Dancing on Black Ice

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dancing on Black Ice ***
Capitolo 2: *** Forbidden Friendship ***
Capitolo 3: *** Meteor ***
Capitolo 4: *** Blonde Dead Redemption-Parte 1 ***
Capitolo 5: *** Blonde Dead Redemption-parte 2 ***
Capitolo 6: *** Loving on the Edge - Parte 1 ***
Capitolo 7: *** Loving on the Edge - Parte 2 ***
Capitolo 8: *** Signs of a Strife - Parte 1 ***
Capitolo 9: *** Signs of a Strife - Parte 2 ***
Capitolo 10: *** Cloudy With a Chance of Rain ***
Capitolo 11: *** On The Way To An Apocalypse-Parte 1 ***
Capitolo 12: *** On The Way To An Apocalypse-Parte 2 ***
Capitolo 13: *** Una notte da Cuahl - Parte 1 ***
Capitolo 14: *** Una notte da Cuahl - Parte 2 ***
Capitolo 15: *** Una notte da Cuahl - Parte 3 ***
Capitolo 16: *** Una notte da Cuahl - Parte 4 ***
Capitolo 17: *** Una notte da Cuahl - Parte 5 ***
Capitolo 18: *** Una notte da Cuahl - Parte 6 ***
Capitolo 19: *** Marlene In The Middle ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Dancing on Black Ice ***


 

Note di inizio pagina:
Salve a tutti! Innanzitutto, buon anno a tutti i coraggiosi che hanno cliccato su questa storia!
Sarò breve, perché, da lettrice, le note lunghe non piacciono a nessuno. Questa storia è ambientata nel periodo tra la fine di Final Fantasy VII e l'inizio di Advent Children (originale, eh?). Tuttavia, la fanfiction è stata ispirata da eventi e personaggi della prima parte del Remake, quindi saranno presenti riferimenti a entrambi i giochi (originale e Remake), oltre che ad Advent Children ovviamente. Gli eventi di One Way to a Smile invece non sono tenuti in considerazione, ma per una ragione di tempistiche e gusto personale. 
Bene, vi auguro buona lettura e spero che questa storia possa piacervi tanto quanto è piaciuto scriverla a me e al mio compare Jiacob_Tillinghast (a cui va un ringraziamento speciale).



Capitolo 1

Dancing on Black Ice

 

Il sole si stagliava sullo skyline irregolare di Edge, segnando l’inizio di una nuova frenetica routine della città con tanta fretta di crescere.

Tifa passava in rassegna i servizi di bicchieri puliti in maniera impeccabile, pronti ad accogliere le sue creazioni di esperta barista che stavano spopolando nella nuova città. La vita ad Edge, sebbene ancora in fase di assestamento, scorreva tranquilla, accompagnata dalla speranza di un nuovo e rigoglioso futuro. La ragazza sorrise e guardò brevemente l’orologio appeso al muro. Iniziò a preparare uno spuntino, intanto che il rombare di una moto in avvicinamento rompeva il silenzio.

«Buongiorno.» trillò, rivolgendo un sorriso alla figura che aveva varcato la porta.

«Buongiorno.» le rispose il ragazzo biondo, avvicinandosi al bancone.

«Anche oggi hai iniziato presto a fare consegne.» disse Tifa.

«Prima comincio, prima la merce arriverà ai clienti.» disse Cloud, con un’alzata di spalle.

«E questo ci fa un’ottima pubblicità.» commentò allegramente la ragazza.

«Già.» concordò lui.

Tifa sorrise di nuovo e anche gli angoli della bocca di Cloud si incurvarono appena.

«Direi che ci vuole un caffè.» affermò Tifa, riempiendo una tazza ed avvicinandola al biondo, che nel frattempo si era seduto al bancone.

«Grazie.»

Cloud soffiò velocemente sulla bevanda scura, prima di prenderne un sorso. Si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto, intanto che avvertiva l’effetto benefico del caffè.

“Deve aver avuto una mattinata impegnativa” giudicò Tifa.

Sapeva benissimo che era l’opposto di uno scansafatiche: lo aveva visto all’opera come tuttofare durante i suoi primi giorni a Midgar; nonostante sapesse che lui considerasse quegli incarichi come un intermezzo tra una missione e l’altra (e un modo di intascare qualche guil in più), aveva sempre dato il massimo. Ed ora, senza più un nemico da combattere, Cloud sembrava aver accettato con naturalezza la fine della sua carriera di guerriero e si era gettato sulla sua nuova professione con un impegno e dedizione che avevano stupito la stessa Tifa e non solo. La Strife Delivery Service era un’agenzia fiorente; le chiamate dei clienti avevano intasato il telefono del bar a tal punto che Tifa aveva dovuto attivare una linea a parte per Cloud. I clienti erano decisamente entusiasti del “professionale, ma assai poco loquace ragazzo delle consegne”. Una descrizione calzante che aveva strappato un risolino a Tifa, la prima volta che l’aveva sentita. Ma era davvero felice per lui.Molte cose erano cambiate, ma per Cloud il cambiamento più grande era stato il ritorno alla normalità. Forse, finalmente, dopo anni di fatiche e di sofferenze, sarebbe riuscito ad avere una vita normale. Con lei.

«Hai ancora molte consegne da fare?»

«Solo una, in realtà.» 

La ragazza volle cogliere al volo l’occasione.

«Allora oggi potrei chiudere il bar prima e potremmo uscire.» propose.

«Ehm…» disse Cloud.

«Solo io e te.» aggiunse velocemente la ragazza, prima che Cloud potesse anche solo pensare di coinvolgere i loro amici. Le uscite in gruppo, anche se rare, le piacevano molto: oltre ad essere divertenti, erano anche i momenti in cui era più evidente che Cloud fosse finalmente tornato sé stesso. L’atteggiamento freddo, arrogante e un tantino spocchioso dell’ex-SOLDIER sembrava appartenere ad un'altra vita. Bisognava precisare che non era diventato un mostro di giovialità, era pur sempre un tipo introverso, ma i progressi che aveva compiuto dal punto di vista sociale erano enormi; soprattutto se paragonati ai progressi in campo sentimentale. Al riguardo, Tifa aveva deciso di prendere in mano la situazione.

«Si, certo.» rispose Cloud annuendo.

«Però avrei ancora una cosa da fare.» aggiunse.

Tifa fece un piccolo sbuffo.

«E sarebbe?»

«Devo portare Fenrir dal meccanico.» spiegò Cloud. «Credo abbia un problema.»

«Ma l’avevi fatta aggiustare qualche giorno fa! Come è possibile?» esclamò la ragazza.

«Ho incontrato delle belve durante l’ultima consegna.» raccontò Cloud. «Probabilmente hanno danneggiato la moto durante il combattimento.»

«Di nuovo?» commentò Tifa, sorpresa.

«Gli attacchi sono in continuo aumento da quando abbiamo fermato Meteor.» disse il biondo, quasi sulla difensiva.

«Ho capito…» disse Tifa, decidendo di credergli. Dopotutto conosceva bene le sue abilità di guidatore.

«Quindi, vado dal meccanico, faccio la consegna… e usciamo?» chiese Cloud, sorridendo lievemente.

«Si!» rispose Tifa con entusiasmo. «Anzi, vengo con te!»

«Sicura? E il bar?» domandò il biondo, sorpreso.

«Non preoccuparti per il bar» lo rassicurò Tifa. «Se ci sono così tante belve in giro ti farà comodo un aiuto in più»

«Sei davvero sicura?» domandò nuovamente Cloud. Stava per aggiungere che poteva essere un viaggio pericoloso, ma memore di tutte le battaglie affrontate insieme, si rese conto di quanto quell’affermazione sarebbe suonata ridicola. Ma non poteva farne a meno: nonostante sapesse quanto Tifa fosse forte, lui si preoccupava, sempre.

«Certo che sono sicura! Dammi un minuto.» rispose la ragazza.

«Ti aspetto fuori.»

Tifa chiuse il bar e raggiunse il ragazzo che era già in sella a Fenrir. Salì agilmente dietro di lui.

«Aspetta.» disse il ragazzo, scendendo dalla moto.

Tifa lo guardò perplessa andare di nuovo verso il garage. Cloud tornò pochi istanti dopo, con in mano un paio di occhiali da motociclista come quelli che stava indossando.

«Ecco.» disse lui.

Tifa stava per ringraziarlo, ma si interruppe, quando il ragazzo le sistemò gli occhiali sul viso, anziché passaglieli.

«Grazie.» mormorò, arrossendo lievemente.

Cloud sorrise e salì sulla moto. Sussultò quando le braccia di lei lo cinsero intorno alla vita.

«Pronti a partire!» disse Tifa entusiasta.

Fortunatamente, l’intervento del meccanico non richiese molto tempo.

«Cloud, si può sapere cosa cazzo combini con questa moto?» esclamò il burbero meccanico. «C’erano delle frattaglie incastrate nei tubi di scappamento!»

«Mi hanno attaccato.» replicò il biondo.

Tifa inarcò un sopracciglio.

Cloud pagò il meccanico e si rimisero in viaggio.

«Mi raccomando, stai allerta» le disse serio.

«Come sempre.» rispose lei sorridendo.

Qualche tempo dopo

“Non posso crederci.” Pensò Cloud, mentre con espressione vuota consegnava il pacchetto al cliente entusiasta. Era stato uno dei viaggi più tranquilli e noiosi che avesse mai fatto. Tornò verso la moto, sulla quale lo attendeva una contrariata Tifa.

«Cloud… c’è qualcosa che devi dirmi?»

«Di che parli?» chiese il biondo, con una punta di perplessità.

«Sai, può capitare di essere disattenti alla guida… se chi guida non sta molto bene.»

«Continuo a non capire.»

«Cloud, so che soffri il mal d’auto.» disse Tifa, guardandolo seria.

«Soffrivo. E non capisco cosa c’entri con gli attacchi delle belve.» replicò Cloud.

«Ok, ma è ritornato…ultimamente.» concesse Tifa, non volendo ricordare il travagliato percorso che avevano fatto per restaurare la sua psiche.

«Si, ma se guido io non è un problema.» affermò tranquillo il ragazzo.

«Sei sicuro?» Insistette Tifa, lievemente scettica. «Sai, può capitare di essere distratti alla guida, se non ti senti bene… e può capitare di investire qualcosa, non c’è nulla di cui vergognarsi!»

«Sono sicuro, Tifa. E sto bene.» dichiarò Cloud, avvicinandosi alla moto.

Tifa non sembrava ancora convinta.

«Sei sicuro che non vuoi che guidi io?» domandò, scivolando sul posto del guidatore e mettendo le mani sul manubrio di Fenrir.

«No.» disse fermamente il biondo, afferrando il manubrio a sua volta.

Tifa trasalì, poi sbuffò leggermente.

«Ami davvero tanto questa moto…» disse con una nota di sarcasmo nella voce.

Cloud sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo. E Tifa per un momento si pentì della frecciata.

«Se guidi tu, starò sicuramente male» le spiegò il ragazzo, facendo scorrere una mano sul manubrio della moto. «Ma non per colpa tua!» si affrettò ad aggiungere, temendo di essere frainteso.

«Ho capito.» si arrese Tifa. La mano era arrivata fino a sfiorare la sua, ancora posata sulla manopola dell’acceleratore.

«Preferirei non star male, se dobbiamo uscire.» disse il ragazzo. L’espressione di Tifa si addolcì, mentre gli faceva posto per salire in sella.

A tre quarti del tragitto, si fermarono ad una stazione di servizio, unico punto di riferimento in quel nulla sterminato, per fare rifornimento di carburante.

«Cloud, vado un momento in bagno.»

«Va bene.» rispose tranquillo il biondo, mentre finiva di fare il pieno.

Tifa si avviò verso l’ingresso del negozio vicino alla pompa di benzina. Guardò l’insegna, che recitava in un verde fluorescente “Mako Grill”.

“Non c’è limite al cattivo gusto” pensò, aggrottando le sopracciglia.

Cloud si appoggiò alla moto e seguì con lo sguardo la ragazza che entrava nel locale. Indugiò lievemente sull’insegna e dopo essersi sincerato di aver letto bene, inarcò un sopracciglio e scosse la testa con fare incredulo. Uno spostamento d’aria, impercettibile per chiunque, ma non per lui, distolse la sua attenzione dall’insegna pacchiana.

Lentamente, aprì l’alloggiamento delle armi di Fenrir e tirò fuori la Buster sword, intento che avvertiva la familiare scarica di adrenalina pervadergli il corpo.

“Non so cosa tu sia, ma so come finirà” pensò, prima di girarsi e scagliarsi a velocità inumana sull’aggressore.

“Spero che stavolta Tifa mi creda!”

***

Tifa aspettava pazientemente che l’asciugatore morente finisse il suo compito.

“Questo coso non funziona e fa un rumore pazzesco! Non sentirei nemmeno Meteor!”

Uscì dal bagno e mormorò un “arrivederci”, ma si accorse che non c’era nessuno. Vide il cassiere fuori, che dava le spalle al negozio. Perplessa, andò anche lei verso l’uscita.

«Arriveder…» ripeté distrattamente, mentre gli passava accanto.

«Ma è un fenomeno!» esclamò l’uomo.

Tifa seguì la direzione del suo sguardo e sgranò gli occhi. Davanti a loro Cloud, madido di sudore, ansimava accasciato sulla sella della moto; la Buster Sword sporca di sangue. Attorno a lui erano disseminati innumerevoli cadaveri di belve che appartenevano a più di una specie.

«Ma cosa è successo?» chiese Tifa con un tono di voce a metà tra il sorpreso e il rassegnato.

«Belve.» esalò il ragazzo, mentre si ricomponeva.

«Vorresti dirmi che, mentre ero in bagno, un gruppo di belve ti ha attaccato?»

Cloud annuì.

«Gruppo? Ce n’era un intero squadrone!» strillò il commesso, ancora scioccato.

«Meno male che sapevi il fatto tuo, ragazzo! Grazie per aver protetto il negozio da quelle bestiacce.» aggiunse, prima di tornare all’interno.

Cloud, che stava ancora riprendendo fiato, alzò un braccio a mo’ di “non c’è di che.”

Peccato che non conoscesse il gesto per “Avresti anche potuto pagarmi per il favore.”

«Siamo stati fortunati, all’andata.» affermò, lanciandole un’occhiata eloquente, nella quale Tifa riuscì a cogliere anche un barlume di soddisfazione.

«Ok…» fu tutto quello che lei riuscì a dire. Si avvicinò ai tubi di scappamento e ci guardò dentro. Cloud la guardò perplesso.

«Che fai?»

«Sembra che stavolta non ci sia niente incastrato dentro.» dichiarò, mentre gli sorrideva.

«Hai ragione: oggi siamo fortunati.»

Anche lui sorrise lievemente.

«Forza, torniamo al bar!»

 

***

 

«Qualcosa mi dice che muori dalla voglia di farti una doccia!» disse Tifa, con una strizzatina d’occhio, una volta varcato l’ingresso del bar.

Cloud annuì.

«E anche io in realtà.» ammise lei. «è stato molto bello e divertente attraversare il canyon in moto, ma con tutta quella polvere i miei capelli e i vestiti sono un vero disastro!»

«Oh, non ci avevo fatto caso.» confessò Cloud. Lei diventò seria per un istante, ma poi aggiunse, di nuovo sorridente «Almeno io mi sono risparmiata la sudata del combattere tutte quelle belve!»

Cloud sorrise appena.

«Riguardo a prima, non vorrei avessi frainteso.» disse Tifa, esitante, spostando il peso del corpo da un piede all’altro.

«Di che parli?» fece lui, confuso.

«La storia delle belve. Non pensavo mentissi… ero solo… preoccupata per te.» spiegò lei, guardandolo con dolcezza.

Il ragazzo annuì.

«Ho capito, ma non devi, Tifa: non c’è niente che non va.»

«In realtà…» replicò lei, con una nota di imbarazzo nella voce.

«Si?»

«Non prenderla come una critica, ma ho notato che eri affaticato dopo il combattimento con le belve.»

«Si…forse un po’» ammise lui. «Ma sto bene.»

«Si, si, ti credo!» si affrettò a dire Tifa, mettendo le mani avanti. «Forse sei solo un po’ fuori allenamento.»

Cloud la guardò brevemente, poi distolse lo sguardo, come se stesse realmente riflettendo su quanto gli aveva appena detto.

«È vero che dopo Meteor non abbiamo più combattuto molti nemici.» esordì.

«Ed è meglio così.» dichiarò Tifa. Cloud annuì, totalmente d’accordo.

«Cosa suggerisci?» le chiese, prendendola alla sprovvista.

«Come?»

«Non credo che cercare belve più grosse per allenarsi sia una buona idea…» considerò lui. E non aveva nessuna voglia di usare di nuovo uno dei simulatori di Chadley.

Tifa ridacchiò.

«Sai che esistono le palestre?» gli disse, con tono bonariamente canzonatorio. «Non c’è bisogno che rischi la vita solo per rimetterti in forma!»

«Non ci avevo pensato.» ammise Cloud, con una nota di imbarazzo nella voce.

«Ti aiuterò a trovare una palestra» disse Tifa. «Ma non oggi! Stasera è serata di svago!» dichiarò, battendo il pugno sul palmo della mano con fare entusiasta.

«Giusto.» concordò Cloud.

«Grazie, Tifa.»

«Figurati.» rispose lei con una strizzatina d’occhio. «Vado a prepararmi!» trillò, andando verso le scale che portavano alle loro stanze. Cloud la imitò poco dopo. Mentre passava accanto alla camera di Tifa, notò con la coda dell’occhio la ragazza sparire dietro la porta del bagno, con uno svolazzo di stoffa blu dall’aria familiare.

«Ok» disse tra sé e sé, mentre entrava nella sua camera.

***

Tifa scese le scale, tornando al bar. Osservò compiaciuta il bancone perfettamente tirato a lucido. Si sentì osservata e si voltò, vedendo Cloud in cima alla rampa. Il ragazzo indossava un maglione azzurro smanicato, molto simile a quello della sua divisa da SOLDIER, che metteva ancor più in risalto il bagliore mako dei suoi occhi, e un paio di pantaloni color antracite; il tutto completato da un paio di stivali marrone scuro.

«Bene, sei pronto.» si affrettò a dire, temendo di sembrare strana se avesse ancora continuato a fissarlo in silenzio.

«Stai molto bene» aggiunse, quando lui finì di scendere le scale.

«Grazie» mormorò lui, con una nota di imbarazzo. «Anche tu.» disse in uno sclancio di sincerità. Tifa sorrise.

«Qualcosa di classico, avevi detto.» disse, ruotando su sé stessa per mostrargli il vestito blu, anche se Cloud lo ricordava benissimo. Il ragazzo sorrise.

«Credo che tu possa lasciare qui la spada, stavolta.» gli fece notare la ragazza.

«Hai ragione» concordò lui, imbarazzato, togliendosi la Buster Sword e appoggiandola alla parete.

«Andiamo.» disse, dirigendosi verso l’uscita.

«Non prendiamo la moto?» domandò perplessa Tifa, indicando l’uscita sul retro che conduceva al garage.

«Ho prenotato una diligenza» rispose lui, facendole segno di seguirla.

«Oh…»

«Mi è sembrata una scelta migliore» continuò il ragazzo, mentre si incamminavano verso la fermata. «Il vento, la povere… quelle cose che hai detto prima.» mormorò frettolosamente, accelerando il passo. Tifa sorrise.

Aspettarono il carro trainato dal grosso pennuto giallo.

«Accidenti! È davvero grande» esclamò Tifa, andando ad accarezzare la testa piumata della creatura.

«Quanto sono grandi da cuccioli?» chiese curiosa al conducente.

«Più o meno come un gatto.» le rispose l’uomo.

«Wow» fece lei «Devono essere carinissimi, non pensi?» disse, mentre salivano sulla vettura.

«Non so…» rispose Cloud con un’alzata di spalle.

«Ehi Cloud, grazie per aver chiamato la diligenza.» disse Tifa, sorridendo.

«Oh…prego.»

***

Il viaggio trascorse tranquillo. E silenzioso.

“Almeno non abbiamo visto nessuna belva“ tentò di consolarsi Tifa, mentre guardava il ragazzo intento ad osservare la strada affacciato dal finestrino delle diligenza.

«Ragazzi!» li chiamò il vetturino. «Abbiamo un piccolo inconveniente, dovrò fare una sosta al Mercato Murato.»

«C’è un mercato Murato ad Edge?» domandò Tifa, stupita.

«C’è sempre bisogno di un Mercato murato nelle città, dolcezza.» rispose il cocchiere, sghignazzando. Cloud gli lanciò un’occhiataccia.

«Spero che sia una cosa breve.» disse la ragazza. Il biondo annuì.

La diligenza si fermò alla stazione di posta, un grosso edificio di legno e pietra, con parti rinforzate in metallo; vicino sorgeva un piccolo muretto di mattoni che tagliava la strada, a parte per una piccola interruzione al centro, accanto a cui si trovava un cartello di legno sul quale era stata marchiata a fuoco la scritta “Wall Market”.

Cloud approfittò della sosta per scendere, seguito da Tifa. La ragazza non poté fare a meno di notare che, nonostante la sua chinetosi fosse migliorata, l’avversione del ragazzo per i mezzi di trasporto restava comunque incredibile.

«Vi piace? Abbiamo pensato di lasciare un piccolo tributo in onore del vecchio mercato murato!»

«Riconosco questa voce…» mormorò Cloud, mentre si girava con un’espressione accigliata.

«Sam! Ciao!» salutò Tifa.

«Tifa, ragazza mia, sei uno schianto come sempre!» disse il chocobiere, intanto che si avvicinava ai due ragazzi.

«Hey…» lo ammonì Cloud, a cui non stava piacendo affatto come lo sguardo dell’uomo con il cappello da cowboy stesse scendendo lungo il corpo di Tifa. La ragazza gli posò una mano sul braccio e bastò quel semplice gesto a silenziare la sua replica, anche se continuò a guardare l’uomo con sguardo diffidente.

«Non sapevamo che lo avessero ricostruito.» ammise Tifa.

«È tutto merito degli sforzi congiunti di Andrea, Madame M e del sottoscritto.» spiegò compiaciuto Sam. «Non solo ognuno di noi ha riaperto la propria attività, ma abbiamo ricostruito anche l’intero quartiere!»

«È stato un bel gesto.» commentò la ragazza, sorridendo.

«Madame M…» mormorò Cloud.

«Tutto bene?» gli chiese Tifa, che aveva notato il cambiamento di espressione del ragazzo.

Lui annuì, anche se non riusciva a scrollarsi di dosso quella strana sensazione di inquietudine.

“Forse è il caso che vada a controllare se la diligenza è pronta” pensò. Stava per avvisare Tifa, ma una voce lo anticipò.

«Ti fai bello di luce riflessa, Sam?»

«Non può essere…» disse Cloud con un filo di voce.

«Sei incredibile! Vantarti di aver ricostruito il Mercato Murato, quando sei stato proprio tu ad aver versato la quota più bassa, dicendo che avevi usato tutti i tuoi soldi per rimettere in piedi il tuo allevamento di stupidi pennuti!»  gridò Madame M, avvicinandosi minacciosa al chocobiere.

«Ma mia cara, è la verità» disse l’uomo, sulla difensiva. «Non a tutti bastano un tavolo e due mani per lavorare.»

«Stai insinuando che il mio non sia un lavoro serio?» berciò la donna, puntandogli contro il suo ventaglio.

«Mia cara, non oserei mai mettere in dubbio l’importanza del tuo lavoro.» si affrettò a dire Sam, alzando le mani. «E inoltre non sono l’unico che conosce i benefici che sei in grado di dare. Dico bene, Cloud?» aggiunse, prima di defilarsi.

«Cosa?» fece Cloud, colto alla sprovvista.

«Cosa?» ripeté Tifa, perplessa.

«Guarda un po’ chi si vede! Cloud Strife!» esclamò Madame M. La rabbia che la animava fino a qualche attimo prima scomparve. «è un vero piacere vederti!»

«Grazie…» mormorò il ragazzo, sempre più inquieto.

Gli occhi scuri della donna saettarono verso Tifa.

«Non ricordo il tuo nome, ragazza.»

«Tifa Lockheart» rispose lei, lievemente a disagio sotto quello sguardo indagatore. Madame M le scostò i capelli con il ventaglio per poter vedere meglio il suo volto.

«Quindi è lei che volevi salvare da Don Corneo… capisco il perché! Hai davvero buon gusto.» commentò sorridendo maliziosa.

«Ehm…» fu tutto quello che riuscì a dire Cloud. Tifa arrossì.

«Mano.»

«Come?» fece confusa Tifa.

La donna le prese la mano e la studiò attentamente per qualche momento.

«Queste mani sono meravigliose!» esclamò deliziata. «Un compromesso perfetto; capaci di dare piacere e infliggere altrettanto bene dolore! I miei complimenti!»

La lasciò andare e prese immediatamente la mano di Cloud.

«Ehi!» protestò quest’ultimo.

«Conservi ancora la tua eleganza» affermò la donna, ignorandolo «Ma sembra che le tue mani inizino a somigliare più a quelle di un lavoratore, che a quelle di un guerriero.»

Il ragazzo ritirò la mano.

«Ed è un male?» domandò con una nota di incertezza nella voce.

«Dipende da quello che vuoi tu, mio caro.» rispose Madame M « Se hai bisogno di tempo per riflettere, posso aiutarti con un massaggio…»

«Non mi interessa, grazie!» tagliò corto Cloud.

«Eppure, l’ultima volta sembravi aver gradito molto i miei servigi.» commentò divertita Madame M, agitando il ventaglio. «Avresti dovuto vederlo dopo il trattamento Extra Lusso!»

Tifa sgranò gli occhi e si girò verso Cloud, allibita. Il ragazzo si girò a sua volta, ma capì di aver commesso un errore, poiché si rese conto che con l’espressione colpevole che sapeva di avere, le aveva dato da bravo idiota la conferma su cosa avesse fatto.

“Lo sa…”

«L’ho fatto per ottenere la raccomandazione per Aerith.» si affrettò a chiarire, sperando che non fosse troppo tardi.

L’espressione di Tifa si indurì.

«Ma la raccomandazione non l’avevate ottenuta vincendo nell’Arena di Corneo?» domandò.

«Abbiamo dovuto fare parecchie cose» rispose lui lapidario, temendo di rivelare altre verità scomode.

«Se vi interessa, abbiamo anche dei trattamenti per coppie!» si intromise Madame M.

«No grazie!» risposero i due ragazzi all’unisono. Madame M ridacchiò.

«Oh beh, siete sempre in tempo per ripensarci.» disse, prima di tornare verso il suo negozio. Tifa la seguì con lo sguardo, con aria truce.

«Vuoi… vuoi ancora uscire?» mormorò Cloud, esitante.

«Si, Cloud…» rispose Tifa, con voce atona.

«Chissà se hanno risolto con la diligenza.»

«Non credo, o avrebbero chiamato.»

«Già.»

Tifa abbassò lo sguardo e rimase in silenzio, lasciando il ragazzo a cercare di indovinare i suoi pensieri.

«Vado a controllare.» disse Cloud, avviandosi in fretta verso la fermata. Tifa sospirò.

Non dovette aspettare molto: il ragazzo tornò dopo poco, con pessime notizie:

«Hanno detto che il chocobo si è sentito male e non ne hanno un altro disponibile prima di qualche ora.»

«Ma è assurdo!» esclamò Tifa, contrariata.

«Sembra che tutti abbiano deciso di uscire, stasera» commentò Cloud.  

“Che bel tempismo…” pensò la ragazza, con una lieve smorfia.  

«A questo punto, facciamo un giro qui.» propose, guardando il biondo. Cloud sgranò gli occhi.

«Davvero vuoi fare un giro qui?» le chiese, guardando dubbioso le insegne luminose.

«Sempre meglio che stare fermi ad aspettare la diligenza.» gli fece notare lei. Lui annuì, anche se non sembrava contento all’idea di addentrarsi tra le luci rosse del quartiere. Tifa si accorse del suo disagio, ma non si tirò indietro.

«Andiamo?» gli chiese, prendendolo sotto braccio. Cloud si fece portare, borbottando:

«Ok…»

«C’è qualche altra cosa imbarazzante che non mi hai detto?» gli domandò, con tono volutamente leggero. 

«No.»

***

«Cloud, guarda!» esclamò Tifa, tirandolo per il braccio.

«Cosa c’è?» domandò il ragazzo, confuso da tanto entusiasmo. Seguì con lo sguardo la direzione indicata da Tifa: vide un vicolo, chiuso da un grosso edificio. Avrebbe avuto un aspetto anonimo come le costruzioni che lo circondavano, se non fosse stato per la presenza di un’enorme insegna abbagliante, che componeva con i suoi caratteri luminosi la scritta “PALESTRA”. 

«Hanno ricostruito proprio tutto.» commentò Cloud, mentre osservava la scritta attraversare in pochi secondi tutte le tonalità del visibile. Tifa sorrise.

«Ma è una palestra o una discoteca?» 

Anche Cloud sorrise.

«Potrebbe essere entrambe.» 

Tifa ridacchiò.

«Vediamo se è aperta?» propose allegramente. Il ragazzo scrollò le spalle e rispose:

«Se ti va… tanto non abbiamo fretta.»

«Hai ragione.» concordò lei, con una nota di tristezza nella voce. Cloud si pentì immediatamente di aver parlato. «È comunque una buona idea…»

«Dai andiamo.» tagliò corto lei, conducendolo verso l’ingresso. Le porte automatiche scattarono immediatamente al loro arrivo; l’interno era illuminato a giorno, tanto da abbagliarli per un momento, e una assordante musica dance rimbombava ovunque. 

«È aperta!» trillò Tifa, varcando la soglia insieme a Cloud.

«Yes! Ma ancora per poco, my dear!» le rispose una voce. 

«Oh my god! Siete voi!» esclamò un uomo dal fisico statuario, scuotendo la zazzera di capelli scuri, in preda all’incredulità. «Quanto tempo, ragazzi!»  disse estasiato, correndogli incontro.

«Ciao Jules.» lo salutarono all’unisono i ragazzi.

«Che piacere vedervi!»

«Dovevo immaginare che avrei trovato te a capo di questo posto.» disse Cloud, guardando l’enorme sala piena di macchine e attrezzature ginniche.

«Ma sbaglio, o è più grande?» chiese Tifa. 

«Si. Ci sono più ring e la sala pesi è grande almeno il doppio.» affermò Cloud.

«Non vi sfugge niente, my dears!» commentò Jules, sorridendo. «Ho approfittato della ricostruzione per ampliarmi un pochino. Dopo tutto quello che è successo, la gente ha bisogno più che mai di un posto dove riforgiare il proprio corpo, la propria mente, e di conseguenza il loro intero essere. Mens sana in corpore sano!» esclamò.

«Spero di accogliere sempre più iscritti!» aggiunse raggiante.

«A tal proposito, qui ne abbiamo uno.» disse Tifa, poggiando una mano sulla spalla di Cloud.

«Eh?» fece il ragazzo, colto alla sprovvista.

«Pensavi di iscriverti?» domandò Jules, sorpreso ma allo stesso tempo molto felice all’idea che il biondo avrebbe varcato spesso le porte della sua palestra.

«Ehm…» disse Cloud, incerto. La ragazza lo incitò stringendogli dolcemente il braccio.

“ Ma in fondo, perché no?” si ritrovò a pensare. Purtroppo, doveva ammettere a se stesso che Tifa aveva ragione: l’inattività e la mancanza di avversari stavano fiaccando il suo fisico e le sue abilità di guerriero. Tanto valeva scegliere una palestra conosciuta. Il fatto che si trovasse all’interno del quartiere a luci rosse non avrebbe dovuto costituire un problema.

«Si, volevo iscrivermi. Ho bisogno di allenarmi un po’.» disse finalmente; Tifa sorrise, soddisfatta.

«Allora sei venuto nel posto giusto!» trillò il culturista. «Purtroppo adesso stiamo chiudendo, ma puoi passare quando vuoi.»

I ragazzi annuirono.

«Maaa, non siete venuti qui solo per iscrivervi in palestra, vero?» chiese Jules, lanciando un’occhiata maliziosa al loro abbigliamento.

«Dovevamo uscire, ma il chocobo della nostra diligenza si è sentito male.» raccontò Cloud, sbrigativo, arrossendo lievemente. L’espressione intristita di Tifa non fece che aumentare il suo disagio.

«Ooh, mi dispiace tanto!» esclamò il culturista, affranto. «Ma aspettate! Non tutto è perduto! Possiamo salvare il vostro appuntamento!» disse, illuminandosi.

Cloud ebbe un brutto presentimento.

«E come?» disse Tifa, speranzosa.

«Andate all’Honeybee Inn!» trillò Jules, battendo le mani, «... è un posto perfetto per una serata a due!» affermò, strizzando loro un occhio pesantemente ripassato di eyeliner.

Cloud rabbrividì.

«Ma…» tentò di replicare, cercando di non sembrare troppo scortese. Dopotutto, Jules stava solo cercando di aiutarli, anche se non avevano chiesto nulla. Tifa domandò:

«È il locale di tuo fratello, giusto?» 

«Yes, my dear.» confermò Jules.

«Se lo hanno ricostruito tale e quale a prima, immagino che abbia sempre lo stesso successo.» commentò Tifa.

«E una lista di attesa lunghissima.» aggiunse Cloud.

«Più successo di prima! E anche la lista si è allungata, ma… non se ti chiami Cloud Strife!» disse Jules, con un sorriso smagliante.

«In che senso?» domandò il ragazzo, mentre il presentimento ritornava più nefasto di prima. Tifa lo guardò confusa.

«Andrea sarebbe felicissimo di averti di nuovo come ospite! Scommetto che se gli spiegassi la situazione, vi farebbe entrare senza problemi!»

«Forse non è il caso…» replicò debolmente il ragazzo.

«Anzi, andate subito! Ci penso io ad avvisare Andrea! Potrai ringraziarmi quando verrai ad iscriverti.» disse Jules, senza ascoltarlo.

«Ma…» ribatté Cloud. Tuttavia, il culturista si era già diretto verso la reception e aveva preso in mano il suo telefono. Il ragazzo si girò verso Tifa, pensando ad una scusa per convincerla a declinare l’offerta, ma la vista del suo viso illuminato dalla speranza, dove prima aveva visto tristezza e rammarico, gli fece abbandonare l’idea.

«Che ne pensi?» buttò fuori, prima che il coraggio gli venisse meno.

«Mi sembra una buona idea… e non abbiamo molte alternative.» fu la risposta della ragazza.

“A parte andarcene ad aspettare la diligenza” pensò Cloud.

«Bene! Allora è deciso!» disse Tifa, prendendolo di nuovo sottobraccio. «Andiamo!»

***

«Eccoci qua.» annunciò Cloud, desideroso di trovarsi ovunque tranne che al cospetto dell’insegna luminosa dell’Honeybee Inn. La fila di persone in attesa di entrare superava di gran lunga le dimensioni della facciata dell’edificio.

«È molto più grande del vecchio locale.» commentò Tifa. «Deve essere un vizio di famiglia, espandersi!» 

«Probabilmente hai ragione.» disse Cloud, lapidario.

«Che facciamo secondo te? Ci mettiamo in fila?» chiese Tifa.

«Jules ha detto di andare direttamente all’ingresso.» 

Detto ciò, Cloud guidò la ragazza in direzione dell’entrata, attirando commenti contrariati dalle persone in fila.

«Ehi, biondino, ma che pensi di fare?» 

«Chi si credono di essere?»

«Spero che il buttafuori gli dia il benservito!» 

«Sono ore che stiamo in fila!»

«Dolcezza, ti va di fare la fila con me?»

Facendo del loro meglio per ignorare le lamentele e le occhiatacce, i due raggiunsero finalmente l’ingresso, guardato a vista da un corpulento omaccione, vestito di una sgargiante divisa dorata. Il buttafuori inarcò un sopracciglio alla loro vista, ma non si scompose e li apostrofò:

«Buonasera signori. Posso aiutarvi?»

«È il momento della verità, forza, mister VIP!» disse scherzosamente Tifa. Cloud sospirò e si rivolse all’uomo in tono piatto.

«Ci manda Jules Rhodea… sono Cloud Strife.»

A quelle parole, il buttafuori cambiò repentinamente atteggiamento.

«Mister Cloud! La aspettavamo. Prego, si rechi alla reception!» disse con un sorriso, scostando le tende di velluto rosso. Le persone in fila ammutolirono, mentre la coppia varcava la soglia. 

«Sono impressionata.» ammise Tifa, con un’espressione a metà tra l’incredulo e il divertito.

“Anche io.” pensò Cloud, sebbene fosse compiaciuto di aver fatto colpo. Tuttavia non abbassò la guardia, sicuro che le sorprese non si sarebbero fermate all’ingresso e conscio di essere in un luogo compromettente.

«Mister Cloud! Che piacere!» lo accolse calorosamente il receptionist. «È passato del tempo dalla sua ultima visita!»

«Jules ci ha mandati qui.» disse in fretta Cloud, cercando di mascherare il crescente disagio.

«Of course! Andrea ci ha informati. Si scusa per non essere qui ad accogliervi personalmente, ma è impegnato con i preparativi per l’esibizione di stasera!» disse tutto d'un fiato il ragazzo.

«Ah, si esibisce stasera?» domandò Cloud, atterrito.

«Ah, voleva accoglierci di persona?» gli fece eco Tifa.

«Ma naturalmente, il signor Strife è tra gli ospiti più graditi di questo establishment

Tifa si voltò a guardare Cloud, perplessa, come se lo vedesse per la prima volta.

«Siete davvero fortunati ad essere capitati proprio la sera di una delle sue esibizioni. Sono sicuro che anche lui ne è incantato!»

“Smettila di parlare!!” pensò disperato Cloud.

«Riguardo la vostra sistemazione» riprese il receptionist «Andrea vi ha fatto riservare i tavoli migliori, e potete anche scegliere tra i nostri speciali privé, le coppie li adorano!» 

Il ragazzo si interruppe, portandosi una mano alla bocca con fare imbarazzato. 

«Voi siete una coppia, giusto?» chiese, con un filo di voce.

«Si.» rispose risolutamente Cloud, prima che Tifa potesse aprire bocca. Quest’ultima sgranò gli occhi per la sorpresa.

«Va bene il privè?» le chiese il ragazzo.

«S-si.» balbettò Tifa, cercando di mascherare la sorpresa, mentre le guance le si tingevano di rosso. Il receptionist sorrise.

«Bene. E privé sia! Ragazzeeee!» chiamò, battendo elegantemente le mani. Tre fanciulle con indosso l’iconico costume da ape dell’Honeybee Inn uscirono da dietro la tenda rossa che separava la hall dall’anticamera che conduceva al teatro.

«Vi affido a loro. La vostra serata indimenticabile sta per iniziare!» esclamò deliziato.

Cloud e Tifa lo ringraziarono e andarono incontro alle tre ragazze che si stavano avvicinando. Il ragazzo aveva un colorito terreo che stonava con la decisione con cui camminava.

«Ehi Cloud, va tutto bene?» domandò Tifa, preoccupata.

“Non è possibile!” pensò il ragazzo; le apette che sorridevano radiose davanti a loro erano le stesse che lo avevano addestrato, mesi prima, nell’Inn originale. La situazione non poteva essere peggiore.

«Guarda un po’ chi si rivede!»

«The man of the hour!» 

«The Dancing Queen

«Che bello rivederti, Cloud!» trillò l’apetta bruna.

«Amiche tue?» domandò Tifa, con una nota di sarcasmo nella voce tesa.

«Le ho incontrate l’altra volta che sono stato qui.» rispose Cloud, sbrigativo.

«Si!» confermò l’apetta dai capelli corti. «Siamo noi che lo abbiamo assistito prima del suo incontro con Andrea!»

«E con che performance ci ha deliziate!» aggiunse entusiasta la ragazza bionda.

«Ah.» fece Tifa, corrugando la fronte e rivolgendo a Cloud uno sguardo incendiario.

«Lei è la tua ragazza?» chiese curiosa l’apetta bruna.

«Si.» rispose prontamente Tifa, stringendogli il braccio un po’ più forte. Stavolta fu Cloud ad essere sorpreso.

«Oh, my god! Siete così carini!» esclamò la bionda, estasiata.

«Bellissimi!» le fece eco l’altra apetta.

«Ehm...grazie.» rispose Tifa, un po’ più sollevata, ma ancora guardinga. Cloud si limitò a diventare paonazzo.

«Forza! Andiamo al favo!» disse la ragazza con i capelli corti, prendendo Tifa sottobraccio. La mora fece altrettanto con Cloud, mentre l’apetta bionda guidava il gruppetto verso le scale. Il privé si rivelò essere una piccola balconata, modellata per assomigliare alla cella di un favo e lussuosamente arredato con divanetti e tavolini esagonali. Tutto intorno, gli altri privé davano l’illusione di trovarsi veramente all’interno di un alveare gigante. La vista panoramica sul palco e sui tavoli che lo circondavano era impeccabile. Cloud e Tifa rimasero a bocca aperta.

«Accomodatevi!» trillarono in coro le ragazze, indicando il divanetto. I due si sedettero e sprofondarono immediatamente nei cuscini, cercando goffamente di tirarsi su. Le apette trattennero a stento delle risatine.

«Non mi aspettavo che fosse così morbido.» si giustificò Tifa, mentre si sistemava.

«Nemmeno io.» ammise Cloud. La morbidezza di quel divano faceva sembrare il materasso della sua stanza una lastra di marmo.

«Solo il massimo del comfort per i nostri migliori ospiti!» affermò una delle ragazze, sorridendo.

«E a proposito…» si intromise l’apetta dai capelli corti, «Saremo a vostra disposizione per tutto il tempo! Ordini di Andrea!»

«Ma il piacere è tutto nostro!» aggiunse entusiasta l’apetta bionda.

«Ah… grazie.» commentò Tifa, con scarso entusiasmo.

«Cosa vi portiamo da mangiare?» chiese l’apetta bruna. «Avete richieste particolari?»

«Andrea ci ha raccomandato di dirvi che tutto quello che ordinerete sarà offerto da lui!» disse la ragazza bionda, compiaciuta. 

«Andrea è il migliore!» esclamarono in coro le altre due colleghe, con espressione sognante. Tifa era sempre più confusa da quella situazione surreale e fissava con insistenza Cloud.

«Cosa stavate dicendo della cena?» chiese quest’ultimo, nel tentativo di riportarle alla realtà ed evitare le occhiate indagatrici di Tifa.

«Oh, scusaci. Abbiamo degli speciali menù riservati alle coppie.» rispose l’apetta bionda.

«L’Honey Dinner, un dolce menù, il preferito dagli innamorati che vengono ad intrattenersi qui.»

«Oppure, se vi sentite più avventurosi, abbiamo il menu “Bee Spicy”...» suggerì l’apetta bruna. 

Cloud, in difficoltà, guardò Tifa in cerca di suggerimenti.

«Credo che stavolta l’Honey Dinner possa andare.» disse la ragazza, ricambiando il suo sguardo, in cerca di una conferma. Il ragazzo annuì, sbrigativo.

«Benissimo!»

«Torniamo subito!»

Detto questo, le ragazze li lasciarono da soli nel lussuoso privé. Nella grande sala sotto di loro lo spettacolo ancora non era iniziato e tutti quanti chiacchieravano allegramente con una leggera musica di sottofondo. Tifa cercò di sistemarsi meglio, ma sprofondò ancora di più nei cuscini. Trasalì, quando si ritrovò il braccio di Cloud intorno alle spalle. Sorrise. Lui ricambiò timidamente. 

«Che ne pensi?» le domandò il ragazzo, indicando con un cenno il locale.

«È molto… sgargiante. Anche il vecchio locale era così?» rispose lei, curiosa.

«All’incirca. Non mi ricordo.»

Lei lo guardò sospettosa; lui fissava ostentatamente il vuoto davanti a sé, tamburellando sul cuscino. Risate sguaiate proruppero da uno dei tavoli in sala. Tifa insistette:

«Sai, non sono mai stata al vecchio locale. Lo conoscevo soltanto di fama. E Andrea Rhodea è un personaggio molto famoso, non solo perché era uno dei delegati di Don Corneo.»

Cloud si girò a guardarla, sorpreso. In verità, non avrebbe dovuto stupirsi troppo su quanto fosse informata, dato che Tifa aveva vissuto a Midgard molto più tempo di lui.

«Pensa che è talmente conosciuto da avere una lista di attesa lunga anni!» continuò la ragazza.

«Lo so.» disse Cloud, memore del suo primo ingenuo tentativo di ottenere la raccomandazione per Aerith da Andrea. Il suo volto si adombrò.

«Tutto bene?» gli domandò Tifa.

«Si, scusa. Dicevi?» rispose in fretta Cloud.

Lei lo squadrò, poco convinta, ma smise di insistere. Passarono qualche minuto in silenzio. Proprio quando Cloud pensò di essere riuscito ad evitare l’argomento, Tifa si girò verso di lui.

«Non sono mai riuscita a chiederti…» esordì, sistemandosi meglio per guardarlo in faccia, «...è stato proprio Andrea a raccomandarti, giusto?»

«Si.» rispose Cloud, lapidario.

«Come hai fatto ad aggirare la lista d’attesa?» gli domandò.

Cloud avrebbe voluto tanto parlare di qualsiasi altra cosa, perché sapeva benissimo che quella conversazione avrebbe potuto rovinare la serata. Ma la curiosità e la trepidante attesa con cui quegli occhi vermigli, ora così vicini, lo stavano guardando, gli fece sembrare il non rispondere un atto quasi crudele.

«È successo mentre cercavo di ottenere la raccomandazione di Madame M per Aerith.»

Poteva provare a non raccontarle proprio tutto. Tifa strinse gli occhi e non disse niente, in attesa del seguito.

«La donna che abbiamo incontrato prima.»

«Si.» 

«Quella che ti ha fatto il massaggio alle mani?» 

«Quella che mi ha fatto il massaggio alle mani.» confermò il ragazzo, cercando di ignorare il calore che gli risaliva sul viso.

«Madame M mi ha chiesto di gareggiare e vincere il torneo dell’arena di Corneo. In cambio del premio avrebbe raccomandato Aerith e le avrebbe dato un vestito per il provino.»

«Ho capito.» disse Tifa, annuendo.

«Alla fine Aerith ha voluto partecipare e combattere insieme a me. Ho provato a convincerla in tutti modi, ma non ne ha voluto sapere.» continuò a raccontare Cloud, lasciandosi sfuggire un sorriso mesto. 

«È sempre stata testarda.» commentò Tifa, con lo stesso sorriso triste. Quei discorsi stonavano terribilmente in un ambiente così lussuoso e festaiolo.

«Alla fine siamo riusciti a vincere.» riprese Cloud, desideroso di finire il racconto il prima possibile. «Anche se abbiamo incontrato un sacco di gente che giocava sporco, senza contare che abbiamo anche dovuto fare un incontro finale, non programmato, contro una casa meccanica!»

«Assurdo...» mormorò Tifa. Le sue parole le davano uno strano fastidio, anche se non osava fermarlo, ora che sembrava essersi sbloccato. E non lo aveva mai visto così entusiasta di raccontarle qualcosa, anche se si trattava solo di combattimenti.

«Ti ha davvero mangiato quella casa!?» esclamò incredula, interrompendo il ragazzo. Lui annuì, con un fremito di fastidio, mentre ripensava a quell’ammasso di ferraglia.

«Non è la cosa più strana che ci è successa, se ci pensi.» commentò, strappandole una risata. In quel momento la porta del privé si spalancò ed entrarono le apette, spingendo un carrello tintinnante carico di cibi, bevande, piatti e bicchieri.

«La cena è servita!» trillarono in coro. Le ragazze iniziarono a spostare i piatti dal carrello al tavolino di fronte a loro. Cloud e Tifa fecero per ringraziarle, quando notarono che ogni cosa, compresi piatti, bicchieri, posate e persino l’impiattamento delle vivande, era a forma di cuore. Arrossirono simultaneamente.

«Questa è la particolarità dell’Honey Dinner: quale modo migliore per celebrare l’amore di una giovane coppia?» disse l’apetta bionda, sorridendo. I due ragazzi rimasero in silenzio.

Cloud provò a concentrarsi su qualcosa che non fosse a forma di un cuore, ma dovette arrendersi presto. Tuttavia, la sua attenzione fu attirata da quattro bicchierini scuri, ovviamente a forma di cuore, poggiati su un vassoio d’argento della stessa forma.

«Cosa sono quelli?» domandò con sincera curiosità.

«Oooh! Dritto al sodo!» ridacchiò l’apetta mora.

«Questi li manda Andrea in persona, si chiamano Love Shots!» rispose la ragazza bionda. «Una delizia alcolica servita in bicchierini di cioccolato, da gustare rigorosamente in coppia!»

«Oh.» fu il commento di Cloud, che ricominciava a sentirsi a disagio. Tifa invece guardava i bicchieri, incuriosita.

«Sembrano buoni.» disse, prendendo uno dei bicchierini per osservarlo meglio. Cloud la imitò, poco convinto.

«Vanno consumati seguendo una procedura precisa.» continuò l’apetta, entusiasta. «Vi facciamo vedere.»

“In che senso…” pensò disorientato il ragazzo.

La ragazza prese gli altri due bicchierini rimasti e ne porse uno all’apetta con i capelli scuri, che ridacchiava.

«Ognuno deve imboccare l’altro, così...»

Le due ragazze avvicinarono il proprio bicchierino alla bocca dell’altra; entrambi sparirono in un sol boccone, senza sprecare una goccia.

Una delle ragazze passò voluttuosamente la lingua sul polpastrello dell’altra, catturando le ultime tracce di cioccolata, sotto lo sguardo imbarazzato di Cloud e Tifa.

«E una volta finito...» riprese l’apetta, una volta inghiottito il boccone, «... gli innamorati più audaci possono scambiarsi un bacio.» 

Cloud e Tifa non fecero in tempo a proferir parola, che le due ragazze iniziarono a baciarsi appassionatamente. Tifa rimase allibita a fissarle, mentre sentiva il volto andare a fuoco. Udì un piccolo “crack”: si voltò, per vedere che Cloud, con la sua stessa espressione impietrita, aveva stretto talmente forte il piccolo bicchiere di cioccolata da frantumarlo. Il ragazzo si scosse quando sentì il liquido gocciolare attraverso il pugno chiuso.

Le apette si separarono e lo guardarono basite; Tifa posò il suo bicchierino e passò al ragazzo un tovagliolo.

«Ehm… noi vi lasciamo, vi abbiamo spiegato tutto! Buona cena!» dissero sbrigative le ragazze, prima di abbandonare il privé in tutta fretta.

Cloud si lasciò sfuggire uno sbuffo di frustrazione, mentre finiva di pulirsi il polso. 

«Dai… mangiamo.» sospirò Tifa, prendendo uno dei piatti e alzando gli occhi al cielo alla vista di piccole fette di zucchina a forma di cuore.

Il cibo era di qualità superba, ogni pietanza era una festa per il palato, tuttavia il clima era lontano dall’essere gioioso. Mangiarono tutto, ma lo fecero in silenzio; l’unica cosa commestibile rimasta alla fine della cena, era il Love Shot superstite, che Cloud stava evitando accuratamente di guardare e che si stava miseramente squagliando.

Guardava invece spesso di sottecchi Tifa, che non ricambiò i suoi sguardi nemmeno una volta, intenta a osservare le ballerine sul palco, le luci dei lampadari di cristallo, le pietanze o qualsiasi cosa che non fosse lui.

Tifa in effetti evitava di girarsi verso di lui, concentrandosi sulle elaborate coreografie delle danzatrici senza mai guardarle davvero. Il suo sguardo era fisso, ma la sua mente vagava tra pensieri malinconici che, per molto tempo, aveva accuratamente evitato.

Dopo Meteor, dopo aver evitato l’Apocalisse, tutti i sopravvissuti di Midgar avevano dovuto attraversare le mille difficoltà di ricostruire le loro esistenze e questo aveva richiesto del tempo per tutti quanti, lei compresa; per Cloud poi, che non aveva mai avuto una vita normale a cui fare ritorno, le difficoltà sembravano non finire mai. Lei inizialmente era stata ben contenta di concedergli tutto il tempo che gli serviva. Dopotutto, il ragazzo aveva già chiarito quali fossero i suoi sentimenti per lei, in un momento di felicità assoluta che custodiva gelosamente nei suoi ricordi. Tuttavia, dopo quella notte sotto l’Highwind, era come se fossero entrati in una specie di stasi. 

Non riusciva a prendersela con Cloud, il solo pensiero la faceva sentire in colpa. In fin dei conti, avrebbe potuto perdere tutto e invece aveva ottenuto tutto quello che voleva: una nuova vita con un nuovo bar e con l’uomo dei suoi sogni. Eppure le mancava qualcosa e stava diventando sempre più insofferente a quella stasi. Le sembrava a volte che le loro vite procedessero parallele, l’uno accanto all’altra; sempre vicini, ma per qualche motivo incapaci di incontrarsi per davvero. 

La consapevolezza che non avrebbe potuto cambiare la situazione da sola minacciava sempre più spesso di gettarla nello sconforto, ma si sforzava di non arrendersi e di non permettere a quei pensieri di portarle via quella felicità, seppure imperfetta, che aveva guadagnato così duramente. Si girò verso Cloud.

«Poi che è successo?»

Lui trasalì e la guardò con una certa sorpresa.

«Cosa?» domandò.

«Dopo che avete distrutto quella casa meccanica, cosa è successo?» ripetè Tifa, facendo un cenno di incoraggiamento col capo.

«Ah si…» rispose in fretta Cloud, cercando di riprendere il filo del discorso, «... dopo che abbiamo vinto, Andrea mi ha invitato all’Honeybee Inn.»

«Quindi ti aveva visto all’arena?»

«Si. Sono andato al locale, dove lui mi ha dato il vestito e la raccomandazione.» concluse Cloud.

«Oh.» fu tutto ciò che riuscì a dire Tifa, ricordando le altre cose successe quella notte. Cloud tirò un sospiro di sollievo.

«È strano… è stato davvero generoso con te.»

«Come? Che intendi?»

«Sai, il vestito che indossavi era molto elaborato…»

«Anche quello di Aerith era elaborato!» ribattè Cloud.

«Va bene…» acconsentì Tifa, con una punta di impazienza, «... ma Cloud… non era solo il vestito! Anche i gioielli… erano veri! Quella tiara, gli orecchini soprattutto!»

Il ragazzo la guardò perplesso.

«Davvero non sapevi quanti carati di oro rosso di Wutai avevi addosso?»

«... no.»

“Oro rosso? Sul serio??” pensò, sperando che Andrea non li rivolesse mai indietro, dato che, per quanto ne sapeva, vestito e gioielli si trovavano ancora nelle fogne sotto le macerie di Midgar.

«Ecco perché è strano…» proseguì Tifa, «... è stato davvero generoso, senza chiederti nulla in cambio.» 

«Alla fine ci ha guadagnato anche lui.» intervenne Cloud, « Se ti ricordi, non solo mi ha fatto entrare nel palazzo di Corneo, ma ci ha fatto anche riavere le armi e i vestiti. Voleva usarci per togliere di mezzo il suo capo, e ci è riuscito.»

“E probabilmente anche Madame M aveva lo stesso obiettivo...”

«Qualcuno doveva detronizzarlo, è stata una buona azione. Ma penso che Andrea non si sarebbe mai esposto così tanto, senza avere nulla in cambio.» insistette Tifa.

«Mi ha visto combattere, si sarà convinto che ce l’avrei fatta.» disse Cloud, ostentando sicurezza mentre la sua gamba destra oscillava incontrollata. Tifa non si fece abbindolare e ribattè, spazientita:

«Non è quello il punto! Che hai fatto per convincerlo ad aiutarti? Cosa sarà mai stato di così terribile??»

Cloud trasalì, le sue ultime difese ormai crollate. Si rese conto che doveva prendere una decisione: il solo pensiero di ritornare al silenzio che li aveva oppressi per tutta la cena, o di rivedere la tristezza sul volto di Tifa, gli diede la forza di affrontare quello che aveva cercato di evitare per tutta la sera.

«Andrea mi ha chiesto… » esordì, con voce carica di rassegnazione, «... di salire sul palco e ballare con lui.»

«Cosa!?» esclamò Tifa, sgranando gli occhi per lo stupore. «E tu lo hai fatto?» 

Cloud le lanciò un’occhiata eloquente.

“In effetti, raccomandazione e vestito li aveva ottenuti…”, pensò la ragazza, sentendosi una sciocca per aver fatto quella domanda; ma a sua discolpa, le sembrava più probabile che Cloud avesse minacciato Andrea con la spada per ottenere quello che voleva, piuttosto che assecondare le sue richieste. Ancora incredula, guardò il ragazzo, poi il palco e infine di nuovo Cloud, che iniziava a sentirsi a disagio, oltre che tremendamente in imbarazzo.

«Che… tipo di ballo?» gli domandò Tifa.

«Non ne voglio parlare. Era necessario per entrare a salvarti.» rispose piccato Cloud.

«Quindi… the Dancing Queen…»

Tifa si coprì la bocca con le mani, ma riuscì a trattenere le risate solo per un momento, cominciando a sbellicarsi.

«Si.» confermò Cloud, infastidito, mentre arrossiva.

«Scusa…» disse Tifa, cercando di ricomporsi, «... tu non balli, lo hai detto tu stesso!» esclamò, ripensando a come il ragazzo avesse prontamente rifiutato la proposta di Barret di fare un balletto per schernire la Shinra.

«Non riesco nemmeno ad immaginarmelo!»

“Meglio così.” pensò Cloud. Era già stata dura farsi vedere da lei travestito da donna, se fosse riuscito a risparmiarsi un altro momento imbarazzante, ne sarebbe stato felice.

«Perché vorresti immaginarlo?» buttò fuori, senza riuscire a smettere di arrossire.

«Perché non ne sapevo nulla! Nemmeno Aerith mi ha mai raccontato niente!» rispose Tifa, confusa.

«Perchè le avevo chiesto di non dirlo a nessuno.» disse Cloud. In realtà, alla prima occasione l’aveva presa da parte e costretta a giurare che non avrebbe raccontato ad anima viva di quella serata. Tifa cambiò improvvisamente umore e il suo sorriso sparì, sostituito da un’espressione accigliata.

«Ah, capisco… era un vostro segreto. Mi domando se ce ne siano altri.» commentò, caustica. Cloud si diede dello stupido, resosi conto di aver parlato troppo. 

«Perchè tenere segreta quella che è stata una delle migliori esibizioni di questo locale?» esclamò una voce alle loro spalle. «Tutt’ora in molti mi chiedono un encore di quella memorabile serata!»

I ragazzi si voltarono di scatto: dalla porta del privé era appena entrato Andrea Rhodea in persona, vestito con uno sgargiante completo multicolore. Il fascio di luce di un riflettore si spostò dal palco per andare ad illuminarlo, accecandoli, mentre la musica cessava. Applausi scroscianti si levarono dalle persone sedute in sala e negli altri privé.

«Buonasera ragazzi, che piacere rivedervi.» esordì il proprietario dell’Honeybee Inn, avanzando verso il divanetto. Il riflettore si spense, dando tregua ai due ragazzi, e la musica riprese. Andrea salutò Tifa con un elegante baciamano, facendola avvampare. 

«Mi dispiace di non essere riuscito a venire prima.» si scusò Andrea, mentre aggirava il divano. Diede una schicchera a una delle ciocche ribelli di Cloud, che trasalì. «Ma dovevo assolutamente supervisionare l’esibizione di stasera».

Si sedette sul bracciolo del divanetto, accanto al ragazzo. Né lui né Tifa erano ancora riusciti a spiccicare parola.

«La cena è stata di vostro gradimento?»

«Si, era tutto buonissimo, grazie.» riuscì a rispondere Tifa, che era rimasta un po’ sorpresa da quella mostra di confidenza.

«Si… grazie.» le fece eco Cloud, con filo di voce.

«Sai, quando Jules mi ha telefonato e mi ha detto di voi due, non ci ho pensato due volte ad intervenire! La vostra serata doveva essere salvata!» esclamò Andrea, entusiasta. Tifa notò una certa somiglianza con il fratello.

«Ti ringraziamo davvero tanto per questo, e anche per la cena.» disse la ragazza, sorridendo. «Non dovevi.»

«Ma di nulla, my dear! Se ti senti in debito, potresti sempre darmi una rivincita alla gara di trazioni.» rispose scherzosamente Andrea. Tifa sorrise di nuovo.

«Volentieri.»

«Dovrebbe anche lasciarti vincere…» mormorò Cloud.

«Ti ho sentito!» lo rimproverò Andrea, dandogli uno schiaffetto sul braccio. «Ti informo che ho continuato ad allenarmi, dall’ultima volta. Potrai vederlo con i tuoi occhi quando inizierai a venire in palestra.»

«Va bene.» rispose il ragazzo, alzando una mano. Andrea rimase a chiacchierare con loro per un po’, dimostrandosi un conversatore abile e affabile. Riuscì addirittura a strappare qualche frase a Cloud, ma parlò principalmente con Tifa. Era molto interessato al Seventh Heaven e ai cocktail che preparava: si scambiarono pareri professionali e aneddoti sulle serate più memorabili.

Anche se stava parlando con lei, Tifa notò come lo sguardo di Andrea si posasse continuamente su Cloud, che invece faceva di tutto per ignorarlo.

«Comunque… sapevo che c’era del tenero tra voi!»

Cloud e Tifa arrossirono simultaneamente, scambiandosi uno sguardo.

«Sai, questo ragazzo ha fatto l’impossibile per riuscire a infiltrarsi nella villa di Don Corneo e raggiungerti.» continuò Andrea, poggiando entrambe le mani sulle spalle del ragazzo, che abbassò lo sguardo imbarazzato.

«So che può sembrare una frase scontata, ma sei una ragazza fortunata!» trillò, fissando Tifa. Lei mormorò un ringraziamento, imbarazzata dalla situazione.

«E per essere una persona che non balla, è stato dannatamente bravo! Avresti dovuto vedere le sue mosse… ha un vero talento per la danza!»

«Già… in effetti mi sarebbe piaciuto.» ammise Tifa, guardando Cloud, che la ignorò prontamente mettendosi a fissare il vuoto e mormorando:

«Non ti sei persa nulla…»

Tifa stava per replicare, quando Andrea si alzò dal suo trespolo sul bracciolo ed annunciò:

«Io devo andare. So che vorreste continuare a pascervi della mia presenza, tuttavia il pubblico esige il suo show! Il popolo vuole Andrea Rhodea!»

I ragazzi rimasero in silenzio, guardandolo smarriti mentre camminava all’indietro verso la porta del privé.

«A proposito… Tifa!» esclamò, fermo a metà strada, «... hai pensato alla mia offerta?»

«Eh? Quale offerta?» rispose Tifa, sgranando gli occhi. Cloud invece era proprio preoccupato.

«Se ben ricordi, dopo la cocente sconfitta che mi hai inflitto, ti avevo proposto di esibirti con me sul palco.»

«... è vero.» ammise la ragazza.

«Quindi? Ti va?»

«Cosa?? Adesso?»

«Ma certo, my dear! Quale momento migliore di adesso? E potresti venire anche tu, Cloud, per mostrare a Tifa il tuo talento!»

La ragazza sembrava indecisa, mentre Cloud rispose subito con un secco:

«Non mi interessa.»

«Dai, non farti pregare, sai che… oh, ma cosa è successo ai vostri Love Shots?» chiese, indicando inorridito le spoglie dei due bicchierini sul vassoio.

«C’è… stato un problema.» sospirò Tifa.

«Ve li faccio riportare subito!»

«No, grazie Andrea.» rispose subito Cloud.

«Oh, colpa mia! Forse non era il momento giusto per farveli avere… allora vado. Tifa, c’è ancora tempo per cambiare idea e onorare il palcoscenico con la tua presenza.» disse l’entertainer, prima di congedarsi e lasciarli da soli.

I due rimasero in silenzio per qualche momento, sordi al vociare della sala sottostante e alla musica che stava cambiando ritmo. Tifa guardava il Love Shot superstite squagliarsi inesorabilmente. Alla fine sussurrò:

«Non arriverà mai il momento giusto, vero?»

«Cosa?»

“Ed io non ce la faccio più ad aspettare.”

Tifa si alzò, decisa.

«Che fai?» chiese ancora Cloud, confuso.

«Vado sul palco.»

«Ma… tu non balli.»

«Per quanto ne sapevo prima di stasera, nemmeno tu.» ribattè Tifa, piccata.

«E comunque, è sempre meglio che stare fermi.» aggiunse, prima di lasciare Cloud da solo nel privé. Il ragazzo cercò di dirle qualcosa, ma le parole gli morirono in gola quando la porta si chiuse. Sospirò forte e si abbandonò sul divanetto, tenendosi la fronte con una mano.

Dopo qualche momento alzò lo sguardo: i resti della cena giacevano sul tavolino di fronte a lui, come in un cimitero di piatti vuoti. Indugiò con gli occhi sul vassoio dove i Love Shot erano ormai ridotti a due masse informi. Una musica incalzante lo strappò ai suoi pensieri.

***

Tifa fece un paio di respiri profondi, cercando di mantenere la calma mentre ripassava mentalmente i passi. Non si era mai sentita così agitata, nemmeno prima di uno scontro.

La musica iniziò.

“Non si torna indietro.” si disse, abbandonando con decisione le quinte. Due ballerine la affiancarono, muovendosi a ritmo.

«In bocca al lupo…» le sussurrò una delle ragazze, sfiorandole la spalla, «... andrai benissimo.»

Lei sorrise nervosamente.

***

Cloud vide Tifa entrare in scena, affiancata da due apette. Applaudì insieme al resto del pubblico, mentre si levavano anche delle grida di sorpresa. Altri ballerini fecero il loro ingresso e iniziarono le danze. Il ragazzo si affacciò alla balconata per vedere meglio.

Tifa sembrava tesa, ma i suoi movimenti erano fluidi e coordinati con quelli degli altri ballerini, mentre sorrideva. Senza rendersene conto, Cloud iniziò a tamburellare sulla ringhiera a tempo di musica. Non passò molto tempo prima che Andrea facesse il suo trionfale, scenografico ingresso sul palcoscenico tramite una botola nascosta, tra immensi fiori e piume sgargianti; il pubblico lo accolse con grida di giubilo.

Il proprietario dell’Honeybee Inn si avvicinò a Tifa, la prese elegantemente per mano e le fece fare una giravolta, per poi tirarla a sé ed esibirsi in un aggraziato casquè che la lasciò senza fiato, anche a causa della vicinanza del volto dell’uomo al suo. Andrea ammiccò e la sollevò, lasciandola andare. Tifa continuò a ballare, seguendo le mosse dell’uomo davanti a lei e il ritmo della musica, come le era stato spiegato. Era più semplice di quanto pensasse, probabilmente anche grazie ai suoi allenamenti. Tornò a sorridere, mentre Andrea la attirava di nuovo a sé. Doveva ammettere che iniziava quasi a piacerle partecipare allo spettacolo. Un lampo di sorpresa attraversò il volto dell’entertainer.

Tifa non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo, poiché, con un’espressione a metà tra il divertito e il beffardo, l’uomo la fece voltare verso il pubblico, che era andato letteralmente in delirio, appena in tempo per vedere Cloud salire sul palco. Tifa lo guardò incredula mentre saliva l’ultimo gradino.

Ad un cenno di Andrea, gli altri ballerini abbandonarono il palco. Cloud non ci badò, come ignorò il sorriso compiaciuto dell’uomo, mentre anche lui spariva dietro le quinte. Tifa lo fissava incerta, ricambiando il suo sguardo mentre si avvicinava. La musica cessò, per essere sostituita da un brano più sensuale ma altrettanto ritmato. Il pubblico applaudì, incoraggiante, mentre un unico riflettore di calda luce dorata si accese e li illuminò. Vedendola ancora titubante, Cloud fece un breve cenno col capo. Il volto di Tifa si illuminò per un attimo, prima che si avvicinasse a lui con una giravolta.

Cloud sfiorò la mano tesa della ragazza, ma lei si allontanò repentinamente, guadagnando il centro del palcoscenico con una piroetta. Lui la seguì, imitandone le movenze. Lei volteggiò di nuovo verso di lui e stavolta Cloud riuscì a prenderle la mano. Tifa si lasciò tirare verso il ragazzo, finendo tra le sue braccia, con la schiena premuta sul suo corpo. Le prese anche l’altra mano e la accompagnò mentre tracciava un elegante arco nell’aria con la gamba. Lei si allontanò di nuovo ma non lasciò la sua mano, approfittando del sostegno per lasciarsi cadere all’indietro. Cloud la sostenne per un attimo, poi la trasse nuovamente a sé. Tifa sfruttò lo slancio per scivolare lungo il palco; si rialzò, ammiccando, per poi lasciarsi cadere all’indietro. Qualcuno dal pubblico gridò, stupito, quando Cloud colmò in un attimo la distanza che li separava e la afferrò, accompagnandola nel casquè come aveva visto fare ad Andrea.

Una volta tornata in piedi, Tifa si rese conto che quella mossa li aveva portati troppo vicino alla fine del palcoscenico. Scambiò un rapido cenno di intesa con Cloud e corse verso il centro del palco, concludendo il movimento con un Grand Jeté mozzafiato. Il ragazzo non volle essere da meno e la seguì con un meno elegante ma altrettanto spettacolare salto mortale in avanti; atterrarono uno vicino all’altra, slittando sul legno lucido del palcoscenico, tra gli applausi e le grida estasiate del pubblico.

Tifa si voltò e gli mise un braccio intorno alle spalle, avvicinando il suo volto a quello di Cloud e guardandolo intensamente negli occhi mentre sollevava una gamba. Il ragazzo si irrigidì, spiazzato da quella improvvisa vicinanza, ma poi vide nei suoi occhi quella complicità che aveva già visto, ogni volta che erano in procinto di affrontare una sfida insieme e capì.

La lasciò andare, indietreggiando a ritmo della musica, ma lei si avvicinò immediatamente. Si abbassò, incrociando le mani: lei poggiò un piede sui suoi palmi e lui le diede lo slancio per un salto mortale all’indietro.

Tifa atterrò con grazia tra applausi scroscianti, piroettando e trovandosi di nuovo rivolta verso Cloud; il ragazzo colse un altro cenno e si preparò. Lei corse e saltò, Cloud la afferrò a mezz’aria e la sollevò sopra la testa, mentre lei allargava le braccia come se fosse sul punto di spiccare il volo. Dal pubblico si levò l’ennesimo applauso.

«Non è finita!!» gridò una voce alle loro spalle. Andrea e il corpo di ballo rientrarono sul palcoscenico.

«Follow my lead, honey

Le apette si allontanarono insieme a Tifa, mentre Cloud si mise a seguire le mosse di Andrea insieme ai ballerini. L’esibizione al maschile durò poco, poiché Tifa e le ragazze apparvero nuovamente sul palco. Andrea si posizionò tra i due ragazzi e le danze ripresero, ogni ballerino che seguiva le movenze del proprietario dell’Inn.

Andrea prese nuovamente Tifa, per farle fare un altro casqué, poi con abile gioco di gambe riuscì a scambiarsi di posto con Cloud.

«Up!» sillabò, mentre passava accanto al ragazzo. Il biondo annuì e sollevò di nuovo in alto Tifa, tenendola sospesa con le braccia tese mentre il resto dei ballerini piroettava intorno a loro; la lasciò ricadere tra le sue braccia proprio mentre la musica finiva.

Cloud era senza fiato: i loro volti erano vicinissimi, fronte contro fronte, i nasi che si toccavano. La voce di Andrea, udibile anche sopra lo scrosciare degli applausi, li interruppe esclamando:

«Perfection!»

Cloud posò la ragazza a terra, con leggero dispiacere. L’entertainer li prese entrambi per mano e tutti e tre sollevarono le braccia.

«Godetevi gli applausi, my dears, sono tutti per voi!»

I due arrossirono, prima di seguirlo nell’inchino.

***

«Uno spettacolo indimenticabile!»

«Sensazionale!»

«L’Honeybee non delude mai!»

«Quei due ragazzi sono stati incredibili!!»

Cloud si fece strada verso l’uscita, con una sorridente Tifa sotto braccio, mentre i commenti estasiati degli avventori del locale continuavano ad arrivargli all’orecchio. 

«Cloud!» lo chiamò Andrea. I due si voltarono, sorpresi di vedere l’entertainer raggiungerli in fretta e furia.

«Perdonami, honey, il pubblico mi aveva nuovamente reclamato.» disse, con un tono che sembrava ben lontano dal dispiaciuto.

«Volevo salutarvi di persona, e ringraziarvi per lo splendido spettacolo che ci avete regalato.»

«Grazie a te, Andrea. Per tutto.» rispose Tifa.

«... grazie.» aggiunse Cloud, facendo un veloce mezzo sorriso.

«Devo ammettere che non mi è dispiaciuto ballare.» disse Tifa.

«Lieto di sentirlo. C’è una speranza di vedervi di nuovo sul palco?» domandò Andrea, trepidante. Cloud trasalì; Tifa gli gettò un’occhiata fugace prima di rispondere con un:

«Non promettiamo nulla.»

«È già qualcosa!» disse sorridendo l’entertainer, «... ed ho un piccolo pensiero per voi, prima che ve ne andiate.»

Fece un gesto con la mano e una delle apette gli portò una scatola gialla, decorata a tema con tante piccole api e miele. Andrea porse la scatola a Cloud.

«Apritela, quando vi sembrerà il momento giusto.» disse, ammiccando. Il ragazzo lo guardò perplesso, ma accettò il regalo. I due salutarono Andrea e si avviarono verso la fermata della diligenza. La brezza della notte era molto piacevole, dopo la fatica dello spettacolo.

«Spero che abbiano trovato un altro chocobo, a quest’ora.» disse Tifa.

«Lo spero anche io.» concordò Cloud. Lei si strinse a lui, che non riuscì a trattenere un sorriso.

«Vuoi aprirla?» gli chiese la ragazza, indicando la scatola che aveva in mano. Cloud sembrava titubante.

«Non sei curioso?» insistette.

«Un pochino.» ammise lui. Sollevò il coperchio, ed entrambi trasalirono alla vista del contenuto. All’interno, incastrati in un supporto di carta e circondati da cubetti di ghiaccio, si trovavano due Love Shots. Fissarono i bicchierini per qualche momento, finché Tifa alzò lo sguardo, con un po’ di timore, incrociando gli occhi di Cloud in cui vide riflessa la sua espressione tesa ed esitante. Il ragazzo ricambiò lo sguardo in silenzio; tutto sembrava essersi fermato, persino il vento che aveva smesso di soffiare.

Tifa non osava muovere un muscolo, ma il cuore le batteva all’impazzata. Cloud fece un lungo sospiro, guardando prima il contenuto della scatola, poi nuovamente Tifa. Quest’ultima disse:

«Non devi, se non...» 

Si interruppe; negli occhi di Cloud, oltre ai riflessi di tutti i lampioni della strada e al bagliore del mako che ormai conosceva bene, c’era qualcosa di diverso. Capì che stava per scoprire fino a che punto si spingeva l’audacia di Cloud Strife, quando lo vide porgerle uno dei bicchierini che aveva tirato fuori dalla scatola.

 

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Capitolo 2
*** Forbidden Friendship ***


Cap. 2 Forbidden Friendship

«Certo che l’ho baciata!»

«Sono contento. E come l’hai baciata?»

«...»

«Non essere inopportuno come al solito, fratello!» intervenne bonariamente Jules, poggiando per un attimo i pesi.

«Mi preoccupo solo della salute della coppia!»

«Grazie… ma non c’è niente di cui preoccuparsi.» replicò Cloud, cercando di ostentare quanta più sicurezza possibile. Purtroppo per lui, Andrea non si fece abbindolare.

«Proprio quello che direbbe una persona preoccupata della sua relazione!» esclamò, preparando un bilanciere mentre con la coda dell’occhio osservava una giovane coppia di clienti.

Cloud si sforzò di ignorarlo, iniziando una nuova serie di trazioni. 

«Comunque sono contento che la serata sia andata bene!» trillò Jules, «... sembrate davvero la coppia perfetta!»

«Mmh… grazie.» troncò Cloud, stanco delle attenzioni. Tuttavia, appariva compiaciuto dell’ultima affermazione.

«È proprio per questo che mi preoccupo! Anche le coppie perfette non funzionano automaticamente…» insistette Andrea.

Cloud si chiese cosa fosse successo negli ultimi giorni, per attirare così tante premure da parte di Andrea. Prima la cena offerta nel suo locale, adesso consulenze e consigli non richiesti sulla sua vita di coppia; come se a lui servisse aiuto. Dopo tanto tempo la sua vita finalmente aveva iniziato a scorrere come voleva lui: normalmente. E la relazione con Tifa andava benissimo.

«E dimmi… fate altro, oltre a baciarvi?» chiese Andrea a bruciapelo.

Cloud perse la presa sulle impugnature e cadde rovinosamente. Tutte le teste si voltarono verso di lui. Andrea mal dissimulò una risatina.

«Andrea!» sibilò Jules, fulminandolo con lo sguardo. «Dagli tregua!»

Cloud ignorò gli sguardi di tutti i presenti e ricominciò l’esercizio, sebbene Andrea avesse notato una familiare sfumatura porpora sul viso del ragazzo. Doveva intervenire immediatamente, ma ormai aveva intuito che i metodi diretti servivano solo a farlo chiudere in se stesso, e suo fratello lo avrebbe cacciato via al prossimo passo falso.

«Dai Cloud, non dirmi che ti sei offeso prima… scherzavo! Voglio farmi perdonare: passa all’Honeybee Inn quando hai finito gli allenamenti, ti offro da bere. Anzi!» esclamò, rivolgendosi agli altri atleti «Offro un drink a tutti dopo gli allenamenti!»

Un coro di voci entusiaste si sollevò dalla sala pesi.

«Sono venuto in moto, mi dispiace.» disse subito Cloud.

«L’Inn ha anche delle stanze…»

«No, grazie. Domani ho delle consegne.»

«Un altro uomo ti invita a dormire altrove e le consegne sono il tuo primo pensiero? Non la tua dolce metà?»

Un ciclone con lunghi capelli scuri e vestiti attillati interruppe la conversazione.

«Signor Rhodea!! Non sapevo che si allenasse qui!»

«Tesoro, non potrei farlo da nessun’altra parte. Siamo nella migliore palestra delle vicinanze.»

«... è anche l’unica…» sussurrò Jules ridacchiando, udito solo da Cloud.

«Mio eroe… posso ardire… a chiederle un autografo sui miei leggings?» chiese la donna, sbattendo gli occhi languidamente.

«Ma certo… dove sono?»

«Proprio qui…» disse ancora lei, passandosi le mani sulle gambe.

Cloud avvampò istantaneamente, mentre Andrea sembrava divertito.

«Subito, my dear… porgimi una gamba!»

«Veramente… pensavo a tutt’altra zona…» 

La donna si girò e si chinò; Andrea tirò fuori da un punto imprecisato della sua tutina un pennarello e accontentò la donna con una firma molto elaborata. Solo quando se ne andò tutta contenta, Andrea si girò di nuovo verso Cloud, che era rimasto fermo in tensione e stava ancora fissando allibito il punto dove si trovava la donna.

«Il prezzo della celebrità… allora quando potremo strapparti alla vita coniugale per una serata?» disse, pimpante.

«Non lo so. Devo andare... Tifa mi aspetta.» rispose il biondo, sbrigativo, scendendo finalmente dalla sbarra.

«Salutamela.» disse Andrea, rassegnato ma non sorpreso.

«E ricordale che avrebbe un bello sconto su un abbonamento, con la nostra nuova promozione di coppia!» disse Jules, salutandolo con la mano.

Andrea sbuffò.

«E poi dici a me che sono inopportuno, fratellino?»

 

***

 

«Bentornato! Com’è andato l’allenamento?» chiese Tifa, vedendolo entrare al bar. 

«Bene.» rispose Cloud, laconico.

«Vuoi mangiare qualcosa?»

«Si, grazie.»

Cloud la osservò mettersi all’opera, tamburellando le dita sul bancone; le frasi di Andrea continuavano a tornargli fastidiosamente in mente e il silenzio era rotto solo dallo sfrigolare di qualcosa in padella.

«Come è andata stasera?» chiese finalmente.

«Come al solito… poco movimento durante la settimana.» rispose lei, armeggiando abilmente ai fornelli.

«Già…»

«Ecco a te, ginnasta!» disse Tifa sorridente, posando sul balcone un generoso piatto di uova e pancetta.

«Grazie.»

«Sai… oggi ho visto Andrea in palestra.» esordì Cloud, quando fu a metà del piatto.

«Di nuovo? Ma cosa fa, ti segue?» esclamò lei, sorpresa.

«Mmh...?» fece lui, a metà di un boccone.

«È la seconda volta questa settimana… ci tiene a rimanere in forma, ma è anche molto riservato. Come ci si sente ad allenarsi con una celebrità?» domandò scherzosamente.

«Ha ha ha… non mi alleno con lui. Siamo solo nella stessa stanza.» rispose Cloud, prima di attaccare il resto del bacon.

«Certo, scommetto che non ti parla nemmeno. Ci ha offerto una serata gratis nel suo locale… non mi dire che lo eviti! Sarebbe scortese!»

«No… certo che no… io…» rispose lui, sulla difensiva.

«Dovremmo invitarlo qui!!» disse lei, battendo il pugno sulla mano tesa.

«Come?!» squittì Cloud, colto alla sprovvista.

«Si! Per ringraziarlo della serata! Certo, il Seventh Heaven non è l’Honeybee Inn, ma… ha detto che voleva assaggiare il Cosmo Canyon!» disse Tifa, esitante.

«Vero…però è un tipo… particolare.» disse Cloud.

«Che intendi?» chiese Tifa, sorpresa.

«Non dimenticarti che era uno dei delegati di Don Corneo… e in palestra tutti sembravano conoscerlo. Una donna addirittura…»

«Cosa?»

«Gli ha chiesto un autografo.»

«Ahahaha… dai Cloud, mi sembra normale!»

«No… gli ha chiesto di firmarle i leggings. Quelli che aveva addosso.»

«Ah… sarà una cosa da celebrità.» disse Tifa, togliendogli da davanti il piatto ormai vuoto.

«Non lo so…» ammise Cloud. «Ma se vuoi invitarlo, va bene. Pensa che anche lui mi ha invitato a bere qualcosa dopo gli allenamenti.» 

«E perché non ci sei andato? » chiese Tifa, girandosi e sgranando gli occhi.

Cloud rimase stupito dalla domanda. Si alzò e prese un bicchiere di acqua, andando ad appoggiarsi vicino a Tifa, che stava lavando il piatto.

«Avrei dovuto… accettare?» chiese, rigirandosi il bicchiere tra le mani.

«Certo, stupidone! Se volevi, perché no?»

«Ma non volevo!» esclamò lui.

«Non fare così! È stato gentile…» replicò lei.

«...»

«Non c’è nulla di male se frequenti altre persone, oltre a noi.» disse bonariamente Tifa, accarezzandogli affettuosamente il ciuffo ribelle, mentre metteva a posto il piatto.

Cloud non rispose, ma la ragazza notò che non sembrava del tutto convinto.

«Tu pensa ad invitarlo, io preparerò il locale.» disse.

Cloud sgranò gli occhi.

«Invitarlo? Io?»

«Hai detto che ultimamente lo incontri spesso in palestra, non dovrebbe essere difficile.» disse con tono eloquente.

Cloud abbassò di nuovo lo sguardo sul bicchiere. Tifa lo guardò, in attesa.

«Suppongo di no.» rispose il biondo, prima di bere. Prevedeva guai.

 

 ***

 

«Come sarebbe a dire che oggi non c’è? È tutta la settimana che viene!» urlò Cloud, lievemente contrariato, cercando di farsi sentire al di sopra dell’assordante musica techno. 

«Dovevi dirgli qualcosa di importante? I’m so sorry!» rispose gridando Jules, abbassando gli occhi.

«Non preoccuparti, sarà per un’altra volta!» strilló il biondo, scuotendo la testa.

«Ma no! Visto che sei tu, proverò a chiamarlo! Dammi un secondo!!»

Il culturista tirò fuori un minuscolo telefono cellulare da dietro il bancone e compose un numero, rimanendo in attesa alcuni secondi. Il caos della musica dalla sala pesi rimbombava intorno a loro.

«Non risponde!! Chissà cosa sta facendo!!»

«Ho detto che non fa niente! Ci vediamo domani!»

Cloud uscì dalla palestra, massaggiandosi le orecchie. Non voleva allenarsi, aveva un paio di consegne da ultimare ed era già abbastanza tardi. Non si prese la briga di informare Tifa, tanto per quel giorno Andrea non si sarebbe fatto vivo.

Terminate le consegne, fece rotta verso il Seventh Heaven. Notò subito che il piccolo spiazzo antistante il locale era pieno di persone assiepate che si spintonavano per entrare. Un bruttissimo presentimento lo fece affrettare a parcheggiare; per evitare la folla fece il giro ed entrò dal retro.

Una volta spuntato da dietro il bancone notò il motivo dell’agitazione, seduto su uno sgabello e circondato da una torma di fan adoranti: Andrea Rhodea.

«Non ci credo…» sussurrò a nessuno in particolare.

«Meno male che sei qui! Forza, aiutami!» esclamò Tifa, travolgendolo con un vassoio pieno di bicchieri.

«Ah, comunque… grazie per avermi avvisata che lo avresti invitato stasera! Per premio starai al lavaggio!» aggiunse, prima di addentrarsi nel muro di folla tenendo il vassoio in alto sopra la testa. Cloud sospirò e si diresse al lavandino, già ingombro di bicchieri.

Riuscì a sollevare la testa dal lavandino solo a notte inoltrata, la schiena dolorante e le mani indolenzite. Andrea era riuscito a portare un numero record di persone al Seventh Heaven; il pavimento non aveva ceduto per miracolo.

«Ma è venuto per parlare con noi o per fare un bagno di folla?» chiese Tifa, ormai senza fiato.

«Direbbe che è il prezzo della celebrità.» sospirò Cloud, asciugando l’ennesimo calice.

«Dai, ti do il cambio, vai a salvarlo.»

«Non so se ne ha bisogno.»

«Ma noi si!! Chiudi il locale, caccia via tutti!»

«Hai ragione. Vado.»

«Prendi la Buster Sword, se necessario.» disse Tifa. Non ne poteva più e nemmeno il pensiero dell’incasso record riusciva a farle dimenticare i piedi in fiamme.

Dopo dieci minuti di lotta Cloud riuscì a far uscire tutti e a chiudere l’entrata. Nulla potè contro i curiosi che ancora si accalcavano alle finestre.

Stanco come non mai, si diresse verso l’ultimo cliente rimasto, la causa di tutto quel marasma, che stava chiacchierando con Tifa, mentre lei puliva il bancone.

«Cloud! Finalmente riesco a salutarti!» esclamò Andrea; anche lui era visibilmente stanco.

«Mi dispiace di aver creato tutto questo trambusto, non era mia intenzione. Ho cercato di essere il più discreto possibile, ma qualcuno deve avermi visto lo stesso mentre venivo qui.»

Cloud guardò i vestiti scarlatti e verdi chiaro di Andrea e scosse la testa.

«Posso proporre il bicchiere della staffa?» chiese di nuovo, guardando Tifa.

«Se verso un altro bicchiere urlo. Fate da soli.» esalò lei, poggiando una bottiglia e dei bicchieri sul bancone.

«Mi priveresti di un ultimo Cosmo Canyon?» domandò Andrea, deluso.

«Attento, potrebbe privarti di ben altro.» si affrettò a dire Cloud, avendo notato il cambiamento di espressione di Tifa.

«Va bene, non insisterò.» capitolò Andrea, aprendo la bottiglia e versando un generoso quantitativo di alcol nel suo bicchiere e in quello di Cloud. Tifa li guardò un attimo, compiaciuta, poi se ne andò nel retro.

«Ragazza meravigliosa.» commentò Andrea, osservandola andare via.

«Si.» concordò Cloud, bevendo un primo sorso. 

«Vi ho sentito!!» gridò Tifa.

«Ah, non ti ho ancora ringraziato dell’invito, Cloud.» disse Andrea, rivolgendo un palese occhiolino al biondo.

«... figurati. Anzi, grazie a te.»

«Magari mi avesse avvisata!» puntualizzò la voce dal retrobottega.

«Colpa mia, my dear, devo averlo distratto in qualche modo…»

Cloud bevve un altro sorso, senza commentare. La situazione cominciava a richiedere dell’alcool. Tifa riapparve per un attimo, con il volto deformato dalla stanchezza.

«Ragazzi, mi dispiace, ma io vi lascio e vado a dormire.»

«Non ti dispiace veramente.» fu il commento divertito di Andrea.

«No, non mi dispiace.» confermò lei, prima di imboccare le scale. «Sono distrutta.»

«Buonanotte Tifa.»

«Sogni d’oro, Darling

«Buonanotte.»

Andrea si girò verso Cloud con fare teatrale ed esclamò: 

«Finalmente un po’ da soli!»

Cloud vuotò il bicchiere ed optò per versarsene un altro, realizzando troppo tardi che si era cacciato in una situazione pericolosa.

«O preferiresti raggiungerla a letto?» proseguì maliziosamente.

Cloud arrossì e distolse lo sguardo. 

«Dovrei entrare nella sua stanza per farlo.» rispose, prendendo un altro sorso.

«Bevine un altro e non ti ricorderai nemmeno dov’è!» disse Andrea, ridacchiando.

«Non sottovalutarmi, reggo bene l’alcool.»

«Quanto bene?»

«Che… che intendi?»

«Sto pensando a quanto mi costerebbe farti ubriacare per farti fare qualche follia.»

A Cloud andò di traverso il liquore, ma decise di rispondergli per scoraggiarlo.

«Metà della tua fortuna.»

«Oh my God!» esclamò Andrea, lanciando un’occhiata fugace alla bottiglia sul bancone. 

Per quella sera avrebbe dovuto rimandare. Tornò a concentrarsi sul motivo per cui era venuto.

«Vi ho osservati sai? Tu e lei. Soprattutto tu»

«E perché?» domandó Cloud, in parte infastidito da tutta quell’attenzione, ma in parte, per quanto gli costasse ammetterlo, curioso. 

«Te l’ho già detto in palestra: sono preoccupato per voi due, per te in particolare, Cloud. » 

«Di nuovo con questa storia?» esclamò il biondo, con una nota di esasperazione nella voce, prima di finire il bicchiere. 

«Yes, è per questo che sono venuto qui.» rispose Andrea.

«Hai sprecato il tuo tempo. Non c’è niente che non va.» affermó sbrigativo Cloud. Fece per prendere la bottiglia, ma Andrea lo anticipó.

« Puoi continuare a ripetere che sta andando tutto bene...» esordí, sostenendo lo sguardo contrariato del biondo, «… ma non puoi ingannare un esperto, quale sono io .» affermó, versando a entrambi da bere. 

«E credimi, so riconoscere una Black Ice Situation»

«Black Ice... Situation?» ripeté perplesso Cloud.

«È un termine che ho inventato io per descrivere situazioni come la tua.» gli spiegò Andrea orgoglioso, prendendo un lungo sorso di liquore. Posó il bicchiere e guardó il ragazzo di fronte a lui. 

«Sai cos’è il Black Ice, Cloud?» 

“Una magia proibita?”

Il biondo scosse la testa. 

«È un ghiaccio straordinariamente sottile, che si forma solo in particolari condizioni atmosferiche.» esordì l’uomo, adottando un tono scientificamente serio. «Tuttavia è ancora in grado di sostenere il peso di chi è abbastanza coraggioso da avventurarvisi sopra. Una combinazione tra l’acqua sottostante e la ripartizione delle forze, credo.» 

Cloud inarcò un sopracciglio, non capendo il nesso tra lui e quello di cui Andrea stava parlando, ma aspettó che finisse la spiegazione.

«il punto è che non tutti possono pattinare sul Black Ice, e anche i più esperti devono essere cauti: il ghiaccio si crepa continuamente e può sempre rompersi, man mano che si procede, e restare fermi non è la soluzione migliore.» continuó Andrea.

«Se ti fermi, sprofondi; puoi solo andare avanti, procedere, seguito costantemente dalle crepe sotto i pattini; consapevole che i tuoi nervi dovranno essere più saldi del ghiaccio su cui ti trovi; perché sai che, in qualsiasi momento, una mossa sbagliata, un minimo errore, può farti perdere tutto e finire per sempre nelle nere acque gelide.» concluse. Si concesse una pausa ad effetto, bevendo. 

«Hai capito la metafora, Cloud?» chiese, anche se vedeva già benissimo la risposta, scolpita nel viso del ragazzo: stava sudando freddo e, per la prima volta in assoluto, Andrea vide che aveva tutta la sua attenzione. Lo smarrimento sul suo volto lo faceva apparire molto più giovane dei suoi ventuno anni. 

«E… perché uno dovrebbe pattinare sul Black Ice?» domandó Cloud, rompendo finalmente il silenzio. Andrea sorrise. 

«Il ghiaccio produce un suono meraviglioso, ultraterreno, quando qualcuno ci pattina sopra. Una melodia unica con cui la natura ricompensa gli audaci».

«Mi prendi in giro? Un rischio così grande solo per un suono?»  esclamò Cloud, scettico.

«Dipende quanto quel suono significa per te.» disse Andrea, con una strizzatina d’occhio.

«Tranquillo, non lascerò che tu vada a fondo.»

Dopo questa ultima, teatrale uscita, l’uomo si alzò. 

«Oh, quasi dimenticavo… prima che vada, prendi questa.»

Andrea estrasse da una tasca un cofanetto e lo porse a Cloud.

«Con questa potremo vederci più spesso.»

Il biondo aprì la scatolina, esitante. All’interno c’era una scintillante tessera dorata che recitava:

V.I.P. Pass

Cloud Strife

«La fila per entrare all’Honeybee Inn non sarà più un problema per te, con questa.» disse Andrea, orgoglioso.

«...»

«Ci vediamo in settimana allora!» trillò, avviandosi all’uscita.

 

***

 

“Vado o non vado?” 

Cloud era fermo da qualche minuto, indeciso sul da farsi. Poco lontano da lui, dietro l’angolo, il vociare del nuovo Mercato Murato si attorcigliava ai suoi pensieri. Fissava la sua tessera VIP senza trovare una risposta.

«Vado…?» mormorò.

“Ah, comunque… grazie per avermi avvisata che lo avresti invitato stasera! Per premio starai al lavaggio!”

«Non vado…?»

“Sto pensando a quanto mi costerebbe farti ubriacare per farti fare qualche follia.”

«Vado…?»

“Non c’è nulla di male se frequenti altre persone, oltre a noi.”

«... non vado?»

“Dipende quanto quel suono significa per te.”

«Vado?»

“Sempre meglio che stare fermi!”

Cloud sospirò e si avviò verso l’Honeybee Inn, stringendo la tessera. I dubbi che lo attanagliavano riguardo l’intrattenere rapporti con un ex delegato di un boss non lo avevano abbandonato; gli altri due delegati lo avevano soltanto sfruttato, raggirato, o entrambe le cose, prima di degnarsi di aiutarlo a salvare Tifa.

Andrea era stato l’unico a mantenere subito la parola, dopo aver ottenuto quello che voleva.

“Sarà abbastanza?” 

Non se la sentiva di chiedere consigli ai suoi amici per risolvere i suoi problemi nel relazionarsi con Tifa. Perché si, aveva dei problemi, come Andrea gli aveva fastidiosamente fatto notare. Sospirò e oltrepassò dubbioso la lunghissima fila di persone, che gli rivolsero più di qualche commento astioso.

Esibì la tessera e il buttafuori lo fece passare. I commenti tacquero istantaneamente, sostituiti da un vociare sommesso.

Le apette lo accolsero calorosamente, lui fece un veloce cenno di saluto.

«Privé centrale! Aspettalo là!» gli disse una delle ragazze, prima ancora che potesse parlare. Cloud obbedì e andò verso le scale.

Aspettò per tutta la serata, sorbendosi lo spettacolo. Una volta terminata l’esibizione, coronata dalla solita standing ovation e scrosciare di applausi, Andrea lasciò il palco.

“Chissà quanto ci metterà ad arrivare…” pensò Cloud, sbadigliando.

«Ciao Cloud.»

Cloud sobbalzò e si girò di scatto, trovandosi di fronte Andrea Rhodea in tutto il suo splendore.

«Ma eri laggiù un attimo fa! Come hai fatto?» disse incredulo, indicando il palcoscenico sottostante.

«Le ali dell’amore mi hanno condotto fino a qui.» rispose Andrea, allargando le braccia.

«Come. Hai. Fatto?» insistette il biondo, per nulla impressionato dalla frase stucchevole.

«Ti interessa sul serio o sei venuto qui per parlare di cose serie?»

«... vada per le cose serie.»

 

***

 

Gli habitué dell’Honeybee Inn erano in fermento ormai da giorni e si interrogavano su chi fosse il bel biondo misterioso che era stato visto al locale almeno un paio di volte nell’ultima settimana, entrando con una tessera VIP e accolto dal grande Andrea Rhodea in persona nel privé. Ma le notizie sul nuovo favorito erano poche e frammentarie: c’era chi giurava che facessero ormai coppia fissa, avendoli visti anche insieme nella palestra del fratello di Andrea; altri sostenevano che fosse nient’altri che l’ex SOLDIER Cloud Strife, impegnato a scialacquare il grande premio in denaro che aveva ricevuto dalla Shinra per motivi loschi. Quello che nessuno sapeva era che queste voci avrebbero presto raggiunto le orecchie di una certa barista.

«Cloud!!!»

«Che c’è? Che succede??»

«Ti sembra normale fare serate mondane all’Honeybee Inn!?»

«... ma veramente…»

«Ma un corno! Che ci vai a fare??»

«Tifa, me lo hai detto tu…»

«Quando mai ti avrei detto una cosa del genere??»

«Hai detto… di frequentare altre persone…»

«Ah quindi c’è una persona che frequenti!! Ma bene!» esclamò la ragazza, lanciandogli un’occhiata incendiaria.

«Tifa calmati… è solo Andrea.»

«Non mi calmo neanche un po’! Quello ti spoglia con gli occhi!»

«...»

«Vuoi dirmi che non te ne sei accorto?? Oppure ti sta bene??»

In realtà lo aveva notato dalla primissima visita al locale, e no, non gli stava bene per niente, ma non voleva rivelarle i veri motivi per cui aveva iniziato a frequentare l’Inn.

“La prima regola è: Tifa non deve sapere che parliamo di voi due. La causa è giusta ma… forse non capirebbe.”

I consigli che Andrea aveva iniziato ad impartirgli, senza che nessuno glielo avesse mai chiesto, erano solo uno dei motivi; il secondo era la combriccola che puntualmente si radunava al seguito dell’uomo in tarda serata: Jules e alcuni dei culturisti che Cloud vedeva molto spesso in palestra.

I consigli di coppia erano limitati al tempo che lui e Andrea passavano da soli, ma Cloud aveva iniziato ad apprezzare anche i momenti di svago con la compagnia intera.

«Non frequento Andrea… ci sono anche alcuni ragazzi dalla palestra…» 

«Non è quello il punto! Possibile che tu esca più con loro che con me??»

«Ma…»

«Ti ho detto di frequentare altri amici ma non di smettere di frequentare me!»

Tifa si girò e se ne andò; dopo poco Cloud sentì la porta della sua stanza sbattere con violenza. Possibile che non gliene andasse mai una giusta?

Si diresse nella sua camera, ma a metà strada gli squillò il telefono.

Una voce familiare lo salutò:

«Ciao biondone!»

«... ciao Andrea.»

«Ora ha anche il tuo numero di telefono?!!» urlò Tifa, esasperata, dall’altra parte della porta della sua stanza. Cloud corse nella sua, maledicendo le pareti sottili dell’edificio.

«Mi sa che la scenata di gelosia contro cui volevo metterti in guardia, per via del tempo che passi con me, è già successa e ti ho chiamato troppo tardi.»

«Già.»

«Non temere, Andrea ha sempre un piano di emergenza!»

«Sono ansioso di sentirlo.»

«Colgo del sarcasmo? Potrei commuovermi…»

«...»

«Non attaccarmi il telefono in faccia! Sai quante fan adorerebbero poter parlare con me!»

«Sono ancora qui…»

«Bene. Ho pronto un invito per voi ad una serata che ho co-organizzato in un locale del distretto finanziario. Roba molto elegante: open bar, cibo di alta classe… pensandoci bene forse non fa per te. Dovrei invitare solo Tifa per scusarmi.»

«Se preferisci…»

«No! Dovete venire insieme! E dovrai accompagnarla a cercare un vestito per l’occasione.»

«Come fai a sapere che vorrà un vestito?»

«Devo ricordarti la seconda regola, mio allievo?»

«Sigh… Andrea Rhodea ha sempre ragione…»

«Esattamente. E pagaglielo tu.»

 

***

 

Cloud bussò alla porta della stanza di Tifa. 

«Sei tu, Andrea?»

«... no, sono Cloud.»

«...»

Il biondo esitò, incerto sul significato da dare al silenzio della ragazza. Poi chiese:

«Posso entrare?»

«Così, senza neanche una raccomandazione?» disse sarcasrica la voce dall’altra parte della porta.

«... mi dispiace.»

Tifa fece capolino, senza aprire del tutto la porta, trafiggendolo con i suoi occhi scarlatti, ma non disse niente.

“Forza, dille dell’invito!”

«... la… telefonata di prima…»

«Mmmh…?»

«Era… un invito a una festa. Per entrambi!» si affrettò a dire, notando che lo spiraglio della porta si stava richiudendo.

«Tutti e due?»

Cloud annuì. 

Tifa aggrottò le sopracciglia.

«Non me lo aspettavo. E tu cosa hai risposto?»

«... ho detto di si.»

«Perché vuoi andarci, o perché vuoi che ci andiamo insieme? Non sei mai stato un tipo da feste…»

«Voglio andarci con te!» rispose il ragazzo, di getto, incrociando mentalmente le dita.

Tifa accennò un sorriso, e lui tornò a respirare.

«Mmmh… e va bene, andremo. Ma tu non sei ancora perdonato!»

Era un inizio.

«Mi servirà un vestito nuovo!» continuò Tifa, rivolta a nessuno in particolare. Cloud impallidì, ma si affrettò a dire:

«Andiamo insieme a prenderlo, te lo voglio regalare io!»

Tifa lo guardò con gli occhi sgranati.

«Chi sei tu? Cosa hai fatto a Cloud Strife??»

«È che vorrei… finire di essere perdonato.» mormorò lui, sentendo crescere l’imbarazzo.

«Dai che scherzavo! Comunque, in tal caso… mi accompagneresti anche a prendere qualcosa per il bar?» chiese Tifa, sbattendo gli occhioni.

«Si, certo!» rispose Cloud, contento del risultato, ma ignaro di cosa lo aspettasse.

 

***

 

«Dai, giuro che questo è l’ultimo negozio!»

Lo aveva detto almeno altre tre volte, vari negozi prima. Cloud non ci credeva più, voleva solo che l’incubo finisse presto.

«Guarda che carini questi segnatavoli a forma di piccoli reattori di mako!»

«... sei seria?»

«Dovremmo nasconderli a Barret, o potrebbe farli esplodere.»

Nonostante fosse schiacciato dal peso di svariati sgabelli da comporre, set di bicchieri nuovi e tovaglie abbinate alle tende, Cloud non riuscì a non ridacchiare.

«Scherzi a parte, penso che prenderò questi… sembrano delle piccole materie!»

«Allora le dovremmo nascondere a Yuffie.» commentò lui.

Stavolta fu Tifa a ridere di gusto. Il carico sembrò alleggerirsi.

«Manca solo il vestito!»

“Meno male…” pensò il ragazzo, sollevato.

«Uuuh! Guarda che carini!» esclamò Tifa, gettandosi di fronte alla vetrina di un negozio di animali.

«Non… cercavamo dei vestiti?» chiese Cloud, sconsolato per l’ennesimo ritardo.

«Eddai! Guarda come scodinzolano! Me li porterei tutti a casa!»

Cloud aspettò che finisse di contemplare il mucchio di cuccioli che saltavano uno sopra all’altro e si mordevano a vicenda.

«Ok, ti ho torturato abbastanza, andiamo a vedere il vestito. Conosco un negozio perfetto!»

“Finalmente… non mi sento più le mani!”

«Eccoci! Guarda che belli… che ne pensi?»

Cloud guardò gli abiti in mostra sui manichini e arrossì.

«Non sono troppo… piccoli?»

«Saranno elastici! Dai, entriamo!»

Cloud cercò di passare indenne dalla porta del negozio senza rompere nulla, contorcendosi sotto gli sguardi di disapprovazione delle commesse. Una di loro iniziò subito a parlare con Tifa, mostrandole vari modelli.

Il ragazzo si abbandonò su una sedia, contornato da mucchi di buste. La commessa alla cassa non smetteva di fissarlo, ora leggermente più incuriosita.

Mentre Tifa entrava nel camerino con i primi abiti, lei si fece avanti e gli chiese:

«Mi scuuusi… ma lei è Cloud Strife, vero?»

«... si.» rispose Cloud, incerto.

«Non mi riconosce, vero? Certo, con questa divisa che sopprime il mio fascino… ci siamo incontrati in palestra, qualche giorno faaa… lei e il suo fascinoso amico, Andrea Rhodea.»

“Ah, è la matta che si è fatta firmare il culo.”

«Ehm… si, ora mi ricordo.»

La donna continuava ad osservarlo ad occhi sgranati, come aspettandosi qualcosa; Cloud stava solo pregando che Tifa uscisse presto dal camerino. Finalmente lei ruppe il silenzio:

«Saaa… Andrea è veramente inavvicinabile!»

«Ma non mi dica…» rispose lui, contenendo a fatica una nota di sarcasmo. La donna continuò come se non avesse sentito.

«Cosa deve fare una povera fan, per incontrare il suo idolo!»

«Mi sembra che lo abbia già incontrato.» disse Cloud, che iniziava ad essere stranito e seccato dall’invadenza.

«Ma io non intendo un tale, fugace incontro… come due clandestini… io vorrei trascorrere una serata con lui! Godere… della sua compagnia!»

«Lo inviti allora.»

«Che scortesia! Come potrei avvicinarmi a lui??» esclamò lei.

«Come ha fatto in palestra, basta che mi lasci in pace!» sbottò Cloud, stufo della conversazione.

La donna si portò una mano alla bocca, sbarrando gli occhi, poi se ne andò con un mugugno stizzito. In quel momento Tifa si avvicinò, vestita con un abito rosso fuoco, con un ampio spacco che lasciava intravedere le gambe. Cloud rimase atterrito a quella vista.

«Che ne pensi?» domandò lei esitante.

«Io… non so...» disse a fatica Cloud, mentre lottava per ricacciare indietro ricordi e fantasmi. Tifa lo guardò per un attimo, poi si fece seria.

«Forse è troppo appariscente… aspetta, provo l’altro.» disse, prima di tornare nel camerino.

“Ma che mi prende?” si chiese il ragazzo, ancora confuso per la sua reazione.

Tifa uscì di nuovo, stavolta con indosso un corto tubino nero. Quando si avvicinò sotto la luce del negozio, Cloud notò l’intricato disegno di sottili linee argentate che percorrevano l'intera superficie dell’abito.

«Meglio?»

Il ragazzo annuì vigorosamente. 

“Tutto tranne il rosso.”

Tifa sorrise, ma con un velo di tristezza nello sguardo. Tornò in camerino a cambiarsi e Cloud si fiondò in cassa per pagare.

«Che ha comprato?» chiese freddamente la donna di prima.

«Il vestito nero con le linee.» rispose Cloud, evitando il suo sguardo.

«Eeeh? Che ha preso??»

«Il modello Black Ice!» gridò la seconda commessa. Cloud impallidì di nuovo; il mondo  stava seriamente cercando di farlo impazzire.

«Sono diecimila guil… ma se mi fai incontrare Andrea ti faccio lo sconto.» disse maliziosamente la donna.

Cloud di tutta risposta posò un mazzetto di banconote sul tavolo e andò a recuperare le buste.

 

***

 

«Allora, forza con quei centrotavola in alabastro! Le tovaglie in broccato vanno stese a filo con il pavimento! E dove avete ficcato il pannello con i posti assegnati??»

«Eccolo, Signor Rhodea!»

«Mettilo all’entrata, cosa aspetti!? E sistemati la cravatta, sembri un senzatetto!!»

“Anche se hai un bel culetto…”

«Signor Rhodea! Le quaglie che dovevano fare le uova sono scappate! E uno degli inservienti ha rovesciato per sbaglio l’acqua dello straccio nella zuppa!»

«CHE COSA HAI DETTO???» strillò Andrea, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Andrea, brutto isterico, calmati! Scherzavo!» esclamò l’uomo di mezza età che aveva parlato.

«Ti sembra il momento di scherzare, Gideon?? Gli invitati sono qui! Premono come una massa unica sulle porte della villa!» ribatté il proprietario dell’Honeybee.

«Veramente manca mezz’ora.» lo corresse Gideon, passandosi una mano tra i capelli brizzolati con aria sconsolata. Gettò uno sguardo indecifrabile all’entertainer, più basso di lui di qualche centimetro.

«Tu!» gridò Andrea all’improvviso, indicando un ragazzo che passava di là.

«Si, signor Rhodea?»

«Vai a prendere un secchio di mako in magazzino!»

«Subito signor Rhodea!»

Il giovanissimo cameriere si precipitò verso le cucine, seguito dallo sghignazzare di Andrea.

«Sei sempre il solito stronzo.» commentò Gideon, trattenendo a stento le risate.

«Su, su… era per questo che mi amavi!»

«No, era per questo che ti ho lasciato!» dichiarò l’altro, fissando serio Andrea.

«Ti preeego, sai che serata è, non ti ci mettere anche tu!» si lamentò quest’ultimo, portandosi teatralmente una mano alla fronte.

«Dio me ne scampi! Io sono professionale… al contrario di te.»

«Io ho raggiunto il top della mia professione!»

«Che dobbiamo ancora capire quale sia esattamente…» replicò Gideon.

«Sono un entertainer, my dear!» affermò Andrea, ammiccando.

«Come no… mi sa che a furia di fare così dovrò fartelo incidere sulla lapide.» commentò Gideon, passandosi una mano tra i capelli brizzolati con fare rassegnato.

«Arrivi tardi, me lo sono già tatuato sulla natica destra. E ora sbrigati, che la festa sta per iniziare!»

«Quanti degli invitati hanno un motivo per odiarti stasera?» domandò divertito l’uomo.

Andrea si concesse qualche istante, prima di rispondere.

«Più o meno tutti… tranne due forse. No… tranne uno.»

Gideon sgranò gli occhi.

«Oh-hooo… il tuo nuovo toy-boy?» domandò malizioso.

Andrea scosse la testa.

«Macché… altrimenti mi odierebbe anche lui.»

L’altro inarcò un sopracciglio, poco convinto. Andrea si sentì rabbrividire, mentre gli occhi azzurro ghiaccio lo squadravano da capo a piedi.

«Fa’ pure il misterioso quanto vuoi, tanto scoprirò chi è… devo sovrintendere alla festa, dopotutto.» 

Il giovane cameriere riapparve, ansimando.

«Signor Rhodea… signore… non ho trovato… il secchio…»

«Sei veramente un incapace! Vedi di trovare almeno un po’ di olio di gomito!» esclamò contrariato l’entertainer.

«Vado subito… signore….»

Gideon soffocò le risate mentre il ragazzo correva nuovamente via.

«Forse Meteor doveva colpire…» borbottò Andrea, andando a controllare i tavoli.

 

***

 

«Siamo arrivati…»

«Forza, mi hai invitata tu! Sii galante!» disse Tifa, scherzosamente.

Cloud scese dalla diligenza e fece il giro, aprendo pomposamente la portiera per lei e porgendole una mano per farla scendere.

«Che esagerato…» disse lei, sorridendo e prendendogli la mano.

La enorme villa in cui si teneva la festa era completamente illuminata da file ininterrotte di lumini, che si arrampicavano intorno alle colonne, alle siepi e alle scalinate. Tifa fu quasi abbagliata da tanta, innecessaria luce.

“Se Barret fosse qui, rifonderebbe l’Avalanche… che spreco di energia!”

«Cloud, ma… sei sicuro che siamo invitati qui?»

«Sicurissimo…»

«Ok… mi sento già a disagio.»

«Anche io.» concordò il ragazzo.

«Almeno siamo insieme.» disse infine lei, stringendosi a lui. Non avrebbe lasciato tanto facilmente la sua mano. Cloud sorrise.

Dissero i loro nomi al valletto in livrea che attendeva all’ingresso e lui gli fece un ampio gesto invitandoli ad entrare. Il vociare degli invitati si poteva udire anche da dove erano.

Non fu difficile individuare Andrea Rhodea, in piedi accanto ad una sontuosa piscina, anch’essa illuminata, circondato da un mucchio di invitati e vestito con un appariscente ammasso di veli, pizzi e piume. Appena li vide gli corse incontro tra due ali di folla.

“Oh mio dio, dove siamo finiti…” pensò Tifa, mentre l’uomo stringeva calorosamente la mano a Cloud come se fossero vecchi amici. Molti dei presenti guardarono la scena con odio mal celato sul volto.

«E Tifa… sei una visione balsamica per l’anima!» proclamò, mentre le baciava la mano.

«Grrrazie…» rispose lei, freddamente. Non le stava piacendo dove erano stati invitati.

Tutti sembravano non avere occhi che per Andrea; quando lui si allontanò dopo averli salutati, la maggior parte delle persone lo seguì, lasciandoli impalati e incerti sul da farsi.

«Beh… andiamo a bere qualcosa?» chiese Cloud.

«Si… almeno stasera non sono dietro al bancone.» concordò Tifa. Il famoso Andrea Rhodea le doveva molti drink, per la sua comparsata al Seventh Heaven.

«Se vuoi… andare a sederti intanto… ti porto io qualcosa.»

Tifa sgranò gli occhi, ma cercò di dissimulare la sorpresa.

«Come sei gentile stasera…» disse, sorridendo.

«Perché, di solito non lo sono?» chiese lui, preoccupato.

«Non ho detto questo! È solo una situazione nuova… ti aspetto a quel tavolo.»

Cloud aguzzò la vista per essere certo di ritrovare il punto da lei indicato in tutto quel marasma di luci, gente in abiti sgargianti e camerieri, poi si avviò verso lo sterminato bancone.

Tifa si sedette su un divanetto, sistemandosi il vestito e guardandosi intorno: aveva già perso di vista Cloud tra la folla. L’assembramento di invitati che seguiva Andrea sembrava essersi sciolto e tutti erano divisi in gruppetti intenti a ciarlare del più e del meno. Non c’erano facce conosciute, almeno tra chi poteva vedere. 

Cloud si stava facendo strada tra la folla di persone, forte dell’esperienza maturata aiutando Tifa nel locale. Riuscì ad arrivare al bancone e si mise in fila.

«Che cosa posso mescerle, signore?» chiese il barman, arrivato il suo turno.

«Ehh?» rispose lui, confuso.

«Cosa. Vorrebbe. Bere.» scandì l’uomo, visibilmente seccato.

«Ah… ehm… avete il Cosmo Canyon?»

«Il cosa?? Non so di cosa parli.»

«Oh. In tal caso… faccia lei. Due.»

Il barman lo guardò malissimo, posò due bicchieri sul bancone e iniziò la preparazione dei drink. In breve tempo li consegnò a Cloud, che li prese in equilibrio precario e si preparò a fendere nuovamente la folla per tornare da Tifa.

“Spero che il drink sia buono, almeno.”

Uscito dalla calca con i drink ancora miracolosamente integri, cercò il tavolo dove Tifa avrebbe dovuto aspettarlo, ma vide che era stato preso d’assalto: attorno a Tifa erano seduti due uomini e una donna, che sembravano contendersi le sue attenzioni.

Ricordò immediatamente il consiglio che Andrea gli aveva dato per casi simili:

“-Ricordati, le scenate di gelosia sono assolutamente da evitare. Lei potrebbe avere chiunque ma, e non so come mai, ha scelto te; non dovresti preoccuparti!

-Questo dovrebbe aiutarmi a non preoccuparmi?

-Basta che ti aiuti a non fare scenate! Anche se sei carino, col broncio…” 

Prese un bel respiro, provando a calmarsi. Tuttavia, quando uno dei ragazzi che stava parlando toccò la spalla di Tifa, i buoni propositi e i consigli di Andrea svanirono immediatamente, rimpiazzati dal desiderio di avere con sé la spada. Si avvicinò a passo spedito al tavolo, ma una figura femminile gli si parò davanti, bloccando la sua avanzata.

«Buonaseera… due bicchieri? Abbiamo cattive intenzioni…» cinguettò la donna. Era vestita con un abito verde mako aderente ed esibiva una folta chioma bionda.

Cloud cercò di evitarla ma lei continuò a pararglisi davanti, fino a fermarlo del tutto.

«Dai, mica ti mangio! Come ti chiami, bel ragazzone?»

«Cloud. Scusami, ma la mia ragazza mi sta…»

Lei chinò la testa e la massa di capelli ondeggiò per un attimo.

«Perché? Perché quelli belli sono tutti occupati? Ma… è una cosa seria?» chiese maliziosa, rialzando la testa e piantando i suoi occhi in quelli di Cloud.

Lui stava per rispondere, quando lei cacciò un piccolo urlo.

«Ma… quegli occhi… eri un SOLDIER??»

«... si. Diciamo di si.»

«Ah ma allora forse mi hai sentita nominare: Maiko Sharpee, lavoravo in Shinra. Sezione progettazione armi.»

«Lavoravi per la Shinra!?» esclamò Cloud, incredulo.

«Si, ma non ne vado fiera. Dopo quello che è successo mi sono licenziata. Non avevo idea che la compagnia fosse tanto marcia, io progettavo solo armi da mischia.»

Cloud iniziò seriamente a pensare che la donna lo stesse prendendo in giro.

«Hai… progettato le spade dei SOLDIER?»

«Si, alcuni degli ultimi modelli. Tu quale usavi?»

«Io… ho la Buster Sword.»

«Ma… intendi dire “quella” Buster? La spada di Angeal?»

«... si. Quella spada.» disse Cloud, provando a mascherare il disagio.

«Credevo fosse andata distrutta! Sono contenta che qualcuno la stia usando. Perché la usi, vero? Mi sembri molto… competente…» disse Maiko, accarezzandogli i bicipiti con lo sguardo.

«Ehm… si, la uso.»

«Meraviglioso! Cosa stai usando per mantenerla affilata?» disse lei, assumendo improvvisamente un tono tecnico.

«Avevo riadattato una mola da vasaio che attaccavo al motore della mia moto sfruttando la catena della distribuzione. Ho finito la pasta diamantata però, ultimamente sto usando una…» rispose entusiasta Cloud.

«Te la faccio avere io la pasta. E chissà se così… tu vorrai darmi qualcosa in cambio…»

 

Qualche minuto prima…

«Cloud! Tifa!!» gridò entusiasta Andrea, intravedendoli tra gli invitati.

Si precipitò verso di loro, incurante degli urti tra le piume del suo mantello e le persone che gli avevano fatto capannello intorno. Costeggiò la piscina e li raggiunse, raggiante.

«Cloud, ragazzo mio! Pensavo che ti fossi perso!» esclamò, stringendogli la mano.

«E Tifa… sei una visione balsamica per l’anima!» continuò, prendendole la mano e baciandola con mosse esperte.

«Grrrazie…» fece lei. Non sembrava contenta, ma era davvero uno schianto.

“Uuuuh… meno male che sono coperto… fa freddo qui!” pensò, invitandoli a proseguire verso il bar e i tavolini, prima di essere nuovamente inghiottito dalla folla adorante.

«Andrea, ma… a quando qualche spettacolo più… hot, nel tuo locale?» gli chiese una signora interamente vestita di strass.

«Mi avessi visto poche volte nudo, brutta pervertita!» rispose bonariamente, strappando più di qualche risata.

«A me non dispiacerebbe vedere qualche numero del genere con le tue ballerine api.» fece notare un omone muscoloso, nella cui mano il bicchiere del drink sembrava sparire.

«Sei grande e grosso, la tua mamma dovrebbe averti già fatto la lezione delle api e dei fiori… e poi non sono mie. Lavorano per me.» rispose Andrea, con una punta di serietà stavolta.

L’auricolare che aveva nell’orecchio ronzò un attimo, poi la voce di Gideon disse, divertita:

«Ah-ha… quindi ora ti trastulli con un ex-SOLDIER, e volevi anche nascondermelo. Che carino che sei.»

Andrea si congedò in fretta dalla folla e si diresse verso la cucina. Gideon stava fumando all’esterno; appena lo vide, si tolse la cuffia e iniziò a ridacchiare.

«Non ti arrabbiare troppo, che non ti posso far rifare il trucco.»

«Fatti gli affari tuoi per una volta! Anzi, ancora meglio: fa quello per cui ti pago! Questo sistema di auricolari serve per le emergenze!» lo rimproverò Andrea, che per una volta sembrava non aver voglia di scherzare.

«E non è un’emergenza questa? Come faccio a competere con un simile splendore?» ribatté l’altro uomo.

«Non c’è competizione… il ragazzo ha solo una persona in testa.»

«Se ti riferisci a quella modella che aveva sottobraccio, fammi dire che la natura è molto crudele.» sospirò Gideon.

«Mai quanto te, che mi strappi all’abbraccio dei miei fan per queste sciocchezze!» commentò Andrea.

«Bah, esci dal tuo personaggio ogni tanto, Signor Rhodea, o non potrai più rientrare nei tuoi panni.»

«Non so di cosa tu stia parlando. Io sono io, unico e solo.» replicò piccato l’entertainer.

«E ringraziamo il cielo, con due Andrea Rhodea avremmo sfiorato la catastrofe planetaria molto tempo fa… altro che Meteor.»

«Mi spezzi il cuore! Con due me, avresti avuto due persone da amare!»

«Con tutti i problemi che mi hai dato da solo, non oso pensare ad un tuo gemello! Parlando di problemi… mi dicono che ci sono tipi strani, alla festa.»

«C’è l’intera aristocrazia, o borghesia, o chiamala come vuoi, di Edge; per forza ci sono dei tipi strani!» ribatté Andrea, agitando la mano con noncuranza.

«Questa superficialità è esattamente il motivo per cui non abbiamo funzionato. Ora vado a curare l’uscita della tartare di pavone. Questa tua fissa delle piume…» 

Detto questo, buttò la sigaretta e lo lasciò da solo. Andrea tentò senza successo di schiaffeggiargli il sedere e indugiò sul suo incedere fin quando potè.

Pronto per un altro bagno di folla, fece dietrofront e si avviò nuovamente verso la piscina. Non fece in tempo a far notare nuovamente la sua presenza, che spalancò gli occhi, inorridito dalla situazione: Tifa era evidentemente sotto abbordaggio da parte di alcune persone, che lui non avrebbe esitato ad affogare nella piscina, mentre Cloud stava parlando, con un entusiasmo che non gli aveva mai visto, con Marika… o Maiko, non ricordava bene. Ricordava i suoi capelli e le notti passate con lei, però.

L’emergenza più grave era certamente Tifa; non perché temesse un suo cedimento, ma perché dopo l’ultimo party non voleva più risse. Inoltre, Cloud non avrebbe rimorchiato nemmeno con un casco di banane in un bordello pieno di macachi.

Corse da Tifa, ignorando gli invitati che tentavano di trattenerlo e le piume che si staccavano dal mantello per la foga.

«My dear!» trillò, scostando il ragazzo accanto a lei con più grazia di quanto meritasse, «Posso rapirti un attimo?» domandò sorridendo.

«Veramente noi stavamo…» tentò di dire il ragazzo.

«Non era proprio una domanda. Vieni, tesoro.» disse sbrigativo Andrea, trascinando la ragazza lontana da seduttori e seduttrici improvvisati.

«Il prode Andrea viene a salvarmi. Sono onorata.» disse Tifa, poco convinta.

«Credimi, my dear, sto provando a salvare altri da te.»

«Non capisco di cosa stai parlan…» replicò Tifa, ma si interruppe, la sua attenzione catturata da qualcosa alle spalle di Andrea.

Lui si girò in tempo per vedere Cloud che consegnava dei bicchieri alla bionda.

“Non vedevo così tanto giallo tutto in una volta da quando i costumi delle apette avevano stinto in lavanderia.”

Dopodiché il ragazzo iniziò a manovrare una enorme spada invisibile con entrambe le mani, continuando a chiacchierare, mentre la ragazza osservava e annuiva.

«Ma che cavolo…» disse all’unisono con Tifa.

«My dear… tu sei proprio sicura che sia l’uomo della tua vita?» le chiese lui.

«Come tu sei sicuro di non volere un diretto ai gioielli di famiglia.» rispose lei seccata, aggiungendo: «Ora vado a prendermi il mio drink, visto che si è fermato a metà strada.»

«Sii gentile con Marika… o Maiko. Vorrei rivederla almeno una volta.» gridò Andrea.

«Non garantisco!» rispose lei, avviandosi. Raggiunse il suo ragazzo in pochissimo tempo.

«Cloud.» disse con voce atona.

«... e quindi come ti dicevo, il fendente sinistro mi risulta un po’ sbilanciato se metto entrambe le materie…»

«Cloud!» ripeté Tifa, alzando la voce.

La bionda lo bloccò con un gesto e lo invitò a girarsi.

«Tifa!!» gridò Cloud, appena la vide. Si girò, prese i bicchieri di mano a Maiko e ne consegnò uno a lei.

«Alla buon’ora.» commentò Tifa, lanciandogli un’occhiata di rimprovero.

«Tu devi essere la ragazza di cui Cloud mi aveva parlato, prima che lo coinvolgessi in questioni professionali!» disse Maiko, intuendo il pericolo.

«Mmh. Di che genere di professione parliamo?» disse Tifa, inarcando un sopracciglio e fissando la bionda con diffidenza.

«Permettimi di presentarmi. Sono Maiko Sharpee…» rispose la ragazza, accennando un sorriso.

«Sharpee?? Non quella che lavorava alla Shinra?» disse Tifa, mentre la rabbia veniva rapidamente sostituita dallo stupore.

«Proprio io! Hai sentito parlare di me?» disse entusiasta la bionda.

Lo sguardo di Cloud andava da Tifa a Maiko, senza capire bene cosa stesse accadendo.

«Ahem… si, diciamo che… mi sono interessata alla Shinra, in passato.» fece Tifa, impallidendo.

«Spero non come quei terroristi che facevano saltare in aria i reattori, hihihi…» ridacchiò Maiko.

Tifa e Cloud evitarono lo sguardo della ragazza, che rimase interdetta, ma dopo un momento aggiunse:

«Ah, anche fosse! Il passato è passato, e confesso che avrei piazzato volentieri una bomba anche io sotto la sedia del vecchio infame! Infatti non lavoro più per la Shinra. Mi sono messa in proprio.»

«Sul serio?» disse Tifa, sorpresa.

«Si! Il tuo ragazzo è stato così gentile da fornirmi dei pareri professionali su come utilizza la famosa Buster Sword! Vorrei progettare qualcosa di simile, ma allo stesso tempo diverso. Una spada, ma formata da diverse unità indipendenti e assemblabili a piacimento… una lama fusion!»

«Sembra un’idea fantastica.» ammise Tifa, guardando Cloud.

«Anche io lo penso. Le stavo mostrando che difetti ha la Buster, secondo me.»

«Ah… quindi tu stavi… ecco perché…» disse Tifa, avvampando.

«Maaaaarika! Sempre a parlare del tuo lavoro! Ti invito alle mie feste per farti rilassare, oltre che per celebrare il pozzo senza fondo bisognoso di attenzioni che è il mio ego!» esclamò Andrea, irrompendo nella conversazione.

«Per l’ennesima volta, mi chiamo Maiko…» disse la bionda, trafiggendolo con lo sguardo.

«Perdonami per il lapsus, my dear… sai, quando conosci tutta la crème de la crème di Edge, qualcuno tende a sfuggirti di mente.» si giustificò pomposamente Andrea.

«Tranquillo, lo so che sei uno stronzo.» disse lei, ammiccando. Per la prima volta in assoluto, a Cloud sembró che Andrea fosse quasi in difficoltà. 

«È stato davvero un piacere Cloud, grazie ancora.» disse la bionda progettista con un sorriso «E scusami per il tempo che vi ho rubato.» aggiunse, rivolta a Tifa. «Godetevi la festa.»  

I due ragazzi la salutarono e lei andò verso i tavoli. In tempo record, Andrea vide i due ragazzi dai quali aveva salvato Tifa avvicinarsi a Maiko.

«Tranquillo, li monitoro io. Te metti in salvo i piccioncini.» disse la voce nell’auricolare. 

«Grazie.» mormorò al suo angelo custode, sebbene gli auricolari non potessero trasmettere la sua voce.

«Non c’è di che. Stronzo.» 

Sbuffó, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Riportó la sua attenzione sulla coppia.

«Devo abusare ancora della tua pazienza, my dear.» disse, cercando di apparire il più dispiaciuto possibile. Senza attendere una risposta, prese Cloud sottobraccio e lo condusse poco lontano. 

«Che succede?» domandó il biondo, non nascondendo il fastidio per essere stato separato da Tifa. 

«Sarò breve. La villa ha una terrazza favolosa, un luogo perfetto, nonché romantico, per chi non vuole essere disturbato.» disse con tono eloquente. Cloud sgranó gli occhi. 

«Potrai ringraziarmi più tardi.» aggiunse maliziosamente, facendogli l’occhiolino. 

Il ragazzo si affrettò a tornare da Tifa. Andrea lo vide lanciare un’occhiata intimidatoria che fece immediatamente desistere un paio di aspiranti corteggiatori che avevano iniziato ad avvicinarsi alla ragazza durante il loro breve scambio di parole. 

“Bene, si è ricordato il consiglio sulle scenate” pensó, tirando un sospiro di sollievo. Ora poteva tornare a dedicarsi a quello che, il suo infallibile istinto gli diceva, sarebbe stato uno dei party più indimenticabili di sempre. 

Di colpo, due uomini alti e vestiti di nero gli si avvicinarono.

«Mr. Rhodea…» sussurrò uno dei due.

Andrea li guardò, abbastanza sicuro di non averli mai visti prima ad una delle sue feste. Tuttavia cercò di mantenere la sua consueta eleganza.

«Signori… perdonatemi se non vi riconosco, anche se voi sembrate conoscermi.» disse, mentre cercava con gli occhi qualcun altro intorno a sé. Tutti gli invitati sembravano essere impegnati altrove al momento.

«Noi ti conosciamo da molto, Andrea… come conosciamo quello che hai fatto.»

Andrea impallidì.

«Tieni duro un minuto, sto mandando rinforzi. Tra parentesi, sei un coglione. Te l’avevo detto.» fece Gideon nell’auricolare.

«Non so di cosa stiate parlando.» rispose Andrea, parzialmente rincuorato dall’auricolare.

«Non fare il finto tonto. Noi siamo disposti a perdonare… ad un prezzo.»

«Altri hanno già ottenuto il perdono.»

«Se si tratta di una vendita di indulgenze, temo che la mia anima sia ormai persa, al di là di ogni possibile aiuto, condannata a vagare per...»

«Fai poco lo spiritoso, entertainer, oppure…» ringhiò minaccioso l’omone.

Tutti furono interrotti da un giovane cameriere con un enorme vassoio in equilibrio precario su una mano.

«Scusate… chi di voi ha ordinato le tartine di pavone senza glutine?»

Andrea non si fermò a pensare se quelli fossero i rinforzi o solo un colpo di fortuna: con una manata lanciò il vassoio in faccia ai due brutti ceffi, facendo volare pezzi di pavone ovunque, poi slacciò il suo mantello e si dileguò nella folla, diretto in cucina.

“Se questi erano i tuoi rinforzi, Gideon… il coglione sei tu!” pensò mentre correva.

 

***

 

Cloud si guardò un attimo nello specchio, giusto per assicurarsi di non avere segni sospetti sul collo, poi si asciugò le mani e uscì dal bagno, desideroso di tornare in terrazza. Era indeciso se portare dei drink o qualcosa da mangiare, ma abbandonò subito l’idea, temendo di non riuscire a riprendere da dove lui e Tifa avevano lasciato.

«Eccoti finalmente! Il nuovo favorito di Rhodea, eh?»

Cloud si girò, trovandosi di fronte un energumeno infilato in uno smoking che sembrava sul punto di esplodere.

«Parli con me?» chiese, infastidito.

«Si, con te. Divertente essere portato in trionfo, no?» chiese l’uomo con rabbia.

«Nessuno mi porta in trionfo. Ora se vuoi scusarmi…» rispose Cloud, facendo per andarsene.

«Dove credi di andare, ragazzino??» esclamò una donna, annunciata dal ticchettio furioso dei suoi tacchi a spillo.

«Tu che ci fai qui??» chiese l’uomo, seccato.

«Potrei farti la stessa domanda! Ma so già come mai! Quanti debiti hai accumulato?» rispose lei, incollerita.

«Taci! Indossi ancora lo stesso straccio dell’anno scorso!» berciò l’omone.

«Come ti permetti!»

Cloud era allibito; con tutta la furtività di cui disponeva, cercò di allontanarsi camminando rasente al muro.

“Tifa aveva ragione, questo posto non fa per noi…”

«Che fai, te ne vai? Andrea ti aspetta da qualche parte??» gli gridò la donna, fuori di sé.

«Andrea è mio, non ti devi intromettere!» ringhiò l’uomo, furente.

Di tutta risposta, la donna prese un posacenere d’ottone e con movenze da lottatrice lo calò sulla testa dell’uomo. Cloud trasalì e iniziò a correre verso le scale.

“Dovevo portare la Buster! Lo sapevo!”

L’ultima cosa che vide, prima di saettare al primo piano, fu la polizia che faceva irruzione proprio mentre l’uomo prendeva la donna per un braccio e la gettava a terra.

Arrivato in terrazza fu accolto da Tifa, che si lanciò tra le sue braccia e gli stampò un bacio sulle labbra.

«Finalmente sei tornato… dove eravamo?» fece lei, giocherellando con l’orlo del suo vestito.

«Dobbiamo scappare. C’è la polizia.» rispose Cloud. Tifa si fece di colpo seria e smise di toccarsi il vestito.

«Non ci torno in prigione.»

«Nemmeno io. Non abbiamo fatto niente però…»

«Non avevamo fatto niente nemmeno le altre volte!» gli fece notare lei, sempre più in ansia.

«... dici?»

«Non mi interessa! Forza, la grondaia!»

«E il vestito? Ce la fai?»

«... hai ragione. Dammi il tuo.»

«Ma che cos…?»

«Vuoi che mi vedano nuda? Sbrigati!»

«Per forza la grondaia?»

«MUOVITI! E non sbirciare!»

«Ma… prima…»

«L’atmosfera è un po’ cambiata, non ti pare??»

Scesero la grondaia alla meno peggio, scivolando sull’umidità della notte. Cloud si era rifiutato di abbandonare il vestito di Tifa, che gli era costato così tanto, così lo aveva legato al suo braccio. 

«Sapevo che avrei dovuto portare un lanciarampini!» disse Tifa, mentre atterrava nel giardino ormai spopolato; si udivano chiaramente urla e sirene in lontananza.

«Da che parte??» chiese ancora lei, spaesata.

«Di qua. Ma prima cambiatevi.» disse una voce dietro di loro.

Entrambi trasalirono, voltandosi: Gideon apparve da una porticina quasi invisibile nella semi oscurità, con in mano due fagotti.

«Abiti da camerieri. Veloci, useremo l’uscita sul retro.»

Cloud si parò davanti a Tifa, cercando di coprirla mentre si cambiava; lo sguardo di Gideon che lo spogliava dei pochi abiti che aveva addosso gli fece capire che non era Tifa quella bisognosa di privacy.

«La natura… matrigna crudele…» sospirò l’uomo, mentre anche Cloud si rivestiva. In quel momento arrivò anche Andrea, vestito dello stesso completo da servitù.

Gideon rispose agli sguardi interrogativi con un semplice: «È il mio lavoro.»

«Ed è il migliore nel farlo…» aggiunse Andrea, accarezzandogli i capelli.

«Non ci provare, ti costerebbe un extra.»

«Ho mai avuto problemi a pagare?»

«Non ti ho detto quanto…»

«Scusate!!» esclamò Tifa, agitata.

I due la guardarono per un attimo, poi fecero loro cenno di seguirli e li condussero attraverso la villa, in gran parte deserta e poco illuminata, verso il retro.

«Venitemi dietro!» sussurrò Gideon. Andrea ridacchiò ma fu interrotto da uno schiaffo.

«Non è il momento di queste cazzate!»

Cloud non era sicuro del motivo dello schiaffo, ma per quanto lo riguardava se l’era meritato. 

 

***

 

Incredibilmente, l’esperienza della festa-disastro aveva contribuito a far nascere la più insolita delle amicizie: Andrea Rhodea aveva vinto la leggendaria diffidenza di Cloud Strife. Persino Tifa aveva iniziato a tollerare meglio che il suo fidanzato passasse del tempo uno che se lo sarebbe volentieri portato a letto. 

Andrea era al settimo cielo, ovviamente. Piovevano inviti a feste, che però la coppia si guardava bene dall’accettare, accampando scuse su scuse. La star dell’Honeybee Inn non sembrava infastidito: tanto si godeva il suo nuovo amico in numerose occasioni nel suo locale o in palestra.

Naturalmente, senza smettere di dispensare consigli al biondo riguardo la relazione con Tifa. Cloud non lo avrebbe mai ammesso, ma seguirli gli aveva fatto fare dei veri passi in avanti.

«Sai, non capisco proprio questo tuo attaccamento a Cloud. Dove vuoi arrivare?» gli aveva chiesto Jules una volta, appena il biondo se n’era andato dalla palestra.

«Arrivare? Da nessuna parte… mi concedo il lusso di torturarmi, cullando qualcuno che non posso avere…» aveva risposto Andrea.

«Non è molto da te… non dirmi che con i tuoi consigli provi a sabotare la sua storia con Tifa!»

«Non ci riuscirei nemmeno se ci provassi, quel ragazzo ha occhi solo per lei. Solo Tifa beneficia davvero dei consigli che do a Cloud... servono a non fargli fare disastri, mi spiego?»

«Spero tanto che tu stia dicendo la verità, fratello.»

«Ho mai mentito??»

Jules lo aveva guardato storto, poi aveva alzato gli occhi al cielo.

«Non ti rispondo neanche. Ah, mentre non c’eri è arrivata questa lettera per te.»

Andrea aveva aperto la busta ed era completamente sbiancato, per poi correre fuori dalla palestra gridando:

«Cloooud!!! Clooooud!!»

 

***

 

«Una riunione d’affari?» chiese Tifa, incredula.

«Si… così ha detto Andrea.» rispose Cloud con un sospiro.

«Mi sembra strano… cosa ne sai tu, di affari?»

«Niente.» ammise il ragazzo, afferrando il bicchiere.

«Non dovresti bere troppo se devi guidare.»

«Ma è acqua.»

«Ah… scusa.»

«Dai, non preoccuparti… vorrà qualcuno con lui per non morire di noia.»

«... se lo dici tu…» disse Tifa, ancora poco convinta.

«Poi sarà una cosa molto rapida.»

«Lo spero per te e per lui. Mi serve una mano al bar stasera.»

«Tornerò in tempo, padrona.»

«Sempre il solito! Ci conto comunque.» disse la ragazza, con una nota di ammonimento nella voce.

Cloud si congedò da lei con un bacio sulla guancia, che Tifa ricambiò con uno sulla bocca. Lui le sorrise e andò a prendere la moto; indugiò per un attimo con la Buster Sword in mano, indeciso se portarla o meno. Alla fine decise di portarla con sé: se le feste di Andrea finivano in quel modo, non voleva pensare agli incontri di affari.

L’entertainer non aveva parlato molto del luogo dell’incontro, dicendogli solo come arrivarci. Quando le strade finirono, lasciando il posto a sentieri di terra battuta, Cloud cominciò a temere qualche brutta sorpresa. 

Il percorso terminava ai piedi di una parete rocciosa brulla. Cloud spense la moto e scese, guardandosi intorno circospetto. Da un cespuglio lì vicino uscì fuori Andrea, invitandolo con un cenno a nascondersi con lui.

«Vieni qui! Sbrigati! Devo dirti alcune cose!» sussurrò con forza.

«Per esempio come mai conduci i tuoi affari in mezzo ai boschi?» disse Cloud, con una nota di sarcasmo nella voce.

«Vieni qua! Hai sempre qualcosa da ridire tu! Sembra quasi che tu ce l’abbia con me a volte!» rispose Andrea, strattonando Cloud e portandolo con sé.

Entrambi si ritrovarono chini al di là dei cespugli; l’uomo continuava a scrutare nervosamente il punto da cui era arrivato Cloud.

«Tra poco saranno qui.»

«Ma chi? Vuoi spiegarmi che sta succedendo?»

«Bene… forse avrai capito che non si tratta di affari convenzionali.»

«...»

«Lo prendo per un si. Ci sono delle persone, a Edge, che… vogliono dei soldi da me.»

«Cos’è, qualcuno dei tuoi ex?»

«Non mi diventare geloso proprio adesso, ti prego! Siamo in una situazione di emergenza, quelli vogliono i miei soldi, oppure mi faranno qualcosa di male!»

«... quindi mi hai fatto venire qui per proteggerti??»

«... si. Sei incredibilmente perspicace, sai?»

«Beh, io me ne vado.» disse Cloud, alzandosi.

«No no no! Dove? Come?? Mi lasceresti qui??»

«Non sono una guardia del corpo. Non gratis, quantomeno.»

«No fermo! Stanno arrivando!» bisbigliò Andrea, tirandolo nuovamente dentro il cespuglio.

In effetti dopo pochi secondi il rombo di un motore annunciò l’arrivo di un fuoristrada, dal quale scesero quattro uomini. Non facevano nulla per dissimulare il fatto che erano armati di pistole.

Andrea era piuttosto agitato, ma cercò di ricomporsi e fece cenno a Cloud di seguirlo, mentre usciva dal sottobosco.

«Signori… avete scelto un posto decisamente disdicevole per un business meeting.»

Tutti e quattro lo guardarono per un attimo, poi uno disse:

«È un posto ottimo per lasciare a marcire i resti dei meeting che vanno male.»

«È tua questa?» chiese un altro, indicando Fenrir.

«... no! In effetti è del mio socio Cloud… sta liberando i suoi intestini nel bosco. Quando natura chiama…»

«Ti avevamo detto di venire da solo!» gridò uno dei quattro, puntandogli la pistola addosso.

«Boud! Vieni fuori o sparo alla tua amichetta!»

Cloud controllò di avere qualche materia utile, poi si alzò lentamente dal suo nascondiglio.

«Mi chiamo Cloud.» disse, avanzando di qualche passo. Gli altri tre uomini puntarono le loro armi su di lui.

«Fermo dove sei!» 

«Ma cosa… il tuo “socio” era un SOLDIER??»

«Vuoi giocare a un gioco pericoloso, principessa. E credo che tu abbia appena perso.»

Cloud scattò improvvisamente, trascinando Andrea con sé al riparo dietro la moto. I primi proiettili attraversarono soltanto l’aria. Cloud aprì il vano spade di Fenrir e afferrò la Buster, mentre vari proiettili rimbalzavano sulla carrozzeria. Andrea urlava come un ossesso.

Si lanciò all’attacco a massima velocità, incurante degli spari, roteando la spada. Il primo cadde senza nemmeno avere tempo di reagire.

Gli altri si rintanarono dietro al loro fuoristrada, urlando frasi sconnesse.

Cloud allungò il braccio libero verso la macchina:

«Ignis!» 

La palla di fuoco colpì in pieno il serbatoio, facendolo esplodere. Cloud si riparò con la spada, mentre i rottami volavano da ogni parte.

Si assicurò che tutti fossero fuori combattimento, poi iniziò a ispezionare Fenrir.

«Cosa… è... successo??» domandò Andrea, facendo capolino da dietro la moto.

«È successo che sei un idiota.» rispose Cloud, saltando in sella e accendendo il motore.

«No, aspetta!»

«Ciao, Rhodea.» 

 

***

 

Cloud non si fece vedere in palestra i giorni successivi, Andrea invece sembrava essersi trasferito in sala pesi. Jules era talmente preoccupato che decise di telefonargli per sapere se il ragazzo fosse malato.

-Non mi risulta…- rispose Tifa, dall’altro capo del telefono.

«Non viene in palestra da qualche giorno, ci chiedevamo come mai.» disse Jules.

-In effetti è strano, ultimamente. Sta sempre in giro a fare consegne.-

Andrea, che stava origliando la conversazione, batté una mano sulla spalla del fratello, illuminandosi all’improvviso. Gli fece cenno di tagliare la conversazione e, agli sguardi interrogativi di Jules, rispose scandendo: “con-se-gne!”

Il culturista scosse la testa, ringraziò Tifa e chiuse la chiamata.

«O mi dici che succede, fratellone, o ti trascino sul ring; e sai chi vincerà, anche se sei il maggiore!»

«L’ultima volta stavo quasi vincendo io!» rispose Andrea, piccato.

«Certo, ora prenderle di santa ragione si chiama quasi vincere… non è questo il punto! Cosa hai fatto a Cloud??» domandò Jules, che stava esaurendo la pazienza. Certe volte aveva dei dubbi su chi fosse effettivamente il fratello più grande; i loro genitori dovevano essersi sbagliati all’anagrafe.

«Io non ho fatto nulla.»

«Per l’ultima volta, cosa è successo? Ti cancello la rubrica del telefono.»

Andrea sbiancò, sbarrando gli occhi.

«Non… non…»

«Sputa il rospo!»

L’entertainer cedette, raccontando tutto.

«Perché non mi hai detto niente?» esclamò scandalizzato Jules. «Come hai potuto essere così stupido? Una faccenda del genere non si prende alla leggera! Non è una rissa tra ex!» 

«A mia parziale difesa, io…»

«No! Non hai difesa stavolta!! Sei inqualificabile! Hai messo in pericolo Cloud senza nemmeno avvisarlo! Se non si fosse portato la spada?»

«Ma dai, tra un po’ ci dorme anche con quella lama… povera Tifa…» replicò Andrea.

«Ciò non toglie che tu gli abbia mentito e lo abbia usato! Fossi stato in lui ti avrei dato un bel pugno in faccia! Evitarti mi sembra il minimo.»

«Sei sempre stato quello manesco, tra noi due.» commentò l’entertainer.

«Ora come intendi fare per risolvere la situazione delle minacce??» domandò il fratello, ignorando il commento.

«Prima le cose serie! Ho un piano infallibile per riconquistare Cloud: ordinerò decine di cose, attirandolo verso casa mia in continuazione. Prima o poi il mio charme farà nuovamente effetto.» disse Andrea, sicuro di sé. Jules si stava alterando.

«E per le minacce?? Spero tu abbia capito che col tuo charme ci vogliono fare i coriandoli.»

«Cloud ha fatto i coriandoli con loro e la loro auto, non credo che li vedrò mai più!» disse tranquillo Andrea.

«Speriamo tu abbia ragione e riesca ad aggiustare tutto… anche se non ti meriti l’amicizia di quel ragazzo.»

«Così mi ferisci…»

Andrea iniziò subito a mettere in atto il suo piano diabolico. In breve tempo, decine di articoli senza la minima utilità erano tra le spedizioni dirette all’Honeybee Inn, distribuiti tra vari giorni.

Cloud avrebbe tanto voluto gettare quelle cianfrusaglie nelle fogne di Edge, ma si trattava di lavoro e doveva sforzarsi di rimanere professionale. Imballò tutti i pacchi, incurante delle istruzioni di consegna, e si diresse verso l’Inn. Era strano vederlo alla luce del giorno, senza la consueta folla.

Non fece in tempo a scendere dalla moto, che vide Andrea uscire dall’ingresso.

«La sua consegna.» disse con il tono più distaccato possibile, posando il mucchio di pacchi.

«Oh, siamo arrivati a questo? Fai… finta di non conoscermi?» rispose l’uomo, con tono melodrammatico.

«Spero che stavolta voglia pagarmi.» replicò Cloud freddamente.

«Ma io non ho ordinato tutti questi articoli per oggi!» provò a ribattere l’entertainer.

«Non ci provare, Andrea. Sono tutti per te e sei qui. Prendili e pagami.»

«Ahh, allora il mio nome lo ricordi!»

«Sono duemila guil.» fu la risposta del biondo.

«Tremila e torniamo amici?»

«Quattromila e ci riparo Fenrir?» rispose Cloud, acido, indicando i fori di proiettile nella carrozzeria.

«Se torniamo anche amici, ci sto.» disse scherzosamente Andrea.

«Scordatelo, non siamo mai stati amici.» affermò Cloud, con voce dura.

Andrea trasalì.

«Dici… dici così solo perché sei arrabbiato!» 

«Duemila guil, per favore. Ho altre consegne da fare.» tagliò corto il biondo.

Dietro la tenda di ingresso del locale, l’intero staff aveva fatto capannello e stava spiando i due uomini che discutevano.

«Ma che è successo?» chiese un’apetta, bisbigliando.

«Si sono lasciati?»

«Lo sapevo! Che peccato!» sussurrò un’altra ragazza.

«Lui mi piaceva molto di più della sua ultima ex!» commentò affranto il receptionist dell’Honeybee Inn.

«Anche del suo ultimo ex… però Gideon non si batte.»

«Finitela o questo mese non vi pago!» gridò Andrea, causando un immediato fuggi fuggi generale.

«Basta che paghi me. Ho da fare.» replicò Cloud, gelido.

Andrea si arrese, mise su la faccia più affranta possibile e pagò. Rimase all’esterno finché Fenrir non fu più visibile.

Al gruppo dei suoi dipendenti, che lo attendeva all’interno, disse solo:

«Non vi preoccupate, tornerà. Tornano tutti.»

 

 ***

 

«Come, non torni in palestra? Che è successo, Cloud?»

Lui non rispose, continuando ad asciugare bicchieri.

«Su! Dimmi cosa c’è! Jules mi ha addirittura chiamato, non sapevo cosa rispondergli…»

«Domanda ad Andrea.» rispose finalmente Cloud.

«Non mi dire che sei ancora arrabbiato per quella festa! Te l’ho detto, io non mi sono offesa… ne abbiamo già parlato, basta che non mi ci porti più.»

«Non è per quello, è per… un’altra cosa.»

«Su, non fartelo tirare fuori a forza!» disse Tifa, con una punta di esasperazione, mentre si avvicinava a lui.

Cloud fece il fatale errore di guardare una volta in direzione di Tifa e dei suoi occhi, a metà tra l’implorante e il rimprovero. Le raccontò tutto.

«Non ci posso credere!! Andrea ha rapporti con dei malviventi??»

«Faceva il giudice delle donne per Don Corneo, ti stupisce così tanto?» le fece notare Cloud, con voce atona.

Tifa rimase un attimo interdetta, poi annuì.

«D’accordo, però pensavo che ormai fosse acqua passata!»

«Sia come sia, non è quello il punto! Mi ha usato!»

«Non è la prima volta che ti succede di essere usato per risolvere questioni pericolose altrui… anche Andrea, a chi altri avrebbe potuto rivolgersi?»

«...»

«Non capisco come mai hai questa reazione, alla fine hai fatto solo del bene…»

Cloud continuò a rimanere in silenzio, strofinando il bicchiere come se dovesse raschiarlo. Tifa trasalì, come colpita da un fulmine.

«Aspetta un attimo… non sarai mica…»

«Cosa?» chiese lui, senza alzare gli occhi.

«Ti sei offeso?!»

«Cosa?? No no…»

«Cloud!»

«Anche se fosse? Che importanza ha?» rispose lui, alzando le spalle.

«Ti sei offeso!»

Cloud finalmente posò il bicchiere, guardandolo con odio.

«Ti sei sentito usato dal tuo amico, quindi ti sei offeso! È questo il problema, giusto?»

«Lui non è mio amico! È solo un altro criminale.»

Tifa fece per ribattere, ma fu interrotta dal fragore delle porte del Seventh Heaven. Una giovane ragazza dai corti capelli bruni e dalla faccia sconvolta si precipitò verso il bancone.

«Siamo chiusi…» disse Tifa, aspramente.

«Cloud!! Cloud!! Hai visto Andrea?» chiese la ragazza, quasi senza accorgersi dell’ammonimento.

«... chi sei?» rispose Cloud, confuso.

«Come chi sono?? Mi hai vista tante volte, lavoro all’Honeybee Inn!» esclamò lei, basita.

Cloud la guardò un attimo, socchiudendo gli occhi. Poi la ricordò con il costume da ape.

«Ah si, scusa. Senza il costume non ti avevo riconosciuta.»

“Devo smetterla di essere gelosa” pensò Tifa, rilassandosi.

«Hai visto Andrea?» ripetè l’apetta, sempre più agitata.

«No, è da stamattina che non lo vedo.» rispose lapidario il biondo.

«Perché sei venuta a cercarlo qui?» domandò Tifa.

«Lo abbiamo visto andar via. Pensavamo fosse venuto qui a chiedere scusa a Cloud. Non risponde al cellulare!» rispose la ragazza, sull’orlo delle lacrime.

«Dai, non agitarti. Magari ha cambiato idea ed è andato in palestra.» provò a tranquillizzarla Tifa, che in realtà iniziava a preoccuparsi.

«Di certo non è venuto a scusarsi.» mormorò Cloud, piccato.

Tifa gli lanciò un’occhiataccia, ma fu distratta dallo squillo del telefono.

«Pronto? Ciao Jules… no, mi dispiace.»

Guardò la ragazza.

«Non è nemmeno in palestra.» 

L’apetta scoppiò in un pianto dirotto.

«Chissà cosa gli è successo? Oh no! È morto!» strillò. 

Cloud e Tifa la fissarono inorriditi.

«Dai, dai, magari è tornato a casa.» provò a dire Tifa.

«L’Honeybee Inn è la sua casa!» strillò disperata.

«Tifa! Sei ancora in linea?» gridò la voce di Jules. 

«Si.»

«Mettimi in viva voce.»

La ragazza obbedì.

«Credo che mio fratello sia nei guai. I problemi che ha cercato di risolvere tramite Cloud potrebbero essere ancora in circolazione. Non ha sgominato tutta la banda.»

Cloud sbuffò, ma non disse nulla.

«Che banda?!» esclamò l’apetta. Jules fece un verso esasperato.

«Tipico di Andrea non dire nulla.»

«Già.» mormorò il biondo appoggiato al bancone.

«Credi che queste persone possano avergli fatto qualcosa?» domandò Tifa, fulminando il suo ragazzo con lo sguardo.

«Temo di si. Sono molto preoccupato.» disse il culturista.

«Dobbiamo… dobbiamo chiamare la polizia!» esclamò l’apetta con voce rotta.

«La polizia non farà mai in tempo, e non vorrei che ne approfittassero per mandare anche mio fratello in galera.» replicò Jules. «Qua serve una soluzione più veloce.»

«Dobbiamo parlare con uno degli altri ex-delegatii di Don Corneo.» affermò Tifa «Se c’è una banda in circolazione, sono sicura che loro sapranno qualcosa.»

«Ottima idea!» esclamò Jules. « Vado da Chocobo Sam!»

«Ti raggiungo subito!» gridò l’apetta, scattando verso l’uscita.

«Aspetta! Veniamo anche noi!» gridò Tifa, mentre faceva il giro del bancone.

Sospirò, cercando di mantenere la calma, e si voltò verso la figura immobile dietro al bancone.

«Cloud…»

«Si?»

«Anche se sei offeso, dovresti venire.»

«Non mi interessa.»

«Va bene, allora andrò da sola a parlare con Chocobo Sam.»

«... aspetta.»

 

***

 

«In che senso non c’è??» esclamò l’apetta, disperata.

«Nel senso che è uscito, il capo è lui, fa come vuole.» rispose il ragazzo dall’altro lato del recinto, riprendendo in mano il forcone.

«E adesso che facciamo?» 

«Forse potremmo andare da Madame M, è l’unica altra soluzione.»  rispose Jules.

«Che ne dici, Tifa?»

La ragazza era intenta ad accarezzare un chocobo particolarmente espansivo che si era avvicinato a loro. Ci mise un attimo a voltarsi.

«Eh? Si, va bene.» rispose, anche se non sembrava felicissima all’idea. Nemmeno Cloud si stava mostrando entusiasta, rimanendo in disparte in silenzio.

«Allora andiamo, presto! Potrebbe essere in pericolo!» gridò l’apetta, iniziando a correre. Gli altri la seguirono.

Arrivarono davanti al centro massaggi, giusto in tempo per vedere Chocobo Sam che usciva con aria soddisfatta, seguito da Madame M in persona.

«E tu che ci fai qui?» chiese Tifa, spaesata.

«Noi allevatori di chocobo lavoriamo molto con le mani… e anche un uomo umile come me, ogni tanto deve concedersi un trattamento extra lusso. Giusto Cloud?»

Il ragazzo non rispose, ma lo guardò con odio mentre arrossiva.

«Ci serve aiuto! Pensiamo che una banda abbia rapito Andrea!» disse Jules.

Madame M lo guardò per un attimo, poi disse:

«Evidentemente sta avendo ciò che si è meritato. Sempre a fare la prima donna…»

«Quindi tu sai qualcosa??» esclamò l’apetta.

«Certo… ma, come qualcuno qui sa molto bene, tutti i miei servigi hanno un prezzo.» rispose maliziosamente la donna. Chocobo Sam ridacchiò.

Tifa stava per rispondere, quando l’apetta si scagliò contro Madame M.

«Come ti permetti!! È una questione di vita o di morte!!» gridò furiosa.

«E tu come ti permetti di parlarmi in questo modo?» rispose la donna a tono, puntandole il ventaglio contro.

Jules si frappose tra le due.

«Sei inqualificabile. Cosa vuoi?» chiese a Madame M, guardandola con odio.

«Mmh, vorrei che qualcuno si preoccupasse di me come tu ti preoccupi di tuo fratello. Ma questo non posso averlo… dovrai consolarmi con dei soldi.» disse lei, tendendo la mano aperta.

«E se invece per una volta ci aiutassi e basta?» chiese Tifa. «Davvero non ti importa niente di Andrea?»

«Ragazza mia, la tua ingenuità è commovente. Quando ci sono troppi galli nel pollaio, c’è una sola soluzione…»

Jules si illuminò per un attimo.

«Parli di galli e di pollai… in effetti dovresti essere seccata che una banda sia di nuovo qui a dettare legge. Non vorresti vederli morti?»

Madame M rimase in silenzio un attimo, toccandosi il mento con il ventaglio; anche Chocobo Sam sembrava improvvisamente di nuovo interessato.

«Parli bene, ma non vedo come potresti fare a eliminarli.»

Jules indicò Cloud.

«Ci sono anche io!» protestò Tifa.

Il ragazzo parve risvegliarsi in quel momento.

«No. Non se ne parla.» disse lapidario. Madame M lo guardò.

«Facciamo i conti senza l’oste, Jules?» disse, ridendo.

«Cloud ti prego! È l’unica speranza per salvare Andrea!» esclamò Jules, avvicinandosi a lui. L’apetta si gettò in ginocchio ai suoi piedi.

«Salva il mio mito, ti prego! Ti prego!!» gridò, gli occhi pieni di lacrime.

Tifa gli mise una mano sulla spalla. Cloud si girò a guardarla.

«Per favore…»

«Quindi dovrei andare a salvarlo? E perché?» chiese, sarcastico.

Tifa strinse la presa.

«Perché è tuo amico!!» gli disse.

 

***

 

“Odiavo quel ciuffo e quei baffi da finto seduttore…” pensò Andrea, appena gli tolsero dalla testa il sacco di tela.

«Bwahahahaha! Il grande Andrea Rhodea, qui davanti a me! Sono onorato!» 

Andrea guardò disgustato la persona davanti a lui, seduta sul vecchio trono di Don Corneo. Sembrava una brutta copia del vecchio boss, dai capelli fino alla terribile giacca rossa con i pellicciotti.

«Non pensavo fosse possibile essere ancora più brutti di Corneo, devo congratularmi.» disse Andrea, cercando di mascherare la paura.

«Non pronunciare quel nome!» gridò l’uomo, alzandosi. Andrea aveva le mani legate dietro la schiena, non potè fare niente per fermare il pugno che calò sulla sua faccia.

«Hai esagerato, principessa. Ora comando io sul nuovo mercato… sai, speravo fossi abbastanza intelligente da capire che certe cose non cambiano. Avrei voluto persino ripristinare la ricerca delle spose. Mi rattrista dover fare di te solo un esempio.»

Andrea aveva ormai perso ogni baldanza. Si limitò a fissarlo, chiedendosi per quanto ancora avrebbe voluto parlare, prima di agire.

«Però devo riconoscerlo, hai avuto le palle! Di voi tre, sei stato l’unico a non pagare subito. Ma hai voluto giocare ad un gioco a cui non puoi vincere… finalmente vendicherò il tuo tradimento! Preparati a…»

Un assordante boato lo interruppe, mentre il pavimento tremava.

«Che cosa succede??» gridò il boss, rivolto ai suoi uomini, mentre il rombare di un motore si faceva sempre più vicino.

«Correte alle scale! Cosa fate lì impalati??» 

Tre uomini armati corsero fuori dalla stanza, caricando i loro fucili.

 

Qualche minuto prima...

Cloud diede gas, sentendo compiaciuto il ruggito di Fenrir in risposta.

«Siamo vicini!» gridò Tifa, i capelli che sventagliavano.

«Bene!» gridò lui. «Che aveva detto Madame M del posto?»

«Che lo avremmo riconosciuto subito.»

“Meno male che non l’abbiamo pagata, stavolta.” pensò Cloud, scuotendo la testa.

«La banda è composta da ex-scagnozzi del vecchio porco, comandati da uno che cerca di assomigliargli in tutto e per tutto. Vogliono ripristinare il controllo sul nuovo mercato di Edge.»

«E voi non avete fatto niente? Avete accettato e basta?» esclamò Tifa, incredula.

«Ti sembro una che può opporsi a una banda di criminali?» rispose Madame M, agitando il ventaglio.

«Io cosa potevo fare, beccarli?» le fece eco Sam.

«Potevate comunque opporvi! Guardate ora che sta succedendo!» insistette Tifa.

«Volete il mio aiuto oppure no? E comunque se Andrea non avesse deciso di opporsi, tutto sarebbe tranquillo adesso.» rispose la massaggiatrice, piccata.

«Non potete saperlo! Una banda di criminali non è una cosa positiva!» disse Jules.

«In ogni caso, ora sono molto arrabbiati se hanno preso Andrea… potrebbe anche essere troppo tardi.»

«Allora non c’è tempo da perdere! Sai dove sono??» riprese il culturista.

«Si, l’ammiratore del Don ha voluto ricostruire il suo palazzo. Lo troverete poco fuori dal centro di Edge, verso sud. Lo riconoscerete.»

Cloud non avrebbe voluto portare Tifa con sé, ma lei non aveva voluto sentire ragioni.

«E va bene. Vado.»

«Vengo con te!»

«Non se ne parla. Non sappiamo quanti sono.»

«Appunto! Non sei a prova di proiettile!»

«Neanche tu.»

«Ce la siamo sempre cavata… insieme. Non entri da solo in una villa piena di mafiosi.»

«Tu invece puoi?»

«Che c’entra adesso!? Andiamo!»

L’edificio apparve dopo una curva, colorato e pacchiano esattamente come lo ricordavano.

«Ci siamo!» gridò Tifa. Poi si fece seria, vedendo che la moto non rallentava.

«Cloud?! Ci siamo!!» ripeté.

«Lo so!»

«Non parcheggiamo?»

«Non c’è tempo per parcheggiare!» gridò Cloud, tirando fuori la spada. Lei sbiancò.

«C’è sempre tempo per parcheggiare! Neanche volevi venire, ora non c’è tempo??»

«Reggiti!» rispose lui. Si era fatto convincere ad andare, ma avrebbero fatto come voleva lui: attacco frontale con rombo di motori. E senza travestimenti.

Tese una mano davanti a sé. Tifa gli si strinse addosso.

La palla di fuoco della magia aprì un buco nella facciata di legno laccato. Fenrir varcò la breccia rombando, in una pioggia di schegge e fiamme, e atterrò di schianto su un tavolo in un salone semideserto.

Da una porta entrarono trafelati due uomini, pistole in pugno. Cloud accelerò e punto su di loro, abbassandosi sul manubrio. I due aprirono il fuoco ma i proiettili rimbalzarono sulla lama della Buster sword, mentre Fenrir si abbatteva su di loro. Il primo fu colpito in pieno, mentre Tifa con un volteggio saltava dalla moto e atterrava sul secondo, buttandolo a terra e disarmandolo.

Cloud gli puntò la spada alla gola.

«Dov’è Andrea?»

L’uomo balbettò una risposta, terrorizzato, mentre con un dito tremante indicava il soffitto.

Tifa lo mise fuori combattimento con un pugno, poi si guardò intorno cercando delle scale.

«Di là!» gridò, mettendosi a correre. Udì Cloud dare gas. Si girò costernata.

«Cosa?? Vuoi fare le scale in moto?»

«Faccio prima!»

«Ma che ti salta in mente??» esclamò lei.

Cloud non rispose e partì, diretto verso la rampa. Udì Tifa gridare qualcosa, coperto dal rombo del motore, ma non ci badò: sapeva benissimo che si sarebbe arrabbiata, ma era ancora deciso a non coinvolgerla.

Teso sul manubrio, accelerò e imboccò deciso la rampa di scale, sgasando sui pianerottoli. Di colpo al rombo del motore si unirono i colpi secchi degli spari.

Accelerò ancora, divorando l’ultima rampa di scale che lo separava dai tre sicari, riparandosi dietro la lama.

«Crio!!»

Senza neanche rallentare, Cloud si lasciò alle spalle tre statue di ghiaccio, che ancora puntavano le armi su dove si trovava un momento prima.

“Non ho tempo per voi.”  

Arrivò rapidamente all’ultimo piano: era un’ampia anticamera rivestita interamente, dal pavimento alle pareti, di moquette rossa e oro. Vide una grossa porta di di legno dorato, simile al portone che aveva distrutto prima, al lato opposto della stanza.

Sgasò.

«È finita per te, Rhodea…»

Cloud entrò nella stanza con uno schianto assordante; la porta si staccò dai cardini e dopo un breve volo colpì in pieno uno dei due scagnozzi rimasti.

Andrea era inginocchiato a terra nel mezzo della stanza, sotto il tiro del boss. Un altro uomo fissava la scena impietrito con un fucile in mano. Per un attimo tutti rimasero interdetti sul da farsi.

Lo scagnozzo si riprese per primo e puntò la sua arma contro Cloud.

«Deve essere questo il SOLDIER che ci sta causando problemi.»

Il boss lo guardò.

«E lo abbiamo capito tutto da soli?? Complimenti vivissimi, idiota!» gridò, mentre con la mano libera cercava di spolverarsi la polvere di dosso.

«Tu, eroe del giorno! Non fare una mossa o faccio un buco in testa alla tua amichetta!»

Cloud cercò di calcolare rapidamente cosa conveniva fare. Era troppo lontano da Andrea, mentre il sosia di Corneo gli aveva appoggiato la pistola alla tempia. Decise di prendere tempo e alzò le mani.

«Hahahahah… dovevi sceglierti una guardia del corpo meno rammollita, ma da te cosa ci si poteva aspettare?» rise sguaiatamente il boss. «Forza, scendi da quel trabiccolo. Mani in vista.»

Fece un cenno al suo scagnozzo e questi si avvicinò a Cloud, tenendolo sotto tiro. Cercò di togliergli la spada, ma l’enorme arma gli cadde immediatamente sul pavimento.

Il biondo scattò immediatamente, sfruttando la distrazione: tramortì l’uomo con una gomitata in faccia in una frazione di secondo e fece per raccogliere la spada.

Un proiettile lo colpì di striscio ad una spalla prima che potesse rialzarsi, ma il colpo finale non arrivò: sbucando fuori dal nulla, Tifa colpì il boss con un calcio dietro al ginocchio. L’uomo cadde di schianto, urlando dal dolore, e lei lo finì con un laterale sulla nuca.

«Mia salvatrice!» esclamò Andrea, riprendendo fiato.

«Come hai fatto a salire??» chiese Cloud alla ragazza, ignorandolo.

«Ho scalato le pareti e sono entrata dal balcone. Non puoi sempre fare tutto da solo!!» rispose lei, guardandolo con rimprovero.

Cloud stava per ribattere, ma fu interrotto dal rumore di passi concitati che salivano le scale.

«Ne… ne arrivano altri??» balbettò Andrea, sbiancando.

“Doppia tariffa…” pensò Cloud, mentre raccoglieva la spada. I due ragazzi si prepararono al combattimento.

«Hey… io sono sempre legato!» protestò Andrea.

«Meglio. Ci intralceresti e basta.» tagliò corto Cloud.

L’entertainer rotolò al riparo dietro al trono, ma non riuscì a resistere alla tentazione di guardare. La preoccupazione si trasformò in stupore quando Cloud e Tifa iniziarono a sgominare uno dopo l’altro i membri rimasti della banda. Era uno spettacolo mozzafiato, da far impallidire la loro ultima esibizione all’Honeybee Inn: i due si muovevano con un’intesa incredibile, come se ognuno leggesse i pensieri dell’altro; perfino i respiri sembravano in sincrono. Quando anche l’ultimo nemico cadde a terra, colpito da un poderoso fendente, non poté fare a meno di esclamare: 

«True perfection

«Spero siano finiti.» commentò Cloud, rimettendo la spada nel vano armi di Fenrir.

«Anche io.» disse Tifa, mentre slegava Andrea.

«Ragazzi… è stato…» cominciò a dire l’uomo entusiasta. Il pavimento iniziò a scricchiolare, interrompendolo e facendoli trasalire.

«Che succede adesso?» esclamò l’entertainer.

«Cloud… credo che con l’ultima Limit Break tu abbia danneggiato qualche struttura portante.» disse Tifa, con una nota di preoccupazione nella voce.

«Oh…» fu tutto quello che riuscì a dire il ragazzo.

«Dobbiamo uscire! Subito!» gridò Andrea, allarmato.

«Non faremo mai in tempo a scendere! Caliamoci dal balcone!» disse Tifa.

«Ma sei impazzita??» strillò Andrea

«E Fenrir?» aggiunse Cloud.

«Ah… donne e motori…»

«Piantatela di dire idiozie! Molla quella moto e andiamo!» gridò lei, avviandosi.

Si bloccò di colpo, guardando con orrore mentre enormi crepe si aprivano nella struttura del piccolo balcone di legno. Un momento dopo, parte del soffitto si staccò e franò sul trono, bloccando la strada verso il balcone.

«Niente balcone.» commentò Andrea, guardando sconfortato la loro via di fuga andare in briciole. Il pavimento non smetteva di tremare e gli schianti di legno su legno si moltiplicavano.

«Non mi stai pagando abbastanza.» gli rispose Cloud, acido.

«Cloud! Smettila! Ci serve una via di fuga!» urlò Tifa.

«Secondo me possiamo ancora raggiungere le scale.» propose il biondo, mentre portava la moto al centro della stanza, verso di loro.

«Salite!»

Gli altri due si avvicinarono, quando il pavimento cedette di schianto sotto i loro piedi. Cloud fece appena in tempo a tirare a sé Tifa, poi tutti precipitarono nel buio.

 

***

 

Fogne di Edge, canale di scolo 7R; qualche ora dopo.

«Chi avrebbe mai detto che quel Corneo-2 avrebbe voluto ricreare persino la famosa botola con discesa nelle fogne?» trillò Andrea, mentre marciava tutto allegro nei liquami.

«Famigerata botola, vorrai dire. E ringrazia che non ci fosse nessun enorme mostro ad aspettarci.» rispose Tifa, esasperata.

«Odio tutto.» mormorò Cloud, intento a fendere l’acqua torbida spingendo Fenrir. Provò a riaccenderla, senza ottenere nemmeno un suono.

«Cloud, smettila di provare ad accenderla. Il motore è morto a causa dei liquami che ci sono finiti dentro.» disse Tifa, scuotendo la testa di fronte alla testardaggine del suo ragazzo.

«Guardiamo il lato positivo! Siamo vivi!!» esclamò Andrea.

«L’unico che stava rischiando di morire eri tu.» precisò Cloud, superandoli e trascinando la moto verso una sponda del canale.

Tifa si voltò verso Andrea, proprio mentre lui diceva:

«Grazie per averlo convinto a venire.»

«Come sai che…»

«È talmente ovvio, my dear. Non ti rifiuterebbe mai nulla.»

Tifa arrossì lievemente.

«Ciò non significa che io o lui ti abbiamo perdonato.»

«Ne sono dolorosamente consapevole.» disse lui, con un sorriso.

«Troverò il modo di fare ammenda. Hai qualche suggerimento?»

«Per quanto mi riguarda, smettila di spogliare con gli occhi il mio ragazzo. O la prossima banda che ti rapirà sarà capitanata da me.» disse la ragazza, guardandolo minacciosa.

«Ok…» sussurrò l’entertainer, sbiancando.

«Stupida… moto… pesante!» sbraitò Cloud, col poco fiato che poteva sprecare.

I due si voltarono a guardarlo. Non aveva fatto molti progressi nel tirar fuori Fenrir dal canale.

«Andiamo ad aiutarlo?» domandò Tifa.

«Io se volete posso fare il tifo.» si offrì l’entertainer.

«Muoviti.»

Una volta riusciti nell’impresa, Andrea si rivolse a Cloud.

«Grazie per avermi salvato.»

«Grazie un corno!» sbottò il biondo. «Il conto ammonta a cinquemila guil per ogni salvataggio, più i danni alla moto!»

Andrea sorrise.

«Te ne do ventimila e torniamo amici?»

«Ci devo pensare.»

 

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Capitolo 3
*** Meteor ***


Cap. 3 Meteor

 

Cloud e Tifa stavano dormendo, stretti insieme nel letto della ragazza. Lei lo cingeva con un braccio e sembrava preda di sogni agitati.

All’improvviso un piccolo rumore fece sobbalzare il biondo, che si svegliò all’istante. Tutto sembrava essere piombato di nuovo nel silenzio, ma il movimento aveva fatto svegliare anche Tifa.

«Cloud… cosa c’è?» sussurrò.

«Ho sentito un rumore…» rispose lui, scrutando nel buio.

«Oh mio dio… potrebbe essere ancora qui?»

«Calmati, probabilmente è andato via.»

Tifa si strinse ancora di più a lui, gli occhi pieni di lacrime.

«I suoi occhi Cloud… i suoi occhi… voleva uccidermi!!»

 

Il giorno prima...

 

Cloud passeggiava tra i negozi, guardando sconsolato le vetrine. Ogni prezzo che vedeva gli faceva rimpiangere di non aver accettato i soldi di Andrea.

I gioielli sembravano molto eleganti, ma non c’era nulla alla sua portata; ogni pietra scintillava quasi a volerlo deridere. Una coppia all’interno del negozio stava comprando degli orecchini: la ragazza sembrava entusiasta e saltò al collo del ragazzo mentre lui pagava.

Cloud accelerò il passo e andò a vedere il negozio di vestiti.

La vetrina non era cambiata molto dall’ultima volta; solo un modello aveva uno sconto sufficiente a rientrare nel suo budget, ma era quello lungo, rosso e con lo spacco. Passò ancora oltre.

Colto da un momento di ispirazione, andò verso il negozio di animali. Era chiuso.

Imprecò dentro di sé per la frustrazione. Non avrebbe mai trovato un bel regalo per Tifa.

 

Quella mattina…

 

«Non hai mai fatto un regalo a Tifa??»

«Non è vero! Una volta le ho portato un fiore. Uno vero.»

«... ah si?»

«Si! Me lo avevano regalato. Un’altra ragazza… me lo aveva regalato.»

Andrea si portò una mano alla fronte. Alle sue spalle tutti i culturisti, compreso Jules, scuotevano la testa con disapprovazione.

«In nome del popolo maschile, questo è un intervento!» esclamò Jules.

«Falle un regalo! Uno bello!» rincarò un altro dei presenti.

«Ma… cosa potrei regalarle?» chiese Cloud, confuso. Andrea sospirò forte, poi rispose:

«Dovresti conoscere i suoi gusti! Cosa le piace?» 

«Ehm… le piace allenarsi…dei guanti nuovi?»

«Si, ma sarebbe una cosa poco romantica… gioielli? Tutte le ragazze amano i gioielli!»

«Lei porta gli orecchini…»

«Ecco qua! Ottima idea!»

«Anche i cuccioli sono un bel regalo!» esclamò un culturista.

«Uuuuh si! Come sono carini!» gli fece eco un secondo atleta.

Jules annuì.

«E poi… sono un bell’allenamento, in attesa di un cucciolo tutto vostro.»

Cloud sbiancò e mollò la presa di un bilanciere, che si schiantò per terra.

«Cloud!! Se hai una cosa in mano, mantieni la presa!» lo rimproverò Andrea, che aveva schivato il peso appena in tempo.

«Vi sembra il modo?? Non è il momento di parlare di figli!»

Cloud divenne ancora più bianco:

«Fi-figli?!?»

«Si! Sai, quei piccoli fagottini adorabili pieni di gioia!»

«Anche di cacca, vomito, notti insonni e bava!»

Andrea impedì a Cloud di riprendere il bilanciere.

«No no, prima finiamo il discorso. Ci tengo ai miei piedi.»

Uno dei ragazzi sentenziò:

«Vai oggi a prenderle un regalo. La situazione va ripresa in mano!»

Andrea scrutò gli altri con odio.

«Se lo mandiamo da solo Tifa riceverà qualcosa di orrendo! Aspetta domani, ti accompagnerò io.»

«Hey!» ribatté Cloud, offeso.

«Sai che è vero, my dear. E poi… regola numero due!»

L’intera sala pesi rispose in coro:

«Andrea Rhodea ha sempre ragione!»

L’entertainer si inchinò. Cloud si chiese come mai l’intera sala pesi si stesse di colpo facendo gli affari suoi.

«E va bene… ti aspetterò.»

 

Più tardi…

 

Dopo l’ennesima vetrina spoglia, Cloud si rassegnò a dover aspettare il giorno dopo e Andrea, per trovare un regalo. Si avviò mesto alla fermata della diligenza.

“-Cloud! Ma cosa ci hai fatto con questa moto?? Ho dovuto scrostare merda da pezzi che non conoscevo nemmeno!! 

-Un disguido… ci sono finito nelle fogne.

-Beh, la prossima volta vedi di non avere disguidi! E questi buchi??

-... topi.

-Si si, prendimi per il culo! A chi hai pestato i piedi?

-A dei topi… topi mafiosi.

-Ti manderò il conto. Stavolta sarà bello salato, ho paura.

-Mandalo all’Honeybee Inn. Il signor Rhodea pagherà.

-Oh hoo… anche amicizie altolocate adesso?

-Quanto tempo ti serve?

-Quando questo rottame smetterà di sputare merda ti avviserò!

-... ok.

-Comunque posso farti un upgrade con dell’ottima carrozzeria anti-topi, come dici tu.

-... non credo che avrò altri problemi di topi, grazie comunque.

Arrivò alla fermata, perso nei suoi pensieri. Dopo pochi minuti sentì il richiamo acuto del chocobo e la diligenza fece capolino da dietro la curva.

Osservò per un attimo il pennuto giallo, che sembrava particolarmente canterino.

«Kueeeeh! Kueh kueh!»

Di colpo ebbe un’illuminazione e abbandonò la fermata, riaddentrandosi nel mercato. Raggiunse il suo obiettivo dopo una veloce camminata.

«Che vuoi fare tu?? Mica lo so se posso…» gli rispose lo stalliere, grattandosi la nuca.

«È molto importante.» disse Cloud, nervoso.

«E va bene, ti chiamo il capo. Domanda a lui.»

Scomparve per qualche momento dietro una porta, poi Chocobo Sam la riaprì, avvicinandosi a Cloud.

«Quindi vuoi comprare un pulcino?» gli chiese.

«Si.»

«Non so se posso… sono molto richiesti e devo ancora completare la mia stalla per le diligenze… ma visto che sei tu, farò un’eccezione.» disse Sam, aprendogli il cancelletto e invitandolo ad entrare. 

Lo condusse all’interno delle stalle, dove lo starnazzare degli uccelli a tratti era assordante. Molti degli adulti erano accoccolati nel proprio box, ma alcuni sporsero la testa, incuriositi dall’ospite.

«Kueeh?»

«Ahi!» esclamò Cloud, ricevendo un colpetto alla testa.

«Su, Betsy, fa la brava! Torna a dormire!» disse bonariamente Sam, spingendo via la testa dell’animale.

Dopodiché guardò Cloud, facendogli cenno con un dito di fare silenzio. Aprì una piccola guardiola in una porta e lo invitò a guardare.

Nella stanza c’erano cinque pulcini di chocobo, profondamente addormentati con la testa sotto un’ala, che sembravano piccoli batuffoli di ovatta gialla. Cloud si convinse e annuì.

Sam lo invitò ad uscire e ad aspettarlo fuori.

Qualche minuto dopo lo raggiunse, con una voluminosa gabbia coperta da un telo in mano.

«Amano dormire…» gli sussurrò. Cloud pagò quanto richiesto e si avviò di nuovo alla fermata, portando senza sforzo la gabbia con sé.

 

***

 

Arrivò al Seventh Heaven e notò che era già pieno di avventori. Questo gli avrebbe semplificato le cose: si avviò alla porta sul retro e salì le scale indisturbato, arrivando alla sua stanza. Posò la gabbia in un angolo e iniziò a prepararsi per fare una doccia, ma sentì i passi affrettati di Tifa nel corridoio.

«Cloud!! Sei tornato?» urlò, bussando alla porta.

«Si, stavo per farmi una doccia!» rispose lui, guardando preoccupato la gabbia.

«Non c’è tempo!! Mi serve aiuto di sotto, la gente sembra che non beva da due giorni!»

«... ok, arrivo.»

«Grazie! Muoviti!» concluse lei, prima di tornare al bar.

Cloud tirò un sospiro di sollievo. Prima di andare sollevò lievemente il telo e guardò per un attimo il pulcino che dormiva, beato.

Scese le scale e entrò nel bar; Tifa gli lanciò una pezza mentre con un vassoio colmo andava verso un tavolo.

«I bicchieri!!!»

Cloud lo prese al volo e si mise all’opera. La serata si trascinò lentamente ma con un’incessante attività; Tifa correva indiavolata tra i tavoli e Cloud si occupava di sistemare il bar.

Lei era sempre molto gentile con tutti e molte teste la seguivano mentre si spostava.

«Ma il signor Rhodea non c’è stasera?» le chiese un ragazzo ad un certo punto.

«Veramente non è un avventore abituale, ha il suo locale da gestire…» rispose Tifa, sorridendo.

«Poco male, i drink non mi fanno sentire la sua mancanza.» affermò il cliente, con una strizzatina d’occhio.

Cloud notò che il ragazzo si sporgeva un po’ troppo per seguire i movimenti di Tifa. Guardò intensamente il calice che teneva in mano, cercando di non cedere alla rabbia. Ricordò le parole di Andrea riguardo le scenate di gelosia e riuscì a calmarsi senza rompere nulla.

“Andrea sarebbe fiero di me.” 

Posò il bicchiere e si girò in tempo per vedere lo stesso ragazzo che chiamava nuovamente Tifa; non riusciva a sentire bene cosa le stesse dicendo, ma non sembrava un’ordinazione.

Tifa rispose con il suo solito sorriso, ma appena si voltò verso Cloud il sorriso scomparve. Entrò nel bar, posò il vassoio di fianco a Cloud e gli sussurrò:

«Mamma mia che idiota quello. La prossima volta ci vai tu.»

«Ok…»

«Ma senza picchiarlo!»

«... ok…»

Lei gli stampò un bacio sulla guancia e si mise a preparare altri cocktail. Cloud guardò compiaciuto il sorriso svanire dal volto del cliente.

«Oh, il cinque voleva un altro bicchiere. Potresti portarglielo tu?» gli chiese Tifa, senza smettere di shakerare.

«Vado subito.» rispose lui. Lei gli assestò una sculacciata mentre passava.

«Su su, che la serata non è finita.» rispose lei al suo sguardo interrogativo.

Nel momento in cui entrò in sala con il bicchiere in mano, fu come se un riflettore si fosse di colpo acceso su di lui. Iniziò ad arrossire senza motivo mentre si faceva strada verso il tavolo cinque.

Tifa alzò la testa dal cocktail che stava preparando giusto in tempo per vedere che molte altre teste si stavano muovendo come girasoli, seguendo il ragazzo con il bicchiere in mano. Cercò di non badarci e iniziò a shakerare.

Altre teste si voltarono, mentre qualche risatina femminile si faceva sentire.

Shakerò più forte.

Cloud lasciò finalmente il bicchiere al tavolo, guardacaso completamente occupato da ragazze. Una di loro gli chiese qualcosa e lui divenne rosso come un peperone.

Tifa lo guardò tornare al bancone, senza riuscire a trattenere un’espressione contrariata.

Lui rientrò e riprese la sua postazione al lavandino.

«Che ti hanno chiesto?» sibilò lei.

«Solo se puoi preparare un altro Cosmo.»

«Ah… ok.»

«Tifa…»

«Che c’è?»

«Forse ormai è pronto.»

Solo allora Tifa si accorse che stava ancora shakerando il drink.

«Oh, si… heheheh.» ridacchiò imbarazzata, sbrigandosi a comporre il vassoio. Prima che riuscisse ad uscire dal bar le arrivò una sculacciata. Sorrise.

 

***

 

Finalmente la serata giunse al termine. Cloud fece uscire le ultime persone, ignorando le proteste e suppliche dei clienti più accaniti. Chiuse la porta e tornò ad aiutare Tifa, che aveva già iniziato le pulizie.

A lavoro finito, Cloud si abbandonò su uno sgabello.

«Bicchiere della staffa?» domandò sorridente Tifa, sollevando lo shaker.

«Ok.»

Preparò un drink molto semplice e ne versò due bicchieri. Si sedette accanto a lui e brindarono.

«Un piccolo ringraziamento per il tuo aiuto di oggi.»

«... grazie, io… lo faccio volentieri.»

«E un piccolo extra…» aggiunse, avvicinandosi a lui e baciandolo. Lui rispose con tutta la passione che riuscì a impiegare dopo la serata faticosa.

«Mi dicevi che domani hai una consegna?» disse Tifa, sorseggiando il drink.

«Si. Devo andare presto però, visto che non ho Fenrir.»

«Uffa, quanto ci vorrà ancora?»

«Vuoi sapere cosa ha detto il meccanico?»

«Mmmh… forse no.»

«E non puoi rimandare la consegna?» domandò la ragazza, prima di prendere un sorso dal suo bicchiere.

«No, il cliente ha pagato la consegna extra rapida. La lavanderia invece?» chiese, speranzoso.

«Avevano tante ordinazioni in sospeso, ci vorranno ancora un paio di giorni. Anche se non mi dispiace il tuo nuovo completo.» rispose Tifa, guardandolo.

Il ragazzo indossava una maglia nera a coste, senza maniche, con la zip tirata giù che lasciava intravedere il collo, e pantaloni e anfibi dello stesso colore.

«Andrea dice che è tetro.» disse lui.

«L’unico parere che conta è il mio. E poi, in confronto a come si veste lui è tetro anche un pigiamino da neonato.» commentò la ragazza, sarcastica.

“Figli… quei piccoli fagottini adorabili pieni di gioia.” 

Cloud riuscì a non farsi andare di traverso il drink, ma fissò per un attimo il vuoto. Sperò che il regalo che dormiva di sopra le sarebbe piaciuto.

“E poi… sono un bell’allenamento, in attesa di un cucciolo tutto vostro.”

 

***

 

Cloud si svegliò prima dell’alba, per riuscire a prendere la prima diligenza del mattino. Per prima cosa, controllò che il pulcino stesse bene, poi prese il pacco che aveva imballato la sera prima, e scese le scale in punta di piedi. Uscì, sperando di tornare il prima possibile.

Tifa fu svegliata dal trambusto di oggetti fragili che cadevano ed andavano in frantumi.

«Cloud! Stai attento per favore!» gridò, prima di girarsi e riprovare a dormire.

il rumore cessò, sostituito da uno zampettare nel corridoio.

Due colpi fortissimi la fecero sobbalzare. Guardò confusa la porta e lo zampettio riprese, spostandosi verso le scale.

“Ma che cavolo… non di nuovo i ratti…”

Tifa prese i suoi guanti e si alzò circospetta dal letto. Poteva occuparsene anche da sola.

In effetti il corridoio era cosparso di frammenti di legno, vetro e porcellana. Buchi e segni di graffi sui muri completavano il macello. Entrò nella stanza di Cloud: di lui non trovò nessuna traccia, ma in un angolo c’erano i resti di quella che sembrava una gabbia di metallo, sfondata. 

Anche il letto era sfondato, e i resti dell’imbottitura del materasso erano sparsi ovunque, imbiancando la stanza come neve.

“Ma che è successo…?”

Il rumore di stoviglie in frantumi riprese, stavolta chiaramente nella cucina del Seventh Heaven.

«No, la mia cucina no!» esclamò Tifa, dirigendosi velocemente di sotto. Il disastro aveva colpito anche le scale, completamente graffiate, e sembrava continuare imperterrito anche nel bar, con buona parte dei bicchieri ridotti in briciole.

Tifa impugnò uno sgabello e si addentrò in cucina, tenendolo in alto pronto a colpire. All’interno vide che qualcosa si agitava nella dispensa, gettando all’aria ortaggi e buste di patate fritte.

«Kuee… kuee…»

“Non è il verso dei ratti, questo…” pensò Tifa, mentre con una mano spalancava l’anta di legno.

In cima al mucchio di verdure mezze masticate e pacchi di patatine forati, c’era un pulcino di chocobo, che la osservava con gli enormi occhi azzurri spalancati. La sua testa sembrava sproporzionatamente grande per il suo esile collo; agitò debolmente le piccole ali e si girò.

«Kueeeeh…»

«Oh, ma sei… sei cariniiissimo! Che c’è, ti sei perso? Poverino…» disse Tifa, abbassando lo sgabello. Tese una mano verso il pulcino per accarezzarlo.

«... KUEEEH!!»

In un attimo il pulcino si avvinghiò alla sua mano, starnazzando come un ossesso,  beccando e graffiando ogni punto che riusciva a raggiungere.

Tifa urlò e cercò di toglierselo di dosso agitando il braccio, ma riuscì solo ad aiutarlo a portarsi più vicino alla sua faccia, tagliando e mordendo.

«Kueeh! kueeh!!»

«Togliti, maledetto... adorabile... infame…!!» strillò la ragazza, riuscendo finalmente ad acchiapparlo e a tirarlo lontano da lei. Lui non perse nemmeno un attimo e tornò all’attacco, soffiando e agitando le piccole ali.

Tifa pensò per un attimo di tirargli un calcio, ma non ci riuscì; l’esitazione le costò varie beccate sullo stinco e graffi su tutto il piede. Iniziò a correre verso il bagno, riuscendo ad entrare un attimo prima di lui e a chiudersi dentro.

Sentì ripetuti colpi abbattersi sulla porta, accompagnati da versi feroci.

“Oh mio dio… fa che non entri, fa che non entri!!”

Dopo quelli che sembrarono interi minuti il pulcino si stufò e tornò a devastare la cucina. Tifa potè solo ascoltare impotente la distruzione del suo locale.

«Cloud… sbrigati a tornare!» sussurrò, raggomitolata su se stessa.

 

***

 

«Tifa… sei lì dentro?» chiese Cloud, bussando di nuovo alla porta del bagno.

«Cloud!!!» urlò lei, aprendo la porta e gettandosi tra le sue braccia.

«Cosa è successo?!? È tutto distrutto!»

«Quel… quel… pennuto!» rispose lei, con voce rotta. Il ragazzo trasalì:

«Cosa?? È successo qualcosa al chocobo??»

Tifa lo allontanò e gli rivolse uno sguardo omicida.

«... Cloud. Strife.»

«Cosa?» esalò lui, mentre il sangue gli si gelava nelle vene.

«Come sai di quella piccola macchina assassina??» sibilò lei.

«...»

Il silenzio bastò a confermare i sospetti della ragazza, che proruppe furibonda:

«Hai portato tu quel chocobo dentro casa!!! La gabbia in camera tua… tutto torna!» 

Cloud impallidì. Riuscì a dire soltanto:

«... doveva… essere una sorpresa…»

Tifa lo guardò, allibita.

«Tu… tu…»

«Tifa, calmati. Sei piena di graffi, dobbiamo medicarli!» esclamò Cloud, notando solo in qual momento le ferite della ragazza.

«Non cambiare discorso!!» gridò lei. Il ragazzo iniziò a preoccuparsi: non l’aveva mai vista così fuori di sé, almeno non con lui.

«Perché lo hai portato qui?» domandò Tifa.

«Te l’ho detto, era una sorpresa per te.»

«Perché dovrei volere un chocobo?» esclamò lei, «… che ti è saltato in mente?»

«Perché... è un cucciolo?»

«Anche se è un cucciolo, è un concentrato di furia omicida, con artigli e becco affilatissimi!» sbraitò la ragazza.

Cloud non fece in tempo a rispondere, perché sentì qualcosa atterrare sulla sua spalla.

La rabbia svanì dal volto di Tifa, sostituita da un’espressione terrorizzata.

«È lui!!»

«KUEEEH!»

Cloud sentì un dolore acuto, appena le unghie del chocobo gli penetrarono nella carne. Provó a scacciarlo, ma il pulcino evitó agilmente la sua mano e lo beccó sulla testa. 

«Ahi!» 

Al secondo tentativo riuscì a scrollarselo di dosso. Lo lanciò fuori dal bagno e richiuse la porta dietro di sé. Tifa osservò la scena a bocca aperta, paralizzata dal terrore.

«È… un mostro…» sussurrò, mentre il chocobo si rimetteva a cercare di sfondare la porta.

Cloud teneva la maniglia ferma e la puntellava con una spalla, mentre i colpi del pulcino gli facevano tremare tutto il braccio.

«Come fa ad avere tutta questa forza?? È minuscolo!»

«Non me lo chiedere! Sei tu l’esperto domatore a quanto pare!!» gli rispose Tifa, sarcastica.

«Cosa facciamo?»

«La cosa migliore che sono riuscita a fare è stata chiudermi in bagno! E nel mentre non mi sono venute idee migliori!»

«Non possiamo restare chiusi in bagno per sempre…» le fece notare il ragazzo. I colpi continuavano, accompagnati da un feroce starnazzare.

«E sono anche disarmato… forse potrei provare ad incenerirlo.» suggerì Cloud. Tifa gli prese un braccio, guardandolo disperata.

«No!! Non… non si può uccidere un cucciolo!»

«Anche se è un concentrato di furia omicida, con artigli e becco affilatissimi?» le chiese lui, inarcando un sopracciglio.

«È… troppo carino. Uccideresti una cosa così carina??»

«Si. Prima che lui uccida te.»

«... sei… proprio sicuro?» domandò lei, con voce tremante.

«Si. Io l’ho portato qui e ora io risolverò il problema.» disse risoluto.

Cloud attese l’ennesimo colpo, poi aprì di botto la porta, ascoltando compiaciuto il verso di panico del pulcino. Tese in avanti la mano.

«Igni… ign…»

Il pulcino lo fissava con gli occhi spalancati, quasi tremando tra le macerie sul pavimento.

«Kueeehee…»

«Avevi ragione, non posso farlo! Corriamo di sopra!!» urlò Cloud, girandosi verso Tifa.

Si voltò di nuovo appena in tempo per frapporre un braccio tra la sua faccia e il pulcino, che si era lanciato su di lui ad artigli sguainati.

«Kueeh!!»

“Maledetto piccolo figlio di…”

Lo respinse, non prima che lui gli rifilasse dei profondi graffi, e si guardò disperatamente intorno alla ricerca di qualcosa per difendersi: cercò di tirare la tovaglia di un tavolo ingombro di scatole e scatoloni, ma nel farlo rovesciò tutto.

I segna tavoli di vetro che avevano comprato poco tempo prima rotolarono fuori da uno dei contenitori. Per un attimo che sembrò interminabile, l’unico suono fu quello delle sfere che rimbalzavano sul pavimento.

Poi il pulcino si lanciò all’inseguimento, starnazzando allegramente.

«Kueeh! Kueeh!»

Ignorando Cloud e Tifa, rincorse saltellando i segna tavoli, cercando di beccarli.

«Saliamo?!» gridò Tifa, spingendo Cloud verso le scale. Lui obbedì e entrambi corsero su per i gradini. La prima porta era quella della stanza di Tifa e i due si fiondarono all’interno, chiudendo la porta a chiave alle loro spalle. Tifa spinse il comò contro la porta, sbarrandola.

«Tanto per star sicuri.» spiegò ad un perplesso Cloud.

«Sei sicura che basti?» ribatté lui.

Furono soddisfatti solo dopo essere riusciti a spostare anche il baule che era ai piedi del letto. Si sedettero sul letto, ascoltando impotenti il fracasso che arrivava dal piano di sotto.

«Il mio bar…» si disperò Tifa, nascondendo il volto tra le mani.

Cloud provò ad avvicinarsi a lei, posandole una mano sulla spalla; la ragazza si lanciò tra le sue braccia. Anche lui si sentiva a pezzi.

«Mi dispiace tanto…» mormorò.

«Non… è colpa tua.»

«Davvero?» chiese Cloud, speranzoso.

«Certo che è colpa tua!! Ma almeno per il momento sto cercando di fare fronte comune contro quel piccolo sicario pennuto!» esclamò Tifa, sbuffando esasperata.

«Ah, ok.» disse lui, abbandonando la speranza. «Quindi… sei arrabbiata, vero?»

Tifa lo guardò intensamente senza rispondergli. Si alzò e si diresse verso il bagno.

«Vediamo di non farci venire qualche infezione.» disse, prendendo una cassetta di pronto soccorso.

«Aspetta, posso…» provò a dire Cloud, tastandosi la polsiera.

«Heal ce l’hai nella spada.» rispose Tifa, senza nemmeno voltarsi.

«Ah, già…» balbettò lui, voltandosi a guardarla. Il pulcino non aveva risparmiato nemmeno le sue gambe: i pantaloni che indossava erano ormai chiazzati di rosso.

«Ti aiuto.» disse ancora lei, tornando a sedersi sul letto e iniziando a srotolare delle bende.

«Grazie, ma è meglio che ti aiuti prima io.» ribatté lui, togliendole dolcemente le bende dalle mani.

«...va bene.» si arrese lei.

In pochi minuti Cloud riuscì a medicare più o meno tutti i tagli che riusciva a vedere.

«Cloud…»

«Si?»

«Potresti controllare anche la mia schiena?»

«...»

«Cloud?»

«Eh? Ah, si. Certo. Girati.»

La ragazza si girò e si tolse la maglia del pigiama, non senza difficoltà per via dei bendaggi. Non visto, Cloud avvampò.

«Ci sono ferite?» domandò Tifa, preoccupata.

Cloud si ricordò di respirare. 

«No, è a posto.» disse. Tentò di accarezzarla, ma lei si rimise velocemente la maglia, mormorando un ringraziamento.

«Prego.» rispose sospirando.

«Tocca a te.» disse la ragazza, prendendo le bende. Non ci volle molto tempo, per fortuna i tagli subiti da Cloud erano molti meno rispetto a quelli di Tifa.

«Manca solo quella sulla testa…» mormorò lei.

Allo sguardo interrogativo del ragazzo, rispose passandogli una mano tra i capelli e mostrandogli i polpastrelli rossi.

«Non pensavo fosse così grave…» si giustificò Cloud, mentre Tifa si preparava a medicarlo ancora.

«Chissà perché non ne sono sorpresa.» disse ironica Tifa, accennando un sorriso. 

«Ecco fatto.» disse soddisfatta. La mano di lei scese lungo la sua guancia, quasi a sembrare una carezza. Per un attimo, i loro occhi si incontrarono. Cloud posò la sua mano sulla mano fasciata di lei e sostenne il suo sguardo.

«Anche se dubito che ci riuscirò, vorrei provare a riposare.» affermò Tifa, mentre si allontanava da lui.

Cloud annuì e si alzò dal letto.

«Dove stai andando?»

«Hai detto che vuoi riposare.»

«La tua stanza è distrutta. Dai, ti lascio un po’ di spazio.»

Cloud guardò il letto, poi Tifa, poi di nuovo il letto, arrossendo.

«Sicura? Posso… dormire per terra…» disse esitante.

«Cloud, taci e vieni qui.»

«Va bene.»

Si sdraiò accanto a lei, insicuro su cosa dovesse fare. Tifa gli si strinse addosso, cingendolo con un braccio. Cloud trasalì per un momento, poi ricambiò l’abbraccio.

 

***

 

La mattina dopo...

 

«I suoi occhi Cloud… i suoi occhi… voleva uccidermi!!»

Avrebbe voluto dirle che stava esagerando, ma dopo aver visto quella bestiaccia in azione non se la sentiva di contraddirla.

«Vado a vedere.» disse.

«Sei sicuro?» chiese Tifa, con una nota di preoccupazione nella voce.

«Questa cosa è andata avanti per troppo tempo!» rispose lui. «Non possiamo farci mettere in scacco da un batuffolo di ovatta gialla.»

“Anche se è imbevuto nel male…”

«Cloud! Sarà pure un batuffolo, ma è imbevuto nel male!» commentò Tifa, che si sentiva meno sicura del suo ragazzo.

«Io vado avanti, seguimi.» disse il biondo.

«Ok…» disse lei, infilandosi i suoi guanti.

Mentre afferrava la maniglia della porta, Cloud guardò per caso il suo bracciale; nella sua mente iniziò a formarsi un piano. 

Scesero le scale evitando di fare il minimo rumore, aggirando ogni frammento che avrebbe potuto rivelare la loro presenza se toccato. Arrivarono al piano di sotto, che sembrava una zona di guerra. Tifa soffocò un singhiozzo alla vista del locale devastato.

“Non voglio immaginare come sarà ridotta la cucina.”

«Non lo vedo.» sussurrò Cloud. 

«Forse avevi ragione e se ne è andato.» bisbigliò Tifa, sollevata.

«KUEEEEEEEEEH!»

Il pennuto saltò improvvisamente sul bancone, feroce come il giorno prima, ed iniziò a correre nella loro direzione, agitando le piccole ali.

Tifa strillò e saltò all’indietro. Cloud si sfilò il bracciale e tolse la prima materia che gli capitò, iniziando subito ad agitarla davanti a sé.

«Che stai facendo?!» gridò Tifa.

Il pulcino rallentò, iniziando a seguire con la testa la sfera verde nella mano del ragazzo. I suoi occhi, un momento prima rabbiosi, erano spalancati e adoranti.

«Kueeeee…»

«Gli piacciono le materie?» esclamò la ragazza, incredula.

«Preparati ad aprire la porta, io la lancerò fuori e lui…»

Cloud non fece in tempo a finire la frase: il chocobo scattò nuovamente col collo proteso in avanti e il becco aperto verso la materia. Il ragazzo non fu abbastanza veloce e l’uccello si impadronì della sfera, strappandogliela dalla mano.

«No no no… da bravo, ridammela…» disse Cloud, avvicinandosi piano piano al pulcino.

Lui lo fissò, poi inghiottì la materia.

I due ragazzi osservarono impotenti il rigonfiamento nel gozzo del chocobo scendere verso il basso, per bloccarsi a metà strada.

Un istante dopo, fiamme vermiglie avvolsero il pulcino.

«Stavi usando la materia ardente?!?» strillò Tifa, guardando con orrore il chocobo.

«A quanto pare.» rispose lui. Non aveva fatto caso a quale avesse preso. 

Il chocobo iniziò a emettere versi strozzati e a correre in giro come un ossesso, urtando contro qualsiasi cosa ci fosse. Alcuni pezzi della mobilia iniziarono a prendere fuoco.

«Cloud! Fai qualcosa!!» urlò Tifa, mentre cercava di spegnere le fiamme con una tovaglia.

Il ragazzo si guardò intorno: ormai c’erano vari principi di incendio nel bar, aiutati dal fatto che molti degli oggetti erano ridotti in frantumi.

«Crio!» gridò, puntando ad una sedia che era mezza divorata dalle fiamme.

Il ghiaccio la avvolse, spegnendo le fiamme ma squagliandosi quasi istantaneamente.

«Ci pensiamo dopo!! Ferma quel coso!!» gridò Tifa.

Il pulcino aveva rallentato e barcollava in giro, continuamente scosso da conati; la materia che aveva ingoiato era ancora visibile, incastrata a metà del suo collo. Non sembrava ustionato dalle fiamme, ma non accennavano a spegnersi.

“Sta soffocando?” pensò basito Cloud.

«Dobbiamo fargliela sputare!» strillò Tifa.

«Ma è in fiamme!» ribatté Cloud.

«Prendi!» gridò lei, lanciandogli un guanto da forno. Anche se scettico, il ragazzo lo indossò e corse verso il pulcino. 

Lo prese in braccio, contento che non sembrasse in grado di reagire, e cercò di comprimere il suo torace. Le fiamme erano insopportabilmente roventi e la materia non sembrava volersi spostare.

Incapace di resistere oltre, Cloud strinse il collo del pulcino con entrambe le mani e fece scorrere una mano verso la sua bocca, portando con sé la materia. Finalmente, con un ultimo conato, il pulcino riuscì a sputarla. Nello stesso istante, le fiamme sparirono e l’uccello rimase inerte tra le sue braccia, respirando piano.

Le ustioni non avevano risparmiato nemmeno la mano protetta dal guanto, che era ridotto a brandelli. Anche parte dei vestiti si erano bruciati. Tifa spense l’ultimo piccolo incendio e si sedette pesantemente per terra, in uno dei pochi posti liberi da macerie, guardando il vuoto davanti a sé.

Il chocobo aveva perso ogni velleità omicida; Cloud lo posò sul bancone e si sedette per terra accanto a Tifa. Rimasero per un po’ in silenzio.

«Sai...» esordì lei, con voce rotta dalla stanchezza, «… credo che dovremmo dargli un nome.»

Cloud la fissò, incredulo.

 

***

«Oh, buongiorno Tifa! Splendida come sem…»

La ragazza si avvicinò e colpì Sam con un diretto al mento. Lo stalliere lì vicino si rifugiò all’interno dell’ufficio e seguì gli eventi dalla finestra.

«Come ti sei permesso di vendere un pulcino a Cloud?!?» sibilò la ragazza, trafiggendo l’uomo a terra con lo sguardo.

Sam riuscì a puntellarsi sul gomito per rialzarsi, massaggiandosi la zona colpita.

«Il cliente ha sempre ragione, cara. Mi ha chiesto un pulcino, gliel’ho venduto.»

«Sapevi benissimo che sono tremendi!!» replicò Tifa, sollevando il pugno.

«Pensavo che sapesse a cosa andava incontro…» disse il chocobiere, mentre si rialzava.

Tifa lo colpì ancora, stufa delle sue bugie, facendolo cadere di nuovo.

«Sei un idiota. E mi pagherai i danni.» sentenziò, esibendo la sua migliore espressione minacciosa.

L’uomo decise di non rialzarsi.

«Non posso fermarti, tesoro.»

«Bene. Mi aspetto di ricevere i soldi il prima possibile. O mi rivedrai.» disse la ragazza.

«Per quanto la prospettiva di rivederti mi alletti, credo che te li farò portare.»

«Addio.» fece Tifa, voltandosi.

«Fammi riportare il pulcino!» esclamò Sam, rialzando la testa.

«Non se ne parla! Meteor resta con noi!»

«Come lo avete chiamato!?»

Note dell'autrice:
Bene! siamo già arrivati al terzo capitolo. Spero che la storia vi stia piacendo e di riuscire a catturare sempre di più il vostro interesse. Fatemi sapere che cosa ne pensate fino ad adesso, se vi va. Tranquilli, io non mordo... Meteor si.
"Risata malvagia"

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Capitolo 4
*** Blonde Dead Redemption-Parte 1 ***


 

Nota dell'autrice:
Salve, cari lettori e coraggiosi che sono arrivati fino a questo punto! Vi lascio questa piccola nota: poiché adesso Meteor è stato promosso a regular nel cast di questa storia, ci è sembrato doveroso dare voce ai suoi pensieri. Tuttavia, come il nostro traduttore ha scoperto, i Chocobo sono creature nobili ed intelligenti e utilizzano un registro molto aulico; quindi, il nostro traduttore ha fatto del suo meglio nell'opera di traduzione per mantenere lo spirito. 
Buona lettura! 

Capitolo 4
Blonde Dead Redemption




«Mi scusi, questi segnatavoli li avete soltanto in questi colori?»

«Sì, signorina. Quelli che vede.»

«Grazie.»

Tifa sbuffò leggermente e guardò Cloud con fare interrogativo.

«Prendiamone comunque tanti. Lo fanno stare buono.» disse il ragazzo, prendendo due scatole dallo scaffale.

«Un bambino amante delle materie? Potreste tentare in un negozio di giocattoli!» disse allegramente la commessa, prendendo le scatole e portandole verso la cassa.

Tifa e Cloud si guardarono, sorpresi.

«No… un mostro.» mormorò lei. Il ragazzo annuì gravemente mentre pagava.

«Proviamo anche il negozio di giocattoli?» propose Cloud, una volta usciti dal negozio.

«No, devo tornare al bar. Magari ci torni tu più tardi.» sospirò Tifa.

Lui annuì e andarono verso Fenrir, finalmente di nuovo operativa. Il viaggio trascorse senza che i due si scambiassero altre parole. Tornati al Seventh Heaven, furono accolti da un grido furioso proveniente dal retro. 

«Gli avevi dato da mangiare?» domandò Tifa.

«Veramente si… prima di uscire.»

«Come fa ad avere già fame?? Lo fa apposta! Lo fa apposta!!» gridò la ragazza, andando in cucina a prepararsi per l’apertura.

Cloud guardò il bar: i segni della calamità che si era abbattuta lì pochi giorni fa erano quasi invisibili, grazie alla generosa donazione di Chocobo Sam. Tifa aveva approfittato della cosa per operare un cambio di stile nella mobilia, ora più elegante e minimale. 

Andò a prendere il sacco di mangime nel ripostiglio, portando con sé una delle scatole di segnatavoli. Uscì sul retro, diretto verso la grossa gabbia rinforzata vicino al garage. Meteor lo accolse precipitandosi verso di lui e soffiando tra le sbarre.

“Smetterai di fare così? Non ce la faccio con due cose che mi soffiano contro.” pensò mestamente il ragazzo. Sam aveva mandato loro un opuscolo che spiegava che i pulcini di chocobo tendevano a perdere il loro temperamento aggressivo tra il primo e il secondo anno di vita, il che rendeva possibile provare ad addestrarli. Peccato che Meteor avesse solo tre mesi. Cloud lanciò un paio di segnatavoli nella gabbia e Meteor si mise allegramente a rincorrerli e becchettarli, per poi raccoglierli e portarli nell’angolo dove dormiva. Sfruttando il diversivo, il ragazzo versò una generosa porzione di cibo nella mangiatoia e prese il tubo dell’acqua per cambiargliela. Mangiava e beveva più di lui e Tifa messi insieme: l’opuscolo non lo diceva. Come non diceva che i pulcini avevano alcuni denti, che sarebbero caduti col tempo. Sperò il prima possibile. Approfittando del suo rimuginare, Meteor arrivò fulmineo e morse la mano che teneva il tubo.

«Kuiieeeh!» (Lestofante!! Saggiate il mio becco!)

«Cazzo!» imprecò Cloud, ritraendo la mano, che esibiva nuovi segni di denti.

“Ti odio.” pensò, guardando il piccolo grande problema piumato tornare tutto soddisfatto a sdraiarsi tra i suoi segnatavoli.

Tornò all’interno della cucina: Tifa stava allestendo la sua postazione da bartender.

«Ti ha morso di nuovo?» gli chiese, senza girarsi.

«Si.»

«Ti ricordi dove sta la cassetta, si?»

«Si.»

Il ragazzo si avviò al bagno e si medicò davanti allo specchio. Le ferite non facevano in tempo a rimarginarsi prima che quel maledetto pennuto gliene infliggesse di nuove; tuttavia, quelle fisiche non erano niente paragonate a quelle mentali che stava causando ad entrambi. Si guardò, preoccupato dalle profonde occhiaie che aveva. Meteor aveva sviluppato la fastidiosa abitudine di urlare e starnazzare fino a tardi prima di addormentarsi, rovinando il sonno a lui e a Tifa. 

“Lo fa apposta, ne sono sicuro. Cerca di rimanere sveglio per tormentarci.” pensò. Sapeva che chiunque lo avrebbe preso per pazzo se avesse esposto la sua teoria, ma ne era sicuro e Tifa concordava con lui: quel pulcino era malvagio e parecchio furbo.

 

***

 

«Fammi capire: prima ti fai dare consigli, poi li ignori e fai danni, poi vieni qua sperando che io sistemi le cose?»

«Nessuno ti ha mai chiesto consigli.»

Andrea rimase un attimo interdetto, ma recuperò subito.

«In molti pagherebbero per ricevere consigli da me, o anche solo per godere della mia compagnia. Tu ricevi entrambe le cose gratis!»

Stavolta Cloud rimase in silenzio, in mezzo al frastuono dell’Honeybee Inn.

«Mi spieghi come ti è venuto in mente di comprare un chocobo??» chiese ancora l’entertainer, risistemandosi sul divanetto del privé.

«Sembrava che le piacessero…»

«Cloud, le cose a volte sono come una bellissima aeronave.»

Il ragazzo lo guardò, confuso.

«Quando le guardi sono bellissime e ci faresti volentieri un giro, ma non le vorresti mai parcheggiate a casa tua.»

«Conosco uno che vorrebbe una aeronave parcheggiata a casa sua… anzi probabilmente ce l’ha davvero.»

Andrea poggiò la testa sulle mani e sospirò con forza.

«Cloud, era una similitudine.»

«Oh… ok.» 

Cloud continuava ad essere confuso, nonostante Andrea lo guardasse trionfante.

«Ti faccio un altro esempio: se io dico che mi piace una persona, non per forza la voglio nel mio letto!»

Il ragazzo lo guardò. Andrea alzò gli occhi al cielo.

«Ok, forse ho scelto l’esempio sbagliato…»

«Credo di aver capito.» disse Cloud, temendo il prossimo esempio. 

«Ho commesso un errore...» sospirò, «... non so cosa fare.»

Andrea rimase interdetto, poi fece rumorosamente finta di commuoversi.

«Sono… fiero di te. Finalmente ammetti di aver sbagliato!»

«Finiscila!» esclamò il ragazzo, tirandogli un leggero colpo sul braccio. L’entertainer ridacchiò, per poi tornare serio.

«Ma l’errore coinvolge il chocobo, oppure si espande ad altro… ad altre

«Si espande.»

«Andrea Rhodea colpisce ancora! Anche se con te è come se avessi sempre un suggeritore, quasi non c’è più gusto ad indovinare.»

Cloud lo guardò di sbieco, mentre buttava giù quel che rimaneva del suo drink.

«Forza, raccontami che è successo. Te ne faccio portare un altro.»

Il ragazzo, dapprima un po’ a singhiozzo poi con sempre maggiore sicurezza, gli raccontò tutto. Non sapeva da dove gli arrivasse tutta quella loquacità, ma era sicuro che se non avesse parlato della situazione a qualcuno, alla fine gli sarebbero saltati i nervi.

Parlò delle difficoltà di gestione di Meteor e della sua aggressività, e di come ormai nemmeno il suo lavoro o la palestra gli dessero più la valvola di sfogo di cui sentiva bisogno.

«Poi… Tifa si comporta in modo diverso con me. È fredda.» confessò. 

«Che intendi di preciso?» chiese Andrea, preoccupato.

Cloud riandò con la mente alla prima serata in cui erano riusciti a riaprire il Seventh Heaven dopo la devastazione di Meteor.

 

«Cloud! Perché non hai ripreso il limone dalla cucina?!»

«Stavo lavando…»

«Si, ok! Però se vedi che finisce, fammi il favore di riprenderlo!»

«Ma ti sembra il modo di lavare i bicchieri??»

«Non mi ero accorto che fosse finito il sapone.»

«Dovrebbe consolarmi il fatto che ci sono molti ambiti in cui non ti accorgi delle cose?»

«Tifa?»

«Che c’è?»

«Hanno fatto segno da quel tavolo.»

«Cavolo! Ma ci sono appena passata, a quel tavolo! Sei bravo a fare gli occhioni alle ragazze, eh?»

«Ma…»

«Preparami il vassoio, per favore.»

«Uff… perché ho riaperto… non mi sento più le gambe.»

«Dai, serata finita.»

«Già.»

«...»

«Allora buonanotte.»

«... buonanotte.»

«Quindi dopo quella notte, non avete più dormito insieme?» chiese Andrea.

«No. Sembra che non voglia.» rispose mestamente Cloud.

«Mi sembra chiaro che Tifa sia un po’ alterata. Ma mi spieghi perché ha voluto tenere quel piccolo mostro?»

Cloud sospirò.

«Ha detto che lo ha tenuto perché è il primo regalo che le ho fatto.»

“E un costante monumento al mio fallimento.” aggiunse tra sé e sé.

Andrea si illuminò.

«Se lo tiene stretto perché sotto sotto ne è contenta! C’è ancora speranza.»

«... sei sicuro?»

«Assolutamente! Devo farti ripassare di nuovo la regola numero due?»

«No, ti prego. Però spiegami come fai ad esserne sicuro, a me sembra che le cose vadano male.»

«Non vanno male, mio giovane apprendista… è un momento negativo. Come se stessi pattinando su una parte di Black Ice estremamente infida. Sembra che possa rompersi da un momento all’altro, e magari lo sta anche facendo, ma se hai fiducia e continui ad andare avanti senza impuntarti, puoi tornare su zone più tranquille.»

«Ma una volta ogni tanto potresti dire le cose senza esempi?» domandò Cloud, esasperato.

«E togliere così tutta l’eleganza e la potenza esplicativa della comunicazione?»

Il ragazzo abbandonò la testa sui cuscini dello schienale, urlando.

«Stordito dalla potenza esplicativa… capita, ogni tanto. Ma quanto sono bravo.» si compiacque l‘entertainer.

«Stordito dalle tue idiozie, semmai. Ammettiamo che io debba… pattinare, come dici tu. Verso dove? Quando arrivo? La fine dov’è?»

«Non c’è una fine, mica parliamo di una gara! Il pattinare simboleggia la relazione tra te e Tifa, vuoi forse che finisca?»

«Ma chi ha deciso questi simboli?!»

«Regola numero due!»

«Aaaaaaah!! Basta con queste regole!» sbottò Cloud, perdendo definitivamente la pazienza.

«Sono loro che ti hanno condotto qui. Senza saresti affogat-ehm… senza di loro, le cose andrebbero peggio.»

«Per colpa loro ho sbagliato regalo, ed ora ho un demonio piumato in casa.» rispose il ragazzo, piccato, fissando il bicchiere semivuoto.

«Ma io ti avevo detto di aspettare! E se mi avessi dato retta, il demonio non lo avresti mai visto!»

Incapace di ribattere, il biondo optò per scolarsi il drink.

«Affogare i dispiaceri nell’alcool non è mai una buona strategia.»

«Chi sta affogando cosa??»

Andrea sospirò profondamente e piazzò una mano sulla spalla di Cloud.

«Ok, ho capito, bisogna ricorrere alla brutalità verbale, privare il discorso di ogni orpello. Ragazzo, è un periodo brutto. Ma vivete ancora insieme e lei ha voluto tenersi questo dissennato regalo che le hai fatto. Ora paga le conseguenze del tuo gesto e piano piano si aggiusterà tutto.»

Cloud lo guardò poco convinto, ma Andrea poteva vedere nei suoi occhi, evidente come il loro bagliore Mako, che il ragazzo sperava che lui avesse ancora una volta ragione.

«Per quanto riguarda il tuo lavoro, non so cosa consigliarti. Non tutti possono fare un lavoro come il mio, in cui devi pagare per poterti annoiare ogni tanto.»

«Hmm-hm…»

«Però ciò non toglie che tu possa fare qualcosa che ti piace, qualcosa in cui sei davvero bravo! La palestra è uno sfogo fisico, ma forse non ci trovi più la vera scintilla che ti soddisfa… cerca altro. Cerca qualcosa in cui sei infallibile e recupera un po’ di sana autostima.»

Cloud non rispose, ma lo guardò con curiosità. L’idea non gli dispiaceva, anche se sul momento non riusciva a pensare a qualcosa in cui fosse infallibile.

«E comunque, non stare a preoccuparti troppo di questo: è comune tra gli adulti fare cose noiose e insoddisfacenti. Guarda Tifa, che non contenta di essere una bartender, ha pure te dentro casa.»

«Ah, ah, ah. Non sapevo fossi anche un comico.» disse il ragazzo sarcastico.

«All’occasione faccio tutto, dalla guida spirituale all’entertainer. Sono una persona eclettica.»

«Solo a stare zitto proprio non sei capace.»

«Oh, mi hai ferito a morte. Me ne vado, ti lascio… torno dove la mia compagnia è davvero apprezzata. Non c’è gloria per gli artisti!» rispose Andrea, abbandonandosi drammaticamente sullo schienale del divanetto, prima di alzarsi per uscire dal privé. 

«Hey Andrea…» lo chiamò Cloud.

«Dimmi, pugnalatore alle spalle.»

«Grazie.»

«Grazie un corno, fanno almeno 2000 guil!»

 

***

 

Cloud rientrò passando dall’ingresso posteriore, facendo la massima attenzione a non fare rumore per non svegliare Tifa e soprattutto Meteor, dato che sembrava una delle rare serate in cui quel piccolo infame piumato aveva deciso di dare loro tregua. 

Gli sforzi si rivelarono vani quando la ragazza lo sorprese a metà della rampa di scale.

«Dove sei stato?» gli chiese, mettendosi le mani sui fianchi.

«Sono stato… all’Honeybee.»

«Avrei dovuto immaginarlo.» disse Tifa, con una sfumatura nel tono della voce che Cloud non riuscì a decifrare; in ogni caso, non presagiva nulla di buono.

«A volte ci passo dopo la palestra, è capitato altre volte; ho dimenticato di dirtelo.»

«Mi hai fatta preoccupare. Non hai mai fatto tanto tardi.»

«Andrea si è esibito tardi e l’ho aspettato.»

«Ma quanto siamo amici adesso. Ha smesso di scartarti con lo sguardo come un regalo?»

“Verità o bugia?” si chiese Cloud.

Andrea raccomandava sempre la sincerità.

«No.»

Tifa lo trafisse con lo sguardo.

“Stupida regola numero due.”

«Qualcosa dovrà pure fare in effetti. Non sei mai stato un tipo loquace.» commentò con freddezza la ragazza.

Cloud tentò di ignorare la frecciata, mentre la stanchezza accumulata e l’insofferenza all’atmosfera degli ultimi giorni gli facevano venir voglia di rispondere a tono, ma alla fine non lo fece. Era colpa sua. Tutto era nato per colpa sua e avrebbe continuato a pagare le conseguenze finché la situazione non fosse cambiata. E ci mancava solo che una frase in più svegliasse il mostriciattolo. Sollevó lo sguardo. 

«Avrei dovuto avvisarti. Mi dispiace.» disse semplicemente. Tifa aprí la bocca per dire qualcosa, ma sembró ripensarci e rimase in silenzio. La oltrepassó e andò verso la sua stanza. 

«Buonanotte.» 

 

                                                                       ***

 

I primi raggi di sole dell’alba filtrarono attraverso i buchi del tetto, illuminando il ragazzo seduto su una delle panche più vicine alla fine della navata. Non era riuscito a dormire, e rimanere sdraiato sul letto a guardare il soffitto era fuori discussione. Era riuscito, non senza qualche difficoltà, a evitare di svegliare Meteor, trascinando Fenrir a motore spento per un po’. Non sapeva dove andare, quindi aveva seguito il suo istinto e ora si trovava nella chiesa, la sua chiesa. Guardó i fiori rigogliosi che emergevano tra le assi del pavimento: era incredibile come avessero continuato a prosperare, senza nessuno a curarli. Nessuno di visibile, in realtà. Si avvicinó e sfioró la corolla di un fiore giallo. Una brezza leggera come una carezza gli mosse i capelli. 

“Se tu fossi qui, di sicuro sapresti dirmi cosa fare.” pensó, sentendosi pervadere dalla tristezza. 

“Ovviamente, dopo avermi preso in giro. Tremendamente.” aggiunse. Nonostante la malinconia, un tenue sorriso spuntó sul suo volto. Dei piccioni nascosti tra le assi del tetto volarono fuori dai buchi delle vetrate, sfruttando un’improvvisa folata di vento. Cloud sobbalzó per la sorpresa. Poi si rimise in piedi. Era il momento di tornare a casa. La sua attenzione fu catturata da un oggetto poco distante: un piccolo cesto di vimini. Non ricordava di averlo visto prima, forse era rotolato via a causa del vento.

«Va bene…» disse sospirando.

 

***

 

Quando Tifa si alzò e scese al bar per preparare la colazione, trovò Cloud già in piedi.

Si guardarono per un attimo.

«Buongiorno.» disse il ragazzo, porgendole un mazzo di fiori.

«... buongiorno.» rispose lei, sorpresa, prendendo il regalo. Cloud la guardò ansioso, in attesa di una sua reazione.

“Piaciuti? Non piaciuti? Dimmi qualcosa!!

Tifa li annusò e le scappò un mezzo sorriso.

«Grazie. Ma… quando sei andato a prenderli?»

«Non riuscivo a dormire.» ammise lui, abbassando lo sguardo.

«Oh. Mi dispiace… ultimamente ci capita spesso.»

«Si. E oggi ho quella consegna a grande distanza di cui ti avevo parlato.»

Tifa trasalì.

«Giusto, era oggi! Per quanto tempo starai via?»

«Tornerò domani, se tutto va bene.»

«Ok, fai attenzione!»

«Certo… come sempre.»

Tifa lo guardò socchiudendo gli occhi.

«Non fare come sempre.» gli disse, dandogli un veloce bacio sulla guancia prima di dirigersi in cucina.

«Se vuoi do da mangiare a Meteor, prima di andare.» disse lui, una volta ripresosi dalla sorpresa.

«Magari!» gli rispose lei, urlando.

Cloud sospirò ed eseguì il compito, rimediando l’ennesimo morso.

“Che voglia ho di farti fuori, maledetto… spero che Tifa ti faccia morire di fame, te lo meriti!”

Passò brevemente all’interno e salutò nuovamente Tifa. La vista del mazzo di fiori messo dentro ad un vaso con acqua lo rincuorò. Forse le erano piaciuti davvero.

Lei rinnovò le sue raccomandazioni:

«Fai. Attenzione. Non correre rischi inutili!»

«Sarò cauto e prudente.»

«Se torni con un solo graffio ti do il resto.»

«Anche tu mi mancherai.»

Tifa rimase interdetta per un attimo, poi arrossì.

“Cavolo, Andrea aveva ragione. Funzionano queste frasi!”

Stavolta fu lui a congedarsi con un rapido bacio sulla guancia; lei lo accompagnò all’esterno e lo guardò assicurare il pacco sul posto del passeggero di Fenrir.

Non vista da Cloud, lo osservò finché non fu sparito oltre la prima curva.

 

***

 

Il sole stava tramontando al di là di una serie di colline brulle, inondando il cielo di luce rossa.

Cloud era appoggiato ad un masso, intento a riposarsi. La consegna era andata bene e il compenso era stato generoso. La soddisfazione che provava andava oltre i soldi: gli sembrava che fossero passati anni dall’ultima volta che era stato completamente solo per così tanto tempo.

Non cercava di scappare dalla vita con Tifa, che effettivamente, escludendo le ultime difficoltà, gli piaceva; tuttavia, stava trovando inaspettatamente piacevole il tempo con se stesso. Poteva pensare a qualcosa o non pensare a niente, concentrandosi solo sul percorso da fare in sella a Fenrir.

Un basso, lontano ruggito lo strappò alle sue riflessioni. Corse istintivamente alla moto ed estrasse la Buster dal vano anteriore.

“Sii prudente… allontanati e basta, tanto volevi fare qualche altro chilometro prima di fermarti.”

Un secondo ruggito fece eco al primo. Era più vicino.

“Puoi seminarle, sono solo belve.”

Controllò le materie che aveva nel bracciale, poi quelle nella spada. Sentì la familiare sensazione dell’adrenalina che iniziava a scorrergli in corpo.

Un terzo ruggito, ancora più potente degli altri due e sempre più vicino.

“Cosa diamine…”

Si arrampicò sul masso e si guardò intorno. Due belve, guidate da una terza grande quasi il doppio, stavano risalendo un crinale dirette verso di lui.

“Stavolta la moto non me la fracassate!”

Si diresse verso di loro più velocemente possibile per cercare di intercettarle mentre stavano ancora salendo. Quando le belve si accorsero di lui si divisero, tentando di accerchiarlo. Cloud si aspettava uno scenario simile: cambiando direzione, accelerò ancora e caricò la prima belva.

L’animale, preso alla sprovvista, venne colpito in pieno da un fendente prima che potesse difendersi. 

«Ignis!» gridò Cloud. L’esplosione scagliò via il corpo ormai senza vita della belva. Le altre due rallentarono e si riavvicinarono.

«Ignis!!»

Con innaturale velocità, gli animali saltarono di lato evitando la palla di fuoco, che si perse nella penombra. Cloud alzò la guardia e attese che le belve arrivassero a tiro.

La più piccola si lanciò all’attacco, roteando il tentacolo e ruggendo ferocemente; la più grande camminava tranquilla più lontano e sembrava attendere l’esito del combattimento.

Cloud non si fece distrarre dalla sferzata e puntò dritto alla testa della belva, mulinando la spada: sia il tentacolo, sia la testa rotolarono per terra, mentre il corpo faceva un altro grottesco passo prima di crollare, privo di vita.

“Ora a noi due, capo.”

L’enorme animale continuava a camminare lentamente in cerchio intorno a lui, sornione, ringhiando e facendo schioccare il tentacolo. I suoi ardenti occhi gialli erano fissi su di lui.

Cloud si lanciò alla carica, stringendo la Buster con entrambe le mani; appena fu a portata per un fendente, il tentacolo della belva colpì la lama, deviandola. In un attimo, una poderosa zampata lo sbalzò da terra e lo scagliò contro un masso. L’impatto gli tolse per un attimo il fiato, ma riuscì a rialzarsi velocemente. Un sorriso gli apparve sul volto.

“Ok… facciamo sul serio.”

Alzò la guardia e si preparò a difendersi dalla belva, che gli era quasi addosso. Il tentacolo di questo animale era spesso e resistente, molto più di quello degli altri due: Cloud lo deviò a più riprese con la spada, schivando nel contempo gli artigli e i morsi della creatura, aspettando il momento giusto per colpire.

Il tentacolo infine calò dall’alto: Cloud schivò all’ultimo momento e con un fendente riuscì a tagliarlo di netto, ascoltando compiaciuto il ruggito di dolore della belva.

Passò dalla difesa all’attacco, costringendo l’animale a indietreggiare sempre di più; il moncherino del tentacolo si agitava inutilmente mentre la creatura cercava di tenerlo lontano fendendo l’aria con le zampe artigliate.

Erano ormai sul ciglio del crinale da cui le belve erano spuntate; la creatura improvvisamente raddoppiò la ferocia degli attacchi, riguadagnando del terreno. Cloud lasciò che la belva si avvicinasse, poi nel momento di un suo ennesimo balzo in avanti saltò, volteggiando indisturbato sopra di essa. Atterrando, la trafisse da parte a parte, inchiodandola a terra; la belva emise un urlo strozzato e si accasciò, morta.

Respirando pesantemente, Cloud estrasse la spada dal corpo senza vita dell’animale.

“Questa deve essere una belva mutante… mai incontrate di così grosse prima…” pensò, dando una piccola botta con la mano sul dorso dell’animale.

Colto da un’improvvisa ispirazione, raccolse il tentacolo che aveva reciso e tornò alla moto. Nell’inforcarla, una fitta alla schiena lo lasciò per un attimo senza fiato.

«Heal.»

Il dolore svanì, lasciando solo l’adrenalina. Cloud sorrise.

“E ora chi dorme più…” pensò, mettendo in moto.

 

***

 

Cloud arrivò al Seventh Heaven poco dopo l’alba. Parcheggiò fuori dal bar e quasi immediatamente tutta la stanchezza accumulata lo colpì come un maglio. Entrò quasi barcollando e si sedette ad uno dei tavoli.

“Ok, solo un attimo di riposo e poi le scale.”

Tifa lo trovò qualche ora dopo, addormentato con la faccia appoggiata sul braccio. Cacciò un urlo alla vista delle numerose macchie di sangue sui suoi vestiti.

«Cloud!!!»

Il ragazzo si svegliò di soprassalto.

«Cosa?? Che c’è??»

«Sei ferito!!» gridò ancora la ragazza, avvicinandosi a lui.

«Eh…? No no.» rispose lui, assonnato.

«E tutto quel sangue??» ribattè lei, ignorando l’obiezione e iniziando a esaminarlo.

Cloud esitò. Tifa lo trafisse con lo sguardo.

«Non mi hai dato retta, vero?»

«Mi hanno attaccato! In mezzo al nulla!» si difese lui.

«Non hai nemmeno un graffio, non mi raccontare storie! Te le sei andate a cercare!»

«Quelle belve mi stavano inseguendo…»

«Potevi scappare! Correvano più veloce di Fenrir?» incalzò lei, scettica.

Cloud abbassò gli occhi.

«Lo sapevo. Sei sempre il solito! Ti avevo chiesto una cosa soltanto!!» esclamò lei, alzando la voce.

«Kueeeeeeeeeeh!!» (Carcerieri!! Nutritemi o ve ne pentirete!!)

«Ti pareva!! Stupido uccello! Ha mangiato più di tutti i clienti messi insieme e mi ha morso ogni volta che ha potuto!» gridò Tifa, mostrando a Cloud le mani fasciate. Il ragazzo alzò appena lo sguardo e sentì il senso di colpa iniziare a divorarlo.

“Non ne faccio una giusta. Inutile accanirsi.” pensò sconsolato, alzandosi come un automa e andando a prendere il mangime di Meteor. Tifa era sparita in cucina.

Uscì sul retro, accolto dallo starnazzare del pulcino, che stava mordicchiando le sbarre della sua gabbia. Non tentò nemmeno di schivare il suo becco mentre svuotava del cibo nella sua mangiatoia; una volta finito andò dritto nella sua stanza. 

Gli sembrava di sentire il ghiaccio rompersi tutto intorno a lui.

 

***


Si svegliò a pomeriggio inoltrato. Tifa non era venuta a chiamarlo per il pranzo, o forse non l’aveva sentita. Guardò il soffitto della sua stanza per qualche minuto, incerto su cosa fare; poteva sentire Meteor razzolare nella sua gabbia.

Raccolse il coraggio e scese al bar: Tifa era immersa nei preparativi per la serata. Notò che il mazzo di fiori che le aveva portato era sparito dal suo vaso e rimase impietrito per un attimo, lasciandosi sfuggire un sospiro affranto. Si voltò verso il resto della sala e, con la coda dell’occhio, vide uno dei fiori al centro di ogni tavolo in una piccola bottiglia.

“Non riesco a capire… li ha usati così perché le piacciono, oppure no?” si chiese.

Mentre era ancora in preda all’incertezza, Tifa lo raggiunse dietro al bancone.

«Ben svegliato.» gli disse, con una punta di sarcasmo.

«Ti serve aiuto per questa sera?» le chiese.

«Mmmh… no.» rispose lei, tornando in cucina.

La osservò mentre gli passava accanto, in silenzio, senza sapere cosa dire.

«Ah, una cosa. Io ho pulito il parcheggio dal sangue che stava colando da Fenrir, ma alla tua moto ci pensi tu, grande eroe.»

“Cazzo, il tentacolo!” pensò Cloud, sentendosi un vero idiota. Corse fuori e portò Fenrir a mano fino al retro del locale, parcheggiandola accanto alla gabbia di Meteor. Il piccolo maledetto stava riposando, graziosamente raggomitolato sui frammenti dei suoi segnatavoli.

“Sempre tutti carini finché non ce l’hanno con me.”

Estrasse il suo macabro trofeo e per il momento lo lasció in uno dei frigoriferi esterni del bar, chiuso in una scatola. Si preparó poi a una lunga pulizia del vano portaoggetti, togliendosi guanti e bracciale.

Una volta scrostato e lavato via il sangue rappreso, lasciò il vano aperto ad asciugare.

Non aveva voglia di restare al bar ed era troppo presto per andare all’Honeybee Inn, quindi optò per andare in palestra, sebbene l’idea di altro esercizio fisico non lo entusiasmasse granché. Rientrò brevemente per avvisare Tifa, che commentò la notizia con un cenno. Sconfortato, si avviò con passo spedito alla fermata della diligenza.

 

***

 

«Ehi! Ecco l’uomo che non sa cosa fare con il suo uccello!»

Cloud si girò, senza rispondere, e rivolgendo a Chocobo Sam un’occhiata glaciale.

«Dai, si scherza!» disse in fretta l’uomo, alzando le mani. 

«Come sta l’adorabile bestiola? E tranquillo, non sto parlando di Tifa.» domandò, sorridendo sornione.

«Mangia, beve, morde e urla.» rispose Cloud, lapidario. Fece per andarsene, desideroso di mettere quanta più distanza possibile tra lui e l’allevatore di chocobo.

«È normale, prima dei due anni. Fai sempre in tempo a riportarmelo.» disse l’uomo.

il biondo non rispose.

«Contento tu.» commentò Chocobo Sam, sghignazzando.

«Qui l’unico contento sei tu.» ribatté Cloud, con astio. «È tutta colpa tua!» sputò fuori, la pazienza agli sgoccioli.

La rabbia emanata dal ragazzo era quasi palpabile, ma l’allevatore, per nulla intimorito, alzò una mano come a scacciare via una mosca.

«Non puoi prendertela con me per un errore che hai commesso. Non è colpa mia se sei solo un ragazzino che gioca a fare il guerriero e non ha ancora imparato come stare al mondo.»

Cloud rimase interdetto, la rabbia scemò per lasciare il posto a un’espressione che a Chocobo Sam sembrò quasi smarrimento. Doveva aver toccato un nervo scoperto, ma il ragazzo fece dietrofront prima di poterne avere conferma, abbandonando la fermata.

Entrò nella palestra a testa bassa, iniziando immediatamente un circuito di sollevamenti proibitivi.

«Attento, che potresti farti male così!» esclamò Jules; lasciò subito perdere quando vide l’espressione del ragazzo.

Cloud continuava ad aumentare l’intensità e i carichi sui bilancieri, ma la frustrazione non diminuiva, anzi. Gli sembrava tutto tedioso e inutile. Il combattimento con le belve del giorno prima continuava a tornargli in mente: come faceva ad essere sbagliato se lo faceva sentire molto più appagato?

Mentre continuava a cercare una soddisfazione, anche minima, tra bilancieri e panche piane, Ronnie e Jay entrarono in palestra; erano tra i clienti più assidui, nonché amici personali di Andrea, ed era facile trovarli lì a tutte le ore.

«Te lo dico, brother, dovremmo rientrare anche noi nel giro di scommesse!»

«Lascia perdere, bro. Quell’infame troverebbe di nuovo un modo di fregarci…»

«Stavolta possiamo fregarlo noi! Dobbiamo pensare a un modo.»

«Aspetta bro! Mi è venuta un’idea!»

I due si avvicinarono a Cloud, che era sdraiato sulla panca piana in pieno esercizio.

«Yo! Bro-Cloud! Come va?»

«Quanto macini eh! Da paura!»

Il ragazzo li guardò e riuscì a costringersi a salutarli.

«Possiamo parlarti un attimo, bro?»

«Ma finisci pure le ripetizioni bro, i pettorali non si pompano da soli!»

Cloud sbuffò e risistemò subito il bilanciere, sperando che se ne andassero presto. Non era dell’umore giusto per chiacchierare.

«Cosa c’è?»

«Vedi, bro, saresti l’uomo perfetto per una missione!»

«Si, una missione che prevede una cifra di sbudellamenti!»

«Non esagerare, bro… però c’è da menare le mani. O le spade. O quello che ti pare, bro! La roba che piace a te!»

«Di cosa state parlando??» chiese il ragazzo, esasperato.

«L’arena, bro! L’hanno riaperta da qualche tempo. Non dirmi che uno come te non lo sapeva!»

Cloud scosse la testa.

«Ci sarà un torneo questa sera. Roba forte, girano parecchi soldi! Il premio finale… parliamo di cinque zeri, bro!»

«Noi non possiamo combattere, ovviamente. Siamo forti, ma mica guerrieri. Tu invece… bro, sei perfetto! Vinceresti senza sudare!»

«Non… so se è una buona idea.»

«Dai bro, non puoi abbandonarci! Dobbiamo fare giustizia! Raddrizzare i torti che abbiamo subito!»

«Quell’infame liscia-uccelli mafioso ha rubato la vittoria nell’ultimo torneo! Noi avevamo scommesso e in finale il nostro uomo ha perso!»

Cloud spalancò gli occhi, improvvisamente interessato.

«Parlate di Chocobo Sam?»

«Proprio lui, bro! Ha fatto qualche magheggio e ha fatto vincere il suo uomo per incassare una parte del premio finale, sono sicuro!»

«Non mi stupirebbe.» commentò Cloud, che stava rapidamente cambiando idea sulla proposta.

«Ha fregato anche te, bro? Non mi sorprende, quello è proprio infido! Un serpente nel nido tranquillo del mercato!»

«Accidenti bro, ma stai leggendo poesie ultimamente? Sei ispirato!»

«Ragazzi, torniamo al torneo per favore.» disse Cloud.

«Quindi ci stai?? Lo sapevo che eri quello giusto, bro!»

«Come funziona? Che avete in mente?»

«Facile bro! Corriamo a iscriverti e poi piazziamo una bella scommessa su di te.»

«Si, non ti serve barare, sei il più forte! Vincerai di sicuro!»

«Tu ti tieni il premio, e noi la nostra scommessa. Vinciamo tutti, bro!»

“E Chocobo Sam perderà.”

«Va bene. Andiamo.»

 

***

 

Cloud tornò in tutta fretta al Seventh Heaven dopo essersi iscritto al torneo. Erano cambiate alcune cose in questa nuova arena, finalmente libera dall’influenza di Don Corneo, ma l’eccitazione di tornare a combattere era la stessa di sempre.

Entrò trafelato dalla porta principale, trovando Tifa dietro al bancone, pronta per i primi clienti, che sistemava alcuni bicchieri.

«Ciao.» gli disse, continuando a spostare oggetti.

«Ciao…» rispose lui. Evitò il suo sguardo e si diresse verso il retro.

«Dove vai? Non pensavo di rivederti così presto.»

«Ho… dimenticato una cosa.»

«Mmmh. Serata all’Inn?»

«... si! Si.» rispose Cloud, in preda al panico al pensiero che lei potesse indagare oltre e smascherare le sue vere intenzioni. Tifa annuì pensosamente, poi disse:

«Però ho sentito dire che c’è un evento in città stasera. Sicuro che ci sia anche una serata all’Inn?»

«Credo di si...»

«Un evento alla nuova arena che hanno costruito.»

Cloud iniziò a sudare freddo. Evitò di avvicinarsi alla cucina, visto che stava anche avvampando.

«Ma dai… l’hanno ricostruita?» riuscì a rispondere.

«Sembra di si.»

«...»

«Ok, allora… ci vediamo più tardi.»

Tifa annuì di nuovo con un cenno. Cloud non capì bene come mai, ma sentì come un pugno allo stomaco.

“Ma… quindi non ti importa di cosa faccio?”

Per un istante pensò di non presentarsi al torneo e confessarle tutto. Cercò di focalizzarsi sulla vendetta e si diresse sul retro. Passò accanto alla gabbia di Meteor senza sentire rumori molesti ma non si stupì, dato che il pennuto amava riposare di giorno e urlare di notte.

Mise la Buster nel vano anteriore e cercò senza successo il suo bracciale; si ricordò presto, però, che in questo torneo era vietato usarel le materie, quindi lasciò perdere per il momento. Inforcò la moto e partì, diretto al mercato.

Arrivò in breve tempo alla nuova arena: l’edificio che la ospitava era veramente anonimo, non si stupì di non averla mai notata prima. Compì un mezzo giro intorno alla costruzione e arrivò all’ingresso di servizio per partecipanti e addetti: un uomo lo fece accedere ad una rampa che lo portò a vari metri sotto il livello della strada, in un parcheggio già molto affollato, con vari segnali che indicavano l’accesso all’arena.

Parcheggiò e spense la moto. Tirò fuori la spada dal vano armi e si diresse verso l’ingresso, quando dei colpi provenienti dal vano bagagli della moto lo fecero trasalire.

“No…”

I colpi continuavano. Udì un familiare urlo soffocato.

«Kueeeeh!» (Prestatemi ausilio! Sono confinato in una ristretta e maleodorante alcova!)

“Non è possibile!!”

Si guardò intorno, allarmato. Come aveva fatto a ficcarsi li dentro? Due facce familiari lo raggiunsero.

«Bro! Ce l’hai fatta!»

«Alla grande, bro! Sei pronto?»

«Che ci fate qui?»

«Il nome di Andrea apre molte porte, bro! Volevamo accoglierti e controllare che fosse tutto a posto!»

«Sentite, mi serve una mano.»

I colpi dal portabagagli continuavano, sempre più violenti. Ronnie e Jay lo guardarono, confusi.

«Bro, che hai li dentro?»

«Un problema. Mi servirebbero una gabbia o un sacco. Resistenti.»

«Qualche animale da combattimento, bro? Chiediamo agli assistenti!»

«No, devo solo rinchiuderlo da qualche parte fino alla fine del torneo. È… un mio animale.»

«Ma scusa bro… potevi lasciarlo a casa!»

«Non l’ho portato di proposito! Sbrighiamoci!» esclamò Cloud, spazientito.

«Non ti agitare bro! Ora ci pensiamo.»

«Conserva la rabbia per il torneo, bro! Abbiamo puntato forte su di te!»

Cloud alzò gli occhi al cielo, guardandoli dileguarsi tra la folla. Tornarono poco dopo con un robusto sacco.

«Come vuoi gestire la situazione, bro?»

«Per adesso, tu tieni il sacco e tu al mio segnale apri il portabagagli.»

I due annuirono e si prepararono.

«Wow, assistiamo Cloud Strife… mi sento importante!» 

Cloud lo ignorò e fece un cenno. Nell’istante in cui il portabagagli si aprì, Meteor ne uscì veloce come un proiettile, con artigli e becco protesi verso la sua faccia.

Il ragazzo lo acchiappò un attimo prima che riuscisse a colpirlo, chiudendogli il becco e bloccandogli le zampe. Lo gettò nel sacco che poi Jay aiutò a chiudere.

«Kueeeeeeh!! Kueeeeeh!!!» (Ribaldi!! Masnadieri!! Belve assetate di sangue! Vi caverò i bulbi oculari!!)

I due culturisti si guardarono preoccupati.

«Bro… questo piccolo sicario dove lo hai trovato?»

«Io gli ho visto odio negli occhi… ma sei sicuro che sia tuo?»

«Purtroppo sì.» rispose Cloud con voce atona.

«Ah! Ecco perché vuoi vendicarti di Sam, bro!»

«Gliela faremo vedere! Dovevi vedere che faccia aveva, bro! Deve aver letto il tuo nome tra i partecipanti!»

«Lo mandiamo sul lastrico, bro!»

«Fantastico, di sicuro. Ora però dobbiamo trovare un posto dove rinchiuderlo.» disse Cloud, sempre più esasperato, mentre il sacco si agitava e starnazzava.

«Ci sono delle sale per gli sfidanti, troviamone una vuota e lasciamolo li.» propose Ronnie.

Si avviarono verso l’ingresso dell’arena, ignorando tutti gli sguardi tra il perplesso e il preoccupato che li seguivano; trovarono un lungo corridoio su cui si aprivano varie porte di ferro. In fondo, Cloud riconobbe il portone dell’arena.

“Sarà quello originale o una riproduzione?” si chiese, distrattamente.

«Qui, bro!» 

Erano arrivati ad una porta aperta che dava su una sala vuota.

«Al mio tre, chiudete la porta.» disse Cloud, preparandosi a lanciare Meteor nella stanza.

I culturisti annuirono, preoccupati.

«Uno…»

«Kueeeeh!» (Cessate di farmi ondeggiare e fronteggiatemi in singolar tenzone!!)

«Due…»

Cloud lanciò il sacco nella stanza, urlando:

«Tre!!»

«Kueeeieieeeeh!» (Sacripante!!)

Ronnie e Jay chiusero la porta alla massima velocità possibile, appoggiandosi ad essa. Sentirono quasi immediatamente l’impatto di qualcosa sulla superficie di ferro.

«Bro… devi fare qualcosa per questo chocobo.»

«Non sarà mai il tuo… choco-bro.» ridacchiò Jay.

«Bro, sei pessimo.» lo rimproverò Ronnie.

«Andiamo a vedere quando tocca a me.» propose Cloud, che iniziava ad avere fitte al cervello ad ogni “bro”.

«Ma già lo sappiamo, bro! Ci siamo annotati tutte gli incontri!»

«Ti tocca tra dieci minuti contro un tizio che si fa chiamare “Il Catena”.»

«Che paura.» rispose Cloud, sarcastico.

«Tranquillo bro! Sono solo le eliminatorie!»

«Bro, era una battuta.»

“Sarà una lunga notte…” pensò sconsolato Cloud.

 

***

 

«Wow, bro! Hai spezzato Il Catena!»

«Aveva un anello debole, bro!»

Cloud sopportò le risate dei due culturisti alla squallida battuta e cerco di mantenere la concentrazione in vista del prossimo combattimento. 

«Sono impazzito quando gli hai tirato quel destro, bro!»

«E poi quel sinistro!»

«E ancora un altro destro!»

«E poi un…»

«Si lo so. C’ero. Grazie.» tagliò corto Cloud.

“Quando tocca di nuovo a me?? Non li sopporto più!”

«Ehm ehm... » esordì una voce familiare alle loro spalle. I tre si girarono di scatto e videro Andrea Rhodea, in carne e vestito lungo di seta, che li guardava torvo a braccia conserte.

Si mise a battere il piede sul pavimento, impaziente.

«Hey, Andi! Come stai bro?»

«Si, come ti butta? Hai visto che show?»

Cloud salutò con un cenno, preparandosi alla ramanzina in arrivo.

«Vi sembra il modo di comportarvi?! Sfruttare Cloud per i vostri scopi?» esordì l’entertainer, guardandoli con disapprovazione.

«Da che pulpito…» mormorò il ragazzo. Andrea lo fulminò con uno sguardo.

«Questa è concorrenza sleale! Avete idea di quanto si stia lamentando Sam? È insopportabile!!»

«Musica per le mie orecchie, bro! Deve pagare per i suoi imbrogli!»

«Ah quindi siete in cerca di vendetta. Io vi avevo esplicitamente detto di non farlo!»

«Ma Andi… ci ha fregati!»

«È un verme schifoso che piange miseria e si soffia il naso coi soldi, lo sappiamo tutti! Ma è anche una serpe… non pensate che stia già macchinando qualcosa per vincere comunque?»

I tre ragazzi scossero il capo.

«E cosa può inventarsi, bro? Abbiamo l’imbattibile super-SOLDIER con noi!»

«Non sono un SOLDIER…»

«Eddai, bro! Sei invincibile!»

«Piantatela! Non so cosa farà, ma so che farà qualcosa! Avete messo Cloud in pericolo!»

«Ma lui ha accettato…» mormorò Jay.

«Infatti ne ho anche per lui!» esclamò Andrea, fissando Cloud.

“Ah ecco… stava andando troppo bene…” pensò il diretto interessato.

«Volete scusarci?» disse ancora l’entertainer, mettendo un braccio intorno alle spalle di Cloud.

«Veramente, Andi…»

«Non era una domanda.» tagliò corto lui, portando via il ragazzo.

Si allontanarono di qualche passo.

«Cloud… my dear. Quando ti ho suggerito di fare qualcosa in cui sei infallibile per sentirti meglio, forse hai sentito male. Perché di sicuro non ho detto “buttati in arena e rischia di morire”!!» disse, alzando progressivamente la voce.

«Non rischio di morire!» rispose Cloud, piccato.

«Sai su quante lapidi ci sono scritte queste parole??»

«Non credo ci sia un concorrente ad Edge in grado di battermi. Sai di cosa sono capace.»

«Si, se ricordi bene sono state le tue doti di combattente a farci conoscere.»

Cloud lo guardò, poco convinto.

«Oh, ok! Quello, e la tua bellezza ultraterrena. Non riesco a nasconderti nulla!»

«Comunque sia…» lo interruppe Cloud, cercando di non arrossire, «... non corro nessun pericolo. Non permettono nemmeno di usare le materie! Non vogliono che la gente si ammazzi!»

«Bastano un colpo mal calibrato… o un infame disposto a tutto per non perdere i suoi soldi… per morire. Un tragico incidente.»

«Cosa sai??»

«Nulla. So solo che ho un brutto presentimento; qualcosa succederà. Dovresti lasciar perdere e tornare da Tifa. Immagino non sappia che sei qui.»

Cloud abbassò lo sguardo. Come faceva a sapere sempre tutto?

«Sei incredibile! Non risolverai così i tuoi problemi, ne creerai solo di nuovi! Ritirati e basta, parlerò io con quei due. Tutti muscoli e poco cervello...»

«Ma io sono qui perché voglio essere qui. Non perché mi hanno convinto o raggirato loro.»

«Le tue frecciatine rimbalzano sul mio ego senza danneggiarmi, my dear. Ora, se hai finito di rinfacciarmi i miei errori, io non ho ancora finito di evidenziare i tuoi. Vai alla reception del torneo e ritirati. Ora.»

«No.»

Andrea strinse i pugni, trattenendo la rabbia. Stava per ricominciare a parlare, quando un altoparlante annunciò il turno successivo del torneo: Cloud Strife contro Il Torvo Schiacciasassi.

Cloud guardò Andrea con un sorrisetto divertito.

«Davvero ti preoccupi? Tranquillo, non sono un sasso.»

Andrea sospirò e scosse la testa, mentre il ragazzo si allontanava verso l’ingresso.

«Spero di sbagliarmi, my dear… oppure che tu riesca a sopravvivere. Vanno bene entrambe le cose.» mormorò Andrea, avviandosi di nuovo alla tribuna.

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Capitolo 5
*** Blonde Dead Redemption-parte 2 ***


Blonde Dead Redemption, parte II

 

«Wow, bro! Semifinale!!»

«Sei una macchina per uccidere, bro!»

«Non è morto nessuno.»

“Ancora…”

«Si ma avresti potuto decimarli tutti! Swiish, zaac! Un bagno di sangue, bro!»

Cloud tirò l’ennesimo sospiro e stappò l’energy drink che Ronnie gli aveva portato. Non erano cattive persone, ma erano sopportabili solo per pochi minuti alla volta.

Sorseggiò la bevanda, mentre rifletteva sul torneo. Era stato addirittura più facile del previsto: i contendenti fino a quel momento erano stati solo dilettanti inesperti e inadatti al combattimento. Oltretutto, avevano tutti nomi improbabili, come “Dave il Barbaro” oppure “Jake la Furia”, e outfit a dir poco imbarazzanti.

Iniziò a sentirsi deluso; si domandò anche come una competizione del genere potesse avere un premio della grandezza prospettatagli dai due culturisti.

La folla sembrava in preda al delirio: presto l’altoparlante avrebbe svelato gli abbinamenti per le semifinali. Infatti si accese, gracchiando, e rivelò quali sarebbero stati gli incontri:

«Prima semifinale!! La spada del biondo guerriero Cloud Strife, contro le movenze ipnotiche della misteriosa... La Catena!»

«La Catena, bro! Quella pazza assassina!»

«Non l’ho già sconfitto?» chiese Cloud, confuso.

«No, bro! Quello era Il Catena, sembrava un barbone preso a caso dalla strada. Questa è La Catena!»

«Pare che sia una sicaria che arriva da chissà dove… compete per Madame M.»

«Ah… certe abitudini non cambiano mai.» commentò Cloud con voce atona.

«Seconda semifinale!! Le affilate lame del Cutter si incroceranno con le affilate zanne del Beastmaster!!!»

Le urla indiavolate della folla mascherarono le urla di delusione di Ronnie e Jay.

«Cosa? Che c’è che non va?» chiese Cloud.

«Quell’infame! Continua a manipolare le cose!»

«Si! Il Cutter è suo! E il Beastmaster pure!»

“Quando si arrabbiano non dicono bro…”

«Sicuramente farà passare il suo robot per provare a tenersi tutta la vincita, bro!»

“Oh no, si sono ripresi!”

«Hai ragione bro! Che ci fa un robot con i soldi?»

«Non vi preoccupate. Ho rotto decine di quei robot in passato.»

«Infatti! Non c’è da preoccuparsi con il grande Cloud Strife!»

«Attento solo a quell’assassina, bro. L’ho vista combattere ed è pericolosa!»

Cloud sbuffò.

«Starò attento…» sospirò, con gli occhi al cielo. Ripensò allo stuolo di veri assassini che avevano provato in tutti i modi a fargli la pelle in passato.

“Una passeggiata.”

Di lì a poco la semifinale ebbe inizio. Entrò nell’arena stringendo la spada e il frastuono della folla lo accolse.

«Cloud!! Cloud!! Cloud!!»

«Voglio partorire i suoi bambini!!!»

«Sposami Cloud!!»

«Cloud!! Cloud!!»

Un gruppo di donne particolarmente esagitate aveva persino creato degli striscioni, che ora facevano bella mostra di loro appesi ai bordi dell’arena. Erano uno più imbarazzante dell’altro, ma i due peggiori recitavano:

 

“Cloud Strife <3 my Life”

 

Combattente

Love

Osannato

Unico

Divino”

 

Cloud si portò una mano alla fronte e desiderò di sparire. Provò a concentrarsi sulla sua sfidante, che stava entrando in quel momento dall’altra parte dell’arena.

Aveva una leggera armatura composta da vari pezzi in cuoio e il corpetto in acciaio, tutta decorata con inserti rosso fuoco. Agganciato alla vita aveva una specie di spesso lazo di metallo arrotolato e non sembrava avere altre armi.

Si guardò intorno, notando subito gli striscioni. Sorrise, divertita, continuando ad avanzare verso il centro dell’arena dove Cloud la attendeva in posizione.

«Ci siamo portati il fan club, SOLDIER?» lo schernì, appena fu a portata di voce.

Cloud la ignorò, desideroso di porre fine a quella farsa il prima possibile.

«Dopo che ti avrò battuto, forse mi iscriverò anche io.» commentò lei, con una strizzatina d’occhio.

Cloud arrossì, notando che in effetti era una donna molto bella: aveva un viso bianco come l’alabastro, incorniciato dai capelli rossi tagliati a caschetto; un’unica cicatrice sullo zigomo interrompeva quella superficie perfetta. I freddi occhi grigi lo guardarono, in attesa.

«Pronto a ballare?»

Lui annuì, riuscendo a riprendere la concentrazione.

«Al mio via!» urlò il banditore, che si stava già allontanando da loro. Cloud si mise in posizione di guardia, mentre tutta l’arena sembrava trattenere il fiato.

«VIA!»

“Non ci metteró molto” pensò il ragazzo.

La sua avversaria srotolò con un gesto secco il cavo che aveva appeso al fianco. Il lazo si scompose in tanti segmenti, ognuno dotato di due lame ricurve che sembravano affilatissime. La lunghezza di quell’affare superava i due metri.

«Quasi mi dispiace dover graffiare il tuo bel faccino.» disse, iniziando a far roteare la catena. Cloud sbuffò.

“Cazzo.”

Con gesto fulmineo la donna fece saettare la sua arma verso Cloud, che la schivò all’ultimo momento. L’arena non aveva luoghi dove ripararsi da un attacco, quindi cercò di tenersi fuori dalla portata della catena, muovendosi in ampi cerchi; questo gli precludeva ogni possibile attacco. La guerriera si muoveva molto velocemente, tenendolo costantemente sotto minaccia schioccando la sua catena. 

Doveva crearsi uno spiraglio per attaccare: senza preavviso si avvicinò, conscio che si sarebbe esposto agli attacchi, senza perdere d’occhio le movenze della sua avversaria.

La catena guizzò alla sua destra, ma riuscì a deviarla con la spada; si gettò in una scivolata, cercando di mettere a segno un fendente, ma la guerriera con una capriola lo evitò e riuscì a colpirlo di striscio alla schiena. Cloud si rialzò immediatamente: il colpo non era grave, ma bruciava. Sentì il sangue iniziare a inzuppargli la maglia. La folla urlò concitatamente.

«Ops…» lo prese in giro la guerriera, portandosi le punte delle dita alla bocca.

Cloud si girò, trafiggendola con lo sguardo. Era veloce, ma non imbattibile. Cercò di guadagnare un po’ di tempo per pensare a cosa fare, tenendosi a debita distanza.

«Se dopo vorrai, ti darò un bacino sulla bua.» continuò a provocarlo la donna, roteando l’arma. Non sembrava avere punti deboli, tranne forse nello spazio tra i segmenti di cui era composta. Avrebbe potuto provare a tagliarla in quel punto.

Ricominciò ad avvicinarsi, senza mai staccare gli occhi dall’estremità della catena. Appena la vide schioccare, tentò di colpirla con un fendente. Il clangore del metallo echeggiò nell’arena.

“Ancora, forza!”

Fu costretto a saltare all’indietro per evitare un colpo diretto ai suoi polpacci, ma sfruttò lo slancio e colpì di nuovo la catena: stavolta alcuni segmenti caddero tra la sabbia.

Il pubblico cacciò urla di giubilo.

«Oooh… vuoi starmi più vicino, bel biondone?» disse la donna, per nulla preoccupata del danno.

“No, voglio fare a pezzi quell’arma infernale!”

Cloud tentò nuovamente di avvicinarsi, ma la donna aumentò la frequenza degli attacchi: la catena si muoveva al doppio della velocità, come un infido serpente, lasciandogli pochissimo tempo per evitare i colpi. Ormai la guerriera non si preoccupava nemmeno di spostarsi, piroettando sul posto con grazia mortale, per colpire alla massima velocità possibile. Dopo la sequenza di attacchi, le prime sferzate iniziarono ad andare a segno, infliggendo tagli su braccia, spalle e gambe del ragazzo, che non riusciva nemmeno più a colpire efficacemente la catena. La donna sfruttò il suo smarrimento e puntò alla sua faccia, mulinando la catena per farle guadagnare velocità. Cloud vide le lame descrivere un ampio arco e avvicinarsi come al rallentatore, tuttavia non fu abbastanza veloce per evitarle del tutto. Sentì le punte acuminate graffiarlo sulla guancia, lasciando un nuovo taglio.

Si allontanò per riprendere fiato. Tutte le ferite bruciavano da morire.

“Non posso continuare così...” pensò, evitando a malapena un’altra sferzata. Doveva cambiare strategia. La donna lo derise:

«Scusa tesoro! Tranquillo, non rimarrai sfregiato: non posso farti una simile ingiustizia!» trillò.

“Adesso basta!” pensò Cloud, deciso. Non le avrebbe permesso di giocare con lui un minuto di più. Questo incontro era durato anche troppo e aveva una finale da vincere. La osservò, in cerca di un punto debole, ma la catena continuava a muoversi: mentre disegnava delle spirali, il suo braccio si muoveva in cerchio. Poi il braccio scattò dal basso verso l’alto, e la catena si mosse come un’onda…

“Mani. Bingo.” pensò il ragazzo. 

«Ehi! La pianti di fissarmi? Non ti sarai innamorato?» lo canzonò la guerriera.

Cloud la ignorò e scattò in avanti.

«Sei uno sciocco!» urlò lei con tono feroce, attaccando.

Cloud non badò alla catena, ma guardò la mano che la impugnava. Scartò a destra e l’arma lo mancò completamente, stridendo sulla pietra.

La donna trasalì per un attimo, ma riprese subito a far vorticare la sua catena, tentando di falciare il suo avversario. Cloud vide l’ampio movimento del braccio verso di lui e saltò con eleganza, evitando il colpo a mezz’aria. Era quasi a portata.

“Ora cosa fai, eh?”

La guerriera lo guardò furente e piroettò sul posto, cercando di tenerlo a distanza con un vortice di lame affilate. Cloud non indietreggiò, anzi si fece ancora più vicino e tese la mano sinistra ad incontrare la traiettoria della catena: l’arma iniziò ad attorcigliarsi intorno al guanto metallico, incastrandosi.

Il pubblico, che fino a quel momento era stato in silenzio, cadde improvvisamente in delirio.

Il viso della donna diventò, se possibile, ancora più bianco. Tentò di tirare verso di sé la sua arma, ma il ragazzo non si mosse, continuando a fissarla con odio. Lei insistette, urlando, ma senza successo, con la catena che tremava in tensione. Cloud decise di mettere fine a quel macabro tiro alla fune, tagliando la catena con un colpo di spada. Impreparata, la donna cadde all’indietro e finì a terra. In un secondo, Cloud le fu addosso, puntandole la Buster Sword alla gola.

«Ti arrendi?» disse minaccioso.

«Sei poco gentile.» ringhiò in risposta. Ma il banditore, tra le urla della folla, aveva già decretato la vittoria di Cloud.

Il ragazzo allontanò la lama e tese l’altra mano verso la donna, senza pensare che aveva ancora la catena attorcigliata al guanto. La donna la allontanò seccata con l’impugnatura di quello che rimaneva della sua arma.

«Vai al diavolo!! Ma prima ridammi la catena, la dovrò aggiustare per colpa tua!» disse con tono velenoso.

Cloud ci mise qualche minuto a sbrogliare le spire di metallo tagliente dal guanto, ma ci riuscì e le restituì alla proprietaria, che uscì dall’arena praticamente illesa, ma sconfitta.

 

***

 

«Bro! Mi hai fatto commuovere!!»

«Non hai voluto infierire eh, bro? Hai voluto giocare un po’... potevi farla fuori in un attimo ma hai dato spettacolo!»

Cloud alzò gli occhi dai tagli che stava cercando di medicare.

«Si… proprio così.»

«Meraviglioso, bro! Se non hai bisogno di noi, andiamo a vedere l’altra semifinale.»

«Si, bro. Anche se sicuramente quel maledetto uccellaio avrà già deciso chi dei suoi passerà in finale!»

Non lo avrebbe mai ammesso, ma il pensiero della finale iniziava a preoccuparlo. Specie se, come prevedeva, Sam avrebbe fatto dare strada libera al suo robot Cutter.

Si ricordò improvvisamente che Meteor era ormai chiuso da ore dentro la saletta d’attesa: corse a controllare che la porta fosse ancora chiusa, e fortunatamente lo era. Si mise cautamente in ascolto e sentì un leggero russare.

“Bene. Maledetto pennuto… sei peggio di quella pazza con la catena.”

«Guarda, guarda... è proprio mister “faccio come mi pare”.»

Cloud si voltò e vide Andrea.

«Ma… non eri vestito in modo diverso, prima?» domandò il ragazzo, guardando perplesso l’abbigliamento dell’uomo di fronte a lui.

«Non penserai davvero che io possa vedere due semifinali con lo stesso vestito?»

Cloud alzò gli occhi al cielo.

«Sei ancora in tempo per lasciar perdere. Sam è furioso.» disse Andrea.

«Sembra quasi che ti importi di lui.» fece ironico il ragazzo.

«Mi importa di te! Non voglio che ti immischi in queste faccende di scommesse e soldi. È un giro pericoloso, anche per uno come te.» esclamò l’entertainer, seccato.

«Quel Cutter sarà un gioco da ragazzi, non capisco come mai sei così preoccupato!»

Andrea sgranò gli occhi.

«... Cutter? Cloud, in finale c’è il Beastmaster.»

«Ah, anche meglio allora!»

«Ma non ti sembra strano che due cagnolini abbiano battuto un robot gigante con seghe circolari al posto delle mani??» urlò Andrea, esasperato.

«Ok, Sam ha chiaramente un piano malvagio, che prevede che io tagli a metà il Beastmaster e tutto il suo allevamento in finale.»

«Ha vinto troppo facilmente, Sam ha veramente un piano!»

«Lo farò fallire.»

«Cloud, usa il buonsenso! Non puoi metterti in pericolo in questo modo!»

«E Sam non doveva vendermi il piccolo bastardo che sta facendo a pezzi la mia vita!» ringhiò Cloud, voltandosi e tornando verso l’arena. L’entertainer non lo rincorse, ma scosse la testa.

«Devo andare a cambiarmi per la finale…» mormorò.

 

***

Cloud fece il suo ingresso in arena, accolto calorosamente dal pubblico. Evitò accuratamente di guardare le nuove aggiunte agli striscioni, ma non riuscì a tapparsi le orecchie per non sentire i cori che il pubblico femminile gli stava rivolgendo. Guardò la tribuna d’onore, dove si trovavano gli ex giudici di Don Corneo: Andrea lo guardava con un misto di rabbia e preoccupazione, Madam M si sventolava svogliata, mentre Chocobo Sam sorrideva, in attesa dell’incontro.

“Corneo non c’è più, ma i giudici sono ancora lì.” pensò Cloud. La voce del banditore lo riportò alla realtà: il Beastmaster fece il suo ingresso nell’arena, seguito da tre cani.

Cloud sgranò gli occhi: le dimensioni di quegli animali si avvicinavano a quelle della enorme belva che aveva incontrato giorni prima. Ciascuno di loro portava un collare rinforzato intorno al collo e uno intorno alla base del tentacolo; i loro muscoli erano talmente gonfi che sembravano pronti a scoppiare. Il pubblico accolse lo sfidante con un borbottio concitato e qualche sonoro “buuuu”.

“Ok, qualcosa non mi torna.” 

In tribuna, Andrea si voltò con odio verso Sam, che si fregava le mani. Notò lo sguardo dell’entertainer, ma si limitò ad alzare le spalle.

«Se si arrende, può salvarsi.» commentò.

Giù nell’arena, Cloud e il suo sfidante si stavano osservando, in attesa del segnale d’inizio.

«Mi ricordo di te, sai?» esordì il Beastmaster. «Dove hai lasciato la tua fidanzata?»

Il ragazzo strinse la presa sulla spada e non rispose.

«Poco importa. Niente magia in questo torneo, solo violenza!» continuò l’uomo, con sguardo folle «... finalmente avrò la mia vendetta!»

«Se avessi avuto un guil per ogni volta che me lo hanno detto…» disse Cloud, per nulla intimidito.

«Potresti permetterti una tomba decente.» 

Il banditore diede il segnale d’inizio della finale, per poi scappare a gambe levate. Un boato dal pubblico accompagnò la sirena.

Ad un cenno del loro padrone, i cani si lanciarono all’attacco, con furia cieca. Non avevano un piano né una strategia, cercavano solo di morderlo e sferzarlo con i loro tentacoli, salendo uno sopra all’altro nel tentativo di arrivare a lui. Cloud li tenne a distanza come potè, sorpreso e preoccupato dalla ferocia che mostravano. Il Beastmaster invece stava rimanendo in disparte, osservando con un ghigno la situazione. 

“Va bene, proviamo a far fuori il capo.” pensò Cloud.

Schivò rotolando un nuovo assalto dei cani, che sembravano assatanati, e si lanciò a tutta velocità contro il loro padrone. Per nulla preoccupato, il Beastmaster urlò un comando e uno di quei mostri si parò tra lui e Cloud. Il ragazzo calò la Buster Sword e colpì in pieno il cane, con una forza che avrebbe tagliato in due un essere umano: con orrore, vide che aveva lasciato solo un taglio poco profondo sulla spalla dell’animale, che ringhiò e fece schioccare le zanne.

Un secondo cane attaccò alla sua sinistra; parò l’assalto, sorpreso dalla violenza dell’impatto, che lo fece indietreggiare di diversi metri.

“C’è decisamente qualcosa che non va in questi cani” pensò, guardando il poco sangue sulla sua lama. Poco male, aveva ucciso cose più grosse e cattive di quei tre botoli.

Nonostante la sua sicurezza, i cani non gli davano un attimo di respiro, continuando a rincorrerlo e a cercare di atterrarlo, ma a volte caracollavano goffamente in giro, come se la loro stessa mole gli rendesse difficile correre o saltare.

«Che razza di cani sono, Sam?!» gridò Andrea in platea.

«Sono particolari, vero? Un nuovo incrocio.» rispose l’allevatore, senza trattenere un sorriso sornione.

«Ti somigliano. Grandi, grossi e idioti.» disse Madame M. 

Intanto, in arena, Cloud si concentrò su uno solo dei cani, continuando a colpirlo mentre schivava come poteva i colpi degli altri due. Una o due volte fu sbalzato via da un colpo o da una zampata, ma riuscì a rialzarsi in tempo e a continuare a lottare. La sua perseveranza fu ripagata: dopo alcuni minuti e infiniti colpi di spada, il primo cane cadde a terra senza vita. Il pubblico lo ricompensò con un’ondata di applausi e urla.

“Non è normale! Nessuno dice niente??”

Purtroppo non ebbe il tempo riprendere fiato, perché gli altri due cani gli furono subito addosso. Riuscì a schivare il primo; purtroppo non riuscì ad evitare che le fauci del secondo si chiudessero sul suo braccio. Il dolore arrivò immediatamente e gli annebbiò la vista per un attimo. Il cane sembrava intenzionato a strattonarlo e a farlo cadere a terra. Cloud digrignò i denti, mentre assestava continui fendenti alla bestiaccia, tentando di fargli mollare la presa. Il secondo cane stava tornando all’attacco. Finalmente, con un guaito, il cane lo lasciò andare, in tempo per evitare il nuovo assalto. Il sangue usciva copioso dalle ferite e sentiva tutto il braccio pulsargli dolorosamente. Pulì rapidamente la mano sui pantaloni per evitare di perdere la presa sull'impugnatura della Buster Sword. Il pubblico tratteneva il fiato, rapito dal combattimento.

Il Beastmaster invece sorrideva, soddisfatto.

“Ne mancano solo due...”

«KUEEEEEH!» (Tremate, vile marrano!! Giunge la vostra nemesi!)

«Ma che ca…» disse trasalendo e girandosi in direzione del verso, pregando di aver sentito male. Invece era proprio Meteor, che stava trottando nell’arena diretto dritto verso di lui, agitando le corte ali. Qualcuno sugli spalti iniziò a ridere.

“Merda! Chi l’ha fatto uscire? E come è entrato qui?” pensò scandalizzato Cloud. Purtroppo le sue domande rimasero senza risposte, poiché fu costretto ad evitare il pulcino, che era saltato con artigli e becco sguainati verso la sua faccia.

Anche i cani, che in un primo momento si erano bloccati, tornarono alla carica, dopo un comando del loro padrone. Il ragazzo parò ed evitò gli attacchi, controllando con la coda dell’occhio che fine avesse fatto il suo chocobo, e temendo segretamente un suo nuovo attacco. Invece, Meteor sembrava aver perso interesse nell’omicidio: incurante di qualsiasi altra cosa, aveva raggiunto il corpo del cane morto e stava becchettando la parte inferiore del suo collare, starnazzando con interesse.

Il Beastmaster smise immediatamente di ridere insieme al pubblico e strillò, a metà tra il furioso e il preoccupato:

«Ehi! Via da lì, bestiaccia! Prendetelo!!»

I due cani lasciarono perdere Cloud e iniziarono a correre verso Meteor, che fuggì emettendo un “Kueeeeh!” terrorizzato.

“Quindi i cani sono una minaccia e io no?” pensò Cloud con una punta di risentimento. Per un attimo pensò di lasciar fare ai cani, oppure di approfittarne per attaccare il loro padrone.

«Kuiiiiee!» (I demoni dell’Inferno mi inseguono!! Ausilio!! Perché nessuno mi presta soccorso!?)

Poi corse verso Meteor. Riuscì ad agguantarlo poco prima che uno dei cani piombasse su di lui. Il pubblico emise un urlo di sorpresa, seguito da grida di approvazione e applausi, soprattutto da parte del suo fan club. Si allontanò alla svelta, inseguito dai cani. Meteor lo ringraziò per il salvataggio iniziando a morderlo senza pietà sul braccio già provato.

«Piantala, o ti lascio ai cani!» sbraitò, un po’ per la rabbia, un po’ per il dolore lancinante. Il pulcino, stranamente, smise di infierire. Cloud sperò che fosse merito suo, ma quando alzò lo sguardo vide uno dei cani, che lo aveva aggirato, balzare verso di lui a fauci spalancate. Cloud ebbe la prontezza di riflessi di puntare la Buster Sword verso la bocca del cane. L’animale, a metà del salto, non riuscì ad evitarlo e la lama penetrò nella sua testa fino all’impugnatura, uccidendolo all’istante e fuoriuscendo dal collo. La belva terminò il suo salto ricadendo a terra a peso morto, travolgendo Cloud e Meteor.

La folla sugli spalti si divideva tra gli entusiasti e gli agitati. 

«KUEEEEEH!» strillò il pulcino, tornando a beccarlo. (Non dimentico gli affronti subiti da voi, rapitore! Assaporate la mia ira!!)

«Maledetto…» ringhiò tra i denti il ragazzo, mentre si liberava dal peso della belva. Rialzatosi, fece per riprendere la spada, ma un capogiro lo fermò. Scosse la testa e allungò una mano verso l’elsa, che si sdoppiò sotto il suo sguardo attonito.

«Tutto bene?» chiese una voce canzonatoria alle sue spalle, «Ti senti un po’ male, ragazzino?».

Cloud si voltò verso il Beastmaster, che si era avvicinato, l’ultimo cane al suo fianco. Tentò di metterlo a fuoco, ma la figura dell’uomo continuava a dividersi in più copie e ritornare unica. Nonostante il problema alla vista, riuscì a notare il sorriso beffardo del suo avversario.

«Sto benissimo.» mentì, rafforzando la presa su Meteor, che continuava a divincolarsi.

«Quanti “me” vedi?»

Cloud trasalì, mentre sentiva una fitta alla testa.

«Che cosa mi hai fatto?» domandò, sentendo montare la rabbia.

Il Beastmaster si portò l’indice alla bocca.

«Un piccolo segreto, non posso dirtelo.» rispose, osservando il ragazzo che iniziava a barcollare. «Ora scusami, ma devo vincere, come era nei piani.»

Schioccò le dita e il cane scattò. Cloud raccolse la spada, afferrando fortunatamente l’elsa giusta tra le due. Iniziò a correre, lottando per mantenere l’equilibrio e allontanarsi dai due cani che lo stavano inseguendo. 

Molte persone sugli spalti stavano urlando, terrorizzate. La bestia approfittò del suo malessere e gli tagliò facilmente la strada, bloccando la sua fuga. Tanto alla fine si sarebbe fermato lo stesso, dato che gli stava mancando il fiato. Ansimando, sollevò la Buster, che sembrava aver raddoppiato il suo peso. Il braccio gli tremava per lo sforzo. Meteor si agitava e starnazzava terrorizzato. Il cane ringhiò e si preparò a balzare.

“Non ce la faccio” si rese conto, avendo per la prima volta paura.

Il cane saltò, deviando senza sforzo la lama con una zampata. Cloud indietreggiò, ma fu troppo lento. All’ultimo momento, prima che il cane gli fosse addosso, si girò e cercò di proteggere Meteor, senza riuscire a spiegarsi perché lo stesse facendo. Sentì le fauci chiudersi sulla sua spalla, le zanne entrargli nella carne fino ad incontrare l’osso. Urlò.

L’animale lo sbatté a terra e gli bloccò braccia e gambe con il suo peso. 

«Abbiamo un vincitore!! Beastmaster si aggiudica la finale!!»

Il Beastmaster si avvicinò con calma al ragazzo, incurante delle urla della folla, sguainando un pugnale. Cloud era fermo ma sentiva l’intera arena ruotare intorno a lui e la sua vista si stava completamente annebbiando: non aveva la forza di reagire. Dagli spalti molte voci indignate gridavano di fermare l’incontro, mentre altri avevano iniziato a gettare piccoli oggetti nell’arena.

«L’incontro è finito! I contendenti si ritirino nella zona franca!» insistette l’altoparlante.

L’uomo si accovacciò, lo prese per i capelli e lo costrinse a guardarlo negli occhi. 

«Ed ora, SOLDIER, preparati a…»

La voce dell’altoparlante interruppe l’uomo:

«Il concorrente Beastmaster è squalificato per utilizzo non autorizzato di materie!! Il vincitore è Cloud Strife!»

Sia lui sia il cane si guardarono intorno, smarriti. Anche Cloud cercò di ruotare la testa, ma nel farlo sentì parecchi capelli congedarsi dal suo cranio. Non lontano da loro, Meteor stava giocherellando con delle materie che aveva tirato fuori dal collare di uno dei cani.

Beastmaster e cane si guardarono per un attimo, poi entrambi si mossero verso il pulcino.

Facendo appello alle forze che gli rimanevano, Cloud sfruttò la distrazione per recuperare la spada e barcollare fino al cane, trafiggendolo. 

La testa gli girava vorticosamente e la cacofonia di urla che rimbombavano nell’arena gli causava tremende fitte al cervello. Il Beastmaster si voltò, accorgendosi solo in quel momento dell’uccisione. Tornò sui suoi passi e gettò di nuovo il ragazzo a terra con un calcio, urlando frasi sconnesse. Lo immobilizzò con un ginocchio sul petto e sollevò il pugnale. Cloud potè solo guardarlo, senza nemmeno capire fino in fondo cosa stesse succedendo.

Stava per calarlo, quando Meteor saltò verso di lui, mordendogli la mano e graffiandolo. 

«AARGH! Maledetto uccellaccio!» gridò furibondo, tentando di scrollarlo via. Il pulcino si avvinghiò alla sua mano e continuò a morderlo senza pietà.

«Kueeeh!!» (Non torcerete una piuma alla mia nuova eroica genitrice!!)

Cloud vide solo una macchia giallastra appesa al braccio dell’uomo.

“Mi ha preso i capelli…” pensò, delirando.

Il Beastmaster riuscì finalmente a scagliare lontano il chocobo, e si rivolse di nuovo verso il suo obiettivo, stringendo il pugnale nella mano sanguinante. Una figura lo intercettò e lo mise al tappeto con un paio di colpi ben piazzati.

“Oh, i miei capelli sanguinano…” pensò Cloud, prima di perdere conoscenza.

 

***

 

L’arena era nello scompiglio più totale: gli addetti stavano cercando di riportare l’ordine sugli spalti, mentre giù sul campo di battaglia quattro figure erano chine su Cloud.

«Meno male che sei intervenuta… come hai detto che ti chiami?» disse Andrea, mentre cercava di controllare le condizioni del ragazzo.

«Catena.» rispose la donna, che teneva Cloud semisvenuto tra le sue braccia.

«Abbiamo capito, bro, fai i numeri con la catena, ma come ti chiami?» chiese Ronnie.

«Catena. Mi chiamo Catena.» ripeté lei.

«Wow, bro! Facile da ricordare… come se io mi chiamassi Bicipite!»

«Ti sembra il momento, Jay??» sbottò Andrea.

Meteor saltellava preoccupato intorno a Cloud.

«Kueee…» (Ho appena trovato una nuova genitrice, non desidero perderla!)

«Tranquillo, piccolo bro. Lo risistemiamo.»

«Certa gente non sa proprio accettare la sconfitta!» commentò acida Catena, guardando con odio in direzione degli addetti, intenti a trascinare via il Beastmaster.

«Tu non sai fare quelle magie che ti curano?» chiese l’entertainer, guardando preoccupato Cloud, il cui volto era sempre più pallido.

«Portatelo in infermeria, io intanto vado a prendere le mie materie!» disse la guerriera.

Jay e Ronnie sollevarono senza fatica Cloud e lo portarono via.

«Ci stiamo guadagnando la nostra vincita, bro!»

«Si, stiamo dando una mano, bro!»

«Se dite di nuovo “bro”, giuro che vi faccio interdire dalla palestra!» gridò Andrea, fuori di sé, «… farò mettere delle foto segnaletiche di voi fuori dall’Honeybee Inn!! Non rimorchierete più nemmeno in un bordello di scimmie con un casco di banane in mano!!» 

«Ehi! Ehi! Non sballottatelo!» strillò Catena, mentre correva fuori dall’arena. 

«Kueeeeeh!» (Mi sembrate oltremodo inadatti a preservare la salute di chicchessia!!)

In breve tempo arrivarono in infermeria, dove lasciarono il ragazzo su un lettino. Un’anziana signora si mise diligentemente a disinfettare e fasciare le ferite di Cloud.

«Aiutatemi, giovanotti… dobbiamo togliergli la maglia.» disse, rivolta ai due culturisti.

«Forza, br-ehm… Jay!»

«Ce lo ricuci, vero nonna?»

«Io ci provo… certo che sarebbe meglio fargli una di quelle belle magie. Poi una bella tisana, e tutti a letto presto!»

«Ma questa infermiera chi se l’è dimenticata qui dentro, bro?» sussurrò Ronnie all’orecchio di Jay.

Meteor li aveva seguiti in silenzio, senza staccare gli occhi da Cloud, ed ora zampettava per l’infermeria, lanciando richiami bassi e tristi.

«Kueee…» (Oh, l’ansietà mi divora… madre...)

«Oh, no no no, qualcuno porti fuori quel pulcino. Niente animali qui dentro, che diamine! Mica faccio la veterinaria!»

«Io gli ho visto quasi staccare una mano al canaro, prima. Caccialo tu se ci riesci, nonna.»

«Oh… sempre con la violenza. Colpa di queste… materie che fanno le magie, secondo me.»

«Qualcuno ha ordinato delle materie?» trillò una voce all’entrata dell’infermeria.

Catena entrò saltellando.

«Oooh ma non siete gentili… avete iniziato a spogliarlo senza di me!» protestò, mettendo con gioia le mani addosso a Cloud.

«Attenta, ragazza! Così gli fai male!» la rimproverò l’infermiera.

«Tranquilla madame, un’oretta fa cercavano di amputarsi gli arti a vicenda. Stiamo migliorando.» disse Andrea, che li aveva raggiunti nel frattempo.

«Miss, metti le mani dove io possa vederle. Niente scherzi.» la ammonì l’entertainer.

Catena lo guardò, con espressione falsamente innocente, poi fece scorrere una mano fino ai pantaloni di Cloud.

«La vedi ancora, giusto?»

«Forza, curalo!» sbottò Andrea.

«Questi giovani… sempre a parlare troppo, stanno.» borbottò l’infermiera.

«Heal.» sussurrò dolcemente Catena. La materia verde nel suo bracciale brillò e un bagliore dello stesso colore avvolse il ragazzo. Cloud aprì gli occhi.

«Bro! Come stai?» chiese subito Jay.

«Io ti faccio male…» borbottò Andrea.

«Bentornato, dolcezza.» disse sorridendo Catena, accarezzandogli i capelli.

Meteor si lanciò addosso a lui: Cloud scattò a sedere e si coprì il volto con le mani, temendo il peggio.

“Sopravvissuto all’arena, per morire di chocobo…”

Ma graffi e morsi non arrivarono. Il pulcino si acciambellò sul suo grembo, cantando sommessamente.

«Kuuiii… kueee… kuuuii…» (Eroica come una madre, la mia nuova genitrice vive!!)

Tutti nella stanza rimasero allibiti.

«Oh, ma che pulcino carino…» disse l’infermiera, allungando una mano per accarezzarlo.

«Bro… ma è lo stesso uccello che prima abbiamo chiuso nel sacco?» chiese Jay.

Meteor scattò immediatamente verso la mano della vecchia, schioccando il becco e soffiando.

«Ma brutto… avevo appena finito di dire che sei carino! Che modi!» esclamò l’infermiera.

«Si, bro. Lo stesso identico.» confermò Ronnie.

«Meteor! No!!» esclamò Cloud. Il pulcino lo guardò, poi si calmò e si rimise a cantare.

Il ragazzo sgranò gli occhi, guardando gli altri presenti, per esser certo che anche loro avessero visto la stessa scena.

«Ancora non capisco come mai tu lo abbia portato.» disse Andrea.

«Non l’ha portato di proposito!» lo difese Jay.

«Esatto! E se quel furbone non avesse aperto la porta della stanza dove lo avevamo chiuso, a quest’ora…» disse Ronnie.

«A quest’ora mi sa che sarei morto.» concluse Cloud.

«Non posso crederci… mi ha salvato!» riprese, guardando il pulcino. Catena si intromise.

«Lui, eh? Io sono stata, a mettere k.o. Beastmaster!»

«Oh… grazie.» disse Cloud, sorpreso «Perché lo hai fatto?»

«Ci tengo davvero, ad entrare nel fan club…» rispose lei, facendogli l’occhiolino. Lui distolse lo sguardo, imbarazzato.

Improvvisamente Jay si colpì la fronte fortissimo con il palmo della mano.

«Bro!! Dobbiamo andare a prendere la vincita!»

«Giusto, bro!»

«BASTA! Se vi sento... ancora una volta… dire quella parola… vi faccio spalare la merda di chocobo per il resto della vita!!» gridò Andrea.

«E ora tutti fuori! Riportiamolo a casa… la vincita può aspettare.»

Cloud alzò una mano.

«Veramente a me farebbe piacere…»

«Zitto tu! Dovresti devolverla in beneficenza per trovare una cura alla testardaggine! In marcia!»

«Aaah, parole sante! Ma lei non è il famoso ballerino… Andrei?» domandò l’anziana infermiera.

«Sono Andrea Rhodea, per servirla. Si… mi dicono di essere famoso.» rispose l’entertainer, facendo un rapido baciamano alla signora.

«Oooh, che galantuomo… non ne fanno più così!» cinguettò la vecchia, arrossendo.

“Ho cambiato idea, voglio morire.” pensò Cloud, che aveva assistito a tutta la scena.

«Ok, tutti fuori ora. Cloud, ti proibisco di prendere la moto.» disse Andrea, categorico.

«Beh, se non puoi guidare, potresti venire a stare da me stanotte…» disse Catena, guardando Cloud languidamente. Il ragazzo avvampò.

«Ehm… non credo che Tifa ne sarebbe contenta. E Ronnie o Jay possono portare la moto al bar.» rispose Andrea al posto suo.

«Naturalmente, br… bramo, voglio, portare la moto!» disse subito Jay, evitando lo sguardo incendiario di Andrea.

«È la terza volta che dite che ve ne andate e non ve ne andate. Se non vi dispiace, dovrei sistemare e andare a casa dai miei gattini, Benda e Sutura. E il mio canarino, Punto.» disse la vecchia, sospingendo gentilmente Ronnie. Lui si fece sospingere.

«Si, ci perdoni madame» disse Andrea «... allora, siamo tutti pronti?»

«Si! Io vado a prendere la moto, br… bruuum! Bruum!.» disse Ronnie, guardando preoccupato Andrea.

«Io ho preso i soldi.» disse Jay.

«Io prendo Cloud?» si offrì Catena, alzando una mano.

«No.» rispose Andrea.

«Paura che lo rapisca?» domandò maliziosa lei.

«Paura di quello che la sua ragazza ci farà, se non lo riportiamo a casa. Non sa nemmeno che è venuto qui, stanotte.»

«Oh oh… potrebbe mollarlo per questo! Se fosse, io sono pronta a consolarlo…»

«Possiamo soltanto andare?» chiese Cloud, che si sentiva stravolto. La comitiva finalmente si mise in cammino. Andrea non riuscì ad evitare che Catena si mettesse a sorreggere Cloud da un lato, ma si mise dall’altro a fare la stessa cosa, senza perderla di vista. Meteor li seguiva poco lontano.

«Dovevo farmi biondo anni fa, bro! Cloud è biondo, tu sei biondo… le ragazze non mi guardano mai!» sussurrò Ronnie all’orecchio di Jay.

«Io comunque penso di amarla, questa donna che danza col pericolo…» sussurrò Jay, di rimando.

«L’amore ti rende poeta, bro!»

 

***

 

Cloud si era addormentato da un po’, vegliato da Meteor. Il furgoncino rosso guidato da Catena parcheggiò silenzioso sul retro del Seventh Heaven, seguito da Ronnie in sella a Fenrir.

«Ma come fa a non fare rumore?» chiese Jay a Catena.

«Silenziato magicamente.»

«Wow… bro!» si lasciò sfuggire il culturista.

Andrea sbuffò, esasperato.

«Che facciamo adesso? Lo svegliamo?» domandò la donna.

«Così caracolla dentro e Tifa lo sente? Siamo morti se facciamo così.» disse l’entertainer.

«Ok. Ho un’idea. Dammi le sue chiavi.» disse sbrigativa Catena.

Andrea la guardò perplesso.

«Dai, fidati! Posso entrare e adagiarlo dalla sua parte del letto senza che la sua ragazza se ne accorga!»

«Portalo nella sua stanza, meglio.»

«Dorme da solo?? Ooooh… potrei fargli compagnia io, allora!»

Meteor soffiò.

«Che pulcino intelligente…» ridacchiò Andrea.

Catena sospirò. «Sarà per un’altra volta. Dammi le chiavi, soubrette!»

«Per tua norma e regola, sono un entertainer.» la corresse Andrea, passandole le chiavi.

Scesero dal furgoncino e la donna si issò il ragazzo addormentato sulle spalle come un sacco di patate, mostrando una forza che sorprese i tre uomini. Meteor li seguì, osservando Cloud con adorazione.

«Ce la fai?» chiese Jay, non nascondendo l’ammirazione.

«Tranquillo, è semplice. Sarà come quando faccio sparire un cadavere, ma al contrario stavolta.»

Andrea rabbrividì.

«Wow.» sussurrò Jay.

Catena sparì nelle ombre del retro del bar.

«Lo violenterà.» sentenziò Andrea.

«Tutte a lui le fortune…» borbottò Jay. Ronnie annuì, pensieroso.

«Mi meraviglio di voi!! Come fate a scherzare su una cosa simile??» sibilò indignato Andrea.

«Ma hai iniziato tu, bro.»

L’entertainer li zittì con un gesto e tornò ad osservare l’oscurità.

Dopo aver salito una rampa di scale con passo felpato, la sicaria arrivò al corridoio dove si aprivano le stanze di Cloud e Tifa. Pregò che il chocobo che la seguiva non facesse altro rumore, oltre il suo zampettare sul legno. La prima porta che vide era socchiusa: non sapendo se fosse la stanza giusta, decise di proseguire l’esplorazione. Notò una seconda porta, aperta stavolta, e si avvicinò per controllare l’interno: decisamente si trattava di una stanza maschile. Sorrise soddisfatta ed entrò. Adagiò delicatamente il ragazzo sul letto, e il pulcino si lanciò immediatamente su di lui, acciambellandosi. Cloud continuò a dormire, respirando piano. La donna rimase ad osservarli; si accorse che le bende e gli strappi sui vestiti del ragazzo erano decisamente evidenti, così lo coprì fino al mento con un lenzuolo. Meteor spuntò da sotto il lenzuolo, protestando lievemente, e tornò ad accoccolarsi accanto al biondo.

«Non sei proprio il mio tipo… ma sei carino.» sussurrò. Si congedò con un leggero bacio sulla sua bocca ed uscì, silenziosa come uno spettro.

 

***

 

«Missione compiuta.» sussurrò Catena, uscendo dal bar.

«Bene.» disse Andrea, desideroso più che mai di tornare al suo locale.

«E tranquillo… il pupo è ancora vergine.»

Jay ridacchiò.

«Tu invece, bel fusto… portami da qualche parte.»

Il culturista sgranò gli occhi, confuso.

«Se non sei dell’umore, possiamo rimandare…» disse ancora la donna, arrotolandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mettendo un broncio da bambina.

«No no no no!! Andrea, avresti una stanza all’Inn?»

«Ti ho bandito, se ricordi.» rispose Andrea, gelidamente.

«Ti prego, bro!!»

«Non stai migliorando la situazione.»

«Me la devi! Guarda cosa mi hai fatto fare per il tuo amichetto!» esclamò Catena.

«Ti fosse dispiaciuto… lo hai sostenuto principalmente dalla natica sinistra, mentre lo accompagnavi al furgone, prima.»

«Beh, può darsi. Ma ti ho lasciato la destra.»

«Basta, mi avete stufato! Tariffa doppia e potete rimanere.» decretò l’entertainer, con la pazienza ormai agli sgoccioli.

«Tariffa singola e non rovino la storia del tuo amichetto con questa… tipa pericolosa.» rilanciò Catena. Jay la guardava sempre più sorpreso e affascinato.

Andrea sbuffò e annuì.

«Sono stanco, non ho più l’età per fare queste cose. Andiamo a dormire anche noi.»

«Posso fare un altro giro sulla moto?» chiese Ronnie.

«No!!» esclamò l’entertainer.

«Ma… veramente le piace Jay? Ha puntato Cloud per tutta la sera.» borbottò Ronnie, guardando invidioso Catena che palpava senza ritegno le natiche del suo amico.

«Ronnie, my dear… quante cose devi capire ancora.»

 

***

 

Tifa aprì gli occhi e lanciò un’occhiata all’orologio. Aveva battuto la sveglia di qualche minuto, così si alzò e si diresse al piano di sotto per fare colazione. Si fermò vicino alle scale, rendendosi conto solo in quel momento di non aver sentito Cloud rientrare. Corse verso la camera del ragazzo e aprì piano la porta: lo trovò profondamente addormentato nel suo letto. Si sentì una stupida per essersi preoccupata e tornò verso le scale. A metà del percorso, si bloccò e tornò sui suoi passi in tutta fretta.

La macchia bionda che aveva visto sul letto non era la chioma di Cloud, ma il chocobo. Dormiva beato, con la testa sul petto del suo ragazzo.

“Ma che cosa…?” pensò, stupefatta.

Guardò meglio per assicurarsi che Cloud stesse respirando. In effetti sembravano entrambi vivi.

Non riusciva a capacitarsi della situazione.

“Faremo i conti appena ti sveglierai.” pensò, chiudendo di nuovo la porta.

 

***

 

Cloud si alzò a mattina inoltrata. Sentiva un forte peso sul petto e la testa gli girava.

“Ho sognato che Meteor mi faceva le coccole…”

«Kueee!» (Buongiorno, madre!)

Il pulcino si strofinò sul suo viso, canticchiando allegramente. Cloud rimase impietrito, senza osare muoversi.

“È un trucco… mi da una falsa sensazione di sicurezza per poi uccidermi.”

Ma le beccate e i graffi non arrivarono. Meteor lo stava mordicchiando affettuosamente, senza smettere di cantare.

Di colpo Cloud ricordò tutti gli eventi della nottata, fino a quando il Beastmaster stava per ucciderlo. 

“Tifa!! Devo lavarmi! Cambiarmi!!”

Si fiondò nella doccia vestito; il pulcino cercò di seguirlo, ma lui lo spinse gentilmente fuori dal bagno, senza ricevere morsi. Nonostante l’apparente tregua, Cloud decise di chiudere la porta a chiave.

Rimuginò per tutta la doccia, ma non trovò una scusa plausibile da raccontare a Tifa. Si era tolto i bendaggi e guardò sconsolato i segni che la magia di Catena non era riuscita a nascondere.

“Sono spacciato…” 

Decise di mettersi una maglia a maniche lunghe per provare a coprirsi il più possibile.

Una volta finito, cercò di raccogliere il coraggio di scendere al bar. Meteor gli si strusciava sulle gambe, guardandolo adorante.

«Buongiorno.» lo salutò Tifa, quando finalmente lo vide scendere dalle scale. Cloud si sentì come colpito da un Criora.

«B-buongiorno…» balbettò in risposta.

«Vieni a sederti qui con me, Cloud?»

Era la domanda più minacciosa che avesse mai sentito. Obbedì; Meteor gli saltò in grembo appena si fu seduto.

«Mi vuoi spiegare qualcosa? Ad esempio, che ci fa questo piccolo mostro addosso a te? Perché non sei morto? O perché ha dormito insieme a te? O perché hai un taglio sulla faccia?»

Cloud evitò accuratamente lo sguardo di Tifa e rispose con un evasivo:

«Sembra che si sia calmato… forse ha compiuto due anni!»

«Non. Mi. Prendere. In giro!!!» disse la ragazza a denti stretti.

«Ma è una cosa positiva! Non morde più, guarda!» rispose Cloud, provando ad allungare una mano tremante verso il muso del pulcino. Meteor si strusciò felice contro il suo palmo.

«Kuiiieeeiiih.» (Madre, il vostro affetto mi commuove! Maledico la mia iniziale ostilità!)

“Oh mio dio, ha funzionato.”

Anche Tifa sembrava sinceramente stupita.

«Va bene, te lo concedo, è una cosa positiva. Ma come è possibile!? Fino a ieri voleva ucciderci!»

Allungó una mano verso Meteor, che soffió è tentò di morderla, lanciando un feroce “Kueeeeeh”!

Tifa strillò e ritrasse la mano.

«Ehi! No! » gridò Cloud, guardando male il chocobo.

Meteor si zittì e abbassò la testa con aria colpevole. 

«Meno male che non mordeva più.» commentò sarcastica Tifa.

«Magari… ora posso addestrarlo.» 

«... ok, Cloud.»

Tifa si alzò e tornò in cucina, senza preavviso, lasciandolo seduto e in confusione. Meteor sembrava soddisfatto e canticchiava. Ancora incredulo per averla fatta franca, si mise a fare colazione. Gli sembravano minacciose anche la tazza e la scatola di biscotti che Tifa gli aveva lasciato sul bancone.

“Non so se potrò resistere… questa è una tortura!”

Meteor saltò sullo sgabello accanto al suo e guardò incuriosito mentre prendeva un biscotto. Nel sollevarlo dalla scatola ebbe un lieve giramento di testa.

“Avrò fame…” si disse. Il pulcino fissava il biscotto senza perderlo di vista un momento, ed emise un verso triste quando Cloud lo mangiò.

«Che c’è? Ne vuoi uno?» chiese il ragazzo, prendendone un altro.

Il pulcino saltellò tutto contento e aprì il becco. Cloud gli avvicinò il biscotto con molta cautela e rabbrividendo. Meteor lo prese rapidamente e lo ingoiò, senza staccargli nessun dito.

«Oh.»  disse lui, stupito e lievemente divertito. Il giramento di testa aumentava.

«ADESSO BASTA!! Cosa è successo??» gridò Tifa, apparendo all’improvviso dalla cucina. Si protese sul bancone, guardandolo minacciosa.

«Cosa. Hai. Combinato.»

Cloud cominciò a vedere non una, ma due Tifa che lo fissavano.

“Oh merda… sta succedendo di nuovo!”

Cloud alzò una mano per replicare, poi cadde dallo sgabello.

 

***

 

«Forza!» gridò Tifa, mentre in parte sosteneva, in parte trascinava Cloud verso il furgone.

Aprì la portiera con la mano libera.

«Non c’è bisogno… sono solo stanco…» provò a obiettare il ragazzo.

«No! Non sei stanco! Cioè, sicuramente si, ma non è quello il problema!!» ribatté Tifa, mentre lo aiutava a salire. Il chocobo saltellava preoccupato intorno a loro, starnazzando.

«Kueeh! Kueeh!» (Dove state andando madre? Chi è questa persona dal piumaggio lungo e bruno? Perché vi sta portando via?)

«Che facciamo con lui?» chiese Cloud, indicando Meteor.

«Fallo salire, visto che ora sei tutto il suo mondo. Non voglio rifare il bar.»

«Non sono tutto il suo mondo!» protestò lui, mentre Meteor gli saltava in grembo.

Tifa lo guardò male, mentre accendeva il motore e partiva a velocità sostenuta. Il pulcino mise immediatamente la testa fuori dal finestrino, tutto felice.

«Kueeeeeh!» (L’aere scorre tra il mio piumaggio!!!)

Tifa sbuffò.

«Non ci posso credere. Sei stato irresponsabile! Incosciente!! Come hai fatto a pensare che fosse una buona idea??»

«Ho vinto…»

«Chi se ne frega che hai vinto! Non capisci?? Guarda come sei ridotto!» esclamò Tifa.

«Perché Sam ha barato… ha fatto usare le materie… al Beastmaster.» disse Cloud, che iniziava a sentirsi spossato.

«Potevi morire, Cloud! Non è questione di barare, volevano ammazzarti!»

«...»

«In arena barano tutti!! Era stata fondata da un mafioso, cosa ti aspettavi?? Combattimenti leali?»

«Però lo… hanno squalificato…»

«Meno male!! Pensa un po’ se avessi dovuto piangere sulla tua tomba senza nemmeno il premio a consolarmi!» urlò Tifa, esasperata.

Cloud rimase in silenzio, incapace di replicare.

«E toglietevi dai piedi!! Ho fretta!» gridò ancora, suonando il clacson.

Passarono il resto del viaggio in silenzio. Meteor lo guardò triste e si strusciò contro il suo braccio. Cloud lo accarezzò.

Arrivati all’ospedale, Tifa scese immediatamente e corse ad aiutarlo a scendere. 

«Ce la faccio…» provò a dire, ma fu ignorato.

La testa gli girava e aveva ricominciato a vedere doppio; il suo aiuto era provvidenziale per non cadere a faccia avanti.

Entrarono da una porta a vetri e si diressero verso una ragazza seduta dietro un bancone.

«Scusi, il mio ragazzo sta male! Possiamo vedere un dottore?» gridò Tifa.

“Sono ancora il suo ragazzo?” pensò sorpreso. Peccato che stesse troppo male per rallegrarsene.

«C’è da aspettare un po’. Potete sedervi in sala d’attesa, da quella parte.»

Tifa notò che, nonostante avesse parlato lei, la ragazza aveva risposto a Cloud.

«Ok.» ringhiò, trascinando Cloud verso la sala d’aspetto, seguiti da Meteor.

«Aspettate… gli animali non possono…»

«Vuoi tenerlo tu??» gridò Tifa, senza nemmeno voltarsi. Spalancò le porte della sala, per trovarla piena di bellissime, giovani ragazze.

“Oh ma dai!!”

Tutte le teste si voltarono a guardarli, per indugiare poi su Cloud. Chi più, chi meno, lo stavano tutte osservando con interesse.

«Dai andiamo, ci sono due posti laggiù!» disse Tifa, sostenendo Cloud per non farlo cadere. A quella vista, due ragazze vicino all’ingresso si alzarono.

«Sedetevi qua, non farlo camminare fino in fondo alla sala.»

«Secondo me non ci arriva nemmeno.» 

Tifa si costrinse a ringraziarle con un sorriso tirato, e aiutò Cloud a sedersi; lui si abbandonò a peso morto sulla sedia, appoggiando la testa alla parete e chiuse gli occhi. Meteor gli saltò immediatamente in grembo. Alcune delle presenti si lasciarono sfuggire dei sospiri.

Da alcuni discorsi che ripresero dopo qualche momento, Tifa capì che quella mattina il palco di un concorso di bellezza aveva ceduto; gran parte delle partecipanti erano lì solo per un controllo, mentre quelle che avevano riportato ferite erano già state soccorse.

“Cosa ho fatto di male stamattina??” si chiese Tifa, alzando gli occhi al cielo.

«Ma che carino!» esclamò una ragazza seduta di fronte a loro. «È la prima volta che ne vedo uno così!»

“Spero per te che tu stia parlando di Meteor.” pensò Tifa, riuscendo a mantenere il sorriso di circostanza. Molti degli occhi erano tornati su di loro.

«È un vero pulcino di chocobo?» continuò la sconosciuta, osservando i due biondi con vivo interesse. 

Cloud riaprì gli occhi per capire se la ragazza stesse parlando con lui. 

«Si.» rispose seccato, prima di chiudere di nuovo gli occhi.

“Bravo. Forse non ti ucciderò.” pensò Tifa, accarezzandogli il braccio. Lui le prese la mano e la strinse, dando con l’altra un buffetto a Meteor, che stava soffiando.

“Beccatevi questa, modelle.” si disse Tifa, guardandosi intorno trionfante. Parecchie facce non si sforzavano di dissimulare la delusione. La ragazza seduta di fronte a loro, invece, non sembrava volersi arrendere.

«Posso accarezzarlo?» chiese, avvicinando una mano.

Meteor soffiò e fece per mordere la ragazza. Fulmineo, Cloud aprì gli occhi e allontanò il pulcino, che iniziò a divincolarsi e starnazzare furioso verso la ragazza, che strillò terrorizzata e scappò a sedersi più lontano.

«KUEEEEEEEEH!» (Meretrice!! Non osate toccare la mia genitrice!!)

«Stai buono!» esclamò Cloud. Il pulcino smise di agitarsi e Cloud lo posò di nuovo sulle sue gambe, dove rimase a lanciare occhiate torve alle altre ragazze.

“Mi inizi a stare simpatico, piccolo mostro” pensò Tifa, sorridendo.

«Sembra che gli piaccia esclusivamente tu.» commentò, a voce abbastanza alta.

«Sembra di sì.» rispose il ragazzo, posando di nuovo la testa contro il muro. 

«Come stai?»

«Meglio.» mormorò lui, continuando a tenere gli occhi chiusi.

«Uh, lo vedo… spero che ci facciano entrare presto.» commentò lei, guardandolo preoccupata.

«... ma quindi…»

«Si?»

«Sono… ancora il tuo ragazzo?»

«Questa è la tua preoccupazione?»

«...»

«Certe volte non ti capisco. Che bisogno c’era di rischiare la vita? Non abbiamo… non hai già rischiato abbastanza?»

«Non lo so…»

«Non sei felice così?» chiese lei, con una nota di tristezza. 

«Non è quello!» disse in fretta lui, temendo un fraintendimento.

“Ma proprio adesso che non mi reggo in piedi dobbiamo parlare?”

«E allora cosa? Abbiamo il bar, hai le consegne… stiamo insieme...»

Lui sospirò.

«Non lo so nemmeno io perché l’ho fatto… ma combattere mi ha fatto stare... bene.» ammise.

«Anche fosse… non va bene, devi trovare qualcosa che sia meno pericoloso!» dichiarò Tifa.

Cloud si sforzò di rialzare la testa e guardarla, ma non trovò nulla da dire. Tifa ricambiò lo sguardo per un momento, poi si prese la testa tra le mani. 

«Io ti capisco, Cloud; forse sono la persona che ti capisce di più in assoluto… ma certe volte, è complicato. Questo continuo decifrarti a volte mi logora. A volte, mi piacerebbe di più che tu mi dicessi tutto quello che pensi… quello che provi.»

«So che per te è difficile… e va bene così.» aggiunse prima che lui potesse replicare. «Sei fatto così.»

Cloud stava per parlare, quando la porta della sala d’aspetto si aprì ed entrò la ragazza della reception. Si concesse un momento per guardare il ragazzo con il chocobo, poi annunciò:

«Signorina Bigtitsworth, tocca a lei.»

Una delle modelle si alzò e si avviò con la receptionist.

«Hey! Lei non ha niente che non va, a noi quando tocca??» urlò Tifa, alzandosi a sua volta.

«Tifa…» mormorò Cloud, alzandosi per seguirla. Meteor saltò giù, indignato, ma lo seguì.

«Le ragazze sono qui da un po’ ormai, cerchiamo di smaltirle…»

«Il mio ragazzo mi sembra un caso più urgente!! Sta male!»

«... Tifa…» insistette Cloud, che sentiva il pavimento e l’intera stanza girargli intorno.

«Signorina, non mi sembra che il suo ragazzo stia così male. Capisco che sia preoccupata, ma deve attendere il suo turno.»

«Ma sta scherzando!?» sbraitò Tifa. «Non sa cosa gli è successo, non mi tratti da modella senza cervello!»

Tutte le ragazze nella sala trasalirono, indignate.

«Tifaah!»

Cloud non riuscì ad aggrapparsi in tempo al braccio della sua ragazza, cadendo come un sacco di patate verso il pavimento. Fortunatamente, non era la prima volta che Cloud perdeva conoscenza in sua presenza, quindi Tifa, con prontezza di riflessi, lo afferrò al volo prima che si schiantasse a terra.

«Ora ci credi?? Fammi strada e chiama un dottore!» urlò, guardando in cagnesco la receptionist.

«Medico!» strillò la donna, correndo in tutta fretta fuori dalla stanza.

 

***

 

Tifa camminava avanti e indietro di fronte alla porta chiusa, imitata da Meteor, stranamente silente e civile.

Il suono del suo cellulare le strappò un piccolo urlo di paura: era Andrea.

«Ciao Tifa! Che piacere sentirti, come sempre d’altra parte…»

«Quando volevate dirmi che Cloud partecipava ad un torneo!??» lo interruppe Tifa, con voce vibrante di rabbia.

«Io l’ho scoperto quando l’ho visto in arena! Ed ho tentato in tutti i modi di dissuaderlo.» si difese lui.

«Si, me lo ha detto. Potevate comunque avvisarmi!» puntualizzò la ragazza.

«Sì, potevo. Forse avrei dovuto.» ammise l’entertainer, «... però mi rifiuto di trattare Cloud come un bambino e te come la sua mamma.»

Tifa rimase interdetta per un attimo. Non era la sola a conoscere bene il suo ragazzo e non sapeva dire se la cosa le piacesse.

«Comunque, chiamo per avvisarti. In finale Cloud è stato morso da cani che portavano…»

«Materie venefiche!! Lo abbiamo scoperto! Grazie per la tempestività, Cloud è svenuto tre volte stamattina!» disse sarcastica Tifa.

«Spero siate all’ospedale.»

«Certo che siamo all’ospedale!» esclamò Tifa.

«E come sta?»

«Fuori pericolo, ma ancora non mi fanno entrare a vederlo.»

«Bene… mi da un grande sollievo. Chocobo Sam è stato radiato da futuri tornei e quel delinquente che aveva assoldato non causerà più problemi a nessuno. Ah… mi sono permesso di prelevare la vincita di Cloud e di conservarla per quando si sarà ripreso.»

«E ti hanno lasciato farlo?»

«My dear, quando ti chiami Andrea Rhodea ti è permesso un po’ tutto, da queste parti.»

Tifa alzò gli occhi al cielo.

«Tranne toccare il mio ragazzo. Non dimenticartelo.»

«Uuuh, oggi siamo gelose? C’entrano forse qualcosa le povere ragazze ricoverate?» ridacchiò l’entertainer.

«Come fai a saperlo??»

«Beh, indovina chi era il giudice onorario della competizione! Speravo tanto vincesse quella… come si chiamava… Hardnipsborough, ma mi stavo davvero annoiando. Poi una trave disgraziatamente l’ha colpita in testa.»

Tifa emise un sospiro esasperato.

«Signorina Lockheart?» la chiamò un giovane medico che si era affacciato dalla porta. «Può vederlo adesso.»

«Si, eccomi. Ti devo lasciare, Andrea.» 

«Oh, il mio cuore si spezza! Ma vai pure, ci vedremo in settimana.»

Tifa chiuse bruscamente la chiamata ed entrò. Cloud era steso su un lettino e sembrava addormentato, ma aprì gli occhi appena la sentì entrare e si girò subito a guardarla.

«Potrebbe lasciare fuori il chocobo?» chiese il dottore, leggermente contrariato.

«Per il nostro bene, no.» rispose secca Tifa.

Meteor rincarò la dose arruffando le penne e soffiando verso il dottore, che si allontanò di qualche passo e riprese in mano una cartellina.

«Il suo ragazzo ha una resistenza straordinaria! Aveva abbastanza veleno in circolo da ammazzare tre uomini adulti. Gli abbiamo somministrato dell’antidoto e vorremmo tenerlo in osservazione per oggi.»

«No. Non ci rimango qui.» rispose Cloud, categorico. Meteor si issò sul lettino e si mise a mordicchiarlo, felice.

«No. Non ci rimane qui.» gli fece eco Tifa. Cloud la guardò sorpreso, ma grato. 

Il medico sospirò, cercando di mantenere la calma.

«Firmate le dimissioni e vi lascio andare. Ho avuto abbastanza donnine isteriche oggi.»

I due lo guardarono male per un attimo, ma poi Tifa gli chiese:

«Parla delle modelle?»

«Si!! Non ne posso più!» esplose il dottore, «Tre quarti di loro non avevano NULLA! Si erano solo spaventate, eppure sono venute qui a riempirmi la giornata di NULLA! Solo quella poverina… quella…»

«Hardnipsborough?» suggerì Tifa.

«Si, quella! Trauma cranico… le altre al massimo avevano fastidiose doppie punte!» disse sarcastico il dottore. Tifa lo guardò con più simpatia.

«Una cosa, prima che andiate» disse lui, andando verso Cloud. «Dato che stanotte non vuole restare, signor Strife, le faccio un’iniezione di antidolorifico.» disse, mentre aspirava il contenuto di una boccetta con una siringa.

«Visto che oltre al veleno, è coperto di ematomi e ferite, nonché sospette fratture di scapola e clavicola...» aggiunse, «... credo sia il caso.»

Cloud sgranò gli occhi alla vista della siringa.

«È proprio necessario?» domandò. Il medico finse di non aver notato il fremito di paura.

«Se non te la faccio, stanotte vedrai le stelle, fidati. Meglio una puntura e una bella dormita che una notte in preda ai dolori. Ah, e almeno due settimane di riposo.»

«Non è un po’ troppo?» chiese Tifa, notando la siringa quasi piena.

«Considerando che parliamo di un SOLDIER… devo usare un dosaggio ad hoc.»

Cloud annuì e tenne fermo Meteor, che soffiava in direzione della siringa.

“Se potessi, lo morderei anche io.” pensò, mentre evitava di guardare il medico che gli affondava l’ago nel braccio senza tante cerimonie.

«Molto bene… ci siamo. Vi terrei ancora qui, ma ci sono altre modelle che credono di essere ad un passo dalla morte.» disse il dottore, congedandoli.

 

***

 

«Ancora un paio di gradini, grande lottatore. Resisti.»

«Tiiifa… sai che ho lottato benissimo…?»

«Si, me lo hai detto.»

«C’era una tipa… con le catene. E dei cani… erano tanti, enormi… e tanti.»

Tifa alzò gli occhi al cielo e sospirò. Altri particolari che le aveva già riferito.

“Quanto antidolorifico c’era in quella siringa??”

«Tiiifa…»

«Dimmi…»

«Devo andare in bagno.»

«Cosa stai cercando di dirmi?» chiese lei, che non aveva per niente voglia di scherzare.

«Niente… anzi, ci ho ripensato, non devo andare in bagno.»

Tifa non credeva di possedere così tanta pazienza. Entrarono nella stanza di Cloud, sempre con Meteor che cinguettava caracollandogli dietro.

«Tu a letto devi andare! Ora hai anche un peluche.»

«Mi piacciono i peluche… basta che non siano di Red XIII. Era ispido.»

Lo fece sdraiare, senza neanche darsi cura di spogliarlo. Il pulcino saltò tutto allegro sul letto e si acciambellò sullo stomaco di Cloud.

«... tu non resti con me?» domandò supplichevole il ragazzo.

«No. Non te lo meriti.» rispose lei, piccata.

«... sei cattiva! Mi fa male tutto, sono malato! Lo ha detto il dottore, ho le doppie punte!» si lamentò Cloud.

«Tu sei stupido, ecco cosa sei. E strafatto!»

“Dose ad hoc un cavolo!”

«Lasceresti un povero malato di doppie punte da solo…?»

Cloud alzò una mano implorante verso di lei.

«Buonanotte, Cloud.» disse Tifa, alzandosi dal letto.

L’ultima cosa che Cloud vide, prima di soccombere all’antidolorifico, fu la sagoma di Tifa che abbandonava la stanza.

Si svegliò in piena notte: le medicine iniziavano a perdere efficacia e tutti i dolori ricominciavano a comparire. Meteor dormiva beato con il corpo sulla sua pancia e la testa che ciondolava da un lato.

“Piccolo malefico pennuto… dovevamo quasi morire, per farti affezionare?”

Girò la testa dall’altra parte e notò Tifa. Era sdraiata vicino a lui ed era sveglia.

Lo guardò per un attimo, poi sorrise e gli mise un braccio intorno al petto.

«Sei reale?» chiese, temendo di avere davanti un’allucinazione indotta da farmaci, dolore e veleno.

«No, sono un parto della tua mente drogata dall’antidolorifico.» rispose lei.

«Era un si?»

«Zitto e dormi.» disse Tifa.

«Ok…» biascicò lui, tornando rapidamente nel mondo dei sogni.

“Sei proprio carino strafatto, brutto idiota!” pensò Tifa, stringendolo un po’ di più.

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Capitolo 6
*** Loving on the Edge - Parte 1 ***


Capitolo 5
Loving on the Edge




Cloud si svegliò di colpo, dopo una notte di sogni folli indotti dalle medicine. Meteor si spaventò per il brusco risveglio, starnazzando e agitando le ali, ma si calmò subito e iniziò a strusciarsi su di lui.

«Kueeiih! Kueeiih!» (Madre! Vi contorcevate nel sogno, come preda di orride visioni! E vi olezza il fiato!)

«... buongiorno…» biascicò Cloud, con la bocca impastata dal sonno. Tifa non c’era.

“Eppure mi ricordo vagamente di aver dormito con lei… sarà stato un sogno.” pensò, accarezzando il chocobo. Sentì dei passi in corridoio, e dopo poco tempo Tifa fece capolino dalla porta.

«Ben svegliato, eroe gladiatore. Come ti senti?»

«Uno schifo poco eroico.» ammise il ragazzo, tentando di mettersi a sedere.

«Stai fermo lì, torno subito.» disse lei, sparendo di nuovo in corridoio. Cloud rimase a guardare la porta, domandandosi cosa stesse succedendo.

Poco dopo Tifa riapparve portando un vassoio colmo di caffè, latte, biscotti e succo di frutta.

Cloud sgranò gli occhi e raddoppiò gli sforzi per mettersi seduto. La ragazza poggiò il vassoio e lo aiutò a sistemarsi i cuscini.

«Non ti ci abituare. Voglio solo che tu stia riposato.»

«... grazie.»

«Non te lo meriti e non ti ho perdonato.» continuò, mentre zuccherava il caffè.

«Ok…?»

«Sei stato incosciente, irresponsabile e mi hai fatto preoccupare da morire!» disse, porgendogli i biscotti.

«Kueeh?» (Sono preda di un mastodontico bisogno di nutrimento…)

«No!» esclamò Tifa, allontanando il cibo dallo sguardo implorante di Meteor.

«Ma… veramente li mangia.» intervenne Cloud.

«Quanto è che non mangia??» esclamò lei di colpo.

«Da ieri mi sa.»

«Allora vado a prendere il suo cibo! Servirebbe una ciotola per lui… vedo se trovo qualcosa al bar!»

«Dai, ci penso io appena ho fatto colazione…» 

Tifa sparì di nuovo nel corridoio, ignorandolo completamente.

«Kueeh?» (Madre, non negatemi del companatico, vi imploro!)

«Si, tieni.» concesse Cloud, dandogli un biscotto. Il chocobo lo ingoiò tutto contento, poi tornò allo sguardo implorante.

«Devo imparare come si fa…» mormorò il ragazzo, allungando un secondo biscotto al pulcino. Tifa tornò prestissimo con una delle ciotole per salatini del bar, colma di mangime.

Meteor saltellò felice e iniziò a divorare tutto appena riuscì a tuffare il becco nel cibo, senza curarsi della ragazza.

«Dai… almeno non mi ha morso.» sospirò Tifa, guardando il pulcino ingozzarsi.

«Fai colazione con me?» chiese Cloud.

«Mio bell’eroe senza macchia, per me è ora di pranzo.» lo prese in giro lei.

«Davvero?»

«Si… quel dottore ha esagerato con l’antidolorifico. Eri buffissimo ieri sera.»

Cloud arrossì.

«Tremendo! Sostenevi di essere malato di doppie punte!» ridacchiò la ragazza.

«No, non è vero.» rispose il ragazzo, distogliendo lo sguardo.

«Si invece! Non solo, continuavi a dire che avevi combattuto benissimo.»

«Beh, effettivamente…»

Tifa alzò gli occhi al cielo.

«Forse stare inchiodato a quel letto per qualche tempo ti farà capire quanto sei scemo.» concluse, uscendo di nuovo dalla stanza.

Nonostante quelle parole, Cloud sperò che la convalescenza durasse molto tempo.

 

***

 

«Tifa, non ne posso più!»

«Che c’è? Ti fanno male le doppie punte?»

«No, sono stufo di stare in questo letto! Mi annoio, non ce la faccio più!»

«Cloud… non è nemmeno un giorno che stai lì.»

«Sembra un’eternità! Non ho niente da fare!»

«Potresti rimuginare su quello che hai fatto.»

«Già fatto.»

«E…?»

«Ammetto che… non è stata una buona idea. Però sono stato anche sfortunato, poteva andare meglio!»

Tifa sospirò fortemente.

«Evidentemente devi stare un altro po’ a letto a rimuginare. Facciamo progressi ma non ci siamo ancora.»

Cloud la guardò con la migliore faccia da cane bastonato che riuscì a imitare. Tifa aggrottò le sopracciglia.

«Stai cercando di farmi pena?»

«No… no no. No. Sta funzionando per caso?» domandò lui speranzoso.

«Se vuoi, sposto la televisione qui.» sospirò la ragazza.

«Sarebbe bellissimo! Ma se vuoi ci penso io.»

Tifa sospirò di nuovo, anche se stavolta sembrò più un ruggito, e lasciò la stanza. Meteor si alzò e si stiracchiò, sbadigliando.

“Mmmh… potrei provare ad addestrarlo nel frattempo.” si disse Cloud.

In quel momento sentì dei passi pesanti salire le scale. Si stupì, pensando che Tifa avrebbe potuto anche aspettare un pochino per spostare il televisore; si stupì ancora di più quando vide Andrea entrare nella sua stanza.

«Buonasera, giovane idiota!» disse, con la sua solita teatralità condita di rimprovero.

«Ciao, Andrea. Chi ti ha fatto entrare?»

«Quelli come me entrano ovunque! E in chiunque, ma è un altro discorso.»

«Sono stata io!! Ha promesso di fare il bravo!» gridò Tifa, dalla tromba delle scale.

«E intendo mantenere la promessa, my dear!» le gridò Andrea, di rimando.

«Che… fai qui?» chiese Cloud, mentre Meteor gli saltava in grembo e iniziava a mordicchiargli le dita.

«Oh, ma com’è diventato adorabile questo chocobo… tutto il contrario del suo padrone! Così sgarbato da chiedere ad un amico che ci faccia al suo capezzale!»

«Che vuoi tu dai miei capezzoli??» esclamò scandalizzato il ragazzo.

«Capezzale! Significa che sono venuto a vedere come stai, inerudito!»

«Ah… scusami.» mormorò lui, arrossendo.

«Pensi sempre male di me! Non capisco come mai!»

Cloud lo guardò in modo eloquente.

«Mi sento veramente offeso dalle tue insinuazioni! Dopo tutto quello che ho fatto per te dopo la finale dell’altro ieri!»

«Non ricordo queste cose che hai fatto. In effetti, non ricordo molto dopo che l’ultimo cane mi ha atterrato.»

«Quindi non ricordi come io mi sia gettato nell’arena e, a mani nude, abbia sottomesso sia la bestia che il suo padrone, portandoti poi via sul…»

«Andrea… ti prego.» disse Cloud, con voce carica di esasperazione.

Persino Meteor lo stava guardando inclinando la testa, con sguardo interrogativo.

«Kueee?» (Che baggianate va mai dicendo costui?)

«Questa in effetti voglio sentirla anche io.» disse Tifa, spuntando da dietro la porta.

«Ehm… molto bene! Racconterò tutto… si!» disse Andrea, esitante.

L’entertainer cominciò a raccontare gli avvenimenti di cui era stato testimone; i due ragazzi dovettero sorbirsi un quasi insopportabile infiorettamento di ogni particolare, per poi estrapolare la verità da quel racconto rocambolesco.

«Davvero i gatti si chiamavano Benda e Sutura??» chiese ad un certo punto Tifa.

«L’unico particolare che ti suscita un dubbio è questo? Devo cambiare carriera, potrei scrivere libri per bambini!» esclamò Andrea, tutto tronfio.

«Ho un vago ricordo dell’infermiera, ora che me lo racconti… era vecchia e brutta! Bruttissima!» si sbrigò ad aggiungere, sentendo la mano di Tifa che aumentava la stretta sulla sua.

«Andrea… è un’ora che parli! Facci un riassunto della prossima parte, ti prego!» disse Tifa, esasperata.

«... e Cloud tornò finalmente a casa. Fine!» concluse l’entertainer, sbrigativo.

«Come avete fatto a farlo rientrare senza che io sentissi nulla??» lo incalzò la ragazza.

«Ah, nulla di che… èstataquellassassinaconlacatena.» rispose Andrea a bassa voce.

«Cosa??» chiesero i ragazzi all’unisono. 

«Dovevamo affidarti a una persona silenziosa e... abbastanza forte da portarti… e silenziosa! Quindi c’era una sola scelta…» riprese l’uomo, evasivamente.

«Aspetta… mica intendi dire che è stata quella pazza con la catena?» esclamò Cloud.

«Catena! Ecco come si chiamava, sono un disastro coi nomi complicati…»

«Una assassina è entrata in casa mia?? Per rimettere a letto il mio ragazzo??» strillò Tifa.

«Mi hai lasciato in balia di una che in arena aveva cercato di farmi a brandelli?? Mentre ero svenuto??» aggiunse Cloud.

«Non c’è di che, ragazzi! Un lavoro ben eseguito.» rispose Andrea, come se nulla fosse.

«Non è ben eseguito!» gridarono entrambi i ragazzi.

«Ha funzionato, no? Tutti felici e contenti. E comunque era affidabilissima, ti ha salvato lei dalla lama del Beastmaster. Infatti, se non sbaglio l’hanno nominata presidente onoraria del tuo fan club.»

Andrea si tappò la bocca con la mano, ma ormai era tardi; Tifa si stava lentamente voltando verso Cloud.

«Non c’entro niente.» disse subito Cloud.

«Adesso hai anche un fan club??» chiese Tifa, con calma glaciale.

«Non l’ha fondato lui! È nato spontaneamente durante le sue esibizioni nell’arena.» tentò di aiutarlo Andrea.

«E questa… pazza è la presidente.» disse Tifa, gli occhi ridotti a fessure.

«Non mi sembrano persone dotate di molto cervello. Avevano messo degli striscioni imbarazzanti sugli spalti.» continuò l’entertainer.

«Grazie Andrea, cercavo proprio di dimenticarli.» borbottò Cloud, passandosi una mano sulla fronte.

«Aspetta di sapere dove sono stati messi.»

«Cosa intendi?» chiese il ragazzo, preoccupato.

«Mi hanno chiesto di appenderli fuori dall’Honeybee.»

Cloud lo guardò, orripilato.

«Tu non lo hai fatto, vero?»

«L’ho fatto, ma sai… vento, pioggia… combustione spontanea indotta… possono succedere tante cose a striscioni lasciati incustoditi.»

I ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.

«Ora vi lascio… non posso tenervi tutti per me, quando ci sono tante altre persone che vogliono vederti.» dichiarò Andrea.

«Tipo chi??» chiesero i ragazzi, guardandosi con preoccupazione.

“Oddio ma continuiamo a dire le cose insieme!” pensarono, di nuovo all’unisono ma a loro insaputa.

«Beh, i ragazzi per esempio… Ronnie e Jay, Jules… sono sicuro che anche il tuo fan club tenterà di irrompere.»

«Ci devono solo provare.» disse lentamente Tifa, stringendo di nuovo la mano di Cloud. Lui cercò invano di riprendersela prima che lei la stritolasse.

“Ahia. Sono convalescente!”

«Arrivederci, my darlings… il dovere mi chiama!» disse infine Andrea, congedandosi.

Cloud e Tifa rimasero per qualche momento in silenzio, guardando il vuoto. Meteor si arrampicò fino ai cuscini del letto e sbadigliò sonoramente.

«Abbiamo salvato il mondo… e nessuno ci ha calcolati. Poi tu sconfiggi due cretini in un torneo, e di colpo sei la nuova celebrità della città.» disse Tifa. Non sembrava che la considerasse una cosa positiva.

«Già…» disse Cloud, che concordava con lei.

Tifa si alzò dal letto e gli stampò un bacio sulla guancia.

«Non montarti la testa, celebrità. Sono sempre arrabbiata con te.»

«Lo so…»

«Vado a prenderti la tv, così non ti annoi.»

Si avviò giù per le scale. Cloud si stese di nuovo, ma schiacciò inavvertitamente Meteor, che starnazzò indignato e si spostò, riaddormentandosi.

Dopo pochi minuti sentì nuovamente parlottare e dei passi nel corridoio.

“No, altre visite no!” pensò disperato. Si gettò sui cuscini e fece finta di dormire.

Tifa entrò nella stanza, seguita dal dottore che li aveva dimessi dall’ospedale.

«Oh… se sta riposando posso passare domani…» sussurrò lui.

«Cloud, non stai dormendo! Eri sveglio tre minuti fa!» disse Tifa, ignorando il dottore e tirando un colpetto sulla gamba di Cloud.

Cloud sospirò e si alzò, facendo un cenno di saluto.

«Sono venuto a controllare come stai.» annunciò il dottore, tirando fuori dalla sua borsa degli strumenti.

«Ma sto bene!» obiettò il ragazzo. 

«Sono io il medico in questa stanza, decido io. Un collega mi ha spedito le tue analisi e nonostante tu sia un SOLDIER...»

«Ex-SOLDIER…»

«... ok, sei stato un SOLDIER. Nonostante questo, avevi dei valori che ho visto solo nei casi di overdose, o in chi era già morto di overdose. Voglio assicurarmi che tu stia bene.»

Il medico cominciò la sua visita, che durò per qualche minuto. Alla fine chiese a Tifa di uscire dalla stanza. La ragazza rimase perplessa ma obbedì. Alla vista della siringa che il dottore tirò fuori dalla sua borsa, Cloud rabbrividì.

«Se senti ancora dolore, posso…»

«No!» disse immediatamente Cloud.

«Paura delle siringhe o la dose di ieri era troppo elevata?» chiese il giovane medico, con sincera curiosità. 

«Forse entrambe… la prima di sicuro.» 

«Scusami… spero tu non abbia delirato troppo, o te ne sia uscito con frasi imbarazzanti.»

«Ehm… no.» mentì Cloud.

«È che ho sempre solo studiato sui libri come funziona la biologia alterata dei SOLDIER, e non siete nemmeno tutti uguali. Ma non permetterei mai che per ignoranza ti succedesse qualcosa, altrimenti mia moglie mi lascerebbe.»

«Cosa?» chiese Cloud.

«Io volevo venire qui di mio, ma lei mi avrebbe convinto comunque… fa parte del tuo fan club.» 

«Ah… mi dispiace, non c’entro nulla con quel club.» disse il biondo, abbassando la testa, mortificato.

«Lo so… in verità sostiene di averlo fondato lei.»

Cloud desiderò di sprofondare nel letto e non uscirne più. Il dottore ridacchiò, divertito.

«Comunque… tornando a noi. Ti lascio queste pasticche, visto che non ti piacciono gli aghi. Prendine un paio… o anche tre, se i dolori tornano troppo intensi.»

«Grazie.»

«E mi raccomando! Niente sforzi, niente arene, niente alcolici e niente esibizioni di danza.»

Cloud spalancò gli occhi, avvampando.

«Io e mia moglie frequentiamo l’Inn. Siamo stati abbastanza fortunati da vederti tutte e due le volte!» spiegò in tono leggero il dottore.

“Gaia inghiottimi Gaia inghiottimi Gaia inghiottimi…”

«Fantastiche esibizioni! Spero che ti rivedremo, quando starai meglio.» disse, calcando le ultime parole.

«Eh…» esalò Cloud, che non riusciva a smettere di arrossire.

«Bene, il mio lavoro è finito. Torno dalla mia signora, prima che fondi un altro club. Arrivederci.»

Abbozzando un mezzo inchino, il medico uscì dalla stanza. Lo sentì scendere le scale e scambiare qualche parola con Tifa, prima di uscire dal bar.

 

***

 

Cloud riaprì gli occhi la mattina successiva con un braccio attorno a Tifa e uno attorno a Meteor. Nonostante stesse sudando copiosamente, si sentì quasi felice.

Poi Meteor gli allungò una zampa sul viso, rischiando di cavargli un occhio con gli artigli, mentre Tifa gli dava involontariamente un pugno stiracchiandosi.

Si divincolò, svegliandoli entrambi.

«Uffa, Cloud… dormivo così beneeeh…» biascicò la ragazza, girandosi verso di lui.

«Ma mi hai dato un pugno!» protestò Cloud, levandosi la zampa del chocobo dalla faccia.

«Kueeh!»(Madre, c’è una presenza aliena nel nostro nido!) si lamentò lui; si girò quasi subito e si gettò tra lui e Tifa, mordicchiandolo allegramente.

Tifa grugnì di disappunto, mentre Cloud cercava di spostarlo di nuovo.

«Questo letto è troppo piccolo per tutti e tre.» sentenziò Tifa.

«Forse potremmo trovargli una cuccia.»

«Forse potremmo rimetterlo nella gabbia di notte. O farlo al forno con le patate.» fece ironica la ragazza. Meteor soffiò brevemente.

«Ma come fa a capire…» mormorò Tifa, stupita.

«Non mi sembra una buona idea, ne è già uscito. Poi non ci farebbe dormire.» disse Cloud velocemente.

«Mmmh… potrei cercare nel negozio di animali!» propose Tifa, alzandosi e stiracchiandosi. La leggera maglietta si alzò, rivelando i fianchi e parte della schiena. Cloud rimase incantato a guardare, senza sentire cosa gli stava dicendo la ragazza.

«Hey!»

«Cosa?»

«Ti ho chiesto se ti serve qualcos’altro!»

“Oddio se ne sarà accorta! Che faccio?”

«No no, non mi serve niente.»

«Ok… comunque ho avuto molto caldo stanotte, magari potrei dormire senza maglietta…» disse la ragazza, in tono leggero. Cloud tossì rumorosamente, lamentandosi subito dopo dei dolori.

«Visto che mi guardi solo senza maglietta…» gli bisbigliò maliziosamente lei all’orecchio. Poi si incamminò verso la porta, ancheggiando in modo seducente, ma inciampò nelle lenzuola e cadde rovinosamente a terra.

Cloud fu scosso da risate che non riusciva a trattenere, nonostante ulteriori dolori al torace. Meteor si unì al chiasso starnazzando allegro.

Tifa si girò per rispondergli a tono, ma rimase incantata dal vederlo ridere. Alla fine, si lasciò contagiare dalle risate.

«Che vuoi per colazione?» gli chiese, rialzandosi.

«... me la prepari di nuovo tu?»

«Non abbiamo molta scelta… eroe.» rispose lei con tono eloquente.

«Allora per me il solito, grazie.»

«Sei fortunato ad avere una ragazza cameriera, cuoca e barman!» disse ancora Tifa, uscendo dalla stanza.

“Nonché maestra di arti marziali…” aggiunse silenziosamente il ragazzo, mettendosi seduto. Si sentiva parecchio indolenzito, ma per fortuna non sentiva troppo dolore. Gettò un’occhiata al flacone di pillole sul comodino.

Meteor gli saltò in grembo, reclamando la sua attenzione.

«Kueeh?» (Madre, perché non mi date affetto?)

Lo accarezzò distrattamente, aspettando la colazione. Si sentì quasi in colpa che il suo regalo per Tifa fosse diventato un regalo per se stesso, ma considerando quanto era migliorata la situazione potevano ritenersi entrambi soddisfatti. Forse col tempo si sarebbe affezionato anche alla ragazza. 

Quella mattina Tifa uscì, lasciandolo per qualche tempo da solo con Meteor.

«Non ci sono tornei oggi, quindi forse posso pensare di ritrovarti qui, tutto intero?»

«Penso di si. Quanta sfiducia!» aveva risposto lui, imbronciato.

«Dammi torto!» gli aveva detto, baciandogli i capelli e uscendo.

“Non capisco se sta andando meglio o peggio!! Andrea, i tuoi consigli sono inutili!” pensò esasperato, abbandonandosi sui cuscini e venendo colto a tradimento da una fitta alla spalla.

Il chocobo passò tutto il tempo ad arrampicarsi sul letto per poi lanciarsi agitando le corte ali e starnazzando in modo comico.

«Kuiiiiieeeeh!» (Mi sento ad un passo da un grande balzo evoluzionistico!)

«È inutile, scemetto! Non volerai né adesso, né quando sarai grande!» gli disse Cloud, acchiappandolo al volo dopo l’ennesimo lancio. Il pulcino protestò, scalciando con le corte zampette, ma senza graffiarlo.

«Bisogna trovarti uno sfogo, signorino.» sentenziò il ragazzo, rimettendolo giù. Meteor si lanciò immediatamente dal letto.

«Sono tornata!!» gridò Tifa dal bar.

Meteor alzò la testa, girandosi da tutte le parti, poi prima che Cloud potesse fermarlo sfrecciò fuori dalla stanza, slittando sul pavimento liscio.

«Tifa, attenta!! Arriva Meteor!» gridò il ragazzo.

«Non è una frase molto bella!» rispose Tifa.

«Hai ragione!!»

«Comunque non sta facendo niente, ha solo fame!»

Cloud tirò un sospiro di sollievo e si alzò, non senza fatica, per andare a farsi una doccia.

Qualche minuto dopo aver finito, sentì Tifa arrivare nella stanza.

«Cloud? Dove sei?» chiese, preoccupata.

Meteor, che l’aveva seguita, si mise a grattare la porta del bagno, sordo alle proteste della ragazza. Cloud non si era ancora asciugato completamente, ma si legò l’asciugamano in vita e uscì in fretta.

«Cosa c’è?» chiese, trafelato.

Per un attimo i due si guardarono, imbarazzati; Tifa si era bloccata con in mano una voluminosa busta e la bocca semiaperta, ma il suo sguardo vagava libero e senza meta sul suo corpo. Il ragazzo, dopo l’iniziale imbarazzo, scoprì che non lo metteva a disagio essere guardato così, da lei.

«Tifa?» la incalzò, visto che non gli stava rispondendo.

Tifa si riscosse.

«Eh? Ah, scusami... volevo dirti che ho petto… preso la cuccia per Meteor, spero vada bene, l’ho bagnata-ehm, pagata un po’!»

«Sicuramente andrà benissimo.» disse lui, accennando un sorriso. Si riavviò indietro una ciocca di capelli bagnati che si era incollata alla fronte.

Tifa era imbambolata e stava rapidamente arrossendo.

«Te la… la… la-lascio qui! C’è anche un bello-un libro! Pe-pe-per te...» balbettò, poggiando la busta contro la parete, girandosi per nascondere le guance in fiamme.

«Forse anche io dovrei dormire senza maglietta…» disse casualmente Cloud, tornando in bagno.

Tifa proruppe in una risatina acuta, prima di uscire di corsa dalla stanza.

“Non mi è dispiaciuto per niente…” pensò il ragazzo, finendo di asciugarsi.

 

***

 

Una volta asciutto, Cloud esaminò il contenuto della busta: c’erano un grosso cuscino giallo, circolare e peloso, nonché un libro intitolato “Come addestrare il vostro uccello”.

Gli scappò una risatina, poi lesse il sottotitolo, molto meno scabroso: “Guida completa all’addestramento del chocobo”.

“Per un attimo ho pensato che avesse sbagliato libro…” pensò, sistemandosi sul letto e aprendo il volume con curiosità.

Riuscì a leggere solo la prima frase:

“Il chocobo è un nobile animale che da secoli accompagna l’uomo nei suoi viaggi, come animale da soma, da compagnia, da guerra e da sport.”

Cloud fece capolino da dietro il libro per guardare Meteor, che era sdraiato scompostamente sul letto, col becco semiaperto e la lingua fuori, il ventre gonfio di cibo. Si accorse che lo stava guardando e cercò di alzarsi, col risultato di cacciare un sonoro rutto per lo sforzo e poi franare giù dal letto.

“Nobilissimo animale…” pensò, inarcando un sopracciglio.

Sentì delle voci provenire dal bar. Tifa stava salutando qualcuno; più di qualcuno. Sperò ardentemente che non fossero altre visite per lui, ma poi sentì qualcuno dire “bro”.

“No. Digli che sto male! Digli che non posso vedere nessuno!! Digli quello che ti pare ma non farli salire!” pensò terrorizzato.

Dei passi calcarono i gradini della scala.

“No… no!”

Jay e Ronnie entrarono nella stanza, seguiti da Jules e, con grande sorpresa di Cloud, Catena. Il ragazzo si sentiva abbastanza a disagio ad essere disarmato in sua presenza, nonostante quello che gli aveva raccontato Andrea. Meteor si rintanò nel suo grembo, disturbato dall’irruzione.

«Ciao bro!! Come stai?» esclamò Jay.

«Bro! Ci hai fatti preoccupare!» gli fece eco Ronnie.

«Sono contento di rivederti!» disse Jules, sorridendo.

«Sono qui per finire quello che ho iniziato!!» gridò Catena, mettendosi in guardia.

Tutti la guardarono terrorizzati, ma lei scoppiò a ridere sguaiatamente.

«Hahahahaha!! Dovreste vedere che facce avete fatto!! Hahahahahaha!» disse la sicaria.

Tifa abbassò i pugni, ma non smise di squadrarla con sospetto.

“Bello scherzo del cazzo…” pensò Cloud, mentre rispondeva a gesti a tutti i saluti.

I tre uomini iniziarono a tempestarlo di domande, mentre Catena continuava a ridere del suo scherzo, tenendosi la pancia.

Tifa iniziò a spostarsi pian piano, fino a mettersi di fianco al letto.

«Bro, cavolo! Un torneo memorabile!»

«Non lo chiamerei memorabile, bro! Abbiamo rischiato di perderlo!»

«Parli di Cloud o del torneo?» insinuò Jules, guardandoli serio.

«Di… di entrambi, bro! Dai, bro, cosa cerchi di dire!» si affrettò a rispondere Ronnie.

Catena finalmente riuscì a smettere di ridere e si riprese, aggrappandosi a Jay per rialzarsi. Si avvicinò al ragazzo, sotto lo sguardo vigile di Tifa.

«Il tuo fan club, che io qui rappresento, ti manda tanti auguri di pronta guarigione!» esclamò, prendendogli la mano. Sia Tifa che Jay guardarono la scena con sguardo torvo.

«Ehm… grazie.» rispose Cloud, ritirando la mano.

«Non è escluso che passino da queste parti!» aggiunse Catena, allegramente. Cloud e Tifa si guardarono, preoccupati.

«Bro! Hai ritirato la vincita?» domandò Ronnie.

«Lo ha fatto Andrea.» rispose Jules, anticipando Cloud, «... e tranquillo. Lo sto controllando io.»

«Grazie, lo apprezziamo tanto.» disse Tifa.

«Ma quanti soldi sono per la vittoria, bro?»

«Centomila guil, tondi tondi! Con quattro zeri, bro!»

«Centomila non ha cinque zeri?» chiese Cloud, guardando i culturisti.

«... aspetta… ah, si! Pensavo che quello prima della virgola non si contasse, però!»

«Lascia perdere bro! La matematica non è il tuo forte!»

«Comunque, bro! Hai fatto nascere una storia d’amore, sbocciata in mezzo al sangue dell’arena!» annunciò Jay.

“Sangue per la maggior parte mio…” pensò Cloud.

«Io e Jay ora siamo… una coppia.» concluse Catena, stringendo il ragazzo con forza.

«Amo questa donna! È così… letale! Potrebbe uccidermi con un dito!»

«Non darle idee pericolose…» mormorò Jules, alzando gli occhi al cielo.

Cloud e Tifa sbarrarono gli occhi, guardandosi per un attimo.

«Ma… da quanto vi conoscete, esattamente?» chiese la ragazza.

«Stasera fanno… tre giorni!» rispose Jay, contando con le dita. Catena gli si attaccò alla bocca come se dovesse staccargliela con un bacio appassionato. Un forte disagio colse immediatamente tutti gli altri nella stanza.

«Quando l’ho vista vibrare quella catena… bro, il mio cuore ha vibrato anch’esso!» disse Jay, appena la donna si fu staccata da lui.

«Poesia, bro! Pura poesia!» esclamò Ronnie estasiato.

«E i suoi muscoli hanno fatto vibrare me…» aggiunse Catena, maliziosamente. Il disagio di Cloud si moltiplicava ogni secondo di quel dialogo surreale. Si girò e notò, con una punta di sollievo, che anche Tifa non sembrava a suo agio.

«Ehm… sono felice per voi…?» disse incerta la ragazza.

«Grazie!» esclamarono Catena e Jay, in coro.

«Gaia li fa e poi li accoppia… è sempre bello quando c’è del nuovo amore, nel mondo. Non siete d’accordo, ragazzi?» chiese Jules sognante, rivolto a nessuno in particolare.

«Comincio a sentirmi contagiato da questi discorsi poetici, bro!»

«Non si nota…» mormorò Cloud sarcastico.

Meteor era stato fin da subito irritato dalla presenza di così tante persone, ma in quel momento iniziò a soffiare e ad arruffare le penne.

«Oh, piccolo bro! Ti abbiamo disturbato?» chiese Jay. Meteor lo guardò torvo, come a rispondergli.

«Hahahahaha, mi sembra un si, quello!» rise Catena.

«Lasciamo l’eroe al suo riposo…» propose Ronnie, per poi aggiungere «... bro!»

«Dite molte volte quella parola.» disse Tifa.

«È il nostro marchio di fabbrica, bro!»

«Quando inizi a dire bro, non smetti più di dire bro!»

“Spero di non iniziare mai nemmeno per sbaglio, allora.” si disse Cloud, lisciando distrattamente le penne di Meteor.

«Ronnie ha ragione, forse dovremmo lasciare Cloud a riposare.» disse Jules, troncando il discorso dei due “bros”.

Cloud lanciò uno sguardo colmo di gratitudine al culturista, mentre tutti lo salutavano e uscivano dalla stanza accompagnati da Tifa. 

«Grazie anche a te…» mormorò, dando un buffetto sul muso di Meteor, che rispose mordicchiandogli la mano tutto felice.

 

***

 

Più tardi, quella sera, Tifa riuscì a cacciare gli ultimi clienti piuttosto presto. 

“Uff… ma non ce l’avete una casa??”

Non vedeva l’ora di andare di sopra a controllare che Cloud stesse bene, così sbrigò il minimo delle faccende e chiuse a chiave tutto.

Si diresse di sopra silenziosamente e sbirciò dallo spiraglio della porta di Cloud: il ragazzo era ancora sveglio, disteso sul letto a leggere il libro che gli aveva regalato. Contenta, andò nella sua camera e si diede una veloce rinfrescata. Indossò il pigiama e tornò dal ragazzo. 

Con suo grande disappunto, sia lui sia Meteor dormivano della grossa. Cloud era disteso su un fianco e abbracciava il pulcino, che russava leggermente.

Il libro era abbandonato sul comodino, accanto al flacone di antidolorifici in pillole che il dottore aveva prescritto in caso di necessità.

Tifa si avvicinò per controllare che Cloud stesse davvero dormendo: il suo respiro era regolare e il suo volto rilassato.

“Ma… dieci minuti fa eri sveglio…” pensò, delusa. Il muso del chocobo, seraficamente rilassato tra le braccia del suo fidanzato, sembrava prenderla in giro.

Tifa aggrottò le sopracciglia e per un momento pensò di andarsene a dormire in camera sua. Poi notò che il flacone delle pillole era semiaperto; lo ispezionò meglio e notò che il contenuto sembrava diminuito rispetto al giorno prima.

“Oddio, ma quante ne usa?” si chiese preoccupata. Non le aveva detto nulla, come al solito.

Sospirò e si sdraiò accanto a lui. Gli accarezzò piano i capelli, prima di chiudere gli occhi e provare a dormire.

 

***

 

Tifa si svegliò, ma non aprì gli occhi, ancora impastati di sonno. Voleva rimanere calda e sonnolenta ancora per un po’; anche se era troppo calda e si sentiva davvero scomoda.

Aprì mezzo occhio e constatò che era stretta tra le braccia di Cloud, mentre il calore percepito raddoppiava improvvisamente.

“Oooh… quindi ti addormenti col peluche, ma poi cambi… parafulmine che non sei altro.”

«Kueee.» (Pallida meretrice, siete sdraiata con la mia genitrice.)

Si voltò verso l’alto e incrociò lo sguardo contrariato di Meteor. Si fissarono per qualche minuto, poi il pulcino arruffò le penne e emise un basso soffio intimidatorio.

«Non mi fai paura, mucchietto d’ossa.» disse Tifa, sostenendo il suo sguardo.

«Kueeeh!!!» (Madre!! Smettete di stringere codesta megera!!)

Cloud si svegliò di soprassalto, girando la testa da tutte le parti. Tifa gliela bloccò con entrambe le mani e gli stampò un bacio sulle labbra.

«Buongiorno… bro!»

«No… ti prego… non farlo…» biascicò il ragazzo, cercando di allontanare Meteor che sembrava volerlo baciare a sua volta.

«Dobbiamo lavorare sulla cuccia… non sembra apprezzarla.» constatò la ragazza, guardando sconsolata il cuscino che giaceva in un angolo, ancora immacolato.

«Si… nel libro ci sono dei consigli…» disse Cloud, riuscendo finalmente a mettersi seduto. Meteor si infilò tra le sue braccia e si acciambellò sulle sue gambe, lanciando un’occhiata trionfante a Tifa.

“Questa è guerra.” pensò la ragazza, guardandolo torva.

«Kuee kue kueeeh!» (Un punto per me, usurpatrice di nidi!) canticchiò il pulcino.

“Piccolo stronzetto piumato… canta pure, io ho due o tre cosette che tu non hai!”

Il pulcino continuava a canticchiare e a strofinarsi addosso a Cloud, che non sembrava ancora del tutto sveglio. Tifa lo abbracciò da dietro, assicurandosi di stringerlo bene.

«Che avete stamattina…? Prima mi svegliate, poi fate i carini…» biascicò Cloud, ancora mezzo addormentato.

«Che ti va per colazione, bro?» trillò Tifa, senza lasciarlo andare.

«Che la smetti di chiamarmi bro. Non ho molta fame…»

La ragazza si fece seria.

«Non è che prendi troppi antidolorifici?»

«... no.»

«Ma… ti fanno male le ferite?» insistette lei.

«Ogni tanto.» ammise il ragazzo, senza guardarla.

«Che ti costa dirmi queste cose?» chiese lei, stringendolo di più, sorda allo starnazzare di Meteor.

«Non voglio che ti preoccupi troppo… già badi al bar.»

Tifa sospirò, rassegnata. Non le andava di discutere troppo di prima mattina.

«Qualcosa lo devi mangiare, su! Ti preparo dei pancake.»

«Ah, Tifa?» 

«Si?»

«Non… mi sono stufato di stare sempre qui. Voglio farti compagnia al bar, stasera.»

Tifa sospirò di nuovo. Doveva stare a riposo e c’erano dei lati positivi ad averlo sempre li, ma doveva ammettere che badare a lui, al pulcino e al bar stava diventando pesante.

«Va bene, ma appena ti senti stanco o non ti senti bene, torni di sopra.»

«Grazie.» rispose lui, girandosi e ricambiando l’abbraccio.

Meteor li fissò con odio; Tifa gli mostrò il dito medio.

“Prendi questa!” pensò, trionfante. Riuscì a spostare il dito in tempo per non farselo azzannare dal chocobo.

 

***

 

“Se lo guardano un’altra volta abbandono l’attività!!”

Tifa si stava pentendo di aver accettato la richiesta di Cloud di farle compagnia al bar quella sera; tutti gli occhi femminili e più di qualcuno di quelli maschili lo stavano squadrando da tutta la sera.

Non era stata una serata molto movimentata, ma per Tifa era stato sempre più difficile ignorare che la clientela guardasse senza ritegno il suo fidanzato.

Si era ormai tristemente abituata agli sguardi diretti a lei, che riusciva ad ignorare quasi completamente; questo era diverso.

La cosa che più di ogni altra la faceva impazzire era che lui non rispondesse a nessuno degli sguardi. Era completamente ignaro della situazione e le uniche volte che lo aveva visto alzare la testa era stato quando qualcuno le aveva parlato senza ordinare niente. Non poteva prendersela né con i clienti né con lui, quindi aveva fatto appello a tutto il suo autocontrollo e si era concentrata sul lavoro.

Tornò dietro al bancone e sospirò quando vide Cloud per l’ennesima volta intento a pulire dei bicchieri.

«Ti ho detto di non farlo! Ci penso io!» esclamò contrariata.

«Sto bene, voglio aiutarti.»

«Non dovresti stancarti.»

«Questo non mi stanca, posso farlo.»

«Ah bene, allora quando ti riprenderai andrai tu a prendere le ordinazioni!» scherzò, tirandogli una leggera sculacciata.

“Ma che sto dicendo, diventerei violenta se succedesse!” 

«Se ti aiuta…» rispose lui, provando a ricambiare lo schiaffo ma mancandola.

Lei lo guardò, sorridendo maliziosamente.

«Vedi che ancora non stai bene?» lo prese in giro. Lui alzò il mento, fintamente offeso, e si rimise a lavare i bicchieri.

“Si, si… metti il broncio. Quanto sei cariiiiino!!” pensò, prima di ricomporsi e tornare a lavoro.

«Cloud, ma… Meteor dov’è?»

«Era di sopra che dormiva nella sua cuccia, quando sono sceso.»

“Meno male, altrimenti avrei dovuto usare uno sfollagente per tenere lontani i clienti…”

«Ok!» disse, mascherando la sua preoccupazione a sapere il pulcino da solo di sopra.

Mentre finiva di preparare un bicchiere di birra, notò che una ragazza si era alzata da un tavolo e si stava dirigendo verso il bancone.

Si preparò a sentire la solita frase “potresti aggiungere un Cosmo al nostro tavolo?”, ma invece la ragazza si rivolse a Cloud:

«Scusami… sei Cloud Strife?»

A quelle parole, Tifa rischiò di staccare la leva dello spinatore. Il bicchiere che stava riempiendo si inondò di schiuma.

Si voltò verso Cloud, che sembrava molto a disagio e stava provando a balbettare una risposta.

«Ehm… beh s-si, sono io.»

«Il grande guerriero dell’arena!! Maa... lavori qui?»

“Dille di no. Dille. Di. No.” pensò Tifa, mentre eliminava l’eccesso di schiuma dal bicchiere.

«No… faccio un altro lavoro.»

«Oooh, lo sapevo che era impossibile che lavorassi in un posto così...»

“Hey, cosa intendi?? Brutta str…”

Cloud rimase interdetto per un attimo, guardando la sua interlocutrice che pendeva dalle sue labbra. Poi fece un mezzo sorriso imbarazzato e riprese a lavare i bicchieri.

«Ma allora... cosa fai qui?» insistette la ragazza.

«Aiuto la mia ragazza…» rispose Cloud, indicando Tifa. Lei rivolse il sorriso a trentadue denti più minaccioso che riuscì a produrre alla ragazza, godendosi la sua espressione affranta e lievemente preoccupata.

«Se hai finito di parlare con il mio ragazzo, volevi ordinare qualcosa?» chiese, con tutta la gentilezza di cui disponeva.

«Ehm… heheheh, veramente… no.»

La ragazza fece dietrofront e tornò al suo tavolo, guardando Tifa con risentimento.

Anche Cloud la guardò per un momento, incrociando il suo sguardo.

“Continua così, celebrità che non sei altro.”

La serata si concluse senza altri incidenti, ma con molte altre occhiate. Tifa cercò per tutto il tempo di calmarsi, conscia del fatto che non poteva prendersela con Cloud per tutti gli sguardi che attirava inconsapevolmente. Anche se era veramente difficile. Sapeva benissimo dell’effetto che Cloud faceva alle ragazze, anche più di Cloud stesso, e le era già capitato di doverselo contendere con un’altra persona; ma era come se il fenomeno fosse cresciuto esponenzialmente negli ultimi tempi, mettendo a dura prova la sua pazienza.

“Sarà l’effetto della fama…” pensò, cercando di scacciare dalla mente la rabbia. Lo osservò cercare di mettere via una bottiglia su uno scaffale in alto, facendo smorfie di dolore.

«Dalla a me, scemetto. Ci arrivo.» gli disse dolcemente, prendendo la bottiglia e allungandosi per metterla a posto. Lo schiocco della sculacciata che le arrivò rimbombò nel locale ormai vuoto.

«Si, in effetti mi sento meglio.» la prese in giro Cloud.

“Ma guarda tu che…” pensò lei, mettendo su un fintissimo e sensualissimo broncio. Appena lui la vide la strinse a sé e la baciò.

Dopo qualche breve secondo furono interrotti dall’inconfondibile starnazzare di Meteor, unito a schianti e rumori di distruzione in corso.

“Questa me la paghi, maledetto!”

«Presto!» gridò, correndo verso le scale seguita, più a rilento, da Cloud.

Arrivata in cima alle scale vide con orrore la porta della sua stanza semiaperta. Si precipitò all’interno, seguendo i versi rabbiosi del chocobo e, accendendo la luce, lo vide felicemente intento a vandalizzare il contenuto di uno dei suoi cassetti. 

«METEOR!» strillò Tifa. Al suono del suo nome, il pulcino si girò, per nulla spaventato, addentando un nuovo calzino con aria di sfida.

«Brutto…» ringhiò Tifa, ma si interruppe, notando dei brandelli di stoffa e frammenti di metallo sul pavimento che somigliavano terribilmente ai suoi guanti.

Cloud arrivò nella stanza, trafelato. Appena lo vide, Meteor lasciò cadere il calzino e iniziò a pigolare, guardandolo con sguardo affranto.

«I MIEI GUANTI!» strillò Tifa, furibonda, tirando su quello che ne rimaneva.

«Fuori dalla mia stanza!! Tutti e due!»

«Ma… Tifa…» 

«Ma un cavolo!! Sparite immediatamente!»

Meteor caracollò fuori tutto impettito, seguito da un dispiaciutissimo Cloud. Si avviarono verso la sua stanza.

“E mi sa che stanotte dormirò da solo.” pensò mestamente, mentre si sdraiava sul letto.

Meteor fu subito accanto a lui, strofinando il becco contro la sua mano.

«Oh no caro mio! Dormi sul tuo cuscino stanotte!» esclamò, indicandoglielo.

«Kueh?» (Ma… madre? Mi esiliate?)

«Hai capito benissimo! Ti sei comportato male, quindi dormi da solo pure tu!»

«Kueeee!» (Vengo dunque punito per aver fatto ciò che è giusto! Mondo ingrato e crudele!)

«Niente kuee! Mettiti qui!» gridò Cloud, portandolo verso il cuscino. Il pulcino pigolò di nuovo, guardandolo implorante.

«No! Il manuale dice che serve una mano ferma con te. Sei in punizione.»

Meteor passò dall’implorare al soffiare. Cloud lo fissò, torvo; il pulcino lo fissò a sua volta, arruffando le penne.

“Ah, vuoi la guerra??”

Cloud socchiuse gli occhi e continuò a fissare i suoi occhi azzurri. Meteor tenne duro per qualche secondo, poi pigolò e abbassò il muso; si acciambellò, avendo cura di dare le spalle al letto.

Cloud lo guardò per un attimo, poi sbuffò. Sapeva che andare da Tifa in quel momento non sarebbe stato saggio; si rassegnò alla notte in solitaria e prese il libro dal comodino.

“Il tuo addestramento inizia domani, caro mio.” pensò, immergendosi nella lettura.

Prima di addormentarsi, però, prese il telefono e mandò un messaggio.

 

***

 

«Tu vuoi che io faccia cosa??»

«Mi hai sentito.»

«Ma quell’affare è disgustoso! Sembra quello che galleggia nelle piscine delle ville in cui faccio le mie feste, la mattina dopo. E non gli sto facendo un complimento.» si lamentò Andrea. 

«Devi solo prenderlo e portarlo dove ti ho detto! Non devi nemmeno toccarlo, sta in questa scatola.» insistette Cloud, porgendogli il contenitore.

«A parte che ti ho già detto che secondo me, non è una buona idea… perché vuoi usare proprio questo coso??» domandò l’entertainer, che nonostante il ribrezzo, era curioso.

Cloud tirò fuori dalla scatola  l’oggetto incriminato, avvicinandolo agli occhi dell’uomo e  inclinandolo.

«Vedi cosa fa sotto la lu…»

«OH MY GOD! Che orrore!» strillò Andrea, coprendosi gli occhi con l’incavo del gomito.

«Fammi spiegare…» provò a continuare Cloud, che iniziava a perdere la pazienza.

«Non voglio una spiegazione! Toglilo dalla mia vista!!» ribatté l’entertainer, con un verso disgustato.

«Ma me lo hai chiesto tu…»

«Me ne sto pentendo! Mettilo via!»

«Molto bene, grazie. Queste sono le istruzioni.» disse Cloud, porgendo un foglietto ad Andrea. L’entertainer lo guardò con disappunto.

«Non dovresti usare i miei metodi contro di me! È sleale!»

«Riapro la scatola?» chiese tranquillamente il biondo.

«Per l’amor del cielo, no! Lo faccio solo in nome della nostra amicizia e perché voglio bene a Tifa!» disse Andrea, strappando la scatola di mano a Cloud.

«Si. Si. Si.» disse distrattamente quest’ultimo, prima di emettere un leggero fischio. Andrea lo guardò perplesso per un momento, poi Meteor arrivò trottando di gran carriera.

«Kueeeh!» (Accorro in risposta al segnale prefissato sperando in un ghiotto boccone!)

«Lo stai addestrando?» chiese Andrea.

«No, è nato così.» rispose Cloud ironicamente, dando una carezza al pulcino.

«Stai facendo troppo lo spiritoso ultimamente… sono fiero di te.»

Cloud fece finta di non averlo sentito.

«La convalescenza procede bene?» continuò.

«Diciamo di si. Oggi per la prima volta sono stato autorizzato ad uscire in cortile per incontrarti.» disse Cloud, con finto entusiasmo.

«Oh-hoo, ti tiene rinchiuso? Ti vuole tutto per lei?» lo stuzzicò Andrea.

«In effetti… è un po’ gelosa ultimamente.» ammise Cloud.

«Non mi dire che fai il cascamorto con le altre!»

Cloud stava per rispondere, ma Andrea lo fermò subito.

«Si, hai ragione, non sei capace. Stupido io a chiederlo.»

Il ragazzo lo fissò in cagnesco, ma dentro di sé ammise che aveva ragione.

«My dear, la celebrità ha un prezzo, che tu adesso stai pagando, ma tranquillo. La fama è un’amante infedele, viene e va… tranne che per me, ovviamente.»

«Ma fai dei corsi per parlare così?» 

«Non ti si può nascondere nulla! Mi esercito; sono contento che tu lo noti.»

Cloud sospirò ad alta voce, esasperato.

«Vai e basta, prima che questo coso marcisca del tutto!»

«Ero quasi riuscito a dimenticarlo! Ma va bene, non posso rifiutarti nulla.»

Cloud abbassò lo sguardo, a metà tra l’imbarazzato e l’esasperato.

«Fammi sapere quando è pronto… paga pure con parte della mia vincita.»

«E un extra per me?»

«Non ci provare! Sei sempre tu quello ricco tra noi due.»

«Che cuore di pietra… ti approfitti della mia bontà.»

«Kueeeeh.» (Madre, il mio corpo necessita di nutrimento in grandi quantità!)

«Zitti tutti e due! Torno di sopra prima che lei se ne accorga.» esclamò Cloud.

«Sei sicuro che funzioni questa… cosa?»

«No, ma è l’idea migliore che ho avuto.»

«Sigh… non mi conforta.»

 

***

 

“La madre chocobo, nel primo anno di vita dei piccoli, si prende cura di loro in molti modi: procura loro del cibo, li protegge dai predatori e pulisce loro il piumaggio, in attesa che perdano i denti e possano occuparsi da soli della pulizia delle proprie piume.”

Cloud staccò gli occhi dal libro e guardò Meteor, che era steso su di lui e russava leggermente. In effetti aveva sempre avuto un odore particolare, e aveva il becco pieno di piccoli denti affilati.

“La madre chocobo… pulisce loro il piumaggio…”

“Quindi… dovrei pensarci io?” si chiese.

Passò all’indice del libro, cercando indizi su come pulirlo. Individuò il capitolo “Pulizia del chocobo” e si mise a leggere.

“Non sembra troppo difficile… ma mi serve uno shampoo particolare.”

Si alzò, spostando Meteor che continuava a dormire come un sasso, e si diresse verso il cortile. Tifa era lì e si stava allenando, riempiendo di pugni un sacco da boxe appeso ad un gancio, lanciando qualche urlo ogni tanto. Cloud rimase affascinato per qualche momento.

“Wow… che bella…” pensò, sospirando.

Tifa smise di colpire il sacco e riprese fiato, le mani appoggiate sui fianchi. Ansimava pesantemente, puzzava di sudore e aveva i capelli appiccicati ovunque. Si sentiva uno schifo e non vedeva l’ora di farsi una doccia.

«Tifa…»

Si voltò e vide Cloud appoggiato alla parete.

«Mi spiavi?» chiese, sorpresa.

«Si… sei bellissima quando ti alleni.»

«Coome no… cosa vuoi?» disse lei, con una nota di cinismo nella voce.

«Ma lo penso davvero!»

Tifa sospirò.

«E va bene, gran seduttore, mi hai convinta! Abbracciami.» disse, in tono di sfida. Il ragazzo corse da lei e l’abbracciò come se non aspettasse altro. Lei ricambiò la stretta, sempre più stupita.

“Oh… lo pensava davvero?” si chiese.

«Comunque… mi servirebbe uno shampoo per chocobo.» disse Cloud, una volta sciolto l’abbraccio.

«Cosa?» disse Tifa, sorpresa.

«Volevo lavare Meteor… ho letto che le madri chocobo gli puliscono le piume quando sono piccoli.»

«...»

«E dato che lui sta con noi…»

«Vorresti… essere la sua mamma?»

«Cosa?? No!»

«Si invece! Vuoi fargli il bagnetto!! Ma che cariiiino!» lo prese in giro Tifa.

Cloud arrossì, ma non voleva arrendersi.

«Servirebbe farlo… potrebbe iniziare a puzzare o potrebbe prendere le zecche.»

«Ok, mamma chioccia! Non posso trattenerti dal prenderti cura del tuo amato pulcino.» rispose Tifa, alzando teatralmente le braccia in un gesto di resa.

«Grazie.» bofonchiò lui di rimando.

Si avvicinò al garage e iniziò ad armeggiare con la porta.

«Aspetta un attimo! Che stai facendo?» chiese Tifa, avvicinandosi a lui.

«Prendo la moto.»

«E chi ti ha detto di farlo? Sei ancora a riposo!» ribatté lei.

«Ma posso guidare!» protestò lui.

«No che non puoi! Ti ho beccato che ieri sera hai di nuovo preso gli antidolorifici.»

«Ma mi sento bene adesso! Voglio andare a prendere questo shampoo!»

«Non con la moto! Non puoi guidare!»

Cloud sbuffò leggermente, lasciando stare la porta del garage.

«Però volevo andare, sono giorni che sto chiuso dentro casa…»

«Non mi fai nessuna pena! Te la sei cercata!»

Cloud abbassò lo sguardo, ma Tifa capì che non stava capitolando.

«Se quei cani non avessero barato…»

«Non c’entra niente adesso!! Quel che è fatto è fatto, e tu ora devi startene a riposo, che ti piaccia o no!» insistette la ragazza, con voce risoluta.

«Non mi piace.» borbottò Cloud.

«Lo ha capito anche Meteor che non ti piace!» commentó lei, sospirando.

«... posso andare in diligenza?»

Tifa soppesò la possibilità.

«Ci penso su mentre mi lavo.» disse finalmente. 

«Ok, io nel mentre continuo un po’ l’addestramento di Meteor.» disse Cloud; fischiò e Meteor corse da lui tutto contento, canticchiando.

Tifa osservò la scena con gli occhi sgranati.

«L’hai presa sul serio questa faccenda…» commentò, guardando il chocobo fare le feste al ragazzo.

«Voglio evitare che aggredisca altre persone.»

«... e vuoi fargli il bagnetto!»

«È necessario!» ribattè lui, sulla difensiva.

«... ok. Aspetta che mi lavi, ti accompagno alla fermata… mamma chioccia.»

Cloud cercò di colpirla con una sculacciata ma lei fu più veloce e corse in camera sua, ridacchiando.

 

***

 

Cloud, Meteor e Tifa aspettavano la diligenza con stati d’animo molto diversi. Il pulcino era in braccio a Cloud e canticchiava sommessamente, lanciando occhiatacce indiscriminatamente a chiunque, Tifa compresa.

Anche la ragazza distribuiva occhiatacce: ogni individuo di sesso femminile che passava non riusciva a staccare gli occhi da Cloud e, come al solito, lui non si accorgeva di niente.

“Smetti di essere così sexy, maledetto…” pensò Tifa, cercando di controllare la gelosia, che ultimamente provava un po’ troppo spesso.

«Scusi signorina?» 

«Dice a me?» chiese sorpresa Tifa, girandosi verso l’uomo che le si era avvicinato.

Cloud squadrò lo sconosciuto in cagnesco.

«Sa se è già passata la diligenza?»

«No.» rispose Cloud con tono glaciale.

«Oh… ehm, meno male, grazie.» disse l’uomo, allontanandosi leggermente e mettendosi ad aspettare.

Tifa lanciò un’occhiata di rimprovero al suo ragazzo, che fu bellamente ignorata.

Spazientita, fece per richiamare la sua attenzione, ma desistette, rendendosi conto che in quegli ultimi giorni era l’ultima persona che poteva permettersi di rimproverare qualcuno per gelosia. Sospirò.

La diligenza arrivò. Mentre si fermava per far salire i passeggeri, Meteor iniziò a strepitare, lanciando versi acuti, che attirarono l’attenzione del chocobo adulto. Cloud lo posò a terra, lasciando che si avvicinasse al grosso pennuto che tirava la carrozza. Il chocobo adulto abbassò la grossa testa, avvicinandosi al pulcino. I due pennuti iniziarono a starnazzare concitati, sotto lo sguardo incuriosito e affascinato dei passanti e degli stessi Cloud e Tifa.

«Cosa si staranno dicendo?» domandò Tifa, curiosa.

«Gli adulti sono sempre molto premurosi con i pulcini, anche se non sono i loro.» spiegò Cloud. «Probabilmente è solo preoccupato di averlo visto da solo.»

«Oh.» disse Tifa, sorpresa, ma anche ammirata. «Hai letto anche questo sul libro?»

«Si.»

«Wow, come è affascinante!» commentò una ragazza vicino a loro.

Tifa strinse i pugni. Cloud fece finta di niente.

Meteor continuava a starnazzare allegro davanti all’altro chocobo. Il chocobo adulto sollevò un momento la testa per voltarsi a guardare Cloud, poi guardò di nuovo il pulcino, e di nuovo il ragazzo, poi tornò a fissare il pulcino, inclinando la testa leggermente da un lato.

Cloud inarcò un sopracciglio, perplesso.

«Secondo me gli ha detto che sei sua madre.» lo prese in giro Tifa.

«Quanto continuerai con questa storia?» chiese lui con velata esasperazione.

«Non lo so… Tu sbrigati a tornare con lo shampoo.» 

Gli diede un bacio sulla guancia e aspettò che salisse sulla diligenza con Meteor, che aveva finito di confabulare con l’altro chocobo, prima di fare ritorno al bar.

Meteor crollò a dormire pochi istanti dopo che la diligenza si fu messa in marcia, attirando occhiate intenerite da tutti i passeggeri.

«Che carino! È suo?»

«Ma che amore!»

«Ma che invidia!»

“Ma la piantate??” pensò Cloud, che faceva del suo meglio per scoraggiare la conversazione rispondendo a monosillabi e grugniti. Ringraziò che Tifa non lo avesse accompagnato, altrimenti ci sarebbero state delle vittime; forse includendo anche lui stesso.

Finalmente arrivarono alla sua fermata. Cloud scese in tutta fretta, svegliando Meteor, che emise uno sbadiglio seguito da un pigolio di protesta.

«Scusa.» mormorò il ragazzo, grattandogli la testa e posandolo a terra.

«Kuiiiieeeh…» (Avete interrotto un sogno in cui banchettavo per giorni e giorni…)

Si incamminarono verso il negozio di articoli per animali; Meteor zampettava curioso, attirando numerosi sguardi interrogativi.

«Non correre!!» lo sgridò Cloud.

Il pulcino si girò a guardarlo con occhioni tristi.

«Non attacca! Devi fare il bravo qui.»

«Kueh!» (Madre, la vostra severità è aumentata negli ultimi tempi!)

Riuscì a convincerlo ad arrampicarsi su di lui e a sistemarsi sulla sua spalla; questo lo fece sentire tremendamente osservato. La sensazione peggiorò quando ripresero a camminare: Cloud provò a guardarsi intorno e capì che non era solo una sensazione.

Tutti li fissavano con sguardo interrogativo, adorante, allibito o divertito.

“Dov’era quel maledetto negozio??” pensò, cercando senza successo di trattenersi dall’arrossire.

Arrivò finalmente a destinazione ed entrò immediatamente, cercando di sottrarsi ad ulteriori sguardi indiscreti.

Il commesso li guardò per un momento, poi scappò urlando nel retrobottega.

«Non si preoccupi, l’aiuto io!! Sto cercando le protezioni e il retino! Lei resista!!» 

Cloud rimase interdetto, senza sapere cosa rispondere o se l’uomo si stesse davvero rivolgendo a lui.

In un attimo il commesso tornò nel negozio, bardato di tutto punto con protezioni in stoffa e cuoio imbottite, e brandendo un grosso retino.

«Cerchi di tenerlo fermo!» gridò, caricando.

«No! Fermo!!» esclamò Cloud, prendendo in braccio Meteor.

Il commesso si bloccò di botto, confuso dalla visione.

«Ma… il chocobo… non è aggressivo?» balbettò, togliendosi il casco.

«No. Non con me, almeno.»

«Com’è possibile??»

«L’ho… addestrato.»

«Ma è impossibile! È troppo giovane!» 

«È una storia lunga.»

«Facciamo che le credo, ma la prego di non lasciarlo libero nel negozio.» disse finalmente il commesso, tornando mesto nel retrobottega.

«Sono subito da lei!» gridò.

Cloud guardò Meteor, che guardava a sua volta i dintorni incuriosito.

“In effetti… avessi avuto quelle protezioni quando sei arrivato a casa!”

Lo mise di nuovo sulla sua spalla, sentendo la presa ferma ma gentile dei suoi artigli.

Il commesso tornò.

«Dunque… in cosa posso aiutarla?»

 

***

 

«Cloud… cosa sono quelle buste?»

«Ho comprato delle cose per Meteor!»

«... ma non serviva solo uno shampoo?»

«Si ma queste sono tutte cose assolutamente raccomandate per un corretto sviluppo del pulcino nei primi mesi di vita!»

Tifa si coprì gli occhi con una mano, cercando di mantenere la calma di fronte alle numerose buste di articoli per chocobo che Cloud aveva riportato a casa.

«Guarda: snack proteici, bustine di erba ghisal… no Meteor! Ne hai già avuta una! Poi… olio spray per il piumaggio, cera per le penne, tagliaunghie, spazzola morbida e spazzola dura… poi balsamo, lima per le unghie, giocattolo gommoso per i denti, giocattolo duro per il tiro alla fune, spazzolino per il becco, ossi di seppia, coperta riscaldata…»

«CLOUD!!» lo interruppe Tifa, che stava perdendo la pazienza.

«... si?»

«Non ti sembra di aver esagerato?? Apprezzo il tuo impegno, ma questo è davvero troppo!! Dovevi prendere solo lo shampoo!»

Cloud trasalì, iniziando a guardare freneticamente nelle buste.

«Non mi dire che non lo hai preso…» sospirò la ragazza.

«Eccolo!» esclamò il ragazzo, trionfante, riemergendo da una delle buste con un flacone in mano.

“Costa di più di quello che uso io…” pensò lei, notando l’etichetta del prezzo; e lei non usava uno shampoo qualunque.

«Bene, allora vado subito a lavarlo, che ne ha proprio bisogno! Ci vediamo dopo!» disse Cloud, tutto contento, richiamando Meteor e andando verso il retro.

Tifa cercò di dire qualcosa, ma i due se ne andarono così in fretta da lasciarla interdetta.

“Sarei… il terzo incomodo?” pensò, basita. Poi scosse la testa e andò a ricominciare la ramanzina dove l’aveva interrotta.

Si affacciò dalla porta sul retro: Cloud aveva preso il tubo dell’acqua e stava inseguendo Meteor, che non sembrava aver voglia di essere lavato.

«Vieni qui!! Qui, ho detto!» gridò il ragazzo.

«Kueeeh!» (Giammai mi immergerò per detergermi!)

«Pulcino disobbediente!»

«Keh!» (Madre snaturata! Rischierei di annegare!!)

Tifa rimase suo malgrado incantata dalla scena. Cloud ad un certo punto decise di aprire l’acqua, cercando di colpire il chocobo con il getto. 

«Kueeeh!» (Basta! Madre, smettete immediatamente di gettarmi acqua! Che immondo martirio!)

Lo centrò più volte, ogni volta facendolo starnazzare indignato. Poi mollò il tubo e riuscì ad acchiapparlo.

«Ora ci diamo una bella lavata!!»

“Beh… forse posso aspettare un altro po’ per finire di sgridarlo.” si disse Tifa, che si stava godendo lo spettacolo. Si spostò leggermente, rimanendo nascosta ma migliorando la sua visuale.

Cloud stava strofinando il pulcino, che aveva un’aria molto contrariata, con i prodotti che aveva comprato, cercando di insaponarlo tutto. Soddisfatto, provò a riprendere il tubo, ma Meteor glielo strappò dalle mani e corse via, spargendo acqua ovunque.

«Torna qui!!» gridò, iniziando a rincorrerlo.

«Kfeeeh!» (Infido serpente acquatico, ti esilierò dai miei domini!)

Tifa dovette coprirsi la bocca per non scoppiare a ridere; Cloud riuscì a prendere il tubo e iniziò un tiro alla fune con il pulcino, che cercava in tutti i modi di resistere sollevando acqua e fango con le zampe.

«Dai! Sai che non puoi vincere!» gridò il ragazzo, dando uno strattone al tubo. Meteor perse la presa e la sua estremità del tubo descrisse un ampio arco, andando a inzuppare completamente Cloud.

«Keh! Keh! Keh!» (La mia gelida e umida vendetta è servita!) starnazzò soddisfatto il pulcino. Tifa si unì a lui, soffocando le risate.

Il ragazzo si guardò per un attimo, sconsolato, poi decise di togliersi la maglietta ormai fradicia; il cuore di Tifa saltò qualche battito, mentre la replica della meravigliosa visione di qualche giorno prima tornava ad inseguire il chocobo.

“Oh… mio…”

D’improvviso la ragazza sentì dei risolini femminili provenire da dietro l’angolo dell’edificio; si voltò di scatto e vide alcune ragazze appostate, intente a guardare quello che stava guardando anche lei. Mosse qualche passo nel cortile, fissandole indignata.

«Cosa fate?? Andate via, è proprietà privata!!» strillò furente contro le intruse. 

“Sia la casa, sia il mio ragazzo!”

Si lanciò contro di loro, ma sparirono in un attimo. Cloud e Meteor si fermarono di colpo, girandosi verso di lei.

«Kueeeh…?» (Ma quante meretrici ci sono in questo orrido postribolo??)

«La smetti di dare spettacolo??» gridò Tifa, avvicinandosi a grandi passi.

«Non stavo dando spettacolo!» si difese lui, guardandola preoccupato.

«Invece si! Era il tuo fan club, lì appostato che ti spiava?»

«Non ne ho idea, non le avevo viste! Non avevo visto nemmeno te!»

Tifa sbuffò, spazientita.

«Sbrigati a finire! E mettiti qualcosa addosso!» esclamò, tornando in casa e chiudendosi la porta alle spalle con forza. Cloud sospirò, mentre Meteor gonfiava le piume insaponate, tutto soddisfatto.

«È colpa tua!» disse, guardando torvo il pulcino.

«Kueh!» (Mi indigna la vostra accusa, madre!)

«Vedi di collaborare o stanotte dormi di nuovo nella gabbia!»

«Kuee…» (No, tutto ma la prigione metallica no…) rispose, abbassando il muso.

La minaccia ottenne l’effetto sperato: riuscì a portare a termine l'impresa di lavarlo senza altri contrattempi. Alla fine, un Meteor dalle piume lucenti varcò vanitoso l’ingresso del bar.

«Sei un chocobo, non un pavone!» lo prese in giro Cloud.

«Kueeh.» (Sebbene risplenda, sono adirato per come sono stato trattato.) rispose sdegnato il pulcino. 

«Ora conversate anche?» domandò Tifa, sarcastica, mentre usciva dalla cucina.

«Sembra che capisca tutto…»

Cloud fu interrotto da una voce ben nota che urlava da fuori la porta del bar.

«Ci sta ancora qualcuno, in questo posto?»

«Si, cazzo! Che è, abbandonato?»

“Cid? Barret?” pensò Tifa, andando ad aprire la porta.

«Non è abbandonato! Che bello rivedervi!» esclamò, invitando i due uomini ad entrare.

Cloud si rese conto, troppo tardi, che era completamente zuppo e ancora senza maglietta.

«Oh-hoo… vi abbiamo interrotto per caso?» domandó malizioso Cid. 

«Ti stai dando allo spogliarello, ciuffo?» rincaró Barret. 

«Ciao Cid. Ciao Barret.» salutò Cloud con tono monocorde.

«Siete riusciti a venire, alla fine!» esclamò Tifa, sorridendo ai loro vecchi compagni.

«E secondo te mi perdevo la possibilità di prendere in giro il super SOLDIER?» disse Barret, ridendo.

«Salvare tutto il fottuto pianeta per poi rischiare di morire contro dei cani? Mi deludi…» gli fece eco Cid, accendendosi una sigaretta.

«Il mio avversario ha barato.» ribatté Cloud, infastidito.

«E come? Ha fatto sbavare troppo i cani e sei scivolato sulla spada?» rincarò Barret.

«Dai ragazzi, andateci piano… è ancora in convalescenza.» disse Tifa, lanciando ai due un’occhiata di ammonimento.

«Porca puttana, però!» esclamò Cid, avvicinandosi al ragazzo per guardare meglio la spalla, che aveva ancora i segni del morso del cane. «Questi sono morsi di Abzu!»

«Ve l’ho detto…» sibilò Cloud.

Meteor gli saltò addosso e si sistemò sull’altra spalla, giocherellando con i suoi capelli.

«E quello??» esclamò Barret, sorpreso.

«Da dove cazzo esce? Cosa cazzo è?» gridò Cid, facendo un passo indietro.

«È Meteor… me lo ha regalato Cloud.» disse Tifa, con voce spenta.

I due uomini si guardarono per un attimo, smarriti.

«Forse ha capito male, quando gli hanno detto di darti l’uc…» disse Cid, tirando una pacca sulla spalla di Barret.

«Cid!» gridò Tifa.

«Quale idiota comprerebbe uno di questi piccoli assassini?» continuò, ignorando l’interruzione.

«Ce l’hai davanti, a quanto pare.» rise Barret.

«Ehi…» disse Cloud, guardandoli torvo, sebbene il pulcino con il becco sepolto tra i suoi capelli stemperasse alquanto la sua aria minacciosa.

«In effetti strano che questo sia così tranquillo… mi hanno raccontato che…» disse ancora Cid, avvicinando una mano a Meteor.

Cloud e Tifa non fecero in tempo a fermarlo: in un attimo il chocobo si lanciò contro Cid, addentandolo alla mano.

«Kueeeeeh!» ringhiò. (Non avvicinarti, malnato! Mi farò un nido con le tue ossa!)

«No! No! Lascialo subito!» gridò Cloud, cercando di aprirgli il becco.

«AAAAAAARGH! PICCOLO FIGLIO DI UNA PUTTANA PIUMATA!» gridò l’uomo, cercando di staccare il chocobo dalla sua mano.

«Meteor!» strillò Tifa.

«Oh, cazzo…» commentò Barret, guardando impressionato la scena.

Finalmente, Cloud riuscì a separare Meteor dalla mano di Cid.

«Era questo che ti avevano raccontato?» domandò Barret.

«Esattamente…» rispose l’altro a denti stretti, tenendosi la mano martoriata.

«Cattivo Meteor! Non si fa così!» gridò Cloud, guardando il pulcino negli occhi. Il chocobo rispose con uno sguardo pietoso e pigolando disperato.

«Oggi hai passato il limite! Nella gabbia!!» continuò il ragazzo, prendendolo da dietro la testa e portandolo via, sordo alle sue lamentele.

Gli altri tre lo osservarono andarsene, con sguardi preoccupati.

«Tifa, ma… cosa cazzo succede?» chiese Cid.

«Non lo so, ma non credo che resisterò ancora per molto» ammise Tifa con tono afflitto.

«Ci dorme insieme… gli ha comprato delle cose…»

«Queste buste qui?» chiese Barret, guardandone una.

«... si.»

«Ma ci sono almeno cinquecento guil di roba qua!» continuò l’uomo, frugando per un momento.

«Grazie Barret, qui mi sto solo dissanguando! Ma contiamo quanto costano queste due cazzate!» gridò Cid, agitando la mano ferita.

«Non ho fatto i conti.» disse Tifa, mentre andava a prendere la cassetta del pronto soccorso per medicare Cid.

«Quante storie, pilota dei miei stivali! Non è la cosa peggiore che ti ha mai morso.» ribatté Barret. Poi ci pensò un attimo e chiese:

«Aspetta… ma quei soldi da dove li ha presi?»

«La vincita del torneo, immagino.»

«E perché quella piccola pustola infetta sembra innamorata di lui?» insistette l’omone.

«Non lo so, qualcosa che è successo in arena.»

«Chi glielo ha venduto?»

«C’è un solo allevatore… Barret, ma mi stai interrogando?»

«Voglio vederci chiaro. Mi puzza.»

«Va tutto bene, Barret.» li interruppe Cloud, finalmente asciutto e con una maglietta addosso.

«Barret, avevi ragione sulla Shinra, ma non c’è un complotto dietro ogni cazzo di cosa!» disse Cid, esasperato.

«Io mi comporto come al solito.» replicò Cloud. «Ho solo preso un animale domestico, come tutte le persone normali.»

«Va bene, ciuffo… ci hai convinti!» disse Barret, alzando la mano.

«Ma fattelo dire, riguardo gli animali domestici… hai dei gusti di merda.» commentò Cid, mostrandogli la mano appena fasciata. Tifa annuì impercettibilmente.

«Ma vi fermate al bar stasera, vero? Offriamo noi.» propose la ragazza.

«Direi che il primo giro me lo deve offrire il proprietario della piccola bestiaccia. Come risarcimento.» disse Cid, tutto serio. Poi scoppiò a ridere, imitato da tutti gli altri.

 

***

 

Il Seventh Heaven era stracolmo di gente quella sera, tanto che ad un certo punto Cloud dovette alzarsi dal tavolo al quale sedeva con Barret e Cid per aiutare Tifa. Meteor, che era rimasto nella gabbia per pochissimo tempo, lo accompagnò felice al bar e si mise a camminare avanti e indietro sul bancone.

«Gaia li fa e poi li accoppia, eh?» commentò Cid, guardandoli che si davano da fare dietro al bancone.

«Parli di Cloud e Tifa o di Cloud e il chocobo?» rispose Barret, ironico.

«Non mi parlare di quell’uccellaccio infame. Spero non mi faccia infezione.» borbottò Cid, grattandosi la fasciatura.

«Il biondo ha comprato un libro per addestrarlo alla corsa, ti rendi conto? Me lo ha fatto notare Tifa.»

«Non vorrei essere nei suoi panni.»

«Di chi dei due parli?»

«Di Tifa… è triste se il tuo uomo pensa di più al suo uccello che a te.»

«Questi doppi sensi hanno smesso di farmi ridere due ore fa!» si lamentò Barret.

«Mi dispiace, cazzo! Preparati, perché ne ho altri in arrivo.»

Barret sbuffò.

«Comunque… ciuffo e ciuffetto sono praticamente identici. Non vedo le somiglianze tra ciuffo e Tifa però.» continuò.

«Mica parlo per forza di somiglianze! Non è sempre tutto in bianco e nero. Guarda l’affinità che hanno, guarda come si comportano.» disse Cid.

«Boh, per me te le sogni ‘ste cose. Prima o poi lei lo mollerà e dovremo raccogliere pezzi di SOLDIER per tutta Edge.» 

«Se vuoi puoi iniziare coi pezzi delle mie palle, Barret. Sei monotono!» rispose Cid, vuotando il suo bicchiere.

«Che schifo! E poi non sono monotono!»

«Nooo… dimmi un po’, come sta Marlene?»

«Il mio angioletto… è sempre più bella! Sta benissimo, è davvero…» disse Barret con espressione sognante.

«Come pensavo.» mormorò Cid, accendendo una sigaretta.

«Non si può fumare!» gridarono all’unisono Cloud e Tifa.

«Che rompicoglioni che siete!! E tu hai visto, Barret?»

«Cosa? Ma mi stavi ascoltando?»

Cid sospirò, poi si alzò e andò verso il bancone. Meteor lo guardò in cagnesco.

«Datemi da bere, visto che non posso fumare!» esclamò, appoggiandosi all’altra estremità rispetto al pulcino.

«Potresti benissimo uscire, per fumare.» gli fece notare Cloud, alzando un attimo la testa dal lavandino.

«Dai…» lo rimproverò Tifa, tirandogli un piccolo schiaffo. Servì uno dei Cosmo Canyon che aveva appena finito di preparare al pilota e si mise a farne un altro.

Cloud seguì brevemente il tragitto del bicchiere, prima di tornare a lavare i piatti.

«Te ne fai uno anche tu?» propose Cid, rivolto al biondo.

«Non posso.»

«Che cazzo! State diventando tutti noiosi!» esclamò Cid, contrariato.

«Il medico gliel’ha proibito.» spiegò Tifa, uscendo dal bar con il vassoio colmo.

«Che razzaccia, i dottori! Beh, alla salute che stai recuperando!» brindò il pilota, alzando il bicchiere.

«Grazie. Ti odio.»

Cid sghignazzò e bevve un ampio sorso del drink; stava per ribattere, quando le porte del locale si aprirono ed entrò una nutrita comitiva. Per la maggior parte erano donne, ma c’era anche qualche uomo. Cloud sbiancò alla loro vista e si tuffò dietro al bancone; Meteor non lo vide e iniziò a girarsi su se stesso, muovendo la testa da tutte le parti. Tifa si irrigidì e osservò i nuovi venuti con occhi socchiusi.

«Hey, dove vai?» gli chiese Cid, allungandosi sul bancone.

«Zitto. Sto… cercando una cosa.» sibilò il biondo.

L’uomo guardò di nuovo le persone appena entrate, che ora cercavano con gli occhi un tavolo vuoto: indossavano magliette con un simbolo che sembrava molto un ritratto stilizzato di Cloud e lo slogan “Cloud Strife <3 My Life”.

Quando anche Barret li vide, rischiò di strozzarsi con un sorso del suo drink.

«Ma che cazzo…» disse Cid, guardando incredulo il gruppo che si accomodava.

«Ti conoscono?» chiese a Cloud, che non trovava ancora cosa stava cercando.

«No.»

«Ti stai nascondendo…?»

«No.»

Cid ridacchiò.

«Però… alcune sono molto belle. Peccato per le magliette…»

«Io le ammazzo. Io. Le. Ammazzo.» sibilò Tifa, rientrando dietro il bancone. Nemmeno la vista di Cloud rintanato riuscì a toglierle l’espressione omicida che aveva.

«Vuoi spiegarmelo tu chi sono questi fanatici?» chiese Cid, che si stava godendo la scena.

«Sono… il fan club di Cloud.» rispose lei, a denti stretti.

Barret si alzò dal tavolo a sua volta e li raggiunse al bar.

«Ciuffo! Ma che ti sei messo a vendere magliette? Non facevi il fattorino?»

«Si che faccio il fattorino!» rispose Cloud, stizzito. 

Meteor finalmente lo sentì, abbassò lo sguardo e si lanciò tutto contento dietro il bancone, atterrandogli pesantemente sulla testa.

«Kueeiiiih!» (Madre! Temevo di avervi perduta per sempre!!)

«Ahia! Meteor, ma che cavolo…» gridò Cloud, alzandosi.

«Cloud, no!!» sibilò Tifa.

«ECCOLO!!» gridò una voce femminile.

Il gruppo di fan si alzò dal tavolo come un sol uomo e sciamò verso il bancone, dove si trovava il loro idolo, travolgendo tavoli e sedie e spintonando i clienti che non riuscirono a spostarsi in tempo. Cloud rimase paralizzato sul posto, riuscendo solo a stringere a sé Meteor. Cid e Barret furono spinti lontano dalla torma di gente che si accalcava.

«Cloud!! Che piacere incontrarti di persona!» trillò una giovane donna, appena raggiunse il bancone. «Sono la moglie di Homu, il dottore che ti ha salvato! Nonché fondatrice del tuo fan club!»

«Io l’ho fondato!» esclamò un ragazzo.

«No! Sono stata io!»

«Eravamo già in sei quando ti sei unita a noi!»

«Non litighiamo di fronte a Cloud!»

«Siete sempre i soliti!»

«A me piaceva prima ancora che entrasse in arena!!»

“Rivoglio Sephirot.” pensò Cloud, che si sentiva nudo sotto gli sguardi di tutte quelle persone. Cercò sostegno guardando Tifa, ma anche lei sembrava non sapere cosa fare; fissava i fan con gli occhi ridotti a fessure e la mascella serrata; i suoi pugni stretti tremavano dalla rabbia.

«Posso stringerti la mano, mio eroe?» chiese la donna, tendendo una mano sopra il bancone.

«No no no…» mormorò Cloud, ma era troppo tardi. Meteor si era lanciato all’assalto, starnazzando come un ossesso.

«KUEEEH!!» (Deflagrate, perturbatori!! Vade retro!! Vi farò a brandelli e danzerò sui vostri cadaveri!!)

In pochi attimi la folla che era assiepata al bancone si riversò in strada, in un fuggi fuggi generale, lasciando dentro al Seventh Heaven solo sedie rovesciate e un pulcino molto arrabbiato.

«Kueeeeh!!» (Mostratevi ancora e terminerò le vostre abiette esistenze!!) gridò un’ultima volta, prima di calmarsi e tornare soddisfatto verso il bar. 

Cloud aveva osservato la scena come in trance; sembrò tornare in sé quando Meteor gli corse incontro e gli si strofinò contro il petto.

«Cosa… cazzo… ho appena visto…» disse Cid, incredulo, riemergendo da dietro un tavolo.

«Ho pagato il biondo sbagliato per lavorare per l’Avalanche…» commentò Barret, guardando il disastro.

Tutti si voltarono verso Tifa, aspettando l’inizio di una sfuriata. Cloud non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, mentre lei si girava verso di lui e gli si avvicinava.

«Mi dispiace…» mormorò.

Di tutta risposta, Tifa abbracciò lui e Meteor.

«Sto cambiando idea su questo piccoletto! Mi piace!» esclamò felice.

«Cosa…?» dissero Cid e Barret all’unisono.

“Continua pure a fargli la guardia. Se il prezzo è un bagnetto ogni tanto, si può fare.” pensò la ragazza, sorda alle proteste del chocobo che cercava di liberarsi.

«Kueeh! Kueh!» (Lasciami, pallida cortigiana!!)

Cloud e Meteor si ritirarono dopo poco tempo; Tifa rimase sola con gli altri due.

«Ma come fai a reggere queste cose?» chiese Barret. Lei sospirò, prendendo una bottiglia e dei bicchieri.

«Con tanta Comprensione.» rispose, indicando il liquido.

«Quello…?»

«Si, è un cocktail che ho inventato. Si chiama Comprensione.»

«A me sembra vodka liscia.» commentò Barret.

«Appunto.» rispose Tifa, scolandosi il suo bicchiere.

Quella notte, Tifa lasciò che Cloud si addormentasse, poi si alzò e guardò verso la cuccia di Meteor. Il pulcino era ancora sveglio e la fissava.

“Devo essere diventata matta…o forse è la troppa comprensione, ma proviamo.” si disse. Si avvicinò al chocobo e si inginocchiò. Lui si alzò, guardingo, ma non soffiò.

«Dunque… da dove comincio… grazie per quello che hai fatto.» sussurrò.

«Kueeh?» (Rimango sgomento da cotanta affermazione.)

«Hai fatto scappare quelle persone, e mi hai evitato di fare una scenata.»

«Kueh.» (Ammetto che la babilonia causata dai perturbatori mi affliggeva.)

«Possiamo smettere con le occhiatacce e il soffiare? Siamo alleati io e te.»

«Kueeeh??» (Di cosa mai favellate?)

«Si, alleati contro chi vuole portarci via Cloud.»

«Kueeh!» (Dunque una richiesta di ausilio mi recate... così sia! Per la mia genitrice!)

«Quindi… abbiamo un accordo?» domandò lei, prendendo coraggio e tendendo in avanti la mano.

Il pulcino sembrò indeciso per un momento, poi strofinò la testa sulla mano di Tifa.

 

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Capitolo 7
*** Loving on the Edge - Parte 2 ***


 

Loving on the Edge - Parte 2

 



«Mi sembra troppo presto…»

«Ma voglio andare a recuperare la vincita!»

«Mi prometti che andrai piano? È passata solo una settimana di riposo.»

«Si.»

I due si avviarono verso il retro; Cloud aprì la porta del garage e tirò fuori Fenrir. Meteor li raggiunse quasi immediatamente, con qualcosa nel becco.

«Ma… vuoi davvero portare anche Meteor?» chiese Tifa, dubbiosa.

«Vuole venire, guardalo.»

«Quegli occhialoni… glieli hai presi tu?»

«Sono per proteggerlo...non ti piacciono?»

«Si… anche troppo.»

«Bene. Non ci metterò molto.» annunciò Cloud, salendo in sella a Fenrir e sistemandosi il pulcino sulle gambe. Tifa ridacchiò alla vista del pulcino con i piccoli occhialoni da motociclista calcati sul muso.

«Non farti coinvolgere in una serata di bevute!»

«Non c’è pericolo. Ci vediamo.»

«Mi raccomando, vai pia..»

Le sue ultime parole si persero nel rombo del motore della moto, che partì a tutta velocità.

Tifa scosse la testa, ma non riuscì a trattenere un sorriso.

Cloud e Meteor raggiunsero in breve tempo il nuovo mercato, parcheggiando giusto al di fuori. Mentre smontavano, videro un uomo con un cappello a falda larga avvicinarsi.

«Guarda guarda… non capita tutti i giorni di vedere due bionde insieme.» disse Chocobo Sam, ridendo.

Cloud si trattenne dal rispondere, sfilando gli occhialoni a Meteor.

«Vi devo dei ringraziamenti, a tutti e due. Sono stato interdetto dall’arena.»

«Anche io ti devo dei ringraziamenti.» rispose Cloud, reprimendo a stento la rabbia. Meteor gli saltò in braccio e guardò di traverso Sam, arruffando le penne.

«Io volevo soltanto vincere… quell’invasato ha fatto di testa sua, alla fine. Forse avevate dei conti in sospeso?»

«Non sono affari tuoi. Lasciami in pace.» disse Cloud, spostandolo con un braccio e avviandosi verso l’ingresso del mercato. Il pulcino soffiò rabbioso.

«In fondo vi somigliate, tu e il pennuto… siete tutti e due biondi, con gli occhi azzurri e sociopatici!» li schernì l’uomo.

Cloud si voltò di scatto, facendo arretrare Sam di qualche passo. Poi lasciò andare Meteor. Il pulcino si avventò come una furia sull’allevatore, beccando e graffiando. Le urla di Sam si mischiarono allo starnazzare inferocito del chocobo.

«Ok, basta così.» disse Cloud, dopo essersi goduto lo spettacolo per qualche secondo. Richiamò Meteor con un breve fischio e il pulcino corse verso di lui, cinguettando felice.

«Kueh kueeh!» (Vedete, madre, di che valente animo dispongo?)

«Hai ragione tu, ci somigliamo… ti odiamo tutti e due.» sibilò il ragazzo, guardando Sam rialzarsi e correre via.

 

***

 

«Mi stai ascoltando, ragazzino?»

«Si che ti ascolto.»

«Allora cosa stavo dicendo?»

«... la signora al tavolo due se la fa con quello che siede dietro di lei, per vendicarsi del marito che ci ha provato con te; quella seduta di fronte a lei invece fa la farfallona, come dici tu, ed è andata sia col marito sia con la moglie… sia con te.»

«Sono impressionato… solo un’imprecisione: il marito di quella al tavolo due non ci ha provato con me. Ci è riuscito. Guarda che manzo, come potevo resistere!?» disse Andrea, con aria falsamente colpevole.

Cloud sospirò; era difficile sopportarlo senza il sostegno di un bicchiere di alcolico.

«Perché mi stai raccontando queste cose??»

«Perché so che non ti importa nulla! Posso confidarmi, capisci?»

«Veramente no. Ma contento tu…»

Meteor li interruppe ruttando sonoramente. Si era mangiato la seconda ciotola di salatini e guardava Cloud implorante.

«Kueeh?» (Madre, ho imperativo bisogno di altro nutrimento)

«Ma quanto mangia?» esclamò Andrea.

«Parecchio… meglio prenderne un’altra.»

«Oddio, saresti un pessimo padre! Mica puoi acconsentire ogni volta che qualcuno ti fa gli occhi dolci!»

«Non acconsento sempre! È che… deve crescere…»

«Hahahaha, come vuoi tu, grande allevatore! Comunque hai un’ottima memoria. Hai mai pensato di mollare le consegne e venire a lavorare per me? Potresti gestire i miei appuntamenti.»

«Come no!»

«Rifiuti una simile proposta? Lo sai che…»

«C’è gente che ucciderebbe per una simile opportunità, sono un folle, eccetera eccetera.» tagliò corto il ragazzo. Guardò sconsolato il contenuto del suo bicchiere.

«Stai insinuando che io mi ripeta? Aspetta… ma lo conosci quel tipo? Ti fa segno…»

Cloud guardò verso il basso: ad uno dei tavoli c’era il dottor Homu, che lo guardava minaccioso. Cloud rispose con un’occhiata interrogativa.

Il medico picchiettò sul suo bicchiere, continuando a guardarlo male; il ragazzo si affrettò a agitare le mani e fare segno di no con la testa. Lui si rilassò e sorrise, mentre la moglie gli fece un agitatissimo cenno di saluto e gli mandò un bacio con la mano.

«Ah, il dottore. Che vuole?»

«Niente… mi ha proibito l’alcool finché non mi rimetto in sesto.»

«Ah, ecco perché hai ordinato un drink che ti somiglia.»

Andrea rise di gusto alla sua stessa battuta, poi rispose allo sguardo perplesso di Cloud: «Sono drink… virgin

«Ha ha ha.» fece sarcastico il ragazzo, incassando la frecciata.

«Comunque il dottore e sua moglie sono proprio una coppia carina… sono stato con entrambi. Insieme!» commentò Andrea, sorridendo.

Cloud trasalì.

«Scherzavo!! Non farti un’idea sbagliata, io sono brutalmente selettivo! Mica accolgo chiunque tra le mie braccia… e nella mia cerchia di amici.» disse l’entertainer, con tono eloquente.

Cloud rimase in silenzio per un attimo, sorseggiando il suo cocktail analcolico. Meteor si era finalmente stufato dei salatini e si stava abbeverando da una piccola ciotola. 

«Come fa a non essere geloso?» mormorò il ragazzo.

«Chi?»

«Il dottore.»

Andrea rise di nuovo.

«Geloso… di te??»

«... si.»

«Ma cosa dici! La moglie avrà questa fissa per te, come chiunque potrebbe averla per un attore famoso… o uno sportivo… o un entertainer di mezz’età…»

«Vieni al punto!»

«Il punto è che la signora non farebbe mai nulla di compromettente con te! Chi sbandiera così tanto di solito poi non quaglia. Preoccupati di qualcuno che ti spia semmai…»

Cloud trasalì di nuovo; come faceva a sapere o a indovinare sempre tutto?

«... è come una cotta giovanile, arriva e passa altrettanto rapidamente. Il tuo fan club in poche settimane sarà sciolto, se non farai altri exploit. O se interverranno Tifa e Meteor.»

«Il dottore non è geloso… Tifa invece è furiosa per il fan club.» disse Cloud, bevendo un altro sorso del suo drink con una smorfia. La mancanza dell’alcool si faceva sentire.

“Bleah… spero di non avere mai più problemi di salute.”

«Anche a lei passerà… aspetta un attimo.»

«Cosa?»

«Ti stai confidando!! Devo segnarlo sul calendario.»

«Stasera sei davvero simpatico come una seconda venuta di Sephirot.»

«Di chi?»

«Lascia stare.»

«Beh, chi se ne importa! Vuoi un consiglio? Tifa… devi farglielo dimenticare, questo fan club. E hai un’occasione d’oro!»

Cloud aggrottò le sopracciglia.

«Mi hai detto che stasera il bar è chiuso.»

«Si.»

«Hai il tuo asso nella manica… o nel guanto, per meglio dire. Ma aggiungici qualcosa di veramente romantico. Tipo una serata abbracciati a vedere un film.»

«Mmmh…»

«Portale il suo cibo preferito. Sono giorni che deve badare a te, al bar e a questo piccolo pozzo senza fondo… regalale una serata di relax. Senza chocobi.» sentenziò Andrea, indicando il pulcino. Meteor si sentì osservato.

«Kueh?» (Nominate la mia stirpe invano?)

«Il momento ideale per… tenerla stretta a te…» continuò l’uomo, avvicinandosi a Cloud, «... passarle un braccio intorno alle spalle…» disse ancora, cingendogli le spalle. «... e poi, quel che succede succede.» concluse ammiccando.

«Sei troppo vicino.» si lamentò Cloud, spostandosi.

«Non ti lamenteresti, se io fossi Tifa.»

«Ovviamente no.»

«Allora va, mio discepolo! Agisci!!» esclamò l’entertainer.

«Agisco.» disse il ragazzo con tono monocorde. 

«E nel farlo, toglimi questa piccola idrovora da davanti. Ho dei lavoratori da stipendiare e mangia come una batteria di scrofe.» 

 «Vieni, Meteor.»

«Kueeeh!» (Mi appropinquo, madre!)

«Ti dimentichi niente?» chiese Andrea, agitando una scatola.

Cloud alzò gli occhi al cielo, poi tornò sui suoi passi a riprenderla.

«Tieni vicino il telefono. Meglio che ti assista nei preparativi.» sospirò l’entertainer, sconsolato.

 

***

 

«... vuoi vedere un film?» ripeté Tifa, inarcando un sopracciglio.

«Che dici?» le chiese il Cloud, cercando di nascondere il nervosismo.

«Mmmh… ok.»

«Ah, ho preso anche della pizza.»

«Oh. Wow.»

“Ma insomma, ti piace l’idea o non ti piace?” pensò sconsolato il ragazzo, cercando di nascondere la sua preoccupazione a Tifa.

«Ma… Meteor?» chiese ancora Tifa.

«Di sopra. Ha mangiato tanto e si è addormentato.»

Tifa sembrò sorpresa.

«Ok, vado a mettermi il pigiama e prendo qualcosa da bere.»

«Per me virgin.»

«Come?»

«Niente… per me senza alcool.»

«Si, mi ricordo! Tu sistema il tavolo!»

Cloud posizionò le pizze sul tavolino e lo spostò vicino al divano. Stava valutando meticolosamente la distanza ottimale tra i due mobili, quando ricevette un messaggio. Si sedette sul divano per leggerlo: era di Andrea.

-Entertainer a disastro biondo. Mi ricevi? Come va?-

-Ti odio. Non ho reazioni chiare, ma ha accettato.-

-Bene. Pronto con il regalo eh, dopo la pizza. Quale hai preso?-

-Quattro formaggi con funghi salsiccia salame piccante e pancetta.-

-Ma che orrore! Che combini??-

-È la sua preferita.-

-Oh. Siete strani…-

-Parla l’uomo che si veste con le piume-

-Basta parlare, prima che lei ti strappi il telefo-

Tifa arrivò di gran carriera con due buste di pop-corn e le braccia piene di bibite; posò tutto sul tavolo, poi gli strappò il cellulare di mano.

«Vuoi stare con me o al telefono?» gli chiese, mentre si sedeva.

«Con te.» rispose subito lui.

«Ah ecco. Che pizza hai preso… oooh! La mia preferita!» trillò, entusiasta, mentre sollevava il coperchio della scatola di cartone.

Il ragazzo sorrise, più sollevato; forse l’idea per la serata le era piaciuta davvero. Iniziarono a mangiare: Cloud scartò tutte le fette di salame piccante e le passò a Tifa, che le accettò felicissima, caricando all’inverosimile le sue fette. Cloud la guardò divertito divorare la pizza, mentre faceva altrettanto.

«Aaaah, era fantastica!» affermò la ragazza, una volta fatta sparire l’ultima fetta. Cloud, che non aveva ancora finito, le offrì l’ultimo pezzo.

«Oooh, ma così mi vizi…» disse Tifa, mentre prendeva la fetta. Gli diede un bacio formaggioso, unto e piccante, prima di dare un poderoso morso alla pizza.

«Scelgo il film intanto.» propose Cloud, ringalluzzito dal bacio.

«Shi…» rispose lei, masticando.

«Mmmmh… questo film si intitola “La casa dei bambini”.»

«Oooh, sarà una commedia. Va bene.» disse subito lei.

«Perfetto.» commentò Cloud, felice che ci fosse voluto poco tempo. Si fece coraggio e si alzò.

«Dove vai?» domandò Tifa, mentre si puliva le mani con un tovagliolo. Il biondo non rispose, tornando pochi secondi dopo portando una scatola nera.

«Tieni.» disse, arrossendo fino alla punta dei capelli.

Tifa lo guardò, incuriosita, poi prese la scatola e la aprì; il contenuto le fece lanciare un gridolino di sorpresa.

«Cloud… sono… sono…»

«Ti… piacciono?»

«SONO BELLISSIMI!!» gridò la ragazza, tirando fuori dalla scatola un paio di guanti. Erano in pelle nera, ma con riflessi rossi che apparivano sotto la luce; alcune parti, come le nocche, erano rinforzate con piastre di metallo. Erano di metallo anche gli alloggiamenti per le materie intorno ai polsi.

«Cloud… ma come? Chi?»

«La pelle… di una belva. Il metallo è antiproiettile! Sai, visto che Meteor aveva…»

«Sono meravigliosi! GraziegrazieGRAZIE!» lo interruppe lei, abbracciandolo fortissimo.

Si staccò un attimo, solo per dargli un lungo bacio appassionato e tornare a stringerlo.

«Sono contento… ti piacciono davvero?» chiese lui, indeciso, appena lei lo lasciò andare.

«Se mi piacciono?? Sono stupendi!! Li… posso provare?» domandò lei, fremendo.

«Si.»

Tifa li infilò, ammirando i riflessi della luce e flettendo le dita.

«Sono perfetti… sono senza parole!»

Cloud era al settimo cielo: erano giorni che non la vedeva così contenta. Si godette ancora per un momento la sua espressione gioiosa, poi la sigla del film li riportò entrambi alla realtà. 

«Sta cominciando!» esclamò Tifa, mentre riponeva con cura i guanti nella scatola. 

«Si…» disse Cloud, alzandosi in fretta per andare a spegnere la luce.

Si sistemarono sul divano; Cloud si avvicinò timidamente a lei, ma Tifa fu più veloce e gli tirò le braccia al collo, stringendolo a sé.

“Ok… va bene lo stesso.” decise lui. Allungò il braccio per raggiungere la coperta che aveva strategicamente posizionato prima su uno dei braccioli.

“Ricorda, coprirsi mentre si guarda un film insieme aumenta il romanticismo” gli aveva detto Andrea.

Il film iniziò con dei bambini che giocavano allegri in un cortile, fuori da un edificio che sembrava molto cupo. Uno dei bimbi si rivolse ad una donna, chiedendole quando sarebbe tornata sua madre.

“Non tornerà più! Mettiti l’anima in pace, lei è morta! Per questo sei all’orfanotrofio!”

Il bimbo scappò via in lacrime.

“Non sembra una commedia...” pensò Cloud, leggermente preoccupato. Notò il viso di Tifa incupirsi.

«Se vuoi cambiamo film.»

«... no, dai. Vediamo come va.»

Continuarono a guardare: il bambino sembrava perso, lontano dal cortile. Una musica di tensione iniziò a farsi sentire tra lo stormire delle foglie di un bosco.

“Mamma…” piagnucolò il bimbo, sedendosi su un ceppo.

Un rumore secco fece saltare Cloud: era solo Tifa che aveva aperto una delle buste di pop-corn. Lo guardò con viso innocente, poi ne prese una manciata e se la ficcò in bocca.

“Ma come fa ad avere ancora fame?” pensò scandalizzato. Prese mentalmente nota di ordinarle due pizze la prossima volta.

Tornarono al film giusto in tempo per vedere una donna emergere dal sottobosco.

“Figlio mio!” gridò, correndo verso di lui a braccia aperte. Il silenzio della scena stonava con la felicità sul volto del bambino.

“MAMMA!” urlò il piccolo, caracollando verso di lei.

“Ah dai, è un film carino.” pensò Cloud. I due si abbracciarono, mentre la telecamera stringeva sempre di più sul volto della donna. Di colpo, i lineamenti cambiarono, lasciando il posto ad un teschio dalle orbite vuote e un sorriso maligno.

Alle urla del bambino si unirono quelle di Cloud e Tifa, che si strinsero l’un l’altra sotto la coperta. Lo schermo divenne nero e la scena cambiò.

«Ma che razza di film è?» domandò Tifa con un filo di voce, atterrita.

«Non lo so.» sussurrò Cloud, sconvolto quanto lei.

Un rumore alle loro spalle li fece saltare e gli strappò un altro urlo.

«Cos’era?» chiese Tifa, con voce acuta.

«Non era la televisione.» constatò Cloud.

Si voltò, scrutando nella penombra in cerca della fonte del rumore.

Intanto, il film proseguiva: la scena si era nuovamente spostata all'orfanotrofio, dove i bambini cercavano il loro amico scomparso. Una piccola comitiva si stava inoltrando verso il bosco, accompagnata dalla solita musica tensiva. Cloud si alzò circospetto e si avvicinò all’interruttore della luce.

«Che fai?» domandò Tifa.

«Vediamo cosa ha fatto rumore.» sibilò il ragazzo.

La musica del film era quasi assordante, mentre i bambini erano inquadrati di spalle, indecisi sul da farsi. Cloud accese la luce, proprio mentre una mano compariva dal nulla e arpionava la spalla di uno dei bimbi.

Tifa urlò, Cloud urlò, i bambini urlarono e anche Meteor, che era uscito dalla stanza e zampettava nel buio, starnazzò sorpreso.

“Cosa fate qui? Tornate subito indietro!!” gridò la voce arrabbiata della donna.

«Cosa fai qui!!» gridò Cloud, guardando male il pulcino.

«Kueeh!» (Madre! Alfine giungo da voi!) pigolò felice Meteor. 

«Adesso… mi viene… un infarto.» esalò Tifa, che si era voltata verso di lui. Cloud tornò verso il divano, con il chocobo che gli trotterellava alla calcagna.

«Ti dispiace se resta? Ormai è sveglio.» domandò Cloud, con tono dispiaciuto.

«Più siamo, meglio è.» rispose lei, senza staccare gli occhi dallo schermo e prendendo altri pop-corn.

«... ok. Comunque ora cambio film.»

«Ormai vediamo come finisce, dai!»

«Ma… sei sicura?»

«Hai paura per caso?» domandò lei con tono di sfida.

«... no.»

«Hai paura! Sei un fifone!» lo prese in giro, ridacchiando.

«Guarda che hai urlato anche tu.» 

«Si, ma io voglio vedere come finisce.»

«Anche io.» mentì Cloud, sedendosi accanto a lei. Meteor saltò sul divano e si acciambellò accanto a lui. Tifa sorrise e gli porse una manciata di pop-corn, che il pulcino accettò entusiasta.

«Kueeh.» (La mia opinione di voi si fa vieppiù migliore.)

“Ma… come…?” pensò Cloud, esterrefatto, osservando la scena.

La solita musica riposrtò la sua attenzione alla televisione: un uomo dall’aspetto emaciato si aggirava al di fuori dell’orfanotrofio, di notte.

«No… non di nuovo…» mormorò Cloud. Tifa si strinse a lui. Lo spirito riuscì a individuare la bambina che cercava, salutandola da dietro il vetro sporco della finestra.

“Papà?! Sei davvero tu?” sussurrò la bimba, avvicinandosi.

«Ma cosa fai!» esclamò Tifa.

“Si, sono io! Vieni con me, torniamo a casa.”  

“Ma papà… io ti ho visto morire… la febbre…” disse titubante la ragazzina.

“Sto odiando questo film…” pensò Cloud, coprendosi gli occhi con una mano; alla fine anche la bambina finì tra le vittime della misteriosa entità. Il film andò avanti, una sparizione inquietante dopo l’altra. Cloud finì a stringere a sé anche Meteor, che pigolò tutto contento.

«Adesso spunterà qualche misterioso vecchio che sa tutto di cosa sta succedendo.» disse Tifa, che stava stringendo così forte il braccio di Cloud che il ragazzo aveva ormai perso la sensibilità delle dita.

In effetti, pochi minuti dopo i bambini rimasti incontrarono una vecchietta dall’aspetto trasandato, che raccontò loro una antica leggenda, riguardo spiriti che prendono le sembianze di persone amate per attirare gli sventurati verso la loro morte.

«Ah, era una vecchia. Conta comunque.» disse Tifa, trionfante. 

“Quando finisce?” pensò il ragazzo, ormai al limite, con i nervi a fior di pelle.

Finalmente arrivò la resa dei conti: armati di un talismano e un rituale, i bambini superstiti affrontarono lo spirito nel bosco. Fu una battaglia accanita e con molte vittime, ma alla fine lo spirito fu annientato. Gli ultimi due bambini rimasti uscirono dal bosco mano nella mano per tornare all'orfanotrofio.

«Dai, meno male, un lieto fine.» commentò Tifa, sollevata, abbandonandosi contro Cloud, e lasciando finalmente il suo braccio.

«Già.» esalò lui.

“Questo incubo è finito, finalmente.”

Poi il volto del bambino si trasfigurò in quello dello spettro, che si gettò sulla bambina.

I due ragazzi spiccarono un salto di parecchi centimetri, mentre le grida acute della bambina riempivano la stanza. Lo spirito si voltò con esasperante lentezza verso la telecamera e si scagliò di colpo contro gli spettatori, emettendo una risata raccapricciante. Poi apparvero i titoli di coda. Tifa spense il televisore.

Cloud ansimava pesantemente.

«Stasera dormiamo insieme vero?» gli chiese, guardandolo implorante.

«Se ci riusciamo.» rispose lui, che continuava a fissare la televisione spenta.

«Kueh.» (Non comprendo i motivi del vostro terrore, madre.)

«Andiamo.» disse Tifa, che sembrava sconvolta quanto lui. Salirono diretti alla camera di Cloud, sobbalzando a ogni rumore e scricchiolio sospetti.

«Senti… potresti chiudere la porta a chiave?» chiese Tifa, con una nota di imbarazzo nella voce.

«Nulla in contrario.» rispose Cloud, che aveva già la chiave nella serratura.

Si misero a letto e si strinsero a vicenda.

 

***

 

Cloud aprì gli occhi, infastidito dal sole che filtrava dalle tende della sua finestra. La stanza era normale, senza spiriti maligni bramosi della sua anima o bambini inquietanti. Meteor dormiva in modo scomposto sulla sua cuccia, russando sonoramente.

Sospirò e il suo sguardo cadde su Tifa, ancora addormentata al suo fianco. Gli dava le spalle, e doveva essersi agitata parecchio nel sonno, visto che il suo pigiama scopriva gran parte della schiena.

Sentì l’impulso di accarezzarla. Con un coraggio che non credeva di possedere, iniziò a far scorrere le dita su di lei, seguendo la curva dei suoi fianchi.

Tifa si svegliò dopo pochissimo con un fremito; Cloud tolse immediatamente la mano, temendo di infastidirla, ma lei gliela prese con leggerezza e la mise di nuovo sul suo fianco.

Cloud iniziò a sentire molto caldo, ma non smise di accarezzarla, spingendosi anche sotto la sua maglietta. Tifa sembrava gradire le carezze e iniziò a ricambiarle. 

Dopo poco tempo lei gli prese nuovamente la mano, tenendogliela ferma, e si girò; Cloud provò a toglierla, ma lei la trattenne sotto la sua maglietta, mentre si voltava a guardarlo negli occhi.

Cloud avvampò ma notò che, nonostante sembrasse tranquilla, anche Tifa era arrossita. Questo gli diede la forza di non spostare la mano e di continuare ad accarezzarla; lei sorrise e piano piano gli portò le mani sui fianchi e gli sfilò la maglietta, ma lasciandogliela intorno alla testa con una risatina. Cloud finì di sfilarsela in modo impacciato: quando riuscì a toglierla, vide che anche Tifa aveva fatto lo stesso. Restó senza fiato, ammirandola. Lei lo stava guardando in un modo che non aveva mai usato prima; la situazione lo faceva sentire contemporaneamente forte e fragile.

Le sue labbra semiaperte sembravano chiamarlo; lui rispose con trasporto, posandovi le sue. Tifa rispose al bacio con passione, premendosi contro di lui e avvolgendolo con le braccia. Cloud la imitò, stringendola e affondando una mano nei suoi capelli, mentre l’altra seguiva le curve del suo corpo.

Anche Tifa spostò le sue mani, senza staccarsi nemmeno un momento dalla sua bocca: le fece scivolare su di lui, causandogli un brivido di piacere, fino ad insinuarle dentro ai suoi pantaloni. Sentì Cloud irrigidirsi per un momento, ma poi lui riprese a baciarla ancora più intensamente, mimando con le sue mani quello che lei stava facendo a lui.

I pantaloni di entrambi scesero quasi all’unisono, andando ad unirsi alle magliette tirate sul pavimento; ormai erano entrambi persi in quell’abbraccio, pelle su pelle, labbra su labbra, le gambe intrecciate.

Tifa, incapace di contenersi ancora, portò di nuovo le sue mani in basso, a sfilare l’ultimo indumento che rimaneva addosso a Cloud; lui si ritrasse, ma lei insistette e vinse la sua scarsa resistenza. Con una rapida mossa finì di anche lei di spogliarsi, godendosi il momento di puro contatto fisico che sognava ormai da tempo, e si sentì felice come mai prima di allora.   

Quando aprì gli occhi per guardarlo, però, intuì che qualcosa non andava: invece del suo stesso trasporto, gli lesse in faccia un profondo disagio. Tutta la magia svanì in un attimo.

«... Cloud?»

Lui non rispose, senza nemmeno il coraggio di guardarla in faccia.

 

***

 

«Ragazzi, culturisti e maschi in generale!! Intervento!» gridò Andrea.

«Cosa??» squittì Cloud, impallidendo. Tutti gli uomini della sala pesi smisero immediatamente di allenarsi e corsero verso di loro. Si pentì amaramente di aver voluto incontrare Andrea in palestra.

«Voglio che prestiate tutti la massima attenzione al caso di Cloud Strife. Tutto coperto da segreto maschile.» esclamò Andrea. Jules chiuse le porte della sala pesi e si unì al resto della combriccola.

«Ma… veramente io…» tentò di obiettare Cloud.

«Non preoccuparti, bro! Siamo qui per aiutarti.»

«Non mi sento per niente meglio.»

«Ovvio! Devi tirare fuori il problema prima.»

Cloud guardò preoccupato tutti gli uomini che lo circondavano; nonostante le facce amichevoli, si sentiva in soggezione.

«Dunque, Mr. Strife…» disse Andrea, che aveva tirato fuori da non si sa dove una cartellina, una penna e un paio di occhiali, «... ci risulta che ieri sera fosse in dolce compagnia, è esatto?»

«Lo sai benissimo! Mi hai aiutato tu ad organizzare la serata!» sbottò Cloud, che non aveva nessuna voglia di prestarsi a quella sceneggiata.

«Irrilevante. L’imputato si attenga ai fatti.»

«Imputato??»

«Oh, scusa, per un attimo ho sbagliato ruolo. Ma in ogni caso, la prossima domanda sarebbe stata la stessa: descriva al comitato l’andamento della serata.»

«Abbiamo mangiato una pizza. Le ho dato il regalo. Le è piaciuto. Abbiamo visto un film.» riassunse Cloud.

«Dai, Cloud… un minimo di dettaglio in più?» lo esortò Jules.

«Non ho voglia di parlarne davanti a tutti!» tagliò corto il ragazzo.

«Non si convoca per nulla il comitato maschile!» si indignò Andrea.

«Ma hai fatto tutto da solo!!» esclamò esasperato il biondo.

«Va bene, devo nuovamente indovinare. Sei preoccupato e ansioso… non hai la faccia di uno che ha trascorso la nottata in dolci passatempi. Non è andata, vero?»

Cloud sgranò gli occhi, mentre sentiva tutta l’aria abbandonargli i polmoni.

“Come. Cazzo. Fa.”

«Regola numerooooo… due!!» gridò Andrea, raccogliendo applausi a scena aperta e tifo da stadio da tutti i culturisti.

«Ho capito, è stato un errore. Me ne vado.» fece Cloud, voltandosi verso l’uscita della sala pesi.

«Dai! Non fare così, bro!» gridò Jay.

«Cloud!» lo chiamò Andrea.

Il ragazzo ignorò tutti quanti e si diresse a grandi passi verso l’uscita.

«Fratellone, forse stavolta hai esagerato. Avresti dovuto usare un po più di tatto.» commentò Jules, osservando dispiaciuto Cloud che andava via.

«Dovevo toccarlo di più?»

«Sei veramente incorreggibile.»

 

***

 

Le strade di Edge erano decisamente affollate quel giorno; Cloud uscì di corsa dalla palestra e si trovò immediatamente invischiato nel flusso dei pedoni. Si lasciò trascinare dalla fiumana, diretto in nessun posto.

“È stato un errore… che ne sanno loro??”

Guardò la gente camminare, pensando ognuno ai fatti propri. Forse era solo una sua impressione, ma chiunque in quel momento sembrava più felice e spensierato di lui. 

“Farei a cambio con chiunque… in qualsiasi momento.” pensò invidioso.

La porta del Seventh Heaven si aprì e una figura snella entrò baldanzosa nel locale ancora deserto.

«Cloud?» chiese Tifa, speranzosa, uscendo dalla cucina.

«Perché vorresti quel musone, quando puoi avere la Rosa Bianca di Wutai?»

«Yuffie! Che piacere, non sapevo fossi da queste parti!» esclamò Tifa, correndo ad abbracciare l’amica. La ninja ricambiò l’abbraccio, ridendo.

«Che bella baracca! Mi piacciono tanto i segnatavoli…» disse, girando su se stessa.

«Sei tale e quale a Meteor, allora.» rise Tifa.

«A chi??» disse Yuffie, allarmata.

«Ci sono due o tre cosette che devo raccontarti!» 

Una giovane coppia camminò verso Cloud, mano nella mano. La cosa lo irritò tanto che per un attimo pensò di passare in mezzo per interrompere il loro contatto fisico.

Scosse la testa, cercando di darsi una calmata, e passò accanto alla ragazza. Nessuno dei due fece caso a lui, erano persi l’uno nello sguardo dell’altra.

“Come fa la gente ad essere felice?” 

«Quindi… ti ha regalato un chocobo, ma adesso sono diventati loro due la coppia della casa.» disse Yuffie, sorseggiando un bicchiere di acqua.

«In pratica… sicura che non vuoi qualcos’altro?»

«No no! La diligenza si muoveva così tanto… sono ancora scombussolata.» disse la ninja, diventando pallida al solo ricordo del viaggio.

«Ok. In ogni caso, il problema è che lo vedo così felice… si è affezionato, io mi sento in colpa ad essere gelosa, ma vorrei più attenzioni! E poi ieri…»

Dovunque Cloud si voltasse vedeva volti allegri e coppie che si godevano del tempo insieme. Sembrava una cospirazione per farlo sentire ancora peggio. Tifa era stata molto comprensiva, lo aveva coccolato e gli aveva detto che non ce l’aveva con lui, che poteva capitare, anzi si era anche scusata se per caso gli aveva messo troppa pressione.

Avrebbe preferito che si fosse arrabbiata con lui, che gli avesse urlato contro o che gli avesse rinfacciato tutto il tempo che era stata ad aspettarlo.

“Non… non me la merito.” 

«Secondo me non ti merita.» decretò Yuffie, tamburellando con le mani sul bancone.

«Non essere così dura…»

«Sono giusta! Dopo tutto questo tempo, ti fa anche questo scherzo!»

«Mica lo ha fatto apposta! Forse sono stata io che gli ho messo troppa fretta.» considerò Tifa.

«Tifa! Parliamo di un adulto, mica di un bambinetto… forse è ora che smetti di provare a sistemarlo e ti cerchi qualcuno che sappia cosa vuole!»

«Sembra adulto, ma non lo è del tutto…»

«Tifa, smettila di giustificarlo.» la interruppe Yuffie.

Cloud si sedette su una panchina, tenendosi la testa con le mani. Sentiva un leggero capogiro; guardò il distributore alla sua sinistra e decise di prendere qualcosa. Lo zucchero della bibita gli fece riguadagnare una presa sulla realtà. Guardò la lista degli ingredienti, poi la facciata della casa di fronte a lui. 

“Forse… se non si è arrabbiata…”

Odiava non saper leggere le persone come faceva Andrea. Ma odiava anche Andrea per la scenata che aveva messo su poco prima, sbandierando i suoi problemi di fronte a tutti.

«... quindi non è come pensi tu, non ha mai usato i suoi problemi come scusa.» disse Tifa, concludendo un lungo discorso.

«Continuo a pensare che ti meriti di meglio. Potrei diventare la tua Esimia Consulente Coniugale e trovarti un ragazzo alla tua altezza!» propose Yuffie, ridacchiando.

«No, per carità, nessuna consulenza. Yuffie, non voglio lasciarlo! Vorrei… solo che capisse.»

«Capisse cosa?»

Cloud non riusciva a capire niente; non capiva fino in fondo nemmeno il motivo che lo aveva spinto ad andarsene molto presto di casa, quella mattina, evitando quasi del tutto Tifa. Ora quegli occhi rossi gli mancavano terribilmente, ma allo stesso tempo qualcosa gli impediva di tornare indietro.

“Dovrei andare a scusarmi con lei. Forse… sono in tempo.” 

Il telefono gli vibrò in tasca. Era un messaggio.

“Tifa!?”

-Hey, drama queen. Dove sei finita?- 

-Lasciami stare, Andrea.-

-Ok ok, ammetto che mi dispiace che tu non abbia apprezzato il mio show di prima. Vorrei scusarmi… del tuo scarso gusto.-

Cloud alzò gli occhi al cielo, ma il messaggio gli strappò un mezzo sorriso. Arrivò un altro messaggio:

-Jules vuole che ti scriva proprio che mi dispiace.-

-Allora di a Jules che accetto le sue scuse.-

-Bene, abbiamo fatto pace!- 

Cloud sospirò esasperato, considerando l’idea di bloccare il suo numero.

«Non vuoi nemmeno considerare l’idea di prendervi una pausa?» chiese Yuffie.

«Non lo so, ho paura che potrebbe avere l’effetto sbagliato e allontanarlo… non voglio rischiare… ha fatto dei progressi.» rispose Tifa, dubbiosa.

«Dici che sta migliorando, dici che si impegna, ma hai il muso lungo fino a terra. Gli voglio bene, ma potrebbe semplicemente non essere lui quello giusto per te.»

Tifa trasalì.

«Ci hai mai pensato?» insistette Yuffie.

-Ho pensato a cosa puoi fare per sistemare le cose. Innanzitutto devi…-

Cloud non finì di leggere il messaggio. Era troppo lungo e non aveva molta voglia di seguire i consigli di Andrea dopo la sua ultima performance.

Arrivò un altro messaggio, molto più corto.

-Vai a prenderti la tua felicità senza paura.-

Fissò lo schermo senza muovere un muscolo finché non si spense automaticamente, ed anche allora non riuscì a distogliere lo sguardo. Quelle parole gli rimbombavano in testa e nel resto del corpo come i rintocchi di una campana.

“Senza paura…”

«Senza paura, Tifa! Non puoi farti condizionare.» insistette la ninja.

«Non ho paura, Yuffie!»

«Ho dei dubbi. Non vuoi lasciar andare l’immagine che hai di lui da quando eravate piccoli, per te rimane il prode cavaliere senza macchia… l’ho già sentita questa storia.»

«Non è la mia storia.»

«... ha significato troppo per te, per troppo tempo. Ora la cosa vacilla ma tu non vuoi vederlo, perché dopo tutte le lotte che hai dovuto fare per averlo, non puoi sopportare l’idea che non vada bene.»

Cloud rientrò a casa dalla porta sul retro, cercando di fare silenzio. Non era ancora sicuro di avere abbastanza coraggio da vedere subito Tifa. Sentì due voci femminili provenire dal bar e si avvicinò in punta di piedi.

“Yuffie? Che ci fa qui?”

«Un inconveniente non può far vacillare tutto, Yuffie.» replicò Tifa. «Va tutto bene.»

«Non ti capisco… non voglio dire cattiverie, ma mi sembri tu l’unica che si accanisce davvero per far funzionare le cose. Ne vale davvero la pena?»

«... si. È che… Yuffie, io lo amo.»

«Cooosa??»

Cloud e Yuffie trasalirono. Tifa fece un piccolo sorriso.

«Lo amo… e penso che lui se lo meriti. Non mi ha mai fatto niente di male, sento che mi vuole bene anche lui. Vorrei solo smettere di indovinare cosa pensa, certe volte mi fa sentire tanto frustrata.»

«Mmmh… contenta tu!» disse la ninja, poco convinta.

Cloud si guardava intorno, ma non vedeva nulla.

“Mi… mi ama? Me?”

Raccolse il coraggio e fece gli ultimi passi che lo separavano dall’ingresso del bar; le gambe gli sembravano pesanti come macigni.

Aprì la porta. Tifa e Yuffie si girarono di scatto, sorprese; Cloud cercò di nascondere la tempesta di emozioni che stava imperversando dentro di lui dietro la sua solita faccia.

Yuffie lo salutò, ma lui non riusciva a smettere di guardare Tifa, che ricambiava il suo sguardo in modo interrogativo.

«Ti… Tifa.»

«Si, Cloud?»

«Io… devo parlarti. Adesso. Di sopra.»

«Ciao eh, biondo!» insistette Yuffie. Lui non le rispose.

«Ehm… ok. Se è così urgente… andiamo.» disse Tifa, anche se sembrava confusa dalla situazione.

Cloud la prese per mano e quasi la trascinò di sopra, verso la sua stanza. Entrarono e richiuse la porta dietro di sé. Ansimava pesantemente. Sapeva finalmente cosa voleva fare, era ad un passo dal farlo, ma ancora non sapeva se ci sarebbe davvero riuscito. 

«Cloud… va tutto bene?» gli chiese Tifa, con tono preoccupato. Gli posò una mano sulla guancia.

«Si.» rispose lui.

«Di cosa mi volevi parl…» iniziò a dire Tifa, ma Cloud la interruppe con un bacio. Lei sul momento spalancò gli occhi, sorpresa dalla sua energia, ma poi rispose con entusiasmo e si abbandonò alla passione.

Si divisero per un momento. Lei disse:

«Sei sicuro che…?»

Lui le rispose sollevandola e portandola verso il letto.

 

Trenta minuti più tardi…

«Ehm… comincia a diventare strano. Per me non stanno parlando.» mormorò Yuffie, ancora seduta al bancone del bar.

«Beh… me ne vado. Ma prima, mi prendo questi come risarcimento morale.» proclamò, alzandosi e facendo man bassa di tutti i segnatavoli di vetro.

Stava per andarsene, quando con la coda dell’occhio notò qualcosa muoversi. Si voltò e vide un pulcino di chocobo che la fissava dal bar: sembrava molto interessato alle sfere di vetro che teneva tra le braccia.

«Oh, devi essere Meteor! Ma sei un amore!!» esclamò Yuffie, facendo un mezzo passo verso di lui. Appena si mosse, il pulcino si avventò verso di lei, strillando come un ossesso.

«KUEEEEEEH!!» (Ladra! Rendimi i miei balocchi, maledetta!!)

Yuffie fece un salto all’indietro, perdendo alcuni segnatavoli, e corse verso l’uscita senza fermarsi a raccoglierli, richiudendo subito la porta dietro di sé.

 

***

 

Tifa era sdraiata, la testa poggiata sul petto di Cloud che si alzava e si abbassava leggermente al ritmo del suo respiro. Non riusciva a smettere di sorridere. Lui le stava accarezzando i capelli; alzò la testa per incontrare il suo sguardo. Sembrava che stessero giocando al gioco dei mimi: lei sorrideva, lui sorrideva, lei ridacchiava, lui si fece sfuggire una risatina. Nello stesso momento, avvicinarono i loro volti per baciarsi.

«Yuffie!!» gridò Tifa, staccandosi.

«È vero, non l’ho nemmeno salutata!» esclamò Cloud.

Si alzarono e cercarono i loro vestiti in giro per la stanza, rimettendoseli in fretta. Scesero le scale e si precipitarono al bar, ma Yuffie era andata via. Trovarono solo Meteor che giocava tutto felice con alcuni segnatavoli.

«Ma… li ha presi davvero!» gridò Tifa, arrabbiata, notando che le sfere erano assenti da tutti i tavoli.

«Che ti aspettavi? Lo sai che è fissata con le materie» disse Cloud, mentre si grattava la gola.

«Le manderò il conto!! Che ladruncola!»

«Sempre la solita…» confermò Cloud, che continuava a grattarsi.

«... cosa ti prude?» chiese Tifa.

«Non lo so.» disse lui, sempre più infastidito dal prurito.

Tifa gli allargò il collo del maglioncino e sbirciò all’interno.

«Te lo sei messo al contrario.» disse, tirando fuori l’etichetta.

«Ah…»

«Yuffie ormai è andata via… vieni di sopra, ti aiuto a toglierlo.» 

Lo tirò per l’etichetta fino nella sua stanza. Lui non oppose resistenza.

 

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Capitolo 8
*** Signs of a Strife - Parte 1 ***


Signs of a Strife - Parte 1

 

«Kueeh? Kueeh?» (madre? madre? dove vi ubicate?)

«Dov’è Cloud? Dov’è?» chiese Tifa, soffocando una risata vedendo Cloud seminascosto dietro una tenda.

«sniff… sniff… kueeeeh!!» (madre! eccovi! non abbandonatemi mai più!)

«Ma che bravo! Ma che bravo che sei!» esclamò Cloud, dandogli un biscottino e accarezzandogli il muso.

«Kueeeh…» (oh madre, il vostro affetto mi travolge!)

«Lo stai addestrando bene! Il libro che ti ho regalato è servito a qualcosa.» disse Tifa, ridendo.

«Si, è un bel libro. Grazie di averlo comprato.» rispose Cloud, rialzandosi e stampandole un bacio sulla guancia.

«Sono felice che ti sia stato d’aiuto.» disse lei, prima di ricambiare il bacio con uno sulla bocca.

“Io sono felice e basta.” si ritrovò a pensare lui, abbracciandola.

«Ora vai! Non fare tardi alla tua prima consegna!»

«Mica è la prima.» obiettò lui.

«Oh, ok… la prima da quando sei guarito! Che precisino.» ridacchiò Tifa.

Lui le diede una leggera sculacciata.

“Tre giorni fa aveva paura a toccarmi…” pensò lei, sorridendo. Ricambiò la sculacciata, ma più forte. Rispose con un bacio alla sua occhiata imbronciata.

«Vado. Ci vediamo più tardi.» disse Cloud, uscendo. Tifa e Meteor lo seguirono e lo guardarono caricare Fenrir e mettere in moto. La ragazza abbassò lo sguardo sul chocobo.

«Dai, vieni che ti do da mangiare.»

«Kueeh!» (cercherò nel cibo consolazione per la partenza della mia genitrice.)

Il rombo del motore si allontanò, mentre i due rientravano in casa.

 

Qualche tempo dopo.

Cloud arrivò con un rombo di motori all’indirizzo della consegna, a ridosso dei confini di Edge. Le case si facevano talmente rare che si poteva apprezzare il paesaggio tutto intorno, con una insolita, folta foresta che risaliva le falde di alcune colline.

Un cartello di legno mal tenuto recitava: “Orfanotrofio SeHomun”.

Il ragazzo sgranò gli occhi, sorpreso. Era decisamente l’ultimo posto in cui si sarebbe aspettato di trovare un orfanotrofio, e bisognava aggiungere che l’edificio aveva un’aria piuttosto tetra.

Salì i quattro scalini di legno scricchiolante portando il voluminoso pacco e bussò alla porta. Non si sentiva vociare di bambini, né qualsiasi altro tipo di rumore dall’esterno, tanto che Cloud sentì i passi della donna di mezza età che gli aprì la porta, prima ancora che lei lo facesse.

«Consegna…» annunciò, con voce atona.

«La aspettavo. Vorrebbe seguirmi, prego? Non ho più l’età per sollevare pesi…» disse la donna. In effetti sembrava molto gracile e aveva gli occhi scavati.

«C-certo…» rispose Cloud, entrando, anche se qualcosa nella situazione gli fece venire i brividi. Il corridoio aveva un soffitto altissimo che creava un’atmosfera fredda e stantia.

Seguì la donna attraverso altri due corridoi, senza incontrare alcun bambino; si fermarono un momento davanti ad una porta, poi la varcarono.

Cloud si trovò in un ampio refettorio ingombro di lunghe tavolate. I posti a sedere erano tantissimi ma c’erano pochi bambini seduti, in un silenzio che metteva inquietudine.

«Prego.» lo invitò la donna, indicando un piccolo tavolo vuoto; il ragazzo posò lo scatolone e continuò a guardarsi intorno.

«IGNIS!» gridò una vocina, facendolo sobbalzare. Si voltò e vide una piccola bambina bionda, che a stento gli arrivava alla vita, con entrambe le braccia tese verso di lui e la faccia contratta per lo sforzo.

«Ignis! Ignis!!» ripeté, concentrandosi.

«Hoshi! Smettila di dare fastidio al fattorino!» la rimproverò la donna.

«Ignis! Dovresti essere già morto!» continuò la bambina, ignorandola.

Cloud la guardò, incerto sul da farsi.

«Smettila subito! Sei molto scortese.» disse l’anziana.

«Ma mi sto allenando! Non voglio che gli spiriti mi prendano.»

Cloud sbiancò, mentre la piccola continuava a cercare di dargli fuoco.

«Non… non ci sono gli spiriti.» disse la donna, con voce tremante.

«E allora perché ogni tanto sparisce qualcuno?» ribatté la bambina, con aria di sfida. 

«Le ho sentite le storie, io! Le persone vanno alla vecchia pietra nel bosco e poi non tornano più!»

«Non spaventare il fattorino con queste… storie.» la ammonì la direttrice.

«Ma io non ho paura! Tra poco saprò fare le magie e potrò uccidere gli spiriti.» rispose la piccola, saltellando via con aria trionfante, la lunga treccia bionda che ondeggiava a tempo.

Cloud la seguì con lo sguardo.

«Non… non badi a Hoshi, lei… si fa suggestionare.»

La donna, a dispetto delle sue parole, sembrava visibilmente spaventata; anche Cloud sentiva che qualcosa non andava. Di colpo, gli tornò in mente il film horror che aveva visto insieme a Tifa e sentì il bisogno urgente di abbandonare quel luogo.

Accettò il suo pagamento dalla donna e percorse quasi di corsa i corridoi verso l’uscita; da dietro un angolo spuntò di nuovo la bambina bionda, rischiando di fargli venire un infarto.

Gli puntò un ditino alla faccia e sentenziò:

«Hai i capelli strani.»

«Sono biondo come te.» rispose, cercando di calmarsi.

«Hai anche i vestiti strani.»

«Mi vesto come voglio!» ribatté, piccato.

«E sei un fifone! Scommetto che non vuoi sentire la storia degli spiriti!» insistette la bambina, alzando la testa.

«Infatti no.» tagliò corto lui, trattenendo a fatica il fastidio.

«Ok, te la racconto.» 

«Ma ti ho detto che…» protestò Cloud.

«Si dice che qui intorno…» iniziò la bambina, ignorandolo e abbassando la voce, «... abitino degli spiriti! Se vai in mezzo al bosco e versi del sangue su una pietra magica, potrai rivedere persone care che hai perso.»

“Ma è esattamente come nel film!” pensò sbalordito Cloud.

«Però… gli spiriti cattivi poi ti mangiano, gnam!» concluse la bambina, agitando le manine.

«Si, certo…» rispose il ragazzo, oltrepassandola.

«Quanto sei antipatico!» protestò la piccola.

«Anche tu sei antipatica!» rispose Cloud, che aveva già un piede fuori dalla porta.

«Ecco! Bravo! Vai via, fifone!» strillò Hoshi, facendogli la linguaccia.

 

***

 

«Oh, sei già tornato!»

«Si, non era così lontano.»

«... va tutto bene?» domandò Tifa, dopo averlo visto in faccia.

Cloud in effetti era rimasto colpito dall’orfanotrofio e aveva viaggiato tutto il tempo con l’impressione di essere osservato. Raccontò a Tifa della consegna e del racconto della bambina.

«Come nel film!» esclamò Tifa.

«Già…»

«Dai, lo sai che i bambini si fanno influenzare. Avrà visto quel film e le sarà rimasto in mente.»

«Probabilmente hai ragione.» concordò Cloud, mentre Meteor gli saltava in braccio per fargli le feste. «Ma la direttrice… si comportava in modo strano.»

«Cioè?»

«Sembrava davvero spaventata.» le raccontò lui, mentre accarezzava il pulcino che pigolava felice.

«Kueeh kueeeh!» (madre, che gioia che mi date.)

«Oh… beh se la gente sparisse davvero si saprebbe, Edge non è grande come lo era Midgar.»

«...»

«Terremo le orecchie aperte. Se sentiremo parlare di sparizioni, interverremo.»

«Non ci tengo.» borbottò Cloud, incrociando le braccia.

«... hai paura davvero!» esclamò Tifa, a metà tra il sorpreso e il divertito.

«No. Non voglio farmi coinvolgere, ecco.» si difese lui.

Tifa lo guardò poco convinta.

«Ok, grande eroe. Che facciamo stasera? Siamo chiusi…»

«Non so… cosa vorresti fare?»

«Se te la senti di uscire, in effetti è parecchio che non mi porti all’Honeybee Inn.»

Cloud soppesò la possibilità. Non aveva ancora perdonato del tutto Andrea, ma aveva una voglia tremenda di bere.

«Se posso bere, va bene.»

«Non sono passate le due settimane!» osservó lei, con una nota di disappunto nella voce.

«Ma sto bene! Posso fare le consegne, ma non posso bere?» ribatté Cloud, infastidito.

«Ti proibisco di bere! Però io potrei… e potrei diventare molto espansiva, dopo…» disse Tifa, giocando maliziosamente con lo scollo della sua maglietta.

Cloud guardò la ragazza con rinnovato interesse: non l’aveva mai vista bere tanto, visto che come bartender non poteva farlo mentre lavorava.

«E va bene. Honeybee sia.»

Tifa gli mise le braccia intorno al collo e lo baciò. Meteor protestò lievemente per essere stato schiacciato tra i due.

«Andiamo a farci belli.» propose, prendendolo per mano.

Cloud lasciò andare Meteor, che pigolò indignato e li seguì di malavoglia.

 

***

 

Cloud si svegliò placidamente a mattina inoltrata.

“Ma che ore sono…”

Tifa russava sonoramente di fianco a lui. La guardò per un momento con adorazione, pensando a quanto fosse fortunato, poi ripensò alla serata appena trascorsa: aveva almeno due grossi morsi sulla spalla, ma non aveva più incontrato cani dall’ultimo torneo. I suoi vestiti erano tutti appallottolati insieme a quelli di Tifa in un angolo della stanza, tranne per un reggiseno che pendeva dal lampadario.

Si, tendeva a diventare espansiva quando beveva, ma non aveva nulla da ridire.

Non riuscendo a resistere, allungò una mano verso i suoi capelli, che erano sparsi in disordine su tutto il cuscino. Tifa mugugnò qualcosa di inintelligibile.

Cloud riuscì ad accarezzarla per poco: di colpo si alzò, completamente sveglia, gridando:

«Devo andare a ricomprare i segnatavoli! Che ore sono??» 

«Buongiorno?» disse il ragazzo.

«Buongiorno…» rispose lei, mentre si spostava sopra di lui per arrivare alla sveglia sul comodino. Cloud si era allungato per darle un bacio, ma fu travolto dalle sue forme e ricadde sul cuscino.

«Scusa!» disse in fretta lei, mentre prendeva le sveglia.

«COSA!? MEZZOGIORNO? Perché non mi hai svegliata!!» strillò.

«Mi sono svegliato adesso anche io…»

«Mi hai fatta bere troppo, ho mal di testa...  dove è finito il mio reggiseno??»

Cloud indicò in alto.

Lei, senza spostarsi da sopra di lui, si voltò e sgranò gli occhi alla vista del reggiseno appeso al lampadario.

«Dai, te lo prendo.»

«Oddio è tardissimo, dobbiamo andare… maledetto menu “Bee Spicy”!!»

I due tentarono di alzarsi nello stesso momento, con il risultato di aggrovigliarsi tra le lenzuola e cadere scompostamente di nuovo sul letto, a parti invertite stavolta.

«Ahi!» gemette Tifa.

«Stai bene?» 

«No, siamo in ritardo!» si lamentò lei, gettandolo di lato per alzarsi.

Tra lamenti, vestizioni approssimative e Meteor che aveva rubato un paio di mutande e correva in giro per la stanza, riuscirono ad uscire e a raggiungere il negozio in poco tempo.

 

***

 

Passò qualche giorno. Cloud non ricordava di essere mai stato così felice e a suo agio in vita sua. La vecchia e la nuova routine si erano combinate perfettamente: il lavoro lo appagava di nuovo e il suo rapporto con Tifa andava a gonfie vele.

Meteor aveva addirittura iniziato, finalmente, ad andare d’accordo con Tifa. E a perdere i denti.

Una mattina, i due ragazzi si svegliarono non al suono della sveglia, ma a quello della suoneria del telefono di Cloud.

«Chi… chi è?» biascicò lui, rispondendo.

«Cloud, sono Jules. Sai di quella storia che mi hai raccontato sulle sparizioni?»

«Mmmh?» fece il ragazzo, ancora mezzo addormentato. Tifa si puntellò sui gomiti e lo osservò con sguardo assonnato.

«Ho appena parlato con un ragazzo che dice che la situazione è veramente brutta da quelle parti.»

«Cosa?» esclamò Cloud, ora perfettamente sveglio. Tifa aggrottò le sopracciglia, ma aspettò che finisse la telefonata.

«Già. La gente sparisce davvero… grandi, piccoli. Sembra che proprio ieri sia scomparso qualcuno da un orfanotrofio.»

«Ed è colpa di questi… spiriti?»

«La gente del posto dice di si, ma vai a sapere se è vero.»

«...»

«Cloud, non posso chiederti di indagare, ma… è una situazione preoccupante e non so chi altro potrebbe occuparsene.»

«Ma… la polizia?» domandò il ragazzo.

«Indagano, a quanto pare, ma non credono sia un caso soprannaturale.»

il biondo sospirò. Riuscì a sentire dall’altro capo del ricevitore la voce di Andrea che prendeva in giro qualcuno.

«Ci penserò.»

«Grazie, Cloud.» 

Il ragazzo chiuse la chiamata e si rivolse a Tifa.

«Era Jules. Sembra che le persone spariscano davvero in quella zona dove sono stato.»

«Oh… quindi la bambina non era suggestionata dal film!»

«Pare di no.»

«Cosa vuoi che facciamo?»

«Dovrei indagare… provare a capire cosa succede.»

«Dovremmo, vuoi dire.» lo corresse subito lei.

Lui annuì, sapendo che evitare di coinvolgerla sarebbe stata una battaglia persa. Ma, come ogni volta, iniziò immediatamente a preoccuparsi.

«Non ti preoccupare… vedrai che il peggio che capiterà sarà di trovare qualche cadavere dentro a qualche buco.» gli disse Tifa, alzandosi e iniziando a vestirsi.

Cloud annuì, anche se sospettava che non sarebbe andata così.

 

***

 

Arrivarono davanti all’orfanotrofio dopo qualche tempo.

«Potevamo prendere la moto… ci abbiamo messo una vita.» si lamentò Cloud.

«Non avremmo mai potuto fare un appostamento sopra una moto!» ribatté Tifa. 

«Ancora non ho capito questa storia dell’appostamento.» disse il ragazzo.

«Dobbiamo vedere cosa succede! Poi potremo agire.»

«E per quanto dovremo aspettare?»

«Uffa! Per tutto il tempo necessario!»

«Ma poi perché sei voluta venire subito qui?»

«Cloud! Ma me l’hai detto tu che era sparito qualcuno dall’orfanotrofio, oggi!»

«È vero…» ammise il ragazzo.

«Lo so che non ci volevi venire. Fallo per me, ok?» gli disse lei, guardandolo supplichevole.

«Ok, ma... non è vero che non ci volevo venire.»

«Guarda che lo so che hai paura… va bene avere paura.» disse Tifa.

«No! Non ho paura! Di niente!»  ribatté piccato il biondo.

«Cloud… il film. Ho visto come ti sei comportato. E so anche che hai paura delle siringhe.»  disse Tifa.

Cloud arrossí.

«Le siringhe… più che paura mi fanno schifo. Sono cave, ti entrano dentro. Ma non ho paura di stare qui. Voglio solo… non essere qui.» si giustificò, evitando il suo sguardo.

Tifa scosse la testa, sconsolata.

«Anche tu hai avuto paura del film!» continuò lui.

«Era un horror, è normale avere paura, sono film fatti apposta.» ribatté Tifa.

Cloud sbuffò.

«Anche quella volta nel cimitero dei treni eri molto impaurito.» affermó Tifa.

«Non è vero! Eravate tu ed… Aerith… ad avere paura.» ribatté Cloud, mentre cercava di scacciare dalla sua mente il ricordo di quel posto da incubo. 

«C’erano dei veri fantasmi!» fu la replica di Tifa.

«Appunto. I fantasmi esistono. Non so se possiamo affrontarli.» dichiarò lui.

«Smettila di cercare scuse! E quella volta li abbiamo sconfitti»

«Kueeh!» (madre, necessito recarmi lestamente a defecare)

«Poi non capisco come mai lo abbiamo portato!» esclamò Tifa, guardando Meteor che si agitava camminando su e giù nel vano posteriore.

«Si sentiva solo. E non voglio che devasti di nuovo il bar… comunque mi sa che deve uscire a farla.» rispose Cloud, sporgendosi all’indietro per aprire il portellone.

Tifa ne approfittò per infilargli con prepotenza una mano sotto la maglietta.

Meteor saltellò fuori tutto contento e entrò in un cespuglio lì vicino per liberarsi gli intestini.

«Come hai fatto a capire che doveva farla… esperto di chocobi?» gli chiese lei, continuando a palparlo.

«La fa sempre a quest’ora; le funzioni corporali dei cuccioli sono molto prevedibili.»

«Non mi dire…»

«Quindi è facile capire che… ma mi stai ascoltando?» 

«Siiii…» disse Tifa, con tono assai poco convincente.

«Non ci metterà molto, non credo che possiamo…»

Non riuscì a finire la frase, perché Tifa gli tappò la bocca con un bacio.

“Niente male questo appostamento…” pensò Cloud, mentre armeggiava con i pantaloni di lei.

Furono bruscamente interrotti da Meteor, che saltellò nuovamente dentro al furgone.

«Kueeh kueh!» (mi duole, ma temo che le mie terga siano rimaste imbrattate di materia fecale.)

«Oddio, ma che puzza!!» esclamò Tifa, staccandosi e risistemandosi in fretta.

«Devo pulirlo, mi sa.» disse il ragazzo, sconsolato.

«Kueeeh?!» (madre? cosa eravate intenta a fare?)

Cloud tirò fuori dallo zaino una borraccia di acqua, un panno e una saponetta.

«Non mi dire che…»

«Pensavi che sarei venuto senza? È equipaggiamento essenziale per portare fuori un pulcino.»

«Penso che tu non abbia la minima idea su come si faccia un appostamento.» affermò Tifa, scuotendo la testa.

«Sentiamo, visto che sei così esperta: cosa serve per un appostamento?» domandò il biondo con tono di sfida.

Tifa prese il suo zaino con aria trionfante e tirò fuori due thermos e una scatola di cartone.

«Caffè e ciambelle!»

«Sei seria?» domandò lui con voce atona. Non aspettò la risposta e scese per occuparsi di Meteor.

«E allora le mangerò tutte io!» proclamò Tifa.

Uscendo fuori, Cloud notò che mancava ancora parecchio al tramonto. Erano posteggiati poco distanti dall’orfanotrofio ma, proprio come la volta precedente, non si sentiva alcun rumore. Si mise a lavare Meteor con movenze esperte.

“Come hai fatto a ridurti così…”

«Cloud!!! L’ha spalmata ovunque!!»

«Non potevi proprio aspettarmi fuori, eh?» sospirò Cloud. Meteor si girò per guardarlo con la lingua fuori dal becco.

«Ci sono delle salviette nel mio zaino!» gridò.

«No, col cavolo! Pulisci tu, visto che sei così esperto!»

Sospirò ancora più forte.

«Se avrò guai per questo, sappi che ne avrai anche tu.» sibilò, rivolto al pulcino.

«Kueee.» (mal gradisco cotanto astio.)

Dopo aver finito, andò ad occuparsi del furgone.

 

***

 

«Non ne posso più…» sospirò Tifa.

«C’è altro caffè?» chiese Cloud. Si era sdraiato abbassando il sedile e aveva allungato le gambe sul cruscotto.

«No! Lo hai ingurgitato! Come fai ad avere ancora le coronarie intere?!»

«Una cosa da SOLDIER…» mormorò lui.

Lei rispose dandogli una pacca sullo stomaco a tradimento.

«Ma che…!»

«Ti stai comportando molto poco da SOLDIER, sembri più uno di quei personaggi inutili dei film horror.»

Allo sguardo interrogativo di lui, Tifa rispose:

«Si, quelli che non vogliono mai fare niente e poi vengono squartati per primi. E di solito sono biondi!»

Cloud la guardò male e rialzò il sedile. Cercò con la mano qualche ciambella rimasta nella scatola e ne tirò fuori un paio: una la addentò, l’altra la passò a Meteor, che era già in posizione per riceverla.

«Kueeeh!» (se avessi atteso ancora per nutrirmi, di me sarebbero rimaste solo piume e ossa!)

«Sei sicuro che possa mangiarla?» chiese Tifa, dubbiosa.

«Digerirebbe anche le nostre ossa.»

«Infatti ci ha provato. Dovresti dargli meno cibo, comunque: diventerà un chocobo ciccio se continua a ingozzarsi così!»

«Sta crescendo.»

«In larghezza.»

«Lo peso una volta a settimana: è nella norma.»

«Tu cosa?»

«Lo peso… insomma, va controllato! È sempre un cucciolo, dopotutto.»

“Comincia a farmi paura…” pensò Tifa, scuotendo la testa.

Erano passate almeno un paio d’ore dal tramonto e non c’era stato nessun segno di vita al di fuori dell’orfanotrofio. Avevano individuato l’imbocco di un sentiero che portava all’interno del misterioso bosco e avevano spostato il furgone in modo da essere nascosti e avere una buona visibilità.

Cloud non riuscì più a trattenersi e si addormentò.

«E hai bevuto quasi tutto il caffè!» mormorò Tifa, perdendosi per un attimo nei suoi ciuffi biondi in disordine.

“Sei troppo bello quando dormi! Bello e sereno, come se non avessi preoccupazioni.” pensò. Si sorprese a pentirsi di non aver dormito sempre insieme a lui.

Di colpo notò un movimento con la coda dell’occhio, nella penombra del parcheggio. Un uomo si stava addentrando nella foresta, guardandosi intorno in continuazione. Una volta addentratosi nella foresta, Tifa vide che aveva acceso una piccola torcia. 

«Cloud! Forse ci siamo!» bisbigliò Tifa. 

Il ragazzo si svegliò di soprassalto.

«Cosa?!»

«Sssssh!! Guarda lì!»

Cloud guardò nella direzione che lei gli indicava, appena in tempo per vedere l’uomo con la torcia sparire in mezzo agli alberi.

«Veloce! Seguiamolo!» disse Tifa, infilandosi i guanti.

«Per forza…?»

«Cloud! Sbrigati!!»

«Tu rimani qui, Meteor. Torniamo presto.»

«Kueeeh…» (perché, madre, mi abbandonate in codesto loco desolato?)

«Poverino…» disse il ragazzo, impietosito.

«Saremo di ritorno presto! Forza!» insistette Tifa, scendendo dal camion.

«Abbiamo una torcia?» 

«No! Potrebbero vederci!»

«E noi come vediamo dove andiamo?» domandò Cloud con una punta di inquietudine.

«Seguiamo quel tizio!»

«Ok…» rispose il ragazzo, dubbioso.

Si incamminarono lungo il sentiero; la luce della torcia era visibile ancora chiaramente nell’oscurità, ma il loro cammino era avvolto nel buio più completo. Rischiarono diverse volte di inciampare in una radice o in qualche pietra, senza nemmeno poter capire se fossero ancora sul sentiero oppure no. Procedettero, tenendosi per mano per non separarsi.

Il terreno iniziò a salire dolcemente; alle loro spalle potevano intravedere le luci di Edge tra il fogliame degli alberi.

«Cloud, smettila!» sussurrò Tifa.

«Di fare cosa?»

«Di toccarmi!»

«Non ti sto toccando!»

«Non è divertente!» sibilò lei.

«Ti sembro il tipo da scherzi?» ribatté il biondo. 

«E allora cosa… oddio! Mi ha toccato di nuovo!» disse Tifa, agitata.

«Cosa?»

«Dietro di me… qualcosa!»

«Sarà stato… un ramo…?» disse lui, sempre più inquieto.

Cercò di guardarsi intorno, ma era inutile: l’oscurità li circondava.

«Avanti, non perdiamolo di vista!» disse Tifa, che cercava di mantenere i nervi saldi. Fece dei lunghi respiri, l’aria gelida del bosco le restituì un po’ di lucidità.

«Rischiamo di farci male così.»

«Quel tipo rischia di morire!»

Continuarono a seguire la fioca luce della torcia, che appariva e spariva tra i tronchi della foresta. 

“Che silenzio…” pensò Cloud. Il frinire degli insetti notturni non si sentiva più; sembrava che anche le foglie avessero smesso di stormire.

«Cloud… si-si è fermato.» bisbigliò Tifa. In effetti la luce della torcia illuminava qualcosa; cercarono di spostarsi senza fare rumore per avvicinarsi.

Videro l’uomo in ginocchio, come in preghiera, di fronte ad un grosso masso mezzo coperto di muschio, con la torcia accesa poggiata di fianco a lui.

«Cosa facciamo?» bisbigliò Cloud.

«Non… non lo so. Non mi piace.» sussurrò Tifa.

«Neanche a me.»

Videro l’uomo tirare fuori un piccolo coltello e ferirsi ad una mano, per poi passarla sulla pietra. Nel silenzio della notte, lo udirono chiaramente scandire un nome:

«Hope…»

Cloud udì immediatamente dei fruscii ed ebbe la sgradevole sensazione di essere osservato dal buio. Si voltò piano, ma non c’era nessuno dietro di loro. Tifa lo richiamò con una mano sulla spalla.

Ora c’erano due persone vicino alla pietra. L’uomo, ed una piccola bambina.

I due ragazzi trasalirono.

«Non è possibile!» sussurrò Tifa, coprendosi la bocca con la mano.

L’uomo abbracciò la bambina, singhiozzando piano. 

Cloud osservava la scena allibito; brividi gelidi gli scendevano per la schiena, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo. Sguainò molto lentamente la spada.

La bambina sorrise e iniziò a tirare l’uomo verso la vegetazione alle spalle del masso.

«Dobbiamo andare!»

«Dove? A fare cosa? E se fosse davvero una bambina?» rispose concitatamente Cloud.

Tifa si morse il labbro, combattuta.

«C’è comunque qualcosa che non va. Dobbiamo intervenire prima di perderli di vista!»

«E cosa facciamo?» domandò in un sussurro il biondo.

Un urlo disumano interruppe il discorso, seguito da parecchi altri ancora più acuti e agghiaccianti che riecheggiarono per tutta la foresta. 

I due sentirono il sangue raggelarsi nelle vene; tutto intorno a loro sentirono la vegetazione frusciare e molte cose muoversi insieme. L’uomo continuava ad urlare.

«Andiamo!» sibilò Cloud, facendo dietrofront e tirando con sé Tifa. 

«Ma Cloud…»

«Sono tanti e sono anche dietro di noi! Veloce, prima che ci accerchino!»

Tifa annuì, ed iniziarono una corsa forsennata e silenziosa, incespicando nel buio. Gli ululati rimbombavano ovunque. Dopo un ultimo urlo strozzato dell’uomo, cessarono di colpo.

«Non fermiamoci!» bisbigliò il ragazzo, tentando per l’ennesima volta di mettere a fuoco qualcosa in quell’oscurità che li aveva inghiottiti.

«Ma Cloud, dove stiamo andando?» chiese Tifa, con voce rotta.

Il ragazzo girò su se stesso, in cerca di un punto di riferimento, ma era come essere ciechi; ogni albero, ogni cespuglio sembrava identico al suo vicino.

«La torcia… è rimasta nella radura.» squittì la ragazza, stringendogli la mano. Lui era bloccato, non riusciva a decidere che direzione prendere.

«Cloud, non vedo niente!» 

«Nemmeno io!»

«Non dovevamo venire qui! Sono stata stupida!» gridò Tifa, colpendosi le tempie con le mani.

Cloud le prese le mani, fermandola.

«No, non sei stata stupida. Ce la faremo!» gridò, posandole le mani sulle spalle e guidandola nel buio.

“Spero tanto che sia le direzione giusta.” pensò, cercando di mantenere la calma, per non allarmare ulteriormente Tifa. Ripensò al tragitto che avevano compiuto all’andata, in salita…

«Giusto! Andiamo!» esclamò, prendendola per mano. Si accorse che aveva i guanti che le aveva regalato; questo gli diede un po’ di conforto.

Cercò di avanzare in discesa, seguendo sempre il tragitto che li faceva scendere più velocemente. Tifa non disse nulla, limitandosi a seguirlo.

«Cloud… questo è…?» chiese lei, dopo qualche minuto.

La vegetazione sembrava diradarsi, e in lontananza si sentivano degli strilli familiari.

«Meteor!!» gridarono all’unisono, mettendosi a correre.

Sbucarono dalla foresta poco lontano da dove vi erano entrati; anche il lugubre orfanotrofio in quel momento gli sembrava l’Honeybee Inn. Corsero a gambe levate verso il furgone. Salirono il più velocemente possibile e Tifa mise in moto, partendo di gran carriera.

Meteor saltò in braccio a Cloud, pigolando disperato.

«Kueeh kueeh kuiiieh!» (madre, voi mi farete decedere di crepacuore!)

Nessuno dei due parlò per tutto il tragitto; il silenzio era interrotto solo dal loro ansimare e dai pigolii del pulcino. Le mani di Tifa continuavano a tremare ogni volta che le sollevava dal volante. 

«Quel tipo… è morto.» disse finalmente la ragazza.

Cloud annuì gravemente.

«Abbiamo… fallito. Siamo stati due idioti!» continuò Tifa, arrabbiata. Colpì il volante con un pugno.

«Non eravamo pronti.» disse Cloud, mettendole una mano sulla spalla.

«Dovevamo esserlo!» gridò lei in risposta. «Non lo abbiamo salvato…»

Cloud notò che gli occhi di lei erano lucidi.

«Quelle… persone, perché vanno ancora nella foresta, nonostante le sparizioni?» si domandò Cloud.

«Se hai perso una persona cara, faresti di tutto per rivederla. Anche solo un attimo.» rispose Tifa, soffocando un singhiozzo.

Cloud improvvisamente capì. Strinse la presa sulla sua spalla.

«Non permetteremo che accada di nuovo.» disse risoluto. «Torneremo lì e fermeremo questa cosa.»

Tifa si asciugò le lacrime, poi poggiò la sua mano su quella di Cloud.

 

***

 

La mattina li trovò tutti e tre stretti nel letto di Cloud, addormentati da troppo poco per svegliarsi. Tifa si alzò per prima, spostando gentilmente il braccio di Cloud e stando attenta a non pestare le ali di Meteor. Si guardò casualmente allo specchio e notò che aveva due enormi occhiaie.

“Che mostro.” pensò, sconsolata, poi si riscosse e scese di sotto.

Cloud la trovò, un’ora dopo, ancora con tutta la colazione sul tavolo e gli occhi gonfi.

«Come stai?» domandò cauto, sedendosi vicino a lei.

«Non bene. Non riesco a mangiare. Voglio tornare lì.» rispose lei, secca.

Lui annuì.

«Anche io. Ma stavolta dovremo essere pronti.»

Lei sollevò la testa per guardarlo, grata ma sorpresa. Poi sorrise e annuì a sua volta.

«Andiamo a prendere a calci qualche… qualsiasi cosa fossero.»

«Si. Ma prima mangia qualcosa.»

«Kueeh!» (nutritemi immantinenti, genitrice!)

«Non dicevo a te. Dai, facciamo colazione.» disse, preparando una tazza di latte per Tifa. Lei lo guardò di nuovo: non le sembrava vero. Si fece forza e bevve.

 

***

 

«Mi dispiace aver lasciato Meteor in gabbia, poverino…»

«Dispiace anche a me, ma non potevamo portarlo.»

«Lo so.»

«Siamo quasi arrivati… qual è il piano?»

«Una volta lì, cerchiamo la radura con la pietra. Troveremo qualche indizio.»

«E se… quei cosi…»

«Stavolta possiamo vederli. Li affronteremo.»

Tifa annuì, stringendolo un po’ di più. Il vento le scompigliava i capelli mentre Fenrir ruggiva e divorava la strada che li separava dall’orfanotrofio.

Quando arrivarono, trovarono delle auto della polizia parcheggiate davanti all’edificio; vari agenti in divisa stavano setacciando i dintorni e si era formato un piccolo capannello di curiosi.

«Che abbiano finalmente deciso di intervenire?» si domandò Tifa, mentre scendeva dalla moto.

«Spero non ci intralcino.» mormorò Cloud, prendendo la spada.

Si avvicinarono al gruppetto di persone, carpendo qualche brandello di conversazione.

«Un’altra! Assurdo!»

«Questo quartiere è maledetto! Lo dicevo io!»

«Poveri bambini… come faranno adesso?»

«Una vera tragedia…»

«Cosa è successo?» provò a domandare Tifa ad una signora.

«Non ha saputo? Hanno ucciso la direttrice dell’orfanotrofio!»

«È solo scomparsa, non sanno se sia morta.»

«Muoiono tutti quelli che spariscono! Sono gli spiriti della foresta!»

«Balle, per me se l’è svignata coi soldi delle rette dei bambini.»

«Chi gliele paga le rette, scusa? Sono orfani!»

«Andiamocene…» sussurrò Cloud all’orecchio di Tifa, che annuì. Si allontanarono con discrezione dalla discussione che avevano fatto iniziare.

«Proviamo con un agente?» propose Cloud.

«Di solito non parlano con i civili.»

«Ignis!!» gridò una vocina.

“Oh, no!” pensò Cloud, mentre una bambina si faceva largo tra la folla, sorda ai richiami degli agenti.

«Tu! Coi capelli strani!»

Tifa guardò divertita Cloud, che cercava di ignorare la bimba mentre lei gli batteva con le manine sul sedere.

«La conosci?» gli chiese, ridacchiando.

«No.»

«Gli spiriti cattivi si sono mangiati la signora Copperfield! È sparita!» strillò Hoshi, continuando a percuotere Cloud.

«Fifone! Mi hai sentita?»

«Mi chiamo Cloud.»

«Hai anche il nome strano!»

«Anche tu hai un nome strano!» sbottò Cloud.

«E la tua fidanzata come si chiama?» chiese, guardando Tifa. Lei si inginocchiò e le rispose:

«Mi chiamo Tifa. Tu come ti chiami?»

«Mi chiamo Hoshi! Come mai siete qui? Per portare un altro pacchetto?»

«Veramente no… noi… volevamo sentire di nuovo la storia degli spiriti. Cloud mi ha detto che la racconti così bene!»

La bambina li guardò, sospettosa, aggrottando la fronte.

«Non siete spiriti cattivi, vero?»

«No! Gli spiriti non si possono toccare, sono trasparenti.»

Hoshi sembrò soddisfatta del ragionamento.

«Ok, però lo racconto solo a te! Lui è antipatico e anche fifone!»

«In effetti è un po’ fifone…»

«Hey!» protestò Cloud.

Tifa lo incenerì con lo sguardo.

«Ok, me ne vado, così potete parlare.»

Si allontanò a grandi passi, voltandosi poi per guardarle. Hoshi gli fece la linguaccia, poi si mise a bisbigliare all’orecchio di Tifa.

«Hey! Lei!!»

Un agente si avvicinò a lui.

«Cosa crede di fare con quell’arma?» gli chiese, minaccioso.

Cloud lo guardò per un attimo, incerto sul da farsi.

«Niente, è solo la mia arma.» rispose pacato.

«Ma… aspetti, lei è l’investigatore dei corpi speciali che abbiamo richiesto?»

«Ehm… si. Sono io.»

“Non arrossire non arrossire non arrossire!”

«Non pensavo che avrebbero mandato un SOLDIER! La questione è così importante?»

«Ex-SOLDIER. Comunque la questione… è molto importante. Mi aggiorni sulla situazione, per favore.» disse, cercando di darsi un tono.

«La direttrice dell’orfanotrofio, Henrietta Copperfield, cinquantasette anni, recentemente divenuta vedova, è scomparsa. Ha messo a letto i bambini ieri sera, ma non era presente questa mattina.»

“Ma ieri sera abbiamo visto chiaramente un uomo…” pensò Cloud, perplesso.

«Potrebbe essere legata al resto delle sparizioni. Mi risulta che non sia la prima persona a sparire da questo orfanotrofio.»

«L’hanno informata bene, sono spariti almeno quattro bambini dall’inizio di quest’anno.»

«E ci muoviamo solo adesso?» commentò Cloud, con una punta di disapprovazione.

«Purtroppo nessuno si preoccupa troppo se un orfano sparisce. Ma siamo su numeri preoccupanti, che aumentano ogni giorno.»

Un altro agente si avvicinò a loro due.

«È lui l’investigatore?» chiese al collega. Lui annuì.

“Questa cosa sta sfuggendo di mano…devo allontanarmi prima che mi scoprano” pensò Cloud. 

«Poco ortodossa, come divisa. Sono il sergente Hardman.» disse, porgendo la mano a Cloud. Il ragazzo la strinse, ma non si presentò.

«Andrò dritto al sodo, non stiamo trovando indizi. Sembra che la vecchia sia uscita per conto suo, niente segni di scasso, niente vetri rotti, nessuno dei vicini ha sentito niente.»

«Si sarà addentrata nella foresta come quell’altro…» mormorò Cloud, pentendosi immediatamente dopo.

«Cloud!» esclamò Tifa, facendosi largo tra le persone per raggiungerlo, con Hoshi alle calcagna.

«Cloud! Ho paura che la direttrice abbia fatto la stessa fine di quell’uomo ieri notte...» disse, trasalendo e tappandosi la bocca quando notò chi c’era vicino a Cloud.

«Cosa? Chi è questa? Di che uomo parlate?» chiese il sergente, squadrandoli.

«Niente! Nessuno!» dissero all’unisono i due ragazzi.

«Parlano della direttrice che è stata mangiata dagli spiriti, io lo avevo già detto a questo antipatico quando è venuto a consegnare un pacchetto.» aggiunse Hoshi, con voce piccata.

“Peccato che non si siano mangiati anche te!” pensò Cloud, guardando con odio la bambina.

«Un pacchetto? Cosa… quindi lei non è l’investigatore…» disse l’agente.

«Cloud, che succede?» chiese Tifa, sempre più preoccupata.

«Dobbiamo andare.» disse Cloud, sbrigativo.

«Non andate da nessuna parte finché non ho capito che succede! Agente Humble, li arresti immediatamente!!» esclamò il sergente, prendendo in braccio Hoshi e dirigendosi verso l’orfanotrofio. L’attenzione dei curiosi si era ormai spostata su di loro.

Cloud guardò Tifa interrogativamente, indicandole la spada con un impercettibile cenno del capo: lei lo guardò spaventata ma scosse la testa.

Cercarono di disarmarlo, ma ci vollero quattro agenti per togliergli la pesante spada dalla schiena; controvoglia, li lasciò fare. 

«Se volete vi aiuto io.» propose. Non ottenne risposta. 

Un altro poliziotto gli bloccò le braccia dietro la schiena e sentì lo scatto delle manette che si chiudevano intorno ai polsi. Vide Tifa subire lo stesso trattamento, senza opporre resistenza, e sentì montare la rabbia, ma un’occhiata di lei lo fece desistere dall’intervenire.

Furono condotti all’interno dell’edificio, dove la polizia era intenta a cercare indizi e ad interrogare il personale dell’orfanotrofio e, per quanto possibile, i bambini.

Il sergente stava bevendo un enorme caffè nel refettorio; quando li vide arrivare, congedò bruscamente un agente e fece cenno di portarli da lui. 

«Non me la raccontate giusta. Cosa sapete?» gli chiese, brusco.

«Ci… trovavamo a passare da qui, ieri sera, e abbiamo visto un uomo addentrarsi nella foresta.» disse Tifa. Cloud la guardò, stupito.

“Penseranno che siamo stati noi!”

«Nessuno “passa di qui” di notte, non ditemi stronzate!» esclamò platealmente il sergente.

«Capo… i bambini…» sussurrò un giovane agente. In effetti tutte le testoline dei bambini si erano immediatamente voltate verso di loro.

Il sergente grugnì, spazientito.

«Comunque, sergente, le stavo dicendo…» riprese il poliziotto di prima, che teneva in mano un foglio.

«Capo… ma questi due non sono due dei terroristi dell’Avalanche?» lo interruppe un secondo agente, mentre trasportava una scatola.

“Merda.” pensò Cloud

«Di bene in meglio… cosa c’è, avete finito i reattori da far saltare in aria?»

“Tecnicamente… si.” pensò Tifa.

«Non siamo terroristi. Non più almeno, e comunque non è per questo che siamo qui.» disse Cloud, che iniziava ad essere stanco della situazione.

«Lo decido io per cosa siamo qui. Ancora non mi avete detto cosa facevate qui ieri sera. Le adozioni di solito si fanno di mattina.» commentò sarcastico il sergente.

«Non… posso dirvelo. Erano cose private.» disse Tifa, abbassando lo sguardo.

“Ma che cavolo…?” pensò Cloud basito, mentre avvampava.

«Sergente… dovrebbe leggere questo…»

«Ah bene… siamo agli atti osceni in luogo pubblico. Humble, prepara un verbale.» esclamò Hardman, ignorando completamente il giovane poliziotto.

«Non è importante! Un uomo è morto ieri notte, nella foresta qui vicino!» insistette Tifa.

«Per me ve lo sarete sognato.»

«Non è vero! Lo abbiamo visto… abbiamo rischiato di fare la stessa fine.» confermò Cloud.

«E dove sarebbe successo? Nessuno ha denunciato una scomparsa.»

«Capo… veramente qualche minuto fa ci hanno mandato questo!» riuscì finalmente a dire il ragazzo, porgendo a Hardman il foglio.

Il sergente lo lesse velocemente, poi sbuffò.

«E cosa aspettavi a dirmelo?»

«Veramente…»

«Formate una scorta! Ci faremo portare dove questi due sostengono di aver visto l’uomo scomparso.»

«Quindi hanno denunciato una scomparsa?» chiese Cloud.

«Non sei tenuto a saperlo. Siete entrambi dei sospettati a questo punto. Qualsiasi cosa direte verrà usata contro di voi.» replicò secco il sergente.

Tifa sospirò.

 

***

 

«Forza, muoversi!»

«Camminerei meglio in mezzo a questo schifo se avessi le mani slegate!» rispose Cloud, arrabbiato.

«Ceeerto, e magari rivorresti anche la spada per aprirti un varco!» lo canzonò il sergente dietro di lui.

Cloud stava per dire qualcosa, ma Tifa gli diede una leggera spallata.

«Ragazza sveglia. Non aggiungiamo anche oltraggio a pubblico ufficiale alla lista.» commentò il poliziotto, ridacchiando. 

Il gruppo riprese a marciare in silenzio. Il bosco era molto più accogliente e quasi bello, con la luce del giorno. Cloud si sforzava di dirigersi verso la pietra, ma non aveva nessuna garanzia di riuscirci; tutti gli alberi sembravano uguali e non c’erano tracce visibili nel sottobosco.

«Noti qualcosa di familiare?» gli chiese Tifa.

«È difficile…» ammise Cloud. «L’unico indizio è un percorso in salita.»

«Se ci state facendo girare per niente…» minacciò il sergente.

Di botto i rumori del bosco ricominciarono ad affievolirsi, fino a sparire del tutto. Gli uccelli, gli insetti, tutto era diventato innaturalmente silenzioso.

“Siamo vicini…” pensò Cloud, ricordando con un brivido gli eventi della notte precedente.

«Sergente… cos’è questo silenzio?» chiese un agente, insicuro.

«Chi se ne frega. Quando finisce questa gita? O la vogliamo far finire dentro una cella?»

«E con che prove?» chiese Tifa, esasperata.

«Eccoci!» esclamò Cloud. Aveva intravisto tra gli alberi il grosso masso ricoperto di muschio. Gli agenti tirarono fuori le armi, guardandosi intorno circospetti; i due ragazzi li condussero avanti, fino a portarsi di fronte alla pietra. C’erano segni del passaggio di qualcuno, o qualcosa; la pietra era macchiata in più punti.

«Cos’è…? Sembra…»

«Mi sembra sangue, sergente.»

«Questo è fresco, ma queste altre macchie sembrano più vecchie.»

«E questo corpo?»

«Sergente!! Qui dietro!»

Cloud e Tifa credevano di sapere cosa aspettarsi, ma quello che videro gli strappò un grido: davanti a loro c’era quello che rimaneva dell’uomo, ma era dilaniato e smembrato a tal punto che nessuno sarebbe stato capace di ricomporre quel macabro puzzle. L’erba e i cespugli erano chiazzati di rosso fino a qualche metro di distanza. Tifa si giró e si strinse contro Cloud, che, non potendo abbracciarla, posó la testa contro la sua, tentando di darle comunque conforto. 

«Cosa… può aver fatto una cosa del genere?» chiese uno dei poliziotti. Humble non riuscì a sopportare il sanguinolento spettacolo e si allontanò in preda ai conati.

«Ra-raccogliete un campione. Fate delle foto e chiamate il medico legale. Voi due, ditemi esattamente cosa avete visto.» disse il sergente, allontanandosi con sollievo dalla scena, portando con lui Cloud e Tifa.

I ragazzi raccontarono cosa avevano visto, compresa l’apparizione della bambina.

«Non diciamo assurdità! Ve lo dico io cosa è successo: avrete fatto troppe cose private e vi sarete sognati di aver visto bambine, spiriti e quant’altro. Questo povero disgraziato sarà morto sbranato da qualche belva.» affermò il sergente, scettico.

«Ma non spiega come mai fosse qui! La gente sta sparendo e questi… cosi sono i responsabili! Bisogna fare qualcosa!» protestò Tifa.

«So bene cosa dovete fare voi! Dovete riprendere la vostra roba e andarvene. Se vi pesco di nuovo qui intorno vi sbatto in cella… bastano i vostri trascorsi per farlo.» berciò il poliziotto.

«Sergente, ma l’intero gruppo ha ricevuto l’amnistia dopo gli eventi di Meteor…»

L’uomo fulminò Humble con un’occhiataccia.

«Maledetta la tua linguaccia, Humble!! Riportali indietro, prima che ti faccia perlustrare l’intero versante!»

«Sissignore!» squittì il ragazzo, prendendoli per un braccio e accompagnandoli via.

«Abbiamo ricevuto un’amnistia? Come mai non lo sapevo?» si chiese Cloud.

«Non sono cose che si comunicano… succedono e basta.» rispose Humble, mentre armeggiava con le loro manette. In breve li liberò entrambi e i tre ridiscesero la collina. Dopo poco tempo, il pesante silenzio che li aveva avvolti lasciò di nuovo il posto al cinguettare degli uccelli; Tifa, però, sembrava in stato di shock e camminava con il capo chino. Cloud se ne accorse e la prese per mano.

«Mi dispiace che abbiate dovuto vedere. Il sergente è… un uomo difficile.» disse l’agente, cercando di rompere il silenzio.

Cloud fece un cenno di assenso, poi chiese:

«Abbiamo visto di peggio. Come mai vuole liquidare tutto come un incidente?»

«Non voleva questo incarico, lo considera una roba da principianti.»

«La gente sta morendo! Roba da principianti??» esclamò improvvisamente Tifa.

«Non ho detto che abbia ragione.» si scusò il ragazzo, intimorito.

Proseguirono fino a tornare all’orfanotrofio; la piccola folla si era ormai dispersa, in mancanza di sviluppi interessanti. Humble li condusse di nuovo all’interno e gli permise di riprendere la spada.

«Ci sarebbe un’ultima firma da mettere, poi posso lasciarvi andare.»

«Una… firma?» chiese Cloud, confuso.

«Si… sarebbe un autografo. Cloud Strife my life!!» sussurrò Humble, sorridendo e porgendogli carta e penna.

«Sei il mio idolo!!» aggiunse, mentre gli brillavano gli occhi.

I due ragazzi rimasero sbigottiti; Cloud si riprese e scrisse una impacciata firma tenendo il foglio a mezz’aria.

Humble lo prese e lo ripose con cura.

«Al fan club non mi crederanno mai!!» mormorò, al settimo cielo.

 

***

 

«Sai che dobbiamo tornare indietro, vero?!» gridò Tifa, mentre sfrecciavano verso casa in sella a Fenrir.

«Si!» rispose Cloud.

«La polizia non risolverà nulla!» affermò Tifa con rabbia, stringendolo un po’ di più.

Lungo la strada si fermarono ad un negozio per comprare due grosse torce e dei bengala. 

«Cloud… sto morendo di fame!» si lamentò Tifa mentre uscivano.

«Dobbiamo anche dar da mangiare a Meteor!» esclamò Cloud, realizzando quanto tempo erano stati via.

«Rimetti a posto le tue priorità, SOLDIER!» scherzò lei, dandogli una pacca sul sedere e indicando una pizzeria.

«Signorsì.» rispose lui, stando al gioco.

«Ho paura di ingrassare, però…» 

«Ma non hai fatto colazione! Per forza hai fame. Vorresti la solita?»

«Uuuuh, si!! Però… vorrei metterci anche le uova stavolta.»

“Penso sia quella giusta…” pensò Cloud, guardandola adorante. Arrivati lì, si ricordò di prendere una pizza in più.

 

***

 

«Sei pronto?»

«Si. Stai... bene in nero.»

«Ti sembra il momento? Non ho pensato a stare bene, ho pensato a come nasconderci meglio.» lo rimproverò Tifa.

«Scusa.» mormorò Cloud, abbassando il capo.

«... grazie comunque. Pronte le torce?»

«Si. Tu hai i bengala?»

«Si.»

«Sei sicura? Non dobbiamo farlo per forza.»

«Certo che dobbiamo! Se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno.» rispose Tifa con enfasi.

«Nemmeno io mi fido troppo dei poliziotti.» ammise Cloud.

Con un ultimo cenno di intesa si lasciarono alle spalle Fenrir e il lugubre orfanotrofio, addentrandosi nella foresta. Accesero le torce, senza preoccuparsi di non essere visti; gli alberi proiettavano lunghe ombre che si spostavano veloci al loro passaggio, come a cedere loro il passo tra il sottobosco, mentre sciami di insetti ronzavano davanti alla luce. Ormai avevano imparato la strada e tornare alla radura fu semplice. Furono accolti dal solito, opprimente silenzio e dall’odore di putrefazione.

«Che facciamo?» domandò Cloud, una volta arrivati.

«Non possiamo aspettare che qualcun altro si faccia vivo.» considerò Tifa. «Dobbiamo far uscire queste cose allo scoperto.»

«Cosa hai in mente?»

«Stavolta saremo noi a tendere loro un’imboscata!» disse Tifa, decisa.

Cloud inarcò un sopracciglio.

«Io farò il rituale, facendo da esca, e appena usciranno fuori, attaccheremo.»

«Non se ne parla, non sappiamo quanti sono e sono violenti.» disse Cloud, contrariato.

«Abbiamo sconfitto mostri peggiori. Lo sai meglio di me.» replicò la ragazza, guardandolo negli occhi.

Cloud dovette cedere di fronte a quella determinazione.

«Va bene. Ma farò io il rituale.»

«Cosa?» disse Tifa, sorpresa.

«Non voglio che tu faccia da esca.»

Tifa sbuffò. 

«So cavarmela.»

«Lo so, ma è meglio che vada io.»

«Hai paura che mi faccia condizionare dalla persona che vedrò?» domandò lei.

«... vorrei risparmiarti la sofferenza.»

L’espressione di lei si addolcì.

«Ma così sarai tu a soffrire.» disse tristemente.

«Preferisco.» tagliò corto lui.

«Va bene.» acconsentì Tifa, abbracciandolo forte. Lui ricambiò la stretta, affondando il viso tra i suoi capelli.

«Andrà bene.» sussurrò.

Si allontanò da lei e si avviò deciso verso la pietra; l’innaturale silenzio lo fece rabbrividire. Osservò la superficie della roccia, macchiata dal sangue di chissà quante persone prima di lui. Si sfilò un guanto e si tagliò un polpastrello sulla lama della spada, facendo cadere alcune gocce di sangue sul muschio. Come d’accordo, entrambi spensero le torce, pronti a riaccenderle al primo segno di una di quelle creature. Si rimise il guanto e attese, stringendo spasmodicamente la spada; non poteva più vedere Tifa, ma sapere che era a pochi passi da lui gli dava insieme sicurezza e ansia.

Gli sembrò di aver aspettato per ore intere, col fiato sospeso, quando sentì un leggerissimo fruscìo nell’oscurità. Di colpo ebbe la sgradevole sensazione di essere osservato, confermata quando due grandi, inconfondibili occhi verdi balenarono nel buio, molto vicini a lui.

“No… no lei no…”

Riaccese la torcia, con mano tremante, e si rese conto di aver commesso un grave errore.

Sapeva che sarebbe stato doloroso rivedere una persona che aveva perduto. Era preparato a rivedere sua madre, o anche suo padre, sebbene non ricordasse molto di lui; non era pronto per chi stava avanzando verso di lui, illuminata in pieno dal fascio di luce.

Aerith camminava leggiadra, indossando proprio il vestito rosso nel quale la ricordava; Cloud potè quasi sentire la sua risata, anche se l’apparizione non stava facendo alcun rumore.

“Non è reale, non è vero, non è reale. Non è lei!!”

Cercava di convincersene con tutto se stesso, eppure non riusciva a staccare gli occhi da lei e si sentiva schiacciato, incapace di muovere un muscolo. Ogni fibra del suo corpo gli gridava di essere in pericolo e ne era pienamente cosciente, ma non riusciva a forzarsi ad agire.

La ragazza si avvicinò a lui senza fretta, guardandolo e sorridendo. Sollevò una mano e l’avvicinò al suo viso. Cloud avrebbe dovuto indietreggiare e falciare con un fendente quella creatura, qualsiasi cosa fosse, ma non lo fece; si sorprese a desiderare che fosse vero. Trasalì quando la mano gli sfiorò la guancia. Quel tocco, identico a come ricordava.

«CLOUD!!» strillò Tifa a squarciagola.

Il ragazzo si scosse appena in tempo per salvare il suo viso dagli enormi artigli che proruppero dalla mano della creatura e calarono su di lui. Non riuscì ad evitare del tutto una seconda zampata e la torcia che teneva in mano volò via, finendo nella vegetazione circostante e lasciandolo nelle tenebre. In una frazione di secondo tirò fuori e accese un bengala, inondando la radura di luce rossastra; intorno a lui iniziava a percepire movimenti e fruscii di cespugli. Fece cadere il candelotto ai suoi piedi e si mise in guardia, guardandosi intorno: ciò che vide gli fece gelare il sangue nelle vene.

Aerith non c’era più: al suo posto, un pallido volto senza lineamenti lo fissava. Dalla enorme bocca circolare spuntavano una miriade di denti sottili e affilati e una lingua assurdamente lunga, che schioccava fendendo l’aria. Gli arti esili terminavano con temibili artigli e la pelle traslucida lasciava intravedere gli organi interni, compreso un piccolo cuore che batteva forsennatamente, illuminati dalla luce rossastra del bengala. 

“Che cos’è?!” pensò Cloud, sconcertato.

L’umanoide scattò in avanti, cacciando un urlo raccapricciante e dimenando le braccia; Cloud rimase al suo posto e colpì, tranciandolo di netto. La lingua continuò a contorcersi per un momento, prima di cessare di muoversi.

Le urla si moltiplicarono tutto intorno a lui, mentre i mostri si riversavano nella radura; sembravano incerti sul da farsi e rimanevano appena fuori dalla sua portata, ringhiando e urlando. Dovunque si girasse, Cloud vedeva solo un groviglio di bocche spalancate, disgustose lingue che si dimenavano e artigli che graffiavano il terreno e la corteccia degli alberi.

“Sono troppi… cosa…”

«FULGOR!» strillò Tifa, sovrastando ogni altro suono.

Lampi bianchi illuminarono a giorno la radura per un attimo, mentre la forza dell’attacco scaraventava via i mostri e sollevava zolle di terra.

Cloud approfittò del diversivo e si lanciò all’attacco, mulinando la spada. I corpi gelatinosi delle creature non opponevano alcuna resistenza alla lama, che affondava nelle loro carni e li smembrava senza fatica. Tifa si unì a lui correndo nella radura e iniziando ad attaccare le creature con calci e pugni micidiali.

Sorprendentemente, le creature smisero di cercare lo scontro e si ritirarono correndo nelle tenebre, lasciando i due ragazzi attoniti e confusi.

«Inseguiamoli!!» gridò Tifa, fuori di sé dalla rabbia.

«Aspetta, la torcia!» rispose Cloud, recuperandola da terra; la ragazza si era però già lanciata nel buio.

Si mise a correre anche lui, cercando di non perderla di vista; le creature erano incredibilmente agili e li avevano già distanziati di molto. Le loro urla agghiaccianti si mischiavano al proprio eco, creando una cacofonia insopportabile.

«Da che parte sono andati?!» gridò Tifa, illuminando rabbiosamente i cespugli circostanti con la torcia. Cloud la raggiunse e si unì alla ricerca.

Nulla. Nessun segno, nessuna traccia. Le urla dei mostri sembravano provenire contemporaneamente da tutte le direzioni e non fornivano nessun indizio. 

“Dannazione!”

«Dannazione!» strillò, continuando a fare luce e tentando qualche incerto passo in avanti. Le urla pian piano cessarono e il silenzio innaturale riprese prepotentemente possesso del bosco, interrotto solo dall’ansimare rabbioso della ragazza.

«Li abbiamo persi.» disse, con la voce che le tremava.

«Tifa…» esordì Cloud.

«Come abbiamo potuto farceli scappare!?» proruppe lei. «Ce n’erano a decine!!»

«Si, ma sono troppo veloci…»

Lei si girò a guardarlo, furiosa.

«Sono anche molto svegli, vero? Hanno capito subito come imbambolarti!»

«Non…» tentò di rispondere lui.

«Non voglio sentire niente. Non mi parlare. Torniamo a casa.» esclamò Tifa, incamminandosi.

Cloud sospirò rassegnato e la seguì. In silenzio.

Tornarono al Seventh Heaven quando l’alba era ancora lontana. Nessuno dei due aveva proferito parola per tutto il tragitto e nessuno dei due ne proferì quando rientrarono. Tifa salì le scale senza voltarsi e si chiuse a chiave in camera sua, lasciandolo ai piedi della scalinata con Meteor, che lo guardava confuso e rattristato.

«Kueh?» (madre, puzzate di interiora e di rimorso.)

 

***

 

Il rombo del motore di Fenrir lasciò posto al leggero sibilo della brezza e al picchiettare della pioggia sul terreno. Cloud scese dalla moto e rimase per qualche minuto appoggiato alla sella, in silenzio, contemplando la chiesa diroccata. Non sapeva se avrebbe trovato risposte, o anche solo un minimo di conforto; molto probabilmente era stata solo un’idea stupida.

Si fece coraggio e varcò la soglia: alcuni fiori ancora resistevano, ondeggiando lievemente, mentre la brezza faceva increspare la superficie di alcune pozzanghere e il gocciolare dell’acqua piovana tintinnava tutto intorno a lui.

“Che ci faccio qui…”

Camminò verso i fiori, incurante della pioggia. Li fissò come se si aspettasse di sentire ancora una volta la voce che gli aveva proposto di comprarne uno.

“Inutile che continui a tornare qui… ormai non c’è più.”

Era più preoccupato di come aveva reagito all’apparizione di Aerith, piuttosto che della rabbia di Tifa; quella era stata una reazione comprensibile e ne stava pagando le conseguenze, come la colazione che quella mattina avevano consumato in completo silenzio.

“Non è colpa mia se il mostro è diventato Aerith…”

“E se fosse un segnale?”

“Se Tifa non fosse la prima nei tuoi pensieri?”

“Perché è diventato Aerith? Non capisco…”

“Io… è colpa mia se Aerith non c’è più.”

“Non sono riuscito a salvarla ed ora non riesco nemmeno a far felice Tifa.”

Si sentì oppresso dalla solitudine; si inginocchiò tra i fiori e si passò le mani tra i capelli ormai zuppi.

“Non riesco a fare niente di buono…”

Indistinguibili dalle gocce di pioggia, le sue lacrime bagnarono le foglie delle piantine.

 

 ***

 

«Cloud… è tutto il pomeriggio che sei qui.»

«Hmmm? Già...»

«Lo so che è successo qualcosa, anche se ti stai ostinando a non dirmelo.»

«Ah-ha…»

«Sei tremendo! Cosa dirà la gente se scoprirà che Andrea Rhodea non è più il confidente numero uno di Edge?»

L’entertainer si grattò la testa, guardando il ragazzo che era totalmente refrattario alle sue parole. Si era presentato lì, completamente fradicio a causa della pioggia e si era rintanato nel privé, chiudendosi in un preoccupante mutismo. Sul tavolino di fronte a lui si stavano accumulando molti bicchieri. Andrea avrebbe preferito morire piuttosto che ammettere di trovarsi in difficoltà nel decifrare cosa gli fosse successo.

«Ok, non dirmelo. C’entra Tifa, vero?»

«Non mi va di parlarne.»

«Hai comprato un altro chocobo?»

Cloud lo guardò senza rispondere, poi svuotò l’ennesimo bicchiere e tornò a fissare il vuoto davanti a sé. Andrea non lo aveva mai visto in quelle condizioni.

«Beh… se la situazione è così grave… puoi fermarti qui, se vuoi. Ti farò preparare una stanza.» 

«Grazie.» rispose il ragazzo, lapidario, mentre un’apetta arrivava con un altro drink.

«Smettete di portarglieli, o almeno fateglieli pagare d’ora in poi.» le sussurrò Andrea, allontanandosi insieme a lei.

Cloud rimase solo con i suoi ingarbugliati, nerissimi pensieri. Non c’era abbastanza alcool in tutta Edge per riuscire a distoglierlo per un attimo dal problema. Si rigirava la situazione in mente senza trovare uno sfogo alla sua ansia.

Considerò brevemente l’idea di tornare all’orfanotrofio e affrontare quei mostri, ma la prospettiva di essere da solo quando fosse riapparsa Aerith lo spaventava. Anche quel bosco, immerso nel buio e nel silenzio, gli faceva correre brividi giù per la schiena al solo ripensarci.

Il telefono gli vibrò in tasca, facendolo sobbalzare: era un messaggio di Barret.

-Hey idiota, torna subito al bar, stiamo facendo un piano d’assalto. Sbrigati, prima che Tifa ti includa tra gli obiettivi.

Cloud fissò lo schermo, confuso sia dal mittente sia dal contenuto. Si alzò, lasciando il drink a metà, e si diresse all’uscita dell’Inn.

“Un piano per tornare lì?” si chiese, inforcando la moto e partendo di gran carriera. Colto da un’improvvisa ispirazione, fece tappa in pizzeria prima di tornare.

Il Seventh Heaven era chiuso, nonostante non fosse uno dei soliti giorni di chiusura. Parcheggiò nel retro ed entrò, accolto immediatamente da un festosissimo Meteor.

«Kueeeeeeeeeeh!» (madre, sovente abbandonate i vostri doveri genitoriali nei miei confronti e ciò mi rattrista! Ma il rivedervi mi causa profonda emozione!)

Lo accarezzò per un momento, ascoltando le familiari voci che provenivano dal bar.

«Il tuo piano è una cazzata clamorosa, Barret! Non possiamo far esplodere la foresta!»

“Cid… c’è anche lui.” pensò sorpreso.

«Kueeeeh?» (madre, quale leccornia portate con voi?) 

«Ma sarebbe un sistema perfetto per stanare quei mostri!» 

«Abbiamo faticato tanto per salvare il mondo e riesci solo a pensare di danneggiarlo un altro po’?»

«Ragazzi, concentriamoci. Dobbiamo capire dove si nascondono.»

Cloud si schiarì la gola, annunciando la sua presenza. La discussione si interruppe immediatamente e i due uomini gli rivolsero imbarazzati cenni di saluto.

«Oh, eccoti. Che c’è, chiudono la chiesa di notte?» chiese Tifa, senza alzare gli occhi da una mappa che stava consultando. 

Il ragazzo abbassò lo sguardo sui cartoni che aveva in mano, senza rispondere. Si avvicinò ai tre, posando la pizza su un tavolo vicino.

«Si, cazzo, stavo morendo di fame! Io ne prendo una fetta!» esclamò Cid, andando verso di lui. Gli diede una leggera pacca sulla spalla, prima di mettersi ad armeggiare con i cartoni. Barret lo imitò quasi subito, mentre Tifa non alzava nemmeno la testa.

«Ne… vuoi un po’?» le chiese il ragazzo, intimidito.

«Non ho fame. Sto pensando a come fare per trovarli, è un po’ più importante di mangiare.» rispose lei.

«A pancia piena si ragiona meglio, testona!» esclamò Cid tra un morso e l’altro.

Meteor stava comicamente cercando di scalare il tavolino per arrivare alla pizza; Cloud si impietosì e gli diede una fetta, che lui ingoiò subito.

«Quell’animale mangia come una batteria di scrofe!» disse Barret, ridacchiando.

«Comunque, li ho visti da vicino. Sospetto che siano degli ibridi Shinra.» disse il ragazzo.

Tutti si voltarono verso di lui a quelle parole, compresa Tifa che finalmente alzò la testa. Aveva gli occhi gonfi e arrossati. Cloud morì dentro quando lo notò, ma cercò di farsi forza e continuò a parlare:

«Devono essere scappati da qualche laboratorio segreto. Non è normale quel loro modo di trasformarsi.»

«Tipico di quei bastardi creare schifezze! Ed ora tocca a noi fare pulizia.» esclamò Barret, tirando un pugno ad un invisibile nemico.

«Già. E conoscendo quel pazzo bastardo di Hojo, non mi sorprenderebbe che ci fosse ancora qualche laboratorio che non abbiamo trovato.» commentò Cid. Tifa soppesò le loro parole, tornando a guardare la mappa. La mente di Cloud tornò a quando, dopo la tragedia del settore 7, erano finiti anche loro in un laboratorio Shinra abbandonato.

«Si. È molto probabile che sia così.» concordò.

«Sono d’accordo anche io.» disse Tifa; il cuore di Cloud fece una capriola.

«Ma allora deve esserci qualche buco di culo da cui escono, questi pezzi di merda.» disse Cid, chinandosi anche lui sulla mappa.

«Poesia…» mormorò Barret sarcastico. Fortunatamente non aveva portato con lui Marlene.

«Dove l’hai trovata questa mappa?» domandò Cid, addentando un’altra fetta di pizza.

«I nostri vecchi agganci… non sgocciolarci sopra! Non è del tutto aggiornata, ma indica com’è fatto il terreno da quelle parti. Questo è il versante dove abbiamo trovato la pietra “magica”.» disse Tifa, indicando un punto del foglio con il dito.

«E verso dove sono scappati dopo?»

«Verso la cima, ma non saprei dire precisamente per quanto o in che direzione.» ammise la ragazza, mordendosi il labbro.

«La Shinra non avrebbe mai costruito l’entrata di un laboratorio in cima a una collina, quando potevano farla in pianura. Devono sfruttare qualche passaggio naturale.» intervenne Cloud.

«Intendi una grotta?»

«Qualcosa di simile, si.»

«E quando cazzo la troviamo, una grotta? Chissà quanto dovremo cercare!» si lamentò il pilota, mollando la pizza e accendendosi una sigaretta.

«Sempre meglio che cercare un’entrata segreta che non abbiamo la minima idea di dove sia, o se sia praticabile.» gli fece notare Barret.

«Qui non si può fumare…»

«Non rompere il cazzo, è chiuso!»

«Ma ci sono i bambini!» ridacchiò Barret, indicando Cloud e Meteor. I due biondi gli rivolsero due identiche occhiatacce.

«Forse qui… in questa zona.» mormorò Tifa, cerchiando con il dito una parte della collina.

«La mappa indica che ci sono delle scarpate, forse ci saranno delle caverne.»

«Se le caverne fossero tante, la situazione si complicherebbe.»

«È comunque l’unico indizio che abbiamo.» disse Tifa, arrotolando la mappa e dirigendosi verso la sua stanza.

«Dove vai?» le chiese Barret.

«A prepararmi. Preparatevi anche voi, partiamo appena siamo pronti.»

I tre maschi si guardarono, confusi.

«Ma veramente vuoi andare a cercare una caverna piena di mostri di notte?» chiese Barret.

«Andiamoci domani mattina, che cazzo! Sembra già abbastanza pericoloso, perché ci dobbiamo complicare le cose?» concordò Cid.

Tifa si bloccò, stringendo convulsamente la mappa; Cloud si alzò e la raggiunse.

«Hanno ragione. Non ha senso andare adesso. Perché non mangi qualcosa e domani mattina andiamo, riposati e pronti?» le sussurrò.

Lei piantò i suoi occhi in quelli di lui; erano gonfi di pianto.

«Non possiamo… aspettare ancora…» mormorò.

«Non possiamo nemmeno morire.» rispose lui.

Lei chinò di nuovo la testa, fece un impercettibile segno affermativo, poi salì le scale e sparì in camera sua.

«Wow, ciuffo… cosa gli fai alle donne?»

«Del male, Barret.» rispose Cid, spegnendo la sigaretta e prendendo altra pizza.

«Sputa il rospo, Cloud. Che hai combinato? Tifa ci ha solo detto che è arrabbiata con te.» 

Il ragazzo si sedette al tavolo. Non sapeva da dove cominciare.

«Puzzi di alcool! Hanno aperto un bar, vicino alla chiesa?»

«Sono stato all’Honeybee Inn. Volevo… pensare.»

I due trasalirono.

«Io riuscirei a pensare ad una cosa sola, lì dentro.» commentò Cid.

«Sono stato anche alla chiesa… prima. Stamattina.»

«Questo ce lo ha detto già Tifa. Quindi… ha a che fare con Aerith?» domandò Barret.

Cloud chiuse gli occhi al suono di quel nome.

«Si.» riuscì a rispondere.

«Oh oh…» fece Cid, che non smetteva più di mangiare.

«Senti ciuffo, abbiamo capito che c’è qualcosa che non va, ma non possiamo giocare agli indovinelli per tutta la sera.» disse Barret, con una punta di impazienza.

«Dai, che cazzo sarà mai successo? Hai detto “Aerith” invece di “Tifa” mentre facevate sesso?» chiese Cid, spargendo pezzi di formaggio ovunque. Meteor ripulì il pavimento in un attimo e si mise seduto, in attesa di altri bocconcini.

Cloud fece un respiro profondo e iniziò a raccontare gli avvenimenti della notte precedente ai sempre più allibiti Barret e Cid.

«Oh merda. Questo è molto peggio che dire il nome di un’altra.» disse piano il pilota, quando il ragazzo ebbe terminato il racconto.

Barret annuì gravemente con la testa.

«Ma perché Aerith??» chiese ancora Cid.

«Non lo so!» esclamò il biondo, seccato. «Lo avessi saputo, non mi sarei nemmeno avvicinato a quella pietra!»

«Manca a tutti noi quella pazza scatenata, ma… lo sai che per te il discorso è più complicato.» disse Barret.

«Lo so. Ed ora è ancora peggio.»

«Forse quei… cosi hanno semplicemente capito che era una persona che ti mancava. Forse sarebbero diventati Aerith anche per Tifa, o per noi.» propose Barret.

«Le persone scomparse avevano tutte subito almeno un lutto importante, ce lo ha detto Tifa prima. Spiegherebbe come mai la bestiaccia abbia scelto un tuo caro estinto.»

«Pensavo che avrei rivisto mia madre, o mio padre.»

«Magari hanno visto il tuo lutto più recente.»

«”Hanno visto”… anche fosse, mi piacerebbe sapere come.» affermò il ragazzo, frustrato.

«Al come possiamo pensare dopo. Abbiamo dei cattivi da falciare e una ragazza da cui farci perdonare.» disse Barret, allungandosi dalla sedia per prendere una fetta di pizza.

«Perché è grossa, amico mio. L’hai fatta grossa la cazzata.»

Cloud lo guardò in cagnesco.

«Io non ho fatto niente!» sbottò.

«Appunto, testone, è questo il problema.» replicò Cid.

«C’è il dato, innegabile, che Aerith è in qualche modo ancora nei tuoi pensieri. E vivi con Tifa! Capisci il problema?» rincarò Barret. 

«Avete appena detto che manca a tutti!» si difese Cloud, evitando di rispondere. 

«Si, ma qui abbiamo un mostro che ha cercato di attirarti prendendo le sembianze della rivale in amore della tua attuale ragazza, cazzo!» gli fece notare il pilota.

«Non esageriamo… rivale in amore?»

«Cloud, se vogliamo prenderci per il culo allora va bene, ma non mi venire a negare che c’era una specie di triangolo tra te, la Cetra e Tifa.»

«Non ne parlare così. Mi da’ fastidio.» disse il ragazzo, squadrando il pilota.

«Non me ne frega un cazzo se ti da fastidio, è comunque la verità.» ribatté Cid.

«E Tifa ha tutto il diritto di essere arrabbiata con te.» disse Barret.

«Ma io non ho fatto niente!» ripeté Cloud esasperato.

«Le hai dato un motivo per dubitare di te. Non hai tagliato immediatamente in due quell’affare, pur sapendo cos’era e cosa stava per fare… ti sei anche fatto toccare! Capisci che ai suoi occhi questo è una specie di tradimento?»

Cloud sgranò gli occhi.

«Tifa dovrebbe saperlo… dovrebbe saperlo ormai, che non c’è nessun’altra, per me.»

«Gliel’hai mai detto?»

«... no.»

«Perfetto. Combina questo con la tua ultima cazzata e capirai come mai adesso quasi sicuramente starà piangendo nel cuscino.» dichiarò Barret.

Cloud non riuscì a rispondere.

«Perché non gliel’hai mai detto? Contano anche le parole, oltre che i gesti. I gesti non fanno capire tutto quello che pensi.» disse l’omone.

«I tuoi, poi, non fanno capire proprio un cazzo, di solito.»

Cloud aggrottò le sopracciglia.

«Potevi tranciarla in due subito! Quel gesto si che avrebbe detto la cosa giusta.»

«Io in tutto questo voglio sapere solo una cosa: quanto pensi ad Aerith? E perché?» gli chiese Barret.

Cloud si morse nervosamente il labbro. I due lo squadravano come se fosse un sospettato di qualche crimine.

«Alla fine non conta così tanto. Sia come sia, devi far pace con il tuo ricordo di lei. Anche a me brucia ancora che sia morta.» disse Barret, vedendo che Cloud sembrava in grande difficoltà.

«Mi… brucia tanto.» riuscì ad esalare il ragazzo.

«Non è stata colpa tua, testone.»

Cloud scosse la testa.

«Non. Sei. Stato. Tu. Prima ti convinci di questa cosa, prima inizi a convivere meglio con i ricordi che hai di lei.» affermó Barret. 

«Se non riesci a motivarti da solo a farlo, cerca di pensare a Tifa. Non si merita di fare ancora a botte con i tuoi demoni.»

Barret e Cid fissarono l’amico, che rimaneva inerte sulla sedia, in attesa che dicesse qualcosa. Meteor gli becchettò affettuosamente una mano, ma non ottenne attenzioni. Cloud rimase chiuso in un ostinato silenzio.

«Ok… noi andiamo a dormire allora. Domani ci aspetta una giornataccia. Gita in mezzo ai boschi.» disse finalmente Barret, alzandosi.

«Non vedo l’ora! Fango, merda e se siamo fortunati, mostri da picchiare!» commentò Cid, con falso entusiasmo.

«Vai a dormire, ciuffo.» 

I due se ne andarono verso il salone, lasciando Cloud da solo.

«È… stata tutta colpa mia se è morta…» mormorò, rivolto ormai a nessuno.

 

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Capitolo 9
*** Signs of a Strife - Parte 2 ***


 

Signs of a Strife

Parte 2



«Odio la natura!» dichiarò a voce alta Cid, dopo aver calpestato l’ennesima pozza di fango.

«Sono ore che controlliamo queste scarpate, non c’è niente.» sospirò Barret.

Cloud non osava unirsi al coro, ma anche lui iniziava a essere stufo della gita. Non stava piovendo, ma il terreno era viscido e ancora umido per la pioggia del giorno prima ed erano sferzati da un vento gelido. Si trovavano proprio ai piedi di una piccola scarpata e avanzavano con difficoltà tra i mucchi di pietre cadute.

Meteor pigolò annoiato da dentro lo zaino di Cloud, tirando fuori la testa e tirandogli una ciocca di capelli.

«Kueeh!» (madre, avrò un giorno il vostro stesso piumaggio dorato?)

«Dovevi proprio portarlo?» chiese Barret.

«Potrebbe essere d’aiuto.» rispose Cloud, tirandolo fuori dallo zaino. Il chocobo iniziò a saltellare in giro. I due uomini lo guardarono dubbiosi.

«Controlliamo da questa parte.» disse Tifa, guardando la mappa e procedendo verso una zona ancora più impervia.

«Giusto una capra potrebbe vivere lì!» gridò Cid, puntellandosi sulla sua lancia per scalare un mucchio di sassi.

«Erano piccoli e agili, potrebbero benissimo avere trovato una grotta da queste parti.» ribattè lei.

«Si, ha ragione.» confermò Cloud a voce alta, attirandosi un’occhiataccia da Cid e senza causare nessuna reazione da parte di Tifa.

«Non strafare, rubacuori.» gli sussurrò Barret, superandolo.

Di colpo, un tuono rombò nel cielo, non molto distante da loro.

«Io in questo posto del cazzo, sotto la pioggia, non ci rimango!» gridò Cid, facendo dietrofront.

«Non possiamo rinunciare!» strillò Tifa, facendoli sobbalzare.

«Ma non stiamo cavando un ragno dal buco facendo così. Come li avete trovati la volta scorsa?» chiese Barret. Poi guardò Cloud, che lo stava incenerendo con lo sguardo.

«Ah, giusto. Però…»

«NO!» disse categoricamente Cloud.

«Ma…» insistette Barret.

«No! Non se ne parla!» ripeté il ragazzo, che iniziava già a perdere la calma.

«Barret ha ragione. Non possiamo continuare adesso, tanto vale riprovare stanotte.» disse improvvisamente Tifa. Cloud la guardò basito.

«Come mai hai cambiato idea?»

Tifa indicò il pesante nuvolone che si stava portando proprio sopra le loro teste. Un altro tuono sembrò scuotere il terreno stesso.

«Giusto! Torniamo indietro.» disse subito il ragazzo, riacchiappando Meteor e iniziando a camminare in discesa in tutta fretta.

Tifa sospirò, poi ripose la mappa nel suo zaino e iniziò anche lei a tornare indietro.

«Hey, li beccheremo quei bastardi. Te lo prometto.» disse Barret, cercando di consolarla.

«So che non sembra, ma lo vuole anche Cloud.» aggiunse Cid. 

Tifa accennò un piccolissimo sorriso e mormorò un ringraziamento.

 

***

 

«L’hai presa quella immunizzante?»

«No, preferisco quella di Ignis.»

«Aspetta, quindi questa non è Ignis?»

«No, quella è Sleep.»

«Ragazzi, stiamo solo facendo confusione così! Rimettetele tutte a posto e ricominciamo.»

Cid, Barret e Cloud si allontanarono dall’enorme baule che campeggiava in mezzo alla sala del Seventh Heaven; Tifa, ad un tavolo vicino, stava allineando con cura alcune granate sulla superficie di legno.

«E quelle?» fece Cloud, con sguardo interrogativo.

«Gli ultimi pezzi che abbiamo rubato ai soldati Shinra, prima della caduta di Meteor.» rispose distrattamente lei, senza guardarlo.

«Kueeeeh?» (chi pronunzia invano il mio nome?) 

«Non stava chiamando te.» disse il ragazzo al pulcino.

«Hai fatto bene a tenerle, comunque.» commentò.

«Non penso solo alle materie.»

Cloud le rivolse un’ultima occhiata sconsolata, prima di andare nella sua stanza.

Cid e Barret lo seguirono con la coda dell’occhio, preoccupati.

«Ok, ricominciamo» fece il pilota, riportando l’attenzione sullo scrigno.

«Ardente, Crio, estensiva, galvanica… ecco la immunizzante!» disse trionfante, tirando fuori una sfera blu.

«Questa qui invece?» domandò Barret, tirando fuori una materia scura.

«Rimettila via. Evoca Bahamut. » fece Tifa.

«Potrebbe essere utile, invece!! Facciamo fare tutto a qualche evocazione!» propose Cid.

«Certo, dobbiamo infiltrarci in un laboratorio sotterraneo, mi sembra un’ottima idea provare a evocare un colosso alto sedici metri!» disse sarcastico Barret.

«Potrebbe non esserci abbastanza spazio.» considerò Tifa. «Ma nel dubbio, prendila.»

Cloud scese nuovamente le scale per tornare da loro. Indossava la sua divisa da SOLDIER, più un giubbotto rinforzato.

«Vai in guerra?» lo prese in giro Cid.

«Si… tu invece?» rispose Cloud.

«Ma perché cazzo mi sono fatto coinvolgere di nuovo nelle vostre beghe! E dov’è il MIO giubbotto rinforzato?» si lamentò il pilota.

«Dai, ti mancava un po’ d’azione.»

«Col cazzo! Mi stavo godendo del meritato riposo!»

«Allora ti siamo doppiamente grati che tu sia venuto.» disse Tifa, guardandolo con un’espressione colma di affetto. Cloud fu quasi geloso.

«Mi stai prendendo per il culo?» chiese il pilota.

«Su, su. Concentriamoci. Dobbiamo essere pronti a tutto.» disse lei, ignorando la domanda.

I quattro si misero di nuovo a preparare l’artiglieria. Quando lo smistamento delle materie e delle armi fu completato, i quattro finirono di caricare il furgone con il resto dell’equipaggiamento e partirono alla volta dell’orfanotrofio.

«Ormai so a memoria la strada.» mormorò Tifa.

«La terza volta sarà quella buona.» disse Barret, fiducioso.

Meteor era stato ammesso nel gruppo e ora zampettava nel retro del furgone, felice della gita extra. Non aveva ottenuto armi, ma aveva due minacciosissimi segni neri dipinti sotto gli occhi.

Cid lo osservò mordersi una zampa nel tentativo di lisciarsi le penne, per poi ringhiarsi da solo e rincorrere la sua coda.

«Io avrei lasciato l’animaletto a casa.»

«Non è tuo.» rispose Cloud, lapidario.

«Nemmeno tuo, se vogliamo essere precisi.» aggiunse Tifa, dal posto di guida.

«Ti da fastidio che lo abbia portato?»

La ragazza alzò le spalle e rispose:

«Tanto ormai…»

Barret si girò verso Cloud con gli occhi spalancati e sillabò: “Affari tuoi.”

Il ragazzo si chiuse nel silenzio per il resto del viaggio, che fu abbastanza breve. Una volta arrivati terminarono la spartizione dell’equipaggiamento.

«Ho una chicca per noi questa sera… lusso sfrenato!» annunciò Cid, tirando fuori da un sacco dei visori notturni.

Cloud li riconobbe subito:

«Shinra?»

«Certo! Ho dovuto raschiare un po’ di cervello dei precedenti proprietari che era rimasto incrostato, ma funzionano perfettamente.»

Il ragazzo si incupì ancora di più al pensiero di mettersi di nuovo un visore Shinra. Incrociò lo sguardo di Tifa, quasi per caso, e gli sembrò che lei capisse quello che stava provando.

«Hey… sei con noi?» gli chiese. Lui annuì, rincuorato.

Tifa aspettò un attimo per infilarsi il suo casco, rabbrividendo al pensiero dei ricordi che le suscitava.

«Tutti pronti? Ho risincronizzato i trasmettitori dei caschi, potremo parlare senza problemi anche se ci separeremo.» disse Cid; accese un piccolo interruttore e la sua voce arrivò a tutti sdoppiata dal microfono.

«Mi sentite?»

Tutti annuirono e accesero a loro volta i trasmettitori. Attraverso il visore, la notte era illuminata di un bagliore rossastro.

«Andiamo.» disse finalmente Tifa, mettendosi in cammino.

I tre, più Meteor, la seguirono e si addentrarono con lei nella foresta.

«Aaaah! Spegnete tutti i trasmittenti, ogni rumore si moltiplica!» esclamò subito Barret; in effetti in breve tempo lo scricchiolare delle foglie secche, le grida degli uccelli notturni e la leggera brezza erano diventati una cacofonia insopportabile.

«Accendiamoli solo se necessario.» propose Tifa.

Gli altri concordarono e provvedettero a spegnerli.

Si addentrarono ancora più a fondo nel bosco, orientandosi molto meglio grazie ai visori. Il buio più fitto rivelava i suoi segreti, drappeggiati di rosso. Il solito lugubre, profondo silenzio iniziò ad avvolgerli dopo poco tempo, mentre risalivano il fianco della collina, diretti alla pietra.

«Come mai… non ci sono rumori?»

«Non mi piace, cazzo!»

«Vi avevo avvisati, siamo vicini.»

Giunsero al limitare della radura, scansando rami contorti e camminando fra le radici nodose degli alberi. La sgradevole sensazione di essere osservati li rendeva inquieti; persino Meteor non canticchiava più, appollaiato sulla spalla di Cloud.

«E ora?» domandò Barret. «Chi fa il “sacrificio”?»

Guardarono per un attimo la pietra: attraverso i visori, sembrava dipinta da strati e strati di sangue.

«Che cazzo di posto da brivido.» commentò Cid.

«Lo… potrei fare io. Sapremmo già… chi arriverebbe.» si offrì Cloud.

Tifa lo guardò malissimo e rispose, seccata:

«Lo farò io. Voi state pronti a coprirmi e a correre.»

«Credi che arriveranno comunque, dopo che li avete affrontati?» chiese Barret.

«Hai un’idea migliore?»

L’uomo rimase in silenzio per un momento, poi scosse la testa. «No, ma non mi piace per niente. Fai attenzione.»

«Tifa…»

«No, Cloud. Andrò io e basta.»

«Si… ma sta attenta.»

Tifa rimase in piedi davanti alla pietra e gli altri si acquattarono tra i cespugli al limitare della radura. Si tolse un guanto e si punse un dito con una delle piastre metalliche, facendo cadere qualche goccia sulla superficie muscosa.

«Secondo voi a cosa serve il sangue?» sussurrò Barret agli altri due. Cid alzò le spalle, stringendo la lancia con entrambe le mani. Cloud non riusciva a smettere di guardare Tifa, che ora si guardava intorno in attesa.

Non passò molto tempo prima che iniziassero a sentire dei lievi, disgustosi passi frusciare tutto intorno a loro. A Cloud, che manteneva lo sguardo fisso su Tifa, per un attimo parve di scorgere una ripugnante appendice guizzare sulla superficie della pietra, sfiorandola appena nel punto in cui il sangue era fresco, per poi sparire.

“Uno di loro è lì.” pensò, mettendo mano alla spada.

Una mano guantata afferrò un ramo, spostandolo, e una figura snella apparve nella radura.

Tifa si voltò immediatamente all’udire lo scricchiolare degli stivali sulle foglie: lo schermo del suo visore le restituì l’immagine di Cloud, vestito di spettrale luce rossa; i suoi capelli ondeggiavano leggermente, mossi dalla brezza notturna, intanto che si avvicinava a Tifa.

«Oh porca troia!!» sussurrò Cid.

«Ma che…» gli fece eco Barret.

Si girarono entrambi per controllare che Cloud fosse lì con loro. Era lì, impietrito e annientato dalle implicazioni di quello che stava succedendo. 

Tifa iniziò a tremare.

«Dobbiamo andare ad aiutarla!» propose Barret, togliendo la sicura alla sua arma.

Un urlo disumano squarciò il silenzio. I tre osservarono preoccupati la radura, per vedere Cloud indietreggiare con il naso insanguinato.

Il vero Cloud si sfiorò il naso, terrorizzato da quella visione.

«Andiamo.» confermò Cid. Si lanciarono nella radura, incuranti dei sibili e dei rumori viscidi che udivano, conferma che molti di quegli esseri attendevano, nascosti nell’oscurità.

Barret raggiunse Tifa appena in tempo per abbrancarla e impedirle di dare il colpo di grazia a Cloud, che sembrava stordito dal colpo subito e rimaneva in piedi con le mani sul volto.

«Vai, stronzo! Forza, vattene!!» gridò Cid, avvicinandosi minaccioso e agitando la sua arma. I suoni striscianti si moltiplicavano e sembravano avvicinarsi da ogni direzione.

«Lasciami Barret!!» gridava Tifa, cercando di divincolarsi e calciando l’aria.

Il vero Cloud era allibito tanto quanto quello finto.

Di colpo la creatura si riscosse e scattò al riparo degli alberi, mentre decine di gole ululavano all’unisono.

«Potevi lasciarmelo uccidere!» si lamentò Tifa, liberandosi dalla stretta.

«Devono condurci al laboratorio! Poi ne avrai una tonnellata da fare fuori!»

«ATTENTO CLOUD!!»

«KUEEEH!» (madre, scorgo del periglio!!)

Il ragazzo si girò appena in tempo per vedere due abomini avventarsi su di lui, le fauci spalancate in un urlo muto e i micidiali artigli pronti a farlo a pezzi. Meteor saltò via dalla sua spalla appena in tempo. I mostri gettarono Cloud a terra, facendogli rotolare via il visore: in un improvviso lampo, il primo si accasciò su di lui, colpito a morte da Barret; il secondo cercò invano di avvinghiare la sua disgustosa lingua attorno al collo del ragazzo, prima che la lancia di Cid gli trapassasse il cranio, uccidendolo all’istante. Il cannone di Barret non si fermò, continuando a crivellare altri mostri che tentavano di avvicinarsi; Tifa gridò qualcosa, ma le esplosioni dei colpi coprivano ogni altro suono. La luce degli spari illuminò dei fotogrammi della scena, che Cloud osservò imbambolato, come in trance: le ossa del cranio del mostro si frantumavano dalla violenza del colpo di Cid, mentre altri proiettili andavano a segno e sollevavano nauseabondi schizzi di sangue.

Il pilota tese una mano al ragazzo, tirandolo verso di lui e aiutandolo ad alzarsi. Le urla dei mostri si facevano sempre più acute. Cloud si affrettò a recuperare il visore e sguainò la spada. Meteor corse dietro di lui, pigolando spaventato.

Barret fermò le raffiche per ricaricare, urlando agli altri di coprirlo. Cid e Cloud aggiunsero le loro armi ai pugni di Tifa, facendo scudo al loro compagno. Gli attacchi si fecero via via più sporadici e confusionari, ma le urla raccapriccianti non diminuirono di intensità.

In breve lo spazio della radura fu coperto di viscidi cadaveri e inzuppato dei loro maleodoranti fluidi. 

«Sono pronto!» gridò Barret.

«Dobbiamo farli scappare!!» rispose Tifa.

I quattro rimasero in attesa di ulteriori assalitori, ma il branco sembrava indugiare al limitare della radura, facendo schioccare le disgustose lingue e urlando come se dovessero risvegliare i loro simili caduti.

«Mettigli un altro po’ di pepe al culo, Barret!» gridò Cid.

Il cannone non si fece pregare e ruggì di nuovo, illuminando a giorno il bosco e sollevando nugoli di foglie e frammenti di corteccia. Finalmente, le creature scomparvero tra gli alberi.

«ORA!» gridò Tifa, gettandosi all’inseguimento. Gli altri la imitarono.

«Kuee!!!» (madre, vi sembrava il caso di portare la vostra progenie in siffatto loco?!)

Cloud si sforzò di mantenersi concentrato sull’inseguimento, anche se aveva la mente affollata da mille domande, a cui non riusciva a dare risposta. 

Gli alberi sfrecciavano intorno a lui, ammantati dalla spettrale luce del visore notturno. Poteva vedere chiaramente i suoi compagni correre a perdifiato davanti a lui e le creature, che si muovevano compiendo lunghi balzi e non sembravano rallentate dall’oscurità o dalla fitta vegetazione. I loro ululati si mischiavano con il sibilo dell’aria che gli sferzava la parte scoperta del volto; gli sembrava di correre in un lungo incubo cremisi. Si sorprese a sperare che fosse solo un brutto sogno, almeno avrebbe ancora potuto svegliarsi.

Gli alberi iniziarono a diradarsi; la mandria stava correndo proprio in direzione della scarpata che avevano visitato quella mattina.

Le creature presero a scalare la parete rocciosa, salendo le une sulle altre e accalcandosi verso un punto situato a vari metri di altezza; le osservarono per un attimo sparire all’interno di una stretta apertura, impossibile da scorgere dal basso. Barret non perse altro tempo e aprì nuovamente il fuoco, facendo cadere numerosi cadaveri tra le pietre ai piedi della scarpata.

In breve tempo il branco scomparve, inghiottito dal fianco della montagna.

 

***

 

«Cid, non mi piace la tua idea!»

«Ma è l’unico modo, o non ci passeremo mai!»

«Potrebbe servirci dell’esplosivo una volta dentro…»

«Per cosa esattamente? Seppellirci vivi?»

Tifa si arrese, consegnando al pilota le granate.

«Ma se ciuffo si arrampicasse e le sistemasse?» propose Barret.

«E poi come torna giù in tempo, testone?? Forza, mettetevi al riparo.»

Tutti gli altri si misero dietro ad un tronco particolarmente robusto, mentre Cid prendeva una delle granate e osservava con attenzione la parete rocciosa.

«Un tiro difficile, ma Cid Highwind è pronto all’azione. Dai cazzo!!» gridò, togliendo la sicura e lanciando l’esplosivo, per poi correre al riparo.

La bomba descrisse una parabola molto stretta, andando ad esplodere a mezz’aria proprio davanti all’imboccatura del passaggio, in una nuvola di schegge e pezzi di roccia.

Il pilota osservò soddisfatto l’enorme breccia che aveva creato, ridacchiando.

«E voi volevate andare ad incastrarvi dentro a quel budello.»

«Bravo Cid!» esclamò Tifa.

«Sono colpito. Sai fare qualcosa, dopotutto.» lo canzonò Barret.

«Ma vaffanculo! Pensiamo ad andare, prima che i bastardi possano riorganizzarsi del tutto.»

Tirarono fuori i rampini e, dopo qualche tentativo, riuscirono ad ancorarsi ad un albero che cresceva sulla cima della scarpata. Cloud cercava di partecipare, ma non riusciva a spiccicare una parola; Cid porse il lancia rampini a Barret, dicendogli:

«Vai prima tu, ciccione! Se ce la fa col tuo culo, noialtri possiamo anche andare tutti insieme!»

«Sei venuto per dare fastidio o per dare una mano?» rispose Barret, guardandolo male.

«Una mano ti servirebbe in effetti.»

«Vaffanculo, Cid!» esclamò Barret, prima di azionare il verricello e scattare verso l’apertura. Atterrò senza incidenti e osservò la zona: uno stretto cunicolo naturale serpeggiava verso il basso, grande abbastanza per procedere in piedi.

«Venite!»

Cid fu il primo a raggiungerlo, commentando felice i risultati del suo lancio.

Tifa stava per salire, quando Cloud le mise una mano sulla spalla.

«Io…»

«Non è il momento. E non ho nulla da dirti.» disse lei freddamente.

«Io ho…»

«Non è il momento. Abbiamo una missione da completare.» tagliò corto la ragazza, saettando verso l’alto.

Cloud sospirò, sconsolato; prese Meteor sottobraccio, che non smetteva di pigolare, e afferrò il lancia rampini con l’altra mano, azionando il meccanismo.

«KUIIIIIIII!!» (madre, detesto questa escursione ma questo passaggio compiace la mia brama di librarmi nell’aere!) strillò il pulcino, mentre entrambi acceleravano verso l’apertura.

Atterrò e sganciò il rampino. Barret e Tifa stavano già osservando il cunicolo.

«Sono passati di qui, vedi i graffi sulla roccia?»

«Grazie al cazzo, grande investigatore, li abbiamo visti tutti entrare qui! Andiamo.» replicò Cid, avviandosi con cautela nel tunnel. Gli altri lo seguirono, aggrappandosi alle pareti per non scivolare sull’umidità che permeava quel luogo.

Improvvisamente, dopo una svolta, le pareti del condotto si fecero più lisce e regolari. La fine del tunnel era visibile, vari metri più avanti, ma era inghiottita dal buio.

«Non è più naturale, adesso.» notò Tifa.

«Lo avranno scavato questi mostri?» chiese Barret.

«Secondo me è un condotto di aerazione del laboratorio.» disse Cloud.

Procedettero con cautela, nell’oscurità e nel silenzio; davanti a loro si apriva un semplice foro rettangolare nella pietra. Cid si sporse, dando un’occhiata all’ambiente sotto di loro.

«Lo abbiamo trovato.»

Cloud scese per primo, atterrando su un pavimento lurido e consumato. Il visore gli permise di osservare i dintorni: riconobbe immediatamente lo stile dei laboratori Shinra. Cavi e tubi percorrevano le pareti del corridoio in cui si trovava, conferendo un’atmosfera fredda e malsana all’ambiente. L’aria era ferma e maleodorante, ma respirabile.

In breve tutti gli altri lo raggiunsero. 

«Cosa facciamo? Questo posto è anche peggio del bosco.» sussurrò Cid.

«Vediamo dove porta questo corridoio… e speriamo di trovarli.»

«Fate schifo a fare piani! E questo corridoio va in entrambe le direzioni, da che cazzo di parte lo vorreste seguire?» replicò acido il pilota.

Gli altri tre rimasero interdetti: effettivamente il corridoio si perdeva nell’oscurità in entrambe le direzioni.

«Il flusso del mako in questi tubi andava di qua. Se lo seguiamo, andiamo nel laboratorio; dall’altra parte ci sono le cisterne del mako.» disse Cloud, indicando una valvola sulla parete.

«Tu sei la prova vivente che un bagnetto nel mako non va fatto. Andiamo al laboratorio.» disse Barret, assestandogli una sonora pacca sulla spalla.

Avanzarono circospetti sul pavimento scricchiolante, ascoltando preoccupati il gocciolio dell’acqua e il riverbero dei loro passi, immersi nell’oscurità.

«Ci staranno aspettando?» sussurrò Tifa.

«No, sono sicuro che la granata di prima non l’abbiano sentita.» rispose sarcastico Barret.

«Non c’è di che.» sibilò Cid, piccato.

Cloud procedeva in silenzio, seguito da Meteor. Persero il senso del tempo, avanzando nel buio e procedendo in leggera discesa; quando finalmente il corridoio si interruppe, introducendoli in una sala molto più ampia, i quattro furono percorsi da un brivido.

Erano in una stanza che, quando il laboratorio era in uso, doveva essere la più importante di tutte: le pareti erano tappezzate di capsule di vetro, ormai tutte rotte e vuote, oppure colme di acqua stagnante e fetida. Il pavimento era ricoperto di cumuli di melma putrida e in alcune parti sembrava danneggiato, come se grosse radici lo stessero spingendo da sotto per uscire. Grovigli di cavi e di tubi giacevano abbandonati negli angoli oppure pendevano come disgustose ragnatele dal soffitto; nel mezzo della sala troneggiava una capsula svariate volte più grande di tutte le altre, ancora riempita fino a metà di un liquido torbido.

«Si, quei cosi sono sicuramente degli ibridi Shinra.» affermò Barret, guardando il vuoto cimitero di vetro e acciaio.

«Cosa… c’era lì dentro?» chiese Tifa, muovendo qualche passo verso la capsula più grande.

«Sembra quella che usavano per Jenova.» mormorò Cloud, improvvisamente assalito da ricordi che avrebbe preferito non avere.

«Quindi questi stronzetti hanno cellule di Jenova?» chiese Cid.

«Spiegherebbe perché riescono a cambiare forma.» disse Cloud.

«Ma cosa volevano farci quei bastardi della Shinra con questi mostri?» si interrogò Barret.

«Chi se ne frega! Dobbiamo estirparli.» rispose il pilota.

«Ragazzi…» esordì Tifa, «… ho contato le capsule e mi sembrano molte di meno rispetto a quanti mostri abbiamo visto.» dichiarò, con tono preoccupato.

I quattro rimasero in silenzio per un attimo, soppesando le pessime implicazioni delle parole della ragazza.

«Forse ci sono altre capsule nelle prossime stanze.» provò a rassicurarla Cloud.

Tifa gli lanciò un’occhiata poco convinta.

«Dovrebbero aver foderato tutte le fogne di Edge di capsule, per generare quella mandria di creature…»

«Sssh! Ascoltate…»

Un suono viscido e gorgogliante premeva sui loro timpani… ma dall’interno. Sembrava provenire da tutte le direzioni contemporaneamente e convergeva su ognuno di loro, occupandogli la mente con pensieri estranei di morte e di vendetta. Cercarono inutilmente di allontanare quei suoni raccapriccianti tappandosi le orecchie, ma strisciavano dentro il loro cervello, rimestando e portando a galla terrori dimenticati.

Sembrò essere passata un’eternità di tortura, prima che i suoni cessassero. Un ultimo brandello di quell’abominevole cacofonia si cristallizzò in una parola, che riecheggiò alcune volte, prima di svanire del tutto:

“Vendettaa…”

 I quattro si guardarono, impietriti. Il primo a rompere il silenzio fu Cid:

«Ok… cosa cazzo è stato??» chiese, stringendo la lancia.

«Non lo so… sentivo quei rumori schifosi nella testa, poi quella voce…» mormorò Cloud.

«Kuiiiee…» (madre, possiamo fare ritorno alla magione immantinenti?)

Tifa si guardò intorno, preoccupata, poi disse:

«Dobbiamo capirci di più. Ci saranno degli archivi da qualche parte…» 

Barret inarcò un sopracciglio.

«Davvero vuoi metterti a leggere, adesso?» 

«Finora andare a caso non ha dato grando risultati.» fu la replica piccata di Tifa.

“Anzi…” si ritrovò a considerare Cloud.

Barret alzò le mani in segno di resa. 

«Comandi tu oggi. Dove andiamo allora? Hai altri pareri professionali, ciuffo?»

«Se questo è il laboratorio, gli uffici saranno sicuramente nelle prossime stanze.» affermò Cloud.

«Grazie al cazzo…» mormorò Cid, andando ad ispezionare una delle porte della sala, vicino alla capsula più grande. Si affacciò dal vano, scostando una matassa di fili unti con la lancia: 

«Bingo!»

Richiamò gli altri ed entrarono in uno spazio piccolo e angusto; tutta la mobilia che c’era sembrava essere stata rivoltata da cima a fondo, con segni di enormi artigli su ogni superficie, compresi gli schermi e le tastiere. Fogli ormai marci si confondevano con lo strato di sudiciume sul pavimento.

«Cosa vuoi che cerchiamo?»

«Non credo che quei computer si accenderanno… speriamo che gli scienziati abbiano conservato anche dei dati cartacei.» disse Tifa, iniziando a rovistare nei mobiletti sconquassati. Tutti la imitarono, anche se non c’erano molti spazi rimasti intatti nei quali cercare.

«Che ne pensi di questo?» domandò Barret, porgendole un faldone coperto di muffa e polvere che aveva tirato fuori da dietro una scrivania.

«Diamo un’occhiata.» 

Poggiarono con cura il fascicolo su un piano e iniziarono a sfogliarlo. Dopo pagine e pagine di appunti, calcoli e ripugnanti disegni anatomici, arrivarono ad una sezione piena di foto. Dovettero sforzarsi di guardare le raccapriccianti immagini degli esperimenti condotti in quel luogo su innumerevoli uomini e donne; ogni volta, il risultato finale assomigliava di più agli abomini che avevano affrontato.

«È orribile…» mormorò Tifa, scioccata.

«È la Shinra.» disse Barret, con voce vibrante di rabbia.

Continuarono ad esaminare il fascicolo: il resoconto delle attività cominciò a menzionare spesso una donna, chiamata semplicemente “La Madre”. Tifa si rifiutò di continuare a guardare, dopo che l’ennesima foto mostrò come avevano impiantato un feto modificato nell’utero di quella donna. Cloud la guardò preoccupato allontanarsi e appoggiarsi ad una parete per riprendere fiato.

«Tutto bene?» chiese.

«Si, continuate a cercare!»

I tre rimasti si fecero coraggio e continuarono. Finalmente il fascicolo prese il tono di un resoconto ufficiale.

«Vieni, forse ci siamo!» disse Cid, richiamando indietro Tifa.

Il rapporto sprizzava compiacimento e lodava la grande impresa compiuta nella ricerca della “spia perfetta”. Grazie alle cellule di Jenova, gli ibridi assumevano il potere di mutare il proprio aspetto esteriore.

“... la mutazione viene innescata dalle limitate capacità telepatiche dei Doppleganger, quando, tramite contatto, trovano nella vittima un ricordo o un’immagine potente, ad esempio della persona più amata, a cui la vittima confiderebbe ogni suo segreto senza esitazione…”

Una lacrima cadde e bagnò il foglio polveroso, seguita dopo pochissimo tempo da un’altra; Cloud alzò lo sguardo e incontrò quello di Tifa, che tremava e non riusciva a trattenere il pianto. Lei si voltò immediatamente, dandogli le spalle.

“Oh merda…”

La ragazza se ne andò senza finire di leggere e senza dire niente, tornando nella sala con le capsule vuote.

«Kueee…?» (che accade ancora? non era il periglio bastevole?)

Cloud non riusciva a muoversi, schiacciato dal peso di quelle parole.

“Non è vero… non può essere vero…”

«La vedo davvero brutta.» sussurrò Barret.

«Cazzo, si. È il limit break delle figure di merda.» esclamò Cid.

«Ti sembra il momento?» sibilò Barret, arrabbiato, mentre guardava preoccupato il ragazzo, che sembrava in stato di shock. Cid cercò di fargli coraggio:

«Però… dice “ad esempio”. Non è per forza così. Poi chissà, magari in realtà sono stronzetti difettosi, per quello hanno abbandonato tutta la baracca.» 

«Cosa?» chiese distrattamente Cloud, che continuava a fissare la porta da cui era uscita Tifa.

La ragazza si era appoggiata con la schiena contro una parete, in preda a giramenti di testa. Non riusciva a smettere di piangere e i suoi pensieri continuavano a roteare intorno alle stesse parole, quelle che aveva letto poco prima, messe nero su bianco. Quelle che più temeva.

“La… persona… più… lei...”

Iniziò ad ansimare e si lasciò scivolare fino a trovarsi seduta.

“Non respiro!” 

Si portò una mano allo sterno, avvertendo un dolore acuto, mentre cercava di prendere aria.

Udì dei passi avvicinarsi a lei. Velocemente si asciugò le lacrime e tentò di ricomporsi, prima di voltarsi. Era Cloud che la fissava.

«No… ti prego, ora non…»

Non aveva il visore. Non aveva la spada. Se ne accorse con un momento di ritardo: tanto bastò all’abominio per avvolgerle la sua orrenda lingua attorno al collo e iniziare a stringere.

Cercò di divincolarsi, senza aria per chiedere aiuto o per respirare, ma gli stivali slittavano sul pavimento melmoso; provò a puntellarsi con i gomiti e ad allentare la stretta per guadagnare tempo, mentre gli artigli della creatura stavano per calare su di lei.

«TIFA!!»

La Buster sword calò dall’alto verso il basso, tranciando tutto quello che trovò e colpendo sonoramente il pavimento; le due parti del mostro ondeggiarono grottescamente prima di afflosciarsi e cadere. Cloud, quello vero, si affrettò a strappare la lingua di dosso a Tifa e la aiutò a rialzarsi. La ragazza iniziò a tossire convulsamente.

Barret e Cid li raggiunsero, seguiti da Meteor.

«Tifa!»

«Kueh!» (avventurarsi solinghi in cotanto loco è una follia!)

«Porca puttana, Tifa!»

«Stai bene?» le chiese Cloud, preoccupatissimo.

«No.» rispose lei, appena riuscì a smettere di tossire.

Il suono di passi strascicati sul pavimento metallico li fece voltare di scatto. Aerith li fissava con sguardo vacuo dal vano vuoto di una porta; nello schermo rossastro dei visori, il suo vestito sembrava solo un’altra sfumatura dello stesso, onnipresente colore.

«La ammazzo… li ammazzo tutti!!» gridò Tifa, agitando i pugni.

«No. Ci penso io.» ribatté Cloud, avanzando verso la creatura.

“ È l’unico modo…” pensò il ragazzo.

Iniziò a correre, urlando. Aerith sembrò spaventata dalla sua aggressività, alzando le braccia davanti al volto in un patetico tentativo di difendersi.

“Non è lei, non è lei… Non è lei!!”

La creatura scartò di lato per evitare il colpo all’ultimo momento, abbandonando in un attimo il travestimento. Con un urlo, si tuffò di nuovo nell’oscurità da cui era emersa; lo stridio dei suoi artigli rimbombava, amplificato dall’eco.

Cloud si affrettò all’inseguimento, sordo ai richiami degli altri: la porta conduceva ad un un corto ponteggio metallico e poi a delle strette scale in discesa. Poteva ancora sentire i passi del mostro; senza pensare, avanzò deciso sul ponte.

Il metallo, corroso e imputridito, cedette di schianto con un fragore tremendo. Tifa era molto lontana, ma corse disperatamente cercando di arrivare in tempo per salvarlo; lui la vide e allungò una mano, pronto ad aggrapparsi. La ragazza arrivò sul ciglio del baratro con un salto, protesa in avanti, ma Cloud era già troppo lontano, in caduta libera in un buio talmente fitto che nemmeno il visore poteva dirgli dove si trovava. Battè la testa e perse conoscenza.

 

***

 

«Cloooooud!!» gridò Tifa, guardando impotente mentre il ragazzo precipitava nell’oscurità insieme ai rottami arrugginiti del ponte.

«Kueeeh!» (Madreeeee!) gemette Meteor, sporgendosi disperato oltre il bordo. Cid e Barret li raggiunsero e scrutarono insieme a loro, senza riuscire a vedere nulla nel baratro.

«Dobbiamo recuperarlo!» 

«Buona fortuna! Non ci vedo un cazzo, chissà dove sarà finito.»

Barret gli assestò una gomitata e fece un cenno in direzione di Tifa, che rimaneva inginocchiata dov’era.

«Ma lo troveremo, stai tranquilla! Sicuramente non si sarà fatto nemmeno un graffio, è abituato a cadere da grandi altezze!»

Barret sospirò, alzando gli occhi al cielo. Tifa continuava a scrutare il nero abisso, cambiando tra i vari filtri del visore, nel tentativo di oltrepassare l’oscurità.

«Caliamoci col rampino!» disse improvvisamente, alzandosi.

«Potrebbe non bastare. Ma basterebbe per arrivare a quelle scale.» ribattè Barret, indicando le rampe che scendevano, al di là del baratro.

«Vado prima io, visto che sono la più leggera» disse Tifa, preparando il lanciarampini.

«E ciuffetto?» domandò Barret, incerto. In effetti anche Meteor li guardava confuso.

Tifa guardò pensierosa il chocobo che pigolava affranto. Si inginocchiò.

«Andiamo a cercare Cloud.» disse con voce rassicurante, poi si fece coraggio e prese in braccio il pulcino, che non si ribellò. 

«Kuee.» (disapprovo, ma non vedo altra via.)

Cid e Barret la guardarono impressionati.

«Sei brava a farti dar retta dai biondi, eh?»

«Non quanto vorrei.» rispose lei mestamente. Si riavvicinò all’orlo e cercò con lo sguardo un punto per lanciare il rampino. Decise di mirare direttamente alle scale.

«Dai, troviamolo così potrai prenderlo a schiaffi come si deve.»

Tifa li guardò e accennò un mezzo sorriso stiracchiato, prima di premere il grilletto. Il rampino si incastrò alla perfezione. 

«Io ti copro.» disse Barret, sporgendosi di fianco a lei con il cannone pronto a far fuoco.

La ragazza saggiò la tenuta della corda, poi si lanciò nel vuoto, azionando il verricello. Il meccanismo la tirò su fino alla scala, che gemette pericolosamente ma non dette veri segni di cedimento. Si arrampicò fino al pianerottolo e si guardò intorno. Non c’erano segni di vita.

«Tutto ok!» gridó, posando a terra il chocobo.

«Fatti in là, bestione. Vado prima io.» disse Cid, tirando fuori la sua lanciarampini.

«Pfff… falso magro.»

Tifa iniziò una prudente discesa, mentre gli altri due arrivavano sani e salvi sulle scale. Meteor la tallonava, pigolando piano. L’oscurità continuava a permeare l’ambiente, che dopo breve tempo divenne così stretto da contenere a malapena la struttura metallica.

“Cosa potrebbero aver mai costruito quaggiù?”

In breve l’aria si fece satura di odore di putrefazione, tanto da togliere il respiro. Tifa si tappò il naso e cercò di andare avanti, scorgendo la fine della scalinata. Cid e Barret la seguivano ma si tenevano a distanza, per non rischiare altri crolli. Il tanfo gli faceva lacrimare gli occhi.

«Ma che schifo! Cosa cazzo c’è qui sotto??» sussurrò Cid, sventolando inutilmente con la mano. Meteor starnazzava disgustato e inquieto.

«Kuee kuee!» (questo ambiente sempre meno si confà alla presenza di un infante!)

La fine della scala li portò davanti ad un nero buco nella parete, che una volta ospitava una porta. Grazie allo schermo dei visori notarono segni di infiniti graffi su tutte le superfici, compresa la pietra grezza che ora componeva il pavimento. La porta in sé non c’era più.

«Siamo vicini!» esclamò Barret.

«A cosa? E poi, c’è da esserne entusiasti?» domandò il pilota.

«Se significa trovare anche ciuffo, si.» replicò deciso l’omone.

Tifa gli sorrise grata.

I tre si scambiarono dei timidi sorrisi, che si congelarono subito in smorfie di terrore; l’orrenda presenza che avevano sentito nel laboratorio stava nuovamente strisciando nelle loro menti. Inutile lottare contro qualcosa che sembrava gocciolare da ogni fessura, fino a colmare con la sua nauseabonda presenza ogni angolo della mente. I disgustosi, viscidi suoni strascicati fecero ancora una volta da araldi alla voce disincarnata, che stavolta urlò un feroce avvertimento prima di svanire:

“Andatevene viaaa!!”

 

***

 

Aprì gli occhi, ma non vide nulla; una fitta alla testa lo costrinse a richiuderli. Il dolore scemò quanto bastava per un secondo tentativo: notò una debole luce, un neon morente forse, o una piccola pozza di mako; qualsiasi cosa fosse, girava vorticosamente insieme a tutto il resto dell’ambiente. Richiuse gli occhi di scatto, in preda alla nausea: non capiva dove si trovasse, ma cercò di pensare a cosa era successo.

Sentì dei graffi sul suolo di pietra e dei sibili. Trasalì, accorgendosi di non avere la spada. Una delle creature si stava avvicinando; sentì con orrore il suo peso, mentre a quattro zampe gli camminava sopra. La disgustosa lingua entrò nel suo campo visivo, seguita dal resto della testa. Sentì il fiato caldo e fetido sul suo volto. Voleva muoversi, ma il suo corpo si rifiutava di collaborare, restituendogli solo un’altra fitta di dolore alla testa. Chiuse gli occhi, preparandosi al peggio.

Con un viscido schiocco, la creatura passò pigramente l’immonda lingua sul suo viso, facendolo rabbrividire per il disgusto. 

Di colpo, la creatura alzò la testa, come in risposta ad un richiamo, ma Cloud non udì nulla. L’ultima cosa che riuscì a percepire, prima di svenire di nuovo, fu una stretta alla caviglia.

 

***

 

«Non… non…»

«Che cos’è questa… voce? Di chi è??»

«È disturbante… fa schifo!»

«Come tutto quello che abbiamo trovato qui dentro!»

«Sarà di uno di questi… doppelganger?»

«A me sembrava quasi femminile.»

«Oh ok, al prossimo di questi stronzi abbassiamo le mutande, così controlliamo se è maschio o femmina!»

«Eddai! Concentriamoci, dobbiamo capire dov’è Cloud!» esclamò Tifa.

A quelle parole Meteor alzò la testa e scattò verso l’apertura a testa bassa. Tifa riuscì ad acchiapparlo appena in tempo, sollevando proteste starnazzanti.

«Kuiieeh!» (ordunque! siate ferma nelle vostre decisioni, millantatrice!)

«Ma dove stavi andando??» lo sgridò.

«Ci manca fare da babysitter al pennuto!» disse Cid, alzando gli occhi al cielo.

La discussione fu interrotta da un sibilo. Tutti si voltarono verso l’apertura, in tempo per vedere Cloud fare capolino. I tre rimasero come paralizzati per un attimo, poi Barret gli puntò il cannone alla faccia, gridando:

«Sei davvero il ciuffo?? Avanti, parla!»

Cloud alzò le mani. Meteor lo osservava con gli occhi spalancati, pigolando.

«Barret, aspetta!» esclamò Tifa.

«Io non mi faccio sgozzare da uno di questi pezzi di merda! Sparagli!» insistette Cid.

«Potrebbe essere lui!» insistette la ragazza.

«È uguale a quello che cercava di ammazzarti prima! Non ha il casco, non ha la spada!»

«Io… io… potrebbe averli persi!»

Meteor continuava a guardarlo, ma sembrava indeciso; finalmente, iniziò a soffiare e ad arruffare le penne.

«Sparagli, non è lui!» gridò Tifa. Il colpo illuminò a giorno la scena e Cloud cadde riverso a terra, ucciso all’istante. Sotto i loro occhi, il cadavere riprese la disgustosa forma dei doppleganger, mentre il sangue formava una pozza sempre più estesa.

«Stavamo per cascarci!!» esclamò Barret. Cid lo spintonò lievemente e ribattè:

«Lei stava per cascarci! Io l’ho capito subito, cazzo! Dobbiamo essere più decisi.»

«Il pennuto era deciso.» commentò Barret.

«Possiamo usarlo… un choco-Cloud-detector!» disse Cid.

«Se ne dici un’altra così ti lascio qua a concimare la muffa!» lo minacciò Barret.

Tifa guardò Meteor con rinnovato affetto.

“Anche se sei sempre più un regalo per lui…”

Finalmente si decisero a varcare la soglia della porta: dall’altra parte c’era una vasta caverna naturale, immersa in un’oscurità pressoché totale. L’unica fonte di fioca luce sembrava molto lontana da loro. Anche i visori faticavano a restituire i dettagli di quella gigantesca camera.

«Questo non è opera della Shinra…»

«Hai mai pensato di fare il detective?»

«Hai mai pensato di fare silenzio?»

«Basta! Tutti e due! Pensiamo a dove andare.» li rimise in riga Tifa.

«Controlliamo quella luce, dico io.» disse Cid, ignorando il rimprovero.

«Non si vede nient’altro, per me va bene.»

Anche Tifa annuì, così i tre si misero in marcia sul terreno sconnesso. Il fetido odore che avevano sentito per le scale si faceva se possibile ancora più intenso; arrivarono alla fonte di luce molto prima di quanto avessero pensato, scoprendo che si trattava di un tubo fluorescente, miracolosamente intatto su una pila di rifiuti melmosi e irriconoscibili.

Accanto alla lampada, trovarono il visore e la spada di Cloud.

«Oh merda!» esclamò Cid.

Ispezionarono meglio la pila di rifiuti, trovando qualche traccia di sangue e segni di qualcosa che era stato trascinato sul pavimento. Meteor zampettava in tondo, starnazzando piano.

«Kueeeh!» (percepisco l’olezzo della mia genitrice!)

«Lo… lo hanno preso?» sussurrò Tifa, inorridita. 

«Forse. Sarà anche difficile riconoscerlo senza questi.» fece notare Barret. 

«Ma noi abbiamo il…»

«Non. Dirlo.»

«Ma funziona!»

«Si, ma non dirlo.»

«Voi non siete preoccupati?? Potrebbe essere ferito!! Potrebbe essere morto!» sbottò Tifa, stanca degli scherzi degli altri due. Gli uomini abbassarono la testa, scusandosi.

«Dai, è un super SOLDIER. È troppo tosto per morire… lui. Sono preoccupato per noi.»

Cid fu interrotto dalla suoneria di un cellulare.

Quel suono familiare stonava talmente tanto con la situazione che i tre si guardarono l’un l’altri, smarriti. All’udire la melodia, Meteor cominciò a imitarla, starnazzando stonato:

«Kueekuekuekueee kueee kuee kueekuekueeee!»  

«Ma quella… è la mia fanfara! La usi come suoneria?» chiese Barret, ridendo. Tifa tirò fuori dal suo zaino il telefono e guardò lo schermo, sobbalzando.

«Cosa c’è? Chi è?»

La ragazza non rispose, continuando a fissare il telefono con l’espressione di chi ha visto un fantasma. I due si sporsero per guardare e videro perplessi una piccola nuvola sullo schermo.

 

***

 

La prima cosa che sentì fu una tremenda, putrida puzza di decomposizione, che lo svegliò del tutto in pochi secondi. La seconda cosa che sentì fu il dolore alla testa che tornò a tormentarlo. Una volta avuta un po’ di tregua, aprì prudentemente un occhio, ma non riuscì a vedere nulla nell’oscurità. Cercò di abituare la sua vista all’ambiente e, pian piano, riuscì a notare più dettagli. Non gli sembrava di essere ancora nella caverna: tutto il piccolo ambiente che riusciva a distinguere era fatto di qualcosa di viscido e bulboso. Forse era solo la sua immaginazione, eppure con la coda dell’occhio gli parve di notare una disgustosa pulsazione in quel materiale, come se fosse vivo. 

Cercò di muovere le braccia, ma qualcosa di vischioso e maleodorante gliele bloccava lungo i fianchi.

“Dove… come…?”

Ricordò confusamente la caduta e il pauroso incontro con una di quelle creature.

“Ma come faccio a cadere sempre??”

Anche le gambe erano invischiate; era una sorta di liquame viscido e appiccicoso che lo avviluppava quasi completamente, come un bozzolo, ancorandolo al terreno.

“Ma cos’è questo schifo…”

Cercò di dimenarsi, ma quella sostanza vanificava ogni suo sforzo; mentre era intento, udì dei movimenti striscianti nell’oscurità. Rimase paralizzato dal panico quando si rese conto di non avere la spada con sé.

“Merda!”

Riuscì a distinguere le sagome di due creature, che entrarono di corsa nella camera. Trasalì, mentre il battito del suo cuore diventava assordante, come se volesse esplodergli fuori dal petto. I due doppelganger non si curarono di lui: lo oltrepassarono, posando poco distante da dove si trovava due oggetti  delle dimensioni di una grossa anguria, molto simili ad altri già presenti in quel luogo. Dopodiché le creature tornarono da dove erano venute; una di loro gli si avvicinò brevemente e lo scrutò, schioccando la lingua bitorzoluta, per poi andarsene. Cloud si ricordò nuovamente di respirare e tornò a guardarsi intorno, confuso dal comportamento di quegli esseri. Il suo sguardo cadde sui due oggetti che le creature avevano lasciato: ce n’erano molti altri. Molti di essi ondeggiavano lievemente, o avevano brevi momenti in cui qualcosa dall’interno li faceva tremare.

“Oh no… no no no!!”

Raddoppiò gli sforzi per liberarsi, ma quella specie di muco sembrava impossibile da spezzare. Ringhiò tra i denti per la frustrazione, mentre faceva appello a tutte le sue forze: non riuscì a rompere quella prigione appiccicosa. La testa riprese a fargli malissimo.

Nello sforzo, le braccia avevano cambiato leggermente posizione; Cloud provò allora a continuare a muoverne una, sforzandosi di portarla al di fuori del bozzolo. I suoi sforzi furono finalmente ricompensati: riuscì a liberare il braccio.

Da quel momento fu abbastanza facile spingersi e puntellarsi per liberarsi del tutto. Cercò di strapparsi di dosso gli ultimi rimasugli di quella orribile melma, mentre si sforzava di distinguere altri dettagli nella flebile luce dell’ambiente.

Non aveva la spada, ma evidentemente nella caduta lo zaino doveva essergli rimasto addosso; considerò per un attimo l’idea di accendere un bengala, ma la scartò.

Intorno a lui c’erano quei minacciosi oggetti e altri bozzoli come il suo. Alcuni avevano ancora al loro interno i resti di qualcosa… o di qualcuno.

“Oh cazzo… sono in un nido.”

Si avvicinò con cautela ad alcuni di essi, ma l’odore di morte e ciò che intravedeva sotto lo strato di muco, gli fecero perdere la speranza di poter trovare altre persone vive. Uno dei bozzoli era molto più piccolo degli altri: lo guardò casualmente e vide che dal muco spuntava qualcosa che somigliava a una treccia.

“No.” pensò angosciato, avvicinandosi in fretta e iniziando a strappare via quella sostanza ripugnante. Si sentì raggelare, mentre liberava il corpo di una bambina bionda.

“Hoshi!”

La bambina era inerte tra le sue braccia, senza dare alcun segno di vita. Notò croste di sangue rappreso tra i capelli biondi. 

Si sentì tremendamente in colpa per aver desiderato che gli spiriti la mangiassero, ed ora fissava il suo volto, fermo e senza espressione. Nonostante sembrasse morta, Cloud sentiva il calore del corpicino, e nella penombra gli sembrava che il suo petto si alzasse e si abbassasse lievemente. Avvicinò immediatamente l’orecchio al cuore della bambina, sentendo con gioia che batteva ancora.

Guardò in fretta il suo bracciale. Fortunatamente, stavolta Heal non era rimasta nella spada.

«Heal.» sussurrò, incrociando mentalmente le dita.

Hoshi aprì gli occhi all’istante, esclamando:

«Non mi prenderete!! Vi picchio! Vi...»

Cloud fece appena in tempo a riprendersi dall’infarto, per tapparle la bocca con la mano.

Hoshi lo vide ma continuò a mugugnare, agitando le braccia.

«Silenzio! Sennò ci scoprono!» le sussurrò all’orecchio. La bambina annuì, aggrottando le sopracciglia; Cloud sperò di non pentirsi della decisione di averla liberata e le tolse la mano dalla bocca.

«Che schiiifo! Che puzza! Ma dove siamo??» chiese, a bassa voce.

«Non lo so! Ma dobbiamo essere silenziosi.»

«Hanno preso anche te! Ti sei fatto fregare anche tu!» bisbigliò la bambina, scuotendo il capo con disapprovazione.

«Non è vero! Sono caduto e mi hanno catturato.» rispose il ragazzo, indignato.

«Scommetto che hai visto la tua mamma e li hai seguiti.»

Cloud strinse i pugni e si sforzò di non rispondere.

«Io volevo combatterli. Ci sono andata apposta nel bosco, avevo imparato la magia! Non mi hanno ingannata, a me!»

«Si, certo…» mormorò Cloud, mentre il mal di testa aumentava.

«Mi hanno circondata e non sono riuscita ad ucciderli tutti.» si giustificò infine, alzando le spalle.

«Non importa, ora dobbiamo uscire di qui.»

«E sai come si fa?»

«... no.» ammise lui.

«Ma non sai fare niente!» bisbigliò, delusa.

«Hey!» sbottò lui, punto sul vivo e guardandola male.

Hoshi spalancò gli occhi e indicò impaurita un punto sopra la sua spalla. Cloud si girò appena in tempo per vedere una delle creature piombargli addosso a fauci spalancate. Riuscì ad evitare i tremendi artigli ma il contraccolpo lo fece cadere ed entrambi ruzzolarono tra le uova e i bozzoli, facendoli rotolare da tutte le parti.

Si rialzarono di scatto, fronteggiandosi. Cloud si maledisse per non avere la spada; cercò comunque di attaccare a mani nude, ma la creatura mutò istantaneamente in Aerith.

“Dannazione!” imprecò dentro di sé, non riuscendo a portare a segno il pugno che aveva caricato.

Hoshi si trascinò sulle ginocchia il più lontano possibile dai due, osservandoli preoccupata.

Aerith eluse la sua guardia e tentò di affondare gli artigli nel suo ventre, ma si conficcarono nel giubbotto rinforzato senza riuscire a trapassarlo. La violenza del colpo lo fece cadere di nuovo; prima che potesse rialzarsi la creatura fu su di lui, bloccandolo a terra e stringendogli la gola con la lingua.

Cloud cercò di divincolarsi, ma si sentiva privo di forze e il contraccolpo della caduta gli aveva riacutizzato il dolore alla testa, che gli impediva di pensare.

“Cosa seiii…?”

Sentì la minacciosa domanda, ma nessuno intorno a lui l’aveva pronunciata. La sua mente fu nuovamente invasa dal buio e da disgustosi suoni striscianti, come se eserciti di vermi si stessero già facendo avanti per reclamare il suo cadavere.

Precipitò in un universo di dolore, attraversando ricordi non suoi che si susseguivano a ritmi impazziti: vide il laboratorio, fervente di attività. Vide uomini, chini su di lui nella fredda luce di una sala operatoria; sentì il dolore che sente una madre, nel mettere alla luce qualcosa di innominabile. Provò il freddo, pungente e amaro; sentì il bruciante dolore del tradimento e dell’abbandono, soltanto sopito sotto le braci della vendetta.

“Sei anche tu… figlio della Madre…”

“Madre…”

“Insieme… reclameremo il mondo!”

«NOOOO!!»

Cloud riaprì gli occhi e riuscì a liberare un braccio dalla stretta della creatura, assestandole immediatamente un pugno sul mento: i denti affilati recisero di netto la lingua, che si afflosciò intorno al suo collo. La creatura si rialzò, urlando di dolore e spargendo spruzzi del suo nauseabondo sangue da tutte le parti. Cloud non perse tempo e colpì di nuovo la testa del mostro usando la mano con il guanto d’acciaio, frantumando le fragili ossa e uccidendolo all’istante.

«Woooow!» esclamò Hoshi, battendo le manine.

Il ragazzo si girò verso di lei, ansimando:

«Non potevi… aiutarmi…?»

«Sono solo una bambina, mica un soldato!!» protestò lei, incrociando le braccia.

Cloud alzò gli occhi al cielo, mentre cercava di calmare il suo cuore, che per la seconda volta sembrava sul punto di scoppiare. La testa gli pulsava dolorosamente. Posò una mano sulla tempia, mormorando un “Heal!”. Finalmente la sua mente fu libera dal dolore.

«Ok… dobbiamo andarcene velocemente.» disse. Hoshi lo guardò meravigliata, poi esclamò:

«Sai fare le magie!!!»

«... si.»

«Insegnami insegnami insegnami!!» disse, tirandolo per i pantaloni.

«No. E comunque non è il momento, dobbiamo scappare.»

«Si ma poi mi insegni?»

«No. Non posso insegnarti. Sbrigati, dobbiamo correre!»

«Che antipatico che sei! Io non so correre molto veloce, gli altri bambini mi battevano sempre…»

Senza tante cerimonie, Cloud la acchiappò con un braccio e la sollevò di peso, avviandosi sul pavimento gelatinoso. Si fermò quasi subito, mettendola a terra.

«Cosa c’è?»

Si sfilò il giubbotto rinforzato e lo mise alla bambina, cercando di stringerlo il più possibile.

«Ma che schifo! Non lo sai che devi lavarli i vestiti?» si lamentò lei.

«Non è una cosa che si lava. Non lamentarti, è per proteggerti.»

Ignorando le sue proteste, la caricò nuovamente e si lasciò alle spalle il nido. Sembrava di camminare su un disgustoso trampolino elastico che minacciava ad ogni passo di inghiottirgli una gamba. Ben presto furono avvolti dall’oscurità e dal silenzio. Il passaggio prese a scendere leggermente e si restrinse a tal punto che i capelli di Cloud sfioravano il soffitto. Rischiò un paio di volte di inciampare in piccole rocce e ruzzolare giù.

“Così non va… devo fare luce.”

«Non vedo niente!» sussurrò Hoshi.

«Lo so. Scendi un attimo, cerco qualcosa nello zaino.»

Frugò in fretta, cercando al tatto qualcosa di adeguato e discreto: i bengala non andavano bene e nemmeno la torcia elettrica. I suoi polpastrelli toccarono il lanciarampini, che tirò subito fuori; finalmente, trovò anche il suo cellulare. Considerò l’idea di chiamare Tifa, ma non c’era segnale. Lo impostò a luminosità massima e lo diede a Hoshi.

«Facci luce!» le disse.

«Ci sono dei giochi su questo telefono?»

«No! È molto vecchio.» mentì Cloud, sperando che non trovasse le icone dei giochi.

La bambina, per fortuna, prese il suo compito molto seriamente e tese le braccia, tenendo il telefono rivolto in avanti.

Cloud armò il lanciarampini e ripresero ad avanzare.

Il disgustoso materiale di cui era fatto il tunnel era ancora più ripugnante una volta illuminato; era solcato da un intricato reticolo di zone più scure che sembravano vene, ed era periodicamente scosso da lievi contrazioni. Il passaggio iniziò a curvare in continuazione, ripiegandosi su se stesso e continuando a scendere; la luce dello schermo era a mala pena sufficiente per vedere dove metteva i piedi. 

«Che schifo.» sussurrò Hoshi.

Cloud dovette darle ragione, ma rimase in silenzio. Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbero eluso quelle creature, ed era ancora scosso dalla voce che aveva sentito.

“Mi ha trasmesso immagini… no, ricordi... e quello che ha detto… c’è davvero qualcosa qui dentro che ha le cellule di Jenova!”

Continuò ad avanzare, senza notare cambiamenti nell’ignoto, disgustoso materiale su cui camminava. Tra le domande senza risposta che gli si affollavano in mente, la più ricorrente riguardava la sospettosa assenza delle creature. Aguzzava la vista nel buio, appena rischiarato dal cellulare, ma non c’era traccia di vita.

Voleva disperatamente un po’ di luce in più, così prese il telefono dalle mani di Hoshi e controllò nuovamente che fosse al massimo della luminosità. Lo sguardo gli cadde sull’indicazione del segnale: aveva una, singola tacca.

Iniziò a scorrere freneticamente la rubrica fino ad arrivare al numero di Tifa. Hoshi guardava lo schermo, curiosa.

«Chi è questa? Non ha il nome… è solo un cuoricino e… e… cos’è quello?»

«Un lucchetto.»

«Sei strano. E conosci gente strana.»

La ignorò e inoltrò la chiamata, ascoltando con l’orecchio teso. Squillò una volta, poi due. Continuò a squillare.

“Andiamo andiamo andiamo…”

«... Cloud??»

«Tifa! Dove sei?»

«Come sarebbe dove sono io?? Dove sei tu!!! Sei ferito?»

«Non so dove sono! È una specie di… nido.»

«Ma chi è??» insistette Hoshi.

«... chi c’è con te??» chiese Tifa.

«È quella bambina petulante dell’orfanotrofio.»

«Che vuol dire petulante?» chiese Hoshi, arrabbiata.

«Oh mio dio! Che ci fa lì?»

«L’hanno rapita. Sta bene. Sto cercando una via d’uscita ma non trovo…»

«Cloud… ti… più forte!»

«Tifa?? Tifa!!»

«... di lì… Cloud...»

La chiamata si interruppe bruscamente. Il segnale era andato. Restituì il telefono a Hoshi.

«Tieni. Dobbiamo trovare un’uscita.»

«E poi?»

“E poi speriamo di uscire vivi.” pensò Cloud, ma invece rispose:

«Poi torniamo a casa.»

Riprese a camminare sul molliccio materiale a venature scure. Hoshi si schiarì la voce e chiese, misurando le parole:

«Ma quindi la… Tifa al telefono… è la tua ragazza?»

«Si. L’hai anche già vista.» rispose lui lapidario.

«Si, me lo ricordo. Mica sono stupida. Però allora chi era quella ragazza che cercava di mangiarti?»

Cloud sbuffò pesantemente. 

«Non ne voglio parlare.» sussurrò.

«Uffa, non vuoi parlare mai di niente!»

La bambina gli lanciò un’occhiataccia offesa; lui la ignorò, ma lei tornò subito alla carica. 

«Ma… quindi tu e Tifa vi date i baci?»

Cloud rischiò di perdere l’equilibrio.

«Che ho detto? Tutti i fidanzati si danno i baci.»

«... si, ci diamo i baci.»

«Lo sapevo!» disse Hoshi, trionfante. Cloud alzò gli occhi al cielo, esasperato.

«E il primo bacio, quando lo hai dato?» continuò la bambina.

“Ma cos’è, un interrogatorio??”

«A ventun anni.»

«Oh… e quanti anni hai adesso?»

«... ventuno. Quasi ventidue.»

La bimba strabuzzò gli occhi.

«Bisogna aspettare così tanto?»

Cloud ringraziò il buio per coprire efficacemente il suo rossore diffuso su tutto il viso.

«Esatto.» disse sbrigativo, tentando di scacciare l’imbarazzo.

Si stavano avvicinando all’ennesima curva di quel labirinto gelatinoso; non avevano ancora trovato una singola apertura o un bivio. Finalmente, però, un debole chiarore cominciava a rischiarare l’ambiente. Svoltarono l’angolo.

«Cloud…» sussurrò la bambina, con un filo di voce.

Erano finiti in un gigantesco spazio; da piccoli squarci nel soffitto, una debole luce scendeva sulla scena più raccapricciante che avessero mai visto.

Centinaia di quelle creature sciamavano senza sosta, passando sulle pareti e sui soffitti, salendo e scendendo da spesse colonne fatte dello stesso, disgustoso materiale di tutto il resto di quel posto da incubo. La pulsazione, che si spandeva come il battito di un cuore, sembrava aumentare in quel luogo e aveva epicentro all’altro capo dell’ambiente. Laggiù, in una piccola alcova, i mostri si assiepavano gli uni sugli altri, in una muta frenesia.

In mezzo a loro sedeva una figura, a mala pena visibile ma diversa dalla massa dei corpi che le si affaccendavano intorno. 

Cloud non riusciva a vedere bene cosa attirasse l’attenzione delle creature; non sembravano averli notati, quindi si disinteressò e cercò una via d’uscita, trovando che vari passaggi si aprivano nelle pareti, poco distanti da dove si trovava. Hoshi si era coperta gli occhi con le mani; riusciva a sentire che stava tremando.

“Dove vado? Dove??”

Di colpo, lo scalpiccio delle creature si fermò. Nell’alcova, la figura si era alzata. Cloud si voltò di scatto e incrociò l’unico, vero sguardo che era posato su di lui. Occhi freddi e neri come l’oscurità che attanagliava quel luogo.

Un folle terrore si impadronì di lui e lo paralizzò sul posto, mentre i suoi pensieri venivano lacerati da un urlo senza voce e profondo come le viscere di Gaia stessa.

“Prendeteloo… figli miei!!”

Come un unico essere, le creature sciamarono verso di lui, urlando. Hoshi strillò, aggrappandosi a lui.

“Portatelo da meee!!”

Cloud si riscosse e si mise a correre verso l’apertura più vicina, mentre l’orda guadagnava terreno. Incespicò, rischiando di cadere ora che il buio era tornato completo. 

«Merda!» gridò, cercando di riguadagnare l’equilibrio. Il condotto procedeva in una ripida discesa. Con la mano libera cercava sostegno appoggiandosi alla parete, mentre con l’altra teneva Hoshi, che sembrava paralizzata dal terrore.

La disgustosa gelatina su cui correva ondeggiava e si contraeva, trasmettendo le vibrazioni dell’orda che li inseguiva, costringendolo a procedere più lentamente di quanto volesse.

La bambina riprese abbastanza coraggio da estendere la mano che ancora stringeva convulsamente il cellulare, illuminando debolmente lo stretto budello che stavano percorrendo. Cloud la ringraziò dentro di sé.

Il primo degli esseri gli fu addosso, urlando e frustando l’aria con la lingua. Li superò correndo sul soffitto e gli si parò davanti per cercare di bloccarli. Cloud non osò rallentare e gli trafisse il cranio con il rampino, gettando il cadavere senza vita dietro di sé.

«Che succede??» gridò Hoshi, dentro il suo orecchio, senza osare alzare la testa.

«Niente, non guardare!!» rispose lui.

Cercò di pensare ad un piano, ma i pensieri si ingarbugliavano e inciampavano esattamente come lui; il condotto che percorreva sembrava non avere fine e riusciva quasi a sentire il fiato delle creature sul suo collo.

Tese una mano dietro di sé e gridò:

«Ignis!!»

Ascoltò con soddisfazione le urla delle creature diventare ululati di agonia, mentre un disgustoso odore di carne bruciata invadeva il condotto.

«Crio!!»

La magia di ghiaccio si cristallizzò dietro di lui, invadendo l’intero spazio del corridoio, ma Cloud non ebbe il coraggio di fermarsi a guardare se avesse avuto effetto. Le creature iniziarono a gettarsi contro la barriera con tonfi sordi, gridando. Ben presto, lunghe crepe si aprirono sulla superficie liscia del ghiaccio, che gemeva e scricchiolava.

Cloud non aveva guadagnato molto terreno quando la barriera cedette di schianto e le creature ricominciarono la loro rincorsa.

“È un incubo!!”

Davanti a loro, il condotto si interrompeva bruscamente. Non c’erano bivi, nessun altro passaggio laterale. Cloud pregò che il folle piano che aveva in mente funzionasse.

«C’è il muro lì!!» gridò Hoshi.

«Lo vedo! Reggiti forte a me!»   

Puntò una mano verso la viscida parete, sperando che non fosse ignifuga, e urlò:

«Igniga!!»

L’esplosione distrusse completamente la parete e buona parte della viscida gelatina che li circondava, squagliandola e facendola a brandelli. Grazie alla luce che filtrava attraverso l’enorme foro, Cloud intravide una parete rocciosa al di fuori del nido.

Si fece strada di forza, tagliando lembi penzolanti con la punta del rampino e cercando di mantenere l’equilibrio sulla melma arrovententata dall’esplosione.

Di colpo gli mancò l’appoggio per il passo successivo e iniziò a precipitare nel vuoto. Le urla di Hoshi si mischiarono al fischio dell’aria mentre acceleravano. Istintivamente puntò il lanciarampini verso l’alto e lo azionò: centrò in pieno qualcosa di melmoso e appiccicoso che, miracolosamente, riuscì a reggere il loro peso.

Si trovò appeso a mezz’aria in una enorme caverna naturale; il nido da cui erano caduti era visibile anche nella scarsa luce, sospeso sopra di loro come un ripugnante bozzolo tra gialle tele di ragno. Le urla di rabbia dei mostri riecheggiavano tra le stalattiti creando una cacofonia spacca timpani.

Controllò la loro discesa tramite il rampino, fino a quando non gli mancò che un piccolo salto per atterrare sul pavimento della grotta, che era completamente ingombro di maleodoranti polle di gelatina nerastra.

Appena messi i piedi a terra cominciò a correre, senza voltarsi indietro, con in mente l’unico obiettivo di mettere quanta più distanza possibile tra lui e quei mostri. Quando gli parve che l’eco delle urla delle creature iniziasse ad affievolirsi, si concesse un momento per fermarsi a prendere fiato. Sentiva i polmoni bruciargli nel petto. 

«Stai bene?» chiese, guardando la bambina che teneva in braccio.

«È stato bellissimo!! Rifacciamolo!! Specie la parte dell’altalena!» esclamò lei, alzando le braccia.

Cloud la guardò atterrito, prima di risponderle con un secco: «No.»

Lei lo guardò imbronciata, ma poi un lampo di sorpresa le attraversò il volto.

«Ma sei tutto strano, tu! Hai gli occhi strani!» 

«Sono occhi della Mako, tutti i SOLDIER li hanno.» rispose lui, piccato.

«... mi piacciono.»

«Oh… grazie.» fece lui, lievemente imbarazzato.

«Li voglio anche io! Come si fa?» chiese lei, sbattendo gli occhioni che, Cloud notò solo in quel momento alla luce del telefono, erano azzurri.

«Non ti conviene. Poi… sono belli anche i tuoi.»

«Graaaazie! Non sei così antipatico.»

 

***

 

«Un altro Cloud…»

«Sarà lui?»

«Non parla. Sparagli.»

«Aspetta, vediamo che dice Meteor.»

«Kuee… ffffffh!! Ffffffh!!» (impostore! Hai solo le sembianze della mia genitrice, vade retro!)

«Sparagli.»

Il colpo risuonò, moltiplicato dall’eco. Il doppleganger si accasciò contro una stalattite, imbrattandola del suo sangue e scivolando fino al pavimento. 

«È l’ottavo Cloud a cui spariamo, perché questi stronzi non la smettono?» esclamò esasperato Cid.

«Continuo a sentirmi come se stessi facendo qualcosa di profondamente sbagliato.» ammise Barret, mentre ricaricava.

«A me è passata dopo il quarto Cloud.» affermò il pilota.

«Andiamo avanti!» ordinò Tifa, mentre dava un buffetto a Meteor.

«Questa grotta sembra infinita! E cosa stiamo cercando esattamente?»

«Arriveranno da qualche parte questi…»

“Prendeteloo… figli miei!!”

I tre si guardarono, smarriti.

«La voce di prima!»

«Cosa significa…?»

“Portatemelo!”

«Forse parla di Cloud! Sbrighiamoci!!»

Presero a correre attraverso la caverna, facendo lo slalom tra le rocce; l’ambiente si stava sempre più ingigantendo, tanto che ormai il soffitto era per lo più nascosto nell’oscurità.

Dopo una brusca svolta a sinistra, i loro visori gli restituirono l’orrenda visione del nido, sospeso a mezz’aria nel centro della caverna, sostenuto da spessi filamenti gelatinosi, come un enorme cancro avviluppato nel cuore della montagna. Rimasero sbalorditi dalle sue dimensioni gigantesche.

L’ambiente, però, era immerso nel più totale silenzio; si fermarono, incerti se avvicinarsi oltre a quell’oggetto.

«Sembra una enorme caccola.» disse Cid.

«Ma cos’è??»

«Non c’è molto altro qui intorno, sarà da lì che escono quei mostri.»

«Secondo voi cosa…»

Tifa fu interrotta da una fortissima esplosione, che aprì un piccolo squarcio sulla superficie bulbosa del nido. Immediatamente all’eco della deflagrazione si unirono decine e decine di voci che urlavano dissennatamente.

Poi una figura, minuscola rispetto alla mastodontica struttura, cadde fuori dallo squarcio.

«Quello è…»

Rimasero col fiato sospeso finché non videro che la figura era appesa ad un qualcosa di invisibile e stava discendendo pian piano verso il basso.

«È CLOUD!» gridò Cid, scattando in avanti.

Gli altri due gli corsero dietro. Tifa si muoveva come in trance, sommersa da troppe emozioni tutte insieme. Meteor si agitava e starnazzava, a malapena udibile al di sopra della cacofonia di ululati che il riverbero della caverna rendeva assordante.

Avevano perso di vista Cloud, ma sapevano che aveva raggiunto il terreno sano e salvo. 

Lo raggiunsero dopo poco tempo: sembrava stravolto e aveva in braccio la bambina.

«CLOUD!!!» gridò Tifa, incapace di contenersi e continuando a correre verso di lui.

Lui alzò la testa e la vide; il suo volto si illuminò dalla gioia, mentre posava a terra la bambina.

«Cloud!!»

Anche lui si mise a correre, incrociando Tifa a metà strada e stringendola tra le braccia.

«Tifa…»

«Cloud…»

I loro sguardi si incrociarono, traboccanti di felicità; i loro volti si avvicinarono. Ma Tifa si scostò improvvisamente, spingendolo via.

«Sei… salvo. Sono contenta.» disse, evitando di guardarlo in faccia e arrossendo.

Tutta la sequenza degli eventi degli ultimi giorni gli tornò in mente.

“Ancora arrabbiata…” pensò, sconsolato.

Meteor lo travolse, mordicchiandolo ovunque e agitando le ali.

«Kueeh! Kueeh! Kueh!» (madre mia, il mio piccolo cuore trabocca di gioia!)

«Tifa! Ciao…!» gridò Hoshi, correndo verso di loro, «... sai, Cloud mi ha salvata!» 

Anche Cid e Barret li raggiunsero. Restituirono a Cloud la sua spada e il visore, che miracolosamente funzionava ancora. Si mise il casco e finalmente apprezzò la vista dell’intera caverna, le cui stalattiti più alte crescevano svariate decine di metri sopra le loro teste. Rabbrividì guardando il gigantesco nido appeso tra le colonne di roccia. 

«Dobbiamo sbrigarci ad andarcene.» disse il ragazzo. Strinse l’impugnatura della Buster Sword, sentendosi più sollevato. Barret lo guardò preoccupato: 

«Ciuffo, che è successo? Sembra che tu abbia visto l’inferno!»

«È l’inferno quel coso. Ce ne sono troppi lì dentro e mi stanno cercando.»

«Troppi… quanti?»

«Centinaia...forse di più.»

Cid fischiò. 

«Porca puttana!»

«Se così tante di quelle creature raggiungono Edge…non ci sarà più Edge.» disse Tifa, con una nota di terrore nella voce.

«Non sono solo le creature… c’è anche quella che li controlla. Li chiama “figli”. Abbiamo visto delle uova.»

«E facevano schifo! Puzzavano.» confermò Hoshi.

«La voce che abbiamo sentito, era di questa… madre?»

«No, cazzo… non mi dite che è…?»

«No, è impossibile! Come avrebbe fatto a sopravvivere?» esclamò Barret.

«Se restiamo ancora qui potrai chiederglielo di persona!» rispose Cloud, riprendendo in braccio la bambina e mettendosi Meteor sulla spalla.

«Dobbiamo fermarla, distruggere questo… coso. Siamo qui per questo.» ribatté Tifa.

«Io non voglio che i mostri mangino altri miei amici.» si intromise Hoshi.

Il pavimento iniziò a tremare, come scosso da migliaia di passi affrettati; le pareti trasmisero il riverbero di centinaia di voci che urlavano.

Tutti si girarono verso il nido: le creature stavano sciamando fuori come orrende formiche, accalcandosi sui filamenti gelatinosi, riversandosi sulla volta e sulle pareti della grotta come grotteschi grumi scuri che colavano verso il basso. 

La terribile voce si mescolò al fragore degli eco, tuonando:

“Tutti gli uomini saranno cibo per i miei figli!!”

Cid fu il primo a riprendersi da quella visione da incubo:

«Qui siamo troppo esposti! Torniamo indietro!!»

Tutti presero a correre, circondati dall’eco degli ululati infernali delle creature e sentendo la roccia tremare sotto i loro piedi.

«Abbiamo un piano??» urlò Barret.

«Abbiamo delle granate!» rispose Tifa.

«Non basteranno!»

«Dobbiamo fare fuori anche questa madre, o ne arriveranno altri!»

«Cloud! Tifa! Sono sempre più vicini!» gridò Hoshi, puntando la manina verso l’orda che avanzava.

«Alle scale!» gridò Cid.

«Non faremo in tempo!»

«Almeno non ci circonderanno!»

Avevano quasi raggiunto le scale, ma Barret già un paio di volte aveva abbattuto delle creature che cercavano di superarli lungo le pareti. Non c’era più tempo.

«Raduniamoci alla porta! Useremo le scale se dovremo ritirarci!»

«Vuoi combattere??»

«Veramente no, ma non mi pare che abbiamo scelta!»

«Se ci oltrepassano raggiungeranno Edge.»

«Esatto. Disponiamoci a coprire Barret!»

«Ti preoccupi per me? So badare a me stesso.»

«Mi preoccupo per noi, testone! Se quei cosi ti toccano, potranno trasformarsi in una persona che tu ami… anche se non è sempre così!» si affrettò ad aggiungere Cid, notando l’espressione cupa di Tifa e quella stoicamente affranta di Cloud.

«Beh, e quindi?» ribattè Barret, facendo partire un’altra raffica.

«E quindi se succedesse, avremmo tanti cazzo di cloni di Marlene che provano a sventrarci.»

Tutti rabbrividirono al pensiero.

«Io non penso di essere capace di colpire Marlene.» disse Tifa.

«Nemmeno io.» fece cis.

«Esatto. Quindi diamoci da fare!! I bambini biondi dietro a Barret… tranne Cloud.»

Il ragazzo represse una rispostaccia e si affrettò a posare Meteor e Hoshi dietro a Barret.

«Non te ne andare!» strillò la bambina, rifiutandosi di lasciare la presa sul maglione.

«Non ti preoccupare, andrà tutto bene. C’è Meteor qui con te.»

Meteor tremava di paura e aveva gli occhi vitrei. Pigolava incessantemente. Hoshi lo strinse a sé, ma sembrava ancora terrorizzata.

«Tranquilla piccola, ci sono anche io qui con te! Lascia che ciuffo vada a vendicare i tuoi amici!» disse Barret, sollevando il pollice.

La bambina sorrise un po’ più rincuorata e annuì. Il pavimento sembrava ribollire dalle vibrazioni e lo stridio degli artigli sulla pietra si aggiunse alle urla dissennate.

Si disposero appena fuori dalla porta che conduceva alle scale: gli schermi rossi dei visori coloravano a tinte infernali l’orda di mostri che sopraggiungeva come un’ondata. Attraverso gli schermi scarlatti dei visori, l’orda sembrava una sola, enorme massa di carne flaccida, che fluiva dalle viscere della terra, ondeggiando e pulsando orribilmente, nel tentativo di consumarli.

Barret aprì il fuoco, puntando a quelli che risalivano le pareti. I cadaveri piombavano di sotto e venivano immediatamente inghiottiti dalla moltitudine che avanzava a grandi balzi sul pavimento.

Tifa iniziò a lanciare le granate nel mucchio, imitata dagli altri: il fragore delle esplosioni rimbombò nella caverna, mentre mostri e detriti venivano scagliati ovunque dalla violenza delle deflagrazioni.

Poi iniziò la carneficina. Le creature si lanciavano su di loro con rabbia e senza nessun istinto di conservazione, cercando solo di colpirli, i volti senza lineamenti deformati dall’ira e la mente ottenebrata da una brama di vendetta non loro.

Cid e Cloud mulinavano le loro armi senza sosta, respingendo la furia cieca degli assalitori; in breve tempo le lame si tinsero interamente del colore scuro e nauseabondo del sangue delle creature e i corpi senza vita iniziarono ad accumularsi gli uni sugli altri. Tifa non era da meno, riuscendo a infliggere colpi mortali grazie alle parti rinforzate dei suoi guanti e con i pesanti stivali; Barret faceva del suo meglio per evitare che i mostri calassero su di loro dall’alto o dalle pareti; Meteor e Hoshi si erano stretti a lui.

«Kueeeh!» (bramo il mio caldo giaciglio!)

«Tranquillo ciuffetto! Non sarai la loro cena!»

«Ignis!!» gridò Cloud; la palla di fuoco illuminò a giorno la caverna, esplodendo in mezzo alle creature e scaraventandole indietro. Si accorse troppo tardi che Cid sembrava in difficoltà: uno dei mostri oltrepassò la sua lancia e riuscì a colpirlo al braccio con gli artigli, prima di essere infilzato e gettato via.

«Tutto bene?» gridò Tifa, preoccupata.

«Si. Brucia come l'inferno, ma sto bene!»

Di colpo l’orda si divise, smettendo di attaccare Cid e concentrandosi su Cloud e Tifa. Il cannone di Barret continuava a ruggire, freddando i mostri sulle pareti.

«Beh? Che vi prende??» gridò il pilota, arrabbiato ma grato di poter riprendere fiato. Dal groviglio di disgustosi corpi traslucidi emerse Shera.

Si aggiustò i grandi occhiali e iniziò ad avanzare verso Cid.

«No…» sussurrò lui, sgranando gli occhi.

Barret se ne accorse e gridò:

«Non ti far fregare! Non è lei!!»

La ragazza continuava ad avvicinarsi, incurante della furiosa battaglia tutt’intorno a lei. I suoi occhi castani erano puntati su Cid.

«No cazzo! No!»

«Colpiscila!!» gridò Barret, fulminando due mostri sulla parete alla sua destra. 

«Non… non posso!» gridò Cid in risposta.

Shera era ormai vicinissima; il pilota tentò di sollevare la sua arma, ma non riusciva a forzarsi ad usarla. Il mostro alzò una mano, improvvisamente di nuovo artigliata. Spazientito, Barret sparò una raffica di proiettili, freddando il mostro prima che aggredisse Cid.

«Sta più attento!» gridò, ricaricando.

L’assalto riprese su tutti i fronti; alcune delle creature iniziarono a cambiare forma: varie Shera avanzavano verso Cid, che iniziò ad imprecare come un forsennato. Cloud assistette alla scena, ma non ebbe il tempo di preoccuparsi per lui: era circondato da cloni di Aerith, che lo fissavano con occhi vitrei e sorridevano.

“No no no, non di nuovo! Concentrati!”

«Forza!! Non vi fate fottere!!» gridò ancora Barret, che vedeva sempre più cloni di Aerith, Shera e Cloud attaccare i rispettivi bersagli.

“Ha ragione… devo farcela!”

Cloud strinse l'impugnatura della Buster Sword e menò un fendente; tuttavia, le Aerith approfittarono della sua scarsa convinzione per evitarlo facilmente. Alcuni dei cloni iniziarono ad avanzare sfruttando la sua reticenza, tentando di separarlo dagli altri.

“No, non così. Forza, fallo per Tifa!!”

Attaccò con più forza, colpendo uno dei cloni, che cadde a terra sibilando. Esitò per un istante, mentre sollevava la spada, ma alla fine calò la lama, uccidendo la creatura. Rimase a guardare ansimante il cadavere che riacquistava il suo vero aspetto. Una seconda Aerith sfruttò il momento per aggredirlo alle spalle, avvolgendogli la lingua intorno al collo e tentando di trafiggerlo con gli artigli. 

«Lascialo!» gridò furente Tifa, scagliandosi contro la creatura con un calcio frontale. Il clone Aerith perse la presa su Cloud, e le due caddero a terra. La ragazza non fece in tempo a rialzarsi, immediatamente assalita da altri Aerith e Cloud. Barret era troppo occupato a coprire gli attacchi dall’alto e a proteggere Cid dalle Shera, per accorgersi della situazione. Cloud si voltò e il tempo sembrò rallentare: non sentiva nemmeno più i suoni, eccetto il battito assordante, ma lento del suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie; vide una delle Aerith incombere su Tifa ad artigli sguainati, mentre quest’ultima tentava di proteggersi da due Cloud. 

Tifa si accorse troppo tardi dell’attacco imminente. Vide un lampo d’acciaio e un istante dopo il clone di Aerith cadde a terra privo di vita. I due Cloud arretrarono, mentre il vero Cloud si girava verso di loro, il bagliore mako dei suoi occhi che scintillava di una fredda furia. 

«OMNISLASH!!»

La Buster brillò di luce propria mentre vorticava tra i nemici, falciandoli a decine senza distinzioni tra cloni e doppleganger.

Tifa ne approfittò per rialzarsi; guardò per un attimo, ammirata, il ciclone di devastazione che Cloud stava abbattendo sui nemici. Anche Meteor osservava rapito la scena.

«Kueeeeh!!» (madre, quasi non vi riconosco in questa veste guerriera!) 

«Finalmente si è svegliato il ciuffo! Tu stai bene??» gridò Barret, falciando l’ennesimo mostro sulla parete.

«Sto bene.» rispose la ragazza, ingaggiando di nuovo l’orda di creature al fianco di Cid.

«Così si fa, cazzo!!» ruggì il pilota. Si lanciò in aria, preparandosi con un volteggio all’attacco.

«HYPER JUMP!!»

La possente esplosione scaraventò a destra e a manca le creature.    

«Yeah!» gridò soddisfatto Barret, riprendendo a crivellare i mostri sul soffitto.

«Forza Cloud!» strillò Hoshi, agitando le mani entusiasta.

Cloud intanto si era riportato in formazione, falciando cloni con metodico furore.

«Fulgor!!» gridò, scagliando un bolide di saette in mezzo all’orda e guardando soddisfatto l’esplosione.

«Vacci piano, che non li abbiamo portati gli Eteri!!» lo redarguì Barret.

Cloud lo ignorò, gettandosi contro i cloni successivi. L’ennesima Aerith cadde a terra, ferita da un suo montante; alzò la spada, pronto a finirla, ma il mostro mutò istantaneamente aspetto. Il ragazzo si bloccò, incapace di trafiggere Tifa; il clone lo guardava, sofferente.

“Oh merda…”

«Cloud, cosa fai??... oh, cazzo!!» gridò Cid, voltandosi verso la vera Tifa, che stava colpendo un Cloud alla testa. 

Le Aerith si girarono all’unisono a guardare il clone di Tifa, poi si voltarono verso Cloud. In breve tempo, sotto lo sguardo inorridito del ragazzo, tutte assunsero le stesse sembianze.

«Cloud è di nuovo inutile!!» gridò Barret, cercando di alternarsi tra raffiche verso il soffitto e raffiche verso i cloni di Tifa.

«In che senso…?» rispose la vera Tifa, voltandosi per un momento. Sgranò gli occhi di fronte alla moltitudine di sue copie che si avventavano su Cloud. 

«Ma che…» mormorò attonita.

Cloud faceva del suo meglio per evitare gli attacchi dei cloni, ma non riusciva a contrattaccare. Sempre più cloni di Tifa si assiepavano davanti a lui.

«Che cosa stai facendo? Ciuffo, devi combatterli questi mostri!» ruggì esasperato Barret.

“Tutto, ma questo no!” pensò il ragazzo, continuando disperatamente a tenere a bada la moltitudine di creature, con le sembianze della sua ragazza, che cercavano di sventrarlo. 

Tifa, quella vera, scacciò in fretta pensieri che andavano da “quasi quasi se lo merita” a “ma allora mi ama!” e gridò:

«Cid, cambiamo posto!»

«Agli ordini.» rispose il pilota, coprendo il suo spostamento e mettendosi a tranciare l’orda di Cloud.

La ragazza si aprì un varco verso Cloud a suon di pugni, anche se colpire se stessi faceva un certo effetto. Dopo aver spezzato il collo all’ennesima sua copia, raggiunse il ragazzo.

«Vai ad ammazzarti!!» gridò. Cloud rimase spiazzato e anche un po’ offeso:

«Cosa??»

«Le tue copie!! Vai ad ammazzare le tue copie! Io uccido le mie! È l’unica soluzione.» rispose lei, prendendo un clone per i piedi e iniziando a rotearlo come una frusta.

Cloud si affrettò a spostarsi, desideroso di smettere di fronteggiare mucchi di Tifa che lo guardavano con odio; tagliò a metà il primo clone di se stesso con un fendente, per poi trovarsi davanti una nuova orda di cloni di Tifa.

«La vostra idea di merda era davvero di merda!!» gridò Cid, trafiggendo un clone di Shera senza guardare.

Hoshi si mise improvvisamente a strillare, imitata da Meteor: uno dei mostri caduti sotto i colpi di Cid non era morto ed era riuscito a trascinarsi fino a Barret, colpendolo a una gamba.

«Figlio di…!!» gridò l’uomo, crivellando di colpi la creatura.

Sotto gli occhi orripilati dei quattro, sempre più creature cominciavano a diventare piccole, adorabili bambine con un caschetto di capelli castani.

«Barret!! Ti sei fatto prendere??» gridò Cid, osservando le trasformazioni.

«Non l’ho visto, ok? Po-possiamo farcela!» si difese Barret, ricaricando.

«No, non possiamo!» strillò Tifa.

Iniziarono istintivamente a indietreggiare verso la porta e le scale. Nonostante la caverna fosse ormai ingombra di disgustosi cadaveri traslucidi, c’erano ancora troppe dolci faccine che li guardavano e avanzavano, fameliche.

«Che facciamo??» gridò Barret, cercando di forzarsi a sparare, ma senza risultati.

«Dobbiamo levarci dai coglioni!» strillò Cid, con la lancia abbandonata lungo il fianco, incapace di reagire.

«Non possiamo arrenderci!» rispose Tifa, ma nemmeno lei riusciva più a colpire i cloni.

Cloud rimaneva in guardia e cercava disperatamente di trovare un piano, ma la stanchezza e l’orrore di quella notte gli impedivano di pensare chiaramente. Colse la sua immagine riflessa in una delle materie della Buster Sword. Una scura.

«Correte via!! Ci penso io!» disse, menando fendenti a caso per tenere lontani i cloni.

«In che senso? Che vuoi fare??» gridò Tifa.

«Evocare.»

«Ma non ce la farai mai a reggere!»

«Si che ce la farò!! Sbrigatevi!!»

«Io approvo!» esclamò Cid, guadagnando la porta e prendendo in braccio Hoshi. Barret prese Meteor e cercò di portare con sé Tifa, che non riusciva ad abbandonare la lotta.

«Cloud!» gridò.

«Andate!! Vi raggiungerò!»

Le bambine erano sempre più vicine e sibilavano in modo inquietante. Tifa si convinse e raggiunse Barret e Cid sulle scale. Cloud attese fino all’ultimo momento, poi si concentrò per richiamare a sé l’evocazione. La testa gli pulsava dolorosamente, ma cercò di resistere.

Toccò la materia e gridò:

«Vieni, Bahamut SIN!!»

La spada sfavillò nel buio della caverna, sorprendendo e facendo indietreggiare le creature. Una forte onda d’urto le spinse via, mentre l’intera caverna era scossa fino alle fondamenta da paurosi colpi.

Con un ultimo, poderoso colpo, nella volta della grotta si aprì una voragine: in un turbine di schegge di pietra, Bahamut discese nella caverna finalmente illuminata dalle prime luci dell’alba. Il suo ruggito rimbombò come un tuono, mentre mieteva morte tra le creature, niente più che formiche al suo confronto.

Cloud sentiva che la sua mente stava per abbandonarlo, ma non poteva cedere. Diresse i colpi dell’enorme drago fino a che non ci fu più nessun clone vivo, poi gli comandò di distruggere il nido. Bahamut raggiunse il disgustoso ammasso gelatinoso e lo strappò dalla sua posizione, gettandolo a terra.

Per la prima volta, la voce disincarnata che strillò, dando il colpo di grazia alla mente già allo stremo di Cloud, sembrò solo quella di una donna impaurita:

“La mia vendettaaa!!”

L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il lampo accecante del Petaflare.

 

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Capitolo 10
*** Cloudy With a Chance of Rain ***


Cloudy with a chance of rain
 

«Non ci posso credere, pazzo bastardo! Lo ha fatto davvero!» 

«Lo sapevo che non ce l’avrebbe fatta a reggere.»

«Fa sempre come gli pare, poi a noi rimangono solo le cazzo di conseguenze!!»

«Kueeeh…» (madre!! madre!! rispondetemi!!)

«Ma… ce la farà?» chiese Hoshi, con voce rotta.

«Ma si che ce la farà.» rispose Tifa, con tono rassicurante.

«E voi, smettetela!» riprese, rivolta agli altri due.

«Ma dai, se la meritava una stalattite in testa, stavolta.» disse Barret.

«Mister faccio-tutto-io, poi la caz-... la caverna gli crolla addosso!» rincarò il pilota.

«Uccido i cattivi e vi raggiungo! Con questa, quante volte sono che ha mentito spudoratamente?»

«Ho perso il conto!»

Tifa sospirò.

«Cloud è Cloud… è fatto così. Fortunatamente abbiamo smesso di credergli.» commentò ironicamente.

I tre si voltarono verso il ragazzo, disteso nel retro del furgone e vegliato da un agitatissimo Meteor. Non si era ancora svegliato, ma non era ferito seriamente.

Tifa scavalcò i sedili per raggiungerlo. Prese uno degli zaini e glielo mise sotto la testa.

«Per me sta facendo finta.» commentò Cid.

«Dagli torto.» gli fece notare Barret.

«Guardate che vi ho sentito!» sbottò Tifa, lanciandogli un’occhiata incendiaria.

«Dai, è andato tutto come volevi! Abbiamo sbaragliato la minaccia che incombeva sulla città.» disse l’omone.

«E come al solito lo sapremo solo noi.» commentò acido il pilota.

«Già…» disse lei senza entusiasmo, abbassando gli occhi sul volto del ragazzo.

Cloud si svegliò in quel momento, incrociando lo sguardo di Tifa. 

«Non ti abbiamo ascoltato e siamo tornati indietro a prenderti.» disse lei, in risposta alla sua espressione sorpresa.

«Ben svegliato, gran coglione!» gridò Cid, sghignazzando.

«Ha detto una brutta parola!» bisbigliò Hoshi, tappandosi la bocca con le mani.

Meteor si gettò felice su di lui, mordicchiandolo e pigolando di gioia.

«Kuee kue kueeeh!!» (Madre! Voi vivete!! Vi prego, non allontaniamoci più dalla nostra tranquilla magione!)

Cloud era completamente disorientato, incapace di allontanare il piccolo uragano piumato che lo becchettava ovunque.

«Ma… come…»

«Ce l’abbiamo fatta.» gli spiegò Tifa.

«Grazie alla MIA idea!» puntualizzò Cid dal sedile anteriore.

«E dove…»

«All’ospedale.» lo anticipò lei.

«Ma…»

«No! Andiamo tutti a farci dare un’occhiata.» disse risoluta la ragazza.

Cloud cercò di mettersi seduto, ma Tifa lo bloccò con una mano sulla spalla.

«Tu rimani lì sdraiato. Tanto siamo quasi arrivati.»

Il ragazzo obbedì, senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso. Tifa lo guardò, ricambiando con un altro mezzo sorriso e uno sguardo indecifrabile.

“Ancora arrabbiata??” pensò disperato Cloud. Sentiva il bisogno di parlarle, quindi cercò di puntellarsi su un gomito per tirarsi almeno un po’ più su. Lei invece stava per tornare sui sedili anteriori.

«Tifa…»

La ragazza si girò e disse:

«Non ora, prima pensiamo a rimetterti in sesto.»

«Siamo quasi arrivati!» esclamò Barret.

«Mi gira tutto!» si lamentò Hoshi, reggendosi la testa con le mani.

“Anche a me” dovette ammettere Cloud, tornando a sdraiarsi. Cid domandò:

«Stavolta chi porta la zavorra bionda?» 

«Io l’ho portato fuori da quello schifo di grotta.» rispose subito Barret.

«Posso camminare!» disse Cloud.

«Si, in effetti potresti anche evocare un altro Bahamut, per fare una bella entrata trionfale in terapia intensiva.»

Barret e Tifa risero. Hoshi chiese:

«Cos’è un… babbut?»

«Lo scoprirai quando sarai più grande.» rispose Cid.

Arrivarono più vicino possibile all’entrata dell’ospedale con il furgone, poi aiutarono Cloud a scendere. Le gambe lo reggevano a malapena e si sentiva svuotato di ogni energia.

La donna all’entrata li riconobbe immediatamente e corse via gridando:

«Dottoree!!»

 

***

 

«Buone notizie! Nessuno di voi è in pericolo di vita!» disse allegro il dottor Homu.

«Non ne sarei così sicuro.» rispose Cid.

Tutti nella stanza gli rivolsero sguardi interrogativi.

«Non vorrei essere nei suoi panni, più tardi.» spiegò, indicando il lettino su cui era steso Cloud, addormentato con Meteor che riposava tra le sue gambe. Il medico li guardò perplesso, ma decise di sorvolare.

«Anche lui sta bene, ha solo una lieve commozione cerebrale. Oltre ad avere la pressione più bassa che abbia mai visto. Ma cosa è successo, di preciso?»

«Mi creda, meglio non saperlo.» rispose Tifa.

«Non c’entrano nulla le storie di sparizioni e gli avvistamenti di un Bahamut questa mattina intorno all’alba, vero?» domandò il dottore, con tono eloquente.

I tre ammutolirono.

«No, immagino non c’entri nulla con il fatto che siete coperti di escoriazioni, lacerazioni, e sangue del colore più strano che abbia mai visto.» continuò, mentre posava di nuovo lo sguardo sulla sua cartellina.

«Comunque concordo con voi: meno ne so e meno tempo mi farà perdere la polizia.» 

In quel momento Cloud riaprì gli occhi; sentì immediatamente un fastidioso corpo estraneo conficcato nel dorso della sua mano.

Guardò con orrore la flebo e i tubicini che correvano fino ad un grossa sacca di plastica appesa sopra il suo lettino. Gli venne la nausea e si sentì nuovamente mancare.

«Oh, ecco il nostro eroe. Come ti senti?» gli chiese sorridente il dottore.

Cloud indicò freneticamente una bacinella di plastica mentre si tappava la bocca con l’altra mano. Tifa fu più veloce di tutti nel passargliela, giusto in tempo per evitargli di vomitarsi addosso. Il pulcino si svegliò di soprassalto, ma iniziò a starnazzare tutto contento alla vista di Cloud che vomitava.

«Kueeeh!» (Madre! Finalmente mi preparate del cibo?)

 «Ah, si… scusa. Mi sono dimenticato.» disse imbarazzato il dottore.

«Chiedetegli di fronteggiare orde di belve fameliche, mandatelo nudo a fare a botte con Ifrit, ma non fategli vedere un ago.» sghignazzò Cid.

«Il potente SOLDIER ha la sua nemesi.» disse Barret, senza trattenere una risata.

«E basta!» li sgridò Tifa, mentre cercava di reggere la fronte di Cloud.

Impietosito, il dottore decise di togliergli la flebo. Cid e Barret sbiancarono e distolsero immediatamente lo sguardo, quando videro le dimensioni dell’ago cannula che il medico sfilò dalla mano del loro amico.

«Grandi e grossi…» commentò il dottore, lanciando loro uno sguardo eloquente e mettendosi ad armeggiare con la busta della flebo.

Cloud riuscì finalmente a smettere di rimettere; Tifa gli porse un tovagliolo e lo aiutò a sdraiarsi di nuovo.

«Grazie.» mormorò lui, asciugandosi la bocca. Tifa gli rispose con una mezza carezza.

«Doc, prima ha nominato la polizia?» chiese Barret, preoccupato.

«Immagino che le notizie volino in fretta. Immagino anche che non ci siano molte persone ad Edge capaci di evocare un Bahamut di quella potenza.»

I quattro si guardarono, incerti su cosa volesse intendere il dottore.

«Un’indagine sarà inevitabile. Dal canto mio, posso solo evitare di rivelare chi ha zoppicato dentro il pronto soccorso stamattina.»

«Grazie!» esclamò calorosamente Tifa.

«Non ringraziatemi. Pensate piuttosto ad attrezzarvi per la notte. Stavolta non transigo, Cloud deve rimanere qui.» 

«Kueeh!» (Madre, questo companatico rigurgitato che avete preparato è disgustoso.)

«... senza animali domestici. Questo è comunque un ospedale.»

I tre decisero di tornare momentaneamente al Seventh Heaven, portando con loro Meteor nonostante le sue sonore proteste.

Cloud benedisse la ritrovata tranquillità e cadde quasi subito in un sonno profondo.

 

***

 

Il ragazzo venne svegliato da voci concitate intorno a lui.

«Phoremann! Vada a prendere l’altra paziente, per favore.»

«Si, Dottor Homu.»

Dei passi si allontanarono da lui.

«Cloud! Svegliati, dobbiamo andare!» esclamò Tifa, scuotendogli lievemente una spalla.

Aprì gli occhi: era circondato dai suoi amici e dal dottore, ma dalla finestra non filtrava più la luce del giorno.

«Che cosa…?»

«Qualcuno ha fatto la soffiata. Ci sono addosso, dobbiamo portarti fuori di qui!»

«Sono una mandria! Non li avevo mai visti tanto inferociti!!»

«Ma chi?»

«... il tuo fan club. Non so chi abbia parlato, sospetto della signorina Cameron alla reception: è una gran pettegola.» rispose il dottore, mentre alzava lo schienale del suo lettino. Cid non era d’accordo:

«Comunque non capisco questa agitazione, possiamo tenerli a bada e tornarcene a casa.» 

«Sono sicuro di si, ma tra poco arriverà anche la polizia, quando la voce si sarà sparsa. So che hanno avviato un’indagine molto seria sui fatti di ieri notte, dopo il parziale crollo della collina.»

«Il crollo di cosa…?»

«Ne sapete di sicuro più voi. O forse no. Non importa, dovete andarvene alla svelta e con discrezione.» tagliò corto il dottore, aiutandolo ad alzarsi insieme a Tifa.

«Ah, allora qui abbiamo il mago delle strategie discrete. Barret, vuoi illuminarci con un piano pieno di furtività?»

«Ha, ha, ha! Sempre più esilarante.» rispose sarcastico l’omone.

«Ah, Phoremann, appena in tempo.»

«Eccoci qua, dottor Homu!» trillò l’infermiera, entrando spingendo una sedia a rotelle, sulla quale si trovava Hoshi.

«Ciao Cloud!» strillò felicissima la bambina. Il ragazzo era troppo stanco e disorientato per ammetterlo a se stesso, ma si sentì rincuorato a vederla salva.

«Mi hanno fatto una puntura con un ago grossissimo! Ma non ho pianto.»

«Verissimo!» esclamò il dottore. «È una bambina davvero coraggiosa!»

«Volevo salutarti e dirti grazie… e poi ho deciso una cosa!!»

«Cosa…?» riuscì a chiedere Cloud. Lei esclamò trionfante:

«Quando avrò anche io ventun anni ci sposeremo!»

Il ragazzo diventò paonazzo all’istante, mentre Cid e Barret sghignazzavano senza ritegno.

«Quando avrai ventun anni ci saranno tanti bei ragazzi che vorranno sposarti, altro che questo musone.» rispose Tifa, accarezzandole i capelli.

«Ma io voglio lui!»

«Si ma è il mio fidanzato!» sibilò Tifa.

«Uffa. Magari cambierete idea, aspetterò.»

«Ah, che bambina simpatica! Me la porterei a casa!» ridacchiò il dottore.

«Com’è che tutte le cose bionde che salvi si innamorano di te?» rise Cid.

«Possiamo andarcene a casa?» gemette Cloud.

«Andate! Ho già allertato un’ambulanza, è il sistema migliore.»

Salutarono Hoshi e seguirono il Dottor Homu fuori dalla stanza e lungo un corridoio; Cloud si reggeva in piedi ma non riusciva a tenere il passo, così Tifa e Barret lo sostennero. Passarono davanti a varie porte, per poi scendere in ascensore verso un parcheggio seminterrato. Lì li attendeva un’ambulanza, già in moto e con i lampeggianti accesi.

«Presto! Tutti dentro!» esclamò il dottore.

«Come possiamo ringraziarla?» chiese Tifa.

«Lo scoprirete tra un attimo…» rispose lui, ammiccando e chiudendo il portellone.

«Ciao Cloud!!» trillò una voce dal posto di guida.

“Oh. Mio. Dio.” pensò il ragazzo, accasciandosi sulla barella mentre il mezzo faceva manovra. Anche gli altri avevano riconosciuto la voce.

«Cosa… ma che ci fa lei qui?» chiese Tifa, nel tono più educato che potè.

«Sono un paramedico!» rispose la moglie del dottor Homu, con tono ovvio. «È così che ho conosciuto mio marito!»

«Ah…» fu tutto quello che riuscì a dire Tifa.

«Già, Edge è proprio un mondo piccolo!» continuò lei, mentre usciva dal parcheggio e iniziava a guidare a tutta velocità. Tutti cercarono immediatamente qualcosa a cui aggrapparsi mentre l’ambulanza sfrecciava per le strade a sirene spiegate.

«Ma… non sei la presidente del fan club?» urlò Barret.

«Fondatrice e presidente! Mi chiamo Aidoru.» puntualizzò la donna.

«E perché ci aiuti?»

«Scherzate!? Do un passaggio al mio idolo!! Al diavolo il resto del club.»

«Siamo sicuri che non li abbia comunque chiamati lei?» sussurrò Cid.

«Quella Cameron! Appena vi ha visti entrare non ha esitato ad usare il nostro S.A.C.» esclamò Aidoru, arrabbiata.

«Il vostro cosa?!» chiese Tifa.

«Sistema Avvistamento Cloud! Appena uno o una di noi avvista il nostro idolo, lo comunica a tutti gli altri, così possiamo provare ad incontrarlo.»

«Ma è legale?» chiese la ragazza, contrariata.

«Non lo so, ma di sicuro non è legale usare un’ambulanza in questo modo.» rispose la donna. «Comunque, ha esagerato e la caccerò dal club! Non si disturba una persona in ospedale!» aggiunse, seria.

«Abbiamo una morale molto vaga qui…» sussurrò di nuovo Cid, strappando una risata a  Barret. Una improvvisa curva a gomito rischiò di farli cadere uno sull’altro.

«Comunque, Cloud, volevo chiedere una cosa a te e alla tua fidanzata.» riprese Aidoru. 

«Una cosa a tre?» bisbigliò Cid, ridacchiando. Barret stavolta gli diede uno scappellotto sulla nuca.

«Immagino che vorrete adottare la bambina che hai salvato, Hoshi?»

Cloud impallidì e guardò immediatamente Tifa, che era sorpresa quanto lui.

«No! Perché dovrei volere una bambina??» rispose il ragazzo.

«Ah, non la adotterete? Perché in tal caso, se mi dai il permesso, vorremmo adottarla noi! Sarebbe un onore avere in casa una bambina che hai salvato tu!» disse Aidoru, raggiante.

«C’eravamo anche noi…» mormorò risentito Cid.

«Non… vedo ostacoli.» rispose Cloud, a cui la situazione sembrava sempre più surreale.

«Splendido!! È una bambina così adorabile!»

«Ma suo marito lo sa?» chiese Tifa.

«Ancora no! Ma dirà certamente di sì! Non mi nega mai niente.» rispose tranquilla Aidoru.

«Cosa c’è di adorabile nei bambini… fastidiosi, antipatici, parlano troppo.» borbottò Cloud.

«Gli parlerò un’altra volta del fatto che Marlene verrà a stare da noi per un po’.» bisbigliò Tifa all’orecchio di Barret. L’uomo annuì, completamente d’accordo con lei.

Finalmente arrivarono al Seventh Heaven. Per prima cosa, dopo aver spento il motore, Aidoru porse carta e penna a Cloud:

«Non puoi negarmi un autografo!»

Lui alzò gli occhi al cielo, ma firmò il foglio sotto lo sguardo contrariato di Tifa. Aidoru riprese il foglio e lo baciò appassionatamente.

«Ah, questo è il giorno più bello della mia vita!» dichiarò, mentre Cloud avrebbe gradito sprofondare e scomparire nel terreno e gli altri tre si scambiavano occhiate tra lo schifato e l’impaurito.

Scesero e salutarono mentre Aidoru ripartiva, stavolta a sirene spente.

«Forza, tutti a dormire!» disse Barret, spingendoli all’interno.

«Ma non è tardi.» obiettò Cloud. Cid ribattè:

«Tu avrai pure dormito all’ospedale, ma noi no. Cazzo, sto morendo di sonno.»

«A chi lo dici!» concordò Barret.

Tifa non disse nulla, ma sbadigliò. 

Meteor corse loro incontro tutto felice, pigolando.

«Kuiiih kueeh!!» (Madre, finalmente fate ritorno! Mi hanno tratto con l’inganno lontano da voi!)

«Mi dispiace che ci sia di nuovo solo il divano per voi…» disse Tifa, imbarazzata.

«Tranquilla, dormirei anche in mezzo ai rovi da quanto sono stanco. La spalla mi sta uccidendo.» rispose Barret, massaggiandosi.

«E che avresti fatto con quella spalla?» chiese Cloud, inarcando un sopracciglio.

«Secondo il tuo cervellino biondo il rinculo del mio cannone dove finisce?»

Il ragazzo annuì, distrattamente. Cercava con lo sguardo Tifa, ma lei non sembrava essersene accorta mentre si dirigeva verso le scale.

«E poi trasportarti fuori dalla caverna non ha migliorato la situazione!» aggiunse Barret.

«Ok.» disse sbrigativo Cloud, mentre raggiungeva Tifa con Meteor alle calcagna.

«Non c’è di che! La prossima volta, dove collassi ti lascio!» disse infastidito l’uomo.

Cloud lo ignorò. Posò una mano sulla spalla di Tifa, che finalmente incrociò il suo sguardo.

«Io...vorrei parlarti.» sussurrò.

Lei lo guardò con occhi stanchi, implorante.

«Ti prego… non adesso. Avremo tempo.»

«Ma…» disse lui esitante.

«Si?»

«... sei ancora arrabbiata?»

«Tu che dici?» rispose lei, salendo le scale.

Lui la seguì, ma entrò nella propria stanza; aspettò che Meteor varcasse la soglia e chiuse la porta, sapendo che non sarebbe entrato nessun altro. Sospirò e si sdraiò sul letto, senza nemmeno cambiarsi. Il pulcino si acciambellò immediatamente tra le sue gambe, pigolando piano. Non era sorpreso dall’atteggiamento di Tifa, ma non era sicuro di riuscire a gestire la cosa questa volta. Voleva parlarle, ma aveva paura delle conseguenze. Non sapeva nemmeno cosa volesse dirle davvero. 

“Eppure alla fine anche i mostri si sono trasformati in lei… non è abbastanza?”

Si rese conto che rimuginare in quel momento era inutile e peggiorava solo il suo stato d’animo. Nonostante avesse già dormito si sforzò di rilassarsi, confidando che dopo una notte di riposo, la situazione l’indomani sarebbe sembrata meno disastrosa.

 

***

 

Li arrestarono il mattino seguente. La polizia fece irruzione nel bar e trascinò tutti i presenti alla stazione centrale, compreso Meteor, in un blitz degno del miglior film poliziesco.

Nessuno di loro aveva opposto resistenza, a parte il pulcino: inghiottì i gradi del sergente Hardman prima che Cloud riuscisse a farlo calmare. Ovviamente, l’incidente non migliorò la loro situazione.

Dopo un breve viaggio seduti in una volante, i quattro si trovarono nella sala usata per gli interrogatori, ammanettati agli schienali delle loro sedie davanti ad un tavolo. I poliziotti li lasciarono lì ed uscirono.  

«Quanto tempo ci lasceranno a marcire qui? Volevo fare colazione!» si lamentò Cid, dondolandosi sulla sedia. 

«Shhh! Ci stanno sicuramente ascoltando.» lo zittì Barret.

«Benissimo, volevo proprio mandarli a fan…»

«Zitto! Peggiori la situazione!» sibilò Tifa.

«Peggio di così?!» sbraitò il pilota, esasperato.

«Non ci hanno nemmeno detto di cosa siamo accusati!» commentò la ragazza, ignorando la replica.

«Chissà dove hanno portato Meteor.» disse Cloud, preoccupato.

«Smettila di preoccuparti per quel cazzo di uccello!» sbraitò Cid.

Tifa sospirò pesantemente.

«Ci vogliono mettere gli uni contro gli altri! Non dobbiamo fare il loro gioco!» disse Barret, battendo il piede sul pavimento.

«Troppo tardi.» mormorò Tifa, osservando sconsolata Cid e Cloud che si guardavano in cagnesco.

In quel momento il sergente Hardman fece un teatrale ingresso nella stanza, spalancando la porta, seguito da Humble e un altro collega.

«Oh ma dai! Sei l’unico sbirro che lavora in tutta Edge??» sbottò Barret.

«Silenzio, sospettato numero tre.» rispose il sergente, sedendosi dall’altra parte del tavolo.

«Come numero tre?? E chi sarebbe il numero uno?»

«Scommetto che è Cloud. Che c’è, io non sembro abbastanza pericoloso?» domandò Cid, guardando con disappunto il poliziotto.

«E io sarò certamente la numero quattro, perché sono una donna!»

«State zitti!! Le faccio io le domande qui!» gridò Hardman, sbattendo il pugno sul tavolo.

I quattro lo ignorarono e continuarono a litigare.

«INSOMMA!!» sbraitò il sergente, riuscendo finalmente a placare il litigio.

«Oh! Dunque… sospetto numero uno! Dov’era ieri notte?» continuò, rivolto a Cid.

«Ha! Sono il numero uno!! Beccatevi questa!»

«Risponda solo alle domande!»

«Ero… dov’eravamo, ragazzi? Da qualche parte sulle colline, mi sa.»

«Si, era decisamente una collina.»

«Io direi una piccola montagna.»

«Quindi eravate insieme! Lo sapevo. Bell’affare… e che ci facevate, sulle colline dietro l’orfanotrofio?»

«... non ho detto che eravamo dietro l’orfanotrofio.»

«In effetti eravamo un po’ lontani dall’orfanotrofio… poi in quella caverna vai a capire dov’erano il nord o il sud.»

«La caverna! Sicuramente quella crollata stamane. Siete coinvolti nella distruzione di uno degli elementi paesaggistici più rappresentativi di Edge!»

I quattro lo fissarono per un momento.

«Te lo sei inventato!» affermò Barret.

«Non aveva nulla di speciale quella caverna. Tranne un vecchio laboratorio Shinra.» dichiarò Cloud.

«Non diciamo idiozie! I laboratori Shinra sono stati tutti dismessi.» ribatté il poliziotto.

«Si, e io sono Jenova in persona.» ribatté Cid.

«Chi??» fece perplesso il sergente.

«Lasciamo perdere. C’erano creature pericolose in quel laboratorio.» disse Tifa.

«Si! Erano loro responsabili delle sparizioni!» aggiunse Cloud.

«Erano?»

«Li abbiamo fatti fuori tutti! Dovremmo essere portati in trionfo, no ammanettati a queste cazzo di sedie!!»

«Turpiloquio!» esclamò Hardman, seccato. Uno degli agenti mormorò:

«Ma sergente, non hanno pescato dopo il tramonto…»

Il sergente lo guardò per un attimo, come a concedergli del tempo per tornare sulle sue parole, poi tuonò:

«Humble, sbatti fuori questo deficiente e portami qualcuno che capisca cosa dico!! E voi state zitti!!» gridò, vedendo che i quattro prigionieri si stavano sbellicando dalle risate.

«Subito sergente!»

«Persino io so che significa turpiloquio!» esclamò Cloud tra le risa.

«Questo non è un interrogatorio, è un’interrogazione… no aspettate, è un… oh al diavolo! Se vi rifiutate di collaborare vi sbatto in cella per intralcio alle indagini!»

«Indagini che immagino stessero andando alla grande, visto che abbiamo dovuto pensarci noi…» commentò acido Cloud.

«E dell’evocazione che svariati testimoni hanno visto svolazzare come se nulla fosse al di sopra di Edge all’alba? Cosa mi dite di quella?»

«È un Bahamut SIN, molto più potente di un Bahamut normale…» esordì Cloud.

«Io direi soltanto: non c’è di che.» lo interruppe Barret. 

«... ma non al livello del Bahamut Furia, quello avrebbe fatto saltare in aria la collina, me e almeno un quarto di Edge.» continuò il ragazzo.

«E noi lasciamo che simili pazzi pericolosi continuino a seminare panico con le loro azioni sconsiderate… pensate a che punto siamo arrivati!» disse Hardman, in tono severo.

«È stato necessario! Cloud ha rischiato la sua vita evocandolo, per salvare la nostra e quella di tutti!» rispose Tifa, infervorata. Cloud la guardò, sperando che fosse un buon segno.

«Ma bene… grazie per avermi confermato chi è il responsabile, sospettata numero quattro.»

Tifa sobbalzò, pentendosi delle sue parole.

«Ma visto che oggi abbiamo le celle vuote, vi sbatterò tutti dentro per favoreggiamento, concorso a delinquere, porto d’armi non registrate, evocazione non autorizzata…

«E da quando serve l’autorizzazione per le Evocazioni?» sbottò Cid.

«... intralcio alle indagini e distruzione di patrimonio paesaggistico. Senza contare i vostri trascorsi terroristici e il fatto che tenete un animale pericoloso dentro casa!»

«Lasci Meteor fuori da questa faccenda!!» gridò Cloud.

Gli altri tre prigionieri lo guardarono sconsolati.

«Non potete arrestarci! Abbiamo delle prove che diciamo la verità!!» insistette Barret.

«Ah si? E dove?» lo canzonò Hardman.

«Nel mio zaino c’è un intero faldone con tutte le prove scritte, nero su bianco!»

«Barret… quel faldone?» domandò Tifa, sorpresa. Anche gli altri lo fissavano meravigliati.

«Si, mentre voi facevate i cretini l’ho preso.»

«Humble, abbiamo questo zaino incriminato?»

«Si, sergente.»

«Cosa aspetti a portarmelo!!?»

«Vado subito, sergente.»

«Questi giovani non vogliono lavorare…» mormorò tra i denti Hardman, mentre tamburellava impaziente con le dita sul tavolo.

«E qualcuno svegli il sospetto numero uno! Mica siamo alle terme!!»

«Cid!!» gridò Barret, svegliandolo di soprassalto.

«Eccolo!» esclamò Humble mentre rientrava nella stanza con il faldone. Lo poggiò sul tavolo davanti al sergente e lui iniziò a sfogliarlo distrattamente.

«Ma che schifo…» si fece scappare il giovane.

«Humble! Sei troppo impressionabile!! Parola mia, ti faccio trasferire a dirigere il traffico! E comunque, questa roba non prova nulla.»

«Ma se c’è l’archivio completo delle porcate fatte dalla Shinra lì dentro!!» gridò Barret, furioso.

«C’è anche la descrizione delle bestiacce che abbiamo accoppato!» rincarò Cid.

«Chiunque potrebbe mettere insieme questo mucchio di sciocchezze, pur di cercare di raggirare la giustizia. Smettetela di cercare di propinarmi menzogne!»

«Ma se vi abbiamo detto tutta la verità!» esclamò Tifa.

«Oh beh, se questa è la verità… bisogna metterla in un posto sicuro. Che ne dite di… sotto a tutto il resto delle pratiche del distretto? Humble, procedi.»

Humble sembrò per un attimo restio ad eseguire l’ordine, ma poi prese il faldone e lo portò via, sotto quattro sguardi carichi di odio.

«Questo non è giusto!» disse Tifa con voce rotta. «Lei lo sa che è tutto vero, perché fa così? Sembra quasi che ce l’abbia con noi!»

«Altroché, anche se non ricordo di avergli mai sputato in faccia.» esclamò Cid, acido.

Altri agenti entrarono nella stanza e iniziarono a far alzare Barret.

«Aspettate, sono stato io a evocare il Bahamut. Arrestate me, lasciate stare loro.» disse improvvisamente Cloud. Gli altri lo guardarono allarmati.

«Oh, ma che eroe. Animo molto nobile, per un ex-terrorista.» commentò Hardman con un ghigno. 

«La verità è che non mi interessa chi di voi lo ha fatto: voglio vedervi tutti in galera, per tutto il tempo che riterrò necessario. Quella vostra bettola da quattro soldi andrà in rovina… tua figlia, Barret Wallace, finirà adottata, tanto è abituata, giusto? E tu non rivedrai più il tuo animaletto. Portateli tutti via.»

Cloud e Barret si avventarono sul sergente, ma gli agenti furono più rapidi e, con rinforzi e molte difficoltà, riuscirono a portarli via con gli altri.

 

***

«Bastardo, pezzo di merda, figlio di puttana, testa di…»

«Barret…» disse Tifa. «Stai calmo, non serve a nulla ormai.»

«Grandissimo stronzo!» 

«Cloud, non ti ci mettere anche tu!»

«Tanto solo questo possiamo fare ormai. E ringraziate che non abbiano usato i taser.»

«È un fottuto complotto Shinra, ne sono sicuro!»

«Barret, tu vedi la Shinra ovunque!» disse Cid esasperato.

«Ah, che palle. E sto anche scomodo!» sbottò l’omone. «Perché a voi hanno tolto le manette?»

«Perché non siamo due coglioni come te e il biondo.» rispose Cid.

Cloud sbuffò infastidito. Con un po’ di sforzo, riuscì a farsi passare le manette sotto le gambe. Si sistemò con le spalle al muro, sotto lo sguardo invidioso di Barret.

«Dunque, ho pensato ad un piano: appena arriva un secondino, Tifa lo aggredisce e gli rubiamo le chiavi, poi…»

«Barret, mi sa che hai visto troppi film.» disse Cid.

«E io non aggredisco proprio nessuno!» aggiunse Tifa.

«Beh allora sentiamo, che piano avete per tirarci fuori da qui?»

«Ma che piano… non possiamo continuare a comportarci come prima! E poi non voglio più darmi alla macchia, voglio tenermi la mia vita normale!»

«Cosa c’è di normale in quello che è successo negli ultimi giorni?»

«La cosa assurda è che è normale, per noi…» mormorò a sorpresa Cloud. Gli altri lo guardarono interdetti, mentre sospirava e poggiava la testa al muro.

Sentirono dei passi affrettati avvicinarsi alla loro cella. Tutti rialzarono la testa: Humble apparve, con in mano un mazzo di chiavi e un grande sorriso stampato in faccia.

«Cloud, ho grandi notizie. Dai piani alti è arrivato un ordine di scarcerazione.»

«Cosa? Chi…?»

«... potrei aver spedito una copia del faldone al Sovrintendente. Di nascosto. Scusate se ci ho messo tanto.»

La notizia fu accolta con un attonito silenzio.

« Il Sovrintendente è un superiore molto più in alto del sergente Hardman, e al contrario di lui è stato obiettivo. Potrei avere problemi per quello che ho fatto, ma… penso che ne valga la pena.» continuò l’agente, armeggiando con le chiavi.

«Hai disobbedito a un ordine… perché?» domandò Tifa.

«Non mi sono arruolato per fare queste porcate. Il faldone era originale, ho fatto delle ricerche mentre lo scannerizzavo. È orribile quello che hanno fatto in quel laboratorio e siete stati degli eroi a porre fine all’ondata di sparizioni.»

«Come mai quella testa di cazzo voleva tanto arrestarci?» chiese Cid. Humble lo guardò stupito.

«Non ci arrivi? Lavorava alla Shinra. Quando l’azienda si è ridimensionata dopo Meteor, è stato licenziato. Non l’ha presa bene, e ha sempre pensato che fosse colpa dell’Avalanche se aveva perso il lavoro.»

«Brutto pezzo di merda! Ha avuto quello che si meritava! E lo sapevo che c’entrava la Shinra!!» gridò Barret, facendo alzare parecchi occhi al cielo.

«Ha preso molto male anche la faccenda della vostra amnistia. Quello che avete fatto la scorsa notte ha rappresentato per lui un’occasione per vendicarsi.» disse il giovane agente, aprendo finalmente la porta.

«E non hai paura di una rappresaglia?» gli chiese Tifa.

«Nessuno può opporsi ad un ordine del Sovrintendente, tanto meno lui. Probabilmente verrà anche indagato per abuso d’ufficio e abuso di potere. Se non lo silureranno, penso che darò le dimissioni io. Sono stufo.»

«Grazie per quello che hai fatto.» disse la ragazza, sorridendo.

«Grazie a voi. E poi, in quanti possono dire di aver scarcerato il loro idolo?!» esclamò, togliendo le manette a Cloud. Barret lo guardò, incredulo:

«Anche lui del fan club??» 

«Si…» sospirò Cloud.

«Si! La vostra versione collima anche con quello che ha segnalato una ragazza ieri sera nel S.A.C., che vi ha visti entrare all’ospedale malconci.»

«Se sento ancora il S.A.C. vi denuncio io stavolta!» sibilò Tifa con tono glaciale.

«Che cul de S.A.C. che abbiamo avuto.» rise Cid.

Barret, finalmente libero dalle manette, per prima cosa lo schiaffeggiò.

Scortati da Humble, andarono per prima cosa a recuperare Meteor nel reparto degli oggetti confiscati, insieme agli zaini, alle armi e le materie. Il poliziotto di turno aveva tutte le mani fasciate.

«Riprendetevela da soli quella bestiaccia!!» sbraitò, appena seppe cosa doveva riconsegnare. Cloud aprì la gabbietta e abbracciò il pulcino, che pigolò tutto contento mentre il ragazzo lo stringeva.

«Ti sono mancato?? Ehh?»

«Kuiiih! Kuii!» (Madre, questo lestofante mi aveva imprigionato!)

Tutti e quattro recuperarono il loro arsenale il più in fretta possibile, desiderosi di andarsene da quel posto. Meteor soffiò e arruffò le penne quando passarono di nuovo davanti al poliziotto di guardia.

«Beh, siete liberi. Con tante scuse, almeno da parte mia.» disse Humble, una volta usciti dalla stazione di polizia.

«Come possiamo ringraziarti?» chiese Barret. Tifa cercò di fermarlo, ma non fece in tempo.

«Veramente… un modo ci sarebbe.»

Cloud ebbe un brutto presentimento.

«Mio figlio è un tuo grandissimo fan, e la prossima settimana faremo una piccola festa per il suo compleanno. Sarebbe un regalo bellissimo per lui se tu potessi venire!»

Cloud sbiancò e iniziò a fare velocissimamente segno di no con la testa.

“Basta bambini!”

«Ah no, biondo. Non mi interessa cosa ne pensi, questo ragazzo ci ha salvato il culo e tu farai quello che ti ha chiesto, anche se si trattasse di mangiare blatte vive!» sbottò Cid.

«Ma perché??» si lamentò lui.

«Sei tu la celebrità, tra noi.» disse Tifa, glaciale.

Il ragazzo si rassegnò al martirio e accettò. Humble era al settimo cielo:

«Che bello! Raymond sarà felicissimo!!»

«Ma niente fan club! Niente S.A.C.!» si intromise Tifa, alzando l’indice minacciosa. Humble accettò con disappunto.

 

***

 

«Kueeeh…» (Ah, nulla come il familiare, confortante olezzo della propria magione!)

«Finalmente a casa…» sospirò Tifa. Barret ribatté:

«Voi due… noi dobbiamo ancora fare un po’ di strada.»

«Sicuri di non volervi fermare? C’è sempre posto qui per voi.»

«No, grazie, Tifa. Comincio a sentire la mancanza di Marlene.»

«E io della mia nuova nave.» gli fece eco Cid. 

«Ah si… la nave.»

«La nave nuova.»

«Quella che prima non Shera.»

«Fanculo, Barret!» sbottò Cid. «E fanculo anche voi due!» berciò, rivolto a Cloud e Tifa che ridacchiavano sotto i baffi.

Uscì, sbattendo la porta e continuando a macinare insulti.

«Vado anche io… se non mi ha lasciato a piedi.» disse Barret, salutandoli con la mano e uscendo a sua volta. Prima di chiudere la porta, lanciò uno sguardo eloquente a Cloud.

“Lo so, grazie! Sono già abbastanza nervoso!” pensò il ragazzo, rispondendo con un cenno.

La porta si richiuse dietro di lui e sentirono il rombo di un motore che si accendeva. 

Per la prima volta dopo la fine di quella terrificante  avventura, Cloud e Tifa si ritrovarono da soli. Il ragazzo si girò verso di lei, che sembrava in attesa, ma anche nervosa: continuava a lisciarsi la stessa ciocca di capelli.

«Tifa… vorrei…»

«Va bene. Dimmi.» rispose lei subito, sedendosi ad un tavolo. Lui prese un bel respiro e la raggiunse, sedendosi sulla sedia accanto alla sua.

«Ti ricordi dello spettacolo teatrale al Gold Saucer? Quello in cui ogni tanto una coppia veniva scelta per recitare sul palco?» chiese, di getto. Tifa rimase spiazzata dalla domanda; prima ancora che potesse rispondere, Cloud continuò:

«Il copione prevedeva una scena con un bacio, dovevo darlo a Aerith, ma...»

«Ah quindi sei uscito con lei al Gold Saucer!! Pensavo che fossi uscito con Barret!»

«Ehm… no.»

«... continua.» sibilò Tifa.

“Merda merda merda…”

Si fece coraggio e continuò: doveva assolutamente dirle tutto. 

«Si… alla fine, dopo aver sconfitto il drago, avrei dovuto baciare Aerith, la principessa…»

Tifa strinse gli occhi.

«... ma non l’ho fatto. Ho baciato il drago, e lei mi ha dato uno schiaffo.»

«Oh…» si lasciò sfuggire Tifa, genuinamente sorpresa.

«Non… non ho voluto baciarla. Non me la sentivo.»

«Non volevi… o non te la sentivi? Sono due cose diverse.» puntualizzò la ragazza.

«Non me la sentivo, perché non volevo. Non era una persona che volevo baciare.» rispose lui, a fatica.

«Mmmh. Però quando quei mostri hanno sondato me, si sono trasformati in te. Quando hanno sondato Cid, si sono trasformati in Shera. Invece, con te...»

«Alla fine si sono trasformati in te! Lo hai visto…»

«Si…» ammise Tifa, «... però ciò non toglie che siano diventati prima Aerith, come se lei fosse più... importante di me!!» continuò, con voce rotta.

«Non è più importante di te!»

«E allora spiegami come mai!!!» urlò lei, con gli occhi lucidi.

Cloud si sentì paralizzato dallo sguardo colmo di lacrime e dolore di Tifa. Avrebbe voluto dire tutto quanto subito, ma incontrava una resistenza, come un ingranaggio incastrato dentro di sé che voleva sbloccare, ma che non riusciva a far ripartire; ed allo stesso tempo, aveva paura che se se fosse riuscito a muoverlo, il suo intero essere sarebbe andato in pezzi.

Le lacrime di Tifa iniziarono a scorrere sulle sue guance, mentre lei lo guardava implorante.

“Parla, brutto idiota!”

“Parla, brutto idiota!”

«Tifa… io… Aerith io non la volevo baciare, ma non vuol dire che non mi manchi... o che non mi venga mai da pensare a lei. Non solo a lei, anche a com’è andata… è stata colpa mia, non passa giorno senza che qualcosa me lo ricordi.» riuscì finalmente a dire, mentre sentiva gli occhi pizzicare.

«È come… una cosa che è sempre presente… anche quando sono felice.»

I due si guardarono. L’espressione di Tifa si addolcì:

«Cloud, Aerith manca anche a me. Manca a tutti, tantissimo. Però non puoi pensarci in continuazione.»

«Non ci penso in continuazione… è soltanto sempre lì.» disse lui.

«E non è stata colpa tua.»

Cloud abbassò lo sguardo.

«Cloud… non sei stato tu. Devi smettere di tormentarti.»

«Ma…»

«Questo senso di colpa è talmente grande che quei mostri lo hanno scambiato per amore! Ti rendi conto che non va bene così?»

Cloud non riuscì a rispondere; tutto si era bloccato di nuovo.

«E io non posso fare continuamente i conti con i tuoi sentimenti e con le tue emozioni.»  

Cloud alzò la testa, sinceramente confuso da quelle parole. Tifa indugiò un momento.

«Devo sempre tirarti fuori a forza qualsiasi commento su cosa senti o su come ti senti, anche il più banale. Devo indovinare sempre, oppure fare uno sforzo in più per capirti, quando tu potresti benissimo dirmi tutto con una frase sola! Devo… sempre immaginarmi di sentire quello che vorrei sentire, da te.»

Cloud sgranò gli occhi. Voleva parlarle, disperatamente, ma era ancora una volta incapace di fare quello che doveva fare, mentre le parole di Tifa si diffondevano dentro di lui e lo stringevano in una morsa fredda.

«E finché non cambierai questa cosa… continuerà ad andare così.» disse la ragazza con un filo di voce, quasi con rassegnazione. Le sue parole furono come una pugnalata.

 

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Capitolo 11
*** On The Way To An Apocalypse-Parte 1 ***


On The Way To An Apocalypse

 

Il cellulare squillò diverse volte prima che decidesse di rispondere.

«Chi è?»

«Come chi è? Non hai salvato il mio numero?» disse una voce stizzita.

«No no, l’ho salvato, non mi ricordavo di chi fosse il numero con l’aereo.»

«Cosa?»

«Lascia perdere. Dimmi, Cid.»

«Dimmi tu! Com’è andata? Vi siete chiariti? Sono giorni che non vi fate sentire!»

«...»

«Ahia. Silenzio che non fa sperare in bene.»

«Ci sono stati… miglioramenti.»

«Non avete chiarito un cazzo, vero?»

«Non è vero, abbiamo parlato quella sera stessa, quando siete andati via.»

«E…?»

«E le ho detto… la verità. Ma non le è piaciuta.»

«Merda. Cosa ti ha detto lei?» chiese esasperato il pilota.

«...»

«Sai che è una rottura di palle avere a che fare con te?»

«Lo ha detto anche lei.»

“Non proprio così, ma…”

«Quella donna è una santa. Non fartela scappare, sistema le cose, cazzo!»

«La fai facile tu.»

«Non è questione di facilità. Non esiste un’altra in grado di sopportarti, quindi devi impegnarti… se non vuoi morire solo come un cane, senza offesa per Red XIII.»

“E cosa dovrei fare? Impegnarmi a fare cosa??” pensò lui, stringendo il cellulare. Era come se tutti avessero sempre la soluzione in tasca, tranne lui.

«Ti devo lasciare: ho una consegna.» disse sbrigativo. Cid sospirò e rispose:

«Ok biondo! Facci sapere come va, non sparire. E basta cazzate.»

«Ok.» 

Chiuse la chiamata e si avviò verso l’indirizzo indicato dal suo cliente, che questa volta era Jay. Bussò alla porta di un gioielliere e si fece consegnare il pacco; doveva portarlo al Seventh Heaven, poi il culturista sarebbe passato a ritirarlo di persona, insieme a Catena.

“Chissà che cosa avrà comprato… sarà una nuova catena?” 

Ridacchiò, pensando al gioco di parole involontario.

Arrivò al bar in netto anticipo rispetto all’orario prefissato. Decise di bere qualcosa mentre aspettava Jay. 

«Sono tornato.» disse appena varcato l'ingresso del bar. Senti il familiare zampettare sul pavimento e poco dopo Meteor gli saltò in braccio, pigolando felice, come ogni volta che tornava.

«Kueeeeh!» (madre, detesto ogni minuto che siete lontana da me!) 

«Stai ingrassando, brutto ciccione!» esclamò, sforzandosi di tenerlo su. In effetti negli ultimi giorni era cresciuto parecchio, sia in altezza che in larghezza. Lui gli mordicchiò affettuosamente la mano.

«Dovresti smetterla di fargli fare colazione con fette di torta!» disse Tifa da dietro il bancone, dove stava riordinando dei bicchieri.

«Ma gli piace! Non vuole più il cibo del negozio…» ribatté lui.

«E secondo te perché? Lo vizi troppo.»

«Non è vero.» replicò lui, mentre posava il pulcino a terra. Di nascosto gli allungò un biscotto.

Poi si avvicinò al bancone e si sporse per dare un bacio alla ragazza, che gli porse la guancia. Tutti e due rimasero in silenzio per qualche momento, poi Cloud chiese:

«Com’è andata la giornata?»

«...devo ancora aprire, ma con i preparativi ho quasi finito.» rispose lei tranquillamente.

«Io devo aspettare Jay. Ancora non ho capito come mai mi abbia fatto fare così.»

«Avrà i suoi motivi. Volevi bere qualcosa, intanto?»

«Magari.»

«Però è presto per un Cosmo.» lo ammonì, mentre armeggiava con varie bottiglie.

«Ma dai!»

Lei lo guardò severa.

«Ok…» capitolò istantaneamente lui.

Nel tempo che ci mise a finire il long drink, il bar aprì e iniziò a popolarsi di avventori. Cloud passò il tempo cercando di aiutare Tifa: la costante, fredda cortesia che manteneva nei suoi confronti da qualche giorno a quella parte, gli bruciava da morire.

L’incidente con i doppelganger aveva fatto fare enormi passi indietro alla loro relazione. Nonostante, dopo i primi giorni di burrasca, la situazione si fosse in qualche modo riassestata, non si era mai sentito così vicino al baratro; di fronte al rischio di perderla, si stava facendo bastare anche quella dolorosa stasi. Non dormivano nemmeno più insieme: Tifa non glielo aveva mai esplicitamente negato, ma lui non aveva il coraggio di seguirla nella sua stanza per la notte, o di invitarla nella sua.

Si vergognava con se stesso di come stava gestendo la situazione; o meglio, di come non stesse riuscendo a fare nessuna delle cose che gli veniva in mente di fare per risolvere la situazione. 

Una voce familiare lo strappò alle sue riflessioni:

«Hey bro!! Come va?»

Jay era arrivato, con la sua ragazza al seguito; entrambi portavano appariscenti e attillati vestiti rossi. Quello di Catena era anche particolarmente corto.

«Ciao Jay… Catena.» rispose il ragazzo.

«Ciao biondo! Che ci fai dietro al bancone, ci fai ubriacare tu stasera?» domandò maliziosa la sicaria.

«Veramente… aiuto Tifa e basta. Li fa lei, i cocktail.»

«Ciao ragazzi!» li salutò sbrigativa Tifa, mentre usciva da dietro al bancone con un vassoio in mano, scavalcando Meteor che pisolava proprio in mezzo alla sua strada.

«Cloud, lo puoi spostare!? Finisce che mi ammazzo stasera.» continuò, prima di avviarsi in sala. Lui obbedì immediatamente, prendendo il pulcino e spostandolo verso la cucina, sordo ai suoi lamenti. Jay si guardava intorno, furtivo.

«Catty, amore, perché non vai a sederti? Ci penso io ai drink.»

«Ma che galantuomo che sei!» esclamò lei, stampandogli un bacio appassionato sul collo prima di andare a sedersi.

«Bro…» sussurrò il culturista, appena lei fu seduta, «... ce l’hai?»

Cloud annuì, mostrandogli il pacchetto.

«Magnifico, sapevo di poter contare su di te. Mi serve un ultimo favore, bro.»

Il ragazzo si trattenne dallo sbuffare.

«Dimmi…» 

«Potresti portarmelo al tavolo, appena ti faccio cenno? Non è ancora il momento.»

Cloud aggrottò le sopracciglia, domandandosi come mai ci fosse bisogno di tutta quella segretezza, ma acconsentì.

«Sei un bro, bro!» esclamò Jay, assestandogli una sonora pacca sulla spalla prima di raggiungere la sua ragazza. Cloud scosse la testa esasperato.

Tifa tornò al bancone.

«Che hanno ordinato?»

«Non… non ha ordinato. Mi ha solo chiesto di portargli il pacco appena mi fa cenno.»

«E non potevi farti dire anche cosa vogliono?!» esclamò, sbuffando e tornando in sala.

Cloud alzò gli occhi al cielo, sperando che il culturista si sbrigasse a chiamarlo.

Ci vollero tre, piuttosto rapidi giri di bevute prima che un Jay decisamente alticcio gli facesse un goffo segnale.

«Meno male!» fece Tifa.

«Già.» concordò lui, sbrigandosi ad uscire da dietro il bancone. Li raggiunse al tavolo e poggiò il pacchetto accanto ai bicchieri. Si voltò per andarsene senza dire nulla, ma Jay lo bloccò per un braccio.

«No no, bro! Rimani qui con noi, voglio che tu assista. Ho una cosa molto importante da fare.»

Cloud lo guardò perplesso, prima di girarsi verso Tifa, che si era accorta della scena. Lei scrollò le spalle e continuò a lavorare, ma senza perdere d’occhio il loro tavolo.

“Quanta scena vuole fare per un regalo?”

Jay prese solennemente il pacchetto e lo scartò, rivelando un piccolo cofanetto di velluto. Si alzò dalla sua sedia, ma soltanto per inginocchiarsi davanti a Catena.

La ragazza trasalì e tutte le teste del locale si voltarono a guardarli.

«Cat, amore mio… so che non è molto che stiamo insieme, ma io sono deciso. Mi vuoi sposare?» chiese, aprendo il cofanetto e porgendoglielo. All’interno c’era un anello con un grosso brillante incastonato. La sicaria non rispose, fissando il gioiello con occhi sgranati. Cloud, accanto a lei, stava facendo la stessa cosa.

“Oh. Mio. Dio.”

Tifa riuscì a smettere di spillare birra solo un momento prima che traboccasse e inondasse tutto il bar.

“Oh. Mio. Dio.”

«OH MIO DIO!!» strillò Catena, iniziando a sventolarsi con le mani e a piangere di felicità.

«Si!! Si!! Siiii!!!» urlò, gettandosi al collo di Jay e iniziando a coprirlo di baci.

Il resto degli avventori applaudirono, urlando le loro congratulazioni e bevendo alla salute della coppia. Cloud era rimasto di stucco.

«Mettimelo! Mettimelo! Mettimelo!» strillò Catena con voce sempre più acuta. Jay, con un sorriso a trentadue denti, obbedì.

«Amo quest’uomo!» gridò a squarciagola la ragazza.

«E io amo lei!» strillò Jay.

I due si abbandonarono ad un bacio appassionato. Cloud ne approfittò per defilarsi, mentre sentiva il volto diventargli incandescente. Jay lo riacchiappò per un braccio:

«Bro! Stai qui, bevi con noi! Sei stato tu che ci hai fatti conoscere, è come se fosse merito tuo!!»

«Ehm… grazie, ma devo aiutare Tifa…»

«Eddai, bro! Solo un bicchiere!»

“Lasciami. Andare.”

«Non posso proprio, ma grazie. Sono… contento per voi.» disse Cloud, riuscendo a svincolarsi e tornando a grandi passi dietro la sicurezza del bancone.

Quando passò accanto a Tifa, gli sembrò di sentirla mormorare:

«... ce l’ha fatta persino lui…»

Ma forse si era sbagliato.

 

***

 

Era passato qualche giorno dalla rocambolesca proposta di matrimonio di Jay; in palestra non si parlava d’altro, con grande rammarico di Cloud che aveva finalmente ricominciato ad allenarsi. Cercava di evitare Andrea: non se la sentiva di confidarsi ma sapeva che se lo avesse incontrato, avrebbe subito un interrogatorio. Ne aveva subiti già troppi quel mese.

Un pomeriggio, uscendo dalla palestra, una voce familiare lo salutò:

«Buon pomeriggio, Cloud!»

Si girò e si trovò di fronte Chadley, con i suoi capelli biondo platino e la sua voce impostata. 

«Chadley… non mi aspettavo di vederti qui.» disse. Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che aveva visto il giovane cyborg.

«Vedo che non abbandoni mai la tua… compostezza. Sono contento di vederti!» commentò Chadley, compiaciuto. 

«Sei sempre impegnato in ricerche?»

«Mi guadagno da vivere con delle ricerche, certo. È curioso, però, che proprio tu me lo chieda, dato che ho qualcosa per te.»

«Non ho intenzione di aiutarti ancora.» disse immediatamente Cloud, ripensando a tutti i combattimenti e le simulazioni che aveva dovuto affrontare per procurargli i suoi preziosi dati.

«Come sei prevenuto! Stavolta spero di poter essere io ad aiutare te! Guarda cosa ho inventato!!» esclamò Chadley, saltellando dalla gioia, estraendo dal suo zaino una materia. Il sole si rifletteva sulla superficie blu scuro.

«Calma… sembra solo un’altra materia.» rispose Cloud, confuso dal grande entusiasmo del cyborg.

«Nemmeno una nuova materia, mai esistita prima, ti smuove? Allora necessiti con urgenza di questa mia creazione. L’ho chiamata materia Emotiva.»

«Mai sentita prima.»

«Esattamente!! L’ho inventata io per te… tutti qui parlano di come tu sembri sempre accigliato e non sorridi mai. Questa potrà esserti d’aiuto per esprimere meglio le tue emozioni.»

“Tutti chi?” si domandò il ragazzo, irritato, ma anche con lieve preoccupazione.

«… non mi serve.» rispose sbrigativo.

«Ne sei davvero sicuro?» insistette Chadley, sorridendo incoraggiante. «Sono certo che le persone a te care sarebbero entusiaste se tu dessi loro… qualche indizio su come ti senti. Non c’è una persona speciale nella tua vita ora?»

«Come fai a…»

Guardò la materia che Chadley teneva in mano; i riflessi del sole sembravano ammiccare. “Possibile... che sia la soluzione a tutti i problemi?”

Una parte di lui voleva assolutamente indossarla e sistemare le cose. Un’altra parte diffidava di quella miracolosa, improvvisa scorciatoia piovuta dal cielo.

“Esprimere meglio le mie emozioni…”

“... io non posso fare continuamente i conti con i tuoi sentimenti e con le tue emozioni.”

“Non esiste un’altra in grado di sopportarti, quindi devi impegnarti… se non vuoi morire solo come un cane...!”

“Lei potrebbe avere chiunque… e non so come mai, ha scelto te!”

“Le hai dato un motivo per dubitare di te.”

“Devo… sempre immaginarmi di sentire quello che vorrei sentire, da te.”

“E finché non cambierai questa cosa… continuerà ad andare così.”

«D’accordo. La proverò.»

Chadley sorrise, raggiante.

«Perfetto!! Indossala subito, i benefici dovrebbero essere istantanei.»

Cloud afferrò la materia, non ancora del tutto convinto. Sembrava troppo facile, ma ignorò ogni preoccupazione e inserì la sfera nell’alloggiamento del bracciale. 

«Cloud? Come ti senti?» domandò trepidante il cyborg, tirando fuori un taccuino e una penna.

«Bene… grazie per questa materia Chadley! Scusa se sono stato sgarbato prima. Ho sempre ammirato la tua intelligenza sai? Avevo solo paura a dirlo, ecco tutto.» rispose tutto d’un fiato il ragazzo.

«… effetti a dir poco sorprendenti!! Ti rendi conto del mutamento nel tuo comportamento?» domandò Chadley, mentre scriveva freneticamente.

«In realtà non sento differenze... dici che è cambiato qualcosa? Sarà positivo? Sono preoccupato.»

«Da cosa? Le mie invenzioni hanno sempre il massimo grado di efficienza e sicurezza d’utilizzo.»

“Tipo i simulatori??” pensò Cloud.

«Saranno sempre le mie, queste… emozioni? Non saranno parte della materia?»

«Appartengono a te, genuine al cento per cento! La materia ti aiuta soltanto ad esternarle.» sentenziò Chadley, con un sorriso.

«Chissà che diranno Tifa e gli altri…» mormorò il ragazzo.

«Il grande Cloud Strife è in ansia? Sta’ tranquillo, ci saranno soltanto effetti benefici per te e per chi ti sta a cuore!»

«Non so cosa dire… ti ringrazio Chad. Di cuore.»

«Commovente sapere finalmente cosa ti passa per la testa. Non preoccuparti, mi sentivo ancora in debito per tutto l’aiuto che hai prestato alla mia causa e a quella della sfortunata Midgard. Ora torno al mio studio, cercami se hai bisogno di aiuto!»

«Grazie! Ci vedremo presto!»

 

***

 

“Comunque non mi sento per niente diverso.”

Cloud sospirò, mentre parcheggiava la moto all’indirizzo della consegna. Era una piccola villetta con un giardino. Prese il pacco e andò verso la porta.

“Cosa mi è venuto in mente? Come ho potuto pensare che una materia avrebbe risolto magicamente tutti i miei problemi?” si disse, mentre bussava.

Forse non avevano tutti i torti quando lo chiamavano “ragazzino” 

Una vecchietta aprì la porta, sorridendo. Istintivamente, Cloud ricambiò il sorriso.

«Chi è?» chiese la donna, aggiustandosi dei pesanti occhiali sul naso.

«Strife Delivery Service. Ecco la sua consegna, signora.» disse, porgendole il pacco.

«Che caro ragazzo… per favore, portalo dentro che non ce la faccio a sollevarlo. Grazie, giovanotto… ma vi scelgono tutti così alti e muscolosi?»

Cloud arrossì violentemente.

«Veramente non ci sono altri… o qualcuno che sceglie… lavoro per conto mio.» borbottò, mentre entrava nella casa.

«Ti ho messo in imbarazzo! I complimenti di una vecchietta come me fanno ancora effetto?» ridacchiò l’anziana.

Cloud fece finta di niente e posò il pacco sul tavolo del soggiorno.

«Posso offrirti qualcosa? Ho dei biscotti appena sfornati.»

«La ringrazio, ma… diciamo che… ehm, se non ha bisogno di altro dovrei finire il mio giro.»

«Oh, giusto. Vai pure giovanotto! Aspetta, ma cosa… aaah!!!»

Un grosso ratto era improvvisamente schizzato fuori da sotto un mobile, cercando disperatamente una via di fuga e zampettando da tutte le parti.

«Un ratto mannaro! Ci penso io!» gridò Cloud, parandosi davanti alla vecchietta.

«Oh! Ooh! Ammazzalo! AMMAZZALO!!» urlò lei, terrorizzata. Cloud afferrò una scopa e si mise ad inseguire il ratto, riuscendo ad assestargli il colpo di grazia dopo un paio di tentativi e una poltrona rovesciata. 

«Aahn… ahn… è andato. Mi dispiace per lo spavento.» disse il ragazzo, ansimando, mentre rimetteva a posto la poltrona.

«Scherzi, giovane?? Mi hai salvata! Ti ringrazio tanto.»

«Proveniva da sotto la sua casa ed era molto piccolo… potrebbe esserci un nido!»

«Oh povera me!! Che schifo! E ora a chi chiederò una mano?»

 

***

 

«Mi stai dicendo che hai fatto tardi per aiutare una vecchia?» ripeté Tifa, inarcando un sopracciglio.

«Si…?» rispose Cloud, insicuro.

«Prima hai rimosso un nido di ratti da sotto la sua casa…»

«Mi è dispiaciuto, poveri cuccioli…» mormorò lui.

«… poi visto che il pavimento era danneggiato lo hai sistemato…»

«… non potevo lasciarlo in quel modo!»

«… e poi, visto il disturbo, non le hai fatto pagare la consegna??» 

«Mi sembrava il minimo! Ma mi ha regalato dei biscotti, guarda che belli!» disse Cloud, mostrandole una scatola piena zeppa di biscotti a forma di chocobo. Meteor gli girava intorno come uno squalo, lanciando patetici pigolii e senza mai perdere di vista la scatola.

«…»

«… che c’è?»

«Hai accettato dei biscotti fatti in una casa piena di ratti mannari?» 

«... non ci ho pensato quando li ho presi. E comunque mi sembrava poco carino rifiutare.» ammise lui, dispiaciuto.

«... li do a Meteor?» propose, spostando un po’ il coperchio.

«Si… ma non tutti insieme!» esclamò lei, mentre il pulcino si lanciava di testa nella scatola appena aperta.

“E ha ancora il coraggio di dire che non lo vizia…” pensò Tifa, mentre Cloud scappava su per le scale con la scatola, inseguito da Meteor.

«Questo resta tra me e te, intesi?» disse a bassa voce il ragazzo, mentre svuotava la scatola nella ciotola accanto alla cuccia.

«Kueeeeh!» starnazzò il pulcino, al settimo cielo, iniziando a ingozzarsi rumorosamente. (madre, voi nutrite il mio corpo e il mio spirito! Ma codeste leccornie mi ricordano qualcosa.)

Lasciò Meteor impegnato con il suo spuntino e rivolse la sua attenzione verso una busta su cui era stampato il logo della lavanderia. Sospirò e tirò fuori il contenuto, esaminandolo sconsolato. Nemmeno un lavaggio professionale era riuscito a smacchiare la sua vecchia divisa da SOLDIER o far sparire l’odore rancido del sangue dei doppelganger. Per non parlare dei buchi e degli strappi che aveva rimediato nel nido, che la avevano ridotta a poco più di uno straccio inutilizzabile. La sua mente tornò a quando aveva avuto quella divisa, e a chi gliel’aveva data.

“... l’odore non sarà fantastico, ma dovremo accontentarci...”

“... ti sta bene.”

La appoggiò di nuovo sul letto, guardandola con tenerezza. Qualcosa bagnò la stoffa. Si toccò il viso e si rese conto che stava piangendo. In quel momento, Tifa si affacciò dalla porta semiaperta.

«Cloud… tutto bene…?»

Lui si voltò verso di lei, e lei sgranò gli occhi, portandosi una mano alla bocca.

«Cloud… cosa… che c’è?»

«La divisa… non è venuta bene.»

«La… divisa?»

«Si, guarda. È ancora tutta macchiata… e puzza! Ed è distrutta!»

Tifa per un attimo non seppe cosa rispondere, presa in contropiede. Cloud tirò su col naso, continuando a fissare la divisa.

«Mi dispiace…» mormorò alla fine, «... non ti piacciono i tuoi nuovi vestiti?»

«Si si, mi piacciono…» disse lui in fretta, guardando il completo nero che indossava, «... mi dispiace per la divisa. Era ancora quella… quella lì.»

Non riuscì a trattenere altre lacrime. Tifa si avvicinò: 

«Cloud… mi stai spaventando.»

«Cosa...?»

«Sicuro di stare bene? È successo qualcosa che non mi hai raccontato? Tanto per cambiare…» domandò lei, con una nota di ironia.

«No, non è...» rispose lui, ma si interruppe quando Tifa gli poggiò una mano sulla fronte.

«Mmmh… la febbre non ce l’hai, mi pare.»

Cloud avvampò: era il contatto fisico più prolungato che avevano avuto dall’abbraccio nella caverna.

«Te l’ho detto Tifa! Non c’è niente che non va!» disse improvvisamente, ritraendosi.

«Non è da te comportarti così! Da un momento all’altro…» replicò lei, sgomenta alla sua reazione.

«Cosa c’è? Non hai detto che dovrei esternare meglio le mie emozioni? Se me le tengo non va bene, se le mostro non va bene, si può sapere che vuoi da me??»

Tifa continuava a guardarlo con gli occhi sgranati, presa completamente in contropiede dalla piega che aveva preso il discorso. Cloud era ancora più sorpreso di lei.

“Ma che cosa mi prende? Ho… davvero detto queste cose?”

«Cloud, veramente io… ero solo preoccupata...»

«Ora che sto lavorando per piacerti di più, devo sentirmi dire che sei preoccupata? Che magari sto male??» proruppe lui, incapace di trattenersi. Senza aspettare una replica, la oltrepassò ed uscì dalla stanza.

«Ma Cloud… aspetta, dove vai?!»

 

***

 

Tifa salì circospetta le scale a chiocciola che portavano al tetto del bar. Cloud era lì, seduto di spalle, che guardava l’orizzonte. 

«Hey…» esordì cauta. Lui si girò: aveva gli occhi un po’ scavati e arrossati, ma la sua voce era tranquilla quando le rispose.

«Ciao.» 

«Che ci fai quassù?» domandò lei, un po’ più rincuorata.

«Non mi ero mai messo a guardare il tramonto da qui. Molto suggestivo. Molto bello.» le rispose, tornando ad osservare l’orizzonte. «Dà pace.»

Tifa esitò un attimo; se non avesse visto Meteor tranquillo, avrebbe pensato di avere di nuovo a che fare con i doppleganger. Alla fine disse.

«Posso sedermi vicino a te?»

“Come mai... mi chiede il permesso?” pensò lui, sorpreso.

«… si.» rispose. Tifa lo raggiunse e si sistemò accanto a lui.

«Meteor come sta?» chiese distrattamente il ragazzo.

«Dorme tranquillo. Dopo tutti quei biscotti...»

«Ehm… si. Ok.»

Scese il silenzio, rotto solo dai rumori della città, che in quel momento sembrava tanto lontana. Tifa alla fine disse:

«Cloud… scusami. È che mi hai sorpresa, prima. Non mi aspettavo un cambiamento così radicale da te, così all’improvviso.»

«Ma… è un cambiamento che ti piace, giusto? È quello che volevi?» chiese lui, preoccupato.

«Beh… si.»

«Non mi sembri convinta. Mi sento confuso… questo lo sto facendo per te.»

«Cloud, sono contenta che tu stia facendo uno sforzo per me. Davvero.» lo rassicurò lei.

«Però…?»

«Nessun “però”. Devo solo… abituarmi. È stato improvviso.»

“Devo abituarmi anche io.” pensò Cloud. Tifa gli si avvicinò.

«Posso…?» chiese, allungando un braccio.

«Si.»

Lei lo strinse in un abbraccio, mentre il sole inondava tutto di luce arancione.

«Dovremmo guardare il tramonto abbracciati più spesso.» commentò lui.

«Non ho nulla in contrario.» rispose lei, prendendogli la mano.

 

***

 

«TIFA!» gridò Barret, facendo irruzione nel bar.

«Cosa c’è?!? Che è successo?? E comunque, ciao!» rispose Tifa, preoccupata. Lui la ignorò e continuò, esclamando:

«Spiegami come mai il ciuffo biondo mi ha abbracciato!! Per un attimo ho creduto fosse un altro di quegli stronzi mutaforma e stavo per sparargli!»

«Esagerato che sei, Barrett… sembra che stia lavorando sulle sue emozioni.» disse lei distrattamente, riprendendo in mano il pacco di tovaglie che stava sistemando.

«E non ci sta qualcosa che non ti torna?? Lui non gestisce le emozioni! Lui le sotterra! Di solito sotto tonnellate di cadaveri di nemici!»

«Dai, non essere così prevenuto… mi sembra che qualsiasi cosa stia facendo, funzioni.»

«Oh si, certo… prima di punto in bianco diventa pappa e ciccia con quel pennuto, poi cos’altro? Tra poco scopriremo che aiuta le vecchiette senza chiedere nulla in cambio!»

«… curioso che tu nomini proprio questa cosa.» disse lei, iniziando a sistemare i tovaglioli.

«Stai scherzando?! È già successo??»

«Barrett, calmati ti prego…»

«Dobbiamo aiutarlo! Sarà l’ennesima macchinazione Shinra o qualcuno che vuole rammollirlo per poi sgozzarlo nel sonno! Tipo quel sergente maledetto… Hardman, o come si chiamava!»

«Dagli fiducia e basta, Barrett! Non ci ha delusi in passato.»

«Alla fine magari no, ma il casino che è successo in mezzo non va dimenticato! Lo terrò d’occhio, sono stufo di portarlo in spalla fuori dai guai.»

«Sigh… e va bene. Tornerai questa sera?»

«Ci puoi pure scommettere! Sarei tornato anche se non avessi avuto sospetti sul tuo ciuffo ribelle… abbiamo Cid con noi, te lo sei dimenticato?»

«Completamente! Grazie di avermelo ricordato!»

Barret sbuffò e lasciò Tifa al suo lavoro. 

“... e se avesse ragione?”

Scosse la testa e continuò a piazzare i tovaglioli. Meteor arrivò caracollando dalle scale, canticchiando.

«Kuee kuekuekue kueee kuee kueee kuekueeeh!» (*è la fanfara, non sta dicendo niente, pippe*)

«Meteor, che devo fare con il tuo padrone? E hai smesso di scoreggiare, spero. Stanotte le ho sentite persino dall’altra stanza!»

«Kueeh?» (cosa mai intendete dire, patrigna?)

«L’ho detto a Cloud di non darteli tutti insieme quei biscotti… ma mi dà retta? No! Poi di  punto in bianco comincia ad avere… delle emozioni! Lo becco a piangere, mi fa le scenate… dici che è normale?»

«Kueh.» (la mia genitrice è normalissima e amabile)

«Forse l’unica cosa poco normale è il fatto che ne stia parlando con te.»

«Kuee!» (ritengo poco lusinghiero che vi riferiate a me come bestia ottusa che non può sostenere conversazioni. Siete voi a non comprendermi.) starnazzò il pulcino, arrabbiato.

«Oh, scusa! Non ti offendere, biondino...» ridacchiò lei, «… un biondo suscettibile basta e avanza.» aggiunse, andando in cucina a prendergli uno spuntino. Optò per una sana carota, che lui osservò sospettoso prima di prenderla col becco e portarsela via.

“Cloud aveva ragione ieri… non posso ostacolarlo o farlo sentire male, se ha deciso di cambiare. Non penso sia facile.” pensò, guardando Meteor che saliva per le scale con comica difficoltà. 

“Ma su di lui ha torto marcio: da domani lo metto a dieta!”

Tornò alle faccende, dedicandosi alla pulizia del bar; gli sembrò di sentire il rombo della moto di Cloud, ma il rumore si spense quasi subito e non ci pensò più.

A una certa distanza dal Seventh Heaven, Cloud smontò dalla moto e la condusse a braccia, con fatica, fino all’ingresso sul retro.

Entrò circospetto, cercando di non fare il minimo rumore e sperando che Meteor non fosse nei paraggi. Sentì immediatamente il suo zampettare, seguito da una serie di piccoli tonfi sui gradini; uscì di nuovo, lasciando la porta aperta.

Il pulcino lo raggiunse sul retro e iniziò a fargli le feste:

«Kueeh! Kueeh!» (madre, il vostro aborrito mestiere vi tiene troppo tempo via dalla magione!! E la patrigna mi affama!)

Cloud lo zittì immediatamente, tappandogli il becco con una mano.

«Shhh! Dobbiamo fare una cosa!» sussurrò. Il pulcino sbarrò gli occhi e scattò sull’attenti.

Il ragazzo estrasse da una tasca un piccolo cofanetto di velluto: se lo rigirò per qualche momento tra le mani, incerto, poi lo consegnò a Meteor che lo prese delicatamente nel becco.

«A Tifa!» comandò. Il chocobo partì caracollando e si affrettò a tornare dentro.

“Dovrei smettere di dargli così tanto da mangiare… oddio, dovevo portarglielo di persona forse… e se poi non le piace l’idea? Ma che mi è venuto in mente, come mai mi do retta quando penso queste…”

Corse anche lui all’interno del bar, sperando di essere ancora in tempo, ma arrivò solo per vedere Meteor che dava due colpetti sulla gamba di Tifa.

«Kfeh?» (patrigna, vi reco un presente.)

«Che cos’hai lì? Cosa ti stai mangiando??» chiese Tifa, minacciosa. Prese immediatamente il cofanetto, sorpresa dall’arrendevolezza del pulcino; quando si rese conto di cosa aveva tra le mani, sbiancò.

“Ho avuto una pessima idea… tanto per cambiare!” pensò il ragazzo, assistendo atterrito mentre Tifa, che non si era ancora accorta di lui, apriva il cofanetto trattenendo il fiato.

All’interno, protetti da una imbottitura, c’erano un orecchino e un anello d’argento, entrambi con l’effige di Fenrir. Tifa li guardò e sorrise, rilassandosi.

“Oddio meno male, non mi vuole sposare… almeno spero!” 

“Oddio meno male, le piacciono… almeno spero!”

«Vieni fuori, seduttore dei miei stivali! O penserò che sia Meteor che vuole conquistarmi!» esclamò lei, guardandosi intorno. Finalmente lo vide.

«Ciao…» esordì lui, rialzandosi in piedi in fretta, mentre Meteor correva tutto contento da lui.

«Kueeh! Kueeh!» (vedete, madre, come sono diligente? Mi merito un encomio edibile!)

«Ciao. Cos’è tutta questa segretezza?»

«Nessuna segretezza… volevo farti una sorpresa.»

«Beh, ci sei riuscito. Pensavo fossi in giro… dove li hai presi questi?»

«Li ho fatti fare… conosco un posto. Ti-ti piacciono?»

«Sono bellissimi!!» esclamò Tifa, sfoggiando un sorriso abbagliante.

Lui ricambiò con uno altrettanto radioso, sorprendendola.

«Sono contento che ti piacciano! Quale preferisci?»

«Non saprei scegliere, sono davvero belli!»

«Per fortuna puoi metterli entrambi.» commentó lui.

Tifa ci pensò per un attimo, guardando il cofanetto senza smettere di sorridere. Poi prese l’orecchino e si avvicinò a Cloud.

«Perché questo non lo metti tu? Ti starebbe benissimo!»

«Oh… dici davvero? Sei sicura?»

«Si! Guarda!»

Gli tolse, facendo attenzione a non fargli male, il suo orecchino, per poi mettergli quello che le aveva regalato.

«Fatto!» disse, trionfante, facendo un passo indietro e ammirando il risultato.

Cloud si sfiorò l’orecchino, esitante, ma il sorriso di Tifa lo inondò di calore e di sicurezza.

La ragazza ammiccò, poi tirò fuori anche l’anello; lui la fermò gentilmente, prendendolo dalla sua mano e mettendoglielo all’anulare destro.

«Vedo che ti hanno informato bene…» sussurrò lei, ridendo.

Erano molto vicini, talmente tanto che Cloud potè vedersi riflesso negli occhi scarlatti di lei; questo finché lei non li socchiuse, avvicinandosi ancora di più.

Anche lui chiuse gli occhi e abbassò la testa per baciarla. Nel momento in cui le loro labbra si toccarono, Cloud sentì come una scarica scendergli lungo la spina dorsale, facendolo rabbrividire di piacere come mai prima di allora, mentre lo stomaco si contorceva come un animale in gabbia. Strinse a sé Tifa, come a voler eliminare anche il più piccolo spazio fra loro e continuò a baciarla, mentre affondava una mano nei suoi capelli e li accarezzava piano. La ragazza ricambiò sia la stretta sia il bacio con trasporto. Cloud avrebbe voluto che quel momento durasse in eterno, ma a malincuore dovette lasciarla andare. Rimasero qualche secondo fermi, ancora l’uno nelle braccia dell’altra, ansimando fronte contro fronte.

«... wow!» esalò Tifa.

«... si.» confermò Cloud.

Tifa si allontanò senza fretta da lui. Cloud notò che aveva le guance rosse e sembrava evitare il suo sguardo, imbarazzata.

«Ehm… devo finire di sistemare delle cose!» disse frastornata, tornando in cucina.

«Si, anche io devo… sistemare delle cose di sopra.» le fece eco lui, dirigendosi su per le scale.

«Grazie!! Mi piace tanto!!» gridò lei. Lui sorrise, guardando la materia che faceva bella mostra di sé nella sua polsiera.

 

***

 

«Tifa…»

«Dimmi.»

«Mi insegneresti come si fa il Cosmo Canyon?»

La ragazza alzò gli occhi dal vassoio che stava preparando e si girò verso di lui, decisamente sorpresa.

«Vuoi… imparare come si fa?» gli chiese.

«Si. Mi è sempre piaciuto guardarti mentre prepari i cocktail, ma non li saprei rifare.»

Tifa arrossì violentemente, prorompendo in una risatina acuta.

«Ehm… perché magari non inizi con qualcosa di intermedio, tipo prendere le ordinazioni?»

Stavolta fu Cloud ad arrossire.

«No… non ce la farei, mi vergogno troppo.»

Lei rimase spiazzata dalla sincerità della confessione.

«Ti vergogni? E di cosa?» gli chiese.

«... mi vergogno e basta. Parlare con sconosciuti, dovergli portare le cose…»

«Cloud, è uguale al tuo lavoro. Fai le consegne!» gli fece notare la ragazza.

Il ragazzo rimase interdetto, soppesando le parole di Tifa mentre lei usciva dal bar con il vassoio in equilibrio sulla mano.

La guardò servire i drink, ritirare i soldi e tornare indietro. Gli sguardi delle persone indugiarono troppo su di lei per i suoi gusti.

“Questa cosa deve finire!”

Appena tornò dietro il bancone, le disse:

«Se prendo gli ordini io, poi mi insegni a fare il Cosmo Canyon?»

Tifa per poco non perse la presa sul vassoio. Riuscì a balbettare un mezzo assenso, per poi guardarlo dotarsi di un blocchetto di fogli e una penna e uscire dal bancone.

«Dove vado per primo?» le chiese. Lei era ancora sotto shock.

«Tifa…?»

«Eh? Oh si… guarda, quel tavolo fa cenno…»

«Vado.»

Rimase impietrita a guardarlo farsi strada tra i tavoli fino alla persona che aveva alzato la mano. Non lo aveva mai visto ostentare il controllo di una situazione che non fosse un combattimento o una corsa in moto. O un combattimento durante una corsa in moto.

“Chi sei tu? Cosa hai fatto a Cloud?” pensò, in attesa dell’ordinazione. Lo sguardo le cadde sul suo nuovo anello.

“Non mi dispiace per niente.”  ammise a se stessa.

Si rimise a guardarlo, come ipnotizzata. Si scosse quando notò che molte altre, come lei, avevano lo sguardo puntato su Cloud. Si sentì bruciare di gelosia e si diede della stupida per averlo gettato come un’esca in un mare di donne.

“Dovevo pensarci prima! Ora non posso fermarlo, sembrerei ancora più stupida!”

Fulminò con lo sguardo tutte le presenti, una ad una, anche se quasi nessuna di loro se ne accorse. 

“Dov’è Meteor quando serve?” pensò furibonda.

Cloud nel frattempo era tornato al bancone e le aveva lasciato un foglio con l’ordinazione; alla fine c’era scritto:

“Poi mi insegni <3”

Si mise a preparare i drink con un grosso sorriso stampato in faccia, dimenticandosi di tutto il resto.

 

***

 

«Porca puttana, Tifa! Cosa cazzo ci metti nei Cosmo Canyon?» esclamò Cid, agitando il bicchiere.

«Cosa c’è, è troppo forte per te, Cid?» lo prese in giro Tifa, mentre shakerava un nuovo cocktail.

«Forte?? Questa è acqua per me! Intendo dire cosa hai fatto a Cloud!» ribatté il pilota, indicando il ragazzo alle sue spalle.

«Io niente, capo.»

«Smettila di chiamarmi capo, cazzo, mi fai sentire preso per il culo. Forse non hai usato i Cosmo… ci sono tanti modi in cui una donna può fare leva su un maschio, hehehe…» disse maliziosamente il pilota, prima di finire il drink.

«Non è assolutamente come pensi!! Sta facendo tutto da solo, e ne sono contenta. A proposito, come sta Shera?»

«Bene, grazie. Ieri siamo andati a-non cambiare discorso! Stiamo parlando di Cloud!!» berciò Cid.

«Cloud sta bene, sta provando a cambiare un po’.» rispose Tifa, con una nota di soddisfazione nelle voce.

«Stronzate secondo me. Cloud non è capace di un cambiamento simile! Nessuno ne sarebbe capace! Guardalo, ti sembra Cloud quello? Contento, a suo agio al centro dell’attenzione, con tutti gli occhi del maledetto locale su di lui? Quando due giorni fa si pisciava sotto alla sola prospettiva di andare ad una festa con qualche bambino?»

Tifa non rispose. Guardò Cloud, che era intento in una gara di freccette contro Barret, mentre l’intero locale faceva un tifo da stadio.

«Cloud!» 

«Cloud!!» 

«Barrett! Barrett!!»

«Cloud!!

«Forza ciuffetto, che ti succede? Troppi Cosmo? Ci vedi doppio?» lo prese in giro Barret.

«Non diceva a te, Meteor, stai buono! Parli troppo e tiri poche freccette… forza!» esclamò Cloud.

«Non vale! Tu sei famoso, hai anche un fan club! Io non ho così tanti sostenitori!»

«Invidioso?» fece il biondo, sorridendo sornione.

«Com’è andata quella festa, poi?» chiese Cid, ridacchiando.

«Come vuoi che sia andata… è stato in un angolo tutto il tempo, sono riusciti soltanto a rubargli una foto col festeggiato. Era un bambino davvero adorabile.» rispose Tifa.

«Quello è il Cloud che conosco. Questo invece chi cazzo è? Tifa, per me ha ragione Barrett. Qualcosa non va.»

«Invece per la prima volta le cose vanno bene! Riesce… ad esprimere quello che sente.» replicò Tifa, sulla difensiva.

«E non c’è qualcosa che non va in questo? Testona… la gente non cambia così radicalmente. Nemmeno per chi ama. È fottutamente impossibile!» disse esasperato Cid. 

«Eppure sta cambiando. Anche tu sei cambiato… mi sembra che fumi di meno.»

«A Shera da fastidio… comunque non puoi paragonare le due cose! A proposito… ricordami se si fuma qui dentro?»

Tifa lo fulminò con uno sguardo:

«Lo sai benissimo.»

«Rompipalle.» bofonchiò lui.

«… ah-haa! Centro! Il pubblico è in delirio!! Vediamo se riesci a raggiungermi!» gridò Barret, seguito da un’ondata di grida e fischi.

«Tiro fortunato… ti faccio vedere io!» ribattè Cloud, imbracciando una freccetta. Il dardo colpì un punteggio bassissimo.

«Uuuuh, c’eri vicino!» lo canzonò l’omone, pregustando la vittoria.

«Porc… forza, continuiamo!»

«Ne vuoi un altro?» chiese Tifa, sovrastando il frastuono degli avventori.

«Si, grazie… testona. Magari ci rifletti un altro po’ mentre lo prepari.» le rispose sarcastico il pilota.

«Dai, non capisco davvero cosa ci vediate di male. Ha aiutato una signora ieri. Disinteressatamente. Anche oggi durante la giornata mi sono arrivate solo voci positive… e poi, abbiamo guardato il tramonto abbracciati, ieri sera!»

«Oooh, che carini! Cosa avete, tredici anni?? Una bella scopata no? Sarebbe anche ora!»

«Cid!! Non ha tredici anni, ma è vero che a volte è come se fosse un tredicenne! Penso che…»

«VITTORIA! Oh oooh, e anche schiacciante! Che delus…» Barret si interruppe, notando preoccupato il cambiamento di espressione di Cloud.

«… hey, ciuffo?»

«Ma cosa…» fece Cid, sopreso.

«Cloud?? Tutto bene?»

«… ho perso…» sussurrò il ragazzo, senza rispondere.

«… Cloud?»

«HO PERSO! Merda!!!» gridò. Tutti i presenti ammutolirono, mentre lui sferrava un pugno al tavolo più vicino, spezzandolo a metà. Dopodiché si fece largo tra la folla e uscì dal bar, salendo dritto in camera sua. Udirono tutti lo schianto della porta che sbatteva.

«Porca puttana!! Anche questo fa parte del cambiamento positivo... testona??» 

 

***

 

Dopo l’epilogo della partita a freccette, il bar si svuotò molto rapidamente. Anche Cid e Barret salutarono Tifa, facendole promettere di tenerli informati su quella che avevano soprannominato “situazione bionda”. Una volta chiuso il locale, si avvicinò alle scale ed esclamò:

«Scendi!»

Non ottenne risposta.

«Cloud, vieni subito qui!» ripeté minacciosa.

Sentì la porta della sua stanza aprirsi e chiudersi; il ragazzo, seguito da Meteor, apparve nel corridoio e si affacciò; notò lo sguardo di Tifa e tentò di tornare indietro, sempre tallonato dal pulcino.

«Dove credi di andare?! Non farmi venire lì!»

Trascinando i piedi, scese le scale fino a trovarsi di fronte a lei. Tifa non si fece intenerire dal fatto che sembrasse già spaventato dalla ramanzina in arrivo. 

«Sono veramente arrabbiata con te!! Hai distrutto un tavolo, hai fatto una scenata assurda e per cosa?? Per aver perso a freccette?? Non ho parole Cloud!!» tuonò.

«Kueeeh!» (patrigna, non osate rivolgere epiteti ingiuriosi alla mia genitrice!) proruppe il pulcino, gonfiando le penne. Tifa lo guardò in cagnesco e continuò:

«Meteor, vedi di stare buono o dopo toccherà a te!»

«Kuiii…» (madre, buona fortuna per la tenzone, io mi ritiro) pigolò lui, risalendo di fretta le scale.

 «Cosa ti è preso? Le emozioni si esprimono in modo civile, non dando loro libero sfogo ogni volta! Pensavo lo sapessi!»

«… mi dispiace tanto.» disse Cloud, guardandola affranto.

«… cosa?» disse lei, completamente spiazzata da quella resa incondizionata.

«Mi dispiace. Non volevo, non so cosa mi abbia preso.» continuò lui, con un filo di voce.

“Non è normale… Cloud, come…?”

«Cloud… dici sul serio?»

«Sono serissimo. Domani sistemerò il tavolo… anche adesso, prima di andare a dormire, se vuoi.»

«Il tavolo non è importante! Io sto parlando della tua reazione eccessiva.» esclamò Tifa, sempre più spiazzata dalla situazione.

«Hai ragione. Continuo a pensarci e ancora non capisco perché ho fatto così. So che a nessuno piace perdere, tanto meno a me, tanto meno contro Barrett…»

«Cloud…»

«... cercherò di impegnarmi di più. Non è… facile. A volte è come se le emozioni fossero troppo forti.»

«Lo so. Sapere quando dominarle è complicato, soprattutto per chi ha appena iniziato a considerarle.» disse Tifa.

«Si. Però… sono contento di averti vicina.» le disse sorridente, prima di stringerla in un abbraccio. Tifa rimase impietrita per un momento, sempre più disorientata da come Cloud si stava comportando; poi ricambiò la stretta. 

“Diamogli tempo… gliene abbiamo già dato tanto, un altro po’ che male può fare.”

«Sono perdonato?» mormorò lui mentre le accarezzava la schiena.

«Mmmh… non sono sicura. Mi prometti che non farai più scenate del genere?»

«Promesso.» rispose lui immediatamente.

«Allora si. Ti tengo d’occhio, uomo emotivo.»

«Non mi dispiace per niente.» rispose lui, con un tono quasi malizioso che fece arrossire Tifa. Lei distolse lo sguardo.

«Comunque devi ancora insegnarmi a fare il Cosmo.» riprese lui, in tono più gentile.

Lei sorrise e tornò dietro al bancone, facendogli cenno di seguirla.

«Forza, al lavoro! Ti avverto, sono un’insegnante severa: sui cocktail non transigo!»

 

***

 

La mattina dopo, appena finì di fare colazione, Cloud annunciò:

«Vado a riparare il tavolo!»

«Oh, che uomo di casa.» lo prese in giro Tifa, scompigliandogli i capelli.

Cloud cercò scherzosamente di addentarle la mano, ma lei fu più veloce. Si mise a risistemare i tavoli, guardandolo mentre prendeva senza fatica entrambe le metà di quello che aveva fracassato e le portava sul retro.

“Lo starà facendo per me… o per lui? Si sarà accorto che avevo ragione ad arrabbiarmi?” si chiese, ridistribuendo i tovaglioli puliti. Aveva rimuginato molto sulle cose accadute negli ultimi giorni e, anche se era contenta che Cloud stesse finalmente cercando di cambiare, non si capacitava di quel mutamento così repentino, di punto in bianco.

Cominciò a sentire il rumore dei colpi di un martello provenire dal retro. Si diede della stupida per preoccuparsi così tanto di una cosa che stava aspettando da molto tempo. Stava diventando paranoica come Barret; continuò ad occuparsi del locale, accompagnata dal frastuono del lavoro di Cloud.

Mentre stava sistemando il bancone, i rumori cessarono all’improvviso. Decise di andare a vedere il lavoro ultimato, così si asciugò al volo le mani e raggiunse di soppiatto l’entrata posteriore.

Si affacciò dalla porta e guardò fuori: Cloud aveva smesso di lavorare, ma il tavolo non sembrava completamente aggiustato. Meteor stava correndo all’impazzata nel cortile, agitando le corte ali e starnazzando, mentre Cloud lo osservava con in mano il telefono.

“Ma che cosa…?”

Il pulcino finì un giro del cortile e si fermò davanti al ragazzo, ansimante e con la lingua di fuori.

«Trentanove secondi… è promettente. Ma quanto sei bravo? Sei bravissimo! Chi è il pulcino più bravo del mondo?? Sei tu!» disse Cloud, con voce sempre più bambinesca.

«Kueeeeh!» (oh madre, i vostri elogi sperticati mi rendono orgoglioso!) strillò il chocobo, saltellando e sbattendo le ali, felice. 

«Vieni qua, palletta di piume!»

Cloud lo prese in braccio per fargli le coccole, sotto lo sguardo divertito e un po’ invidioso di Tifa.

«Sarai il chocobo più veloce di sempre! Ma da oggi, dieta stretta!!»

«Kueeh?» (madre, cosa intendete dire?)

«Basta torta e biscotti.» spiegò lui.

Il pulcino spalancò il becco, guardandolo con espressione tremendamente afflitta.

«Dai, qualcosina ogni tanto… ma bisogna dimagrire! Guarda che ciccione che sei diventato!» disse il ragazzo, pizzicandogli la pancia.

Il chocobo agitò freneticamente le zampe, pigolando.

Tifa decise di uscire dal suo nascondiglio, prima di scoppiare a ridere:

«Questo tavolo, arriva?»

Due teste bionde si voltarono a guardarla, sorprese.

«Oh, si… è quasi pronto!» esclamò Cloud, mollando il pulcino e tornando subito ad armeggiare con pezzi di legno e martelli.

«Che stavate facendo?»

«Niente… lo cronometravo. Penso che potrei addestrarlo per le corse!»

«Che cosa??»

«Si! È uno sport fantastico per loro, gli fa bene correre.»

«Ma è piccolo!» obiettò Tifa.

«Ci sono le mini corse, per chocobo sotto l’anno di età.»

«Dimmi che è uno scherzo…» mormorò la ragazza.

«No no! È scritto nel libro che mi hai regalato tu!»

“Che bella idea ho avuto quella mattina.” pensò sarcastica Tifa.

«Dai, non pensavo…»

«E guarda quanto è diventato bravo… Meteor, non guardare!»

Il pulcino si girò, saltellando in trepidante attesa. Cloud sussurrò a Tifa:

«Quando ti do un segnale, chiedigli dove sono.»

Senza nemmeno aspettare una risposta, le corse accanto, dirigendosi su per le scale.

Qualche secondo dopo, il cellulare di lei vibrò.

“Io non ho parole…” pensò. Senza nemmeno prendere il cellulare, disse, con scarsissima enfasi:

«Meteor, dov’è Cloud?»

Il pulcino saltò su come se lo avesse punto un’ape e iniziò a annusare in giro, pigolando.

“Sembra un cane.” pensò la ragazza, che lo guardava basita.

Pian piano si avvicinò alla porta, per poi varcarla e correre su per le scale. Di lì a poco, un “kueeeeh” di trionfo sancì la fine del gioco.

Tifa si lasciò sfuggire un sorriso e scosse la testa. Cloud tornò giù, con il pulcino in braccio.

«Sono impressionata.» commentò lei. «Davvero. Il tavolo… arriva?»

«Certo!» esclamò il ragazzo, allungandosi per baciarla sulla guancia e rimettendosi al lavoro. Una Tifa decisamente perplessa tornò al bar, trovando Cid seduto ad uno dei tavoli e intento a preparare una sigaretta.

«E tu cosa fai qui?» gli chiese.

“Oggi è un giorno pieno di sorprese”

«Passavo di qui!» rispose il pilota, con un sorriso affettato.

Tifa aggrottò le sopracciglia.

«È un’idea tua o di Barret? E non ti azzardare ad accenderla!»

«Ehm… ok, Barret ha insistito che uno dei due andasse a controllare il biondo, perché dubita della tua capacità di giudizio.»

«Che intendi?» domandò lei con una punta di indignazione

«Che sei peggio del ciuffo, certe volte. E potresti non accorgerti della merda che non va finché non ti sommerge.»

«Sono perfettamente capace di…»

«Un altro paio di occhi, che non vedono tutto rosa, fanno comunque comodo.»

Tifa fece per ribattere, ma fu distratta da Cloud che era rientrato in tutta fretta con il tavolo in mano, di nuovo tutto intero, seguito da Meteor.

«Ciao Cid!» disse sbrigativo, mentre posava il mobile. 

«Ciao Cloud. Se questo è ancora il tuo nome...» rispose il pilota, guardandolo sospettoso. Tifa sospirò, esasperata. Il ragazzo non gli badò e corse di sopra, scendendo pochi istanti dopo con in mano un pacco.

«Ho da fare una consegna, sono quasi in ritardo! Devo andare.» annunciò.

«Vengo anche io! Ti accompagno.» disse subito Cid, prendendo le sue cose e attirandosi un’occhiataccia da parte di Tifa.

«Come vuoi! Arrivederci Tifa! Ci vediamo dopo.» disse. Attirò la ragazza a sé e la baciò con trasporto. A Cid cadde la sigaretta di bocca.

«Ciao Cloud…» rispose lei, frastornata, una volta separati. 

«E ciao Meteor!»

«Kuahh!» (madre, perché ogni dì mi infliggete codesto tormento?) si lamentò il pulcino, strofinandosi sulle gambe del ragazzo. Lui gli arruffò le penne sulla testa.

I due si avviarono, lasciando Tifa sola con i suoi sospetti. Nel momento in cui la porta del bar si chiuse dietro di loro, Cid esclamò:

«Da quando sei questo gran rubacuori!?» 

«Hahaha… il chocobo non è proprio il mio tipo.» rispose ironico Cloud.

«Anche spiritoso adesso? Mi riferivo a quel bacio… che non ti avevo mai visto dare a nessuno, cazzo!»

«È normale, dai… è la mia ragazza, le voglio bene. Comunque grazie per accompagnarmi nelle consegne, Cid. Come mai hai deciso di venire?»

«Almeno qua fuori posso fumare in pace. E tenerti d’occhio.»

«… perché dovresti? Chi te lo ha chiesto?» domandò sospettoso Cloud.

«Nessuno me lo ha chiesto, sto qui per cazzi miei.»

«Mh...» fece dubbioso il biondo.

Cloud salì sulla moto e accese il motore, che rispose rombando.

«Ah, vai in moto a fare le consegne?»

«Si, faccio prima. Dai sali, sono già in ritardo.»

«Io non la faccio la ragazza abbracciato a te!»

«Allora rimani qui. Anche se non capisco cosa c’è che non va.»

«Non voglio che mi vedano stringermi a te come una coppietta del cazzo mentre andiamo in moto insieme!»

Cloud iniziò a perdere la pazienza.

«Sei tu che hai insistito per venire! Io devo lavorare, hai dieci secondi per salire, se no ti lascio qui!» dichiarò, sgasando minacciosamente.

Cid urlò il suo disappunto, poi salì dietro di lui.

«Reggiti!» disse allegramente, sgasando di nuovo.

«A COSA??» gridò il pilota, guardandosi inutilmente intorno.

Il ragazzo partì a tutta velocità: le imprecazioni di Cid si persero nel rombo del motore, mentre sfrecciavano per le strade di Edge.

Arrivarono all’indirizzo del cliente e si fermarono, con un’ultima sgommata.

«Ora puoi anche lasciarmi.» disse Cloud, sogghignando, mentre spegneva il motore. Cid mollò la strettissima presa su di lui e lo colpì alla spalla con un pugno.

«Brutto stronzetto! Lo hai fatto apposta!»

«Di che parli?» chiese il ragazzo, fingendo innocenza e saltando giù dalla moto. Cid grugnì e si accese una sigaretta. Cloud prese il pacchetto e ricontrollò l’indirizzo, per poi bussare ad un portone di legno.

«Strife Delivery Service! La sua consegna!» esclamò, allegramente.

Cid sputò la sigaretta, ma stavolta riuscì a riacchiapparla a mezz’aria.

«Ma chi cazzo sei? Che hai fatto a Cloud?» borbottò, squadrando il ragazzo mentre si rivolgeva con gentilezza alla signora e le strappava persino una risata.

Intascò i suoi soldi e tornò alla moto, annunciando:

«Era l’unica consegna di oggi, ma devo passare a ritirare un altro pacchetto in centro. Vuoi sempre accompagnarmi?»

«Perché, volevi lasciarmi in questo buco di culo sudato?? Andiamo, ma vai più piano, cazzo.» rispose Cid, masticando la sigaretta dal nervosismo.

«Va bene, capo.» disse in tono accondiscendente il biondo. Cid non fu per niente convinto; lo guardò preoccupato accendere il motore e farlo rombare con soddisfazione.

«Non capisco come cazzo fai ad avere ancora la patente!» berciò il pilota, scendendo dalla moto con gambe tremanti dopo un altro tragitto a velocità preoccupante.

«Quale patente?»

Cid sbiancò.

«Merda. Questo spiega molte cose.»

«Scherzavo, dai.» disse divertito Cloud. «O forse no.» aggiunse brevemente, mentre si avviava verso una piccola casetta, che sembrava fuori posto in una via così frequentata.

«O forse ti ammazzo.» ringhiò tra i denti Cid. Stava iniziando a pentirsi di averlo accompagnato.

“Barret. È l’ultima volta che do retta alle tue fottute teorie del complotto!”

Cloud ritirò il pacchetto da un anziano signore, lodando la bellezza della sua casa; nel tornare alla moto una vecchietta lo urtò per sbaglio, facendogli cadere di mano il pacco. Cloud lo raccolse e si voltò verso la signora, furente.

«E SPOSTATI! Guarda dove vai!!!»

Lei rimase di sasso per un momento.

«… che modi sono, giovanotto?!» disse indignata, una volta ripresasi dallo spavento. Cid corse in fretta verso di loro.

«Cloud, calmati, porca puttana!»

«Ci stavo camminando io qui!» gridò il ragazzo, fuori di sé. Molti passanti li stavano guardando.

«Calmati, cazzo!» ripetè Cid, tirandolo per un braccio. Di colpo Cloud spalancò gli occhi, come se si fosse appena svegliato.

«… cosa ho fatto… oh cavolo… mi scusi, signora!» disse mortificato.

«Scusi un cavolo! Pazzo lunatico! Sparisci!» esclamò la signora, facendo un gestaccio con la mano e andandosene via. Anche tutto il capannello che si era formato ricominciò a circolare, evitando accuratamente il ragazzo.

Cloud, la osservò allontanarsi, atterrito, mentre Cid lo guardava preoccupato.

«Cloud, mi stai facendo preoccupare. Che cos… stai PIANGENDO?» esclamò scioccato, appena vide le lacrime sgorgare dagli occhi dell’amico.

«… sniff… povera signora…»

«No no no, porca puttana! Qui ci sta qualcosa che non va!!»

“Tu guarda se alla fine Barret aveva ragione! Chi lo sente poi?”

«Perché faccio così?!?» si chiese Cloud, allarmato.

«Perché cazzo ne so, ecco perché! Se non sputi il rospo non posso aiutarti!» sbottò il pilota, con voce esasperata.

«Questa cosa mi sta sfuggendo di mano…» mormorò Cloud, mentre si asciugava in fretta le lacrime con il dorso della mano.

«Si, idiota! Aspetta… cosa cazzo hai combinato!?» esclamò Cid.

«Forse dovrei… però ho paura!»

«Dovresti cosa? Paura di cosa??» lo incalzò il pilota.

«Paura che Tifa non… che-che lei non…» balbettò il biondo, mentre fissava il vuoto.

«Lo sapevo! Cosa ti ha chiesto di fare?»

Cloud sembrò ancora una volta ritornare in sé all’improvviso.

«Niente. Posso farcela.» disse sbrigativo. Cid perse la pazienza.

«Sai che ti dico, testone? Qualsiasi cazzo di cosa sia, ce la farai da solo! Vaffanculo a te e ai tuoi segreti!»

«… vaffanculo tu!» gridò Cloud. Cid rimase allibito.

 «Non mi serve aiuto, imparerò da solo!» affermò con rabbia il ragazzo, dirigendosi a grandi falcate verso la moto. La accese e tirò il pacco per terra.

«… ma che cazz-hey! Le consegne!! Dove stai andando??» gridò il pilota, inseguendolo.

«Fanculo anche le consegne!! Fanculo tutto! Fanculo il Black Ice!» rispose lui, sgommando via.

Cid lo guardò impotente, mentre spariva dalla sua vista. Imprecò e tirò fuori il suo telefono.

«... agente uno, cosa hai scoperto?»

«Vai al diavolo Barret! Avevi ragione, sbrigati a venirmi a prendere, cazzo. Mi ha lasciato a piedi.»

«In che senso? Dove sei?»

«È una storia lunga…» rispose Cid, raccogliendo il pacchetto.

 

***

 

«Forza signorine!! Forza! No pain, no gain… Cloud! Chi si rivede… qui per una sessioncina?»

«Si Jules, ho davvero bisogno di sfogarmi. Non ne posso più!»

«Ok… oh cavolo!! Sembri proprio sconvolto…» 

«Già. Da qualche giorno mi sento veramente strano.»

«Mmh… questa è come se fosse casa tua! Se hai bisogno di me, chiamami pure.»

«Grazie! A dopo!»

Jules lo seguì con lo sguardo mentre caricava all’impossibile un bilanciere; si spostò più lontano per non essere visto e tirò fuori il cellulare, scorrendo furiosamente la rubrica.

«… Pronto?»

«Andrea? Fratello, devi venire subito alla palestra!»

«Che è successo?»

«Emergenza. Devi sbrigarti!»

«Devo ricordarti che abbiamo un codice per le emergenze! Te lo sei dimenticato?»

«No, è solo che non abbiamo un codice per QUESTA emergenza.»

«... hai la mia attenzione.»

«C’è Cloud… ha detto di aver bisogno di sfogarsi. Aveva gli occhi lucidi!»

«Sul serio?? Non era per il vento?»

«Non c’è vento adesso… e non finisce qui: ha ammesso di sentirsi strano!»

«Arrivo subito.»

 

***

 

Barret riuscì a trovare Cid dopo un lungo peregrinare tra le strade di Edge e lo caricò sul suo furgone.

«Ti avrei trovato prima se fossi rimasto fermo dov’eri!» si lamentò, mentre il pilota saliva a bordo.

«Rimanici tu seduto nello stesso posto per ore!»

«Ma non dire cretinate, ci ho messo un attimo!!»

«Vabbè, basta con le cazzate, andiamo al sodo.»

«Giusto! Lo avevo detto che il ciuffo biondo ha qualcosa che non va!» esclamò trionfante l’omone.

«Si, cazzo! Avevi ragione! Sei contento adesso? La patria sarà salva!» berciò esasperato Cid.

«Qualche infame scampato ai disastri che ha causato vorrà vendetta, ci scommetto.» disse Barret, senza ascoltarlo.

«Vendetta?? Ma sei scemo o cosa?» gridò esasperato Cid.

«Il prode Cloud Strife che striscia nel fango, troppo rammollito per difendersi. Quanti vorrebbero vedere una scena simile? Non dimenticarti quell’infame poliziotto!»

«Quanta fantasia! Compresi voi due, forse due persone si ricordano chi è Cloud. Non se lo ricordava nemmeno lui!» ribatté il pilota.

«Ma che cosa dici, Cid! Cloud adesso è esposto! Ha anche un fan club che segue i suoi spostamenti! Forse è colpa di qualche mela marcia lì dentro, ora che ci rifletto…»

«Si, oppure qualcuno si è intrufolato nel club per spiarlo…» disse Cid, caricando ogni sillaba di sarcasmo.

«Hai ragione!! Sarà andata così!!»

«Ma andata così, cosa?? Mi ascolti quando parlo? Non sappiamo nemmeno cosa stia succedendo!!»

«Dovevi scoprirlo tu, cosa succede! Che ti ha detto?»

Cid sbuffò e si accese l’ennesima sigaretta con mani tremanti dal nervosismo.

«Ha detto qualcosa su Tifa e su una situazione che gli stava sfuggendo di mano.» raccontò.

Barret sgranò gli occhi.

«Una situazione… con Tifa?»

«Secondo me si. Tra lui e Tifa direi… se ti ricordi non sono usciti in buonissimi rapporti dalla nostra ultima missione.»

Barret annuì, pensieroso.

«Ero sicuro che ciuffo avrebbe tentato di risolvere...ma non ho più saputo niente, è come sparito nelle ultime due settimane. Avevo provato a chiamarlo per spingerlo a sistemare urgentemente le cose! La comprensione di Tifa non è infinita, e lui ne sta abusando per fare l’eroe tenebroso che non dice mai una parola.» disse l’omone.

«Stamattina le ha ficcato la lingua in gola sotto i miei occhi!! Non mi è sembrato che ci fosse qualcosa che non andava, anche se giorni fa quando gli ho telefonato, invece sembrava nella merda. Gli ho detto le stesse cose che gli hai detto tu in pratica!»

«Sei un pessimo investigatore.»

«È pessimo il bersaglio! Oggi l’ho accompagnato a fare le consegne e faceva tutto il giulivo del cazzo.»

«Giulivo… lui?»  ripeté Barret, sbigottito.

«Te lo posso giurare, maledizione. Poi invece di botto ci è mancato poco che ammazzasse una vecchia per strada, perché gli era inciampata addosso, come se fosse un criminale.»

« È esattamente uguale a quello che è successo quando ha perso a freccette… e infatti non ce lo vedo nemmeno stavolta a comportarsi così, non è da lui.» dichiarò Barret.

«Capisci quindi che ci sta qualcosa che non va? Ma lascia perdere i tuoi complotti del cazzo, qua c’entrano solo lui e Tifa.»

«Ma se hai detto che stamattina si sbaciucchiavano in pubblico?»

«E non ti sembra che rientri tra le cose strane??»

«... hai ragione. Dobbiamo andare.» decretò L’omone, sterzando bruscamente.

«Ma dove…? Dove stai andando, testone??»

«Nel primo posto dove il ciuffo va, quando sta male.»

«Ah… allora lo vedi che quando ti impegni sei capace pure tu?»

«Vaffanculo.»

Lasciarono la città e dopo qualche chilometro di sterrato le rovine della chiesa apparvero sulla loro strada. Parcheggiarono, anche se l’assenza di motociclette non li faceva sperare in bene.

«Secondo me non è qui.»

«Forse l’ha parcheggiata dentro.»

«Forse sei scemo.»

Scesero comunque e ispezionarono l’edificio, trovandolo vuoto.

«Te l’avevo detto.»

«Non rompere i coglioni! Pensiamo a dove cazzo può essere.»

«Da Tifa?»

«No, aveva paura di Tifa… paura che lei facesse qualcosa. Per me sta da un’altra parte.»

«Cosa potrebbe mai fargli Tifa? Si vedrebbe anche dallo spazio quanto lei lo adori. Non gli farebbe mai nulla di male, anche se se lo meritasse.» affermò Barret.

«E se avessi torto? Se la faccenda dei doppelganger avesse seriamente incrinato qualcosa?» domandò Cid, mentre si metteva in bocca una sigaretta.

«Comunque, non torna con loro due che si baciano. Magari si è incrinata, ma hanno anche fatto pace.»

«Nessuno fa pace così velocemente dopo una sberla come quella! Tantomeno Cloud, che si comporta come una cazzo di mummia! E infatti, quando l’ho chiamato, ha detto che aveva provato subito a chiarire con Tifa, e non ci era riuscito! Passare da quello al limone duro in così poco tempo non è da lui!» decretò il pilota.

«... non lo so, forse stiamo esagerando.» ammise Barret.

«Tu hai iniziato questa cosa, e ora fai lo scettico?? Dai retta a me, Cloud ha tipo assunto qualche droga o ha pippato troppo etere.»

«È la cosa più stupida che io abbia mai sentito!»

«Dobbiamo cercarlo e fargli sputare il rospo.»

«E dove??»

«Zitto e andiamo!»

 

***

 

Andrea entrò in palestra trafelato, dopo aver percorso praticamente di corsa il tragitto dall’Honeybee Inn fino a lì. Jules gli indicò con un cenno Cloud, che era in un angolo a fare trazioni con due enormi pesi attaccati alle gambe.

Si ricompose, per non far capire che era preoccupato, e si diresse verso di lui.

«Ciao Cloud!» salutò, sfoggiando il suo miglior sorriso, che aveva fatto capitolare ben più di una persona.

«Andrea… ciao! Quanto tempo, come stai?» rispose il ragazzo, sorridendo a sua volta.

L’entertainer rimase sorpreso dalla calorosa accoglienza, rischiando di dimenticare il motivo per cui era lì, ma si affrettò a dissimulare.

«… be-bene. Si, direi che sto bene. Tu invece come stai? Sono… sorpreso. Di solito le centellini, le tue parole.»

«Sento che sto cambiando il mio modo di fare, non è fantastico?! Mi sento benissimo! Anche Tifa ne è contenta.» disse entusiasta il ragazzo, aumentando il ritmo delle trazioni. Andrea rimase per un attimo incantato davanti al guizzare dei muscoli sudati, ma cercò di darsi un contegno.

“Concentrati, datti una regolata! Non hai più vent’anni. Ma non è nemmeno tempo per le caldane dell’andropausa.”

«Sei... davvero contento?» insistette.

«Certo che lo sono! Tifa mi ha quasi perdonato.» replicò Cloud.

“Perdonato di cosa?? Maledetto sexy biondino, cosa mi nascondi??” pensò Andrea, aggrottando le sopracciglia.

«Ne sono felice, anche se non mi hai ancora raccontato cosa è successo. C’entra forse quella volta che hai cercato di farmi fallire bevendoti tre quarti della cantina dell’Honeybee?»

Cloud lasciò la presa e atterrò, rabbuiandosi di colpo; strinse i pugni talmente forte che le braccia iniziarono a tremare.

«Quello… è stato un momento orribile…» mormorò a denti stretti. Andrea rimase esterrefatto da quello sbalzo di umore così repentino. Si convinse che c’era qualcosa di strano e che suo fratello avesse fatto bene a chiamarlo. Tirò fuori tutto il garbo che aveva e gli chiese:

«Ti… andrebbe di raccontarmelo? Ma solo se vuoi, niente interrogatori.»

«Mi riempie di tristezza e di rabbia ricordarmi cosa è successo, vorrei solo dimenticare!!» sbottò il ragazzo.

«Allora lasciamo stare…» disse in fretta l’entertainer con un sorriso tirato.

«Ora voglio solo cercare di sistemare tutto e di non perderla!!» continuò Cloud, a voce sempre più alta.

«Tranquillo. Davvero, è tutto a posto, mi sembra che tu stia andando alla grande!» disse Andrea, celando sotto un tono allegro una preoccupazione che aumentava.

«Lo pensi davvero?» chiese il ragazzo, ravvivandosi di colpo.

«Si! Sei più… si insomma… molto più diretto. È positivo!» mentì l’entertainer, facendo appello a tutte le sue doti istrioniche.

Cloud si distese e gli sorrise di nuovo, soddisfatto.

“Smettila! Non ho portato abbastanza ormoni stamattina!”

«Molto bene allora. Ti va se mi esercito qui con te?» domandò, bloccandosi dal fare una proposta ben più ardita all’ultimo momento.  

«Ma certo amico mio!» rispose allegro Cloud.

“Ah, questa ha fatto male. Spero non sia la fine della mia carriera.”

I due iniziarono ad alternarsi tra sbarra e panca piana, senza scambiarsi altre parole. Andrea lo guardava di sottecchi e non riusciva a capacitarsi del cambiamento radicale nel suo atteggiamento; non sembrava più Cloud. Riusciva a farlo sentire a disagio, quando invece fino a quel momento era stato il ragazzo ad essere sempre comicamente a disagio in sua presenza. Comicamente, e in modo involontariamente attraente.

Ora invece sembrava passare dall’essere esuberante e allegro alla depressione più nera nel giro di un paio di secondi; di sicuro non era una cosa sana. Decise di indagare un po’ di più, per scoprire le motivazioni di quella trasformazione.

«Sai, certe volte cambiare non è la soluzione...» esordì, scegliendo ancora più accuratamente del solito le parole «... e anche quando invece lo è, non è facile.»

«… me ne sto accorgendo. È complicato e spesso mi sento molto confuso.» ammise Cloud, sbuffando.

«Non avevi mai manifestato la voglia di cambiare prima d’ora. E te lo ripeto, secondo me stavi andando alla grande così com’eri.» confessò l’entertainer.

«Ma non avevi detto che è positivo essere più diretti?» domandò il ragazzo, con lo sguardo che tornava a incupirsi pericolosamente.

«Si! Si!» si affrettò a dire Andrea, preoccupato. «Intendevo solo che a me piacevi anche prima! Ma se decidi di cambiare, va benissimo!»

Cloud non rispose.

«Perché lo hai deciso tu, giusto?» insistette l’entertainer, pregando di non toccare un nervo troppo scoperto.

«Si… ho deciso io. Non ne potevo più… e avevo paura.» disse Cloud. La sua voce aveva iniziato a tremare. 

Andrea decise di rischiare con una domanda più diretta:

«… di cosa? Se posso chiederlo.»

«Paura di essere abbandonato! Di rimanere solo!» esclamò Cloud, incapace di trattenersi oltre. «Paura che Tifa e tutti i miei amici non mi vogliano più, ora che il pianeta è al sicuro e non servo più a niente!!»

Andrea rimase di stucco davanti a quel torrente di parole che lo stava investendo.

«Adesso non ci sono più la Shinra, o Meteor, o Sephiroth! Non serve più che io combatta, ma era la cosa che sapevo fare meglio! L’unica cosa che so fare davvero… non sono un fattorino! Lo faccio, ma non è quello che vorrei, credo!»

«Credevo che ne avessimo già parlato… forse hai ancora bisogno di tempo per abituarti alla tua nuova vita. Sii paziente, e tutto si sistemerà!» disse Andrea, provando a confortarlo. 

«Si stava sistemando! Ma tutta la pazienza e tutti gli sforzi del mondo non sono bastati!! Una sola cosa… un solo errore che ho fatto è bastato per far tornare tutto indietro!» ribatté il ragazzo, sconsolato.

«Agli errori si può porre rimedio.»

«Non a questo… è qualcosa che torna sempre a tormentarmi e vanifica tutti i miei sforzi. Ma non più, adesso che ho trovato un sistema tutto si aggiusterà di nuovo e nessuno dei miei errori importerà più!»

«Un… sistema? Gli errori vanno affrontati e messi alle spalle, non nascosti sotto il tappeto.» 

«Facile per te dire così!! Cosa ne sai? Sai che significa vivere con la costante sensazione di essere inadeguato?»

«…»

«Sai che significa essere guardato storto, oppure non essere guardato affatto?? Mi vedono come uno scherzo della natura oppure come uno incapace di stare al mondo!» 

«Cloud…»

«Tutti mi danno addosso per come sono, persino Tifa! Al minimo problema tutti si sono dimenticati di quello che ho fatto, di tutti i miei sforzi! Tutto buttato solo perché chi sono veramente non piace a nessuno!»

«Cloud!» esclamò Andrea, riuscendo a zittirlo per un attimo.

«Cosa c’è??» rispose il ragazzo, alzando lo sguardo. L’entertainer trasalì alla vista delle lacrime di frustrazione che solcavano il volto del biondo.

«Intanto, per favore, non urlare. Sono venuto qui perché Jules era convinto che avessi qualcosa che non va e mi hai dato prova che è vero.»

«Non ho… niente che non va!» ribatté Cloud.

«Non credo proprio.» replicò Andrea, porgendogli un fazzoletto. Il ragazzo sbuffò, ma lo prese e si asciugò il volto. 

«E adesso ripensa a cosa mi hai detto. Ripensa… a “chi” hai detto quelle cose. Pensi davvero che io non possa capire come ti senti?» 

«… ma… tu sei così famoso, tutti vogliono stare con te… ti invidio da morire, puoi fare come vuoi! Come faresti a capirmi?» esclamò Cloud, alzando nuovamente la voce.

«Pensi che essere come sono sia sempre stato facile? Pensi che tutti, fin dall’inizio, abbiano fatto la fila per stare con Andrea Rhodea?»

Il ragazzo abbassò lo sguardo, improvvisamente colpito da quelle parole.

«Pensi che tutti quelli intorno a me abbiano accettato da subito chi sono? I miei obiettivi, i miei modi di comportarmi? Non sono cose che si ottengono facilmente.» continuò Andrea.

«… sul serio?» chiese Cloud, con un filo di voce.

«Certo che si! Domanda anche a Jules, se non mi credi. Ho pensato spesso di “cambiare”, come dici tu. Ma la nostra vera essenza è l’unica cosa che ognuno di noi dovrebbe considerare bella e non voler mai cambiare! Il tempo potrebbe modificarla, certo, anche gli eventi che ci succedono lasciano un segno, ma molto in profondità quello che ci contraddistingue rimane tale e quale, e dovremmo rispettarlo.»

«Giusto, fratello!»

«Grazie, Jules. E, per quanto possa stare ore a parlare di me, torniamo a te. Le persone che hai intorno ti vogliono bene, sanno chi sei e come sei fatto. Hai conquistato Tifa, dopotutto, essendo sempre e solo te stesso. Hai degli amici, e anche loro sono amici di Cloud, non di un’altra persona che gli somiglia, o ti stanno intorno aspettando che tu cambi come vogliono loro.»

«Ma… con Tifa… quello che è successo…»

«Sono sicuro che Tifa non voglia altri che te. Se è successo qualcosa che l’ha fatta alterare, come sospetto, la soluzione non è diventare un’altra persona.»

«Eppure… mi sembra l’unico modo…» mormorò Cloud, con tono cupo.

«Anche io vorrei che tu fossi più loquace e più estroverso… ma questa persona che ho davanti a me non è Cloud, più loquace ed estroverso. È soltanto una innaturale caricatura di Cloud.»

Il ragazzo iniziò ad ansimare, guardandosi intorno come se si aspettasse un colpo da un assalitore invisibile.

«Cloud, calmati. Questa cosa che ti divora… sono sicuro che ci sono tanti modi di affrontarla. Ma se vuoi una mano devi spiegarmi cosa ti succede.» disse Andrea, cercando di mantenere un tono conciliante e rassicurante.

«Già, cazzo! Magari ci spiegherà!!» ribadì una voce ben nota.

Cid e Barret erano entrati di corsa in palestra e avevano continuato a correre nella sua direzione, una volta individuato, facendo girare parecchie teste.

«E voi chi siete?» domandò educatamente Jules, avvicinandosi.

«Cid! Barrett!? Che ci fate qui?» esclamò Cloud, sorpreso.

«Sono ore che ti cerchiamo! Mi hai mollato in mezzo alla strada!» sbraitò Cid, agitando minacciosamente il pacchetto che ancora teneva in mano. 

«Cid ha ragione, cercavamo te, ciuffo biondo! Te e i problemi che hai, secondo Cid.»

«Ma taci, vecchia suocera! Anche tu lo pensavi! Per questo mi hai mandato a spiarlo!!» berciò il pilota.

«Zitto! Così rovini tutto!»

«Ma che cazzo devo rovinare! Ora dobbiamo solo farlo parlare.»

Andrea si schiarì rumorosamente la voce, interrompendoli.

«Scusate, permettetemi di presentarmi. Sono Andrea Rhodea, un amico di Cloud.»

«Aspetta… io ti conosco, hai fatto a gara di ginnastica con Tifa, una volta!» disse Barret.

«Si, mi pregio di essere in ottima condizione atletica, ma non è questo il punto…»

«Cosa…? Amico di Cloud?» esclamò esterrefatto Cid.

«Si. La cosa vi stupisce?»

«Il ciuffo non è mai stato il ragazzo più popolare della scuola. Mi suona sospetto.» rispose Barret, alzando minaccioso il cannone. Cloud si affrettò ad intervenire:

«Fermo! È vero, è mio amico!»

«Mica puoi sparare a qualsiasi cosa! Cazzo, sembri un terrorista così. Ah, aspetta…»

«Vaffanculo, Cid.» ringhiò Barret, mentre abbassava l’arma.

Andrea, per nulla turbato, riprese la parola: 

«Qualcosa mi dice che il motivo per cui siete qui è collegato alla tua scenata di poco fa, Cloud.»

«Un’altra?» esclamò Cid, esasperato, «... finché non sputi il rospo non ci muoviamo da qui, porca puttana!»

«BASTA!! Fatemi parlare!!! Sono stanco… questa è il problema.» gridò Cloud, al limite della sopportazione, alzando il braccio per mostrare la polsiera. Indicò la materia al centro e Cid e Barret ammutolirono, guardandola senza capire.

«Una comune materia blu?» chiese l’energumeno.

«Quella non è blu, è indaco. L’ho notata appena sei entrato qui in effetti.» si intromise Jules. Andrea annuì. 

«Ok, chi se ne frega di che cazzo di colore è!» sbottò Cid.

«Quella è il problema?? Levatela e basta!» lo incalzò Barret.

Cloud sembrò nuovamente agitato.

«Voi… non capite! Non è così facile come sembra!»

«Veramente non capisco nemmeno cosa significhi. A cosa serve quella materia?» chiese Andrea. Barret insistette:

«È quella che ti fa fare le scenate?»

«Si… dovrebbe farmi esprimere le emozioni. Mi vergogno da morire…» disse Cloud, senza il coraggio di guardare in faccia i suoi amici.

«Una materia può fare questo?» chiese Jules.

«È nuova… me l’ha data Chadley per aiutarmi.»

«Mi pare che non funzioni molto bene! Hai distrutto un tavolo perché ti ho battuto ad uno stupido gioco!» gridò Barret.

«Prima eri tutto felice, poi di punto in bianco hai aggredito una vecchietta perché ti aveva urtato per sbaglio! Mi hai lasciato in giro senza motivo e hai buttato il pacco del tuo cliente, solo perché ti ho mandato al quel paese! Lo faccio sempre!» rincarò Cid.

Jules si coprì la bocca con la mano, spalancando gli occhi.

«Tranquillo, non l’ha aggredita davvero, l’ho fermato prima. Poi si è scusato con le lacrime agli occhi, ma giustamente ci ha rimediato un bel vaffa dalla nonnetta.» aggiunse il pilota.

«Si ma... sono anche riuscito a rendere felice Tifa!! Era quello che volevo!» protestò Cloud.

«Aspetta… quindi lei non sa di questa cosa!?» domandò Andrea.

«No…» confessò il ragazzo, abbassando la testa.

«Ti sembra carino mentirle a questo modo?!»

«Devi sistemare le cose, non peggiorarle!!» esclamò Barret, scuotendo la testa.

«Non è così… io voglio solo farla felice…» cercò di difendersi Cloud, che ormai aveva le lacrime agli occhi.

«Si ma a lungo andare ti scoprirà, non puoi tenere addosso quella boccia di vetro per sempre! Senza contare che ti sta trasformando in un cazzo di lunatico!» replicò Cid.

«Cosa speri di ottenere mentendo spudoratamente?» insistette Barret..

«Cloud dacci retta… toglila.»

Il ragazzo, incapace di ribattere, scosse energicamente la testa. Negli occhi spalancati aveva autentico terrore.

«Cosa ti impedisce di toglierla?» gli chiese Jules.

«Ha paura… e lo capisco. Ma Cloud, non è il modo giusto di cambiare. Vedi cosa stai causando? Siamo tutti preoccupati per te.» gli fece eco Andrea.

«Cosa pensi che direbbe Tifa se lo sapesse?»

«Lei… vuole che io cambi…»

«Ma sicuramente non così! Devi toglierla e se decidi di cambiare, devi farlo per conto tuo, non con qualche diavoleria.»

«Ma se non cambio lei mi lascerà!!»

«Tifa? Ti ha detto che vuole lasciarti?» esclamò Andrea.

Cloud alzò un dito, ma la voce gli morì in gola, realizzando che in effetti non aveva mai sentito Tifa dargli un ultimatum.

«Ecco, appunto! Togliti quell’aggeggio infernale, smettila di fare cazzate e torna a casa dalla tua ragazza!»

Forse per il significato di quelle parole, o per l’aggressività con cui Cid le aveva sputate fuori, Cloud si convinse e mise mano al bracciale. Si udì un lievissimo scatto, appena percettibile nel frastuono della palestra. Tese verso i suoi amici la materia che aveva in mano.

Cid si affrettò ad afferrarla prima che il biondo cambiasse idea.

 

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Capitolo 12
*** On The Way To An Apocalypse-Parte 2 ***


On The Way To An Apocalypse
Parte 2

 


La porta del Seventh Heaven si aprì e Cloud entrò nel locale. Tifa era dietro al bancone, intenta a preparare un cocktail con varie bottiglie. Alzò lo sguardo e gli rivolse un sorriso smagliante. 

«Ciao Cloud!»

«Hey… come stai? Come mai sei qua? Non è il giorno di chiusura?» le domandò lui, perplesso.

«Si certo, mi stavo giusto preparando qualcosa. Mi fai compagnia?»

«Certo.»

La raggiunse e fece il giro dietro al bancone, appoggiandosi vicino a lei. Colse l’occasione per rifilarle una sculacciata.

«Hey!» ridacchiò lei. «Ho le mani occupate, non posso ribattere!»

«Peggio per te.» rispose lui, dandogliene un’altra.

«Guarda che te lo preparo virgin.» lo minacciò lei. Lui inorridì.

«Che fine ha fatto Meteor?»

«Non te l’ho detto? È l’ingrediente segreto del mio nuovo cocktail, il “Biondo Tonic”.» disse maliziosamente lei.

Lui la guardò male, stringendo gli occhi.

«Come sei permaloso. Meteor sta già riposando. Ha giocato tutto il pomeriggio con Marlene.»

«Con Marlene?!?» esclamò Cloud, sorpreso.

«Si. Barret ha avuto un impegno improvviso e l’ha lasciata qui da me per il pomeriggio.»

«Ah, ma dai…» disse lui, facendo del suo meglio per sembrare sorpreso.

«E lo hai lasciato fare? Intendo Meteor!» si affrettò a dire «Poteva farle male!!»

«Ho controllato, non preoccuparti! Erano adorabili!» rispose lei, sorridendo.

«… pensavo di piacergli solo io… pennuto ingrato…» borbottò Cloud sottovoce.

«Che borbotti? Geloso di Marlene?» chiese Tifa, porgendogli il bicchiere con il drink.

«Chi, io? No… no no. Per niente.» rispose il ragazzo, in tono poco convincente, prendendo il drink e bevendo un lungo sorso.

«Buono… come si chiama?»

«Si chiama davvero Biondo Tonic. Ma non c’è nessun pulcino dentro.»

Lui la fissò, cercando di capire se lo stesse ancora prendendo in giro. Nel dubbio bevve ancora, perdendosi nei suoi occhi vermigli.

«Sai… sono lusingata dello sforzo che stai facendo per me.» gli disse Tifa, dopo aver bevuto. Cloud rischiò di sputare il suo drink, strappandole una risatina.

«... davvero?» riuscì a chiedere, con un filo di voce.

«Si… mi rendo conto che deve essere difficile per te. Ci penso da tutto il giorno. Sei da ammirare.»

Cloud si sentì avvampare, sia per il complimento che per il senso di colpa. Tirò fuori un sorriso nervoso e si scolò il cocktail. 

«Cloud? Tutto bene?» gli domandò lei.

«Si.» mentì lui. Il suo sguardo indugiò sulle curve di lei, mentre ripensava all’ultima volta che avevano dormito insieme. L’emozione suscitata da quel ricordo prese il sopravvento, annientando qualsiasi altra cosa: le prese il bicchiere dalla mano e, prima che potesse protestare, la baciò, con tutto l’ardore di cui fu capace.

Lei rispose, come se non stesse aspettando altro da giorni. L’entusiasmo della sua reazione lo rese ancora più intrepido: cominciò a spingere le sue mani sotto la maglietta di lei, sentendo con soddisfazione un brivido estendersi sulla sua pelle.

«Sai a cosa penso io, da tutto il giorno??» le chiese, maliziosamente, mentre la sollevava, mettendola a sedere sopra il bancone.

«Oooh, Cloud…» sospirò lei, allargando le gambe e cingendolo.

«Pensi forse a… questo?» domandò con voce suadente, mentre giocherellava con la cerniera del maglione di lui.

«… si!» 

«Anche io ci ho pensato… ahi! Dai, prima andiamo di sopra…»

 

***

 

Il giorno dopo

«Ma sei proprio sicuro che ci sia bisogno di andare a controllare?»

«Si! Se Tifa se l’è presa, forse siamo ancora in tempo per salvarlo.»

«Conoscendolo, non le avrà detto niente.»

«Lei potrebbe esserci arrivata comunque. O potrebbe avergli estorto la verità… quella banderuola bionda non è mai riuscita a dirle di no. Pensaci.»

«Ma a che cazzo devo pensare! Voglio solo tornarmene a casa dalla mia nuova nave.»

«... e da Shera.»

«Vaffanculo Barret!»

L’omone stava per ribattere quando si bloccò di colpo in mezzo alla strada; Cid rischiò di finirgli addosso.

«Aspetta… quello non è quel moccioso robot ex-Shinra sforna materie?» esclamò, indicando un punto alle spalle dell’amico.

«Intendi... Chadley?» domandò dubbioso quest’ultimo.

«Si! Che ci fa da queste parti…»

I due si guardarono per un momento, poi si lanciarono all’inseguimento del cyborg.

«Hey tu!!» gridò Barret.

Chadley si voltò, sorpreso, ma felice di vederli. Appena fu più vicino esclamò:

«Cid! Barrett!! Sono lieto di avervi incontrati! C’è una questione della massima importanza che necessita un intervento immediato!»

«Calmati un attimo, cervellone.» 

«Si, diamine, sei ancora più pallido del solito!» commentò Cid, chiedendosi come facesse un robot ad impallidire.

«Ho donato una materia a Cloud, giorni fa…»

«Si, lo sappiamo, ma arrivi tardi per la festa! Gliel’abbiamo fatta togliere ieri pomeriggio.» lo interruppe Barret.

«Davvero?!» esclamò il cyborg, tirando un sospiro di sollievo.

«Si. A proposito, cosa cazzo ti è saltato in mente quando gliel’hai data??»

«Le mie intenzioni erano nobili! Volevo essergli d’aiuto, ma non avevo calcolato fino in fondo le possibili interazioni tra la sfera emotiva e quella sentimentale, oltre ad un possibile potenziamento auto-indotto sul modello di materie simili…» si giustificò Chadley.

«Parla come mangi, pivellino! Non ci stiamo capendo niente!» disse Barret, spazientito.

«Io di solito non mangio. Comunque, se Cloud continuasse a portarla, la materia emotiva continuerebbe a potenziare le sue emozioni e potrebbe arrivare ad avere effetti disastrosi!»

«Ci siamo arrivati vicino, potevi farti un altro sonno. La prossima volta fai i tuoi maledetti esperimenti prima di regalare bombe innescate!» fu il commento dell’omone.

«Prometto solennemente che starò più attento la prossima volta. Mi da un grande sollievo sapere che Cloud l’abbia tolta. Chi di voi ha la materia? La rivorrei per estrarre dati preziosi.» disse Chadley, con lo sguardo che andava dall’uno all’altro.

«Dagliela, Cid.»

«Io? Ma che dici, ce l’hai tu!»

«Non l’ha data a te?»

«Pensavo l’avesse data a te!»

I due uomini si guardarono, realizzando troppo tardi cosa fosse successo.

«Quando se l’è ripresa?? Maledetto ladruncolo!!»

«Se la sarà pure rimessa, vero?»

 

***

 

Tifa si svegliò a mattina inoltrata, solo perché i raggi del sole che filtravano dalla finestra le illuminavano il volto. 

“Ho fatto proprio un bel sogno… movimentato, ma molto bello…”

Cloud, che dormiva di fianco a lei, nel sonno si girò e la strinse in un abbraccio. Si accorse che erano entrambi nudi.

“Oh, non era un sogno…”

Ricambiò dolcemente la stretta, abbandonandosi al calore del contatto sulla sua pelle. Notò che il ragazzo aveva ancora addosso il bracciale con le materie.

“Ma che tonto… non me n’ero nemmeno accorta, ieri sera.”

Ridacchiò in silenzio, pensando a tutte le cose successe nella notte. Non aveva mai provato sensazioni così intense e non riusciva a credere a quanto fosse cambiato il ragazzo che la stava teneramente abbracciando.

Non riuscendo a resistere, sollevò una mano per accarezzare il viso di Cloud, anche se sapeva che l’avrebbe certamente svegliato: aveva sempre avuto il sonno leggero. Il ragazzo non si svegliò, spostando solo leggermente il braccio.

“Uh? Non pensavo di averti sfiancato tanto…”

Decise di approfittarne, iniziando a tormentargli uno dei ciuffi biondi, ridendo a voce bassa. Sembrava tutto perfetto in quel momento, anche la smorfia imbronciata che Cloud mise su, senza svegliarsi.

“Ma quanto sei carino!! Non ho cuore di svegliarti… andrò a mangiare qualcosa!” pensò la ragazza, alzandosi con cautela dal letto e raccattando i suoi vestiti. Trovò solo la biancheria intima e si chiese dove fosse il resto: uscendo dalla stanza trovò i suoi pantaloni che pendevano dal corrimano delle scale.

“Ah… dovremmo essere più discreti… tra poco non saremo più soli.” si disse, infilandoseli. Riuscì a finire di rivestirsi solo quando raccolse da terra la sua maglietta, in fondo alle scale. Mentre preparava la colazione fu raggiunta da Meteor, che si strofinò sulle sue gambe e pigolò tutto contento.

«Kueeeeeh kueeeh!» (oh, patrigna, come siete radiosa quest’oggi!)

«Ci siamo tutti svegliati felici oggi, eh?» gli sorrise lei, allungandogli un biscotto. Il pulcino lo prese e andò a mangiarselo con calma altrove.

 

***

 

«Necessitiamo affrettarci! Temo un esito negativo per questa situazione!»

«Come fa a usare parole così difficili tutto il tempo?» borbottò Cid.

«Rilassati, robottino! Al massimo si starà facendo un altro pianto.» disse Barret.

«Non comprendete la gravità della…»

Chadley si interruppe bruscamente, guardandosi intorno; erano ormai molto vicini al Seventh Heaven, e le persone iniziavano a comportarsi in modo strano.

«Non vi sembra che ci sia... un eccesso di coppie intente ad amoreggiare?»

«Tutti… a limonare… stronzetti…» commentò acido Cid. Si voltò verso Barret per chiedergli che ne pensasse, ma il modo in cui l’amico lo stava guardando lo fece ammutolire. 

«Barret, che cazzo c’è?»

«Cid, io… non avevo mai notato quanto tu sia… belliss-ma cosa sto dicendo?!» esclamò Barret, orripilato.

«Cosa??» gridò il pilota, sputando per sbaglio la sigaretta. Si chinò a raccoglierla e vide due persone abbracciate dall’altra parte della strada. Quando si rialzò, guardò l’energumeno che aveva di fianco con occhi diversi.

«Barrett, i tuoi bei muscoli mi fann-ehh?? No… no… ma cosa…!!» gridò, con espressione a metà tra il terrore e lo schifato.

«Kiiiiiih! Kih kiih!» (Dove fuggite, femmina! Bramo congiungermi carnalmente con voi e crescere i nostri figli insieme!!)

Una gallina sfrecciò accanto a loro, rincorsa da Meteor che la fissava con gli occhi spalancati e il becco semi-aperto.

«Quello non è il chocobo di Cloud?? Perché rincorre quella… gallina?» domandò Barret, riacquistando il controllo. Cid confermò:

«È lui… e sembra ingrifato.» 

«Oh cielo! Parrebbe esattamente l’effetto della mia materia emotiva, ma… non dovrebbe estendersi ad entità terze…» dichiarò Chadley, preoccupato, ma incuriosito da quello scenario.

Una coppia di mezza età si avvicinò a loro, guardandoli con fare lascivo:

«Ciao ragazzoni… vi va di giocare un po’?» chiese l’uomo. Cid e Barret sbiancarono, anche se per un attimo la proposta sembrò davvero allettante. Anche Chadley sembrava soffrire nel mantenere la lucidità.

«Devo… proteggerci… ma come?» disse, la mente offuscata che lavorava freneticamente nella ricerca di una soluzione.

«Prendimi una pall-ehm… una materia immunizzante…» suggerì Barret.

«Giusto! Una materia immunizzante dovrebbe schermare da qualsiasi alterazione di stato, anche la più bizzarra!» dichiarò il cyborg, tirando fuori dal suo zaino tre materie azzurre.

«Oh si! Datemela tutt-cazzo! Datemene una!» gridò Cid. Appena i tre riuscirono a mettersi le materie, sentirono un grande sollievo e furono di nuovo padroni delle loro menti. Intorno a loro, la strada si stava tramutando nel set di un film a luci rosse.

«Mente sgombra finalmente! Non riuscivo più a ragionare… era come se sentissi sensazioni aliene al mio corpo! È stato interessante.» disse Chadley, rivolto a nessuno in particolare.

«Barrett, porca puttana! Mi trovi bello??»

«Taci! Tu ti stavi ingrifando con i miei muscoli… che dovrei dire?»

«Era soltanto l’effetto della materia. L’unica spiegazione che riesco a concepire è che Cloud l’abbia collegata ad una materia estensiva… questo provocherebbe emozioni simili a quelle del portatore in un raggio considerevole intor…» ipotizzò Chadley, ignorando l’alterco tra i due.

«Mi stai dicendo che in questo momento tutti si stanno ingrifando perché anche Cloud è arrapato??» domandò incredulo Cid. Barret trasalì.

«Quindi… lui e Tifa adesso stanno…»

«Si, probabilmente stanno avendo un coito.» concluse Chadley, mentre si aggiustava gli occhiali.

«Non voglio irrompere in una stanza mentre due miei amici scopano!» gridò Cid.

«Non possiedo abbastanza materie per proteggere tutti, dobbiamo far cessare l’effetto!»

«… altrimenti tra nove mesi avremo molti mocciosi sulla coscienza!» aggiunse Barret, allarmato.

«O peggio! Molto peggio… speriamo che Cloud non si spaventi!» disse Chadley.

«Che intendi?» gli chiese Barret.

«Adesso ogni sua emozione è amplificata a dismisura. Se qualcosa gli causerà terrore, potrebbe letteralmente causargli un infarto, o ucciderlo direttamente!»

Gli altri due trasalirono.

«Sbrigatevi cazzo!» gridò Cid, cercando di ignorare le effusioni sempre più spinte che la gente si stava scambiando. Ripresero ad avanzare verso il Seventh Heaven.

«Odierei interrompere la loro prima volta…» confessò Cid.

«Soprattutto per Tifa! Da quanto lo stava aspettando?» concordò Barret. «Gli serviva per forza una materia per sbloccarsi? Tipico di Cloud!»

«Mi sorprende che sappiate così tanti dettagli sulle loro vite private.»

«In realtà supponiamo e basta, ma il biondo è come un libro aperto quando si tratta di Tifa.»

«Il ciuffo biondo ha veramente esagerato stavolta! Come gli è venuto in mente di espandere quella trappola?» berciò furibondo Barret. 

«Chi se ne frega, dobbiamo muoverci!» dichiarò Cid.

I tre, ormai lanciati in corsa, quasi non si accorsero di Tifa, che si affrettava nella direzione opposta.

«… oh ragazzi! Che ci fate qui? Dove correte?»

I tre trasalirono.

«Tifa?!?» chiese Barret, incredulo. 

«Cosa…»

«Non… sei con Cloud?»

«No… l’ho lasciato che dormiva ancora… cercavo Meteor! Lo avete visto?» chiese, confusa. Cid e Barret notarono che aveva i capelli in disordine e sembrava molto trasandata.

«Avete dormito insieme??» osò chiederle Barret.

«Ma che domanda è?» mormorò lei, arrossendo. 

«Per me è un sì.» ridacchiò Cid. Chadley aggrottò la fronte e domandò:

«Ma se tu sei qui… chi o cosa sta generando eccitazione sessuale in Cloud?»

«Che stai dicendo??» rispose lei, ad alta voce, diventando ancora più paonazza.

«… ho una mezza idea di cosa stia succedendo nella stanza di Cloud adesso, se volete vi faccio un cazzo di disegnino!» disse esasperato Cid. Barret prese Tifa per un braccio e disse:

«Non c’è tempo di spiegare, prendi una boccetta immunizzante e seguici!»

«Ma ne ho già una, la porto sempre…» disse lei, perplessa, mostrando il bracciale.

«Anche meglio, andiamo!»

«Hey, come mai quelli stanno… OH MIO DIO cosa stanno facendo?!?» esclamò la ragazza, guardando un gruppo di persone con espressione orripilata.

«Sbrighiamoci!» disse Chadley.

«Ma… Meteor? Devo…» ribatté Tifa, ancora scioccata.

«Non c’è tempo di pensare all’uccello!» disse Barret, tirandola via.

«Dillo a tutti questi altri…»  commentò Cid.

«Ti sembra il momento per del becero umorismo?»

«Questa mi pare proprio… l’aporcalisse! Cani e gatti che si accoppiano per strada!» continuò il pilota. Barret gli sferrò un diretto ai reni che per poco non lo fece capitombolare sull’asfalto. Cid incassò ridacchiando e mormorando un “forse me lo meritavo”.

«Mentre andiamo mi spieghereste cosa succede?!» gridò Tifa, fuori di sé dalla confusione.

«Il cervellone ha dato a Cloud una specie di materia-bomba emotiva che lo ha ridotto uno straccio!» riassunse Barret.

«Mi sembra una spiegazione estremamente riduttiva.» si indignò Chadley.

«E allora perché non parli tu, inventore dei miei coglioni??» ribatté Cid in tono di sfida.

«Che turpiloquio... volevo aiutare Cloud ad esternare al meglio le sue emozioni, così ho creato una materia apposita. Ma non ho calcolato alcune interazioni tra la sfera emotiva e quella sentimentale, oltre ad un possibile potenziamento auto-indotto sul modello di materie simili…»

«Sono le stesse cose che hai detto a noi!! E ancora non capisco un cazzo!» urlò il pilota, paonazzo di rabbia. 

«Che cosa hai FATTO?? Come hai fatto a non considerare la sovrapposizione emotivo-sentimentale e la connessione al lifestream?!? Senza contare che proviamo emozioni continuamente, quindi la materia avrà assorbito gran parte della sua forza lasciandolo esausto!» strillò Tifa, terrorizzata, mettendosi le mani nei capelli.

«Non mi dire che hai capito!» sussurrò Barret.

«Certo che ho capito! E non posso credere che Cloud abbia… le cose che ha detto… le cose che abbiamo fatto… era tutto falso!! Non posso credere che mi abbia preso in giro in questo modo!!» esclamò la ragazza, sentendo montare la rabbia. Chadley tentò di rabbonirla:

«Le emozioni che ha provato in questi giorni erano autentiche ed erano le sue. Le ha solo… mostrate.»

«Si, ma…»

«Poche balle! Ci incazzeremo a dovere con lui quando lo avremo salvato!» tagliò corto Cid. Erano ormai davanti al Seventh Heaven, ma indugiarono davanti alla porta, incerti sul da farsi..

«Ok, eccoci! Come agiamo?» chiese Tifa.

«Entriamo, lo immobilizziamo e gliela leviamo con la forza!» disse Barret, deciso.

«No! Non possiamo rischiare! Una emozione troppo violenta ormai potrebbe ucciderlo… e distruggerebbe dati inestimabili!» intervenne Chadley.

«I tuoi dati non sono la priorità in questo momento!» ribatté Tifa, stizzita.

«D’accordo, cazzo! Entriamo di soppiatto quindi…» propose Cid.

«Per vederlo morire di paura quando apriamo la porta della sua stanza?? No!» rispose Barret. Chadley si intromise:

«Tifa, dovresti andare tu ed agire con tutta la naturalezza che puoi.»

«… io?»

«Si. sei l’unica che non desterebbe sospetti.»

«Ragazzi…» li richiamò Cid. «Guardate, hanno tutti smesso di baciarsi…»

Gli altri si guardarono intorno.

«Sembrano agitati! L’umore di Cloud è cambiato!»

«Perché stiamo sussurrando?»

«Dannazione, ci avrà sentiti! Sbrigati Tifa!» bisbigliò Barret.

«Vado!»

Tifa salì le scale, cercando di non andare troppo di corsa. Arrivò davanti alla porta della sua stanza e bussò leggermente con le nocche.

«Cloooud! Posso entrare?» disse con il tono più tranquillo e conciliante che riuscì ad usare, sebbene avesse il forte desiderio di dargli una strigliata coi fiocchi. Dall’interno non rispose nessuno, anche se si sentiva il rumore di passi affrettati.

Dopo qualche secondo Tifa sentì anche il suono della finestra che si apriva e si chiudeva, cigolando. Spalancò la porta.

«Cloud…? Ma cosa…»

Lo intravide per un attimo attraverso il vetro mentre si buttava nel cortile sul retro. Rimase allibita per qualche momento, poi il rombo del motore di Fenrir la scosse. Corse di nuovo verso l’esterno, sempre più confusa e arrabbiata.

«… ragazzi! Si è buttato dal balcone sul retro!» urlò, rivolta ai compagni. Tutti la guardarono intimoriti: la furia che emanava era quasi palpabile.

«Oh, merda!»

«Dobbiamo seguirlo!»

«Ma con discrezione! Avremo più fortuna nel bloccarlo se potremo evitargli emozioni forti!» affermò Chadley.

«Discrezione?? Tu hai mai inseguito un ex-SOLDIER, cervellone?» gridò Barret, scuotendo la testa.

«Vado a prendere il furgone!» dichiarò Tifa.

«Ma se non sappiamo nemmeno dove può essere andato!» le fece notare Barret.

“Se è andato di nuovo alla chiesa, lo uccido.” pensò Tifa, sbuffando. In quel momento Meteor li raggiunse, trafelato. Saltellava senza sosta e starnazzava agitatissimo.

«Kueeeh! Kueeh! Kueeeeh!» (patrigna! temo che in un momento di debolezza io possa aver importunato una femmina! Inoltre, mi sento inspiegabilmente inquieto! Devo anche urinare!)

«Meteor… tranquillo, stai buono!» disse Tifa, tentando di calmarlo.

«Deve essere ancora sotto l’effetto dell’umore di Cloud!» constatò Chadley, guardando il pulcino con scientifico interesse. Tirò fuori il taccuino e scrisse un paio di annotazioni.

«Kueeh! Kueeeeeh!!» (per quale motivo non mi placo?! Ciò non fa che aumentare il mio disagio! Qualcuno mi cibi e mi coccoli come fa la mia genitrice!)

«Cid, prova ad accarezzarlo!» suggerì Barret.

«Ci tengo alle mie dita, cazzo! Toccalo tu!» ribatté il pilota, memore del suo primo incontro con il pulcino. Barret sbuffò, mentre Meteor correva a fare pipì su un angolo dell’edificio.

«Aspettate… Chad, hai un’altra materia immunizzante?» domandò Tifa.

«Si… ma cosa ci vuoi fare?»

«Dammela e vedrai!»

Chadley obbedì e Tifa mise la sfera in uno degli alloggiamenti dei guanti, poi si sfilò il bracciale dove aveva lasciato solo l’altra materia immunizzante. Si avvicinò al pulcino di soppiatto, poi lo prese in braccio.

«Perfetto… ora piano… su, su! Brutto antipatico… non avere paura… fatto!!» disse soddisfatta, dopo aver messo il bracciale al collo di Meteor.

«Kueh… keeeh…» (patrigna! come osate! la mia genitrice vi farà pentire di cotanto ardire!)

Tifa ignorò le sue lamentele e lo posò di nuovo a terra. Barret si grattò la testa con la mano, confuso.

«Ma siamo tutti impazziti? Perché l’hai messa al chocobo??» chiese.

«Perché Meteor sa fare un gioco… Meteor?»

«Kueeh!?» (perché mi importunate ancora??)

«… dov’è Cloud?»

 

***

 

«Piano Meteor!!» gridò Tifa, mentre il pulcino spariva dietro all’ennesimo angolo.

«Come fa… con quelle gambette… del cazzo… a correre così??» ansimò Barret, che tentava di tenere il passo con il resto del gruppo.

«Perché non abbiamo preso il furgone??» si lamentò.

«Quanto rompi! Non avremmo potuto usare il C.P.S. dal furgone!» esclamò Cid.

«Il cosa??»

«Il Chocobo Positioning System!» esclamò il pilota, fiero.

Barret decise di risparmiare il fiato per l’interminabile corsa e non rispose. Stavano seguendo Meteor ormai da svariati minuti, correndo all’impazzata verso la periferia di Edge senza la minima conferma di star andando nella direzione giusta, tranne il fiuto di un pulcino. 

«Appena ritroviamo Cloud… gli faccio... ingoiare… la spada…» ansimò Barret.

«Perché non c’è nessuno per strada?» domandò Tifa.

«Se Cloud è in ansia come temo, sono probabilmente tutti barricati dentro casa, impauriti dalla loro stessa ombra.» rispose Chadley.

«Chad… la prossima volta che hai un’idea per una merdosa materia nuova… pensaci due volte… e poi fai qualcos’altro!!» gridò Cid. Meteor rallentò l’andatura, annusando l’aria e iniziando a saltellare e a pigolare.

«Kueee! Kueeh!» (sento la dolce fragranza della mia genitrice sempre più predominante, tra gli effluvi mefitici di codesto luogo!)

«Finalmente hai rallentato, maledetto uccellaccio… ma… dove siamo?» esalò Barret, portandosi la mano al costato. Il gruppo arrivò davanti ad un grosso cancello in ferro, scrostato e arrugginito, fissato a due grosse cataste di ferraglia e macerie che fungevano da rozze colonne. Fenrir era parcheggiata accanto ad uno dei cumuli.

«Sembra… la discarica.» disse Tifa.

«Brava, da cosa l’hai capito?» chiese sarcastico Cid, mettendosi fuori portata di calcio.

«Da sempre l’ultimo rifugio degli emotivi… la discarica.» commentò Chadley, annuendo.

Delle urla agghiaccianti, provenienti dall’interno della discarica, li fecero sobbalzare.

«… ma che diamine… quanti emotivi ci saranno lì dentro??» fece il pilota, impensierito.

«Avete sentito anche voi, sembrav-oh mio dio, ma cosa…?»  esclamò Tifa, venendo interrotta da un’altra serie di urla. Meteor saltò su come se lo avesse punto un insetto e si mise a scalare le colonne di rifiuti, starnazzando.

«Kueeeeh!» (madre! accorro da voi immantinenti!)

«Meteor, aspetta!!» gridò Tifa, cercando di aprire il cancello.

«Rincorriamo un uccello da due ore, per salvare Cloud dalle sue emozioni…» commentò Cid, mettendosi a spingere insieme alla ragazza.

«Non pensavo che avrei mai sentito una frase del genere!» ammise Barret, mentre si univa a loro. In un trionfo di cigolii e stridii di metallo, la pesante porta si mosse abbastanza da permettergli di entrare.

«Non dobbiamo farci individuare!» bisbigliò Chadley.

«Facile per te, mi stanno scoppiando i polmoni! Poi questo coso è completamente arrugginito!» ribatté Barret, che ansimava pesantemente. Meteor li attendeva dall’altra parte, saltellando sul posto con impazienza.

«Kuiiiih!!» (orsù! Ho un gioco da vincere, cosa fate lì impalati!)

Lo seguirono attraverso un dedalo di stretti camminamenti tra pile di rifiuti di ogni genere, mentre le urla assordanti continuavano a rimbombare ovunque. Tifa riuscì a riacchiapparlo e a zittirlo, sorda alle sue proteste. Dopo pochissimo scorsero Cloud: era disarmato, completamente circondato da grossi ratti mannari. Erano loro a strillare in quel modo raccapricciante.

«Ecco Cloud… ma cosa cazzo sta facendo?» esclamò Cid, cercando di farsi sentire al di sopra del frastuono. Gli altri non risposero, troppo occupati a guardare quella scena con espressione allibita.

«Dobbiamo aiutarlo! È circondato!» gridò Chadley.

«No! Aspetta… quei ratti mannari non lo stanno attaccando. Nemmeno lui li sta attaccando… ma perché urlano??» esclamò Tifa, sempre più perplessa e preoccupata.

I ratti e Cloud ripetevano ciclicamente sempre le stesse movenze: loro sembravano in procinto di attaccarlo, poi lui si riparava con le braccia e urlava, poi i ratti ripetevano goffamente lo stesso gesto e urlavano a loro volta, per poi ricominciare.  

«Ritengo siano ondate consecutive di rabbia e paura… sono bloccati in un loop emotivo per colpa della sinergia con la materia estensiva! È una cosa incredibile!!» disse Chadley, con occhi sgranati, mentre metteva mano al taccuino.

«Va bene questo è troppo! Te le stai inventando sul momento!! E smettila di scrivere come se fossimo a una gita scolastica!» 

«Rimuovi la tua materia immunizzante, Barrett, se non mi credi.» replicò il cyborg, senza staccare gli occhi da quello che stava scrivendo.

«Col cavolo! E visto che hai creato tu questo casino, perché non tiri fuori anche la soluzione adesso??» ribatté l’omone.

«L’unico modo è convincerlo a togliersi la materia. Levargliela con la forza sarebbe pericoloso.» decretò il cyborg.

«Lo hai già detto.» mugugnò Barret.

«Si, pericoloso, soprattutto per noi!» commentò Cid, pensando inorridito a quella volta in cui avevano dovuto scontrarsi con Cloud. Barret non condivideva la preoccupazione:

«Facile allora! Lo abbiamo già convinto una volta!»

«Si, e poi ve l’ha rubata per rimettersela! Stavolta lo farò io!» intervenne Tifa.

«Attenta soprattutto ai ratti! Condivideranno qualsiasi emozione provi Cloud. Approccialo con estrema calma, non far trasparire emozioni negative.»

Tifa sbuffò.

«Fosse facile!! Ok… vado.»

La ragazza si affacciò da dietro il cumulo di rifiuti, cercando contemporaneamente di farsi coraggio e di chiamare a raccolta il suo autocontrollo; alla fine uscì dal nascondiglio e si avvicinò con cautela al gruppo di creature urlanti.

«Ehm… ciao Cloud!» esordì, tentando un sorriso.

Il ragazzo si girò verso di lei e trasalì. Tutti i ratti si zittirono improvvisamente.

«Tifa!!!!!» urlò, terrorizzato. Fece per dire qualcosa, ma strinse gli occhi e si portò la mano allo sterno, con una smorfia di dolore. Gli animali intorno a lui condivisero la sua espressione e iniziarono a lanciare stridii terrorizzati mentre correvano da tutte le parti. Uno di quelli che erano più vicini a Cloud crollò al suolo, privo di vita. Tifa dimenticò per un istante di essere arrabbiata con lui e si portò una mano alla bocca, allarmata.

“Oh, mio Dio! Chadley non stava esagerando!”

«… quel ratto non si muove più!» bisbigliò Barret, atterrito.

«Tifa, più calma… potrebbe essere già troppo tardi…» sussurrò Chadley, che stringeva con forza il suo taccuino.

Tifa prese un bel respiro e fece un secondo tentativo.

«Ehi… come stai… amore?» buttò fuori. I tre alle sue spalle sgranarono gli occhi.

L’espressione di Cloud si addolcì per un momento, mentre anche i ratti si calmavano, facendoli sperare in bene.

«Tifa…» bisbigliò, con tono dolce, camminando verso di lei.

“Funziona…?” pensò la ragazza, incredula.

«Tiiifaa!» disse ancora Cloud, in tono più deciso e sensuale. Lei conosceva quel tono e il modo in cui adesso la stava guardando.

“NO no no NO!!” pensò, avvampando.

Anche i ratti si stavano lentamente muovendo, convergendo su di lei.

«Tifa levati da lì!» bisbigliò Barret, levando la sicura al cannone.

«Oh, che epilogo entusiasmante!» commentò Chadley, rapito dalla scena.

“NO no no! Dannazione, Cloud!” pensò Tifa, mentre il ragazzo ormai l’aveva raggiunta a braccia aperte e con le labbra protese. 

“O forse…” pensò, lasciandolo fare. Le era appena venuta un’idea: non si sottrasse al contatto, tenendo gli occhi fissi sul bracciale di Cloud finché non scomparve dietro la sua schiena. Il ragazzo prese a baciarla con passione. 

«Ma che cazzo fa? Le sembra il momento di pomiciare!?» esclamò Barret. Cid gli diede una gomitata e bisbigliò: 

«Zitto! Guarda!» 

Tifa non aveva ricambiato l’abbraccio e con entrambe le mani stava cercando di sfilare il bracciale dal polso di Cloud. Chadley fece un piccolo salto e bisbigliò:

«Geniale! Impiega il suo impeto emotivo amplificato come diversivo per un furto!»

«Ma ti hanno programmato così o sei difettoso?»

Tifa stava per sbloccare la fibbia del bracciale, quando l’orda di ratti li assalì mugolando. L’inaspettato assalto li separò ed entrambi caddero nel fango della discarica. 

«Aaah! Ah! Lasciatemi stare!! Aaah! Che schifo!!!» strillò Tifa, cercando di rialzarsi e coprendosi il volto con le mani. Sentiva le creature avvinghiarsi a lei e si aspettava da un momento all’altro il dolore acuto dei loro denti affondati nella sua carne. Invece, sentì le loro piccole disgustose lingue scorrere sulla sua pelle.

«Tifa!» strillarono i tre, saltando fuori dal nascondiglio.

«Tifa!!! NOOO!!» urlò Cloud. I ratti ulularono, unendosi al coro di voci umane e sovrastandole, per poi spegnersi del tutto e accasciarsi sul corpo di Tifa. Il ragazzo si rialzò e corse via, sparendo tra gli ammassi di rifiuti.

Cid, Barret e Chadley corsero verso la ragazza, che giaceva sotto il mucchio di roditori.

«Tifa?? Tutto ok?» domandò Barret puntando incerto la mitragliatrice verso gli animali. La ragazza spinse via i corpi senza vita dei ratti e si rialzò, aiutata da Cid.

«Che cosa… non capisco, sono…? E non sei ferita?»

«Non mi hanno morso… mi… si strusciavano e… mi stavano leccando… mi sento sporca! Che schifo!!» gridò Tifa, cercando invano di pulirsi.

«Kueh! Kueh!» (patrigna, il vostro olezzo mi vellica le narici!)

«Ma cosa gli è successo?» chiese Barret, guardando gli animali stecchiti.

«Sono… morti. Una overdose di emozioni troppo complesse per il loro encefalo, ma non so dire esattamente quali.» rispose Chadley, voltando uno degli animali usando la penna. 

«Avevano gli occhi pieni di… oddio, non voglio sognarmeli stanotte! È stato orribile, mi sono sentita violata! Poi di botto mi hanno lasciata stare…» continuò Tifa, che sembrava sull'orlo delle lacrime.

«Il ciuffo biondo è scappato, ovviamente!» sbuffò Barret.

«Secondo me si è cagato sotto!» commentò Cid. Chadley annuì gravemente:

«Colorito, ma potenzialmente giusto… oppure si è vergognato della sua stessa reazione iniziale. Non dimentichiamo che non ha perso coscienza di sé.»

«Gliela farò perdere io appena riusciremo a prenderlo!» ringhiò Tifa. «Che schifo… quei ratti…»

«Tifa, ti prego, cerca di riprenderti. Ormai sono sicuro che solo tu puoi salvare Cloud.» disse Chadley, tentando di farla tornare in sé.

«Ma poi perché ha esteso quella maledetta materia??» chiese Barret, scuotendo la testa.

«Probabilmente si è solo sbagliato: non è mai stato attento a quali alloggiamenti usa.» dichiarò Tifa, che si stava pulendo il volto con un fazzoletto. «Più che altro...» riprese, voltandosi verso Chadley «... perché gliel’hai data?»

«... il mio intento era di essergli d’ausilio.» mormorò il cyborg, chinando la testa.

«E perché lui l’ha presa?!?» gridò Tifa, fuori di sé. «Perché ha fatto una cosa così stupida?»

«A sua difesa, era preoccupato. Sai, dopo quello che è successo…» intervenne Barret.

«Successo? Quando, dove?!» chiese lei, confusa.

«Ma si… con i doppelganger, le trasformazioni…»

«Con la paura di essere mollato…» aggiunse Cid.

Tifa in un primo momento rimase interdetta dalle parole dei due uomini, ma in breve realizzò cosa stavano implicando.

«Io non ho mai minacciato Cloud di lasciarlo.» disse, scandendo molto lentamente le parole e guardandoli con occhi fiammeggianti. I due uomini realizzarono il loro errore troppo tardi e provarono a mormorare qualcosa:

«Ehm… sai...»

«Noi… credevamo…»

Tifa esplose:

«Non mi interessa cosa credevate!! Adesso ditemi per filo e per segno cosa gli avete detto!!»

I due uomini capitolarono e raccontarono dei loro discorsi con Cloud. Non bastò a placare la furia di Tifa:

«Mi state dicendo che gli avete riempito la testa di stupidaggini?!? Non gli ho mai parlato di lasciarlo!! Ero arrabbiata, è vero, ma ne avevo tutto il diritto! E comunque voi non dovevate presupporre niente!!! Lo avete spinto a fare questa cretinata!»

«Nessuno gli ha detto di mettersi quella cosa!» provò a difendersi Barret.

«E comunque, sembravi molto arrabbiata dopo la faccenda dei doppelganger…» gli fece eco Cid.

«Lo ero!! Ma mi sarebbe passata! Avevamo anche chiarito, mi serviva solo del tempo per digerire la cosa! Prima di quell’incidente le cose stavano andando bene!!»

«Bene…?»

«Chiarito…?»

«Si! Per quanto strano vi possa sembrare, io e Cloud usciamo insieme!! Mi fa dei regali, è carino con me e io sono assolutamente felice di stare insieme a lui!!!» continuò a urlare la ragazza.

«Appari tutt’altro che gioiosa in questo frangente.» commentò Chadley. Tifa si girò verso di lui, gli strappò dalle mani il suo taccuino e lo gettò in mezzo ai rifiuti.

«Ne ho anche per te, inventore da strapazzo!! Non fare mai più esperimenti con il mio ragazzo!!!»

Il cyborg non si scompose più di tanto e rispose:

«Non puoi negare però, che la vostra relazione abbia beneficiato della materia. Da quanto hai detto precedentemente, è stata indispensabile per farvi compiere un notevole passo in avanti dal punto di vista dell’intimità.»

«Che cosa stai dicendo??» strillò la ragazza.

«Non avete avuto il vostro primo coito ieri notte?»

Tifa ammutolì per un istante, sgranando gli occhi e arrossendo.

«Ma cosa avete nel cervello?? Non sono fatti vostri, e comunque non era il primo!!!» urlò fuori di sé, il volto paonazzo. Chadley le chiese:

«Interessante… in questo momento il rossore sul tuo volto è causato principalmente da rabbia, imbarazzo o da entrambi?»

Tifa di tutta risposta gli strappò la penna e la lanciò a fare compagnia al taccuino. Barret e Cid continuavano a guardarla attoniti. Chadley annuì pensosamente e annunciò:

«... propendo per la rabbia.» 

«Non posso crederci…»  mormorò Barret. 

«Si, avete fatto un’enorme cazzata!! E la materia ha causato soltanto guai!!» gridò Tifa.

«Ha capito da solo che non gli serve soltanto per pisciare...» disse Cid, senza ascoltarla.

«Si!! Io e Cloud facciamo SESSO!! Ma non sono affari vostri!!!» strillò la ragazza, iniziando a camminare in giro per cercare di sbollire e tirando calci ai cadaveri dei ratti. Meteor la seguì preoccupato, pigolando.

«Kueeh?» (patrigna, colgo un certo disagio nei vostri modi, cosa vi affligge?)

I tre si guardarono, incerti sul da farsi.

«Non l’ho mai vista così…» sussurrò Cid.

«Nemmeno io. Dobbiamo fare qualcosa.» rispose Barret, sussurrando a sua volta. Chadley commentò, con sguardo grave:

«Non credete di aver agito già abbastanza?»

«No, ora dobbiamo rifarci.»

«Glielo dobbiamo, ad entrambi. E comunque, pure tu potevi farla meglio quella cazzo di materia!» 

«Ok! Pausa finita! Dobbiamo salvare Cloud, al più presto!» dichiarò Barret, ad alta voce, iniziando a correre nella direzione che aveva preso Cloud. Tifa si fermò e lo guardò.

«Si, ma come cazzo possiamo fare? Chissà in che buco si sarà rintanato!» disse Cid, seguendolo.

Barret si fermò di scatto. Il pilota sbatté contro la sua schiena, imprecando a denti stretti.

«Perché cazzo ti sei fermato??»

«… giusto! Intrappoliamolo da qualche parte, così se le buone non funzionano possiamo stenderlo!» disse l’omone, con espressione trionfante, ricominciando subito dopo a correre.

«Interessante, ma come possiamo attirarlo in un posto simile?» si intromise Chadley, correndo insieme a lui. Meteor iniziò a seguirli a sua volta, ma si fermò quasi subito vedendo che Tifa non si era mossa. Trotterellò verso di lei e le mordicchiò gentilmente una mano.

«Kueeeh kueeh?» (patrigna, non accorrete in soccorso della mia genitrice?)

La ragazza sospirò e si asciugò gli occhi, incrociando quelli azzurri di Meteor che la fissavano, interrogativi. Gli accarezzò la testa e si affrettò a raggiungere gli altri, col pulcino che la seguiva tutto contento.

 

***

 

Il gruppo cercò Cloud per svariati minuti, scovandolo infine raggomitolato su se stesso in mezzo a dei rottami. Si lamentava in continuazione a bassa voce, dondolandosi avanti e indietro.

Tifa tappò il becco a Meteor, che stava per lanciarsi verso il suo amato padrone, e si ritirò più lontano insieme agli altri.

«Se lo disturbiamo adesso, scapperà di nuovo. Dobbiamo attirarlo senza farci notare.»

«Quella piccola caverna che abbiamo visto nel fianco di quella collina dovrebbe andare.»

«Si, ma come facciamo?»

«Impieghiamo un qualcosa che lo attragga.» propose Chadley.

«Si dice “esca”, cazzo!!»

«L’idea è buona però… qualcosa a cui non sappia resistere…»

Tutti gli sguardi si spostarono verso Tifa.

«No. È emotivo, mica stupido! Pensate che se mi sdraiassi nella caverna correrebbe da me, dopo quello che è successo??» ribatté la ragazza, seccata.

«Io stavo pensando al chocobo.» mormorò Cid. Tifa lo fulminò con lo sguardo.

«Dai! Proviamo davvero col pennuto! Il ciuffo lo adora!» insistette il pilota.

«E come farebbe a convincerlo a togliersi la materia?» intervenne Barret. «E comunque, come ha già detto Tifa, capirebbe che è una trappola!»

«... le materie…» disse all’improvviso Tifa, illuminandosi.  

«Cosa?» fece Barret, spiazzato.

«Le materie!» ripeté la ragazza. «So cosa dobbiamo fare!»

 

Qualche momento dopo...

«Accettate critiche costruttive?» disse Cid.

«… si. Credo.» fece Chadley.

«Questo piano è un stronzata clamorosa! Non fregheresti mai nemmeno un bambino con un trucco così idiota!»

«Cosa vuoi fare allora? Stanarlo col fumo?» disse sarcastico Barret.

«… potrebbe avere esito positivo…» considerò Chadley.

«Vi proibisco di dare fuoco al mio ragazzo!» esclamò immediatamente Tifa.

«Sei stata molestata da un cazzo di branco di ratti merdosi per colpa sua, sei sicura che sia ancora il tuo ragazzo?» le fece notare il pilota.

«Non. Me. Lo. Ricordare!! Ho bisogno di lavarmi!» gemette la ragazza.

«Kueeeh…» (vorrei solo riabbracciare la mia genitrice…)

Tifa guardò la scia di materie che si allungava da dov’erano fino all’interno della caverna. Erano riusciti a metterne insieme un bel numero, tra quelle di Chadley e tutte quelle che avevano, tranne quelle immunizzanti. Erano pronti ad attirare l’attenzione di Cloud, che non si era mosso da dov’era.

“Spero tanto che funzioni…” pensò sconfortata.

«Ripeto che siete degli idioti! Avrebbe funzionato se avessimo dovuto catturare Yuffie! Questa è la cazzata più grossa che abbia mai…»

«Lo conosco bene! È fissato con le materie almeno quanto lei. Ora tutti in posizione!» sbottò Tifa.

Gli altri scattarono immediatamente, abbandonando ogni resistenza.

“Wow… devo arrabbiarmi più spesso.”

Con l’ultima materia in mano, si avvicinò il più possibile a Cloud, seguendo la scia di sfere; calibrò con attenzione il lancio, sperando di attirare la sua attenzione senza farlo morire di paura. Non potè rimanere dov’era a guardare il risultato: corse immediatamente a nascondersi, incrociando le dita.

La sfera rotolò nel fango fino ad entrare nel campo visivo di Cloud, che cacciò un urlo. Dopodiché, Tifa lo sentì chiaramente dire:

«Materie?»

“Si!” pensò lei, trionfante. 

«Ehi Barret.» sussurrò Cid.

«Che c’è?»

«Ma tu ci credi che Tifa e Cloud…» disse il pilota, lasciando in sospeso la frase.

«... no.»

«Come mai siete così sorpresi? Gli istinti naturali…» si intromise Chadley.

«Cloud non ha istinti naturali, lui…»

«Sshh! Eccolo che arriva!»

I tre si affacciarono da piccoli spiragli nel mucchio di rifiuti che li nascondeva e videro Cloud, intento a raccogliere una materia dopo l’altra, ridendo. Li superò saltellando, continuando a raccogliere le sfere da terra, dirigendosi verso la caverna.

«… non-ci-credo. Le sta prendendo.» sussurrò Cid, sferrando un pugno all’aria per la frustrazione.

Tifa e Meteor li raggiunsero.

«Sta funzionando! Pronti con il piano! E fate silenzio!» disse la ragazza. Tutti insieme uscirono circospetti dal loro nascondiglio: Cloud stava entrando nella caverna proprio in quel momento.

«Tifa, ricordati il segnale se le cose si mettono male!»

«Sono già abbastanza nervosa, Barrett.»

«Forza, andiamo!»

«Vai ragazza, salva il tuo ciuffo, così poi possiamo pestarlo.»

 

***

 

«Materie… eccone un’altra… materie…» disse allegramente Cloud.

«Cloud…» disse Tifa, più dolcemente che poté. Cloud si voltò di scatto, lasciando cadere le materie che generarono una cacofonia di tintinnii. Temendo che potesse spaventarsi di nuovo, la ragazza si affrettò a parlare.

«Stai tranquillo, non sono arrabbiata.» mentì spudoratamente.

«Tifa… davvero? Davvero??» chiese speranzoso.

Lei annuì, ma continuò a parlare, molto lentamente e con tono pacato:

«Non sono arrabbiata, ma Cloud… cosa hai combinato?»

«Tifa… volevo… emozioni… non controllo…» rispose il ragazzo, tremando e inciampando sulle parole. Tifa ebbe un tuffo al cuore a vedere com’era ridotto, ma si fece forza e continuò a seguire il piano:

«Lo vedo. Quindi sai cosa dovresti fare, dovresti togliere la…»

«No!! No! NOOO!!!» strillò immediatamente lui, coprendosi il volto con le mani e facendola sobbalzare.

«Cloud, calmati! Non voglio farti la predica!» sussurrò lei, alzando le mani. Cloud indietreggiò, velocemente, fino ad arrivare con le spalle alla parete della caverna. Sgranò gli occhi e si guardò intorno, impaurito. A Tifa ricordò un animale in trappola.

«Nooo! Voglio… piacerti… devo…» disse, iniziando ad ansimare.

«Credo che stia per avere un attacco di panico! Tifa sbrigati!» disse Barret, allarmato.

«Ma Cloud…» disse Tifa.

«Devo… piacerti!!!! Devo piacerti, devo piacerti, devo devo devo…!!» ripeté ossessivamente  Cloud, a voce sempre più alta, prendendosi la testa tra le mani.

«Tu mi piaci!» esclamò Tifa con decisione.

«Voglio… te… voglio, devo…» sussurrò il ragazzo. Tifa azzardò un passo in avanti e disse:

«Ma Cloud! Anche io voglio te, non lo vedi?»

Il ragazzo alzò il capo per guardarla, incerto. Si mise ad accarezzare compulsivamente la materia indaco nella sua polsiera.

«… devo… devo…»

«Voglio te, non un’altro Cloud.» lo interruppe Tifa, avvicinandosi ancora. Cloud iniziò di colpo a singhiozzare:

«Non… perderti… non posso, non posso, non posso... non posso!»

«Cloud!!!» disse Tifa con tono supplichevole.

«Tu mi piaci così! Ti… ti amo così! Non hai bisogno di essere un’altra persona!»

«… adesso sbratto…» borbottò Cid.

«Zitto idiota! Forse funziona.» lo rimbrottò Barret

«Non ti serve quella materia!» gridò Tifa, facendo un altro passo verso di lui. Cloud non diede segno di voler fuggire e mormorò:

«… Tifa…» 

«Abbi fiducia in quello che ti dico! Voglio te! Senza materie, senza nient’altro! Toglila e tutto andrà bene. Ti prego!»

Lui non rispose, continuando a guardarla. Sembrava combattuto tra il bisogno di fuggire e la voglia di rimanere. Tifa lo interpretò come un buon segno e si avvicinò ancora di più, guardando il ragazzo fisso negli occhi. 

«Voglio te!» disse con tutta la decisione che riuscì a infondere in quelle parole.

«… Tifa.»

Lei avanzò ancora.

«Amo te!!» 

«Tifa… io…»

«… Cloud… ti prego.»

Molto lentamente, come se una forza invisibile cercasse di trattenerlo, il ragazzo portò la mano alla sua polsiera e, mentre sfilava la materia dal suo alloggiamento, disse:

«Anche io… ti amo!»

A quelle parole gli altri tre fecero irruzione nella caverna, veloci come fulmini, seguiti da Meteor.

«L’HA TOLTA! Presto, prendetelo!» gridò Cid!

Barret gli piombò addosso, immobilizzandolo e gridando:

«Levagliela! Levagliela!»

«Presa!» esclamò Cid, strappando la sfera di mano a Cloud. Meteor si lanciò addosso a Barret, starnazzando come un ossesso.

«Kuee! KUEEH!» (non osate torcere una piuma alla mia genitrice, manigoldi!)

«Lasciami stare uccellaccio, lo sto salvando!» gridò l’omone, cercando di evitare le beccate del pulcino dirette alla sua faccia. Finì per abbandonare Cloud, che comunque non stava opponendo resistenza e sembrava svuotato di ogni energia. Meteor ne approfittò per gettarsi su di lui, pigolando di felicità.

Cid guardava con orrore la materia che aveva in mano, come se fosse contagiosa. La ficcò subito in mano a Chadley.

«Tieni i tuoi fottuti dati! E riprenditi anche tutte queste altre cazzo di materie! Quante ne hai fatte così utili? Questa cosa fa, mi trasforma le mani in due eliche, così se mi sbaglio quando vado a pisciare mi faccio il cazzo a rondelle?» strillò, raccogliendo una delle sfere che erano a terra.

«Cid, calmati! Ha funzionato!» intervenne Tifa, che in quel momento sembrò ridestarsi.

«Questa invece che fa?? Prima mi fa spuntare le piume sul culo, poi in tre giorni inizierò a fare le uova e vorrò ingropparmi il pennuto??» urlò ancora il pilota, con una seconda materia in mano.

«Cid!!» strillò ancora Tifa, esasperata. 

«… che c’è??» rispose lui, sbuffando come un toro.

«Calmati adesso. Anche io sono contenta che sia finita.»

«Kueeeh! Kuiiih!» (Oh, madre! il mio cuore straborda di gioia nel sapervi al sicuro da codesti masnadieri lestofanti!)

«Qualcuno deve scusarsi!» dichiarò Barret, con tono severo e le braccia conserte. 

«Siete nel giusto. Sono stato irresponsabile a non considerare tutte le probabili conseguenze. Sono mortificato di avervi posti in pericolo.»

«Non dicevamo a te, Chad!»

«Parla per te, io ho apprezzato, anche se non ho capito tutto!» ribattè Cid, che cercava di prepararsi una sigaretta.

«… scusatemi. Ho… fatto un casino.» parlò finalmente Cloud, mortificato.

«Un enorme casino del cazzo!! Hai rischiato di morire tu e di portarti chissà quanti altri in una merdosissima tomba! Senza contare chissà quanti bambini saranno stati concepiti mentre ti sollazzavi prima!!» berciò il pilota.

«Di cosa stai parlando…?» chiese Cloud, confuso.

«Io ho solo voglia di tornare al bar, farmi una doccia e dimenticarmi di questa storia.» disse Tifa, sospirando e facendo calare il silenzio. Si sentiva sporca e stanca. Cloud non riusciva a guardarla negli occhi. 

«Tifa… mi dispiace…» fu tutto quello che riuscì a dire. Lei gli lanciò un’occhiata tagliente.

«Pensa a me! Ti ci è voluta una materia per dire che mi ami.»

 

***

 

Era passato un giorno da quando la materia emotiva era tornata nelle mani di Chadley. Lui, Cid e Barret si erano affrettati a tornare ai loro affari, lasciando Cloud solo con il peso di quello che aveva fatto. Un giorno che il ragazzo aveva trascorso a girare silenzioso per casa, passando di stanza in stanza in punta di piedi, incapace di andare a chiarire le cose con Tifa, che si era chiusa in un nero, gelido silenzio. Meteor andava dall’uno all’altra come una pallina da ping-pong, senza capire come mai i suoi genitori fossero così tristi e distanti.

Verso sera Cloud cominciò a sentire i soliti rumori dell’attività del bar. Era disteso ormai da parecchio sul letto, con mille pensieri che gli attraversavano la mente, ma senza la forza di dar loro voce. Il senso di colpa per tutto quello che era successo non era niente in confronto a quanto si sentiva colpevole per aver mentito a Tifa.

“Cosa mi è venuto in mente?” si chiese, sentendosi sempre più stupido ogni volta che ripensava alla sua decisione di provare la materia. Aveva pensato di provare la via più facile per risolvere le cose, la via che non gli richiedeva di fare i conti con il passato, con i suoi problemi; lui avrebbe solamente dovuto attendere che tutto si sistemasse magicamente. Ma il ghiaccio si era rotto sotto i suoi piedi e l’acqua gelida lo stava soffocando. Sapeva che rimanere fermo sarebbe stato fatale, eppure non riusciva a muoversi.

La suoneria del cellulare lo fece sobbalzare, sottraendolo ai suoi pensieri: era un messaggio di Andrea.

-Ape regina a biondo. Mi ricevi?-

Cloud sbuffò. Non aveva voglia, né la forza di confidarsi.

-Ciao Andrea-

-Percepisco freddezza. Sei tornato davvero normale!! Sono contento.-

-Contento?-

-Sei tornato il solito musone, adorabile, molestabile Cloud di sempre. Certo che sono contento!-

Cloud rimase a fissare lo schermo, come paralizzato. Arrivò un altro messaggio:

-Perché sei tu, vero? Non te la sei rimessa quella robaccia addosso?-

Cloud si alzò dal letto, con la stessa paura di prima ma con una nuova decisione. Rispose frettolosamente di no ad Andrea, poi buttò il telefono sul letto e si diresse al piano di sotto.

Il bar era già abbastanza frequentato e Tifa si affaccendava come al solito, ma i sorrisi di circostanza che rivolgeva alle persone erano ancora più tirati del solito.

Quando lo vide sgranò gli occhi, ma cercò di fare finta di niente e continuò a preparare i drink. Lui non disse una parola, ma prese il bloc notes e la penna che lei aveva lasciato sul bancone e si diresse verso un tavolo che stava facendo segno di voler ordinare qualcosa.

Tifa si accorse della cosa solo quando lui le portò un foglietto, su cui c’era scritta l’ordinazione; alzò gli occhi dal bicchiere che stava finendo di decorare e le sfuggì un “oh!”.

Rimase a bocca aperta nel vederlo tuffarsi di nuovo fra i tavoli, stavolta verso un tavolino con una coppietta. Conosceva quella coppia e sapeva cosa stava per succedere.

Infatti vide Cloud diventare sempre più paonazzo, per poi tornare di fretta verso il bancone, lasciare il foglio con l’ordinazione e poi entrare a lavare i bicchieri.

«Grazie…» mormorò lei, stupita ma decisa a non darlo troppo a vedere.

«Non c’è di che. Quei due però…»

Tifa sapeva cosa stava per dire e non riuscì a trattenere un sorriso malvagio.

«Si…?»

«Quei due… mi hanno proposto…»

«Cosa?» chiese ancora lei, con aria innocente.

«... una cosa a tre.»

«Cooome? Non ci posso credere, che sfacciati!» commentò lei con finto stupore e mettendosi una mano davanti alla bocca.

«Si.» disse lui, senza smettere di arrossire.

«E cosa hai risposto?» lo incalzò.

Cloud rimase spiazzato dalla domanda, diventando ancora più paonazzo.

«Come… come cosa ho risposto… ho detto di no!»

Tifa non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, sotto lo sguardo confuso del ragazzo.

«Vengono qui quasi tutte le sere, e ogni sera mi propongono una cosa a tre. Non credo facciano sul serio. Se fosse così, dovrei offendermi visto che l’hanno proposto anche a te.» disse, prendendo il vassoio e andando a servire.

 

***

 

Svariate ore dopo, Tifa iniziò a comunicare a tutti che il locale stava chiudendo. Sorda ai mugugni di vari avventori, uno ad uno li fece alzare e iniziò a pulire i tavoli.

Cloud aveva la schiena a pezzi e tanti bicchieri ancora da lavare e asciugare, ma lasciò il bancone e si avvicinò alla ragazza.

«… Tifa.»

«Cloud.» disse lei, con tono piatto.

«Io...»

«Ragazzi, ho detto che si chiude! Tutti fuori!» esclamò Tifa, rivolta a due clienti che indugiavano vicino all’ingresso. Dopo essersi assicurata che fossero davvero usciti, chiuse a chiave il locale e si rimise a pulire.

«Io…» riprovò il ragazzo.

«Si…?» rispose lei, senza smettere di passare lo straccio su un tavolo. Cloud fece un bel respiro e riuscì finalmente a dire:

«Io… devo parlarti.»

«Ah, si? Che c’è, l’hai rimessa?» domandò lei, sarcastica, continuando le pulizie.

«… no.» 

«Come ti è venuto in mente di metterti quella roba?» domandò Tifa, mollando lo straccio sul tavolo e girandosi a guardarlo, gli occhi rossi che sembravano ardere.

«Mi era… solo sembrata una buona idea.»

«Non è una buona idea fare finta di essere qualcun altro, credevo lo avessi capito. Mi hai mentito! Mi hai presa in giro, te ne rendi conto?!»

«Ma… l’ho fatto per…»

«Non dire che lo hai fatto per me!! Non ha senso!»

«Però è vero… e le emozioni…»

«Si, va bene, ma anche se fossero state tutte tue, ciò non toglie che tu abbia mentito! Hai rischiato seriamente di morire e di fare male a un sacco di persone!!»

Cloud sentì la sua determinazione iniziale vacillare, ma cercò di tenere duro.

«E non credo che tu lo abbia fatto per me. Lo hai fatto per te stesso, vero? Va bene volersi sentire meglio, ma non ci sono scorciatoie di questo tipo nella vita, Cloud. Se ci sentiamo insoddisfatti di qualcosa, bisogna sforzarsi di cambiarlo.» continuò Tifa.

Cloud cercava di ricordare cosa volesse dirle, ma ogni cosa che aveva pensato sembrava ormai volatilizzata.

«Meno male che dovevi parlarmi.» constatò la ragazza, con tono pungente. Lui guardò speranzoso verso il bancone, sentendo la mancanza di una bella bevuta.

«Tifa… ehm, io…»

«No no, niente alcolici per te. Parlerai senza aiuto.» lo anticipò lei. Incrociò le braccia e lo squadrò da capo a piedi, in attesa, ma con poche aspettative: aveva vissuto quella situazione già altre volte, e non si azzardava a sperare in un epilogo diverso. 

“Parlerai, brutto idiota?”

“Parlerai, brutto idiota!”

«… ok. Parlerò.»

«Ascolto.» disse lei, con tono di sfida. 

«La verità è… che io… ho paura di perderti. Ogni giorno.» confessò il ragazzo.

Tifa sgranò gli occhi, ma non disse nulla.

«Non mi sento bene a pensare questa cosa, non voglio pensarla! Ma mi tormenta… e mi sembra che ogni mio sforzo per non perderti alla fine ti allontani da me.»

«Cloud…»

«Fammi finire… so che ho sbagliato. Pensavo di poter imparare da quella materia, usarla come si usano le altre e mettere a posto le cose prima che fosse troppo tardi. Invece mi stava… mi stava assorbendo. Non avevo il controllo e… volevo essere migliore di prima. Ma volevo esserlo per te.»

«Cloud… tu non hai bisogno di essere migliore! E fino a quando ti sei messo quella materia, nulla mi stava allontanando da te. Le cose andavano bene, facevi progressi.»

«Davvero?» domandò lui, sorpreso.

«Si! Certo, hai commesso degli errori, e rimane sempre il fatto che devo indovinare cosa pensi, specie quando le cose non vanno o quando hai un problema… certe volte penso che mi nasconderesti persino una malattia grave!»

Cloud rimase in silenzio. C’era un tarlo che lo rodeva dall’interno: trovò la forza di tirarlo fuori e chiese:

«Quindi… ti piacevo di più, quando la portavo.»

La ragazza non rispose subito, abbassando lo sguardo. 

«Tifa?»

«… si e no. Mi dicevi tutto quello che pensavi, non nascondevi le emozioni, sembravi a tuo agio. C’erano lati positivi, lo ammetto… mi dispiace di non aver visto subito che qualcosa non andava. Mi sono fatta accecare dal fatto che improvvisamente sembrava che avessi risolto i tuoi problemi.»

«Ero a mio agio, specie all’inizio. Io mi sentivo meglio, mi sentivo… adeguato.»

«Come… adeguato?»

Cloud prese un bel respiro, raccogliendo tutto il suo coraggio.

«Dopo Meteor… tutto quello che desideravo era iniziare una nuova vita, una vita normale; una cosa in cui non ero mai riuscito prima.» disse tristemente.

«E non è quello che abbiamo?» chiese lei.

«Non so se esisterà mai per noi la normalità.» le confessò Cloud, strappandole una risatina.

«Il punto è...» riprese, tornando serio, «… mentre vedevo Barret, Cid e te, andare avanti… io mi sentivo… mi sento come se fossi rimasto indietro, inadeguato a questa… vita normale.»

Tifa rimase in silenzio.

«Ci ho provato, con tutto me stesso, ma ogni errore, ogni sbaglio era come una conferma che forse non sono adatto a questa vita con te… forse per quanto ci provi, non sono la persona che ti meriti.» 

Vide una lacrima scenderle lungo la guancia, ma non si fermò.

«Forse l’ho fatto davvero per me stesso, per… diventare quello che ti meriti e per non farti andare via da me. Non… non voglio perderti. E mi dispiace, davvero. Mi sento un idiota per averti messa in pericolo. E per averti mentito.»

Tifa ormai piangeva senza ritegno, guardandolo fisso come se lo vedesse solo in quel momento, per la prima volta. Cloud, dal canto suo, aveva la nausea e gli girava la testa. Era come se quella confessione lo avesse prosciugato, ed ora, senza più la forza per dire altro, attendeva soltanto la condanna della ragazza di fronte a lui.

Tifa si asciugò le lacrime, prima di parlare.

«Cloud… mi dispiace se ti ho fatto credere che qualcosa mi stesse allontanando da te, o che dovessi diventare qualcun altro per rimanere insieme a me. Lo vedo quanto ti stai sforzando… anche per me a volte questa vita diversa da prima sembra strana. Però è la vita che volevo, insieme a te. Anche se non è sempre andato tutto bene, io non vado da nessuna parte.»

Cloud trasalì.

«… sul serio?» sussurrò, guardandola incredulo.

Lei sorrise, singhiozzando per un attimo.

«Cloud Strife, ti sembra che io cambi idea facilmente? Tu vai bene così come sei e sei “adeguato”, per me.»

Cloud non riusciva a credere alle proprie orecchie e continuava a fissarla a bocca aperta, con la mente attraversata da milioni di pensieri ed emozioni ma incapace di esternarne anche soltanto uno a parole.

«Non stavo mentendo, alla discarica.» continuò Tifa.

«È te che ho scelto, è te che voglio, è te che amo.»

Guardò il ragazzo, che sembrava paralizzato.

«Cloud? Tutto bene?» 

«… ti amo.» disse finalmente il ragazzo, con voce acuta.

Tifa si portò entrambe le mani alla bocca e spalancò gli occhi.

«… Tifa?» chiese lui, preoccupato.

«Po-potresti dirlo di nuovo?» balbettò lei, mentre le lacrime ricominciavano a scenderle lungo il viso.

«… ti… ti amo. E guarda… nessuna… non ho niente che… » disse lui, sollevando immediatamente il braccio per mostrarle la polsiera vuota. Tifa gli si lanciò addosso, stringendolo in un abbraccio.

«Ahia, ahi!» esclamò Cloud. Tifa ignorò le sue lamentele e le silenziò baciandolo appassionatamente. Cloud rimase spiazzato, ma il disagio durò solo un istante e rispose al bacio. Una volta separati, lei continuò a stringerlo e lo prese in giro dicendogli:

«Quante storie per un abbraccio! Eri sulla strada per una apocalisse… direi che ti è andata meglio!»

 

EPILOGO

«Ciaoooo Tifa!»

«Cloud… amore mio…»

«Sai Tifa? Ho provato una nuova materia che mi ha dato Chadleeeey…»

«COSA?!»

«Si… si chiama materia attraente. Mi trovi attraente?»

«Si, ma…»

«Anche io ti trovo attraente, ciuffo biondo! Guarda che muscoli che ho!»

«Ooooh, grande e muscoloso uomo, porta me e la mia grande spada via con te!!»

«Si, cazzo! Salite sulla mia nave! Andiamo!»

«Come?!? Cid, Cloud, Barret, dove andateeee??»

«Addio Tifa, è troppo forte questa materia!! Andiamo a sposarci a Midgar!»

«E io officerò la cerimonia con terminologie desuete!»

«Chadley io ti ammazzooooo…»

«E avremo tanti ratti ballerini come damigelle! Guarda come leccano tuttiiii...»

«Ahn… ahn… aaaaah!!»

«… ahi! Tifa, che c’è??»

«Un… incubo! Mi hai tradita in un incubo!»

«Cosa… ma che… non ha senso! Mi hai dato un pugno!»

«Ti sta bene! Ora abbracciami… ciuffo.»



 

Note degli autori (si, perché siamo due, ma solo io ho l’account)

Questo era il capitolo finale delle (dis)avventure di Cloud e Tifa (soprattutto di quel poveraccio di Cloud). Speriamo vi sia piaciuto. 

Questa piccola nota è per avvertirvi che la storia principale è conclusa e non ci saranno altri “scossoni”. Tuttavia ci saranno dei capitoli bonus, a scopo puramente goliardico, volti solo a divertirvi tanto quanto son serviti a divertire e a far sfogare noi; perché, diciamocelo ragazzi, è dura tenere IC un personaggio del cazzo complesso, come Cloud Strife.

Detto questo, speriamo che la storia vi sia piaciuta e di rivedervi al prossimo aggiornamento.

 

Bacibaci

 

Denna

 

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Capitolo 13
*** Una notte da Cuahl - Parte 1 ***



Salve a tutti, cari lettori e coraggiosi che sono arrivati a leggere fino a questo punto. Come già preannunciato, questo è il primo capitolo di una serie "sfogo" per noi poveri autori dopo tanti capitoli seri, profondi ed impegnati (quali?). Quindi, vi auguro buona lettura e spero tanto che vi divertiate. 
E comunque si, li abbiamo scritti perché eravamo stanchi della serietà, ma non di tormentare Cloud. 
Bacioni
Denna.

 

                                                                                                                                           
Una notte da Cuahl

Parte 1

 


“Dove sono…? Oddio, la testa…”

Cloud era steso su un fianco, avvolto da qualcosa di morbido; provò ad aprire un occhio, ma tutto iniziò a vorticare con violenza intorno a lui e lo richiuse, cercando di fare mente locale. Gli sembrava di essere in un letto, ma non ricordava nulla di come ci fosse arrivato.

“Ma cosa è successo…?”

Mosse pian piano le mani, cercando di capire qualcosa. Sentì un fruscìo, molto vicino a dov’era; allungò una mano, facendosi strada sotto le coperte, fino a toccare qualcosa di liscio.

“Tifa…?”

Continuò a tastare alla cieca, accorgendosi che stava palpando la natica di qualcuno e non sembrava quella di Tifa. Una voce maschile mugugnò qualcosa.

Aprì gli occhi di scatto e ritrasse la mano, cercando di ignorare il forte giramento di testa; di fianco a lui, Gideon si girò tra le coperte e gli disse:

«Oh, che audacia!»

Cloud sbiancò, prima di prorompere con un:

«MA CHE CAZZO!?»

«Buongiorno anche a te, bell’addormentata.» rispose Andrea, facendo capolino da dietro Gideon.

«Oh, si è svegliato!» disse Maiko, spuntando da dietro Andrea.

«Ma chi è quello?» fece un altro uomo che Cloud non conosceva, tirandosi su da dietro Maiko.

Sembravano essere tutti nudi. Cloud si accorse in quel momento che anche lui era senza vestiti. Avvampò e si coprì istintivamente i genitali, anche se erano già ben coperti. Tutti quanti lo fissavano con un certo interesse.

«Oh, che sbadato! Le presentazioni! Anche se conosci già Gideon e Maicol, vero?» gli chiese Andrea.

«Maiko!» lo corresse lei, seccata, dandogli un buffetto sulla testa.

«... come sei puntigliosa. E questo è… oh diamine, come ti chiami tu, numero quattro?»

«Jerry.»

«Nome anonimo come la tua prestazione di stanotte. Scordati la mancia.»

«Bah, ho chiuso con i clienti di mezza età.» borbottò lui, alzandosi e uscendo dalla stanza, senza alcun pudore per la sua nudità. Cloud si coprì gli occhi.

«Ehi! Io non ho cinquant’anni!» strillò Maiko, provocando involontariamente a una fitta alla testa a Cloud.

«... comunque, stavamo dicendo?» riprese Andrea, massaggiando i capelli di Gideon.

«Che ci faccio qui?? Perché sono nudo? Che ci fate VOI qui?! Dov’è qui??» strillò Cloud, fuori di sé e pentendosene subito dopo, tenendosi la testa.

«Pensavo che tu tra tutti avresti riconosciuto lo stile sobrio ed elegante dell’Honeybee Inn! Potrei revocarti la tessera!» gli rispose Andrea, con voce carica di rimprovero.

«Stile sobrio… è una pacchianata.» disse Gideon, sbuffando. «Ho visto ville di papponi più discrete!»

«Hey!» esclamò Cloud, attirando la loro attenzione.

«Ha ragione, lo state tormentando senza motivo! Tranquillo, Cloud...» trillò Maiko, saltando fuori dalle coperte e avvicinandosi a lui, «... ti prendo un po’ d’acqua.»

Cloud rimase pietrificato e avvampò all’istante mentre la ragazza, ancora nuda, gli passava tranquillamente sopra, per poi uscire dalla stanza.

«Ma cos’è successo qui??» chiese, con un filo di voce. Aveva quasi paura di conoscere la verità.

«Non ti ho detto la bella notizia! Io e Gideon stiamo di nuovo insieme!» rispose Andrea, raggiante.

«Non credo che volesse sapere questo. Andi, sii meno egocentrico. Non tutto il mondo è il tuo palcoscenico.»

«Al contrario, my dear. Ma di prima mattina non discuto mai di filosofia. Dobbiamo rimediare dei vestiti per Cloud.»

«Non sarebbe male nemmeno se ci rivestissimo noi.» commentò Gideon.

«Mi priveresti così presto della visione del tuo corpo nudo?»

Gideon alzò gli occhi al cielo, dandogli una leggera spallata.

«State insieme? Ma quindi… Maiko… Jerry…?» balbettò Cloud, che non stava capendo nulla di quella situazione surreale.

«Ah ah ah… quale modo migliore di festeggiare un ritorno alla monogamia che una bella orgetta di commiato al libertinaggio?» rispose maliziosamente Andrea.

«Eh??» fece Cloud, basito.

«Stiamo insieme, ma voleva fare il coglione un’ultima volta.» tradusse Gideon, alzando nuovamente gli occhi al cielo.

“Orgia?” pensò Cloud, sbiancando di nuovo. Non riuscì a dare voce al terribile dubbio che lo assalì, limitandosi ad indicare se stesso con un dito.

«Tranquillo, il tuo culetto è salvo.» rispose Andrea, ridacchiando.

«Anche se mi ha palpato, poco fa!» disse Gideon.

«Come si è permesso??»

«Non… io non…» balbettò Cloud, cercando di giustificarsi. 

«Ecco l’acqua!» trillò Maiko, facendo ritorno nella stanza, ancora svestita. Porse a Cloud un bicchiere, che lui prese a tentoni bofonchiando un “grazie”. Lei ridacchiò e si infilò di nuovo sotto le coperte tra lui e Gideon, ridendo di gusto alla vista di Cloud che beveva con gli occhi serrati.

«Dai, non fare così! La tua ragazza ha mooolte più forme di me! Di sicuro non c’è paragone!»

«Oh, non sottovalutarti my dear... sei stata magnifica!» disse Andrea, allungandosi e palpandole il seno con una risata. Gideon lo schiaffeggiò.

«Con te qui, questo letto è veramente a baldracchino!»

“La mia ragazza…”

«Tifa!» esclamò Cloud, facendo sobbalzare i tre. «Dov’è Tifa?»

«Oh, penso sia nell’altra stanza con due apette, un ballerino e un favo di miele al peperoncino.»

«COSA???» esclamò il ragazzo, venendo assalito da altre fitte alla testa.

«Scherzavo. Sarà rimasta al matrimonio, non ti ricordi?»

«Eh…? Di che matrimonio parli… oh!» fece Cloud, trasalendo.

«Ma... ti ricordi qualcosa di ieri?» gli chiese Andrea, con una nota di apprensione nella voce.

Cloud fece uno sforzo per ricordare e vari pezzi della giornata precedente cominciarono a tornargli in mente; ma erano come frammenti di uno specchio impossibile da ricomporre, sui quali i ricordi si riflettevano, opachi e confusi.

«... no, non mi ricordo niente, solo qualche immagine, che nemmeno capisco.» rispose, iniziando seriamente a preoccuparsi.

«Non ricordi il grande matrimonio?»

«Quello lo ricordo!»

 

Ventiquattro ore prima.

«Oddio, finalmente siamo arrivati!!» gridò Yuffie, affrettandosi a scendere dall’aeronave e chinandosi a baciare la terra. Cloud aveva lo stesso entusiasmo ma non osava aprire la bocca per paura di vomitare; si precipitò giù per la passerella e si aggrappò ad un provvidenziale lampione, respirando a fondo. Meteor lo seguì, cinguettando con apprensione.

«Che fighette che siete!» borbottò Cid, mentre anche Barret, Tifa, Shera e Marlene scendevano dalla nave. L’omone fece un bel respiro ed esclamò, soddisfatto:

«Si respira un’altra aria da queste parti! La senti, Marlene?»

«Si papà!» rispose la bambina, prendendogli la mano.

«In effetti… dove siamo?» chiese Shera, guardandosi intorno meravigliata. Yuffie si rimise in piedi e annunciò:

«Siamo vicini a Wutai, nella tenuta Kekkon! Qui si celebrano i matrimoni più fastosi.»

In effetti erano atterrati in un piccolo aeroporto, i cui edifici erano decorati nel classico stile di Wutai, con legno rosso e piccole colonne. Intorno a loro si estendeva un prato molto curato, mentre una strada lastricata e fiancheggiata da due filari di alberi portava verso una enorme villa a più piani e con almeno tre ordini di tetti, le cui tegole sfavillavano al sole. C’era un continuo andirivieni di persone e piccoli carretti.

«Non avevo dubbi, visto da chi abbiamo ricevuto l’invito…» mormorò Tifa.

«A proposito! Grazie per aver invitato anche noi!» esclamò Cid, mentre si accendeva una sigaretta.

«Sicuro che potevi farlo?» domandò Barret, rivolto a Cloud. Il ragazzo si staccò dal lampione e rispose:

«Ha detto che potevo invitare tutti gli amici che volevo.»

«Wow! Questi due navigano nell’oro.»

Cloud alzò le spalle. Un valletto in livrea li raggiunse e li invitò a seguirlo, dopo essersi sincerato che avessero fatto un buon viaggio. Si avviarono; Marlene e Meteor corsero subito avanti, facendo a gara tra le infinite casse che degli operai erano intenti a caricare su dei carri.

«Ma… la cerimonia stessa sarà celebrata lì dentro?» chiese Shera, indicando la grandiosa villa. Yuffie rispose:

«Si! È una tradizione. La sposa è di queste parti, vero?» 

«Penso di si…» disse incerto Cloud.

«Sei il cazzo di testimone dello sposo, non sai nemmeno da dove viene la sposa!?» esclamò Cid.

Cloud alzò le spalle.

«Perché ha scelto te, ciuffo?» domandò Barret.

«Perché è stato lui che li ha fatti conoscere.» disse Tifa, mentre prendeva a braccetto il suo ragazzo.

«Che ironia… fa conoscere gli altri, ma stava per prendersela nel...» disse Cid, interrotto da una gomitata tra le costole.

«Grazie.» mormorò Cloud, rivolto a Barret.

«Di nulla, ciuffo.» rispose quest’ultimo, prima di superarli a grandi falcate per raggiungere Marlene.

«Non ti allontanare!» le gridò. Tifa sorrise.

«Mica dovremo camminare fin laggiù, vero??» domandò Yuffie al valletto.

«Certo che no! Gli sposi hanno voluto ogni cortesia per i loro ospiti. Prego, da questa parte.»

Li condusse verso la strada alberata, dove finalmente notarono che, tra i carri che facevano la spola verso la villa, c’erano anche dei risciò trainati da chocobo.

Il gruppo si divise tra due risciò e partì alla volta del gigantesco edificio.

«Cosa ci sarà in queste casse, papà?» chiese Marlene, indicando tutti i carri stracolmi con cui condividevano la strada. Meteor era intento in una conversazione fitta fitta con il chocobo che trainava il loro risciò.

«Forse c’è roba da mangiare?» propose Barret.

«Spero sia alcol.» rispose Cloud. 

«Hai brutte intenzioni.» commentò Tifa, divertita. Lei non aveva nulla da ridire, al riguardo.

«Si, ma solo intenzioni rimarranno, come al solito…» 

La ragazza ridacchiò e si appoggiò a lui.

«Che intendi?» domandò Barret, confuso.

«Reggo bene l’alcool.» spiegò sbrigativo il biondo. «Forse anche troppo bene.» aggiunse con una nota di rammarico nella voce.

Barret sbuffò. 

«Non darti troppe arie, Super-SOLDIER. Cos’è, vi allenavano alle gare di bevute?»

«Ma è vero!» ribatté Cloud. «Cioè, non l’allenamento…»

«Non riesce a ubriacarsi, probabilmente proprio perché è un SOLDIER.» intervenne Tifa.

«Ah. Questa non l’avevo mai sentita.»

«Papà cos’è un SOLDIER?» chiese Marlene. Barret indicò Cloud e rispose:

«Quel brutto ceffo lì era un SOLDIER.»

Marlene lo guardò per un attimo e annuì, pensierosa.

Arrivati alla villa si separarono dal resto dei carri, che si dirigevano sul retro, per andare verso l’ingresso principale, un monumentale arco di legno dipinto su cui campeggiava la scritta “Villa Kekkon” in eleganti caratteri dorati.

Attraversarono un giardino pieno di piccoli alberi scolpiti nelle forme più disparate, fontane con zampilli di acqua cristallina e grosse statue di mostri e animali.

«Che posto è questo?» disse Tifa attonita. Anche gli altri erano senza parole.

Il chocobo si fermò di fronte ad un portone spalancato, intorno al quale era radunata una piccola folla di invitati che attendeva di entrare. Cloud scese per primo e aiutò Tifa a scendere dal risciò. Lei lo ricompensò con un bacio.

«Grazie, mio bel gentiluomo.»

«Mi hai tolto le parole di bocca, my dear!» disse una voce che conoscevano bene alle loro spalle.

«Ciao Andrea.» sospirarono i due.

«Mi pregio di darvi il benvenuto a Villa Kokko!» esclamò l’entertainer, con un profondo inchino e grandi svolazzi di piume.

«Non era Villa Kekkon?» gli fece notare Tifa

«Ma naturalmente, che ho detto io? Prego, vogliate seguirmi.»

«In che senso? Non mi dire che…» disse Cloud, con bruttissimo presentimento.

«Jay ha insistito per assegnarmi il delicato onore di organizzare la cerimonia e il rinfresco! Naturalmente, con “rinfresco” intendo la grandiosa festa che si terrà stasera!! Un vero e proprio happening, non so se mi spiego.» disse allegro l’entertainer.

Cloud e Tifa si guardarono negli occhi, pensando a cosa era successo l’ultima volta che erano stati ad una festa organizzata dall’entertainer.

«Non ho portato il lanciarampini…» sussurrò Tifa, mentre Andrea salutava il resto del gruppo.

«Tranquilla, ho le materie.» bisbigliò il ragazzo di rimando, tirando su la manica dello smoking per rivelare il suo bracciale, pieno di sfere luccicanti. Tifa sgranò gli occhi.

«Hai portato le materie al matrimonio?»

«Non mi faccio fregare di nuovo.»

«… bravo.» 

«Purtroppo mi hanno fatto lasciare la spada sull’aeronave.»

«Avevi anche la spada!?» chiese Tifa, scandalizzata.

«Puoi biasimarmi? Il matrimonio di una che voleva ammazzarmi, in più organizzato da Andrea??»

«... dovevo portarmi i guanti.»

«Sono sull’aeronave anche quelli.»

“È quello giusto.” pensò la ragazza, stampandogli un bacio sul collo.

«È bella questa normalità insieme a te.» gli sussurrò all’orecchio. Lui sorrise.

Andrea scortò il gruppo all’interno della villa facendo saltare loro la fila, suscitando numerosi commenti indignati e attirando occhiatacce.

«Sono parte dello staff, non comuni invitati!» disse Andrea all’addetto che controllava i nomi all’entrata, schiaffeggiandolo sulla spalla col dorso della mano.

«Immagino dobbiate cambiarvi. SPERO che dobbiate cambiarvi!» disse, mentre salivano una interminabile scalinata; tutto l’interno della villa trasudava opulenza: camminavano su tappeti scarlatti, ogni centimetro delle pareti era finemente decorato con intarsi di vari colori e altre statue, più piccole di quelle all’esterno, li scrutavano da alcove nei muri.

«Si. Abbiamo portato gli abiti da cerimonia.» rispose Cloud, esasperato.

«E meno male! Se penso alle tre ore che mi hai fatto perdere per trovare uno smoking che ti piacesse!»

«Ma a me andava bene anche il primo che mi hai fatto provare!» ribatté Cloud.

«Ma ti stava malissimo! Vedi che ti serviva il mio aiuto?» esclamò l’entertainer con una smorfia di disgusto. Arrivarono al primo piano e girarono a destra, imboccando un lungo corridoio.

«E perché me l’hai fatto provare se non ti piaceva?!!» replicò spazientito Cloud.

«Bene! Siamo arrivati alle camere! Entrate e cambiatevi!» ordinò Andrea, senza rispondergli, indicando al gruppo delle porte a soffietto nelle pareti.

«I vostri bagagli sono già qui, non perdo mica tempo io e nemmeno voi dovreste! C’è in ballo la mia reputazione in questo nuovo continente: voglio aprire un Honeybee Inn al Wutai Village, quindi non fatemi fare brutta figura!! Lo chiamerò Wutaybee. Ho già ordinato i tovaglioli col monogramma.» disse Andrea, sfregandosi le mani compiaciuto.

Gli altri non risposero alla sviolinata e si avviarono verso le porte. Cloud vide la sua valigia e la prese, aprendo la porta: era una lussuosa camera con un ampio letto a baldacchino e una magnifica vista sui giardini della villa. Il ragazzo fece per richiudere la porta alle sue spalle, ma Tifa la bloccò con lo stivale.

«Che c’è, mi chiudi fuori?» chiese, scivolando all’interno con la sua valigia.

«No, ma… non hai la tua stanza per cambiarti?» rispose lui, disorientato.

Tifa chiuse a chiave la porta e iniziò ad armeggiare con il suo vestito; in breve tempo scivolò giù, accartocciandosi sul pavimento.

«Ora ti insegno cosa si fa ai matrimoni…» disse, maliziosa.

 

***

 

«Ok, l’arrivo te lo ricordi. Ma poi non ricordi altro?»

«Molto poco… e ho un tremendo mal di testa. Non capisco nemmeno cosa siano tutti questi morsi!» disse Cloud, guardando dei grossi lividi che aveva sul fianco e sulle braccia. Maiko sospirò con espressione sognante.

«Direi che è comprensibile, hai bevuto ettolitri di alcolici! Un uomo normale avrebbe avuto almeno tre comi etilici.» disse Andrea.

«Non avete un’aspirina?» mormorò Cloud, sdraiandosi di nuovo e chiudendo gli occhi.

«Le prendo io!» disse Maiko, allungandosi di nuovo al di sopra di Cloud per raggiungere il comodino. Il ragazzo sentì qualcosa di morbido strusciare contro il suo petto, ma aveva fitte troppo acute per ribellarsi. Andrea osservava la scena divertito.

«Sei terribile, Malika!»

«Mi chiamo MAIKO!» strillò lei. Cloud soffocò a stento un’imprecazione, mentre il dolore aumentava.

«Ma non ce l’hai un lavoro? Non hai da fare? Non hai un fidanzato?» la prese in giro Gideon.

«Sono in ferie! E sono una donna in carriera, non voglio legarmi! Anche se devo ammettere che se questo bel ragazzo volesse legarmi… non mi opporrei.»

Con molta calma e assicurandosi di essere a contatto con Cloud per tutto il tempo, prese da un cassetto del comodino un flacone di plastica, poi tornò al suo posto.

«Ecco le aspirine! Su, prendine una.» disse.

Cloud aprì gli occhi ed ebbe un breve flash di Maiko che svuotava il contenuto del flacone sui suoi seni, prima di serrare di nuovo gli occhi.

«E come faccio?? Le hai versate ovunque!» esclamò.

«Oh, che sbadata che sono! Dovrai prenderle da solo...»

Andrea ormai rideva sguaiatamente al disagio crescente di Cloud. Gideon sbuffò.

«Su, dagli una mano!»

«Oh, ma gli darei ben altro!»

«Vuole solo le aspirine! Su, da brava!»

«Io vorrei prendere quella sul tuo capezzolo destro…» si intromise Andrea.

«Andi!» disse Gideon, lanciandogli un’occhiata pericolosa. Spazientito, prese senza tante cerimonie una manciata di aspirine dal petto di Maiko, poi afferrò il braccio di Cloud e gli appoggiò le pasticche in mano.

«Colazione!!» trillò una voce femminile. Una apetta, già vestita con la sua divisa gialla e nera, era entrata nella stanza portando un enorme vassoio colmo di cibo e brocche di bibite. Non sembrava per niente turbata dalla situazione.

«Oh, my dear… ancora un po’ di attesa e avrei dovuto mio malgrado nutrirmi dei miei ospiti!» disse Andrea, tirandosi su.

«Scusate, le consegne questa mattina hanno subito un ritardo per via di un qualche disastro aereo…»

«Oh… ma dai!»

«Ma c’è anche Cloud Strife!!» esclamò la ragazza, sprizzando gioia. Cloud aprì un occhio a metà, per assicurarsi che non fosse nuda anche lei, poi alzò una mano per salutarla, mugugnando.

«Ma sta male!?» chiese preoccupata l’apetta.

«No, è solo il dopo sbronza più colossale che ci sia.» la rassicurò Andrea.

«Ma allora gli faccio preparare il Ricostituente!»

«Hai ragione, mia cara! Va’ pure, tanto non ci muoveremo di qui per un altro po’.»

«Vado subito!»

«Non sono in dopo sbronza… io non mi ubriaco mai.» si lamentò Cloud, massaggiandosi le tempie senza trarne alcun beneficio.

«Ieri notte non sembravi molto in te.» disse Maiko, addentando un toast.

«Sembrava morto, vuoi dire!» precisò Gideon, sorseggiando il suo caffé.

«Mi hai fatto prendere un colpo.» disse Andrea.

«Non è possibile!» si ostinò Cloud, mentre cercava a tentoni un bicchiere di qualcosa per mandare giù le aspirine. Gideon si impietosì e gli passò del succo d’arancia.

«Ehi, attento, non puoi prenderne così tante insieme!» esclamò Maiko, vedendo Cloud ingoiare almeno quattro aspirine.

«Tranquilla, è un super SOLDIER lui. Se ne prendesse una non la sentirebbe nemmeno.» la tranquillizzò Andrea. «Però mangia anche qualcosa.» aggiunse, porgendo al biondo una brioche, che lui prese di malavoglia e mise sul comodino, tornando a cercare di darsi sollievo passandosi il fondo del bicchiere sulla fronte.

«Posso fare qualcosa per alleviare le tue sofferenze, bel biondo così casto e puro?» sussurrò dolcemente Maiko.

«Biondo si, ma casto e puro proprio no, tesoro. Sono stato testimone di cosa combina questo ragazzo…»

 

***

 

«Ma dove stanno quei due??» sussurrò Barret, guardando i due posti vuoti di fianco a lui.

«Te lo devo anche spiegare?» rispose Cid, sorridendo.

«Ma non si fa così! E anche tu ci hai messo un po’ a cambiarti, insieme a Shera.»

«Non mi entravano i pantaloni.»

«Non volevi entrarci, nei pantaloni.»

«Eddai, quel letto a baldacchino era proprio invitante!»

«Devo ricordarmi di non andare nelle vostre stanze… ah, eccoli che arrivano.»

Cloud e Tifa stavano arrivando trafelati ai loro posti, cercando di non attirare troppo l’attenzione della sala gremita di gente. Melodie flautate riempivano l’aria assieme al profumo sparso da decine di incensieri.

«Vi sembra il modo di fare? Siete in ritardo!!» li rimproverò Barret.

«Abbiamo avuto un contrattempo con… i pantaloni.» rispose Cloud.

«Si, questa l’ho già sentita.» bofonchiò l’omone scuotendo la testa e tornando a fissare l’ampio palco su cui erano attesi da un momento all’altro gli sposi.

Tifa strinse un po’ il nodo alla cravatta di Cloud e gli sistemò il colletto della camicia, approfittandone per dargli un veloce bacio. Lui le sorrise e ricambiò il bacio.

La banda iniziò a suonare, sovrastando il vociare degli invitati e facendo risuonare una pomposa marcia nuziale attraverso l’enorme sala. 

Marlene apparve in fondo alla sala, con un sorrisino teso sulla faccia e un cestino; camminò incerta tra le due ali di invitati, spargendo goffamente dei petali multicolore sul tappeto rosso steso per l’occasione. Un coro di sospiri si levò al suo passaggio.

«Vai così Marlene!! Sei bravissima!!» sussurrò Barret, con le lacrime agli occhi.

«Oh, che carina! Non è adorabile, Cloud?» disse Tifa, che guardava estasiata la bambina.

«Ehm… si?» disse lui perplesso. Non capì il perchè, ma sentì un brivido scendergli lungo la schiena, mentre la bambina si sedeva di fianco al padre, stralunata.

Jay apparve poco dopo, percorrendo il sentiero di petali e raggiunse in fretta il palco, sistemandosi di fronte al grosso leggio di marmo scolpito in forma di Bahamut.

Invisibili inservienti modellarono sapientemente la luce che entrava dalle finestre per andare ad illuminare lo sposo.

«Ma non poteva prenderlo un po’ più largo, quell’abito? Sembra che stia per scoppiare.»

«Abbi fiducia nei suoi bottoni… almeno quanta ne ha lui.» commentò Jules, che sedeva nella fila davanti a loro.

In effetti l’abito del body builder era talmente aderente che sembrava sul punto di strapparsi da un momento all’altro.

La musica cessò per qualche secondo, mentre le luci si spostavano nuovamente verso l’ingresso della sala; al suono di un gong, la sposa fece il suo ingresso in pompa magna e la musica riprese, su un ritmo differente.

Catena sorrideva raggiante, nonostante sulla sua testa ci fosse un enorme copricapo formato da un elaborato intreccio di fili, sostenuti da elementi metallici. La luce si specchiava sugli innumerevoli cristalli che erano appesi tra i fili, facendo sembrare il tutto un gigantesco lampadario.

Il suo vestito era rosso fuoco e decorato con rilucenti motivi floreali dorati; aveva uno strascico che sembrava infinito, con piccole placche verdi e rosse ricamate. Solo quando fu ormai arrivata sul palco gli invitati notarono che le placche erano le scaglie di un drago, la cui testa sputafuoco chiudeva lo strascico. Jay le offrì una mano e la aiutò a salire gli ultimi gradini, fino a che non fu direttamente di fronte a lui.

«Sto per vomitare…» mormorò Cid, subito ripreso da Shera.

La musica si spense pian piano, lasciando la sala nel silenzio. Gli invitati si guardavano tra loro o guardavano il palco, confusi.

D’improvviso una botola nel soffitto si aprì, direttamente sopra il palco, e Andrea Rhodea, sorretto da una corda, si calò lentamente all’interno della stanza, strappando qualche applauso. Cloud, Tifa, Barret, Cid e Shera erano allibiti, mentre Marlene rideva e batteva le mani insieme a Jules e al resto della sala.

L’abito di Andrea, decorato da quelle che sembravano le sue piume preferite, ma stavolta candide come la neve, aveva uno strascico che rivaleggiava con quello della sposa; infatti, toccò terra molto prima di lui. Quella che era palesemente una parrucca bianca e boccolosa ondeggiava nell’aria mentre si prodigava in inchini volanti.

Atterrò con grazia dietro agli sposini e si posizionò dietro al leggio, aprendo un grosso librone e schiarendosi la voce.

«Ma… non mi dite che…»

«Benvenuti!! Benvenuti tutti a questa celebrazione!» annunciò l’entertainer, con ampi gesti delle braccia.

«Cosa… celebra lui??» sussurrò Tifa, guardando Andrea con gli occhi sgranati.

Cloud alzò le spalle, commentando:

«Me lo aspettavo. Ormai non mi sorprendo più di niente.»

«Siamo qui riuniti!! Per celebrare questo trionfo dell’Amore! Per unire queste due anime per sempre, in un vincolo indissolubile di Amore!!»

Shera si asciugò fugacemente una lacrima; Cloud guardò arrabbiato Andrea e gli sillabò:

«Smettila-di-fissarmi!»

«Perché l’Amore… vince su tutto! Sulle incomprensioni, sui pregiudizi, financo… sulla Morte!!» gridò, strappando esclamazioni di sorpresa dai presenti.

«... però ci sa fare.» concesse Tifa.

«Ed ora… veniamo al rituale. I testimoni vengano avanti!! Che siano… testimoni… dell’Amore di questa coppia!»

Cloud si alzò con estrema riluttanza, avvampando quando sentì gli occhi di tutta la sala posarsi su di lui.

«Dai amore… vai a sentire l’Amore!» bisbigliò Tifa, ridacchiando.

Cloud le rivolse uno sguardo di disapprovazione, prima di farsi strada tra gli altri invitati fino a trovarsi sotto al palco, vicino a Jay; una giovane donna, vestita anch’ella di rosso ma in modo molto più sobrio, si era invece messa vicina a Catena.

«Ed ora!! Il simbolo dell’Amore tra queste due anime! Ciò che suggella la loro unione e che da sempre indica il donarsi l’uno all’altra…»

«Sesso sfrenato?» commentò Cid, guadagnandosi gomitate sia da Shera che da Barret.

«... gli anelli!!»

Cloud fischiò brevemente e Meteor, elegantissimo col suo papillon allacciato al collo, caracollò tutto felice sul tappeto; portava nel becco un cuscino ricamato, sul quale facevano bella mostra di sé gli anelli nuziali. Un ennesimo coro di sospiri si levò al suo passaggio, conditi stavolta da qualche commento sorpreso.

“Non mangiare niente non mangiare niente ti prego non mangiare niente…” pensò Cloud, mentre il pulcino si avvicinava a lui, arruffando orgoglioso le penne.

“Che vanitoso che è!” pensò Tifa con un sorriso, mentre il cuscino passava di becco in mano senza incidenti. Una volta assolto il suo compito, Meteor si mise sull’attenti al fianco di Cloud, che lo ricompensò con una carezza prima di tornare a concentrarsi sulla cerimonia.

Più di un’invitata, inclusa la testimone della sposa, si portò una mano al petto e sospirò con aria trasognata.

«Lo senti… questo è il suono dell’amore!» mormorò Shera, che tratteneva a stento i singhiozzi.

«Questo è il suono delle ovaie che si spezzano!» ribatté Cid.

Tifa affondò le unghie nello schienale della sedia davanti alla sua, ringhiando.

“Smettete di fissare il mio ragazzo, maledette! Anzi, fissatelo quanto vi pare, tanto dopo me lo spoglio io!”

Barret le posò una mano sulla spalla, mormorando:

«Stai calma… tanto nemmeno se ne accorge.»

«Bene! Ora, per i poteri speciali conferitimi con deroga dal sindaco di Edge, senza i quali io non potrei celebrare questa cerimonia, passiamo allo scambio degli anelli!!»

Cloud si accorse all’ultimo momento di aver preso l’anello sbagliato e fece un rapido, imbarazzato scambio con la testimone di Catena; poi entrambi porsero gli anelli ai rispettivi sposi.

«Grazie bro!» sussurrò Jay, sfoggiando un sorriso abbagliante.

«Ricordami come mai Cloud è il testimone…»

«Si sono conosciuti al torneo in cui Cloud è stato avvelenato ed è stato quasi ucciso. Quindi, secondo Jay, è merito di Cloud se si sono incontrati» disse Jules. Barret scosse la testa. 

«Jules, Jay è tuo amico, non sei arrabbiato che abbia scelto Cloud come testimone?» gli chiese Tifa.

«Ma no… anzi ad essere sincero io avrei odiato fare questa farsa degli anelli. Non mi piace avere troppi sguardi addosso.»

Gli sposini si scambiarono gli anelli, mentre la musica riprendeva. Andrea tornò in posizione e il cavo che lo aveva sostenuto nella discesa si tese di nuovo, sollevandolo.

«Vi dichiaro marito e moglie!!» gridò, spalancando le braccia e librandosi nel vuoto.

La sala eruppe in applausi, urla e fischi mentre gli sposi finalmente si scambiavano un lunghissimo bacio e Andrea spariva nuovamente attraverso la botola. Cloud ne approfittò per tornare alla massima velocità possibile accanto a Tifa, con Meteor al seguito.

«Chi è stato un bravo chocobo, eh? Sei stato fantastico!» disse, coccolando il pulcino.

«Kueeeh!!» (madre, il vostro encomio mi riempie di orgoglio!)

«Meno male che non si è mangiato gli anelli.» commentò Tifa, osservando rassegnata il suo ragazzo.

«Ok, quando si passa a mangiare come maiali e a bere fino a perdere conoscenza?» esclamò Cid, strofinandosi le mani.

 

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Capitolo 14
*** Una notte da Cuahl - Parte 2 ***


 

Una notte da Cuahl 
Parte 2



«Ok, inizio a ricordarmi il matrimonio. Purtroppo.» disse Cloud.

«Davvero ti sei calato dal soffitto??» chiese Maiko, spolverandosi di dosso le briciole del toast.

«Volevo, ma non me l’hanno permesso. Ho raccontato come sarebbe dovuta andare… barbari ineruditi che non apprezzano l’arte dello spettacolo!»

«Era un matrimonio, Andi, santo cielo! Cosa ti aspettavi??» esclamò Gideon.

«In effetti non ricordavo che fossi sceso dal soffitto.» commentò Cloud.

«Tra quanto tempo pensi di essere in grado di vestirti?» domandò Gideon al ragazzo biondo, che continuava a stare disteso con gli occhi chiusi e un’espressione sofferente.

«Ma dobbiamo per forza vestirci?» chiese Maiko, abbassando la testa e cercando di spiare Cloud sotto le coperte. Gideon le diede uno scappellotto bonario.

«Su! Lo abbiamo torturato abbastanza.»

«Conosco tanta gente che farebbe la fila per fare questo tipo di torture!» rispose la ragazza, contrariata. In quel momento, l’apetta di prima rientrò nella stanza portando con sé un bicchierone di vetro colmo di un liquido verdastro.

«Ecco il Ricostituente!» disse allegramente, poggiandolo sul comodino di fianco a Cloud e approfittandone per cercare di spiare sotto le coperte.

«Oggi è più verde del solito!» commentò Gideon.

«Parli di Cloud o del Ricostituente?»

«Ha ha ha.» biascicò il ragazzo, alzandosi a sedere e girandosi per prendere il bicchiere, sentendo immediatamente una mano scivolargli furtiva sul culo.

«Senti che marmo!!» mormorò Maiko, maliziosa. Cloud si spostò più in là, perdendo l’equilibrio e cadendo fuori dal letto. L’apetta balzò indietro appena in tempo.

«Basta adesso! Che palle!» gridò il ragazzo, rialzandosi in piedi e guardando gli occupanti del letto con rabbia.

«Ooooh! Concordo!» esclamò ancora Maiko, fissandolo. Anche Gideon e Andrea sembravano incantati dalla visione. L’apetta era ammutolita in ammirazione.

Cloud realizzò di non essere più coperto dal lenzuolo e si tuffò di nuovo nel letto, arrossendo violentemente.

«Ormai lo abbiamo visto, possiamo anche smettere tutto questo pudore! Mi sembra di essere in una puntata di Chastity!» esclamò Maiko.

«Quello show in cui la ragazza deve scegliere un partner senza vedere nulla tranne le mani e l’estratto conto?» le chiese Andrea.

«Oh, andiamo, adesso basta con le stupidaggini! Tu e tu, vestitevi! Tu, bevi la brodaglia! Tu, cerca dei vestiti per Cloud!» esclamò Gideon, prendendo in mano la situazione.

«Una divisa dello staff andrebbe bene?» propose l’apetta.

«No.» rispose categorico Cloud, mentre prendeva un sorso di Ricostituente. 

«Si, my dear, ottima idea!» disse Andrea, senza ascoltarlo. L’apetta si affrettò ad uscire dalla stanza, mentre Cloud guardava con odio l’entertainer; quel bibitone amarissimo era arduo da buttare giù.

“Spero funzioni”  

«Ancora non mi avete detto perché sono nudo, in mezzo a voi nudi, se dite che non ho…»

«Non hai! Sta tranquillo!»

«Ok, ma perché sono nudo?!!» gridò spazientito il ragazzo.

«Per lo stesso motivo per cui hai bisogno di vestiti nuovi. I tuoi puzzavano come un negozio di alcolici che ha preso fuoco ed è stato spento dal piscio di alcuni barboni.» gli rispose Gideon.

«Colorito, ma abbastanza preciso.» rispose Andrea, cercando in giro per la stanza i suoi vestiti.

«Ok…» disse Cloud, sospirando dopo un’altra sorsata.

«Cloud… temo che tu sia sdraiato sulle mie mutandine.» disse Maiko, che era inginocchiata vicino al letto intenta nella ricerca dei suoi indumenti.

Il ragazzo controllò a tastoni e trovò effettivamente qualcosa, tirandolo fuori e guardandone sconvolto le minuscole dimensioni.

«Ecco dov’era finito il mio minizoma! Grazie tesoro… puoi tenerlo, se vuoi.» gli disse, facendogli l’occhiolino.

«No.» rispose Cloud, porgendoglielo senza guardarla.

«Un… minizoma?» chiese Gideon, confuso.

«Certo! È come un perizoma, ma ancora meno intrusivo!»

«Secondo me ti deve intrudere parecchio tra le chiappe.»

«Beh, il senso è quello.» concluse Maiko, ancheggiando per gli occhi di Cloud, che però si chiusero immediatamente.

«Va bene per la faccenda dei vestiti...» disse il ragazzo, rivolto ad Andrea e Gideon, per non guardare Maiko, «... ma perché mi sono svegliato insieme a voi?» domandò, prima di bere ancora dal bicchiere. Notò con soddisfazione che era rimasto solo un quarto della bevanda; in effetti iniziava a sentirsi meglio.

«Per non farti svegliare freddo in una pozza del tuo stesso vomito.» rispose Gideon, infilandosi i pantaloni. 

«Come?» fece Cloud, perplesso.

«Non si lascia un ubriaco marcio a dormire da solo, può essere pericoloso.» gli spiegò.

«Eri talmente fuori che nemmeno tutti gli scossoni del letto ti hanno svegliato!» rise Maiko, che finalmente sembrava rassegnata a rivestirsi.

«Quindi dovrei anche ringraziarvi per aver vegliato su di me mentre facevate… quella roba?» disse sarcastico Cloud. « Non credo alla faccenda dell’ubriacatura.»

«Dovresti, caro mio.»

 

***

 

Cid e Barret erano seduti ad un tavolo in disparte, sorseggiando dei drink, ad una distanza tatticamente breve dal bancone del bar, ma lontana dalla musica. Nel mezzo dell’enorme giardino, su un ampio palco di legno adibito a pista da ballo, la maggior parte degli invitati si stava scatenando ormai da ore. Shera era stata scelta da Marlene come baby sitter ufficiale e dopo parecchio tempo a bighellonare nell’area bambini ora stavano ballando anche loro.

«Mai pensato di avere figli? Hai già una mamma provetta.» commentò Barret, divertito, indicando le due ballerine improvvisate.

«Ho già la mia nave a cui badare, almeno lei tra quattordici anni non mi odierà.» rispose il pilota, svuotando il suo bicchiere.

«Guardali lì… a divertirsi come se niente fosse. Stronzi.»

«Già, da non credere.»

«Lo avresti detto, solo qualche mese fa?»

«No…»

«Non lo riesco a vedere che balla…»

«Nemmeno io, queste coppie improvvisate dal matrimonio facile mi rendono sospettoso.»

«Aspetta, ma di chi parli?» fece il pilota.

«Degli sposi… non me la raccontano giusta.» disse Barret, fissando Jay e Catena che danzavano in modo indiavolato come se fossero da soli; la cravatta di Jay era sparita da tempo, insieme alla sua dignità, mentre Catena aveva posato sia il copricapo che lo strascico.

«Ma che sei scemo?! Chi se ne frega di loro, parlo del biondo! È tutta la festa che fa il piccioncino con Tifa!» esclamò Cid.

«Vorrai dire il coniglio. Li ho visti spuntare dal corridoio delle stanze, poco fa.» commentò Barret.

«Io li ho visti uscire da quegli orrendi cespugli di merda a forma di animali, laggiù in fondo!» aggiunse Cid.

«Io li ho visti uscire dal castello gonfiabile dei bambini!» aggiunse Andrea, che si era avvicinato al loro tavolo.

«Che schifo!! Ci ha giocato Marlene, lì dentro!» si indignò Barret.

«Eh già, vorrei riavere anch’io il vigore dei vent’anni.» continuò l’entertainer, senza ascoltarlo mentre si accomodava insieme a loro. Cid battè il pugno sul tavolo.

«Io vorrei vendetta per quello che ci ha fatto passare! Se penso che a causa sua io e te stavamo per… oh cazzo, non ci voglio pensare!!»

Barret fece una smorfia disgustata al solo ripensare a cosa gli aveva fatto rischiare la materia emotiva.

«Ci siamo anche dovuti calare in un buco, rischiare la pelle contro orde di mostri e andare a recuperarlo una volta che aveva finito di fare l’eroe!!»

«Eh si, con Cloud non ci si annoia mai.» disse Andrea, mentre osservava la coppietta in questione abbracciata sulla pista da ballo.

«Ma tu da che parte stai?!» berciò Cid.

«Dalla mia, quando mi conviene.»

«Tu che lo conosci, suggerisci una vendetta adeguata.»

«Non potrei mai tradire la fiducia di Cloud Strife rivelando i suoi più profondi segreti!» ribatté l’entertainer, guardandoli scandalizzato.

«E come fai a conoscerli?» chiese Barret, inarcando un sopracciglio.

«Non li conosco! Per quello non potrei rivelarli.»

Cid si colpì la fronte con il palmo e si alzò diretto verso il bancone.

«Prendine uno pure per me, parlare con Andrea è più faticoso di quello che pensavo!» gridò Barret.

«Faticoso, ma spero anche divertente.» disse Andrea.

«Per ora solo faticoso…» rispose Barret.

«Mi impegnerò di più, allora. A che tipo di vendetta pensavate?»

«Ma… non hai detto che…?»

«Oh, sono un’anima volubile, che ci posso fare! E poi siete suoi amici, non credo che vogliate fargli del male. »

«Io si!» rispose Cid, sedendosi di nuovo e appoggiando due bicchieroni colmi di un liquido arancione sul tavolo.

«Che roba è?» chiese Barret, squadrando sospettosamente il bicchiere.

«È un cocktail di mia invenzione! L’ho chiamato Honeybee Tonic.» rispose Andrea. «Tornando al piano, da quello che ho capito, volete un goliardico regolamento di conti con il bel biondo.»

«Si. Come possiamo fare?»

Andrea strinse gli occhi, sorseggiando il suo drink e massaggiandosi la tempia con l’altra mano.

«Qualcosa che ci ripaghi almeno con delle grasse risate di tutto quello che ci ha fatto passare!» disse Barret, vuotando a lunghi sorsi il suo bicchiere.

«Oh, l’ironia! Ho trovato!» esclamò l’entertainer.

«Cosa??» chiesero gli altri due.

«Dobbiamo riuscire a farlo ubriacare! Sarebbe il contrappasso perfetto per quella volta che ha cercato di mandarmi fallito prosciugando la mia cantina! Le mie finanze sono ancora in rosso, i miei fornitori vogliono la mia testa!»

Cid e Barret sgranarono gli occhi.

«Aspetta… stai dicendo che Cloud è davvero un bevitore?»

«L’ho visto bere più di quanto sia umanamente possibile, senza dare segni di cedimento.»

«E allora come pensi di farlo ubriacare, scusa?» gli chiese Barret.

«Abbiamo l’elemento principale, illimitato accesso ad alcolici di ogni genere e gradazione. Dobbiamo solo trovare un sistema. Una volta fatto, diventerebbe manipolabile… potremmo fargli fare quello che vogliamo.»

«Qui qualcuno complotta e ordisce! Senza di me!» esclamò Yuffie, apparendo dietro a Cid. Tutti e tre sobbalzarono.

«Che gli dei ti maledicano, Yuffie!» gridò Cid, che aveva rovesciato parte del suo drink sul tavolo.

«È così che tratti un’amica venuta a portarti la soluzione al tuo problema?» disse la ragazzina, sorridendo. Sembrava che avesse bevuto qualche bicchiere di troppo.

«La soluzione? Tu?? Ma sai di cosa stiamo parlando almeno?»

«Lasciatela dire… le vedo negli occhi la scintilla di chi ama raggirare le persone. O è solo molto ubriaca.» disse Andrea, osservando la nuova arrivata con interesse.

«Non ho capito che stai dicendo, ma è penosamente facile far ubriacare qualcuno. Incredibile che non lo sappiate.»

«Piantala di dire cazzate e sputa il rospo!»

«Dovete farlo mischiare.» sentenziò la ninja, rubando il bicchiere di Cid e finendolo in un sorso, sorda alle sue proteste.

«Mischiare cosa?? Per me ci hai dato troppo dentro con i bicchieri e non sai più cosa dici.» esclamò Barret, allontanando da lei il suo bicchiere.

«I colori a olio sulla tavolozza della vita… e naturalmente l’alcol! Mischiate le gradazioni! Nessuno regge una montagna russa alcolica!» strillò la ninja esasperata.

«Ha ragione! Perché non ci ho pensato io?» disse Andrea, guardando estasiato la ragazza alticcia.

«Non mi piace il tuo sguardo…» rispose Yuffie, biascicando e agitando a caso un dito.

«Attento, celebrità. Sa usare le armi… e ha diciassette anni.» le fece eco Cid.

Andrea si fece scappare un’espressione a metà tra il sorpreso e il preoccupato, ma recuperò in un attimo il suo aplomb e disse:

«Disdicevole che le abbiano permesso di bere. E di portare armi… che usanze che hanno da queste parti! Fanno bere i minorenni ma non ti permettono di calarti con una fune per celebrare un matrimonio.»

«Davvero sdid… dissid… sdisdivecole!» rispose Yuffie, caracollando di nuovo verso il bar.

I tre uomini la guardarono preoccupati mentre iniziava a chiacchierare animosamente con uno dei barman.

«Che gioventù!» si lamentò Andrea, bevendo.

Poco distanti da loro, sulla pista da ballo, il lento che Cloud e Tifa ballavano da molto ebbe finalmente l’accompagnamento musicale giusto. Il palco si popolò di altre coppie che giravano lentamente sul posto.

«Pensavo che non avrebbero mai messo la musica giusta…» mormorò Tifa all’orecchio di Cloud, dandogli anche un piccolo morso.

«Pensavo che le bariste reggessero meglio l’alcol…» la prese in giro lui, mordicchiandole il lobo a sua volta.

«Uuuuh… te l’ha insegnato Meteor a mordere così?» fece maliziosa la ragazza.

«Lascialo fuori dai discorsi spinti, ti prego. Mi fa sentire sporco… poi potrebbe sentirti e arrivare di corsa.»

«Io spingo tutti i discorsi che voglio, ciuffo biondo!» rispose la ragazza, facendo scivolare una delle sue mani fino alle natiche di lui. Cloud sorrise e la lasciò fare.

«Mmmmh… se mi sorridi così, io penso colo a una sosa…» biascicò lei, cercando di risultare provocante ma inciampando sulle parole.

«A cosa?» chiese lui, divertito dalla situazione.

«... non farmelo dire di nuovo! Non sta bene!» si lamentò lei.

«C’entra forse la stanza nella villa?» fece lui maliziosamente.

«Nnnooooo… nemmeno i cespugli o il gastello confiabile! Cosa credi, che io sia una ragazza facile??»

«Non l’ho mai pensato!» la rassicurò lui, ostentando un'aria innocente.

«Ah ecco!!» rispose, baciandogli furiosamente il collo.

«Dove ti porto stavolta?» domandò lui, sorridendo.

«In un posto dove posso sdraiarmi, perché non penso di riuscire di nuovo a fare la spac…»

La ragazza non riuscì a finire la frase: i novelli sposi, con Jay evidentemente ubriaco, si avvicinarono a loro.

«Cloud! Tifa! Ecco dov’eravate!» esclamò Catena, sorridendo.

«Bro!! E… bro femmina, ragazza di testimone… bro!! Come state, bro?! Vi state divertendo??» biascicò lo sposo, che aveva la cravatta annodata sulla fronte come una fascia.

«Ciao! È una bellissima festa, ancora congratulazioni!» rispose Tifa, scandendo perfettamente le parole e facendo trasalire Cloud, che la guardava incredulo.

“Ma come fa?? Due secondi fa non riusciva a parlare!!”

«Qui a Wutai facciamo bellissime feste!!» rispose Catena, agitandosi al ritmo di una musica che sentiva solo lei.

«Attenta, sposa bro, non ti agitare troppo, che mi shakeri l’erede!»

Cloud e Tifa sgranarono gli occhi.

«Erede??» esclamarono in coro.

«Non ve l’abbiamo detto?? Abbiamo un piccolo bro in cantiere!»

«Si! Non è meraviglioso? Guardate già che pancia che ho!»

Catena procedette ad alzare la sua gonna fino a sopra la pancia, incurante degli innumerevoli spettatori, per mostrare l’evidente rigonfiamento del ventre. I due ragazzi guardarono scandalizzati, senza riuscire a rispondere e senza spiegarsi come mai la sposa non avesse la biancheria intima.

«Cat!! Sei la solita esibizionista! Quello è il mio parco giochi!!» protestò lo sposo, in verità senza troppa convinzione, cercando di abbassare la gonna di Catena.

«Ma la cosa incredibile è come lo abbiamo concepito!» continuò la sposa, ignorando completamente sia le proteste di Jay che l’imbarazzo di Cloud e Tifa.

«Hai ragione amore! Una storia incredibile, bro!» esclamò lo sposo, riuscendo finalmente ad abbassare il vestito della consorte.

«In un certo senso, è come se foste stati voi!»

«Che intendi???» chiese immediatamente Tifa.

«Stavamo venendo da voi, bro! Per darvi l’invito a questa cerimonia! Poi, bro… non so cosa ci è preso, bro! Un attimo e ci siamo ritrovati nudi a farlo per strada!»

Cloud sbiancò.

«Si! Hehehehe… sono un po’ estroversa, è vero, ma non farei mai una cosa del genere! Non so cosa mi avesse preso. E il bello è che non eravamo i soli!»

Cloud diventò più bianco del bianco, mentre Tifa lo guardava di sottecchi e ridacchiava.

«Ma dai! Intendi dire che…?» chiese con tono innocente.

«Si, bro! In tutta la via c’era gente che faceva sesso! Sembrava il set di un film a luci rosse!!»

“Oh. Mio. Dio.”

«Abbiamo sicuramente vinto il premio di miglior performance quel giorno! E sono sicura che sia stato allora che abbiamo concepito il piccolo… o la piccola. Spero sia una bambina!!»

«Che… bella storia.» mormorò Tifa. Cloud non riusciva a emettere un suono.

«Una bellissima storia bro! Il destino ha voluto che mettessimo su famiglia, quel giorno!»

Senza aspettare una risposta, gli sposi si tuffarono di nuovo in mezzo alla pista da ballo, scatenando un applauso.

Tifa battè una mano sulla spalla di Cloud, dicendogli:

«Complimenti, destino. Sei l’unico che abbia mai fatto fare figli con una sega.»

«Sembra di sentire Cid…» esalò Cloud, che stava tornando a respirare.

«Qualcuno mi nomina?» chiese il pilota, che li aveva raggiunti insieme a Barret e Andrea.

«Hey! Dov’eravate?» domandò il ragazzo.

«A bere, che domande! Forza, venite con noi! Facciamoci una bevuta tutti insieme!» propose Barret.

Cloud fece di si con la testa, prima che Tifa lo prendesse per il colletto e lo tirasse indietro.

«Non penso proprio, stavamo per andare a… a cambiarmi le… le scarpe! Si, le scarpe, giusto Cloud?» disse la ragazza, rivolgendogli un occhiolino molto evidente.

Lui la guardò comunque con aria interrogativa, al che lei esclamò:

«Limit break!!»

«Dobbiamo andare, scusateci. Le scarpe.» disse immediatamente Cloud.

I due si allontanarono verso la villa; la mano destra di lei era saldamente ancorata alla natica destra di lui.

«È davvero quella la loro frase in codice per “andiamo a scopare”?» chiese Cid, incredulo. Anche Andrea era sorpreso.

«Persino io so essere più discreto. Quando voglio…» 

«Non li sopporto più! La nostra vendetta deve compiersi!» esclamò Barret, colpendo un nemico invisibile con cattiveria. Si volse di colpo verso Cid e gli addentò una spalla.

«Ahia!! Ma che cazzo ti prende?? Sei impazzito??»

«Devo avere la mia vendetta!!»

«Si ma la mia spalla non c’entra niente!!»

Tifa nel mentre stava trascinando Cloud verso la villa, sorda ai suoi lamenti.

«Posso camminare da solo!»

«Sbrigati! Non esiste che l’ultima che tu abbia visto stasera non sia la mia!»

«Ok, ma che fretta c’è?»

«Come sei candido, amore. Muoviti.»

Entrarono nell’edificio e si affrettarono a salire le scale; Tifa trovava ogni scusa per reggersi a Cloud e palparlo senza ritegno. Verso la metà della prima rampa di scale Cloud non riuscì più a resistere e iniziò a replicare alle molestie ricevute, innescando una piccola lotta che durò finché non riuscirono ad arrivare alla porta di una delle stanze.

«Questa non è la nostra…» mormorò Cloud, respingendola per un attimo. Lei lo guardò imbronciata e con aria di sfida aprì la porta.

«Ora è la nostra! Vieni dentro.»

Lui alzò le spalle e la seguì, chiudendo la porta a chiave dietro di sé. Lei aveva già lanciato via il suo vestito e si era distesa sul letto.

«Forza, ciuffo… ti aspetto…» disse con tutta la malizia che riuscì a infondere nel suo biascicare.

Cloud prese a spogliarsi il più in fretta possibile, lasciando i suoi vestiti su una sedia. Si lanciò verso il letto, pronto all’azione, ma dal materasso giungevano suoni poco eccitanti.

Tifa russava della grossa.

“Ma… non ci ho messo così tanto!!” pensò il ragazzo con disappunto. Rimase per un momento incantato a guardarla, vestita soltanto dell’intimo e con i capelli abbandonati alla rinfusa sul cuscino. Poi la coprì, cercando di non svegliarla; le lasciò un bacio sulla fronte, si rivestì e uscì rassegnato dalla stanza.

Nel tornare all’esterno, investito di nuovo dalla musica e dalle luci della pista da ballo, si domandò se l’invito a bere fosse ancora valido.

«Oh! Abbiamo fatto presto? Non ci regge più la pompa? Perdono le tubature?» domandò malizioso Cid, una volta che il biondo li ebbe raggiunti al tavolo.

«Si è addormentata.» rispose seccamente Cloud.

«Fai così schifo a scopare??»

«Non eravamo andati a… mi serve da bere.» disse il ragazzo, alzandosi di botto tra le risate degli altri tre e dirigendosi al bar.

«Il destino ci sorride! Tifa è fuori combattimento, abbiamo la nostra occasione!» sussurrò Andrea.

«Che la vendetta cominci!»

 

***

 

«Si, va bene, ho bevuto un po’, ma non mi sono ubriacato!» esclamò Cloud, mentre si abbottonava il gilet giallo e nero sopra la camicia.

«Sei sprecato a fare le consegne…» sospirò Maiko, guardandolo sognante.

«Vado benissimo a fare le consegne. E non ero sbronzo ieri!» replicò lui.

«Aspetta… manca ancora il leggendario cilindro!» disse Andrea, senza ascoltarlo, porgendogli un elegante cappello.

«Quello non me lo metto.» disse seccato Cloud; non si sentiva a suo agio negli eleganti e attillati vestiti da ballerino.

«Dai, non farti pregare!»

«No.»

«Se te lo metti e ti fai guardare ti mando altra pasta diamantata.» propose Maiko. Cloud alzò gli occhi al cielo e prese il cilindro con uno strattone, calcandoselo in testa. Tutti gli altri lo guardarono a bocca aperta.

«... perfection…» mormorarono la ragazza e Andrea, mentre Gideon si lasciò sfuggire un sorrisetto e annuì con approvazione. Anche le apette che avevano portato i vestiti si lasciarono scappare dei sospiri.

Il ragazzo si tolse immediatamente il cappello lanciandolo sul letto sfatto. Si era prestato abbastanza a quella pagliacciata.

«Ora facciamo qualcosa? Devo tornare da Tifa!» esclamò.

«Ah, se avessi qualcuno che pensa a me come lui pensa alla sua ragazza…»

«Che carino… com’è premuroso!»

«Lo inzupperei nel caffè la mattina…»

«La piantate?!?» gridò Cloud.

«Non dovresti agitarti così tanto… il Ricostituente non fa miracoli.» lo avvisó Andrea.

«Non mi sono ubriacato ieri!»

«Invece si.» replicò pacato l’entertainer.

«Dobbiamo andare.» sentenziò Cloud, facendosi strada tra le apette e uscendo dalla stanza.

«Vomiterà sulla moquette, vero?» chiese Maiko. Gideon sospirò:

«Spero per lui di no.»

Ascoltarono i passi di Cloud scendere le scale che conducevano all’entrata principale; dopo pochi gradini si interruppero, sostituiti dall’inconfondibile suono dei conati di vomito.

Corsero tutti sulle scale: altre due apette stavano cercando di aiutare Cloud, tenendo un sacco dell’immondizia aperto davanti a lui e reggendogli la fronte mentre lui rimetteva sonoramente.

Girò brevemente la testa verso di loro, cercando di dire qualcosa, ma l’ennesimo conato glielo impedì.

«In effetti hai ragione, non ti sei ubriacato.» lo prese in giro Andrea. Cloud alzò una mano verso di loro e gli mostrò il dito medio.

 

***

 

«Andrea…»

«Dimmi, mio complice.»

«Questo non si ubriaca!» sussurrò Cid.

«Lo vedo anche io che non si ubriaca! Non sono cieco. Cosa aveva detto Fuffi?»

«Yuffie. Ha detto di mischiare.» rispose Barret.

“E io che credevo che Tifa esagerasse.” pensò, mentre guardava il biondo, che sembrava perfettamente sobrio, ordinare l’ennesimo drink.

«Ma non si stacca mai dal suo maledetto bicchiere e va sempre da solo a prenderseli… ci serve un detersivo.» disse Andrea.

«Un diversivo?» fece Cid.

«E che ho detto io? Dobbiamo distrarlo. Oppure…»

«Oppure? Svelto, prima che torni! E prima che diventiamo troppo ubriachi per stargli dietro!»

«Il barman è alle mie dipendenze. Ora vado a ordinargli di truccare il prossimo cocktail di Cloud. Aiutatemi ad alzarmi.» ordinò Andrea. Barret lo prese per la collottola con la mano e lo alzò di peso, assestandogli poi un forte morso ad un braccio. L’entertainer fuggì terrorizzato verso il bancone.

«Ma infatti perché stiamo bevendo anche noi… non ha senso.» disse Cid, scrutando nel suo bicchiere come se cercasse la risposta tra i cubetti di ghiaccio e le fettine di agrumi.

«Si inpost-ehm, inspott… sarebbe strano se noi non bevessimo! Capirebbe tutto!» sbraitò Barret.

«Si ma io sono comunque basito.» 

«Cosa sei?? Non si capisce niente quando parli!!» esclamò l’omone.

«Barret, tendi a diventare molto aggressivo quando ingerisci alcool. Mi fai ricordare di un mio vecchio collega.» commentò Cid, con una nota di rimprovero nella voce.

«E tu tendi a diventare noioso!»

Entrambi ammutolirono quando Cloud si sedette di nuovo al tavolino.

«Ragazzi, state bene? Forse dovreste smettere di bere.» disse ghignando, buttando giù un bel sorso del suo cocktail. Entrambi lo guardarono con odio.

«Forse dovresti smettere tu!» gridò Barret.

«Forse dovresti pensare che Marlene potrebbe sentirti e abbassare la voce, Barret.» disse Cid, serafico.

«Ooooh, Marlene!! Il mio piccolo angelo! L’avete vista, com’era bella durante la cerimonia??»

Andrea si unì nuovamente a loro giusto in tempo per alzare gli occhi al cielo.

«Perché flirtavi con il barista?» gli chiese Cloud, vedendolo tornare con lo stesso bicchiere che aveva prima.

«Sul lavoro non fer… floe… sono serio sul lavoro! Controllavo la situazione, mi assicuravo che facesse il suo mestiere! Sono un professionista io!»

«Si, ok, calmati. Siete decisamente tutti ubriachi.» disse Cloud, finendo il suo bicchiere.

“Maledette cellule di Jenova!!” pensò Barret, digrignando i denti.

«Ma tu non senti niente?? Hai bevuto il doppio di noi!!» sbottò l’entertainer.

«Si in effetti, ora che me lo dici, sento qualcosa.» dichiarò il ragazzo.

Gli altri tre aspettarono speranzosi il responso.

«... sento il bisogno di andare in bagno. Torno subito.»

Detto questo, si alzò di nuovo e si allontanò.

«Non lo sopporto più!! Ci vedo doppio! Quello ci ha scoperti e ci sta prendendo per il culo!» si lamentò Barret, cercando di bere e rovesciandosi parte del drink addosso.

«Ho in mente un bellissimo gioco che coinvolge il bere alcolici.» disse Cid.

«Certo, beviamo un altro po’ così non ci troveremo nemmeno più il cazzo nelle mutande!» berciò Barret.

«Io mi sento ancora più che in grado di trovare cazzi dentro le mutande. Specie in quelle altrui.» affermò Andrea, sorridendo.

«Zitto tu! Sta parlando Cid!» gridò Barret, mordendolo di nuovo. Andrea urlò di dolore, mentre Cid si lanciava nella descrizione del gioco.

Cloud fece ritorno al tavolo qualche minuto più tardi. Si sedette, osservando divertito i tre che lo aspettavano in silenzio.

«Che c’è? Parlavate di me?»

«Si, ti aspettavamo perché vogliamo fare un gioco alcolico tutti insieme.» annunciò Andrea, come se stesse recitando una poesia. Il ragazzo li guardò con aria dubbiosa.

«Siete sicuri?»

«Si si. Ho già dato ordine che ci portino vari giri di bevute. Il gioco si chiama “Io non ho mai”, lo conosci?»

«... no. Te lo sei inventato, vero?»

Cid e Barret si guardarono basiti.

«Assolutamente no! È un gioco molto vecchio. Tranquillo, è semplice.» lo rassicurò Andrea. Un cameriere dispose accuratamente vari bicchieri colmi sul loro tavolino.

«L’ultima volta che mi hai detto di stare tranquillo sono dovuto scappare da una festa vestito da cameriere per non farmi arrestare.» ribatté il biondo, piccato.

Cid e Barret sgranarono gli occhi.

“Ma che razza di gente frequenti adesso, Cloud?” pensò l’omone.

«A turno diciamo una cosa che non abbiamo mai fatto. Chi invece l’ha fatta, deve bere!» gli spiegò Cid.

«Qualsiasi cosa?»

«Si… diciamo che di solito si scade quasi sempre nel pecoreccio.» disse il pilota, alzando un dito.

«Che c’entra la pastorizia?»

«Niente! Forza, comincio io.» disse Barret. «Io non ho mai letto un giornaletto porno.»

Dopo qualche momento di sguardi incerti, Cid e Andrea alzarono i bicchieri e bevvero.

«Dai, non hai mai guardato una rivista zozza??» ruggì Barret, guardando male Cloud.

«Veramente no, non le faccio queste cose.» disse il ragazzo, con un leggero disagio.

«Mi sembra un comportamento eccessivamente casto per un adolescente.» confermò Cid.

«Mi stai spaventando! Come cazzo parli??» urlò l’omone.

«Solo perché di mestiere guido veicoli e brandisco armi, non significa che io sia un ignorante. Codesti stereotipi sono dannosi.»

«Ok, tocca a me!» esclamò Andrea, troncando il discorso temendo altri morsi.

«Io non ho mai… fatto una partita di pallone.»

Cid e Barret presero i bicchieri e guardarono con odio sia Cloud sia l’entertainer.

«Disadattati…» mormorò il pilota, prima di bere. Il ragazzo sbuffò.

«Non mi sta piacendo molto questo gioco.»

«Dai, ora tocca a te. Qualcosa che non hai mai fatto.»

«Io… non ho mai raccontato una barzelletta.» disse Cloud.

“Temo che il mio piano stia lentamente fallendo.” pensò Cid, bevendo di nuovo.

«Ma sei stato un bambino anche tu o sei solo apparso così, già incazzato e con la spada??» sbottò Barret.

“Cid, fatti venire un’idea o il prossimo bicchiere che berrò sarà pieno dei resti dei precedenti.” pensò Andrea, sforzandosi di mantenere la concentrazione mentre il suo campo visivo si andava pericolosamente riducendo.

«Secondo me hai passato l’adolescenza ibernato da qualche parte… nemmeno una barzelletta??» si lamentò.

Cid e Barret trasalirono a quelle parole, mentre Cloud si rabbuiò.

“Diamine, il ballerino ha ragione! Ci siamo dimenticati che si è fatto l’adolescenza in criostasi!” pensò allarmato il pilota.

«Forse è il caso che vada a controllare come sta Tifa.» disse il biondo, facendo per alzarsi.

«Nooo! Non puoi abbandonare adesso!! Abbiamo ancora da bere!» protestò Barret, cercando di morderlo. Cloud schivò il morso e si sedette di nuovo, sospettoso.

«Credo sia il mio turno adesso…» disse il pilota, con un ghigno stampato in faccia, «... ed io non ho mai….»

“Vediamo se questo funziona.”

«... avuto un coito con una della famiglia Lockheart.»

I tre cospiratori si scambiarono sguardi di trionfo, mentre Cloud beveva e arrossiva con violenza.

«Non vale così!» si lamentò il ragazzo, «... e questo drink ha un sapore strano. Che roba è?»

«È nuovo, si chiama Rhodea Sour.» rispose Andrea, con un sorriso a trentadue denti in faccia.

«Tocca a me!!» gridò Barret, battendo i piedi per terra.

«Io… non ho mai detto di essere un SOLDIER!»

Cloud lo guardò male e bevve di nuovo, tra le risate degli altri al tavolino.

“Cosa state cercando di fare? Non mi ubriacherò mai.” pensò, lanciando occhiate di sfida.

Andrea, improvvisamente ringalluzzito, prese la parola.

«Ed ora vado io! Io non ho mai… usato un’arma.»

Cid e Barret espressero il loro disappunto e bevvero di nuovo, insieme a Cloud.

«Se morissi adesso non mi decomporrei, da tutto l’alcol che ho in corpo.» commentò Cid.

Cloud ridacchiò, stupendosi subito dopo della sua reazione.

“Si… sta funzionando…” pensò Andrea, sfregandosi le mani sotto il tavolo.

«Ora tocca a me… io non ho mai… pagato per fare sesso.» disse Cloud, cercando di darsi un contegno, mentre arrossiva.

Nessuno alzò il bicchiere; il ragazzo guardò interrogativamente Andrea, che inarcò un sopracciglio e rispose, serafico:

«My dear, è la gente che paga per fare sesso con me.»

Tutti gli altri risero; Barret fu sconquassato dalle risate a tal punto che rischiò di cadere dalla sedia. Dopo qualche momento riuscì a ricomporsi e propose:

«Oooh, quindi saresti un gran seduttore. Vediamo un po’... io non ho mai fatto sesso con altre due persone!»

Andrea e Cid alzarono il bicchiere e bevvero, sorprendendo gli altri due.

«Ho avuto una adolescenza movimentata e senza lunghi periodi di criostasi.» si giustificò il pilota, «... ma non ho mai fatto esplodere reattori di mako.»

«Ti odio Cid!!!» gridò Barret, finendo il suo ultimo bicchiere insieme a Cloud e correndo a ordinare altri drink. Andrea riuscì ad intercettare lo sguardo del barman e gli fece un cenno.

«Ora vi faccio vedere io!! Io non ho mai festeggiato il mio diciassettesimo compleanno!» gridò Cloud, sbattendo una mano sul tavolo.

«Non vale! Usi la tua peculiare vita contro di noi!» protestò Cid.

«E voi cosa avete fatto finora? Forza, bevete!» esclamò il biondo.

I tre obbedirono di malavoglia, anche se Cloud stava iniziando a mostrare evidenti segni di cedimento.

“Dobbiamo sbrigarci, prima che decida di farci bere fino al ventunesimo anno, o andare oltre.” pensò allarmato il pilota.

«Toccava a me.» si lamentò Andrea.

«E allora forza, stupiscici.»

«Io non ho mai… PAGATO per farmi fare un massaggio.»

Cloud bevve un lungo sorso, mentre Cid e Barret si guardavano spaesati.

«Vi ho stupiti?» chiese l’entertainer, sorridendo.

«Che genere di massaggio?» domandò Cid, appena si riprese dallo stupore.

«Sono cazzi miei!» ringhiò Cloud, facendo trasalire gli altri tre.

“Evviva! Ubriacati, maledetto!” pensò trionfante Cid.

«Chissenefrega dei massaggi, voglio sapere un’altra cosa. Non ho mai fatto sesso con tre altre persone.» esclamò Barret, fissando insistentemente Andrea. Urlò di trionfo quando vide l’entertainer bere.

«Conduci una vita sessuale molto promiscua. Voglio scoprire di più… non ho mai fatto sesso con altre quattro persone.» disse Cid, ridacchiando.

Andrea bevve, ma rischiò di farsi andare tutto di traverso quando anche Cloud prese il bicchiere e bevve.

«Ci siete cascati! Avevo solo sete. Che facce che avete fatto!!» gridò il ragazzo, ridendo come un matto e prendendo a schiaffi le braccia di Barret, che ricambiò con un morso.

«Ahia! Che cazzo fai?» strillò il biondo, spostandosi. 

“Ci siamo! Adesso il colpo di grazia!” pensò l’entertainer, guardando l’ignara vittima.

«Ora tocca a me. Non ho mai… abitato sopra un bar.»

«Ma tu vivi all’Honeybee!» si lamentò Cloud, prendendo il suo bicchiere dopo un paio di tentativi a vuoto.

«Non osare considerare il mio locale come un semplice bar. Ora bevi.»

Il ragazzo obbedì, poi guardò con odio l’entertainer.

«Tocca a me...io non ho mai… fatto sesso con altre cinque persone.»

Tutti fissarono Andrea, ma nessuno prese il suo bicchiere.

«Per farmi bere, dovreste invitare qualcun altro e spogliarvi. Ho dei limiti anche io!!» protestò l’entertainer.

Cloud sbuffò, poi posò lo sguardo su l’ultimo dei suoi bicchieri. Lo prese, con qualche difficoltà, e lo vuotò.

“Oooh… mi sa che ci siamo!”

“Avrà funzionato?”

«Devo andare un attimo in bagno… a pisciare.» annunciò Cloud, agitando una mano; si aggrappò, non senza difficoltà, ai braccioli della sua sedia e si diede lo slancio per alzarsi. Non ci riuscì e ricadde pesantemente.

«Volevo fare così. Per farvi ridere. Perché non ridete?» chiese, cercando di nuovo di alzarsi. Stavolta si diede troppo slancio e cadde per terra insieme alla sedia.

Stavolta gli altri tre risero di gusto; Barret gli lanciò un paio di cubetti di ghiaccio avanzati da uno dei bicchieri, mentre il ragazzo si allontanava dal tavolino ondeggiando paurosamente.

«Ce l’abbiamo fatta! Propongo di bere per festeggiare!» trillò Andrea.

«Ma che cazzo dici!! Ok ci sto, vado a prendere da bere.» rispose Barret, alzandosi di slancio.

«Sono orgoglioso dei nostri sforzi. Insieme, abbiamo vinto l’innaturale resistenza alcolica di un ex-SOLDIER.» disse Cid, unendo i polpastrelli delle mani con fare compiaciuto.

«Bene, ma siamo solo agli inizi. Ora che è in nostro potere, cosa gli facciamo fare?»

Andrea sorrise, gli occhi che scintillavano pericolosi. 

«L’attore principale è pronto, ma serve un degno palcoscenico su cui farlo esibire.»

 

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Capitolo 15
*** Una notte da Cuahl - Parte 3 ***


 

Note degli autori:
AVVERTENZE! Questo è probabilmente uno dei pezzi più deliranti che abbiamo scritto, l'OOC è dietro l'angolo, e ci scusiamo per i disagi. Speriamo, tuttavia, che il capitolo vi piaccia e che vi diverta.
Disclaimer: le strofe delle canzoni sono citazioni modificate per l'occasione dei testi dei Bullet for My Valentine, pertanto non ci appartengono, come il resto del Franchise di FFVII.
E se questo non vi invoglia a leggere, non so cosa altro lo farà.
Buona lettura
Denna

Una notte da Cuahl
Parte 3



Cloud si alzò con cautela dalla morbida poltroncina sulla quale lo avevano fatto sedere. Ringraziò con un gesto l’apetta che lo stava sventolando con un grosso ventaglio di piume, che gli fece un grandissimo sorriso e se ne andò. La testa gli girava ancora, ma finalmente lo stomaco sembrava aver deciso di dargli tregua, probabilmente perché non aveva più nulla da vomitare, inclusa la sua anima.

«Va meglio?» trillò Maiko, senza malizia.

«No…» gemette lui in risposta, appoggiandosi alla parete. «Ma devo andare. Devo tornare a Villa Kekkon.»

«Quel posto pacchianissimo, così lontano? E come vorresti andarci?» gli domandò la ragazza.

«Non lo so.» ammise lui, la testa che sembrava costantemente trafitta da grossi spilli. Andrea e Gideon li raggiunsero, trafelati.

«Meko, ci serve un aereo.»

«Oh, ma certo tesoro, scusa se non ci ho pensato prima! Adesso contatto la divisione aeronavale di COSA CAZZO STAI DICENDO e sono sicura che ti prepareranno tutti gli aerei che vuoi!!» sbottó la ragazza, alterata. 

«Ti prego! Non hai qualche aggancio Shinra che potresti contattare?» la supplicò Andrea.

«Non lavoro più per la Shinra da un po’... allora non ti dimentichi soltanto il mio nome, ogni volta.»

«Non so a chi altro chiedere, dobbiamo arrivare al Gold Saucer!»

Cloud si domandò cosa diamine stessero dicendo. Doveva andare in bagno.

«Vado in bagno.» annunciò.

«Torna in camera per farlo. Ah, già che ci vai, prendi anche il tuo pennuto.» rispose distrattamente Andrea.

«Meteor?! È qui??» chiese il ragazzo, illuminandosi.

«Si, nella sua gabbietta nel bagno della camera. È stata davvero piena di uccelli stanotte, quella stanza.»

«Non era esattamente quello, l’uccello di tua proprietà che volevo toccare, ma mi sono accontentata.» disse Maiko, tornando subito dopo a discutere di aerei con Andrea e Gideon.

Cloud rimase interdetto per un momento, poi si defilò su per le scale, schivando le apette e i camerieri intenti nel loro lavoro. Tornò alla stanza e si infilò immediatamente nel bagno, desideroso di riabbracciare Meteor. Quello che vide lo fece inorridire.

Andrea fu interrotto nel mezzo della trattativa da un urlo di terrore proveniente dal piano di sopra. Corse immediatamente su per le scale e si fiondò nella stanza. Trovò Cloud con la schiena premuta contro la porta chiusa del bagno e un’espressione terrorizzata.

«Ma che succede?» domandò preoccupato.

«C’è un pulcino di chocobo nel bagno!» esclamò il ragazzo. 

«Perché, pensavi ti stessi prendendo in giro? Certo che c’è, è il tuo!»

«Non è il mio!» gridò Cloud.

«Ma… come no! E poi come fai a dirlo?»

«Lo so riconoscere il mio uccello! Quello è molto più piccolo!» esclamò, subendo le risatine di Andrea.

“Cazzo, mi hanno contagiato coi loro doppi sensi!”

«Ma quindi… se non è il tuo, di chi è?»

«Non sarebbe la prima volta che fai casino con gli uccelli degli sconosciuti.» intervenne Gideon.

«Mi piacerebbe saperlo!» disse Cloud, ignorando l’ennesimo doppio senso. «Non mi ricordo nemmeno come siamo finiti qui!»

«Calmati. Mirka ci ha detto che proverà a farci avere un passaggio fino al Gold Saucer.»

«E come mai dobbiamo andare lì?»

«Per ritrovare il tuo uccello, per iniziare.»

Cloud sospirò.

«Sei riuscito ad andare in bagno?»

«No! L’uccello mi avrebbe staccato l’uccello!»

«Ma quale uccello?» domandò Gideon.

«Il mio!»

«Ma hai detto che non è il tuo!»

«Aaaaargh! Basta! Non ci vado a pisciare in una stanza con un pulcino a piede libero! Quei cosi sono delle piccole macchine per uccidere!» gridò Cloud, in preda all’esasperazione.

«E come lo riprendiamo allora?» gli chiese Andrea, preoccupato per eventuali danni.

Cloud ci pensò un attimo, poi ricordò i primi giorni con Meteor.

«Hai mica delle palle di vetro? Potremmo attirarlo.»

«Non c’è uccello senza palle… mi sembra giusto.»

«Piantatela, sono serio!»

 

***

 

«Fate silenzio, siamo in missione segreta!»

«Ma quale segreto, ci hanno visto tutti!»

«Eravamo solo quattro amici che andavano in giro, non sospettano cosa vogliamo fare.»

«Io non ci volevo venire con voi. Non ho capito cosa dobbiamo fare. Devo fare pipì.» si lamentò Cloud, mentre veniva spintonato da Barret.

«La farai sull’aeronave.»

«Ah no! Sulla mia Shera non la fai.»

«Ma io non voglio fare pipì su Shera, che schifo!»

«Silenzio! Cid, aprici un varco!»

«Ma ci siamo soltanto noi qui! Forza, andiamo.»

I quattro salirono sulla nave, non senza difficoltà. Cid si diresse al timone, mentre gli altri tre ammiravano le luci della festa.

«Si accorgeranno che siamo andati via?» chiese Barret.

«No! Sono tutti stro-sbronzi!! E noi peggio di loro!» lo tranquillizzò Andrea.

«Che c’entra?»

«Niente!»

Barret morse uno dei corrimano, ringhiando.

«Tu sei molto mordace stasera!» disse Cloud, con fare accusatorio.

«Si beh… tu sei molto ciuffoso, stasera!»

Cloud se ne andò con aria offesa. Mentre Cid faceva rombare i motori, una piccola sagoma caracollò sulla passerella e saltò sulla nave poco prima che si staccasse da terra.

«Abbiamo un clandestino a bordo.» commentò Andrea, divertito.

«Sia gettato fuoribordo!!!» gridò Barret, mollando il corrimano e dirigendosi a grandi passi verso l’imbucato. 

«Meteor!!» gridò Cloud, riconoscendo il suo adorato pennuto. Spintonò Barret senza complimenti e si tuffò ad abbracciare il pulcino, che agitava le ali tutto contento.

«Kueee! Kueee!!» (madre, il vostro olezzo mi turba ma il vostro amore mi avvolge!)

«Chi è il pulcino più bello del mondo?? Chi è??» disse il ragazzo, con voce bambinesca, mentre accarezzava il chocobo.

«Kueeh?» (madre, cosa dite mai?)

«Tu sei il più bello! Si, sei proprio tu!!»

«Kueeeeeeeeeh!» (oh, madre, mi lusingate!)

Gli altri tre lo guardavano increduli.

«E ci ha messo così tanto per baciare la sua ragazza…»

«Si vede che è più affine agli uccelli…»

«Vi ho sentito!» gridò Cloud.

«Kueeh!» (ci stiamo librando nell’aere!!)

In quel momento Cid aumentò la velocità e la sfavillante villa scomparve alla vista, mentre guadagnavano altitudine.

«Ma il clandestino pennuto? Ce lo tiriamo dietro?» domandò Barret.

«Ormai è tardi per tornare indietro.» gli fece notare Andrea.

«Secondo me è anche meglio!» si intromise Cid. «In questo modo, se Tifa si sveglierà anzitempo, non potrà rintracciare Cloud con il CPS!»

«Il cosa?» chiese confuso Andrea.

«Il Chocobo Positioning System! Quel maledetto uccellaccio troverebbe Cloud anche in un bordello di scimmie con un casco di banane in mano!»

«Perché con le banane?» chiese Cloud, confuso. Senza aspettare una risposta, si recò ad uno dei finestrini e lo abbassò. Poi si abbassò i pantaloni e si sporse fuori per orinare.

«Mi si sta congelando il cazzo!!» urlò, ridendo.

«Cosa stai facendo?? Smettila immediatamente!!» berciò il pilota.

«Ma mi scappa!» protestò lui.

«Kueeh!» (madre, scorgo le vostre vergogne!)

«Mai visto uno così…» mormorò Andrea, con gli occhi sgranati.

«Non mi guardate, maiali!» protestò Cloud.

«Smettila subito o ti chiudo il finestrino sulle palle!»

«Taci e fammi finire!»

Cid urlò di frustrazione. Finalmente dopo un tempo lunghissimo, Cloud si risistemò i pantaloni e alzò il finestrino, tastandosi i genitali.

«Ho due ghiaccioli al posto delle palle!»

«Dovrò far lavare tutta la fiancata per colpa tua!»

«Taci e guida, merda! Dove stiamo andando?» ribatté il ragazzo.

“Incredibilmente, lo preferisco sobrio.” pensò Andrea, consolandosi con i progetti che aveva in mente per la serata.

«Andiamo al Gold Saucer! Il posto più bello del mondo!» annunciò l’entertainer.

Cloud si illuminò al nome della destinazione.

«Allora voglio andare alla Battle Square a combattere!»

«Nessuno combatterà con nessuno! Andiamo a fare serata!»

«Le mie serate sono di combattimento.» ribatté il biondo, contrariato, alzando i pugni.

«Non dire cazzate! Di sera tu ficchi il cazzo in mezzo alle tette di Tifa!» ribatté Cid.

“... si può fare davvero? Aspetta, dov’è Tifa?” pensò Cloud, trasalendo.

«Dov’è Tifa? Dovevo controllare come sta… Cid, torna indietro!» esclamò.

«Te lo puoi scordare, mica sono alle tue dipendenze!»

«Tifa starà bene, noi possiamo divertirci tranquilli!» lo rassicurò Andrea.

«Io non sono tranquillo per niente, tra poco mi sentirò male. Mi sento sempre male se non guido io. Cid, fammi guidare!»

«Gli date una botta in testa, per favore?»

«Siamo arrivati?» si lamentò il ragazzo, appoggiandosi contro la parete, mentre Meteor si strusciava su di lui, pigolando.

«Kueeeh…» (madre, stento a riconoscervi stanotte.)

«Solo tu mi capisci, Meteoro...»

«Siamo sicuri di aver fatto la cosa giusta?» sussurrò Barret, osservando dubbioso Cloud.

«Certo che si!» gridò Andrea, aggrappandosi ad un tubo per una virata improvvisa.

«Perdonatemi. Ho dovuto schivare uno stormo di uccelli.»

«Uccelli? Dove sono??»

«Quanto manca??»

«Adesso basta! State tutti zitti o vi faccio scendere!» gridò Cid, esasperato.

La minaccia funzionò e i tre si zittirono. Dopo un lungo tratto di volo sul mare, Cid iniziò a intravedere le luci di Rocket Town. La conferma di essere sulla rotta giusta lo confortò dei brutti ricordi che quella vista gli evocava. 

«Barret!! Vieni qui!» gridò Cid.

«Agli ordini, comandante supremo!»

L’omone arrivò davanti al timone e si mise comicamente sull’attenti.

«Che diamine fai! Avvicinati.» 

Barret fece il giro; Cid gli fece cenno di abbassarsi e gli sussurrò all’orecchio:

«Stiamo per volare su Nibelheim. Distrai il ciuffo.»

«Sarà fatto. Hey, Cloud!!»

«Si?»

«Distraiti.»

«Sicuro? Va bene... vieni, Meteor!»

«Kueeeh!» (sono già qui, mia genitrice adorata!)

«Ti insegno un gioco… si chiama “Io non ho mai”.»

«Visto? Facile.» disse Barret, tornando a sedersi.

«Gioco anche io!» gridò Andrea, «... sono bravissimo a giocare con gli uccelli!»

«No tu no, me lo travii! Poi lo farai vestire da ape e lo userai nei tuoi spettacoli! E io starò in platea triste a guardarlo e poi mi ammalerò e poi…»

«Cloud, piantala.»

«Non dirmi di piantarla! Non è un vegetale!»

«Non lo sopporto più! Chi è a favore di lanciare Cloud di sotto?» sbraitò Andrea.

«Io!!» ruggì Barret.

«Nessuno lancia nessuno! Sono il comandante quindi dovete obbedire ai miei ordini!» gridò Cid. Cloud si alzò e gli puntò un dito contro con fare accusatorio:

«E chi l’ha deciso che tu sei il comandante? Solo perché hai chiamato la nave come la tua ragazza!? Se si chiamasse Tifa, comanderei io!»

«Se si chiamasse… beh potrei comandare con molti nomi, io!» rincarò Andrea, anche se per un momento, sembrò turbato.

«Io la chiamerei Marlene! Sarebbe la nave più dolce e carina di tutte!»

«Ma che… non hai capito niente!!»

«Io propongo un ammutandamento!»

«Un cosa??»

«Un ammulinamento… no aspetta, un ammortamento!»

«Si, in quante rate?»

«No non era così… un ammutinamento! Ora questa nave si chiama Tifa quindi comando io!» gridò Cloud, alzando il pugno.

«Tifa è un nome molto migliore per una nave… per una ragazza, o anche per una marca di vestiti… Tifa è proprio fantastica.» continuò il ragazzo, fissando il nulla con occhi sognanti.

“Shera sbrigati prima che li decapiti tutti… o prima che mi cadano i testicoli.” pensò Cid. Il pensiero di essere soltanto a metà strada non era incoraggiante. 

«Vi interessa sapere perché Tifa è così fantastica?»

«No!» dissero i tre all’unisono.

«Bene, ecco le mie top-cento ragioni per cui Tifa è la migliore di sempre!» esclamò il ragazzo, raggiante.

«Mi pento di cosa ho fatto...» mormorò Andrea.

«Numero uno: ha i capelli! Senza starebbe molto male. Numero due: i capelli sono neri! E lisci! Numero tre… ha una Limit Break devastante!»

«Perché non vai da un’altra parte a dire queste cazzate? Tipo fuoribordo?»

«Numero quattro: quando shakera i cocktail mi piace guardarla!»

Finalmente, dopo aver dovuto ascoltare per un’eternità le battute e i commenti beceri dei tre passeggeri, atterrarono all’aeroporto del Gold Saucer. C’erano diverse aeronavi ferme nei loro posti, nonostante fosse notte inoltrata, e tutte le piazze brulicavano di gente come al solito: la caduta della Shinra non sembrava aver intaccato la popolarità di quel luogo, anzi.

«Numero novantasette: le tette!»

«Cominciavo seriamente a preoccuparmi… anche se è carino che le abbia nominate così tardi.» disse Andrea, strappando una risatina a Cid.

«Numero novantotto: sa fare la spaccata! Sa anche mettersi un piede dietro la testa! Questo è mooolto utile quando…»

«Non voglio sapere altro!! Stai zitto!! Sono morto dentro fin dalla numero venticinque: sa spremere i limoni nell’incavo del gomito. Che cazzo significa!!?» berciò Barret, con la pazienza agli sgoccioli.

«Tifa, Tifa Tifa… ma se ti piace così tanto, perché non te la sposi??» lo provocò Cid.

«Giusto! Torniamo indietro, devo sposare Tifa.» proclamò Cloud.

«La mia licenza per celebrare è valida fino a domani! Potrei pensarci io!» esclamò Andrea,  estasiato.

“Altro che materia emotiva, bastava una sbronza coi fiocchi. Mi dispiace che Tifa non sia qui.” pensò il pilota. Considerò per un momento l’idea di fare dietrofront, ma il desiderio di vendetta e la paura di ascoltare altre cento ragioni lo fecero desistere.

«Da quando hanno costruito un aeroporto?» chiese ancora l’entertainer, osservando mentre degli addetti guidavano Cid nell’atterraggio.

«Non lo so ma sono sollevato che lo abbiano fatto, pensavo di dover atterrare in mezzo alla selva!!» rispose il pilota.

«Terra!» urlò Cloud, fuori di sé dalla gioia, aspettando di scendere.

«Contieni l’entusiasmo, biondo.» ridacchiò Cid, mentre abbassava la passerella.

Non appena ci fu spazio sufficiente, il ragazzo si precipitò fuori, saltando giù dalla passerella che si stava ancora abbassando e iniziando a correre verso il luna park, seguito da Meteor.

«Dobbiamo recuperare quel pazzo dissennato!» gridò il pilota, allarmato.

«Come è possibile? Barcollava fino a poco fa!» strilló Andrea.

«Ragazzi… forse ho visto male, ma credo abbia preso la spada.» disse Barret.

«Sono due metri di metallo! Come avresti fatto a vedere male?»

«Aveva portato la spada!?» esclamò Andrea, terrorizzato.

«Starà andando in arena.» commentò il pilota. 

«Oh, no! Sbrighiamoci, se si fa ammazzare di nuovo in un’arena, Tifa mi ucciderà!» gridò l’entertainer.

«Come, “di nuovo”?»

«Se è vivo, vuol dire che non è morto. Se fosse morto ce ne saremmo accorti! Invece è vivo, che è il contrario di morto, quindi posso dire ch…» puntualizzò Barret.

«Era per dire!» berciò l’entertainer, mentre scendeva. «Parlavo dell’incidente con i cani!»

«Che cani?»

«I cani velenosi dell’addestratore rancoroso nel torneo pericoloso.» declamò Andrea.

«Poesia alcolica.»

«Sbrigatevi invece di dire cazzate!»

Corsero fuori dall’area di parcheggio e si tuffarono tra la folla che camminava intorno all’enorme edificio, cercando di individuare Cloud.

«Come faremo a trovarlo??»

«Voleva andare in arena, il coglione, quindi andiamo di là e cerchiamo un assembramento di donne. Quello ha la calamita.» disse Cid.

«Non solo per le donne…» commentò Andrea sottovoce.

«Senza sapere cosa farsene… è una vera ingiustizia.» aggiunse Barret.

Seguirono i segnali che puntavano in direzione della Battle Square ed arrivarono alla base del Saucer, dove si aprivano le porte di svariati ascensori. Cloud era lì che li aspettava, circondato da svariate persone.

«Ti pareva… andiamo a salvarlo.»

«Vorrei averceli io questi problemi…»

Si avvicinarono abbastanza da sentire cosa stava dicendo Cloud. Era in piedi in mezzo al capannello e teneva Meteor in braccio, come a mostrarlo al suo pubblico.

«... e quindi il maschio del chocobo, in giovane età, tende a mordere tutto quello che gli capita a tiro. Questo in particolare mi ha morso almeno ventisei volte, prima che riuscissi ad addestrarlo…»

«... io addestrerei ben altro uccello…» mormorò una ragazza tra il pubblico, facendo esplodere in risatine tutte le sue amiche.

«Scusi, signorina, le domande alla fine. Stavo dicendo, l’addestramento…»

«Se sentite qualcosa che si rompe sono le mie ovaie…» commentò un’altra ragazza, sospirando.

«Se il pavimento è scivoloso è colpa mia...»

«Ok, basta la lezione è finita!» gridò Andrea, irrompendo e trascinando via Cloud.

«Ma ero quasi al punto più interessante!» protestò il ragazzo, mentre gli amici lo spingevano di forza dentro un ascensore. Prima che le porte si chiudessero, un paio di mutandine femminili atterrarono all’interno. I quattro le guardarono con gli occhi sbarrati, mentre il meccanismo li faceva saettare verso l’alto.

«Ma come…»

«Mi domando come sia possibile.»

«Già… come avrà fatto a togliersele così velocemente?» si chiese Cloud, raccogliendole.

«Che fai, vuoi tenerle?» lo canzonò Barret.

«Hai ragione, fanno un po’ schifo. Magari troviamo un cestino e le buttiamo…»

«Magari la smetti di calamitare tutte le donne nei paraggi e ci fai divertire un po’ pure a noi!»

«Si, come se tu avessi speranze! Salve, sono un terrorista alto due metri e ho un cannone al posto di una mano, posso offrirti da bere mentre ti mostro le foto di mia figlia?» esclamò Cid.

«Vogliamo parlare di te? Ciao, fumo come un camino e impalo le persone, vuoi fare un giro sulla mia nave che si chiama come la mia ragazza?» replicò stizzito Barret.

«E vogliamo parlare di Andrea? Che… che… oddio come va veloce questo ascensore…»

«Cloud, controllati!»

«Meteor, reggimi…»

«Kuee?» (madre, stanotte mi date da pensare.)

«Coraggio, ci siamo quasi.»

«Perché siamo venuti qui? Mi gira tutto, voglio andare a casa da Tifa a farmi fare un Cosmo Canyon e a sposarla!»

«Ci andremo dopo, prima dobbiamo buttare queste mutande, se no Tifa ti ci strangolerà.»

«Hai ragione… quanto manca? Siamo arrivati?»

«Dici che potremmo regalarlo a qualche ragazza?»

«Vendiamolo. Non diventerai mai ricco, così!»

«Sono ricco dentro, io!»

«Sì, ricco di cazzate!»

L’ascensore finalmente rallentò; mentre si fermava e le porte si aprivano, una voce registrata annunciò:

“Ghost Square! Taverna e negozio!”

«Terra!!» gridò Cloud, lanciandosi fuori e abbracciando il terreno. Gli altri lo alzarono di peso e lo trascinarono un po’ più in là. Lo appoggiarono ad una delle lapidi della piazza, mentre lui si riprendeva.

«Hey, guardate!» disse il ragazzo, mentre infilava le mutandine alla lapide, «... ora è un culo!»

«Mmmh, che sexy.» mormorò Andrea, con voce atona.

«Ma qui non siamo all’arena! Voglio andare a combattere!» protestò Cloud.

«Wow, lo hai capito tutto da solo, che non siamo all’arena? Che volevi fare, mettere le mutandine ai lottatori?» lo prese in giro Cid.

«... non mi piacciono i lottatori. Mi piace Tifa.»

«Riesce ancora a nominarla, urge bere ancora.» dichiarò Cid, scuotendo la testa.

«E non mi piace questo posto, ci sono i fantasmi. Ho paura dei fantasmi, passano attraverso i muri, e fanno assorbimento vitale!» disse il biondo, guardandosi intorno spaventato.

«Non ci sono fantasmi qui!»

«E questa lapide con le mutande? Qui ci sarà lo spettro di una spogliarellista.»

«... ce le hai messe tu un momento fa quelle mutande.» disse Barret.

«Ma che dici, mica sono mie! Andiamo a bere!!» esclamò Cloud, dirigendosi verso gli ascensori. Andrea lo prese per la collottola:

«Dove vai?! La taverna è dall’altra parte!»

«Lo sapevo, volevo vedere se stavate attenti! Andiamo, Meteor.»

Il pulcino lo seguì a debita distanza, guardandolo interrogativamente. Gli altri tre li seguirono, altrettanto dubbiosi. La taverna li attendeva in cima ad alcuni gradini ed era spettrale come al solito. Urla e musica ad alto volume filtravano all’esterno.

Il buttafuori li fece entrare in una piccola anticamera, dove il fracasso già si faceva assordante, poi finalmente furono introdotti nel locale vero e proprio.

Nel mezzo c’era una enorme pista da ballo gremita di gente; decine di altre persone erano assiepate davanti a ciascuno dei tre banconi, dove i baristi lavoravano a ritmo forsennato. I muri scuri e decorati con ragnatele, teste mozzate e torce davano alla taverna un aspetto inquietante; molti degli avventori erano truccati o mascherati a tema e ogni pochi secondi delle macchine per il fumo avvolgevano la pista da ballo nella nebbia.

«Mi aspettavo una clientela ed un’atmosfera molto più inquietanti, invece sembra una versione più dark del mio locale!» commentò Andrea, sorpreso, ma intrigato da ciò che vedeva.

«A me piacciono di più le apette! Fanno meno paura…» commentò Cloud. Cid scosse la testa e replicò:

«Vedo una o due vampire da cui non mi dispiacerebbe farmi succhiare il…»

«Sei un uomo impegnato tu!» lo interruppe Barret, dandogli un morso su una spalla.

«Stasera mi sembri tu il vampiro! Forza, andiamo a bere!» disse Andrea, sospingendoli verso il bancone più vicino.

Iniziarono e finirono diversi giri di bevute in piedi, prima di riuscire a prendere possesso di un tavolino in un angolo.

«Finalmente!! Continuavano a toccarmi lì al bancone, mi sono sentito molestato.» si lamentò Cloud. Meteor era disteso sulle sue ginocchia, alzando ogni tanto la testa per mangiare dei salatini che il ragazzo gli aveva procurato. 

«Se lo mangiava con gli occhi perfino il barman. Io non ne posso più…» bisbigliò contrariato Cid.

Una delle vampire passò molto vicino al loro tavolo e lanciò al biondo un’occhiata che agli altri sembrò quasi famelica, passandosi la lingua sulle zanne finte.

«Avete visto?» esclamò il pilota. «Parlavo esattamente di questo!»

«Per me stava solo recitando.»

«Per me è inaccettabile!»

«Per me altro giro!» disse allegramente Cloud, alzandosi e tornando al bancone; Meteor saltò subito di nuovo sulla sedia e tuffò la testa nei salatini. Prima di riuscire ad arrivare al bar, il ragazzo slittò sul pavimento bagnato ed urtò una delle cameriere.

«Scusami!» gridò, mortificato.

«Non preoccuparti, tesoro! Puoi urtarmi quanto vuoi…» rispose la ragazza, mandandogli un bacio.

Cid e Barret erano furenti.

«È come se fosse l’incarnazione dei sogni proibiti di tutta Gaia.» disse Andrea, che seguiva il suo incedere barcollante con sguardo sognante.

Furono interrotti da un annuncio, urlato al microfono dal dj del locale:

«Ed ora!!! Facciamo un bell’applauso per la band che stavamo aspettando! Terza tappa del loro tour mondiale… i Mateeeria for my Valentine!!!»

Andrea si unì educatamente agli applausi sfrenati del resto del pubblico, mentre Cid e Barret rischiavano di strozzarsi con i loro drink.

«Che c’è? Li conosco, sono bravi. Hanno suonato anche all’Honeybee una volta.»

La postazione del dj venne rapidamente smontata, mentre la band, composta da tre ragazzi con lunghi capelli neri e appariscenti vestiti rosso sangue iniziava ad armeggiare con gli strumenti.

Cloud non sembrava aver notato nulla di strano; era ancora al bancone col bicchiere in mano, parlando con il barman.

«Mentre noi siamo qui a rosicare, lui fa collezione di intimo usato.» borbottò Barret. 

«Oh, basta lamentele!! Vi propongo una sfida.» esclamò Cid, battendo un pugno sul tavolo.

«C’entra far fuori Cloud?»

«No.»

«Allora non mi interessa.»

«Vi sfido a rimorchiare. In questo locale, stasera. Con Cloud presente.»

«Farei prima a riammazzare Sephiroth con un cucchiaino.» ribatté Barret scuotendo la testa.

«Il bello della sfida è proprio questo!» replicò Cid.

«Ma ha anche il suo pulcino! Nemmeno una ergastolana cieca appena uscita di prigione accetterebbe di parlare con uno di noi! Siamo nel famoso bordello pieno di scimmie, ma solo Cloud ha le banane!» gridò Barret.

«Mi piacciono le sfide, io ci sto!» disse Andrea, finendo il suo drink.

«Ah! Almeno uno che sa divertirsi.» disse soddisfatto Cid. Barret continuava a scuotere la testa.

«Hai paura di perdere perché hai il “cannone” arrugginito?» insinuò l’entertainer.

«Dov’è il cane che è fuggito?» chiese Cloud, tornando a sedersi con loro.

«Nessuno è fuggito!» esclamò Barret, punto sul vivo. «Ci sto anche io! Ciuffo, tu resta qui con ciuffetto, noi torniamo tra poco!» 

«Va bene.» disse Cloud con un’alzata di spalle, accogliendo di nuovo Meteor sulle sue gambe.

«Kuiiih!» (madre, codesto loco mi turba, bramo il mio nido soffice!)

I tre aspiranti dongiovanni si sistemarono al bancone, scrutando la folla davanti a loro. In quel momento la band annunciò la sua prima canzone tra gli applausi e le urla delle fan.

«Chi inizia?»

«Bah, mica si fa a turni, è una prova a tempo! Chi fa prima e ottiene più numeri di telefono vince! A parità di altri fattori, conterà la bellezza della più bella.» spiegò Cid, distribuendo occhiolini.

«Per forza più “bella”? Così limiti la mia creatività! E inoltre, la vera bellezza per me trascende il genere e l’apparenza fisica.» si lamentò Andrea. Barret alzò gli occhi al cielo.

«Guardate lì. Direi che conta qualsiasi essere umano.» sospirò Cid, indicando il loro tavolino.

Un ragazzo molto esile coi capelli bianchi si era avvicinato a Cloud e aveva palesemente cercato di attaccare bottone, ma era stato scacciato in malo modo.

«Va bene! Conta il numero di “persone” che si riescono a rimorchiare.» concesse Barret. 

«Conta anche Cloud tra le persone rimorchiabili?» scherzò Andrea.

«Ti dirò, gran seduttore, che se riesci a rimorchiarlo ti concedo la vittoria.» fece Cid, scoppiando in una fragorosa risata.

«... che incentivo!» 

I tre si separarono, in cerca di bersagli. Cloud li guardò, senza capire cosa stesse succedendo. Un altro bicchiere era apparso al suo tavolo, portato dalla cameriera che aveva urtato prima.

«Bell’uccello! È tuo?» gli chiese, maliziosa.

«Si. È ancora piccolo, ma cresce molto in fretta.»

«Ooooh, interessante… e cosa ci fai?»

«Veramente è un regalo che ho fatto alla mia ragazza.»

«Ah… comunque, questo te lo manda quella ragazza vestita da sexy Bahamut.» disse la cameriera, indicando un tavolino poco lontano, al quale era seduta una donna con la testa nascosta da una enorme imitazione della testa di Bahamut, ma per il resto poco vestita.

Si girò verso di lui, salutandolo con la mano e mimando delle artigliate assai poco minacciose.

«Io lo so evocare un Bahamut. Ma il mio non ha delle tette così grandi.»

«Si, non ne dubito. Ciao.»

La cameriera lo lasciò solo con Meteor e il drink.

«Ma cos’ha la gente da queste parti? Prima quel tipo che secondo me era Sephirot, ora Bahamut… adesso ci sarà anche uno vestito come me!»

La canzone heavy metal terminò con uno strimpellare di chitarra e la band iniziò subito a suonare una nuova canzone.

Can you hear the Fulgor?

Can you feel the Meteor fall?

Nail down all your windows

Then barricade the doors!

It’s Jenova’s fury

Killing all the men!

Showing all but mercy!

Wrecking death upon the land!

Go!

Caught in the eye of the storm!

Watch Sephirot rise and then fall!

We are

Caught in the eye of the storm!

All that's left are just bodies to mourn!

 

Cloud spruzzò il drink da tutte le parti, spaventando Meteor.

“Ma che cosa… stanno davvero cantando di…?”

«Valentine… ah, come Vincent! Gli assomigliano pure! Ma come fanno a sapere?» esclamò, guardando rapito i capelli del chitarrista che danzavano al ritmo forsennato della batteria. Una voce roca di fianco a lui disse:

«Volevano una storia per ispirarli.»

Cloud si girò di scatto, rovesciando addosso a Meteor il resto del drink; Vincent Valentine era apparso di colpo, seduto sulla sedia che un momento prima era vuota.

«Kuiiiih!!» (madre, smettetela di giuocarmi simili tiri!)

«Wow, che bel costume! Sembri il mio amico Vincent.» disse Cloud, toccando la stoffa rossa del mantello.

«Cloud, sono io. Che ci fai qui? Come mai hai un uccello addosso?» replicò l’uomo, con la sua solita voce monocorde.

«Ci ero quasi cascato! Certo mi aspettavo più il mantello e solo un costume da bagno sotto, sembra che i travestimenti qui funzionino così, guarda quella vestita da Bahamut…»

«Cloud piantala, sono davvero io. Come farei a sapere il tuo nome altrimenti?» gli fece notare Vincent.

Il ragazzo lo fissò, squadrandolo da capo a piedi con gli occhi socchiusi.

«Sei proprio tu!! Vincento Valentino!! Scusa se non ti ho invitato al matrimonio, mi sono proprio dimenticato!»

«Che matrimonio? Il tuo?!» chiese Vincent, sinceramente sorpreso.

«Ma no, io mi sposo quando torno da Tifa, più tardi. Era quello di un’assassina e di un bodybuilder che conosco. Eravamo alla festa ma poi siamo venuti qui con la nave di Cid che si chiama come la sua ragazza scienziata.»

«Hai risposto ad alcune delle domande che stavo per farti. Noto che nemmeno la tua vita è diventata tanto normale… mi spieghi come mai hai quell’uccello addosso?»

«Questo è mio! Si chiama Meteor! Non toccarlo, morde.»

«Non volevo toccare il tuo uccello.»

«Io lo farei volentieri! Posso portarvi qualcosa?» chiese la cameriera, sporgendosi maliziosamente al di sopra del tavolino e distribuendo occhiate ammiccanti ad entrambi.

«Si, portaci altri due di questi, per favore!» disse Cloud, indicando il suo bicchiere.

«Ma che ne so cosa stavi bevendo??» esclamò lei, stizzita.

«Chiedi a Kalhuo, me l’ha preparato lui! Io non so cosa sia, ma è buono.»

La cameriera alzò gli occhi al cielo sbuffando, poi si allontanò.

«Tu che fai da queste parti, Valent Vincentine?» disse Cloud, provando a bere di nuovo dal bicchiere ormai vuoto. L’altro lo guardò con preoccupazione.

«... non ti ho mai visto in questo stato prima. Hai bevuto?»

«Nooooo! Ok forse si, ma solo un pochino! Ma tranquillo, io reggo benissimo l’alcol!» strillò il ragazzo, alzando il bicchiere come a volerlo dimostrare.

«Se lo dici tu… comunque, sono qui in tour con la band.»

«Lo sapevo!!» gridò Cloud, sbattendo la mano sul tavolo. La band, dopo una piccola interruzione, aveva ripreso a suonare.

Helpless!

My eyes are bleeding from the darkness that's inside!

I sealed myself when you

Took what was mine

Don't try to stop me from avenging this world!

My gun will be heard

Waking the demon!

Where'd you run to?

Walking in shadows!

Watch the Chaos flow!

 

«Ooooh, ma… parlano di me!» disse Cloud, battendo le mani. Vincent scosse la testa, sempre più preoccupato.

«Hai detto che sei qui con Cid?»

«Ci sono anche Barret e Andrea!»

«Chi?»

«È un mio amico, una storia lunga. Oh, arrivano i drink, beviamo!»

 

Breathe for me!

Don't wake me from this slumber!

Stay with me!

Possession taking over!

 

«Alle canzoni che parlano di me!» disse il ragazzo, alzando il bicchiere. Vincent prese il suo drink sospirando e brindò con Cloud. La cameriera cercò invano di attirare la loro attenzione, desistendo quasi subito.

Vincent la seguì distrattamente con lo sguardo e notò Cid, appoggiato con un gomito al bancone, che chiacchierava con una ragazza molto bassa vestita con un lungo camice bianco macchiato di rosso.

«Ma… c’è anche Shera con voi?» chiese, basito.

«No. Solo la nave che si chiama come Shera. Non volevo fare pipì su Shera, io.»

Poco distante Barret mostrava orgoglioso i muscoli ad un gruppo di vampire, che però si dileguarono immediatamente, con espressioni disgustate.

«Ecco Barret… ma siete tutti ubriachi??»

«Io no! Gli altri si, cercavano di farmi ubriacare ma non ci sono risu… risciu… scisciuti!»

«No, in effetti. Come hanno potuto anche solo provarci.» commentò Vincent con tono accondiscendente.

«Lo dico anche io!»

«Tifa dov’è, invece?»

«Alla festa con Shera… cioè, non ci è andata con Shera, ci è andata con me! Dovevamo fare sesso in una stanza ma poi si è addormentata e sono tornato alla festa, poi gli altri hanno voluto fare un gioco alcolico e poi… bam, eccoci qua. Quando torno la sposo.»

«L’alcol ti rende loquace.»

«Si, dovresti provarci anche tu! Non parli mai!»

«... non pensavo che Cloud Strife mi avrebbe mai detto una cosa simile.»

«Dai! Io l’ho quasi finito e tu non l’hai bevuto proprio! Su, tutto giù!» insistette il ragazzo, scuotendo il suo mantello.

«Va bene! Basta che lasci il mantello!» sbottò Vincent, scolandosi tutto il suo bicchiere. Decise che dopo sarebbe andato a scambiare due parole con Cid e Barret sulle condizioni dell’amico.

Cloud lo guardava con la bocca aperta, come aspettandosi di veder succedere qualcosa;

la canzone che la band stava suonando si concluse improvvisamente tra applausi scroscianti. Con la coda dell’occhio, Cloud colse uno svolazzare di piume sul palco.

«Ma che cosa…»

«Buonasera, Ghost Square!!» tuonò la voce di Andrea dalle casse del locale, suscitando un coro di urla e applausi dalla pista da ballo.

«Questa sera festeggiamo il matrimonio del mio grande amico Jay!! Che però al momento sta espletando i suoi doveri coniugali!»

La folla rinnovò gli applausi, ridendo.

«E mi raccomando, se qualcuno vi chiede il numero di telefono, non dateglielo! A meno che non sia io a chiedervelo!!»

Tutti scoppiarono di nuovo a ridere, tranne una voce che gridò una parolaccia. Il cantante si riprese il microfono e la musica ricominciò a ritmo serrato e a volume assordante.

«Numeri di telefono? Doveri cognatali? Non ci capisco niente stasera…» disse Cloud, a nessuno in particolare, mentre finiva il drink.

“Non sapeva di niente... meglio i Cosmo Canyon. Perché ne ho chiesto un altro, faceva schifo anche il primo!”

Non fece in tempo a posare il bicchiere vuoto che una sagoma ingombrante si sedette al suo tavolino, beccandosi qualche soffio da Meteor.

«Ciao bel biondo… che ci fai qui da solo?» chiese una ragazza, che portava un gigantesco copricapo da fungo, ma era sostanzialmente in un succinto costume da bagno a pois rossi.

«Non sono mica da solo! Sto qui perché i miei amici sono in giro a fare non so che cosa. Non so niente stasera.» rispose in tutta sincerità Cloud, guardando con disappunto il bicchiere vuoto.

«Vuoi assaggiare il mio drink? Giuro che non sa di funghi…» disse la ragazza, mordicchiando la cannuccia nel suo cocktail.

«Grazie! Senti ma, secondo te…»

«Dimmi, dolcezza.»

«Ma si può veramente mettere il cazzo in mezzo a delle tette?»

«... come sei diretto. Ma certo che sì! Se vuoi una dimostrazione...» rispose la ragazza, giocherellando maliziosamente con la spallina del suo reggiseno.

«... da te? Ma le hai troppo piccole, mica come quelle della mia ragazza.»

La ragazza si alzò immediatamente, indignata, e svuotò il suo bicchiere sulla testa di Cloud prima di andarsene.

«Uffa, non capirò mai se mi stavano prendendo in giro.» si lamentò il ragazzo, mentre cercava di asciugarsi. Meteor si sgrullò tutto, inzuppandolo ancora di più.

«Grazie eh.» disse sarcastico Cloud, guardando il pulcino. La cameriera di prima gli posò vicino un pacco di tovaglioli.

«Trovato! Chiederò a Vincentino, lui lo saprà sicuramente. Hey, Vinc…»

Si era girato, ma Vincent non era più seduto sulla sedia: era scivolato sotto il tavolo e sembrava svenuto.

«Vincentiiiiiino? Ma sei vivo? Ah già, non puoi morire tu. Svegliati, devi spiegarmi una cosa importante!» si lamentò Cloud, toccando l’amico con la punta della scarpa.

«Hai dormito mille anni, proprio adesso devi fare un pisolino?» si lagnò.

In quel momento Barret passò vicino al tavolino seguendo una bellissima ragazza vestita da Shiva. Deviò per un attimo verso Cloud e si sporse al di sopra del tavolino; ignorò completamente i gesti del ragazzo e gli urlò:

«Mi ha detto che si chiama Shiva la Lasciva!! Se mi da il numero faccio un punto!!»

Non aspettò una risposta, andando a sedersi vicino alla ragazza.

«Un punto…? Ok che sono ubriaco e non ci capisco molto, ma così non mi fate proprio capire niente!» si lamentò Cloud, finendo di asciugarsi. Meteor pigolò esasperato e becchettò la ciotola dei salatini, guardandolo con insistenza.

«Oh, scusami, piccolo.» 

«Kueeeeh.» (madre, fornitemi del nutrimento di cui io mi possa pascere.)

«Scusa! Potresti portarmi altri salatini e qualcosa da bere?» chiese alla cameriera che passava da quelle parti.

«Ma certo tesoro! Vuoi provare un pompinotto?» trillò la cameriera.

«Un cosa??» chiese il ragazzo, scandalizzato.

«Uno shot che facciamo qui, che avevi capito! Si chiama così!»

«Ah, che nome strano. Ok… portamene due.»

«Oooh, che insaziabile!» ridacchiò la cameriera, prima di andare verso il bancone.

«Uno è per il mio amico Vincent! Quando si sveglierà.» rispose Cloud, indicando il suo amico che ancora non dava segni di vita.

Barret sfrecciò a tutta velocità davanti a lui, con espressione terrorizzata. 

“Chissà che gli è successo… non doveva farsi dare il numero da quella… Sveva l’Asciava?” pensò Cloud.

La cameriera arrivò al suo tavolo e posò con malagrazia i salatini e due bicchierini con un ciuffo di panna sopra. Cloud trasalì, guardandola perplesso.

«Lascia stare.» disse seccamente lei, mentre lui cercava i soldi per pagare. «Te li offre il barista.»

Cloud guardò verso il bancone centrale: Kalhuo gli fece l’occhiolino, mentre agitava con molta enfasi lo shaker.

«Oh… puoi ringraziarl…»

Non fece in tempo a finire di parlare: la cameriera si era messa vicinissima a lui e lo fissava con sguardo furente.

«Senti un po’, principessina dei miei coglioni, qui ci ho pisciato io! Non me ne frega niente di quanto pensi di essere bello, il barman è mio!» ringhiò la cameriera. Meteor ringhiò a sua volta, sputando pezzi di salatini ovunque.

«Cosa?» fece Cloud, spaesato.

«Puoi ripassarti tutto il locale, la band e quelli nelle altre stramaledette piazze finché non ti casca il cazzo, ma lui devi lasciarlo perdere, hai capito??» insistette lei, agitandogli minacciosamente un dito davanti alla faccia. Meteor lo addentò prima che Cloud riuscisse a fermarlo e la cameriera scappò via urlando. 

«... bravo Meteoro. Solo tu mi capisci.» mormorò, accarezzando il pulcino.

«Kuee kueh!» (nessuno rivolge epiteti ingiuriosi alla mia genitrice!)

Dall’altra parte del locale, Cid era intento a spiegare i rudimenti del volo a una ragazza con gli occhiali, che lo ascoltava rapita, protesa sul tavolino.

«... e quindi è questa differenza tra la parte inferiore e quella superiore dell’ala che genera portanza e permette di volare.»

«Oooh, come sei esperto!»

«Sai, ho anche costruito un intero aereo da solo, l’ho chiamato Bronco e…»

Cid si interruppe: la ragazza era improvvisamente crollata sul tavolino, russando come un trombone.

«Ma che… oh, che ironia! Ma questo punto me lo assegno! Me lo merito!» esclamò, tirando fuori un foglietto e scrivendo un numero di telefono a caso. Lo intascò, controllò che la ragazza respirasse e andò sconsolato verso il bagno.

Trovò Barret che cercava di attaccare bottone con una signora elegantemente travestita da cyborg.

«Hey tesoro, per caso sei un reattore di mako?»

«... no?»

«Perché vorrei tanto farti esplodere!»

La signora scappò via spaventata.

«Complimenti Barret! Vacci piano, è complicato starti dietro.» lo schernì Cid, entrando nel bagno senza aspettare la sua risposta.

Uscì e lo trovò nella stessa posizione, appoggiato ad un muro che osservava pensieroso la pista da ballo.

«Quanti punti hai?» gli chiese.

«Fammi guardare… uno.»

«Io nemmeno uno.»

«... aaaah che cavolo! Nemmeno io ne ho uno, la ragazza si è addormentata prima che glielo potessi chiedere.» ammise Cid, accartocciando e buttando il foglietto.

«Fai faville pure tu.»

«Non abbiamo più l’età per fare queste cose.»

«A meno che non sia la tua professione.»

«O a meno che Gaia non ti abbia benedetto con una bellezza da Limit Break.»

«Basta con questi discorsi, mi sto deprimendo. Andiamo a bere!»

«Sicuramente ci aiuterà con la depressione.»

Si fecero strada tra la folla di costumi improbabili fino al bancone, dove c’erano due persone avvinghiate in un bacio appassionato. Barret stava per ordinare, quando Cid gli diede un pugno per attirare la sua attenzione.

«Guarda!!!»

Le due persone che si baciavano, con abbondanza di lingua, erano Cloud e Andrea. 

«Oh porca troia!!» gridò Barret, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Che diamine succede!?» esclamò il pilota non riuscendo a credere a quello che stava vedendo.

«Succede che la vita è ingiusta.» commentò il barman, guardando Andrea con invidia. 

«Che palle! Ha vinto!» gridò contrariato l’omone, prima di chiedere da bere.

Cloud nel frattempo si era staccato da Andrea. Cid lo vide dire qualcosa all’entertainer, ma non riuscì a sentire nulla a causa del baccano; poi il ragazzo tornò al suo tavolo, dove lo aspettava Meteor. Andrea si girò, con espressione frastornata ed un sorriso ebete: incrociò lo sguardo del pilota e ridacchiò nervosamente.

«... dai vostri sguardi attoniti deduco che mi abbiate appena visto vincere la nostra piccola sfida…»

Cid e Barret lo guardavano, incapaci di proferire parola.

«Ma sono una persona sportiva! Kalhuo, preparaci qualcosa, offro io!»

Il barman lo guardò male e annuì silenziosamente, mettendosi all’opera.

«Dai, non me ne volere… non avevi speranze!» ridacchiò. Cid e Barret ripresero l’uso della parola in contemporanea.

«Cosa hai combinato?! Nemmeno tu dovevi avere speranze!»

«Cosa dirà Tifa!?»

Andrea sbiancò a sentire quel nome, ricordando la minaccia che aveva subito:

“... smettila di spogliare con gli occhi il mio ragazzo. O la prossima banda che ti rapirà sarà capitanata da me.”

«Tecnicamente non l’ho spogliato…» mormorò, mentre il barman serviva loro i drink.

«Ma che stai dicendo?»

«Non era nudo, ma è comunque grave!! È un ragazzo impegnato!»

«Ti sei approfittato di un povero ubriaco!»

Andrea evitava di rispondere, guardando il suo bicchiere.

«Mi aspettavo che ti prendesse a pugni però… non che ricambiasse.» commentò Barret.

«Già… anche io.» mormorò Andrea.

Furono interrotti da Cloud, che passò loro accanto dicendo:

«Oh ciao, anche voi qui? Ho messo Vincent a dormire, quindi vado a fare due lotte alla Battle Square e torno.»

I tre lo salutarono sbrigativi e tornarono a concentrarsi sul loro discorso.

«Andrea, mi meraviglio di te! Pensavo avessi un’etica e…»

«Aspettate un attimo…»

«Cosa ha detto?»

Si guardarono per un momento, poi abbandonarono i loro bicchieri e corsero fuori dalla taverna. Cloud, accompagnato dal chocobo, era già quasi arrivato agli ascensori, costringendoli ad uno scatto per raggiungerlo.

«Ma come cazzo fa a spostarsi così in fretta?!» berciò Barret.

«Velocità bionda.»

Non riuscirono ad impedirgli di entrare in una delle cabine, ma Cid con un balzo disperato lo bloccò al suolo prima che premesse uno dei tasti. Barret e Andrea ruzzolarono sopra di loro un momento prima che le porte si chiudessero.

«Kueeeh!» strillò arrabbiato Meteor, che era stato schiacciato. (goffi pachidermi, statemi alla larga d’ora in poi!)

“Non era questa l’ammucchiata che speravo, ma per ora mi accontenterò.” pensò Andrea, appoggiandosi ad una natica di Cloud per rialzarsi.

«Ma che fate!! Voglio andare alla Battle Square!» esclamò contrariato il ragazzo.

«Taci tu, se ci vai ti rovinano! Andiamo… dove andiamo?» chiese Barret.

«Andiamo alla Chocobo Square. Ti va? Così ti diverti a guardare gli uccelli.» gli propose Cid, mentre lo lasciava andare.

«Un bel passatempo.» approvò Andrea, premendo il tasto corrispondente.

Cloud non sembrava del tutto convinto, ma aspettò tranquillo che l’ascensore finisse la sua breve salita. Le porte si aprirono e i quattro rimasero abbagliati dalle luci che illuminavano a giorno il chocodromo.

«Troppa luce! Ma come si fa!»

«Forza, andiamo a vedere le corse!»

«Kuee kueeeh kue!» (percepisco l’odore dei miei simili!)

«Io volevo andare alla Battle Square…» protestò debolmente Cloud, mentre Cid e Barret lo portavano quasi di peso verso l’entrata degli spettatori, dove una piccola folla attendeva il proprio turno per entrare. Dagli altoparlanti dello stadio una voce maschile annunciò:

«La prossima gara prevista è il Baby Racing! Tre round di corse mozzafiato per determinare qual è il pulcino più veloce di tutti!»

Cid, Barret e Andrea fissarono Cloud con insistenza.

«Che c’è? Ve l’avevo detto che dovevamo andare da un’altra parte, ma voi non mi date retta!»

«Cloud, fanno una corsa per pulcini!» disse Andrea.

«L’ho sentito, mica sono sordo!»

«Non pensi che forse…»

«Sai, dato che c’è Meteor…»

«Kueeeh!?» (Madre, cosa accade in codesto loco frastornante?)

«Intendete forse che…?»

«Si!»

«E quindi io dovrei…»

«Siii!» esclamarono i tre in coro.

Cloud li guardò per un attimo a bocca aperta.

«No, non ho capito.» ammise, abbassando lo sguardo.

«Oh, puttana troia! Potresti far gareggiare il tuo pulcino!!» gridò Cid, fuori di sé.

«Sei tornato normale!» disse Barret, contento.

«Ooooh! Io… potrei far gareggiare il mio pulcino!» ripeté Cloud, guardando Meteor. 

«Grazie!» berciò il pilota.

Non visto da nessuno, un piccolo gatto si era avvicinato al gruppetto.

«Vedo un esito fastidioso per questo intendimento… almeno questo dicono le carte, meow!»

«Conosco questa voce!» esclamò Cloud, girandosi con un sorriso.

«Guarda chi si vede, il manovra robottini… ma senza robottino. È in revisione?» chiese Barret, abbassando lo sguardo sul felino.

«Meeeow! Vi ho visti da lontano, non avrei mai pensato di incontrarvi qui… vi godete una serata di divertimento?»

«Come mai quel gatto parla??» chiese Andrea, indietreggiando di qualche passo.

«Questo è Cassith! È un amico!» esclamò Cloud, chinandosi a riprendere Meteor che non stava gradendo la presenza del felino.

«Sono Cait Sith! E se ti sorprendo io, dovresti conoscere il nostro vecchio amico Red XIII!» rispose il gatto, leccandosi una zampa con disinvoltura.

«Ho dimenticato di invitare tante persone al matrimonio!! Sono pessimo!» gridò Cloud, dandosi un pugno in testa.

«Ne avete di amici strani.» commentò l’entertainer.

«Disse il ballerino vestito di piume che ha celebrato il matrimonio più pacchiano che abbia mai visto.» ribatté Barret.

«... e ha baciato Cloud.» sussurrò Cid.

«Non mi avete ancora detto cosa vi porta da queste parti, meeeow! Vi vedo abbastanza allegri… avete bevuto, per caso?»

«No! Siamo qui per gareggiare nel Baby Racing!» rispose Cloud, accarezzando la testa di Meteor.

«Wow! Sempre in giro a combinarne una, eh? Vi accompagno al banco della registrazione, la calca può diventare insopportabile!»

«Kueeeeh!!» (Ah! La Chocobomachia!)

 

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Capitolo 16
*** Una notte da Cuahl - Parte 4 ***


Una notte da Cuahl - Parte 4

 


«Quindi mi stai dicendo che dopo aver bevuto siete andati al Gold Saucer??»

«Siamo andati, c’eri anche tu!» ribatté Andrea.

«Non mi ricordo nulla. Però se Meteor è rimasto lì… perché è lì, giusto?»

«Non guardarmi così, sono quasi sicuro che sia rimasto al chocodromo.»

«Quasi??»

«Ad un certo punto saremo anche andati via, no? Anche se non mi ricordo praticamente niente nemmeno io. Avremo preso un pulcino credendo che fosse Meteor.»

«E Cid e Barret dove sono adesso?»

«Non ne ho idea, te l’ho detto! Magari tornando lì ci ricorderemo dove sono.»

Cloud si riappoggiò al sedile, borbottando:

«Come si fa a non riconoscere Meteor?! Tu lo avevi anche visto qualche volta!»

«Sono tutti uguali!! Sei tu quello strano che riesce a distinguerli!» gridò l’entertainer in risposta. La discussione fu interrotta dalle grida furiose del pulcino rinchiuso nella gabbietta sui sedili posteriori del piccolo velivolo che li stava portando in direzione del Gold Saucer.

«KUIIII KUEEEH!!» (masnadieri, bifolchi, buzzurri!! Liberatemi immantinenti e forse risparmierò le vostre vite!!)

«Ti sembra Meteor, quello?» disse seccamente il biondo, mentre combatteva contro un nuovo attacco di nausea.

«Vuoi la verita? SI!» disse spazientito l’entertainer.

Cloud sbuffò e si abbandonò sul sedile, cercando di concentrarsi sulla tappezzeria del sedile davanti a lui.

«La volete piantare? Sembrate due vecchi sposi che litigano!» li rimproverò Gideon dal posto anteriore. Andrea impallidì improvvisamente.

«Sembro vecchio??» esclamò, con voce affranta.

«Sei vecchio. E mi stai trifolando i coglioni.»

«Solo tu sai mischiare volgarità e cucina.» disse Andrea, sospirando.

«Io e chiunque altro abbia mai alzato un piatto a pagamento.»

«Si, ma tu lo sai fare così bene…» ribattè Andrea, accarezzandogli la testa. Gideon sospirò. Cloud lo imitò, per poi alzarsi di scatto e correre verso la piccola toilette in fondo al velivolo. I forti conati si sentivano anche attraverso la porticina.

«Brutta bestia la chinetosi.» commentò Gideon, con una nota di compassione nella voce.

«Specie se aiutata da un hungover da primo premio.» affermò Andrea.

«Volevate ucciderlo?» gli domandò l’uomo.

«Ma no! Era solo un piccolo esperimento…»

Gideon si voltò e lo guardò pieno di rimprovero.

«Mi stai dicendo che non sa che siete stati voi?»

Andrea evitò il suo sguardo, senza rispondere.

«... sei veramente uno stronzo.» borbottò, tornando a guardare il paesaggio che scorreva veloce sotto di loro. Cloud tornò a sedersi poco dopo, pallido in faccia.

«Provo a chiamare Cid e Barret.» annunciò, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il suo cellulare. Trasalì, quando sullo schermo apparvero notifiche su notifiche di chiamate perse dallo stesso numero.

«E chi sarebbe… cuoricino e lucchetto?» chiese Andrea, guardando lo schermo da sopra la sua spalla.

«Tifa.» sussurrò il ragazzo, terrorizzato.

«Non richiamarla!»

«Come no! Sarà preoccupata!»

«Si ma vorrà spiegazioni, vorrà sapere dove sei, vorrà che torniamo indietro! E per ora non possiamo fare nessuna di queste tre cose!» disse categoricamente Andrea.

«Anche io vorrei spiegazioni e tornare indietro, veramente!!» protestò Cloud. 

«Senza i tuoi amici… e il tuo pennuto?» 

«Non puoi tornare dalla tua ragazza senza il tuo uccello…» rise Gideon.

«Questi doppi sensi iniziano a darmi fastidio.» rispose il ragazzo, mettendo via il telefono e incrociando le braccia. Si era appena appoggiato allo schienale, quando sentì la sua tasca vibrare.

“Sarà ancora Tifa!” pensò, senza sapere cosa fare.

«Cosa c’è?» chiese Andrea, vedendolo agitarsi.

«Mi sta richiamando… si, guarda!» rispose, mostrandogli lo schermo.

«Non. Rispondere.»

«Ma…»

«No!! Meglio che ti creda morto!»

«Ma che diamine stai dicendo??»

«Andi, hai per caso paura che la ragazza scopra qualcosa?» domandò Gideon, guardando il compagno con sospetto. Il telefono smise di squillare.

«No! Sto solo tutelando Cloud e la sua relazione. Viene da una Black Ice, sai che vuol dire!» rispose l’entertainer, ignorando il sudore freddo che aveva iniziato a imperlargli la fronte.

«So cosa vuol dire solo perché te lo sei inventato tu e me l’hai ripetuto talmente tante volte che lo avrei imparato anche se fossi stato sordo!»

Andrea sbuffò.

«E comunque non ti credo. Sei molte cose, ma altruista no.» commentò l’uomo.

Andrea trasalì e guardò brevemente Cloud, che per fortuna non stava prestando molta attenzione a quello scambio di battute. Il telefono vibrò di nuovo.

«Oh, mi sta chiamando un numero sconosciuto, chissà chi è…» disse, accettando la chiamata.

I due uomini sbiancarono e gridarono all’unisono:

«NO CLOUD!»

«Pronto?»

La voce di Tifa rispose a volume altissimo:

«CLOUD! DOVE SEI? PERCHÉ NON MI RISPONDI?» 

Cloud sobbalzò e lasciò cadere il telefono, come se all’improvviso fosse diventato incandescente.

«RISPONDIMI!»

Andrea gesticolava come un pazzo per convincerlo a chiudere la chiamata, ma Cloud continuava a fissare impietrito il cellulare sulla moquette. 

«Dov’è Cid?!» chiese una seconda voce, più lieve, ma ugualmente arrabbiata.

«Papà?» chiese una terza vocina.

L’entertainer si chinò di persona a chiudere il telefono, provvedendo poi a spegnerlo.

«Questo è sequestrato! Ti hanno fregato con un trucco vecchio come la telefonia stessa!!»

Gideon ridacchiava senza ritegno.

«Comunque, continui a sembrare tu quello con qualcosa da nascondere, Andi. Spero per te che tu non abbia fatto troppe cazzate ieri notte.» disse, rivolgendo al suo compagno uno sguardo che fece rabbrividire perfino Cloud.

 

Villa Kekkon, un’ora prima.

Tifa mugugnò e si rigirò nel letto; se ne pentì immediatamente quando tutta la stanza continuò a girare senza fermarsi.

“Mi scoppia la testa”  

Gemette, tenendosi la fronte con una mano, mentre allargava l’altra sotto le coperte in cerca di Cloud. Rimase interdetta quando afferrò qualcosa di morbido: qualche secondo di ispezione confermò il suo sospetto che si trattasse del seno di qualcuno.

«Mmmh… Cid, cosa fai…» mormorò una voce femminile.

Tifa aprì gli occhi: era ancora nella stanza in cui era entrata con Cloud, ma al suo fianco nel letto c’era Shera.

«Ma cosa…» disse, mettendosi velocemente seduta. Notò anche Marlene, abbracciata a Shera. Il sole filtrava da dietro alle tende e dal piano inferiore giungevano i suoni ovattati di musica e risate. La bambina aprì gli occhi e si alzò a sua volta.

«Buongiorno Tifa! Come stai?»

«... mi fa male la testa.»

«Ah… mi dispiace. Shera! Svegliati! A Tifa fa male la testa!» disse Marlene, scuotendo gentilmente la ragazza.

«Stai tranquilla, mi passerà presto.» la confortò la ragazza, sorridendo e cercando di impedire alla bambina di svegliare Shera.

La scienziata aprì gli occhi. Lentamente, si tirò su a sedere, guardandosi intorno con aria confusa.

«Buongiorno Shera!» trillò allegra Marlene.

«Oh… buon… ma…» 

Si girò e incrociò lo sguardo di Tifa, per poi indugiare sul suo abbigliamento. Arrossì violentemente.

«Tifa… forse dovresti…»

«Oh! Si, subito!» rispose lei, arrossendo a sua volta e coprendosi con il lenzuolo, mentre cercava con gli occhi il suo vestito.

«Dov’è papà? E gli altri? E Meteor?»

«Saranno svenuti da qualche parte nel parco, ora ci vestiamo e li andiamo a cercare.» borbottò Shera, inforcando gli occhiali. Tifa intanto aveva trovato il suo vestito ed era corsa a infilarselo.

«Ma cosa ci facevi nella mia stanza?» domandò Shera, intanto che si infilava le scarpe.

«Ehm… avevo tanto sonno.» rispose, indicando eloquentemente Marlene. 

«E anche molto caldo, mi sa!» aggiunse quest’ultima, «... non ti sei messa nemmeno il pigiama.»

«Eh, già.» fece Tifa, ridacchiando nervosamente e ignorando lo sguardo basito di Shera.

«Andiamo? Ho tanta fame!» propose la bambina.

«Si, andiamo. Di sicuro ci sarà una colazione.»

«Ma ne sei sicura?» sussurrò Shera.

«No, voglio soltanto ritrovare gli altri e andarmene da questo posto.» rispose Tifa, mentre Marlene apriva la porta della stanza e correva tutta contenta nel corridoio.

Prima di scendere tentarono di bussare alle stanze di Tifa e Cloud e a quella di Barret, senza ottenere risposta; nemmeno una rapida ispezione diede i frutti sperati.

“Brutti animali… saranno ubriachi da qualche parte, poco ma sicuro! Ma Cloud… dov’è?”

Le venne in mente un’idea: si portò due dita alla bocca e fischiò, ma non ottenne risposta. Tentò un altro paio di volte, mentre Marlene e Shera la osservavano perplesse. 

«Meteor!» chiamò, spazientita.

«Meteor non l’ho visto da ieri sera… volevo giocare con lui.» mormorò Marlene, intristita.

«Forse starà dormendo… insieme a Cloud.» propose Shera.

“E io ho dormito da sola, svegliandomi con gente a caso! Appena lo trovo…” pensò Tifa, avviandosi decisa giù per le scale; le altre due la seguirono, dubbiose. Al piano terra trovarono un valletto ad attenderle, con una cesta piena di comode pantofole rosse di tutte le misure.

“La sposa inizia a starmi più simpatica” pensò Tifa. 

«Avrebbe anche un’aspirina?» chiese, mentre abbandonava le scarpe e si infilava con sollievo le pantofole.

«Ce l’ho io.» disse Shera.

«Oh, meno male. Cerchiamo dell’acqua.»

Il valletto le condusse in una sala che innumerevoli camerieri stavano sistemando e attrezzando per la colazione. Il rumore della musica dall’esterno era quasi assordante.

«Appena sarà pronto, potrete servirvi. Siamo lievemente in ritardo con l’allestimento della colazione.» si scusò il valletto.

«Non farmi aspettare, ti prego! Non hai dell’acqua?» lo supplicó Tifa, mentre le fitte alla testa aumentavano di frequenza e intensità.

«Al momento no, mi dispiace. Ci sono solo i flûte avanzati dal brindisi di ieri.» disse desolato l’uomo, indicando un tavolo su cui, tra gli innumerevoli bicchieri rovesciati o mezzi vuoti, ce n’erano ancora alcuni pieni.

«Andranno bene.» grugnì Tifa, andando verso il tavolo. 

«Cosa sono i fliu?» chiese Marlene.

«Sono quei bicchieri lì, tesoro. Tifa… ma sei sicura?» chiese Shera, con una nota di preoccupazione.

«Devo farlo. Mi sta scoppiando la testa.» rispose Tifa, inghiottendo un paio di pastiglie con dello spumante ormai tiepido e sgasato.

«Ma… le persone stanno ancora ballando da ieri?» chiese la bambina.

«Mi sa di sì.»

«Ma quanto durano i matrimoni a Wutai?» si chiese Tifa, rimettendo a posto il bicchiere disgustata.

«Fino al divorzio, signora.» rispose un cameriere che passava di lì.

La ragazza sbuffò, cercando di controllarsi.

“Signora a chi?!”

«Cerchiamo gli altri, poi torniamo qui a fare colazione.»

«E poi andiamo a casa?» chiese Marlene, speranzosa, mentre abbandonavano la sala e si inoltravano in giardino.

«Si. Spero.»

«Ma… prima posso andare un’ultima volta nel castello gonfiabile?» domandò la bambina.

«... vediamo.» risposero Tifa e Shera in coro, visibilmente a disagio. Sulla pista da ballo alcuni irriducibili continuavano a scatenarsi, mentre tutto intorno c’erano innumerevoli scene di disagio. Tra le poche persone che ancora sembravano in sé c’era Jules. Appena le vide, si diresse verso di loro.

«Buongiorno Tifa! Shera, Marlene… per caso avete visto Andrea?» chiese.

Le ragazze lo salutarono e Shera rispose:

«No… non mi sembra. Perché?» 

«Doveva organizzare la colazione e gli eventi della mattinata! L’intero catering è nel caos, perché lui non è lì a dirigerli!» disse il culturista.

«Anche Cloud, Cid e Barret non si trovano...» disse Tifa, che iniziava a preoccuparsi.

«Nemmeno Meteor!» aggiunse Marlene. Jules annuì pensieroso, poi disse:

«Continuo a cercare, se li troverò gli dirò che li state cercando.»

«Tifa… non vedo più la nave.» disse Marlene, preoccupata.

«È solo perché siamo lontane, tesoro… adesso cerchiamoli, saranno qui da qualche parte.» la rassicurò Tifa, rivolta più a se stessa che alla bambina. Perlustrarono quasi tutto il parco, immerso nella luce del mattino, trovando bicchieri vuoti ovunque ma nessuna traccia dei ragazzi. Si spinsero fino alla zona con i giochi gonfiabili, con grande gioia di Marlene.

«Posso? Posso?»

«... si. Sta attenta però!»

La bambina lanciò via le pantofole e si gettò nel castello gonfiabile, cacciando un piccolo urlo subito dopo. Tifa e Shera si precipitarono, per vedere Yuffie riversa all’interno del castello.

«... è… è morta??» chiese Marlene, spaventata.

«No. È svenuta… aiutatemi a portarla fuori.» disse Tifa.

Trascinarono la ninja alla meno peggio fuori dal gonfiabile: puzzava come una distilleria.

“Perché le hanno permesso di bere?? È uno scandalo!” pensò Tifa, con disappunto.

«Che schifo! Cos’è questa puzza?» chiese Marlene, tappandosi il naso.

«Sarà… la gomma sotto il sole. Perché non vai a giocare, mentre noi aiutiamo Yuffie?»

«Ma voglio aiutare anche io! Vado a prendere dell’acqua!» annunciò la bambina, correndo via senza aspettare una risposta.

«Che angioletto…» mormorò Shera.

«Si… spero che a lei la diano, dell’acqua.»

Cercarono di far svegliare Yuffie, che non dava nessun segno di vita. 

«Nemmeno lei che è del posto ha resistito a questa festa folle…»

«Ricordiamoci di ringraziare Cloud per l’invito.» mormorò Shera, con una nota di sarcasmo nella voce.

«Non credo che sapesse a cosa saremmo andati incontro.» commentò Tifa. 

«Hai ragione.»

La ninja finalmente si mosse, mugugnando.

«Yuffie! Stai bene?» esclamò Tifa, aiutandola a mettersi seduta appoggiata al gonfiabile.

«Ragaaazze! Avete un aspetto orribile! Avete alzato il gomito, eh?» disse maliziosa la ninja.

«Senti chi parla!»

«Io?? Mica ho bevuto, io! Mi stavo solo riposando… gli altri si che hanno bevuto!»

Tifa e Shera si guardarono per un attimo.

«Gli altri chi? Intendi Cloud, Cid e Barret?» domandò la scienziata.

«E chi altri conosciamo qui, scusa? Ah, c’era anche quel pazzoide di un prete pelato con loro…»

«Andrea?» esclamò Tifa, mentre avvertiva una bruttissima sensazione.

«Si, come si chiama, quello… voleva provarci con me!! È pazzo mi sa. Bevevano tanto, erano arrabbiati, allora io gli ho dato un consiglio giusto!» trilò la ninja.

«Arrabbiati con chi?»

«Come con chi? Con il biondino stracciafighe, lo spaccaovaie platinato, l’uomo che sussurra agli uccelli, il dorato sogno proibito di tutta Gaia, il pene più…»

«Si, abbiamo capito!» la interruppe Shera, esasperata, guardando preoccupata Tifa, che aveva la mascella serrata e osservava in un furente silenzio la ninja.

«...ma dove stavate voi, scusa? Siamo state alla stessa festa?? Heeeeeey?»

«Ah, già, con Cloud, che sciocca. Ma… che consiglio gli hai dato?» chiese Tifa, sforzandosi di assecondarla.

«Non è ovvio? Dovevano per forza farlo mischiare, se volevano farlo ubriacare.»

«Ah si?» sibilò la ragazza.

«Si! Meno male che sei fidanzata con lui, così puoi farci i tuoi esperimenti da barman senza ucciderlo, hehehe… è una macchina ingoia alcool!»

Furono interrotte da Marlene: era tornata con la faccia contrita e un flûte in ciascuna mano.

«Non mi hanno dato dell’acqua, però…»

«Ma quanto ci mettono a preparare una colazione?» esclamò Shera, spazientita.

«Oh, che brava! Brindiamo!!» gridò Yuffie, prendendo uno dei bicchieri e versandoselo in faccia nel tentativo di berlo, prima che riuscissero a fermarla.

«Non lo sapete che bisogna bere di nuovo, per combattere il post-sbornia?» disse allegramente, lanciando il bicchiere alle sue spalle. Il flûte rimbalzò sul gonfiabile e andò a infrangersi a qualche metro da loro.

«Non funziona esattamente così.» disse Tifa a denti stretti.

«Adesso che facciamo?» domandò Shera, guardandola con apprensione.

«Non so voi, ma io!! Torno a bere. La colazione dei campioni…» esclamò Yuffie, cercando di mettersi in piedi ma fallendo miseramente.

«Riportiamola dentro.» dichiarò Tifa, aiutando Yuffie a rialzarsi. Shera la aiutò e portarono la ragazza verso la sala, seguite da Marlene che stringeva ancora il flûte superstite.

«Yuffie, sai dove sono Cloud e gli altri?» domandò Tifa, mentre metteva la ninja a sedere su un divanetto. Yuffie la guardò confusa per qualche istante, poi fece no con la testa e cadde di nuovo in un sonno profondo, russando sonoramente.

Tifa sospirò.

«Provo a chiamarli.» disse, prendendo il cellulare.

«Secondo te potrebbero aver lasciato la villa?» le chiese Shera.

«Spero tanto di no, ma è anche vero che non li abbiamo trovati.»

«Io l’ho detto che non c’era la nave…» disse Marlene a voce bassa.

“Cloud, spero che tu stia bene” pensò Tifa, guardando la piccola nuvola sullo schermo del telefonino.

 

***

 

Atterrarono vicini al Gold Saucer, che nella luce del mattino sembrava un posto completamente diverso da quello che avevano visitato soltanto la notte precedente: poche persone vagavano per le strade illuminate unicamente dalla luce del giorno, dando a quel luogo un’aria desolata.

Cloud e Andrea scesero dal trasporto, incerti. Gideon li aiutò a sbarcare la gabbia con il pulcino, che soffiava come un ossesso, poi li congedò con un:

«Io vi aspetto qui, direi che ho già fatto abbastanza.»

Andrea gli mandò un bacio, poi Cloud prese la gabbietta e i due si diressero verso la gigantesca costruzione.

«Dobbiamo andare alla Chocobo Square.»

«Spera che Meteor stia bene.» sibilò Cloud.

Con loro grande disappunto, gli ascensori non erano in funzione. L’unica alternativa era una infinita rampa di scale.

«Oh, ma dai! Funzionano soltanto di notte?? È uno scandalo!» sbottò Andrea, indignato.

«Sbrighiamoci. Spero che troveremo anche Cid e Barret.»

«Sai che sei un pessimo amico? Dai la priorità al tuo uccello!»

«Tu sei un pessimo amico! Non ti ricordi cosa è successo!»

«Nemmeno tu! Quindi ciò ti rende pessimo a tua volta!»

«Risparmia il fiato, vecchio. Non siamo nemmeno al primo piano.»

«... è oltraggioso! Non c’è più rispetto…» borbottò Andrea.

La scalinata sembrava davvero infinita; incontrarono soltanto un paio di persone che scendevano, che rivolsero loro sguardi interrogativi senza fermarsi.

Cloud arrivò per primo alla Chocobo Square, anche se era molto diversa da come la ricordava: grandi transenne circondavano la gigantesca arena, mentre decine di persone in tutta la piazza tentavano di catturare dei chocobo di tutte le dimensioni.

“Ma che cazzo…”

«Kuiiiiiih!!» strillò il pulcino da dentro la gabbia. (sento l’odore della mia stirpe! riportatemi tra i miei simili, ribaldi!)

«Ciao Cloud… non mi aspettavo di rivederti così presto, meow!»

Il ragazzo si voltò di scatto: seduto vicino agli ascensori fuori uso, intento a mescolare delle carte, c’era Cait Sith.

«Cait… perché, quando mi hai visto?»

Il gatto lo guardò, sospettoso.

«Come? Non ricordi? Ci siamo visti ieri sera!»

«... no, non mi ricordo.»

«Allora avevo ragione, meow! Avevate tutti bevuto troppo… non è mai una bella idea, presentarsi con un pulcino e sbancare le scommesse della Chocobo Square!»

«Intendi Meteor?»

«Non so come ti sia venuto in mente di chiamare il tuo chocobo così, ma a quanto pare lo hai fatto! Si… tanta gente è rimasta molto scontenta dell’andamento delle gare di ieri sera.»

«Oh, interessante…» ansimò Andrea, raggiungendo i due. Il chocobo lo accolse con un grido furioso. Cloud sospirò.

«Datti una calmata. Tra poco ti riporto a casa.» tirò fuori dalla tasca uno degli addobbi di vetro che avevano usato per catturarlo all’Honeybee Inn e lo infilò nella gabbietta, facendo attenzione ad eventuali morsi.

Il pulcino cinguettò felice e si mise a giocare con la sfera.

«Dubito che sarà così semplice.» disse il gatto.

«Che intendi?»

«Davvero non vi ricordate cosa è successo ieri notte?»

«No.»

«Ehm… diciamo che ora qui non siete esattamente popolari. Fossi in voi me ne andrei.»

«Non ho voglia di rimanere qui, rivoglio soltanto Meteor.» dichiarò Cloud.

«Fidati Cloud, dopo il disastro che hai combinato ieri, è meglio che non ti vedano.»

«Cosa posso aver mai fatto?» esclamò il ragazzo.

Il gatto gli indicò con la zampa un traliccio che giaceva al suolo, tranciato in più punti. I cavi che sosteneva erano spezzati e nella caduta sembrava che avesse colpito una centralina elettrica, che era stata completamente distrutta.

«Meow! Un black out totale, migliaia di guil persi, mandrie di chocobo scappati dalle loro gabbie, senza contare tutte le scommesse che hai fatto perdere con il tuo pulcino corridore!»

«Sono stato io…?» mormorò Cloud incredulo, guardando il traliccio.

«Chi altro porta una spada capace di tranciare l’acciaio? Anche se devo ammettere che la caduta sulla centralina è stata una sfortuna. Nelle mie carte era…» rispose il gatto, consultando il suo mazzo di tarocchi, «... la centododicesima cosa meno probabile. Era più probabile che il traliccio ti crollasse addosso.»

«Che fortuna allora!» disse Andrea, gioviale, «... sarebbe stata una vera disgrazia perderti per un incidente tanto idiota!»

Cloud lo fulminò con lo sguardo.

«In ogni caso…» riprese Cait Sith, «... qui le persone sono intente a riparare tutti i danni che hai causato. Non è saggio farti vedere.»

«Al diavolo! Hanno il mio pulcino.» ribattè Cloud, avviandosi a grandi passi verso la recinzione.

«Meow meow! Io me ne vado, non voglio essere licenziato!» disse il gatto, raccogliendo in fretta le sue carte e sparendo giù per la rampa di scale.

Andrea rimase indietro, indeciso su cosa fare, mentre Cloud cercava un varco tra le transenne. Il chiocciare dei chocobo e le urla degli uomini che cercavano di catturarli riempivano l’aria.

«Cloud, forse il gatto aveva ragione, dovremmo…»

«No. Entro, trovo Meteor e andiamo via.»

«E Cid e Barret?»

«È evidente che non sono qui! Dovremo cercarli meglio.»

“Deve esserci un qualche tipo di porta... “

Completarono quasi un mezzo giro della piazza prima di trovare un varco, che naturalmente era guardato a vista da un paio di grossi agenti della sicurezza, vestiti da mandriani.

«Che facciamo?» bisbigliò Andrea.

«Vado lì, gli spiego cosa succede ed entro a cercare Meteor.»

«E… se non ti fanno entrare?»

«Inventerò qualcosa. O altrimenti potresti fare l’entertainer ed intrattenerli tu!»

«Metti in dubbio le mie doti istrioniche?»

«Costantemente.»

«Guarda e piangi, dunque.» annunciò Andrea, avvicinandosi ai due uomini. Cloud osservò la scena con un ghigno sul volto.

«Salve, gentiluomini!» esclamò l’entertainer.

I due si voltarono di scatto, squadrando il nuovo arrivato con sospetto.

«Cosa ci fa qui?? La piazza è off-limits!»

«Lo so benissimo che è off-limits! Chi credete che lo abbia ordinato?»

Il ghigno sul viso di Cloud si spense.

“Cosa cazzo vuoi fare??”

«... come scusi?» chiese uno dei due agenti, confuso.

«Esatto, idiota! Sono io quello che vi paga gli stipendi, quando ve li meritate! Aggiornatemi immediatamente su cosa sta succedendo e forse non vi licenzierò!»

I due si guardavano l’un l’altro, indecisi sul da farsi. Cloud approfittò del momento per scattare verso di loro e metterli rapidamente fuori combattimento.

«Cosa fai! Li avevo in pugno!» protestò Andrea.

«Come no. Aiutami a portarli verso quel ripostiglio.»

«Ma peseranno cento chili per uno!»

«Vai in palestra solo per rimorchiare e guardare culi, vero?» disse il ragazzo, con voce tagliente.

L’entertainer sbuffò, punto sul vivo.

«Sai che sei fastidiosissimo in post-sbronza?»

Trascinarono i due uomini fino ad una piccola porticina che si apriva su una stanza piena di pale, forconi e secchi. Cloud prese a spogliare il più magro dei due, sotto lo sguardo confuso di Andrea.

Il ragazzo notò l’espressione dell’entertainer e sibilò:

«Non dire una parola. Non una cazzo di parola. Cerca qualcosa per legarli piuttosto.»

In pochi minuti le due guardie erano legate e imbavagliate e Cloud si era infilato i vestiti da mandriano.

«Senza il cappello ti riconosceranno comunque.» disse Andrea, porgendogli il copricapo a falde larghe. Cloud lo prese senza tante cerimonie e se lo calcò in testa.

«Pensavo mi avresti chiesto di non guardare, mentre ti cambiavi…» ammise l’entertainer.

«Tanto a che serve ormai? Torna alla rampa di scale e aspettami lì.»

«Non mi sembra un buon piano, Cloud…»

«Che c’è, quando dovevi travestirmi tu andava bene e adesso no??» sbottò arrabbiato il ragazzo.

“Mai mettersi tra un uomo e il suo uccello…” pensò Andrea, mentre entrambi uscivano dal ripostiglio. Cloud cercò di darsi un tono e camminò verso le transenne ormai sguarnite; quando guardò all’interno del recinto improvvisato, dubitò della bontà del suo piano.

C’erano centinaia di chocobo a piede libero in tutta la piazza, oltre ad un numero spropositato di pulcini che saltellavano in giro e starnazzavano, sotto lo sguardo vigile degli adulti.

“Potrebbe essere più difficile del previsto.” pensò Cloud, mentre azzardava i primi passi all’interno della piazza. Nessuno sembrò fare caso a lui.

“Alla faccia tua, entertainer!”

Non aveva voglia di perlustrare la piazza, quindi provò a fischiare per richiamare Meteor; il suono si perse tra le centinaia di grida e starnazzi dei pennuti. Con disappunto, si addentrò nella mandria.

Non era l’unico che camminava tra i chocobo: altri inservienti cercavano di recuperare gli animali, partendo dagli adulti. La maggior parte si faceva docilmente ricondurre verso l’edificio dell’arena; questo finché un giovane addetto non tentò di afferrare uno dei pulcini, che si divincolò starnazzando indignato. Una torma di chocobo inseguì il povero ragazzo, che si mise in salvo all’ultimo momento dietro le barriere dell’arena. Cloud seguì la scena con orrore, liberando immediatamente il pulcino che ancora portava nella gabbia. Quest’ultimo soffiò ferocemente verso di lui, prima di saltellare via.

“Ok, concentrati. Finché non dai fastidio ad uno dei piccoli, sei salvo. Sono come Barret con Marlene… un po’ troppo protettivi.”

Andò avanti, lanciando fischi ogni tanto, con sempre meno convinzione, sperando che Meteor lo sentisse; l’oceano di piume gialle tutto intorno a lui ondeggiava e starnazzava. Un pulcino cominciò a mordicchiare uno dei suoi stivali, grugnendo; cercò di ignorarlo, ma lui rimase saldamente attaccato al cuoio, ringhiando.

“Piccolo figlio di…”

Un colpetto alla schiena lo fece trasalire, si girò con estrema lentezza: un chocobo adulto lo fissava con curiosità.

«Kueeh?» (non mi sembrate uno dei soliti guardiani… avete iniziato quest’oggi?)

Cloud rimase immobile, sperando che entrambi perdessero presto interesse, mentre continuava a guardarsi intorno. Era come cercare un ago in un pagliaio. Un ago giallo in un pagliaio giallo della stessa tonalità.

«Kueeee…» (orsù, lasciate questo umano al suo lavoro, è il suo primo giorno!) sospirò l’adulto, guardando il pulcino che faceva del suo meglio per mangiarsi la scarpa. Il piccolo lasciò perdere e saltellò via, guardando Cloud con odio.

Il ragazzo tornò ad avanzare, anche se sentiva sempre più sguardi pennuti posarsi su di lui. Notò che più lontano, verso l’edificio, alcuni inservienti stavano cercando di attirare gli animali con del cibo e la tecnica stava funzionando. C’erano anche molti pulcini assiepati a mangiare da grandi mucchi di semi e granaglie.

“Se ti conosco, piccolo pozzo senza fondo, sei sicuramente da quelle parti.”

Si diresse verso gli animali che gozzovigliavano allegramente a grandi passi, cercando di evitare i pulcini che gli saettavano tra i piedi in continuazione.

«Hey tu! Bravissimo, avvicinati e cerca di prenderne qualcuno!» gridò uno dei ragazzi, al sicuro dietro le barriere. Cloud si fermò, incerto, ma guardandosi intorno realizzò di essere l’unico rimasto all’interno del recinto.

«Si tu, col cappello! Forza, prova a passarcene uno!»

«Pronto a correre, mi raccomando! Ti apro il recinto appena lo hai preso!»

Cloud era sicuro che la loro fosse una pessima idea, ma annuì e si mise a cercare di individuare Meteor tra i pulcini che grufolavano e pigolavano tutti contenti.

“Piccoli barili di lardo piumati… dove sei, dove sei??” pensò, sempre più agitato. Con la coda dell’occhio, vide alcuni chocobo adulti iniziare ad avvicinarsi nella sua direzione.

«Entro oggi! Non farli incazzare!» esclamò il ragazzo oltre il recinto.

 Di colpo, Cloud sentì qualcosa attaccarsi alla sua gamba, per poi risalire agganciandosi col becco fino alla spalla.

«Meteor!!» gridò il ragazzo, abbracciando finalmente il suo chocobo.

«KUEEEEEH KUEEH!!» strillò il pennuto, mentre lo mordicchiava da tutte le parti e agitava freneticamente le ali. (oh madre! il mio piccolo cuore non regge a cotanta gioia, rivedervi mi riempie di felicità!!)

Qualche pulcino alzò il muso dal cibo e li guardò, stupito. Anche gli adulti si facevano sempre più vicini e guardinghi. Da dietro le barricate, l’inserviente gridò:

«Ok, l’hai preso, ora corri!!»

Un grosso chocobo gli si parò davanti, sbarrandogli la strada e soffiando. Cloud non credeva che quel verso fatto da un adulto avesse un suono così terribile e minaccioso. Gli altri chocobo lo circondarono, seguiti da alcuni pulcini curiosi.

«Oh merda!» esclamò l’addetto. Cloud era pietrificato, sentendo come non mai la mancanza della sua spada, chiedendosi che fine avesse fatto. Tutti i pennuti iniziarono a  ringhiare e far schioccare il becco; Meteor, invece, continuava a mordicchiargli le mani e a pigolare felice.

“E non ho nemmeno le materie, merda! che cazzo è successo ieri?”

“Morirò prima di scoprirlo…”

Finalmente, Meteor si accorse dei chocobo adulti e iniziò a starnazzare agitatissimo, portandosi sopra al cappello di Cloud; era quasi al livello della testa degli adulti. Cloud tenne fermo il copricapo, evitando che il pulcino scivolasse.

«Kueeeh!! Kueeh kueehh!!» (vi prego, placate le vostre intenzioni bellicose! Codesta è la mia genitrice!)

Il chocobo enorme di fronte a loro smise di ringhiare, squadrandoli con fare interrogativo.

«Kueeh?» (cosa dite mai, piccolo corridore? Avete forse battuto la testa?)

«Kueh! kuee kueeh.» (Tutt’altro, messere! La mia genitrice mi ha cresciuto, nutrito, salvato da morte certa, mettendo la sua stessa vita a repentaglio!)

“Qualsiasi cosa tu gli stia dicendo, spero funzioni!” pensò Cloud, che non si azzardava a muovere un muscolo.

il ragazzo dietro la recinzione osservava rapito la scena, senza osare dire una parola.

«Kuiii…» (un fare assai nobile, tuttavia codesto è un umano, maschio per giunta!)

«Kuii kueeh kueeeeh!» (e non siamo forse tutti parte dello stesso mondo? Le nostre origini non contano, conta chi siamo dentro, e codesto umano è senza ombra di dubbio la mia genitrice! Il sacrificio che ha compiuto lo eleva al pari di qualsiasi madre naturale!)

L’adulto spalancò gli occhi, di un profondo azzurro, osservando Cloud con curiosità.

«Kueeeh?» (Parlate con grande saggezza, piccolo atleta delle corse. Desiderate dunque lasciare il loco con la vostra genitrice adottiva?)

«Kueeeeh kuiii kueeh kueeeeh!» (si.)

Meteor saltò giù, atterrando tra le braccia di un Cloud sempre più attonito e strofinando il muso contro il suo petto. Gli altri uccelli si spostarono, liberando il cammino fino al cancello esterno della piazza transennata. Il ragazzo si avviò, sordo ai richiami e alle minacce degli inservienti.

«Non so cosa tu abbia fatto, ma… bravo.» mormorò Cloud, grattando la pancia del pulcino. Il tragitto, con gli occhi di tutti i chocobo puntati su di loro, fu un’esperienza inquietante; erano quasi arrivati fuori dalle transenne, quando l’altoparlante della Chocobo Square si attivò, gracchiando:

«Sicurezza, furto di chocobo alla Chocobo Square! Tutte le unità disponibili, convergere sulla piazza!! Bloccare gli ascensori!»

«Proprio ora doveva funzionare di nuovo??» esclamò Cloud, accelerando il passo ma non osando mettersi a correre. Finalmente uscì dal recinto improvvisato e corse verso le scale, gettando via il cappello, grato di non essere più a rischio di essere travolto da una mandria inferocita. 

Non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che udì la voce di Andrea che parlava velocissimo con fare agitato.

«Vi assicuro, mi confondete con qualcun altro… io non frequento le bische! Anzi, sono poverissimo! Non potrei nemmeno volendo!»

«Lo riconoscerei tra mille, con quella boccia pelata e le piume! Arriverà anche il suo amichetto col pennuto delle meraviglie.» rispose un altro uomo, con voce rauca.

«Si, quello che ci ha fatto perdere migliaia di guil, ieri sera! Li rivogliamo tutti, fino all’ultimo…» gli fece eco un altro, con voce acuta.

Cloud si bloccò, cercando di avvicinarsi il più possibile senza farsi vedere. Non avevano tempo. Sbirciando da dietro una transenna di lamiera vide Andrea a terra, prigioniero di tre brutti ceffi che lo tenevano sotto minaccia di un coltello.

“Ma quante volte lo dovrò salvare dalla malavita?”

Si gettò verso di loro più rapidamente possibile, lasciando Meteor indietro: i tre ebbero appena il tempo di vederlo arrivare. Cloud colpì il primo con un diretto, per poi sferrare un calcio alla mano di quello armato, spedendo il coltello a rotolare lontano. Il terzo tentò di bloccarlo alle spalle, ma Cloud gli bloccò il braccio e lo fece roteare sopra la sua testa, lanciandolo di peso contro il suo compare e facendoli sbattere violentemente contro le transenne. Andrea lo guardava incantato.

Cloud stava per aiutarlo a rialzarsi, quando il primo malvivente lo attaccò alle spalle, cercando di immobilizzargli le braccia. Cait Sith sbucò fuori dal nulla e si lanciò sulla faccia dell’uomo, graffiando e soffiando. Cloud ne approfittò per liberarsi e assestare un violento destro al mento del suo assalitore, stendendolo in un momento.

«Mio eroe! Sapevo che mi avresti salvato!» gioì Andrea.

«Sai la mia tariffa.» 

«Anche io ho una tariffa, meow!» miagolò Cait, lisciandosi il pelo.

«Ora andiamo!! Hanno chiamato la sicurezza!» disse il biondo.

«E con ciò? Li puoi sistemare.» replicò l’entertainer.

«Cosa credi?? Quelli sono armati davvero!» ribatté Cloud, riprendendo in braccio Meteor e correndo verso le scale. Cait Sith e Andrea lo seguirono come poterono.

«Sai, non credevo fossi bravo anche nel corpo a corpo…» esordì l’entertainer.

«Ogni tanto faccio da sparring partner a Tifa. Mi ha insegnato un paio di cose.»

«Oooh!» esclamò l’entertainer estasiato. «La lasci vincere, vero?»

«Vorrei che lei mi lasciasse vincere, ogni tanto.» ammise Cloud.

Raggiunsero gli ascensori, trovandoli bloccati come gli altoparlanti gli avevano annunciato.

«Meow! Siamo bloccati.»

«Presto, le scale!» disse Cloud, senza perdersi d’animo.

«Come, le scale?!» ansimò Andrea, già senza fiato. 

«Dai, che sono in discesa!» 

«Meow! Dobbiamo sbrigarci!!» miagolò Cait Sith, salendo in spalla ad Andrea.

«E va bene, lo ammetto, vado in palestra per guardare i culi!» gridò l’entertainer, caracollando giù per le scale dietro a Cloud.

“Specie il tuo…” pensò amaramente.

«Non serviva ammetterlo!» gridò il ragazzo in risposta, mentre entrambi si precipitavano giù per la rampa. Non avevano nemmeno raggiunto il piano sottostante, quando sentirono il rumore di urla concitate e di svariate persone che salivano le scale, sotto di loro.

«La sicurezza! Meow, non si mette bene!»

Cloud li vide appostarsi sul pianerottolo, a due rampe di scale di distanza. Poggiò Meteor a terra e divorò i gradini, correndo a perdifiato: gli ultimi li saltò, lanciandosi contro i pochi addetti alla sicurezza prima che potessero difendersi.

«Kueeeeh!!» (madre, non ponete la vostra vita a repentaglio! Torniamo a casa dalla patrigna!)

«Si!! Un’altra vittoria folgorante!» esclamò Andrea entusiasta. Aveva appena finito di pronunciare quelle parole, quando altri agenti accorsero dalle porte antincendio e dalle scale sottostanti, armati di taser. Cloud cercò di evitarli, ma fu raggiunto da una scarica.

“Porca troia! Li odio i taser!” pensò il ragazzo, digrignando i denti per il dolore. Afferrò il malcapitato che lo aveva colpito e lo mise al tappeto con un pugno.

«Una scarica non è sufficiente per tramortire un SOLDIER! Forse ce la farà!!» esclamò Andrea, battendo le mani. Il suo sorriso si spense quando un secondo taser si attivò e colpì Cloud, facendolo stramazzare a terra.

«... ma due si! Meow, non ci voleva!»

«KUEEEEEEEEHH!!» strillò Meteor, scagliandosi con furore sugli agenti. (manigoldi senza dio! Vi rispedirò nell’inferno dal quale siete strisciati fuori!!)

Prima che le guardie potessero reagire, furono travolte da un turbine di stoffa rossa che li sbalzò dal pavimento e li fece sbattere violentemente contro le pareti.

«Ma che cosa…!!» strillò l’entertainer. Il vortice vermiglio inghiottì Cloud, poi scattò verso Cait Sith, Meteor e Andrea, che urlò terrorizzato, prima di essere inglobato a sua volta.

 

***

 

«E Meteor vince ancora!! Incredibile signori e signore, con questa sono tre vittorie di fila!! Il pulcino d’oltreoceano approda alla finale!» strillò la voce del commentatore, amplificata dagli altoparlanti del chocodromo.

«SIIIIII!» gridarono in coro Cid, Barret, Cloud e Andrea.

«Molla le consegne e mettiti ad addestrare chocobo da corsa, dammi retta!» urlò Barret, scompigliando con la mano buona i capelli del biondo.

«Hai un talento naturale per gli uccelli!» esclamò Cid, causando scoppi di risate tra gli altri spettatori, Andrea compreso. Cloud lo guardò male per un attimo, tornando immediatamente a gongolare per la vittoria di Meteor. Il pulcino sembrava gradire le luci della ribalta, a giudicare da come camminava impettito sotto gli spalti, guadagnandosi scroscianti applausi e qualche coro improvvisato.

«Mi ricorda te quando hai trionfato nell’arena.» lo prese in giro Andrea.

«Si, mi ricordo benissimo, infatti anche lui sta stramazzando a terra avvelenato illegalmente.» rispose il ragazzo, gelido.

«Intendevo il torneo dove ti ho visto per la prima volta!» precisò Andrea, lasciandosi sfuggire un sospiro di nostalgia.

«Oooh, potrei vomitare. Disse Cid, scocciato.

«Anche io!» concordó Barret. 

Cloud li abbandonò per scendere a prendersi cura di Meteor; Andrea lo raggiunse dopo pochi secondi.

«Sto andando a vedere come sta Meteor…» disse il biondo, senza voltarsi.

«E io sto andando a intascare i miei soldi. Va pure a lisciare le piume, io liscerò sonante carta moneta!»

«Guarda che il pulcino è sempre il mio. Non dimenticare la mia parte!»

«Bah, l’audacia… senza di me non saremmo qui!»

«E senza di me non avremmo un uccello da far correre!!»

Andrea ridacchiò.

«Basta vedere doppi sensi anche dove non ci sono!! Il tuo uccello corre, per caso?»

L’entertainer continuò a ridere, fermandosi aggrappato ad una colonna per non perdere il precario equilibrio.

«Adesso basta! Vado a controllare il mio uccello!» esclamò Cloud. L’eco delle risate sguaiate di Andrea lo inseguì per tutto il tragitto fino alle stalle. Scesa l’ultima rampa di scale e fu investito dalla ormai nota puzza di escrementi di chocobo, oltre al costante starnazzare di decine di adulti e pulcini.

Si recò alla sezione dei concorrenti che, come dopo ogni gara, erano già di nuovo nelle loro gabbiette: appena arrivato notò una persona, che non gli sembrava uno degli inservienti, indaffarata a cercare qualcosa.

“Forse è il padrone di un altro pulcino” si disse, mentre si avvicinava.

«Scusi, le serve una mano?» chiese.

L’uomo lo guardò di sfuggita, senza rispondergli, poi prese una gabbietta e fece per andarsene: era la gabbia che ospitava Meteor. Cloud se ne accorse e richiamò l’attenzione del tipo mentre passava, battendogli sulla spalla.

«... credo che abbia preso il mio pulcino.»

«Lo so benissimo!» sibilò l’altro, sferrandogli un pugno. Cloud lo schivò, nonostante la sorpresa, ricambiando con un calcio che sbalzò il suo avversario e lo fece schiantare sulla parete. I chocobo starnazzarono spaventati dal trambusto. Non contento, Cloud si avvicinò e lo colpì ripetutamente, accompagnando ogni pugno con una parola:

«NESSUNO! RUBA! IL! MIO! PULCINO!!»

«Kueeeh!» (si, madre!! date ciò che spetta a codesto villanzone!!)

Cloud lasciò andare l’uomo, che aveva perso conoscenza dopo il primo pugno, e corse verso la gabbietta, che era caduta a terra durante la colluttazione.

«Stai bene?» chiese, mentre la apriva per tirare fuori il pulcino.

«Kueeh…» (Oh, madre, che paura che ho provato per il folle gesto di questo lestofante sconsiderato! Meno male che siete giunta al momento opportuno!) rispose Meteor, agitando le piccole ali e gettandosi tra le braccia di Cloud.

«Lo prendo per un sì…» mormorò lui, rincuorato, mentre lo accarezzava, «... te la senti di correre la finale?»

«Kueeeeh kuiii kueeh kueeeeh!» (si.)

 «Allora forza! Poi torniamo da Tifa, promesso!»

«Kueeh.» (Nonostante non mi causi alcuna gioia recarci nuovamente dalla patrigna, approvo il nostro rientro alla magione.) pigolò Meteor, tornando nella gabbietta. Cloud lo mise nuovamente al suo posto insieme agli altri concorrenti e tornò sugli spalti. 

«Che c’è, uccellaio di Edge? Ti vedo teso.» gli disse Cid, appena si fu rimesso a sedere.

«Qualcuno voleva rapire Meteor… ho paura.»

«E chi vorrebbe mai il tuo uccello??» rise Barret. Tre dei presenti, più Andrea, si offrirono rumorosamente volontari, guadagnandosi un’occhiataccia da Cloud.

«Smettila. Dico sul serio, sono preoccupato.» disse quest’ultimo.

«Preoccupati che ciuffetto non faccia il suo dovere: ho puntato tutti i soldi che abbiamo vinto fino ad ora su di lui.» affermò Barret.

«COSA!?» esclamarono gli altri tre.

«Come tutti??»

«Mi davano una quota vantaggiosa!! Non potevo rifiutare! Ed ho ottenuto il numero della ragazza della reception!!» ribattè l’omone, sventolando un bigliettino con aria di trionfo.

«Pagando non vale! E poi il gioco era concluso!» replicò Cid.

«Esatto! E ho vinto io!» puntualizzò Andrea.

«Non ho sentito nessun gong!» urlò Barret, correndo verso un gruppo di ragazze con in mano una foto di Marlene.

«Che gioco?» domandò Cloud.

«Non lo vuoi sapere. Guarda! Il tuo uccello sta per partire.» si affrettò a dire Cid.

«Spero arrivi dalle mie parti!» gridò una ragazza qualche fila più in basso.

«Spero di no, altrimenti verrebbe squalificato.» disse preoccupato Cloud. Cid e Andrea alzarono gli occhi al cielo.

«A chi fosse preoccupato che Cloud possa affogare in un mare di figa, possiamo solo dire che Cloud sa nuotare molto bene.»

«No no, è proprio figa-repellente!»

«Che simpatici che siete… guardate, il mio uc-ehm, Meteor sta vincendo!!»

In effetti il pulcino stava surclassando tutti gli altri, lasciandoli a tossire in una nuvoletta di polvere e caracollando velocissimo alla vittoria finale. Poco dopo, la voce dell’altoparlante annunciò:

«Meteor si aggiudica la finale! Un esordio indimenticabile per questo piccolo fulmine!» 

I tre esultarono, saltando sugli spalti. Il resto del pubblico era diviso tra chi si univa all’entusiasmo e chi iniziava a lanciare loro sguardi minacciosi.

«Ci toccherà ringraziare Barret per aver puntato tutto sul tuo uccello!» strillò Cid, che comunque era fuori di sé dalla gioia.

«Comunque è merito del mio chocobo! Bravo Meteoro mio!!» ribatté Cloud, saltando su e giù sul suo sedile.

«Recuperiamo Barret e prendiamo la vincita, non mi piace come sta cambiando l’atmosfera qui.» disse Andrea, con una nota di preoccupazione nella voce, mentre posava una mano sulla spalla di Cid.

Il pilota si guardò brevemente intorno e fece un cenno di assenso. Prese Cloud per una spalla ed iniziò a trascinarlo giù per gli spalti, aiutato da Andrea. Barret li raggiunse poco dopo, mettendosi in tasca altri bigliettini.

«Dove state andando? Mi mancavano ancora delle ragazze!!» si lamentò.

«Ti ho detto che il gioco è finito! Comunque, andiamo via di qui.» disse seccato Cid.

«E i soldi?» fece Cloud.

«Andiamo a prendere i soldi.» rispose il pilota.

«E Meteor?» chiese il ragazzo, preoccupato.

«Andiamo a prendere anche Meteor, basta che ci sbrighiamo!!» disse Andrea.

«Dopo andiamo alla Battle Square?» domandò speranzoso il biondo.

«Si certo, così ci facciamo odiare dall’intero globo terracqueo.»

«Che hai detto??» gridò Cloud.

«Non importa, eccoci. Barret, procedi.»

Erano arrivati di fronte al chiosco delle scommesse; la ragazza dietro il bancone li salutò gravemente, dicendo:

«Secondo me dovreste andarvene.»

«Si, dopo aver preso i soldi.» rispose piccato Cloud.

«Eddai, Okane… non fare così. Abbiamo vinto!» disse Barret, appoggiandosi con un gomito sul bancone e avvicinandosi alla ragazza.

«Mi preoccupo soltanto per voi, se non vi sbrigate… oh mio dio…» mormorò lei, indicando qualcosa alle spalle dei quattro. In effetti, dal nulla erano spuntati una decina di uomini, che li avevano circondati e ridacchiavano.

«Bene bene, ecco i famosi proprietari della meraviglia pennuta.» disse uno di loro, facendosi avanti. Cloud ribattè immediatamente:

«Io sono il proprietario!!»

«Tecnicamente è di Tifa, te lo ricordi?» gli sussurrò Andrea. 

«Non importa. Adesso è nostro.»

«E sono nostri anche i vostri soldi!!»

«Col cazzo!» esclamarono all’unisono Cloud e Barret, mentre quest’ultimo toglieva la sicura al cannone. Molte armi spuntarono anche tra i malviventi.

«Non bisogna per forza ricorrere alla violenza…» disse Andrea, tentando di placare gli animi.

«Hai ragione, non ci obbliga nessuno, ora vi ammazziamo e ci prendiamo tutto perché ci va!»

Andrea alzò le spalle.

«Io dicevo per voi. Cloud, Barret, vi dispiace se prendo i soldi intanto che li sistemate?»

«No, vai. » rispose il biondo, impugnando la Buster Sword.

«Io prendo il pennuto!» gridò Cid, correndo verso le stalle.

«Cagasotto.» mormorò Barret.

«Disarmato, casomai!» replicò il pilota.

«È nella gabbietta numero nove!» disse Cloud.

«Attacchiamo al mio nove!» gridò, rivolto a Barret. L’omone, di tutta risposta aprì il fuoco.

«Ehi!» si lamentò Cloud, prima di gettarsi urlando nella mischia. Andrea si voltò come se nulla fosse verso la ragazza, dicendo:

«Dì, Okane… quei soldi?»

Lei non gli prestò attenzione, rapita e terrorizzata dal massacro che si stava compiendo davanti ai suoi occhi. Tornò in sé solo quando gli ultimi tre malviventi scapparono via sotto una pioggia di piombo.

«Barret smettila! Fai paura, non dovresti sparare quando bevi!» esclamò Cloud.

«E tu non dovresti tranciare le persone a metà! Fa schifo!!»

«Certo, invece riempirle di buchi è meglio!»

«Molto meglio!»

«Non dar loro retta, my dear… pensa a sborsare.» disse Andrea, tendendo una mano verso la ragazza. Questa, atterrita, gli consegnò la vincita.

«Siamo ricchi!! Andiamo a spendere tutti questi soldi!»

«E dove? Dobbiamo andarcene subito da qui prima che ne arrivino altri!»

«O prima che la sicurezza si accorga che abbiamo dato spettacolo.»

«Quanto ci vuole a prendere una cazzo di gabbietta, Cid??» berciò Barret.

Il pilota tornò pochi istanti dopo, trafelato.

«Questo posto brulica di malintenzionati! Ho dovuto tramortirne uno che cercava di trafugare Meteor!!»

«Eeeh?»

«Lasciamo stare e andiamocene!!»

«Addio, Okane! Ti chiamerò se riuscirò a sottrarmi alla giustizia! Ci daremo alla macchia insieme…» disse Barret, salutando la ragazza con un bacio.

«Piantala e sbrigati, coglione!» gridò Cloud, prendendo la gabbietta da Cid mentre tutti si affrettavano verso l’uscita. Corsero al di fuori dell’arena, causando urla di panico tra gli astanti. Gli altoparlanti gracchiavano qualcosa di indecifrabile tra il frastuono della folla.

«Cloud, gli ascensori!» gridò Andrea, trascinandolo verso le porte dove piccoli assembramenti attendevano il proprio turno. Il ragazzo era completamente frastornato dalla cacofonia di suoni e la vista gli si stava annebbiando; riusciva a mettere a fuoco a fatica e soltanto una minuscola parte della sua visuale. Tra il mare di persone che lo urtava e lo spintonava da tutte le parti, all’improvviso davanti a lui si erse una pallida figura terribilmente familiare.

“No… non è possibile!!” pensò, guardando inorridito la sagoma che incombeva su di lui.

Abbandonò la gabbietta a terra e impugnò la spada, lanciandosi all’attacco tra le urla terrorizzate della folla.

«Muori, Sephirot!!!» urlò, menando un fendente con tutta la forza che riuscì a racimolare. 

«Cloud, cosa cazzo fai!?» gridò Barret, mentre gli altri fissavano la scena sconvolti.

In un trionfo di scintille, l’esile figura cadde, tranciata a metà. Tutto intorno calò il buio e si rinnovarono le grida di terrore.

«Tranquilli, l’ho ucciso!» strillò Cloud, recuperando la gabbietta. Andrea lo prese per un braccio e lo strattonò via.

«Idiota!! Perché lo hai fatto??»

«Preferivi la fine del mondo?!»

«Hai tagliato in due un traliccio!! L’intero Gold Saucer è al buio!» strillò l’entertainer, arrabbiato.

«Sei completamente pazzo! Dobbiamo andarcene subito!!»

«Gli ascensori sono bloccati, alle scale!» esclamò Cid. I quattro si immersero nel fiume di folla che fluiva sui gradini, urlando in preda alla paura e alla confusione. In breve, a quel frastuono si unirono i versi starnazzanti di decine e decine di chocobo, mentre il terreno iniziava a tremare sotto i loro piedi. Uno degli addetti, munito di megafono, tentò di sovrastare il baccano. 

«Attenzione! Abbandonare il più in fretta possibile la Chocobo Square! I chocobo sono liberi!»

«Ma porc…» fece Barret, «... Cloud, quando bevi sei il peggio!!»

«Diventi la creatura più folle, molesta e pericolosa che io abbia mai visto, quando sei sbronzo. Non farlo mai più, ti scongiuro!» disse Cid.

«Ma io non volevo… Sephirot… dovevo farlo!»

«Sephirot è morto!! Ormai c’è solo nella tua testa!» ribatté Barret, mentre continuavano a scendere le scale, trascinati dalla fiumana. Stettero zitti per un po’, attenti a non farsi calpestare dalla mandria di persone che si accalcavano per scendere da ogni pianerottolo che percorrevano. Le lampade di emergenza immergevano la scena in una fredda, asettica luce azzurrognola.

«Ho paura… voglio andare a combattere alla Battle Square.» disse Cloud, stringendo a sé la gabbietta.

«Ritieniti fortunato se non ti lasciamo qui!!» sbottò Andrea. Cid gli fece eco:

«Voglio soltanto saltare sulla Shera e andarmene da qui!»

 

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Capitolo 17
*** Una notte da Cuahl - Parte 5 ***


Una notte da Cuahl
Parte 5

 

«Aaaaaaaaaaaah!!!»

«Piantala di urlare, cazzo! Mi stai forando i timpani!!» strillò esasperato Cloud.

«Meow, sei più fastidioso di me!»

«Kueeeeeh!» (Madre!! Voi causerete la prematura dipartita di entrambi se continuerete a condurre un tale stile di vita!!)

Vincent Valentine guardò con sufficienza il gruppetto che aveva prelevato e trasportato al sicuro ai piedi del Gold Saucer.

«... non c’è di che, ragazzi.» mormorò, guardandosi alle spalle per assicurarsi che nessuno li avesse individuati. Andrea si ricompose e gli si avvicinò.

«Ma che sgarbato che sono! Mi perdoni per la mia reazione esagerata. Grazie per averci soccorsi, sono Andrea Rhodea, entertainer e proprietario dell’Honeybee Inn» disse, porgendogli amichevolmente la mano.

«Si, so chi sei.» rispose Vincent.

«Oh, come sempre la mia fama mi precede!» cinguettò l’uomo.

«Come stai, Cloud?» chiese Cait Sith, avvicinandosi al ragazzo. Lui cercò di alzarsi, ma una piccola scarica elettrica lo fece contorcere e ricadere a terra.

«Non sta tanto bene.» commentò Vincent, «... ma da quando ti sei rammollito così?»

«Mi sono svegliato male…» biascicò il ragazzo.

«Certo!! Tra due guanciali e in mezzo agli amici, che brutto modo di svegliarsi!» protestò Andrea.

«Eravamo nudi!! E non c’erano così tanti miei amici!» ribatté furente il ragazzo.

Vincent sgranò gli occhi, mentre Cait Sith lanciava un lungo miagolio:

«Meeeeow!! Accidenti, come sei cambiato! Tifa cosa direbbe se sapesse questa cosa?» 

«Non è successo nulla di scabroso, è soltanto Cloud che non ha talento per raccontare le cose ed è un po’ nervoso al momento.» spiegò Andrea.

«Nervoso un cazzo!» ribatté il ragazzo, ancora steso a terra.

«Dovremmo proprio andarcene da qui. Avete un trasporto?» chiese Vincent, ignorando le chiacchiere degli altri.

«Il mio caro Gideon ci aspetta, dovrebbe essere qui vicino.»

«Siamo dall’altra parte del Gold Saucer.» gli fece notare Cloud, alzando debolmente un braccio.

«Ah… beh lo chiamerò e ci farò venire a prendere!» proclamò Andrea, prendendo il suo telefono.

«Comunque… che ci fai qui?» chiese il ragazzo a Vincent, mentre aspettava che finisse l’effetto della paralisi.

«... sei serio? Non ti ricordi?»

«Cosa dovrei ricordare?» chiese Cloud, che aveva quasi paura di sentire la risposta.

“Che avrò fatto ancora?”

«Abbiamo bevuto insieme alla locanda della Ghost Square. C’erano anche Cid e Barret.»

«C’ero anche io!» protestò Andrea. Il rombo dei motori preannunciò l’arrivo del trasporto.

«Ma tu che ci facevi lì?» chiese Cloud.

«Sono al seguito della band. I… Materia for my Valentine.»

Stavolta fu Cloud a chiedere:

«Ma… sei serio?»

«Uuuh, i Materia! Hanno suonato anche all’Honeybee una sera, gran bravi ragazzi. Anche se un po’ cupi… ma allora ecco perché mi conosci, hai suonato anche tu!»

«Non ho detto che suono. Li accompagno.»

«In che senso…?»

«Meow, continuiamo la conversazione in viaggio, che ne dite?» li interruppe Cait Sith, indicando il velivolo targato Shinra che era atterrato poco lontano.

«Concordo!» trillò Andrea, andando tutto felice verso Gideon, che stava scendendo dal trasporto. 

«Ce la fai?» chiese Vincent, guardando Cloud che cercava di alzarsi.

«Si.» mentì il ragazzo, puntellandosi sui gomiti senza successo. L’altro scosse la testa e lo tirò su, passandosi il suo braccio intorno alle spalle. 

«Grazie.» bofonchiò il biondo, mentre salivano sul velivolo.

«Quanto ci avete messo??» gridò Gideon, cercando di farsi sentire al di sopra del rumore dei motori.

«Qualcuno doveva per forza recuperare il suo uccello…»

«Si, e qualcuno doveva per forza farsi prendere in ostaggio da dei criminali!»

«Piantatela, non ho intenzione di ascoltarvi! Ditemi solo dove dobbiamo andare.» esclamò Gideon, fulminandoli con lo sguardo.

I due ammutolirono immediatamente, guardandosi confusamente. Vincent annuì compiaciuto.

«Non sapete dove dobbiamo andare??» esclamò Gideon, basito.

«Abbiamo finito gli indizi.» si giustificò Andrea. Vincent intanto aveva lasciato Cloud su uno dei sedili e si era seduto al suo fianco. Meteor si acciambellò ai piedi del suo padrone.

«Indizi? Chi cercate? Cid e Barret?» domandò. Cloud annuì.

«Meow, ma è facile!»

«QUEL GATTO PARLA?!?!» urlò Gideon, indicandolo.

«Mi chiamo Cait Sith, cartomante. Vuoi che legga il tuo futuro nei miei tarocchi?»

«Lascia perdere, sai dove sono?»

«Non sono sicuro, meow… ma voi parlavate di tornare ad Edge per spendere le vostre vincite. Tutta la Chocobo Square lo ha sentito, da quanto urlavate.»

«Vincite?» fece Cloud, perplesso.

«Avete vinto una cifra astronomica grazie all’uccello di Cloud.» spiegò il gattino.

«Non ti ci mettere anche tu!!» esclamò il biondo.

«Questo spiega i malviventi…» mormorò Andrea.

«Ma non spiega perché mi sia svegliato rinchiuso in una bara nella locanda.» si intromise Vincent.

«Cosa?» fecero gli altri tre in coro.

«Stavo bevendo insieme a Cloud, poi non ricordo nulla fino al mio risveglio. Qualcuno deve avermi messo dentro una delle bare della scenografia. Mi hanno liberato quelli delle pulizie.»

Cloud evitava lo sguardo di Vincent e degli altri, sentendosi stranamente in colpa senza capire come mai.

“Potrei… essere stato io?”

«Comunque… cosa è successo dopo la fuga dei chocobo? Hai detto che siamo tornati ad Edge?» disse, rivolto a Cait Sith.

«Annunciavate di volerlo fare, meow… e la nave di Cid stamattina non era da nessuna parte, quindi immagino che ci siate andati.»

Cloud annuì.

«Ha senso.» 

«Anche se non ho idea di come abbiate fatto a pilotare la nave in quelle condizioni, meow!»

«Cid è troppo bravo, qualche bicchiere non può avergli creato problemi!» affermó Cloud.

Gideon scosse la testa, poi disse al pilota:

«Fai rotta per Edge e… ASPETTA UN ATTIMO!!»

«Cosa??»

«Quindi era la Shera la nave che si è schiantata ieri notte quando mi hai chiamato!!» urlò, guardando Andrea in cagnesco. L’entertainer evitò sia di rispondere, sia di ricambiare lo sguardo.

«Ci siamo schiantati, ieri notte?» domandò Cloud, con una nota panico nella voce. Vincent annuì e commentò:

«Non sembravate in condizioni di viaggiare...»

«Però… qualcosa non torna.» insistette il ragazzo, «... se ci siamo schiantati mentre andavamo a Edge… perché io e Andrea ci siamo sveg-ehm, eravamo all’Honeybee Inn?»

«Perché sono venuto io a prendervi!» gridò Gideon, colpendosi la fronte con una mano. «Ma questo stronzo non mi ha detto che c’erano altre persone sulla nave, oltre a voi due! Sarà un miracolo se li ritroveremo interi!!»

Tutti quanti fissarono Andrea con insistenza.

«Meoooow! Abbandonare gli amici in un relitto?? Sei vigliacco come un ratto!»

«... non sapevo cosa fare… era buio, faceva freddo, Cloud era svenuto…»

«Con la mia macchina avremmo potuto raggiungere il relitto e cercarli!!» ribatté Gideon.

«... invece hai pensato a salvare solo la tua pelle.» disse Vincent, trafiggendo l’entertainer con gli occhi scarlatti.

«Certo, una bella ricerca notturna con assalti di belve, magari! Vi sarete accorti che non sono un grande guerriero! E Cloud non era in condizione di fare alcunché!» si difese Andrea.

«Io avrei voluto andare a cercarli!!» gridò il ragazzo, punto sul vivo.

«Kuuee kueh!» (madre, non vi agitate! Alla vostra età, non ne trarrete certo giovamento!)

«Dai, intanto pensiamo a ritrovare la nave.» tagliò corto Andrea «... magari Cid e Barret hanno semplicemente dormito lì! E ci stiamo preoccupando per niente!» disse, con un entusiasmo che nessuno condivideva. Gideon scosse la testa e tornò a guardare il paesaggio. Cloud si chiuse nel bagno e ne uscì poco tempo dopo, indossando nuovamente gli abiti da ballerino dell’Honeybee Inn.

«Ah, ma allora ti piace la divisa!» fece Andrea, sognante.

«No.» rispose il ragazzo, sedendosi il più lontano possibile da lui.

Fecero ben poca conversazione, mentre osservavano con apprensione il terreno scorrere sotto i loro occhi. Cloud cadde in un sonno agitato quasi subito, con Meteor accoccolato su un fianco.

«Meow, ancora non ci credo. Cloud è cambiato molto da come me lo ricordavo!» dichiarò Cait Sith.

«Non sembra lui.» confermò Vincent.

«In effetti non è da lui bere fino a non ricordare nulla.» continuò il gatto, preoccupato.

Gideon si schiarì rumorosamente la voce.

«Chissà come mai lo ha fatto…»

«Eravate a una festa insieme, meeeow! Sicuro di non ricordare niente, vigliacco?» chiese Cait Sith, fissando Andrea.

L’entertainer evitò di rispondere, guardando preoccupato il bello addormentato.

«Cosa? No, no… non ricordo come sia andata a finire così.»

«Impossibile. Qualcuno deve averlo convinto… o raggirato.» insistette Vincent.

«Meow! Qualcuno di cui si fida!» 

«State forse insinuando che io lo abbia fatto ubriacare, facendo alterare i suoi drink dal barman, dopo la festa del matrimonio, per mischiare le gradazioni alcoliche e farlo andare fuori di testa??» disse tutto d’un fiato Andrea.

«... era la mia seconda ipotesi.» mormorò Vincent, dopo un momento di silenzio.

«Non sei mai stato bravo a reggere sotto pressione.» sospirò Gideon. «Come riuscivi a lavorare per Don Corneo?»

«Ah-haa! Ti sei tradito, meow!» disse trionfante Cait Sith.

«E io ora ti ammazzo.» disse Cloud, che si era svegliato. Tutti si girarono a guardarlo.

«Ha sempre avuto il sonno leggero.» ridacchiò il micio, leccandosi una zampa.

«... hehehe… posso spiegare…» sussurrò Andrea, cercando con lo sguardo sostegno da Gideon, che si girò dall’altra parte. Cloud si lanciò su di lui:

«Ridammi il telefono!! Devo chiamare Tifa!»

«No! Ormai faresti peggio!»

«È colpa tua!! Ridammelo subito!»

Andrea oppose due secondi di fiera resistenza, prima che Cloud gli rifilasse un paio di pugni e riuscisse a strappargli il suo cellulare, riaccendendolo immediatamente.

«Ti ho anche dato retta!!» esclamò, furibondo.

«Cercavo di aiutarti…» piagnucolò Andrea, rimettendosi a sedere.

«Il silenzio è d’oro… macaco.» lo interruppe Gideon, senza nemmeno guardarlo.

«Kuuuuiii…» (ora anche delle risse! Madre, oggi mostrate il peggio di voi!) 

Il cellulare aveva pochissima batteria rimasta; appena operativo, arrivarono decine di notifiche di chiamate perse, tutte da Tifa.

“Devo chiamarla subito!!”

Cercò il suo numero in rubrica e inoltrò la chiamata il più velocemente possibile, ascoltando spasmodicamente gli squilli.

«CLOUD!!»

«Tifa! Scusami, io non c’entro niente, Andrea e gli altri mi hanno fatto ubriacare ora siamo su un aereo diretti a Edge, ma torneremo indietro appena avremo trovato Cid e Barret… Tifa?? TIFA!!»

Guardò lo schermo: il telefono si era scaricato del tutto. Alzò gli occhi e incontrò quelli preoccupati di Andrea, folgorandolo.

«... mi dispiace.» esalò l’entertainer.

«Adesso mi racconti TUTTO!» gridò il ragazzo.

«Ma ti ho detto, non mi ricordo…»

«Non dirmi cazzate.»

«Adesso ci racconti tutto.» ripeté Gideon, girandosi verso di loro, «... ti ho retto il gioco perché mi avevi detto che Cloud aveva un problema… invece c’entri tu, vero?»

Andrea non disse una parola.

«Mi puzzava tutto questo altruismo!» esclamò l’uomo, visibilmente alterato. Il gatto tirò fuori le sue carte e le mischiò più volte.

«Meeeeow! La questione si infittisce, nemmeno i tarocchi la possono spiegare.»

«Cait… non è il momento.» mormorò Vincent.

«Scommetto anche che ti ricordi tutto!» gridò Cloud. Il pilota li interruppe:

«Siamo quasi a Edge e c’è un relitto più a nord! Vi dice niente?»

Tutti si affacciarono ai finestrini: in effetti si scorgeva una grossa nave semidistrutta sul fianco di una collina.

«È la Shera!» strillò Cloud, sentendo riaffiorare la speranza.

«Cosa?» disse il pilota, perplesso.

«La nave, quel matto l’ha chiamata Shera… puoi portarci lì?»

Il pilota non rispose, ma si diresse verso il relitto e atterrò poco distante. Tutti scesero e corsero verso la nave, guardandosi intorno. C’erano alberi sradicati e profondi solchi nel terreno, lunghi decine di metri, che sembravano indicare dove era avvenuto lo schianto. 

«CID! BARRET! Dove siete?» chiamò Cloud.

Frammenti di lamiere e rottami erano stati sbalzati ovunque. Uno di essi, in particolare, attirò l’attenzione di Cloud, che corse immediatamente nella sua direzione. Non si era sbagliato: la Buster Sword era conficcata nel terreno del crinale, perfettamente intatta.

«Ah, meno male.» disse il ragazzo, sollevato, mentre afferrava l’arma; fece roteare la spada un paio di volte e la sistemò dietro la schiena. Il clangore del metallo che colpiva il terreno gli fece ricordare che era ancora vestito da ballerino. Sbuffò e raccolse l’arma. 

«Non vedo nessuno, meow!»

«Se non sono qui, non sono morti nello schianto.» disse Vincent.

«Una buona notizia!» commentò allegramente Andrea, attirando sguardi poco gentili.

«Come mai la nave si è schiantata qui, con la prua a nord-ovest, se stavate tornando dal Gold Saucer?» chiese ancora Vincent, indicando i resti della Shera.

«Eravamo tutti sulla nave, quindi se non stavamo tornando a Edge, forse stavamo andando a Wutai.» disse Cloud.

«Che misteri…» mormorò Andrea, un attimo prima di essere sollevato di peso dal biondo.

«Ora basta. Comincia a parlare.» disse il ragazzo, mentre con la mano libera sollevava minacciosamente la spada.

«Vorresti minacciare un vecchio amico?» domandò Andrea, che nonostante la situazione, non sembrava spaventato.

«Non sei mio amico.» ringhiò di tutta risposta il biondo.

«Si, certo.» disse sarcastico Andrea. «Ti perdono solo perché sei giustamente arrabbiato.» aggiunse.

«Non rischiare, meow!»

«Ha ragione Cait. Non rischiare.»

Il pilota del trasporto si sporse dal finestrino e urlò:

«Non rischiare!!»

«Kueeeh kueeeh kuiii!!» strillò Meteor. (Non ponetevi a rischio, bizzarro essere piumofilo!)

«Non rischiare. Sbrigati ad accontentarlo, nessuno qui può fermarlo se decide di ridurti in tranci.» disse Gideon.

«Vuoi dirmi che saresti d’accordo?» chiese l’entertainer, sentendosi tradito.

«Penso che ti inscatolerei e ti venderei al mercato del pesce.» rispose l’altro, impassibile.

«Sei crudele! Credevo mi amassi!» si lagnò Andrea.

«In questo momento amerei soltanto sentire la verità.»

L'entertainer sollevò le braccia in un ampio e teatrale gesto di resa.

«... non riesco mai a dirti di no.» disse con un sospiro.

«Meow! Cloud vuole farti a fettine, ma tu cedi alle parole di un altro? Che strano modo di averla vinta…» miagolò Cait Sith, acciambellandosi su una roccia.

 

***

 

«Siamo arrivati?»

«No!!»

«Volevo andare alla Battle Square!»

«Se lo dici un’altra volta ti butto di sotto!!!» berciò Barret, prendendogli il braccio e mordendolo.

«... quanta sofferenza ci siamo inflitti…» mormorò Cid, con le urla di Cloud in sottofondo.

«Uffa Barret! Sei cattivo.» rispose Cloud, allontanandosi e contemplando i segni dei denti sul suo avambraccio. Cid li riprese da dietro al timone:

«Placatevi o mi fermo qui!»

Dalla gabbietta si levò uno starnazzare arrabbiato.

«Kueeeeh!!» (sordidi masnadieri, mi nutrirò della vostra progenie!!)

«Stai buono, Meteoro! E comunque tu non puoi fermare Shera! Non puoi fermare l’amore!» disse il ragazzo, girandosi a guardarlo a testa in giù.

«Woooow! Sei sul soffitto! Mi porti alla Battle Square?»

«Colpitelo in testa.» disse spazientito il pilota.

«Ma quanto ci mettiamo!! Ho sete!» si lamentò il ragazzo.

Andrea si prese la testa tra le mani e iniziò a dondolarsi avanti e indietro.

«Non dovevamo giocare con la natura… abbiamo creato qualcosa di pericoloso…»

«Se la Shinra avesse usato l’alcool invece del mako, il pianeta sarebbe finito.»

«Sarebbe stato bello. Molto bello. Bellissimo! Pensa, avrei avuto gli occhi da vodka, con le bollicine tipo il tonic! Occhi tonic!» biascicò Cloud, guardando alternativamente e insistentemente Barret e Andrea.

«Fatelo… smettere…»

«Cloud! A rapporto!» gridò Cid.

«Dimmi, mio comandantemento!» rispose il ragazzo, scattando sull’attenti.

«Va a controllare se nella terza valvola del quinto quadrante c’è abbastanza vapore!»

«Corro!!»

Cloud scattò via. Barret si stese a terra, sospirando forte.

«Dovevamo farlo mangiare dalle belve quando potevamo!»

«Forse non dovevate vendicarvi...» disse Andrea.

«Forse non dovevamo darti retta!! Questa vendetta ci sta costando la sanità mentale!» esclamò Barret, guardando furibondo l’entertainer.

«E aspettate che vi dica quanto è costata la benzina per questi simpatici giretti che stiamo facendo!» annunciò il pilota.

«Taci tu, capitano dei miei coglioni!!»

«Come osi! Sei immediatamente degradato a mozzo! Ah, aspetta…»

«Brutto figlio di…!!» gridò Barret, lanciandosi verso Cid e iniziando una zuffa. La Shera iniziò a ondeggiare e a scricchiolare pericolosamente. Andrea gridò, reggendosi con tutta la forza che aveva ad uno dei corrimano.

«Fermi, idioti! Ci farete ammazzare tutti!»

Barret sembrò ritornare in sé e, dopo aver tentato un ultimo morso al fianco, lasciò stare Cid, che riprese in fretta il controllo del timone, imprecando.

«Vado a controllare come sta Cloud. Vedete di non combinare altri guai!» gridò l’entertainer, scendendo in sala macchine. Riuscì a concentrarsi abbastanza da aggrapparsi saldamente alla scala a pioli e iniziò una lenta ed insicura discesa. Il calore e il vapore in effetti non mancavano in quel locale strapieno di macchinari in funzione.

Cloud era riverso a terra poco lontano dalla scala; Andrea caracollò verso di lui, ma inciampò e cadde a sua volta addosso al biondo.

«Hey!! Stavo riposando prima del mio incontro alla Battle Square! Ho sognato di essere tutto fatto di cubi e poligoni… Barret non aveva il collo, sembrava un kiwi. Guarda invece come sono in alta definizione, guarda che dettagli!» disse il ragazzo, guardandosi una mano, sognante.

«Zitto e aiutami ad alzarmi!»

«Ma ho ancora sonno!»

«Non è il luogo né il momento per dormire!! Su, andiamo!»

«Non lasciarmi qui da solo!» piagnucolò Cloud, aggrappandosi ad Andrea.

«Non ti sto lasciando qui, ti sto riportando su!!»

«Ma su ci sono i chocobo cattivi!»

«No, non ci sono.»

«Li ho visti prima!! Vogliono accoppiarsi con me perché sono biondo!»

«... mica solo loro…» mormorò Andrea.

«Che hai detto?»

«Niente… non ci sono più, Barret gli ha sparato!»

«... ok allora cosa aspettiamo, andiamo!» esclamò Cloud, alzandosi di botto e correndo verso la scala, travolgendo Andrea.

«Dovevamo far ubriacare l’unica persona al mondo che l’alcol non lo dovrebbe nemmeno toccare!!?» sbuffò l’uomo, rialzandosi e camminando a sua volta fino alla scaletta, in precario equilibrio.

Quando riuscì a tornare alla cabina, vide Cloud che in qualche modo aveva rubato il cannone di Barret e correva in giro facendo finta di sparare. Sia Barret che Cid stavano ridendo fino alle lacrime.

«Guardatemi, mi chiamo Barretto! Sparo alle cose che non mi piacciono, cioè tutto tranne mia figlia!»

Cid dovette aggrapparsi al timone per non cadere, col risultato di fare un’ampia virata fuori programma. Anche Andrea, una volta riguadagnato l’equilibrio, iniziò a sbellicarsi.

«Ora vado a far esplodere qualche reattore di mako, perché odio la Shinra! Baaam, baaam! E non pago i miei dipendenti! Accettiamo solo volontari all’Avalanche!» continuò Cloud, scimmiottando la voce e le pose di Barret.

«Ce l’hai ancora con me per quella storia?» esclamò il diretto interessato, contrariato.

«Ma il pianeta è salvo adesso, quindi al posto del cannone ho un mattarello e faccio i dolcetti al mako!»

«Non è vero! E ora ridammelo!» 

«No!! La Shinra non mi avrà mai!! Bang! Bang!»

Barret non riusciva ad acchiappare Cloud, che si allontanava di continuo, ma ad un certo punto vide la sua spada, abbandonata in un angolo. La prese e se l’appoggiò sulle spalle.

«Guardatemi, sono Cloud Strife, ho tanti problemi ma tutte le ragazze me la tirano con la fionda, anche se io la mia grossa spada la voglio usare soltanto per infilzare i cattivi! Ah, e se Meteor fosse caduto sarei tornato al lifestream casto e puro!»

Tutti continuarono a ridere a crepapelle per svariati minuti; quando sembrava che tutto si fosse placato, a qualcuno sfuggiva un’ulteriore risatina e tutto quanto ricominciava da capo.

«Avete… avete mai gonfiato un preservativo?» chiese Cid, appena riuscì a riprendersi.

«Cosa?» domandarono gli altri in coro.

«Si… i preservativi si gonfiano, se ti sporgi da un mezzo che va abbastanza veloce e li apri controvento.»

«Devo assolutamente vederlo! Cloud, dammene uno!» gridò Barret, tendendo la mano verso il ragazzo.

«In che senso?»

«Non mi dire che li hai usati tutti al matrimonio!»

«Non ne ho… non li uso.»

«COME NON LI USI?!?»

«Il mondo non è pronto per vederti fare il padre. Usali, per amor del cielo!! E usate uno dei miei per questa stupidaggine.» disse Andrea, tirando fuori un intero pacchetto.

Barret ne tirò fuori uno e lanciò il resto della scatola a Cloud.

«Quelli mettili via, e con questo facci vedere questa meraviglia.»

Il biondo obbedì e si avvicinò ad uno dei finestrini. Cid già rideva.

Mise fuori entrambe le braccia e fece del suo meglio per aprire il preservativo contro la forza del vento; non appena ci fu riuscito, la gomma cedette e si trovò a tenere in mano svariati metri di un enorme palloncino a forma di salsiccia, che sventolava furiosamente come una bandiera. Le risate ripresero, se possibile più sonore di prima.

«Amo la fisica!» strillò Cid, piegato in due sul timone.

«Adesso cosa ci faccio con questo coso?!» gridò Cloud, che non sentiva più le mani.

«Usalo! È a misura di SOLDIER adesso!» esclamò Barret, ridendo. 

«Ragazzi!» li interruppe Cid, tra una risatina e l’altra «Siamo arrivati, finalmente!»

«La Battle Square?!» gridò Cloud, mollando il palloncino.

«Forse dovevamo lasciarti andare alla Battle Square. E poi andarcene.»

«No, tempo due giorni e sarebbe diventato un signore della guerra con centinaia di soldati e un harem al seguito, pronto a conquistare il mondo.»

«In effetti… dopo due incontri all’arena di Edge è spuntato il suo fan club pieno di donnine arrapate!» commentò Andrea.

«Infatti… ma che fine ha fatto?» domandò Cid.

«Credo che Tifa li abbia denunciati, ed ora per via di un ordine restrittivo non possono avvicinarsi a Cloud o al Seventh Heaven.»

«Che vita di merda…» disse sarcastico Barret.

«Dai allora, quanto ci metti ad atterrare!» gridò Cloud, battendo con le mani sul vetro.

«Un’altra parola e ti lancio nell’oceano!!» urlò il pilota. Il ragazzo si zittì immediatamente, chinando la testa.

«Dove andiamo??»

«Ma all’Honeybee Inn, naturalmente! Siete miei ospiti, possiamo usare il parcheggio sul retro per atterrare!» rispose Andrea.

«... volevo andare alla Battle Square…» mormorò Cloud, senza alzare la testa.

Cid individuò senza problemi l’immensa luminaria del nuovo mercato e si diresse lì, preparandosi ad atterrare nell’ampio spiazzo dietro l’Inn. Barret scosse la testa ed esclamò:

«Guardate che spreco di energia!! Mi fa una rabbia! Almeno usate fonti di energia alternative??» 

«Si, alterniamo: una volta una, una volta l’altra.» rispose con nonchalance Andrea.

«Ah, ecco. Continuate così!» fece l’omone, sollevando un pollice con aria soddisfatta.

L’entertainer tirò un sospiro di sollievo, mentre la Shera cominciava la discesa. Cid fece del suo meglio per evitare le numerose auto parcheggiate, ma una di esse fu schiacciata in un trionfo di stridii di lamiere, mentre la nave finalmente toccava terra. Il pilota si giustificò:

«Si vede che ho bevuto un po’ troppo… l’avrei evitata altrimenti.» 

«Non importa, andiamo a bere.» disse subito Cloud, dirigendosi alla passerella.

«Attento, non è ancora in posizione!!»

Il ragazzo non sentì in tempo l’avvertimento e volò di sotto, urlando e cadendo rovinosamente sull’asfalto. Gli altri aspettarono con calma che la passerella fosse in posizione, prima di raccattare tutte le loro cose e scendere.

«... perché cado sempre…» si lagnò il ragazzo.

«Perché sei un coglione, ecco perché! Riprenditi il tuo uccello.» rispose Barret, lasciando per terra accanto a lui la gabbietta.

«Stai bene, super SOLDIER?» chiese Andrea, divertito.

«Volevi due fiorellini ad attutire la caduta?» 

«... portatemi alla Battle Square.»

Nessuno rispose. Cloud si puntellò su un gomito per alzarsi, ma non c’era più nessuno intorno a lui; fece appena in tempo a vederli sparire all’interno dell’Honeybee. Il pulcino starnazzava senza sosta.

«Tranquillo, Meteoro… ora ti faccio mettere a riposare.»

«KUEEEEH KUUUUUEEEEEEHH!!!» (ora osate abbandonarmi al gelo notturno?! Vi caverò gli occhi e beccherò il vostro cervello, sempre che ne siate provvisti!!)

Cloud prese la gabbietta e raggiunse il locale. Appena entrato fu investito dal calore e dalle luci, oltre che da svariate apette che, appena lo videro, si precipitarono ad accoglierlo.

«Ciao Cloud!!»

«Stai bene? Hai una faccia orribile!»

«Ti facciamo preparare qualcosa!»

«Era da tanto che non venivi a trovarci!»

«... ciao apette!» biascicò lui in risposta, agitando a caso una mano; le ragazze strillarono entusiaste.

«Non ci calcolerebbero nemmeno delle cameriere vestite da mosche.» sibilò Cid, guardando contrariato tutte le attenzioni che stava ricevendo Cloud. Una delle apette prese la gabbietta con il chocobo e la portò al piano di sopra, mentre le altre presero il ragazzo sotto braccio e lo condussero verso la sala principale.

«Aspetta, che intendi dire? Non ho capito.» rispose Barret, tentando per sbaglio di afferrare il suo bicchiere col cannone. Alla vista di quella processione molto gialla, Andrea gridò, stizzito:

«Voi siete il mio entourage!!»

Le ragazze, per nulla intimorite, si misero a ridacchiare.

«Uuuh, qualcuno è geloso!»

«Scusa, Andi! Ma guardalo, sembra così stanco! Cosa avete fatto?»

«Una serata di bevute tra uomini.» rispose secco l’entertainer.

«Barret, cos’hai lì in tasca?» chiese Cid.

«Questo… oh, è il numero di Okane!» esclamò l’uomo, brandendo il foglietto.

«Non vorrai continuare con quella stupida gara!?»

«No… ma penso che potremmo comunque divertirci con qualche sfida!»

Cloud si unì a loro, con le apette che continuavano a ronzargli intorno; qualcuna ne approfittò per accarezzargli i bicipiti ed altre osarono addirittura scompigliargli i ciuffi ribelli.

«Signorine… imenottere! Come mai vi prendete tutte queste libertà, stasera?» domandò il ragazzo, con un sorriso ebete stampato in faccia e un dito molto poco accusatorio sollevato e roteato a caso. Le ragazze risero, ma tornarono immediatamente al lavoro dopo aver visto la faccia di Andrea.

«Portateci da bere!!» gridò, incrociando le braccia.

«Preferiscono il biondo miele giovane, eh? Puoi biasimarle?» disse Cid, ridacchiando.

«... no.» ammise l’entertainer, arrabbiato.

«Dai, non fare così. Dicci delle sfide, Barret!.»

«Prima regola: basta chiedere numeri di telefono! Se no vi mordo. Seconda regola: non si bacia nessuno… ok, se capita magari si. Ma non Cloud!»

«Questa regola mi sembra molto specifica ma va bene… e piantatela voi! Non partecipate!!» gridò Andrea, vedendo la faccia da funerale che avevano su le apette.

«Significa che noi possiamo?» chiese una di loro, illuminandosi.

«Significa che se vi becco di nuovo con le mani addosso a Cloud vi licenzio!!»

«Quindi la bocca vale?»

«Se ci tieni tanto a cambiare lavoro puoi anche dare le dimissioni!»

L’apetta alzò gli occhi al cielo e sospirò mentre si allontanava.

«Sei troppo cattivo con le tue… apette!» biascicò Cloud, sprofondando nella poltroncina.

«Non voglio morire per mano della tua signora. Non voglio morire in generale, quindi… forza, cominciamo le sfide!»

«Giusto!!» ruggì Barret, mordendo Cid. Ignorando le sue lamentele, continuò:

«Allora, ognuno di noi dovrà completare una sfida! Chi non lo farà, dovrà pagare pegno!»

«Ok… che tipo di pegno?» chiese Cid, mentre si massaggiava la zona morsa.

Barret ci pensò su; Cloud imitò la sua posa, guardandolo fisso.

«Chi non completa le sfide dovrà ballare vestito da apetta nel prossimo spettacolo!»

«Mi… sembra un po’ eccessivo…» fece notare Cloud, ricordando vagamente i suoi trascorsi sul palcoscenico.

«Preferiresti qualcosa di più estremo? Senza nessun costume?» gli propose Andrea, malizioso.

«... si, non voglio più travestirmi da niente!»

«Intendevo senza nessun tipo di vestito. Nudo come un vermiciattolo!»

«Oh… vada per il costume da ape.» mormorò Cloud, abbassando la testa.

«Completa la tua sfida e non avrai nulla da temere!» lo rassicurò l’entertainer.

«Chi comincia?»

«L’ultimo a finire il drink!» esclamò Andrea, già con il bicchiere in mano. Gli altri si affrettarono ad imitarlo e bevvero il più velocemente possibile. L’ultimo bicchiere a tornare sul tavolo fu quello di Cid, che rischiò anche di farsi andare tutto per traverso.

«Ah, che disdetta! Quale disfida mi attende?» esclamò il pilota.

Gli altri tre si spremettero le meningi intrise dall’alcool per qualche minuto, senza molto successo. Alla fine Barret menò un pugno sul tavolo ed esclamò, trionfante:

«Ho trovato!! Tu, super ingegnere delle mie palle: ti sfido a costruire un razzo funzionante solo con le cose che puoi trovare qui, nel locale!»

Cloud lo guardò ammirato; Andrea invece sembrava preoccupato.

«Gli alcolici valgono quindi… mi sottovalutate.» ghignò Cid, alzandosi da tavola.

«Ah dimenticavo… hai cinque minuti a partire da… ora!!» gridò Barret, alzando il cannone; una raffica partì, seminando il panico e aprendo dei fori nell’intonaco del soffitto. Ci volle un colossale sforzo di Andrea e di tutto il resto dello staff per placare gli animi.

«Per tutto questo tempo ci hai sventolato quel coso davanti e non avevi la sicura?!?» strillò Cid.

«... mi dispiace. Sono un pessimo padre…»

«Cosa c’entra!! Potevi spararci!»

«Non berrò mai più!» piagnucolò Barret, rannicchiandosi nella poltroncina. 

«Ottima decisione.» mormorò Andrea, «... ma non preoccuparti troppo: non è la prima sparatoria dell’Honeybee Inn.»

Gli altri tre lo guardarono stupiti, sgranando gli occhi.

«È una storia che merita la sua serata di bevute, e noi ne abbiamo già una in corso. Forza Cid, il cronometro scorre!»

«Cosa? Quello non era il via, era un tentato omicidio!» protestò Cid, alzandosi dalla poltroncina e correndo verso il bar.

«Secondo me ce la fa! È stato nello spazio!» disse Cloud, fiducioso.

«È più facile andare nello spazio, oppure costruire un razzo con dei cocktail?»

«Stiamo per scoprirlo» disse Andrea, guardando impensierito in direzione del piano bar. Cid si era fatto strada fino a dietro il bancone e stava selezionando una bottiglia; l’entertainer fece cenno rassicurante al barman, che lo guardava confuso. 

«Intanto pensiamo alle altre sfide.» propose Barret.

«Ma… non devi contare i cinque minuti?» disse confuso Cloud.

«Naaaah, era solo per mettergli ansia, chissenefrega quanto ci mette.»

Andrea ridacchiò, prima di prendere la parola.

«Ne ho una perfetta per Cloud: devi palpare una delle apette.»

Il ragazzo lo guardò aggrottando la fronte.

«Ma… palparla dove?» domandò perplesso il ragazzo.

«... che domanda è!! Me lo devi chiedere?? Ma non ce l’hai una ragazza da palpare?» chiese esasperato l’entertainer.

«Si, Tifa!»

«Lo so che ce l’hai! Era una domanda retorica!» sbottò l’entertainer.

«Ah, quindi devo fare all’apetta quello che faccio a Tifa?» chiese Cloud, stralunato.

«No! Non tutto!! Se no cosa direbbe Tifa?»

«Si, Tifa!»

«Tifa direbbe “si, Tifa”?»

«... Tifa…»

«Barret gli dai un colpetto? Mi sa che si è impallato.»

«Ho notato che capita anche da sobrio, se si parla di Tifa.» disse Barret, tirando un cazzotto fortissimo a Cloud, rovesciando la poltroncina.

«Ho detto un colpetto, non un trauma cranico!» esclamò Andrea, guardando arrabbiato l’omone.

«Che differenza c’è?»

«Ahia.» gemette il ragazzo, prima di rimettere a posto a poltrona e tornare a sedersi come se niente fosse.

Andrea tirò un sospiro di sollievo.

«Ora hai capito cosa devi fare??»

«... no.» ammise Cloud. Andrea fece appello a tutto il suo autocontrollo.

«Devi. Palpare. Una. Delle. Apette!! Toccale il culo, le tette, roba del genere!! Chiaro?»

«Si… ma che dirà Tif…»

«Non lo saprà! Preparati mentalmente alla sfida.» tagliò corto l’entertainer, spazientito.

Cid li raggiunse trionfante con in mano una scatola.

«Siete pronti ad ammettere la sconfitta??»

«Non qui!! Andiamo fuori! Abbiamo causato abbastanza panico per una serata sola.»

«... volevo andare alla Battle Square.» mormorò Cloud, alzandosi a fatica e seguendo il trio verso l’esterno del locale. Ogni apetta che incrociava lo salutava con la mano o lanciandogli un bacio. 

«Volete venire a vedere il razzo?» chiese.

«Siiii!!» gridarono in coro.

«Guardate che ha detto “razzo”!» urlò Andrea, causando gesti di disappunto.

«Non le interessa il razzo?» chiese confuso Cloud, mentre Barret lo prendeva per la collottola e lo trascinava fuori. Cid era già all’opera, creando una miscela sconosciuta all’interno di una bottiglia di plastica; appena ebbe finito, la posizionò sulla strada e prese dalla scatola una manciata di zollette di zucchero.

«Un razzo con una bottiglia e dello zucchero? E come mai non siamo tutti nello spazio, se è così facile?» lo prese in giro Barret.

«Non ti rispondo nemmeno.» disse piccato il pilota.

«Può volare fino alla Battle Square?»

«Spero ti voli sulle palle!»

«Ma no! Pensa che male!!» rispose Cloud, rabbrividendo. Cid li richiamò all’ordine:

«Allontanatevi! Tutti pronti al lancio! Meno dieci, nove, otto…»

«Sbrigati e basta, astronauta delle mie palle!» gridò Barret.

«Lancio!» gridò il pilota, inserendo le zollette nella bottiglia e tappandola: il liquido all’interno cominciò a gorgogliare e a riempirsi di bolle. Cid allora lanciò la bottiglia contro il muro: il tappo colpì la superficie e saltò via, mentre la bottiglia decollava, spruzzando dappertutto il suo contenuto e perdendosi nell’oscurità.

«Ooooooh!!» esclamarono i tre spettatori.

«Cid ha superato la sfida!» decretò Andrea, guardando ammirato il pilota.

«Ma ha volato troppo poco!» protestò Cloud.

«Vuoi vedere quanto ti faccio volare io?? Forza, torniamo dentro. La prossima sfida è la tua.»

«Ma io voglio…»

«Se ripeti di nuovo la parola “battle” seguita dalla parola “square” io giuro che non solo ti revoco la tessera dell’Honeybee, ma ti addebito anche tutto l’alcool che mi hai scroccato!!»

Cloud ammutolì all’istante.

«Bravo biondo. Ora riscalda le mani.»

Tornarono all’interno e cercarono di arrivare nuovamente al loro tavolo: prima che ci riuscissero vennero coinvolti in un enorme trenino formato da apette, ballerini e i meno sobri tra gli avventori notturni. Dopo un giro completo del locale e diverse mani avvicendatesi sul suo culo, Cloud riuscì a sedersi nuovamente sulla sua poltroncina.

«Non ho capito cosa è successo, ma è stato divertente. Mi hanno anche… mi hanno palpato!!» disse Cloud, trasalendo e avvampando.

«Saranno state le apette.»

«O i ballerini.»

«O chiunque.» 

«E ho dei numeri di telefono in tasca…» aggiunse il ragazzo, mostrando loro dei bigliettini.

«Propendo per il chiunque.» commentò Andrea.

«Non sono abbastanza per raggiungermi!» gridò Barret, sollevando fieramente il capo.

«Cosa?» fece Cloud.

«Come no?! Tu hai solo il numero di Okane!» lo prese in giro Cid.

«Non cambiamo sfida! Cloud, è arrivato il momento. Va’ e palpeggia come non hai mai palpeggiato prima!» si intromise Andrea.

«Ma non dovevo palpare? Ora devo parcheggiare?»

«Si, prima devi palpare però!»

«Uffa la sfida è peggiorata.» si lamentò Cloud, alzandosi a fatica dal suo posto e guardando in giro. Individuò una delle cameriere, che aveva appena lasciato i drink al tavolo, e si avvicinò a lei.

Appena lo vide gli rivolse un sorriso smagliante, che però divenne una strana smorfia quando Cloud continuò ad avvicinarsi, con espressione inebetita.

«Cloudy… tutto bene?» gli chiese, appena fu a portata d’orecchio. Cloud non rispose, intento nella difficile determinazione della zona migliore da palpare. Dopo una breve riflessione dedusse che il costume da apetta non permetteva di palpare il culo, quindi rivolse la sua attenzione al seno.

Si avvicinò ancora, guardando la ragazza dritta negli occhi.

«Ma l’apetta lo sa? È d’accordo?» chiese Cid, preoccupato.

«No… e quasi certamente no.» rispose Andrea, sorseggiando il suo drink.

«Tu sei il diavolo.» sussurrò Barret.

L’apetta era evidentemente a disagio, mentre Cloud la fissava intontito.

«Tesoro, ma ti senti poco bene? Vuoi che…»

Di colpo il ragazzo afferrò con malagrazia entrambi i seni dell’apetta, senza smettere di fissarla. Di tutta risposta lei lo schiaffeggiò e poi lo colpì in testa col vassoio, allontanandosi sdegnata. 

“E sono due traumi cranici in meno di mezz’ora. Forse dovremmo andarci più piano…” pensò Andrea, non riuscendo tuttavia a trattenere una risatina. Cid e Barret invece ridevano sguaiatamente.

«Sai che domani Cloud ti ammazzerà, vero?» gli domandò Cid, ridacchiando.

«Tranquillo, non corro rischi inutili. Domani lui non ricorderà nulla di tutto questo.» rispose tranquillo Andrea. I due lo guardarono confusi.

«Come sarebbe?»

« Me lo ha confidato Tifa. Pare che quando il biondo si intossica, perda la memoria.»

«Si, lo sappiamo anche noi, ma è successo col Mako! Vuoi gettarlo nel Lifestream?! Ché se lo meriterebbe pure, ma è un altro discorso!» esclamò Barret.

«No, non avete capito: sembra funzioni con qualsiasi tipo intossicazione! Quando lo hanno avvelenato all’arena e anche quando il medico gli ha dato una dose di antidolorifici che avrebbe steso quattro uomini normali, non ricordava più cosa fosse successo la sera prima!» raccontò l’entertainer.

«Probabilmente c’entra comunque l’incidente col Mako. Maledetta Shinra...» commentò Barret. 

«Sia come sia, va bene così! Più cose imbarazzanti da fargli fare senza conseguenze!» disse allegramente Cid, dando una pacca sulla spalla di Barret e beccandosi immediatamente un morso in cambio.

Cloud li raggiunse, massaggiandosi la testa. Andrea lo accolse con un sorriso a trentadue denti.

«Complimenti! Hai superato la sfida!» 

«Meno male…» esalò il ragazzo. Il sollievo di non doversi vestire da ape bastò ad attenuare il dolore alla testa. 

«Adesso a chi tocca?» chiese, mentre sprofondava nella poltroncina.

«È finito il gioco, adesso basta!»

«No no! Dovete fare una sfida anche voi!» si oppose Cid.

«E a che sfida avete pensato, sentiamo un po’!» rispose Barret con aria di sfida.

«Io ne ho in mente una per Andrea!!» esclamò subito Cloud.

«Fammi indovinare: la Battle Square?» lo canzonò l’entertainer. Il ragazzo bevve un lungo sorso del suo drink e rispose:

«No! Ma grazie per avermelo ricordato, dopo ci andiamo.»

«Andrea, ti ammazzo.» mugugnò Cid tra i denti.

«Prima però dobbiamo andare da un’altra parte. Seguitemi!»

Senza aspettare la loro risposta, tentò di alzarsi dalla poltrona, cadendo rovinosamente sulla moquette. Si rimise in piedi come se nulla fosse e andò verso l’uscita.

«Ma dobbiamo seguirlo?»

«Se si fa male, Tifa ci ammazza.»

«Invece adesso siamo salvi, vero?»

«Dai, prima che tranci un altro lampione.»

I tre si alzarono in fretta e seguirono il biondo fuori dal locale. Lo trovarono che riempiva di botte un albero, sbraitando frasi sconnesse sul lifestream e sulla fine del mondo. Riuscirono a trascinarlo via in tre.

«Smettila!! Non è Sephirot, è un cazzo di albero!!»

«... no, non capite, si è trasformato, ha fatto una magia, colpa del lifestream e delle cellule di Jenova…» urlò Cloud, fuori di sé.

«Stai zitto!! Dobbiamo fare la sfida, ti ricordi?»

Cloud tornò improvvisamente in sé e li lasciò indietro, avanzando spedito verso una destinazione sconosciuta. Gli altri lo guardarono con odio per qualche momento, prima di inseguirlo stancamente.

«Sicuri che adesso non sia lui a vendicarsi di noi?»

«Tranquilli: guardate in che stato è! Dubito che gli sia venuta un’idea decente. Magari sta solo andando all’arena di Edge per sfidarmi a duello!» rise Andrea, che era calmo rispetto agli altri due.

«Se lo dici tu… ma dov’è finito??»

«Se sta picchiando qualcuno io me la filo, ve lo dico subito.» dichiarò Andrea.

«Eccolo lì!»

Cloud si era fermato davanti ad un negozio decorato da piccole lanterne rosse e faceva istericamente cenno di raggiungerlo. Andrea sbiancò.

Il ragazzo bussò energicamente alla porta. La risposta non si fece attendere.

«Chi bussa con così poca eleganza e senza rispetto per le sue mani?» chiese Madame M, seccata, aprendo di scatto la porta.

«Oh, Cloud?» chiese sorpresa, guardando il ragazzo sulla soglia.

«Ciaao Madammemme! Andrea Rhodea è qui per fare un massaggio.» rispose lui, prima che gli altri riuscissero ad aprire bocca. Madame M si sventolò, il volto contratto in una smorfia di disgusto.

«Ma da quale bettola siete usciti? Puzzate come delle discariche!»

«Dall’Honeybee Inn!»

«Hey! Bada a come parli!» strillò arrabbiato Andrea.

«Ciao, Andrea...» disse Madame M, «... ora ha tutto più senso. Cosa volete da me?»

«Andrea vuole fare uno dei tuoi massaggi da 100 guil.» disse trionfante Cloud.

La donna li squadrò, sospettosa, aspettando spiegazioni che non arrivavano. Andrea incenerì Cloud con lo sguardo, mentre Cid e Barret non riuscivano a capire nulla della situazione.

«Beh, non si scomoda per niente Madame M. Forza, entertainer. Lo vuoi davvero questo massaggio? Anche se da te mi aspettavo… ben altra scelta.»

«Non ho scelta. Andiamo.» sibilò Andrea, entrando nel centro massaggi sotto lo sguardo compiaciuto di Cloud.

La donna lo seguì, con espressione indecifrabile, chiudendosi la porta alle spalle. Barret finalmente riuscì a chiedere:

«Cloud, ci spieghi?»

«... ascoltate attentamente.» rispose il biondo. Di lì a poco le urla di Andrea echeggiarono per le strade semi-deserte. Cid e Barret sbiancarono.

«Cosa… ma cosa gli sta facendo?» chiese quest’ultimo.

«Quello per cui ha pagato…» rispose Cloud, sventolandosi con un ventaglio invisibile.

«Io non pagherei 100 guil per farmi male. Nemmeno 10.»

«Come facevi a sapere questa cosa?» chiese Cid, sospettoso. Le urla dell’entertainer continuavano.

«Una volta sono venuto qui a chiedere una raccomandazione per entrare a casa di un mafioso, ma ho dovuto fare un massaggio per averla e…»

«Sai che c’è? Non voglio sapere nient’altro!!» lo interruppe il pilota.

«Hai sopportato questo?» chiese Barret, urlando per farsi sentire.

«Ehm… come dire… non proprio.» ammise Cloud.

«Non ci capisco niente.» disse l’omone.

«Nemmeno io.» gli fece eco Cid.

«Nemmeno io. Infatti mica ho fatto questo, ho pagato 3000 guil e oltre il massaggio mi ha fatto anche una s...» disse Cloud.

Di botto le urla cessarono; i tre ammutolirono, sentendo rumori di colluttazione all’interno, prima che Andrea aprisse di colpo la porta e scappasse via nella notte. Madame M si affacciò poco dopo e urlò:

«Porco inerudito!! Non ho finito con te!!»

«Pazza sadica! Dovrebbero bruciarti il ventaglio!» gridò di rimando l’entertainer in fuga.

La donna tirò un calcio a Cloud, che era a terra e si stava rotolando dal ridere, prima di rientrare sbattendo la porta.

«Quindi… ha perso?» chiese Cid.

«Si! E dovrà pagare pegno!» rispose Barret, con un ghigno.

«SIIIII!» gridò Cloud, sprizzando gioia vendicativa da tutti i pori.

«Manca solo la sfida di Barret. Torniamo al locale e finiamo questa storia!» disse Cid; i tre si misero in marcia, sostenendosi gli uni agli altri e ondeggiando pericolosamente per tutta la strada. Erano ormai pochi i passanti ancora in giro per ammirare quella bizzarra processione. Tornarono all’Honeybee, dove vennero accolti da un’apetta.

«Andi ha detto che vi aspetta nella sua sala per la sfida finale!» trillò allegramente, indicando le scale. «Ti ricordi dov’è, Cloud?»

«Si, certo. Grazie, Janine.»

«Di niente, tesoro mio!» rispose la ragazza, arrossendo leggermente.

Cid e Barret lanciarono al biondo un’occhiata sorpresa.

«Quanto tempo ci passi qui dentro??»

«Li sai tutti i nomi? Anche di quella che hai palpato?»

«Ah si, devo ricordarmi di scusarmi con Jaqueline!»

«E Cristine?» fece sarcastico Cid.

«Mmmh… non l’ho vista stasera! Prima però ho visto Josephine e Geraldine… no, era Daphne.»

«Non ci posso credere.» mormorò Barret. Arrivarono ad un corridoio riccamente decorato con quadri di scene bucoliche, statue d’oro su piedistalli e con un soffice tappeto rosso sul pavimento.

Cloud andò deciso alla prima porta che c’era sulla loro destra e la spalancò: i tre ebbero una breve, fugace visione di una vecchia vestita di pelle nera che frustava un ragazzo più giovane vestito con la divisa dell’Honeybee Inn, prima che Cloud richiudesse la porta con uno scatto, soffocando le urla del giovane.

«No, non era questa. Era quella dopo.» disse, mollando la maniglia come se scottasse e correndo alla porta successiva. 

“Quella vecchietta somigliava tantissimo all’infermiera dell’arena” pensò, mentre afferrava la maniglia. Aprì la porta e fu accolto da un uomo completamente nudo che inseguiva un’apetta armato di un enorme retino. Non si accorsero nemmeno di lui.

Richiuse la porta e passò a quella dall’altro lato del corridoio.

«Cloud, sei sicuro…?»

«Si, è questa! Ora mi ricordo.» rispose il ragazzo con sicurezza, aprendo un piccolo spiraglio.

«FINALE INFINITOOOOH!!» gridò una voce maschile, tra i gemiti di una voce femminile.

Chiuse di scatto la porta senza nemmeno guardare.

«Ok, non mi ricordo più dov’è.» confessò il ragazzo.

«Dai! Non mi dire che il giro turistico è già finito! Mancano ancora gli squilibrati che si fanno chiudere le palle nei cassetti!» disse sarcastico Barret. Cloud e Cid rabbrividirono al pensiero, portandosi istintivamente una mano ai genitali.

«Quelli sono al terzo piano.» disse una voce familiare. Andrea spuntò dalla porta successiva, che effettivamente aveva una placca dorata con su scritto “Andrea Rhodea. PhD.” Li invitò ad entrare.

«Ma… che vuol dire?» chiese Cid, indicando la scritta.

«Principal honeybee Director, naturalmente.»

«Scemo io a chiedere.»

«Forza, entrate! Mentre fuggivo dalle grinfie di quell’arpia...» raccontò, calcando sull’ultima parola e interrompendosi il tempo di lanciare un’occhiataccia a Cloud, «... ho avuto un’epifania!» 

«Un’altra delle apette?»

«No, Epiphanie purtroppo si è licenziata.» intervenne Cloud. «Vuol dire che ha avuto una rivelazione.»

«Ma allora impari davvero qualcosa, quando parlo! Sono commosso…» esclamò l’entertainer, deliziato.

«Basta blaterare!! Dicci di questa epifanazione!» tagliò corto Cid.

«Epifania! Bruti illetterati… ho trovato la sfida giusta per Barret!»

«Fargli leggere un libro?» domandò il pilota, guadagnandosi un altro morso.

«Bella idea, ma ne ho una migliore! Barret, perché non ti dai piacere con l’attrezzo che usi per infliggere morte?»

«Eeeeh?» fecero gli altri tre in coro.

«Aaaaah, voi frustrate il performer che è in me!! Barret, fatti una sega col tuo cannone!»

Cid e Cloud trasalirono, girandosi a guardare la reazione dell’omone. Questi semplicemente si sbottonò i pantaloni.

«Non mi dire che…» mormorò Andrea, con gli occhi sbarrati.

«Non posso guardare!» esclamò Cloud.

«Cloud ti invidio! Non ricorderai nulla di tutto ciò!» gridò Cid, incapace di distogliere lo sguardo.

 

***

 

«Non posso crederci…» sussurrò Cloud, fissando il terreno con espressione vuota.

«Eppure è tutta quanta la verità. Sei un mostro quando ti ubriachi.» rispose Andrea, che ancora non aveva toccato terra. 

«...ho davvero palpato una delle ragazze?» continuò il biondo.

«Tranquillo, ti sei scusato talmente tante volte che lei alla fine ti ha colpito di nuovo col vassoio, pur di farti smettere! Ho anche dovuto prometterle una gratifica questo mese.»

«Tutto questo trambusto per una prostituta palpata?» chiese Vincent.

«Come osi!! Le mie ragazze non sono volgari prostitute, sono intrattenitrici!!» gridò Andrea, puntando un indice minaccioso verso la figura in rosso. Cloud, sbuffò e lasciò andare l’entertainer, salvo riprenderlo per la collottola prima che si scagliasse su Vincent.

«Non rischiare.»

«Va bene, ho capito!! Ma non insultare mai più le mie ragazze!!»

Vincent Valentine alzò gli occhi al cielo e sollevò una mano in un gesto di scuse poco convinto.

«E come mai tutta la segretezza? Perché non hai detto nulla finora?»

«Ciò che non ricordi non può danneggiarti!» si giustificò l’entertainer.

«Non è per niente vero…» mormorò Cloud, incrociando le braccia.

«E comunque ti sto proteggendo da Tifa! Cosa pensi che direbbe se sapesse di tutte le tue bravate?» insistette Andrea.

«MIE bravate?? È stata colpa vostra! Non mi sarei mai ubriacato se voi vi foste fatti gli affari vostri!!» ribatté Cloud, che iniziava di nuovo a scaldarsi.

Cait Sith smise per un momento di mischiare freneticamente le sue carte e disse:

«Meoww! Colpa tua in tutto e per tutto, hai anche abbandonato Cid e Barret.»

«Chissà se non ci nascondi altro, intrattenitore.» affermò Vincent.

«Già...» concordò Gideon, che osservava il compagno con sguardo gelido.

Il discorso fu interrotto dal suono inconfondibile dei motori del trasporto che si accendevano.

Tutti si girarono a guardare increduli, mentre il velivolo cominciava il decollo.

«Hey!! Dove vai?!?» gridò Gideon, correndo inutilmente verso il mezzo. Il pilota si sporse dal finestrino e urlò:

«Non posso rimanere ancora! Arrangiatevi!! Pazzi furiosi!»

Ormai a mezz’aria, mormorò:

«Maiko mi sentirà. Una giornata persa appresso a questa follia… è l’ultimo favore che le faccio.»

«... ma che stronzo.» disse Cloud, osservando con odio il velivolo allontanarsi.

«Non ci si può più fidare di nessuno!! Meeko mi sentirà!!» gridò Andrea, indignato.

«Ne dubito, se non riusciremo a trovare un altro passaggio.» gli fece notare Gideon.

«E dobbiamo ancora trovare Cid e Barret!» esclamò Cloud.

Un fruscìo proveniente dalle vicinanze attirò la loro attenzione. Cloud sollevò la spada, mentre Vincent puntava la pistola verso la vegetazione.

Dal bosco uscirono le figure trasandate di Cid e Barret, che sembravano aver corso per parecchio tempo prima di arrivare lì.

«Cazzo, è andato!!»

«Colpa tua, sei troppo lento!!»

«Tu invece sei stato una cazzo di capra di montagna, vero? Duecento chili di leggiadria!!»

«Cid! Barret!» gridò Cloud, sollevato, mentre abbassava l’arma. I due si accorsero di lui e lo guardarono sbalorditi.

«Cloud?? Ragazzi?»

«Finalmente vi abbiamo trovati!» disse Andrea, rincuorato, «... è tutto il giorno che vi cerchiamo! Vero, Cloud?»

«CLOUD!!» ruggì Barret, lanciandosi su di lui. In quel momento notarono che non portava il solito cannone agganciato al braccio, bensì una forma rosa allungata che stava roteando come una bandiera nel vento. Cloud dovette distogliere l’attenzione da quel singolare spettacolo per evitare il pugno diretto alla sua faccia.

«Ma che fai?» gridò indignato, mentre indietreggiava.

«Hai anche il coraggio di chiederlo?!»

«BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA PSICOPATICO! Vieni qui che ti ammazzo!» rincarò Cid, caricando verso il biondo.

«State tranquilli, altrimenti…» tentò di avvisarli lui, ma era già troppo tardi.

«KUEEEEH!» (ho appena ritrovato la mia genitrice, non le torcerete una singola piuma!!) starnazzò Meteor, avventandosi su Cid e iniziando a beccarlo furiosamente.

«Tieni a bada il tuo cazzo di uccello!!»

«Meeeow! Ragazzi, cercate di calmarvi!»

«Col cazzo! Ci hai quasi ammazzati tutti quando hai fatto schiantare la Shera!!» urlò Barret, puntando e caricando, senza successo, quello che era evidentemente un fallo di plastica verso Cloud.

«Ci avevo lavorato per mesi e mesi, maledetto bastardo!!» gridò Cid, mentre cercava di lanciare via il pulcino inferocito.

«KUEEE KUEEEH!!» (Ribaldo!! Ti batti come un pusillanime!!)

Andrea cercò di intervenire, anche se si tenne a debita distanza dalla rissa:

«Suvvia, ragazzi, cerchiamo di rilassarci e discutiamone.»

Cid e Barret si fermarono e guardarono l’entertainer.

«Ne abbiamo anche per te, vigliacco!! Non siamo nemmeno degni di essere tirati fuori da un relitto!? Potevamo essere feriti!»

«Ma dato che non siamo belli, biondi e con gli occhi azzurri possiamo anche marcire!»

L’entertainer sbiancò.

«A te piace di più molestare i poveri ubriachi, vero? Come hai fatto con Cloud!»

«Cosa?!» chiese Gideon, avvicinandosi minacciosamente ad Andrea.

«Cosa?» ripeté Cloud, mentre riusciva a strappare Meteor di dosso a Cid.

«Sono stato io a far schiantare la nave?» domandò basito.

«Che intendono con le molestie?? Avevi detto di aver raccontato tutto!» insistette Gideon, che ormai era di fronte ad Andrea e lo fissava arrabbiato.

«Ehm… in effetti io potrei… aver omesso qualche dettaglio.» ammise l’entertainer.

«Tipo che avete limonato come due adolescenti arrapati in quella taverna??» gridò Barret.

Un silenzio imbarazzante calò sulla scena. Persino Meteor si era zittito e guardava Cloud con sguardo perso.

«Oh cazzo…» mormorò Vincent.

«Avevi detto che era finita! Che ero l’unico!!»

«Cosa avremmo fatto io e lui?!?» 

«Mi hai distrutto la nave, Cloud!!»

«Non ho iniziato io!! È stato lui!»

«Dov’è finito il mio cannone?? Lo avete trovato??»

«KUEEEEH!!» (desidero unirmi al clamore benché non abbia alcunché da dire!!)

«Quindi sono il tuo ripiego, perché l’uomo dei tuoi sogni ti ha dato buca??»

«Io non sono l’uomo dei sogni di nessuno, mi avete ingannato!!»

«Te lo meritavi! E hai causato tu tutto questo casino!!»

«Quando bevi diventi un cazzo di mostro fuori controllo!!»

«È colpa vostra!!»

«Non è vero niente! Sei tu l’uomo giusto per me!! E poi non stavamo ancora insieme!!»

«Stronzate!! Io…»

Uno sparo interruppe di colpo le urla. La pistola fumante rivolta verso il cielo era in mano a Vincent.

«Adesso piantatela. E datemi un telefono.»

 

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Capitolo 18
*** Una notte da Cuahl - Parte 6 ***


Una notte da Cuahl 
Parte 6

 

Salve a tutti, popolo della notte! Stordita dal sonno, vi posto il capitolo finale di questa folle avventura. Spero sempre che fino a questo punto la storia vi sia piaciuta e vi auguro una buona lettura.


«Cosa vi aspettavate? Sono ambidestro.» 

«Non so cosa mi aspettassi, ma non era questo.» ammise Cid, disgustato.

«Non è la cosa più strana che ho visto, ma sono colpito dalla grande tecnica.» fu il commento di Andrea, prima di alzarsi dalla poltroncina.

«Dove vai?» disse Cloud, recuperando finalmente la parola.

«A cambiarmi, naturalmente. Barret ha superato la prova, quindi tocca a me esibirmi vestito da ape.» rispose l’entertainer, guardando le loro facce stupite.

«Cioè… avevi già un vestito da ape?» domandò Barret.

«Avete scelto una punizione assai poco originale.»

«Chissenefrega, questa non me la perdo!» esclamò Cid.

«Tornate in sala allora. Lo spettacolo inizierà tra poco.»

I tre attraversarono nuovamente il corridoio; la prima porta che avevano tentato si aprì e ne uscì la vecchietta, vestita in abiti comuni, che portava sottobraccio il ballerino, che aveva le natiche fasciate e zoppicava leggermente.

«Vieni, giovanotto, ti porto in infermeria. Sono un po’ dura d’orecchi, non ti ho mica sentito quando hai detto la parola di sicurezza! Ti porto lì, ma poi devo correre a casa da Punto e Sutura, è già un po’ che non hanno la pappa…»

Cloud cercò di coprirsi il volto e di svicolare senza farsi notare, seguito da Cid e Barret. Corsero giù per le scale e arrivarono sani e salvi al loro tavolo, prima che il trenino li travolgesse di nuovo.

«Questo posto è assurdo!» gridò Barret.

Cloud aveva lo sguardo perso nel vuoto. Cid cercava inutilmente di attirare l’attenzione di una delle apette coinvolte nel trenino per farsi portare ancora da bere.

«Sto dicendo una cosa! Potreste anche ascoltarmi!!»

«Non ora… il ricordo è ancora troppo fresco.»

«Andiamo!! Da come ne parlate sembra che sia stato un film dell’orrore.»

«... più o meno.» mormorò Cloud, iniziando a dondolarsi avanti e indietro sulla poltroncina.

Le luci si abbassarono in tutta la sala, mentre la musica scemava; tutti si affrettarono a tornare ai loro posti, mentre il sipario si apriva su una scenografia floreale. Andrea fece il suo trionfale ingresso tra gli applausi, con indosso una delle divise da apetta completa di calze a rete e tacchi a spillo.

«Ecco perché non ha battuto ciglio… per lui non era una punizione.» borbottò Barret. L’entertainer accennò dei passi di danza in solitaria sul palco, accompagnato da una musica lenta e sensuale; in breve tempo delle apette lo raggiunsero e iniziarono una coreografia.

«Sta diventando una punizione per noi…» commentò Cid, che osservava attonito lo show.

Andrea scese dal palco e saltò sul primo tavolino che trovò, ballando addosso ad un palo che vedeva soltanto lui, agitando l’addome finto tra le urla entusiaste del pubblico.

«Impollinami!!» gridarono un paio di voci tra la folla. L’entertainer continuò a ballare sui tavolini, rovesciando bicchieri senza ritegno ma dimostrando un notevole equilibrio; gli spettatori erano in estasi.

«Come fa a muoversi con quei trampoli?» si chiese Barret, attonito.

«Non è così difficile… ti abitui subito dopo qualche passo.» disse Cloud, attirando sguardi preoccupati dagli altri due.

«... sta venendo qui?» chiese il ragazzo, notando che Andrea era sempre più vicino a loro.

«Se viene qui, io non lo conosco.»

«Io gli sparo.» 

In effetti l’ape, volteggiando di tavolo in tavolo con movenze sensuali, era ormai molto vicina a loro. Saltò agilmente a terra e, con incedere lento e ammiccante arrivò di fronte a Cloud, che lo guardava allibito. Gli tese una mano.

Il ragazzo la osservò dubbioso per qualche secondo, poi alzò le spalle e prese la mano di Andrea. Cid e Barret li guardarono a bocca aperta correre di nuovo verso il palco e iniziare una danza molto più movimentata.

«Cosa cazzo ho appena visto??»

«Un imenottero travestito ha appena rapito Cloud.»

«Che razza di ballo stanno facendo??»

«Si chiama twerking, cari.» disse un’apetta, mentre poggiava dei drink sul loro tavolo.

«Non sapevo che il culo avesse tutti quei muscoli.» confessò Cid.

«E in ogni caso… da quando il culo di Cloud ce li ha?»

«È proprio un ragazzo speciale…» mormorò la ragazza, prima di andarsene.

«Cosa cazzo hanno qui dentro, la Cloudomania??» berciò esasperato Barret.

«Solo qua dentro?» disse sarcastico Cid, mentre la musica finalmente terminava. Gli astanti dedicarono una standing ovation ai ballerini, compreso Cloud che continuava a dimenarsi, agitando il didietro addosso alle ballerine.

«Biondo, smettila! La musica è finita! Dobbiamo fare l’inchino!» lo richiamò Andrea.

«Oh, scusa!» disse in fretta Cloud, inchinandosi e cadendo goffamente in avanti.

Le apette si precipitarono a soccorrerlo, sotto lo sguardo di disapprovazione di Andrea.

«Scusate… è un periodo che cado sempre…» biascicò il ragazzo, mentre le ballerine lo rimettevano in piedi.

«Sei stato grande!! Mi insegneresti a twerkare come fai tu?» gli domandò una delle ragazze.

«Cosa? Twerkare…?» fece Cloud, confuso.

«Stavi ballando così. Sai, muovendo il culo. Eri mooolto sexy!»

«... grazie, ma…»

«Forza ragazze, non avete da lavorare? Spettacolo finito.» disse Andrea, prendendo Cloud sottobraccio e riportandolo al tavolo. Lo fece sedere di nuovo sulla poltroncina, per poi togliersi l’addome finto e lasciarsi cadere sulla sua sedia.

«Che punizione tremenda mi avete inflitto!! Non so se mi riprenderò mai…» esordì, portandosi il dorso della mano alla fronte, con fare drammatico.

«Vaffanculo!!» esclamarono in risposta Cid e Barret.

«Mi manca Tifa… vado al Seventh Heaven ad aspettarla.» proclamò Cloud, tentando di alzarsi ma fallendo miseramente.

«Tifa non è al bar adesso! È ancora a Villa Kekkon, ti ricordi??» gli disse Andrea.

«Allora aspetterò che andiate a prenderla. Sono stanco.»

«No no caro mio, tu tornerai a Wutai con noi. Non faccio il tassista.» rispose Cid.

«No. Basta viaggi. È tutta la sera che ho il mal di mare!» ribatté Cloud. 

«Quello è colpa dei galloni di alcool che hai in corpo! Come fai a non essere esploso??» ribatté Cid.

«Sono un SOLDIER!! Noi non esple… estem… stesplodiamo!» rispose il ragazzo, agitando a caso le mani.

Barret alzò gli occhi al cielo.

«Lo so che ti danno fastidio i mezzi, ma dobbiamo tornare prima dell’alba!» gli spiegò Cid, tentando la via della diplomazia. 

«Perché, dove siamo?» biascicò il ragazzo.

«... mi sa che lo hai rotto. Tutto quell’agitarsi gli ha scombinato il cervello.»

«Chi si agita?? Io no, il Cosmo Canyon invece va agitato almeno per cinque secondi, tenendo lo shaker con entrambe le mani e facendo piccoli movimenti circolari…»

«Se volete provo a sbloccarlo di nuovo.» propose Barret, stringendo il pugno.

«Si, Tifa!»

«Prendetelo in spalla, fate qualcosa di utile! Dobbiamo andarcene.» ordinò Cid.

«Voi andate! Io vado al Seventh Heaven!» rispose Cloud, riuscendo finalmente ad alzarsi, ma rotolando a terra subito dopo.

«Sei alla frutta, SOLDIER!»

«Ex-SOLDIER!» rispose il ragazzo, piccato; tentò di alzarsi, ma ricadde a terra.

«Forse abbiamo esagerato… »

«Non fa nemmeno più ridere. Fa solo pena.» commentò Barret, mentre lo osservava strisciare sul pavimento.

«Come facevano pena le vostre sfide!! A me avete rifilato l’unica veramente impegnativa!!» si lamentò Andrea.

«Stai sminuendo il mio razzo?!»

«Nessuno parla del tuo cazzo, Cid!» gridò Cloud, da terra.

«Esigo una sfida aggiuntiva!» disse Andrea.

«Ma hai già ballato! Con l’aria di chi lo avrebbe fatto comunque!» ribatté Barret.

«Come se ti fosse dispiaciuto, poi! Hai anche ballato col tuo biondino preferito.» rincarò Cid.

«Quello a cui hai infilato la lingua in gola qualche ora fa!» aggiunse l’omone.

«Taci e accetta la sfida che ti propongo!» insistette l’entertainer, rivolto a Barret, che sbuffò esasperato.

«E va bene!! Cosa vuoi? Mi devo segare di nuovo?»

«No, ma quasi. Hai detto che la tua protesi si adatta a tutto?»

«Qualsiasi cosa!» rispose l’omone, mostrando orgogliosamente la sua arma.

«Non riesco più a guardare quel cannone con gli stessi occhi…» mormorò Cid, con voce atona.

«In tal caso ti sfido a sostituire la tua arma con un oggetto di mia scelta per il resto della serata!»

«Ah ah ah!! Ci sto, voglio proprio vedere cosa…»

Un’apetta era già lì, con in mano un grande vassoio con coperchio. Ad un cenno di Andrea rivelò cosa c’era all’interno.

Cid fu istantaneamente sconquassato dalle risate, mentre Barret realizzava troppo tardi in cosa si era cacciato.

«No no no, mi rifiuto. Non puoi costringermi!!»

«Sai, abbiamo anche divise da ape per taglie forti. Vero, Coraline?»

«Si, Andi!» trillò in risposta l’apetta.

Barret strinse il pugno, guardando alternativamente il suo cannone e l’oggetto sul vassoio. Fulminando Andrea con lo sguardo, armeggiò con la sua protesi e sganciò l’arma, per sostituirla con un enorme fallo rosa di plastica. Cid era caduto a terra e faceva fatica a riprendere fiato; anche l’entertainer ridacchiava di gusto, imitato dall’apetta.

«Cosa mi sto perdendo?? Dopo mi portate alla Battle Square?» gridò Cloud.

«Piantala tu con questa Battle Square!!» urlò Barret, esasperato, prendendo la fetta di limone del suo drink e lanciandola contro Cloud.

«Mi hanno sparato!! Aiuto!! Aiuto!!!!» strillò il ragazzo, contorcendosi e rotolando. 

Le apette sciamarono immediatamente a soccorrerlo, preoccupatissime.

«Falso allarme! Tornate a lavoro!» gridò Andrea esasperato. «Ce ne vogliamo andare?» domandò, guardando Cid e Barret, che guardava sconsolato il grosso pisello rosa che gli penzolava dal braccio.

«Si. Serata finita.» mormorò l’omone.

«È finita un po’ a cazzo, in effetti…» gli rispose il pilota, dandogli un colpetto alla spalla e rimediando un poderoso morso in risposta.

«Voglio andare a Seventh Heaven!» si lamentò Cloud.

«E io voglio farti squartare da quattro chocobo lanciati in quattro diverse direzioni!! Per stasera, saremo entrambi delusi!! Ora alzati e andiamocene!» gridò Barret.

«Non mi va di camminare. Penso che scivolerò.»

«Che cazzo vuol dire…»

Cloud si mise effettivamente a scivolare sulla pancia, dandosi la spinta con gambe e braccia ed evitando le apette, che lo fissavano sempre più preoccupate.

«Ok, ora sta diventando patetico. Qualcuno lo alzi!» ordinò Andrea. 

«Non farei alzare solo lui…» mormorò una delle ragazze, cercando di prenderlo sotto braccio e alzarlo, ma cadendo insieme a lui.

«Ciaooo Tifa…» biascicò il ragazzo, abbracciandola.

«Ciao Cloudy… ma non mi chiamo Tifa!» rispose l’apetta, senza spostarsi.

«Ah, scusa!» esclamò Cloud, mollandola e ricominciando a scivolare. La ragazza lo osservò sfilare accanto a lei con gli occhi lucidi.

«Puoi anche chiamarmi Tifa, se preferisci! Posso essere chi vuoi! Torna da me!!»

«La prossima che si avvicina sarà licenziata in tronco!!» strillò Andrea, guardando le ragazze in cagnesco e ottenendo brontolii di assenso.

Barret, stufo di quella scena, raggiunse Cloud e iniziò a frustarlo col fallo di plastica.

«Sbrigati ad alzarti! Dobbiamo andare!!» gridò.

«Basta, mi fai male! Preferivo quando mi mordevi!!» 

Un cliente che passava di lì osservò la scena sorseggiando un drink. Tornando in sala, mormorò:

«Amo questo locale.»

Vedendo che il ragazzo non sembrava intenzionato ad alzarsi, Barret lo sollevò di peso e se lo caricò in spalla, ignorando le sue lamentele.

«Andiamo? Voglio tornare da mia figlia!» ruggì, voltandosi verso gli altri due.

«Chi? Marline? Ha un nome da apetta…» disse Cloud.

«Non esiste!! Mia figlia studierà e troverà un lavoro serio!!» gridò Barret, furente.

Le ragazze trasalirono, guardandolo arrabbiate. Un paio di loro gli sbarrarono la strada:

«Che ha che non va il nostro lavoro?!?»

«Sempre meglio che far esplodere le cose!!»

Barret rimase interdetto; stava per rispondere, quando Andrea lo prese sottobraccio e lo tirò verso l’uscita.

«Su ragazzi, non litighiamo. Non intendeva offendere.»

«Come fanno a sapere…» gli domandò perplesso l’omone.

«Non sottovalutare mai i camerieri. Sanno tutto di tutti.» rispose l’entertainer, continuando a spingerlo via.

«Ti comporti un po’ a cazzo stasera, Barret.» sghignazzò Cid, seguendoli.

«Domani mattina te lo regalo, così puoi usarlo al posto del timone della Shera!»

«Perché?» chiese perplesso il pilota.

«Perché piloti col culo!!» berciò Barret.

«Non l’ho capita…» esclamò Cloud, contrariato. Si beccò un altro colpo di fallo.

Finalmente raggiunsero il parcheggio e la Shera che li aspettava. Cloud sbarrò gli occhi alla vista dell’aeronave. 

«Basta voli!» strillò, tentando di divincolarsi. Barret imprecò e cercò di non perdere la presa, intanto che Cid abbassava la passerella.

«Non mi interessa, noi ora torniamo a Wutai.»

«Vi aspetto qui, prendo una stanza all’Honeybee…»

«Non esistono abbastanza chiavistelli per evitare che qualcuno ti si infili nel letto, se rimani qui.» decretò il pilota.

«E non mi fido nemmeno un po’ di questo tipo, neanche morto ti ci lascio qua.» borbottò Barret. Andrea gli lanciò un’occhiata offesa, ma non proferì parola. Il ragazzo continuò a scalciare come un indemoniato.

«Non voglio volare!»

«Peccato!» esclamò l’omone, scagliandolo sul ponte.

«AAAAAAAAH!»  

Cloud atterrò con un una serie di tonfi e rimase disteso sul pavimento, boccheggiando.

Cid tirò fuori una sigaretta e provò ad accenderla, ma Barret, serissimo, gli tolse l’accendino di mano.

«Con tutto questo alcool, se la accendi rischi di prendere fuoco!»

«Oh! Hai ragione! Si vede che sei un esperto di delomiz… diamoloz… far esplodere le cose!»

«Infatti le mie palle sono deflagrate. Ci muoviamo o no?» esclamò Andrea.

«Partenza! Destinazione Villa Kekkon!» urlò Cid, avviando i motori. La nave si librò in aria leggiadra, prima di partire a tutta velocità nella notte. I passeggeri fecero appena in tempo ad aggrapparsi a qualcosa. Cloud scivolò nuovamente sul pavimento finché una parete non interruppe dolorosamente la sua corsa.

«Non stai andando troppo veloce?» domandò Andrea, con una nota di preoccupazione nella voce.

«Stronzate! Vuoi arrivare in tempo oppure no?» esclamò Cid.

«Io voglio scendere…» mormorò il biondo, con voce lamentosa, «... mi viene da vomitare.»

«Non vomitarmi sulla nave, maledetto, già ci hai pisciato!» lo minacciò il pilota.

«Si ma io voglio scendere. Se non mi fai scendere tu, faccio da solo.» disse Cloud, guardandolo arrabbiato. Cid rispose, sarcastico:

«Voglio proprio vedere come.»

«Subito…» biascicò il ragazzo, mettendosi a sedere e scoprendo il bracciale con le materie.

Barret e Andrea sbiancarono, ma Cid non sembrava preoccupato.

«Aveva anche le materie?» esclamò terrorizzato Andrea.

«Oh, vuoi fulminarmi?»

«No… vieni, Bahamut SIN!!» urlò Cloud, mentre una materia scura dall’aria familiare iniziava a risplendere nel bracciale.

«Ommerda, no no NO!! FERMATELO!!» gridò Cid. Barret corse verso Cloud e gli strappò di dosso il bracciale, ma ormai era troppo tardi. Una colossale figura stava calando sulla nave nella notte, facendola sbandare con lo spostamento d’aria delle grandi ali.

«Non poteva evocare un Chocobo Ciccio?» urlò Andrea, mentre veniva sbalzato dall’altra parte della nave. 

Il Bahamut afferrò la Shera come se fosse una mosca, bloccandola a mezz’aria. L’acciaio stridette e si piegò sotto la stretta del mostro, mentre i motori giravano a vuoto. Con l’altra zampa prese delicatamente Cloud e lo tirò fuori dalla cabina di pilotaggio. All’ultimo momento Andrea lo prese per una gamba, cercando di trattenerlo; il mostro li estrasse entrambi senza fatica. Le sirene di allarme risuonavano per tutta l’aeronave, avvertendo i già consapevoli passeggeri degli ingenti danni subiti. Un denso fumo nero invase la cabina di pilotaggio.

«Grazie Bammut!» biascicò Cloud, con un sorriso idiota stampato in faccia, mentre il mostro mollava la nave e li poggiava delicatamente a terra, tra le urla terrorizzate di Andrea. I motori della Shera funzionavano a singhiozzo e il velivolo non riusciva a procedere in linea retta; dopo un ultimo singhiozzo, smisero definitivamente di funzionare.

«Cloud sei un pazzo fottuto!! Digli di salvarciiii!!» gridò Cid. Cloud alzò il pollice come se nulla fosse e disse:

«Bahnanamut, potresti…» 

L’evocazione scomparve prima che riuscisse a finire la frase.

«Oh che disdetta.» mormorò il ragazzo, mentre Andrea ricominciava ad urlare come se non avesse bisogno di respirare. La Shera precipitava avvitandosi su se stessa.

«Riattiva i motori!!» gridava forsennatamente Barret, cercando di premere i bottoni col fallo di plastica.

«Quelli principali sono ingolfati!! Attiva quelli di emergenza, forse non ci schianteremo!»

«Quali sono?!?»

Il pilota si lanciò al pannello di controllo e inserì una sequenza di comandi con consumata esperienza.

«Mettiti al timone e tienilo fermo!!»

I motori ausiliari si attivarono, ma la caduta era ormai inarrestabile. Con un tremendo schianto, la Shera terminò il suo volo contro il fianco di una collina.

Andrea guardò impotente mentre un’esplosione lanciava rottami da tutte le parti; si voltò verso Cloud, ma il ragazzo era svenuto per terra. Si lanciò su di lui e cercò di scuoterlo:

«No no, non svenire adesso maledetto stupido, pazzo, sexy biondo!!» strillò. Cloud, tuttavia, non dava segni di vita. L’entertainer sospirò e guardò nuovamente in direzione della Shera, ormai non più visibile nel buio; le luci di Edge erano ancora più lontane, ma visibili nella fredda aria notturna.

“Non posso andare a cercarli adesso” considerò, muovendo qualche passo incerto verso la collina. 

“Se Cloud fosse in sé, sarebbe un’altra storia. E poi… le tenebre portano belve.” 

Prese il ragazzo svenuto per un piede e provò a trascinarlo, con scarso successo. Si rassegnò a doverselo caricare sulle spalle.

«Forza, un piccolo squat…»

Con un gemito riuscì nell’impresa.

«Cloud, maledizione! Lo sapevo che eri un falso magro!!» sussurrò, avviandosi. La fioca luce delle stelle non era abbastanza per rischiarare il suo cammino: solo la città in lontananza forniva una vaga indicazione e nonostante tutti i suoi sforzi, Edge non sembrava avvicinarsi.

“Non ce la farò mai!” pensò sconsolato l’entertainer.

«... devo farlo.» mormorò. Poggiò a terra Cloud, cercando di fare piano, e tirò fuori il suo telefono, pregando che trovasse il segnale anche nel mezzo del nulla.

Scorse la sua mastodontica rubrica, fatta di persone sentite solo una volta e tanti grandi amori falliti, fino al nome che cercava. Indugiò solo un attimo, prima di chiamarlo.

“Rispondi rispondi rispondiiii!!”

«... che cavolo vuoi a quest’ora??» berciò una voce dall’altra parte dell’apparecchio.

«Dai, che per te è orario di lavoro!! Sono nella merda, mi serve aiuto!»

«E dov’è la novità?» 

«Sono serio! Sono appena precipitato da una nave poco fuori Edge… Cloud è con me. È svenuto. Devo tornare all’Honeybee.»

«Cammina. O aspetta che il tuo bel toy boy si svegli e fatti portare da lui.» replicò piccato l’uomo.

«Non è come pensi, posso spiegare tutto! Non farmi morire di freddo vestito da ape qui fuori! Ci sono le belve, sono ubriaco marcio, queste potrebbero essere le mie ultime parole!» esclamò Andrea, disperato.

«E le affidi a me? Non fai un videomessaggio alla nazione?» chiese sarcastico l’interlocutore.

«Lo so che sono stato un verme schifoso, ma… ho bisogno di te! Non affiderei niente a nessun altro.»

Dall’altra parte, tranne il ronzio di sottofondo, udì solo silenzio.

«Ti prego! Mi serve solo un passaggio!» implorò.

«... sai almeno dirmi dove sei?»

«Ti mando la mia posizione! Sono sulle colline vicino Edge!»

«È pieno di fottute colline intorno a Edge! Dovrai essere più specifico!»

«Ci proverò. Grazie!! Grazie grazie!» trillò l’entertainer, al settimo cielo.

«Si si, grazie un corno! Mi pagherai il tempo che sto perdendo dal mio turno.»

«Anche di più! Grazie!!»

L’altro chiuse la conversazione. Andrea armeggiò con il telefono e inviò la propria posizione, sperando che i soccorsi arrivassero presto. Si sedette su una pietra, non osando nemmeno accendere la torcia del telefono; ogni tanto sfiorava col piede il corpo di Cloud, per assicurarsi che fosse ancora lì.

“Ma che diamine mi è venuto in mente… chiamare proprio lui…”

Le luci della città si muovevano nella notte, ma forse era solo la sua ubriachezza. Iniziò a battere i denti per il freddo.

“Sto morendo… che grande artista muore con me! E che fine ingloriosa… accanto all’inarrivabile, sexy, svenuto Cloud Strife.” 

Non trovò nulla di meglio da fare che stringersi a lui, cercando di approfittare del poco calore e della sua mancanza di reazioni. Stare a contatto con lui lo fece rabbrividire, ma non per il freddo.

“Inarrivabile da sobrio, ma da ubriaco…”

Si, aveva avuto quello che aveva inseguito per un bel po’; era stato solo una sfida più impegnativa di altre ma alla fine, come al solito, aveva raggiunto il suo obiettivo. Ma era abbastanza per morire soddisfatto? Non si sentiva appagato come tutte le volte in cui aveva fantasticato su quel fatidico momento.

“Sbrigati maledetto! Sei l’unico che ancora mi sopporta abbastanza da venirmi a salvare… forse non l’unico.”

Guardò Cloud: la leggera brezza che faceva muovere i suoi ciuffi dorati era la stessa che lo stava lentamente condannando alla morte per ipotermia. Gli passò una mano tra i capelli, sospirando forte.

«Mmmh… Tifa…» mormorò il ragazzo, senza aprire gli occhi.

L’entertainer spostò immediatamente la mano, rannicchiandosi addosso a lui. Aveva qualcuno a cui pensare, nei suoi ultimi attimi?

“Il prezzo di una vita sotto i riflettori… è morire da soli? O in compagnia del tuo sogno proibito, che tanto non ricorderà nemmeno che sei morto?”

Gli sembrò di sentire un rombo in lontananza.

“Scendi pure, pioggia, a lavare via i miei peccati!”

Il rombo si avvicinava sempre di più; Andrea alzò lo sguardo e vide i fari di una macchina che stava risalendo il crinale. Balzò in piedi e saltò sulla roccia, accendendo la torcia del telefono e agitandolo in aria.

«Hey!! HEY!!» gridò. Quando i fari lo illuminarono, non riuscì più a trattenere le lacrime.

Una grossa jeep arrivò senza fatica da loro, schiacciando terra ed erba; dal sedile del guidatore scese Gideon.

«Mio salvatore!! Mio eroe! Sei arrivato!» urlò Andrea, gettandogli le braccia al collo. 

Il nuovo arrivato non ricambiò l’abbraccio, guardando Cloud e l’outfit di Andrea.

«È un po’ tardi per raccogliere il polline, non credi?»

«È tutto quello che hai da dire?? Io sono qui in crisi, mezzo morto di freddo…»

«Non farebbe così freddo se fossi vestito come una persona normale. Puzzi anche da vomitare.»

«Rischi di darmi il colpo di grazia, con tutto questo gelo!»

«Te lo meriteresti.»

«Ecco, muoio!» esclamò Andrea, accasciandosi sul cofano. Il calore del motore gli restituì un po’ di vita.

«Smettila con questo teatrino e sali. Lo sai che ho da fare.»

«Aiutami a tirare su Cloud!»

«Ah, viene anche lui?»

«Non vorrai lasciarlo qui?!?»

«Non era una specie di supereroe? Se la caverà.»

«Si, e io morirò per i sensi di colpa e per mano della sua ragazza, se gli succede qualcosa!»

«Ma che ha? Sembra morto.» domandò Gideon, avvicinandosi al ragazzo steso a terra.

«È colpa dei suoi amici… e mia… lo abbiamo fatto ubriacare.»

«Non era anche uno che non si ubriaca mai?»

«Siamo stati bravi, anche troppo. Ha combinato un casino dopo l’altro. Ora dobbiamo solo passare la notte all’Honeybee e domani sistemerò tutto.»

«Se lo dici tu…» mormorò Gideon, guardando Cloud con occhi pieni di nuova compassione. Sospirò e prese in braccio il ragazzo, portandolo verso il fuoristrada. Andrea lo guardò stupito e gli chiese:

«Fai palestra?» 

«Chiudi il becco e aprimi la portiera, così carico questo falso magro!»

«Vero che sembra leggero? Invece poi… due tonnellate.» disse Andrea, aiutandolo a sistemarlo sui sedili posteriori.

«Dev’essere difficile avercelo addosso. Come fai?» rispose l’altro, chiudendo la portiera e salendo al posto di guida.

«Che intendi… aspetta, stai veramente cercando di farmi dire se…»

«Cosa? Che ho detto?»

Andrea posò la mano su quella dell’altro.

«Non ci vado a letto. Contento?»

«Parlavo del costume da ape. Ma grazie dell’aggiornamento, che non mi interessava.» disse Gideon, mettendo in moto. Andrea lo guardò sospettoso.

«Come no… e allora perché sei qui?» 

«Al contrario di te, ho una coscienza. Avrei vissuto male sapendo che eri morto perché sono l’ultimo a cui chiedi aiuto.»

«Di’ pure l’unico. Sei l’unico che rimane, quando si spengono i riflettori.»

«Oooh, Andrea Rhodea senza veli, che si confessa a cuore aperto! Dov’è l’inviato della stampa?» esclamò sarcastico Gideon, dando gas.

«Sono serio e sto cercando di dire qualcosa, se hai finito di sputare veleno.» disse infastidito l’entertainer.

«E perché dovrei smettere? Continui a darmi motivi per farlo.» ribatté l’altro.

«Ammetti che sei geloso.» insistette Andrea.

«Io? Di chi? E perché mai?» domandò Gideon, ostentando indifferenza.

«Si, tu. Di Cloud… e anche di quello che è venuto prima di lui, come si chiamava…»

«... Jim.» 

«Visto!! Tu te lo ricordi e io no!» esclamò Andrea, soddisfatto.

«Era uno dei miei colleghi! Vi ho beccati a limonare nella cella frigorifera!! Chi cazzo limona in una cella frigorifera!? Ho dovuto buttare un’intera partita di ortaggi!» sbottò Gideon.

«Quella verdura era perfettamente a posto, sei tu che ti sei fatto strani film…»

«Comunque, il fatto che hai talmente tanti ex da non ricordarti i loro nomi la dice lunga su chi sei. E perché sei un capitolo chiuso per me.»

«È solo perché non ho memoria per i nomi.» si difese l’entertainer.

«Ne abbiamo già parlato. Abbiamo due stili di vita diversi e tu il tuo… non lo abbandoni nemmeno per me.» disse Gideon, con una nota di amarezza nella voce.

«È un lavoro, non uno stile di vita! Tu non lo riesci ad accettare.» replicò Andrea.

«Come faccio ad accettare che quello che amo vada con altra gente praticamente ogni notte??» sbottò Gideon.

«... l’hai detto.»

«Cosa? Che sei una put..»

«Che mi ami!» esclamò Andrea, trionfante.

«Non ci provare, Andrea! Questi giochetti non funzionano!» esclamò l’altro uomo, che iniziava ad alterarsi.

«Provi qualcosa per meee! Provi qualcosa per meee!» cantilenò l’altro, giulivo.

Gideon inchiodò, facendo rotolare Cloud nello spazio tra i sedili.

«Adesso basta!! Cosa vuoi ancora?? Questo è tutto un tuo piano per provarci con me??» disse arrabbiato.

Andrea non rispose subito, guardando fuori dal finestrino le luci della città, ora più vicine ed invitanti.

«Io mi sono accorto che stavo per morire da solo e… non mi è piaciuto.»

«Non eri solo.» lo corresse Gideon, indicando i sedili posteriori. 

«Si ma Cloud non era lì per me. Non era davvero con me. Nessuno mi stava cercando, nessuno mi aspettava a casa… nessuno era preoccupato per me.»

«Quindi sei riuscito a litigare anche con Jules e con le ragazze dell’Honeybee?»

«E dai che hai capito cosa sto cercando di dire!» sbottò Andrea.

«Non ho capito.»

«... mi sono accorto che voglio una persona accanto a me. Qualcuno da amare davvero… quello che ha lui.» continuò l’entertainer, indicando Cloud che giaceva accartocciato su se stesso sui tappetini dei passeggeri.

«Un coma etilico?»

Andrea sbuffò.

«Il latte che tocchi inacidisce, vero?»

«Oooh, vuoi introdurre il cabaret all’Honeybee?» lo canzonò Gideon.

«Se lo facessi, ti inviterei come primo performer.»

«Col cavolo che vengo a lavorare per te. Diventerebbe subito strano.» dichiarò Gideon.

«Lavoreresti con me.»

Gideon lo guardò, cercando di decifrare la sua espressione.

«Quanto alcol c’è in quello che dici stanotte?»

«Parecchio, ma non mi fa mentire. Se vuoi che te lo dica chiaro e tondo, lo faccio.»

«Risparmia il fiato. Sai che non può funzionare.» 

«Voglio farlo funzionare.» disse deciso Andrea.

«È quello che hai detto anche la volta scorsa.»

«Non tutti gli spettacoli riescono alla prima!»

«Non è uno spettacolo, Andi, è la vita. Il mondo non è il tuo palcoscenico e…» 

«Ma potrebbe diventare il nostro!»

«... e le persone non sono attori che puoi assumere o licenziare! Le persone hanno sentimenti e tu non puoi giocarci!! Come credi che mi senta adesso??» gridò Gideon.

«... lasciatemi dormire…» borbottò Cloud, riuscendo a issarsi di nuovo sui sedili e crollando immediatamente di nuovo.

«... lo so che ti senti ferito e non potrò mai fare ammenda fino in fondo. Però ora ti sto chiedendo di darmi un’altra possibilità. C’è un nuovo copione, per un nuovo protagonista...» disse Andrea.

«Vedi? Sei sempre tu il centro del mondo. È sempre più importante quello che fai tu, quello che pensi tu, quello che senti tu...» esclamò Gideon.

«... fammi finire!! Non voglio più essere l’unico protagonista. Il palco è… vuoto da soli.»

Rimasero in silenzio per qualche tempo. La brezza fischiava attraverso i finestrini semichiusi. Andrea lo guardava, pendendo dalle sue labbra.

Gideon sospirò, poi riaccese il motore e il fuoristrada ripartì.

«E ti ci è voluta un’esperienza di pre-morte per capirlo?» domandò, senza staccare gli occhi dalla strada.

«... imparo dall’esperienza.»

«Si, come no. Comunque se avessi saputo che era così istruttivo, ti avrei abbandonato io al freddo tanto tempo fa.»

Andrea sgranò gli occhi, ma ridacchiò.

«E saresti venuto a riprendermi?»

Gideon sorrise lievemente.

«... forse.»

 

***

 

«Non posso credere di averti creduto! Sei sempre il solito!»

«Non posso credere che tu non mi creda! Sono cambiato adesso!»

«Il prossimo che parla si becca una pallottola in fronte.» disse Vincent, togliendo minacciosamente la sicura alla pistola.

Andrea grugnì e si rassegnò al silenzio. 

«Ma arriva questa gente che hai chiamato?» chiese Cloud, che era seduto su un grosso sacco di tela.

«Vale anche per te! Comunque, arrivano tra poco.» rispose Vincent, stizzito.

A quelle parole, in effetti, il gruppo cominciò a sentire il rombo dei motori di una nave riempire l’aria. In poco tempo, un grosso velivolo nero come la notte, decorato con aerografie rosse, atterrò ai piedi della collina.

«Niente a che vedere con la mia Shera!» esclamò Cid, sbuffando.

«Giusto, meow! Questa nave ha stile.»

«Come ti permetti?!» berciò il pilota, furente.

«Sbrighiamoci.» disse Vincent, avviandosi. Gli altri lo seguirono in ordine sparso, lanciandosi occhiate rancorose.

«Aspettate! Barret, guarda: non è il tuo cannone quello?» domandò Cait Sith.

L’omone seguì la zampa del gatto, fino a notare, seminascosta in un cespuglio, la sua arma.

«Finalmente!! Anche se potrei togliermi un ultimo sfizio con questo coso e lasciarlo infilato in qualcuno!» ruggì Barret, recuperando la sua arma e agitando il fallo rosa.

Fuori dalla nave c’erano tre persone che li aspettavano. Al vedere Vincent, si precipitarono ad accoglierlo.

«Vince!! Dov’eri finito??»

«Ti abbiamo fatto cercare dappertutto! Eri sparito!»

«Ero… a fare una cosa.» disse lapidario Vicent.

«Sparisci sempre, quando ci fermiamo da qualche parte. Lo sappiamo che sei forte, ma non farci preoccupare!» disse uno dei ragazzi.

«So badare a me stesso. Ci servirebbe un passaggio fino a Wutai.» disse Vincent.

I tre sgranarono gli occhi.

«Come… Wutai?»

«Il nostro prossimo concerto è a Costa del Sol e siamo già in ritardo!»

«Dobbiamo andare in un posto di nome Villa Kekkon.» continuò Vincent, ignorandolo.

«Cosa? Quella pagliacciata per turisti?» esclamò uno dei ragazzi.

«... in effetti non capiscono nulla di come si organizzi una cerimonia.» mormorò Andrea.

«Una cerimonia? No no, noi non siamo mica una band che fa piano bar!» disse indignato un altro ragazzo.

«Concerto? Piano bar? Siete… una band?» chiese Gideon, confuso.

«Si! Siamo i Materia for my Valentine!»

«... non gli assomigliate per niente. Li ho visti ieri notte.» disse Barret, squadrandoli con sguardo sospettoso.

«Oh, è perché usiamo delle parrucche in scena! Nessuno vorrebbe dei capelli così lunghi.» gli spiegò uno dei ragazzi.

«Pensa che stress. Noi dobbiamo pensare solo al processo creativo e a fare pratica per i concerti.»

«E Vincent che strumento suona?» chiese Cait Sith. L’altro si rabbuiò, fulminandolo con lo sguardo.

«Cerchiamo di convincerlo da mesi, ma non vuole seguirci sul palco.» rispose il ragazzo.

«... cioè sai suonare? Cosa suoni?» chiese Cid, basito.

«Il violoncello.» sibilò Vincent.

«È anche bravissimo! Non lo ammette perché è un timidone.»

«Basta. Potete portarci a Wutai?» tagliò corto Vincent.

«Vince, abbiamo il concerto… non ci pagano, se non andiamo.» rispose sconsolato il giovane.

Andrea si fece avanti ed esclamò:

«Oh, ma se è solo questione di soldi il problema non c’è! Raddoppio la cifra che vi hanno offerto, se ci portate a Wutai e vi esibite li. Tanto la festa durerà un altro paio di giorni, come minimo.»

Cloud, Cid e Barret lo guardarono orripilati.

«Non lo avevate capito? Quelle camere non servivano solo per cambiarsi!» disse l’entertainer.

«... o per scopare.» borbottò il pilota. Uno dei ragazzi indicò improvvisamente Andrea, dicendo:

«Ma lei è il proprietario di quel locale molto giallo ad Edge!»

«Sono proprio io! Le nostre professioni ci hanno già fatti incontrare in precedenza.» confermò Andrea, sorridendo affabilmente.

«Signor Rhodea, la ringraziamo molto dell’offerta, ma… Wutai è lontanissima, abbiamo un accordo con il resort che…»

«Triplico la cifra. E niente piano bar.» lo interruppe Andrea, serafico.

«Forza, cosa stiamo aspettando! Andiamo a Wutai!» gridarono i ragazzi, tornando di corsa dentro all’aeronave. Il resto del gruppo li seguì. Cid prese prepotentemente possesso del timone, con gran disappunto della band.

«Se guidate voi non arriveremo mai. Vediamo cosa sa fare questo catorcio!» 

«Si chiama Lucy!» esclamò uno dei musicisti «Non la offenda!»

«Vedremo… chi ve l’ha costruita?»

«L’abbiamo trovata e risistemata noi.»

Cid borbottò qualcosa tra i denti; fortunatamente si perse nel rombo del motore.

«Meeeow! E tu cosa ci fai al seguito di una band?» chiese Cait Sith a Vincent.

«Già, non hai l’aria della groupie.» commentò Barret.

«Spiritosi. Faccio ricerche. Loro sono la copertura perfetta.»

«Ricerche su cosa?»

«Non posso dirlo ancora. Spero solo che si riveli inutile.» disse Vincent.

Gli altri lo guardarono perplessi per qualche momento, attendendo altre spiegazioni, ma si rassegnarono presto al silenzio.

Gideon e Andrea erano in un angolo a discutere animatamente.

«Non sei un ripiego! Ti ripeto che non è successo niente!!»

«E come faccio a crederti?? Hai tenuto tutto nascosto finché ti ha fatto comodo!»

«Cercavo di tenere Cloud al sicuro!»

«Hai abbandonato i suoi amici!»

«Siamo tornati a cercarli il giorno dopo!!»

«Sei incredibile! Hai anche molestato Cloud!»

«Io?? Ma se mi ha baciato lui!!» ribatté Andrea.

Tutte le teste si girarono verso di loro. Cloud sbiancò.

«E ti aspetti che ti creda?!» esclamò Gideon.

«Era molto ubriaco… ma aveva anche respinto svariate ragazze.» commentò Barret.

«Respinte? Io ho visto volare schiaffoni!» aggiunse Cid.

«Che intendete dire?? Voi avete visto che è successo?!!» esclamò il ragazzo, guardandoli con aria supplichevole.

«Noi vi abbiamo visti quando eravate già impegnati. E tu in effetti non sembravi schifato.» gli rispose Barret.

«Anzi, lo palpavi tutto.»

«COSA??»

«Scherzavo. Però Barret ha ragione; hai finito di baciarlo e poi sei uscito come se nulla fosse.»

«Non l’ho baciato io!! Che schifo!» ribatté Cloud, incapace di accettare cosa gli avevano detto.

«Grazie eh. Molto gentile da parte tua.» disse Andrea risentito, alzando una mano.

«Ma che succede?» chiese uno dei ragazzi della band.

«Credo siano questioni di cuore.» rispose un altro.

«Questi eroi problematici fanno la fortuna di noi cantautori.» commentò l’ultimo, tirando fuori un taccuino e iniziando a prendere appunti.

«In pratica, lui è fidanzato con una… ma poi ha scoperto che gli piace il suo amico? Fantastico!» esclamò, scribacchiando con foga.

«Non mi piacciono gli uomini!!!» sbraitò Cloud. Meteor gli si avvicinò e si strofinò sulla sua gamba.

«Kueeeh!?» (madre, cosa vi turba?)

Cloud lo prese in braccio, guardando male il resto dei presenti.

«Hai comunque baciato un altro!!» continuò Gideon, puntando un indice accusatorio contro Andrea.

«Tradimenti!» continuò il musicista, infervorato.

«Non stavamo ancora insieme!!» si difese Andrea, piccato. Cloud a quelle parole mollò Meteor e si avvicinò a grandi passi.

«Ma siete seri?!? Mi avete fatto svegliare nel letto in cui avevate passato una notte brava con altre due persone!! Ed eravate già di nuovo insieme!!» sbraitò.

«Il biondo ha ragione, sei troppo bacchettone!» disse Andrea.

«E non ti ho baciato!» 

«Su questo purtroppo hai torto.» 

«Ma quello era solo divertimento!! Ed eravamo insieme! Lui prova qualcosa per te!» gridò Gideon.

«Ma non è vero!!» gridarono Cloud e Andrea all’unisono.

«Perché finisce sempre in mezzo a un triangolo?» domandò Cid, con una nota di esasperazione nella voce.

«Perché piace sempre a più persone contemporaneamente. Al contrario di noi.» rispose Barret, rassegnato.

«Io amo Tifa!» esclamò esasperato il biondo.

«Occavolo l’ha detto… non mi ci abituo ancora.» mormorò ancora l’omone.

«E io amo te!! Con tutti i tuoi brontolii!» gridò l’entertainer, prendendo le mani di Gideon nelle sue.

«Meooow! Quanto amore!!» miagolò Cait Sith, mescolando le sue carte. Da dietro il timone, Cid borbottò:

«Mi sta venendo la carie.» 

«Noo! Dovevi dire che ami Shera!» lo rimproverò Barret.

«Vaffanculo! Mica lo devo dire a voi, non vi riguarda!» ribatté seccato il pilota.

«Io amo mia figlia!!» gridò l’omone.

«Ecco, lo sapevo! Dovevi farlo diventare strano.» si lamentò Andrea. Il musicista non la smetteva più di scrivere:

«... questo è oro puro! Ci impostiamo un intero concept album!!» 

«Vincent! Perché non ci hai presentato prima i tuoi amici?»

Gideon sfilò le mani da quelle di Andrea, borbottando:

«Sono comunque arrabbiato con te.»

«Sei troppo carino, quando ti arrabbi.» rispose l’entertainer, scompigliandogli i capelli.

«Non è un buon motivo per farlo in continuazione!» replicò l’altro.

«Ma se sono un angioletto!»

La tensione nella cabina finalmente si abbassò. Soltanto Cloud rimaneva turbato e accarezzava compulsivamente Meteor, che si godeva le attenzioni.

«Hey biondo! Tieni… chiama la tua bella. Dille che stiamo tornando e forse ci risparmieremo una ramanzina.» disse Barret, passandogli un telefono.

«E riprenditi anche questo. Ma non ti azzardare ad usarlo.» aggiunse, porgendogli minacciosamente il suo bracciale con le materie.

Cloud lo prese distrattamente, mentre individuava il numero di Tifa nella rubrica, ma esitò un momento prima di chiamare. Quando lo fece, ci volle solo uno squillo prima che Tifa rispondesse.

«BARRET?! DOV’È CLOUD?!?!» urlò la ragazza, facendosi sentire da tutta la cabina.

«Tifa, sono io. Stiamo bene.»

«Per ora si, ma vedrai appena ti fai rivedere cosa ti succede!! Come ti è venuto in mente?!! Eravamo preoccupate! Non avete detto nulla, siete spariti in piena notte, non siete tornati, potevate essere morti da qualsiasi parte!!»

Cloud deglutì nervosamente.

«Scusa, non volevo farti preoccupare, io…»

«Vedete di sbrigarvi a tornare qui!! Non ne possiamo più!»

“Meglio non dirle che la festa durerà altri due giorni.”

«Stiamo tornando, siamo sulla nave di una band.»

«Cosa?! E la Shera? Che intendi dire??» esclamò lei.

«È una storia lunga e io non mi ricordo nulla.»

«IN CHE SENSO??»

«... mi hanno fatto ubriacare.» sussurrò il ragazzo, dopo un attimo di esitazione.

Barret sbiancò. Cid trasalì.

«Tradimento!! Ci sputtana!!»

Cloud li zittì con uno sguardo.

«Questo lo sapevo già!!» esclamò Tifa. Cloud sgranò gli occhi.

«... come? Come fai a…»

«Qualcuno quando beve ha la lingua più sciolta del solito. Sbrigatevi a tornare qui.»

La chiamata si interruppe prima che Cloud potesse rispondere. Chiuse il telefono e lo restituì a Barret, andandosi a sedere in disparte.

«Come l’ha presa?» gli chiese Andrea, avvicinandosi.

«Secondo te?» sibilò Cloud, trafiggendolo con lo sguardo. Meteor soffiò.

«È una ragazza comprensiva… sta insieme a te! Vedrai, le passerà presto.» tentò di rassicurarlo l’entertainer, lanciando un’occhiata intimorita al pulcino, che ricambiò con versi minacciosi.

«Kueeeh!» (bizzarro essere piumofilo, non costringetemi a infliggervi dolore fisico!)

Andrea si allontanò, tornando a importunare Gideon e a giocare coi suoi capelli. La band improvvisò alcune canzoni accompagnandosi con una chitarra. Le parole fecero correre un brivido gelido lungo la schiena di Cloud.

 

Look at me

Is this what you want?

Look at me

Am I what you need?

 

One more word and I'm taking this over the way

I won't take anymore

 

You can keep all your apologies

Those words are worthless to me

And I don't want to hear that you sorry

Your words mean nothing to me

 

Il ragazzo sopportò stoicamente la fine della canzone, che strappò qualche piccolo applauso tra i passeggeri, ma sentì una stretta allo stomaco quando attaccarono con la canzone successiva:

 

These are our times, never forget

No looking back, no more regrets

One thing we've learned from our mistakes

The harder the heart, the harder it breaks

 

Now you can never be trusted

You're not the person I once could rely

You've gone and burnt all your bridges

Do I have to sit and watch til nothing remains

 

Si sforzò di mantere il controllo e scacciare il crescente disagio che lo opprimeva, mentre la band passava ad un brano da una terza canzone:

 

Would she hear me, if I call her name?

Would she hold me, if she knew my shame?

There's always something different going wrong

The path I walk is in the wrong direction

There's always someone fucking hanging on

Can anybody help me make things better?

 

Cloud si alzò di scatto e andò verso la band. Strappò la chitarra di mano al ragazzo e la fracassò contro il pavimento prima che chiunque potesse fare niente.

«Hey! Che problemi hai?!» strillò il musicista, guardandolo con un misto di rabbia e timore.

«Non scaricare sulla band le tue frustrazioni!» lo ammonì Barret. 

«Perdonatelo, è un po’ nervoso. Vi rimborserò anche la chitarra.» intervenne Andrea.

«Sono le frustrazioni che voi mi avete fatto venire!!!» gridò Cloud, tornando a sedersi il più lontano possibile da tutti gli altri.

«E mi tengo tutti i soldi della vincita!! Tu mi devi ancora la mia paga dell’Avalanche!!» dichiarò, indicando il sacco di tela accanto a lui.

«E io??» esclamò Andrea.

«Anche io c’ero! Pretendo la mia parte, mi hai distrutto la nave!» gridò Cid.

Con estrema riluttanza, Cloud prese due manciate di banconote e le diede al pilota.

«Hey, e noi...»

Lo sguardo assassino di Cloud ridusse sia Barret che Andrea al silenzio.

«Sei incredibile, ancora a rompere i coglioni con quella storia! Tieniteli pure! Almeno avrò pace!» gridò l’omone, colpendo l’aria con il pugno. 

Cloud prese il sacco, lo tirò contro la parete della cabina e si sedette, appoggiandoci la schiena e incrociando le braccia. Meteor lo raggiunse pigolando piano.

«Inizio a sentirmi in colpa.» confessò Barret a Cid, attento a non farsi sentire dal biondo.

«Io invece mi sono divertito non-stop, specie quando ci siamo schiantati con la nave e ci hanno abbandonati.» rispose il pilota sarcastico.

«E ora Tifa sa che siamo stati noi…»

«Se questo ti preoccupa davvero dovevi pensarci prima! Vuoi dire che contavi sul silenzio di Cloud?»

«No, sulla sua amnesia da hungover.» confessò Barret.

«Bah… dovremmo assumerci la responsabilità. Se lui si assume la sua.» affermò Cid.

«La sua? Tecnicamente se non lo avessimo fatto sbarellare non sarebbe successo nulla.»

«Mi ha distrutto la nave perché voleva scendere! Con un Bahamut!»

«Era ad un passo dal coma etilico… tra alcool e alcool, tutto sembra una buona idea.» fu l’opposizione di Barret.

«In effetti tu… oddio non ci voglio pensare a cosa hai fatto tu! Vorrei me lo cancellassero dalla memoria!» disse Cid, rabbrividendo per il disgusto.

«Anche io. Non pensiamoci proprio.» concordò Barret, «... però sono preoccupato. Non vorrei che questo scherzo gli causasse di nuovo problemi!» 

«A me ne ha causati parecchi. Tutta colpa vostra in effetti, io mi accontentavo di guardarlo da lontano e rimuginare!»

«Cosa?! Ora vorresti tirarti indietro? Siamo stati tutti e tre!» si indignò Barret.

«Tre chi?» chiese Andrea, che si era avvicinato a loro.

«Tu!! Tu e le tue idee idiote! Dovevi dirci che era un’idea di merda!» esclamò l’omone.

«Non potevamo saperlo, tante idee sembrano follia e invece sono lampi di genio!» fu la giustificazione dell’entertainer.

«Invece questa una merda era, e una merda è rimasta!» sbottò il pilota. 

«Solo tu ci hai guadagnato!» aggiunse, lanciando un’occhiata carica d’odio all’entertainer.

«Non so perché lo dici… come hai potuto vedere, non ho preso un guil...»

«Era tutto un tuo piano malvagio fin dal principio? Ci hai usati per arrivare a Cloud?»

«Come fate a dire una cosa del genere?? Non è stata nemmeno una mia idea!» disse Andrea, indignato.

«Te lo sei sbaciucchiato appena ne hai avuto l’occasione! Ci hai mollati e te lo sei portato via. Chi ci dice che tu non ne abbia approfittato ancora?» rincarò Barret.  

«Io.» intervenne Gideon. «Ha tanti difetti, ma la necrofilia non è tra quelli.»

«Basta, vi prego! Ho appena placato le acque! E poi non sono stato io.» esclamò esasperato l’entertainer.

«No, hai ragione, la lingua che aveva in gola era la mia.» disse sarcastico Barret.

«Vorrei sapere anch’io se questa cosa è vera.» si intromise Cloud, apparendo alle loro spalle. I tre sobbalzarono per la sorpresa.

«Ragazzo, così fai venire gli infarti!» lo rimproverò Andrea.

«Solo agli anziani.» replicò il biondo con voce piatta. L’entertainer obiettò:

«Cid non è poi così vecchio! È ancora nel fiore degli anni.» 

«Vaffanculo!»

Non visti, i membri della band erano in ascolto con taccuini e penne in mano.

«Dimmi la verità! Che è successo?» insistette Cloud.

Andrea fece un lungo sospiro.

«La verità è che eri ubriaco, e sei stato tu. Ero al bancone, ti sei avvicinato e mi hai limonato selvaggiamente senza nemmeno dire una parola. Poi te ne sei andato.»

Cloud guardò Cid e Barret in cerca di sostegno.

«Non guardare noi.»

«Te lo abbiamo già detto cosa abbiamo visto. Per inciso, rientra tra le stronzate che vorrei dimenticare, ma che si ripresenteranno ancora e ancora!»

«Come un fastidioso ex…» mormorò Gideon.

«Hey! Stiamo insieme noi!» si inalberò Andrea.

«Non ne sono ancora certo.»

«Fa solo il difficile… sotto sotto è un tenero batuffolo bisognoso di coccole.» affermò l’entertainer, sorridendo.

«Ecco, ora sei un ex.»

«Ti amo anch’io, Giddy!»

Cloud fissava il vuoto, sordo agli altri due che facevano rumorosamente finta di vomitare e ad Andrea, che rincorreva Gideon chiedendogli un bacio.

«Dai, avrai fatto una cazzata. Succede, quando bevi.» tentò di tranquillizzarlo Barret.

«Voi mi avete fatto bere!! Cosa faccio con Tifa?» ribatté Cloud.

«Biondo… è un problema. Spero tanto che capirà.»  rispose Barret.

«Dovrei dirglielo?!» esclamò il ragazzo, terrorizzato solo al pensiero.

«Tu sei capace di tenerle un segreto?» gli domandò Barret con tono eloquente.

Cloud scosse la testa.

“E tutte le volte che ci ho provato non è finita bene.”  

«Non capisco come mai tu lo abbia fatto, ma a questo punto dirle la verità dovrebbe essere la scelta giusta. Ti vuole bene, magari si incazzerà da morire e dormirai sul divano per un po’, ma le passerà.» disse convinto Barret.

«Un po’ quanto?»

«Da qualche giorno a “per sempre”.» rispose il pilota.

Cloud sbiancò.

«Hai detto che le passerà!» esclamò.

«Ma si, esagera!» disse Barret, rifilando un pestone a Cid.

«E tu dirai a Shera che cercavi di rimorchiare altre ragazze?» chiese Andrea, che aveva ottenuto un bacio ed era tornato da loro, tutto soddisfatto.

Stavolta fu Cid a sbiancare.

«E tu racconterai a… dannazione, tu sei salvo!» continuò l’entertainer, guardando Barret.

«Mia figlia non ha l’età per capire. È così piccola e carina, come un fiore di campo, come una…»

«Si si, ok. Se aprirà il Marlene Fan Club, sapremo già chi è il presidente.»

«Non nominate i fan club.» sibilò Cloud, a cui stava tornando un poderoso mal di testa.

«Abbiamo fatto un sacco di stupidaggini ieri notte. Speriamo di cavarcela.» decretò Barret.

«Ma questo ha cementato la nostra amicizia, giusto?» esclamò tutto allegro Andrea.

Nessuno rispose.

 

***

 

La nave nera atterrò nel punto dove il giorno prima era atterrata la Shera; ad attenderli c’erano Tifa, la vera Shera e Marlene. La piccola corse subito ad abbracciare il suo papà, che la prese in braccio e cercò di eclissarsi velocemente.

«Dove credi di andare?» sussurrò Cid, acchiappandolo per un braccio e tirandolo di nuovo verso il gruppo.

Shera e Tifa avevano l’aria di voler uccidere qualcuno; la seconda ne era anche capace. Cloud accennò un timido gesto di saluto, ma l’occhiata fiammeggiante che ricevette in cambio gli fece abbassare immediatamente la mano.

«Voi!! Cosa credevate di fare?!?» gridò Tifa, coprendo a grandi passi la distanza che la separava dalla passerella. Andrea provò a rabbonirla:

«È tutta colpa mia, my dear, li ho convinti ad esagerare…»

«Con te faccio i conti dopo, entertainer

L’uomo sentì il sangue gelarsi nelle vene.

«... non mi piace più come suona quella parola.» sussurrò.

«Vergognatevi!! Non siete più dei ragazzini!! Ci avete lasciate qui!» strepitò Shera.

«Infatti, dov’eri andato, papà?» chiese Marlene, guardando serissima Barret, mentre faceva le coccole a Meteor. Lui tergiversò:

«Ehm… amore di papà… eravamo andati… a prendere la band! Si! Serviva qualcuno che andasse a prendere la band.»

«Ma noi veramente…» provò a obiettare il cantante, prima che Vincent gli poggiasse una minacciosa mano sulla spalla.

«... noi eravamo in panne! Ci hanno soccorso e ora siamo qui! Dove sono i bambini battezzati?» disse in fretta il ragazzo.

«È un matrimonio.» bisbigliò Gideon.

«Giusto! Il battesimo è la nostra prossima tappa, che sbadato.»

«Tu parli ma io sento solo lo stridio di chi prova ad arrampicarsi sugli specchi!» affermò Tifa, stringendo gli occhi.

«Kuuuiii!» (Patrigna! Cosa vi turba? Siamo di ritorno!)

«Meooow… combattiva come sempre.»

Tifa sgranò gli occhi, sorpresa.

«Cait Sith? Vincent?? Che ci fate qui?»

«... abbiamo soccorso la band.» rispose Vincent.

«Avete soccorso la band…» ripeté la ragazza, tornando a guardarli male.

«Già!»

«Esattamente.»

«Un soccorso complesso.»

«Ha richiesto vari…»

«NON MI PRENDETE IN GIRO!!!!» proruppe la ragazza, perdendo la pazienza. 

«Avete fatto sbronzare Cloud e poi siete andati in giro a fare chissà cosa!! Lasciandoci qui!»

«Siete inqualificabili!!» le fece eco Shera, che da arrabbiata sembrava molto più alta del solito.

«Shera… è stata solo una piccola bravata…» tentò di difendersi Cid.

«E la nave dove sta?! Ti conosco, non andresti mai in giro su un trabiccolo diverso. È distrutta, vero??»

Cid trasalì, cercando troppo tardi di darsi un contegno.

«Hai fatto schiantare la nave che avevamo costruito insieme! Ci avevamo messo mesi!» strillò la scienziata, furibonda.

«Ehm, no… è solo rimasta… nei pressi di… è stato Cloud!! Ha evocato un Bahamut che ha distrutto la nave!!»

«Hey!! Avevo il mal d’aria!» protestò il ragazzo.

«E ti pare un buon motivo per evocare Bahamut?!»

«È come se fosse il frutto del loro amore… e tu l’hai distrutta!» disse uno dei musicisti, rimettendo mano al taccuino.

«Non peggiorare le cose! Ero ubriaco!! Per colpa vostra!» gridò Cloud, rivolto a Barret, Cid e Andrea.

«Volevamo solo farti vomitare, non rievocare la fine del mondo!»

«... cosa?» fece Tifa, interdetta. Anche Shera sembrava confusa.

«Hai liberato una mandria di chocobo e lasciato tutto il Gold Saucer al buio!!»

«Hai messo delle mutandine a una lapide!»

«LE MUTANDINE DI CHI?!?» strillò Tifa.

«... quello è stato divertente. E non era una vera lapide.» mormorò Andrea.

«Hai chiuso Vincent in una bara!»

«... forse non sono stato io!!» bofonchiò Cloud.

«Ecco perché non lo trovavamo più!» esclamò il cantante.

«Hai causato scompiglio all’Honeybee Inn!»

«Siamo onesti… non più scompiglio di quanto se ne crei normalmente.» commentò Andrea, che era l’unico del gruppo ad essere ancora tranquillo.

«SMETTETELA!!» urlò Tifa, riducendo tutti al silenzio.

«Raccontami esattamente cosa è successo!!» ordinò, guardando il suo ragazzo.

«... non me lo ricordo…» esalò Cloud, sconsolato, «... ma a quanto pare ho combinato un sacco di casini. Ho liberato dei chocobo, ho perso Meteor, ho scommesso, ho partecipato a delle risse, ho causato un black out all’intero Gold Saucer… sono stato molesto… molestato… ho palpato un’apetta per scommessa, ho fatto schiantare la Shera con un Bahamut... e mi sono svegliato nudo in una stanza dell’Honeybee Inn in compagnia di quei due, di Maiko e di un altro tizio che credo fosse stato pagato da Andrea per fare sesso. Ma non con me!!»

«Pagato anche troppo, per la sua scialba performance.» aggiunse l’entertainer.

Tifa rimase stordita dalla valanga di rivelazioni, guardandolo a occhi sgranati.

«... e... potrei aver... baciato Andrea.» sussurrò il ragazzo, incapace di guardarla.

«Lo abbiamo visto tutti che te lo sei limonato.» bisbigliò Cid. Barret gli diede un pestone.

«Vogliamo parlare di cosa avete combinato voi!? Mi avete fatto ubriacare, mi avete portato in giro, avete fatto a gara di rimorchio, e Barret ha morso tutti per tutta la notte!» aggiunse Cloud, guardando furioso i tre colpevoli.

«Cosa?!? Non è vero!» urlò il diretto interessato.

Cid, Cloud e Andrea mostrarono numerosi, enormi lividi circolari su braccia, torso, spalle e gambe.

«Papà… ma davvero li hai morsi? Mi dici sempre che non bisogna fare del male agli altri!» disse Marlene, guardandolo severa. Lui evitò il suo sguardo.

«Non so perché lo avete fatto!! Ma è tutta colpa vostra!» gridò finalmente il ragazzo. Tifa sembrava paralizzata: continuava a spostare lo sguardo tra i presenti. Andrea la fissava, senza riuscire a decidersi sul da farsi. Guardò di sottecchi Cid e Barret, che sembravano in ansia e fissavano a loro volta Cloud, che attendeva la reazione della sua ragazza. Ormai lo conosceva abbastanza bene per capire che sotto quell’espressione indecifrabile, il ragazzo era in preda alla disperazione più nera. Quando Tifa finalmente si smosse, decise di intervenire.

«È tutta colpa mia, confesso! Volevo dare una lezione a Cloud e ho estorto il loro aiuto. Ho detto io al barman di ieri sera di truccare i drink per farlo ubriacare, minacciando di licenziarlo; l’ho portato io al Gold Saucer e poi all’Honeybee Inn e si… sono stato io a baciarlo in preda ai fumi dell’alcool, approfittandomi bassamente di lui. E non ho rimpianti! È stato il bacio migliore della mia vita!» esclamò, frapponendosi teatralmente tra Cloud e Tifa. Sulla scena calò un silenzio carico di tensione. 

«Ma che ca…» sussurrò Cid.

«Shhhhhhh!» lo zittì Barret.

Tifa sembrava sul punto di esplodere; Cloud era rimasto senza parole e guardava Andrea senza capacitarsi di cosa stesse succedendo. Poi, in una frazione di secondo, Tifa scattò e colpì Andrea con un diretto al mento, sbalzandolo e facendolo ruzzolare per terra, sotto lo sguardo atterrito di tutti i presenti.

«Meeeeow!!»

«... qui un bel cambio di tempo, da 7/9 di nuovo a 4/4…» mormorò uno dei musicisti, scribacchiando febbrilmente.

«Oh porca puttana!» gridò Cid, coprendosi subito la bocca, sotto lo sguardo furente di Barret. Tifa sembrava voler infierire ancora, ma Cloud la fermò.

«Lasciami!!»

«Calmati, non puoi picchiarlo!»

«SI CHE POSSO!! È colpa sua, lo ha ammesso!! Si è approfittato di te!!»

«C’eravamo anche noi, non è solo colpa sua.» aggiunse Cid.

«Con voi faccio i conti dopo!! Begli amici che siete!!» strillò la ragazza.

«Con me li fai adesso.» aggiunse Shera, avvicinandosi minacciosa e squadrando il pilota dal basso verso l’alto.

«KUEEEH!» (Madre, presto ausilio alla patrigna nella sua ordalia contro l’essere piumofilo? Nonostante non mi pare che lo necessiti.)

Dopo ramanzine pressoché infinite, e la minaccia di qualche altro pugno, la situazione finalmente si placò. Cloud, riconosciuto all’unanimità come “vittima inconsapevole di un complotto”, passò tutto il tempo in disparte in compagnia di Meteor, Cait Sith e Vincent, a guardare Tifa e Shera che strigliavano il resto della combriccola, con Marlene a rincarare la dose a furia di adorabili occhiate di rimprovero.

«Abbiamo materiale per tutto il resto della nostra carriera! Diventeremo il gruppo più famoso di Gaia!!» esultò uno dei musicisti, sfoggiando il suo taccuino. Meteor lo addentò e si diede alla fuga, rincorso da tutta la band e dalle risate di Cait Sith.

«Non lo richiami?» chiese Vincent.

«... tra un po’. Tanto la carta non gli è mai piaciuta.» rispose Cloud, che si stava godendo l’inseguimento.

Quando Tifa fu soddisfatta, tutto il gruppo si rimise in marcia verso la villa. Lei prese per mano Cloud con violenza: lui accennò un mezzo sorriso, che si spense quando la stretta cominciò ad aumentare e vide il fuoco che c’era nel suo sguardo.

«Non credere di averla fatta franca, biondo. Ne parleremo in separata sede.» gli sibilò all’orecchio, prima di dargli un piccolo bacio sulla guancia.

«Cloud, ma come sei vestito?» chiese Shera.

«Mi piace! Sembra un ape maschio!» disse Marlene.

«Fi chiamano fuffhi!» la corresse Andrea, il cui volto di stava progressivamente gonfiando.

«Hey! È una bambina!» esclamò Barret.

«Ho forfe ffproloquiato? Fi chiamano davvero cofì!»

«Ha detto “fuchi”» intervenne Gideon.

«Meeow! Guarda, non è il tuo molare quello lì per terra, vigliacco?»

«... ffpiritofo.»

Tifa squadrò Cloud, come se si fosse accorta in quel momento del suo abbigliamento.

«In effetti ti sta bene.» concluse.

Gideon mise un braccio sulla spalla di Andrea, stringendolo a sé.

«Allora sei davvero cambiato!» gli sussurrò all’orecchio.

«È ftato dolorofo. Vorrei del ghiaffio.» ammise l’entertainer.

«Posso darti un bacino sulla bua se vuoi.»

«... vi detefto.»

 La bizzarra processione arrivò alla villa, che era ancora squassata dalla assordante musica della festa. I pochi invitati ancora in piedi sembravano comunque sul punto di cadere a terra; soltanto la sposa si dimenava nel mezzo della pista da ballo, le scarpe perse chissà dove e il velo legato intorno alla vita. Jay era riverso su un divanetto, vestito solo dei boxer e della cravatta, ma muoveva ancora le braccia al ritmo della musica.

Appena li vide arrivare, Catena si lanciò verso di loro, urlando:

«Ma quelli sono davvero i Materia for my Valentine?!?!»

«La vostra fama vi precede.» disse Vincent.

«Siete qui per suonare??»

«... a quanto pare.» rispose il cantante.

«Non ci posso credere!! Che festa meravigliosa!! Andrea, sei il miglior wedding planner di sempre!!»

«È tutta una queftione di ffcupolofa pianificaffione.» rispose l’entertainer, orgoglioso.

Più di una persona alzò gli occhi al cielo, a quelle parole.

«Posso chiedervi un autografo?!» chiese la sposa, adorante.

«Ma… ma certo. Dove…?»

«Autografatemi il pancione!!» esclamò Catena, alzando di nuovo la sua gonna. Tifa stavolta fu abbastanza svelta da coprire gli occhi di Cloud. Shera e Barret fecero altrettanto con Cid e Marlene. 

«I nostri fan si distinguono sempre per il loro calore!» disse il cantante, per nulla impressionato, tirando fuori un pennarello e firmando sotto l’ombelico. Gli altri due lo imitarono poco dopo.

«Foffa, andate a freparare il fonferfo!! Mica vi pago per follaffarvi!!»

«Ma stai cercando apposta parole piene di esse?» domandò il cantante.

«Fconfertante quefta tua intuiffione. Fhottolineo la mia fofferenfa.»

I musicisti si avviarono verso il palco vicino alla pista da ballo, trascinando i loro strumenti e seguiti dalla sposa, che già urlava a squarciagola le sue canzoni preferite. Una voce biascicò:

«Oh, guarda un po’! O sono ubriaca o quello è proprio Vincent Valentine!» esclamò Yuffie, caracollando verso di loro.

«Temo siano entrambe esatte.» mormorò Tifa.

«Ma non le è ancora passata la sbornia?» disse preoccupata Shera. 

«Per non soffrire di doposbronza, tesoro, è meglio non smettere di bere!!» biascicò la ninja, mettendole un braccio intorno alle spalle per evitare di cadere.

«Yuffie?» disse Vincent, perdendo momentaneamente il suo aplomb. 

«Ciaooo, bel tenebrosone. Da quale bara sei uscito, stavolta?»

«Una di quelle della Ghost Square al Gold Saucer.» rispose lui con voce atona.

«Ah ah ah, sei sempre uno spasso!!»

«... ma quale Vincent conosce? Meeow!»

«Vieni con me, raccontami tutto!» esclamò Yuffie, arpionandolo per un braccio e trascinandolo via.

«Come fi chiamava quefta ragaffina cofì eftroverfa?»

«Se provassi a dirlo adesso non ce la faresti.» disse Barret.

«Magari lui riuscirà a farla tornare sobria.» commentò Tifa, sorridendo divertita. Poi tornò seria e si rivolse a Cloud.

«Adesso noi due facciamo i conti.» decretò, trascinando il biondo via con sé. Quest’ultimo, non visto dalla ragazza, lanciò un’occhiata fugace ad Andrea, che in tutta risposta ammiccò.

«Se la caverà?» domandò Cid, sinceramente preoccupato, mentre guardava i due allontanarsi.

«Dovresti preoccuparti più di te stesso.» sibilò Shera, con tono minaccioso.

Il pilota rabbrividì e si lasciò portare via dalla sua ragazza.

«Papà, posso andare a giocare con Meteor?»

«Certo, tesoro mio! Ma state lontani dal castello gonfiabile!»

«... perché?»

«Ehm… perché… perché Meteor rischia di bucarlo!»

«Oh, è vero! Andiamo, Metty!»

«Kueeeh kueeh!» (la vostra compagnia mi è gradita, tuttavia desidero rimarcare che il mio nominativo è Meteor, bizzarra pulcina dal piumaggio scuro.)

«Vengo anch’io al castello gonfiabile, meow!» trillò Cait Sith.

Anche Barret si allontanò, seguendo il gatto, il chocobo e la bambina a debita distanza. Andrea e Gideon, rimasti soli, iniziarono a passeggiare con tranquillità.

«Mi hai sorpreso. Ti sei preso la colpa.» disse Gideon, rompendo il silenzio.

«Te ne fei accorfho.»

«Hai messo la tua bellezza a repentaglio. Chi ti sostituirà finché non ti riprenderai?»

«In effeffhi… penfo fia il momento propiffio per una facanfa.»

«Al pronto soccorso, magari. Forse potrebbero servirti gli antidolorifici in coppa, con abbondante ghiaccio.»

«Ti fhai beffe della mia fofferenfha! Penfo di avere la maffella fuori affe.»

«Se vuoi ti do un bacino sulla bua.»

«... bafhiami, fftupido!»

«Anche se, non so se potrò competere con il miglior bacio della tua vita…» tergiversò Gideon, «... in realtà, Cloud mi sta anche simpatico. Frequentarlo ti ha migliorato.»

«Ffhioccheffe! Fe ti impegni, puoi farfela!» esclamò Andrea. Gideon sorrise divertito.

«Tu ne sei un perfetto esempio.» 

 

***

 

Gold Saucer, la sera prima.

Cloud si era scolato entrambi i pompinotti da solo. Aveva tentato in tutti i modi di rianimare Vincent ma senza successo; anche Meteor era ormai spazientito dalla mancanza di cibo.

«Tifa ha ragione, diventerai un chococi-un choboci… diventerai grasso!» lo sgridò Cloud.

Meteor lo guardò indignato, pigolando.

«E va bene, vado a prenderti del cibo. Vedo se hanno qualcosa di dietetico, brutto panzone.»

“Prima però dovrei fare qualcosa per il povero Vincentino… non si sveglia. Dovrei spostarlo… in un posto che lo faccia sentire a suo agio… che gli ricordi i bei tempi andati…”

Lo sguardo appannato dall’alcol gli cadde prima sul decolleté di una cameriera, poi su due persone mascherate che limonavano avvinghiate su un divanetto, infine su una cassa di legno lucido appoggiata ad una parete.

«Trovato!!» esclamò. Prese allegramente Vincent sotto le ascelle e lo trascinò fino al contenitore di legno. Lo aprì e scacciò il tizio che ci stava dormendo dentro in malo modo.

«Tocca a me adesso!» sbraitò.

«Uno non può nemmeno riposare in pace!» urlò l’uomo, che sembrava vestito da belva sexy, con tanto di tentacoli di gomma e piccoli dischi di stoffa sui capezzoli.

Sistemò con grande cura il mantello rosso di Vincent dentro alla bara, gli incrociò le braccia sul petto e chiuse il coperchio.

«Notte notte, Vincentino! Ci vediamo domani mattino! Ah ah ah…»

“Cosa ero venuto a fare? Ah, il cibo dietetico. Che ci faccio qui allora?”

Individuò il bancone tra le nebbie del locale e i fumi dell’alcol; con estrema attenzione evitò tutti i tavolini, le sedie e i folli costumi che gli passavano accanto. Dopo quella che gli era sembrata un’eternità, arrivò al bar.

Di fianco a lui c’era Andrea.

«Oh, ciao. Quando sei arrivato?» gli chiese, sorpreso.

«Ero già qui. Ci hai messo una vita ad arrivare!»

«Ero lontanissimo!» ribatté Cloud.

«No, eri letteralmente a due metri di distanza.»

Il ragazzo lo prese improvvisamente per un braccio, guardandolo fisso negli occhi.

«Sai, sei… sei un buon amico. Sei anche simpatico.»

«Oh… grazie. Non mi merito tanto…»

«... però non faremo sesso.»

Andrea trasalì per un momento, poi ridacchiò.

«Quanto altro alcol hai bevuto?» 

«E non faremo nemmeno una cosa a tre con Tifa. Lei è mia! E ci dobbiamo sposare!»

«Ohibò, svaniscono così tutti i miei sogni proibiti!» disse melodrammaticamente l’entertainer.

«... però ti volevo comunque ringraziare di essere un così buon amico.» fece pensieroso Cloud. Andrea ne approfittò per ammirarlo. Non sapeva se fosse merito delle luci soffuse del locale, o dell’alcol che il ragazzo si era scolato, ma il bagliore mako dei suoi occhi risaltava come non mai, donandogli una bellezza sovrannaturale.

“Non mi sorprende che tutti ti stiano importunando stasera.”

«Beh, puoi comprarmi qualcosa da bere se…»

Il ragazzo lo tirò a sé e, prima che potesse reagire, lo baciò appassionatamente. Qualcuno stava parlando, non molto distante da loro, ma Cloud non ci fece caso. Andrea rimase paralizzato per la sorpresa, temendo che Cloud potesse rinsavire da un momento all’altro e mollargli un cazzotto. Ma ciò non accadde. Più rilassato, mise una mano tra i capelli biondi del ragazzo e rispose a tono alla lingua che stava invadendo prepotentemente la sua bocca.

«Guarda!!!»

«Oh porca troia!!»

«Che diamine succede!?»

«Succede che la vita è ingiusta.» 

«Che palle! Ha vinto!»

Cloud si staccò da Andrea solo quando pensò che il bacio fosse durato abbastanza. 

«Ti ringrazio di tutto.» mormorò, prima di afferrare una ciotola di salatini e tornare al tavolo, dove Meteor lo aspettava impaziente.

“Cosa cazzo… è appena… successo??”

Andrea si girò, completamente frastornato, verso i volti altrettanto confusi di Cid e Barret.

«... dai vostri sguardi attoniti deduco che mi abbiate appena visto vincere la nostra piccola sfida…»

 

FINE (?)

 

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Capitolo 19
*** Marlene In The Middle ***


Capitolo 19
Marlene In The Middle


La cucina del Seventh Heaven risuonava del clangore delle stoviglie e dello sfrigolio del burro nella grande padella; Tifa si destreggiava ai fornelli il più rapidamente possibile, preparando grossi e soffici pancakes, mentre uova e pancetta facevano già bella mostra di sé su un vassoio.

“Basterà? Ho sempre paura che non mangi abbastanza...” 

Cloud sarebbe tornato di lì a poco per fare colazione con loro, ma non era lui a preoccuparla.

«Ieri ha mangiato tantissimo… va bene che deve crescere, però non deve ingrassare.» mormorò, mentre metteva a cuocere l’ennesimo pancake. Approfittò del breve tempo per controllare velocemente i biscotti che aveva infornato prima.

“Oh, cavolo! Appena in tempo!” pensò agitata, mentre tirava fuori la teglia dal forno e la posava su un sottopentola di legno.

«Dovrebbe andare.» disse con una nota di soddisfazione nella voce.

Il rombo del motore di Fenrir annunciò l’arrivo di Cloud molto prima che lui entrasse nel locale; lei si sporse appena per controllare che stesse bene, poi tornò a seguire la preparazione.

«Ciao!» la salutò il ragazzo, raggiungendola in cucina e rubandole un bacio. Lei sorrise e ricambiò, spingendolo subito via scherzosamente.

«Mi fai bruciare tutto!» si lamentò, facendogli l’occhiolino.

«A me sembra che tu abbia tutto sotto controllo.» replicò il ragazzo, prendendo uno dei biscotti dalla teglia.

«Smettila di rubare! Aiutami a preparare il vassoio.» Cloud si fece serio.

«... sta ancora male?» le chiese.

«Si. Anche se è incredibile, non perde l’appetito nemmeno quando sta male. Hai visto quanto ha mangiato ieri!» rispose Tifa.

«Già…»

«Su, fa’ il bravo e portaglielo tu, mamma chioccia.»

Cloud grugnì e prese meccanicamente il vassoio, talmente colmo di cibo da costringerlo a prendere la brocca di succo di frutta con l’altra mano. Uscì dalla cucina e salì titubante le scale: superò la stanza di Tifa, ora quasi totalmente occupata da un enorme letto matrimoniale, e andò verso la sua vecchia camera. Non potendo bussare, annunciò il suo ingresso schiarendosi la voce e aprì la porta con una lieve spallata.

Dal suo vecchio letto, gli occhioni di Marlene lo scrutavano atterriti. Rimase per qualche momento sulla soglia, con la forte tentazione di andarsene e basta. Si costrinse a entrare e a lasciare il vassoio sulle gambe della piccola, che tremava come una foglia; Cloud non riusciva a dire se fosse per la febbre che la tormentava da un paio di giorni, o per la paura viscerale che lui le suscitava.

Paura completamente ricambiata; il non riuscire a relazionarsi con lei gli aveva causato prima fastidio, poi disagio e infine un inspiegabile terrore.

Lasciò la brocca sul comodino e uscì il più velocemente possibile senza dire una parola. 

«Come sta?» gli chiese Tifa, appena lo vide ricomparire nel locale.

«Non so… credo meglio di ieri.» mormorò lui. 

«Non hai controllato? Lei non ti ha detto niente?»

«... no.»

Tifa sospirò.

«Cloud, devi fare qualcosa. Non possiamo andare avanti così!»

«Ma non mi parla.» protestò lui.

«Certo che non ti parla! Mettiti nei suoi panni: per lei sei un tipo grande grosso e cattivo, che va in giro con una spada più grossa di lei. Devi fare tu il primo passo.»

«Io non sono… cattivo. Poi suo padre è più grosso… e anche lui ha un’arma!» disse il ragazzo, leggermente offeso. Tifa sospirò nuovamente a pieni polmoni.

«Lo so, non devi convincere me. Dalle modo di capire che sei una persona normale.»

«Forse prima dovrei diventare una persona normale..» commentò lui, senza entusiasmo.

«Ha ha ha, vedi che sai sfoderare tanta simpatia?»

Lui le lanciò un’occhiata obliqua, mentre si sedeva insieme a lei per fare colazione.

«Devi stare tranquillo ed essere te stesso con lei. Secondo me dovete solo passare un po’ di tempo insieme, per conoscervi meglio.» 

“Secondo me non dovevamo accettare di prenderla con noi…” pensò sconsolato il ragazzo, mentre tagliava un pancake.

«E poi non l’abbiamo mica adottata! Barret ce l’ha affidata soltanto per un po’.» continuò la ragazza, mentre si serviva delle uova strapazzate.

“Un po’ quanto? In ogni caso non sono pronto…”

«È la cosa giusta per lei: non può continuare a seguire il padre in giro per Gaia, pensa che fatica sarebbe.»

Lui annuì, anche se era poco convinto.

«E anche Barret lo sa: è stato difficile per lui doversi separare da lei, ma lo ha fatto per il suo bene, penso che tu possa capire.» disse lei, con tono eloquente.

Cloud trasalì impercettibilmente, prima di addentare un pezzo di pancake. Dal piano di sopra, la vocina di Marlene chiamò lamentosamente:

«Tiiiiifaaaa…» 

La ragazza sospirò e si alzò, ingoiando in fretta il resto della pancetta e affrettandosi su per le scale. Cloud la osservò sparire al piano di sopra.

“Ma come siamo finiti ad avere Marlene a casa…?”

Un vantaggio innegabile quella situazione lo aveva portato: Cloud era ormai stabilmente ospite della stanza di Tifa, nel nuovo, enorme letto matrimoniale che avevano comprato per l’occasione. Dormire insieme ogni notte non gli dispiaceva per niente; le difficoltà nel costruire un rapporto con Marlene, tuttavia, gli guastavano la serenità di quell’ambiente familiare.

“Famigliare…?” pensò atterrito, fissando sconvolto Tifa che tornava in cucina col vassoio in bilico su una mano sola.

«Si è mangiata tutto! Ma non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto! Assurdo, vero?» domandò lei, mentre toglieva i piatti e le tazze vuote dal tavolo. Cloud si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri.

«Eh? Come, scusa?»

«Lascia stare. Non devi andare?»

Lui annuì e si alzò, dirigendosi verso l’uscita posteriore. Lei lo raggiunse in fretta e lo abbracciò.

«Ho deciso: quando starà meglio, chiuderò il bar, tu ti prenderai un giorno libero, e faremo una scampagnata insieme!» propose.

«Si, mi piacerebbe.» rispose lui, mentre montava in sella.

«Potresti montare di nuovo il sidecar a Fenrir, così portiamo anche Marlene!»

«... certo.» 

«Perfetto allora! E vedrai, andrà sempre meglio con lei.» trillò la ragazza. Lui si sentì rincuorato dalle sue parole. Ricambiò l’abbraccio, che fu seguito da un bacio.

«Tiiiiifaaaa…»

La ragazza sbuffò leggermente, poi salutò Cloud e lo seguì con lo sguardo mentre la moto rombava fuori dallo spiazzo. 

Marlene la aspettava con la schiena appoggiata ai cuscini e le braccia incrociate. La sua espressione voleva essere minacciosa, ma risultava comunque adorabile.

«Tifa, perché dai i baci a Cloud? Lui è cattivo!» disse subito, appena Tifa si fu seduta ai piedi del letto.

Tifa trasalì.

«Ma Cloud non è cattivo! È un bravo ragazzo.»

«Papà dice che i SOLDIER sono cattivi, perché lavorano per la Shinra!»

«Lavoravano, semmai. Ma Cloud ha combattuto contro la Shinra, insieme a me, tuo padre e tanti altri.»

La bambina si bloccò a metà di un’ennesima replica e distolse lo sguardo, confusa.

«Perché ce l’hai con Cloud?» chiese dolcemente Tifa.

«... non è che ce l’ho con Cloud, lui mi fa paura!» capitolò Marlene, nascondendo il viso tra i cuscini. La ragazza si avvicinò, spostando il cuscino in modo da poterla guardare negli occhi.

«Marlene, Cloud non è una persona cattiva e non dovrebbe farti paura. Come mai succede?»

«... ha una spada grande, poi la sua moto fa tanto rumore. È sempre serio e ha gli occhi strani.»

“Una descrizione perfetta…” pensò, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso.

«Quello è perché è stato un SOLDIER…»

«Ma allora… è stato un cattivo! Forse è ancora cattivo!» esclamò la bimba.

«Cloud ci ha salvati tutti quanti. Non è cattivo, te lo assicuro. E guarda che ti vuole bene.»

«... ma non mi dice mai niente. Mi guarda e mi fa paura.»

Tifa prese Marlene e la strinse a sé.

«Vedrai, diventerete grandi amici. In realtà è molto simpatico.»

«... sei sicura?»

«Ma si! Fidati di me.»

“Simpaticissimo… a volte.”

 

***

 

«Pronto?»

«Ciao biondo! Come va la paternità surrogata?» gridò a squarciagola Cid, all’altro capo del telefono.

«... va.»

«Male? Dai, cazzo, fammi fare qualche risata! Ti ha già chiamato papà?»

«Non mi chiama nemmeno per nome… non mi parla proprio.»

«Hai provato a sorridere?»

«Non ci riesco.»

«E quale sarebbe la novità?»

«Mi hai chiamato solo per sfottere o ti serve qualcosa?» domandò spazientito Cloud.

«Come sei scontroso! Non ti toccano nemmeno i pannolini, porca puttana! Io sarei contento al posto tuo.»

«E come faccio ad essere contento?? Non riesco a parlarci, non mi dice nulla, ormai gira tutto intorno a lei, mi sembra di essere tornato a quando Meteor era piccolo!» ribatté il ragazzo, esasperato.

«Esagerato! Non paragonare Marlene a quel piccolo pezzo di merda piumato!» lo sgridò il pilota. Cloud allontanò il telefono dall’orecchio.

«Comunque sia, io non avrei mai accettato. Perché ce la siamo dovuta sobbarcare noi?? Io non li voglio, i bambini!»

«Nemmeno io, anche se Shera mi sta togliendo la pelle. “Non siamo più così giovani, dovremmo proprio fare un bambino, sarà bellissimo, blah blah blah”... mi ci vedi, a essere padre?»

«Veramente no.» ammise subito Cloud.

«Esatto! Nemmeno io, cazzo! Non sono adatto! Dovrei smettere di fumare! Dire meno parolacce! Smettere di bere!! Passare le notti a cullare il mostriciattolo invece che a sistemare la nave oppure a tr…»

«Si ok. Ho capito. Smettere di bere è meglio comunque. Io ho smesso dopo l’ultima volta.»

«Cosa!? Te la sei presa??» domandò basito il pilota.

«No, ho capito che bere non fa per me.»

«Volevamo farti uno scherzo, invece abbiamo creato una merdina astemia… io mi pento!» gridò Cid, con tono melodrammatico.

«Come no.» rispose Cloud, alzando gli occhi al cielo.

«Credici! Nessuno mi crede, cazzo, nemmeno Shera! Io capisco che parla di figliare perché mi vuole bene, ma non penso che un figlio sia la conseguenza inevitabile di una storia seria! Mi sento in trappola così!»

«... quindi se la donna non vuole figli, la storia non è seria?» gemette Cloud.

«Cloud, che cazzo!! Ho appena detto il contrario! Poi Tifa è fatta a modo suo…»

«Che intendi?» domandò il ragazzo, con una punta di ansia.

«Forse ha davvero accettato di badare a Marlene solo per gentilezza e perché le vuole bene. Alla fine non poteva permettere che Barret la trascinasse in giro a fare i buchi nel fango. Non è una bella vita per una bambina.»

«... immagino di no.»

«Certo, le è toccato convivere con te, quindi è nella merda lo stesso!»

Cloud attese che Cid smettesse di ridere sguaiatamente, poi disse:

«... io vorrei parlarle, ma sembra che lei abbia paura di me. Non riesco ad avere un contatto.»

«Insisti.»

« E come? E se la spaventassi ancora di più?»

«È una bambina! A quell’età ragionano quasi come gli animali … corrompila.»

«Devo darle dei soldi?» fece il ragazzo, confuso.

«Ma che cazzo stai dicendo?? È troppo piccola per i soldi! Usa, che cazzo ne so… cibo. O giocattoli. O qualcosa che le piace fare!» esclamò il pilota, esasperato.

«...ci penserò» mormorò Cloud.

«E non sbattere troppo la testa su questa cosa! Si aggiusterà! Ci vuole solo tempo… e intanto, grazie al cielo, c’è quella santa di Tifa ad occuparsi di tutta la baracca!» 

«Mh…»

«Dai, ti lascio. Shera ha bisogno di me.»

«Quale delle due?»

«Ha ha ha, mi stai diventando simpatico? Prova a usare questo umorismo con la bambina.»

«Come no.»

«Vai, non preoccuparti! Ci risentiamo.»

Cloud riuscì per un attimo a sentire una voce femminile, all’altro capo del telefono, che accusava Cid di nullafacenza, prima che lui attaccasse.

“Ah, quella Shera.” pensò, chiudendo il telefono a sua volta.

 

***

 

Qualche giorno dopo…

 

Cloud aprì un occhio, svegliato dalla luce che filtrava dalla finestra. Era ancora presto per alzarsi, quindi si girò verso Tifa, ancora incredulo di poter dormire accanto a lei tutte le sere. Le accarezzò dolcemente i capelli con il dorso della mano, salvo fare un salto dalla paura quando lei fu improvvisamente scossa da violenti colpi di tosse. Le appoggiò una mano sulla spalla, trovandola insolitamente calda, mentre l’accesso non accennava a scemare.

«Tutto bene?» le chiese, con una nota di preoccupazione nella voce.

«Si…» rispose Tifa, appena riuscì a riprendere fiato, «... è solo un pochino di tosse, non preoccuparti.»

Ricominciò immediatamente a tossire. 

«Non è che… stai poco bene?» osò domandare il ragazzo, sempre più preoccupato.

Tifa cercò di gesticolare una risposta mentre cercava di calmarsi. Riuscì a comunicare che voleva dell’acqua, così Cloud si precipitò in cucina. Tornando al piano di sopra si imbatté in Marlene, che era uscita sul pianerottolo attirata dal rumore. I due si guardarono con gli occhi sgranati per qualche momento, poi Tifa riprese a tossire rompendo il silenzio.

«Tifa… sta male?» chiese la bambina, con un filo di voce.

«... si.» bisbigliò Cloud, atterrito. Poi corse nella sua stanza brandendo il bicchiere colmo di acqua.

«Non sto male, è solo un po’ di tosse!» ribatté la ragazza, dopo aver tracannato il bicchiere. Trasalì, quando sentì la mano di Cloud sulla fronte.

«Hai la febbre.» decretò il ragazzo.

«No no! Mi è andato qualcosa per traverso, sto benissimo…» rispose Tifa, cercando di alzarsi dal letto. Cloud riuscì a prenderla prima che cadesse a faccia avanti.

«... Cloud, perché… la camera gira?» chiese lei, debolmente, mentre il ragazzo la rimetteva sdraiata e le rimboccava le coperte.

«Sento… dell’umido… non è che…»

«No, ti è solo caduto il bicchiere.»

«Ah si. Lo sapevo. Che ti credi!»

Marlene, che stava spiando la situazione dall’uscio, entrò nella stanza e si avvicinò al letto, chiedendo:

«Tifa, ma stai male? Ti sei ammalata anche tu?»

«Ma no, vedrai che… Marlene, ma hai una gemella?» chiese Tifa, indicando un punto alla destra della bambina.

«Io vado a chiamare il dottore.» disse risoluto Cloud, alzandosi immediatamente, facendo sobbalzare Marlene.

«Ma no, Cloudo, non serve…» protestò debolmente la ragazza. Marlene le si rannicchiò vicino, osservandola preoccupata.

«Proprio oggi che mi sento meglio e voglio tornare a scuola!» disse, con vocina affranta.

«Ci tornerai a scuola… ti porterà Cloud, vedrai.»

La bambina sgranò gli occhi a quel nome.

«Ma…»

«Niente ma! Ne abbiamo parlato!» disse categorica Tifa, guardando seria una per una tutte le bambine che vedeva.

«Ma io devo stare con te, per curarti!» provò a ribattere la piccola.

«Il dottore arriverà e mi dirà cosa devo fare per stare meglio, non preoccuparti! Poi sarà solo un’influenza, una cosa normale.» la rassicurò, mentre le accarezzava i capelli.

Marlene rimase pensierosa al suo fianco fino al ritorno di Cloud.

«Il dottor Homu sta arrivando…» 

«Devi portare Marlene a scuola!» disse Tifa.

«... spero ti dica cosa devi-aspetta, cosa?» esclamò il ragazzo.

«Io sto male! Devi pensarci tu.»

«Ma…»

«Basta coi ma, tutti e due!! Andate a prepararvi!» esclamò la ragazza, iniziando a tossire subito dopo. Cloud e Marlene corsero fuori dalla stanza.

La bambina si lanciò in camera sua, chiudendo la porta e lasciando il ragazzo sul pianerottolo, confuso. Tornò sui propri passi.

“L’abitudine…”

«Che ci fai di nuovo qui??» chiese subito Tifa. Lui rimase interdetto per qualche istante, poi ribattè:

«... i miei vestiti sono qui adesso. Non puoi cacciarmi da camera mia.» 

Lei ammutolì, prima di arrossire leggermente.

«... è… ok, sbrigati! Dovrai anche prepararle la colazione!»

«E cosa faccio? Non so fare i pancakes!» obiettò Cloud, mentre rovistava in un cassetto.

«Anche latte e biscotti, o cereali, o quello che vuole va bene! Su, questa è un’emergenza, non farmi alzare.» esclamò Tifa.

Il ragazzo sospirò, poi con la coda dell’occhio notò che lei lo stava fissando.

«Su, cambiati.» lo esortò lei.

«Non voglio disturbarti, pensavo di andare a vestirmi in bagno…»

«Nemmeno per idea, biondo.»

 

***

 

«Questo?»

Marlene lo guardò e scosse la testa, sconsolata.

«Questo allora?»

«... quello è per pulire.»

“Maledizione, c’è da mangiare in questa cucina??” pensò disperato.

«Questo! Questo si mangia!»

«È farina. Si usa per fare altre cose, tipo i pancakes!» rispose la bambina, puntigliosa.

“Forse lavoro troppo.” si disse il ragazzo, continuando le ricerche in quel luogo così poco familiare.

«Lì c’è del pane.» disse la bambina, indicando una busta di pane in cassetta.

«Ok, si, un panino. Ti va un panino?»

«... un toast, con la marmellata.»

«Giusto, ok.» rispose Cloud, sollevato di aver finalmente individuato qualcosa che sapeva fare.

“Marmellata… dove cazzo sei, stupida marmellata?”

Spostando barattoli su barattoli, si spinse fino nei meandri della credenza; tirò fuori l’ennesima confezione, rimanendo bloccato a fissarla.

“Erba Ghisal Premium”

«... Cloud?» chiese Marlene, vedendolo impietrito.

“Meteor…”

“Cloud! Meteor ha di nuovo mangiato le tue scarpe!!”

“Sta solo affilando il becco, succede quando perdono i denti.”

“Contento tu!! Dovrai ricomprarle!”

“Kueeeeh!” (madre, mi dolgo della perdita delle vostre calzature ma sono stato colto da un impellente bisogno di distruzione.)

«Cloud??»

“Per me sta diventando troppo grande! Guardalo, non passa per la porta!”

“Ma si che passa… bisogna solo che… trovi l’incastro giusto…”

“... non passa, vero?”

“Si che passa!! Ora lo spingo e vedrai che passa! Su, Meteor!! Non fare il pigro!”

“KUEEEH!!” (Madre! Mi state palpeggiando il posteriore!!)

«Cloud??» insistette Marlene, alzando la voce.

“È cresciuto troppo!”

“Stando sempre insieme a lui non me n’ero accorto...”

“Cloud, lo stai usando come divano!”

“Perché lui è sul divano! Ed è più comodo dei cuscini. Vuoi salire?”

“Cloud, devi ammettere che…”

“Kuiiih!” (Mi manca d’un tratto l’appoggio sotto la pancia! Temo si sia danneggiato il trespolo.)

“... lo ha spezzato. Ha rotto il maledetto divano!!!”

«Cloud, ho fame! Faremo tardi.»

Il ragazzo si scosse all’improvviso, rimettendo a posto il barattolo e trovando finalmente una marmellata alla frutta. Si mise ad armeggiare ai fornelli per scaldare il pane, mentre Marlene lo guardava preoccupata, seduta sul bancone e dondolando le gambe.

«Da bere… latte. C’è del latte, va bene?»

«Però caldo.»

Il ragazzo soffocò un sospiro e mise anche un pentolino sul fuoco; poi si dedicò alla macchina del caffé.

«... tu cosa mangi?» gli domandò Marlene, esitante.

«Adesso niente. Tifa di solito mi prepara…»

Stavolta Cloud sospirò a fondo, mettendo altre fette a scaldarsi sul fuoco.

«Toast anche per me.» annunciò a denti stretti, spalmando una generosa dose di burro sul pane scaldato.

«Che cos’è quello?» chiese incerta la bambina.

«Burro. I toast con la marmellata hanno il burro sotto. Sono più buoni.»

«Ma… a me non piace il burro.» disse Marlene.

“Era quasi meglio quando non mi parlava.” pensò Cloud. Raccolse tutta la poca pazienza di cui disponeva e disse:

«... è buono sul toast. Lo hai mai mangiato?»

«No.»

“Allora come fai a sapere che non ti piace, piccola…”  pensò il ragazzo, con una punta di impazienza.

«Perché non lo assaggi allora?» propose, rassegnandosi mentalmente a prendere altro pane e sforzandosi di mantenere la calma. Marlene prese con due dita la fetta di pane e lo guardò dubbiosa, mentre lui con due grossi morsi finiva il suo toast.

Diede un microscopico morso a sua volta, poi il visetto le si illuminò e mangiò voracemente.

«Me ne prepari un altro?» chiese, con la bocca ancora piena.

“Forse Cid non sbagliava…” pensò il ragazzo, sorridendo appena. La bambina si placò solo dopo il terzo toast, innaffiando il tutto con abbondante latte.

«Ne prepariamo uno anche per Tifa?» chiese, preoccupata.

«Non so se lo vorrebbe… proviamo.»

«Se lei non lo vuole, posso mangiarlo io?»

«... ok.» rispose Cloud, guardando preoccupato quel piccolo pozzo senza fondo. Una volta pronti, salirono insieme le scale; o meglio, Marlene scattò precipitandosi nella stanza, mentre il ragazzo cercava di mantenere in equilibrio un vassoio con toast e un bicchiere di latte.

Quando arrivò vide che Tifa stava pettinando la bambina, seduta con la schiena appoggiata ai cuscini, e aveva una faccia veramente affaticata.

«Ti abbiamo portato la colazione!» annunciò Marlene, entusiasta.

«I toast con il burro sopra sono buonissimi.» aggiunse, porgendole il piatto.

«... grazie, ma non penso di riuscire a mangiare.» rispose Tifa con un filo di voce, prima di ricominciare a tossire.

«Allora lo mangio io!» disse subito Marlene, agguantando il toast e divorandolo.

Tifa sorrise. Aspettò che la bimba finisse, poi si alzò e la prese per mano. Cloud fece per dire qualcosa, ma lei lo anticipò.

«La aiuto a finire di prepararsi.» disse, in risposta al suo sguardo contrariato.

«Si, tu sei un maschio. Non puoi aiutarmi.» aggiunse Marlene, piccata.

Il ragazzo arrossì, ma annuì in fretta e lasciò la camera borbottando un “aspetto di sotto”.

“Esagerato.” pensò Tifa, scuotendo la testa. 

 

***

 

Molti minuti più tardi, Cloud e Marlene sfrecciavano per strada a bordo di Fenrir. La bambina ci aveva messo talmente tanto a prepararsi, che Cloud aveva avuto il tempo di rimontare il sidecar che usava per portare in giro Meteor.

Marlene aveva opposto una strenua resistenza ad utilizzare la moto, ma si era arresa quando Cloud le aveva proposto di indossare gli ex-occhialoni di Meteor. Tifa li aveva osservati dalla finestra, imbacuccata nella coperta, ed era tornata a sdraiarsi nel momento in cui erano finalmente partiti. 

Raggiunsero la scuola con qualche minuto di ritardo, ma Cloud notò che c’era ancora una gran folla di genitori con i loro figli al seguito. Rincuorato, parcheggiò ed aiutò Marlene a scendere.

«Al ritorno vai ancora più veloce, per favore?» gli chiese lei, che saltellava su e giù dall’euforia.

«Pensavo che non ti piacesse andare in moto…» disse Cloud, confuso.

«Si ma era prima di provarla… come il burro.»

“Non… sto creando un mostro, vero?” si domandò, preoccupato. 

«Io vado, ciao!» disse Marlene, saltellando verso la scuola. Cloud le corse dietro, dopo un attimo di indecisione, ricordando le parole di Tifa.

“Dai, non è difficile: devi solo portarla a scuola e assicurarti che entri dentro!”

La bambina si fermò quasi subito a salutare un ragazzino che conosceva, tra le moltissime persone che vociavano.

«Oggi niente scuola!» gridò lui, fuori di sé dalla gioia, agitando la mano che non stringeva quella della madre. A Cloud si gelò il sangue nelle vene.

«Perché?» gli chiese Marlene, delusa.

«Non lo so! Ma niente scuola! Posso stare a casa a fare i biscotti con mia mamma!» gridò a squarciagola il piccolo.

«Ma che succede?» domandò Cloud, sperando di aver sentito male.

«Gilbert, stai buono!! Stiamo cercando di capir… oh, salve!» esclamò la madre del bambino, cambiando improvvisamente tono, una volta visto Cloud. Quest’ultimo arrossì violentemente, riuscendo solo a balbettare un:

«Che-che succede?»

«Sembra che ci sia un nido di ratti mannari sotto la scuola, bestiacce malefiche! Se è vero, i piccoli dovranno stare a casa oggi. Quant’è carina la sua bambina…»

Cloud notò con la coda dell’occhio che intorno a loro si era radunato un piccolo capannello; mentre Marlene e il bambino continuavano a parlottare, sempre più mamme lo fissavano incredule.

«Perché… questa è la sua bambina, vero?» insistette la donna.

«Ehm… no. È di un mio amico, me ne sto… occupando. Lui è fuori città…»

«Oh, quanta generosità!» trillò la donna.

«Mi arrapa la generosità…» mormorò una delle altre donne, che stava spogliando con gli occhi Cloud.

«Anche a me… quasi quanto quei bicipiti… è la menopausa o all’improvviso fa caldo?» le bisbigliò all’orecchio un’altra.

«Marlene… dov’è Tifa?» le chiese Gilbert; anche lui osservava curioso il ragazzo accanto a lei.

«È malata…» rispose la bambina, intristendosi.

«Tifa? Ah, ora ricordo! Sei la figlia di Barret Wallace.» esclamò la donna. 

«Si. Papà è in giro a cercare delle cose e io sto qui con Tifa. E Cloud.» rispose Marlene.

La madre di Gilbert sorrise.

«Che bello vedere simili petti-atti… di altruismo.» commentò con aria sognante. Cloud si sentiva sempre più a disagio, percependo sempre più sguardi su di lui; improvvisamente gli venne in mente un’idea per andarsene da lì.

«Ok, se il problema sono i ratti ci penso io. Marlene, tu stai qui, vado a prendere la spada.»

Dal capannello di mamme si levò qualche sospiro ammirato.

«Potrei svenire…» sussurrò la madre del bambino, mentre osservava Cloud aprire il vano delle spade di Fenrir.

«Che fico!» esclamò Gilbert, guardando il biondo con adorazione. «Il tuo amico è fortissimo!»

Marlene fissò Cloud dubbiosa e borbottò:

«Anche il mio papà è fortissimo.» 

Il ragazzo intanto aveva preso la Buster Sword e si stava dirigendo spedito verso l’ingresso della scuola, tra due ali di folla e commenti che la presenza dei bambini riuscì solo parzialmente a censurare.

I cancelli della scuola erano presidiati da due uomini con addosso ingombranti tute e caschi. L’arrivo di Cloud li sorprese, ma lo fermarono immediatamente, dicendogli:

«Non può entrare!»

«Dicono che ci sono dei ratti. Posso occuparmene io.» ribattè Cloud, indicando la sua spada.

«Oh! Arrivi tardi, mister tuttofare: ormai abbiamo usato del gas velenoso, non ti conviene entrare.» rispose l’uomo, mentre si toglieva il casco.

«A meno che tu non voglia morire come un ratto.» aggiunse l’altro, accendendosi una sigaretta.

«O voi SOLDIER siete immuni al veleno?» domandò interessato l’addetto, che aveva notato il bagliore mako degli occhi arrabbiati del ragazzo.

Cloud bofonchiò un “no” e fece dietrofront.

«La scuola è chiusa fino a domani! Andatevene!» gridò il primo, usando la sigaretta dell’altro per accendere la sua.

La folla si disperse, lanciando delle ultime occhiate all’edificio e a Cloud, con sentimenti molto diversi. 

Il ragazzo tornò sui suoi passi, esteriormente calmo ma in realtà in preda al panico più totale, trovando Marlene ad aspettarlo già seduta nel sidecar con gli occhialoni.

“E adesso? Che faccio?”

Guardò sconsolato il gruppo di genitori portare via i bambini festanti. Non prese nemmeno in considerazione l’idea di affidare Marlene a qualcuno di loro, dato che non conosceva nessuno. Inoltre, le madri gli erano sembrate molto più interessate a portarsi a casa lui, che Marlene.

Si avvicinò alla moto. La bambina lo guardò, in attesa.

«Stavolta vai più veloce? Lo hai promesso!»

«Non ho promesso nulla.» replicò lui.

Un’espressione imbronciata apparve sul viso di Marlene.

«Daaai! Per favore!»

Non aveva altra scelta se non portarla con sé durante il suo giro di consegne. L’avrebbe riportata a casa poco dopo l’orario di uscita e Tifa non si sarebbe accorta di niente. Gli squillò il telefono.

«Cloud Strife? Sono il dottor Homu, mi avevi chiamato per visitare la tua fidanzata.»

«Eh? Ah si, certo! Come sta?»

«Ha una bella influenza da manuale, ma sopravviverà. Le ho lasciato delle medicine. Prenditene cura, mi raccomando!»

«Si grazie, lo farò.»

Attaccò e saltò in sella; aveva scelto la soluzione giusta. Marlene iniziò a battere le manine dall’eccitazione.

«Dove andiamo?» chiese.

«Andiamo a fare delle consegne. Tifa sta troppo male per andare a disturbarla.»

«Mi dispiace! Poverina. Non dovremmo farle compagnia?»

«Devo lavorare.» tagliò corto Cloud.

La bambina lo guardò contrariata, ma non disse nulla.

“Certo che vorrei farle compagnia!!” pensò il ragazzo, sentendosi in colpa; accese il motore e partì di gran carriera, strappando un piccolo urlo di gioia a Marlene.

 

***

 

Fenrir sfrecciava tra le brulle colline intorno a Edge, mentre l’eco del motore rimbombava nei crepacci e nelle gole; era l’ultima consegna della mattinata, quella col tragitto più lungo. Marlene era al settimo cielo e anche Cloud iniziava a rilassarsi: aveva fatto tutte le consegne senza problemi, e la bambina si era comportata in maniera esemplare. Iniziava a capire perché Tifa e Barret la definissero un angelo.

Con la coda dell’occhio colse un movimento su un crinale, più lontano: una belva si era lanciata al loro inseguimento. Il suo urlo risuonò nella valle e in pochi secondi altre belve si unirono alla caccia. Cloud sbuffò, ma non riuscì a trattenere un sorriso.

“Non ne avete mai abbastanza… beh, un bell’allenam-merda!” pensò, girandosi a guardare Marlene. Non sembrava aver visto le belve, concentrata com’era a guardare avanti e a girare un manubrio invisibile, come se fosse lei a guidare Fenrir.

“Devo seminarle.” si disse, accelerando. Marlene urlò di gioia, chinandosi ancor di più in avanti, fissando la strada e inclinandosi ad ogni curva.

Cloud lanciava solo brevi occhiate furtive dietro di sé, attento a non farsi notare dalla bambina. Le belve erano ormai scese dalle colline e non mollavano, ma stavano lentamente perdendo terreno. All’improvviso, Marlene attirò la sua attenzione:

«Cloud!!» 

Il ragazzo fece un brevissimo cenno, tornando subito a concentrarsi sulla strada.

«E le belve?? Non le uccidiamo??» strillò la bambina. Il ragazzo sgranò gli occhi.

“Che cazz-come se n’è accorta??”

«È pericoloso!!» urlò, incredulo.

«Papà le uccide sempre!!» rispose Marlene, imbronciata.

«Io no!!»

«Uffaaaaa!!»

“Ma che… bambini! Per questo non ne voglio!!” pensò, continuando a dare gas.

Le creature, nel frattempo, sembravano aver abbandonato l’inseguimento. Cloud guardò rincuorato le loro sagome rimpicciolirsi sempre di più, mentre Fenrir continuava a sfrecciare rombando lungo la strada.

“Quindi per Barret è normale uccidere belve mentre porta in giro sua figlia…”

Il pensiero lo rilassò.

“Forse però... l’ha affidata a noi proprio per evitare che succedessero cose simili.”

Rabbrividì.

“Spero che non lo scopra.”

Continuarono a seguire la strada ancora per parecchi minuti, prima di arrivare ad una piccola fattoria circondata da un artigianale ma pesante recinto spinato. Il cancello era semiaperto: Cloud lo spinse senza troppe cerimonie con la ruota anteriore di Fenrir e condusse la moto all’interno.

«Lo racconterò a papà! Non sei coraggioso, scappi dalle belve.» gli disse Marlene, quando finalmente si fermarono vicini ad un piccolo casolare.

«L’ho fatto solo perché c’eri tu! Di solito le uccido anche io!» provò a giustificarsi il ragazzo, mentre scendeva.

«... non so se crederti. Sei scappato, prima.»

Cloud sbuffò; era ferito nell’orgoglio ma cercò di non darlo a vedere.

«Rimani ferma lì. Lascio questo e andiamo via.»

«Uuuuh, al ritorno possiamo uccidere le belve?»

«No!» esclamò lui.

I due fattori lo accolsero in modo burbero, prendendo il pacco e consegnandogli il compenso; poi la donna notò Marlene, ancora seduta nel sidecar.

«Oooh ma che bella bambina!» esclamò, avvicinandosi alla moto.

«Ecco fatto, ora impazzirà per almeno mezz’ora.» borbottò l’uomo, scuotendo la testa.

“Col cavolo, io devo andarmene.” pensò Cloud, seguendola. 

«Come ti chiami, tesoro?»

«Mi… chiamo Marlene.»

«Che bel nome! E che bei capelli ner…»

La donna si girò a guardare Cloud di sottecchi, sospettosa.

«Che c’è?» chiese lui, passandole accanto per salire nuovamente in sella.

«Non ti somiglia per niente questa bambina…» commentò lei.

«Fatti gli affari tuoi.» disse Cloud con voce tagliente.

«Lui è un amico del mio papà, anche se non è coraggioso come lui. Vivo con lui e con Tifa, che è molto più simpatica.» rispose Marlene.

«Ci credo…» borbottò la donna, guardando malissimo Cloud mentre faceva manovra e sgasava senza motivo.

“Vecchia gallina. Non mi farà una buona pubblicità, per fortuna vive quaggiù...”

Partirono a tutta velocità, con Cloud che non vedeva l’ora di tornare a casa per diminuire il senso di ansia che gli stava causando l’essere in giro con Marlene al seguito. Prese una strada diversa dall’andata, sperando di non incontrare altri mostri.

La bambina tornò al suo gioco preferito, ovvero guidare Fenrir inclinandosi ad ogni curva, con la chioma che si agitava nel vento.

“Almeno la riporterò a casa sana e salva.” pensò Cloud, per consolarsi degli scarsi progressi fatti con lei. Guardò Marlene, con gli occhialoni di Meteor addosso, e pensò a tutte le volte che aveva portato in giro il pulcino in quello stesso sidecar.

La tristezza gli fece venire un nodo alla gola che cercò in tutti i modi di ricacciare indietro. Tuttavia, la nostalgia gli fece venire in mente un’idea. Sterzò, strappando un urletto sorpreso a Marlene, e aumentò la velocità.

«Dove andiamo??» gridò la bambina.

«Andiamo a trovare Meteor!» rispose lui.

 

***

 

Tifa dormicchiava, cercando di stiracchiarsi per scacciare i dolori alle ossa che le provocava l’influenza. Il cellulare sul comodino iniziò a squillare, strappandola definitivamente al sonno.

«... pronto?» sussurrò, appena riuscì ad agguantare il telefono.

«Ciao Tifa!!» ruggì una voce gioviale.

«... che c’è, Barret?» mugugnò lei.

«Come sta il mio angioletto?»

«... sta meglio, è guarita ed è tornata a scuola. Ma prima me l’ha passata.» rispose lei, mentre cercava una posizione più confortevole.

«Cosa?»

«Mi ha attaccato l’influenza. Sono a letto.» gli spiegò Tifa, prima di tossire rumorosamente.

«Siete cagionevoli in quella casa!!»

«... lasciamo perdere. Come va la ricerca?»

«Ancora niente, a breve cambieremo zona. Aspetta… se sei a letto… non dirmi che ci ha pensato il biondo!!»

«No, ho dato a Marlene le chiavi della moto. Certo che ci ha pensato lui!»

«E ti fidi?» disse cinico Barret.

«Si!» rispose Tifa, ostentando una sicurezza che non aveva fino in fondo.

«Beh, io no!» esclamò l’uomo all’altro capo del telefono. «Come ti è saltato in mente di lasciarlo da solo con mia figlia? A malapena lui sa badare a se stesso!»

«Non c’era scelta. E poi magari in questo modo avranno legato un po’.»

“Spero…” aggiunse silenziosamente.

«Mh… ora che il pennuto è andato via, dici che gli serve una nuova distrazione?» 

«Dai, Barret! Sai che gli è dispiaciuto.»

«Dispiaciuto o no, è stato pazzo anche solo a pensare di prenderlo! Tenerlo per così tanto tempo poi… ancora peggio.»

«Non poteva sapere che sarebbe cresciuto così tanto da un giorno all’altro!»

«Siete matti tutti e due, lui con le sue fisse e tu che lo assecondi.» borbottò Barret.

«E non credevo che si sarebbe affezionato così tanto!» continuò la ragazza. «È morto dentro a doverlo dare via.»

«Il biondo dispiaciuto per una cosa del genere? Non ci credo!»

«Tu non c’eri! È stata una scena straziante.»

«Ha incurvato leggermente gli angoli della bocca? Ha inarcato le sopracciglia? Ha respirato rumorosamente? Non avrei sopportato una simile visione.» la prese in giro l’omone.

Tifa alzò gli occhi al cielo: i giramenti di testa la fecero pentire un istante dopo.

«Fidati, l’ha presa veramente male, è stato triste per settimane.»

“E credo di averlo sentito piangere un paio di volte”

«Sarà… spero che non si faccia strane idee di rimpiazzarlo con mia figlia! La rivoglio sana e salva quando tornerò… e non la tingete di giallo!»

«Tranquillo! Ora ti prego, lasciami riposare.» gemette Tifa.

Barret la salutò e lei si buttò di nuovo con sollievo tra le coperte. La serenità durò solo un attimo, durante il quale fissò lo schermo spento del cellulare. Poi lo riaccese e cercò la nuvoletta nella sua rubrica. 

 

***

 

«Wooow!! Ma quanti ce ne sono?» chiese Marlene, cercando di contare col dito i chocobo che gli sfilavano accanto, rinunciando quasi subito.

«Li allevano, ne hanno molti.»

«Come faremo a riconoscere Meteor?»

«Io lo so riconoscere, tranquilla.» la rassicurò Cloud.

Parcheggiò la moto vicino ad un fienile. Un uomo sulla sessantina in tenuta da mandriano gli venne incontro.

«Cloud! Non mi aspettavo di vederti oggi! Avevi detto che saresti passato la prossima settimana!»

«C’è stato un… cambio di programma.» rispose il ragazzo, mentre aiutava Marlene a scendere.

L’uomo guardò sorpreso la bambina.

«E questa qui? Non mi avevi detto di avere figli!» esclamò.

Il ragazzo arrossì, ma si affrettò a spiegare.

«Infatti non è mia figlia!! È figlia di un mio amico, si chiama Marlene.»

«Ciao! Dov’è Meteor?» chiese la bambina, guardandosi intorno.

«Conosce Meteor?» chiese il mandriano, stupito.

«Si, giocavano insieme.»

«Che mi venga un colpo… è proprio una bestia strana. È nel solito recinto, ma ormai avrà sentito che sei qui, non mi sorprenderebbe che ti incontrasse a metà strada. Ormai te la ricordi la strada, vero?» ridacchiò l’uomo, consegnandogli un sacchetto.

Cloud annuì. Fece cenno a Marlene di seguirlo e si avviò verso la zona dei recinti lungo un sentiero sterrato. Superarono alcuni grossi cancelli in legno. Un paio di mandriani in sella a dei chocobo li oltrepassarono, rallentando giusto il tempo di lanciargli qualche occhiata incuriosita.

«Manca tanto?» gli chiese Marlene, che saltellava per l’eccitazione.

«No, guarda: eccolo.» rispose Cloud, indicando un gruppo di chocobo al di là di uno steccato. La bambina corse a sporgersi tra le assi, ma si ritrasse in un attimo, delusa.

«Quale??»

«Lui. Guarda, il terzo da destra.»

«Ma mi sembrano tutti uguali!» si lamentò lei.

«Vedrai che ora arriverà lui da noi. Tu per ora aspetta qui.» rispose Cloud, aprendo un piccolo cancello ed entrando nel recinto. Marlene lo guardò fare qualche passo verso gli animali, poi uno dei chocobo alzò la testa e si precipitò verso di loro, starnazzando.

«KUIIIIIIIIH KUEEEEEEEH!!» (Madre!!)

«Ciao Met…» 

Il chocobo si lanciò addosso al ragazzo, atterrandolo e iniziando a strofinare la testa su di lui. Marlene si lasciò sfuggire un urletto spaventato, portandosi le mani alla bocca.

«Meteor, ti ho detto che non si fa!» protestò Cloud, senza troppa convinzione, mentre l’animale gli si sedeva in grembo, incurante delle lamentele.

«Ma… quello è Meteor?» squittì la bambina, guardando il grosso chocobo che mordicchiava felice i capelli di Cloud.

«Si! Crescono in fretta… scendi subito! Meteor!!»

Finalmente l’animale si alzò, pur continuando a passare il becco tra i capelli del ragazzo. Quest’ultimo fece segno a Marlene di avvicinarsi.

«Vieni pure. Di sicuro si ricorda di te.»

La bambina scivolò all’interno del recinto ma rimase con la schiena attaccata alle assi di legno, guardando preoccupata l’enorme chocobo, che ricambiava il suo sguardo inclinando la testa.

All’improvviso balzò in avanti verso di lei, starnazzando felice. Marlene si coprì il viso con le braccia e urlò.

«Meteor!! Fai piano!!» gridò Cloud, rialzandosi e rincorrendolo. Non riuscì a raggiungerlo, ma l’animale si fermò comunque prima di travolgere la bambina. Si sedette comicamente vicinissimo a lei e la fissò con il becco semiaperto.

«Kuueeee?» (Vi siete per caso rimpicciolita, pulcina dal piumaggio scuro?)

Marlene abbassò un pochino le braccia, guardando l’enorme testa di Meteor; non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere.

«Sei buffo, Metty!!» esclamò, abbracciandolo.

«Mi hai fatto prendere un colpo!» lo sgridò Cloud, dando uno scappellotto al chocobo. Meteor abbassò la testa con sguardo triste.

«Kueeh…» (Madre, mi pento e mi dolgo di avervi provocato spavento.)

«Sembra che non abbia ancora capito che è diventato troppo grande per certe cose.» commentò Cloud, mentre si avvicinava a Marlene. «Tutto bene?» le chiese, preoccupato.

«Si!» rispose allegra la bambina, mentre accarezzava Meteor sotto il becco.

Il ragazzo tirò un forte sospiro di sollievo; gli altri chocobo li guardavano incuriositi, ma per fortuna nel recinto non c’erano pulcini malefici. Cloud decise comunque di condurre Meteor fuori, seguito da Marlene.

Tirò fuori il sacchetto: al rumore della carta il chocobo si animò e iniziò a saltellare, sfiorandogli le braccia col becco.

«Stai buono!! Calma! Se no non ti do niente!»

Meteor si sedette immediatamente con un tonfo.

«Cos’è?» chiese Marlene; Cloud rispose:

«È erba ghisal. Ai chocobo piace.» 

«Posso assaggiarla?»

«Ma no! Però… vuoi dargliela tu?»

Il visetto della bambina si illuminò e fece convulsamente di sì con la testa. 

“... corrompila con qualcosa che le piace…”

Cedette il sacchetto a Marlene e guardò, da molto vicino, mentre lei passava piccole manciate di erba ghisal a Meteor, che le ingoiava tutto felice.

«Kueeeeh!» (pulcina bruna, siate più lesta o potreste affamarmi!!)

La bambina si lasciava sfuggire una risata ogni volta che il chocobo faceva sparire il ciuffo d’erba in un sol boccone. 

«Ma… perché Metty non vive più con voi?» domandò all’improvviso Marlene, mentre prendeva un altro ciuffo di erba ghisal dal sacchetto.

Cloud sospirò. Era una domanda che gli faceva ancora male, a distanza di tempo.

«Era… troppo grande per vivere in una casa. I chocobo rimangono piccoli per qualche mese, poi nel giro di poco tempo crescono moltissimo. Non passava più per le porte.»

La bambina rise per un attimo, poi vide l’espressione sul volto del ragazzo e rimase in silenzio.

«Qui può correre… e stare con gli altri chocobo.» aggiunse Cloud.

«E puoi venire a trovarlo.» disse Marlene, con tono gentile.

«... si, è vero.» ammise il ragazzo. Parlarne, anche se solo ad una bambina, lo aveva fatto sentire meglio. Meteor si avvicinò e strusciò la testa tra i suoi capelli, giocando con i ciuffi.

«Tifa mi ha detto che quando era piccolo era cattivissimo. Mordeva tutti.»

«È proprio vero.» confermò Cloud. 

«E come hai fatto a farlo smettere?»

“Ha deciso lui di smettere, dopo che è quasi morto mangiato da una belva, in un torneo clandestino in arena, e io sono quasi morto per salvarlo…”

«... l’ho addestrato, con tanta pazienza. E ora non morde più nessuno.» 

“A parte Cid. Cid lo odia e basta.”

«Kueeeh?» (Madre, ricordo una versione assai diversa dei fatti.)

Marlene lo guardò ammirata; l’erba ghisal era ormai finita, con grande disappunto di Meteor. A Cloud venne in mente un’idea.

«Potremmo fare una cavalcata, se vuoi.» disse alla bambina.

«Kueeeh!!» (Oh sì madre, galoppiamo liberi tra i verdi pascoli!)

«Oh si!! Possiamo? Davvero? Ma va veloce?» chiese Marlene, gli occhi che le brillavano.

«Va molto veloce! Non quanto Fenrir… ma ha vinto anche delle corse, quando era più piccolo.» confermò il ragazzo. La bambina aveva ricominciato a saltellare dall’eccitazione, con Meteor che la imitava, facendo tremare leggermente il terreno.

“... o così mi hanno riferito. Hanno cercato di ucciderci per rubarci la vincita. Poi lo abbiamo anche perso perché eravamo ubriachi… forse questa storia non devo raccontarla.”

Cloud cercò uno dei mandriani per farsi portare la sella e le briglie. Una volta bardato di tutto punto, il chocobo si mise sull’attenti, in attesa del suo cavaliere.

“E ora?” pensò il ragazzo, guardando esitante Marlene che cercava di arrampicarsi su Meteor.

«Dobbiamo andare insieme.» le disse, «... non puoi salire da sola.»

Marlene alzò le spalle e sbuffò un “va bene”. Cloud si rese conto in quel momento che avrebbe dovuto sollevarla per metterla su Meteor, ma aveva paura di farlo; il chocobo lo tolse dall’imbarazzo, sedendosi e permettendo alla bambina di salire. 

«Wooow!!» esclamò lei, quando l’animale si rialzò, facendola ondeggiare.

Cloud tirò un sospiro di sollievo e montò in sella dietro la bambina, non prima di aver dato una pacca sulla spalla del chocobo.

“Grazie.”

«Reggiti, Marlene.» disse Cloud, mentre dava un leggero colpetto con le redini. La bambina ebbe appena il tempo di afferrare il pomello della sella, prima che Meteor partisse al galoppo di gran carriera.

Percorsero in un attimo il sentiero che li separava dal recinto da cui erano venuti e andarono oltre, col vento che fischiava nelle orecchie e le urla di Marlene ad ogni svolta della strada. 

“L’addestramento sta dando i suoi frutti…” pensò soddisfatto Cloud, notando che Meteor ondeggiava molto meno dell’ultima volta. Lo condusse attraverso i campi coltivati, lungo stradine strette all’ombra di grandi alberi, saltando piccoli ruscelli e cercando di evitare i rami più bassi, che Meteor schivava facilmente ma che lo avrebbero colpito in pieno petto se si fosse distratto. Cloud non poteva vedere Marlene, ma le esclamazioni e le grida di gioia della bambina erano ben udibili. Sorrise e si godette il resto della passeggiata.

 

***

 

«Pronto?» 

«Finalmente mi rispondi! È la terza volta che provo a chiamarti!»

«Scusa Tifa… ero impegnato. Come stai?»

«Come se mi avessero calpestata. Ma meglio di stamattina, quelle medicine funzionano.»

Cloud sorrise, rincuorato.

«Bene… sono contento.»

In quel momento Marlene si fece sfuggire un urlo indignato: Meteor le aveva scompigliato i capelli soffiando all’improvviso.

«Cloud… era Marlene quella?» chiese Tifa, con voce tesa.

«Ehm… che intendi?» chiese il ragazzo, cercando di svicolare.

“Maledizione!! Le avevo chiesto di fare silenzio!”

«Dovrebbe essere a scuola!! Che è successo??» domandò la ragazza, allarmata.

«Era chiusa! C’erano i ratti, non sapevo cosa fare, ho dovuto portarla con me!» rispose Cloud, sperando di non averla fatta grossa. Il silenzio dall’altro capo del telefono non faceva che aumentare la sua ansia.

«Ah… e perché non me l’hai detto subito??» domandò Tifa.

«Come…? Io... non volevo… farti preoccupare.» rispose di getto il ragazzo. La udì sbuffare rumorosamente.

«E infatti adesso non mi sto preoccupando, vero?» disse sarcastica Tifa.

Cloud sospirò.

«Scusa. È andato tutto bene però, stavo per riportarla a casa.»

«Dove siete adesso?»

«... alla Chocobo Farm.»

«... davvero?»

«Si. Ho finito le consegne!! Non stavo…»

«È un’ottima idea! Dovremmo fare più gite insieme, tutti e tre!»

Il cervello di Cloud, che si aspettava una sfuriata violentissima, sembrava essersi inceppato.

“Cosa… cosa… cosa…”

«Puoi passarmi Marlene?» gli chiese Tifa.

Lui passò meccanicamente il telefono alla bambina, che lo guardò perplessa.

«È Tifa.» 

Lei sorrise e prese il cellulare, iniziando a raccontare entusiasta tutto quello che era successo in quella giornata.

Il ragazzo ne approfittò per levare i finimenti a Meteor, che lo guardava triste. Cloud gli diede una carezza sul becco e gli disse:

«Su, non fare così! Sto più qui che a casa in pratica.» 

«Kueeh…» (Madre, ammetto che le verdi distese siano piacevoli, ma il vostro affetto mi manca.)

L’animale iniziò a becchettare la maglia di Cloud, come se stesse cercando qualcosa, mentre Marlene era ancora intenta a raccontare tutto per filo e per segno.

«... e poi siamo andati fortissimo in moto! C’erano dei mostri cattivi che ci inseguivano, ma Cloud è stato pauroso ed è scappato!»

«Ahia, no Meteor! Non ho altro da mangiare, smettila!» esclamò il ragazzo, spingendo via la testa del chocobo.

«... e poi sono salita su Meteor!! Anche lui va veloce, ma non come la moto! Però, lui può saltare i fiumi!»

“Spero che Tifa non la prenda alla lettera…” pensò Cloud, mentre si dirigevano alla moto. Meteor teneva la testa bassa, ulteriormente rattristato dalla mancanza di snack. Marlene restituì il telefono al ragazzo:

«Vuole parlarti.»

Cloud prese il cellulare come se fosse un tizzone ardente e se lo mise all’orecchio, in attesa di una sfuriata.

«Cloud?»

«Ah-ha…?»

«... sei stato bravo. Te la sei cavata bene.»

“Quanti antidolorifici avrà preso??”

«D-davvero?»

«Sì! Hai ragione: non avevi scelta, ma la prossima volta avvisami, ok?»

«... ok.»

«E, senti, dato che state tornando, potresti fermarti al mercato a comprare alcune cose? Oggi avrei dovuto fare…»

Un tonfo e un terribile stridio interruppero la conversazione: Cloud si voltò di scatto verso Fenrir e vide con orrore che Meteor aveva tentato di sedersi sul suo vecchio sidecar, che si era accartocciato sotto il suo peso, staccandosi dalla moto.

«Kueeeh!!» (Madre, avete forse ristretto il mio trespolo da viaggio??)

Marlene fortunatamente non si era ancora seduta, e guardava alternativamente Cloud e Meteor, trattenendo a stento le risate.

«Cloud? Cosa è successo?» gridò il mandriano, correndo verso di loro.

«Cloud? Cosa è successo?» chiese contemporaneamente Tifa.

«... Meteor ha distrutto il sidecar.» rispose il ragazzo, con voce atona.

«Come?? E come ha fatto?»

«Si è seduto. Ti richiamo dopo. Mandami la lista della spesa.» 

Cloud chiuse la chiamata e andò a liberare il chocobo, che aveva una zampa incastrata tra i resti del sidecar. L’anziano chocobiere gli diede una mano, mentre Marlene li osservava preoccupata.

«Non gli fate male!»

«Tranquilla, piccola… non è la prima volta che si incastra da qualche parte.» sghignazzò il mandriano.

Riuscirono a liberare la zampa dell’animale, ma il sidecar era ridotto ad un rottame inutilizzabile.

«Spero che non vi servisse per tornare indietro…» disse l’uomo, mortificato.

Cloud sospirò. Avrebbe dovuto trasportare Marlene sulla sella insieme a lui; era abituato a portare Tifa, ma non sapeva come avrebbe reagito la bambina. Con sua grande sorpresa, lei si arrampicò sulla moto e si rimise gli occhialoni senza lamentarsi.

Meteor li salutò strusciando dolcemente il muso sulle loro teste, guardandoli triste.  

«Ciao Metty!» trillò la bambina, anche se aveva gli occhi lucidi.

Cloud ricacciò stoicamente indietro il nodo alla gola che lo coglieva ogni volta che si separava dal chocobo, mise in moto e partì. Meteor li seguì, affiancando la moto fino a che non oltrepassarono l’ingresso principale, poi si fermò e tornò indietro, lanciando un ultimo “Kueeeeh”.  

 

***

 

Si fermarono soltanto una volta arrivati nel distretto commerciale di Edge; Cloud aveva scelto un percorso lungo, sicuro e fortunatamente privo di belve, per non farsi nuovamente bacchettare da una bambina per averla tenuta al sicuro.

Le lamentele arrivarono comunque, una volta che Marlene fu scesa dalla moto.

«Sei andato più piano!»

«Dovevo… il sidecar si era rotto.» mentì Cloud.

«Serviva per andare veloce?» chiese la bambina, stupita.

«Si, esattamente.» continuò a mentire il ragazzo, cercando disperatamente di non arrossire.

Per fortuna Marlene lasciò perdere subito, attirata dalle vetrine.

«Non ti allontanare!» esclamò Cloud, vedendola che avanzava verso un negozio di giocattoli. Sistemò rapidamente la moto e la raggiunse, prendendole d’istinto la mano.

“Cosa…”

Marlene lo guardò per un attimo, sorpresa, ma non disse nulla e camminò di fianco a lui. Lui cercò di ricomporsi e la condusse verso il mercato in cui lui e Tifa andavano a fare la spesa. Dovunque andassero erano seguiti da sguardi curiosi.

«Perché ci guardano?» gli domandò d’un tratto Marlene.

«Non lo so, non l’ho mai capito.» rispose Cloud, anche se notava benissimo i numerosi sguardi femminili che si soffermavano su di lui.

«Cosa dobbiamo comprare?»

«Tifa mi ha mandato la lista. Faremo in fretta.»

«Possiamo prendere anche un gelato prima di tornare indietro?»

«Ehm… non lo so, penso di si?»

«Ho tanta fame…»

Cloud si rese conto in quel momento che, a parte il piccolo panino che aveva con sé, Marlene non aveva mangiato niente dalla colazione. 

“Poteva dirmelo prima…” pensò esasperato.

«Allora ci sbrighiamo, così ti prendo il gelato e torniamo da Tifa.»

Marlene battè le mani, tutta contenta. Cominciarono a comprare le cose che Tifa aveva richiesto, tra le quali una cospicua scorta di alcolici che stavano per finire. Marlene voleva aiutarlo a tutti costi, correndo per gli scaffali ogni volta che lui leggeva un nome sulla lista, alla ricerca dell’articolo corrispondente; ogni volta che usciva dal suo campo visivo, Cloud aveva un attacco di panico che terminava solo quando la poteva vedere di nuovo. Voleva soltanto finire le commissioni più in fretta possibile e tornare a casa. Spuntate tutte le voci della lista, i due tornarono soddisfatti verso la moto.

Cloud legò la spesa dietro la sella di Fenrir, usando le corde che di solito usava per i pacchi delle consegne; quando si girò, Marlene era sparita.

Dopo un attimo di smarrimento, il ragazzo andò nel panico. Aprì il vano spade, prese la Buster e si guardò intorno: non c’erano molte persone, di Marlene nessuna traccia. Corse di nuovo verso il mercato, continuando a cercarla disperatamente con lo sguardo.

“No no no no!!”

“Mi sono distratto solo un secondo! Dov’è finita?”

Continuava a guardarsi intorno, mentre i passanti gli lanciavano occhiate confuse, scandagliando ogni bancarella, ogni negozio, ma non c’era traccia di Marlene.

Rientrò nel negozio in cui avevano fatto la spesa, correndo all’impazzata in ogni corsia e ignorando gli sguardi di disapprovazione dai commessi; la bambina non era lì. Uscì di corsa e si sentì schiacciato dalla folla che gli passava intorno, bloccandogli la visuale.

“Devo ritrovarla!!”

Corse di nuovo verso la moto, facendosi largo tra la gente. Mise in moto e fece un velocissimo giro intorno alla zona del mercato, sperando di vederla. Dieci minuti più tardi, Cloud spense la moto e si prese la testa tra le mani. 

“Ho perso la mia bambina!”

 

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Buonasera, ecco qui il capitolo finale! Spero che vi piaccia e che in generale vi sia piaciuta tutta la storia.
Per l'ultima volta, buona lettura ;) .

Epilogo

«Oh mio dio! Tutto bene?»

«Sembra che sia svenuto… alziamogli le gambe!»

«Ma quanto pesano??»

«Falso magro… me lo porterei a casa lo stesso.»

Il capannello di persone si allargò; un altro uomo si unì al primo volenteroso che stava sorreggendo le gambe del ragazzo steso a terra.

«Ma che gli è successo?»

«L’ho visto che scendeva dalla moto… poi ha iniziato ad ansimare come se avesse corso la maratona ed è crollato.» commentò un anziano. 

«Aveva una faccia… sembrava davvero sconvolto!»

«Secondo me potrebbe essere un drogato! Dobbiamo chiamare la polizia!» proruppe una signora.

Finalmente, Cloud riaprì gli occhi; cercò di alzarsi di scatto, ma varie mani lo bloccarono.

«Vacci piano, ragazzo.» lo ammonì uno degli uomini. Cloud non lo ascoltò e si rimise in piedi, guardandosi intorno in cerca della moto. Non riusciva a capire cosa fosse successo.

«Mi… hanno aggredito?» mormorò, disorientato.

«No, sei caduto da solo come un sacco vuoto.» rispose uno dei passanti.

Improvvisamente tutti gli eventi della giornata gli tornarono in mente.

«Marlene!!» gridò, saltando in sella e partendo di gran carriera.

Gli astanti lo guardarono, confusi, poi ognuno di loro tornò a farsi gli affari propri. Cloud sfrecciò tra i quartieri di Edge senza una meta precisa, cercando disperatamente di individuare la piccola figura in abito rosa in mezzo al marasma della città.

“Ogni momento che passa si allontana di più… dov’è finita?!? Non posso perderla, non posso!!”

“L’avranno rapita? Qualcuno che vuole farmela pagare… ma non mi hanno chiesto un riscatto, non mi hanno contattato… forse vogliono ucciderla e basta!!”

“Non ho guardato nei tombini, forse dovrei tornare al mercato e scendere nelle fogne…”

“Con che faccia tornerò a casa senza di lei?? Tifa e Barret mi uccideranno… Tifa mi lascerà!!”

“Dovrei chiedere aiuto? Ma a chi… andare alla polizia forse? Lo sapevo che non ero pronto a fare il genitore!!!”

Continuò le ricerche per qualche tempo, guardando in continuazione il sole che iniziava a scendere sull’orizzonte, terrorizzato che il suo telefono potesse squillare.

Quando squillò, rischiò di finire fuori strada; inchiodò, spaventando alcuni passanti, e tirò fuori il cellulare, rispondendo senza neanche vedere chi fosse.

«Chi è??»

«Puoi chiamarmi “il tuo salvatore”, oppure “mio eroe”, ma di solito mi conosci come Andrea Rhodea.»

«Andrea, non ho tempo per le tue cazzate!!» berciò Cloud, evitando per un pelo di stritolare il telefono dalla rabbia.

«Hai tutto il tempo che vuoi invece… mi risulta che tu abbia perso una certa… Medine?»

«MARLENE!! Cosa sai?!» gridò il ragazzo, attirando dei commenti infastiditi dalla gente che passava.

«So che è molto sveglia, per la sua età. E che si accompagnava a un certo biondo, sbadato ma molto sexy…» 

«Piantala!! È una cosa seria!! Non so dov’è, potrebbe essere morta!! Se sai qualcosa, dimmelo, o lasciami stare!»

Dall’altra parte del telefono, una vocina rispose:

«Cloud? Sei tu? Sto bene, sono al… al… come si chiama? È difficile!»

«Honeybee Inn, my dear

«Devi cambiare nome, è troppo complicato!»

«Marlene!!! Stai bene! Come è… arrivo! Non ti muovere più di lì!! Arrivo! Non farla muovere da lì!!»

«Sarò certamente più bravo di te in questo…» commentò l’entertainer.

“Non lo posso ammazzare subito… ma lo farò. Dopo.” pensò Cloud, mentre attaccava e ripartiva a tutto gas. 

Pedoni, auto e moto gli cedevano il passo, allontanandosi in fretta dalla traiettoria di Fenrir e lanciandogli qualche insulto, mentre sfrecciava a velocità allarmante per le vie della città.

Arrivò all’Honeybee Inn in tempo record, parcheggiò sgommando senza badare troppo ai segni lasciati dagli pneumatici o a quanti posti occupava. Saltò giù da Fenrir con un balzo e si precipitò all’interno, ignorando i clienti in fila e il saluto entusiasta del buttafuori.

Attraversò di corsa la hall, rischiando di travolgere un’apetta insieme al suo cliente.

«Ciao Cloudy!» salutò la ragazza, una volta ripresasi dallo spavento.

«Dov’è Andrea??» chiese subito Cloud, ignorando il saluto.

«Ti aspetta di sopra, nella sua stanza.»

«Ok… grazie!»

La ragazza ridacchiò, mentre Cloud scattava su per le scale e attraverso il pacchiano corridoio. Arrivò alla stanza di Andrea e spalancò la porta: l’entertainer era intento in un can can con tre apette e con Marlene, vestita con un piccolo costume da ape e con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Appena lo vide, gridò:

«Cloud!!» 

«MARLENE!!»

I due si corsero incontro e si abbracciarono. 

“Non morirò single con una pallottola in mezzo agli occhi!”

«Riesco a sentire le mie ovaie che si rompono…» sussurrò una delle ragazze.

«Le ho sentite anche io, contieniti.» bisbigliò Andrea.

«Ma è legale?»

Le altre due apette ridacchiarono, mentre osservavano la scena.

«Ciao anche a te, Cloud! Non c’è di che, Cloud!!» disse Andrea, alzando leggermente la voce per attirare l’attenzione del biondo.

«Ciao Cloud!» trillarono le tre apette, trasognate. Cloud li ignorò tutti e quattro e chiese a Marlene:

«Come hai fatto ad arrivare qui?? Dov’eri finita??»

«... quando mi lasci te lo racconto!» rispose la piccola.

Cloud trasalì.

“Oddio, mi ha abbracciato, la sto abbracciando!” 

«Si, scusa. Dimmi che è successo!!» disse, lasciandola andare.

Andrea si fece avanti e iniziò a declamare:

«È una storia incredibile, e naturalmente ho avuto un ruolo fondamentale! Tutto ha avuto inizio quando…»

«Non l’ho chiesto a te!» lo interruppe seccamente Cloud.

 

***

 

Qualche ora prima.

 

Spuntate tutte le voci della lista, i due tornarono soddisfatti verso la moto. Cloud portava la spesa in una grossa scatola, mentre Marlene lo seguiva, pregustando il gelato promesso.

Da un vicolo, non visto dal ragazzo, improvvisamente spuntò un piccolo gattino bianco, che si guardò intorno e iniziò a leccarsi una zampa.

“Ooooh che carino!!” pensò la bambina, avvicinandosi pian piano e tendendo una mano. Il felino la guardò per un momento con gli occhi sgranati, poi si rifugiò nel vicolo.

“Nooo! Torna qui!!” 

Marlene seguì il gattino, addentrandosi tra i due edifici, decisa a non farselo scappare. Si era nascosto sotto ad uno scatolone di cartone: cercò di sollevarlo con attenzione, ma il micio scappò di nuovo, velocissimo. Continuò a inseguirlo, svoltando un angolo e stando attenta a non calpestare alcuni sacchetti di rifiuti; il gattino raggiunse un cassonetto e ci si infilò sotto, sparendo in un lampo. La bambina cercò di seguirlo, ma non c’era abbastanza spazio per strisciare. Fece il giro e notò che nella parete del vicolo c’era un foro, grande abbastanza per farla passare; incuriosita, si fece coraggio ed entrò nell’apertura. Un coro di miagolii la accolse. La bambina rimase a bocca aperta: si trovava all’interno di un giardino, che a giudicare dalla flora incolta che lo popolava, doveva essere abbandonato. Decine e decine di gatti di ogni taglia e colore correvano per il prato, o si stiracchiavano sull’erba, mentre altri dormivano raggomitolati nei vasi vuoti. 

“Ooooh!! Ma quanti sono!!”

Marlene non credeva ai propri occhi: si avvicinò a uno dei gattini, sdraiato a poca distanza da lei. Il micetto si dimostrò molto amichevole, miagolando e alzandosi per strusciarsi sulle sue gambe. Altri si avvicinarono, curiosi, reclamando attenzioni e carezze; persino il gattino bianco si fece finalmente coccolare.

“Come vorrei avere qualcosa da mangiare per loro!” pensò, anche se sembravano tutti ben pasciuti. Accarezzò tutte le piccole teste pelose che riuscì a vedere; i micetti sembravano gradire le coccole, continuando a strusciarsi sulla bambina, facendo le fusa.

«Vorrei tanto portarvi tutti a casa con me!» disse la bambina, con una nota di rammarico nella voce.

“Magari posso provare a chiedere a Tifa e Cloud…”

«Cloud!!» esclamò di botto, facendo sussultare i gatti; alcuni di loro soffiarono perfino. Corse fuori dal giardino, ripercorrendo il vicolo fino a tornare sulla strada, ma di Cloud non c’era traccia.

Si guardò intorno, spaesata. Non c’era nemmeno la moto.

“È… andato via senza di me?”

Provò a fare qualche passo, ma non sapeva decidere in che direzione andare. Intorno a lei, persone sconosciute le passavano accanto con indifferenza, o al massimo osservandola brevemente prima di proseguire.

Le venne da piangere; si sedette con la schiena appoggiata alla parete di un edificio e nascose la testa tra le braccia.

“Voglio tornare da Tifa! Voglio tornare al Seventh Heaven!”

“Voglio il mio papà!”

Iniziò a singhiozzare. Riuscì a smettere solo dopo qualche minuto; sconsolata, alzò gli occhi pieni di lacrime. Le persone che camminavano per la strada sembravano tutte uguali. In lontananza, qualcosa di giallo si faceva largo tra la folla e i veicoli.

Si asciugò gli occhi e guardò meglio: era un chocobo, che trainava una delle diligenze che giravano per Edge.

“... Cloud e Tifa le usano, per tornare a casa…”

Senza pensarci, si alzò e corse verso la strada. Poco lontano riconobbe una fermata, ma ebbe paura del capannello di passeggeri che attendevano. Guardò il veicolo arrivare e fermarsi, lasciando scendere delle persone e facendone salire altre. Non riuscì a intrufolarsi all’interno prima che chiudessero le porte e la diligenza ripartì; all’ultimo momento notò, sul retro del veicolo, una ringhiera e un piccolo spazio dove avrebbe potuto appoggiare i piedi. Con una corsa e un salto riuscì ad aggrapparsi, mentre la diligenza acquistava velocità. Sorrise soddisfatta; ora avrebbe dovuto solo aspettare l’arrivo della fermata del Seventh Heaven.

Passarono svariati minuti e un paio di altre soste; le mani cominciavano a farle male e doveva abbassarsi spesso, per evitare di essere vista. Non riconosceva gli edifici intorno a lei, ma cercò di avere pazienza.

“Ma quanto ci mette?” pensò sospirando. Rimanere aggrappati alla ringhiera si stava rivelando più faticoso e meno divertente di quanto pensasse.

D’improvviso intorno a lei l’ambiente cambiò: c’erano molte più luci, ma colorate di rosso e di giallo. Anche le persone erano diverse e molte non avevano una bella faccia, sebbene molte di loro sembrassero allegre e ridessero sguaiatamente; si fece piccola piccola, cercando di non farsi notare. La diligenza si fermò, ma stavolta i passeggeri scesero tutti e nessuno salì. Marlene cercava di capire cosa stesse succedendo, quando un uomo con un cappello a falda larga, camminando intorno alla diligenza, arrivò fino a lei.

Entrambi rimasero interdetti per un attimo, poi la bambina saltò giù e corse via, senza nemmeno sapere dove si trovasse.

«Hey bambina! Aspetta!!» gridò l’uomo, ma Marlene non si voltò nemmeno, continuando a correre.

“Dove sono?? Come farò a tornare a casa?? Non dovevo prendere la diligenza!” pensò con un nodo alla gola, mentre attorno a lei le luci e le piccole stradine si susseguivano una uguale all’altra.

Si fermò in mezzo alla strada, senza fiato per la corsa; lì vicino c’era un capannello di persone con bicchieri e bottiglie in mano. Alcuni si erano girati a guardarla con sguardi stupiti.

«Ho bevuto troppo…? O quella è una bambina?»

«È la prima volta che vedo una ragazzina in questo quartiere.»

Marlene ricominciò a correre.

«Aspetta! Sei una allucinazione? Sei una nana?!» continuò a strillare l’uomo, sollevando il bicchiere e agitandolo a caso, tra le risate degli altri presenti.

“Se papà fosse qui li picchierebbe!”

Prese una stradina laterale e sbucò dopo pochissimo su un’altra strada, più illuminata e meno frequentata. Non sapeva più cosa fare, aveva un nodo alla gola e tanta fame. Iniziò a singhiozzare disperata, appoggiandosi ad un muro.

Ignorò dei passi che si avvicinavano, finché una voce che le sembrò familiare disse:

«Marlene? Cosa ci fai qui??»

La bambina alzò lo sguardo, impaurita. Il volto che la fissava sembrava gentile, anche se preoccupato. 

“Ha detto il mio nome… ma non mi ricordo chi è.”

Jules la guardava, in attesa di una sua reazione.

«Sei qui con Cloud e Tifa? Loro dove sono? provò a domandare.

Marlene cercò per un attimo le parole per rispondere, ma poi scoppiò in un pianto dirotto. Il culturista si avvicinò, porgendole una mano.

«... ho capito, non sei qui con Cloud e Tifa. Vieni con me, li chiameremo e gli diremo che sei qui. Ok?» 

La bambina smise di piangere, tirò su col naso e balbettò:

«Tu-tu… hai il n-numero di… di T-t-tifa?»

«Certo, anche quello di Cloud. Sono sicuro che ti stanno cercando, ma è difficile trovare qualcuno se non sai dov’è! Non preoccuparti, per cena sarai a casa.» disse Jules.

Marlene prese la mano dell’uomo, tremando leggermente. Lui le rivolse un sorriso a cui lei rispose con una smorfia.

«Ma… tu chi-chi sei?»

«Sono Jules. Non ti ricordi di me? Ci siamo visti al matrimonio del mio amico Jay, a Wutai.»

La bambina lo guardò meglio, socchiudendo gli occhi.

«Mi ricordo il matrimonio… ma non mi ricordo bene di te.» rispose infine.

«C’era anche mio fratello Andrea. Lui ha celebrato le nozze.»

«Quell’uomo matto vestito con le piume? Di lui mi ricordo.»

«Proprio lui. Stiamo andando al suo locale, adesso. È qui vicino. Io non posso aspettare Cloud e Tifa insieme a te, ma lui può.»

L’uomo fu di parola: in breve tempo arrivarono davanti a un edificio adornato da così tante luminarie da illuminare a giorno lo spazio circostante, sebbene fosse ormai il crepuscolo. 

«Eccoci qua.»

«Ho… hooooni… come si legge? È difficile!»

«Honeybee Inn.»

Arrivarono alla porta, che era guardata a vista da un omone vestito di nero. Una lunga fila di persone si snodava lungo il marciapiede.

«Salve Res, c’è mio fratello?» disse Jules, salutandolo.

«E dove altro vuoi che sia a quest’ora… devo farlo chiamare?»

«Si, per favore. Abbiamo una piccola da riportare a casa.»

Il buttafuori annuì ed entrò nel locale. Dopo qualche minuto, Andrea Rhodea uscì, spostando teatralmente le tende di velluto rosso. Le persone in fila lanciarono grida di gioia per l’apparizione a sorpresa del loro beniamino.

«Fratello… benvenuto. Di cosa si trat-Marlene?? Che ci fa qui?» esclamò l’entertaner, ignorando i suoi ammiratori.

«Tu sei quello matto vestito di piume!» esclamò la bambina, battendo le mani.

Andrea e Jules ridacchiarono. Il buttafuori cercò di trattenersi, ma gli scappò un grugnito.

«Presto, aggiornate il titolo della mia autobiografia. “Il matto e le piume”, sarà un bestseller.» disse l’entertainer.

«Io lo comprerei!» esclamò una delle donne in fila, mentre scattava delle foto ad Andrea con il cellulare.

«Ne avrebbe ben donde. Dunque, che succede? Come mai Marlene è qui senza i suoi accompagnatori?»

Jules sospirò.

«Si è persa. Chiameresti Tifa, così la tranquillizziamo?»

«E non potevi pensarci tu?» gli chiese Andrea, inarcando un sopracciglio.

«Non sei l’unico che lavora, devo occuparmi della palestra! E non volevo trascinarla in mezzo agli energumeni che frequentano la sala pesi.»

«Devo sempre fare tutto io… e va bene. Vieni Marlene, ti faremo compagnia finché non verranno a prenderti.»

La bambina guardò dubbiosa Jules, che le fece un cenno di incoraggiamento; prese la mano che Andrea le tendeva e varcò la soglia dell’Honeybee Inn.

«Bene… chiamiamo subito Cloud.» disse Andrea, prendendo il telefonino. 

«... non Tifa?»

«My dear… suppongo che tu fossi in giro con Cloud. Tifa non ti avrebbe mai perso di vista.»

Marlene sgranò gli occhi e annuì piano, mentre guardava ammirata tutte le decorazioni e i tappeti lussuosi del locale.

«... e conoscendo il nostro amico Cloud, sarà preoccupatissimo per te in questo momento.»

“Oltre che disperato e a un passo dal suicidio.”

«Preoccupato per me?» chiese la bambina. Andrea annuì, mentre si portava il cellulare all’orecchio.

«Certo. Ha un cuore, sotto quella spada… vediamo un po’, sta squillando…»

Dopo pochi secondi la voce di Cloud urlò qualcosa.

«Puoi chiamarmi “il tuo salvatore”, oppure “mio eroe”, ma di solito mi conosci come Andrea Rhodea.» rispose l’entertainer, facendo l’occhiolino a Marlene.

 

***

 

«Dovrò ringraziare Jules, appena tornerò in palestra…» affermò Cloud, mentre aspettava pazientemente che Marlene si togliesse il costume da ape.

«Come?? E io allora?» ribatté Andrea, sorseggiando un drink.

«Il signor Andrea mi ha fatto divertire! Insieme alle apette!» esclamò Marlene da dietro il paravento dove si stava cambiando.

«Oh, che tesoro. Tranquilla, my dear, sono abituato all’ingratitudine del signor Strife.» la rassicurò l’entertainer. 

«E io alla teatralità fuori luogo del signor Rhodea.» replicò il ragazzo, impassibile. 

«Ma cosa stai bevendo??»

«Un Virgin Canyon. Non bevo più da quando mi avete quasi ucciso.»

«Oh, e sarei io quello teatrale!»

«E comunque devo anche guidare.»

Marlene finalmente uscì da dietro il separé, rivestita. Rivolse un grande sorriso alle ragazze, che l’avevano aiutata a cambiarsi, e disse:

«Sapete, voglio fare anche io l’apetta quando sarò grande!»

Le ballerine ridacchiarono, compiaciute; Cloud sbiancò, e anche Andrea sembrava a disagio.

«Hai anche un nome da apetta…» mormorò l’entertainer, lisciandosi il pizzetto.

«Voglio ballare anche io! Ma su un palco vero, non solo in una stanza.» aggiunse la bambina, improvvisando due goffi passi di danza. Cloud tornò a respirare.

«Ma che dolce che è!» mormorò una delle apette.

«Ci farcirei i cornetti la mattina.» le fece eco un’altra.

«Cloud… se tu fossi un’apetta, come ti chiameresti?»  domandò d’un tratto la bambina, guardando curiosa il ragazzo, che tornò paonazzo in un secondo.

«Secondo me Cloudine…» mormorò una delle apette. Un’altra le fece eco:

«Secondo me Cloudette…» 

«Secondo me siete matti! Non potrebbe mai essere un’apetta. Sarebbe uno dei miei fuchi!» esclamò Andrea, mettendogli un braccio intorno alle spalle.

«Non mi interessa.» replicò il ragazzo, infastidito.

«Ma sai che potresti venire a lavorare qui in qualsiasi momento!» disse allegro l’entertainer.

«Si, ti faremmo un corso accelerato!»

«Ti faremmo tante cose…»

«Come mai sei così rosso?» chiese Marlene, indicando Cloud con un dito.

«Ehm… fa caldo qui.» rispose il ragazzo, scivolando via dalla presa di Andrea.

«Conoscendo tuo padre, non penso che sarebbe molto d’accordo. Ma diventando grande potrai diventare tutto quello che vorrai!» disse l’entertainer, accarezzando la testa della bambina.

«Signor Rhodea, posso chiederle una cosa?»

«Chiamami pure Andrea, my dear. E chiedi pure, le mie umili conoscenze sono a tua disposizione.»

Cloud alzò gli occhi al cielo.

«Come nascono i bambini?»

Stavolta tutti gli adulti presenti piombarono in un silenzio imbarazzato.

«Ehm… che domanda strana… perché lo chiedi a me?» domandò Andrea, cercando di non diventare paonazzo come il biondo vicino a lui.

«Perché il mio papà mi ha detto che c’entrano le api e i fiori, ma non ho capito bene. Visto che ha un locale con le api, pensavo che magari lo sapesse.»

«Mi offro volontaria per mostrarle come si fa, insieme a Cloud!» si offrì una delle apette, sorridendo maliziosa. Cloud sarebbe arrossito ancora, se fosse stato possibile.

“Barret… che cazzo! Dovevi usare proprio le api e i fiori?”

Andrea la gelò con un’occhiataccia, poi si schiarì la voce e disse:

«Veramente i bambini si trovano sotto i cavoli! Li portano le cicogne, questo lo sanno tutti. Si sarà confuso con il miele, forse dovresti chiederglielo di nuovo, quando tornerà.»

La bambina annuì pensierosa. La tensione scese e Cloud tornò man mano al suo solito pallore.

«Credo che per voi due sia il momento di tornare a casa… Tifa vi starà aspettando.» disse l’entertainer. Cloud sgranò gli occhi.

“TIFA!!”

«Si in effetti dobbiamo proprio andare, si è fatto tardi. Anzi, ora le scrivo che stiamo tornando, mentre andiamo alla moto.»

«Ma… e il gelato? Io ho tanta fame!» protestò Marlene.

«Tieni, prendi un love shot intanto.» disse Andrea, passandole un familiare bicchierino di cioccolata. Zittì le proteste di Cloud con un cenno della mano, dicendo:

«È come piace a te… virgin. Mica siamo animali!»

«Colpa vostra.» borbottò il ragazzo.

«Veramente, signor Rhodea, se siete api siete insetti e gli insetti sono animali!» disse Marlene, prima di bere.

«Ah ha ha, hai proprio ragione, my dear…» esclamò Andrea, aggiungendo poi in un sibilo, «... odio i bambini.»

Cloud scrisse un veloce messaggio a Tifa, intanto che Marlene finiva il love shot. Poi prese per mano la bambina e la condusse verso l’uscita.

«Vorrei tanto che qualcuno mi tenesse per mano così…» mormorò una delle ragazze.

«L’ho sempre detto che tu hai problemi con la figura paterna.» commentò Andrea.

 

***

 

Raggiunsero una gelateria a tempo di record; Cloud era desideroso di tornare a casa il più in fretta possibile. La risposta di Tifa al suo messaggino gli era sembrata un po’ troppo sbrigativa.

“Ok. Che cavolo significa “ok”?? È sicuramente arrabbiata, che sappia già tutto? Sono praticamente morto… morto e single.”

«Ho tanta famissima!!» esclamò Marlene, saltando giù dalla moto e atterrando sul piede di Cloud.

“Ahia.”

«Si, scusa.» disse Cloud, spegnendo la moto e scendendo a sua volta. Entrarono nella gelateria e si sedettero ad un tavolo; Marlene cominciò a guardare il menù dei gusti, mentre saltellava sul suo sgabello. Cloud vide che ai primi posti nella lista c’era un discutibile gelato azzurro, al gusto “Mako”. Un altro, bianco con striature verdi, era al gusto “Lifestream”. Quando lesse il gusto “Etere”, di un bel viola acceso, si convinse di essere entrato nella gelateria sbagliata. Sbuffò, contrariato. Un cameriere si avvicinò per prendere l’ordinazione.

«Siete pronti per ordinare?»

Marlene sollevò lo sguardo dal menù e domandò a Cloud.

«Cosa posso prendere?»

«Ehm… non lo so.» fece lui, spiazzato. «Prendi quello che vuoi.»

«Tutto quello che voglio?» chiese lei, illuminandosi. Il cameriere scosse lentamente la testa.

«... si.» ribadì Cloud. 

Pochi minuti dopo, due monumentali coppe, stracolme di gelato e di sfere di cioccolato colorate arrivarono al loro tavolo.

«Si mangia!!» esclamò Marlene, agguantando il cucchiaio.

«Piano, se no ti viene mal di testa!» la ammonì il ragazzo, stupendosi subito dopo di quanto detto.

“... cosa sto diventando??”

Scosse la testa e si concentrò sulla sua coppa di gelato: alla fine si era convinto a prendere una coppa di Mako e Lifestream. Doveva sapere.

Contro ogni previsione, il gelato era fantastico. Marlene ordinò anche un frullato, nell’attesa che Cloud finisse la sua coppa. Beveva dalla cannuccia e lo fissava con insistenza, borbottando.

«Dai, quanto ci metti! Voglio andare a vedere come sta Tifa!»

“Come ha fatto a metterci così poco? Dove lo ha messo?” pensò atterrito il ragazzo, mentre faceva sparire in fretta le ultime cucchiaiate di gelato. Ignorò la fitta di gelo al cervello e andò a pagare il salato conto.

Marlene lo seguì e aspettò tranquilla, tenendolo per mano. Cloud, nonostante ciò, non la perse di vista un momento. 

«Andiamo andiamo andiamo!!» esclamò la bambina, trascinandolo fuori. Si lasciò condurre a Fenrir e si prepararono alla partenza.

Il Seventh Heaven non distava molto; a metà strada, però, la testa di Marlene iniziò a ciondolare pericolosamente.

«Ho tanto sonno! Posso appoggiarmi?» mormorò la bambina. Cloud non sentì niente, tra il fischio del vento e il rombo del motore; si accorse solo che Marlene si era abbandonata su di lui e aveva chiuso gli occhi. Rallentò immediatamente e tolse una mano dal manubrio per sorreggerla. Fortunatamente erano quasi giunti a destinazione.

Arrivò al Seventh Heaven e lasciò Fenrir vicina all’ingresso principale, visto che il locale era chiuso. Con una certa difficoltà, si caricò Marlene in braccio ed entrò silenziosamente.

Pensava di essere stato molto furtivo, ma arrivato alle scale vide che Tifa, imbacuccata nella coperta, lo aspettava.

Quando lo vide si portò una mano alla bocca, orripilata, e urlò:

«Cosa??? È morta?!?»

Cloud la zittì con un gesto, preoccupato che la bambina si svegliasse.

«Sta dormendo!» sussurrò, con tono indignato.

La ragazza arrossì, sgranando gli occhi. Sembrò sul punto di rispondere, ma tornò frettolosamente nella sua camera senza dire niente. Il ragazzo rimase senza parole, anche se non osava sperare di riuscire ad evitare una ramanzina.

Cloud portò Marlene nella sua stanza. Riuscì nell’impresa di mettere a letto la bambina senza svegliarla e le rimboccò le coperte; dopo un attimo di esitazione, decise di lasciarle il viso scoperto. Soddisfatto, tornò di sotto per andare a recuperare la spesa e la sistemò in cucina.

“Come ha fatto a pensare che fosse morta?? Ma sono così pessimo?” si chiese amareggiato, mentre metteva a posto dei ravanelli. 

“Beh, l’hai persa e l’hai recuperata da un bordello nel quartiere a luci rosse… non diventerai il genitore dell’anno” disse una vocina maligna nella sua testa.

“Si ma l’ho recuperata! Non è colpa mia se è scomparsa appresso ai gatti! E non sono un genitore!” ribatté lui.

“Si ma stai calmo.”

“Perché sto parlando da solo? Sono troppo stanco, dovrei andare a riposare.” si disse, scuotendo la testa.

Salì le scale, diretto verso la stanza di Tifa. Lei era sdraiata ma non si era ancora addormentata. Appena ebbe richiuso la porta, lei lo assalì con un fuoco di fila di domande:

«Cosa è successo? È tardissimo! Dove siete stati? Hai comprato i ravanelli? Lei sta bene?»

«Si che sta bene! Ho comprato i ravanelli!» si difese Cloud, mentre si cambiava per andare a dormire.

«Non cercare di distrarmi! Non attacca… oooooh! No, Tifa, concentrati! Che è successo?? Mi sento tutta dolorante e calda, vieni a farmi le coccole!»

Cloud la osservò preoccupato dimenarsi tra le coperte, per poi lasciarsi andare sui cuscini.

«... sono sicura che è successo qualcosa e domani ti sgriderò! Ma ora non ce la faccio, sono troppo malata. Vieni a contagiarti, rotolati nei germi insieme a me! Tanto ti piaccio lo stesso, vero?» disse, per poi soffiarsi rumorosamente il naso.

«... si.» ammise lui, sottovoce.

«Non ti sento! Sono troppo malata, non vedo cosa dici!»

Cloud iniziò seriamente a preoccuparsi.

«Forse dovrei chiamare il dottore…»

«No, non chiamare il dottore, ho già preso tutte le medicine che mi aveva prescritto.»

“Oh, ora tutto si spiega-aspetta, mica avrà usato il dosaggio per me??” pensò allarmato il ragazzo.

«Tra poco faranno effetto e potrò tornare a cavalcare.»

“Stanno già facendo effetto” 

«... non hai mai fatto equitazione.» fu tutto quello che riuscì a dire.

«Invece si, sciocchino. È lo sport preferito dalle ragazze, e sai perché?»

«No.» rispose Cloud, mentre si infilava cautamente sotto le coperte di fianco a lei. Il letto era rovente.

«Perché il cavallo ha il culo grosso, quindi quello della ragazza sembra più piccolo, mentre cavalca.»

«Secondo me dovresti riposare.» dichiarò il ragazzo, desideroso di terminare quel dialogo surreale.

«... si, ma prima voglio le coccole!» disse Tifa, aggrappandosi a lui e stampandogli un bavoso bacio sul collo. Era decisamente lei la causa del calore estremo.

“Se domani mattina non migliora, mi sa che la dovrò portare all’ospedale.” pensò, restituendo dubbiosamente l’abbraccio. Non fece in tempo a darle un bacio sulla fronte, che lei era già caduta addormentata, russando sonoramente.

 

***

 

Cloud fu svegliato in piena notte da qualcosa che gli sfiorava il braccio nella penombra. Riuscì a trattenere a malapena un urlo: appena riuscì ad aprire gli occhi, impastati dal sonno, vide che Marlene era in piedi accanto al letto, il visino pallido contratto dal dolore.

«Cloud, mi fa tanto male qui…» sussurrò, tenendosi la pancia con una mano.

«Ehm… aspetta, ehm… forse devi andare in bagno?» sussurrò lui di rimando, cercando di tirarsi su senza svegliare Tifa, le cui membra sembravano essere distribuite alla rinfusa nel letto.

«Forse si, hai ragione. Vado. Tu aspettami fuori però.» rispose la bambina, tirandolo per un dito fuori dalla stanza.

“Aiuto…” pensò sconsolato Cloud, mentre Marlene correva lungo il corridoio e si chiudeva nel bagno. Si sedette sul pavimento, ascoltando suo malgrado i sinistri rumori che provenivano da dietro la porta.

Passarono solo pochi minuti, prima che un Cloud sovrappensiero venisse quasi ucciso dall’apparizione di Tifa nel corridoio, sempre imbacuccata nella coperta.

«Cosa succede? Si sente male?» chiese.

Il ragazzo riuscì solo ad annuire, mentre cercava di riprendersi dallo spavento.

«Marlene? Come stai? Posso entrare?» disse Tifa, bussando alla porta.

«Si, ma non Cloud!» rispose la vocina della bambina.

«No, Cloud ci aspetta fuori.»

«Allora ok.» 

La ragazza entrò, non prima di aver lanciato a Cloud un’occhiata indecifrabile. Lui le sentì parlottare ma non riuscì a capire cosa si stessero dicendo. Poco dopo sentì Tifa urlare:

«Cloud! Sta vomitando!! Chiama immediatamente il dottore!»

Il ragazzo si precipitò al telefono e nel giro di un quarto d’ora il dottor Homu si presentò nella stanza di Marlene, visibilmente assonnato.

«Mi fate fare troppi straordinari in questa famiglia. Siete tutti cagionevoli… su, vediamo un po’ cosa è successo.»

Cloud fu cacciato dalla stanza per permettere al dottore di effettuare la sua visita. Si rassegnò ad aspettare, quando cominciò a sentire un leggero fastidio. Cercò di ignorarlo, finché non si trasformò in vero malessere. Quando le fitte allo stomaco iniziarono a farlo piegare su se stesso, corse verso il bagno, maledicendo la gelateria, il gelato e la sua accondiscendenza.

Quando Tifa aprì la porta della stanza di Marlene, con la ramanzina per Cloud già pronta ad esplodere, non lo trovò. Avanzò nel corridoio, cercandolo con lo sguardo.

«Dove sei?? Torna qui a prenderti la tua sgridata! Lo sapevo che qualcosa non andava!» disse, trattenendosi dall’alzare la voce.

«Tifa, non ti arrabbiare troppo! Sono cose che succedono!» esclamò il dottore, ancora nella stanza di Marlene.

«Tu però, non dovevi mangiare così tanto gelato!» continuò in tono bonario, rivolto alla bambina.

«Si, ma avevo tanta fame…» squittì lei, stringendo a sé la coperta. 

«Ah, i bambini… che teneri frugoletti. Ah, Tifa, hai trovato Cloud?»

«Si. È nel bagno a vomitare.»

«Questo ci conferma che è stato il troppo gelato a farvi stare male…» disse allegramente il dottore, «... ma non vi preoccupate, domani sarete come nuovi!»

Poi, rivolgendosi a Tifa, aggiunse:

«Puoi far venire qui Cloud, appena sarà in grado di uscire dal bagno?»

«Perché?» chiese Marlene, confusa.

«Bisogna fare una piccola punturina.» rispose il dottore, iniziando ad armeggiare con aghi e siringhe. 

«Come? No, non mi va di fare punturine…» pigolò la bambina, atterrita, nascondendosi sotto la coperta.

«Non ti preoccupare, Cloud ci farà vedere come si fa. Tanto la deve fare anche lui.»

Un ghigno malefico si dipinse sul volto di Tifa. 

«Vado subito a prenderlo.» disse, uscendo di nuovo dalla stanza a grandi passi. Lo raggiunse proprio mentre subiva gli ultimi conati.

«Hey, biondo. Ti vogliono al pronto soccorso per un’iniezione.»

«Cosa…?» fece lui, mentre si puliva la bocca con un asciugamano.

«Devi prendere una medicina e dare il buon esempio a Marlene.» disse Tifa.

«No, mi passerà, mi sento già molto meglio.» replicò il ragazzo, rialzandosi.

«Niente storie. Su, ti farà bene.» insistette la ragazza, con un tono che non ammetteva repliche.

Cloud abbassò lo sguardo, rassegnato. Non aveva la forza di continuare a discutere e si fece condurre nella stanza di Marlene come del bestiame verso il macello. Il solo pensiero dell’ago gli faceva sobbalzare orrendamente lo stomaco, già provato dai conati.

«Bene, eccoti. Sono quasi pronto, siediti pure qui.» disse il dottore, mentre aspirava del liquido con una grossa siringa.

Il ragazzo e la bambina sgranarono gli occhi con la stessa espressione atterrita. Tifa scivolò pian piano fino a mettersi al fianco di Cloud e, non vista da Marlene, gli posò una mano sulla schiena.

«Cloud, ma davvero non hai paura?» chiese la bimba, con un filo di voce.

«Cloud è super coraggioso, vero?» intervenne Tifa, lanciandogli un’eloquente occhiata.

«... si.» mormorò lui. Marlene lo guardò ammirata, abbassando un po’ la coperta che aveva all’altezza del naso.

“Meno male che Sephirot non aveva una siringa. Ma che mi succede?? Non posso aver paura di un ago!!” si disse il ragazzo, cercando di darsi un tono. 

«Siamo pronti allora?» domandò il dottore, che aveva aspirato il contenuto di una seconda boccetta. Il ragazzo annuì e porse il braccio, che il dottore disinfettò velocemente, prima di compiere l’iniezione con un solo, sicuro movimento.

Cloud cercò di reprimere tutte le smorfie di dolore, disgusto e terrore, cui avrebbe tanto voluto dare libero sfogo, suscitate dalla sensazione dell’ago all’interno del suo corpo. Marlene osservava con la bocca aperta e gli occhi spalancati, trattenendo il fiato.

«Visto? Assolutamente niente! Come ti senti, Cloud?»

“Penso di stare per svenire, odio la medicina.”

«... sto già meglio.» riuscì a rispondere il ragazzo, con un filo di voce. Tifa lo cinse con un braccio, dandogli un veloce bacio sul collo.

«Davvero? Allora voglio fare anche io l’iniezione!» proclamò Marlene, arrotolandosi la manica del pigiama.

«Arriva subito.» disse allegramente il dottore, strizzando un occhio in direzione di Cloud.

«Ma perché a me è così piccola??» protestò la bambina, alla vista della siringa che il dottore aveva preparato.

«Cloud è… era, un SOLDIER. Lui è fatto diversamente da noi e ha bisogno di più medicina.» le spiegò.

«Oh… ma mi sentirò meglio lo stesso?»

«Si, vedrai. Ora stai ferma e in un attimo avrò finito.»

 

***

 

«Ultimamente vedo più voi che mia moglie e mia figlia!» si lamentò il dottore, con tono velatamente ironico, mentre scendeva le scale.

«Mi dispiace.» disse il ragazzo che lo seguiva.

«Non dispiacerti, anzi reputati fortunato che ci sia io. Non mi risulta che ci siano altri da queste parti che hanno studiato la biologia dei makonoidi e altri organismi alterati dal mako. I miei colleghi tremano al solo pensiero di avere di nuovo a che fare con te, dopo la faccenda dell’avvelenamento.»

«Non me la ricordare…» 

Arrivarono in fondo all’ultima rampa di scale ed entrarono nel bar deserto.

«Non devi per forza accompagnarmi…» lo rassicurò il dottor Homu. «Dovresti riposare insieme a loro due.»

«È che… mi sento in colpa.» ammise Cloud. «E sto bene.»

«Beh, se proprio vuoi sdebitarti, potresti offrirmi un drink.» rispose l’uomo, indicando il bancone del Seventh Heaven.

Cloud annuì ed entrò nel bar, iniziando ad armeggiare con bottiglie e bicchieri.

«Oh, io veramente… ma si, perché no.» mormorò il dottore, sedendosi su uno sgabello.

«Ma può bere? Non è in servizio?» chiese il ragazzo, mentre rimetteva a posto un super alcolico.

«Non sono in servizio. Non più, almeno. Tornerò dritto a casa dalla mia famiglia.»

«Ok, allora un Cosmo Canyon.» disse Cloud, riprendendo in mano la bottiglia e uno shaker.

«Bella cosa, avere una famiglia. E i bambini la completano, non trovi?» gli chiese il medico, accennando un sorriso.

Cloud fece un mezzo cenno affermativo, intento a contare le once di liquore da inserire.

«Anche se non è sempre facile. Ti capisco riguardo il gelato… nemmeno io riesco a dire di no a Hoshi. Mia moglie è più brava di me, in questo.»

Cloud alzò lo sguardo e lo guardò perplesso.

«Cosa?»

«Si, credo che ci sia successa esattamente la stessa cosa! Che coincidenza… qualche settimana fa ho portato anche io la mia bambina in quella gelateria. Hai provato il gusto Lifestream?»

“Si ma non solo in gelateria…”

«Si…» rispose Cloud, iniziando a shakerare.

Il dottore attese che il frastuono dei cubetti di ghiaccio finisse, prima di continuare:

«Hoshi ha voluto la coppa enorme… e non sono riuscito a negargliela! L’ho presa anche io, ma non mi sono sentito male. Sicuro di non essere allergico a qualcosa?»

«Non che io sappia.» rispose Cloud, guardando il dottore con rinnovato interesse.

«Bene… in ogni caso, poi mi sono sentito davvero colpevole. E mia moglie ci ha messo il carico, quando Hoshi si è sentita male a casa.»

Cloud terminò la preparazione e servì il drink al dottore. Esitò, guardando quanto ne era rimasto sul fondo dello shaker.

«Non ci pensare neanche, sei sotto l’effetto dei medicinali.» lo ammonì il dottore.

«Cosa? No no, io sono astemio adesso.»

«Come no. C’entra per caso l’ultima volta che ti ho visto all’Honeybee Inn? Non sembravi molto in te. Nemmeno i tuoi amici… che serata memorabile. Anche se gli spari ci hanno fatto sobbalzare.»

Cloud impallidì.

«Si, sembra che io abbia un talento nell’andare in quel locale quando ci sei anche tu. O forse è l’istinto di fan di mia moglie.» ridacchiò il dottore, assaggiando il drink. Fece un verso soddisfatto e bevve una lunga sorsata.

«Comunque, sei troppo severo con te stesso. Tutti possono sbagliare… sia nel bere, sia nell’essere improvvisamente dei genitori. Dopotutto, l’esperienza è solo il nome che diamo ai nostri errori.»

Cloud non sapeva cosa rispondere, continuando a fissare il fondo dello shaker. Lo prese e lo rovesciò nel lavandino, prendendo una bottiglietta di succo e sbattendola ripetutamente contro il palmo.

«Sei diventato un barman esperto…»

«Ho una brava insegnante.»

«Imparerai anche molte altre cose, ne sono sicuro.»

 

***

 

«Cloud, ma cosa ci fai qui?» sussurrò Tifa. Si era svegliata in piena notte e non aveva trovato il ragazzo accanto a sé; dopo una breve ricerca, lo aveva visto nella stanza di Marlene, seduto su una sedia con il mento appoggiato alle mani, intento a guardare fisso la bambina addormentata.

«Controllo.» mormorò lui.

Tifa si strinse nella coperta e si avvicinò a lui; anche nella penombra, si notavano le sue occhiaie.

«Ma cosa vuoi che le succeda adesso? È notte, siamo a casa…»

«Non… le deve succedere niente.»

«Cloud, ma… cosa è successo oggi?»

«... al mercato l’ho persa di vista un attimo ed è sparita. Non riuscivo a ritrovarla.»

Tifa spalancò gli occhi.

«Puoi sgridarmi nell’altra stanza… me lo merito.» aggiunse lui.

«... intanto raccontami bene cosa è successo.» disse la ragazza, facendogli cenno di uscire.

Cloud le raccontò tutto: l’ansia, la disperazione, e come per miracolo l’avessero ritrovata Jules e Andrea nel mercato murato.

«E come ci è arrivata lì?» esclamò la ragazza, basita.

«Con una diligenza. Si è appesa al retro ed è scesa al capolinea, poi per fortuna l’hanno trovata. Se penso che… potevano non trovarla…»

«Non ci pensare. È andata bene. Ma devi stare più attento! È solo una bambina, è normale che si distragga e possa andarsene per conto suo.»

Cloud alzò la testa, stupito della moderazione con cui Tifa aveva appena parlato.

“Mi aspettavo una sfuriata…”

«Sono sicura che non farai di nuovo lo stesso errore.» dichiarò la ragazza, guardandolo in modo eloquente.

Lui annuì.

«Quello che ho provato, quando l’ho persa… non voglio provarlo mai più.»

Tifa lo strinse a sé in un caldo abbraccio, avvolgendolo con la coperta.

«Su, torna a letto, mamma chioccia.»

 

***

 

«Allora, le abbiamo imparate queste addizioni?»

«Si!!»

“Per fortuna… ho bisogno di una pausa.”

«Bene, direi che ci siamo meritate una merenda.»

«Toast??» propose Marlene.

«... si, toast.»

«Ma come li fa Cloud?»

«Dovrebbe essere sveglio adesso, perché non vai a chiedere a lui di prepararli?»

Marlene saltò giù dalla sedia tutta contenta e salì le scale a due a due gridando “Cloooud!!”. Tifa sorrise e si stiracchiò, alzandosi dalla sedia. Era incredibile come la situazione fosse cambiata negli ultimi giorni: Cloud e Marlene erano passati dall’essere terrorizzati l’uno dall’altra, a giocare e passare del tempo insieme. Finalmente sembravano davvero una famiglia. Non avrebbe potuto essere più felice. In quel momento la vocina di Marlene la chiamò dal piano di sopra:

«Tiiifa! Mi sa che Cloud sta male!!»

«Sarà solo stanco.» la rassicurò Tifa, intanto che preparava il pane e la marmellata. Dopotutto, il ragazzo veniva fuori da una settimana infernale di corso accelerato da papà a tempo pieno, mentre lei era ancora convalescente. Doveva ammettere che nonostante qualche scivolone iniziale, Cloud se l’era cavata abbastanza bene. Era davvero orgogliosa di lui.

«Ma dice lui di chiamarti, perché si sente male!»

A quelle parole la ragazza mollò pane, burro e marmellata dov’erano e corse immediatamente di sopra. L’ultima volta che aveva visto Cloud fuori combattimento, era stato dopo le sue bravate in arena.

“Stavolta non l’ho perso di vista! Cosa avrà combinato??”

Trovò Cloud disteso a letto, coperto fino al naso e tremante, con la bambina che cercava di coprirlo ancora di più.

«Secondo me è ancora per via del gelato. Vedi che trema dal freddo?» disse Marlene.

«Non credo sia colpa del gelato.» commentò Tifa.

“E se nemmeno quella volta fosse stata colpa del gelato?” si chiese, sedendosi accanto a lui. 

«Come ti senti?»

«... male.» bofonchiò la sagoma sotto le coperte.

Tifa represse un sospiro, poi gli chiese:

«Perché non sei più specifico?»

«Già! Come facciamo a curarti se no?» esclamò Marlene, dandogli un piccolo schiaffo sui capelli.

«Mi ha fatto male anche quello schiaffo. Ho freddo e mi fanno male le ossa.» rispose Cloud, con un filo di voce.

“Oh, no…” si disse Tifa, frugando nel suo cassetto per trovare un termometro. Lo prese e lo mise di prepotenza in bocca al ragazzo, ignorando le sue proteste.

«Fermo così per un po’. Io intanto vado a fare i toast.»

«Uffa Cloud! Proprio all’ora della merenda dovevi ammalarti??» si lamentò Marlene, mentre seguiva Tifa al piano di sotto.

Cloud borbottò debolmente qualcosa a bocca chiusa, guardandole uscire.

 

***

 

“Oh mio Dio! I termometri arrivano davvero fino a quarantadue!?” pensò Tifa, guardando terrorizzata la colonnina di mercurio.

«Come sta?» trillò Marlene, che si era di nuovo accoccolata vicino al ragazzo.

«Sta… benissimo. Stai un momento con lui, mentre faccio una telefonata.» disse la ragazza, uscendo dalla stanza.

I due la sentirono chiaramente urlare qualcosa, ma quando tornò da loro sembrava calmissima. Non disse nulla, ma prese una vecchia maglietta dall’armadio e la inzuppò nell’acqua fredda, per poi arrotolarla intorno alla fronte in fiamme di Cloud.

“Niente panico, niente panico. È un SOLDIER, magari per lui è solo un’alterazione-ma che dico, sta bruciando!! Homu, sbrigati!!”

Per un attimo pensò di prendere anche la materia elementale e una immunizzante, per evitare che il suo ragazzo si cuocesse dall’interno, poi scosse la testa.

“Come fai a trovare sempre nuovi modi per farmi venire un infarto??”

Fortunatamente in pochi minuti arrivò il dottor Homu, con il suo solito fare allegro e spensierato.

«Tre su tre! Complimenti! Dov’è il paziente?» chiese, con un sorriso smagliante.

«In padella!! Si sbrighi la prego!!»

«Non eravamo d’accordo di darci del tu? Comunque, fammi strada.»

La ragazza represse la voglia di colpirlo e lo spinse su per le scale. Cloud era scosso da brividi e cercava in continuazione di non annegare nella maglietta fradicia che Tifa non gli permetteva di togliersi dalla faccia.

«Cloud, Cloud, Cloud… che hai combinato?» disse il dottore, scuotendo la testa.

«... niente.» rispose il ragazzo, scuotendo la testa.

«Secondo me è stato il gelato!» disse Marlene, scrutandolo mentre si lisciava il mento.

«Ah, ci avevo pensato anche io, ma purtroppo, credo che qualche giorno fa tu stessi manifestando i primi sintomi dell’influenza... che ora si è presentata più violenta che mai. Una di voi sarà stata l’untrice!» dichiarò il medico, indicandole in modo teatrale.

Entrambe sussultarono. Tifa sentì il senso di colpa attanagliarle lo stomaco.

«L’ho contagiato io?» esalò, guardando il suo ragazzo tremante.

«Vivete sotto lo stesso tetto, potrebbe essere stata anche la nostra Marlene. Ma non importa, ora la malattia deve soltanto fare il suo corso. Mi dispiace di averti fatto un’iniezione senza motivo, l’altro giorno. Ora dovrò anche fartene un’altra.» disse il dottore, tirando fuori una siringa.

«Tanto Cloud è super coraggioso!» trillò Marlene, mentre sistemava meglio la maglietta che era scivolata dalla fonte del ragazzo.

«... basta che poi stia meglio.» esalò Cloud, incapace di opporsi all’ennesima puntura.

«Certo! A meno che non sbagli il dosaggio.»

«COSA??» urlò Tifa.

«... scherzavo. Finora non ho mai sbagliato un dosaggio.»

Cloud sollevò la maglietta e guardò il dottore con sguardo dubbioso.

«Su, su! È normale delirare sotto antidolorifici, specie se la dose per farti effetto deve essere tre volte quella normale! Ora fatemi lavorare.» esclamò il medico, mentre afferrava delle boccette.

«Allora io intanto vado a prepararti un toast!» annunciò Marlene, precipitandosi giù per le scale.

Il dottore la guardò uscire con un sorriso; tornando ad armeggiare con la siringa, disse:

«Qualcuno qui deve aver imparato.»

 

***

Qualche giorno dopo...

«Cloud! Cloud!!» gridò Marlene, appena mise piede nel Seventh Heaven.

Il ragazzo urlò una risposta dalla sua camera, ma né lei né Tifa riuscirono a sentirla.

«Dai, prendi la sua coppetta e portagliela. Sai che è un pigrone.»

Marlene prese la bustina dalla mano della ragazza, ma si indignò:

«Sta male! Dobbiamo prenderci cura di lui!»

Tifa alzò bonariamente gli occhi al cielo, guardandola mentre scattava verso le scale, gridando: “Abbiamo preso i tuoi gusti preferiti! Mako e Lifestream!”

“Una settimana fa non lo guardava nemmeno negli occhi, ora si autoproclama sua infermiera.”

Sistemò alcune cose e li raggiunse al piano di sopra, appena in tempo per vedere che Marlene, nonostante avesse già mangiato il suo gelato, era seduta sul letto accanto a Cloud e si stava facendo imboccare.

«Ma insomma? Non abbiamo imparato che troppo gelato fa male?» esclamò, mettendosi le mani sui fianchi.

I due chinarono la testa e mormorarono delle scuse.

«Come sta?» domandò.

Marlene gli mise una mano sulla fronte e decretò:

«Mi sembra che stia meglio. Il gelato sta facendo effetto.»

«Si, in effetti mi sento meglio.» concordò il ragazzo, sorridendo lievemente.

«E scommetto che non vedi l’ora di abbandonare quel letto.» lo prese in giro Tifa.

«Ho un sacco di consegne arretrate da fare.»

«Edge e dintorni riusciranno a fare a meno di te, finché non ti sarai ripreso.» affermò la ragazza, evitando accuratamente di menzionargli le innumerevoli telefonate di clienti disperati o infuriati che aveva ricevuto negli ultimi giorni.

«Goditi il gelato, io devo andare in bagno!» disse Marlene, scendendo dal letto e caracollando fuori. Tifa la guardò sorridendo.

«Le cose vanno bene tra voi due.»

Cloud annuì, la bocca piena di gelato.

«L’ultima volta che hai conquistato qualcosa che ti odiava, siete entrambi quasi morti.» commentò la ragazza.

«Molto spirit-aspetta, mi odiava?» fece Cloud, preoccupato.

«Beh… di sicuro non le stavi simpatico.»

«In effetti no.»

«Stavolta ti è bastato fare cose normali… per fortuna.»

Lui inarcò un sopracciglio. Lei ridacchiò.

«Non hai dovuto essere un supereroe, è stato sufficiente preparare un toast. L’hai conquistata con la tua normalità. E mostrandole che tieni a lei.»

Cloud sgranò gli occhi, poi ammise, distogliendo lo sguardo e arrossendo:

«Hai ragione.»

«Che carino che sei quando arrossisci…» disse Tifa, prendendogli il viso tra le mani e avvicinandosi a lui. Le loro labbra si erano appena sfiorate, quando Marlene piombò di nuovo nella stanza e iniziò a fare finta di vomitare.

«Bleaaah! Che schifo!!»

«Marlene!» esclamarono i due ragazzi, contrariati.

 

Epilogo

 

Il furgone sfrecciava lungo la strada sterrata costeggiata da colline brulle, che diventavano man mano più verdeggianti.  

«Siamo arrivati?»

«No.»

«Uffa, quanto ci vuole?!»

«Questo furgone non va veloce.»

«Invece va benissimo!» rispose Tifa, piccata, dal posto di guida. «Così possiamo andare tutti insieme!»

«Ancora non ho capito dov’è che stiamo andando…» ammise Denzel, con una nota di imbarazzo nella voce.

«È normale, non ci sei mai stato.» disse Cloud, che era seduto accanto a lui.

«Stiamo andando da Meteor a fare un pic-nic.» gli disse Tifa.

«Siii! Meteor ti piacerà, è così soffice!! E poi si può cavalcare!» disse Marlene, iniziando a saltellare dall’eccitazione.

«È un bel po’ che non ci andiamo…» aggiunse.

«Siamo stati… impegnati negli ultimi tempi.» disse Tifa, leggermente in difficoltà.

“Impegnati, ma come mi escono… bel modo di definire il Geostigma, Sephiroth e impedire un’altra apocalisse.” si ritrovò a pensare. 

«Ma ora che stiamo tutti bene di nuovo, possiamo fare una gita!»

«Siiii!» esclamarono in coro i due bambini.

“Dovrò ringraziare Yuffie per il cartello che ci ha regalato…” pensò Cloud, per niente entusiasta al pensiero di quanto la ninja avrebbe gongolato.

«Oh guardate, eccoci! La Chocobo Farm!!» annunciò Tifa.

Oltrepassarono il cancello principale e percorsero la stradina interna, fino ad arrivare vicino ad un grosso fienile. Mandrie di chocobo li avevano seguiti per un tratto, costeggiando le staccionate dei loro recinti; Denzel li osservava rapito, mentre Marlene non riusciva a stare seduta.

Scesero dal veicolo, trattenendo per la collottola la bambina che voleva correre subito verso i recinti. Dopo pochi attimi, un anziano signore corse loro incontro, salutandoli entusiasta e scambiando un’energica stretta di mano con Cloud, seguita da diverse pacche sulle spalle.

«... ho già visto quel signore… non è venuto alla chiesa per curarsi?» domandò Denzel, sorpreso da quella calorosa accoglienza.

«Si.» confermò Tifa, con un sorriso.

Il chocobiere li salutò, poi si rivolse nuovamente a Cloud.

«La bestiaccia l’ho dovuta spostare in un altro recinto, hehehe…»

«Cosa? Come mai?» fece Cloud, preoccupato.

«Nessun problema, sta benissimo! Vi lascio scoprirlo da soli, il perché. Da quella parte, il secondo cancello sulla sinistra.» disse l’uomo, indicando una delle stradine con un sorriso.

Tifa si strinse con un braccio a Cloud, mentre Marlene trascinava Denzel in una corsa sfrenata.

«Chissà come mai lo ha spostato…» mormorò il ragazzo, con velo di preoccupazione sul volto.

«Dai, non preoccuparti. Ha detto che sta bene, che mamma chioccia che sei!» lo prese in giro lei, dandogli un bacio. Giunsero alla loro destinazione: Marlene e Denzel li aspettavano, indecisi. 

«Entro prima io.» disse Cloud, mentre guardava sospettoso il recinto. Non si vedevano chocobo in giro, l’unico elemento degno di nota era una piccola stalla che sorgeva sul lato opposto dello steccato.

“Perché è vuoto?” si chiese.

Tifa lo guardò entrare cautamente, poi notò che la recinzione aveva maglie molto più strette del solito. Si chiese come mai, poi di colpo si rese conto del motivo. Voleva urlare per avvertire Cloud, ma aveva paura di spaventare i bambini; cercò di chiamarlo con il tono di voce più naturale che potè:

«Cloud… Cloud!!» 

Il ragazzo non si voltò, continuando ad avanzare verso la stalla. Meteor fece capolino da una delle finestre, lanciando un richiamo acuto.

«Kuiiiih!!» (Madre!! Temevo che la vecchiaia vi avesse costretta nel nido!)

Dalla porta della stalla uscirono altri chocobo. Piccoli chocobo. Prima due, poi tre, poi altri due.

Cloud sorrise, intenerito dall’improvvisa rivelazione. Poi inorridì per una seconda rivelazione.

«Oh ma che cariiini!!» trillò Marlene.

«CLOUD!! SCAPPA!!» urlò Tifa, aggrappandosi al cancello. Il ragazzo fece due cauti passi indietro, poi si lanciò in una corsa disperata. I pulcini fecero altrettanto, caracollando sul terreno e starnazzando come degli indemoniati.

«Ma… che succede?» mormorò Denzel, che era il più confuso di tutti.

«Meteor è diventato papà! Ma…» disse la bambina.

«Cloud sbrigati!!» strillò ancora Tifa. Il ragazzo era quasi al sicuro, quando scivolò e cadde riverso sull’erba.

Tifa spalancò il cancello e si lanciò all’interno, decisa a difendere il suo biondo dalla torma di piccoli biondi assassini che si stavano lanciando su di lui. Meteor uscì dalla stalla e lanciò un imperioso richiamo:

«KUEEEEEH!» (Progenie!! Trattate in modo consono la vostra progenitrice e i suoi congiunti!!)

«CLOOOOUD!» strillò Tifa, raggiungendo il ragazzo che era ormai sommerso tra batuffoli gialli.

«Aspetta!» riuscì a dire Cloud, sollevando una mano. Tifa riuscì per miracolo a trattenere il destro che stava per calare su uno dei pulcini: i piccoli si stavano strofinando su Cloud, pigolando felici.

«Kuuuiii!» (Oh, nonna! Che piumaggio strano che avete!)

«Io… non ho parole…» disse la ragazza, col pugno ancora in aria, mentre fissava incredula la scena.

«Nemmeno io… ho avuto paura…» sussurrò il ragazzo, che non osava comunque muovere un muscolo.

Meteor nel frattempo si era avvicinato, insieme ad un altro chocobo adulto di colore leggermente più chiaro di lui. Si chinò verso Cloud, strofinandosi sulla sua testa e accettando le coccole. Poi diede una becchettata affettuosa all’altro animale al suo fianco.

«Kuuueh!» (Madre, vi presento la mia consorte, la Duchessa Antonine Fuagrà III.) 

«Meteor ha una fidanzata!» ridacchiò Marlene, che li aveva raggiunti insieme ad un Denzel sempre più stupito.

I pulcini si sparpagliarono, pigolando felici e annusando curiosi i nuovi venuti.

«Ma quanti sono! Meteor… sono bellissimi!» disse entusiasta Marlene, accarezzando uno dei piccoli. Perfino Denzel non seppe resistere e si avvicinò ad un altro pulcino.

«Kueeeh…» (Gran parte del merito va a Antonine… una covata esemplare!)

«Kuiiih.» (Vi ringrazio, mio cavaliere.)

Cloud finalmente si azzardò ad alzarsi. Non aveva osato accarezzare nemmeno uno dei piccoli che scorrazzavano intorno a lui; uno si avvicinò e gli becchettò i lacci degli stivali.

Il ragazzo lo guardò per un attimo, poi lo prese delicatamente in braccio, accarezzandogli il muso.

«Sono carinissimi, vero Cloud?» chiese Tifa, mentre faceva le coccole ad un altro piccolo. Non ottenne risposta, così si voltò a cercarlo con lo sguardo: Cloud stava lanciando in aria il pulcino, riacchiappandolo al volo, e il chocobo sembrava estasiato.

«Kuuuuiiiih!!» (Osservatemi! Mi libro tra le braccia di nonna!!)

La ragazza lo guardò inorridita. 

«È pericoloso!» esclamò.

«Ma no!» la tranquillizzò lui, mentre lanciava di nuovo in alto il pulcino entusiasta.

“Sarà meglio che non si azzardi a farlo con nostro figlio!” pensò, passandosi istintivamente una mano sulla pancia. Ma c’era ancora tempo per spiegargli come si trattano i neonati. Doveva ancora comunicargli la novità.

“Ogni cosa a suo tempo…” considerò, mentre si avvicinava a Cloud. 

“E intanto…”

«Congratulazioni… nonna chioccia.» gli disse, stampandogli un bacio sulla guancia.

 

FINE 

 

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