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di Graffitisuimuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the taste of regrets. ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 – Casa ***



Capitolo 1
*** the taste of regrets. ***


Chapter 1- the taste of regrets.
 
“We keep this love in a photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts are never broken
And time's forever frozen still
So you can keep me
Inside the pocket of your ripped jeans
Holding me closer 'til our eyes meet
You won't ever be alone, wait for me to come home”
 
 
 
 
La soffitta della mia casa è un vero casino, un dedalo intricato di scatoloni, vecchi giochi e oggetti rimasti decenni a prendere polvere completamente dimenticati.
È pomeriggio tardi, la luce entra dal lucernaio illuminando lo spazio circostante e evidenziando la pulviscolo che volteggia nell’ aria. Fisso con aria sconsolata la montagna di scatoloni ammonticchiati in ogni angolo della stanza immaginando come andranno le prossime ore.
<< Beh che stiamo aspettando? A lavoro! >> e con la grazia di un elefante in un negozio di cristallerie Kagome, la mia petulante vicina e nonché la mia migliore amica da quando ho memoria si fa largo tra gli oggetti della mia infanzia afferrando il primo scatolone che le capita sotto tiro e depositandomelo tra le braccia.
<< tu comincia da questo, io prendo quelli da quello scaffale la >> ed indica una serie di scatole di colore rosso ammassate a migliaia su uno scaffale che ha l’ aria di essere alquanto fatiscente.
Mi maledico, chiedendomi ancora perché ho deciso di coinvolgerla in questo decluttering della mia roba anche se so che la risposta è alquanto semplice: da solo non avrei combinato assolutamente nulla. Il mio innato culo pesante mi avrebbe fatto ridurre a due giorni prima della partenza dell’ università scatenando l’ira funesta di mia madre – promotrice principale di questa mega cernita di ricordi – e di Kagome, mia futura coinquilina la quale - maniacale come era - aveva inscatolato tutto già da settimane.
Ovviamente non avevo tenuto conto del suo animo da dittatore russo, nemmeno due minuti in questa soffitta e già aveva cominciato a darmi ordini incentivando il mio scazzo.
<< Te l hanno mai detto che sei veramente prepotente? >> bofonchio sedendomi nel primo angolo libero di pavimento che trovo le mani immerse fino ai gomiti in una quantità imbarazzante di cassette Disney e non.
Kagome per tutta risposta mi fa la linguaccia << tu dici così ma senza di me adesso saresti perso >> non le rispondo, anche perché so che ha perfettamente ragione. Nonostante sia fastidiosa come una zanzara in una notte d’ estate e che non faccia altro che prendermi in giro e darmi ordini Kagome rappresenta i migliori ricordi della mia infanzia e adolescenza. Se non il migliore in assoluto.
La conosco da quando giocavo con le macchinine nel giardino e onestamente non saprei immaginare la mia vita senza di lei. Forse è per questo che è stato così naturale decidere di dividere l’ appartamento ad Osaka. Nessuno dei due – anche se non l’ avremmo ammesso ad alta voce – voleva separarsi dall’ altro. Anche se ufficialmente andavamo a vivere insieme per poter così dividere le spese.
<< Comunque qua dentro non c’è nulla che io voglia conservare, a meno che a te non serva l’ intera collezione di “esplorando il corpo umano”. Potrei farti un prezzo di favore >>.
Kagome ride.
<< Mi spiace ma ho già la mia personalissima collezione. Quello che non ti serve poi metterlo qui >> e così dicendo lascia cadere, in una scatola stranamente vuota, un quantitativo di vestiti vecchi alquanto imbarazzante.
<< Almeno li hai guardati quelli? >> le domando indicando la montagna di stoffa. Fa roteare gli occhi << saranno anni che non metti questa roba e di certo ad Osaka non ti serviranno >> risponde ovvia.
<< Come fai a saperlo? Sono certa che mia mamma ha fatto sparire la mia preziosissima maglietta di Spider-man qui da qualche parte. E se fosse la dentro? >>.
<< Oh sono certa che non ne sentirai la mancanza >>.
Sorrido, sono questo tipo di battibecchi che rendono il mio rapporto con Kagome speciale. Passiamo una parte del nostro tempo a punzecchiarci e l’ altra metà ad insultarci  eppure non potremmo essere più uniti.
 
<< Inuyasha Oddio, guarda qua cosa ho trovato! >>
E con foga mi caccia sotto il naso una nostra vecchia foto delle elementari. Ha gli angoli un po’ spiegazzati e la qualità dello scatto non è certo delle migliori ma siamo innegabilmente io e lei. Sullo sfondo il tempio di casa Higurashi ci siamo noi due nelle nostre divise da scuola. Kagome ha i capelli tagliati in un orrendo caschetto tenuti da un cerchietto verde – anche quello di dubbio gusto –  un braccio intorno al mio collo e sorride spontanea all’ obbiettivo. Io, invece, non sto guardando la macchina fotografica ma lei, con quell’ aria seria e un po’ crucciata da bambino malinconico che ho sempre avuto.
Per me Kagome rappresentava uno intricato mistero, non riuscivo proprio a comprendere da dove venisse tutta quella allegria e spontaneità che a me sembrava preclusa già alla tenera età di sei anni.
E li ancora non l’ avevo capito, ci avrei messo anni a capirlo in realtà, che il mio destino era innamorarmi di lei perdutamente. Un vero cliché in effetti, il ragazzo che si innamora della sua migliore amica, degno di qualsiasi filmetto romantico per ragazzine.
Ovviamente lei è ignara di tutto ciò, tra di noi è sempre andata così: io guardo lei mentre lei guarda dritta davanti a se. Un po’ come nella foto.
 
<< Hai un taglio di capelli davvero orrendo >> la sfotto indicando la scodella nera e ribelle sulla sua testa. Kagome gonfia le guancie indispettita << non è colpa mia, mia mamma aveva fatto un casino con quelle maledette forbici.  E poi non tutti siamo fortunati ad avere dei capelli belli come i tuoi Inuyasha >> i effetti i miei capelli anno sempre avuto un forte ascendente su di lei. Da bambina chiedeva a sua madre perché anche lei non potesse avere una chioma lunga e argentea come la mia. Io in realtà non capivo perché li volesse tanto. Erano il mio stigma, quella cosa che mi rendeva diverso da tutti gli altri bambini. Quella cosa che urlava a tutti “hey guardatemi, sono un mezzo demone”
Per Kagome la mia diversità non ha mai rappresentato un problema, mi ha accettato sin dal primo giorno, ma per me la mia natura mista è sempre stata un ostacolo e i capelli simboleggiavano tutte le prese in giro della mia infanzia e adolescenza.
 
<< Hai ragione, non tutti possono essere belli come me >> le dico gonfiando il petto e incrociando le braccia come a volermi dare delle arie.
 
Mi assesta un colpetto sul petto e sorride.
 
<< Parlavo dei tuoi capelli, mica di te >>.
 
<< Oh è quello che dici ma non quello che pensi >>.
 
Rotea gli occhi..
 
<<  Sbruffone >>.
 
<< Ce ne sono altre? >> le chiedo alzandomi dal pavimento e scrollandomi la polvere dai jeans sdruciti che uso normalmente per casa.
<< Oh si … >> allunga le mani verso di me e io le afferro aiutandola ad alzarsi << ce ne una scatola piena, proprio lì >>  e ne indica una proprio sulla scaffalatura dove stava armeggiando dieci minuti prima.
Mi avvicino alla suddetta scaffalatura e afferro il contenitore scuotendolo leggermente.
 
<< Ti va un giro nella valle dei ricordi? >>.
 
 
Mezz’ ora dopo siamo totalmente circondati da foto di anni compresi tra il 2004 e il 2013.
 
<< Oddio! Qui è quando hai avuto la pessima idea di tingerti i capelli di nero. Sembravi la versione povera del cantante dei Tokio Hotel >>.
 
Eh si, intorno ai dodici anni avevo avuto la geniale idea di tingermi i capelli di nero, credevo che se avessi avuto dei capelli più “normali” i miei compagni di classe avrebbero smesso di prendermi in giro. Ovviamente era stata una pessima idea, la tinta aveva aderito a macchie così mi ero ritrovato con i capelli stile emo-punk primi anni 2000. In più avevo scelto il giorno della mia prima gara di katana – dove è stata scattata la foto – perché pensavo che sarebbe stato figo presentare la mia nuova chioma in quell’occasione. Così ho quasi rischiato l’ espulsione dalla squadra e rimarrà per sempre impressa nella mia memoria la faccia di mia mamma appena mi vide entrare in pedana conciato in quel modo.
 
<< Vogliamo parlare di te “sorriso d’argento”? >> e così le mostro una foto di classe delle medie in cui sorride mostrando l’apparecchio per i denti..  
<< Oddio, ti prego, brucia questa foto >> lo dice scherzando ma so quanto per lei il periodo delle medie sia un ricordo doloroso. Suo padre era morto qualche mese prima di questo scatto e alla sua mancanza si erano aggiunti tutti i turbamenti tipici dei quindici anni. Kagome ha sempre seppellito la sua insicurezza dietro l’allegria e l’ energia che la contraddistinguevano ma io sapevo quanto, in realtà, soffrisse di un senso di inadeguatezza rispetto agli altri.
Non si sentiva mai abbastanza brava o bella e più di una volta l’ avevo beccata a specchiarsi nelle vetrine ritornando da scuola alla ricerca di quei difetti che tanto odiava e che io non vedevo. Per me Kagome era straordinaria in ogni senso, non capivo cosa avesse da invidiare alle altre ragazze. Io la trovavo carina sempre, anche con quell’ apparecchio che tanto odiava e che la rendeva tanto insicura del suo aspetto.
Si, ero prepotentemente cotto di lei già alle medie.
 
<< E questa …? >>.
 
La foto che tira fuori dalla scatola è sicuramente più recente, forse ultimo o penultimo anno di liceo.
Ritrae me e Kagome ad una delle famose feste in Halloween di Miroku. Lo scatto ci ritrae me e Kagome in un angolo intenti a parlare: io ero appoggiato con una spalla allo stipite, le braccia incrociate al petto ed un mezzo sorriso stampato sul viso. Kagome, invece, è ritratta semi di spalle. Si scorge  una porzione del suo profilo: il naso dritto, la sporgenza delle labbra e la massa di capelli corvini legati in una treccia. Le mani sospese a mezz’aria, intente a gesticolare qualcosa.
Deglutisco.
Ricordo perfettamente la sera in cui è stata scattata quella foto.
È la sera in cui ci siamo baciati.
 
 
 
 
 
Tokyo, 31  ottobre 2015.
 
 
 
Innamorarmi di Kagome era stato naturale, semplice quasi come respirare o camminare.
C’è chi l’ amore lo cerca per tutta la vita. Io, invece,  l’ amore l' ho trovato in una casa a pochi metri dalla mia.
Era un sentimento dal quale non avevo mai avuto scampo e che mi aveva travolto come un treno senza lasciarmi alcuna via di fuga.
Semplicemente, lei, è ed era in ogni angolo della mia vita.
Per cui quando mi aveva chiesto di accompagnarla alla stupida festa di Miroku ,alla quale non avevo proprio voglia di andare, non ero riuscito di dirle di no.
Ho anche attraversato mezza città vestito da guerriero dell’ epoca Sengoku solo per farla contenta.
Si, perché se sei un diciassettenne sprovvisto di patente e devi partecipare alla festa in maschera del tuo migliore amico che, casualmente, abita dall’ altro capo della città e non hai genitori abbastanza disponibili per accompagnarti  questo potrebbe succedere.
E non importa quanto ti senta in imbarazzo e completamente fuori posto: tu lo farai. Perché l’ hai promesso al succitato amico e perché, soprattutto, te l’ ha chiesto lei.
Per cui ti vesti, fai un respiro profondo e accetti – non senza un filo di irritazione – il tuo triste destino.
Certo non potevo immaginare che la serata si sarebbe tramutata in un vero e proprio disastro. Colpa mia ovviamente.
La situazione era precipitata nel momento in cui Hojo Hotori di III B – alias il più grande damerino che il nostro liceo avesse mai visto - le aveva chiesto di ballare. Fino a quel momento ero riuscito a trattenermi, anche se avrei voluto fulminare ogni essere maschile presente nella stanza che fissava insistentemente Kagome che riusciva ad essere affascinante anche nell’ingombrate vestito da sacerdotessa.
Mi stavo anche quasi divertendo a dir la verità.  Ce ne stavamo in un angolo e commentavamo con una punta di ironia i costumi improbabili che alcuni nostri compagni di scuola avevano indossato.
Poi era arrivato Hojo travestito, come era prevedibile per un “bravo ragazzo” come lui, da principe azzurro e si era avvicinato a noi. Più precisamente a Kagome.
A stento mi ero trattenuto dal mandarlo a quel paese e – per evitare scatti di ira – mi ero allontanato senza dire nemmeno una parola ma con le orecchie che mi fumavano dalla rabbia.
Un atteggiamento molto maturo, mi rendo conto.
E sono davvero ridicolo per due semplici motivi:
Uno, Mi sono rifornito a fasi alterne ad uno dei due piano bar istallati in questa enorme villa prendendomi una sbronza colossale. Credo non ci sia modo per descrivere quanto in questo momento sia ubriaco. Nemmeno l’ espressione “ubriaco fradicio” renderebbe appieno l’ idea. E fa molto ridere questa situazione perché io, fino a questa sera, non avevo mai toccato un goccio di alcool in tutta la mia breve vita.
Due, mentre sto qui a rimuginare su quanto faccia schifo la vita da liceale e quanto sia veramente deprimente la mia vita sentimentale probabilmente quel verme avrà già tentato di baciare Kagome. O peggio.
Scosso da questo pensiero mi alzo di scatto mollando in un luogo non ben identificato il bicchiere di rum e cola.
Con rinnovato coraggio mi faccio largo tra la folla alla ricerca di Kagome. Ma, disgraziatamente, di lei non c’è traccia.
 
Ok Inuyasha, stai calmo, deve essere pure da qualche parte.
 
Al centro del grande salotto, tramutato per l’ occasione in pista da ballo, sulle note di “ Party Rock”, spalmati l’uno sull’ altro ci sono Sango e Miroku, vestiti rispettivamente da sterminatrice di demoni e da monaco buddista, occupati a scambiarsi effusioni come se nella stanza ci fossero solo loro due.
Se c’è qualcuno che può sapere dove si trova Kagome in questo momento è proprio Sango. L’ afferro per un braccio staccandola dal suo fidanzato – che mi lancia un occhiata omicida – e la trascino in un punto più isolato della stanza.
 
<< Dove è Kagome? >>.
 
Sango inarca il sopracciglio visibilmente seccata, la faccia di chi non aveva nessuna voglia di essere interrotto.
 
<< Era con te >> mi apostrofa con fare ovvio.
 
<< Era con me, poi è sparita da qualche parte con Hojo Hotori di IIIB >> .
 
Il sorriso divertito che le si dipinge sul volto mi fa venire voglia di strangolarla. Sango non è una stupida, come Miroku del resto, lei sa perché la cosa mi infastidisce. Non per niente è una fan della coppia Inukag da più o meno la prima superiore, l’ anno in cui ci siamo conosciuti.
E come biasimarla, anche io sono un fan della coppia.
 
<< Allora deve essere ancora con lui >>.
 
Ecco l’irritazione che sale.
 
<< Li hai visti? >>.
 
<< No >>.
 
<< Allora come fai a dire  che stanno insieme? >>.
 
Sango ride facendo aumentare in me esponenzialmente la voglia di ucciderla.
 
<< Saranno in giardino Inuyasha, prova a vedere li >>
 
Mi do mentalmente dello stupido per non averci pensato prima.
 
 << Grazie Sango, ti devo un favore >>  faccio per voltarmi quando mi sento chiamare.
 
<< La gelosia è una brutta bestia eh? >> .
 
Le faccio il dito medio e poi scompaio fra la folla.
 
 
 
L’ aria fuori è insolitamente calda per essere quasi novembre, la musica arriva ovattata dall’ interno della casa e diffonde quasi un atmosfera rilassata. Gruppetti di ragazzi se ne stanno sparsi per il giardino intenti a fumare o a bere.
Mi guardo intorno e cerco con lo sguardo la presenza di Kagome, ma invece che vedere lei intercetto la figura insipida di Hotori. Solo.
Scendo rapidamente le scale del portico, chiedendomi perché mai ho deciso di indossare una vecchia tonaca da guerriero visto che rende i miei movimenti lenti e un po’ impacciati. Senza ovviamente contare la quantità di alcool in circolo che certamente non aiuta gran che.
Raggiungo il punto in cui Hotori e i suoi amici si sono raggruppati, lui ha in mano una camel che rigira tra le dita.
Un vero trasgressivo.
 
Mi vede arrivare da lontano e sul suo viso si dipinge un espressione alquanto sorpresa.
 
<< Ti serve qualcosa? >> mi chiede con quella sua voce calma e inespressiva di chi, come si sul dire: “non si mangia un emozione”.
 
<< Kagome, la ragazza che stava con te prima, dove è? >> lui si stringe nelle spalle poi si mette una mano sotto il mento pensieroso.
 
<< Ha detto che non si sentiva bene ed è andata via…  abbiamo bevuto un po’>>.
 
Sgrano gli occhi, questo è veramente un imbecille.
 
<< E non l hai accompagnata, che ne so, al bagno? >>.
 
L’ idiota scuote la testa << Avrei dovuto? >>.
 
Mi trattengo a stento dallo sbattermi una mano sul viso per l’ esasperazione. Ma perché ho lasciato Kagome con questo imbecille?.
 
Senza nemmeno replicare corro di nuovo in casa alla ricerca del bagno del piano terra. Mi sento stranamente lucido adesso, come se improvvisamente la sensazione di stordimento fosse svanita lasciando il posto alla preoccupazione.
La mia ricerca non dura ancora molto a lungo, perché abbracciata al water del primo piano c’è Kagome intenta a vomitare pure il pranzo di Natale dell’ anno scorso.
Mi inginocchio accanto a lei e le afferro la fronte sorreggendogliela. Lei con una mano si aggrappa al bavero della mia tonaca.
 
<< Ma quanto cazzo hai bevuto? >> le chiedo anche se nella mia voce non c’è rabbia – quella è svanita quando l’ho vista accasciata sul pavimento.
La risposta che ricevo è un conato con il quale sbocca pure il pranzo di Pasqua. Poi appoggia il viso sulla tavoletta. Ha gli occhi lucidi, i capelli scompigliati e un rivolo misto tra saliva e vomito le scende contro le labbra.
<< Vai via >> mormora lasciandomi attonito.
 
<< Cosa, perché!? >> non ci posso credere, dopo tutto questo tempo passato a cercarla ecco il ringraziamento.
<< Perché non ti voglio qui >> se fosse qualsiasi altra persona non ci penerei due volte ad aprire la porta e andarmene ma è Kagome e io non posso lasciarla in queste condizioni.
Mi alzo, afferro un asciugamano e lo inumidisco leggermente poi torno ad inginocchiarmi accanto a lei passandoglielo delicatamente sulle labbra ed ignorando così la sua richiesta di levarmi dai piedi .
 
<< Scusami se non sono il tuo principe azzurro il quale,per la cronaca, non ha nemmeno pensato di venire a cercarti >> .
La vedo alzare leggermente la testa, negli occhi un espressione quasi furibonda.
 
<< Sei un idiota Inuyasha! >> gracchia.
 
<< Ah io sarei l’idiota!? Ricordami chi dei due è abbracciato al cesso di Miroku >> le faccio notare passando l’ asciugamano inumidito dalla sua fronte al sul collo.
 
<< Stronzo >>.
 
Ah fantastico, adesso sono anche stronzo.
 
<< Io ti porto a casa >> le dico afferrandola sotto le ascelle e tirandola su passandole poi un braccio intorno alla vita per sorreggerla. Non so bene come faremo a tornare senza un auto, in metro con lei in queste condizione ma mi inventerò un sistema.
Lei però non sembra della mia stessa opinione e si dimena premendo le mani contro il mio petto cercando – con scarsi risultati – di allontanarmi.
Le blocco i polsi.
 
<< Smettila di fare la bambina Kagome! >> urlo ormai quasi in preda all’ esasperazione. Sono stanco, la serata si è rivelata una vera merda e sto cominciando seriamente a perdere la pazienza.
 
<< Io faccio la bambina? Tu sei un bambino! >>.
 
<< Sei tu che stai facendo l’ isterica >>.
 
<< Perché tu non capisci >>.
 
<< Cosa c’è da capire? Volevi stare con il tuo principe, beh eccoti servita! >>.
 
<< Vaffanculo Inuyasha! >>
 
La lascio andare e lei barcolla all’ indietro arrivando al bordo della vasca da bagno. Fortunatamente, invece di caderci dentro, riesce rimanere in piedi evitando ulteriori danni.
Mi porto le mani alle tempie e con le dita me le massaggio cercando di contenere la rabbia. Faccio un paio di passi verso di lei, che intanto mi guarda dal basso verso l’alto forse in attesa di una mia reazione.
 
<< Posso sapere, di grazia, qual è il problema?>>  cerco di mantenere un tono pacato, ma la verità è che sto fallendo miseramente. Perché anche se non voleva rimanere sola con quel pezzo di imbecille – e su una cosa siamo d’accordo – non c’è motivo di arrabbiarsi così.
 
<< Qual è il problema …? Il problema è  che io … oh al diavolo! >> .
 
Accade tutto in una frazione di secondo, non ho nemmeno il tempo di pensare che mi ritrovo Kagome praticamente incollata addosso, mentre mi bacia.
Certo, non è il bacio che avevo sempre immaginato e la location non è tra le più romantiche ma è pur sempre un bacio.
Le labbra di Kagome sanno di vodka alla pesca e sono morbide proprio come le ho sempre immaginate. In questo momento è come se avessi il pilota automatico: l’ afferro per i fianchi e la intrappolo tra il muro e il water alla nostra destra e affondo con prepotenza la lingua nella sua bocca. Sento le sue mani afferrarmi i lembi della casacca per attirarmi ancora più vicino e poi le sento nuovamente intorno alle mie spalle.
Non mi importa di nulla, ne delle conseguenze ne se questo bacio è solo l’ effetto dell’ alcool.
L’ho aspettato per tutta la vita questo bacio.
È così naturale baciare Kagome.
Dentro di me è tutto un fuoco d’artificio.
 
Mi stacco solo perché l’aria nei polmoni comincia a scarseggiare.
Penso di non essere mai stato più felice di così.
 
<< Kagome io … >> provo a dire. E mentre finalmente sto per farle la dichiarazione d’ amore più romantica mai udita dall’uomo lei si accascia di nuovo a carponi sul cesso sboccando quello che resta dei suoi succhi gastrici.
Bene, come rovinare un momento romantico.
Mi precipito immediatamente a reggerle la testa rimpiangendo il bacio spettacolare di dieci secondi prima.
 
<< Ti prego, portami a casa >> e queste sono le sue ultime parole prima di semi-svenirmi tra le braccia.
 
Kagome si era svegliata la mattina dopo con un mal di testa da sbronza allucinante e – soprattutto- senza ricordarsi un accidente del giorno prima.
Non le ho mai raccontato del nostro bacio.
Non voglio che pensi che mi sia approfittato di lei, se mai succederà di nuovo voglio che sia lucida e che soprattutto se lo ricordi.
Ma non nascondo che alle volte ci ripenso e rimpiango di non essere mai riuscito a parlarle chiaramente dopo quella sera.
Sarebbe stato tutto più facile.
 
<< Ti spiace se la tengo io? >> mi chiede. Scuto la testa << figurati, è tutta tua >>. così l’ unica foto che ci ritrae la sera del più fantastico bacio della mia vita sparisce direttamente nella tasca dei suoi pantaloni.
Do un occhiata all’orologio che ho al polso << beh, credo che la nostro viaggio nei ricordi si concluderà qui. È ora di cena e io sto morendo di fame >> allungo le mani per aiutarla ad alzarsi dal pavimento lei le afferra e una volta in piedi si scuote la polvere dai pantaloni.
È scesa una strana aura intorno a noi, non so se sia per la foto o per qualcos’ altro ma Kagome è improvvisamente ammutolita e sovrappensiero.
In silenzio arriviamo alla porta di ingresso, Kagome indugia un attimo sull’uscio.
 
<< Allora … è stato divertente no?>> butto lì cercando di stemperare l’aria pesante che sento tra di noi.
<< Si, è stato bello … >>  con la punta della scarpa scava una buca sul terreno. << Beh io ora vado >> si allunga verso di me e mi deposita un bacio proprio all’ angolo delle labbra. Rimango attonito mentre la fisso correre lungo il vialetto.
I lampioni proiettano lunghe ombre nere intorno a lei. E proprio prima di svoltare l’ angolo si gira per farmi un ultimo cenno di saluto con la mano.
Quando sparisce sollevo la mano per toccarmi l’ angolo in cui un attimo prima mi ha baciato.
 
Ora so che sapore hanno i rimpianti: burro cacao alla fragola.
 
 
 
 
 
 
Saaalveee gente,
che dire, sono molto fiera di me. Questa è già la seconda fan fiction nel giro di pochi giorni. Non succedeva da anni penso.
Lo so, non ha un bel finale ma c’è un motivo per tutto ciò. Questa vuole essere la prima parte di una raccolta di fan fiction ispirate a una mia veeeeeecchiiiissima storia pubblicata nel lontano 2015 intitolata Coinquilini. L’idea mi balenava in testa da secoli ma non ho mai avuto voglia, tempo, ispirazione per metterla per iscritto. Poi improvvisamente illuminazione!.
Ovviamente non c’è bisogno di leggere la vecchia fanfiction per capirci qualcosa. In questo caso si tratta di avvenimenti accaduti prima della succitata ff, ma vi consiglio comunque di dargli una letta.
Penso anche che la riscriverò per adattarla ancora meglio al “concept” di questa raccolta che vuole essere un racconto non lineare delle vite di inuyasha e Kagome e di come arriveranno ad innamorarsi ( spoler: si si innamoreranno ma mi sembra anche scontato dirlo)
Spero che la storia vi sia piaciuta tanto come è piaciuto a me scriverla. Fatemi sapere.
Alla prossima ( pregate per me perché con i progetti a lungo termine faccio schifo).
Baci.
dicarne_edicarta.
 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 – Casa ***


 
Chapter 2 – Casa.
 
 
 
“it feels like home when I'm with you
Leave it all behind
Put your head on mine
Home
It feels like home when I'm with you”
 
 
 
 
 
 
<< Si mamma, ho mangiato …no non c’è bisogno che chiami il medico, io … no, il nonno no per piacere … >>
 
Sento dei suoni di passi provenire dall’ altro lato del telefono.
 
<< Nonno, ciao … si sto bene .. no, non ho bisogno della pelle di lucertola essiccata … lo so che è un vecchio rimedio di famiglia … come? domani?  Ma non è necessario ho solo l’ influenza … ma … a domani … >>.
 
Mi passo una mano sulla fronte esasperata. Il pigiama di pile rosa è completamente incollato alla mia schiena sudata e nonostante questo e il piumone che ho messo addosso per coprirmi sento brividi di freddo scuotermi tutto il corpo.
Ma adesso non è questa la mia preoccupazione principale: domani un intera delegazione di Higurashi invaderà casa mia e il pensiero mi spossa più della febbre stessa.
Dovevo prevederlo, avrei dovuto aspettare che la febbre passasse prima di chiamare a casa.
Deglutisco disgustata al pensiero della pelle di lucertola essiccata.
Che i Kami mi salvino.
Riprendo il telefono e in rubrica cerco il numero di Inuyasha, ho assolutamente bisogno di un medicinale – un medicinale serio che faccia passare davvero la febbre -  e lui è l’ unico che può procurarmela. Faccio per telefonargli ma mi blocco con il pollice a mezz’aria. No, se lo chiamassi gli dovrei spiegare perché sono tornata prima da casa di Koga.
E non ho nessuna voglia di parlare di lui. Non oggi. Non dopo il litigio di ieri notte.
Mi affosso ancora di più sotto il piumone, desiderando di poter scomparire dalla faccia della terra.
Si, ho deciso che rimarrò qua, sepolta sotto le coperte e una montagna di fazzoletti di carta, fino alla fine dei miei giorni. Perché è così che si affronta la vita: scappando.
E vaffanculo l’età adulta e le responsabilità.
 
La vibrazione del cellulare mi richiama alla realtà e mi ricorda che anche se cerco di scappare dai problemi loro sapranno sempre come trovarmi. Soprattutto nell’ era di internet.
Sbircio il blocco schermo: un messaggio di Koga.
 
“Kagome rispondi. Dobbiamo parlare”.
 
Appoggio il cellulare al petto ignorando deliberatamente il messaggio perché, come ho già detto, sono una persona matura io.
Lo so che non è giusto, che sto facendo la stronza e che Koga non se lo merita perché è davvero un bravo fidanzato ma non so come comportarmi altrimenti.
Certo, tutto questo non sarebbe mai accaduto se non mi avesse chiesto di andare a vivere insieme.
Dopo una serata come tante altre Koga aveva ben pensato di sganciare questa bomba cogliendomi totalmente impreparata.
Questa richiesta aveva messo così a repentaglio il mio fragile cervello che ero rimasta la a osservalo. In silenzio. Per cinque minuti buoni.
Ciò doveva averlo fatto arrabbiare parecchio perché è proprio così che è cominciato il nostro litigio.
Lui accusava me di essere egoista, di non pensare al nostro rapporto e io accusavo lui di voler correre.
Alla fine, come nei migliori film drammatici, io ero uscita sbattendo la porta. Solo che ad aspettarmi c’era un acquazzone senza precedenti.
Ero tornata a casa completamente fradicia, ecco il perché della mia febbre improvvisa.
 
Ora la mia coscienza sa perfettamente il prechè del mio “no” così secco. E sicuramente non è la paura che sia “ troppo presto”. No, decisamente no.
È inuyasha.
È sempre stato Inuyasha, da tutta la vita più o meno.
Perché solo una sfigata come me poteva innamorarsi del proprio migliore amico, rispettando lo stupido stereotipo da romanzo rosa.
Andare a vivere con Koga sarebbe accettare la disfatta, che Inuyasha non mi ama e non mi amerà mai e io non sono pronta a questo. Anche se nel profondo, spero che prima o poi lui possa vedermi un giorno.
Nonostante un giorno si e l’ altra pure mi trovi qualche nuova ragazza intenta a fare colazione con i miei biscotti con addosso la sua maglietta.
Non mi arrendo, sperando che un giorno smetta di vedermi come Kagome, la sua amica di infanzia, la sua vicina di casa.
La ragazza che l’ ha baciato ubriaca durante una festa.
 
Al solo ricordo di quella orribile serata strattono le coperte e ci sotterro la testa emettendo un verso di frustrazione nemmeno fossi uno gnu.
C’è da dire che mi ero preparata solo per fare colpo su di lui: quello stupido abito da sacerdotessa, l’ingombrante arco finto che avevo trascinato in metropolitana. Le ore, ORE, spese ad acconciare i capelli in un intricatissima treccia e a truccarmi.
Tutto inutile.
Non mi aveva degnata di uno sguardo, anzi,  mi aveva lasciata andare con Hojo.
Hojo!  Come se qualsiasi donna dotata di un briciolo di senno volesse passare veramente la serata con uno che ti regala cesti di frutta per augurarti pronta guarigione.
E io cosa avevo fatto? Mi ero ubriacata.
E poi? Avevo sbrattato anche l’ anima.
E dopo ancora? L’ avevo baciato con ancora la bocca impastata di vodka e vomito.
E alla fine? Ero mezza sventa tra le sue braccia.
 
La mattina dopo, quando mi sono risvegliata – con dei sintomi post sbornia che non sto qui a raccontare per preservare almeno un po’ della mia dignità – avevo mentito. Non volevo che lui sapesse che io sapevo – semplice no? . Non volevo che lui pensasse che l’ avevo baciato solo perché ero ubriaca.
Da allora non ne avevamo più parlato, ma la foto di quella sera – scattata prima del disastro – troneggia ancora sulla mensola accanto a tutti e sette i libri della saga di Harry Potter.
 
Sento il rumore della porta che si apre e il tintinnio delle chiavi che Inuyasha con mala grazia lascia cadere nel contenitore all’ ingresso.
Poco dopo lo sento bussare alla mia porta, ma non aspetta nemmeno che io risponda – ti pareva! – che entra nella stanza.
 
<< Kagome che ci fai qui? Ho sentito il tuo odor … oh mio dio ma hai un aspetto orrendo! >> esclama guardandomi in faccia.
<< Sono malata cretino! >> sbotto. Ho una voce talmente nasale da fare impressione e mi rendo conto che il mio colorito non deve essere dei migliori ma non c’è bisogno di essere così diretti!.
Si appoggia allo stipite della porta con la spalla destra << questo lo vedo >> poi annusa l’ aria << ma il lupastro non è con te? Avevo capito che avreste passato un “weekend romantico “ solo voi due >>  calca la voce su “weekend romantico” caricandola con una nota di disgusto.
 
<< E’ saltato >>.
 
Inarca il sopracciglio.
 
<< E’ saltato? >>.
 
Sbuffo. Mai possibile che anche in queste condizioni io debba discutere con lui?.
 
<< Si Inuyasha è saltato. Sal-ta-to è chiaro adesso? >>. Lui mi fissa con aria perplessa in cerca di un qualcosa che gli faccia capire se sto mentendo o no poi esclama:
 
<< Sei una bugiarda >>
 
Ecco lo sapevo, lo sapevo. Mi conosce troppo bene.
 
<< Inuyasha ho la febbre. Ti prego, ti prego non adesso >> piagnucolo .
 
E il primo premio come attrice drammatica va …
 
<< Dimmi solo se il lupastro ti ha fatto qualcosa, perché se è così giuro che lo prendo e poi …>> mi lascio andare ad un sospiro esasperato.
<< No! Non è successo niente. Sono malata e il weekend è saltato tutto qua >>.
Mi fissa ancora perplesso, ma non replica. Forse, date le mie condizioni, ha deciso di abbandonare l’ ascia di guerra.
Ma so che è solo una tregua, appena potrà tornerà all’attacco.
Allunga una mano e delicatamente me la passa sulla fronte, le sue dita sono ancora fredde del contatto con l’ aria esterna.
È da tanto che Inuyasha non mi tocca così: con una tenerezza solo sua, quelle premure nascoste che ha sempre riservato solo a me.
Mi si contorce lo stomaco, mi sento una vecchia nostalgica.
<< Inuyasha? >> lo chiamo con un filo di voce.
 
<< Uhm? >>.
 
<< Vedresti “Colpa delle stelle” con me stasera? >> lo supplico con lo sguardo, come una bambina capricciosa che sa perfettamente come ottenere quello che vuole quando lo vuole.
E infatti cede.
<< Oh al diavolo! Ma solo perché sei malata!>> ficca un braccio  sotto le mie ginocchia e l’ altro lo avvolge intorno alla mia vita issandomi su.
Stringo con le dita il piumone per non lasciarlo cadere e insieme attraversiamo il piccolo corridoio che separa le nostre due camere da letto dal salotto.
Mi appoggia delicatamente sul divano sgangherato comprato poche settimane prima con i miei risparmi. Mi avvolge per bene tra le coperte, sistemandomele per bene intorno alle spalle e alle braccia.
<< Aspetta qui >> mi dice per poi scomparire dietro la porta. Pochi attimi dopo riappare, in una mano stringe una coppa di gelato alla nocciola e nell’ altra la sua felpa rossa preferita.
Mi porge entrambi gli oggetti.
<< Ho sentito che per guarire dalla febbre il gelato è necessario. Ordini del medico >>.
Lo amo, c’è poco da dire. Lo amo perché sa come farmi sentire meglio con una sciocchezza, perché conosce il mio gusto di gelato preferito, perché vuole guardare “Colpa delle stelle” con me anche se dice il contrario.
Lo amo perché, senza che io chiedessi niente, mi ha prestato la sua felpa preferita perché è la più calda che ha e la da a me perché non vuole che senta freddo.
Lo amo per tutte queste piccole cose che non sono mai scontate se fatte da lui.
E dimentico di avere un fidanzato quando è così, dimentico che probabilmente lui non mi vorrà mai come lo voglio io.
 
Inuyasha sposta leggermente il piumone e si siede accanto a me. Mi attira verso di se e avvolge una mano intorno al mio fianco, io appoggio la testa sulla sua spalla.
Il film inizia, ma io quasi non me ne accorgo. Scivolo in un sonno tranquillo, cullata dal profumo della sua pelle che oggi sa di pioggia mista a terra.
Mi sento a casa.







Angolo autrice.
non aggiorno questa storia da tempo immemore e non saprei dire nemmeno perchè. 
Ma sono stata presa da uno slancio di buona volontà e la voce della mia coscenza mi stà intimando di finire i progetti che ho comiciato.
Per cui eccomi qui!
mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chi ha recensito, messo la storia nelle seguite/ricordate/preferite.
Alla prossima.
Graffiti.


 

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