La vita che ho scelto

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vento di crisi ***
Capitolo 2: *** Il vernissage ***
Capitolo 3: *** Il paradigma dell'arte incompresa ***
Capitolo 4: *** Una strana richiesta ***
Capitolo 5: *** Lampi dal passato ***
Capitolo 6: *** I colori dell'anima ***
Capitolo 7: *** Il filo conduttore della passione ***
Capitolo 8: *** Caratteri e nuove conoscenze ***
Capitolo 9: *** Quei piccoli dettagli ***
Capitolo 10: *** Amori a confronto ***
Capitolo 11: *** Quando anche Giovanna perde la pazienza ***
Capitolo 12: *** Aprire gli occhi ***
Capitolo 13: *** Progetto di autodistruzione ***
Capitolo 15: *** I gesti che non ti aspetti ***



Capitolo 1
*** Vento di crisi ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Vento di crisi

 

 

Aggiustandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli dispettosamente mossi dal vento, la vide arrivare con passo calmo e sicuro nel suo completo di lino bianco panna. La camicia azzurra, i braccialetti etnici al polso sinistro, la capigliatura appena sopra le spalle di un argento compatto con quell’immancabile frezza rosa che tanto le ricordava quella acqua marina che da anni portava anche lei. Alzando una mano in segno di saluto, Michiru sorrise aspettando che l’altra donna la raggiungesse sul piazzale che si apriva di fronte alla sede del Comune di Bellinzona.

“Konnichiwa.” Esplose vedendola aggirare agilmente una macchina in transito.

“Kaiou-san. Non credevo saresti riuscita a passare.”

“Ho preso il tempo per la pausa pranzo. Oggi sono piena d’appuntamenti.”

“Non avresti dovuto.” Disse leggermente dispiaciuta.

“Non importa. Il lavoro prima di tutto.” Rimarcò Michiru stringendosi leggermente nelle spalle.

Non poteva girarci intorno; dalla prima volta che Franz Miller, il Direttore del museo di Castel Grande, le aveva presentato l’artista nippo Svedese Kristen Kocc, Michiru n’era rimasta piacevolmente colpita, sia per il gusto artistico che riusciva ad imporre alle sue opere, sia per il fascino personale sicuramente legato ad una vita piena spesa in giro per il mondo. E la cosa era stata reciproca tanto che la stessa artista aveva chiesto espressamente di lei per curare la sua ultima temporanea in Svizzera prima di rientrare a Stoccolma.

Non avendo mai amato troppo la corrente impressionista moderna dei paesi nord europei, Michiru in un primo momento era rimasta abbastanza spiazzata. Indecisa o meno se accettare un lavoro che la vedeva tanto lacunosa, aveva tergiversato accampando anche un paio di puerilissime scuse. La spinta giusta però, era arrivata proprio dalla conoscenza con la Kocc avvenuta a Zurigo un mesetto prima, dove Michiru non aveva potuto che cedere alle molto più che lusinghiere avance dell’artista.

“Con un curriculum come il suo, non potremmo che fare grandi cose insieme.” Aveva detto con quel suo strano accento internazionale stringendole energicamente la destra con entrambe le mani.

Così, le radici nipponiche che Michiru aveva ereditato dal bisnonno paterno ed il fatto di avere frequentato, anche se in periodi diversi, gli stessi circoli culturali di Tokyo, avevano infuso a Kaiou il coraggio necessario per gettarsi senza rete di sicurezza in quell’ennesima avventura ed ora, a distanza di qualche settimana, non era ancora riuscita a capire se quell’incontro rappresentasse per lei una fortuna o una colossale sciagura. E si, perché in tutto questo Michiru aveva anche una vita privata che a lungo andare non avrebbe assolutamente giovato di un ritmo lavorativo tanto impegnativo come quello di affiancare una delle più grandi artiste europee degli ultimi decenni.

Infatti per cercare di stare al passo con il nuovo incarico, la sempre perfezionista Dottoressa Kaiou aveva iniziato a studiare come un’universitaria al primo anno, cercando di assimilare in poco tempo nozioni pittoriche e correnti artistiche che non aveva mai preso in considerazione e tutto questo a discapito della sua famiglia. Passato con la sua bionda il momento del fuoco e quello successivo del consolidamento della loro unione, adesso doveva concentrarsi sul circoscrivere ed eliminare tutte quelle piccole trappole che dopo otto anni di vita in comune una coppia era chiamata periodicamente ad affrontare e quello di andarsene in giro per la Svizzera assieme ad una donna più matura, ma dallo charme notevole, non sembrava proprio una mossa intelligente.

Michiru era riuscita a tenere a bada l’innata gelosia di Haruka solo perché anche la compagna aveva iniziato un progetto che la portava lontano da casa forse anche più di lei. Ma quanto avrebbero retto prima d’esplodere? Quando la stanchezza, la mancanza l’una dell’altra, il concentrarsi su altre cose che non fossero solo loro due o l’egoismo insito nella soddisfazione personale, le avrebbero portate ad uno scontro?

Forse per Kaiou, donna romantica sempre intimamente alla ricerca dell’amore e della libertà, sarebbe stato tutto più facile se si fosse dovuta interfacciare con un attempato artista newyorchese schiavo del fumo e di una gerascofobia dilagante, piuttosto che una donna vicina ai cinquantacinque, ma con un genio creativo ancora vivissimo. L’educazione inculcatale da ragazzina l’avevano in un certo senso aiutata a non scoprirsi troppo, a rimanere apparentemente impassibile alle lusinghe che spesso la signora Kocc le lanciava e a continuare a mantenere senza non poca fatica, un certo distacco. Eppure il ritrovarsi immersa nell’espressione visiva e tattile di un’artista, nella pura viscosità dei colori, delle tele, dell’odore della trementina, stavano provocando in Michiru una sorta di risveglio pittorico che trascendeva dai quadri casalinghi che ormai creava solo per hobby.

“Allora devo considerarmi estremamente lusingata per questo inatteso regalo, Dottoressa Kaiou. Oggi non posso, ma spero quanto prima di potermi sdebitare con una scappata in qualche ristorante giapponese della città.” Disse Kristen aumentando il sorriso che in genere aveva quando s’incontravano.

Michiru inclinò un poco la testa in segno di gratitudine non commentando e virando immediatamente la barra di navigazione, puntò decisa al motivo che l’aveva strappata per l’ennesima volta al suo pranzo. “Cosa ha detto l’ufficio tecnico? Per la mostra potremmo usare gli spazi della parte più vecchia del castello?” Chiese intuendo già la risposta.

“Assolutamente no. Sembra che non siano presenti le condizioni necessarie per tutelare gli affreschi che decorano alcune sale.”

“Ne ero quasi sicura. Le istallazioni luminose che userai per alcune opere, non farebbero bene ai pigmenti degli affreschi presenti sulle murature.” Rivelò Michiru desolata, ma intimamente felice del fatto che il restauro che lei e la sua squadra avevano eseguito su quelle stesse pitture neanche due anni prima, non sarebbe stato messo in pericolo.

Era stato un lavoro bene eseguito che l’aveva talmente messa in luce con il Direttore del museo da farle guadagnare non soltanto i suoi elogi, ma anche un contratto come curatrice delle mostre temporanee.

“Pensavo che in tal senso voi elvetici foste un po’ più aperti. A volte mi sembra di parlare con gli italiani. L’arte non è solo quella del quattrocento o del cinquecento.”

“Trecento… - Sottolineò stirando le labbra. - Gli affreschi di quelle sale sono del trecento. Scuola ticinese.”

Un plateale gesto con il braccio e la Kocc scoppiò a ridere chiedendo scusa. “Dimentico troppo spesso di stare parlando con una restauratrice.”

 

 

Muovendo la banda laterale presente sullo schermo del suo portatile, Stefano scorse la pagina delle mail del loro nuovo sito di ricambi d’epoca scuotendo la testa vinto. A pomeriggio inoltrato ancora non erano riusciti ad arrivare a capo di nulla. Smessa la tuta della Ducati e fatta a regime sostenuto la strada per la frazione extra cittadina dove suo fratello aveva l’officina di famiglia, speranzosi di ricevere buone nuove da alcuni rivenditori del Mild West a cui avevano chiesto aiuto, come quasi tutti i pomeriggi lui ed Haruka si erano messi subito al lavoro.

“Ma che! Anche questo rivenditore ci ha dato picche!” Disse vedendosi tolto il mouse da una Tenou ancora più scorata di lui.

“Ma che cavolo! Possibile che in tutti gli Stati Uniti non si riesca a trovare una sella decente! Sei proprio sicuro che abbiano scritto di non avere il pezzo?!”

Malfidata come sempre, la bionda lo vide alzarsi dalla sedia per andare verso la moto che giaceva languida in un angolo dell’officina del fratello. Una Winchester del 1911. Una bellezza tanto rara quanto preziosa, prodotta dall’omonima marca statunitense di armi solo nei primi anni del ventesimo secolo e per questo dai pezzi originali quasi introvabili.

“Se non ti fidi controlla da te, ma l’inglese lo conosco anch’io e li c’è scritto che non trattano selle originali tanto vecchie. Forse abbiamo fatto una stronzata ad imbarcarci in questo progetto senza averne le basi.”

“Se due tecnici della Ducati non hanno le basi, allora spiegami chi potrebbe averle! Non si tratta di questo; sono i canali giusti che non conosciamo. Siamo nuovi nel settore delle moto d’epoca, non ci conosce ancora nessuno ed essendo un mondo chiuso dovremo sbattere le corna contro parecchie porte prima di ottenere qualcosa.”

“Non mi consola Haruka.”

“Non era mia intenzione…” Rispose stirando le labbra puntando decisa sul secondo rivenditore al quale avevano chiesto aiuto.

“A proposito di corna…, guarda che si sta facendo tardi. Non sarebbe il caso di avvertire la tua donna prima che te le spezzi.”

Strizzando gli occhi la bionda gli diede ragione e lasciandogli nuovamente la postazione afferrò il suo I phon nella tasca posteriore dei jeans iniziando a scorrere la rubrica.

“Vero. Fammi il piacere…, tu intanto controlla l’mail di quelli di Indianapolis.”

“Ok.” Poco convinto l’amico si rimise in caccia mentre lei iniziava a scrivere alla compagna per avvertirla che avrebbe fatto tardi. Ancora.

Tenou si lamentava spesso di non avere più molto tempo da dedicare a Michiru, eppure non c’era giorno che invece di far subito ritorno a casa dopo l’orario di lavoro, non passasse in officina anche solo per stringere due bulloni o farsi quattro risate. Quelle pareti bianche e blu ormai macchiate dal tempo con gl’immancabili attrezzi da meccanico in bella mostra, gli scaffali di metallo con le latte d’olio divise per classi e dimensioni, il paranco per il sollevamento dei mezzi e quell’apparente caos di pezzi smontati disseminati un po’ ovunque, le ricordavano la sua adolescenza, quando desiderosa d’imparare un mestiere che la portasse a spiccare il volo nel mondo degli adulti, aveva trovato il suo primo lavoretto in un’officina della sua città natale. Non che gli stabilimenti della Ducati non fossero altrettanto affascinanti, li amava in ogni loro sfumatura, ma erano senza ombra di dubbio imparagonabili al piccolo buco dove aveva iniziato la sua carriera di meccanico e pilota, più tecnologici, puliti ed attrezzati e perciò privi di quel fascino arcaico capace di riportarla indietro al tempo che l’aveva vista un puledro irrequieto.

Finito di scrivere il messaggio e già con il pollice sull’invio, Haruka sentì improvvisamente Astorri lanciare un fischio eccitato e scattando la testa verso lo schermo del portatile si ritrovò a trattenere il fiato.

“Tenou, vieni qui!”

“Che c’è?!”

“Hanno scritto che hanno qualcosa! Una sella del 1910 in buono stato.”

“Ma va?! - Esclamò lei fiondandosi alle sue spalle. - Lo sapevo! Visto porta sfiga, che quando non ti concentri sulla rogna ne viene fuori qualcosa di buono!” E giù un’energica manata che lo fece curvare su se stesso.

“E fai piano!” Rimbombò tra i muri.

“Zitto e vai all’offerta. Quanto chiedono?”

Due cliccate e Stefano cacciò un sonoro sfondone. “Guarda qui! Un boato di soldi!”

“In franchi sarebbe?”

“Tanto…”

“E faremo lo sforzo! Una volta montata la sella passeremo al motore e da li, ai raggi delle ruote. Tuo fratello farà il resto con la carrozzeria.”

“Il tuo entusiasmo mi sorprende.”

“Per forza! E’ un mese che cerchiamo questo pezzo!”

“Allora dobbiamo festeggiare. Birra e hamburger?”

E visto che la compagna era comunque già stata avvertita, Haruka accettò di buon grado guardando la loro creatura a due ruote che ben presto si sarebbe abbellita di un nuovo e significativo pezzo.

 

 

Quando quella sera Michiru tornò a casa, era esausta. Convintissima di trovare il solito ambiente caldo ed accogliente, una volta parcheggiata la sua Prius sul piazzale davanti allo stabile, non alzò neanche lo sguardo all’ultimo piano per vedere se le luci del loro appartamento fossero accese. La sua isola felice la stava aspettando ed anche se Haruka non era brava quanto lei ai fornelli, il solo ritrovarsi sotto al mento un piatto fumante ed una sedia comoda dove far rilassare la schiena, le sembravano le cose più belle ed irrinunciabili del mondo.

Quando però arrivata davanti la porta dell’appartamento si ritrovò a fare più di un giro di chiave, venne assalita dalla delusione più nera. Non soltanto la sua compagna non era ancora rientrata, ma facendo più tardi di lei avrebbe anche preteso le stesse cose. Tacito accordo infatti era che chiunque delle due fosse mai rincasata per prima, avrebbe pensato alla cena e ai bisogni del piccolo Tigre.

“No Ruka… - Lagnò gettando letteralmente la borsa sul piano della consolle. - Questa proprio non me la dovevi fare. Non questa sera!”

Un grosso boccone d’aria e forzandosi di rimanere calma iniziò a spogliarsi del soprabito e delle scarpe, sperando che il mancato avviso di quel ritardo non nascondesse un qualcosa di serio. Michiru era abbastanza tranquilla in tal senso, perché nell’ultimo mese, presa com’era da un secondo lavoro con Stefano ed il fratello, Haruka aveva fatto spesso tardi nell’officina di quest’ultimo per smontare e rimontare pezzi di una moto d’epoca che secondo i tre, una volta restaurata e rivenduta avrebbe fruttato una marea di franchi. Ma nonostante questo, fino a quando non avesse visto la macchina della sua bionda oltrepassare la cancellata del comprensorio non sarebbe stata tranquilla.

“Lei e le sue stupidissime idee!” Ringhiò infilando la porta del bagno per darsi quanto meno una rinfrescata che le permettesse di terminare in piedi quella lunghissima giornata.

Era accaduto tutto tanto rapidamente che il vedere, comprare la scocca agonizzante di una moto d’epoca dei primi anni del secolo scorso e il metter su un altrettanto gruppo di meccanici squinternati che la riportasse alla vita, era stato per Haruka un attimo e Michiru non aveva neanche avuto il tempo di dire la sua.

“Amore è stato un affarone! Una volta rimessa a posto quella Winchester ci farà fare dei bei soldini. E’ una moto rarissima e comprandola in tre siamo riusciti ad ammortizzare la spesa iniziale.”

E come scusa avrebbe anche potuto bastarle, ma il fatto di non essere stata interpellata su una cosa tanto importante aveva gettato Kaiou in uno stato di profonda prostrazione. “Sono soldi tuoi e non mi metterò certo a bacchettarti su una tua passione, ma avresti anche potuto dirmelo.”

“Te lo dico adesso.”

“A cose fatte Ruka?”

“Kaiou, era un’asta! Sono stata avvertita da Stefano solo all’ultimo secondo. Cosa avrei dovuto dirgli? Scusa Astorri, aspetta un attimo che devo chiedere il permesso alla mia compagna?”

“Sarebbe stato carino, si. Comunque hai pensato al tuo lavoro alla Ducati? Tra qualche giorno inizierà il Campionato.” Le aveva chiesto la sera che finalmente era stata messa al corrente della cosa.

“Per rimettere a posto quella moto non abbiamo mica una scadenza. Lo faremo nei ritagli di tempo, tranquilla.”

Tempo che naturalmente sarebbe stato sottratto alla loro vita di coppia. Michiru tranquilla non poteva starci, perché conosceva la sua compagna e il turbo che accendeva quando una qualsiasi passione le si insinuava sotto pelle e non sarebbero passate troppe settimane prima che ogni santo minuto libero della giornata, Haruka lo avrebbe passato dietro a quel catorcio a motore. La sibilla aveva predetto e puntualmente il tutto si era avverato con disarmante precisione e proprio in concomitanza con il lavoro per la progettazione della temporanea dell’artista Kristen Kocc, tanto che ormai era diventato un evento anche solo il passare un pomeriggio insieme.

Dieci minuti più tardi Michiru era ai fornelli quando la porta dell’ingresso si aprì su una bionda stanca, ma raggiante. La cosa grottesca, quella che solleticava ogni tre per due i nervi di Kaiou, era che se il lavoro con la Kocc stava prosciugandole ogni stilla d’energia fisica e nervosa, il lavorare alla moto d’epoca con i suoi amici, stava invece rivitalizzando la compagna tanto che sembrava essere tornata una ragazzina poco più che vent’enne. Avvilente, mortificante e più che irritante.

“Sono a casa!” Giubilò con le poche energie che ancora aveva in corpo.

“Alla buon’ora!” Fu la risposta vomitatale a denti stretti da dietro l’anta aperta di un frigorifero languidamente vuoto e non ci fu bisogno di chissà quale intuito investigativo per far capire ad Haruka di aver fatto qualcosa di sbagliato.

“Si, lo so di aver fatto un po’ tardi, ma eravamo talmente presi che il tempo è volato.” Cercò di tamponare iniziando a spogliarsi.

“Avresti anche potuto mandarmi un messaggio.”

“L’ho fatto.”

“Non credo proprio.”

“Come no?! Controlla… Te l’ho mandato verso le diciotto.” Sicura come del suo nome, Haruka iniziò ad accarezzare Tigre che intanto sornione l’era venuto incontro.

Quello era uno degli atteggiamenti che più mandavano Michiru in bestia ed afferrando il cellulare abbandonato sul granito della penisola, glielo mostrò una volta aperta l’applicazione. “Vedi qualcosa a tuo nome?!”

“Dio del cielo, quanto sei trapanosa! Se ti dico che te l’ho mandato…, te l’ho mandato!” E fece altrettanto con il suo I phon, ma arrivato all’account della compagna si bloccò di colpo.

Il messaggio c’era, solo che non era stato inviato. Ora si che era in difetto.

“Accidenti. Stavo per mandartelo quando Stefano mi ha distratta. Scusami.”

“Sempre colpa di qualcun altro.” Fu la laconica risposta.

“Cosa siamo nervosette questa sera?!” Stoccò causticamente di rigetto.

“Fai poco dello spirito Haruka. Te l’ho detto mille volte che quando fai tardi gradirei essere avvertita. Ci tengo.”

“Come io tengo a dirti di non averlo fatto apposta.”

“Senti, sono troppo stanca ed affamata per starti dietro. Fammi la cortesia di darti una lavata e di venire a darmi una mano con la cena.” Ma la bionda non si mosse.

“Che c’è?”

“Ecco Michi…., io avrei già mangiato. Abbiamo trovato il pezzo che stavamo cercando e Stefano mi ha offerto la cena.”

“Ah, TU avresti mangiato!?”

Haruka avanzò di qualche passo tornando ad un elevatissimo stato d’eccitazione. “Dovevamo assolutamente festeggiare! La sella, amore! Una splendida sella del ’10 in buono stato e non ci crederai mai, pensa viene da Indianapolis. La patria del più bell’autodromo degli Stati Uniti. Arriverà in settimana. Starà benissimo sulla nostra Winchester!”

Altro denaro speso che per evitare l’innesco di una nuova discussione, Michiru si astenne dal sottolineare. Più umanamente però, in quel momento aveva solo voglia di riempirsi lo stomaco e di crollare sul materasso, invece di sentir parlare la compagna di una cosa che francamente a lei non interessava affatto.

“Be Haruka, sono contenta per voi, ma scusami se visto che IO non avrei neanche pranzato, ora vorrei solo dedicarmi a preparare qualcosa di decente.”

“Ordina al Tai…” E la leggera intonazione di scherno fece saltare la spoletta.

“Non ne posso più di consumare cibi d’asporto! Non stiamo facendo altro! Come sono stufa di mangiare da sola! E non prenderlo come un affronto personale, ma sono ancora più stanca di sentirti parlare sempre di quella sottospecie di bicicletta dopata! Sembra che per imbastire una conversazione, in questa casa non esista altro! Non vuoi chiedermi della mia giornata o mangiare con me?! Va bene, me ne farò una ragione, ma almeno non martellarmi quando sono talmente stanca da non ricordarmi neanche più come diavolo mi chiamo!”

A quell’ultima affermazione la bionda si risentì, ma in fin dei conti Michiru aveva ragione. La temporanea di quella Kocc la stava sfibrando e ad Haruka, che di quelle croste imbrattate fregava ancora meno di quanto alla compagna interessasse la sua Winchester, non veniva mai di parlarne o semplicemente di chiederne informazioni in merito.

“Ok… - Disse in tono leggermente dimesso. - Allora cosa vuoi che faccia, Michiru?”

Sbattendo lo sportello del freezer, l’altra sospirò tornando in una fase di quiescenza. “Lo sai che non sopporto mangiare sciattamente.”

“Va bene. Preparo la tavola. Ti farò compagnia con un po’ di frutta.” E reprimendo l’insana voglia di controbattere, per amore Haruka questa volta cedette ed andando verso il mobile accanto alla porta d’ingresso dello studio, ne aprì un anta iniziando a cercare la tovaglia.

 

 

Una volta finito di mangiare ed infilato i piatti nella lavastoviglie, Michiru andò a coricarsi lasciando ad Haruka il compito sempre mal digerito di rassettare. Rimuginando sulla sfuriata della compagna, la bionda si guardò un film stravaccata su un divano per lei troppo vuoto, facendo poi capolino dietro la porta della loro camera da letto verso le ventitré. Anche se voltata di spalle sapeva che Michiru era ancora sveglia, perché anche se stanca, nel loro rapporto era uno dei loro punti fissi non addormentarsi mai con il cuore arrabbiato. Perciò con fare sinuoso da biscia acquatica, una volta rimasta in boxer e canottiera, la bionda s’insinuò tra le lenzuola andandole vicinissima, senza però toccarla.

“Dormi?” Chiese sottovoce.

“No.” Rispose con altrettanta debolezza.

Haruka cercò allora il contatto appoggiandole la fronte sua spalla. “Posso accoccolarmi un po’?”

“Non c’è bisogno che me lo chieda, amore.” Disse sentendosi stretta in un delicato abbraccio.

“Scusami per il messaggio. Davvero, non l’ho fatto apposta.”

“Lo so. “ E fece per afferrarle la mano sinistra per portarsela sotto la guancia.

“Anche per la cena… Dovevo pensare al fatto che avresti mangiato da sola.”

“Ed io non avrei dovuto esplodere così. E’ che sono tanto stanca e la pressione che mi sta dando questa temporanea mi porta a non essere lucida neanche con te.”

“Non importa. La mostra aprirà tra un paio di settimane e tutto sarà finito. Torneremo alla vita di sempre con una bella coccarda in più sulla tua carriera.”

“E se dovessi fallire?”

“Non accadrà.” Rispose sicura lasciandole un bacio sul collo.

“Mi mancano i nostri balli serali, la spesa insieme, le nostre escursioni…, le tue mani…” Sbiascicò esausta.

Sentendosi improvvisamente gli occhi pesanti, Michiru crollò subito dopo. Lasciandosi cullare dai respiri di Haruka scivolò nel sonno prima ancora di sentirla dire, ti amo.

 

 

 

NOTE: Salve, eccomi qua! Ero convinta che sarebbe passato ancora parecchio tempo prima di tornare a cimentarmi con una long, invece…

Mi sarei aspettata di proseguire “le gru della Manciuria” o “tralci di vite”; ma devo ammettere di non avere per loro delle idee decenti, così come molti di voi hanno visto, per un po’ mi sono concentrata sulle one shot della mia prima ff; facili, libere e divertenti. Poi un colpo di luce e le richieste di alcune lettrici veramente molto appassionate, mi hanno convinto a provare quanto meno a dare vita ad una trilogia, un terzo arco che mettesse un po’ di pepe ad una storia di coppia ormai consolidata da anni.

Non vi aspettate chissà che, ma a parte la fine che ho bene in mente, per il resto tutto potrà accadere.

Un saluto affettuoso e si va con questa nuova avventura.

Ciauuuu

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Capitolo 2
*** Il vernissage ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il vernissage

 

 

Le due settimane che Haruka aveva predetto come tempo necessario da far passare per tornare alla normalità con la sua compagna, volarono velocemente e in un batter d’occhio arriverò il giorno pre inaugurazione.

Il quelle ultime ore di fisiologico caos che stavano avvolgendo il museo di Castel Grande, Giovanna sembrava un grillo nel pieno dell’estate. Muovendosi agilmente tra gli ultimi preparativi, andava e veniva di stanza in stanza con incollati al fianco due giovani studenti universitari mal digeriti vogliosi di punti esperienza per la loro tesi in museografia. Michiru se la vide arrivare con lo sguardo torvo di chi ha solo gatte da pelare e sospirando raddrizzò la postura stirando le labbra in un sorriso.

“Dammi buone nuove, Aulis.” Disse alzando rassegnata le sopracciglia.

“Un paio di pifferi!” Fu la risposta che chissà perché l’amica si aspettava.

“L’ho chiesto solo come proforma. Ormai so che quando hai quella faccia sono sempre pessime notizie.”

“Già. - Confermò fulminando con lo sguardo i due galoppini. - Ma voi non avete proprio nulla da fare!? Per piacere… , andatevi a prendervi un caffè, una cioccolata, della stricnina, non so. Ma datemi cinque minuti di privacy…” Nervosissima li cacciò letteralmente fuori dalla sala tornando poi a guardare Michiru.

“Stai calma Giò.”

Un’ultima ferale occhiata alla sagoma degli studenti e l’amica rivelò a denti stretti di essere stata anche lei un’apprendista, ma di non avere mai ricalcato la sagoma di un’ombra. “Io capivo quando iniziavo a dar fastidio.”

“Dai, dimmi che succede.”

“Hai presente la scultura in materiale da riciclo che si trova all’entrata della terza sala? - Un cenno d’assenso e Giovanna sparò la cartuccia. - C’è un piccolo pezzo di metallo che sporge dalla pedana di circa trenta centimetri. Passi per un adulto, ma li un bambino ci rischia un occhio. Dobbiamo girarla di almeno quaranta gradi o al Direttore della Sicurezza scoppierà un’arteria del collo. Quel cristiano sta sbraitando da venti minuti contro di me, te e la Kocc, che si ostina a volerla li!”

Iniziando a massaggiarsi la fronte Michiru ammise che spostarla avrebbe comportato il riposizionamento di tutte le luci della sala. “Il vernissage è domani sera. Non abbiamo più tempo.”

“E allora dovremo recintarla.”

“No. Per le sculture, Kristen vuole una completa immersione tattile.”

“A dimenticavo… I visitatori devono potere interagire con l’opera! La grande artista vuole che la tocchino, la vivano, la respirino e che… ci si prendano perfino il tetano se necessario!” Colpì dissacrante.

“Giovanna!”

“Scusami Michiru, ma sono tre volte che spostiamo quella cosa. Io non ne posso più. La calibratura dei Lumen non è una cosa facile.”

“La parte delle opere pittoriche è a posto?”

“Si…”

“E allora riposizioneremo tutte le luci della sala.”

“Ma ci vorranno ore! Non faremmo prima a chiedere alla Kocc di circoscrivere la scultura. Almeno per questa volta.”

“Non accetterà mai.”

“Non si è mai sentita una cosa simile!”

“Lei fa così! Cosa vuoi, darle la croce? Invece di lamentarci cerchiamo di risolvere il problema.”

L’amica non insistette. Kaiou era arrivata al limite e ormai anche la sua solita pazienta era agli sgoccioli. Un occhio sconosciuto non avrebbe notato la differenza, ma Giovanna Aulis aveva ormai imparato da tempo a riconoscere nell’altra i segni dell’insofferenza. Le risposte che dava, troppo acide, gli sguardi che lanciava, troppo taglienti, i gesti che compiva, troppo scattosi, erano tutti inequivocabili segni di stanchezza.

Provando ad aiutarla per l’ennesima volta nell’arco di quelle settimane, Giovanna propose di lasciare tutto in mano a lei e agli elettricisti. “Perché non vai a casa? Qui ci penso io. Non c’è bisogno che rimanga anche tu.”

“Ti ringrazio, ma non riuscirei a rilassarmi comunque.”

“Fallo almeno per Haruka. Sono giorni che non state un po’ insieme.”

Michiru passò in un lampo dalla reticenza al divertimento. “Non ti ha detto niente?”

“Non la vedo da domenica scorsa e chattare non è proprio il suo forte.”

“Allora sappi che visto gli ultimi deludenti risultati avuti dalle Ducati in Superbike, la casa madre di Bologna ha incaricato lo stabilimento di Bellinzona di eseguire dei test su pista.” Rivelò tutto d’un fiato.

“Dunque mia sorella adesso è in sella.”

Si e Michiru era sempre in ansia quando la sua donna smetteva i panni dell’Ingegnere meccanico per indossare la tuta rossa di Primo pilota collaudatore. Un doppio ruolo che Haruka adorava, ma che alla compagna andava stretto.

“Tornerà a casa tardi come ha fatto ieri o forse non lo farà affatto, perciò… “ Lasciando volutamente cadere la frase scorse un gran trambusto nel corridoio ipotizzando che fosse arrivata Kristen.

“La grande artista… - Pronunciò sottovoce Giovanna che non aveva mai amato quel genere di idolatria. - Queste leccate di piedi le lascio ad altri. Mi dileguo. Allora intesi con la scultura… Se la Kocc dovesse chiederti qualcosa, va tutto bene. Ok?”

“D’accordo.”

Si salutarono e Michiru si diresse verso una delle porte che davano sul corridoio dove l’idolatria che aveva sottolineato l’amica stava in effetti venendo snocciolata da un più che lusinghiero signor Miller. Erano anni che il museo di Castel Grande non ospitava una mostra tanto quotata e anche un teutone tutto d’un pezzo come lui, aveva umanamente ceduto al prestigio che quell’evento avrebbe portato.

“Signora Kocc, è praticamente tutto pronto per domani sera.” Riuscì a catturare Michiru uscendo dalla sala.

“Grazie Direttore. Il mio promoter ha appena ritirato gli inviti dalla tipografia. Saranno tutti consegnati entro le venti di questa sera. ” Disse l’artista porgendo all’uomo un cartoncino traslucido in formato A3 ripiegato in due con sul frontespizio l’immagine di una delle opere pittoriche di punta ed all’interno l’invito che i pochi fortunati avrebbero presentato all’entrata, con data ed orari del vernissage e della cena che si sarebbe tenuta al termine della visita guidata sotto la tensostruttura montata per l’occasione nella piazza d’armi.

“Ottimo. Ottimo.” Rispose lui afferrando il cartoncino.

Voltandosi verso Michiru, Kristen fece altrettanto porgendo alla donna due inviti. “Per te ed il tuo accompagnatore.”

“Grazie, anche se non credo che il mio accompagnatore potrà essere della serata. - Sorridendo gentilmente prese gli inviti rigirandoseli fra le mani. - Sono venuti bene.”

“Mi dispiace…”

“Che siano venuti meglio delle stampe di prova?” Ci schermò su.

“Naturalmente no. - Affermò avvicinandosi un po’ all’orecchio dell’altra per non farsi sentire dal signor Miller ormai rapito dalla contemplazione del suo più grande successo. - Del fatto che verrai da sola. Avrei tanto voluto conoscere l’uomo che è riuscito ad irretire il cuore di una creatura come te.”

Michiru non aveva detto all’artista di stare con una donna, così come poco aveva sempre parlato di se nelle lunghe ore che avevano passato spalla a spalla durante quelle settimane di lavoro. Da sempre molto gelosa della sua vita privata, Kaiou aveva cercato d’istaurare quel rapporto più sul puro piano lavorativo che su quello strettamente amicale. Kristen invece, aveva fatto tutto l’opposto e libera da stereotipi colturali crollati in Svezia da decenni, si era ritrovata ad aprirsi con una perfetta sconosciuta. Così Michiru aveva saputo di lei tante cose, intime e personali, ultima e più importante di tutte, quella di avere avuto quattro anni prima un figlio da un jazzista di New Orleans; il suo piccolo Basquiat.

“Arrivata alla soglia dei cinquanta non ci speravo più ed invece ho ricevuto in dono uno splendido figlio. Quando sono in viaggio per lavoro sta con il padre, ma il resto dell’anno vive con me in una piccola villa immersa nei boschi fuori Stoccolma.” Le aveva detto un giorno facendole vedere la foto di un buffo bambino dalla carnagione scura come lo statunitense, ma dagli occhi grigi ed intensi come i suoi.

“Irretire? - Proseguì Kaiou aprendo l’invito. - Si, ad oggi è stata l’unica persona ad essere riuscita a farlo, lo riconosco.”

Kaiou si estraniò qualche secondo. Gli orari di quel sabato sera sarebbero anche potuti coincidere con gli impegni lavorativi di Haruka alla Ducati, ma c’era di mezzo una benedetta Winchester alla quale quella drogata di sport non avrebbe rinunciato tanto facilmente per vedere delle opere per lei incomprensibili e mangiare del cibo ad una tavola piena di estranei.

“E allora Kaiou-san…, ti prego.”

Stranamente incuriosita, Kristen si vide puntati contro due occhi blu particolarmente divertiti. “Proverò. E’ l’unica cosa che posso garantirti.”

“Allora ci conto. Ora vogliamo fare un giro per le sale per sincerarci che tutto sia a posto?” Propose, ma Michiru temporeggiò chiedendole di andare avanti, perché nel parlare indirettamente di Haruka l’era venuta una gran voglia di sentirla.

Così mentre Kristen, seguita dal Direttore, s’inoltrava nel ventre molle della struttura del castello, lei prese il cellulare e per avere un po’ di campo si avvicinò ad una finestra scorrendo la rubrica.

 

 

Per quel posto aveva sentimenti contrastanti; era infatti li che durante una fredda sera d’inverno aveva creduto di perdere la sua Michiru per sempre, ma era anche li che aveva incontrato sua sorella per la prima volta. Il San Giovanni non era certo la clinica di Zurigo dove ogni anno doveva recarsi per verificare lo stato del suo midollo, ma in ogni caso non le piaceva e lo stare seduta in un corridoio in attesa che un antidolorifico facesse effetto, le stava provocando la piu' classica delle nevrosi femminili.

Haruka divaricò le narici all’insofferenza guardando Stefano arrivare con una busta gialla contenente la sua radiografia.

“Eccola qua. Possiamo andare quando vuoi.” Disse lui alquanto rilassato.

“Ok.” Rispose lei sentendo improvvisamente vibrare l'I phon nella tasca della tuta.

Afferrando l’oggetto vide comparire sullo schermo l’immagine della sua donna e stringendo le labbra fece per passarlo al Capo Ingegnere Henry Smaitter seduto come lei su una delle sedie del reparto radiologia.

“E io che dovrei fare?” Chiese scavallando la gamba per sedersi più rozzamente.

“Le risponda lei. Con me sgamerebbe subito che è successo qualcosa e non voglio che si preoccupi per nulla.”

“Quante volte ti ho detto che quando fai una cazzata non sono disposto a pararti le chiappe con la tua donna?! Cento? Mille? Chiedilo a Stefano! Io non voglio saperne nulla!”

Scattando la resta verso l’amico, Haruka allungò il cellulare e lui di tutta risposta la saluto' e dopo aver mollato la busta su una seduta fece dietro front sparendo verso le scale.

“Vigliacco schifoso!” Abbaiò tornando a guardare il suo mentore con aria supplichevole.

“Capo…, per favore. Se non per me, lo faccia almeno per lei.”

Era difficile vedere in Henry Smaitter uno sguardo truce come quello che Haruka aveva ora puntato contro, ma per amore di Michiru l’uomo accettò d’imbastire quella pantomima fino a quando il cuore pavido di Tenou non fosse stato sufficientemente saldo da riuscire a confessarle tutto.

“Pronto?”

Dalla parte opposta Michiru sbatté le palpebre perplessa. “Capo Smaitter?!”

“Salve tesoro, come stai?” Troppo sbrodoloso ricevette dalla bionda una leggera gomitata sulla spalla.

“Senti, se non ti sta bene cavatela da sola. Intesi?!” Minacciò lui coprendo il microfono con una delle sue enormi mani callose.

“Non la chiami tesoro. Sia più naturale. E’ troppo impostato…. Michiru ha le antenne per le balle.”

Ispirando un copioso sorso d’aria lui tornò a schiacciarsi il cellulare sull’orecchio destro iniziando a rodersi incontrollatamente le labbra mentre dalla parte opposta la donna gli chiedeva dove fosse Haruka.

“E’ ancora in pista.”

“Ma è quasi buio!” Replicò lei con una leggera punta d’ancia nella voce tanto che l’uomo, richiamando tutti, ma proprio tutti i Santi del Paradiso, rese la voce ancora più calda e vellutata.

“Intendevo dire che non ha ancora finito. E’ sotto la doccia. Lo sai meglio di me quanto rimane impresentabile dopo un pomeriggio di prove su pista, no? Tutta sudata, puzzolente…”

Un gesto di stizza della bionda e lui si sentì in qualche modo ripagato.

“Capo… Va tutto bene?”

“Certo!”

Non del tutto convinta, ma altrettanto deconcentrata, Kaiou arrivò subito al punto chiedendo all’uomo la cortesia di riferire ad Haruka di non aspettarla sveglia, perché avrebbe fatto tardi.

“Certamente! Nulla d’importante spero.”

“O no, solo un problema d’illuminazione.”

“Allora va bene. Appena possibile verrò a vedere la tua mostra.”

“La ringrazio, ma si ricordi che l’artista non sono io.” Disse ridendo.

“E’ un peccato! Con tutti i bei quadri che dipingi…”

“Troppo buono. Allora, a presto.”

“A presto Michiru. Buon lavoro. - E chiuse la conversazione ripassando l’I phone ad Haruka. - Non mi piace affatto mentire a quella perla di ragazza!”

“Neanche a me, glielo assicuro, ma… - alzandosi faticosamente dalla sedia fece qualche passo zoppicando vistosamente. - … preferisco raccontarle tutto a quattr’occhi.”

“Di cosa? Di quanto sei stata poco furba ad andare lunga in curva grattugiandoti la tuta fino alla pelle o che per qualche settimana camminerai come Quasimodo e le prove su pista dovrai lasciarle ad altri?”

“Non mi ci faccia pensare.” Mugugnò massaggiandosi l’anca.

“Non vuoi sapere cosa la tua donna mi ha chiesto di dirti?”

“Che farà tardi anche oggi?!”

“Che farà tardi anche oggi per un problema alle luci, perciò non aspettarla alzata.”

“Ora come ora non potrei neanche se volessi.”

Dirigendosi a passo lento verso l’uscita del Pronto Soccorso, Henry le poso' paternamente una mano sulla spalla chiedendole se tra loro due andasse tutto bene, ma alzando le spalle la bionda non rispose. Certo che andava tutto bene! Erano altre le prove che in passato lei e Michiru erano state chiamate dal destino ad affrontare. Il periodaccio che stavano passando sarebbe finito presto e loro avrebbero ritrovato quell’unità di coppia che da sempre le faceva sentire come una cosa sola. Haruka n’era sicura.

“L’hai presa la radiografia?” Chiese l’uomo vedendosela sventolare davanti.

“Vuoi che ti accompagni a casa?”

“No. Penso di potercela fare da sola.”

“Domani prenditi una pausa, stattene a riposo. Niente scappatelle all’officina Astorri per rimirare la vostra Winchester. Ci vediamo lunedì. E se hai qualche dolore, chiama.”

Haruka grugnì, ma non confermò assolutamente nulla.

“Tenou!”

“Ok, ok, Capo. A lunedì.”

Improvvisamente scontrosa per il tardivo effetto dell’anti dolorifico, Haruka s’incupì talmente tanto che neanche lo ringraziò a dovere per essersi preso cura di lei. Il primo ad accorrere al suo fianco dopo essere riuscita a rialzare la moto e a guidarla fino al box, il primo a costringerla ad andare precauzionalmente al Pronto Soccorso e il primo a starle sempre accanto, come un padre.

Salita sulla sua Mazda ed allacciatasi la cintura, Haruka si prese qualche istante e posando la fronte sul volante cercò di richiamare a se un po’ di quell’adrenalina che l’aveva sorretta fino all’entrata al San Giovanni.

 

 

Quel sabato mattina Michiru si prese un po’ di tempo per se, rimanendo avvolta nelle coperte tra il sonno e la veglia. Aveva rincasato tardi e ancora abbastanza agitata per l’apertura della mostra, era riuscita a chiudere gli occhi praticamente all’alba. In più Haruka si era stranamente mossa più del solito svegliandola ad ogni inizio di fase Rem. Così le lancette segnarono le nove e mezza prima che si decidesse ad alzarsi e far capolino dalla camera da letto.

“Buongiorno amore.” Se ne uscì Haruka intenta a preparare la penisola per la prima colazione.

“A te. - Rispose gettando uno sguardo al grande orologio stile stazione appeso sul pilastro accanto al piano di granito. - Credevo fosse più tardi.”

“Hai fame?”

“Si. Com’è andata in pista ieri?”

“E a te con le luci? Il Capo Smaitter mi ha riferito il tuo messaggio.” Cercò di svicolare sentendosi afferrata per le spalle.

Michiru era calda ed invitante come sempre e la rotondità del suo petto la fece voltare per strapparle il primo bacio del giorno.

“Bene. Siamo riusciti a chiudere tutto in tempo per questa sera. A proposito, li hai visti i due inviti che ho lasciato sul tavolo?”

Spostando leggermente il viso in direzione del fondo della sala da pranzo, Michiru indicò con il mento i due cartoncini ripiegati che solo in quel momento la bionda notò.

“Non ci avevo fatto caso.”

“Gentilmente offerti dall’artista.”

“Dopo tutto il mazzo che ti sei fatta era il minimo.”

“O su, non essere acida. Dimmi…, mi ci accompagneresti?” Chiese languida stringendosi al suo collo.

“Al vernissage?”

“E’ alle sette. Visita e cena.” Annunciò quasi stentorea dimezzando però subito l’entusiasmo ad un primo, sonoro sospiro dell'altra.

“Che c’è?! Non vorrai mica farmi andare da sola!?”

“Michi… non è questo.”

“E allora? Se si tratta della motoretta che state restaurando, ti lascio tutta la giornata libera, ma almeno questa sera me la devi concedere!”

Un secondo sospiro e Michiru si staccò definitivamente dal suo collo per arretrare fino al piano della penisola. Tirando via il latte dalla piastra elettrica, Haruka sospirò una terza ed ultima volta per poi iniziare ad accarezzarle la treccia che in genere usava per legarsi i capelli per la notte.

“Vorrei. Il cielo mi è testimone quanto vorrei. E’ da una vita che non passiamo una serata fuori, che non ti vedo cinta da un abito da sera, ma vedi… non credo proprio di poterti fare da cavaliere e non è colpa del lavoro o della Winchester. O meglio, del lavoro si, ma non direttamente.”

Aggrottando le sopracciglia la compagna attese il seguito scoprendo dove la bionda volesse andare a parare.

“Ieri pomeriggio sono caduta. Una sciocchezza! Inizialmente avevo l’adrenalina talmente a palla che non ho provato neanche dolore. O ritirato su la moto, mandato qualche sfondone e risalita in sella sono rientrata al box. Ma poi mi hanno fatto notare com’era ridotta la mia tuta e allora ho capito. Ho strusciato la gamba destra sull’asfalto per diversi metri e adesso ho un grosso ematoma che mi copre praticamente tutta la coscia.”

Le pupille di Michiru iniziarono a dilatarsi tanto che Haruka provò a riderci su. E fece peggio.

“Adesso abbiamo capito perché in Superbike facciamo tanto schifo. Dovevo immolarmi io. Ma almeno ora conosciamo il problema che ci sta impedendo di essere competitivi.”

Un paio di secondi e di tutta risposta l’altra iniziò ad armeggiare con i laccetti della tuta da casa che la bionda portava su.

Sbilanciandosi all’indietro Tenou puntò i gomiti al piano del lavandino smorfiando la bocca. “Ma che stai facendo?!”

“Sta zitta! Puoi camminare?” Ed inginocchiandosi tirò i pantaloni verso il basso lasciando la compagna in intimo.

“Hei! Di solito sono io che faccio queste cose!” Disse venendo letteralmente fulminata da uno degli sguardi più glaciali che le avesse mai visto.

“Ancora parli?! Ma guarda qui come ti sei ridotta!”

La pelle di Haruka aveva preso in brevissimo tempo tutte le sfumature plumbee possibili; dal grigio scuro al nero, passando per il color vinaccia e arrivando artatamente al blu scuro. E in fondo, sulla parte finale della coscia, proprio sopra al legamento esterno del ginocchio, un cerotto largo circa dodici centimetri a chiudere la cromia con un bel bianco brillante.

“Dio quanto è gonfia. Ecco perché questa notte ti agitavi tanto.” E con il pollice spinse leggermente il margine dell’ematoma provocando in Haruka un brivido di dolore.

“Si. Ho dormito di merda.” Stirando un sorriso moscio tra il desolato e il sofferente cercò comprensione, ma dalla parte opposta… nessuna pietà.

“Il cerotto sarebbe per…?”

“Lo sai già. Ho perso un po’ di pelle, tutto qui.”

“Ti fa male?”

“Pulsa un po’, ma è un dolore sopportabile.”

“Tenou, non è la prima volta che in otto anni ti vedo con una parte del corpo grattugiata a sangue da un pezzo d’asfalto!”

“E allora perché mi stai trattando come se avessi ammazzato qualcuno?”

“Perché m’imbestialisco a vederti conciata così, perché mi hai mentito e cosa ancora più grave, hai fatto mentire altri! - Tornando in piedi Michiru le incatenò contro due occhi furenti. - Cosa ci voleva a dirmi che eri caduta? Quante volte ti sono venuta a prendere al Pronto Soccorso e quante volte ti ho accompagnata a fare una radiografia o le ho ritirate io per te? Se come dici non è successo niente, questa volta che motivo c’era d’imbastire questa farsa?!”

A quella domanda Haruka sembrò contrariata, poi dispiaciuta. “Come che motivo c’era!? L’ho fatto per te. Non volevo che ti preoccupassi per nulla proprio ora che sei tanto sottopressione. Possibile che tu non lo capisca?!”

“Ti ho chiesto se puoi camminare!”

“Se così si può dire.”

“Ti hanno dato quello che devi prendere per il dolore ed il gonfiore?”

“Si.”

“Bene, allora questa volta cavatela da sola, perché come giustamente mi hai appena fatto notare sono tanto sottopressione e ho bisogno di una giornata senza pensare a nulla!”

“Che vuol dire?!” Chiese ritirandosi su i pantaloni mentre la compagna entrava di gran carriera in camera per aprire la terza anta del loro armadio.

Haruka riuscì a raggiungere la porta appena in tempo per vedere il bellissimo abito da sera blu notte preferito da Michiru disteso sul letto.

“Cosa stai facendo?!”

“Non lo vedi? Preparo il vestito che indosserò questa sera.”

“Non ti sembra un po’ prestino?” Chiese anche troppo sicura di se per ricevere di tutta risposta l’ennesima occhiataccia.

“Fai poco dello spirito! Vado nel mio studio a dipingere. Ti prego di non disturbarmi. Ora non voglio parlarti, non voglio cercare di capirti e soprattutto, ho bisogno di calmarmi.”

Haruka era allibita. Non volendo aveva provocato un maremoto di proporzioni assurde e ora si ritrovava a non sapere affatto come gestire la cosa. Aveva cercato di agire per il meglio e il risultato era stato tutto l’opposto. Era come se non riuscisse più a capire la compagna e questa consapevolezza, piombatale improvvisamente addosso come una mannaia, le fece fischiare le orecchie tanto che dovette appoggiarsi un attimo allo stipite della porta.

“Ma… Stai dicendo sul serio?”

Passandole accanto carica di abito ed accessori, l’altra la guardò un’ultima volta. “Ti sembra che stia bleffando?!” Tagliò corto sparendo poi dietro la porta del suo studio.

Per il resto della giornata vissero da separate in casa.

 

 

Haruka cercò una qualche sorta di decompressione rintanando sotto l’acqua della doccia le parti del corpo che poteva bagnarsi, ma non servì. Distendendosi sul letto per spalmarsi la pomata al cortisone prescrittale, ascoltò i movimenti della compagna nell’altro bagno, quello padronale che di norma usava solo Michiru, per poi vederla attraverso l’anta semi chiusa della loro camera da letto andare a prendersi qualcosa da mangiare in cucina per poi sparire nuovamente dietro una maledetta porta chiusa.

S’imbestialì per questo e la rabbia montò ancora al solo pensiero di essere stata fraintesa, per poi sgonfiarsi così com’era apparsa e far posto ad una desolante depressione. Verso le due del pomeriggio la bionda si attaccò al cellulare vogliosa di una voce amica, ovvero di sua sorella, ottenendo così una qualche sorta di quella comprensione che Michiru non le aveva voluto concedere. Non che al sapere della caduta in moto, Giovanna non se la prese, ma almeno si astenne dal brutalizzarle i nervi ascoltandone lo sfogo. Un’ora più tardi finalmente Tenou crollò per ridestarsi solo verso le diciotto, quando Michiru uscì nuovamente dal suo personale fortino per iniziare a truccarsi davanti al grande specchio del bagno. L’ascoltò chiamare un taxi verso le diciotto e mezza ed uscire di casa cinque minuti dopo, una volta infilati i tacchi, guanti e soprabito. In quel preciso istante Haruka si sentì morire.

 

 

Alle diciannove precise la sicurezza iniziò a ritirare gli inviti aprendo le sale ad un pubblico estremamente selezionato, perché se pur abituata alla folla, Kristen Kocc non l’amava affatto. Idolatrata ed odiata per il suo scollamento tra realtà e finzione pittorica, per quell’ultima temporanea in terra elvetica l’artista richiamò a se anche i suoi colleghi, gli amici di una vita, che Haruka avrebbe giudicato come hipster senza una casa, ma che Michiru trovò invece estremamente stimolanti.

Camminando a passo lento per le sale, la Dottoressa Kaiou ascoltò con interesse crescente le spiegazioni di Kristen sulle sue scelte progettuali, sui colori usati o sui vari materiali che l’avevano particolarmente ispirata per le sculture, come gli scarti trovati sulle spiagge di mezzo mondo. E più la donna parlava e più l’altra s’infervorava. L’arte, così espressa, era talmente diversa dal restauro e ancora più lontana dai quadri che aveva sempre dipinto lei che Michiru ne stava rimanendo come abbacinata. Avulsa da Bellinzona, dalla Svizzera, ma tutta concentrata in quelle poche stanze, c’era un mondo nuovo e ricco di un caleidoscopio d’emozioni che la incuriosivano e la facevano riflettere sul perché non avesse mai intrapreso la strada della loro conoscenza.

Verso la fine della visita guidata, proprio in procinto dell’uscita verso la piazza d’armi completamente tirata a lucido per l’accoglienza dei tavoli apparecchiati per la cena, Michiru si fermò a parlare con Kristen ed un paio di suoi amici; Andrei Polarovic e Marian Sartò, il primo un pittore di Mosca e la seconda una scultrice della Provenza, quando improvvisamente e senza nessun preavviso, l’artista le si avvicinò facendole notare un curiosità.

Maliziosa fino alla sfacciataggine, sottolineò come così vestita avesse fatto colpo su un giovane uomo entrato nella sala solo un paio di minuti prima. “Kaiou-san…” Ed ammiccando puntò gli occhi alla porta.

Incorniciato dagli imbotti in marmo che con il loro chiarore sembravano voler dare ancora più risalto alla sua alta figura in smoking scuro, il nuovo invitato venne avanti con passo un po’ legato, ma sicuro e fissando apertamente Michiru sorrise mettendosi una mano in tasca. Fu allora che Kaiou si sentì colpita come da una folgore ed il suo cuore iniziò a galopparle nel petto.

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Capitolo 3
*** Il paradigma dell'arte incompresa ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il paradigma dell’arte incompresa

 

 

Quando il nuovo visitatore si fermò sulla porta d’ingresso dell’ultima sala, quasi nessuno si curò di lui. Sparpagliati in piccoli gruppi dal vociare sommesso leggermente amplificato dai soffitti a volta, gli altri ospiti continuarono a fare ciò per cui erano stati chiamati, ovvero quello di parlare della mostra e dell’artista che l’aveva prodotta. Ma per assurdo, proprio colei che più di tutti non avrebbe dovuto accorgersi di quella presenza superflua, la vide per prima e rimanendone colpita, l’osservò guardarsi intorno leggermente sperduta come in cerca di qualcosa, come un punto di riferimento paragonabile ad un faro nella nebbia o un fuoco nel buio della notte.

Li per li Kristen non riuscì a capire il perché quell’invitato la stesse colpendo tanto. Era molto bello con quel suo viso imberbe dai lineamenti morbidi e gentili, questo si, indubbiamente fascinoso nel portare un sobrio smoking dal taglio classico. Ma c’era qualcosa di più, qualcosa che forse atteneva al fatto che quel fisico avrebbe potuto perfettamente impersonificare sia un giovane e perverso Pan, che una virginale guerriera shield maiden. Poi, tutto d’un tratto, il visitatore sembrò concludere la sua ricerca bloccando lo sguardo su Michiru, che intanto stava tranquillamente conversando con un paio di artisti appena conosciuti.

“Kaiou-san… - La interruppe Kristen posandole una mano sulla spalla nuda per spostare lo sguardo da quello della donna, al fondo della sala. - Credo tu abbia fatto colpo.”

Non capendo Michiru si voltò di tre quarti e quando i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco il visitatore che intanto con passo lento stava venendo verso di loro, un contraccolpo fisico s’impadronì di lei riavvolgendo il nastro del tempo a otto anni prima, quando durante un tragitto in tram per fare ritorno alla sua casa di Berna, era stata colta dal più fulmineo shock visivo della sua vita.

Di quel giorno si ricordava tutto; la malavoglia che l’aveva portata ad uscire dalla sua calda confort zone casalinga, le consequenziali piccole sciagure che l’avevano afflitta seguendola per gran parte della giornata costringendola a modificarne più volte i suoi piani originali e il freddo, sia meteorico che umano, che sentiva nelle ossa ormai da troppo tempo. Insomma, tutto. Ma quello che Michiru non avrebbe mai più scordato sarebbero state l’emozioni che il vedere per la prima volta la sua Haruka le avevano regalato. Ricordava di essersi sentita avvampare al solo scrutarne i lineamenti semi nascosti da una sciarpa, di aver sentito il cuore accelerare di colpo mentre la salivazione si azzerava. La consistenza tattile della pelle della sua borsa sotto i polpastrelli delle mani, il leggero odore di ferro proveniente dallo stridere dei freni sulle rotaie unito a quello molto più sgradevole di fumo proveniente dall’uomo seduto dietro di lei. E i suoni tutti intorno sempre più ovattati ed indistinti.

Quella mattina, contro ogni logica, contro ogni bell’adagio di buona educazione, contro se stessa e non rendendosene ancora conto, si era perdutamente innamorata e ora in quella sala di un castello ticinese come tanti, si stava innamorando nuovamente. O meglio, a vedersi ormai a pochi passi quello smoking ammantato da un leggerissimo profumo di sottobosco, sentiva di stare riconfermando tutto quell’amore che da anni aveva dentro.

Facendo anche lei alcuni passi sul cotto opaco della sala si staccò dalla comitiva come attratta da una luce.

Un sorriso sghembo, fiero ed alquanto sicuro e il visitatore le prese la destra con entrambe le mani portandosela alle labbra.

“Siete meravigliosamente bella, Dottoressa Kaiou.” E quella voce la fece tremare e questa volta non di rabbia.

“Cosa…?”

“Cosa ci faccio qui?”

“Non avresti dovuto.” Disse pianissimo.

“Non potevo saperti qui da sola.”

“E la gamba?”

“E la gamba sta bene dove sta.”

“O Ruka…, fai sempre tutto l’opposto di ciò che dovresti.” Mugolò vinta da quell’improvvisata.

“Sei ancora in collera?”

“Forse.” Rispose vedendo il viso dell’altra avvicinarsi al suo lobo sinistro tanto da far vibrare con la punta del naso il lungo orecchino che aveva scelto d’indossare per quella sera.

“Scusami per il ritardo. Mi ami?” Soffiò leggera.

“Certo, sciocca che non sei altro. - Ammiccò accarezzandole delicatamente la base del collo sapendo quanto all’altra piacesse. - Chiudiamola qui, ci stai?”

“Ok.” Lo sguardo di Haruka era carico d’amore e Michiru avvertì uno squasso di desiderio per questo.

“Era da tanto che non ti vedevo in smoking. Mi fa sempre un certo effetto.” Le dita dal papillon di seta nera, al revers di velluto ed infine alla camicia bianca, fino al cuore.

La bionda sorrise studiandone ogni centimetro quadrato. Il tessuto del vestito aderente su un corpo mantenuto tonico dall’esercizio e dalla cura, il collo impreziosito dal collier che lei stessa le aveva regalato qualche anno prima. i capelli raccolti in un’elegante quanto sobria acconciatura. Le spalle erette e fiere al pari delle sue, sintomo di un carattere indomabile, accarezzate solo da un paio di spalline e le mani, quelle dita sottili e benedettamente sapienti, protette da due guanti blu notte lunghi fino al gomito.

Quando Haruka l’aveva infine vista attraverso la profondità della sala concentrata nella conversazione, non aveva potuto che chiedersi cos’avesse fatto di buono per meritarsi una donna simile. Otto anni di vita insieme e Michiru riusciva ancora a farla emozionare, a costringerla all’angolo. Avevano discusso e il periodo che stavano vivendo non era dei più idilliaci, eppure qualcosa l’aveva spinta ad alzarsi dal loro letto, a seppellire la rabbia, ad aprire l’armadio e a vestirsi per raggiungere colei senza la quale non riusciva neanche più a respirare. Come poteva quell’essere minuto, tanto aggraziato quanto tosto come un pezzo di metallo ben temprato, spingerla ogni volta a rimettersi in discussione, questo Tenou proprio non lo sapeva. Una cosa solo l’era dannatamente chiara; quanto fosse profondamente innamorata e grata.

“Allora… Ti premetto che le altre sale le ho già viste e le opere proprio non le ho capite, perciò cerca di spiegarmi almeno queste qui, prima che ammetta di essere una cerebrolesa.” Ridacchiò guardando furtiva le quattro pareti.

“Ma riesci a stare in piedi?”

“Ce la faccio. Ho preso un taxi anch’io, perciò ho ancora autonomia.” Disse sicura sapendo anche che con tutto l’anti dolorifico che aveva buttato giù ci avrebbe messo un po’ prima di stramazzare a terra.

“Va bene, però vorrei farti conoscere alcune persone.” Ed afferrandole il sottobraccio la condusse dagli artisti.

“Kristen, lascia che ti presenti la mia compagna…” E sorrise con orgoglio.

“Haruka Tenou… E’ un piacere signora Kocc. In queste settimane Michiru mi ha spesso parlato di lei.”

Allungando reciprocamente la destra si scambiarono un saluto informale. “Il piacere è tutto mio.”

Ora era tutto chiaro. Ecco cosa stava sfuggendo a Kristen. Quel lui fascinoso altri non era che una lei.

“Haruka, questi invece sono Andrei Polarovic e Marian Sartò.” Continuò Michiru.

“Immagino artisti anche loro.”

“Così si dice in giro.” Ci scherzò su il russo portandosi alle labbra il flute di champagne che aveva tenuto fra le mani per gran parte della visita.

La bionda stette al gioco cercando di non squadrarli più del necessario per non far fare alla sua donna una brutta figura, ma si vedeva lontano un chilometro quanto quegli hipster tracotanti di spocchia avessero la puzza sotto al naso e la stessero giudicando per non essere in qualche modo una di loro.

“Signora Tenou, spero che la mostra vi stia piacendo.” Incalzò Kristen incuriosita più dalla persona che dalle sue idee.

Dopo essersi guardata un po’ intorno la bionda ammise di non avere le basi per poter dare un giudizio. “Non vorrei che ve la prendeste a male signora Kocc, ma nonostante mi accompagni ad una studiosa d’arte, la mia ignoranza in questo campo rasenta la patologia. E’ comunque una mostra ben fatta che le persone mi sembra stiano apprezzando molto.”

“Signora Tenou, della massa non mi è mai importato un gran che ed è un vero peccato che le mie opere non siano di suo gradimento.” Prese un po’ su d’aceto.

“Se non ci fosse la massa a goderne, non credo ci sarebbe l’arte. Almeno non quella umana. - Stoccò di rimando. - Ma per quanto riguarda il suo lavoro, evidentemente mi sono espressa male. Non ho detto di non apprezzare le sue istallazioni, ma che non ho le basi per capirle. Ecco tutto.”

“Allora sarò lieta di colmare queste sue lacune.”

“Sarà per un’altra volta Kristen. Haruka è reduce da un infortunio sul lavoro e non voglio che si stanchi troppo. Scusaci anche del fatto che non potremmo presiedere alla cena.” Tagliò corto Kaiou.

La bionda sembrò perdersi per una frazione di secondo. Come niente cena? Poi, visto lo sguardo complice della compagna comprese stirando le labbra per lasciare tutto nelle sue mani.

“Spero nulla di serio.” Chiese la Kocc fingendo apprensione.

“Nulla che la Dottoressa Kaiou… non sappia lenire.” Se ne uscì facendo ridere gli altri due artisti ed arrossire la sua donna.

“Allora andate pure. Michiru…, noi ci sentiamo in settimana, d’accordo?”

“Va bene. Buon proseguimento. E’ stato un piacere conoscervi.” Concluse all’indirizzo di Polarovic e della Sartò.

Sei una donna piena di sorprese. Non mi dispiace affatto l’aver scoperto la tua preferenza per le donne. Trovo che ti renda di gran lunga più interessante, pensò Kristen guardando Michiru allontanarsi con la compagna.

Dopo qualche metro arrivò per Tenou l’inesorabile rimbrotto. “Che bisogno c’era di fare tanto la spiritosa?”

“E dai Michi… Per di più perché non si cena? Cibo gratis ed una bella sedia comoda.”

“Odi mangiare con estranei.”

“Vero, ma ho fame.”

“Ho in mente qualcosa di meglio che uno squallido tavolo pieno di persone pronte a metterti in cattiva luce.”

Anche se le sarebbe piaciuto rimanere ancora per sentire parlare d’arte, l’uscita che aveva avuto Kristen non l’era piaciuta affatto. Haruka era stata onesta nell’ammettere la sua ignoranza e invece di apprezzare il fatto che fosse stata sincera, l’aveva trattata come una foca d’ammaestrare. E visto che quella sera avrebbero entrambe cenato al suo tavolo, la cosa non sarebbe finita li. In più Michiru voleva finalmente godersi un po’ la sua compagna e dirigendosi verso il punto dove avrebbero ritirato i soprabiti, si strinse forte al suo braccio accoccolandosi sulla stoffa della giacca.

“Dimentico sempre troppo facilmente quanto tu possa diventare una leonessa nel vedere minacciata la tua donna. Ma lo sai che avrei potuto difendermi da sola.” Disse la bionda baciandole la fronte.

“Usando l’arma della sincerità? Ti avrebbe spolpata viva.”

Disegnando sul viso una smorfia di disappunto, Haruka estrasse dalla tasca dei pantaloni il numero per la riconsegna degli oggetti personali porgendolo poi alla ragazza dalla parte opposta del bancone. “Allora è una stronza.”

“No amore. E’ solo un genio e come tale è molto arrogante.”

“Genio?”

“Tu non sai quanto.” Sottolineò imitando la compagna estraendo dalla pochette il proprio numero lasciandosi poi aiutare ad indossare il soprabito.

”Mah, se lo dici tu che di queste cose ne capisci...” Scuotendo la testa Haruka marcò scetticismo ed aprendole la porta a vetri la lasciò passare ammettendo di non seguirla affatto.

”Perché ti risulta tanto difficile accettarlo?”

”Perché una che dipinge falli tanto normale non è. - Ed abbassando la voce continuò. - Se li avessi mai visti dal vivo, allora anch’io sarei un’artista di grido.”

“Seconda sala, quarto quadro sulla destra. Allora l’hai notato.” Disse sogghignando.

“E come non avrei potuto! E’ enorme! E dalla colorazione vagamente inquietante. Come si chiama…., erezione di luce? Lascia che ti faccia i complimenti per il tuo lavoro di curatrice, perché credo sia stato enormemente complicato cercare di non far stonare quel coso con le bellezze di questo castello!”

Continuando a ridere Michiru la ringraziò spiegandole che proprio perché eclettica, Kristen non era affatto un’artista di grido, ma di nicchia."

"Valla a capire la gente.”

Oltrepassato il portone in castagno dalle borchie brunite illuminato ad arte da alcuni led a terra che ne valorizzavano la potenza espressiva militare, arrivarono in strada, ma quando Haruka fece per prendere il cellulare e chiamare un taxi Michiru la fermò.

“Questa volta ti guido io, Tenou. Fidati.”

“Non si va a casa?”

“Non ancora. Prima ci si riempie lo stomaco. Conosciamo un localino qui vicino, giusto?”

Guardandosi intorno Haruka corrugò la fronte vagamente spaesata. “Qui intorno c’è solo la nostra pizzeria.”

“E allora?”

“Vestite così, Kaiou?!” Chiese divertita allargando le braccia.

“Vestite così, Tenou. Forza. Andiamo, mio bel cavaliere dall’armatura pesta. ”

“Si, ma vai piano. Con quei tacchi a spillo hai la falcata di una gazzella.”

“Leonessa. Gazzella. Mi devo preoccupare?”

Ma Haruka non rispose. Sorridendo licenziosamente pensò solo a quello che le avrebbe fatto a casa una volta chiusa la porta d’ingresso a quattro mandate.

Mezz’ora più tardi, da una delle grandi vetrate di una pizzeria del centro di Bellinzona, si vedevano due donne sedute ad un tavolo rustico coperto dalla più classica delle tovaglie a scacchi bianchi e rossi. Occhi negli occhi, la più alta seduta il più comodamente possibile, camicia arrotolata fin quasi ai gomiti ed il ricordo di un cravattino ormai sciolto sulle spalle, a bearsi dell’immagine che aveva davanti e l’altra, più minuta e composta, priva ormai dei guanti e dei gioielli dimenticati nella borsetta, che cercava con le labbra di non far scivolare da uno spicchio di pizza un pezzo di mozzarella filante.

 

 

Quando la porta scorrevole dell’ascensore si aprì sul terzo piano, Haruka sospirò vistosamente provata. Con l’ormai vago ricordo d’effetto dell’antidolorifico non c’era più niente tra lei e il fastidioso dolore che aveva ripreso a pulsarle nella coscia destra, tanto che dovette appoggiarsi a Michiru per fare gli ultimi metri che le dividevano dalla porta di casa.

“Ora te ne vai dritta dritta in bagno a darti una lavata e poi subito a letto. Penso io a dare la pappa a Tigre.” Disse Kaiou accendendo l’interruttore mentre la bionda richiudeva l’anta.

Al sentire quella parola, gioia e delizia di ogni felide che si rispetti, le orecchie del micio si drizzarono e scaraventandosi giù dalla tana in mezzo ai cuscini del divano che lo mimetizzava come il più grande dei cacciatori, trotterellò verso di lei iniziando a strofinare la testa tigrata sia sul dorso della sua mano che su parte della scarpa che si era appena tolta.

“Ecco… bell’amico. Io soffro e lui si prostituisce per una mera ciotola di croccantini.” Agonizzò Tenou sfilandosi le sue in malo modo.

“Lascialo stare. E’ tutto il giorno che non gli diamo retta. E’ un miracolo che la casa sia ancora in piedi. Piuttosto…, hai bisogno di un aiuto?”

“No… Ma fai presto. E se l’attrezzo buffo qui volesse giocare, tu tiragli una palletta.”

“Potrei provare anche con te.” Scherzandoci su Michiru le donò un veloce bacio sulle labbra dirigendosi con Tigre al passo verso il piano della penisola.

“Spiritosa…”

Tornando finalmente a poter zoppicare liberamente senza il nervoso di sentirsi fissata da qualcuno, la bionda guadagnò la camera da letto e da li, il bagno. Qualche minuto dopo avere assolto al suo ruolo di dispenser di cibo e finalmente libera dal trucco della serata, Michiru la trovò a testa bassa seduta sul letto a massaggiarsi la coscia. E a dirla tutta la sua ragazzona sempre tutta movimento ed irruenza mascolina le fece tenerezza.

“Tutto ok?” Chiese posando il cellulare sul suo comodino per poi inginocchiarsi di fronte all’altra.

“N’è valsa la pena. Avessi visto la faccia che avevi quando ti sei girata.”

Un buffetto sulla pelle nuda del braccio e Kaiou mise su un finto broncio iniziando ad armeggiare con il bottone e la zip dei suoi pantaloni. La bionda la lasciò fare rimanendo immobile.

“Allora… - Slacciata anche la fibbia in zama della cintura, Kaiou si rimise in piedi alzandosi il vestito fino quasi all’intimo. - … cosa si fa di bello?”

Prendendola per i fianchi Haruka l’invitò a sedersi sopra di lei. “Io direi… chi si fa la bella!?”

Battuta alquanto calzante visto l’estrema avvenenza di entrambe.

Iniziando a baciarsi si disfarono della t shirt e dell’abito quasi simultaneamente, sfilandoseli dalla testa per lasciarli poi dimenticati in un angolo del letto.

“Come per la cena, questa notte guido io.” Articolò Michiru tra uno schiocco di labbra e l’altro.

“Perché?” Le fece eco Haruka prima di sentire l’interno della coscia sinistra della compagna stringersi contro la parte tumefatta della sua.

Un singulto doloroso e la bionda dovette accettare la cosa. “Ok…”

“Brava. Sei perspicace.” Ridacchiò slacciandole il reggiseno per spingerla poi con forza all’indietro.

Ritrovandosi completamente distesa sul letto il cavaliere dall’armatura pesta ritornò ad accarezzarle la pelle nuda dei fianchi, dell’addome e delle spalle. “Ma bada a non farmi male, mia signora.”

“Guarda Tenou che un po’ di dolore non può che esaltare il piacere.” Disse togliendosi un paio di forcine dai capelli per farseli ricadere sulle spalle e provocare così nella compagna un fremito di puro piacere visivo.

 

 

Verso le cinque del mattino il cellulare di Michiru vibrò illuminando per un istante il buio della stanza. Era un messaggio. Grazie ad un sonno estremamente leggero, la donna si svegliò e voltando il viso verso il comodino strizzò gli occhi scocciata allungando una mano.

Ma chi diavolo può essere a quest’ora? Pensò cercando di muoversi il meno possibile per non svegliare Haruka beatamente addormentata sulla sua spalla.

Afferrando il cellulare se lo rigirò tra le dita riuscendo ad arrivare agli sms. Quello che lesse la lasciò prima interdetta, poi curiosa ed infine ansiosa e per il resto dell’alba non riuscì a riprendere sonno.

 

 

 

NOTE: Salve. Da qui in avanti la storia dovrebbe, spero, prendere un ritmo un po’ più veloce, o almeno ricco di quei colpi di coda che a me piace tanto scrivere. Vedremo. Alcune scene del primo incontro tra Haruka e Michiru le ho riprese dalla one shot " slaiter doors".

Per il momento un saluto e un a prestissimo.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Una strana richiesta ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Una strana richiesta

 

 

Guardando per l’ennesima volta l’ora sul quadrante del suo orologio, si ritrovò a sbuffare sonoramente mentre il cameriere le si avvicinava alle spalle chiedendole se volesse un altro caffè.

“O no grazie. - Disse sorridendo dolcemente. - Se non le dispiace aspetterò ancora qualche minuto.”

“Non ci sono problemi dottoressa. Faccia un cenno se dovesse servire.” Servizievole ed alquanto professionale, il ragazzo che durante i giorni infrasettimanali era solito servire lei ed i suoi colleghi per il solito break post pranzo, contraccambiò il sorriso tornando all’interno del bar.

Altri cinque minuti e Michiru avrebbe raggiunto il punto di non ritorno, si sarebbe alzata abbandonando il giardinetto interno al locale saldando il conto e imboccando la via di casa, avrebbe riflettuto sul come farsi perdonare da Haruka quell’improvvisa uscita. Domenica mattina e lei la stava passando riempiendo il tempo del suo riposo in attesa dei comodi altrui? Giammai!

Non ho mai sopportato i ritardatari! Ma stiamo scherzando! Pensò furente cercando di mantenere il controllo conscia che tutta quell’assurda circostanza, dipendesse solo dall’interesse che il messaggio arrivatole all’alba le aveva messo addosso.

La curiosità uccise il gatto. E mai detto l’era sembrato più vero.

Michiru era agitata, sia per il tono perentorio con il quale era stato composto, “vediamoci al bar davanti al castello verso le dieci di domani mattina, sia per una certa premura conclusiva, “è importante”.

Contrariata rivolse il blu profondo delle sue iridi alle vette ammantate di rigoglioso verde che si estendevano tutto intorno alla città. E neanche l’ha firmato, continuò a cogitare sapendo che anche se presente in rubrica, quando non c’era tutto questo gran rapporto, era pur sempre buona educazione lasciare almeno l’iniziale di un nome. Questa volta Ruka non me la perdonerà tanto facilmente, ammise ricordando con desolata lucidità l’avvio dell’ennesima baruffa famigliare.

“Devi uscire? Ma è domenica!” Aveva evidenziato la bionda dimenticando la tazzina di caffè a mezz’aria.

“Lo so, ma cercherò di far presto, amore. Devo capire cosa sia successo. Intanto perché non inviti Giovanna per pranzo? Sono giorni che non state un po’ insieme.”

“Fai una telefonata al Direttore!”

“La curatrice della mostra sono io e solo io posso porre rimedio a qualche ipotetico danno.” E buttandola quasi sul dramma, Kaiou aveva completamente sorvolato sul fatto che il messaggio arrivatole non proveniva da qualcuno degli uffici, ma dall’artista in persona.

Perché non le ho detto che è stata Kristen a scrivermi? Si chiese chiudendo gli occhi alla luce che stava filtrando dalle ombreggiature orizzontali di canapone bianco poste a protezione del piccolo spazio verde del retro del bar. Eppure non c’è niente di male nel vedersi.

O si? Michiru ed Haruka stavano uscendo da un periodo massacrante dove per assurdo che fosse, la più grande non aveva mai manifestato alcuna gelosia per Kristen Kocc. Ora però, che durante lo svolgimento del vernissage la compagnia e l’artista si erano conosciute, le cose sarebbero sicuramente cambiate. Diversissime, ma estremamente possessive, quelle due non avrebbero mai potuto andare d’accordo, soprattutto con lei di mezzo. Michiru sapeva già come sarebbero andate a finire le cose se lei e la Kocc avessero continuato a sentirsi anche una volta terminata la temporanea; Haruka avrebbe iniziato ad essere sempre più smaniosa e la loro vita di coppia ne avrebbe orrendamente risentito.

“Finalmente quando il genio tornerà in Svezia finirà di spremerti come un limone.” Se n’era uscita Haruka la sera precedente mentre con Michiru al fianco aspettavano il taxi che le avrebbe riportate a casa dopo il vernissage.

“Ruka… ho fatto solo il mio dovere. Non ha senso che tu dica una cosa del genere.”

“Allora diciamo che finalmente ti prenderai qualche giorno di riposo.”

“Quelli si, ne ho bisogno. - Aveva concordato guardandola stranirsi un po’. - Cosa c’è?”

“Certo che, a parte l’arroganza…, quella donna ha del fascino.”

“Hei Tenou! Bada…”

Haruka le aveva allora sfiorato il viso con una carezza dicendole di stare tranquilla. “Io ho occhi solo per te. E’ solo per quel suo lato hipster che ti piace tanto, che mi preoccupo.”

Lato hipster, ricordò Michiru sentendosi chiamata alle spalle.

“Kaiou-san…” Ed eccola qui l’artista fascinosa dai modi accattivanti che stava iniziando a far drizzare le antenne ad Haruka.

Stirando le labbra Michiru gonfiò il petto contraccambiando il saluto con un leggero movimento del capo. In effetti quella donna aveva tutto di alternativo, dalla cravatta non tirata, al gilè nero lasciato aperto su una delle sue solite camicie stile figlia dei fiori dalle immancabili maniche arrotolate. Sedendosi Kristen si tolse il borsalino in feltro grigio chiaro appoggiandolo sul piano del tavolo. “Scusami per il ritardo. - E non ritenendo di dover aggiungere altro, chiamò il cameriere con un cenno del braccio. - Prendi niente?”

“No, sto bene così grazie. Dunque? Problemi in mostra?”

“Non direi.” Rispose lasciando che il ragazzo le prendesse l’ordinazione.

Allora corrugando la fronte Kaiou si perse. “Mi mandi un messaggio alle cinque di mattina chiedendomi di vederci l’indomani, perciò credevo…”

“Se ci fossero stati, ti avrei detto di vederci al castello e non al bar di fronte.” Disse serafica.

Era un discorso coerente che stranamente la mente logica di Kaiou non aveva colto.

“Hai avuto modo di leggere le recensioni della stampa?” Continuò l’artista.

“In verità no.”

“Non t’importa di sapere cosa la tua città pensi del nostro lavoro?”

Nostro? Si disse Michiru ingenuamente. “L’artista che ha prodotto le opere sei tu.”

“Ma l’illuminazione, la disposizione e la cura nei dettagli sono i tuoi.”

“Miei e dell’Architetto Aulis.” Sottolineò con una punta di rimprovero tanto che Kristen se ne ebbe quasi a male e con un gesto di stizza attese che il cameriere le lasciasse il bicchiere di spremuta di pompelmo che aveva ordinato prima di proseguire con il discorso.

“Comunque sono tutte annotazioni positive. Spero che la cosa ti faccia piacere.”

“Certo, ma non avevo dubbi. Le tue opere sono molto belle.”

“Ma possono non piacere a tutti, o meglio, non tutti sono in grado di capirle.”

A Michiru non sfuggì la sottile allusione ad Haruka e ringraziò il suo intuito per averla spinta la sera prima ad allontanare la compagna da una cena che l’arroganza di Kristen non avrebbe reso per nulla piacevole.

Senza cadere in trappola, Michiru cercò di capire cosa diamine rappresentasse quell’incontro. “Se in mostra va tutto bene…, perché il messaggio?”

“Devo supporre di averti allontanata dalle tue incombenze famigliari?”

Ritrovandosi a serrare le labbra, l’altra si accorse di quanto quella conversazione stesse puntando sul personale, perciò si limitò a farle notare che fosse domenica mattina.

L’ilarità della Kocc la prese del tutto in contropiede. “Scusami Kaiou-san! Non credevo che una stacanovista come te avesse il culto del giorno di riposo.”

Giorno di riposo? Con tutte le cose arretrate che devo fare per casa?

“Forse ho creato attrito con la tua compagna?” Continuò l’artista pizzicandole il nervo giusto.

“E’ per farmi discutere con Haruka che ti sei permessa d’inviarmi un messaggio all’alba che scopro solo ora essere totalmente inutile?”

“Michiru… - disse sporgendosi in avanti sicura del fatto suo. - …, non tutto ruota attorno ad una coppia di novelle innamorate. Fidati.”

Innamorate. In effetti lo erano, lo erano ancora e questa consapevolezza smorzò il nervosismo che le stava salendo dentro.

“Ti ringrazio, ma non siamo affatto novelle. Ora ti prego di dirmi perché volevi vedermi.”

Questa volta fu Kristen a rimanere colpita. Il magnetismo che Michiru e la sua compagna avevano emanato la sera precedente l’aveva portata all’errore. Sorvolò, perché intimamente non aveva mai creduto nell’anima gemella, nell’amore con la A maiuscola e concentrandosi finalmente sul vero motivo che l’aveva spinta a mandare quel messaggio, pose a Michiru una domanda.

“Vorrei che mi mostrassi il portfolio delle tue opere. Quelle giovanili, perché il paesaggismo che adotti da qualche anno non mi interessa.”

“Cosa?”

“Ne avrai uno, spero.”

“Non…, non a portata di mano. Anzi, con molta probabilità quello che avevo sarà andato perduto in qualche trasloco.”

“Domani rientrerò a Stoccolma per qualche giorno per poi ritornare nel prossimo fine settimana. Saresti in grado di farmi avere qualcosa di concreto per allora?”

“Non lo so, forse, ma perché?”

Iniziando a bere la sua spremura, Kristen non rispose subito. Aveva visto alcune immagini dei paesaggi dipinti da Michiru in età matura, ma mai nulla di quando era ragazza. La corrente di Kandinsky, propria di una Kaiou poco più che adolescente, la stuzzicava e la spingeva a saperne di più.

“Conosci Gustav Marinof?” Chiese posando lentamente il bicchiere imperlato di condensa.

“Certo. Uno dei massimi esponenti del neoespressionismo bulgaro.”

“E’ stato il mio maestro.”

A quella rivelazione Michiru rimase di sasso. Era come dire di essere stata un’allieva di Keith Haring o Picasso, de Chirico o Fontana. Un gigante dell’arte insomma.

“Dici sul serio?” Ed in effetti ora che conosceva l’arte di Kristen un senso quella scoperta ce l’aveva.

“E ti dirò di più; questa notte sono riuscita a sentirlo. Attualmente è in Sud America.”

Con i pensieri completamente azzerati, l’altra continuò a guardarla fino a quando tutto d’un tratto Kristen non la fissò con le sue grandi iridi grigie facendo una proposta che colse Kaiou totalmente alla sprovvista.

 

 

Haruka si piegò in avanti cercando di non versarsi la birra addosso. Coprendosi il viso con la mano libera dal bicchiere tentò di asciugarsi le lacrime che l’ilarità della sorella le stava tirando fuori dagli occhi.

“Oddio Giovanna … Basta! Ti prego…” Disse tornando a guardare l’altra provare a trattenersi dallo sputarsi sulla felpa il sorso di chiara che stava tentando d’ingoiare.

Michiru ci aveva visto giusto; stare un po’ insieme aveva stemperato il nervoso per essere stata lasciata sola tanto repentinamente e farlo grazie alle continue perculate della maggiore ai danni della Kocc, si stava rivelando ancora più soddisfacente.

“Guarda Ruka…, quella donna sta tutta fuori! Passi per i vestiti e il modo di fare, è un’artista e ci sta, ma l’essere talmente ossessionata dalla cabala dei numeri da evitare come la peste il povero sette, lo trovo da schizzati.”

“Il sette?!”

“Si, lo ha voluto togliere dalla numerazione delle opere, la pagina sette nel catalogo non c’è, mai sette operai presenti simultaneamente nella stessa sala o Dio ci scampi e liberi dai suoi urli e pensa che in fase di cablaggio luci, si è perfino messa a contare i corrugati dentro le canaline.”

“Ma scherzi?”

“Parola d’onore… Senti questa; un pomeriggio della scorsa settimana, lei e Michiru avevano appuntamento con il sindaco e visto che la targa della macchina della tua donna non porta uno, ma ben due sette, la Kocc si è categoricamente rifiutata di salirci sopra optando così per un taxi, ma quando questo è arrivato al solo leggere il nome scritto sulla portiera, ovvero Tango 07, la grande artista ha pensato bene di rimandarlo indietro. Naturalmente questo ha portato ad un ritardo colossale e sai meglio di me quanto Kaiou non lo sopporti. - Avvicinando pollice ed indice si sporse in avanti. - C’è mancato tanto così che Michiru non le mettesse le mani addosso.”

Poggiando la schiena alla stoffa bicroma della sdraio la bionda sorrise tronfia. “Mi aveva accennato del ritardo, ma non ne sapevo il motivo.”

“Lo credo. Per me si è vergognata per la Kocc.”

“E del coso viola che mi dici?”

“Ah, quella è un’altra storia! Anche tu lavori con gli uomini e perciò puoi immaginarti da te i commenti sputati fuori dalle bocce degli operai quando hanno tirato quel quadro fuori dalla cassa … Il meno greve, quello più delicato, è stato, ma che cazzo è? E un altro ha subito risposto, appunto. “

“Dio, quanto avrei voluto esserci.”

“Santa la tua donna che è riuscita a tenerla a bada per tutto questo tempo. Non sai le volte che la Kocc ce lo ha fatto spostare per poi infine piazzarlo sai dove?”

“La seconda sala.”

“Esatto, ovvero quella che era la camera da letto del signore del castello.”

“Ma dici sul serio?”

“Yes…”

“Questa sì che si chiama rimembranza storica.”

Rimembranza… di letto.” E nuovamente a ridere sbragate sulle sdraio.

Quando Michiru aprì la porta a vetri della terrazza le trovò così; spiaggiate come due narvali al sole, avvolte dal fumo odoroso del barbecue e leggermente alticce per una birra trangugiata a stomaco vuoto.

“A siete qui? Ho bussato.”

“Scusa Michi, non ti abbiamo sentita. Abbiamo chiuso per non mandare fumo in casa. - Alzandosi Haruka le andò incontro stampandole un bacio sulle labbra. - Tutto a posto?”

Vedendola rossa e sorridente, la compagna si limitò ad annuire alzando poi le sopraciglia alla carne con annesse verdure che intanto stava sfrigolando sulla griglia in mattoni posta al lato del terrazzo. Ci sarebbe stato tempo per parlarle della proposta di Kristen.

“Un barbecue? Che fantastica idea.”

“E’ stata di Giò.”

“Per festeggiare la fine di un calvario durato tre settimane.” Disse l’amica alzando al cielo il bicchiere di birra.

“Allora vado a sciacquarmi ed apparecchio.”

“No. - La bloccò la bionda arpionandola per i fianchi. - Oggi ti lasci servire. Facciamo tutto noi.”

“Perché, scusa?”

“Perché si.”

Haruka si era calmata e sapere di come Kaiou avesse a più riprese tenuto testa alla Kocc, l’aveva messa ancor più sui binari del buonumore. L’altra invece rimuginò per tutto il pranzo sulla conversazione avuta con Kristen, indecisa o meno sul da farsi. Certo Michiru avrebbe dovuto parlarne prima con la sua donna, ma perché mettere il carro davanti ai buoi? Perché andare a rompere l’equilibrio di coppia che stavano ritrovando se lei per prima ancora non aveva deciso se e come affrontare le richieste dell’artista?

Vigliaccamente decise di temporeggiare, di godersi quella domenica pomeriggio nella tranquillità della sua famiglia, con Haruka, Giovanna ed il piccolo Tigre, crogiolandosi nel tepore dei raggi solari che con il passare delle ore andavano smorzandosi dietro le vette, finalmente padrona di un tempo ritrovato, servita e riverita come una dea dalla donna che amava.

Questo naturalmente fino alla sera, quando dopo aver salutato l’amica, lei e la bionda iniziarono a rassettare la cucina e il tavolo da pranzo disseminato di carte francesi. “Certe volte Giovanna ha più culo che anima.”

“Mi sembra sia finita in parità.” Puntualizzò Michiru dando una botta di straccio alle superfici.

“Oggi s’è moderata, ma solo perché giocavamo in tre. - Disse la bionda riponendo le carte nel cassetto della credenza. - Michi…, che c’è? Davvero tutto bene al castello?”

Spegnendo i faretti della penisola, l’altra le andò vicino increspando leggermente la fronte. Nel corso di quegli otto anni Haruka era diventata molto più empatica ed ora era difficilissimo per lei nasconderle qualcosa. O forse era lei stessa a non avere più la capacità di farlo. Michiru stava per aprire bocca quando il suo cellulare iniziò a suonare e riconoscendo a quale persona era stata assegnata quella melodia, sussulto' coprendosi la bocca con una mano.

“Oddio…, mia madre. Le avevo promesso che l’avrei chiamata per raccontarle della mostra.”

“Povera te.” Canzonò la bionda posandole un bacio sulla spalla per poi dileguarsi in terrazza a pulire la griglia del barbecue.

“Spiritosa. - Replicò di malavoglia rispondendo. - Pronto, mamma?! Ciao. Come stai?”

Appoggiandosi ad uno dei braccioli del divano Michiru guardò apaticamente un punto indistinto del soggiorno. “Si, scusa. Ti avrei chiamata a breve.”

“No, no. Tutto bene, anzi, a detta delle critiche…, un successo.”

Iniziando a raccontare a Flora alcuni dettagli della mostra che sapeva le avrebbero fatto piacere, la donna si trattenne con lei più del solito e questo sorprese anche Haruka, che andando e venendo dalla cucina alla terrazza, non mancò di sfotterla con boccacce e facce buffe.

“Venti minuti! Un record!” Dichiarò la bionda una volta terminata la telefonata.

Un parto, come al solito, ma questa volta Kaiou si astenne dal lamentarsi, anzi, se ne uscì con una delle domande più assurde mai sentite dalla compagna. “Ti dispiacerebbe se andassi a Berna per un paio di giorni?”

“A che fare!?”

“A trovarla.” Rigettò tutto d’un fiato mentre si staccava dal divano per andare a riposizionare il runner di stoffa colorata al centro del tavolo.

“Ma vi siete viste per il tuo compleanno!”

“E allora? Tu sei impegnata con i test per la Superbike e visto che hai chattato con Stefano per gran parte del pomeriggio, immagino tu non veda l"ora di tornare a mettere le mani sulla vostra Winchester. Vorrei approfittarne del break di questi giorni per rivedere la città e stare qualche ora con lei. - E vista l’espressione tra il contrariato e lo stupito messa su dall’altra, Michiru cercò di essere ancora più convincente. - Perché quella faccia? La trovi una cosa tanto assurda?”

“In verità…, si Kaiou.”

Un’affermazione talmente convinta e soprattutto sincera, che la stizzì mettendola immediatamente sulla difensiva. “Senti, non c’è affatto bisogno di fare dello spirito.”

“Ei…, scusa, ma visto che per settimane ci siamo praticamente soltanto incrociate per discutere o dormire, pensavo che almeno avremmo passato questi giorni insieme.”

“Insieme? Ma tu devi lavorare e non credo che il Capo Smaitter ti permetterà di assentarti proprio ora che da Bologna stanno con il fucile puntato.”

“Ho capito, ma almeno la sera…”

“Allora secondo te dovrei passare i miei giorni di riposo a casa per poi farti trovare la cena pronta ed il letto caldo?”

“Ma che stronzata!” Replicò facendola irrigidire ancora di più.

“Haruka! Per favore, parla pulito!”

“D'accordo! Vai, vai, così almeno per un po’ potrò smadonnare in santa pace, mangiare sul divano tutte le porcate che voglio e ruttare come se non ci fosse un domani, senza che il grillo Kaiou mi si metta sulla spalla a non farmene passare una!” Ed inforcando nuovamente la portafinestra della terrazza, Tenou si dileguò fino a crepuscolo inoltrato.

 

 

 

La crisi si spense velocemente così come si era accesa. Due coccole e Michiru tornò a far ragionare la sua bionda che ammise, abbastanza pudicamente, che in effetti l’idea di trovarla dietro ai fornelli vestita solamente di un grembiule le aveva formicolato la libido più di una volta. Del tipo cameriera sexy.

“Hai ragione Michi. Hai bisogno di svagarti un po’, ma pensavo che un buon libro e tante ore di sonno arretrato ti sarebbero bastati per recuperare.” Alzando le lenzuola ci si infilò vestita del solito binomio boxer e canottiera.

Iniziando a passarsi la crema sul dorso delle mani, l’altra sorrise al ricordo del sogno peccaminoso della compagna. “Ma realmente ti sconfinfera l’idea di tornare una sera e trovarmi mezza nuda a cucinarti la cena?”

Un movimento velocissimo di assenso con la testa e il viso di Haruka s’illuminò di una luce perversamente franca. “Tu non sai quanto e da quanto tempo.”

Mantenendo su il cipiglio da donna di classe che l’avrebbe sempre contraddistinta, Michiru alzò allora le sopracciglia continuando a passarsi la crema da una mano all’altra. “Allora potevi dirlo prima.”

“Non conosci ancora di cosa è capace la mia perversione?” Chiese distendendosi su un fianco con la testa sotto l’avambraccio destro.

“Certo, ma iniziamo ad avere una certa, Tenou. - Punzecchiò di rimando guardandola finalmente negli occhi. - Chi si lamenta spesso e volentieri di tornare esausta dal lavoro per poi morirmi sul divano appena finito d’ingerire l’ultimo boccone di cibo?”

“Sciocchezze. Posso ancora soddisfarti tutte le notti, mio dolcissimo amore.” Alzandosi lentamente si avvicinò iniziando a lasciarle una serie d’invitantissimi baci sul collo lasciato parzialmente scoperto dai capelli legati.

“Allora vedi che ho ragione quando m’impunto a non volere la televisione in camera?” E le lasciò più spazio.

“Per te equivale ad una cintura di castità… Lo so, Michi mia."

“Allora ricordatelo al prossimo mondiale in notturna.”

“Vogliamo parlare proprio di questo?”

“Tu che dici?” Rispose con un’altrettanto languida domanda.

“Dico proprio di no.”

 

 

Michiru partì alle nove della mattina successiva. Dopo aver salutato la sua compagna e carica solo di un paio di cambi, voltò il volante della sua auto in direzione dell’autostrada. Sarebbe arrivata a Berna in meno di due ore. E per tutto il viaggio avvertì la coscienza schiacciata per aver così scientemente mentito alla sua Haruka.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Lampi dal passato ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Lampi dal passato

 

 

Per tirar su quella vecchia serranda si fece dare una mano da uno dei ragazzi della sicurezza, perché dopo anni che quel box preso a noleggio non veniva più aperto da nessuno, aveva già del miracoloso che la serratura fosse ancora sufficientemente ingrassata per poter essere aperta. Michiru ringraziò perciò di cuore quell’inaspettato aiuto, che dopo un rapido saluto si dileguò verso il gabbiotto posto all’ingresso dell’area recintata di uno dei grandi complessi di container che si estendevano sull’hinterland bernese.

Un sospiro nell’aria polverosa del corridoio e premendo con forza sull’interruttore posto al lato della serranda, la donna accese l’unica luce presente in quei quaranta metri quadrati. Ed eccolo li il suo passato, o almeno una piccola parte di esso, fatto di oggetti che non vedeva ormai da un’eternità, per lo più ingombranti, come del mobilio, alcune ceramiche andine che mal s’intonavano alla casa della sua famiglia, alcuni oggetti orientali ed un paio di voluminosi tappeti indiani protetti dall’attacco della polvere da spessi teli di plastica trasparente. In un angolo, appoggiate al muro come per essere riprese a breve, le canne da pesca di suo padre e l’attrezzatura che usavano per le immersioni. Michiru sapeva che sarebbe stato tosto, ma non capì quanto fino a quando lo sguardo non si posò su quelle Daiwa di carbonio nero che tanto mandavano fuori dai gangheri sua madre quando Victor gliele lasciava in giro per casa.

Aggirando un tavolo posto al centro del box, raggiunse le canne sfiorandone una con la punta delle dita ed un’immensa tristezza s’impadronì di lei. Pensava spesso a suo padre, ma non più con la stessa frequenza di prima del suo viaggio in Grecia. Forse avrei dovuto tenere meglio le sue cose, si disse ritirando lentamente la mano per poi serrarla in un pugno avvolto dal palmo dell’altra.

“Non sono qui per questo.” Disse dopo un attimo come se stesse parlando con qualcuno.

Voltandosi si guardò intorno scrutando le scaffalature di metallo ancorate alla parete opposta. Scatoloni ben sigillati ognuno con la sua bella etichetta scritta in tedesco. Ognuno con il suo carico di ricordi. Il servizio che Flora usava per le poche feste natalizie che Michiru e suo padre avevo potuto passare con lei prima o dopo una qualche nuova turnè, vasellame, vinili non più ascoltati da anni, qualche vestiario. Poi, accanto all’ultima scaffalatura, posati su un pallet di legno per evitare qualsiasi contatto con il pavimento di linoleum, una trentina di tele tutte più o meno della stessa grandezza, riparate da una striscia di lenzuolo bianco.

Stringendo le labbra si fece avanti fino a raggiungerle per liberarne un paio. “Cerchiamo di far presto.”

Quanto avrebbe voluto avere Haruka al suo fianco e quanto avrebbe dovuto impegnarsi per cercare di farle comprendere quello che stava provando da quando Kristen le aveva chiesto un portfolio delle sue opere giovanili. Afferrando la prima tela la studiò andando sotto la luce del neon.

“Niente male.” Rimirò sincera usando l’occhio critico che aveva affinato in anni di carriera nel campo delle Belle Arti.

Non ricordando molto di quelle pennellate briose proprie di una ragazza di vent’anni, Michiru si concesse un po’ di tempo cercando di richiamare alla memoria dove e quando le avesse stese e così fece per ogni tela tirata fuori da quella specie di macchina del tempo. Alcune le aveva fatte in Giappone e lo rivelavano i colori, chiari e temperati come la cultura di quella terra, altri in Cile, dove le cromie erano più forti ed i contrasti cento volte più netti. Quei due paesi, raggiunti dalla sua famiglia dopo aver lasciato per sempre la Grecia e con lei la sua speranza di diventare una violinista, erano stati per Michiru una vera e propria ispirazione, un moto perpetuo che l’aveva spinta ad esprimere con il colore quello che non poteva più esprimere con la musica.

Usando il tavolo, la donna li fotografò uno ad uno, evitando di chiedersi il perché l’Astrattismo coloratissimo di quelle pennellate fosse incomparabilmente diverso dal Paesaggismo che invece aveva iniziato ad adottare dopo la morte di suo padre. Mettendoci più del previsto restò in quel box per gran parte della giornata, ritrovandosi esausta all’arrivo delle ombre del tardo pomeriggio.

 

 

Quando suonò il campanello della casa di famiglia in Postgasse, a Michiru sobbalzò un po’ il cuore, perché era una vita che non vi metteva più piede, anni nei quali tante cosa in lei erano cambiate. Quel grande palazzone in stile che si affacciava su una delle strade del centro città, l’era sempre sembrato un’esagerazione anche quando da ragazzina ci aveva vissuto con i suoi nonni materni, figuriamoci ora che lo usavano solamente la madre, il compagno e i tre domestici che vivevano con loro.

Alla morte di papà sono praticamente scappata, ricordò alzando il mento per perdere lo sguardo al contrasto tra la facciata dallo scialbo color panna racchiuso dai cornicioni in pietra ed il cielo serale di quel lunedì pomeriggio. E non vi aveva più fatto ritorno se non per le sporadiche visite alla madre durante i pochi periodi di libertà che Flora aveva come concertista.

Fino a due giorni fa tutto mi sarei immaginata tranne di bussare a questa porta, pensò sbirciando il suo riflesso in uno dei vetri colorati che abbellivano il portoncino d’ingresso. E men che mai avrei pensato di farlo mentendo ad Haruka, aggiunse tornando ad avvertire nel petto quel senso di pesantezza che l’aveva oppressa per tutto il viaggio. Già, mentito. Michiru lo aveva fatto senza quasi rendersene conto e questo l’indomani, a mente fredda, dopo aver fatto l’amore con la sua donna ed essersi addormentata sfinita tra le sue braccia, l’aveva lasciata tanto sconcertata che la mattina dopo aveva fatto una gran fatica nel cercare di apparire il più normale possibile di fronte a lei, che ignara di tutto, l’aveva salutata lasciandole il solito bacio seguito da un occhiolino ed un guida piano.

Michi, la china che stai prendendo non mi piace per niente, si disse severa mentre l’anta si apriva lasciando che i suoi occhi riconoscessero il bel viso di un uomo sulla sessantina.

“Buonasera.”

“Signora?!” Tra l’interdetto e lo stupito il domestico la guardò di rimando.

“Salve Gustav. Posso entrare?” Rispose sorridendo.

“Ma certo. Ci mancherebbe.” Celere le prese il bagaglio a mano che Michiru stava stringendo in entrambe le mani per poi lasciarla entrare in quello che era l’ingresso.

“Signora Michiru, sa che sua madre e il signor Maiers non ci sono, vero?”

“Sono a Milano, lo so.” Disse mentre gli occhi si spostavano da quelli del domestico alla prima porta che si affacciava sull’ingresso; ovvero quello che era stato lo studio di suo padre e che ora ospitava una piccola biblioteca privata.

Cercando di non pensare a quanto strano le facesse tornare a guardare quelle ante di noce scuro sapendo che dietro non avrebbe più trovato Victor chino sulla sua scrivania a scartabellare qualche documento, rivelò all’uomo brizzolato ancora molto disorientato dalla sua comparsa, che fosse a Berna per lavoro. “Dovrei rientrare a Bellinzona domani, perciò ho pensato che avrei potuto approfittarne per tornare un po’ a casa. La mia stanza è sempre li?”

“Certamente. Primo piano, terza porta. Pulita e in ordine come vuole la signora Kaiou.” Flora che mai mancava di lasciare anche un vaso di fiori freschi in quella che a larghi tratti era stato il nido della figlia.

La spontaneità con il quale quel bavarese le rispose la fece ridere. Non lo conosceva molto, perché aveva iniziato a lavorare per sua madre molto dopo il suo essersi allontanata da casa, ma le rare volte che lo aveva visto gli aveva sempre fatto una buona impressione e anche questa volta non mancò di lasciarle addosso una sensazione positiva. Michiru sapeva che i tre domestici a servizio erano una famiglia composta dai genitori ed una figlia, ecco spiegato perché nonostante Flora fosse spesso all’estero con il suo compagno, quel palazzetto tutto sembrava tranne che freddo o abbandonato. Nel bene o nel male, padrona di casa o meno, ci vivevano stabilmente almeno tre persone che lo custodivano, lo rendevano vivo e gli davano un senso di famiglia.

“Meglio la sua stanza che un albergo! Ha fatto bene. Venga, venga. Non credo abbia ancora cenato, giusto?”

“Giusto.” Rispose seguendolo su per la prima rampa di scale.

“Gradirebbe qualcosa di speciale?”

“No Gustav, grazie. Andrà benissimo quello che sua moglie starà preparando per voi.”

“N’è sicura?” Chiese voltando leggermente il busto mentre raggiunto il pianerottolo si fermava per lasciarla passare.

“Sicurissima, anche se vorrei chiederle la cortesia di mangiare in camera. Sono molto stanca.” Non aveva alcuna voglia di mangiare servita e riverita.

“Va bene. Alle diciannove e trenta?”

“Perfetto.” E riprendendo il bagaglio attese che l’uomo le aprisse la porta immergendosi nuovamente nel suo passato.

 

 

Come al solito l’indomani pomeriggio, Haruka e Stefano si fiondarono dalla scuderia Ducati all’officina Astorri per coccolare la loro Winchester.

“Occhio al forcellone. Se ti scappa dalle mani ci arriva dritto dritto in faccia.”

“Astorri… Evita di portare rogna e stai concentrato. - Rimproverò la bionda cercando di far forza sulla testa della molla. - Dai bellina di casa tua, forza. Entra.” Ma quella niente.

Inalando nervosamente un boccone d’aria, provò allora a cambiare posizione sistemandosi meglio sullo sgabello così da poter far leva con la gamba buona.

“… Ciccina…, su.” Neanche per sogno.

“Haru…, ci provo io?”

“Con quelle salsicce che chiami dita? Ma vedi di fare il serio.”

Facendo forza su entrambi i pollici Haruka cercò di spingere ancora di più non sentendo però nella molla alcun movimento. “Brutta porca. E dai!” Sbottò.

Vinto, Stefano si arrese alzandosi dalla tanica di latta che stava usando come seduta mentre l’amica prendeva a riempire l’ambiente d’improperi. “Ma vaffanculo…”

“E’ inutile che continuiamo ad ostinarci con un pezzo non originale. Non entrerà mai!”

“Lo so Stè, ma almeno dovevamo provarci.” Scoraggiata, ma non vinta, Haruka svitò con rapidità l’unica parte della molla che erano riusciti ad inserire, rigirandosela poi fra le dita.

Se l’avessero modificata il valore di mercato della loro Winchester sarebbe sceso. Tanto valeva aspettare di trovare un forcellone originale.

“Così ci metteremo una vita.” Sentenziò lui prendendo dal piccolo frigo seminascosto sotto un bancone due bottiglie di birra.

“Non abbiamo fretta.”

“Tu forse, ma a me quei soldi servono. - Rivelò mentre toccando la spalla dell’altra con il fondo di una delle due chiare l’invitava a voltarsi. - Tieni. Beviamoci su.”

“Per tua sorella?”

Rimettendosi seduto ed attaccandosi al collo della bottiglia, ingoiò un paio di sorsi annuendo. “Si. Adesso che si sposa vorrei aiutarla con il mutuo.”

“Che bravo fratellone.”

“Tu non lo faresti per Giovanna?” Chiese scherzando.

“Il nostro rapporto è completamente diverso da quello che hai tu con tua sorella, ma si. Credo di si.”

“La mia sorellina che si sposa. Nostro fratello è completamente andato.”

“Lo immagino. Lei è la più piccola della famiglia e con due maschi gelosi come voi la vedo e la piango.”

“Non siamo gelosi.”

“No…, siete opprimenti.”

“Come tu lo sei con Giovanna. Ti ricordo che una volta hai sbattuto il nostro secondo pilota al muro solo perché gli aveva guardato il culo.”

“E’ diverso.”

Facendo una smorfia lui cambiò radicalmente discorso perché tanto con quella testa quadra non l’avrebbe mai spuntata. “Sabato le abbiamo dato il nostro regalo di nozze e devo dire che la sorpresa è stata graditissima.”

“La versione deluxe del Kamasutra che vi avevo consigliato con le immagini tutte colorate e le spiegazioni a piè di pagina per i più arditi?”

“No. La tua idea faceva schifo. Invece ho chiesto aiuto alla tua donna che di queste cose ne capisce più di te.”

Alzando le sopraciglia Haruka prese un altro sorso aspettando che Stefano proseguisse. “Devi sapere che mia sorella e il suo compagno si sono conosciuti durante un festival di musica classica e una volta dettolo a Michiru, lei non ha avuto dubbi. Un abbonamento per la stagione concertistica!”

“Qui da noi?”

“No, a Milano. E pura casualità, il primo concerto che andranno a vedere sarà quello di un’artista che tu conosci molto bene, anche se di classica non ne sai un emerito… La grande Flora Steiner Kaiou.”

Nel sentir pronunciato quel nome, il liquido le andò di traverso procurandole una serie di violenti colpi di tosse.

“E che cazzo, Tenou!” Sbottò lui vedendosi bagnata la camicia.

“Scusa.”

“Ma scusa che! Guarda qui che casino!”

“E che avrò fatto mai! Dimmi piuttosto, per quando sarebbe questo concerto?”

“Domani. E’ una prima alla Scala di Milano! Da Bellinzona ci metteranno un attimo. Con mio fratello ci siamo svenati, ma vuoi mettere…”

“Flora Kaiou è a Milano?”

“Si, da due giorni. Per le prove. Credevo lo sapessi, ma forse gli spostamenti della madre della tua donna non sono una tua priorità.” Disse mettendosi a ridere.

Ma Haruka non lo seguiva più. Se Flora era a Milano, perché Michiru le aveva detto di volere andare a trovarla a Berna?”

Mi ha mentito! Quel pensiero le folgorò le tempie procurandole una scossa dolorosa. Il primo impulso che Haruka ebbe fu quello di afferrare il cellulare per chiamarla, ma una volta avutolo nel palmo della mano si bloccò. Cosa le avrebbe detto? Cosa le avrebbe chiesto? Michiru era già scappata una volta, ma in quella occasione con lei era stata molto chiara non nascondendole nulla, anzi cercando in tutti i modi di farle capire cosa le stesse passando per la testa, di cosa necessitasse il suo spirito.

“Haruka che c’è? Hai cambiato colore.” Una mano sulla spalla e lei si rianimò scattando in piedi.

“Devo andare.”

“Ma che ti prende!?”

“Nulla! E’ tardi. Ci vediamo domani al lavoro.” E senza aggiungere altro, la bionda guadagnò l’uscita dell’officina e zoppicando leggermente si diresse verso la sua Panigale che quel giorno aveva testardamente usato per spostarsi.

 

 

Le prime luci della periferia di Bellinzona le comparvero davanti agli occhi poco prima dell’imbrunire. Con il suo carico di pensieri, Michiru accese la freccia di destra uscendo dall’autostrada. Si sentiva fisicamente esausta. Una volta entrata nella stanza che era stata sua ed abbandonato vicino al letto il bagaglio, si era seduta iniziando ad osservare avidamente ogni oggetto presente, come se non fosse stata lei l’artefice di quella disposizione. Una giovane Kaiou aveva arredato quell’ambiente con cura, creando davanti alla finestra una piccola zona per dipingere ed una dalla parte opposta dove studiare. Per il vestirsi ed il lavarsi, il padre anni addietro aveva fatto ricavare dalla metratura originale della camera, una cabina armadio ed un piccolo bagno privato. Completamente ignorata la prima, Michiru aveva quasi subito usufruito del secondo, rinfrescandosi per poi attendere che le venisse portata la cena. In quell’arco di tempo aveva chiamato Haruka sincerandosi di come fosse andata la sua giornata e soprattutto, di come stesse la gamba. Ma una volta giunta l’ora di coricarsi, letteralmente assalita dai ricordi, non era riuscita a chiudere occhio ritrovandosi l’indomani mattina a combattere le occhiaie a suon di trucco.

Uscita prestissimo si era concessa una giornata tutta per se e spegnendo il cellulare era tornata a calpestare i selciati del cento della città, pranzando poi in un piccolo bistrò proprio vicino all’appartamento dove aveva vissuto prima di mettersi con Haruka ed infine, imbevendo la sua rinnovata smania d’arte moderna, aveva visirato un paio di mostre ed una galleria. Era stata così in compagnia di quella che era stata la sua città, quell’agglomerato di storia e tradizioni che lei stessa fino quando ci aveva vissuto non aveva mai considerato troppo familiare, ma che mai come in quel periodo sembrava tanto interconnessa al suo animo. Forse sua madre aveva ragione quando la fine dell’inverno appena trascorso era piombata a Bellinzona sbattendole in faccia il suo scetticismo nel sapere la figlia a vivere in una cittadina tanto modesta rispetto alle metropoli alle quali Kaiou era stata abituata da ragazza. I ritmi calmi del Ticino avevano come assopito Michiru e questo Flora l’aveva capito ancor prima dell’altra.

Ma a Berna o da qualsiasi altra parte non ci sarebbe Haruka, pensò decelerando fino a fermarsi ad un semaforo per guardare verso la collina dove sorgeva il loro comprensorio.

Cercando in rubrica il numero della compagna, attivò il viva voce attendendo. L’avrebbe rivista meno di mezz’ora più tardi, ma voleva sentirla ugualmente. Al decimo squillo però, dovette arrendersi. Questo non la preoccupò, infatti spesso e volentieri Tenou era solita dimenticarsi di riattivare la suoneria dopo averla tolta per partecipare a qualche riunione.

“Non importa. La vedrò a casa.” Disse ingenuamente non potendo certo immaginare che la bionda non soltanto aveva sentito la suoneria, ma che ora stava seduta al tavolo della penisola a braccia conserte fissando il cellulare con sguardo omicida.

 

 

Nel silenzio Haruka sentì salire l’ascensore fino al primo piano, poi al secondo, ed infine al terzo. La tavola apparecchiata, l’acqua sul fuoco, la televisione al minimo, ma accesa. Tutto come sempre. Tutto come se non fosse successo nulla.

“Amore, sono a casa. - Disse Michiru appena aperta la porta. - Ci sei?”

“Sono qui.” Rispose da uno degli sgabelli della penisola.

Una volta toltesi le scarpe e salutato Tigre, l’altra fece capolino da dietro il muro sfoderando un bel sorriso. “Ciao!”

“Ciao.”

Vedendo l’I Phon sul piano proprio davanti a lei, le fece notare di avere la suoneria al minimo. “Ti avevo chiamata per dirti che stavo arrivando e di metter su l’acqua per la pasta, ma vedo che ci hai già pensato tu.”

“Trovato traffico?” Chiese accogliendo un veloce bacio sulle labbra.

“Assolutamente no.”

“Com’è andata la mini vacanza?”

“Bene. - Rispose usando il sapone accanto al lavabo per sciacquarsi le mani. - Oggi sono andata per musei e ho pranzato in quel piccolo bistrò vicino al mio vecchio appartamento. Te lo ricordi?”

Ad Haruka non sfuggì il suo usare il singolare così iniziò il suo logoramento ai fianchi. “ Come sta tua madre?”

“Sicuramente meglio di me.”

“Cos’è? Avete discusso dopo il primo giorno?”

“No.”

Alzando le sopracciglia chiare si finse stupita. “Allora perché non avete pranzato insieme?”

Michiru rimase per una frazione di secondo con la mano sulla maniglia del frigo cercando poi di svicolare senza però dover’essere costretta a mentire ancora. “Mi sono presa qualche ora per me. Tutto qui.”

“Strano. No, te lo chiedo perché solo quarant’otto ore fa smaniavi per stare un po’ con lei e ora mi dici che hai fatto tutto l’opposto.”

“Era solo un pranzo…”

“E delle mostre? Mi domando perché non ti abbia voluto accompagnare in uno dei tour culturali che tanto mi rimprovera di non farti fare abbastanza da quando abiti qui.” Tagliò, ma non ebbe risposta.

“Cosa vuoi mangiare per secondo?”

“Non ho fame.”

“Devi prendere l’antinfiammatorio.” Disse voltandosi e finalmente si guardarono negli occhi e quello che vide fu rabbia.

Una ruga sempre più marcata andò a solcare la fronte di Michiru mentre le chiedeva cosa avesse.

“Non lo immagini? E no. Come potresti.”

A quelle parole l’altra ebbe un’intuizione. Capì che la bionda sapeva della sua menzogna.

“Parla chiaro Haruka.” Fronteggiò pronta all’onda di Zunami.

“Per darti l’imbeccata? NO. - Appoggiandosi allo schienale continuò a fissarla freddamente. - Sto aspettando Michiru.”

“Cosa vuoi sapere?”

“Perché mi hai detto di volere andare da tua madre se Flora è a Milano per un concerto!”

“Come diamine fai a… Lasciamo perdere.”

“Allora?”

“Allora niente. Volevo stare un po’ per conto mio!” Ammise e questa cosa ferì Haruka molto più di un gancio alla mascella.

“Fammi capire …, mi hai detto una balla solo perché volevi stare da sola?” Non reggeva.

“Io vorrei tanto che tu capissi che questo è un periodo… confuso per me e che ho la necessità di riflettere su molte cose.”

“Posso avere mille difetti, ma ti ho sempre lasciato i tuoi spazi!”

“Si…, lo so.”

Alzandosi lentamente Haruka cercò di mantenere il controllo, ma non ci riuscì. “E allora se lo sai, perché andare a trovarli a centocinquanta chilometri di distanza da qui!”

“Le cose non sono così facili …”

“Kaiou…, che CAZZO ci sei andata fare a Berna?!” La voce alterata di Haruka inondò la quiete dell’appartamento, ma Michiru non rispose e neanche la bacchettò come al solito sul parlare pulito. Cosa quest’ultima che mandò la bionda nel panico, perché allora si trattava di una cosa seria.

“Michi… - Ma la vide solo chinare il capo così proseguì. - Questa mattina sulla gazzetta locare c’era scritto che Kristen Kocc non è più a Bellinzona. E’ vero?”

“Ssssi, ma che cosa c’entra questo?! - Poi rialzando la testa ebbe un'epifania. - Tenou! Non penserai...."

“Prima di sapere che Flora non era a Berna non avevo collegato la cosa, ma adesso che so della tua balla… Dimmi che non eri con lei.”

“Ma cosa diavolo ti viene in mente! Certo che non ero con lei! Kristen è a Stoccolma.”

“Giuramelo…”

“Giurartelo?! - Questa volta fu Michiru ad alzare la voce. - Ma dico…, stai scherzando?! Pensi davvero che sarei in grado di fare l’amore con te ed otto ore dopo mettermi in macchina per raggiungere un’altra donna ?! A fare cosa poi?”

Haruka strinse le labbra ingoiando a vuoto e l’altra le si fece sotto come un pugile a pochi istanti dal gong. “Credi che ti stia tradendo?”

“No…” Ma la voce le uscì talmente incerta e sottile da stupire entrambe.

Afferrandole con forza le mani Michiru cercò allora di calmarsi e capire. “Cos’è questa storia? Non sei mai stata gelosa di lei.”

“Come tu non mi hai mai mentito.”

“E’ vero. Hai ragione. Forse è il caso che inizi a darti delle spiegazioni.”

 

 

 

NOTE: Salve. Non volevo lasciarvi proprio sul più bello, ma il capitolo sarebbe stato troppo lungo rispetto agli altri così spiegherò molte cose nel prossimo. E parola d’onore cercherò di scriverlo velocemente.

Per coloro che non mi seguono e che volessero saperne di più, troveranno agganci sulle one shot “Elona Gay” e “la prima di mille notti”, contenute nella raccolta “una vita,tante storie.”

A presto

Ciauuu

 

 

 

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Capitolo 6
*** I colori dell'anima ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

I colori dell’anima

 

 

Concentrandosi su loro stesse, spensero la televisione e i fuochi per sedersi poi sul divano, l’una accanto all'altra, Haruka a non spiccicar parola e Michiru a cercare di trovare le più indicate per spiegarle tutto.

“In effetti Kristen c’entra nel mio salto a Berna, ma non come hai scioccamente pensato tu. - Iniziò sedendosi più comodamente. - Quando domenica sono andata a Castel Grande convinta che ci fossero dei problemi con la sua temporanea, in realtà mi voleva solo vedere per chiedermi una cosa; ovvero di poter avere una raccolta dei miei quadri.”

“Un’altra omissione.” Sottolineò Haruka riferendosi al fatto che la compagna non le avesse detto subito della Kocc.

“Ruka ti prego, non interrompermi.”

La bionda ghignando scosse la testa facendole notare quanto tutta la loro abitazione fosse piena zeppa di sue opere e l’altra ne bloccò immediatamente il sarcasmo continuando la spiegazione.

“Se ben ricordi Kristen usa uno stile contemporaneo che nulla ha a che vedere con il paesaggismo che seguo io. Lei voleva vedere le mie opere giovanili. Il mio Astrattismo.”

“Astrattismo?”

“Si.”

“Tu eri un’astrattista?” E suonò quasi come una presa in giro tanto che Michiru si alzò per andare a prendere la digitale dimenticata nella sua borsa.

“Lo so, sembra assurdo, ma è così. - Ed una volta riguadagnata la seduta accese la macchinetta consegnandola alla compagna. - Guarda. Sono le tele che dipinsi da ragazza. Dai diciassette ai… ventitre anni. Più o meno.”

Scettica la bionda iniziò a visionare le immagini e più le scorreva e più le sue labbra si schiudevano in una posa stupita ed ammirata. “Le hai fatte veramente tu queste?”

“Non so se prenderlo come un complimento.”

“Ma è… lo stile di Kandinsky!”

“Si… Brava.”

“Non guardarmi così. Anch’io ho fatto un po’ d’arte al liceo.”

Colta in fragrante Michiru abbassò gli occhi per un istante, poi tornando a guardare la compagna le chiese cosa ne pensasse.

“Sono… bellissimi. Non c’è che dire. Molti hanno dei colori talmente brillanti che non sembrano neanche stesi da te.”

“Anche in questo caso non so se prenderla come una lode.”

“Non volevo dire che i paesaggi che dipingi ora siano cupi.”

“Dai, lo so. Sono due stili talmente diversi da non poter essere assolutamente paragonati. Stavo solo cercando di stemperare il fatto che tu sia ancora abbastanza adirata.”

“Incazzata calza meglio.”

Ma Michiru lasciò correre ancora una volta. Tornando a guardare le piccole immagini della fotocamera si accoccolò sulla spalla della compagna iniziando ad indicarle dei particolari. “Erano tutti riparati dentro un box che mia madre sta tenendo in affitto una vita e la luce al neon non gli rende giustizia. Alcuni colori sono leggermente falsati, ed è per questo che ne ho portati un paio via con me.”

La sua donna, sempre perfezionista. Haruka stirò un sorriso sghembo iniziando a rilassarsi un po’. “E li vorresti far vedere alla Kocc?”

“E’ quello che mi ha chiesto. Devo preparare un book per mostrarglielo al suo ritorno.”

Ok, ma il motivo di tutta questa segretezza? “Ascolta Michiru, mi fa piacere che un’artista ti abbia chiesto di vedere alcune tue opere, ma perché tenermelo nascosto?”

Spegnendo la macchinetta, la posò sul piano di vetro del comodino di fronte incatenando il suo sguardo a quello dell’altra. “C’è qualcosa di più!”

Kaiou sospirò in segno d‘assenso. “Era inutile dirti tutto se poi con molta probabilità finirà per non concretizzarsi niente.”

“Ma niente cosa?!”

“Finito qui e ritornata in patria, Kristen dovrà preparare una mostra con un suo vecchio mentore, lo scultore Gustav Marinof e vorrebbe che io… avessi una piccola sezione. Naturalmente se due neoespressionisti come loro riterranno le mie opere sufficientemente interessanti da poter essere inserite nel loro catalogo.”

Michiru lo disse tutto d’un fiato, perché a distanza di tre giorni e pur avendoci rimuginato sopra ore su ore, ancora non riusciva a credere come quell’enorme occasione potesse essere capitata proprio a lei.

“Vorrebbero farti esporre?”

“Questa sarebbe l’idea.” Michiru si alzò come in preda ad una improvvisa frenesia. Tutto l’opposto dello scetticismo che, con il passare della spiegazione, stava stritolando l’animo di Tenou.

“E’ l’occasione di una vita, amore! Ho già esposto in passato, ma mai in una città grande come Stoccolma e mai affiancata ad un gigante come Gustav Marinof!”

Ad Haruka sembrò di perdere il filo. Ma quella che aveva davanti agli occhi era veramente la sua compagna!?

“Mi sembri un’altra persona Michiru. Cosa vuol dire l’occasione di una vita!? Non ti ho mai sentita parlare di esposizioni, di arte moderna. E’ il restauro pittorico il tuo lavoro ed è stato il restauro di una delle pale del Perugino ora esposta ai Musei Vaticani, l’occasione della tua vita. E l’hai colta alla grande.”

“Haruka…”

“Non capisco. Cosa ti sta succedendo!?”

Rimettendosi seduta l’altra le afferrò le mani aprendosi. “Ruka ascolta; amo il restauro con tutta me stessa, è la carriera che ho scelto e l’ho fatto con tutto il cuore, ma vedi… Dio, come faccio a spiegarmi.”

Per qualche secondo Michiru perse lo sguardo alla bocca spenta del caminetto per poi proseguire. “Restaurare è una missione, significa garantire alle future generazioni la fruizione di un bene che altrimenti sarebbe destinato ad andare perduto, ma lo si fa sulle opere di altri. Il dipingere invece, rappresenta un modo di esprimersi, di lasciare al mondo una parte di se. In un certo senso è come essere madre, la tua creatura può piacere o meno, ma è e rimarrà sempre tua.”

“Ha un senso.”

“E’ come per te restaurare la Winchester o lavorare alla creazione di una nuova Ducati. La Panigale del 2018 porta anche la tua firma e non mi dire di non esserne orgogliosa.”

“Ho capito, ma… perché non mi hai mai detto di sentirti frustrata?”

“Non mi sentivo frustrata o meglio, non scientemente. Ho continuato a fare il mio lavoro con dedizione e coscienza, restaurando quadri, affreschi ed intanto curando le mostre altrui, perché mi piace e sono brava nel farlo, ma… respirare l’arte di una temporanea come quella di Kristen mi ha come… risvegliata. Non ho mai smesso di dipingere, ma lo vedevo più come uno svago. Sai Ruka, quando mi dissero che il mio anulare sinistro non avrebbe più avuto la forza sufficiente per tener ferma la corda di un violino, credetti d’impazzire. Non avevo più nulla che mi permettesse di sfogare la mia creatività. Poi pian piano, mi sono dedicata alla pittura e stupendomi per prima, ho iniziato ad esprimermi attraverso i colori. Magicamente il violino si era trasformato in una tavolozza e l’archetto in un pennello.”

“Allora perché non hai continuato?”

Accarezzandole la frangia, Kaiou sorrise. “Perché con il violino ero un talento, con il pennello… un po’ meno. Perché gli agganci di mia madre mi avrebbero sicuramente facilitata nel calcare un palcoscenico, ma non nella pittura. In oltre l’aggravarsi della malattia nervosa di mio padre mi spinse a scegliere una professione che mi permettesse di essere autosufficiente. Per vivere di pittura ci vogliono le doti, ma anche tanta pazienza ed io non volevo più aspettare. Non rinnego niente. Rifarei esattamente tutte le scelte che ho fatto, ma non posso negarti che questa opportunità m’inorgoglisce.”

“Perciò se a questo Marinof dovessero piacere le tue tele cosa accadrebbe?” Quella domanda colpì Kaiou che forse in tutto quel turbine d’emozioni non era ancora riuscita a soffermarsi sull’ovvietà della cosa; ovvero che sarebbe dovuta partire.

“Prima lasciamo che lui e Kristen le giudichino. Poi si vedrà il da farsi…”

“Il da farsi!” Esplose improvvisamente l’altra alzandosi di scatto.

“Ruka…”

“Anche se è poco che sei una curatrice, sai perfettamente che in questo tipo di temporanee è meglio che l’artista sia presente. E non soltanto durante l’allestimento, ma anche dopo, con le interviste, le conferenze.”

“Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta.”

“A…, vuoi farmi credere che se ritenessero le tue opere degne della loro considerazione non ti getteresti anima e corpo in questa impresa? E il lavoro al museo? Lo lasceresti per andare a Stoccolma proprio ora che ti manca così poco per essere assunta?”

Seguendola in piedi, Michiru mise le mani avanti cercando di fermare quel fiume in piena. “Calmati amore, stai andando troppo veloce. Non c’è ancora nulla di definito e tu già mi metti davanti a delle scelte.”

“Perché non è così?”

“Ho fatto soltanto delle foto.” Cercò di minimizzare forse più per se stessa che per la compagna.

Sapeva infatti perfettamente cosa sarebbe accaduto se le sue tele fossero piaciute e se da una parte la cosa le procurava un’eccitazione mai provata da anni, dall’altra la terrorizzava. Haruka Tenou, che non era affatto una stupida, aveva già capito tutto perfettamente.

Andando verso la porta d’ingresso la bionda iniziò ad infilarsi le scarpe. Michiru le fu dietro in un secondo. “Dove vai?!”

“Ho bisogno di prendere aria. Come ti ho già detto sono incazzata, incazzata come una bestia. Mi hai addirittura portata a pensare ad un tuo tradimento.”

“Mi dispiace di averti mentito, ma per la faccenda di un ipotetico tradimento…, il problema è solo il tuo, Tenou.”

“Altra bella presa per il culo!”

Michiru la guardò severamente ammettendo in maniera piatta e molto nordica che sarebbe stata una buona cosa mettere in casa un barattolo per le volgarità fuori luogo.

Di tutta risposta Haruka sfilò da una delle tasche del giubbotto di pelle appeso al muro il suo portafogli ed afferrando una banconota da cento franchi la sbatté con violenza sul piano della console. “Con questa eviterai di rompermi le palle per un po’!” E la guardò con sfida.

“Haruka! - Urlò rabbiosa. - Non si discute così, lo sai! Non si arriva mai a nulla perdendo la testa.”

“Sei incredibile, lo sai?! Sono otto anni che cerco di capire come tu riesca sempre a farmi passare dalla parte del torto anche quando non lo sono affatto!”

“Credevo di essermi spiegata…” Soffiò soprassedendo al fatto di quanto quella frase l’avesse ferita.

“Ti sei spiegata benissimo, ma resta il fatto che ho i nervi a fior di pelle e sai quanto me che in questo stato rischio di fare o dire cose delle quali a mente fredda potrei pentirmi.”

Rendendo gli occhi a due fessure, Michiru le afferrò un braccio proprio mentre Haruka stava afferrando la maniglia. “Del tipo?!”

“Kaiou… NO!” Ringhiò aprendo di scatto l’anta dell’ingresso.

“Almeno avrò il diritto di sapere dove vai!”

“Da Giovanna! - Rispose di getto benché farla preoccupare sarebbe risultata una vendetta soddisfacente. - E non aspettarmi alzata, perché non è detto che io torni!”

 

 

Si era comportata male con Michiru, lo sapeva benissimo, ma era stato più forte di lei reagire in quel modo, non rimanendo e soprattutto, non appoggiandola in quello che avrebbe potuto essere una meravigliosa occasione lavorativa. Aggirandosi tra i viottoli di pietra bianca del loro comprensorio come un fantasma in pena e maledicendosi per aver scelto di vedere la sorella invece che afferrare le chiavi della sua moto e sfrecciare veloce tagliando il vento fresco della sera nonostante la sua coscia destra, dopo una mezzoretta che servì fisiologicamente per darsi una calmata, Haruka suonò al citofono della terza palazzina aspettando mani nelle tasche come un malavitoso ad un appuntamento.

“Chi è?”

“Io.”

“Io chi?!” Ci scherzò su la maggiore riconoscendo la voce.

“Il lupo cattivo! Apri!” Ed il telaio del portone scattò.

Meno di due minuti dopo Giovanna le aprì la porta bardata di grembiule e brandendo una grossa forchetta per la carne.

“Un lupo cattivo ed affamato?” Chiese lasciandola entrare.

“Esattamente.” Rispose la bionda sfilandosi le scarpe in quello che era praticamente la fotocopia dell’ingresso dell’appartamento suo e di Michiru.

Dal taglio più piccolo per via dell’assenza di quello che nell’appartamento Tenou-Kaiou era lo studio di quest’ultima e di un secondo servizio, la casa che Giovanna aveva preso in affitto due anni prima, era in tutto simile alla loro. A sinistra l’angolo cottura con la penisola che si apriva sul soggiorno con il piccolo caminetto e a destra la camera da letto accanto al bagno padronale. Essendo una mansarda mancava la terrazza, ma al suo posto era stato ricavato dal tetto a spiovente un bel balconcino che la donna aveva abbellito con una serie di piante sempreverdi dove far rilassare le altre due padrone di casa; le assai più pelose Kira ed Haruka junior.

“Ragazze, è arrivata la zia cattiva!” Urlò Giovanna tornando ai fornelli. Dai due angoli dell’appartamento, le gatte schizzarono fuori per prendersi ognuna la sua dose di coccole.

“Hei bimbe belle! Ciao. - Chinandosi Haruka iniziò ad accarezzarle sorridendo a quella che la sorella aveva voluto chiamare come lei. - Proprio non capirò mai perché tu le abbia voluto dare il mio nome.”

“Perché quello che aveva al gattile era stupido. Poi te l’ho già detto un’infinità di volte che tralasciando i colori, Ruka è tale e quale a te.”

Ed era vero. Quella gatta presa già grande, trovata ferita in una struttura e curata con amore ed impegno, le aveva ricordato Tenou già dalla prima volta che l’aveva vista e non solo per la sua storia personale, ma anche e soprattutto per la fisicità e le movenze. Massiccia, goffa, tanto leggiadra da assomigliare più ad un pezzo di tufo che ad una scattante tigre del Bengala, aveva due occhi verdi intensi ed un muso da maschio navigato.

“In più quando la chiamo se ne sbatte e non si degna di venire se non ho un biscotto in mano o si annoia e vuole giocare. - Controllando l’acqua di cottura si voltò un attimo. - Potevi farmi uno squillo. Avrei preparato più cibo.”

“Non importa. Mangerò quello che c’è, anzi scusa dell’improvvisata.” Disse notando il grembiule a rombi verdi e bianchi che Michiru un giorno aveva acquistato per entrambe.

“Figuriamoci. Lo dico per te, non voglio che al suo ritorno, la tua donna ti trovi sciupata. Dai, dammi una mano ed apparecchiare.”

Ma borbottando un allora non sai niente, la bionda restò accovacciata.

“Dovrei sapere cosa?”

“Michiru è tornata questa sera.”

“E perché tu sei qui invece di stare li?” Indicò con il mento la direzione dove a qualche decina di metri sorgeva l’altro stabile.

“Non lo immagini?”

Allontanandosi leggermente dai fornelli, Giovanna le chiese se avessero discusso ed andando a sedersi su uno degli sgabelli della penisola l’altra rispose di si. “O meglio, sono io che volevo discutere.”

“Non dirmi per la solita Winchester!?”

“No…”

“La Kocc?”

“Mmmm….”

“Dio, quella donna rompe le palle anche ora che non c’è!”

“Allora sai che e' partita?!”

“Per forza, ci lavoro insieme.”

Chiudendo gli occhi e abbandonando la testa all’indietro, Haruka non replicò. Non era ancora arrivato per lei il momento di parlarne, di sfogarsi o di ricevere ipotetici consigli e capendolo, la sorella ritornò a preparare la cena avendo ormai imparato a rispettare i tempi biblici dell’altra. Così passò il tempo fino a quando, una volta terminato di mangiare e sparecchiato il tutto, Tenou non si decise ad aprire le valvole di piena. Giovanna ascoltò tutto in religioso silenzio seduta a gambe incrociate sul divano proprio accanto a lei.

Haruka le racconto così della menzogna, delle tele fotografate, di Kristen Kocc e del suo vecchio maestro; uno scultore pare molto quotato. Le rivelò anche dei trascorsi da gallerista di Michiru e di quanto smettere anche con la pittura, oltre che con la musica, avesse raffreddato i suoi entusiasmi giovanili. La bionda non si limitò ad esporre semplicemente i fatti, anzi, con grande sorpresa di Giovanna espresse la delusione provata dal gesto della compagna, la vergogna più bieca per averla immaginata anche solo per pochissimo, tra le braccia della pittrice e la paura più nera di vederla allontanarsi da lei, di non riuscire a seguirla in questa nuova fase della sua vita.

“Non vederla così catastrofica. - Disse infine la maggiore rompendo un lungo silenzio. - Anche se Michiru dovesse andare a Stoccolma non sarà certo per sempre. E poi non aspira a prendere in un prossimo futuro il posto del signor Miller ?”

“Così credevo. - Finendo di torturarsi un bottone della camicia la bionda la guardò dipingendo un sorriso beffardo. - Voglio farti una domanda Giovanna. Ma ti chiedo di essere sincera.”

“Dimmi.”

“Secondo te, Michiru ha affrontato questa temporanea come tutte le altre?”

“Intendi per l’impegno?”

“No, sul lavoro è ineccepibile. Lo so meglio di tutti. Intendo… - Prendendosi qualche secondo scelse al meglio le parole. - …Cosa pensi abbia provato nel conoscere il lavoro della Kocc?”

Marcando le labbra in un sorriso sempre più evidente, la sorella ammise che sul lavoro non aveva mai visto Michiru tanto raggiante. “Dopo esserci conosciute meglio, mi è capitato spesso di vedere Kaiou all’opera, soprattutto in Vaticano. Concentrata, pienamente conscia di ogni singolo colpo di bisturi, di ogni singola pennellata reintegrativa. Una professionista d’ammirare. Però…, non so spiegarti, ma in queste ultime settimane davanti alle opere della Kocc si è come scaldata… e non certo per la loro bellezza. Credo che da pittrice, Michiru abbia sentito e senta ogni volta una sorta di affinità, di energia. Ruka, non l’ho mai vista tanto … viva.” E quella parola per l’altra fu come una mazzata.

Arpionandosi la fronte sospirò. “E’ sempre la stessa storia.”

“Cosa intendi dire?”

“In vita sua Michiru ha dovuto rinunciare a molte cose scendendo spesso a compromessi. Prima l’interruzione sul nascere della sua carriera da violinista, la morte di Victor e la scelta di andarsene di casa rinunciando alla pittura per un lavoro più concreto. Poi la mia conoscenza e la necessità di abbandonare Berna per vivere in un piccolo centro con poco da offrire, perché questa zuccona qui in una grande città si sentirebbe soffocare e lei questo lo sa. Ama il mare, ma dato che a me tutta quell'acqua non piace, spesso si piega ad andare in vacanza dove voglio io. Infine e cosa più pesante di tutte, la sua rinuncia ad essere madre, perché anche se mascolina, sono pur sempre una donna che non potrà mai ricoprire per intero il ruolo di un padre come lo è stato il suo.”

“Non posso parlare per le altre scelte, ma so come la pensa Michiru sulla figura paterna e non credo che se ne sia mai pentita. Mai Ruka.”

“Avrei accettato un figlio anche se non è nelle mie corde, ma vivere a Berna o da qualunque altra parte non è mai stato messo in discussione.”

“Te lo ha mai rinfacciato?”

“Kaiou non è una persona che rinfaccia, che porta il broncio o si lamenta. Ed è per questo che sono tanto colpita da come si stia comportando in questa storia. Vuole veramente fare questa cosa, altrimenti non mi avrebbe mentito.”

“Cosa vuoi fare?”

Guardandola di soppiatto Haruka sorrise sospirando poi pesantemente. Questa volta non si sarebbe comportata da egoista. Avrebbe sostenuto la sua donna andando anche contro i suoi stessi interessi.

“Sai che è stato merito suo se sono stata presa alla Ducati? Io quel colloquio neanche lo volevo fare.” Rivelò ricordando quel pomeriggio di cinque anni prima, quando sistemandole il colletto della giacca, Michiru le aveva sorriso fiera prima di spingerla verso il cancello che dava sullo stabilimento della casa motoristica.

“Ce la farai amore. Io credo in te!” Aveva detto stentorea non potendo neanche lontanamente immaginare quanto Haruka se la stesse facendo sotto.

E io devo credere in te. Qualunque cosa accada, pensò stringendo le labbra. Due energici schiaffi sulle cosce e la bionda si alzò dalla seduta con le idee più chiare.

“Grazie Giò.”

“Sempre a disposizione, sorella. Vuoi un dolcetto?”

“No. Conoscendo Kaiou non sarà ancora andata a letto.”

 

 

Haruka tornò a casa poco dopo. Silenziosamente aprì la porta dell’ingresso e con altrettanta accortezza la richiuse notando solo in un secondo momento l’oscurità del soggiorno smorzata dalla luce del televisore. Sul divano, rannicchiata al suo posto, Michiru si era appisolata di fronte all’ultimo programma della sera. Il telecomando in una mano e l’altra stretta al plaid colorato che usavano per le sere particolarmente frizzanti come quella.

Storcendo la bocca alla testardaggine di quella donna tremenda, la bionda avanzò con il passo felpato datole dall’attrito tra la spugna dei calzini e i tavelloni del parquet ed una volta arrivatale davanti, la vide aprire leggermente gli occhi stropicciandosene uno.

“Che ore sono?” Chiese con voce bassissima.

“L’ora di andare a dormire, Michi mia.”

Prendendola tra le braccia se la strinse al petto mentre di contraccambio l’altra le arpionava il collo. “L’ho messo sai?.”

“Che cosa?” Chiese Haruka aggirando il divano.

“Il barattolo…” Rivelò soffocando la voce impastata dal sonno nella stoffa della camicia.

In bella mostra sopra la penisola, leggermente spostato verso il frigorifero, il famoso e famigerato barattolo delle parole poco lecite faceva bella mostra di se con al suo interno una vistosa banconota da cento franchi. Così alla bionda, che in quella casa mai aveva il piacere di avere l’ultima parola, non rimase altro che roteare gli occhi, sbuffare come un muflone e serrare tra le braccia il corpo della sua donna.

 

 

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Capitolo 7
*** Il filo conduttore della passione ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il filo conduttore della passione

 

 

Spegnendo il saldatore si alzò la maschera protettiva guardando con disappunto il pc dimenticato acceso sulla scrivania. Come ogni buon artista non amava essere distratto in piena fase creativa e tanto meno da quella demoniaca sostanza tecnologica che prendeva il nome di Skype, dove ognuno poteva raggiungerlo, soprattutto il suo avvocato, che facendo il paio con le sue tre ex mogli e i suoi innumerevoli figli, non mancava mai di disturbarlo anche in un posto sperduto come la foresta venezuelana.

“Signor Gustav, vuole che veda a vedere?” Chiese il domestico chiamato per aiutarlo a sostenere una barra di ferro che stava aggiungendo alla sua ultima creazione grazie ad un paio di punti si saldatura.

“Si Carlos. Fammi la cortesia.”

Così mentre il ragazzo andava alla scrivania, l’artista ne approfittò per dissetarsi con una limonata ghiacciata e togliersi dal viso il sudore provocato dalla fiamma ossidrica con la manica destra della sua camicia di lino.

Sulla soglia dei settant’anni, ormai non sopportava più quel caldo torrido tipicamente tropicale smorzato solamente dalle piogge monsoniche che giornalmente colpivano la zona dello stato di Miranda. Lo portavano allo sfinimento, lo incattivivano e deconcentravano tanto da doversene tornare in Europa ogni fine giugno. Nonostante tutto però, continuava ad apprezzare la natura venezuelana dal verde brillante che proprio da quel clima prendeva forza e vigore, la sua rigogliosa bellezza invasa da biodiversità multicolore, gli odori pungenti della foresta dove la morte rincorreva la vita ad ogni scatto di lancetta, l’irascibilità dei suoi infiniti corsi d’acqua, che ogni scroscio li trasformavano da rivoli insignificanti a spaventosi fiumi in piena.

Molte volte la sua tenuta era stata spazzata via da situazioni climatiche sempre più violente ed ogni volta lui, uomo del nord Europa avulso e corpo estraneo in quella terra fatta di contrasti fortissimi e nessun compromesso, si era ostinato a ricostruire pezzo per pezzo la sua casa di legno, tegole e lamiera, non domandandosi mai il perché di tanta testardaggine.

“Vent’anni fa era diverso. - Borbottò posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolino accanto alla scultura. - Non avevamo neanche la corrente elettrica e tutto era affidato ad un generatore. Invece adesso…”

Sfilandosi la maschera protettiva dalla testa e passandosi una mano sugli ultimi capelli bianchi ai lati delle tempie, guardò fuori dalla porta. Il sole filtrante dal portico stava andando via via smorzandosi, sintomo questo dell’imminente arrivo del solito temporale pomeridiano.

“Tra qualche minuto sarà il caso di scollegare tutto. Allora Carlos, chi è?” Chiese guardando l’opera mentre lentamente si allontanava per apprezzarne meglio le proporzioni.

“La signora Kocc.” Rispose il ragazzo sorridendo all’immagine della donna ritratta in un riquadro al lato dello schermo.

“La piccola Kristen? Come, così presto?” Ed abbandonando tutto raggiunse la postazione mentre il ragazzo usciva dal laboratorio per lasciarli soli.

Attivando la videochiamata l’uomo si mise comodo su una sedia impagliata. “Allora ragazzina, cosa si dice in quel di Stoccolma?”

“Maestro, la trovo bene.” Esordì lei notando subito il colorito abbronzato del suo viso.

“A parte quelle sanguisughe delle mie ex mogli e i loro petulanti figli… - Se ne uscì sentendola ridere per poi continuare. - Ma parliamo di cose più interessanti. Cosa pensa il Direttore del Moderna Museet della nostra proposta?”

“E’ entusiasta. E la sua offerta ha ricalcato fedelmente l’accordo di massima che avevamo stipulato lo scorso febbraio e non soltanto dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto da quello pubblicitario.”

“Quanto spazio è disposto a darci per la nostra temporanea?” Chiese soprassedendo completamente al compenso.

Kristen sorrise della sua vivacità. “Tutto il primo piano e trequarti del bookshop saranno a nostra completa disposizione.”

“Meraviglioso!”

“Potremo comporre tutte le sezioni che avevamo studiato con un piccolo surplus verso la fine.”

“Addirittura? Questo vuol dire che potrei portare anche la scultura alla quale sto lavorando.” Disse guardando in direzione dell’opera.

“Maestro… Prima vorrei chiederle un favore.”

Tornando attento attese corrugando leggermente la fronte.

“Le sarei grata se potesse guardasse un porfolio…”

“O Dio del cielo! - Esplose lui. - Non mi dire che hai nuovamente adocchiato un giovane artista!?”

“Non si tratta di un giovane artista, ma della curatrice della mia attuale mostra a Bellinzona, in Svizzera. Non dico che sia l’ultimo Jansen, ma è molto brava e le devo il favore di avermi sopportata per tutto il tempo dell’allestimento.”

“Non possiamo far esporre ogni primo imbratta tele neoespressionista che prendi in simpatia. Se non ricordo male abbiamo già fatto questo esperimento, giusto? E non è stato edificante.” Sottolineò l’ultimo flop di una Kristen sempre pronta a giocare con la vita degli altri.

“E’ un’astrattista.”

“O mamma mia! - Dissacrò l’uomo compiendo un ampio movimento del braccio. - Allora siamo proprio messi bene. Ma Kristen cara, mi spieghi cosa c’entrerebbero quel tipo di opere con le nostre?”

“Non mi ha sempre detto che l’arte contemporanea non ha correnti, ne confini e che tutte le opere sono legare fra loro dal filo conduttore della passione?”

“Non c’è bisogno che mi ricordi ciò che dico ogni volta che vorresti lanciare un nuovo artista per questo o quel motivo. Ti faccio presente che questa mostra porterà anche il mio nome e non desidero affatto che venga associato ad uno sconosciuto qualunque.”

“Le chiedo solo di guardare il suo portfolio. Nulla di più.”

“Inviamelo…, poi vedremo.” Disse dopo un lungo sospiro ed afferrando il mouse chiuse la conversazione alquanto stizzito.

 

 

Passò qualche giorno da quella chiamata, giorni nei quali Gustav Marinof si prese tutto il tempo necessario per visionare le opere di Michiru. Intanto a migliaia di chilometri di distanza dall’afosa giungla venezuelana, nell’appartamento Tenou-Kauou sembrava essersi istaurato una sorta di limbo, una sospensione voluta come un patto non scritto, dove ognuna delle due abitanti si stava impegnando a non menzionare mai Kristen Kocc, Stoccolma o quello che sarebbe potuto accadere quando l’artista si sarebbe degnata di farsi sentire. E più quel silenzio si allungava e più ognuna delle due, a modo suo, fremeva; Michiru per un motivo, Haruka per un altro. Così quando si trovavano insieme e capitava che il cellulare della prima squillasse, immancabilmente la cosa che entrambe si ritrovavano a fare era quella di scambiarsi uno sguardo per poi posarlo all’unisono sull’apparecchio. E puntuale alla bionda moriva il fiato nella gola e lo stomaco le si torceva su se stesso per poi rilassarsi una volta capito che non si trattava della Kocc.

Così come quella mattina di mercoledi', dove ancora vestita della sua vestaglia leggera, Michiru era intenta a finire di prepararsi la sua giornaliera tazza di cereali. Seduta alla penisola ruminando come un assonnato caribù, Haruka se la guardò armeggiare con la scatola del latte capendo ancor prima che la compagna parlasse a chi sarebbe toccato l’onere di andare al supermercato.

“Ruka… è finito il latte. Lo compri tu, vero?”

“Ok.” Disse masticando il biscotto appena affogato nel caffè e latte.

“Prima o poi dovremo deciderci a fare la spesa per la settimana. Il frigo è quasi vuoto.”

“Mmmm…”Rispose spostando lo sguardo dalla schiena della compagna al contenitore di vetro abbandonato in un angolo del tavolo.

“Senti un po’… Ma quel coso non si potrebbe rimuovere?” Ed indicando con la punta sgocciolante del cucchiaio il barattolo con i suoi cento franchi dentro, costrinse l’altra a voltarsi.

“Quale coso?”

“Quello …”

Capito il soggetto della richiesta, Michiru tornò ad armeggiare con il bricco del latte. “Io trovo che li stia benissimo.”

“E’ una palla al piede …”

“Un memento mori …”

“Una rottura di palle!”

Posando pesantemente il bricco sul piano accanto ai fornelli, l’altra respirò nervosa. “Il bonus dei cento franchi finisce qui, Haruka… La prossima va dritta dritta nel barattolo.”

Oddio, non le passa. Pensò la bionda tornando a ruminare scura in volto.

Michiru le si sedette accanto lanciandole un’occhiataccia per mostrarle poi la sua desolata razione di latte. “Ti ringrazio di avermene lasciato un po’.” Disse sarcastica mentre di rimando la compagna le spostava la sua ciotola davanti.

“Accomodati pure.”

“Non lo voglio! E’ pieno zeppo di mollicci biscotti burrosi.”

“Hai paura di perdere la linea?” Domandò ritraendo la ciotola per tornare ad affondarci dentro il cucchiaio provocando così in Kaiou un lampo d’irritazione.

“Finiscila. E’ una questione di rispetto! Fai sempre così! Cosa ci vuole a scrivere sulla lista della spesa quando sta per finire qualcosa?”

Haruka cercò di soprassedere, anche perché Michiru aveva perfettamente ragione. Quella di non ritrovarsi appuntati gli alimenti che si dovevano acquistare, era una delle cose che Kaiou odiava di più in senso assoluto, un po’ come la bionda non sopportava il vedersi nella doccia le sue calse stese ad asciugare.

“Lo comprerò questa sera prima di rincasare. Contenta?”

“Ben gentile.” Chiuse iniziando a mangiare.

Meno di un paio di bocconi però e il suo cellulare iniziò a suonare attirando nuovamente l’attenzione di entrambe. Michiru non si alzò subito. Lo lasciò diffondere quell’assurda vibrazione sonora per qualche secondo prima di andare a vedere chi fosse.

Haruka non fece nulla quando l’altra salutò la Kocc. Rimase semplicemente immobile a fissare la poltiglia color caramello dove era rimasta, come sospesa nel tempo, la punta argentata del suo cucchiaio. Poi socchiudendo gli occhi ascoltò.

“Torni domani? Perfetto. Si, la mostra sta andando molto bene.” Stava conversando Michiru.

“No. Non ci sono novità. A si?! Ne sono lusingata. Va bene. Allora aspetto notizie. Ti auguro un buon volo e ti prego di ringraziare il signor Marinof per me. Ciao.”

A quelle ultime parole; ti prego di ringraziare il signor Marinof, Haruka mollò il cucchiaio raddrizzando la schiena. Avambracci fermi sul piano della penisola attese guardando la sua donna tenere con entrambe le mani il cellulare.

Un sospiro seguito da un impercettibile movimento della testa in segno di diniego e finalmente Kaiou la guardò. “Pare che le mie opere siano piaciute ad entrambi.”

“Non ne avevo dubbi. - Disse la bionda dopo un istante di esitazione. - Ti faranno esporre con loro?”

“Così pare.” Soffiò stirando le labbra in un sorriso incerto.

“Non sei contenta?”

Ma nella domanda di Haruka non c’era proprio alcuna traccia d‘entusiasmo, tanto che ora che quella sorta d’ingranaggio era partito, per la prima volta da quando Kristen l’aveva messa al corrente della mostra, Michiru chiese consiglio sul da farsi

“Cosa significa? - Corrugando la fronte Tenou si girò sullo sgabello arpionandosi le cosce. - Kaiou sai perfettamente cosa devi fare!”

Non vedendo alcuna reattività si alzò e saldando le mani alle sue spalle questa volta le sorrise convinta. “Quando dovresti vedere la Kocc?”

“Al più tardi dopodomani.”

“Ok…”

“Ruka…”

“Cosa c’è? Stai iniziando a fartela sotto?”

Scuotendo la testa Michiru le spostò le mai serrandole alle sue. “Se dovessi realmente partire?”

“Allora partirai.”

“Ma…”

“Niente ma. E’ già successo. So stare da sola. E poi sentiamo prima le condizioni. Ce ne sono sempre in questi casi, no?”

Michiru avrebbe dovuto sottoscrivere un contratto con lo studio amministrativo del Moderna Museet, accettandone compenso e clausole. Una trafila non certo lunghissima, ma sufficiente per lasciare spazio a tutte le decisioni possibili.

Improvvisamente Kaiou abbassò la testa assalita da mille pensieri. Il lavoro al museo, la sua quotidianità, la sua donna, in altre parole la vita che aveva scelto, erano ora in discussione. Tutto stravolto per una cosa alla quale non pensava più da anni, ovvero quella di poter finalmente esporre provando quel senso di soddisfazione per un traguardo raggiunto.

“Ascoltami Michi; sono orgogliosa che i tuoi quadri siano piaciuti, anche se non amo l’idea che tu debba partire. Non sopporto il saperti troppo lontana e non è soltanto per la mia stupida gelosia, ma perché ormai non so più vedermi come un essere unico. Odio andare a fare la spesa per la settimana da sola o svegliarmi con la tua parte del letto intatta, così come m’incupisco quando sei troppo stanca per darmi retta o rimani a lavorare fino a tarda sera. Però una cosa posso dirtela in piena franchezza ed è quella che qualunque cosa sceglierai di fare in questa occasione, io sarò dalla tua parte. Non farò musi lunghi, ne ti renderò la vita impossibile. Questa volta sarò io a farmi da parte per le tue esigenze, perché anche troppe volte in questa casa si fa il contrario. Intesi?”

“Va bene.” Disse Kaiou sorridendole grata.

“Però adesso promettimi che se questa cosa andrà in porto spaccherai il culo ai passeri…”

“Cosa? - Abbassando la voce al minimo Michiru spostò le iridi da quelle verdi della compagna al barattolo sul piano della penisola cercando di non ridere. - Tu continua così Tenou e vedrai come si riempirà in fretta quel barattolo che tu chiami coso.”

 

 

Indubbiamente quella donna aveva una sorta di potere, la capacità innata e completamente avulsa dal denaro, di riuscire a far fare al malcapitato di turno tutto ciò che voleva. Uscendo al sole caldo del mezzogiorno, Michiru socchiuse gli occhi alla luce voltandosi in direzione del portone d’ingresso del museo. Non avrebbe mai creduto che il signor Miller, uomo tutto d’un pezzo, si sarebbe comportato tanto docilmente di fronte alle richieste pretenziose di Kristen. Michiru era infatti convinta che quando sarebbe andata a parlare con il suo Direttore per cercare di far conciliare il lavoro al museo con il suo allontanamento da Bellinzona, l’uomo l’avrebbe quanto meno messa davanti ad una scelta; o restare la curatrice delle mostre di Castel Grande o intraprendere la carriera di pittrice. Invece con sua grande sorpresa non soltanto il signor Miller non le aveva dato nessun ultimatum, ma già messo al corrente da Kristen si era dimostrato anche più che disponibile a concederle un paio di mesi, diciamo sabatici.

“Dottoressa Kaiou, la signora Kocc mi ha già informato e devo dire di essere entusiasta della cosa! Fin da subito ho notato le sue lodi come curatrice, ma non credevo che anche lei fosse una pittrice seguita dal grande Gustav Marinof! - Le aveva detto alzandosi velocemente dalla sedia della sua scrivania per percorrere agilmente i pochi metri che li dividevano. - Parta tranquilla e tenga alto il buon nome del nostro museo e quando ritornerà, sarei felice di organizzare con lei una sua temporanea.”

Niente popò di meno, pensò Michiru tornando a camminare verso il parcheggio. Tutto mi sarei immaginata tranne che un’artista del calibro di Kristen alzasse la cornetta per intercedere a mio favore.

Ma se la cosa da un lato la lusingava in maniera indescrivibile, dall’altro le gettava addosso un pesante senso d’irrequieta ansia. Aveva come l’impressione di stare per cadere dritta dritta in una trappola, come una farfalla nella tela del ragno, il che era strano perché la nippo svedese con lei si era sempre comportata più che correttamente. Una sensazione nata la sera del vernissage, ma rimasta latente fino all’incontro del giorno successivo ed ora esplosa in tutta la sua disgustosa pesantezza.

Portandosi una mano tra i capelli, Michiru si diede della stupida. Haruka aveva certamente ragione; iniziava ad avvertire la tensione di quell'avventura, o per dirla alla Tenou, se la stava facendo sotto. Ora che il signor Miller mi ha dato qualche settimana di permesso devo solo verificare la bozza del contratto. Si disse sbirciando nella borsa che stava stringendo sotto al braccio, i fogli stampati dal file inviatole dall’amministrazione del Moderna Museet.

Tutto perciò sembrava viaggiare per il verso giusto, eppure Michiru non si sentiva tranquilla per niente.

 

 

 

NOTE: Salve, scusate il capitolo misero e direi anche piattarello, ma ho avuto un blocco. Non sapevo come far reagire Haruka e perciò non l’ho praticamente fatta reagire affatto. Spero che il prossimo capitolo sia un po’ più decente.

A presto

Ciau

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Caratteri e nuove conoscenze ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Caratteri e nuove conoscenze

 

 

Sospirando piano Michiru voltò il viso in direzione del vetro dell’oblò. Poggiando il mento al palmo della sinistra e puntellando bene il gomito alla parte inferiore del telaio, perse lo sguardo ai primi nuclei abitativi periferici di Stoccolma. Sorta sul mar Baltico in un ampio arcipelago composto da quattordici isole, la capitale della Svezia ricordava la più nobile Venezia e il suo centro storico, che tutti chiamavano Gamla Stan, poteva rivaleggiare con lei e le altre cugine sorte sull’acqua, sia in bellezza che in occasioni di svago e cultura. Le sue stradine acciottolate dai palazzi color ocra avevano la prerogativa di essere tutte interconnesse fra loro da una serie di grandi e piccoli ponti, così che ai turisti e viaggiatori che avevano la fortuna di vederla dall’alto, la città appariva come una mano dalle dita acquatiche impreziosite da tanti anelli nuziali.

La Dottoressa Kaiou era partita la settimana successiva alla telefonata della Kocc, lasciandosi dietro le spalle tutto per tuffarsi in un’esperienza nuova, completamente avulsa dalla vita che si era costruita nel Ticino. Kristen era stata talmente convincente che nell’ascoltarla, Michiru aveva pian piano sentito cadere tutte le reticenze che come donna di quarant’anni con una casa, un lavoro ed un amore, aveva avuto nell’apprendere di essere stata scelta per esporre con lei e il maestro Gustav Marinof in uno dei più bei musei del paese baltico. La sua parlantina, il suo gesticolare, ma soprattutto la forza magnetica del suo sguardo, avevano spinto Michiru ad accettare tutte le condizioni che il maestro aveva imposto per averla a loro fianco; ovvero quelle di non discutere, metter bocca o condizionare in alcun modo le scelte sue e di Kristen sulla disposizione di tutte le opere presenti in mostra, incluse le tele che Kaiou avrebbe a breve fatto spedire da Berna una volta firmato il contratto con il Moderna Museet. Ebbene si, aveva accettato di non essere padrona di nulla, di un’idea o di una semplice disposizione, lei che da qualche tempo aveva preso a curare le mostre altrui, lei che conosceva da tutta una vita l’arte, i colori e la loro espressività. E lo aveva fatto senza neanche pensarci troppo, stupendosene, perché caratterialmente Michiru Kaiou sul piano lavorativo non aveva mai lasciato a nessuno la barra di comando.

Sono solo un’ospite, un’artista qualunque alla quale è capitata una fortuna inaspettata e come tale devo accettare tutto, persino di portare il caffè se fosse necessario, aveva detto quando Haruka le aveva fatto notare la cosa.

Già, Haruka, la sua splendida donna che negli ultimi tempi aveva avuto spesso l’aria pensierosa e che al pari di Michiru, aveva accettato di restarsene buona buona nel suo cantuccio ticinese promettendole di non fare il broncio, di non farle salire sensi di colpa e di restare sempre ed imprescindibilmente dalla sua parte. Quella mattina, prima della partenza, l’aveva addirittura lasciata sull’uscio della porta come la più classica delle spose di guerra, a guardarla prendere l’ascensore, senza dire una parola, sapendo quanto l’avvilisse il non poterla accompagnare neanche a Zurigo. Ma Kristen era stata categorica anche su questo, perché il viaggio in aereo era stato già pagato, incluso il costosissimo tragitto in taxi fino all’aeroporto.

Cercando di non far caso all’acidità di stomaco che la stava accompagnando da quando era sorto il sole, Michiru guardò Kristen tranquillamente seduta accanto a lei. Con gli occhi chiusi, i capelli argentati a ricaderle sulla fronte, l’immancabile Borsalino calato sul viso, sembrava l’essere più rilassato del mondo tanto che si sentì una ragazzina in gita. Non era neanche più abituata a star ferma in un posto per più di un paio d’ore e il tragitto ben più lungo da Zurigo da Stoccolma le stava sembrando una trasvolata intercontinentale.

“Kaiou-san… C’è qualcosa che non va?” Le chiese improvvisamente l’artista continuando a tenere gli occhi chiusi.

“Nnno.”

“Bene. Tieniti pronta, tra qualche minuto atterreremo.” Soprassedendo all’aria materna messa su dalla donna sin dalla sua entrata nel taxi, l’altra tornò a guardare attraverso il vetro.

Vedendo la terra avvicinarsi, Michiru ripassò mentalmente il programma che avrebbero seguito una volta ritirati i bagagli; l’arrivo in albergo, rigorosamente accanto al museo per evitare qualsiasi spostamento inutile, registrazione, un po’ di tempo per rinfrescarsi e cambiarsi, poi l’incontro con il signor Marinof ed il Direttore del Moderna Museet, infine cena. Kristen era una donna molto pragmatica e aveva pianificato tutto con meticolosa cadenza, tanto che la stessa Michiru, abituata all’ordine mentale, si era stupita di tanta nordica efficienza.

Scese dall’aereo, le due si diressero verso la sala d’aspetto e da li al ritiro bagagli. Lo Stoccolma-Arlanda era un aeroporto modernissimo dove ad ogni angolo si potevano trovare totem e pannelli informativi telematici in qualsiasi lingua, eppure Michiru si ritrovò spaesata tanto da sentirsi quasi una turista al suo primo viaggio. Questo naturalmente le diede un grande fastidio.

 

 

Dopo aver fatto un breve pezzo di strada a piedi, Michiru e Kristen arrivarono sull’isola di Skeppsholmen verso le sedici e trenta, ritrovandosi a dar loro il benvenuto la facciata bassa dal pittoresco color mattone del museo d’arte contemporanea. Kaiou sorrise nel leggere il nome del Moderna Museet scritto con la tipica scrittura a mano. Campeggiava bianca sopra le vetrate dell’entrata e non era affatto pretenziosa nonostante al suo interno fossero custodite opere del calibro di Picasso, Giacometti o Matisse. Questo le piacque molto e in un certo senso contribuì a calmarla un po’. Aveva sentito Haruka appena scesa dall’aereo, ascoltando come un mantra le frasi, non farti intimidire, non farti trattare come una novellina, tu sei brava, ma non erano bastate a toglierle dalla gola quell’orrenda voglia di rimettere natale nello stomaco allo scendere dalle scalette dell’aereo.

“Dovrebbe essere già arrivato… - Disse la Kocc guardando ogni panchina che abbelliva lo spiazzo alberato davanti all’entrata. - ... Il maestro è sempre molto puntuale e lo pretende… Intesi?”

“Scusami?” Chiese l’altra guardandola come se la cosa non la riguardasse affatto.

“Hai sentito bene, Kaiou-san… Il maestro non sopporta i ritardatari. Cerca di tenerlo a mente se non vuoi provocargli un attacco di nervi.”

Quando mai Michiru Kaiou aveva fatto tardi? E poi che faccia tosta, visto che da quando la conosceva, Kristen aveva spesso portato ritardi inaccettabili. Stupita dall’improvviso atteggiamento della donna, soprasedette pensando che anche lei stesse risentendo della naturale tensione.

“A… eccolo!” Esplose l’artista muovendosi in direzione di una panchina dal ferro brunito dove un uomo dai capelli bianchi racchiusi da un piccolo codino si stava alzando dopo aver ripiegato con cura uno dei tanti quotidiani messi a disposizione per la lettura.

Togliendosi dalle labbra il sigaro che stava fumando, salutò Kristen come la più amata delle allieve.

“Ragazzina!” Esplose lui in un inglese condito da uno stranissimo accento.

“Maestro!” E scambiandosi un abbraccio iniziarono a parlottare.

Michiru si avvicinò un po’ rimanendo però educatamente a distanza. Si era informata sul carattere dell’uomo, visionando e leggendo ogni intervista che aveva trovato sul web e da quella ricerca n’era uscito il carattere umorale di coloro che fanno della pignoleria un vero e proprio stile di vita. Anarchico, dittatoriale, consapevole di poter eccedere in tutto, sia sul piano professionale che su quello personale, Gustav Marinof sapeva però essere anche molto generoso con coloro che lo seguivano, fino a diventare un confidente o addirittura un mentore.

Kaiou era dunque preparata a tutto, ma dopo quello che la vita le aveva dato in sorte, non avrebbe assolutamente accettato ingiustificate sfuriate o isterismi di nessun tipo.

“Il Direttore ci sta aspettando all’interno. Forza…, andiamo.”

“Maestro, vorrei prima presentarle l’artista della quale le ho proposto le opere… - Ed una volta chiamata l’altra donna, le posò una mano all’altezza dei reni come a volerla incoraggiare. - Lei è Michiru Kaiou.”

Una robusta stretta di mano ed alzando un sopracciglio lui la squadrò da capo a piedi. “Dunque è lei la famosa astrattista della quale Kristen mi ha tanto parlato.”

“E’ un piacere signor Marinof.” Si limitò a rispondere.

“Devo ammettere che il suo portfolio mi ha stupito, anche se non ho ben capito perché non abbia continuato.” Domandò quasi un po’ seccato.

“Credo… la vita.” Disse vedendolo fare una smorfia che però non riuscì a decifrare.

Così quella specie di Scan Connely in Mato Grosso tornò a parlare della mostra guidandole all’interno del museo, dove una volta passata la biglietteria, il bookshop e il ristorante, si ritrovarono nuovamente all’aperto e più precisamente al centro di quello che era di fatto un teatro in stile classico ricordante quello di Atene, uno spazio dove spesso si organizzavano corsi di pittura, presentazioni e didattica infantile. Pochi istanti e dalla parte opposta dell’emiciclo comparve un uomo attempato, ma estremamente prestante, con al fianco un giovane sulla quarantina vestito da una semplice maglietta nera e pantaloni blu scuro.

“Signor Marinof, signora Kocc, benvenuti!” Disse il Direttore offrendo ad entrambi la mano.

“Signor Johansson…” Rispose lo scultore spostando lo sguardo sul giovane che prontamente si presentò.

“Sono Philip Marson.”

“Sarà lui a curare la vostra temporanea. - Continuò l’uomo più maturo inquadrando finalmente Michiru, ma non mettendo a fuoco la situazione chiese a Kristen aiuto. - La signora…?”

“Lei è la signora Kaiou. Esporrà con noi una collezione di una ventina di quadri.”

Quando Michiru allungò la mano per presentarsi, capì dalla faccia attonita del Direttore che la sua presenza non era affatto stata annunciata.

“A… bè…” Bofonchiò lui afferrandole incerto la mano guardando poi il curatore che al contrario sembrava non preoccuparsi affatto della cosa.

“O su, avanti signor Johansson. - Intervenne Marinof come se si fosse perso anche troppo tempo. - La mostra andrà bene lo stesso! Adesso vorrei vedere gli spazzi dell’allestimento.” E tagliando corto partì di gran carriera verso il cavedio del teatro.

“Philip…” Sussurrò il giovane biondino dalla barba accennata presentandosi a Michiru mentre gli altri tre stavano andando avanti.

“Michiru.” Si forzò a dire lei rimasta di sasso per la mancata comunicazione della sua presenza in mostra.

“Non preoccuparti per il malinteso, Michiru. Evidentemente l’amministrazione non ha ritenuto necessario avvertire il Direttore di un terzo artista. Capita spesso con le grandi temporanee. Non preoccuparti, saprò trovare una sezione anche per le tue opere. Vedrai.”

Ma la donna non rispose ne al suo darle immediatamente del tu, al modo di fare che aveva portato quei tre uomini a trattarla come un fastidioso intermezzo o a quell’imbarazzante malinteso. A Castel Grande non sarebbe mai accaduta una cosa del genere. Forse dipendeva dal fatto che il museo di Bellinzona fosse infinitamente più piccolo e meno pregiato del Moderna Museet, ma questa cosa la lasciò stranita per tutto il resto del pomeriggio.

 

 

“Pronto?! Parlo con la signora Martah Holland della Holland ricambi moto? A bene, sono Stefano Astorri… Le ho mandato una mail questa mattina. Si per il fanale posteriore di una Winchester del 1911. E’ ancora disponibile il pezzo? Fantastico. Allora procediamo subito con il bonifico. Per la modalità di consegna? - Stefano guardò Haruka gesticolare e capì che ci avrebbe pensato lei. - Guardi, niente spedizione. Se per lei non è un problema passeremo noi. Allora grazie. A presto.”

Riattaccando fece il segno del pollice all’insù sfoderando un sorrisone entusiasta. “Che gran botta di culo!”

“Il ritrovarsi un pezzo alle porte di casa?”

“Be mica tanto casa. Questa tizia ha il negozio vicino Sion.”

“Appunto. La sella che abbiamo montato l’altra settimana viene dagli States. Che vuoi che siano cento chilometri.”

Guardandola armeggiare con una tanica d’olio lui scosse la testa incrociando le braccia al petto poco convinto. “Ma sei proprio sicura di volerci andare tu? Non faremo prima a farcelo spedire?”

“Ti ho detto che ci penso io. Con la moto andrò e tornerò in giornata. E poi domani è sabato e perciò posso prendermi tutto il tempo che voglio.”

E forse ti farà bene, pensò lui storcendo la bocca al pensiero di sapere Haruka sola a casa.

Michiru sarebbe rimasta a Stoccolma chissà per quanto ed anche se la bionda sapeva perfettamente badare a se stessa, da amico preferiva saperla in compagnia. Da li una richiesta a dir poco bizzarra.

“Vieni dai miei per cena?” Chiese a bruciapelo costringendola a guardarlo in modo strano.

“Cosa?”

“Si, dai. Mia madre ha fatto le lasagne.”

“No grazie. Se domani mattina voglio partire presto non posso far tardi.”

“Un boccone al volo. In famiglia…”

Tornando ad armeggiare con la latta gli diede le spalle rifiutando ancora. L’amico aveva forse paura che morisse di fame come Michiru che prima di partire le aveva riempito il congelatore? No, quella sera si sarebbe sbronzata davanti ad uno dei suoi horror preferiti e cascasse il mondo non avrebbe regalato finti sorrisi di condiscendenza a nessuno. E così fece. Uscita dall’officina Astorri passò in rosticceria per poi filare dritta a casa, si spogliò della fatica e della tristezza sotto una bella e prolungata doccia e finalmente rimessa a lucido saltò sul divano con pizza e birra al seguito. Mangiò e bevve, tanto, più della canonica lattina d’accompagno e verso la metà del film crollò abbandonando la testa sullo schienale.

Quando Michiru riuscì a chiamarla si erano fatte ormai le ventitré inoltrate.

“Pronto amore?!”

“Michi?!”

“Dormivi?” Chiese guardando il suo orologio da polso.

“Credo…” E la sua voce risultò talmente impastata che dalla parte opposta Kaiou corrugò la fronte.

“Ruka, tutto bene?”

“Si, si. Perché non dovrebbe?” Cercò di riprendersi riemergendo dalle pieghe della seduta dov’era sprofondata, ma non convincendo affatto una Michiru che ormai conosceva benissimo il suo modo di affrontare la solitudine.

“Non avrai bevuto...?!”

“E dai Michi, non farmi la paternale. Dimmi piuttosto com’è andato il primo giorno in quel di Stoccolma.”

Soprassedendo alla virata, la compagna si sedette sul letto della sua camera d’albergo lasciandosi illuminare solamente dalle luci dei lampioni di strada e sospirando iniziò a raccontarle del pomeriggio appena trascorso.

“Insomma… Mi sono sentita un intralcio da quando Kristen mi ha presentato Marinof, a quando quest’ultimo mi ha fatto conoscere il Direttore del museo, per poi proseguire a quando abbiamo visionato gli spazi espositivi e terminando con una cena assurda dove tutti i presenti hanno iniziato a parlare delle loro esperienze internazionali.”

“Pensavo che la Kocc ti avrebbe fatto sentire a tuo agio.”

“Lasciamo perdere l’atteggiamento da mammina protettiva che ha messo su, mi disturba ma posso gestirla. La cosa più grave è che il Direttore del museo, il signor Johansson, non sapeva che avrei partecipato alla temporanea ed il vederlo sbiancare alla notizia, è stata una delle cose più imbarazzanti che abbia mai vissuto in tutta la mia vita. Te lo assicuro.”

“Ma com’è possibile?!” Chiese alzandosi per andare a darsi una svegliata in terrazza.

“Vallo a sapere! In pratica l’amministrazione non gli ha comunicato la mia presenza e sarebbe già stata una cosa grave, ma accettabile se Kristen, Marinof e il signor Johansson non avessero continuato a trattarmi per tutto il tempo come un oggetto di complemento! L’unico che si è degnato di considerarmi come una professionista è stato il curatore della temporanea.”

“E questo tizio sarebbe…?”

“Un certo Philip Marson. Ha più o meno la nostra età e da qualche anno cura le temporanee del Moderna Museet.”

“E’ un bell’uomo?” Haruka lo chiese senza quasi rendersene conto.

“Ha importanza?! Ruka, hai capito cos’è successo? Ero preparata ad essere trattata come un corpo estraneo, in fin dei conti gli artisti di grido sono loro, mentre io devo solo ringraziare la mia buona stella per quest’opportunità. Ma il signor Johansson si sta comportando come se la mia presenza potesse rovinare la mostra! E’ tale e quale al signor Miller; sempre terrorizzato che qualcosa possa infangare il suo buon nome o quello di Castel Grande, ma ormai lui lo conosco e so che tutto sommato è una brava persona. E poi…”

“E poi?”

“E poi parlano tutti in un inglese orrendo! Sai che sono brava nelle lingue. Il mio orecchio assoluto mi ha sempre aiutata anche con le inflessioni dialettali. Ma Dio del cielo! Soprattutto durante la cena, dopo averli visti bere tre bottiglie di vino in quattro, ho completamente perso il filo dei loro discorsi!”

Haruka cercò di non ridere, ma il solo immaginarsi la faccia persa della sua sempre perfetta donna di fronte ad una conversazione difficile, le fece tenerezza.

“Non te la prendere. Domani andrà meglio.”

“Lo spero.”

“Ti hanno detto quando dovrai firmare il contratto?”

“Ah… questa è un’altra bella storia! - Rispose lasciandosi cadere sul materasso. - La commercialista è in dolce attesa.”

“E dunque?!”

“Dovrò aspettare qualche giorno per parlare con il sostituto. Nulla di che, ma non intendo far partire i miei quadri da Berna fino a quando non avrò firmato con loro anche l’assicurazione chiodo a chiodo.”

“Brava la mia leonessa. - Si compiacque l’altra grattandosi la testa. - Ti sei goduta un po’ il mare?”

“Si. Ci sono degli scorci mozzafiato. Lo stesso Moderna Museet sorge su un isolotto accerchiato da barche di tutti i tipi. Spero di potere avere il tempo per visitare la città. Ma adesso basta parlare di me. Hai novità?”

“In effetti. Abbiamo trovato il fanalino posteriore della Winchester e domani andrò a prenderlo a Sion.”

Michiru si rimise seduta facendole la stessa domanda che le aveva rivolto Stefano nel pomeriggio. “Perché non ve lo fate spedire?”

Perché ho voglia di correre, avrebbe voluto dirle la bionda, ma si limitò a tirar fuori inesistenti costi di spedizione.

“Ho capito, ma ti prego non…”

“…correre. Si, lo so Michi. Tranquilla.”

E con la promessa di mandarle una sfilza di messaggi sui suoi spostamenti, Michiru la lasciò augurandole una buona notte.

 

 

Haruka partì da Bellinzona all’alba e lo fece in moto, come da progetto. Anche se la giornata si presentò da subito uggiosa non rinunciò alle due ruote. Vestita della sua giacca rinforzata blu notte e di un paio di comodi pantaloni antipioggia, inforcò la sua Ducati di buon ora. L’ematoma alla coscia destra era ormai gestibile e non più dolente, quindi perché rinunciare a far rombare la sua dolce bambina? Così diretta verso il Canton Vallese, una bionda rivitalizzata da quell’inattesa gita fuori porta, sconfinò in Italia tagliando parte della Lombardia per guadagnare tempo, evitando inutili fermate e riuscendo ad arrivare alla periferia di Sion senza neanche bagnarsi troppo. Messo il navigatore, percorse gli ultimi chilometri beandosi di un panorama sub alpino che francamente non conosceva e riuscendo a trovare la Holland ricambi moto un po’ prima di pranzo.

Uscendo dalla strada principale e varcato un grosso cancello scorrevole, Haruka fermò la moto accanto ad un paio di furgoni spegnendo poi il motore. Togliendosi i guanti smontò dalla sella liberandosi dall’asfissia del casco.

Eccoci qui, pensò puntando l’insegna che campeggiava sopra un grosso capannone bianco. Santo navigatore. La scritta s‘intravede anche dalla strada, ma con lo scarso senso dell’orientamento che mi ritrovo, senza questo aggeggio avrei girato per mezz’ora. Spegnendo l’applicazione sull’I phon, iniziò a camminare verso la porta che si apriva ad un lato della facciata.

Mandando prima un messaggio a Michiru, bussò poi sull’anta aperta facendo capolino all’interno.

“Si può?” Urlò guardando il bancone dove dalla parte opposta non c’era nessuno.

“Arrivo subito.” Si sentì rispondere in francese da dietro una fila di scaffali metallici.

Pochi secondi ed un anziano dalla testa completamente calva emerse sorridendole.

“Buongiorno. - Disse posando entrambe le mani sul bancone. - Posso aiutarla?”

“Cerco la signora Martah Holland.” Rispose lei continuando a parlare in italiano per fargli capire di non essere di quelle parti.

Non perdendo il sorriso lui si voltò verso il fondo delle scaffalature chiamando la donna. “Martah. Ti vogliono!” Disse per poi scomparire nuovamente dietro una miriade di piccoli imballi catalogati con cura stipati sulle mensole.

Haruka non dovette aspettare molto. Una donna sulla trentina uscì fuori da dove l’altro era sparito sorridendo a sua volta e fu allora che a quello schiudersi sincero di labbra, la bionda ebbe come una specie di brivido.

 

 

“Michiru!” Al sentir pronunciato il suo nome per reazione rinfilò il cellulare nella borsa.

Haruka era arrivata a Sion ed era quello l’importante. Passava dunque in cavalleria che stesse aspettando Philip Marson da più di dieci minuti.

“Perdonami per il ritardo. La batteria mi ha abbandonato.” Disse spostando lo sguardo sul monopattino elettrico che era stato costretto a portare a spinta per almeno un paio di chilometri.

Alzando le sopracciglia lei si sforzò di non ridergli in faccia, pensando a quanto la sua donna lo avrebbe preso per i fondelli al solo vedere un uomo grande, grosso e navigato fare il ragazzino su un trabiccolo marcatamente infantile.

“Ultimamente vanno molto di moda.” Si limitò a dire.

“Comodissimi! Soprattutto con la nostra rete ciclabile. Ma quando si guastano o la batteria ci abbandona…” Sentenziò parcheggiando il mezzo accanto ad una colonnina per la ricarica dei mezzi elettrici.

“Lo svantaggio di vivere in perfetto stile green.”

“Penso di si. Soprattutto in inverno. Spero di non averti dato una pessima immagine. Voi svizzeri siete famosi per la puntualità.”

“Come per l’Emmental ed il cioccolato?”

“Ho usato un cliché?” Chiese mortificato di rimando mettendo in carica il mezzo.

“Direi di si, ma credo di essere puntuale di natura. Comunque tranquillo, ne ho approfittato per godermi la splendida vista.” Smorzando la piccata con un affascinante sorriso attese che avesse finito per poi porgergli la mano in segno di saluto.

“Ma quanto formalismo!” E di tutto punto Philip si permise di avvicinarsi per baciarle entrambe le guance.

Avendo lavorato in Italia per svariato tempo era abituata ai contatti anche troppo socievoli, ma questa volta Michiru rimase abbastanza interdetta. Provò a non darlo a vedere per non sembrare una provinciale o peggio ancora una donna troppo austera, ma non amava dare subito confidenza agli estranei, soprattutto se lavoravano con lei. Così con una battuta sul tempo sgusciò da quella situazione iniziando a camminargli affianco.

“Ho perso il contatto con Kristen e non risponde ai miei messaggi. Tu sai dove sia?”

“Credo con il maestro. Volevano incontrare gli installatori, perciò è probabile che siano all’interno.”

Questa volta l’espressività di Kaiou cambiò talmente tanto che l’uomo le chiese cos’avesse.

“Nulla. E’ solo che trovo curioso che il curatore non partecipi ad un briefing tecnico. Soprattutto all’inizio.”

“Potrei farti lo stesso appunto.”

“Anche se sono stata chiamata per esporre con due grandi artisti non è detto che lo sia anch’io. Io qui sono solo un’ospite che non può permettersi d’accampar pretese, ma è strano che tu che sei il curatore della loro temporanea, trovi più interessante invitare una perfetta sconosciuta a fare un giro invece che stare con loro.”

Scoppiando in una fragorosa risata Philip si sistemò meglio la borsa a tracolla che non mancava mai di portare con se. “E’ vero…, anche tu sei una curatrice.”

“Appunto e dammi anche della metodica perfezionista, ma non amo lasciare agli artisti il pieno controllo. Lo sai quanto certe volte possano essere… diciamo… eclettici.”

“Ecco perché la Dottoressa Kaiou preferisce l’arte antica. Sono già tutti morti!”

“Hai preso informazioni su di me?” Chiese stirando un sorrisetto divertito vedendolo subito dopo alzare le braccia.

“Tousce! Ma devo conoscere con chi ho a che fare.”

“Giusto.”

“E non vuoi sapere che idea mi sia fatto su di te e la tua arte?”

“E tu ti offenderesti se ti dicessi di no?”

Piacevolmente colpito il curatore non si offese, anzi, la guardò ammirato per tanta sicurezza. “Hai una forza di carattere invidiabile.”

“La sincerità non ha mai ucciso nessuno. Soprattutto se la si rivela con gentilezza. Non fraintendere, non è che il tuo giudizio non m’interessi, ma…”

“… ma sei stata scelta dal grande Marinof e questo vale più del giudizio di un curatore qualunque.”

“Ecco, ti sei offeso.” Costatò desolata.

“Assolutamente no e ti dirò un segreto… Non sono al briefing perché non mi hanno calcolato.”

“Cosa?”

“Che vuoi farci? Sono artisti.”

“E ti sta bene così?!”

“E’ una parte del mio carattere. Aspetto sul greto il così detto cadavere e li lascio sfogare. Quando inizieranno a sentirsi sottopressione mi chiameranno. Allora sarò io ad avere l’ultima parola. E’ sempre così con questa gente.”

Michiru ci rimase male, sia per il discorso che per il gesto di Kristen e Marinof di escluderlo. Era palese che in quel gruppo di lavoro tutto regnasse tranne il rispetto.

Dopo una pausa ammise. “Anche io ho preso notizie su di te ed hai un curriculum molto più succoso del mio. Non sei affatto un curatore qualunque.”

“Detto da te mi fa un gran piacere, ma se vivessi in una città vitale come questa anche il tuo lo sarebbe… Ma poi, perché Bellinzona? Con tutto il rispetto, ma voi svizzeri avete Zurigo, Berna o la stessa Ginevra. Con la tua preparazione potresti andare dovunque.”

“Scelte famigliari.” Cercò di tagliar corto.

“Un vero peccato. Qui la nostra figura professionale è molto richiesta. Pensaci se non dovesse piacerti la carriera di pittrice. - Posandole una mano sulla spalla si avvicinò bisbigliando. - Comunque il mio giudizio te lo do lo stesso; sei molto brava. I tuoi quadri mi piacciono. Verrà una bellissima temporanea.” E maledicendosi per essere arrossita, Michiru lo seguì verso il ponte che li avrebbe portati al centro città.

 

 

 

NOTE: Hola… dal mondo Ikea con furore! No, perché nel cercare alcuni nomi mi è sembrato di essere davanti ad un totem in cerca di una poltrona :D

Una cosa; mi sono accorta che nel descrivere alcuni dialoghi ho pensato in “italiano”, ovvero ho dato del lei, cosa che nella lingua inglese non si fa semplicemente perché come pronome non esiste. Mi piace comunque usarlo anche nei dialoghi che Michiru dovrà tenere in lingua inglese, per rafforzare il segno di rispetto verso persone che non si conoscono o sono più mature.

A prestissimo.

 

 

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Capitolo 9
*** Quei piccoli dettagli ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Quei piccoli dettagli

 

 

Anche se vestita da una tuta integrale da meccanico color blu scuro, Martah Holland non poteva certo dirsi un tipo mascolino, anzi, il suo modo di fare brioso ed informale nascondeva una femminilità avvolgente e curata, fatta di piccoli gesti cortesi, che sarebbero sicuramente stonati in un posto come l’attività di famiglia, se la donna non avesse avuto una punta di goffaggine quasi adolescenziale.

Si era presentata ad Haruka porgendole la destra, mentre sfoderando un sorriso convincente le domandava chi fosse ed era stata proprio la piega di quella bocca a lasciare la bionda di sasso mentre non poteva non richiamare a se l’immagine della sua donna. Il viso di Martah era completamente diverso da quello di Michiru, senza farle torto si poteva dire che la prima avesse lineamenti talmente comuni da poterli definire graziosi, ma nulla di più. Occhi e capelli castani, naso leggermente aquilino, ciglia folte e zigomi alti, assolutamente ben proporzionata, ma in poche parole, una donna anni luce lontana dalla sua. C’erano però due cose riconducibili ad entrambe; la silhouette ed il sorriso. Quest’ultimo aveva catturato Haruka facendola sentire subito a proprio agio ora che, invitata dietro al bancone, stava aspettando di ricevere il suo ordine.

“Ce l’ho proprio qui. Porta pazienza.”

Tenou si appoggiò ad una delle scaffalature metalliche del retro. “Non preoccuparti. Non ho alcuna fretta.” Disse convinta incrociando le braccia al petto iniziando a guardarle le spalle.

“E’ che su questi scaffali c’è sempre un gran casino. Papà! Per caso hai spostato il pacchetto che ho preparato ieri sera per l’officina Astorri di Bellinzona? L’avevo messo sul terzo ripiano del secondo scaffale!” Urlò per farsi sentire dal genitore che prontamente negò iniziando a borbottare cose a caso riferite alla cronica mancanza d’ordine di sua figlia.

“Sono settimane che mi dico che dovrei mettere un po’ a posto, ma gira che ti rigira salta sempre fuori qualche imprevisto!”

Michiru avrebbe già catalogato tutto secondo ordine di consegna, marca e colore del pezzo, pensò l’altra divertita. “Ti assicuro che anche ritrovarsi in casa una maniaca dell’ordine non è che sia una passeggiata di salute.”

“Come, scusa?”

“Niente. Stavo parlando tra me e me.” Ammise con una leggera punta di malinconia.

Non era ancora arrivata a sentire di Kaiou anche la mancanza delle cose che più le davano fastidio, come appunto l’ordine, il dover sottostare a stupide regole di bon ton che estromettevano a priori la comodità di un divano per mangiare, o il penetrante profumo di lavanda nella biancheria, il non potere MAI entrare nel suo studio quando si decideva ad esercitarsi con il violino o quelle stramaledette calze sempre appese nel suo adorato box doccia, ma a distanza di un paio di giorni, Haruka stava sulla buona strada per iniziare a rimpiangere anche quelle piccole manie che da anni facevano comunque parte dell’altra metà del suo cielo.

Così, inaspettatamente ed in assoluta buonafede, la bionda iniziò a studiare il fisico di quella perfetta sconosciuta che aveva più o meno l’età della sua donna quando si erano conosciute, provando a sovrapporlo a quello di Michiru e la cosa la divertì, perché sarebbe stato oltremodo sensuale fare un gioco di ruolo dove per una volta era la compagna ad indossare una tuta da lavoro invece che i soliti capi femminili. Il rimpianto di Tenou era sempre stato quello di amare un mondo del quale Kaiou non era affatto attratta. Nulla di ciò che la bionda faceva per vivere aveva mai interessato l’altra, anzi, il saperla ricoprire anche il ruolo di pilota collaudatore, era spesso causa di discussioni. “Hai già un lavoro come Ingegnere meccanico… - Le diceva con quel suo cipiglio critico. - … Mi spieghi che senso ha il dover rischiare anche l’osso del collo? Non ti basta correre per le strade con la tua Ducati?”

E tutte le sante volte la risposta che Haruka le dava era sempre la stessa; ovvero una busta paga più corposa, la possibilità di estinguere prima il mutuo, il poter fare dei viaggi o il semplice concedersi qualche sfizio. Naturalmente non erano certo quelli i motivi o almeno non i più importanti. Lei voleva correre. Le piaceva farlo in un ambiente controllato come una pista, dove poteva verificare nel concreto quello che da Ingegnere simulava con l’aiuto di un programma. Le piaceva e nonostante sapesse che Michiru non era d’accordo, continuava egoisticamente a farlo, esorcizzando la possibilità di un incidente con la sua classica arroganza.

“Eureka!”

Sbattendo le palpebre un paio di volte la bionda riemerse dalle sue fantasie e spostando velocemente lo sguardo agli scaffali, lo tolse definitivamente ai dettagli delle forme di Martah prima che quest’ultima si voltasse stringendo tra le mani una scatola di cartone.

“Trovato! Magazzino nasconde, ma non ruba.”

“Bene.” Espresse laconica mentre le si avvicinava.

“Penso proprio che questo faccia al caso vostro.” Disse estraendo delicatamente il fanale consegnandolo ad Haruka.

Iniziando a rigirarselo fra le mani il viso della bionda s’illuminò tanto che l’altra scoppiò a ridere. “Vedo che ti piace!”

“Non sai quanto. E’ perfetto!”

“Mi fa piacere.”

“Faccio una foto per mandarlo al mio socio.”

“Certo. E’ vostro.”

“Che fortuna averlo trovato così in buone condizioni!” Ammise iniziando ad armeggiare con il suo I phon.

“In effetti è arrivato meno di un mese fa. Sono indiscreta se ti chiedo dove avete trovato il telaio?”

“Ad un’asta.”

“Un azzardo.” Si lasciò scappare riprendendo il fanale per riporlo nella scatola.

“Abbastanza. Stiamo investendo un capitale per rimetterla a posto, ma ti assicuro che ne vale ogni franco speso.”

Tornando verso il bancone, Martah prese un rotolo di scotch per pacchi sigillando la parte superiore del piccolo collo, poi consegnandolo alla bionda sorrise provocandole nuovamente quel brivido indefinito.

“Hai una sua foto?” Chiese ed Haruka si sentì pervadere da un’inaspettata onda di felicità, come se finalmente qualcuno che non fosse Stefano, suo fratello o il capo Smaitter, avesse la voglia di conoscere quel suo grande progetto.

“Certo! - Ed iniziò a mostrarle più di un’immagine. - Abbiamo parecchie aspettative su questa bambina.”

Martah le scorse lentamente e con avida curiosità iniziando eccitatissima a tempestarla di domande tecniche che la bionda soddisfò con molto piacere rimanendo alla sede della Holland ricambi molto più del previsto. Si accorsero entrambe dell’ora solo quando lo stesso signor Holland chiuse a chiave la porta per la pausa pranzo.

“Martah, io vado a mangiare un boccone a casa. Ci pensi tu al cancello d’ingresso?”

“Si papà, tranquillo.” Rispose vedendo il genitore salutare Haruka per poi scomparire sul retro.

“Non credevo fosse così tardi. - Portandosi una mano allo stomaco Tenou stirò le labbra improvvisamente colta dai morsi della fame. - Conosci qualche posto nei dintorni dove possa mandar giù un boccone?”

“Devo mangiare anch’io, perciò se non hai fretta possiamo farlo insieme. Ma prima devo chiudere.”

Haruka fece un cenno affermativo con la testa ed uscendo entrambe aspettò che Martah finisse.

“Arguisco dal casco e dal tuo abbigliamento che tu sia venuta in moto.”

“Si. E’ la.” Rispose tronfia indicandole la rossa rimasta l’unico mezzo sul piazzale.

“Una Panigale?!” Riconobbe a prima vista.

“Bellina, eh?!”

“In effetti a guardarti bene potresti essere un tipo da Ducati.”

Una vaga presa in giro? Haruka la fissò in maniera quasi piccata tanto che Martah sbottando a ridere le chiese un paio di minuti.

“Aspettami al cancello. Arrivo subito.” Disse sparendo dietro l’angolo del capannone.

Che tipo, pensò Tenou rimettendosi guanti e casco. Messo via nel sottosella il suo preziosissimo bottino, accese la moto dirigendosi piano alla cancellata bianca.

Il tempo d’indossare tutto l’occorrente e dopo pochissimo Martah le si fermò accanto inforcando una Kawasaki Ninja 250 R verde pisello.

“Ti piace, casa motociclistica concorrente?” Chiese afferrando il telecomando per attivare la chiusura.

“Una 250? - Domandò sarcastica. - Di quel colore?” E senza aggiungere altro, perché altro francamente non poteva aggiungere cavalcando la potenza della sua 950, Tenou si abbassò la visiera scassando coattamente un paio di volte come a voler ribadire chi tra le due potesse mordere più aggressivamente l’asfalto.

Un provocatorio stammi dietro e la donna più giovane partì a razzo immettendosi su strada.

“Ma che…?” Così colta in contropiede ad Haruka non rimase altro che seguirla per le strade sconosciute della periferia di Sion.

 

 

Si fermarono nella più classica delle piazzole sosta dove si ritrovano i camionisti per mangiare e dove perciò si va sempre sul sicuro sulla qualità del cibo e il basso prezzo del servizio, parcheggiando in una zona coperta e ben riparata dagli eventuali guidatori della domenica. Mantah a fare da Cicerone ed Haruka a guardarsi intorno cercando di non badare a quanto da dietro, con il casco addosso, quella donna assomigliasse alla sua. Aveva accettato quell’invito senza pensare a nulla di più che ad un’informale chiacchierata ed un piatto ben cucinato e non rimase affatto delusa. Cibo eccellente e a basso costo e compagnia gradevole dai risvolti inaspettati. Già, perché fra una portata e l’altra, Tenou aveva rivelato quanto ancora fossero indietro sul progetto della Winchester e quanti pezzi ancora sarebbero serviti per terminarla.

“Ti confesso che nel campo delle moto d’epoca siamo ancora dei novellini e credo sia per questo che stiamo trovando così tanta difficoltà nel reperire ciò che ci serve.” Sospirando si portò il bicchiere alle labbra.

“Lo immagino e aggiungo che fra noi rivenditori c’è anche una buona fetta di bullismo.”

“Me ne sono accorta.”

“Il giro è piccolo e i clienti facoltosi. Vien da se che tra te ed un vecchio acquirente io favorisca quest’ultimo. Per me sarebbero buoni i franchi di entrambi, ma così sono sicura di tenermi stretti quelli che so che torneranno.”

“Ma questa volta hai fatto un’eccezione.”

Sporgendosi in avanti Martah la stupì. “Non sono tanto nobile… E’ che di Winchester da restaurare non ce ne sono tante. Quel pezzo sarebbe rimasto in giacenza per una vita.”

“Perché allora lo hai preso?”

“E’ stato mio padre. E’ un inguaribile romantico.”

“Viva la sincerità!” Disse Haruka alzando il bicchiere a mezz’aria invitandola a fare un divertito brindisi.

“Senti…, tu e i tuoi soci avete mai provato a frequentare i mercati dell’antiquariato automobilistico?” Chiese lasciando che l’oste le portasse via il piatto ormai vuoto.

“E chi ne ha il tempo! Siamo al lavoro tutto il giorno e almeno io sto già sacrificando troppo tempo alla famiglia.”

“Ecco, lo vedi? E’ per questo che noi rivenditori preferiamo fare affari con i collezionisti.”

“Martah non stiamo giocando, se è quello che credi.”

“Non è quello che ho detto.”

“Ma è quello che pensi.”

Tornando a sporgersi verso la bionda schiuse nuovamente quel sorriso che tanto aveva il potere di domarla. “La vuoi qualche dritta si o no?”

“Del tipo?” Sospirò tirandosi leggermente indietro.

“Domani, nei pressi di Ginevra, si terrà il der Historischer Gummi, uno dei mercati più grandi del paese.”

Letteralmente la gomma storica, era un evento che un’amante di moto d’epoca non poteva non conoscere. “Ne ho sentito parlare.”

“E allora cosa aspetti! Io ci andrò con mio padre e potrei farti conoscere un paio di amici che sono sicura potrebbero tirar fuori dal cilindro qualche altro pezzo per la vostra bambina.”

“Dici sul serio?”

“Mai stata più seria. - Affermò sbattendo leggermente il palmo della destra sulla semplicità della tovaglia. - Anche se questo equivale ad offrirmi il pranzo! Con dolce annesso, naturalmente.”

“Mi sembra il minimo.” E rise mentre Martah richiamava a gesti l’oste per farsi portare la carta dei dolci.

Se Michiru mangiasse tanto andrei fallita, pensò rilassando la schiena alla traversa di legno della sedia mentre il grumo di solitudine annidatosi nel petto come un male cattivo al partire della sua donna, si scioglieva un poco.

 

 

“Giovanna, non è successo niente! Devo solo trattenermi un giorno in più.“ Haruka iniziava a spazientirsi.

Camminando avanti ed indietro per la modesta stanza del B and B che aveva preso per la notte, cercò di mantenersi calma. La sfilza chilometrica delle domande della sorella sul perché e per come non fosse ancora rientrata a Bellinzona, la stava francamente stancando.

“Allora, vuoi dare da mangiare tu a Tigre, per favore?!”

“Certo, è ovvio!”

“Ok. Allora ci vediamo domani sera.”

“Ma non hai un cambio.” Affermò Giovanna dal vivavoce ancorato al cruscotto della sua auto mentre stava facendo ritorno a casa.

“Mi comprerò un paio di cose qui. Non è certo un problema!”

“Hai avvertito Stefano?”

“E perché?!”

“Come perché! Perché vorrà sapere come mai domani non andrai all’officina per montare il fanale.”

“Senti, ormai mi conosci e sai che non sono solita parlare più del dovuto, perciò dacci un taglio. Le chiavi ce le hai. Grazie te l’ho detto. Perciò… ci vediamo appena torno. Ok?!” E prima che la maggiore potesse dire altro, Haruka le chiuse letteralmente il cellulare in faccia crollando sul letto due secondi dopo.

“Che cazzo mi ha preso?!”Arpionandosi i capelli si chinò sulla schiena continuando a guardare lo schermo ormai nero.

Aveva reagito come se fosse rimasta lontano da casa per fare chissà cosa, mentre un latente senso di colpa sia nei confronti della sorella che di Michiru, s’impadroniva della sua coscienza costringendola a mandare un messaggio di scuse alla prima e a chiamare la seconda.

“E’ mai possibile che non si riesca mai ad avere un periodo di pace più lungo di due o tre anni?! Prima Zurigo, poi Atene ed ora Stoccolma.” Improvvisamente rabbiosa scattò il pollice sulla rubrica dei numeri preferiti sapendo in cuor suo che la simpatia che stava provando per Martah altro non era che il sintomo di una profonda frustrazione.

Qualche istante ed il portatile di Michiru risultò irraggiungibile costringendola a desistere. Non lasciando neanche un messaggio in segreteria, sempre più di furia compose un altro numero. Uno appena aggiunto in memoria.

“Pronto? Mi stavo chiedendo se avessi già finito di prepararti per domani. A si?! Bene! Ti andrebbe di fare il bis di oggi? Vicino al mio B and B c’è un localino che sembra carino. Ci stai?! Perfetto, allora se mi dai il tuo indirizzo vengo a prenderti con una moto dove ci si possa viaggiare in due.” E ridendo alla presa in giro riattaccò soddisfatta.

Ma quella strana euforia non durò molto e andando alla finestra per perdere lo sguardo allo skyline sconosciuto della periferia di Sion, Haruka tutto d’un tratto si fece pensierosa.

“Stai attenta a quello che fai, Tenou.” Si disse prima di prendere chiave e portafogli ed uscire dalla porta spinta dalla necessità di doversi comprare qualcosa.

 

 

Riempiendo l’ennesimo tempo speso senza poter far nulla, quel pomeriggio Michiru si ritrovò a camminare da sola per le strade del Gamla Stan in attesa di una chiamata di Kristen. Non se la sarebbe mai aspettata così quell’esperienza, che tutto stava sembrando tranne che un viaggio di lavoro.

Passi per il giorno precedente, dove la sua esclusione dal concistoro dei grandi, l’aveva spinta ad oziare in una gita nei dintorni del Moderna Museet con Philip Marson, ma il sapere di essere stata messa nuovamente in panchina iniziava a renderla nervosa. Era stata liquidata con la scusa di dover avere tutti i suoi quadri fisicamente presenti in loco, cosa questa che le aveva subito fatto pensare ad una potente presa per i fondelli. Lei stessa a Castel Grande, per iniziare un nuovo allestimento, non aveva mai atteso l’arrivo di tutte le opere di un’artista. Per non perdere tempo prezioso lei usava fare subito un progetto su carta e lavorare su quello fino all’arrivo di tutti i pezzi, per poi magari individuare gli ovvi accorgimenti e focalizzarsi sulla cosa più difficile di tutte; ovvero l’illuminazione. E questo modus operandi era giustificato dal fatto che per dar vita a più temporanee possibili nel corso di un anno, non si potesse certo aspettare i comodi degli artisti o delle assicurazioni sulle loro opere.

Invece in quella struttura museale, forse per via della grandezza e della sua fama internazionale, le cose sembravano viaggiare su binari completamente diversi. Questo era quello che l’era stato detto dalla Kocc e visto che Michiru, in quell’occasione molto più diffidente del solito, era fermamente decisa a non muovere nulla dal suo box di Berna fino a quando non avesse avuto in mano qualcosa che tutelasse i suoi quadri, in un certo senso si stava tirando la zappa sui piedi da sola. Di questo passo per potersi beare della sua parte di temporanea sarebbe passata un’eternità, perché anche se i suoi dipinti fossero partiti da Berna quello stesso pomeriggio, Philip si sarebbe comunque concentrato prima sulle opere del maestro Marinof e quelle di Kristen.

All’idea di dover aspettare tanto, Michiru fu colta da uno stranissimo stato di repressa agitazione che attribuì alla sua solita mania di controllo. Voleva iniziare a lavorare, a dare corpo alla sua parte di gloria giustificando la sua presenza in quella città straniera con qualcosa di tangibile. Ne aveva bisogno, perché il ritrovarsi per quelle strade strette pervase dell’odore dolce dei caffè all’aperto unito a quello spugnoso della salsedine marina e non a casa sua,a ridosso delle Alpi, la stava facendo sentire come un’orfana. Per inseguire il sogno di un successo personale stava chiedendo un sacrificio enorme alla sua compagna e non poteva permettersi di stare ferma a fare la turista per caso.

Fermandosi accanto ad una vetrina, si tirò indietro uscendo dal flusso dei passanti per poter fare così l’ennesima telefonata all’amministrazione del museo. Doveva cercare di velocizzare la cosa e fosse cascato il mondo, avrebbe dato il tormento fino a quando la sua assicurazione non fosse stata pronta. Così fece, educatamente, ma con rigida determinazione così che dopo svariati minuti di un tira e molla ridicolo, riuscì a farsi promettere che la sua documentazione sarebbe stata pronta da li ad un paio di giorni.

Soddisfatta ed un tantino più calma, Michiru ringraziò l’interlocutrice appena in tempo prima che la batteria del suo cellulare non l’abbandonasse. “Accidenti.” Se ne uscì accigliata.

Avrei voluto chiamare Ruka. A quest’ora dovrebbe essere già tornata a casa, pensò maledicendosi per non aver portato dietro la power bank. Continuando a frugare nella sua capiente borsa si voltò distrattamente verso la vetrina del negozio davanti al quale si era fermata dilatando di colpo gli occhi.

Fu un attimo e le labbra di Kaiou andarono a formare via via un sorriso sempre più evidente mentre gli occhi correvano sugli oggetti esposti. “Ma guarda un po’! Posso provare a vedere se per caso…” Disse entrando in un mondo che conosceva solo per sentito dire, ma al quale non si era mai voluta approcciare seriamente.

 

 

 

NOTE: Salve, capitolo breve, ma il caldo ruggisce e non è facile ragionare. Vorrei ringraziare Elena per le sue competenze in campo motoristico, perché ignorante come sono mi stavo un po’ perdendo.

Spero di aggiornare presto snocciolando i vari intrecci che si stanno formando sulla tratta Sion-Stoccolma.

Ciau

 

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Capitolo 10
*** Amori a confronto ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Amori a confronto

 

 

Il cielo si era presentato splendido sin dalle prime luci dell’alba, rafforzando quella particolare punta d’azzurro tipica dei mesi estivi man mano che il sole saliva ad inondare la spianata dove si stava svolgendo il mercato del l’Historischer Gummi. Suddiviso teutonicamente in sezioni tematiche, i banchi formavano come una specie di cittadella dalle coperture di cerata bianca servita da corsie dalle indicazioni ben curate scritte in triplice lingua e dove ogni tanto qualche grosso albero regalava ombra e refrigerio. Ai quattro angoli di quella sorta di rettangolo allungato, si trovavano i punti ristoro con annessi servizi igienici e tutto era ordinato e composto grazie ad un continuo servizio di pulizia.

Nonostante l’ovvio caldo e il gran via vai di persone ad Haruka quel posto aveva dato sin da subito un senso di tranquillità tanto che camminando pian piano fra i suoi stand, era in parte riuscita a razionalizzare la discussione che la sera precedente aveva avuto con Michiru. Già, Kaiou e la sua colossale sfuriata che aveva imprescindibilmente messo a cuccia il nervosismo di una bionda che a distanza di anni, ancora non riusciva a capire il perché la compagna non riuscisse mai a portarsi dietro una power bank. Da che si trovava in una posizione di vantaggio, Tenou era incredibilmente finita con lo stringere il coltello dalla parte della lama.

Per reazione alla mancata telefonata con Michiru, la bionda aveva infatti invitato Martah Holland a cena e fino qui non v’era stato nulla di male; serata piacevole, buon cibo e compagnia rilassante, tanto che l’arrabbiatura verso Kaiou era andata scemando man mano che i minuti passavano e la conoscenza tra le due donne cresceva. L’ungi dunque pensare che al suo ritorno al b and b avrebbe dovuto difendersi dall’ira funesta di una erinni inferocita.

“Ma si può sapere perché diamine non hai risposto ai miei messaggi? Ero preoccupata da morire!” Le aveva inveito contro quando finalmente, accortasi della sfilza di vocali e di ben due chiamate perse, una bionda appena rientrata si era degnata di telefonarle.

“Scusa Michiru, ma non le ho proprio viste.” Aveva risposto preannunciando l’ennesimo scambio di ruoli che da li a qualche secondo l’avrebbe portata dalla ragione al torto marcio.

“Me ne sono accorta! Ho anche chiamato tua sorella! Perché non mi hai detto che saresti rimasta a Sion!”

“Non eri raggiungibile, Kaiou! Altrimenti ti avrei detto che pernottavo qui.”

“Mi si è scaricata la batteria. Non l’ho certo fatto apposta.”

Un appiglio che Haruka aveva afferrato con tutte le sue forze. Togliendosi le scarpe facendole volare per la stanza, aveva contrattaccando riesumando la solita manfrina sul perché non girasse mai con una power bank nella borsa.

“Sbaglio o non è la prima volta che ti dimentichi di mettere in carica il cellulare?!”

“Vuoi veramente discutere su questo?!”

“Ok, abbiamo avuto entrambe una svista.”

“Si, ma la differenza sta nel fatto che eri TU a dover tornare a casa in moto, non IO. Già ti vedevo caduta chissà dove!”

“O Dio, Kaiou! Sempre questa storia! Saprò guidare una moto dato che per vivere faccio anche questo.” Aveva svicolato sapendo quanto fosse in difetto, non tanto per il tragitto sulla sua Ducati, quanto per il fatto che ritrovandosi a cena in un posto chiassoso ed in buonissima compagnia, non aveva ne sentito il cellulare, ne pensato ad usarlo per provare a ricontattarla.

“Perfetto! Allora visto che stai bene posso tornare al tavolo!” E il tono della voce di Kaiou era stato talmente freddo da raggiungere la schiena della bionda in una frazione di secondo.

Guardando l’ora sul quadrante del suo orologio da polso, Haruka aveva aggrottato la fronte domandandole dove fosse e alla risposta, ad una cena di lavoro, non aveva potuto fare altro che chinare la testa attendendo che la compagna la salutasse frettolosamente. “Buonanotte Haruka.”

“Buonanotte Michi.” Ma nulla, al diminutivo con il quale la chiamava nei momenti più dolci, Kaiou aveva reagito attaccandole senza aggiungere altro.

Mani in tasca a camminare lentamente con lo sguardo leggermente insofferente, la bionda incassò le spalle procedendo per uno dei tanti corridoi. Anche Michiru la sera precedente era andata a cena con gente nuova e conoscendola, sicuramente si era appassionata nel parlare ed ascoltare di arte, proprio come aveva fatto lei con Martah portando avanti discorsi sui motori fino a tarda sera. Sospirando Haruka si fermò davanti ad un banco guardando svogliatamente delle foto di auto customizzate. Si sentiva triste. Lo era stata per tutta la notte, affrontata arrabbiata e passata anche peggio. Lei e Michiru erano ancora legate, questo era un fatto, altrimenti nessuna delle due si sarebbe imbestialita con l’altra per una semplice telefonata mancata. Qualcosa però non andava per il verso giusto. Possibile che il loro amore non bastasse più a smorzare le loro passioni tanto diverse? Caratterialmente avevano ormai trovato un punto d’incontro, ma i loro interessi sarebbero risultati sempre incompatibili.

E se prendessi il primo aereo e la raggiungessi a Stoccolma? Si era detta durante il corso di quelle interminabili ore notturne. Così come ho fatto per Atene.

Ma in cuor suo Haruka sapeva che questa volta sarebbe stata un’azione inutile e forse anche controproducente. Michiru non era scappata per risolvere chissà quale problema, stava semplicemente cercando di realizzare un sogno che anche se complicato la bionda non poteva far altro che appoggiare. Tutto sommato avrebbe potuto resistere qualche settimana senza Kaiou a gironzolarle intorno pronta a derubarla dei suoi franchi con l’ausilio di un fottutissimo barattolo di vetro, ma dopo? Cosa sarebbe successo se avesse ingranato la marcia giusta verso la via del successo o più semplicemente si fosse lasciata ammaliare da un ambiente molto più simile a quelli che l’avevano vista crescere, piuttosto che a quello che la vedeva attualmente vivere in una modesta città di provincia? Era una domanda questa che Haruka non poteva non porsi, soprattutto alla luce di tutti i compromessi che la compagna aveva fatto da quando stavano insieme.

Rimuginando, Haruka non si accorse dell’arrivo di Martah. Con un colpo di palmo alla spalla destra l’altra si spostò rapidamente alla sua sinistra lasciandola a guardarsi intorno spaesata.

“Hei! Ti stai divertendo?” Chiese la donna più giovane venendosi finalmente inquadrata.

“Ciao. Si.”

“Ma non hai ancora trovato niente, giusto?”

Arpionandosi i fianchi Haruka chinò la testa da un lato sorridendo furbescamente. “Non eri tu che dovevi farmi da Cicerone?”

“Hai ragione, scusa. Ma con papà ci siamo fermati a comprare qualche pezzo interessante. Ti posso però dire di aver visto quelle persone delle quali ti ho parlato ieri.”

“Davvero?”

“Si! Dai, ti ci porto.” Disse afferrandole d’impulso la mano destra.

A quel tepore dato dalle prime ore passate sotto al sole, Tenou non si ritrasse, anzi lo accettò contraccambiando lievemente la stretta. Non era mai stata un tipo da complicità fisica, abbracci o coccole, persino con sua madre, quando da ragazzina la vedeva avvicinarsi per abbracciarla e baciarla sulla fronte o con una sorella italiana appiccicosa piombatale tra capo e collo un’estate di qualche anno prima. Solo verso Michiru sentiva il continuo e fortissimo desiderio di contatto, anche veloce, dato di sfuggita sull’uscio di casa prima di salutarsi per andare al lavoro.

Per non parlare del fatto che a parte la sua prima relazione, dove l’ovvia incertezza sul come approcciarsi ad un sentimento come il desiderio l’aveva relegata al ruolo di novellina con una ragazza più grande e matura, era sempre stata lei a prendere l’iniziativa. Era questa la sua natura e non aveva mai avuto problemi nel seguirla.

Guardando i capelli castani di Martah ondeggiarle sulle spalle fasciate da una semplice canottiera blu con sulla schiena una grande H come logo della famiglia Holland, la bionda serrò la mascella spostando lo sguardo alle loro mani unite. Cosa mi prende? Si domandò quasi con stizza.

Haruka non sopportava il non riuscire ad arrivare velocemente alla risoluzione di un problema. La sua mente matematica era sempre stata in grado di aiutarla, anche in campo affettivo. Questa volta invece, sembrava averla totalmente abbandonata.

“Guarda…, sono a quel banco.” La richiamò l’altra fermandosi di colpo per indicare con la mano libera lo stand dei suoi conoscenti.

Non avendo ancora capito se quella stretta le piacesse o la stesse semplicemente mettendo in difficoltà, Haruka ne approfittò per scioglierla.

“Va bene. - Disse laconica tanto da far corrugare la fronte dell’altra. - Andiamo?” E senza pensarci su si fiondò verso i banchi lasciando Martah qualche metro indietro.

 

 

Percorrendo con il blu profondo del suo sguardo il perimetro della sala che avrebbe accolto le sue opere, Michiru ebbe un fremito di pura soddisfazione. La sezione a lei dedicata era ancora solo una fantasia, ma almeno dopo giorni d’inutile ozio stava finalmente riuscendo a concentrarsi tanto da riuscire a vedere con la mente come sarebbe potuto diventare quello spazio una volta arricchito con i suoi quadri. Bello, bellissimo. Colorato, coloratissimo. Sobria danza del suo essere tra luci ed ombre sapientemente studiate. Avendo parlato molto con Philip, era riuscita a capire tante cose del suo modo di lavorare e pur se diversi nell’approcciarsi ad un allestimento, era sicura che il collega avrebbe svolto un ottimo lavoro. Dalla sensibilità fuori dal comune, l’uomo sarebbe sicuramente riuscito ad esaltare opere che con la tematica della temporanea non c’entravano praticamente nulla o quasi. E questo la rassicurava.

Facendo risuonare i tacchi delle sue scarpe sul marmo chiero della sala, Michiru ricordò la cena della sera precedente ed i discorsi ascoltati con avida curiosità sulle ultime esperienze di Kristen e del maestro Marinof. Quei due avevano talmente dato tanto al mondo dell’arte contemporanea e lei così poco, che si sentiva un cucciolo in balia degli elementi. Ma era ovvio e lei lo sapeva. La cosa che però ancora non riusciva a capire era un’altra, sicuramente più semplice, ma allo stesso tempo fondamentale per l’ottima riuscita di una temporanea come quella. Ovvero lo stile.

Tralasciando la carriera ed i successi, le sue opere erano strutturalmente talmente diverse da quelle degli altri due, che se fosse stata lei l’allestitrice, sarebbe andata incontro ad una marea di problemi. Le mostre moderne, quelle perciò nate nel nuovo millennio, avevano sempre un filo conduttore che legava le opere al loro interno. Lo si faceva per aiutare i visitatori nella loro comprensione, per gli artisti e per cento altre cose non meno importanti delle prime due. Per Kristen era l’essere stata allieva di Gustaf ed avere perciò improntato tutta la sua carriera sulla stessa corrente artistica dell’uomo, aver lavorato in posti simili e l’usare alcuni materiali in comune, soprattutto per le sculture. Ma per Kaiou? Come avrebbe fatto Marson a collegarla alla mostra non avendo nulla a che fare con gli altri due? Questo quesito, sorto proprio perché curatrice lei stessa, le stava dando da pensare.

La gentilezza di Kristen nel volerla coinvolgere in quel progetto esulava sia un’amicizia, comunque ancora non matura, che la pura corrente artistica. Anzi, spesso in quei giorni, la sua freddezza e le continue paturnie perfezioniste del maestro le avevano dato come l’idea che la sua presenza fosse un po’ forzata e più Michiru cercava di scacciare quella che per lei sarebbe stato un colossale avvilimento e più questa le martellava le tempie costringendola a rimuginarci su.

Uscendo dalla sala per entrare nell’ultima assegnata a Kristen, vide Philip ben ritto in piedi prendere delle misure stringendo un piccolo puntatore laser nella mano destra e sorridendo le venne in mente Giovanna.

“Vuoi una mano?” Chiese avvicinandosi mentre lui non staccando gli occhi dal display, scuoteva leggermente la testa in senso di diniego.

“Generalmente gli artisti non danno una mano al curatore.” Articolò con una matita ben serrata tra le labbra.

“Vero, ma alla bisogna...” Insistette sbirciando il block notes che aveva momentaneamente bloccato sotto l’ascella.

“Non mi dire che in quel di Castel Grande, la Dottoressa Kaiou si fa aiutare.”

“Assolutamente si. Lavoro con un’amica e mi piace molto. - Ammise afferrando il blocco tra pollice ed indice. - Posso?”

Continuando a guardare il rilevatore metrico lui rilassò la spalla. “Prego.”

“Non è per impicciarmi, ma per me è tutta esperienza.”

“Lo so e ti ammiro per questo.”

Accettando il complimento Michiru iniziò ad analizzare gli schizzi del collega entrando in modalità studio. Tralasciando un’ovvia diversità di stile nel disegnare, la donna notò subito con quanta meticolosità Philip riportasse al lato dei fogli le idee più disparate e questo la stupì, perché in nessun altro collega uomo aveva mai trovati una cosa così tipicamente femminile.

“Sembrano i miei appunti.” Se ne uscì passando lo sguardo dal blocco alla schiena di lui.

“Ne sono lusingato.”

“A che punto sei?”

“Ho appena iniziato. Visto l’estrema confusione mentale del signor Marinof, ho deciso di partire con le sale della signora Kocc. A proposito; abitando nella stessa città qualche volta abbiamo avuto modo d’incontrarci nei circoli culturali, ma lavorativamente parlando com’è?”

“Molto particolare.”

“Ho capito… Sarà dura anche con lei.” Lamentò continuando a guardare alternativamente il display dell’apparecchio e il muro bianco a qualche metro da loro.

“Ti posso consigliare di evitare il numero sette e di non eccedere mai con le lusinghe o l’entusiasmo. Non ama che si alzi la voce o ci si agiti per nulla. Per il resto… lascia abbastanza liberi.” Disse ricordando che proprio quello stesso collega che adesso le stava chiedendo delle informazioni, un paio di giorni prima aveva asserito tronfio di saper trattare con ogni tipologia di artista.

E’ una parte del mio carattere; aspetto sul greto il così detto cadavere e li lascio sfogare. Allora sarò io ad avere l’ultima parola. E’ sempre così con questa gente, aveva tagliato ferale lasciandola di malumore.

Questo non è il tuo carattere Philip, è paura. E ce l’abbiamo tutti, pensò Michiru provando tenerezza.

“Tu hai risolto con l’amministrazione?” Le chiese allungando la mano per riavere il blocco.

“Non ancora. E’ abbastanza frustrante gironzolare senza meta aspettando di poter firmare un contratto per inviare i miei quadri.”

Voltando leggermente la testa verso la donna, Philip sorrise forzatamente polverizzando all’istante l’enorme spocchia che l’aveva accompagnato da quando si erano conosciuti. “Allora se vuoi aiutarmi…”

Vedendosi allungato nuovamente il blocco, Michiru s’illuminò. “Ti ringrazio. Odio sentirmi come un pesce in un acquario.” Se ne uscì tanto spontaneamente che l’uomo finalmente si decise a darle gli occhi.

Quello che Kaiou vide la fece trasalire.

 

 

Verso l’ora di pranzo si recarono alla caffetteria del museo per mettere un boccone sotto i denti. Avevano lavorato bene insieme, concentrati ed efficienti, come se fosse una quotidiana normalità. Scambiandosi idee e godendo della reciproca affinità, erano riusciti a buttar giù parecchie idee che grazie all’esperienza di Michiru con Kristen, all’artista sarebbero sicuramente piaciute. E tutto nel continuo via vai di pallet carichi e facchini estremamente rumorosi.

Quando il viso di Philip aveva rivelato un grosso ematoma bluastro all’altezza della palpebra destra, Michiru non aveva battuto ciglio. Intuendo cosa potesse essere successo, socchiudendo gli occhi si era limitata ad incrociare quelli estremamente titubanti di lui, non ritenendo però quello il luogo più adatto per chiedergli qualcosa. Così aveva semplicemente fatto finta di nulla provando a stemperare con il lavoro il profondo imbarazzo che quella tumefazione aveva provocato ad entrambi.

Ora però, passate tre ore abbondanti e seduti in un posto grazioso e discreto, la donna non poté esimersi dal non chiedere.

“Non ci crederai mai! Ieri sera di ritorno verso casa, la ruota anteriore del mio monopattino ha preso una buca e mi sono ritrovato a terra come un idiota! Avessi visto la scena.” E giù una risata quasi isterica che a Michiru sembrò talmente costruita da essere grottesca.

“Mi dispiace…”

“O non devi. La colpa è mia che sono un distratto cronico.” Disse Philip afferrando il sandwich che aveva deciso di consumare assieme ad un buon picchiere di sidro.

“Ho capito. - Rispose imitandolo. - Per fortuna che questa volta avevi i guanti half finger, altrimenti nella caduta ti saresti rovinato le mani.”

Un attimo e portando lo sguardo dal panino alle nocche, il collega si bloccò permettendole di continuare.

“Ho visto che non li usi e se fossi veramente caduto su uno dei selciati cittadini, nell’impatto ti saresti certamente scorticato le dita. - Ammise rivelando l’estrema facilità che aveva nel sapere analizzare gli avvenimenti. - Scusa se mi permetto, ma purtroppo ho una certa esperienza con questo tipo di segni e questo..., ha poco a che vedere con una caduta.”

Portando l’indice della mano sinistra verso lo zigomo dell’uomo, strinse le labbra non arrivando però a toccarglielo. “Lo so che non ci conosciamo e sono la prima a pretendere dagli altri la stessa privacy che in genere do, ma so anche come spesso con un estraneo ci si senta più liberi di parlare dei propri problemi.”

“Problemi!? - Esclamò lui scoppiando in una sguaiata risata di conferma. - O su dottoressa… , non guardi là dove non c’è nulla.”

“Del lei?” Chiese iniziando a mangiare non scomponendosi neanche un po’.

Questo ebbe il potere di sciogliere la cortina difensiva umanamente messa su dall’uomo che posando il panino sul piatto si ritrovò a sospirare pesantemente. “Che pessima impressione di me ti sto dando.”

“Perché sei umano? No guarda, non sono il tipo di persona che ne giudica un’altra solo per un momento di fragilità.”

Un secondo sospiro e Philip tornò a guardare Michiru dritta negli occhi.”Non è colpa sua. Non era così quando ci siamo conosciuti.” Disse perdendo le iridi castane alle vetrate poco oltre, dove gli alberi del giardino interno stavano ospitando sotto le loro chiome una lezione ludica.

“Certe volte vorrei tornare un ragazzino. Tu?”

“No. Ho molta più libertà ora di quando avevo quindici o vent’anni.”

“E’ vero, ma le cose erano più semplici.”

“Forse si, ma quello che ho adesso non lo scambierei per nessuna regressione temporale.” E sicura tornò a fissarlo con intensità.

“Io invece sono arrivato a pensare che se potessi…, percorrerei strade totalmente diverse.”

Philip aveva gli occhi stanchi, come uno che ha saltato a piè pari una buona notte di sonno e leggeri sprazzi di barba suggerivano che non si era preso neanche la briga di curarsi il viso come invece gli aveva sempre visto fare in quei pochi giorni di conoscenza. Il sorriso tronfio e lo sguardo sicuro erano stati soppiantati da una specie di tristezza che Michiru riuscì a focalizzare solo quando l’altro iniziò a raccontare di se.

“Non era così all’inizio e non avrei mai pensato che la nostra storia si sarebbe tramutata in un incubo …” Ammise.

“Viviamo insieme da tre anni in una casa molto carina vicino al porto. Ci piaceva tanto svegliarci con il fischio delle navi in lontananza, i gabbiani e le onde del mare infrante sugli scogli. Lo trovavamo romantico. Siamo andati a vivere li proprio per questo, pur essendo una zona lontana dai nostri amici e dai circoli culturali che frequentavamo. A pensarci bene, forse quello di staccarci da tutto e da tutti è stato il nostro primo errore. Ma volevamo vivere la nostra favola e tutto il resto ci sembrava superfluo.”

Incatenando il suo sguardo a quello di Michiru cercò conferme che però la donna non riuscì a dargli. Lei ed Haruka non si erano mai rinchiuse in una bolla lasciando il mondo fuori, neanche i primi tempi della loro relazione, anzi, a parte gli ovvi momenti privati, avevano sempre cercato di conoscere cose nuove e mantenere per quanto possibile i rapporti con tutte le loro vecchie conoscenze.

“Simon ha un carattere eclettico e curioso. E’ uno scrittore, sai?! Vedessi com’era orgoglioso dopo la pubblicazione del suo primo libro. I suoi genitori non hanno mai accettato la nostra storia e riuscire in quel romanzo ha rappresentato una rivincita per il suo animo. Era tutto fantastico. Lui era fantastico. Forte, intelligente, così bello e aitante da far tremare i polsi di uomini e donne. Biondo, alto, con gli occhi chiari di un dio nordico. Ero totalmente preso d’accettare addirittura di lasciare la pittura per restargli accanto e sostenerlo.”

“In questi giorni mi sono spesso chiesta come potessi esserti avvicinato al mondo dell’arte.”

“Dipingevo, si. Quando ci siamo incontrati anche la mia carriera stava per decollare, ma Simon non riusciva a concentrarsi nel sapermi in procinto di esporre e così ho deciso di mollare tutto.”

Corrugando la fronte, Michiru non volendo iniziò a sovrapporre la storia di Philip con la sua. Scansando le similitudini fisiche che la sua bionda compagna poteva avere con Simon, Haruka non l’aveva mai messa di fronte ad una scelta, ne quando si era ammalata e ne avrebbe avuto tutti i diritti, ne quando Kaiou si era sentita costretta ad abbandonarla per andare ad Atene, ne tanto meno ora, in quella folle avventura nata per riavviare la sua carriera di pittrice.

“Dopo la mia scelta, per i primi tempi è andato tutto bene; il mio nuovo lavoro come curatore e la sua scrittura. Ma alle prime critiche sul suo secondo romanzo, Simon è cambiato. Ha iniziato a frequentare il giro dei naith diventando non soltanto schiavo dell’alcool, ma anche delle droghe. E quando non è più in grado di ragionare…” Con la voce colta da un fremito, Philip s’interruppe di colpo abbassando la testa.

“… diventa violento?” Chiese Michiru sapendo già la risposta che le arrivò grazie ad un impercettibile assenso.

Ecco spiegato il mistero dell’occhio. “Non lo fa apposta! Lui è dolcissimo quando è sobrio o non si riempie il corpo con quelle porcherie. Lo sa che sbaglia ed è per questo che dopo avermi chiesto perdono prova sempre ad uscirne. Mi puoi capire?”

Michiru ci rifletté un attimo per poi scuotere dolente la testa. “Purtroppo no, Philip. Il mondo delle droghe mi ha sempre spaventata, così come il non poter essere in grado di mantenere il controllo e non riuscirei mai a stare con una persona che ne fa uso. Vedi, non parlo solo per partito preso, ma per esperienza. Inoltre… - Provando le parole più adeguate iniziò a far tintinnare un unghia sul vetro del suo bicchiere. - … Inoltre a differenza di quanto fatto dal tuo Simon, la persona con cui attualmente ho una storia mi ha sempre incoraggiata nell’intraprendere questa strada. Non che non abbia paura che il distacco possa mettere alla prova la nostra relazione o che non smani per la mia mancanza, ma si forza. Un po’ come cerco di farlo io ogni volta che la so lanciata a trecento all’ora su una moto da collaudare. - Stringendo le labbra Kaiou storpiò il viso desolata. - Anche se devo ammettere di non riuscirci molto bene.”

Staccando il contatto con il freddo del bicchiere, Michiru tornò a concentrarsi sul problema dell’altro. “Ma non è questo il punto! Quello che vorrei farti capire è che in un rapporto non dovrebbero mai esserci degli ultimatum.”

“Evidentemente hai trovato un uomo capace di assecondarti.” Rispose lui grattando la voce.

“Forse è proprio perché non sto con un uomo che la questione è più semplice. Lasciatelo dire, ma alle volte siete un po’ egoisti.”

Lui la guardò come se non credesse alla sua omosessualità e Kaiou si sentì in dovere di continuare. “Haruka è una donna testarda e volesse il cielo se alcune volte riesco a capire cosa diamine le passa per la testa, ma ci amiamo e pur essendo tutto il mio mondo ed io il suo, non ci siamo mai ostacolate nel portare avanti i nostri rispettivi interessi. Ma qui non si sta parlando di noi, ma di voi. Cosa credi che succederà la prossima volta che Simon perderà il controllo?” Chiese ferale schiacciando la schiena alla traversa della sedia GIA che stava occupando dall’inizio del pranzo.

Lui non rispose subito. Cercando di mantenere saldi gli occhi tornò a mangiare. Non poteva controbattere nulla, perché quella donna aveva ragione come lo avevano tutti gli amici con cui nel tempo aveva discusso nel vano tentativo di difendere l’indifendibile. Rimanere accanto ad un uomo fortemente instabile era diventata una sfida quotidiana ormai improponibile e da persona intelligente se ne rendeva perfettamente conto.

“Non so che fare Michiru…”

“In realtà non è vero.”

Alzando di scatto il viso la guardò quasi con cattiveria. “Dovrei forse lasciarlo?”

“Non ho detto questo e francamente non saprei come uscirne neanche io, ma una cosa la so… , avete bisogno d’aiuto, perché rimanendo in stallo rischi solo di farti trascinare giù con lui.”

“Non ho intenzione di attaccarmi ad una bottiglia, se è quello che pensi!”

“No…, non lo penso affatto Philip, ma oggi è solo un occhio, domani potrebbe essere un braccio o qualcosa di peggio. - Posando i gomiti sul vetro del tavolinetto che stavano occupando iniziò a far ruotare la fede che aveva all’anulare sinistro. - Vedi… basta un attimo perché i tuoi sogni s’infrangano e tu sei una persona troppo talentuosa ed intelligente per lasciare che questo accada.”

Ma lui quell’ultima frase non la capì e come avrebbe potuto non conoscendo affatto la storia personale della donna che gli stava sedendo davanti? Non comprese, anzi per togliersi dall’empasse di quel discorso scomodo, desinò il più velocemente possibile finendo molto prima di lei e quando una volta pulitosi la bocca stava per aprirla e congedarsi, la figura di Kristen apparve alle sue spalle.

“Philip! - Chiamò freddamente fissandogli la testa castana. - E’ il caso che tu vada alla prima sala. Il maestro vuole parlarti.”

Fu un’apparizione talmente improvvisa e quell’ordine tanto perentorio che il curatore non poté far altro che alzarsi, salutare una più che stupita Michiru e dileguarsi verso l’ala delle temporanee quasi correndo. Sbattendo le palpebre un paio di volte Kaiou lo guardò sparire come inseguito da una folgore alata.

“Kaiou-san… - E una lama avrebbe tagliato meno. - … ti consiglio di non farti coinvolgere. Tra non molto il tuo contratto sarà pronto e non c’è alcun bisogno di perdere energie dietro alle cause perse.”

Più che per il consiglio non richiesto, Michiru rimase abbastanza interdetta per il soggetto. Allora Kristen sapeva di Philip e della sua storia travagliata con il compagno. Forse ha solo notato l’occhio e proprio come ho fatto io ha tirato le somme, si disse vedendola allontanarsi senza aggiungere altro, ho forse lo sa perché si conoscono.

Di getto tirò fuori il cellulare desiderosa di mandare un messaggio ad Haruka. Tutto il discorso imbastito dal collega sulle varie rinunce affrontate per amore del suo compagno le avevano gettato addosso una strana sensazione di tristezza e gratitudine. Voleva dire alla sua bionda quanto le mancasse e quanto l’amava. Compose così uno dei suoi pragmatici messaggi tornando poi al suo frugale pranzo.

Poggiata con la schiena al tronco di un albero che si ergeva ad un lato della spianata del l’Historischer Gummi, Haruka scattò il collo all’indietro improvvisamente ritornata in se. Dopo qualche istante il suono di una notifica la fece voltare verso il suo fianco destro. Posando la mano sulla spalla della donna davanti a lei l’allontanò un poco in maniera dolce, ma ferma, permettendo così al suo viso di liberarsi dal calore di quello dell’altra.

“Aspetta Martah… Non è il caso.” Disse toccando con le dita il cellulare dimenticato nella tasca posteriore dei suoi jeans.

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Capitolo 11
*** Quando anche Giovanna perde la pazienza ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Quando anche Giovanna perde la pazienza

 

 

Giovanna guardò Tigre che di rimando le puntò contro quei suoi soliti occhietti da ruffiano scrutatore. “Adesso perché non mangi? Ieri nasello e sgombro ti sono piaciuti.” Disse senza neanche pensare a quanto potesse essere buffo quel loro siparietto fatto di frasi dette in falsetto da lei e recepite con assoluta indifferenza da lui.

“Siete tutti uguali… - Sospirò voltandosi per aprire l’anta sopra la piastra elettrica dove sapeva avrebbe trovato lo scatolame. - Cos’è, ti sei già stancato del sapore? E magari adesso vorresti anche che te ne aprissi un’altra, vero?”

Giovanna amava i gatti, forse anche più della stessa Haruka e aveva accettato più che volentieri il piacere che la sorella le aveva chiesto nel badare per qualche ora a quel piccolo felide, ma visto come la bionda l’aveva trattata e passato un giorno di completa latitanza, stava iniziando a chiedersi del perché si trovasse ancora in quella casa che non aveva mai sentito così vuota.

“Quella sottospecie di papà umano che ti ritrovi avrebbe anche potuto essere più gentile invece di tagliarmi in quattro come ha fatto! E lo sai? Sono qui solo per te e tu che fai? Mi tratti anche peggio?!”

Voltandosi mostrò all’animale placidamente seduto sul piano della penisola, l’etichetta blu scuro indicante un altro gusto. “Questa per sua signoria Mister micio potrebbe andar bene?” Chiese e lui di rimando si alzò muovendo un paio di passi nella sua direzione.

“A, questa si? - E lui iniziò a strofinarle contro al braccio la sua grossa testa rigata. - A prescindere dal fatto che se Michiru ti vedesse camminare sul piano della penisola avrebbe un attacco apoplettico, sei tale e quale alla sua donna; ruffiano, egocentrico e narcisista!”

Sbattendo leggermente il metallo della scatoletta sulla penisola, Giovanna sospirò non vedendo in lui alcuna reazione se non profondi e poderosi ronfati di condiscendenza. Quel povero micio non c’entrava niente con il caratteraccio della bionda, come non aveva nessuna colpa se solo ed abbandonato come lei, stava cercando solamente un poco d’attenzione. Già, sola ed abbandonata. Giovanna si sentiva proprio così con Michiru partita per la Svezia ed Haruka per uno sputo di città dalla parte opposta della Svizzera.

“Che poi anche quando c’è, non è che ultimamente mia sorella sia tanto di compagnia.” Borbottò aprendo il cassetto delle posate proprio davanti al suo addome.

Latitante, isterica, intrattabile, ecco cos’era diventata Haruka Tenou da una settimana a questa parte. Già dopo l’acquisto della Winchester le due sorelle avevano avuto modo di vedersi sempre più di rado, ora poi, con la partenza di Michiru, le volte che stavano insieme diventavano un monologo lamentoso sul perché e per come la dottoressa Kaiou si fosse lasciata abbacinare dalle luci della ribalta artistoide di Kristen Kocc.

Lasciando cadere l’occhio sul grembiule a rombi colorati che Kaiou aveva comprato di recente regalandogliene uno uguale, dimenticato appoggiato alla maniglia del forno, scosse la testa stringendo forte le labbra. E io sono proprio nel mezzo, come sempre, pensò facendo scattare la linguetta della scatoletta cercando simultaneamente d’impedire a Tigre di non fiondarcisi dentro.

“Tagliati eh?!” Smaniò allontanandolo con il gomito in cerca di una forchetta.

Michiru le aveva già fatto uno scherzo simile, circa tre anni prima, quando partendo per la Grecia le aveva lasciato l’inconsapevole incombenza di cercare di star dietro ad una bionda completamente fuori giri. Ma allora la scarsa conoscenza che le due sorelle ancora sentivano come un ostacolo al loro lasciarsi totalmente andare, aveva trattenuto la minore dal dire o fare cose spiacevoli o spigolose. Adesso invece, raggiunto un soddisfacente grado d’equilibrio ed intimità, Haruka si sentiva in diritto di esprimere al meglio tutti i lati del suo essere, sia in positivo, che in negativo.

Giovanna doveva ammettere che da quando aveva deciso di trasferirsi a Bellinzona, la bionda aveva sempre cercato di starle vicina, sia per renderle meno duro l’inserimento in un ambiente diverso, sia per approfondire la conoscenza con una sorella che aveva da soli cinque anni. Ora l’ennesimo scossone nel pur stretto legame Kaiou-Tenou aveva rimescolato le carte. Trovandosi in mezzo al fuoco incrociato di due caratteri estremamente forti, per un po’ Giovanna aveva anche retto all’urto, ma adesso iniziava a risentire della situazione. D’indole gioviale ed estremamente allegra, da quando aveva iniziato a lavorare con Michiru a Castel Grande, era comunque riuscita ad imbastire delle amicizie ed essere così sentimentalmente autosufficiente dalla coppia, ma soprattutto la sera, non era raro che venisse assalita da profondi momenti di nostalgia.

Inalando pesantemente si fermò un attimo guardando la profondità del soggiorno. Il casino apocalittico che Haruka stava lasciando al suo passaggio ora che Michiru non c’era aveva qualcosa di preoccupante. Tenou non era mai stata un tipo chi sa ché ordinato, ma almeno la decenza era sempre riuscita a mantenerla. Se non altro per quieto vivere. Adesso la lordura che quell’appartamento, gioiello prezioso dell’orgogliosa Kaiou, stava raggiungendo, sembrava quasi fatto apposta.

Forse dovrei dare una pulita, si disse poco convinta mentre Tigre iniziava a spazientirsi costringendola a dargli retta.

“Va bene, ho capito. Non c’è bisogno di smaniare tanto.” Sfotté riempiendo la ciotola per poi accovacciarsi dietro la penisola e poggiarla sulle maioliche arancione chiaro.

Così facendo non si accorse della presenza che intanto era entrata nell’appartamento e quando si rialzò incrociando gli occhi di Haruka ebbe un comprensibile sobbalzo.

“Tenou!”

“Per la miseria, Aulis! Ma sei impazzita!” Disse l’altra portandosi la destra al petto.

“Non ti ho sentita entrare.”

“Me ne sono accorta! Ma che ci fai qui!” Inquisì gettando sul divano lo zainetto con il quale era partita.

Guardandola aggirare la penisola nella sua nuova maglietta bianca e nera della Scorpion Bay, l’altra alzò Tigre per le ascelle mostrandoglielo come uno stendardo ed Haruka capì.

“Ah…, è vero. Ciao piccoletto.”

Agitandosi per essere stato distratto dal suo cibo, Tigre si divincolò riuscendo a saltare via per tornare a concentrarsi sulla ciotola posta ad un lato dei pensili.

Ciao piccoletto, risuonò nella testa di Giovanna mentre la bionda ne approfittava per darsi una lavata alle mani.

“Ha fatto il bravo? Spero non ti abbia dato troppi problemi. Sa essere alquanto bastardo quando rimane da solo troppo allungo.” Rivelò apaticamente iniziando a lavarsi le mani.

Mi ricorda qualcuno. “No, no. Tutto bene.”

“Perfetto! Allora grazie. Non sarebbe certo morto di fame, ma avrebbe sicuramente demolito casa.” Ammise asciugandosi senza neanche guardarla.

“E tu? Tutto ok?”

Un laconico si e la maggiore la vide tornare verso il divano. “Sei soddisfatta del pezzo per la moto?”

“Anche di più. Questa mattina sono riuscita a trovare altri due ricambi, perciò…”

“Mi fa piacere. Visto che è quasi l’ora di cena ti andrebbe una pizza?” Gettò cercando d’ingolosire il pesce.

Haruka non la convinceva. Da quando era entrata non aveva incrociato il suo sguardo neanche una volta, come se fosse stata invisibile. Così, una volta sentita accampata la scusa della stanchezza, Giovanna ebbe la riprova di un qualcosa che non andava.

“Da quando ti conosco non hai mai rifiutato una pizza. Non me la racconti giusta sorella.” Disse sforzandosi scherzosa sapendo che in genere bastava uno dei suoi classici sorrisi a rimettere a posto il malmostoso umore della bionda.

Ma questa volta non bastò. Lasciandosi cadere pesantemente sul divano, Haruka iniziò ad armeggiare con il telecomando non rispondendole nemmeno. Sentendosi la donna invisibile l’altra la guardò allibita fare zapping senza un briciolo d’interesse ne per lei, ne per la programmazione televisiva.

“Haruka… Tutto bene?” Chiese posando entrambe le mani sul piano mentre Tenou sprofondava sempre di più sul cuscino della seduta.

“Mmmm.”

Non certo questa gran risposta ed iniziando a preoccuparsi Giovanna dovette cedere accettando quel gioco che tanto poco le piaceva e che spesso, se non sempre, la portava a scontrarsi con l’altra. Così andando verso il divano cercò quel contatto visivo che ancora non l’era stato dato. Due calcetti all’anfibio sinistro della bionda e ripeté la domanda scandendo bene le parole.

“Neanche le scarpe ti sei tolta.” E attese la prevedibile eruzione in puto stile Krakatoa.

Ma nulla. Con sua grande sorpresa Haruka ne si difese, ne tanto meno l’azzannò alla gola. Continuò invece ad ignorarla massacrando nervosamente i tasti del telecomando. Così vista la situazione e colpita dalla reazione anomala del fuego del viento di casa Ducati, Giovanna agì strappandoglielo letteralmente dalla mano.

“Rispondimi, per la miseria!” E finalmente uno sguardo, ferale e verdissimo si riattivò puntandola come un cannone pronto a sparare.

Mettendo il palmo all’insù, la bionda attese la restituzione del telecomando e di tutta risposta l’altra spense la televisione gettandolo sulla saslong. “Senti, fammi la cortesia di non trattarmi così! Lo sai che non lo sopporto. Il Padre Eterno ci ha dato l’uso della parola per farne buon uso!”

“Non mi va di parlarne!”

“Allora qualcosa c’è!”

“Ed anche se fosse?!” Ringhiò colpendola giù duro.

“Anche… se … fosse?! - Ripeté la maggiore raddrizzando la postura. - Ma certo… In fin dei conti chi sono io?”

“Senti Aulis, potresti accettare il fatto che anche se sorelle, possa volermi tenere qualcosa per me? Ti costa così tanto? Ci riesci?”

“Ci riesco e come! Sono settimane che ingoio e sto zitta …”

“Ma ingoi cosa?! Chi ti ha fatto niente!” Alzò il tono sbattendo i palmi sulle cosce.

“Forse il fatto che sia venuta a vivere in un altro paese per stare vicino a mia sorella e che quest’ultima sia tanto umorale da pensare che la cosa le sia dovuta?”

“Cosa?” Chiese Haruka sgranando gli occhi.

“Si cara, è un fatto. Mi sono trasferita e l’ho fatto con tutto l’amore possibile, ma non puoi continuare a darmi sempre per scontata!”

“Alzi tutto questo casino per una ciotola di cibo per gatti?!”

“Non è per questo, Tenou! Vai, vieni, fai come cazzo ti pare sentendoti in diritto di usarmi come pezza d’appoggio quando e come ti fa comodo. Ogni volta che hai un qualche cavolo prendi e sparisci e fino a quando c’era Michiru la cosa mi stava anche bene, perché almeno avevo lei, ma ora NO! Ora non puoi più farlo.”

“E’ sempre questa la storia, Giovanna? Vuoi la compagna di giochi per non sentirti sola? Allora fatti degli amici!”

“Ce li ho già degli amici, ma non QUI!” Urlò stringendo furiosa i pugni dimenticati lungo i fianchi.

Di colpo Haruka capì. Tutto le fu chiaro. Era vero; la dava sempre troppo per scontata. Stava per aprire la bocca per scusarsi quando la sorella facendo dietro front lanciò l’ennesimo sfondone puntando al portoncino blindato.

“Giov…”

“Ma vaffanculo Tenou! A te, alla dottoressa Kaiou e a me… che ancora vi sto dietro!” Chiuse sentendosi un groppo alla gola.

“Giovanna!” Chiamò quando già con una scarpa in mano, l’altra continuò ad inveirle contro.

“Non voglio più farmi coinvolgere da voi! Mi sono rotta le palle.”

Prima di conoscere quelle due top model dai caratteri assurdi, aveva una vita tranquilla, magari un po’ monotona e precaria dal punto di vista lavorativo, ma serena e ricca d’affetto. La sera si ritrovava da sola, e’ vero, ma almeno erano sue quelle quattro mura di calce bianca. Ora si ritrovava da sola e BASTA. Lontana dalla famiglia. Lontana dagli amici. Lontana dalla sua terra.

“E tutto questo per cosa? Ogni volta che non c’è Michiru mi prendi a pallettonate sui denti. Ora basta! Fottiti!” Rimuginò convulsamente cercando d’infilarsi una scarpa il più velocemente possibile.

Ma quando ormai pronta stava per uscire, Haruka la chiamò un’ultima volta e all’ascoltare quel tono non poté che bloccarsi di colpo.

“Giò… Ti prego - Disse mentre la sorella si voltava lentamente nella sua direzione. - Ho fatto un casino...”

 

 

China sulla schiena con la fronte appoggiata alle nocche delle mani, Haruka la sentì tornare indietro. Lo sapeva che non sarebbe stata in grado di nasconderle le ultime ventiquattro ore, come era fermamente decisa a raccontare a Michiru quello che era successo dietro i banchi dell’Historischer Gummi tra lei ed una donna conosciuta solamente il giorno prima. Ma non essendo molto brava con le parole, il difficile sarebbe stato il cercare di far capire ad entrambe una circostanza che l’era sfuggita dannatamente di mano.

“La amo, Giovanna. La amo con tutta me stessa.”

E sapendo perfettamente a chi si stesse riferendo, l’altra tornò sui suoi passi rimanendo però ferma tra camino e divano. “Dove sarebbe il casino?”

“Il casino sta nel fatto che mi manca talmente tanto che sto iniziando a cercarla in altre donne.”

A quelle parole la maggiore ebbe un brivido e schiacciando i denti gli uni contro gli altri attese che continuasse.

“E per assurdo che sia, non lo faccio neanche a posta.”

Scuotendo la testa la sorella le chiese di spiegarsi meglio. “Non vedo il problema…”
“Ho flirtano! - Confessò alzando la testa. - Questo è il problema! Ho flirtato con una perfetta estranea.”

“Cosa avresti fatto!?” Chiese sedendosi.

“Te l’ho detto… Ho flirtato.”

“Non sarebbe la prima volta che lo fai.”

Haruka sembrò stizzirsi. “Non è come quando mi va di dar noia a Kaiou ed inizio a guardare le altre per vedere lo sguardo assassino che monta su prima che gli sbotti a ridere in faccia. E’ un gioco; lo sa lei, come lo so io. Questa volta è stato diverso. Ero attratta da quella donna.”

“Quanto attratta?!”

“Abbastanza da trovarmi in una situazione delicata.”

Giovanna sospirò spaventata. “Quanto delicata?!”

“Abbastanza da baciarla.”

“E che cazzo, Ruka!” Esplose alzandosi di scatto.

“Lo so, lo so!” Si ritrovò a dire piombando la testa tra le mani.

“Ma porcaccia miseria, quando Michi andò ad Atene non facesti cose del genere!”

“E adesso si! Vuoi spararmi in testa?!”

“No, voglio capire.”

“Non c’è bisogno di uno psicologo per dirmi quanto complicato sia il periodo che stiamo vivendo e quanto perciò siamo vulnerabili. Quanto la vorrei qui, quanto mi manca e quanto abbia paura che mi lasci per vivere la vita che sotto sotto avrebbe sempre voluto. - Ingoiando a vuoto tornò a guardarla. - Forse se fosse partita in un qualsiasi altro momento non l’avrei vissuta tanto male. Lo hai visto anche tu quanta tensione c’è tra noi negli ultimi mesi. Si sono accavallati troppi impegni da parte di entrambe ed il nostro rapporto ne ha risentito. Ammetto che la colpa sia soprattutto mia. L’acquisto della Winchester ha peggiorato le cose. Da quando mi ci sono messa a lavorare non ho avuto più tempo per niente e sono finita per trascurare la mia donna, la mia casa e persino te.”

“Di me non ti devi preoccupare.” Disse riguadagnando la seduta.

“Ma se neanche un minuto fa mi hai inveito contro! Dovrai spendere un patrimonio per tutte le parolacce che hai sparato.”

“Che?”

Scattando il mento verso la penisola, Haruka la costrinse a girarsi verso il barattolo. “Non ti dice niente?”

“Oddio…, credevo fosse un qualche tipo di scultura moderna.”

“Si, dal titolo la follia della mia donna.”

“Bé, devi ammettere che di cose strane ne stiamo vedendo parecchie…”

“Già.”

“Senti un po’, è per questa donna che sei rimasta a Sion?”

“In verità non saprei. E’ diventata il contatto con un paio di fornitori, ma ho iniziato a lanciarle segnali inequivocabili ancor prima che questo avvenisse. E mi dispiace anche per lei, perché non era assolutamente mia intenzione prenderla in giro.” Haruka guardò la portafinestra che dava sul terrazzo perdendo sguardo e ricordi al verde delle montagne che s’intravedevano dal vetro.

Era ancora talmente fresca la sensazione di quelle labbra che al solo pensiero si sentiva stordita.

Aspetta Martah… Non è il caso” Le aveva detto non appena il corpo nella sua totalità le aveva fatto capire che non si stava trattando della bocca della sua compagna, ma di quella di un’estranea.

Dolente e di colpo innervosita, l’altra l’aveva guardata voltarsi in direzione del cellulare che Tenou portava nella tasca posteriore e che aveva appena segnalato una notifica.

Credevo che lo volessi anche tu.”

Scusami se ti ho dato questa idea, ma vedi…” E portando in alto l’anulare sinistro le aveva mostrato la fede che indossava quando non era in officina.

L’avevo vista, ma non mi sembrava che da parte tua risultasse un impedimento.” Aveva detto staccandosi definitivamente dal corpo della bionda riguadagnando la strada verso i banchi poco oltre.

Tornando a guardare Giovanna, Haruka scosse la testa ancora incredula. “Una parte della mia coscienza sapeva che stavo giocando una sporca partita con il fuoco, ma l’altra…”

“Questa Martah è dunque tanto simile a Michiru d’averti spinta verso di lei?”

La bionda non ci pensò neanche per un istante e scuotendo la testa negò risoluta. “ No Giò. Qualche stupido dettaglio che però mi ha spinta verso di lei crogiolandomi nel pensiero di quanto sarebbe bello se Kaiou ogni tanto s’interessasse alla mia vita fuori di casa e poi … il sorriso.”

Anche la sorella schiuse le labbra. “Michiru ha un sorriso bellissimo; caldo e materno.”

“Esattamente. Di tutte le cose che adoro di lei, è forse la cosa che amo di più. Anche se ultimamente non lo vedo tanto spesso. E la colpa è sempre e solo mia. Mi sono allontanata e per che cosa? I motori? Ma si fottano!”

”Non dire così. - Se ne uscì attirandone l’attenzione. - Siete in due in questo rapporto, no?”

“Michiru ha fatto bene ad andare a Stoccolma.”

“Certo, per seguire un suo sogno, come tu fai con i tuoi.”

“Se per seguire le mie passioni devo correre il rischio di sfasciare il nostro rapporto, allora te lo ripeto, il gioco non vale la candela!”

“Questo è un punto di merito che apprezzo, ma non è che la frustrazione gioverebbe di più.”

”Allora non se n’esce.”

Per niente convinta Giovanna si sistemò meglio cercando di essere franca. “Vedi Ruka, il tuo carattere ti porta a guardare il mondo con gli occhi del o tutto bianco o tutto nero. Lo fai sempre e per ogni cosa. Ma quante volte Michi ti ha detto che nella vita ci sono le sfumature?”

“Scusami Giovanna, ma in questo caso le sfumature non le vedo proprio!”

“Ma ci sono. Se Kaiou ti manca, se hai addirittura paura che possa lasciarti, allora cerca di… insinuarti nel suo soggiorno a Stoccolma come un bruco in una mela.”

“Non capisco…”

“Ma si! Cosa fanno i bruchi? Vogliono una cosa e se la prendono. Scavano, scavano, scavano, fino a quando non arrivano a dama. Lo sai che alla tua donna piacciono le attenzioni e allora falle sentire che ci sei anche se non sei presente.”

“Ma sta lavorando! Non voglio essere opprimente. Ora ha bisogno di concentrarsi.”

“Un sms, un mazzo di fiori o un ti amo, non credo proprio che distrarrebbero un caterpillar come la dottoressa Kaiou.”

Haruka ricordò il messaggio che Michiru le aveva mandato proprio qualche istante dopo essersi sottratta al bacio datole da Martah. Mi manchi tanto amore mio. Scusami. Ed era seguita una foto di una power bank a forma di gatto comprata di buon ora al bookshop del museo.

Schiacciando la schiena al cuscino la bionda si portò il dorso della destra alle labbra sentendosi pizzicare gli occhi. “Cazzo, quanto la amo.”

“Aaaa, ecco perché viaggi a cento franchi per volta. - Stemperò la sorella posandole una mano sulla spalla. - Da quanto non vi sentite per telefono?”

“Da ieri sera e abbiamo discusso per una immensa boiata!”

“Perché non la chiami?”

“Francamente? Perché di Martah vorrei provare a parlargliene di persona e ora come ora sentirebbe subito dalla voce che ho fatto qualche danno.”

“E allora scrivile. Chatta. Muovi il culo, Tenou! - Concluse alzandosi per afferrare il suo cellulare. - Io intanto ordino la pizza. La vuoi, vero?”

Finalmente Haruka sorrise e Giovanna si sentì meglio. “Scusa se sono sparita.”

“Scusa tu se sono esplosa.” Replicò guardandola andare fuori dalla terrazza con il suo I phon in mano.

 

 

Il cellulare di Michiru vibrò che era appena uscita dalla doccia. Meno di un’ora e si sarebbe dovuta presentare nell’holl dell’albergo per l’ennesima cena in qualche ristorante del Gamla Stan e francamente non ne aveva per niente voglia. Era troppo grande ormai per far tardi tutte le sere e iniziava a non sopportare più i monologhi del signor Marinof e gli sguardi criptici di Kristen.

Guardandosi allo specchio del suo grande bagno sospirò togliendosi la cuffietta dai capelli. La superficie le rimandò l’immagine di una bella quarantenne dallo sguardo triste. Le mancava Haruka, aveva iniziato a preoccuparsi per Philip e per la prima volta in tutta la sua vita, lavorativamente parlando si stava sentendo inadeguata. Afferrando la spazzola dimenticata sul piano accanto al lavabo, iniziò a spazzolarsi ravvivando la capigliatura castano chiara dall’inconfondibile frezza color acquamarina. Forse erano le ore di sonno rade e mal gestite che la stavano portando a farsi sempre più domande, ma non era così che se l’aveva figurata quella avventura. Forse aveva fantasticato troppo forviata dai ricordi dell’esposizioni che aveva fatto da ragazza e dal suo lavoro come curatrice di un modesto museo di provincia. O forse era semplicemente Michiru Kaiou ad essere cambiata. L’international woman, come ogni tanto l’aveva chiamata Haruka all’inizio del loro rapporto, si era pian piano trasformata in una modesta donna dalle ambizioni casalinghe, contenta della sua vita, dei suoi tempi e dei traguardi che aveva raggiunto.

Ed anche se fosse? Ci sarebbe qualcosa di male? Pensò stilettando con il cobalto degli occhi la sua immagine riflessa nell’opacità umida dello specchio per poi uscire dal bagno ed afferrare il cellulare dimenticato sulla sopraccoperta del letto. Convinta che fosse un messaggio di Philip vide invece che la compagna era on line e si sedette sul bordo.

Non preoccuparti amore. Sono arrivata a casa. Tutto bene.” Pragmatico come sempre e come spesso accadeva dopo una discussione, Michiru le rispose con un vocale per scioglierla un po’.

Grazie amore. Il pezzo va bene?”

Smorfiando le labbra la bionda inanellò allora una serie di emoticon senza capo ne coda ed inviò.

Dalla parte opposta Kaiou scosse la testa inarcando le sopracciglia. “Ma sei ancora arrabbiata?”

Assolutamente no. Anzi… scusami tu.” Registrò l’altra guardando il crepuscolo che stava scendendo sulla valle di Bellinzona.

Mi andrebbe tanto di parlare un po’, ma anche questa sera il Direttore del museo ha organizzato una cena. Se non dovessi fare troppo tardi… ci sentiamo dopo?”

Haruka si sentì morire. Passi per brevi frasi smozzate, ma come aveva detto poco prima alla sorella non sarebbe riuscita a sostenere una conversazione per intero, specialmente se notturna, dove tutto è dilatato, inclusi cuore e spirito. Sapeva come sarebbe andata a finire; avrebbe sputato tutto fuori per liberarsi la coscienza e avrebbe fatto peggio. Così mal volentieri si appellò ancora una volta al lavoro e complice una riunione di primissima mattina cercò di svicolare.

Amore scusa, ma domani arrivano i consulenti del lavoro. Devo stare in sede prestissimo e il ritorno in moto mi ha steso.”

Michiru ascoltò portandosi il cellulare all’orecchio e un po’ delusa lo fissò oscurarsi lentamente. Una volta Haruka avrebbe fatto tutta una tirata in macchina pur di vederla, figuriamoci fare le ore piccole al telefono pur sapendo di avere una sveglia all’alba.

Chinando la testa le rispose che si sarebbero sentite l’indomani e senza pensarci troppo su la salutò con un affettuoso buonanotte amore.

A te, Michi mia.” Ed uscirono entrambe dalla chat.

Michiru rimase seduta sul letto con in cellulare nelle mani per svariati minuti prima di trovare la forza per alzarsi, sfilarsi l’accappatoio bianco con il monogramma dell’albergo ed iniziare a prepararsi. L’ennesima serata di sorrisi, sarcasmo, battute pungenti ed alcol. Questa volta avrebbe tanto voluto passarla al buio distesa sul letto a parlare con la sua donna, a ridere, a scherzare, a sviscerare quello che aveva dentro, anche se a distanza, anche se con il cuore un po’ arrabbiato.

“Colpa tua che hai voluto la bicicletta. E adesso pedali, Kaiou!” Si disse aprendo il primo cassetto del mobile in puro stile Ikea che troneggiava minimalista al lato della porta del bagno.

Si vestì senza fretta, noncurante del tempo e della sua solita ed incrollabile puntualità svizzera, tanto da non accorgersi di aver fatto tardi se non quando lo sguardo glaciale di Kristen non si posò sul suo abito da sera verde scuro.

“Vedo con rammarico che l’essere puntuale non è più nelle tue corde, Kaiou-san!”

“Scusami.” Ammise cercando di rimanere impassibile all’urto di nervi che quell’atteggiamento pretenziosamente arrogante iniziava a provocarle.

“Poco male. Il taxi è già qui fuori che ci aspetta. - Comunicò voltandosi di scatto inondandola con la scia di un’essenza di pino. - Comunque spero stia bene.”

Naturalmente era implicito che l’artista si riferisse ad Haruka, ma Michiru non fece in tempo a chiedere conferme che Philip si presentò proprio fuori dalla porta a vetri dell’albergo, in abito scuro ed accompagnato da un sorriso radioso. Un cenno d’intesa con Kristen mentre le apriva lo sportello del mezzo per porgere subito dopo la mano all’altra donna.

“Sei bellissima Michiru.” Disse accennando ad un baciamano.

“Grazie. Anche tu stai benissimo.”

“Sai…, ho novità. Ho seguito il consiglio che mi hai dato e questa mattina Simon ha accettato di venire con me da un consulente di coppia.” Bisbigliò lasciandola poi passare.

Era una buona notizia che francamente le allietò i pochi minuti che impiegarono per lasciare il quartiere dove sorgeva il loro albergo ed arrivare nel cuore del centro storico della capitale svedese.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Aprire gli occhi ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Aprire gli occhi

 

 

Michiru rimase sorpresa quando eludendo il centro storico, il taxi si diresse verso la periferia occidentale della città. Si era sempre chiesta perché Kristen pur avendo la residenza a Stoccolma, non fosse mai rientrata nella sua villa scegliendo invece di pernottare nel suo stesso albergo nel Gamla Stan, ma aveva soprasseduto alla cosa pensando ad una pura questione di comodità logistica. Ora che aveva invece scoperto la loro nuova destinazione, si ritrovava a dare alla magnificenza di quella villa in riva alle correnti più calde del mar Baltico, una collocazione del tutto nuova.

A circa una mezz’ora di macchina dalla parte più periferica della capitale svedese, la casa che l’artista aveva fatto costruire vent’anni prima, si apriva alla strada quasi con violenta provocazione.

In mancanza di traffico arrivarono proprio in tempo per vedere il servizio catering scaricare frettolosamente le ultime cibarie da un paio di furgoni.

“Siamo un po’ in anticipo.” Commentò la padrona di casa attendendo che il guardiano aprisse al mezzo.

In quel gesto Michiru rivide la sua giovinezza, quando sempre in giro per il lavoro di suo padre, si era spesso ritrovata a vivere in abitazioni di un certo livello, come in Grecia, ad Atene, dove la famiglia Mizuno per più di due anni, le aveva fatto dimenticare quanto potesse essere duro non riuscire mai a mettere radici. Quella sensazione di dejavu proseguì anche quando il mezzo arrivò a fermarsi davanti al piccolo spiazzo sul fronte principale, lasciandola concentrare sullo studio dell’architettura moderna della villa.

Le sue murature bianchissime intervallate da piccole cascate di roccia ormai ricoperte da un sottile strato di muschio, aiutavano le alte vetrate a catturare la luce in tutte le stagione, sia in estate che nella lunga parentesi invernale, ricordando molto lo stile architettonico dei paesi nordici e dello stesso Moderna Museet. Questo gioco di trasparenze permetteva all’interno sobriamente scandinavo, di dialogare senza soluzione di continuità con il verde dei faggi che cingevano la villa tutta intorno e con il mare sul retro. La voce del mare; la cosa che naturalmente catturò l’attenzione di Kaiou non appena il taxi li lasciò davanti al portone d’ingresso.

“Eccoci qui. Vi prego di non accedere al lato meridionale del giardino, perché deve essere ancora ripulito dalla forte mareggiata della settimana scorsa.” Disse l’artista precedendo i suoi primi ospiti nel grande living che si apriva loro con una poderosa stufa a goccia posta proprio al centro dell’ambiente.

“Bella, non trovi?” Chiese Philip avvicinandosi all’orecchio di Michiru.

“Ci sei già stato?”

“Un paio di volte. Quando è in Svezia, Kristen è solita dare feste o cene di un certo livello.”

Un brivido gelato formicolò lungo la schiena della donna. Si era forzata e non poco per partecipare al meglio all’ennesima cena in un ristorante, figuriamoci allungare quel supplizio di un’intera serata che sicuramente si sarebbe trascinata fino all’alba.

Sospirando Michiru iniziò a pentirsi della sua buona educazione. Avrebbe fatto meglio a declinare quello stupidissimo invito invece di mantenersi sui suoi soliti binari di rispettoso savuarfer. Spostando lo sguardo da Philip, lo rivolse ai sofà di pelle scura posti tutti intorno alla stufa ramata dove un signor Johansson, molto più a suo agio di lei, stava continuando con Kristen una conversazione iniziata sul taxi.

“A cosa stai pensando?” Chiese il curatore toccandole il braccio coperto dallo scialle di seta chiara che aveva deciso di usare per proteggersi dalle correnti fresche della sera.

“Che sono una stupida.” Disse lei di rimando senza neanche pensarci su.

“Scusami?”

Allora posando a sua volta una mano sulla giacca del collega, la donna sorrise scuotendo la testa cambiando rapidamente argomento. Michiru gli chiese dove fosse il compagno e con grande enfasi Philip le annunciò che sarebbe arrivato da li a breve.

“Non vedo l’ora di fartelo conoscere. Era molto eccitato all’idea di questa cena.”

Beato lui, si ritrovò a pensare mentre Kristen li chiamava per far fare loro un rapido tour della villa.

Tralasciando naturalmente la parte superiore delle camere da letto dalle quali si accedeva da una grande scala aperta, l’artista li condusse all’esterno, dove il crepuscolo stava cedendo rapidamente il posto allo scuro della sera, maggiormente enfatizzata dalla quasi completa assenza di luci esterne. Una scelta che per lei era risultata obbligata proprio per non intaccare con la mano dell’uomo la bellezza della foresta che ammantava tutta la parte non esposta al mare. I viottoli guidati da grandi vasche in pietra stracolmi di mirtillo rosso, li portarono a ridosso della spiaggia e da li al giardino d’inverno, unico punto di riparo per potersi permettere di vivere all’esterno la stagione fredda. Poi, vista l’ora, decisero di rientrare per attendere gli altri ospiti.

Per primo li raggiunse il maestro Marinof, seguito dal Sindaco, da qualche politico con signora al seguito e parecchi artisti amici di Kristen. Michiru ritrovò con piacere Andrei Polarovic e Marian Sartò, conosciuti al vernissage di Castel Grande e con i quali s’intrattenne a parlare praticamente per gran parte della sera. Simon Ghallakan arrivò subito dopo, appena in tempo per l’inizio della cena in piedi.

Passando praticamente inosservato, entrò accompagnato da un cameriere montando su una faccia da schiaffi che fece immediatamente sorridere Kaiou. Nel suo completo scuro quel fare sicuro ed un bel po’ strafottente le ricordò la sua donna, anche se il velo opaco presente nei suoi occhi chiari non aveva nulla a che vedere con la limpida armonia dello sguardo smeraldino di Haruka.

Michiru lo salutò lasciandosi baciare la mano e capì perché Philip fosse tanto innamorato da non riuscire a svincolarsi dalle catene che lui stesso si era legato ai polsi. Simon ci sapeva fare e la sua nordica avvenenza compensava il fatto che si trovasse mal volentieri in mezzo alle persone, ma mentre lei pur avendo un carattere introverso cercava sempre di forzarsi nel socializzare, l’uomo non sembrava essere in grado di farlo senza l’aiuto di un qualche mezzo esterno. Così, intuito ciò che sarebbe potuto succedere da li a breve e complice un gran mal di testa, dopo la cena ed interminabili discussioni sul potere dell’arte nella storia dell’ultimo ventennio, Michiru decise di svicolare dalle ossessive grinfie di Kristen per dirigersi li dove avrebbe voluto essere da tutta la sera, ovvero la spiaggia.

Facendosi indirizzare da un domestico ritrovò la strada che avevano seguito con l’artista e dopo un paio di porte finalmente posò i tacchi sulla passerella in doghe di abete che portava in spiaggia. Fu un attimo e nonostante l’aria pungente, la dottoressa Kaiou si lasciò trasportare dalla sirena che viveva da sempre nel suo cuore e togliendosi le scarpe affondò i piedi nell’umido della sabbia provando un indicibile senso di piacere. Fredda e dura riuscì lo stesso a scaldarla nel profondo ravvivando tutti i ricordi ad essa connessi, come la spiaggia di Kamakura a Tokyo o quella di Ellinicò ad Atene. Chiudendo gli occhi e respirando forte l’odore di quel mare così tanto diverso da quelli che aveva conosciuto ed amato da ragazza, Michiru si lasciò trasportare in un mondo fatto di odori e suoni. I licheni abbandonati sul bagnasciuga, il sottobosco odoroso, le bacche di mirtillo rosso disseminate lungo tutte le fioriere del giardino e poi la voce del vento che tanto le faceva pensare alla sua bionda, la risacca asincrona e i piccoli molluschi striscianti tra la sabbia.

La pace e l’armonia, in altre parole la felicità, profonda ed improvvisa, che la cullarono avvolgendola in quella sera di fine estate grazie a quello scrigno marino che Kristen usava sfruttare per il relax, ma anche e soprattutto come fucina artistica raccogliendo legni di risulta per le sue istallazioni più ardite. Ad occhi chiusi Michiru si strinse nello scialle, il vestito ormai permanentemente aderente al seno, al ventre ed alla curva dei fianchi, squassato dalle folate, a volte leggere, altre meno, i capelli lasciati parzialmente sciolti ad ondeggiarle incontrollati sulle spalle e l’anima finalmente libera di librarsi fuori da una situazione nella quale non riusciva più a stare. Tutto fino a quando una voce convulsa distorta dal rombo delle onde non la raggiunse dalla porta a vetri che immetteva al giardino d’inverno.

“Dottoressa Kaiou!” Urlò raggiungendola per costringerla a voltarsi di scatto.

Il maitre, uomo attempato sulla sessantina che Michiru aveva già avuto modo di vedere declinando con gentilezza una coppa di champagne, alzò il braccio guantato nel disperato tentativo di farsi notare nella semi oscurità.

“Signora, prego…” Continuò arpionando lo stipite della porta con l’altra mano.

Scuotendo la testa disorientata, Michiru ritornò sui suoi passi aumentando l’andatura una volta raggiunta la passerella e rinfilate le scarpe.

“Che cosa è successo?” Chiese quasi ansante.

“”Il signor Marson chiede di lei!”

“Philip?!”

“Si, signora. Pare che il signor Ghallakan abbia esagerato.”

Simon, pensò seguendolo all’interno maledicendo il suo intuito e la scarsa attenzione che aveva rivolto ai due pensando solamente a se stessa.

“Presto, venga.”

E non avvertendo nessun suono anomalo proveniente dal soggiorno, Michiru non riuscì ad afferrare. “Ma cosa è successo? In che senso ha esagerato?!”

“E’ collassato nella toilette degli uomini.”

“Cosa?”

“Venga, il signor Marson è parecchio agitato.”

“Dobbiamo avvertire Kristen!” Consigliò lei, ma appena lo fece l’uomo s’impuntò bloccandole il corridoio.

“No! E’ meglio che la signora non lo venga a sapere. Sa, non è la prima volta che succede e non gradirebbe affatto dare spettacolo davanti al sindaco e al resto degli invitati.”

“Ma non ha senso!” Cercò di opporsi mentre l’altro tornava a camminare a passo svelto per gli ambienti della villa.

Passando per la cucina arrivarono ai bagni evitando gli altri invitati e quello che Michiru vide fu Simon seduto a terra con le spalle poggiate alle piastrelle del muro e Philip accovacciato al suo fianco con le mani fra i capelli.

“Philip!”

“O Michiru… aiutalo.” Mugolò guardandola come un cucciolo spaventato.

Solo allora, allo spostarsi del collega, la donna riuscì a vedere Simon a figura intera. Il corpo mollemente adagiato, gli occhi chiusi ed un allarmante rivolo di saliva biancastra ad un lato delle labbra.

“Che cos’ha preso?!” Chiese afferrando una delle tante salviette dimenticate al lato del grande lavandino prima d’inginocchiarsi accanto ai due ed iniziare a pulire il viso inerme di Simon.

“Non lo so!”

“Si che lo sai!” Rispose dura mantenendo un sangue freddo che stupì persino lei.

“Davvero… non saprei…”

Non volendo insistere, Michiru iniziò allora a frugare le tasche della giacca del biondo spostando la sua personalissima inquisizione al maitre. “Alcolici?”

“Un paio di whisky.” Rispose lui guardando alternativamente la donna e la porta con la paura che qualche ospite potesse entrare.

“La faccia finita! Non pensa che sarebbe oltremodo più sconveniente per la signora Kocc, se domani sui giornali di mezzo paese uscisse la notizia della morte di un suo ospite per overdose da barbiturici?!” Ringhiò estraendo dalla tasca interna un flaconcino di plastica arancione scuro.

“Michiru!” Squittì Philip sull’orlo di una crisi isterica.

“Stai calmo! E lei vada a chiamare Kristen. Qui c’è bisogno di un’ambulanza! Non so quante questo idiota ne abbia prese, ma il tubetto è mezzo vuoto e se accoppiate all’alcool queste pasticche sono molto pericolose.” E non fece in tempo a terminare la frase che Simon iniziò a tremare fino al culmine di una crisi convulsiva.

Dannazione, pensò Michiru prendendolo per le spalle e spingendolo a terra. “Philip dammi una mano! Dobbiamo metterlo su un fianco.”

“C’è il rischio che si morda la lingua!” Disse il maitre avvicinandosi mentre preso dal panico, Philip portava d’istinto due dita della mano destra alle labbra del compagno.

Risoluta Michiru gliele afferrò quasi con rabbia. “Ma che fai!? Vuoi che te le stacchi?! Usa un lembo della salviette!”

“Sss si…”

Con l’aiuto del maitre, che facendo leva sulla mascella con una poderosa stretta di mano fu subito in grado di aprire la bocca di Simon, Philip riuscì ad inserire un lembo di cotone evitando così il peggio.

“Che possiamo fare ora?” Chiese bloccando la testa del compagno.

“Nulla. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva. - Sospirò Kaiou rivolgendo lo sguardo all’uomo più maturo. - Adesso vada a chiamare la signora ed un’ambulanza. Per favore!” Un ordine, un consiglio, una preghiera. Michiru non seppe dare al timbro usato una giusta collocazione, sapeva solo che scemata l’adrenalina avrebbe avuto tutti i muscoli del corpo doloranti.

Lei ed il maitre si alzarono dal piastrellato quasi all’unisono, ma mentre lui stava per imboccare la porta del corridoio Kristen fece capolino dallo stipite con gli occhi più freddi del ghiaccio. L’uomo abbassò immediatamente lo sguardo mentre Michiru aggrottando la fronte pensò di non aver mai visto l’artista tanto gelida.

“Signora…”
“Vada immediatamente a prendere l’auto e lo porti all’Aleris Hospital e… DISCREZIONE!” Ordinò con voce baritonale.

“Si signora.” E scomparve dietro le spalle della donna.

“E’ meglio un’ambulanza!”

“No, Kaiou - san. Il signorino qui, ha già fatto abbastanza danno.”

“Ma…”

“Michiru… - Ringhiò avvicinandosi afferrandole il polso destro. - Non puoi salvare chi non vuol’essere salvato!”

Facendo forza l’altra riuscì a liberarsi della stretta fissandola con sfida. “Ma cosa stai dicendo!”

“Andiamo di la!” Ordinò mentre Kaiou tornava ad accovacciarsi accanto ai due.

“Sei tu la padrona di casa, ma sappi che questo comportamento non ti fa onore.”

“Onore! Sai quanti grattacapi mi abbia già dato questo piccolo imbecille?! Su, forza. Torniamo prima che qualcuno si accorga della mia assenza.”

“E’ questa la tua premura?! Pensi forse che i tuoi gentilissimi ospiti siano immuni a questo genere di cose?!”

“Possono fare ciò che vogliono e giudicarmi se credono, senza però cadere nell’esagerazione dell’indecenza!”

“Vai tu, se vuoi! Io non mi muovo di qui.” Prendendo la salviette che poco prima Philip aveva estratto dalla bocca del compagno ormai definitivamente svenuto, la portò sotto il rubinetto bagnandola.

“Michiru!”

“Credo non serva affatto la mia presenza!” Tagliò corto sfoderando anche lei uno sguardo duro che, anche se mal volentieri, convinse Kristen.

“Fai come credi!” Ed uscì come una furia.

Michiru non si fece domande mentre dava refrigerio alla fronte del biondo, ma era chiaro che pur se impegnata nell’intrattenere i suoi ospiti, l’artista fosse riuscita a notare sia la sua scappatella in spiaggia, sia il comportamento da scolaretto di Philip nei confronti del suo uomo, sia la smaniosa necessità di Simon nel cercare in un tubetto arancione la risoluzione a tutti i suoi problemi esistenziali.

“La colpa è di Simon e gli errori si pagano.” Se ne uscì pianissimo Philip una volta rimasti da soli.

“Ne abbiamo già parlato; certi caratteri sono meno forti di altri ed in un mondo come questo capita spesso di venire risucchiati nel vortice di un qualsiasi vizio.”

“No Michiru, non intendo questo. - Disse desolato iniziando ad accarezzare teneramente il viso del compagno. - Quando qualche anno fa Simon conobbe Kristen, avrebbe dovuto intuire che tipo di persona sia.”

“Spiegati. Non capisco.”

“Vedi, Kristen ha il vizio di mettere gli occhi addosso alle persone giovani e talentuose e più sono affascinanti e più lei si prodiga per farle emergere. Lo ha sempre fatto e nel nostro mondo è famosa anche per questo. Ma non è mecenatismo o bontà d’animo, è solo un sistema per manovrare a suo piacimento le persone.”

“Vuoi dirmi che conosceva Simon da molto più tempo di quel che credessi?”

“Si. Circa sei anni fa hanno avuto una relazione, fugace, ma intensissima. Poi, una volta passato il prurito, Kristen ha comunque tenuto Simon stretto a lei aiutandolo nella sua carriera e grazie ad una serie di agganci, lo ha fatto emergere. Lui è un bravo scrittore, ma non così brillante da potercela fare da solo e lo ha sempre saputo, ed è questa consapevolezza ad averlo affossato. Quando ci siamo innamorati ha provato a staccarsi dalla rete di protezione che lei aveva tessuto e di rimpetto la grande artista ha smesso di aiutarlo. Ecco perché la seconda pubblicazione è stata un flop. Non che non fosse buona quanto la prima, ma senza una forte spinta pubblicitaria e qualche telefonata qui e la, Simon non è riuscito a ripetersi.”

Ora era tutto chiaro; Kristen era una mantide religiosa che dava tutta se stessa, ma con la stessa intensità era pronta, se contrariata, a tagliare la testa del pupillo di turno.

“Michiru, stai attenta. - Se ne uscì Simon guardandola dritta negli occhi. - Sei molto brava e Dio solo sa quanto tu sia incantevole in ogni tuo aspetto, ma è lei ad avere il coltello dalla parte del manico. Se vuoi sfidarla sappi che stai giocando su un terreno molto pericoloso.”

 

 

Per assurdo che fosse, nessuno degli ospiti si accorse dell’accaduto. Il maitre caricò Simon in una delle auto della villa ed assieme a Philip partì per il centro di Stoccolma che erano le ventiquattro. Ritornata dai suoi ospiti Kristen continuò a fare gli onori di casa, passando di gruppo in gruppo come un’ape su un giardino fiorito, fredda, tutta d’un pezzo, senza manifestare alcun tipo d’emozione tanto che la stessa Michiru, abituata all’austerità della madre, se ne stupì negativamente.

Con il racconto di Philip a ronzarle nelle orecchie, la dottoressa Kaiou sfoderò con gli ospiti tutta se stessa, conscia di essere osservata e perché no, anche ammirata dall’altra. Lo fece quasi apposta, come a volerla stuzzicare, come a volerle lanciare un guanto di sfida. Sapeva combattere Michiru, lo sapeva fare ed anche molto bene. In gioventù se n'era spesso servita ed anche se da quando aveva incontrato la sua donna aveva scientemente abbandonato le armi in un cantuccio del suo coriaceo orgoglio, non voleva dire che avesse dimenticato come muoversi nella complicata arte della guerra. Il fisico, le movenze aggraziate, lo sguardo intelligente, il sorriso accattivante; tutto. Michiru usò tutto e lo fece fino alla fine della serata.

Non c’era la sua Haruka a guardarla, a spogliarla con gli occhi morendo dentro per l’impossibilità di poterla toccare in pubblico, ma comunque lo fece; per Simon e Philip e per ribadire a Kristen Kocc che nonostante l’incredibile possibilità che le stava regalando, era ancora padrona di se stessa. Improvvisamente il collega le aveva aperto gli occhi ed ora che conosceva la situazione sapeva anche come muoversi. L’indomani avrebbe messo con l’artista le carte in tavola e nonostante fosse imbestialita con la donna, l’avrebbe ringraziata per averle fatto finalmente comprendere cosa realmente Michiru Kaiou, Dottoressa in Conservazione dei Beni Culturali, girovaga del mondo, sognatrice, pittrice, donna innamorata e talentuosa amante, volesse realmente dalla vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Progetto di autodistruzione ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Progetto di autodistruzione

 

 

Uscì dal Moderna Museet invasa da un turbinio di sentimenti contrastanti; libera da una parte e profondamente triste dall’altra. Prima di andare all’appuntamento che la mattina di buon ora era riuscita a prendere con l’amministrazione del museo, Michiru era passata all’Aleris Hospital per sincerarsi sulle condizioni di Simon Ghallakan. Lo aveva trovato addormentato con Philip al suo capezzale, definitivamente fuori pericolo dopo il buon esito di una lavanda gastrica, ignaro di tutto quello che aveva fatto passare al compagno e sicuramente poco propenso ad uscire dal vortice di autodistruzione nel quale, per un motivo o un altro, si era gettato. Nel vederlo adagiato in quel letto d’ospedale, Michiru aveva ripensato ad Haruka, alle sere nelle quali aveva dovuto portarla di peso al San Giovanni, a Zurigo, alle lotte per convincerla a tirare fuori le unghie per cercare di farcela e la cosa l’aveva talmente tanto angosciata da farla trattenere con i ragazzi solamente lo stretto necessario. Se n’era dispiaciuta, ma in tutta franchezza in quella situazione non si sentiva di dare a Philip molto di più.

Così una volta fuori dalla grande struttura ospedaliera, a passo svelto aveva puntato all’isola di Skeppsholmen pronta a realizzare il suo progetto.

Il mio progetto di autodistruzione, se la rise pensando alla faccia che Kristen avrebbe fatto quando sarebbe stata messa a conoscenza di tutto. Michiru era contenta della scelta che aveva fatto, certo da una come lei poteva considerarsi una sconfitta, ma alla luce di tutto quello che aveva visto negli ultimi giorni e a mente lucida, non aveva trovato alternative migliori. Così con l’aiuto di due comode stickers bianche, attraversò la ciclabile che circumnavigava l’isola per fermarsi qualche istante ad osservare il blu intenso del mare poco oltre. Le sarebbe mancato, come in ogni suo viaggio dove si sentiva avvolta dalla sua fragranza e della sua voce.

Poggiando gli avambracci al corrimano zincato incurvò le spalle in avanti stirando le labbra. Con molta probabilità farò un piacere a tutti, pensò rabbrividendo ad una folata di salsedine.

 

 

“Yes, of course. See you soon.” Kristen chiuse l’I phon allacciandosi la camicia di lino blu tornando poi a sorseggiare la tazza di caffè nero in pieno stile newyorchese che si era fatta portare dal servizio in camera. Grazie al cielo non era una donna che necessitava di grandi porzioni di sonno per ricaricarsi, anche se quella mattina si sarebbe cullata volentieri fra le lenzuola per un’altra ora buona. La sera precedente aveva dovuto tenere testa ad una serie d’imprevisti per niente piacevoli ed anche se la cena aveva soddisfatto praticamente tutti, l’essere stata costretta a quel tour de force l’aveva parecchio stancata. Soprattutto psicologicamente.

Visto quello che era successo a Simon, Philip non sarebbe stato operativo per almeno gran parte della giornata, così sarebbe toccato a lei gestire la situazione; gli sponsor, un’intervista e il maestro Marinof in testa. Quante idee aveva quell’uomo e quanto poco propenso era a metterle realmente in pratica. Il tempo era scarso e due temporanee come le loro avevano bisogno di un progetto che avesse dei punti fermi. E poi c’era Kaiou che non aveva ancora firmato ne il contratto, ne l’assicurazione chiodo a chiodo che avrebbe permesso ai suoi quadri di partire da Berna.

Fra le tre, la temporanea di Michiru era quella che la preoccupava di meno, soprattutto perché aveva notato nella donna più giovane una certa affinità con le idee e la personalità di Philip. Quello che invece l’impensieriva era il carattere ostinato della bernese. La determinazione con la quale la sera precedente le si era opposta poteva diventare un problema, in particolar modo perché Kristen non era affatto abituata ad essere contraddetta o messa in discussione da nessuno.

Sedendosi in una poltrona che dava sull’unica finestra della sua camera d’albergo, accavallò le gambe guardando il mare poco oltre. Forse era la prima volta in tutta la sua vita che incontrava una persona capace di tenerle testa senza che si fosse tra le lenzuola di un letto e a dirla tutta, nel profondo, la cosa le piaceva. Michiru aveva un carattere gentile e propositivo, ma guai ad andare contro i suoi principi.

“Mia cara Kaiou-san, nel mondo dell’arte i principi non vanno assolutamente d’accordo con la carriera.” Ed improvvisamente curiosa, si chiese come potesse essere il rapporto tra lei e la donna bionda che l’era stata presentata al vernissage di castel Grande.

A prima vista Haruka Tenou era sembrata una donna strafottente e molto sicura di se, taciturna, ma al contempo capacissima di sostenere una conversazione pungente. Un carattere forte insomma, che l’artista poco riusciva a vedere unito a quello altrettanto guerriero di Kaiou. Evidentemente era proprio quest’ultima a saper guidare la coppia, tanto è vero che nonostante il pochissimo preavviso e con un lavoro già avviato, Michiru era riuscita a partire per Stoccolma senza nessunissimo problema.

Stirando le labbra in una posa sardonica, Kristen continuò ad assaporare il denso liquido scuro fino a quando due tocchi bene assestati alla porta dell’anticamera non la fecero voltare di scatto. Corrugando la fronte domandò chi fosse.

“Michiru.”

Michiru? Pensò alzandosi piano per andare ad aprire.

Mani nelle mani liberamente appoggiate al grembo, Michiru le appari come la più classica delle liceali in gita scolastica. Kristen sbatté le palpebre ai jeans ed alla camicetta bianca dalle maniche corte leggermente sblusate che mai le aveva visto in quei giorni. Senza un filo di trucco. Senza sul viso la traccia di una qualche minima preoccupazione lavorativa.

“Kaiou-san?!” Si ritrovò a farfugliare non riuscendo a sovrapporre la donna sexy della sera precedente con la semplice creatura che le stava ora davanti.

“Ti disturbo?” Chiese l’altra notando i capelli argentati dell’artista ancora bagnati e completamente tirati all’indietro.

“No, ma… Non ricordi che alle dodici e trenta abbiamo un’intervista?”

“Tu e il maestro Marinof l’avete. - Puntualizzò sorridendo sicura. - Hai cinque minuti? Dovrei parlarti.”

Quella richiesta portò Kristen completamente fuori strada. Facendole spazio la lasciò passare richiudendo la porta.

“Immagino si tratti di quello che è accaduto ieri sera.”

“In realtà… , no.”

“No?”

“In verità sono rimasta sveglia per tutta la restante notte a chiedermi perché tu possa esserti comportata tanto freddamente, giungendo alla conclusione che prima di tutto non sono cose che mi riguardano e secondo, non conoscendo praticamente nulla del tuo rapporto con Simon non ho basi per capirti.”

Stranamente più sollevata, l’artista posò la tazza sul tavolino accanto alla finestra. “Mi stupisci sai!?”

“Perchè?”

“Ti facevo un tipo abbastanza elastico, ma non credevo che arrivassi addirittura a non giudicarmi.” Disse invitandola a servirsi della caraffa di spremuta d’arancia che Michiru però declinò scuotendo la testa.

“Credi forse che non l’abbia fatto? Non sono tanto nobile. - Puntando lo sguardo alla finestra semi aperta perse lo sguardo al mare. - Ho detto di non poterti capire, non che non ti abbia giudicata e credimi, l’ho fatto anche abbastanza ferocemente, perché qualsiasi cosa possa averti fatto Simon, o per giunta Philip, non meritavano la totale mancanza d’empatia che hai avuto questa notte. Ma comunque ti ripeto…; non sono venuta qui per parlare di loro.”

Quelle parole furono per l’artista come un coltello sulla pelle, ma cercando di soprassedere iniziò ad infilarsi la giacca del tailleur guardando poi l’orologio. “Sarebbe cosa gradita che anche tu presenziassi all’intervista.”

“Non ne vedo il motivo…”

“Perché anche se la tua sezione sarà marginale, è bene che tu venga. Tanto più che visto la latitanza del curatore…”

“E’ per una giusta causa.”

“Immagino.”
“Non vuoi neanche sapere come stia Simon?”

Kristen ebbe un moto di stizza. “Kaiou-san, i tuoi splendidi occhi sono asciutti e vispi come sempre, dunque arguisco che sia andato tutto bene.”

Nell’ascoltarla Michiru ebbe la riprova che la scelta che aveva fatto durante quella notte insonne era giusta e sacrosanta, così parlò tutto d’un fiato e senza lasciare all’altra una possibilità d’interromperla.

“Sai, ci sono persone che ricordano il proprio passato lo fanno tenendo bene a mente solo le cose negative, altre invece, tutto l’opposto. Io sono di quest’ultima categoria ed infatti mi ero completamente dimenticata perché anni addietro rinunciai a questa carriera. Mi ero convinta che fosse solo per la fatica con la quale sarei potuta emergere, ma in realtà lo feci per il disagio di avere a fianco artisti come te. Non che tu sia una cattiva persona, altrimenti non riusciresti a creare cose tanto belle, ma il menefreghismo con il quale tratti tutti coloro che tu reputi inferiori, mi lascia totalmente senza parole.”

“Non parlare così solo per aver sentito la campana di un artistoide fallito.”

“Philip mi ha detto di come hai aiutato Simon, come sia stata generosa con lui, ma ha anche specificato quanto tu sia stata altrettanto rapida nel togliergli ogni forma di aiuto. E questo è un fatto, visto che ridendone perfino sopra, ieri sera alcuni tuoi amici mi hanno confermato la cosa.”

Colpita a freddo l’altra stava per controbattere, ma Michiru fu più veloce e facendo un passo verso di lei continuò senza esitazioni. “Ne ho conosciute di persone come te. Li chiamano mecenati guida; artisti di fama internazionale che hanno come hobby lo scegliersi degli adepti da seguire e far crescere. In alcuni casi la cosa può anche risultare vincente, una buona opportunità per entrambi, ma in altri il tutto può diventare alquanto squallido.” Michiru lasciò volontariamente cadere la frase attirandosi contro lo sguardo glaciale di Kristen.

“Hai finito?! Mi sembrava avessi detto di non essere venuta qui per parlare di quei due.”

“Esattamente. Era solo un preambolo.”

“Per cosa?” Chiese sarcastica avvicinandosi talmente alla più giovane da sentirne in calore del viso sul proprio.

“Te lo dico schiettamente; io non sono Simon.”

“A si? Ne sei proprio sicura Kaiou.san? Perché mi sembra che tu non abbia battuto ciglio nell’accettare il mio invito ad esporre a Stoccolma.”

Sostenendone lo sguardo, Michiru ammise di aver peccato di superbia nel credere che le sue opere giovanili fossero tanto valide da potere essere paragonate a quelle di due artisti come lei ed il maestro Marinof.

“Tanto bella quanto intelligente. E in cosa saresti diversa da Simon?” Sfidò Kristen afferrandole improvvisamente il mento con pollice ed indice.

“Lasciami!” Facendo due passi indietro l’altra si liberò di quel tocco ricordando le parole di Philip.

Michiru, stai attenta. Sei molto brava, ma è lei ad avere il coltello dalla parte del manico, e forte della sua scelta si sentì un gigante.

“Devi scegliere Kaiou-san! O i tuoi principi…, o l’arte.”

Allora disegnando un sorriso sempre più marcato che spiazzò non poco l’artista, Michiru respirò a pieni polmoni il leggero odore di salsedine unito a quello del bagnoschiuma ancora proveniente dal bagno.

“C’è solo una persona che possa farmi scendere a compromessi e non sei tu.”

Scoppiando in una fragorosa risata Kristen si avvicinò nuovamente e questa volta lo fece con tutte le intenzioni del caso. Michiru l’aveva sempre attratta, ma da quando aveva iniziato a scorgere il fuoco che le ardeva dentro e complice il fatto di aver saputo della sua omosessualità, la cosa aveva preso la piega di una vera e propria ossessione.

“Cosa ci sarebbe tanto da ridere?!”

“O mia cara Kaiou-san, davvero non capisci?”

Non indietreggiando più di un centimetro, Michiru rese gli occhi simili a due fessure. “Illuminami…”

”La questione è semplice…; se vuoi continuare quest’avventura artistica, come ti ho spesso sentito chiamarla, non devi far altro che assecondarmi. Sono una mecenate guida che spesso pecca di superbia, è vero, ma non mi si può addossare una croce solo perché desidero circondarmi di belle persone.”

“Vuoi dire persone che t’idolatrino.” Puntualizzò avvertendo le dita della sinistra dell’artista all’altezza del fianco.

“Proviamo a metterla sotto una luce diversa; non potrei essere io la vittima? L’artista sfruttata per il suo talento e le sue conoscenze?”

Il tocco si fece più intenso provocando in Michiru un senso di disagio misto a piacere, ma continuò comunque a mantenersi fredda. Esclusa la sua donna, era tanto che non si sentiva desiderata in quel modo e in un cantuccio del suo orgoglio femminile la cosa le fece dannatamente piacere.

“Non asseconderò le tue voglie solo per un lavoro. Se pensi questo di me allora non hai assolutamente capito come sono fatta.”

“Si dice che tutti abbiano un prezzo. - Soffiò provocandone un leggerissimo brivido.- Sentiamo Kaiou-san, tu in cosa saresti diversa da Simon Ghallakan?”

Scattando la sinistra al polso destro dell’altra per bloccarne qualsiasi altro movimento e consapevole del non voler più tornare indietro, Michiru parlò con voce calma. “La differenza tra noi sta nel fatto che io non sono assolutamente disposta a rinunciare alla mia famiglia per il successo, mentre lui si.”

L’artista sbatté le palpebre spiazzata mentre la più giovane continuava. “Questa mattina ho presentato ufficialmente il mio ritiro e non c’è nulla che tu possa offrirmi perche possa cambiare questa decisione.”

“Vuoi lasciare tutto?!”

“L’ho già fatto.”

“Staresti rinunciando all’opportunità di una vita,… per lei?”

“Sto rinunciando ad una temporanea,… per NOI.” E quel pronome non racchiudeva solo la sua donna, ma anche la sua stessa vita.

“Questa temporanea, come la stai semplicemente chiamando, potrebbe aprirti le porte del successo. L’amore è una cosa effimera. La carriera no!”

Michiru non aveva fatto quella scelta solo perché con molta probabilità il suo rapporto con Haruka ne avrebbe risentito forse in maniera irrimediabile. Era la sua quotidianità a mancarle, il suo essere riuscita, dopo una vita di ricerca, a trovare una sua dimensione in un posto da poter finalmente chiamare casa e non ci avrebbe rinunciato per lo schiribizzo di un momento.

“Non credere che presentare la mia rinuncia non mi sia costato, sbaglieresti, perché come hai detto sono sufficientemente intelligente per capire che un’opportunità del genere non capita spesso. Quello che però mi lascerei alle spalle non ha prezzo. E poi… - Lasciando il polso di Kristen, Michiru fece per tornare verso l’uscita. - … anche se non avessi una compagna che mi aspetta, non accetterei mai di sottostare ai tuoi voleri per emergere. Forse è vero che tutti hanno un prezzo…, ma questo non è il mio.”

“Metti orgoglio e cuore da parte e ripensaci! Perché così agiscono solo gli idioti!”

“Arrivederci Kristen.”

“Kaiou! - Imperò la svedese facendola bloccare sulla porta. - Se hai parlato tanto con Philip saprai che se voglio posso anche essere molto vendicativa. Se esci da questa stanza posso garantirti che come curatrice, il nome di Michiru Kaiou non comparirà mai più in una mostra di una qualsiasi struttura museale europea!”

“Scusami?! Cosa sarebbe questa, una minaccia?”

“Un avvertimento…”

Ci fu un momento di stallo in quella camera d’albergo nel Gamla Stan di Stoccolma, un momento nel quale l’aria sembrò rarefarsi, i suoni esterni smorzarsi e i movimenti azzerarsi. Poi, senza quasi batter ciglio, Michiru schiuse le labbra in un sorriso tronfio incredibilmente simile a quelli che la sua donna faceva prima di tirar fuori qualche sfondone.

“Kristen…, te lo dico di tutto cuore… Ma vai allegramente a farti fottere!” E forzando il palmo sulla maniglia la dottoressa Kaiou uscì finalmente rivestita della sua dignità intellettuale.

 

 

Il giorno dopo, di buon ora ed ignara di tutto, nel suo ufficio al centro Ducati di Bellinzona, Haruka stava scrivendo una relazione al computer quando il cellulare le squillò sulla scrivania. Aggrottando le sopracciglia riconobbe la suoneria da cartone animato che aveva affibbiato alla sorella e di malavoglia rispose senza staccare gli occhi dal monitor.

“Giovanna, che c’è? Lo sai che sono impegnata…” Disse rileggendo le ultime due righe battute velocemente.

Una decina di secondi e partì la prima imprecazione agli dei della velocità. “Ma come rotta?! Hai chiamato un carro attrezzi? Ecco, bene… E allora cosa vuoi da me?”

Altri dieci secondi di spiegazione sul perché e per come dovesse scomodarsi nell’andare a prendere la maggiore bloccata in una stradina vicino il bel vedere di Montebello e la bionda cedette sospirando pesantemente.

“E va bene, rompi palle! Stai ferma li. Vedo di staccarmi e arrivo.” Garantì riattaccando.

Ma guarda che rottura, pensò alzandosi dalla sua scrivania per andare a prendere il giubbotto abbandonato sulla poltrona di fronte a lei. Quel giorno Haruka avrebbe tanto voluto essere figlia unica.

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Capitolo 15
*** I gesti che non ti aspetti ***


La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

I gesti che non ti aspetti

 

 

Dopo aver piantato il cavalletto a terra, Haruka smontò dalla sella sfilandosi il casco. Meno nervosa di quando era uscita dal capannone della sua scuderia, cercò comunque di respirare affondo per stemperare l’ultima stilla omicida che sentiva di stare provando per Giovanna. Le aveva detto un’infinità di volte di cambiare quello scassone d’auto, ma niente. Ora, come al solito, spettava a lei pagare le spese di una sorella più testarda di un mulo.

Sgranchiendosi il collo chiuse il casco nel sottosella guardandosi intorno. Ma dove diavolo sei!? Pensò trasformando gli occhi in due scanner. La piazzola dove aveva parcheggiato dava sulla salita pedonale che portava al belvedere, mentre dalla parte opposta fronte strada sorgeva un ristorante dove non vi era assolutamente anima viva. Della macchina di Giovanna neanche l’ombra.

“Se te ne sei andata via con il carro attrezzi…, ti polverizzo!” Masticò afferrando l’I Phon.

E li, al lato dello schermo, l’icona riferita alla sorella che le notificava l’arrivo di un messaggio.

Ho lasciato la macchina nei pressi della banca. Ti aspetto al chioschetto del belvedere. Raggiungimi li.” Annunciava serafica.

Corrugando la fronte ed invocando tutti i Santi a lei noti, Haruka spostò lo sguardo alla lunga salita che s’inerpicava sul fianco della montagna. Troni, Dominazioni, non risparmiò nessuno.

“Ma stiamo scherzando?! Perché dovrei farmi tutta quella scarpinata? Fotte un cazzo che ti sia venuta fame!” E lasciando scattare il pollice destro sull’icona del cornetta innescò la chiamata.

Due, tre, quattro squilli. Ma niente. Così il nervosismo tossico leggermente scemato dopo una bella corsa in moto, tornò a montare costringendola a percorrere a passo di carica i duecento metri di dislivello che dividevano la parte bassa della città con quella mozzafiato del belvedere. Sudando come una bestia da savana, s’inerpicò guardando i suoi poveri stivali da moto riempirsi di un sottile strato di polvere ad ogni falcata sbuffata con fatica. Giacca nell’incavo del braccio sinistro, arrivò al chioschetto indicatole circa dieci minuti dopo, ma li di Giovanna nessuna traccia. Visto che il posto era enorme, con una sessantina di piantumazioni secolari, parecchie viuzze cinte da arbusti e siepi, Haruka avrebbe impiegato una vita se quella disgraziata non avesse risposto al telefono.

La bionda provò allora a chiamarla nuovamente lasciando squillare il cellulare per diversi secondi, ma a quella latitanza dovette per forza di cose abbassarsi a chiedere aiuto al gestore del bar. “Scusi? - Lo richiamò vedendolo sorriderle ben disposto. - Starei cercando una donna sulla quarantina. Alta più o meno così. Mora. Capelli corti. Occhi chiari. Molto probabilmente vestita con un paio di pantaloni ed uno spolverino di renna.”

E alla negazione dell’uomo Haruka rimase come una fessa con il palmo della destra sospeso ad un’altezza di circa un metro e sessanta.

“Ne è sicuro?!”

“Si signora. Nei giorni infrasettimanali a quest’ora non c’è molta gente e me la ricorderei.”

“Ok. Grazie.” Borbottò poco convinta scendendo dalla pedana di legno dove sorgeva il chiosco. E adesso? Un rapido giro poteva anche farlo, ma sta di fatto che stava perdendo tempo che non aveva per star dietro ai capricci idioti di sua sorella.

“A volte sembra che la maggiore sia io!” Ringhiò piantandosi le mani nelle tasche decisa ad inoltrarsi nella parte più ombrata dell’area.

Poi tutto d’un tratto, lo squillo familiare riferito alla sua donna le riempì le orecchie bloccandole di colpo il passo. Ingoiando afferrò l’I phone dalla tasca della giacca rispondendo subito dopo.

“Michi?”

“Ciao amore!” Inaspettatamente gioviale, Kaiou riuscì a spiazzarla tanto da farla sorridere.

“Hei! Da quanto non ti sentivo tanto allegra.” Sfotté bonariamente tornando a camminare per uno dei viottoli.

“Perché non dovrei? Oggi è una bellissima giornata! C’è un sole.”

“Veramente anche qui, anche se ha rinfrescato parecchio dopo il temporale di questa notte.”

“A si?”

“Già. Allora, come procede?” Chiese cercando di non badare a quanto si sentisse in difetto a causa di Martah Holland.

“Direi che le cose hanno preso una piega del tutto imprevista.”

“Problemi?”

“Tutt’altro. Ma non voglio annoiarti. Tu? Cosa stai facendo di bello?”

“Lasciamo perdere. Non ci crederai, ma sono al belvedere.”

“Dove?”

“Hai capito benissimo! A Giovanna si è rotta la macchina… Ancora.”

“… E fammi indovinare; ti ha chiesto di venirla a prendere e di parlare con il carro attrezzi.”

“Esattamente.” Confermò l’altra scorata.

“E a chi altri avrebbe dovuto chiedere uno strappo?”

“Per esempio a Stefano?!”

“Ruka…”

“Si, lo so Michiru. Però, che palle! Con tutte le stramaledette cose che ho da fare oggi. C’è poco da parlare, quel catorcio è da rottamare.”

“Amore…” Un sospiro e la Dottoressa Kaiou affermò sicura che se fosse stata a Bellinzona la sua donna si sarebbe certamente data un freno.

“Può essere, ma sta di fatto che ora non ci sei e che sono io a dovermi sciroppare le alzate d’ingegno di Giovanna!”

“Allora cerca di ricordartelo.”

“Cosa?”

”Quello che hai appena detto; ovvero che se fossi a casa ti daresti una calmata nel parlare con questo lessico da scaricatore di porto.”

Ascoltate quelle parole la bocca della bionda si dipinse di un sorrisetto beffardo, quasi di sfida, come se in otto anni di vita di coppia, quelle stesse labbra che un’infinità di volte avevano assaggiato ogni centimetro quadrato di quella donna, non avessero ancora imparato l’arte unica della cautela. E di fatti…

“Si Kaiou, si.” Tacitò forte della lontananza dalla sua dea.

“Scommetto che il barattolo sarà rimasto come l’ho lasciato.” Giocò Michiru di sarcasmo.

“Non proprio, ma non è affatto colpa mia.” E la bionda se la rise voltando il vialetto per ritrovarsi sulla spianata meridionale del belvedere.

Scattando la testa a destra e a sinistra strinse la giacca come se fosse stata un morbido collo. “Ma dove cacchio è?!” E riprese a camminare ancor più speditamente.

“Ascolta Ruka… Perché non rallenti un attimo?”

“Te l’ho detto Michi… Ho da fare in scuderia! E devo trovare quella casinista prima di subito!”

“Sarò più chiara… Fermati!” A quell’ordine perentorio Haruka bloccò il passo fissando lo schermo, mentre uno strano eco faceva rimbalzare la voce di Michiru dall’I phone alla sua schiena.

Portando nuovamente l’apparecchio sull’orecchio la bionda si fece attenta mentre il fenomeno si andava amplificando di secondo in secondo.

“D’accordo che sei arrabbiata, però Tenou…, sembra proprio che tu stia girando a vuoto.”

Voltando il busto di tre quarti Haruka rimase impietrita. Michiru la stava raggiungendo camminando con la sua solita postura calma e sicura.

“Mi… chi…ru?!”

“Ma lo sai da quanti minuti sono che ti sto dietro?” Chiese fermandosi a pochi centimetri dalla compagna.

“Ma che caz..”

“Basta… - La bloccò posandole indice e medio sulle labbra. - Ho tanto l’impressione che in mia assenza ci si sia un po’ troppo lasciate andare, vero? E sono passata anche per casa. Amore… è un macel…” Ma Michiru non riuscì a terminare la frase, perché arpionandole la vita con la destra, la bionda se la strinse contro rubandole le labbra in un passionale bacio.

Bacio che l’altra ricambiò con lo stesso ardore ribadendo per l’ennesima volta a se stessa quanto la decisione di lasciare Stoccolma ed il suo sogno di riprendere la carriera di pittrice fosse stata giusta.

 

 

Impareggiabili. Le labbra della sua donna erano semplicemente uniche e mentre le assaporava con quell’ardore tipico del suo carattere, Haruka si domandò come avesse potuto cercarle altrove. Quella di cedere per una frazione di secondo ad un’altra donna era stata una cosa umana, soprattutto visto il periodo, ma nonostante ci avesse pensato e ripensato frantumandosi il cervello, solo in quel momento la bionda riuscì finalmente a capire fino in fondo, quanto cercare Michiru in un’altra fosse stato idiota, avvilente e soprattutto irrispettoso, sia per lei che per la stessa Martah. Poggiando la fronte su quella della compagna sospirò afferrandole la mano.

“Mi sei mancata da morire…”

“Lo so. Anche tu.”

“No… - Disse tornando a guardarla. - … Non credo tu sappia quanto.”

“Vuoi sempre avere il punto, eh?”

“Questa volta no… E voglio spiegartene il motivo.” Ammise guidandola verso una panchina di legno poco lontana.

Aggrottando la fronte Michiru scherzò sul fatto che anche se la bionda non era la persona più curiosa del mondo, un paio di domande sul perché se la fosse ritrovata davanti avrebbe anche potuto fargliele. “Tanto per darmi soddisfazione.” Aggiunse con un bel sorriso.

“Immagino che per la solita burocrazia idiota la temporanea stenti a partire e nel farmi questa sorpresa ci sia anche l’ombra della solita Giovanna.”

“E’ stata mia l’idea della macchina. Volevo vederti in un bel posto.”

”A si?” Chiese l’altra invitandola a sedersi imitandola a sua volta.

“Ruka, sei strana.”

“Prima che tu mi spieghi bene del perché della tua improvvisata, vorrei parlarti un attimo di una cosa. Una cosa importante Michi.”

“Ti ascolto…”

“Non è la prima occasione che vai via, che ci lasciamo per un po’, ma questa volta l’ho accusata molto più del solito. Tanto che… - Non riuscendo a sostenerne lo sguardo, spostò le iridi al pulviscolo terroso delle sue scarpe. - Mi sono ritrovata a cercarti in altre donne. Fisicamente intendo.”

Improvvisamente Michiru spense il sorriso irrigidendosi. Si era resa conto che negli ultimi giorni nella compagna c’era stato un netto raffreddamento, ma presa da Kristen, l’Amministrazione del Moderna Museet, Simon, Philip e le sue mille paure sul non riuscire ad essere all’altezza di quell’occasione, non aveva avuto la testa per cercare di far luce su quell’anomalia. Ora se ne stava pentendo.

“Cosa vuoi dirmi Haruka?” Chiese piatta guardandola sospirare ancora.

“Lo so che tu sei unica e bellissima, ma nell’ultimo fine settimana ho avuto un atteggiamento del cazzo riferito ad una rivenditrice incontrata a Sion. E si, lo so che vuoi che parli pulito, ma lasciamelo dire perché è giusto che tu sappia che la tua assenza mi ha fatto agire proprio di merda. Mi manchi da star male e non so cosa mi è pres...”

”Hai fatto qualcosa di ... irreparabile?”

“No, Michi.”

“E’ il caso che mi preoccupi?!”

Tornando a fissarla, Haruka scosse la testa con veemenza. “Assolutamente NO!”

”Mi ami?!”

Tenou raddrizzò tutta la colonna. ”Si, mia dea. Ti amo e ti assicuro sulla mia vita che da quando sei partita lo sento ancora di più!”

“E allora basta così!”

“Ma,...Michiru…”

“Allora basta così. - Rimarcò sicura, anche se un tantino destabilizzata dal proiettile schivato. - Mi fido di te, Haruka. Comunque se è della lontananza che ti stai preoccupando tanto, allora sappi che il problema non si pone più.”

“In che senso? Non capisco.”

“Ho mollato. Ho mollato tutto.”

“Cosa?!”

“Esattamente. E non è solo per il fatto di essermi resa conto di quanto quel mondo sia diventato arido, ma anche e soprattutto perché i problemi che avevamo già prima che partissi non avrebbero mai potuto risolversi se fossi rimasta a Stoccolma.”

“Era il tuo sogno!”

“No Haruka! Credevo lo fosse e non posso negarlo, ma in realtà è il mio rapporto con te che m’interessa più di tutto. Sto bene in questo posto, nella nostra casa, con le piccole soddisfazioni di un lavoro in un centro che non ha tutte le lordure di una grande metropoli.”

“Michiru… - Accarezzandole un braccio Haruka dimenticò per un attimo la sua confessione. - E’ successo qualcosa che dovrei sapere?”

“Nulla di grave che non abbia già risolto. Ti racconterò, ma ora voglio che tu mi dica che è tutto ok.”

”Più o meno.”

“C’è dell’altro?!” Spazientita Michiru diede cenni d’insofferenza tanto che la bionda ritirò la mano tornando a posarla sulla stoffa dei jeans.

“Non riferito ad altre donne, stai tranquilla. Vedi, anche io mi sono accorta che nell’ultimo periodo le cose fra noi non vanno più nel verso giusto e ho iniziato a pensare a quale potesse essere la causa e sono arrivata alla conclusione che la colpa sia del poco tempo che posso dedicarti. Anche tu sul lavoro hai dei momenti stressanti, ma una temporanea è appunto, una temporanea, invece un lavoro a tempo pieno, il mio lavoro, è un impedimento.”

“Cosa vuoi dire?”

“C’è solo una cosa che ha portato uno squilibrio nella nostra vita ed è il tempo che ho iniziato a passare dietro al restauro della Winchester, perciò dovrei tirami fuori dal progetto, ma in tutta coscienza non posso chiedere a Stefano e a suo fratello di rilevare la mia quota. Sono sotto spese e sarebbe una bastardata. Allora ho pensato che l’unica alternativa per riappropriarmi dei nostri spazi sia quella di rinunciare ad altro, perciò considerando anche il fatto che tu non abbia mai visto di buon occhio il mio ruolo di collaudatrice, ho deciso di dare le mie dimissioni da Primo pilota.”

Haruka parlò tutto d’un fiato senza fare pause ad effetto o chissà cos’altro. Quell’abbandono era importante, forse al pari di quello di Michiru e pur nella sua drammatica coerenza, la donna ci aveva messo parecchio tempo per accettarla.

Aspettandosi chissà cosa Haruka guardò nuovamente il viso della compagna e quello che vi lesse fu la più totale ilarità. Coprendosi la bocca con la destra Kaiou scoppiò a ridere scuotendo la testa.

“Non dire assurdità!”

“Non è un’assurdità!” Rispose alzando la voce spegnendo immediatamente quel sorriso.

“Rinunciare ad una cosa che ti piace da sempre, nel quale sei brava e che in più ci porta denaro, non la trovi un’assurdità ?! Bene Tenou, io si!”

“Michiru è un discorso tra me ed il mio fisico che tanto prima o poi avrei dovuto affrontare, perciò meglio farlo adesso.”

“E’ vero che nel tuo campo quarant’uno anni iniziano ad essere tanti, ma conducendo la vita che conduci potresti ancora avere tre, quattro anni di carriera. In fin dei conti è quello che mi hai sempre detto; tenere botta il più possibile per poi dedicarti interamente alla gestione dell’officina affiancando al Capo Smaitters. Hai già rinunciato alle trasferte… non ritengo giusto che tu faccia quest’ulteriore sacrificio!” Controbatté decisa.

Haruka tornò a guardare altrove, questa volta lontano, alla terrazza del belvedere che si apriva ad una cinquantina di metri da loro. Quanto le stava costando quel discorso e non soltanto per la scelta di abbandonare uno dei lavori per lei più belli del mondo, ma anche per la consapevolezza dell’ineluttabile scorrere del tempo.

“Il giorno dopo essere scesa in pista mi fa sempre male da per tutto ed anche se le sedute di crioterapia migliorano la situazione, mi ci vuole sempre più tempo per riprendermi e non posso certo continuare a masticare anti infiammatori come se fossero caramelle.”

A quelle parole Michiru, da sempre restia all’utilizzo di quella roba, sembrò pensarci su. La compagna non aveva certo torto, ormai non si contavano più le volte che la ritrovava distesa sul letto a mugugnare in cerca di un massaggio alla schiena. Ma era una decisione quella che non poteva accettare. Non ora.

“Ti parlo francamente amore, se mi avessi fatto questo discorso anche solo un anno fa, non avrei battuto ciglio, anzi, lo sai che sono terrorizzata quando scendi in pista per collaudare una di quelle belve. Ma non adesso...”

“Michiru…”

Alzando la mano la compagna la pregò di farla continuare. “Non credo sia questo il momento di lasciare una parte della tua carriera e non soltanto perché conoscendoti vivresti di rimpianti avvelenandoti la vita, ma anche perché non sarebbe giusto. Hai faticato tanto per ottenere quel posto e meriti di ricoprirlo. In questi ultimi anni ho visto correre al tuo fianco almeno tre Secondi piloti e nessuno con le tue capacità! Nessuno degno di prendere il tuo posto. E non lo dico perché sei la mia donna. Ce li ho anche io gli occhi per vedere quanto sei brava, quanto riesci a diventare un tutt’uno con le moto che contribuisci a creare.”

Haruka sbatté forte le palpebre. A parlare era veramente la sua compagna?

“Ma se sono anni che non vieni più in pista a guardarmi correre.”

“Ci sono altri modi.” Ammise abbassando leggermente il timbro.

“Le registrazioni?”

“Alcune volte il Capo Smaitter me le manda e li, sapendo che non ti è successo nulla, riesco a guardarmele serenamente e sei brava amore mio. Tanto.”

Improvvisamente alla bionda mancò il respiro. Da sempre aveva il desiderio che Michiru prendesse ad incoraggiarla anche quando ricopriva il ruolo di Primo pilota, che s’interessasse di più al mondo dei motori.

“Lo so di averti sempre ostacolata come collaudatrice, ma non puoi negare che sia un lavoro pericoloso. Forse penserai che quando parli di motori io non ti ascolti, ma non è così. Per esempio so quanto poco ti piaccia correre con la luce radente dell’autunno o con gli pneumatici troppo morbidi. Come so quanto fastidio ti diano le righe verdi e rosse che segnalano le curve del circuito di Bremgarten e quanto consideri poco attendibile la pedana di simulazione che avete in scuderia. Per non parlare della sella della V4, che continui a considerare troppo scomoda se paragonata alla tua Panigale e cento altre cose che borbotti di continuo quando vai su e giù per casa.”

“Michiru mi stupisci. Adesso mi sento un’imbecille!”

“Haruka non amerò mai il saperti in pista e scordati che io ti dia corda, ma non per questo posso trovare corretto il disinteressarmi di quello che fai.”

“Io credevo che saresti stata felice della mia decisione.”

“Si, ma ti ripeto…, non ora. Non così. In qualche modo faremo, come sempre. Soprattutto ora che sono di nuovo a casa. E poi… - Ridacchiando le portò una mano dietro al collo iniziando ad accarezzarglielo. - … sarà meglio tenercela stretta la tua seconda busta paga.”

“Merda, non ci avevo pensato! Potresti perdere il posto al museo!”

“Se fosse per il signor Miller, non credo. Non vorrei peccare di superbia, ma anch’io sono brava in quello che faccio e non è facile rimpiazzarmi. Ma la mia rinuncia ad esporre a Stoccolma ha fatto imbestialire Kristen.”

“E allora? - Chiese l’altra socchiudendo gli occhi mentre Michiru alzava le spalle facendole intuire quale potessero essere le conseguenze del suo abbandono. - Ma che grandissima bastarda!”

“E’ molto probabile che il Direttore abbia già ricevuto un’accoratissima telefonata dai toni minacciosi e visto che non è un uomo dotato di chissà quale carattere, mettiamo in conto che la sua offerta di aspettarmi a braccia aperte possa essere già passata in cavalleria.”

Sbattendo il pugno destro sulla coscia, Haruka si morse un labbro per evitare di dar vita ad una serie d’inenarrabili sfondoni.

“E poi c’è dell’altro.” Continuò Michiru non fermando le carezze.

“O Dio, Michi…”

“Aspetta a lagnarti. Non è una cosa brutta, anche se potrebbe dare noia alla mia carriera di restauratrice.”

“Con questo preambolo non dovrei lagnarmi?!”

Chinando leggermente la testa da un lato, Kaiou sfoderò una delle sue classiche espressioni dolci ed alzandosi dalla panchina tirò su Haruka. Afferrando la borsa dimenticata sulle assi verdi, l’aprì tirando fuori una scatolina rettangolare lunga circa quindici centimetri. Aprendo il coperchio lasciò che la sua bionda intravedesse il fregio di una Winchester.

“L’ho trovato in un negozietto del Gamla Stan. 1919. Originale, naturalmente. Non potevo non comprarlo. Ti piace?”

Dopo un momento di ovvio stupore, sul viso di Tenou andò delineandosi un sorriso enorme. “O Michiru… E’ fichissimo!”

“Appena ho visto dei pezzi d’epoca esposti in vetrina sono entrata per prenderti un pensierino, ma poi parlando con il proprietario è saltato fuori questo. Adesso non potrai più dirmi che non m’interesso a quella specie di bicicletta a motore.”

“Hei! Un po’ di rispetto.” Ma proprio quando stava per prenderlo, l’altra ritrasse un poco la scatola.

“Aspetta…”

“Che c’è?” Non capendo la bionda guardò entrambe alternativamente.

“Allora, visto che sono anni che aspetto che sia tu a farlo, sarà il caso che mi decida io.” E rimettendo sulla seduta della panchina la borsa dimenticata nell’incavo del braccio, iniziò a fissare Haruka in modo strano, quasi pudico e dopo aver preso un grosso boccone d’aria, piegò le ginocchia accovacciandosi ai suoi piedi.

“Michi, che fai?”

“Gli anelli già li portiamo agli anulari e sono perfetti così, perciò ho pensato che sarebbe stato carino donarti una cosa legata alla tua passione per la velocità… Haruka Tenou, amore della mia vita, lo so che è come se già lo fossimo da anni, ma ... vuoi sposarmi?”

Inebetita. A quelle parole la bionda rimase semplicemente inebetita e non solo perché non era affatto da Michiru un gesto tanto plateale, ma anche e soprattutto perché era sempre stata convinta che prima o poi l’avrebbe compiuto lei. A suo modo. Alcuni secondi e Kaiou iniziò a guardare di soppiatto le prime persone fermarsi attratte dalla scena.

“D’accordo lo shock, ma non credi di stare tergiversando un po’ troppo?” Chiese abbassando la voce.

Ma ancora nulla. Haruka era ferma come un palo della luce tanto che l’altra sospirando abbassò la scatola di qualche centimetro. “Va bene. Se proprio non mi vuoi…”

“E NO! Niente resi! – Con uno scatto di reni la bionda l’afferrò per le braccia alzandola per schiacciarsela al petto. - Parlando seriamente…; sei sicura? Lo sai che non te l’ho mai chiesto per via dei tuoi lavori per la Chiesa.”

“Sono stanca di aspettare e detto fra noi… chi se ne frega del lavoro…” Soffiò poggiandole la fronte nell’incavo del collo.

“Non la pensavi così fino a cinque minuti fa.”

“Ruka… Non mi hai risposto…”

Allora alzandole il viso con la punta dell’indice, la bionda le catturò le labbra in un profondissimo bacio. “Ti basta come risposta?”

“Sssssi…”

 

 

 

Fu una notte romantica come non ne vivevano da tanto, fatta di sesso, parole sussurrate, risate e tanto, tanto amore; quello con la A maiuscola, che fa sentire grati di essere venuti al mondo. Ma l’indomani, a mente fresca, Michiru avrebbe dovuto affrontare con il signor Miller il discorso sulla sua posizione lavorativa. Così alla buon ora e forte che lo avrebbe trovato nel suo ufficio, si fece coraggio e si preparò ad affrontare l’ennesima battaglia. Andò, battagliò, espose le sue giustificazioni in merito alla sua rinuncia di lavorare con il binomio Marinof-Kocc, ed una volta finito attese il peggio. E il peggio non si palesò.

Al tepore del sole delle dieci, Michiru si voltò verso la ferrigna struttura di Castel Grande sospirando. Si era sempre sentita dire che chi semina raccoglie, ma non avrebbe mai creduto che un proverbio tanto vecchio le sarebbe calzato così bene.

“Signora Kaiou non sono affatto stupito di vederla. - Aveva esordito il direttore quaranta minuti prima alzandosi dalla sua scrivania per andarle in contro a mano tesa. - E credo possa intuirne il motivo.”

“Direttore… Sono mortificata.” Si era ritrovata ad ammettere lei mentre le narici tornavano a riempirsi di quell’odore di legno stagionato tipico dei castelli o delle dimore antiche che tanto l’erano mancate.

“Non deve. Certo, non fa piacere a nessuno ricevere delle…, mi faccia trovare la parola giusta, pressioni tanto decise in merito ad una terza persona, però mi lasci dire che la signora Kristen Kocc non è la prima e non sarà neanche l’ultima artista che si permette di metter bocca nel mio museo.” Aveva confessato con tanta naturalezza da lasciarla di sasso.

“Io vorrei solo farle sapere che non era assolutamente mia intenzione coinvolgerla in questa grottesca faccenda.”

“Lo so Dottoressa. In questi mesi ho imparato a conoscerla sia sul piano lavorativo che su quello strettamente personale, perciò sappia che per me quello che ci siamo detti prima della sua partenza è ancora valido. Non sarò il direttore di un grande museo, ma so riconoscere un collaboratore valente e non sarà un’artista ferita nel suo ego a farmi rimangiare la parola data.”

“Signor Miller…” A quelle parole l’espressione di Michiru era stata tanto riconoscente che l’uomo aveva tossicchiato ridendo poi di gusto.

“Dottoressa Kaiou mi ascolti, adesso che è rientrata vorrei parlare con lei della prossima mostra che vorrei facessimo insieme. - Ed invitata a servirsi di una bevanda l'aveva vista sedersi ancora un pò incredula. - E’ una cosa alla quale tengo molto. Una temporanea di un’artista che anche se non più giovanissima, è ai suoi esordi.”

Michiru aveva preso un bicchiere d’acqua fredda ascoltandolo con attenzione e al nome dell’artista poco era mancato che perdesse la presa.

Ora, uscita al sole caldo del Ticino, scuotendo la testa la donna tornava lentamente e con fare abbastanza meditabondo a camminare verso la sua macchina. E’ vero…; chi semina raccoglie, pensò cercando il cellulare nella borsa.

 

 

 

“Amore sono a casa.” Annunciò Kaiou sulla porta mentre si sfilava giacca e scarpe.

“Ben tornata!” Una bionda parzialmente sdraiata su una delle sedute del divano alzò il braccio in segno di saluto.

“Mi sono fermata a prendere del vino. Dobbiamo festeggiare il buon Direttore.” Disse l’altra comparendo con una bella bottiglia in mano per poi lasciarla sul piano della penisola.

“Farà coppia con il pranzo speciale che sto preparando.”

“Perfetto!”

“Allora vuol dire che prima pranzeremo, poi berremo ed infine… assaporeremo il dolce. - Si fece sorniona Haruka avvertendo il calore delle labbra della compagna sulla pelle del collo. - Ti sembra un buon programmino?”

“Perfetto! Dunque è per questo che non sei andata al lavoro oggi. - Inquisì accorgendosi del fregio che Tenou stava tenendo tra le mani. - Ruka…, finirai con il consumarlo quel povero oggetto. Dagli tregua.”

“Stefano rosicherà come un cane, ma ho deciso che non lo userò per la Winchester. - Se ne uscì lentamente guardando con attenzione la lacca levigata. - Rimarrà qui, in casa. Voglio metterlo in una cornice ed appenderlo da qualche parte.”

“Mi piace.”

“Lo sapevo. Sei ancora la stessa romanticona di quando ti ho conosciuta.” Allungando il braccio destro sopra la testa, la bionda arrivò ad accarezzarle il viso.

“Romanticona che ancora non ha deciso dove sposarsi.”

“Questa volta ti ho dato carta bianca. Sono a tua completa disposizione. Spero solo in una cosa tranquilla.”

“Lo so e ti ho già promesso che sarà così. Stavo pensando al mare.”

“Non avevo dubbi.” Se la rise.

“E ti sta bene?”

“Perché no?! Ma non con quaranta gradi. Ti prego.”

“Ricevuto. - Una strofinata naso a naso e Michiru si fece più seria. - Ora però ascoltami; cambiando discorso… Per quanto riguarda il mio lavoro, questa mattina al telefono non ti ho detto tutto.”

A quell’ammissione la compagna roteò gli occhi posando bruscamente il fregio sulle gambe. “Lo sapevo… C’è sempre la fregatura!”

“Non saltare subito alle conclusioni. - La bloccò serrandole le mani alle spalle. - E’ una cosa bella!”

“Mmmm… Sentiamo.” Per nulla convinta Tenou si lasciò baciare.

“Credo che questa volta ti piacerà l’artista che dovrò aiutare ad esporre.”

Voltando il busto di tre quarti Haruka fece una smorfia stupita. “A si? Non dipinge falli viola e lavora il legno di risulta come un povero mastro Geppetto?”

“No, anzi. Non è di molte pretese.”

“Un’imbratta tele…”

Tirandole un buffetto sul collo, Michiru le consigliò di non esagerare. “Bada. E’ un tipetto abbastanza suscettibile. Non ama le critiche, ma le accetta. E poi alla sua compagna, nonché futura moglie, non piacerebbe affatto come stai parlando.”

Tirando indietro il collo Haruka le sistemò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio destro. “Vuoi scherzare?”

“No, amore. Il signor Miller mi ha confessato di stare pensando ad una personale a mio nome già da parecchi mesi, molto prima che arrivasse qui da noi una ex allieva del grande Marinof.”

“Ma è fantastico!” Esplose con entusiasmo.

“Sono ancora frastornata. Non avrei mai creduto in una proposta del genere da parte di un uomo che ho sempre ritenuto incapace sia d’imporsi sulle personalità di spicco, che di avvallare azzardi del genere.”

“Perché azzardi? Sa che sei brava, tutto qui. E ti vuole nonostante il tuo nome non si affianchi più a quello di una sgallettata mangia polpette o del suo maestro.”

Scuotendo la testa la compagna strinse le labbra con finta disapprovazione. “Tenou…”

“Non fare quella faccia! E’ vero. Quella svedese voleva fare la furba. Ecco! Ben le sta! Il karma l’ha colpita ed affondata!”

Michiru non poteva certo obbiettare. Aveva raccontato dell’approccio fisico di Kristen proprio come Haruka aveva fatto parlandole di Martah, ma aveva però rincarato la dose con grandissima enfasi rabbiosa, del tentativo intimidatorio dell’artista a danno della sua carriera di curatrice, tanto che una volta uscita dall’ufficio del signor Miller con la certezza non soltanto del suo ritrovato lavoro a Castel Grande, ma della possibilità di mettere in campo una temporanea tutta sua, il suo orgoglio era cresciuto di passo in passo alimentato da un potente senso di rivalsa.

“Quando lo verrà a sapere credo che le scoppierà il fegato.” Disse Kaiou e quasi quasi se ne dispiacque.

Cosa che invece non toccò minimamente la bionda, che iniziando a ridere si alzò dal divano affermando di stare godendo come un riccio.

“Haruka!”

“Non è una parolaccia!”

“Si, va bene, ma non c’è neanche da far così però.”

"Ma senti, senti; non sei tu ad averla mandata bellamente a farsi fottere?"

"Questo si. Diciamo però che sto cercando di non gongolare troppo."

“O Kaiou…, il problema è che tu sei sempre troppo leale.” Disse la bionda rimettendo il fregio sul davanzale del camino mentre la compagna andava verso i pensili della cucina.

“Non si tratta di lealtà, ma di rispetto. Opinabile il suo comportamento come essere umano, ma dal punto di vista artistico, Kristen Kocc merita tutto il nostro risp…”

Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, ma ora guardando il barattolo delle parole poco lecite, come lo aveva soprannominato, notò al suo interno un oggetto a dir poco curioso. Avvicinandosi alla penisola, Michiru l’osservò meglio voltandosi poi verso Haruka.

“Amore…”

“Mmmm?”

“Forse non dovrei chiederlo, ma perché il bancomat di Giovanna è nel barattolo?”

“Ecco.... non chiederlo.” Disse la bionda tornando a ridere.

 

 

 

NOTE: Salve, ecco terminato il terzo arco della mia prima ff, ma non chiedetemi nulla sul matrimonio, perché se mai lo scriverò, sarà in una one-shot. Lascio a voi il compito di sognarlo a vostro modo.

Un saluto a tutti ed un grazie a coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi.

Ciauuuu

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