Happy dis(E)aster

di SonounaCattivaStella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Tutto fumo e niente arrosto" ***
Capitolo 2: *** "Non si è mai troppo grandi per l'uovo di Pasqua" ***
Capitolo 3: *** "Nulla guarisce l'anima come il cioccolato" ***
Capitolo 4: *** "Sono nel fior fiore dei miei anni, ma credo di essere allergico ai fiori" ***



Capitolo 1
*** "Tutto fumo e niente arrosto" ***


Questa storia partecipa alla Challenge di Pasqua indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt: Grigliata di primavera. Ma è tutto bruciato




All'inizio era sembrata proprio una bella idea, quella che aveva proposto Takuto: organizzare una grigliata per festeggiare l'arrivo della primavera, nel grande giardino di casa sua, insieme ai suoi più cari amici.

Ma qualcosa doveva essere andato storto durante i preparativi, perché non riusciva proprio a spiegarsi come fosse possibile che la carne nel suo piatto avesse l'aspetto e la consistenza di un pezzo di carbone.

Per non parlare, poi, del denso fumo e dell'odore acre proveniente dalla costosa piastra barbecue di cui si era impadronito un Kaiji sicuro di sé e delle sue doti culinarie. O del pane ormai completamente nero sul quale venivano adagiate fette di manzo del medesimo colore.

«Qualcuno vuole fare il bis?» Gridò Kaiji brandendo la pinza per alimenti come fosse una spada.

«Io passo.» Rispose sconsolato Takuto, mentre provava a grattare via le parti bruciate per poter mangiare almeno qualcosa.

«Anche io.» Disse Ranmaru imitando il suo migliore amico.

«Non è per offendere il tuo cervello o le tue fantomatiche ed inesistenti doti culinarie, ma ti sei accorto che questa carne è praticamente immangiabile? Per non parlare del pane!» Proruppe Masaki tenendo tra le dita il cibo incriminato, sbattendolo di tanto in tanto contro il piatto per sottolineare maggiormente ciò che aveva appena detto.

«A me, invece, piace. Posso averne dell'altra?» Chiese Ryouma con la bocca piena, sputacchiando ad ogni lettera.

«Ma hai le papille gustative di ferro? Fammi capire.» Lo rimbeccò Midori.

«Voglio cucinare io!» Urlò Tenma alzandosi di scatto, come una molla, per correre da Kaiji e tentare di levargli la pinza dalle mani.

Iniziò così un tira e molla, accompagnato da un piccolo battibecco: nessuno dei due amici aveva intenzione di rinunciare. Continuarono in quel modo per diversi minuti, incuranti degli altri ragazzi che li richiamavano all'ordine o del fatto che avessero lasciato la carne in balia di sé stessa, sopra le braci ardenti.

Uno strattone dato più forte da parte di Tenma fece cadere la bottiglia di olio che Kaiji stava usando per condire le fette di manzo, facendo finire il liquido dorato dritto contro il piccolo braciere. Così, nel giro di poco tempo e oltre al denso fumo, dal barbecue si alzarono delle fiamme che fecero urlare tutti per lo spavento.

Inutili furono i tentativi da parte di Takuto di tirare via la carne da lì o quelli di Hikaru che, ingenuamente, aveva versato dell'acqua sulle lingue di fuoco alimentate dall'olio bollente: le vampate si fecero più alte e minacciose, carbonizzando anche gli ultimi residui di cibo.

Il padrone di casa – in procinto di farsi venire un'acuta crisi di pianto isterico – era pronto a chiamare i suoi genitori o il maggiordomo che aveva lasciato libero per quel giorno, ma venne anticipato dal rumore assordante di sirene e da colpi rumorosi dati contro la porta di casa. Si precipitò verso l'uscio, girò la chiave nella toppa e si trovò davanti i pompieri equipaggiati di tutto punto, con il tubo dell'autopompa e diversi estintori d'emergenza in mano.

«Da dove proviene tutto quel fumo?» Volle sapere il caposquadra.

«Dal giardino, ma...»

Takuto non ebbe nemmeno il tempo di concludere la frase o di fare qualsiasi altra cosa; si trovò spalmato contro la parete mentre i pompieri entravano di corsa, andando verso il luogo indicato. Sentì altre grida arrivare dall'esterno e si precipitò per andare a vedere cosa fosse successo e, soprattutto, per constatare che tutti stessero bene.

La scena che si trovò davanti era delle più surreali: la squadra di soccorso aveva aperto il getto d'acqua che aveva investito in pieno un Tenma e un Kaiji fumanti, tutti gli altri avevano iniziato a correre in ogni dove, urlando e buttando in aria tutto ciò che capitava davanti, abbracciandosi e pregando di non morire perché troppo giovani e belli per poterlo fare – Masaki si era anche buttato a terra, piagnucolando, per dare maggior enfasi alle sue parole. Prontamente, uno dei pompieri aveva spento le fiamme del barbecue con l'estintore mettendo fine al disastro che i suoi amici avevano creato e rassicurando tutti che non era successo niente di grave.

Takuto osservava il tutto con un minaccioso tic all'occhio. Continuava a chiedersi come fossero riusciti, i suoi amici, a convincerlo che sarebbero stati capaci di cucinare della semplice carne e di abbrustolire del pane quando, evidentemente, non erano nemmeno capaci di scaldare il latte senza far saltare in aria la cucina e la casa intera. Quella grigliata si era rivelata disastrosa sotto ogni aspetto.
 

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Capitolo 2
*** "Non si è mai troppo grandi per l'uovo di Pasqua" ***


Questa storia partecipa alla Challenge di Pasqua indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt: "Sei innamorato di quell'uovo" "Se me lo compri, amo più te."




Ranmaru stava letteralmente diventando pazzo. La Pasqua era ormai vicina e lui non sapeva proprio quale uovo regalare al suo ragazzo che aveva dei gusti difficili in fatto di cioccolato: il fondente non gli piaceva perché troppo amaro, quello bianco lo schifava perché non considerato vero cioccolato, quello al latte poteva anche andare bene, ma solo se di alta qualità – non sia mai si fosse presentato con l’uovo del discount; si sarebbe ritrovato a dormire sotto i ponti solo per quello –, magari nocciolato. E anche se sapeva con certezza che il suo ragazzo nutriva un amore viscerale per il cioccolato al latte ricoperto con granella di pistacchio, quando aveva fatto il giro di tutti i negozi della città ormai era decisamente troppo tardi per trovare l’uovo di Pasqua giusto per il suo Masaki.

Così, senza sapere più cosa fare e dove andare a sbattere la testa, si era deciso a chiedere direttamente a lui cosa volesse e dove poterlo reperire. Inutile dire che Masaki fu irremovibile sulla sua scelta, ma gli diede un barlume di speranza quando disse che sapeva esattamente dove avrebbe potuto trovare ciò che cercava. Confortato da ciò e contento di poter fare felice il suo ragazzo, uscirono insieme per andare verso quel negozio che si era rivelato la sua ultima spiaggia. Tuttavia, il suo entusiasmo si spense quando arrivarono di fronte alla porta d’ingresso di quella che era la migliore pasticceria della città, nonché la più costosa. Ranmaru iniziò a sudare freddo al solo pensiero di vedersi prosciugare ogni spicciolo presente nel portafogli.

«Masaki, sei sicuro che l’uovo che vuoi tu si trova solo qui, in questa pasticceria?» Chiese lievemente titubante.

«Certamente.» Rispose questi con un sorriso serafico sulle labbra.

A Ranmaru venne il dubbio che il suo ragazzo gli stesse mentendo solo perché aveva voglia di mangiare della pregiata cioccolata artigianale, ma non ebbe il tempo di chiedere conferma perché si ritrovò a doverlo seguire prontamente all’interno del negozio.

L’odore dolce di vaniglia, zucchero e caramello gli invase le narici e si trovò circondato da dolciumi di ogni tipo: cioccolatini, bignè, biscotti, confetti e pasticcini facevano bella mostra sugli scaffali e dietro le vetrine dei vari banconi. Ma quello che più di tutto spiccava era un grosso uovo di Pasqua dal peso di 5 chili, ricoperto interamente da granella di pistacchio e incartato finemente con della pellicola trasparente dai decori verde-argento. Ed era proprio quello l’uovo che il suo ragazzo voleva; per capirlo bastava guardarlo mentre lo osservava in completa adorazione, naso all’insù e mani appiccicate contro il vetro proprio come un bambino.

Ranmaru sorrise di fronte a quella immagine e non poté fare a meno di scuotere la testa con fare dolce. Masaki poteva anche essere ormai adulto, ma certe cose non sarebbero cambiate mai, proprio come il suo carattere tanto maturo quanto infantile.

«Sei innamorato di quell'uovo.» Gli disse dritto contro un orecchio mentre gli avvolgeva amorevolmente i fianchi con le braccia.

Masaki sussultò appena, preso quasi alla sprovvista per via della sua attenzione rivolta totalmente verso quel trionfo di cioccolato e pistacchio. Poi, con un sorriso furbetto stampato sulle labbra, si girò verso Ranamru e lo guardò deciso dritto negli occhi.

«Se me lo compri, amo più te.» Rispose mettendo su l’espressione più innocente del mondo, subito sostituita da una più maliziosa quando vide il suo ragazzo illuminarsi per le sue parole.

Ranamru sapeva che spesso e volentieri Masaki usava la carta dell’amore per ottenere ciò che voleva, ma lui non riusciva proprio a resistergli quando gli confessava di amarlo, anche se a modo suo. Scosse nuovamente la testa, ormai sconfitto, e lo baciò lievemente su quelle labbra tanto tentatrici.

«Dillo che vuoi vedermi diventare povero.» Disse Ranmaru provando a sembrare serio.

Ma Masaki sapeva già che avrebbe avuto ciò che voleva perché il suo ragazzo sarebbe stato davvero disposto a far di tutto pur di accontentarlo – anche lui non era da meno, ma lo dimostrava in ben altri modi e meno evidentemente, ricambiando con altrettanto impeto e con l’intento di renderlo felice a sua volta.

E così, nel giro di pochi minuti, uscirono dalla pasticceria con il grosso uovo stretto tra le braccia di un felicissimo Masaki seguito da uno sconsolato Ranmaru che, seppur con le tasche ormai vuote, guardava il suo ragazzo sorridere e fremere dalla voglia di scartare il dolciume per poter finalmente assaporare la cioccolata migliore di tutta la città.
 

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Capitolo 3
*** "Nulla guarisce l'anima come il cioccolato" ***


Storia dedicata a FallenintheAbyss_




Questa storia partecipa alla Challenge di Pasqua indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt: "Stai veramente preferendo il cioccolato a me?" "Il cioccolato è dolce."




Da quando era diventato il segretario di una delle grandi autoconcessionarie presenti sul territorio, Hakuryuu giurava di non aver mai passato una giornata peggiore di quella che si era appena conclusa. Il capo gli era stato col fiato sul collo per tutto il tempo, urlando ordini a destra e a manca, arrabbiandosi per ogni piccolezza reputata fuori posto. E così aveva passato il primo giorno di rientro dopo la chiusura pasquale con un mal di testa martellante, la voce del suo superiore a spaccargli i timpani e il morale sotto le scarpe; non vedeva l’ora di arrivare a casa, fare un bel bagno caldo e accoccolarsi tra le braccia di Kyousuke.

Purtroppo per lui, però, appena varcata la soglia della dimora che condivideva con il proprio ragazzo dovette rivedere i suoi piani: Kyousuke era così sommerso dal lavoro, così concentrato su ciò che stava scritto sullo schermo del computer, che non si accorse nemmeno del suo rientro. Hakuryuu lo guardò in silenzio per alcuni secondi, indeciso se disturbarlo o lasciarlo lavorare.

«Ehi, sono a casa.» Disse con tono stanco, decidendo di palesarsi e sperando di riuscire ad attirare l’attenzione del fidanzato.

«Bentornato.» Rispose Kyousuke senza alzare gli occhi dai fogli che stava leggendo.

«Oggi è stata una giornata tremenda. Vado a fare il bagno e poi, se ti va, potremmo guardare un film insieme e ordinare una pizza.» Propose pregustando già il momento in cui si sarebbe lasciato andare tra le braccia dell’altro.

«Prima devo finire di rivedere queste pratiche.» Disse Kyousuke sbuffando appena. «Però va bene. Scegli tu per tutto.»

Hakuryuu si imbronciò di fronte a quell’atteggiamento. Capiva perfettamente che al lavoro si da sempre una certa priorità – soprattutto se ci sono delle scadenze da rispettare –, ma anche lui aveva bisogno di sentirsi messo al primo posto, una volta tanto. Alla fine, sospirò e passò oltre il piccolo studio provvisorio del fidanzato. Fece un lungo bagno caldo per distendere i nervi, si prese del tempo in più nella speranza, una volta finito, di trovare Kyousuke già pronto per gustare della buona pizza davanti a un bel film. Tuttavia, una volta lasciata la zona dei servizi con indosso una tuta leggera e i capelli ancora umidi, scoprì il suo ragazzo intento a parlare sommessamente al telefono. Le pratiche strette in una mano e le falcate con cui girava per la stanza facevano ben capire i livelli del suo nervosismo.

Hakuryuu sospirò rassegnato e guardò l’orologio: mancavano giusto un paio d’ore per la cena, quindi ordinò le pizze, scelse il film e si mise a sedere sul divano per guardare la televisione nell’attesa. Ma il suo morale era decisamente troppo a pezzi per riuscire ad aspettare finché Kyousuke non si fosse liberato dagli impegni; aveva bisogno di essere consolato, di ricevere un po’ di dolci attenzioni. Così, dato che il suo ragazzo era ancora intento a parlare animatamente al telefono, decise di ripiegare su un altro tipo di consolazione: andò in cucina, aprì lo sportello di uno dei mobili presenti e tirò fuori ciò che restava del suo uovo di Pasqua al cioccolato bianco.

Tornò sul divano, aprì l’involucro argentato e iniziò ad assaporare lentamente quel dolciume, lasciandolo sciogliere contro il palato e beandosi della sensazione di dolcezza che gli scendeva giù per la gola come un balsamo lenitivo. Si sentì subito lievemente meglio, anche se niente avrebbe potuto eguagliare il senso di pienezza e pace che provava solo quando aveva Kyousuke al suo fianco.

Continuò a mangiare il cioccolato bianco mentre guardava distrattamente la televisione, finché non avvertì le braccia di Kyousuke cingergli il petto e le sue labbra poggiarsi tra i capelli ormai asciutti ma scompigliati.

«Scusa se ti ho fatto aspettare.» Gli disse dritto contro un orecchio, facendolo rabbrividire. «Ma vedo che hai trovato un modo per ammazzare il tempo.»

«Te l’ho detto, ho avuto una brutta giornata. Avrei voluto parlarne con te, ma visto che eri impegnato e che avevo bisogno di tirarmi un po’ su il morale, mi sono lasciato tentare.» Rispose Hakuryuu mentre accarezzava le braccia dell’altro.

«Adesso sono qui, dimmi tutto.»

«Ormai è passato. Ci ha pensato l’uovo di Pasqua a farmi sentire meglio, con la sua buona dose di serotonina e dopamina.» Disse Hakuryuu ridacchiando appena, mettendo in bocca un altro pezzo di cioccolato proprio mentre Kyousuke si sporgeva per dargli un bacio, con il chiaro intento di provocarlo.

Il ragazzo rimase un attimo interdetto di fronte a quelle parole. Ci teneva a far stare bene il proprio fidanzato e non voleva essere rimpiazzato da niente e nessuno, figurarsi da del semplice cioccolato. Eppure, riuscì a leggere una certa nota di malizia all’interno delle iridi di Hakuryuu, cosa che gli fece capire che l’altro si stava semplicemente divertendo a prenderlo un po’ in giro. Così stette al gioco e mise su il migliore dei suoi sorrisi provocatori.

«Stai veramente preferendo il cioccolato a me?» Chiese raggirando il divano e avvicinandosi all’altro con fare predatorio.

«Il cioccolato è dolce.» Rispose semplicemente Hakuryuu, portando tra le labbra un altro pezzo di uovo e leccandosi appena le dita.

Kyousuke intrappolò il fidanzato contro la stoffa del morbido sofà, tolse dalle sue mani quel che restava del cioccolato e lo baciò con passione, cercando di trasmettergli con quel gesto tutto ciò che provava e beandosi del gusto dolciastro che avvertiva su quelle labbra che tanto amava.

«Più dolce di me? Ne sei sicuro?» Chiese tra un bacio e l’altro, sfiorandogli il viso con leggerezza, stringendolo un po’ di più a sé.

«Forse non così tanto.» Rispose Hakuryuu lasciandosi finalmente andare alle attenzioni di Kyousuke, godendosi il calore di quell’abbraccio che aveva agognato per tutto il giorno.
 

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Capitolo 4
*** "Sono nel fior fiore dei miei anni, ma credo di essere allergico ai fiori" ***


Questa storia partecipa alla Challenge di Pasqua indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt: "Perché fissi quel vaso come uno psicopatico?" "Aspetto che il polline mi uccida"




Con la decisione di iscriversi all’università e la necessità di trovare qualcuno con cui condividere parte dell’affitto, Masaki si era trasferito in un piccolo appartamento ben arredato, dotato di due camere da letto separate e vari spazi comuni tra cui il salotto e la cucina. Si era trovato bene sin dal primo momento; aveva la sua autonomia e libertà, poteva gestirsi come meglio voleva ed era anche riuscito ad andare d’accordo quasi da subito con il suo coinquilino, Atsushi.

All’inizio, Masaki aveva avuto l’impressione di trovarsi davanti il solito ragazzo un po’ snob e con la puzza sotto il naso, uno di quelli che ti guardano dall’alto in basso e che non perdono occasione per dire la loro su qualsiasi cosa con il chiaro intento di dare fastidio. Eppure erano riusciti a trovare un equilibrio, questo perché gli aveva fatto capire di che pasta era fatto e che con lui quegli atteggiamenti avrebbero avuto vita breve dato che sarebbe stato capace di adottare, di rimando, comportamenti altrettanto fastidiosi. Così, avevano cominciato quella convivenza con il piede giusto, scoprendosi quasi coetanei – Atsushi era solo un anno più grande di Masaki e frequentava un corso universitario diverso dal suo ma appartenente allo stesso ateneo – e con gusti simili sulla maggior parte delle cose.

Tutto questo finché, un bel giorno di aprile, qualcosa entrò nel loro appartamento con il chiaro intento di mettere a soqquadro quella tranquillità raggiunta e far fuori Masaki: un vaso colmo di denti di leone posto sul davanzale della finestra del salotto. Il ragazzo non riusciva a capire come avesse fatto quell’agglomerato di fiori dal polline potenzialmente letale per le sue narici ad arrivare fino a lì. Quella mattina aveva fatto colazione come sempre, seduto da solo al tavolo della cucina perché Atsushi era un tipo mattiniero e usciva di casa senza che lui se ne accorgesse, aveva ammazzato un po’ il tempo con i giochi presenti sul suo telefono e poi aveva svolto il suo turno di pulizie iniziando proprio dal salotto. Quindi era più che sicuro del fatto che quell’arma micidiale non fosse lì, quella mattina, ma che fosse comparsa mentre lui se ne stava chiuso in camera, intento a studiare in vista della prossima sessione di esami.

Proprio mentre fissava in cagnesco i fiori colorati e rimuginava sulla triste fine che gli avrebbe fatto fare da lì a poco spedendoli dritti dentro il cestino dell’immondizia – oltre che ad immaginare scenari catastrofici fra i quali una serie interminabile di starnuti che l’avrebbe ucciso entro breve o il non riuscire ad arrivare in tempo ai suoi antistaminici qualora si fosse ritenuto necessario o, ancora, morire per via di uno choc anafilattico –, Atsushi entrò dalla porta di ingresso carico di buste della spesa. Trovandosi davanti il coinquilino che osservava intensamente, con occhi quasi spiritati, i fiori che lui stesso aveva raccolto quella mattina giusto per dare un tocco di colore primaverile alla casa, Atsushi posò a terra i sacchetti ricolmi e si avvicinò lentamente all’altro ragazzo, portandosi silenziosamente dietro le sue spalle.

«Perché fissi quel vaso come uno psicopatico?» Chiese improvvisamente, curioso e divertito al tempo stesso.

Masaki trasalì e lanciò ad Atsushi la medesima occhiataccia che aveva riservato ai fiori fino a quel momento, prima di rispondergli.

«Aspetto che il polline mi uccida.» Se ne uscì con tono grave.

Atsushi non poté resistere di fronte a quella risposta e iniziò a ridere attirando su di sé, nuovamente, lo sguardo omicida del più piccolo.

«Come potrebbe, il polline, ucciderti?» Domandò non appena riuscì a parlare normalmente, mantenendo comunque un ghigno sbilenco sulle labbra.

«Soffro di allergia, genio che non sei altro. Secondo te come potrebbe farlo?» Rispose Masaki incrociando le braccia al petto e con una punta acida a colorargli il tono della voce.

«Lo sai, vero, che un singolo vaso con dentro sì e no dieci fiori non può farti nulla, sì?» Disse di rimando Atsushi continuando a sogghignare. «E poi, se non ti ha fatto fuori finora, direi che non ci sono problemi.»

«Con questo cosa vorresti dire?» Ribatté il più giovane, avvicinandosi all’altro con sfida e guardandolo dritto negli occhi pur essendo diversi centimetri più basso.

«Quello che voglio dire è che ho portato quei fiori in casa subito dopo pranzo e tu te ne sei accorto solo a distanza di ore. Se il loro polline fosse stato così letale come dici, te ne saresti accorto immediatamente.» Argomentò Atsushi con tono mellifluo, portandosi a pochi centimetri di distanza dal naso di Masaki per poi colpirlo lievemente con le dita.

Il ragazzo più giovane imprecò sonoramente e portò una mano a massaggiare la zona appena colpita dall’altro. Era pronto a dirgliene quattro, eppure non poté fare a meno di constatare quanto avesse ragione. Non aveva mentito sul suo essere allergico ai pollini, ma non poteva negare che aveva ingigantito la cosa solo perché aveva iniziato a farsi mille diverse paranoie su una sua possibile morte prematura. Per non parlare del fatto che avesse dimenticato che Atsushi non era a conoscenza di quel piccolo dettaglio e che, sicuramente, non aveva portato quei fiori dentro casa con l’intento di farlo fuori. Così si limitò a starsene zitto, fintamente offeso per il colpo al naso che adesso gli prudeva e rischiava di farlo starnutire come un ossesso da un momento all’altro.

«Dunque, zuccone lamentoso e ipocondriaco, amici come prima?» Chiese Atsushi afferrandolo improvvisamente per le spalle e scompigliandogli lievemente i capelli.

«Diciamo di sì, pavone saccente. Ma la prossima volta che porti a casa dei fiori senza avvisare, giuro che te li faccio trovare dentro uno di quei sandwich che tanto ami.»
 

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