrivato direttamente da Londra, non era semplicemente uno dei tanti volontari desiderosi di dare una mano e fare una importante esperienza di vita, ma addirittura un imprenditore americano, appartenente ad una prestigiosa famiglia.
Sono passati quasi due anni dall'ultima volta che ci siamo visti e ancora oggi mi chiedo perché da un giorno all'altro te ne sei andato via senza dire nulla, lasciandomi solo due brevi righe e senza averci mai più dato tue notizie.
Conservo ancora quel tuo biglietto.

Cara Mary,
devo partire urgentemente, ma il mio cuore non ti dimenticherà mai.
Sei per me molto più di una cara amica.
Albert


Alla stessa maniera mi chiedo quale significato attribuire a quella mossa che il Destino ha voluto giocare con me, per fare in modo che io ti ritrovassi così inaspettatamente.
Non so se pensare ad una singolare coincidenza oppure ad uno scherzo bizzarro.
Sai, ero all'ospedale di Najmat in attesa di ritirare i vaccini per l'ambulatorio e visto che l'attesa andava per le lunghe, mi sono seduta e ho iniziato a sfogliare un giornale, preso a caso dalla pila dei giornali posati sul tavolino, fino a restare del tutto sbalordita su quella pagina in cui c'era la foto di un uomo d'affari nel suo studio.
Dalla sorpresa e dall'emozione mi sono alzata di scatto in piedi.

Non potevo quasi credere ai miei occhi, ho guardato e riguardato più volte quel viso, la straordinaria somiglianza con l'Albert che io conoscevo era incredibile.
Gli stessi occhi, i capelli biondi e lunghi come allora, l'espressione solare, solo il vestito era diverso.

Poi ho letto l'articolo sul giornale e tutto si è fatto chiaro nella mia testa.
L'ospedale di Najmat aveva appena ricevuto una generosa donazione da parte di un benefattore di Chicago, un certo William Albert Andrew. Il mio cuore ha iniziato a palpitare forte, sapevo già che eri tu e leggendo l'articolo fino in fondo ne ho avuto la conferma.

L'articolo raccontava di come un ragazzo americano, amante della natura e degli animali, nonostante i numerosi impegni di famiglia, non avesse mai dimenticato gli amici conosciuti in Africa, con i quali aveva passato un periodo a stretto contatto per dare il suo contributo come volontario in un ambulatorio medico, occupandosi di curare persone ed animali.
Nonostante la sua posizione di capofamiglia degli Andrew, dedito alla gestione di numerosi affari, quel "ragazzo" sapeva che era suo dovere, vista la sua posizione privilegiata, aiutare chi ne aveva più bisogno, e così l'ospedale ha beneficiato di una cospicua somma di denaro per l'acquisto di attrezzature e medicinali necessari alla cura della popolazione locale.
Sai, conservo ancora l'articolo, l'ho letto e riletto fino a che un giorno ho deciso che ti avrei scritto e spero che questa mia lettera arrivi all'indirizzo giusto.
Sorpreso che ti abbia trovato? Non è stato facile, ma grazie ad un paio di buoni amici, il Dottor Stevenson e il suo tuttofare Ahmed, è arrivato per via sicura il tuo indirizzo di Chicago. A proposito, ti ricordi di loro?
A volte gli amici degli amici fanno miracoli!
Oh, Albert, ti ricordi invece di Amir?
Giorni fa è stato ingiustamente arrestato con l'accusa di omicidio e lo hanno portato nella prigione di Tora, a sud del Cairo. Sappiamo tutti che l'accusa è falsa e infondata e che il suo arresto è solo un pretesto, una malsana forma di vendetta da parte di quel colono inglese contro chi lavora nella condotta medica, e il povero Amir è finito in mezzo. Ci stiamo dando da fare per aiutarlo, ma al momento la situazione è complicata e le autorità locali non ci permettono neppure di vederlo.
Però la speranza non ci ha ancora abbandonato.
Caro Albert, ora devo lasciarti, domani sarà un'altra dura giornata in ambulatorio, ma spero con tutto il cuore di poter ricevere presto tue notizie e riallacciare la nostra buona amicizia.

Mary Johnson


Appena finito di leggere la lettera, Albert senza indugio chiamò Georges.
- Georges, per cortesia, preparami subito la valigia, poche cose, viaggio leggero, domani parto per l'Africa.
- Domani? Ma Signor William, i suoi impegni...?!
- Possono aspettare - rispose Albert, già impaziente di partire per il suo nuovo viaggio, destinazione una condotta medica, situata in un piccolo e sperduto villaggio egiziano, che per molto tempo era stata anche la sua "casa".




Scritto da Tamerice

 

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Capitolo 2
*** La condotta medica ***


Il piroscafo battente bandiera britannica scivolava sull'acqua del Mar Mediterraneo ad andatura adagia ma costante.
Albert guardava il mare a sinistra dell'imbarcazione, e all'orizzonte poteva intravedere una striscia di un colore fra il blu e il viola. Quella striscia era la terraferma, probabilmente la costa meridionale sarda, che quella nave sfiorava nel suo viaggio verso l’Egitto.
Ci sarebbero voluti ancora alcuni giorni per arrivare a destinazione, e Albert non aveva altro modo di passare il tempo che abbandonarsi ai ricordi. Ricordi di un tempo non troppo lontano, quando lui si spacciava per un vagabondo amante della libertà.
Fu come se tutto il panorama intorno a lui sfocasse per lasciare il posto ad un panorama completamente diverso, e davanti a sé rivide una piccola condotta medica ai confini fra la giungla e la savana.

Qualche anno prima

Seguendo le indicazioni di quel mercante arabo incontrato il giorno precedente, Albert aveva infine trovato la strada che lo avrebbe ricondotto, dopo qualche giorno di viaggio, lungo il corso del Nilo. Si era allontanato dal grande fiume con l'intento di visitare un po' l'entroterra, ma ora voleva ritrovare la sua strada originaria, quella che lo avrebbe condotto all'obiettivo del suo viaggio.
Lungo il corso della strada intravide davanti a sé una piccola collina con in cima un albero solitario che sembrava far da guardia a qualcosa o qualcuno.
Con la mente rivide la collina dove tanti anni prima aveva incontrato una piccola bambina che piangeva disperata sull'erba. Quella stessa bambina che in seguito avrebbe adottato sottraendola a un destino di miseria ed infelicità, quella stessa bambina che aveva lasciato a Londra, al sicuro fra le austere mura di un prestigioso collegio inglese.
La strada saliva su quella "collina di Pony africana" come forse l'avrebbe chiamata Candy, e Albert ne seguì il percorso fino ad arrivare vicino all'albero. Guardò oltre e vista la costruzione sotto di sé, rimase meravigliato dalla fila multiforme di persone davanti all'edificio arrangiato alla meglio come ambulatorio.
Sceso dalla collina chiese informazioni alle persone in fila, ma queste lo guardarono con aria incuriosita senza rispondere.
-Loro non parlano inglese signore.- rispose una giovane donna dietro di lui.
-Non tutti almeno.-
-Lei invece lo parla vedo.-
Nel replicare alle sue parole, Albert rimase stupito e colpito da quella ragazza.
Lunghi capelli biondi, grandi occhi verdi, lentiggini sul viso e un grazioso sorriso. Per un attimo ebbe l'impressione di trovarsi alla presenza di Candy, con qualche anno in più.
-Si certo, io sono americana, il mio nome è Mary Johnson.-
-Molto lieto signorina, il mio nome è… Albert. Sono anch'io americano.-
La giovane donna lo guardò con sospetto, perché quell'esitazione nel dire il suo nome? Poi decise che non erano affari suoi, in fondo non le sembrava un delinquente.
-Quella casa è una condotta medica signor Albert, e io ci lavoro. Sono un'infermiera.-
-La prego, mi chiami semplicemente Albert.-
-D’accordo Albert, e tu chiamami Mary.-
I due giovani si sorrisero, e Mary, come a voler spezzare un appena percettibile imbarazzo fra i due, aggiunse:
-Sei un viaggiatore Albert?-
-Si, devo arrivare sulle rive del Nilo, è da stamattina presto che sono in cammino.-
-Il Nilo è ancora lontano. Vuoi fermarti a mangiare qualcosa con noi? Non abbiamo molto cibo, ma saremo lieti di dividerlo con te.-
Albert sembrò esitare.
-D'accordo Mary, ti ringrazio dell'invito, ma in cambio vorrei aiutarvi a riparare quella tettoia che non mi sembra molto sicura.-
Mary sorrise, come a voler accettare la proposta dello sconosciuto Albert.

Il vento, alzatosi all'improvviso, gli sferzò il volto e sembrò riportarlo alla realtà.
Il ricordo di Mary lo inteneriva e lo rattristava insieme.
Quella ragazza gli ricordava Candy, sembrava quasi una sua sorella maggiore.
-Signor Andrew.- lo chiamò un ufficiale della nave. –Sarà meglio che rientri in cabina. Si avvicina una tempesta e il capitano non vuole responsabilità.-
-Sì certo.- annuì Albert prima di avviarsi verso la sua cabina.



Scritto da Gatto1967

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Capitolo 3
*** Un nuovo amico ***


Era stata una lunga giornata in ambulatorio, tra visite continue a bambini e persone anziane, tra vaccinazioni e medicazioni.
Quella sera Mary si sentiva stranamente nostalgica, e non era da lei.
Lei con quel carattere così tenace, attivo e propositivo, sempre con mille cose da fare durante le sue giornate piene di impegni, senza mai avere il tempo di fermarsi neanche un attimo a respirare.

Essere un'infermiera, questa era la vita che aveva scelto, ne era ben consapevole e fermamente convinta della sua decisione, una vita in cui non c'era spazio per pensieri nostalgici e malinconici, eppure quella sera avvertiva qualcosa di diverso operare in lei, il ricordo di una persona tanto cara stava riaffiorando nella sua mente in maniera incontenibile.

Andò in camera e aperto il cassettino della scrivania, estrasse un diario, sciolse i lunghi capelli per liberarsi dal peso della giornata, poi si adagiò sul letto, ed iniziò a sfogliare delle vecchie pagine per rileggerle, tanto con tutto quel caldo afoso e le zanzare dispettose non sarebbe riuscita a dormire comunque. E si ritrovò catapultata in una giornata che ormai dava per scontato fosse relegata nel suo passato e conservata per sempre nella sua memoria, e che invece riaffiorava tra i suoi pensieri nitida come un cielo senza nuvole, e si abbandonò ai ricordi.


Caro Diario,
oggi è stata una giornata davvero frenetica!
Per fortuna è stata colorata da una novità.

In tarda mattinata è arrivato in ambulatorio un nuovo ragazzo, si chiama Albert, avrà poco più di vent'anni. Dice di essere di nazionalità americana, ma di venire direttamente dalla città di Londra dove ha lavorato in uno zoo, il Blue River.

Non sembra uno che se la passa bene, a dire il vero ha tutto l'aspetto di un vagabondo, tanto è trasandato.
Gli stivali che indossa sono talmente consumati che pare abbiano attraversato mezzo mondo camminando senza sosta, la sua sacca da viaggio è tutta scolorita e la giacca che indossa è scucita in più parti. Per dimostrargli la nostra ospitalità, mi sono offerta di rammendarla e quando tutti mi hanno puntato gli occhi addosso, per la mia improvvisa offerta di usare ago e filo, mi sono sentita in imbarazzo, ma Albert è quel tipo di persona che ispira fiducia a prima vista, decisamente simpatica e alla mano e che si farebbe in quattro per aiutarti in qualunque situazione. Ed è anche molto carino.

Non ha minimamente protestato quando il Dottor Stevenson gli ha riferito che doveva sistemarlo provvisoriamente nel vecchio capanno usato come rimessa per la jeep e per quei pochi attrezzi che ancora non ci hanno rubato. In genere tutti i volontari appena arrivati hanno qualcosa da ridire sulla sistemazione improvvisata e precaria, ma Albert no, ha sottolineato che tale alloggio andava benissimo e che lui e Poupe, una graziosa puzzola a quanto pare sua unica compagna di tanti viaggi, sono abituati a dormire in qualsiasi posto, anche sotto un cielo pieno di stelle con la luna che fa da coperta, oppure al riparo di un albero con le fronde cullate dal vento mentre sussurrano dolci melodie.
È sicuramente uno spirito libero, che sa adattarsi bene ad ogni situazione, capace di vedere il buono in tutti e con una grande voglia di essere utile al prossimo.

La mia collega e amica Naomi, per prendermi in giro, mi ha detto ridendo e ammiccando:

"Attenta Mary a non innamorarti di quello biondo appena arrivato!"

Figuriamoci, se proprio io mi innamoro del primo che capita a tiro, un tipo apparso dal nulla e che gioca a fare il misterioso. In fondo cosa abbiamo in comune? Solo il fatto di essere entrambi americani.
E poi con tutto quello che c'è da fare ogni giorno qui nella condotta, chi trova il tempo per innamorarsi?

L'ho accompagnato nel capanno e anche se abbiamo scambiato soltanto poche parole mi è parso un tipo a posto. Sorridendo ha detto che il capanno gli sembrava una reggia e che non dovevamo preoccuparci per lui poiché si sarebbe fermato solo per pochi giorni, giusto il tempo di riposarsi e ricambiare la nostra ospitalità, per poi continuare il suo viaggio.

Quasi quasi domani lo porto con me, per andare insieme all'ospedale nella città di Najmat a ritirare i nuovi vaccini.
Chissà come se la caverà, sono circa due ore di macchina tra andata e ritorno, caldo da morire già di primo mattino, zanzare in quantità, e strade polverose piene di buche.
Sarà un bel banco di prova per uno che dice di venire da Londra.
Vedremo di che pasta è fatto questo bel ragazzo vagabondo.




Scritto da Tamerice

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Capitolo 4
*** Il signor Smith ***


Disteso sul letto della sua angusta cabina, Albert riviveva ad occhi chiusi i ricordi delle sue avventure africane. Il rollio della nave sull’acqua e lo sciabordio delle onde sullo scafo lasciarono il posto al vento e ai rumori della savana africana.

L’intenzione di Albert quando era partito per l’Africa era quella di raggiungere le sorgenti del Nilo, ma ormai era più di un mese che si era fermato “per qualche giorno” alla condotta medica dove lavorava Mary a dare una mano per sdebitarsi dell’ospitalità.

Aveva conosciuto il dottor Adam Stevenson, titolare dell’ambulatorio, un medico americano di cinquant’anni circa di età, un uomo che aveva dedicato tutto se stesso alla cura dei poveri e dei disadattati.
Molte malattie che in America o in Europa venivano spesso curate, anche se magari non erano state del tutto debellate, in Africa diventavano mortali.

Aveva conosciuto il giovane studente in medicina Ahmed, un ragazzo egiziano che nell’ambulatorio faceva un po’ di tutto.

Poi c’erano le due infermiere: Mary l’americana e Naomi, l’egiziana. Ad Albert entrambe le ragazze ricordavano Candy. Il loro impegno, la loro gentilezza, la loro bontà d’animo, ricordavano al giovane magnate in incognito la sua bionda figlia adottiva.
Si scoprì a pensare che avrebbe ben visto Candy nel mestiere di infermiera. Anche lei aveva la dolcezza e la pazienza di quelle ragazze poco più grandi di lei.

E poi c’era Amir, lo strano enigmatico Amir, un vagabondo capitato come lui quasi per caso alla condotta. Qualche giorno dopo l’arrivo di Albert, era arrivato anche Amir. Cupo e taciturno aveva chiesto ospitalità per qualche giorno, proprio come aveva fatto Albert, e anche lui si era fermato da un mese abbondante.
Entrambi gli sconosciuti enigmatici uomini avevano suscitato fiducia nel personale della condotta. Non sapevano niente di loro, ma sentivano di potersi fidare.
L’Africa era un posto pericoloso, dove approdavano fuorilegge di tutte le nazionalità, ma quei due giovani uomini non sembravano fuorilegge, o perlomeno non sembravano pericolosi.

Un giorno, mentre nell’ambulatorio Albert stava imparando a usare lo stetoscopio sotto la guida di Mary e Naomi, giunsero dall’esterno rumori di voci concitate, come se due persone stessero discutendo animatamente.
Uscirono all’aperto e videro Amir e un altro uomo che stavano uno di fronte all’altro a guardarsi e parlare in modo non proprio amichevole.
-Che succede qui?- chiese Mary frapponendosi fra i due.
-Questo africano non vuole farmi passare signorina Johnson!-
-Questo africano ha un nome signor Smith, si chiama Amir, ed è con noi da qualche tempo. Comunque mi dica, qual è il problema?-
-Mia figlia Elisabeth! È caduta e si è fatta male!-
Mary si chinò sulla bambina che stava in piedi vicino al padre.
-Si tranquillizzi signor Smith, sua figlia ha solo una sbucciatura al ginocchio. Comunque si metta in fila, quando arriverà il suo turno saremo lieti di disinfettare la ferita e medicarla.-
-Mia figlia non fa la fila dietro agli africani! Mia figlia è bianca ed è inglese, quindi ha la precedenza su questi selvaggi!-
-Non qui signor Smith!-
La voce era quella del dottor Stevenson.
-I pazienti sono tutti uguali, senza distinzione di nazionalità o colore della pelle. Sua figlia non è ferita in modo grave e può aspettare un po’.-
Il signor Smith, un uomo grosso modo coetaneo del dottor Stevenson, ebbe un’espressione carica di odio. Tuttavia sua figlia, la sua unica figlia era davvero ferita, e quella condotta medica era l’unica nel raggio di diverse miglia.
-Coraggio.- intervenne Albert con voce accomodante come a voler stemperare la tensione –Si metta in fila, non c’è molta gente oggi, vedrà che…-
Inaspettatamente il signor Smith sferrò un poderoso pugno al volto di Albert che cadde a terra.
-Ma… cosa fa?!!!-
Poi, vedendo che l’uomo stava per avventarsi su una giovane donna egiziana in fila, Albert si alzò in piedi con insospettabile energia e si avventò sull’arrogante signor Smith prima che questi potesse anche solo sfiorare la donna.
La colluttazione fu energica, entrambi gli uomini si rivelarono buoni combattenti, ma alla fine Albert ebbe la meglio e il prepotente uomo stramazzò a terra.

Diversi mesi prima

Samira stava tornando dal mercato del pesce, portando con sé nella borsa della spesa due pesci ancora guizzanti, destinati a fare da cena a lei e ai suoi figli.
Samira non aveva nessuno a prendersi cura di lei e dei suoi figli da quando il suo povero marito era morto in mare, e la giovane donna era costretta a barcamenarsi fra mille difficoltà per tirare avanti il carretto della sua famiglia. Da qualche tempo era riuscita a trovare un lavoro come donna delle pulizie presso un albergo inglese sul lungomare di Alessandria d’Egitto, proprio davanti al caotico porto di quella città.

Doveva percorrere appena due isolati per arrivare a casa sua, quando due uomini le si pararono davanti. Non erano due egiziani, erano due bianchi, sicuramente due inglesi a giudicare dai lineamenti.
Samira stava imparando un po’ di inglese, lavorando in quell’albergo sul lungomare, e cercò di usarlo anche se in modo goffo.
-Io… andare a mia casa… io cucinare per miei figli…-
I due uomini, dall’apparente età di trentacinque-quarant’anni, la squadrarono con un’aria ferocemente divertita.
-Quanta fretta bellezza… lo sai che sei davvero carina per essere un’africana?-
Uno di loro la prese per il braccio mandandola nel panico.
-Vi prego signori… lasciatemi… vi prego!-
I due uomini non la lasciavano, anzi le strinsero il braccio fino a farle male e Samira cominciò a chiamare aiuto cercando di attirare l’attenzione dei passanti. Ma i passanti erano povera gente di una città caotica e pericolosa, gente che tendeva a farsi gli affari suoi e a passare oltre, tutti tranne un uomo, un egiziano anche lui, che Samira riconobbe: era un suo vicino di casa che lavorava al porto come scaricatore. Lo conosceva fin da quando era bambina.
L’uomo si avvicinò minacciosamente ai due inglesi.
-Lasciatela!-
-Chi ti credi di essere ragazzo?!!!-
Lo affrontò uno dei due dopo aver lasciato il braccio di Samira.
-Quella donna è una donna rispettabile, e voi non la violerete!-
Il giovane parlava un inglese sorprendentemente fluente, frutto del suo costante contatto con gli inglesi.
-E chi ce lo impedirà? Tu?- Lo irrise l’altro uomo.
Il giovane colpì in pieno volto uno dei due inglesi facendolo cadere per terra mentre l’altro uomo gli si avventava contro.
La colluttazione fu breve ed energica, ma il ragazzo ebbe presto la meglio sui due prepotenti uomini, evidentemente molto più abituati a fare gli smargiassi che non a menare le mani.
Con un gesto fece cenno a Samira di andarsene e la donna obbedì dopo averlo ringraziato con lo sguardo.
Nel frattempo uno dei due uomini riprese conoscenza e vedendo l’altro inerte a terra, gli si fece vicino.
Non gli ci volle molto a capire che il suo amico era morto.
Evidentemente cadendo aveva battuto la testa e si era rotto il collo.



Seduto in cima alla collina che sovrastava la condotta medica, con la schiena appoggiata all’albero, Amir ricordò l’episodio che qualche mese prima aveva segnato per sempre la sua vita.
Pensare di giustificarsi per l’omicidio di un inglese era impensabile. L’Egitto era un protettorato di quella ricca e potente nazione che era l’Inghilterra, e nessun giudice lo avrebbe scagionato dall’accusa di omicidio avendo a suo carico la testimonianza di un altro inglese.
Così quella stessa sera aveva lasciato per sempre Alessandria d’Egitto, la città dove era nato e dove aveva sempre vissuto, ed era fuggito in direzione sud.
Aveva anche cambiato nome, il suo vero nome era destinato ad essere dimenticato per sempre, ora lui era Amir, l’uomo il cui passato doveva rimanere un segreto per tutti.


Scritto da Gatto1967

 

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Capitolo 5
*** All'ospedale di Najmat ***


Mary nella sua camera continua a sfogliare le pagine del diario.
Le pare strano rileggere quelle righe scritte, giorno dopo giorno, per raccontare le sue giornate nella condotta medica e soprattutto le sembra insolito cercare e leggere solo quelle in cui parla di Albert. Dopo mesi passati a lavorare fianco a fianco con lui, pensava di conoscerlo bene ed invece Albert si è rivelato quel tipo di persona che non si sarebbe mai aspettata di incontrare. Da vagabondo a uomo d'affari, da povero a ricco.
Perché mentire? Perché nascondere in quel modo la sua identità?


Caro Diario,
oggi sveglia all'alba per andare nella città di Najmat assieme ad Albert, il nuovo arrivato, a ritirare i vaccini all'ospedale. Quando sono andata a chiamarlo al capanno, Albert era già sveglio e pronto per partire, e la cosa mi ha fatto molto piacere, non è un tipo perditempo.
Il sole stava sorgendo quando siamo saliti sulla jeep in uso alla condotta medica, e Albert mi ha chiesto di attendere ancora un attimo prima di accendere il motore e partire. È rimasto in silenzio a guardare rapito il sole mentre albeggiava e che in pochi istanti ha inondato di luce colore arancio e giallo oro tutto il paesaggio circostante. Con gli occhi incantati da quello spettacolo di bagliori mattutini, ha affermato che il sole africano possiede una rara e selvaggia bellezza.

Mentre guidavo, per rompere il ghiaccio, gli ho chiesto come mai si trovava in Africa e con parole misurate mi ha riferito che dopo una breve ma utile esperienza presso lo zoo di Londra, la sua indole di amante della natura e degli animali lo ha portato nel continente nero. Da tempo aveva deciso di viaggiare per vedere il mondo e per capire meglio se stesso. Voleva anche misurare le sue forze, rendersi utile in qualche modo al prossimo, e vivere da solo senza contare sull'appoggio della famiglia, della quale ho subito notato che non aveva affatto voglia di parlare, è un tipo davvero misterioso ed ermetico.
Però mi ha confidato di essere bravo a cucinare e di saper riparare cose piccole e grandi. Quasi quasi, prima che se ne vada via, gli chiedo di sistemare quel vecchio grammofono che è fuori uso da tempo. Mi manca molto ascoltare musica.

Ho avvertito una strana sensazione tra noi due, come un sottile imbarazzo, anche se lui si è dimostrato gentile e cordiale per tutto il tragitto. La sua puzzola Poupe non smetteva di saltellarmi attorno festosa e di annusarmi, questo perché, mi ha spiegato Albert, assomiglio tanto ad una loro cara amica che hanno lasciato a Londra e mi ha brevemente accennato al fatto che gli ricordo anche la sua defunta sorella maggiore. Forse per questo motivo non ha fatto altro che osservarmi quasi di nascosto per tutto il resto del viaggio e comunque più che conversare ha ammirato il panorama attorno a noi, mentre la jeep procedeva spedita ed io cercavo di evitare le buche sulla strada polverosa. Non piove da mesi ormai, ma io ci sono abituata e devo dire che è stato bravo a non lamentarsi né della mia guida né del viaggio poco confortevole, anzi più di una volta l'ho sentito lodare il Cielo per quello spettacolo meraviglioso offerto da Madre Natura. Attorno a noi gli sconfinati spazi della savana africana dove specie variegate di animali vivono in totale libertà.

All'ospedale l'attesa per ritirare vaccini e medicinali è stata più lunga del solito, siamo capitati in una giornata con la sala d'attesa e il corridoio entrambi affollati di mamme con i loro bambini in braccio. Tra questi c'era un bambino piccolo che continuava a piangere, Albert si è avvicinato e gli ha fatto una tenera carezza, dicendogli: - Piccolino, lo sai che sei più carino quando ridi che quando piangi? - e poi gli ha offerto un pezzetto della tavoletta di cioccolato che aveva in tasca, acquistata di sicuro da qualche mercante arabo incontrato durante il suo cammino.
La sua gentilezza mi ha stupita e sono rimasta a guardare la scena. Naturalmente il bambino non ha compreso una parola, ma il tono rassicurante della voce di Albert ha fatto sì che smettesse di piangere e il bimbo lo ha guardato con occhi imbambolati, i lunghi capelli biondi e gli occhiali da sole hanno destato la sua curiosità.
Non si vedono molti tipi uguali a lui da queste parti.
Con la sua piccola manina gli ha tirato una ciocca di capelli, quasi per accertarsi che fosse vero, Albert lo ha lasciato fare e gli ha sorriso benevolmente, e ha ricambiato la cortesia accarezzando la testolina tutta riccia del bambino per poi salutarlo con un cenno della mano.

Ritirati i vaccini, ci siamo concessi una veloce colazione prima di rientrare alla condotta medica.
Il viaggio di ritorno è stato diverso rispetto a quello dell'andata, Albert ha voluto guidare la jeep, per strada abbiamo bucato e si offerto di cambiare lui la ruota. Siamo entrati in confidenza, nel senso che io parlavo e gli raccontavo di me e della mia famiglia, mentre lui ascoltava con attenzione e commentava quanto gli sarebbe piaciuto appartenere ad una famiglia numerosa come la mia. Si capisce che non deve aver avuto un'infanzia facile e felice, ma non ha nemmeno idea di cosa voglia dire essere figlia di una coppia americana che gestisce una locanda in una grande città del Vermont, con 3 fratelli e una sorella più grandi che nemmeno ti considerano, ed essendo proprio io la piccola di casa non vedevo l'ora di andarmene alla scoperta del mondo e quando ho capito che volevo diventare un'infermiera, ho avuto un unico pensiero, venire qui in Africa per aiutare chi è meno fortunato di me.
Chissà, forse io e Albert siamo davvero due anime affini. La sua persona suscita in me nuove sensazioni che non ho mai provato prima, Albert è come uno sconosciuto che conosco da sempre, e non riesco a comprendere il perché.
Ma devo ammettere che oggi sono stata veramente bene in sua compagnia.


Mary continua a sfogliare il suo diario alla ricerca di un ricordo particolare e giunge a una pagina dove è conservata una foto scattata sotto il cocente sole africano e la mente ritorna velocemente a quella giornata così particolare, perdendosi tra pensieri e sospiri: Albert, il mio eroe...

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Capitolo 6
*** Il Cairo ***


Le piramidi di Giza erano lì, davanti a loro. Giganti maestosi di pietra e sabbia, avvolte da fascino e mistero, custodi immobili e silenziose destinate a vegliare sul sonno eterno dei faraoni.
Albert e Mary le guardavano seduti sui loro cammelli, e Poupe naturalmente stava sulla gobba del cammello davanti al suo amico umano.
Dopo due mesi ininterrotti di lavoro sfibrante, passati a curare persone e anche animali feriti, Albert e Mary si erano visti imporre dal dottor Stevenson due giorni di riposo, e avevano pensato di trascorrerli così, con una gita in cammello al complesso archeologico di Giza, non molto distante dalla condotta dove lavoravano entrambi.
Stevenson più volte si era offerto di pagare Albert per il suo lavoro, ma il ragazzo aveva sempre rifiutato. Pur senza accennare la verità sulla sua reale identità, Albert aveva confidato al medico di non avere alcun bisogno di quei soldi, e che gli stessi potevano essere impiegati per acquistare medicinali e altro materiale per l’ambulatorio.
“Ma io pago chi lavora per me, cosa penserebbero gli altri se sapessero che rifiuti di essere pagato?” aveva obiettato Stevenson.
“Non glielo dica” fu la semplice risposta di Albert.
  La vista delle piramidi e della Sfinge lasciò basito il giovane americano. Albert aveva viaggiato molto da quando la zia Elroy lo aveva costretto a nascondere la sua identità, ma quelle costruzioni lo fecero restare letteralmente senza fiato: quale ingegno umano ci era voluto per realizzare costruzioni di quelle dimensioni?
A Roma c’erano il Colosseo e la Basilica di San Pietro, a Parigi c’erano la Tour Eiffel e Notre Dame de Paris, a New York c’era la Statua della Libertà, ma niente di quello che Albert aveva visto nei suoi viaggi sembrava poter reggere il confronto con quella vista.
Quelle costruzioni trasudavano antichità e imponenza in ogni loro parte.

Camminando per le strade del Cairo Albert e Mary furono letteralmente travolti da una fiumana di persone che sembravano non aver altro scopo nella vita che quello di vagare per le strade della loro caotica città.
Poupe rischiava di perdersi e Albert pensò di chiamarla a sé e farla accomodare sulla sua spalla.
-Sai Albert, è la prima volta che vedo una puzzola come animale da compagnia.- disse Mary con aria divertita –Si può sapere dove l’hai trovata? E come diavolo hai fatto ad addomesticarla?-
Albert sorrise.
-E' una storia di qualche anno fa. Allora vivevo in America vicino al lago Michigan e abitavo più o meno “clandestinamente” in una vecchia villa abbandonata nel bosco. Vicino a questa villa c’era una piccola cascata che formava un laghetto.
Una sera stavo cucinandomi un pesce che avevo poc’anzi pescato quando dal laghetto udii provenire una specie di lamento. Vidi una piccola sagoma scura dimenarsi in mezzo al lago e mi tuffai.
Poco dopo ne riemergevo con questa puzzola in braccio: era viva per miracolo, e da allora è diventata la mia ombra. Mi segue ovunque vada.-
Albert aveva indugiato dopo quel breve racconto.
-Dopo qualche mese, nelle stesse circostanze conobbi Candy…-
Questa frase gli era sfuggita quasi senza che se ne rendesse conto
-E chi è Candy? Un procione?-
Albert sorrise alla battuta di Mary. Sicuramente non voleva essere offensiva, e altrettanto sicuramente non poteva immaginarsi che Candy aveva come animale da compagnia proprio un procione. Stava per raccontargli la storia della sua piccola amica quando accade qualcosa.
Senza che se ne accorgessero, i due erano capitati in un vicolo secondario, uno di quei vicoli da cui era meglio tenersi alla larga in una città come il Cairo, e prima che potessero anche solo pensare di tornare indietro, si ritrovarono circondati da cinque persone le cui facce non dicevano niente di buono.
Albert gettò a terra un sacchetto pieno di monete che aveva con sé e cercò di sfruttare quel po’ di arabo che aveva imparato in quei mesi di permanenza in Africa per spiegare che era tutto quel che avevano, ma si rese conto ben presto che non serviva a niente. Le intenzioni dei cinque uomini erano fin troppo chiare.
-Dietro di me!- gridò a Mary mettendosi davanti a lei e cercando di addossarsi al muro.
I cinque uomini sogghignavano ferocemente: cosa credeva di fare quel ragazzo inglese in cerca di avventure, contro di loro? Troppi se ne erano mangiati di quegli sbarbatelli.
Con un balzo felino Albert fu addosso al più vicino di quegli uomini, gli torse il braccio costringendolo a mollare il coltello che impugnava e poi lo lanciò addosso ai suoi compagni.
Due di loro riuscirono a evitare il corpo lanciato da Albert e si avventarono su di lui impugnando i loro coltelli, ma per quanto fossero rapidi Albert riuscì a prevenire la loro offensiva e li stese a terra con due poderosi pugni in viso.
Gli altri uomini stavano per rialzarsi, ma Albert li rimise giù prendendoli a calci.
Vista la mala parata i cinque uomini fuggirono via lasciando un ansimante Albert e una esterrefatta Mary soli nel vicolo.
-Ma chi diavolo sei Albert?-
Albert non disse nulla. In silenzio stringeva a pugno la mano destra.
-Santo Cielo! Stai sanguinando!-
Allarmata Mary gli prese subito la mano per controllare la ferita inferta al palmo durante la colluttazione.
-Non ti preoccupare, Mary, non è niente. È solo un piccolo taglio causato dal coltello che aveva uno di quei tipi. Ti assicuro che non mi fa male.- rispose Albert per tranquillizzarla.
Senza aspettare oltre, Mary prese il leggero foulard che portava al collo e fece una stretta fasciatura alla mano di Albert.
-Non ho nulla con me per medicarti, ma così almeno smetterà di sanguinare.- continuò Mary tenendo ancora la mano di Albert tra le sue.
I due ragazzi, così vicini, restarono per un lungo attimo a guardarsi negli occhi.
Poi, leggermente imbarazzato, Albert le disse
-Ora è meglio che andiamo, questi vicoli sono poco sicuri.-
Mary annuì.
Camminando fianco a fianco, ritornarono sulla via principale.


Scritto da Gatto1967

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Capitolo 7
*** Little Jumbo ***


Caro Diario,
ogni giorno che passa mi sento sempre più affascinata dalla personalità di Albert e dal suo buon cuore, al punto che mi pare veramente di conoscerlo da sempre.

Oggi, in tarda mattinata, sono arrivati alla condotta medica due ragazzini invocando il nostro aiuto e pregandoci di seguirli. Continuavano a ripetere "Onjamba! Onjamba!" (*) ed io ho subito pensato ad un'emergenza nel villaggio. Il Dottor Stevenson era ancora all'ospedale di Najmat con Ahmed e di fronte alla richiesta di soccorso dei due ragazzi visibilmente agitati non ho esitato, ho preso la borsa del dottore contenente lo stretto necessario per il primo soccorso, e accompagnata da Albert ho seguito i due ragazzini, mentre Naomi è rimasta in ambulatorio per occuparsi degli ultimi pazienti.
I due giovani egiziani ci hanno guidati verso la radura e solo allora ho capito che non si trattava di soccorrere una persona, ma che l'emergenza era di tutt'altra natura. Dopo anni passati in questa zona, la mia conoscenza della lingua araba egiziana è ancora imperfetta e confondo ancora qualche vocabolo, soprattutto se dialettale.

Arrivati nella radura, i due ragazzini hanno indicato un elefantino con una zampa imprigionata in una tagliola.
Il piccolo pachiderma probabilmente si era allontanato dal branco e si era perso, oppure era scappato impaurito dopo che la sua mamma era stata uccisa dai soliti bracconieri in cerca di zanne da trasformare in oggetti d'avorio. Era molto irrequieto ma soffriva in silenzio e, nel tentativo di liberarsi, i denti a sega della tagliola affondavano sempre di più nella sua carne, lasciando sul terreno una vistosa macchia di sangue color cremisi.

Non potevamo di certo lasciarlo lì, questo lo ha detto anche Albert e parlandogli nel modo più dolce e pacato possibile si è avvicinato all'elefantino per capire come fare per liberarlo da quella trappola. Mi ha chiesto di accarezzare l'animale con delicatezza sulla testa per tranquillizzarlo, e nel frattempo, aiutato dai due ragazzini, ha aperto la tagliola fino a liberare la zampa ferita. Prontamente lo ha medicato, continuando a parlare con lui, sembrava quasi che l'elefantino comprendesse le sue parole. Dopo aver fasciato per bene la zampa e anche la proboscide che presentava diverse escoriazioni, abbiamo optato per portarlo con noi nella condotta. L'elefantino ha seguito il suo salvatore senza indugio come avrebbe fatto con la sua mamma, come se conoscesse Albert da sempre, in una sorta di speciale empatia tra uomo e animale che mi ha davvero commossa.

Resterà qui nella condotta medica un paio di giorni, Albert desidera prendersi cura anche di lui per accertarsi che la zampa guarisca alla perfezione senza il rischio di infettarsi, poi lo riporteremo nella radura per riunirlo a qualche branco di elefanti di passaggio, con la speranza che venga accolto ed accettato dai suoi simili.

Caro Diario,
che posso dire ancora di Albert?
È stato semplicemente meraviglioso nel gestire la situazione e se in tutto questo tempo ho imparato a conoscerlo almeno un po', sono sicura che non si separerà tanto facilmente dall'elefantino, al quale ha già dato il nome di Little Jumbo.
Ormai conosco molto bene il suo amore per la natura e per gli animali.

Sollevato lo sguardo dalla pagina del diario dopo aver letto l'ultima frase, Mary ripensa con nostalgia ad Albert ed alle sue attenzioni nei confronti dell'elefantino, e nella sua mente riecheggia la voce squillante e scherzosa di Naomi.

"Attenta Mary a non innamorarti di quello biondo appena arrivato!"

Possibile che durante tutti quei giorni trascorsi assieme ad Albert sia stata così cieca da non vedere che il suo cuore l'ha portata più di una volta dritta verso quel caro ragazzo? Allora non lo avrebbe mai ammesso con se stessa, ma Albert con la sua generosità e spontaneità aveva già fatto breccia nel suo cuore. Naomi ci aveva davvero azzeccato; la battuta fatta su Albert, il giorno in cui è arrivato nella condotta medica, con il tempo si è rivelata veritiera. Mary piano piano si è innamorata di lui senza rendersene conto. Ecco perché sentiva nel profondo della sua anima di conoscerlo da sempre. Di un amore sconosciuto, un legame intimo e profondo, in cui amicizia, affetto, complicità, stima, e nuovi sentimenti erano confluiti in un'unica direzione, entrando in maniera lieve e delicata nel suo cuore e sbocciando timidamente come tanti fiori nel deserto.

(*) Onjamba è una parola africana e il suo significato è Elefante.



Scritto da Tamerice
 

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


Seduti intorno a un fuoco Albert e Mary consumavano una frugale cena circondati dal buio del deserto. Erano partiti all'alba dal Cairo diretti alla loro condotta medica, ma una pur breve tempesta di sabbia aveva rallentato la loro marcia, e così colti dal buio, avevano deciso di pernottare all'aperto e di raggiungere la loro destinazione il giorno successivo.
I cammelli riposavano accucciati sulle zampe, e loro due sedevano poco distanti come a fissare il crepitio delle fiamme del piccolo fuoco.
-Perché mi guardi così Mary?-
Albert si era accorto dell'espressione turbata della giovane infermiera.
-Chi diavolo sei tu Albert? Come hai fatto ieri a malmenare quegli uomini? Erano in cinque e anche armati, ma tu li hai... sbaragliati con una facilità... sconcertante!-
Albert sorrise malinconicamente indovinando i pensieri dell'amica.
-Devi sapere Mary, che fin da piccolo amavo stare all'aria aperta, muovermi, correre, arrampicarmi sugli alberi. Poi crescendo ho viaggiato molto, e mi è anche capitato di fare a pugni per difendermi dai malintenzionati e dai bulli che pensavano di approfittarsi di me perché ero giovane e solo.
Le prime volte le prendevo, ma poi ho imparato a difendermi.
Quei cinque uomini ieri hanno creduto di avere partita vinta perché ero solo e disarmato. In altre parole mi hanno sottovalutato e io ne ho approfittato.
Se non fossero stati così avventati probabilmente non ce l'avrei fatta. Capisci ora? Se li ho battuti non è stato perché io ero molto più forte di loro, ma esattamente per il motivo opposto.-
Quella spiegazione sembrò rassicurare Mary. D'altra parte Albert tutto poteva sembrare tranne un delinquente.
-L'altro giorno hai nominato una certa... Candy... chi è?-
Albert sorrise. L'amicizia con quella ragazzina era una delle cose più belle che gli fosse mai capitata.
-Ti ricordi quando ti ho raccontato di Poupe? Un mese dopo nella stessa cascata vidi cadere un piccola barca con sopra una bambina di circa 12-13 anni. Mi precipitai in acqua nel tentativo di salvarla anche se disperavo di farcela, un simile salto per un essere umano può essere fatale, e invece riuscii a salvarla. Probabilmente la barca aveva attutito l'impatto.
La bambina si chiamava Candy, e mi raccontò di essere un'orfana, che lavorava come cameriera presso la famiglia Legan, una ricca e potente famiglia di Lakewood.
La piccola non se la passava bene dai Legan, erano una famiglia altezzosa e snob che la maltrattavano e la umiliavano in mille modi. Addirittura la facevano dormire nelle stalle insieme ai cavalli.-
-Ma è orribile! Che persone erano questi Legan?-
-Io all'epoca vivevo nel bosco, in una vecchia villa abbandonata vicino a quella cascata dove avevo salvato Candy. Con la piccola iniziai una bella amicizia. Quando lei aveva un problema metteva un messaggio in una bottiglia, e affidava quella bottiglia al fiume che me l'avrebbe portata.
Cercavo di aiutarla, di renderle meno difficile la vita, ma non era facile, io non potevo uscire allo scoperto.-
-Già, per tutti saresti stato un vagabondo che occupava abusivamente una villa sia pure abbandonata.-
Albert ebbe un fremito interiore, come avrebbe voluto dire tutta la verità a quella ragazza!
-Per sua fortuna Candy fece amicizia con i tre rampolli della famiglia Andrew, imparentati con i Legan e molto più potenti di loro. I tre ragazzi si affezionarono a Candy, e probabilmente se ne innamorarono, un amore infantile s'intende, ma tanto bastò perché convincessero il capofamiglia, il signor William Andrew, ad adottare Candy.-
-Beh, così la storia ha avuto un lieto fine, povera bambina!-
-Purtroppo Anthony, uno dei tre ragazzi morì poco tempo dopo, proprio sotto gli occhi di Candy, e lei ne rimase sconvolta.-
-Oh mio Dio, e lo credo povera piccola!-
-Dopo qualche tempo gli Andrew mandarono Candy e i suoi "cugini acquisiti" a studiare a Londra, e proprio lì ebbi occasione di rincontrarla. Candy adesso ha quindici anni ed è una ragazzina vivace e pestifera. Figurati che le suore la punivano mettendola nella cella della scuola e lei evadeva per venirmi a trovare allo zoo della città, il Blue River, dove lavoravo!-
Mary rise.
-Mi è simpatica questa ragazzina! Vorrei proprio conoscerla!-
Anche Albert avrebbe voluto che Mary e Candy si conoscessero, e avrebbe voluto raccontare a Mary tutta la storia. Ma era prigioniero. Lui, che amava definirsi libero, in realtà era prigioniero delle assurde convenzioni sociali che regolano il mondo, prigioniero della sua stessa identità.
Mary si accorse della malinconia negli occhi di Albert ma non volle essere ancora indiscreta. Quel ragazzo le piaceva, era gentile e simpatico, ma forse questo non bastava a infrangere i muri che lui stesso sembrava erigere fra sé e il resto del mondo.
-Sarà meglio dormire. Domani dovremo metterci in marcia all'alba.- propose Mary come a spezzare la malinconia che sembrava aleggiare intorno a loro.
Albert non rispose nemmeno.
Rimase a guardare quella ragazza che tanto somigliava a Candy nell'aspetto ma non nella personalità, mentre si addormentava serenamente vicino al fuoco.
Mary, sei una ragazza dolce e comprensiva, e mi piaci davvero molto. Se potessi resterei per sempre qui accanto a te, sotto questo magnifico cielo risplendente di stelle africane...
Capiva di non poter restare ancora a lungo in quel mondo che per lui era un paradiso in terra.



Scritto da Gatto1967

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Capitolo 9
*** Albert e Amir ***


Mary continua a sfogliare le pagine del suo diario, tanti sono i ricordi che le tornano in mente, ma uno in particolare ritorna vivido come se fosse accaduto il giorno precedente.


Caro Diario,
fin dal primo giorno che sono arrivata in questo sperduto villaggio sapevo che la vita in una condotta medica non sarebbe stata facile, ma quello che è successo oggi mi ha fatto capire che il pericolo è sempre in agguato e a volte non si tratta soltanto delle malattie contro le quali combattiamo tutti i giorni, come la malaria, la scabbia, il colera e le ricorrenti febbri infettive, bensì può manifestarsi in modo del tutto inaspettato e selvaggio.

Sembrava una giornata come tante altre in ambulatorio, con il via vai continuo di ammalati di ogni età.
Il Dottor Stevenson ed io siamo stati impegnati tutta la mattinata con una visita dietro l'altra, anche Albert ci ha dato una mano, è sempre disponibile e ha una parola gentile per tutti. Poi Stevenson si è assentato per andare in città e Ahmed lo ha sostituito per la felicità di Naomi, lei non lo vuole ammettere ma penso che tra loro due stia sbocciando un sincero sentimento. Sono molto felice per loro, chissà se un giorno anch'io potrò trovare il giusto compagno della mia vita in colui che ora mi è così vicino.

Amir, che ormai è una presenza costante nella condotta al pari di Albert, si è reso disponibile per sistemare il capanno per ricavare una stanza da riservare agli ammalati. Continua ad arrivare gente da curare e a volte è necessario trattenerli qualche giorno per controllare il loro stato di salute, e il capanno è l'unico posto utilizzabile, in fondo non serve molto a renderlo confortevole, qualche letto, un armadio, poche sedie, qui si vive con poco e con lo stretto necessario.

Dopo aver pulito per bene il capanno, ha chiesto aiuto ad Albert per spostare un grande armadio.
In ambulatorio a dire il vero questo armadio è diventato ingombrante, ha bisogno di qualche piccola riparazione, di sicuro se ne occuperà Albert e nel capanno troverà un nuovo uso per i pazienti e i loro effetti personali. Ultimamente Albert e Amir sono diventati molto amici, giorni fa hanno anche riparato assieme il lungo recinto in legno che arriva fino al pozzo d'acqua che abbiamo in uso alla condotta medica e che serve gran parte del nostro villaggio.
Sono davvero due cari e bravi ragazzi e per noi della condotta sono una manna dal Cielo, qui c'è davvero un gran bisogno di persone in gamba come loro.
Forse entrambi nascondono qualche segreto, ma fino a quando continueranno a comportarsi in maniera corretta ed ineccepibile, il Dottor Stevenson non avrà nulla da obiettare. In fondo ognuno di noi ha i suoi piccoli o grandi segreti con i quali convivere.

Stavano spostando lentamente il pesante armadio, trascinandolo, quando improvvisamente è apparsa una giovane leonessa che si è avvicinata furtiva e probabilmente affamata. Non è la prima volta che attaccano l'uomo, abbiamo sentito diverse notizie del genere in questa grande area, ma ho sempre pensato che la nostra condotta fosse un posto di lavoro sicuro, immune da qualsiasi pericolo. Ora comprendo il motivo per cui Ahmed dice sempre che la boscaglia ha occhi ed orecchie che noi non vediamo.

E poi tutto è successo all'improvviso.

Amir si è accorto delle pericolose intenzioni della belva, e mentre il felino stava per avventarsi con un balzo sulla schiena di Albert, l'egiziano si è messo in mezzo, facendo scudo con il suo corpo all'amico americano dopo averlo velocemente spinto via, facendolo cadere sulla terra polverosa a causa dell'impatto inaspettato.
Il potente ruggito della leonessa e le grida concitate dei due uomini ci hanno richiamati fuori all'aperto.

Non dimenticherò mai la scena che hanno visto i miei occhi. Amir era disteso a terra con la leonessa addosso mentre Albert con tutte le sue forze stringeva il felino al corpo nel tentativo di ritrarlo via. Naomi e Ahmed hanno subito iniziato a gridare e ad agitare le braccia per spaventare la belva ed io ho fatto la prima cosa che mi è venuta in mente. Sono entrata nello studio del Dottor Stevenson e ho imbracciato il fucile che tiene sempre pronto nell'angolo, sono uscita di corsa e ho sparato due colpi in aria e per fortuna sono bastati a impaurire la leonessa che, dopo un rabbioso e vibrante ruggito, si è divincolata dalla presa di Albert ed è fuggita via in direzione della boscaglia.
La poderosa zampata della leonessa aveva ferito Amir in pieno petto.


Mary solleva lo sguardo dal diario e con gli occhi della mente rivive il momento più terribile di quella giornata: Amir, con la camicia strappata e insanguinata, ferito e svenuto tra le braccia di Albert, che disperato continuava a ripetere il suo nome, quasi con tono di rimprovero: - Amir! Amir! Stupido di un egiziano! Perché lo hai fatto? Avrei dovuto essere io al tuo posto! Ho già perso troppe persone a cui volevo bene! Amir! Ti prego, rispondimi! Amir!

Mary rammenta inoltre che, grazie al cielo, la ferita non era profonda e che gli artigli della giovane leonessa non avevano toccato organi vitali come cuore e polmoni, ma nonostante le successive rassicurazioni del Dottor Stevenson sulla pronta guarigione di Amir, Albert vegliò sull'amico egiziano per tutta la notte.

Si è fatto tardi, e la luna africana nel suo viaggio in cielo ha già attraversato la costellazione di Orione.
Mary chiude il suo diario con in testa un unico pensiero: Mio caro Albert, cosa starai facendo adesso?



Scritto da Tamerice

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Capitolo 10
*** Un infame traffico ***


A prua del piroscafo Albert scrutava l’orizzonte, come se non vedesse l’ora di giungere a destinazione.
Quella notte Albert aveva sognato e ricordato l’episodio della leonessa. Per fortuna le ferite di Amir si erano rivelate superficiali, e grazie alle cure del dottor Stevenson e delle sue infermiere il giovane uomo se l’era cavata con poco.
Una evidente cicatrice sul torace era rimasta a perenne ricordo della brutta disavventura, e Albert aveva scolpito in modo indelebile il debito di gratitudine che aveva con Amir.
Un mese dopo, con Amir ormai completamente ristabilito, qualcos’altro era successo, qualcosa che doveva influire sulle vite di tutti loro.

Ahmed era rientrato dall’ospedale di Najmat portando con sé le medicine per l’ambulatorio. Aiutato da Naomi e Mary le stava scaricando dalla macchina quando sopraggiunsero Albert e Amir che si erano allontanati per sbrigare una commissione per conto del dottor Stevenson.
Con l’aiuto dei due uomini le medicine vennero rapidamente catalogate e stipate nella stanza adibita a magazzino delle medicine e attrezzature. Quand'ebbero finito Albert e Amir si accorsero che Ahmed aveva un’aria strana, seriosa. Il che era inconsueto in un tipo aperto come lui.
-Ehi, che ti succede Ahmed?- gli chiese Albert.
Il ragazzo non rispondeva, ma dalla sua faccia si intuiva qualcosa di terribile, qualcosa che doveva averlo sconvolto.
-Ahmed?- chiese di nuovo Albert. Al che lo studente pronunciò qualcosa in un arabo talmente stretto che Albert non riuscì a comprendere.
Anche Amir mutò espressione.
-Ragazzi, che c’è?-
-Venite, usciamo da qui.- propose Amir
Si rifugiarono in cima alla “collina di Pony africana”, e solo lì, al riparo da altre orecchie Amir spiegò ad Albert il significato di quello che aveva detto Ahmed.
-Ahmed ha visto una carovana di schiavi.-
-Cosa? Schiavi? Ma… ma la schiavitù è stata abolita! In America ci hanno anche combattuto una guerra cinquant’anni fa…-
-In America certo, e anche in Europa. Ma qui in Africa e nella penisola araba la schiavitù esiste ancora. Ahmed ha visto una carovana di schiavi dirigersi verso Nord in direzione del Sinai, dico bene Ahmed?-
Ahmed assentì.
-È così, a circa una decina di miglia da qui ho visto una carovana di schiavi. Dal loro aspetto sembravano Kykuyu o Masai, gente proveniente dal Kenya. Erano una ventina di persone, soprattutto donne e bambini. A condurli erano altri cinque o sei kenyoti e un paio di egiziani che probabilmente facevano loro da guida. Naturalmente non potevo certo intervenire e così mi sono tenuto nascosto finché non sono stati abbastanza lontani. Dai loro discorsi mi è sembrato di capire che erano attesi a nord da alcuni mercanti arabi che con una piccola imbarcazione da pescatori porteranno via gli schiavi in barba alle autorità inglesi ed egiziane.-
-Dobbiamo subito avvertire le autorità…-
-Non sai cosa dici Albert.- intervenne Amir. –Anzitutto le autorità sia inglesi che egiziane non si dannano certo l’anima per stroncare questo traffico. E poi quella carovana sarà già lontana da qui. I complici egiziani di quei trafficanti sanno il fatto loro. Seguono piste che nessuno conosce, e che cambiano ogni volta. Ahmed li ha visti per caso e per sua fortuna è riuscito a nascondersi, altrimenti lo avrebbero ucciso o catturato anche a lui per venderlo come schiavo.-

Sul ponte del piroscafo Albert ricordava con amarezza quel colloquio. Quella che fino a quel momento gli era sembrata una terra affascinante e selvaggia, gli aveva rivelato il suo aspetto più crudele e spietato. Esseri umani che venivano strappati alle loro vite per essere venduti come carne da macello. Fino a quel momento aveva creduto che quelle fossero cose del passato, ma non era così.
Ricordava ancora la sensazione di amaro in bocca che lo aveva accompagnato a lungo dopo quella rivelazione, finchè gli stessi Amir e Ahmed lo avevano esortato a non pensarci più.
-Non è in nostro potere di risolvere tutti i mali del mondo Albert.- gli aveva detto Ahmed –Noi siamo solo piccoli uomini, un giorno non ci saranno più schiavi nel mondo, e tutti gli uomini e le donne di questo pianeta potranno dirsi liberi, ma quel giorno non è adesso, e nemmeno domani. Quel giorno è ancora lontano.-
Albert aveva riflettuto su quelle parole e aveva capito quanto Ahmed avesse ragione. Gli venne da ricordare quando la sua Candy venne mandata in Messico dai Legan; lui l’aveva salvata certo, ma non poteva fare altrettanto con tutti i bambini del mondo.

Era passato un mese da quel giorno, e la vita nel piccolo ambulatorio proseguiva tranquilla e metodicamente organizzata dal dottor Stevenson.
Un giorno Albert ricevette una lettera indirizzata semplicemente “Al signor Albert”.
C’era una sola persona che conosceva il suo indirizzo africano, il fido Georges. Aprì la busta e ne trovò un’altra al suo interno insieme ad un foglio scritto proprio da Georges.
Georges lo informava che Candy, la sua protetta, era scappata dalla Saint Paul School, e la busta allegata conteneva una lettera della stessa Candy allo zio William in cui la ragazza spiegava le ragioni del suo gesto, il suo desiderio di realizzarsi nella vita senza interferenze esterne.
Albert sorrise malinconicamente all’idea di quella piccola peste bionda in fuga da Londra verso l’America. Come diavolo pensava di attraversare l’Oceano? Forse a nuoto?
Ne sarebbe stata capace!

Per leggere la sua lettera Albert si era ritirato sulla collina di Pony africana, e dall’altra parte di quella collina, quella da cui lui era provenuto qualche mese addietro, notò un piccolo gruppo di persone che attraversava trasversalmente e velocemente quel sentiero, come se si stessero nascondendo.
In quel momento Albert veniva raggiunto da Amir, e gli fece cenno di tacere e osservare.
Amir capì al volo la situazione.
-Sono trafficanti di schiavi.-
-L’ho capito anch’io, quel bambino che hanno con loro è legato. Non possiamo stare a guardare, dobbiamo intervenire!-
-Albert, quegli uomini sono in quattro e sono sicuramente armati!-
-Se li seguiamo di nascosto e li prendiamo di sorpresa possiamo farcela!-
Amir sembrò farsi contagiare dalla determinazione che leggeva negli occhi dell’amico, e fece un cenno affermativo: non potevano più stare a guardare!

Sul ponte del piroscafo Albert sembrò tornare al presente, davanti a lui si intravedeva la costa egiziana.



Scritto da Gatto1967
 

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Capitolo 11
*** Di nuovo in Africa ***


Dopo una lunga traversata oceanica sulla nave Atlantica in una lussuosa e confortevole cabina che Georges aveva immediatamente prenotato appena saputo delle intenzioni del capofamiglia degli Andrew di partire, Albert era di nuovo in Africa, nella terra degli Afri. Sbarcato nel porto di Alessandria d'Egitto, e seguito il corso del Nilo fino alle gialle colline, era arrivato a destinazione.

Nulla sembrava cambiato dal suo primo viaggio, il paesaggio attorno a lui era di nuovo familiare, e lo aveva condotto direttamente a quella altura da lui ribattezzata la collina di Pony africana. Dall'alto poté ammirare il panorama circostante rapito per l'ennesima volta dalla bellezza selvaggia di quei luoghi, e solo allora comprese, in fondo all'anima, quanto gli erano mancati quei giorni trascorsi a contatto con i suoi amici nella condotta medica e soprattutto quanto gli era mancata Mary, la sua Mary, con quel grazioso sorriso che lo aveva conquistato dal primo giorno che l'aveva incontrata. Sentì crescere in sé una grande emozione al pensiero che presto l'avrebbe rivista.

Situato tra la verde boscaglia e la radura sconfinata attraversata da un piccolo fiume che proseguiva a vista d'occhio fino a perdersi nell'arido deserto, Albert vide il piccolo villaggio egiziano di Wahat Alsahrà e mai come in quel momento il nome gli sembrò così appropriato, Oasi nel Deserto. Era stata proprio Naomi, l'infermiera egiziana, a spiegargli il significato del nome di quell'antico villaggio, dove abitava da sempre con la sua famiglia. E quante storie ancestrali e leggende locali lei e Ahmed gli avevano raccontato. Sorrise al pensiero di quelle notti trascorse attorno al fuoco a parlare con i suoi amici e con Mary seduta accanto, entrambi con il naso all'insù, a guardare quelle magnifiche stelle alla ricerca delle tre zebre nella costellazione di Orione. (*)

Scese la collina a grandi passi e si incamminò verso la condotta medica, con la piccola Poupe, ancora una volta sua immancabile compagna di viaggio, seduta sulla spalla. Si sentiva immensamente felice e il suo cuore batteva forte dall'emozione come un tamburo africano, al punto da sentirsi tutt'uno con il possente respiro della Madre Terra. (**)

Intanto nell'ambulatorio la giornata procedeva spedita. L'emergenza vaccinazioni era rientrata e ormai sotto controllo, anche se i pazienti, grandi e piccoli, non mancavano mai, ma i ritmi di lavoro erano più tranquilli e meno faticosi.
Mary e il Dottor Stevenson stavano sistemando le cartelle dei pazienti, avere un piccolo archivio rendeva tutto più gestibile, mentre Naomi e Ahmed erano impegnati a sistemare i medicinali ritirati il giorno precedente.

Guardando distrattamente fuori dalla finestra, Mary disse:
- Dottor Stevenson, ecco un altro paziente in arrivo – per poi osservare meglio quel giovane uomo dai lunghi capelli biondi che avanzava con passo spedito.
- Albert... - sussurrò Mary con il cuore in tumulto e voltandosi verso il dottore esclamò: - È qui! È davvero qui! La mia lettera è andata a buon fine. Mi aspettavo una risposta ed invece è arrivato direttamente lui.
- Chi sta arrivando? A chi ti riferisci? - chiese il dottore e Mary gli indicò la finestra.
- Guardi lei stesso, dottore.
- Buon Dio del Cielo! Ma è proprio Albert! Non pensavo che l'avremmo rivisto!

Uscirono tutti quanti per andargli incontro, felici di quell'arrivo inaspettato.
Albert salutò e abbracciò calorosamente i suoi amici uno ad uno, e si sentì di nuovo a casa.
Il Dottor Stevenson lo invitò subito ad entrare nella condotta medica, quante cose avevano da raccontarsi, tanto tempo era passato dalla partenza improvvisa di Albert, non avevano più avuto sue notizie ed ora rivedersi era una grande emozione.

Seduti attorno ad un tavolo, Albert prese la parola, era arrivato per lui il momento di dire la verità e di informare gli amici della sua identità che aveva tenuto loro nascosta e che Mary aveva scoperto per caso tramite una notizia letta su un giornale locale mentre era all'ospedale di Najmat.
- Amici miei, vi devo delle spiegazioni, non ho voluto scrivere nulla per lettera e ho preferito raggiungervi appena è arrivata la missiva di Mary. Sono qui per aiutare Amir ma desideravo anche rivedervi – disse Albert guardando teneramente Mary, la quale non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
- Sono l'unico erede di un'importante famiglia, gli Andrew, sono il capofamiglia. Ho perso entrambi i genitori da bambino e sono stato affidato alle cure di mia zia Elroy, la sorella di mio padre. Avevo soltanto otto anni quando mio padre morì e non ero di certo in grado di succedergli per gestire gli affari di famiglia, per questo motivo, per evitare speculazioni all'interno e all'esterno del nostro clan, fu messa in giro la voce che il capofamiglia fosse un signore anziano eccentrico, poco incline ai rapporti sociali ma molto abile negli affari. Così intanto quel bambino è cresciuto ma è anche stato tenuto a debita distanza da tutti i parenti, fino a perdere la memoria di chi ero all'interno della mia stessa famiglia. Alla morte della mia amata sorella, me ne sono andato di casa e ho iniziato a viaggiare. Ero finalmente libero e pur sempre prigioniero della mia stessa identità, facevo il vagabondo, lavoravo qua e là, ma non potevo rivelare a nessuno chi ero in realtà.

Mentre Albert raccontava ai suoi amici le tante vicissitudini accadute nelle diverse stagioni della sua vita, i suoi occhi cercavano continuamente gli occhi verdi, meravigliosi e adoranti di Mary.
- Ed è così che sono arrivato in Africa e ho trovato voi, i migliori amici che potessi desiderare, che mi avete accolto e ospitato senza pregiudizi. Ma mentre ero qui con voi a lavorare nella condotta, in America sono successi dei fatti che hanno richiesto la mia presenza urgente in patria, non potevo più sottrarmi alle mie responsabilità, sia di capofamiglia che di tutore legale di una ragazza, questo è il motivo per cui me ne sono andato improvvisamente. Dopo aver saputo della fuga dalla scuola della mia figlia adottiva e della sua successiva intenzione di diventare infermiera nonché di rinunciare legalmente al cognome acquisito con l'adozione, ho capito che per me era giunto il momento di rientrare in America per rivelare a tutti di essere il capofamiglia degli Andrew e per prendermi cura personalmente degli affari di famiglia, come aveva sempre fatto mio padre e prima di lui gli altri nostri antenati, di William in William. Il mio nome completo è William Albert Andrew ma sono sempre lo stesso Albert che avete conosciuto.

Tutti ascoltavano in silenzio, la storia di Albert era incredibile. L'amico misterioso non era più il viaggiatore vagabondo che avevano conosciuto e ospitato per mesi nella condotta medica. Con totale sincerità aveva rivelato loro la sua identità, e nonostante l'abbigliamento e l'aspetto curato, nulla in lui lasciava pensare ad una persona altezzosa e snob. Anche se appartenente ad una classe sociale privilegiata, da buon amico non aveva esitato a correre in loro aiuto.

- Vi prego, ora ditemi ciò che è successo ad Amir, voglio sapere tutto poiché a lui devo la mia vita. Quel giorno se la giovane leonessa mi avesse attaccato di spalle, non sarei qui a parlare con voi, gli sarò eternamente grato per il suo gesto, ma adesso tocca a me ricambiare e fare il possibile per lui.


Leggende e favole africane
(*) Tra le varie leggende africane, nella tribù dei Ju/Wasi si racconta di un Dio al quale piaceva andare a caccia di zebre. Un giorno ne scorse tre una dietro l'altra e allora scagliò la sua freccia per colpirle, ma non ebbe fortuna e le tre zebre scapparono via. Per questo nella costellazione di Orione si possono vedere tre stelle allineate che rappresentano le tre zebre della leggenda mentre stanno fuggendo e una freccia che percorre il cielo notturno nella direzione opposta.

(**) Un'antica favola africana narra che il suono del tamburo è nato con le origini della vita umana, quando il ritmo del battito della Terra, riempì l’aria del suo Spirito ed entrò nei corpi degli uomini. Questo battito portò alla creazione del tamburo come richiamo al pulsare del cuore della Madre Terra.





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Capitolo 12
*** Zaira ***


L’aver ritrovato i suoi amici di un tempo aveva richiamato nella mente di Albert il ricordo insieme dolce e triste della piccola Zaira. Chiudendo gli occhi il giovane magnate di Chicago rivide forti e chiari i ricordi di quella notte…

Avevano seguito di nascosto i quattro uomini e il bambino con le mani legate dietro la schiena. Ogni tanto uno degli uomini colpiva il prigioniero con una frusta, e Albert fremeva, ma non era quello il momento di intervenire.
Finalmente la piccola carovana si fermò per la notte, e dopo aver consumato una cena frugale si erano messi a dormire senza neanche preoccuparsi di stabilire dei turni di guardia.
Albert e Amir si avvicinarono all’accampamento quasi strisciando, e quando furono vicini ai quattro uomini, si preoccuparono in primis di sottrarre loro le armi. Poi Amir si avvicinò al bambino, e dopo avergli premuto leggermente la mano sulla bocca per non farlo gridare, lo prese di peso e lo portò via.
Il bambino si svegliò e Amir gli parlò in arabo per rassicurarlo, ma il bambino sembrò non capirlo. Amir non aveva certo il tempo di cercare di capire in che lingua parlasse, per cui continuò a muoversi tappandogli la bocca per non farlo gridare.
Nel frattempo Albert aveva tramortito i quattro uomini e disperso le loro armi e le loro scarpe dopo aver trattenuto un paio di pistole e tutti i loro proiettili. Quando anche avessero recuperato i sensi avrebbero avuto non poche difficoltà ad inseguirli.
Quando si furono sufficientemente allontanati, i due uomini si fermarono e cercarono di tranquillizzare il bambino.
-È una bambina.- disse Amir dopo averla osservata bene.
-Si signore, il mio nome è Zaira. Vengo dal Kenya. Il mio villaggio si trova nella foresta, vicino al mare.- disse la bambina in un inglese sorprendentemente fluente.
-Va bene Zaira, io mi chiamo Amir e lui è Albert.-
-Lui… è bianco.-
-Si è vero Zaira- disse Albert con voce dolce e ben scandita –Sono un bianco, ma non ti farò del male. Non tutti i bianchi sono uomini malvagi.-
Poi si rivolse ad Amir.
-Ci ha detto da dove viene, c’è modo di riportarla a casa?-
Amir fece cenno di no.
-Ha parlato solo di un generico villaggio vicino al mare. è troppo poco per capire da dove viene. Non sai quanto sia lontano il Kenya, e soprattutto quanto sia grande. Spesso poi questi villaggi non hanno neanche un nome. Anche se questa bambina ci desse informazioni più precise non potremmo mai riportarla a casa. L’abbiamo salvata da un destino di schiavitù, ma adesso possiamo soltanto portarla con noi e trovare una famiglia disposta ad adottarla.-
Albert si sentiva impotente, ma dovette riconoscere che Amir aveva ragione, la piccola Zaira non avrebbe mai più rivisto la sua casa e la sua famiglia.
Zaira aveva capito il discorso di Amir, e scoppiò a piangere.

Da quel giorno Zaira venne affidata alle cure delle Suore Bianche, ossia alle Suore Missionarie di Nostra Signora d'Africa, che nel piccolo villaggio di Wahat Alsahrà gestivano una casa famiglia per accogliere i bambini orfani e le persone bisognose di aiuto, rivolgendo il loro apostolato in particolar modo al mondo femminile.
Zaira si rivelò ben presto una bambina sveglia, dal temperamento forte e vivace, le piaceva rendersi utile e tutti i giorni si recava al pozzo vicino alla condotta medica a prendere l'acqua, e prima di ritornare al villaggio, passava sempre in ambulatorio a salutare.
Era affascinata dal lavoro che svolgevano all'interno e dagli strumenti in giro nell'ambulatorio e soprattutto incantata dalla spigliata personalità di Mary, che vedeva come un angelo biondo sceso in terra ad aiutare chi ne aveva più bisogno.
Nei suoi sogni ad occhi aperti di bambina, Zaira aveva già deciso che da grande sarebbe diventata una brava infermiera, proprio come Mary e Naomi.
Anche Mary si era affezionata molto a lei, quando poteva le piaceva trascorrere del tempo con quella bambina e visto che nei dintorni del villaggio non c'era una scuola, le stava insegnando a leggere e a scrivere.

Qualche tempo dopo Albert ricevette una nuova lettera, un’altra missiva di Candy allo “zio William”, che come al solito il fido Georges gli aveva inoltrato nascondendola in un’altra busta più grande.
Una Candy raggiante informava lo “zio Wlliam” della sua decisione di diventare infermiera.
Ritiratosi sulla “collina di Pony africana” Albert rifletteva.
Candy, la sua protetta, aveva rifiutato di studiare alla Royal Saint Paul School di Londra, per trovare da sola la sua strada nella vita, e c’era riuscita.
E lui? Che stava facendo?
In quella condotta medica avrebbe volentieri trascorso tutta la sua vita, ma prima c’era qualcosa che doveva fare: doveva assumersi le sue responsabilità davanti agli Andrew!


Scritto da Gatto1967

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Capitolo 13
*** Salvare un amico ***


Dopo aver ascoltato con attenzione i ragguagli di Albert sulla sua partenza improvvisa e sull'identità della sua persona, il Dottor Stevenson iniziò a raccontare ciò che era successo nell'ultimo periodo e che aveva sconvolto e scombussolato la vita nella condotta medica a quattro persone.

- Albert, devi sapere che c'è stato un altro spiacevole episodio qui in ambulatorio con quel colono inglese, il signor John Smith, te lo ricordi? - domandò il buon dottore.

- Certamente! E chi se lo scorda un tipo arrogante e prepotente come quello! - rispose di getto Albert.

- Tempo fa è venuto qui in condotta perchè sua figlia Elisabeth aveva la febbre alta accompagnata da crisi convulsive. Da giorni erano ricomparsi focolai di febbre infettiva in tutta la nostra zona e Smith, agitato per le condizioni di salute della figlia, pretendeva una visita a domicilio seduta stante, nonostante la fila di persone in attesa. Amir è intervenuto per calmarlo e dopo un acceso diverbio tra i due, finito con pugni e spintoni, Smith se n'è andato minacciando tutti noi di farcela pagare. Più tardi, io e Mary, accompagnati da Amir, siamo andati nella sua tenuta a visitare la bambina. Aveva la febbre molto alta, sintomo molto comune delle malattie infettive e come al solito Smith pretendeva un miracolo. Albert, abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, ma le condizioni della bambina ci sono apparse subito gravi - continuò il dottore ancora affranto al ricordo di quella povera bambina, ben sapendo che non avrebbe potuto fare nulla di più per salvarla di quanto aveva fatto. Purtroppo il destino della piccola Elisabeth, così come quello della sua mamma, da tempo era già stato scritto nelle stelle, e nessuna delle due avrebbe potuto sottrarsi alla propria sorte fatale.

- Alcune settimane dopo, tornando dal villaggio, Naomi ha portato una brutta notizia, la piccola Elisabeth era scomparsa e Amir è stato accusato del suo omicidio. La polizia locale è venuta in condotta ad arrestarlo e lo hanno portato nella prigione di Tora, a sud del Cairo. L'influenza di Smith sul governo locale è notevole e nessuno lo ha mai contraddetto, nessuno ha mai messo in dubbio la sua accusa e Amir ne ha subito le conseguenze. È evidente che le prove contro di lui sono false, siamo più che certi dell'innocenza di Amir, ma non sappiamo cosa fare per scagionarlo - il tono di voce del Dottor Stevenson si fece più concitato e il suo viso lasciava trasparire tutto lo sconforto nel sentirsi così impotente di fronte a quella evidente ingiustizia subita da Amir.

- Albert, ora che sei qui confidiamo nel tuo aiuto, se è in tuo potere aiutarci, ad ogni modo qualcosa dobbiamo fare per salvare Amir. In tutto questo tempo è rimasto qui con noi nella condotta, è sempre stato un valido aiuto, non si è mai lamentato e ha imparato velocemente dimostrando interesse per il campo della medicina. Purtroppo le autorità locali non ci hanno permesso di vederlo e temiamo il peggio. Abbiamo sentito dire che a volte i detenuti di quella prigione spariscono nel nulla e nessuno si da pena per loro per ritrovarli - concluse il dottore visibilmente provato dal racconto.

Albert aveva ascoltato tutto con estrema attenzione prima di intervenire.
- Adam, sarò sincero, la situazione si presenta assai complicata e non ho proprio idea di quanta valenza possa avere il mio nome in quella zona del Cairo. Sono conosciuto nella città di Najmat per le mie donazioni all'ospedale locale, ma a Tora sarà difficile che il mio nome possa contare tanto quanto quello di Smith. Dobbiamo inventarci subito qualcosa, concentriamoci su Smith, sono sicuro che ha più di uno scheletro nascosto nell'armadio, attività di contrabbando, bracconaggio, tratta degli schiavi. Quell'inglese non mi è mai sembrato una persona perbene per il suo modo di fare arrogante e pretenzioso. Per salvare Amir, dobbiamo scoprire il marcio che c'è in Smith.

Ahmed, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, intervenne per riportare una notizia che aveva sentito circolare di recente tra la gente del villaggio.
- Dovete sapere che giù al villaggio da alcuni giorni gira la voce che Smith sembra essere impazzito. Sappiamo che la moglie è morta dando alla luce la loro unica figlia, e già allora l'inglese era andato in crisi, ed ora pare non darsi pace per la sorte toccata alla bambina. Annega il suo dolore nell'alcool e maledice tutti coloro che incontra sulla sua strada, è diventato ancora più burbero e rissoso e con i nervi sempre a fior di pelle.

- A questo punto facciamo un tentativo e andiamo prima possibile a parlare con le autorità locali - concluse Albert.


Mentre tutti riprendevano le consuete attività nell'ambulatorio, Mary, per rompere il ghiaccio, invitò Albert a seguirla fuori.
- Vieni con me, Albert, voglio mostrarti una cosa - disse Mary rivolgendosi al giovane uomo con un leggero imbarazzo, era emozionata al pensiero di restare sola con Albert e non sapeva come relazionarsi con lui.

Appena fuori nel cortile, Mary fischiò, un fischio lungo e prolungato, e dalla boscaglia qualcuno rispose con un barrito. Un grosso pachiderma, con andatura lenta ma solenne, uscì allo scoperto dalla boscaglia e si avvicinò agitando la sua proboscide in segno di saluto.

- Lo riconosci? - chiese Mary ad Albert, mentre il volto dell'uomo si illuminava in un largo sorriso.

- Non dirmi che è Little Jumbo! - esclamò Albert sorpreso, mentre dava una rapida occhiata alla zampa dell'elefante, ormai vicino, che portava ancora i segni della cicatrice causati dai denti della tagliola.

- Ma non lo avevamo portato nella radura per riunirlo ai suoi simili? Ricordo che quel branco di elefanti di passaggio lo aveva accettato - continuò Albert mentre l'elefante, che lo aveva riconosciuto, con la sua proboscide gli manifestava tutto il suo sincero affetto di animale.

- Sì, ma poco dopo che tu te ne sei andato, Little Jumbo è tornato qui da noi e non se n'è andato più via. È diventato la mascotte della condotta, i bambini del villaggio giocano con lui e ora vive in modo pacifico e solitario tra la boscaglia e la radura. Ha imparato a riconoscere il mio fischio e ogni volta che sente il mio richiamo, viene da me - raccontò Mary, mentre Little Jumbo cercava con insistenza qualcosa nelle tasche della sua divisa.

- È davvero incredibile! E scommetto che lo hai anche viziato per bene - affermò Albert mentre accarezzeva le orecchie del mansueto pachiderma, che nel frattempo aveva già fatto conoscenza con Poupe, la quale dall'alto della sua groppa era già pronta per nuove avventure.

- Certo! - gli rispose Mary ammiccando.
- Condivido sempre con lui il mio spuntino del pomeriggio, visto che banane e mele in questa zona non mancano mai. Ma niente noccioline, quelle non ce le possiamo permettere, vero Little Jumbo?

- Mia cara Mary questo nome non gli si addice più. Penso che Big Jumbo ora sia più appropriato per la sua mole di gigante - disse Albert sorridendo mentre con galanteria porgeva il suo braccio a Mary per rientrare insieme nell'ambulatorio.


Il giorno successivo Albert e il Dottor Stevenson si recarono nella prigione di Tora e chiesero di parlare con il direttore del carcere. L'intenzione di Albert, presentatosi al direttore come William Albert Andrew di Chicago, era quella di provvedere ad una generosa donazione in favore del carcere per migliorare le condizioni di vita dei detenuti in cambio della scarcerazione di Amir. Era convinto che nessuno avrebbe rifiutato dei bei sonanti dollari americani, e per il suo amico egiziano era disposto a tutto.

La vigorosa stretta di mano che Albert e il Dottor Stevenson scambiarono con il direttore del carcere, fece immediatamente capire loro di avere di fronte una persona dal carattere deciso e determinato. La notizia di quel benefattore di Chicago e di ciò che aveva fatto per l'ospedale di Najmat aveva girato per mezzo Egitto e il direttore della prigione di Tora ne era venuto a conoscenza durante una cena in compagnia del direttore dell'ospedale della città di Najmat, suo caro e vecchio amico. Un gesto del genere lo aveva colpito positivamente perciò quel giorno si sentì benevolo e in via del tutto eccezionale concesse all'americano e al dottore una breve visita ad Amir, sotto la sua diretta sorveglianza.

I tre uomini percorsero in silenzio un lungo corridoio scarsamente illuminato. Celle anguste e un acre odore di umanità accompagnavano il rumore cadenzato dei passi di quei due insoliti visitatori, finché arrivarono alla cella di Amir.
- Amir! Amico mio! - lo chiamò Albert nel vedere l'egiziano dentro quella cella piccola e stretta, sdraiato su una branda dall'aspetto poco confortevole.

- Albert?! Tu... sei proprio tu! - esclamò Amir incredulo e sorpreso di quella visita, quando ormai aveva perso ogni speranza di uscire vivo da quella prigione.
- Dottor Stevenson! Anche lei qui! - continuò Amir avvicinandosi alla porta della cella.

Tra le sbarre della cella, le mani di Adam e di Albert raggiunsero le mani di Amir, in una stretta forte e calorosa per dare conforto e nuova speranza all'egiziano.

- Faremo tutto il possibile per farti uscire da qui, Amir, contaci! - disse Albert stringendogli forte la mano, mentre il dottore lo rincuorò con un cenno affermativo del capo per fargli capire che non lo avevano abbandonato.

- Grazie, amici miei, per essere qui. Rivedervi entrambi è già un grande dono per me - disse Amir commosso.

Gli occhi scuri dell'egiziano si velarono di lacrime, mai nessuno si era preoccupato così tanto per lui.

L'unico modo per salvare Amir era scoprire cosa era veramente successo alla piccola Elisabeth.
Da dove iniziare? Certamente la notte avrebbe portato loro il giusto consiglio sulla pista da seguire.




Scritto da Tamerice

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Capitolo 14
*** La verità ***


John Smith si crogiolava inutilmente su una sedia a dondolo sotto la veranda della sua casa. Ormai da diversi giorni non seguiva più gli affari della sua fattoria, e i suoi lavoranti e servitori egiziani non si davano certo pena per lui.
Non aveva mai trattato bene chi lavorava per lui, soprattutto gli africani, e adesso loro se ne fregavano di lui e della sua proprietà: che andasse pure tutto alla malora!
Molti se ne erano già andati, e altri avrebbero mollato tutto di lì a poco, cercando miglior fortuna da qualche altra parte.
Cercò l’ennesimo sorso di whisky scozzese nella bottiglia ormai vuota che teneva stancamente in mano, e constatato che la bottiglia non conteneva più nemmeno un goccio del suo costosissimo veleno che ormai circolava tutto nelle sue vene, la scagliò rabbiosamente lontano da sé, mandandola a infrangersi sul corrimano della scala che scendeva dalla veranda fino al terreno.
In casa teneva altre bottiglie del suo liquore preferito, ma non ce la faceva nemmeno ad alzarsi. In realtà non aveva nemmeno voglia di bere, quel whisky ormai lo disgustava. Il suo unico pensiero era stordirsi, dimenticare, annullarsi, ma più sprofondava nell’alcool, più i ricordi sembravano imprimersi a fuoco nella sua anima, o in quello che ne rimaneva.
John in gioventù era stato un ragazzo turbolento e irrequieto, al punto di essere costretto a lasciare la sua Inghilterra per alcuni guai con la giustizia. In Africa aveva conosciuto Jane Brown, figlia di un possidente e l’aveva sposata.
Il matrimonio aveva smussato il suo carattere spigoloso, e lui sembrò persino diventare gentile e comprensivo, ma poi quando sua moglie morì dando alla luce la piccola Elisabeth, tutto era cambiato. John tornò ad essere un uomo rissoso e collerico che trattava malissimo le persone, soprattutto gli africani.
Solo con Elisabeth ritrovava, almeno in parte, quel lato umano che Jane era stata capace di tirargli fuori, ma per tutti, inglesi e africani, John Smith divenne un uomo da evitare come la peste.
Era anche entrato in affari sporchi, contrabbando, illeciti fiscali e amministrativi, traffico di schiavi, quasi a voler tirare fuori il peggio che potesse.

-Elisabeth…- mormorò con un filo di voce
-Elisabeth…-
E nella sua mente rivide quel che era veramente accaduto qualche tempo prima…

La piccola Elisabeth era divorata dalla febbre già da qualche giorno, ma adesso era cresciuta a dismisura.
John si era recato all’ambulatorio del dottor Stevenson pretendendo subito una visita a domicilio, ma il dottor Stevenson aveva altri pazienti da visitare, e seppure lo stesso dottore avesse assicurato che si sarebbe recato quanto prima alla fattoria, era scoppiata una rissa con Amir e Stevenson. Odiava quel posto, odiava chi vi lavorava e chi vi si rivolgeva. Il fatto che bianchi e africani fossero trattati alla pari lo irritava e aveva deciso di curare lui sua figlia piuttosto che portarla in quell’ambulatorio.
Poi Stevenson si era presentato alla fattoria, e non aveva certo fatto segreto della gravità delle condizioni di Elisabeth. Se solo quell'idiota di Smith l'avesse portata subito alla condotta invece di pretendere stupidi trattamenti preferenziali!
Una notte John si decise a imbacuccarla in una coperta e a portarla all’ambulatorio in piena notte, mentre i suoi servitori dormivano tutti.
Ma prima ancora di caricarla sul carro, la piccola aveva smesso di respirare.
Lui l’aveva chiamata a gran voce, più e più volte, ma ormai era tutto inutile.

-Elisabeth…- continuava a farfugliare l’uomo.
Qualcuno gli si avvicinò senza che lui nemmeno se ne accorgesse tanto era ubriaco.
-Dov’è Elisabeth?- gli chiese questo qualcuno.
-Elisabeth… ha la febbre…-
Albert sobbalzò: nei vaneggiamenti dell’ubriaco davanti a lui si nascondevano la verità su quella bambina e la salvezza di Amir.
-Elisabeth ha la febbre John?-
Albert scandiva lentamente le parole cercando di mantenere la calma.
-Sì… ha la febbre…-
-Portiamola… all’ambulatorio…-
Albert cercava le parole giuste per non urtare la sensibilità di quell’uomo e cercare di capire cosa era veramente successo, anche se cominciava a intuirlo.
-No… l’ambulatorio no…-
-Perché no John? Il dottor Stevenson la curerà.-
-Sì… certo… la febbre si è alzata…-
Albert cominciò a piangere, ormai aveva capito tutto.
-Elisabeth… non mi lasciare Elisabeth…-
John ripeteva le stesse parole che aveva gridato quella stessa orribile notte.
-Dov’è Elisabeth John? Dov’è?-
-La veranda… la seppellirò sotto la veranda… non dirò a nessuno com’è morta… accuserò quell’egiziano… Amir…-
Senza perdere altro tempo Albert scese le scale e guardò sotto la veranda. La terra era smossa rispetto a quella circostante, come se qualcuno avesse scavato una buca.

Dopo una mezz’ora Albert aveva già scavato per mezzo metro in profondità, e la vanga prelevata dal magazzino di Smith toccò qualcosa, un corpo solido. Era il corpo della piccola Elisabeth, avvolto in una coperta di lana.

Poche ore dopo Smith veniva portato via da alcuni poliziotti, e la povera piccola Elisabeth veniva riconosciuta dai servitori della casa. Quella notte alcuni di loro si erano svegliati alle grida di Smith, ma l’uomo li aveva respinti in malo modo facendoli rientrare in casa.
Testimoniarono che la piccola aveva avuto la febbre già da qualche giorno prima della sua scomparsa, circostanza che Smith li aveva obbligati a tacere.
Anche la morte della sua bambina fu solo un’occasione di sfogare il suo odio contro tutto e tutti.

Qualche giorno dopo Albert e Mary prelevarono Zaira dalla casa di suore in cui abitava insieme ad altri orfani, e la portarono ad una Stazione di Polizia. Lì le venne chiesto se riconoscesse un uomo, e lei non ebbe dubbi: quell’uomo, il signor John Smith, era in combutta coi trafficanti di schiavi che l’avevano condotta fino a lì, così lontano dal suo paese.



Scritto da Gatto1967

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Capitolo 15
*** Un nuovo inizio ***


Scagionato Amir dalle accuse false ed infondate di Smith, Albert avevo deciso di fermarsi ancora per un po' di tempo alla condotta medica. Voleva concedersi una pausa di riflessione lontano dalla vita caotica e frenetica che conduceva a Chicago, sempre immerso tra un affare e l'altro per portare avanti le numerose attività della famiglia Andrew.

Il ritorno in Africa ed i numerosi ricordi dei giorni trascorsi due anni prima nella condotta medica, spinsero Albert a guardarsi dentro e ad interrogarsi. Cosa voleva davvero dalla vita?
Che tipo di persona voleva diventare?
Essere William oppure essere Albert?
E se fosse stato possibile essere tutti e due?
Per giorni Albert pensò al suo futuro, pensò a Candy, alla zia Elroy, a Georges e soprattutto pensò a Mary e alla vita che avrebbe potuto condurre accanto a lei. Ora e per sempre.
Piano piano tutto si fece chiaro nella sua mente. Sì, poteva essere William senza rinunciare ad essere Albert.
Non era sua intenzione venire meno alle responsabilità nei confronti della famiglia alla quale apparteneva, ma il ritornare in quei luoghi lo aveva fatto riflettere a lungo ed aveva scoperto di desiderare più di ogni altra cosa di diventare un medico, proprio come il Dottor Stevenson, per dare il suo contributo nella condotta e in quella parte di mondo così sfortunata.
Animato dalla sua nuova scelta di vita, un mattino alle prime luci dell'alba, Albert scrisse una lunga lettera alla zia Elroy, con la quale la informava della sua decisione di rimanere in Africa per studiare medicina. Scrisse anche a Candy, sicuro che la ragazza più di ogni altra persona al mondo avrebbe compreso la sua scelta.
Infine scrisse al fidato Georges per informarlo che erano necessari dei cambiamenti nella gestione delle attività degli Andrew, non intendeva rinunciare al suo ruolo all'interno della famiglia, ma dettando precise disposizioni specificò che era sua intenzione affidare la gestione degli affari ad Archibald e Neal, sotto il diretto controllo di Georges e comunque sempre sotto la sua supervisione.
Scritte le lettere, si sentì libero come non si sentiva da tempo.
Andò da Adam per parlargli della sua scelta di rimanere in quel posto e della sua volontà di diventare un medico.
Il Dottor Stevenson apprese la notizia con gioia e gli strinse calorosamente la mano.
Sapeva benissimo quanto bisogno c'era di persone come Albert e rimasero d'accordo che il giorno seguente lo avrebbe accompagnato all'ospedale di Najmat per presentarlo al direttore.
In ospedale Albert avrebbe potuto studiare medicina e anche fare tirocinio, nonché prestare servizio nella condotta, affiancando Stevenson nell'ambulatorio nei momenti di maggiore necessità.
Ora gli rimaneva ancora una cosa da fare e si accorse che, fra tutte, era la più difficile da compiere, offrire tutto se stesso a Mary e diventare il suo compagno per tutta la vita. Era un passo decisamente molto importante, perciò si fece coraggio e, trepidante e con il cuore in subbuglio, andò a cercare Mary, la sua Mary.

Mary stava sistemando i medicinali nel locale adibito a magazzino, la porta era aperta.
Passando di lì per uscire nel cortile, Albert si accorse della sua presenza e si fermò a guardarla.
Anche di spalle era così bella nella sua divisa bianca da infermiera, una giovane donna alta e slanciata, molto femminile con i capelli raccolti per praticità in uno chignon semplice. Quante volte, nei suoi sogni, aveva immaginato di sciogliere e accarezzare quei lunghi capelli biondi, perdendosi nelle più intime fantasie.
Il suo cuore accelerò i battiti, in silenzio entrò nel magazzino e strinse Mary in un caldo abbraccio, cingendole la vita con le braccia, mentre un mare di emozioni lo stava già travolgendo.
Senza neanche vederlo in volto, Mary riconobbe subito il calore di quelle braccia e chiaro percepì il respiro affanoso ed emozionato di Albert tra i suoi capelli, e sulla sua schiena sentì i battiti accelerati del cuore di lui, come i colpi di un tamburo in una danza amorosa frenetica.
D'impulso Mary appoggiò le sue mani sulle braccia di Albert e le accarezzò dolcemente, mentre anche il suo cuore sembrava scoppiare nel petto per l'emozione di quel gesto che era molto più che un abbraccio affettuoso.
Sentiva il corpo vigoroso di Albert perfettamente incollato al suo, in un crescendo di emozioni nuove, ma ora comuni ad entrambi. La voce dolce e gentile di Albert ruppe il silenzio con un delicato sussurro vicino al suo orecchio.

- Mary, io ti amo... mi vuoi sposare?

Raggiante Mary si voltò a guardare il viso emozionato di Albert, ed ebbra di felicità gli gettò le braccia al collo stringendolo forte, mentre la sua bocca sussurrava all'orecchio del giovane uomo: - Sì, Albert. Lo voglio! Con tutto il cuore!

I loro occhi si guardarono teneramente per un lungo istante e le loro labbra tremanti, dopo aver indugiato soltanto per un attimo, si lasciarono andare ad un lungo, intenso e romantico bacio in un perfetto sfiorarsi ed intrecciarsi delle loro lingue, un misto di dolcezza e avvampante passione tra due anime predestinate ad incontrarsi e congiungersi.


- Sotto questo Cielo, io William Albert Andrew prendo te, Mary Johnson, come mia sposa per essere il tuo fedele compagno in questa vita. Per te sarò Fuoco per scaldarti, Acqua per dissetarti, Aria per spazzare via ogni pericolo, Terra sicura su cui camminare e Fonte di nuova vita. Ora e per sempre.

- Sotto questo Cielo, io Mary Johnson prendo te, William Albert Andrew, come mio sposo per essere la tua fedele compagna in questa vita. Per te sarò l'alba e il tramonto, la prima stella della sera per guidarti verso casa, sostegno e conforto, un caldo giaciglio e la madre dei tuoi figli. Ora e per sempre.

Albert e Mary si sposarono in una splendida giornata di sole alla presenza degli abitanti del piccolo villaggio di Wahat Alsahrà, con Amir e Naomi come testimoni di nozze e con Zaira e tante altre bambine del villaggio come damigelle.
La cerimonia, molto semplice, si svolse all'aperto presso la chiesetta vicino alla casa famiglia gestita dalle Suore Bianche.
Fu una festa bellissima, le donne del villaggio avevano preparato il banchetto nuziale e gli uomini avevano adornato di tutto punto Little Jumbo con un baldacchino issato sulla groppa del pachiderma, il quale dopo la cerimonia e il pranzo di nozze aveva accompagnato i due sposini in una deliziosa capanna situata appena fuori dal villaggio, allestita appositamente per l'occasione, dove da marito e moglie Albert e Mary consumarono indisturbati la loro prima notte di nozze, mentre il villaggio continuò a festeggiarli trascorrendo la serata tra canti e danze.


Completamente nudi, avvolti soltanto da un lenzuolo, Albert e Mary se ne stavano abbracciati fuori dalla capanna ad ammirare l'enorme luna africana nel cielo, ridendo e scherzando tra di loro.
Era una notte splendida e le stelle nella costellazione di Orione, con le tre zebre fuggitive, erano sempre lì sopra le loro teste ed i due novelli sposi si divertivano a cercarle e riconoscerle.

- Mary, sei felice? - chiese Albert alla sua compagna mentre le posava una lunga scia di baci sul morbido collo.

- Certamente mio caro Albert. Accanto a te sono stata, sono, e sarò sempre felice - rispose Mary deliziandosi per quei suoi caldi baci.

- Bene, allora rendiamo la nostra felicità ancora più completa.

- Più di così? Non credo sia possibile. Già mi sento la donna più felice e più fortunata della Terra ad avere te accanto - disse Mary accarezzando il suo bel viso.

- Sai, in questi giorni ho notato quanto tu e Zaira siete legate, e ho pensato che, in attesa di figli nostri, sarebbe bello e giusto adottarla. È una bambina che merita il meglio dalla vita e noi due ora possiamo donarglielo.

-Oh, Albert, sono senza parole. Questo è il più bel dono di nozze che tu potessi farmi e Zaira sarà la prima rosa del nostro stupendo giardino. Ti amo così tanto - disse Mary al colmo della felicità, abbracciando ancora più forte il suo fresco sposo e iniziando a baciarlo con grande ardore.

Albert, inebriato dal suo sensuale bacio, la sollevò e la prese in braccio per rientrare nella capanna, in quel loro piccolo nido d'amore, per rinnovare ancora una volta quell'unione benedetta dalle più belle e risplendenti stelle della notte africana, mentre una piccola stella cadente solcava il cielo sopra di loro lasciando dietro di sé una sorprendente scia luminosa.

Una grande felicità aveva già toccato i loro cuori e le loro anime, e ben presto avrebbe raggiunto anche una bambina keniota che, nel cuore della notte ancora ignara di ciò che il Destino le stava riservando, dormiva serenamente e sognava di passeggiare, mano nella mano, con Albert e Mary nella radura verde ed erbosa.



Scritto da Tamerice

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Capitolo 16
*** Il procione Candy ***


Nella sua casa vicino al fiume Avon Candy sedeva al suo scrittoio aggiornando il suo prezioso Diario.
Quel Diario che conteneva il racconto di tutta la sua avventurosa vita.
I suoi bambini erano a giocare fuori in giardino, sotto lo sguardo premuroso e attento delle due giovani cameriere che l'aiutavano a mandare avanti la casa.
A volte Candy si sentiva un po' in colpa nei confronti di quelle ragazze anche se non ne aveva motivo: lei non era certo come Sarah o Iriza Legan, le due donne che per anni avevano cercato invano di rovinarle la vita.
Candy trattava bene quelle due ragazze, e addirittura aveva loro ingiunto di chiamarla per nome e trattarla come un'amica. Se non lo avessero fatto le avrebbe immediatamente licenziate!
Quel pomeriggio Candy aveva riletto il suo Diario dalla prima all'ultima pagina, e più di una lacrima le era scesa lungo le guance. La sua era una vita felice con il suo uomo e i suoi bambini, ma lei non dimenticava, non voleva dimenticare le sue traversie passate.
Non voleva diventare una di quelle dame altolocate con la puzza sotto al naso del tutto incapaci di rapportarsi al prossimo se non da un piano di superiorità o comunque di distacco. Nel suo cuore lei voleva rimanere la bambina orfana che correva ridendo sui prati intorno alla Casa di Pony. Lei era e sarebbe sempre stata Candice White, la trovatella cresciuta e amata da due donne meravigliose nel lontano stato dell'Indiana.
Sentiva che stava per immalinconirsi, e decise di chiudere il suo Diario e di raggiungere i suoi bambini in giardino.
Passando vicino alla porta d'ingresso sentì bussare, e aperta la porta, sul suo viso si dipinse un'espressione di felicità.
-Albert! Mary! Zaira!-
L'abbraccio che seguì sembrò dovesse durare in eterno, ma di lì a poco i tre amici si trovarono seduti intorno a un tavolino a sorseggiare un tè, mentre Zaira era uscita in giardino a giocare con i figli di Candy.

-Allora, come ve la passate in Africa?-
-Direi bene Candy.- le rispose il suo amico e padre adottivo -Da poco ho conseguito la laurea in medicina e ho affiancato il Dottor Stevenson nel suo lavoro alla condotta medica. Lì c'è sempre un gran da fare.-
-Sono sicura che sarai un ottimo medico Albert! Un giorno riuscirò a venirvi a trovare, così mi farai vedere la famosa "collina di Pony africana"-
-Collina... di Pony africana?- chiese Mary
Candy sorrise con un pizzico di malinconia, quanta nostalgia le suscitava quel posto...
-La Collina di Pony è il posto dove ci incontrammo la prima volta tanti anni fa.- spiegò Albert alla moglie
-Domina l'orfanotrofio dove Candy è cresciuta così come la nostra collina domina la condotta medica.-
-Due posti dove ogni giorno si lotta per la vita.- aggiunse Candy
-Due posti dominati dall'amore...-
Non poté fermare una lacrima che le scese solitaria lungo la guancia.

-Klin! Klin!-
La voce che entrava dalla porta finestra aperta sul giardino, era la voce della figlia di Candy
-Klin? Ma... è ancora vivo?-
Candy sorrise di nuovo con malinconia.
-No Albert, come potrebbe esserlo, povero il mio procione... Questo Klin è uno dei gatti pigri e viziati che abitano perennemente nel mio giardino.-
Sorseggiò il suo tè e poi spiegò a Mary
-Klin era un procione Mary, anche lui un trovatello che trovammo vicino alla Casa di Pony, che è sempre stato il mio fedele compagno di vita e di avventure per molti anni. Decisamente io e Albert siamo stati anti-convenzionali in fatto di animali da compagnia.-
Mary percepì la malinconia aleggiante nell'aria e volle smorzarla con una considerazione allegra.
-Sai Candy, un giorno Albert mi ha raccontato di aver salvato Poupe e te nello stesso lago a distanza di un mese l'uno dall'altra. Beh, sulle prime pensavo che Candy fosse un procione.-
-Il procione Candy- disse lei prima di mettersi a ridere seguita a ruota dai suoi amici.
-E la tua Poupe?- domandò Candy, visto che era appena stata menzionata.
-Poupe l'ho lasciata in Africa- rispose Albert.
-Non ci crederai, ma la mia compagna di tanti viaggi è diventata la migliore amica di un elefante, lo segue dappertutto e non si separa mai da lui.
-È incredibile, gli animali ci insegnano quanto è bella l'amicizia anche tra specie diverse, proprio come dovrebbe essere tra gli esseri umani di razze diverse- continuò Candy.
-Ma ditemi, che programmi avete per questo vostro periodo di vacanza?
-Per prima cosa cosa voglio portare Mary e Zaira a visitare tutta la Scozia, poi andremo dritti in America. Sai com'è fatta la zia Elroy, vuole rivederci e soprattutto desidera organizzare un grande ricevimento a Chicago, una sorta di "altre nozze" per me e Mary. Non ha ancora accettato il nostro modo di sposarci lontano dalla famiglia e questa volta non possiamo deluderla- rispose Albert facendo l'occhiolino alla sua Mary.
-E dobbiamo fare tutto questo in fretta, prima che io diventi troppo grossa per viaggiare...- disse raggiante Mary lasciando la frase in sospeso.
-Oh, cari!- esclamò Candy -volete dire che...
-Esatto, piccola mia, è in arrivo una cicogna anche per noi- annunciò Albert al colmo della felicità, mentre abbracciava Mary stringendola forte a sé.
 

FINE


Scritto da Gatto1967

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