prima di dormire

di chiaratennant01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il sosia di Alberto ***
Capitolo 2: *** la statua di polvere ***
Capitolo 3: *** senza ombra ***
Capitolo 4: *** la stanza di Anastasia ***
Capitolo 5: *** la condanna di Leo ***



Capitolo 1
*** il sosia di Alberto ***


Il sosia di Alberto

C’era una volta… Così cominciano le favole. Beh questa non é una favola… Ma una volta c’era qualcuno che ora non c’é più, e noi dobbiamo iniziare così questa storia. Questo qualcuno si chiamava Alberto ed il sul tempo é finito. Terminato in che senso vi starete chiedendo, senza troppi giri di parole: Alberto é morto. Se n’é andato una sera di maggio, al suo fianco i figli devoti e una moglie stanca di un marito come Alberto. Al suo funerali presenziarono in pochi, per gentilezza nei confronti della moglie , con un dolore, anch’esso, di cortesia. Mentre la salma del nostro protagonista sprofondava 3 metri sotto terra, la sua anima si dirigeva in un’altra direzione, ben lontana dai lustri terrestri, era diretta verso un luogo che nessuno da vivo, volente o nolente può vedere; a allo stesso tempo un posto nel quale si era costretti ad andare una volta raggiunta la condizione di non essere più come quella di Alberto. Egli si destò, come da un lungo sonno, tutto intorno a lui aveva colori pastello, si trovava in una realtà onirica. Dal silenzio tombale apparve un portone enorme d’avanti a sé, era di legno massiccio. Dal retro della porta tre tonfi sordi che rimbombarono in tutta l’area circostante. Poi la porta comincio a scricchiolare e lentamente si aprì.

“Vieni avanti” sentì dire da una voce tetra.

“Eccomi sono qui” disse intimorito Alberto, facendo un passo avanti, ed immediatamente si chiusero le porte dietro di lui, Alberto si girò di scatto per tentare di fuggire, ma le porte erano sparite. Si trovò in una distesa di fango e poteva sentire tutto intorno a sé dei sospiri, sospiri tristi di chi cerca qualcosa senza trovarlo. Non aveva più dubbi, quello era il limbo, primo cerchio dell’inferno, esattamente come descritto da Dante 700 anni prima.

“Vedo che hai capito Alberto” proforì una voce dall’alto

“Ma questo non é il tuo posto, il tuo traghettatore ti accompagnerà presso la tua locazione”

“Non é giusto! Io dovrei essere in paradiso o almeno in purgatorio!”

“Non essere sciocco Alberto, conosci bene le tue pene, ora va, che qui si lavora e non si ha tempo da perdere, non abbiamo mica l’eternità! O forse sì…” Disse con una risata tetra che si allontanava sempre più.

Alberto si incamminò lungo un sentiero ciottoloso, costellato da fango. Quando da lontano vide un uomo, o almeno ne aveva le sembianze, Alberto impallidì riconoscendo il figlio della notte, Alberto aveva sempre immaginato Caronte come un uomo maestoso, invece si trovò d’avanti un anziano uomo, squallido e malandato. Si trovata su una barchetta, anch’essa malconcia, insomma aveva migliaia di anni e si vedevano tutti.

“Ti aspettavo caro, andiamo al tuo cerchio, monta su”

La barchetta era piccola ma era piena di persone tutte ammassate e con il volto disperato come quello di Alberto. Egli provò a rivolgere la parola ad alcuni di loro per tentare di assopire la paura, ma nessuno aveva intenzione di socializzare in quelle circostanze.

“puoi portare con te soltanto un oggetto, quello che a te è più caro, è stato già scelto per te, controlla pure”

Alberto aveva con sé un piccolo zainetto, con il quale era inseparabile, Alberto lo aprì e ci trovo dentro un libro al quale egli era molto legato, era “Il sosia” di Dostoevskij. Caronte si chiede il perché di quella strana scelta.

“scelta curiosa” non mancò di puntualizzare con un sorriso perverso l’anziano uomo.

“potrai leggere soltanto una pagina al giorno” aggiunse Caronte

“mi dica dove sto andando” pregò in ginocchio Alberto

“beh, sai io non sono onnisciente, ho bisogno di conoscere la tua storia per sapere dove tu vada collocato, ma bada bene, qualcun altro lo è, quindi sentirai, brucerai nella lava eterna per sempre” disse con il suo solito sorrisetto maligno.

Alberto fu preso da un singulto, ma si fece coraggio e iniziò il suo racconto:

“ho tanto sbagliato nella mia vita, ma il peggior peccato l’ho commesso nei confronti di mio fratello. Ora io sono convinto che non lo incontrerò mai più per il resto della mia vita, in quanto sono sicuro che lui sia asceso al paradiso dato il bravo ragazzo che era; eh sì dico ragazzo perché se n’è andato troppo presto il mio caro e perfetto fratello Antonio. Non dico “perfetto” a caso, io non uso mai parole a caso! Egli era davvero la perfezione incarnata in una persona. Tanto per cominciare, partiamo dagli aspetti più superficiali: Antonio era bello come apollo, era scolpito dal muscolo più inutile a quello più evidente, e non aveva mai dovuto allenarne neanche uno! Per dio no! Era un dono di natura la sua perfezione. Aveva poi mille doti, riusciva a far tantissime cose all’unisono e a farle tutte egregiamente: era scultore di splendide statue, si cimentava nella pittura con ottimi risultati, anche a scuola e poi all’università era sempre stato perfetto. In somma in ogni azione in cui si cimentava risultava perfetto.

Io dal canto mio, provavo un’ammirazione pazzesca per quel mio idolo più grande di tre anni. Era assolutamente un modello a cui ispirarmi, e non avevo fino a quel momento mai provato moto d’invidia nei suoi confronti; e per quanto non ne avesse bisogno, ero felice di aiutarlo a migliorarsi, per avere un modello ancora più perfetto d’avanti ai miei occhi”

“vai al punto, mi stai annoiando” disse con occhi di fuoco il perverso vecchiaccio

“ma ahimè le cose cambiarono, quando conoscemmo una ragazza, bellissima e perfetta anch’ella. Si chiamava Giulia. Era bellissima, come un fiore ad aprile. Aveva mani di seta ed ogni cosa che toccava pareva la carezzasse per farla migliorare e sbocciare. Inutile puntualizzare che me ne innamorai come un allocco. Antonio, invece, era sempre stato restio all’amore, sosteneva che innamorarsi era per deboli, perché dovremmo bastarci da soli, anche in amore, e innamorarsi non è altro che la forma che diamo alla nostra solitudine. Ma quella ragazza era davvero irresistibile, e per la prima volta in vita sua, Antonio, cambiò idea. Dato il legame stretto che avevamo, il mio caro fratellone mi confessò immediatamente lo smarrimento dei sensi che aveva avuto la prima volta che aveva visto quella dolce ragazza, ed io dal canto mio, per cercare forse di farlo desistere dal conquistare quella ragazza, gli riferii immediatamente che provavo gli stessi sentimenti per la ragazza. Credevo che essendo una persona buona e altruista avrebbe capito e avrebbe lasciato Giulia a me, che tra l’altro non avevo mai avuto una ragazza. Ma, purtroppo, così non andò, e si scatenò l’ira di Antonio. Seguì il più feroce litigio di cui io abbia ricordo nella mia vita, nel quale mio fratello sosteneva che non facevo altro che imitarlo, prosciugandogli la vitalità, sosteneva che avrei dovuto farmi una vita mia, con dei gusti miei, e dato che lo imitavo nell’essere innamorato di Giulia, quella ragazza spettava di diritto a lui. Io però, non avevo voglia di sottomettermi alla richiesta di Antonio, e gli tenni testa, in altre parole decisi che avrei provato a conquistare quella ragazza per conto mio, superando mio fratello per la prima volta in vita mia. Ma come avevo già previsto nell’ottica della mia bassa autostima nei confronti di mio fratello, lei era sempre più propensa a scegliere mio fratello. Più la corteggiavo, più lei mi parlava di lui, capii quindi che non avevo molta scelta, se non quella di lasciare a mio fratello quella splendida occasione chiamata Giulia. Ma un evento straordinario, arrivò a stravolgere le cose: la morte improvvisa di mio fratello. In seguito a questo tragico evento io ebbi campo libero per potermi accaparrare la splendida ragazza. Quindi caro traghettatore di anime, qui sta la mia colpa, aver gioito della morte del mio caro fratello. Me ne approfittai in tutti i sensi in quanto ora quella splendida rosa è mia moglie. Anche se ora la rosa è appassita, resta sempre una splendida donna ed ero felice di averla al mio fianco, ma lei dal canto suo non era così felice; durante le nostre litigate continuava a ricordare Antonio, di come io mi fossi approfittato della sua morte per abbindolarla e conquistarla. Ed aveva ragione! Sono stato un uomo pessimo! Quindi ora mi porti al mio cerchio, sono pronto alla dannazione eterna”

“non ha detto tutta la verità” proferì una voce dall’alto.

“ho confessato la mia colpa!! Cosa volete che faccia di più”

“non è colpa tua caro Alberto, purtroppo tu non hai memoria di quanto è accaduto realmente, mettetevi comodi, che vi racconterò una storia, molto più affascinante e tetra di quella proposta da Alberto.

Dovete sapere che Alberto non è solo nel suo essere, ma ha un doppio a tenergli compagnia, ebbene sì, un sosia. Si chiama Alberto come lui, e prende le decisioni più malvagie della coppia. Si trova a vivere nel suo stesso corpo. L’Alberto malvagio è stato sepolto per anni sotto il buon Alberto, che riusciva, tutto sommato a tenerlo a bada. Quando però si scatenò l’invidia per il fratello, il sosia tornò in superficie e prese il sopravvento sul buon Alberto. Fu così che il malvagio decise di assassinare il suo caro e perfetto fratello. Lo fece in maniera magistrale, somministrandogli un intruglio di veleni che non lasciavano traccia sul cadavere del povero martire. È quindi questa la tua colpa Alberto, aver commesso un fraticidio, ti spetta quindi pena peggiore e giacierai per l’eternità con Caino, come te omicida di suo fratello.”

Solo a quel punto la barca mal ridotta accostò sulla riva e si trovarono nella caina, zona dedicata agli omicidi dei propri fratelli. E per l’eternità Alberto sarà costretto a leggere il suo stesso libro, che gli ricorderà giorno per giorno, il suo efferato passato.

Solo a quel punto la barca mal ridotta accostò sulla riva e si trovarono nella caina, zona dedicata agli omicidi dei propri fratelli. E per l’eternità Alberto sarà costretto a leggere il suo stesso libro, che gli ricorderà giorno per giorno, il suo efferato passato

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Capitolo 2
*** la statua di polvere ***


Francesco era emozionatissimo per Il nuovo lavoro che lo aspettava quella sera stessa. Passò tutta la giornata a fantasticare su come sarebbero potuti essere i suoi nuovi colleghi e si preparò persino una lista di argomenti di cui parlare, nel caso avesse finito le idee. Soltanto che Francesco non immaginava minimamente che i suoi unici colleghi sarebbero state delle statue marmoree, sicuramente non troppo socievoli. Infatti il ragazzone, per la sua gorssa statura fu affidato alla sezione "opere d'arte" come guardia notturna. Era sicuramente il più forte e robusto di tutti gli altri guardiani, e avrebbe potuto ben sorvegliare da solo il settore più importante del giardino reale. Sbuffando e trasciando i piedi, Francesco, si sedette sulla sedia, nella gabbiola che lo avrebbe accolto per innumerevoli sere. C'é da dire che quel lavoro era davvero noiso, soprattutto se si é soli come era Francesco. Egli però aveva previsto momenti di noia, ed aveva quindi portato con sé un buon libro. Ma dopo un paio d'ore anche il libro si annoiò di essere letto, e Francesco getto il malcapitato romanzo tra le rovi del boschetto artificiale. Tra uno sbadiglio e l'altro decide di andare ad esplorare un po' il luogo che lo avrebbe accolto e gli avrebbe dato di cui mangiare. Osservò le staue più belle, che bisogna dire, sotto la luce della luna crescente avevano forse ancora più fascino. Passò poi per la sezione "opere mistiche" e notò uno strano evento, la così detta "statua di polvere", una statua fatta da polvere, di cui nessuno aveva mai capito le fattezze, in quanto non si capiva come si regesse in piedi, aveva una posizione leggermente più angolata rispetto a come la aveva osservata il giorno della sua presentazione al direttore del giardino.
"Sarà la stanchezza" si disse Francesco parlando da solo
"Mi prenderebbero per pazzo se qualcuno potesse sentirmi" si disse ridendo
"Ma tanto chi può sentirmi?" Aggiunse
"Io posso sentirti, ed effettivamente sì, sembri un po' ammattito" proferì una voce nel buio
"Chi và là?!" Disse mettendosi sull'attenti e mettendo mano alla sua pistola finta
"Mi chiamo Giordano e sono stato amico di ogni custode di questo parco dagli ultimi 150 anni" così dicendo spuntò da buio, alle sue spalle, proprio lei, la statua di polvere. In carne ed ossa, o meglio dire, in polvere e forse ossa.
"Ma come... É possibile" disse Francesco
"É possibile per una maledizione che mi accompagna dal giorno della mia dipartita caro amico, mettiti comodo e ti racconterò la mia storia, alleviando la tua noia"
Francesco con la bocca spalancata si mise a  sedere senza staccare gli occhi da quelli strano uomo avvolto dalla polvere
"La mia storia comincia nel 1877, quando fui spedito dalla mia famiglia, per mancanza di viveri in guerra, come Mercenario, inizialmente le cose proseguivano bene, riuscivo a mandare alla mia famiglia dei bei gruzzoletto, e riuscivano a mangiare pane e acqua pulita tutti i giorni. Ma la situazione cominciò a peggiorare con l'avanzare delle truppe nemiche, cominciarono ad attaccarci sempre più spesso, distruggendo i nostri capannoni e i nostri viveri, così tutti i soldi che avremmo dovuto guadagnare da quella tremenda guerra andarono ai nostri capi che si occuparono di riacquistare le forniture per la guerra e la mia famiglia cadde in miseria. Dalle lunghe lettere che ci scambiavano io e Margherita, mia sorella minore, traspariva una situazione sempre più grave, ed il mio umore, e quindi le mie doti da soldato andarono in calo, e non riuscivo più a reagire come prima. Fu forse per questo che durante un assalto ad un vecchio edificio, ci rimisi le penne: dovevamo fare esplodere l'edificio con i nemici all'interno, ma l'assalto andò male, e rimasi solo io, in prima persona intrappolato nelle mura. Mi crolló addosso un grosso pezzo di marmo e rimasi incastrato tra quest'ultimo e una grossa pietra. Rimasi vivo per miracolo, gridai quindi aiuto, ma i miei tentativi fuorno vani, caro amico. Nei primi momenti i miei compagni mi cercarono in lungo e in largo, ma niente da fare, non mi trovavano. Passarono i giorni e le mie urla divenivano sempre più flebili, fino a che non si spensero del tutto e io morì lì sotto, come un ratto tra le macerie. Un rapido telegramma fu inviato alla mia famiglia, e la guerra riprese con indifferenza. Solo anni dopo la mia dipartita muratori andarono a scavare tra le macerie e trovarono quella che credevano una splendida statua,, fatta di polvere,  con le mani rivolte al cielo come a sollevare qualcosa e a scrutare il cielo, i critici non hanno mai capito cosa effettivamente volesse rappresentare l’opera, e resto da allora un mistero per tutti”
“Ma se sei…” tentennò Francesco
“morto?” Rispose secco Giordano con una Punta di triste ironia
“Sì come é… possibile che….” Disse Francesco
Sono vittima di una maledizione, devi sapere che quella casa era intestata dal fantasma di una vecchia megera, morta anche lei tragicamente duecento anni prima. Ella mi punì per aver abbattuto la sua casa e dà allora non trovo pace, e sono esposto in questo e in quel museo, senza poter ascendere al paradiso che merito”
“non c’è modo di liberarti da questa agonia? Chiese preoccupato l’uomo
“non c’è, a meno che…”
“A meno che io non riesca a raccontare la mia storia a qualcuno, trasferendo la mia condanna ad egli” disse con un sorriso diabolico,
“sei l’unico custode incontrato fino ad ora a non conoscere la mia leggenda Francesco” disse ghignante, ed improvvisamente la cenere cadde a terra, e in una spirale fortissima, si avvolse intorno al malcapitato, che giace in quel giardino ancora oggi, con le mani rivolte al cielo, in cerca di scappare dalla cenere.

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Capitolo 3
*** senza ombra ***


Al lavoro era la solita noia, tutto ordinariamente monotono. Una fotocopiatrice rotta, il capo incazzato che rimprovera qualche povero malcapitato e la giornata andò giù liscia quasi come l’olio. Finito il suo turno di lavoro, Tommaso, prese le chiavi della sua macchina riposte nel solito scompartimento accanto a quello del capo, prese la sua macchina aziendale parcheggiata nel posto per dirigenti, e si diresse verso casa. Tommaso era infatti uno dei dirigenti di una grossa azienda, ed aveva un posto di rilievo all’interno di essa. Era stato fortunato, anche se non lo riconosceva, aveva infatti avuto un padre molto potente che era stato in grado di piazzarlo al posto giusto al momento giusto. Parcheggiò l’auto nel giardino di casa, di fianco la piscina, dove trovò suo figlio a fare il bagno; col caldo che faceva Tommaso desiderò di tuffarsi in acqua assieme a suo figlio Riccardo, ma purtroppo aveva molto da lavorare, e ignorò totalmente le richieste di suo figlio di restare a giocare con lui, e si diresse verso il proprio studio, pronto ad affrontare un duro pomeriggio di lavoro. Ignorò anche gli affetti della moglie che provò ad abbracciarlo
“levati d’avanti dai che ho da lavorare” disse e sua moglie sprezzante, e tornò al suo studio completamente assortito dalle sue cause legali.
Arrivò la domenica, giorno di riposo per Tommaso, nel quale soleva passare l’intera giornata con la sua famiglia, anche se egli era presente con il corpo ma non con la mente, il che è la peggior forma di solitudine per un figlio. Quella però non era una domenica ordinaria, ma avevano deciso di adottare un cane, si recarono quindi in un centro per cuccioli
“le consiglio di prendere un bastardino al canile, sa ci sono tanti cuccioli che avrebbero bisogno delle attenzioni che potreste dargli voi” disse l’addetto
“sta zitto stupido! Io voglio un cane di razza!” disse il pestifero figlio di Tommaso
“non si parla così alle persone Riccardo” disse distrattamente la madre Ginevra mentre messaggiava al cellulare. L’addetto se ne andò interdetto per la poca cordialità di quella che a primo impatto sembrava una figlia così per bene.
Decisero così di prendere un Dalmata di razza pura, per accontentare i vizzi del bambino. Tornarono a casa con il loro nuovo cucciolotto e dopo neanche un ora il piccolo Riccardo si stufò di giocare con “Eolo”, il quale cominciò a passare le sue giornate a giocare da solo tristemente con i mille giocattoli che la ricca coppia gli aveva procurato.
Un martedì mattina Tommaso si recò a lavoro come sempre, ma i suoi colleghi avevano un’aria strana, l’atmosfera era tesa, allora Tommaso entrò nel suo ufficio e lì lo aspettava il suo capo, il quale cominciò a fargli una ramanzina su ciò che non andava in ufficio e gli preannunciò una situazione grave, nel cui caso peggiore sarebbero stati costretti a licenziarlo. Tommaso passo il resto della giornata a cercare di fare del suo meglio ma non aveva molto effetto sul capo, che oramai lo aveva inquadrato come “quello da fare fuori al primo errore”. L’uomo tornò a casa avvilito, all’entrata di casa Eolo gli saltò in grembo facendo mille feste, ma lui non lo considerò neanche un minimo e allora il cucciolo tornò con la coda fra le gambe nella sua cuccetta. Andò quindi in cucina dove trovò sua moglie, allora Tommaso provò a parlarle della grave situazione sul lavoro, ma Ginevra mostrò la sua solita superficialità cambiando discorso e parlando di sé stessa, e in particolare si lascò andare alla disperazione in quanto se il marito avesse perso il lavoro non avrebbe più potuto prosciugare tutte le carte di credito del marito. Fu in quel momento che Tommaso cominciò a pensare alla sua vita felice da bambino, quando non aveva soldi, ma non gli servivano. Viveva in una casa in campagna con i propri genitori ed era felice così. Passava le giornate a giocare con il suo fratellino più piccolo. Tommaso non era solito lasciarsi andare ai ricordi del passato, soprattutto da quando la sua condizione economica era migliorata, ma quello era stato di certo il periodo più felice della sua vita, senza ipocrisie dettate dal dio danaro. Fu proprio mentre fantasticava che il telefono prese a squillare, andò in soggiorno a rispondere e dall’altro lato c’era il suo capo, il quale lo invitava a cena, Tommaso accetto su due piedi senza pensarci due volte, senza neanche avvisare la famiglia. La sera la famiglia Della Rocca si presentò con i propri abiti migliori a casa dell’uomo che li ospitava. Portarono anche una bottiglia di ottimo vino e dei cioccolatini della migliore marca.
“prego entrate pure, siete i benvenuti”
Passarono una serata allegra e senza pensieri, quando verso la fine della serata, il capo chiamò Tommaso in disparte
“ti va un sigaro Tommaso?” chiese il capo. Tommaso non fumava più da quando aveva 18 anni, ma per ingraziarsi il capo accettò e lo seguì in giardino. Fece un tiro e cominciò a tossire.
“senti Tommaso, parliamoci chiaro, da uomo a uomo, ti ho ospitato sta sera in casa mia perché ho bisogno di parlarti, ma non avevo voglia di farlo d’avanti alla tua famiglia e in particolare a tuo figlio.”
“grazie mille per la gentilezza” disse con poca felicità Tommaso
“la situazione è grave, abbiamo bisogno di fare dei tagli al personale e tu sei la risorsa meno utile, in quanto dirigente di un settore con poche persone, c’è la grossa possibilità che tu venga licenziato nei prossimi giorni”
Tommaso tornò a casa disperato, ma non diede a vedere nulla del suo malcontento alla sua famiglia, soprattutto dopo la reazione che aveva avuto sua moglie dopo l’ultima brutta notizia. Decise quindi di tenersi il malloppo per sé stesso. Il giorno dopo Tommaso ebbe la conferma di aver perso il lavoro, e di avere quindi un enorme debito perché avevano ancora un grosso muto da pagare: quello della casa. Tommaso cercò di essere accomodante con la famiglia e di non far sospettare nulla, ma il gioco durò poco. Infatti Ginevra, nonostante la sua superficialità era una donna molto intuitiva
“Cosa succede Tommaso?” chiese una sera appena messo a letto Riccardo
“ho perso il lavoro” rispose secco, senza neanche pensarci, forse aveva bisogno di sfogarsi in qualche maniera. La moglie non la prese bene
“la settimana prossima verranno a pignorare la casa” disse tra le lacrime.
La moglie prese malissimo la notizia, tanto che piuttosto che stare vicino al marito e sostenerlo, decise che avrebbe preso il figlio e sarebbe tornata a casa della madre. Non voleva saperne più niente di suo marito.
Tommaso passò quei giorni nel disperato tentativo di trovare un nuovo lavoro per poter pagare la rata della casa, ma nulla, nessuno voleva assumere un avvocato di mezza età e che per di più aveva lavorato soltanto in uno studio ora fallito.
Il giorno dello sfratto arrivò inesorabile, e Tommaso preparò valige e borsoni e lasciò la sua casa; non aveva una famiglia alla quale rivolgersi poiché era lontana e poverissima e non aveva intenzione di dargli questo forte dispiacere, passò quindi a dormire 2 notti da un amico, poi da un altro e poi da un altro ancora, fino a che la pazienza e gli amici non finirono. In fine fu costretto a dormire in auto, ma, aihmè, arrivò il giorno in cui gli ritirarono anche quella, si trattava infatti di un’auto aziendale, e non poteva più appartenergli avendo perso il lavoro. Fu così che Tommaso si ritrovò a dormire in strada per la prima notte in vita sua. Tommaso passò quella notte tra i rimorsi per le scelte di vita sbagliate fatte nella sua vita, per aver scelto una moglie così crudele e superficiale, soltanto perché era una bella donna. Pensò ad ogni altro modo in cui avrebbe potuto portare avanti la sua vita, ad esempio sposando la dolce Maria, ragazza di cui era follemente innamorato, ma ella non era all’altezza delle sue aspettative, e quindi optò per Ginevra. Passò così la prima notte senza dormire. Il giorno seguente, quindi, crollò dalla stanchezza su una panchina del parco, e al suo risveglio gli avevano rubato le scarpe, pensò a quanto fosse dura la vita senza avere un tetto sulla testa. A seguirlo in questa tremenda avventura c’era con lui Eolo. Le uniche cose che sembravano restargli erano il cane e la sua ombra. Era la notte il periodo peggiore, nel quale perdeva anche quest’ultima e lì capiva quanto davvero fosse solo, senza neanche la sua ombra a tenergli compagnia.
Il giorno dopo Tommaso si rese conto che i suoi soldi stavano finendo, quindi decise di frugare tra l’immondizia per cercare un’alternativa alle scarpe che gli avevano rubato. Fu così che frugando, trovò un bambino, nascosto dietro i vari sacchetti. Era un bambino dolce e affettuoso con due larghi occhi che chiedevano aiuto, così gli tese la mano e lo tenne con sé, forse per sentirsi meno solo o forse perché era come avrebbe voluto fosse suo figlio, poi cercò di aiutarlo a ritrovare i suoi genitori ma senza speranza.
“eccolo! È lui!” sentì gridare da una voce femminile, era la mamma del piccolo Michele
“quest’uomo l’ha rapito!” gridò verso il povero Tommaso che voleva solo aiutare
“Ma no! Diglielo anche tu che volevo solo aiutarti!”
“mio figlio è sordomuto, non può capirti, per questo te ne sei approfittato” e il bambino corse tra le braccia della madre e cominciò a piangere.
Così arrivò la polizia, che chiese a Tommaso dove abitasse, e quando rispose “per strada” fu il pretesto giusto per portarlo in galera.
“almeno qui passerò qualche notte al caldo” cercò di rassicurarsi Tommaso, ma con poca convinzione. Fu così che Tommaso passò la sua prima notte in carcere. Perlomeno aveva un letto caldo per la prima volta dopo giorni, e lì, al buio, dietro quelle sbarre ebbe modo di ricordare la sua vita passata, ripensò alla sua vita passata, a come la morte del fratello la avesse portato ad abbandonare la famiglia all’età di 18 anni e a viaggiare fino al luogo in cui ora si trovava a vivere. Pensò anche ai pianti della madre, e a come avrebbe reagito nel vedere l’unico figlio che gli era rimasto in galera; gli capitò di pensare anche a tutte quelle povere persone che aveva snobbato e che dormivano sui marciapiedi, e a quanto fosse stata buona la vita con lui prima di quel momento. Decise quindi che da quando sarebbe uscito di galera avrebbe iniziato una nuova vita, sarebbe stato più altruista con il resto del mondo per quanto potesse.
Dopo qualche giorno, uscì di Galera e tornò alla solita panchina sulla quale era solito riposare e chiedere l’elemosina. Fu lì che Eolo gli corse incontro e gli leccò la faccia per la felicità. Tommaso aveva ritrovato il suo compagno, l’unico che non l’aveva mai abbandonato. Dato che i soldi scarseggiavano, i due, cominciarono ad andare di ristorante in ristorante all’orario di chiusura a chiedere del cibo avanzato, e bisogna dire, con scarsi risultati. Una volta gli lanciarono addirittura una scodella, e se Tommaso non si fosse scansato, lo avrebbe colpito al centro della faccia. Una sera però ebbe fortuna e gli regalarono non solo cibo per lui ed Eolo, ma addirittura un fiasco di Vino avanzato. Tommaso, che ormai era sempre più depresso, vide quel quarto di vino come la soluzione a tutti i suoi problemi, e si attaccò alla bottiglia arrivando ad essere ubriaco fradicio.
“non pensi di aver bevuto abbastanza?” gli chiese un uomo basso e tarchiato all’uscita del ristornate
“cosa ne sa lei per giudicare” rispose barcollante e in tono di sfida Tommaso
“me lo racconti allora, che drammi avrà mai avuto?” disse l’uomo con altrettanto tono di sfida ed incrociando le braccia
Allora Tommaso prese a raccontargli tutta la sua storia, dall’inizio alla fine non tralasciando nessun dettaglio, l’uomo lo ascoltava meravigliato. Ed alla fine gli disse
“sei stato un uomo superficiale, e poco attento con tuo figlio e tua moglie, e ciò che hai raccolto non è altro che l’indifferenza che hai seminato nella tua vita, ti sta bene, ma sei un avvocato, quindi domani tornerò qui e quando sarai lucido ti farò la mia proposta”
Il giorno dopo l’uomo tornò allo stesso punto e Tommaso scoprì la storia di quell’uomo. Era un povero squattrinato, che era stato rovinato dalla moglie che lo aveva sposato solo per interesse, per poi togliergli, con il divorzio tutti i soldi che aveva. L’uomo, che si chiamava Fabrizio, gli fece quindi una proposta
“io non ho soldi per pagare un avvocato e riprendermi ciò che è mio, ma se vuoi puoi aiutarmi tu, ed in cambio ti darò vitto e alloggio”
Tommaso accetto immediatamente, senza pensarci due volte. In accordo con ciò che aveva deciso quella notte in carcere, decise di difendere l’uomo senza mezzi sporchi, ma nel modo più onesto possibile, e così facendo vinsero la causa, e l’uomo riebbe tutte le sue ricchezze. Era quindi tempo di Tommaso di andare via, ma nella sua difesa per quell’uomo, che sembrava impossibile, fu notato da una donna che decise di assumerlo nel suo studio e di dargli un lavoro. Era una donna molto bella, dolce, gentile e sensibile, niente a che vedere con Ginevra, si chiamava Marta, e non ci volle molto perché Tommaso se ne innamorasse. I due si misero assieme e decisero che a breve si sarebbero sposati. Era anche lei un avvocato e decisero che avrebbero smesso di far cause divorziste e si sarebbero concentrati sull’aiutare i senzatetto. I due alla fine si sposarono davvero, riuscendo a coronare il loro sogno, e Tommaso, non fu mai più lo stesso.

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Capitolo 4
*** la stanza di Anastasia ***


Seduti su un muretto, Antonio e Giuseppe, guardavano i loro amici finire l’opera che i due ragazzi avevano iniziato:

-“ci vorrebbe un po’ più di rosso”

-“ma che cazzo dici! È perfetto così”

Il graffito realizzato dai ragazzi rappresentava un grosso gatto su uno skate che attraversava le vie di New York. quel gruppo di ragazzi composto da 6 amici: Antonio, Giuseppe, Alessandro, Michele, Kevin e Tommaso, era solito riunirsi alle 5 del pomeriggio, durante i tramonti di quel tiepido inverno per mostrare al mondo la propria arte. Purtroppo però, si trattava di arte proibita, infatti non passò molto tempo che sentirono una sirena provenire dal fondo della strada e farsi sempre più intensa e costante.

-“oh cazzo, la poli, corriamo!”

Un signore anziano, di quelli a cui non va mai bene nulla, aveva avvisato le forze dell’ordine, stanco di “quei ragazzacci che sporcano le mura della città”.  Egli passò d’avanti ai ragazzi e disse ridendo con un ghigno cattivo

-“vi sta bene!”

-“’sto stronzo!” disse Giuseppe mettendogli quasi le mani addosso, ma l’anziano signore riuscì a scappare, aiutato da Antonio che frenò l’ira di Giuseppe, e dalla preoccupazione del ragazzi per la polizia.

-“dobbiamo scappare” disse qualcuno dal coro, e la sua affermazione trovò consenso dai più che decisero di correre a gambe levate verso un vicoletto poco illuminato.

-“forza di qua!” disse Tommaso affannato

Cominciarono a correre, passando da un vicoletto all’altro, fino a che non si trovarono d’avanti ad una casa. Era un’abitazione molto vecchia e malandata

-“Entriamo qui, non verranno mai a cercarci” disse Alessandro

La porta era bloccata, allora presero una pietra e la scagliarono verso una finestra al piano terra. Era una finestra antica con i vetri opachi, quando la colpirono il vetro si sgretolarono, come se fossero stati farina e caddero al suolo. I ragazzi passarono un ad uno attraverso la finestra, in fila indiana

-“che posto!” disse Giuseppe

In effetti era vero, era un posto mistico: si trattava di un posto antico, un po’ malandato, ma con il suo fascino: era addobbata con tende vecchie e pesanti, di colore verde scuro. Il pavimento era adornato da tappeti persiani spessi. Al centro c’era un grosso tavolo circolare con dei vasi con fiori freschi.

-“che strano” capitò di pensare ad Antonio: quei fiori erano freschi, eppure quella casa era palesemente abbandonata.

I ragazzi passarono il resto della giornata in quella casa, al piano terra, si divertirono da matti, giocando con la fantasia.

Il giorno dopo tornarono, e anche quello dopo ancora, e anche la settimana successiva: passavano ore in quella casa. Cominciarono a portare con sé il necessario per realizzare la loro arte, e adornarono le pareti esterne della casa, sicuri che nessuno avrebbe avuto da ridire.

I giorni passarono e i ragazzi cominciarono sempre piu’ ad affezionarsi a quella casa, frequentavano sempre lo stesso ambiente: il pian terreno, li trovarono di tutto per potersi divertire: una vecchia pipa per fumare per la prima volta, una vecchia agenda sulla quale fare i propri schizzi per i futuri disegni riproporre sulle pareti della citta’ e tanto altro. Non si erano mai avventurati a scoprire i piani superiori della casa perche’ c’era una grossa sbarra a coprire la scalinata che portava ai piani successivi.

Una mattina ebbero la brillante idea di fare dei disegni sulle pareti interne della casa, a matita, per poi ripassare il disegno fatto con le loro inseparabili bombolette. Giuseppe si arrampico’ quindi su un piccolo scalino a tre piedi per iniziare con grande precisione il disegno, ma forse per la troppa concentrazione impiegata nel fare quell’azione gli casco’ da mano la bomboletta che ando’ a colpire diritto diritto la testa di Antonio, la quale comincio’ a sanguinare a piu’ non posso.

“sei impazzito?! Mi hai rotto la testa” disse Antonio

“ci vorrebbero delle garze per fermare il sangue” rispose Giuseppe

“che cazzo! Fai qualcosa muoviti!” inveii Antonio

“vado a cercar qualcosa per medicarti” aggiunse Giuseppe con un certo senso di colpa.

Si diresse quindi verso la grande scalinata, e mise un piede dopo l’altro sull’ostacolo da scavalcare fino a che non riusci’ a passare oltre. Si ritrovo’ in una stanza buia, piu’ buia di quella del pian terreno. Fece luce con il cellulare per cercare di veder qualcosa in quella stanza e di trovare qualcosa di utile per medicare il suo amico ma riusci’ a trovare soltanto dei vecchi mobili, tra questi vide un vecchio como’ con uno specchio antico e prezioso; penso’ che li’ dentro potesse trovarsi qualcosa di utile per mediare Antonio; nel momento in cui lo aprii sentii il mobile scricchiolare e nello stesso istante un rumore giunse dal fondo della stanza, un tonfo sordo, come un sacco di patate che cadeva sul pavimento. Giuseppe si volto di scatto e vide un’ombra in fondo alla stanza in un angolo:

-“c’è qualcuno?”

-“andate via da casa mia!” era la voce di una ragazzina, sarà stata di qualche anno più piccola di loro: avrà avuto massimo 16 anni.

-“e tu chi cazzo sei??” disse terrorizzato Giuseppe indietreggiando

-“sono la proprietaria di questa casa” disse rincorrendo il ragazzo, fu così abile da scavalcare l’ostacolo sulle scale all’ingresso. La ragazza malandata si trovò faccia a faccia con tutta la comitiva di ragazzi.

-“c’è una pazza sulle scale!” disse terrorizzato il ragazzo. Ma nel momento in cui si trovò con i suoi amici la paura svanì del tutto, trovandosi coperto dal branco

-“sembra più una scimmia per come è conciata” dissero iniziando a ridere

-“la vuoi una banana?”

-“andatevene!” gli disse scagliandogli un vaso contro

-“questa è pazza davvero, andiamocene” dissero ridacchiando e incamminandosi verso la porta d’uscita

-“che palle oh, abbiamo perso la nostra casa” disse Giuseppe rivolto ad Antonio, ma egli non ascoltava, era perso nei suoi pensieri, pensava a quella ragazzina così giovane e abbandonata a sé stessa. Aveva di sicuro una storia tragica alle spalle, perché era senza genitori, e soprattutto non sapeva se erano morti o se l’avessero semplicemente abbandonata, e per di più pensava a quanto ella dovesse sentirsi sola in quella catapecchia abbandonata.

-“oh mi ascolti?” disse Giuseppe dando un pugno sulla spalla all’amico e allontanandosi correndo verso il resto della comitiva.

Il giorno dopo Antonio tornò nella casa da solo e portò con sé del cibo buono per la ragazza. Bussò alla porta, per la prima volta, per rispetto verso la ragazza. Dopo un po’, tentennante, ella aprì la porta:

“cosa volete ancora” disse scagliandosi contro il ragazzo con una spranga di ferro

“sono solo! Sono solo!” la ragazza si affacciò in strada e quando vide che effettivamente non c’era nessuno si rasserenò

“entra” disse con aria stanca

“i ragazzi si divertono sempre a prendermi in giro, cos’hai lì?”

“ti ho portato il pranzo”

Finito di mangiare i due ragazzi cominciarono a ridere e scherzare, e si promisero di rivedersi il giorno seguente. Antonio non mancò la promessa e passarono un’altra splendida giornata assieme, alla fine della quale, la ragazza, stanca, si lasciò andare ai ricordi e raccontò al suo nuovo amico la sua storia:

“i miei genitori sono partiti anni fa, di tanto in tanto tornano, riempiono il frigo e ripartono, illudendosi di far tanto per me e di comportarsi come dei veri genitori. Hanno deciso di andarsene perché non ne potevano più del mio comportamento insolente, ed hanno deciso di approfittare di un brutto litigio per lasciarmi sola in questa catapecchia. Stanno inseguendo il loro sogno: quello di viaggiare per tutto il mondo” nel dire quest’ultima frase la ragazza assunse un’aria triste, ed Antonio intuì che la Anastasia non aveva mai lasciato quella casa in vita sua, gli chiese quindi se volesse uscire con lui a fare una passeggiata, ma la ragazza ebbe una reazione bruttissima, e scacciò il povero ragazzo dalla sua casa, dicendogli che né ora né mai sarebbe uscita in mezzo a quella giungla piena di ragazzacci come i suoi amici. Il ragazzo però non si lasciò spaventare e il giorno dopo si ripresentò a casa della ragazza con una mappa, di quelle che si usano per viaggiare, ed un pacco pieno di fotografie. Appena andato via da casa di Anastasia era andato in giro per la città a scattare foto con la sua macchina istantanea, ed aveva inoltre raccolto delle immagini delle zone più belle del mondo. Quindi bussò alla porta con il suo zaino stracolmo e si poggiò su un mobile, e aprendolo, ripose la mappa sul pavimento, e con lo sguardo di lei meravigliato cominciò ad incollare le foto sulla mappa e a descrivere ogni zona della città e poi del paese, ed in fine del mondo. La ragazza lo guardò per tutto il tempo stupefatta senza proferir parola. Solo quando ebbe finito con le lacrime agli occhi, gli buttò le braccia al collo e lo ringraziò fino allo sfinimento

“uscirò per strada con te”

Allora Anastasia preparò la valigia e scese giù in strada con il suo nuovo amore, pronta ad affrontare, per la prima volta, il mondo.

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Capitolo 5
*** la condanna di Leo ***


Leonardo e Paola erano una coppia di giovani sposini. Vivevano una casa antica, un po' malandata, ma accogliente. Conducevano una vita monotona, senza troppi colpi di scena. Un giorno come un altro Leonardo era sul divano, d'avanti alla TV, quando un rumore improvviso svegliò Leonardo dal suo riposino: Veniva dalla soffitta.

-"Paolaaaa, cosa combini in soffitta? Mi hai svegliato!"

-"guarda che io sono in cucina..."

-"basta! Sono stanco di questo trambusto! Vado in soffitta"

Erano infatti giorni che Paola e Leonardo non riuscivano a dormire a causa del fracasso che arrivava da ogni parte della casa. Leonardo aveva da sempre evitato quella soffitta a causa della paura che segretamente gli incuteva; ma non poteva di certo dirlo a Paola! Doveva essere lui l'uomo di casa forte e coraggioso. Allora, torcia alla mano, si accinse ad affrontare il gran schiamazzo che li disturbava da diversi giorni senza lasciargli riposo. Salì le scale, e un brivido freddo gli attraversò la schiena "sarà stato il vento" penso tra sé e sé non troppo sicuro delle sue ragioni. Provò ad aprire la porta della cantina, ma niente la serratura era arrugginita. Si recò allora in salotto per rifornirsi di accessori utili ad aprire quella porta, sperò vivamente di non trovare nulla di adatto ad aprire quella porta, ma purtroppo trovò una serie di chiavi, molto antiche, unite da un grande anello. Allora si fece coraggio e si avventurò nuovamente in soffitta, provò tre chiavi prima di trovare quella che aprisse realmente la serratura. Una volta infilata la chiave sentì un nuovo brivido lungo la schiena, ma quella volta era sicuro non fosse il vento. Chiuse gli occhi, tirò un forte sospiro e spinse la porta con tutta la forza che aveva. Si trovò ad inciampare su un vecchio tappeto impolverato. Diede un'occhiata veloce alla soffitta. Era totalmente vuota, tranne un piccolo nido di topi che si era annidato in un angolino della stanza. Leonardo si rasserenò capendo che i rumori provenienti dalla soffitta erano opera soltanto di quei roditori. Il giorno dopo si presentò una ditta di disinfestazione a casa dei due, ma Leonardo non aveva fatto nessuna chiamata "che strano che Paola non mi abbia avvisato!" gli capitò di pensare. Si presentarono due uomini , alti e massicci, di sicuro quelle piccole creature non potevano fargli spavento! Allora andarono in cantina, snobbando totalmente il povero Leonardo, come se non ci fosse, forse avevano intuito che egli fosse un uomo di poco polso. Paola si rese conto della situazione e si recò dal marito per consolarlo, ma lui la scacciò con sgarbo, lei comprese e si ritirò nella sua stanza. Passarono due ore e dei due omoni ancora nessuna traccia, allora Leonardo decise di andare a dare un'occhiata in soffitta, si accinse a salire le scale e percepì un silenzio tombale, allora aprì di scatto la porta e un trambusto arrivò alle sue orecchie inarrestabile. Fu talmente forte che Leonardo si portò le mani alle orecchie, facendo cadere la chiave che aveva in mano, quando i rumori cessarono Leonardo alzò lo sguardo e vide che i due uomini guardavano impietriti e pallidissimi l'uomo negli occhi, Leonardo provò a comunicare con loro

"che succede?"

Ma non riuscì a terminare la frase che i due tirarono un urlo fortissimo e scapparono a gambe levate, continuando a girarsi verso Leonardo.

"mah che tipi strani, per due topini"

Disse fiero e con una punta di cattiveria Leonardo a sua moglie

"c'è qualcosa che non va" disse pallida Paola.

"dobbiamo rivolgerci ad una medium" disse ancora affannata

Perché mai?

"Leo, sta notte ho sognato la stessa identica scena a cui abbiamo assistito pochi minuti fa, ma c'è di più nel mio sogno c'erano delle persone, dei fantasmi"

"si vabbè, ora non dirmi che credi a queste cretinate" disse sudando freddo

"erano un uomo e una donna, molto anziani, con loro c'era un bambino, dobbiamo rivolgerci ad una medium"

Paola era estremamente agitata, allora decise di andarsi a coricare sul suo letto, e non parlarono più dell'accaduto, fino a quando non sentirono nuovamente quei rumori provenire dalle mura della casa. Preso allora la loro decisione definitiva di rivolgersi ad una medium. Il mattino dopo si presentò una donna allo loro porta, questa volta fu Paola a pensare che la situazione era molto strana e che fosse inconsueto che Leonardo non l'avesse avvertita. La donna aveva gli occhi bianchi, era cieca. Ella entrò in case senza presentarsi, ne dire una parola, si rivolse soltanto una volta verso i due sposini e per un momento sembrò quasi potesse vederli. Dopo quell'attimo di esitazione andò diritta in soffitta aprì la porta con naturalezza, come se non fosse mai stata arrugginita, sembrava quasi che qualcuno gli avesse aperto la porta dell'interno. Si rivolse allora verso i due sposi e cominciò a parlare

"da quanto tempo vivete in questa casa?"

"da solo due anni"

Allora la donna girò i tacchi e fece per andarsene, si rivolse soltanto per un attimo verso il vuoto e disse a gran voce

"c'è qualcuno che abita questa dimora da molto più tempo di voi, abbiate rispetto, per i vostri coinquilini"

La donna andò via, scese le scale velocemente, tanto che i due non riuscirono a rincorrerla, che già era lontana

"che facciamo?" disse Leonardo a Paola pallido.

"non lo so proprio" replicò lui

"forse se siamo rispettosi come diceva quella strana donna, avranno a loro volta rispetto per noi e ci lasceranno in pace" disse Paola.

Allora i due andarono in soffitta e cercarono delle prove di quella presenza sovrannaturale nella loro casa. Passarono i giorni e cominciarono a mettere a soqquadro la casa. Ma niente non c'era traccia di una prova. Passarono altri giorni e la situazione sembrò acquietarsi. I due innamorati si rilassarono e quasi si dimenticarono della presenza dei fantasmi che infestavano la loro casa. Paola decise un giorno di farsi un bel bagno rilassante per eliminare le tensioni: prese il suo bagnoschiuma preferito e lo versò con leggiadria nella vasca da bagno, prese poi dei petali e cosparse la vasca di fiori. Ella si spogliò, entrò nella vasca e cominciò a rilassarsi, si rilassò così tanto che si addormentò. Ma a svegliarla fu un grido disumano, che la levò con violenza dal suo sonno. Quando aprì gli occhi vide la porta del bagno spalancata con una vecchia donna in piedi, che la fissava impietrita. Allora cercò di far qualcosa, di uscire dalla vasca e di scappare più lontano possibile con il suo Leonardo. Ma quando provò a sollevarsi dalla vasca si rese conto che non si trovava più in una vasca piena d'acqua profumata, ma era, letteralmente, in un bagno di sangue. Allora Paola si distrasse dall'anziana donna e tirò un urlo forte, che attirò l'attenzione di Leonardo.

-"che succede?!!" disse terrorizzato Leonardo

Paola si girò verso la vasca e vide che essa era tornata ed essere piena d'acqua profumata. Paola si portò le mani al viso e replicò:

-"sono solo stanca, andrò a dormire".

"Ho visto anche io la donna Paola, dobbiamo andare via da questa casa"

I due prepararono le valigie di fertta e furia, ma quando si accinsero ad allontanarsi dalla dimora, sentirono una voce provenire dalla soffitta

-"non abbandonerete questa dimora, né ora né mai"

Mentre pronunciava queste parole, la medium scese dalle scale

-"che ci fai in casa nostra?!" disse aggredendola Leonardo, facendosi prendere da una furia quasi omicida. Provò ad aggredire la donna, ma riuscì solo ad attraversarla da parte all'altra. Leonardo inciampò e fece cadere un vaso

-"ora posso vederli anche io! Ecco perché si spostavano gli ogetti" disse un bambino che sembrò apparire lì dal nulla.

Il bambino era insieme a una donna e un uomo molto anziani, erano introno al loro tavolo, con una tavola uija nel mezzo.

"sedetevi tutti che ho da raccontarvi una storia, a tutti voi" disse la medium.

Si misero a sedere tutti e la donna iniziò il suo racconto

-"da 3 mesi si sono trasferiti in questa casa due nonnini con il loro nipotino, purtroppo essi gli fanno da genitori perché i suoi genitori sono tragicamente morti due anni fa, in questa stessa casa. Lui era un uomo molto possessivo, e scoprì il tradimento di lei. Allora raccolte le prove de suo tradimento, la raggiunse nella vasca da bagno nella quale loro si trovavano. Lui cominciò ad urlare, lei disse di abbassare la voce perché avrebbe svegliato il loro bambino, ma egli non se ne curò, afferrò un coltello e pugnalò la donna 43 volte, fino a lasciarla esangue. Poi lui, si tolse la vita per il rimorso di ciò che aveva fatto. I due sposi in questione eravate voi, cari Paola e Leonardo."

-"è uno scherzo?" disse Leonardo aggredendo la medium

-"non lo è per niente, e ora saluta per l'ultima volta la famiglia che avresti dovuto proteggere"

non ebbe neanche il tempo di proferir parola che le persone schierate d'avanti a lui sparirono, con aria serie e composti

-"ora ti tocca l'inferno" dissero all'unisono, mentre sbiadivano. Allora Leonardo si guardò in torno, e vide la sua casa in rovina, con le mura sporche di sangue. È ancora lì che l'anima sporca di Leonardo trova dimora, senza poter comunicare con essere vivente alcuno. 

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