My Dream Come True

di Cassidy_Redwyne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Cos'era quel rumore?

Mi dava fastidio.

Continuava.

Perché non smetteva? Cos'era?

La sveglia. Era la sveglia.

Sbadigliando rumorosamente, allungai una mano e spensi quell'oggetto infernale. Segnava le otto e mezzo. 

Perfetto, pensai, stirandomi. Quindi mi alzai barcollante dal letto, aprii un'anta dell'armadio e buttai sul letto uno sgualcito paio di pantaloni da equitazione, una camicia color crema e un paio di vecchi calzini.

Dopo essermi lavata il viso mi vestii e scesi al piano di sotto. Salutai i miei genitori, bevvi velocemente una spremuta, preparai un panino in tempo record e uscii di casa.

Abitavamo in campagna, circondati da orti, fitti boschetti e, dato che eravamo nel periodo estivo, anche da ettari ed ettari di campi incolti sui quali si stagliava qualche solitaria balla di fieno, miracolosamente sopravvissuta all'afa di quell'anno. Mentre mangiavo, mi avviai lungo il sentiero vicino a casa, diretto al maneggio. Mi svegliavo presto tutte le mattine e passavo le giornate lì. Così volevo trascorrere l'estate.

In maneggio era arrivata da poco una nuova cavallina. Aveva un nome davvero impossibile da ricordare, mi pareva iniziasse con "Hope", ma veniva chiamata Honey per via del suo manto palomino. 

Il giorno prima Michele, il mio istruttore, mi aveva detto che quella mattina avrei montato lei e infatti la trovai legata al gancio del suo box. Michele mi spiegò quali finimenti usare e iniziai a pulirla. Non era molto alta, ma aveva un aspetto atletico e scattante. Sotto il pelo lucido, però, si intravedevano lunghe cicatrici e numerose fiaccature. Non sarebbe stato semplice, per niente, pensai. Nessun nuovo cavallo arrivato nel mio maneggio era semplice da montare.

 

«Sul verticale, Sarah!» urlò Michele.

Spronando appena Honey, le feci fare un circolo al galoppo e quindi mi diressi verso l'ostacolo, un verticale di circa ottanta centimetri.

Sentii la palomina irrigidirsi durante l'avvicinamento e cercai di tranquillizzarla, ma era troppo tardi: Honey fece un brusco scarto di lato e io caddi da cavallo, dritta sul piliere. 

Mi alzai in piedi, furibonda. Era tutta la lezione che quella cavalla schizzata cambiava idea sul salto. Mi massaggiai le gambe. Ero caduta di schiena, per fortuna indossavo il corpetto.

«Tutto bene, Sarah?» domandò Michele, avvicinandosi.

«Non va bene per niente!» sbottai, recuperando la cavallina. «È terrorizzata da tutto!»

«Eppure pensavo che lei sarebbe stata quella giusta...» borbottò lui. 

«Ma perché non ti decidi a comprare dei cavalli normali?» sbottai, salendo in sella.

«Sai bene che fine avrebbe fatto Honey se non l'avessi comprata io» tagliò corto lui, rabbuiandosi.

Sospirando, ripresi in mano le redini e riprovai. Michele mi aveva abbassato il verticale da ottanta a settanta centimetri, ma dubitavo comunque di farcela.

«Non dubitare» disse lui, quasi leggendomi nel pensiero. «Con una cavalla del genere poi!»

Da mano destra, partii al galoppo da un circolo e condussi la palomina sull'ostacolo. Accorciai le redini e continuai a tenere i talloni premuti contro il suo costato. Honey sembrava più tranquilla. 

Proprio davanti all'ostacolo, però, la cavalla si arrestò. Non me lo aspettavo proprio, così istintivamente la spronai. E Honey saltò... da ferma.

Ricaddi pesantemente sul suo collo, perdendo le staffe. La palomina cominciò a sgroppare con violenza e io caddi nuovamente. Mi mancò il respiro per un attimo. Rimasi in terra e, voltando leggermente la testa, potei vedere Honey intenta a smontonare contro il nulla, sgroppando e sbuffando come se sopra di lei fosse rimasto qualcuno. La mia conclusione era una sola: quella cavalla era completamente pazza.

«Le faccio fare un giro io, poi mettila dentro» annunciò con tono cupo Michele, aiutandomi ad alzarmi.

 

Mentre dissellavo Honey incrociai Alessia, che stava andando in campo.

«Sarah! Com'è andata con la cavallina nuova?» domandò.

«Uno strazio...»

«Quante volte sei caduta?»

Le feci un segno con le mani.

«Sei volte? In mezz'ora? Sei peggiorata non poco» ridacchiò, accarezzando il manto baio chiaro del suo cavallo, Falco. Era arrivato in maneggio maltrattato e trasandato, ma con le cure di Alessia era tornato un bellissimo cavallo. C'era solo qualche cicatrice sul collo e sulla groppa a tradire il suo bell'aspetto.

«Io vado, a dopo» concluse lei, tenendo Falco per le redini mentre si allontanava.

Sospirai, mettendo Honey in box. A volte non riuscivo a capire se Alessia mi voleva bene o meno. Faceva parte del gruppo di cavallerizze che odiavo, ma con me si era sempre dimostrata gentile. C'erano però alcuni commenti e delle battute che lo mettevano in dubbio e non sapevo fino a che punto avrei potuto considerarla un'amica.

Dei nitriti terrorizzati mi fecero trasalire. Provenivano dalla doccia. 

Mi affacciai, perplessa.Un grigio magro e dal pelo sporco si stava impennando, spaventato. Azzurra, la stalliera, cercava di tenerlo saldamente per la longhina.

«Sta' buono!» brontolò, mentre il cavallo le girava intorno.

«Vuoi una mano?» domandai, entrando.

Lei annuì, esausta. 

Accarezzai lentamente il pelo sudicio dell'animale, attenta a non guardarlo negli occhi, e lo afferrai per la capezza.

«Prova adesso» mormorai. «Ma devi lavarlo per forza?» aggiunsi. Non avevo mai visto quel cavallo prima d'ora.

«Sì, per forza. È un cavallo nuovo ed ha un problema agli arti. Vanno bagnati spesso» spiegò Azzurra, puntando la canna sulle zampe del grigio, massaggiando delicatamente. Il cavallo aveva gli occhi sbarrati e il fiato corto, ma stava finalmente fermo.

Uno scalpiccio di zoccoli mi fece voltare. Una ragazza dai capelli lunghi e castani ci stava fissando, mentre si allacciava il cap. Aveva accanto una piccola cavalla saura dall'aria tranquilla. 

Levai gli occhi al cielo. Benny e Paprika.

«Chi è questo cavallo? I suoi nitriti strazianti si sentono dappertutto!» gridò.

«Benedetta, lo abbiamo appena calmato, parla piano. Si chiama Wind, è arrivato oggi. Salvato dal macello, ovviamente» disse Azzurra, senza scomporsi. La ammiravo per il suo sangue freddo con quell'odiosa ragazzina.

«Ah... be', io vado. A proposito Sarah, bellissimi i tuoi numeri da circo in campo. Davvero esilaranti!» ridacchiò, prendendo Paprika per le redini ed allontanandosi.

Non appena ebbe superato i box, le feci il terzo dito. 

«Lasciala perdere. Ha troppa fifa per montare Honey, ma deve far notare a tutti la sua superiorità» disse Azzurra, chiudendo l'acqua. «Ti dispiacerebbe riportarlo in box?» aggiunse.

«Posso portarlo un po' al prato, prima?» domandai. Speravo di vedere la lezione.

Lei annuì, e io condussi il grigio davanti al campo ostacoli, nel prato. Era una bellissima giornata di sole e i raggi illuminavano l'erba, rendendola verde brillante.

Wind camminava fiero, e notai che gran cavallo che era. Aveva un fisico asciutto e atletico, collo armonioso e muso proporzionato.

Mi sedetti sull'erba e lasciai pascolare il grigio, mentre seguivo distrattamente la lezione. Benny e Alessia si spingevano fino ad un metro e trenta di altezza: le due amazzoni si fidavano completamente dei loro cavalli, che saltavano con grazia e sicurezza.

Mi morsi il labbro. Il nostro era un maneggio particolare, Michele aveva il vizio di acquistare tutti gli scarti degli allevamenti, animali finiti al macello per un motivo o un altro. Erano cavalli difficilissimi, impegnativi e faticosi, ma con una grande pazienza riuscivamo a farli tornare quasi tutti cavalli da scuola. Poi ovviamente c'erano i cavalli ormai persi, che Michele di solito vendeva, perché pericolosi per noi allieve. Ma dava a tutti una possibilità, stava a loro la scelta, se seguirlo oppure no.

Frequentavamo quel maneggio da anni: ormai tutte avevano il loro cavallo prediletto, praticamente di loro proprietà. Ero l'unica che passava con rassegna da un cavallo a un altro, cercando quel qualcosa in più che nessuno possedeva. Montavo cavalli sempre più selvatici e faticosi, credendo forse in qualche miracolo, ma a parte ossa rotte e ammaccature non avevo guadagnato altro. Stavo ormai per perdere la speranza. 

Vidi Alessia dare un'affettuosa pacca a Falco, dopo un percorso impeccabile, e istintivamente mi salirono le lacrime. Falco non si faceva toccare da nessuno, era aggressivo e spaventato da tutto. Anche adesso non era lo stesso, se non era Ale a montarlo. Erano proprio un binomio.

"Il tuo cavallo è dietro l'angolo, devi solo svoltare quello giusto!", mi ripeteva scherzosamente Michele. Ma possibile che quell'angolo fosse così lontano?!


Ehilà!
Questa storiella è stata scritta da una me tredicenne infanatissima per il mondo dell'equitazione e mai pubblicata su questo sito per la mancanza di una vera e propria categoria per le storie sportive, ma oggi mi sono detta "Perché no?". Per cui, eccomi qui.
Non ho molto da dire al riguardo, se non che è una storia (già conclusa) di 25 capitoli senza troppe pretese, che potete trovare anche su Wattpad. Un piccolo disclaimer, visto il tema centrale e l'uso molto ricorrente di "termini tecnici", consiglio caldamente la lettura agli appassionati di equitazione. Per chi è del tutto estraneo al mondo dei cavalli, infatti, potrebbe risultare piuttosto noiosa.
Altra cosa. I primi capitoli, come avrete modo di notare, sono brevissimi, ma si allungheranno notevolmente!

Un bacio e a presto,

Cassidy.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Quella mattina stavo facendo colazione con i miei genitori, che guardavano il notiziario, quando ci fu un servizio dedicato all'equitazione.

Alzai il volume, incuriosita. Parlavano di un famoso cavallo da salto baio, un certo Glory Von Schwarz. Lo avevo visto qualche volta in televisione, parlavano di lui come un innato saltatore completamente fuori di testa. 

Per poco non sputai tutta la spremuta che stavo bevendo. 

L'inviata aveva un'aria scossa, mentre ripeteva queste parole: "Von Schwarz, il famoso cavallo da salto, uccide il proprio cavaliere durante una competizione. L'incidente è avvenuto a metà percorso, l'uomo, che stava..."

Ascoltai il servizio con attenzione, senza riuscire a staccare gli occhi dallo schermo. L'incidente era avvenuto durante una competizione nella nostra città, e la cosa mi fece ulteriormente rabbrividire.

Con grande fatica, mandai giù qualche altro biscotto. Avevo lo stomaco completamente chiuso. Immaginai Honey calpestarmi e uccidermi con violenza, il giorno prima, e sentii un brivido freddo percorrermi il corpo. I miei genitori mi scrutavano in silenzio.

«Magari Michele riesce persino a comprarlo!» scherzai, cercando di sdrammatizzare.

«Quello ha fatto una brutta fine, dammi retta» disse serio mio padre.

I miei non erano grandi appassionati di equitazione, ma non sembravano contrari a questo tipo di sport. Ero sicura che, se avessi insistito, mi avrebbero comprato pure un modesto cavallo: ero abbastanza brava a scuola e mi comportavo bene. Ma ero decisa a trovarlo come avevano fatto tutte, e ci sarei riuscita.

«Allora a dopo!» li salutai, dopo aver faticosamente finito la colazione, prendendo lo zaino e uscendo di casa, diretta al maneggio.

 

Quella mattina tutti non facevano che parlare della vicenda di Glory Von Scwharz. 

Tra un commento e l'altro, riuscii anche a strappare a Michele qualche informazione su Wind. Era un cavallo di campagna che viveva nel piccolo recinto di un podere, neanche troppo lontano da casa mia. Saltava lo steccato di continuo per andare a pascolare e il suo padrone, un contadino della zona, lo frustava senza pietà, bastonandogli le zampe per impedirgli di saltare il recinto. Il cavallo era diventato inavvicinabile ma, con le zampe gonfie e doloranti, non poteva più saltare alcuna staccionata. Dopo la morte del contadino, era stato mandato al macello e salvato da Michele. Era un incrocio e, a giudicare dall'aspetto e dal carattere, in corpo doveva avere sangue andaluso e arabo, ma il mio istruttore era certo che avesse anche qualcosa di una razza tedesca, come l'holsteiner. Quanto all'età, aveva all'incirca una decina d'anni, ma forse non era neanche stato domato.

«Ah» fu tutto quello che riuscii a dire, alla fine del racconto. Non mi aspettavo una storia così particolare.

Eravamo davanti al box di Wind, seduti su dei secchi rovesciati.

«Chissà quanto avrà sofferto, povero animale» borbottò Alessia, accarezzandogli il naso.

Wind, per tutta risposta, alzò violentemente la testa e sparì dentro al box. A quanto pareva, non gli piaceva essere toccato.

«Cosa intendi fare con lui?» domandai a Michele.

«Prima di tutto deve iniziare a fidarsi di noi. Propongo di liberarlo un po' nel tondino perché si sfoghi e cominciare a guadagnarci la sua fiducia. Poi il resto, pian piano, verrà da sé. L'infiammazione che ha agli arti lo rende più fragile, ma la zoppia con le giuste cure passerà. Dipende tutto da lui. Vediamo quanto è disposto ad accettarci» rispose Michele con calma.

Wind intanto aveva fatto capolino dal box, e il mio istruttore si stava lasciando annusare il dorso della mano. Il cavallo sbuffava curioso, ma non sembrava spaventato.

«Ce la fate a mettergli la cavezza?» aggiunse, alzandosi in piedi e incamminandosi verso il Club House. Doveva essere arrivato qualcuno.

«Credo di sì» disse Alessia, correndo il selleria. Poco dopo tornò con una capezza color turchese.

«E questa?»

«L'avevo ordinata per Falco, ma la misura è sbagliata. Volevo rispedirla, ma a Wind dovrebbe stare» spiegò lei. «Gliela metti tu?» aggiunse.

Presi la capezza in mano e quindi feci scorrere la porta del box. 

Wind si appiattì in un angolo, scrutandomi minacciosamente.

«Buono...» sussurrai, avvicinandomi lentamente. «Buono» ripetei, notando che il cavallo si appiattiva sempre di più contro la parete del box.

«Così...» mormorai con un filo di voce, lasciando la frase in sospeso mentre gli avvicinavo la capezza al muso.

Wind sgranò gli occhi e in una frazione di secondo mi fu addosso. 

Caddi all'indietro gridando, mentre il cavallo ansimava e si dibatteva, rischiando di calpestarmi. Mi feci scudo con le braccia, appiattendomi a terra sul morbido della lettiera. Sentivo il suo fiato caldo sul collo e poi il suo respiro affannoso, ma leggermente più distante.

«SARAH! Tutto bene?» 

Alessia si affacciò al box e, spaventato dal suo urlo, Wind fece un altro scarto, tempestando di calci la parete.

«Vado a chiamare Benny» esclamò con veemenza, vedendomi raggomitolata a terra.

Mi misi in ginocchio con un profondo respiro, cercando di non fissare negli occhi il cavallo che avevo davanti. Eppure il giorno prima non mi era sembrato un animale così inavvicinabile...

Mi alzai in piedi con cautela e lentamente uscii dal box. Avevo paglia e trucioli dalla testa ai piedi, ma non mi ripulii nemmeno. Solo allora mi accorsi che non ero sola. 

Davanti a me c'era una ragazzina gracile, dai lunghi capelli biondi. Era Deborah, aveva qualche anno meno di me e frequentava il maneggio da non molto.

«C'è il cavallo nuovo?» domandò con un filo di voce. «Là dentro» precisò, indicando il box dal quale ero miracolosamente uscita intera.

«Sì, Wind. Ha un bel caratteraccio» risposi, scuotendomi i capelli corvini per liberarmi dai fili di fieno.

«Ho notato» rispose lei, accennando un sorriso.

In quel momento irruppe Alessia, seguita da Benedetta, che ci guardava con un'aria di superiorità, come chiedendosi che cosa ci facesse in mezzo a persone come noi.

«La capezza, Sarah» si limitò a dirmi, con sufficienza.

Gliela porsi e Benny entrò. Non feci nemmeno in tempo a elaborare un commento velenoso da fare per quando sarebbe uscita senza cavallo e magari con un bel morso sul braccio, che uscì con Wind che la seguiva docilmente.

«Bravo piccolo» mormorò, accarezzandogli il collo.

Deborah la fissava ammirata e io ribollii di rabbia. Non solo avevo fatto una pessima figura con una principiante, ma ci si metteva pure quell'antipatica a rigirare il coltello nella piaga, trattando Wind come fosse il cavallo più tenero del maneggio.

Benedetta mi fissò un attimo, poi fece un cenno ad Alessia, che afferrò il grigio per la capezza turchese.

«Scusami, ma mi fido più di lei. Sai com'è...» disse con un sorriso perfido, allontanandosi a grandi passi.

Deborah intanto continuava a fissare Wind, colpita.

«Deborah, vuoi venire con noi? Portiamo Wind in tondino e... Sarah, dove vai?» urlò Alessia confusa, vedendomi scappare via.

Mi allontanai a passo di carica dai box, furiosa e con le lacrime agli occhi. Non appena fui certa di essere lontana dalla visuale di Alessia e Deborah, mi misi a correre, con così tanta energia che ben presto non mi sentii più le gambe. Dopo costeggiato i paddock, correndo fino a mozzarmi il fiato, mi fermai e alzai lo sguardo, ansimante.

Mi ero bloccata davanti al paddock di Honey, constatai, vedendola pascolare oltre la staccionata. I paddock del mio maneggio erano davvero molto vasti, tanto da arrivare fino ai margini del bosco vicino.

Mi sentivo davvero amareggiata per quel che era successo e la corsa non mi aveva aiutata granché. Mi guardai intorno e, vedendo che in giro non c'era nessuno, superai lo steccato evitando il filo della corrente e mi avvicinai ad Honey. La cavalla drizzò le orecchie, venendomi incontro. I cavalli con cui condivideva il paddock alzarono la testa, incuriositi. 

In quel momento Honey voltò di scatto la testa, catturando l'attenzione degli altri cavalli, che la imitarono. La cavalla nitrì verso il sottobosco, palesemente agitata.

Come conseguenza di un segnale impercettibile che non dovevo avere colto, i cavalli partirono selvaggiamente al galoppo. Dovetti spostarmi bruscamente di lato, perché rischiavo di essere investita dalla furia cieca degli animali, che galoppavano come impazziti ai lati del paddock, le code e le criniere che ondeggiavano al vento e gli occhi che scrutavano spaventati i margini del bosco che poco prima avevano attirato l'attenzione di Honey.

«Cosa diavolo succede?» strillai, in preda al panico.

Dalla boscaglia schizzò fuori una figura scura, che mi mancò per un soffio, strappandomi un urlo terrorizzato. 

Era un enorme cavallo scuro, con una coperta blu ridotta a pezzi. Era baio, imponente e graffiato in più punti: aveva uno sguardo spaventato, quasi tetro e, con il fiato corto, aveva raggiunto Honey e gli altri cavalli più avanti.

Dopo un ultimo tentativo di togliersi la coperta lacera di dosso, quella cadde sull'erba. Ne approfittai per avvicinarmi e prenderla in mano, e di colpo avevo di nuovo voglia di urlare.

Sopra c'era ricamato il nome "Glory Von Schwarz".
 

Ecco a voi il secondo capitolo! Scusate, come vi avevo avvertito è molto breve (e scritto pure malino, eh eh), ma i prossimi si allungheranno notevolmente. Spero di avervi incuriosito almeno un po' con la comparsa di questo equide :*
Ringrazio di cuore nohoramarcela per aver recensito la storia ed averla messa fra le ricordate, e anche solo chi le ha dato un'occhiata silenziosa. Spero di sentire i vostri pareri, mi farebbe davvero piacere!

Un bacio,

Cassidy.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




«Sì. Il cavallo. Lo abbiamo qui. Scappato? Probabile. Una mia allieva lo ha trovato con capezza e longhina ancora addosso. Che cosa?! Non più di un giorno, ovviamente...»

Era da una decina di minuti che Michele stava parlando al telefono con il proprietario di Glory, nel Club House. Io, seduta su una sedia in veranda, mi ero ormai arresa a cercare di capire il loro discorso.

Avevamo preso il baio, che adesso si trovava in box. Benny se n'era subito innamorata ed io non riuscivo proprio a capirla, visto che a me dava i brividi. Era rimasta vicino al suo box tutto il tempo, vantandosi di averlo trovato e preso con facilità. Peccato che ero stata io a vederlo per prima e che sempre io, stavolta con Mich, ero stata mezz'ora a cercare di avvicinarlo, mentre Benedetta era a mandare messaggi col cellulare alla staccionata.

«È scappato stamattina, mentre tentavano di portarlo via» spiegò Michele, abbassando la cornetta. «Ma dovrà...»

Non afferrai l'ultima parte del discorso, perché nel frattempo io mi ero alzata, avviandomi in scuderia. Avevamo già pranzato e la lezione pomeridiana sarebbe cominciata a breve. 

Mi fermai davanti al tondino, situato poco lontano dai box, dove Alessia e Deborah avevano lasciato Wind in mia assenza. Mi avevano raccontato che il grigio all'inizio era come impazzito e che aveva galoppato e sgroppato come un matto prima di calmarsi. 

Mi avvicinai alla staccionata. Avevano messo a Wind una coperta da box e delle fasce sulle zampe malandate e gli avevano anche lasciato una razione di mangime, notai, vedendo il cavallo immergere il muso nel secchio e masticare con energia.

«Wind! Vieni qui» esclamai, appoggiandomi alla staccionata e fischiando per attirare la sua attenzione.

Dopo qualche attimo di indecisione, il cavallo mi si avvicinò, rimanendo ad una distanza di sicurezza. Allungando una mano, gli accarezzai la corta criniera scura.

Era un cavallo splendido e mi piaceva proprio, eppure era ancora troppo diffidente. Honey sarebbe stata più alla mia portata, ma non sembravamo troppo affiatate. 

Lanciai un'occhiata distratta al Club House e Michele e Benedetta, in piedi sulla veranda, attirarono la mia attenzione. Stavano confabulando tra loro e il mio istruttore pareva molto arrabbiato. Incuriosita, cercai di capire cosa si stessero dicendo, ma ero troppo lontana. 

Mi allontanai confusa dal tondino, troppo immersa nei miei pensieri per notare Deborah che si avvicinava a Wind con gli occhi che le brillavano.

****

«Benedetta con Paprika, ovviamente! Alessia, tu con Falco. Sarah... tentiamo con Honey?» Michele stava decidendo a chi assegnare i cavalli e adesso fissava me con aria speranzosa.

Annuii scrollando le spalle. Avremmo fatto una passeggiata e l'idea mi piaceva, prima di scoprire che sarebbe venuta anche Benny. Ovviamente!

Una volta finito, Michele ci spedì a preparare i cavalli.

Presi dalla selleria una capezza e una longhina e corsi ai paddock per prendere Honey. Tornata nelle scuderie, la legai ad un box e cominciai a pulirle il trasandato manto palomino.

Honey era stata una famosa saltatrice ma, dopo la sua vincente ma breve carriera, era finita in misere condizioni, trascurata e trattata malissimo. Non essendo nemmeno una cavalla semplice da montare, era stata mandata al macello. 

Mentre le passavo delicatamente la spazzola sulle cicatrici, cercando di non farle male, riflettei sulla sfortuna che aveva avuto Honey. Avrebbe potuto continuare a fare salto ostacoli, magari in maneggio, e invece era finita in mani sbagliate, completamente ignoranti e sprecate per un talento come il suo.

"Spark of Hope" lessi ricamato sulla sua coperta sgualcita, mentre gliela posavo sulla groppa. Il vero nome di Honey: che fosse quel barlume di speranza ad averla portata nel nostro maneggio? 

Cercando di ignorare Glory vicino a noi, che rampava contro la parete del suo box, sellai la la cavallina. Mentre allacciavo il sottopancia, notai con la coda dell'occhio Benedetta che, mentre preparava Paprika per la passeggiata, parlava fitto fitto con le sue amiche, anch'esse intente a sellare i loro cavalli. 

Tesi l'orecchio, cercando di capire cosa si stessero dicendo.

«Sapete?» stava dicendo lei. «Probabilmente ho convinto Michele a far rimaner...»

«Sarah!»

«Cosa vuoi?!» quasi urlai contro al mio istruttore, irritata per  non aver capito cosa stava dicendo quella stupida di Benedetta.

«Mi chiedevo solo se potevi sellarmi Harvard, visto che hai finito con Honey. Lo monterò io in passeggiata» disse lui piano, stupito dalla mia reazione.

Annuii sospirando, mentre mi accingevo a fare come richiesto.
 

«Non capisco perché non potevamo percorrere un sentiero di campagna» chiesi poco dopo a Michele, durante la passeggiata. 

Camminavamo in fila indiana sul ciglio della strada e  sentivo Honey terrorizzata sotto di me. Le macchine, poi, sfrecciavano rapide come se non esistessimo, facendo prendere un grande spavento ai cavalli.

«Perché è la via più breve. Superato questo tratto di strada, saremo in campagna comunque» spiegò Michele, stringendo saldamente le redini di Harvard, che in quel momento stava mostrando una certa curiosità mista a paura verso un motorino che ci passava vicino.

Sentii le zampe di Honey cedere per il terrore per il rombo del motorino. Le accarezzai il collo, cercando di tranquillizzarla.

Io venivo subito dopo Michele e il suo baio Harvard, i primi della fila. Dato che per Honey era la prima passeggiata in strada, avevamo deciso di metterla dietro un cavallo abbastanza esperto nei trekking come lo era Harvard. Dietro di me c'erano Falco e Alessia, poi Benedetta e Paprika e ancora dietro le loro amiche con i loro cavalli.

Michele voltò la testa di lato, incrociando lo sguardo di Benedetta.

«Benny, tutto bene con Paprika? Lei di solito fa un po' di storie sulla strada.»

Lei annuì sorridendo, quando il sorriso le morì sulle labbra. Mi voltai nella direzione in cui guardava e vidi un imponente pullman spuntare da una curva e venire nella nostra direzione.

«State attente» si raccomandò Michele, spingendo Harvard più a lato che poteva, cercando comunque di evitare il fosso che avevano accanto. 

Io incoraggiai Honey a fare lo stesso, ma lei si buttò completamente nel fosso parallelo alla strada, quello che il mio istruttore e il suo cavallo avevano accuratamente evitato.

«Complimenti...» borbottai, cercando di farla risalire sul bordo. I suoi movimenti erano resi goffi dall'erba,  che le arrivava fin sopra la spalla.

«Rimani lì, invece! Così, anche se si dovesse spaventare, non si butterà sulla strada. Honey ha avuto una buona idea... Ragazze, fate come Sarah!» disse Michele, fissando con apprensione il pullman che si avvicinava sempre di più.

Alessia fece avvicinare Falco al fosso e, dopo qualche indecisione, riuscì a farlo entrare. Una dopo l'altra le ragazze fecero come era stato detto, mentre il nostro istruttore rimaneva sul ciglio della strada con Harvard, che fissava come rapito l'autobus che sfrecciava verso di noi.

«PAPRIKA! Muoviti!» La voce decisa di Benedetta mi costrinse a voltarmi. 

La pony saura non aveva alcuna intenzione di entrare nel fosso, e i suoi zoccoli rumoreggiavano ritmici sull'asfalto, mentre retrocedeva al centro della strada.

«PAPRIKA!» Questa volta Benny aveva la voce incrinata dalla paura. 

L'autobus ormai era vicinissimo. 

Improvvisamente ebbi una strana sensazione di vuoto in fondo allo stomaco, e un tremore mi si diffuse sulle mani che stringevano le redini di Honey. 

Paprika, togliti di lì. Va' via da lì, pensai, in preda al panico.

«BENEDETTA! SCENDI DA CAVALLO!» urlò Michele e, per la prima volta da quando lo conoscevo, il suo volto indecifrabile assunse un'espressione spaventata. Lo vidi scendere da cavallo e consegnarmi in fretta e furia le redini di Harvard, che afferrai al volo, trascinando il baio dentro al fosso con il resto del gruppo.

Paprika sembrò finalmente accorgersi del pullman che veniva verso di noi e che procedeva spedito come se nulla fosse. La sua reazione fu quella di una cavalla problematica che aveva subito gravi traumi, come del resto era.

Da completamente ferma che era, scattò in avanti sulle zampe anteriori, impennandosi a candela e colpendo la testa di Benedetta con la propria.

Alla peggio, pensai speranzosa, l'autobus avrebbe frenato. Non ci sarebbe stato nessun incidente, dissi tra me e me cercando di rassicurarmi, prima di vedere Benedetta crollare all'indietro e Paprika perdere l'equilibrio sull'asfalto e rovesciarsi da dietro addosso a lei.

Le macchine che venivano dal lato opposto frenarono immediatamente, con uno stridio sinistro che commentava senza parlare l'orrore dettato da quella scena. 

Michele corse da lei e l'autobus frenò esattamente a un passo dall'incidente. Paprika si rialzò malferma sulle gambe, coperta di graffi e scappò via sulla strada, terrorizzata, evitando le auto ferme per un soffio.

Avevo la gola secca, mentre il mio sguardo si posava sulla pozza di sangue sull'asfalto. 

Vidi indistintamente alcuni autisti uscire dalle proprie vetture e l'ultima cosa che sentii fu Michele che urlava di chiamare un'ambulanza. Poi mi sentii mancare e divenne tutto buio.

 

Salve a tutti e scusate la fine del capitolo vagamente inquietante! ç-ç
Ringrazio Yogurt_4_Ever per aver messo la storia tra le preferite, e anche solo chi le ha dato un'occhiata.

Alla prossima! 

Cassidy.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Aprii lentamente gli occhi e mi accorsi di essere sdraiata. 

Tastai la superficie su cui ero distesa e scoprii che era morbida. Ero su un letto. 

Le pareti bianche, la stanza silenziosa, la tenda che mi divideva da un altro paziente... in un attimo capii. Ero in ospedale.

«Ti sei svegliata.» 

Alessia era seduta vicino al mio letto, con il volto pallido e i capelli tutti spettinati.

«Perché sono in ospedale?» chiesi, meravigliandomi di come la mia voce fosse impastata. «Io sto benissimo.»

«Sei svenuta» mormorò la mia amica molto lentamente. «Ti ci hanno portata per sicurezza.»

Sbattei le palpebre, mettendomi seduta. Ora ricordavo: la confusione del traffico, i capricci di Paprika, quel tonfo sull'asfalto, Benedetta...

«Come sta?!» esclamai. «Benedetta... Come sta?»

Alessia mi fissò a lungo, prima di sospirare.

«È viva.»

Mi si tolse un peso dal cuore. In quelle condizioni, sanguinante e immobile sulla strada, avevo subito pensato al peggio. Sospirai di sollievo.

«È viva, ma ha subito dei gravi danni» continuò Alessia, abbassando lo sguardo. «Il cap probabilmente le ha salvato la vita, ma le radiografie hanno rivelato un trauma cranico, una gamba spappolata e diverse costole fratturate. Una di esse le ha quasi perforato un polmone, e ha rischiato un'emorragia interna.»

Il mio sollievo svanì in un attimo. Giusto. La mia amica aveva detto "È viva", non "Sta bene". Non che ci tenessi a lei, anzi, la odiavo, ma non ero così cattiva da augurarle una brutta fine.

«I medici sono sicuri che si rimetterà, ma i tempi potrebbero essere molto lunghi» concluse lei.

«Mi dispiace...» dissi con sincerità. «I genitori di Benedetta potrebbero anche far causa a Michele. Non è colpa sua, ma era sotto la sua responsabilità» riflettei.

«I suoi genitori conoscono Michele, sono sicura che non farebbero una cosa del genere. Li ho visti discutere con lui, prima. Erano a pezzi, ma non sembravano arrabbiati. È il destino di Paprika che mi preoccupa. Le ha quasi sfatto una gamba. Era fuori di sé» rispose la mia amica.

La rividi cadere addosso a Benedetta, alzarsi, graffiata e sanguinante, e scappare via sulla strada, galoppando spaventata con gli occhi strabuzzati. Il rumore dei suoi zoccoli ferrati sull'asfalto, che lasciavano impronte insanguinate, mi risuonò straziante nella mente. Trattenni a stento un gemito, con la testa fra le mani.

Alessia mi posò una mano sulla spalla, e la sentii trattenere un singhiozzo.

Non era facile nemmeno per lei. Non era facile per nessuno.

 

I miei genitori mi vennero a prendere in ospedale, quel pomeriggio.

Mentre camminavo a testa china nel corridoio, incrociammo Michele. 

I miei si fermarono a parlargli ma, prima di rivolgersi a loro, lui mi rivolse un'occhiata strana, quasi volesse supplicarmi. Lo conoscevo abbastanza bene per capire all'istante cosa significasse quello sguardo. Ma io non avevo alcuna voglia di raggiungerlo al maneggio, non dopo tutto quello che era successo.

Dopo essersi salutati, i miei genitori proseguirono e, prima che potessi seguirli, il mio istruttore mi bloccò un braccio.

«Sarah... ho bisogno che tu venga in maneggio.»

«Non voglio» mormorai, fissando il pavimento. «Non mi va proprio.»

«Sarah, ti prego.»

Mi liberai dalla sua stretta ferrea e lo fulminai con lo sguardo. Non era l'unico a stare male.

«Ho detto che non mi va» sbottai, correndo via per raggiungere i miei.

 

Il resto della giornata lo passai chiusa in camera, a faccia in giù sul letto.

Non potevo credere che Michele potesse essere così egoista. Sebbene si comportasse spesso in modo infantile, aveva ventun'anni, non era un bambino e di conseguenza non doveva comportarsi in quel modo.

Mi rigirai fra le lenzuola, con gli occhi sbarrati.

«Sarah! È pronta la cena» annunciò mia madre dal corridoio, senza aprire la porta.

«Non ho fame» borbottai per tutta risposta.

Lei sospirò e sentii i suoi passi rimbombare sulle scale al piano di sotto.

Sospirai a mia volta. 

Dannato Michele. 

Avevo le idee abbastanza chiare su cosa avrei fatto il giorno dopo.

***

Il maneggio era silenzioso come non lo era mai stato, quella mattina. Non uno scalpiccio di zoccoli sullo sterrato, non un nitrito, non il solito chiacchiericcio delle cavallerizze tipico della mattina.

Si udiva solo il masticare dei cavalli nei loro box.

Alla fine, spinta da non so esattamente quale sentimento, avevo deciso di venire. 

Michele era seduto sulla panca del Club House, e come immaginavo, c'era anche Alessia. Vicino a lei era seduta una delle tante amiche di Benedetta. C'eravamo solo noi.

«Ciao Sarah, alla fine sei venuta!» mi salutò Michele con un sorriso forzato.

Annuii, sedendomi vicino a loro.

«Mi aiutate a dare il mangime ai cavalli in paddock? Ho nutrito solo quelli nei box» chiese poi, alzandosi e facendoci cenno di seguirlo.

Mentre camminavamo lungo la strada che costeggiava i paddock, diretti al fienile, prendemmo un po' di distanza dal nostro istruttore.

«Ha costretto anche te, immagino» dedusse Alessia, parlando a voce bassa.

«Certo. Lo odio quanto si comporta in modo così infantile.» 

«Sarà anche infantile... ma non è niente male! Se fossi un po' più grande...» bisbigliò l'amica di Benedetta, lanciandoci un'occhiata d'intesa, che mi lasciò di stucco. Michele era come un fratello per me e non avevo intenzione di vederlo in altro modo.

Mentre Alessia rideva a crepapelle dopo la sua affermazione, un nitrito improvviso ci costrinse a voltarci. 

In uno dei paddock più distanti dal maneggio, in preda al nervosismo, con il manto sporco e trasandato, c'era un enorme cavallo baio. Glory.

«Cosa ci fa lui qui?» esclamai, indignata, voltandomi verso le altre due ragazze: anche loro erano ammutolite e dovevano saperne quanto me.

Corsi fino a raggiungere Michele, che nel frattempo stava preparando le porzioni di fieno da dare ai cavalli.

«Michele? Cosa ci fa qui Glory?» domandai, stupita e piuttosto irritata.

Lui si voltò verso di me e per un attimo negli occhi gli balenò un lampo colpevole.

Lo fulminai con lo sguardo. «Non doveva andarsene? È un cavallo peric...»

«È stata Benedetta a convincermi a tenerlo un po' più del necessario» spiegò lui, sospirando.

Sgranai gli occhi. Non mi sarei mai aspettata che il mio istruttore si facesse manipolare da una ragazzina.

«Stai scherzando? Ma...»

«Aveva promesso che se ne sarebbe occupata e che non lo avrebbe montato» continuò lui. «Ma adesso ha avuto l'incidente, e prima di una settimana i padroni di Glory non tornano per portarlo... beh, sai dove.»

Scossi la testa con enfasi. «Allora chiama i padroni di Glory! Fallo portare via!»

Lui si alzò in piedi, scuro in volto. Era disprezzo, quello che gli leggevo nello sguardo?

«Davvero? Vuoi sul serio che lo macellino?» Anche il suo tono si era fatto più astioso. «Non so te, Sarah, ma io non mi sento così a posto con la coscienza pensando alla fine che farà quel cavallo, che adesso è qui, da noi, che non avremo mosso un dito per aiutarlo. Benny aveva avuto un'idea geniale, seppur pericolosa. Voleva riscattare quel cavallo! Se fosse riuscita a rieducarlo, avremmo potuto tenerlo. In fin dei conti, il nostro non è un maneggio che salva cavalli dal macello?»

Rimasi in silenzio, colpita dalle sue parole. Glory era un cavallo davvero pericoloso, ma forse, piano piano, se ci fosse stata una minima possibilità di cambiarlo... la pensata di Benedetta dopotutto non era così stupida. Probabilmente lei avrebbe voluto rieducarlo solo per potersene vantare a vita, ma di fondo era una buona idea.

E poi non riuscivo a togliermi dalla mente l'espressione con cui mi stava guardando Michele. Mi fissava con puro disprezzo perché, come mio solito, avevo parlato senza riflettere abbastanza. Non volevo che mi guardasse in quel modo. Benedetta mi guardava così, non il mio istruttore.

«Va bene» mormorai, fissandolo dritto negli occhi.

Lui mi fissò senza capire.

«Mi occuperò io di quel cavallo. Al posto di Benedetta» dissi molto chiaramente.

Era fatta.

 

Perché l'ho fatto... Perché sono così irrimediabilmente stupida?

Era questo che pensavo da qualche minuto, da quando Michele mi aveva guardato con sincera sorpresa e mi aveva consegnato il secchio di mangime destinato a Glory. 

Dovevo cominciare a guadagnarmi la sua fiducia partendo dal cibo e quindi ero qui, con le gambe tremanti e in preda al panico, a darmi della stupida e a pensare al fatto che non sarei più potuta tornare sui miei passi. Avevo fatto la mia scelta.

Entrai nel paddock di Glory scavalcando la staccionata. Lui era a pochi passi da me e mi fissava a occhi spalancati e narici ben dilatate.

Io non ho paura di lui, pensai convinta, cercando di non fissarlo negli occhi.

«Guarda cos'ho qui, bello» esclamai con voce incrinata, tuffando la mano nel suo secchio e tirando fuori una manciata di mangime.

Il cavallo drizzò le orecchie ed emise un nitrito. Io mi avvicinai pian piano, la mano con il mangime ben tesa davanti a me. 

Ma, appena fui a pochi passi da lui, Glory indietreggiò appiattendo le orecchie.

«Glory, avanti. Vieni qui» dissi dolcemente, facendo per avvicinarmi. 

Ma lui si comportò esattamente come prima e io rimasi immobile, abbandonando le braccia lungo i fianchi e facendo quindi cadere il mangime a terra. Non potevo arrendermi, avevo appena cominciato, ma già sentivo di non essere in grado di rieducarlo.

Presi un'altra manciata di mangime e questa volta mi chinai a terra, proprio davanti a Glory. Tesi la mano in avanti e lo chiamai. 

Lui fece qualche incerto passo in avanti, sempre molto distante da me, e allungò il collo più che poté per arrivare al mangime. Era sinceramente comico, dovetti ammettere, quando riuscì a sfiorarmi le dita con il labbro, cercando disperatamente di mangiare. Feci un passo in avanti e finalmente poté mangiare quasi normalmente dalla mia mano.

«Sembri una giraffa, lo sai, Glory?» ridacchiai. 

La mia risata, però, ebbe l'effetto di spaventarlo e si allontanò di nuovo. Sospirando, mi alzai in piedi e mi diressi al secchio per prendere un'altra manciata di mangime.

«Sto cercando di rieducare... un cavallo assassino.»

Quel pensiero lo avevo solo formulato, ma dovevo avergli  dato voce senza che me ne rendessi conto. Mentre mi chinavo sul secchio, la mia mente correva veloce: speravo solo di non finire come il suo precedente cavaliere, lo speravo davvero. 

«È un killer.»

Mi bloccai un attimo, sorpresa da un movimento alle mie spalle. 

Voltandomi, vidi Glory venirmi incontro. Appena smisi di parlare però, abbassò la testa al suolo e iniziò a brucare, ignorandomi.

«... Killer» ripetei a voce un po' più alta. 

Glory alzò la testa, e contro ogni previsione, fece qualche passo in avanti, verso il secchio, verso di me.

Sorpresa, afferrai il secchio con entrambe le mani e mi avvicinai, continuando a chiamarlo. Lui rimase immobile, finché non gli poggiai il secchio a terra e abbassò il collo per mangiare. 

Mi sedetti immobile sull'erba, osservandolo mentre tuffava il muso nel secchio, e sorrisi impercettibilmente. Mi era stato detto che quando si chiamava una persona per nome era come parlare direttamente al suo cuore, infondendogli coraggio e fiducia.

Killer.

Che questa cosa valesse anche per i cavalli?

 

 

Salve a tutti! Siamo entrati finalmente nel vivo della storia.
Mi rendo perfettamente conto che l'ultima parte è un po' surreale: i cavalli di solito non rispondono al loro nome (soprattutto quando non è il loro, lol) ma, come si vedrà dai prossimi capitoli, sarà proprio questo avvenimento a determinare la scelta del "vero" nome di Glory, che immagino abbiate già capito. Ho cercato e cercherò sempre di rendere la storia il più verosimile possibile, ma in questa parte non potevo! Comunque sia,  spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Un bacio e a presto,

Cassidy.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

«E così vuoi cambiargli nome» mormorò Michele, incuriosito.

«Esatto.»

Eravamo adagiati sulla panca del Club House, durante una discreta mattina di sole.

Erano passati diversi giorni dall'incidente di Benedetta e il maneggio sembrava aver riacquistato un po' di vita, anche se la tensione era palpabile. Le condizioni di Benny erano stazionarie, forse in lieve miglioramento, ma doveva essere costantemente seguita in ospedale.

Quella mattina stavamo aspettando le altre ragazze, in attesa di organizzare qualcosa.

«Posso chiederti perché?» La voce di Michele interruppe le mie riflessioni.

«Ci ho riflettuto molto» spiegai, sorridendo. «Glory diventerà un altro... o almeno, il mio obiettivo è quello di farlo diventare un altro cavallo. E, per cominciare, non c'è niente di di più semplice ma importante del nome. È ovvio che sui documenti rimarrà "Glory Von Schwarz"... io pensavo a una specie di soprannome.»

Michele ascoltava, interessato. «E, sentiamo, che soprannome avresti in mente?» chiese, quando ebbi finito.

«Killer» dissi senza esitazioni.

Il mio istruttore trasalì, chinando il capo. 

«D'impatto» disse infine, abbozzando un sorriso.

Capivo il suo iniziale sconcerto. Non era un nome facile né con un bel significato, ma lo sentivo stranamente adatto a Glory e, finché il cavallo fosse rimasto in mano mia, si sarebbe chiamato Killer. Immaginavo già Benedetta, al suo ritorno in maneggio, inorridire per il nuovo nome di Glory e urlare e protestare, facendomi sentire una completa idiota. Non potevo certo dire che mi mancasse la sua insopportabile presenza, lì con noi, ma senza di lei, positivamente o negativamente che fosse, il maneggio non era lo stesso.

Il mio pensiero su Benny venne interrotto da uno scalpiccio sullo sterrato, dietro il Club House e, poco dopo, comparvero Alessia, Deborah, Monica – la ragazza del giorno prima – e un altro gruppo di ragazze. Si accomodarono sulla panchina del Club House e quindi lasciammo la parola a Michele.

«Ragazze, so che l'incidente della nostra Benny è un episodio che ci ha lasciato molto scossi, ma è giusto, anche per lei, che affrontiamo la cosa e che questo maneggio torni più forte di prima. Così, quando Benny tornerà, si sentirà nuovamente a casa e sarà più semplice per lei tornare a relazionarsi ai cavalli con la spontaneità che aveva.»

Sorrisi alla conclusione del suo breve discorso. Il mio istruttore era sempre stato un mago con le parole: infondeva sempre il giusto coraggio e la speranza necessaria per non arrendersi mai. Era grazie a lui e ai suoi insegnamenti se avevo un carattere così tenace e determinato. Anche le ragazze sembravano del mio stesso parere, e acclamarono Michele per un bel po'. 

Quindi la conversazione passò al programma di quella mattina. Cosa avremmo potuto fare?

Monica propose una passeggiata ma, nonostante le parole di Michele ci avessero un po' rincuorato, eravamo ancora piuttosto scosse all'idea di tornare in passeggiata a cavallo. Una delle altre ragazze invece propose di fare un lavoro di manutenzione al maneggio, Michele una lezione nel campo ostacoli, Alessia dei giochi da fare con i cavalli senza montare, e io mi limitavo ad ascoltare.

Facevo ancora fatica a rendermi conto del peso che adesso mi gravava sulle spalle e non mi veniva in mente niente di particolarmente entusiasmante da proporre.

Alla fine si decise per alzata di mano e la lezione di salto proposta da Michele ebbe la meglio. L'istruttore ci assegnò i cavalli e, per un attimo, credetti sollevata che quel giorno non avrei dovuto fare niente con Gl...Killer. Dovevo ammettere però che, dopo qualche giorno presa la decisione di occuparmi di lui, riuscivo ad avvicinarmi con il secchio senza ricevere alcuna azione scortese, anche se avevo ancora molta paura.

Mentre mi avviavo verso il box di Honey, però, Michele mi raggiunse correndo.

«Vedrai che cosa ho in mente dopo, per te e Killer!» mi disse sorridendo, per niente sorpreso dall'espressione scettica che gli rivolsi in risposta.

***

Honey osservava incuriosita i cavalli vicini, con un misto di timore ed emozione nel vedere che quel giorno non eravamo sole nel campo. 

Era da molto che non facevo una lezione con le altre ragazze, poiché solitamente Michele per noi preferiva lavorare singolarmente, ma non ero poi così preoccupata: il mio disastroso lavoro con Honey era già noto a tutti, al maneggio.

Dopo un breve tratto al passo, per far abituare i cavalli all'ordine in cui erano stati disposti, ci riscaldammo con un buon trotto di lavoro che a Honey sembrò non piacere per niente. 

Stare in fila significava abituarsi alla velocità del cavallo davanti e alla sfrontatezza di quello dietro, che spesso avvicinava il muso pericolosamente vicino alla coda della bionda. Il calcio che lei gli voleva riservare era prossimo, lo sentivo dai movimenti sempre più calcolati di Honey sotto di me. 

Dopo vari estenuanti giri di trotto, in cui trattenere la cavallina fu una vera impresa, Michele ci fece fare un giro completo del campo al galoppo, in cui Honey poté finalmente sfogarsi. 

Dopo che ognuna di noi ebbe fatto almeno un giro del campo al piccolo galoppo, il nostro istruttore stabilì un breve percorso ad ostacoli e ce lo illustrò brevemente: gli ostacoli, composti da un verticale, una gabbia e un oxer, erano molto bassi, ma l'ordine in cui erano disposti era piuttosto complicato e mi fece pensare che non sarebbe stato così semplice come sembrava.

Michele sembrò graziarmi e lasciò me e Honey per ultime, così ebbi tutto il tempo di studiare bene il percorso e vedere come se la cavavano le altre. Notai con un certo stupore che anche Alessia e Falco ebbero non poche difficoltà ma, nonostante tutto, riuscii a manifestare una calma ostentata che stupì persino me stessa. 

Quando toccò a me, spronai con dolcezza Honey e pensai che avevo finalmente modo di mettermi alla prova con quella cavalla con un vero percorso e un pubblico: la cavallina era piuttosto tesa, ma cercai di non darle peso e di concentrarmi sugli ostacoli. 

Superammo senza difficoltà il verticale e i due ostacoli della gabbia. Honey però anticipò il salto sull'oxer e io non la seguii adeguatamente, facendo cadere le barriere sulla sabbia con un tonfo. Ci riprendemmo subito e concludemmo il percorso senza ulteriori  intoppi. 

Tornai dal gruppo con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Dovevo aver tramortito il collo di Honey dalle pacche che le avevo dato, ma quasi non riuscivo a crederci. Finalmente qualcosa stava andando per il verso giusto!

«Fare lezione in gruppo le fa proprio bene, eh?» scherzò Alessia, per poi complimentarsi con me.

Diverse ragazze mi sorrisero ammirate, e io feci per voltarmi verso il centro del campo. Com'era possibile che Michele non avesse ancora commentato? 

Fissai il centro campo deserto, perplessa. Michele non c'era.

Monica mi si avvicinò, in groppa alla pony che montava di solito, una piccola araba grigia di cui non ricordavo il nome.

«Michele mi ha detto di dirti che, finito il percorso, ti aspetta con Honey al paddock di Gl... Killer» spiegò, e la fissai stupita. «Non ho idea del perché, mi ha solo detto di riferirti questo» aggiunse, notando la mia espressione.  «Comunque ottimo percorso, brave!»

«Grazie!» risposi con stupore e sincerità, mentre mi avviavo all'uscita del campo.

***

Procedemmo al piccolo trotto, lungo il sentiero che costeggiava i paddock.

Mentre cercavo Michele e Killer con lo sguardo, riflettevo. 

Dopo anni che frequentavo quel maneggio, qualcosa tra me e un cavallo cominciava a funzionare.

Dopo anni che frequentavo quel maneggio, cominciavo a relazionarmi con le altre ragazze del maneggio, senza più essere l'ombra di Alessia. Forse dipendeva dal fatto che non eravamo più sotto il giogo di Benedetta, non lo sapevo.

Sapevo soltanto che rimaneva solo uno scoglio da superare... e quello scoglio comparve davanti a me all'improvviso, strappando un urlo a me e uno scarto alla povera Honey.

«Sarah, cerca di stare calma!» protestò Michele, mentre tratteneva Killer per la longhina. Il baio respirava affannosamente, spaventato dal mio urlo.

«Scusa, stavo pensando e non lo avevo visto» spiegai, sentendomi una sciocca, mentre rassicuravo Honey.

Il mio istruttore sospirò con rassegnazione, ma aveva un'aria divertita. Lo osservai meglio e vidi che era in groppa ad Harvard, mentre teneva saldamente l'altro baio con la longhina. 

La domanda che mi sorse spontanea fu il perché di tutto questo, ma quella che mi uscì di bocca fu un'altra.

«Lasci le ragazze da sole nel campo?»

«Le ragazze disselleranno i cavalli e rimarranno al Club House con Azzurra, non continueranno la lezione da sole... non sono mica così scellerato!» replicò lui, fingendosi offeso.

Risi vedendo la sua espressione, e finalmente ebbi modo di correggermi.

«...Cioè, dove stiamo andando?»

«Conosci quel piccolo lago seminascosto, non lontano da qui?»

Annuii. Ci ero stata anche diverse volte con i miei, l'inverno prima.

«Voglio portare Killer lì.»
 

 

Le cose senza la perfida Benedetta iniziano a cambiare, ma non sarà tutto semplice come sembra tra le nostre ragazze! Come si nota da questo capitolo, tra Sarah e il suo istruttore c'è un grande legame e il loro rapporto è più stretto che fra lui e le altre ragazze del suo maneggio :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Un bacio,

Cassidy.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il lago era ancora più magico di quanto ricordassi.

Il tiepido sole estivo si rifletteva placido sulla superficie dell'acqua, così pulita da potervisi specchiare. La radura che circondava il laghetto era immersa nel silenzio, interrotto di tanto in tanto dallo stridio degli uccelli. Era completamente diverso da come appariva in Inverno, e rimasi ad osservarne la superficie cristallina, incantata. 

Michele invece smontò di sella e lasciò Harvard ad abbeverarsi al lago, poi fece avvicinare anche Killer, che si limitò a fissare l'acqua impietrito, con un misto di timore e curiosità.

«Ero dell'idea che uscire un po' da quel paddock gli potesse fare bene» spiegò il mio istruttore, mentre con pazienza faceva lentamente entrare il baio dentro l'acqua.

Annuii in risposta, mentre scendevo da Honey e imitavo il mio istruttore. 

La cavallina non era spaventata ed entrò nell'acqua senza difficoltà fino agli avambracci, raspando e increspando la superficie con le zampe.

«Le piace!» esclamai sorridendo, mentre la bionda continuava a procedere imperterrita dentro al lago, trascinando nell'acqua anche me che la tenevo per le redini.

«Honey!» protestai, scoppiando a ridere. 

Con qualche difficoltà bloccai la sua avanzata verso l'annegamento, le sfilai la testiera e le misi una capezza che Michele mi aveva dato durante il viaggio, collegata ad una longia. Sistemai la corda ad un ramo che mi sembrava abbastanza robusto e quindi mi sedetti sull'erba, a osservarla sguazzare. 

«Piace più ad Honey che a Killer» osservò Michele divertito, scuotendo la testa. «Ti va di tenerlo?» domandò poi, porgendomi la longia che aveva in mano. 

La strinsi incerta fra le mani e rimasi ad osservare il baio,  che non ne voleva sapere di procedere. Lo spronai debolmente con la corda, ma dalle orecchie appiattite che mi rivolse in risposta capii soffocando una risata che non era la cosa giusta da fare.

Michele si occupò di Harvard e poi si sedette vicino a me, sorridendo nel vedere Honey che sembrava letteralmente impazzita con gli spruzzi. 

Killer la osservava, indeciso se seguirla o no nelle sue pazzie dentro l'acqua.

«Perché non possiamo legarlo come gli altri due?» domandai.

«Se tra cinque minuti vuoi ammirarlo mentre galoppa verso il maneggio trascinandosi dietro un tronco... fai pure!» disse, indicandomi probabilmente l'albero più robusto dell'intera radura.

«Come sei divertente» sbuffai, ridendo. «Penso che anche a Wind farebbe bene un bel bagno nel lago: ai cavalli fa bene muoversi dentro l'acqua, e per le sue gambe...»

Attesi la risposta di Michele, ma lui rimase stranamente in silenzio, tant'è che mi ritrovai a fissarlo, accigliata.

«Sì, chiederò a Deborah se la cosa le va bene, ma suppongo di sì» disse infine, evitando il mio sguardo.

«Deborah?» 

Cosa c'entrava quella ragazzina con Wind? Un presentimento mi fece vacillare, ma mi sforzai di tenerlo a bada, finché le parole di Michele confermarono i miei sospetti.

«Be', lei... ha deciso di prenderlo in fida.»

«E tu non mi hai detto nulla» replicai, ignorando il dolore per quella notizia che mi aveva davvero ferito.

«Perché stavo cercando di dissuaderla. Wind non è un cavallo semplice e la sua guarigione sarà lunga... e poi avevo visto come ti ci eri affezionata, nonostante fosse arrivato da poco.»

Michele aveva fatto centro, come al solito.

Abbassai lo sguardo. Sentivo già le lacrime salirmi agli occhi, e già le odiavo: stupide, infantili, inutili. Proprio come il mio comportamento in quel momento.

Il mio istruttore doveva aver capito la mia furiosa lotta interiore per cercare di non piangere, perché mi posò dolcemente una mano sulla spalla.

«Posso convincerla, se vuoi...»

«No» dissi, alzando improvvisamente il capo. Il mio sguardo era fermo su Honey e Killer: quest'ultimo aveva finalmente capito che l'acqua non era un pericolo mortale, e camminava spedito verso il centro del lago, il punto più profondo, dove però quel gigante avrebbe sicuramente toccato.

«Io ho già il lavoro con Killer e mi occupo di Honey, sarebbe stupido voler seguire un altro cavallo» spiegai, spostando lo sguardo su Michele. «Sono felice per Deborah» aggiunsi, abbozzando un sorriso.

«Va bene» disse lui lentamente, senza mostrare alcuna emozione.

Sospirai, distendendomi sull'erba. Quella notizia mi aveva indubbiamente colta di sorpresa. Mi dispiaceva, ma sentivo di aver preso la giusta decisione.

Fissando il cielo, certa che Michele fosse in ascolto, parlai.

«Credi che riuscirò a combinare qualcosa di buono, con Killer?»

Lui, che era seduto, si voltò per potermi guardare in faccia.

«A poter controllarlo un po' meglio, anche» aggiunsi, fissandolo a mia volta.

Lui si schiarì la voce. 

«Sai Sarah, se c'è una cosa che ho imparato dal mondo dell'equitazione, è che il cavallo è come il fuoco.»

«Come il fuoco?» ripetei, non certa di aver capito bene.

Lui sorrise divertito, notando la mia confusione. «Esatto. Puoi cercare di domarlo, renderlo niente più che un fuocherello, ma bisogna essere cauti, perché quelle lingue di fuoco potrebbero divampare, trasformarsi in un incendio.»

Io ascoltavo senza fiatare. 

«Ma una cosa è certa» proseguì lui. «Non riuscirai mai a renderlo innocuo. In pratica, non avrai mai il completo controllo sul cavallo. Fa parte del suo essere e un po' anche del tuo: non sei nata per dominare, per avere il controllo su ciò che vuoi. Coloro con cui lo hai fatto devono esserselo dimenticato ma, sfortunatamente per te, i cavalli hanno buona memoria. Saranno loro a ricordarti di tanto in tanto a chi appartengono. Ovvero a loro stessi. Il vostro legame è una sfida. Devi solo diventare brava a giocare quanto lui, se vuoi essergli amica.»

Tornai seduta per osservarlo meglio, mentre un sorriso mi si schiudeva sulle labbra.

«Perché sorridi in quel modo?» domandò lui, stupito.

«Hai mai pensato di fare il poeta, invece che l'istruttore?»

 

I minuti passavano, ma nessuno dei due aveva voglia di andarsene.

Io ero tornata sdraiata e, con il sole in faccia, ripensavo alle parole di Michele: ce le avevo ancora impresse nella mente e pensai che non se ne sarebbero andate tanto facilmente.

Ad un tratto lo sentii alzarsi in piedi ma, pensando che volesse semplicemente andare a controllare uno dei cavalli, rimasi a occhi chiusi.

«Sai, a dire la verità penso di essere troppo infantile per poter diventare un poeta» disse divertito, e lo avvertii molto vicino. Forse troppo. 

Spalancai gli occhi troppo tardi, giusto in tempo per vedere Michele sollevarmi di peso e scagliarmi con un tonfo nell'acqua del lago. 

Tornai subito in piedi, a bocca aperta e completamente fradicia.

«Tu... Tu...»

Avrei voluto ammazzarlo, ma lo stupore e l'ilarità di quello che era appena successo trasformarono la mia imprecazione una risata, una risata cristallina e contagiosa di cui non riuscii a liberarmi.

Mentre ridevo a crepapelle, Michele si sfilò la camicia a quadri che indossava e si tuffò nel lago, raggiungendomi nel giro di due bracciate. Contagiato dalle mie risa, si avvicinò ad Harvard a nuoto, per tranquillizzarlo dai tuffi e dalle urla esplosi in quegli ultimi minuti.

Io mi affrettai a fare lo stesso, ma Honey e Killer erano abbastanza tranquilli. Mentre accarezzavo l'umida criniera della palomina, mi voltai verso il mio istruttore: i suoi corti capelli a spazzola brillavano sotto i raggi del sole, mentre continuava a ridere.

Decisamente troppo infantile per poter essere un poeta, pensai, ridendo ancora di più.

 

Il giorno dopo raggiunsi il Club House con un gran sorriso stampato in faccia, forse sperando che la meravigliosa mattina del giorno prima potesse ripetersi, ma il sorriso mi morì sulle labbra quando fui sulla panca insieme alle altre.

Michele non c'era, ma non fu questo a preoccuparmi: erano i volti delle ragazze, contratti in smorfie sofferenti e tutti accomunati dalla stessa aria triste.

«È successo qualcosa?» domandai, dando di gomito ad Alessia.

«Siamo state a trovare Benny, ieri pomeriggio» mugugnò lei in risposta. 

«Non sta bene?»

«No, è in lieve miglioramento» rispose, evitando di guardarmi.

«Allora perché quelle facce?» replicai, senza capire. Sentivo che era successo qualcosa, non riuscivo proprio a spiegarmi il comportamento della mia amica.

«Non è niente» tagliò corto lei, nascondendosi il volto fra le mani.

Per niente rassicurata, non insistetti. 

Ad un tratto avvertii la spiacevole sensazione di essere osservata e, alzando gli occhi, incrociai lo sguardo di Monica, che mi stava fissando come in trance. 

Stavo per chiederle spiegazioni, quando Michele apparve sul vialetto diretto al Club House salutandoci a gran voce e attirando la nostra attenzione.

Il nostro istruttore ci assegnò i cavalli per la lezione, quindi aggiunse rivolto a me cosa avrei combinato quel mattino con Killer e ci lasciò andare a preparare i cavalli.

Forse anche lui era rimasto sorpreso dall'umore tetro delle ragazze, ma non sembrò darlo a vedere, al contrario di me, che mi incamminai a passo lento verso i box,  estremamente pensierosa.

Il mio tragitto fu però interrotto da Monica, che comparve davanti a me trafelata e, senza darmi alcuna spiegazione, mi trascinò dietro al complesso dei box, lontano da Michele e dalle altre ragazze. 

Feci per aprire bocca, ma lei fu più rapida.

«Scusami se ti ho trascinata fin qua, ma devo dirti una cosa» disse, serissima in volto. «Pensavo te lo avrebbe detto prima la tua amica, ma penso dovresti smettere di considerarla come tale. Non è stata sincera con te» disse e, per un momento, parve esitare. «Anzi, credo che Benedetta le abbia chiesto di fare amicizia con te proprio per tenerti d'occhio.»

Rimasi senza parole per un momento, ma non mi lasciai distrarre da Alessia. «Cos'è che non mi ha detto?» 

«Ieri siamo state a trovare Benny, lo sai, no? Lei non è contenta del fatto che tu ti stia avvicinando a noi, approfittando della sua assenza. In pratica ha messo tutte contro di te e ho paura che inizieranno a metterti i bastoni fra le ruote molto presto.»

«Perché me lo stai dicendo?»

«Perché penso che tu debba sapere la verità. Non ti meriti questo trattamento. Benedetta ci ha sempre parlato male di te, ma sono stata una stupida a darle retta in questo modo: tu non hai niente che non va, non sei affatto come ti descrive» rispose, accennando un sorriso. 

La scrutai attentamente, mentre parlava: non la conoscevo da molto e, essendo del gruppetto di Benedetta, non potevo fidarmi di lei al cento per cento, ma sembrava sincera.

«Ti chiedo solo di stare molto attenta» disse e colsi una nota di avvertimento nella sua voce.

Mentre riflettevo su quello che mi aveva detto, la ringraziai e quindi tornammo ai box prendendo strade diverse. 

Le ragazze avevano finito di preparare i loro cavalli e dovevano essere già nel campo, perché in giro non c'era nessuno. Salutai velocemente Honey con un buffetto e quindi entrai in selleria, mentre dietro di me Monica faceva uscire la sua pony dal box.

Lo spettacolo che mi trovai davanti, mentre varcavo la porta della selleria, mi provocò un involontario brivido lungo la schiena. 

Poteva essere stato semplicemente un incidente, ma qualcosa mi fece pensare a un'azione di più calcolata, che aveva a che fare con quello che mi aveva rivelato Monica poco prima.

Avanzai lentamente verso i finimenti di Honey, gettati con malagrazia sul pavimento insieme alla testiera, al sottosella e ai suoi parastinchi. 

Un semplice scherzo di cattivo gusto, niente di più.

Mi chinai a terra per raccoglierli e un foglietto dai bordi arricciati, coperto di polvere sotto al mucchio di finimenti, attirò la mia attenzione. Lo presi in mano, leggendo le poche righe che vi erano state scritte.

Un semplice scherzo di cattivo gusto, niente di più... no?

"Mi auguro che anche tu finisca calpestata sotto gli zoccoli di Killer."

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***




Sapevo solo una cosa.

Mentre mi sistemavo le staffe, mentre spronavo Honey al passo e mentre fissavo le altre ragazze senza la minima traccia di paura.

Sapevo che Benedetta non avrebbe mai vinto.

Quel maneggio era la mia casa, Michele il fratello che non avevo mai avuto e quei cavalli che ormai conoscevo da anni la mia famiglia. Benedetta e la sua perfidia si erano impadronite pian piano di gran parte del maneggio, partendo da chi lo frequentava. Mi avevano reso la vita insopportabile, mi avevano preso in giro e umiliato, ma non l'avrebbero mai avuta vinta.
Io non me ne sarei andata da lì, e stavolta avevo il coltello dalla parte del manico. In fin dei conti, quella in ospedale con una gamba sfatta e la mente offuscata da perfidi pensieri non ero io.

Svuotai rapidamente la testa da Benedetta appena in tempo, perché la lezione era cominciata. Niente salti quel giorno, solo un leggero lavoro in piano.

Mentre seguivo con pazienza i movimenti di Honey durante il trotto, guardai le ragazze vicino a me, identificando chi avrebbe potuto giocarmi il prossimo scherzo per ordine di Benedetta. Michele sembrò quasi venirmi in aiuto, scegliendo di tanto in tanto una ragazza che facesse un giro di galoppo con il cavallo che montava.

La prima fu Deborah, in sella a Yale, uno dei cavalli prediletti di Michele. Il suo nome, come quello di Harvard, non era casuale. Il mio istruttore era giovanissimo e avrebbe desiderato frequentare un'università all'estero, ma allo stesso tempo nutriva il desiderio di portare avanti il maneggio dei suoi genitori, morti  in un incidente stradale tre anni prima. Diviso fra due strade, due scelte e due carriere, Michele aveva deciso di dedicarsi al maneggio e quindi a noi, ma il suo rimpianto soffocato di tanto in tanto tornava a farsi vivo nei nomi dei suoi primi cavalli, quali Harvard, Oxford, Yale. Mi divertivo a canzonarlo spesso per questo motivo, ma dentro di me lo avevo molto a cuore.

Deborah era abbastanza piccola, ma idolatrava Benedetta, mi faceva quasi venire la nausea. Benny avrebbe potuto manipolarla senza difficoltà per metterla contro di me, nonostante di fondo fosse una ragazzina a posto.

La ragazza che seguì fu Alessia, come al solito insieme al suo Falco. Mi morsi il labbro vedendola, perché per anni l'avevo considerata veramente la mia migliore amica, una di cui mi potessi fidare. La rivelazione di Monica mi aveva fatto aprire gli occhi. Adesso mi rendevo conto di che persona codarda fosse, fedele a Benedetta come un cagnolino, ma forse ancora combattuta all'idea di ferirmi. L'avrebbe fatto, se sua maestà l'avesse chiesto, ma era una persona così superficiale che non aveva ancora deciso da che parte stare, e probabilmente dopo si sarebbe sentita in colpa per me. 

Mi stupii di quanto fossi cinica dei suoi confronti, ma in un secondo momento mi resi conto che Alessia aveva semplicemente raccolto ciò che aveva seminato: troppo buona per farmi del male, ma allo stesso tempo troppo debole per ribellarsi a Benedetta.

In fin dei conti, la nostra amicizia non era mai stata degna di essere definita tale. Affrontare la verità una volta per tutte faceva male, lo sentivo in ogni fibra del corpo mentre stringevo le redini di Honey, tanto che attesi pazientemente che Alessia e Falco finissero di galoppare e tirai un sospiro di sollievo quando non li ebbi più in vista.

Seguirono Alice e il suo cavallo scuro, e altre amiche di Benedetta che avevano giurato fedeltà al tiranno ormai da molto tempo. Da loro non potevo aspettarmi niente di buono.

Interruppi le mie riflessioni solo quando fu il mio turno: spronai dolcemente Honey perché rompesse al galoppo, e svuotai nuovamente la testa da pensieri pesanti per concentrarmi sulla mia posizione e sulla palomina.

 

Più tardi, mentre pranzavamo sulla panca del Club House, Michele chiese un attimo di attenzione.

«Ragazze, questo pomeriggio ho intenzione di dedicarmi alla riabilitazione di Wind» ci spiegò, facendo un cenno alla ragazzina accanto a lui. «Insieme a Deborah, ovviamente.»

In risposta lei sorrise raggiante e mi sentii sinceramente felice per loro, nonostante tutto. 

«Cosa farete?» chiese Monica, incuriosita.

«Inizieremo a lavorarlo alla corda, con calma. Penso che reagirà bene. Prima iniziamo a riabilitare le sue zampe malandate, prima Deborah potrà provare a montarlo. Potrebbe non sembrare, ma il lavoro alla corda è estremamente importante per instaurare fiducia tra cavallo e cavaliere: tramite la longia, che diventa una sorta di filo conduttore tra i due, si costruiscono le basi per quello che sarà poi un vero e proprio lavoro di squadra.»

Ci limitammo ad ascoltare attente Michele che, con il suo tono carico di esperienza e di saggezza, ma allo stesso tempo sempre incline alle novità, non poteva non affascinarci tutte.

Mentre parlava dei risultati che si potevano ottenere da un corretto lavoro alla corda, l'istruttore mi fissò negli occhi, come se si stesse rivolgendo a me in particolare: purtroppo conoscevo piuttosto bene quel suo sguardo supplichevole e incrociai le braccia al petto, già pronta per ascoltare ciò che aveva da dirmi.

«...Stavo pensando che potresti provare anche tu, Sarah. Con Killer» disse infatti, al termine del discorso, confermando il mio pensiero.

Significava iniziare davvero qualcosa di serio con quel cavallo assassino, mi ritrovai a pensare. Ma non sarei stata da sola, avrei anche potuto farcela.

"Spero che anche tu finisca calpestata sotto gli zoccoli di Killer."

Quelle parole mi tornarono in mente proprio mentre stavo annuendo a Michele e rimasi come pietrificata per un rapido, terribile, attimo.

***

Killer parve capire fin dal principio che in me era cambiato qualcosa.

Si rifiutò di farsi prendere in paddock e dovetti inseguirlo fino al sottobosco prima di riuscire a mettergli la cavezza. Dopo qualche capriccio lungo la strada, arrivammo davanti al Club House ansimanti e madidi di sudore.

Michele mi consigliò di legarlo all'anello dei uno dei box e, una volta lì, mi imbattei in Deborah, che stava mettendo le fasce a Wind.

Ricacciando una strana sensazione in fondo allo stomaco, feci come mi aveva detto Michele e, mentre osservavo con aria divertita Killer che mordicchiava con tutte le sue forze la corda che lo teneva legato al box, vidi distrattamente un gruppo di amiche di Benedetta parlare con l'istruttore, che indicò loro le panche di legno disposte vicino al tondino.

Con uno strano presentimento, lasciai il baio da solo e raggiunsi Michele.

«Cosa gli hai detto?» chiesi, catturando la sua attenzione.

«Solo dove sedersi! Cosa pensi che facciano, mentre voi girate i cavalli? Di certo non evaporeranno» scherzò lui in risposta, mentre io mi mordevo nervosamente il labbro, riflettendo.

«Posso girare Killer dopo?» domandai all'improvviso, con una nota supplichevole nella voce che odiai all'istante. 

Ma d'altronde non volevo lavorare con quel cavallo davanti a loro, non dopo quello che era successo, non dopo quel foglietto... soffocai a stento un fremito, incapace di controllarmi.

«Sarah? Tutto bene..?» chiese Michele preoccupato, abbassandosi fino a scorgermi bene in viso.

Mi ritrovai ad annuire, di fronte alla sua espressione rassicurante.

«Se per te è un problema avere un pubblico che ti osserva, gireremo Killer più tardi» disse tornando in piedi, per poi incamminarsi verso Deborah, che stava portando Wind verso il tondino con aria emozionata.

Dopo aver fatto un respiro profondo, li raggiunsi a passo svelto e mi sedetti su una delle panchine, a debita distanza da Alessia.

Michele aiutò Deborah a far entrare il grigio dentro al tondino e le mostrò brevemente come guidarlo lungo la pista con la corda, perché stava già cominciando a fare storie. Dopo qualche momento di incertezza, Wind iniziò a procedere spedito e Michele lasciò il tondino per poi appoggiarsi allo steccato, pronto ad intervenire se necessario.

Il grigio trottava apparentemente senza sforzo, sbuffando di tanto in tanto e scuotendo la coda scura. Le zampe malandate, coperte da numerosi strati di fasce, non accennavano a zoppicare mentre il cavallo ripeteva il suo giro a testa bassa. Merito di Michele, che lo curava regolarmente con un ciclo di antidolorifici accompagnato da un buon lavoro, stimolante ma abbastanza leggero da essere adatto alla sua fragile situazione. Stava migliorando veramente molto e all'improvviso avvertii una punta d'invidia osservando Deborah fissare il suo cavallo con evidente ammirazione.

Scacciai quella fastidiosa sensazione con un sospiro, tornando a concentrarmi su Wind. Si comportò molto bene ed evitò capricci di qualunque genere finché non fu il momento di cambiare mano. Il grigio pareva confuso e si ribellò alla mano di Deborah, tanto che Michele fu costretto a intervenire per calmarlo e mostrargli la nuova direzione da prendere.

Wind non era un cavallo intuitivo, le cose gli andavano spiegate con estrema calma ma, una volta che aveva capito,  si dimostrava eccezionale. Riprese a trottare con impegno, tendendo i posteriori al massimo in un trotto che stupì persino il nostro istruttore.

Quando Deborah lo fece rallentare al passo, capii che a breve sarebbe toccato a me e Killer.

Fortunatamente, le ragazze avevano cominciato ad andarsene. Non era passato molto tempo da quando il grigio aveva iniziato a girare alla corda, ma probabilmente si erano rese conto che non c'era niente di così interessante da vedere e avevano agito di conseguenza. 

Tirai un sospiro di sollievo, vedendo che quasi tutte si erano allontanate dal tondino, e notai Michele farmi un cenno d'intesa: era arrivato il mio turno.

Andai da Killer, che nel frattempo aveva rinunciato dal fare a pezzi la sua longhina e si limitava a fissare i cavalli dentro ai box, rampando con l'anteriore sinistro.

«Buono...» borbottai mentre lo slegavo, frenandogli la zampa con la mano libera.

Quindi, afferrando la corda ma tenendolo saldamente anche per la capezza, mi incamminai verso il tondino, appena lasciato libero da Wind. Il grigio adesso pascolava poco lontano, sorvegliato a distanza da Deborah.

Entrando, lasciai il baio nelle mani di Michele, perché gli sostituisse la longhina con la longia, e io mi accinsi a chiudere l'entrata con attenzione.

Killer mi aspettava immobile al centro del tondino, il collo alto e lo sguardo intento a scrutarmi. Afferrai la longia dalle mani di Michele, che a quel punto si fece da parte, e lo incitai ad avanzare schioccando la lingua. Ero così concentrata su di lui da essermi completamente dimenticata la frusta, ma non m'importava.

Il cavallo reagì alla mia voce, aumentando il passo mentre si incamminava sulla pista, ed io ripetei lo schiocco più volte finché non ruppe al trotto. Lo osservai attentamente, notando i muscoli ben visibili nell'atto di muoversi, gli zoccoli che non si trascinavano sulla sabbia ma la sollevavano a intervalli regolari sollevandosi a loro volta, la testa bassa... e le orecchie altrettanto basse, mentre procedeva piano ma con estremo impegno. 

Pensai per un attimo a come dovesse essere comodo il suo trotto in sella, ma scacciai il pensiero con la stessa velocità con cui mi era venuto in mente. Io non avrei mai montato Killer, non potevo e non ne avevo alcuna intenzione, riflettei irremovibile.

«Sarah, stai attenta. Killer ha tutta l'aria di essere uno di quei cavalli a cui, quando offri la mano, si prendono il braccio» mormorò Michele, accennando al fatto che, mentre ero coinvolta nelle mie riflessioni, avevo lasciato un po' troppa longia a Killer, che sembrava essersene accorto.

Annuii, cominciando ad accorciare la corda giro dopo giro, per non scatenare alcuna sua reazione. Lui continuò a trottare tranquillo, tanto che ne rimasi stupita.

«È bravo» dissi, guardando Michele con la coda dell'occhio.

«Be', non mi stupisce. Ha diversi problemi, ma rimane pur sempre un supercavallo, allenato per i concorsi e cresciuto in scuderie una più prestigiosa dell'altra» rispose lui, con ovvietà.

Scrollai le spalle, tornando a concentrarmi su Killer. Dopo qualche altro giro, venne il momento di cambiare mano. Fischiai a lungo, mentre il baio rallentava il trotto fino a tornare al passo, quindi lo condussi al centro del tondino.

Feci per dargli una pacca sul collo per congratularmi con lui, quando una serie di grida sguaiate squarciò il silenzio: doveva essere una delle ragazze che avevano lasciato il tondino e, a giudicare dal tono dalla voce, non sembrava essere spaventata. Probabilmente dovevano averle fatto uno scherzo o qualcosa del genere.

Killer però non sembrò capire il malinteso: si slanciò in avanti in uno scatto di terrore e feci appena in tempo a spostarmi per non essere travolta dalla sua mole. 

Urlai, cadendo sulla sabbia, mentre cercavo freneticamente di liberarmi della longia che, legata al baio, mi trascinava con lui verso lo steccato del tondino. Me la sfilai dalla mano appena in tempo, prima che Killer si abbattesse sul recinto del tondino in preda al terrore e capisse che non c'era alcuna via di fuga.

A quel punto, sotto i miei occhi esterrefatti, saltò la recinzione da fermo, come se al suo posto ci fosse stata una barriera - dopotutto era pur sempre un supercavallo, no? - e, ansimante e scosso dal terrore, raggiunse al galoppo Wind, che brucava poco lontano.

Michele lasciò lo steccato del tondino e lo raggiunse, a passo rapido ma senza correre, per non spaventarlo ulteriormente. Deborah lo seguì a ruota e io cercai di rimettermi in piedi, ma le ginocchia non sembravano essere in grado di reggermi. Avevo rischiato grosso. Mi vidi di nuovo davanti a lui, mentre mi travolgeva in preda alla paura ed io non riuscivo nemmeno a focalizzare la situazione. Fortunatamente avevo agito d'istinto, altrimenti a quell'ora non sarei nemmeno stata lì a riflettere sulla questione. 

Osservai con aria di sfida il gruppetto di ragazze vicino al complesso nei box, la causa di quel disastro. Anche loro mi stavano fissando, ma non riuscivo a scorgere le loro espressioni. Avrei voluto sinceramente capire se era stato tutto architettato da loro per mettere paura a Killer o se si era trattato davvero di una coincidenza, ma in quel momento non era la priorità. 

Non avendo la stessa agilità del baio,  decisi di non scavalcare la recinzione del tondino e passai dall'ingresso per raggiungere il punto in cui si erano rifugiati i cavalli. 

Deborah stava mettendo la capezza a Wind, mentre Michele osservava Killer con attenzione.

«Non si è fatto nulla» spiegò alla ragazzina accanto a lui, senza accorgersi della mia presenza; quindi tornò a occuparsi del baio. 

«Non va bene, non va bene per niente...» continuava a ripetere quasi tra sé, tanto che mi spazientii.

«Ma hai detto che sta bene!» sbottai. «E, se ti riferisci a loro, probabilmente è stato solo un incidente» aggiunsi, coprendo la loro bravata. Continuavo a pensare che la questione di Benedetta non fosse la priorità, in quel momento.

«Quello che non va bene la sua reazione!» rispose lui, voltandosi di scatto verso di me. Pareva scocciato e non ne capivo il perché. «Hai visto come ha reagito Wind?» proseguì.

«Non ha reagito.»

«Infatti! Non va bene che agisca così. Dobbiamo rimediare, e anche in fretta» borbottò, raccogliendo la longia di Killer da terra.

«Perché tutta questa fretta, all'improvviso?» chiesi, levando esasperatamente gli occhi al cielo. 

Michele mi scrutò un attimo, prima di rispondere. Sembrava quasi non credere alle sue orecchie.

«Ti sei forse dimenticata della situazione, Sarah, o dello scorrere dei giorni? Vogliono venire a riprendersi Killer.»

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