Cronache del Regno della Terra.

di Mordekai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Germoglio d'Ambra. ***
Capitolo 2: *** Purezza. ***
Capitolo 3: *** Echi del passato. ***
Capitolo 4: *** Rimpianti e Decisioni. ***
Capitolo 5: *** Il Recluso; La Peccatrice. ***
Capitolo 6: *** I Tre Rovi. ***
Capitolo 7: *** Corruzione oscura. ***
Capitolo 8: *** Prymvis. ***
Capitolo 9: *** La Torre Solitaria ***



Capitolo 1
*** Germoglio d'Ambra. ***


In un lontano passato, la Dea del Cosmo creò cinque fiamme: la Fiamma del Gelo, la Fiamma Arcana, la Fiamma d’Ambra, la Fiamma Bianca e la Fiamma Astris. Cinque fiamme, cinque sorelle e cinque luoghi dove l’uomo non era ancora giunto. Le prime tre scelsero di stanziarsi nei territori del Nord, dell’Ovest e del Sud. Invece, la Fiamma Bianca decise di costruire il suo impero nel cielo e Astris, la più giovane, scelse i vasti e sconfinati mari.
Così nella terra del Nord dove sorgevano diversi regni, tra i quali Huvendal, nacquero il Picco ghiacciato e le montagne innevate. Nella terra del Sud invece, superato l’immenso muro costruito dai Varg e Thandulircath, la Fiamma Arcana ricoprì la terra arida e spoglia di sabbia dorata dalle varie sfumature, donando finalmente una bellezza che le era stata privata e dando così vita al Deserto dell’Epirdo.

La terza sorella, la Fiamma d’Ambra si divise in tre frammenti per poter regnare nelle infinite, verdeggianti foreste delle dee Kore e Akna, antiche dee della natura e della caccia.

‘’Siamo sorprese che la Dea del Cosmo abbia scelto una creatura così giovane per regnare al nostro fianco.’’- disse Akna, incuriosita da quell’essere spirituale che, con passi leggiadri, riusciva a far rifiorire la vita e a generarne di nuova, come tre specie di nuovi rovi: i rossi, nati nel cuore della foresta e a pochi metri dallo sgorgare di un fiume cristallino; i bianchi, che volgevano i loro arbusti verso le montagne da dove sorgeva il sole; gli ultimi invece nacquero nel fitto sottobosco, dove la luce era quasi impercettibile e la flora e la fauna erano in abbondanza per i viaggiatori che avevano perso il sentiero.

Con il passare del tempo, curiosi viandanti restavano sempre di più affascinati da come le stelle avevano favorito la nascita di queste cinque ed uniche creature, madri di una nuova vita. Il Picco ghiacciato era meta di pellegrinaggi e militari in addestramento; nelle terre del Sud nacque anche un nuovo regno chiamato Gaelia, dea giunta di sua spontanea volontà in aiuto alla Fiamma Arcana, così da espandere il proprio potere. La Fiamma d’Ambra, con l’aiuto delle due dee, fu un faro di speranza per tre popoli misteriosi che presero il nome dei tre rovi: il popolo dei Rovi Scarlatti, il popolo dei Rovi Bianchi e quello dei Rovi Oscuri. Per i millenni successivi, la Dea del Cosmo osservò dall’alto dei cieli gli enormi progressi raggiunti dalle sue figlie, soprattutto alla Fiamma d’Ambra per la sorprendente nascita di quelle civiltà.

Nei successivi millenni, dopo la dipartita delle dee Akna, Kore e Gaelia, le tre fiamme si indebolirono a causa di un improvviso malcontento: si sentivano come insoddisfatte del loro operato e restarono nel più assordante dei silenzi. La Fiamma del Gelo venne vincolata dall’odio di una donna che terrorizzò per oltre due decadi il regno di Huvendal, prima di essere sconfitta da una prode ragazza. Lo stesso destino toccò alla Fiamma Arcana che, nascosta all’interno del Sole durante una eclissi, un Re avaro di potere riuscì ad assorbirla deformando quella bellezza che la caratterizzava.
Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.

Senza la protezione delle antiche dee della foresta e le due sorelle più giovani preoccupate e incapaci di aiutarla, ogni insidia poteva nuocere all’integrità di quella natura così rigogliosa, rischiando di tramutarsi in un cimitero spoglio e pietrificato.
 
Cinque giorni dopo l’Eclissi. Tarda primavera. Broym Fleau.
 
La tarda primavera impregnava l’aria con migliaia di delicati profumi, mentre i lunghi fiumi lambivano gli argini creando uno spettacolo di luci danzanti sotto un tendaggio smeraldo che si muoveva sinuoso. Piccoli fiori si destavano dal loro lungo sonno aprendo i loro petali al nuovo giorno, mentre eleganti ninfee in colorati abiti creavano corone di foglie da donare ai futuri viaggiatori, sorridendo e cantando soavi melodie. Una di loro, la più adulta, era seduta sul tronco di un albero caduto che osservava con attenzione ogni cespuglio, arbusto o fosso per evitare insidiosi pericoli e preservare quella piacevole quiete. Quando una ninfea si fermò ad osservare gli estremi del fiume, la più adulta domandò:
 
‘’Prosymeina, che cosa succede?’’

‘’Vedo una ragazza su una piccola zattera. Sembra dormire, ma è ricoperta di ferite e lividi. Credo sia una condottiera di qualche regno lontano.’’

‘’Dovremmo informare il Concilio, sorella Atlantia?’’- domandò una ninfea con una corona di rose sul capo, preoccupata per quell’inaspettata ‘’visita’’ nel regno: negli ultimi anni, la zona del Broym Fleau era la preda prelibata per i razziatori, disonorando con blasfemie quella foresta sacra creata dalla Fiamma d’Ambra.

‘’Kallianisse e Idahria, usate i vostri poteri per condurre quella zattera sul nostro argine. E se è ferita come detto da Prosymeina, dobbiamo salvarla prima che qualcuno la veda.’’- disse la donna, ordinando alle due ragazze di posizionarsi alla riva del fiume e attendere l’arrivo della condottiera ferita. Quel trambusto incuriosì anche un fragile spettro dei boschi: la sua evanescenza così pallida e i passi incerti e claudicanti indicavano la sua esistenza secolare. Le due ninfee, non appena scrutarono la piccola imbarcazione, mossero le loro braccia come se fosse l’inizio di una danza ipnotica, deviando il percorso del fiume, riuscendo a recuperare la naufragata.

‘’Un ospite inaspettato. Il Concilio delle Sette Sorelle verrà a saperlo, prima o poi. Che cosa farete dunque?’’- domandò lo spettro dei boschi, comparendo sull’argine e osservando la povera viaggiatrice dormiente su quei tronchi scomodi. Restò incuriosita dal bagliore che si sprigionava dai palmi della giovane e si allontanò di qualche passo, come terrorizzata. Le ninfee erano perplesse da quella strana luce e Atlantia, stupita dalla reazione dello spirito, chiese:

‘’Hosral, che accade?’’

‘’N-nulla. Portatela da Uilosbes la Curatrice Bianca, lei saprà cosa fare. E ricordatevi della parola d’ordine.’’- rispose lo spirito antico, prima di svanire nel nulla. Le donne, ancora confuse da quell’inspiegabile evento e dal comportamento di Hosral, condussero la ragazza al sicuro. Dopo aver percorso un sentiero costeggiato da immensi pini e querce, giunsero ad una piccola masseria: era formata da due strutture rettangolari lunghe e alte venticinque passi. Ai vertici di entrambe le strutture si ergevano quattro torri di vedetta, entrambe munite di due carrucole mobili che consentivano alle sentinelle di spostarsi rapidamente e di trasportare oggetti o munizioni con il minimo sforzo. L’intero complesso era stato costruito con argilla unita al bronzo per donarle un aspetto lugubre ai filibustieri erranti, circondato da un grande recinto di pietra abbastanza alto da nascondere gli acuminati pali di legno conficcati nel terreno usati come trappola. Atlantia era in testa al gruppo delle ninfee giovani, mentre sorreggeva tra le sue braccia la povera viaggiatrice dormiente:

‘’Nato sottoterra, cresciuto dal sole, un ospite per i viventi, ristoratore di divertimento. Sono?’’- domandò una delle sentinelle, brandendo una balestra dal legno scuro, pesante e minacciosa.

‘’Albero.’’- rispose rapida la ninfea adulta, avanzando senza distogliere lo sguardo dall’edificio. In lontananza un’altra figura notò il loro arrivo e corse all’interno della casa, forse per avvertire il padrone che avrebbe avuto ospiti. Non appena le ninfee si fermarono all’ingresso, la porta in legno bianco si aprì mostrando una bellissima donna dagli occhi ambrati, capelli che sembravano un fiume d’oro coperti da un leggero velo celeste e un portamento autoritario.

‘’Signora Uilosbes, le chiedo venia per questa inaspettata visita, ma abbiamo bisogno di aiuto.’’

‘’Le visite sono sempre ben accette. Cosa accade, mia cara ninfea? Chi è la ragazza che riposa nelle tue braccia?’’- domandò la donna, incuriosita dall’inusuale presenza.

‘’Una condottiera estranea al regno dei Rovi. Non sappiamo il suo nome, da dove viene e come è giunta fin qui.’’

La donna restò ad osservare la povera ragazza, preoccupata dalle sue condizioni abbastanza gravi. Alle sue spalle comparve un’altra figura femminile, con indosso abiti scuri e una fascia rossa legata al polso, capelli castani lunghi fino alle spalle, guance rosate e occhi verdi che esprimevano un senso di estrema timidezza, soprattutto quando incrociavano quelli della ninfea Atlantia. La dama Uilosbes prese tra le sue braccia la viaggiatrice ferita e, con un saluto di riverenza, entrò nella dimora:

‘’Elfriede, mia cara, prepara subito dell’acqua calda, erbe mediche, abiti puliti e il mio letto. Non possiamo lasciare in queste condizioni la nostra ospite.’’- riferì lei alla sua domestica.

‘’Sì, mia Signora.’’- rispose e scattò rapida come un felino. Il rumore di acqua corrente, barattoli di vetro e ante di armadi che venivano aperte e chiuse, indicavano il gran da farsi della domestica. Gli interni della masseria erano accoglienti e dai colori caldi, con mobili lucidi e pregiate decorazioni, un grande camino che permetteva al calore di diffondersi rapidamente durante gli inverni rigidi, credenze rifornite di spezie e viveri e molti altri oggetti che rendevano il tutto accogliente. Quando Elfriede annunciò che tutto era pronto, la Curatrice Bianca trasportò con estrema delicatezza la ragazza nel bagno e, dopo averla svestita e avvolta con bendaggi ricoperte delle erbe mediche, la fece scivolare nell’acqua calda:

‘’Un vecchio metodo di guarigione che si tramanda da anni. Osserva attentamente, un giorno sarai tu a doverlo fare.’’- riferì ad Elfriede, mentre restava a vigilare sulla condottiera. Uilosbes restò per alcune ore ad osservare come gli effetti della medicina Bianca stava avendo effetto; quando il regno dei Rovi rossi venne creato, nacquero diverse piante curative. Il processo di guarigione richiedeva ore oppure giorni in base alla gravità delle ferite. Se l’acqua si tingeva di un colore rosso ambrato, le erbe stavano avendo effetto altrimenti l’acqua restava trasparente e si dubitava profondamente se la persona ferita sarebbe vissuta o meno.

Il sole stava tramontando lentamente, iniziando a tingere il cielo di mille colori, mentre i suoi raggi si riflettevano sulle vetrate della masseria, illuminando i corridoi di rosso quasi a sembrare vene pulsanti. La Curatrice Bianca stava per addormentarsi quando gli improvvisi gemiti e spasmi di dolore della ragazza la destarono dall’innaturale sonno che l’aveva imprigionata:

‘’Elfriede, ho bisogno del tuo aiuto.’’- urlò la donna, cercando di tenerla ferma ed evitare che le bende si strappassero e si ferisse ulteriormente. La domestica corse rapida e bloccò le caviglie, mentre Uilosbes prese tra le medicine della bardana e, con un piccolo sforzo, la fece ingoiare alla giovane. Il viso iniziava a rilassarsi, il dolore a scomparire. La Curatrice tirò un sospiro di sollievo per aver evitato il peggio.

 ‘’Aiutami a condurla nella mia stanza.’’- disse ad Elfriede. Dopo averla asciugata, cambiata le fasciature e messa sotto un lenzuolo, la lasciò dormire per recuperare le forze. Un sibilo e un fruscio simile a foglie secche attirarono nuovamente l’attenzione della donna, che riconobbe quei suoni:
‘’Hosral? Cosa ti porta nella mia dimora?’’- domandò con voce rotta dalla stanchezza.

‘’Hai visto l’ospite vero?’’- chiese lo spettro agitato, assumendo una forma umanoide, lasciando sempre intravedere quel bagliore etereo.

‘’Sì, è in camera mia che riposa. Aveva delle gravi ferite da taglio sulle mani e sul corpo, lividi e ustioni. Credo che abbia lottato contro Gallart e abbia vinto. Ha rischiato la propria vita per liberare l’ormai estinto regno di Gaelia.’’- rispose la donna e sorrise compiaciuta all’espressione di stupore di Hosral. Lo spettro scosse la testa, cercando di eliminare il suo stupore e tornare serio:

‘’Quando l’ho vista, dalle sue mani si stava sprigionando una flebile ma calda luce dorata. Mi chiedo come possa una semplice ragazza avere queste doti. Deve essere figlia di qualche creatura celeste o…’’

‘’Nessuna creatura celeste o dea. È una Thandulircath, l’ultima del suo popolo. Sono dei casi rari che un essere umano riesca a possedere un potere che sia in grado superare quello di un Re della Prima Fiamma o di una Regina del Gelo. Se ti chiedi come faccia a sapere questo, mi è bastato vederlo. Il ciondolo che raffigura il lupo era il simbolo del suo popolo. Lo usavano principalmente per la caccia. E il potere di cui parli, l’accecante bagliore, ha quasi fatto ribollire l’acqua dove era immersa.’’- replicò nuovamente la Curatrice Bianca, lasciando interdetto l’esile spirito che si ammutolì e, scuotendo la testa, scomparve nuovamente. La donna finalmente poté riposarsi dopo la faticosa giornata, cullata dai raggi lunari che illuminavano la stanza.

Nella masseria e all’esterno di essa regnava un piacevole e rilassante silenzio, interrotto solo dal richiamo di civette e gufi. Anche se la notta donava il suo sonno ristoratore, a pochi chilometri dalla masseria, in una strutta simile ad un castello qualcuno era ancora sveglio, intento a studiare dei documenti e delle mappe.

‘’I Rovi Bianchi possono attaccare in qualunque momento, che strategia pensi di attuare se non sai precisamente dove si sposteranno, cara Hallothel?’’- domandò qualcuno alla donna. Sistemò i lunghi capelli bruni dietro le orecchie e rispose:

‘’Il loro modus operandi è sempre lo stesso. Ci circondando su tre fronti e ci costringono ad arretrare verso il centro del campo da battaglia in modo tale da creare più morti possibili. Per loro questo significa purezza, ma è solo tingere di scarlatto una terra che sta lentamente morendo sotto i raggi pallidi del sole. Non so cos’altro fare, Mylgred, sto perdendo il lume della ragione e i miei occhi sono rossi come i rubini per il troppo sforzo.’’
La donna si mosse dall’uscio, entrando nella stanza illuminata dalle poche candele, ormai consumate e la cera che le lambiva sembravano lacrime bianche. Mylgred replicò con compassione:

‘’Comprendo lo sforzo per salvare il nostro popolo, ma quello che possiamo solo fare è stringere i denti, mostrarli come se fossimo feroci lupi pronti a sbranare il nemico, anche il più forte. Non dobbiamo mostrarci deboli. Vedrai, un giorno il loro punto debole sarà visibile e noi agiremo.’’
D’un tratto la loro attenzione si concentrò su dei rumori provenienti dal corridoio, che avanzavano con rapidità disumana, finché non comparve una terza donna:

‘’Sorelle, accorrete. Daernith sta male!’’

‘’Avrà un altro dei suoi tipici malanni o allergie, non c’è bisogno di allarmarsi così tanto.’’- rispose Hallothel, alzandosi e andandole incontro.

‘’Sanguinare dal naso e avere le pupille del tutto bianche non è allergia.’’- replicò con fermezza la ragazza, riuscendo a mutare quell’indifferenza in terrore e stupore.

‘’Ha una visione? Per l’amor della Fiamma, facci strada.’’- si affrettò a dire Mylgred, comprendendo che quei violenti effetti indicavano un qualcosa di molto importante per il Concilio. Non appena giunsero nella grande sala, trovarono la Sorella Maggiore in prenda a spasmi nervosi sul suo trono, mentre il sangue usciva copiosamente dal naso, tingendo il suo lungo vestito purpureo e gli occhi erano completamente rivolti verso l’alto mostrando il bianco delle sclere:

‘’Da quanto è così?’’- domandò Hallothel, tenendo il viso della donna tra le mani e cercando di impedire che morisse dissanguata usando un fazzoletto di seta.

‘’Da un paio di minuti, non riusciva a parlare e si sentiva come se stesse soffocando.’’- rispose la quinta sorella, Erthaor mentre le bloccava la testa per evitare che la Maggiore colpisse involontariamente la superficie di marmo. Le convulsioni lentamente si attenuarono, gli occhi della donna si chiusero e il suo volto sembrò rilassarsi.

‘’Sorella Daernith, che cosa hai visto?’’- domandò una di loro, visibilmente agitata da quell’evento così feroce ed inaspettato.

‘’I miei occhi…hanno visto una ragazza che non fa parte di questo regno. Una sconosciuta che possiede un potere inimmaginabile. Così feroce, così brillante e così caldo come il sole estivo mentre si desta dal suo letto di montagne dorate. Nonostante…il suo animo debole, il suo spirito combattivo è tenace.’’- rispose dopo qualche secondo, reggendosi ai braccioli marmorei del trono ed espresse il suo disgusto nel vedere di aver imbrattato la tunica e il pavimento. Giunsero anche le ultime due sorelle, Rivaltnith e Rivornith chiamate anche le Sorelle delle Corone, e per distinguersi indossavano rispettivamente una corona d’oro e una nera nonostante non avessero un titolo nobiliare.

‘’Visto che…anche voi due avete la chiaroveggenza, che cosa siete riuscite a vedere?’’- domandò la Maggiore, muovendosi con cautela per evitare che la debolezza inferta dalla visione le provocasse ulteriori ferite.

‘’La stessa ragazza, gravemente ferita, con una delle vecchie divise del regno di Gaelia giunta sulle rive del Broym Fleau.’’- disse Rivaltnith, con inespressività sul volto.

‘’Alcune Ninfee e Hosral l’hanno condotta dalla Curatrice Bianca. Il suo spirito combattivo è vigile e difficilmente qualcuno riuscirà a destarla dal suo sonno.’’- concluse Rivornith, estraendo dalla tasca della sua tunica porpora del vischio di quercia e porse l’erba medicinale a Daernith. Quando tutto ritornò alla normalità, seppur ancora aleggiava quel sentore di stupore e panico, le Sette Sorelle si sedettero sui loro troni e a gran voce chiamarono un messaggero in livrea grigia e bianca:

‘’Convoca subito il comandante dei Legionari, è di estrema importanza.’’- disse Mylgred, lanciando una effige di rovi annodati al ragazzo, che lo raccolse immediatamente.

‘’Subito, mie Signore.’’- rispose, per poi scomparire nella penombra della sala. Il Concilio usava due tipi di effige: una che formava una spirale rappresentava convocazioni o l’assegnazione di missioni per il regno. L’altra effige veniva usata per eventi di estrema importanza o se un familiare del destinatario era coinvolto in qualcosa di sospetto. Quando il caldo sole si destò nuovamente dal suo sonno e salutò la sua amata luna, nella masseria qualcuno era già sveglio intento a svolgere le mansioni quotidiane.

‘’Elfriede…?’’

‘’Mi perdoni, mia Signora. Supponevo fosse l’orario perfetto per riordinare tutto. Ero così concentrata nel tenere d’occhio la nostra ospite che ho dimenticato di sistemare le credenze, i barattoli di medicinali, gli armadi e-‘’

‘’Sì, sì, ho compreso ma non dovevi disturbarti. Uh, da quando abbiamo delle vetrate colorate nel salone?’’- domandò la Curatrice Bianca, dopo aver interrotto con gentilezza la donna, ma dall’espressione di perplessità. Entrambe si diressero nella stanza dove la ragazza era ormai sveglia e il suo potere si ‘’scontrava’’ con una brocca di vetro, riflettendo i suoi raggi ovunque, affascinando la Curatrice.

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Capitolo 2
*** Purezza. ***


Broym Fleu. Mattina. Masseria della Curatrice Bianca.


La ragazza continuava far riflettere il suo potere sul vetro colorato della brocca, incurante della presenza delle due donne. Gli occhi smeraldini affascinarono molto la Curatrice, notando anche un luccichio di malinconia e odio represso. Quelle emozioni aumentarono l’intensità del fascio di luce, con flebili sprazzi di fiamme fino a che la brocca non si ruppe per l’intenso calore. Il rumore dell’acqua che cadde sul pavimento, accompagnata dai cocci di vetro risvegliò la giovane dal suo stato di trance:

‘’Dove…dove mi trovo?’’- chiese, visibilmente disorientata.

‘’Sei al sicuro, non devi temere. Alcune ninfee ti hanno trovato, priva di sensi e ricoperta di ferite orrende, su una zattera di fortuna e ti hanno portato da me. Io sono Uilosbes, ma se preferisci Imryll la Curatrice Bianca. E lei è la mia assistente Elfriede.’’- rispose la donna, chinando il capo in segno di rispetto e recuperando uno dei frammenti della brocca, perfettamente tagliati da quella luce così affascinante.

‘’Vi chiedo umilmente perdono per aver rotto la vostra brocca, ve la ripagherò non appena…’’- si interruppe improvvisamente la giovane per delle fitte dolorose ovunque, che la costrinsero a stendersi sul morbido letto.

‘’Non devi, era una brocca di vetro, non un gioiello inestimabile. Ma dimmi, giovane condottiera, come ti chiami?’’- chiese Elfriede, sistemandole la coperta.

‘’Arilyn. Da quanto tempo sono qui?’’- chiese, osservandosi le mani e le braccia fasciate da bende profumate. La mano destra era ancora gonfia e violacea, e muoveva a stento le dita. La sua espressione di velato disgusto non passò inosservato ad Imryll che andò a sedersi vicino il letto. Dopo un breve sospiro e un battito di mani, la donna disse:

‘’Le nostre Ninfee si riuniscono ogni sei giorni sulle rive del Fleu. Ieri, essendo il sesto giorno, suppongo tu sia rimasta incosciente per cinque giorni. Comprendo il tuo dispiacere nel vedere il tuo corpo ricoperto di fasciature e dolorante, ma vorrei sapere cosa è accaduto. Avevi profondi tagli sulle mani, la mano destra era fratturata dalle nocche alla giuntura del polso, lividi su ogni centimetro del corpo e delle gambe. Essendo una condottiera avrai combattuto contro un qualcosa di feroce.’’

‘’Il Re della Prima Fiamma. Gallart.’’- replicò rapidamente Arilyn, osservando il soffitto. Quel nome faceva riaffiorare quell’incandescente rabbia che reprimeva a fatica.

‘’Ricordi altro?’’- domandò ulteriormente la Curatrice Bianca, prevedendo un ‘’no’’ come risposta. Sentire il nome del Re della Prima Fiamma la sorprese: Una ragazza così giovane è stata in grado di sconfiggere un Re con un potere simile?

‘’I miei ricordi sono confusi. Ci sono sprazzi di luce, imponenti colonne di fiamme, creature fameliche, guerrieri e Titani d’Onice che fronteggiano esseri di pietra, ma nient’altro.’’- furono le parole di Arilyn, senza distogliere lo sguardo dal soffitto bianco, nonostante il continuo bagliore che si sprigionava dalle mani ma senza causare danni.

Nel mentre il cuore della ragazza cercava pace da quell’odio così denso come l’inchiostro, a nord del Broym dove sorgeva la città principale, le strade brulicavano di gioiosi cittadini, chi alticcio dalla sera prima e chi svenuto sulle panche dei negozi antistanti alle carreggiate. Ognuno di loro aveva un piccolo stemma rosso cucito oppure annodato agli abiti, indicando il Regno di appartenenza: eccezione venne fatta ai religiosi che indossavano tutti al polso destro una fascia dorata, agli studiosi una spallina verde muschio e i restanti che si dividevano in fabbri, baristi, scudieri o lavoratori umili venne dato loro il grigio, lo stesso grigio degli abiti del messaggero diretto nella taverna dove i Legionari pranzavano. Non appena entrò, osservò con diffidenza tutti gli altri membri di plotoni del regno e si diresse dai Sette Legionari, seduti ad un tavolo posto in fondo a locale. Un grosso omaccione gli bloccò la strada, dall’odore e igiene discutibili e un viso simile a quello di un maiale:

‘’Cosa ci fa un mingherlino come te in un luogo del genere?’’- chiese, reggendosi a malapena sulle gambe.

‘’Non sono affari che ti riguardano. E dormi di meno nelle stalle, il tuo tanfo mi disgusta l’olfatto.’’- rispose con freddezza il ragazzo, incrociando lo sguardo turchese con il marrone opaco dell’ubriacone. Quella risposta suscitò il riso generale nell’osteria che fece innervosire il soldato. Stava per sferrare un violento pugno sul naso del messaggero, ma si paralizzò non appena scrutò con la coda dell’occhio quel che sembrava un robusto tronco di legno ricoperto di ferro fuso.

‘’Se non vuoi rimpiangere la spalla, cessa la tua ostilità e vattene.’’- disse l’uomo con calma glaciale, tenendo la testa bassa avvolta nel mantello con cappuccio. Diede un colpetto sulla spalla dell’energumeno per costringerlo ad andarsene e così fece.

‘’Ti ringrazio Veldass.’’- esordì il ragazzo, avvicinandosi di poco al tavolo dei Legionari, intenti a consumare il pasto piuttosto che badare a lui.

‘’Per quale motivo sei qui Morkai? Il Concilio non sa l’esistenza di questo posto, dunque perché ci hai seguito?’’- domandò un altro giovane, seduto al fianco di Veldass, da sotto quel che sembrava un pesante cappuccio bordato d’acciaio.

‘’Non vi ho seguito. Ero un legionario come voi, ma la guerra non è il mio forte. Ho un messaggio per il Comandante.’’- replicò alle domande del ragazzo, estraendo l’effige argentata e lanciandola in direzione dell’interessata, immobile intenta ad osservare il tutto.

‘’Il Concilio richiede la tua presenza a palazzo. Immediatamente. Mi dispiace sorella.’’- concluse il ragazzo, voltandosi e dirigendosi all’uscita. L’elmo di rovi si aprì come se avesse vita propria, rivelando un viso delicato, capelli castani rossicci raccolti in uno chignon con alcune piccole ciocche che le ricadevano sulle tempie, naso piccolo e occhi zaffiro che racchiudevano fierezza e istinto di sopravvivenza. La ragazza stinse le dita attorno l’effige, così forte come se volesse soffocarla:

‘’Continua a definirti sua sorella nonostante il vostro legame di parentela diverso?’’- domandò Veldass, pulendo l’arma e osservandola.

‘’Lasciamo perdere. È nato da una famiglia che ha strani principi morali. Ma io non perdonerò mio padre per aver abbandonato mia madre e me. E lo sa anche Morkai, nonostante la sua neutralità sull’argomento. Ci vediamo stasera per la battuta di caccia.’’- rispose il comandante, prendendo alcune monete d’oro e lasciandole al locandiere.

Nel mentre la donna si dirigeva dal Concilio, nella masseria dove Arilyn alloggiava, regnava un tetro silenzio interrotto solo da fracasso metallico delle carrucole e delle armature delle guardie intenti nella loro ronda mattutina. Sentiva nel profondo della sua anima, ardere come un tizzone un sentimento che mai aveva provato prima, così feroce da mettere a dura prova la volontà di reprimerlo. Cadde sulle ginocchia e si strinse nelle spalle, mentre una voce echeggiava nelle sue orecchie:

’Invece di reagire, sei qui a subire e a tormentarti. Troppe emozioni contrastanti e vita mondana ti hanno reso quel che sei ora. Ciarpame.’’
Il suo potere illuminò nuovamente la stanza, mentre il dolore aumentava, l’attanagliava, la soffocava. Una mano delicata si posò sulla sua testa, riuscendo a contrastare quell’accecante barriera di luce. Il contatto le sembrò così familiare da farle alzare la testa di scatto:

‘’Padre?’’- chiese Arilyn, aspettandosi una risposta. Come un pugnale dalla lama gelida che ti penetra nel petto fino a lacerare il tuo cuore, così fu la sensazione che provò la ragazza quando sentì la voce di Elfriede:

‘’No, giovane condottiera. Mi dispiace vederti così e di averti spaventato. Vieni, ho preparato del tè e qualche pietanza.’’
Le due ragazze si diressero ad un tavolo al centro della stanza, dove due tazze piene di un liquido fumante e delle pietanze dall’aspetto invitante erano poggiate. La giovane domestica stava per domandarle altro, quando dalla porta entrò Imryll:

‘’Ho interrotto qualcosa?’’

‘’No. Nulla. Volevo solo…conoscere la sua storia.’’- replicò imbarazzata Elfriede.

La giovane Thandulircath sorrise, stupita da quella richiesta e accettò volentieri di narrare la sua vita. Raccontò di essere cresciuta ad Huvendal, durante la tirannia della Regina di Ghiaccio che minacciava da tempo quel regno. I suoi veri genitori morirono mentre lei era ancora in fasce e fu accudita da uno stratega chiamato Vorshan che le insegnò come sopravvivere e combattere contro i pericoli che si annidavano nell’oscurità gelida. Narrò di come il suo potere si rivelò nel suo accecante e temibile vigore e di come, grazie all’aiuto del Re Searlas, dei suoi amici e compagni riuscì a controllarlo e a renderlo sempre più forte. Un paio di anni dopo il terribile scontro tra il suo regno e la Regina di Ghiaccio, il suo regno visse una breve pace che venne interrotta dall’arrivo del fratello maggiore della donna, Gallart il Re della Fiamma. Quest’uomo ambiva al potere assoluto, alla conquista e alla sottomissione di ogni regno sfruttando il potere dell’Eclissi Arcana. Dopo innumerevoli delusioni, sensi di colpa, impotenza e affranto, lei e quel piccolo esercito che era riuscita formare, sconfisse Gallart nonostante avesse una morale diversa:

‘’Solo…che senso ha vincere quando perdi una persona amata? Senti un vuoto che ti logora.’’- disse Arilyn, stringendo la tazza tra le dita, mentre i suoi occhi vagavano lontani, alla ricerca disperata di un qualcosa di irraggiungibile. Bevve un sorso di tè e lo mandò giù, non rendendosi conto delle lacrime che le rigavano il volto. Imryll posò la mano sulla spalla, confortandola e sorridendole.

‘’Ti aiuteremo a tornare nella tua patria, ma il Concilio dovrà prima fidarsi di te. E constatare che tu non sia una spia del regno nemico.’’- disse la domestica, posando la tazza nel lavabo di marmo. La Curatrice Bianca spiegò che il loro regno era governato dal Concilio delle Sette Sorelle, discendenti di una stirpe di onesti re e regine. Ogni cento anni, venivano scelte sette primogenite maggiorenni dal concilio precedente e il loro colore era il porpora o le sue sfumature. Da quando il Regno dei Rovi Bianchi continua ad attanagliare con sanguinose crociate il loro popolo, qualsiasi straniero che varcava i confini doveva presentarsi a corte e giudicato.

‘’L’ultimo straniero giunto nel nostro paese è stato qualche mese fa e adesso lavora per me. È una delle sentinelle mattutine, un ragazzo molto intelligente e pieno di energia, solo un po’ polemico quando la temperatura è più calda.’’- affermò Imryll, ridacchiando. Quando il suo sguardo volse alle sentinelle poste all’entrata della masseria, la donna notò che la sua ospite doveva ritrovare le forze e guarire, così si preoccupò di creare un programma di allenamento per tonificare il corpo ed esercizi per impedire che la mano destra perdesse vigore.

‘’Elfriede, non ti dispiacerà aiutare Arilyn con i suoi allenamenti giornalieri?’’- chiese la donna, spostandosi i capelli da un lato e sorridendo.

‘’Assolutamente.’’- rispose la ragazza, sorpresa per tale compito.

Arilyn non seppe cosa dire, e incontrare due donne così allegre dagli usi e costumi diversi da quelli del suo regno, la facevano sentire diversa ma a suo agio. Quello stesso giorno, Elfriede insegnò alla giovane Thandulircath diverse tecniche per coordinare il respiro e resistenza, percepire meglio gli odori e i suoni bendandola per pochi minuti e esercizi per far ritrovare sensibilità e moto alla mano fratturata. La ragazza si meravigliò della corporatura atletica della giovane donna, i vestiti lunghi e ordinati tradivano il suo vero aspetto. Dopo poche ore, l’ultimo esercizio fu quello di usare nuovamente il suo potere, concentrandosi in diversi punti che avrebbe indicato Elfriede con un bastoncino:

‘’Più sarai concentrata sul bersaglio, più il colpo sarà preciso.’’

Titubante osservò le sue ferite che lentamente si risvegliavano dal torpore dell’allenamento, ma non fu l’unica cosa a destarsi: quelle fasciature, quelle piaghe fecero ardere la rabbia che provava ancora contro Gallart e lasciò che la sua luce le avvolgesse le mani. Un semplice movimento delle mani e dei fasci splendenti colpirono il bastone, bruciandolo e riducendolo in cenere, ma non fu l’unico ad essere ridotto così. Anche la staccionata e un albero lì vicino vennero tranciati in due, mentre piccole venature dorate brillavano sul legno.

‘’L’albero era ormai morto ma…la staccionata l’avevo riparata due giorni fa.’’- disse improvvisamente Imryll, poggiata sull’uscio e scosse la testa contrariata.

‘’Mi perdoni, non sono riuscita a controllarmi.’’- rispose Arilyn, amareggiata per il danno commesso alla proprietà.

‘’Non importa. A volte bisogna sacrificare qualcosa per raggiungere uno scopo.’’

Nuovamente quella sensazione di estraneità si insinuò nella giovane Thandulircath, mentre il suo corpo chiedeva pietà per gli sforzi compiuti. Prima di rientrare dentro, la Curatrice Bianca notò che dal cielo stava giungendo un Aardvark, un animale simile ai suoi fratelli volatili ma che si distingueva per le ali munite di membrana, becco lungo e sottile, quattro zampe artigliate e piumaggio simile al leggendario grifone. Nonostante la sua stazza, si posò sulla staccionata con leggerezza ed eleganza:

‘’E tu cosa ci fai qui? Hai un messaggio per me?’’- chiese la donna, avvicinandosi e carezzandogli il becco.

‘’Il Concilio delle Sette Sorelle è venuto a conoscenza del suo segreto, dama Imryll. Il suo ospite rischia l’esilio o peggio se non si presenterà immediatamente a palazzo. Soprattutto se sua figlia Iridia verrà informata di questo.’’- rispose la creatura, comunicando telepaticamente.

‘’Non devi temere. Il mio ospite è pura di cuore, ha un animo tenace e nonostante le sue ferite, non si arrende facilmente.’’

‘’Mi auguro che questa giovane Thandulircath venga accettata. Ora, mi perdoni, ma devo riposare.’’- replicò la creatura senza nome, spiccando il volo e dirigendosi verso la fitta boscaglia. La Curatrice Bianca era sicura delle sue parole e sapeva che sarebbe successo, conoscendo il potere della Sorella Maggiore. Il sole del mezzodì splendeva nella sua reale bellezza, accogliendo nel suo caldo abbraccio la terra smeraldina, mentre Imryll parlava con Arilyn; ognuna era curiosa del passato dell’altra, della sua storia, delle origini e del perché avessero scelto il proprio ruolo. La donna si ricordò che in serata avrebbe avuto ospiti provenienti dalla città reale e che nessuno, nemmeno Elfriede, avrebbe dovuto interrompere il loro colloquio:

‘’Sono amareggiata, ma queste persone sono molto autoritarie, persino con le Sette Sorelle.’’

‘’Non si scusi, è volere del suo regno.’’- rispose Arilyn, alzandosi, ancora indolenzita dall’allenamento e si diresse nella sua stanza lentamente. Le fasciature iniziavano a scolorirsi e ad impregnarsi di sudore, mentre la mano fratturata pulsava, sovrastando il dolore corporeo. La domestica le preparò un bagno caldo, delle fasciature pulite e abiti che erano rimasti nell’armadio.

‘’Io sono qui fuori, quando avrai terminato, chiamami.’’- disse Elfriede. La giovane si congedò con un cenno del capo e decise di immergersi fino al mento, lasciando che l’acqua lambisse il suo corpo e diminuendo il supplizio che stava provando. I suoi occhi tornarono a vagare nel vuoto, alla ricerca di un qualcosa.

Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Primo pomeriggio.

Una pallida luce filtrava tra le grate di fatiscenti e lugubri celle grigie, dalle pareti umide e muschiate. Dell’acqua piovana gocciolava dai mattoni crepati del soffitto, precipitando sulla pelle nuda dei prigionieri e facendoli rabbrividire. I loro lamenti infastidirono un paio di guardie appostate agli estremi del corridoio; una di loro colpì le inferriate con una mazza chiodata, sbraitando contro di loro:

‘’Fate silenzio, maledetti cagnacci.’’

‘’Frena la tua rabbia soldato. Abbiamo un nuovo ospite. Apri la cella.’’- esordì un generale, completamente protetto da una corazza fatta di scaglie argentate e marchiate da uno stemma che raffigurava una fiamma, due spade e un rametto di rovi. Altri due soldati comparvero dall’oscurità trascinando un ragazzo con una divisa arancione e marrone, strappata e annerita dal fumo.

‘’Subito Generale Sylrach.’’- rispose il soldato, aprendo la rugginosa porta e permettendo ai commilitoni di lanciarvi dentro il prigioniero, come un sacco di patate marce. D’un tratto, l’uomo corazzato estrasse la sua spada e la puntò alla gola del soldato al suo fianco e, seppur coperto dall’elmo, il suo sguardo era intriso di odio:

‘’Che cosa ho detto riguardo al mio vero nome? È Galeren, non Sylrach. Io odio il mio passato e il luogo dove son nato. Dunque, se non vuoi che ti sgozzi come si fa con i vitelli non sbagliare.’’- detto questo, l’uomo rinfoderò la spada e andò via, lasciandosi alle spalle un soldato intimorito da quell’eccessiva reazione che per qualcuno poteva essere ragionevole, per altri folle. All’esterno della prigione, invece, gruppi di soldati in livrea bianca erano appostati sugli immensi scaloni di un palazzo costruito ai piedi di un gigantesco albero che avvolgeva con i suoi verdeggianti rami una sfera ambrata, luminosa e quasi viva come un fuoco fatuo. Migliaia di case, palazzi dai tetti a punta o a cupola, templi antichi e biblioteche circondavano il palazzo del nobile regnante, rendendo lo scenario un quadro di colori e forme turbinanti fra loro. All’interno della casa signorile, una donna dai lunghi capelli corvini sedeva sul suo trono, intenta a leggere rapporti e scartoffie varie fino a quando l’udire di metallo cozzare sul lucido pavimento la fece scattare:

‘’Galeren, qual buon vento ti porta da me?’’- chiese lei, raggiante nel vedere il generale giungere a corte. L’uomo si tolse il pesante elmo, mostrando un viso giovanile ma segnato dalle varie guerre affrontate, rendendolo affascinante e dal temperamento serio. Si inginocchiò e disse:

‘’Mia Regina, abbiamo un nuovo ospite nelle prigioni sotterranee del regno. È stato trovato incosciente nel porto di Slujuhr da uno dei nostri ricognitori e crediamo sia una spia dei Rovi Rossi camuffato da mercante. Chiedo che venga giustiziato all’istante.’’

La donna, ancora seduta sul suo trono, chiuse gli occhi per riflettere e decidere il destino del prigioniero. Conosceva benissimo il desiderio di sangue di Galeren, soprattutto in combattimento. Percepiva quell’assetata belva nascosta dentro di sé reclamare il premio, ma riuscì a frenarla rispondendo:

‘’A breve avrà inizio il torneo dell’Ambra, lì decreterò la mia sentenza. Puoi andare ora, caro Galeren.’’
Tale risposta lasciò interdetto l’uomo, ma disobbedire agli ordini della Regina era considerato tradimento, punibile con la decapitazione pubblica. Si congedò, dirigendosi nuovamente nelle prigioni, attendendo che il suo ‘’futuro’’ sfidante si svegliasse.

’Mi auguro che questo ragazzo possa dimostrare ciò che mi ha detto il ricognitore, o sarò costretto a punire lui per menzogna.’’- pensava tra sé e sé il generale, mentre lasciava il palazzo, con indosso il suo fidato elmo. Dietro una delle colonne del palazzo, una misteriosa figura ascoltava i discorsi di elogio del generale. Indossava un mantello nero come la notte, con rifiniture bluastre sul petto e sul cappuccio. Il viso dipinto di nero con diversi tribali bianchi sotto gli occhi e sulla fronte gli donavano l’aspetto di un demone oscuro dalle fattezze umane. Assicuratosi che nessuno lo vedesse, scomparve nel nulla per materializzarsi in una grande sala ovale, dove lo attendeva una donna dai lunghi capelli bianchi legati in una coda.

‘’Allora? Cosa hai scoperto dai nostri ‘’fratelli’’?’’- chiese lei, osservando il ragazzo con i suoi occhi blu ghiaccio.

‘’Nelle loro prigioni è giunto un nuovo ospite. Presumono sia una spia del regno nemico e lo faranno lottare nel Torneo d’Ambra. Quello che non sanno è che quel ragazzo è l’ultimo discendente dei Varg. E anche lui ha un potere innato’’- rispose quasi sibilando, togliendosi il cappuccio e mostrandosi in una folta chioma bionda. Quella scoperta lasciò sbigottita la donna, ma compiaciuta del fatto che le difese dei Rovi Bianchi erano inesistenti ed era fin troppo facile scoprire dettagli utili. L’uomo si avvicinò lento alla sedia e volse lo sguardo verso l’alto, dove una gigantesca crisalide pendeva sotto una sfera d’ambra, simile a quella dei Rovi Bianchi ma più scura e solcata da crepe rosse:

‘’Presto il nostro Re tornerà a vivere e potremmo ristabilire il vero ordine della natura.’’

‘’Presto, caro fratello.’’- rispose la donna, stringendo la mano sulla spalla.

D’un tratto, dall’oscurità della sala comparve un’altra misteriosa figura, robusta e alta e dallo sguardo gelido. Il viso era celato da una maschera nera ma consentiva di vedere gli occhi, rossi come quelli di una bestia terrificante:

‘’Voi due non dovreste essere qui e disturbare il sonno di nostro padre. Ad ogni modo, nel Broym Fleu, è giunta una ragazza. Una Thandulircath e a quanto sembra è anche lei l’ultima discendente della propria stirpe. Ora abbiamo scoperto che entrambi sono rispettivamente nei popoli che noi odiamo. La ragazza ha perso la memoria, mentre il ragazzo è solo indebolito. Faremo in modo che i Rovi Rossi e Bianchi si scontrino in una sanguinosa e cruenta guerra e allora agiremo.’’

Quelle parole suscitarono una malefica ilarità dei presenti. Dai drappi appesi alle colonne ormai logorate dal tempo, si intravedeva un simbolo familiare ma che era stato cancellato dai fumi delle candele.
Nel mentre i loschi figuri tramavano qualcosa di diabolico, l’ultimo dei Varg venne svegliato bruscamente da una secchiata d’acqua gelida, tanto da mozzargli il fiato e fargli digrignare i denti. Sentire le risate del soldato lo irritarono e il suo potere oscuro serpeggiò fino alla gola dell’uomo, per poi stringersi attorno ad esso e attirarlo con violenza verso le sbarre. L’impatto brusco con il metallo lo stordì ma il secondo colpo fu quello decisivo per farlo crollare a terra, privo di sensi.

‘’Come…come ci sei riuscito ragazzo?’’- chiese una voce anziana, nella penombra della cella. In un primo momento pensò di aver sognato quella voce, ma quando un rumore di catene e passi nell’acqua putrida della cella lo convinsero di non essere solo. Un viso che un tempo avrebbe dimostrato fierezza ora era consumato dal tempo, emaciato e ricoperto di lividi. Quel buon uomo stava per compiere un ultimo passo, ma la catena che cingeva la sua caviglia gli impedì di proseguire oltre. Un altro uomo, leggermente panciuto, si avvicinò a pochi metri dal giovane ed esordì, con voce rauca:

‘’Perdona il nostro aspetto poco elegante, essendo prigionieri non disponiamo di indumenti adatti. Noi vadrukr valiamo meno dei maiali nei macelli. Tu chi sei, comunque?’’

‘’Io sono Darrien, ultimo dei Varg, generale d’élite Merfolk e gradirei sapere dove mi trovo.’’- rispose lui, tenendo d’occhio i due uomini, incerto se fidarsi di quegli sconosciuti. L’anziano emaciato si sedette, comprendendo il disagio del nuovo ospite e assumendo una posa simile alla meditazione, cercò di trasmettere il suo spirito d’amicizia e di pace.

‘’Darrien dei Varg, dalle voci che circolano tra i guardiani di questa prigione sotterranea, ti considerano una spia del regno vicino e sei stato trovato sulla banchina del porto. Da quando Galeren, il generale dell’armata del regno è al comando, per lui tutti gli stranieri sono spie o trasgressori. Sei fortunato che non ti abbiano ucciso prima di portarti qui. Il Generale è una bestia assetata di sangue e gode nel vedere la sofferenza altrui.’’- disse il vecchio, restando nella stessa posizione mentre i suoi occhi restavano vigili su di lui. Darrien si poggiò alla colonna della cella e ripensò a tutto quel che aveva fatto nel corso dei suoi anni: nella sua mente comparvero migliaia di immagini tra guerre, amicizie e la scoperta dell’amore che il suo cuore potesse provare per una persona.

‘’Oh Arilyn, prego le stelle che tu stia bene.’’- disse tra sé e sé. Prima che potesse dire altro, giunse un servo ad annunciare a gran voce ai prigionieri che alle prime luci del nuovo dì, avrebbe avuto inizio il Torneo dell’Ambra ed un altro servitore portò l’equipaggiamento per lo scontro. Pezzi di armature danneggiate legate da fili di lana sottili, spade scheggiate e elmi ammaccati. L’energumeno panciuto si lamentò delle condizioni dell’armamentario e la risposta fu il lancio di una mela marcia contro il suo naso da suino.

‘’Per vincere una guerra non serve avere una corazza lucente o una spada ben affilata. Serve il cervello, l’astuzia.’’- disse nuovamente il vecchio, indicandosi la testa per far comprendere il concetto e si rintanò nell’oscurità con quei pochi ferri arrugginiti. All’esterno si udiva un gran fracasso di catene, calderoni di pece liquida trasportati in un carro, martelli e reti con sfere di metallo ai bordi per bloccare l’avversario.
Le torce vennero spente, permettendo alla tenebra di accogliere tra le sue braccia l’intera stanza e lasciare che i pensieri affollassero quegli androni cupi e marcescenti. I respiri pesanti e il russare rumoroso degli altri prigionieri era l’unica sinfonia che impediva a Darrien di sprofondare nei suoi incubi. Tra le mani stringeva l’unico pugnale rimasto dallo scontro di Gaelia, ancora sporco di sangue e una sostanza argentea che aveva fuso parzialmente la lama:

‘’Ragazzo? Tu con la divisa ascoltami un secondo.’’- sussurrò una voce dalla cella opposta, attirando l’attenzione di Darrien.

‘’Che cosa vuoi?’’- domandò contrariato e stanco già di ritrovarsi una nauseabonda stanza.

‘’Io conosco un modo per uscire da questo porcile. Ho conservato due boccette di un intruglio che preparai prima che mi catturassero. Ho aspettato anni prima che potesse giungere alla consistenza esatta. Tieni, una per te, e una per me. Bevila e l’indomani verrai messo su un carro di buoi diretto al porto e gettato in mare. Cibo per pesci.’’- disse l’uomo, facendo rotolare la piccola boccetta contro il bordo della cella. Il ragazzo l’afferrò e finse di berne il contenuto. L’altro prigioniero, in preda all’isteria iniziò a rotolare nella sua cella infastidendo ulteriormente gli altri detenuti prima che un soldato di turno non lo colpì più volte e con violenza sul volto, infierendo e insultandolo.

‘’Luridi cani che non siete altro, non vedo l’ora che il Generale vi uccida domani e tinga le pareti con il vostro inutile sangue.’’- urlò, posando il manganello nella cintola e uscendo, chiudendo la porta con forza.

‘’In quale inferno sono precipitato questa volta? Non bastavano le stranezze di Gaelia, adesso anche il sadismo e la crudeltà di un soldato devo sopportare.’’- pensò il ragazzo, cercando di riposare almeno per qualche ora, prima dello scontro che avrebbe decretato il suo destino.

E mentre il dio del sonno e la dama della notte accoglievano il giovane nel loro abbraccio, all’interno del palazzo si festeggiava e si trangugiavano abbondanti pietanze, tra carne aromatizzata, verdure e altre leccornie. Galeren e la Regina si scambiavano effusioni a tavola, altri nobili ridevano sguaiatamente, altri ancora addormentati e con boccali di vino riversati sulle loro grosse pance; una ragazza, molto giovane, dai lunghi capelli neri raccolti in una lunga treccia tenuta ferma da una spilla argentata e dagli occhi zaffiri, disgustata da quello spettacolo si alzò e se ne andò:

‘’Figlia mia, dove vai?’’- domandò la regina, con falso interesse.

‘’Ovunque dove la vostra ingordigia e purezza non mi infetti.’’- rispose a gran voce, senza voltarsi.

Broym Fleu. Sera. Masseria della Curatrice Bianca.

All’interno della Masseria, Imryll discuteva con i nobili del regno giunti da lei per parlare di questioni del paese, del fatto che lei dovesse unirsi alla Chiesa dei Guaritori Kofocress invece di vivere in un luogo così lontano dalla città, fazioni politiche, economia e molto altro. La giovane Thandulircath invece respirava la brezza leggera e i profumi che essa trasportava, seduta nell’erba fresca e bagnata dalla rugiada. La luce argentea della luna illuminava l’edificio e faceva risplendere le corazze dei soldati posti all’entrata, nel mentre piccole lucciole volteggiavano tra gli steli, donando al luogo un aspetto quasi d’umana bellezza. Si mosse dall’uscio e iniziò a camminare a piedi nudi nell’erba sottile, provando una sensazione familiare: nella sua mente riaffiorarono ricordi di quando era bambina e Vorshan la faceva camminare a piedi nudi nella casa, sia per farle conoscere ogni superficie sia perché indossare stivali era ancora presto. Continuò a camminare fino a giungere all’entrata della masseria e uno dei giovani soldati, notandola, esordì timido:

‘’Il dio del sonno non riesce a placare i suoi pensieri, dama?’’

‘’No, questa notte difficilmente troverò pace.’’- rispose Arilyn, tastandosi la mano dolorante.

‘’Se mi è consentito, le consiglierei di sedersi in riva ad un laghetto che si trova a pochi metri da lì. Lo abbiamo chiamato Laghetto delle Lucciole Dormienti, dato che sono loro a condurre in quel piccolo posto finché non svaniscono nel buio per dormire.’’- replicò il giovane guardiano, indicando lo sciame luminoso che danzava nell’erba bagnata. La giovane Thandulircath sorrise e ringraziò il soldato, augurandogli la buonanotte. Quando giunse nel piccolo spazio verdeggiante, le lucciole spensero il loro fulgore accogliendo la giovane e addormentandosi: la luna si rifletteva in quello specchio d’acqua trasparente, donando altra luce a quel piccolo posto. Non appena si sedette i suoi occhi divennero pesanti e il corpo si rilassò, sbalordendo la ragazza per l’immediatezza. Stava per cedere al torpore del sonno quando dei rumori non destarono il suo istinto che la indusse a nascondersi dietro qualche arbusto. Delle voci femminili, gioiose e ridenti colmarono il silenzio:

‘’Finalmente. Erano mesi che volevo portarti al Laghetto delle Lucciole, ma tra i vari impegni con le Ninfee e tenere saldo l’equilibrio della natura, il tempo che passavo in tua compagnia si è ridotto ad un granello di sabbia. Devi perdonarmi per averti trascurato.’’

‘’Atlantia, non devi temere. Entrambe abbiamo impegni che vanno rispettati e richiedono pazienza. Questa era l’unica sera che potevo rivederti e stare con te.’’- rispose la ragazza, sorridendo. Arilyn aprì un piccolo spiraglio tra gli arbusti, riuscendo a scorgere Elfriede e la Ninfea Atlantia che si tenevano per mano e restarono a guardarsi negli occhi, senza dire nulla. La giovane Thandulircath sorrise nel vederle felici per il loro amore, ma sentiva un vuoto incolmabile nel suo petto. Un vuoto indescrivibile.
D’un tratto, un altro rumore sinistro interruppe quell’intimità: uno sghignazzare isterico, un fracasso di metallo e legno che si interruppe con lo scocco di una freccia nella direzione delle due donne. Dall’oscurità comparve un uomo che dava l’impressione di uno sciacallo, dagli occhi folli e il sorriso maniacale:

‘’Una intimità così proibita. Due donne dalle forme prosperose mi farebbero comodo per soddisfare ogni mio efferato desiderio.’’- disse il folle, leccandosi oscenamente le labbra.

‘’Frena quella lingua da serpente e vattene. Sfoga ogni tuo losco desiderio in qualche catapecchia ai confini del sud.’’
Lo sciacallo, furibondo per l’insulto, sfoderò diversi pugnali dalle lame scheggiate e alcuni di loro caddero nel lago e altri finirono nel cespuglio dove Arilyn era nascosta. Atlantia si parò davanti ad Elfriede, per proteggerla da quel losco folle:

‘’La mia lingua non si fermerà su quel tuo corpo, andrà ben oltre…’’- disse l’uomo, facendo guizzare i suoi occhi sbarrati sul corpo della Ninfea che restava impassibile. La giovane Thandulircath, disgustata da quelle parole riprovevoli, afferrò il pugnale e sfruttò il suo potere per renderlo più letale. Uscì in avanscoperta, avvolta da una abbagliante luce dorata e scagliò con tutta la rabbia il pugnale che andò a conficcarsi nello stomaco del criminale, bruciandogli la carne e facendolo urlare dal dolore.

‘’Maledetta, ucciderò anche te, puoi starne certa.’’- sbraitò, mentre il sangue sgorgava come un ruscello dalla grotta. Arilyn lo afferrò per il collo mentre la rabbia accresceva il suo potere che si insinuò sotto la pelle dell’uomo, percorrendo ogni vena del corpo. La carnagione itterica dello sciacallo iniziò a carbonizzarsi, un fulgore dorato fuoriusciva dalla sua bocca e dai suoi occhi, fin quando non restò nient’altro che cenere. La Ninfea restò stupita da quell’evento, grottesco e meraviglioso allo stesso tempo. Quello sforzo fece barcollare la Thandulircath fino a farla poggiare al tronco di un albero:

‘’Arilyn? Che cosa ci fai tu qui?’’- domandò Elfriede, temendo una reazione negativa da parte della Ninfea.

‘’Perdonatemi per l’irrispettoso comportamento nei vostri confronti e per aver scoperto il vostro amore segreto. I miei pensieri mi impedivano di riposare e, una delle sentinelle della masseria mi ha suggerito questo luogo per poter far rilassare il corpo e lo spirito. Almeno…state bene.’’- rispose la ragazza, scivolando sull’erba, esausta.

‘’Dunque lei è la ragazza che ho condotto dalla Curatrice Bianca giorni fa…Se mi è concesso, tu sei un Araldo della Luce, vero? Quale è il tuo nome?’’- chiese curiosa Atlantia.

‘’Arilyn, ultima dei Thandulircath. Lieta di conoscerti, Atlantia…E per la tua domanda, sì. Sono un Araldo della Luce.’’- rispose quasi sussurrando la giovane.

La Ninfea divenne pensierosa e allo stesso tempo preoccupata per due semplici motivi: il Concilio non si fida facilmente di creature celesti o Araldi, soprattutto se questi sono ancora stranieri nel regno mentre l’altro motivo è che, durante lo scontro, la luce della ragazza potesse aver attirato l’attenzione di qualcuno esterno alla masseria. Arilyn si addormentò finalmente e le due donne decisero di restare in quel luogo fino all’alba, pregando che nessuno avesse notato quell’evento. Quando l’argentea stella abbandonò il firmamento per riposare, il Sole sorse splendente da dietro i monti. I suoi raggi dorati filtrarono tra i rami smeraldi degli alberi, poggiandosi con delicatezza sulle tre giovani che dormivano sotto un cedro profumato. Un rumore di metallo trascinato svegliò le ragazze, facendole scattare in avanti temendo fosse un altro nemico, ma quando dall’oscurità comparve la giovane sentinella della masseria, la paura scomparve dai loro cuori:

‘’Che cosa è accaduto ieri notte? Ho visto un bellissimo e accecante bagliore provenire da qui, ma non potendo abbandonare la mia postazione non sono…’’- le parole della sentinella morirono nella sua gola vedendo degli abiti bruciati e della cenere su di essi. Dal tipo di tessuto comprese che uno sciacallo aveva cercato di aggredirle, ma nessuna traccia del corpo.

‘’Siete fortunate che la Curatrice Bianca non ha notato nulla di tutto questo, i nobili e lei hanno discusso fino ad un paio di ore fa. Si preannunciano tempi bui da quello che ho sentito.’’- riprese a dire la sentinella, preoccupato.

‘’Che cosa intendi?’’- chiese Arilyn, stringendo i denti per dolore fitte alla mano.

‘’I vecchi nobili e i Kraelk, altri spiriti delle foreste di cui Hosral fa parte, temono l’arrivo di una potente armata, forgiata dall’odio che tinge la terra ormai da secoli. E purtroppo, lo credo anche io.’’- rispose il ragazzo, togliendosi l’elmo e mostrando un viso liscio, come se avesse appena compiuto la maggiore età. Il soldato invitò Elfriede e Arilyn a tornare nella masseria, mentre la Ninfea tornò al suo dovere ma prima salutò la sua dolce compagna baciandola dolcemente.
Quando rientrarono, la Curatrice Bianca le stava aspettando ancora sveglia, e i suoi occhi tradivano tutta la stanchezza e il sonno vietato dal lungo dialogare. Non appena vide le due giovani donne e la sentinella sulla porta, si sentì rasserenata:

‘’Per fortuna siete ancora vive. Il mio animo era irrequieto e preoccupato per la vostra incolumità questa notte. Fate colazione e ripulitevi, a mezzodì ti condurremo dal Concilio. Ora vogliate scusarmi ma devo…devo riposare…’’- disse sbadigliando, mentre si dirigeva nella sua stanza. Le due ragazze fecero colazione e si ripulirono, ma il viso della giovane Elfriede tradiva un sentimento di preoccupazione, così come per la sentinella e per la sua amata Atlantia; restò a fissare il vuoto per un breve lasso di tempo, prima che Arilyn potesse farla rinsavire.

‘’Elfriede, tutto bene?’’

‘’Io? Oh, sì non temere. Dobbiamo cambiare la fasciatura, è nuovamente secca ed ingiallita…’’- rispose la ragazza, mentre un tenue rossore si dipingeva sulle sue guance.

‘’I tuoi occhi tradiscono il tuo corpo. Sei preoccupata per qualcosa, e non è l’avvenire dell’oscurità bensì altro.’’- replicò la Thandulircath, porgendo la mano fratturata ad Elfriede intenta a cospargere un unguento profumato e delle erbe sulle garze pulite. Elfriede deglutì rumorosamente, mentre posava con delicatezza le fasciature sulla mano e avvolgendole con cura. Una volta terminata la medicazione, la giovane domestica sospirò e guardo Arilyn negli occhi, meravigliandosi dello stesso colore che aveva.

‘’Sono preoccupata per come reagirà il Concilio in tua presenza. Sono passati ormai giorni da quando sei qui nel Broym Fleu e a loro non farà piacere sapere che abbiamo nascosto una sconosciuta e…’’- Elfriede venne interrotta dal leggero tocco della mano di Arilyn sulla spalla.

‘’Ho superato imprese peggiori di questa. Se dovessero scegliere di esiliarmi, sarà il mio destino e non mi opporrò.’’- rispose lei, sorridendo. Se in passato si sarebbe ribellata ad una qualunque scelta di un re, regina o alto nobiliare di venir esiliata per un qualcosa di ignoto, adesso che conosceva l’agire del Concilio delle Sette Sorelle non avrebbe opposto resistenza per rischiare la vita.

Le ore trascorrevano rapidamente, nel silenzio della masseria, tra odori di spezie profumate, fiori di campo e acquavite, mentre all’esterno le sentinelle si davano il cambio e trasportavano sulle carrucole scatole di rifornimenti, provviste e nuovi abiti per la tarda primavera. Quando un pettirosso si posò sulla cornice della finestra del soggiorno, il suo dolce cinguettio svegliò Imryll dal suo sonno. Si lavò e vestì in fretta e disse alle due ragazze di seguirla alle stalle:

‘’A piedi impiegheremo troppo tempo, quindi andremo a cavallo. Arilyn, tu viaggerai con Elfriede e tenete gli occhi fissi sul sentiero.’’- disse la donna, indossando una divisa dalle spalline di cuoio, un mantello a girandola e pantaloni comodi per la cavalcatura. Prima di uscire, tirò una corda per due volte e il suono di una campanella di richiamo si udì all’esterno, seguito dal nitrire di alcuni cavalli. All’esterno ad attenderle vi era uno stalliere in livrea azzurra che inchinò il capo in segno di reverenza alla Curatrice; i due cavalli erano dei possenti puro sangue, dal manto nero lucido e dalla lunga criniera, mentre gli arti anteriori e posteriori erano protetti da gambali a scaglie esagonali forgiate appositamente per loro, leggere e che permettevano di muoversi rapidamente su ogni tipo di sentiero. Una volta in groppa ai rispettivi cavalli, Imryll ordinò alle sentinelle di aprire il cancello e di sorvegliare ogni lato della masseria fino al suo rientro.

‘’Qualunque straniero che non abbia un nastro o una fascia rossa sul braccio sinistro, immobilizzatelo o usate la forza se necessaria.’’- disse la Curatrice Bianca a gran voce alle sue sentinelle.

‘’Sì, dama Imryll.’’- risposero in coro i soldati, assumendo una posa autoritaria. Mentre si apprestavano a raggiungere il centro del regno, Arilyn osservò come quelle guardie divennero subito minacciose, con le lance incrociate e gli scudi alzati, mentre dalle torri, come stelle, brillavano i dardi dei balestrieri.

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Capitolo 3
*** Echi del passato. ***


Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Arena del Torneo.

C’era gran fermento nel Regno dei Rovi Bianchi, le strade e i vicoli gremivano dei suoi cittadini intenti ad assistere all’imminente spettacolo e ad elogiare il campione indiscusso: Galeren. Nell’arena circolare, sulla sabbia bianca erano già pronti i migliori gladiatori pronti a scontrarsi con i prigionieri e chi sarebbe vissuto fino alla fine, avrebbe sfidato il Generale. Sugli spalti tutti lo acclamavano, mentre era seduto nella sua tribuna d’onore e attendeva solo l’arrivo della Regina:

‘’Il tuo comportamento di ieri sera è stato molto sgarbato, Malrin. Perché sei fuggita dal banchetto?’’- domandò l’uomo alla ragazza dai capelli corvini.

‘’Ero alquanto disgustata da ciò che consideravate puro, padre.’’- rispose la giovane, cercando di frenare un bagliore nero come la notte dalle sue mani, per evitare altri futili richiami. Il generale e re del popolo dei Rovi Bianchi chiamò un Liuthen del Ghiaccio e gli ordinò di usare il suo potere non appena i prigionieri fossero entrati in campo. L’uomo indossava una divisa nera e azzurra, con ricami argentei sul simbolo del suo potere mentre, al posto del comune cappuccio, indossava una maschera nera che gli consentiva di vedere perfettamente quello che aveva davanti:

‘’Perdoni la mia villania sire, ma gli esperti Liuthen come me, richiedono sempre un compenso per servigi di qualsiasi genere.’’- esordì con voce distorta dalla maschera, osservando con i suoi occhi rossi il Re seduto alla sua sinistra.

‘’Riceverai due lastre di titanite e cinquanta monete di platino per il tuo servizio.’’- rispose il generale, mentre alle sue spalle giunse un servo con le due lastre perfettamente protette e legate da un pezzo di seta in una mano e nell’altra un piccolo sacchetto con le monete scintillanti. L’esperto Liuthen annuì alla loro vista e iniziò a concentrarsi per creare un perfetto spettacolo innevato. Mentre tutti sorridevano, la ragazza restò sorpresa e amareggiata da quel compenso eccessivo per una singola persona. In quel momento sopraggiunse anche la Regina, con il suo abito cerimoniale color cremisi e una piccola corona argentata con centinaia di piccole gemme incastonate.

Tutti i prigionieri, una volta svegliati bruscamente dal battere incessante di uno dei soldati sul metallo, vennero disposti in file da tre persone, i più vecchi davanti e i giovani dietro. Darrien non sembrava minimamente stanco, solo desideroso di mettere fine ad un torneo inutile.

‘’Un torneo per decretare il più forte. Baggianate.’’- disse tra sé e sé, osservando tutti i partecipanti emaciati e che a malapena riuscivano a reggere uno scudo ammaccato.

‘’Taci prigioniero se non vuoi essere decapitato.’’- replicò acido uno dei soldati, puntandogli la lama di un’ascia alla gola. Tale superiorità gli si rivoltò contro quando Darrien afferrò il suo polso e, sfruttando il suo potere, riuscì ad ustionarlo facendogli perdere la presa sull’arma. Un montante violento lo mandò al tappeto, facendogli sputare qualche dente. Il ragazzo prese l’ascia e gettò via il ferro arrugginito che doveva servirgli per la battaglia.

‘’Mi tornerà utile.’’- disse, osservando il filo e lo stato dell’arma. L’impugnatura era di legno con del cuoio intrecciato per rendere la presa meno scivolosa.

Quando suonò un corno, i cancelli si aprirono: sole e neve accolsero gli sfidanti, e i Campioni agitavano le loro armi lucenti in preda alla frenesia di poter spargere sangue e brandelli di carne ovunque, coronarsi delle loro inutili interiora. Le loro armature sembravano molto resistenti e l’unica cosa che si poteva vedere sotto i pesanti elmi decorati erano i loro occhi folli.

‘’Ricorda ragazzo, vince chi usa l’astuzia al posto dei muscoli. Non importa se hanno sfruttato un Liuthen del ghiaccio per rendere il tutto più allettante, tu combatti e dimostra di essere realmente ciò che hai detto.’’- esordì l’anziano prigioniero, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Darrien annuì flebilmente, le parole gli morirono in gola. Una assordante tromba annunciò l’inizio del torneo: gladiatori e prigionieri si scontrarono con le loro spade e i loro scudi, alzando cumuli di neve che volteggiarono in piccoli mulinelli trasparenti. Il primo a cadere fu proprio l’anziano saggio, trafitto senza scrupoli nello sterno e scaraventato contro le pareti.

‘’Sei solo putrida carne da macello.’’- sibilò un gladiatore con indosso una corazza che proteggeva il suo vigoroso corpo, lasciando scoperte le gambe e parte dei fianchi. Quei punti scoperti permisero al ragazzo di effettuare un fatale contrattacco affondando la lama nel fianco e sventrandolo da parte a parte. Alcuni spettatori gioirono, altri furono sorpresi dalla sconfitta del gladiatore ma nulla impedì le grida di gioia per quello spettacolo immonde.

‘’Gli esseri umani sono solo mostri sotto mentite spoglie, Darrien…’’- ricordò le parole della Figlia della Luna mentre osservava come la follia avesse un corpo e una voce, maledicendo sé stesso per confermare la verità. Una freccia sfiorò il suo fianco, lacerando il tessuto e la pelle, mentre altre due finirono nella neve con un piccolo tintinnio. Uno dei lottatori, con indosso un elmo che sembrava la testa di un serpente, ricaricò la sua Avelyn e scoccò altri tre dardi verso il ragazzo che avanzava. Gettò via l’arma quando mancò nuovamente il bersaglio e afferrò da sotto il manto gelido un pesante tridente in bronzo con incisione sulle punte e sull’asta. I due lottatori diedero spettacolo delle loro abilità combattive, ma quando i rebbi della lancia riuscirono a incastrarsi tra la lama ricurva e il manico dell’ascia, il ragazzo non mollò la presa e cercò di farsi leva con tutte le sue forze. La rabbia, il disgusto e la delusione si impadronirono di lui, tingendo i suoi occhi di un nero così imperscrutabile da creare piccole venature sotto di essi che fecero abbassare la guardia al suo avversario. Riuscì a liberarsi da quella presa e con un mulinello riuscì a sgozzarlo; l’impatto fu così violento da staccargli la mandibola e farla volare dall’altro lato del campo.

‘’Chi è quel prigioniero?’’- domandò improvvisamente la Regina, percependo un qualcosa che sembrava esser rimasto sopito per anni dentro di lei, una sensazione familiare.

‘’Non lo so, ma è davvero bravo. Arciere, vieni qui!’’- disse Galeren, ordinando con un cenno della mano al soldato di avvicinarsi.

‘’Sì, mio sire?’’- chiese l’arciere, tenendo già pronto il suo arco lungo.

‘’Se quel prigioniero dovesse ucciderne un altro dei miei preziosi gladiatori, non esitare a colpirlo nel cuore.’’- impartì l’uomo, visibilmente preoccupato per la morte dei suoi uomini. Altri prigionieri venivano massacrati dalla furia dei reziari rimasti, che li trafiggevano e scaraventavano il loro cadavere contro le mura innevate. Uno di questi, con indosso una minacciosa lorica dorata e bordata di pelliccia rossa, indicò Darrien come prossimo obiettivo: colpì la testa piatta del martello d’armi con il palmo della mano, con fare minaccioso. D’un tratto il ragazzo ricordò di avere un pugnale da lancio nascosto sotto la divisa e, non appena vide il combattente avanzare a grandi falcate, sfoderò il pugnale. Chiuse gli occhi, concentrandosi solo sui rumori prodotti dall’avversario.

‘’Restare immobile non ti salverà da morte certa!’’- urlò il gladiatore, alzando il martello lucente pronto ad un fendente.
Darrien scagliò il pugnale dritto nella sua gola, affondando fino al tallone dell’arma. Rivoli cremisi rigarono il suo petto e la sua bocca, cadendo nella neve e creando dei piccoli fiumi rossi in una distesa di bianco. La corsa dell’avversario si arrestò a pochi centimetri da lui, cadendo sulle ginocchia. La morte aveva già posato il suo velo opaco sull’uomo che, come se non pesasse nulla, si accasciò nell’arena. Erano rimasti solo due gladiatori e cinque prigionieri che avevano osservato la scena senza
muovere un muscolo:

‘’Uccidilo.’’- disse Galeren all’arciere che scoccò rapido due dardi, senza esitare. Nuovamente l’oscurità serpeggiò dalle mani di Darrien e con un semplice movimento del braccio sprigionò un fascio d’energia che distrusse le due frecce. Il silenzio si impadronì di quel torneo fatto di massacro, sangue e privo di dignità, lasciando interdetti l’arciere e il Re dei Rovi Bianchi; quest’ultimò digrignò i denti in preda alla rabbia e ordinò ai suoi gladiatori di rientrare, mentre i prigionieri vennero liberati dalla loro condanna.

‘’Un prigioniero che riesce per la prima volta a sconfiggere tre dei miei cinque migliori gladiatori. Sono sorpreso, ma allo stesso tempo iracondo. Per evitare un’altra perdita, lotterai contro di me!’’- esordì a gran voce il Re Galeren, mentre scendeva a testa alta dalla scalinata della tribuna, estraendo due spade lucenti. Darrien studiò il suo avversario, coperto solo da spalliere e gambali d’oro, che gli offriva una spada dalla lama lunga e sottile. Non appena la sua mano si posò sull’elsa, il Re e generale dei Rovi Bianchi sferrò una ginocchiata contro di lui, ma Darrien fu rapido ad evitare il colpo e a contrattaccare colpendo il ventre dell’uomo. Del sangue macchiò la lama del ragazzo, provocando maggior ira in Galeren che reagì con diversi affondi e montanti, alzando cumoli di neve che gli fecero perdere di vista il giovane:

‘’Tu non sei un prigioniero qualunque, vero? La tua morte sarà dunque onorevole. Fatti vedere così che possa sventrarti come si fa con i vit…’’- si paralizzò improvvisamente per un lacerante dolore alla spalla, provando una sensazione di freddo e stupore mai provati prima. Quando la nube di cristalli bianchi si dissipò, notò il ragazzo fermo, impassibile, con la spada ben tesa e conficcata nella spalla che sanguinava:

‘’Parli troppo e agisci poco. Come pretendi di essere un generale?’’- domandò Darrien con freddezza, affondando la lama fino al medio, mentre il sangue sgorgava copioso dalla ferita. Stava per colpirlo sulla testa con l’ascia che brandiva nell’altra mano, finché una voce femminile cessò quello scontro:

‘’Fermo! Basta così! Troppo sangue è stato sparso oggi…non voglio vederne altro.’’

Il ragazzo alzò lo sguardo prima verso la donna che lo implorò di fermarsi, poi notò il suo bracciò bloccato da un fascio nero e blu scuro e, successivamente, osservò che un’altra donna si stava concentrando per tenerlo bloccato. Darrien si liberò facilmente da quella presa magica e gettò via l’ascia da combattimento ed estrasse anche la spada dal corpo di Galeren che tremava dal dolore.

‘’Tu…sei proprio tu. Sei vivo.’’- disse la donna, sorridendo incredula.

‘’Sì, madre.’’- rispose Darrien, gelido. La rabbia serpeggiò sul suo volto con linee scure come la pece, notando che lo stesso destino era piombato su quella ragazza dai capelli corvini. Tutti rimasero stupiti da quella rivelazione, soprattutto il Re e la figlia.

‘’Sei un folle a pensare che lei sia tua madre, ragazzo. Lei ha vissuto e regnato per anni in questo meraviglioso e puro luogo, non è così Calithilbes?’’- domandò Galeren, leggermente indebolito dalla ferita inferta dal suo avversario. La donna prima guardò il suo popolo, poi il Re e infine sua figlia che era ancora incredula nell’aver scoperto di aver un fratello.

‘’No, mio amato. Lui è realmente mio figlio.’’- rispose, sospirando. Tutti i presenti negli spalti bisbigliarono tra loro, dubbiosi sulla veridicità. Molti pensavano fosse tutto pianificato, mentre altri disapprovavano tale opinione. La donna ascoltando il brusio incessante, alzò la manica sinistra del suo abito cremisi, mostrando lunghe cicatrici che si ramificavano dal braccio fino a giungere al polso. Il ragazzo, senza dire nulla, percepì che avrebbe dovuto fare lo stesso: si tolse il guanto e alzò la manica sinistra mostrando le stesse cicatrici, leggermente più chiare ma che si estendevano fino al dorso della mano.

‘’Venti anni. Sono passati venti anni da quando hai deciso di abbandonarmi e perché? Perché non avevi il fegato di resistere a quell’inferno congelato. Il Re di Huvendal, Searlas, è stato l’unico a non volermi lasciare nella morsa della Regina di Ghiaccio e mi ha accudito, addestrato e considerato suo figlio. Ciò che non sei stata capace di fare e, per volere del destino, anche lei ha i miei stessi poteri. Sappi che non ti perdonerò mai per quello che hai fatto.’’- concluse il ragazzo avvicinandosi, tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi. Dei soldati in livrea argentea bloccarono la sua avanzata puntandogli delle lance acuminate per proteggere la regina.

‘’Fermi. Abbassate le vostre armi e conducete il vincitore del Torneo nel palazzo. Dite alle serve di preparargli un bagno caldo, degli abiti puliti e del cibo fresco. Dopodiché conducetelo nel mio alloggio. È un ordine soldati. Invece voi prigionieri siete liberi da questo massacro. Andate.’’- disse improvvisamente la ragazza dai poteri oscuri, anticipando i suoi genitori nel prendere una decisione. I soldati obbedirono e scortarono Darrien nel palazzo, mentre quei pochi prigionieri rimasti gioirono e abbandonarono la struttura, in completo silenzio. Non appena tutti lasciarono il complesso, Galeren esordì furibondo:

‘’Perché non mi hai mai detto di avere già un figlio? Io odio ogni genere di segreto, soprattutto quando si tratta di legami di sangue. Perché Calithilbes? Rispondi!’’

‘’Per proteggervi da una maledizione che continua a risiedere nella mia anima, ma ho fallito. Volevo solo dimenticare il passato…’’

‘’E dimenticare l’esistenza di un figlio? Voi la chiamate purezza, madre?’’- domandò Malrin, contrariata da tale affermazione.

‘’La purezza chiede sempre un sacrificio e, per mantenerla tale, ho sacrificato il mio passato. Era una fiamma sopita, ma rivederlo è stata la scintilla che ha fatto divampare quel falò flebile del mio animo. Un giorno comprenderai anche tu, quando sarai regina.’’- replicò la donna, alzando la testa fiera della sua risposta.

‘’Ma non è questo il giorno.’’- disse sua figlia, scuotendo la testa, amareggiata. Osservò le sue mani che brillavano fiocamente, la stessa luce oscura che emanava Darrien, la stessa maledizione. Lasciò i suoi genitori in quel deserto di neve e pietra, dirigendosi nel suo alloggio; Galeren si mise al fianco della sua amata e, nonostante la delusione che stava provando, le sorrise facendole comprendere che non l’avrebbe abbandonata.

‘’Non devi forzare te stesso. Avverto chiaramente ciò che provi e…’’

‘’Nonostante la delusione per avermi mentito sull’esistenza di un altro figlio, siamo pur sempre una famiglia che ha affrontato e affronterà altre peripezie. Il nostro regno si basa anche su questo.’’- la interruppe l’uomo, stringendo la mano nella sua e dandole un bacio sul dorso. Altri servitori giunsero nel luogo per rimuovere le carcasse sanguinolenti dei gladiatori e ripulire i resti dei prigionieri, mutilati e irriconoscibili per i colpi inferti.

Nell’immenso palazzo, Darrien osservava la sfarzosità delle mura, in pietra marmorea con intarsi in oro e madreperla, sculture così dettagliate da sembrare vive fatte di cristallo e argento, luminosi candelabri in ottone lucidato e un gigantesco lampadario a foggia di corona, con decorazioni floreali di giada. Quello che lo stupì maggiormente furono i servi che indossavano abiti di seta ben lavorata, di colori diversi ma tutto con uno stemma che identificava l’appartenenza al regno: una fascia bianca sul braccio. Rispetto al popolo che aveva un sigillo con la professione che esercitavano, i servi dovevano essere i soli a non averne. Dopo il bagno caldo, capelli pettinati e tagliati, il ragazzo trovò nell’alloggio della sorellastra nuovi indumenti: una camicia a girocollo di lino, un pantalone nero, stivali dal tacco in ferro, un mantello con cappuccio a girandola non troppo lungo da ostruire i movimenti, una coppia di bracciali di cuoio rinforzati e infine dei guanti neri comodi da sembrare una seconda pelle.

‘’Il bianco non mi dona, ma dovrò accontentarmi.’’- disse, osservandosi allo specchio. Aveva un aspetto riposato, ma gli occhi tradivano una profonda tristezza e rabbia malinconica. Andò a sedersi sul letto al centro della stanza, attendendo l’arrivo della ragazza.

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Concilio delle Sette Sorelle. Mezzodì.

Il sole del mezzodì splendeva alto nell’azzurro firmamento, riflettendo i suoi caldi raggi sulle finestre delle taverne, delle ville e sui rosoni dalle vetrate colorate delle chiese del regno. I bambini giocavano a rincorrersi tra le strade trafficate, serpeggiando tra i commercianti intenti a vendere i loro ortaggi o strumenti da lavoro. Più avanti un fabbro dava dimostrazione delle sue doti creative, forgiando armi dalle forme complesse, scudi simili a cortecce d’alberi oppure giavellotti dalla punta retrattile:

‘’E questo è solo una parte dei miei progetti, cari cittadini.’’- disse a gran voce, mentre immergeva altro ferro bollente nell’acqua che sfrigolò rumorosamente.

La città brulicava di vita e di armonia, in lontananza dei menestrelli cantavano le loro avventure e gesta eroiche in paesi o villaggi più piccoli, intrattenendo adulti e bambini. Arilyn restò ad osservare meravigliata di come nessuno fosse preoccupato dell’imminente oscurità che avrebbe fatto cadere le sue scure sulle loro schiene. Quel pensiero negativo svanì quando la cavalcata si interruppe improvvisamente:

‘’Siamo arrivate. Quello è il Concilio.’’- esordì Imryll, osservando il gigantesco palazzo, sorvegliato assiduamente da soldati con corazze molto diverse da quelle della masseria, in groppa a dei favolosi e terrificanti destrieri. Le guardie riconobbero la Curatrice Bianca e una di loro si parò davanti, chiedendo:

‘’Sono leggero come una piuma e posso essere forte, breve o profondo. Porto la vita, ma nessuno può tenermi a lungo. Cosa sono?’’

‘’Il respiro.’’- rispose la Curatrice Bianca, sicura e con gli occhi fissi sulla sentinella a cavallo. Un cenno del capo fu l’esito positivo dell’indovinello e a precederle fu lo stesso soldato che le condusse fino all’ingresso. Il Concilio aveva la forma del fiore di rovo, ovvero cinque petali dipinti di rosso che terminavano in sezioni tondeggianti, al centro di essi vi era una cupola di vetro trasparente che brillava alla luce del sole sembrando quasi una gemma incastonata da qualche divinità.

‘’Vi chiedo di lasciare i cavalli al nostro scudiero Midone, lui si occuperà di tenerli nelle stalle su retro.’’- disse il soldato, smontando dal suo stallone e porgendo le redini ad un giovane dai capelli neri con indosso un’armatura leggera e un caftano violaceo, lo stesso che indossavano le Sette Sorelle. Uno dei servitori all’ingresso aprì il portone e lasciò che vi entrassero: Arilyn notò che il servitore e il soldato la osservavano sospettosi della sua provenienza e dell’assenza della fascia rossa sul braccio. I loro passi risuonavano nel grande corridoio decorato da quadri e candelabri di rame, mentre in lontananza si sentivano delle voci femminili discutere in modo concitato. Più si avvicinavano, più le voci diventavano cristalline:

‘’Legionario Dewdrop, sa perché è di nuovo qui?’’- domandò la Sorella Maggiore, in piedi sulla pedana di marmo, mentre tutte le altre erano sedute, con le mani incrociate e con il loro sguardi gelidi verso il soldato.

‘’No, Signore.’’- rispose con voce cavernosa da dentro l’elmo fatto di fitti rovi rossi. Quando Daernith notò l’avvicinarsi di Imryll ed Elfriede con un’altra ragazza, sbarrò gli occhi per la sorpresa. Il cavaliere volse lo sguardo verso le tre donne che erano alla sua sinistra: varie furono le sensazioni che provò in quel momento, dato che l’intera armatura sembrò prendere vita e le spine arcuate brillare e inspessirsi maggiormente. Hallothel, la seconda sorella che sedeva alla sinistra della Maggiore, con un cenno della mano congedò il soldato, ancora innervosito dalla presenza delle tre donne.

‘’Ordunque, abbiamo l’onore di conoscere l’ospite del nostro regno. Avvicinati, per favore.’’- esordì nuovamente la Sorella Maggiore, riprendendo il controllo di sé stessa e invitando con un sorriso Arilyn ad avanzare. Non appena lo fece, Daernith scese dalla pedana e raggiunse la ragazza. Aprì le mani e le poggiò sulle tempie della giovane Thandulicath:

‘’Non sentirai dolore, giovane ospite. Ora chiudi gli occhi.’’- disse la donna tranquillizzandola per poi concentrarsi. Arilyn obbedì: sentì diverse sensazioni come sicurezza, calore e protezione. Ci fu un lampo improvviso di luce bianca che invase la sala dei troni, lasciando sconcertate le altre Sei Sorelle; potevano percepire l’immensa forza che scaturiva dalla ragazza, il suo passato, ogni suo dolore, delusione e rammarico. Pochi secondi dopo il fulgore svanì e Daernith arretrò di pochi passi, tenendosi una mano sul cuore.

‘’Per l’amor della Fiamma d’Ambra. Il tuo è un passato burrascoso e la tua anima, nonostante sia forte, è in perenne agonia per la perdita di persone a te care. Sei stata in grado di sconfiggere due fratelli che assediavano il tuo regno di provenienza. La Regina Tyrahieh e…il Re della Prima Fiamma Gallart.’’- disse, cercando di tranquillizzarsi dopo aver visto il suo passato. Non appena furono nominati i due tiranni, le Sorelle rimasero nuovamente incredule:

‘’Cosa? Lei è stata in grado di sconfiggerli?’’- domandò Mylgred alzandosi. Sua Sorella Erthaor la fermò con un cenno della mano e decise di avvicinarsi. In silenzio prese le mani di Arilyn, le strinse nelle sue e sorrise, avvolgendole in un flebile bagliore dorato:

‘’Io sono Erthaor, la quinta sorella, unificatrice degli animi. Il tuo è un cuore puro giovane Araldo della Luce, nessun oscuro segreto ha tinto la tua anima e, pertanto, il Concilio accetta di averti nel regno dei Rovi Rossi. Benvenuta.’’- disse con armonia. Batté le mani un paio di volte e dall’oscurità comparve il messaggero del Concilio, sorpreso dalla presenza delle donne.

‘’Morkai, fidato messaggero, per cortesia porta alla nostra giovane Arilyn degli abiti puliti, la spilla del regno e comunica al fabbro della città di forgiarle una spada, ma sarà lei a scegliere come. E, in più, dobbiamo donarle un aspetto più curato e vigoroso.’’- furono le parole della donna, lasciando interdetta Hallothel e Mylgred: dopo un lungo silenzio, sentirono nuovamente la voce della loro sorella. La giovane Thandulircath arrossì per l’imbarazzo, ma aveva ragione il suo aspetto era trasandato. Il messaggero anticipò la richiesta e, da dietro una colonna della sala dei troni, trascinò un baule di legno meticolosamente curato e pulito:

‘’Mi sono permesso di anticipare la Vostra richiesta, come ho sempre fatto. Non bisogna far attendere oltre un nuovo ospite o meglio, membro del regno dei Rovi. All’interno di questo baule troverà abiti cuciti con maestria, la spilla e una pergamena con i nomi del fabbro, della zaros e dei culiars. Vogliate scusarmi adesso, ma devo andare ad informarli di questo piacevole evento.’’- disse il ragazzo con un mezzo sorriso, nonostante i suoi occhi esprimessero freddezza. Privo di emozioni.
Lo scudiero che si occupava dei cavalli venne chiamato dalle Sette Sorelle che gli ordinarono di procurarsi un mulo da trasporto e legarlo alla sella del cavallo della Curatrice Bianca e accompagnarle nel viaggio di ritorno; Imryll volse lo sguardo alle sue spalle, notando nella penombra ancora il generale in armatura, percependo la delusione in quest’ultimo e l’armatura che brillava flebilmente.

‘’Prima che tu vada, vorremmo sapere il tuo nome.’’- disse Hallothel, rimasta in silenzio per troppo tempo.

‘’Arilyn Saavick, ultima dei Thandulircath. Vi ringrazio per avermi accettato nel vostro regno.’’- rispose inchinandosi e sorrise.

‘’Perfetto. Puoi andare adesso, giovane Thandulircath. A presto.’’- replicarono le sorelle all’unisono, salutando la ragazza con un cenno del capo. Non appena furono all’esterno, ad attenderle c’era lo scudiero che stringeva bene le redini del mulo per evitare scatti bruschi. Quando tutto fu pronto, salirono in sella ai cavalli e ripresero il cammino di rientro, lasciandosi alle spalle il Concilio; per un breve attimo le sembrò di vedere qualcuno vestito di nero, immobile tra la folla intento ad osservarla andare via. I suoi occhi, rossi come il fuoco, la scrutarono fin dentro l’anima come alla ricerca di debolezze e paure e il sorriso di pura perfidia lo rendevano un tetro spettro tra i cittadini. Scomparve in un battito di ciglia, come se fosse solo una allucinazione provocata dal turbinare di pensieri che la affliggevano continuamente. Il viaggio di ritorno fu sereno, nessun sciacallo in agguato o belve fameliche pronte a sbranarli: il loro cammino fu solo interrotto dal passaggio di una famiglia lupi dal pelo argentato e occhi ambrati, così lucenti da sembrare gemme preziose incastonate in statue viventi. Superato il fitto sentiero di betulle, licheni e abeti, si intravedevano le torri della masseria, con i loro tetti spioventi e il movimento frenetico delle carrucole di trasporto: il sole era più basso ma ancora splendente, illuminando nuvole grigiastre e riflettendosi sulle pietre levigate della struttura e sulle corazze dei soldati intenti a dare il cambio ai loro compagni. Delle urla attirarono l’attenzione delle donne e dello scudiero che si voltarono per comprenderne la provenienza; un cespuglio di lantana camara si aprì in due per la violenta comparsa di due ragazzini e un soldato che li inseguiva. Quando i due giovani fuggitivi notarono il piccolo gruppo a cavallo, si paralizzarono e vennero bloccati dal soldato:

‘’Riconsegnate la refurtiva e non vi punirò.’’- disse l’uomo boccheggiando. I due pargoli avevano una carnagione pallida tendente al blu, mentre i loro occhi erano castani e i capelli neri. Tra le mani sporche di terra stringevano delle more, mirtilli e qualche mela. Un’altra voce si udì dalla radura, una voce che nessuno conosceva:

‘’Vogliate perdonarmi, i miei nipoti sanno essere pestiferi. Scusatevi subito.’’- disse un uomo dalla stessa carnagione bluastra mentre si faceva strada tra piccoli arbusti; stessa carnagione bluastra, ma occhi bianchi e capelli rossi, legati in una lunga treccia. Il fisico, seppur asciutto, era temprato dagli anni e le cicatrici che aveva sulle braccia lo dimostravano: forza e vigore concentrate in un solo uomo. I piccoli bambini compresero di aver sbagliato e mormorarono delle scuse, imbarazzati. Quando Arilyn lo vide, riconobbe la pettinatura ed esordì con voce carica di stupore:

‘’Faolan? Faolan dei Silenti?’’
L’uomo si voltò, anch’egli sorpreso che quella ragazza lo conoscesse, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, Faolan replicò con felicità:

‘’Arilyn? Arilyn di Huvendal? Che bello rivederti, sono passati anni dal Grande Inverno! Qual buon vento ti porta nel Broym Fleu?’’- chiese lui avvicinandosi alla ragazza.
‘’Mi sono svegliata su una zattera quasi una settimana fa. Non ho memoria di come ci sono arrivata o di quello che è successo prima di giungervi. Ricordo, però, di una crudele battaglia contro Gallart e il suo esercito di Guardiani. E…a causa sua ho perso mio padre. Il secondo esercito della Fiamma ha varcato i confini del nostro regno causando ingenti perdite. Ryre ci ha tradito ma ha ricevuto la giusta condanna.’’- rispose con amarezza la ragazza, distogliendo lo sguardo e abbandonandosi ad un ricordo ormai lontano. Faolan posò la sua mano sul braccio di Arilyn e disse, con fermezza:

‘’È il destino a scegliere le sorti di ognuno di noi. Ricordati che tuo padre è stato un valoroso stratega e combattente di Huvendal e ha sacrificato la sua vita per proteggerti. Il suo spirito alberga ancora in te e non ti abbandonerà. Voglio donarti questa piccola moneta.’’- afferrò la moneta da una piccola sacca che teneva legata sul fianco e la porse alla ragazza:

‘’Quando un ricordo amaro o una sensazione di sconforto ci affligge, noi Silenti la stringiamo tra le dita intonando una lieve preghiera o incoraggiamento per ritrovare serenità. Adesso vi lasciamo tornare alla vostra residenza, buona fortuna per il tuo rientro.’’- e così facendo, Faolan si allontanò con i suoi nipoti al seguito. Una volta rientrate nella masseria e posato il baule all’interno, Midone se ne andò salutando con un inchino le tre donne, lasciandole da sole; prima di aprirlo però Imryll chiese alla giovane Thandulircath come conoscesse il Silente e non temesse che il suo popolo potesse punirla con la morte:

‘’Più di due anni fa il nostro popolo era un alleato dei Silenti, ma decisero di non combattere perché la Regina del Ghiaccio non era un potenziale nemico per la pace del loro regno. Però scelsero di aiutarci infondendo con la loro magia il nostro arsenale e quello del nuovo alleato, i Custodi delle Stelle. Non ricorrono alla pena di morte se parli per primo, è stata una decisione presa durante il Festival delle Rose ad Huvendal, non sono più rigidi come allora.’’

‘’Affascinante.’’- fu l’unica risposta che poté dare la Curatrice Bianca, recuperando una chiave per il baule ancora sigillato. Quando lo aprì, il lucchetto cadde sul pavimento con un tonfo sonoro e un gradevole odore di primula rossa provenne dall’interno di quel legno scuro, rivelando il contenuto: una camicia rossa damascata con chiusura sulla scollatura, corpetto di cuoio nero, pantaloni di tela e stivali lunghi. Sul fondo del baule giacevano la spilla dei Rovi Rossi, la pergamena con i nomi delle persone che avrebbe incontrato l’indomani e una piccola effige rotonda, raffigurante sempre il sigillo del regno. Arilyn, dopo aver poggiato i nuovi indumenti nella sua camera, tornò indietro per leggere i nomi sul foglio e fu sorpresa di notare che il fabbro aveva un cognome familiare:

‘’Oghan Ethwen?!’’

‘’Sì, è l’unico fabbro di tutto il regno dei Rovi. Lo conosci?’’- domandò la Curatrice Bianca, mentre trasportava il baule ormai vuoto nella cucina per poterlo utilizzare nuovamente.

‘’Sì, almeno credo.’’- rispose Arilyn, continuando ad osservare la pergamena con le indicazioni per raggiungere la zaros dopo aver visitato il fabbro del paese. Riprese il suo allenamento e, seppur interrotto per questioni di vitale importanza, la giovane Thandulircath volle rispettare l’impegno preso. Nessuna staccionata o albero vennero distrutti questa volta, ed Elfriede fu felice di questo progresso, notando però che Arilyn faticava ancora a non lasciarsi condizionare dai ricordi tendendo ad aumentare l’intensità dei colpi quando non serviva.
Quando terminarono, il sole era ormai dormiente dietro le montagne e, per recuperare le energie, si distesero nell’erba ad osservare le stelle. Il rumore metallico delle carrucole che venivano bloccate sulle torri, sancivano il riposo delle sentinelle e il crepitare di fiaccole era una piacevole melodia.

‘’Elfriede…’’- disse Arilyn, osservando ancora la luna, come se cercasse le esatte parole da dire con il suo aiuto.

‘’Sì? Dimmi Arilyn.’’

‘’Come era la tua vita prima di questa? Intendo prima di lavorare per una nobile donna come Imryll.’’

Quella domanda così innocente meravigliò la donna, lasciandola per un po’ in silenzio. Stava per scusarsi dell’insolenza per averle chiesto come fosse il suo passato, ma quando Elfriede si schiarì la voce e raccontò, con un sorriso malinconico sul volto, la sua vita:

‘’Provengo da una famiglia nobile di un lontano regno dell’ovest. Fin dall’età di otto anni mi hanno insegnato le arti dell’eccellente domestica, una sciocca ed inumana guida scritta da un folle. Ogni regola andava eseguita alla lettera, altrimenti venivi punita per la tua insolenza. Raggiunta la maggior età potevi scegliere se andare via oppure lavorare in uno dei piccoli palazzi degli aristocratici, ma decisi di fuggire perché la tua innocenza ti veniva strappata e dovevi sottostare ad ogni tipo di desiderio, anche quelli della carne…’’- si interruppe brevemente, stringendo le mani attorno in lembo della camicia, un senso di disgusto e rabbia si dipinse sul suo volto.

‘’Perdonami per aver riaperto una ferita del tuo passato. La mia curiosità ha portato a tramutare la tua calma in dolore.’’- disse Arilyn, cercando il suo sguardo.

‘’No Arilyn, è una curiosità giustificata. Non ti ho mai raccontato della mia vita, mentre tu lo hai fatto e non mi sembrava cortese nascondermi. Ora torniamo dentro, dato che le notti in questo luogo stanno diventando sempre più fredde.’’- replicò Elfriede, alzandosi e sgranchendosi le gambe. Prima di entrare nella masseria, si voltò sorridendole nuovamente:

‘’Non nego che mi manca il mio regno, ma qui sono me stessa. Non mi preoccupo di nulla, la Curatrice Bianca mi concede tutto, anche di vedere la mia amata Atlantia.’’
In quel momento la porta si aprì e Imryll attese che le due donne rientrassero, mentre una piacevole fragranza si espanse nel salone: sulla tavola erano già pronti due piatti di stufato di coniglio con patate, erba cipollina e pepe, pane raffermo e dell’idromele. La Curatrice Bianca invitò Arilyn ed Elfriede di concedersi un bagno caldo e riacquistare le forze grazie alla cena preparata. Quel gesto inaspettato fu apprezzato, ma Elfriede chiese il motivo:

‘’Perché mia Signora?’’

‘’Perché, per una volta, volevo ringraziarti per gli enormi sforzi che hai fatto per me e per questa masseria. Domani sei libera da ogni mansione.’’- rispose la donna, scostando dal viso della ragazza piccoli trucioli di terra. La giovane sorrise e la ringraziò infinitamente per quel gesto di cortesia. Dopo essersi lavate e indossato abiti puliti, le tre donne cenarono insieme e come se fossero amiche di lunga data, si raccontarono leggende dei propri regni o eventi unici accaduti anni e anni fa. Arilyn sorrideva nell’ascoltare quelle storie e, dopo molto tempo, si sentiva quasi a casa nonostante alcuni momenti malinconici o che la sua mente giocava con ricordi terrificanti.
I raggi della luna argentata vennero proiettati lungo le pareti delle stanze, donando l’aspetto di un mondo etereo e ultraterreno. La giovane Thandulircath continuava ad osservare la foresta illuminata a tratti dalle lucciole, mentre sfiorava la mano fasciata. Le continue fasciature con le erbe medicinali e unguenti stavano facendo effetto, nonostante i movimenti le fossero difficili e alquanto dolorosi:

‘’La tua mano guarirà in fretta Arilyn, non temere. Devi fare movimenti lenti e costanti, unito all’allenamento quotidiano tornerai a brandire qualsiasi arma. Adesso riposiamoci, è stata una lunga giornata.’’- disse nel dormiveglia Elfriede, sorridendo. Forse stava sognando ad occhi aperti, forse sognava la sua amata Atlantia. Arilyn annuì leggermente e, anche lei finalmente, poté posare il capo sul cuscino e lasciare che tutta la stanchezza accumulata scorresse via. Il dio del sonno non si fece attendere e condusse in un piacevole sonno ristoratore la ragazza.

Il letto era scomparso e si ritrovò distesa in un campo di orchidee variopinte, circondata dal verde smeraldo della flora. Il cielo era di un azzurro quasi accecante, ma la faceva sentire libera da qualsiasi tormento. Qualsiasi pericolo. Si mise a sedere, osservando la radura che vibrava di vita propria. Una folata di vento leggermente freddo sorprese Arilyn con centinaia di petali danzanti che assunsero una tonalità arancione brillante.

‘’Mi dispiace interrompere la tua idilliaca pace, ma volevo rendere lo spettacolo ardente.’’- disse una voce che raggelò la ragazza. Si allontanò rapidamente di qualche passo, mentre un terrificante e famelico fuoco iniziò a divorare tutto ciò che toccava, rendendo gli alberi degli scheletri deformi e oscurando il cielo di impenetrabile fumo. Un uomo dalla lunga chioma bianca, protetto da una corazza che sembrava anch’essa viva, era lì fermo ad osservare compiaciuto il suo operato: piccole e splendenti lingue di fuoco danzavano dalle punte acuminate della corazza, mentre un perfido ghigno si formò sul suo volto:

‘’Che meraviglia! Un quadro che esprime terrore e devastazione scaturito da un elemento così forte. Così puro. Ma tu lo temi Arilyn, non è così?’’- domandò l’uomo, volgendo il proprio sguardo tetro verso la ragazza. Le fiamme erano alte, come una impenetrabile muraglia che si stagliavano al cielo terso; solo un piccolo pezzo di terra fiorita non era stata divorata, continuando a splendere di luce propria.

‘’Gallart? Come…Tu dovresti essere morto. Perché sei qui?’’- domandò lei, preparandosi ad attaccare con il suo potere. Il defunto Re del Fuoco era lì, che sorrideva beffandosi della paura della ragazza e disse:

‘’Il dio del sonno apre infiniti portali per visitare luoghi e persone. E io volevo vedere come stavi.’’


 
§

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Capitolo 4
*** Rimpianti e Decisioni. ***


Quando la Fiamma d’Ambra, per governare un vasto e rigoglioso regno, si divise in due frammenti di sé il terzo frammento trovò spazio in un fitto sottobosco dove il sole difficilmente poteva giungere. La terra umida, gli alberi pietrificati e l’inedia degli animali che si sbranavano l’un l’altro per placare quell’insaziabile vuoto la terrorizzarono. Cercò rifugio in un albero cavo ricoperto da edera rampicante e migliaia di insetti, e da quel suo piccolo riparo fece germogliare rovi oscuri, dalle spine acuminate e ricurve che andarono a conficcarsi nelle carni della selvaggina, strappandole e sventrando ogni impurità. Da quelle pozze di sangue nacque un nuovo popolo, dalla carnagione pallida e dal cuore colmo d’ira. La Fiamma d’Ambra si fuse con l’albero cavo, diventando una crisalide vivente che trascinò il suo rifugio sottoterra.
Il popolo forgiato dal sangue, dall’inedia, dall’odio e dalla violenza di quella terra prese il nome di Rovi Neri. I pallidi raggi del sole illuminava flebilmente la loro pelle, rendendoli simili a spiriti vaganti pronti ad assassinare ignari viaggiatori. Gli alberi pietrificati vennero plasmati per formare templi e palazzi adornati dal sangue rappreso e da ossa fuse tra loro; un granguignolesco spettacolo.
Con il passare dei secoli, quel frammento si convinse di non avere più una forma corporea ma composta da pure e dense ombre che si annidano in ogni anfratto e, soprattutto, nell’animo. I Rovi Neri riuscirono a sottomettere alla loro cupidigia i piccoli villaggi confinanti, dilaniando e cibandosi delle carni di sovrani, regine e pargoli in fasce. Quattro sovrani furono artefici di tali massacri. Il Re delle Spine e i suoi tre figli i Principi Gemelli: Heinios Phero, Terbius Necrom e Ignea Artia.
Il primo genito, Heinios, nacque dalla morte e dall’oscurità che si scagliò sui villaggi delle povere anime ormai destinate ad essere maledette. I suoi occhi, rossi come quelli di un demone abissale, celano desideri raccapriccianti di tormenti e sadismo.
Il secondo genito, Terbius, nacque dallo sprigionarsi dell’aura magica della Fiamma d’Ambra e dalla terra umida e muschiata. La pelle, nera come l’ossidiana, è sinonimo di eleganza e allo stesso tempo sofferenza, come il dolore che la sua terra pativa.
La terza genita, Ignea, nacque dall’unione del sangue dei popoli annientati e dell’essenza della Fiamma d’Ambra. I suoi occhi trapelavano una irrefrenabile impulso di ferire e mutilare corpi, solo per vedere quella linfa scarlatta sgorgare copiosamente dai colpi inferti per poi annientarli gettandoli in calderone di pece ed ambra fuse.
Le Antiche Dee della Foresta notarono come l’equilibrio naturale stesse lentamente svanendo, lasciando solo una scia di alberi putrefatti, carcasse nauseabondi, testimonianza che qualcuno o qualcosa stesse per annientare per sempre la loro esistenza. Incapaci di trovare una soluzione, chiesero aiuto alla Dea del Cosmo per evitare il propagarsi di tale sciagura.
La Dea ascoltò la loro richiesta, ma i suoi poteri non erano sufficienti per debellare quella piaga.
Fu in quel momento che chiese aiuto ad una forza superiore, che racchiudeva l’essenza stessa degli Universi e dalla quale nacquero. Una forza che venne esiliata dalla stessa Dea del Cosmo per la sua natura instabile, nonostante anche lei fosse nata da quell’immensa forza.
Risiedeva negli angoli remoti del Cosmo, dove solo Lei poteva brillare di una luce incandescente e allo stesso tempo essere invisibile.
Mearis, la Creatrice era lì.
Apocrifi del Recluso; Epoca delle Cinque Fiamme.


Broym Fleu. Masseria della Curatrice Bianca. Tarda primavera.
Gallart era immobile, con il solito ghigno gelido dipinto sul volto e con la mano tesa verso la giovane Thandulircath, invitandola ad avanzare. Era ancora nel suo mondo dei sogni, da sola e d’innanzi ad un temibile Re sconfitto. Arilyn mosse la mano sul suo fianco ma si rese conto di non avere alcuna arma con cui attaccare:

‘’Siamo in un mondo irreale, qui le armi o i poteri non sono efficaci come nella realtà, tranne per me. Sono amareggiato.’’- esordì l’uomo, schernendo la ragazza con una risata mal celata. Non avendo altra scelta, la Thandulircath avanzò tenendo la guardia alta, pronta a reagire se necessario; osservava amareggiata come quell’idilliaco spettacolo si stesse tramutando in un atroce incubo. Il fuoco si muoveva lento, come se stesse ricambiando il suo sguardo insistente. Quando giunse in quella minuscola zolla di terra fiorita, l’uomo con un gesto della mano affievolì il muro di fuoco dietro di sé.

‘’Perché sei qui Gallart? Che cosa vuoi?’’- domandò Arilyn bruscamente. L’uomo sorrise, non sorpreso da quella domanda così prevedibile.
‘’Conosco bene quello sguardo, giovane Thandulircath. Mi disprezzi per aver ottenuto il vero potere.’’

‘’Hai ucciso Narwain, una bambina di soli dieci anni.’’- rispose la ragazza, afferrandogli il colletto della camicia e strattonandolo. Non voleva che la rabbia prendesse il sopravvento e lasciò andare l’uomo, che sorrideva nuovamente.

‘’Attingere ad un potere che può sottomettere interi regni richiede sacrifici. E la Madre del Globo era la vittima prescelta. Il tuo potere è innato ma per renderlo così forte, così puro e devastante, non hai sacrificato giorni della tua vita? Non hai messo da parte momenti di gioia mondana per essere ciò che sei adesso? Eppure, continui a nasconderti.’’- replicò Gallart, mutando espressione. Sembrava essere preoccupato, ma un Re come lui poteva nascondere migliaia di insidie dietro un solo volto.

‘’Io non mi nascondo. Non voglio perdere il controllo sulle mie emozioni e reagire inconsciamente.’’- disse la ragazza, massaggiandosi lievemente la mano fratturata. Gallart sorrise nuovamente ascoltando quelle parole. Si passò una mano tra i lunghi capelli argentei e scosse la testa:

‘’La tua è solo un’arma a doppio taglio. E la vostra umanità è così inane che mi chiedo perché gli Dei vi abbiano creato. Ma, tralasciando questa mera curiosità, volevi comprendere la mia presenza in questa tua visione onirica? Sono a conoscenza dell’imminente oscurità che sta per abbattersi sul regno che ti ospita e che dovrai lottare e impegnarti duramente se vorrai vivere. Lottare contro la mia sorellastra e me erano solo infantili minuzie. Il vero scontro avrà luogo presto.’’

Arilyn restò confusa da quelle parole, non comprendendo il perché Gallart avesse premura nel metterla in guardia. Osservava quel suo sorriso di pura perfidia e temeva fosse impazzito. Quando i loro sguardi si incrociarono nuovamente, il Re della Prima Fiamma disse improvvisamente:

‘’Se credi che io sia impazzito, nonostante in forma di un banale spettro, non conosci cos’è la vera Follia. Per il momento. Oh, è quasi l’alba e a breve abbandonerai questo regno di soave tranquillità.’’

‘’Come…Come hai fatto?’’- chiese la ragazza, incredula. Come se i suoi pensieri fossero visibili agli occhi di Gallart. Un manoscritto di eteree parole viventi in un mondo onirico.

‘’Sono un Re della Prima Fiamma Arcana, essenza indomabile, elegante e famelica generatasi millenni orsono. Posso fare tutto ciò che desidero, anche controllare un sogno. Adesso, Arilyn dei Thandulircath, dobbiamo salutarci. Ma ci rivedremo presto.’’

Un devastante fragore distrasse la ragazza che si pietrificò nel vedere quel muro di lingue incandescenti prender nuovamente vita e avanzare. Gallart scomparve in una nube di cenere e contemporaneamente il rogo vorace accolse nel suo incandescente abbraccio la ragazza, che percepì la stessa sensazione di una belva nascosta nel fuoco. La terra sotto i suoi piedi sprofondò, inghiottendola in un baratro oscuro.

Sì svegliò con il fiato corto e il sudore che le rigava le tempie e il collo, un calore intenso sul petto la tormentava costringendola a togliersi le coperte. Chiuse gli occhi e respirò lentamente per calmare la sua anima tormentata da quell’incubo indesiderato, cercando di dimenticare ogni particolare e soprattutto Gallart. Dalla finestra filtravano i raggi del nuovo giorno, sfumando dall’arancio al rosa pallido fino al rosso. Una luce bluastra si manifestò senza preavviso, illuminandole le mani e successivamente il petto:

‘’Avverto la tua sofferenza, cara Arilyn. Il passato ti sta consumando lentamente, i tuoi ricordi ti stanno trascinando negli abissi e punisci te stessa per non aver salvato Narwain. Sono le Stelle a decidere.’’

‘’Perché Dea del Cosmo? Perché devo soffrire in questo modo?’’- chiese, riconoscendo la voce soave della Creatura Celeste. Il fulgore vibrò impercettibilmente per poi espandersi fino ad assumere una forma corporea ma quasi eterea. Le mani della Dea strinsero quelle della ragazza e un sorriso mesto si dipinse sul suo viso per poi esordire nuovamente:

‘’Mi duole ammetterlo, ma Gallart ha ragione. Bisogna fare sacrifici per poter ottenere un qualcosa. Sono stata io a mandarti in questo luogo per fare in modo che riuscissi a ritrovare l’equilibrio delle tue emozioni ma non sta andando come speravo. Perdonami se ti ho abbandonato figlia mia...’’

La giovane Thandulircath si stupì dinanzi a quell’innaturale tristezza della Creatura Celeste, ricordandosi del loro primo incontro due anni fa ad Huvendal: sorrideva ed era tranquilla nonostante le avversità che affliggevano il regno. Questa volta, però, percepiva la Dea più umana che un essere di pura energia. Comprese che quel gesto era stato fatto a fin di bene e non per altri motivi. Stava per rispondere quando un n formicolio fastidioso si propagò sulla mano della ragazza, interrompendola. Piccoli sfavillii danzavano frenetici sulla mano ferita, causandole prurito e bruciore.

‘’Dea del Cosmo, perdonatemi se ho covato rancore dentro di me. La perdita…di mio padre e il desiderio ardente di voler sconfiggere Gallart hanno offuscato il mio cuore.’’- poté finalmente rispondere, massaggiandosi la mano; provava ancora lievi fitte di dolore quando la toccava ma poteva muoverla. L’Essere Celeste le carezzò il viso proprio come se fosse realmente sua figlia e Arilyn, sorpresa da quel comportamento le chiese:

‘’Cosa avete Dea del Cosmo? Il vostro comportamento è quasi umano, non etereo…’’- chiuse gli occhi, percependo una piacevole sensazione di conforto che non provava da molto tempo. Eshreal abbassò il cappuccio che le copriva gli occhi e la testa, rivelando lunghi capelli argentei e occhi cerulei.

‘’Io ho a cuore ogni essere vivente in questo mondo, soprattutto ho a cuore te Arilyn. Avverto ancora sentimenti contrastanti e ricordi così…dolorosi che mi straziano. Vorrei solo che tu tornassi a due anni fa, con il tuo sorriso e la stessa energia dirompente che avevi dentro. Per questo il mio comportamento è simile ad una madre che ad una creatura celeste.’’- rispose Eshreal, cingendo teneramente la testa della ragazza e portandola al suo petto. Una lacrima scivolò lentamente dalla guancia della Thandulircath mentre la Dea continuava a tenerla stretta a sé fino a quando il sole illuminò tutta la stanza.

‘’Adesso devo lasciarti al tuo dovere, Arilyn. Io veglierò su di te con l’aiuto delle Stelle. A presto, Araldo della Luce.’’- e svanì in una tenue luce azzurrina che si riversò per tutta la stanza. Successivamente, un sospiro provenne dalla parte opposta: Elfriede si stava svegliando dal suo torpore, ignara di quello che era successo. La porta si aprì, facendo filtrare altra luce e Imryll entrò sorridendo:

‘’Forza, preparatevi. Oggi abbiamo molto da fare e, Arilyn non dimenticare la spilla. Gli Istruttori Reali tengono molto a quel simbolo di rispetto e dovere, ma per me è solo un loro capriccio da subalterni.’’- disse la donna, dirigendosi nel salone e preparando il necessario per la giornata. Dopo aver sistemato la stanza, preparato gli abiti e aver fatto un lungo bagno, erano finalmente pronte: la prima tappa era il fabbro del Broym Fleu, lo stesso che il giorno prima annunciava le sue invenzioni ad un pubblico curioso. La Curatrice Bianca tirò nuovamente la campana per richiamare lo stalliere e preparare tre cavalli purosangue con sella e briglie. All’esterno, oltre al rumore degli zoccoli degli equini, si susseguirono anche il cozzare delle armature delle sentinelle.

Il sole era già alto quando le tre donne s’incamminarono per i sentieri costeggiati da piccoli ruscelli splendenti, alberi con frutti maturi che pendevano dai rami come gemme e l’aria fresca trasportava con sé migliaia di fragranze piacevoli: un misto di spezie, pane appena sfornato e invitanti dolci. Nel mentre proseguivano al trotto su una stradina sterrata, alcune creature lignee sembravano ignare della loro presenza e si divertivano a far germogliare fiori ed edere rampicanti dalle venature rossastre sulle cortecce di betulle e ailanti, adornandoli di decorazioni viventi: una di loro si accorse del passaggio delle tre donne e mosse goffamente il braccio salutandole.
Creature delle foreste e esseri umani che vivevano in perfetta armonia e umiltà. Arilyn, però, era distratta dall’inconsueto affetto della Dea del Cosmo e dall’imminente incontro con il fabbro del regno; il nome era molto familiare, ma con gli eventi degli ultimi anni non riusciva a ricordare dove lo avesse già sentito.

‘’Arilyn? Qualcosa non va?’’- chiese Imryll, notando il suo sguardo vacuo, mentre raggiungevano la città.

‘’Ero curiosa di sapere qualcosa di più sul fabbro della città. Quando eravamo dirette al Concilio, l’ho visto invitare alcuni cittadini ad ammirare le sue creazioni e, devo ammettere, non erano soliti utensili o armi.’’- rispose la ragazza, dissimulando il proprio stupore alla domanda.

‘’Prima di diventare il migliore fabbro del Broym Fleu, era un soldato dell’ormai antico e dimenticato Ordine dei Cavalieri d’Ambra. Per tutte le campagne militari, ha sfruttato le sue conoscenze su tutti i tipi di materiali e oggetti esistenti e che poteva tramutare in armi. Durante la Guerra del Falso Profeta, usò un bastone di ferro e i resti di una ruota di una carrozza per costruire un martello da guerra. Solo lui sapeva come maneggiare tale arma, che fu anche in grado di uccide il Falso Profeta con un singolo colpo.’’- narrò brevemente Elfriede, conoscendo anch’ella la storia dell’uomo. Imryll annuì, confermando quanto detto dalla ragazza.

Giunte in città, le strade brulicavano di commercianti e cittadini che parlavano tra loro, ascoltavano i menestrelli intonare soavi melodie, i bambini e le bambine giocavano ad essere cavalieri del Regno:

‘’Un regno magnifico, eppur sento un vuoto incolmabile dentro di me. Perché?’’- si chiese la giovane Thandulircath, vedendo quei volti gioiosi. I suoi occhi si posarono su due figure mascherate che stavano acquistando delle spezie dalla forma bizzarra; una di loro si girò d’istinto sentendosi osservata e chinò leggermente il capo in segno di riverenza verso Arilyn.

‘’Vadmadra? Anche il vostro popolo li conosce?’’- chiese la ragazza, stupendosi della loro presenza.

‘’Sì, ma quelli non sono comuni Vadmadra.’’- rispose Imryll sorridendo e indicando impercettibilmente le loro maschere: sulla fronte era disegnato un cerchio rosso e oro, attraversato da una lancia dalla doppia punta, inusuale per quel popolo. Molti di loro indossavano maschere colorate in base al grado, ma scoprire l’esistenza di un simbolo che rimandava a storie vetuste era a dir poco affascinante.

All’esterno di un grande edificio costruito in ferro e pietra, vi era un carro trainato da due cavalli e due uomini che scaricavano alcune casse di varie forme e altezza, alcune anche molto pesanti a giudicare dai rinforzi in bronzo:

‘’Come mai è così pesante questa cassa? I miei cavalli sono sfiniti.’’- disse il cocchiere all’altro, cercando di tenere salda tra le mani la merce.

‘’Materiale di estrema importanza per questo regno e il suo esercito. Non farti ingannare dalla forma, alcuni di essi sono davvero pesanti. Mettiamola qui.’’- rispose l’altro uomo dai lunghi baffi senza alcuno sforzo, come se la cassa fosse piena di piume. Dopo aver posato con cura tutto il materiale, pagato il mercante e aperto tutti bauli di legno, i suoi occhi si illuminarono vedendo tutti quei materiali e minerali posati con cura in appositi scompartimenti. Curioso come un bambino, prese quello che sembrava essere una sfera fatta di un singolo pezzo d’osso, dai bordi smussati e dalla lucentezza opaca:

‘’Germoglio osseo. Uno dei migliori materiali che possa esistere per i bastoni ferrati. Le truppe corazzate impazziranno.’’- disse, sorridendo e immaginandosi nuove forme e lunghezze per quell’arma comune. Nel mentre si accingeva a preparare le armi, gli scudi e consultare vari progetti per nuovi armamenti quando una voce femminile lo destò da quella frenesia:

‘’Perdonami se interrompo la tua giocosa curiosità, Oghan Ethwen, ma c’è del lavoro da fare. E tu sei l’unico fabbro in grado di farlo.’’
‘’Imryll! Che piacere rivederti, ma è solo mezzodì, come mai così presto?’’- chiese lui, sorpreso e imbarazzato nel farsi scoprire come un bambino con dei biscotti trafugati.

‘’Volevo presentarti Arilyn, la nostra nuova ospite del regno dei Rovi. Credo che Morkai ti abbia accennato qualcosa al riguardo.’’- rispose la Curatrice Bianca, con un sorriso e invitando la giovane Thandulircath ad avanzare. Quando il fabbro udì questo nome, si avvicinò a passo svelto: con i pochi raggi di luce, Arilyn poté osservare che era più alto di lei di qualche centimetro, la testa calva, lunghi baffi che gli incorniciavano un volto spigoloso ma curato, con un naso largo ma non troppo. Nonostante l’altezza e l’età, le campagne militari e il suo lavoro lo avevano tenuto in forma.

‘’Conosci Sharal?’’- domandò improvvisamente l’uomo, dopo averla osservata attentamente. Arilyn sbarrò gli occhi, incredula di trovarsi dinanzi al padre di Sharal, sua amica.

‘’Quindi lei è il padre di Sharal? È un onore conoscerla, vuol dire che sua figlia le ha parlato di me e della sua nuova dimora, suppongo.’’- rispose la ragazza, sorridendo e sentendosi rincuorata dopo quell’incessante sguardo inquisitore e di curiosità. Il fabbro ridacchiò e si sistemò la divisa prima prendere delle scartoffie da un tavolo lì vicino, per poi consegnarle ad Arilyn. Erano lettere molto vecchie, sbiadite ma ancora leggibili e la calligrafia di Sharal era inconfondibile, tanto da suscitare un sorriso nella ragazza.

‘’Nonostante non scorra buon sangue tra noi, mi ha sempre inviato lettere da…Huvendal se non erro. Adesso si è spostata con il suo plotone nell’estremo est e difficilmente i messaggeri riescono a partire o a raggiungere quel luogo. Ma non roviniamoci questo splendido giorno di sole e dimmi come posso esserti utile.’’- disse, lisciandosi nuovamente i baffi e ridacchiando, cancellando quel breve attimo di malinconia. Arilyn osservò tutte le armi esposte sui muri di pietra, dalle forme e grandezze varie tra le quali uno spadone formato da quel che sembrava essere un pezzo di mandibola fuso ad un lungo bastone di metallo che fungeva da elsa. L’osso era attraversato da impercettibili venature rossastre che si estendevano sui tre denti rimasti.

‘’Quella che vedi è stata una delle mie creazioni. Trovai quell’osso tra le macerie di una magione. Fu uno dei lavori più impegnativi nel creare qualcosa che unisse bellezza alla mortalità e non potevo lasciarlo lì. Dopo averlo ripulito, trattato con alcune sostante che impedissero la decomposizione e preso le misure per crearne l’elsa, ho usato della resina nera per rinforzarla e dell’ataemanite cremisi per donarle quelle venature che vedi. Ma ogni arma e scudo che vedi ha la propria storia.’’- esordì Oghan, avviandosi ad una grossa fornace esagonale e iniziò ad alimentarla gettandoci del carbone e del legno, studiando i prossimi progetti da dover realizzare.

‘’È possibile creare una spada che possa incanalare un grande potere e comunicare con il suo proprietario?’’- chiese Arilyn, ricordandosi della sua prima spada, simile ad una lama di cristallo cremisi. Il fabbro corrugò la fronte, perplesso da quella richiesta.

‘’Spade comunicante e permeate di potere? Non ho mai forgiato armi del genere e credo che…’’- s’interruppe, osservando le mani della ragazza brillare intensamente e muoversi sinuosamente sulle armi, scudi e sulla teca di vetro, prima di dissolversi in piccole scintille dorate. L’espressione di stupore e incredulità dell’uomo le fece sorridere; alcune di quelle piccole scintille vorticarono a pochi centimetri dal suo naso e con fare giocoso le toccò una per una:

‘’Oh per tutte le stelle, è un qualcosa di incredibile e affascinante! Pochissimi eventi mi hanno sorpreso negli anni, ma questo è…Sarà una fantastica sfida creare qualcosa di unico solo per te!’’- disse il fabbro, sorridendo mentre prendeva i materiali adatti per forgiare una nuova arma per Arilyn. Sarebbe stato impegnativo nel fucinare un’arma magica, ma avrebbe reso il suo lavoro di qualità.

Lasciata la casa del fabbro, le tre donne ripresero i cavalli e si diressero verso il Concilio, per poi svoltare a sinistra e proseguire dritto fino ad una piccola abitazione dal tetto in paglia e un camino pericolante, sorretto a malapena da assi di legno. Nonostante quell’aspetto leggermente trasandato, il resto era impeccabile. Qualcuno, con una lunga tunica bianca e un velo trasparente, era all’esterno dell’abitazione e strappava con vigore alcune erbacce e foglie secche: dall’esile corporatura sembrava essere un’anziana donna.

‘’Maledette erbacce, rovinate il mio prezioso giardino!’’- disse lei, imprecando e gettandole vie. Quando sentì il sopraggiungere dei cavalli, si voltò di scatto facendo quasi volar via il velo che le copriva il viso e i capelli. Non sembrava sorpresa di ricevere visite, ma si stupì della presenza della giovane Thandulircath. Si avvicinò alle donne a cavallo e disse:

‘’Lei è la ragazza? Morkai mi ha informato. Per favore seguimi e togliti gli stivali non appena entri. Il pavimento è di legno e si rovina facilmente con loro.’’
Così Arilyn scese dal cavallo e seguì la donna, esitando brevemente. Il suo comportamento distaccato la innervosiva, costringendola a stare in all’erta: ‘’Come posso se non ho un’arma con me?’’- si chiese la ragazza, mentre varcava la porta di legno ed essere accolta da intense fragranze di spezie e fiori. Le assi del pavimento di quercia erano lucidate a dovere, splendenti sotto i raggi del sole del primo pomeriggio: una zona, però, presentava delle irregolarità che solo un occhio vigile e attento può cogliere.

‘’A giudicare dal tuo sguardo indagatore, hai scovato la mia botola segreta. Ma pensa, una guerriera che è anche un gatto.’’- disse con molta ironia la donna, che irritò lievemente Arilyn. Quando entrambe furono al centro della stanza, l’anziana dama afferrò una sedia, una coperta, delle forbici e strani contenitori con liquidi che gorgogliarono non appena vennero mossi. Diede dei leggeri colpi sullo schienale di legno, invitando la giovane a sedersi e a restare immobile. Non appena Arilyn fece come richiesto, la donna volse con rapidità la sedia sotto la luce del sole che filtrava dal soffitto:

‘’Leggere cicatrici, lividi che stanno lentamente scomparendo, occhiaie, pelle secche. Per l’amor del Sole fanciulla, sei in pessime condizioni. Dovresti prenderti un po’ più cura di te stessa…Non temere, sono una zaros dopo tutto, ma Derceia è il mio vero nome.’’- disse, prima di aprire uno dei contenitori e versare un liquido trasparente sul capo di Arilyn, usando poi una spazzola per cospargerlo meglio. Prese un paio di forbici e iniziò a tagliarle i capelli con maestria, togliendo le ciocche danneggiate e donandole nuova vita. Non appena terminò, prese un altro contenitore contenente una sostanza polverosa:

‘’Copriti il viso, per cortesia.’’- disse Derceia, iniziando ad agitare il barattolo e a far cadere sui capelli della ragazza la sostanza. Non appena Arilyn tolse le mani dal volto, si ritrovò riflessa ad uno specchio rotondo e restò meravigliata: i capelli le erano stati tagliati con eccellente precisione fino alle spalle, leggermente mossi e che avevano ritrovato il loro rosso rame un tempo svanito.

‘’Non ho ancora finito, chiudi gli occhi e cerca di non muoverti, altrimenti rischio di sfigurarti.’’- esordì con tono brusco la donna, prendendole il viso e osservando meglio i punti da dover curare. Si strofinò le mani con vigore e con lentezza fece scorrere le dita sotto gli occhi della ragazza, sulle guance e sulla fronte: un leggero prurito e pizzicore provocarono in Arilyn una smorfia di fastidio ma doveva resistere e restare immobile.

‘’Ho terminato. Le cicatrici e le ecchimosi sono scomparse definitivamente. Non posso dire lo stesso per le occhiaie, dato che l’effetto su di loro è temporaneo. Tra qualche settimana torneranno, goditi il tuo nuovo aspetta finché puoi. Ora vai, ho altro da fare.’’- furono le ultime parole della donna, agitando la mano per allontanarla come se fosse una mosca sul miele. Quell’indifferenza e scortesia furono l’ultima goccia:

‘’Posso sapere perché mi tratta come fossi un oggetto da restaurare e riconsegnare al proprietario? La ringrazio per avermi ‘’curata’’ ma il suo comportamento è riprovevole.’’

‘’Sei anche insolente e petulante, ragazza. Tuo padre non ti ha educato a dovere, forse preferiva fare il donnaiolo.’’

Una lama di luce distrusse la sedia per poi spegnersi sulle assi del pavimento, con un leggero scoppiettio. Gli occhi della ragazza emanarono un bagliore opaco, così anche la sua mano: il colpo fulmineo fu quasi invisibile agli occhi della zaros, che impallidì quando vide la ragazza possedere tale potere.

‘’Non osi parlare di mio padre in questo modo.’’- disse la ragazza, quasi sibilando e uscendo dalla casa. Elfriede ed Imryll vedendola adirata, restarono in silenzio ma Arilyn aveva molte domande da fare e gradiva ricevere delle risposte, solo non in quel momento e cercò di ignorare il tutto:

‘’La zaros ha fatto un lavoro eccellente, ma adesso dobbiamo raggiungere i culiars.’’- esordì la Curatrice Bianca, spronando il cavallo con una leggera pressione delle gambe, seguita a sua volta dalle due fanciulle. Si lasciarono alle spalle quella piccola abitazione per raggiungere il Concilio dove la giovane Thandulircath avrebbe iniziato così il suo vero ed ufficiale addestramento. Vicino l’immenso cancello che separava la città dal palazzo vi erano tre uomini con una luccicante armatura argentata con intarsi cremisi che copriva il busto, le gambe e le spalle, lasciando libere le braccia e i polpacci coperti da semplici indumenti grigi; uno di loro avanzò per primo ad una sentinella e, dopo un breve dialogo si diressero nel palazzo, seguiti poco dopo dagli altri due corazzati.
Entrate a palazzo, le tre donne lasciarono i cavalli al giovane scudiero che li portò rapidamente nelle stalle sul retro. All’entrata, ad aspettare con le braccia dietro la schiena c’era Morkai, vestito della sua livrea grigiastra che anticipò le donne e, a gran voce attirò l’attenzione dei tre soldati in armatura:

‘’Nobili maestri culiars, vi presento la prode Arilyn, ultima dei Thandulircath. Che i vostri insegnamenti e arti del combattimento possano rendere inarrestabile.’’- e con un inchino, il ragazzo si allontanò rapido.

‘’Finalmente incontriamo una Thandulircath da vicino. Mi ero stancata di leggere solo storie o miti sulla loro esistenza.’’- esordì una voce femminile distorta dall’elmo che raffigurava la testa di un leone. Brandiva due lunghe spade fatte unicamente di rovi induriti e resi splendenti dall’elbaollite. Gli altri due maestri, invece, brandivano rispettivamente una spada-falce e una lunga mannaia con cinque anelli sulla lama: dalla forma e colore, sembravano esser stati ricavate da vertebre ossee e rinforzate
dalla resina nera.

‘’E adesso, prendi una delle mie spade e mettiti in posa.’’- disse la donna con l’armatura da leone, lanciando una delle sue spade verso Arilyn, preparandosi ad attaccare con gli altri due maestri del combattimento. La giovane Thandulircath tenne lo sguardo fisso sui tre cavalieri mentre posava la mano sulla spada. Confidava negli insegnamenti di suo padre e strinse la moneta che aveva unito al suo ciondolo e chiuse gli occhi.

Terre del Nord. Huvendal. Primo pomeriggio, tarda primavera.

‘’Nessuna novità, soldato?’’- chiese una voce stanca di un uomo nell’ombra del suo studio. Il soldato si inchinò prima di proferire parola, tentennando:

‘’Mio sire, mi rammarica darle questa spiacevole notizia. Abbiamo cercato in ogni angolo remoto delle Terre del Nord, giungendo persino nel regno vadmadriano ma nessuno sembra averlo visto. Hanno solo avvertito la presenza magica del suo oscuro potere, nient’altro di concreto.’’
L’uomo sospirò, sfiorando svogliatamente alcune mappe che erano attaccate con degli spilli sul tavolo e i suoi occhi si posarono su una piccola isola che distava pochi chilometri dal regno se si procedeva verso ovest:

‘’Il Regno dei Re Esiliati? Avete già controllato in quel marciume?’’- chiese lui, con disprezzo nel nominare quel luogo. Il soldato, dalla sua lunga divisa estrasse i vari documenti ricevuti dai ricognitori, cercandone uno che riguardasse quel luogo. Quando lo trovò, con un sospiro lesse quanto scritto:

‘’Il ponte che collega l’isola dei Re Esiliati è stato abbattuto, cancellando circa due chilometri e mezzo di cammino dalla costa. Sono stati trovati picconi e asce sulla riva e pezzi di legno bruciato. Si presume che per non lasciare alcuna traccia, sia stato incendiato. Abbiamo richiesto l’aiuto di un esperto Merfolk per verificarne se sia stato opera umana o naturale. Nessuna presenza di magia oscura. Questo è il resoconto giunto poche ore fa. Io ora devo ritornare dai miei uomini, con permesso Re Searlas.’’- si inchinò e lasciò lo studio dell’uomo. Il silenzio si impossessò nuovamente della stanza illuminata a malapena, e le finestre impedivano alla luce del sole di entrare.

Un leggero fruscio di seta colse fugacemente l’attenzione dell’uomo, finché le tende vennero spostate con violenza quasi ad essere strappate dai supporti e il sole rischiarò quel tetro buio, quasi a voler ferire anche Searlas che si coprì con la mano. Sentì un sibilare incessante provenire dal fondo della stanza, ma non riusciva a comprendere cosa fosse.

‘’Speri che delle comuni ombre di un piccolo studio possano nasconderti? È più di una settimana che non esci da questa stanza e sembri un cadavere. Non si addice ad un Re.’’

‘’Che cosa vuoi saperne tu Amdros, sei solo un titano delle ombre, sei privo di sentimenti.’’- rispose Searlas, lacrimante per l’improvvisa luce. Il Titano gli si parò davanti e afferrò il colletto con le sue mani artigliate, trapassando il tessuto. Amdros scosse la testa, ridacchiando. Prese la corona che era poggiata sul tavolo e la fece scivolare da una mano all’altra, osservando piccole incisioni e graffi sul metallo prezioso:

‘’Noi Titani, nati dalla Stella Creatrice, proviamo sentimenti come tutti voi umani. Non li mostriamo perché in guerra ci vuole concentrazione e determinazione, nessuna malinconia, nessun senso di vuoto o disorientamento. Noi esistiamo da epoche ormai e commettete sempre il medesimo errore: lasciarvi guidare dalle emozioni. Alza quel flaccido fondoschiena da quella sedia, mostra il tuo spirito e abbi fiducia in Darrien. Non sono il primo a dirtelo, o mi sbaglio?’’- terminò Amdros con quella domanda, prima di svanire e lasciar cadere la corona sul tappeto della stanza. Searlas si alzò dalla grossa sedia e recuperò la sua corona, pulendola dalla polvere.

La luce del sole gli accarezzava il volto, stanco e provato, donandogli un aspetto poco dignitoso per un re. Continuò ad osservare il mondo dietro la finestra del suo studio, riflettendo sulle parole del Titano; non era la prima volta che qualcuno lo ‘’incoraggiasse’’ nel reagire e non lasciarsi consumare dalle sciagure.

‘’Dovrò chiedere ad uno dei fabbri di farmi recapitare più lanterne, questo studio ha troppi angoli bui ed è fin troppo facile nascondersi.’’- disse Searlas, posando la corona nell’apposita teca e andò nel suo alloggio per ripulirsi dalla sensazione di sporco e rilassarsi, evitando spiacevoli e terrificanti pensieri gli si annidassero nella mente, come avvoltoi pronti a dilaniare la loro preda una volta esanime.

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Concilio delle Sette Sorelle. Primo pomeriggio.

La giovane Thandulircath arrestò il colpo scaturito dalla spada-frusta del cavaliere, riuscendo a contrattaccare scheggiandone il piatto. In quel breve lasso di tempo, la donna nell’armatura da leone usò la spada come estensione del braccio; decine di fusti di rovi si mossero verso la ragazza, strisciando e guizzando come vipere. Arilyn schivò l’imminente impatto e corse contro l’uomo che brandiva il khopesh, usò il potere della sua spada per tentare di strappargliela dalle mani, ma la presa salda del cavaliere la costrinse ad avanzare rischiando di esporsi ad un successivo attacco.

‘’Non così in fretta Thandulircath. Non abbiamo ancora iniziato.’’- esordì l’altro cavaliere, preparando il fendente. La ragazza si ricordò di un vecchio insegnamento del padre: far leva sui piedi, spostare l’arma verso la parte opposta del nemico e colpire i polpacci dell’avversario. Così fece, riuscendo a spostare il cavaliere dalla sua posizione, strappò via la spada e lo colpì duramente al polpaccio facendogli perdere l’equilibrio e lo atterrò con un poderoso calcio al petto. Il cavaliere armato della spada-frusta eseguì un affondo che lacerò il pantalone della ragazza, ma il contrattacco fu innovativo: la lama di rovi bloccò, incastonandosi nel pavimento, il meccanismo che permetteva ai segmenti del metallo di riunirsi e un fascio di luce scagliò lontano il soldato.

‘’Non sei una comune Thandulircath, vero?’’- chiese la donna, osservando come i suoi due compagni vennero sconfitti con facilità.

‘’No, non lo sono. In guardia.’’- rispose Arilyn, disarmata e con i palmi che brillavano pallidamente. Quando la donna del leone le corse contro, brandendo la spada verso il fianco, la ragazza notò che i suoi movimenti lasciavano ampio spazio per un attacco agli arti inferiori e così scivolò verso le gambe, passandole sotto. Afferrò le caviglie, facendola cadere con un sonoro tonfo metallico, mentre la spada scivolò a pochi centimetri da lei. Arilyn e il cavaliere recuperarono le rispettive spade ed eseguirono entrambe un mezzo mulinello che terminò in un assordante tintinnio. Un lento e costante applaudire si udì dal fondo della sala:

‘’Hai dimostrato di possedere doti eccellenti nel combattimento con la spada e nel corpo a corpo, ma sono ancora imperfette. Per una semplice curiosità, tuo padre come si chiamava?’’- chiese Daernith, comparendo dall’ombra e mostrando il suo candido viso.

‘’Vorshan, mia signora.’’

‘’Come?’’- fu la domanda dei tre culiars, togliendosi l’elmo e mostrando finalmente i loro volti. I due uomini mostrarono un viso che esprimeva tutto il loro onore, mentre la donna tenacia e bellezza. All’udire quel nome, si avvicinarono ad Arilyn, sorpresi di sentirlo nominare:

‘’Saranno ormai anni che non abbiamo sue notizie. Le tue abilità hanno la sua impronta, dato che molti soldati sono stati addestrati da lui. Ricordo ancora la battaglia contro i Mercenari di Cristallo, distruggerli con le loro stesse armi fu una sua idea. Come sta adesso?’’- chiese l’uomo che brandiva la sua spada-falce, mentre constatava se non ci fossero graffi o crepe sul metallo bronzeo. Arilyn serrò le labbra, cercando di trattenere un sospiro di tristezza. Bastò quel semplice gesto per far comprendere ai tre maestri d’arme l’avvenuta sciagura.

‘’Suo padre è morto valorosamente per salvare Huvendal, i suoi abitanti e il suo re contro l’esercito di Gallart. E colei che vi è innanzi lo ha sconfitto.’’- s’intromise gentilmente Daernith, constatando il malessere della giovane Thandulircath. Le posò delicatamente la mano sulla spalla e le sorrise, cercando di rincuorarla.

‘’Non è possibile! Gallart è stato uno dei Re della Fiamma Arcana più longevi di tutta la storia dei popoli, e uno dei più sadici seppur le sue azioni era mosse dalla sua smania di potere. E so che aveva anche una sorellastra che odiava…ma non ricordo il nome. Com’è possibile che tu sia…stata…?’’- le domande dell’uomo trovarono risposta con un accecante bagliore derivante da Arilyn, che lentamente si tramutò in una nube di stelle dorate e ritornò alla sua forma originaria.

‘’Chiedo venia per aver dubitato di te. Io sono Havelok Zeldreo Lohengrin, detto Il Corvo. Lieto di fare la tua conoscenza.’’- replicò il cavaliere, inchinandosi leggermente con il busto.

‘’Io, invece sono Hemar Lamorak, Sangue di Bisonte. I miei omaggi.’’- proferì parola il secondo cavaliere con voce profonda, chinando il capo e colpendo sull’armatura che rappresentava il teschio di bisonte. Una lunga cicatrice gli solcava metà del viso, terminando di poco sullo zigomo destro, ma Arilyn fu affascinata dalla bellezza della donna che sembrava non dimostrare alcun segno di invecchiamento. I capelli, dorati come i raggi del sole, erano avvolti in una lunga treccia tenuta saldamente da un nastro rosso e gli occhi, neri come la notte risaltavano maggiormente la sua audacia.

‘’Onorata di conoscere una guerriera valorosa come te, una Thandulircath per giunta. Magdelin Richilde, Cuor di Leone. Come detto dalla Sorella Maggiore, i tuoi movimenti sono precisi e coordinati, ma grezzi perché lasci molto scoperti i fianchi o le spalle e, inoltre, non abbastanza veloci. L’impronta di tuo padre è molto evidente con il tuo stile di combattimento va ammesso, fatta eccezione per la scivolata. Mi congratulo con te, hai dato prova di ciò che un cavaliere sa fare però dovrai avere la tua arma la prossima volta. Arilyn dei Thandulircath, ti attenderemo nuovamente qui domani all’alba.’’- e così la donna, accompagnata dai suoi subordinati si inchinarono e si diressero nei loro alloggi per riposare e rifocillarsi.

Daernith, la Sorella Maggiore del Concilio invitò le tre donne ad avvicinarsi al centro della stanza, sorridendo. La Curatrice Bianca ed Elfriede si meravigliarono di tale scelta della donna, ed esitarono:

‘’Avvicinatevi per favore. Dopo aver parlato con il resto del Concilio, abbiamo preso una decisione. Per secoli solo noi potevamo assistere al Frammento in tutta la sua immensa bellezza, ma oggi voi tre avete dimostrato di essere degne di poterlo vedere, ma dovete promettere che qualsiasi cosa accada a questo regno impediate agli invasori di portarlo via. Imryll mia cara tutto questo è anche merito tuo, e di Elfriede.’’

Quando la Curatrice Bianca e la giovane Elfriede sentirono quel complimento, arrossirono leggermente e chinarono il capo in segno di ringraziamento. La Sorella Maggiore del Concilio pigiò il piede su un rilievo del pavimento circolare ed un fracasso di catene, ingranaggi e pistoni avvolsero la stanza: in un batter di ciglia, iniziarono a discendere nei livelli inferiori del palazzo. Lanterne ad olio che si estendevano in una lunga spirale luminosa erano appese a centinaia di metri dalla pedana che continuava a scendere silenziosa. Dall’alto di alcune piattaforme vi erano alcuni servi intenti a rimuovere della muffa dalle pareti e si inchinarono al passaggio della loro Signora.

Una luce ambrata, più intensa di quelle di comuni lanterne risplendeva sul fondo della sala nascosta agli occhi indesiderati. Le pareti, grazie ai riflessi di quel fulgore, permetteva di vedere mosaici variopinti che ritraevano antiche vicende del regno, divinità della terra, città e altri continenti illuminati da una enorme fiamma avvolta in un albero. La piattaforma giunse a destinazione, incastrandosi su una base quadrangolare dove ad attendere le quattro donne vi erano altre due giovani guerriere in una umile corazza di ferro rosso. Si inginocchiarono, posando la mano sul cuore e successivamente sullo spadone legato al fianco:

‘’Altezza, siamo liete di rivederla qui.’’- esordirono insieme le donne, rialzandosi e posando gli occhi su Arilyn, perplesse dalla presenza di una nuova persona.

‘’Aphrah ed Heloys, vi presento Arilyn dei Thandulircath. Nostra ospite del Regno. Volevo mostrarle la ragione per la quale combatterà per noi, il perché le verrà affidato questo importante e onorevole compito.’’

Le due donne si avvicinarono, con un leggero cenno della testa e sorrisero:

‘’I miei omaggi, io sono Aphrah, Anima Virtuosa.’’- disse la donna dai lunghi capelli neri, con qualche ciocca argentata nascosta. Il viso mostrava poche rughe, ma i tratti erano delicati e tenaci allo stesso tempo. L’altra donna, invece, le strinse la mano con forza, cosa che sorprese Arilyn:

‘’Io sono Heloys, Anima Arcaica. Siamo onorate di conoscere una nuova condottiera per il nostro regno. Seguici, attenta agli scalini alcuni sono ancora scivolosi a causa del muschio.’’- e così, precedendo Arilyn la condussero al Primo Frammento della Fiamma d’Ambra, circondato da rami rossi che coprivano tutta la superficie solida, senza danneggiarlo. La base, su quale era poggiata era costruita da ferro impreziosito da rubini dalla grandezza di una noce e sotto il grande frammento vi erano diverse ciotole contenenti sostanze e polveri colorate disposte a cerchio. Inginocchiata, come assorta in preghiera, vi era una donna dai capelli biondo cenere legati una lunga treccia a spina di pesce inversa, fermata da un nastro grigio e fermagli di metallo.

‘’Sei la ragazza della quale ho sentito tanto parlare? Avvicinati, per favore.’’- disse la donna in preghiera flebilmente. Arilyn avanzò lentamente, osservando sia il grande frammento che la dama assorta nella sua funzione religiosa. Quando si girò, i suoi occhi sembravano vacui, come se fosse cieca. Non appena sbatté le palpebre, un penetrante marrone si materializzò sulle iridi:

‘’Una dote che solo noi Guardiane possediamo. Il cuore pulsante del nostro regno è intriso dell’energia della Dea del Cosmo e, per evitare di perdere la ragione osservandolo a lungo, il colore dei nostri occhi diventa grigiastro, lattiginoso quasi. Percepisco l’immenso potere che ti scorre impetuoso nelle vene, ma temi. Temi di perdere il controllo del tuo corpo.’’- proseguì la donna, studiando a fondo i lineamenti di Arilyn, concentrandosi sui suoi occhi smeraldo. Istintivamente distolse lo sguardo e serrò le labbra in una smorfia di vergogna.

‘’E diventare un mostro…ho sentito già queste parole.’’- rispose la giovane Thandulircath, cercando qualsiasi cosa le desse conforto.

‘’Non sei un mostro. Nessuno lo è. Se ti trovi nel nostro regno è per volere della Dea. Sono anche al corrente del tuo…brusco passato e chi hai dovuto fronteggiare. Quali indicibili sofferenze hai…’’

‘’Patito? Lo so benissimo cosa ho dovuto affrontare, e vorrei non rivivere quei ricordi nuovamente! A causa di queste insulse guerre di potere, vendette familiari, ho perso una persona che ho amato fin da quando ero in fasce, ho perso una cara amica dal futuro ormai scritto in antichi tomi. Sono solo stanca.’’- replicò con freddezza Arilyn, mentre le sue mani brillavano insieme al Frammento d’Ambra. Quel lento pulsare simile ad un cuore preoccupò Imryll ed Elfriede, ma non la Sorella Maggiore e le altre donne che osservavano incuriosite quella surreale scena. Arilyn poggiò lentamente la sua mano sull’artefatto, avvertendone l’immenso calore:

‘’Ritrovare il mio equilibrio e salvarvi? E sia.’’- esordì dopo un breve silenzio Arilyn, ritornando alla piattaforma dopo aver fatto un inchino di riverenza, seguita dalla Sorella Maggiore e dalle altre due donne. La piattaforma riprese la sua ascesa con un sonoro frastuono metallico, creando piccoli sbuffi di polvere che vorticavano dalla pedana. Gli sguardi delle dame erano tutti rivolti verso la Thandulircath, che si massaggiava la mano in fase di guarigione: i suoi occhi vagavano nel nulla della stanza.
Aphrah e Heloys, nel mentre osservavano quell’ascesa, discutevano tra loro della nuova arrivata, incerte se lei fosse realmente in grado di preservare l’integrità del loro regno.

‘’Meryld, tu cosa ne pensi?’’- domandò Heloys, inclinando leggermente il capo nel vedere la guardiana sfiorare impercettibilmente il frammento della Fiamma.

‘’Quella ragazza ha toccato il Frammento senza subire ripercussioni. La Dea del Cosmo pervade con la sua energia ogni sua creazione, rendendola quasi letale per gli imprudenti. Ma lei…è diversa.’’

Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Tardo Pomeriggio.

Darrien vagava senza una meta precisa nell’immane biblioteca che sua sorella le aveva mostrato, come regalo di scuse per averlo fatto attendere nell’alloggio. Ironia della sorte, si ritrovò al punto di partenza:

‘’Se attendo oltre, avrò una crisi di nervi.’’- disse il ragazzo, mentre osservava gli alti scaffali colmi di libri dalle forme e grandezze più strane, decorati da placche in ottone o argento. Su alcuni tavoli vi erano srotolate lunghe mappe ingiallite, con diversi fili colorati tenuti saldamente da spilli e sulla parte superiore di ogni foglio vi erano scritti nomi di campagne militari condotte negli anni, alcune terminate con successo mentre altre erano segnate da una lunga striscia obliqua nera. Darrien scosse la testa e rise, notando che la loro strategia militare si limitava ad avere una corazzata leggera ed una pesante disposte a semi cerchio e una trentina di arcieri distanti pochi metri. Si allontanò incredulo da quel che aveva visto e proseguì al centro della sala.
Tre ampie vetrate con incisi i sovrani del regno e i loro nomi sotto catturarono l’attenzione del giovane, che rimase ad osservare meravigliato della grandezza dell’opera ma disgustato dall’egocentrismo del re. Si fermò a leggere un tomo rilegato in pelle nera, dalle pagine immacolate: ognuna di queste erano scritte in una lingua familiare, nonostante le sbavature e macchie marroncine sui bordi. Più sfogliava, più notava disegni, incisioni, mappe di popolazioni vissute centinaia di secoli prima, narrazioni e descrizioni di oggetti che non aveva mai visto.
Nella penombra della biblioteca, qualcuno stava sorvegliando il giovane che continuava a sfogliare il tomo. Due occhi iridescenti, dalle pupille simili a quelle di un felino sembravano fluttuare nell’oscurità donata da alcuni scaffali e lentamente quell’ignota creatura sgusciò dalle tenebre. Alta quasi quanto un tronco di faggio, dalle braccia robuste e muscolose, una bocca colma di denti che potevano strappare carne ed ossa con un solo morso si avvicinava lento e silenzioso, nonostante l’ingombrante armatura di cuoio e spalline in metallo. Brandiva una mannaia inastata, con una lunga catena arrugginita avvolta sull’asta e la lama rifletteva la luce creando effetti variopinti in ogni direzione.

‘’Voltati lentamente o ti sventro. Chi sei e cosa fai nella biblioteca reale?’’- chiese la creatura, digrignando i denti e ringhiando. Darrien si voltò lentamente, impassibile dinanzi alla mole della bestia simile ad un lupo ed un leopardo.

‘’Che aberrazione sei?’’- domandò il ragazzo, sapendo che quella domanda avrebbe causato l’ira della fiera. L’attacco non si fece attendere e la lama spaccò il legno del leggio, sparpagliando trucioli e schegge ovunque. Darrien fu rapido nell’evitare il brutale affondo.

‘’Sei una spia dei Rovi Rossi? La divisa che indossi è solo per i membri della famiglia. Quale sangue macchia le tue sudice mani?’’

‘’Fai troppe domande. Sono Darrien, ultimo dei Varg, figlio della…Regina di questo regno. Sei la seconda persona che si ostina a credere che io sia una spia.’’- replicò lui, irritato dalla curiosità di quella bestia. Studiava ogni lineamento di quell’essere, dalla conformazione del viso alla corporatura leggermente ricurva al colore della pelliccia.

‘’Ti? Ur dakk'ata euuasaerko gsr’a borrae rad'ro Rosrae?’’- domandò la creatura nella sua lingua, così da nascondere l’insulto gratuito e confondere il ragazzo. Darrien sorrise, riuscendo a comprendere perfettamente ciò che la creatura gli aveva detto e replicò nello stesso modo:

‘’Sì, roakulka ankoddaro.’’

La mannaia innastata cadde con un fragoroso tintinnio metallico, lasciando a bocca aperta l’animale e provocando un sorriso di scherno in Darrien. L’energumeno si avvicinò con passo pesante, ringhiando e perdendo piccoli rivoli di bava che gli caddero sulla pelliccia grigio-marrone. Strinse tra le forti zampe l’arma e disse:

‘’Come conosci la lingua di noi Huerdakhal?’’- chiese il felino. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, infastidito dall’invadente curiosità, ma rispose brevemente che negli ultimi due anni aveva conosciuto popoli e creature che parlavano lingue sconosciute che lo incuriosirono ad impararle per avere, in futuro, alleati preziosi. L’enorme creatura sistemò la sua arma sulla spalla e, con sorriso beffardo si presentò:

‘’Io sono Veasrik, proteggo la Sala del Secondo Frammento d’Ambra. Con questo, mi congedo. Ti avverto, non fare scherzi o la mia lama trapasserà quel tuo corpicino come se fosse burro.’’- e così, a grandi falcate, uscì dalla biblioteca, emettendo leggeri latrati. Il ragazzo scosse la testa, incredulo ancora una volta: dallo scontro nella Città Desolata al ritrovarsi in un regno a lui sconosciuto, aveva ricevuto troppe sorprese. Dei passi che giungevano rapidi dall’entrata principale della sala avvertirono Darrien dell’arrivo di qualcuno, alquanto agitato:

‘’Il tuo odio per le attese un giorno si riverserà su di me. I consiglieri e i comandanti del palazzo chiedono sempre a me di fare i doveri dei miei genitori e sono anche costretta. Perdonami.’’- disse Malrin avvicinandosi e respirando con il fiatone.

‘’Non ti odierò, ma se devo aspettare oltre, esplorerò per conto mio il palazzo e il regno, evitando seccature.’’- rispose il ragazzo. Il suo sguardò si posò nuovamente sul leggio semi distrutto; per fortuna che il supporto in marmo lo teneva ben saldo sul pavimento. Quando sua sorella se ne rese conto, chiese cosa fosse successo e Darrien, sogghignando replicò:

‘’Il vostro animale domestico ha distrutto parte del leggio perché, da quello che sembrava, l’ho insultato chiamandolo abominio.’’

‘’Veasrik? Lui e suo fratello condividono questa caratteristica. Basta poco per farli diventare rabbiosi. Ma vieni, voglio mostrarti l’arena dove si allenano i nostri uomini.’’- corrispose lei facendo spallucce e avanzò, afferrando il polso del ragazzo trascinandolo con sé verso una nuova area dell’immenso e suntuoso palazzo. Una moltitudine di androni, corridoi e sale con placche in ottone sulle porte sembravano moltiplicarsi e non terminare mai, come le continue e appariscenti decorazioni in oro, argento, rubino e giada sulle pareti, sulle statue e monili.
Nel mentre proseguivano lungo uno di questi corridoi, Darrien colse con lo sguardo una gigantesca stanza con tre troni, colma di soldati tutti inginocchiati e una sola sull’attenti che discuteva con il re. La sua armatura era sfarzosa e dalla forgiatura bizzarra, con incisioni e rune che si sovrapponevano l’un l’altra creando un groviglio confuso.

‘’I miei uomini sono pronti per il prossimo attacco signore. Tra due albe, ci spingeremo sullo stesso fronte e ridurremo in poltiglia il loro esercito. Abbiamo ampliato di cento uomini la prima fila di corazzata, così da poterli accerchiare e impedire che alcuni di loro possano…fare la loro magia. Inoltre richiedo l’aiuto di Nurlkalf di costruire più frecce per i miei arcieri e qualche ballista mobile nel caso…’’

‘’Generale Batkiin, una richiesta alla volta. Le balliste richiedono molto legno e tempo di costruzione. Informerò l’armaiolo di fabbricare le frecce, ed è perfetto perché ha intenzione di usare materiali che rendano letale il dardo. E poi di che magia parla, generale?’’- lo interruppe il Re Galeren, passeggiando avanti e indietro con le mani dietro la schiena.

‘’La maggior parte dei soldati del regno confinante dispongono di una magia che può prosciugare il corpo del malcapitato, come se fossero creature che si cibano di uomini. Una volta eseguito questo…macabro atto, le abilità dell’avversario si fondono con quelle della vittima riuscendo a rovesciare l’avanzata.’’- replicò il generale, stringendosi il nodo che teneva fermo il mantello attaccato all’armatura. Galeren restò in silenzio per un po’, poggiandosi sul trono e si massaggiò la spalla ancora dolorante per lo scontro di un paio di giorni fa.

‘’Data la situazione, dovremmo spostare in prima fila gli arcieri così da permettere poi alla corazzata leggera di avanzare ed eliminare gli spadaccini. La corazzata pesante si occuperà del resto.’’

’E questa voi la definite strategia militare?’’- si udì una domanda dal tono adirata. Darrien era entrato nella sala del trono. Il suo sguardo colse lo stupore e il timore dei presenti che subito si misero in posizione d’attacco, pronti per l’imminente ordine. Batkiin si voltò, mostrando un viso spigoloso, il naso aquilino e degli occhi marroni dalla forma a mandorla. Uno dei cavalieri si scagliò sul ragazzo, cercando di colpirlo con il pugnale:

‘’Muori maledetta spia!’’

Darrien fu più rapido di lui e con un singolo, violento pugno al fegato mandò al tappetto il suo sfrontato avversario. Il generale fu sorpreso e alquanto terrorizzato non appena notò che dalle mani del ragazzo si sprigionavano lunghi e serpeggianti fili oscuri: anche l’armatura in cuoio, ammaccata e lacerata, emanava gli stessi filamenti.

‘’Ragazzo, tu cosa vuoi saperne di campagne militari? La nostra strategia è una delle migliori che possa esistere…’’

‘’Non a quanto riportate su alcune carte topografiche. Avete più sconfitte che successi, e tutte riportano sempre lo stesso approccio. Arcieri in ultime file, corazzata pesante in avanti e leggera nelle retrovie. Quello che fate è un insulto a chi pianifica un attacco vero e proprio, atto a decimare nemici e a ridurne i sopravvissuti. Se volete continuare con questa partita di scacchi fatte di vite umane, fatelo. Vi renderete conto che il regno dei Rovi Rossi saprà come contrastarvi.’’- lo interruppe furiosamente, sentendosi sbeffeggiato e la rabbia aumentò l’intensità del suo potere, avvolgendogli le braccia come se fossero avambracci forgiati dagli abissi demoniaci. Così com’era entrato se ne andò, seguito da sua sorella; quel breve battibecco aveva generato tensione e alcuni dei cavalieri guardavano con sospetto il generale.
Darrien proseguì a passo svelto verso uno dei cancelli che conduceva all’uscita del palazzo, stanco di tutto quello che aveva visto e sentito. Aprì una porta in legno con lo stemma dei Rovi Bianchi coperto in foglia d’oro con un rabbioso calcio, rompendo il battente e scardinandola. Si ritrovò su un balcone in marmo arabescato, con una ringhiera semi circolare dello stesso materiale sorretta da piccole colonne scolpite:

‘’Preferire lo sfarzo, il lusso che a migliorare l’approccio militare. Non mi meraviglio se hanno subito gravi perdite, ma il loro menefreghismo è aberrante. Quale purezza, quale dignità, quale onore…Sono solo degli imbecilli che si circondano di inutili ricchezze e…’’- le parole gli morirono in gola, la sua rabbia era evidente dalle gonfie vene sul collo e dai denti stretti, il viso che lentamente si tingeva come il rosso del tramonto. Si passò le mani tra i lunghi capelli e chiuse gli occhi, cercando di ritrovare la calma. Respirò a lungo la brezza della tarda primavera, assaporandone ogni sfumatura e rimase ad osservare il cielo cambiare lentamente colore; nella città le prime lanterne venivano accese da alcuni soldati con della polvere giallastra e una pietra focaia, donando alle stradine un flebile bagliore azzurrino. Malrin, che lo aveva seguito e atteso fino a che non ritrovasse la serenità, poggiò una mano sul braccio del giovane.

‘’Mi chiedo come tu possa vivere in tutto questo…’’

‘’Letamaio che considerano purezza? Ormai sono diciotto anni che ci vivo. Fa comodo avere dei servi che ti portano viveri e abiti, ma tutta la ricchezza che impregna le mura possono essere usate per altro.’’- rispose lei, interrompendo suo fratello. Il cielo era diventato bluastro, permettendo alla luce delle lanterne di diventare più intenso, riflettendosi sulle spalliere di metallo di alcuni soldati in ronda per la città.

‘’Darrien, posso domandarti una cosa riguardo i tuoi poteri?’’- domandò improvvisamente Malrin. Quella richiesta fece rabbrividire il ragazzo, che serrò le labbra istintivamente.

‘’Chiedi pure.’’- rispose dopo un breve attimo di silenzio.

‘’Come riesci ad avere il pieno controllo su di loro e a non ferirti? Io più ci provo, più rischio di riempirmi di cicatrici le braccia e le mani…’’

‘’Pensi che i risultati si possano ottenere subito? Io sono riuscito a controllare i miei poteri solo un paio di anni fa, rendendoli letali. E i vostri gladiatori ne hanno avuto un assaggio. Non credere che disporre di un potere sia meraviglioso. Mente e corpo devono trovare il perfetto equilibrio o rischi di diventare ciò che temi.’’- e in quel momento, immagini di una vecchia guerra si manifestarono nei suoi pensieri; il corpo che si tingeva di un nero impenetrabili, lunghe spine serpeggianti che gli sgusciavano dalle spalle che distruggevano carri, rocce e ghiaccio. Scosse il capo, cercando di cancellare quei ricordi angoscianti e rispondendo finalmente alla domanda.

‘’Allenati e concentrati, restando pur sempre vigile sugli eventuali nemici. Prendi questo, non mi serve più.’’
Darrien afferrò dal cinturone l’ultimo pugnale che gli era rimasto e lo posò nelle mani della sorella, perplessa su quell’inaspettato regalo ma lo apprezzò con un sorriso. Quando la luna comparve dalle nubi, era giunta l’ora di cenare ed entrambi si diressero nelle cucine per poter rifocillarsi di quello che era rimasto; fette di pollo speziate, verdure in agrodolce, formaggi con miele e noci e spicchi di arance con cioccolato. Un pasto prelibato che in un regno come quello era del tutto sprecato.
Di ritorno nei rispettivi alloggi, Darrien avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle e con un singolo movimento estrasse la spada, puntandola alla gola del potenziale nemico.

‘’Nonostante i miei passi silenziosi, sei riuscito a sentirmi.’’

‘’Hai sospirato, semplice. Tu sei Batkiin, giusto? Che cosa vuoi?’’- domandò il ragazzo, rinfoderando la spada e osservando l’uomo che sorrideva, nonostante i suoi occhi marroni tradissero invidia.

‘’Mi devi perdonare per sono comparso come un vigliacco, ma gradirei conoscere ciò che realmente conosci di tattiche militari e di combattimento. Galeren mi ha detto che tu sei suo…il suo figliastro e hai ucciso tre dei suoi migliori gladiatori con poche mosse. Ti aspetto domani a mezzodì nella biblioteca.’’- rispose l’uomo con un leggero inchino e andò via. Una volta nella sua stanza, Darrien indossò abiti leggeri e si abbandonò alla comodità del letto aspettando che il dio del sonno lo accogliesse nel suo regno. Si ritrovò a vagare in una landa di sabbia rossastra che aveva inghiottito case e palazzi diroccati, ridotti ad un cumulo di macerie fatiscenti. Drappi logori e strappati sventolavano e si aggrovigliavano sulle aste arrugginite di un castello simile a quello di Gaelia, ma più piccolo e scuro. La grande porta era invalicabile e il tetto crollato:

‘’Perché sono di nuovo qui? Che cosa è successo?’’- si chiese Darrien, osservando tutto quello che lo circondava, fino a focalizzarsi su un singolo e luminoso oggetto nella sabbia rossa: un fiore di buganvillea bianco che brillava come il sole poggiato su una minuscola zolla di terra verdeggiante. Il giovane si avvicinò per poi inginocchiarsi:

‘’I buganvillea sono i fiori preferiti di Arilyn, ma cosa…’’

‘’Era l’unico modo per avere la tua attenzione, Darrien.’’
Quella voce suadente e gelida risuonò come un tuono assordante nelle orecchie del ragazzo che sfoderò la sua spada, ma si dissolse in una nube di cenere. Il Re della Prima Fiamma era lì, in piedi su una colonna, con un mantello che sventolava e coperto da una corazza rovente e acuminata. Darrien era paralizzato:

‘’Qualcosa non va? Hai visto uno spettro?’’- chiese Gallart, con un sorriso di puro sadismo.

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Capitolo 5
*** Il Recluso; La Peccatrice. ***


La Creatrice si destò dal suo riposo millenario, sorridendo compiaciuta nel veder la Dea del Cosmo al suo cospetto. Eshreal si inginocchiò chiedendo il suo aiuto per evitare che una temibile minaccia distruggesse un pacifico regno e che tutte le sue creature venissero massacrate con brutalità. Maeris si avvicinò alla Dea del Cosmo mostrando tutta la sua luce incandescente, e i suoi sei occhi fatti di polvere di stelle che arsero come un primordiale fuoco. Mosse le braccia in avanti, restando tuttavia bloccata da catene che avvolgevano il corpo e le impedivano movimenti bruschi. Un ruggito cupo le fece vibrare, costringendo la Dea del Cosmo a liberarla dalla schiavitù. Le braccia, sottili e lunghe quasi come le zampe di un ragno si mossero rapide e strinsero in una salda presa la Dea, che rimase impassibile. La Creatrice poté alzarsi e mostrare tutta la sua grandezza di antica divinità, risvegliando finalmente galassie e stelle sopite.

‘’Ironico da parte tua presentarti qui. Io ti ho creato Eshreal e mi ringrazi con una prigionia millenaria? Insolente. Avrai il mio aiuto, ma ad una condizione.’’

La richiesta della divinità creatrice fu chiara alla Dea, che inizialmente titubò nel dare una risposta. Le braccia di Maeris iniziarono lentamente a brillare e diventare cocenti come il metallo in una forgia, stringendo di più la Dea.

‘’Qual è la tua condizione?’’- domandò con voce soffocata la donna. La divinità lasciò andare Eshreal da quella presa asfissiante e rispose, con voce intrisa di perfidia:
‘’Io mi occuperò questa sciagura con un potente esercito e lo farò intervenire quando sarà il momento, ma tu non dovrai ostacolarmi. Sono io ad aver creato tutto questo e io a decidere chi vive e chi muore. Il tuo ruolo sarà quello di benedire e vegliare coloro che entreranno in contatto con te, spiritualmente o fisicamente.’’

‘’Ma io non avrò alcun potere sul Cosmo in sé, destabilizzando il suo equilibri…’’

‘’Osi discutere con una divinità ancestrale Eshreal? Accetta questa condizione o godrò nel vedere tutti i popoli morire, nel vederli odiare una dea che li ha abbandonati!’’- replicò adirata la Creatrice, avvicinando il gargantuesco viso alla minuscola dea. Ira, perfidia, sadismo e altri emozioni turbinanti si manifestavano sul corpo di Maeris con getti di fuoco rovente, esplosioni di stelle e assordanti gorgoglii. La Creatrice mandò via la Dea, iniziando ad occuparsi dell’esercito. Prese una manciata di polvere astrale, di roccia di stelle cadenti, una lingua di fuoco di ogni sole e, infine, il calore derivante dal suo cuore: il Chaos.

Sulla terra, invece, il veleno nero generatosi dal terzo frammento d’Ambra continuava ad impregnare e ad espandersi tra le terre. Ovunque i Rovi Neri passassero, la natura si tramutava in una fetida palude. Le cortecce pietrificate venivano usate dall’esercito come scudi, mentre le armi erano ricavate dalle ossa delle loro vittime fuse a metallo e bronzo, ognuna di loro macchiata con del sangue raggrumato.

Nella loro dimora sotterranea, il Re delle Spine e i suoi figli gioivano delle continue vittorie.

Solo pochi regni resistevano ai loro assalti brutali, tra i quali i due regni gemelli: i Rovi Rossi e i Rovi Bianchi.

Il Re delle Spine osservava il tutto tramite gli occhi delle sue creature, nascoste nelle ombre delle foreste e si compiaceva della loro lenta avanzata verso gli altri due frammenti della Fiamma. Immaginava un unico regno dove solo i più forti sopravvivevano e i deboli schiacciati o usati come giocattoli per bestie feroci. Anche i loro figli potevano assaporarne il gusto, diventare ebbri di quel desiderio di sangue e conquista.

‘’Gioite figli miei. La Natura avrà la sua giusta vendetta.’’
Apocrifi del Recluso; Epoca delle Cinque Fiamme.
 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Notte.


Il ghigno di Gallart non accennò a svanire dal suo perfetto viso, il pallore che contrastava il rosso brillante dell’armatura e delle piccole fiamme che vi vorticavano. Si dissolse per poi ricomparire davanti il ragazzo, visibilmente sorpreso:

‘’Non è stato piacevole scoprire che tua madre, colei che ti ha abbandonato quando eri ancora un fanciullo, è ancora viva, non è così?’’

‘’Queste cose tu…Il mondo etereo dei defunti, ecco come.’’- constatò Darrien, ricordandosi che molti defunti avevano la capacità di comparire nei sogni altrui e, inoltre, ‘’vegliare’’ come se fossero guide. Gallart rise di gusto, confermando quanto detto dal ragazzo.

‘’Il mondo dei defunti. Un luogo dalla quale non posso più fuggire perché dovrei redimere me stesso, non comprendendo che io non ho alcun rimorso e ciò che ho fatto era dovere di un Re della Fiamma. Ho adempiuto all’avverarsi della profezia, ho ottenuto il potere tanto agognato fino a che non mi avete sconfitto. Sai perché sei qui? O perché ti ritrovi in un regno a te sconosciuto, troppo sfarzoso e che di puro ha solo il termine?’’- domandò Gallart, mentre la sabbia lentamente si tramutava in una violenta tempesta dorata. Sotto i suoi piedi comparve una terra brulla, con voragini ovunque e che si innalzava verso il cielo come un aculeo ondulato: sulla cima vi era una statua coperta di venature cremisi. La statua aveva una forma femminile familiare. Darrien si avvicinò e, non appena le sue dita sfiorarono la scultura, essa si tramutò in una accecante fiamma vivente che lo colpì con violenza al petto:

‘’Hai abbassato la guardia, inaspettato da parte tua.’’- disse Gallart, comparendo da quel fuoco luminoso e afferrando il collo del giovane per poi colpirlo allo stomaco con un pugno e lanciarlo contro il precipizio.

‘’Vorrei che tu fossi nuovamente vivo per poterti uccidere.’’- replicò il ragazzo, digrignando i denti e tenendosi lo stomaco dolorante.

‘’Stolto, sei stato il primo a vedere il mondo ultraterreno senza subire conseguenze per la tua psiche e ti ostini a negare che sei in quel regno per puro caso. Hai ucciso dei gladiatori in un gioco per le folle e potevi mandarli al tappeto con i tuoi poteri, ma no.’’

‘’Anche tu hai ucciso delle persone.’’- controbatté Darrien, sorridendo beffardo. In un batter di ciglio si ritrovò ad oscillare nel vuoto, con una mano che gli stringeva forte il collo e lentamente gli bruciava la pelle. Gli occhi di Gallart erano socchiusi e il sorriso distorto dalla malvagità ricomparve sul suo volto.

‘’Ascoltami, moccioso petulante. Essere arroganti, superiori e lasciarsi soggiogare dalla brama di morte non ti porterà a nulla. Non ti farà ritornare a casa in fretta. Io ho ucciso solo per avere il potere, non per intrattenere le folle. Sei convinto che quello che hai fatto sia per…sopravvivere? Mi domando ancora perché Arilyn ti abbia scelto.’’

‘’Arilyn? Dimmi che è ancora viva, ti prego.’’- disse Darrien, stringendo il braccio corazzato dell’uomo, tentando di liberarsi da quella stretta. Una scintilla e il ragazzo venne avvolto dalle fiamme, senza provare dolore.

‘’Ora mi supplichi, quanto sei ridicolo. Non ti dirò nulla, dovrai scoprirlo tu. E ora, vola piccolo falco.’’- e così Gallart lasciò cadere nel baratro oscuro il ragazzo, mentre il fuoco continuava a divorare la sua pelle. Una meteora in un cielo senza stelle. In preda alla rabbia, cercò di risvegliare il suo potere, inutilmente.
Si risvegliò nella sua stanza, con un denso e asfissiante calore che gli opprimeva il petto. Deglutì a fatica e cerco di riprendersi da quell’incubo tremendo.

‘’Oh Arilyn, ti prego. Ovunque tu sia, sii prudente.’’

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Passo di Akna. Estate. Prime luci dell’alba.

I primi raggi rosati del sole filtravano tra i rami di ailanto, d’ippocastano e larice, dipingendo le loro folte chiome di varie sfumature calde e pittoresche. Arilyn era seduta sotto uno di questi alberi, riposando leggermente nell’attesa che l’ultimo maestro giungesse nel luogo prestabilito: dal Concilio al Passo di Akna ci volevano circa trenta minuti di cammino seguendo la stradina recintata.

‘’Lohengrin, puoi sfruttare brevemente il tuo potere per vedere dove si trova Hemar? Mio marito è sempre in ritardo.’’

‘’Avrà avuto problemi con la spada. Ha detto che uno dei segmenti dell’elsa non si richiudeva e bisognava fare leva con il piede per rimetterla nella corretta posizione. Dammi un secondo e riferisco subito Magdelin.’’- rispose il cavaliere, mentre i suoi occhi iniziarono a brillare di un celeste opaco. Da un cespuglio lì vicino, una cornacchia con lo stesso fulgore negli occhi si librò in cielo e si mosse per la radura. Lohengrin sorriso, scrutando attraverso gli occhi del volatile l’armatura di Hemar, ma al posto della spada-frusta aveva una semplice ascia da guerra.

‘’Richiama il tuo potere Lohengrin, sono quasi arrivato.’’- urlò il maestro in lontananza, agitando con sconforto l’arma tra le mani. Magdelin si avvicinò all’uomo e lo baciò sulle labbra dolcemente, cercando di rincuorarlo. Hemar la strinse a sé e la baciò con passione, non rendendosi conto che Arilyn era sveglia e osservava tutto:

‘’Oh, perdonatemi immensamente per avervi fatto attendere. Ho dovuto lasciare la mia arma dal fabbro. Uno degli incastri della spada si è danneggiato e non si richiude bene, lasciando un millimetro di spazio vuoto.’’- disse, interrompendo quel bacio con un sorriso di imbarazzo; la giovane Thandulircath rassicurò con un gesto della mano, seppur sapeva che quei gesti così intimi le provocassero un vuoto inspiegabile. I tre culiars e la ragazza iniziarono il loro cammino sul sentiero recintato giungendo successivamente ad un bivio; al centro vi erano due picchetti ricoperti di muschio, uno indicante il luogo dove giovani cavalieri o scudieri venivano addestrati all’arte militare mentre l’altro era scritto in una lingua sconosciuta. Lohengrin ebbe un sussulto nel vedere quelle iscrizioni. Istintivamente raccolse dei ramoscelli e qualche foglia secca e le mischiò al muschio già presente, coprendo interamente la scritta:

‘’Sono anni che fai questo Havelok, perché vuoi nascondere quel luogo?’’- domandò Magdelin, scuotendo impercettibilmente la testa disapprovando quel gesto.

‘’Il Cimitero dei Senza Nome deve restare nascosto ad occhi indiscreti e ai curiosoni. Il volere di un defunto va rispettato se non vuole subirne le conseguenze.’’- rispose fermo l’uomo, sospirando. In silenzio, raggiungendo il gruppo recitò una preghiera per le anime di quel luogo. Mentre proseguivano per la mulattiera, Arilyn si incuriosì di alcuni monili appesi a dei rami e di alcuni resti di statue, quasi divorate dal muschio e dai licheni. Stava per chiederne l’origine e chi raffigurassero, prima che spuntassero dalla boscaglia due soldati che brandivano delle strane armi, simili a denti aguzzi adattati alla forma delle mani e degli avambracci. Indossavano semplici armature di cuoio leggere, con sopra delle spine incollate con della resina.

‘’E voi sareste?’’- domandò uno di loro, incuriosito e leggermente intimorito dalla loro presenza.
‘’Cavalieri del Regno dei Rovi Rossi. A giudicare dalle vostre armi, siete dei Ricognitori di Tupymt. Siete lontani dal vostro bosco.’’- rispose Magdelin, portando le mani sulle impugnature delle sue spade, pronta ad attaccare se necessario.

‘’Da qualche giorno alcune tombe del nostro cimitero sono state aperte e i defunti al loro interno sono scomparsi. Crediamo siano stati dei mjròs’kalag, Divoratori di morte. Li cerchiamo per ucciderli e riportare i nostri amati defunti nella loro terra natia. Il capitano ci ha assegnati di spingerci oltre i vostri confini se necessario. Alcune impronte portano in questo luogo e non possiamo allontanarci fino al completamento dell-‘’

‘’Divoratori di Morte?’’- domandò Arilyn, restando ad osservare cautamente i due soldati che brandivano quelle inusuali armi. Uno di loro si avvicinò corrugando la fronte, mentre quei denti aguzzi usati come caestus iniziarono ad ardere di un fuoco bluastro che vorticava dalla base fino ai rinforzi di metallo dell’osso.

‘’Stai in all’erta, giovane guerriera. È ostile.’’- esordì dopo un lungo sonno il suo Istinto. Il braccio del soldato si mosse con un tremore e cercò di colpire Arilyn al volto. Prontamente, una barriera di luce si materializzò e la ragazza contrattaccò prima con un montante, mise le mani sul terreno e le alzò nuovamente innalzando fango e trucioli di corteccia incendiati dall’intenso calore che sprigionava il suo potere. Istintivamente anche i tre cavalieri brandirono le loro armi, portandosi ai lati di Arilyn pronti a fronteggiare possibili rinforzi:

‘’Calmi, calmi! Il mio compagno di squadra si è lasciato…intimorire dalla presenza di una Thandulircath, l’ultima per giunta e ha reagito inconsciamente. Li considera un popolo di barbari e saccheggiatori, ma non è mai stato così. Menzogne di quartiere. Perdonatelo.’’- disse l’altro soldato, allargando le braccia e tentando di placare gli animi dei presenti.

‘’Dovreste…essere morti. Maledetti Thandulirca…’’- un fascio di luce trafisse la sua spalla da parte a parte, carbonizzando la pelle, causando urla di dolore; un tanfo di carne bruciata disgustò il soldato, mentre le urla attirarono altri cavalieri dal basso della collina, tra cui anche parte dei Legionari. Gli occhi di Arilyn brillavano come se fossero dei piccoli soli incastonati e il suo corpo si ricopriva di un accecante fulgore. Magdelin posò una mano sulla spalla della ragazza, strattonandola lievemente per farla rinsavire.

L’errore imperdonabile del soldato e la reazione della giovane Thandulircath diede vita ad un indesiderato spettacolo che attirò l’attenzione di tutti come insetti attratti dal dolce miele. La luce scomparve e le urla di dolore cessarono. Arilyn restò ad osservare con disprezzo quell’uomo di Tupymt prima di proferire parola:
‘’Sei solo uno stolto. Credi a delle ridicole baggianate narrate da persone inaffidabili. Il tuo gesto non resterà impunito soldato. Tu non sai nulla del mio popolo, o di me. Portalo via, prima che del sangue innocente venga sparso su questa selva smeraldina.’’

I Ricognitori se ne andarono in silenzio, terrorizzati da quell’evento e dalla ragazza; anche i tre maestri rimasero sbigottiti, ma continuarono il loro tragitto fino a giungere in un luogo al sicuro da occhi indiscreti. Magdelin condusse la sua allieva vicino un piccolo laghetto e discussero dell’evento, cercando di comprendere la ragione di quell’incontrollata rabbia.

‘’Inizio a sentirmi una estranea. Prima Derceia che infanga l’onore di mio padre e adesso un soldato cerca di uccidermi perché crede che il mio popolo sia barbaro e privo di scrupoli. Poche volte il mio animo è stato sopraffatto dall’ira, ma adesso non è più come prima. Soffro per aver perso tutto quello che avevo, ma dovrei essere felice perché sono stata salvata dal gelido abbraccio della Tenebra…Eppure non ci riesco…’’- disse Arilyn stringendo i pugni, cercando di placarsi. Magdelin le lanciò nuovamente la sua spada, convocò gli altri due maestri e si misero in posizione d’attacco.

‘’Brandisci la spada e colpisci. Se permetti all’odio e al rancore di sopraffare il tuo spirito, non troverai mai l’equilibrio che desideri. E adesso in guardia, soldato!’’- replicò con fermezza la donna, ma la Thandulircath rifiutò. Un colpo di frusta scaturitosi dalla spada di Magdelin colpì in pieno il corsetto di Arilyn, lacerandone parte.

‘’Reagisci, codarda.’’- incalzò Lamorak, portandosi alla sinistra della ragazza, imitato poi da Lohengrin che andò a destra. Arilyn, infastidita da quell’affronto, brandì l’arma e caricò un possente fendente che venne parato. Cercò di colpire con un gancio sinistro, ma venne bloccato anch’esso per poi esser scaraventata sull’erba. L’ascia di Lamorak piombò su di lei con un minaccioso luccichio, arrestandosi sulla barriera di luce generata da Arilyn:

‘’Non sono una codarda.’’- fu la risposta secca della ragazza, colpendo al ginocchio l’uomo, afferrandolo con i rovi viventi della spada e rompendo la guardia. Lohengrin giunse, dividendo i due con un fendente della spada-frusta. Minuscoli cumoli di terra impedirono l’avanzata della ragazza che fece affidamento sul potere e tramutò quei piccoli pezzi fangosi in sfere infuocate. Con un urlo rabbioso, scagliò il fango incendiario contro l’uomo. I rovi viventi strinsero Arilyn in una morsa serpentina, impedendole i movimenti: Magdelin aveva conficcato la spada in un albero, mentre la lama vivente bloccava la ragazza.

‘’Fai sgorgare fuori tutto l’odio che ti affligge.’’- disse Lohengrin usando la sua spada-frusta per alzare cumuli di fanghiglia che si riversarono come pioggia bruna sulla giovane. Gettò via la spada e, richiamando il suo accecante potere, ridusse in cenere i rovi e si scagliò su di lui usando parte della lama. Si tramutò in una nube di stelle dorate, abbaglianti e roventi e piombò su Lohengrin ma un qualcosa di luccicante andò ad arrestare l’avanzata della fatale polvere stellare. Un grosso tronco di legno ricoperto di metallo alla cui estremità era legata una rete si conficcò in un albero lì vicino, intrappolando la ragazza in quella prigione di corde.

‘’Scontro interessante, ma scialbo. La ragazza lascia scoperti molti punti vantaggiosi per l’avversario, come i fianchi e le gambe. Per quanto riguarda i Ricognitori non erano veri ricognitori, ma meri sciacalli. Il loro tanfo di aglio e carne secca è innegabile. Fatti fuori con un solo colpo.’’- disse il Legionario raucamente, con indosso un mantello marrone strappato in più punti. Al suo fianco vi era un altro uomo, anch’egli coperto da un mantello leggero aperto davanti che consentiva di mostrare gli indumenti di seta coperti da una pettorina di metallo.

‘’Placa il tuo egocentrismo Veldass, non siamo qui per elogi. Quindi, finalmente incontriamo la nuova arrivata di Lynmes Alno.’’- esordì lui, sistemandosi i lunghi capelli dietro le orecchie. Gli occhi, color ardesia, si posarono sulla prigioniera e andò da lei per liberarla. Arilyn bruciò le corde e si liberò, mentre la sua rabbia continuava a manifestarsi sotto forma di sprazzi scintillanti.

‘’Voi due Legionari perché siete qui? Non avete bisogno di allenarvi, siete già esperti nell’arte bellica.’’- esordì Lamorak, posando la sua ascia dietro la schiena.

‘’Proviamo solo antiche tecniche belliche che potrebbero tornarci utili contro i nostri vicini. Abbiamo subito ingenti perdite dovute agli arcieri e alla fanteria pesante. Si posizionano in un semi cerchio che va a restringersi e ci massacrano.’’- rispose Veldass, staccando il randello dalla corteccia distrutta dell’albero: un’arma così grossa e ricoperta di ferro doveva pesare moltissimo, tranne per lui. Gli sprazzi di luce dorata svanirono ed Arilyn tornò ad essere sé stessa. Si schiarì la voce e disse:

‘’Sfruttate la foresta, costruite trappole nel terreno, usate la natura a vostro vantaggio. Da come avete descritto il nemico, attua sempre con le stesse tattiche. Avanzare e accerchiamento. Inoltre, se nel sottobosco vi sono tronchi o cortecce pietrificate, si possono sfruttare come scudi e come arma offensiva.’’
Veldass e l’altro Legionario si scambiarono una rapida occhiata di sconcerto, mentre i tre culiars sorrisero a quella prevedibile risposta. L’uomo dai lunghi capelli e dalla pettorina di metallo scuro posò le mani sui fianchi e replicò:

‘’Io sono Elurek Ilkaeg, Gran Mastro dei Fuochi e Legionario dei Rovi Rossi. Oltre ad avere un potere impareggiabile, simile al fuoco che rischiara i nostri cieli, possiedi eccellenti doti strategiche in campo militare. Chi ti ha insegnato tale arte?’’- domandò, suscitando un grugnito di seccatura da parte di Veldass.

‘’Vorshan.’’- rispose Arilyn, mascherando la tristezza nel ricordare il padre ormai defunto. Il Legionario armato di randello metallico notò subito l’espressione della ragazza e, con la parte piatta dell’arma andò a toccare la spalla del compagno che continuava a complimentarsi con la ragazza, elogiando in modo stucchevole le sue abilità:

‘’Elurek, taci o ti strappo quella lingua. Andiamo, Iridia ci sta aspettando.’’

‘’Ma non ho finito di complimentarmi…’’- s’interruppe vedendo lo sguardo truce dell’uomo mentre sfiorava con le dita la parte arrotondata del randello. Entrambi i soldati si scusarono e corsero su per la piccola collina. Arilyn andò a sedersi vicino il laghetto, chiuse gli occhi e cercò di comprendere perché la sua anima fosse così irrequieta e irascibile, tanto da farle perdere il controllo sulle sue azioni. I suoi occhi color smeraldo vagavano dallo specchio d’acqua trasparente alla fitta vegetazione fino a posarsi su quello che sembrava uno spettro di un condottiero in una cupa armatura acuminata, dagli occhi gelidi e dal sorriso reprobo. Scosse la testa e andò via, lasciandosi i tre maestri alle spalle.

‘’Ha ancora molta strada da fare, vero?’’- domandò Lohengrin, preoccupato per la ragazza. Percepiva le sue emozioni contrastanti, il desiderio di spezzare quelle catene le impedivano di trovare quiete. L’angoscia la stava divorando.

‘’Non solo quello, caro Lohengrin. La nostra allieva deve prima estirpare quel caotico turbamento, piantare un nuovo germoglio e far crescere un nuovo fiore dentro di sé. La Dea del Cosmo l’ha condotta in questo regno perché noi troviamo sempre un perfetto equilibrio in qualsiasi cosa facciamo.’’- rispose Lamorak, cogliendo un giglio selvatico e donandolo alla sua amata Magdelin, che arrossì per quel gesto inaspettato.

‘’Da quando sei diventato un poeta?’’- chiese il cavaliere del Corvo, suscitando una piccola risata di entrambi.

‘’Non è poesia ciò che ha detto, ma semplici esperienze vissute. Raggiungiamola o si perderà e le Sette Sorelle non saranno contente.’’- replicò Magdelin, posando il giglio all’interno dell’armatura leggera e corsero su per la verdeggiante collina. La donna ebbe una strana sensazione, come se qualcuno avesse posato il suo sguardo crudele su di loro e si preparasse ad attaccarli con ferocia. Dai rami spiccarono il volo solo alcuni sparvieri in cerca del loro pasto e quella sensazione scomparve.
Arilyn proseguiva il suo cammino, seguendo le orme che avevano lasciato prima di giungere nella piccola valle per allenarsi; più avanzava, più un denso odore di zolfo e legno bruciato le impediva di respirare. Ai lati del sentiero notò nuovamente lo stesso spettro che le sorrideva:

‘’Ora sei in grado di manifestarti anche nel regno dei vivi?’’- gli domandò, ottenendo come risposta lo stesso diabolico ghigno.

‘’Rispondi Gallart, ti ho fatto una domanda.’’- ribadì la ragazza aspramente, desiderando di farlo svanire solo con la forza del pensiero.

‘’Non in forma corporea, non mi è concesso. Hai un aspetto cadaverico, giovane Thandulircath. Non apprezzi questo idilliaco regno? Sono tutti così gentili con te e stanno facendo il possibile per aiutarti…’’

‘’E io li ringrazio disinteressandomi e distaccandomi. Sei venuto solo per questo? Per provocarmi? Per constatare quanto io sia debole e incapace di reagire a questo fardello che mi affligge?’’- lo interruppe alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia, esasperata.

‘’Sarò anche una vile carogna ai tuoi occhi, ma puoi ben comprendere che il potere che hai è diventato forte solo fronteggiando i tuoi problemi. Vuoi che ti consideri ancora ciarpame Arilyn o vuoi infrangere questo macigno che conduci sulle spalle come se tu fossi un dio costretto a sorreggere questo pianeta? Fai la tua scelta o sarò costretto a farti ragionare!’’- rispose con perfidia e svanì in una luminosa fiamma.

Estremo Ovest. Cittadella degli Abbandonati. Mattina.

Su l’unica torre che svettava al centro di una gremita piazza, una donna ammirava come i raggi del sole si facessero strada tra le feritoie e le merlature schermate. Queste ultime furono progettate da uno degli architetti del paese per impedire al sole estivo di rendere il marmo della torre accecante con i suoi riflessi. Muoveva la mano tra i fasci di luce, come se potesse toccarli e farli vibrare simili a corde di violino. Si tolse il cappuccio mostrando lunghi e splendenti capelli biondo ramato che incorniciavano un candido viso, solcato da un sorriso malinconico.

‘’Hai nostalgia di casa, mia cara Tyarjes?’’- domandò qualcuno alle sue spalle, nella penombra della stanza. La donna non si sorprese di quell’ospite e lo invitò ad uscire dalle fredde tenebre per riscaldarsi al sole estivo. Un uomo prestante in livrea verde acqua venne avvolto da quel torpore, mentre i suoi occhi ambrati sembravano gemme che risplendevano di luce propria. I corti capelli grigi pettinati all’indietro risaltavano un viso sensuale e temprato da anni di addestramento e lotte, facendo arrossire la donna che era rimasta lì senza proferire parola. Si ricompose non appena incrociarono gli sguardi:

'’Sì, ma ho scelto io di andarmene da Lynmes Alno e di stabilirmi qui. Sono cambiate molte cose in quel regno dalla mia dipartita. Quelle novecento novantadue anime non troveranno pace per essere state dimenticate dal vecchio concilio durante quella cruenta guerra. Tornammo solo in otto fino alla mia decisione.’’

‘’Decisione inamovibile e rispettabile, seppur mi chiedo come possano sette legionari e un centinaio di guerrieri a fronteggiare il regno gemello.’’- replicò lui, posando il suo arco e faretra vicino uno dei merli. Estrasse dal borsello che aveva sul fianco un piccolo fagotto che emanava ancora uno squisito odore. Sciolse il fiocco che teneva saldo il piccolo pezzo di seta e rivelò un bignè alla crema.

‘’Concediti questa piccola leccornia prima che ti parli di qualcosa di estremamente importante.’’- disse l’uomo porgendo il dolce nelle mani della donna, incuriosita dalle parole dell’arciere. Lo ringraziò donandogli un leggero bacio sulle labbra. Dopo aver degustato quel bignè, Tyarjes chiese cosa fosse l’importante messaggio. L’uomo alzò la testa, trasse un profondo respiro e disse, con non poca amarezza e preoccupazione:

‘’Da qualche giorno la natura è diversa. Alcuni alberi hanno la corteccia putrefatta, i rami sono spogli e pietrificati. Cervi, caprioli e facoceri scuoiati, sventrati e disossati sono stati trovati ammassati nel fiume qui vicino. Nessun animale è in grado di fare questo macabro scempio. Gli unici capaci di massacrare e sfigurare la natura sono…’’

‘’I Rovi Neri. Quindi le informazioni ottenute da alcuni messaggeri era concrete e non semplici supposizioni. Hai idee Fjolvar?’’- chiese la guardiana, anch’ella preoccupata dall’imminente ritorno di un popolo cruento. L’arciere respirò profondamente di nuovo e scosse la testa, incapace di trovare un piano strategico.

‘’Aspettare la decisione delle stelle e della Dea. Per ora ci limiteremo a guarire quella piaga che affligge il bosco all’esterno delle mura. O almeno ci proveremo. Ritorno alle mie mansioni, altrimenti il comandante Signuva mi seppellirà vivo.’’- disse Fiolvar, sistemandosi sulle spalle l’arco e la faretra. Prima di lasciare la torre, baciò con passione la sua amata Tyarjes e si congedò con un elegante inchino.

‘’Anche noi abbiamo percepito il malessere della foresta. Siamo preoccupati quanto te Tya.’’- esordì una voce femminile, molto rauca e quasi gutturale. Una figura alta, possente e dalla carnagione bluastra con indosso pelli di animali rinforzate da placche metalliche si palesò dall’ombra. Era Kithaa, la balestriera del lato sud della torre, una zadanri. La Guardiana della torre, iniziando a sistemare le frecce, rispose:

‘’Se l’Era Oscura dovesse tornare, interverremo. Siamo guerrieri instancabili e che hanno giurato sulla propria vita di perseverare, battersi fino a che il cuore e il corpo ce lo conceda.’’
Dall’interno della torre sopraggiunsero dei passi pesanti e frettolosi, accompagnati da un tintinnio metallico e scricchiolio legnoso. Un altro zadanri raggiunse le due donne, boccheggiando in cerca di ossigeno. Da un piccolo scompartimento posto sulla faretra che aveva al fianco estrasse una manciata di erbe dal colore indefinito; le masticò e poi inghiottì con un verso poco dignitoso.

‘’Non torneranno solo i Rovi Neri…I kyi Norvarde.’’- disse il balestriere dai capelli ramati, mentre si asciugava il sudore con un fazzoletto di seta che aveva nel colletto della camicia.

‘’Fratellino sei convinto di ciò che dici? Se dovessero realmente tornare, avremmo un vantaggio.’’- replicò Kithaa, stringendo le mani sulle sue spalle robuste e muscolose.

‘’Ho seguito due paia di orme nel sottobosco, giungendo fino ad un piccolo spazio vuoto. Lì vi erano un calderone, tre candele poste a formare un triangolo e una pergamena vuota. Sono sicurissimo o non mi chiamo Nyr’kyl.’’- rispose lo zadanri, sorridendo beffardo e ammiccando. Tyarjes, conoscendo parte della lingua dei due balestrieri, strabuzzò gli occhi incredula.

‘’Quindi…il Recluso e il Peccatore sono già stati qui. Che siano diretti a Lynmes Alno?’’- chiese lei al giovane balestriere.

‘’Peccatrice, ma mentiva sul proprio sesso per incutere maggior terrore e superstizione tra coloro che la incontravano. Una maschera, un incantesimo di camuffamento ed era facile trarre in inganno anche il più furbo.’’- disse ridacchiando Nyr’kyl, per poi congedarsi e dirigersi sulla cima della torre e iniziare il suo turno.
Il Recluso e la Peccatrice, secondo antichi scritti, furono i testimoni dell’efferata guerra tra divinità e i tre regni dei Rovi millenni or sono. Il Recluso, per non precipitare nella follia bellica, scelse questo epiteto e cercò luoghi dove imprigionarsi da solo, evitando di perdere il lume della ragione. La Peccatrice, invece, cercò di adempire all’irrefrenabile desiderio di possedere le cinque fiamme e avere un gargantuesco potere. La Fiamma d’Ambra, prima ancora di dividersi, le impedì di commettere tale sacrilegio ustionandole le mani per l’eternità. Si narra inoltre che siano alti quanto i Titani d’Onice e che conoscano lingue antiche e dimenticate ma solo il Recluso è in grado di parlarle con estrema facilità.

Nel mentre la Guardiana e i balestrieri della torre discutevano sul possibile ritorno di queste due figure, al centro della Cittadella dove si ergeva il palazzo dei governatori, un uomo dalla folta barba nera e dalla pelle rugosa era intento a leggere un manoscritto ingiallito mentre dei lamenti fastidiosi provenienti dalla stanza adiacente lo stavano irritando.

‘’Mi domando sempre perché un mezzosangue come lui possa ancora respirare. Forse questi mille anni finalmente sono terminati per lui...’’- disse il barbuto, andando nella direzione dei lamenti. Il corridoio, umidiccio e dagli odori sgradevoli, echeggiava di quella lagnosa cantilena; più si avvicinava, più i lamenti aumentavano d’intensità. Un energumeno dal volto coperto rimase fermo davanti la cella, visibilmente terrorizzato da quello che stava assistendo:

‘’Vòh? Vòh, per le stelle che cosa gli prende al nostro amico Hrelvul?’’

‘’Guarda con i tuoi occhi, Wozhemri.’’- rispose l’energumeno, indicando la cella con la punta della sua mannaia. Non appena l’uomo barbuto si trovò davanti la cella, notò disgustato la grande pozza di sangue, il prigioniero ricoperto di piaghe e che gli occhi erano neri come la pece.

‘’Hrelvul? Si può sapere cosa hai? Hai interrotto la mia lett…’’

‘’Le tue mere letture saranno un ricordo del passato. I Rovi Neri si sono risvegliati dal loro letargo. Il loro padre è prossimo a recuperare la vita. Dobbiamo…trovare subito il Recluso e la Peccatrice, o la Cittadella e i regni confinanti…bruceranno e nulla potrà estinguere le fiamme…’- rispose gemendo Hrelvul a loro.

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Estate, tarda mattina.

I quattro condottieri optarono per una sosta in una delle taverne del regno, frequentata dalla maggior parte dei soldati per i suoi pasti e bevande calde. Arilyn fu l’ultima ad entrare, con la mente offuscata dai pensieri opprimenti e dalla visione del Re della Prima Fiamma che la perseguitava. Fragranze e musiche si mescolavano con l’ambiente festoso, tra battute e risate fragorose. Gli occhi della giovane Thandulircath scrutarono, nel mezzo di quel trambusto allegro, un tavolo occupato da sette persone con indosso una armatura diversa da quelle dei culiars e degli altri soldati; riconobbe Elurek e Veldass che narravano concitati qualcosa, ma non riusciva bene a comprendere ciò che stavano dicendo.
Uno dei camerieri giunse subito con due vassoi, uno di bevande dal profumo intenso e dolce e uno con coppette e piatti che variavano di forma e composizione. Arilyn fu l’unica a scegliere un bicchiere di latte di riso e un piatto con fette di formaggio e miele, verdure con una particolare salsa di melograno e del pane. I tre maestri invece optarono per dello stufato in agrodolce. Nessuno dei quattro proferiva parola, soprattutto la Thandulircath che sembrava oppressa da qualcuno o qualcosa.

‘’Cosa ci fa una bellissima ragazza come te in questo posto con tre matusalemmi?’’- domandò un soldato, panciuto e che emanava un tanfo di sudore e vino. Tutti rimasero ammutoliti da quell’insulto, tranne Arilyn che continuava a mangiare il suo pasto. Con la punta dello stivale, l’uomo allontanò il tavolo dalla ragazza che strinse i pugni.

‘’Ti ho fatto una domanda e gradirei risposta!’’

‘Non rispondo ad un barbaro che odora di sterco. E gradirei mangiare senza essere disgustata dalla vista del tuo lardoso addome.’’- rispose lei, voltando la testa e serrando le labbra. Veldass trattenne a stento le risate, prima che Iridia lo folgorasse con lo sguardo; il Comandante dei Legionari sembrava incuriosita dalla scena e presagiva già uno scontro. Il soldato grassoccio, imbarazzato e disonorato per quell’affronto cercò di afferrare la spalla della ragazza: le punte della forchetta si conficcarono nella spalla, ed iniziarono a riscaldarsi emanando un pallido bagliore.

‘’Osa toccarmi e al posto delle mani ti ritroverai delle zampe di maiale, così tutti sapranno cosa sei realmente.’’- sentenziò la ragazza, ustionando letteralmente la pelle del grasso soldato che gemeva dal dolore. Estrasse la forchetta incandescente scansando l’uomo con un calcio al petto. In preda alla rabbia tentò nuovamente di reagire per colpire la ragazza, ma venne bloccato dal randello di ferro di Veldass:

‘’Basta così. Vattene.’’- disse intimidendolo con la parte tonda dell’arma, spingendolo lentamente verso l’uscita. Non appena andò via imprecando, la tensione svanì e le ballate ripresero; Veldass si complimentò con la ragazza e le rivelò di aver parlato di lei al suo comandante.

‘’Non è molto loquace come persona. Preferisce ascoltare e pianificare contromosse militari ed è molto introversa su molti…aspetti…’’- s’interruppe nel sentire una presa salda alla spalla. Il Comandante dei Legionari si palesò silenziosamente e con un sorriso che mal celava il suo disdegno disse all’uomo di lasciare che fosse lei a presentarsi come spettava ad un cavaliere.

‘’Finalmente incontro la ragazza che il mio amico Veldass ha descritto come audace e a sangue freddo. Iridia Dewdrop, figlia di Imryll la Curatrice Bianca. Tu sei Arilyn vero?’’

‘’Sì, lieta di…’’- il Comandante afferrò la ragazza per il polso e, sottovoce, replicò con un tetro luccichio negli occhi, quasi animalesco.

‘’Non so come il Concilio possa fidarsi di una Thandulircath venuta dal nulla, ma io sono restia ad accettarti nel nostro regno. Non potendoti esiliare avendo la protezione di mia madre e delle Sette Sorelle, ti consiglio di starci lontano. Soprattutto da me.’’

Arilyn rimase impassibile a quell’affronto, mentre il suo cuore batteva incessantemente nel suo petto. Lohengrin si avvicinò non appena il comandante fu abbastanza lontano da non poterli sentire e rivelò che Iridia non gradiva molto ospiti che provenivano da terre lontane, più volte delusa dal loro comportamento doppiogiochista.

‘’Ha chiuso il suo cuore ad ogni tipo di emozione, concentrandosi unicamente nel ruolo di comandante e stratega. Ad eccezione di Elurek, tutti loro hanno un passato burrascoso che li ha resi così…distaccati.’’- constatò amaramente il maestro, tornando a sedersi per finire quel che restava del suo stufato invitando la giovane Thandulircath a fare lo stesso. Una volta terminato il lauto pasto, Magdelin Richilde pagò per tutti e quattro con una moneta di platino:

‘’Non posso accettarla e francamente avete liberato la mia taverna da quel grassone fetido. Il pasto ve lo offre la casa.’’- rispose l’oste, riconsegnando la moneta nelle mani della donna e tornò alle sue mansioni. Quando uscirono dall’edificio, il fabbro della città attendeva impazientemente l’arrivo di qualcuno mentre tra le mani stringeva una scatola di legno; non appena Arilyn lo salutò, il fabbro consegnò l’oggetto sorridendo come un bambino davanti a dei succulenti dolciumi:

‘’Di solito non impiego tutto questo tempo per creare un capolavoro, ma la tua spada doveva essere speciale e mi sono preso una libertà artistica. Ho usato dell’elbaollite per il filo della lama e dell’elsa, mentre la lama in sé è un miscuglio di ossa, tiumene e argento gemello. Conoscendo anche le tecniche di combattimento con armi bianche di Huvendal, sul pomolo mi sono permesso di aggiungere una sorpresina.’’- disse l’uomo, lisciandosi i lunghi baffi con orgoglio. Arilyn sorrise e aprì la lunga scatola avvolta da corde di seta. Il colore della lama era simile alla primissima spada che brandì nella guerra del Grande Gelo, rossa scuro dovuta all’unione dell’argento gemello con il tiumene e la punta terminava in una sezione triangolare. Il sole illuminava il filo della spada e l’elsa che presentava dei leggeri incavi fatti su misura per le dita, ma ciò che sorprese maggiormente la ragazza fu un vambrace di metallo decorato con il simbolo del regno sulla parte superiore e, da esso, pendeva una lunga catena fusa sia sul pomolo che sull’uncino del vambrace.

‘’Meravigliosa. Ti ringrazio infinitamente Oghan. Non la definirei sorpresa, ma un grande miglioramento. Prima i soldati dovevano legarsi la catena sull’avambraccio e sul cinturone per evitare che perdessero la presa. Ti sarò riconoscente per la vita.’’- disse Arilyn, sorridendo e stringendogli la mano.

‘’Un consiglio da fabbro e vecchio soldato. Provala, ho portato anche una sagoma di legno per gli addestramenti.’’- rispose l’uomo, avvicinandosi ad una colonna di supporto della taverna e recuperando il bersaglio. Non appena fu pronta e il fabbro si mise in sicurezza, Arilyn concentrò il suo potere che si manifestò sulla lama avvolgendola completamente di luce dorata. Con un ampio movimento, eseguì un dritto tondo che sprigionò una mezza falce scintillante. La sagoma di legno venne investita dall’indomabile colpo, spaccandosi in due e incendiandosi.

‘’Sono sbalordito! Ho messo solo un pizzico di comorollo d’argento e la tua spada sembra comunicare con te senza altre stregonerie. Per tutti i minerali, mi sento esterrefatto e confuso. Prova adesso con l’ausilio della catena.’’- esordì quasi febbricitante Oghan, assistendo a quella scena. La giovane Thandulircath non se lo fece ripetere e con lo stesso movimento energico scagliò la spada contro la base della sagoma, conficcandosi con un rumore sordo. Afferrò saldamente la catena e la strattonò per riportarla a sé; la sagoma venne distrutta completamente dal colpo di rimando. Il fabbro era euforico e disse che sapeva perfettamente cosa fare:

‘’Dato che, in futuro, il nostro regno possa attuare incursioni in quello confinante voglio cimentarmi nella costruzione di possenti balliste che distruggano i loro bastioni con colpi a ripetizione. Dovrò fabbricare un sistema di recupero del dardo e di lancio e…’’

‘’Oghan, tu e le tue manie di grandezza. Sei uno dei migliori fabbri, ma creare armi d’assedio è faticoso e richiede molto tempo.’’- disse Lohengrin, sorridendo bonario. L’uomo, considerando quella frase una sfida per le sue doti si avvicinò a petto gonfio e replicò:

‘’Scommetto una moneta di platino che riuscirò a costruire l’arma per distruggere le difese dei Rovi Bianchi.’’

‘’Come credi. Accetto!’’- rispose il cavaliere, stringendogli la mano. Nel mentre i tre culiars parlavano tra loro, decidendo se fare o meno rapporto dell’idea di Oghan, la giovane Thandulircath notò un meccanismo nel vambrace, simile ad un disco: non appena lo azionò, uno scatto fece partire un piccolo fischio e la catena ritornò al suo posto con rapidità, combaciando con i solchi sul metallo.

‘’Non si è reso conto di averne già creato uno.’’- disse tra sé e sé Arilyn, sorridendo a quella prodigiosa invenzione. Recuperò anche il fodero dalla scatola di legno, così da poter proteggere la lama da urti e umidità. Magdelin annunciò che avrebbero dovuto fare rapporto al Concilio della bizzarra idea del fabbro, pur sapendo in cuor suo che nulla gli era impossibile. Nel mentre i quattro cavalieri si accingevano a raggiungere il palazzo, all’interno del salone dove il Frammento d’Ambra la Guardiana sentì uno strano terrore farsi largo nel suo cuore: anche il frammento sembra subirne gli effetti, sfumando su un rosso opaco. Sistemò i piccoli recipienti e intonò parole che solo lei ne conosceva il significato e ciò che vide la paralizzò. Le due donne incaricate di proteggerla notarono lo strano avvenimento e con cautela si avvicinarono:

‘’Che cosa le prende?’’- chiese Heloys, sfiorando la spalla della Guardiana. Aphrah, la sua compagna, aggrottò la fronte e strinse la propria arma tra le mani.

‘’La Guardiana è legata spiritualmente a questa reliquia, ogni instabilità o angoscianti ed imminenti eventi la rendono fragile tanto da provocarle terrore. E credo fermamente che uno di questi eventi sia prossimo. Guarda i recipienti. Hanno una sfumatura rossiccia e nera.’’

Heloys raccolse uno dei recipienti pieno d’acqua e annuì non appena notò il colore non più cristallino. La Guardiana del Frammento, d’un tratto, ansimando si coprì il volto con le mani e cadde in ginocchio. Le due donne, preoccupate per quel cambiamento così repentino, domandarono cosa avesse visto o percepito. La Fiamma d’Ambra tornò al suo splendido ed originale colore, ma Meryld tremava e piccole gocce di sudore le rigavano il collo, come se fosse rugiada mattutina.

‘’Sono…passati secoli dalla Guerra della Fiamma dei Tre Regni che ha visto il nostro regno e quello gemello scontrarsi in baraonde continue, mentre quello…quello…’’- non riusciva a pronunciare il terzo regno, il più violento e sanguinario.

‘’I Rovi Neri? Cosa c’entrano adesso con i nostri disguidi?’’

‘’Cara ed innocente Aphrah, i Rovi Neri non sono stati sconfitti! I tre principi sono vivi, ma senza il loro padre non possono attuare qualsiasi piano losco stiano preparando. Sono deboli e privi di una guida. Ma loro sono l’ultimo problema di cui preoccuparsi.’’- rispose la donna, alzandosi in piedi e pulendosi il vestito sporco di polvere.

‘’C’è altro? Per favore Meryld, diccelo.’’
‘’Due leggendarie entità sono ritornate dal loro oscuro antro. Il Recluso e la Peccatrice, i primissimi testimoni della creazione, del desiderio peccaminoso e della guerra sono qui. Il loro rientro è presagio di catastrofe, la terrà verrà bagnata con il sangue e cibata con i cadaveri. Né il nostro regno gemello né quello dei Rovi Neri dovranno trovarli. Se dovesse accadere, ogni creazione avrà fine.’’- replicò, con fermezza la donna. Daernith e le sue sorelle andavano informate al più presto e Heloys si affrettò a raggiungerle.

Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, tardo pomeriggio.

Darrien era appoggiato al parapetto del balcone, osservando con occhi stanchi e nostalgici il continuo brulicare dei cittadini tra i vari mercatini, taverne e edifici dalle forme geometricamente contorte. Nonostante avesse chiesto ed ottenuto una divisa completamente nera, in cuor suo sapeva che il momento di tornare nel suo regno non era ancor giunto. Dalle sue mani si sprigionarono piccole serpi d’oscurità che iniziarono ad avvolgersi sul marmo del parapetto come a volerlo staccare e ridurre in briciole la pietra decorata.

‘’Qualcosa ti turba giovanotto?’’- domandò una voce cavernosa e che emetteva suoni simili a ringhi o latrati. Il ragazzo si ricordò della presenza di un altro Huerdakhal nel palazzo. Il ragazzo, voltandosi, notò il lungo pelo rossiccio della creatura che sfumava verso il bianco latte, la cicatrice che partiva dall’occhio sinistro per arrivare alla base del collo e la possente muscolatura. Impugnava una mannaia innastata simile a quella di Veasrik, solo che sull’asta vi era un segmento rivestito in metallo: un’altra lama nascosta.

‘’Tu dovresti essere il secondo guardiano del frammento. Da quanto sei qui a spiarmi?’’- chiese Darrien, facendo svanire il suo potere con un rapido movimento delle mani. La fiera aggrottò le sopracciglia e ridacchiò:

‘’Rispondere ad una domanda con un’altra domanda. Ero già qui, su questa splendida balconata a meditare e a contemplare le bellezze del nostro regno, restando perfettamente seduto. Tu perché sei qui ad affliggerti quando il sole splende e riscalda l’animo!?’’- constatò, alzandosi in piedi facendo leva sull’arma digrignando i denti per lo sforzo.

‘’Io non comprendo come si possa essere contenti di tanto sfarzo, pigrizia e mancato senso del dovere. Io non riesco a mantenere il controllo.’’

‘’Questo perché sei testardo e molto irascibile, nonché presuntuoso. Pensi che avere un grado militare ti renda superiore ma alla fine sei solo un semplice umano. E, inoltre, agisci così perché la Dea del Cosmo ti sta mettendo alla prova. Devi ritrovare il tuo equilibrio.’’- rispose la belva, avvicinandosi facendo peso sull’elsa dell’arma. Darrien notò il passo irregolare e claudicante.

‘’Ferita di guerra?’’- domandò, sorprendendosi di come il suo animo ardente si fosse spento di fronte a quella disabilità.

‘’Questa? Non è da considerare ferita di guerra, ma un atto di tradimento. Dopo una sanguinosa battaglia, uno dei miei commilitoni mi colpì al ginocchio con un quadrello. La punta penetrò fin dentro l’osso, ma il dolore era insopportabile per una semplice freccia. Notai con orrore la carne liquefarsi lentamente, distruggendo le ossa, muscoli e tendini. Adesso, grazie all’opera del Burattinaio posso camminare. Non come prima, ma ho il mio equilibrio.’’- rispose il mammifero, facendo battere il legno dell’arma contro la protesi producendo suoni metallici. Si udirono dei forti scoppi e colonne di fumo provenire dall’esterno delle mura ad est e una voce impartire ordini e richiami. Era una semplice esercitazione d’assedio, riconoscibile da una bandiera grigiastra che sventolava sulla cinta muraria: la creatura prese il cannocchiale dalla cinta e scrutò sulle mura il generale dell’esercito che gesticolava contro i suoi uomini.

‘’Batkiin, solito imperioso. Non comprende che i suoi uomini danno il massimo e cercano di migliorarsi sia in velocità che efficienza.’’
‘’Il vostro generale voleva discutere con me di arti belliche e strategie ma non mi sono presentato nel suo ufficio. Lo reputo incapace di impartire ordini o pianificare attacchi. Oh, ripensandoci non so chi tu sia.’’

‘’Flarsok, fratellastro di Veasrik. Come lui, anche io sono un guardiano della Sala del Secondo Frammento. Ti consiglio di andare dal Burattinaio, almeno vede di migliorarti la spada o darti qualche arma che non sia quel pezzo di ferro arrugginito. Lo trovi nella parte alta del castello, le lanterne ti guideranno.’’- rispose la belva, digrignando i denti come se stesse imitando un sorriso. Il ragazzo annuì e seguì le indicazioni date da Flarsok. Giunto nel corridoio principale constatò che una sola porta era costruita con assi di semplice legno e saldate con bulloni, cardini d’ottone e una lastra metallica orizzontale bloccava il tutto per impedire danni. Non vi erano maniglie o serrature, solo una lanterna posta poco sopra l’arco. Sorrise, rendendosi conto di quell’opera di depistaggio ben congeniata. Tirò il supporto della lanterna e successivamente una serie di scatti e rumori di ingranaggi fece azionare il meccanismo d’apertura. Polvere, ragnatele ed umidità erano il sipario di una pedana in ferro. Quando entrò, la porta si chiuse con un gran fracasso e altre piccole luci dalla tonalità bluastra si accesero sui bordi di quella che doveva essere un ascensore.

‘’Una semplice scala sarebbe stata l’ideale.’’- disse tra sé e sé Darrien, azionando la leva sulla pedana che iniziò a salire verso la cima. Il muro era solcato da crepe, muffa e altri liquidi dalla consistenza indefinita che ricoprivano anche quelli che dovevano essere decorazioni in foglia d’oro. L’ascensore terminò la sua corsa con un fischio assordante e, sul parapetto, vi era una figura di spalle immobile: avvicinandosi, il ragazzo scoprì con orrore e disgusto che quello era il cadavere del gladiatore alla quale aveva staccato la mandibola con il colpo d’ascia. Al posto di essa vi erano una scatola di legno e fili metallici collegati alla mascella che terminavano all’interno della pelle e si estendevano fino ai polsi del corpo. Incuriosito, abbassò lentamente l’apertura della scatolina rivelando così tre fecce che si muovevano a scatti avanti e indietro. Alzò il braccio e le frecce vennero scoccate con violenza contro la parete.

‘’Grottesco, però utile come trappola.’’- pensò, mentre seguiva le piccole torce che lo condussero in un ampio studio colmo di libri, congegni, mappe e progetti lasciati in balia della polvere. Gorgoglii e piccoli rintocchi di un orologio provenivano dal fondo, mentre una voce squillante e burbera inveiva contro qualcosa o qualcuno, agitando fiale e pezzi di acciaio. Quando Darrien, notando l’ambiente dalle luci soffuse e dall’infinita spazzatura nella quale riversava bussò leggermente sul legno di uno scaffale:

‘’Per amor del cielo e delle stelle Galeren, ti ho detto che le tue spade non possono essere migliorate! Smettila di infastidirmi…E tu chi sei?’’- chiese un uomo dalla lunga barba intrecciata, dalla testa calva e occhi protetti da una mascherina seduto su un grosso sgabello.

‘’Uno dei Guardiani del Frammento mi ha detto che sei in grado di migliorare o addirittura forgiare armi nuove. Sono Darrien, lieto di conoscerti…’’- rispose, incerto e continuando a fare smorfie di disappunto sul disordine caotico dello studio. L’uomo, sgusciando dalla penombra, si rivelò essere un nano di montagna. Sulle sue spalle spuntavano due arti meccanici mentre tra le mani stringeva arnesi da lavoro dalla forma bizzarra. Si tolse la mascherina rivelando due occhi marroni ed infossati:

‘’A giudicare dal tuo accento sei l’ultimo del popolo dei Varg e, constatando la scelta di un colore elitario per la tua divisa…Ti hanno trovato al porto e ti hanno costretto a partecipare a quell’insulso gioco del Re?’’- domandò, poggiando i pugni sui suoi fianchi e con un sorriso da volpe. Il ragazzo scosse la testa incredulo dalla fulminea descrizione quasi negativa della sua presenza. Il nano si pulì il naso con il pollice e ridacchiò, per poi pulirsi le mani sporche di grasso sul suo grembiule e andarsi a preparare un tè.

‘’Sì, mi hanno trovato al porto e fatto partecipare a quell’insulso torneo. Ne sono uscito vittorioso, ma non mi sento per nulla fiero delle mie azioni. Soprattutto nell’aver scoperto che mia madre è viva ed è la vostra regina.’’- rispose Darrien, osservando i vari progetti sporchi di grasso e altre sostanze dal colore indefinito.

‘’Come prego? Calithilbes è tua madre? Galeren mi ha mentito, quel maledetto mezzo elfo. Con la scusa di essersi innamorato di una donna di un paese qui vicino, mi ha fatto costruire monili argentati e altre cianfrusaglie solo per ingannare il mio occhio indagatore. Mi chiamo Dolmihir comunque.’’- replicò lui, sputando sulle assi di legno e gettando via gli attrezzi da lavoro. Tornò con due tazze di tè e biscotti al miele.

‘’Sei un nano di montagna dunque.’’- constatò Darrien, gradendo l’offerta di Dolmihir.

‘’E poi dicono che sono io quello che non sa complimentarsi con qualcuno. Io sono un esperto nano costruttore e scienziato dell’Ardolmiihir, landa di scavatori e fenomenali scienziati, nonché studiosi e architetti e ingegneri. Solo che io mi dedico anche all’Alchimia, anatomia e altro ancora.’’- rispose nuovamente il nano, muovendo un braccio che fece scattare in avanti l’arto metallico come una molla e successivamente fece lo stesso con l’altro. Darrien posò la tazza di tè con i biscotti e sfoderò la spada con un fastidioso sfregamento metallico tanto da infastidire e rabbrividire Dolmihir: non appena vide quella lama piena di scheggiature, ruggine e l’elsa che traballava imprecò e inveì contro il fabbro incompetente del regno.

‘’Per tutto il ferro di Broukk, che cos’è questo…scempio? Giuro sul mio paese che quel fabbro si ritroverà dei martelli al posto delle mani così si spacca la testa, maledetto incompetente.’’- disse furioso, mentre raccolse delle ampolle con un liquido rossiccio e verdognolo, accese un calderone e versò tutto al suo interno. Darrien, nel mentre, restò affascinato da alcune pergamene con bozze di progetti bellici o armi d’assedio e in particolare da uno ancora incompiuto: gli schizzi raffiguravano una ruota di legno con rivestimento metallico forato su entrambi i lati, una ballista dall’arco ricurvo verso l’esterno e nomi di alcune sostanze che sarebbero state inserito all’interno dei fori del rivestimento.

‘’Quel progetto che stai vedendo resterà incompiuto perché il mezzo elfo lo considera troppo impegnativo da maneggiare.’’

‘’Sai perché odia così tanto le sue origini? Quando era nelle loro prigioni, in uno stato di semi incoscienza, uno dei soldati lo ha chiamato Sylrach e per poco non veniva decapitato.’’- disse Darrien, continuando a studiare quel progetto. Il nano di montagna tornò indietro imprecando nuovamente e maledicendo chiunque non avesse senso artistico nel creare armi o altri oggetti.

‘’Perché odia le sue origini? Semplicemente perché il suo popolo lo ha considerato inadatto al regno e lo hanno esiliato senza batter ciglio. Con l’inganno lo hanno condotto in una zona dove i sentieri sono tutti uguali e si incrociano continuamente. Mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere. Adesso però, sloggia che ho da sistemare delle cose e devo migliorare quel pezzo di ferraglia.’’- replicò Dolmihir, aprendo una botola a pochi passi da lui. Darrien, non volendo discutere con il burbero nano, si avvicinò alla botola ed osservò la presenza di uno scivolo:

‘’Dove conduce?’’- chiese lui, cercando di stimare una lunghezza possibile. D’un tratto il suo istinto lo costrinse a girarsi e ad usare il suo potere: un fascio serpeggiante d’oscurità paralizzò l’arto meccanico del nano che impallidì.

‘’Che intenzioni hai, nano? Uccidermi? Non ti sarà facile in queste condizioni.’’- affermò il ragazzo, irritato da quel comportamento ostile dell’uomo.
‘’Minacce senza valore di un moccioso arrogante. Preferisco lavorare senza impiastri. Ti consiglio di restare sdraiato durante la discesa, almeno eviti di romperti l’osso del collo. E ora, pussa via!’’

Darrien, ancora irritato, lasciò andare l’arto meccanico di Dolmihir e scivolò giù per la botola, seguendo il consiglio. Metallo, ottone e pietra furono le poche cosa che vide a causa della scarsa luminosità quasi magica che emanava quel cupo antro a spirale. Un intenso odore di cavallo ed escrementi attanagliarono il suo olfatto e si ritrovò presto in una delle stalle reali, finendo in un cumulo di paglia fresca che attutirono la sua corsa; uno degli scudieri reali si rese conto dell’inatteso ospite:

‘’Il nano Dolmihir è la causa del suo capitombolo, Signore?’’- chiese lo scudiero, cauto. Darrien rimosse gli aghi di paglia dalla sua divisa e si massaggio la schiena per caduta.

‘’Preferisce lavorare da solo e questo è il saluto di cortesia. Sai come si raggiungono gli alloggi da qui, giovane scudiero?’’- chiese lui. Lo scudiero annuì vigorosamente e gli fece strada.

Terre del Nord. Huvendal, tardo pomeriggio. Estate.

Un ragazzo in una livrea blu notte percorreva a passo svelto gli immensi corridoi e saloni senza emettere alcun suono, evitando incontri che lo avrebbero potuto ostacolare. Tra le mani stringeva una pergamena legata con un nastro sottile. Giunto alla porta dello studio, bussò un paio di volte prima di entrare:
‘’Sì? Prego, entra.’’- disse una voce stanca di un uomo, chinato su una grande scrivania intento a leggere e a trascrivere note da documenti ad altri. Il ragazzo, nuovamente senza emettere alcun suono posò la pergamena arrotolata sul mobile e attese una reazione.

‘’Prego ent…Per amor delle stelle Caeleno, non sono più giovane e certe bizzarrie possono causarmi qualche problema. E a giudicare dalla pergamena che hai messo qui sopra, si tratta di notizie importanti.’’

‘’Sì, Re Searlas. Mi perdoni se l’ho spaventata, ma essendo nato da una dea la capacità di non emettere alcun suono è ereditaria. La invito a leggere il documento.’’- rispose il ragazzo, sedendosi e aspettando un responso. Il Re sciolse il nastro e iniziò a leggerne il contenuto; aggrottò più volte la fronte incredulo in quello che il foglio riportava.

‘’Chi ti ha dato queste informazioni?’’

‘’Nessuno, se non le stelle. Grazie all’aiuto di uno dei Titani d’Onice, siamo tornati a Gaelia. Lì sono scomparsi Darrien ed Arilyn e, osservando come la sabbia e le rocce sono state deformate con violenza, sospettiamo sia stato il volere di una divinità superiore. Anche più potente della Dea del Cosmo e, dopo un breve incontro, mi ha riferito che entrambi sono finiti in due regni diversi ma che sono nella stessa terra d’origine. Non ha voluto riferire altro.’’- rispose Caeleno, quasi impassibile alla commozione del re. Qualcuno bussò all’uscio dello studio con forza, attirando l’attenzione dei due uomini:

‘’Perdonate l’intrusione ma ho altre informazioni da dirvi. Sappiamo come è stato distrutto il ponte che collegava le nostre terre all’Isola dei Re Esiliati.’’- disse un soldato dall’aspetto familiare, dovuto anche agli occhi ambrati e al tono pacato. Searlas lo riconobbe e si alzò dalla sua poltrona, andandogli incontro per stringergli vigorosamente la mano.

‘’Edan, che piacere rivederti qui ad Huvendal. Quindi eri tu l’esperto a cui accennavano i soldati?’’

‘’Esattamente, mio vecchio amico. Ad ogni modo, il ponte è stato distrutto non da un comune fuoco ma bensì oscuro e antico. Inoltre, con l’aiuto di un piccolo mercantile che passava di lì abbiamo raggiunto l’isola e abbiamo solo trovato sangue e brandelli di tessuti in tutte le abitazioni. Nessuna traccia dei Re esiliati.’’
Quella rivelazione fece riflettere a lungo Searlas, che si diresse ad uno dei suoi enormi scaffali e recuperò un grande tomo dalla copertina rigida. Sfogliò le varie pagine cercando, tra i diversi capitoli e illustrazioni, ciò che gli interessava. Una volta trovato, lo mostrò ai suoi due amici poggiando il tomo su un tavolino. Caeleno aggrottò le sopracciglia non comprendendo le scritture su quelle pagine che contenevano storie secolari:

‘’Quello che state leggendo entrambi è una pagina di un documento inizialmente andato perduto e, dopo una spedizione, ritrovato in un rudere abbandonato oltre le terre ad est, ed è scritto in una delle sette lingue dimenticate dalle popolazioni ovvero l’Iparhi.’’- disse Searlas, tornando a sedersi e mostrando vari disegni dai colori sbiaditi. Il figlio della dea Gaelia rimase affascinato da quella lingua e, incuriosito, chiese al Re cosa vi ci fosse scritto:

‘’Questa lingua, insieme alle altre sei, sono scritte e parlate da solo due entità nate millenni fa. Io, dopo innumerevoli fatiche, sono riuscito a tradurre solo una minuscola parte.’’- rispose, cercando la pagina tradotta. Non appena la trovò, lesse ad altra voce:

‘’Quando la putrefazione e la morte risorgeranno dalle viscere della terra, trasformeranno la foresta in un cimitero fetido, gli animali in creature deformi e sanguinarie, le acque diverranno paludi e tutti i popoli risorgeranno sotto una sola luce. Una nuova ed oscura natura.’’

‘’Quindi questa entità è un oracolo? A cosa si riferisce precisamente?’’- chiese Edan questa volta, perplesso dalle parole di quell’insolita profezia.

‘’Poche persone hanno avuto la fortuna di incontrare questa leggendaria figura, ma nessuno è mai riuscito a comprendere le sue parole e, a malincuore, nemmeno io comprendo a cosa si riferisca. Edan, sapresti dirmi se i tuoi uomini sono disposti ad intraprendere un altro viaggio in quel lugubre posto con me?’’- domandò Searlas, posando il libro.

‘’Sì, solo che il regno senza il suo pilastro portante è gravemente esposto a…’’- si interruppe l’uomo, notando il sorriso furbesco dell’amico e del ragazzo in livrea blu. Edan ridacchiò, sapendo di esser stato anticipato sui possibili consigli che avrebbe dato. Riprese a dire:

‘’Avevi previsto tutto. La tua compagna si occuperà del regno durante la tua breve assenza?’’

‘’Non solo, ci sarà anche Thessalia ad aiutarla e Caeleno si occuperà delle truppe e di stilare rapporti o liste di possibili contrattacchi se Huvendal dovesse essere nuovamente obiettivo di attacchi.’’

‘’Non bastava mia moglie nel battermi a scacchi, adesso anche voi due. Per tutte le stelle. Dirò ai miei uomini di prepararsi e, probabilmente, domani all’alba partiremo. Bisogna controllare lo stato delle navi, dato che al rientro il legno ha iniziato a incrinarsi e a marcire.’’- replicò l’uomo dagli occhi ambrati, prima di porgere un inchino e andare via. Anche Caeleno si congedò, dirigendosi nel suo studio per iniziare a riordinare tutti i documenti.
Searlas rimase da solo, nel suo ufficio ad osservare i raggi del sole giocare con i vetri colorati delle finestre, dipingendo onde variopinte sui muri.

‘’Huvendal cadrà. Il tuo popolo è spacciato e tu non potrai fare nulla per impedirlo.’’- sentì una malefica voce tuonare queste parole nella sua mente. Reminiscenze di uno scontro avvenuto più di due anni fa, nel castello. Quella voce diventava ogni giorno sempre più insistente e un fardello asfissiante di collera ed impotenza gli schiacciavano il petto. Le vene della fronte iniziarono a pulsare e a far male, come se una mano invisibile gliela stesse stritolando:

‘’Basta…Basta…’’- ripeteva quasi con un bisbigliò Searlas, inginocchiandosi per il dolore. Percepiva un tedioso senso di colpevolezza nel cuore, come se fosse lui la causa della scomparsa dei due ragazzi. Alcune lacrime iniziarono a rigargli le guance e cadde sulle ginocchia, indebolito. Una mano, leggera e calda, si posò sul suo viso placando la sua agonia: Sindar era lì, che sorrideva per rincuorare il compagno:

‘’Oh, mia amata Sindar, perdonami se mi mostro così debole ai tuoi occhi. Più il tempo passa, più sento l’abisso strisciare nel mio cuore e nutrirsi come un parassita.’’

‘’Mio amato, sai bene che Arilyn e Darrien sono due prodi e valorosi guerrieri che hanno affrontato peripezie indicibili. In cuor tuo e mio, sappiamo entrambi che sono al sicuro da qualche parte.’’- rispose la donna, carezzando il viso barbuto del suo Re. Searlas baciò dolcemente la mano e la strinse a sé, in un tenero abbraccio.

‘’L’unica peripezia che è quasi impossibile da affrontare è l’ignoto. Oh Sindar, mi mancano entrambi.’’
‘’Torneranno, confidiamo nelle loro abilità. Ora, mio splendido Re, vai a preparare ciò che serve per il viaggio. I tuoi uomini aspettano un fiero Re che non abbassa mai la testa.’’- replicò la Regina, porgendo un bacio sulle labbra. Quelle parole riaccesero la Fiamma della speranza in Searlas.

Lynmes Alno. Concilio delle Sette Sorelle. Notte. Estate.

Quando le Sette Sorelle vennero informate da Heloys, una palpabile angoscia si annidò in loro come un parassita. Solo la Sorella Maggiore non era terrorizzata dal ritorno del Recluso e della Peccatrice, pianificando nel suo mutismo uno stratagemma per condurli sotto la loro protezione. Le altre donne discutevano incalzando il pericolo che queste due figure nascondevano sotto i loro deformi sorrisi. Daernith, non riuscendo più nel formulare idee causato dal trambusto delle sorelle, esordì seccata:

‘’Silenzio! Questo caotico vociferare non aiuterà alla nostra causa. Siamo tutte preoccupate per il futuro del nostro regno e non possiamo prevedere quando saranno nei nostri confini. Il Recluso e la sua compagna non sono da sottovalutare…’’- si interruppe, sentendosi disorientata e con la vista offuscata. Una voce distante echeggiava nella sua mente, spettrale e profonda che comunicava con lei in una lingua arcaica e defunta. Le altre Sorelle notarono l’improvviso cambiamento e impallidirono all’udire di una coppia di passi avvicinarsi:

‘’Non sono da sottovalutare. Ironico, oserei dire. Avete difese eccellenti e guardie ben armate in tutto il perimetro…Eppure siamo riusciti a valicare l’ingresso.’’- esordì un uomo alto, mingherlino e vestito di un logoro abito grigio con vari ricami e cuciture di forme e colori diverse. Il volto scarno, con una barba ispida e occhi infossati si celava sotto un semplice cappuccio di pelle scura e un sogghigno furbesco che incuteva sdegno. Alle sue spalle comparve anche un’altra figura, dai lunghi capelli neri che le ricadevano sul viso anch’esso coperto da un mantello a girandola bordeaux, leggermente strappato sui polsi e all’altezza delle gambe.

Le Sette Sorelle rimasero immobili nei loro troni osservando con disprezzo quei due intrusi nel palazzo, soprattutto la Maggiore rimase disgustata dalla presenza della donna in rosso che aveva la pelle secca, ricoperta da piaghe e pustole sulle mani e parte del collo. Le Sorelle delle Corone, però, notarono un particolare sfuggito per lo stupore iniziale: emanavano entrambi un impercettibile fulgore biancastro.

‘’A giudicare dalle espressioni delle ultime due ragazze, hanno notato il bagliore di magia arcana che ci avvolge. Ma la vostra domanda sarà una sola. Perché siamo qui? Semplice. Diverremo nuovamente i testimoni di una nuova e sanguinosa guerra che verrà narrata ai posteri. Questo semmai dovessero essercene.’’- terminò prorompendo in una risata.

‘’La…la Fiamma d’Ambra sarà nostra e con essa il suo potere.’’- s’intromise la donna dal mantello rossiccio, massaggiandosi le mani nervosamente. L’uomo interruppe la sua risata e replicò contrariato:

‘’Taci, i tuoi desideri impuri non devono intromettersi con il fato, cara Peccatrice.’’

Daernith, la Sorella Maggiore del Concilio si alzò e discese i gradini di pietra lentamente, cercando di mantenere la calma e formulando una risposta. Mylgred, la terza sorella cercò di fermarla ma le venne impedito da Erthaor che si parò davanti e scosse la testa, negandole l’avanzata.

‘’Di che cosa parli Recluso?’’- domandò finalmente la Sorella Maggiore a testa alta.

‘’Oh, allora nessuna di voi si è dimenticato il mio nome. Mi sento davvero lusingato. Di cosa parlo? Parlo della guerra più violenta e storica avvenuta in questa terra smeraldina, dove il sangue si è mescolato al marciume immondo, al fetore venefico e alla morte. La Guerra…’’

‘’Dei Tre Rovi.’’- lo interruppe Daernith, serrando le labbra nel pronunciare quell’evento. Per il potere oscuro dei Rovi Neri, il germoglio dell’odio e dell’astio fiorì in tutti e tre i Regni, provocando una ecatombe che venne riportata sulle antiche pergamene e narrata attraverso di essa la storia delle fiamme, delle rivalità e degli eventi che segnarono la terra. Il Recluso, togliendosi il cappuccio, sorrise al loro sgomento e gonfiò il petto orgoglioso del suo compito. La Sorella Maggiore, però, volle essere certa delle parole di quel vile uomo e così domandò nuovamente:

‘’Recluso, stai dicendo che i Rovi Neri stanno tornando?’’

‘’Non sono mai andati via da queste terre. Si nascondono nelle viscere del sottosuolo, tra il fango e le ossa illuminati solo dal terzo frammento della Fiamma d’Ambra. In attesa.’’- rispose l’uomo, muovendo rapidamente le mani e creando una copia astratta della Fiamma d’Ambra divisa in tre frammenti: l’ultimo aveva assunto una tonalità rossastra, come se intrisa di sangue. La Peccatrice cercò di afferrare quel desiderio tanto bramato, ma svanì tra le sue dita.

‘’Quando attaccheranno?’’- chiese Largothel, la quarta sorella interrompendo il suo lungo silenzio. Il Recluso fece spallucce, prima che lui e la sua compagna venissero dal medesimo bagliore biancastro. Uno scoccare metallico attirò l’attenzione della Peccatrice e vide l’arrivo di un dardo dal fondo della sala: un semplice movimento delle dita e la freccia arrestò la sua pericolosa avanzata fluttuando a pochi centimetri da lei. Il Recluso, contemporaneamente con un movimento della mano, fece uscire dalle tenebre l’aggressore armato di balestra e lo scagliò contro il muro senza ferirlo.

‘’Moccioso pestifero, non avresti dovuto origliare questa conversazione. Nonostante i vostri difetti, siete comunque un popolo interessante e che suscita simpatia. Dobbiamo andare adesso, ma ci rivedremo presto. Cos’è l’oscurità se non la luce in agguato?’’- e con questa domanda enigmatica, le due entità svanirono lasciandosi alle spalle sconcerto e un dolorante Morkai. La Quinta Sorella discese dal suo trono e andò ad aiutare il ragazzo, leggermente confuso su ciò che era appena accaduto.

‘’Perché ti sei intromesso nella nostra discussione, messaggero?’’- chiese la Terza Sorella, alquanto irritata dal comportamento del ragazzo.

‘’Il dardo era intriso di una sostanza soporifera che li avrebbe addormentati entrambi. Non potevo sapere che fossero avvolti da un bagliore di essenza magica. Perdonatemi per l’offesa recatovi, Sorelle.’’- rispose Morkai, inchinandosi e gettando via la balestra danneggiata.

‘’Che un comportamento irresponsabile ed impulsivo come questo non avvenga mai più, mio caro Morkai. Sorelle, è tardi ormai. Discuteremo di questa faccenda domani mattina, andate adesso. Io resterò qui in preghiera e poi vi raggiungerò. Per cortesia.’’- esordì la Sorella Maggiore, placando il nervosismo delle altre e lasciando il messaggero ammutolito. Quando ognuna di loro si diresse nel proprio alloggio, un silenzio glaciale si impossesso della sala. Il giovane si mise davanti ai sette troni e s’inchinò:

‘’Se merito una punizione, non opporrò resistenza. Credo anche che i miei servigi non siano più richiesti, Vostra grazia.’’

‘’Silenzio Morkai. Per favore.’’- rispose quasi malinconica Daernith, avvicinandosi a lui con stanchezza nel corpo. Gli alzò il capo dolcemente e lesse nei suoi occhi paura e sorpresa.

‘’Mi perdoni. Ha perfettamente ragione nell’avermi definito irresponsabile.’’- disse il ragazzo, posando la mano su quella della donna tentennando. La Sorella Maggiore posò la fronte alla sua e una lacrima le rigò le guance:

‘’Ho temuto per la tua vita, Morkai. Il mio cuore non potrebbe sopportare una perdita così grande e desiderio fortemente che tu faccia attenzione. Ti chiedo solo questo.’’- rispose lei, carezzandogli il viso. Il ragazzo ebbe un sussulto, ma un piacevole torpore iniziò a propagarsi nel suo petto e si lasciò quasi cullare dalle braccia della donna che lo stringevano amorevolmente:

‘’Farò come richiesto.’’- furono le uniche parole del ragazzo, che si inchinò nuovamente e sorrise. Il primo sorriso della sua vita. Quando anch’egli lasciò la sala del trono, Daernith si lasciò cadere sul trono e restò ad osservare con occhi lucidi il soffitto. Le stelle splendevano e la luna posava i suoi raggi argentati all’interno della stanza, quasi a creare onde di luci bianche che contrastavano il colore delle pareti. Era un sublime spettacolo che, però, dovette distogliervi lo sguardo per potere richiedere l’aiuto della Dea del Cosmo.

Profondità. Terzo Frammento d’Ambra.

Una figura mascherata trasportava sulle sue spalle due corpi pallidi, rigidi e parzialmente decomposti lungo un corridoio umido. Alcune lanterne emanavano un soffuso bagliore che creavano terrificanti ombre sul volto mascherato del becchino:

’Anche la Morte va guadagnata. Non disperate, povere anime, per il vostro sacrificio verrete gratificate con un grande dono.’’- disse quasi cantando l’uomo, mentre trascinava i cadaveri al centro di un grande salone dove il Terzo Frammento d’Ambra vi dimorava: le radici nodose che sorreggevano il gigantesco artefatto erano putride, con viticci sulle estremità simili a gocce di sangue e una strana resina densa si faceva largo tra le venature dei fusti, luccicando ed imitando quasi un battito regolare. Una donna intenta a cospargere di polveri e erbe una tomba di marmo vuota si voltò, incuriosita dall’odore di morte che trovava semplicemente sublime ed estasiante:

‘’Questa essenza…Questa sublime essenza di morte e putrefazione. Cadaveri. Sono per me, caro Pheros?’’- chiese la ragazza, quasi muovendosi come un felino verso quei corpi mutilati. Restò affascinata dalla violenza inferta su uno di loro, privato della mandibola.

‘’Sì, Ignea. Sei l’unica in grado di fondere sangue e fuoco insieme, capaci di trasformare ciò che la morte può essere la perdita di qualcuno, la vittoria di altri. La nostra vittoria. Sono entrambi dei gladiatori, considerando la manifattura delle loro armature.’’- rispose Pheros, togliendosi la maschera e rivelando il suo volto nero pece e occhi rossi come rubini.

‘’Vorrà dire che per loro ci sarà qualcosa di unico. Soprattutto il gladiatore privato della mandibola.’’- replicò lei, con un sorriso maniacale e occhi febbricitanti che saettavano su ogni lato del corpo senza vita dell’uomo. Dalla tasca della sua divisa estrasse un lungo pugnale ed iniziò ad incidere diversi simboli sul torace, sulla fronte e sui polsi. Una volta fatto, chiese l’aiuto di suo fratello per poggiare il corpo nella tomba marmorea. Da uno scaffale prese una fiala piena di sangue, la rivolse al Frammento d’Ambra che emanò un intenso calore e, successivamente, versò il contenuto scarlatto sull’uomo.

‘’Il processo non è completo, manca qualcosa.’’- disse la donna, contrariata dall’elemento mancante. Pheros mosse le mani verso la bara e delle ombre di magia oscura avvolsero il cadavere. Suoni orripilanti di carne ed ossa che scricchiolavano, un gorgoglio cupo e atri rumori provennero dalla bara, fin quando il gladiatore risorse. I simboli incisi sulla pelle violacea brillavano come il Terzo Frammento d’Ambra, sfumando da un intenso rosso scarlatto ad un caldo arancione, mentre sottili e robusti rovi neri gli ricoprivano il torace e le braccia come se fosse una cotta di maglia naturale. Tornò ad avere una bocca, formata da un singolo pezzo di corteccia e sangue indurito. Quell’energumeno dagli occhi vendicativi si inchinò al cospetto dei suoi due nuovi padroni:

‘’Alzati. Qual è il tuo nome, gladiatore?’’- chiese Pheros, sedendosi vicino ad un tavolo. L’uomo, rinato dalle ombre e dalla morte rispose con voce sibilante:

‘’Sarüng, padrone.’’

‘’Da oggi il tuo nome sarà Mrithun, nato dalla Terra e dalla Morte. Segui i soldati, ti condurranno nelle catacombe dove gli altri tuoi fratelli d’arme ti attendono.’’- replicò Ignea, ammirando con entusiasmo la sua nuova opera d’arte. Il gladiatore eseguì gli ordini e si diresse verso le catacombe, permettendo così ad un altro uomo di poter entrare.

‘’Sei tornato dalla tua passeggiata, caro Terbius?’’- chiese l’uomo dagli occhi demoniaci. Un ammasso di rovi neri, dalle movenze simili a quelle di un ragno, sgusciarono dalla penombra portandosi al centro della stanza dove Ignea continuava a sorridere con pura follia negli occhi. In quella prigione vivente vi era intrappolato un soldato ferito gravemente.

‘’Diciamo che è stata una caccia proficua. Quest’uomo è uno dei soldati di Galeren, il Re dei Rovi Bianchi. Si aggirava tra i sentieri, ubriaco. Una preda facile e adatta per Ignea. E a giudicare dall’energumeno diretto alle catacombe, sarà un successo. Sorella, per cortesia gradiresti analizzare questo…verme orripilante?’’- chiese lui, togliendosi il cappuccio da testa e rimuovendo il tessuto insanguinato dalla bocca del soldato.

‘’Carne fresca e qualità del sangue…magnifico. Lui e l’altro cadavere potranno essere fusi e far parte della difesa del nostro esercito.’’- rispose lei, muovendosi leggiadra verso un altro scaffale dove recuperò una ciotolina d’argilla e la posizionò poco sotto la gola del soldato. Il contatto con il freddo metallo del pugnale di Ignea lo fecero sobbalzare e gemere dal dolore.

‘’Una ridicola pugnalata al fianco e guaiscono come cani. Patetici e deboli.’’- incalzò Pheros, osservando con disprezzo il soldato. Cercò di liberarsi, ma il demone oscuro usò le ombre per spezzargli i polsi.

‘’Che cosa…volete da me?’’- chiese il condottiero, in preda a spasmi agonizzanti. Lentamente le spine arcuate della trappola iniziarono a penetrargli nei polsi, risalendo come un parassita sotto la carne e il rumore del sangue che gocciolava mandò in estasi Ignea:

‘’Renderti un nostro alleato. Da quello che sembra, Galeren ti considera un comune soldato addetto alle prigioni sotterranee. Il tuo tradimento, però, varrà la pena di diventare un brutale avversario per loro e il tuo insulso Re capirà di averti sottovaluto. O meglio, averci sottovalutato.’’

‘’Giammai, vili esseri immon…’’- si interruppe quando i rovi iniziarono a muoversi con forza nella carne, risalendo dalle braccia arrivando al collo: il sangue sgorgava dalla bocca e dai piccoli fori lasciati dalle spine. Ignea recuperò subito quella linfa scarlatta e lo versò prima sul cadavere portato dal Pheros, poi tracciò un simbolo sulla fronte di entrambe le vittime. Recuperò, con la stessa ciotolina, da sotto il Frammento d’Ambra un liquido incandescente e denso. Non appena lo versò sulla salma, entrambi i corpi iniziarono a muoversi convulsamente e a sbriciolarsi fino a diventare un amalgama di plasma, tessuti, rovi e fuoco. La nuova creatura deforme si reggeva sulle sue quattro braccia muscolose simile ad un primate, anch’egli con le stesse caratteristiche del gladiatore fatta eccezione per i rovi acuminati che fuoriuscivano dalla sua gola squarciata e dai polsi. La pelle era squamata e spinata, per effetto dei rovi impregnati di magia oscura.

‘’Segui l’odore di morte, ti porterà nel tuo antro dove resterai fino a nuovo ordine. Adesso vai!’’- ordinò Terbius, richiamando la moltitudine di rovi e facendola scomparire tra le mura fangose. La bestia, con un grugnito roco se ne andò lasciando dietro di sé fluidi corporei e brandelli di carne tumefatta. Il Terzo Frammento d’Ambra assunse una sfumatura più scura, suscitando il sorriso dei tre fratelli che aspettavano pazientemente che il loro padre si risvegliasse dal suo letargo millenario.

‘’Le sorprese non sono finite qui, miei cari fratelli. Il Regno dei Rovi Bianchi vuole progettare un nuovo assedio a quello dei Rovi Rossi. A giudicare dalla violenza con cui i cadaveri che Pheros ha portato qui, l’ultimo dei Varg è una pedina fondamentale nel loro scopo, così come la Thandulircath. Li costringeremo a combattere fino allo sfinimento e daremo il colpo di grazia. Ma…’’- serrò le labbra Terbius, battendo le mani un paio di volte.

‘’Ma? Parla, caro Terbius. Qual è il problema?’’- chiese Ignea, attendendo una risposta rapida dal fratello. Il giovane attirò a sé un libro, lo aprì cercando ciò che gli interessava per poi gettarlo ai piedi dei due; sulle pagine vi erano raffigurate due persone e dei simboli sotto di essi. Su quelle pagine erano raffigurati il Recluso e la Peccatrice. L’uomo dagli occhi demoniaci spaccò in due il tavolo alle sue spalle con una lama d’energia oscura, mentre i suoi occhi risplendevano nella penombra.

’Sono ancora vivi?!’’- sibilò Pheros, mentre l’oscurità continuava a propagarsi dalle sue mani, riversandosi sulle mattonelle come catrame.

‘’Non sono mai morti. Si sono nascosti nell’abisso come noi. Per oltre tre millenni.’’- replicò Terbius.

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Capitolo 6
*** I Tre Rovi. ***


Cinque Fiamme, create dalla Dea del Cosmo. Un grande, vasto ed infinito potere arcano capaci di generare la vita e allo stesso tempo corromperla. Avvelenarla. Ucciderla. Un desiderio viscerale, impossibile da arrestare si impossessò di me. Un tempo ero una donna affascinata da questi artefatti così potenti, li studiavo e condividevo le mie scoperte con altri appassionati, i miei studi. Queste cinque Sorelle, però, soggiogarono la mia mente, rendendomi un mostro affamato e bramoso di potere.

A causa del mio folle desiderio, abbandonai i miei studi e i miei cari per avvicinarmi di più alla Dea del Cosmo e alle sue figlie. Finsi di essere una Custode di una Stella guida defunta da secoli, ma che il suo potere era ancora vivo e rinchiuso in un ciondolo creato da me.
Menzogne escogitate solo per adempiere ad un losco scopo. La Fiamma del Gelo, la Fiamma Arcana, quella dell’aria ovvero la Bianca e la Fiamma Astris non erano la mia priorità. I miei occhi rimasero fissi su una sola di esse: la Fiamma d’Ambra. Oh, era perfetta. Sembrava una goccia di rugiada dipinta d’oro e impregnata di magia che si poteva percepire pur non essendo un cultista o uno sciocco stregone. Sentivo crescere ed espandersi dentro di me un asfissiante calore, che torceva e stritolava le mie interiora e il mio cuore palpitava come un tamburo durante cerimonie religiose.

Fu proprio in una di tali funzioni che persi il controllo, alzandomi e correndo verso il gigantesco frammento mentre tutti urlavano ‘’Peccatrice’’, ‘’Eretica’’ o ‘’Blasfema’’. Quando le mie mani si poggiarono su quella superficie, dei lampi dorati e arancioni mi scagliarono contro la parte opposta, incenerendo parte dei miei vestiti e sfigurandomi. Scappai prima che potessero imprigionarmi, svanendo nella notte.

La mia bramosia, il mio desiderio e la mia lussuria furono la causa della mia punizione. Cercai, grazie alle mie conoscenze, di ricreare quell’opera così seducente e sublime. Volevo eguagliare il potere divino. Volevo essere come loro.

Un disastro.

Un massacro.

Divenni quasi un mostro per le continue piaghe che il mio corpo subiva, la mia pelle si ricopriva di pustole e tagli che sanguinavano. Ognuno di essi equivaleva ad una frustata rovente e, se cercavo di alleviare l’agonia che mi causavano, le pustole esplodevano e il liquido che colava bruciava come se qualcuno avesse mischiato polvere urticante, zolfo e lapilli. Cercai di togliermi la vita più volte e nei modi più efferati ma nulla riuscì a strappare via la mia anima da questo guscio deforme.

‘’Eterna sarà la punizione così come la tua vita. Che la tua lussuria sia da monito ad altri scellerati’’ furono le parole della Dea del Cosmo quando cercai di compiere per l’ennesima volta il vile atto.

Sprofondai lentamente in un baratro di follia, dove ogni appiglio si sbriciolava al mio tocco e tutto intorno sembrava riempirsi di acqua fangosa. Persino il cielo sembrava disgustare la mia presenza, impedendomi di vedere le stelle e la Luna.
Vorrei solo estirpare questo mio scellerato peccato e dissolvermi come polvere di cristalli alla luce del sole. Vorrei diventare un qualcosa simile ad una minuscola scintilla luminosa.

Vorrei essere una Fiamma che rischiara le notti più buie.

Se solo la Vita non mi fosse stata resa eterna. Se solo la Morte non mi fosse stata negata.
 
Vhertal ju kev Prekkhejt (Confessioni di una Peccatrice, antico); Epoca delle Cinque Fiamme.
 
Broym Fleu. Masseria della Curatrice Bianca, crepuscolo. Estate.
Dopo una lunga giornata impegnativa, le tre donne si concessero un lungo riposo ristoratore. Arilyn, però, ben sapeva che una volta entrata nel regno dei sogni avrebbe incontrato nuovamente il Re della Prima Fiamma nello stesso luogo. Quando si svegliò nel mondo etereo, si ritrovò ai piedi di un faggio dalla folta chioma rossiccia. Si guardò intorno, notando che ogni albero aveva le stesse sfumature che variavano dal rosso, al giallo ocra fino ad arrivare al bruno. L’erba era umida, con gocce di rugiada che scivolavano lente dallo stelo e restavano in bilico tra la terra fangosa e lo smeraldo soffice. Vide a pochi passi da lei l’elevarsi di una grande muraglia dai mattoni grigi, ricoperti di metallo e ottone, un grosso cancello di ferro alzato quanto basta per permetterle di passarci e all’esterno delle mura difensive vi erano poche case costruite impeccabilmente. Abbandonò quel luogo di riposo, superando gli arbusti che la dividevano dalla civiltà.

‘’Che posto è questo?’’- si chiese la ragazza, dirigendosi verso l’ingresso. Vide alcune persone uscire dalle abitazioni e cercò di nascondersi dietro un tronco ma sì stupì quando le passarono di fianco e parlavano tra loro, come se lei fosse invisibile. Un particolare che intensificò maggiormente un pensiero fisso nella sua mente fu un ciondolo che gli abitanti portavano al collo: un ciondolo raffigurante un lupo dagli occhi azzurri. Decise di entrare nella fortezza e notò un clima di pura gioia e festa, tra brindisi e balli energici e pietanze di ogni tipo. Anche i palazzi assumevano forme e altezze svariate che contrastavano la durezza degli edifici militari e della cinta muraria. L’effige del lupo capeggiava sugli stendardi appesi alle finestre di ogni casa e sotto di essa vi era la stessa parola, ma per Arilyn quella lingua era incomprensibile. Fu allora che comprese:

‘’Sono tutti Thandulircath! Sono nel mio regno nativo!’’- disse, sorridendo con gioia e stupore.

‘’Thandrusia. Luogo a dir poco incantevole, dove ricchezza e umiltà vivevano in equilibrio.’’- rispose una voce gelida nascosta nell’ombra. I palazzi, il castello, le mura e le persone si dissolsero come sabbia trasportata dal vento. Rimasero solo brandelli di tessuti ridotti in filacci immersi nella fanghiglia putrida. Tra quelle rovine le radici sembravano divorare tutto e ricoprire di muschio nero la superficie frastagliata del minerale, mentre tutto intorno si dipinse d’arancione e rosso intenso tendente al bordeaux. Il cielo era oscurato dall’impenetrabile cortina di fumo denso che vorticava insieme ai pezzi di corteccia incendiata. Dal muro di fuoco comparve Gallart, privato della sua scintillante armatura, con le braccia e le mani dietro la schiena e un sorriso mordace che suscitava solo irritazione.

‘’Perché ti piace così tanto vedermi soffrire? Per la prima volta, seppur in un mondo onirico, vedo come erano realmente i Thandulircath e con questo ridicolo ed egocentrico spettacolo hai distrutto un momento di quiete.’’- esordì Arilyn, fissandolo con disprezzo.

‘’Perché io non provo compassione per voi stolti umani. Ai miei occhi siete tutti uguali, anche se condividete momenti di spensieratezza. E ho ridotto in cenere questo debole ricordo per una ragione.’’- rispose l’uomo, svanendo e comparendo più volte dalle ombre e dalle fiamme, innervosendo maggiormente la ragazza.

‘’Quale sarebbe? E smettila con questi inutili trucchetti!’’- replicò la ragazza, cercando di evocare il suo potere ma inutilmente.

‘’Il problema di voi umani è uno solo, quello che vi rende deboli. Il passato. Vi legate a vecchie memorie, costruendo questa impenetrabile barriera, piagnucolando come mocciosi e lasciando che tutto il resto vi consumi.’’- rispose nuovamente l’uomo, materializzandosi da una gigantesca fiamma e poggiandosi su un tronco. Arilyn provò una forte morsa al petto, come se una lama le stesse trapassando il cuore. La corona di fiamme che cingeva tutti gli alberi intorno iniziò a diminuire di intensità, da consentire di vedere il volto del Re della Prima Fiamma ancora sorridente, conscio di aver colpito duramente l’anima di Arilyn.

‘’Quindi la distruzione di questo ricordo innaturale è per farmi comprendere che io sono legata al passato?’’

‘’Esatto, cara Arilyn. Il passato, nonostante conservi ricordi felici dell’infanzia o altri eventi che suscitano quest’emozione, ti impedisce di affrontare il futuro. Ti ho osservato e, sinceramente, mi hai deluso. Vuoi combattere una guerra ma hai dei rimorsi. Vuoi sembrare forte e determinata quando stai solo mentendo a te stessa. Quella subdola e farisaica maschera che indossi non funziona con me. E se ti ostini a seguire questo sentiero, lasciandoti soggiogare dai pentimenti, dovrò farti cambiare idea. In un modo o nell’altro.’’- replicò l’uomo, richiamando a sé le fiamme e tramutandole in due fruste. La fanghiglia si incendiò non appena i due scudisci sfiorarono la superficie del liquido, generando nauseanti odori che mescolarono a quelli delle foglie incenerite. Gallart sferzò energicamente le armi producendo violenti schiocchi; uno di esse riuscì a colpire Arilyn alla gamba lacerando il pantalone di tela e la pelle, ustionandola.

‘’Reagisci, ultima dei Thandulircath. Smettila di vacillare, per amor delle Fiamme.’’- disse furente Gallart, generando altre sferzate simili ad un turbine per terminare nuovamente in schiocchi. Arilyn, istintivamente, afferrò una delle fruste di fuoco rendendosi conto di poterla controllare. Con tutte le sue forze, riuscì a strappargliela da mano e a contrattaccare. Il Re della Prima Fiamma rispose ed entrambe le armi si aggrovigliarono, facilitando un ennesimo attacco da parte della ragazza. Lo centrò al mento, al naso con furiosi ganci e terminò con una ginocchiata nello stomaco.

‘’Volevi che reagissi? Perfetto!’’- disse Arilyn brandendo le due armi ancora intrecciate e, imitando un montante di spada, colpì il viso dell’uomo. Una risata di malvagità, distorta dalle fiamme sorprese la ragazza che tentò nuovamente di attaccare. Gallart alzò lentamente la testa mostrando la tramutazione del suo volto. Una parte mostrava una sadica bellezza, l’altra pura e deforme malvagità.

‘’Ora voglio che tu lo faccia anche in quel patetico regno dei vivi.’’- rispose il Re deforme, assorbendo il gigantesco rogo, curandosi dalle ferite. Dalle sue mani si generò un’altra arma, simile ad uno stiletto. Un semplice, scattante e invisibile affondo colpì Arilyn al petto.
Si svegliò con un sobbalzo, mentre una luce dorata illuminava parte della stanza riflettendosi su uno specchio e sul vetro della stanza. Aprì la finestra per far entrare la brezza estiva nella stanza e respirare a pieni polmoni, cercando di calmarsi. Voltò la testa verso il secondo letto presente nella camera, avvertendo che qualcuno la stava osservando con insistenza: era Elfriede, poggiatasi con il volto su una mano donandole un buffo aspetto.

‘’Perdonami se ho disturbato il tuo sonno Elfriede.’’- disse Arilyn, imbarazzata.

‘’Non temere Arilyn. Però noto che sei turbata da un po’ di giorni. Vuoi parlarne?’’- chiese la ragazza, mettendosi seduta sul letto e sistemandosi i capelli arruffati.

‘’Lo spettro di Gallart mi perseguita anche nei sogni. Riesce a percepire ciò che provo, i miei rimpianti. Le mie paure. In questo sogno lui ha distrutto il mio regno di origine, trasformandolo in una metafora sul non legarsi al passato e lasciarsi consumare dal tempo e ha iniziato ad attaccarmi con il suo potere e…’’

‘’Ti ha anche detto di reagire nel mondo reale? È ciò che direbbe chiunque, perché lo spirito combattivo di una persona non deve mai essere spento. Deve risplendere con intensità, un po’ come il tuo potere. Se ti ha detto queste parole, vuol dire che ti rispetta nonostante sia, anche da defunto, un Re della Prima Fiamma Arcana.’’- rispose Elfriede, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla giovane Thandulircath sorridendo. Arilyn ricambiò il sorriso e rifletteva su quelle parole, anche se dette con disprezzo.

‘’In questa stanza non sono l’unica ad avere un turbamento.’’- disse improvvisamente Arilyn, incrociando lo sguardo della domestica dalle gote arrossate. Comprese anche cosa volesse dire Gallart con ‘’barriera impenetrabile’’ dalla reazione della sua amica: nascondere sé stessi dietro una maschera imitatrice.

‘’Temo solo che l’arrivo di questi oscuri eventi possa portarmi via la mia amata Atlantia. Le Ninfe, soprattutto dell’Acqua, non hanno abbastanza magia che le possa difendere dal giungere della sciagura. Solo quelle delle foreste possono intervenire e aiutare, ma il loro rancore millenario le divide e allontana.’’

‘’Quante Ninfe esistono in questo regno?’’- chiese incuriosita Arilyn. Aveva solo un vago ricordo di loro fatta eccezione per la compagna di Elfriede.

‘’Sette ninfe dei fiumi, laghi e sorgenti. Due ninfe delle foreste e boschi, ma secondo alcuni miti erano tre. I loro nomi sono Amphitrite e Khalisto, entrambe curano la selva da eventuali aggressori o malattie che la possano danneggiare. Non amano le loro sorelle perché credono che badare a laghi o corsi d’acqua sia una bazzecola rispetto al loro dovere di proteggere la natura. E Hosral non facilita le cose.’’

‘’Hosral? Intendi uno spirito della selva?’’- domandò la Thandulircath, insicura sulla sensazione di familiarità del nome dello spettro.

‘’Sì, è uno dei pochi spiriti della natura rimasti fedeli alle Dee. L’unico lato negativo è la sua infinita paranoia e presunzione! Non si fida degli sconosciuti perché per lui sono tutti meschini e vorrebbe eliminarli. Lui è il primo pusillanime e parla di sterminio. Ridicolo.’’- replicò la ragazza, quasi ridendo per i difetti della creatura ultraterrena e suscitando il sorriso nell’amica. Il sonno era ormai svanito e le due ragazze parlavano di alcune avventure del passato e dei progetti futuri; soprattutto Elfriede che stava mettendo da parte piccole quantità di monete per poter acquistare una baita ad est del Broym Fleu e vivere con la sua amata. Quel momento di semplice spensieratezza era l’ideale per dimenticare il terrificante incubo e monito:

‘’Com’è Huvendal, Arilyn? Mi affascina conoscere il luogo di origine dei visitatori o di amici.’’- fu la domanda di Elfriede e la giovane Thandulircath sorrise a quell’innocente quesito eppure un inaspettato boato le allarmò. Ne susseguirono altri, impetuosi che sembravano scuotere la terra. Arilyn, prontamente recuperò la sua spada con catena, gli abiti donati dal Concilio e attese, nella penombra della stanza, informazioni da Elfriede su quel che stava accadendo.

‘’I boati che sentiamo provengono dalla foresta qui vicino, all’altezza dei sentieri che conducono in città. I Rovi Bianchi hanno attuato un altro attacco a sorpresa.’’- esordì la ragazza, tornando indietro a riferire su quanto aveva visto.

‘’Dobbiamo solo aspettare che tutto si plachi. E preghiamo la Dea del Cosmo affinché ci aiuti.’’- disse Imryll, preoccupata per quel violento scontro.

‘’Mi è stato chiesto di proteggere questo regno e non me ne starò qui senza fare nulla.’’- replicò Arilyn, con sguardo torvo mentre si dirigeva verso l’uscita. La domestica cercò di fermarla, ma venne bloccata dalla Curatrice Bianca. Dopo aver indossati gli stivali e nascosto la spilla nel colletto per non essere riconosciuta dai nemici, si diresse all’esterno dell’edificio orientandosi sulla direzione dell’incendio e dei continui boati. Superò il muro della masseria tramutandosi in polvere lucente e scattò fulminea tra gli arbusti, cespugli nodosi e sterpaglie secche, mentre il suo corpo veniva avvolto da un flebile fulgore bluastro: un’altra benedizione da parte della Dea. In breve tempo raggiunse il campo di battaglia, nascondendosi tra gli alberi e osservando due plotoni che si scontravano fra loro calpestando cadaveri e ricoprendosi di sangue e fango. Notò che l’esercito dei Rovi Bianchi restava compatto con la fanteria leggera e pesante mentre gli arcieri continuavano a far piovere frecce di fuoco sui Rovi Rossi, allo stremo delle forze per sorreggere gli scudi. Tra loro anche i Legionari, impegnati a fronteggiare alcuni nemici nelle retrovie che non demordevano e continuavano ad aumentare.

Arilyn volse lo sguardo alla sua destra, notando il cadavere di uno degli arcieri che stringeva nella mano quella che sembrava essere una bomba fumogena, nonostante l’odore intenso che proveniva dal contenitore. Lo recuperò e lo scaraventò nella doppia fila di fanteria che, non appena, colpì uno degli scudi esplose generando una gigantesca nube biancastra disorientando il nemico. Fu allora che Arilyn sprigionò tutta la ferocia del suo potere, scagliando fulmini dorati prima sugli arcieri riducendoli in cenere uno ad uno. Uscì allo scoperto brandendo la spada permeata del suo potere e con micidiali fendenti, tondi dritti e roverso e mulinelli, distrusse i loro scudi terrorizzandoli. Sfruttò la catena unita al vambrace per eseguire attacchi dalla distanza che penetrarono nel corpo di un condottiero, mozzandolo in due e carbonizzando i compagni adiacenti. Sentì aumentare la rabbia e la frenesia dello scontro:

‘’È il momento, giovane condottiera. Conficca la spada nella terra e lascia che il tuo potere li costringa alla ritirata.’’- disse il suo Istinto. La spada sembrò assumere la forma di un raggio di sole per l’intensa luminosità che emanava e Arilyn l’affondò nel terreno: i suoi occhi si illuminarono nuovamente, come la prima volta nello scontro con Gallart. La terra fangosa si spaccò e da essa fuoriuscirono enormi colonne di luce che decimarono rapidamente la fanteria leggera e pesante, lasciando alcuni soldati feriti o moribondi.

‘’Ritirata!’’- urlò una voce roca dalla distanza, accompagnata dalla melodia distorta di un corno. I pochi cavalieri rimasti abbandonarono il campo o cercarono di nascondersi inutilmente tra i cespugli per poi venir massacrati. Dal muro di fumo comparve uno dei nemici, sanguinante dalla gamba e terrorizzato trovandosi da solo contro dozzine di soldati e i Sette Legionari ricoperti di sangue e brandelli di carne sulle loro armature formate da rovi magici. Una lama di luce lo trapassò da parte a parte, carbonizzando i tessuti e avvolgendolo una luminosa fiamma dorata fino ad esplodere e a ridursi in polvere. La spada venne recuperata con uno scatto fulmineo, cozzando contro qualcosa di metallico.

‘’Che sta succedendo?’’- domandò uno dei Legionari con un cappuccio bordato in acciaio, mentre ripuliva la sua Paloscio sul cadavere mutilato di un soldato. Elurek, il Legionario Gran Mastro dei Fuochi incrociò lo sguardo con quello di Veldass, che stava ghignando conoscendo benissimo quei lampi di luce:

‘’Non è possibile che abbia decimato un plotone tutto da sola.’’- disse sottovoce l’uomo al compagno d’arme che teneva poggiato sulle spalle il randello ferrato.

‘’Scommettiamo un boccale di idromele?’’- domandò Veldass, allungando la mano in attesa di conferma da parte dell’amico. Elurek accettò con un sorriso beffardo.
La nube si dissolse, permettendo di vedere i crateri lasciati dalle colonne di luce e una ragazza che brandiva una spada ancora luminescente. I soldati tennero gli scudi alzati, non sapendo se quella giovane fosse ostile o meno:

‘’La maggior parte dei nemici si è ritirata verso ovest, hanno sfruttato l’oscurità e l’ausilio di cavalli per fuggire.’’- spiegò lei, pulendo il sangue che colava dalla spada.
‘’Bel lavoro Arilyn. Tu e il tuo piccolo esercito ci avete aiutato. Ma dove sono adesso?’’- domandò Elurek, raggiante di vedere un volto familiare. La ragazza guardò sorpresa il Gran Mastro dei Fuochi per quella domanda inaspettata.

‘’Ci sono solo io.’’- fu la risposta di Arilyn, che fece esultare silenziosamente Veldass per avergli fatto vincere un boccale di delizioso liquore. I soldati fece cadere gli scudi per l’incredulità, ricevendo un duro richiamo da parte del Comandante: l’armatura, fatta interamente di rovi le donava l’aspetto di una creatura lignea nonostante le spine arcuate intrise di sangue. Si avvicinò ad Arilyn, mentre l’elmo si aprì rivelando quel volto delicato che trasudava rabbia repressa:

‘’Ti avevo ordinato di non avvicinarti a noi! Perché sei qui?’’- chiese quasi sibilando Iridia, mentre le sue guance si tinsero di rosso e le vene sul collo si gonfiarono.

‘’Non sei il mio comandante e un semplice ringraziamento sarebbe gradito. Perché sono qui? Ho giurato al Concilio di aiutarvi e non di restare impassibile innanzi alle difficoltà. Vedo che non apprezzi perché il tuo orgoglio te lo impedisce. E non è la prima volta che accade.’’- replicò Arilyn, con fermezza mentre serrava la mano sull’elsa della spada e che continuavano ad emanare un flebile luccichio. L’espressione rabbiosa di Iridia mutò in sbigottimento e ammutolì: percepì una stranissima sensazione, come se qualcosa si fosse incrinato. Quando si avvicinarono i soldati e alcuni dei Legionari, il Comandante si allontanò cercando di mascherare il suo stato d’animo e dirigersi al proprio cavallo seguita da solo due dei suoi compagni: una donna muscolosa e il ragazzo dal mantello bordato d’acciaio.

‘’Usare una bomba fumogena come diversivo è un metodo eccellente. Hai usato qualche incantesimo per evocare quelle colonne incandescenti?’’- domandò uno dei Legionari con una fascia violacea che gli copriva la bocca, così per le mani.

‘’Non è un incantesimo, è un semplice potere innato.’’- rispose la Thandulircath, stringendo le mani degli altri soldati che si congratulavano e ringraziavano per il supporto dato nello scontro.

‘’Interessante. Io sono Olfhun Kinhell, Esarca delle Voci.’’- disse il Legionario togliendosi la fascia dalla bocca e sorridendo leggermente.

‘’Arilyn Saavick, ultima dei Thandulircath.’’- rispose lei, stringendogli la mano con forza. Veldass ed Elurek, invece, chinarono leggermente il capo in segno di riverenza dato che si erano presentati il giorno prima. Giunse il turno di una ragazza con una divisa militare simile a quella di Arilyn, senza il corsetto e il bavero era orlato in pelliccia di lupo tinto di rosso. Delle piastre metalliche avvolte da rovi pietrificati tradivano quell’impercettibile innocenza che possedesse:

‘’Quindi eri tu la ragazza della quale mia madre mi ha informato. Sei stata in grado di sfiorare il Frammento d’Ambra senza subire gravissime ferite. Mi chiamo Hildel Verca, conosciuta come Hildel Zanna Bianca.’’- proferì la ragazza suscitando meraviglia nel Legionario dalle bende viola, in Veldass e Elurek.

‘’Legionari, in riga. Dobbiamo tornare al Concilio e fare rapporto. E tu, Thandulircath vieni con noi.’’- urlò il comandante Iridia in groppa al suo cavallo, attendendo che tutti eseguissero gli ordini dati senza indugiare oltre, aiutandosi con l’ausilio di torce di fortuna. Il Legionario dal randello metallico offrì il suo cavallo ad Arilyn per farla riposare durante il tragitto verso il centro città e per evitare di essere attaccati da altri soldati dei Rovi Bianchi, avrebbero fatto il giro lungo passando ad ovest del campo di battaglia; prima di salire in groppa al cavallo protetto da una spessa armatura, la giovane Thandulircath notò un foglio di pergamena strappato e sporco di fango, ma alcune parole erano ancora leggibili: ‘’Sentiero sud-ovest. Imboscata. Attacco dei Rovi Bianchi previsto alla prima ora del cantar dei grilli.’’ Arilyn piegò il foglio e lo mise nella tasca del pantalone, così evitando di perderlo essendo una parte importante da aggiungere al rapporto. Intanto che proseguivano per il sentiero d’ovest la vegetazione sembrava essere invecchiata precocemente, i rami degli alberi erano spogli in più punti e afflosciati quasi ad arrivare a pochi centimetri dalle loro teste. Un pungente odore emanato dalla resina che impregnava la corteccia dei faggi, dei pini e degli aceri rendeva il cammino quasi fastidioso:

‘Aspettate.’’- disse Olfhun, fermando il suo cavallo e volgendo la testa alla sua destra. I soldati prontamente sguainarono le loro armi e tennero alti gli scudi.

‘’Cosa odi Esarca?’’- domandò un soldato armato di balestra che, a causa del peso, tremava fra le mani come un fuscello. Dei passi si avvicinarono rapidi e pian piano si udiva una richiesta d’aiuto. Dai cespugli secchi comparve un uomo ferito gravemente alla gamba e al fianco; l’armatura di cuoio rinforzata con diverse tasche e il simbolo del regno dipinto di rosso sulle spalline consentirono ad identificare il soldato come uno dei ricognitori dispersi da qualche ora:

‘’Siete vivi, per fortuna. L’imboscata…era anche per noi ricognitori. Sono morti tutti…’’- disse cercando di recuperare fiato il più possibile il soldato, mentre consegnava le spille di riconoscimento dei defunti.

‘’I loro attacchi diventano sempre più volenti e quasi disperati. La Dea del Cosmo ti ha concesso la salvezza affinché tu potessi darci quest’importante notizia. Uno di voi soldati dovrà rinunciare al proprio scudo, lo useremo come barella per trasportare il nostro compagno ferito. Muoversi!’’- ordinò Iridia, aspettando che l’operazione venisse eseguita. Il soldato venne messo in posizione fetale sullo scudo, avvolto in più punti da una corda e annodata alle briglie del cavallo del comandante nel mentre che due soldati sorvegliavano il malcapitato e restavano vigili in caso di attacchi. Le prime luci dell’alba iniziarono a diradare le ombre della notte, tingendo dei colori estivi il manto smeraldino e le fronde degli alberi con sfumature calde. Giunti al Concilio, il comandante ordinò alle sentinelle poste all’esterno delle mura di portare subito il ricognitore ferito da un guaritore. Intanto i Legionari ed Arillyn si diressero nella sala principale, ove già le Sette Sorelle erano sui loro troni. Iridia si inginocchiò, imitata dal resto del gruppo ed esordì a gran voce:

‘’Perdonate l’attesa, per evitare altri disdicevoli scontri e futili perdite, abbiamo attraversato il sentiero ad ovest. Uno dei ricognitori ci ha informato di due imboscate pianificate dai Rovi Bianchi. Quattordici dei sedici ricognitori sono morti, uno è ferito gravemente e un altro è disperso. L’avanzata del nemico è stata interrotta grazie all’aiuto…’’- si interruppe, preda del suo orgoglio ferito.
‘’Al mio aiuto. Più della metà dell’esercito nemico è stato massacrato e quei pochi superstiti sono fuggiti, ma non voglio nessun riconoscimento per quest’impresa, dato che ho solo giurato di proteggervi. Null’altro.’’- disse Arilyn, a testa alta e con rapidi scambi di sguardi con Iridia, sorprendendola nuovamente. La Sorella Maggiore conferì con le altre Sorelle sotto voce prima di rispondere:

‘’Eccellente lavoro. Questi attacchi meschini dureranno poco perché abbiamo delle notizie da darvi. Il fabbro della città ha progettato il primo modello di arpione mobile e nuovi scudi, inoltre altri due esperti ricognitori e cacciatori si sono offerti di trovare…il Recluso e la Peccatrice.’’

‘’Quando sono tornati?’’- domandò la Legionaria dalle robuste braccia e una cicatrice argentata che partiva dalla spalla e scompariva all’interno dell’armatura.

‘’Si sono presentati avvolti da un fulgore biancastro, quindi erano solo apparizioni incorporee. Non siamo certe se si trovano nei nostri confini o altrove. Attendiamo il rientro dei due cacciatori affinché possano dirci altro. Vi ringraziamo per il vostro coraggio, prodi Legionari e giovane Thandulircath. Prego, potete tornare nelle vostre dimore.’’- replicò Erthaor, la quinta sorella.

‘’Prima di congedarci, ho trovato questo foglio di pergamena strappato con alcune informazioni.’’- disse nuovamente Arilyn, consegnandolo ad una delle Sorelle. L’espressione di amarezza constatò che quella scrittura fosse familiare:

‘’Quindici su sedici ricognitori deceduti. Grazie mille Arilyn, hai contribuito a comprendere quando attaccano i Rovi Bianchi.’’- furono le parole della quarta sorella, ovvero Largothel. La Thandulircath fece un leggero inchino con il busto e andò via, o almeno sperava di poter tornare se non fosse per il Comandante dei Legionari ferma sull’uscio. I suoi occhi emanavano un turbine di emozioni contrastanti, quasi come se volessero prevalere sull’altra senza successo.

‘’Grazie per il tuo aiuto.’’- disse Iridia, con un tono di sarcasmo e saccenteria. Arilyn fece spallucce e la superò, aumentando l’astio che aveva nei suoi confronti; il comandante le afferrò la manica della divisa bloccandola.

‘’Ti ho detto grazie, potresti rispondere almeno invece di ignorarmi.’’

‘’Mi sbaglio o avevi espresso chiaramente di starti lontana? Io non comprendo questa tua rabbia illogica nei miei confronti, ho solo fatto il mio dovere e cerco ancora di ambientarmi in questo vostro regno. Sembra, però, che tu voglia impedirmelo. Buona giornata, comandante.’’- rispose accentuando il sarcasmo sul grado della donna, per poi voltarle le spalle.
Quel contegno così esacerbante era il ritratto della defunta Liedin, una delle allieve addestrate per proteggere Huvendal. Fin dall’arrivo al palazzo, Arilyn fu una facile preda per l’odio represso della ragazza dai capelli purpurei. Tale paragone aggravò il suo malumore e cercò un luogo silenzioso, dove non vi è dimora per futili rogne.

‘’Non vi è ragione per crucciarsi. Avrà modo di comprendere che sei fondamentale e ti tratterà con rispetto.’’- disse una voce alle sue spalle, dissuadendo la ragazza dal suo tormento. Una nube di stelle si materializzò successivamente innanzi a lei, assumendo una forma corporea seppur sempre diafana in costante cambiamento:

‘’Tu dovresti essere Hosral, vero? Che cosa vuoi?’’- chiese Arilyn, infastidita dall’apparizione dello spettro dei boschi.

‘’Sei delusa da Iridia ed è ben comprensibile. Io l’ho vista crescere, ha dimostrato fin da subito di essere orgogliosa delle sue azioni soprattutto in guerra. Come ogni altra persona, ci sono eventi del passato che ti trasformano in ciò che non vorresti essere, ma per lei è diverso. Il suo cuore è un duro frammento di pietra. Solo una volta l’ho vista sorridere ma è stato anni fa. Ti chiedo solo di attendere un po’.’’- fu la risposta dello spirito dei boschi, mutando ancora la sua forma da uomo a donna.

‘’Perché mi stai dicendo tutto questo?’’- domandò nuovamente la ragazza, sedendosi agli argini di un ruscello.

‘’Ti ho osservato, confondendomi con le ombre, e sei l’unica che è riuscita fino ad ora a colpire la sua fierezza da cavaliere. Avete entrambe un grande spirito combattivo, ma siete diverse. Forse è un bene. Mi sbagliavo a giudicarti una spia dotata di abilità magiche. A presto, Thandulircath.’’- replicò Hosral, dissolvendosi in polvere splendente. Arilyn si sentì confusa dal cambiamento repentino della creatura diafana ma preferì ignorare l’accaduto e restare ad osservare lo scorrere lento del ruscello limpido. Passarono alcune ore e la ragazza iniziò ad avere fame, decidendo così di tornare alla masseria per la colazione:

‘’Non così in fretta!’’- urlò una voce da dietro i cespugli. Con sguardo torvo e il respiro corto, preda dell’ira repressa, si palesò il soldato che Arilyn aveva ferito alla spalla con una forchetta.

‘’A causa tua, mi hanno congedato con disonore e bandito da qualsiasi taverna del regno. Non sperare di andartene senza subirne conseguenze, stupida bambina che non sei altro.’’- disse, sradicando un ramo essiccato che fece muovere tra le mani con fare minaccioso.

‘’Vuoi prenderti la vendetta per esserti meritato quella punizione? Avanti, primate che non sei altro!’’- rispose la Thandulircath, ormai esasperata. L’energumeno sferrò il primo attacco, mancando il bersaglio e offrendo alla ragazza l’opportunità di colpirlo al fegato. Il violento colpo, grazie anche al vambrace, fu doloroso:
‘’Sei fortuna…’’- cercò di provocarla, ricevendo un calcio rotante sul collo e una ginocchiata sui denti rompendoglieli. Arilyn brandì il ramo e usando la parte aguzza, lo conficcò nell’altra spalla fin quando le ossa non emisero un aberrante suono. Le urla di dolore destarono gli uccelli appollaiati tra le fronde, facendoli volar via impauriti.
‘’Ho fronteggiato creature più forti di te. Fai troppo affidamento sulla tua stazza, nonostante tu sia solo un folle. Avrei dovuto cavarti gli occhi e la lingua quel giorno!’’- disse la Thandulircath, furibonda e con il potere che si propagava dalle sue mani. Prese nuovamente quel ramo conficcato nella spalla sanguinante del suo aggressore da entrambe le parti, fece leva con tutte le forze e strappò di netto carne, muscoli e frammenti ossei.

‘’Prova ad avvicinarti nuovamente e non esiterò ad ucciderti questa volta.’’- furono le ultime parole della ragazza, prima di gettare via l’arma insanguinata e dirigersi nella masseria. L’uomo non volle demordere, cercò di aggredirla nuovamente alle spalle ma una lama avvolta da una luce dorata lo decapitò, lasciando che il corpo scivolasse via nell’acqua. Riprese il cammino verso la masseria, stremata e sporca dalla testa ai piedi di fanghiglia e sangue. Non appena varcò la soglia dell’edificio, Elfriede ed Imryll chiesero preoccupate cosa fosse accaduto:

‘’Da quello che ricordo, i Rovi Bianchi hanno teso una doppia imboscata. Una per i Legionari e una per i Ricognitori. Metà dell’esercito è stato massacrato, l’altra metà invece è fuggita oltre i confini. Il sangue che vedete non appartiene a me, bensì ad uno dei soldati piantagrane che ho affrontato un giorno fa nella taverna. Ho solo agito per difendermi…’’- disse la ragazza, trascinandosi verso il bagno bisognosa di immergersi in una vasca d’acqua calda per pulirsi e calmarsi. Immersa nel rovente liquido, restò ad osservare la moneta donata da Faolan: bronzea, con diverse incisioni sull’orlo e uno stemma dipinto di blu, come la carnagione dei Silenti. Chiuse gli occhi e lasciò che la tensione scivolasse via dal suo corpo.

‘’Sei solo un mostro!’’- sentiva echeggiare una voce rabbiosa nella sua mente, seppur distante. Un ricordo di una lontana disputa tra allieve, il desiderio di competizione che tentava ostinatamente di prevalere sull’umiltà dell’esperienza. Una rivalità conclusasi in tragedia. Le ombre che vorticavano furiosamente nel suo inconscio vennero dissolte da un lento e costante suono: qualcuno bussava alla porta del bagno.

‘’Prego, puoi entrare.’’- esordì Arilyn, quasi stanca e disorientata. Si coprì con un lungo telo il corpo nudo prima che potesse esser vista. La porta si aprì e permise alla giovane Elfriede di entrare con altri abiti freschi adatti all’estate che avanzava.

‘’Mi ero preoccupata. Sarà quasi un’ora che sei rinchiusa in questo rovente posto.’’- disse, aprendo la finestra per far uscire il vapore asfissiante e far entrar il vento estivo.

‘’Scusami. Dopo ciò che è accaduto sul campo di battaglia, una futile discussione con il Comandante dei Legionari e l’aggressione dell’ormai defunto soldato, la mia mente e il mio corpo avevano bisogno di riposare.’’- rispose la Thandulircath, asciugandosi i capelli umidi.

‘’Dunque hai conosciuto mia figlia Iridia.’’- replicò qualcuno sull’uscio della porta. La Curatrice Bianca entrò, massaggiandosi le mani e sospirando, conscia ormai di non poter tenere per sé quel segreto innocente. Arilyn aveva intuito la somiglianza del Comandante Iridia con quella di Imryll, lo stesso sguardo di sicurezza, il fisico slanciato ma differivano sul modo di approcciarsi.

‘’Mio marito abbandonò me e mia figlia anni fa, il suo cuore stregato dalla bellezza di un’altra donna. Quando non potevo occuparmene, Hosral si offriva volontaria seppur riluttante. Essendo cresciuta senza un padre ha forgiato in lei uno spirito combattivo, tenace e d’onore. Si fida solo dei Legionari, delle Sette Sorelle e di Morkai, il fratellastro. Aprì il suo cuore solo ad una persona, ma sapendo che codesta persona si sarebbe trasferita in un’altra zona, ha deciso di chiudersi in sé stessa e usare solo la ragione.’’

‘’Per ora le ho saputo tener testa, anche se credo non abbia apprezzato. Non ha importanza, dovrà accettare il fatto che sono un membro di questo regno nonostante sia Huvendal la mia vera casa.’’- rispose Arilyn, osservandosi la mano ormai guarita.
Qualcuno bussò alla porta principale, con forza e ad intervalli di brevi secondi l’uno dall’altro. Imryll andò a controllare chi fosse il visitatore, ci furono dei brevi dialoghi tra saluti e convenevoli e la porta così come si aprì si richiuse. La Curatrice Bianca tornò con un ciondolo raffigurante un lupo nel mezzo:

‘’Devi aver perso questo durante lo scontro. Olfhun lo ha ritrovato e ha riconosciuto che i lupi erano animali prediletti dalla tua razza.’’- disse la donna, consegnando l’oggetto nelle mani della ragazza.
‘’Non so quante volte questo pendaglio sia caduto negli ultimi due anni.’’- replicò Arilyn, ridacchiando.
 
Isola dei Re Esiliati. Mattino. Estate.

 
A causa di una imprevista tempesta marina, Searlas e il suo amico Edan dovettero attendere le prime luci del mattino per giungere sull’isola dei Re Esiliati. Per il Re quel luogo rappresentava tutto il marciume, la corruzione e la negligenza che i regni delle Terre del Nord subirono per secoli. Per impedire che gli esiliati fuggissero, venne eretta una gigantesca muraglia fatta di ossidiana, con tre torri di vedetta su ogni estremo e una più grande al centro dalla quale si poteva vedere tutto. I soldati mandati a sorvegliare quel luogo variavano da Guardie Navra a Guardie Merfolk, Guardie di Iysadell, Vaatkaalkey e molti altri. Restarono inorriditi quando videro sangue, materia cerebrale e ossa sparse ovunque per le mura e all’interno della città costruita su misura. La terra era marcita, gli alberi spogli e parte delle case distrutte da una forza selvaggia.

‘’Re Searlas? Che cosa ci fa in questo luogo di morte e pura devastazione?’’- chiese una guardia Iysadelliana, con una divisa granato strappata su più punti mentre si reggeva a fatica su un bastone. La pettorina a piastre ammaccate rappresentavano il suo grado di capitano, o almeno così sembrava essere. Il volto e le mani, invece, erano avvolte in bende sporche, così sulla gamba destra.

‘’Mio figlio è scomparso dopo una feroce lotta con il Re della Prima Fiamma Gallart. I Titani d’Onice mi hanno riferito che un bagliore rossastro, ormai quando lo scontro era giunto all’epilogo, si è abbattuto su di loro. Lui e la sua compagna sono scomparsi e il luogo più vicino ad Huvendal era questo. Gli Esiliati che fine hanno fatto?’’- domandò il Re, osservando disgustato e terrorizzato quell’indicibile violenza.

‘’Ne rimane uno solo, ovvero suo padre. Lo abbiamo rinchiuso nella torre centrale, così da evitare che fuggisse. E non è in un piacevole stato.’’- rispose il capitano Iysadelliano, chiamando un altro soldato in condizioni meno pietose di lui e gli ordinò di accompagnarli alla torre.

’Che cosa gli è successo?’’- domandò incuriosito, nonostante odiasse suo padre. Il capitano, digrignando i denti per resistere al dolore delle ferite subite, si rifiutò di rispondere e indicò nuovamente il luogo da raggiungere. Gli uomini di Edan, sotto suo ordine, diedero assistenza medica ai feriti e setacciarono l’intera area in cerca di possibili indizi. Più Searlas ed Edan si avvicinavano alla torre, più l’odore del sangue si intensificava diventando insopportabile costringendo i due uomini a coprirsi il naso con la mano. Entrati nella grande torre difensiva, il soldato accese una serie di torce collegate da piccole strutture metalliche dove scorreva olio infiammabile.
Non appena le piccole teda dispersero l’oscurità della struttura, un uomo emaciato e barbuto emise un gemito di dolore causato dalla troppa luce:

’Maledizione giovanotto, spegni la luce…’’- borbottò l’anziano, coprendosi con una scheletrica mano il viso. Gli occhi infossati, lividi e con una impercettibile patina sulla pupilla constatavano i primi sintomi di cecità.

’Padre.’’- replicò Searlas, stringendo i pugni nel tentativo di placare una improvvisa scarica di furia. Non provava compassione per lui neanche vederlo prossimo al gelido bacio della morte. L’attempato uomo riconobbe quella voce e scattò in piedi tremante. Lo sguardo torvo del Re gli impedì di proseguire oltre mutando il suo stato d’animo in agitazione.

‘’Uh, dopo trent’anni vieni a farmi visita, ma non sei qui per me figliolo.’’- disse suo padre, grattandosi la barba, facendo cadere piccoli brandelli di pelle secca dall’ispida peluria.

‘’No. Mio figlio e la sua compagna sono spariti dopo una feroce guerra e quest’isola, essendo la più vicina alle nostre Terre, era il primo luogo da visitare. Prima di tutto, cosa è accaduto agli abitanti?’’- chiese suo figlio, incrociando le braccia e attendendo una risposta. Una risata nervosa, accompagnata da una forte tosse mucosa anticipò il responso inorridendo il Re.

‘’Credo tu abbia visto il sangue sparso ovunque e i soldati feriti brutalmente. Tutti i re dell’isola sono stati massacrati, i cadaveri trasportati da quelli che sembravano ragni spinati e guidati da mostri formati da legno, carne e sangue indurito credo. Uno di loro, un demone dagli occhi color rubino mi ha risparmiato e definendomi testimone di un oscuro futuro.’’- replicò lui, tossendo e sputando saliva rosata sul pavimento.

‘’Come scritto su uno dei tomi antichi. Per caso riguarda anche le nostre terre?’’

‘’Ugh, non…non lo so, ma credo di no. Ha accennato solo un qualcosa inerente ad una fiamma, non ricordo altro perché sono svenuto.’’- rispose nuovamente il padre di Searlas alla sua domanda. Senza preavviso iniziò a rigurgitare un liquido giallastro dalla bocca, il corpo a squamarsi con una putrida linfa che scorreva tra esse. La schiena e lo stomaco esplosero, liberando lunghi rovi che si muovevano come serpi. Avvolsero il corpo del povero anziano e lo trascinarono nella pozza fangosa formatasi sotto di esso:

’Hai detto abbastanza, vecchio. Sarai grato alla Morte perché ti sarà dato un grande dono.’’- disse una oscura figura comparendo dal nulla, dalla pelle nera come la pece e gli occhi color del rubino. Edan estrasse la spada, mettendosi in posizione di combattimento pronto a colpire se necessario. L’essere demoniaco rimase ad osservarli, con un perfido sorriso sul volto, concentrandosi soprattutto su Searlas:

‘’Nessuna compassione o tristezza. Solo rancore nei suoi confronti. Affascinante come, per tutti questi anni tu non abbia accennato al perdono. Non crucciarti oltre, questa imminente guerra non coinvolgerà le vostre di terre. Il vostro popolo non merita l’Epoca Oscura. Gentili signori, con il vostro permesso, la Tenebra attende, ossequi.’’- disse, per poi sparire in una nube di polvere e ombre, spegnendo in un singolo colpo tutte le torce. Quella folata di vento fu così forte da infrangere la dura pietra della torre, creando gigantesche crepe che iniziarono ad estendersi su tutti i lati. La polvere ed i ciottoli piombarono sulle loro teste, costringendoli a fuggire da una morte dolorosa. Una volta all’esterno, la torre crollò con gran fragore ed innalzando un muro di terriccio misto a terra e plasma.

‘’C’è da fidarsi delle sue parole secondo te?’’- chiese Edan, incantato da come un pinnacolo costruito in ossidiana e rivestito di altri materiali si distrusse come se fosse fatta di gesso. La domanda restò senza risposta, così l’uomo dagli occhi ambrati chiese nuovamente se il demone avesse ragione o meno.

‘’Torniamo ad Huvendal. Ho visto…troppo.’’- rispose eludendo il quesito. Edan comprese quella risposta non appena vide il ripugnante scenario: tutte le sentinelle erano aggrovigliate da rovi neri che fuoriuscivano dalle loro bocche, dallo stomaco e dalla schiena. I fusti spinosi erano dipinti di rosso scuro, con pezzi di interiora e ossa incastrati tra le spine arcuate. Statue mutilate che evidenziavano la disgustosa opera d’arte. Tutti gli uomini di Edan e Searlas erano impalliditi, alcuni si sentirono male e rigurgitarono sull’erba.
Ritornati alle imbarcazioni, i guaritori cercarono di fare il possibile per curare i condottieri rassicurandoli che non sarebbero morti. Il Re di Huvendal restò ad osservare un bastione delle Terre del Nord divenuto un cimitero di corpi deformi e mutilati da rovi impregnati di magia. Ripensava alle parole dello sconosciuto, alla terrificante guerra che riguardava chissà quale regno accennata.

’Nessuna compassione o tristezza. Solo rancore nei suoi confronti. Affascinante come, per tutti questi anni tu non abbia accennato al perdono.’’- continuavano a risuonargli queste parole nella sua mente, rendendo l’orrore e l’angoscia una sensazione quasi concreta. Chiuse gli occhi, cercando di pensare ad altro e di dimenticarsi di aver visto quell’abominio. Anche Edan era alquanto provato dall’evento mentre era disteso ad un lato dell’imbarcazione, con una mano sulla fronte e le labbra serrate in una singola linea.

‘’Sire, che cosa è successo in quel luogo? Molti soldati continuavano a ripetere di commilitoni mutilati e sventrati da rovi…’’- chiese uno dei guaritori, incuriosito dall’innaturale silenzio.

‘’Confermo. L’isola dei Re Esiliati è adesso un cimitero di grottesche statue di carne e vegetazione. C’è solo morte, e nient’altro. E di mio figlio ancora nessuna traccia.’’- rispose Searlas, osservando le onde del mare.
 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, mattino.

Dopo una lunga notte insonne, Darrien si dedicò alla lettura e allo studio delle carte topografiche e strategiche individuando sempre più errori nelle tattiche e spiegamento delle truppe. Giunse all’esasperazione quando lesse nei rapporti che le sconfitte riportate erano dovuti alla conformazione del terreno o alla presenza di gigantesche pozze fangose. Per non creare disordine sulla scrivania, usò il suo potere per bruciare quelle pagine sbiadite.

‘’Batkiin è un folle. Non saprebbe distinguere delle manovre elusive per assediare con il minimo sforzo una fortezza dall’attacco diretto. Come è possibile che sia generale se non si ferma a riflettere sulle scelte intraprese.’’- disse rabbiosamente, gettando via la sedia e dirigendosi ad una piccola balconata che aveva scoperto esser stata nascosta ad occhi indiscreti. Da lì poteva osservare, senza esser visto, una delle strade principali che conducono nel castello e nella periferia della città. Dal vistoso andirivieni comprese che stava giungendo qualcuno nel regno. Decise di unirsi alla folla riunitasi all’entrata del regno: dai volti di terrore e rammarico dell’esercito Darrien intuì un’altra sconfitta e scosse la testa, in disapprovazione. Il muro di cittadini si divise, consentendo il passaggio del Re Galeren che tuonò un solenne rimprovero per la sconfitta:

‘’Avete perso nuovamente! Dovrei darvi una strigliata e fustigarvi fino a far sgusciare la vostra colonna vertebrale. Cosa avete da dire?’’

‘’Una sola persona è riuscita a decimare metà del nostro plotone d’assalto, comparendo dal nulla e scagliando lampi di luce da ogni direzione possibile. La cenere che vede sulle nostre armature appartiene ai loro corpi inceneriti. Basta come risposta.’’- replicò uno dei soldati, leggermente infastidito intanto che gettava l’arma e lo scudo lontano da sé. Molti altri commilitoni lo imitarono, sparpagliandosi in varie direzioni del Palazzo Reale. Darrien ebbe un sussulto, come se quel fantomatico guerriero potesse essere la sua amata Arilyn. Tuttavia ripensava continuamente al discorso fatto dal generale dei Rovi Bianchi, ovvero che nel regno gemello alcuni soldati possedevano una speciale armatura con aculei in grado di assorbire le abilità del nemico e forse, la speranza di ritrovare la sua compagna si dissolveva sempre di più. Quando giunse anche Batkiin all’appello, preferì proseguire dritto nella sala del trono attendendo il rientro del Re che cercava di placare gli animi del popolo con discorsi pieni di parole forbite e d’ispirazione.

‘’Te lo avevo detto.’’- sibilò il ragazzo, non appena il generale passò di fianco.

‘’Le sconfitte aiutano a fortificare l’uomo.’’- rispose il generale, facendo spallucce e sorridendo egregiamente al suo operato.

‘’Non se tali sconfitte si basano sulla vita dei tuoi uomini. Non sei un generale, sei un bambino mascherato da esso che gioca con soldatini di piombo.’’- replicò duramente Darrien, lasciando che il suo potere innato si manifestasse come minuscole venature nere sotto gli occhi e sulle mani.

‘’Bada a come parli ragazzo. Sono pur sempre un generale, anche se mi beffeggi.’’- ribadì Batkiin, con il petto gonfio e le mani dietro la schiena.

‘’Non il mio.’’- rispose nuovamente il ragazzo, lasciando serpeggiare l’oscurità verso l’armatura dell’uomo. Un cigolio metallico accompagnato da un suono aberrante colpì il suo udito, facendolo gemere dal dolore. L’intera armatura splendente cadde in diversi pezzi, piegati e deformati con un bagliore nerastro che si muoveva sinuosamente tra le crepe. Darrien lasciò il vecchio generale nella vergogna e umiliazione delle sue azioni. Decise di andare dal nano di montagna per avere aggiornamenti sulla sua nuova spada o nuove invenzioni. All’interno dell’immenso castello si udiva la tuonante voce di Galeren che rimproverava alcuni suoi uomini per l’inefficienza in campo, ma Darrien non volle restare lì ad ascoltare.

‘’Giovanotto, tutto bene? Sembri affranto.’’- esordì una voce cavernosa, quasi bestiale che lo interruppe dal procedere verso la meta destinata. Il ragazzo riconobbe quella voce e il passo pesante del guardiano del Frammento.

‘’Più che affranto, sento svanire la speranza di ritrovare una persona a me cara. E sono inorridito dal comportamento di Batkiin. La guerra è una partita di scacchi, serve concentrazione e tatticismo. Senza di esse, perderai continuamente cosa che sta accadendo a tutti voi.’’- rispose il ragazzo, mascherando anche un impercettibile velo di stanchezza. Flarsok, la creatura simile ad un lupo ridacchiò poggiandosi sulla sua mannaia inastata comprendendo ciò che il ragazzo pativa e rispose:

‘’Il generale non sarà perfetto e avrà tattiche che non sono eccellenti, cerca di fare il possibile per l’esercito. Non vi è necessità di sfogare il tuo rancore represso contro di lui. Se ti lasci trasportare dalla tua ira, rischi di attirare il malcontento di altri uomini. Potresti aiutarlo invece, come ti chiese lui inizialmente. Io ora inizio il mio turno di guardia e per mezzodì mi troverai sulla balconata. Se hai bisogno di qualche consiglio saggio da un vecchio lupo come me.’’

Flarsok andò via lentamente a causa della protesi di metallo che gli procurava delle leggere fitte alla gamba, reggendosi sull’asta della mannaia. Il ragazzo, invece, si diresse dal Dolmihir. Aperta l’inusuale porta, preso l’ascensore e arrivato nel suo studio lo trovò a penzoloni sul soffitto. Gli arti meccanici che aveva sulla schiena gli impedivano una dolorosa se non fatale caduta. Sul pavimento vi erano alcune bottiglie di vino dall’odore acre, rimasugli di tacchino e briciole di pane.

‘’Buongiorno, nano di montagna.’’- esordì Darrien, riuscendo a farlo svegliare. Dolmihir borbottò quello che sembravano essere insulti in nanico, ma non appena riconobbe il ragazzo si mosse da quel bizzarro luogo.

‘’Sono un esperto nano di montagna. Il mio stomaco…ho bevuto troppo ieri sera. Alcuni miei vecchi amici sono venuti a trovarmi e sai com’è, tra un boccone e l’altro la prelibatezza del vino ti offusca. Perché sei qui, ragazzo?’’- chiese il nano, lasciandosi scappare dei flati puzzolenti. Lo sguardo indagatore del ragazzo lo imbarazzò fino a fargli ricordare il motivo. Si diresse rapido ad un lungo contenitore pieno di terra, trucioli ferrosi e che emanava ancora un intenso calore dai bordi e lo ruppe con una precisa e forte martellata al centro.

‘’Ecco a te la Lama della Vespa. Una spada leggera, dalla lama simile a quella di una Striscia ma che tende a restringersi sulla punta. La guardia, invece, tende a proteggere la mano e il polso da eventuali urti o tagli. Dato che provieni da Huvendal, sul pomolo vi è una lunga catena e ho dovuto costruirti un vambrace così da incastrare uno degli anelli sull’uncino.’’- esordì, porgendogli l’arma e il vambrace. Non appena il ragazzo sfiorò la lama, essa si illuminò di una luce nera e violacea per un breve lasso di tempo.

‘’Hai usato qualcosa per infusioni?’’- chiese Darrien, sorpreso dall’insolita reazione della sua nuova arma.

‘’Solo una miscela di elementi per evitare che la lama si danneggi con gli urti e fattori climatici. Non era previsto che reagisse così al tuo maleficio.’’- rispose il nano, lisciandosi i baffetti e indossando gli occhiali da lavoro. Il rumore dell’ascensore accennò l’arrivo di qualcuno di familiare per Dolmihir, che sorrise. Una donna con indosso un elmo celata entrò nello studio, portando in spalla una grossa che emetteva stridori metallici. La sconosciuta si tolse l’elmo liberando una cascata di capelli castani lunghi fino alle spalle e un viso che, nonostante le rughe e una cicatrice che partiva dalla fronte obliquamente giungendo sull’occhio sinistro, era impeccabile.

‘’Buondì cara.’’- disse Dolmihir, avvicinandosi. La donna lo alzò come se non pesasse nulla e lo baciò dolcemente sulle labbra.

‘’Buondì, marito.’’- rispose la donna, posandolo sul pavimento. Darrien fu sorpreso da quell’inaspettata rivelazione e cercò di mascherare il suo stato d’animo con un colpo di tosse. La donna si voltò e sorrise, per poi inchinarsi con il busto. Il nano di montagna, ancora inebriato dal bacio della sua compagna, esordì con un tono di voce stridulo e buffo:

‘’Ti presento Kohriss, la mia compagna.’’

‘’L’onore è mio. Mi occupo di recuperare materiali per le future invenzioni di mio marito, ma il mio compito principale è quello di torturare gli invasori resi prigionieri.’’- replicò la donna, con uno strano ghigno mentre stringeva la mano a Darrien.

‘’Ricorderò la tua professione ed eviterò di essere una tua cavia.’’- rispose il giovane, avvolgendo la catena della spada intorno il busto, diventando così un fodero temporaneo. Lasciò la coppietta intenta ad analizzare ingranaggi, molle e resti umani da poterli fondere e tramutare in armi letali. Una volta preso l’ascensore e uscito dal quel lugubre corridoio, udì qualcuno discutere in modo concitato e rabbioso. Era uno dei gladiatori sopravvissuti che chiedeva informazioni sullo sfidante dell’arena, assassino dei suoi compagni. In quel preciso istante i suoi occhi color ardesia si posarono su Darrien e gli corse contro ruggendo e imprecando. Fulminea fu l’oscurità che si propagò dalle sue mani e si conficcarono come quadrelli roventi nelle sue gambe, impedendogli di procedere oltre, facendolo cedere su un ginocchio:

‘’Maledetta carogna, hai massacrato i miei compagni! Non appena riesco ad acciuffarti, ti caverò gli occhi e ti userò come vaso da notte.’’

‘’Uccidere o essere uccisi. E io uccido per sopravvivere. Vuoi cavarmi gli occhi? Fatti avanti.’’- rispose il ragazzo, ricoprendosi di ombre diventando simile ad un demone. Brandì la sua spada e attese una mossa dell’energumeno, seppur ferito. L’uomo tentò di afferrarlo con una mano, impallidendo non appena si rese conto che la spada della sua preda lo aveva inchiodato al muro. Provò con l’altra per poi essere colpito in pieno mento da un montante che ruppe i denti e il labbro.

‘’Brami così tanto la vendetta da diventare impulsivo. Credevo che feroci lottatori come voi adoperassero l’astuzia. Tu sei l’opposto. Finiamola qui, sempre se non desideri raggiungere i tuoi compagni.’’- disse Darrien, staccando la spada dalla mano del gladiatore. Il lucido pavimento venne macchiato dal sangue scuro del lottatore, ancora iracondo e affannato. Il ragazzo lasciò il suo aggressore ferito per dirigersi all’esterno del regno in cerca di quiete; si sentiva tra una incudine di solitudine e un martello di vendetta per una sconfitta che non era di suo interesse.

Una volta all’esterno delle mura decorate da giganteschi e pesanti stendardi, i cittadini svolgevano le loro mansioni quotidiane come se nulla fosse accaduto precedentemente. Tra il continuo andirivieni dei carri pieni di viveri o armamenti, sentinelle che eseguivano il loro turno di ronda e venditori chiassosi, Darrien decise di percorrere un sentiero che conduceva nella foresta ricca di ogni tipologia di albero con colori affascinati e da immortalare in dipinti. Sfiorava quell’armatura naturale di guerrieri secolari dagli elmi screziati, ammirava come alcune creature lignee curavano gli arbusti, le piante rampicanti e sorvegliavano i boccioli di rose con attenzione: una di loro bloccò il cammino del ragazzo con dei rami incantati.

‘’Fermo! La vita di questi germogli è importante quasi quanto la tua, ragazzo. Cammina sugli argini del fiume, così da non deturpare la bellezza di questo luogo.’’- disse la creatura silvana, muovendo sinuosamente le sue mani per costruire delle piccole barriere fatte di radici per proteggere i germogli esposti. Camminando sull’argine di un lungo fiume, Darrien provava un senso di malinconia così forte da volersi strappare il cuore e ridurlo in cenere. Trovò una grande pietra dove potersi sedere e conficcò nel terreno la spada, restando ad osservare tedio in un punto cieco. L’oscurità, il suo potere, la sua maledizione fluiva come inchiostro sulla fredda ed umida roccia per poi evaporare in un pallido fumo nero:

‘’Che cosa me ne faccio di un potere…una maledizione così potente se non sono in grado di ritrovarla?’’- si chiese Darrien, notando la coltre di nebbia corvina avvolgergli le mani ed effondersi sulla superficie ove era seduto. Sentì qualcosa di leggero posarsi sulla sua spalla distogliendolo dal suo tormento. Scattò rapido da quel macigno brandendo la spada e cercò di colpire il potenziale nemico, ma il fendente venne bloccato da un fitto scudo di rovi essiccati, radici nodose e frammenti di cortecce pietrificate.

‘’Non nasconderti, affrontami!’’- tuonò il ragazzo, cercando in tutti i modi di rompere quella barriera.

‘’Affrontare un cavaliere preda della sua malinconia e dei suoi demoni interiori è disonorevole.’’- rispose la voce di una donna da dietro quello scudo. Una voce calma, come se fosse un sussurro placò l’animo iracondo di Darrien. La barriera protettiva si dissolse rivelando una incantevole donna dai lunghi capelli ricci simili alla criniera di un leone, la carnagione scura, un viso lentigginoso e un sorriso dolce. Indossava un magnifico vestito color smeraldo con ricami dorati che risaltava la sua snella figura.

‘’Mi perdoni, ho reagito solo per difendermi.’’- esordì Darrien, sistemando la spada sulla schiena, fermandola con la catena.

‘’Sei umano, hai agito seguendo il tuo istinto. Lieta di fare la tua conoscenza, mi chiamo Amphitrite. Sono una ninfa di questa vasta e rigogliosa foresta. Dalla carnagione pallida e statura, non sei di questo regno. Provieni da una terra lontana non è così?’’- chiese la ninfa, sorridendo intenta a rimuovere quella polvere di energia oscura lasciata dal ragazzo sul macigno con la sua magia.

‘’No, non sono di questo regno. Mi chiamo Darrien, provengo da Huvendal, situata nelle Terre del Nord. Sono un comandante d’élite, dal nefasto passato e con un flagello dentro di sé donatogli dalla propria madre.’’- rispose, serrando le labbra impercettibilmente. Dal terreno sbucarono delle radici che si unirono, andando a formare una sedia. La ninfa Amphitrite, ancora sorridente, lo invitò ad avvicinarsi:

‘’Così giovane e già temprato dalle guerre. Prego, siediti. Percepisco il tuo desiderio di parlare con qualcuno per liberarti da questo supplizio e sono qui per ascoltarti.’’- replicò, attendendo pazientemente seduta sul masso ricoperto di edera e con le mani incrociate in grembo. Darrien accettò, seppur riluttante, a sedersi e a raccontare ciò che lo stava logorando. Raccontò brevemente della sua infanzia, di come il Re di Huvendal lo prese sotto la sua ala e lo accudì come se fosse realmente suo figlio per poi diventare uno dei comandanti d’élite delle Guardie Merfolk.

‘’A causa del mio potere, ho sempre cercato di evitare il contatto con altre persone fino all’arrivo di una splendida donna nel nostro regno. Il suo nome è Arilyn, anch’ella ultima della sua stirpe e dotata del mio stesso potere ma della Luce. Abbiamo combattuto la Grande Guerra d’Inverno e della Fiamma Arcana sconfiggendone i due sovrani. E adesso…io sono qui in un regno che brulica di ricchezza, egocentrismo e menzogne, ignaro dove possa essere lei.’’- furono le ultime parole di Darrien prima di distogliere lo sguardo dalla ninfa, commossa dal racconto del ragazzo e dal profondo amore che provava per la sua compagna. Alcune lacrime scivolavano lente e solitarie sulle guance, lasciando la donna senza parole per un breve lasso di tempo.

‘’Oh, perdona il mio infantile vagito. È curioso come, nonostante il tuo comportamento risoluto, tu possa provare un sentimento così forte come l’amore e quella speranza di ritrovare la tua compagna. Da quando nostra sorella è scomparsa, non ci siamo perse d’animo e preghiamo le stelle e la Dea del Cosmo affinché possa permetterci di ritrovarla.’’- disse Amphitrite, asciugandosi il pianto ormai immobile sulle guance lisce.

‘’La Dea del Cosmo…Chissà se non è un suo artificio, confidando sul fatto che entrambi dovessimo ritrovare quell’equilibrio dell’anima ormai perduto.’’- rispose Darrien. Fu in quell’istante che intuì la ragione per la quale si trovava nel Regno dei Rovi Bianchi e si sentì uno sciocco. Rise sommessamente, passandosi una mano tra i capelli corvini ed esordì:

‘’La Dea del Cosmo ci ha sempre messo alla prova, fin dalla guerra contro la Regina di Ghiaccio. Avendo affrontato suo fratello, Gallart, il nostro animo è stato corrotto dalla violenza e senso di impotenza che ci ha impedito inizialmente di sconfiggerlo. Per questo sono qui e anche perché tutti basano la loro attuale vita sull’equilibrio. Per tutte le stelle. Grazie Amphitrite!’’
Darrien si avvicinò alla ninfa, le prese la mano e porse un bacio su di essa da vero galantuomo. Amphitrite arrossì e torturava i suoi lunghi ricci, ma accettò quel gesto di cortesia:

‘’La tua compagna è fortunata ad avere un cavaliere così valoroso e leale come te, ma io non ho fatto altro che ascoltarti. E sarò sempre qui, se vorrai. Ritrovala, confido in te Darrien.’’- rispose la ninfa dalla chioma nera, scendendo dal masso e stringendo le mani del ragazzo nelle sue. In quel momento, una seconda ninfa attraversò il piccolo fiume e salutò Amphitrite e il ragazzo: aveva la stessa corporatura snella avvolta in un abito verde muschio con ghirigori bianchi ricamati, capelli color nocciola lunghi e mossi e occhi cangianti.

‘’Nomia, bentornata. Il pastore infedele come sta?’’- chiese la ninfa Amphitrite, notando lo sguardo torvo della sorella.

‘’L’ho reso cieco e attendo solo che la sua anima lo abbandoni, quel figlio di una cortigiana!’’- replicò rabbiosa la donna, per poi calmarsi non appena i suoi occhi incontrarono l’azzurro di quelli di Darrien. Si sentì in imbarazzo per quel pietoso sfogo e, schiarendosi la voce con un colpo di tosse si presentò al giovane che ricambiò:

‘’Lieto di conoscerti, io sono Darrien. Ti ringrazio ancora Amphitrite per avermi ascoltato e, per ricambiare il favore, proverò in un modo o nell’altro a trovare la vostra sorella perduta.’’- rispose il giovane, coinvolgendo emotivamente le due donne che si strinsero le mani per reprimere delle lacrime. Congedandosi con un inchino, ricevendo un profondo ringraziamento dalle ninfe, si diresse al Palazzo Reale sentendosi energico. Sulla strada del rientro, però, notò un cavaliere con indosso della ferraglia arrugginita e crepata in più punti. Riconobbe i segni scuri e profondi sul metallo e quel volto impeccabile: Batkiin era in quell’angolo di natura che impartiva ordini ad alcuni soldati corazzati. Ai loro lati vi erano degli schiavi intenti a preparare delle baliste prive d’arco, munite di una molla in ferro bloccata da un uncino e su ognuna di esse vi era un lungo dardo acuminato. Il generale con un gesto della mano ordinò di azionare le baliste che spararono emettendo assordanti boati e i dardi distrussero degli alberi secchi, sparpagliandone ovunque i frammenti. Il generale convocò uno schiavo e gli dettò ogni risultato derivante dalle armi usate, per mandarlo via con un poderoso calcio sul fondoschiena. Darrien avvertì qualcuno al suo fianco, ma prima che potesse brandire la sua spada una grande mano artigliata e pelosa fermò la catena che usava come fodero:

‘’Non fiatare ragazzo. Di solito sono io a tenere d’occhio il generale quando si sente ferito nell’orgoglio o colpevole, ma questa volta è diverso. Io e il mio fratellastro abbiamo chiesto al Re di inserirti tra i candidati per comandare l’esercito. Al prossimo scontro sul campo da battaglia, verrai messo in prima fila e se farai una buona impressione sui soldati, il grado di generale passerà a te.’’- disse la voce gutturale e ringhiante di Veasrik, che si reggeva sulla sua mannaia inastata.

‘’Perché lo avete fatto? Nonostante odi le sue tattiche, usurpare la sua carica militare è riprovevole.’’- rispose Darrien rimproverando quella decisione senza aver chiesto la sua opinione. Il grosso lupo antropomorfo ridacchiò, mostrando i suoi denti aguzzi e lasciando la presa sulla catena invitando il ragazzo a rientrare a palazzo. Mancavano pochi passi all’arrivo delle mura, se non fosse per una strana sensazione di pericolo nascosto nell’ombra che Darrien continuava a percepire: il suo sguardò colse, nell’ombra, due luminose e minuscoli bagliori rossi. Il ragazzo usò il suo potere per eliminare la minaccia, venendo contrastato:

‘’Oh, il tuo potere è simile al mio. Affascinante. Sfortunatamente, non abbastanza forte da ferirmi.’’- disse lo sconosciuto, uscendo dal suo nascondiglio e manifestarsi in tutta la sua oscura fierezza. Sorrise e svanì nelle ombre, lasciando il ragazzo immobile tra la natura.
 
Estremo Ovest. Cittadella degli Abbandonati. Mezzodì. Estate.

Nella prigione della cittadella, il detenuto Hrjelvul era seduto in una delle poltrone nello studio del giustiziere con il corpo completamente fasciato dalla testa ai piedi e con indosso abiti da schiavo. Osservava il soffitto della stanza, decorata eccentricamente ma con parsimonia.

‘’Quante decorazioni superflue per la stanza di un sadico bastardo.’’- disse l’uomo, senza vergogna e incurante della presenza del grosso boia di fianco la scrivania che lo sorvegliava minaccioso. Dall’uscio entrò Wozemhri indossando la sua lunga divisa militare agghindata da medaglie e nastri, mentre la barba era legata in una lunga treccia nera. I suoi occhi saettavano da un foglio all’altro fino a fermarsi al prigioniero seduto sulla poltrona con disinvoltura.

‘’Un mezzosangue in grado di percepire l’aura di due entità leggendarie. Lo hai tenuto segreto per molti secoli da quello che mi dicono guaritori e veggenti.’’- esordì il giustiziere, raggruppando i fogli e posandoli nel cassetto. Il prigioniero ridacchiò brevemente, meravigliato dall’inconsapevolezza dell’uomo barbuto sulla sua longevità. Inclinandosi in avanti, con serietà, rispose:

‘’Sono quasi cinquant’anni che vivo in questo letamaio di prigione, tu ti preoccupavi delle scartoffie e documenti reali, io percepivo invece il ritorno dell’Era Oscura e dei due testimoni di tale avvenimento. Sono un mezzosangue per una conseguenza di quell’epoca, e anche punizione. Le piaghe che affliggono il mio corpo sono la disperazione, il sangue e la morte che ha coinvolto vecchi popoli. Tu non comprenderai mai cosa si prova finché non proverai tutta quest’agonia sulla tua insulsa pelle.’’- terminò digrignando i denti in una smorfia di dolore, notando alcune bende strappate e imprecando contro i suoi guaritori. Wozemhri non sembrò colpito da quel discorso, tanto da sbadigliare e versarsi del tè allo zenzero. Vòh, il boia ed instancabile guerriero attirò l’attenzione del giustiziere usando la punta della sua ascia e lo rimproverò per esser stato sgarbato:

‘’In breve, tu saresti un testimone secolare con l’abilità della chiaroveggenza che subisce le atroci sofferenze di una fantomatica epoca oscura che si è già abbattuta su queste terre chissà quanti secoli fa e io dovrei crederti Hrjelvul? Sei un lurido prigioniero con qualche forma di demenza.’’- rispose, ricevendo un borbottare di disapprovazione da parte del boia intento a sistemare dei libri fuori posto: pur conoscendo i problemi mentali dell’omaccione, non provava alcun rimorso per quello che diceva. Si reputava un uomo di sani principi e schietto. Il mezzosangue si alzò tremante dalla sedia e, constatando alcune bende gocciolanti sangue che pendevano dalle mani, le strappò e le gettò contro il volto barbuto del giustiziere, per poi cadere nella tazza di tè.

‘’Un piccolo assaggio.’’- disse il mezzosangue, con un ghigno malefico. Si udì una campana risuonare nel centro della cittadella, seguita dal cozzare di soldati che si dirigevano all’uscita del palazzo governativo. I tre uomini seguirono il gruppo di soldati e altri funzionari verso l’esterno; in quel momento il mezzosangue rallentò il passo, sentendo la pelle squarciarsi e macchiare di sangue scuro le bende. Non passò inosservato, generando terrore tra i presenti, tranne in Vòh che restò lì ad occuparsi di lui con alcune erbe medicinali che aveva in un borsello.
Giunti fuori la struttura governativa, al centro della roccaforte vi era un uomo coperto di stracci e mingherlino. Un fulgore biancastro avvolgeva il suo esile corpo, provocando un brusio e il bisbigliare incessante dei corpulenti funzionari e nobili dalle guance flaccide. Delle sentinelle, armate di balestre e tridenti, lo accerchiarono mentre un uomo con una corona decorata da infinite pietre preziose e con indosso un mantello di velluto giunse da dietro quel muro di corazze:

‘’E tu saresti?’’- domandò perplesso colui che doveva essere il regnante della cittadella. Al suo fianco una donna dai capelli biondo ramati raccolti in una elaborata acconciatura osservava con aria annoiata lo scenario. L’uomo dagli abiti logori si avviò verso il regnante, ancora sorridente sotto il cappuccio. Dall’alto della torre difensiva, la Guardiana e i suoi soldati scoccarono in simultanea diverse frecce che sibilarono dirette verso il minaccioso individuo. I dardi attraversarono quel corpo senza causargli danni, conficcandosi nel terreno brullo.

‘’Un benvenuto indecoroso. È così che trattate gli ospiti? Con una pioggia di dardi acuminati?’’- chiese lui, meravigliandosi dell’attacco a sorpresa. Il regnante e la sua compagna serrarono le labbra, increduli per quel che avevano appena visto:

‘’Interessante e curioso trucco di magia. Ma sei un errante prestigiatore, quindi non riceverai neanche un soldo da noi. E, a giudicare dal tuo aspetto trasandato, sarai anche malato di peste. Buffo, un prestigiatore malato.’’- disse, ridendo sguaiatamente e coinvolgendo i presenti. Con un movimento rapido della mano, l’esile figura scaraventò nella terra il ridicolo governante. Un’altra persona comparve nella piazza, anch’essa avvolta da abiti sudici.

‘’Sono passati secoli da quando questa cittadella è stata costruita con umiltà. A malincuore vedo che tutti voi luridi esseri corpulenti e dalle guance flaccide siete così ignari dell’imminente sciagura che si sta per abbattere su queste terre. Vi sentite così potenti, ma siete solo vigliacchi che usano i soldati per sentirsi potenti. Dovrei uccidervi tutti…’’- tuonò l’uomo evocando una sfera di fuoco dalla mano, tuttavia fermandosi non appena i suoi occhi si posarono su Hrevlul, ricoperto di sangue e poggiatosi ad un carro.

‘’Non dovrebbe essere morto?’’- chiese sussurrando la donna, notandolo. La risposta fu solo un grugnito profondo.

‘’Recluso e Peccatrice, perché siete qui?’’- fu la domanda che scatenò gemiti di orrore tra i presenti, tra cui anche i governanti impallidirono rendendosi conto dell’imperdonabile errore commesso. Anche dall’alto della torre la Guardiana Tyarjes era preoccupata per l’incolumità dei cittadini:

‘’Dharga, tu e Indilah cosa vedete dalla vostra posizione?’’- chiese lei alle due donne dall’altro lato della torre attraverso un sistema di comunicazione simile ad un corno incastrato; la torre della guardiana era stata costruita in modo da avere una visione chiara e completa dell’intero territorio dell’Estremo Ovest. Le donne risposero che nessun nemico avanzava verso di loro, né dai boschi o dalle colline.
Il Recluso, ancora con gli occhi fissi sul prigioniero ferito, sorrise e dissolse la sfera infuocata con un movimento della mano per poi materializzarsi a pochi passi da lui: il suo sorriso diabolico però era in contrasto con i suoi occhi tristi e vacui. Hrjelvul si inginocchiò in preda ad una forte agonia all’addome con conseguente perdita copiosa di sangue.

‘’Dall’Epoca Oscura fino ad arrivare agli Astrali. Sei un mezzosangue tenace, caro Hrjelvul ma porti con te le nefaste conseguenze di quel periodo. Devo ammettere, però, che l’immortalità ti dona.’’- disse il Recluso, emanando un bagliore bluastro sull’uomo coperto da bende, alleviando il tormento e impedendo la perdita di altro sangue. Anche la Peccatrice, con furtività, si avvicinò ai due individui nascondendosi sotto il cappuccio che indossava e domandò:

‘’Di cosa hai bisogno Hrjelvul? Saresti dovuto morire millenni fa invece di fare questa vita da miserabile schiavo e…’’- venne interrotta dal Recluso con una gomitata nel fianco.

‘’Vorrei sapere perché siete qui. Non credo sia per farmi visita, dunque qual è il motivo?’’- chiese con più convinzione il prigioniero, spostandosi dalla pozza di sangue ai suoi piedi.

‘’Dato che apprezziamo di più la vostra umiltà, senso del dovere e rispetto per gli altri così come per i Rovi Rossi, siamo qui per dirvi che il Re delle Spine e i suoi figli stanno tornando. Questa volta non basterà l’esercito della Creatrice.’’- rispose il Recluso, a gran voce sicché tutti potessero sentirlo anche dalla torre della Guardiana. Wozemhri impallidì, rendendosi conto che il suo ‘’tornaconto’’ aveva ragione fin da subito.

‘’Baggianate! I Rovi Neri sono stati sconfitti millenni fa dall’esercito della Creatrice. Il Re delle Spine è stato trafitto dalle spade dei cavalieri e decapitato, mentre i suoi figli fuggiti come cani bastonati.’’- s’intromise il governante, con sorriso beffardo. Il Recluso si materializzò davanti il governatore e lo afferrò per il collo, affondando le dita ossute nella pelle fino a farla sanguinare:

‘’Dovresti parlare di meno e ascoltare di più, Re Kieran Edë. Tu e la tua compagna dovreste riformare l’esercito, trovare nuovi armamenti e inviare il supporto al regno dei Rovi Rossi, invece di ingozzarvi di pasticcini alla crema e bere liquore ogni giorno. Ridicoli maiali all’ingrasso!’’- ringhiò l’entità leggendaria, lasciando la presa sul collo del Re. I balestrieri zadanri a stento trattenevano il riso dopo aver sentito il paragone rivolto ai sovrani della Cittadella, ricevendo un severo richiamo da Tyarjes.

‘’Quando i tre frammenti dell’immensa Fiamma d’Ambra risplenderanno alte nel cielo e la terra si spaccherà, i Rovi Neri risorgeranno dagli abissi. Oh, la Fiamma d’Ambra, splendida ed irresistibile che solo a guardarla è un sacrilegio.’’- disse la Peccatrice, stringendo i lembi dei suoi stracci e gemendo in preda all’estasi. Il Recluso, disgustato da quei versi, si allontanò dal regnante e si avvicinò alla donna afferrandole la testa e stringendo le dita sul fragile cranio.

‘’Considerate tutto questo…una cortesia. E per l’amor delle stelle, Kieran abdica in favore di tuo fratello. Sei uno scherzo ed un mediocre insulto alla nobiltà vera.’’- terminò il Recluso, scomparendo assieme alla Peccatrice in una nube polverosa. Il capo delle Sentinelle impartì ordini ai suoi soldati, i vari corpulenti governatori si diressero in diverse abitazioni, il Re e la sua compagna tornarono a palazzo irritati e angosciati; Hrjelvul rimase seduto vicino la carrozza, incredulo anche lui del ritorno dei Rovi Neri e di una possibile nuova Epoca Oscura.

‘’Non preoccuparti Hrjelvul, ti proteggerò io da questi temibili lestofanti.’’- esordì Vòh, con un sorriso innocente e completamente ignaro del significato. Il detenuto ridacchiò a quella purezza quasi infantile e, donandogli una pacca amichevole sulla spalla, ritornò nel suo cubicolo roccioso e sbarrato. Il suo aguzzino si carezzava la barba intrecciata, escogitando qualche losco piano per i suoi affari. Le labbra si deformarono in un ghigno meschino e già immaginava una pioggia di monete di platino, lastre di giada e altre ricchezze. I suoi infidi e avari pensieri si dissolsero nel nulla non appena qualcuno gli sferrò un pugno sulla spalla: una donna, dai capelli castano scuri raccolti in una treccia e dagli occhi feroci gli si parò davanti con indosso una corazza di holrealgare magenta, con dei vambrace muniti di spezza-lame con venature cremisi risplendenti.

‘’Signuva, hai perso il lume della ragione? Perché mi hai aggredito?’’- domandò esterrefatto il Wozemhri, massaggiandosi la spalla dolorante e lamentandosi. Constatò anche di star sanguinando, probabilmente dovuto ai guanti di ferro acuminati.

‘’Siamo a pochi passi da una sanguinosa guerra contro un nemico spietato e tu cosa fai? Pensi a come arricchirti usando il mezzosangue. Io sono un comandante e stratega, la mia mente è pura da ogni tentazione che possa compromettere la mia posizione.’’- disse Sugnuva, con un forte accento di terre nordiche. Si rimise l’elmo che raffigurava una testa d’orso, animale guida del paese d’origine del comandante.

‘’Almeno io mi porto la pagnotta a casa, piuttosto che vivere proteggendo un maiale.’’- rispose l’uomo barbuto, recuperando un fazzoletto di seta dalla sua tasca e poggiandolo sulla ferita. La sua schiettezza irritò la donna che lo afferrò per il colletto della sua divisa e, puntando gli spezza-lame del suo vambrace destro a pochi millimetri dagli occhi di Wozemhri, sibilò:
‘’Prestami ascolto Velkast! Il mezzosangue non sarà il tuo mero strumento di ricchezza, lui resta qui con noi. E ti avverto, prova a torturarlo per avere altre informazioni e giuro che ti stapperò quei denti uno per uno per farci una collana, mentre il tuo teschio lo userò come calice.’’
Signuva gettò nel terreno polvere il giustiziere con rudezza, imitando il bramito di un orso e andò via.
 
Broym Fleu. Masseria della Curatrice. Estate. Pomeriggio.

Arilyn riposava sul divano nel salone della Masseria, recuperando il sonno interrotto alle prime luci dell’alba. Ancora una volta si ritrovò catapultata nel mondo onirico circondata da gigantesche vallate coperte di petali rosati, alberi dalle radici nodose e dalla corteccia dura come la pietra, un cielo con diverse sfumature di rosso e quel senso di pace che cullava il suo cuore. Si stupì dell’assenza di Gallart e ne approfittò per scendere giù dalle pendici della collina dove si trovava, voltandosi e ammirando con immensa felicità quell’idilliaco regno. Preda dell’improvvisa serenità lasciò sprigionare il suo potere, creando spirali di luce dorata che si dispersero nel cielo del tramonto. Si lasciò cadere nell’erba soffice, sentendosi quasi rinata e dopo mesi di pensieri cupi, rise fino alle lacrime.

‘’Erano anni che non sorridevi realmente, giovane Thandulircath.’’- disse una voce a pochi centimetri da lei. La ragazza aprì gli occhi e vide un uomo con indosso una vecchia divisa militare sgualcita che esprimeva onore e dovere, contrastati dal viso docile e il sorriso disarmante. Arilyn lo abbracciò con affetto, riconoscendolo.

‘’Anche se è un sogno, è bello rivederti Rhakros. Come hai fatto a trovarmi, il regno dei sogni è così vasto da perdersi.’’

‘’Il tuo potere è inconfondibile. E devo ammettere, è impressionante vederlo di persona piuttosto che sentirlo da altri fortunati. Tuo padre è fiero di quel che sei diventata, di come gli ultimi eventi non hanno ostacolato il tuo cammino e di come hai dimostrato di essere un leone in armatura.’’- rispose l’uomo, poggiando una mano sulla spalla della ragazza per poi farla alzare. I due camminarono per diversi minuti nella vallata, condividendo le loro esperienze da cavalieri e storie buffe.

‘’Rhakros…hai mai avuto quella sensazione che qualcosa mancasse nel tuo animo?’’- domandò improvvisamente la giovane Thandulircath, osservando l’orizzonte.

‘’Una sensazione naturale. Per comprendere bisogna scavare dentro noi stessi e cercare ciò che manca, per poi ritrovarla o sarà tardi. Non temere, la tua tenacia ti aiuterà. Adesso, seguimi che qualcuno vuole vederti.’’- replicò Rhakros, ancora sorridente per riprendere il cammino nella vallata fiorita. Arilyn tenne a mente le sue parole e lo seguì, incuriosita. Attraversato una foresta di alberi di cedro, i due condottieri si ritrovarono su una sporgenza rocciosa ricolma di fiori bianchi e rossi che ondeggiavano accarezzati dalla brezza: un uomo ed una donna erano seduti nell’erba soffice, stretti in un candido abbraccio. Quando la coppia sentì i loro passi, si alzarono e sorrisero non appena notarono Arilyn.

‘’La Dea del Cosmo ci ha permesso nuovamente di entrare in questo regno onirico. Oh bambina mia.’’- disse la donna, commuovendosi. Il suo compagno le strinse la mano, standole vicino e prese lui la parola, inchinandosi prima:
‘’Arilyn Saavick, ultima della stirpe Thandulircath. Il tuo nome è l’unione dei nostri, dato che volevamo conservare ciò che ne restava del nostro popolo. Siamo così orgogliosi di averti donato la vita e grati a Vorshan per averti salvata da quell’inferno gelido.’’- terminò, estraendo un ciondolo con la stessa effige del lupo che aveva la ragazza. Sbarrò gli occhi non appena comprese che la coppia erano i suoi veri genitori. Si abbracciarono, come una vera famiglia. Arilyn aveva migliaia di domande da fare, ma lasciò cullarsi da quell’interminabile abbraccio.

Riaprì gli occhi, ritrovandosi stesa sul divano della masseria illuminata dal sole pomeridiano con la testa che le doleva e le guance rigate da minuscole lacrime. Sentiva delle voci provenire dall’altro lato del salone, di Imryll e l’altra di una donna la quale non riusciva a distinguere. Discutevano di altri possibili attacchi da parte dei Rovi Bianchi, di come servisse una strategia difensiva innovativa.

‘’Tua figlia è concentrata maggiormente su uno stile d’attacco frontale che a sorpresa. Tutte le nostre tattiche sono ormai obsolete e rischiamo di avere ingenti perdite tra i vari plotoni. Ti sto chiedendo molto è vero, ma da quello che ci hanno riferito i soldati Arilyn ha un approccio diverso. Abbiamo bisogno di lei a Palazzo.’’- disse la donna. In quel momento la giovane Thandulircath picchiettò le nocche della mano sul tavolo, attirando la loro attenzione. L’ospite era la Quinta Sorella del Concilio, Erthaor, che inchinò il capo in segno di cordialità.

‘’Erthaor molti soldati non guardano di buon’occhio la nostra ospite e rischiamo un ammutinamento da parte loro. Io temo per lei quasi quanto per il regno, nonostante il giuramento fatto. La considero una seconda figlia per me e…’’- Imryll venne interrotta dalla donna che posò le mani sulle sue spalle, replicando:

‘’Gli unici che la considerano ancora una minaccia sono i vecchi membri dell’esercito e alcuni degli Anziani, ma noi abbiamo visto la purezza che emana il suo cuore.’’

‘’Accetto, ad una condizione. Tutti coloro che vivono in questa masseria dovranno avere una protezione aggiuntiva da parte delle Vostre sentinelle. Ho giurato di proteggervi, ma chiedo che anche le persone a me care siano protette.’’- rispose con serietà Arilyn, tanto da stupire la Curatrice Bianca. La Quinta Sorella del Concilio acconsentì e chiese alla giovane Thandulircath di sistemare i suoi oggetti e presentarsi a palazzo all’imbrunire. All’esterno della masseria, inaspettatamente, risuonarono delle campane e delle voci concitate: un uomo, con una divisa decorata da nastri e medaglie, attendeva sul suo destriero corazzato circondato dalle sentinelle della Curatrice Bianca. Il cavaliere estrasse un telegramma con il vecchio stemma del Regno dalla sella di un secondo cavallo al suo fianco destro e disse a gran voce:

‘’Il Concilio richiede immediatamente la presenza della Quinta Sorella a palazzo. Ci sono aggiornamenti sulla ricerca delle due entità leggendarie da parte dei soldati. Per cortesia, cari soldati, abbassate le armi.’’

Erthaor si avviò senza far attendere oltre il cavaliere e, salita in groppa al destriero, entrambi si avviarono verso il palazzo nel mentre che tutti i soldati si inchinarono posando la mano destra sul cuore. La giovane Thandulircath, prima di trasferirsi a corte, decise di informare Elfriede del suo nuovo compito per poi tornare e salutare Imryll. Giunta ad un tratto di foresta dagli alberi arcati Arilyn percepì una dolorosa fitta alla testa, un turbinio di colori scintillanti e frammenti di vecchi ricordi. Vedeva creature alte il doppio di lei che riducevano in briciole mostri di pietra, gigantesche fiamme divampare su una distesa di sabbia e rovine che crollavano. Al suo fianco c’era un ragazzo che emanava oscurità dalle sue mani, serpeggiante verso i loro elmi e distruggendo una fiamma cristallizzata. Scosse la testa cercando di riacquistare il controllo e di alleviare il suo tormento respirando a pieni polmoni. Riprese il cammino verso il fiume dove venne salvata per cercare Elfriede e le Ninfe. Un fulgore luminoso simile ad un falò accecò brevemente Arilyn prima di consentire nuovamente alla luce pomeridiana di tornare a regnare:

‘’Sei sicura di voler andare a Palazzo nell’attuale condizione emotiva? Lì vige serietà e disciplina, bisogna indurire il cuore, evitare qualsiasi sfumatura d’empatia.’’- disse la voce familiare dello spirito della foresta.

‘’Ho pieno controllo delle mie emozioni, Hosral. Solo la mia salute è ancora cagionevole.’’- rispose la ragazza, proseguendo senza fermarsi.

‘’Non voglio ostacolare o compromettere la tua decisione, voglio solo che tu comprenda quanta responsabilità dovrai portare sulle tue spalle d’ora in poi. Soprattutto se un giorno diverrai un Legionario.’’- ribadì lo spirito, fluttuando da un albero all’altro con eleganza.

‘’L’unica responsabilità che considero prioritaria è proteggere le persone a me care. Ho perso tre persone alla quale ero affezionata più di ogni altra cosa, non voglio che accada nuovamente!’’- replicò Arilyn irritata e allo stesso tempo malinconica a quelle ovvie considerazioni. Lo spettro si limitò semplicemente ad annuire e tornò ai suoi doveri, consentendo alla giovane di proseguire il suo cammino. Quando scrutò un lungo corso d’acqua circondato da argini fangosi, vide con gioia le ninfe ed Elfriede che parlavano come lontane amiche circondate da ghirlande e corone di fiori ed erba intrecciate tra loro. Atlantia notò l’arrivo della giovane Thandulircath e la invitò ad unirsi a loro:

‘’Hai qualcosa da dirci, prode condottiera?’’- proferì la donna, sorridendole per metterla a suo agio innanzi alle sue sorelle.

‘’Sono solo passata per salutarvi, Erthaor vuole che mi trasferisca a palazzo per ricevere una migliore preparazione e per condividere con l’esercito ogni strategia bellica a mia disposizione. Ho espresso chiaramente che tutte voi, la Curatrice Bianca e tu Elfriede, riceviate protezione dalle loro guardie reali.’’- rispose Arilyn, sistemandosi alcune ciocche di capelli dietro l’orecchio, avvertendo un crescente senso di mestizia nel suo animo. Elfriede posò la mano sulla sua spalla e ringraziò per il suo nobile gesto:

‘’Perdonami se non siamo più riuscite ad allenarci come avevo promesso. Spero che a Palazzo tu possa brandire la tua lama e affinare la tua abilità piuttosto che imitarne i movimenti con un ramoscello.’’- proferì la ragazza, ridendo e coinvolgendo sia Arilyn che alcune Ninfe. Dall’altro lato del fiume si udirono degli zoccoli giungere dalla boscaglia, rapidi e quasi tuonanti sul terreno fangoso. Arilyn convocò il suo potere, avvolgendosi in una abbagliante luce dorata pronta a sferrare il colpo difensivo: cercò la sua spada, invano ricordandosi di averla lasciata nella masseria. Dalla fitta vegetazione comparvero una dozzina di cavalieri in groppa a stalloni bardati e protetti da una spessa armatura a piastre, identica ai loro padroni con uno stemma verde acqua dipinto sulla pettorina e sulle spalline. L’ultimo a presentarsi era un ufficiale dall’armatura spigolosa ed elegante, con un elmo simile alla testa di una vespa e interamente dipinta di verde acqua fatta eccezione per alcune decorazioni dipinte di nero. Tutti gli uomini a cavallo presero il loro scudo e lo puntarono in direzione dell’ufficiale che emise un forte ruggito, manifestandosi come onde di energia. Una barriera d’energia evocata da Arilyn impedì a quel fatale colpo di investirle, infrangendosi come il vetro.

‘’Allora i ricercatori non mentivano!’’- strepitò il fantomatico aggressore, correndo verso il ruscello e superandolo con un piccolo balzo. L’ufficiale si tolse l’elmo che celava una donna dai capelli biondi raccolti in una lunga treccia e un viso di pura fierezza. Arilyn notò un particolare familiare: un ciondolo argentato che a stento riusciva a trovare spazio tra il collo e l’armatura.

‘’Sharal?’’- chiese la giovane Thandulircath, ricordandosi di averla vista per la prima volta al ballo indetto da Searlas durante il Grande Gelo.

‘’Che bello rivederti Arilyn!’’- rispose lei, abbracciando la sua amica quasi a mozzarle il fiato. Dopo quel caloroso gesto, l’ufficiale Sharal ordinò ai soldati di mantenere la posizione fino a nuovo ordine e di attaccare solo se necessario una potenziale minaccia non indentificata.

‘’Quando il vadmadra e i due ricercatori di questo regno sono passati per il mio, chiedendo informazioni su due creature o entità leggendarie per ordine del vostro concilio, nel documento era inserito anche il tuo nome. Sono qui per questo, ma non ho creduto a quell’uomo finché non ti ho visto. Come sei finita in questo luogo?’’- chiese la donna, posando l’elmo su una roccia.

‘’Non lo so. Ho solo vaghi ricordi di ciò che è successo negli ultimi due mesi, come la guerra contro Gallart ma chi vi fosse con me…’’- replicò Arilyn, sentendosi amareggiata per non essere stata in grado di rispondere concretamente alla domanda.

‘’Vuol dire che non ha memoria di Darrien…’’- pensò tra sé e sé Sharal, ma le rispose con pacatezza dicendo che prima o poi la memoria sarebbe ritornata ed ogni tormento svanito. I pochi raggi solari avevano assunto una sfumatura cremisi che tingeva la natura di una surreale atmosfera autunnale. Arilyn ricordò di doversi presentare a palazzo all’imbrunire e si congedò per recuperare i suoi oggetti lasciati nella masseria, venendo accompagnata da Elfriede mentre Sharal ordinò ai suoi uomini di proseguire il cammino. Quando le due ragazze tornarono nella masseria, la Curatrice Bianca era già sull’uscio ad attenderle stringendo tra le braccia uno zaino di pelle. Elfriede se ne andò nella sua stanza, ringraziando ancora la giovane Thandulircath per essere parte del Regno dei Rovi Rossi e soprattutto sua amica.

‘’Nello zaino troverai qualche leccornia in caso il cibo a palazzo possa risultarti sgradevole, degli indumenti puliti e…Lo spirito da madre si fa sempre vivo in occasioni come queste.’’- disse Imryll, porgendole la bricolla e la spada. Arilyn abbracciò con affetto la Curatrice Bianca che ricambiò il gesto, tenendola a sé per qualche minuto trattenendosi dal commuoversi.

‘’La porta è sempre aperta per te. Dimostra a tutti il tuo valore.’’- disse nuovamente la Curatrice Bianca, asciugandosi gli occhi umidi.
‘’L’ho sempre fatto, e continuerò a farlo. Io ti ringrazio per avermi ospitato e non avermi considerato una minaccia. Ci rivedremo un giorno.’’- rispose Arilyn, prima di avviarsi verso il Concilio, dove avrebbe iniziato una nuova vita. Uno degli scudieri le affidò uno dei suoi cavalli migliori consentendole un viaggio meno faticoso e di non preoccuparsi, dato che il puledro sapeva tornare da solo. Saltò in groppa al cavallo e lo spronò a cavalcare lungo i sentieri sicuri del Broym Fleu, evitando temibili trappole ed imboscate. Scrutò, durante il tragitto, il plotone di Sharal e si mise in testa al gruppo scortandoli nella città.
Giunti nel Lynmes Alno, ad attenderli pazienti vi erano le guardie reali e il Vadmadra; nonostante la pazienza di quest’ultimo, fece notare l’ampio ritardo mostrando una clessidra a metà. Lasciati i cavalli, i soldati ed Arilyn entrarono a palazzo e vennero accolti dalle Sette Sorelle, i Legionari e il messaggero.

‘’Siamo onorate di averti qui con noi, Ufficiale Sharal. Le tue informazioni saranno davvero utili per trovare il Recluso e la Peccatrice. E diamo il benvenuto ad Arilyn Saavick, che verrà addestrata dai Culiars e dal Comandante dei Legionari, Iridia Dewdrop.’’- esordì Daernith, alzandosi dal suo trono allargando le braccia e invitando i presenti a congedarsi nei loro alloggi, ad eccezione dell’Ufficiale: i documenti e la mappa degli spostamenti delle due entità leggendarie erano di estrema importanza.
Morkai, il messaggero del Concilio, notando l’imbarazzo e il senso di smarrimento della giovane Thandulircath le indicò la strada degli alloggi e di non preoccuparsi per il pasto, dato che ogni stanza era dotata di porta vivande e bastava il suono della campana per avvertire il cuoco. Una volta arrivata nel suo nuovo alloggio, la cura e l’ordine per la mobilia erano invidiabili. Vi erano diversi supporti in legno per l’armatura, abiti cerimoniali e da sera, una scrivania in legno scuro con l’effige del regno incisa sul piano orizzontale impreziosita da polvere di rubino e su di esso dei libri storici, degli scaffali, il letto e un piccolo bagno. Qualcuno bussò alla porta della sua stanza, facendola sobbalzare per l’inaspettata visita. Riconobbe l’armatura di rovi che flebilmente emanavano un bagliore rossastro; Iridia era ferma all’ingresso:

‘’Il Concilio mi ha chiesto di darti il benvenuto di persona. Non credere che io abbia deciso di essere amichevole nei tuoi confronti, non mi fido ancora di te. Ci avrai pur salvato dall’imboscata, ma dovrai guadagnarti la fiducia di tutti noi.’’- esordì il Comandante, a testa alta e con le braccia conserte dietro la schiena.

‘’Un gesto inusuale da parte tua. Ti ringrazio, seppur non è detto con sincerità.’’- rispose Arilyn, posando la spada sopra il letto e lo zaino sul supporto di legno. Iridia fece una smorfia e se ne andò, camminando per il lungo corridoio illuminato da minuscole lanterne. La giovane Thandulircath prese il tomo poggiato sulla scrivania e iniziò a leggerlo, notando le diverse strategie belliche che il regno aveva adoperato negli ultimi secoli. Molte si basavano su attacchi dalla distanza usando archi lunghi per poi far avanzare la prima unità d’assalto corazzata, seguita da altre più piccole:

‘’Dovrò chiedere ad Oghan di fabbricare un vecchio strumento di difesa che usavamo ad Huvendal. Con i suoi scudi avremmo un vantaggio tattico. E, inoltre, la costruzione di diverse gallerie sotterranee per attacchi a sorpresa.’’- disse tra sé e sé Arilyn, mentre scriveva ciò che sarebbe stato utile al Regno.

Profondità della Terra. Terzo Frammento. Estate. Sera.
 
Dei gorgoglii raccapriccianti echeggiavano tra le mura di un pozzo maleodorante, ricolmo di corpi decomposti e bagnati di continuo da dell’acqua fetida. Appollaiato sui cadaveri intento a divorarne la carne, vi era una creatura dal viso deforme e in parte fuso a del metallo. Tra le mani stringeva la testa di un uomo mentre ne strappava con i denti la pelle e i muscoli del viso, facendo colare il sangue dalla sua bocca emettendo suoni disgustosi. Ignaro della presenza di uomo dagli occhi demoniaci che lo stava osservando, l’abominio deforme continuava a degustare il lauto pasto di decomposizione.

’Che cosa ti avevo detto, Nargùl? Non devi cibarti dei nostri futuri soldati senza permesso, soprattutto se sono freschi.’’- esordì il demone, generando rovi oscuri dalle sue dita che penetrarono nella schiena e nel collo del necrofago attorcigliandosi sotto pelle fino a stringere muscoli e ossa.

‘’Padron Pheros, la prego non volevo. Risparmi questo supplizio ad un povero demone necrofago...’’- rispose in tono supplichevole tanto da disgustare il suo aguzzino.

‘’Sei fortunato che io ti abbia donato l’immortalità e non usato il tuo deforme corpo come latrina. Prendi questo muscolo di maiale e gli scarti. Fatteli bastare fino a domani.’’- rispose Pheros, recuperando un sacco lercio e lanciandolo sulla pira di cadaveri. Il demone necrofago prese il dono e andò via, inciampando più volte per la gioia. Venne ostacolato nuovamente dal suo padrone che, fulmineo, gli strappò l’occhio:

‘’La punizione per aver disobbedito ad un ordine. Non temere, ti ricrescerà.’’- disse con un perfido ghigno e lasciando la bestia nella sua vergognosa agonia. Pheros, il primo genito del Re delle Spine, si diresse a recuperare il nuovo arrivato: si meravigliò del taglio netto alla base del collo, della muscolatura possente e del foro sulla spalla grande quasi come un pugno. Vicino il cadavere vi era anche la testa che portava gli stessi segni di bruciatura, seppur divorata in parte. Prese dalla tasca della sua divisa uno straccio che usò per avvolgere la testa e trascinò il cadavere con sé.
Quando si ritrovò a pochi passi dall’entrata della sala del Terzo Frammento d’Ambra, l’artefatto illuminava con intensità la stanza e le radici nodose che lo avvolgevano iniziarono ad insinuarsi in esso. Al cospetto del frammento vi erano anche Terbius ed Ignea, allarmati dallo strano evento. Le radici nodose riuscirono ad aprire un varco e far scivolare un corpo emaciato, ricoperto di resina e cenere:

‘’Padre?’’- chiesero all’unisono i tre fratelli, aiutando l’anziano ad alzarsi. L’uomo sprigionò diverse lingue d’oscurità che afferrarono il cadavere tra le mani di Pheros. Entrambi i corpi, con l’energia emanata dal Frammento, si fusero in un amalgama incandescente prima di far ricomparire l’anziano con un colorito grigiastro ma con un nuovo aspetto.

‘’Questo nuovo corpo, seppur debole, è perfetto. Avete fatto un bel lavoro figli miei, ma siamo fragili mentalmente e fisicamente ancora. Ho visto, rinchiuso in quella crisalide, i vostri sforzi e dovete agire come una sola persona. Non disperiamo, la nostra vendetta giungerà.’’- replicò l’uomo con solennità, sedendosi sul suo trono con fatica. In quel momento comparvero anche i nuovi soldati dalle catacombe che si inchinarono al Re delle Spine battendo con vigore le loro armi arrugginite sul pavimento in pietra.

‘’Portatemi la mia spada.’’- ordinò il Re ad una delle creature che fu rapido a consegnare l’unica arma custodita in una teca ricoperta di edera nera. La lama era costruita con metallo e ossa di una bestia alata, mentre l’elsa era fatta di legno pietrificato avvolto da del cuoio. Non appena il Re delle Spine brandì la sua prediletta arma, sorrise e fece scivolare la spada all’interno di una fessura posta sul bracciolo del trono. Sul suo capo strisciarono come serpi dei rovi con una traslucenza verdastra che andarono a fondersi, creando una corona spinosa.

‘’Presto, abbandoneremo l’oscurità di questo luogo per espandere il nostro potere in superficie.’’

‘’Vi è solo un problema padre.’’- s’intromise Terbius, inginocchiato a pochi metri dal trono. Il Re delle Spine, sorpreso dalle parole del figlio, si alzò per osservare il frammento d’Ambra: ne studiò le sfumature e i continui sprazzi di luce dorata e rossastra, ascoltando anche i suoni che solo lui poteva udire. Infine comprese quale fu il problema.

‘’Il Recluso e la Peccatrice sono ancora vivi. Non abbiamo, però, abbastanza energia per poterli catturare. Onestamente, loro non sono una nostra priorità e voi tre non siete ancora pronti. Dobbiamo sfruttare ciò che i nostri fratelli ci donano fin quando il Frammento d’Ambra non sarà pronto ad emergere. Radunate anime vagabonde, profanate le tombe e i monasteri, soggiogateli al vostro volere.’’- replicò l’uomo, sorridendo e ammirando ancora una volta i primi accenni di un nuovo esercito. Si soffermò su due soldati in particolare, dalla pelle violacea e dalla corporatura diversa da tutti gli altri:

‘’Voi tre alzatevi. Da quale regno provenite?’’- ordinò il Re, studiandone i tratti e la corazza di legno scuro ricoperta di rovi, di come l’essenza della Fiamma d’Ambra scorresse nelle loro vene nerastre donandogli un lugubre e feroce aspetto. Il primo ad alzarsi e a rispondere fu il gladiatore:

‘’Io sono Mrithun, un tempo conosciuto come Sarüng. Gladiatore del Regno dei Rovi Bianchi, ucciso in combattimento.’’

‘’Eccellente. Mentre dalla tua imponenza, sei nato dall’unione di due corpi. Uno vivo e l’altro defunto. Dimmi, fedele servo, tu saresti?’’- domandò, avvicinandosi al cavaliere dalla muscolatura massiccia e quasi deforme, con lunghe spine arcuate che fuoriuscivano dalla sua pelle marcia.

’Faurkud, mio Signore. Capitano delle truppe d’assedio.’’- rispose la bestia immonda, alzandosi e reggendosi a malapena sulle esili gambe. L’anziano Re sorrise con gioia nel sentire i loro ruoli e batté le mani un paio di volte, imitando un applauso.

‘’Lavoro splendido, figli miei. Avete trovato e plasmato due creature dalla pelle coriacea, come la roccia di montagna, fondamentali per questa nostra imminente vendetta. Solo che ho sentito accennare due nuovi ospiti nei rispettivi regni nemici. I loro nomi?’’

‘’Arilyn, ultima dei Thandulircath e Darrien anch’egli ultimo della sua stirpe, i Varg.’’- replicò Terbius, senza esitazione. L’espressione dell’uomo mutò impercettibilmente, come se fosse infastidito dalla presenza di quei giovani indesiderati. Congedò tutti i soldati, fatta eccezione per i suoi tre figli. Prese parola Pheros, che raccontò di averli visti durante le sue ricognizioni per trovare punti favorevoli e soprattutto deboli per garantire una unanime debolezza ai regni. Rivelò che entrambi i ragazzi avevano un dono con loro, un temibile potere per gli umani per le creature.

‘’Se non c’è Luce, non vi è Oscurità. Poetico, seppur fastidioso. E adesso cos’è questo baccano?’’- fu la domanda del Re, udendo provenire dalle ombre un incessante ticchettio. Una crisalide aracnide sgusciò dall’oscurità e rigurgitò sul pavimento un cadavere con uno squarcio che partiva dalla spalla sinistra fino a giungere a parte del fianco destro. Il Re delle Spine restò affascinato da vedere quel corpo femminile e chiese ai suoi figli di riportarla in vita: Pheros ricostruì il corpo mutilato con l’oscurità, Ignea iniettò nel corpo della donna dell’ambra liquida e, infine, Terbius le fece inghiottire delle spezie liquide. La pelle della recluta si tinse di viola, gli occhi si illuminarono di un minaccioso verde, il corpo si ricoprì di spine arcuate e dalla bocca si propagava un vapore tossico.

‘’Inginocchiati e rivelami il tuo nome, recluta.’’- esordì il Re sedendosi sul suo trono, dopo aver assistito a quella resurrezione. La donna restò impassibile e scosse la testa, rifiutandosi e rispose:

‘’Non mi inginocchierò mai al cospetto di un re, qualunque esso sia. E mi chiamo Liedin Norvaris, ex combattente di Huvendal. Esiliata per alto tradimento, voglio solo soddisfare la mia sete di vendetta.’’

‘’Benvenuta, Liedin Norvaris, al cospetto dei Rovi Neri.’’- rispose il Re, sorridendo compiaciuto.
 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, notte.
 
Era notte fonda sul Regno dei Rovi Bianchi, la luna splendeva con eleganza sui tetti dei palazzi e delle case lussuriose rendendole quasi dei gioielli su un mantello di seta nero. Il giovane Darrien riposava dopo una lunga giornata ricca di sorprese, discussioni con Batkiin e studi di magia oscura per rendere il suo potere infallibile. Il suo Istinto, però, disturbava il suo sonno con la presenza di un imminente pericolo: aprì appena gli occhi per notare qualcuno che si muoveva lentamente sulla scrivania nella stanza dandogli le spalle. Darrien afferrò la spalla e fulmineo posò la punta della lama all’altezza dei reni del nemico:

‘’Un brusco movimento e la tua testa diverrà una lanterna.’’- minacciò il ragazzo, spingendo lentamente la punta della spada nei reni dell’intruso che gracchiò dal dolore.

‘’Per tutto l’idromele delle Montagne Nere ragazzo, riponi la tua spada. Non riconosci il buon vecchio Dolmihir?’’- chiese il nano di montagna, girandosi e permettendo ai raggi della luna di illuminarlo. Darrien lo prese dal colletto della camicia e lo fece cadere sulle assi di legno della stanza con un sonoro tonfo:

‘’Perché sei nella mia stanza nel cuore della notte e frughi tra i miei oggetti?’’- chiese il ragazzo, riavvolgendo la catena sulla lama e riponendola sul bordo del letto. Il nano di montagna, massaggiandosi il fondoschiena, si rimise in piedi imbarazzato ma infastidito allo stesso tempo da quella reazione del giovane:

‘’Povero il mio fondoschiena, ha subito le peggiori angherie negli ultimi secoli. Un po’ di gentilezza non guasterebbe alla tua indole. Ad ogni modo, hai notato qualcosa o qualcuno di sospetto?’’- chiese Dolmihir, prendendo un cuscino e sedendosi sulla sedia. Il ragazzo ricordò di aver visto qualcuno con il suo stesso potere:

‘’Sì, durante il mezzodì e le prime ore del pomeriggio nella foresta ho avuto un breve scontro con un potenziale nemico. Non era uno dei Rovi Rossi o qualche mercenario. La sua pelle era nera come l’ossidiana e i suoi occhi splendevano come braci.’’
Il nano di montagna si grattò la testa quasi calva, riflettendo su quanto detto da Darrien. Si alzò dalla sedia, prima di lasciare quel che sembrava essere un fodero di metallo, dirigendosi verso delle assi di legno leggermente rialzate: una botola, utile per entrambi ormai.

‘’Ora i miei dubbi sono fondati, l’Epoca Oscura sta ritornando. I cadaveri scompaiono, le foreste si ammalano e quella sensazione di gelida morte che lentamente si espande tra le vene della terra. Sì, ho costruito botole ovunque nel palazzo per fuggire o nascondermi da seccature rapidamente. E sì, sulla tua scrivania ho lasciato un fodero per la tua spada, va indossato come uno zaino e la catena la puoi tranquillamente avvolgere sull’avambraccio.’’- replicò lui, iniziando la sua discesa nella botola.

‘’Epoca Oscura? Per tutte le Stelle di cosa parli?’’- domandò Darrien, irritato dalle continue sorprese ed enigmi. Dolmihir lo osservò, corrugando la fronte incredulo innanzi alla domanda del giovanotto.

‘’Hai degli occhi e dei libri, leggi invece di preoccuparti a brandire un pezzo di metallo e comportarti da cavernicolo.’’- rispose, scomparendo nella botola ed evitando così che le mani del ragazzo potessero stringersi attorno il suo collo e soffocarlo in preda alla collera. Ormai sveglio e privato del sonno Darrien decise di passeggiare per i corridoi illuminati da candelabri in ottone decorati con dello zaffiro, rimuginando sulle informazioni date da Dolmihir. Nonostante la ronda notturna della Guardie reali, il ragazzo passò inosservato tra le varie sale con ancora residui di una festa a base di liquori e pietanze. Sospirò amareggiato dal continuo disinteresse del Re per il suo esercito e i suoi fallimenti, preoccupato più sullo sfarzo e baldorie. L’oscurità che viveva nella sua anima tinse le sue mani di nero, come l’abisso dove il sole non sarebbe mai giunto, sibilando come un tizzone ardente su una lastra di ghiaccio. Si soffermò per un breve istante sotto un grande ritratto del Re Galeren, in posa di estrema fierezza con indosso una lucente armatura e nemici agonizzanti ai suoi piedi:

‘’Il nostro prode Re sconfigge un plotone di nemici al confine orientale del Draal.’’- recitava una targa decorativa in basso, fatta interamente d’oro. Con il suo potere distrusse quella tela, riducendola in cenere. Proseguì, superando l’ingresso della biblioteca e altri alloggi, finché non udì qualcosa di metallico provenire da una sala mai vista prima, così per l’androne con poche statue e quadri. All’interno di essa vi era una ragazza che si allenava con un randello colpendo vari fantocci in acciaio segnati da cerchi rossi. Darrien la riconobbe, era la sua sorellastra senza abiti sfarzosi ma in tenuta d’allenamento. I capelli legati in una coda alta, il fisico formoso e tonico erano tratti che ricordavano molto la sua compagna e si meravigliò di quella sorprendente scoperta. Osservava anche come i colpi fossero rapidi ma ripetitivi:

‘’Con attacchi così ripetitivi il tuo avversario può adattarsi e predire ogni colpo da parte tua.’’- esordì Darrien, facendo sobbalzare sua sorella Malrin.

‘’Mi alleno solo per scaricare risentimenti repressi, non per unirmi all’esercito di mio padre. Non riesco ancora ad avere pieno controllo sul mio potere e quei nobili dalle guance da suini che cercano di sedurmi mi disgustano al tal punto da desiderare la loro decapitazione!’’- rispose, colpendo il fantoccio così forte da farlo cadere. Darrien si mosse per proseguire il suo cammino senza meta, venendo però strattonato per la manica da sua sorella con sguardo indagatore:

‘’Sono settimane che noto vacuità nei tuoi occhi, anche se cerchi di mascherare il tutto. Vacuità mista a malinconia.’’

L’oscurità che avvolgeva le mani di Darrien si dissolse, lasciando il giovane in balia di emozioni contrastanti tra loro; non aveva mai versato una lacrima prima d’ora e adesso le reprimeva, arrossando quegli occhi zaffiro splendenti.

‘’Non ho nulla. Mi manca solo la mia compagna e tu le somigli molto adesso. Uh, perché ne parlo? Le mie speranze di rivederla sono vane e non riesco a trovare il mio equilibrio. Questo subdolo metodo della Dea del Cosmo mi…’’- s’interruppe improvvisamente, avvertendo delle braccia stringerlo alle spalle e attirandolo a sé. Malrin sospirò, avvertendo chiaramente l’impotenza del fratello e la fiamma della speranza ormai estinta nel suo cuore.

‘’Comprendo la tua sofferenza, conosco perfettamente questo sentimento. Quell’ignobile di mio padre ha infranto il mio cuore esiliando il mio migliore amico in una terra lontana più di tre anni fa. Una discussione inerente alle troppe perdite e lui è stato l’unico ad essere punito. Però la speranza di rivederlo un giorno non è mai scomparsa, e dovresti fare lo stesso per la tua amata Arilyn.’’- disse con voce tremante la ragazza allontanandosi da quell’abbraccio. Darrien, incuriosito da quella rivelazione, domandò un po’ la sua storia e come nacque la loro amicizia. Malrin iniziò narrando di averlo conosciuto a palazzo quando lei aveva solo otto anni, era molto riservato ma si preoccupava molto per le persone a lui care ed era silenzioso quando eseguiva mansioni quotidiane. Non sapendo quando fosse il suo compleanno, la ragazza ogni mese gli regalava dei dolci e fiori adatti alla sua indole oppure trascorrevano la giornata insieme. Condividevano storie, innocenti momenti spensierati e giocavano come ogni bambino. Tutto questo per oltre sette anni, finché il Re Galeren non lo scelse come rimpiazzo di un soldato defunto in battaglia.

‘’Quella fu la sua condanna. Prima che venisse esiliato, mi regalò un fiore d’ibisco e disse che sarebbe tornato un giorno, in segreto. Nonostante anche la diversità, io figlia di un mezzo elfo ed un umano e lui di una dea, eravamo uniti da un grande sentimento.’’- terminò di raccontare Malrin, con gli occhi arrossati dal pianto. Nella mente di Darrien si materializzò Caeleno, amico e abile soldato conosciuto durante la battaglia contro il Re della Prima Fiamma. Unì i tasselli di quel racconto e replicò:

‘’Caeleno, il figlio della Dea Gaelia è il tuo migliore amico? Sorprendente, ora si spiega perché era sempre impassibile, silenzioso e con una capacità tattica ammirevole.’’

‘’Come conosci il suo…Aspetta, lo hai visto?’’- domandò Malrin, incredula alle parole del fratello.

‘’Sì, ha combattuto al nostro fianco per impedire a Gallart e alla Figlia della Luna di conquistare e radere al suolo i popoli pacifici, compreso il nostro. Un ragazzo straordinario e in forma, devo ammetterlo. Sì, sta bene ma non ha mai accennato a te.’’

‘’Ti ho detto che era molto riservato e introverso. Grazie alle Stelle, è vivo!’’- gioì la ragazza, abbracciandolo forte e ringraziandolo per averle detto quella splendida notizia. Dopo aver dialogato decisero di sistemare la sala degli allenamenti e riordinarla, per poi congedarsi e dirigersi in direzioni opposte. Si ritrovò in un’ala del castello priva di statue, drappi e altre decorazioni sfarzose: vi era sporcizia ovunque, ragnatele, acqua stagnante e segni di esplosioni sulle pareti e pavimento. Udì il crepitare di un focolare nascosto da qualche parte, accompagnato da passi frettolosi e mormorii sinistri.

‘’Le mani si screpolano, gli occhi si seccano e la mia sanità mentale svanisce. Ma no, devi solo lavorare. Lavorare, lavorare, lavorare! Il sonno è per i deboli e i pigroni. Tu sei un armaiolo, sei diverso e non morto. Làkrshù!’’- ruggì improvvisamente la voce misteriosa, vibrando sulle pareti e tramutandosi in un gorgoglio distorto. Darrien seguì i costanti rintocchi metallici e le imprecazioni, giungendo in quel che sembrava essere una officina disordinata e colma di cianfrusaglie come spade arrugginite accatastate in un angolo, armature irreparabilmente danneggiate riposte su fantocci di legno e altre armi inutilizzate oppure in fase di costruzione. Un uomo con indosso una maschera di ferro colpiva violentemente un oggetto surriscaldato sulla superficie di una incudine, facendo echeggiare in modo assordante quegli impatti. Dopo averlo immerso nell’acqua gelida, aspetto qualche secondo prima di rigettarlo nella fornace e chiuderne la grata.

‘’Invece di restare lì come uno stoccafisso ad origliare, entra ragazzino. Emani un odore diverso, nonostante tu sia un Varg. Odori di…ordine, disciplina e serietà. Un comandante. L’ennesimo!’’- disse quello strano armaiolo, gettando via la maschera di ferro consentendo così alle fiamme della fornace di illuminare parte del suo volto grigiastro e raggrinzito, ricoperto di brandelli di pelle morta sulle guance e sul collo.

‘’Perdonami se ho interrotto il tuo lavoro. Non riuscivo a dormire e dunque ho deciso di passeggiare per il castello. Tu saresti?’’- chiese Darrien, cauto evitando di inciampare negli oggetti della stanza.

‘’Nurkalf, armaiolo non morto al servizio di quell’imbecille di Galeren. Lavorare, solo lavorare! Mai dormire, mai battere la fiacca!’’- rispose lui, estraendo nuovamente quella che sembrava essere un’altra spada dalla lama ricurva. Recuperò da sotto l’incudine un sacchetto pieno di polvere azzurrina e la versò sul metallo rovente, sfrigolando ed emanando una forte essenza. L’arma prese forma e colore, mostrandosi nella sua intera bellezza solo che all’armaiolo non piacque e la scagliò lontana: il lancio fu così forte da conficcarsi nella parete in fondo alla stanza, con un tonfo sordo.

‘’Imperfetta. Galeren vuole solo armi perfette. E io vorrei tanto essere un comune mortale. Non dormo da due settimane!’’

‘’Il Re in questo istante non è presente e non osserva il tuo lavoro. Tu riposa, se ha da lamentarsi gli parlerò io. Oltre ad essere egocentrico è anche schiavista.’’- rispose Darrien, spostando l’incudine grazie all’ausilio di una pedana mobile e spense la fornace. L’armaiolo si soprese del comportamento del ragazzo, apprezzando però quel nobile gesto.

‘’Prima che ti lasci riposare, mi sapresti dire come usare questo fodero?’’- chiese Darrien, mostrando il fodero donatogli dal nano di montagna. L’armaiolo Nurkalf osservò i materiali usati, lo spessore per la lama e i vari componenti di quell’oggetto. Rivelò che il fodero aveva una protezione per il piatto che poteva essere estratta, così da evitare eventuali graffi. Inoltre sul collo del fodero erano fusi due piccoli minerali magnetici che consentivano all’arma di restare ben salda.

‘’Il fodero, inoltre, è costruito appositamente per stringersi attorno il filo della spada e lasciare una sostanza in grado di farla scivolare meglio. Sia per estrarla che per riporla al suo interno. Suppongo sia stato Dolmihir, quel nano narcisista. Tutto sommato, è di qualità eccellente. Dovrai solo abituarti ad avere un fodero inconsueto a quelli normali. Grazie per la compagnia e la sicurezza, giovanotto. Che la Fiamma ti guidi.’’- furono le ultime parole dell’armaiolo, prima di appisolarsi su una brandina nascosta da immensi scatoloni e da un separé bucherellato. Il ragazzo, avviandosi verso l’uscita, notò un progetto di una torre mobile dotata di un’arma atta a penetrare nelle difese e sul retro del progetto vi erano raffigurate anche due versioni dell’ariete: una raffigurava un lanciafiamme generato da una gemma scarlatta, mentre la seconda versione era un cannone montato sotto di esso. Darrien creò una copia di quei progetti grazie al suo potere e si ripromise di dar credito ed onore a quel povero armaiolo. Riprese il suo cammino, continuando a passeggiare per i corridoi polverosi, ritrovandosi così sul retro del castello. Vi erano pochi fiori e una immensa lastra di granito alta dieci passi e larga quindici, con delle iscrizioni in argento che sembravano essere semplici disegni. Il giovane si avvicinò a quella lastra di granito, comprendendo che non era un banale ornamento bensì un muro commemorativo per i caduti di guerra. Centinaia di nomi erano incisi su quella superficie e sotto di essi la loro età. Moltissimi di quei soldati non superavano i trent’anni di vita, mentre altri non raggiungevano l’età adulta.

‘’Follia. Semplice follia.’’- esclamò Darrien, continuando a leggere i nomi delle vittime, giungendo al più giovane di loro che aveva quindici anni. Prima che potesse tornare indietro, si ritrovò Batkiin a pochi metri da lui che osservava con tristezza vacua quel muro e tra le mani un piccolo fiore.

‘’Molti di loro erano orfani, reietti o provenivano da famiglie in gravi condizioni economiche. Il Re si preoccupò di renderli dei cavalieri intrepidi e capaci di sopportare la fame, la stanchezza e le infezioni. Quando morirono tutti in quell’orribile guerra, molte famiglie si erano dimenticate della loro esistenza e il popolo era solo contento di aver vinto. E, a malincuore, l’equilibrio dettato dalle Stelle difficilmente può essere spezzato.’’- rispose lui posando il fiore ai piedi del muro, recitando una preghiera in un dialetto sconosciuto.

‘’Quale guerra? E, soprattutto, perché ti ostini ad usare strategie così deboli contro il nemico?’’- chiese Darrien, furibondo per quell’incomprensibile azione.

‘’Una cruenta guerra di confine tra noi e i Rovi Rossi. Abbiamo subito ed inflitto ingenti perdite. Ci ostiniamo ad usare quelle strategie perché sono le uniche che abbiamo. Ora sai perché ero scettico alle tue affermazioni.’’- rispose Batkiin, con voce monotona. Darrien serrò le labbra e socchiuse gli occhi, ripensando al consiglio datogli dal protettore della Sala del Frammento.

‘’Batkiin, ti destituisco dal tuo ruolo di generale. Da domani in poi, subentrerò io come nuovo comandante dell’esercito. Tu coordinerai gli spostamenti del plotone nei vari confini o avamposti che conquisteremo, assegnando un ruolo anche ai nuovi alleati della conquista.’’- sentenziò il ragazzo, tanto da incutere timore nell’uomo.

‘’Non puoi, il Re non acconsentirà alla tua decisione e mi rinchiuderà nei sotterranei!’’- replicò quasi implorando il giovane di ripensare alla sua scelta.

‘’Galeren non è il mio Re.’’- tuonò Darrien, con voce distorta dal suo potere oscuro e lasciandosi avvolgere da esso. L’erba sotto i loro piedi si essiccò, i pochi alberi di quel giardino si pietrificarono e la loro corteccia si ricoprì di una sostanza simile alla resina ma più viscosa e dall’odore rancido. Batkiin rimase pietrificato dal potere del ragazzo, finché Darrien non gli ordinò di andarsene nel suo alloggio e dormire.

‘’Questo avrà ripercussioni sul regno.’’- mormorò l’ex generale dell’esercito, passandogli vicino a testa bassa.

‘’Quante vittime erano?’’- chiese il giovane, ignorando le parole dell’uomo e attendendo una risposta.

‘’Trecentosettanta.’’

’Ognuna di loro verrà vendicata. E il Re dovrà attenersi ai cambiamenti.’’- espresse con fermezza Darrien.
 
Territorio ignoto. Estate, notte.
 
 
Un falò accesso illuminava quell’oscura notte estiva, espandendosi in un cerchio luminoso fino ad abbracciare le cortecce degli alberi. Una figura incappucciata era intenta a mescolare erbe e frutti essiccati nel calderone che sovrastava il falò, emanando intensi odori. L’acqua si tinse di prima di verde, poi di rosso terminando sul nero pece.
 
‘’Si preannunciano tempi oscuri, vero?’’- chiese una voce maschile, infrangendo quel silenzio e facendo sobbalzare quel che sembrava essere una donna coperta di stracci. L’uomo lasciò che la luce del focolare illuminasse il suo volto e i suoi abiti sgualciti. Entrambi indossavano, però, lo stesso mantello cremisi e condividevano una malinconia che sembrava innaturale per due immortali. La donna prese il calderone e versò il suo contenuto sulla terra brulla: il liquido fetido ribollì, partorendo radici nodose e spinate che avevano trafitto vermi e lombrichi.

‘’Già.’’- rispose la donna, togliendosi il cappuccio e mostrando un viso delicato seppur presenti piaghe cicatrizzate. Rimasero in silenzio ad ascoltare il crepitar del focolare mentre sopra di loro risplendevano le stelle, come gemme di cristallo su un mantello di seta. D’un tratto il silenzio venne interrotto dalla donna che chiese con tono preoccupato:

‘’Sarà stato saggio mostrarci, dopo tre millenni, al popolo dei Rovi Rossi e a quello della Cittadella? Non rischiamo di perdere la nostra umanità se ci manifestiamo come spettri usando solo l’oscurità che affligge la nostra anima?’’
L’uomo la osservò perplesso per quelle insolite domande, aggrottando le sopracciglia. Si alzò, con una smorfia di fastidio dovuta all’età e alle poche energie rimaste. Si tolse il pesante mantello e lo ripiegò sul tronco alle loro spalle:

‘’I Rovi Rossi hanno costruito le loro fondamenta sull’umiltà, sul benessere e sulla protezione del popolo. Così anche per la Cittadella degli Abbandonati, nonostante il terzo testimone della Grande Guerra dei Tre Rovi si trovi lì. È pur vero che, così facendo, mettiamo in pericolo la nostra umanità ma questi due regni saranno alleati formidabili. Nonostante questo, intraprendere guerre è futile. Si possono risolvere tante controversie solo sedendosi e parlare. Credono che compiere queste azioni siano un bene ignorando completamente chi piangerà, chi famiglia morirà o chi pargolo innocente resterà senza genitori e una casa…’’- rispose, tramutando la sua calma in rancore nel terminare il suo dialogo.

‘’E per quanto riguarda i Rovi Bianchi? Recluso, non temi che qualche loro ricognitore venga a cercarci?’’- chiese la donna.

‘’Perché temere un popolo di manigoldi e lussuriosi? Mia cara Peccatrice, non temo più le guerre da secoli. Temo solo questa maledizione che ci affligge. La mia è la conoscenza, la tua è da parte della Fiamma d’Ambra.’’- replicò lui, ravvivando il falò con delle erbe essiccate: le fiamme si tinsero di un tenue porpora. Il Recluso posò il suo indice sulle labbra, recitando un incantesimo per poi posare il dito sul legno ardente. Tra le lingue di fuoco si materializzarono immagini di una feroce battaglia tra i Rovi Rossi e i Rovi Bianchi; quest’ultimi vennero massacrati e ridotti in cenere da fasci di luce dorata emanati da una ragazza. Il focolare perse quella sfumatura porpora tornando al suo colore normale e calore gradevole.

‘’Ora comprendi perché i Rovi Rossi sono degni della nostra presenza?’’- chiese il Recluso, sorridendo alla Peccatrice. La donna annuì, accennando un consenso con il capo. L’uomo, rendendosi conto dell’ora tarda, recuperò dei sassi e una manciata di sale. Creò un cerchio magico di protezione intorno l’area del falò, recitando un incantesimo che fece illuminare di blu i sassi e ritornò vicino il fuoco, dove si stese e chiuse gli occhi. La Peccatrice lo osservava con attenzione, rapita dalla naturalezza del compagno immortale.

‘’Confido nelle tue capacità, Recluso. E mi auguro che tu abbia ragione.’’
























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Torno dopo un po' con il sesto capitolo del romanzo, ormai concluso un mese fa, e che io porterò lentamente in quanto sono troppe pagine da inserire e ci vuole molto tempo per dividere i paragrafi. ^^'' Spero possiate comprendere. Godetevi il capitolo!

 

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Capitolo 7
*** Corruzione oscura. ***


Le foreste, i fiumi, le verdeggianti vallate e le alte montagne vennero inghiottite dalla fredda e lugubre morte che i Rovi Neri portavano con sé. Le splendenti abitazioni degli umili popoli vennero ridotte in rovine ricoperte di fiori in grado emettere spore velenose e che provocavano febbricitanti allucinazioni. I fuggitivi, invece, venivano condotti su uno dei tanti altari che l’esercito costruiva per i Tre Principi e lì tramutati in orripilanti abomini deformi.

Tra gli alberi ormai massacrati e anneriti dalla melma, le urla di atroci sofferenze potevano udirsi ancora. Così acute e strazianti da poter penetrare fin dentro l’anima di coloro che viaggiavano su quei sentieri remoti. La Dea del Cosmo cercava di rassicurare i regni confinanti rispondendo alle loro preghiere.
Maeris, la Creatrice continuava con inesorabile calma il suo operato. Le lingue incandescenti del suo cuore incastonate come pietre preziose nel petto dei soldati di polvere stellare donavano un bagliore sinistro, seppur emanassero una splendida aura angelica. La Dea del Cosmo, esasperata dal quel comportamento, si presentò al suo cospetto cercando di convincerla ad inviare subito l’esercito sulla Terra per contrastare il continuo avanzare dei Rovi Neri e il massacro di innocenti.

L’Essere Ancestrale, infastidita da quel continuo blaterare della donna, usò il suo vasto potere per strapparle la voce e rispondere con rabbia ardente nella sua voce:
‘’Prestami ascolto Eshreal. Io sono la Creatrice degli Universi, tu sei la mia intermediaria. Sarò io a decidere il momento opportuno per inviare l’armata sulla terra. Mi imprigioni per millenni, mi liberi perché da sola non sei in grado di fronteggiare quel popolo nato dalla fame e violenza di un angolo di foresta e mi ordini di intervenire immediatamente? Osa presentarti nuovamente al mio cospetto e verrai tramuta in polvere cosmica. Vattene.’’

Maeris le ridonò la voce e la fece svanire in un bagliore biancastro. La Fiamma del Gelo e la Fiamma Arcana iniziarono a subire gli effetti di quell’inaudita violenza, tramutandosi da guida per i pellegrini in cuori di malvagità che si riversò sugli innocenti.

Le stagioni persero i loro colori e i loro profumi, divenendo un caotico groviglio di angoscia.
Gli animali, dalle maestose pellicce e dall’impeccabile eleganza, vennero mutate in giganteschi ammassi di carne decomposta stridente che ingurgitavano gli scarti dei soldati mal riusciti. Venivano poste in profonde fosse dove attendevano il loro pasto.

Il destino peggiore era riservato a coloro che rifiutavano una Nuova Natura. Venivano legati ad un palo di legno, costretti a bere un liquido amaro e ad inghiottire un seme acuminato. In breve tempo quel seme germogliava in una spira di rovi oscuri che sventravano la vittima, paralizzandola dal dolore. Serpeggiavano dal corpo mutilato attraverso la bocca trascinandosi sulle spine le interiora del malcapitato, in una grottesca e nauseabonda opera d’arte. Anche le creature silvane non vennero risparmiate. Il loro corpo in corteccia venne strappato con forza dai soldati dei Re delle Spine, riducendoli a spoglie viventi e nude; la loro linfa smeraldina si tramutò in sangue grumoso e i loro occhi divennero vacui.

I Rovi Neri gioivano per i progressi ottenuti, ma desideravano di più. Desideravano la morte dei loro fratelli e soggiogare gli altri due Frammenti d’Ambra per riportare in vita la Fiamma d’Ambra originale.

L’odio e la bramosia di sangue avevano ormai reso la natura un cimitero di aberrazioni.

L’Ascesa dei Rovi Neri era divenuta inarrestabile.
Apocrifi del Recluso, Ascesa dei Rovi Neri; Epoca delle Cinque Fiamme.
 
                       §
 
Lynmes Alno. Concilio delle Sette Sorelle. Estate, mattino.

 
 
Dalle prime luci dell’alba, la giovane Thandulircath era in una grande sala rettangolare intenta a ripassare alcuni vecchi stili di combattimento che suo padre le aveva insegnato. Si muoveva con leggiadria tra i vari fantocci, colpendoli grazie all’ausilio dei guanti d’arme recuperati da una corazza d’allenamento. Il cozzare del metallo echeggiava in quella sala aumentando l’adrenalina della ragazza, spingendola a colpire sempre più forte finché il suo potere si sprigionò in un fascio di luce che scagliò lontano ogni bersaglio. Percepì qualcuno alle sue spalle e usò la spada munita di catena per un attacco a distanza. La lama, impregnata del suo potere, si conficcò in uno scudo a torre deformando il ferro e distruggendone le decorazioni. Dietro quel clipeo ormai rovinato si nascondeva un cavaliere con un elmo e un cappuccio bordato in acciaio, mentre il resto del corpo in una semplice armatura di cuoio con sotto abiti comuni. Arilyn recuperò la sua spada usando il meccanismo di recupero nel vambrace per poi togliersi i guanti d’arme usati per l’allenamento.
 
‘’Curioso come tu, da poco in questo palazzo, abbia già trovato il luogo dove ogni Legionario tende ad affinare le proprie tecniche.’’- disse il ragazzo, con la voce distorta dall’elmo. Si diresse ad un supporto di legno attaccato alla parete per recuperare uno stocco in pharite scintillante, elegante e minaccioso allo stesso tempo.

‘’In realtà è stato Morkai a rivelarmi come raggiungere il luogo. I vostri fantocci sono simili a quelli del regno dalla quale provengo, solo più pesanti e resistenti.’’- rispose la ragazza, usando un panno per asciugarsi il sudore.

‘’Tu sei Arilyn, vero? Mi ricordo dell’incredibile contrattacco sferrato all’esercito dei Rovi Bianchi. Sei stata addestrata bene, però tendi molto ad attacchi frontali e ad esporti. Dovresti migliorare l’istinto di sopravvivenza, è di fondamentale aiuto. Inoltre, dovrai adattarti ad ogni tipo di nemico che cercherà di ucciderti.’’- replicò il giovane, posando l’arma e recuperandone un’altra: sembrava essere un doppio scudo piccolo e tondeggiante, ma munito di coccia e rivestimenti in elbaollite. Bastò un semplice movimento per far scattare in avanti un aculeo fatto dello stesso materiale. Puntò l’arma contro l’unico bersaglio rimasto in piedi e il pungiglione venne scagliato contro di esso con un fischio assordante prima di conficcarsi nella testa.

‘’Difesa ed attacco mortale in un solo oggetto. Il fabbro del regno è geniale, crea armi dal nulla e con pochi materiali. Il vambrace meccanico è una sua creazione, vero?’’- domandò il ragazzo, ricordandosi del fulmineo recupero della spada con catena. La ragazza rispose con un cenno del capo e la rinfoderò, prima di avviarsi verso l’uscita. Si fermò poco dopo l’uscio e pose un quesito al cavaliere:

‘’L’elmo non dovrebbe essere usato solo in battaglia?’’
Il ragazzo ridacchiò, intento a recuperare l’aculeo e a inserirlo nuovamente nell’arma. La ripose e brandì un mazzapicchio con una sola mano facendolo volteggiare con precisione:

‘’Quest’elmo e cappuccio bordato sono stati costruiti con materiali magici che si adattano alle condizioni esterne e di chi li indossa. Oltre questa comodità, purtroppo, io devo indossarlo per celare il mio volto. Perdonami, adesso vorrei allenarmi in silenzio. Grazie per la breve conversazione. Oh, che sbadato io sono Allric.’’- disse il paladino, agitando il mazzapicchio imitando un saluto. Durante il tragitto di rientro udì discutere il Comandante dei Legionari con l’Ufficiale Sharal sugli spostamenti del Recluso e della Peccatrice. Tre erano i continenti interessati dove vi era anche un regno alleato: Eigrios, vasto territorio delimitato da montagne usato come avamposto; Davelnia Mengeo, territorio meridionale militarizzato e adibito a tratte marittime e reclutamento di nuovi soldati per il regno; Kecleoji, dove è situata anche la Cittadella degli Abbandonati e alleata del Lynmes.

‘’Nel Davelnia non è possibile dato le continue ronde militari e i branchi di chels. Ad Eigrios sono passati qualche giorno prima del mio arrivo nel Lynmes, uno dei nostri incantatori ha avvertito una forte presenza magica e ci ha informato di questo al suo rientro. L’unico regno, ed anche il più vicino, è quello del Kecleoji ma non abbiamo giurisdizione lì.’’- disse l’Ufficiale, spostando la miniatura di una bandiera sulla mappa. Il Comandante Iridia studiava con attenzione la mappa e i documenti con spostamenti, avvistamenti e possibili residui della loro magia. Agli estremi del tavolo vi erano una donna dalla muscolatura possente che lucidava un pugnale e Veldass che sonnecchiava poggiato al suo randello.

‘’Il Recluso e la Peccatrice sono immortali e dispongo di acuta astuzia. Non lasciano tracce fisiche, solo magiche dato che il loro corpo ha assorbito così tanto potere dell’Epoca Oscura e delle guerre da renderli dei nuclei magici erranti e…gradirei inoltre non avere ospiti indesiderati ad origliare discorsi privati.’’- terminò volgendo lo sguardo verso l’uscio dove vi era poggiata Arilyn. L’imbarazzo e la vergogna le impedirono di replicare, provocando l’avvicinarsi di Iridia minacciosa all’ingresso della stanza:

‘’Comandante Iridia, non vi è motivo di crucciarsi nei confronti della mia cara amica Arilyn. Vieni, entra!’’- intervenne Sharal, sorridendo ma con serietà nel tono della voce. Un flebile luce filtrava dalle vetrate colorate della stanza e si rifletteva sull’armatura verde acqua della donna, creando riflessi variopinti. Arilyn preferì restare a pochi passi dal tavolo dove si erano riunite le due donne e cercò di placare il suo imbarazzo osservando le dozzine di miniature sparse sulla cattedra: molte raffiguravano bandierine con l’incisione dello stemma del regno sopra, altre rappresentavano una torre colorate d’argento, alcune erano bianche raffiguranti un condottiero ed infine le ultime erano nere.

‘’Quella che puoi vedere è la mappa raffigurante l’intero regno di Lynmes Alno, con i suoi alleati, luoghi conquistati e tramutati in avamposti e nemici. Le bandiere rosse sono i nostri alleati, le pedine bianche e nere rappresentano gli attuali nemici mentre le torri argentate sono gli avamposti nelle varie regioni. Discutevamo dove possano essersi rifugiati queste due entità millenarie. L’unica terra vicino e alleata dei Rovi Rossi è quella del Kecleoji. Inoltre, ci chiedevamo come spostarci rapidamente tra un confine e l’altro senza essere visti…’’

‘’Gallerie sotterranee con diverse carri da miniera. Gli stessi che usiamo noi ad Huvendal.’’- fu la risposta impulsiva di Arilyn interrompendo il Comandante. Ci fu un breve silenzio, tanto da far svegliare con borbottii Veldass.

‘’Rischiamo comunque di essere visti da spie dei Rovi Bianchi.’’- obiettò Iridia, scartando l’idea proposta.

‘’Non se le gallerie vengono costruite sotto il Lynmes. Non ne serviranno molte, solo le più importanti per giungere nella Cittadella e negli avamposti. Con l’aiuto di qualche ibrido antropomorfo, i carri da miniera verranno scagliati senza alcuna difficoltà.’’- rispose Sharal, prendendo uno spago e puntine da disegno, posizionandole in corrispondenza delle pedine. Usò lo spago per tracciare i diversi sbocchi delle gallerie, incuriosendo gli altri due Legionari che restarono affascinati dalla precisione dell’Ufficiale.
Una volta terminato, lo spago mostrava linee serpeggianti che si intrecciavano ed incontravano in diversi punti dove erano incastrati gli spilli così da mostrare una perfetta piantina di costruzione.

‘’D’accordo. Le gallerie verranno costruite, lei Ufficiale si occuperà della supervisione dell’opera, se può. Onorata di lavorare con lei, ma adesso gradirei di parlare in privato con…Arilyn.’’- disse con freddezza il Comandante.

‘’Nessun elogio. Ossequi, comandante Iridia.’’- rispose l’Ufficiale dirigendosi all’uscio e dando una gomitata amichevole ad Arilyn, complimentandosi per l’idea. Al suo seguito si unirono anche Veldass e la donna muscolosa sconosciuta, con lo sguardo fisso davanti a loro. Quando le due donne restarono sole, la giovane Thandulircath percepì una asfissiante tensione all’interno della sala e irritazione nei movimenti della donna.

‘’Le gallerie sono sempre state utili per il mio regno. Sia per gli spostamenti che per il trasporto di viveri.’’- esordì Arilyn, nervosa per un possibile scatto d’ira da parte del comandante.

‘’Hai origliato una discussione riservata solo ai tre legionari più anziani e la tua bislacca idea come pensi possa tornarci utile? Lì fuori è un mondo selvaggio e bisogna avere occhi ovunque…’’

‘’Volevo solo rendermi utile!’’- replicò con fermezza Arilyn, avvertendo il suo potere avvolgerle flebilmente le mani ma con un calore ed intensità mai provati prima.

‘’Utile?! L’unica cosa utile che tu possa fare è rispettare gli ordini. Sei qui solo per una casualità, non per il volere delle stelle o della Dea del Cosmo. Non te lo ripeterò una seconda volta.’’- replicò ruggendo Iridia, avvicinandosi minacciosa verso la ragazza, che ricambiava il suo stesso sguardo torvo.

‘’Hosral aveva ragione, siamo identiche ma allo stesso tempo con un fardello sulle spalle.’’- rispose Arilyn, con amarezza, scuotendo il capo e lasciando la sala. Il Comandante si meravigliò nuovamente di come quella ragazza fosse in grado di ferire il suo orgoglio, paralizzandola.
La giovane Thandulircath, dopo un bagno ristoratore, si dedicò nuovamente ai suoi appunti modificandone il contenuto e aggiungendo qualcosa di nuovo. In quel momento giunse Morkai a riferirle che il Concilio l’attendeva nella sala del trono per discutere dell’idea delle gallerie; Sharal probabilmente aveva informato le Sette Sorelle di quel piano, spingendole ad una riunione con l’autrice dello stratagemma. Una volta riposatasi, indossato la divisa con la spilla e la spada sul fianco si avviò verso l’atrio ove l’attendevano diversi soldati.

‘’Buongiorno Arilyn. L’Ufficiale Sharal ci ha informato che, a seguito del tuo innocente origliare, hai suggerito la costruzione di gallerie all’interno del Regno per lo spostamento rapido di truppe nei nostri avamposti e per restringere il perimetro di fuga delle due entità leggendarie. Confermi?’’- chiese con gentilezza la Prima Sorella.

‘’Confermo. Poche gallerie munite di rotaie e carri da miniera. Per azionarle serviranno delle creature forti abbastanza da donare una spinta sufficiente per permettere ai carri di muoversi.’’- rispose Arilyn, a testa alta ed evitando gli sguardi inquisitori dei soldati. Il costante brusio da parte dei prodi cavalieri infastidì le Sette Sorelle che li richiamarono immediatamente all’ordine.

‘’Hai altri possibili consigli, Arilyn dei Thandulircath?’’- chiese Hallothel, la Seconda Sorella quasi timidamente.

‘’Ad Huvendal, il regno dalla quale provengo, avevamo progettato un vecchio strumento di difesa. Consiste nella costruzione di una lunga catena di scudi che si attivavano al cambio di pressione. Utili per mantenere la posizione e consentire ai soldati stremati di riposare.’’- rispose la giovane sperando che tra quei prodi uomini vi erano anche il fabbro del regno, immaginando lo sguardo di gioia per le nuove creazioni da costruire. Il Concilio si consultò brevemente e accettarono entrambe le idee della Thandulircath, suscitando la disapprovazione dei più anziani:

‘’Non possiamo accettare il cambiamento delle nostre strategie! Dobbiamo rinforzare le mura, le torri e aumentare la resistenza delle falangi. Per gli spostamenti possiamo sempre attraversare il sottobosco e inviare ricognitori.’’- esordì un cavaliere dall’armatura bronzea e dai folti baffi grigi.

‘’Generale, preferisce sacrificare innocenti anime piuttosto che preservarne la loro integrità? Se non agiamo immediatamente, rischieremo l’ennesimo massacro e noi vogliamo che tale sciagura non si ripeta nuovamente.’’- rispose Erthaor, cercando di placare gli animi dei soldati contrari all’inaspettata decisione. Il generale scosse la testa e andò via, seguito da un suo subordinato e uno scudiero.

‘’Comprendiamo il vostro dissenso, ma è per proteggere voi e il Regno. Chiediamo che anche voi comprendiate i rischi di restare con vecchie tecniche belliche. Rompete le righe, Signori.’’- sentenziò Daernith, massaggiandosi le tempie come se fosse stanca e dolorante. Dall’ingresso principalmente giunse uno dei ricognitori appena reclutati che annunciò a gran voce l’arrivo di truppe nemiche dal fronte orientale, allarmando i presenti che brandirono immediatamente le loro armi e prepararsi a cavalcare contro i Rovi Bianchi.

‘’Recluta, uno di loro aveva un corno da richiamo?’’- domandò Arilyn al giovane soldato, sfinito per la lunga corsa.

‘’Sissignora! Un corno da richiamo impreziosito da gemme. Sono quasi all’entrata del bosco, vi conviene sbrigarvi.’’- replicò lui, posandosi su una delle panche; un curatore giunse in suo soccorso per aiutarlo a riprendere fiato. Arilyn, senza attendere oltre, si diresse alle stalle e salì in groppa ad uno degli stalloni rimasti. Inseguendo il plotone notò Veldass correre a piedi con il randello metallico sulle spalle e la forma della sua arma fece scaturire in lei un piano di attacco.

‘’Veldass, avete delle balliste nascoste sulle colline?’’- chiese la giovane Thandulircath, mandando al trotto il cavallo.

‘’Sul fronte orientale c’è un sentiero che attraversa le uniche due colline presenti. Con la fitta vegetazione, nascondere armi è prioritario. Ti servirà il mio aiuto per azionarle e per qualunque cosa tu abbia in mente. Ti faccio strada!’’- rispose l’omaccione, scattando in direzione delle trappole nascoste. Appena giunti nel luogo nascosto alla vista del nemico, Arilyn scrutò che sulla collina opposta le fiamme stavano divorando tutto e l’esercito dei Rovi Rossi aveva innalzato una barriera di scudi, nel mentre che un soldato di alto rango armato di grossi martelli da guerra inveiva contro di loro e ordinava agli arcieri di far piovere frecce su di loro fino allo sfinimento.

‘’Dobbiamo fare in fretta o l’esercito avrà la peggio!’’- disse Veldass, cercando di rimettere in sesto le balliste, tirando le corde fino a bloccarle nell’apposito gancio.

‘’Il nostro esercito dispone anche di bombe incendiarie?’’- chiese improvvisamente la giovane Thandulircath cogliendo alla sprovvista il Legionario.

‘’Sì…Sì abbiamo sempre una scorta di quelle in caso di animali o creature più feroci e gigantesche. Fortuna vuole che siano coperte di olio combustibile.’’- fu la risposta dell’uomo, sistemando l’ultima ballista e recuperando in un cespuglio una rete colma di bombe cosparse d’olio.

‘’Saranno centocinquanta unità, compresi gli arcieri. Dobbiamo eliminare loro per primi, poi ci occuperemo del plotone massiccio al centro. Azioneremo l’ultima ballista, scaraventando su di loro tre bombe incendiarie così da provocare scompiglio da indurli a distrarsi. Poi azioneremo le altre fino a rinchiuderli tra le fiamme.’’- replicò Arilyn, iniziando a legare tre bombe strappando parte della rete per crearne una catena esplosiva e Veldass posizionava i lunghi e spessi dardi.
Un gran fragore allarmò i due giovani: notarono l’incrementare della pioggia di frecce e dell’imminente breccia da parte dei Rovi Bianchi che spingevano e percuotevano con barbarica violenza gli scudi. Arilyn legò fulminea le varie catene esplosive attorno la punta dei giganteschi dardi e ordinò a Veldass di far fuoco. Un semplice schiocco metallico dell’arma scagliò lo strale sugli arcieri. La ragazza convocò il suo potere, emanando saette dorate contro le bombe che esplosero sventrando e riducendo in poltiglia carbonizzata le file degli arcieri. L’olio combustile infiammato cadde, in parte, sulla fanteria corazzata tramutandola in lucciole e permettendo ai Rovi Rossi di contrattaccare e respingere il nemico. Non appena tutte le balliste terminarono la pioggia esplosiva, Arilyn e Veldass corsero giù dalla collina massacrando i fuggiaschi:

‘’Luridi cani, pensate di vincere con questo banale stratagemma? Affrontatemi!’’- sbraitò quello che doveva essere il generale dei Rovi Bianchi, agitando i suoi martelli da guerra contro gli scudi dei soldati imperterrito. Iridia, di soppiatto, estrasse il suo pugnale e lo conficcò nell’occhio del bruto per poi gettarlo nel fango con un poderoso calcio nello stomaco.
Arilyn usò nuovamente il suo potere per scatenare falci di luce che piombarono sui soldati, mutilandoli. Alcuni cercarono di fronteggiarla, ma rimasero terrorizzati dalla luce abbagliante che sprigionavano i suoi occhi. Piccole scintille, saette di pura essenza la rendevano quasi una divinità guerriera instancabile. Brandì la sua spada ed eseguì mulinelli continui aiutandosi con la catena. La lama, impregnata del suo potere, sbriciolò chiunque cercava di contrastare il colpo.

Le fragorose esplosioni innalzarono giganteschi muri di polvere che resero irrespirabile l’aria e divisero i Legionari: il Comandante Iridia e altri soldati si ritrovarono disorientati da quella foschia; Veldass ed Elurek contavano quanti nemici riuscivano ad uccidere come se fosse un gioco per loro; Allric, il Paladino d’acciaio trafiggeva i corpi dei suoi avversari con un pugnale muovendosi come un danzatore di morte aiutato da Hildel, Olfhun e la donna dalla muscolatura possente che spezzava i colli e frantumava le teste delle sue vittime con facilità.

‘’Ucciderti sarà un piacere!’’- rispose il generale ferito dei Rovi Bianchi, pronto a colpire Iridia con i suoi martelli. Il Comandante dei Legionari brandì la sua spada di rovi viventi e trafisse il fianco dell’uomo che reagì afferrando per il collo la donna e lanciandola tra i cadaveri. Prontamente si rialzò e i due condottieri si contrastarono a vicenda la raffica di fendenti finché Iridia, accecata dall’odio che provava verso il Regno nemico, trafisse la sua spalla con la spada per poi tranciarla di netto.

‘’Arrenditi o metterò fine alla tua misera esistenza!’’- ordinò la donna mentre la sua armatura si ricopriva di un intenso fulgore rossastro. Il generale, imperterrito, alzò l’arma al cielo e tentò di sferrare un altro colpo ma una spada giunse con un sibilo dalle ombre e lo trapassò lateralmente.

‘’Non…vincerete!’’- disse con un filo di voce il generale, sanguinando copiosamente dalle ferite. Dalla polvere e fanghiglia giunse Arilyn, anch’ella iraconda e strinse la sua mano attorno il collo dell’uomo. La pelle si ricoprì di venature dorate fino ad avvolgerlo completamente in una fiamma bianca mettendo fine alla sua esistenza.

‘’L’idea della pioggia esplosiva è stata mia, ma sono sicura che non hai gradito.’’- disse Arilyn, rinfoderando la spada.

‘’Grazie per l’aiuto.’’- rispose Iridia, passandosi una mano fra i capelli. Si rese conto di averli sciolti, ma la stanchezza le impedì di tenerli legati.

‘’Il Comandante dei Legionari che mi ringrazia. Questa è una novella…divertente…’’- rispose la giovane Thandulircath, prima di crollare stremata sui corpi esanimi di alcuni soldati. Iridia urlò ai Legionari di convocare un guaritore e di perlustrare l’area, catturando possibili fuggiaschi. Lo scontro fu debilitante per molti soldati, dovuto anche all’intenso calore delle fiamme sul terreno di guerra e dai raggi del sole che rendevano le loro armature delle fornaci roventi.

La giovane Thandulircath si ritrovò nel mondo onirico ancora una volta o almeno così sembrava. Notò i frammenti delle balliste sparsi su entrambe le colline che continuavano a bruciare lentamente, il terreno era diviso da profonde crepe in più punti e una falotica luce proveniva da esso. L’oscurità inghiottì quel luogo di morte, lasciando la ragazza alla mercé dell’accecante luce che avanzava dalle viscere del suolo. D’un tratto scomparve lasciando posto ad una fiamma ambrata:

‘’E così ho l’onore di conoscere una Thandulircath che combatte per un regno non suo.’’- disse una voce femminile proveniente da quel fuoco vivente che si tramutò in una slanciata figura femminile, avvolta dal suo fulgore etereo.

‘’Combatto per coloro che meritano di essere protetti, anche se non è il mio regno!’’- rispose Arilyn, alzandosi faticosamente ma con tenacia. La donna si muoveva quasi danzando, osservando ogni dettaglio di quella giovane Thandulircath. Tentava di indebolirla con il suo potere ancestrale, per poi meravigliarsi del fallimento. Riconobbe una grande volontà ferrea, un senso del dovere che sembrava essersi dissolto come polvere al vento eppur non comprendeva quello spirito fiero.

‘’Ogni secolo che trascorre, la guerra ha sempre lo stesso volto. Lo stesso volto che è in grado di soggiogare le menti dei condottieri valorosi. Ho cercato di indebolire il tuo spirito per convincerti ad abbandonare questa…’’

‘’No! Ho giurato di proteggere i Rovi Rossi, di proteggere la Fiamma d’Ambra. Non resterò qui a vedere un altro regno sprofondare.’’- la interruppe con ferocia. In quell’istante l’oscurità iniziò a frantumarsi, lasciando filtrare raggi luminosi e variopinti. Si sentivano voci, colpi metallici e baccano assordante infestare le sue orecchie. Arilyn si risvegliò su una brandina dolorante, con delle fasciature sulle braccia e sulla spalla. La stanza era illuminata da poche candele profumate, priva di finestre o altri sbocchi per consentire al sole di entrarvi.

‘’Alzati lentamente. I rumori improvvisi o assordanti aggraverebbero lo stato febbricitante di alcuni soldati e non voglio che accada. Non badare alla mia maschera, serve solo per evitare possibili contagi.’’- disse a bassa voce un guaritore lì vicino, con indosso una maschera da corvo rossa e delle piume che ricoprivano parte del becco. L’uomo aiutò Arilyn a rialzarsi, accompagnandola all’uscita prima di donarle un sacchetto con erbe essiccate e tramutate in dolciumi.

‘’Inizialmente avranno un gusto amaro, poi la tua lingua si abituerà al sapore. Hai ancora sintomi simili a quello dei soldati, ma queste caramelle saranno utili contro le contusioni riportate.’’- terminò di dire il guaritore, congedandosi con un suntuoso inchino e ritornando al proprio dovere. Durante il tragitto, la giovane Thandulircath venne ringraziata da alcuni condottieri complimentandosi per aver usato le balliste come diversivo, nonostante la perdita di alcuni valorosi. Altre voci echeggiavano nei corridoi, voci familiari e concitate. Si ritrovò così nella sala dei troni, ove i Legionari avevano catturato ed incatenato un soldato dei Rovi Bianchi: era spaventato, coperto di lividi e ferite sanguinanti. Non appena le Sette Sorelle giunsero sui loro troni, il prigioniero abbassò la nuca attendendo la sentenza:

‘’Io non volevo, sono stato costretto ad unirmi al plotone…’’- disse sottovoce il ragazzo, osservando le mani strette da cinghie e corde.

‘’Ragazzo, quanti anni hai?’’- chiese Daernith, unendo le mani e sollevandosi dal suo trono. Il fanciullo era paralizzato dal terrore e dall’agonia, ricevendo un brusco strattone che lo costrinse ad inginocchiarsi.

‘’Diciotto, signora.’’- rispose, ormai privo di speranze.

‘’Mi rincresce doverti annunciare che verrai giustiziato nelle segrete da uno dei nostri Legionari. Le conseguenze del tuo atto saranno marchiate sulla tua pelle.’’- sentenziò con solennità Daernith, seppur combattuta. Il terrore si tramutò in un pianto sommesso.

‘’Perdonate l’intrusione Concilio ma non accetto che la terra anneghi nel sangue di altre persone. Ha solo diciotto anni ed è un ragazzo arruolatosi con la forza, ha paura come tutti noi. Giustiziarlo non porterà in vita i caduti e non ci renderà migliori dei Rovi Rossi.’’- esordì Arilyn, camminando lentamente e mascherando il dolore delle ferite. Scrutò i volti dei Legionari, riuscendo a scorgere nei loro occhi il senso di colpa, fatta eccezione per la donna dalla muscolatura possente. I suoi occhi smeraldini incrociarono quelli di Irdia e per un breve attimo sembrò di vederla sorridere. Sentì uno strano calore cullare il suo cuore.

‘’Costretto o meno, ha ucciso per il volere del suo Re…’’- si alzò dal trono la Sesta Sorella Rivaltnith, con indosso la propria corona d’oro.

‘’…e le sue azioni non potranno restare impunite.’’- continuò la Settima ed ultima Sorella Rivornith, anch’ella con una corona sul capo, ma nera.

‘’Verrai rinchiuso nelle segrete fino a nuovo ordine. Devi alla Dea del Cosmo ogni singolo istante della tua vita, ragazzo.’’- furono le parole della Sorella Maggiore, scendendo dalla pedana dei troni e seguita dalle altre donne che non si degnarono di posare i loro occhi sul prigioniero risparmiato ad una morte orribile. La donna dalla muscolatura possente strinse forte le corde sui polsi dello sventurato e lo trascinò con sé verso le segrete:

‘’Pensi che i tuoi cambiamenti giovino? Non sperarci. La feccia, come questo ragazzo, meriterebbe una morte dolorosa.’’- disse con rabbia mal celata la donna, strattonando il suo prigioniero come un puzzolente mulo. Udì con un fil di voce i ringraziamenti del giovane Rovo Bianco e in quel momento giunse Oghan con uno strano oggetto metallico sulle spalle, simile ad una trave ma dal fracasso emesso era tutt’altro. Alcuni soldati domandarono quale altra mirabolante fosse e non appena il fabbro poggiò la lunga trave sul suolo, scattarono verso l’alto sei scudi a torre schermabili:

‘’Ho usato diversi materiali, tra elbaollite e androkite, per consentire agli scudi di non danneggiarsi durante il trasporto e lo scatto verso l’esterno. La parte quasi complicata è stata creare la lastra inferiore che vedete e i segmenti degli scudi. Entro sera invierò i restanti cento quarantanove.’’

‘’Come? Hai ricevuto solo questa mattina i progetti.’’- rispose il ricognitore che aveva dato l’allarme dell’arrivo del plotone nemico.

‘’Le abilità di un fabbro non vanno mai rivelate, giovanotto. Oh, tra una settimana riceverete anche le balestre spara arpioni d’assedio.’’- replicò Oghan lisciandosi i baffi e girando una piccola manopola posta sulla trave, consentendo così agli scudi di riposizionarsi nel contenitore. Non appena si volse per varcare l’uscita, ci fu una esplosione di luce brillante che si investì in presenti costringendoli a sguainare le armi e a suonare una campana d’allarme.
Quel fulgore assunse una tonalità rossastra, dal suo interno si potevano intravedere stelle e nubi cosmiche vorticare freneticamente in diversi punti. Da quello spazio incastonato come una gemma si materializzò il braccio squamato di una creatura fatta in onice, seguito poi dalla testa e il resto del corpo: dei filamenti bianchi gli rendevano difficile l’uscita. Facendosi leva sui bordi del portale riuscì finalmente ad uscirne, ritrovandosi dozzine di condottieri con spade, lance e bastoni puntate contro di lui.

‘’Placate la vostra sete di sangue, condottieri, non ho losche intenzioni.’’- disse la creatura facendo guizzare i suoi occhi da rettile sui presenti e alzandosi, rendendo la loro presenza ed altezza insulsa alla sua. Anche i Legionari accorsero, seguiti da altri svariati soldati e dai culiars. Quando gli occhi dell’essere in onice si posarono su Arilyn, esordì gioioso avanzando verso di lei ma si paralizzò non appena la ragazza chiese:

‘’Tu saresti?’’

‘’Vidthar, il Titano della Vita e della Morte.’’- rispose lui, alquanto imbarazzato e con un velo di sconforto negli occhi. La ragazza, anch’essa amareggiata, scosse il capo in segno di negazione.

‘’Non hai alcuna memoria? Abbiamo lottato contro Gallart il Re della Prima Fiamma Arcana insieme e abbiamo vinto. Che cosa ti è accaduto?’’- chiese il Titano d’Onice, con voce tremante seppur privo di bocca.

‘’Non ho alcuna memoria, se non miseri frammenti, di quello che è successo negli ultimi mesi.’’

 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, primo pomeriggio.

L’ennesimo massacro di soldati ed ennesima sconfitta, costrinsero Darrien ad agire senza attendere oltre. Seguito da Batkiin e altri soldati, si diresse nella sala del trono dove il Re ascoltava e giudicava le offerte che venivano proposte da commercianti d’armi e nobili signori. La grande porta a doppio battente con decorazioni era chiusa e protetta da due spadaccini:

‘’Alt! Il Re è occupato in questioni economiche e politiche.’’- disse il primo soldato, minacciandolo con la sua spada. Il ragazzo evocò il suo potere, avvolgendo il suo corpo di una terrificante oscurità e facendo brillare gli occhi di bianco. I due spadaccini si allontanarono lentamente di qualche passo, consentendo a Darrien di varcare la porta, cigolando pesantemente. I nobili signori, i commercianti e il resto dei cavalieri del Re sfoderarono le loro armi.

‘’Perché siete qui? Non vedete che sono impegnato in questioni importanti?’’- domandò Galeren, con il viso poggiato su una mano.

’Batkiin non sarà più il generale dell’esercito. Questa mattina è stato destituito dal suo incarico e, entrambi concordi, si occuperà dei vari plotoni negli avamposti e confini conquistati. Con effetto immediato, subentro io.’’- replicò Darrien, con sguardo torvo verso il Re. Il nobile signore ridacchiò, incredulo per quello che aveva sentito. Il potere dell’ultimo dei Varg vorticava furiosamente tra le sue mani, come stelle incandescenti generatesi dall’esplosione di polvere cosmica fredda: nonostante fosse estate molti soldati provarono un brivido gelido lungo la schiena e si allontanarono.

‘’Giovanotto, il Re sono io e decido io come e quando destituire un mio alleato. Attieniti solo agi ordini se vuoi renderti partecipe della gloriosa vittoria che otterremo.’’- rispose il Re, scacciandoli come moscerini. In un batter di ciglia, parte del trono si distrusse in mille frammenti e le sue preziose gemme incastonate caddero come pioggia scintillante sul raffinato tappeto. Le schegge di marmo graffiarono il viso curato dell’uomo, sporcando la sua suntuosa armatura di zampilli di sangue.
Lingue oscure e serpeggianti scaturivano dalle dita del ragazzo, con lo sguardo colmo d’ira e sottili linee nere che si diramavano sotto gli occhi.

‘’Osi disobbedire agli ordini del tuo Re? Insolente che…’’- non riuscì a terminare la sua ramanzina che un altro fascio d’oscurità lo immobilizzò sul trono, come una lunga e sottile ragnatela fatta di lucenti fili neri.

‘’Lei non è il mio Re e non lo sarà mai. Sarò io a guidare le truppe d’ora in avanti. Il vostro dovere sarà restare a palazzo e inviarci rinforzi, quando saranno richiesti. Intesi?’’- replicò sibilando Darrien mentre quell’oscura ragnatela si dissolveva nel nulla. Piombò un silenzio innaturale nella sala del trono, interrotto solo dai borbottii dei grassocci commercianti. Quando tutti i presenti abbandonarono la sala fatta eccezione per Batkiin, il Re Galeren recuperò un pezzo del trono demolito e restò a contemplarlo tra le mani: sul bordo di esso vi erano dei piccoli specchi che gli permisero di notare le ferite riportate.

‘’Perché Batkiin? Hai tradito il tuo Re per unirti ad uno spocchioso fanciullo trovato un mese fa a pochi metri dal nostro porto…’’

‘’Quel ragazzo ha ragione, mio Sire. Troppe strategie fallaci, troppe vittime. Il vento dei cambiamenti doveva giungere prima o poi. Buona giornata, Sire.’’- rispose Batkiin, inchinandosi e dirigendosi nel suo alloggio. Il Re lasciò cadere quel marmo specchiato, riflettendo sulle parole dell’ormai decaduto generale e del neo comandante dell’esercito reale.
Quell’evento eclatante si espanse in tutto il regno, come una goccia d’inchiostro nell’acqua, generando reazioni contrastanti l’una con l’altra: i cittadini più giovani e di mezz’età accolsero calorosamente la novità, speranzosi che i loro cari tornassero vivi, mentre i cittadini più anziani e veterani di guerre centenarie consideravano la presenza del giovane una sciagura ed una blasfemia all’ordine cavalleresco.
Anche Dolmihir gioì quando incontrò il ragazzo, complimentandosi per sfrontatezza nei confronti del Re. Quando notò delle pergamene tra le dita del giovane comprese che si trovava nel suo ufficio per parlargliene. Riconobbe la calligrafia e i disegni dell’armaiolo, constatando che quei progetti erano concretamente fattibili.

‘’Ci servono solo pochi materiali per la seconda variante dell’ariete. L’unica pecca è che Galeren non si fida dei commercianti che conosco e li paga scarsamente.’’- affermò il nano di montagna, grattandosi la testa rugosa alla ricerca di una soluzione disperata. Darrien posò una manciata di rubini e altre gemme sulla scrivania di Domihir meravigliandolo:

‘’In preda all’ira ho distrutto parte del suo prezioso trono. Ognuno di loro riceverà una gemma come compenso.’’- rispose il giovane dei Varg, sedendosi al tavolo in attesa di una risposta. Dolmihir prese una lente e osservò il taglio, la lucentezza e il peso di ognuna.

‘’Ragazzo tu hai salvato sei famiglie da una morte dolorosa. La paga è sempre stata cinquanta monete d’argento, non riuscendo a comprendere che i commercianti da dove provengono non sfamano nemmeno sé stessi con l’argento. Lurido imbecille e taccagno. Invierò subito una lettera per consentirgli lo scambio merci. Già che sei qui, puoi prendere quella corazza e indossarla.’’- replicò Dolmihir scrivendo lettere che consentivano lo scambio e, aiutandosi con i suoi arti meccanici, recuperò altri fogli.
Vicino al focolare basso, poggiato ad un supporto di legno, Darrien prese lentamente quella corazza e la indossò: leggera e che permetteva ampli movimenti del corpo senza impedimenti. Sui bordi dove le braccia passavano notò dei rovi che sembravano esser nati dalla forgiatura. Li sfiorò ed essi presero vita, avvolgendosi come vipere sulle braccia del ragazzo fino a non lasciar scoperto neanche un centimetro di nuda pelle.

‘’La corazza che indossi è fatta di elbaollite e pietra di fuoco, per questo è così scura. Mentre quei rovi viventi sono una mia creazione e giammai rivelerò la loro natura. Ora ho da fare ragazzo e cerca di non rovinarla altrimenti userò il tuo corpo come fantoccio.’’- disse Dolmihir, mettendo le gemme in un sacchetto e preparando le lettere una per una con il sigillo in cera. Azionò la botola, ma il ragazzo la evitò prontamente.

‘’Dilettante.’’- sentenziò il nano di montagna, pigiando un pulsante sotto il bordo del camino che azionò una seconda botola facendo precipitare il giovane Darrien. La sua rocambolesca discesa terminò con una rovinosa caduta sul pavimento in legno del suo alloggio, accompagnata da pittoresche imprecazioni. Dopo essersi ripreso dal capitombolo, posò la corazza ai piedi del letto e cominciò a studiare le mappe degli avamposti conquistati e costruiti negli ultimi anni. La maggior parte di essi erano avamposti montanari che si estendevano per chilometri, protetti da ripide pareti rocciose o correnti d’acqua violenti. Altri, invece, erano più piccoli protetti da alte mura e fossati ricolmi di catrame. Quattro avamposti, in particolare, presentavano il disegno di una bandiera bianca con una linea dorata nel centro. Sul bordo inferiore della mappa erano descritti tutti i simboli che le terre possedevano e quelle quattro terre dalla bandiera bianca e dorata rappresentavano gli avamposti principali e strettamente militarizzati.

‘’Dovrò inviare un telegramma ad ognuno dei capitani informandoli delle nuove regole che questo regno metterà in atto ed invitarli a corte per parlarne concretamente.’’- disse ad alta voce analizzando ogni simbolo, confini e nomi. Molte di quelle terre erano segnate da lunghe linee grigie ed oblique, denominate Terre Nere. Non trovò alcuna informazione su di esse, ma vi erano altre priorità da rispettare. Qualcuno, però, disturbò il suo lavoro bussando alla porta dell’alloggio.

‘’Chi è?’’- chiese infastidito Darrien, posando penna e calamaio. Quando aprì la porta, vi trovò sua madre con le braccia conserte e il viso segnato dalla preoccupazione.

‘’Figlio mio, dobbiamo parlare di quella scellerata decisone.’’- furono le sue parole.
 
Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle. Estate, sera.

Non riuscendo a dormire, Arilyn preferì osservare le stelle che brillavano nel cielo e ammirare l’estrema bellezza della luna. La brezza che proveniva da oltre le montagne rinfrescava l’aria e l’erba che le solleticavano le dita, rendendo lo star distesa sul manto verdeggiante piacevole. In quel momento osservò alcuni fili d’erba volteggiare e danzare nella lieve brezza tramutandosi, successivamente, in scintille rossastre e luminose. Gli sfavillii divennero incandescenti fiamme che formarono un solo fuoco e, da esso, comparve lo spettro di Gallart con la sua armatura spinosa.

‘’I miei complimenti, Arilyn dei Thandulircath. Vivere in questo luogo giova al tuo spirito e hai smesso di considerarti inutile. Di autocommiserarti.’’- esordì l’uomo, standole a pochi passi di distanza nel mentre alcuni sottili fili d’erba e petali continuavano a vorticargli intorno per poi ridursi in cenere.

‘’Ti ringrazio, ma non sei qui per gli elogi.’’- rispose la ragazza, evocando istintivamente il suo potere e cercando di rendersi minacciosa.

‘’Esattamente. Non sono qui per elogiarti. Essendo a conoscenza del tuo incontro con la Fiamma d’Ambra e che hai giurato di proteggere un regno dagli usi e costumi a te sconosciuti, volevo metterti in guardia da una minaccia nascosta nell’ombra. Qualcosa che supera di gran lunga il mio potere e della mia defunta e sciocca sorella. E restando lì stesa, in panciolle, non aiuterà la tua causa.’’- replicò lui, scomparendo e ricomparendo in un batter di ciglio al fianco di Arilyn, ancora distesa nel manto verde.

‘’Perché sei così amichevole?’’- chiese la giovane, osservandolo dal basso e scorgendo la freddezza dei suoi occhi seppur il volto fosse rilassato e pallido. L’uomo sorrise, trasmettendo angoscia nella giovane che si ritrovò nuovamente avvolta dal buio.

’Voi esseri umani considerate l’amicizia la costruzione di un profondo e duraturo legame, quando in realtà è solo un espediente per non sentirvi soli. Questo, a malincuore, vi è difficile comprenderlo. Ricorda ciò che ho detto Arilyn dei Thandulircath.’’- furono le sue parole, prima di dissolversi in migliaia di piccoli sfavillii simili a lucciole rosse. Un improvviso brivido gelido le attraversò le ossa come spilli, così da costringerla a passeggiare per la città. Ogni angolo di essa nascondeva abitazioni costruite egregiamente, decorate con umili monili da sembrare creazioni della terra stessa. Lunghe catene di edera circondavano le colonne di alcune case di artisti, di facoltosi mercanti e veterani di guerra distinguendosi solo per i colori: fili di seta blu per gli artisti di ogni tipologia legati sugli steli; seta arancione od ocra per i mercanti; seta bordeaux e grigia per i veterani. Notò anche un monile con la raffigurazione di una divinità che brandiva una lancia nella mano destra ed una bandiera nella sinistra, sorridente e allo stesso tempo tenace in volto. Un uomo con una lunga barba legata in una treccia comparve sull’uscio della sua abitazione con una brocca piena d’acqua:

‘’Mi perdoni per il disturbo, ero solo incuriosita dalla raffigurazione di questa divinità.’’- disse Arilyn, cercando di nascondere l’imbarazzo.

‘’Oh non preoccuparti. Colei che vedi nel quadro è Ifheia la dea della conquista. Oltre la Dea del Cosmo, vi sono altre divinità ancestrali venerate da migliaia di popoli. Eccetto due che, secondo gli antichi scritti, vennero esiliati ed imprigionati nelle oscure profondità della terra. Sei la nuova arrivata del regno, giusto? Ho sentito parlare di te e, da buon vecchio veterano di guerra, ti dono la mia benedizione. Buona serata, cavaliere.’’- replicò lui, con un sorriso bonario mentre inumidiva e carezzava le foglie d’edera della sua dimora. La giovane Thandulircath sorrise e lo ringraziò, proseguendo la passeggiata tra i vialetti circondati di vasi, piante e lanterne di carta. Un gruppo di sentinella, intente nella loro ronda notturna, si ritrovarono sullo stesso percorso di Arilyn ma riconobbero la spilla del Regno:

‘’Signorina, la invitiamo a rientrare a palazzo. Molti abitanti, soprattutto gli anziani, non amano che qualcuno passeggi in questi vicoli seppur invitanti all’occhio. Nessun risentimento.’’- disse uno di loro, robusto e alto protetto da una spessa armatura in piastre d’osso ed elbaollite.

‘’Nessun risentimento.’’- ripeté Arilyn, imitando un saluto militare e ritornando a palazzo. Sorrideva durante il tragitto, ripensando a tutte le bellezze e ai colori dalle tonalità calde che aveva potuto osservare. Il Lynmes Alno le ricordava molto Huvendal, solo meno a contatto con la natura e con meno gruppi di sentinelle atte alle loro ronde. Giunta a palazzo, notò il Titano d’Onice seduto all’ingresso che meditava, avvolto da una lugubre luce violacea. Ciò le ricordò della divinità narrata dall’attempato uomo incontrato poche ore prima e si diresse nel suo alloggio per apprenderne le storie.
A pochi passi da esso, però, vi era una donna che attendeva pazientemente.

‘’Iridia?’’- domandò Arilyn, assicurandosi che fosse il Comandante dei Legionari e non una spia. La donna si voltò e allungò il braccio nella sua direzione. Stringeva tra le dita un ciondolo con l’effige di un lupo, ormai coperto di graffi e piccole bruciature.

‘’Essendo la testimonianza del tuo popolo, perderlo sarebbe stato disonorevole. Buon riposo, Arilyn dei Thandulircath.’’- disse lei sbrigativamente.

‘’Basta solo il nome, non vi è necessità di nominare le mie origini. Grazie.’’- rispose la ragazza, indossandolo nuovamente.

‘’Di nulla, solo Arilyn.’’- replicò Iridia, con provocazione prima di svanire nelle ombre del corridoio. La giovane Thandulircath preferì scoprire le storie delle varie divinità venerate nel Lynmes e dagli altri popoli. Scavando nella libreria della sua stanza trovò finalmente il tomo che narrava la nascita, l’adorazione e le grandi imprese compiute da ognuna di esse. Su una intera pagina era raffigurata quel che sembrava essere una gigantesca stella, avvolta da polvere stellare e al suo centro una fiamma bordeaux. Il nome di quella stella o dea era Maeris, la creatrice. Sotto la sua immensa corona di luce vi erano dodici sfere, ognuna con il proprio simbolo, nome e storia:

Amarysso, dea della fioritura e nascita di nuova vita. Nacque da una lacrima della Creatrice, il suo compito fu quello di ridonare armonia e vegetazione rigogliosa in zone colpite da cataclismi o conseguenze di guerre.

Porfyrios, dio dagli occhi violacei o volgarmente definito ‘’il dio cieco.’’ Il fulgore emanato dai suoi occhi gli consentono di vedere l’anima di coloro che lo venerano e di chi si presenta al suo cospetto, seppur impossibilitato nel vedere la loro forma fisica. Maeris la Creatrice lo prese sotto la sua protezione e lo incaricò di giudicare i popoli e i defunti.

Ceallach, il dio della guerra. Si narra che la sua alba avvenne con lo scontrarsi di due soli, ricolmi di energia, un calore quasi asfissiante e un riverbero da sovrastare quello degli altri astri. La sua strenua ed impeccabile predisposizione alla belligeranza si rivelò utile per la Guerra dei Tre Rovi.

Kreine, la dea regina degli astri lontani. Una delle dee dall’estrema benevolenza che governa antiche galassie. Venerata dai popoli predicatori delle stelle consentiva ai prescelti di conoscere eventi del passato e di come ogni anello stellare sia cambiato con il corso dei millenni. Tale dono, però, richiedeva un voto di silenzio per evitare di perdere il lume della ragione o peggio.

Tahmuras, il dio della forza. Una divinità che infondeva la sua volontà nel corpo, nell’anima e nelle armi dei soldati, consentendo loro infinite vittorie. Si racconta che quest’essere supremo discendeva sui campi di battaglia in favore di coloro che temevano la sconfitta e con la sua luce donava loro nuove energie per contrastare il nemico.

Muirgen, la dea degli oceani. Nacque anch’ella da una lacrima della Creatrice, ma cadde negli oceani cristallini della Terra dove risiedeva la Fiamma Astris. I marinai, viaggiatori e popoli che vivevano a stretto contatto con il mare gioirono per quell’inaspettato dono. La Fiamma e la Dea decisero di proteggere insieme quelle meravigliose creature che si rivelavano sempre ricche di sorprese.

Steinär, il dio delle montagne. La sua nascita avvenne per una richiesta disperata dei Nani di Montagna e di Legnoscuro. La Creatrice esaudì la richiesta scagliando un frammento del suo cuore: il Chaos. Quella gigantesca scheggia assunse l’aspetto di una stella cadente e penetrò nel cuore delle montagne espandendo tutto il suo potere come rami di fuoco. Dal nucleo magmatico della terra assunse così la sua forma corporea, mostrandosi come un gigante di ossidiana e solcato continuamente da getti e soffi di lava bollente.

Ifheia, la dea della conquista. Originalmente nata come umana e temibile conquistatrice. Alla sua morte, la Creatrice decise di tramutarla in una divinità venerata esclusivamente dai comandanti, ufficiali e capitani di frontiere. Maeris le donò la capacità di reincarnarsi, sostituendo lo spirito morente delle guerriere con il suo per continuare il loro operato.

Eledros, il dio caotico. Quest’essere divino nacque in seguito all’espandersi del potere scaturitosi dal frammento del cuore della Creatrice. La sua indole irascibile, alimentata anche dall’odio degli umani e i continui massacri, costrinsero sua Madre ad incatenarlo nelle profondità irraggiungibili della terra. Si narra che durante le notti invernali si possano udire ruggiti e gemiti provenire da pozzi e burroni.

Luqnera, dea dell’Autunno. Compagna di Gaelia, il suo compito era vegliare sul lento tramutare delle foreste, della crescita dei frutti e consentire un raccolto migliore ai contadini. Quando Gaelia morì e il tanfo nauseante di morte che i Rovi Neri portavano con sé, la Dea provò un profondo dolore che provocò danni fatali alle valli, alle popolazioni e ai raccolti. Trovò pace solo quando l’esercito delle stelle eliminò i Rovi Neri.

Sehher, dio dell’Abisso e delle Ombre. Fu il frutto della follia dei Rovi Neri, i suoi seguaci, e dello spirito corrotto del Terzo Frammento d’Ambra. Anch’egli venne sconfitto dall’esercito stellare, ma la corruzione che si sprigionò dal suo nefasto potere tramutò gran parte delle foreste in fetide paludi e mangrovie.

Arilyn restò affascinata da tutti quei nomi, seppur molti da ricordare, e dalla loro storia. Giunse all’ultima sfera, la più piccola ma luminosa come i suoi fratelli e sorelle: Eshreal, la Dea del Cosmo. Venerata dal popolo alleato di Huvendal, ovvero Darnassea. Si stupì, però, di come quel tomo non narrasse delle magnifiche gesta compiute da quell’essere supremo e di gran bellezza. Voleva leggerne ancora, assaporare le vecchie storie dei popoli che veneravano le dodici Entità, ma il sonno la stava lentamente indebolendo. Dopo essersi lavata e aver indossato una camicia da notte, spense le candele e si apprestò a stendersi sul letto:

‘’Arilyn? Chiedo umilmente perdono per l’ora, devo parlarti.’’- disse qualcuno, bussando alla porta. Cautamente la giovane Thandulircath l’aprì per trovarsi il messaggero del Concilio impassibile sull’uscio.

‘’Di cosa si tratta Morkai?’’- chiese la ragazza, nascondendo un lungo sbadiglio.
‘’Sono qui per informarti che tu ed i Legionari partirete per il primo avamposto dai noi controllato per ricevere aggiornamenti e i nuovi armamenti. Da lì nei giorni vi sposterete negli altri finché tutti non avranno difese necessarie per difendersi dai Rovi Bianchi. La partenza è prevista per mezzodì.’’- rispose il ragazzo, porgendole una lettera con il nome del luogo e di chi lo comanda. Arilyn stava per replicare, ma il messaggero era già andato via senza emettere alcun suono. Prima di addormentarsi, la giovane Thandulircath lesse il fronte della lettera dove vi erano raffigurati un falco che stringeva tra i suoi artigli una corona di agrifoglio, con scritto sottostante ‘’Il Falco è il principe dei cacciatori.’’
 
Estremo Ovest. Cittadella degli Abbandonati. Estate, notte.

Dopo l’inattesa visita del Recluso e della Peccatrice le difese della cittadella vennero migliorate e rese quasi impenetrabili dal lavoro di alcuni zadanri che vivevano nei paraggi e vennero ricompensati con una scorta di un anno di cibo. Da quando la piaga oscura dei Rovi Neri aveva ripreso il suo ciclo, molti animali vennero ritrovati sventrati o impiccati con le loro stesse interiora causando così lo scarseggiare di cibo fresco per quelle creature. Nell’unica prigione presente all’interno del palazzo reale, giunse un uomo con un pesante giaccone militare decorati da piccole cinture argentate dalla quale pendevano dei teschi di corvi. Sotto di essa indossava una camicia porpora con un cinturone pieno di fiale, erbe e minuscoli utensili. Quello che incuteva, però, maggior timore era il suo volto coperto da bende che lasciavano scoperto solo gli occhi color ardesia. Il grosso boia non appena vide il suo arrivo, si allontanò impaurito attirando l’attenzione Hrjelvul; solo le sbarre dividevano i due uomini avvolti da fasciature:

‘’Prendi, è un medicinale che ti aiuterà a guarire rapidamente dall’innaturale perdita di sangue. Voi semi immortali siete diversi da noi comuni esseri viventi.’’- disse lui, porgendo una fiala contenente un liquido scuro e denso.

‘’Oh Rogvor, il mio buon vecchio amico alchimista che viene a farmi visita. Grazie, ma sto meglio.’’- rispose il prigioniero, afferrando la fiala e osservandola.

‘’Non si direbbe dalle fasciature sporche di sangue e dalla pozza essiccata qui fuori. Bevi.’’- replicò l’uomo, con tono gelido. Giunse, dal lato opposto, il grassoccio giustiziere Wozemhri con un sorriso furbesco. Gli occhi erano alti al soffitto decorato da piccoli affreschi e più camminava con i pensieri rivolti ad altro, più ignorava la presenza del robusto alchimista. Quando i due incrociarono i loro sguardi, Wozemhri esordì come un maiale al macello:

‘’Che ci fai tu qui Rogvor? Il prigioniero è d’acciaio, non ha bisogno di cure.’’

‘’Tu, invece, di non ingozzarti di dolci alla crema. Sembri un maiale con un costume.’’- rispose con brutale schiettezza l’alchimista, scagliando uno spillo verso il bottone indebolito dal ventre pronunciato del giustiziere. La camicia si strappò, mettendo a nudo il grosso pancione e costringendolo a coprirsi con parte della giacca. L’alchimista recuperò lo spillo strattonando un sottile filo di seta che era annodato alla cruna, facendolo poi scomparire nella manica della giacca.

‘’Se è per quella storia di quell’intruglio che ti ho fatto esplodere, per errore, sul viso mi sono scusato migliaia di volte. Che altro dovrei fare?’’- domandò seccato il giustiziere, contorcendosi per nascondere la pancia ed ignorando di proposito i risolini di Vòh il boia.

‘’Provare vergogna. La stessa vergogna che provo io nel dover nascondermi.’’- replicò quasi sibilando Rogvor. Per evitare possibili battibecchi o offese verbali, Hrjelvul domandò all’alchimista il motivo della sua presenza nella prigione del palazzo, dato che raramente si faceva vedere nei paraggi o alle riunioni con il sovrano.

‘’Tutti sono a conoscenza del Recluso e della Peccatrice, ma loro come conoscono te?’’- chiese l’uomo dagli occhi d’ardesia, aprendo la cella ed entrandovi. Il prigioniero non potendo controbattere a quella richiesta, narrò della famosa e brutale Guerra dei Tre Rovi avvenuta quasi tre millenni fa. La sua semi immortalità era una conseguenza indiretta dell’immane potere derivante dalla Creatrice e la Fiamma d’Ambra. Quando quell’essere supremo lo scoprì, lo punì rilegando tutte le anime agonizzanti dei popoli nel suo corpo; in presenza del Frammento o di entità venuta a contatto con un potere divino, la pelle si ricopre di pustole e piaghe violacee infliggendo atroci sofferenze.

‘’Dalla sconfitta dei Rovi Neri e di Sehher il dio dell’Abisso e delle Ombre, ogni regno di ogni continente è cambiato. I territori del Nord, dell’Estremo Est e quelli del sud si salvarono da tale supplizio. Non sono preoccupato per il loro ritorno, ma mi preoccupa di più l’aver percepito altre fonti di energia.’’- terminò di narrare Hrjelvul, poggiando la testa alla fredda parete della cella. L’alchimista e il boia rimasero rapiti da quel racconto, ad eccezione di Wozemhri che contava quante monete d’oro avesse guadagnato quel giorno.

‘’Quindi questa dea è stata cattiva con te?’’- chiese Vòh, poggiandosi alle sbarre tenendo saldamente la presa sulla sua arma. Il galeotto scosse la testa, sorridendo malinconico. D’un tratto Rogvor si diresse nello studio del giustiziere per poi tornare con un libro rilegato in cuoio. Lo aprì fermandosi a metà di esso, posò il libro sul pavimento e facendolo scivolare in direzione del galeotto semi immortale, disse:

‘’Hai detto di aver percepito altre due fonti di energia, ma non di entità superiori. Indicale.’’

Hrjelvul fece guizzare con rapidità lo sguardo sulle pagine colme di vecchi racconti, disegni sbiaditi e inchiostro sbavato riuscendo a scovare due nomi: Eulkan Aanekhi e Isedavar. Li riconobbe e restò a bocca aperta per quella sua scoperta.

‘’Non è possibile! Nessun Araldo della Luce e Predone dell’Oscurità verrebbe nei nostri territori dimenticati dalle divinità o popoli lontani.’’

‘’L’aura di un Araldo della Luce è paragonabile al calore ed intensità di un sole. L’aura di un Predone, invece, è simile alla gelida mano della morte e della paura. Insieme, queste due figure possono essere inarrestabili e in grado di sconfiggere anche un dio della guerra. Sono le forze che hai percepito, vero?’’- chiese con tono imperioso l’alchimista, chiudendo bruscamente il libro e facendo cadere le monete dalle mani di Wozemhri che imprecò.

‘’Sì Rogvor, ma non vi è un nesso tra loro e l’imminente Epoca Oscura. Non credo sia un trucco della Dea Eshreal per riappacificare questi due popoli e, dunque, non…’’

‘’Lo è. L’Araldo della Luce è dai Rovi Rossi mentre il Predone dell’Oscurità è dai Rovi Bianchi.’’- lo interruppe, uscendo dalla cella e aspettando anche il grassoccio giustiziere. L’incredulità del prigioniero era ben visibile, nonostante le bende sporche. Il boia, invece, sonnecchiava poggiato alla parete opposta alla cella del tutto ignaro di quello che stava accadendo.

‘’Le tue spie di frontiera, vero? Quasi cinquant’anni che sono qui, dovrei conoscere tutti i vostri segreti eppure non è così. Buonanotte, e lasciate i candelabri accesi cortesemente.’’- asserì Hrjelvul, picchiettando con il pugno sul muro, rivelando una brandina nascosta per poi stendersi su di essa.

Nella piazza centrale dove si ergeva la Torre dell’arciere Tyarjes, invece, il turno di vedetta toccò a Fjolvor. Grazie all’ausilio di piccoli specchi magici che reagivano all’ambiente, non aveva bisogno di spostarsi per tutta la torre. I suoi occhi guizzarono da uno specchio all’altro finché non notò l’avanzare frenetico di alcune creature dalla stanza imponente e ricoperti di melma viscida. Brandì il suo arco, ma udì anche altri due rumori provenire dalla punta della torre:

‘’Non li hai visti solo tu. Quei Krinxs non sono pacifici!’’- esordì Nyr’kyl, caricando la sua balestra a ripetizione, aiutato da sua sorella. Fjolvor diede l’ordine e una pioggia di dardi dalla punta in ottone cadde su quelle bestie simili a giganti e dalla pelliccia di lupo. Le frecce penetrarono con un sibilo nelle loro carni, trapassando gli occhi, il petto e ginocchia. Il sangue e la melma viscida schizzò sul terreno, accompagnata da rantoli mostruosi. Qualcuno suonò un corno dalle torri opposte, piccole sfere infuocate piovevano sul terreno e gemiti terrificanti echeggiavano nell’aria: uno zadanri legò una bomba nera sul suo quadrello che, una volta sparato, esplose sul cranio della bestia generando accecanti lingue di fuoco.

‘’La piaga dei Rovi Neri ha soggiogato alcuni Krinxs. Dobbiamo subito farlo presente al Concilio del Lynmes.’’- disse Fjolvor, saltando dalla torre e scendendo sulle mura. Corse a perdifiato e scagliò tutte le sue frecce finché l’avanzata delle bestie non si arrestò del tutto, mentre la terra intorno ardeva.
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Fyrisvellir. Estate, mattina.

Non appena il sole si destò, illuminando e avvolgendo con i suoi caldi raggi le vallati verdeggianti, il giovane Darrien radunò un plotone di centocinquanta uomini pronti a raggiungere il primo avamposto poco fuori il regno. Un capitano di frontiera si offrì volontario per scortarli lungo un percorso sicuro, così da evitare trappole ed imboscate fatali. In groppa a dei glerrus, quadrupedi simili ad equini ma dalla pelle squamosa e testa di una lucertola spinosa, il capitano narrò di come l’avamposto fosse una semplice piana paludosa governata da un mezzo silvano che si occupava di curare la vegetazione che la circondava. Quando il Re Galeren decise di occuparla sotto la sua bandiera, il governante del luogo accettò cordialmente.

‘’Invito formale o con la forza?’’- chiese Darrien, conoscendo alla perfezione l’indole dell’uomo.

‘’Se per formale intendiamo di persona, è stata la sua compagna a chiedere di annettere la terra al Regno dei Rovi Bianchi. Come tutti i capitani di ogni avamposto del Draal, il loro potere e controllo è rimasto intatto ma in caso di guerra devono comunque unirsi.’’- rispose l’uomo da sotto il pesante elmo in rame. Superata una fitta vegetazione, il plotone venne investito da uno strano odore di miele e salvia che rese l’avanzamento piacevole. Giunti ad una ripida discesa di una collina, si poteva già intravedere a pochi chilometri la piana paludosa e una immensa costruzione di pietra bianca decorata da robuste edere, protetta da mura fatte interamente di emplectite e rinforzate da cortecce di Legnoscuro. Evitando le pozze d’acque colme di ninfee in fiore, i soldati giunsero finalmente alla fortificazione dove ad attenderli vi era un gruppo di soldati con indosso armature fatte dello stesso materiale delle mura.

‘’Finalmente ci inviano uomini. Sono quasi tre mesi che attendiamo! Il Re Galeren ha preso una decisione alla fine.’’- esordì un uomo con un lungo mantello che gli arrivava alle ginocchia; doveva essere uno dei generali.

‘’In realtà visitare i vari avamposti è stata una mia decisione, non del Re. Lui dovrà inviare solo i rinforzi se necessari. Ho assunto il comando dell’esercito con votazione unanime.’’- rispose Darrien, avanzando di pochi passi in groppa al glerrus. I vari soldati si scambiarono sguardi di stupore e perplessità, altri impallidirono credendo che fosse accaduto qualcosa di eclatante per far subentrare qualcuno di sconosciuto.

‘’Giovanotto, qual è il tuo nome? E, soprattutto, Batkiin dove è?’’- domandò il cavaliere con il mantello.

‘’Batkiin è stato destituito dal suo ruolo ed è qui con noi, nel plotone. Prenderà posto in uno dei vostri avamposti, ma non ho ancora scelto di preciso quale. Io sono Darrien, figlio di Searlas. Provengo da Huvendal. Convinto di essere l’ultimo dei Varg, ho scoperto che mia madre è la vostra Regina…’’- rispose il ragazzo, non celando il suo disgusto per un vile tradimento.

‘’Cosa? La Regina ha avuto un primogenito e noi non sapevamo nulla? C’è del marcio nel Draal.’’- asserì uno dei soldati, ricevendo una sonora sberla sulla nuca per la sua mancanza di rispetto.

‘’Onorati di conoscerla messere Darrien. Se siete qui per il capitano Sador, lo trovate nel suo giardino pensile all’esterno del palazzo. Seguite il viottolo di perle, è facile.’’- replicò il generale, ordinando alle sentinelle sulle mura di aprire il cancello. Una volta all’interno, centinaia di case di legno decorate da edera bruna e gelsomino azzurro lasciarono esterrefatto il giovane comandante. La terra, seppur di natura paludosa, donava un tocco quasi surreale alle strade costruite in ciottoli bianchi come la neve: particolare che si notava subito erano le fessure che brillavano sotto i raggi del sole, come se tante piccole pagliuzze d’oro fossero state fuse.

‘’Quello che noti Darrien non è oro ma ambra. Il nostro capitano trovò un residuo della Fiamma d’Ambra anni fa e, per evitare che andasse perduta, la usò per decorare le fessure delle strade. Da allora, seppur questa landa paludosa spaventi e disgusti, tali sentieri così decorati rendono il tutto piacevole.’’- disse Batkiin, avvicinandosi quasi di soppiatto al destriero del ragazzo. A pochi metri dal giungere al giardino pensile Darrien sì fermò impartendo diversi ordini, come i turni di vedetta e ronde per tutto il perimetro.

‘’Vi dividerete in quindici gruppi, ognuno composto da dieci soldati. I primi cinque gruppi si occuperanno delle ronde di guardie all’esterno delle mura sistemandosi in una formazione a stella. Il secondo gruppo si occuperà delle mura interne e della sicurezza degli armamenti. L’ultimo, invece, pattuglierà sul camminamento e farà da vedetta in caso arrivino potenziali minacce dai vari fronti. Prendete queste pergamene, vi verrà spiegato dettagliatamente cosa fare. Rompete le righe!’’- terminò di dire Darrien, attendendo che tutti eseguissero gli ordini come scritto dalle pergamene che lui stesso aveva stilato e consegnato. Insieme a Batkiin, lasciò i destrieri ad uno scudiero lì vicino e seguirono la stradina di perle che li condusse ad un porticato in legno di rovere con intarsi dorati. Sulle loro teste si estendeva un lungo manto di passiflora, mentre ai piedi delle colonne del porticato vi erano grandi vasi colmi di viburno e alloro. Avvertirono una soave melodia provenire dalla fine del giardino pensile, seguita dal lento frusciare delle piante.

‘’Capitano Phorcys Sador?’’- chiese Darrien, notando una figura alta e coperta da un mantello intenta a cantare e a sfiorare gli esili steli facendo nascere, come per magia, tanti fiori variopinti. Quando l’individuo si voltò, mostrò in tutta la sua umile nobiltà e essenza: le braccia, le mani, il petto e parte del collo erano interamente lignei come se fossero avvolti da tessuto brunastro mentre il resto del corpo era normale. I suoi occhi ambrati tradivano innocenza e sorpresa.

‘’Sì? Desiderate?’’- domandò il Capitano, mostrandosi nella sua completa eleganza. La sua stazza sembrava simile a quella del giovane Darrien ma non appena si avvicinò di qualche passo ai due uomini, il ragazzo dovette alzare la testa.

‘’Io sono Darrien, comandante dell’esercito reale. Lieto di conoscerla, Capitano.’’- rispose il ragazzo, tendendo la mano verso il mezzo silvano. Gli occhi del capitano Sador si socchiusero quasi in minuscole fessure, lasciando intendere perplessità.

‘’Quel lumacone di Galeren ha mandato centocinquanta uomini in questa terra? Così come un fiore che non può crescere in zone aride, lui stesso non può aver cambiato indole nei confronti dei suoi uomini.’’- asserì lui, facendo germogliare un fiore dalle sue mani lignee per poi essiccarlo.

‘’Il Re Galeren non ha preso alcuna decisione, bensì il comandante Darrien. Dopo un acceso diverbio, si è giunto ad un patto. Il Re si limiterà ad inviare rinforzi se necessari, mentre il nostro comandante si occuperà di ogni azione bellica o di natura negoziativa.’’- rispose Batkiin, intromettendosi in quel breve dialogo ma allo stesso tempo teso. L’essere silvano sorrise e applaudì con veemenza.

‘’Pur non essendo stata la sua consorte a farlo rigare dritto, tu ragazzo hai avuto sangue freddo e tenacia. Mi congratulo con te. Prego, seguitemi.’’- disse il Capitano, precedendoli durante il cammino nel mentre sotto i suoi piedi germogliavano nuovi fiori che ricoprivano le perline del vialetto. All’interno della residenza, i tre cavalieri focalizzarono la loro discussione sui punti più deboli del Draal e dell’eventualità di costruire cinta murarie munite di cannoni e granatieri oppure trappole esplosive nascoste nell’acqua paludosa. Nel mentre Batkiin e Sador conversavano, il giovane dei Varg osservava le varie mappe dei confini indeboliti, i punti strategici per predominare e ottenere un vantaggio sul nemico. Si rese conto che molti di quei luoghi erano posizionati in zone difficili da poter rinforzare e propose l’unica idea sensata:

‘’Non credo che la costruzione di cinte murarie con cannoni possa aiutare. Troppi materiali e poco tempo. Degli specchi ustori potrebbero, invece, fare al caso nostro. Posizioniamo una decina di specchi sulle mura e a pochi metri dall’avamposto in modo tale da poter indebolire gli invasori.’’- terminò di dire, creando una bozza degli specchi e porgendola al Capitano che osservò con interesse le bozze delle armi naturali.

‘’Idea eccellente. Per vostra fortuna nel mio avamposto vi è un soldato in grado di costruire tali armi. Signor Darrien, la ringrazio per la sua collaborazione. Da quel che ho udito, lei deve proseguire per gli altri punti di controllo, è corretto?’’- chiese Sador, custodendo quel minuscolo progetto nelle tasche del suo pantalone di tela.

‘’Confermo. Devo raggiungere gli avamposti Tara, Uldronoss e Jossul. Non conoscendo questo regno e i possibili pericoli che nascondo, qual è il più vicino?’’- replicò Darrien con un’altra domanda. Il Capitano sorrise, conoscendo benissimo il disagio dei nuovi arrivati.

‘’Il più vicino è l’avamposto collinare Tara. Lo si può raggiungere percorrendo la foresta di mangrovie e l’acqua paludosa ormai bassa. La avverto. Tenga alta la guardia, la foresta non ama ospiti indesiderati o che abbiano un’aura così oscura come la tua.’’- rispose il Capitano Sador, porgendogli una lettera ed una mappa per raggiungere nel più sicuro la meta. Il giovane restò attonito da quelle parole, ma sorrise appena.

‘’Tutto ciò mi lusinga. Vuol dire che i nostri futuri rivali ci temeranno quando sarò presente. Quanto tempo impiegherò per arrivare…’’- Darrien si fermò, udendo qualcuno bussare con veemenza fuori l’ufficio del Capitano. Batkiin andò ad aprire, trovando un soldato ricoperto di fango e sudore che respirava a fatica.

‘’Krinxs! Ci stanno attaccando! Provengono dalla foresta di mangrovie e dal terreno!’’

I tre cavalieri corsero all’esterno, notando colonne di fumo nero che si estendevano al cielo oscurando la luce del sole e udendo grugniti rabbiosi provenire dalla prima cinta di mura dell’avamposto. Darrien corse verso un montacarichi e tranciò di netto la corda che lo catapultò sui merli, guadagnando una perfetta visione: creature enormi con le fattezze di un troll, di un gigante e un lupo cercavano di far breccia nel perimetro. La loro pelle squamosa e ricoperta di melma viscosa putrescente disgustò Darrien, costringendolo ad usare la sua oscurità. Fasci serpeggianti trafissero le gole e le teste di quelle orride bestie, creando schizzi di sangue grigiastro sulle pareti; alcune gocce, per il violento impatto, piombarono sulla carne degli arcieri liquefacendola tra atroci urla. Raccolse un dardo, immerse la punta nel sangue acido e ordinò ad un balestriere di far fuoco su una di quelle bestie. Il balestriere eseguì l’ordine e con un singolo scocco il proiettile si conficcò nell’occhio vitreo di uno dei Krinxs trapassandolo da parte a parte. Il sangue acido, seppur linfa vitale per loro, si rivelò letale a contatto con l’aria e distrusse i loro tessuti esponendo le ossa.
Darrien, stanco di aspettare, scese dalle mura usando una carrucola che si trovava vicino una delle torri di guardia e tranciò le loro membra ed arti con movimenti energici. Altri soldati e i centocinquanta uomini del Regno dei Rovi Bianchi misero a repentaglio la loro vita per salvare il loro comandante da morte certa conficcando le spade, i tridenti e le lance nello loro fauci e strappando i cuori dal petto.

‘’Soldati concentrate i fendenti sui loro arti! Balestrieri fuoco!’’- ordinava a gran voce Darrien, mentre la sua lama si faceva spazio nel corpo di un Krinxs che cercava di azzannarlo, finendo per essere eviscerato da un violento colpo. Dei dardi incendiari piombarono sui nemici, rendendo l’aria irrespirabile ed esplosero sulle teste delle belve, ricoprendoli di olio cocente. Quando l’assedio terminò, centinaia di corpi in liquefazione e smembrati giacevano al suolo o nelle pozze d’acqua paludosa tingendole di grigio.

‘’Rapporto soldato!’’- disse Darrien ad un soldato che reggeva a malapena sulle sue gambe.

‘’Abbiamo perso un plotone di sessanta uomini, dieci di cui arcieri. Le mura esterne sono danneggiate in più punti, servirà una settimana o due per riparare il tutto. Ci è giunta notizia che prima di noi, i Krinxs hanno attaccato in minor numero la Cittadella degli Abbandonati alleati dei Rovi Rossi. Si registrano quasi cento feriti nei reparti.’’- rispose lui, togliendosi dalla divisa brandelli di carne marcia.

‘’Oltre ai Rovi Rossi dobbiamo vedercela anche con queste luride belve.’’- pensò Darrien, pulendo la spada nell’acqua paludosa. L’intera landa era un cimitero di corpi circondato da una corona di fiamme e morte.
 
Lynmes Alno, Regno dei Rovi Rossi. Avamposto Soros. Estate, mezzodì.

La brezza estiva, seppur piacevole e donatrice di intensi profumi, stava attanagliando le narici dei condottieri in marcia verso l’avamposto Soros. Odori intensi che trasudavano morte ed angoscia che provenivano da terre lontane. Arilyn cercava di proteggersi con un fazzoletto di velluto da quelle sgradevoli fragranze, inutilmente mentre avanzava in groppa ad un destriero corazzato tra le fronde degli alberi che avevano raggiunto il suolo. I lunghi coltelli dei soldati in prima linea tranciavano con violenza quei rami spogli che ostacolavano la vista, cadendo e spezzandosi sotto gli zoccoli dei quadrupedi. Da dietro gli alberi, alcune creature silvane osservavano curiose quella carovana di uomini protetti da possenti armature comunicando tra loro con strani ma innocui versi. D’un tratto il loro cammino venne sbarrato da una creatura che giaceva morente nel fango, sporca di sangue rappreso sul pelo e con diversi lembi di carne mancanti. Il Comandante dei Legionari brandì immediatamente la spada, pronta a mettere fine alle sofferenze dell’animale ma venne fermata dalla creatura stessa:

‘’Peste oscura avere attaccato noi Krinxs. Miei fratelli e sorelle impazziti, affamate di carne. Fare attenzione, molto pericolosi…’’- disse l’essere, cercando di imitare la lingua umana. Iridia smontò dal suo destriero e si avvicinò cauta alla bestia, incuriosita da quelle parole seppur dette in modo grossolano.

‘’Sono stati i Rovi Neri? I tuoi fratelli e sorelle hanno attaccato altri avamposti o villaggi oltre al tuo?’’- chiese la donna, osservando gli enormi squarci sui fianchi e come gli arti inferiori ed uno superiore furono strappati con violenza.

‘’Avere attaccato Cittadella degli Abbandonati e altro avamposto di Rovi Bianchi. Cercato di impedire loro attaccare. Loro punito per tradimento…’’- rispose con un rantolo profondo il krinxs, sputando un grumo di sangue compatto dalle sue fauci.

‘’Ci sono feriti? Parla!’’- replicò Iridia, intimorendo la creatura morente con la punta della spada sulla sua gola. La sua rabbia fece brillare di un cupo rosso la sua armatura, costringendo gli altri ad indietreggiare. Il krinxs allontanò la lama con i suoi artigli e rispose:

‘’Cittadella degli Abbandonati salva. Io visto massacro con miei occhi. Krinxs morti, umani salvi. Loro grandi guerrieri. Voi salvare ultimi krinxs ancora vivi. Per favore.’’- furono le ultime parole della belva, prima di ricoprirsi di una viscida melma nera e diventare un ammasso di putridume. I suoi acuti strilli vennero arrestati da un singolo colpo di spada tra le fauci.
Giunti nell’avamposto, Arilyn e i Legionari rimasero affascinati dalle intricate e complesse costruzioni che si innalzavano al cielo quasi a raggiungere la maestosità delle querce e a fondersi quasi con loro. Le mura erano costruite con massicci tronchi di frassino rivestiti da elbaollite, dotati di lunghi ed affilati spezza-lame che formavano quasi una rete quadrata su ogni lato. Le torri difensive presentavano delle ventiere costruite con scaglie di qualche animale leggendario dato lo strano alone che emanavano, mentre la merlatura di tutta la cinta muraria era stata edificata con l’uso di arbusti di rovi, dipinti di rosso e decorata con foglie di pietra dello stesso coloro. L’Istinto di Arilyn, però, iniziò a fremere tramutando la sua sorpresa in pura allerta. Udì un qualcosa scattare e fendere l’aria con dei sibili. Prontamente usò i suoi poteri per creare una barriera di luce accecante che mandò in frantumi delle lance rudimentali. I soldati alzarono i loro scudi e crearono una griglia di metallo splendente per proteggere i Legionari e loro stessi.

‘’Siete impazziti soldati? Dobbiamo fare rapporto al Concilio e farvi marcire nelle segrete?’’- domandò Iridia, colma di rabbia. Ci fu dapprima un breve silenzio, poi qualcuno imprecò e richiamò l’artefice dell’attacco:

‘’Stolto, ti avevo detto che erano nostri alleati! Apri loro il cancello o uso le stesse lance per tramutarti in groviera. E sai benissimo quanto io ami quel tipo di formaggio.’’- esordì un condottiero con una grossa armatura simile ad una cipolla, mascherando quella minaccia in una allusione al cibo. La terra iniziò a tremare, innalzando cumuli di fango e polvere. Una parte della fortificazione si abbassò lentamente sprofondando nel terreno. Il plotone varcò quella soglia, venendo accolta dagli altri alleati con entusiasmo.

‘’Legionari, con me. Dobbiamo informare subito il Capitano del nostro arrivo. Arilyn, tu vieni con noi.’’- disse Iridia, lasciando che l’elmo di rovi si ritirasse nell’armatura mostrando il viso delicato ma che esprimeva durezza. Lasciarono i cavalli ad alcuni scudieri e si diressero verso un grande albero che fungeva da abitazione del capitano, anch’esso dotato di torri e ballatoi dove vi erano balestrieri armati fino ai denti. Appena varcata la soglia, la pesante porta di legno si richiuse dietro di loro con violenza rivelando la presenza di uno dei soldati armato di lancia ed indirizzata contro Arilyn. La ragazza estrasse la sua spada e convocò il suo potere pronta ad attaccare.

‘’Traditori! Portate una sconosciuta dotata di questa arcana stregoneria nel nostro avamposto? Perirai qui, senza esitazione!’’- ruggì il soldato, balzando con rabbia contro la giovane Thandulircath che contrattaccò con un montante. Lo scudo parò il duro impatto, ma si ricoprì di crepe luminose che giunsero fino ai bordi incrinandoli. Il soldato tentò un affondo sulle ginocchia della ragazza, fallendo e ritrovandosi la lancia distrutta con un calcio. Arilyn stava per attaccare quando risuonò nella sala una piccola campana, richiamando all’attenzione i presenti:

‘’La nostra giovane ospite non si è lasciata intimorire da questo…bambinesco trucco. Affascinante, hai dimostrato di avere sangue freddo.’’- esordì una voce femminile dall’oscurità di alcuni ballatoi all’interno dell’abitazione. I passi, leggeri ma rapidi, preannunciavano l’arrivo di qualcuno. Arilyn era confusa nel vedere i Legionari, tranne Iridia, sorridere e salutare amichevolmente il soldato corazzato. Dalla penombra degli scaloni comparve una donna dal fisico seducente e occhi felini, con una carnagione olivastra. I capelli, lunghi e neri, le ricadevano sulle spalle e sulla schiena come un lungo velo da sposa; solo due ciocche bianche le cingevano il capo, avvolte in una minuscola treccia e tenute insieme da una spilla a forma di falco. Indossava una divisa rossa decorata da ricami grigi raffiguranti le spine dei rovi, con una fila di bottoni argentati e un pantalone di tela. Sulla schiena era possibile intravedere il manico di un’arma innastata, anch’essa decorata sfarzosamente.

‘’Considerala una cerimonia di benvenuto. Anche i Legionari hanno ricevuto lo stesso trattamento e, una di loro non ha gradito molto.’’- disse la donna volgendo lo sguardo su Iridia che a stento tratteneva la rabbia, mascherandola con un sorriso poco convincente. Il soldato che precedentemente aveva attaccato Arilyn, fece scomparire lo scudo danneggiato in una intercapedine del muro e posò la lancia sul supporto vicino l’immensa porta.

‘’E per quella sorpresa non gradita, ho rischiato di perdere un occhio.’’- rispose il lanciere, indicando la cicatrice marcata sotto la palpebra sinistra che si estendeva, come una piccola saetta, di poco sul labbro superiore. La donna scese la grande scalinata e si diresse da Arilyn, che stringeva ancora la spada brillante nella sua mano e nell’altra il suo innato potere che serpeggiava e saettava in diverse direzioni:

‘’Io sono Jelka Kaur, principessa guerriera dell’avamposto Soros. Il Concilio mi ha informato del vostro arrivo e di questa splendida Thandulircath. Come ti chiami, giovane cavaliere?’’

‘’Arilyn Saavick. Non ho gradito questo bambinesco trucco. Potevo ucciderlo!’’- replicò infastidita la giovane, rinfoderando la spada e placando il suo potere.

‘’Oh, ti ci abituerai. In guerra ci sono fin troppi eventi cupi e macabri, qualche burla non guasta mai. Adesso seguitemi, così da potervi rivelare le varie informazioni che i miei amati soldati hanno raccolto dai vari avamposti. Siete fortunati, dato che tre di loro sono già qui.’’- disse Jelka, invitando i Legionari ed Arilyn a seguirla nei piani superiori della sua residenza arborea. La giovane Thandulircath, nonostante la seccatura per quel benvenuto, apprezzò le complesse e studiate decorazioni sulle pareti che si estendevano lungo le colonne decorate da perline in osso. Tra i vari ghirigori vi erano anche delle rune di difesa incise e dipinte di rosso, ognuna di essa con la propria origine e forma. Poteva udire, nelle varie stanze che la residenza disponeva, rintocchi metallici e gorgoglii di liquidi che emanavano strani odori e boati. Più salivano, più la ragazza constatava che quella immensa scalinata assumeva la forma di una chiocciola, divenendo sempre più scura ed illuminata da poche lanterne alimentate da fuoco magico. Non appena giunsero al pianerottolo superiore, la porta dell’ufficio si aprì rivelando una grande stanza con un largo tavolo al centro colmo di carte e mappe topografiche. Seduti al tavolo vi erano tre capitani, entrambi con i colori dei loro avamposti d’origine: il primo seduto alla sinistra del tavolo aveva capelli rossicci corti, una folta barba legata in una treccia e un anello a fare da fermaglio, occhi infossati e neri che uniti alla penombra della stanza lo rendevano inquietante. La possente corazza sembrava essergli stata modellata sul corpo, risaltando la sua stazza e forza. L’emblema dorato sulla spalliera destra raffigurava una montagna circondata da una corona di spine. Al suo fianco pendeva un picco d’armi dall’aspetto minaccioso e a pochi metri da lui una carabina con un sacchetto di polvere nera che pendeva dalla canna. Al lato destro del tavolo, invece, vi erano due donne entrambe con lunghi capelli castano chiari e legati in una coda alta, con lineamenti marcati ma allo stesso tempo delicati. Indossavano una camicia verde oliva con decorazioni ambrate sul bavero. L’armatura leggera che indossavano sembrava esser stata forgiata con lo stesso materiale usato per le torri dell’avamposto, donando anche a loro lo spirito combattivo. Caratteristica che le rendeva diverse, però, erano gli occhi e parte della loro armatura: il capitano superiore lo si riconosceva dal mantello a mezza ruota rossiccia, tendente all’arancione che indossava sulle spalle. Gli occhi erano grigi con qualche sfumatura di azzurro, rendendola affascinante ma terrificante. Entrambi gli arti superiori erano protetti da vambrace spinati e con il sigillo dei Rovi Rossi.

Il vice-capitano, invece, indossava una cappa grigia rettangolare che le ricopriva le spalle. I suoi occhi nocciola tradivano l’espressione gelida che aveva assunto il suo viso, condito anche dai guanti artigliati che indossava. Sui loro fianchi pendevano dei baselardi e un cannone da mano.

‘’Vi presento Dunnstan Ryo, Primo Capitano dell’avamposto montanaro Kyatolos. Comunica nella Lingua Invisibile, avendo fatto voto di silenzio in seguito ad un evento tragico. Loro due, invece, sono Kalanthos Chriyse e Themis Adastreia, rispettivamente Capitano Superiore e Vice dell’avamposto collinare Resopha Esari.’’- terminò di dire la donna, invitando tutti gli altri ospiti a sedersi. Arilyn preferì sedersi sul fondo, osservando i capitani intenti a sistemare i loro rapporti di guerra. Le discussioni iniziarono immediatamente, spostandosi sulle condizioni degli armamenti e dei soldati ai costi per trovare dei guaritori esperti fino a giungere alle strategie di spostamento rapido senza dare nell’occhio. Avvertì una falotica presenza provenire dalla sua sinistra e notò lo spettro di Gallart, nuovamente con il suo sorriso da gelido assassino.

‘’Sparisci.’’- sussurrò flebilmente Arilyn, desiderando che quella vile carogna si volatilizzasse. Qualcuno riuscì a riportarla nel mondo reale chiedendo:

‘’Hai idee su come spostarci rapidamente senza essere scoperti, giovane Thandulircath?’’- domandò il Capitano Superiore, con aria quasi seccata. Arilyn osservò la mappa, identica a quella vista a palazzo solo più estesa e dettagliata. Si ricordò del piano condiviso e lo sfruttò nuovamente per replicare:

‘’Gallerie sotterranee con rotaie e carri da miniera. Delle creature instancabili e forzute daranno la spinta per muoverci e ad ogni punto di controllo vi sarà un soldato del Regno e uno dell’avamposto corrispondente. Per le creature potremmo chiedere ai…krinxs. Spero sia questo il loro nome.’’
Dunnstan volse lo sguardo verso Jelka, l’unica capace di comprendere la Lingua Invisibile. Dopo un breve gesticolare e movimento delle labbra, la principessa guerriera e capitano replicò:

‘’Dunnstan approva l’idea, ma trovare dei Krinxs che non siano stati soggiogati dalla Peste Oscura è alquanto difficile. Sono creature restie al contatto umano, soprattutto ora che siamo in guerra. Nel suo avamposto montanaro ha alcuni zadanri instancabili, volendo può portarne alcuni. Kalanthos e Themis? Voi cosa ne pensate?’’

‘’Solo due soldati a sorvegliare i punti di controllo non bastano. Possiamo prestarvi i nostri Wol, utili per il combattimento e mansioni quotidiane. Non mangiano molto e la loro forza deriva dalla conformazione cranica, unita alle corna acuminate.’’- esordì Kalanthos con voce quasi assonnata. Il vice-capitano si limitò ad annuire, scrivendo su un foglio lì vicino ogni informazione importante nel mentre il Comandante dei Legionari mostrava ai vari capitani lo schema delle gallerie con delle puntine da disegno e dello spago rosso, quasi a creare una ragnatela. Giunse il momento di mostrare le nuove armature per affrontare l’autunno e l’inverno; quest’ultimo era rigido, con nevicate continue e temperature che potevano uccidere anche il mammifero più resistente. Nel mentre che il grande tavolo veniva ripulito dalle scartoffie, Arilyn strinse il suo medaglione avvertendo un tenue calore sui polpastrelli della mano destra. Notò piccole sfarfallii su di essi, come se il suo innato potere si stesse fondendo con una fiamma invisibile. Qualcosa o qualcuno di molto potente era nei paraggi, e solo lei era in grado di avvertire quell’aura.

‘’Thandulircath, perché esiti ad alzarti?’’- chiese improvvisamente Iridia, attendendola all’uscio dell’ufficio con sguardo torvo.

‘’Riflettevo, per questo esitavo ad alzarmi. Azione abituale che tutti dovrebbero fare, come ricordarsi i nomi.’’- replicò con lo stesso sguardo Arilyn, punzecchiandola pur sapendo di mancarle di rispetto. L’armatura spinata della donna si tinse di rosso, ma ritornò subito normale.

‘’Va bene, Arilyn. Quel lardoso energumeno che ti importunò nella taverna qualche settimana…che fine ha fatto?’’- domandò con un sorriso volpesco la donna sistemandosi i capelli in modo da non finirle sul volto. Quel repentino cambiamento d’umore non piacque molto alla giovane, accrescendo l’intensità del calore nelle sue mani e nella spada che vibrava nel fodero. Il ricordo di quel soldato dal ventre pronunciato e dall’odore nauseabondo le fecero brillare gli occhi di una abbagliante luce dorata, creando piccole venature sopra e sotto gli occhi. Li richiuse, placando l’improvvisa rabbia e rispose con freddezza:

‘’Decapitato. Il suo insulso cadavere è scivolato nella corrente del fiume lì vicino. Hai altro da chiedermi? A giudicare dal tuo sguardo vorresti farmi la predica per come ferisco il tuo orgoglio vero?’’- domandò avvicinandosi, dandole testa.

‘’Non immagini quanto io desideri fartela, ma non si addice ad un comandante. Il Concilio ti reputerà pur la nostra salvezza, ma non credere che il tuo passato burrascoso e le guerre compiute possano renderti speciale. Muoversi, ora.’’- replicò Iridia, socchiudendo gli occhi e poggiando la fronte a quella di Arilyn. I loro sguardi erano colmi di emozioni contrastanti, come il rossore formatosi sulle guance di entrambe. La giovane Thandulircath con una leggera spallata allontanò Iridia, dirigendosi alla grossa scalinata a chiocciola alla ricerca degli altri compagni.
Una volta all’esterno dell’enorme albero, il gruppo si diresse dietro la residenza dove si ergeva una struttura esagonale priva di qualsiasi decorazione ma ben protetta da alcuni soldati, inferriate di ottone, un lucchetto che andava aperto con uno specifico sigillo e un muretto di nodosi rovi acuminati che si muovevano minacciosi. Jelka invitò i Legionari, i Capitani ed Arilyn ad entrare in quello che sembrava essere un deposito per gli armamenti. All’interno, tra la polvere e ragnatele, vi erano decine di bauli accatasti l’uno sull’altro con vari simboli di altri regni tra i quali quello dei Vadmadra.

‘’Nei vari bauli troverete diversi indumenti, parti di armature e potenziali armi utili per l’autunno e l’inverno. Gli altri bauli invece verranno inviati alle rispettive zone, evitando possibili tafferugli con gli scudieri.’’- disse Jelka, mostrando le gigantesche casse con i rispettivi nomi dei luoghi. I Legionari si diressero subito alle casse più vicine l’uscita, i tre Capitani preferirono bauli semplici in legno ed Arilyn ispezionò con metodicità tutti gli altri. In alcuni di essi trovò pugnali da lancio dalla lama seghettata vantaggiosi per eliminare silenziosamente nemici, ma gli indumenti erano troppo grandi per la sua corporatura o troppo appariscenti. Lasciò per ultimo quello dei Vadmadra, dedicandosi ad altri molto più vecchi abbandonati in fondo la stanza e trovandovi, a malincuore, un paio di guanti che arrivavano a metà polso, dei triboli e degli aghi da lancio tenuti da un piccolo fermaglio in acciaio. I Legionari e i Capitani avevano già trovato il necessario per affrontare le future temperature e Arilyn si sentì amareggiata nel non aver trovato nulla che avesse uno scopo preciso:

‘’Ciarpame…’’- sospirò, constatando la scarsità degli elementi. L’unico baule rimasto fu quello dei Vadmadra e così, la giovane Thandulircath, si decise ad aprirlo: al suo interno trovò un mantello di lana con cappuccio foderato in pelliccia, un vambrace con rovi viventi che iniziarono ad emanare un fulgore dorato e a muoversi come serpi ed un contenitore con della cera giallastra dall’odore acre, quasi pungente. Decise di indossare quel mantello e quello strano vambrace, non avendo uno zaino dove poterli ben custodire. Una volta indossato l’equipaggiamento volle provare quella strana cera: con due dita prese una piccola quantità di quella sostanza a tratti grumosa e la poggiò sul mantello. Per il volere di una forza misteriosa, la cera prese vita e penetrò nelle fibre dell’intero indumento lasciando una patina grigiastra.

‘’Hai buon gusto, giovane Thandulircath. Suppongo che, dal luogo dove provieni, hai già avuto a che fare con il popolo vadmadriano. Sono eccellenti guerrieri, nonché esperti delle varie arti tessili e magiche. La cera su quel mantello è una delle loro tante creazioni.’’- constatò la Vice Capitano Themis, osservando con interesse gli oggetti trovati da Arilyn.

‘’Il popolo dei Vadmadra giunse ad Huvendal dopo la sconfitta della Regina di Ghiaccio, condividendo con noi antiche storie e conoscenze. Senza chiedere nulla in cambio.’’- rispose la ragazza, sistemandosi il mantello sul fianco così da coprire solo la spada. Nell’udir il regno d’origine, Kalanthos si meravigliò e domandò curiosa:

‘’Vorresti dire che tu hai sconfitto la Regina di Ghiaccio con l’esercito huvendaliano e sei la stessa ragazza che ha fronteggiato il Re della Prima Fiamma Arcana senza ripercussioni?’’

‘’Se per ripercussioni intendi il rimorso, no. Esseri spregevoli come loro due, guidati da ambizioni diverse che avevano in comune solo la sofferenza dei popoli non meritavano di restare in vita.’’- asserì duramente Arilyn, ricordandosi della morte di suo padre e del tradimento di Ryre. Dopo un breve momento di imbarazzo, Jelka suggerì di non restare in panciolle e di fare rapporto al Concilio inviando subito alcune scorte di viveri e rifornimenti. Con un fischietto ricavato da una vertebra di qualche strano mammifero, il Capitano dell’avamposto richiamò una bestia dall’imponente stazza, con tre paia di zampe artigliate, ali meravigliose dalle piume sgargianti che si estendevano per una lunghezza di tre braccia, un becco grande quanto una mano e occhi simili a quelli di un rettile. Un predatore impareggiabile.
Due soldati si occuparono di legare le prime casse con diversi nodi per evitare che andassero perdute durante il volo. Una volta eseguita la mansione e concesso al predatore di avere libertà di movimento, un altro fischio leggermente più acuto fu il segnale di partenza: con un semplice balzo, il volatile si librò in volo e sparì oltre la vegetazione. Una volta all’esterno del magazzino i Legionari ed Arilyn lasciarono i capitani a discutere sulle ultime trattative, quando si udirono dei corni d’allarme provenire dalle mura a nord dell’avamposto. Dalle ventiere, da ogni fessura e spioncino vi erano arcieri e balestrieri con le armi puntate sulla minaccia nascosta.

‘’Vengo per il volere del Concilio delle Sette Sorelle. Il prigioniero catturato il mattino precedente ha informazioni sui vostri nemici.’’- disse una voce profonda che suonò familiare ad Arilyn. La giovane Thandulircath salì sulle mura e, in piedi nella vegetazione del sottobosco, scorse il Titano d’Onice Vidthar. I due si scambiarono un breve saluto prima di parlare:

‘’Tradimento pur di restare in vita?’’- chiese Arilyn, massaggiandosi le dita avvertendo di nuovo il formicolio incandescente sui polpastrelli. Il Titano annuì, facendo guizzare i suoi occhi sui soldati.

‘’Un tradimento più che giusto. Ha espresso chiaramente di parlare solo con te, Arilyn. Vi aspetto qui fuori.’’
 
Terzo Frammento. Profondità.

All’ombra del Terzo Frammento seduto sul proprio trono vi era il Re delle Spine, che attendeva pazientemente il ritorno del suo secondo genito e osservava la sua terzo genita intenta a mescolare in alcuni alambicchi diversi oli e spezie miste a sangue raccolto in precedenza. La follia negli occhi della ragazza mentre creava i suoi intrugli era visibile e ciò fece sorridere il Re, attirato da quel lavoro metodico e senza errori; vi era un altro spettatore, poggiato sulla base del muro di basalto, ovvero Liedin. Quando avvertirono l’arrivo di qualcuno dall’entrata della sala, si volsero a guardare all’unisono. Le luci delle candele illuminarono i volti di Pheros e Terbius che portavano con sé tre nuovi premi di caccia, di cui uno ancora in vita che si contorceva nella sua crisalide ragniforme.

‘’Riconosco questo odore! Non è il tipico sangue umano o di altri mammiferi. Avete con voi i cadaveri di un krinxs e di uno zadanri? Finalmente potrò creare qualcosa di sublime usando la loro linfa. Soprattutto con il krinxs, dato che il suo sangue funge da acido!’’- disse Ignea, con occhi sprizzanti di insana malvagità e lussuria. Le tre crisalidi si aprirono, mostrando i corpi avvolti da spine arcuate e grigiastre ormai tinte di cremisi splendente. Il soldato tentò di liberarsi da quella prigionia brandendo un pugnale scheggiato, arrestandosi sul colpo grazie alla presa salda di Liedin che iniziò a ricoprire il corpo della vittima di una strana sostanza verdastra:

‘’Non uccidetemi…’’- implorò il soldato, mentre la sua bocca si riempiva di schiuma rosa.

‘’Chi ti ha fatto queste ferite?’’- domandò Liedin, inespressiva mentre stringeva le sue dita sul polso dell’uomo. Gli occhi si tinsero di giallo, secernendo un grumo spugnoso e maleodorante. Tra i lamenti e la bile che si faceva largo nel suo esofago, l’uomo con un flebile sospiro replicò:

‘’Una ragazza dai capelli rossi…ha un ciondolo con un lupo ed…emana una luce abbagliante.’’

Liedin riconobbe quei due unici particolari e con un brutale movimento strappò mandibola e lingua del soldato, facendo zampillare il sangue ovunque tra gorgoglii atroci e brandelli di carne che si staccavano cadendo con un tonfo sul pavimento; Ignea approfittò di quel gesto per mescolare il sangue delle creature con quello dell’uomo, aggiungendo un frammento d’Ambra nel recipiente che crepitò al contatto. Terbius e Pheros invece tramutarono quei tre cadaveri in una aberrante creazione formata da tre bocche, dal ventre lercio e diversi arti dalle forme bizzarre. L’intero corpo violaceo era avvolto da diversi rovi reni che sgusciavano fuori da quelle bocche e muovendosi convulsamente, mentre altri formavano una bislacca cotta di maglia.

‘’Vai nelle catacombe e attendi fino a nuovo ordine.’’- disse Pheros, indicando la strada per le catacombe e attendendo che l’ammasso putrido di carne si muovesse. O rotolasse, data la sua mole. Liedin frantumò la mandibola strappata al soldato, ancora preda dell’ira.
‘’Maledetta. Hai deturpato il mio corpo, ma la vendetta nei tuoi confronti è ancora viva come una fiamma!’’- esordì la ragazza, imprecando e scagliando i frammenti d’osso con il piede.

‘’Otterrai la tua vendetta a tempo debito. Finché anche il Dio dell’Abisso e delle Ombre dorme in questo ventre della terra, noi ci occuperemo di creare un esercito e di avere informazioni da entrambi i regni. Punti deboli, schemi di lotta…Tutto sarà utile.’’- replicò il Re delle Spine, sorseggiando una bevanda dall’odore acre.

‘’Per quanto ancora? Voglio bagnare queste mani nel suo sangue, estirparle il cuore dal petto e vederla spegnersi ai miei piedi per poi fracassarle il cranio.’’- replicò febbricitante, mentre dai suoi occhi si manifestavano minuscoli cristalli di ghiaccio: qualcosa del suo vecchio potere permeava ancora.

‘’Non siamo noi a decidere, ma gli Dei e le Stelle. La tua lama quel giorno potrà dissetarsi con il sangue della tua nemesi. Sarà un glorioso giorno per tutti noi.’’- e coinvolse in una risata cupa tutti i presenti, fatta eccezione per Liedin che restò impassibile ma sorpresa per la scoperta di un’altra divinità. L’apertura cigolante di una botola proveniente dall’ingresso del loro antro, preannunciò l’arrivo di qualcuno inatteso. Pheros generò con la sua oscurità una spada dalla lama nera e affilata pronta ad attaccare l’invasore, ma si trattenne riconoscendo una delle trappole ragniforme del fratello. La crisalide si schiuse e rigurgitò un altro cadavere in avanzato stato di decomposizione, con le vertebre cervicali rotte e annerite. Ignea emise un grugnito disgustato per non aver ricevuto il sangue di quella vittima prima della decomposizione. Terbius notò l’assenza parziale di una costola deformata e appuntò il tutto su un foglio finché Liedin non prese nuovamente parola:

‘’Un traditore di Huvendal. Come me, dopo tutto. Il suo nome è Ryre, vecchio capo medico degradato ad inserviente alla corte di Searlas.’’- affermò, dirigendosi verso uno degli alambicchi per prendere una boccetta di liquido arancione luminescente e lo versò nelle cavità vuote, suscitando l’ammirazione di Ignea. La sostanza si riversò sulle ossa, sulla pelle marcia e i vestiti logori producendo placidi sfrigolii. Il cadavere iniziò a muoversi incontrollato sul duro pavimento, emanando fulgori variopinti e ricostruendosi come un vaso di vetro; Pheros approfittò nuovamente per scagliare la sua magia sul nuovo arrivato, trasformando parte del suo corpo in una corazza di legno e carne. Le vertebre cervicali si ricomposero scricchiolando in una sinfonia ossea. Ryre, o quel che ne restava, si alzò e si meravigliò di essere in un nuovo luogo con strane persone:

‘’Liedin? Non eri deceduta quasi tre anni fa?’’- fu la prima domanda, tastandosi il viso e scoprendo che la pelle non si era ricostruita, esponendo l’osso mandibolare. Notò la sua nuova forma, un misto tra carne e natura decomposta. Liedin si limitò ad annuire con disappunto, prima che il Re delle Spine ordinò a Pheros di farlo inginocchiare con forza:

‘’Benvenuto Ryre di Huvendal. La nostra Liedin ti ha riconosciuto dalla tua costola deformata. Ti è stata offerta un’altra possibilità di rivalsa e spero che tu possa tornarmi utile alla mia causa. Ti invierò nel punto più basso di questa fortezza per occuparti del risveglio del Dio Sehher. Una volta appurato la tua fedeltà, avrai un posto nell’esercito.’’

‘’Grazie mille…mio Sire. Non la deluderò.’’- rispose incerto l’uomo, cercando di non distrarsi dai continui sfarfallii che vedeva dall’occhio sinistro. Lanciò una occhiataccia nei confronti di Liedin, sentendosi tradito dal comportamento.

‘’La mia costola deformata doveva restare un segreto. Screanzata e pidocchiosa!’’- pensava tra sé e sé, scendendo una lunga scalinata illuminata da fiaccole e scortato da una grossa aberrazione in armatura. Ignea, d’un tratto, esultò per essere riuscita nella sua creazione con il sangue dei tre prigionieri: piccole sfere in argento ricoperte d’essenza del Frammento d’Ambra con diversi fori e un meccanismo che si azionava in base all’impatto ricevuto.

‘’Il sangue di un krinxs, seppur usato da artisti di popoli orientali, è in grado di uccidere una bestia più grande di loro. Sono esseri speciali, che vivono con una linfa mortale anche per loro. E con questa mandibola potrò ricavare piccoli spilli da usare come armi da lancio avvelenati. Pregusto già i risultati!’’- constatò tra un risolino psicotico e spasmi delle mani. Pheros scagliò una di quelle sfere contro una creatura necrofaga all’interno del pozzo doveva giungevano gli scarti della natura. L’essere immonde afferrò il piccolo oggetto e provocò la fuoriuscita di un gas rossiccio che sciolse tessuti e legamenti della mano e del polso, tra urla stridule. Il vapore aumentò e andò a colpire gli occhi e la bocca. Un grumo deforme di sangue, muscoli e cartilagine ricaddero sulle mattonelle con un tonfo, accompagnando la morte della creatura con spasmi e tentativi inutili di ricomporre i pezzi. Il primo genito usò una fiaccola per bruciarne i resti e recuperare l’arma. Con cura, l’avvolse in un panno ed esordì con gelido sadismo:

‘’Le tue creazioni alchemiche con il sangue dei nemici saranno vitali per noi. E una atroce morte per gli altri.’’
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Tara, primo pomeriggio. Estate.

Dopo l’efferato scontro avuto con i krinxs, il giovane Darrien si affrettò a raggiungere il secondo avamposto dove lo attendevano due fratelli entrambi capitani. Per far recuperare le forze al suo destriero decise di accamparsi brevemente in un piccolo spazio erboso assicurandosi che la foresta non lo aggredisse. Analizzò nuovamente la mappa donatagli da Sador segnando con un pezzo di carbone la strada percorsa e quanto ancora mancasse all’arrivo. Rifletteva, nonostante la sua nuova missione intrapresa, alle parole della madre contrariata dalla scelta di destituire uno dei suoi uomini migliori e prendere il comando. Il ragazzo replicò con freddezza che il dovere di un comandante va sempre rispettato, prendendosi responsabilità anche più grandi di lui.

‘’Io non fallirò e non abbandonerò nessuno. Non sono come te.’’

Sistemata la mappa nei gambali, un altro dono per evitare punture di insetti velenosi, Darrien svegliò con delicatezza il quadrupede stringendo le briglie per poi salirvi in groppa. Istintivamente piegò la testa all’indietro, evitando un dardo fuligginoso che si conficcò nell’albero alla sua sinistra. Dalle fronde degli alberi che giungevano sul terreno fangoso comparve un animale a quattro zampe, dal corpo massiccio a scaglie bluastre che rimandavano ad una corazza. Il ragazzo scagliò nella sua direzione un pugnale che tagliò in due la bestiaccia simile ad un coleottero. Le scaglie, per il violento impatto, si staccarono dalla carcassa e il giovane le recuperò usando un fazzoletto:

‘’Mi torneranno utili, in un modo o nell’altro.’’- disse, ripartendo in groppa al suo destriero attraverso la foresta di mangrovie. Con la spada sguainata, tranciò i diversi rami e licheni che ostruivano il passaggio venendo ingurgitati dal suo fedele destriero. Superata la foresta di mangrovie si ritrovò su un altopiano collinare dalle punte appiattite come se una forza invisibile avesse tagliato loro la testa verdeggiante e sostituito con strutture piramidali collegate tra loro da mura spigolose. Ogni struttura piramidale poggiava su cinque piccoli piloni rinforzati da anelli di ottone: in quegli angusti spazi Darrien notava qualcosa di metallico oltre a del fumo provenire oltre la cinta muraria. A pochi passi da quello che sembrava essere ormai l’avamposto, si udirono dei corni di richiamo risuonare nell’aria provocando una sola nota cupa e distorta. Ai piedi delle colline deturpate dalla mano dell’uomo, una gigantesca porta di pietra si aprì concedendo al ragazzo di proseguire indisturbato ma vigile. Qualcuno esultò e riconobbe il giovane:

‘’Quel ragazzo ha salvato la vita a sei famiglie che rischiavano la morte per stenti. Fronteggiare Galeren e renderlo docile come un cucciolo non deve essere stato facile. Grazie per il tuo coraggio, ragazzo.’’- disse uno scudiero intento a lucidare gli armamenti. Lasciato il suo destriero ad un altro scudiero, sopraggiunsero tre cavalieri in una armatura leggera a piastre e uno di loro invitò Darrien a seguirlo nell’abitazione:

‘’I Capitani hanno preferito costruire la loro residenza sottoterra per evitare attacchi inaspettati. Le mura sono costruite, in base alla forma e al colore, per ingannare il nemico. L’aspetto è proprio quello da rovine abbandonate alla natura.’’- disse il cavaliere senz’elmo, azionando la leva di uno dei tanti ascensori posti poco sotto i camminamenti di ronda delle mura. Il fragoroso rumore di ingranaggi, contrappesi e leve di cambio accompagnavano la discesa dei due condottieri nel ventre terroso con lentezza. La luce del sole pomeridiano scomparve, lasciando posto ad una luce di lanterne e fiaccole disposte in giganteschi cunicoli di pietra levigata protette da almeno cinque soldati.

‘’Quanto è profondo il vostro avamposto?’’- chiese Darrien, osservando il continuo cambio di stanze e arredamento; tra loro spiccava anche una piccola prigione con pochi carcerati che ruggivano, chi colpiva le sbarre e chi implorava pietà.

‘’Il nostro avamposto, oltre al piano in superficie, dispone di tredici livelli alternati tra loro per evitare di ammassare tutti su uno solo. Gli ultimi tre si dividono in: fornace dove abbiamo i migliori fabbri su commissione provenienti da terre remote. Una grande prigione per i criminali privi d’umanità ed esche di diverse razze come troll, orchi e mezzosangue che si percuotono tra loro ed infine la residenza dei fratelli.’’- rispose con un sorriso il suo accompagnatore, mentre scorrevano le diverse placche con il numero della stanza ove si trovavano. Quando l’ascensore arrestò finalmente la sua discesa, Darrien poté ammirare la monumentale opera sotterranea: colonne portanti decorate da foglie d’oro, con incisioni in argento; arazzi di pregiata qualità e manifattura; dipinti che sembravano prendere vita grazie alla mistura di metalli, colori e smalti luminescenti. La stanza era circolare, con diverse volte a vela poste sulle porte di ogni stanza per distribuire il peso. Il pavimento era ricoperto da broccati finemente disposti ai piedi di alcuni divani e sedie in pelle.

‘’Troppa ricchezza anche qui.’’- disse tra sé e sé Darrien, storcendo il naso alla vista di quell’arrendamento così pacchiano per i suoi gusti. Il soldato andò a riferire il suo arrivo ai due Capitani, chiedendo di attendere il suo rientro al giovane e scomparve dietro una delle porte in legno massello. Sul tavolo presente al centro della stanza vi erano poggiate diverse carte topografiche legate da uno spago azzurro, mentre altre di media dimensione occupavano tutto il piano: mostravano varie punti d’assedio di minor rilevanza conquistati anni prima, tra cui spiccava una zona segnata da uno strano sigillo e una piccola didascalia recitava: Progetto bastione incompiuto causa mancanza di materie prime. La planimetria principale di quel futuro bastione era di forma esagonale, circondata da sei di forma pentagonale che formavano un fiore geometrico molto simile alle mura dell’avamposto. Altri fogli mostravano solo turni di guardia, compiti dei fabbri, sentenze di prigionieri e questioni burocratiche. Nuovamente il suo istinto lo mise in all’erta di una minaccia che giungeva lenta alle sue spalle. Estrasse il pugnale, si girò di scatto e conficcò il pugnale tra la clavicola e il collo di una aberrazione: il corpo esile e verdognolo, la testa di un orco e gli arti da troll. Notò con disgusto che quegli arti erano stati cuciti rozzamente.

‘’Uccidimi, ti prego. Tutto questo per me è umiliante ed insopportabile…’’- lo implorava quella bestia, cercando di imprimere forza al colpo dato da Darrien, con il sangue nero che sgorgava e zampillava dalla lacerazione.

‘’Che razza di creatura sei?’’- domandò il ragazzo, ruotando lentamente la lama per avere una risposta.

‘’Non…non sei uno dei Rovi Bianchi? Quindi non conosci i grotteschi esperimenti che compiono i loro alchimisti e burattinai. Tutto quello che fanno è orripilante e disumano anche per gli orchi…’’

In quell’istante la porta varcata precedentemente dal soldato si aprì, mostrando i due capitani con indosso una semplice divisa bianca, adornata da una armatura in cuoio nera e le gambe protette da piastre in acciaio. Erano un uomo e una donna, dalla corporatura quasi esile ed entrambi con lunghi capelli biondi. Il viso, privo di imperfezioni, poteva confondere molti avversari a causa dell’estrema somiglianza:

‘’Oh, uno dei nostri prigionieri è fuggito ma è stato catturato da questo prode ragazzo. Puoi anche ucciderlo, è solo uno dei tanti esperimenti mal riusciti. Mi auguro che tu sia in grado di farlo.’’- disse l’uomo, sistemandosi i capelli e chiudendo la porta. Darrien, per evitare di risultare debole, afferrò il collo della creatura e lo spezzò con un singolo movimento. Negli occhi lattiginosi della creatura si percepiva un profondo ringraziamento:

‘’Non bastavano vittime innocenti di un Re incapace, ora anche esperimenti disumani da parte di due gemelli.’’

‘’Re incapace? Non tollero che un ragazzino come te, al servizio del suo Re, abbia la lingua da serpente. E tu porta via quell’inutile ammasso di carne. Gettalo in qualche fornace o in un pozzo.’’- rispose con tono accusatorio la donna, invitando poi il soldato senz’elmo a portare via il cadavere della creatura.

‘’Io sono qui solo per un volere superiore. Galeren non è il mio Re, non combatto sotto il suo vessillo. Le decisioni sono una mia responsabilità, non più sue. Lui invierà rinforzi e materiali necessari nei vari avamposti. Osate contraddirmi e destituirò anche voi. Con disonore.’’- rispose il ragazzo, con fermezza mentre il suo oscuro potere iniziava a propagarsi dalle sue mani minacciosamente.

‘’Predone dell’Oscurità. Tu sei il primogenito della Regina! Per tutte le stelle, non è possibile. Non ci hanno mai informato che la Regina avesse un primogenito…Zephyr, c’è da fidarsi di questo comandante?’’- chiese la donna, stringendosi al fratello. Darrien finalmente seppe il nome dell’uomo che continuava ad osservare intimorito la nebbia nera che si stava estendendo sul pavimento in basalto.

‘’A quanto sembra, la nostra diffidenza è un’arma a doppio taglio. Io sono Zephyr, come hai potuto ben sapere da parte di mia sorella Anthousa. Questo è il suo nome. Dalle tue parole, possiamo comprendere che non combatti per Galeren e per il regno del Draal. Perché lo fai dunque e soprattutto come ti chiami?’’- domandò il Capitano, con voce mielosa tentando di placare l’animo iracondo del ragazzo.

‘’Io sono Darrien, figlio di Searlas di Huvendal. Lo faccio perché le vostre strategie sono fallaci, vi siete crogiolati per troppo tempo nel lusso e vita mondana perdendo di vista ogni fondamento. Adesso, mostratemi qualcosa che sia paragonabile al vostro grado.’’- replicò Darrien, estraendo un altro pugnale dal cinturone e conficcandolo nel tavolo. I due capitani impallidirono e fecero quanto chiesto. Anthousa andò in un ufficio posto vicino l’ascensore mentre Zephyr recuperò diversi rapporti posti su di uno scaffale impolverato. La porta dell’ufficio si riaprì bruscamente, rivelando il Capitano ed un’altra donna con indosso un caftano verde e grigio argento decorato da una doppia fila di bottoni in bronzo. I capelli ricci e castani contrastavano il suo viso dai lineamenti marcati e dallo sguardo torvo.

‘’Lei è la nostra Ufficiale montanara in servizio da noi, Narilii. Tutti i rapporti sono stati compilati da lei e firmati da noi.’’- disse il Capitano presentando l’Ufficiale a Darrien, che volle sapere ogni dettaglio dei vari rapporti stilati proprio da lei. Quando vennero rimossi i sigilli in cera e le varie cordicelle, Narilii lesse con attenzione tutto ciò che aveva visto o eseguito a partire dal sorgere del sole fino all’imbrunire: perlustrazione dei confini, identificazione di mercanti e viandanti della zona finché non giunse all’ultima riga. Esitò, ma lo sguardo di ghiaccio di Darrien la costrinse a terminare:

‘’Breccia nel confine ad est, a partire dalla quarta torre di vedetta. Possibile evasione.’’

‘’Ufficiale Narilii, lei era al corrente di tale evasione?’’- chiese il comandante.

‘’Sì, signore. Mi rincresce dover anche dire che non è stato predisposto nessun piano di cattura per i fuggitivi, né tantomeno una riparazione.’’- rispose lei. Darrien portò l’indice e il pollice tra il naso e la fronte, incredulo di aver udito quelle parole. La negligenza dei due fratelli era inaccettabile tanto da far serrare le labbra del ragazzo in una smorfia di disappunto.

‘’Narilii, grazie per il suo tempo. Può ritornare alle sue mansioni. Quanto a voi due pelandroni, domani all’alba analizzerete quella breccia e disegnatela su un foglio, tenendo conto del diametro e profondità. Una volta terminato, consegnatemi il tutto così vedrò di far consegnare il materiale nel minor tempo possibile. Non possiamo rischiare un assedio da parte dei Rovi Rossi. E adesso, andate.’’- congedò i presenti. Avvertì il braccio sinistro formicolare improvvisamente. Tolse il vambrace e alzò la manica, notando la pelle cicatrizzata in alcuni punti e in altri del tutto spaccata.

‘’Deve essere una delle conseguenze del mio spiacevole incontro con i krinxs…Per fortuna questa mia maledizione è in grado di guarirmi.’’- mormorò il giovane, sedendosi al tavolo e restando con lo sguardo fisso sulle varie mappe. Per non perdere altro tempo prezioso, scrisse qualche telegramma da spedire nel regno, richiedendo l’invio di truppe e primi materiali da usare a Tara. Darrien era in una nuova posizione da comandante e i risultati, fino ad ora, lasciavano l’amaro in bocca; dal palazzo agli avamposti, non mancavano elementi di ricchezza accumulata negli anni e ciò aveva reso docili, pigri e negligenti gli uomini del Re fatta eccezione per alcuni. Tolse i lacci dal resto delle carte arrotolate sul tavolo, scoprendo a suo malgrado altre copie della medesima mappa poggiata sotto i suoi gomiti. Tra quei fogli sgualciti, però, comparve una lettera di reclamo dalla prigione:

‘’Cinque prigionieri reclamano condizioni indicibili nelle loro celle e chiedono un patteggiamento. Unirsi alle truppe in cambio della libertà. Si attende risposta.’’- lesse anche i nomi dei carcerati, constatando le loro origini non umane e i crimini commessi tra cui lo sterminio di interi villaggi rurali, assassinio di re e invasioni terminate in violenti massacri. Determinato dalle sue azioni, ordinò ad un soldato di condurlo nella prigione maggiore e di fargli incontrare i cinque prigionieri che richiedevano tale patteggiamento:

‘’Signore, è convinto della sua scelta? Quelle bestie sanno essere meschine e doppiogiochiste.’’- disse il soldato, tentando di dissuadere Darrien da quella scelta.

‘’Anche noi sappiamo esserlo.’’- rispose il comandante, tenendo il foglio con il nome dei prigionieri tra le dita. L’ascensore si mosse, cigolando e gracchiando, facendo piovere minuscoli frammenti di terra all’interno della cabina. La pietra, dall’eccellente levigatura, si tramutò in semplici mattoni grigi spogli di qualsiasi decorazione ed un maleodorante odore investì le narici dei due soldati:

‘’Hanno intasato nuovamente la latrina! Quei troll mangiano fino a gonfiare il loro ventre e poi...Per tutte le stelle!’’- asserì il soldato, coprendosi il naso con la mano e rimandando giù nel suo stomaco il pranzo. Una volta giunti nel luogo prestabilito, Darrien poté osservare le varie celle contenenti creature dalla pelle squamosa e dalla corporatura possente, esseri informi derivati da esperimenti bizzarri, nefandezze innominabili che si stringevano quelle sbarre metalliche e osservavano con vacuità il ragazzo avanzare.

‘’Carne fresca.’’- disse maliziosamente uno dei prigionieri: era un orco, affetto dalla scabbia, con una capigliatura simile ad un buffone di corte e con indosso diversi pezzi di metallo fusi tra loro a creare una corazza per la sua muscolatura vigorosa che a malapena gli stracci che aveva riuscivano a coprirlo. Qualcuno con fare intimidatorio gli ordinò di tacere da sopra una brandina arrugginita. Un sibilo proveniente dalle celle opposte fece scattare il giovane comandante che afferrò rapidamente quell’arma in volo.

‘’Un dardo strappa carne rudimentale. Complimenti.’’- disse Darrien, ammirando l’estrema cura per la costruzione di quella freccia.

‘’Gradirei riaverla.’’- replicò una voce femminile, irritata per il suo tentativo fallito. Darrien spezzò quella freccia e la lanciò nella cella di provenienza. Riprese il foglio tra le mani e a gran voce chiamo i prigionieri che richiedevano il patteggiamento. Immediatamente due soldati per cella si tennero pronti e percuotere potenziali fuggiaschi:

‘’Gli orchi Jabir e Igges, il troll Rogomesh, l’huerdakhal Yuvio e l’umana Edsel Danhalm, cortesemente uscite dalle vostre celle e mostratevi. Questo è un ordine.’’
Si udirono risate di scherno, schiamazzi vari e rintocchi metallici delle sbarre mentre i cinque prigionieri uscivano dal loro bugigattolo quasi contro voglia. Darrien si meravigliò che uno degli orchi affetto da scabbia fosse lo stesso che avesse chiesto il patteggiamento. L’altro orco, ancora assonnato, aveva la stessa corporatura ma più pelosa, gialla ocra e ricoperta di tatuaggi e cicatrici con poche protezioni arrugginite. Il troll e l’umana, invece, erano i più curati e in forma.

‘’Dal tuo accento, oserei dire che non sei di queste parti ma indossi la divisa dei Rovi Bianchi.’’- disse il troll, lisciandosi la barba intrecciata.

‘’Sì, e ci saranno cambiamenti in ogni avamposto. Niente più esperimenti scabrosi, niente più negligenza e soprattutto disonore. Voi cinque avete richiesto un patteggiamento quasi sei mesi fa ma nessuno vi ha ascoltato. Accetto il patteggiamento, ma ad una condizione.’’

‘’E quale sarebbe, bamboccio?’’- chiese con spietata freddezza la donna, incrociando le braccia e cercando di sedurre Darrien.

‘’Calmati, mercenaria inetta.’’- si intromise uno degli orchi, insultandola. Ne nacque un alterco che risuonò in tutta la prigione, attirando l’attenzione dei carcerati deformi che osservarono perplessi i cinque camerati pronti a percuotersi o pugnalarsi l’uno contro l’altro.

‘’Silenzio.’’- disse piano Darrien, evocando il suo potere in diversi fasci serpeggianti che andarono a stringere le gole dei carcerati, così forte da farli inginocchiare e impaurire. Gli occhi azzurri splendenti come zaffiri lasciarono brevemente il posto ad un imperscrutabile nero abissale che si espandeva con piccole venature sotto gli occhi, tramutandolo quasi in un incubo in carne ed ossa.

‘’Vi unirete all’esercito, guiderete i plotoni che verranno formati in futuro e li addestrerete secondo le tradizioni del vostro popolo. Ricordatevi solo che non sono come voi. Invece tu, Edsel, ti occuperai di insegnare alle spie come infiltrarsi in luoghi ben sorvegliati, trafugare documenti ed uccidere silenziosamente.’’- riprese il filo del discorso, facendo dissolvere l’oscurità e tornando impassibile sui nuovi alleati.

‘’Non abbiamo alternative. Per il nostro passato, i nostri popoli nativi non gradirebbero la nostra presenza e farebbero di tutto pur di tramutarci in poltiglia per vermi.’’- sentenziò Yuvio, l’huerdakhal; rispetto ai due Guardiani del Frammento a palazzo, lui possedeva una corporatura robusta e massiccia che ad ogni movimento i muscoli si contraevano. La pelliccia era grigio argento, con pochi ciuffi neri e sul ventre si estendeva una grossa cicatrice violacea che partiva dal pettorale destro fino ad arrivare al bacino.

‘’Il lupetto ha ragione. Non c’è spazio per fuorilegge come noi nella propria terra.’’- prese parola Jabir, nonostante le zanne arcuate che gli donavano un buffo aspetto. Il troll si limitò ad annuire e a sbadigliare, quasi assonnato. Il comandante ordinò ad alcuni suoi sottoposti di predisporre delle stanze in disuso per i nuovi membri e di tenerli sotto stretta sorveglianza per non farli uscire. Quelle parole fecero socchiudere gli occhi della mercenaria, tentata da voler trafiggere il cuore del comandante.

‘’Vorresti pugnalarmi Edsel? Ho letto della tua precedente vita. Omicidi commissionati da nobili che poi hai ucciso una volta terminato il lavoro, furti di preziosi artefatti e rivenduti a popoli barbari, hai provocato faide tra alleanze secolari e nessuno ti ha mai catturato. Fino ad ora. Vuoi coronare il tuo ultimo lavoro uccidendo un comandante con lo stesso potere della Regina del Draal, il suo primo genito? Prego, ma sappi che la tua testa verrà sciolta nell’acido e il tuo corpo usato come passatempo per gli arcieri dopo tale violenza.’’- furono le parole del ragazzo, osservando quegli occhi colmi di ira della mercenaria. Il silenzio della prigioniera fu la risposta tanto attesa. Quando i cinque vennero condotti nei loro alloggi e Darrien tornò in superficie per scoprire un plotone di uomini intenti ad attaccare quello che sembrava essere un nano munito di braccia robotiche che percuoteva e scagliava lontano i soldati senza ferirli gravemente:

‘’Voi marmocchi con le vostre accozzaglie di ferro non avete alcuna speranza!’’- disse, colpendo con una sonora testata il mento di un soldato, facendo sputare denti e sangue. Usò i suoi arti robotici per sferrare diversi pugni in sequenza sul viso di un altro cavaliere con una tale forza da farlo volare all’indietro su altri commilitoni. Darrien riconobbe Dolmihir, l’esperto nano di montagna e corse in suo aiuto per arrestare quella ressa.

‘’Per quale motivo sei qui?’’- chiese il ragazzo, incuriosito dalla presenza dell’amico. Il nano con un fischio convocò un suo scudiero che trascinava una pesante cassa di metallo. Per quel piccolo servigio, venne ricompensato con due monete di platino.

‘’Scortese come sempre, vero giovanotto? Tralasciando il fatto di averti seguito furtivamente, in questa cassa vi è una speciale armatura. Io e il fabbro ci siamo messi d’impegno per forgiarla nel più breve tempo possibile. Oh, l’elmo è una mia invenzione. Se ti considerano il suddetto Predone dell’Oscurità, diamogli motivo concreto per farlo.’’- rispose Dolmihir recuperando la chiave dal suo marsupio e porgendola al ragazzo che, senza attendere oltre, si decise ad aprire quel tesoro.






















 
Angolo dello scrittore: Dopo un lungo periodo, torno a pubblicare i vari capitoli delle Cronache ormai terminate 8 mesi fa. Pubblicherò in base al mio tempo libero i restanti capitoli così da poterveli far leggere! Buona lettura.
 

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Capitolo 8
*** Prymvis. ***


Otto Stelle. Otto Divinità.
Maeris, la Creatrice li riunì al suo cospetto. Consentì loro di creare un corpo d’armata da poter unire alla Grande Stella, l’esercito principale. Ognuna di queste otto divinità era seduta sul proprio trono, ricavato da lune defunte e unite con il cuore pulsante di corpi celesti incandescenti dalle tonalità più strane e che risplendevano alla luce dei loro proprietari.
Codesti Esseri Supremi crearono il loro proprio cavaliere che avrebbe dato vita ad altre sue copie così da poter raggiungere il numero prestabilito. Amarysso, la più anziana per nascita, creò un cavaliere modellando usando le lingue di fuoco del trono e il suo soffio freddo dando vita ad una creatura impossibile da sconfiggere e capace di bruciare il nemico son un semplice tocco.

Porfyrios, il dio dagli occhi violacei, creò un gigante usando la polvere stellare che emanavano i suoi occhi ciechi. L’energia confluiva nel petto, così da poter guidare la sua creazione in guerra senza sforzarsi.

Ceallach, il dio della guerra brandì la sua migliore ascia e la tramutò in una bestia di legno e metallo, dalla testa simile a quella di un rettile munito di corna taglienti in grado di tranciare e mutilare.

Kreine dea regina degli astri lontani, Tamhuras il dio della forza e Muirgen il dio degli oceani usarono rispettivamente una stella antica, icore e un artefatto ricavato da un corallo nero. Nacque un possente essere dalla corazza nera lucente con venature rosso vivo e al centro centinaia di stelle minuscole che gli donavano fierezza.

Steinär il dio delle montagne, usò un miscuglio ricavato dalle fornaci dei Nani del Ferro e di Legnoscuro, unendoli a della zoisite dando vita ad una belva simile ad un armadillo con scaglie di forma romboidale dal colore smeraldino ma infrangibili.

Ifheia la dea della conquista usò il suo fedele corno da battaglia per far nascere un araldo che avrebbe infuso coraggio e spirito da duellante nei vari eserciti usando la parola e la spada. Una particolare caratteristica fu la pelle marmorea con venature bordeaux, come se fosse sangue.

Luqnera la dea dell’Autunno fu l’ultima a creare il suo accolito servitore. Prese un pezzo di legno pietrificato e lo poggiò sul tavolo, recuperò una piccola ciotola e mescolò polvere di stelle, icore e un seme coperto di spine arcuate. Quando il contenuto della ciotola assunse un colore indefinito, lo versò sul legno pietrificato: diversi sfrigolii e scoppiettii si udirono dapprima poi l’intero oggetto iniziò a vibrare e ad assumere una forma corporea. Diede vita ad una creatura lignea, ricoperta di rovi dal fusto spesso e dalle spine grosse quanto un mignolo. Chiese, per ultimo, una lingua di fuoco derivante dal cuore della Creatrice per donare lui immenso vigore.
Questi otto cavalieri si moltiplicarono, raggiungendo quarantamila unità per ognuna. Trecentoventimila soldati celesti che si unirono alla Grande Stella, generando una vasta legione pronta ad estirpare la piaga dei Rovi Neri ormai fuori controllo e centinaia di piccoli regni alla loro mercé. La Dea del Cosmo Eshreal diede loro la Benedizione Antica, seppur ancora amareggiata e irosa per l’umiliazione subita.

‘’Trecentoventimila piccoli soldati pronti ad essere schiacciati come vermi!’’- tuonarono codeste parole alle loro spalle. Fratelli non di sangue ma d’arme, uniti da un solo obiettivo: ricostruire la natura.

Sehher il dio delle Ombre e dell’Abisso ed Eledros dio caotico, bramavano il sangue. La morte.
 
Apocrifi del Recluso; La Grande Guerra dei Tre Rovi.





Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle, prigioni. Estate, sera.

Quando la meravigliosa Luna, amante quasi irraggiungibile della Terra, splendeva luminosa sul regno dipingendo di un candido bianco pallido i tetti delle case, del palazzo e dei prati circostanti. Arilyn continuava a chiedersi il perché l’unico prigioniero dei Rovi Bianchi volesse parlare con lei. Era così presa dai suoi pensieri che non si rese conto di essere ormai giunta nella prigione:

‘’Sei sonnambula, Thandulircath? Sbrigati a parlare con il prigioniero.’’- disse la donna dalla cicatrice argentea che la stava scortando. Sulle pareti ricoperte di ragnatele ed umidità vi erano piccoli candelabri da parete che illuminavano, seppur con luce soffusa, l’intero corridoio colmo di piccole pozze d’acqua stagnante. Quando la donna con lo sfregio sulla spalla colpì le sbarre dell’unica cella ancora occupata, la persona al suo interno sobbalzò spaventato: il volto era ricoperto di tumefazioni violacee, il labbro inferiore spaccato, le spalle ricoperte di lividi grossi quanto una palla di cannone. Ciò che però lasciò Arilyn turbata furono le fasciature insanguinate che sostituivano le sue mani, intrise di una strana sostanza gialla ambrata molto densa. Una volta entrata, il prigioniero a stento riuscì a sorridere per le contusioni riportate:

‘’Il mio aspetto non è uno dei migliori. E questi moncherini sono la testimonianza della mia punizione. Meglio questo che morire.’’- disse il ragazzo, tossendo e paralizzandosi più volte per i dolori lancinanti che il suo corpo pativa.

‘’Come ti chiami ragazzo? E perché volevi parlare solo con me?’’- chiese Arilyn, prendendo il sacchetto con erbe medicinali e dandole al ragazzo.

‘’Mi chiamo Falko Eulisses, recluta dell’esercito dei Rovi Bianchi. Gradivo la vostra presenza perché dimostrate ancora umanità e perché il mio regno sta progettando di conquistare punti strategici vicino i vostri avamposti per circondarvi.’’- rispose Falko, tentando di dimostrarlo con quello che poteva nella sua cella. La poca fanghiglia, mista ad acqua e ciottoli, dimostrò il piano d’attacco. La giovane Thandulircath lesse nei suoi occhi la verità e ricopiò come meglio poté quello schema.

‘’Come farai per…loro?’’- chiese la ragazza indicando le fasciature. Falko sorrise e rispose che il fabbro si sarebbe occupato di creargli delle protesi mobili grazie ai muscoli ancora integri.

‘’Il tempo delle visite è finito! Tu, sacco di vermi, vai a dormire.’’- ruggì la donna dallo sfregio sulla spalla, invitando frettolosamente Arilyn ad uscire, provocando amarezza nel prigioniero e disappunto nella Thandulircath che socchiuse gli occhi sentendo quell’insulto gratuito. Prima di raggiungere la piattaforma mobile e tornare in superficie, Arilyn si parò davanti alla donna muscolosa; piccole scintille dorate sprizzavano dai suoi occhi smeraldo e avvertiva lo stesso formicolio accompagnato da un intenso calore.

‘’Mi spieghi perché hai dovuto massacrarlo in quel modo? Non ha alcuna colpa se non esser stato costretto ad unirsi ad una guerra non sua.’’

‘’Meritava di patire le stesse sofferenze dei nostri soldati. Lui, così come molti altri, è solo un sacco di vermi. Meschino e doppiogiochista. Con quell’insulso modellino di fango, pensi vivamente che io gli creda? No. Per me può anche marcire qui, non sarà di certo una ragazza speciale a farmi cambiare idea.’’- replicò con un ghigno rabbioso la donna.

‘’Sei così barbara perché anche tu con il fardello del passato? Per questo ti sei provocata quella cicatrice così appariscente?’’- domandò impulsivamente Arilyn. Istintivamente si spostò di lato evitando un violento gancio destro che andò ad impattare su un mattone già danneggiato, esplodendo in mille frammenti. Si mise sulla difensiva, brandendo subito la spada che si accese illuminando tutta la prigione. L’energumena aveva gli occhi iniettati di sangue, le vene sui possenti muscoli sembravano vibrare e gonfiarsi ad ogni sbatter di ciglia rendendola quasi una belva feroce e piccoli rivoli di saliva le scendevano dalla bocca.

’Il mio passato non deve interessarti. Da quando sei giunta qui, dal nulla, il Concilio ti ha subito accolto come se fossi la loro salvezza. Hai cambiato ogni nostro schema, ogni nostro approccio contro i nemici. Solo perché hai un potere ciò non significa che tu possa prenderti la libertà di voler trasformare le regole del Lynmes! Questa…infausta cicatrice mi ricorda ogni giorno che non puoi fidarti di nessuno, perché ti pugnaleranno un giorno o l’altro. Visto che sono l’unica rimasta, tanto vale presentarmi. Mi chiamo Arshile.’’- replicò a denti stretti la Legionaria, con la mano insanguinata e ricoperta di polvere marrone. Arilyn si rese conto tardivamente di aver reagito di impulso e tentò di scusarsi, ma la sua bocca era serrata dall’imbarazzo. Il silenzio incatenò qualsiasi rumore presente nella stanza, interrotto solo dal flebile scoppiettio dei candelabri.

‘’Siamo sole qui e nessuno può sentirci. Vorresti parlarmi del tuo passato?’’- domandò cautamente la Thandulircath, attendendo che Arshile si fosse calmata un po’. La Legionaria si fasciò la mano ferita e si sedette su una delle panche lì vicino in silenzio, seguita poi da Arilyn.

‘’Anni prima di diventare Legionaria dei Rovi Rossi, vivevo in una modesta abitazione con i miei genitori. La mia vita era tranquilla, finché mia madre non morì a causa di una temibile febbre causate da piccole zanzare. Mio padre cadde in un baratro senza fine di disperazione e malinconia. Compiuta la maggior età, non so chi demone della lussuria soggiogò la sua anima e la sua mente ma tentò di…violare la mia purezza. Iridia ed Allric lo uccisero e mi condussero a palazzo…Nulla però cancellerà quel gesto scabroso. La cicatrice che vedi parte dalla spalla destra, attraversando i seni e giungendo fino all’inguine. Me la sono procurata da sola con un coltello da cucina. Pugnalata alle spalle, al cuore e nell’intimità da una persona che amavo…’’- terminò di raccontare la donna, mostrando quello sfregio ricoperto d’argento. Arilyn poggiò la sua mano sulla spalla della Legionaria, stringendola appena:

‘’Mi dispiace di aver detto quelle cose. Comprendo ora il tuo odio profondo verso specifiche persone e comportamenti ma sfogarsi su persone che non ti hanno fatto alcun male non è giusto. Quel ragazzo ha già sofferto come tutti qui. Come te, come me…’’

La mano di Arshile strinse quella di Arilyn, avvertendo il calore che emanava e ricambiò la stretta. Il suo potere si sprigionò dolcemente, avvolgendole in un torpore invitante. Gli occhi smeraldini di Arilyn incontrarono quelli marroni della Legionaria, umidi e arrossati.

‘’Non è semplice, Arilyn. Si indossano fin troppe maschere ogni giorno, perdendo il tuo reale volto. Sarà il caso di andare. Sei riuscita ad aprire il cuore dei legionari, persino il mio. Non so come tu abbia fatto, ma adesso è meglio andare.’’- rispose lei, alzandosi e dirigendosi all’ascensore. Durante la risalita, si udirono dei forti schiamazzi provenire dalla sala del trono, costringendo entrambe le donne ad estrarre la propria spada. Ad attenderli vi erano solo una dozzina di soldati gioiosi di aver ricevuto i fornimenti e nuove armi provenienti dall’avamposto Soros:

‘’Di sicuro il nostro caro Oghan vorrà vedere queste armi e renderle ancora più letali!’’- esultava uno di loro, picchiettando con le nocche il piatto della lama. Un altro soldato, meno entusiasta per le armi, li richiamò dicendo di pensare più agli indumenti per la stagione fredda che stava per giungere. Alcuni dei Legionari, come Veldass ed Hildel, si resero conto di aver cercato superficialmente in quelle casse perdendo così l’occasione di avere bombe fumogene, bombe nere ed olio combustibile per dardi. Si accontentarono di quel poco che avevano trovato come un guanto ferrato, dei triboli concatenati e pugnale con la lama dentellata: non era una dentellatura normale bensì formata da incisivi di un predatore, lunghi quanto un pollice e dallo spessore di due dita. Il Comandante dei Legionari, ripiegando i suoi oggetti, notò Arshile ed Arilyn provenire dalla piattaforma mobile e le raggiunse, chiedendo con freddezza dove fossero state tutto questo tempo. La Legionaria dalla Cicatrice Argentea tornò seria e raggiunse i suoi compagni, lasciando Arilyn da sola.

‘’Il prigioniero mi ha rivelato i piani d’attacco che il suo regno ha intenzione di eseguire. Vogliono conquistare zone neutre per circondarci e colpirci in massa.’’- esordì la Thandulircath, ponendo il foglio con la riproduzione della strategia. Iridia afferrò quel documento non ufficiale e lo esaminò, prima di ripiegarlo e metterlo nell’armatura.

‘’Traditore ed informatore tenace. Nessuno di noi è riuscito a ricavare informazioni, nemmeno con la forza bruta di Arshile. Mentre tu, con la tua smielata bontà, lo hai fatto cantare come un piccolo usignolo indifeso.’’

‘’Questa smielata bontà è più forte della tua lingua biforcuta.’’- rispose a tono la ragazza, provocando con spudoratezza il comandante. L’armatura di rovi si tinse di rosso e labbra serrate in una linea orizzontale significavano solo un tentativo di frenare l’evidente stizza.

‘’Ti detesto.’’- corrispose Iridia, sistemandosi i capelli e la sacca colma di oggetti. Arilyn incrociò le braccia e alzò le sopracciglia, ignorando quel sentimento cinico del Comandante.

‘’Non mi meraviglio.’’- asserì con la stessa freddezza la Thandulircath, precedendola per raggiungere gli altri. Contemporaneamente, le Sette Sorelle comparvero dalla penombra della sala dirette ognuna al proprio trono. I loro volti, eccetto per le Sorelle delle Corone, erano sorridenti e placidi nel vedere che tutti trasmettevano serenità nell’aver ottenuto dei preziosi doni. Il grande cancello si aprì senza preavviso, accompagnato da un forte rumore metallico e polvere allarmando tutti i presenti che brandirono le loro armi e usarono le casse come scudi di fortuna. Una delle sentinelle arrancò con la corazza leggermente fracassata e lividi sul volto:

‘’Sono qui!’’- urlò, prima di svenire e accasciarsi sul pavimento lucido. Venne recuperato da uno dei Legionari ed un guaritore che era sul posto, portandolo al sicuro vicino una colonna. Due losche figure, uomo e donna, varcarono la soglia lentamente con indosso abiti di nobile fattura ma logori e strappati in più punti. Arilyn avvertì ancora una volta il formicolio e il calore propagarsi in tutto il corpo, sprigionandosi in sprazzi di luce e scintille. Avanzarono ancora, giungendo al centro della sala del trono ed immediatamente un soldato scattò in avanti per colpire. L’uomo incappucciato mosse appena la mano e lo scaraventò lontano facendolo scivolare sul tappeto. Altri cavalieri provarono ad assalire i due sconosciuti, ma la donna ricambiò lanciandogli contro sfere di vetro piene di polvere urticante che tinse la loro pelle di giallo paglierino, facendoli gemere e annaspare. Iridia ordinò di serrare i ranghi evitando così attacchi inutili.

‘’Mi dispiace dover rovinare questa vostra festosità. Questi cavalieri dovrebbero pensarci due volte prima di attaccare impulsivamente qualcuno che è più forte di loro.’’- esordì l’uomo con voce pacata, ammirando lo splendore del palazzo. Daernith riconobbe le due entità ed impallidì; quella visita era inaspettata e le Sorelle delle Corone non avevano avvertito alcuna aura magica.

‘’Non serve nascondervi sotto quei cappucci, Recluso e Peccatrice. Mostratevi!’’- rispose la Sorella Maggiore dopo un breve attimo di silenzio, riacquistando compostezza. Le due figure si rivelarono alla luce delle candele, con un luccichio inquietante nei loro occhi nonostante la vacuità. Il Recluso e la Peccatrice si mostrarono finalmente ai presenti, suscitando scalpore generale. Il passare degli anni avevano segnato il loro viso coprendoli di rughe e tingendo alcune ciocche di grigio, ma non il loro spirito e il potere che covavano dentro di sé. La Peccatrice venne attratta dalla luce dorata che Arilyn stava emanando dalle sue mani involontariamente e sorrise, cercando di infondere calma.

‘’Chiedo anche umilmente perdono per esser stato scorbutico qualche settimana fa, quando ero sotto forma di spettro. Per poter compiere quella magia, bisogna fare affidamento su emozioni negative. Ma questo non vi interessa, più che altro volete conoscere la ragione della nostra presenza.’’- prese nuovamente la parola il Recluso, avanzando ancora verso i Legionari e notando la luce di Arilyn.

‘’Non solo, ma sapere anche cosa volete da noi Rovi Rossi.’’- asserì Mylgred la Terza Sorella stringendo i pugni sui braccioli di pietra del trono, infastidita dalla loro
presenza.

‘’Siamo qui per due sole ragioni: mettervi in guardia dai Rovi Bianchi che stanno preparando un grande esercito, stesso vale per i Rovi Neri e restare in questo luogo per darvi qualsiasi conoscenza in nostro possesso. Anche la Cittadella degli Abbandonati ne è al corrente, sappiamo benissimo che lì vive una vostra vecchia compagna d’arme.’’- rispose la Peccatrice, raggiungendo l’uomo e sfiorandogli la spalla con la sua. Arilyn notò il labbro inferiore di Iridia tremolare non appena udì quel luogo, nonostante il suo potere non accennava a placarsi.

‘’Come possiamo fidarci di voi due? Vi siete nascosti per tre millenni, siete stati i testimoni di una delle più sanguinose guerre che questo regno potesse affrontare e adesso osate presentarvi a palazzo con queste fandonie? Mi rifiuto di ascoltare queste baggianate!’’- tuonò Largorthel la Quarta Sorella del Concilio, quasi tentando di uccidere le due entità con il suo sguardo carico di rancore. La Quinta Sorella Erthaor, invece, cercò di placare gli animi delle due donne e corrispose a quanto detto:

‘’Gradirei vedere se il vostro cuore dice il vero sfruttando il mio potere.’’

‘’Non servirà.’’- replicò il Recluso, chiudendo gli occhi e rilassando ogni fibra dei suoi muscoli. Un intenso fulgore biancastro si sprigionò dal corpo dell’uomo investendo i presenti e le Sette Sorelle. Tra quelle nubi bianche e trasparenti, affiorarono ricordi ed eventi passati del Recluso e della Peccatrice tra le quali anche i loro nascondigli di fortuna. Infine capeggiò ciò che disse inizialmente l’entità millenaria in precedenza. Fu il potere di Arilyn a contrastare quello del Recluso, facendo svanire il tutto in migliaia di piccole scintille. La Terza Sorella volse lo sguardo a tutte le altre sorelle e mosse il capo, confermando che dicevano il vero.

‘’Forse la nostra aura amplifica in modo incontrollato il tuo potere, non è così Arilyn dei Thandulircath?’’- chiese la Peccatrice. La donna si concentrò e placò quella fiamma che ardeva nell’anima della Thandulircath, impedendo così di manifestarsi con forza incontrollata. La ragazza decise di avvicinarsi ed Iridia tentò di fermarla ma le sfiorò appena la mano venendo ostacolata da Veldass che le negò di proseguire oltre.

’Perché avete atteso così tanto per mostrarvi? Nelle prigioni c’è un ragazzo, vittima e testimone della guerra che incombe. Il sangue, la morte e l’abbandono sono piaghe che lo accompagneranno per il resto della sua vita. Voi, come conigli, vi siete nascosti nell’ombra. Di cosa avevate paura? Di essere catturati? Uccisi? Non credo, a giudicare da come il mio potere si è comportato in vostra presenza! E come conoscete il mio nome?’’- strepitò, serrando i pugni. Non le importava della reazione dei due millenari, voleva avere risposte ad ogni cosa.

‘’È a causa dell’ennesima battaglia che avete affrontato che non ci siamo esposti. Mostrarci in un momento critico non avrebbe giovato.’’- rispose il Recluso, impassibile. Arilyn sferrò un pugno che impattò sulla mano dell’uomo, arrestandosi. La giovane Thandulircath cercò di forzare quell’ostacolo, risultandole impossibile. Più si sforzava, più le forze iniziarono a mancare. Il Recluso poggiò le sue mani sulle spalle di Arilyn con dolcezza innaturale e continuò a parlare:

‘’Comprendo i vostri stati d’animo, soprattutto il tuo che è in continua lotta. Conosciamo molto di questo mondo, i suoi popoli, i regni che sono nati e caduti…Sei l’ultima dei Thandulircath, orfana di entrambi i genitori e l’unica eredità che ti è rimasta è il ciondolo che porti al collo. Il tuo popolo era uno dei sette regni che nacque contemporaneamente alla discesa sulle Terre del Nord della Fiamma del Gelo. Non posso darti torto, ci siamo nascosti come vigliacchi, ma rispondi a questa domanda: durante una discussione concitata, preferisci intrometterti rischiando di peggiorare il tutto o attendi?’’- quella semplice domanda fece desistere Arilyn dal suo attacco impulsivo. La Peccatrice le sfiorò il viso con due dita, simile ad una madre con il proprio pargoletto.

‘’Non sentirti amareggiata per la tua azione impulsiva, bambina, è più che naturale. Adesso, vorremmo essere condotti nelle prigioni, è il luogo dove l’interesse di un possibile invasore scarseggia.’’- constatò la donna, sorridendo. Entrambe le entità millenarie vennero successivamente scortate dal Legionario Veldass che tenne alto il randello di ferro. Arilyn, imbarazzata per quella ridicola scenette, corse nel suo alloggio. Le Sette Sorelle rivelarono ai restanti presenti che l’energia delle due ‘divinità’ erano in grado di provocare reazioni simile a quella di Arilyn e anche il più tenace di loro si sarebbe sgretolato come una insignificante pietra; Iridia conosceva quel sentimento di impotenza e rammarico, decidendo così di andarle a parlare.
Dall’ombra dell’ingresso giunse il Titano Vidthar a braccia conserte, i raggi lunari dipingevano strane sfumature sul suo corpo d’onice. Alcuni cavalieri si allontanarono dal suo avanzare, timorosi di una reazione. Il Concilio restò a fissarlo con insistenza, perplesse per quell’improvvisa comparsa. Daernith gli ordinò di parlare, di rivelare perché i suoi occhi trasmettessero la sua anima combattuta.

‘’Li ho condotti io qui. La nostra magia, derivante dalla Madre del Globo, è simile alla loro per questo non ho avuto problemi a trovarli a pochi chilometri dal confine. Dovrei compiacermi di questo, però tutti voi siete contrariati e addirittura disgustati dalla Loro presenza. Con permesso…’’- rispose la creatura, prima di svanire un flebile bagliore grigiastro. La Seconda Sorella Hallothel, rimasta per troppo tempo in silenzio, propose di esiliare il Titano dal loro regno per evitare insubordinazioni o vili tradimenti. Venne appoggiata solo dalla Quarta Sorella, tutte le altre rifiutarono categoricamente quell’insulsa decisione.

‘’Non possiamo esiliare il Titano per averci condotto il Recluso e la Peccatrice…’’- prese brevemente parola Rivaltnith la Sesta Sorella per consentire a Rivornith la Settima Sorella di proseguire:

‘’…al nostro cospetto. Violeremo qualsiasi ordine divino, rischiando di far infuriare la defunta Madre del Globo e la Dea del Cosmo.’’

‘’E noi non vogliamo che ciò accada. Il Regno deve affrontare i Rovi Bianchi e i Rovi Neri, una possibile punizione da parte delle Dee non è accettabile. Erthaor, essendo l’unica in grado percepire la verità e di unificare gli animi, ti recherai dal Recluso e dalla Peccatrice una volta ogni due giorni. Voi altre Sorelle vi occuperete di informare gli avamposti. Io, invece, la Cittadella ma solo una persona dovrà ricevere quel messaggio. A domani e che il Sole possa vegliare su di noi.’’- asserì Daernith, battendo le mani e invitando tutti a congedarsi. Nel mentre che la Sala del Trono si svuotava, con i pochi soldati di guardia, Iridia era davanti l’alloggio di Arilyn che bussava più volte per farsi aprire. La porta si aprì, mostrando il viso della giovane arrossato e gli occhi socchiusi in una espressione di rabbia mal celata:

‘’Vattene Iridia, pensi che non ti abbia visto seguirmi? Dopo quel ridicolo spettacolino, mi sento...lasciamo perdere.’’- disse la Thandulircath nel tentativo di chiudere la porta, ma il vambrace del comandante ostacolò l’azione.

‘’Credi che non lo sappia come ti senti? Tu hai notato il pedinamento, ma io ho notato il tuo sguardo da felino curioso quando hanno nominato la Cittadella degli Abbandonati. Non scorrerà mai buon sangue tra noi due, ma ti compatisco.’’
Arilyn rise sommessamente, una risata che trasudava amarezza e incredulità. Si passò una mano sul volto stanco, tentando di cancellare l’espressione rabbiosa:

‘’Il grande comandante Iridia che prova compassione per una come me, questa è un’altra delle migliaia di novità che assistito. Non riesco a togliermi dalla testa quella domanda, così semplice eppur disarmante. Mi sono sentita sciocca! Infantile! Per quale ragione sei qui?’’- domandò, con le parole che le morivano in gola, seduta sul suo letto che non le dava il giusto conforto.

‘’Comprensione e compassione. Quello che ti dirò va contro il mio essere, a causa dell’influenza magica del Recluso e della Peccatrice che ha su di noi e non osare farne parola con gli altri, intesi?’’- chiese con fermezza. Arilyn si limitò ad annuire e la invitò a sedersi sul letto.

‘’Nella Cittadella degli Abbandonati vive una mia vecchia conoscenza. Una esperta nell’arte dell’arco e delle frecce, in grado di scoccarne quattro e centrare il nemico sulla nuca, sul collo, sulla schiena e sul bacino senza concedergli di urlare. Entrambe abbiamo condiviso segreti e tecniche per diventare un giorno comandanti. Diventammo entrambe Legionari ed ero felice di star con lei, e il mio cuore batteva incontrollato quasi come una carica di belve feroci. Un giorno, però, lei decise di proseguire altrove il suo cammino. Non potevo costringerla a restare, in fin dei conti per diventare esperti bisogna avere esperienza…Ma con il suo addio, anche parte del mio cuore è andato via…’’- raccontò con malinconia il Comandante dei Legionari, passandosi una mano tra i capelli castani e cercando di restare impassibile pur sapendo che le lacrime stavano avendo la meglio sulle sue difese.

‘’Si spiega il tuo distacco emotivo e la poca fiducia in coloro che non conosci…Siamo così forti e allo stesso tempo fragili. Quanto tempo è passato da quel fatidico addio?’’- chiese cautamente Arilyn; iniziò ad avvertire una leggera emicrania e debolezza, ma restò vigile.

‘’Cinque lunghi anni. Da quel giorno, ho preferito pietrificare il frammento di cuore che mi è rimasto e sfruttare solo la logica per non soffrire. Ora, con permesso, è giunta l’ora di riposare.’’- replicò lei, asciugandosi gli occhi e dirigendosi alla porta socchiusa. Prima che potesse varcare la soglia, si sentì stringere alle spalle con forza.

‘’Nonostante tu non voglia ammetterlo, avevi bisogno di questo. E non lo nego, anche io ne avevo bisogno.’’- disse Arilyn, quasi bisbigliando. Il Comandante restò immobile, sfiorando quelle due mani che la stringevano in una morsa d’affetto. Dopo alcuni secondi che sembravano interminabili, la Thandulircath lasciò la presa.

‘’Sei strana, Arilyn.’’- constatò Iridia, sorridendo leggermente.

‘’Da quando sono qui tutto mi risulta strano ed innaturale. Persino quello che ho appena fatto…Beh, buonanotte Iridia.’’- replicò ed entrambe le donne si salutarono. L’asfissiante calore che avvertì nel petto e nelle mani e nel petto precedentemente era svanito. La debolezza e l’emicrania, invece, si intensificarono costringendola a coricarsi. Il buio, fedele amico della Notte, inghiottì la stanza con le sue varie sfumature permettendo ad Arilyn di addormentarsi senza sforzo. Sprazzi di luce, tasselli infuocati di un mosaico inondarono la sua mente volteggiando forsennatamente. Rivide nuovamente quel deserto colmo di creature orrende, di una feroce e cruda battaglia che lasciava cadaveri ovunque. Udì la voce di un ragazzo che la chiamava ma era lontana. Irraggiungibile. Il costante volteggiare di quel mosaico di fuoco si tramutò in un vortice che la fece piombare nel suo occhio, scagliandola in diversi punti finché non iniziò a perdere la sua devastante forza. Si ritrovò con il viso nell’erba fresca tinta d’arancio a causa di un tramontò oltre alcune montagne: era tornata nel mondo onirico. Il cielo, seppur terso, era rosso scarlatto accompagnato da centinaia e centinaia di colori che si univano e si dividevano con piccoli boati.

‘’Di nuovo nel mondo dei sogni? Potrei definirla la tua terza casa visto che vieni qui spesso.’’- esordì una voce dall’alto di un noce. Arilyn si voltò, riconoscendo quella voce ma incapace di vedere chi fosse lo straniero seduto a penzoloni sui rami dell’albero. Lo strano figuro balzò dall’albero e atterrò senza emettere alcun suono pur avendo una spessa armatura fatta di ghiaccio. I capelli e la barba argentati, simili a fili d’argento che decoravano un viso dall’espressione serena. Sotto le palpebre vi erano due minuscole linee celesti che si ramificavano in altre ancora più piccole. Un pugnale fatto interamente di ghiaccio pendeva dal cinturone e fu quell’oggetto a provocare stupore nella Thandulircath:

‘’Bregoldir? Tu qui?’’

Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Uldronoss, estate. Crepuscolo mattutino.

Dopo un lungo sonno ristoratore, il giovane Darrien constatò di essere l’unico sveglio al crepuscolo mattutino nell’avamposto della foresta. Vi giunse poco prima del tramonto, accolto da alcune sentinelle già avvertite del suo arrivo. L’intero luogo era protetto da bastioni esagonali diramati a stella lungo il perimetro e costruiti preservando la natura circostante. Tre lati di ogni bastione era munito di arciera per consentire a più uomini di contrastare attacchi nemici e poco sopra, dove era situato il camminamento di ronda, vi era una feritoia a becco ricoperta di liquame nero. All’interno dell’avamposto, invece, vi erano la caserma e la residenza dall’aspetto sobrio senza alcuna decorazione sfarzosa. Al suo arrivo, una delle sentinelle lo informò che il Capitano sarebbe tornato la mattina seguente da una missione di recupero. Si ricordò del regalo fatto da Dolmihir e decise di aprire il baule che lo conteneva; per le centinaia di compiti da svolgere, aveva deciso di rimandare l’apertura e di metterlo in sella al destriero scusandosi poi con lui. Inserita la chiave e tolto il lucchetto, all’interno del forziere vi trovò quel che sembrava essere un teschio d’ariete ricoperto di metallo ed incisioni Cirth sulle corna. A difesa del collo vi era una cotta di maglia e cuoio rinforzato da piccoli strati di Legnoscuro. Colpì diverse volte con le nocche sulla superficie, constatando l’estrema resistenza.

‘’Essendo anche uno dei migliori alchimisti del mio popolo, mi sono procurato un tuo capello per rendere l’elmo solo ed esclusivamente tuo. Chiunque lo indossi non essendo il legittimo proprietario, la magia delle rune farà in modo di fargli esplodere la testa come una zucca marcia.’’- ricordò le parole del nano dopo aver condotto al sicuro la merce. Non appena lo indossò, avvertì che l’elmo non era pesante ed era comodo, con un eccellente campo visivo. Percepì anche odori e suoni che provenivano da lontano, da altre selve: belati, muggiti, sibili, ronzii. Qualsiasi suono della fauna.

‘’Quest’elmo comunica magicamente con altri animali? Che razza di teschio d’ariete è questo?’’- si chiese Darrien, togliendoselo e posandolo nell’apposito luogo. Oltre all’elmo, vi era un vambrace munito di spara dardi a ripetizione utile per colpire il nemico in caso di supremazia fisica.

‘’Quei dardi sono altamente e mortalmente velenosi. Ho trattato con un po’ di fiamma d’Ambra il sangue di alcune Vespe Rubino. Tu e tutti gli altri siete immuni, ma i nemici no.’’- si ricordò di una piccola vicenda con Dolmihir quando era ubriaco e gli rivelò quel progetto. L’ultimo accessorio era un mantello a mezza girandola che terminava poco sopra le spalle, bordato di uno strano tessuto simile alla pelliccia ma più ruvido al contatto. Per una sua curiosità, indosso il vambrace spara dardi e si punse l’indice con uno di essi fino a far fiorire un bocciolo cremisi sul polpastrello. Il veleno non sortì alcun effetto, come detto da Dolmihir ma volle provare ancora l’efficienza. Sul parapetto ove vi era poggiato, intravide una lucertola grande abbastanza da essere il bersaglio dell’aculeo: mirò con lentezza il suo obiettivo, tirò l’anulare sinistro avvolto dall’anello e il proiettile venne scagliato così rapidamente da non essere visto. Il minuscolo aculeo infilzò la lucertola sul collo che iniziò a ricoprirsi di piccole bulbi cristallizzati su tutti il corpo, dalla bocca esplosero con violenza le interiora e cadde giù dal blocco di marmo lasciandosi dietro un lungo rivolo di sangue.

‘’Ammirevole.’’- disse, posando poi il tutto. Il Sole era alto ormai e si udirono i primi corni da richiamo provenire oltre le mura esterne. Dalla sua postazione era in grado di tenere d’occhio il grande ponte levatoio di ferro sorretto da gigantesche catene nere e con una sola guardia dalla corporatura innaturalmente possente. Varcarono la soglia dozzine di cavalieri di ogni classe, tra le quali vi erano soldati in coppia su un solo cavallo che si davano la schiena; quelli seduti frontalmente brandivano una lunga lancia dalla punta uncinata e come armi secondarie disponevano di una spada e un cannone a mano. Invece, coloro seduti nella parte opposta si occupavano dei potenziali nemici nelle retrovie usando un bastone ricavato da un ramo pietrificato, con un globo di vetro opaco incastonato e protetto da una spirale d’acciaio:

‘’Incantatori?! Sono dei folli se restano vigili solo in una direzione…’’- giudicò il ragazzo, osservando perplesso l’efficacia della magia in combattimento soprattutto se è sanguinoso. In quel momento gli incantatori agitarono la loro arma, illuminandosi di bianco ed emettendo suoni striduli come unghie sul vetro seguite da un soffio di vento in tempesta.

‘’Una barriera protettiva? Efficace contro nemici piccoli o media grandezza, inutile contro magia più potente.’’- disse una voce con tono ironico su quello spettacolino. Con la coda dell’occhio Darrien vide una moltitudine di piccoli specchi che fluttuavano e vibravano di diversi colori prima di ricomporsi nella sua forma originale: un ragazzo dai capelli biondi e corti, dalla barba incolta e dai lineamenti decisi. Indossava una corazza a piastre con diversi emblemi dipinti sul petto e su entrambi i vambrace.

‘’Sivaln? Cosa ci fai tu qui?’’- chiese meravigliato il Varg, stringendogli con forza la mano e dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Sivaln ricambiò con altrettanto vigore e sorrise nel rivederlo.

‘’Potrei dire lo stesso di te, vecchio amico. Studio presso diversi reggimenti per aspirare a diventare generale dell’esercito del mio popolo e nonostante sia lontano da Huvendal, l’ambizione militare ha prevalso. Aithwen ha deciso di compiere lo stesso mio cammino ma su tecniche arcane. Il bastone degli incantatori è opera sua, ma ora tocca a te.’’- rispose il ragazzo, poggiandosi al corrimano e curiosando con lo sguardo la cassa posata a pochi metri da loro.

‘’La Dea del Cosmo. A causa del mio comportamento saccente e burbero, questo è il mio cammino di redenzione per ritrovare il mio equilibrio. E, tutt’ora, non ho ritrovato Arilyn.’’- corrispose Darrien, annuendo leggermente. Un leggero buffetto dato con il pugno da Sivaln lo destò dal suo stato di malinconia.

‘’Non disperare, è una donna forte. Uno dei Titani d’Onice mi ha raccontato di quello che è stato in grado di fare. Vedrai starà bene, adesso andiamo che il Capitano ci aspetta. E non dimentichiamoci gli elmi.’’- replicò tramutandosi nuovamente in quella nuvola di piccoli specchi catapultandosi diretto sul campo. Lo stesso fece Darrien prima di recuperare il suo elmo, ricordandosi di avere un’altra abilità appresa durante il suo soggiorno nel regno e, così come era scomparso, ricomparve nel campo sottostante senza emettere alcun rumore. L’intera piazza era colma di soldati in varie armature colorate, variavano dalla semplice armatura alla cotta di maglia fino a corazze a piastre dall’aspetto minaccioso. I soldati a cavallo si misero in riga e successivamente il Capitano fu l’ultimo a varcare la soglia: era una donna affascinante, dai lunghi capelli neri e ricci, con indosso una armatura forgiata per la sua corporatura donandole fierezza e ammaliante allo stesso tempo. A renderla ancora di più intrigante erano gli occhi di due colori diversi: uno azzurro e l’altro verde. Tutti esultarono alla sua comparsa colpendo con veemenza gli scudi, applaudendo e agitando le loro armi a mezz’aria.

‘’Vi ringrazio per la vostra accoglienza così calorosa, miei splendidi soldati. Quest’oggi abbiamo riportato una piccola vittoria per il nostro avamposto che adesso sarà ampliato grazie alla costruzione di un piccolo forte che si trova a mezzo chilometro da qui, facile da raggiungere e da sorvegliare. Lode ai Rovi Bianchi!’’- esordì la donna, scendendo dal suo destriero e salutando i suoi commilitoni con sorrisi e occhiolini. Darrien scosse la testa disapprovando quel comportamento fin troppo amichevole, se non addirittura seducente.

‘’Bentornato Sivaln, è bello rivederti qui. E lui dovrebbe essere il neo comandante dei Rovi Bianchi, giusto? Perfetto, seguitemi nel mio ufficio.’’- disse la donna, avvicinandosi ai due ragazzi in armatura. Superato il lungo corridoio a croce il loro cammino terminò dove detto. L’ufficio era colmo di mappe arrotolate e legate da spaghi colorati, diversi libri accatastati e dalle pagine piegate o macchiate da liquidi impossibili da comprenderne l’origine, utensili per la cura del viso e molto altro ancora.

‘’Perdonate il disordine e i miei oggetti personali. Dopo aver sistemato queste scartoffie, mi prendo cura di me stessa per evitare di avere una crisi di nervi.’’- cercò di nascondere l’imbarazzo il Capitano, spostando tutte le carte in un solo angolo della stanza.

‘’Con una guerra che incombe, ha davvero tempo di occuparsi del suo aspetto?’’- chiese Darrien, togliendosi l’elmo per poi poggiarlo su un cuscino lì vicino. La donna restò senza parole, sia per la domanda che per aver visto il volto del comandante. Gli occhi guizzavano dai lineamenti agli occhi, dai capelli corvini alle labbra e al resto. Le guance avvamparono di un rosso intenso il che fece reagire Darrien con più fermezza:

‘’Eviterei possibili fantasie su di me, le considero riprovevoli. Risponda al mio quesito cortesemente, senza mentirmi.’’

‘’Oh? Beh, quando posso. Per il momento i Rovi Rossi non hanno attaccato e quindi posso concedermi un po’ di tempo per me. Il Re ti ha mai detto che sei un po’ scontroso come comandante?’- domandò la donna, toccando alcuni ricci con le dita mal celando il suo nervoso. Il Varg rise di gusto, convocando la sua oscurità e facendola balzare su ogni centimetro della stanza.

‘’Quel nullafacente, lussurioso e imbecille del Re non è di nostra priorità! Non baderò alle tue frivolezze, ma come ho già detto ai Capitani Gemelli, voglio qualcosa che si addica al tuo rango. Intesi?’’- chiese lui, ritirando la coltre di nebbia nera che trascinò con sé alcuni degli oggetti mal riposti sulle credenze. La donna si portò le mani sulla bocca, scioccata da ciò che era appena successo.

‘’Il primogenito della regina…? I miei sospetti sull’esistenza di un altro figlio erano fondati! La prima fila di smagliature che aveva sul grembo erano il segno di un qualcosa e finalmente eccola, davanti ai miei occhi. Lieta di fare la tua conoscenza, sono Morrygan Ravaqen!’’- si presentò con un solenne inchino, suscitando ilarità in Sivaln.

‘’Darrien di Huvendal, figlio di Searlas e comandante degli eserciti. Fino ad adesso cosa avete di interessante contro i nostri nemici? ‘’- chiese Darrien, già stanco di trovarsi in quel luogo. Per ora apprezzava solo l’avamposto del mezzo silvano, con decorazioni floreali unite alle forme sinuose degli alberi che circondavano quel luogo. Il Capitano Morrygan srotolò diversi fogli ingialliti mostrando alcuni luoghi segnati da diversi colori come turchese, viola e giallo. In basso al foglio erano descritti l’uso di quei singoli color: il turchese rappresentava i luoghi dove venivano consegnate le risorse dai campi neutrali; il viola erano le conquiste, con un totale di tre piccoli villaggi a testimoniarlo; infine un grosso cerchio tratteggiato di colore giallo significavano insidie e pericoli mortali superato il confine di Uldronoss.

‘’Ci sono state delle perdite durante queste esplorazioni? Pedinamenti?’’- domandò Darrien, passando da un foglio all’altro, notando anche diversi simboli irriconoscibili sui tomi di topografia.

‘’Negli ultimi tre mesi ho perso tra i settanta e i centocinque uomini, divisi in ricognitori e sentinelle. Ho richiesto al Re di inviare alcuni rinforzi per colmare le perdite. Si è limitato a cinquanta uomini, metà della quale tutti giovani. Da allora sono quasi costretta ad essere amichevole con i miei soldati, incoraggiandoli grazie alle poche conquiste.’’- rispose la donna dalla chioma riccia, porgendo una copia del documento che richiedeva i rinforzi.

‘’Sei fortunata che il Re si atterrà a quello che ordinerò io. Farò inviare trecento uomini, espressamente già esperti in questo campo e che siano pronti a tutto.’’- corrispose il giovane leggendone la copia con la firma della donna. Prese un foglio, una penna e calamaio e iniziò a scrivere un telegramma da far ricevere al Re dove si richiedevano trecento uomini di ogni classe militare disponibile ed inviarli ad Uldronoss prima possibile. Non appena terminò, Darrien chiese a Sivaln di trovare un messaggero e rivelargli il motivo di tale fretta nel consegnare il tutto.

‘’Ricevuto.’’- asserì Sivaln ed uscì. Quando stava per congedarsi, il Comandante venne fermato sull’uscio dalla donna. La sua voce era meno melodiosa, più bassa e quasi affranta, come colta da un improvviso malessere. Morrygan domandò al ragazzo se si ricordasse quanto detto prima inerente alle frivolezze.

‘’Sì, e dunque?’’- fu il quesito del Comandante, perplesso da quell’inaspetto cambio della donna.

‘’Bene…’’- rispose il Capitano, portandosi una mano sulla folta chioma di ricci. Bastò un solo movimento per mostrare che i suoi veri capelli neri e ricci erano nascosti da quella imitazione che scivolò sul pavimento di legno con un leggero fruscio. La sua vera chioma era più corta, che le ricadeva poco sopra le spalle con alcune ciocche grigie. Si pulì il viso con un panno umido, mostrando così occhiaie e palpebre gonfie.

‘’Queste frivolezze sono per dimostrare ai miei uomini che niente può scalfirmi. Odio mentire, ma è a fin di bene.’’- disse la donna, smascherandosi innanzi al ragazzo e lasciandosi cadere a peso morto sulla sedia. Darrien applaudì e le sorrise suscitandole incertezza.

‘’Apprezzo l’onestà. Lei è la seconda persona che dimostra di non aver timore di rivelarsi, di far cedere quella barriera. Parrucca in questo caso. La bellezza è un fattore secondario, quello che conta risiede solo in due luoghi.’’- replicò il ragazzo, indicando con l’indice la testa e il cuore. Uscito dall’ufficio, si diresse all’esterno dell’avamposto per esaminarne eventuali brecce, misurare il perimetro considerando modifiche o rinforzi lungo i bastioni. Con le poche abilità d’artista in suo possesso, disegnò la planimetria al centro del foglio e con varie frecce indicò i cambiamenti da apportare sulle merlature. Nel mentre che trascriveva tutto quel che osservava e andava migliorato, percepì un gemito accompagnato da un tintinnare di catene. Insospettito da quel fracasso, seguì i costanti rumori che diventavano sempre più assordanti finché non si ritrovò a pochi passi da quel che sembrava essere un duello. Nascondendosi dietro alcune felci, scorse una donna munita di uno scudo bronzeo e una spada dalla lama ricurva fronteggiare cinque nemici dalla corporatura possente e da corazze resistenti ai duri colpi: i graffi e i solchi della spada ne erano la prova.

‘’Non temo la vostra superiorità, perirete sotto il sibilo della mia lama.’’- urlò lei, scostandosi i capelli biondi dal viso con gesto del capo. Uno di loro, l’unico a cavallo, rise alla minaccia e impartì ai suoi uomini di non darle tregua. Darrien riconobbe la sua voce e un particolare interessante: la mano tremolante e il viso ustionato.

‘’Sono passati quasi tre anni e quello sciacallo è ancora vivo? Non ti ho ucciso perché non vi era necessità quel giorno, ma lo farò ora. Vediamo cosa è in grado di fare quest’elmo.’’- disse tra sé e sé, indossandolo e spostandosi cautamente tra i cespugli, senza fare rumore. Avvertiva un formicolio partire dalle tempie e terminare lungo la schiena. Quando uno degli sgherri colpì per primo, la giovane guerriera reagì colpendolo con il bordo dello scudo sulla visiera fracassando sia essa che il naso del suo sfidante per poi trafiggerlo tra mento e gola, squarciando la carne. Il secondo sopraggiunse scagliando via il cadavere del compagno e afferrò il braccio munito di spada torcendolo, ma lo scudo della donna lo spinse via per poi farlo cadere sul compagno defunto con un poderoso colpo al ginocchio non protetto. Le chiome degli alberi cominciarono a vibrare per poi esplodere in un turbinio di foglie e piume che investirono i tre malcapitati. Da ogni lato della vegetazione comparvero diversi predatori, rettili e insetti. Darrien approfittò di quel momento di distrazione per tranciare le zampe del quadrupede e far capitombolare la sua preda dalla groppa. Lo sgherro cambiò bersaglio e si diresse dal nemico comparso dal nulla, ignorando completamente la presenza di un orso che attendeva tra i cespugli e che gli balzò addosso schiacciandolo. Le fauci si chiusero sulla sua gola e la tranciarono, venendo trascinato per diversi metri.
‘’Che maleficio è mai questo? Chi diavolo sei tu?’’- domandò il capo degli aggressori alzandosi e brandendo il suo spadino. Come risposta, Darrien gli diede una violenta testata spaccandogli il naso e i denti. La guerriera si occupò dell’ultimo soldato, pietrificato dalla paura, conficcandogli obliquamente la spada tra il collo e la spalla e dandolo in pasto ad altri animali affamati che sventrarono senza rimorso quel prediletto pasto. Anche il soldato ferito ebbe la stessa sorte, tra urla e carne strappata. Restarono solo in tre:
‘’Dovevo ucciderti in quel mercato!’’- urlò il ragazzo, sferrando due montanti sul mento dell’uomo. Un altro sullo stomaco e un altro ancora sulla nuca. Si tolse l’elmo, così che quel lurido cane potesse vederlo.
‘’Tu? Dovresti essere…non importa!’’- sbraitò lo sciacallo dal volto deforme e sanguinante tentando di colpire con diverse stoccate del suo spadino il giovane. Un fulmineo movimento e la mano venne tranciata fino a metà polso. La lama, intrisa di sangue, puntò dritta alla sua gola. Minacciosa brillava al sole, con il liquido scarlatto a tingere il ferro e l’erba sottostante. L’oscuro potere che custodiva dentro di sé si riversò sulle zone non protette dell’armatura e penetrarono nella carne, simili ad uncini incandescenti tranciando i nervi, i muscoli e spezzandogli le ossa. Le urla e le lacrime dell’uomo non mossero le corde del suo cuore:

‘’Ti prego! Basta! Non sopporto tutta questa sofferenza!’’

’Sofferenza? Tu parli di sofferenza, ma nei tuoi occhi leggo benissimo la crudeltà che abbraccia il tuo cuore e il tuo spirito. Hai fatto patire e perire molti innocenti Meriti solo di morire, cosicché tutti avranno giustizia...’’

La spada nera sibilò e tranciò la testa dell’uomo, che venne afferrata e sbranata da un lupo ancora in attesa della sua ricompensa. L’oscuro potere che comunicava con la lama permise alla ferita di cauterizzarsi istantaneamente, ma lasciò uno sgradito odore di carne bruciata. Il sangue, le parti di armature staccate e la carcassa del cavallo erano i testimoni di un brutale massacro. La guerriera tentennava se attaccare anche lui o meno.

‘’Una ninfa abile nell’arte della spada. Curioso. Pensavo che le ninfe si dedicassero solo al benessere dell’ambiente che le circondava.’’- esordì Darrien, esaminando i vari oggetti che quelle carogne avevano lasciato.

‘’Ero affascinata da quest’arte fin da bambina e adesso sono in grado padroneggiare queste armi bianche con maestria. Tu saresti?’’- domandò la donna, ripulendo la lama sui brandelli di stoffa lasciati dai cadaveri.

‘’Darrien, Comandante dei Rovi Bianchi e dell’élite Merfolk di Huvendal, la mia terra.’’- rispose lui, trovando una mappa estremamente dettagliata del confine di Uldronoss con fiumi e percorsi sicuri.

‘’Io sono Aura, ninfa di terra e la prima ad essere una guerriera. Ho lasciato il regno del Draal da qualche mese per dedicarmi ai miei allenamenti. Ti ringrazio per il tuo aiuto, ma potevo cavarmela da sola.’’- corrispose, leggermente sgarbata.

‘’Aura? Sei la sorella di Amphitrite e Nomia?’’- domandò lui, alzandosi e posando la mappa all’interno dell’armatura. La ninfa lo fulminò con lo sguardo e puntò la spada nella sua direzione.

‘’Sì, ma non deve interessarti! Mi sono allontanata per seguire la mia vocazione, ovvero essere una ninfa guerriera e dimostrare che non siamo solo delle creature addette alla natura, ai satiri e robaccia del genere. Torna al tuo dovere, io vado per la mia strada.’’- replicò adirata per poi rinfoderarla. Il ragazzo ammirò la tenacia e lo spirito combattivo di quella ninfa.

‘’Ti propongo una sfida. Se riuscirò a batterti in duello, tu tornerai dalle tue sorelle continuando la tua professione. Se perderò, allora farai parte dell’esercito attuale di questo luogo. Si userà tutto ciò che in nostro possesso. Accetti?’’- chiese Darrien, porgendo la mano in attesa di una risposta o della stretta. Aura sfoderò immediatamente la spada e partì all’attacco con un rapido affondo, malauguratamente prevedibile e ricevette una dura gomita sul labbro. La lama nera sibilò contro di lei, schiantandosi sullo scudo bronzeo che emise scintille e fumo; l’iniziale crepa sulla superficie divenne una fessura dove la donna poteva osservarlo. Ancora stordita da quel violento impatto, non vide la mano del ragazzo afferrarle il viso e schiantarla nel fango. Reagì in un secondo momento afferrandogli saldamente il braccio e scagliandolo oltre le spalle, in una disorientante capriola.

‘’Perfetto, è mio!’’- pensò la giovane, gettando via lo scudo e tentando di piantare la spada nel suo corpo come se fosse un paletto. Darrien balzò di lato e le graffiò il fianco con la spada nera per poi sferrare un montante che la mancò per un soffio. Aura lo colpì con un calcio sul fianco, ma il comandante riuscì a bloccarlo e a gettarla nell’erba insanguinata, facendole perdere la presa sull’arma. La ninfa, ancora tenace riuscì a colpirlo al viso ma non abbastanza forte da dissuadere il suo avversario. Entrambi si fiondarono sulla lama, una per recuperarla e l’altro per gettarla ancora più lontano.

‘’Tutto quel che è in nostro possesso?’’- domandò, colpendolo con una manciata di fango che gli impedì di vedere oltre e Aura si mosse lenta per colpire di soppiatto. Darrien restò fermo ad ascoltare ogni movimento, ogni sibilo, ogni odore che la natura emanasse. Percepì un respiro affannoso provenire dalle sue spalle, il fruscio dell’erba sotto degli stivali sporchi aiutarono maggiormente. Quando le vibrazioni divennero più forti e rapide, Darrien si tolse il fango dagli occhi e puntò la lama contro la sua avversaria fermandosi a pochissimi centimetri dalla gola. Lo stupore di Aura era palpabile, tanto da farle cadere la spada e lo scudo.

‘’Ti sei fidata troppo delle tue abilità, ignorando che un potenziale avversario possa sopraffarti con poco. Ho già avuto esperienze di cecità nella mia vita e ho affinato l’udito per compensare la perdita temporanea. Però, lo ammetto, ti sei dimostrata degna di portare questo grado.’’- disse il ragazzo, rinfoderando la sua arma.

‘’Ora sono costretta a tornare in quel luogo d’armonia e serenità. Dannazione…’’- ruggì la ninfa, passandosi le mani tra le lunghe ciocche bionde. Il ragazzo le riconsegnò la spada, ma conservò lo scudo per poterlo far riparare dal suo amico Dolmihir. Notando lo sguardo affranto, il comandante poggiò una mano sulla spalla e le disse:

‘’Visto che la tua vocazione è la guerra, puoi sempre addestrare le reclute e allenarti con i due Guardiani del Frammento. Inoltre, questo scudo lo terrò io e lo farò riparare da un formidabile nano di montagna. Aura, è stato un vero onore sfidarti.’’
La ninfa sorrise debolmente, ma avvertì una scarica d’energia indomabile ripensando alle parole di Darrien. Il suo futuro come possibile generale di un plotone le provocava fastidiosi ed eccitanti formicoli alle mani. Con un inchino, i due si congedarono ma la ninfa volle replicare:

‘’Mi hai dimostrato che posso migliorare, perciò io ringrazio te. La natura e il Sole siano con te.’’- e così se ne andò, diretta nel Regno natio. Darrien, nel rivedere quella schiera di carcasse maciullate ebbe la folle idea di recuperare alcune ossa ed usarle come rinforzi per l’armatura. Recuperò solo le ossa piatte, dato che tutte le altre risultavano troppo danneggiate o difficili da trattare e le ripose in un sacchetto con cura. Con una corda, legò nel miglior modo possibile la testa dello sciacallo ucciso per mano sua e se la mise sul fianco: per sicurezza, cauterizzò ulteriormente la lacerazione usando il suo potere e tornò indietro a recuperare il destriero nell’avamposto. Nell’ombra di arbusti secchi, due loschi figuri erano nascosti e attendevano solo il ronzio di insetti necrofagi pronti a cibarsi per agire.
‘’Carne, ossa, sangue e interiora. Uno spettacolo crudo e meraviglioso. Quel ragazzo ci ha donato la morte per il nostro esercito. Terbius, fratello, recupera il loro sangue. Al resto mi occupo io.’’- disse il demone dalla pelle d’ebano e gli occhi rubino.

‘’Con tali carcasse cosa speri di ottenerci? Sono deformi e molti di loro non possono altro che diventar…vorresti fondere quel quadrupede con tutti questi vermi?’’- chiese il fratello, tramutando le gocce scarlatte in piccole gemme cristallizzate per impedire che si perdessero. Il demone evocò una delle crisalidi che fagocitò i sei cadaveri, divenendo un grappolo deforme che si muoveva lentamente.

‘’La Dama delle Tenebre ha migliaia di volti e forme. E plasmerò le prede in suo onore.’’

Lynmes Alno. Concilio delle Sette Sorelle, mattina. Inizio dell’Autunno in nome di Luqnera.
L’alloggio della giovane Thandulircath era ancora avvolto da un manto ombroso imperscrutabile. Le pesanti tende impedivano alla luce di filtrare e rischiarare l’ambiente, limitandosi ad un singolo e fioco fascio luminoso che si riversava sul pomello della porta. Sotto le coperte, riposava ancora rifugiata nel mondo dei sogni dove Bregoldir le aveva dato il benvenuto. L’uomo, un tempo schiavo del gelido incantesimo della Regina e liberatosi grazie ad un inganno, non nutriva alcun rancore nei confronti della giovane condottiera.

‘’Questo è il solo luogo dove la mia anima può riposare. Un limbo eterno, ma piacevole. Ti chiederai il motivo della mia comparsa suppongo.’’- disse lui, tastandosi di tanto in tanto il ventre dove la sua ferita era ancor presente.

‘’In parte sì, ma sono soprattutto sorpresa che tu non sia con i tuoi avi.’’- replicò lei, toccandosi la mano che echeggiava un vecchio dolore. Ed una vecchia colpa.

‘’I miei avi possono aspettare, abbiamo ormai l’eternità. Tornando a noi, la mia presenza qui è solo da consigliere. Questo popolo…i Rovi Rossi hanno uno strano comportamento e ti consiglio, appunto, di non aprire troppo le porte del tuo cuore. Fidati di loro, però prestando attenzione. So come Gallart ti tratta, è nella sua natura, per questo io ho optato un approccio diverso...’’- corrispose il vecchio cavaliere togliendosi le foglie dai sottili capelli argentati; Arilyn lo considerava quasi un fratello perduto di suo padre tanto per la somiglianza del viso, dei capelli e della folta barba. Alle loro spalle, come un diavolo, apparve Gallart dagli occhi freddi e dal sorriso sadico:

‘’Essere così smielati nei confronti di qualcuno rende il diretto interessato un bamboccio debole. Servono durezza, per questo tratto chiunque come merita. Penso tu abbia notato il drastico cambiamento della Thandulircath? Affascinante anche come sia stata in grado di avere un dialogo con l’Essenza della Fiamma d’Ambra e non lasciarsi sopraffare dal suo potere.’’- esordì lui, indicandola con la mano e facendo guizzare i suoi occhi luminosi sull’uomo. Il suo sguardo si posò su Arilyn, come se volesse scavare nella sua anima cercando qualcosa di prezioso. Sorrise, sapendo di esserci riuscito.

‘’E suppongo tu abbia notato anche dell’influenza magica del Recluso e della Peccatrice. Non sono fiera di quell’infantile comportamento avuto in loro presenza. Vuoi sbeffeggiarmi? Fatti avanti!’’- replicò lei avanzando con la rabbia che imperversava con insistenza; Bregoldir tentò di fermarla, ma inutilmente. Gallart scosse la testa, ridendo di gusto:

‘’Sì, ho avvertito la loro presenza e la magia che i lori spiriti emanano. Sbeffeggiarti? Oh ingenua di una Thandulircath non serve. Hai una vaga idea della promessa che hai fatto? Giurare di proteggerli, di liberarli da questi Rovi Bianchi ed evitare che il gemello malvagio ritorni per massacrare tutti senza alcuno scrupolo è stato sciocco. Sei schiava delle tue emozioni, del tuo codice d’onore mediocre. La premura offusca la ragione.’’- incalzò, attendendo una reazione della donna colpendole la fronte con due dita.

‘’Terrò fede alla mia promessa. Non li abbandonerò!’’- ruggì lei, facendo affidamento a tutte le sue forze e volontà di non reagire a quella provocazione. Bregoldir cercò di placare i loro animi, ma Gallart lo azzittì con un gesto della mano.

‘’Le promesse sono nate per essere infrante. I molti hanno giurato sul loro cuore e hanno fallito miseramente. Abbandono, dici? Proprio come hai fatto con i tuoi compagni ad Huvendal? Come con tuo padre?’’- quella domanda incrinò l’autocontrollo della Thandulircath, provocando sprazzi di luce dorata.

‘’Basta rinvangare il passato. Questo è un luogo pacifico, mettete da parte il vostro astio una volta per tutte.’’- sbraitò Bregoldir, innalzando un piccolo muro di ghiaccio tra i due impedendo lo scontro. Arilyn frenò le lacrime di rabbia che desideravano riversarsi sul suo viso.

‘’Vedi? Ti lasci sopraffare dalle emozioni, dai ricordi. A malincuore, sembra che tu debba ancora capirlo.’’- aggiunse il Re della Prima Fiamma, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
Tornò il silenzio tra loro, finché non avvenne qualcosa di sensazionale e inaspettato: nella vallata illuminata da una corona scarlatta, si librarono energicamente centinaia di sbuffi scintillanti che vorticarono raggiungendo altezze vertiginose per poi piombare nuovamente sulla terra esplodendo in schegge vitree che abbagliarono i presenti, producendo fragorose esplosioni. Anche gli alberi sulla collina ove erano i tre condottieri si ricoprirono di lucciole ambrate che si strinsero attorno le chiome incendiandosi.

‘’Credo che qualcuno sia venuto a svegliarti, Arilyn dei Thandulircath. Vai e non frignare come un poppante.’’- asserì Gallart, avvolgendola in una gigantesca fiamma tiepida. Bregoldir le sorrise prima che svanisse nel nulla, destinata a ritornare nel regno dei vivi.
Quel sorriso trasmetteva il senso di colpa e la preoccupazione.
Arilyn si svegliò, accecata dall’intenso sole che era entrato con violenza nella sua camera. Si schermò gli occhi con le mani nel tentativo di distinguere le sagome degli intrusi. Riconobbe la statura possente di Veldass fermò sull’uscio della porta e quella di Iridia con le braccia conserte in attesa che la Thandulircath si riprendesse.

‘’In piedi Thandulircath, abbiamo un lungo viaggio. Un manipolo di soldati sta assediando l’avamposto di Pharossa con l’intento di depredarci delle risorse e catturando i nostri fedeli soldati. Per fortuna che due vecchi amici riescono ancora a resistere nonostante l’età.’’- esordì il Comandante, lanciando sul letto gli oggetti della ragazza e la spada.

‘’Buongiorno anche a te, vedo che abbiamo la sete di sangue da placare. Chi sono?’’- chiese Arilyn, legandosi i capelli e indossando la leggera armatura. Pulì la spada dal sangue secco con dell’olio, attendendo la risposa della donna con gli occhi fissi su un documento proveniente dall’avamposto.

‘’Oldorrorn Ascianera e Balfohdruk Cuoreosseo. Il primo è un Nano del Ferro e il secondo di Legnoscuro. Entrambi hanno contribuito alla creazione del mio randello dalla quale deriva il mio nomignolo.’’- s’intromise Veldass, picchiettando sull’arma poggiata in spalla con un sorriso soddisfatto. Non appena Arilyn fu pronta, si diressero tutti i presenti nella sala del trono nell’attesa di istruzioni da parte del Concilio. Nel mentre che la Sorella Maggiore Daernith donava loro coraggio con la benedizione degli astri, Arilyn notò Oghan il fabbro vicino una colonna che chiedeva ad alcuni soldati della fanteria pesante di trasportare ‘’la cintura di scudi a pressione’’ come amava definirli, facendo attenzione a non danneggiare il meccanismo. Quando il fabbro notò la presenza della Thandulircath, le chiese di avvicinarsi:

‘’Buondì, cara Arilyn. Ho un favore da chiederti, mi è concesso? Non vorrei distrarti troppo dal tuo compito.’’- disse con estrema umiltà, quasi irriconoscibile data la sua natura da vecchio soldato.

‘’Non temere ti ascolto. Qualcosa non va?’’

‘’Dato che l’inverno si avvicina minaccioso ed io mi sto occupando di crearvi armi adatte, l’Autunno in nome della Dea Luqnera ha sempre favorito noi fabbri. Il favore è questo: semmai tu dovessi notare un gigantesco cratere con una gemma che brilla di rosso e viola, potresti recuperarla? La forma è quella di una chiocciola, ma noi la chiamiamo Gemma della Luna, rarissima e utile per moltissime armi come la tua spada.’’- rispose l’uomo, estraendo un foglio con uno schizzo che ritraeva l’oggetto in questione. Nonostante i pochi dettagli, i colori e l’insieme erano suggestivi accompagnati da una breve descrizione della gemma e di cosa provoca inizialmente in coloro che hanno un grande potere.

‘’Sarà fatto Oghan.’’- corrispose Arilyn, stringendogli la mano e raggiungendo il plotone pronto a partire. Vennero chiamati alle armi più di trecento soldati per contrastare l’assedio, divisi tra fanteria leggera munita di cannoni di vetro portatili e fanteria pesante munita di spadoni e uncini grossi quanto un sasso. Attraversarono il perimetro ovest del Concilio diretti in una zona con poca vegetazione e terra brulla, notando fin da subito diverse colonne di fumo grigiastro librarsi nel cielo e svanire poco dopo. Iridia impartì all’esercito di aumentare l’andatura dei loro destrieri per raggiungere nel minor tempo possibile l’avamposto. Giungendo a delle rovine con rune del popolo dei Nani, il Legionario Olfhun ordinò ai soldati e al suo comandante di fermare i cavalli:

‘’Abbiamo compagnia.’’- disse, e contemporaneamente una colonna si inclinò pericolosamente sulle retrovie dando il via libera al nemico di sbucare dal suo nascondiglio. Le loro armature e divise erano diverse da quelle viste in precedenze, più sfarzose e di vecchia forgiatura quindi facili da danneggiare. I Legionari iniziarono a tranciare e a sventrare come se nulla fosse i loro aggressori, mentre Arilyn affrontava un condottiero più grande di lei con una pesante cotta di maglia arrugginita.

‘’Adesso anche i mingherlini reclutano? Sei ridicola in quell’armatura…’’- sbraitò il soldato, avanzando a grandi falcate ignaro di avere le gambe scoperte. Arilyn brandì la spada e mutilò la gamba sinistra fino al ginocchio. Preda dell’improvviso dolore, il soldato a cavalcioni nel terreno fangoso cercò di decapitarla usando il suo falcetto che venne contrastato dalla lama incandescente della giovane. Arilyn usò il suo potere sulla catena della spada, illuminandola, per poi avvolgerla intorno il collo dell’uomo e strangolarlo. Quando il suo corpo rimase immobile, la Thandulircath scrutò nella baraonda alcuni soldati avvicinarsi di soppiatto alle spalle di Iridia e Arshile intente a maciullare, sventrare e a trafiggere con le loro spade ed armatura di rovi gli avversari. Oltre il calore del suo potere innato, avvertì un altro tipo di calore quasi arcano: dalla sua mano sinistra si generarono sottili fili ambrati che, unendosi in una frusta di luce, ricadevano sull’erba sudicia.

‘’La Fiamma d’Ambra vuole aiutarmi? E sia.’’- disse tra sé e sé. La distanza tra lei e il nemico era di solo cinque passi e sperò in un colpo perfetto. Energicamente mosse il braccio, la frusta produsse un sibilo acuto, attraversò le due Legionarie senza causare danni e si conficcò negli occhi dell’assassino uccidendolo istantaneamente. Da quel corpo esanime, balzò sull’altro consentendo ad Iridia un fendente mortale: la stanchezza iniziò a farsi sentire e dovette recuperare il fiato.
‘’Stai bene?’’- domandò Arilyn, prendendole il viso tra le mani. Il sangue sporcava il viso di entrambe, rendendole aggraziate ma allo stesso tempo spietate.

‘’Mai stata meglio.’’- replicò lei, ruotando le spade e usandole come pugnali per trafiggere obliquamente i polmoni di uno soldato dei Rovi Bianchi ferito e immobilizzato dai cadaveri dei commilitoni. Sorrise sadicamente e ordinò di aiutare quelli in difficolta. Più avanti gli altri cinque Legionari mutilavano e schiacciavano i nemici con facilità. L’ultimo, il loro comandante, non demordeva e dimenava la spada a chiunque si avvicinasse colpendoli con affondi oppure respingendoli con uno scudo mal ridotto.

‘’Gloria ai Rovi Bianchi!’’- urlava l’attempato uomo, madido di sudore e fango. Ignaro della presenza del Legionario alle sue spalle, si ritrovò con il viso nel fango e due uncini conficcati nei tendini d’Achille: per evitare che si liberasse, Allric ed Hildel ruppero i suoi polsi usando dei sassi terminando il lavoro iniziato da Olfhun.

‘’Imbavagliatelo e portatelo dalle Sette Sorelle. Gentilezza mi raccomando.’’- esordì ironicamente Iridia, impartendo l’ordine ad alcuni suoi uomini delle retrovie che risero cupamente. La battaglia durò qualche minuto, rallentando il loro avanzamento verso Pharossa ma ciò servì come riscaldamento per eliminare gli assalitori.
Appena giunti all’avamposto, senza alcuna pietà volarono teste, braccia, viscere, sangue e metallo. Le spade turbinavano in una danza di scintille per poi baciarsi e staccarsi duramente. Arilyn, preda di una strana sete di sangue e di vendetta si catapultò sui nemici squarciando le loro gole, colpì i loro arti protetti da mere cinghie di cuoio così da farli cadere e conficcandosi sui pugnali. Incanalò la sua energia nella spada e proiettò una falce di luce che seminò una lenta morte incandescente, riducendo in cenere parte di loro e l’altra parte morì fusa alla propria armatura assumendo la forma di un groviglio deforme di carne e pelle conciata. Un cavaliere afferrò la gamba della giovane che gli fracassò il cranio con lo stivale per il suo affronto scellerato.

’Spietata. Mi piace.’’- pensò tra sé e sé Iridia, testimone di quella scena: percepì qualcosa di strano nel suo petto, una sensazione sopita da anni ma non volle darci peso. Da quella baraonda barbarica, si rivelarono anche i due Nani guerrieri: uno brandiva una lunga ascia bipenne e l’altro due martelli sporchi di sangue rappreso. Nonostante il sudore che colava sui loro volti barbuti, colpivano e sventravano gli aggressori senza difficoltà:

‘’Ventisette a ventisei. Stai perdendo colpi mio vecchio Balfohdruk.’’- urlò il nano con l’ascia bipenne mentre attendeva la sua prossima preda. In quel momento si udirono tre forti colpi di metallo e carne fracassata: gli elmi di forgia antica erano schiacciati sulle teste di tre nemici che grondavano sangue e materia cerebrale dalle fessure.
‘’Ventinove a ventisette, mio vecchio Oldorrorn. Anzi, trenta.’’- precisò, notando un soldato ferito alla gamba che colpì con la parte piatta del primo martello, deformandogli il viso e staccandogli la mandibola. Nei loro occhi vi era la luce di vecchie battaglie condotte più di trecento rivoluzioni prima ma si divertivano come se fosse la prima volta. Impegnati in quel trambusto, un soldato cercò di afferrare Oldorrorn per la lunga barba bionda ritrovandosi però trafitto da una spada di luce che lo incenerì. Un corno richiamò l’esercito dei Rovi Bianchi costringendoli a ritirarsi, ma ignari di una tempesta rossa pronta ad abbattersi su di loro. I Legionari, Arilyn e i cavalieri decimarono sotto i colpi di spada, cannoni di vetro, lance ed esplosioni di luce quel manipolo di soldati. I gemiti di dolore e angoscia vennero sovrastati dagli incessanti schiamazzi di gloria dei Rovi Rossi:

‘’Veldass, quel randello lo lucidi ogni giorno? Guarda che sudiciume vi è su quel lato.’’- esordì con ironia Oldorrorn Ascianera salutando l’omaccione con una ferrea stretta di mano.

‘’Sempre. Perdonate il ritardo, ma alcuni cavalieri ci hanno teso una imboscata. Dobbiamo e dovete ringraziare Arilyn per l’immenso aiuto.’’- rispose il Legionario, salutando anche l’altro nano guerriero per poi indicare la giovane Thandulircath ricoperta dalla testa ai piedi di fango e sangue. Iridia le sorrise, per la prima volta non un sorriso di scherno ma di stima il che fece arrossire Arilyn, susseguiti dai complimenti degli altri.

‘’Steinär sia con lei. Una Thandulircath nel Lynmes, stento a crederci. Veldass, sai chi è il padre o la madre? Quello stile così preciso e veloce l’ho già visto da qualche parte.’’- disse Balfohdruk, rinfoderando i due martelli nella cintola. Nel mentre che il Legionario spremesse le meningi per ricordare il nome, i due Nani si rinfrescarono la gola arsa con una borraccia piena di birra.

‘’Un certo Vorshan, se non erro.’’- replicò dopo un po’, e per poco non fece strozzare i due compagni.
‘’Lui? La leggenda dei popoli? Per tutto il ferro delle nostre montagne!’’- urlò Oldorrorn, correndo verso la giovane condottiera attraversando la marea di cadaveri, seguito dal suo amico Balfohdruk. Una volta raggiunta, a perdi fiato si presentò e chiese perdono per essersi intromesso nella discussione dei suoi compagni. Arilyn osservava quella forma tozza e muscolosa allo stesso tempo, segnata dagli anni e dalle guerre più crude. La sua pelle era un mosaico che testimoniava il suo coraggio.

‘’Io sono Oldorrorn Ascianera, mastro fabbro e guerriero instancabile. E lui è Balfohdruk Cuoreosseo. Davvero sei figlia del leggendario Vorshan?’’- chiese lui, pulendosi le poche gocce di birra rimaste attaccate alla sua folta barba.
‘’Sì, buon nano. Lui era e sarà sempre mio padre, colui che mi ha salvata da una gelida sciagura.’’- rispose Arilyn, con un sorriso colmo di tristezza. Il nano comprese immediatamente quella risposta e si meravigliò.
‘’Ci dispiace per la tua perdita e perdonaci se abbiamo riaperto una ferita ancora fresca…Conta sulla forza e la parola di un nano, non sarai mai sola. Noi ricordiamo e ci aiutiamo l’un l’altro.’’- replicò Balfohdruk, picchiettando sulle teste piatte dei suoi martelli. Arilyn li ringraziò e raggiunse i Legionari all’interno dell’avamposto dove vi era un sottoufficiale che spiegava che non era un esercito comune, bensì di vecchio ordine. Le armature e le cotte di maglia decorate da piccole gemme, gli abiti e le armi ne erano la prova:
‘’Alcune spie ci hanno detto che questo gruppo di soldati, più di duemila, agisce secondo un antico codice d’onore e ordine reale. Quello attuale è comandato da un ragazzo ribellatosi al suo Re, che ha destituito il generale e ricostruito il codice di ogni avamposto del Draal. Per ora non è una minaccia, ma lo sorvegliamo nell’ombra come possiamo. Sperando che la piaga oscura che affligge metà terra orientale non ci dia filo da torcere.’’

‘’Novità dalla Cittadella degli Abbandonati?’’- domandò Allric, ispezionando i rapporti delle spie e annotando i progressi adempiti nell’ultimo mese. Arilyn osservò l’uomo dalla testa calva e dalla lunga divisa purpurea frugare tra i vari cassettoni, trovando rimasugli di carta straccia:

‘’Abbiamo inviato un messaggero con questo documento, ma i governatori lo hanno rispedito al mittente. E in modo brusco anche. Se volete, affido a voi il compito di tenermi informato sulle condizioni della terra circostante e dei cittadini.’’- replicò lui, seccato da quel risultato scadente. Dopo essersi consultati, i Legionari lasciarono l’edificio per far la conta dei superstiti, dei feriti e dei potenziali deceduti mentre Arilyn si allontanò di qualche passo verso un piccolo boschetto di carpini bianchi e aceri campestri. Percepì nuovamente il fastidioso calore alle mani e al petto:

‘’Non sarai mai sola. Più facile a dirsi che a farsi, buon Oldorrorn…forse Gallart aveva ragione. E forse anche questa guerra mi sta cambiando.’’- pensava Arilyn, poggiata ad un tronco e desiderosa di un bagno per togliersi il sudiciume rappreso. Chiuse gli occhi per il fastidio ormai tramutatosi in dolore accompagnato da tremori; nella penombra balenarono altri tasselli di memorie ingarbugliate, la stessa voce che la chiamava, sentiva gemiti di sofferenza e urla. Comparve nuovamente l’Essenza della Fiamma d’Ambra che assunse una espressione perplessa:

‘’Custodisci dentro di un potere magnifico che usi per un bene comune, eppure lo intrappoli come un povero sparviero. Hai avuto il privilegio di sfiorare il Primo Frammento d’Ambra, di avvertire l’immensa energia…ma hai paura.’’- disse l’entità, avvicinandosi con intenzioni amichevoli.

‘’Di perdere il controllo e tramutarmi in ciò che non sono.’’- rispose Arilyn stringendo i pugni e inginocchiandosi tra l’erbetta sentendosi improvvisamente debole.

‘’Figlia dei Thandulircath fino ad ora hai dimostrato di valere per ciò che sei. Tu temi di perdere il controllo, ma non è così. Il timore che possa avvenire ti paralizza e il tuo potere continuerà a non manifestarsi nel suo immenso splendore come le stelle notturne. Lascia che ti aiuti.’’- corrispose l’entità che assumeva volti diversi ogni momento, prendendole la mano e costringendo Arilyn a stringerla. Il contatto fu breve e l’entità svanì. Il calore iniziale si tramutò in torpore fino a dissolversi, dalle mani della ragazza si sprigionarono intensi sprazzi di luce fino a spegnersi. Si sentì rinvigorita, così come l’energia nel suo animo. Mosse le mani e generò lampi dorati che lasciarono solchi nella terra. Lo stesso avvenne con la sua spada, ancor più accecante e incandescente. Sorrise e strinse i pugni, con una punta d’orgoglio dal gusto nuovo per lei. Percepiva la quiete dell’anima, il suo potere ben vigile e aveva ritrovato il controllo delle emozioni:

‘’Siamo una cosa sola adesso.’’- disse la giovane Thandulircath, evocandolo con facilità in migliaia di lucciole volteggianti.

Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Jossul. Autunno in nome di Luqnera.

Lasciato l’avamposto del Capitano Morrygan, il giovane Darrien si diresse all’ultimo punto militarizzato, ovvero a Jossul dove lo attendeva l’ultimo Capitano. Prima di partire, alcuni soldati lo avvertirono della sua natura da mezz’elfo e del suo estremo diletto nell’arte bellica, legata al vecchio ordinamento del Re Galeren. Durante il percorso, uno degli ufficiali di frontiera narrò che quel luogo un tempo era una città dove vivevano umani e mezz’elfi di ogni razza conosciuta. Per aspri dissapori tra alcune famiglie nobili, la maggior parte del popolo lasciò quella terra contaminata dall’odio per insediarsi in località nell’estremo occidente e in altre isole. Quando Galeren espanse il proprio potere anche lì, riconobbe il fratello di sangue e insieme costruirono ciò che è adesso l’avamposto e nuova casa per i sopravvissuti.

‘’Prima dell’arrivo del Re, quella piccola città era chiamata Jìsool, che significa Pietra dell’Unione. Adesso è Jossul, che per loro vuol dire Aculeo di Pietra. Ci impiegherà un po’ per esplorare ed ispezionare tutto il luogo. Si estende per quasi due miglia a partire dalle pendici della montagna a salire, l’abilità di manipolare la superficie rocciosa gli ha consentito di costruire una città ben sorvegliata e protetta dalla stessa montagna.’’- disse l’uomo, muovendo le dita nell’aria cercando di dipingere con colori invisibili lo schema del luogo. Attraversato una vallata, la montagna dove si ergeva la costruzione fu facile da notare per le enormi case con i tetti a cupola a spirale. Le mura, modellate dalla magia, assumevano la forma di denti acuminati su ambo i lati dove sventolavano i vessilli bianchi e dorati del regno che ritraevano i simboli degli uomini e dei mezz’elfi. L’ufficiale di frontiera sì congedò, non avendo il permesso di varcare quel luogo in quanto non sua giurisdizione. Darrien proseguì in groppa al suo rettile quadrupede, arrivando all’enorme cancello in bronzo con decorazioni in giada.

‘’Aprite il cancello, sono qui per incontrare il vostro capitano!’’- urlò Darrien con voce distorta dal suo elmo d’ariete. Dall’alto di una torre di guardia, un soldato dall’aria stanca si sporse dalla balconata e azionò una grossa leva con ruota. Gli ingranaggi si mossero con gran fracasso, consentendo ai contrappesi di aprire quella mastodontica porta. Un altro soldato in livrea turchese, non appena lo vide, lo invitò a salire sulla funivia e lasciare il suo destriero in una delle stalle dato che non reggeva il peso di un simile mammifero. Il marchingegno si mosse pigramente per poi acquistare velocità in salita. Dall’alto, il giovane comandante, notò un soldato in armatura ferito al volto e alla gamba correre verso la residenza. La struttura era stata costruita a regola d’arte, non da mani umane o elfi mezzosangue, bensì da nani maestri in ogni campo. L’entrata priva di una porta era costeggiata da colonne d’alabastro finemente incise che raffiguravano il passato del luogo, variando dalle mansioni quotidiani alla venerazione degli dei fino ai dissapori e la divisione. Una volta entrato, l’ambiente sterile lasciò il posto a decorazioni in oro e cristalli vari fusi su candelabri in ottone dalle dimensioni di tronchi d’albero, che diffondevano un barlume tenue nell’immenso salone. Altre colonne in alabastro si ergevano verso l’alto unite da volte d’ogive con arazzi appesi alle estremità. Nel mentre i suoi passi echeggiavano sul pavimento a mosaico pentagonale, poteva udire delle voci concitate provenire dal fondo della stanza e si affrettò a raggiungere quella porta socchiusa dalla quale filtrava una luce biancastra.

‘’non starò qui a subirmi la predica di due cocciuti che preferiscono far morire i loro soldati. E se non accettate le mie condizioni, preferisco disertare e unirmi al nemico.’’- urlava un soldato con il braccio fasciato rozzamente a due uomini dall’armatura lucente in ferro con diversi monili incastonati. Darrien notò che uno dei due aveva le orecchie semi appuntite, il mezz’elfo.

‘’Infanghi il buon nome del Re Galeren, colui che ha piantato le radici di un ordine cavalleresco impeccabile. Non starò qui a sorbirmi le tue lamentele e, se il nuovo comandante crede che io starò al suo ordine, si sbaglia di grosso.’’- replicò il Capitano mezz’elfo, nella sua armatura a piastre verdi.

‘’Per essere un Capitano, ha la lingua lunga ed è irrispettoso nei confronti di un suo superiore.’’- esordì Darrien, mostrandosi nella stanza con indosso il suo cupo elmo. Il soldato ferito, prima di congedarsi, imprecò verso i suoi ex ufficiali e lasciò la stanza con energiche falcate seguito dall’ufficiale lasciando solo i due cavalieri d’alto rango da soli. Il ragazzo si tolse l’elmo, cosicché il capitano potesse vederlo. Il mezz’elfo si versò del tè al miele mescolandolo con del liquore dall’odore intenso e lo sorseggiò indifferente finché non gli rivolse uno sguardo di finta sorpresa:

‘’Tu dovresti essere il neo comandante del nostro illustre regno, colui che si è ribellato alle vere radici cavalleresche. Io sono Ebirre Kraigro, Capitano e mezz’elfo di questo splendido avamposto.’’- disse lui, posando la tazzina di tè e porgendo la mano in segno di cortesia. Darrien lesse nei suoi occhi ambrati la menzogna e la scansò bruscamente arrivando subito alle conclusioni:

‘’Le tue cosiddette radici cavalleresche sono fondate con il sangue e la paura di coloro costretti ad unirsi ad una scellerata guerra. Sono morti soli, nel fango e nella melma, senza alcun tipo di conforto. E il tuo Re cos’ha fatto fino ad ora se non crogiolarsi nella sua insipida e riprovevole lussuria?! Ora le decisioni le prendo io e il Re deve attenersi a ciò che ordino.’’- furono le sue parole, mentre minuscole linee d’oscurità lambirono le sue mani. Il mezz’elfo saltò in piedi sulla sua scrivania, brandendo la sua spada ricurva e intimò al ragazzo di desistere dalla sua mansione:

‘’Sei solo un marmocchio, insulti il nostro buon Re e lo accusi di eventi non veri. Meriti solo…’’- non ebbe tempo che Darrien lo afferrò per le caviglie facendolo cadere rovinosamente con la schiena sul duro legno. Il Capitano Ebirre cercò di colpirlo con un fendente, ritrovandosi un pugnale conficcato nel polso che lacerò la carne, il muscolo fino a giungere all’attaccatura dell’avambraccio; l’armatura non poté fare niente contro quella piccola lama ricoperta di fumo nero. Il sangue imbrattava il vestito di seta che portava, nel mentre che Darrien puntò la spada del mezz’elfo a pochi centimetri dal ventre scoperto.

‘’I primi quattro Capitani sono stati più ubbidienti. Disciplina e regole rigide, ma a malincuore noto che la tua natura non differisce molto da quella di Galeren. Voglio darti una seconda occasione: dimostrami di essere degno di portare questo rango e di non disobbedire ai miei ordini, oppure dovrò optare per una punizione violenta.’’- sibilò il giovane, intanto che quelle linee nere aumentarono ricoprendo il suo viso e i suoi occhi. Il mezz’elfo digrignò i denti tentando di liberarsi ma la presa era troppo forte, così per il dolore lancinante. Chiuse gli occhi e accettò deglutendo quel boccone amaro. Un fischio acuto, poi un tonfo e legno che si spaccava esplodendo in diverse schegge. Urla di dolore echeggiarono nei meandri di quella residenza scavata nella montagna.

‘’La punizione violenta era la morte, ma mi limiterò a privarti della mano traditrice. Fatti curare quel moncherino prima che si infetti. Adesso, mettiti a lavoro.’’- aggiunse Darrien, staccando la lama dal legno danneggiato e recuperando il pugnale dall’avambraccio mozzato. Subito dalla porta comparve un vecchio uomo con un lungo grembiule sporco di sangue ed unguenti che comprese la gravità della situazione. Non fece domande e si limitò a condurre il Capitano nel suo studio per guarirlo. In assenza dell’uomo, decise di ispezionare l’ufficio trovando solo ritratti su ritratti e pochi documenti sulle condizioni dei soldati o del territorio, addirittura delle poesie smielate che distrusse volentieri. Iniziò a stilare una serie di compiti per tutti i membri del luogo che variavano dall’orario di ronda al mantenimento delle mura fino al rimettere in funzione la funivia. In quella marea di scartoffie comparve il nome di un fabbro che richiedeva il pagamento per le ultime armi d’assedio e la costruzione di alcuni dardi magici.

‘’Non attenderò oltre, mezzosangue. Richiedo immediatamente il mio compenso per il lavoro o sarò costretto a sabotare ogni suo piano bellico. Il saldo è di dieci monete di platino e una lastra di titanite. L’attendo alla Fauce Cremisi. Ossequi da Tholossin Scagliadura, nano del sangue vitreo.’’- percepì l’intenso odio che provava il fabbro nei confronti dello sfrontato capitano. Si ricordò di avere ancora dei gioielli tolti dal sontuoso trono del Re e sperò che il nano li accettasse. Controllo se ci fossero altri monili preziosi e trovò una collana con smeraldi grandi quanto una prugna, unendolo così alle ricchezze già presenti. Convocò un soldato di guardia nel palazzo chiedendogli dove si trovasse la Fauce Cremisi e il condottiero si limitò ad indicare la funivia da dove era entrato. Darrien osservò il pigrone da cima a fondo, richiamandolo per la sua condotta:

‘’Oh, non è lei Capitano Ebirre? Mi perdoni immensamente Signore! La Fauce Cremisi è a metà tragitto della funivia, ha la forma di una cuspide con la vetta illuminata dalla fornace sempre attiva.’’- rispose il cavaliere, sistemandosi l’elmo. Darrien seguì le indicazioni e lo ringraziò con diffidenza. Una volta all’esterno e presa la funivia, la Fauce era ben visibile seppur avvolta da una coltre di denso fumo rossiccio e scintille, accompagnate dall’incessante batter di metallo. L’enorme fucina si reggeva un grande costone della montagna, supportata anche da colonne in rame che piombavano verso il basso, sprofondando per decine e decine di metri nel sottosuolo. La forma era quella di una cuspide che si arcuava in avanti minacciosamente, il cancello alzato donava alla struttura l’illusione di avere dei denti aguzzi e le varie finestre illuminate sembravano una moltitudine di occhi folli. Varcò la soglia, venendo accolto da un asfissiante calore di una dozzina di fornaci in funzioni, alimentate da mantici automatiche grazie ad un sistema di leve e ingranaggi ben congegnato.

‘’Tholossin Scagliadura sei qui?’’- chiese a gran voce il comandante, sperando di farsi sentire oltre il gran fracasso. In all’erta avanzò piano, osservando i vari corridoi e muri che rendevano un labirinto di fuoco quel posto. Avvertì alle sue spalle un cigolio, sfoderò la spada e colpì qualcosa di estremamente resistente: la parte piatta di un martello dalla testa oblunga gli fece perdere presa sulla spada. Giunsero dei frettolosi passi dall’ombra, Darrien estrasse un’altra spada più corta e tentò di affondare il colpo. Anch’esso venne contrastato da un secondo martello:

‘’Dov’è il mio compenso, Orecchie curve?’’- urlò il nano, palesandosi alla luce delle fornaci. La pelle d’ebano contrastava le venature biancastre perlacee, così come i suoi occhi ardesia a tratti rossi. Indossava una camicia verde oliva con ricami arancioni e da sopra un grembiule sporco di olio e fuliggine. Le braccia possenti erano ricoperte di scaglie azzurre romboidali, come le scaglie del coleottero ucciso dal giovane comandante giorni addietro.
‘’Ti sembro un mezz’elfo, mastro fabbro?’’- domandò lui, facendo resistenza a quell’inaudita forza che possedeva Tholossin. Il nano ritrasse la sua arma e lo squadrò da cima a fondo, alzando le sopracciglia in segno di stupore.

‘’No, non emani la loro orrida fragranza di pino, non hai capelli dorati lunghi fino al sedere e non hai orecchie appuntite e curve. E non hai l’aspetto di un tipico narcisista. Perché sei nella mia officina?’’- chiese lui, recuperando le armi di entrambi e aspettando risposta. Darrien estrasse un sacchetto che tintinnava. Lo lasciò nelle sue mani e non appena vide quelle splendide gemme brillare, il nano imprecò e si mise a ballare.

‘’Il tuo compenso mancato. Spero basti, anche se non erano le dieci monete di platino e la titanite richiesta.’’- disse Darrien, rinfoderando la spada perfettamente intatta a quel violento colpo. Il nano si mise a contare le gemme e gli smeraldi sul monile in oro. Usando una piccola lente di ingrandimento studiò il taglio e la forma. Tholossin esultò nel constatare l’autenticità di quel prezioso tesoro e ringraziò Darrien per essersi disturbato nel cercare di sistemare i problemi del Capitano.
‘’Per ora non potrà fare molto con un braccio solo.’’- asserì il giovane, con un sorriso perfido.

‘’Provo ad indovinare: ti ha attaccato perché non è concorde con il tuo metodo di comando?’’- chiese lui, sistemando le pietre preziose nel cassetto del tavolo da lavoro.
‘’Esattamente. Gli ho risparmiato una morte indecorosa per la sua insubordinazione. Sei il secondo nano che vedo in quest’ultimo mese, e noto che per il vostro mestiere siete nomadi.’’

‘’Non nomadi, ma alla ricerca di nuove sfide. Ovviamente ben retribuite, i materiali non sono sempre reperibili in natura e altri richiedono del tempo prima di arrivare dai commercianti. Siamo guerrieri, forgiamo le nostre e le vostre armi grazie all’aiuto del nostro dio. Viviamo più di voi e non ci arrendiamo mai. E siamo anche delle teste cocciute a volte, lo ammetto.’’- corrispose il nano fabbro e guerriero, grattandosi la nuca calva. Ci fu un sibilo e una piccola folata di vento che fece scattare Darrien di lato. Si udì una molla scattare costantemente e altri dardi perforare l’aria, diretti verso il ragazzo che li distrusse usando il suo potere.
‘’Tu, misero mammalucco e bamboccio che non sei altro. Guarda cosa hai fatto alla mia purezza! Mi hai reso uno storpio!’’- urlava il mezz’elfo Ebirre, comparso dal nulla con in mano una balestra a ripetizione. Nel tentativo di ricaricare l’arma usando i denti non si rese conto del martello diretto contro di lui. Il violento vorticare si arrestò sul legno e sulla mano dell’uomo, fracassando entrambi con un tonfo secco. Gli occhi di Ebirre si tinsero d’oro, le sue labbra si mossero rapide nel pronunciare un incantesimo che generarono un globo rosato che emanava fulmini in diverse direzioni. Darrien non si sentì intimorito dalla magia di un mezz’elfo e tenne alta la spada nella sua traiettoria. Così come nacque quel globo e gli occhi dorati del mezzosangue così si dissolsero. Un rivolo di sangue scuro scivolava dal labbro, mentre una lama lo aveva trapassato al basso ventre. Rapida fu la lama che lo tagliò in due in una cascata di membra disgustose.

‘’La magia di un mezz’elfo è potente quanto quella dei suoi purosangue. Il fato ti ha graziato ancora una volta Darrien.’’- era Batkiin, giunto da uno degli avamposti e scortato dal soldato pigrone. Il cadavere mutilato dell’uomo venne gettato in due fornaci diverse usato come combustibile.

‘’Informerò il Re del tradimento di un suo fedele servitore, ma la verità resterà tra noi.’’- disse il vecchio generale, gettando pezzi di legno e carbone nel tentativo di occultare i resti. Darrien lo ringraziò con una stretta di mano.

‘’Perché non diventi tu il Capitano di quest’avamposto? Ebirre Kraigro non esiste più e vi è bisogno di un qualcuno che tenga ben sorvegliato i nostri confini. Considerala la tua redenzione.’’- propose il giovane dei Varg, conoscendo il passato da braccio destro di Galeren. Batkiin sorrise e accettò di buona lena quell’invito ad essere un capitano di un grande avamposto montanaro, ringraziando nuovamente il giovane per quel radicale cambiamento nelle scelte del suo Re ed ordinò al soldato in livrea di radunare i commilitoni e rimuovere ogni arazzo con il vessillo del defunto capitano, di donare le armi e ogni suo gioiello al nano così da avere materiale sufficiente per qualche creazione utile e di sistemare la funivia.

‘’Darrien, nonostante tu sia un comandante diverso dai codici cavallereschi del nostro regno, hai riportato alla gloria alcuni avamposti e due capitani si sono complimentati con me quando li ho incontrati. Sì, ti pedinavo nell’ombra ma l’ho fatto per vedere i progressi. Hai fatto meglio di me.’’

‘’No, mio fedele alleato. Abbiamo. Galeren deve comprendere che non vi sono solo ricchezze pacchiane e pugno di ferro, i soldati vanno trattati con rispetto perché sono umani.’’- corrispose all’autocommiserazione dell’anziano generale. E fu in quell’istante che si udì uno squillante suono di tromba e dei boati provenire dall’esterno delle mura.

‘’Siamo sotto attacco! Creature deformi e ricoperte di melma nera.’’- disse il soldato in livrea turchese grazie all’uso di un binocolo.

‘’L’ennesimo tentativo di indebolirci da parte dei Rovi Neri. Fai caricare i barili d’olio combustibile e colpiteli con frecce incendiarie, rinforzate il cancello con massi e casse di ogni forma e peso e impeditegli di scalare le mura. Darrien e Tholossin venite con me, dobbiamo radunare gli altri soldati!’’- impartì varie istruzioni il neo capitano, avviandosi verso una scala ricavata nel sedimento della montagna. Poco prima di raggiungere una caserma fatiscente ove i soldati attendevano gli ordini, dal cielo piombarono massi di melma grumosa che esplosero emettendo diversi sibili e il liquido cocente penetrò nel terreno fangoso colpendo anche uno dei cavalieri che morì liquefatto. Darrien osservò il faticoso arrancare di alcune bestiacce immonde sulle torri di vedetta che dilaniarono alcuni degli arcieri. La rabbia si impossessò di lui e della sua lama.

‘’Che questa lama possa metter fine alla vostra esistenza!’’- furono le sue parole, prima del massacro.

Corse sulle scale di legno, giungendo alle spalle dei nemici intenti a divorare le membra degli arcieri. La spada oscura decapitò il primo e trapassò la nuca del secondo, facendo schizzare zampilli di sangue acido sulle mura della torre di guardia. Incendiò i resti putrescenti con il suo potere, avanzando rabbioso sul camminamento di ronda e mutilò altre creature e quello che sembravano soldati defunti. Nascosto dietro un merlo, Darrien poté scorgere lo scalare di strane crisalidi con zampe da ragno che ingurgitavano i cadaveri mutilati e scaraventavano con violenza inaudita chiunque cercasse di attaccarle, trafiggendoli con le loro spine acuminate. Batkiin attirò la sua attenzione lanciandogli un barile colmo di pece ed olio:

‘’Rompi il barile e fallo rotolare in loro direzione, io penso all’esplosione.’’- urlò l’uomo dal basso, usando una torcia per incendiare le abominevoli bestie. Darrien ruppe una delle assi del barile, facendo sgorgare il contenuto oleoso sulla pietra e con un calcio lo scagliò contro di loro. In quell’istante, sopraggiunsero dei Krinxs deformi e corrotti che tentarono di ferire con i loro artigli il giovane. Solo diversi affondi e montanti lo salvarono da una morte dolorosa.

‘’Batkiin, ora!’’- ordinò il Comandante e la fiaccola lucente incontrò la pece combustibile. La deflagrazione fece cedere parte del muro, generando una pioggia di detriti sull’esercito di incubi che venne sepolto tra urla gracchianti e sibili dell’acido. Un muro di polvere rese l’aria irrespirabile e impedì sia a Darrien che a Batkiin di potersi riunire con il plotone.

‘’Sai quanto tempo ci vuole per creare capolavori nati dall’Incubo e dalla Morte? Ore, se non giorni e tu stai rovinando il mio operato.’’- disse una figura mascherata che alzò Darrien per il bavero come se non pesasse nulla e lo lanciò nella terra brulla; da essa nacquero lunghi rovi neri che bloccarono i suoi arti, il collo e il ventre. Cercò di liberarsi e colpire il suo sfidante, ma lo sconosciuto dalla pelle d’ebano e gli occhi demoniaci amplificò il suo potere tenendolo fermo sul terreno con più irruenza. Si abbassò a pochi centimetri da lui e sferrò un pugno nello stomaco da mozzargli il fiato. I rovi acuminati che fungevano da catene si insinuarono nelle fessure scoperte della sua armatura e si conficcarono nella pelle, strappandone piccoli brandelli. Darrien strinse i denti e osservò con disprezzo il suo nemico:

‘’Impotenza. Sofferenza. Debolezza. Ecco cosa vedo in questo momento, ed è sublime. Così come la tua spada.’’- disse l’entità, prendendogli con forza l’arma dalla mano insanguinata. Ammirò la lucentezza della lama e di come entrasse in sintonia con l’oscurità che covavano entrambi. Puntò la spada sulla spalla di Darrien e la trafisse, trapassandola da parte a parte. La rimosse e la fece scomparire nel nulla. La prigione di rovi si ritirò nelle viscere della terra spoglia, lasciando agonizzante il ragazzo ricoperto di sangue che subito cercò di colpirlo alla gola con un pugnale. Il condottiero mascherato afferrò i capelli corvini del comandante e lo gettò nel fango, immergendogli il viso in esso.

‘’Ammiro la tua tenacia ragazzo, ma è tutto inutile. Il Regno dei Rovi Bianchi è destinato a bruciare, come quello dei Rovi Rossi. Ricostruiremo la Fiamma d’Ambra, riportandola al suo stato originale. E la natura avrà giustizia.’’

‘’Non mi inginocchierò ad un Regno così crudele come il vostro!’’- replicò Darrien, ruggendo mentre sputava pezzi di terreno fangoso. La figura mascherata rise cupamente e schiacciò il viso del ragazzo nella poltiglia marrone nuovamente prima di andarsene, seguito dalle crisalidi ragniforme e gli incubi viventi. Il Comandante si sforzò di togliersi da quella fanghiglia vergognosa, tenendosi in piedi a malapena. Tentò di trafiggerlo alle spalle con il suo potere, però anch’esso fallì miseramente.
 
‘’Non inginocchiarsi. E cos’hai fatto fino ad ora, bamboccio? Ricordati queste parole. La terra si ricoprirà di morte e putrefazione, rendendo l’aria irrespirabile. Il sangue diverrà acido, l’aria veleno e i vostri inutili corpi usati per aberrazioni indicibili. Ricorda questo nome: Io sono Heinios Pheros, primo genito del Re delle Spine. Abbandona questa tua nobile causa, è un consiglio.’’- e con tali parole, scomparve con il suo seguito. Il giovane Darrien rimase immobile, con una spalla ferita gravemente e senza la sua arma. Per la prima volta avvertì dentro di sé una sensazione mai provata in vita sua: fallimento.

Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle. Autunno in nome di Luqnera, primo pomeriggio.

Ritornati dall’avamposto di Pharossa, i Legionari informarono le Sette Sorella della vittoria contro il manipolo di soldati guidati da un generale, ora rinchiuso nei sotterranei, del vecchio Ordine dei Rovi Bianchi. I danni e le perdite furono lievi nelle loro file, ma la cinta muraria dell’avamposto esigeva materiali specifici che solo dal Lynmes potevano giungere. La Sorella Maggiore del Concilio, con un sorriso che traspariva immensa gioia, esordì allargando le braccia:
 
‘’Gli Dei e le Dee hanno ascoltato le nostre preghiere e ci hanno donato due eventi importanti. Il primo riguarda la costruzione delle gallerie per giungere agli avamposti. Il terreno ha retto agli urti causati dai piccoli e dalle pale, consentendo così la costruzione dei binari. Il secondo, invece, è che durante gli scavi, è stata trovata una grande quantità di materiali ferrosi pronti per il trasporto a Pharossa. Inoltre il buon vecchio Oghan ha terminato le difese per il nostro regno.’’
Dall’interno del salone si potevano osservare sulle mura del regno gigantesche balestre con cinque dardi grossi quanto tronchi di querce, con una carrucola sulla sinistra azionata a carbone per la ripresa dei colpi sparati. Quell’impresa titanica gli costò giorni, privandolo del sonno ma il Concilio gli concesse di riposare in una delle vecchie stanze dove i suoni o fastidiosi schiamazzi non potessero raggiungerlo così da peggiorare il suo corpo e la mente. Un soldato giunse dall’ascensore annunciando che il giovane prigioniero chiedeva di parlare con le Sette Sorelle per una questione importante.
 
‘’Vorrebbe redimere sé stesso.’’- disse il condottiero, inchinandosi e porgendo una lettera. La Terza Sorella Mylgred prese quella lettera con prudenza e iniziò a far scorrere il dito sulle varie righe, così da non perdersi tra quella moltitudine di parole dalle forme bizzarre. Una volta terminata, la consegnò alle altre affinché anche loro potessero leggerla per poi giungere nelle mani di Daernith, la Sorella Maggiore. Richiuse la lettera e la posò sul bracciolo di marmo per poi proferir parola:
 
‘’Portatelo qui, una semplice lettera non basta.’’
 
Una volta eseguito l’ordine, il soldato tornò in superficie con il prigioniero: dalle escoriazioni grigiastre e rosse, le tumefazioni stavano lentamente guarendo, ma il suo aspetto malaticcio lo debilitava dovendosi far reggere dal cavaliere. In quegli occhi spenti, Arilyn poté scorgere il suo senso di debolezza misto a dolore. Quando i loro sguardi si incrociarono, Falko sorrise a malapena per poi inginocchiarsi sempre aiutato dal soldato.
 
‘’Nonostante la tua disabilità, sei riuscito a scrivere una lettera. La tua determinazione è da ammirare, ma ciò che hai scritto è la verità ragazzo?’’- chiese Daernith scendendo dai gradini del trono, seguita dalla Quinta Sorella Erthaor.
 
‘’Sì, Sette Sorelle…Quella lettera testimonia il mio desiderio. Avrò tradito il mio popolo e il mio Re, ma è meglio di una morte senza ricordo. E senza famiglia.’’- rispose lui, tossendo e respirando a fatica. La Quinta Sorella sfiorò le tempie del giovane riuscendo a percepire la verità celata da quel suo aspetto trasandato. Si voltò verso la Maggiore e le altre cinque, dando conferma di quanto detto. Il ragazzo, improvvisamente, ebbe un fremito e stramazzò sul freddo pavimento. Le Sorelle convocarono immediatamente dei guaritori per trasportare il giovane in un luogo meno aperto:
 
‘’I moncherini sono infetti e ha la febbre, ciò che lo ha reso debole. Faremo il possibile.’’- disse uno di loro, tenendogli la testa e asciugandogli la fronte imperlata di sudore con un panno di stoffa.
 
‘’Per fortuna, grazie al fabbro Oghan ed un suo amico nano, questo ragazzo potrà tornare a sorreggere ed afferrare oggetti. Adesso muoviamoci, o sarà tardi.’’- corrispose il secondo guaritore, tenendogli saldamente le gambe esili. In quel frangente arrivò un messaggero che annunciò la caduta di uno degli avamposti nemici. Un esercito composto da abomini, comandato da una strana figura demoniaca, ha assediato per pochi minuti quel luogo distruggendone le mura, provocando diversi morti e lasciando pochissimi superstiti di cui uno ferito gravemente. Il Concilio chiese che aspetto avessero quelle creature ricevendo una risposta che le fece raggelare, ma per gli altri fu pura gioia eccetto Arilyn:
 
‘’Sono dei Krinxs corrotti dalla piaga oscura che sta affliggendo sia il Draal che il Lynmes. Per ora le nostre spie reclutate a Pharossa hanno confermato che l’Avamposto Uldronoss è stato il primo a cadere sotto l’ennesimo attacco dei Rovi Neri. E, a malincuore, temono che anche uno dei nostri possa esser preso di mira se non peggio.’’
 
‘’Prossimi attacchi o invasioni dei Rovi Bianchi nel nostro regno?’- chiese la Sorella Maggiore, attendendo con ansia una risposta. Il messaggero frugò nella bisaccia, cercando uno dei vecchi rapporti. Le sopracciglia dell’uomo si alzarono e il tentennamento da parte sua non giovò:
 
‘’Allora?’’- chiese con asprezza Hallothel, la Seconda Sorella che tornò a chiudersi come un fiore rendendosi conto del suo tono brusco. Il messaggero estrasse il documento e lo lesse con terrore:
 
‘’I Rovi Bianchi ci attaccheranno quando la terra sarà coperta di bianco e il freddo avvolgerà le valli, le foreste e tramuterà i colori autunnali i colori morti.’’- quell’allusione finale guastò i festeggiamenti dei Legionari e dei loro commilitoni. Si preannunciava uno scontro tra la neve, fredda pittrice di luoghi malinconici. Quel che maggiormente li preoccupava non erano le condizioni climatiche, ma la decisione di sferrare un duro assalto durante l’inverno.
 
‘’Del tutto diverso dallo schema che lessi sulle pagine di quel tomo.’’- pensava Arilyn, spremendosi le meningi in cerca di una possibile soluzione. Sia per loro che per la difesa del regno. Bisognava trovare uno stratagemma per impedirgli di superare le mura, renderle impenetrabili. Osservò sulle mura alcuni arcieri in armatura che si tingevano del colore del sole assumendo varie sfumature dal rosso, all’arancio fino al bianco. Un dettaglio particolare che balenò nel suo inconscio fu la conformazione della radura intorno il Lynems, pianeggiante e ricca di vegetazione.
 
‘’E se usassimo i nostri arcieri per un contrattacco a sorpresa?’’- domandò Arilyn, interrompendo le confabulazioni dei presenti che la guadarono perplessi.
 
‘’Quale sarebbe…’’- esordì brevemente Rivaltnith la Sesta Sorella per poi lasciare la parola alla Settima, ovvero Rivornith.
 
‘’…il tuo piano, figlia dei Thandulircath? Spiegati.’’
 
‘’Con la conformazione del terreno, la fitta vegetazione e l’arrivo dell’inverno potremmo nascondere gli arcieri sotto il manto innevato e usarli come trappola difensiva per eliminare le prime file nemiche. Inoltre, potremmo usare i Wol che l’Avamposto Esari ci invierà in questi giorni.’’- esplicò il piano, indicando gli uomini e l’esterno dell’edificio cercando di donare una visione più concreta.
 
‘’I Wol non hanno abbastanza resistenza alle basse temperature e rischiate di farli stancare rapidamente su un terreno innevato. Vi serviranno delle palizzate azionate da qualcuno o qualcosa.’’- esordì una voce dal tono indecifrabile, proveniente dall’entrata dell’ascensore. In quella penombra il Concilio riconobbe il luccichio cupo degli occhi del Recluso fuori dalla sua cella, con le braccia conserte dietro la schiena. La sua presenza peggiorò ulteriormente l’umore dei Legionari ma non di Arilyn.
 
‘’Perché non sei nella tua cella Recluso? Cos’altro vuoi?’’- domandò uno dei Legionari, sfoderando la spada con fare minaccioso. L’attempato uomo mosse la mano e la spada tornò nella sua custodia da sola con un flebile sibilo incastrandosi. Il Recluso si mosse senza emettere suoni e rispose sorridente:
 
‘’Ricordo ancora la prima guerra. Entrambi i Regni volevano ricostruire la Fiamma d’Ambra originale, ignari che il terzo gemello bramava nell’ombra i vostri per governare indisturbato. Voi Rovi Rossi fate affidamento sulle vostre tecniche antiche infallibili, ma peccate sulla difesa e sul fatto di adattarvi. Anche i Rovi Bianchi hanno lo stesso difetto. Difesa eccellente ed attacco mediocre. Ecco il perché quell’avamposto è caduto.’’
 
‘’Sii più cristallino, per favore.’’- disse Iridia, sapendo di non compiere gesti sciocchi.
 
‘’Oh, un cenno di educazione da parte di una burbera comandante, affascinante. Come dicevo, l’idea di Arilyn non è male ma usare animali inadatti al freddo è da scartare. Dopo tre millenni, il ciclo di guerre inutili si ripete di continuo. Confido in voi per ritrovare la pace infranta ed estinguere la piaga dei Rovi Neri. Ora, vogliate scusarmi ma ho da recuperare alcune spezie per filtri che torneranno utili.’’- furono le sue parole, a tratti provocatorie, prima di uscire dal palazzo indisturbato. La Sorella Maggiore del Concilio ordinò ai Legionari di richiedere palizzate prodotte con il legno montanaro, dunque richiedere al Capitano Dunnstan Ryo tali armi difensive. Arilyn, invece, decise di seguirlo di soppiatto. Nessuno del Lynmes sembrava aver timore di una entità così potente e millenaria passeggiare per le strade e i viali di pietra levigata sapendo dove le sentinelle erano appostate, come evitarle e che percorso intraprendere per giungere nella foresta. Dopo un po’ di cammino e nascondigli Arilyn notò il Recluso estrarre un piccolo sacchetto di pelle nera e riempirlo con foglie secche, bacche e strappare la corteccia di alcuni alberi ricolmi di resina dorata. Posò quel frammento di corteccia sull’erba fresca, sfiorò la resina che si accese generando una piccola fiamma che assunse il colore della resina. Schiacciò il sacchetto con le foglie secche e le bacche per poi poggiarlo sulla fiamma che scoppiettava. Sotto altre foglie prese un piccolo cofanetto con boccette e un setaccio. Il Recluso si alzò e si diresse dietro un albero, scomparendo alla vista di Arilyn.
 
‘’Arilyn Saavick, figlia dei Thandulircath, perché mi spii?’’- chiese qualcuno alle sue spalle, cogliendola di sorpresa. Istintivamente sfoderò la spada ma si arrestò a mezz’aria quando la ragazza riconobbe l’entità millenaria.
 
‘’Io direi sorvegliare, la mia fiducia nei vostri confronti è ancora vacillante. Inoltre il Concilio sembra non apprezzare il vostro soggiorno nelle prigioni.’’
 
‘’Comprensibile. Sono pur sempre passati millenni da quando io e la Peccatrice siamo stati coinvolti nella tremenda Guerra dei Tre Rovi e dell’immenso potere della Fiamma che il nostro corpo ha assorbito, donandoci queste capacità. Nonché l’immortalità.’’- rispose l’uomo, con il suo sguardo vacuo fisso in quello di Arilyn cogliendo diverse emozioni derivanti dalla giovane. Il Recluso la invitò a seguirlo verso quel minuscolo falò dove la lingua di fuoco iniziò a rallentare i suoi movimenti fino ad immobilizzarsi come se fosse il tempo stesso ad essersi fermato. Recuperato il piccolo setaccio l’entità millenaria versò il contenuto del sacchetto di pelle al suo interno, dalla quale colò un grosso grumo violaceo dall’odore indescrivibile e tutti i residui di foglie secche restarono impigliate. Prese le piccole boccette e le riempì fino all’orlo.
 
‘’Apri la mano destra, per favore.’’- esordì il Recluso prendendo il pezzo di corteccia con la fiamma cristallizzata e versò la poltiglia di bacche su di essa. Arilyn fece come detto e il miscuglio di elementi iniziò ad illuminarsi di bianco, investendo entrambi. Una bruma innaturale avvolgeva una radura tempestata di colori e di suoni cupi. Centinaia di luccichii e sprazzi accecanti si alternavano nel cielo grigiastro, accompagnati da enormi fulmini ed esplosioni di magma.
 
‘’Siamo nella tua anima, dove risiedono centinaia di minuscoli elementi ed emozioni come felicità, malinconia, rabbia, coraggio…solitudine e fallimento. Sei in continua lotta con te stessa e, pur avendo accettato il tuo potere, dubiti del tuo autocontrollo. Non posso sfiorare le stringhe della tua memoria, infranta su più punti come vetro di specchio. Sei stata in grado di contrastare la Fiamma Arcana e la Fiamma d’Ambra senza ripercussioni grazie al tuo potere. Eppure…continui ad incatenarti al passato, flagellandoti inutilmente.’’- asserì l’uomo, muovendo le dita tra quelle nubi provocando suoni simili a tamburi da guerra e dissipando le cupe nubi.
 
‘’Perché è nel passato che risiedono i miei ricordi felici. Temere il futuro è nella nostra natura, ignari di quello che ci attende.’’- rispose Arilyn con fermezza, con in mano il frammento cristallizzato che si tingeva di blu. Il Recluso schioccò la lingua e scosse la testa, non concorde con le parole della ragazza. Altri fulmini, questa volta rossi solcarono il cielo, assumendo svariate forme.
 
‘’No, figlia dei Thandulircath. Temere il futuro non è nella vostra natura e perdonami per quello che sto per dire, ma siete dei codardi. La natura umana è quella di scoprire e affrontare ogni evento che si presenta al suo cospetto e non restare ad un falò antico con una spada arrugginita.’’- corrispose l’uomo, battendo le mani e facendo dissolvere quelle nubi oscure colme di fulmini. La radura ricomparve illuminata dal sole pomeridiano tingendo le foglie di colori caldi mentre quella fiamma cristallizzata si infranse in centinaia di piccoli frammenti che vorticarono e vennero assorbiti dal Recluso, mettendosi nuovamente all’opera con il setaccio e le varie boccette. Arilyn rifletté su quella metafora della spada e del falò finché la sua concentrazione non venne interrotta da dei lunghi sibili acuti, seguito da un gracchiare. Dagli arbusti comparve un Krinxs con un lungo squarcio che partiva dalla clavicola che si estendeva sui reni, mostrando gli organi che pulsavano con irruenza.
 
‘’Vi supplico…aiutatemi…’’- disse la creatura tra un respiro e l’altro, tentando invano di tenersi la ferita aperta che continuava a sanguinare. Arilyn estrasse la spada e tenne alta la guardia pronta a sferrare un fendente, ma il Recluso si limitò a sfiorare le tempie del mammifero per poi quelle della ragazza: visioni angoscianti di una violenta guerra, il popolo che moriva e uccideva i suoi stessi compaesani con barbara ferocia.
 
‘’Questo intendevo per falò antico e spada arrugginita. Il tuo passato è come il suo, ardente come il fuoco e doloroso come una spada. Prendimi un ramoscello e una boccetta dal liquido giallo citrino.’’- disse l’uomo, addormentando la belva con una semplice parola toccandogli il petto. La ragazza trovò un ramoscello abbastanza lungo e aprì la boccetta consegnandola all’entità che con movimenti rapidi usò il legnetto per cospargere la ferita con il liquido. La pelle e il miscuglio giallastro si fusero in una rossiccia crosta. Attesero in silenzio il risveglio della creatura che, dal colorito del pelo e dall’altezza e robustezza, non era un Krinxs comune del Lynmes o di un’altra regione nominata da Sharal qualche settimana fa. Un cozzare metallico giunse dallo stesso luogo di provenienza della belva, diventando più assordante accompagnato dal rumore di rami spezzati. Da quella natura incontaminata si fece spazio con bruta forza la spada dalle lame gemelle di Heloys, seguita dalla sua compagna Aphrah e Meryld la Guardiana del Frammento.
 
‘’Arilyn, è un piacere rivederti. Hai catturato questa bestiaccia, e adesso posso finirla come si deve.’’- esordì Heloys alzando le lame gemelle sporche di sangue raggrumato pronta a trapassare il corpo della creatura. Il Recluso immobilizzò la spada a mezz’aria, impedendo alla donna di compiere il fendente mortale. La sua rabbia stava per esplodere ma non appena notò la presenza dell’entità leggendaria, impallidì e indietreggiò.
 
‘’Heloys tutto…bene…?’’- domandò Merlyd, comparendo da un cespuglio e pietrificandosi quando vide il Recluso impassibile innanzi alla loro presenza. Aphrah prese la spada della compagna e la ripose con cura sul supporto che aveva dietro la schiena, ricevendo un dolce sorriso dalla sua compagna.
 
‘’Aphrah e Heloys, compagne d’arme e d’amore al servizio del Concilio e protettrici della Guardiana del Frammento, Meryld. Lieto di fare la Vostra conoscenza.’’- disse il Recluso, terminando di riempire una delle boccette con della resina e sangue, incollando un pezzo di cartapecora incollato con la medesima sostanza. Il silenzio durò brevemente finché non fu Arilyn a prender la parola:
 
‘’Perché gli stavate dando la caccia? Il suo corpo non è corrotto dalla piaga oscura ed è diverso dai krinxs normali.’’
‘’Eravamo in perlustrazione lungo il confine finché non lo abbiamo notato. Avrà reagito d’istinto per fuggire, ma in periodo di guerra chi fugge senza identificarsi è da considerare una possibile spia.’’- rispose Aphrah, facendo guizzare i suoi occhi sul mammifero, sulla Guardiana del Frammento leggermente incupita e sul Recluso concentrato sul suo operato da alchimista.
 
‘’Purtroppo è un’altra vittima di questa guerra. La sua casa è stata distrutta dai suoi stessi fratelli e sorelle, in preda alla follia. Spero che dimentichi tutto questo, una volta vinto...’’- corrispose la ragazza, insicura sulle sue parole. La Guardiana del Frammento si mosse superando le sue due protettrici e interruppe il lavoro del Recluso, non infastidito dalla presenza della guardiana.
‘’Non ho percepito la tua presenza, come è stato possibile? Io comunico con Lei ogni giorno, percependo l’arrivo di potenziali nemici e forti auree magiche usando l’antico rituale ma…non la tua.’’- asserì lei, tenendosi il velo grigio sulla sua testa per impedire che cadesse nell’erba umida. Il Recluso ripose il tutto, nascondendolo agli occhi di sconosciuti il cofanetto e pose ad Arilyn la boccetta con la resina e il sangue.
 
‘’Questa boccetta usala solo in casi di estrema necessità. Tornando alla fatidica domanda sul perché la mia aura magica è impercettibile, così come della Peccatrice, è dovuta allo scontro con l’esercito della Creatrice e delle Undici Divinità contro i Rovi Neri per salvare il Frammento d’Ambra Originale. Quest’ultima ci ha concesso una vasta conoscenza dell’umanità ed altre creature, unita ad un potere simile al suo. A malincuore siamo stati puniti per aver assistito alla Guerra dei Tre Rovi, ma in questi ultimi tre millenni siamo capaci di tutto.’’- replicò lui, svanendo in una nube polverosa per comparire sul ramo di un albero lì vicino e successivamente tornò nella posizione originale. Prima di svanire di nuovo, il Recluso poggiò la mano sul corpo del mammifero ferito dicendo che si sarebbe occupato di lui nelle prigioni. Arilyn, improvvisamente, si sentì debole e disorientata dovendo appoggiarsi al tronco di un albero; tutta quella magia arcana l’aveva indebolita. Anche le altre tre donne vennero colpite dall’improvviso malessere, accompagnato da una martellante emicrania.
 
‘’Il Concilio aveva ragione. Il loro potere è vasto…Dobbiamo tornare, la dama della notte si sta destando dal suo sonno.’’- disse Arilyn, riacquistando temporaneamente le energie. Si ricordò del sacchetto con le erbe, le bacche e le spezie regalate da uno dei guaritori dopo il primo attacco al regno. Ne masticò un pizzico, avvertendo il sapore agrodolce e pungente che sprigionavano le erbe mediche e anche le due condottiere ne presero una piccola manciata; Meryld, invece, optò per le sue di spezie ringraziando la giovane.
 
‘’Concordo, quest’emicrania è una delle conseguenze. Per pura curiosità, ve ne sono altre?’’- domandò la Guardiana, ingurgitando una bacca rossa che le provocò una smorfia di disgusto.
 
‘’Entrambi sono in grado di tramutare l’umore il comportamento di una persona, facendogli compiere azioni inconsce. Ad esempio, io ho perso la calma e ho cercato di sferrargli un duro gancio sul naso inutilmente.’’- rispose Arilyn, augurandosi che l’improvviso rossore sulle guance non lo notasse nessuno. Durante il tragitto di rientro, le quattro donne vennero attratte da diversi luccichii e rumori di ferraglia trascinata pesantemente sul terreno. Dalla figura tozza, la lunga barba grigia intrecciata e tenuta ferma da piccoli anelli di ferro, le due scuri che teneva sulle spalle e dalla cotta di maglia con una mantella per rendere la camminata meno problematica, il misterioso viandante si rivelò essere un altro nano stremato dal viaggio. Arilyn fece cenno alle donne di prepararsi ad intervenire se avesse avuto difficoltà e si avviò di soppiatto estraendo la spada dal fodero.
 
‘’Quattrocento miglia e non vedo ancora il palazzo. Spero di non essermi perso.’’- disse il nano, recuperando una mappa che aveva nel vambrace di cuoio. Distratto dalla mappa, Arilyn poté puntargli l’arma alla nuca e sibilò:
 
‘’Un passo falso e la tua testa farà da monito ai trasgressori. Chi sei e cosa ci fai nel nostro regno?’’
Il nano balzò in avanti, brandendo le due scuri in bronzo lucente, mostrando due canini ricoperti di ferro:
 
‘’Urrem Dentiaguzzi e non gradisco che qualcuno mi prenda alla sprovvista. In guardia, ragazzina!’’- rispose il nano, assumendo una strana posa con le sue due armi partì all’attacco roteando. Le due scuri sibilarono, tranciando le foglie dei rami cascanti mentre nella sua lingua pronunciava un grido di guerra. La giovane Thandulircath riuscì a trovare il punto debole di quell’attacco e con un ridoppio dritto unito al potere della luce fece perdere la presa dell’arma al suo sfidante: la potenza del colpo la fece conficcare in un tronco.
 
‘’Come?! Una delle mie mosse predilette viene contrastata così? Non la passerai…’’- non terminò di parlare che venne colpito dal guanto d’arme di Arilyn dritto sul naso, rompendoglielo. Urrem tentò di usare l’altra ascia per colpirla, ma venne bloccato dalle lame gemelle di Heloys e da una delle armi speciali di Aphrah.
 
‘’Basta così Urrem. La cocciutaggine e lo spirito guerriero di voi nani non cambierà mai. Ti presentiamo Arilyn, nostra amica e forse futura Legionaria.’’- disse Aphrah recuperando l’ascia del nano incastonata nel tronco lì vicino. Il nano riuscì a sistemarsi il naso rotto con naturalezza, respirando rumorosamente da esso e riprendendo le sue armi in modo burbero.
 
‘’Mi sbaglio o il vostro modo di accogliere gli ospiti è cambiato dagli ultimi tre mesi?’’- chiese Urrem, osservando con occhio indagatore Arilyn che lo freddò con sguardo torvo la spada ancora sguainata. Un prolungato rintocco si udì provenir dal palazzo del Concilio, segnale che era ora di rientrare per tutti fatta ad eccezione per le sentinelle all’esterno intente alla ronda serale. Il cielo si tinse di colori freddi, come porpora e cobalto, le luci delle lanterne si accesero nelle abitazioni e dai camini proveniva un gradevole odore di legno e prelibate leccornie tanto da indurre ad un violento brontolio lo stomaco del nano.
 
‘’Tu, ragazzina, mi spieghi come hai fatto ad evitare che quel mio mulinello ti tranciasse in due?’’- chiese il nano, ancora incredulo di aver perso così facilmente e ferito nel suo orgoglio nanico.
 
‘’Durante quel mulinello hai rallentato per pochi istanti, per questo la tua mossa si è rivelata fallace. Inoltre, brandisci le due scuri in modo diverso: una centralmente e l’altra nella parte bassa del manico, sbilanciandoti. Probabilmente con gli altri nemici questa tecnica ti ha salvato innumerevoli volte, ma con me no. Inoltre tu sei diverso da Oldorrorn e Balfhodruk.’’- replicò Arilyn, non degnandolo di uno sguardo a causa della stanchezza e malessere derivanti dalla magia del Recluso.
 
‘’Non da Balfhodruk dato che entrambi siamo Nani di Legnoscuro, ma in verità con l’arte bellica non mi sono mai destreggiato se non per difendermi.’’- si giustificò lui, prendendo quella bisaccia colma dei suoi oggetti e poggiandosela sulla spalla. Proseguirono in silenzio, scambiandosi dei saluti con i diversi gruppi di sentinelle che passavano di lì ricevendo il medesimo consiglio di rientrare e di non restare dopo il rintocco della campana dato le creature notturne che brancolavano nella radura circostante. A palazzo le tre donne che proteggevano il Frammento d’Ambra tornarono nel loro antro, il nano Urrem andò in una delle stalle con i suoi oggetti ed Arilyn fece rapporto ad una delle Sette Sorelle ancora presenti nella sala del trono; oltre a loro nell’oscurità della sala vi era anche Iridia che aspettava contro una delle colonne di pietra.
 
‘’Riferirò alle altre Sorelle l’evento di oggi e decreteremo insieme se mettere alcuni soldati a sorvegliarlo nell’ombra o meno. Buon riposo, figlia dei Thandulircath.’’- disse Erthaor la Quinta Sorella, andandosene e salutando con un dolce sorriso la ragazza. Non appena andò via, il Comandante dei Legionari rimproverò severamente Arilyn per la sua scellerata decisione di seguire l’entità leggendaria.
 
‘’L’ho seguito solo per assicurarmi che non fuggisse. Perché ti preoccupi così tanto?’’- chiese lei, sedendosi sulla panca e cercando di restare sveglia. La donna schioccò la lingua e assunse una espressione stupita:
 
‘’Devo ripeterti chi abbiamo come ospiti? Queste entità millenarie sono in grado di compiere gesta umanamente impossibili e tu ignori completamente questo. Arilyn, io mi preoccupo per tutti, non solo per te. Di persone care ne ho già ‘persa’ una. Sii più cauta.’’- rispose Iridia, passandosi una mano sul viso e tra i capelli sciolti che la rendevano graziosa nonostante tradisse una spietata freddezza. Il sonno prevalse su di Arilyn che si addormentò poggiata alla parete e costringendo la donna a condurla nel suo alloggio.
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Autunno in nome di Luqnera, notte.
 
La luce argentea della luna autunnale si faceva spazio attraverso una fessura posta sul soffitto di una camera, rimbalzando su vari specchi disposti lungo le pareti da permettere di illuminare uniformemente tutto; da una prospettiva opposta la loro predisposizione formava un diamante astratto. Disteso su una brandina vi era Darrien con una camicia da notte sgualcita e imbratta di sangue secco sulla spalla sinistra. Si svegliò in preda ad un lancinante dolore e ad incubi dovuti alla sconfitta contro il demone, provocando così tanto trambusto da svegliare anche l’ospite all’interno della saletta:
 
‘’Hai poltrito così tanto da sobbalzare e far fracasso? Sei sicuro di non essere un nano sotto mentite spoglie?’’- chiese una voce familiare. Dolmihir, l’esperto nano di montagna comparve dal fondo della stanza, illuminato dai raggi della luna, ancora intontito dal risveglio brusco.
‘’Non è il momento di scherzare. Che cosa è accaduto? Ricordo solo di esser stato…’’- non riuscì a terminare la frase che il dolore si fece quasi insopportabile. Il nano recuperò una piccola boccetta arancione, riempì una siringa di vetro con il suo liquido e la iniettò nella spalla fasciata del ragazzo.
 
‘’Sconfitto. Già, l’avamposto è stato distrutto dopo che quella tempesta di sfere melmose ha intaccato la roccia e le strutture, sciogliendo tutto in un lago di corpi putrefatti. Batkiin e il nano del sangue vitreo si sono salvati. E, inoltre, ti sei fatto rubare la spada! La mia creazione.’’- asserì il nano, sottolineando con rabbia quella perdita. Il ragazzo lentamente poté muoversi, ricordandosi di aver già affrontato un supplizio simile ma dal gusto amaro. Recuperò uno specchio poggiato su un comodino e osservò la ferita fasciata rozzamente: si intravedeva ancora la carne ustionata e coperta da qualche unguento viscoso, simile alla resina. Tastò la pelle sensibile e gonfia ricucita da sottili fili d’erba:
 
‘’Chi mi ha condotto a palazzo?’’- domandò, alzandosi digrignando i denti per lo sforzo e rivestendosi con la divisa. Il nano, intento a costruire qualcosa simile ad una lama a scatto, non gli prestò molta attenzione inizialmente fino ad essere esortato di nuovo.
 
‘’Batkiin, il nano del sangue vitreo, il capitano Morrygan e una donna di nome Aura. Loro quattro ti hanno fornito anche le varie cure mentre io ti ho condotto in un’altra ala del mio antro. Non avevi una bella cera quando sei arrivato qui sia chiaro, quindi non lamentarti del tuo aspetto malconcio e da…morto ambulante.’’- replicò lui, ridacchiando alla sventura accadutagli. Darrien si alzò e si avviò all’uscita, aiutandosi con il sentiero di luce digrignando i denti per i muscoli indolenziti. Il nano alchimista lo fermò sull’uscio domandandogli qualcosa di aberrante:
 
‘’Prima che tu vada ragazzo, potresti darmi qualche goccia del tuo sangue? Avendo esperienze nel campo dell’alchimia, ho intenzione di creare una lama che riconosca solo il suo padrone, se sai cosa intendo.’’- ammiccò sull’ultima parola. Darrien, insensibile al dolore della spalla ferita, si strappò le bende e le gettò a pochi metri dall’amico. Senza una meta, varcava le varie stanze barcollando di tanto in tanto, la sua vista giocava loschi tranelli e il suo inconscio lo torturava con le immagini del demone che lo trafiggeva, sadico. Udì una voce femminile armoniosa familiare:
 
‘’Arilyn?’’- chiese Darrien, incurante di poter esser visto e sentito da qualcuno nei paraggi del palazzo. Quando non ci fu risposta, comprese che fu l’ennesimo miraggio. La speranza di ritrovarla si affievoliva con il passare dei giorni, tramutandosi in un insignificante carbone ardente. Aprì l’ennesima porta ritrovandosi nella biblioteca illuminata sia dalla luce della luna che da alcune candele; su una delle librerie erano proiettate due ombre, una seduta ed una in piedi, entrambe femminili. Riconobbe la ninfa Aura che discuteva con sua sorella Malrin e nell’angolo sinistro del tavolo vi era anche Morrygan che cancellava qualcosa su diverse mappe, usando un pennello nero. Nascosto dietro uno degli scaffali, poté ascoltare la loro conversazione:
 
‘’Voglio ringraziarvi ancora per aver aiutato mio fratello. Spero solo non sia grave.’’- asserì sua sorella, con voce tremante.
‘’Si rimetterà presto, è giovanissimo ed è maledettamente attraente che…Cambiando argomento, ho un quesito da porti: chi è questa Arilyn? Non faceva che ripetere il suo nome durante la cura.’’- domandò il capitano Morrygan, cambiando discorso evitando di fare allusioni lussuriose su di lui. Aura ridacchiò mentre Malrin scosse la testa, incredula di aver ascoltato quel commento spudorato. La principessa cercò di ricordare, finché non fu proprio Darrien a rispondere burbero:
 
‘’Arilyn è la mia compagna, una fenomenale e meravigliosa donna guerriera. Fingerò di non aver sentito il commento lussurioso inerente al mio corpo, capitano. E Aura, son lieto di vederti a corte, hai seguito il mio consiglio. Vogliate scusarmi, ma ho bisogno di tornare nel mio alloggio.’’
Le due donne arrossirono e rimasero in silenzio, mentre la principessa del regno lo condusse lungo i corridoi che portavano alle stanze dei soldati. Si scambiarono qualche sorriso, ma la giovane comprendeva benissimo il senso di impotenza che affliggeva suo fratello. Non appena giunsero alla camera, Malrin si posizionò tra la porta e Darrien, impedendo a quest’ultimo di proseguire oltre:
 
‘’Non ora, sorellina. Non sono in vena di scherzi.’’- disse il giovane dei Varg, infastidito da quel comportamento. Le braccia della ragazza lo strinsero forte, quasi a volerlo soffocare in un abbraccio riunificatore.
 
‘’Credi che morire sia uno scherzo?! Mi hanno detto quello che è accaduto nell’avamposto, di come il tuo orgoglio cavalleresco ti abbia condotto a fronteggiarti contro qualcuno visibilmente e concretamente più forte di te. Non puoi comportarti così, è da folli!’’- lo rimproverò senza alzare la voce, ma con durezza. Darrien non rispose, limitandosi solo a sospirare e ad aprire la porta.
 
‘’Malrin, la follia non è tale finché non la vedi. Io l’ho vista negli occhi dei soldati che affrontavo, spinti quasi ad un sacrificio non necessario per cause scellerate convinti e disperati allo stesso tempo. Ti auguro solo di non assistere a tutto questo, non sei ancora pronta. E se ti poni il quesito: cosa direbbe Arilyn al mio posto? Beh, mi direbbe di star attento, solo questo.’’- replicò poco dopo, riuscendo a farsi strada nel suo alloggio. Prima di salutarsi, la sorella gli chiese di provare alcune nuove armi portate dal nano del sangue vitreo l’indomani e Darrien accettò con un cenno del capo e chiuse la porta. Il suo alloggio era illuminato da una piccola candela quasi consumata e sulla scrivania vi era una lettera firmata da Galeren:
 
‘’L’ex generale Batkiin mi ha informato del tradimento del mio caro e fedelissimo Capitano Ebirre e della caduta dell’avamposto montanaro. Nonostante io disprezzi sotto ogni punto di vista il tuo operato, te e il tuo codice cavalleresco, mi complimento per il tentativo di resistenza contro l’assedio dei Rovi Neri, seppur un completo fallimento. E il merito per la respinta dei nemici è mio.
Galeren, sommo Re dei Rovi Bianchi.’’

Il ragazzo strappò il foglio in diversi pezzi per poi bruciarli con il suo potere e farli trasportare dal vento autunnale, il più lontano possibile. Non erano parole sincere quelle del Re, ma concordavano su un sentimento che li accomunava: il disprezzo per entrambi. Si compiacque almeno di avere intatto il suo elmo d’ariete nero e il vambrace spara dardi riposti su un manichino di legno. Le allucinazioni si ripresentarono, più forti e durature di prima tanto da costringere il ragazzo ad usare dei tappi per le orecchie e coprirsi fin sopra gli occhi con le lenzuola del letto. Spettri deformi di cavalieri deceduti sul campo di battaglia lo circondarono, in silenzio, emanando un bagliore verde opaco; i loro volti non erano in collera ma in pena e Darrien poteva scorgerli con gli occhi socchiusi. Mosse il braccio creando una frusta d’energia oscura che dissolse quei soldati appostati come sentinelle, rischiando di tranciare il manichino e il resto della mobilia pregiata. Privato del sonno, si rimise alla scrivania notando un’altra lettera firmata dal vecchio Batkiin che annunciava l’arrivo di cinque nuovi capitani provenienti dalle terre confinanti con il Draal e il Lynmes:
 
‘’Non dovrei rivelare informazioni che solo il Re può dare, ma essendosi preso il merito per non aver fatto nulla in suo potere, in questa lettera ci sono i nomi di colori che ci aiuteranno solo a rinforzarci.
Dal possedimento navale di Thern Lodir giungerà il capitano Duilius; dall’avamposto dei negromanti, Ilgoros, giungeranno i capitani Lilith e Melanthios entrambi fratelli; dal Pyroh Icherione, possedimento desertico e con vulcani sotterranei, giungeranno il capitano Vesta ed il suo vice Lochlann. Un piccolo consiglio, non accennare alla natura dei capitani negromanti. La loro magia è pericolosa e sconosciuta persino al nostro Dolmihir.
Con sommo rispetto,
Batkiin.’’
 
Riposta la lettera con cura, il giovane Darrien si occupò di scrivere alcuni telegrammi da far ricevere agli altri due avamposti spiegando quando accaduto, di cosa fare per evitare sciagure simili. Dopo mezza clessidra, il giovane chiuse ogni busta con della cera e si diresse verso l’alloggio del messaggero; lo riconobbe grazie ad una piccola cassetta posta sulla porta che invitava cortesemente di inserire lettere o documenti al suo interno, onde evitare di infastidire il sonno dell’uomo. Una luce ambrata proveniente da una sala nascosta invase la notte che dimorava nel palazzo, mostrando una silhouette maschile che richiuse la porta dietro di sé. L’uomo, con indosso una tonaca religiosa bianca dai ricami purpurei e dorati, si paralizzò quando si rese conto dell’inattesa presenza di Darrien in quel luogo.
 
‘’Mai nessuno è stato così avventato da vedermi nel cuore della notte dopo il rituale sacro. Perché sei qui, baldo giovane?’’- chiese il chierico, sistemandosi le pieghe dell’abito e togliendosi il copricapo.
 
‘’Uldronoss è caduta ed è dovere di un comandante informare i propri alleati della sciagura abbattutasi su quel luogo. Lasciavo dei telegrammi nella cassetta del messaggero. A giudicare dal vostro abito, siete un monaco.’’- rispose Darrien, restando lontano dal religioso. L’attempato clericale emise un verso di disgusto per aver udito una simile blasfemia nei suoi confronti.
 
‘’I monaci non conoscono cosa vuol dire stare a contatto con artefatti arcani! Credono che meditare sia una delle strade per comunicare con la Fiamma d’Ambra, ma sono solo degli ubriaconi molesti e beceri. Io sono un chierico, l’unico che può avvicinarsi e comunicare con una creazione ancestrale. Sono Fintan Adalhard, della repubblica di Oldden Resthalm e, in questo momento, dovrei tagliarti la lingua per la tua eresia.’’- rispose lui, digrignando i denti e puntando il dito accusatore nei suoi confronti. Dalle mani di Darrien si sprigionarono lunghi fasci di energia oscura che strisciarono in tutte le direzioni, con il solo obiettivo di raggiungere il chierico e terrorizzarlo. I fasci d’energia si tramutarono in serpi dagli occhi violacei brillanti, tanto da paralizzare Fintan:
 
‘’Hai ancora il desiderio di tagliarmi la lingua, monaco?’’- domandò Darrien, avvolto dalle ombre e con un sorriso malefico dipinto sul suo volto. Le vipere dagli occhi purpurei avvolsero in spire asfissianti l’uomo, costringendolo a rispondere:
 
‘’Quest’oscura e peccaminosa energia...Tu sei un Isedavar, un Predone dell’Oscurità. Sei il corpo e il sangue della Regina del Draal, il primogenito!’’- corrispose il chierico, tra un lamento e l’altro. L’incubo creato dal giovane scomparve in una nube di fuliggine e Fintan si rese conto di non doverlo irritare se voleva vivere ancora a lungo per sorvegliare il Frammento d’Ambra.
 
‘’Dunque? Vuoi ancora tagliarmi la lingua o hai cambiato idea?’’- chiese nuovamente il ragazzo, con la voce distorta dal suo potere non del tutto richiamato. Il chierico abbassò la testa e corse via, fino ad inciampare ed umiliarsi. Proseguendo per il palazzo, si diresse all’uscita desideroso della brezza autunnale e di usare nuovamente il suo potere. A pochi passi dall’entrata della radura, evocò le vipere oscure e le sfruttò come possenti liane per muoversi rapidamente da un tronco e l’altro, distruggendo parte della loro corazza.
 
Estremo Ovest, Cittadella degli Abbandonati. Autunno in nome di Luqnera, notte fonda.
 
Erano passati alcuni giorni dal violento ed inaspettato assedio di alcuni krinxs corrotti dalla peste dei Rovi Neri, terminato con il massacro di quelle bestie. Le mura della cittadella riportarono diversi danni dovuti al sangue acido delle creature, tra cui alcuni sostegni di ferro e parte dell’enorme cancellata. I cadaveri vennero raccolti e depositati tutti in una fossa profonda che venne riempita d’olio combustibile e incendiata. Il favore dato agli Zadanri venne ricambiato: alcuni dei loro esperti costruttori edificarono una seconda cinta muraria a venti passi di distanza dall’originale, con un materiale che proveniva dalla loro terra natia resistente e scivoloso. Uno di loro assicurò ai governanti della cittadella che il materiale poteva illudere il nemico ad arrampicarsi ma in assenza di appigli sicuri sarebbe scivolato sul fango. Ai piedi delle seconde mura venne scavato un lungo fossato ricolmo di pece e palizzate acuminate in rame, così da trafiggere gli aggressori. Tyarjes, la Guardiana della Torre, dopo essersi occupata del suo compagno ustionato dal sangue acido delle belve andò dal prigioniero sfruttando una entrata secondaria. Il costante russare del nobile giustiziere del palazzo governativo echeggiava nel corridoio che conduceva alle celle. Il boia, invece, era sveglio intento a lucidare la lama della sua mannaia innastata quando si rese conto della presenza della donna:
 
‘’Oh, Tyarjes, che bello vederti! Hai bisogno di qualcosa?’’- chiese l’omaccione con un sorriso innocente tanto da provocarlo anche nella guerriera.
 
‘’Devo parlare con il nostro prigioniero. Ho bisogno di chiarimenti sull’imminente Epoca Oscura e se me lo concedi, ti regalerò questo piccolo bignè all’arancia.’’- rispose la donna mostrando il dolcetto avvolto in un piccolo panno, stuzzicando l’appetito di dolciumi di Vòh. Il boia poggiò con cura l’arma sul pavimento e andò serrare con una sbarra la porta comunicante con l’ufficio del giustiziere. L’uomo aprì la cella, svegliando Hrjelvul con un sobbalzo.
 
‘’Ti ringrazio Vòh. Sei il mio bambinone, dolce e forte.’’- asserì la donna, dandogli il dolcetto e tirandogli la guancia in un gesto scherzosamente infantile. Quando Tyarjes entrò, il prigioniero arretrò fino a toccare il gelido muro con le spalle, intimorito dalla cupa presenza dell’esperta arciere che poggiò la mano sull’elsa dello spadino minacciosamente. Con rapidità, la donna puntò l’arma alla gola del prigioniero:
 
‘’Perché i Krinxs ci hanno attaccato? Cos’era quella melma nera che li ricopriva? I Rovi Neri sono responsabili di questo attacco?’’- furono le domande di Tyarjes prima di far affondare la punta del suo spadino nella carne del carcerato. Hrjelvul allontanò lo spadino con un dito e rispose burbero:
 
‘’Avrò le mie conoscenze pur essendo un mezzo immortale, ma questo non significa che io sappia tutto. Probabilmente i Rovi Neri vogliono indebolirci perché siamo alleati dei Rovi Rossi, quindi ci considerano potenziali nemici. La melma che ricopriva quegli animali non so cosa sia, girano voci di una peste venefica, non sono sicuro. Di una cosa però sono sicuro.’’
 
‘’Ovvero?’’- domandò la Guardiana della Torre, abbassando lo spadino consentendo così all’uomo un po’ di spazio.
 
‘’Che è scortese da parte tua venire a disturbare il mio sonno. Ma tralasciando questo, le due entità leggendarie sono nel Lynmes Alno. I Legionari ed un’altra ragazza hanno avuto un piccolo assaggio del loro immenso potere.’’- rispose l’uomo, iniziando a togliersi le bende dal viso così da mostrare le lunghe cicatrici rosee. La donna restò con lo sguardò fisso nel vuoto, tenendo mollemente lo spadino tra le dita. Il Recluso e la Peccatrice erano giunti nel suo regno d’origine, ma i suoi pensieri si focalizzarono solo su una persona a lei cara: Iridia. Il carcerato, una volta terminato il cambio delle bende ricoperte di unguenti, esordì:
 
‘’Hai temuto di perdere il tuo compagno ma una parte del tuo cuore conserva ancora un buon ricordo di Iridia, è per questo che ti preoccupi così tanto sia per lui che per lei. Esistono grandi dolori in questo mondo e quello che ti flagella l’anima è il perdere qualcuno di amato. Spero di esserti stato d’aiuto Tya.’’
La donna scosse la testa bruscamente e andò via, diretta all’abitazione del suo amato Fjolvor che fu eretta a pochi passi dalla Torre. Era una costruzione di pietra, elbaollite e cristalli alta cinque passi e larga due, con una piccola entrata a volta. Quando salì i gradini, bussò e attese che il suo compagno aprisse.
 
‘’Qualcosa non va, Tya?’’- domandò l’uomo, vedendola ferma sull’uscio della sua abitazione e con gli occhi colmi di lacrime. Tyarjes lo abbracciò forte e lo baciò con passione, ignorando le ferite. Le importava solo percepire l’amore che quell’uomo infondeva nel suo cuore tramite il contatto fisico, i baci e la presenza imponente.
 
‘’Ti conosco da anni, ho sempre ammirato il tuo coraggio e la tua tenacia. Il mio cuore si è unito al tuo grazie ad un sentimento impetuoso, pur sapendo del mio passato. Questa volta il tuo coraggio ti ha quasi condotto alla morte e…’’- l’esperta arciere venne interrotta da un altro bacio di Fjolvor, lento ed intenso.
 
‘’Tya, io rischio la mia vita per difendere questo luogo e soprattutto te. Delle banali ustioni causate dai krinxs non sono nulla. Vieni, sei stata troppo tempo privata del sonno. Le altre sentinelle ed i nostri amici zadanri si occuperanno dei turni di guardia.’’- rispose il prode arciere, carezzando il viso della sua amata rigato dalle lacrime. Si abbandonarono alle spalle i ricordi dell’assedio, stendendosi sul loro letto e abbandonandosi ad effusioni amorevoli.
Nel palazzo dei governatori, invece, il dio del sonno non aveva posato ancora il suo velo sui nobili e il loro seguito. La gigantesca stanza ovale dall’arredamento pregiato era illuminata da una serie di lanterne azionate da un meccanismo all’interno delle pareti, consentendo di poter vedere gli ospiti senza usare candele o fiaccole. Su una tavola rettangolare ancora imbandita di leccornie succulente, Signuva il comandante e stratega della Cittadella esponeva, attraverso una grande cartina topografica, le sue preoccupazioni per i confini esposti agli assedi dei Rovi Bianchi e Rovi Neri. Le sue allieve Dharga, Indilah, Lathya e Ienoa ascoltavano con attenzione i dubbi della loro maestra tentando di suggerire possibili cambiamenti o di inviare alcune armate alleate:
 
‘’Quanto verrà a costare i loro supporto?’’- chiese improvvisamente il governatore della Cittadella, trangugiando una mela caramellata. Quel gesto così sfrontato tinse di rosso le guance del comandante che tentò di non perdere il controllo.
 
‘’Il compenso pecuniario è l’ultimo dei nostri problemi, Signore. Si temono altri attacchi da entrambi i regni e non ci sono uomini a sufficienza per assisterci in questa campagna.’’- rispose Signuva, incrociando le braccia con fermezza. La compagna del governatore sbadigliò annoiata dal blaterare della soldatessa. Un pugnale attraversò la stanza con un sibilo, conficcandosi nella finta corona che indossava l’uomo distruggendone i gioielli fasulli. Si udirono dei pesanti passi provenire dal fondo della sala, prima che la luce delle lanterne mostrasse una splendida armatura verde acqua coperta in parte da un mantello nero. Lo sconosciuto si tolse l’elmo, rivelando un viso femminile dai lineamenti duri e dai lunghi capelli dorati legati in una traccia. Le Sentinelle e il Comandante, con le loro armi sguainate, restarono in assetto difensivo atte a proteggere i loro governatori:
 
‘’Identificati, straniera.’’- ordinò Signuva, serrando i denti ed osservando bene il possibile sfidante.
 
‘’Ufficiale Sharal, condottiera di Huvendal, a capo delle truppe del Durmstava, capitale della Dalvenia. Sono qui per destituire i governatori della Cittadella degli Abbandonati in seguito alla loro negligenza nei confronti del proprio popolo e dei loro uomini. Quest’atto esecrabile non è passato in osservato e merita di essere punito.’’- rispose Sharal, freddando con lo sguardo la coppia nobile adirata per quell’affronto. Il Governatore Kieran rimosse il pugnale conficcatosi nella sua corona e ruggì:
 
‘’Chi ti autorizza a venir qui, nella nostra Cittadella, e a detronizzarci? Sarai anche un ufficiale di terre lontane, ma non prendo ordini da una donna spocchiosa come te.’’
 
‘’Il Concilio delle Sette Sorelle mi autorizza a farlo.’’- rispose la donna. Con un sorriso di sfida, estrasse dal vambrace una pergamena arrotolata e la lasciò scivolare sul tavolo. I Governanti lessero con un nodo alla gola il documento ufficiale proveniente dal Lynmes. La notizia della loro destituzione fu un fulmine a ciel sereno, ma si sentirono maggiormente amareggiati dal leggere che un successore per governare nella Cittadella era già stato scelto. Sharal prese un altro documento dalla tasca e lesse a gran voce:
 
‘’Il Concilio delle Sette Sorelle conferisce il titolo di governatrice della Cittadella degli Abbandonati a Signuva Ylva, eccellente comandante e stratega.’’
Per i governatori appena destituiti quell’aggiunta alla loro destituzione equivale ad aver ricevuto un esilio in luoghi selvaggi. Le allieve di Signuva esultarono alla sua nuova carica e ruolo, non tradendo la loro invidia con piccoli risolini ma la loro maestra le redarguì, nonostante la calma apparente.
 
‘’Prima di discutere dei gravi problemi che il Lynmes sta affrontando, Signuva e voi sentinelle posizionatevi nell’angolo più lontano della stanza e proteggete il vostro udito. Per il grave insulto ricevuto alla mia persona, merita un secondo giudizio.’’- disse Sharal, rimettendosi l’elmo e posizionandosi a poca distanza dal tavolo. Respirò profondamente e, grazie all’elmo, il suo urlo divenne simile al ruggito di una bestia delle tenebre che devastò il tavolo, le mappe e scaraventò verso le colonne opposte la coppia nobile che atterrò rovinosamente sul pavimento. Giunsero due soldati con colori simili a quelli dell’ufficiale, in attesa di condurre il governatore Kieran e la sua conserte Faüna sul carro all’esterno del palazzo.
 
‘’Essendo la nuova governatrice, pur non meritando questo titolo, scortate la coppia all’esterno delle mura e conduceteli il più lontano possibile. E lei, Ufficiale Sharal, la invito a restare per aiutarmi con i preparativi bellici.’’- disse dopo un lungo silenzio il comandante Signuva, ancora scombussolata dalla notizia. Un cenno della donna in corazza verde acqua e i suoi soldati trascinarono senza alcuna considerazione quei corpi incoscienti, ricoperti di graffi e rivoli di sangue. Una volta rimesso in sesto il tavolo e le cartine topografiche, le donne ripresero la loro discussione analizzando con metodicità i punti conquistati o caduti in guerra. Vi era raffigurata, dove confluivano alcuni confini territoriali, una grande torre e alla base altri quattro pilastri disposti in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Al di sopra del disegno della torre capeggiava un nome mai sentito da Sharal: Prymvis. Oltre al nome del torrione, osservò quello dei territori scritti in una lingua sconosciuta e ognuna con il proprio vessillo:
 
‘’Siete in grado di riconoscere i vessilli di queste terre o i simboli con la quale son stati scritti?’’- chiese l’Ufficiale, volgendo lo sguardo verso le altre soldatesse. Una di loro che aveva una corazza dalle sembianze di una testa di leone, lesse brevemente quei nomi per dare una risposta sorridendo:
 
‘’Yekkur, Klegrin, Ekosh e Zorar, dalla quale provengono le lingue yekkuri, klegrinse, ekoshi e zorari. Sono quattro delle sette lingue antiche e dimenticate da tempi immemori.’’
 
‘’E per quanto riguarda questo…Prymvis?’’- domandò Sharal, volendo sapere di più su quella struttura posizionata in quei luoghi per un motivo logico. Nessuna seppe rispondere al quesito, finché dalle tenebre non comparve un uomo dalla pelle color zaffiro con diversi tatuaggi bianchi sui palmi delle mani, sul collo, sulla fronte e sulle labbra. I suoi capelli rossi raccolti in una lunga treccia contrastavano il blu intenso del corpo. A causa della sua improvvisa comparsa, le sentinelle e Signuva sfoderarono nuovamente le loro armi eccetto Sharal che lo riconobbe immediatamente:

‘’Lieto di rivederti Sharal. Il grado di Ufficiale si addice alla tua personalità.’’- esordì il Silente, stringendole la mano e dandole una pacca sulla spalla.
 
‘’Lo stesso per me, Faolan. Dai tatuaggi, sei diventato il loro signore. Mi congratulo con te, però a giudicare dalla tua presenza in questo luogo, non hai belle notizie.’’- replicò la donna, ricambiando la stretta.
 
‘’Purtroppo no, e riguardano anche due nostre conoscenze. Prego, sedetevi e prestatemi ascolto.’’


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Capitolo 9
*** La Torre Solitaria ***


La Fiamma d’Ambra mi aveva punito per il mio desiderio immorale. Percepivo ogni fibra del mio corpo inchinarsi alla sua energia ancestrale, indebolirmi a suo piacimento e mostrarmi eventi di atroci agonie di popoli ormai estinti. Il mio corpo si ricoprì di vesciche, graffi e pustole che mi tramutarono in una orripilante creatura deforme. Il Recluso, però, restò con me. Decise di guarire ogni giorno le mie ferite conoscendo la natura della Fiamma. Condividemmo le nostre conoscenze ma non potevo competere con lui, testimone di mille nascite e cadute di popoli. Quando sorse l’alba di quella fatidica Guerra dei Tre Rovi, cercammo di donare il nostro aiuto ai Rovi Rossi, il popolo che dimostrava fin da subito umiltà d’animo. Maeris la Creatrice di tutte le creature terrene ed ultraterrene discese sul campo di battaglia, ella stessa ci punì con l’immortalità. Osservammo inorriditi come l’umanità mostrasse la sua vera natura: sanguinaria, barbara e violenta. La Terra si nutrì di quella linfa, di quei corpi mutilati e delle loro protezioni, tingendosi di un nero intenso.
La Dama delle Tenebre si impossessò di quel luogo.

’Per la vostra avidità di conoscenza ed aver tradito il vostro regno, vi condanno all’immortalità. Tramutate i vostri cuori in pietra, così da evitare di piangere alla morte di cari conoscenti. Non temete, non sarete gli unici a pagare questo tormento. Almeno, non con sofferenze evidenti.’’
Un terzo testimone si unì al nostro viaggiar senza meta, un uomo di mezz’età ricoperto di bende sporche di sangue secco. Herl Jevul era il suo nome, ma preferiva Hrjelvul per abbreviare. Narrò di aver ricevuto anch’egli l’immortalità, non completa, e di come tutte le anime dei defunti vennero rinchiuse nel suo di corpo ricoprendolo di piaghe dolorose ogni volta che si avvicinava ad un qualcosa di magico o creato da Esseri Divini. Un giorno le nostre strade si separarono, senza addii smielati e commoventi. Ci disse che la sua presenza ci avrebbe solo rallentati e così andammo per sentieri diversi.

‘’Un giorno imparerai ad accettare questo ‘dono’ e starai meglio.’’- ripeteva il Recluso, inespressivo. Non rivelò molto del suo passato prima di diventare ciò che era. Continuavo, ad ogni modo, a non fidarmi ciecamente di lui e-



 
Documento incompiuto e rovinato dal tempo, dunque impossibile da comprendere se questa confessione sia stata scritta prima della follia della Peccatrice oppure una sua fantasia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Vhertal ju kev Prekkhejt (Confessioni di una Peccatrice, antico); Origine Sconosciuta.
 
Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle. Tardo Autunno in nome di Luqnera, mattina.
 
Una ragnatela di fulmini rossi si diramava in un cielo di nubi color antracite, raffigurandosi come un corpo ricoperto di vene cremisi pronte a infondere vita in un essere ignoto nascosto nel cielo. Una fragorosa esplosione, accompagnata da una scossa sismica, destò con irruenza la giovane Thandulircath dal suo sonno profondo. L’erba e la terra sotto di lei erano pietrificate e vedeva in lontananza ombre danzare, vorticare o strattonarsi. Uno scoppio improvviso dissolse quelle ombre, rischiarando l’oscurità abissale nella quale Arilyn era piombata per poi lasciare spazio alla Fiamma d’Ambra che si presentò nuovamente alla ragazza con fare ‘astioso’. Quella creazione divina assunse una forma corporea avvolta da fasci di luce cremisi e amaranto simili ad un abito che brillavano intensamente:

‘’Sono alquanto sorpresa dalla tua determinazione, dalla tua tenacia con la quale combatti al fianco dei tuoi nuovi compagni. Sono anche meravigliata che il tuo potere riesca ad eguagliare il mio e che il Recluso sia in grado di compiere gesta indescrivibili ma ho un quesito da porti, figlia dei Thandulircath.’’- disse l’entità, camminando lentamente, disegnando un cerchio intorno Arilyn.

‘’Ovvero?’’- domandò lei, infastidita da quel comportamento presuntuoso; entità divina o meno, detestava coloro che si poneva al di sopra degli altri. La Fiamma d’Ambra pronunciò qualcosa in una lingua sconosciuta e la ragnatela di fulmini, lentamente, iniziò a immobilizzarsi nel firmamento plumbeo formando dei rombi. Ci fu un sibilo sommesso che lentamente diventò assordante finché all’interno di quei rombi astratti si infranse qualcosa simile al vetro, per poi mostrare reminiscenze di eventi passati. Arilyn era in ognuno di quei ricordi opachi, intenta a compiere gesta audaci per coloro che amava. In uno di quelle rievocazioni comparve Arilyn che si allenava con suo padre o che combatteva al suo fianco, costringendola a serrare le labbra per soffocare la tristezza.

‘’Che cosa vuole da me, Fiamma d’Ambra?’’- chiese la giovane Thandulircath, tentando di essere cordiale e mascherare la sua tristezza. Affidava ogni fibra del suo corpo all’autocontrollo, evitando di manifestare il suo potere e scagliarlo sulla creazione divina. I rombi che mostravano i ricordi scomparvero, seguiti dalla ragnatela di fulmini, lasciando solo un cielo colmo di nubi scure.

‘’Vorrei comprendere perché combatti guerre che non sono tue, come questa dei Tre Rovi. Hai giurato di proteggerli, ma sei un mero essere umano dotato di un potere sorprendente. Le tue promesse sono state e, tutt’ora, sono vane.’’- rispose la Fiamma, rivolgendole uno sguardo colmo di apprensione nei suoi confronti. Da quel terreno pietrificato sorse una colonna di basalto con venature arancioni pulsanti, che emanavano un intenso calore e fuliggine dalle spaccature ai lati. Sul capitello di quell’inconsueta costruzione vi era un uomo dai lunghi capelli bianchi, con indosso una corazza acuminata e solcata dalle stesse venature del pilastro mentre su di essa vorticavano piccole lingue di fuoco. Discese senza emettere alcun suono e sorrise, ma la perfidia tradiva quel gesto cortese sotto mentite spoglie. Non servì alcuna presentazione per Arilyn, dato che quell’uomo già lo conosceva:

‘’Una delle caratteristiche degli umani: fare promesse che non possono essere mantenute. Ciò che ti ho sempre detto e tentato di farti intuire Arilyn dei Thandulircath, non è così?’’- domandò Gallart, con le braccia conserte dietro la schiena.

‘’Non ti intromettere Gallart, non è il momento!’’- sibilò la ragazza, folgorandolo con lo sguardo ma inutilmente. Il Re della Prima Fiamma rise di gusto al tentativo, infantile, di essere minacciosa della giovane e replicò con la stessa malvagità che non lo aveva abbandonato:

‘’Mi intrometto perché tutto questo è solo una facezia, priva di qualsiasi logica, cara Thandulircath. Quante persone sono vive per le tue promesse mantenute? E quante ne sono morte? Bregoldir ti ha consigliato di non fidarti perché la fiducia è fragile quasi quanto l’amicizia, ma tu continuerai imperterrita ad agire seguendo le tue emozioni più selvagge.’’

Un fascio di luce accecante colpì parte dell’armatura di Gallart, scalfendola e facendo rimbalzare i riflessi ovunque creando mosaici variopinti. Il bagliore si intensificò, generando delle lingue di fuoco dalle sfumature amaranto che serpeggiavano in ogni direzione, sorprendendo il Re della Prima Fiamma Arcana.

‘’Non osare darmi la colpa per la morte di coloro che amavo! Io combatto per tutti, non per me. Quando Huvendal è stata sottomessa per troppi anni dalla Regina di Ghiaccio e mi sono unita all’esercito reale, non l’ho fatta per la gloria ma per quelle persone che non erano in grado. Lo stesso nel Deserto dell’Epirdo. Io porterò a termine il conflitto nato dai Tre Rovi e voi due non mi ostacolerete.’’- asserì con fermezza e asprezza Arilyn, richiamando la sua luce.

‘’Io ti ho avvertito. Hai giurato di proteggere coloro che ami? Perfetto, ma se dovessero morire, la colpa sarà solo tua.’’- corrispose Gallart, con il suo tipico ghigno funesto e scomparve in una gigantesca sfera di fuoco. La Fiamma d’Ambra non sembrò infastidita da quelle parole e cercò di dissuadere la ragazza dai suoi ambiziosi propositi, fallendo.

‘’Arilyn Saavick, figlia ed ultima dei Thandulircath, non starò qui a ripetermi nuovamente. Sappi solo che sei destinata a fallire, come tutti prima di te. Questa guerra è inarrestabile e continuerà ad esserlo per altri cicli.’’- annunciò l’entità, scomparendo nell’abisso di quel regno onirico. Tutto iniziò a vibrare, a vorticare furiosamente ed una calda luce gialla fece breccia tra le varie fenditure vitree di quel cielo. Una fragorosa esplosione destò da quell’incubo la ragazza, nuovamente nel suo letto e madida di sudore. La luce gialla che distrusse quell’oscurità non era altro che il sole, caldo ed accogliente.

‘’Ti sei svegliata, finalmente. Andiamo, ci sono aggiornamenti da parte del…Recluso e da parte del Concilio.’’- esordì la voce impastata ma cristallina di Iridia, seduta su una poltrona a pochi passi dal letto. Disorientata e ancora scombussolata dal singolare evento, Arilyn chiese:

‘’Da quanto tempo siamo qui dentro?’’

‘’Sei. Io mi sono addormentata nell’attesa che tu ti destassi dal sonno e, a giudicare dalla posizione del sole, è quasi mezzodì. Lesta, Thandulircath.’’- replicò il Comandante, sbadigliando leggermente per poi dirigersi all’uscita dell’alloggio. La ragazza si riprese completamente dal sonno, indossò la sua divisa e, brandendo la spada, si diresse nella sala del trono dove attendevano tutti il suo arrivo. Le Sette Sorelle erano già sedute sui loro rispettivi troni, più in basso vi era una creatura lupesca inginocchiata con la testa abbassata e il Recluso a pochi passi dietro di lui; molti soldati li avevano accerchiati, con le loro armi già sguainate e pronti a colpire se necessario. Non appena le due donne si presentarono al cospetto, la Sorella Maggiore prese parola per prima chiedendo alla bestia inginocchiata la ragione della sua presenza nel Lynmes. Il mammifero osservava con i suoi occhi grigio-verde quelle lame affilate e i giavellotti che minacciosi puntavano nella sua direzione, così costringendolo a tentennare nel rispondere. Le Sorelle delle Corone impartirono un ordine e i cavalieri indietreggiarono di qualche passo così da non intimorire l’essere vivente.

‘’Scappavo dalla peste nera che ha ucciso metà del mio popolo. Cercavo un riparo tra gli alberi ma uno dei vostri soldati mi ha ferito gravemente, come potete vedere da queste…orribili bende.’’- rispose la creatura, tastandosi il fianco in preda ad una dolorosa fitta. Tutti si sorpresero nel sentire il mammifero parlare nel linguaggio umano, confermando così il dubbio di Arilyn sulla sua esistenza di krinxs ibrido.

‘’Qual è il tuo nome?’’- domandò la Seconda Sorella Hallothel, incuriosita dall’essere.

‘’Murwaka, sono una creatura della notte che preferisce luoghi privi di questa luce accecante. Ho fatto una piccola eccezione per Voi e per avermi in parte guarito, il resto lo devo al Recluso e ad un’altra ragazza che era con lui. Non ho alcun rancore nei confronti del soldato che mi ha ferito.’’- rispose, volgendo i suoi occhi in direzione della donna che lo aveva interpellato, per poi voltarsi in direzione del Recluso e tentò di riconoscere la ragazza tra la moltitudine di cavalieri. La Quinta Sorella, Erthaor, ancora una volta si apprestò a posare le sue mani sulle tempie del mammifero per constatarne la veridicità ma il Recluso si intromise, schioccando le dita e generando una sfera biancastra che mostrò gli eventi del dì precedente: erano raffigurati la creatura, lui e quattro donne, tra le quali Arilyn.

‘’Mi sono permesso di scavare nei suoi ricordi. Murwaka è nato dall’unione di un Krinxs e di un Huerdakhal, ecco perché la sua stazza è ben diversa da tutti gli altri.’’- disse il Recluso, facendo scomparire la sfera tra le dita con un sonoro scoppio. La Sorella Maggiore strinse le mani sui braccioli di marmo, percependo il breve ma intenso potere emanato dall’entità.

‘’Dunque è la verità. Un superstite, figlio dell’unione di una coppia di razza diversa che è capace di esprimersi nel nostro linguaggio. Inconsueto da parte loro, ma se è stato l’amore ad unirli noi non possiamo dir nulla al riguardo.’’- esordì, dopo un lungo silenzio, la Terza Sorella Mylgred. In quel momento, un clangore metallico, distolse l’attenzione del Concilio dal Recluso e dal mammifero. Dall’ascensore che conduceva alle segrete, giunse una delle sentinelle in livrea grigia che trascinava con una corda un uomo dal viso ricoperto di lividi e gonfio. I suoi abiti bianchi e il simbolo su di essa testimoniarono la sua appartenenza ai Rovi Bianchi.

‘’Inginocchiati!’’- sibilò il soldato, colpendolo alla gamba per farlo cedere. Si udì uno scoppio secco, e il ginocchio del soldato si piegò lateralmente finché non assunse una posizione innaturale; dal pantalone di tela scivolò via la protesi di legno con il rinforzo in gomma per impedire che la pelle si irritasse. Uno dei Legionari riconobbe i vari disegni che costituivano quella divisa, affermando il grado di tenente del prigioniero.

‘’Pensate che tenermi prigioniero in questo luogo privo di sfarzo possa fermarci? Noi Rovi Bianchi vi calpesteremo come si fa con i vermi nella fanghiglia!’’- sbraitò il tenente, impassibile innanzi alla sua disabilità e contravvenendo all’ordine regale nel Concilio. Arshile intervenne colpendolo con forza inaudita al volto, spaccandogli il labbro e i capillari nell’occhio destro tramutandolo in un coagulo di sangue scuro. La Sorella Maggiore del Concilio arrestò sul nascere l’ira della Legionaria, ringraziandola per aver riportato l’ordine e prese parola:

‘’Lo sfarzo di un regno non è sinonimo di forza e strategia, tenente. Per quale ragione Lei e i suoi uomini stavate assediando uno dei nostri avamposti minori? Cosa vi ha spinto a raggiungere quel luogo così vicino il nostro regno?’’
Il tenente sputò un grumo di sangue ed un dente nella direzione della donna, mostrando un ghigno rabbioso come la sua risata. Cercò di alzarsi ed arrancare usando le sue mani, ma vennero entrambe schiacciate dal randello ferroso di Veldass. Cercò di liberarsi, ma l’arma pesante glielo impedì rendendolo simile ad un cane storpio. Arilyn osservava disgustata quel comportamento, posando in automatico la mano sull’elsa della spada.

‘’I vostri cosiddetti avamposti sono indegni, prede facilissime da stanare. Il vero obiettivo erano quelli maggiori e questo regno insulso, così da poter schiavizzare gli uomini e violare la purezza delle donne. Sì, quello era il nostro intento. Tutto questo per far vedere al nuovo comandante che sono i veterani a capeggiare i plotoni, non lui!’’- rispose l’uomo, riuscendosi a liberare dal pesantissimo bastone di ferro, ritrovandosi le mani viola e deformi.

‘’Il nome e gli intenti del comandante?’’- chiese la Quarta Sorella, Largorthel, trattenendosi dal non lasciare il suo trono e strangolare quel viscido essere fino a vedere i suoi occhi sbiadirsi e la bava colargli dalla bocca.

‘’Il nome? Al diavolo i nomi, si è solo numeri e gradi in guerra. L’intento è quello di sradicare ogni fondamento cavalleresco del nostro regno per renderlo migliore. Siete già spacciati in ogni caso. Voi cortigiane con i vostri miseri condottieri, una creatura mezzosangue e quella Thandulircath non potrete far nulla! Nemmeno il Recluso può.’’- replicò nuovamente il tenente, ormai allo stremo delle sue forze. La Sorella Maggiore ordinò, senza preavviso, ad Arilyn di avvicinarsi al loro cospetto per evitare che qualcuno potesse origliare.

‘’Dopo un lungo consulto con le mie sorelle, abbiamo deciso di non usare i ricognitori per sorvegliare il Recluso in quanto dispone di un potere superiore alle loro capacità. Invece, l’odio di quella vile canaglia e i suoi meschini ed impuri desideri vanno puniti con la morte. Sei in grado di eseguire tale compito, Arilyn dei Thandulircath?’’- chiese Daernith, prendendole la mano e guardandola intensamente negli occhi. Anche le altre donne la osservavano con interesse misto a perplessità.

‘’Per la sua brama di sangue e voluttà verrà punito…’’- disse la Sesta Sorella Rivaltnith, lasciando continuare la Settima Sorella Rivornith:

’Con la morte.’’- furono le parole che sibilarono dalle sue labbra, e solo il Recluso fu in grado di sentire quella condanna. La giovane condottiera tentennò, facendo guizzare i suoi occhi sulle sette donne e poi sul prigioniero, ma non avendo altra scelta estrasse la sua spada e scese lentamente le scale dei troni. La lama vibrò appena prima di ricoprirsi di un accecante fulgore dorato con lingue di fuoco danzanti.

‘’Sciocca ragazzina, non vedi che sei una pedina di una scellerata scacchiera? Combatti qualcosa che non ti riguarda…’’- le parole del tenente gli morirono in gola quando la lama incandescente gli trapassò il petto, iniziando a far brillare le vene e a bruciare la sua carne. L’odore nauseante si propagò nella sala, disgustando alcuni soldati.

‘’Io combatto per eradicare dall’esistenza esseri come te.’’- disse Arilyn, non mascherando la sua rabbia e facendo sprofondare la lama fino alla guardia. Il tenente emise solo un ruggito iracondo prima di esplodere in un cumulo di cenere lucente, lasciando parte della divisa bruciata sul pavimento. Dal nulla comparve Morkai con un messaggio proveniente dalla Cittadella che annunciava la successione di Signuva al comando e l’invito a raggiungere un luogo che solo una persona conosceva, scritta all’interno del documento.

‘’Per raggiungere quel luogo ci vorranno settimane.’’- affermò la Seconda Sorella, Hallothel. Il messaggero sorrise a quella perplessità e rispose:

‘’Ci vorranno solo poche ore. Le gallerie sono quasi ultimate, mancano solo i collegamenti con gli avamposti Pharossa e Lekethra. Ho notato che i binari sono stati modificati dalla magia di un nostro ospite.’’- e si voltò in direzione del Recluso, impassibile che osservava il danzare della cenere nell’aria. Il Concilio fu sorpreso nel constatare le buone intenzioni di quell’essere leggendario. Venne ordinato ad alcuni soldati di gettare via gli indumenti carbonizzati del tenente, di condurre Murwaka e il Recluso nelle segrete nuovamente, dandogli cibo e acqua e di aggiornarle sulle condizioni del prigioniero Falko. Non appena furono eseguiti tali richieste, la Sorella Maggiore con un lieve sorriso annunciò ai Legionari:

‘’A seguito degli eventi degli ultimi mesi è con effetto immediato che proclamiamo, come membro dei Legionari, Arilyn dei Thandulircath. Il suo costante aiuto si è rivelato prezioso quasi quanto il vostro.’’
Arilyn si meravigliò di quella decisione, tanto da farla ammutolire nonostante gli altri membri si congratulavano e le stringevano la mano in segno di rispetto; l’unica che restò in disparte ad osservarla fu Iridia, contraria a quei gesti amichevoli.

‘’Credo che sia presto per renderla un membro di noi Legionari. Ha dimostrato grandi abilità, è vero, ma è ancora acerba.’’- disse il Comandante rivolgendosi alle Sette Sorelle che la scrutarono pacate.

‘’Così come un frutto matura con il tempo, anche la giovane Arilyn lo sarà grazie anche al vostro aiuto e supporto. Tu stessa Iridia sei stata un frutto acerbo ma poi sei maturata in un qualcosa di sublime. Adesso, andate a prepararvi, entro il tramonto vi dirigerete alla Torre Solitaria.’’- rispose la Sorella Maggiore, alzandosi e lasciando la sala dei troni con il suo seguito. Il Comandante serrò le labbra, restando in silenzio.
 
Profondità. Terzo Frammento d’Ambra.

Nei meandri oscuri ove risiedevano il Re delle Spine con i suoi figli, il Frammento d’Ambra si tinse di rosso cremisi solcato da lingue di fuoco nel suo nucleo. Il muschio che ricopriva i mattoni della parete venne colpito da alcune scintille del frammento, trasformandosi in lucciole di fuoco. Pheros, il primo genito del Re, osservava affascinato quella danza di fuoco e morte prodotta dall’artefatto mentre le sue mani sfioravano una spada dalla lama nera e acuminata. I suoi due fratelli, invece, si occupavano degli ennesimi cadaveri da trasmutare in seguaci assetati di sangue donandogli aspetti grotteschi e terrificanti.

‘’Una lama di eccellente fattura intrisa di grande potere. Questo ragazzo cova dentro di sé tutto l’odio che annega queste terre spoglie, profondo. Derivante dall’abbandono e dalle peripezie affrontate. Lui è il mio degno avversario. Provate solo a combattere contro di lui e troverò il modo per estirparvi l’immortalità.’’- esordì il demone, tornando ad osservare la spada e analizzandola, facendo guizzare le fiamme oscure sopra di essa. Dall’entrata del salone giunse Liedin, avvolta in una corazza di elbaollite nera, con un manipolo di crisalidi aracnoidee gorgoglianti che secernevano liquidi ambrati e argentei. La donna usò la punta della spada per ordinare a quegli strani essere di svuotare le loro membrane e riversare sul gelido pavimento i futuri soldati. Ossa, carne putrefatta e cadaveri freschi affollavano in un nauseante ammasso informe la stanza ed Ignea sorrise estasiata dal vedere quel sangue scuro misto all’argenteo di krinxs mutilati.

‘’Provengono dall’ultimo assedio compiuto da Pheros?’’- chiese Ignea, recuperando quel poco di sangue rimasto sui cadaveri e mischiandolo freneticamente ad altri fluidi, tra cui l’ambra fusa proveniente dal nucleo del Frammento.

‘’E non solo.’’- rispose Liedin, tirando dall’ammasso di defunti, soldati in una pesante armatura scura con arti e parti del corpo mancanti. Sul metallo temprato vi erano profondi graffi, segni di denti, ammaccature e scheggiature derivanti da una spada molto resistente. Terbius si avvicinò per studiare i corpi e, sfiorando le ferite, percepì un potere sopito che lo disgustò:

‘’Questi soldati sono stati sbranati da degli animali sotto influsso magico. Alchimia dei nani. Ma la nostra di magia è più forte.’’
E in quell’istante, Ignea e Terbius cosparsero di essenze e ambra liquida i cadaveri corazzati e Terbius, con un semplice colpo spezzo quella spada dalla lama nera e la gettò tra gli ammassi di carne vibrante. L’oscurità latente che permeava nell’acciaio generò creature dall’aspetto terrificante, con occhi rossicci che guizzavano senza controllo in ogni angolo della stanza e il metallo che li ricopriva venne rinforzato da rovi di pietra nera. Dalle loro bocche deformi nacquero denti lunghi quanto un pollice e i loro ventri lerci si ricoprirono di scolopendre pronte a saltare sui volti dei nemici per entrare nelle loro gole e cibarsi della carne.

‘’Loro sono perfetti. Il resto gettatelo nelle catacombe, ove Ryre è in preghiera. Sehher avrà un lauto pasto non appena si desterà da suo sonno.’’- esordì il Re delle Spine, illuminato dal fuoco che emanava il Frammento alle sue spalle. I nuovi guerrieri, gigantesche barriere di metallo e carne rancida, spostarono con tutto il loro peso le carcasse verso la botola per i rifiuti che conducevano nel sottosuolo. Il Re delle Spine, compiaciuto dell’operato, decise di discendere la scalinata delle catacombe nel totale buio dell’antro terrestre come se fosse in grado di orientarsi percependo il fervente potere che emanava la divinità malvagia rilegata nelle catacombe; udiva una cantilena riecheggiare nel minuscolo tempio illuminato da un fulgore violaceo e spire di fumo provenire da esso.
Inginocchiati vicino ad un piccolo altare con una reliquia simile ad un dito pietrificato vi erano le aberrazioni ipnotizzate dalle parole incomprensibili per una persona normale, mentre un uomo con una tunica da chierico muoveva le mani freneticamente. La sua voce si trasformava da un gorgoglio sommesso ad un acuto strillo. Non vedendo risultati, quel monaco decomposto imprecò aspramente.

‘’Sii paziente Ryre. Lui è ancora molto debole, ha bisogno di corpi freschi per potersi rigenerare. Vuoi offrirti volontario?’’- chiese il Re delle Spine, sottolineando il suo losco intento.

‘’Sono già morto due volte nel corso degli ultimi mesi, gradirei vivere. Si fa per dire.’’- rispose l’uomo, sistemandosi brandelli di carne decomposta sull’osso mandibolare come se volesse coprire una nudità fin troppo evidente al suo nuovo Signore. Uno dei fasci violacei danzò sulle spalle di una creatura, per poi spostarsi sul volto di uno informe ed infine scelse la sua preda, infilandosi nelle sue narici e penetrando nel corpo con irruenza. Ci fu un lungo gemito e la bestia assunse lo stesso colore per essere assorbita dal manufatto. Il dito pietrificato prese vita e dalla carne ammuffita si generò una fiamma incorporea, solcata da stelline bianche e argentate che esplodevano e si fondevano, muovendosi e vorticando. La fiamma si tinse di nero, i minuscoli sfavillii argentei si fusero insieme dando vita a due occhi demoniaci che osservavano torvi i due uomini:

‘’Deboli ma possono sfamarmi. Quanto tempo è trascorso, Re delle Spine?’’- chiese quella fiamma nera, e il suo tono di voce così profondo e sibilante fece rabbrividire Ryre. Le bestie esultarono alla comparsa della divinità ma vennero incenerite da alcuni fasci purpurei e assorbite dalla fiamma: si materializzò altra pelle decomposta, parte del cranio e delle robuste corna simili a quelle di un montone e al centro del suo petto comparve una gemma d’ossidiana sferica.

‘’Tre millenni, Dio Sehher. L’esercito è quasi pronto, stiamo solo attendendo che entrambi i popoli si indeboliscano.’’- rispose il Re delle Spine, con un freddo ghigno sul volto. Il fulgore purpureo della divinità vibrò e sibilò, facendolo gemere di piacere.

‘’Percepisco morte e devastazione proveniente da Jossul. Quell’avamposto è stato distrutto, non è così? Perfetto, ma non basta. Dovete assediarne il più possibile e, constatando dai vostri nuovi accoliti, il compito sarà facile.’’- asserì l’entità, prima di ritornare a riposare, annidandosi in quello che sembrava essere un trono. In quel momento giunse una delle orride creature annunciando l’arrivo del cadavere di un mezz’elfo, proveniente dall’avamposto in rovina. Il Re delle Spine e il suo seguace tornarono nel salone principale, trovando l’ennesima preda che giaceva eviscerata sul pavimento privo di qualsiasi eleganza.

‘’Il sangue di un mezz’elfo è impossibile da poter usare. Troppo puro per corromperlo, troppo denso da poterlo sfruttare.’’- affermò Ignea, disgustata dalla visione di quel cadavere. Pheros estrasse dal suo abito la punta della lama che aveva trafugato al giovane comandante, lo immerse in uno dei tanti intrugli di sua sorella, avvolse la piccola scheggia d’oscurità e la posò al centro dove le due parti del mezz’elfo giacevano. Si udirono le ossa ricomporsi ed unirsi in disgustosi scricchiolii, la carne sembrò essere frustata mentre si fondeva con le interiora mentre il resto del corpo veniva scosso da violenti spasmi e tremori. Lo squarcio che lo aveva diviso a metà e quello presente sul braccio vennero ricuciti con dei rovi oscuri, gli occhi vacui grondarono un liquido rossiccio che tinse la pelle pallida che si ricoprì di scaglie di legno.

‘’Benvenuto, la morte ti ha ricompensato con un grande potere, giovane mezz’elfo. Inchinati e rivelaci il tuo nome.’’- disse il Re, sedendosi al trono e creando una piccola sfera di luce rossa con una mano.

‘’Ebirre Kraigo, Capitano dell’avamposto Jossul…o meglio ero capitano finché quel maledetto Darrien non mi ha reso storpio per poi essere ucciso dal suo lacchè. Deve pagare per la sua insolenza.’’- replicò il mezz’elfo quasi ringhiando al solo pronunciare il nome del comandante che lo aveva destituito.

‘’Non temere Ebirre. Tutti noi siamo spinti dalla bramosia di vendetta e sangue. Desideriamo ardentemente di ricongiungere i Frammenti della Fiamma per riportarla alla sua ancestrale essenza e renderla nostra, ma la vera natura dovrà attendere finché i Rovi Rossi e i Rovi Bianchi appestano la terra.’’- corrispose l’uomo, con un sorriso freddo mentre si specchiava sul piatto della sua spada, pregustando una pioggia di cremisi intenso e dal profondo della sua gola si levò una cupa e prolungata risata di pura perfidia che coinvolse i presenti, mentre i loro abietti gracchiavano e mugolavano in coro.
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Tardo Autunno in nome di Luqnera, primo pomeriggio.

Dopo la lunga notte d’allenamento, il giovane comandante si risvegliò sotto un frassino, frastornato e disorientato avvolto da vivaci foglie di ogni sfumatura del rosso; alcune foglie rimasero impigliate nella trama della sua camicia e tra di loro, formando un magnifico mantello dai colori autunnali contrastando la sua natura di Predone dell’Oscurità. Accecato dal sole e dal sonno, si mise seduto su un macigno lì vicino per riprendersi finché i suoi occhi non si abituarono all’ambiente circostante e notò innanzi uno strano figuro dalla corporatura robusta, avvolto in una corazza leggera con una cotta di maglia zaffiro. Sul fianco gli pendeva una spada bastarda abbastanza lunga da sfiorare l’erba ai suoi piedi, mentre sulla schiena aveva uno scudo ricavato dalla ruota di un timone di una nave ricoperto d’oro, poggiato su un mantello azzurro e bianco. Il viso spigoloso presentava una leggera peluria bionda che risaltava i suoi occhi neri.

‘’Non ha un bell’aspetto, signor comandante. Mi ricorda uno dei vecchi ubriaconi della bettola dell’avamposto da dove provengo.’’- esordì l’uomo con voce pacata, ridacchiando a quell’insulto.

‘’Lei, invece, mi ricorda un giullare con pessimi gusti bellici e incapace di vestirsi propriamente.’’- replicò Darrien, con freddezza a quell’uomo sfrontato. Il soldato rise nuovamente per poi tendergli la mano in un gesto cortese scusandosi per la sua lingua da serpente.

‘’Duilius, capitano dell’avamposto navale Thern Lodìr.’’

‘’Darrien, comandante dell’élite Merfolk di Huvendal e neo comandante del vostro pacchiano regno. Mi è stato detto che lei si occuperà insieme ad altri suoi colleghi dei vari confini è così?’’- chiese il ragazzo, spostando di tanto in tanto gli occhi sullo scudo. Il Capitano notò la curiosità del suo nuovo commilitone e narrò la storia di quell’oggetto ricoperto d’oro:

‘’Questo scudo è stato ricavato dal canino di una bestia marina, uccisa durante una spedizione con la mia flotta. La parte superiore, invece, è presa dal vecchio timone della mia nave. Posso usarlo come arma d’attacco grazie alla punta e difesa grazie ai raggi ravvicinati, garantendomi di disarmare l’avversario. E fidati che non è leggero da quello che vedi.’’- e così dicendo lo porse tra le mani di Darrien che, non appena afferrò le cinghie di cuoio, avvertì l’elevato peso trascinarlo in basso; percepì anche, tastandone la superficie, da quale bestia marina derivava lo scudo.

‘’Era un wraisk, adulto e uno dei più famelici tra i serpenti marini.’’- disse il ragazzo, suscitando stupore nel capitano che si complimentò per la conoscenza del rettile. Prima che Duilius potesse riprendere il filo del discorso, dal palazzo si udì un clangore di corni che annunciavano l’arrivo di qualcuno di importante.

‘’Torniamo a palazzo, sono giunti gli altri capitani. Un consiglio: non guardare negli occhi le guardie del corpo di Vesta e Lochlann, sono molto irritabili e sfociano in violenza insensata.’’- e detto questo, i due uomini tornarono a palazzo. Il capitano navale consentì a Darrien di rivestirsi con la sua armatura ed elmo, prima di congedarsi per unirsi ai suoi commilitoni. Percorsi i lunghi corridoi, sull’uscio della sala del trono potevano scorgersi gli stendardi dei regni d’origine di ogni capitano presente: azzurro e bianco di Thern Lodìr, rosso e marrone per l’avamposto Pyroh Icherione e il porpora e nero per l’avamposto Ilgoros. Un vassallo del Re invitò ai restanti soldati di lasciare la sala, così da permettere al sovrano di entrare e svolgere i suoi compiti:

‘’Solo i capitani possono restare in questa sala, mentre i sottoufficiali e soldati sono pregati di accomodarsi all’esterno. Nessuno escluso.’’

‘’Loro restano con noi, non vanno da nessuna parte.’’- rispose una donna in una armatura a scaglie dorate e con l’elmo da testa di drago, incrociando le braccia restando impassibile. Il vassallo, imbarazzato, balbetto nuovamente la richiesta ma una delle guardie del corpo si mosse, stringendo tra le mani una grossa ascia bipenne che luccicò minacciosa. Dal grande elmo si materializzò un fulgore rossastro che terrorizzò il servo, costringendolo a fuggire terrorizzato con le braghe umide, suscitando risate di scherno nei suoi confronti.

‘’Ti ringrazio Lilith per il tuo supporto.’’- disse la donna, inchinando il capo verso la sua amica con indosso un elmo ricavato dal teschio di un qualche animale sconosciuto, diverso dall’alto figuro che le stava vicino. Un altro clangore attirò l’attenzione dei presenti, che si voltarono al Re appena entrato con una sfarzosa corazza tempestata di gioielli che risplendevano grazie ai raggi del sole che filtravano dalle vetrate. A pochi passi da lui vi erano la sua compagna e la principessa che andarono a sederi sui loro rispettivi troni.

‘’Nonostante la caduta di Jossul, sono riuscito ad eliminare gli assedianti e a tramutare un vecchio villaggio in rovina nel nostro nuovo reparto militare. La cattedrale verrà assegnata ai Capitani Lilith e Melanthios con il loro seguito, ove potranno creare infusi per difendere i loro e i nostri soldati. La piccola fortezza che contiene l’intero villaggio, invece, verrà assegnato al Capitano Vesta.’’- esordì il Re con un gesto plateale, tra applausi fin troppo concitati e indifferenza degli altri.

‘’Perché non vi sono lividi o ferite che testimoniano la tua presenza a Jossul?’’- domandò Darrien, con voce distorta dal suo elmo. Gli applausi si tramutarono in unico suono confuso, suscitando perplessità e curiosità nei presenti, fatta eccezione per il Re palesemente infastidito da quella presenza.

‘’La mia pelle coriacea funge come una seconda armatura, quindi non ho ferite. E ricordiamoci che io ti ho salvato la vita da morte certa.’’- rispose Galeren, con presunzione. La Regina intimò a Darrien di fermarsi comunicando attraverso lo sguardo, fallendo.

‘’Quanti soldati sono morti per il tuo deretano pesante Galeren? Quanti?’’- ripeté con un sibilo, evocando il suo potere che assunse la forma di una cascata di denso fumo nero. Si udirono risate trattenute a stento e sospiri sorpresi, mentre il viso del Re si tramutava in una maschera di rabbia e vergogna, impossibilitato a rispondere.

‘’Centosettanta uomini. Centosettanta vite distrutte per la tua cupidigia e negligenza. Non sei nemmeno l’ombra di un vero re, per questo ho distrutto parte del tuo trono e ordinato di inviarmi rinforzi ma la tua bocca si apre solo per ingozzarti e formulare bugie per il popolo. Egregi Capitani, per cortesia, chiedete al vassallo pauroso di condurvi nella biblioteca. Vi raggiungo a breve.’’

‘’Volevo godermi lo spettacolo, ma gli ordini sono ordini.’’- esordì il capitano di Ilgoros, avviandosi controvoglia alla porta. Quando furono usciti tutti, Galeren sfogò la sua rabbia tentando di afferrare il collo di Darrien e strangolarlo per la sua presunzione, ma il suo naso si ruppe contro il duro metallo dell’elmo d’ariete. Non soddisfatto, sfoderò le sue spade ed eseguì diversi affondi e montanti con l’intento di ferire mortalmente il suo figliastro. La Regina si intromise, facendo da scudo ad entrambi ma venne scostata da una spallata del ragazzo che colpì il fianco privo di protezione di Galeren, facendolo accasciare con un gemito. Il violento impatto ruppe un paio di costole dell’uomo ma non gli impedì di reagire, afferrando la gamba del ragazzo e gettandolo al suolo. Stavano per colpirsi nuovamente, quando una spada si frappose tra loro con fare minaccioso.

‘’Può bastare.’’- disse Batkiin, con insolita rabbia nella sua voce. Quando il loro umore si placò, notarono l’armatura ammaccata in diversi punti, sporca di fango e sangue rappreso, con alcuni licheni che si staccavano come cenere dalle spalline. I suoi occhi erano due fessure dalla quale traspariva solo odio represso e qualcosa di indecifrabile.

‘’Che cosa vuoi, Batkiin?’’- domandò Galeren, tenendosi il fianco e respirando a fatica per le fratture. La spada volse nella sua direzione, investita dalla luce del sole che illuminò il metallo e le gocce di sangue.

‘’L’avamposto Tara è stato distrutto. Siamo sopravvissuti in dieci e Lei, vecchio Re, è la causa di tutto questo. Mi disgusta, signore.’’- fu la risposta dell’uomo, digrignando i denti simile ad un predatore feroce. Afferrò un pugnale dalla sua cintura e cancellò il simbolo dei Rovi Bianchi sulla corazza, per poi scagliarlo contro l’armatura dorata del Re conficcandosi nel metallo scadente. Dal trono più piccolo, Malrin decise di unirsi a suo fratello.

‘’Anche tu Malrin hai deciso di unirti a loro? Il tradimento è una tradizione di famiglia?’’- domandò sarcastico il re, sputando del sangue. Darrien si tolse l’elmo e accennò un consenso a sua sorella che replicò:

‘’Questo non si tratta di tradimento, padre. Si tratta solo di fare la cosa giusta per il regno. Il nostro regno. Niente più nobili ubriaconi, niente feste dove si intravedono nudità o effusioni erotiche. Da oggi, mi occuperò io del Draal e voi, con effetto immediato, diverrete i miei sottoposti.’’
Un fascio di luce oscura serpeggiò verso Malrin, tentando di avvolgerla ed insediarsi nel suo cuore per soffocarlo ed impedirle tale scelta, ma la ragazza contrattaccò quella subdola pugnalata sfruttando il suo e bloccandola sul trono l’artefice di quel vile gesto: la Regina. Nello stesso istante, dodici soldati si presentarono al cospetto della giovane, attendendo nuove istruzioni.

‘’Impeditegli di lasciare il Regno, sorvegliate le uscite principali e secondarie, scortateli nel loro alloggio. Per questioni commerciali, uno di voi assolderà un vassallo che porterà i telegrammi al Re che dovrà solo occuparsi di firmare.’’- impartì la ragazza, sorprendendo Darrien che qualche mese prima la considerava fragile. Una volta eseguite le istruzioni, Batkiin e Darrien raggiunsero i vari Capitani in attesa, mentre la ragazzina venne scortata da uno di quei corazzieri all’esterno del palazzo.
Entrati in biblioteca, le guardie del corpo di Vesta esultarono colpendo i loro scudi e complimentandosi per la lezione impartita al Re.

‘’Finalmente qualcuno che impartisce una sonora lezione a quell’imbecille.’’- esordì il vice Lochlann, un uomo dalla pelle bronzea e dagli occhi color ardesia, poggiando i piedi sul bordo del tavolo. I due negromanti, invece, si limitarono ad un flebile applauso e si tolsero i loro elmi mostrando volti simile tra loro: tratti delicati, occhi azzurri e pallore caratteristico dei negromanti, eccetto i capelli di Lilith che erano lunghi e corvini. Anche Vesta decise di togliersi l’elmo, mostrando i suoi lineamenti decisi e dei lunghi ricci castani che ricadevano sulle spalle.

‘’Mi sono permesso di lasciare una pietra comunicante nella sala del trono, così da assistere a quella punizione. Noi abbiamo accettato l’incarico di Capitani solo per la grossa somma che ci ha dato. E no, non siamo mercenari.’’- disse Duilius, comparendo alle loro spalle e mostrando quella pietra dalle sembianze di una punta di freccia.

‘’Quante monete vi ha donato?’’- domandò Darrien, sedendosi a capo tavola dove ad attenderlo vi era una mappa già segnata da vari simboli e tratteggi.

‘’Dieci monete di platino a testa.’’- rispose il Capitano Lilith, lanciando sul tavolo il documento ufficiale firmato dal Re che attestava le informazioni date. Il giovane comandante imprecò e strappò la lettera, per poi incendiarla tra le sue mani. Una volta terminato l’intermezzo tutti esposero il loro parere sui vari confini da proteggere o da rinforzare, prendendo in considerazione l’eventuale attaccò a sorpresa di uno o più avamposti dei Rovi Rossi così da poterli indebolire e far prigionieri. Gli occhi zaffiro del comandante si posarono su un disegno in particolare: una torre posta al centro di diversi confini che si incrociavano, con altre quattro strutture più piccole ai lati. La discussione si spostò sull’attaccare uno dei loro distaccamenti e uccidere i pochi soldati all’interno e tendere una imboscata ai Rossi per eliminare anche loro. Il secondo capitano negromante, Melanthios, alzò la mano generando un vortice violaceo che balzò verso l’alto e colpì il tetto. Un gemito di dolore accompagnato da un insulto eruppe da quell’oscurità serpeggiante per poi cadere come un sasso sul tavolo della stanza. La nube oscura si dissipò, rivelando un Dolmihir dolorante.
 
I Quattro Confini, Torre Solitaria. Tardo Autunno in nome di Luqnera, tardo pomeriggio.
 
Il messaggero del Concilio si occupò personalmente di condurre i Legionari nelle gallerie, prossime ad essere completate. Venne costruito un grande macchinario che consentiva di caricare e scaricare i carrelli dalla rotaia principale che si estendeva in diverse biforcazioni a tridente. A pochi metri dal macchinario fu eretta una gru alimentata grazie all’ebollizione dell’acqua in un recipiente sferico e tre manopole per regolarne la temperatura. Da una delle tre gallerie giunsero sfrecciando alcuni carrelli con un solo soldato che fece rapporto al suo superiore:

‘’Bisogna rallentare nella quinta galleria che giunge sotto la Cittadella degli Abbandonati. Vi è un gigantesco deposito roccioso che vi fa da ponte naturale, ma è molto fragile al peso e ai suoni e dato che è al di sopra di un profondo baratro, attraversatelo con cautela.’’

‘’Lunghezza del ponte e come raggiungerlo?’’- domandò Iridia, sedendosi nel carrello mentre l’elmo di rovi viventi cominciò a ricoprirle la testa. Il soldato prese la mappa che indicava scorciatoie per raggiungere in fretta i luoghi, ma non era presente la Torre Solitaria, la meta del loro peregrinaggio.

‘’Come raggiungiamo il Prymvis?’’- chiese Arilyn, con cortesia attendendo la risposta del suo sottoposto, ma scosse la testa amareggiato. Pervenne il momento del lungo viaggio e tutti si apprestarono a sedersi nei carrelli. Un sistema di recupero permise di rimetterli in posizione e attesero l’arrivo di qualcuno per poter esser spinti. Arilyn vide due occhi luminosi provenire dall’oscurità, riconoscendo le iridi a punta: Vidthar, il Titano d’Onice si rivelò essere l’aiuto aggiuntivo.

‘’Pur non essendo la mia guerra questo luogo è stato creato dalla Fiamma d’Ambra, una delle figlie della Dea del Cosmo e per altro nostra alleata. Tenetevi forte.’’- disse il Titano, prima di posare le mani e spingere con estrema facilità il carrello che prese immediatamente velocità. Le gallerie, illuminate in parte da lanterne e in parte da un particolare muschio arancione, si susseguivano così rapidamente da perderne il conto. Iridia ed Arilyn erano sedute in testa al gruppo diviso da coloro che detestavano i vari scossoni come Veldass ed Elurek che si stringevano alle loro armi e al carrello, chi come Allric restava impassibile con Hilder che dormiva sulla sua spalla oppure Olfhun e Arshile in ascolto di eventuali suoni diversi dallo sferragliare metallico.

‘’Reggetevi!’’- urlò il Comandante dei Legionari, azionando la leva del freno; centinaia e centinaia di scintille formarono delle ali luminose sotto le ruote e sulle rotaie, come se il carrello fosse pronto a spiccare il volo. Grazie a quell’azione repentina della donna, il carrello poté svoltare senza inclinarsi e capovolgersi entrando così in una grande galleria ghiacciata colma di licheni luminosi, diminuendo la velocità. Il ghiaccio che ricopriva la roccia creava sculture illusorie di giganti o altre creature imprigionate sottoterra, una creazione imponente che sorprese i viaggiatori.

‘’Chi siete?’’- domandò qualcuno a gran voce, appollaiato come uno sparviero su una delle formazioni rocciose e quasi impossibile da poter esser visto. Olfhun lo individuò poco sopra le loro teste e indicò agli altri la sua posizione, pronti ad attaccare se necessario. L’essere che li guardava dall’alto era robusto, ricoperto di scaglie simili a quelle di draghi, quattro occhi, fauci come quelle di un troll e tra le sue possenti mani stringeva dei macigni grandi come il carrello dove viaggiavano i Legionari. La belva balzò dalla sua posizione e atterrò a pochi metri da loro senza emettere alcun suono, mostrandosi in tutta la sua imponenza.

‘’Sei il custode di questa grotta?’’- chiese Iridia, poggiando la mano sull’elsa della spada minacciosamente.

‘’Prima rispondete alla mia domanda, viaggiatori.’’- ribadì la creatura, bloccando l’avanzata con una delle sue mani. Nonostante il corpo simile a quello dei krinxs, quella belva del sottosuolo aveva un che di affascinante, soprattutto per le scaglie che vibravano sul suo corpo ad ogni respiro mostrando piccoli luccichii provenire da sotto. Nessuno riusciva a rispondere finché Arilyn non prese parola:
‘’Siamo i Legionari dei Rovi Rossi, proveniamo dal Lynmes Alno e siamo diretti alla Torre Solitaria. Non siamo ostili.’’- terminò, ricevendo un rimprovero sommesso da Iridia.

‘’Siete del Regno di Sopra, dunque. Non percepisco in voi alcun tipo di ostilità, ed è raro per uno Shayrkko non incontrare esseri ostili. Potete proseguire.’’- replicò la creatura, poggiando le sue braccia sulla parte posteriore del carrello per spingerlo e far proseguire il viaggio. Si susseguirono altre grotte simili a quella congelata, altre ricolme di minerali tra cui pietre di fuoco, androkite e germogli ossei finché non raggiunsero un bivio costringendoli a frenare e a consultare la mappa. A malincuore, una macchia oleosa e scura impediva di leggere il luogo ove i Legionari arrestarono la loro avanzata e, peraltro, impedendo così di comprendere come proseguire. Iridia, visibilmente infastidita, impartì un ordine:

‘’Io e la Thandulircath entreremo in questa galleria, mentre voi restate di pattuglia. In caso di pericolo, avete il corno d’allarme.’’
Una volta entrate nella grotta, Arilyn convocò il suo potere così da mostrare il sentiero e le pareti ricoperti di insetti fossilizzati, ricevendo un semplice cenno del capo da Iridia. I loro passi echeggiavano nella galleria, accompagnata dal costante scrosciare di acqua dalle pareti, ma un pensiero attanagliava la mente di Arilyn:

‘’Cosa vuol dire che sono acerba?’’- chiese con risolutezza, fermandosi e attendendo la risposta del Comandante.

‘’Non è il momento, dobbiamo proseguire e comprendere se questa galleria è sicura o meno.’’- rispose Iridia, voltandosi e permettendo all’elmo di ritirarsi nell’armatura.

‘’Assolutamente no. Non avanzerò oltre finché non mi dirai il motivo del tuo disaccordo con il Concilio.’’- s’impose la giovane Thandulircath, mostrando la sua fierezza. La donna avanzò incrociando i suoi occhi scuri con quelli smeraldi di Arilyn trasmettendo tutta la sua collera per quell’affronto, ormai giunta al limite della pazienza.
‘’Cosa speri di ottenere dalla tua presunzione, Thandulircath? Io sono il Comandante dei Legionari, ed essendo anche tu un membro di tale gruppo, dovrai rispettare gli ordini ed ubbidire! Non tollero determinati comportamenti nella mia unità, specialmente la testardaggine come quella di Tyarjes.’’- disse lei, in preda alla collera ed inizialmente ignara di aver nominato qualcuno che non aveva voce in capitolo. Quando si rese conto di aver pronunziato il suo nome, sferrò un violento gancio alla parete facendone cadere alcuni frammenti polverosi.

‘’Ecco perché mi hai definito acerba. Non vuoi che io possa deluderti e ferirti come ha fatto Tyarjes, e così essere parte di questa unità…’’- asserì con un sorriso mesto Arilyn, sciogliendo finalmente quel nodo di curiosità amara che l’affliggeva. Senza proferire parola proseguirono fino alla fine del tunnel, sbucando in un gigantesco antro colmo di acqua gorgogliante posto sulla sua profondità mentre vi era una insolita costruzione di legno illuminata da diversi bracieri e lanterne. Tre abitazioni erano collegate fra loro da un ponte che si divideva a croce, scendendo verso il basso sfiorando l’acqua sottostante. Il vapore proveniente da quello specchio gorgogliante permetteva ad un macchinario posto sulla terra di recuperare cibarie dal fondale, come pesci dalle forme strane o altri mammiferi marini di piccola taglia:

‘’Questo luogo non è segnato sulla mappa, vero?’’- chiese Arilyn, studiando il perimetro e restando affascinata dal colore splendente di quell’acqua calda ed invitante. Anche Iridia volse il suo sguardo su quelle terme naturali, finché non si rese conto di qualcuno che vi nuotava al suo interno e strattonò Arilyn per nascondersi ed impedire di essere scoperte. Dalle calde acque, emerse una donna avvenente dai lunghi capelli scuri e ricci che contrastavano la sua pelle bianca come la neve, occhi azzurri e ipnotici che la rendevano simile ad una dea dei mari; la pelle ancora umida contribuì a renderla così seducente, tanto da sbalordire Arilyn e Iridia che arrossirono. Quando quella donna coprì il suo corpo nudo, recuperò da alcuni stracci cuciti tra loro una lancia uncinata. Ripulì la punta di ferro con alcune incisioni, fece volteggiare l’arma un paio di volte e con tutta la sua forza la scagliò in direzione delle due Legionarie, spaccando la roccia che fungeva da riparo.
‘’Elophete!’’- urlò l’avvenente condottiera, impartendo poi un ordine in una lingua sconosciuta a qualcuno nascosto nelle tenebre. Dei passi pesanti e frenetici provennero da un altro antro, accompagnati da un cupo ruggito che si tramutò in un sibilo prolungato. Arilyn ed Iridia sguainarono le loro spade, pronte ad affrontare il prossimo nemico: una creatura fatta di pietra e ferro, armato di una clava dentata, spada retrattile ed uno scudo fuso con il suo ‘petto’ comparve dalla sua tana. I suoi occhi luminosi e gialli lo rendevano inquietante e pericoloso. Il Comandante, però, non appena vide la creatura restò interdetta:

‘’Aspetta…Elophete? Budicca!?’’- esclamò, mostrandosi alla luce delle lanterne e riconoscendoli. La condottiera impartì un altro ordine alla creatura e replicò sorpresa anche lei.

‘’Iridia Dewdrop? Per tutti gli astri, ho rischiato di ucciderti.’’- corse sul ponte, ignorando i suoni che i suoi piedi bagnati producevano ad ogni passo compiuto. Le due si scambiarono saluti amichevoli, scusandosi a vicenda per aver quasi ingaggiato un combattimento. Budicca notò poi Arilyn, che indossava gli stessi colori dei Legionari e si presentò:

‘’Io sono Budicca, una guerriera nomade proveniente dall’estreme regioni orientali, amante delle sfide. Lui, invece, è il mio fedele compagno Elophete. Sei un nuovo membro dei Legionari?’’

‘’Non per mia decisione, ma da parte del Concilio delle Sette Sorelle. Io sono Arilyn Saavick, ultima dei Thandulircath. Questo è il tuo rifugio?’’- chiese Arilyn, notando l’estrema cura con la quale le strutture si reggevano senza problemi.

‘’Rifugio temporaneo per l’inverno. Grazie alla sorgente termale, l’intera grotta è sempre calda. Se ti domandi anche come rimedio viveri e bevande, il fondale della sorgente è una galleria di un chilometro che raggiunge l’esterno, sfociando in un piccolo laghetto di un villaggio.’’- rispose la donna avvenente, recuperando la sua lancia e ripulendola dalla polvere.

‘’Ci siamo fermati ad un bivio. Ora, sapendo che in questa non si prosegue, sai se l’altra è sicura per avanzare?’’- domandò Iridia, mostrando a Budicca la mappa leggermente danneggiata dall’umidità e dall’olio. La condottiera esaminò quel foglio grazie ad una delle lanterne e confermò la sicurezza dell’altra galleria ma di tenere comunque gli occhi aperti e le orecchie ben tese a causa di strane creature viscide e ricoperte di una melma appiccicosa nascoste nell’ombra.

‘’Dove siete diretti e perché siete in armatura?’’- chiese Budicca, prima che le due donne andassero via. Iridia non rispose, così da permettere ad Arilyn di rispondere.

‘’Siamo diretti alla Torre Solitaria e temiamo che l’Epoca Oscura, credo si chiami così, possa tornare. Le creature che hai visto ricoperte di melma sono krinxs corrotti dai Rovi Neri e…’’

‘’Basta così Thandulircath, è abbastanza!’’- s’intromise Iridia con asprezza nella voce e richiamando all’attenzione la ragazza che, amareggiata, salutò la condottiera.

‘’Beh, posso solo augurarvi buona fortuna e che gli astri siano dalla vostra parte.’’- replicò Budicca, impartendo poi un ordine al suo compagno che chiuse l’entrata della grotta grazie ad un pesante macigno. Quando le due Legionarie si ripresentarono al gruppo, tutto era rimasto intatto eccetto la noia e il sonno di alcuni di loro. Il Comandante riferì di aver incontrato una loro vecchia conoscenza e che la galleria adiacente non presagiva pericoli da dover affrontare. Sfortunatamente il carrello sulla quale viaggiavano era fermo, di meccanismi di spinta nemmeno l’ombra e serviva qualcosa di abbastanza pesante da poter muovere il metallo su ruote. Veldass, senza alcun preavviso, lasciò il suo randello nel carello saltando poi all’esterno:

‘’Salite, penserò io a spingerlo finché non sarò esausto.’’- disse, preparandosi a compiere l’impossibile. Quando il gruppo si riunì Veldass poté spingere il carrello con disumana forza, cigolando e cozzando fino a raggiungere una buona velocità. Tentò di risalire, ma temeva di potersi inclinare e provocare un grave incidente. Arshile, notando la difficoltà lo afferrò per il bavero della divisa, riuscendo a potarlo al suo interno.

‘’Ecco perché amo indossare la divisa sopra l’armatura leggera!’’- asserì l’uomo, tra un respiro affannoso e l’altro. Tra le varie curve, gallerie e giganteschi dirupi, il gruppo restava vigile nonostante vedessero meravigliose creazioni fatte dalla natura come spirali di ferro che si estendevano verso l’alto, archi di androkite grezza che emanava cupi lampi dalle sue fenditure e meravigliose sfere di pharite scintillante azzurra. Le rotaie cominciarono a brillare di verde scuro e il carrello aumentò la sua velocità, stridendo e ad emanare scintille; per volere del destino si ritrovarono sul ponte di pietra, descritto dal soldato prima di partire, che vibrava e perdeva diversi frammenti dai suoi lati.

‘’Siamo quasi all’entrata della prossima grotta, reggetevi saldamente al carrello. Non appena varcata la soglia, saltate!’’- ordinò Iridia, tirando nuovamente la leva del freno aumentando le scintille e l’assordante clangore. Una delle ruote si ruppe e il carello s’inclino in avanti di qualche centimetro prima di entrare nella grotta. I Legionari saltarono dal loro trasporto che deragliò e si schiantò contro un qualcosa di invisibile, dissolvendosi come polvere.

‘’Una barriera difensiva simile alla mia.’’- disse Arilyn, percependone l’energia magica che emanava minuscole saette danzanti.

‘’Una barriera difensiva contro gli invasori.’’- rispose la voce di una donna da dietro la barriera. Comparve in una armatura a piastre nere e blu, con il volto scoperto che mostrava un viso segnato dagli anni e dalle guerre, capelli castani scuri sfumati da alcune ciocche bianche. Con ostilità brandiva uno spadone a doppio taglio che terminava con una punta a falce di luna, ben salda tra le dita e pronta a sferrare l’offensiva. Iridia tentò di dissuadere la condottiera ma si ritrovò ben presto a contrastare un violento affondo. I due Legionari più robusti si catapultarono sull’aggressore, respinti da un turbine di rocce evocate dalla spada della donna; una di quelle rocce riuscì a piegare il randello di Veldass, rendendolo inutilizzabile. Allric, il Paladino d’Acciaio, si mosse lesto con la sua Striscia riuscendo a mettere in difficoltà il cavaliere per un breve lasso di tempo prima di essere afferrato per la visiera dell’elmo e gettato contro gli altri Legionari che avanzavano.

‘’Gli invasori non sono il benvenuto. Vi consiglio di andarvene se volete vivere.’’- sibilò la donna, puntando nuovamente la spada contro di loro. Una lama di fuoco dorato si abbatté su di lei, facendola indietreggiare e posizionarsi in assetto difensivo. Arilyn colpì nuovamente usando il suo potere permettendo ai suoi amici di recuperare le forze, così da avanzare e colpire con il guanto di ferro il volto della donna. Dalla spada di ferro nera si sprigionò un fulgore ambrato che investì i presenti, rendendoli deboli e incapaci di rialzarsi. Solo Arilyn non ne subì gli effetti:

‘’Come è possibile? Questa spada è stata in grado di neutralizzare vari nemici grazie al suo potere, come quello di infondere paura e debolezza. Simile alla Fiamma d’Ambra!’’- ruggì la condottiera, pronta a sferrare un montante ma la giovane Thandulircath colpì il suo polso, facendole perdere la presa.

‘’Sono stata a contatto con così tanti artefatti e divinità dall’immenso potere distruttivo che l’imitazione del potere della Fiamma d’Ambra ha fallito. Nemmeno la Fiamma d’Ambra in persona è riuscita ad indebolirmi.’’- rispose, avvolgendosi in una nube luccicante di stelle bianche e fiamme dorate. Prima che potessero fronteggiarsi nuovamente, si udì una voce provenire dalle loro menti:

‘’Brunhilda, lasciali passare. Sono i Legionari dei Rovi Rossi, un regno di grande rispetto ed umiltà.’’

‘’Come desidera, Anima dell’Ultimo.’’- replicò la condottiera che, battendo le mani e intonando un incantesimo sommesso, permise alla barriera di aprirsi e lasciar passare attraverso un portone di pietra i Legionari. Brunhilda richiuse la barriera e il portone con un altro incantesimo, azionò una leva e si udirono diversi fischi accompagnati da stridii metallici. Sopra le loro teste si accese un titanico lampadario circolare tenuto saldamente da sbarre di ferro ad ogni lato che si curvavano verso l’alto ad incastrarsi in colonne d’alabastro screziato, così grandi da rendere minuscoli i Legionari. L’oscurità venne dissipata lentamente da altri lampadari delle stesse dimensioni, mostrando mosaici e sculture di possenti creature mai viste prima intente a compiere gesta eroiche o di mondana vita. Giunti ad una sala circolare, Arilyn restò meravigliata dall’enormi statue di quattro creature dal fisico, seppur asciutto, imponente poste rispettivamente sui loro piedistalli e con i rispettivi colori.

‘’Chi sono queste creature?’’- chiese la Thandulircath, cercando di attirare l’attenzione di Brunhilda. Non vi fu risposta finché tutti non si ritrovarono al centro di una pedana con incisioni e mosaici minuscoli, con un foro dalle dimensioni di una lama. La condottiera inserì la spada in quella fessura per metà della lunghezza, le fece eseguire un giro completo e la pedana si azionò con uno scossone, poi Brunhilda rispose:

‘’Vi trovate nel Prymvis, la Torre Solitaria del Capitano Nephele, ove dimora anche l’Anima dell’Ultimo. Questa torre fungeva da edificio dei Quattro Signori che vedete sui piedistalli. Il primo è il Re dei Giganti di Ghiaccio, Bergelmir. Seppur un gigante bellicoso, rispettava gli umani e i suoi fratelli condividendo le sue conoscenze per sopravvivere ai rigidi inverni. Al suo fianco vi è il Re dei Giganti di Pianura, Rheldreum, un gigante benevolo in grado di rinvigorire le terre spoglie e usare i loro frutti per unguenti benefici. Il terzo, nel lato opposto della sala, è il Re Khurga dei Giganti Verdi, amanti delle foreste rigogliose…’’- s’interruppe la paladina reprimendo un ringhio di disgusto nei confronti dell’ultima statua, distrutta in più punti e ricoperta di licheni rossi scuro; era l’unica ad avere dei rubini come occhi che brillavano cupi alla luce degli immensi lampadari. Più i Legionari salivano, più si udiva il vento soffiare impetuoso dagli spifferi della torre facendo entrare del pulviscolo biancastro e provocando la caduta di alcuni frammenti di pietra.

‘’Mi auguro solo che questo capitano possa donarmi una nuova arma, visto che il mio randello è stato distrutto.’’- disse Veldass, sedendosi e guardando con occhi torvi il cavaliere. Arilyn gli diede una pacca per confortarlo e si avvicinò ad Iridia domandandole se stesse bene.

‘’Perché vuoi saperlo, Thandulircath?’’- domandò il Comandante diffidente dall’invadente curiosità della giovane.

‘’Forse è perché non ti considero solo un comandante. Ti considero anche un’amica. Perdonami se ho chiesto.’’- replicò Arilyn con lo stesso tono, scuotendo la testa. Stava per aggiungere altro, ma la pedana arrestò la sua salita incastrandosi perfettamente ad un piccolo ponte di granito rinforzato da volte in bronzo. Rimossa la spada dalla pedana, la paladina ordinò ai Legionari di seguirla fino alla dimora del capitano, in cima. Saliti per una scala a chiocciola in ferro, giunsero all’alloggio di Nephele.

‘’Vi stavo aspettando, prodi Legionari. Entrate e chiudete la porta.’’- disse una voce femminile dall’altro lato della porta anticipando il loro bussare. Entrarono tutti, compresa Brunhilda che si inchinò innanzi al suo capitano: una splendida donna dai lunghi capelli bianchi legati in una treccia, un viso solcato da rughe ma che non guastavano la sua bellezza ed occhi vispi color del mare. Indossava una semplice armatura di cuoio nera e blu, fatta accezione per il petto e gli avambracci protetti da lucenti piastre di elbaollite, decorate da rune e piccole gemme.

‘’Ti ringrazio per i tuoi servigi Brunhilda, puoi congedarti.’’- asserì Nephele, consentendo alla condottiera di riposarsi.

‘’La ringrazio, padrona.’’- rispose l’altra donna, dissolvendosi in una flebile luce bianca sorprendendo nuovamente i Legionari. Una volta soli, il Capitano si apprestò a rivelare dettagli fondamentali per l’offensiva contro i Rovi Bianchi porgendo loro una rudimentale mappa del loro regno e i loro avamposti. Ognuno di essi era evidenziato da un colore che riportava la descrizione di quali punti rinforzare, altri costruire nuovamente e altri che richiedevano solo una truppa di sentinelle ben addestrate. Iridia afferrò quella mappa e la gettò via:

‘’Non servono tutti questi consigli. I nostri avamposti, insieme a quelli minori, sono difficili da abbattere anche con un vasto esercito!’’- replicò furibonda il Comandante, sbattendo il pugno sulla scrivania del Capitano. La donna, impassibile, invitò Iridia ad osservare fuori dalla finestra; con il dito indicò gigantesche nubi di denso fumo e fiamme alte quanto gli alberi provenire da nord-est. Il Comandante deglutì nervosamente e chiuse gli occhi, conoscendo benissimo cosa significassero quegli incendi all’orizzonte.

‘’L’avamposto Lekethra, a malincuore, è stato assediato e distrutto da un vasto esercito comandato dai Rovi Neri. Nessun superstite e tutti i cadaveri sono stati divorati da strane crisalidi con zampe spinose.’’- decretò Nephele, rabbrividendo non appena nominò le viscide creature. Alcuni dei Legionari vollero vedere di persona ciò che vide il Capitano, limitandosi solo alle vorticanti colonne di cenere. Iridia strinse i pugni, l’armatura di rovi si tinse di rosso vibrante così intenso da sembrare una fiamma vivente:

‘’Quando è accaduto?’’- chiese, amareggiata per non essere intervenuta in tempo. Nephele portò l’indice e il pollice alle labbra, sforzandosi di ricordare esattamente quando la prima colonna di polvere si librò nel cielo pomeridiano. Chiuse gli occhi e si concentrò nuovamente, scavando nei meandri più oscuri della sua mente finché non confermò il tragico epilogo del luogo:

‘’Non appena il sole ha baciato la terra ed il mare, accogliendo la sua compagna nel cielo.’’

‘’Dopo il tramonto, dunque.’’- diede la sentenza finale Arilyn, ricevendo un cenno del capo dal Capitano. Quest’ultimo, però, volse il suo sguardo curioso sulla Thandulircath che indossava i colori dei Legionari, chiedendosi come potesse essere possibile conoscendo il lungo ed intenso addestramento adempiuto da ognuno di loro.

‘’Indossi i colori dei Legionari dei Rovi Rossi, possiedi la loro spilla e hai combattuto contro Brunhilda contrastando il suo potere. Non sei del Lynmes, vero?’’- domandò il capitano sedendosi di fianco alla ragazza, imbarazzata da quella domanda. Prima che potesse rispondere, Iridia le interruppe nuovamente chiedendole come raggiungere in fretta l’avamposto Ynfelha evitando strade tortuose o facilmente esposte ad imboscate.

‘’Quando vi troverete all’esterno, procedete in linea retta fino a giungere ad una ripida radura. Una volta superata, noterete una cinta muraria difendere l’intera montagna, con torri di vedetta e sentinelle armate fino ai denti. Tenete ben visibile lo stemma, così da non avere problemi.’’- rispose Nephele, alzandosi e dando le spalle ad Arilyn che poté riprendere fiato. Il Legionario Veldass si ricordò della sua arma distrutta durante lo scontro con la sua sottoposta e ne chiese una nuova per compensare i danni. La donna gli indicò una piccola stanza dove erano custodite armi degli antichi popoli, tra cui anche archi lunghi e ad influsso magico:

‘’Ci sono anche pugnali o armi bianche? Inoltre come avete fatto a notare quelle bestie e l’avamposto? E, a proposito, quanto antichi?’’- chiese Hildel, notando l’assenza delle sue armi, ma soprattutto assetata di conoscenza.

‘’Antichi come i Quattro Signori. Risalgono alle prime civiltà delle Terre del Nord, dell’Ovest e del Sud. La mia essenza magica permette a Nephele di osservare ciò che l’occhio umano non può.’’- rispose agli interrogativi di Hildel la stessa voce udita prima nella galleria. Dalle fessure del legno e della pietra si formarono lunghi fasci di luce azzurra che si riunirono fino a formare un globo brillante, colmo di stelline bianche e sfavillanti. Dopo lo stupore dei presenti, l’essere incorporeo prese nuovamente la parola:

‘’Io sono l’Anima dell’Ultimo Gigante che ha popolato queste vaste terre. Il mio corpo, un tempo coriaceo, ora è solo un guscio di ossa vacue. E tu, giovane Thandulircath, discendente ed ultima della propria razza nata dai Thandurs, hai dentro di te un grande potere, una fiamma che arde diversamente dalle altre. Tuo padre Vorshan, ovunque egli sia, ha cresciuto una nobile figlia e guerriera. Adesso, prodi Legionari, proseguite nel vostro cammino. Il tempo della conversazione è giunto al termine.’’- terminò, scomparendo in un flebile sibilo riuscendo a ravvivare gli animi dei soldati. Recuperati alcuni oggetti utili e le armi per Hildel e Veldass, uscirono all’esterno della torre. Un vento gelido soffiava dalle montagne che si stagliavano al cielo, preannunciando l’imminente arrivo dell’inverno.

‘’Fermi!’’- disse il Legionario Olfhun, estraendo subito la sua spada e tenendola alta fino al volto. Dal terreno comparvero krinxs e altre mostruosità coperte di rovi neri e melma viscida che attaccarono senza alcuna esitazione il gruppo.

‘’Brunhilda, ti unisci anche tu?’’- chiese Elurek, con il suo atteggiamento da donnaiolo seppur rotto dal terrore nel vedere quegli esseri indescrivibili.

‘’Non è la mia guerra. Buona fortuna.’’- rispose la condottiera, scomparendo e evocando nuovamente la barriera magica della torre. Non appena una delle creature si avventò su di loro, si ritrovò decapitata da un fendente di Iridia, seguita a sua volta da colpi di altre spade e di un randello con anelli di ferro per rinforzarlo e chiodi in acciaio. Teste, membra ed arti venivano sbalzati dalla furia dei Legionari che evitavano di farsi ferire dal loro sangue acido e dagli artigli. Una creatura informe, dalla stazza di un albero di faggio, cercò di trafiggerli con le sue spine, ma Arilyn trapassò il suo ventre usando la spada incandescente.

‘’Così sei un membro di questi patetici condottieri Arilyn? Huvendal non era sufficiente per il tuo orgoglio?’’- domandò qualcuno a gran voce dalla radura circostante. L’Istinto della Thandulircath echeggiò con furia dentro di lei e, rapida, la sua spada colpì il metallo di un’altra: il sorriso perfido, gli occhi colmi d’ira e quelle impercettibili linee azzurre sotto le palpebre dello sfidante riportarono alla mente di Arilyn vecchi ricordi.

‘’Huvendal è casa mia. L’orgoglio non c’entra e non mi riguarda, Liedin.’’- replicò la ragazza, respingendo la sua avversaria con un lampo di luce. La sua vecchia nemica evocò dei rovi dalle spine acuminate e dure come la roccia che le impedirono di muoversi oltre.

‘’Se il ghiaccio non mi ha permesso di tenerti ferma, saranno questi splendidi rovi a farlo. Muori, maledetta Thandulircath!’’- corrispose Liedin, prima di afferrarle il collo e stringerlo con forza. Ignara che Arilyn avesse una mano libera, continuò a stringerle la gola con forza ma si ritrovò nuovamente a carponi dopo il violento pugno sferrato sul naso. Entrambe gemettero per il dolore e restarono ferme per un breve lasso di tempo:

‘’I miei complimenti, hai molte risorse dalla tua parte e sei più sveglia. Nonostante tutto, la morte mi ripagherà non appena le consegnerò la tua anima.’’

‘’In guardia!’’- asserì Arilyn, sferrando un montante che generò una falce di luce infuocata. La donna si ricoprì di rovi e scagliò le loro spine in direzione della falce di luce, inutilmente. Lo scontro imperversava ed Iridia, una volta sopraffatto i suoi nemici, corse verso Arilyn per aiutarla: estrasse dalla cintura un pugnale da lancio che usò per colpire il collo dell’aggressore. Liedin la intimorì di farsi indietro e di non intromettersi, ma il Comandante dei Legionari non temeva alcun rivale e si avventò su di lei riuscendo a distruggere quella corazza di legno.

‘’Ho detto: non intrometterti!’’- ruggì la condottiera dei Rovi Neri, colpendo Iridia al petto e facendola volare lontano come un sacco di piume, fortunatamente non causandole alcun dolore.

‘’Non sarà un banale colpo come quello ad uccidermi.’’- punzecchiò in tono orgoglioso il comandante, rialzandosi ed avanzando.

‘’Vedremo.’’- sibilò rispondendo Liedin, per poi scomparire in una nube polverosa assieme alle creature. Arilyn sistemò la sua divisa ed armatura, avviandosi per prima seguendo le indicazioni fornite dal capitano. Il suo sguardo di delusione misto ad altre sensazioni difficilmente descrivibili non passò inosservato e il Comandante decise di parlarle durante il tragitto:

‘’Hai dimostrato fegato, Thandulircath. Sono sorpresa dalla tua tenacia con la quale hai affrontato quella donna, ma era piuttosto debole…’’

‘’Taci Iridia, per una buona volta! La donna che hai affrontato, Liedin, non è uno dei tuoi soliti avversari. Io l’ho già affrontata prima di te e conosco bene il suo potere. Cosa è in grado di fare. Potrei apprezzare il tuo aiuto se fosse stato rapido, ma non è così. Sono delusa, non tanto perché tu non mia voglia come Legionaria, ma perché non ti sei rivelata ciò che speravo. Usa di meno l’orgoglio e di più il cervello.’’- furono le parole di Arilyn, ferree e pungenti come spine. Tutti restarono esterrefatti e non si mossero.

‘’Legionari, proseguire. Resterò nelle retrovie. Muoversi!’’- ordinò Iridia notando i suoi sottoposti fermi come se si fossero pietrificati. Durante il tragitto in linea retta vi furono altri brevi incontri con quelle bestie che Arilyn sconfisse facilmente, preda della rabbia, riducendoli in cenere con il suo potere. Superata la ripida radura, in lontananza si potevano scorgere i fuochi di posizione provenire dall’alto della cinta muraria atta a proteggere la montagna; per non usare nuovamente la sua luce, la giovane Thandulircath impresse energia a sufficienza in un ciottolo tramutandolo in un proiettile luminoso che usò per illuminare il sentiero una volta lanciato il più lontano possibile. Quel ciottolo terminò il suo viaggio contro un qualcosa di solido, provocando un fracasso ed una piccola esplosione di luce che costrinse i Legionari ad accelerare il passo. Ai piedi delle mura ove capeggiavano gli stendardi dell’avamposto i segni dell’impatto causato dal ciottolo di luce e, sul camminamento di ronda, un ragazzo notò il loro arrivo.

‘’Avvertite il Capitano che i Legionari sono qui. Sono lieto di rivederla, Arilyn.’’- disse il giovane, salutandola e mostrando le sue mani di metallo che fungeva da protesi.

‘’Falko? Ora si spiega la tua assenza in questi giorni. Lo stesso vale per me.’’- rispose lei, riconoscendolo e ricambiando il saluto.

‘’Aprite il cancello, parlerete dopo.’’- si intromise il Comandante, avanzando e superando il gruppo, ignorando anche Arilyn nonostante la rabbia mal celata dai suoi occhi castani e dall’armatura che si tinse di un rosso vibrante, da tramutarla in una fiamma vivente. Varcate le mura, uno scudiero sbarrò loro la strada con un carretto colmo di indumenti:

‘’Dovete indossare queste giacche prima di salire, sono le leggi dell’avamposto.’’- disse lui, impassibile innanzi alla mole di alcuni di loro. Eseguita tale richiesta, i Legionari vennero scortati ad una funivia in legno con un soldato già pronto ad azionar il marchingegno. La protezione della pedana venne rialzata e poté finalmente muoversi verso l’alto, attraversando il gelido vento che sferzava imperioso. Il torpore emanato da quella giacca bordata di pelliccia, condusse Arilyn a sedersi vicino la protezione della pedana e chiudere brevemente gli occhi: nella sua mente si materializzarono solo cruenti scenari, orrende e informi creature che dilaniavano la carne dei soldati e la terra inumidirsi del loro sangue.
La funivia giunse alla meta con un forte scossone, destando dal suo sonno la giovane Thandulircath; disorientata per il brusco risveglio, chiese cosa fosse accaduto ed Hildel le rispose che erano giunte all’edificio del capitano. Arilyn cercò di alzarsi, sentendosi pesante e debole tanto da non riuscire a stare dritta. La preoccupazione dei suoi amici era ben visibile nei loro volti:

‘’Portatela immediatamente dentro al caldo! Buscarsi la febbre su queste montagne è fatale.’’
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Tardo Autunno in nome di Luqnera, sera.

‘’Melanthios, vecchia serpe sei diventato più forte.’’- esordì Dolmihir riprendendosi dalla sua paralisi causata dal negromante. Le ossa scricchiolanti gli procurarono diverse fitte di dolore, facendolo imprecare e rinvangare il suo passato da giovane nano. Il fracasso dei suoi arti meccanici disturbò il sonno di alcuni dei presenti, soprattutto dei berserk del Capitano Vesta che si avvicinarono ostili contro il nano.

‘’Perché ci stavi spiando Dolmihir? Non dovevi essere qui ad origliare la nostra discussione.’’- rispose Darrien, assonnato e dagli occhi arrossati per la luce delle candele e per il troppo tempo rimasto con gli occhi fissi sulla carta topografica. Il nano di montagna recuperò una bisaccia da dietro uno scaffale e lo consegnò al ragazzo con un sorriso carico di orgoglio, rivelandogli che al suo interno vi era un qualcosa di estremamente speciale e costruito solo per lui. Una volta aperta, Darrien trovò un femore con diverse scanalature orizzontali sull’impugnatura che combaciavano perfettamente con le sue dita. L’intero epifisi prossimale era stato rimosso e smussato, dalla quale pendeva un anello sottile di ferro, mentre la fossa intercondiloidea dell’epifisi distale presentava quattro sporgenze in ferro e al centro si sprigionavano piccoli sfavillii violacei.

‘’Ora, ricordi perché ti ho chiesto di donarmi un po’ del tuo sangue?’’- chiese Dolmihir, notando l’espressione perplessa di Darrien innanzi a quell’arma. Il ragazzo rispose con un cenno del capo, facendo sorridere il nano.

‘’Perfetto. Quest’arma è solo tua. Ti appartiene. Al suo interno vi scorre il tuo sangue e parte della tua essenza, o maleficio come la definisci tu. Brandiscila ed evoca la lama!’’- asserì nuovamente il nano, gonfiando il petto d’orgoglio e sorridendo con sicurezza. Darrien brandì quell’arma ed immediatamente gli sfavillii si tramutarono in una spessa lama d’energia oscura che, alla luce delle candele, risultava terrificante persino al Capitano Duilius. Quell’evento suscito ammirazione da parte dei negromanti, stupore nei berserk di Vesta che rimase impassibile come Lochlann. Tutto tornò alla normalità e il giovane ringraziò il nano con una vigorosa stretta di mano:

‘’Sei un nano costruttore eccellente.’’

‘’Esperto nano costruttore e scienziato, anatomista e alchimista e molto altro. Per tutto il ferro del dio Steinär, non imparerai mai giovanotto.’’- rispose leggermente stizzito, dandogli un piccolo pugno sul ginocchio. Da una delle entrate della biblioteca giunse Batkiin, con indosso la stessa armatura macchiata di sangue rappreso e nella mano stringeva un rapporto proveniente da una spia alleata; sul foglio vi era anche la firma di Edsel Denholm la mercenaria liberata da Darrien.

‘’Ci sono solo i Legionari dei Rovi Rossi e i soldati dell’avamposto del gelo, quindi sono in svantaggio numerico. Attendiamo il tuo ordine, comandante.’’- disse Batkiin, sedendosi al tavolo e rinfoderando la spada scheggiata, con un sorriso d’intesa nei confronti del ragazzo.

‘’Attaccheremo a mezzodì. Useremo il sentiero interno che conduce dal capitano Phorcys, sfrutteremo per un breve tratto la foresta di mangrovie e invieremo dei ricognitori per guidarci verso il nemico. Da lì in poi elimineremo chiunque si opponga.’’- replicò il giovane dei Varg, brandendo la spada e convocando il suo potere. Il fulgore dell’unica candela rimasta accesa e quello emanato dalla lama, dipinsero sul suo volto una maschera di pura rabbia e freddezza, tanto da impressionare anche Batkiin. Ripulito il tavolo dalle scartoffie, pedine e inchiostro, i Capitani si congedarono per rifocillarsi e riposare in vista dell’imminente scontro sulle montagne gelide ove i loro nemici erano appena giunti.

‘’Sei sicuro di star bene, Darrien?’’- chiese il vecchio soldato del Re, preoccupato per il drastico cambiamento avvenuto in pochi mesi dal suo arrivo. Quella domanda si rivelò essere un distruttivo proiettile contro l’impenetrabile barriera eretta dal giovane:

‘’Dimostrare di essere un prode comandante, di non far trapelare alcun segno di sconforto o terrore è estenuante, caro Batkiin. Il Re ha tentato di uccidermi, mia madre si è rivelata essere la peggior codarda che possa esistere e questo continuo, imperterrito massacro ha risvegliato qualcosa che attendeva solo di poter essere liberato. Ho perso le speranze di ritrovare la mia amata Arilyn e di poter ritornare ad Huvendal. Se è questo il risultato tanto agognato dalla Dea del Cosmo…’’- lasciò la frase in sospeso, non sapendo cosa dire. Sospirò amaramente e si coprì il volto con le mani.

‘’Conosco bene quel sentimento di impotenza Darrien, ma così permetti al tuo malessere di vincere. Anche io nascondo quella fragilità. A causa del Re, il mio privigno Falko è scomparso, probabilmente prigioniero dei Rovi Rossi o peggio. Mi sono aggrappato a quel minuscolo frammento di volontà rimasta per non demordere e sprofondare nella disperazione. Devi fare lo stesso.’’- aggiunse lui, poggiando la mano sulla sua spalla e augurandogli una serena notte, congedandosi anch’egli. Dalla seconda entrata della biblioteca sopraggiunse il Guardiano del Frammento con altri suoi adepti dal volto coperto, armati di uno stiletto che brillava di azzurro nelle loro mani. Darrien venne circondato da quegli strani figuri mingherlini e il Guardiano che si avvinava con ostilità:

‘’Tu, erede dell’oscurità, hai osato disonorare il nostro regno, l’ordine di noi sacerdoti e guardiani del Frammento. La tua peccaminosa condotta verrà punita dal manufatto stesso e subirai il freddo degli stiletti sulla tua pelle.’’- disse Fintan, tenendo alto lo stiletto che baciava i raggi della luna piena.

‘’Parla di disonore quando il vostro regno è marcio fino al suo cuore. Galeren si è arricchito con i vostri sforzi e il vostro sangue, lui ha disonorato il buon codice sulla quale un regno si fonda. E non ho scelto io di possedere quest’oscurità, ma siete così convinti che tutto possa essere purificato tramite un qualcosa di divino.’’- replicò Darrien, spazientito dalla presenza dell’uomo.

‘’Come osi parlare così al Nostro Sacerdote?’’- domandò uno degli adepti, pronto a colpirlo. Il giovane comandante permise al suo potere di tingergli gli occhi e le mani, serpeggiandovi da esse come il peggiore degli incubi esistenti.

‘’Riponete il vostro stiletto. Volete punirmi? Perfetto, ma vi avverto: un simile affronto non verrà perdonato.’’- replicò Darrien, cupo e terrificante. Tutti lo scortarono nella sala ove il Frammento risplendeva, che fluttuava sopra una pedana a spirale fatta interamente di ferro, tempestata d’argento e altri monili preziosi. La luce non troppo accecante consentiva di vedere l’artefatto nella sua meravigliosa essenza, dalla forma di un gigantesco cristallo ambrato che emanava sottili fasci di luce bianca contro le colonne e le vetrate dai colori sgargianti. Gli adepti e Fintan si posizionarono davanti il cristallo ed ordinarono al Varg di inginocchiarsi e restare in silenzio; uno dei seguaci prese un piccolo contenitore con della tempera e disegnò sulla fronte e sotto gli occhi del ragazzo degli strani simboli:

‘’Questi simboli servono solo per comunicare con la Fiamma, non ti causeranno alcun male. Lavali con un po’ di acqua, altrimenti si seccheranno.’’- disse uno di loro, il più giovane e privo di cappuccio mentre disegnava l’ultimo simbolo bianco sul viso di Darrien. Non appena il Guardiano e i suoi membri intonarono una cantilena, la Fiamma reagì a quei suoni aumentando la sua luminosità e i suoi raggi che si espansero in tutta la stanza avvolgendo qualsiasi cosa incontrassero sul loro cammino. Il coro divenne un unico suono fastidioso e il giovane comandante piombò in uno stato di catalessi, piegandosi all’indietro con lentezza mentre i fuochi della fiamma impedivano che lui potesse ferirsi e così da potersi far spazio nella sua mente.

‘’Darrien Orvar, discendente dei Varg e primogenito della Regina dei Rovi Bianchi. La tua oscurità è un maleficio che non potrà esser curato. Percepisco, inoltre, che sei tormentato dall’impotenza di rivedere la tua amata e che questo regno si regge su esecrabili azioni, come questo rituale.’’- disse una voce incorporea nella sua mente.

‘’Nessuno pronunciava il mio cognome da molto tempo. Il tuo Guardiano ha tentato di attaccarmi due volte, affermando che quest’oscurità sia la radice di ogni male. Però perché sono qui?’’- domandò il ragazzo al buio che lo circondava.

‘’Sei qui non per essere punito come vorrebbe Fintan, ma per spronarti ad essere migliore e di non essere soggiogato dalla rabbia. Una creatura, incarnazione dei sentimenti negativi, si annida nel tuo corpo. L’hai liberata già una volta ricordi? Sei riuscito a reprimerla, ad incatenarla nuovamente. Se verrai sopraffatto dal tuo odio costante, lei si libererà.’’- rispose la voce, mostrando successivamente ciò che Darrien nascondeva nella sua anima: simile a lui, ma ricurvo con possenti artigli, occhi rossi come il sole del tramonto e centinaia di aculei che fuoriuscivano dalla sua schiena. Nel petto della creatura si formarono frammenti di ricordi di un scontro avvenuto con la Regina di Ghiaccio, la morte di Arcal e dell’incontrollata e feroce rabbia nei suoi confronti scatenando così quell’abominio. Il giovane comandante chiuse gli occhi e digrignò i denti alla visione di quella memoria dolorosa:

‘’Controllare una creatura come la tua è sì difficile, ma non impossibile. Ti chiedo solo di provarci. Nient’altro. Ora puoi andare, Darrien.’’

‘’Ho un quesito da porti, Fiamma d’Ambra, mi è concesso?’’- domandò Darrien, resistendo al potere emanato dall’artefatto che lo stava riportando nel mondo dei vivi. La voce, dapprima incorporea, assunse una forma antropomorfa dagli occhi vacui e stanchi.

‘’Nonostante sia qui da qualche mese e voglia portare a termine un compito affidato dalla Dea, perché questa guerra?’’
La Fiamma d’Ambra rise amaramente a quella domanda, permettendo che il nulla tornasse a circondarli come il velo della notte. Da quella reazione, il giovane comandante restò in silenzio fin quando l’essenza non rispose:

‘’Sicuramente non è dovuto al fatto che una delle loro montagne ha offeso l’altra. Intraprendere guerre così cruente è nella vostra natura, perché è meglio distruggere, uccidere e razziare tutto quel che i vostri piedi toccano e occhi vedono. Questa guerra si poteva evitare fin dall’inizio, sedendosi e parlandone come esseri umani. Ma invece va avanti da così tanto tempo che nessuno ricorda il motivo. Sono stanca, giovane Varg…’’- il tono della Fiamma d’Ambra sembrò tramutare in un sospiro affranto, d’impotenza.

‘’Ho compreso. Poterò a termine tutto questo.’’- replicò lui, consentendo all’intensa energia dell’artefatto di ricondurlo nel suo mondo. Prima di risvegliarsi e notare gli sguardi increduli, udì un flebile ‘Buona fortuna’ provenire dal frammento. Con lentezza e cupa eleganza, Darrien si rialzò. Sul suo volto si dipinse un sorriso di pura perfidia, deformato anche dall’oscurità che lo rendeva un demone tra i vivi.

‘’Guardie!’’- urlò Darrien a pieni polmoni, facendo risuonare la sua voce in tutta la sala e per i corridoi. La porta si spalancò con violenza mostrando una dozzina di soldati armati con bastoni ferrati e lance a forma di croce che puntavano minacciose ai religiosi. Uno di loro chiese il motivo della chiamata e il giovane comandante rispose:

‘’Questi uomini sono accusati di alto tradimento. Il Guardiano Fintan ha tentato già in precedenza di attentare alla mia vita e, essendo la seconda volta in questa notte, i suoi adepti hanno provato ad imitare il loro padre.’’

‘’Che cosa volete che facciamo, signore?’’- domandò lo stesso soldato di prima, mentre i suoi commilitoni si apprestavano ad accerchiare i religiosi armati di spadino, eccetto l’adepto con la ciotola contenente la tempera adoperata per il rituale.

‘’Quello che volete, ma risparmiate quel ragazzo con la ciotola. Non ha nessuna colpa.’’- rispose Darrien, indicando il ragazzo che si voltò immediatamente e ringraziò per essere stato salvato dalle future punizioni. Quando i soldati scortarono all’esterno i devoti alla Fiamma, il ragazzo sospirò e si tolse la lunga tunica bianca mostrando una corazza a scaglie:


‘’Sei fortunato che questa armatura non faccia rumore, Darrien.’’- disse il giovane, per poi togliersi una maschera che copriva il suo vero volto.
‘’E sono anche fortunato da aver riconosciuto il colore dei tuoi occhi, caro Duilius, ma come hai fatto?’’- chiese il comandante al capitano navale.

‘’Ho i miei trucchi e sotterfugi per portare a termine un compito. Quando mi hai rivelato dell’esistenza di questo Guardiano ieri mattina, ho scoperto che quello attuale era solo un impostore e il vero guardiano è nelle segrete del castello. Sono stato abbastanza rapido nel travestirmi non appena volevano punirti.’’- rispose l’uomo, gettando la tunica in uno dei raggi luminosi del frammento, bruciando così le prove. Il comandante, prima di congedarsi definitivamente e dimenticarsi dell’accaduto, confidando in Duilius di riportare il vero Guardiano al suo posto.

Giunto al suo alloggio, la stanchezza riuscì ad avere la meglio sul corpo di Darrien costringendolo così a stendersi sul letto senza togliersi gli indumenti o lavarsi. La luce delle candele, fioca come una lucciola distante, conciliò di più quel bramato sonno e si ritrovò a vagare nel mondo onirico costeggiato da centinaia di zolle di terra fluttuanti, alberi innaturalmente alti e dalle radici nodose e tempeste di stelle che troneggiavano sul cielo scuro. Più osservava quelle zolle di terra con gli alberi capeggiarvi sopra, più la loro forma assumeva un cuore ridotto in tanti pezzi:

‘’Un albero senza terra non può vivere. Un cuore senza amore può morire. Gli alberi sono i pilastri che reggono la terra, quegli stessi pilastri che tenevano il tuo cuore ben saldo. Oh voi umani, così fragili, così deboli. Proprio come te in questo momento.’’- pronunziò una voce alle sue spalle, familiare e gelida.

‘’Gallart.’’- rispose Darrien, infastidito dal tono saccente che aveva lo spettro del suo nemico ormai deceduto. Il Re della Prima Fiamma rise percependo il malumore del giovane, materializzandosi così dall’oscurità avvolto da piccole fiamme danzanti sulla sua armatura. La sua presenza venne accolta con una serie di diversi pugni e ganci, ognuno dei quali venne evitato con estrema facilità e ricambiò colpendo il petto di Darrien con una esplosione di fiamme accecanti, così forte da sbalzarlo su una delle zolle di terra fluttuanti e distruggere parte dell’albero che vi era sopra. Gallart lo bloccò afferrandogli la gola per poi creare con il suo potere delle catene ed impedirgli di muoversi:

‘’Quanta rabbia nascondi sotto quel viso da comandante impavido, e quanta paura celano i tuoi occhi. E testardaggine tipica di un Varg. Vuoi continuare con questa farsa?’’- chiese il Re della Prima Fiamma, incrociando le braccia dietro la schiena e sorridendo come il più vile tra gli assassini. Darrien replicò evocando il suo potere, generando gli stessi serpenti dagli occhi violacei che terrorizzarono il finto Guardiano del Frammento due giorni addietro. Il Re della Prima Fiamma osservò impassibile quelle creature d’ombra e, creando una frusta di fuoco dalle sue mani, riuscì a dissolverle come fumo per poi scagliare nuovamente nel baratro sottostante il giovane comandante. Il silenzio e il buio erano i padroni di quel mondo onirico, di quell’incubo vivido. La sua caduta venne arrestata dalla comparsa di uno specchio d’acqua, atterrando rovinosamente su di esso. Darrien cercò di urlare ma il dolore glielo impediva, serrandogli la gola così da imprigionare la sua frustrazione, curvandosi su sé stesso e chiudendo gli occhi.

‘’Fin dall’inizio di questa tua redenzione conoscevi la verità. Tu sai che la tua amata Arilyn ha perso la memoria, non tutta almeno, ma preferisci negarlo. Preferisci negare che l’unica persona che ti abbia mai amato possa aver perso ogni ricordo prezioso, lasciandoti preda della solitudine.’’

‘’Io…sarò in grado di far riaffiorare i suoi ricordi. Nego solo il dolore dell’abbandono, ma questo non mi impedirà di trovarla.’’- rispose poco il giovane, rialzandosi a fatica per le percosse subite dallo spettro.

‘’Stolto erede dei Varg, convinto che insieme si può fare di tutto persino l’impensabile. Da soli si ottiene ciò che si brama, non in coppia o essendo amici. L’abbandono ti fortifica quasi quanto il dolore.’’- asserì l’uomo, allargando le braccia e sprigionando centinaia di piccole lucciole infuocate.

‘’E guarda dove ti ha condotto il tuo dolore.’’- replicò ironico Darrien, ridacchiando. Gallart lo colpì con violenza al volto usando una frusta infuocata, scaraventandolo in aria per poi afferrarlo e schiantarlo contro lo specchio d’acqua.

‘’Arroganza e presunzione. Potrei definire te ciarpame inutile, confermando che agisci impulsivamente. Due anni addietro non eri così, l’amore ti ha reso flaccido nelle decisioni e le tue preoccupazioni hanno offuscato il senso del giudizio.’’

‘’Perché non mi uccidi dunque? Hai desiderato la nostra morte per molto tempo e ora hai l’onore di farlo.’’- incalzò il comandante, con sguardo truce nei confronti di Gallart che brandiva ancora la frusta e sorrideva compiaciuto. Alcune gocce di sangue colarono dalla ferita percorrendo le palpebre del ragazzo finché non caddero nell’acqua, tingendola del loro stesso colore. In quell’ormai specchio cremisi, Darrien poteva scorgere i momenti di spensierata felicità trascorsi con la sua compagna, provocando in lui un pianto silenzioso e amaro.

‘’Tagliare il filo della tua esistenza mentre dormi è una richiesta allettante, ma preferisco non farlo. Troppo semplice, privo di gusto. Vedere un prode comandante ridotto così è penoso, persino per un Re come me. Arrogante nella sua fragilità emotiva, presuntuoso per il suo orgoglio, debole per timore di essere abbandonato. Ti lascio al tuo cosiddetto dolore, sperando che tu possa reagire come ha fatto Arilyn.’’- replicò Gallart, ridendo e svanendo nel nulla, lasciando Darrien in balia della sua vera oscurità. Evocò il suo potere e, furibondo, lasciò che esso prendesse il sopravvento generando saette e raggi che sfumavano dal viola al verde infrangendo il nero opprimente della sua prigione. Si destò dal vivido incubo, rendendosi conto di aver sporcato il letto di sangue. Recuperò uno specchio e constatò che la ferita provocata da Gallart era marchiata a fuoco sulla sua pelle.

‘’Comandante Darrien, si sente bene?’’- chiese qualcuno bussando sulla porta del suo alloggio. Non ricevendo risposta, la porta venne aperta con una spallata facendo entrare Malrin e due guardie armate che accorsero in suo aiuto.

‘’Vai a chiamare un cerusico, il comandante è ferito.’’

‘’No! Non chiamate nessuno e continuate con il vostro lavoro soldati. Questo è un ordine.’’- disse il giovane, impedendo ai due soldati di chiedere l’aiuto di un medico. I commilitoni si scambiarono un breve sguardo di perplessità prima di inchinarsi e proseguire per il loro cammino di ronda. Il giovane comandante posò lo specchio, restando ad osservare il vuoto che della sua stanza vittima della sua mente, vittima di un qualcosa che lo stava lentamente divorando e consumando.

‘’Questa non è una redenzione, ma la mia punizione. Ho mascherato la mia tristezza, il mio orgoglio, il mio amore, sotto questa maschera di finta prodezza. Cos’è l’uomo se non un misero cumulo di segreti? Aata aveva ragione. Maschere che nascondo la vera essenza dell’uomo…E io sono uno di loro.’’- constatò il giovane, coprendosi il viso con le mani. Sua sorella gli si avvicinò poggiando una mano sul suo braccio, tentando di confortare il suo supplizio.

‘’Non ripeterò ciò che hanno detto gli altri o Batkiin. Posso solo consigliarti di rialzarti ed essere più forte di prima.’’- asserì Malrin, sorridendo appena. Il ragazzo strinse la mano della sorella per poi allontanarsi e gettar via le lenzuola sporche e gli indumenti, sostituendoli con altri puliti e comodi.

‘’Mi è rimasto solo un compito: portare a termine questa vostra guerra. Domani mattina raduna gli uomini nella piazza centrale e ordina loro di attendermi. Buonanotte, sorellina.’’- aggiunse Darrien, sorridendo.
 
I Quattro Confini. Ynfelha, avamposto dei monti nevosi. Inizio inverno, alba.

Nel dormiveglia causato dal suo stato febbrile la giovane Thandulircath riuscì ad udire frammenti di dialoghi tra i Legionari e alcune persone nella stanza che accennavano alle sue precarie condizioni di salute. Faticava a respirare, il suo corpo ardeva come un tizzone e tremava sotto tre strati di coperte. Cercò di evocare il suo potere per ricevere maggior calore, ma l’estrema debolezza creava solo flebili luccichii tra le sue mani.

‘’Il fato ha voluto risparmiarla dalla gelida morte. Ogni volta che il freddo si ripresenta, coloro che si buscano un malanno non vedono l’alba del domani. Lei, invece, è forte come se il freddo le avesse solo giocato un vile tranello.’’- asserì una donna dalla divisa vistosa, con diverse spille e decorazioni sulle spalline. Da sotto il cappuccio bordato di pelliccia si facevano strada centinaia di riccioli mori che le incorniciavano la carnagione olivastra; un contrasto particolare.

‘’Ha combattuto contro la Regina di Ghiaccio e contro il Re della Prima Fiamma, entrambe minacce di Huvendal e…’’- informò Elurek prima di ricevere un sospiro di stupore da parte del Capitano che si avvicinò rapida alla ragazza.

‘’Mi stai dicendo che lei è Arilyn dei Thandulircath, colei che ha protetto il Regno di Huvendal negli ultimi due anni da queste due temibili minacce? Per tutte le stelle.’’- esclamò la donna, continuando ad occuparsi di mescolare le varie spezie e medicine per ottenere un qualche infuso curativo. Una volta riempite alcune fiale di un liquido dall’odore nauseante, le consegnò ai guaritori pronti a rimuovere le impurità e il cattivo sapore. Arilyn aprì faticosamente gli occhi, scorgendo le sagome sfocate dei presenti. La porta della stanza si aprì, mostrando un giovane dalle mani metalliche:

‘’Capitano Ilmatar, desiderava la mia presenza?’’- chiese il soldato fermo sull’uscio della porta, sull’attenti e con le braccia conserte dietro la schiena.

‘’Sì, abbiamo bisogno di qualcuno che assista Arilyn. Credo che, tra influssi magici e scontri continui, il suo corpo si sia indebolito. Puoi occupartene tu nel mentre io e i Legionari discutiamo di questioni d’estrema importanza?’’- domandò la donna, esortando il soldato ad entrare e mostrarsi alla luce delle candele.

‘’Dobbiamo rimandarla nel Lynmes. Non può combattere e alzarsi, è solo zavorra inutile che rischia di rallentarci ulteriormente!’’- espresse il suo disappunto Iridia, impedendo al ragazzo di avanzare. Quel commento fu una scintilla nel buio che sprigionò luce, la stessa che si generò dalle mani della Thandulircath e colpì il fodero delle spade del comandante dei Rovi Rossi.

‘’Vuoi che questa zavorra inutile miri alla tua testa?’’- domandò lei, adirata per quell’insulto, alzandosi dal letto ancora rossa in viso e affannata. La pelle si ricoprì di piccole vene dorate che tendevano a sfumare sull’arancio, trasformando la luce in fiamme. Iridia considerò quel gesto di sfida riprovevole, costringendola a sfoderare le sue armi e ripararsi dietro l’elmo di rovi pronta ad attaccare. Fu la Thandulircath a balzare contro il Comandante dei Rovi, ma intervenne Veldass ad interrompere quell’insulso attacco:

‘’Basta così. Nessuno di noi deve provare rancore nei confronti dell’altro. Vale per tutti questo rimprovero.’’- redarguì lui, posizionandosi tra le due donne puntando rispettivamente una mano e l’arma nelle loro direzioni. Il Comandante andò via imprecando, sbattendo la porta alle sue spalle, mentre la giovane Thandulircath cadde su un ginocchio esausta e tremante per l’ennesimo sforzo compiuto. Il Capitano ordinò a Falko di occuparsi dell’ospite facendosi così consegnare il medicinale e invitando i Legionari a seguirla. Quando tutti abbandonarono la stanza, eccetto i due guaritori, il soldato diede il medicamento alla giovane che bevve tutto d’un fiato ignorando il sapore acerbo di quel liquido giallo paglierino. Il tremore passò, permettendo così ad Arilyn di sistemarsi come meglio poteva.

‘’Da quanto sono qui?’’- chiese lei, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Il condottiero si diresse verso un pannello in legno, lo alzò, rivelando una gigantesca clessidra poggiata su un tre piedi d’acciaio. Il fondo del secondo bulbo era riempito per la metà di un indice, decretando il passare di poche ore dall’arrivo della ragazza. Richiuso il pannello, Falko rivelò del suo arrivo la sera precedente e che a causa dell’improvviso malessere era rimasta priva di sensi fino al sorgere del sole.

‘’Il Capitano è stata repentina nel portarti al riparo dalla tormenta avvenuta stanotte. Ancora un po’ e rischiavate di morire assiderati.’’- aggiunse il soldato, posando le sue armi e sedendosi su una piccola brandina nell’angolo. Arilyn annuì flebilmente osservando ancora delle piccole fiammelle danzare sui suoi polpastrelli, confusa dall’evento accaduto pochi istanti prima.

‘’Inoltre, essendo una semi dea, il Capitano è riuscita ad identificare la fonte della magia. Il Recluso ha…’’

‘’Perché hai deciso di unirti nuovamente in questa folle guerra?’’- domandò Arilyn, interrompendo il suo discorso. Falko mosse appena le mani metalliche come se dietro di esse si celasse una risposta invisibile, solo lui in grado di percepirla.

‘’Preferisco combattere e morire in guerra piuttosto che marcire in una cella. Sarò pur un traditore del mio regno, sarò giovane ed inesperto su molte cose, ma il vostro non è crudele e menefreghista. Ho accettato la punizione del Concilio a testa alta, nonostante la paura e le percosse ricevute dalla Legionaria con la cicatrice. Ecco a lei la risposta folle.’’- asserì il giovane, allargando le braccia e sorridendo bonariamente, prorompendo in una lieve risata successivamente. Dopo quel breve momento di ilarità, Falko si addormentò sulla brandina stringendo tra le sue protesi di metallo l’elmo con lo stemma dei Rovi, mentre Arilyn decise di esplorare l’avamposto. La luce del sole filtrava attraverso le finestre dalla quale entrava anche la neve, accompagnata dal candido soffio del vento così da danzare verso il basso. I vari ballatoi di pietra grezza si incrociavano tra loro formando forme geometriche semplici e su ogni muro vi erano i vari uffici, alloggi o stanze per gli oggetti contrassegnati da piccole placche in metallo. Più percor
reva quei freddi corridoi più il freddo aumentava, ma ciò che la stupì maggiormente fu osservare alcuni soldati colpire, con la parte inferiore dei loro scudi, fantocci di paglia e legno; si udì un suono metallico provenire dagli scudi e l’estremità inferiore si rivelò essere una lama a mezza luna retrattile che scattò in direzione dei fantocci tagliandoli in due, generando una ovazione da tutti. Una voce tonante li richiamò dall’alto, invitandoli a non distrarsi dal loro dovere e continuare ad allenarsi con quegli scudi per poi passare ai mazzafrusti. Quel rimproverò giunse dallo stesso corridoio ove Arilyn passeggiava, incuriosendo la ragazza. Poggiato al parapetto vi era un soldato dalla prestanza enorme, una montagna coperta da una cupa armatura che brillava ai flebili raggi ma la sua pelle troppo bianca lo rendevano quasi inumano.
‘’Non abbiamo la Sua resistenza, Signor Statua.’’- disse ironicamente qualcuno dal basso, ma quella risposta saccente fece reagire la montagna pallida che scagliò il gigantesco fodero di legno sulla schiena come punizione.
‘’Non si tratta di resistenza, si tratta di concentrazione. Se voi pidocchi non riuscite a concentrarvi per un giro di clessidra, diverrete carne da macello lì fuori. E io mi chiedo perché ho lasciato Huvendal tre anni fa per addestrare potenziali soldati...’’- replicò la gigantesca figura, poggiandosi alla sua alabarda. Arilyn riconobbe finalmente quell’essere non appena nominò il suo luogo natio: Antares, il vecchio guardiano e soldato di Huvendal. Prima ancora che potesse avvicinarsi, la giovane Thandulircath scattò all’indietro per l’improvviso e repentino affondo che il guardiano eseguì. Cercò di evocare uno scudo di energia ma quel bruco movimento la fece cadere a carponi:
‘’Arilyn? Tu qui?’’- domandò visibilmente sorpreso, grazie anche al flebile scudo evocato da essa. Il guardiano di pietra rinfoderò l’arma, stritolò tra le mani una manciata di muschio rossiccio che si accese consentendo così ad entrambi di vedersi. Antares impartì l’ordine di congedo per le reclute che gioirono.

‘’Già, sono nel Lynmes da questa tarda primavera. Parte dei miei ricordi sono offuscati, faccio parte dei Legionari dei Rovi Rossi e ho preso parte a questa guerra in pochi mesi.’’- replicò la ragazza, stringendosi il polso destro che doleva: notò anche delle flebili venature rossicce sulla mano che brillavano come lucciole.

‘’Non saresti dovuta venir qui. Questo caotico scontro tra i tre regni non è paragonabile alla battaglia con la Regina di Ghiaccio. Ho visto uomini tramutarsi in belve nel vero senso della parola, uccidersi l’un l’altro nei modi più cruenti che possano esistere ed infierire sui cadaveri. Il tutto per un qualcosa che nessuno ricorda.’’- obiettò il soldato di pietra, mentre usava una cote per affilare le lame delle sue varie armi.

‘’Vorrei tornare anche io a casa, ma ho fatto una promessa a questo popolo.’’- aggiunse Arilyn, cercando di farsi influenzare dalle parole di Antares che la osservò cupo, illuminato a tratti da quel muschio rossiccio. Il sospiro di rammarico proveniente da lui risuonò come un freddo colpo sulla nuca della ragazza, tanto da farle abbassare gli occhi.

‘’Le promesse che fa una persona sono nate per essere infrante. Nessuno promette, perché conosce benissimo quale sarà il risultato. Lo capirai quando sarà il momento, Arilyn.’’- ribadì lui, prima di alzarsi e lasciare il corridoio diretto chissà dove. La giovane Thandulircath, invece, optò per proseguire il suo cammino nell’edificio ma tutto le sembrava esser privo di vita. Mattoni della stessa forma e dello stesso colore incastonati tra loro in scialbe pareti umide, ammuffite e gocciolanti. Rumori metallici echeggiavano nei vari androni così forti da causarle una violenta emicrania, destando anche gli altri dolori corporei indotti al sonno grazie agli unguenti. Provò nuovamente ad evocare il suo potere, concentrando i fasci su un punto cieco dell’androne dove si trovava. A malincuore la sua luce si rivelò solo in minuscoli sfavillii e fiammelle, spegnendosi in piccoli vortici di fumo. Una delle porte principali si aprì bruscamente, facendo entrare un ricognitore visibilmente scosso e in prenda al panico che corse a perdifiato verso l’ufficio del Capitano, al piano superiore. La Thandulircath lo seguì di soppiatto giungendo fino alla stanza ove il soldato spiegava concitatamente l’imminente arrivo di un massiccio plotone nemico:

‘’Dopo esserci infiltrati nel regno e mascherati da sentinelle, abbiamo ascoltato i preparativi di questo assedio. Saranno qui nel primo pomeriggio, giungendo dal sentiero opposto alle montagne. Non conosciamo esattamente il numero di uomini o di armamenti, malauguratamente.’’- furono le sue parole, cercando di riprendere fiato e colpito da una fitta fastidiosa all’addome.
‘’Fortunatamente le mura sono state rinforzate ieri mattina con un sistema di fionde automatiche e abbiamo aggiunto dei cannoni con scudi. Sei sicuro di star bene, soldato? Sei ferito?’’- domandò il Capitano, perplessa sul mutamento del suo sottoposto.

‘’Una di quelle bestiacce mi ha graffiato durante il rientro. Il mio compagno lo ha distratto, consentendomi di fuggire…’’- rispose lui, stringendosi l’addome più forte. Del sangue iniziò a sgorgare da sotto la divisa, imbrattandola stoffa e il pavimento.

‘’Che cosa facciamo Ilmatar?’’- chiese il Comandante dei Legionari dei Rovi Rossi, constatando che la situazione stava precipitando e uno dei loro uomini stava lentamente morendo ai loro piedi. Prima che potessero reagire tutti, il povero ricognitore gemette e dalla sua bocca sgorgarono arbusti di rovi neri che lacerarono la sua trachea e lo sventrarono, tramutandolo in un orripilante ammasso di carne e natura. Dai suoi occhi si sprigionò un fulgore violaceo che lo destò dal suo stato catalettico e provò ad attaccare i presenti. Una abbagliante luce dorata colpì la belva, riducendola in cenere tra squittii e gorgoglii raccapriccianti.

‘’Questo…’’- esordì Arilyn, con le mani protese in avanti avvolte da piccole lucciole incandescenti. Si udirono diversi scoppi provenire dall’esterno, accompagnate da corni di richiamo ed una campana d’allarme. Il possente Antares si fermò sulla soglia, esortando tutti alla difesa dell’imminente arrivo di belve melmose.

‘’Sono nuovamente loro. Soldati, con me.’’- aggiunse Ilmatar, dirigendosi all’esterno dell’avamposto principale. Dalla sua postazione poteva scorgere i dardi delle balliste colpire i nemici senza sosta, innalzando cumoli di neve e terra. Dalla coltre bianca i brandelli di carne putrida delle belve tingevano di nero il manto splendente, andandosi ad incastrare tra le spine arcuate che fuoriuscivano dai corpi degli altri che marciavano furiosi; una di loro saltò sulle mura, evitando i vari fendenti e colpi di ballista, con l’unico obiettivo di uccidere il Capitano e i Legionari. A pochi metri dal suo obiettivo, però, qualcosa lo afferrò per il collo e la testa torcendoli come se fosse un ramoscello secco mettendo fine alla sua miserabile esistenza. Una creatura alta e slanciata, interamente fatta d’onice e dagli occhi di un rettile si stava occupando di massacrare instancabilmente gli invasori.

‘’Quello non è il Titano che è venuto per te, Arilyn?’’- domandò sbalordito Elurek mentre brandiva tra le mani delle bottiglie di vetro colme di olio combustibile. La giovane Thandulircath riconobbe il colore delle braccia dell’entità celeste, chiedendo al Capitano e ai suoi compagni di aiutarlo il più possibile.

‘’Finalmente posso usare quest’arma antica. Elurek, ti unisci a me?’’- chiese il Legionario Veldass al suo compagno che lo superò con una risata. Anche gli altri si diressero alle mura, scendendo dal lato opposto con le loro armi sguainate; Arilyn afferrò la sua arma e si mosse, ma il Comandante dei Legionari le impedì di avanzare oltre puntandole la spada contro:

‘’Non sei in grado di combattere e il tuo deplorevole comportamento di prima non resterà impunito. Resterai qui fino alla fine dell’attacco, che ti piaccia o meno. E se osi disobbedire ai miei ordini, sarò costretta a farti marcire nelle segrete.’’- tuonò imperiosa la donna nei suoi confronti mentre la sua armatura prendeva vita, tingendosi di rosso. Arilyn avanzò, seppur faticosamente, nella sua direzione ignorando l’avvertimento ricevuto.
 
‘’Mi hai già minacciato di volermi rinchiudere nelle segrete, ma non lo hai fatto. Credi che ora sarà diverso solo perché sono debole? Ti sbagli.’’- rispose con freddezza passandole di fianco e reggendo il suo sguardo. Altre esplosioni si susseguirono da sopra le mura mentre gli ammassi putridi diminuivano lasciando il posto ad altre bestie più grandi e robuste, dalla pelle squamata e gli arti piegati in posizioni innaturali. Dalle loro fauci colava un fetido liquame che venne successivamente scagliato come un proiettile contro alcuni soldati, ricoprendoli dalla testa ai piedi ed uccidendoli tra atroci sofferenze. I Legionari, impegnati nella dura lotta, riuscivano a mietere più vittime possibili evitando il loro sangue corrosivo riuscendo anche a carbonizzarli grazie alle bombe incendiarie di Elurek. Una di quelle voraci bestie fu la preda di Iridia, che con un balzo, gli saltò sulla schiena e conficcò perpendicolarmente le sue spade nella gola dell’essere fino a farle scendere sui fianchi, sventrandolo come un vile suino. Hildel e Allric, invece, con l’aiuto di Olfhun, riconobbero i superstiti imprigionati nella putrefazione e la Legionaria Arshile fracassava le teste delle belve deformi, lanciandole contro il Titano d’Onice che terminava l’opera. La Thandulircath, nel mentre, cercava potenziali invasori nascosti da eliminare fin quando non ne trovò uno nascosto dietro una torre di vedetta crollata: parte del suo corpo era già deforme e gonfio, l’altra era normale ma deturpata fino a renderla irriconoscibile. La moltitudine di occhi presenti sulla sua testa e braccia erano orripilanti, eppur stranamente trasmettevano aiuto.
 
‘’Uccidimi…Questo dolore è insopportabile, ti prego!’’- esordì la creatura, cercando di trafiggersi il corpo con il braccio melmoso ma inutilmente. Prima che potesse renderlo del tutto irriconoscibile e fuori controllo, Arilyn brandì la sua spada e la conficcò nella gola del soldato per poi decapitarlo. Il suo Istinto la fece scattare di lato, evitando la punta di una lancia diretta al suo petto. Una serie di stoccate ed affondi le fecero perdere l’equilibrio capitombolando tra le macerie e il sangue ormai rappreso. Liedin si ripresentò nuovamente, con un sadico sorriso sulle labbra tumefatte:
 
‘’In ginocchio. Così ho sempre desiderato sconfiggerti, vederti impotente nel reagire.’’- parlò con tono febbricitante. Arilyn rispose scagliandole contro un sasso appuntito che le squarciò l’occhio, esplodendo in un grumo di sangue e pus. Furibonda, Liedin cercò di affondare la lancia nel petto della sua nemica, ma la Thandulircath fu rapida ad afferrare l’asta e a colpirla nel costato, per poi sferrarle un poderoso calcio nel fianco che venne bloccato dalla donna e rispose a sua volta scagliandola contro il muro crollato.
 
‘’Serve altro per sconfiggermi Liedin.’’- replicò affannata Arilyn, con la polvere che la ricopriva da cima a fondo. La traditrice huvendaliana recuperò la lancia, ruppe il manico per dimezzarne la lunghezza e si catapultò sulla sua preda. Qualcosa di pesante e possente cadde sulla schiena di Liedin, bloccandone la sua corsa omicida. Uno spadone di metallo lucente era conficcato nella schiena della donna ancora viva, ancora combattiva. L’energumeno che l’aveva schiacciata si rivelò essere il guardiano del palazzo di Huvendal:
 
‘’Vermi come te non meritano di esistere!’’- ruggì Antares, penetrando più in profondità la sua arma nel corpo di Liedin, bloccandone qualsiasi movimento. Un secondo contrattacco non tardò ad arrivare, questa volta con una frusta di rovi neri duri come la pietra che colpì il volto del soldato di pietra, scalfendone parte e riuscendo a diminuire la presa sulla spada.
 
‘’Come pretendi di essere forte se ti fai aiutare dagli altri ogni volta? Sei rammollita come guerriera, e vermi come te non meritano di esistere. Dovevo ucciderti già dal primo giorno perché tutti ti consideravano speciale per quel tuo sciocco potere!’’- ruggì Liedin, usando gli stessi rovi che le serpeggiavano dalle mani per togliersi la spada dal corpo. Qualcuno la paralizzò in una nube di densa oscurità per poi farla scomparire. Una slanciata figura in una divisa nera, mascherato e con occhi rossi più dei tizzoni ardenti scrutò i due condottieri stanchi e sporchi di polvere:
 
‘’Non è ancora il tuo momento, figlia dei Thandulircath. Mi auguro solo che, all’alba di quel fatidico giorno, ti possa definire condottiera.’’- esordì con voce solenne, puntandole contro una spada ricavata da qualche osso. Dissolvendosi nel nulla, i cadaveri putrefatti tra le macerie vennero assorbite dall’oscurità lasciata dal demone mascherato. Il silenzio prese possesso dell’avamposto, colmo di melma liquefatta e odori nauseanti.
 
‘’Antares, stai bene?’’- chiese Arilyn, reggendosi ad una parete crollata e costatando i danni subiti alle strutture. Il soldato di pietra si alzò, ma parte del suo viso era ricoperto di crepe e piccoli frammenti di esso si sbriciolarono cadendo sul pavimento rivelando uno strato più scuro e lucente.
 
‘’A pezzi, ma non è nulla di preoccupante. A giudicare dalla ferita, il mio vero volto è scoperto…Già, sono stato costruito secoli fa con della pietra lavica e impregnato di energia celeste. Devo a Searlas questa seconda ‘pelle’ dato che in molti erano terrorizzati dalla mia presenza.’’- rispose lui, specchiandosi nel piatto della lama che aveva recuperato. Quando fecero rapporto, vi erano ingenti danni sul tutto il perimetro e solo pochi erano caduti vittima del Tristo Mietitore. Alcune torri di vedetta erano pericolanti, i cannoni con scudo risultavano inagibili a causa del sangue corrosivo che colava sulle bocche, le balliste avevano esaurito i dardi. Non appena il Comandante dei Rovi Rossi scrutò nuovamente Arilyn, non esitò ad andarle in contro con le spade serrate nelle mani e l’armatura che vibrava di un rosso intenso; l’elmo si aprì mostrando quel viso che incuteva fascino e timore al tempo stesso deformato da una rabbia mal celata, la mascella serrata così saldamente da provocare dolore in chi la guardava e il respiro corto per l’adrenalina che avanzava impetuosa nelle sue vene. La donna tirò dalla tasca della sua divisa un ciottolo appuntito, lo poggiò sul petto di Arilyn e da lì si propagarono diversi arbusti lignei che immobilizzarono la giovane Thandulircath dal collo al ventre:
 
‘’Per la tua insubordinazione, resterai nelle celle dell’avamposto fino a quando non respingeremo i prossimi invasori. Così rifletterai sulle tue scellerate azioni, Thandulircath.’’- la redarguì, invitando uno dei suoi soldati a condurla nella cella. Hildel si offrì volontaria, seppur amareggiata come il resto del gruppo. Nessuno protestò, eccetto Antares adirato per una insensata decisione.
 
‘’Non mi interessano le proteste di un blocco di pietra vivente. Non siamo…ad Huvendal. Siamo nel Lynmes, in piena guerra e abbiamo due eserciti da fronteggiare. Quindi tu, sassolino, taci o sarò costretta ad usarti come ferma porte.’’- ribadì Iridia, con le vene del collo che pulsavano ad un ritmo allarmante.
 
‘’Condurrò io Arilyn nelle celle, così da evitare altre lamentele da parte vostra. E il suo comportamento Comandante…è da biasimare.’’- s’intromise Falko, retto sulla sua lancia e ricoperto di polvere.
 
‘’Prego? Osi mettere in discussione la mia autorità?’’- domandò il Comandante, ulteriormente adirata per la presenza del ragazzo. Impulsivamente lo afferrò per il bavero della divisa con fare intimidatorio, ignorando per un breve attimo che il ragazzo possedesse delle protesi metalliche. La mano priva d’arma si posò sul polso del comandante, stringendolo con forza bruta tanto da costringerla a mollare la presa.
 
‘’Metta da parte il suo orgoglio e rifletta sulle sue azioni: se il Concilio la vedesse agire così nei confronti dei suoi soldati, ne sarebbero lieti o delusi? Propenso per la seconda, Comandante Iridia. L’unica persona che dovrà riflettere è lei. Con permesso.’’- replicò Falko, afferrando quelle catene di legno e portando con sé Arilyn sotto lo sguardo incuriosito e sorpreso degli altri. Il Capitano dell’avamposto si limitò ad impartire ai Legionari di tornare nei loro alloggi provvisori nel mentre che le mura venivano riparate. La Thandulircath abbassò la testa, nascondendo l’amarezza e la tristezza. La stessa tristezza che si tramutò in un pianto silenzioso e, questa volta, non impedì alle lacrime di cadere come rugiada.
 
‘’Le promesse sono nate per essere infrante…’’
 
Udiva queste parole nella sua mente, con insistenza tanto da opprimerla e aumentare il pianto in lei. Giunti alla cella, il ragazzo strappò con facilità quei rovi privi di spine gettandoli via e aspettando che la Thandulircath entrasse. Giunsero alcuni soldati per sorvegliarla, ma Falko li allontanò con cortesia affermando che se ne sarebbe occupato lui personalmente.
 
‘’Mi dispiace che la ragazza si trovi in questa situazione. Che le Stelle possano vegliare su di lei.’’- disse uno di loro, rammaricato per l’inspiegabile evento. La povera Arilyn restò ad osservare le mura ammuffite della sua cella, avvertendo dentro di sé qualcosa di temibile risvegliarsi; riusciva anche ad intravederla con gli occhi umidi dal pianto, ad intravedere sé stessa dalla pelle pallida ma dagli occhi neri e profondi come un baratro. Il sorriso diabolico, fiamme di un rosso intenso che le circondavano le mani e la terrificante presenza in quella cella però non diedero l’effetto sperato nel cuore della ragazza.
 
’Oh Arilyn. Per troppo tempo mi hai segregata nei meandri più bui della tua anima, impedendomi di vedere la luce. Questo è solo un piccolo assaggio e tu non potrai impedirmelo. Presto toccherà a me e tu dovrai starne fuori!’’- parlò lo spettro, il suo, avvicinandosi solenne con le mani conserte dietro la schiena. Arilyn distolse lo sguardò, infastidita dal comportamento della sua controparte.
 
‘’Hai promesso e giurato di proteggerli…Ironico come queste persone ti abbiano pugnalato alle spalle. Ed ignorarmi non è la soluzione adeguata, sciocca amica. Goditi il tuo soggiorno, ma qui l’unica colpa è stata la tua cieca fiducia.’’- incalzò l’ombra, afferrandole il viso e costringendola a perdersi in quel baratro senza fondo che erano i suoi occhi: tutto il rancore accumulato, la tristezza e il senso di abbandono erano racchiusi al suo interno. Quando tutto tornò alla normalità Arilyn si sentì oppressa da quel che le stava accadendo, provocandole tremori in tutto il corpo e rendendola impotente:
 
‘’Possedere un potere impareggiabile e non poterlo usare. Fidarsi di persone che reputavi amici per poi esser tradita da loro…Perché tutto questo?’’- chiese sommessamente stringendo con forza le sue mani fino a far diventare le nocche bianche. Si distese sulla rigida brandina e chiuse gli occhi, non potendo fare altro. Erano passato solo due ore dall’alba, il sole non accennava a dissipare le nubi ed illuminare l’edificio con i suoi raggi. Vidthar, il Titano d’Onice venne a farle visita, reggendo una grossa bisaccia di pelle che emanava intensi e gradevoli odori:
 
 ‘’Sono venuto per consegnarti un paio di oggetti e delle pietanze. Non mangi da giorni. Informerò il Concilio degli eventi accaduti…’’- disse lui, posando la sacca e andandosene. Arilyn aprì la sacca trovando il suo medaglione, un contenitore di vetro pieno d’acqua e diversi cibi come salsicce stagionate, formaggio aromatizzato, pane e molto altro. Con sua sorpresa nella cella vi era un catino dove potersi lavare, ma la presenza del ragazzo o che qualcuno potesse vedere le sue nudità non giovava al suo umore.
 
‘’Falko, devo…togliermi questo sudiciume da dosso. Ti dispiace allontanarti?’’- chiese imbarazzata, mentre riempiva il catino con l’acqua. Il giovane soldato si allontanò per poi tornare spingendo un grande separé di legno che oscurò tutta la cella, lasciando piccoli spazi sopra di essa per consentire alla luce di passare flebilmente. Arilyn si tolse gli indumenti e poté finalmente lavarsi. Si sentì rinascere, nonostante i lividi e i tagli che le ricoprivano la maggior parte del corpo. Nella bisaccia trovò un lungo telo di lana per potersi asciugare e in parte rivestirsi. Rovesciò il catino, ormai colmo d’acqua sporco, nell’angolo della cella e restò in silenzio
 
‘’Le serve altro?’’- domandò il giovane Falko, scostando di poco il separé ed evitando di intravedere il corpo nudo della Thandulircath. Arilyn si ricordò del cibo nella sacca e prese qualche pezzo di formaggio e carne, portandola al giovane e rispose:
 
‘’Qualche indumento pulito se è possibile…Questi sono per te, per ringraziarti.’’- e posò nelle mani del giovane il panno colmo di cibo. L’odore provocò un forte brontolio nello stomaco di Falko che iniziò a mangiare con gusto quelle cibarie fin quando non si fermò, colto da un forte senso di colpa. Rimise ciò che aveva morso nel panno richiudendolo e andò a recuperare qualche abito. Tornò con un pantalone ed una camicia forse un po’ troppo grande per il fisico di Arilyn, ma erano le uniche cose disponibili.
‘’Io non posso accettare ciò che mi ha donato. Appartiene a lei e io sono stato solo uno sciocco a divorarne parte. Mangiate finché potete, probabilmente nei prossimi giorni patiremo la fame…’’- esordì il ragazzo a testa bassa, riconsegnando le leccornie e riposizionandosi davanti la cella. Trascorse circa mezz’ora da quello strano evento, i due giovani restarono in silenzio tombale accompagnati solo dagli spifferi di vento che facevano vibrare i mattoni di pietra, producendo melodie irrequiete. Si udirono piccoli suoni metallici provenire dalla stanza opposta le celle che aumentavano di intensità fin quando una porta non venne aperta.
 
‘’Puoi andare Falko, sei congedato fino a nuovo ordine. Consegnami le chiavi.’’- disse la voce ferrea di Iridia, una visita inaspettata e fastidiosa allo stesso tempo. Il soldato andò via, eseguendo le richieste della donna, rimuovendo il separé di legno dalle sbarre. Il Comandante dei Rovi Rossi entrò nella gattabuia e sospirò rumorosamente, incrociando le braccia dietro la schiena aspettando che Arilyn la notasse. La Thandulircath, spazientita, si voltò bruscamente trasmettendo attraverso i suoi occhi tutto l’odio che aveva ancora dentro di sé:
 
‘’Vattene Iridia. La tua presenza non è gradita. Non dopo quello che ho fatto per voi…’’- asserì lei, stringendosi la mano destra nuovamente dolorante.
‘’Non comprendi, Thandulircath. Ho ignorato per troppo tempo il tuo modo di agire agli ordini, considerandoti anche un cavaliere particolare e diverso dagli altri. Ora constato che stare in una cella dove l’unico sollazzo è quello di dormire fa bene al tuo ego. E non si tratta nemmeno di orgoglio la decisione che ho preso.’’- rispose, indicando prima il cubicolo di pietra e poi sé stessa. La reazione di Arilyn fu quella di colpirla con il suo potere, però esso si rifiutò di sprigionarsi limitandosi a nubi di fumo e luccichii.
 
‘’Mi avete tradito, mi hai tradito. La mia fiducia è stata malriposta in voi, credendo di essere vista come una condottiera e non come una potenziale calamità. Il tuo è un capriccio perché mi consideri simile a lei!’’- replicò ancor più adirata Arilyn, non rendendosi conto di averla nominata. Iridia le afferrò il bavero e la spinse sul letto con forza impedendole di muoversi oltre facendo pressione con il ginocchio sul bacino, nonostante la Thandulircath continuasse a fare resistenza. Il loro reciproco rancore tramutò il loro viso in una smorfia rabbiosa, accompagnata da vene pulsanti e un acceso rossore delle guance.
 
‘’Mi chiedo come abbia fatto a sopportare questi tuoi insensati capricci, questo tuo modo di fare.’’- incalzò la Thandulircath, tentando ancora una volta di evocare il suo potere che fallì. Di nuovo.
 
‘’Non osare nominarla in questo contesto! Tu non sai niente!’’- ruggì il Comandante strattonandola bruscamente.
 
‘’Forse è per questo che ha deciso di andare via da te, a causa del tuo fare irascibile. Non mi meraviglio affatto, è stata una delle decisioni migliori che potesse…’’
 
‘’Io la amavo!’’- gridò Iridia, riuscendo ad azzittire Arilyn. Gli unici testimoni di quella rivelazione furono le pareti della cella e della stanza principale. Il Comandante digrignò i denti e chiuse gli occhi, anch’essa preda dell’improvviso malessere che aveva afflitto la ‘prigioniera’. Uno sprazzo di sole tagliò in due il viso della donna, illuminando i suoi occhi marroni umidi di lacrime costringendo la Thandulircath a desistere da un possibile attacco. Iridia si allontanò da lei, poggiandosi al muro con la fronte, inspirando profondamente per riacquistare il controllo ma ormai le lacrime le rigavano le guance.
 
‘’Io amavo Tyarjes. La sua presenza placava quell’incandescente ira che viveva nel mio cuore, il suo amore mi faceva rinsavire quando perdevo la pazienza. Adesso lei è con un’altra persona in un altro luogo, ma nel mio cuore c’è ancora lei. Non potrò mai dimenticarla. Le nostre carriere militari ci impedivano di coltivare questo nostro amore, quindi per non soffrire ci siamo salutate.’’- aggiunse il comandante, restando con gli occhi chiusi e tremante nella voce.
 
‘’Iridia, io…’’- cercò di dire qualcosa per confortarla, però la giovane Thandulircath restò in silenzio. Le parole le morirono in gola. Tentò di avvicinarsi per poi essere spinta via.
‘’Non ho bisogno della tua compassione Arilyn. Non ho bisogno di nessuno. Non dovevo venire qui e avere un dialogo con te, ho solo riaperto una ferita che non si è mai cicatrizzata.’’- rispose la donna, sistemandosi i capelli spettinati e lasciando la cella senza chiuderla. La Thandulircath uscì dalla cella, guardandosi intorno scorgendo scaffali colmi di libri impolverati e messi alla rinfusa, un piccolo tavolo di legno e qualche stemma arrugginito che penzolava dalle pareti. Su quel tavolo vi era un libro dalla copertina consumata, parzialmente gonfio nel centro come se vi fosse stato messo un qualcosa per creare spessore e così Arilyn decise di aprirlo, trovandovi una lettera piegata più volte su sé stessa. Aprendola, lesse il nome della donna amata da Iridia:
 
‘’Mia cara Tyarjes, mi è difficile comprendere come tu riesca a placare la mia anima irrequieta tutte le volte che mi parli. Ed è proprio quando mi parli che il mio cuore sembra fermarsi per un breve istante, la mia mente vacillare. Quando le mie labbra incontrano le tue, non riesco a farne a meno. Sempre di più, finché non restiamo entrambe senza fiato e le labbra bianche per i troppi baci. A volte penso che tu sia una incantatrice che ha imprigionato il mio cuore con le catene dell’amore, il tuo amore. Ti amo, ogni giorno che passa. La tua Iridia.’’- terminò di leggere quelle parole d’amore. Sì sentì in colpa per aver schernito quel sentimento che lega una persona ad un’altra tanto da farla star male e costringerla a reggersi al tavolo per non cedere. Qualcuno alle sue spalle rideva sommessamente, divertito nel vedere la sofferenza della ragazza avere la meglio; delle fiamme si sprigionarono dalle feritoie antiche del bugigattolo, stranamente prive di calore.
 
‘’Gallart…’’- bisbigliò Arilyn, riconoscendo il suo potere. Il Re della Prima Fiamma avanzò lento mentre il fuoco che lambiva le pareti sfumò su un rosso più scuro, come il sangue, aumentando anche la loro grandezza.

‘’Sei stata una delusione Thandulircath. Debole ed insignificante, come sempre.’’


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