Maria della risacca

di Angelika_Morgenstern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una donna normale ***
Capitolo 2: *** Uomini soli ***
Capitolo 3: *** Notte a sorpresa ***
Capitolo 4: *** Cara sconosciuta ***
Capitolo 5: *** Ricominciamo ***
Capitolo 6: *** Infiniti noi ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una donna normale ***




- Prologo - Una donna normale -

Se ne stava lì, a guardare fuori dalla finestra, come faceva spesso da quando era arrivata.
I ricci castani le si affollavano disordinatamente sulle spalle, gli occhi assenti puntati sul mare mentre una mano esile stava a sorreggere il mento, seguendo il volo dei gabbiani, invidiandoli, ne ero certo.
Lei era fatta così, ormai lo sapevo bene.
Mi domandavo se fosse felice, se sarebbe rimasta per sempre con me, nel villaggio di pescatori dov’era apparsa dal nulla sul bagnasciuga dopo una mareggiata.
Svenuta, cianotica, coi polmoni pieni d’acqua, ma inspiegabilmente viva.
Quando aveva sbarrato gli occhi era serpeggiata la felicità tra tutti, perlomeno così mi avevano detto, dato che io non ero presente.
Se ne stava sempre lì, ogni mattino, ogni pomeriggio e ogni sera, a fissare le onde dalla finestra di casa. La risacca aveva il potere di infonderle linfa vitale e più volte l’avevo ritrovata in riva al mare nei giorni di mare grosso.
Finché non la trovai più.


- Note dell'autrice: Com'è nata la storia -

Benvenuti a tutti coloro che sono approdati su questa storia.
Vorrei spendere due righe sull'origine della storia, poiché per me è importante.

Quando ero piccola i miei acquistarono questo album, Il cielo è blu sopra le nuvole, dei Pooh, che a me già piacevano molto, e tra le tracce ce n'era una in particolare che si discostava un po' da tutte le altre scritte dalla band fino a quel momento.
Perlomeno da tutte quelle che avevo sentito io.
Nella mia testa c'è sempre stata la figura di questa ragazza un po' sfuggente che se ne va a zonzo sulla spiaggia con un abitino qualsiasi, noncurante di tutto e tutti, a cui importa solo del mare.
Ogni volta che ascoltavo questo pezzo, me ne andavo su quella spiaggia afflitta da nubi scure e mareggiate, uno di quei posti dove d'inverno non c'è nessuno, con l'alta marea che di notte divora la spiaggia.
Ho sempre amato il mare d'inverno, la solitudine che evoca e il suo potere evocativo.

Poi nel novembre del 2020 muore Stefano D'Orazio, storico batterista dei Pooh, e per me è stato un colpo al cuore. 
Sono stati il mio primo concerto, il primo pezzo studiato al pianoforte, uno dei primi gruppi ascoltati grazie anche alle raccolte dei miei in musicassetta.
Non sono una fan della musica italiana, ma dei Pooh sì.
Alla fine di quel concerto del 2016 mi ero chiesta se avessi avuto ancora l'occasione di vederli.
Il resto è storia.

Questo breve racconto è un omaggio a D'Orazio, romano di nascita come me, che non sono potuta andare a salutare, maledetto covid.
Ci tenevo molto.
Sono stata in lutto una settimana, ho visto annunciare la notizia in diretta e mi è crollato il mondo addosso.
Questo è solo un piccolo tributo a lui e alla band.
Sono un tipo solitario ossessionato dalla musica e conservo bei ricordi con i loro pezzi che fanno da cornice. Mi sembra il minimo dedicare loro qualcosa, nel mio piccolo.

E dopo queste note tristi, vi lascio alla lettura.
Spero di non deludervi.

- A.

 


 

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Capitolo 2
*** Uomini soli ***




- Uomini soli - 
 
L’incubo era finito.
Il mare che aveva mangiato metri di sabbia per tutta la notte, non appena giunta la prima luce del giorno ne aveva risputata in gran quantità, restituendo al mondo un ampio tratto di bagnasciuga.
lei.
L’alba rivelò la sua forma umana vestita di alghe e reti da pesca, la pelle diafana e le labbra cianotiche, gli occhi chiusi. Se ne stava a pancia all’aria, inerme ed esposta a qualsiasi avvenimento della vita, come se fosse pronta ad accoglierla a braccia aperte.
Nonostante il mare l’avesse donata alla terra, lingue d’acqua salata ancora lambivano le sue membra nella tipica carezza marina alla spiaggia, che fu attraversata in breve da zampe canine dirette proprio in direzione della donna.
Quest’ultima non si accorse della lingua ruvida che le lambì le guance, donandole una parvenza di morte agli occhi dell’animale, che guaì triste.
— Nuccio! – una voce maschile fendette l’aria, arrivando alle sveglie orecchie del quadrupede, che si voltò nella sua direzione per poi tornare da dov’era venuto, saltando addosso al padrone, che solo poco dopo adocchiò il corpo.
— Santi numi. – mormorò a se stesso, avvicinandosi correndo per poi rallentare quando si rese conto delle condizioni della donna.
Si domandò se rischiasse qualcosa avvicinandosi, ma alla fine l’umana pietas ebbe il sopravvento sui giustificati timori. Ma non sulla pudicizia, spingendolo a togliersi di dosso la giacca a vento per stenderla sul corpo nudo, abbassandosi poi per capire se respirasse ancora.
Non avvertì alcun soffio d’aria uscirle dalle cavità nasali e non mancò di notare le labbra scure, ma non si diede per vinto.
— Aiuto! – gridò ancora inginocchiato – Aiutatemi! Nino! – chiamò poi, gesticolando verso un conoscente che sopraggiunse in quel mentre.
— Vieni, corri! – lo invitò col braccio. Il signore, un uomo sulla cinquantina con evidenti problemi di peso, arrancò più in fretta che poté verso l’altro con una mano volta a tenere a sé il cappello calcato sulla testa.
— Chi è questa qui? – domandò il nuovo arrivato – ‘Ntonì, che ha combinato?
— L’ho trovata così. – si giustificò il primo, arrossendo un poco.
— Non importa, vada a chiamare le guardie. – lo esortò infine.
Il primo si alzò, portando via il cane che ancora uggiolava mentre il signor Nino rimaneva con la ragazza, afferrandole il viso per voltarlo a destra e a sinistra, cercando tracce di un filo di vita.
— Che strano… – mormorò – Non è affatto gonfia.
Le alzò la giacca per constatare eventuali ferite, rimettendola subito al suo posto, imbarazzato quando si accorse che era nuda.
Il signor Nino era un vero signore e con difficoltà si perdonò tanta leggerezza, sebbene fosse stato un gesto il suo nato in buona fede.
L’uomo si guardò attorno e vide il ragazzo, Antonio, tornare insieme ad altri: Bruno il barbiere, Calogero il carabiniere, Anna la locandiera, Pietro e Lorenzo i pescatori, Martino il cornuto.
Sì, perché a Rivalunga erano rimasti ormai pochi personaggi, orfani della gioventù emigrata verso la grande città, ma il cornuto non si era mosso da lì.
Il Martino era un povero diavolo a cui la promessa sposa aveva portato via tutto: l’amore, la credibilità, i soldi e l’autostima.
Viveva rimpiangendo la donna che l’aveva abbandonato sull’altare, vagava sul lungomare sperando ch’ella tornasse, e fu per quello che si avvicinò a quel corpo inerme, le guance accese dalla vile speranza figlia della sete di vendetta.
La delusione sul volto smunto fu palese, subito notata dal carabiniere, Calogero, giunto da un paesino sperduto del sud sperando in una vita migliore.
Fu fortunato ad essere spedito in un paese di mare, fatto di pescatori e turismo praticamente nullo, esattamente come il la sua terra natia sulle coste siciliane.
Adorava quella pace e quel silenzio.
— Largo, fatemi largo alla legge. – disse per darsi un tono mentre si avvicinava al signor Nino, che non staccò gli occhi da quel viso terreo e silenzioso.
— Respira? – domandò, ma l’altro fece spallucce.
Calogero s’inginocchiò con agilità grazie al fisico dinoccolato, studiando coi suoi occhietti scuri la donna. Il suo petto non si muoveva e sulla mano non avvertì nessun filo d’aria uscirle dal naso.
— Morta, è. – decretò il carabiniere, alzandosi con l’intenzione di spazzare via dai pantaloni scuri la sabbia umida.
— Chiamo il medico. – disse Antonio, alzandosi per dirigersi al telefono pubblico, l’ultimo rimasto nella provincia.
La locandiera si portò le mani smaltate di fresco alla bocca, coprendo il proprio dispiacere che si tramutò in orrore quando il corpo ebbe un fremito.
Quello che tutti pensavano essere un cadavere venne scosso da tremori via via sempre più forti, emettendo poi versi gutturali dalla bocca aperta, che spaventò Martino: vuota, senza denti, nera e profonda come un pozzo.
— Antonio! Antonio! – gridò Calogero, richiamando l’attenzione del ragazzo mentre il signor Nino si tirava indietro, spaventato.
— Ma santi numi, aiutatela! Fate qualcosa! – gridò Anna la locandiera, cercando un appiglio sulla spalla di uno dei pescatori, che decisero di agire.
Avendo ormai una vasta esperienza nel riportare qualcuno in vita da un annegamento, il più giovane dei due si chinò sul corpo inerme, voltandosi poi verso l’altro con la barba bianca
— Pietro, tieni il tempo.
Quello annuì e iniziò a contare mentre il primo le premette ritmicamente le mani sul petto per poi soffiarle aria in gola, ripetendo la manovra tre volte prima di osservarla con occhi spauriti.
Guardò il gruppo alle sue spalle e stava per fare cenno di no col capo, quando un rumore secco catalizzò l’attenzione di tutti: la ragazza aveva emesso un colpo di tosse, e poi più nulla.
Dopo un momento di silenzio, un rantolo rimbombò e il petto della donna venne squassato da altri forti singulti, tanto che i due pescatori la girarono di lato capendo cosa stava accadendo.
Il ventre contratto spinse fuori dalla sua bocca una vasta quantità d’acqua salata che si riversò a terra, tanto che scavò una minuscola fossa nella sabbia.
Nessuno riuscì a dire una parola, finché fu Calogero a preoccuparsi, chinandosi su di lei
— Signorina, va tutto béne?
Quella non lo guardò nemmeno. Si portò una mano alla gola e solo dopo si voltò verso tutti gli altri, che si guardarono titubanti.
— Santo cielo, qualcuno la copra! Non state lì impalati, un po’ di pudore! – strepitò Anna, che a delegare ordini ad altri risultava la migliore, tanto che Martino s’inginocchiò piantandole gli occhi chiari nei suoi con rinnovata speranza, afferrando i lembi della giacca a vento scivolatale sulle ginocchia al fine di coprirle il petto.
— Deve essere vittima di qualche naufragio. – considerò Lorenzo, e Pietro annuì — Magari una nave da crociera…
— E non lo sapessi, secondo voi? Non affondò, garantito che nessuna nave affondò. – li interruppe Calogero, sfoderando una delle sue tipiche sgrammaticate frasi che denotavano la sua scarsa istruzione. Gli altri tornarono a sincerarsi sulle condizioni della ragazza, e a farsi avanti fu proprio la locandiera, che si chinò alla sua altezza.
La sconosciuta si tirò rapidamente indietro facendo forza su mani e piedi, senza però dare l’impressione di volersi alzare dalla sabbia, sconcertando gli altri.
— Non ti faccio niente. – le sorrise la donna, avvicinandole una mano al viso per toglierle dai capelli un’alga, aiuto che la ragazza rifiutò categoricamente con un piccolo schiaffo sulla mano di Anna. Quest’ultima si bloccò, risentita.
— Non ha voglia di farsi aiutare, questa. – disse aspra, rialzandosi.
E aveva ragione al di là dell’apparente risentimento per il rifiuto appena subito: la naufraga osservava tutti con occhi sbarrati, spaventata da chissà cosa.
Il vento le soffiò fra i capelli, smuovendone una ciocca scura ancora bagnata, e solo in quella a qualcuno venne in mente di domandarle come si chiamava, rimanendo però senza risposta: la giovane aveva sentito la domanda, ma non rispose sebbene fosse rimasta con le labbra dischiuse.
Dopo un momento che sembrò interminabile si limitò a fare cenno di no col capo.
— Cosa? Non hai un nome?! – domandò Anna stizzita, che iniziava ad averne abbastanza di quella ragazza che si atteggiava tanto a vittima.
— Magari si è scordata tutto. – azzardò Bruno il barbiere, che fino a quel momento si era limitato ad osservare la scena senza dire una parola, com’era sua abitudine.
— E vabbè, quindi? Qualcosa dobbiamo fare, mica possiamo lasciarla qua, così. – disse Lorenzo, fermandosi poi a riflettere.
In quella un’idea sembrò balenargli nella mente — Portiamola dal Dottore. – azzardò.
— Lo sai che quello sta a lutto. – gli ricordò Pietro, più sensibile di lui.
— Cosa diceste, io devo saperlo perché nelle fuorze dell’oddine entrai, e la situazione devo avercela sotto gli occhi, sempre, capiste? – intimò tutto d’un fiato Calogero, facendo intuire che andava presa una decisione in fretta.
Gli abitanti del posto continuarono a battibeccare per quale momento tra loro, e solo il signor Nino si accorse che la naufraga si era stesa con l’orecchio sul bagnasciuga, gli occhi chiusi e un braccio teso verso il mare.
La mano era aperta, le dita tese e il suo comportamento inquietò l’uomo, che avvertì un brivido attraversargli la schiena.
Speriamo di liberarcene presto.
Sistemata alla sinistra della porta d’ingresso, la finestra dal vetro opaco speculare alla sua gemella sulla destra era da tempo l’unico spiraglio sul mondo, del quale osservava l’evolversi senza nemmeno tanto interesse.
Sfruttava quel pertugio anche durante la notte, quando l’insonnia lo prendeva, costringendolo ad ammirare il mare tentatore, o semplicemente perso nei suoi pensieri.
E quando non se ne stava alla finestra, guardava i suoi libri: volumi sparsi ovunque in maniera disordinata, un po’ il riflesso della sua vita buttata all’aria da un feroce abbandono dal quale non riusciva proprio a riprendersi.
Da quando lei lo aveva lasciato, egli aveva perso molta della sua creatività e non riusciva a capire per quale delle due cose fosse più dispiaciuto.
E ci stava riflettendo anche in quel momento, guardando le nuvole gravide di pioggia.
Sembra che ci sarà un’altra tempesta.
Il bussare alla porta lo stupì, lasciandolo comunque tranquillo.
Chi poteva mai essere? Lui non aveva più ospiti da ricevere.
Non gl’importò del fatto che fosse in pigiama e vestaglia, con la barba incolta e l’aspetto di uno che non dormiva da giorni. Si diresse alla porta, deciso a scacciare l’intruso.
Rimase di sasso quando aprì l’uscio: più di un viso conosciuto spiò con curiosità nella sua tana, tanto da infastidirlo con la loro insistente curiosità.
— Che… che volete? – domandò, spaventandosi.
Era sicuramente l’uomo meno socievole del paese, ma non per questo avrebbero voluto dargli una lezione.
O no?
— Carissimo Zeno. – sorrise Calogero – Mica ci terrai con chistu freddu sulla porta?
— Beh, ehm… casa mia non è presentabile.
— Non lo è mai stata. – ribatté Anna con decisione, spingendo via la porta per fare spazio al resto della combriccola.
Salutando chi più chi meno, fecero tutti il loro ingresso nella casa, stupendosi in maniera variabile di quanto fosse disordinata e mal tenuta: sul lampadario una ragnatela faceva bella mostra di sé, la polvere aveva preso possesso dei mobili, gli abiti sporchi erano accatastati su una sedia all’angolo e i libri giacevano abbandonati ovunque a terra, sul divano, persino sulle altre seggiole della sala da pranzo.
Il padrone di casa non si curò nemmeno di spostarli preso com’era nel tenere d’occhio la marmaglia che si era autoinvitata senza nemmeno presentare uno straccio di motivo, e poi si rese conto che nella massa spiccava una figura mai vista.
Sporca, tremante e remissiva, se ne stava a capo chino stringendo la giacca a vento attorno a sé, non rivelando il volto grazie alla tenda di capelli scivolata in avanti.
Non riuscì nemmeno a domandarsi chi fosse che di nuovo Calogero si fece sentire con la sua voce importante — Manco un caffè ci fai? E che sei padrone di casa?
— La macchinetta è rotta. – si giustificò Zeno senza provare un briciolo d’imbarazzo.
In fondo chi li aveva invitati? Oltretutto si comportavano anche da accattoni.
Entrano, fanno, si siedono, pure il caffè pretendono! Ma vaffan…
— Veramente vogliamo parlarle di una cosa importante. – iniziò il signor Nino, prendendo la parola prima che Calogero potesse di nuovo sottoporre delle quisquilie all’attenzione di Zeno.
Era molto saggio il signor Nino e sapeva che il padrone di casa non avrebbe tollerato ancora per molto quella loro invasione, non dopo ciò che era successo tempo addietro, squassandogli la vita e la mente.
— Stanotte c’è stata una mareggiata…
— Lo so. E quindi? – il tono del Dottore non era affatto amichevole.
— Questa ragazza – il signor Nino indicò la giovane – l’ho trovata stamattina in spiaggia. Non ha abiti, non ha un documento, è sola e traumatizzata.
— E quindi?
— Lei è l’unico che può ospitarla. – giunse al punto l’uomo – Può essere che qualcuno venga a reclamarla.
— Mh. E perché dovrei prendermela in casa proprio io? – il tono dell’uomo era tagliente e il signor Nino si accorse del fremito della naufraga.
— Non essere crudele, Zeno! – strepitò Anna – Non ha niente!
— E allora prendila tu, no? Potrebbe aiutarti come cameriera. Che ne so. Non la paghi, la ospiti e le dai una stanza.
La truppa si rese conto che da quell’orecchio Zeno proprio non voleva sentirci.
Del resto era comprensibile: sua moglie se n’era andata da qualche mese, fuggendo con un altro e senza lasciare più notizia alcuna di sé.
L’uomo era sprofondato nella malinconia e nel pessimismo, si era chiuso in casa con la sua adorata macchina da scrivere, non riceveva più nessuno, usciva solo alle prime luci dell’alba per fare una passeggiata sicuro di non incrociare conoscenti e poi si rintanava a casa tutto il giorno.
Si era chiuso nel suo guscio, ma nessuno lo capiva.
Le donne dicevano che non era davvero innamorato di sua moglie, che altrimenti avrebbe dovuto fare chissà quale pazzia per lei, dimostrare il suo dolore magari anche con qualche sfuriata, partire e andarla a riprendere, anche con la forza, come un vero uomo farebbe, dicevano.
Gli uomini sparlavano della sua stupidità: rimasto solo così giovane avrebbe potuto andare con tutte le donne del mondo. Mica come loro, costretti alla fedeltà per colpa di strade troppo strette e mura troppo sottili per nascondersi.
Ma Zeno non apprezzava la sua fortuna, come la chiamavano gli uomini di Rivalunga.
Aspettava solo che la vita passasse via il prima possibile, troppo codardo per togliersela.
O forse nell’intimo sperava che qualcosa cambiasse, che sua moglie tornasse contrita.
Il signor Nino si alzò con un sospiro — Zeno ha ragione. – disse – Non è in grado di prendersi cura della ragazza. Abbiamo fatto male a venire qui. Ci scusi, Dottore. Andiamo via, si sta guastando il tempo.
Mogi mogi gli autoinvitati uscirono dalla casa, compresa la ragazza che però prima gettò uno sguardo curioso verso la macchina da scrivere dell’uomo, che se ne accorse.
E poi in un attimo tutto l’ambiente tornò come prima: oscuro, silenzioso e polveroso.
L’apatia riprese possesso di Zeno e della sua casa.


 
*** Angolino dell'autrice ***
Ciao a tutti, benvenuti nel primo capitolo della mia storia/omaggio che spero vi piaccia ^^
Cosa ne pensate di questo inizio?
Sarebbe stato più adatto probabilmente ambientare la storia in un paese del sud, ma in quei posti c'è troppo caldo e troppo sole. Da quando ho ascoltato la prima volta questo pezzo (Maria Marea dei Pooh) nel 1992 - ero bambina, avevo otto anni - ho sempre immaginato come cornice un'ambientazione fredda, un mare agitato sotto un cielo carico di pioggia o tempesta.
Non c'era calore, c'era vento, freddo e solitudine nella spiaggia che ho sempre avuto in testa.
Ho deciso di ambientarla dunque in un paese posto un pochino più a nord, in Liguria, una regione che amo davvero molto. Ho avuto modo di ammirarne un pezzetto di costa vicino Genova in pieno inverno grazie a dei parenti ai quali sono tuttora grata, e ho letteralmente adorato quei posti, la città, il paese dove risiedevamo e tutta l'atmosfera, cucina compresa - a cui accennerò più avanti, ma non aspettatevi granché, poca roba.
Il paese che ho inventato si chiama Rivalunga ed è un paese "orizzontale" che rispecchia un pochino l'andamento della regione nella collocazione fisica e geografica: steso su una lingua di terra, affacciato sul mare e sviluppato verso ovest, interrotto bruscamente dalla costiera che cela lo sguardo verso la Francia.
Molta sabbia, molto mare, nessun turista e pochi abitanti.
Mi piaceva questa idea.
Sulla vera entità della nostra naufraga non ho definito nulla. Lascio che sia la vostra fantasia a darle l'etichetta che più vi aggrada.
Un abbraccio, a presto.
- A.

 

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Capitolo 3
*** Notte a sorpresa ***




- Notte a sorpresa -

Anche quella notte il mare aveva divorato e rigettato parte della spiaggia, e Zeno aveva scelto di godersi un po’ dell’aria salmastra mattutina, godendosi una sigaretta in perfetta solitudine.
Scrutava l’orizzonte, puntando una nave da crociera che sicuramente si stava dirigendo al porto di Genova, esattamente come tante altre sue colleghe prima di lei ogni santa mattina.
Il ricordo della visita nella città con sua moglie poco prima della sua fuga gli lacerò il cuore ed una lacrima fece capolino dalla palpebra inferiore.
Non si curò di asciugarla, ma tirò fuori dalla tasca un taccuino sgualcito, sul quale scrisse:
un uomo che piange è un uomo che non ha paura.
Cacciò l’oggetto nella tasca posteriore del jeans troppo largo e trasse un malinconico sospiro mentre scrutava ancora l’orizzonte, come se aspettasse qualcuno o qualcosa: il sole sarebbe sorto a breve e la sua uscita mattutina sarebbe terminata.
E neanche stavolta abbiamo dormito.
La perdita del sonno lo tormentava: una volta la notte gli piaceva, era il suo rifugio, il momento perfetto per sfogare la sua creatività.
Ricordava perfettamente ore e ore di buio passate seduto sull’uscio di casa, il lampioncino posto sul muro ad aiutargli la vista, il rumore della risacca come unica compagnia mentre sua moglie dormiva placidamente nella loro eterea camera da letto.
Aveva pestato con delicatezza su quei tasti, cercando di non svegliare la donna, ma a quel punto della sua vita sembrava che tutta la gentilezza e la cura dedicatele fossero state mal riposte.
Aveva concluso che non c’era motivo di essere gentili.
Aveva concluso di essere stato uno stupido.
Quando rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle, lo sguardo vagò tristemente sulla macchina da scrivere, come tutti i giorni.
Ma stavolta fu diverso: gli tornò in mente la ragazza, quella figurina che era stata l’unica a degnare di uno sguardo l’oggetto che al meglio lo rappresentava, come se avesse capito quanto fosse importante per lui.
Forse era solo curiosa.
In fondo era una vecchia macchina da scrivere. Ormai la gente usava cose più moderne, come un personal computer, o addirittura uno smartphone.
Magari viene da un posto dove di queste diavolerie ce n’è più che a sufficienza.
Chissà da dov’era venuta.
 
Non mangiò quel giorno.
Rimase seduto sull’uscio di casa, poggiato allo stipite mentre guardava il mare in burrasca, il naso in aria e il vento che gli carezzava il viso.
— La malinconia è una brutta bestia.
Il signor Nino, spuntato da chissà dove, gli si era affiancato senza che neanche se ne accorgesse.
Zeno si limitò a sospirare, senza nemmeno guardarlo — Già.
— Non va più al giornale?
Il giovane uomo scosse il capo — A far che?
— A guadagnare il pane. Come tutti.
— Ma se non mangio nemmeno. – puntualizzò quello, lasciandosi sfuggire una lieve risatina.
Il signor Nino sospirò — Non si faccia prendere dall’angoscia.
— Non ci torno a lavoro. L’ho mollato.
L’anziano inspirò forte — Dottore, io non posso dirle niente.
— Allora non lo faccia. Vada via e mi lasci solo.
— Questo non posso permetterlo, mi dispiace.
L’ostinazione dell’uomo fece sbuffare il più giovane, che si voltò per dargli le spalle, sperando invano di toglierselo di torno.
— Signor Nino, per favore…
— Oggi non starà solo, Dottore. Non posso vedere un giovanotto come lei rovinarsi in questo modo, su. Sta prendendo una strada molto brutta.
Il giovane dovette arrendersi, abbassando lo sguardo.
Forse non gli avrebbe fatto male parlare del suo dolore. Il signor Nino, contrariamente a tutti gli altri, sembrava una persona di sani principi.
Il suo aspetto gioviale gli trasmetteva tranquillità, quella che lui aveva perso da tempo.
Si incurvò sotto alla sua mesta consapevolezza di essere diventato un essere apatico, di aver perso la sua personalità a causa di una donna: quanto amava davvero la scrittura?
La sua passione non sarebbe dovuta venir fuori più prorompente che mai in momenti come questi?
— Non riesco più a scrivere. – disse di getto, la voce lieve come un fiocco di neve che rotea fino a terra.
— Sono cose che capitano a tutti. – rispose il signor Nino, stupendolo.
— …a tutti?
L’uomo più anziano annuì — Lei pensa forse di essere l’unico ad avere delle delusioni? Se lo faccia dire: è un illuso, Dottore.
Fu proprio quando la curiosità di Zeno venne stimolata che il signor Nino guardò l’orologio, sollevando le sopracciglia per lo stupore — Eh, è tardi. – sentenziò, guardando poi verso l’entroterra – Bisogna che io rientri, altrimenti non si mangia.
Il più giovane annuì, deluso.
Salutò mestamente il signor Nino, rientrando in casa con una sensazione nuova addosso.
…è dispiacere questo?
 
Fu il rumore della risacca a far sì che si destasse dal suo sonno, giunto inaspettatamente al culmine della malinconia.
Ne fu sorpreso: non si era mai addormentato sull’uscio di casa, sebbene la vista del mare al tramonto fosse una delle cose più belle che avesse mai avuto modo di ammirare in tutta la sua vita.
Esclusa sua moglie.
Lei è come un quadrifoglio in un’immensa valle di steli d’erba, qualsiasi cosa toccasse sembrava utilizzare la grazia delle farfalle. Gli abiti sembravano essere stati cuciti addosso alla sua angelica figura, la sua pelle morbida era…
Il filo dei suoi pensieri di spezzò, interrotto dallo stridere dei gabbiani che gli fecero provare un’invidia ormai molto familiare.
Se solo avessi anch’io le ali, andrei sub…
— Ancora qui, sei?
La calata meridionale di Calogero lo raggiunse, tanto che Zeno nemmeno dovette voltarsi per riconoscerlo, annuendo — Mi sono addormentato.
— Male, uagnòne. Male, male.
L’uomo fece spallucce e, resosi conto che non si sarebbe scrollato di dosso il carabiniere, ebbe a chiedere — Casa tua non sta dall’altra parte?
— Cé uè? ‘N gasa ci vado quando m’aggrada.
— E dov’è che te ne vai, allora? – stavolta il giovane lo guardava, deciso a capire cos’avesse fatto cambiare abitudine alla guardia, che di solito al tramonto smontava, faceva due passi sulla spiaggia fin casa sua, dove si chiudeva ad ascoltare canzoni melodiche che gli ricordavano la sua terra lasciata certamente non per scelta.
Na fèmmene, na pàbbere e nu puèrche fàscene reveldà nu paìse.
Non volendo approfondire il solito detto pugliese che Calogero tirava fuori quando voleva sviare delle domande, Zeno tornò con lo sguardo sul mare per poi essere scosso da un brivido di freddo.
L’umidità della sera iniziava a fare presa sulla sua pelle e la sabbia sotto di lui non lo aiutava certamente.
— Vado da Anna. La guagliona è rimasta da lei e siamo tutti lì.
Il giovane si batté le mani sulle gambe per pulirsi, facendo per rientrare — Bene. Vado a mangiare.
Si chiuse la porta alle spalle dopo aver salutato il carabiniere con un cenno della mano, percorrendo il breve spazio che lo separava dalla cucina ancora sporca della sera prima.
Abbassò le spalle sotto una forza invisibile che lo costrinse a guardare il solitario piatto incrostato di sugo abbandonato nel lavello, perfetta metafora della sua vita: usato e gettato via, lasciato solo senza compagnia.
Qualcosa lo trascinò fuori dall’immagine vittimistica di se stesso, riportandolo nella realtà.
…musica?
Qualcuno aveva deciso di suonare un qualche motivo allegro che strideva con il suo mood malinconico, il che lo turbò profondamente.
Come osavano quei superficiali fare in modo che la loro gioia di vivere turbasse il suo dolore?
Lui che faceva di tutto per tenerselo per sé, adesso doveva anche cibarsi l’ostentazione della felicità altrui. Inaudito!
Fu questa indignazione che rese possibile il movimento delle sue membra, le quali decisero di prendere una direzione tirando fuori di casa quella mente devastata e portandola a seguire la musica infernale che disturbava il suo grigiore quotidiano.
Fino ad arrivare di fronte alla locanda di Anna, un piccolo locale con le mura scrostate dalla salsedine, che una volta dovevano essere state color sabbia. La microscopica porticina in legno verde dalla volta a botte era socchiusa, quasi come se lo invitasse a entrare e prendere parte a quelli che sembravano dei festeggiamenti.
Zeno sentì forte la curiosità cercare di prendersi lo spazio necessario nella sua testa al fine di mettere in secondo piano la malinconia che guidava la sua vita da qualche anno, ma cercò di resistergli turbato dalle sue stesse emozioni, impaurito dalla loro portata.
…solo una volta. Che male c’è?
Vinto dall’istinto, toccò con la punta delle dita la porta al fine da ricavarne lo spazio necessario per infilare il naso e osservare appena la scena.
L’intero paesino sembrava aver trovato rifugio nella locanda, che appariva con un aspetto diverso dal solito, più caldo e accogliente, meno trasandato.
C’erano sempre le stesse decorazioni appese alle pareti: reti da pesca, salvagenti di soccorso, foto di pescherecci in mare, il tutto su mura impiallacciate da finto legno che regalavano un po’ di calore agli avventori durante le notti in cui il vento spazzava la spiaggia.
Lui stesso ne aveva approfittato, alloggiando in una delle stanze sovrastanti il locale non appena era arrivato piede nel paese.
Infilò ancor più la testa, venendo così scorto da Martino, che stava battendo le mani al ritmo della chitarra classica di Lorenzo e che smise solo per indicarlo — Oh, c’è Zeno!
— Dottore! – lo chiamò Calogero, invitandolo a scendere con la mano.
Vistosi scoperto, il giovane dovette raccogliere il richiamo e dirigersi verso il gruppetto, scendendo le scale ripide che conducevano verso quella che doveva essere stata in passato una cantina dove veniva conservato il vino.
In estate ci si stava davvero bene, riparandosi dal sole e godendosi il fresco, ma d’inverno…
— Alla fine siete venuto. – osservò il signor Nino quando gli si avvicinò.
Annuì e si guardò attorno un po’ a disagio. Una parte di lui voleva scappare, chiudersi in casa e togliersi di dosso quella tensione che l’esporsi agli altri gli causava, l’altra voleva restare, sfidando la paura.
Infine fu questa a vincere.
Anna si avvicinò sorridente, il petto prorompente chiuso a fatica nella camicia, aiutata dal grembiule agganciato al collo gonfio, che suggeriva un’attuale problema con la tiroide.
In mano un bicchiere di vino rosso — Tieni che sei smunto. Tu non mangi e non bevi, hai la pelle tutta grinza, guarda che roba!
Zeno fece per scuotere il capo, ma il signor Nino diede manforte alla locandiera, raccogliendo il bicchiere e porgendoglielo — Beva e non faccia storie.
— Io…
— Questa sera sua moglie non esiste, guardi cosa le dico. – il tono era perentorio – Lei si godrà la musica e la gente, non permetterà a quella testa lunga di rovinare l’unica sera che passa fuori casa.
Il giovane sospirò, guardando il vino scuro, lucido e invitante. Portò il bicchiere alle labbra, bagnandole appena poiché Pietro il pescatore lo urtò, facendogli finire il liquido vermiglio sull’abito sgualcito.
Non si preoccupò molto della macchia, resosi conto del fatto che era uscito con gli abiti che indossava da qualche giorno, cosa che sicuramente tutti avevano già notato.
Alzò intimorito lo sguardo per controllare che nessuno lo avesse additato ridendo della sua sfortuna, e si ritrovò ad incontrare gli occhi della naufraga.
Limpidi, luminosi, ridenti.
Non riuscì a voltarsi, rimanendo a fissarla rapito dalla luce che emanava, ricambiato da lei che sorrise timidamente finché non venne distratta dalla Anna che la portò via con sé, sicuramente per alimentare il suo spirito pettegolo.
La ragazza regalò l’ultimo sorriso a Zeno, che si rese conto solo quando la vide di spalle che stava indossano abiti troppo grandi, ripresi sulla schiena da mollette per il bucato.
Sorrise a se stesso: erano sicuramente della locandiera, le cui fattezze ricordavano quelle delle donne rinascimentali. Quella ragazza era troppo magra rispetto alla padrona del locale.
Anche se sembra avere la stessa taglia di lei.
Il pensiero della donna che l’aveva abbandonato si affacciò di nuovo prepotente nella sua mente, riportando gli occhi ad abbassarsi per sprofondare nella tristezza.
— Su, su, non faccia questa faccia. È solo una macchia.
Il signor Nino lo riportò alla realtà, e mai Zeno fu così felice che qualcuno si fosse intromesso nei suoi pensieri, il che lo stupì: solitamente odiava che il percorso della sua mente venisse interrotto.
Annuì.
— Ditemi, cosa vi ha smosso? Non uscite di casa da tempo. – domandò il pasciuto uomo, portando il vino alla bocca per sorseggiarlo con la calma che già solo la sua postura trasmetteva.
— Il rumore. Ero venuto per chiedervi di smettere, ma Martino mi ha scorto.
— Quel ragazzo ha gli occhi di un falco. Come si sarebbe accorto del tradimento, altrimenti?
Solo in quella Zeno si rese conto di avere qualcosa in comune col biondo cornuto del paese.
Il suo bell’aspetto non era bastato a tenere con sé la moglie, una giovane tutta casa e chiesa che lui adorava ma che l’aveva tradito col parroco, il quale era poi fuggito all’estero per la vergogna.
Sollevò le sopracciglia al pensiero.
Con un parroco.
— Vuole della farinata? Anna stasera ha dato il meglio di sé. – propose il signor Nino, indicando un tavolino in un angolo al cui centro vi era un piatto da portata di carta.
Faceva bella mostra di sé una piramide di fette rettangolari, morbide e dallo spessore di circa cinque millimetri, farcite con varie cibarie che andavano dai salumi ai formaggi.
Il pacioso cinquantenne allungò una mano per afferrarne una fetta recante sulla sommità quello che sembrava dello stracchino, per poi aiutarsi subito con l’altra mano.
L’addentò senza ricevere risposta da Zeno, che la guardò, trovandola appetitosa.
Da quanto non ne mangiava? Spesso sua moglie gliene preparava per le calde giornate passate al mare, anche la sera prima della sua fuga, tanto che l’uomo ormai l’abbinava al suo dolore.
Aveva evitato di cibarsene per anni, ma vedere il piacere che provocava al signor Nino smosse in lui una sorta di orgoglio ferito, la voglia di rivendicare qualcosa di proprio, tanto che lo imitò, afferrandone una fetta e portandola alla bocca con foga.
Mentre mandava giù il terzo boccone, un guizzo chiaro occupò la sua visione periferica, portandolo a voltarsi: Martino aveva preso coraggio, invitando la naufraga a ballare.
Seppur mostrando insicurezza, quella aveva accettato e ora volteggiava leggiadra portata dall’uomo, finché i suoi occhi non incrociarono quelli di Zeno.
L’uomo non riuscì a capire per quale motivo la sconosciuta continuava a fissarlo con insistenza, gli occhi che cercavano di comunicare con lui, il quale, troppo ottuso non riusciva a comprendere.
Gli risultò comunque attraente come una delle ammalianti sirene di Ulisse, e come poteva essere altrimenti?
In fondo si trattava di una creatura venuta dal mare.
Senza neanche rendersene conto, Zeno si era avvicinato a passi lenti e cauti come quelli di un gatto, il signor Nino non aveva proferito verbo al fine di non destarlo da quello che sembrava il cammino di un sonnambulo.
— Che ti serve, Dottore? – fu Martino a riportarlo con i piedi per terra.
Zeno lo guardò come se lo avesse visto per la prima volta, senza accorgersi dell’ombra di un sorriso compiaciuto comparso a illuminare la cornice del volto diafano della sconosciuta.
— Vuoi un ballo con Maria? Te la lascio. – lo esortò ancora il biondo.
— …Maria? – chiese a sua volta il Dottore, sorpreso.
— La ragazza è muta, nessuno sa il suo nome. La signora Anna ha voluto intitolarla alla madonna, credendo sia stata lei a proteggerla dalla morte. – lo informò il signor Nino, essenziale nelle spiegazioni come al solito.
Il momento di silenzio iniziò a farsi pesante, dilatando il suo tempo di permanenza tra i protagonisti dell’azione.
Che sto facendo?



 

Buonasera a tutti e bentornati! Come state? Spero tutti bene.

In questo capitolo abbiamo visto un avvicinamento tra Zeno e il resto del mondo, un cambiamento. Il ricordo della moglie inizia a farsi vivo a intermittenza. Certo, di stimoli che lo riportano indietro con la mente ce ne sono molti, ma riuscirà a liberarsene?

E per quale motivo la naufraga continua a osservarlo? 

Spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto. Il personaggio di Zeno mi rimane un po' indigesto, non sono un'amante delle vittime, anzi, preferisco i personaggi saggi e un po' cinici come il signor Nino.

Non sono un'amante delle persone che ragionano con la pancia, non condivido il perenne pensiero di Zeno rivolto ad una persona come la sua ex moglie, che non lo merita affatto, ma la mente umana è anche questo: un'agglomerato di emozioni incontrollabili.

Una reazione come la sua ci sta. 

Oddio, forse tende un po' troppo alla depressione, ma questo dipende dalla canzone: Maria marea ha una punta di malinconia che ho sempre adorato. Mi sembrava giusto fare in modo che il protagonista la rispecchiasse.

Grazie a chiunque stia leggendo la storia, grazie a Ele che mi lascia sempre delle bellissime recensioni! ♥

Buonanotte a tutti.

- A.

 

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Capitolo 4
*** Cara sconosciuta ***




- Cara sconosciuta -

 
Quello sguardo insistente, quasi insolente, quegli occhi liquidi, vivi come il mare che l’aveva restituita alla terraferma, bastarono quelle due iridi a inchiodare Zeno al suo posto, immobile e senza parole.
Quella che aveva le sembianze di una ragazza innocente era in realtà una donna.
Lo attirava a sé inesorabilmente, non ne capiva nemmeno lui il motivo.
Non si rese nemmeno conto di aver alzato una mano in direzione di lei, in attesa che la prendesse e accettasse il suo invito a unirsi a lui per…
Per cosa?
Che sto facendo?
Perché non riesco a evitare di avvicinarmi a lei?
Contro ogni aspettativa, la naufraga posò delicatamente la mano sulla sua, allontanandosi dal Martino rimasto impietrito per l’audacia che il Dottore non aveva mai mostrato a nessuno.
Il silenzio era calato nella sala, talmente potente era l’immagine dei due che continuavano ad agire come se nessun’altro esistesse, chiusi in una bolla invisibile che aveva escluso qualsiasi essere vivente dal loro campo visivo.
Il signor Nino sorrise, tornando alla farinata — Non faccia quella faccia, ragazzo. La prossima volta la fortuna sorriderà anche a lei. – considerò in direzione di Martino, che teneva i pugni contratti, sgomento dalla facilità con cui Zeno aveva attirato a sé la nuova arrivata.
Questi dal canto suo sentiva una leggerezza che non provava da anni.
Il sorriso che la ragazza gli mostrò fu per lui come un raggio di sole che dissipava la fitta nebbia presente nel suo cervello, e non riuscì a pensare a null’altro, né una parola, né un’immagine.
La sua mente era finalmente vuota e leggera come una farfalla.
 
Nel silenzio della notte solo i passi di Zeno rimbombarono tra i muri delle vie di Rivalunga, accompagnati in sottofondo dallo sciabordio delle onde che si fece sempre più forte man mano che si avvicinò verso casa.
Guardò la porta in legno ancora socchiusa come se fosse l’entrata di un incubo, decidendo così di non fare il suo ingresso, ma di sedere sulla soglia per pensare.
Non ebbe voglia alcuna di rientrare e rivedere tutto ciò che l’aveva trattenuto dall’uscire fino a quella sera, cosa che lo stupì alquanto: quello era stato fino a poche ore prima un caldo rifugio dove si sentiva protetto, adesso gli sembrava un luogo oscuro e malinconico.
Si accese una sigaretta, guardando dispiaciuto l’orizzonte reso invisibile dall’oscurità della notte senza luna. Gli piaceva starsene lì a prendere aria fresca e distinguere le creste del mare che risplendevano alla luce del satellite, prendendola in prestito quei pochi secondi giusti per far capire che la massa d’acqua era viva nel suo infinito andirivieni.
Poggiò la nuca allo stipite, chiudendo gli occhi assaporando l’aria salmastra.
Subito la sua mente venne invasa dal sorriso della naufraga, quello che aveva riempito la sua serata e dissipato miracolosamente le tenebre della sua testa.
La sua espressività lo aveva colpito e si ritrovò a fantasticare su che tipo di voce avrebbe potuto avere una creatura del genere.
I suoi occhi gli avevano trasmesso una forza d’animo che si era fatta spazio sgomitando nei suoi pensieri, spazzando via con facilità l’unica donna della sua vita, quella che gliel’aveva rovinata.
O forse era stato lui l’unico stolto che si era precluso la felicità fino a quel momento?
Perché questa ragazza ha risvegliato in me tutti questi dubbi?
 
Con difficoltà si era trascinato nel letto, sprofondando in un sonno senza sogni, ristoratore come non ricordava da tempo.
Quando si svegliò e aprì la porta per respirare l’aria di mare, gli sembrò che il mondo di fronte a sé avesse assunto tutt’altro colore.
L’incontro tra il cielo terso e il mare apparve ai suoi occhi come la più meravigliosa opera di Dio, ritrovò nel suo cuore l’amore per quel paesaggio, lo stesso che l’aveva spinto ad acquistare e rimettere in sesto quella casa.
Già, la mia casa.
Il senso di colpa lo pervase quando si rese conto delle pietose condizioni in cui la teneva.
Perché l’aveva trattata così male per tutto quel tempo?
Quelle quattro mura gli avevano offerto un rifugio, del calore, lo avevano protetto dagli sguardi accusatori, dalle parole giudicanti, in poche parole dalla malignità umana insita nei suoi compaesani.
Un sorriso malinconico prese forma sul suo viso e mentalmente si scusò con la sua abitazione, che ovviamente non rispose.
Poggiò la tazzina sporca nel lavello, che guardò con aria pensierosa.
Allungò infine le mani, scavando tra le stoviglie ormai unte fino a trovare la spugna che cercava.
Sospirò, dandosi dello stolto per aver trascurato per tanto, troppo tempo il suo piccolo rifugio.
E, mentre lavava i piatti e puliva la cucina, gettò uno sguardo alla sua macchina da scrivere, abbandonata in un angolo.
Si morse l’interno della guancia preso di rimorsi. L’avrebbe usata?
No, non ce la faccio, non ne sono all’altezza.
Man mano che strofinava i piani dell’angolo cottura, vennero fuori i veri colori del mobile, un allegro celeste che aveva totalmente dimenticato per via degli oggetti e dello sporco che lo avevano seppellito.
Il parallelismo con la sua vita non tardò a formarsi nella sua immaginazione, e fu per questo che decise di mettere il naso fuori di casa dopo aver terminato con la cucina.
Ma quando aprì la porta il suo coraggio venne meno: tutti lo avevano visto la sera prima, come aveva fatto a non pensarci?
La titubanza lo prese e stava per rientrare, quando la vide.
Lei se ne stava lì, avvolta in un abito chiaro, seduta sul bagnasciuga che lambiva le sue natiche, i piedi nudi nell’acqua e le mani stese, ormai affondate nella sabbia bagnata.
L’intero corpo aveva formato un solco a terra, e gli sembrò un’immagine molto particolare, un quadro che aveva un qualcosa di poetico e malinconico che lo attirò un passo dopo l’altro oltre la soglia, facendolo avvicinare alla donna che non si voltò nemmeno quando lui la chiamò.
Zeno rimase interdetto da quel suo comportamento: la sera prima non gli aveva dato tregua con quegli occhi irriverenti, e ora fingeva di essere anche sorda?
— Maria! – la chiamò, scuotendola per una spalla.
In quella lei si voltò di scatto con occhi spauriti, come fosse stata destata da un lungo sonno, e sorrise quando si accorse che era lui, alzandosi in fretta.
Zeno si rese conto che l’abito le andava largo e sospirò — Non… non ti infastidiscono quelle mollette sulla schiena?
La ragazza inarcò il collo all’indietro cercando di guardare oltre le sue spalle, col risultato di girarsi attorno in modo buffo, facendo sorridere divertito l’uomo che la osservava.
Quando si accorse di ciò sorrise a sua volta, innocente e sbarazzina come poche altre donne che il Dottore avesse mai visto.
— Vorresti un vestito della tua taglia? – domandò, suscitando un vivace annuire della giovane, che lo seguì non appena lui rivelò di averne diversi in casa.
L’intenzione di condurla nella stanza da letto condivisa con la sua ex si spense quando fece per stringere la mano attorno al pomello della porta: non entrava lì da anni, sicuramente avrebbe trovato gli abiti ammuffiti e strati di polvere sotto i quali si nascondevano i vecchi mobili.
Preso dalla riflessione, non si rese conto che Maria gli era agilmente scivolata di fianco, aprendo lei stessa la porta per fare il suo ingresso nella stanza, il cui aspetto stupì Zeno tanto da renderlo una statua di sale: il sole illuminava le assi di legno chiaro del pavimento, tutto era luminoso, il letto poggiato al muro centrale appariva perfetto, come fosse stato appena fatto, e l’aroma del mare impregnava il luogo.
Era come se quella stanza fosse stata pulita poche ore prima, il vetro della finestra che dava sul mare era perfettamente pulita e i mobili intonsi, lucidi e vivaci nel loro color pino.
La ragazza aprì l’armadio, infilando poi il naso tra gli abiti per scorrerli con mani sapienti che sapevano esattamente cosa toccare, come se fosse sempre stata lì.
Ne afferrò qualcuno per poggiarselo addosso, finché non iniziò a staccarsi di dosso le mollette, movimento per il quale Zeno chiuse la porta di fronte a sé in men che non si dica, intuendo il resto.
Gli sembrò di orbitare attorno a quella ragazza come un pianeta attorno al sole: era già la seconda cosa strana che accadeva nel giro di una giornata.
No, le cose strane sono parecchie. Che sta succedendo?
Le domande si dissolsero nella sua mente quando Maria aprì la porta, mostrandosi con indosso l’abito che aveva scelto, cosa che fece rimanere di sasso il Dottore.
L’abito color vermiglio, dalla lunga gonna a ruota, recava una cinta scura in vita e sembrava essere stato cucito addosso alla naufraga, anche se non era questa la cosa che lo aveva lasciato di sasso: era il preferito della sua ex moglie, un capo che tutti conoscevano come suo in paese.
L’uomo sentì crescere l’ansia dentro di sé: cos’avrebbe pensato la gente se l’avessero vista con quell’abito indosso?
Furono però l’esaltazione di lei e la sua vivacità a fare in modo che la paura del giudizio altrui morisse nel suo cuore così com’era nata, senza lasciare traccia, almeno per quel giorno.
Pensò fosse il momento di congedarsi ora che aveva trovato qualcosa della sua taglia con cui abbigliarsi.
— Vuoi portare qualche abito da Anna? – domandò alla ragazza, che lo guardò con la felicità dipinta sul volto. Si fiondò nella stanza da letto senza pensarci un minuto, tirando fuori un paio di capi dai colori delicati che mise sottobraccio.
Si accorse infine della presenza di un cappello avorio da donna a tesa larga poggiato sul comò, con un nastro scuro alla base della cupola, e lo afferrò, piazzandoselo sul capo con rinnovato entusiasmo.
Forse fu per la presenza di una donna in quella casa, o forse per la felicità che quell’esserino minuto sprizzava da ogni poro, fatto sta che Zeno si sentì il cuore leggero come non mai e si domandò per quale motivo non avesse seguito i consigli del signor Nino, accettando i suoi innumerevoli tentativi di tirarlo fuori dal suo buco.
— Ti riaccompagno in locanda, è ora di pranzo. – disse l’uomo, certo che si sarebbe persa tra le vie strette del paese.
Per tutta risposta la ragazza si avvinghiò al suo braccio, facendosi guidare in direzione della locanda.
La fulgida bellezza di lei non passò inosservata lungo la strada, tra i molti che la osservarono desiderosi figurava anche Martino il cornuto, che ancora non aveva accettato di buon grado il fatto che Zeno gli avesse soffiato sotto il naso la nuova arrivata, facendogli fare una figura barbina di fronte agli altri abitanti.
Quest’ultimo notò più il chiacchiericcio delle donne che tutto il resto, preoccupandosi per il loro parlarsi all’orecchio, sentendosi nell’occhio del ciclone quando si accorse dei loro sguardi indagatori.
Il Dottore è uscito!
Indossa l’abito della moglie, quella lì.
Perché sono a braccetto?
Perché sono insieme?
Perché, perché, perché?
Chiuse un attimo gli occhi tentando di negarsi la vista di quelle malelingue, ma fu uno strattone di Maria a riportarlo alla realtà: il suo sguardo esprimeva preoccupazione per lui.
Aveva forse captato il suo stato d’animo?
Questo fece sì che Zeno si sentisse meno solo e abbandonato, più forte.
Riuscì così ad attraversare le vie del paese a testa alta, tranquillo da quel momento fino all’arrivo alla locanda di Anna, dove la padrona li accolse con particolare incredulità.
— Dottore… lei qui? Come… come mai? – domandò, squadrando poi con orrore la ragazza
– Ma questo è l’abito della signora…
— Maria era seduta sul bagnasciuga e il suo era zuppo. Si sarebbe buscata un malanno qualora l’avesse tenuto indosso, così gliene ho fatto scegliere uno. – rispose l’uomo con una padronanza della situazione che stupì profondamente la sua interlocutrice, ma anche se stesso.
La ragazza lo guardò fiera, lo ringraziò con un inchino della testa e salì le scale che conducevano alle stanze del piano superiore, sparendo dalla loro vista.
La locandiera continuò a osservare con stupore Zeno, che sorrise — Io andrei, si sta facendo tardi.
— Ah… sì. Allora buonasera.
Il Dottore ricambiò il saluto e si avviò verso casa, attraversando nuovamente le vie del paese, guardandolo con occhi nuovi: il sole del pomeriggio illuminava i muri scrostati alla sua destra con luce tenue, le grandi pietre che ricoprivano il selciato risultavano levigate e luminose mentre le finestre aperte lasciavano intravedere le tendine bianche che celavano l’interno delle case alla vista.
Una signora seduta su una seggiola di legno a lato della strada lo salutò cortesemente, per poi tornare a sbucciare fave, lasciandole cadere in un cesto di vimini fra i suoi piedi.
Quella vita placida parve invitante a Zeno, che si disse che avrebbe ripreso le sue abitudini prima di subito.


*** Angolino dell'autrice ***

Ciao a tutti, come state? Spero meglio di me!
In questo capitolo abbiamo visto come Maria riesca a tirare fuori Zeno dalla sua apatia, pur senza dire o fare cose eclatanti.
C'è un piccolo segretuccio dietro questa ragazza muta, ma ovviamente verrà svelato alla fine e senza nemmeno tante chiacchiere. Verrà tutto tra le righe nel finale.
E lì ci sarà spazio per domande, ipotesi e risposte.
Mi piaceva davvero renderla muta, molto espressiva dallo sguardo al linguaggio del corpo tutto ma privandola della parola. Certo, avrei potuto fare una storia più lunga - siamo a metà -, ma credo di dare il meglio di me nei racconti brevi. Li ritengo più intensi, forse perché è tutto racchiuso in pochi capitoli.
Prima di chiudere ci tengo a ringraziare tutti voi che leggete la storia e chi l'ha recensita. Mi fa davvero piacere!
Anche le critiche sno bene accette.
A presto!

- A.


 

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Capitolo 5
*** Ricominciamo ***



 
- Ricominciano -
 
E di nuovo se la ritrovò lì, di fronte alla sua porta il mattino dopo, che bussava sullo stipite a lui tanto caro e recava un caffè tra le mani.
La sua gentilezza mise Zeno di buon umore, nonostante si fosse presentata poco dopo la venuta del sole.
— Mi dispiace che tu mi veda in queste condizioni, mi sono appena alzato. – si scusò, quasi imbarazzato.
La ragazza fece cenno con le mani indicando il mare, voltandogli poi le spalle e dirigendosi verso il bagnasciuga con mani tese dietro la schiena a falciare il vento e un’innocente risata che rimbombava nell’aria umida.
Solo in quella l’uomo notò che non indossava calzature, cosa che lo preoccupò alquanto.
E se pestasse un vetro?
Dopo aver indossato abiti puliti, cercò un paio di scarpe femminili tra quelle della moglie, optando per dei tacchi molto bassi nella speranza che le sarebbero entrati, finché non udì un cane abbaiare e degli urli che lo portarono ad allarmarsi e affacciarsi sulla spiaggia.
E li vide: Martino il cornuto cercava di trattenerla vicino a sé per dirle qualcosa, tenendole un polso e impedendole di allontanarsi, atteggiamento che alla giovane non piaceva affatto a giudicare dal suo agitarsi. Era già sulla spiaggia quando la vide cadere a terra, improvvisamente libera nonostante l’uomo torreggiasse su di lei avvicinandosi.
Gli bastò un pugno bene assestato sullo zigomo per far sì che lo sfortunato compaesano gli si rivoltasse contro come un cane rabbioso.
— Tu! – ringhiò – Tu che te ne stavi rinchiuso in quelle quattro mura a leccarti le ferite, te che fino a ieri non sapevi neanche come si apriva la porta di casa, adesso addirittura ti accompagni a questa donna! Come ti si sono riaccesi presto i fuochi interni, eh?
In quella Calogero, avendo presumibilmente sentito il delirare del cornuto a causa del suo tono di voce, si rese conto della disputa che stava per nascere tra i due.
Corse verso di loro insieme ai pescatori, con Lorenzo che afferrò l’aggressore per il bavero della giacca al fine di riportarlo in sé anche grazie all’ausilio della forza.
— Basta bere a quest’ora, Martino. Ti fa male, vedi? Te lo dico sempre.
— Scusatelo, signorina. – disse Pietro, porgendo la mano a Maria, che però si portò le sue sulla testa chiudendosi a riccio, all’improvviso impaurita dal contatto umano.
Il pescatore più anziano sospirò — Vedi che hai fatto, ubriacone?
— Tutte uguali, tutte troie! – mugolò Martino, i bei lineamenti sconvolti dall’alcol che lo portò a sputare a terra, vicino alla ragazza che sobbalzò spaventata.
Il carabiniere scosse il capo, rivolgendosi a Zeno — Domani, domani.
— Una nottata al fresco, come ogni volta che si ubriaca. – continuò il Dottore.
La guardia annuì, salutandolo per seguire i due pescatori e prendere in custodia l’ubriaco, che lo seguì mugolando insulti a chiunque, e fu in quella che Zeno si voltò verso la ragazza.
— Sono andati via. – disse, chinandosi verso di lei poiché non dava cenni di volersi spostare.
Le poggiò una mano sulla testa e quella gli si gettò addosso come una bambina, accoccolandosi vicino a lui mentre il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi. La resistenza opposta fu vana: colto di sorpresa, l’uomo cadde con la schiena sulla sabbia, senza per fortuna farsi male alcuno.
Egli pensò fosse il caso di farla sfogare, così lasciò andare la testa sulla sabbia, noncurante dei minuscoli granelli che s’infilarono tra i capelli, godendosi la vista del cielo e il calore di quel corpo minuto che gli pesava quanto un ramoscello d’ulivo.
Attese qualche secondo prima di rialzarsi, senza riuscirvi: la ragazza si era aggrappata al suo corpo con tenacia, rifiutando qualsiasi esortazione a riprendere la posizione eretta, tanto che Zeno dovette restare qualche altro minuto sistemato parallelamente al cielo, continuando a bearsi della tranquillità che gli trasmetteva.
Tentò nuovamente di muoversi dopo un paio di minuti, senza risultato anche in quel caso.
Abbandonò ogni speranza e chiuse gli occhi.
 
Riuscì nell’impresa solo dopo poco più di un’ora, quando avvertì il corpo della naufraga rilassarsi, capendo di dover approfittare di quel momento. Ma questa volta non ricevette segnali di protesta, anzi, lei si alzò dietro di lui dirigendosi verso il mare, stupendolo quando vi entrò completamente vestita.
— Maria…?
Interdetto dalla confusione appena originatasi nella sua testa, Zeno rimase a guardarla finché non si accorse che continuava a puntare verso il largo, l’acqua ormai alle cosce e il vestito appiccicato alla carne come una seconda pelle.
Fu stupito anche lui dalla corsa spiccata all’inseguimento con l’intenzione di trattenerla lì.
Non seppe spiegare a sé stesso se voleva salvarla dal mare per paura di perderla, o semplicemente se non voleva che si allontanasse da lui e basta. Si limitò ad afferrarla con rinnovata forza per la vita, sollevandola per riportarla a riva con difficoltà grazie ai movimenti scomposti della ragazza, segno di una vivace protesta.
Sbilanciato da ciò, cadde sulla sabbia insieme a lei, che sembrò calmarsi e rimase con il viso verso il basso, coperto dalla folta chioma castana.
Zeno avvertì il fatto che si fosse arresa e approfittò del momento per far affluire nuovo ossigeno nei polmoni brucianti per lo sforzo, voltandosi poi lentamente, ammirando sconcertato quello spettacolo che sprizzava tristezza da tutti i pori: la naufraga se ne stava accucciata nella sabbia umida, un braccio semi disteso e le dita che si muovevano tra i granelli, come se stesse tentando di afferrare qualcosa.
Il volto nascosto tra i capelli celava qualsiasi espressione, anche se si capiva benissimo che fosse frustrata data la forza espressiva del suo corpo.
Sembrava un quadro bellissimo, potente e incredibilmente triste, reso ancor più tale dalle nuvole cariche di pioggia che stavano arrivando in quel momento dall’orizzonte, il che stupì l’uomo: sembrava quasi che la natura seguisse il filo del suo umore.
Rotolando su di un fianco le toccò una spalla, generando in lei un profondo sospiro, uno scatto.
Dopodiché, nulla.
 
Quando tentò di prendere la strada verso la locanda di Anna, la ragazza piantò i piedi assumendo il carattere di un mulo, trasmettendo l’idea di non voler più entrare nell’entroterra. Continuò a mugolare con lo sguardo e un braccio rivolti ambedue verso il mare, che sembrava stranamente sempre più vicino.
La sensazione inquietò non poco Zeno, che alla fine concluse di dover assecondare la sua idea, lasciandola libera per vedere cos’avrebbe fatto, stupendosi quando questa prese a correre verso la sua casa non prime di essersi chinata per riprendere il cappello a tesa larga, ormai mezzo seppellito dalla sabbia.
Non aveva senso.
Nella sua nuova dimora la naufraga assunse nuovamente l’aria spensierata che aveva avuto fino a poche ore prima, curiosando nella sua nuova stanza e soprattutto ficcando il naso nell’armadio, poggiando il cappello sul letto come fosse la sua abitazione.
L’avere una figura femminile in giro per quella che era stata la sua tana fece uno strano effetto a Zeno, che aveva ormai realizzato di essere stato rapito ormai dalla sua innocenza.
Fu quella sua caratteristica a far cadere tutte le sue difese, cedendo così alla sua insistenza nel voler rimanere con lui. In fondo si trattava di una ragazza che il mare aveva restituito dopo una tempesta e di cui nessuno aveva voluto sapere nulla, limitandosi a osservarla e desiderando di tenerla per sé. Se n’era accorto dagli sguardi di Martino e degli altri compaesani: il desiderio di possederla li accomunava, ma fortunatamente erano tipi che sapevano tenere le mani a posto, altrimenti…
Altrimenti che?
Cos’avrei fatto, io?
Solo lui non aveva sentito questo desiderio, avvertendo però un’affinità improvvisa e molto forte con lei, attirato in prima battuta dal lungo osservare la sua macchina da scrivere durante la prima capatina nella sua casa.
Sapeva per quale motivo aveva carpito la sua attenzione: lei era diversa.
Conservava quell’innocenza tipica delle bambine piccole, forse il suo mutismo rendeva ancor di più favorendo questa concezione che l’uomo aveva di lei, e certamente attirava gli uomini a sé come mosche non solo per la sua straordinaria bellezza, anche se il corpo flessuoso e morbido rappresentava una tentazione carnale a cui gli esseri più passionali non avrebbero saputo resistere.
Quel viso pulito, il candore lunare della pelle, i ricci castani perfetti da impigliare tra le dita come reti da pesca ritirate al tramonto, e gli occhi, vividi, curiosi e così espressivi da sopperire alla mancanza della voce.
Riconosceva il richiamo che quella donna rappresentava per un uomo, ma lui non era interessato a quello.
La naufraga stava riportando nella sua vita un po’ di allegria con la sua buffa presenza.
In tutti quegli anni la consapevolezza di non essere più utile alla sua ex moglie gli aveva devastato l’anima, spogliandola di qualsiasi difesa per donarla alla sofferenza più nera.
Si era lasciato andare lentamente, come un’orchidea senz’acqua che perde i suoi splendidi fiori, senza alcuna voglia di riprendersi, senza motivazione per farlo.
Quella ragazza che si era insinuata con forza nella sua vita, che gli stava dimostrando di avere bisogno di lui, proprio lei, una perfetta sconosciuta, gli aveva donato un raggio di sole col quale squarciare il buio della sua esistenza.
Non l’avrebbe lasciata andare tanto facilmente, e forse in cuor suo era stato anche lui stesso a sperare che non volesse tornare da Anna.
Il tempo trascorso sdraiato sulla spiaggia l’aveva fatto riflettere, riportandogli alla mente sensazioni che non aveva provato per anni, dal calore umano alla consapevolezza di esistere per qualcuno che avesse bisogno di lui.
La sua vita aveva un senso, di nuovo.
Ed era così assorto nei suoi pensieri da far cadere il tuorlo direttamente sul piano cottura, mancando clamorosamente la padella posata sul fuoco.
— Accidenti.
In fretta ne aprì un secondo, centrando l’obiettivo e venendo raggiunto dalla nuova ospite che si affacciò dalle sue spalle per osservare quel che stava facendo.
Non lo conturbò il fatto di sentire un seno premuto sulla schiena, ma fu la sua sola presenza a fargli spuntare sul viso un sorriso di sollievo.
Non era più solo, finalmente.
 
Il pasto frugale venne consumato in silenzio e la donna attese che lui si alzasse per fare lo stesso e sistemarsi alla finestra, osservando il sole che lentamente proseguiva la sua discesa verso l’orizzonte, donando alla distesa d’acqua splendidi riflessi dorati, e a chiunque la sensazione di tranquillità che si vorrebbe avvertire dopo una giornata difficile.
La vide ammirare il quadretto con aria rilassata e la cosa gli piacque tanto da rivolgerle gli occhi più tempo del dovuto, al fine di fissare per bene l’immagine nella sua mente.
Zeno pensò di essere stato fortunato.
Nessuno gliel’avrebbe portata via, nessuno.
 
Le stranezze della ragazza non stupirono l’uomo nei giorni a seguire.
Il suo posto preferito era la seggiola di fronte alla finestra, grazie alla quale poteva ammirare l’orizzonte da cui era venuta tutte le volte che voleva durante il giorno, muta, rilassata, ma con una vaga malinconia che col tempo iniziò a farsi sempre più strada nei suoi occhi.
Quando un mattino Zeno si alzò per la consueta passeggiata all’alba, la trovò già in piedi, pronta sui piedi scalzi che gli sorrideva col corpo verso la porta, come un cagnolino che vuole uscire a passeggio.
— Vuoi respirare anche tu un po’ d’aria di mare, eh? Come darti torto.
L’uomo aprì la porta e lei scattò, correndo verso il bagnasciuga. La vide giocare con l’acqua, andare incontro alla risacca e fuggire via quando quella si avvicinava, inginocchiarsi per stampare l’impronta delle sue mani sulla sabbia umida, incurante che il vestito si bagnasse.
Scavò anche una buca rimanendo ferma sul posto, con l’acqua che le arrivava fino alle caviglie, e fu questo il particolare che lo stupì: a quell’ora del mattino la temperatura era sgradevolmente pungente, eppure lei sembrava non accusare né l’aria frizzante, né l’acqua gelida.
— Maria, ti raffredderai…
Ma lei non lo sentiva.
Continuò coi suoi giochi, finché all’improvviso non prese la rincorsa e si tuffò tra le onde come un pesce, senza riemergere.
Zeno si spaventò e le andò dietro, scavalcando a fatica l’acqua che gli si opponeva spingendolo a riva, come se lo allontanasse volutamente dalla ragazza svanita tra i flutti.
Con la mente preda dell’ansia la cercò, l’acqua ormai alla vita e gli occhi che schizzavano a destra e a manca, preoccupati, illustrazione dell’improvvisa paura di rimanere solo.
Perché?
Sono sempre stato solo, ho scelto di esserlo da quando lei se n’è andata.
Perché adesso ne ho timore?
Perse l’equilibrio e cadde a faccia in avanti, fendendo dolorosamente l’acqua col petto, ingoiando liquido dal naso, tanto da dover tossire copiosamente una volta in piedi nel violento tentativo di riprendere fiato.
Mentre si tirava indietro i capelli la vide di fronte a lui.
Rideva come una bambina schernendolo con un dito, senza curarsi del fatto che l’abito bagnato aveva messo in risalto il suo corpo e risvegliato in Zeno istinti che credeva ormai sopiti per l’eternità.
L’uomo li ignorò con ostinazione, afferrandola per un braccio al fine di trascinarla fuori dall’acqua, seppur a fatica. Stavolta la giovane non oppose resistenza, continuando comunque a tirare calci nell’acqua per schizzarlo.
— Mi hai spaventato. – disse con tono grave, tanto che la ragazza si acquietò come se il peso della colpa gravasse sulla sua testa, che abbassò.
Lo seguì docile in casa, dove fece una doccia prima di prendere il suo posto di fronte alla finestra per ammirare la bellezza del mare quieto.
Quando Zeno fece il suo ingresso nella stanza pettinando all’indietro i capelli bagnati, si rese conto dello sguardo innamorato con il quale la donna fissava l’orizzonte, scorgendovi un velo di malinconia, come se quel luogo infinito le appartenesse e viceversa.
Si voltò di scatto verso la vecchia macchina da scrivere, ancora coperta di polvere a differenza del resto della casa, ormai ripulita.
Mosse un passo nella sua direzione.
Un altro.
Vi si trovò di fronte e la sfiorò con le dita, la stessa delicatezza che avrebbe certamente riservato a un’amante. Un brivido percorse il braccio come una scossa elettrica fino al cervello, generando pelle d’oca che non avvertiva più da anni.
Sedette di fronte alla macchina lentamente, quasi con reverenziale timore, guardandola come se fosse la prima volta, alzando le mani per caricare il foglio.
In quella uno straccetto a mezz’aria spuntò nel suo campo visivo, offerto da Maria.
L’espressione incoraggiante sul suo volto e l’empatia dimostrata verso di lui fecero in modo che Zeno accettasse l’invito, prendendo quel lembo di stoffa che gli permise di tirare a lucido la sua vecchia amica, l’unica vera compagna che aveva avuto nel corso della sua vita.
Come ho potuto snobbarla in nome di una persona che non meritava tanta considerazione?
Sono stato uno stolto.
Non si accorse che Maria, tornata al suo posto, lo stava guardando sorridendo prima di puntare nuovamente lo sguardo all’orizzonte.



*** Angolino dell'autrice ***
Ciao a tutti, come state? Spero bene, visto che siamo in bocca al weekend.
Io benissimo, sia benedetto chi ha inventato la pausa del fine settimana!
In realtà aveva pronosticato l'aggiornamento per lunedì o martedì, solo che mi sono accorta di avere i Gb agli sgoccioli, quindi ho preferito attendere il rinnovo mensile visto che in campagna non abbiamo il wifi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto: qui abbiamo visto il rapport tra Maria e Zeno saldarsi, senza però che i sentimenti di lui siano animati da secondi fini.
Ci ho tenuto a rimarcare questa cosa, in quanto non ci sarebbe stato il tempo necessario per sviluppare una tresca amorosa, inoltre Maria non è una donna qualsiasi.
Anzi, in realtà non è nemmeno propriamente donna, ma questo è un particolare che viene svelato alla fine, senza dare nemmeno tante spiegazioni.
Eh già, il prossimo capitolo sarà proprio il finale.
Dispiace molto anche a me, ma d'altra parte non vedo l'ora! Così posso dedicarmi all'altra songfiction, sempre dei Pooh ovviamente.
Forse la conoscete, si chiama L'ultima notte di caccia ed è da sempre una delle mie canzoni preferite.
La stesura è già iniziata, ma l'ho interrotta subito: devo trovare qualche informazione sugli indiani d'America prima di andare avanti. Non posso toccare un popolo intero inventando i draghi, non esiste.
Detto ciò, vi saluto a tutti!
Ci vediamo per il finale!

- A.


 

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Capitolo 6
*** Infiniti noi ***




- Infiniti noi -  
 
L’odore del caffè fu un balsamo per Zeno, che si massaggiò la schiena indolenzita dalle ore passate seduto sulla seggiola di fronte alla macchina da scrivere.
L’istinto l’aveva portato a buttar giù la sua storia degli ultimi anni, che ora concretizzata su carta non gli sembrava più così terribile, solo ordinaria e a tratti banale, tanto che si domandò per quale motivo l’avesse scritta.
Quante volte aveva letto libri interi su relazioni che finivano?
Quanti tradimento erano stati vantati dai loro esecutori negli anni?
Lui lo sapeva, era uno scrittore. Eppure quando era toccato a lui era stato come se una valanga l’avesse colto abbigliato solo dell’intimo, un uomo esposto in toto alla furia degli elementi.
Ora sentiva il petto alleggerito da quel peso che l’aveva attanagliato per anni, la vista non era più annebbiata, la realtà gli sorrideva benevola e ne era sicuro, ormai aveva recuperato la sua proverbiale ispirazione.
Ed era tutto merito di quella creatura, Maria.
Si voltò per chiamarla e offrirle un caffè, ma si rese conto che non era al solito posto.
Si diresse nella sua stanza, ma non vi aveva dimorato quella notte, ne era certo grazie al letto rimasto intonso dal giorno prima.
E si preoccupò, andando verso la porta e aprendola.
Il sole filtrava dalle nubi nere provenienti dal lontano orizzonte, un soffio gelido di vento che avrebbe fatto passare la voglia a chiunque di fare una passeggiata gli schiaffeggiò il viso, ma l’uomo non se ne scoraggiò.
Si avviò sulla spiaggia umida a grandi passi, tenendo d’occhio il mare nel caso fosse sbucata in qualche punto tra le onde, ma niente. Non vi fu riscontro.
La distesa d’acqua era più agitata del solito, come se ce l’avesse con lui che aveva perso di vista solo per qualche ora quella giovane in favore del suo ritrovato benessere, neanche fosse un giocattolo ormai desueto.
Continuò ad arrancare sulla spiaggia a piedi nudi, il fondo dei pantaloni del pigiama ormai bagnati e l’autunno che gli andava inesorabilmente incontro col suo alito freddo, finché non si fermò, stringendosi nelle spalle.
Si voltò dall’altra parte, non vedendo nessuno. Continuò a guardare avanti a sé, arrivando con lo sguardo fino alla scogliera che troncava il suo percorso, ma dovette ormai constatare la verità: Maria non era da nessuna parte.
Abbassò lo sguardo, incredulo: davvero non l’avrebbe rivista mai più?
Con uno spillo nel cuore si avviò verso casa, accompagnato da un misto tra senso di colpa e vuoto interiore dato dall’abbandono subito.
La vitalità di quella donna era unica in quel posto dimenticato da Dio, dove non si vedeva un turista neanche a pagarlo oro, e fu quando Zeno pensò rassegnato quanto gli sarebbe mancata che la scorse in lontananza.
La figurina esile si avviava verso di lui e i suoi occhi la misero a fuoco via via che si avvicinava, realizzando uno sguardo grave che non le aveva mai visto sul viso.
Quando furono abbastanza vicini, le prese il viso tra le mani, preoccupato.
Le scrutò l’espressione assunta, ravvisando un dolore che conosceva bene — Che cosa c’è? Dove sei stata?
Com’era ovvio, la donna non rispose ma si limitò a fissarlo, inchiodandolo con pupille colme di rabbia.
L’uomo se ne stupì — Sei arrabbiata con me?
Maria lo spinse via, facendo per entrare in casa e dirigersi nel bagno, dove si chiuse per un’interminabile doccia.
Zeno notò i suoi vestiti sparsi a terra, raccogliendoli con l’intenzione di lavarli.
Si rese conto che aveva un minuscolo amo appeso alle gonne, cosa che fece scaturire in lui una gelosia molto particolare, qualcosa che non aveva mai provato neanche per la sua ex moglie.
Era forse amore quello che stava provando?
No, è qualcos’altro.
Questa creatura è… speciale.
Mi sta facendo ritrovare me stesso, tirandomi fuori dal baratro in cui mi ero gettato.
Non è amore questo, è qualcosa di più bello, di pulito.
Non c’è desiderio carnale, non c’è passione, non c’è nulla di tutto ciò.
Ma non voglio che si leghi ad altri, non voglio, no.
Io…
Il pensiero venne interrotto da lei che uscì dal bagno nuda com’era stata rigettata dal mare, turbandolo non poco. Non fu però l’essere stata vista così a generare lo sguardo imbronciato di lei, che non accennò nessun tentativo di coprirsi e anzi si diresse in camera sua a passo deciso, lasciando l’uomo interdetto da un comportamento che denotava una tale noncuranza per convenzioni elementari.
Stavolta però l’uomo non volle lasciar correre, aprendo la porta per entrare nella sua stanza proprio mentre stava infilando l’abito.
Non indossava biancheria ma questo particolare, seppur notato, non sortì effetto alcuno su Zeno, che domandò — Perché sei arrabbiata con me?
Le palpebre della donna si strinsero nervose ma quella ignorò la domanda, voltandosi verso la finestra per ammirare la pioggia cadere. Alla fine l’autunno aveva sommerso il sole tra le sue spire.
— Dunque? Non hai nulla da esprimere?
Non era impazzito, sapeva bene che la donna era muta, ma si era anche reso conto che quando voleva sapeva farsi capire alla perfezione.
Con i gesti e con gli oggetti, con le espressioni Maria era molto brava e riusciva a colmare in buona parte la frattura comunicativa con gli altri.
Ma stavolta non aveva la benché minima intenzione di farlo.
Si avviò verso la sedia, ma venne preceduta da Zeno, che gliela tolse dal solito posto generando una reazione spropositata della donna, la quale gli si gettò addosso per riappropriarsene, invano.
— Niente risposte, niente sedia.
Dopo vari tentativi la donna decise di dare le spalle all’uomo, avanzando a grandi passi verso la porta d’ingresso, che aprì per poi dirigersi sulla spiaggia sotto la pioggia battente.
Sedette sul bagnasciuga a braccia conserte, il mare gonfio di rabbia sommerse le sue gambe e Zeno le corse dietro per riafferrarla, incurante delle pessime condizioni climatiche che gli avrebbero procurato un accidente se non fosse subito rientrato in casa.
— Alzati, sciocca! Vuoi ammalarti? Non ci sono farmacie qui!
La donna era irremovibile e lui di stancò del suo modo di fare, ritornando in casa fradicio e arrabbiato.
Sbatté la porta alle sue spalle, sedette su quella dannata sedia di fronte alla finestra e incollò gli occhi nel vuoto, pensando all’insolenza di quella stupida donnetta che gli si era rivoltata contro senza rivelargli il motivo.
Come si permetteva?
Lui l’aveva ospitata, aveva accettato la sua compagnia, e lei…
Ma la sua compagnia ti ha reso di nuovo te stesso.
Il suo animo parve quietarsi.
Forse dovresti accettare anche questo lato del suo carattere.
La sua riservatezza.
Non si sentì più così ingrato nei confronti della sua vita.
Si alzò, aprì la porta e si espose nuovamente alla tempesta, dirigendosi verso di lei a passi lenti.
La donna se ne stava seduta sulla spiaggia e rimase sorpresa quando i piedi della seggiola affondarono nella sabbia vicino a lei, con Zeno che le indicava il suo posto con un sorriso.
Quella sorrise a sua volta e si mosse, sedendo sul suo trono personale mentre lui le poggiò le mani sulle spalle.
I due ripresero ad ammirare l’orizzonte, incuranti di tutto il resto.
 
Forse fu la fortuna che risparmiò un brutto malanno all’uomo, il quale riuscì a cavarsela con un mal di gola molto seccante al posto di una più ovvia febbre alta.
Considerò un miracolo tutto ciò, e i giorni successivi passarono veloci come un mazzo di carte da mischiare.
La presenza della donna riempì le sue giornate, facendolo sentire utile non solo a lei, ma anche a sé stesso, che ormai aveva ripreso a scrivere senza sosta, ispirato da quella figura eterea che gli dava il tormento, ma anche quel calore umano che negli ultimi anni non aveva conosciuto.
E poi tutto cambiò.
Accadde durante una fredda notte di tempesta, una di quelle in cui vento e pioggia sembrano battersi per il possesso esclusivo delle ore notturne.
Svegliata dal rombo delle onde, aprì di scatto gli occhi e si alzò come in trance, abbandonando il caldo giaciglio per muovere delicati passi nudi verso l’esterno.
Sembrò che tutte le correnti aeree si fossero messe a bussare alla porta di casa, tanto che quando ella l’aprì, il mondo esterno l’accolse spegnendo la sua furia: le nubi ritirarono le loro catenelle d’acqua, il soffio del cielo calò d’intensità e l’infinita distesa marina la chiamò a sé, invitandola a tuffare i piedi nudi nella sabbia, che la ospitò nel suo umido abbraccio.
I capelli scuri danzarono nell’aria come serpenti, seguendo il vento nella sua danza furiosa mentre la donna avanzava con aria assente verso il mare.
Le onde s’infrangevano a riva, divorando quella lingua di sabbia sulla quale sorgeva Rivalunga, che nulla poteva opporre di fronte alla furia degli elementi, tanto che l’acqua sembrò gonfiarsi sempre più finché non sommerse le estremità della donna fino alle caviglie.
Quella si piegò sulle ginocchia, le dita stese sulla sabbia e il viso al cielo, come se acquistasse vita dal mare stesso. Un profondo respiro smosse il petto, la piccola bocca contratta in un sorriso.
Dopo un lungo momento riacquistò la posizione eretta per poi iniziare a muovere un piede dietro l’altro alla sua destra, fino a trovare il punto dov’era stata rivenuta quel mattino di poco tempo prima.
Camminò sulla marea verso l’orizzonte finché l’acqua non le arrivò alla vita, fissando il mare furioso allargò le braccia, abbracciò l’alta onda che le rovinò incontro e sparì tra i flutti, per sempre.
 
L’inconsolabile Zeno non ebbe più la forza per fare nulla dopo la misteriosa sparizione della donna, tanto da abbandonare la scrittura e passare le notti di tempesta sulla spiaggia, percorrendola da una parte all’altra nella speranza che la mareggiata gli restituisse la sua Maria.
Nelle notti di luna piena aveva l’impressione di vederla dirigersi verso di lui col sorriso incoraggiante che aveva quel giorno in cui aveva ripreso confidenza con la macchina da scrivere, ma era solo la sua immaginazione, e ogni volta era sempre più dura accettare la cruda realtà.
In breve tempo la casa tornò ad assumere quell’aspetto fatiscente che aveva prima della venuta della donna, senza stupire nessuno, visti i precedenti.
Anche il signor Nino era deceduto, stroncato da un infarto del miocardio.
Il destino aveva isolato in toto il povero Zeno, che rimaneva tutto il giorno seduto sullo stipite della porta, lasciata sempre aperta nella speranza che Maria tornasse.
 
Se ne stava a camminare per la spiaggia come ogni notte di luna piena, sperando che la luce del satellite potesse aiutarlo nello scorgere la sagoma della donna, finché non avvertì la stanchezza.
Scelse di sedere a terra, scrutando l’orizzonte con gli occhi iniettati di sangue, ormai abituati all’oscurità e allo sforzo di rimanere svegli molto più del dovuto durante le notti.
La privazione di sonno e cibo aveva provato quel fisico appena uscito da un periodo di forte stress, rendendolo ancor più magro e cianotico, tanto che ogni respiro negli ultimi giorni risultava doloroso.
La mano ossuta raccolse della sabbia, che gli dava l’impressione di essere impregnata del profumo della donna, odore che faceva correre la mente a quei momenti spensierati vissuti insieme.
E poi la vide, per l’ennesima volta, scorgendola tra i flutti che veniva verso di lui vestita solo del suo sorriso incoraggiante.
Zeno rovesciò la testa indietro, i capelli fini che ondeggiarono nell’aria mentre diceva — So che non sei tu, mero frutto della mia immaginazione. – per poi ricredersi quando sentì le dita avvolte nella carne morbida della donna.
— Non… puoi essere tornata. – balbettò, ammaliato dal suo sorriso – O sì?
Quella s’inginocchiò di fronte a lui, regalandogli una carezza sulla guancia scavata dalle mancanze. Gli prese ambo le mani esortandolo a tirarsi in piedi, e all’improvviso la stanchezza non fece più parte delle sue membra, avvertì la forza scorrergli nelle vene ed ebbe l’impressione di esser ringiovanito.
Il suo aspetto aveva ripreso colore, le rughe sulla fronte erano sparite e con esse le occhiaie violacee.
Ricambiò il sorriso della donna, seguendola nel suo tragitto verso il mare, permettendo che l’acqua lambisse i piedi, le gambe, il corpo.
Sprofondando negli abissi insieme a lei, senza lasciare traccia sul placido specchio d’acqua illuminato dalla luna.

 

*** Angolino dell'autrice***
Sarà stata davvero Maria quella che Zeno ha visto durate la sua ultima notte di vita?
Oppure è stato il suo delirio ad averlo portato al suicidio?
Non lo sapremo mai. La storia finisce qui.
Non ho voluto definire la figura di Maria, in quanto mi piace dare al lettore la possibilità di farsi una sua idea. In questo caso penso ci stia bene, essendo comunque una figura molto misteriosa.
Mi sono divertita a scrivere questa storia breve, mi piace buttarne giù, è una cosa breve ma intensa.
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno seguito la storia, che rivedrò tra qualche tempo per correggere errori che (sicuro) sono presenti.
Grazie in special modo a Sofia, che mi ha lasciato delle belle recensioni ♥
Alla prossima storia.

- A.

 

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