Our happy ending

di DonnieTZ
(/viewuser.php?uid=660774)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***



Capitolo 1
*** 1 ***



1




 
 «Qual è il problema?»
Dean si pulisce le mani sullo straccio, unto su unto, e si lascia distrarre dalla striscia di grasso che non riesce mai a lavare via davvero da sotto le unghie.
Fa caldo.
Fa caldo e ha fame.
«Quando freno fa uno strano rumore.»
La voce è un grattare rauco, le sillabe appesantite dalla stanchezza. È quel suono a fargli alzare lo sguardo sul cliente e, quando finalmente si guardano, Dean non riesce più a parlare.
Passa un attimo che diventa un intero, lunghissimo secondo.
L’uomo sembra appena uscito dal letto nonostante sia pomeriggio inoltrato, la cravatta annodata al contrario, i capelli spettinati e le occhiaie scure. Anche così, come un contabile che non dorme da mesi, è l’uomo più bello che Dean abbia mai visto. Non riesce a capire cosa l’abbia zittito di preciso: se il fisico che si intravede sotto la camicia bianca, la forma definita delle labbra pallide, gli occhi di un blu che non sembra umano.
Gli occhi, decisamente.
Devono essere gli occhi.
«Come?» chiede, la risposta del cliente ormai dimenticata.
«Dicevo,» ripete l’uomo, un vago accenno scocciato in quella sua voce profonda, «che fa uno strano rumore quando freno.»
«Mh.» Dean sposta finalmente lo sguardo sull’auto e una presa in giro gli si incastra in gola. Dio, la macchina è un mostro color oro che dev’essere stata orribile anche ai suoi tempi migliori. «Questa?» chiede, infilando nella domanda un po’ di incredulità.
Qualche metro più in là, Benny sta lavorando a un’utilitaria, ma si lascia andare comunque a uno sbuffo divertito per la reazione di Dean.
«Sì, questa,» chiarisce il cliente, difensivo.
Dean sbircia oltre il finestrino per assicurarsi che le chiavi siano inserite e che il cliente non se le sia tenute per abitudine mentre parlava con Bobby.
«Da quanto lo fa?» chiede poi, tornando professionale, mentre gira attorno al veicolo e apre il cofano.
«Un paio di settimane,» risponde l’uomo.
«Un paio di-»
Dean richiude la bocca e si sforza di non guardarlo male.
«Sono stato impegnato,» si giustifica l’uomo, annoiato da un rimprovero che non è neanche stato fatto.
«Dovrò alzarla, saranno le pastiglie, niente di che. Le cambio e dovrebbe essere pronta in poco tempo. Questo se non si sono rovinate le pinze, ovviamente.» Dean gira di nuovo attorno alla macchina e ne esamina le condizioni. «Magari cambiamo anche le gomme, eh? E poi passi a prenderla fra un paio di giorni.»
«Le gomme?» chiede l’uomo, seguendo lo sguardo di Dean.
«Se non le piace andare in giro sui cerchioni, credo sia arrivato il momento di cambiarle, sì, signor…»
«Novak,» conclude il cliente. «Castiel Novak.»
Castiel? È un nome vero?
«Novak,» si limita a ripetere Dean. «Venga.»
Tornano da dove il cliente è appena uscito – il cubicolo con i vetri che danno sull’officina – e trovano Bobby dietro la sua scrivania grondante carte. L’uomo alza lo sguardo da sotto l’immancabile berretto.
«Penso proprio siano le pastiglie,» lo aggiorna Dean, restando dietro a Novak perché l’ha fatto passare per primo. «Ma deve cambiare le gomme, così non può girare.»
Bobby guarda l’orologio appeso alla parete e Dean sa che sta calcolando tutto: manca poco alla chiusura e potrebbero essere le pinze, ma per il resto si tratta di operazioni di routine…
«In un paio di giorni, verso quest’ora» è la conclusione a cui arriva, e Dean annuisce come chi ha detto la stessa cosa solo qualche minuto prima.
«Bobby qui penserà alle scartoffie,» dice Dean al cliente, prima di ritirarsi nel garage.
Una parte della sua mente prude per voltarsi e osservare di nuovo l’uomo – Castiel – ma si è allenato tanto bene e tanto a lungo che resistere è più istintivo di cedere alla tentazione. Non è la prima volta che trova un uomo attraente, ma non ne ha mai fatto una questione. È una cosa che gli succede, di tanto in tanto, e che mette via dentro di sé.
Semplice.
Efficace.
Non importano gli occhi blu o i capelli spettinati o le voci profonde.
Richiude il cofano, prende posto alla guida e sposta la macchina sulla piattaforma, perché è il modo migliore di lavorarci senza spezzarsi la schiena. Ne hanno una sola e a volte gli tocca infilarsi sotto le auto come faceva da adolescente, mentre lavorava all’Impala nei parcheggi dei motel. Quella piattaforma è un lusso, segno che le cose all’officina stanno andando bene, per quanto sia possibile in un paesino sperduto fra i campi e i boschi.
Dean esce dalla macchina e va al pannello di controllo per alzare la macchina nello stesso istante in cui il cliente esce dall’ufficio. Gli fa un cenno, un saluto mascolino e noncurante, collaudato e ripetuto a memoria, e Novak ricambia alzando il palmo. Quando l’uomo sparisce alla vista, però – camminando nel caldo cocente di un’estate che non accenna a smettere –, Dean torna a respirare per bene.
 
***
 
Si dice, nei giorni successivi, che sta pensando al cliente solo perché sta lavorando alla sua automobile. Semplice. Ancora una volta, tutto così semplice. Poi arriva il giorno in cui Novak dovrebbe ritirarla e i palmi di Dean iniziano a sudare, perdendo la presa sugli attrezzi.
È il caldo.
Dev’essere il caldo.
«È fermo?» chiede a Benny, indicando l’orologio appeso alla parete con un cenno del mento, fra un cambio d’olio e l’altro.
Benny si raddrizza dalla macchina che sta sistemando e adocchia l’ora.
«No, fratello,» risponde, guardandolo con curiosità.
«Non importa,» borbotta Dean, rimettendosi all’opera.
In quei giorni sono arrivate altre macchine – forse il caldo sta ammattendo anche le auto e non solo le persone – così quella di Novak e parcheggiata sul retro, nello spazio prima del deposito di rottami. Dean dovrà comunque fare la solita chiacchierata finale, soprattutto perché Novak non sembra prendersi cura della sua auto come dovrebbe. Dovrà spiegargli un po’ meglio cos’ha fatto e raccomandargli di fare manutenzione, se non vuole essere lasciato a piedi in mezzo al nulla, la prossima volta.
Quando il pomeriggio inizia ad allungarsi, però, non è Novak che viene a ritirare la macchina.
Al suo posto, con la sua camminata sicura e il suo sorriso irritante, c’è Gabriel, il proprietario della pasticceria in fondo alla via. Dean lo scopre solo quando Bobby lo chiama nell’ufficio.
«Dean-o! Sono qui per la bellezza dorata di mio fratello!» dice Gabriel.
«Come?»
«Gabriel è il fratello di Castiel Novak,» spiega Bobby.
Ora che ci pensa, Dean non aveva idea del cognome del pasticcere.
«Vi ho raccomandato io,» continua Gabriel, contento di qualcosa che Dean non riesce a capire.
Finalmente coglie il quadro generale, però, e capisce che non vedrà Castiel Novak quel pomeriggio.
«Oh… sì… certo.»
Gli esce più come un borbottio confuso che come un assenso, ma guida lo stesso Gabriel verso il retro dell’officina. Bobby doveva saperlo dall’inizio, Novak deve averglielo detto, perché non lascerebbero mai la macchina a una persona a caso che sostiene di essere il fratello di un cliente. Avesse chiesto subito, Dean si sarebbe risparmiato tutto quel…
Cosa?
Non lo sa.
Sa solo di sentirsi deluso, per qualche assurdo motivo.
«Non ti si vede da un po’ dalle mie parti. Ti è passata la dipendenza da torta?» chiede Gabriel, mentre si avvicinano all’auto.
Dean potrebbe spiegare che Gabriel tende ad irritarlo e che il caldo non aiuta, oppure che ha preso cinque chili da quando la pasticceria ha aperto, oppure che Lisa – con cui è uscito per un anno – ha occupato tutte le sue ore libere fino a due settimane prima, quando ha capito che sarebbe stata meglio senza di lui.
«Non ho tanto tempo,» conclude in fretta. «Allora, le ho cambiato le pastiglie e le ruote, ho controllato che tutto il resto fosse in ordine e ho notato che olio e acqua erano praticamente a zero. Tuo fratello deve starci più attento.»
«Riferirò.»
«Sul serio, rischia di restare a pied-»
«Senti un po’, Dean-o, suoni al Roadhouse anche stasera?»
Dean si ferma, squadra Gabriel con sospetto e annuisce. È venerdì e, come ogni venerdì, Dean passerà la serata da Ellen con tutti quanti, a suonare qualche canzone e bere qualche birra.
«Perché?» si decide a chiedere.
«Potrei fare un salto.»
Fantastico.
«Castiel ha bisogno di rilassarsi un po’ e ama gli hamburger.»
Oh.
«Bene. Voglio dire… bene,» balbetta Dean, prima di raddrizzare le spalle e ricordarsi di essere un Winchester.
Gabriel fa un sorriso divertito che nasconde qualcosa di indecifrabile, apre la portiera e accende il motore. Prima di girare attorno all’officina e sparire lungo la strada polverosa, abbassa il finestrino e cerca lo sguardo di Dean.
«Gli farebbe comodo un amico. A Cassie, dico.»
«Umh… va bene?»
«Perfetto, Dean-o! Allora a stasera. Sam sarà felice di vedermi.»
«Sammy non ti sopporta, lo sai, vero?»
«Non capisci proprio niente, Deanna. Niente di niente,» conclude Gabriel, criptico, prima di fare un occhiolino e sparire oltre il basso edificio.
È confuso, Dean.
Non gli piace sentirsi così.
E non c’entra niente il fatto che quella sera Castiel Novak potrebbe sentirlo cantare.
 



 
Ma ciao! Come state?
Non pubblicavo su questi lidi da taaaanto tempo, fra un libro pubblicato e un progetto online, ma se non mi rimetto a scrivere fanfiction in questo periodo, quando?! Avevo bisogno di una sana dose di fluff e di cose belle, quindi aspettatevi proprio questo da 'sta fic. Ho un debole per Dean che canta, non so se si capisce. XD
Non so con che frequenza aggiornerò, ma ho altri tre capitoli già scritti, quindi... restate da queste parti? O tornateci, ecco.
Buona permanenza a casa e GRAZIE a chiunque lascerà un parere, un saluto, un "ma chi si rivede".
(Ah, se siete in vena di cose belle e un po' sovrannaturali e molto lgbt+, potete fare un salto QUI e approfittare della quarantena per leggere questa storia amichevolmente soprannominata "vampiri e maghi gay" agggratis)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***



2




 
«Aspetti qualcuno?»
Dean si accorge di stare alzando la testa ogni volta che una persona entra nel Roadhouse. Charlie gli ha piantato un gomito nelle costole e ora lo guarda con attenzione, come se potesse leggergli la verità da qualche parte, fra le lentiggini e gli occhi verdi.
Non ha intenzione di cedere, Dean. 
Non sta affatto fissando la porta.
«No, no.»
«Ti sei rimesso con Lisa?»
Charlie beve un sorso di birra e lo scruta da sopra la bottiglia. Potrebbe metterla all’angolo, prenderla in giro perché viene al Roadhouse solo per vedere Jo, ma l’ultima volta ha rischiato di offenderla sul serio e la ragazza è terribile quando si arrabbia. Dean non vuole mettere in pericolo il suo computer e tutti i file lì segretamente custoditi.
«No. È finita e basta.»
«So che Ben-»
«Lascia perdere.»
Dean può ammetterlo: Ben gli manca. Gli manca l’idea di avere una famiglia, di rientrare dopo ore e ore di lavoro e farsi raccontare una giornata di scuola, mentre si decide cosa mangiare tutti insieme. Gli manca l’atmosfera rilassata, quando si fermava da loro, il quieto stare insieme che lui e Lisa avevano costruito. Certe volte – quando è notte e il cervello non vuole decidersi a spegnere tutto – quasi rimpiange che non ci sia mai stato un grosso litigio, un addio straziante, una rottura. Lisa ha solo capito di meritare di meglio.
Gli ha solo chiesto se fosse felice e Dean non ha saputo rispondere. 
Era contento, era appagato, ma la felicità è un concetto difficile, per Dean.
Sono anche stati abbastanza bravi da spiegare tutto a Ben e assicurargli che Dean continuerà ad andare alle sue partite. Come potrebbe perdersele? Sono uno dei momenti più vivaci dei suoi week-end, a parte i venerdì sera lì.
«Beh, se hai bisogno di parlarne sai che ci sono, vero? Ci siamo tutti.»
«Lo so, lo so.»
«Ecco, non fare l’idiota.»
La verità è che non ha bisogno di parlarne. È una cosa che è successa e poi è passata. E forse è questo il problema: avesse amato Lisa, ora sarebbe ridotto uno schifo. Invece è semplicemente al punto di partenza, niente di più, niente di meno.
Gabriel e suo fratello scelgono quel momento per entrare. Dean alza la testa e perde il respiro. Castiel Novak indossa sempre una camicia chiara e i pantaloni di un completo, ma sembra ancora più spettinato dell’ultima volta in cui l’ha visto. Senza pensarci – stupido, stupido – Dean alza il braccio e saluta Gabriel, facendogli gesto di avvicinarsi.
«Dean.» Sam richiama la sua attenzione, un’espressione sorpresa in viso. «Da quando tu e Gabe siete amiconi?»
«Gabe
Prima che Sam possa rispondere, facendo seguito al suo sguardo irritato, Gabriel e Castiel si avvicinano.
«Fate posto, fate posto, è arrivata la festa!»
Gabriel si schiaccia fra Sam e Ash, ma Dean è veloce e tira fuori una sedia al suo fianco per Castiel, invitandolo con l’ennesimo gesto della mano. Non si gira a guardare Charlie o Sam, non vuole vedere le domande nei loro occhi. Si limita a restare premuto contro Castiel, godendosi il profumo di sapone che lo circonda, la sua nota leggermente dolce. Miele forse.
«Come va la macchina?» chiede, per avere qualcosa – qualsiasi cosa – da dire.
Castiel finalmente si volta a guardarlo e Dean annega nel blu. Erano così anche la prima volta che li ha visti, quegli occhi? Pensava quasi di averli idealizzati, di averli dipinti di una sfumatura più intensa.
E invece…
«Va molto bene, grazie.»
«Bene, bene.» 
Dean prende un lungo, lunghissimo sorso di birra. Per sbaglio incrocia lo sguardo di suo fratello e può interpretare l’inclinazione delle sopracciglia alla perfezione. Sam si sta chiedendo da cosa diavolo Dean sia stato posseduto. Come nei periodi peggiori dell’alcolismo di John, quando dietro ogni angolo c’era una forza oscura che poteva distruggerli tutti e allora bisognava armarsi di acqua santa e sale.
«Gabriel ha detto che suoni,» dice Castiel.
«Umh…» Dean si passa una mano sul collo, un calore familiare a risalirgli fino alle orecchie. «Non è che… strimpello alla chitarra, a volte qualcuno si aggiunge, niente di che.»
Castiel inclina la testa di lato, lo osserva in modo totalmente diverso da come hanno sempre fatto Sam e Charlie e tutti gli altri. C’è un’intensità profonda in quello sguardo, e Dean si sente nudo.
«Secondo Gabriel, sei molto bravo.»
«Ah, Gabriel ha detto così?» chiede Dean, gettando un’occhiata sorpresa verso l’altra parte del tavolo.
«È stato molto più… colorito, ma non intendo ripetere le sue parole.»
«Se ti interessa puoi salire anche tu, cantare o suonare. Ellen dice che la facciamo risparmiare sull’intrattenimento.»
«Ti ringrazio, ma non è il caso.»
Cas – Dean inizia a chiamarlo così nella sua mente – sembra teso e fuori posto. Se ne sta rigido sulla sedia e alterna sguardi irritati verso suo fratello, che lo ignora spudoratamente in favore di Sam, e occhiate intense verso Dean.
«Non ti piace la musica?»
«Mi piace molto, ma non sono dotato di talento.»
Sembra che ogni tentativo di chiacchierare finisca contro un muro, così Dean si lascia trasportare da altre conversazioni. Come quella fra Charlie e Kevin su Lo Hobbit e il ruolo di Tauriel nel film – una discussione che avviene quasi ogni venerdì -, che si sposta come sempre sul femminismo hollywoodiano che serve solo a vendere più biglietti, ma non si sforza di creare personaggi tridimensionali. Dean si limita a infilare qualche battutina qua e là, ma Cas lo sorprende.
«Concordo. Quel film è un insulto a chiunque abbia letto e amato Lo Hobbit. Non che Tolkien fosse migliore, dal momento che per sua stessa ammissione non ha scritto molti personaggi femminili perché non si sentiva in grado di scriverli. Ma almeno non ha avuto paura di concentrare l’attenzione sulle dinamiche che si creano fra i personaggi maschili. Qui il fulcro doveva essere il rapporto fra Bilbo e i nani, Thorin nello specifico, ma per paura che la gente ci leggesse dentro troppo – come accaduto per Frodo e Sam, d’altronde – hanno voluto aggiungere un triangolo eterosessuale. E come se non bastasse, hanno cercato di creare una qualche specie di intesa amorosa fra Gandalf e Galadriel, la cui sola idea è vagamente nauseante. In più hanno voluto riproporre vecchie glorie, cambiando il tono e l’atmosfera del libro, dividendolo in tre come se avesse senso, e tutto solo per vendere qualche biglietto in più, come dice Charlie.»
La parte di tavolata che è riuscita a sentirlo si è improvvisamente zittita, gli occhi di tutti su di lui. Castiel sembra rendersi conto di aver parlato con una certa agitazione quando ha ormai finito e abbassa lo sguardo sulla birra che Jo gli ha appena consegnato, i muscoli tesi dall’imbarazzo. Forse non sa che rivelarsi un po’ nerd può solo fargli guadagnare punti, in questo gruppo, e qualcosa – dentro – impone a Dean di cavarlo fuori dall’imbarazzo.
«Capitalismo, dico bene?» butta lì, facendo un occhiolino verso Cas.
Charlie ridacchia, Sam sbuffa un po’ di insofferenza, e la conversazione riprende. Parlano del lavoro, delle novità più chiacchierate, di cosa fare quel week-end. Parlano di tutto e di niente, e Dean si sente a casa. Non un luogo, ma un’atmosfera, una sensazione che si spande dal petto al resto del corpo.
Prima che possa provare a chiacchierare di nuovo con Cas, arriva il momento di salire sul palco. Quelle serate l’hanno salvato in più di un’occasione – la musica l’ha salvato – e gli hanno impedito di chiudersi in se stesso quando tutto andava male. La sua famiglia è lì con lui, e salire sul palco per cantare accompagnato dalle voci che arrivano dai tavoli gli ricorda qual è il suo posto nel mondo. 
Sul palco, Dean canta i suoi grandi classici e ci butta dentro anche una Eye of the tiger con il balletto che non manca mai di far ridere tutti fino alle lacrime; si alterna a Chuck, che inizia sempre nervoso ma finisce per lasciare tutti a bocca aperta come al solito con i pezzi che ha scritto di suo pugno; si mette d’accordo con quel pomposo di Crowley per un pezzo che possa essere accompagnato dalla batteria. 
Quando finalmente torna al suo posto, l’adrenalina inizia a scemare e si sente addosso la solita soddisfatta stanchezza.
«Concordo con mio fratello. Sei molto bravo.»
La voce di Cas è più sicura, la postura più sciolta. Lo sguardo è ancora intenso, ma un po’ più lucido.
«Umh… grazie.» Dean gli batte una mano sulla spalla. «Tutto bene?»
«Sì.»
Castiel si allarga in un sorriso tutto gengive e rughe attorno agli occhi. 
Un bel sorriso.
Un sorriso che Dean guarda per troppi secondi perché sia normale.
«Se hai qualche richiesta per il prossimo venerdì, spara,» si affretta a dire.
E Cas non ci pensa poi troppo prima di rispondere.
«Hey Jude
Il tavolo si zittisce. Sam incontra lo sguardo di Dean e si esibisce nella sua espressione da cucciolo abbandonato. Tutti fingono di essere molto concentrati sulle loro birre.
«Umh, scusa Cas, quella… quella non la suono.»
«Oh.»
«Non è per te… è che… non c’entri, d’accordo? Ehi, bellissima canzone, però. Ma no.»
Il silenzio teso si allunga un po’, ma tutti a quel tavolo sanno perché Dean non canta Hey Jude. Tutti tranne Cas, che ora lo guarda con un’attenzione che è già diventata parte del modo in cui sembrano studiarsi da quando si sono incontrati.
«Lunedì gli sistemo il computer,» si intromette Charlie, nel tentativo di rianimare la serata.
Dean butta giù l’ultimo sorso di birra, si appiccica in faccia un sorriso e fa del suo meglio.
«Ci credo, se lo tratta come tratta la sua macchina,» ribatte, permettendo al resto del tavolo di tornare alle varie discussioni.
«Non capisco niente di automobili, Dean,» spiega Cas, scandendo le parole come chi cerca di non sembrare troppo ubriaco. «Ma il mio portatile non fa strani rumori. Ho solo bisogno che sia efficiente per lavorare anche da qui.»
«D’accordo, d’accordo, non scaldarti. E che lavoro fai?»
«Mi occupo di traduzione di testi antichi. Lingue morte. No-io-so
Dean sbuffa una risata. Non lo ammetterebbe neanche sotto tortura, ma Cas è adorabile, con la testa inclinata di lato e l’espressione rilassata di chi, da sobrio, sembra preoccuparsi sempre troppo.
«Gabriel, credo che tuo fratello sia ubriaco,» dichiara Dean, spostando finalmente lo sguardo dall’altra parte del tavolo, certo che Sam abbia smesso di compatirlo per tutta la questione della canzone.
Gabriel smette di bisbigliare verso Sam – che è rosso d’imbarazzo per qualsiasi provocazione a cui il pasticcere lo sta sottoponendo – e scuote bonariamente la testa.
«Cassie è famoso per divertirsi sempre un po’ troppo, non è vero? Ah, se solo potessi raccontarvi gli anni del college!»
«Gabriel,» avverte Cas, quasi ringhiando, tanto da far alzare le mani in segno di resa al fratello.
«Non dico niente, non dico niente, ma è meglio se andiamo o potresti iniziare a farlo tu.»
Mentre li guarda alzarsi e salutare tutti, Dean realizza di sentire una strana nostalgia stringergli lo stomaco. 
Ed è quasi sicuro non si tratti dell’hamburger di qualche ora prima.
Quasi.

 
***

Sono passati i tempi dei suoi vent’anni, quando il fine settimana era una nebbia confusa di birra e corpi. Ora, per Dean, il sabato è dedicato alla spesa e al bucato, e la domenica a sistemare casa e rilassarsi davanti alla televisione. Ogni tanto butta ci butta dentro qualcosa di emozionante – una partita di Ben, una serata dedicata ai giochi da tavolo con Charlie, Kevin e Sam –, ma da quando è tornato single riprendere questa routine gli è servito. Ha capito, per dirne una, che non gli mancano i pranzi domenicali dai genitori di Lisa o i sabati sera con altri genitori a fare cene in cui si parla solo di scuola, compiti e simili. Non odiava fare quelle cose, le considerava parte del pacchetto. La parte peggiore del pacchetto, certo, ma una famiglia doveva essere anche quello, no? 
Quel fine settimana c’è una differenza, però. 
Castiel.
Il pensiero non lo lascia mentre percorre il reparto surgelati, mentre carica la lavatrice, mentre pulisce i pavimenti o fa partire l’ennesima maratona di Dr. Sexy. 
Fa una lista delle cose che sa: Castiel non è bravo con i motori e con i computer, si è trasferito da poco e dev’essere un cervellone perché traduce testi antichi.
Fine.
Non ha idea del perché gli sembri troppo poco, ma arriva alla conclusione che sta solo cercando di aiutarlo. Gabriel gli ha detto che Castiel ha bisogno di amici, no? E se c’è una cosa in cui Dean è bravo è farsi degli amici.

 
***

Lunedì si sveglia prima del solito e passa allo Spicy Donut Hole. Non sa bene perché – o, forse, lo sa e non vuole ammetterlo –, ma Gabriel ha ragione: è tanto che non passa da quelle parti e non si gode una colazione come si deve.
Il proprietario non è al bancone, così Dean si fa fare il solito caffè molto amaro da Aflie e sceglie una ciambella glassata classica, perché ama i piaceri semplici della vita. Mentre sta ritirando la sua ordinazione, Gabriel spunta fuori e rischia di fargli prendere un colpo.
«Dean-o!» urla, entusiasta. «Mi sembrava di aver sentito la tua voce! Jody ha ordinato tre torte, tre, per il compleanno di Donna. Se chiedi a me, credo che si sia fatta prendere un po’ la mano.»
«Spero che ci sia una torta di mele nel mezzo.»
«Spiacente, non è proprio roba da compleanno quella. Niente Sam, oggi? Che delusione.»
«Devi smetterla di irritarlo, sai? Non fosse un pacifista ti avrebbe già tirato un pugno.»
«Certo, certo.»
Dean resta lì come un’idiota, con le mani occupate dalla colazione e niente da dire per portare la conversazione su Castiel. L’espressione di Gabriel inizia a farsi divertita e Dean decide di battere in ritirata. Lo considererebbe un fallimento, non ci avesse guadagnato una ciambella.
Così il resto della mattinata vola via, fra le riparazioni e un po’ di manutenzione sull’Impala. Cerca di tenere la mente occupata, di non pensare troppo, di continuare come ha sempre fatto: mettendo i pensieri in un angolo della mente e dimenticandosi di averli mai prodotti. È un angolo polveroso e affollato, lo sa, ma gli sembra che il momento per mettere ordine sia ormai passato. A un certo punto bisogna realizzare che non ci sarà un “dopo” e che la vita che abbiamo è il momento che stiamo vivendo.
Cazzo, sta anche diventando un filosofo…
«Tutto bene, fratello?»
Benny si sta asciugando la fronte sotto il berretto che si ostina a portare nonostante il caldo. È uno dei migliori amici che ha, Dean lo sa bene, ma non crede di poter parlare di questioni da commedia romantica, con lui. Di come, di tanto in tanto, Dean si senta confuso e… solo. Benny non è parte del gruppo del venerdì sera, però, e questo significa che parlargli sarebbe meno spaventoso che parlare a quella famiglia estesa che finirebbe per stargli col fiato sul collo tutto il tempo. Ne farebbero un dramma e Dean non vuole drammi, grazie e prego.
«Nah, tutto bene,» risponde invece.
«Si tratta di Sam?» chiede Benny, stringendo gli occhi in un’espressione sospettosa
«No, cazzo Benny, non si tratta di Sam.»
«Scusa, scusa. Sembri parecchio pensieroso, tutto qui. Di solito stai così per tuo fratello.»
«Prima o poi dovrete risolverla, quella questione.»
Benny si stringe nelle spalle e infila lo straccio nella tasca della tuta.
Si rimettono a lavorare in silenzio, ma la mente di Dean non accenna a spegnersi. Mentre è sotto un’utilitaria, cerca di identificare il momento esatto in cui qualcosa ha fatto caos dell’ordine maniacale del suo cervello e la risposta gli arriva come un pugno nello stomaco.
Castiel.
È così spaventosa e inspiegabile, quell’idea – così stupida – che Dean ricaccia tutto via. Solo che adesso il suo angolino polveroso e sovraffollato somiglia più a un armadio stipato fino all’orlo, tanto che deve spingere le ante a forza per tenerlo chiuso.
«Dean!»
«Dannazione.»
La voce di Bobby tuona per l’officina, e Dean rischia quasi di tirare una testata dalla sorpresa.
«Che c’è?!» chiede, scivolando fuori da sotto l’auto.
Non si aspetta di trovare Castiel in piedi dietro a Bobby, con una scatoletta in cartone dello Spicy stretto in mano e l’espressione perplessa in viso.
«Ti ho chiamato tre volte, ragazzo.»
«Scusate, ero concentrato. Capita anche a me, a volte,» risponde Dean. «Ehi, Cas. Spero tu non sia qui per la Lincoln,» aggiunge, mentre Bobby si allontana e li lascia soli.
«No, la Lincoln funziona perfettamente, grazie Dean.»
Cas resta in attesa, come se avesse qualcosa da dire e non sapesse bene come dirla. Non ci sono indizi di nervosismo nel suo corpo – non sposta il peso da un piede all’altro, non si guarda attorno, non si tocca i vestiti – ma resta lì a guardarlo, la testa un po’ inclinata di lato.
«Posso fare una pausa,» dice Dean. «C’è un tavolino sul retro.»
Sbircia l’orologio e fa segno a Benny, che si limita a un cenno del capo prima di rimettersi a lavorare. Dean cerca di pulirsi le mani con lo straccio mentre esce dall’officina e fa il giro sul retro, con il rumore dei passi di Cas alle spalle.
«Cosa ti porta da queste parti?» chiede finalmente, quando raggiunge la sedia e la volta per incrociare le braccia sullo schienale quando si siede.
Castiel rimane in piedi, la scatoletta ancora in mano e una certa rigidità nella postura.
«Volevo scusarmi per venerdì sera. Lo avrei fatto prima, ma sono stato impegnato e-»
«Gesù, Cas, siediti.»
Castiel alza un sopracciglio, un’espressione decisa che Dean non gli aveva ancora visto addosso e che trova stranamente interessante. Poi si siede e posa la confezione sul tavolino traballante che Dean e Benny usano per la pausa pranzo.
«Cos’è questa, un’offerta di pace?»
«Gabriel dice che la torta di mele è la tua preferita.»
«Gabriel sa essere un uomo saggio, ma non hai bisogno di offerte di pace. Non capisco neanche per cosa dovresti scusarti, a dire il vero.»
Dean sta già alzando il coperchio; la fetta che lo aspetta lì sotto è enorme e profuma in modo divino.
«Quindi posso riprendermela?»
Dean trascina la torta verso di sé e la difende con il braccio, perché Castiel ha parlato con tono serio e serve qualche istante più del necessario a capire che sta scherzando. 
«No-uh, non sono così crudele da impedirti di scusarti, anche se non ce n’è motivo.»
Sorridono e Dean si sente leggero. Raccoglie la forchetta monouso e inizia a darci dentro, gustandosi tutti i sapori che gli esplodono sulla lingua. C’è la giusta quantità di cannella e le mele sono morbide nell’impasto. Vorrebbe dire che è meglio del sesso, ma il sesso gli piace parecchio, quindi…
«Volete che vi lasci soli?» chiede Cas.
Dean sorride senza preoccuparsi di mostrare il contenuto del suo ultimo boccone.
«Affascinante,» riprende Cas. «A proposito di venerdì, era la prima volta dopo molto tempo che mi concedevo una serata libera e temo di non reggere più l’alcol come un tempo.»
«Hai dei vuoti di memoria?» chiede Dean, divertito.
«No, niente del genere. A volte non sono particolarmente bravo a cogliere i segnali delle persone, soprattutto nei gruppi numerosi, e posso risultare invadente. Inoltre, ricordo di essere stato indelicato nei tuoi confronti, a un certo punto.»
«Indelicato?» Improvvisamente Dean si ricorda. «Ah, parli della canzone. Gabriel te ne ha parlato, è così?»
«Potrebbe aver accennato a qualcosa. Ma solo per evitarmi di ripetere lo stesso errore. Non ci conosciamo e non avevo idea che fosse un territorio delicato.»
Dean sente l’imbarazzo riscaldargli la faccia ed è certo di essere rosso fino alla punta delle orecchie. Non gli piace sentirsi così esposto e vulnerabile, ma non vuole che le uniche informazioni che Cas ha su di lui vengano da Gabriel.
«Non è niente, davvero. Non so cosa ti sia stato raccontato, ma quella canzone significa tanto per me. Una volta ho provato a cantarla in pubblico e ho scoperto che…»
La frase sfuma nel silenzio.
«Dean, non mi devi spiegazioni.»
Il fatto è che Dean vuole raccontare a Cas di sé e non sa bene perché. Non lo conosce, non ha idea di chi sia a parte i pochi dati raccolti nelle uniche due volte in cui si sono visti, ma tutto questo non sembra contare. Vuole essergli amico. E forse è il suo complesso da eroe unito alla frase che Gabriel gli ha detto quando è venuto a ritirare la macchina, ma la realtà è quella che è.
«No, davvero, voglio che tu lo sappia così smetti di parlare di scuse e roba del genere, d’accordo? Comunque… me la cantava mia madre e quando l’ho cantata in pubblico la prima volta è stata un po’ una botta, presente? Insomma, non è stato un bello spettacolo e da allora preferisco evitare.»
Quando Dean alza lo sguardo, trova Cas a osservarlo con la testa inclinata di lato e gli occhi stretti.
«Cosa?»
«Sei una brava persona, Dean.»
Quella frase, pronunciata in modo così diretto, scalda Dean in punti segreti. Quelli fragili, messi lì dai colpi della vita, che rischiano di mandarlo in pezzi alla prima pressione inaspettata.
«Cristo, Cas, non dire robe del genere,» lo rimprovera, senza riuscire a nascondere né l’imbarazzo, né la gratitudine.
«È vero.»
«D’accordo, sì, beh, smettila lo stesso.»
Sorridono per quello scambio, ma le loro espressioni divertite sfumano in fretta e loro restano a guardarsi per un po’. Dean non sa cosa stia succedendo, come mai le pulsazioni siano aumentate e se ci sia motivo di preoccuparsi per la propria salute. Troppo caffè, pressione alta, quelle cose.
«Devo…umh… tornare a lavoro.»
«Devo andare anche io. Grazie Dean, per avermi dedicato del tempo.»
«Figurati.» Si alzano e Dean batte una mano sulla spalla di Cas. «Ehi, ci sei per il compleanno di Donna?»
«Il compleanno di Donna?»
«Sì. Facciamo una grigliata da Jody, niente a che vedere con le serate al Roadhouse. Una cosa tranquilla, domani pomeriggio, perché poi partono. Insomma, non è niente di folle, quindi se vuoi venire…»
Cas lo guarda e sembra combattuto, ma non cede a quella che ha tutta l’aria di apparirgli come una tentazione.
«Mi dispiace Dean, non posso. Ma grazie per l’invito.»
«Ok, nessun problema, nessun problema.»
Anche se per tutto il pomeriggio Dean pensa a quanto gli piacerebbe rivederlo presto.
 


 
Buonsalve, buonsalve!
Ecco il nuovo capitolo, spero che vi piaccia e che vorrete farmi sapere!
Sto partecipando al CampNaNoWriMo per finire il (dannatissimo) romanzo, ma troverò comunque tempo per questi due perché sono quello di cui ho davvero bisogno al momento. 
Voi come state? Tutto bene???
Al prossimo capitolo!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


 
3




 
Dean ha avuto solo il tempo di una doccia veloce dopo il lavoro prima di infilarsi i jeans e una maglietta, e guidare fino a casa di Jody.
Sente il rumore della festa già dal vialetto e quella che doveva essere una tranquilla grigliata fra amici pare proprio la celebrazione del quattro luglio.
«Dean! Ce
l’hai fatta
È Charlie ad aprirgli, energica e sorridente. Lo strizza in un abbraccio che non si direbbe provenire da quello scricciolo di persona e poi lo lascia passare.
«Stanno già grigliando?»
«No, no, ti hanno aspettato, non preoccuparti. Bobby?»
«Ha detto che passava a prendere Ellen e ci raggiungevano.»
«Jo
resta al Roadhouse?»
Dean sta per tirare fuori una battutina sul tono dispiaciuto di Charlie, ma se la rimangia e si stringe nelle spalle. Va verso il giardino sul retro e si immerge nei saluti, perché non vuole pensare ai sentimenti, alle relazioni, a quello che gli manca ma che non sa se vuole davvero. Sta bene da solo, questo è il fatto. Sta bene con gli amici, con la sua casa, con la sua gente.
Non ha bisogno di… pensieri strani.
«Dean-o!»
Gabriel porta una camicia hawaiiana slacciata su una canottiera, degli occhiali da sole fosforescenti e tiene la mano a un bambino dall’aria sperduta.
«Ciao, Gabriel. E questo chi è?»
«Questo è Jack. Anzi, ti spiace tenerlo cinque minuti? Ho una cosa da fare, rapido rapido, ci impiego poco.»
«Certo, va bene, non preoccuparti.»
Gabriel bisbiglia qualcosa a Jack e il bambino gli lascia la mano e prende quella di Dean come se fosse il gesto più normale del mondo. Non ha idea di chi sia figlio o come mai sia lì, sa solo che non è di Gabriel. Di certo è un po’ irresponsabile lasciarlo con il primo che passa, anche se alla festa si conoscono tutti.
«Ehi, tutto bene? Ti stai divertendo?» chiede al bambino.
«Ho rovesciato il succo.»
Jack lo guarda con occhi grandi e seri. È uno bambino magrolino, deve avere massimo sei anni, e quando ha finito di parlare torna a guardare davanti a sé.
«Beh, capita amico, niente di cui preoccuparsi. Sai cosa? Ti porto a conoscere un po’ di bella gente, vuoi?»
Jack rialza lo sguardo, sembra pensarci seriamente, poi annuisce.
«Io
sono Dean.»
«Piacere, io
sono Jack.»
«Come sei
educato
«Papà dice che è importante.»
«E dov’è papà?»
«Ho rovesciato il succo sulla sua camicia.»
«Ah, capisco. Senti, hai paura di stare in alto?»
Jack gli riserva un altro sguardo attento e poi scuote la testa, così Dean si china e se lo carica sulle spalle.
«Cosa vedono i tuoi occhi da elfo?» chiede, ma Jack non risponde e Dean realizza che sarebbe pretendere troppo da un bambino di quell’età.
Intercetta Sam, Ash e Kevin, e si avvicina tenendo le manine di Jack perché non gli prenda la paura di cadere.
«Ehi,
ragazzi
«Dean, ciao. Così hai conosciuto Jack eh?» chiede Sam.
«Jack, non mi hai detto di essere famoso.»
«Non sono famoso,» ribatte il bambino, serio.
Dean sbuffa una risata.
«Non ho ancora trovato Donna o Jody, dove sono finite?»
«Hai provato a vedere dentro?»
Dean li saluta e fa un altro giro, battendo pacche sulle spalle e scambiando qualche parola con Jack. È decisamente un bambino serio, un po’ strano, e Dean decide che è il tipo di bambino con cui gli piace avere a che fare.
«Dove sarà finito Gabriel?»
«Ha detto che deve calmare papà.»
«Beh, intanto noi possiamo andare alla ricerca della festeggiata. Vedi per caso una donna bionda, da lassù? O una con i capelli corti e castani?»
«Castani?»
«Marroni.»
«Uhm…»
Dean sente Jack guardarsi attorno e sorride. Lo conosce da pochi minuti, ma può già immaginare la concentrazione con cui sta cercando di trovare le donne in questione.
«Ore
tre
«Come?»
«Ore tre,» ripete Jack, con lo stesso identico tono di voce.
Dean è perplesso, perché nessun bambino di quell’età dovrebbe avere la minima idea di cosa significhi “ore tre” se non sa cosa voglia dire “castano”, ma segue comunque l’indicazione e trova Donna e Jody a scherzare con un gruppo di colleghi.
«Rufus, ragazzi, state monopolizzando la festeggiata!» dichiara, con un sorriso ampio in viso.
Poco lontano esplodono le risate di un paio di bambini e Jack sussulta.
«Ehi, campione, tutto ok? Vuoi scendere?»
«Sì,
grazie
Dean riporta Jack a terra, ma non lascia andare la mano mentre stringe Donna in un mezzo abbraccio.
«Allora, te l’aspettavi?»
«Oh, tesoro, come facevo a saperlo?»
Donna gli strizza l’occhio e Dean capisce che probabilmente lo sapeva da tempo, ma che lascerà a Jody l’illusione di averla sorpresa.
«Hai conosciuto Jack, vedo. Come va la festa, ometto?» chiede Donna.
«Molto bene, grazie,» risponde il bambino.
«È carino vero?» continua Donna. «Un mini-Castiel.»
«Cosa?»
«Un mini-Castiel,» ripete lei.
Dice altro, rivolta verso Jack e poi verso Jody, ma Dean non sta sentendo. Non sa come mai, ma la notizia sta impiegando qualche secondo di troppo a penetrargli fino al cervello, perché lui la assimili. Nonostante le poche informazioni su Castiel, non si era aspettato avesse un figlio. Un figlio è… beh, un’informazione bella grossa, che di solito salta fuori fra le prime che una persona condivide. Non che cambi qualcosa, possono essere amici, ma gli sembra quasi di dover cambiare l’equilibrio di una dinamica che ha immaginato fino ai dettagli, nei giorni precedenti.
Cos’altro può esserci da sapere?
Sarà
sposato?
Il pensiero sembra materializzare il diretto interessato, che si avvicina con passo agitato, lo sguardo che rimbalza da una parte all’altra del cortile.
«Avete
visto
Si blocca su Dean per un istante, poi i suoi occhi azzurri scivolano giù verso Jack e verso il punto in cui la sua piccola mano è stretta in quella di Dean.
«Jack, pensavo fossi con Gabriel.»
«Ha detto che ti cercava,» risponde Jack, che sembra considerare ogni cosa una stranezza da adulti.
«Scusa, Dean, non pensavo lo avrebbe lasciato solo.»
«Nessun problema, vero Jack? Ci siamo fatti un giro.»
Jack annuisce e, quando Cas tende la mano nella sua direzione, scivola via dalla presa di Dean e si rifugia in quella del padre. Ma Cas non sembra calmarsi e Dean lo studia per cercare di decifrare la situazione: ha una macchia arancione sulla camicia, i capelli più scompigliati del solito e profonde occhiaie. Niente di tutto ciò lo rende meno bello, ma a questo Dean non può pensare.
«È meglio se andiamo. Grazie per l’invito, Jody, e ancora auguri, Donna,» lo sente dire.
«Ehi,
ehi, come ve ne andate
Dean lo prende per il gomito e lo tira delicatamente perché si spostino un po’ di lato, lasciando tornare il gruppo di agenti alle loro chiacchiere.
«Che succede?» domanda, quando sono finalmente soli.
Beh, soli con Jack.
Jack il figlio di Castiel.
Quel Jack.
«Non saremmo dovuti venire. Jack ha difficoltà con i gruppi numerosi di persone e-»
«A me sembra che se la stia cavando bene.»
Castiel gli lancia uno sguardo esasperato, ma Dean si difende con il sorriso migliore del suo repertorio.
«A me sembra,» aggiunge, più delicato, «che sia il padre ad avere qualche problema con i gruppi numerosi.»
Castiel rilassa la postura rigida, guarda verso Jack, che sta fissando dritto davanti a sé, e sospira.
«Pensavo fosse una festa più piccola,» ammette.
Dean gli posa una mano sulla spalla e stringe appena.
«Se vuoi andare, nessuno te ne farà una colpa. Ma se vorrai provare a restare, prometto che non vi lascerò soli, va bene? Anzi, andiamo un attimo alla mia macchina, ti presto una maglietta, stacchiamo da tutta questa gente. Quando torniamo, vi insegno tutti i segreti della carne alla griglia.»
Castiel lo fissa, sembra stia cercando qualcosa, e Dean si sente di nuovo esposto. Una parte di lui spera che trovi qualsiasi cosa gli serva scoprire, con quello sguardo indagatore.
«Hai una maglietta in macchina?»
«Certo, non si sa mai. È buttata nel baule e non sarà precisina come le tue camicie, ma fa il suo dovere.»
«Le mie camicie non sono “precisine”. »
Dean vorrebbe prendere in giro quelle virgolette riuscite solo per metà – visto che l’altra mano è ancora occupata da Jack –, ma non riesce a contenere l’eccitazione all’idea che Cas possa decidere di restare. Gli lascia il tempo di valutare la proposta, però, obbligandosi a un sorriso che spera riesca naturale.
Cas si china e fissa Jack con la stessa intensità con cui il bambino lo ricambia.
«Vuoi restare?» gli chiede, parlandogli come a un adulto.
Jack ci pensa, si mordicchia il labbro, guarda verso Dean.
Alla fine,
annuisce.
«Ah, ho capito chi comanda,» esclama Dean, sbuffando fuori una risata sollevata che non vuole spiegarsi.
«Non immagini quanto sia vero,» risponde Cas, tirandosi in piedi.
Dean ride di nuovo. Non credeva di rivedere Cas così presto – e non aveva idea dell’esistenza di Jack –, ma ora che sa di poterci passare la serata insieme non vuole finisca troppo presto. Dovrebbe fermarsi ad analizzare quel desiderio, ma la voce di Gabriel continua a riecheggiargli nella testa.
 Gli farebbe comodo un amico.
Guida i due verso l’Impala e, quando arrivano, apre il cofano senza mostrare la minima apprensione. In realtà, il giudizio sulla sua bambina è determinante.
«Wowie.»
È la prima volta che Jack usa un’espressione da bambino.
Dean spunta dal bagagliaio con la maglietta stretta in pugno e sa di avere in viso un’espressione sorpresa.
«Effettivamente, wowie,» ripete Cas, con la stessa serietà del figlio, e Dean può quasi sentirle nel tono di voce, le virgolette.
«Vi piace? Ci possiamo fare un giro, una di queste volte,» dice, dando alla frase quella che spera sia la giusta dose di aspettativa.
«Davvero?»
domanda Jack.
«Sono sicuro che Dean ha molto da fare, vedremo se sarà possibile.»
«Davvero,» risponde Dean, facendo un occhiolino verso Cas. «Ma solo quando vuole papà.»
Si aspetta un po’ di insistenza da Jack, dopotutto i bambini tendono a volere assensi definitivi e veloci, ma è sorpreso di vederlo annuire.
«Ecco, tieni,» riprende Dean, allungando la maglietta in direzione di Cas.
«Vado a cambiarmi in bagno. Potresti stare un attimo con lui?»
«Sarò meglio di Gabriel,» risponde Dean, seguendolo verso la casa.
«Non è particolarmente difficile, Dean. Ha appena lasciato suo nipote da solo a una festa.»
«Ehi, non l’ha lasciato solo! L’ha lasciato a me, la persona più affidabile qua in mezzo.»
«Più affidabile di tutti gli agenti presenti?»
«Sissignore.»
Dean lo dice per scherzare, ma Cas gli riserva il suo sguardo dal sopracciglio alzato mentre sono ormai immersi nella penombra della casa e un brivido gli scorre lungo la schiena.
«Torno subito,» dice Cas, salendo le scale.
Dean è di nuovo solo con Jack e decide di sedersi sull’ultimo gradino, battendo la mano un paio di volte sulla moquette perché il bambino lo imiti.
«Così, Castiel è il tuo papà,» dice, annuendo a sé stesso.
«Non è proprio proprio il mio papà.»
Dean si volta e riserva a Jack uno sguardo confuso. Il bambino inclina la testa di lato, proprio come suo padre, ma non aggiunge spiegazioni. Dean non sa se sia il caso di chiederle, così cerca di riparare su un terreno più solido.
«Ti piacciono gli hamburger?»
«Sono i miei più preferiti.»
Dean trattiene una risata. È difficile, però, visto che Jack dice perfino quelle frasi con tono serio di chi sta ponderando sul significato della vita.
«Super-preferiti? Più della torta?»
«La torta è buona. Ma a me mi piacciono i tor- tort- tormoncini.»
«I
cosa
«I torroncini. Quelli ricoperti di cioccolato,» risponde la voce rauca di Castiel alle loro spalle. «Fosse per lui, mangeremmo hamburger, pizza e torroncini a tutti i pasti.»
Dean si alza e Castiel è una visione. La maglietta nera gli sta un po’ stretta e Dean non avrebbe mai detto che sotto le camicie candide ci fosse un corpo come quello. Non che… non che sia rilevante, certo.
«Uhm…
uhm…»
«Come va? Meglio?» chiede Cas, aprendo le braccia.
«Uhm… sì,» riesce finalmente a dire Dean. «Sì, meglio. Dovresti portarle più spesso, le mie magliette. Cioè, no, le magliette, in generale. Sai, per il caldo. È un’estate calda.»
Scuote la testa e fa strada verso la cucina, sperando che le piastrelle tirate a lucido lo inghiottano e mettano fine alle sue sofferenze. Invece si trova davanti Gabriel e Sam, il primo con un sorriso soddisfatto in viso e il secondo rosso come dopo una delle sue corse mattutine da fissato.
«Che fate? Non state litigando, vero?» sbotta, recuperando una birra dal frigo stipato di bottiglie.
«Dean-o! E Jack e… Cassie? Cosa vedono i miei occhi? Una maglietta?!»
Gabriel ignora Dean e saltella verso il fratello, tutto entusiasta.
«Dean è stato così gentile da prestarmela. E, sai, da tenere Jack al posto tuo.»
«Oh, via, sapevo di averlo messo in buone mani. Tutti sanno che Dean è tipo… l’uomo che sussurrava ai bambini.»
«Suona male,» borbotta Sam.
«Suona decisamente male, Gabriel,» conferma Cas.
«Avete capito che intendo! È materiale da zio simpatico, no?»
Dean vuole cavarsi fuori da quell’intera situazione. Se Gabriel e Sam vogliono battibeccare in cucina, peggio per loro. Di certo non gli piace l’idea di essere considerato “materiale da zio simpatico”.
«Andiamo, la cena non si prepara da sola,» ribatte, marciando irritato verso il giardino.
Insieme a Cas e Jack arriva davanti all’enorme barbecue e ci trova Bobby intento a controllare che sia caldo e pronto.
«Eccoti,
ragazzo
«Ho avuto qualche contrattempo. Ti ricordi di Castiel?»
«Certo, non sono ancora così vecchio.»
«Quindi puoi portargli una sedia, mh?»
«Dean, posso prendermi da solo una sedia,» interrompe Cas.
«No-uh. Ho promesso che staremo appiccicati, ricordi? Come li impari i segreti del mestiere, altrimenti?»
Bobby non si fa troppe domande e recupera una sedia di plastica, ma prima che se ne vada, Dean gli legge in viso un’occhiata sospettosa. Non ha idea di quando sia iniziata di preciso, ma sembra che tutti lo guardino in modo diverso da qualche giorno ed è passato troppo tempo perché la questione riguardi Lisa. Cerca di concentrarsi sulla cena e sui suoi ospiti – non sa perché li sta considerando tali –, visto che grigliare gli è sempre piaciuto. C’è un ché di soddisfacente nel nutrire la propria famiglia, stando immerso nel fumo e nel calore solo per loro.
«Allora, pronto per gli hamburger, Jack?»
«Non dovresti servire prima la festeggiata?»
«Nah, facciamo sempre prima i bambini, così poi li lasciamo allo stato brado e possiamo rilassarci,» risponde Dean. «Non che… voglio dire, non che i bambini non siano rilassanti.»
«Non preoccuparti, sono consapevole di cosa comporti crescere un figlio,» risponde Castiel, senza irritazione nella voce, come per un dato di fatto.
Dean si volta per sbirciare la sua espressione ed essere certo che non se la sia presa, ma l’immagine che incontra gli allarga il cuore di tre taglie: Cas è sulla sedia traballante, con Jack sulle ginocchia, ed entrambi sono attentissimi a ogni sua mossa, tutti occhi grandi e attenzione ferrea.
«Allora, come vi trovate da queste parti?» chiede, per smorzare l’atmosfera.
«Potrebbe andare meglio.»
«Troppa
gente
«No,» risponde Cas, quasi imbarazzato. «No, ci siamo trasferiti qui proprio per l’atmosfera che Gabriel mi ha sempre descritto.»
Dean quasi sbuffa una risata incredula, ma riesce a trattenersi. Jack è silenzioso per tutto il tempo, attento al modo fantasioso con cui Dean decide di girare gli hamburger solo per dare spettacolo.
«Che succede? Altri problemi?»
Segue del silenzio a quella domanda e Cas non sembra volerlo riempire con una risposta. Dean è quasi certo di aver superato una linea invisibile di confidenza e inizia a preoccuparsene, ma la voce di Jack spezza l’attesa
«La nostra casa è brutta.»
«Casa nostra non è brutta, è da ristrutturare,» lo corregge Cas.
«Ah, avete comprato una casa da queste parti?»
«Potrei…»
Dean vede Cas muoversi a disagio sulla sedia, ma cerca di non mettergli pressione. Sta immagazzinando ogni nuova scoperta per rigirarsele nella mente più tardi, da solo, e decidersi a realizzarle
Come Jack, che è il figlio di Cas, anche se “non proprio”.
«Potrei aver comprato una casa senza assicurarmi delle sue reali condizioni. Gabriel ha insistito per aiutarmi, ma ho rifiutato perché-»
«-perché è Gabriel.»
«Esattamente. Avevo fretta di concludere l’affare e la casa aveva tutte le caratteristiche che stavo cercando.»
Dean si volta verso i due mentre i panini si scaldano e decide che il bambino ha bisogno di un po’ di azione.
«Vieni, Jack, mi serve un assistente.»
Cas lo guarda dubbioso, ma Dean non si fa scoraggiare. Indica a Jack la pila di piatti sul tavolino poco distante e gli chiede di portarne uno.
«Ehi, gente, la cena per i piccoli mostri è pronta!»
Il gruppetto di ragazzini alla festa non è poi così nutrito, ma vanno dai tre anni alla prima adolescenza e questo rende le interazioni un disastro fatto di litigi e dispetti. Claire, che fa la babysitter a metà quartiere, riesce in qualche modo a incutere timore nei loro piccoli cuori fino al punto da venir pagata per intrattenerli durante questi eventi – e i soldi sono l’unico motivo per cui non passa tutta la serata a bisbigliare con Kaia in un angolo.
Tutti si avvicinano per ricevere un hamburger, e Jack tiene fra le mani i piatti per passarli alle persone una volta che Dean li ha riempiti, tutto concentrato a tenerli in equilibrio e fare un buon lavoro. Davanti al barbecue si scambiano battute, saluti che prima sono mancati, lamentele sul ritardo della cena, ma presto la fila finisce e i tre vengono di nuovo lasciati in pace.
«Grazie, non ci sarei mai riuscito senza di te,» dice Dean, lasciando che Jack torni da suo padre.
«Grazie, Dean,» gli fa eco Cas, in un sussurro che suona quasi dolce, anche se Jack può sentirlo lo stesso.
«Figurati. Non è facile essere il nuovo bambino in città, no?»
«Volevo trasferirci apposta prima dell’inizio della scuola, ma non è andata come pianificato.»
«D’accordo, parlami di questa casa degli orrori.»
«L’agente, un certo Alistair, mi ha-»
«Ahia.»
«Come, prego?»
«Alistair ti ha venduto la vecchia casa di Cain, è così?»
Cas lo studia per qualche secondo, gli occhi blu stretti in un’espressione interrogativa, ma alla fine annuisce.
«Beh, almeno alla fine l’ha venduta e non tornerà più in città,» conclude Dean, scuotendo la testa quando si rende conto che a Cas quella notizia non è di conforto.
Cain si è trasferito in piena campagna dopo la morte della moglie, per avverare il suo sogno di produrre miele e prendersi cura delle api. Ha tenuto la casa in città per anni e anni, forse più per sentimento che per interesse, ma quando si è reso conto di non poterla mantenere nelle giuste condizioni l’ha venduta al miglior offerente: un tizio inquietante che si occupa di rivendere immobili in giro per lo stato, gonfiando i prezzi a dismisura. Cain non ha mai smesso di sentirsi in colpa per quello.
«Ho passato le ultime settimane a cercare una soluzione e, quando non l’ho trovata, ho accettato qualche lavoro in più per potermi permettere una ditta di ristrutturazioni. La casa è solida e Cain si è proposto di aiutarmi con il giardino senza chiedere un compenso.»
«Aspetta, aspetta, aspetta,» lo ferma Dean, girando gli hamburger perché non si brucino. «Hai davanti la persona migliore per aiutarti con la casa.»
Cas sposta lo sguardo sugli invitati della festa, confuso.
«Io, Cas! Sto parlando di me.» Dean si indica con la spatola e sbuffa una risata. «Posso aiutarti. Io e mio fratello possiamo raccogliere un po’ di gente che ha bisogno di guadagnare qualche soldo e te la rimettiamo a nuovo. Abbiamo contatti con chi può fornirti i materiali a un buon prezzo e saremo di certo più economici di una ditta di ristrutturazioni.»
«Dean, hai già un impiego, non è davvero necessario che tu-»
«Promettimi almeno di pensarci? Ti faccio avere i nomi delle persone con cui ho fatto qualche lavoretto in passato, mh? E puoi farmi vedere in che condizioni è la casa così mi faccio un’idea, senza impegno.»
Dean non sa perché sia improvvisamente così importante aiutare Cas. Sa solo che ora si spiegano i capelli scompigliati – che segretamente spera restino tali –, le occhiaie e la generale ansia che gli si può leggere addosso.
Continua a grigliare come se la risposta non fosse importante, ma si abbandona a una piccola celebrazione interiore quando finalmente arriva.
«D’accordo, ci penserò.»




 
Ciao! 
Ecco un nuovo capitoletto! Ho finito di lavorare al romanzo maledetto (dopo quattro anni direi che era ora) e sono contenta di avere tempo per scribacchiare di questi due!
Grazie per i commenti e le letture, mi fanno sempre molto contenta.
A presto!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***



4




 
Quella notte, Dean impiega ore a prendere sonno, tutto preso dalla consapevolezza di avere il numero di Cas registrato nel cellulare.
Cas
che ha un figlio.
Cas che ha comprato la vecchia casa di Cain.
Cas che ha bisogno del suo aiuto e non ha rifiutato l’offerta.
Non sa di preciso cosa gli stia succedendo dentro, ma non c’è un momento migliore della notte per tirare tutto fuori e farci i conti. Castiel Novak ha qualcosa che spinge Dean a voler passare il tempo con lui. Probabilmente è l’aura scompigliata che si porta in giro, come se avesse bisogno dell’aiuto di qualcuno. Dean ha sempre avuto un debole per le persone in difficoltà. Il complesso dell’eroe, come lo chiama Sam.
Però non è solo questo, Dean lo sa bene.
Perché Cas ha dimostrato di saper prendere in mano la situazione e di avere una personalità decisa. Dean vorrebbe dirsi che è ammirazione per un uomo che ha iniziato una nuova vita, con un figlio da crescere, un lavoro da cervellone e tutto il resto, ma lo farebbe solo perché è abituato a mentire a se stesso.
La verità è che Castiel è interessante e basta, sotto ogni punto di vista, compreso quello estetico. Non c’è niente di male ad ammetterlo, tutti hanno gli occhi.
Questo non fa di Dean…
Qualcosa.
Non significa proprio nulla.
Ha avuto fantasie simili anche in passato, ma non hanno mai avuto conseguenze. Sono piccole distrazioni innocue, che lui si tiene per se e che finiscono lì, di notte, fra le lenzuola.
Come in quel momento, mentre pensa al modo in cui la sua maglietta stava addosso a Castiel, ai suoi occhi blu che lo squadrano, alla bocca rosa pallido che si apre in un sorriso.
Dean infila i denti a fondo nel labbro inferiore e decide che non farà proprio un bel niente con l’immagine che gli si è appena formata nella mente.
Si limiterà a dormire e basta.

 
***
 
Il suo piano non funziona, e il mattino dopo Dean decide di occuparsene sotto la doccia, sperando di sbrigare la faccenda alla svelta e senza sentimento. Si concentra così tanto a non pensare a Cas che finisce per pensarci e il piacere è quasi accecante. Ma i cervelli funzionano così: più si prova a non focalizzarsi su qualcosa, più la mente finisce lì. Tutto ha una spiegazione, in fondo, se Dean si impegna abbastanza da trovarla.
Per i due giorni successivi, mentre lavora sotto le auto e dentro i cofani, si sente in colpa per aver permesso ai suoi pensieri di avere conseguenze molto, molto reali, per quanto private. Ogni tanto valuta l’idea di chiamare Cas e chiedergli se possono andare insieme a fare un sopralluogo nella vecchia casa di Cain, ma si ricorda dei suoi pensieri sconvenienti e rimanda a un momento che non si è ancora presentato.
Così arriva venerdì sera e si ritrova teso e confuso al solito tavolo del Roadhouse. Come la settimana prima, ogni volta che c’è del movimento dalle parti della porta, Dean guarda in direzione dell’ingresso.
«Per la barba di merlino, Dean, vuoi bere la tua birra e smetterla di agitarti?» lo rimprovera Charlie, massaggiandosi il braccio dove il gomito di Dean l’ha colpita nel tentativo di sbirciare il gruppo di persone appena entrato.
«Scusami,
scusami
«Si può sapere che ti prende? Avrai detto sì e no due parole, stasera.»
«Mh?»
«Ecco, appunto. Sei tutto agitato. Che succede? Aspetti qualcuno?»
Sembra una replica del venerdì precedente e Dean quasi sorride all’idea di un Cas brillo che si lancia in disquisizioni su Tolkien.
«Conosco quel sorriso,» interviene Sam.
«Quale sorriso?» borbotta Dean tornando serio. «Ma cosa volete?»
«Hai conosciuto qualcuno.»
Suo fratello lo dice con una certa sicurezza, perché dopo tutti quegli anni non ha ancora imparato le due regole fondamentali che Dean ha cercato di insegnargli: farsi gli affari propri e mai parlare dei sentimenti come in una commedia romantica.
«Smettetela,» dice, prendendo due lunghi sorsi di birra.
Ma quasi soffoca quando sente la voce di Gabriel risuonare per il Roadhouse.
«Gente, sono qui, potete smetterla di aspettarmi!»
Dean cerca di guardare dietro le sue spalle, ma non c’è traccia di Cas. Forse è fuori e deve ancora entrare, forse arriverà più tardi, forse…
«Tutto bene, Deano?» chiede Gabriel, sedendosi troppo vicino a Sam.
«Sì, sì.»
«Perché se stai aspettando Cassie, oggi non viene.»
Charlie e Sam gettano a Dean un’occhiata inquisitoria, nel sentire le parole di Gabriel, ma lui li ignora. Sì, stava aspettando una persona con cui vorrebbe fare amicizia, e allora? Non c’è niente di criminale. Torna a bere la sua birra e spera di lavare via un po’ di delusione.
«Povero Cassie. Ha una consegna importante per settimana prossima e in più Claire non può aiutarlo con Jack, questa sera, quindi si trova a dover badare a lui mentre prova a tradurre dall’enochiano o qualcosa di simile. Non so neanche se mangerà.»
Gabriel sta usando un tono esageratamente melodrammatico, guardando in direzione di Dean come se stesse insinuando qualcosa.
«E perché non sei rimasto a casa ad aiutarlo, mh?»
«Avevo un appuntamento,» conclude Gabriel, prima di strizzare l’occhio verso Sam e farlo arrossire.
Dean ignora la tavolata che si rianima di conversazioni dopo l’arrivo di Gabriel e i conseguenti saluti. Pensa a Castiel chiuso in casa, che cerca di lavorare e mettere a letto Jack, con l’ansia di dover consegnare un lavoro perché ha bisogno di soldi. Gli si agita qualcosa dietro lo sterno e decide all’improvviso di dar retta a quella sensazione.
«Dove stai?» chiede a Gabriel.
«Come?»
«Dove abiti di preciso?»
Il sorriso di Gabriel si allarga e diventa malizioso, mentre risponde. Dean memorizza l’indirizzo e si alza, lasciando una banconota per la birra sul tavolo. Sa benissimo di essere caduto nella trappola di Gabriel – non era neanche necessaria, vuole essere amico di Cas già di suo – e non ha bisogno di leggergli in faccia la vittoria.
«Che fai, te ne vai?» chiede Sam.
«Vado a portare la cena a Cas, va bene? Suo fratello fa schifo, quindi qualcuno deve pur aiutarlo.»
Gabriel fa una linguaccia, ma niente scaccia la sua espressione trionfante. Sam invece, proprio come mezzo tavolo, non sembra poterci credere: apre e chiude la bocca un paio di volte, lo sguardo che si sposta da Dean ai loro amici.
«Cosa?»
«Niente, niente, è che è venerdì e, sai, sei sempre felice di suonare,» spiega Charlie.
Dean sbuffa e si allontana. Non vuole rischiare che Cas mangi prima che lui possa portargli la cena, né ha intenzione di subire domande per cui non è certo di avere delle risposte. Intercetta Ellen, le spiega che ha un’emergenza – va bene, forse non è proprio un’emergenza, ma ci va vicino – e le lascia la sua ordinazione. Come sempre, il Roadhouse si dimostra la sua casa, e in pochi minuti si ritrova con la sua cena e quelle da portare a Cas e Jack.
Il viaggio sull’Impala è breve, ma Dean lo passa tutto preoccupandosi di superare una linea di confine ed essere invadente. Quando parcheggia nella via di Gabriel, decide che il piano migliore è quello di avvertire Cas prima di presentarsi senza essere invitato. Respira per controllare l’agitazione e fa partire la chiamata.
«Pronto?» risponde la voce rauca di Castiel, dopo il terzo squillo.
«Ehi, Cas,
sono Dean.»
Segue un po’ di silenzio statico e Dean realizza che Castiel gli ha dato il numero con l’invito a farsi sentire, in modo che avessero entrambi il contatto dell’altro. Tutto preso dalle sue fantasie, Dean non ha pensato a come quella mancanza potesse sembrare dall’altra parte.
«Sei al Roadhouse?» chiede Cas.
Ascoltarlo parlare senza vedere le sue espressioni rende difficile interpretare il tono di voce. Sembra curioso, un po’ stupito, ma Dean non è certo di cogliere bene le diverse inflessioni. Sa solo che anche al telefono quella voce è incredibile.
«Uhm, in realtà sarei dalle tue parti. Cioè, dalle parti di Gabriel. Mi ha detto che stai lavorando e che Claire non è potuta venire.»
«Oh.»
Se è stato difficile interpretare il tono di prima, quel singolo suono può voler dire tutto e niente. Dean attende, tentando di tenere a bada la sua reazione. È deluso, perché si aspettava dell’entusiasmo da parte di Cas, ma si sente anche in colpa perché non ha rispettato le normali regole fra due persone che stanno per essere amiche e non lo sono ancora del tutto; ha il cuore che gli batte troppo forte e gli fa ronzare il sangue nelle orecchie, ma è anche preoccupato da quanto sia importante la reazione di Cas a quel semplice gesto.
«Non sono esattamente… presentabile,» conclude Cas, con una nota dispiaciuta nella voce.
«Ehi, è venerdì sera e stai lavorando, non devi essere presentabile. Ho solo portato hamburger e patatine per te e Jack. Ti consegno tutto e me ne vado, niente di che.» Si passa una mano sulla nuca, cercando di scacciare il disappunto all’idea di non poter passare un po’ di tempo insieme e di doversene tornare a casa a mangiare la sua porzione da solo. «Magari avete già mangiato, ma almeno non devi pensare al pranzo per domani.»
Cas sembra pensarci e pochi istanti dopo si sente un frusciare seguito da uno scambio che Dean non può sentire bene, fatto di voci sommesse e accordi. Alla fine arriva un verdetto.
«Sai già qual è la casa?» chiede Cas.
«Sì, tuo fratello mi ha detto tutto.»
«D’accordo. Ti aspettiamo.»
Dean vorrebbe quasi colpire il volante dalla gioia, appena si salutano, ma non farebbe mai del male alla sua bambina. Salta fuori e percorre i pochi metri che lo separano da casa di Gabriel. Appena bussa alla porta, Cas la spalanca.
È più scompigliato delle altre volte. Indossa la solita camicia e i soliti pantaloni del completo – perfino a casa, di venerdì sera – e i capelli sparano in tutte le direzioni. Ha sempre gli occhi più blu che Dean abbia mai visto.
«Consegna speciale,» dice Dean, scavando nel sacco per separare la sua cena dalle loro e consegnare solo il necessario.
«Entra pure.»
«Come? Cioè, non voglio disturbare.»
«Non
disturbi
Cas gli fa un sorriso tenero, che fa gonfiare la vertigine nello stomaco di Dean al punto che non è certo di riuscire a mangiare.
«Stavamo proprio decidendo cosa scongelare per cena.»
«Scongelare, uh?»
«
Non ho molto tempo.»
Dean segue Cas dentro casa e trova Jack seduto sul divano, davanti a quello che ha tutta l’aria di essere un documentario sulle api. Poco lontani sono sparsi libri, carte e appunti, segno che Cas stesse lavorando proprio lì prima di essere interrotto.
«È in punizione?» sussurra Dean.
«Come?»
«Dico, è in punizione, per questo gli stai facendo vedere… quello?»
«No,» risponde Cas, con le sopracciglia corrucciate come se fosse confuso. «Ultimamente è l’unica cosa che vuole guardare: api. Gabriel gli ha comprato una serie di documentari a tema.»
Dean annuisce una singola volta, com’è solito fare, e non aggiunge altro. Jack non è un bambino convenzionale, ma questo gli è stato chiaro fin dal primo istante. Spera solo che quello non gli crei problemi a scuola e con i compagni, perché non vorrebbe mai che il bambino si sentisse in dovere di cambiare o di nascondersi a causa delle pressioni degli altri.
«Jack, Dean è
arrivato
A quel richiamo, il figlio di Cas mette in pausa il documentario da solo, scende dal divano e si avvicina con un sorriso pieno e felice, allungando una mano per stringere quella di Dean.
«Buonasera,»
gli dice.
E Dean si sente scaldare da dentro, perché tutto in quel bambino gli suscita tenerezza.
«Buonasera a te,» risponde, ricambiando la stretta.
«Papà dice che hai portato la cena e che è un hamburger.»
«Ah, vai dritto al sodo, eh?»
«Andiamo in cucina,» li interrompe Cas. «Mangi con noi?»
«Se per te
va bene.»
Non voleva presumere, Dean, ma è contento di sapere che potrà davvero passare un po’ di tempo con quei due.  Li segue attraverso una porta e li guarda collaborare per apparecchiare sull’isola che sta nel mezzo della stanza: Cas da indicazioni specifiche e Jack esegue con concentrazione. Dean non sa bene cosa fare, così si limita a restare in disparte e guardarli, pensando al modo in cui i due sono una famiglia anche in quei semplici gesti.
Quando Cas ha finalmente sistemato Jack – Dean nota che il suo sgabello è differente, con i braccioli che possono evitargli di cadere –, inizia a mettere gli hamburger nei piatti.
Dean si siede e inizia a sentirsi un po’ più a suo agio. Non è casa sua e si è presentato di punto in bianco, ma i due non ne hanno fatto un problema e sembrano tranquilli di averlo lì.
«Grazie per, beh, avermi invitato a restare,» dice, quando anche Cas si siede.
«Grazie a te per aver portato la cena.»
«Ho pensato… in realtà ho pensato che potrei stare io un po’ con Jack mentre lavori.»
Cas lo guarda, fermando a mezz’aria la bottiglia d’acqua con cui stava riempiendo i bicchieri. Sembra davvero sorpreso dalla proposta, ma cerca di riprendersi in fretta.
«Non sei costretto. So che hai i tuoi impegni, di venerdì.»
«Mi sono offerto, no?» risponde Dean, sfoggiando uno dei suoi sorrisi abbaglianti.
Jack non parla, durante quello scambio, e si limita a mangiare l’hamburger con tutta la concentrazione di cui sembra capace, anche se il panino è la versione da bambini e non è neanche grande la metà di quelli che Cas e Dean hanno nei piatti.
«Che dici?» insiste Dean, quando una risposta non arriva.
«D’accordo.»
«Dean si ferma a guardare le api con me?» chiede finalmente Jack, alzando lo sguardo dalla sua cena.
«Sembra di sì.»
Jack non ha considerazioni da condividere, dopo quell’annuncio, così la cena prosegue. Chiacchierano di argomenti superficiali – la città, il Roadhouse, l’officina – e sorridono di qualche commento inaspettato da parte del bambino. Cas si rilassa visibilmente e Dean si convince che una pausa dal lavoro fosse d’obbligo. Quando i piatti sono ripuliti, è lui ad offrirsi di sparecchiare e lavarli.
«No, sei un
ospite
«Avanti, fammi sdebitare per essermi auto-invitato.»
«Non ti sei “auto-invitato”, ti ho chiesto io di restare.»
«Hai capito che intendo.»
Cas soppesa l’offerta, poi rilassa le spalle e accetta.
«Mentre io faccio questo, tu poi portare di qua tutte le tue cose, così lavori in pace e non procuri danni irreparabili alla tua schiena.»
«Posso restare di là con voi, non è un problema. Non manca tanto all’ora di andare a letto, per Jack.»
Dean gli riserva un’occhiata – quella di chi non ha intenzione di lottare su ogni singola proposta – e Cas ripete il gesto fatto poco prima: rilassa le spalle e annuisce.
Sembra avere il peso del mondo addosso e Dean si chiede per l’ennesima volta quanto sia quello ad attirarlo dell’uomo.
Non che sia attirato in quel senso, certo.
Nonostante i pensieri, i sogni e l’incidente della doccia.
Presto sono tutti ai loro posti: Cas in cucina, chino sulle sue carte, e Dean con Jack sul divano a finire il documentario lasciato in pausa.
«Sai, conosco una persona che ha delle api,» dice al bambino.
«Davvero? Api vere? Veramente?»
È la prima volta che lo vede così emozionato, così Dean continua.
«Api vere. Si chiama Cain e fa anche il miele, sai?»
«Cain è l’uomo che aveva la nostra casa brutta, prima prima. Ora è nostra. Possiamo andare a vedere le sue api, una volta?»
Il bambino è tutto rivolto verso di lui, con gli occhi grandi di speranza e l’espressione emozionata. Dean allunga la mano e gli scompiglia i capelli.
«Certo. Se tuo padre vuole, ovviamente.»
«Oh, papà vuole. Anche a lui piacciono le api. E il miele! Il miele è il suo più preferito. Sai che se muoiono le api finisce il mondo?»
Dean sbuffa una risata e annuisce, affascinato dal modo semplice in cui Jack filtra l’universo. Parlano un altro po’ di api e di natura mentre il documentario finisce e ne parte subito un altro sullo stesso argomento. Presto Jack inizia a sbadigliare fra una frase e l’altra, trascinando le parole che sembrano uscire con più tranquillità ora che conosce Dean un po’ meglio. Quando Dean lo vede faticare a tenere gli occhi aperti, decide che è il momento di prendere il controllo della situazione.
Allunga la mano e Jack la prende istintivamente, scaldandogli il cuore.
«Andiamo a vedere cosa combina papà?»
Si incamminano verso la cucina, Jack che trascina i piedi, e trovano Cas chino sui libri proprio come l’avevano lasciato.
«Ehi?»
«Oh, ciao. Tutto bene?»
«Sono passate più di due ore e-»
«Come?» Cas sposta lo sguardo sull’orologio appeso alla parete e spalanca i suoi begli occhi blu. «Non me ne sono accorto. È tardi. Jack dovrebbe già essere a letto.»
Si alza tutto agitato e prende in braccio il bambino, sparendo in fretta al piano di sopra senza degnare Dean di uno sguardo. All’inizio quella reazione lo lascia perplesso, poi si rende conto che Cas dev’essere preoccupato per il lavoro e per l’intera situazione in cui si trova.
Fruga in cucina e decide che è il caso di una bevanda calda – magari non un caffè, viste le condizioni di Cas – e di un po’ di pausa. Riesce a trovare tutto e si mette all’opera perché due tazze fumanti siano pronte sul ripiano della cucina quando Cas scende.
«Non so se ti piace, ma ho fatto del tè.»
«Bevi il tè?» chiede Cas, suonando esausto.
«No, in realtà, ma non credo che un caffè ti faccia bene, a quest’ora.»
Cas lo studia per qualche secondo, poi fa un piccolo gesto deciso e si avvicina per recuperare la sua tazza. Sorseggiano in silenzio per qualche secondo, prima che il desiderio di parlare sia troppo e Dean decida di riempire il vuoto.
«Tutto bene con Jack? Dorme?»
«È crollato subito.» Cas guarda il liquido ambrato nella tazza – che a Dean fa schifo, ma che decide di continuare a bere anche solo per provare un punto alla voce di Sam nella sua testa che lo sta prendendo in giro – e si perde nei suoi pensieri per qualche istante, prima di continuare. «Devi pensare che io sia un pessimo padre.»
Dean sente l’aria sfuggirgli dai polmoni in un suono sorpreso. Cas un pessimo padre? Non ha idea di cosa sia un pessimo padre. Dean può scusare tanto a John, perché adesso che è adulto sa cosa deve aver significato perdere la donna che amava e restare con due figli da crescere, ma questo non farà mai di lui il padre dell’anno. Non cancellerà tutto il resto: la sensazione di non essere mai abbastanza per lui, la paura di pensarla diversamente o di disobbedire a un ordine, il terrore di essere diverso e di non venire accettato. Non cancellerà il periodo delle paranoie dettate dall’alcol, in cui li costringeva a difendersi da forze invisibili mettendogli in mano pistole cariche. Non è mai stato violento, John, neanche nei momenti peggiori del suo alcolismo, ma non si è mai neanche sforzato di farli sentire amati. Non ha mai potuto – c’era il suo dolore a fagocitare tutto il resto, questo Dean lo sa – ma non fa meno male.
No, non è il momento di pensarci.
«Cas,» inizia, posando la tazza per mettergli una mano sulla spalla. «Sei un buon padre. Gli vuoi bene e si vede. Ti preoccupi che non gli manchi niente e che sappia di essere amato. Non c’è niente di quello che fai che qualcuno potrebbe rimproverarti. E se ci provano, dovranno vedersela con me.»
Cas gli riserva per l’ennesima volta uno sguardo che sembra volergli scrutare l’anima, ma quando pare arrivare a una conclusione nella sua testa, sospira e fa un sorriso stanco.
«Grazie Dean.»
«Hai tanto per le mani, in questo periodo. Sei stressato. Capita, questo non significa che tu sia un pessimo padre,» ribadisce Dean, perché il concetto penetri a fondo.
Finiscono il tè e Cas si affaccenda a ripulire le tazze, ma quando finisce e ritorna a parlare, non è per chiedere a Dean di andarsene.
«Ho lottato per tenerlo,» esordisce. «Ho dovuto dimostrare di essere idoneo in così tante occasioni che dev’essermi rimasta una certa paura. Penso sempre che un assistente sociale possa spuntare fuori da un momento all’altro e portarmelo via perché sono… inadeguato.»
Dean vorrebbe fare così tante domande che la testa gli gira, ma resta fermo dov’è, posato contro il ripiano della cucina, con le braccia conserte sul petto e l’espressione interessata.
«Non sono il suo padre biologico,» continua Cas, sistemando le carte sul tavolo senza fare davvero attenzione a quello che fa. «È il figlio della mia migliore amica. Era in una relazione abusiva ed è scappata appena ha scoperto di essere incinta. L’ho aiutata, si è trasferita da me, ho cercato di farla stare tranquilla, ma ha vissuto tutta la gravidanza nell’ansia che lui potesse spuntare fuori e reclamare diritti su Jack. Era così terrorizzata all’idea che ha ufficializzato le sue ultime volontà e mi ha affidato la cura di Jack nel caso le fosse successo qualcosa. Sono stato con lei durante ogni ecografia, ogni visita, ogni scelta da prendere. Ed ero con lei quando qualcosa è andato storto durante il parto. Mi hanno fatto uscire quando la procedura ha iniziato a complicarsi. Quando sono venuti a parlarmi, lei era già morta. Sono stato il padre di Jack ancora prima che nascesse e per tre anni è stato tutto perfetto.»
Non c’è bisogno di fare calcoli per capire che tre anni di perfezione significano almeno altri tre anni in cui le cose non sono andate come dovevano. Dean immagina Cas che perde una persona così importate e si ritrova allo stesso tempo a prendersi cura di un bambino tutto da solo. Pensa alle notti insonni, alle pappe, ai pannolini e il cuore sembra deciso a fargli male per i prossimi cento battiti. C’è una parte di lui che vorrebbe che la magia esistesse per viaggiare nel tempo e aiutare quel Cas del passato.
«Mi dispiace per la tua perdita,» dice invece.
Ed è la verità. Gli dispiace perché sa cosa significherà per Jack crescere senza madre, con quel vuoto dentro, e cosa vorrà dire per Cas doverci essere sempre e comunque, nel tentativo inutile di riempirlo. È grato che Cas sia un padre diverso da John e che Jack sperimenterà un amore incondizionato, però.
Cas si mette a sedere davanti ai libri, tutto scompigliato ed esausto, e Dean prende posto al suo fianco. Forse troppo vicino, forse troppo voltato verso di lui. Osserva il suo profilo, l’accenno di barba, la linea delle labbra piene. Allunga una mano e gliela posa sulla nuca, stringendo appena.
«Cos’è successo, dopo?» chiede.
«L’ex di Kelly ha scoperto di Jack. Si è convinto di volerlo ed essendo il suo padre biologico la situazione si è complicata.»
Cazzo.
«Potevo dimostrare qualche abuso, i ricoveri di Kelly in ospedale, ma senza denunce era comunque la mia parola contro la sua. Non solo, era la mia parola contro quella di Kelly, che ha sempre negato le violenze del passato. Non le faccio una colpa, era una situazione difficile e dolorosa, ma senza niente di ufficiale le udienze e gli accertamenti si sono trascinati per anni. Non aiuta che in quel periodo…»
La frase sfuma nel silenzio. Dean tiene la mano lì, fra i corti capelli alla base del cranio di Cas, dove può sentire il suo calore oltre il colletto spiegazzato della camicia.
«Non devi parlarne, se non vuoi. Ma se hai paura che ti giudichi o pensi che tu sia un cattivo padre, beh, toglitelo dalla testa.»
Dean sorride il suo sorriso accattivante e Cas gli riserva un’occhiata a cui è difficile dare un nome. C’è del divertimento, nelle sue iridi blu, ma anche dell’esasperazione. Come se Dean fosse insopportabilmente adorabile.
Dean potrebbe abituarsi ad essere considerato adorabile.
«Avrai notato che Jack si distingue dai suoi coetanei.»
Dean corruga la fronte, confuso dalla piega del discorso.
«Non c’è niente che non vada in Jack,» ribatte indignato, come se qualcuno avesse osato offendere il bambino e lui fosse pronto a intervenire per difenderlo.
Cas si apre in un sorriso abbagliante, ma scuote la testa.
«Certo che non c’è niente di sbagliato, in lui,» lo rassicura. «Quando sono iniziati gli accertamenti per via del processo per l’affido, Jack è stato diagnosticato come autistico. Il suo padre biologico ha cercato di usare la diagnosi come un’arma nei miei confronti.»
Dean prova a capire cosa significhi per Jack essere autistico, cosa comporti, come dovrebbe rapportarsi con il bambino ora che lo sa. Mentre prova a scavare nel suo cervello alla ricerca di qualsiasi informazione sull’autismo che ricordi, Castiel lo precede.
«So cosa stai pensando: “non sembra autistico”.»
«Cosa? No, no che non sto pensando che non sembra autistico. Che razza di pensiero sarebbe? Gesù, Cas...»
Dean rimuove la mano e Cas sembra quasi ferito da quell’allontanamento.
«Scusa, è che a volte la gente non conosce bene l’argomento e s’immagina che ogni persona autistica sia come le dipingono nei film.»
«Umh… ecco, non so molto sull’autismo, d’accordo? Ma posso informarmi. Anzi, mi informerò, puoi scommetterci. So solo che si parla di spettro autistico e quindi che ce ne devono essere parecchie sfumature o cose così.»
Cas lo guarda con l’espressione sorpresa e Dean si sente arrossire fino alla punta delle orecchie.
«Devi ringraziare Sam e Charlie se non sono un troglodita su tutte queste cose, okay? Non guardarmi come se fosse merito mio,» borbotta in risposta a quello sguardo.
«Penso che dovresti prenderti un po’ del merito, Dean.»
Quella frase è detta con voce profonda e carica di intenzione. È così sentita, che Dean deve sviare dalla serietà di quella dichiarazione.
«Sì, d’accordo, come vuoi. Non capisco come possa essere usata contro di te come cosa. Voglio dire, Jack è semplicemente fatto così, no?»
«Sì, ed è il motivo per cui oggi Jack è qui con me e non con il suo padre biologico. Il fatto è che non si conoscono le cause che rendono una persona autistica e questo, invece di smentire tutte le teorie che non hanno prove scientifiche, ha aperto la strada ad insinuazioni e ragionevoli dubbi, almeno secondo gli avvocati. È un argomento così complesso, che semplificarlo è già di per sé un arma… » Cas scuote la testa, sembra rivivere i momenti di cui sta parlando. «Lo vedi come sono fatto. Non è stato difficile per il padre di Jack attribuirmi colpe. E nel frattempo Jack ha passato un periodo nel sistema, affidato a un paio di famiglie, con la possibilità sia per me che per suo padre di vederlo alla presenza di un assistente sociale. Come se io e quell’uomo avessimo la stessa importanza nella sua vita»
Dean trattiene il fiato e immagina Jack abbandonato a se stesso, in un meccanismo che può essere dannoso per i bambini in generale, figurarsi per lui. Vorrebbe trovare quest’uomo che Cas continua a definire “padre” e spiegargli con le maniere forti cos’avrebbe fatto davvero un padre nella sua situazione.
«Stavo per cedere,» aggiunge Cas, duro, prima di serrare la mascella al suono di quella confessione.
«Cosa?»
«Hai sentito. Stavo quasi per convincermi che avessero ragione, che non sarei stato un padre adatto e che stavo solo cercando di esaudire i desideri di Kelly. Ero costantemente sotto scrutinio, seguito dagli investigatori privati, sorpreso da visite degli assistenti sociali. Una parte di me è consapevole che stessero tutti facendo il loro dovere, ma è stato un processo lungo ed estenuante. Perfino la mia omosessualità è diventata motivo di indagine e ho avuto paura che avessero ragione, che tutto quello che sono non sarebbe mai stato abbastanza per meritare di crescere Jack.»
Dean torna a cercare un contatto qualsiasi con Cas. Vorrebbe stringerlo e rassicurarlo, vorrebbe proteggere l’uomo che immagina lui sia stato, perso e insicuro. Invece tiene la mano sul suo collo e lascia che il calore delle loro pelli diventi uno solo.
«Tutto è finito bene, però,» gli ricorda, perché è tutto quello che può fare.
«Sì.»
Cas guarda Dean a lungo e gli permette di studiare gli occhi stanchi, le occhiaie pronunciate, la vecchia paura che ancora lo abita. SI guardano a lungo, mentre i minuti dell’orologio appeso alla parete ticchettano via. Per un istante, uno solo, Dean pensa che potrebbe baciarlo, ma il momento si infrange e il discorso prosegue.
«Appena tutto si è concluso, sono venuto qui. Non voglio avere paura che Jack possa essere… preso. Nonostante sia ormai ufficialmente mio, non voglio correre rischi e vivere guardandoci le spalle. Qui ho Gabriel e ho la possibilità di crescerlo lontano da tutto quello che è successo.»
«Hai preso la decisione giusta.»
«Forse. O forse è stata una decisione avventata.»
«Ehi, ehi, no.» Dean infonde al suo sguardo tutta la convinzione che riesce a racimolare. «No. Ora sei qui, e hai tutti noi. Non solo Gabriel, ma anche Sam e Charlie e Jody e Donna e…»
Passano attimi di silenzio, in cui nella testa di Dean le convinzioni fanno a pugni con i sentimenti. Ogni nome di quell’elenco è uscito fuori perché vorrebbe dire qualcos’altro. Alla fine si sforza e lo dice, sputando fuori le sillabe come se fosse importante strapparsi quel cerotto.
«Hai me. Non devi più preoccuparti. Ci sono io.»
Solo in macchina, mentre guida verso casa con tutte quelle informazioni che continuano a rigirarglisi dentro, realizza un punto importante di quella conversazione. Era così preso da Jack e dalle paure di suo padre da non averci dato importanza.
Ma è
importante.
È
fondamentale.
Cas è gay.




 
Buongiorno, buona domenica.
Lo so che è passato un po' di tempo, ma ho dovuto far sedimentare un po' di idee sulla storia (e informarmi). Per farmi perdonare ho lasciato il capitolo luuuuuungo proprio come mi è uscito.
Spero vi piaccia e che lo slow burn non vi stia esasperando.
Prometto che dopo questa rivelazione Dean inizierà a scendere a patti con la sua attrazione (ok, forse, cioè, diamogli tempo, il ragazzo è un po' lento su 'ste cose, ecco)!
Al prossimo capitolo!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 ***



5




 
All’inizio, i messaggi che si scambiano sono innocui. Si chiedono come vanno le loro giornate, si raccontano aneddoti divertenti su quello che accade all’officina o a casa, si mandano immagini stupide per strapparsi qualche risata. Presto però quegli scambi diventano parte integrante delle giornate di Dean e lui non realizza quanto siano indispensabili finché non è già troppo tardi, finché non fanno già parte di lui.
Il telefono gli squilla che la settimana sta quasi finendo, in un pomeriggio caldo che sta diventando un tramonto infuocato.
«Pronto?»
«Dean?»
«Ehi, Cas.»
È la prima volta che lo chiama e Dean non sa bene come reagire, perché se desse retta a quello che gli sta succedendo dentro, dovrebbe farsi ricoverare per un infarto.
«Ti disturbo?»
«No, no. Sono appena tornato a casa.» Dean lo dice buttando le chiavi sul tavolino all’ingresso e lasciandosi andare sul divano di seconda mano che occupa il salotto.
«Tutto bene?» chiede poi, visto che Cas non sembra deciso a parlare.
«Ho consegnato il progetto.»
«Ehi! Questa è una bella notizia. Congratulazioni.»
«A tal proposito, sabato potremmo andare a vedere la casa? Valutarne le condizioni?»
Dean si mette seduto dritto, il cuore che pompa sangue come se avesse deciso di andare a correre con Sam – un errore che non ripeterà mai più, grazie tante.
«Certo. Certo che possiamo. Voglio dire, dicevo sul serio, considerami a tua disposizione.»
«Senza Jack. Non mi piace l’idea di portarlo in quella casa senza sapere bene se è sicura.»
Dean ripensa alla villetta in questione e gli sembra che Cas ne abbia una visione decisamente più pericolante di quanto la casa non sia, ma non vuole dirlo per timore di illuderlo. 
«D’accordo. Allora ci vediamo sabato?»
Si accordano sull’orario e chiudono la chiamata, ma a Dean rimane un sorriso stupido sul viso. Peggiora, poi, quando sta cenando e Cas gli manda un’immagine un po’ sfuocata di lui e Jack che disegnano. È contento che uno dei motivi che stressavano Cas in quei giorni sia alle sue spalle e che possa finalmente godersi un po’ suo figlio.
È contento, certo, ma vorrebbe davvero, davvero essere con loro.

 
***

Sabato Dean è tutto agitazione e aspettative. Parcheggia l’Impala davanti alla vecchia casa di Cain, si assicura che i caffè siano ancora caldi, si sistema addosso la maglietta attento che il caldo non gliel’abbia appiccicata addosso e sì, può ammetterlo con se stesso, si guarda nello specchietto retrovisore chiedendosi come lo debba vedere Castiel, da fuori. Gli ripetono da una vita quanto sia bello – a volte quella frase è stata usata come un’arma per ferirlo, troppo bello per essere un “vero uomo” – ma Dean non ci ha mai creduto. Sa di non essere brutto, ma la bellezza è un’altra cosa. 
Cas è bello, per esempio.
«Basta con queste cazzate,» dice al proprio riflesso, sentendosi ancora più stupido.
La Lincoln dorata sceglie quel momento per fare la sua apparizione. Cas la parcheggia e scende in fretta, i capelli scompigliati come al solito e addosso…
«Non è possibile.»
Dean scende e quasi si dimentica i caffè, nella sua fretta di andare incontro a Castiel e squadrarlo dalla testa ai piedi. Indossa una maglietta grigia e dei jeans, niente completo, niente scarpe eleganti.
«Ciao Dean.»
«Ehi Cas. Hai lasciato a casa la divisa d’ordinanza,» gli risponde, allungando la tazza in cartone. «Non so come lo prendi, ma ho zucchero e-»
«Così andrà benissimo, grazie.»
Dean non riesce a staccargli gli occhi di dosso, tanto che il caos nella sua testa sembra gonfiarsi e gonfiarsi fino a prendersi tutto lo spazio. Non sembra esserci modo di spingerlo di nuovo dentro un metaforico armadio e chiudere le ante fingendo che non sia mai esistito.
«Gabriel ha detto… abbiamo pensato che ci sarà da sporcarsi, dentro casa.»
Cas si sta giustificando per com’è vestito. Dean realizza così di averlo guardato un po’ troppo e si nasconde dietro la sua tazza, sorseggiando il caffè caldo e pentendosi di non aver mai provato quello ghiacciato che Charlie prende di solito. Quell’estate è un inferno senza fine. 
O forse il caldo se l’è portato dietro Cas.
«Figurati,» riesce a borbottare, alla fine. «Non è mica un problema, anzi.»
Gli batte pure una mano sulla spalla, sentendosi un po’ più in controllo mentre la caffeina entra in circolo.
«Vogliamo andare?»
«Fai strada, è casa tua.»
Cas tira fuori dalla tasca dei jeans delle chiavi e si avvia verso la veranda. Dean decide di non guardare il modo in cui i jeans si modellano attorno alle sue gambe e più su, stringendolo quanto basta per lasciare poco all’immaginazione. Così guarda il legno un po’ marcio delle scale.
«Ehi, fa’ attenzione, la veranda non sembra messa benissimo. Non vorrei cedesse.»
Castiel guarda ai suoi piedi in modo adorabile e Dean deve soffocare l’ennesimo pensiero scomodo.
«È da rifare?»
«Sì, ma non è un lavoraccio, te lo assicuro. Vediamo dentro.»
Segue Cas nella penombra della casa e trova un’aria più fresca di quella fuori, così appesantita dal sole. Il legno del pavimento ha solo bisogno di una bella lucidata, ma sembra messo bene mentre Dean lo esplora stanza per stanza, al piano terra.
«La cucina la vuoi tenere così?» chiede, quando raggiunge Cas. 
La casa ha ancora qualche mobile, di quelli fatti su misura e inutili in qualsiasi altra abitazione. Dean ci vede la mano di Cain, nelle forme levigate e create con cura.
«Non lo so, tu cosa ne pensi?»
«Dipende da come vuoi arredarla. Se vuoi tenere i mobili che ci sono già, direi di sì. Le diamo una pennellata fresca e via.»
«Vorrei tenerli tutti, sono belli,» ammette Cas, accarezzando il tavolo impolverato.
Ci posa sopra la tazza e si lascia andare su una sedia che neanche cigola, nonostante sia lì da tempo. Decisamente un lavoro di Cain.
«Ehi, che succede?»
Cas alza lo sguardo e posa i suoi incredibili occhi blu su Dean.
«Grazie,» risponde soltanto.
Un grazie che colpisce Dean dritto al petto, una lama d’affetto che lo lascia sanguinante.
«Ancora con questa storia, Cas? Non è niente, te l’ho detto. Ora bevi il tuo caffè, io esploro il piano di sopra e vediamo cosa c’è da fare.»
Dean ha bisogno di prendere fiato. Cerca di ignorare la costrizione della cassa toracica contro i polmoni nel vedere Cas così abbattuto. Certo, la casa sembra un po’ abbandonata, ma è solida e ha solo bisogno di un po’ d’amore. Anche solo imbiancarla e pulirla – dentro e fuori – farà una bella differenza. Continua la sua ispezione registrando cosa c’è da aggiustare e cos’è solo da sistemare, ignorando ogni pensiero su quello che sente. I danni più grandi sono in uno dei bagni, dove una grossa macchia umida si allarga sulla parete, e nel sottotetto, dove un buco dovuto al maltempo dà direttamente sul cielo.
Quando torna di sotto, Cas è dove l’ha lasciato, il caffè ormai finito e abbandonato sul tavolo.
«Il verdetto?»
«Guarirà,» dichiara Dean, con un sorriso incoraggiante. «Ma ha bisogno di cure.»
Si siede a fianco a Cas, posa la propria tazza in cartone vicino alla sua, e inizia a spiegare tutto quello di cui la casa ha bisogno. Più snocciola materiali, costi e lavori, più Cas sembra alleggerirsi.
«Mi aspettavo di peggio.»
«Non voglio mentirti, può essere che mettendoci mano per bene venga fuori altro, ma per ora non mi sembra che sia poi questo disastro. È più una questione estetica.»
«Ammetto che a un primo sguardo mi è sembrata…»
La frase sfuma nel silenzio.
«Uno schifo,» conclude Dean per lui.
Cas fa un sorriso divertito.
«Direi che “uno schifo” è una descrizione accurata, sì,» risponde, con tanto di virgolette disegnate nell’aria.
Si guardano, poi, e a Dean sembra che quegli occhi abbiano il potere di distruggerlo e rimetterlo insieme, senza tutto il caos che gli abita la mente. Si sporge appena, non sa bene alla ricerca di cosa, forse solo di respirare la stessa aria di Cas.
«Dean?»
La voce rauca di Cas lo riporta dritto al suo posto.
«Io… insomma, non ci vorrà molto prima che Jack possa giocare a casa sua, ecco. A proposito, dov’è oggi? Ti sei fidato a lasciarlo con Gabriel o hai chiesto a Claire?»
«Gabriel era impegnato con tuo fratello e mi fido di certo più di Claire che di lui.»
Cas raccoglie le tazze vuote e si alza, come a volerle andare a buttare fuori; così Dean impiega qualche istante più del necessario a registrare la sua frase.
«Aspetta, ehi Cas, aspetta. Cosa c’entra Sam?»
Castiel si ferma dritto in mezzo all’atrio e si gira a guardarlo, la testa inclinata di lato e lo sguardo confuso.
«Credevo che…» Si blocca, le sue sopracciglia sembrano aggrottarsi ancora di più. «Non spetta a me parlarne,» conclude troppo serio perché Dean non si preoccupi immediatamente per suo fratello.
Non vuole attraversare di nuovo l’inferno per riportarlo indietro, non vuole di nuovo scoprire da qualcun altro se Sam ci è ricascato.
«Cosa non mi stai dicendo, Cas? Se sai qualcosa, qualsiasi cosa, parla,» dice, cercando di starsene calmo.
«Non sono affari miei. E nemmeno tuoi Dean. Quello che fanno riguarda loro e basta.»
«Riguarda… non ci credo, non ci credo, cosa sto sentendo?» sbotta, la calma che evapora in un solo istante. «Quindi non ti interessa, non sono affari tuoi se si fanno del male?»
«Dean, i nostri fratelli sono due adulti, sono certo che staranno attenti e-»
«Attenti?! Ma ti senti? Di cosa si tratta, mh? È roba pensante? Perché ne è uscito una volta e può farlo di nuovo.»
L’espressione di Cas diventa ancora più confusa.
«Non credo si possa “uscirne”, Dean, e francamente trovo molto indelicato parlarne in questi termini proprio con me.»
«Con te? Vuoi dire che…»
Dean serra la mascella. Non ha tempo per scoprire altro su Cas, non ha tempo di fermarsi ad analizzare quello che sta succedendo. La paura lo sta infiammando e ha bisogno di parlare con Sam, di scoprire in che guai si sia cacciando ancora una volta.
«Dannazione,» sibila, superando Cas per uscire dalla casa e raggiungere l’Impala.
Mette in moto in un attimo, il telefono incollato all’orecchio che continua a squillare senza risposta.




 
Secondo me non stavano parlando della stessa cosa, voi che dite? XD
Ciao, ciao, come state?
Ho dovuto prendermi una bella pausa perché, purtroppo, la situazione che stiamo vivendo mi ha toccata da molto vicino. Fra il lavoro e la situazione familiare, quindi, ho messo in pausa la fanfiction. Ma ora l'ho ripresa. Siate pazienti con me e prometto che non la lascerò incompleta, anche se gli aggiornamenti dovessero continuare a essere irregolari, arriveranno tutti e ci sarà un bel lieto fine, come da titolo. ❤
Ho pubblicato un libro, se proprio vi manco fra un aggiornamento e l'altro (lo so che non siete qui per me ma per la destiel, ma io ve lo dico, non si sa mai che a qualcuno salga la curiosità XD).
Ah, un'ultima info di servizio, se volete sono anche su wattpad (magari qualcuno è più comodo lì perché legge da telefono). In qualche giorno la aggiornerò anche là sopra in modo da essere in pari su entrambe le piattaforme. E grazie se vorrete fare un salto pure su quei lidi, siete prezios*.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 ***



6




 
Dean arriva fino all’appartamento di Sam, ma di lui non c’è traccia. Prova a chiamare anche Gabriel e gli risponde direttamente la segreteria telefonica. È tentato di andare a casa dei Novak, ma ha paura di confrontarsi con Cas e di vedere Jack. Non vuole che il bambino lo veda così agitato. Vorrebbe solo sapere dov’è suo fratello, sapere cosa sta succedendo e se…
In un ultimo tentativo, mentre guida verso casa, compone il numero di Benny.
«Ehi, Dean.»
«Ho bisogno di sapere se hai sentito qualcosa su Sam.»
«Come?»
«Mi hai capito, Benny, non fare finta di niente. Sam. Mio fratello. Hai sentito qualcosa?»
«Che dovrei aver sentito?»
«Sai di cosa parlo.»
«Ti fermo subito.» Il sospiro irritato di Benny gli arriva proprio mentre Dean parcheggia l’impala vicino al suo appartamento. «Non è che noi ex-tossici abbiamo un club segreto in cui sappiamo magicamente tutto di tutti.»
«Ma l’ultima volta-»
«L’ultima volta è stato un caso e lo sai bene.»
Benny ha passato l’adolescenza a provare ogni droga possibile, e l’età adulta a ripulirsi ed espiare quelli che crede siano i suoi peccati. Una volta, durante una delle sue ronde di volontariato in cui stava distribuendo volantini nelle zone malfamate della città, aveva visto Sam comprare della roba con la sua ragazza. Quando Dean aveva affrontato suo fratello – che doveva essere uno studente modello pronto a iniziare l’università, con la sua bella borsa di studio e una brillante carriera da avvocato davanti– tutto era crollato. Sam si faceva con Ruby da mesi, da quando John era morto, e spendeva tutti i suoi soldi per comprare roba e per stanze in schifosi motel in cui farsela. Non aveva mai iniziato le lezioni, perché perfino quella era stata una bugia. E niente di quello che Dean aveva provato a fare o dire era bastato a cavarlo fuori. Anzi, non avevano mai litigato come in quel periodo, e Dean non si era mai sentito così simile a John. Sam non aveva retto allo schifo che era stata la loro vita e Dean non aveva voluto sentire ragioni perché, ehi, erano in due ad averla vissuta.
Lo aveva giudicato, insultato, accusato.
Non lo aveva abbandonato, però.
E quando Sam era stato pronto a ripulirsi, Ruby ormai lasciata alle spalle, Dean aveva imparato a esserci senza giudicarlo, a rispettare i suoi tempi e le sue necessità, a non mettergli troppa pressione addosso. Così anche Sam era pulito da anni ed era riuscito a ricostruirsi una vita. E ora, all’idea di rivederlo com’era un tempo… 
«Cosa hai saputo, mh?»
«Lui e Gabriel stanno combinando qualcosa. E sai che mio fratello si fa trascinare quando-»
«Aspetta, aspetta. Tu pensi che Sam e Gabriel il pasticcere si stiano facendo insieme da qualche parte?»
«Cas ha detto che… ha detto…»
Dean cerca di richiamare alla mente le parole esatte, ma è tutto perso nella nube di panico e apprensione.
«Potrebbe essere che ti abbia detto che stanno insieme e che tu non abbia capito niente, amico?»
«È solo che non capisco cosa dovrebbero fare, insieme. Insomma, non hanno niente in comune e si odiano, non ha senso. A meno che non ci sia di mezzo qualcosa che li accomuna tipo, che ne so, farsi in qualche motel o qualcosa del genere.»
«Dean… dovresti davvero parlare con tuo fratello di quello che c’è fra lui e Gabriel.»
«Non capisco.»
«Sei l’unico che non capisce.» Benny sospira di nuovo. «E non sono cose che posso dirti io.»
«Anche tu con questa storia? Prima Cas e ora tu. Cos’è che non potete dirmi, mh? Se non è quello che penso, allora cosa?!»
Dean abbandona la testa all’indietro contro il sedile, il motore ormai spento che non può rassicurarlo con il suo rumore familiare. Si sente sempre più stanco e sempre più confuso.
«Parla con tuo fratello. E dagli il beneficio del dubbio, perché sono quasi certo che sia tu a non aver capito niente.»
Quando Benny lo saluta, Dean resta a raccogliere i suoi pensieri per farne un ragionamento ordinato. Ma tutti si comportano in modo strano e sembrano parlare una lingua che lui non riesce a capire. Così prende in mano il telefono e compone un messaggio.
“Dobbiamo parlare di te e Gabriel. Chiamami appena puoi.”
 
***

“Appena puoi” diventa quella stessa sera, mentre Dean coccola la bottiglia di birra contro il suo ginocchio e fa scorrere i canali sul vecchio televisore senza vederli davvero.
Il campanello suona e Dean scatta in piedi. Non ci sono state chiamate o messaggi, e la sua spirale di preoccupazione e ansia è precipitata in tutt’altro.
John gli ha sempre detto di prendersi cura di Sam, e Dean ha fallito.
Perché è un fallimento.
Sempre e comunque.
In più c’è Cas, abbandonato dopo che proprio Dean gli ha promesso di aiutarlo.
Un'altra cosa che non è stato capace di fare.
Così quando apre la porta si sente a pezzi, pronto a urlare o spaccare qualcosa o – non lo vorrebbe ammettere, ma non può neanche più forzarsi di negarlo – piangere per ore e restare a letto per giorni.
Oltre la porta c’è Charlie e, alle sue spalle, Sam, con un’espressione colpevole da cucciolo abbandonato. Dean serra la mascella, ma si fa da parte e alza la mano con la birra per indicare ai due di entrare.
«Cosa fai qui?» chiede a Charlie, quando lei si piazza con le mani sui fianchi e lo guarda minacciosa.
«Sono qui perché qualcuno ha terrorizzato mezza cittadina per una sorta di crisi omofobica di qualche tipo e ora suo fratello ha bisogno di qualcuno vicino anche solo per parlargli, nel caso le cose si mettano male.»
Dean resta congelato nel mezzo del suo appartamento. Cercando di dare senso alle parole di Charlie.
«Una cosa? Una crisi come?» chiede, facendo rimbalzare lo sguardo da lei a Sam.
Per un attimo, teme che abbiano capito cosa gli si agita dentro da settimane, nascosto dietro la solita vita e – in quel momento – dietro una grossa dose di preoccupazione. Le sopracciglia di Charlie scattano verso l’alto, proprio come se avesse appena intuito qualcosa di rivoluzionario.
«Oh-oh.»
«Si può sapere cosa sta succedendo?» chiede ancora Dean, e poi, rivolto verso Sam: «No, lasciamo perdere, dimmi solo in che guaio ti sei cacciato?»
«In nessun guaio, Dean,» è la risposta sibilata. «Devi smetterla di comportarti così. Non sono una tua responsabilità e non è colpa mia sei hai problemi a fidarti.»
«Non ho problemi! Faccio delle… delle deduzioni, perché non mi dici cosa sta succedendo!»
«E secondo te perché, mh?! Vuoi così tanto essere come papà che non è colpa mia se ogni tanto mi dimentico che sei mio fratello!»
«Ragazzi,» li interrompe Charlie, con il tono autoritario che solo la regina di Moondor sa sfoggiare. «Facciamo tutti un bel respiro, prendiamoci una birra e parliamo. Perché ho come l’impressione che ci sia stata una piccola, minuscola incomprensione.»
Si muove verso la cucina e Dean la segue controvoglia, le spalle rigide e la sensazione di essere pronto a spezzarsi.
«Dunque,» continua Charlie, aprendo la birra. «Sam è qui per parlare di una questione importante. E vorrebbe che tu lo ascoltassi fino alla fine, prima di dire o fare qualsiasi cosa. Pensi di poterci provare, Dean?»
«Non sono un bambino, non c’è bisogno che mi parli cos-»
Charlie alza il palmo e lo blocca.
«Sì o no?»
Dean ripensa alle sedute per i famigliari delle persone dipendenti dalle sostanze e cerca di ritrovare la calma per ascoltare, anche se gli sembra un’impresa titanica per cui non ha le forze.
«Va bene,» borbotta.
«Sam, sei ancora convinto o preferisci rimandare a un'altra volta?»
«No, no, sono pronto.»
Sembra che Sam stia per fare un discorso difficile, e Dean si prepara al peggio. C’è ricaduto, se lo sente dentro, e non sa se ha la forza di esserci per lui un’altra volta. Deve, ma non sa se ne usciranno tutti interi a questo giro.
Guarda suo fratello inspirare e corrugare la fronte come solo lui sa fare e poi, preso il coraggio, sputare fuori la sua dichiarazione.
«Io e Gabriel ci stiamo frequentando da qualche mese,» dice.
Il silenzio continua e Dean si aspetta che qualcuno lo riempia, ma gli altri due nella stanza lo guardano come se spettasse a lui.
«Va… bene?»
Charlie si schiarisce la voce e fa un piccolo cenno a Sam che Dean non riesce a interpretare.
«Stiamo insieme, Dean.»
«D’accordo… cioè, mi preoccupa quello che fate insieme, è questo il fatto,» chiarisce Dean, sempre più impaziente.
«Lo sapevo,» sputa fuori Sam, facendo per andarsene. «Lo sapevo. Sei come papà. Bisogna essere come volete voi oppure-»
«Credo che Dean non stia capendo,» dice Charlie.
«Cosa c’è da capire?!» sputa fuori Sam, sempre meno calmo.
E Dean decide di chiuderla lì, perché quell’intera storia sta diventando assurda: deve sapere cosa c’è che non va per poterlo sistemare; sapere almeno quant’è grave la situazione, prima di intervenire.
«Senti, tagliamola corta, hai ripreso a farti? È per questo che ti vedi con Gabriel?»
«Cosa?!»
«Hai ripreso a-»
«Ti ho sentito! Sei serio? È questo che pensi stia succedendo? Dopo tutti questi anni pensi ancora che ci sia qualcosa che non va, in me, è così?»
Il sospetto di Dean si sgonfia completamente, punto da quelle accuse. Quante volte ha pensato la stessa cosa di John? Quante volte avrebbe voluto urlare quelle stesse parole? 
Sono vere, questo è il fatto. 
Sam ha ragione.
Ma allora…
«E la storia di Gabriel… insomma, voglio dire… cosa c’entra lui se non…» 
E all’improvviso tutto ha senso. Gli imbarazzi di Sam, le frecciatine di Gabriel, il modo in cui sono sempre appiccicati ogni volta che sono insieme.
«Insieme,» conclude Dean alla fine di quella rivelazione, passandosi una mano sull’accenno di barba.
«E ce l’ha fatta, guys, gals and non-binary pals!» dichiara Charlie, alzando la bottiglia di birra in celebrazione.
«Sì, Dean, insieme. Hai qualcosa da dire anche su questo?» sibila Sam, anche se un certo grado di stanchezza emerge dalla sua accusa.
Dean si pietrifica sul posto, perché alla prima realizzazione ne segue un’altra, e il tenore è del tutto diverso: Sam aveva paura di dirglielo, Sam credeva che Dean l’avrebbe rifiutato.
In un attimo Dean è in piedi, la bottiglia abbandonata sul tavolo, per stringere Sam in un abbraccio che mozza il fiato.
«Mi dispiace, Sammy. Mi dispiace,» mormora. «Mi dispiace.»
Sam non reagisce, non subito, ma presto ricambia la stretta e ci si aggrappa come un bambino.
«Grazie per avermelo detto,» continua Dean. «Non cambierà il modo in cui ti vedo, niente potrà mai farlo. Né smetterò di volerti mai bene, d’accordo? Scusami se ti ho fatto credere che non fosse sicuro dirmelo. E scusami per… per essere troppo simile a John.»
«Non sei come lui, Dean. Sei l’unico che non l’ha ancora capito.»
Restano aggrappati uno all’altro per qualche secondo, finché una luce non li colpisce e si ritrovano con Charlie che scatta foto, orgogliosa come una mamma che ha appena visto i suoi figli fare pace.
«Sai come potresti farti perdonare?» chiede poi, infilando di nuovo il cellulare nella tasca dei jeans. «Cucinandoci la cena.»
 
***

Sono davanti ai loro piatti di maccheroni al formaggio ormai praticamente finiti – d’accordo, forse, forse Dean dovrebbe fare la spesa – quando Sam si apre sulla sua storia con Gabriel.
«È solo successo. Un attimo prima mi stava chiedendo consigli sulle opzioni più salutari da proporre allo Spicy e l’attimo dopo mi ha chiesto di uscire e io ho detto sì. Non che… voglio dire, non che non ci avessimo girato attorno per un po’, ma da lì è stato tutto molto più chiaro,» racconta, ravviandosi i capelli.
«D’accordo, d’accordo, niente dettagli, non voglio vomitare.»
«Dean, non essere infantile.»
«Sammy, non sono io quello che parla come un ragazzino delle elementari con una cotta.»
«Non è vero!»
Charlie ridacchia dei loro battibecchi e finiscono tutti e tre con dei sorrisi idioti stampati in faccia.
«Quindi tu sapevi tutto?» le chiede Dean, quando si decide ad alzarsi e sparecchiare.
«Sì. Tutto-tutto, dettagli scabrosi estorti con la forza compresi.»
«Quelli puoi tenerteli, grazie.» Dean posa i piatti nel lavandino e fa scorrere l’acqua, fissando lo sguardo sul modo in cui scorre.
Così, Sam e Gabriel. Gabriel che è il fratello di Cas. Cas che Dean ha abbandonato a casa sua senza una spiegazione, sembrando un idiota e probabilmente dicendo cose fraintendibili.
«Uhm, ma quindi… è Cas che ti ha detto qualcosa? Sulla mia “crisi”?» chiede Dean alla fine. 
Sam e Charlie si scambiano uno sguardo silenzioso ma eloquente.
«Cosa?» chiede Dean, spegnendo l’acqua e pulendosi le mani su uno straccio anche se non ha nemmeno fatto in tempo a iniziare a lavare i piatti.
«Beh,» risponde Charlie. «Cas ha chiamato Gabriel e gli ha detto cos’è successo. E Sam era con lui, così ha chiamato me e abbiamo parlato un po’ e l’ho convinto a venire a parlare a te.»
«Gabriel non era molto contento. Voleva venire anche lui,» aggiunge Sam.
Dean sbuffa una risata.
«Immagino. E a nessuno è venuto in mente che fosse una reazione un po’ esagerata da parte mia? Nessuno, nessuno, ha pensato che io non fossi uno stronzo omofobo, mh?»
«Io,» dichiara Charlie. «Ma è raro che io non abbia ragione.»
«Dean, abbiamo pensato che l’avessi presa male, tutto qui. Papà è sempre stato…»
La frase sfuma nel vuoto. John non è mai stato esplicitamente “anti” qualcosa, ma aveva i suoi modi per far capire come la pensava. E i suoi figli dovevano essere “veri uomini”, punto e basta. Tanto che il disinteresse di Sam per motori e armi era sempre stato abbastanza da considerarsi un affronto. Era il suo modo di voler loro bene: prepararli a un mondo che li voleva a prova di emozioni. Non che sia stato giusto.
«Cazzo,» mormora Dean, buttandosi sulla sedia.
Suo fratello e Charlie lo fissano con la stessa domanda nei loro sguardi.
«Devo scusarmi con Cas, spiegargli… beh, qualcosa
«Puoi anche dirgli per cosa eri preoccupato, Dean. Il mio passato non è un segreto e Gabriel sa tutto,» lo rassicura Sam.
Suo fratello parla con tranquillità, così Dean inspira e si riempie i polmoni d’aria. Non è certo di essere bravo con tutta quella faccenda delle scuse, per non parlare di quello che Cas gli sta combinando fra la testa e il cuore.
«Ci penserò.»
«Ehi, tu e Cas siete amici, no? Risolverete la cosa, vedrai!» lo incoraggia Charlie. «Ora tira fuori il gelato. So che ne hai.»
 
***

Quando i due si decidono ad alzarsi, Dean li accompagna alla porta. Prima che Charlie segua Sam nel buio verso la macchina, però, Dean la ferma con una mano sulla spalla.
«Ehi, pensi che… pensi che possa c’entrare come siamo stati cresciuti, insomma, io e lui, oppure qualche trauma che abbiamo in comune, non so…»
Prima che possa finire la frase, Charlie lo ha già colpito alla spalla con uno dei suoi piccoli e micidiali pugnetti.
«Ahi, e questo per cos’è?!»
«Per aver detto una cazzata che sai benissimo che è una cazzata!»
«D’accordo, d’accordo, lo so, era solo per esserne sicuro!»
Charlie si ferma, lo scruta, e poi la sua espressione si fa pensosa, quasi triste. Quando parla, ha un tono serio.
«Dean, sai benissimo che essere attratti da uno o più generi non ha niente a che fare con l’infanzia o qualche assurda teoria freudiana. Siamo fatti così e basta. E non mi avresti fatto questa domanda se… insomma, tu e Sam siete cresciuti nello stesso modo, quindi se me lo stai chiedendo è perché…»
Dean si congela sul posto. Non ci ha proprio pensato, al significato della sua domanda.
«Perché io e Sam siamo uguali, da quel punto di vista. È questo che vuoi dire?»
«Beh sì,» risponde Charlie.
Sospira, poi, quando Dean non aggiunge altro e si limita a guardarsi le mani, studiando i calli e il passato impresso fra le linee.
«Dean, stai bene?»
«Io… sì, sì, certo. Buonanotte, Char.»
La ragazza sospira, ma non fa pressioni e sparisce nella notte, lasciando Dean con i suoi pensieri.


 

Buonsalve, buonsalve.
Come promesso, aggiornamento!!!
In questo capitolo non c'è praticamente niente di Dean e Cas, ma prometto che d'ora in poi le cose andranno per il meglio. Questo momento serviva a Dean per capire non solo di Sam e Gabriel, ma anche per capire tante cose su se stesso o, almeno, per iniziare ad accettarle.
Spero vi sia piaciuto comunque! E se vorrete farmi sapere, mi fate sempre felice e mi motivate un sacco a scrivere di questi due (ora passo a rispondere ai commenti)!!! Ah, aggiungo un piccolo chiarimento: se le mie risposte tardive vi preoccupano o infastidiscono lo capisco perfettamente, scusatemi tanto. Se volete, scrivermi in privato per delle delucidazioni, sono pronta a spiegarvi come mai per me è difficile e richiede tempo rispondere.
Qui per trovare tutto su di me e sui miei progetti.
Alla prossima!!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7 ***


 
7





 
Dean scende dall’Impala e si avvia verso la veranda di Cain, alzando la polvere ocra del vialetto. Il ronzare dell’apiario può sentirsi fino a lì, anche se è solo un mormorio distante.
Dean sospira e suona il campanello.
Ha fatto una cazzata ed è pronto a rimediare. Gli sembra che la sua vita sia stata rivoltata come un calzino dall’arrivo di Cas e, anche se non è ancora pronto a soffermarsi sul significato di quella rivoluzione, di certo è pronto a supplicare perdono per la sua insensibilità.
O spiegarsi, almeno, prima che Cas decida di non aver bisogno di un amico come Dean nella sua vita.
«Dean?»
«Ehi, Cain! Disturbo?»
L’uomo si fa da parte, e Dean entra nella penombra dell’atrio, sollevato dall’aria condizionata che riporta la temperatura del suo corpo a un livello accettabile.
«Come mai da queste parti?»
Dean, come ogni volta che vede Cain, non può fare a meno di notare la luce triste dei suoi occhi e a riconoscerla come la stessa che ha vissuto nello sguardo di John per anni. Perdere qualcuno è difficile. Anche Cas ha mostrato quella stessa espressione, parlando della madre di Jack. È diverso, certo, ma non è più facile. 
«Sono qui per… un favore, diciamo.»
Cain gli fa strada verso la cucina e lo invita a sedersi con un gesto elegante della mano.
«Birra?»
«Sì, grazie.»
«La mia birra al miele?»
«Perfetto,» risponde Dean, pregustando la specialità di Cain.
Quando sono entrambi muniti di una bottiglia ghiacciata, Dean cerca di trovare le parole per spiegare di cos’ha bisogno. Sa bene che potrebbe semplicemente dire che si tratta di qualche acquisto fatto senza scopo, ma sa anche che Cain gli leggerebbe dentro le stronzate e non lo giudicherebbe in ogni caso. Tanto vale…
«Hai presente Cas? Uhm, Castiel Novak, quello che ha comprato la tua vecchia casa?»
«Sì, certo. Ci siamo parlati e gli ho regalato un po’ di miele per…»
I suoi occhi pallidi si spostano di lato, seguiti da un gesto eloquente della mano.
«Ha detto che lo aiuterai con il giardino.»
«È il minimo che posso fare. Vorrei non aver affidato tutto ad Alistair per la fretta di vendere, ma il danno è fatto.»
«Nah, non è niente di irreparabile. La casa è solida. Ha solo bisogno di un po’ d’amore.»
Dean fa un lungo sorso e poi si porta la mano libera alla nuca, per grattare i corti capelli e trovare le parole.
«Se qui per questo? I lavori del giardino?»
«No, no, ecco io…» Den sospira. «Potrei aver fatto una piccola cazzata e vorrei comprare qualcosa per Cas e suo figlio, sai, un’offerta di pace. Quei due amano il miele e le api e tutte queste cose. In più ho pensato che, non lo so, un giorno di questi potevamo metterci d’accordo per fargli vedere dove tieni le arnie, ecco.»
Cain lo osserva per qualche istante, poi si apre in un sorriso sotto la sua barba grigia.
«Ma certo, Dean. Nessun problema.»
«Oh.»
«Cosa ti aspettavi? Che mi sarei opposto a far felice un bambino e suo padre?»
«No, no, solo… non lo so, io…»
Cain sospira e abbozza un sorriso.
«Mi ricordo quand’eri più piccolo, sai? I lavoretti che facevi in giro quando tuo padre vi portava da queste parti o quando ti fermavi da Bobby per qualche mese. E poi quando siete rimasti, tu e Samuel.»
Dean lo ascolta, ma non sa bene dove voglia arrivare.
«Eri efficiente, un po’ testardo e un po’ spaccone, però facevi il tuo a testa alta. Ma c’è sempre stato qualcosa… una certa irrequietezza. Sbaglio?»
Si stringe nelle spalle, Dean, e poi sorseggia la sua birra cercando di non far emergere in superficie l’ansia che quel discorso provoca.
«Essere figlio di John Winchester non deve aver aiutato, mh?» continua Cain.
«No, direi di no.»
«Non ci conosciamo bene, Dean, ma so bene quanto sia difficile parlare con le persone della nostra vita. Non che me ne siano rimaste molte, ma lo so. E a volte meno qualcuno ci conosce, più è facile parlare.»
«Ehi, senti, nessuna offesa ma sono qui solo per comprare del miele, magari uno dei tuoi pupazzi a forma d’ape o che ne so, e levarmi dalle scatole, niente di più.»
 Cain continua a fare la sua espressione neutra che sembra l’ombra di un sorriso, ma non aggiunge altro sull’argomento.
«D’accordo. Vieni in magazzino, vediamo cosa mi è rimasto dopo l’ultima fiera,» dice soltanto.
Così Dean lo segue fuori e poi in un capanno di legno sul retro. Qualche ape ribelle svolazza in giro e a Dean scappa un sorriso all’idea di portarci Jack e vedere la sua espressione meravigliata.
«Dunque, ho miele, ovviamente, ma anche candele e sapone e cera per lucidare…»
Dean si guarda attorno e studia i solidi scaffali in legno con i prodotti imballati ed etichettati. Seleziona un po’ di tutto e si fa riempire una scatola perché teme che un sacchetto possa cedere sotto il peso dei suoi acquisti.
«Di qua invece trovi tutto il resto,» continua Cain, guidandolo in un angolo con grossi contenitori in plastica. «Non sono cose che faccio io, queste, ma ho accordi con altre piccole attività.»
Dean scava fra le confezioni decorate e trova un pupazzetto fatto a maglia a forma di ape che sembra creato apposta per Jack. E poi, in una delle scatole più piccole, trova anche qualcosa che gli fa battere il cuore un po’ più in fretta dietro lo sterno.
«Quelli li fa un’associazione. Tutto il ricavato serve a preservare le api.»
Dean si limita ad annuire, cercando di far rallentare i battiti. Tiene nel palmo un braccialetto e cerca di convincersi che sarebbe stupido comprarlo per Cas. È un intreccio elaborato di finto cuoio, che si annoda agli estremi di tre esagoni – un alveare – da cui pende una minuscola ape metallica e dorata.
Sarebbe davvero stupido.
«Lo prendo.»

 
***

 Dean sta caricando tutto in macchina con l’aiuto di Cain, quando si rende conto che il cuore non ha rallentato i battiti da quando ha comprato il braccialetto. 
Ci sono stati momenti, nella sua storia con Lisa, in cui ha pensato di comprarle un anello, mettersi in ginocchio e farla finita.
Farla finita.
Come se chiedere a qualcuno di sposarlo fosse davvero un sacrificio.
Ma mai, neanche nei suoi sogni più utopistici, ha provato la sensazione che lo sta divorando in quel momento. L’aspettativa e l’ansia e il nodo allo stomaco, ma anche l’eccitazione e l’adrenalina e un’assurda, insensata felicità.
È una pacca di Cain a riportarlo alla realtà.
«Hai tutto?»
«S-sì, credo di sì.»
«Castiel ne sarà contento.»
«Forse, sì, penso di sì. Cioè, voglio dire, lo spero, sai… non… non sono stato molto… l’ultima volta che ci siamo visti…»
Ci vorrebbe Charlie a ricordargli di respirare. O Sam a prenderlo in giro. Invece se ne sta lì con un pensiero incastrato in gola e non è certo di riuscire a tenerselo dentro ancora per molto.
«Credo che Cas mi piaccia,» vomita fuori, infatti.
E a quelle parole segue il panico.
«Cioè, intendo, è una brava persona. Insomma, sembra una brava persona, no? Sai, per berci una birra e guardare la partita e altre… cose da… uomini?»
Cain non ha cambiato espressione da quando Dean ha iniziato a farfugliare i suoi deliri, ma all’ultima frase – che suona proprio come una domanda – gli sfugge un suono a metà fra il divertito e lo spazientito.
«Dean.»
«Cosa?!»
«Castiel può piacerti. In qualsiasi modo tu intenda. Come amico o come… qualcosa in più.»
Dean non sa bene come rispondere, perché non sapeva neanche che avrebbe detto quello che ha detto. Così si limita a un cenno del capo e a salire in fretta in macchina.
Mentre guida verso casa di Gabriel – pregando che quello specifico Novak non ci sia – la realizzazione di quello che ha appena confessato gli piomba addosso.
Lo ha ammesso con qualcuno.
Cas gli piace.
Si aspetta che arrivi altro panico, che la voce di John gli riempia la testa di regole e imposizioni, invece si sente leggero. Come se ammetterlo fosse il primo passo di un lungo percorso e lui fosse pronto a iniziare. Meglio, come se non vedesse l’ora di iniziare.
«Datti una calmata,» si dice, sentendosi stupido quando la sua voce rimbalza per l’abitacolo e copre il rumore della strada che arriva da fuori.
Per quanto emozionante sia la sua realizzazione, di certo non significa che Cas sia dello stesso parere. Sicuramente, dopo l’ultima volta in cui si sono visti, Dean ha molto altro da spiegare prima di parlare di quello.
Se mai gliene parlerà, certo.
Perché un conto è sentire – in modo così intenso che non crede di aver mai provato una sensazione simile –, tutt’altro è fare qualcosa in proposito.
È così immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorge di essere arrivato a destinazione e di aver parcheggiato.
Prende il braccialetto e lo fa scivolare nella tasca dei jeans, la carta dorata che lo contiene che scricchiola e si stropiccia perché a Dean tremano le mani. Piazza il pupazzo per Jack in alto sulla scatola e scende dall’auto, ma resta vicino alla portiera per qualche istante, a prendere fiato. Poi si carica addosso la scatola e si avvicina alla porta dei Novak.
Ovviamente, quando posa la scatola vicino ai piedi e suona, è Gabriel ad aprirgli.
Niente “Dean-o” però, niente sorriso strafottente; Gabriel ha un’espressione minacciosa che farebbe ridere, se solo non fosse meritata. Tiene perfino la porta aperta solo lo stretto necessario a guardare fuori.
«Ehi. Sono qui per parlare con Cas.»
«Beh, il tuo Caaas non è qui.»
«Gabriel? Chi è?» chiede la voce di Cas da dentro la casa.
Dean fa un’espressione scocciata tutta per Gabriel, ma la sente trasformarsi appena il migliore dei Novak compare alla vista. Porta ancora una camicia bianca e i pantaloni del completo, ma è comunque una visione, con i suoi capelli spettinati e quegli occhi blu che perseguitano Dean dalla prima volta in cui li ha visti.
«Ehi, Cas.»
«Ciao, Dean.»
C’è una nota risentita nel saluto a cui Dean si è già abituato, ma con Gabriel fra di loro è difficile lavorare per farla sparire.
«Possiamo parlare un attimo? Anche qui fuori. Non ci metto molto.»
Castiel non esita neanche un istante e si muove per raggiungerlo, ma Gabriel non sembra intenzionato a spostarsi.
«Sì, sì, meglio che stiate fuori, nel caso tu abbia un’altra crisi isterica.»
«Non ho-»
Prima di mettersi a bisticciare con Gabriel, Dean fa un profondo respiro.
«Per favore?» dice, fra i denti, raccogliendo gli ultimi residui di calma che la ragionevolezza gli permette di avere.
Gabriel borbotta qualcosa che Dean non riesce a sentire, poi assicura a Cas che guarderà Jack e alla fine sparisce dentro casa e lascia il passaggio libero.
Così Cas esce, chiude la porta e aspetta.
«Uhm, ho portato un po’ di cose che… che so che vi piacciono. Miele e robe così.»
Dean si sta passando la mano sulla nuca in un riflesso istintivo, ma quasi esulta quando Cas abbassa lo sguardo e si fa scappare un sorriso. Dura solo un secondo, però, perché quando gli occhi blu si posano di nuovo su Dean, l’espressione è già tornata seria.
«Di cosa volevi parlare?»
«Di… di…»
Cazzo.
«Senti, Cas. Sono stato uno stronzo. Mi dispiace.» 
Dean rilassa le spalle, sentendosi un po’ più leggero. Ora deve solo convincere Cas a perdonarlo.
«Posso spiegare, non è davvero come pens-»
«Dean.» Cas ha uno dei suoi sguardi intensi in viso. «Accetto le tue scuse. Pensavo mi avresti contattato appena Gabriel mi ha detto che con Sam si era risolto ogni equivoco. Dev’essersi trattato di un malinteso, l’ho capito appena ci ho pensato con lucidità.»
«Uhm… come?»
«Se avessi avuto qualcosa contro le persone lgbt+, di certo avresti reagito diversamente la sera in cui ti ho detto di essere gay.»
«Oh, quello. Beh, sì. Cioè no, non ho niente contro… nessuno, ecco.»
Cas abbozza un sorriso e poi torna a guardare fra i piedi di Dean, dov’è abbandonata la scatola piena dei prodotti di Cain.
«Quelli sono per me?»
«Per voi, a dire il vero. Tu e Jack. Anche Gabriel, se ne vuole-»
«Ne voglio!» arriva la voce dell’altro Novak da dietro la porta.
Dean e Cas rimangono in silenzio un istante, poi condividono una risata complice.
«Che ne dici se andiamo un attimo in macchina a parlare? Vorrei davvero spiegarti cos’è successo. Prima però mi piacerebbe dare questo a Jack,» dice Dean, chinandosi per recuperare il pupazzetto a forma d’ape. «Se per te va bene.»
«Certo, Dean.»
Cas riapre la porta e Gabriel finge di non aver origliato fino a quel momento. A sua discolpa, però, Jack è seduto sui gradini dove poteva essere tenuto d’occhio. Sta costruendo qualcosa con piccoli blocchi di plastica.
«Beh, sono contento che tutto si sia risolto. Che dire, Dean-o? Ti perdono e ti assolvo da ogni peccato. Vai in pace,» dichiara Gabriel, recuperando la scatola come se fosse sua, prima di sparire in cucina.
Dean scuote la testa ma si sforza di ignorare il suo teatrino, preferendo avvicinarsi a Jack in compagnia del padre.
«Ehi, campione,» lo richiama, nascondendo il pupazzo dietro la schiena. «Che fai di bello?»
«Ciao.» Jack alza lo sguardo e fissa i suoi grandi occhi in quelli di Dean. «Costruisco un ponte.»
«Beh, sembra proprio un’impresa. Pensi che al tuo ponte possa piacere un’ape?»
«Ai ponti non piace niente,» valuta Jack, corrucciandosi in un’espressione pensierosa.
«Hai ragione, hai ragione. Allora cosa dici così: pensi che a quest’ape possa piacere il tuo ponte?»
Dean tiene finalmente l’ape davanti a sé, con un sorriso trionfante in viso. Jack sta praticamente vibrando dall’emozione, tutto sporto oltre il gradino verso l’ape.
«Sì, sì, le piace! È la tua ape?»
«Veramente è la tua ape. Le ho solo dato un passaggio fino a qui.»
Jack allunga le manine e la prende con delicatezza. Il materiale con cui è creata deve aver superato un test d’approvazione tattile, perché un attimo dopo se la sta stringendo al petto.
«Lo sapevi che un’ape può percorrere venti miglia all’ora se è alla ricerca di cibo?»
«No, proprio non lo sapevo.» Dean si rimette dritto e gli sorride. «Ehi, senti, io e papà andiamo un attimo fuori a parlare. Se hai bisogno c’è zio Gabriel, d’accordo?»
Jack sembra di nuovo concentrato sul ponte e si limita ad annuire, ma tiene l’ape in grembo – con grande soddisfazione di Dean.
Quando si volta, Dean si ritrova faccia a faccia con Cas e con un sorriso abbagliante in grado di annodargli lo stomaco e confondergli i pensieri.
«Usciamo?» chiede, più per non soffermarsi ad analizzare l’espressione dell’altro e il modo in cui lo fa sentire.
«Certo.»
Coprono la distanza che li separa dalla porta e poi dalla macchina. Restano in silenzio, ma non c’è tensione. O, almeno, Dean lo spera.
Dentro l’Impala fa ancora più caldo che sotto il sole, così Dean tira giù il finestrino e si volta verso Cas, seduto sul sedile al suo fianco.
«Quindi…»
Il silenzio che segue è esemplificativo del suo tentativo di trovare le parole giuste, ma anche del modo in cui non ha mai dovuto usarle con nessuno.
«Non voglio dirti cose che, beh, riguardano Sam e basta, magari Gabriel te ne ha parlato, in ogni caso giuro che avevo dei motivi per preoccuparmi. In passato ha attraversato dei brutti momenti e ho creduto che ti stessi riferendo a cose del genere, capisci? Quindi mi sono fatto prendere dalla situazione e non mi sono fermato a pensare. Non sapevo davvero di lui e Gabriel e non ho niente contro la cosa, davvero. Non è stato giusto reagire così, lo so, lo so. Né verso di lui, né verso di te. Cioè, ti ho mollato lì quando ti ho promesso-»
«Dean.»
La mano di Cas gli si posa sulla coscia, e il calore del palmo supera la barriera dei jeans e arriva dritto alla pelle che c’è sotto. 
«Non devi parlarmi di niente, se non te la senti.»
«No, è che… in verità sei l’unica persona a cui vorrei dire queste cose. Non chiedermi perché. Voglio che tu sappia di me e di Sam e di nostro padre.»
«Vostro padre?»
Dean fa scivolare la mano dietro la nuca, a grattarsi i corti capelli sopra il collo, e poi giù, in caduta libera, fino ad approdare sul dorso di quella di Cas.
Stanno così per qualche istante, con gli occhi di Cas pieni di sorpresa, a tenersi per mano in silenzio.
O quasi, almeno.
«Non è stato facile per lui. Non voglio che tu pensi male, per quello che ti dirò. Mamma è morta che Sam era piccolissimo e per tanto tempo siamo stati solo noi due e John e…» Dean si stringe nelle spalle. «Beveva parecchio. A volte restavamo da Bobby e quelli erano i momenti migliori. Ma altre volte lo seguivamo da un lavoro all’altro, sai, ovunque, e dovevo occuparmi io di Sam. È sempre stato in grado di cavarsela, eh, ma era un bambino ed era compito mio pensare a lui. Quando la situazione è diventata ingestibile, siamo rimasti da Bobby e basta. E quando John è morto, beh, ci è crollato tutto addosso. Tutti quegli anni con un padre che non c’è mai stato e che quando c’era pretendeva obbedienza assoluta non sono serviti a niente per il senso di colpa di averlo lasciato da solo…»
«Non sembra un buon padre.»
«No, no, Cas. Non è così. O forse sì, non lo so. Ci ha provato. Tutto quello che ha fatto – i lavori, lasciarci da Bobby, impegnarsi ogni volta – l’ha fatto per il nostro bene. E anche quando era uno stronzo, pensava davvero di farlo per noi. Per renderci uomini, capisci?»
«No,» ammette Cas, senza un attimo di esitazione. «Non capisco e non credo che il compito di un genitore sia indurire i figli per proteggerli dal mondo. Credo che il compito di un genitore sia amare i propri figli e insegnargli con l’esempio, oltre che con le parole, come navigare il mondo amando se stessi e rispettando gli altri.»
Dean resta senza parole. Non può quasi crederci che Cas dubiti delle sue capacità come padre: stanno tutte lì, in quelle frasi dette con sicurezza.
Gli scappa uno sbuffo divertito.
«Cosa c’è?»
«Niente, niente, è che hai ragione. Lo so che hai ragione. A volte lo odio per quello che ci ha costretti a passare e per le conseguenze che ha avuto su Sam, credimi.» Dean muove la mano e intreccia le loro dita. «Però è l’unico genitore che ho avuto.»
«Credo che tu abbia una famiglia molto bella, Dean. Non solo Sam, ma Bobby ed Ellen e Jo. E Charlie e tutti gli altri.»
La gola di Dean minaccia di chiudersi e gli occhi pizzicano in modo imbarazzante, così Dean si aggrappa all’unico diversivo che gli viene in mente.
«Ti ho preso una cosa,» dice, pur di non mettersi a piangere o – peggio – confessare quello che ha realizzato da Cain.
Cas inclina la testa di lato in quel modo adorabile che ha di farlo, così Dean districa le loro mani e pesca dalla tasca il braccialetto.
«È… non è niente, voglio dire… una cosa piccola, così…»
Cas lo prende con reverenza, l’incarto dorato che scricchiola sotto le sue dita. Lo apre piano, i grandi occhi blu fissi sul regalo, e quando lo tiene finalmente nel palmo, il suo sorriso sembra illuminare l’intera auto.
«È molto bello, Dean,» dichiara, alzando lo sguardo. «Grazie.»
Dean può sentire il calore risalirgli fino alla punta delle orecchie, e si schiarisce la voce, alla ricerca di una parvenza di controllo su tutte le emozioni che continua a provare.
«Mi aiuti a chiuderlo?» continua Cas.
E in risposta, Dean allunga le dita e assicura il gancio del braccialetto, sfiorando la pelle sottile del polso di Cas con i polpastrelli. È un momento intimo, tutto per loro, carico di indefinito. Un momento in bilico, in cui Dean continua a tenere la mano di Cas e tutto il mondo fuori non ha più importanza.
Vorrebbe baciarlo così tanto…
«Dean?»
«Sì?»
«Puoi contare su di me per qualsiasi cosa. Sempre, Dean.»
Cas lo dice senza esitazioni, guardandolo dritto negli occhi, e Dean vorrebbe davvero baciarlo, ma vuole anche fare le cose per bene. Per una volta – la volta che forse conta più di tutte le altre messe insieme – deve essere certo di quello che vuole e di come guadagnarselo. Deve fare tutto, passo per passo: appuntamenti, corteggiamenti, cuore aperto e tutte quelle assurdità, nessuna esclusa. E se l’universo gli deve qualcosa per tutto quello che ha passato, spera davvero che Cas sia interessato a lui allo stesso modo.
«Grazie, Cas,» risponde, dando un’ultima stretta alla sua mano prima di lasciarla andare.





 
Buonasera, buonasera!
Come state? Spero bene. 
Ho appena, APPENA, finito di scrivere questo capitolo, e sono troppo emozionata per aspettare domani. Prometto di rileggerlo e correggerlo per bene appena possibile. XD 
Per ora però, eccolo qui! Spero vi piaccia. Volevo tantissimo che si baciassero, giuro, ma Dean ha fatto di testa sua ed eccoci qua. Non riesco neanche a immaginare, per ora, la faccia che Cas farà appena Dean gli chiederà di uscire a cena per un appuntamento!!!
Grazie a tutte le persone che commentano, passo subito a lasciare qualche ringraziamento prima che la serata mi fagociti, ma sappiate che sono gratissima per tutti i feedback e le cose carine. 
❤❤❤
Come sempre, QUI trovate altro su di me!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8 ***


 
8




 
«La smetti di guardare quel dannato telefono e ti metti a lavorare, ragazzo?»
La voce di Bobby fa sobbalzare Dean e quasi gli fa cadere il cellulare nel cofano del rottame che Dean sta sistemando.
«Sissignore, scusa, capo!» è la risposta divertita, mentre il cellulare torna al suo posto nella tasca della tuta.
«Continua così e ti licenzio. Vedrai se non ti licenzio!»
Benny sbuffa una risata dalla sua postazione, sporco di grasso fino ai gomiti e sudato quanto Dean perché quell’estate è una maledizione senza fine.
«Allora, chi è la ragazza, mh?» chiede poi.
«Come?»
«La ragazza con cui scambi messaggini d’amore da stamattina. Chi è? E non dire Lisa, per favore,» insiste Benny.
Dean vorrebbe battere i piedi come un bambino e urlare che no, dannazione, non è Lisa, ma lascia perdere e si rimette all’opera sulla macchina. Forse è troppo felice per arrabbiarsi con chiunque dia per scontato che tornerebbe strisciando dalla sua ex. Dopotutto fra lui e Cas le cose si sono sistemate, hanno ripreso a scriversi e la sua mente è piena di aspettativa per il futuro. Sembra che accettare di essere interessato a Cas abbia fatto un po’ d’ordine nel vecchio caos che Dean si è sempre portato dentro. Cerca solo di non chiedersi se Cas ricambi o meno quell’interesse e di godersi il presente, per una volta.
«Non è Lisa,» dice, tagliando corto.
«Avanti, da quando tieni le tue conquiste per te, eh?»
«Da sempre! Sono un gentiluomo!»
«Va bene, d’accordo, allora qualche indizio?»
Dean fa un piccolo verso divertito, ma cede. Gli piacerebbe raccontare qualcosa a Benny. Qualsiasi cosa.
«Ha gli occhi più blu che io abbia mai visto. Ha un corpo che… va beh, non voglio essere squallido, ma non lo diresti mai che sotto i vestiti si nasconda quel corpo, ecco. E se fosse solo questo sarebbe facile far finta di niente, no? Invece quando ti guarda sembra scavarti dentro, sai, tipo nell’anima e quelle cazzate lì. È intelligente, è una delle persone migliori che conosca, e ha un coraggio e una forza che io, per certe cose che ha passato dico, non avrei mai e poi mai avuto.» Dean si rende conto di aver parlato troppo e si ricompone, fingendo di essere concentrato sul motore dell’auto. «Insomma, questo è quanto.»
«Questo è quanto? Amico, sei perso, cotto, andato.»
«Sì, beh, forse.»
«Uscite? Insomma, hai fatto le tue mosse? Fiori, cioccolatini, cene fuori?»
«Cristo, Benny, quanti anni hai? Centoquaranta?»
«Ah-ah, prendimi per il culo, sì. Se vuoi saperlo, i classici sono tali perché funzionano!»
Dean gli lancia lo straccio, ma il pezzo di stoffa fa una piccola piroetta nell’aria che li separa e poi cade a terra.
«Se lo vuoi sapere, la mia mossa segreta è stata un braccialetto. E no, non una di quelle robe costose che imbarazzano la gente e che mettono le persone nella posizione scomoda di non poter accettare, nossignore. Un braccialetto con un ciondolo a forma di ape, perché significa qualcosa, capito? Una roba che ha un senso e che fa capire che ascolto. Perché io ascolto, Benny, altro che classici!»
Continuano a bisticciare per un po’, con Bobby che assiste rassegnato ogni volta che lascia l’ufficio, finché non c’è più niente su cui lavorare e scatta l’ora di pranzo. 
«Ho messo il cartello, ma se qualcuno suona, vedete di alzare il culo e prendere il lavoro, mh?» dice Bobby, mentre i due vanno verso il tavolino sul retro per mangiarsi i loro sandwich.
«Allora, Occhi Blu è di queste parti?» chiede Benny, una volta che sono seduti a godersi il pranzo e l’acqua ghiacciata.
«Sì e no.»
«Beh, che risposta è? O è qualcuno di qui oppure no. A meno che non venga da queste parti per lavorare! È così? Qualcuno che-»
Dean zittisce Benny appena una figura gira l’angolo, comparendo alla vista, anche se il meccanico impiega qualche attimo a rendersi conto che è proprio il soggetto della discussione.
«Ehi, Cas!» gli dice, alzandosi per andargli incontro. «Cosa… uhm, cosa ci fai da queste parti?» Nota il sacchetto dello Spicy che l’uomo tiene in mano e l’ansia viene spazzata via dall’entusiasmo. «È per me?»
«Ho pensato di ringraziarti per ieri.»
Cas ha una delle solite camicie bianche, che fa il paio con l’aria scompigliata che si porta sempre addosso. Solo che questa volta Dean può ammettere con se stesso che vorrebbe passare le dita fra i suoi capelli o sentire la consistenza ruvida del suo accenno di barba sulla pelle.
«Ehi, Novak, giusto?» dice Benny, interrompendo lo sguardo che si stanno scambiando e alzando la voce perché Cas possa sentirlo. «Sei qui per la macchina?»
Cas lancia un’occhiata a Dean per sapere cosa fare, ma Dean non sa bene come muoversi in quella situazione e si limita a stringersi nelle spalle e indicargli il tavolino. Da una parte teme che Benny apra la sua boccaccia e torni al discorso appena lasciato, dall’altra sarebbe strano spingere Cas da tutt’altra parte come se volesse nasconderlo.
Perché non vuole nasconderlo.
Cazzo, se non vuole.
Vorrebbe urlare a tutto il mondo che prova qualcosa di imprevedibile e di incredibilmente vero per quell’uomo. Vorrebbe prendergli la mano e andarsene in giro come due adolescenti. Vorrebbe scambiare sorrisi segreti mentre sono in mezzo a una miriade di persone, come se non importasse essere scoperti, ma ci fosse comunque qualcosa solo per loro, un linguaggio in codice fatto di piccoli gesti.
«Avanti, Cas, siediti,» dice, spostando una sedia, appena sono vicini al tavolino.
Benny gli lancia uno sguardo interrogativo, ma Dean non ha una risposta – o non vuole darla, almeno – e si limita a riprendere il suo posto e a bere due lunghi sorsi d’acqua.
«Ehi, hai portato un dolce.»
«Credo ce ne sia per tutti. Sono quattro fette diverse,» spiega Cas.
«Quattro fette di torta dallo Spicy?!» continua Benny. «Stai cercando di comprarti i favori del meccanico, eh?»
Cas inclina la testa di lato come fa di solito quando non sa bene come interpretare qualcosa, e a Dean scappa uno sbuffo di risata.
«Sai i lavori alla vecchia casa di Cain di cui ti ho parlato? Ecco, Cas è il proprietario,» spiega Dean, sperando sia abbastanza.
«Ah, sei venuto a sdebitarti perché saranno lavori da sudore, lacrime e sangue, è così?»
«Dean mi ha portato del miele, ieri, così gli ho portato un dolce. Gabriel aveva delle fette da dare via e le ho prese tutte,» chiarisce Cas, con il tono di chi sta dichiarando un dato di fatto.
Dean vorrebbe ridacchiare ancora, ma è troppo impegnato ad aprire la scatola dello Spicy e svelarne i tesori nascosti. Hanno solo un paio di forchette, ma presto Benny ne recupera una dall’ufficetto di Bobby e tutti e tre si mettono a dividersi i dolci e a parlare dei lavori per la casa.
Il tutto finisce di colpo quando Cas si arrotola la camicia bianca sugli avambracci e il suo braccialetto compare alla vista. Dean perde un paio di battiti, perché vederglielo addosso lo riempie di uno strano, esaltante orgoglio. È un simbolo tangibile della loro connessione, un segno di speranza, perfino. Di certo significa che il pensiero gli è piaciuto abbastanza da continuare a portarlo.
«Oh,» dice Benny.
E Dean sposta lo sguardo dal braccialetto al suo collega, per trovarlo con un’espressione sorpresa in viso.
«Ah, questo?» chiede Cas, quando registra dove sono dirette le attenzioni di Benny. «Me l’ha-»
«Non è tardi?!» chiede Dean all’improvviso. «Dobbiamo tornare a lavoro, no? Molto tardi, sì.»
Cas corruccia l’espressione, si fa pensieroso per un attimo, poi il suo intero viso si distende in una maschera di comprensione e serra le labbra, probabilmente per non dire altro. Benny, invece, è passato dalla sorpresa a un sorrisino furbo.
«Sai, proprio stamattina Dean mi stava raccontando di questa persona a cui ha regalato un braccialetto simile a quello che hai tu.»
«Benny,» sibila Dean fra i denti.
«Com’è che hai detto?» continua l’altro, mentre Cas torna a sfoggiare una faccia confusa. «Ah, sì: occhi più blu che abbia mai visto, per non parlare del corpo, una persona intelligente, coraggiosa, una delle migliori che tu conosca. Hai detto così, no?»
«Benny, giuro su-»
«Sì, hai detto proprio così. E hai detto che gli hai regalato un braccialetto con un’ape perché ascolti e sai che le api significano qualcosa per quella persona, mh?» Benny si passa la mano sulla barba chiara, trattenendo a stento quella che ha tutta l’aria di essere una grossa risata. «Se chiedi a me, è proprio cotto, ma chissà chi è la persona misteriosa a cui ha regalato il braccial-»
«Basta così, Benny.»
Dean ha il cuore che gli pompa in petto e sa benissimo di essere rosso fino alla punta delle orecchie. Si alza in fretta e afferra Cas per un braccio per trascinarselo verso l’interno dell’officina. Quando sono dentro, soli, Dean finalmente molla la presa e si passa una mano sulla nuca.
«Scusalo, sai. E scusami, non avrei dovuto… intendo… le cose che ha detto…»
Quando Dean finalmente alza lo sguardo, trova Cas a sorridergli in un modo strano. Quasi triste.
«Che succede?» chiede quindi, dimenticandosi l’imbarazzo di essere stato scoperto da Benny e l’ansia all’idea di dovergli una spiegazione o sorbirsi un interrogatorio.
«Non è un problema se hai regalato lo stesso braccialetto a qualcuno. È un bel braccialetto, è solo logico che tu-»
«No! Cosa? No, no, Cas.» La frustrazione si aggiunge al miscuglio di sensazioni assurde che sta provando, ma Dean non ha intenzione che un altro stupido equivoco si infili fra lui e Cas. «No. Sei tu. Voglio dire, Benny è uno stronzo e non era questo il modo in cui volevo… beh, non è questo il modo e basta. Ma stava parlando di te. Io stavo parlando di te, questa mattina.»
Cas sembra pietrificarsi sul posto, e i suoi stupendi occhi blu sembrano farsi ancora più profondi. Passano lunghi, estenuanti attimi di silenzio. C’è solo il caldo di quel pomeriggio estivo a riempire il vuoto, il rumore della cittadina fuori dal garage e l’odore di olio da motore nell’aria. 
«Di’ qualcosa, Cas.»
«Sono sorpreso.»
Lo dice con la stessa voce profonda che Dean ha sentito la prima volta che si sono incontrati, con la stessa decisione con cui parla certe volte, mandando Dean in confusione per le reazioni che quel tono rauco e sicuro gli provoca.
«Uhm… d’accordo. Sorpreso è buono. È buono, vero?»
Finalmente Cas sembra riprendersi dall’incantesimo che quell’informazione gli ha lanciato addosso: torna a muoversi impercettibilmente, a sbattere le palpebre, pare perfino tornare a respirare.
«Dovremmo parlarne, Dean.»
«Sì, sì, certo. Parlarne. Anche parlarne è buono.»
Si guardano per una delle loro eternità, perdendosi uno nell’altro come sono già abituati a fare. Cas ha davvero gli occhi più blu che Dean abbia mai visto. E c’è ancora l’irresistibile voglia di baciarlo a farlo sporgere appena verso di lui.
«Questa sera sei libero?» chiede poi Cas, spezzando quel momento.
«Sì, sono libero.»
«Posso venire da te? Preferirei che Jack non ci fosse.»
«Oh, certo. Sì, d’accordo, va bene.»
«Allora a stasera, Dean.»
Cas va via subito dopo quel saluto, camminando in modo un po’ meccanico e lasciando Dean nel mezzo dell’officina con la mente confusa, a chiedersi cosa diavolo sia appena successo.

 
***

Dean non rivolge la parola a Benny per tutto il turno e, quando alla fine Benny lo supplica di perdonarlo in modo molto teatrale e troppo poco serio, Dean arriva perfino a mandarlo a quel paese. Era certo che il peggio di quella giornata sarebbe stato subire un interrogatorio dal suo amico e dovergli dare una spiegazione – magari dichiarandosi per la prima volta a una persona che conta nella sua vita – invece il suo umore è oscurato dalla prospettiva del suo confronto con Cas.
Quando finalmente la giornata di lavoro finisce, quasi scatta verso il piccolo spogliatoio.
È lì che Benny lo raggiunge.
«Ehi, senti, sul serio Dean…»
«Te lo ripeto, Benny: vai a farti fottere. Con te non ci parlo.»
Ma Benny non sembra intenzionato a sopportare quel trattamento ancora a lungo e lo ferma con una mano sulla spalla.
«Dean. Sono serio. Scusami.»
«No. Potresti aver rovinato tutto. Sai che c’è? Se ti dà così fastidio che Cas sia un uomo, beh, sei proprio-»
«Cosa?» lo interrompe Benny. «Cosa?! No. Ehi, amico, andiamo, credi mi freghi qualcosa di chi ti piace? Ti stavo dando un po’ di merda, lo facciamo sempre fra di noi. Lo avrei fatto in qualsiasi caso, se avessi visto quel braccialetto addosso a chiunque. È per questo che sei così incazzato?»
Benny ha uno sguardo sincero e tutta la rabbia che Dean ha dentro si rivela per quello che è: paura di cosa lo aspetta quella sera. Non ce l’ha davvero con Benny, anche se un po’ di preoccupazione per la sua reazione a quella notizia ha contribuito all’agitazione.
«Cas sembra davvero una brava persona, va bene?» continua Benny.
«Lo è,» ammette Dean, e tutta la tensione defluisce fino al punto da farlo crollare seduto sulla panca traballante che tengono in quello stanzino striminzito. «Lo è davvero, dannazione.»
Benny si siede al suo fianco, e la panca minaccia di cedere sotto il loro peso.
«Che succede?»
«Beh, non sapeva che il mio interesse fosse di quel tipo.»
«Oh, merda. Scusami, Dean, pensavo ne aveste già parlato.»
«No. Vuole vedermi stasera per farlo. È da ieri che cerco di non pensare a come vede lui la questione. Insomma, non so come funziona con un altro uomo, no?»
«Senti, tagliamo corto, eh? Che intendi? Una relazione?»
Dean manda giù il groppo che gli si forma in gola nel sentire quelle parole dette in modo così diretto, ma alla fine annuisce.
«Cioè, prima frequentarsi. Uscire qualche volta. Presente?»
«D’accordo, beh, per quel che vale, io credo proprio che sia interessato.»
«Certo, sei un veggente.»
«Dico sul serio. Perché tenere il braccialetto? O portarti le torte? O rispondere ai tuoi messaggi tutta la mattina?»
Il discorso di Benny è sensato, ma Dean ha paura che sia tutta un’illusione e non vuole davvero arrivare a quella sera con troppe speranze da far infrangere. Così cambia argomento.
«Com’è che non sei neanche un po’ sorpreso dal fatto che mi piaccia un uomo?»
Forse lo chiede con un po’ troppa curiosità, Dean, perché Benny fa una delle sue grosse risate divertite.
«Oh, amico. Che dire? Non lo so, non do per scontato che le impostazioni di fabbrica siano uguali per tutti, capisci che intendo?»
Dean scuote la testa, ma gli scappa un sorriso: una persona della sua vita sa di lui e il mondo non è finito, niente è cambiato, non è stato rifiutato. Canterebbe dalla felicità, se non fosse stretto nella morsa dell’ansia per il confronto che lo aspetta.
«Credo sia per questo che non ho pensato a Sam e Gabriel in quel senso, sai? Ho pensato: “due su due, non è possibile!”» ammette.
Benny ride di nuovo, e questa volta Dean si accoda, liberando in quel suono pieno un po’ di tensione. Alla fine, Benny gli batte una mano sulla spalla.
«Vedrai che andrà bene. Me lo sento.»
E Dean spera davvero, davvero, che Benny abbia ragione.

 
***

Cas è lì ad aspettarlo appena Dean parcheggia l’Impala sotto casa.
Tiene in equilibrio il cartone di una pizza e da una mano penzola un sacchetto che Dean spera contenga delle birre.
Quando gli va incontro, può leggergli in viso l’espressione titubante.
«Ho pensato di procurare la cena, spero vada bene.»
Lo dice come se fosse andato a caccia e a Dean scappa un sorriso divertito.
«Certo che va bene,» dice, battendogli una mano sulla spalla prima di superarlo per aprire la porta e fargli strada.
Sta cercando di mostrarsi tranquillo, ma dentro è tutto un contrarsi di stomaco e uno strizzarsi di polmoni. Quando arrivano davanti al suo appartamentino, Dean apre la porta e si fa da parte, cercando di ricomporsi e non perdere la testa.
«Non è molto, ma è qui che sto. Per il momento.»
Cas entra e si guarda attorno con un’espressione incuriosita che fa sentire Dean importante, per qualche ragione.
«Posa pure tutto sul tavolo e fa’ come se fossi a casa tua. Mi cambio e arrivo.»
Sperava di riuscire a farsi una doccia, Dean, ma dovrà limitarsi a rinfrescarsi. In bagno perde più tempo del necessario a sistemarsi i capelli e a farsi coraggio davanti alla sua immagine riflessa, ma quando i minuti sembrano troppi, raccoglie a doppie mani la forza di volontà e torna verso la cucina.
Cas è seduto, il cartone di pizza aperto, due birre sul tavolo.
Una persona potrebbe abituarsi a questa visione, è il pensiero improvviso che scalda Dean dal centro del petto al resto del corpo.
Si avvicina e si siede, guardando la pizza per trovare qualcosa da dire.
«Mezza amanti della carne e mezza verdure?»
«Non va bene?» chiede Cas, una nota preoccupata nella voce.
«No, no, è perfetta. Se la parte con la carne è mia.»
Cas fa un piccolo sorriso indulgente, poi annuisce appena. Così Dean ci dà dentro.
«Quindi, Dean, permettimi di chiarire la situazione: sei interessato a me sessualmente
La pizza finisce fuori strada e rischia di soffocare Dean, che si mette a tossicchiare e annaspare. Cas gli porge la bottiglia di birra con un’espressione calma e serena, come se non avesse appena sganciato una bomba con il suo solito tono essenziale.
«Io… uhm…»
È il momento che Dean ha temuto e aspettato tutto il giorno. Si ricompone, pesca un paio di tovaglioli di carta per pulirsi e si raddrizza sulla sedia.
«No.»
L’espressione di Cas si rabbuia e cala un silenzio gelido.
«No, cioè, sì. Aspetta… dannazione.» Dean si passa una mano sui corti capelli della nuca, perché è Sam quello bravo in quei discorsi, non lui. «Quello che voglio dire è che “sessualmente” mi sembra un po’ riduttivo.»
Cas inclina la testa di lato – non smetterà mai di essere un gesto adorabile – e fa la sua espressione confusa. E Dean si rassegna a elaborare.
«In questi giorni ho capito di essere interessato. Da tutti i punti di vista, capisci? Interessato interessato.»
«Capisco…»
Cas si fa pensieroso, ma riprende a mangiare la pizza, inframezzando i bocconi con dei sorsi di birra. Dean può solo guardarlo, perplesso, finché la sua già scarsa pazienza non raggiunge il limite.
«Quindi?» chiede.
«Sto valutando.»
«Valutando? Cosa c’è da valutare? Voglio dire, o ti interesso o non ti interesso, no?»
Forse gli esce più ruvida del previsto, quella frase, perché Cas dirige nella sua direzione un’espressione ammonitrice.
«Ovviamente è più complicato di così, Dean.»
«No, non lo è proprio.»
«Sì, lo è.»
«No, direi di no.»
«Sono convinto di sì.»
«Non penso-»
La mano di Cas cala su quella di Dean e stringe appena, così le parole finiscono e rimane solo uno dei loro sguardi intensi.
«Ho un figlio,» dice Cas, dopo qualche secondo che è sembrato allo stesso tempo troppo breve e infinito.
«Lo so.»
«Devo pensare a cos’è meglio per noi, me e lui. Non solo per me.»
Dean sfila la mano da sotto la sua presa.
«Stai dicendo che sarei… cosa, una brutta influenza?»
«No, affatto.» Un’altra pausa di silenzio, e poi: «Dean, sei una brava persona.»
«Seh, certo.»
«Dean.»
Il suo nome esce dalle labbra di Cas duro e diretto, come un rimprovero. Così Dean abbassa la testa e lascia andare un lungo sospiro.
Cosa si aspettava?
Credeva davvero di essere abbastanza per uno come Cas?
«Senti, lasciamo stare. Ho capito,» borbotta, prima di bere due lunghi sorsi di birra.
Non ha più fame. In realtà, non ha più voglia di niente. Vorrebbe solo chiedere a Cas di andarsene e buttarsi a letto per una settimana intera.
«Dean, ti prego, guardami.» Gli occhi di Cas lo cercando e lo trovano, tenendolo ancorato a quel momento. «Sei una brava persona. Sei gentile e generoso e divertente. Sto solo riflettendo, perché… onestamente, non mi aspettavo di interessarti.»
«Cosa? Stai scherzando, vero?»
«Affatto. Prima di tutto non ero a conoscenza della tua sessualità e, mi perdonerai, ho dato per scontato ti piacessero solo le donne – almeno da quello che ho saputo delle tue passate relazioni.»
«Ucciderò tuo fratello…»
«In più,» continua Cas, ignorando l’ultima frase. «Anche fosse stata una possibilità, non pensavo ti sarebbe interessato un traduttore con un figlio a carico, un pessimo istinto immobiliare e nessuna capacità sociale.»
Dean resta in silenzio dopo quell’ammissione, cercando di capire da dove arriva tutta quell’insicurezza. Certo, nelle situazioni sociali Cas tende ad avere qualche difficoltà, ma a Dean appare sempre così deciso e coraggioso, che non riesce proprio a spiegarsi quell’arrendevolezza. Poi realizza l’importante discorso fatto la sera a casa dei Novak e il modo in cui Cas è stato messo in dubbio per anni, nel tentativo di farsi affidare Jack.
«Ehi,» mormora, tornando a intrecciare le loro dita sulla superficie liscia del tavolo. «Quello che Benny ha detto oggi, io lo penso davvero. Che sei forte e intelligente, che sei stato coraggioso ad affrontare tutto quello che ti è capitato, che sei una delle migliori persone che io conosca. Se… se non ti interesso va bene, possiamo continuare a essere amici e ti prometto che non tirerò mai più fuori l’argomento, ma se ti interesso anche solo un po’, se… non lo so, c’hai pensato almeno mezza volta, non è che vorresti uscire con me? Darci un tentativo, intendo?»
Dean prende fiato dopo quel lungo discorso, e fissa dritto dentro gli occhi di Cas sperando che possa leggere nella sua espressione quanta decisione c’è dietro tutte quelle parole.
Alla fine, lunghi istanti dopo, quando Cas rinsalda la presa delle loro mani, arriva la risposta.
«Va bene, Dean. Proviamoci.»



 


Ma buona settimana, gente!
Come state, come state?
Questo capitolo è un bestione abbastanza corposo. Volevo finirlo prima della serata insieme, ma poi ho pensato che sarebbe stato di una crudeltà inaudita e ho aggiunto almeno l'inizio del confronto fra Cas e Dean. Nel prossimo capitolo, se tutto va come deve andare, continueranno a parlare e passeranno del tempo insieme. Vedremo tutti (io compresa) cosa ci riservano queste due patate bollite.
Non sapete quanto mi fa felice vedere che la storia vi stia piacendo, che vi coinvolga e vi faccia compagnia in periodi più o meno difficili. Davvero, mi si riempie il cuore. Come sempre, ora passo a rispondere ai commenti prima di essere assorbita dalle mille cose da fare!
Grazie per essere arrivat fino a qui.
QUA trovate qualche link per sbirciare le cose varie ed eventuali che faccio.
Al prossimo capitolo!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9 ***


9




Sono sul divano, sullo schermo della televisione c’è il catalogo di film da cui non hanno ancora scelto, perché dopo la pizza sono rimasti lì a parlarsi e parlarsi. Soprattutto di Jack, ma anche dei loro lavori, delle loro preferenze, di musica e libri e film. Restano a distanza, anche se nella mente di Dean continua a risuonare la voglia di baciare Cas. Lo guarda, così scompigliato e rilassato, e vorrebbe solo annullare la distanza e far incontrare le loro labbra. Immagina quel bacio in mille modi diversi e ogni secondo in cui non si stanno baciando gli sembra un secondo sprecato.
«Ti sto annoiando?» 
La voce di Cas è ancora più ruvida dopo tutto quel parlare, ma non fa quella domanda con delusione o dispiacere: è una domanda sincera, come se nessuna risposta potesse offenderlo, solo metterlo a conoscenza di un dato di fatto.
«No, no, non è questo,» risponde Dean.
«Sei stanco?»
«No, neanche questo.»
Dean sa che il rossore dev’essergli risalito fino alla punta delle orecchie.
Seduto sul suo divano di seconda mano, si è immaginato un sacco di futuri possibili, tutti con serate come quella, magari con Jack che dorme nella sua stanza. Altre piccole parole quotidiane, dei “com’è andata la giornata?” mormorati piano.
Più baci.
Decisamente molti più baci.
«Se qualcuno mi avesse detto che, non lo so…» Dean si passa la mano sulla nuca, l’imbarazzo una presenza piacevolmente scomoda nello stomaco. «Che sarei stato felice di passare una serata così con un altro uomo, non gli avrei mai creduto.»
Cas abbozza un sorriso, le rughe attorno agli occhi che si fanno più marcate sotto il riflesso bluastro che arriva dalla televisione.
«Sei felice, Dean?»
Quella stessa domanda gliel’ha fatta Lisa, prima della fine, e lui non ha saputo rispondere. In quel momento, invece, con una giornata di lavoro alle spalle, una pizza condivisa con Cas, la consapevolezza che proveranno a uscire e vedere dove tutto quello li porterà…
«Sì.» Sorride e si accorge di non aver fatto altro, da quando si sono seduti lì. «Sì, sono felice.»
Cas allunga la mano sui cuscini fra di loro, e Dean non esita neanche un istante a prenderla. Ha palmi caldi e lisci, Cas, così diversi dai suoi. Una differenza che si completa, però, quando le dita si intrecciano e tutto sembra giusto nell’universo.
«Pensavo… uno di questi giorni vorrei portare te e Jack a visitare l’apiario di Cain. Ho già chiesto se gli va bene e ha detto sì.»
Il sorriso di Cas è ancora più ampio, sembra illuminare l’intera casa.
«Mi piacerebbe. E sono sicuro che piacerebbe anche a Jack.» Poi, dopo un attimo di esitazione, con l’espressione nuovamente seria. «Vorrei che fossimo cauti davanti a lui, però.»
«Certo.»
«Non credere che sia perché non ho fiducia in quello che succederà fra noi,» chiarisce Cas, stringendo un po’ la presa. «Ma-»
«Cas, non devi spiegarmelo, sono d’accordo,» lo interrompe Dean. «E anche se non lo fossi, sei suo padre, hai tutto il diritto di chiedermelo.»
«Oh. Bene, allora.»
«E poi non ho intenzione di avere il nostro primo appuntamento da Cain. Voglio dire, è già imbarazzante che lui sappia… cose
Cas inclina la testa di lato, nel sentire quelle parole, e Dean si fa scappare una breve risata.
«Potrebbe aver intuito il mio interesse per te, quando sono andato a razziargli il magazzino solo per farmi perdonare,» spiega.
Cas si tocca il braccialetto con la mano libera e fa un’espressione un po’ sognante che Dean vorrebbe fotografare e portare sempre con sé. Vedergli quel braccialetto addosso continua a scaldargli il centro del petto, ma sapere che anche per Cas è un simbolo così importante riesce ad aumentare quella sensazione fino a renderla incontenibile.
«Grazie, Dean.»
«Per cosa?»
«Per aver avuto il coraggio di fare il primo passo.»
«Tecnicamente dobbiamo ringraziare Benny. E, prima ancora, Cain. E decisamente Charlie e Sammy.»
«Non ti dai abbastanza credito.»
«Tu non l’avresti fatto?»
«Confessarti il mio interesse? No, Dean. O forse solo se mi fossi sentito costretto a farlo. Prima di un grande addio, magari.»
«Ehi, non dire queste cose. Che grande addio, mh? Hai intenzione di andare da qualche parte?»
Cas torna a sorridere e si fa più vicino sul divano, finché Dean può sentire il calore del suo braccio e il contatto delle loro gambe.
«No. Basta scappare.» Cas posa la testa sulla spalla di Dean. «Sono proprio dove vorrei essere.»

 
***

Si rendono conto dell’ora quando gli sbadigli iniziano a inframezzare troppe parole, la televisione che finisce per andare in pausa da sola. Cas sbircia sul suo telefono e si alza di scatto.
«Domani ho una riunione,» spiega, aggirandosi in fretta per la stanza per recuperare le sue cose.
«Presto?»
«No, no. Però vorrei dormire almeno qualche ora,» dice, voltando il telefono perché anche Dean possa realizzare che si sono parlati fino a notte fonda.
Dean si alza con molta più calma – il corpo stanco dopo quella giornata piena di emozioni – e si avvicina riluttante alla porta. Non vuole che il suo tempo con Cas finisca, ora che può averlo. Non vuole, ma sa che deve, anche solo per riprendersi dal vortice inaspettato che è stato quel giorno.
«Grazie per la serata,» è il saluto di Cas appena lo raggiunge.
Restano a guardarsi, fermi all’ingresso, e di nuovo il desiderio di colmare la distanza diventa difficile da trattenere, per Dean.
«Venerdì vieni al Roadhouse?»
«Non credo di riuscire, non voglio lasciare Jack da solo troppe sere a settimana.»
«Giusto, giusto…»
Altro silenzio, un altro sguardo carico di aspettativa.
«Posso baciarti, Dean?»
Il tempo sembra fermarsi, il cuore di Dean inizia a sfarfallargli dietro lo sterno come se volesse uscirne, e la mente gli si svuota da ogni pensiero.
«Sì. Sì, certo. Voglio dire… sì.»
Cas sbuffa fuori una piccola risata, prima di allungare la mano e posarla con delicatezza sul suo collo. È calda e morbida, proprio come Dean la ricorda dalla stretta che si sono scambiati sul divano e da ogni altro contatto prima di quello. Spedisce un brivido lungo la spina dorsale, che si disperde da qualche parte più in basso appena Cas si avvicina.
I suoi occhi riempiono il campo visivo di Dean, facendolo annegare in tutto quel blu.
«Sicuro?» mormora Cas, con un sopracciglio alzato e un tono basso che gli riverbera fin dentro le ossa.
Non c’è tempo per una risposta, né c’è bisogno di darla, perché Dean è stanco di aspettare e finisce di avvicinarsi, posando le sue labbra contro quelle di Cas.
Ed è come un primo bacio dovrebbe essere. Niente fuochi d’artificio, niente campane e cori angelici, solo le loro bocche che si sfiorano e imparano a conoscersi piano, con delicatezza, alla ricerca delle giuste risposte nell’altro. Cas dischiude le labbra e il bacio si fa più profondo senza mai farsi urgente. Resta lento, esplorativo, tanto che Dean deve aggrapparsi alla camicia di Cas per non perdersi in quell’attimo e impazzire.
È tutto quello che si aspettava e, allo stesso tempo, molto, molto di più.
Quando si separano per prendere fiato, non vanno lontani: restano fronte contro fronte, a fissarsi dritti negli occhi, confondendo i loro respiri.
«Wowie,» mormora Dean, per stemperare l’intensità del momento.
Cas ride nel ricordare una delle espressioni preferite di Jack, poi posa un ultimo bacio veloce sulle labbra di Dean e si allontana.
«Concordo,» dice. «Buonanotte, Dean,» aggiunge con più tenerezza.
Ma Dean deve ripescare la propria voce e riordinare i propri pensieri per riuscire a dare una risposta sensata.
«Uhm, sì, buonanotte, Cas,» riesce a dire, prima di aprire la porta e vedere l’uomo che gli ha sconvolto la vita allontanarsi dal suo appartamento.

 
***

Quella notte – nelle poche ore che dorme –, Dean continua a rivivere il bacio nei suoi sogni, trasformandolo in mani che si aggrappano ai vestiti, che spogliano corpi, che cercano e trovano un contatto profondo. Si sveglia sudato e decisamente eccitato, ma questa volta non si sente in colpa a prendersi cura di sé sotto la doccia, con l’immagine di Cas nella mente e la sensazione delle sue labbra ancora addosso.
E i giorni che seguono, Dean li passa tutti a scambiarsi messaggi con Cas, sopportare le prese in giro di Benny e i rimproveri di Bobby. Il tutto si calma solo quando conferma che quel fine settimana inizieranno i lavori a casa di Cas, e forse solo per la prospettiva di tormentare l’altra metà della coppia.
Coppia.
Dean non riesce ancora a crederci. A volte la paura lo paralizza e gli riempie i pensieri di prospettive tetre: perché uno come Cas dovrebbe stare con uno come lui? che ci trova di bello? cosa potrebbe mai dargli? Ma la felicità che gli è sbocciata nel petto riesce a tranquillizzarlo anche in quei momenti, come poche altre cose nella sua vita hanno avuto il potere di fare.
Così sabato mattina si fa la doccia, si veste e prepara un caffè in attesa di Sam. Non ha nessuna intenzione di andare con lui a casa di Cas senza prima dirgli tutto. Anche se rischia di svenire dalla tensione alla sola idea.
Suo fratello arriva puntuale, facendosi trovare fuori dalla porta con un sacchetto dello Spicy che Dean accoglie come un dono divino.
«Allora, Dean, mi vuoi dire perché non ci siamo visti direttamente da Cas?» chiede, oltrepassandolo per entrare in casa senza neanche salutarlo.
Dean gli strappa di mano la colazione senza troppe cerimonie e spalanca il sacchetto per vedere cosa si nasconde dentro.
«Oh, avanti, muffin alla carota?! Sul serio?!»
«Mi rifiuto di essere la causa del tuo imminente infarto.»
«Bitch
«Jerk
Sam si siede al tavolo dove Dean e Cas hanno parlato poche sere prima, e Dean sente l’agitazione toccare un nuovo picco. Ma deve parlargli, deve dirgli tutto, deve per se stesso e per quello che vuole costruire con Cas.
No, vuole.
Posa una tazza davanti a suo fratello, ne prende una per sé, e si siede di fronte all’espressione da cucciolo bastonato di Sam.
«È una cosa seria?»
«Sì. Cioè, niente di preoccupante, non c’è bisogno che mi guardi così.»
«D’accordo,» è la risposta dubbiosa di Sam.
Quando Dean esita ad aggiungere altro, suo fratello si mette a scavare nel sacchetto e ne esce con uno dei suoi disgustosi muffin, concentrandosi sulla colazione. Dean non sa da dove iniziare, come trovare le parole, e in quel momento realizza per l’ennesima volta quanto Sam sia stato e continui a essere coraggioso.
«Gabriel ti ha… ti ha detto qualcosa?» inizia.
«Qualcosa?» chiede Sam da sopra la tazza, dopo aver buttato giù un sorso di caffè.
«Su Cas.»
«Uhm… no? Insomma, immagino di sapere su di lui quello che sai tu.» Sam gli riserva un’occhiata indagatrice. «Cosa succede? Cosa c’entra Cas?»
«Ok, allora… ecco.» Dean immagazzina fiato e cerca di controllare il respiro e il battito del cuore. «Allora…»
«Mi sto preoccupan-»
«Io e Cas abbiamo deciso di uscire insieme.» E poi, cercando di non dare spazio a fraintendimenti. «Perché ci piacciamo e vogliamo stare insieme. Tipo una coppia. Insieme insieme
Sam lo fissa con le sopracciglia alte sulla fronte, le parole spezzate in bocca dalla sorpresa. Si riprende in fretta, però, e fa un sorriso che mescola la felicità alla sorpresa.
«Va bene.» Fa una corta risata di sollievo, come se si fosse tolto un peso dalle spalle. «Dio, Dean, pensavo mi avessi chiamato per farmi la predica su Gabriel o darmi qualche notizia orribile.» Sam si alza all’improvviso, gira attorno al tavolo e si abbassa per stringere Dean in un abbraccio. «Sono contento per te. Per voi. È una bella notizia!»
«Oh. Va bene. Credo. Va bene, no?»
«Sì, Dean, certo che va bene!»
«Ora spostati però. Niente momenti da commedia romantica, mh?»
Sam si separa da quell’abbraccio sgraziato e torna al suo posto, un sorriso contento dipinto in faccia.
«Com’è successo? Insomma, non per niente, ma non ti ho mai visto interessato a un uomo.»
«Beh, è… complicato. Neanche tu ti sei mai interessato a un uomo prima di Gabriel, no?»
«Non proprio.»
«Non voglio neanche sapere cosa intendi. In ogni caso, è successo e basta. Non lo so… insomma, l’hai visto? È arrivato all’officina e prima che me ne accorgessi volevo passare ogni secondo con lui, no?»
Dean sente il rossore risalirgli fino alle orecchie a quell’ammissione, ma dirlo ad alta voce lo rende ancora più vero. Il bacio gli lampeggia di nuovo nella mente: è stato così importante, così diverso da quelli a cui è abituato, ma ancora non abbastanza. Tanto che Dean non vede l’ora di replicare, magari con meno inesperienza e più esplorazione. Ma sa anche che forse niente sarà mai abbastanza, quando si tratta di Cas, perché con lui vorrebbe sperimentare tutto.
«Possiamo parlare d’altro? Non voglio fare questi discorsi con te,» dice, più per zittire i propri pensieri e impedire loro di finire in posti in cui è meglio non finire in compagnia di suo fratello.
«Ero solo curioso, non c’è bisogno di scaldarsi.»
«Beh, sii curioso dopo. Ora dobbiamo andare.»
Dean finisce di bere il caffè e ignora gli stupidi muffin di Sam con tutte le sue forze.
«Sì, giusto, dobbiamo andare a casa del tuo ragazzo, per fare il lavori per il tuo ragazzo, che è il tuo ragazzo
«Giuro che ti seppellisco sotto il suo pavimento.»
Si guardano e sorridono.
«Sono contento per te. Davvero, Dean. Meriti di essere felice, non importa con chi.»
«Oh, ‘sta zitto.»
Quella risposta la dà con la consapevolezza di avere un’espressione stupida in viso.
È felice.
È incredibilmente felice.
E fino a qualche giorno prima non era certo che avrebbe mai provato quella sensazione, nella sua vita.

 
***

Quando arrivano, Benny e un paio di altre persone sono già lì ad aspettarli, le cinture di attrezzi allacciate ai fianchi e le tenute da lavoro fatte di Jeans consunti e magliette abusate. Sul furgoncino di Benny sono caricati tutti i materiali su cui si sono accordati per riparare i danni maggiori alla casa. Gabriel sembra completamente fuori posto nella sua camicia a fiori, mentre distribuisce ciambelle, ma Sam si illumina comunque appena lo vede, nell’attimo in cui Dean parcheggia l’Impala.
«Fai schifo,» gli sibila Dean.
«Certo, certo, come vuoi,» è la risposta di Sam, che scende in fretta dall’auto e va a salutare Gabriel.
Di Cas non c’è l’ombra, e il cuore di Dean sembra accartocciarsi dietro il suo sterno.
Chiude l’auto e si avvia verso il gruppetto di persone, continuando a guardarsi attorno per essere sicuro che non ci siano capelli scompigliati e camicie bianche in vista.
«Dean-o!» lo richiama Gabriel. «Ho la ciambella perfetta per te!» Subito dopo gli indica una delle sue delizie nell’enorme scatola dello Spicy che sta porgendo a tutti. «Confettura di mela e cannella. Quanto di più vicino a una torta tu possa assaggiare.»
Dean inclina la testa di lato, sorpreso da tutta quella gentilezza, ma il sorriso di Gabriel si fa subito furbo.
«Jack non sta avendo una mattinata facile,» gli dice. «Cas mi ha chiesto di fare un salto finché non arrivavi tu, per lasciarti le chiavi. Passerà a portarvi il pranzo e si fermerà il pomeriggio. Si scusa profondamente, e cito, per non essere qui ad accogliervi.»
«Oh. Jack sta bene, però?» chiede Dean, la ciambella in mano e la preoccupazione che si gonfia subito nel suo stomaco.
«Sì, sì, niente di grave. Ci sono giorni più difficili di altri, come per tutti i bambini.»
«D’accordo allora.»
Gabriel si pesca un mazzo di chiavi dalla tasca e gliele sventola davanti.
«Ecco a te,» dice, prima di un occhiolino furbo. «Tanto ho il sospetto che avrai presto il tuo mazzo,» aggiunge in un bisbiglio solo per loro.
Dean alza gli occhi al cielo mentre afferra le chiavi, e cerca di non dare troppo peso alle sue parole, anche se perfino quelle prese in giro riescono a scaldarlo fin dentro le ossa. Non ci ha pensato – è decisamente troppo presto per farlo – ma è vero: se tutto andrà bene e se lui sarà molto, molto fortunato, un giorno quella potrebbe essere anche casa sua.
«Beh, bellezze, vi lascio ai vostri lavori molto, molto virili. Devo tornare alla mia umile attività. Fate i bravi e mandate tante foto a petto nudo,» si congeda Gabriel.
Qualcuno tossicchia, l’ultimo boccone di ciambella che va di traverso a quella proposta indecente. Dean sbircia verso Sam, ma trova suo fratello a fare un sorriso bonario verso il sua ragazzo, subito ricambiato da un’espressione maliziosa.
Non lo avrebbe mai detto, ma quei due sembrano funzionare meglio del previsto.
«D’accordo, quando avete finito di ingozzarvi, è arrivata l’ora di mettersi a lavoro,» dichiara poi, iniziando a contare i secondi che lo separano dal pranzo.



 
Allora...
Odio com'è uscita tutta la seconda parte di questo capitolo, ma se non mi decidevo a farlo uscire vi lasciavo sulle spine per secoli, lo so. L'ho caricato e poi l'ho tirato giù un attimo per rimettere una parte che avevo tolto e... uuuuugh. Odio quando scrivere diventa così difficile.
Fatemi sapere cosa ne pensate, perché a volte mentre si scrive non si riesce proprio a capire come appaiono le cose da fuori!!!
Grazie per la pazienza. Grazie davvero, mi scaldate il cuoricino. 
Per farmi perdonare dico solo: per il prossimo capitolo voglio, esigo, una roba romantica da cariare i denti, con lume di candela, fiori e tutto il resto. U_:U
Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10 ***


10




Cas arriva che Dean è chinato nel bagno, con Sam che incombe su di lui per tenere il fascio di luce della torcia diretto nel punto giusto e Benny alle sue spalle che passa gli strumenti. Riuscire a farli collaborare per quei lavori è stato un miracolo, ma la vita di Dean è apparentemente piena di miracoli, nell’ultimo periodo. Il problema alle tubature è risolto, sono alla fase degli ultimi controlli, e Dean è così preso che sobbalza quando la voce di Cas arriva rauca dalla porta.
«Ho portato il pranzo,» dice soltanto.
Dean si volta come gli altri due, e non può trattenersi dal sorridere come uno stupido. 
Quant’è bello vederlo…
Porta una maglietta e i jeans dell’ultima visita alla casa, e Dean si ritrova per l’ennesima volta sorpreso dalla solidità del corpo di solito nascosto da camicie informi e pantaloni del completo. La sua espressione, però, sembra tesa e stanca, anche se resta sorridente mentre accoglie i saluti di Sam e Benny.
«Cosa si mangia?» chiede mentre si alza – le ginocchia che scricchiolano per ricordargli che non è più così giovane –, posticipando tutte le domande che vorrebbe fargli.
«Sono passato al Roadhouse.»
«Grazie, Castiel,» dice Sam, seguendolo fuori dal bagno.
Si avviano tutti lungo il corridoio, ma prima di arrivare alla cucina dove già si alza qualche voce – Garth e Rufus fra gli altri – Cas ferma Dean per il braccio.
«Posso… posso parlarti un attimo, Dean?» chiede, serio.
Sam lancia nella loro direzione un’occhiata curiosa; Benny un sorriso furbo.
«Andate, vi raggiungiamo fra un attimo,» dice Dean ai due, prima di tornare sui suoi passi insieme a Cas per trovare un angolo in cui parlare.
Una ansia scomoda gli si gonfia dentro. “Parlare” non è mai un buon segno. Non lo è stato con Lisa, non lo è stato con le persone prima di lei. Se quella storia dovesse finire ancora prima di iniziare, Dean non è certo di uscirne intero. Ed è un pensiero spaventoso, visto che è tutto così nuovo e incerto.
«Tutto bene?» chiede, passandosi una mano sulla nuca, prima di ricordarsi quant’è impolverata per come gratta sulla pelle. 
«È stata una mattinata… intensa. Ma non volevo parlarti di questo.»
Lo stomaco di Dean si chiude e nemmeno la prospettiva degli hamburger del Roadhouse è più allettante.
«Spara, Cas, non tormentarmi.»
«Mi chiedevo come dobbiamo comportarci davanti ai tuoi amici. Non vorrei metterti in difficoltà.»
Il sollievo che prova in quel momento strappa a Dean una risata. Batte una mano sulla spalla di Cas e si gode la sua espressione perplessa.
«Credevo stessi per dirmi che hai cambiato idea o qualcosa del genere, Cas. Mi hai fatto perdere dieci anni di vita.»
«Oh… mi dispiace.» La sua espressione si fa corrucciata. «Non cambierò idea, Dean.»
«Va tutto bene. Vieni.»
Dean lo prende per mano e gli sembra di tornare di nuovo all’adolescenza, quando anche solo quella piccola intimità poteva farlo sentire invincibile.
Entra in cucina che le loro dita sono ancora intrecciate.
«Io e Cas usciamo insieme,» dichiara. «E spero mi abbiate lasciato un hamburger con doppio bacon.»
Per sedersi è costretto a lasciar andare la stretta delle loro mani, ma non importa, perché Cas si siede al suo fianco e ha un sorriso addosso che gli tende le labbra rosa e gli increspa la pelle ai lati degli occhi.
I presenti stanno zitti solo un attimo, poi Garth spezza il silenzio congratulandosi per lunghi – lunghissimi – secondi.
«…quindi, sì, sono contento per voi ragazzi, davvero.»
«Ora capisco perché ci hai chiamato per i lavori.»
«Ti sembra? Lo farei per chiunque, Rufus. È per il buon vicinato e cose così.»
«Certo, certo.»
Dean arrossisce fino alla punta delle orecchie, subendo le bonarie prese in giro dei sui amici, ma l’atmosfera torna presto alla normalità e tutti si mettono a mangiare e a parlare dei lavori. 
Credeva di dover dare molte più spiegazioni, ma agli altri non sembra fare troppa differenza con chi lui esca, e di certo preferisce parlare della casa.
«Sta andando tutto bene, quindi?» chiede conferma Cas, spostando lo sguardo dai ragazzi a Dean.
«Direi di sì. Il bagno e il tetto erano i lavori più grossi e oggi pomeriggio dovremmo finire. La prossima settimana vediamo di sistemare la veranda e riverniciare, ma dobbiamo affittare l’attrezzatura.»
«D’accordo.»
Vanno avanti a parlarne per un po’, si scambiano dritte e aneddoti, e Dean tiene la gamba salda contro quella di Cas, il calore dei loro corpi che si mescola nonostante la barriera dei jeans.
Pensa che vorrebbe baciarlo, vorrebbe baciarlo, vorrebbe baciarlo…
E un’idea si forma nella sua mente, prendendo consistenza e facendosi sempre più dettagliata.
Alla fine del pranzo, si prende qualche attimo da solo con Cas con la scusa di aiutarlo a buttare i rifiuti.
«Allora… Come sta Jack?» chiede. «Gabriel mi ha detto che è stata una mattinata difficile.»
«Il vicino ha deciso di tagliare l’erba e il rumore l’ha sopraffatto un pochino. Quindi è diventato più sensibile ai tessuti e vestirsi è stato più complesso del solito. E quando ce l’abbiamo fatta, non trovava più Felix. Così ho deciso di restare a casa con lui.»
«Felix?»
«L’ape che gli hai regalato.»
«Oh.»
Per qualche motivo, quell’informazione penetra a fondo e scalda il cuore di Dean. Jack gli manca. Gli manca passare del tempo con quei due, anche senza fare niente di speciale.
«Credi che domani potrebbe aver voglia di fare un giro da Cain? Può aiutare?»
Cas passa un tovagliolo di carta sul tavolo, prendendosi qualche attimo per pensarci.
«Penso di sì. Stava già meglio, quando me ne sono andato. Però non posso prevedere come starà, quindi…»
«Ehi, nessun problema. Stasera fammi sapere, sono certo che a Cain non darà fastidio se passiamo un’oretta da lui. Se poi Jack non vorrà restare, torneremo a casa.» E poi, soppesando i propri piani. «Ehm… e penso che tu possa tornare a casa oggi pomeriggio. Voglio dire, ho tutto sotto controllo qui e… insomma… intendo…»
«Dean?»
«Così magari questa sera sei libero? Per un appuntamento, dico.»
Cas si blocca a metà di un movimento, e Dean riesce a leggergli in viso la sorpresa nonostante la sua espressione non cambi poi troppo. Inclina la testa di lato in modo adorabile e il cuore di Dean si ribella al suo compito e inizia a cambiare ritmo.
«Mi farebbe piacere, Dean.» Cas colma i pochi passi di distanza che li separano, nella sua futura cucina. «Ma sei sicuro che non c’è bisogno di me, qui?»
«Nah. Ti abbiamo aggiornato su tutto, non abbiamo sforato dai costi di cui ti ho parlato, non ci sono novità di nessun tipo.»
Cas è sempre più vicino, e Dean si trova a orbitare attorno al calore del suo corpo. L’estate è ancora bollente fuori dalla finestra, Dean deve puzzare, le sue mani sanno delle salviette umide che ha usato prima e dopo aver mangiato, ma niente importa quando entrano in collisione.
Passa un istante, e si stanno baciando. 
Dean si aggrappa alla maglietta di Cas, se lo stringe contro con il braccio, cerca un appiglio qualsiasi per non annegare in quel bacio. E Cas sembra fare lo stesso, una mano sul suo fianco e una fra i suoi capelli, a stringere appena, promettendo molto, molto di più per il futuro.
Si dischiudono, si completano, respirano la stessa aria. Uno di loro fa un suono soddisfatto che parte dal fondo della gola, ma Dean non saprebbe dire chi sia stato davvero.
Si staccano solo quando un piccolo colpo di tosse li riporta alla realtà. Sam è sulla porta, rosso dal collo alla fronte, imbarazzato come poche altre volte Dean l’ha visto nella sua vita.
«Scusate. Siamo pronti a chiudere il buco in bagno, hai detto che vuoi dare tu il via libera, e… ma può aspettare.»
Sam scompare – scappa, per la precisione – e una realizzazione sembra calare su Cas.
«Forse dovresti parlare con tuo fratello, Dean. Ti sei presentato in cucina dichiarando che usciamo insieme, ma penso che vorrebbe parlarne in privato, non credi? Soprattutto visto quanto successo quando tu hai saputo di lui e Gabriel.»
«Oh, quello.» Dean lascia finalmente andare la sua presa sulla maglietta di Cas, e lo accarezza con la scusa di dispiegare il cotone che ha appena stropicciato. «Già fatto, Cas. Non devi preoccuparti. Prima di venire qui gli ho detto tutto. Beh, non tutto tutto, ma gli ho spiegato che mi interessi e che proveremo a stare insieme e tutta quella roba lì.»
Cas lo scruta come fa a volte, facendo scomparire il resto del mondo. Dean si perde nel blu dei suoi occhi, galleggia in pace in quell’immensità, si sente visto, capito, voluto.
«Sei incredibile, Dean.»
E lo bacia ancora, più a fondo, lasciandolo senza fiato. 

 
***

Dean conta i minuti, sperando di fare in tempo a lavarsi, vestirsi e passare a prendere Cas. Ha chiesto la collaborazione di Garbiel – che lo ha preso in giro allo sfinimento – e Sam – che gli ha fatto un sorriso felice come non ne vedeva da tempo – e alla fine è tutto pronto per la sua sorpresa.
Tutto tranne lui.
Si infila in casa in fretta, senza preoccuparsi troppo di spargere vestiti in giro, già nudo appena si fionda in bagno. Fa una doccia fredda, perché non dà tempo all’acqua di scaldarsi, e presto è davanti allo specchio con un asciugamano stretto in vita, a sistemarsi i capelli. Dovrebbe radersi, ma lascia perdere, sperando di non dare l’impressione che non gli importi di… beh, di fare colpo.
Perché gli importa. Oh, se gli importa.
Alla fine si infila i jeans buoni che usa per i venerdì al Roadhouse e una maglietta scura, ed è pronto. Anche se il cuore minaccia di battergli fuori dal petto e non farlo arrivare vivo a casa di Gabriel.
Parcheggia l’Impala vicino al marciapiede, davanti al vialetto dei Novak, e non fa in tempo a scendere che Cas sta già spalancando la porta.
Dean esce e gli va incontro.
«Ehi.»
«Ciao, Dean.»
«Tutto bene?» chiede, guardando il modo in cui i capelli di Cas sparano in tutte le direzioni e le sue guance sono arrossate.
«Sì, sì. Gabriel ha deciso che essere insopportabile fosse una buona idea.»
Dean sbuffa una risata, perché anche lui si è subito la sua dose di quella tortura, poche ore prima, e si prende del tempo per studiare Cas.
Porta i pantaloni di un completo e una camicia bianca, ma niente cravatta e due bottoni aperti a rivelare il collo.
«Stai molto bene,» dice, tornando con lo sguardo sugli occhi incredibilmente blu di Cas.
Il sole sta tramontando, quindi le sue iridi sono piene di riflessi gialli e arancioni. È stupendo, così, e Dean vorrebbe fargli una foto e portare quell’immagine sempre con sé.
«Mi… mi ha aiutato Gabriel. Ero preoccupato che ci volesse una cravatta o una giacca, ma lui ha detto di no.»
«No, no. Niente di così raffinato. A meno che tu non preferisca… sono certo di poter trovare un posto, da qualche parte, se-»
«Dean.» Cas posa la mano sul suo avambraccio, fermando quel rigurgito di parole. «Qualsiasi cosa tu abbia organizzato mi va bene.»
«Oh. Bene, sì, d’accordo. Allora andiamo?»
Dean fa scivolare la mano in quella di Cas, anche se devono solo fare qualche metro verso la macchina, e poi gli apre la portiera come il gentiluomo che nessuno crede che sia. 
Dentro l’Impala, l’atmosfera sembra rilassarsi più strada percorrono.
«L’ho sentita arrivare, per questo sono uscito. Penso che riconoscerei questo suono ovunque, ormai.»
Cas sta accarezzando Baby in punta di dita, e Dean deve soffocare ogni pensiero audace, ricordandosi che è il loro primo appuntamento e che vuole fare le cose per bene.
«È musica, mh?»
«Sì, lo è.» E, dopo un solo istante: «Mi dici dove stiamo andando?»
«Nah. Altrimenti che sorpresa è? Però prima vorrei fare un salto alla casa, se non ti dispiace. Sai, per fare il punto dei lavori e tutto.»
«Certo, Dean. Ci sono stati problemi?»
«No, no, macché. Sta filando tutto liscio, niente è marcio o invaso da termiti o ammuffito. È una casa solida, te l’ho detto. Forse a te non sembrerà di aver fatto un affare, ma credo proprio che sia andata così.»
«Bene, ne sono contento. Voglio che Jack trovi un posto da chiamare casa.»
«E tu?»
«Io credo di averlo già trovato.»
A quella frase, il calore si diffonde dietro lo sterno di Dean, come ogni volta che Cas dice qualcosa del genere con il suo tono neutro da dato di fatto. Non sa se sta parlando dell’intera cittadina, del conforto di avere un membro della famiglia vicino, di… loro. Ma ci spera. Spera parli di tutto quelle cose e di molto di più.
«Eccoci.»
«Dean!»
Cas si precipita giù dall’auto, avvicinandosi alla casa senza neanche guardarsi indietro. Dalle finestre, si nota la luce tremolante del fuoco.
«Oh no! Dobbiamo… dobbiamo chiamare i pompieri, potrebbe essere pericoloso entrare!» continua.
Ha già in mano il cellulare quando il palmo di Dean si posa piano sullo schermo per fermarlo.
«No, no, va tutto bene,» dice, fra il divertito e l’imbarazzato.
«Che succede?»
«Uhm, ecco, Sam probabilmente sta aspettando di sentire la porta per svignarsela sul retro. Gli ho chiesto di… di preparare una sorpresa, ecco.»
Cas sembra ancora allarmato, ma le spalle si rilassano e piano gli spunta in viso un sorriso titubante.
«La casa non sta andando a fuoco?»
«La casa non sta andando a fuoco,» promette Dean.
«Scusami. Sono sempre pronto al peggio.»
«Non è vero. Ehi, guardami.» Dean cerca lo sguardo di Cas e lo trova subito, come se fossero fatti per osservarsi. «Non è vero. Non ho pensato che potesse preoccuparti, scusa. Spero… spero ti piaccia lo stesso. Non sono bravo con queste robe romantiche.»
Cas si lascia andare a una risata di sollievo. È un suono così alieno e così bello allo stesso tempo, che Dean non può fare a meno di baciarlo per provare a rubare un po’ di quella felicità. Alla fine, quando si separano, Cas gli prende la mano e lo guida verso la casa.
«Vediamo questa sorpresa,» dice, più deciso, facendo scivolare brividi di aspettativa giù per la schiena di Dean.
Come da copione, la porta sul retro scatta solo quando loro si chiudono alle spalle quella d’ingresso. Non lascerebbe mai delle candele incustodite, non dopo la storia della sua famiglia.
Si lasciano alle spalle l’atrio ed entrano in sala, verso la fonte di luce. Cas stringe un po’ di più la presa sulla sua mano, quando vede cosa lo aspetta. Per terra ci sono tovaglie e coperte, stese in modo accogliente come solo Sam saprebbe fare. Al centro, c’è una cena preparata da Gabriel, con tanto di dolce protetto da un copritorta in vetro. E poi, posate su supporti per raccogliere in sicurezza la cera, ci sono candele su candele.
«Dean…»
«Troppo?»
«No,» lo sgrida Cas, spostando l’attenzione dalla scena a Dean. «No, è perfetto,» dichiara.
E si baciano ancora, con più foga, con più passione, finché non devono riemergere per respirare e darsi una calmata. Dean si rende conto di non aver mai provato con così tanta intensità e così tanto insieme: desiderio, sì, ma anche affetto e stima e voglia di futuro. Se la felicità è tutto quello, allora gli sembra troppo grande per contenerla. Per fortuna c’è Cas con cui spartirla.

 
***

Mangiano parlando di tutto, come se conoscersi non fosse un processo esauribile e ci fossero sempre più sfaccettature da mostrare all’altro. Dean sta tagliando la torta quando Cas rivela finalmente un dettaglio a cui non aveva più pensato dopo quel primo venerdì al Roadhouse.
«…e gli anni dell’università sono stati interessanti,» dice, concludendo un discorso iniziato poco prima.
«Interessanti?» chiede Dean, distribuendo le fette di torta di mele.
«Sì, interessanti.»
«Oh, adesso devi spiegare. Cosa può essere interessante per un cervellone che alle superiori prende solo A? Gruppi di studio? Fare le ore piccole sui libri?» lo prende in giro Dean, prima di riempirsi la bocca della delizia preparata da Gabriel.
«Le orge.»
Dean rischia di soffocare a quella frase, ma cerca con tutte le sue forze di non sputacchiare torta in giro per la tovaglia o – peggio – addosso a Cas.
«Come scusa?» chiede, quando finalmente riesce a mandare giù il boccone e a respirare.
Cas non sembra scherzare, ma non sembra neanche imbarazzato. Sembra solo cercare le parole giuste per spiegare qualcosa di complesso.
La loro prima sera insieme, davanti a un film mai partito, si sono conosciuti a livello superficiale. Dean sa che a Cas piacciono i documentari sulla natura, che non ha particolari preferenze musicali, perché dipende dalla singola canzone – motivo per cui Dean dovrà fargli una cassetta –, e che legge davvero di tutto, compresi i romanzi erotici di cui Gabriel dev’essere appassionato. Sa che gli piace girare per musei o passare il pomeriggio al parco, ma che non gli dispiace stare a casa e trascorrere una serata tranquilla con Jack. Ha scoperto che il suo colore preferito è il verde, anche se gliel’ha detto con una certa titubanza nella voce, come se dietro quella frase si nascondesse un segreto.
Sa di Jack, e di quanto siano stati difficili per entrambi gli ultimi anni.
Quindi vuole sapere di più.
Vuole sapere tutto.
«La mia famiglia è molto religiosa. È il motivo per cui Gabriel se n’è andato appena ha compiuto diciotto anni ed è il motivo per cui i miei anni all’università sono stati pieni di sperimentazioni. Durante il secondo semestre hanno scoperto che mi vedevo con un compagno di corso e… sono stato messo davanti a un ultimatum. Potevo decidere di andare in “terapia”,» Cas fa le virgolette nell’aria e lo stomaco di Dean si contrae, «oppure niente più soldi per studiare e niente più famiglia.»
«Merda, Cas…»
Dean allunga la mano e la posa sulla nuca di Cas, stringendo appena, occhi negli occhi, dandogli tutta la sua attenzione. È assurdo pensare che esistano famiglie così, per cui l’amore non vale niente rispetto alle apparenze o rispetto a qualche distorta visione della fede. Famiglie per cui è meglio perdere un figlio che amarlo incondizionatamente.
Non saprà mai come sarebbe andata con John, se gli avesse detto di lui e Cas, ma da qualche parte spera che un giorno avrebbe accettato. Forse Sam l’avrebbe fatto ragionare. Forse lo avrebbe fatto ragionare il ricordo di Mary. O forse l’alcol gli avrebbe impedito perfino di capire.
«Cos’hai deciso?» chiede.
Dean non vuole pensare a Cas che viene obbligato alla terapia di conversione, o come diavolo si chiamano quei centri di tortura.
«Ho chiamato Gabriel e gli ho chiesto aiuto.» Cas si fa più vicino a Dean e si lascia stringere dal suo braccio. «Mi ha detto che compiuti ventuno anni ci spettava parte dell’eredità dei nonni. I miei non ci avevano mai detto niente, non sono neanche sicuro lo sapessero, ma Gabriel era stato contattato subito dopo il suo compleanno, per questo lo sapeva. Disse che mi avrebbe prestato lui quanto mi serviva per l’università e che non dovevo preoccuparmi di altro che non fosse “mandare quei due al diavolo”.»
«Sto iniziando a rivalutare tuo fratello.»
«Oh, lui non lo vorrebbe. Gli piace dare una certa immagine di sé.»
«Sei stato forte, Cas,» mormora Dean, pieno di meraviglia. «Sei sempre così forte.»
Cas posa la mano sulla sua coscia e stringe appena, come per un ringraziamento silenzioso.
«Ho passato un periodo di lutto, come se avessi davvero perso i miei genitori. E dopo… dopo mi sono sentito libero come mai prima. Sono sempre riuscito a tenere alti i miei voti, ma ogni momento senza esami o senza corsi lo passavo a sperimentare.»
Dean arrossisce, perché quello significa che Cas deve avere una bella dose di esperienza alle spalle, mentre lui di uomini non sa niente di niente.
«Mi sento un ragazzino inesperto,» confessa, allontanandosi un po’ per tornare a concentrarsi sulla torta.
«Dubito che tu lo sia davvero.»
«Non ho il tuo bagaglio di avventure. Immagino siano stati anni folli. Hai parlato di… di orge, no?» dice Dean, cercando di sembrare noncurante, nonostante la leggera titubanza nella sua voce.
«Se ti preoccupa il mio stato di salute-»
«Cosa? No, no. Che c’entra? Cioè, voglio dire, è importante parlarne e tutto, ma non penso che avere esperienza significhi per forza non averla fatta in sicurezza.»
«Bene.» Cas sembra davvero sollevato. «Perché sono sempre stato attento da quel punto di vista. Ma se ci fosse qualcosa di cui parlare te l’avrei detto subito, perché prendo la questione seriamente. L’ultimo test l’ho fatto prima della nascita di Jack, poi non ho più avuto rapporti.»
«Più? Nel senso che… che sono passati sei anni?»
«Sì.»
«Wow, è parecchio tempo.»
«Tutto quello sperimentare durante l’università mi è servito a capire cosa desidero con molta sicurezza. Voglio una relazione monogama e ho bisogno di un legame emotivo perché il sesso mi piaccia fino in fondo. E con questo non intendo che avere rapporti occasionali sia sbagliato o che averli avuti, in passato, mi abbia lasciato insoddisfatto. È solo quello che preferisco in questa fase della mia vita.»
Cas lo guarda, dopo quel discorso, come aspettandosi che Dean si apra allo stesso modo. E, fosse chiunque altro, Dean non lo farebbe mai: si terrebbe tutto dentro, fingendo che non ci sia poi molto di cui parlare.
Ma quello che ha davanti è Cas, e Dean si concentra per trovare qualcosa da dire che valga la pena di essere raccontato.
«Alle superiori, una volta, ho indossato l’intimo della mia… beh, chiamiamola ragazza,» sputa fuori.
Cas lo fissa, la testa inclinata di lato.
«Me lo stai dicendo perché vorresti replicare?»
«Cosa? No! No…» Dean mangia l’ultimo boccone di torta per non dover guardare Cas negli occhi. «Forse. Sì, forse. Voglio dire, no, no.»
Cas sbuffa una risata.
«Possiamo provare tutto quello che vuoi, Dean. Quando sarà il momento e se ti sentirai pronto.»
Cas allunga la mano verso di lui e gli passa le dita fra le ciocche, rilassandolo sotto quel tocco intimo.
«Non so perché te l’ho detto,» dice, con la voce più calma. «Forse perché tu mi hai raccontato tutte quelle cose e volevo ricambiare.»
«Non devi ricambiare se non vuoi, Dean. Ma mi piace quando ti racconti. Riesci sempre a sorprendermi.»
«Voglio che tu mi conosca, ma mi aspetto sempre che la gente se ne vada, presente? Che io, non lo so, ci metta tutto me stesso per poi essere lasciato da solo come un idiota.»
«Ti prometto che farò di tutto perché questo non accada, Dean. Hai la mia parola.»
Dean lascia andare un sospiro e si perde nelle carezze che Cas gli sta riservando. Durano lunghi minuti, tanto che tutta la stanchezza della giornata gli piomba addosso e Dean si ritrova con la testa posata sul grembo di Cas, a farsi riempire di delicate attenzioni.
«Ci ho pensato, sai?» dice, la voce calma di chi è in pace con se stesso.
«A cosa?» chiede Cas, quando la spiegazione non arriva subito.
«Al sesso. Con te. Ci penso.»
«Ne sono contento.»
«Tu ci pensi?»
«Certo, Dean. Provo desiderio sessuale, in generale, e ti trovo molto attraente. Ma sono consapevole che per te questa sia la prima relazione con un uomo e-»
«La prima e l’ultima,» lo corregge Dean, guadagnandosi un bacio sulla punta del naso che lo riempie di una strana gioia infantile. Come Cas riesca a piegarsi in quel modo è un mistero, ma ogni bacio è il benvenuto.
«Certo,» lo asseconda Cas. «Come stavo dicendo, sono consapevole che questa sia la tua prima – e si spera ultima -relazione con un uomo, e credo sia meglio rispettare i tuoi tempi. Penso che l’importante sarà parlarne.»
«Non mi piace parlarne, preferisco farlo,» borbotta Dean, come un bambino che fa i capricci.
«Dovrai farci l’abitudine, Dean,» è il rimprovero che segue.
E Dean mentirebbe se dicesse che quel tono non gli provoca dei brividi lungo la schiena.
«Beh, è argomento per il terzo appuntamento, direi, mh?»
Cas fa la sua piccola risata, ma non smette neanche per un secondo di tenere lo sguardo abbassato su di lui o di passargli le dita fra i capelli.
E Dean pensa che quello deve proprio essere il suo paradiso personale.






 
Lo avevo promesso ed è qui!!!
Il famoso, sudatissimo, primo appuntamento.
Credevo sarebbe successo qualcosa ;) ;) ;) ma lo slow burn persiste, per il momento.

Volevo ringraziarvi collettivamente per i pareri (e le rassicurazioni) sul precedente capitolo. Che preziosità che siete. Domani mattina passo a rispondere con calma a tutte le recensioni, non temete, ma ho preferito prendere tempo per scrivere e pubblicare questo capitolo senza farvi aspettare oltre. Intanto ecco un grosso, enorme GRAZIE.

Ah, un piccolo avvertimento, le cose (prima o poi, quando 'sti due si decideranno) si faranno fisiche. Io di solito scrivo bottom!Dean, ma vista la specifica fic penso che in questo caso saranno entrambi versatili. Di certo, perché mi conosco e non posso farne a meno, ci sarà un pochino di dom!Cas, ma niente per cui ci sia davvero bisogno di estese negoziazioni di kink o altro. Ne parleranno, ma credo che sarà una roba abbastanza organica, come per i discorsi che hanno appena fatto al loro appuntamento. In pratica a Dean piacerà essere "manovrato", e Cas "manovrerà" volentieri. XD
Comunque, come sempre se vi è già capitata una mia fic per le mani, non sarà niente di estremamente esplicito o crudo, perché mi diverto di più a scrivere scene... emotive? Va beh, insomma, volevo avvertire per sicurezza.

In ogni caso siamo a 31k di storia, quindi congratulazioni a voi per essere arrivat fino a qui!!! Se ci sono desideri, proposte, cose che vorreste per qualche motivo vedere in questa storia, provate a dirle... non si sa mai che ci stiano bene e io decida di regalarvele perché mi sopportate con pazienza. <3



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3895123