Kaz e Inej

di F_Brekker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo bacio ***
Capitolo 2: *** Dopo la tempesta ***
Capitolo 3: *** Regolamento di conti ***
Capitolo 4: *** Confessioni, prima parte ***
Capitolo 5: *** Confessioni, seconda parte ***
Capitolo 6: *** Confessioni, terza parte ***



Capitolo 1
*** Primo bacio ***


Primo bacio 

 

Il picchiettio della pioggia sui vetri delle finestre era un tocco leggero e costante, e sarebbe stato anche piacevole, se la notte non avesse portato con sé incubi per Kaz. Il tempo a Ketterdam era sempre stato così, non aveva mai dato segni di particolare clemenza, eppure questo non era mai stato un problema. Fino a quel momento. Stese la gamba, nel movimento gli sembrò quasi di sentirla cigolare. Buttò la testa all’indietro, appoggiandola contro al muro. Neanche il soffitto fu clemente. Debolmente illuminato dalla lampada che teneva ai piedi del letto, era un sfondo perfetto su cui rappresentare il terrore di vedere la Spettro, la nave di Inej, elegante e terribile come lei, sprofondare fra le onde della tempesta, essere inghiottita dalla furia incontrollata del mare. A dire il vero, per quanto ne sapeva lui, Inej poteva essere ovunque, e forse non era nemmeno sulla nave. Vederla libera di sfrecciare verso il suo sogno di giustizia era stato bello quanto doloroso. Estremamente doloroso. Non che non l’avesse previsto, per quanto le emozioni fossero variabili più complesse da calcolare. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, e nel delirio di quella notte cominciava a chiedersi come avesse potuto permetterlo. Tuttavia, a volte, la sentiva la voce della ragione. Inej non era una principessa incapace di badare a sé stessa, era forte e temibile, e lo scintillio dei suoi pugnali aveva mandato sottoterra più persone di quante Kaz stesso potesse ricordare. Non aveva bisogno di lui, non più. Sentì una fitta alla gamba. 

Si costrinse ad alzarsi e ad andare in bagno a sciacquarsi il viso. Si tolse i guanti, li appoggiò in un angolo, sciolse le dita: il solito rituale. L’acqua gelida non fu piacevole ma servì al suo scopo, e si riprese dal suo intrico di pensieri. Adesso basta. 

E invece no. Fu in quel momento che la sentì, la sua presenza. Inej era lì, nella penombra, ma Kaz non sapeva più dire in quale stato di coscienza si trovasse.

— Kaz? —. Non se la sarebbe lasciata scappare, che fosse un’allucinazione, un sogno o la realtà. Non dopo due mesi senza di lei.

— Inej —. Oh, era reale, lo era eccome. Ed era bagnata fradicia.

Non era ancora pronto per parlarle. Un capoclan del Barile con la voce che tremava come una foglia, non se lo sarebbe mai perdonato. Aprì l’armadio e tirò fuori una camicia asciutta, e gliela porse. Lei la afferrò senza nemmeno guardarla.

— Come stai, Kaz? —. Lo esaminava con la stessa attenzione con cui lui esaminava lei.

— Come sempre, Spettro, ma non sembra che si possa dire lo stesso di te —. Lei abbassò lo sguardo e si allontanò verso il bagno, per indossare la sua camicia. I ratti del Barile non erano certo famosi per la loro galanteria, ma le voltò le spalle, per non guardarla. Oltretutto in questo modo ebbe anche il tempo di passarsi le mani, ancora nude, sul viso, sui capelli, con gesti frenetici. Aveva aspettato questo momento per due mesi, e adesso ne se stava lì come un palo arrogante incapace di mettere insieme una frase sensata per fare sentire Inej a suo agio.

— Kaz? —. Sentì le dita della sua mano posarsi sulla sua scapola. Si voltò. La camicia era decisamente troppo grande per lei, che si era arrotolata le maniche per far sbucare le mani.

— Non ti aspettavo stasera, Inej. Pensavo fossi a centinaia di miglia da qui —. Lei sembrò imbarazzata.

— Hai ragione, avrei dovuto avvisarti. Volevo che fosse... una sorpresa. —. Si avvicinò alla finestra, come se volesse andarsene. Lui fu più rapido.

— No, Inej.... —. Lei guardò la mano che aveva afferrato la sua, con un’espressione stupita in volto. Nessuno dei due si era ancora abituato. 

Inej gli si avvicinò lentamente. Chissà quante cose aveva da raccontargli, quanti rischi aveva preso, quante preghiere aveva pronunciato ai suoi Santi in quel lungo periodo passato fra i mari. Le sue labbra non sembravano aver intenzione di narrare niente di tutto ciò. Dentro di lui era il caos. 

Vide la mano di Inej alzarsi verso il suo viso, con una calma che gli avrebbe permesso di sfuggire al suo contatto almeno dieci volte. Venti, dato che era pur sempre Kaz Brekker. Quando finalmente non ci fu più nessuno spazio fra la sua pelle e quella di Inej, avrebbe voluto che la sua mente fosse inondata dal suo profumo, da quelle immagini di lei che così frequentemente gli annebbiavano i pensieri, che gliela facevano desiderare al punto da farlo impazzire. E invece sentiva la nausea montargli dentro, il sudore imperlargli la fronte. Anche se era lei, la sua Inej. 

Doveva essere più forte della sua angoscia, doveva dominarla. Con un gesto rapido le sciolse il laccio che legava la sua treccia. I capelli bagnati le incorniciarono il viso. La sentì trattenere il respiro. E lui, respirava? Non era importante. 

— Mi sei mancato — sussurrò lei. Ma lui lottava dentro di sé per tenere a bada tutto, la nausea e il ruggito che la stava scavalcando, e pensò che se avesse aperto bocca, non sarebbe più riuscito a controllare nulla. La guardò, sperando che nel suo sguardo disperato lei potesse leggere che ovviamente, per tutti quei maledetti Santi, anche lei gli era mancata.

Lei lo capì, ma ora aspettava. Toccava a lui.

Infilò le dita fra i suoi capelli. All’inferno, erano bagnati, e l’acqua rendeva le sue dita viscide. Si irrigidì terribilmente, i muscoli della mascella contratti. Eppure quella notte non permise al corpo di Jordie di riaffiorare nella sua memoria, non permise al mare di portarlo giù. 

Quel momento era suo e di Inej.

La ragazza Suli che lo conosceva meglio di chiunque, aspettò paziente che la lotta nei suoi occhi terminasse. Lui si concentrò sulla camicia asciutta di lei, gli sembrava una buona idea. Fu troppo. La nausea, l’orrore del contatto, lo smarrimento, non poterono niente contro l’urlo selvaggio che aveva in petto. Provò a rendere quel bacio almeno un po’ romantico. Il contatto delle loro labbra, le mani di Inej nei capelli, e le sue, le sue mani che non trovavano pace, bramando di toccare tutto quello che non avevano potuto fino a quel punto.

Non è facile neanche per me.

Quella frase fu come un enorme allarme che dilagò nella sua mente. Non voleva metterla in difficoltà, non voleva metterla a disagio.

— Inej... —. 

— Vai avanti —. Non avrebbe dovuto dirlo. Inej bruciava come un tizzone ardente fra le sue dita. Oh no, non c’era più lo scrosciare delle onde, c’era solo il fuoco che divampava in loro. Senza controllo, decisamente senza controllo. 

Il resto fu intrecci di dita, di mani, di gambe. S’intrecciarono i loro respiri, i loro battiti, e tutto ciò che restava dei loro corpi. Le parole furono superflue, e ne uscirono ubriachi.

Nulla sarebbe stato più lo stesso. 

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Capitolo 2
*** Dopo la tempesta ***


Dopo la tempesta 
 
Il buio aveva guidato i loro corpi, era stato tutto così facile. Non esisteva un attimo della notte precedente che Kaz non ricordasse, e ora, che il sole era già sorto e inondava di luce la stanza, avrebbe desiderato che calasse di nuovo, per ricominciare daccapo. 
Tuttavia, fra quello che voleva e quello che poteva fare, esisteva un varco grande quanto il Mare Vero, e per questo Kaz era profondamente infelice. 
Aveva almeno due ragioni per cui rimproverarsi. La prima, la più grave, era quella di aver creduto davvero che baciando Inej avrebbe spezzato la maledizione di Jordie. Aveva delirato al punto di pensare che dopo quella notte avrebbe fatto a pezzi i suoi guanti. Era stato uno stupido, e si chiedeva quante volte ancora avrebbe ingannato sé stesso prima di smettere di credere alle favole. Hertzoon, Van Eck... Sì, gli piaceva credere alle favole, e non era qualcosa che poteva perdonarsi. La seconda ragione per cui Kaz si rimproverava quella mattina, era di non essere stato in grado di gestire il panico, vedendo il suo corpo nudo accanto a quello di Inej. Si era svegliato presto, alle prime luci dell’alba. Il sole faceva capolino dopo il temporale, e i raggi rossi che filtravano dalla finestra disegnavano forme geometriche sulla schiena calda di Inej. Era bellissima. Ma aveva il viso così abbandonato nel sonno, così profondamente rilassato, e il suo corpo era nudo, e le loro pelli erano così schiacciate, che non poté fare a meno di avere un conato di vomito. Si portò una mano alla bocca, per soffocarlo. Si alzò bruscamente e corse verso il bagno, buttò la testa nella tazza e rigettò l’anima. Avrebbe voluto dare fuoco al mondo. 
Invece si sciacquò il viso, si lavò, e prima di indossare qualsiasi altro indumento si infilò i guanti. La sensazione famigliare della pelle sulle sue mani, gli indusse involontariamente un sospiro di sollievo. Avrebbe insultato tutti i Santi allacciandosi i bottoni della camicia, ma poco importava, avrebbero dovuto staccargli le mani dai polsi perché si togliesse di nuovo i guanti.
Rapidamente, si vestì, indossando tutti gli strati che gli fu possibile mettersi addosso senza morire di caldo. E poi, molto lentamente, per non svegliarla, si sdraiò al fianco di Inej. In realtà lei era già sveglia, lo sapeva. Si era svegliata nel momento in cui lui si era fiondato in bagno. Eppure, per qualche motivo, teneva gli occhi chiusi e fingeva di dormire. L’unico indizio era il lenzuolo che aveva tirato su di sé in modo che la coprisse fino alle spalle. Lui non la meritava, ma ormai non gli importava neanche più, dato che non sarebbe riuscito a stare senza di lei. In ogni caso, avrebbe continuato a fare tutto quello che era in suo potere per renderla felice. La sua regina. Aveva dei cerchi scuri sotto gli occhi, e dall’ultima volta che si erano visti aveva perso peso, lo aveva notato immediatamente. Avrebbe voluto infilare le dita fra i suoi capelli, ma Inej era stata molto chiara con lui: l’avrebbe avuto completamente, oppure per niente. Non avrebbe gradito il tocco ruvido dei suoi guanti. Sospirò, e si scoprì preoccupato della reazione che avrebbe avuto Inej aprendo gli occhi. Sarebbe stata delusa? 
In risposta ai suoi pensieri, Inej li aprì. Dovette fare violenza su sé stesso per non evitare il suo sguardo. Gli fece venire una fitta alla gamba, e si portò una mano su di essa. Lei invece era l’immagine della calma. Gli sorrise, e si accucciò ancora di più fra le coperte, facendo scomparire il suo corpo e lasciando fuori solo il viso. Era arrossita. A Kaz si sciolsero tutti i muscoli. Tentò un sorriso, ma non era certo di come gli fosse uscito, perché Inej in risposta soffocò una risatina. 
— Dove vai? — gli chiese.
Da nessuna parte
— Ho degli affari da sbrigare, fra un po’ —. Lei annuì, e si tirò su dal letto, premendosi addosso le lenzuola. Lo sguardo gli cadde nell’incavo del collo, quel punto così pericoloso del corpo di Inej. 
— Mi passi i vestiti? —. Erano stesi su una sedia vicino a Kaz, ormai asciutti. Lui li prese e glieli porse. Questa volta non le diede le spalle mentre si vestiva, ma cercò nel suo sguardo un cenno di approvazione. Inej fece una smorfia. — Non siamo ad armi pari —. 
Aveva ragione. Ma se quella mattina la sua pelle avesse toccato qualcosa, sarebbe impazzito. Deglutì, non sapeva come rispondere, ma non voleva nemmeno voltarsi. Lei scosse leggermente la testa, ma aveva già finito di vestirsi. Kaz, seduto sulla sedia su cui poco prima si trovavano gli indumenti della sua ragazza, le allungò una mano guantata. Inej esitò, ma poi la prese e si avvicinò a lui. Con grande sorpresa di lei, Kaz appoggiò rapidamente la testa sulla sua pancia, ma non chiuse gli occhi né diede alcun segno di rilassatezza. Ora era Inej a non sapere cosa fare. Poteva toccarlo?
— Ho del lavoro per te — le disse. 
— Fammi vedere —. La sua voce si era un po’ incrinata. 
Entrò in modalità Manisporche, e alzandosi bruscamente le illustrò alcuni edifici della città in cui si sarebbe dovuta infilare per capire se fosse tutto sotto controllo. Sotto controllo di Kaz. Lei lo ascoltava attenta, con una leggera malinconia negli occhi che lui sapeva leggere, ma non come alleviare. L’avventura a cui Inej lo invitava gli faceva gelare le budella. Gli era servito meno tempo per decidere di penetrare Fjerda con un gruppo di disgraziati. 
— Verrò da te stasera, Inej, e faremo rapporto su quanto hai scoperto —. 
— Ti aspetterò —. Non era il volto dell’entusiasmo, ma non poteva biasimarla. Non era nemmeno stato in grado di chiederle come avesse passato gli ultimi due mesi. Mentre lei stava già per uscire dalla finestra, Kaz la fermò. 
— Inej —.
— Sì? —. Le luccicarono gli occhi.
— La cravatta? E’ dritta? —. Lo era, lo sapevano sia lei che lui, ciononostante lei gli si avvicinò con un sorriso. Sentì il bisogno di reggersi sul bastone.
— Ecco fatto — annunciò, dopo che aveva prima rovinato e poi riaggiustato il suo nodo alla cravatta. Poi volò via. 
Se Kaz avesse creduto in qualcuno o in qualcosa, l’avrebbe ringraziato per avergli messo sulla strada l’unica ragazza che capiva la sua lingua.  
 
Inej, in quei lunghi mesi di navigazione, aveva dimenticato il calore di casa Van Eck. Era stata accolta dagli ululati di Jasper e dai sorrisi timidi di Wylan, e si accorse di non desiderare di trovarsi in nessun altro luogo. Avevano trasformato le loro vite in qualcosa che nessuno dei due avrebbe mai sperato di poter avere, e sprizzavano un’energia completamente diversa da quella che li animava quando, fianco a fianco, avevano lottato per portare a termine con successo i colpi organizzati dalla mente folle e geniale di Kaz. Per darle in benvenuto, Wylan aveva suonato col flauto una melodia allegra che l’aveva fatta traboccare di gioia, e poi Jesper aveva cominciato a strillarci sopra una ballata marinaresca delle più squallide. Aveva riso così tanto da farsi venire mal di stomaco. Le erano mancati in un modo che non avrebbe saputo esprimere a parole, e ringraziò i suoi Santi Suli per avere persone così meravigliose da cui tornare, dopo le sue estenuanti traversate a caccia di schiavisti. Nel calore di quella casa, i giorni trascorsi sulla Spettro le sembravano terribilmente lontani. Non c’era spazio per la paura, per la rabbia, per il rancore, fra quelle quattro mura. 
Trascorsero la serata a raccontarsi delle loro nuove vite, inebriati dal vino e rimpinzati di cibo. Jesper si esibiva con orgoglio per mostrare i suoi progressi nell’addestramento da Fabrikator, e Inej ne fu sinceramente colpita. Fra le sue lunghe dita affusolate riusciva a dominare il ferro con maestria, facendogli assumere tutte le forme che desiderava con una rapidità e una destrezza che prima non aveva. Wylan lo osservava ammaliato e sognante, e Jesper sotto il suo sguardo gonfiava il petto come un gallo. Fece un sospiro, non riuscì ad impedire alla sua mente di tornare a quella mattina, quando aveva sentito Kaz correre in bagno a rimettere. No, non era andata esattamente come aveva sperato, ma se lui aveva deciso di lasciarsi andare, se aveva deciso di lottare come aveva fatto la notte precedente, non ci sarebbe stato nulla in grado separarla dal suo posto, accanto a Kaz. 
— L’hai visto? — le chiese Jesper. Doveva aver lasciato trasparire le sue emozioni. Sentì il suo viso scaldarsi.
— Sì — rispose con un filo di voce, distogliendo lo sguardo. Sentiva gli occhi indagatori di Jesper addosso. Wylan gli tirò una manica per invitarlo a farsi gli affari suoi, ma non era esattamente una delle specialità del suo ragazzo. 
— E’ com’é andata? — 
— Jesper! — sbottò Wylan.
— E’ andata bene — gli rispose Inej, mentre si cacciava in bocca una fetta di torta.
— Ah, sì? —. Jesper aveva un sorrisetto impertinente stampato in faccia, e inzuppava con un po’ troppa insistenza un biscotto in un bicchiere pieno di liquore dolce. Le fece l’occhiolino. Wylan alzò gli occhi al cielo e tentò di cambiare argomento chiedendo ad Inej altri racconti sulla sua avventura in mare. 
Inej apprezzò l’aiuto di Wylan, e si lanciò in una narrazione avvincente delle sue gesta, complice l’ebbrezza dovuta al vino. Era felice. In realtà, quello che avrebbe voluto urlare ai quattro venti era di aver passato la notte con Kaz Brekker, che aveva visto l’eccitazione nei suoi occhi vincere ogni resistenza. E avrebbe voluto urlare che si era sentita a un passo dal trascendere, ma che con tutte le sue forze era rimasta  avvinghiata al proprio corpo, per non perdere nulla di quello che provava. Per la prima volta, aveva desiderato con ardore ogni sensazione, ogni contatto, aveva amato il suo respiro affannato che le sfiorava la pelle, e la sua postura sbilenca per non caricare troppo peso sulla gamba dolorante. Quando avrebbe rivisto Nina, forse gliel’avrebbe confidato, ma per ora era uno dei tanti segreti che custodiva. 
Sapeva che in qualche modo quella notte si sarebbero rivisti, e osservando le occhiate cariche di impliciti che Wylan e Jesper si stavano lanciando, concluse che fosse giunto il momento in cui ognuno aveva bisogno della propria privacy. Diede la buonanotte ai suoi amici, e corse verso la sua camera, ancora un po’ stordita dall’alcol. Sperava vivamente che Kaz non avesse avuto per lei nessun piano per quella notte. 
Entrando, non fu così sorpresa di vederlo sdraiato sul suo letto, ovviamente completamente vestito. Anzi, si era tolto la giacca, che aveva appoggiato ad un gancio vicino alla porta. Così come lei era in grado di entrare nella sua camera senza farsi sentire, allo stesso modo era in grado di farlo lui. Lo sondò per comprenderne l’umore. In un primo momento gli era sembrato particolarmente pallido, ma adesso le guance gli si stavano arrossando e assumeva un’aria divertita.
— Inej, tesoro, hai bevuto? —. Era così evidente? 
— Un po’ — ammise. Lui rise.
— Cosa diranno di te i tuoi Santi Suli? Non crederanno ai loro occhi  —. Fingeva un’aria incredula. 
Inej esitò.
— Mi sono concessa a un capoclan del Barile. Ho già toccato il fondo —. Fece spallucce. 
— Il re dei ratti. La peggior specie —. Aveva un sorriso obliquo stampato in faccia, e la guardava in un modo che portò Inej a controllare di avere ancora i vestiti addosso. 
— Cos’hai lì? — indicò con un dito un sacchetto di carta di fianco a Kaz. L’espressione che aveva in viso gli scomparve all’istante e piombò in quello che ad Inej sembrava imbarazzo. Lui guardò il sacchetto come se si fosse materializzato in quel momento e non avesse idea di cosa farsene. Poi si tolse i guanti, li appoggiò sul comodino, e glielo allungò. 
— E’ per te — le disse, con un soffio di voce, mentre la guardava. — Era quello che avrei dovuto fare stamattina —.
Lei gli scivolò vicino, curiosa. Forse le dita le tremavano un po’. Il profumo che veniva dal sacchetto ne aveva già tradito il contenuto.
— Sono delle cialde! — esclamò Inej, con le sopracciglia sollevate dallo stupore. — Manisporche mi portato delle cialde — sentenziò, dando voce ai suoi pensieri, e ottenendo in risposta uno sbuffo di Kaz.
— A quanto pare — borbottò lui. 
Erano seduti uno al fianco dell’altra, vicinissimi. Inej non aveva più fame, ma dopo due mesi di gallette stantie non avrebbe mai rifiutato quel cibo divino. 
— Ne vuoi un po’? — gli chiese. Lui sembrò soppesare l’offerta, anche se non era una domanda difficile, poi annuì. Prima di addentarne una se la rigirò fra la mani, probabilmente chiedendosi se le cialde fossero un cibo troppo felice per i suoi standard. 
— Sono buone — ammise infine, con aria sconfitta. Tornò a stendersi sul letto, e lei gli si appollaiò vicino. Finché erano vestiti poteva evitare di avere preoccupazioni su cosa poteva mettere Kaz a disagio o meno.
— Vuoi sapere cosa ho scoperto oggi? — gli chiese. 
— E’ qualcosa per cui valga la pena spendere il tempo che abbiamo? —.  Le si strinse il cuore. 
— In realtà, no —.
— E allora rimanderemo questa conversazione —. Inej gli mise una mano sul petto, sentì il suo respiro mozzarsi, e premette ancora di più il suo viso sulla sua spalla. — Stasera Inej... — cominciò lui, ma le parole successive gli morirono in bocca. Lei capì all’istante.
— Abbiamo molte altre notti, da qui a quando ripartirò —. 
— Stai già organizzando la tua ripartenza? Ho ancora del lavoro per te, Spettro —.
— Non mi tratterrai qui con il lavoro, Kaz —. 
Silenzio.  
— Raccontami delle tue avventure in mare, Inej. Vediamo di quanto riesco ad allungare la lista di persone da fare fuori —. 
— Le metà le ho già fatte fuori io —.
— Non avevo dubbi —. 
E così cominciò a raccontare, ma non fu come a cena, con Wylan e Jesper. A lui poteva dire tutto. Poteva rivelargli l’angoscia, la paura, e di quanto a tratti non le sembrasse poi così eroica la sua missione. Tutte quelle lacrime, tutto quel sangue, le facevano temere di perdere la protezione dei Santi, anche se sapeva di essere dalla parte giusta, dalla parte dei deboli e degli indifesi. Era stata spettatrice di situazioni che avrebbe voluto dimenticare nel momento stesso in cui le vedeva. 
Kaz la stringeva con le sue braccia, e talvolta si irrigidiva, nei momenti più crudi dei suoi racconti. Non la interrompeva mai, lasciava che le parole le sgorgassero come un fiume in piena. Probabilmente non aveva mai parlato così tanto. 
Poi in qualche modo il sonno la rapì, facendole calare le palpebre. Non seppe dire se fosse ancora sveglia o stesse già dormendo, quando Kaz le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò — Buonanotte, mia regina  —.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Regolamento di conti ***


Erano trascorsi due giorni da quando Kaz aveva visto Inej nella casa di Van Eck, e da quella sera non si erano più rivisti. Aveva dovuto occuparsi di alcuni affari, che gli avevano procurato non pochi grattacapi. In particolare, una partita di jurda era stata intercettata da una banda rivale, che aveva fatto fuori tre dei suoi, e nella sua ignoranza continuava a sbandierare per le strade del Barile di averla fatta a Kaz Brekker. Erano Centesimi di Leone, giovani reclute che si trastullavano nella loro arroganza, e che evidentemente non avevano ancora provato sulla propria pelle le bastonate del re dei ratti. Non li avrebbe fatti attendere a lungo. Era il primo affronto che subiva da quando aveva  fatto sparire dalla circolazione Pekka Rollins, e probabilmente era successo perché negli ultimi tempi era stato più impegnato a comprare azioni, che a fracassare crani nelle vie degli Scarti. Aveva deciso di occuparsi personalmente del regolamento di conti, per non far perdere alla gente il gusto di alimentare le leggende su di lui. Avrebbe dato al Barile altro su cui cianciare, e sperabilmente dei buoni motivi per non mettere più in discussione la sua posizione. 

Non era tanto stupido da buttarsi nella mischia dei Centesimi di Leone da solo, ma loro avrebbero dovuto crederlo. Lo seguivano il suo nuovo ragno, che non valeva un mignolo di Inej (ma dopotutto lei era sprecata per il Club dei Corvi), Anika e Keeg. Erano in pochi, ma sarebbero bastati, e fracassare una banda in quattro sarebbe stato di monito per chi avesse osato di nuovo sfidarlo. Per rendere tutto più eccitante, nel pomeriggio Kaz aveva fatto ripulire tutti i turisti che bazzicavano nella zona dei Centesimi di Leone. 

Col suo solito passo cadenzato, avanzava per le vie del Barile fra i mormorii di chi lo riconosceva, e non c’era una sola persona che si azzardasse ad intralciare il suo cammino, anzi, la maggior parte indietreggiava cautamente. Respirò a pieni polmoni quel rispetto che si era guadagnato giorno dopo giorno, tra un fendente e l’altro. Si era meritato tutto questo, e certamente non avrebbe lasciato dei mocciosi dubitare del fatto che quella fosse la posizione che gli spettava. 

Fece un cenno ad Anika e Keeg, che annuirono e si defilarono. In lontananza, un gruppo di avanzi di galera armati fino ai denti gridava e beveva: i Centesimi di Leone. La banda era molto diversa rispetto a quella che Kaz ricordava. C’era ancora qualche veterano, ma perlopiù erano giovani reclute. L’assenza di Pekka Rollins doveva aver cambiato di parecchio le carte in tavola e gli equilibri interni, così come del resto era successo al Club dei Corvi. La maggior parte sembrava avere circa la stessa età di Kaz, anche se in qualche modo lui si sentiva molto più vecchio di loro. Il biondino che aveva l’aria di essere il loro leader, e di cui non si era preso la briga di conoscere il nome, si irrigidì alla sua vista, ma sicuramente non ne rimase sorpreso. Si sforzò di stamparsi in faccia un sorrisino di scherno, e si fece avanti fra i suoi compari. La cicatrice che gli attraversava l’occhio destro gli conferiva un’aria temibile, questo Kaz doveva ammetterlo. Era pettinato nello stesso modo in cui era solito fare lui, probabilmente nel tentativo di scimmiottarlo. 

— Manisporche — iniziò il ragazzo — quale onore —. Fece un inchino barcollante, probabilmente per via del whiskey. Era proprio stupido e arrogante come aveva immaginato.

— Non avevo dubbi sul fatto che ti saresti chinato rapidamente — ribatté Kaz, mettendosi di fronte a lui per guardarlo negli occhi. Stava con le gambe divaricate, il bastone di fronte ad esse, ed entrambe le mani posate sul corvo. 

In tutta risposta il biondino gli lanciò uno sputo, che Kaz schivò prontamente.

— Vedo che non conosci le regole del gioco — gli disse.

— Solo tu stai giocando, Manisporche — ringhiò. I Centesimi di Leone gli stavano dietro, come una muta di cani randagi pronti ad attaccare.

— Vedi che non le conosci, le regole del gioco? Tu hai fatto fuori tre dei miei, è proprio così che si inizia a giocare — gli spiegò, stringendo le mani sul corvo, e poi aggiunse — Ora io devo fare fuori il triplo dei tuoi. Ma forse ti interessa negoziare —. 

Il ragazzo caricò un potente manrovescio, che Kaz evitò senza problemi. 

— Lo prendo come un no — gli disse, e a quel punto schiantò il suo bastone prima sul lato destro e poi sul sinistro del volto del suo avversario, sfregiandone il viso con il pomello. Barcollò, ma non cadde, e ancora stordito dal colpo si gettò verso di lui con un coltellaccio che aveva estratto dalla cintura. Kaz sentì la punta fredda del pugnale ferirgli il fianco, ma il suo avversario a quel punto era abbastanza vicino, e poté assestargli una testata, che lo mandò definitivamente a terra. Infierì, e gli fiondò il corvo sul cranio con un colpo secco. Perse i sensi, o più probabilmente, morì.   

Si tastò il fianco, la ferita non era profonda ma stava comunque perdendo sangue, e dal sapore che aveva in bocca, anche il suo viso non doveva essere nella sua forma migliore. Non era certamente la prima volta che si trovava in una situazione del genere, e aveva imparato che se si riuscivano a fare fuori i primi cinque o sei, in qualche modo si disincentivavano gli altri a tentare il brivido del suo bastone sul cranio. Ora che aveva atterrato il loro capo, però, i suoi compari iniziavano a circondarlo, schiumando di rabbia. Il suo unico obiettivo era uscirne vivo, al resto ci avrebbero pensato il ragno, Anika e Keeg, che al momento si trovavano sul tetto. Sferrò colpi in ogni direzione, con tutta la sua forza, e vide parecchie teste sanguinanti abbassarsi per i suoi fendenti. Ma erano decisamente in troppi. Sentì una lama sfiorargli la nuca, e si voltò di scatto, schivando il colpo all’ultimo. Gettò il corvo nella guancia del suo aggressore, ma ormai gli arrivavano pugni da tutte le parti. Uno gli arrivò in faccia, e lo gettò a terra. Dove diavolo era quel rincoglionito del ragno? 

Finalmente sentì dei pugnali fendere l’aria e conficcarsi nelle teste dei suoi avversari, che guardavano verso l’alto per capire da dove provenissero. Sentì degli spari, i Centesimi di Leone stavano provando a centrare il ragno sui tetti, ma lui si teneva ben nascosto. 

Il motivo per cui non sparavano a Kaz una pallottola nel petto, era che nel Barile i soggetti come lui non si mandavano all’altro mondo a colpi di pistola, e questo certamente non in segno di rispetto, ma perché era considerata una morte troppo rapida e indolore. Kaz sapeva che se fosse morto per mano di un clan avversario, l’avrebbero torturato per sentirlo implorare, e sicuramente gli sarebbero tornati indietro tutto il dolore e la distruzione che aveva seminato nella sua vita. Tuttavia non escludeva che qualcuno un giorno avrebbe potuto infrangere quella regola per farlo secco con un proiettile. 

Un suono metallico attirò la sua attenzione, il ragno aveva mancato un colpo e il pugnale era caduto sulla strada. Lo afferrò in fretta e lo conficcò con violenza in tutti i polpacci e in tutte le braccia che riusciva a vedere. Erano diminuiti rispetto all’inizio, e forse sarebbe riuscito a strisciare abbastanza lontano da lasciare il campo ad Anika e Keeg. Si trascinò ansimando, muovendosi sugli avambracci, ma le mani avversarie lo trattenevano e continuavano a pestarlo. Arrivò Anika in suo aiuto, non era così che doveva andare, ma doveva ammettere di essere ormai completamente privo di forze. Si servì di una catena per colpire i Centesimi di Leone rimasti in piedi, scagliandogliela addosso senza pietà. Kaz intanto strisciò verso il ciglio della strada. A quel punto notò che Anika era riuscita ad allontanarsi a sufficienza, e dopo aver fatto un cenno verso l’alto, lo spazio fra loro si riempì di una pioggia di cocci di vetro, che evidentemente Keeg era riuscito a lanciare senza il suo aiuto. Erano bottiglie rotte che avevano raccolto nelle strade del Barile. Kaz a tratti aveva pensato che la sua idea si sarebbe tradotta in un flop, ma ora, vedendo i cocci infilzati nella pelle dei Centesimi di Leone, grondanti di sangue e già accasciati a terra per i colpi, doveva ammettere di essere stato brillante. Era il colpo di grazia, difficilmente i clan avversari l’avrebbero sfidato nuovamente, e osservando le sue ferite, pensò che anche lui non avrebbe sfidato nessuno per un po’ tempo. 

— Sei messo male, capo — gli disse Anika. — Stavolta potevamo portarci qualcuno in più —.

— Beh, siamo ancora tutti vivi — le rispose Kaz, con la voce più rauca di quanto già non fosse normalmente.

— Se fossi in te, non avviserei lo Spettro di quest’ammucchiata a cui non è stata invitata — gli disse Keeg. Kaz lo ignorò, si sarebbe preoccupato in un altro momento di quanto reputare opportune le osservazioni su lui e Inej. 

Il ragno intanto era sceso dal tetto e recuperava i suoi pugnali, fra i rantoli dei Centesimi di Leone. Ora che aveva somministrato al clan rivale la lezione che gli spettava, mancava la seconda metà del piano: tornare a casa sulle proprie gambe. Lasciò gli altri tornare al Club dei Corvi senza aspettarlo, ad eccezione di Anika loro non avevano neanche un graffio. Non aveva certamente bisogno della scorta, più che altro perché conosceva una miriade di stradine secondarie in cui sarebbe potuto passare inosservato. Si avviò, e ogni passo era un inferno. Sarebbe sorto il sole prima che riuscisse ad arrivare nella sua stanza, senza considerare eventuali pause. Inej gli avrebbe consigliato di investire quel tragitto in riflessioni e preghiere. Sorrise. Inej. La immaginò dormire sonni tranquilli nel sontuoso letto di casa Van Eck.

Dopo un  tempo che gli parve interminabile, Kaz arrivò finalmente al Club dei Corvi. Sentì grida di festeggiamenti e un gran tintinnare di bicchieri, probabilmente Anika e Keeg aveva raccontato l’accaduto. Fu accolto da un’ondata di entusiasmo, li sentì brindare a “Manisporche”, e poi lanciare piogge di insulti contro i Centesimi di Leone. Nessuno sembrò particolarmente colpito dal suo aspetto truculento, ma del resto l’avevano visto conciato così in più di un’occasione. Nessuno di loro si aspettava che si sarebbe fermato con loro a festeggiare, così fece un rapido cenno di saluto e si avviò verso le rampe di scale che conducevano alla sua camera. All’ultimo piano. Arrivarci fu un vero e proprio calvario.

Dalla finestra filtravano le prime luci dell’alba, e sul davanzale si trovava Inej che, come era solita fare, dava da mangiare ai corvi. Fu un tuffo al cuore. Per un attimo gli sembrò di non essere mai partito per la Corte di Ghiaccio, e di essere sempre stato lì, con lo Spettro al suo fianco a progettare colpi e scambiarsi informazioni. Nel giro di alcuni mesi la loro vita era drasticamente cambiata. 

— Cos’è successo? — gli chiese, allarmata. Sarebbe stato assolutamente inutile mentire.

— Regolamento di conti — le rispose, sdraiandosi con cautela sul letto. L’avrebbe chiazzato di sangue, ma non riusciva più a stare in piedi.

Rapida e silenziosa come sempre, Inej gli si avvicinò. — Posso? — gli chiese, alzando le mani verso l’alto. Lui annuì, era a pezzi. Avrebbe potuto fare quello che voleva, e lui non avrebbe avuto neanche un briciolo di forza per impedirglielo. 

— Dobbiamo trovare un Corporalki, Kaz — gli disse, mentre con un pugnale gli strappava via la camicia, già lacerata in diversi punti. 

— Non so dove cercarlo, un Corporalki —. 

— Io sì —. Fece spallucce. 

Andò in bagno e riempì una tinozza di acqua fredda. 

— Cosa ci fai qui? — domandò Kaz. 

— Volevo vederti. Sono entrata e ho visto che non c’eri, ho immaginato che fossi in mezzo a qualche guaio, così sono rimasta —. Volevo vederti

Si schiarì la voce. — Hai fatto bene —. 

— Lo so. Ora mettiti seduto —. Lui ubbidì, ma era completamente privo di forze. Gettò la testa sulla spalla di Inej, fregandosene del sangue e di tutto lo schifo che aveva in faccia. Lei trasalì, ma non lo spostò di un millimetro. Gli mise una mano fra i capelli. — Kaz Brekker, tu sei pazzo —.

Ma lui non rispose, si trovava in un particolare stato di coscienza in cui tutto era buio e si sentiva solo il profumo della pelle di Inej. La sentì strizzare la spugna, e con tocchi leggerissimi tamponargliela sulle ferite che aveva nel petto. L’acqua era gelida, e gli fece venire la pelle d’oca. Venne anche a lei, e sentì il suo respiro accelerare. Quand’era frastornato, quando il contatto con la realtà si faceva labile, come era successo qualche notte prima, diventava più facile per lui stare a contatto con la pelle di Inej. Il ricordo di Jordie si faceva lontano, piccolo, rispetto a tutte le sensazioni che gli esplodevano in corpo. Lei intanto continuava, bagnava la spugna nella tinozza, la strizzava, e poi la passava sulle sue ferite. Ora si era spostata sulla nuca, dove un Centesimo di Leone aveva tentato di affondargli una lama, e poi cercò dei tagli sulle braccia, ma quelle erano state risparmiate. Kaz si scoprì a mordicchiare la sua pelle. Inej gli mise la sua mano minuta sotto al mento, costringendolo ad alzare il capo. Ora si guardavano negli occhi, ma solo perché lo sosteneva lei, altrimenti lui sarebbe crollato. Lo esaminava con attenzione, le sue gote erano un po’ accaldate. Gli passò la spugna su tutto il viso, come una carezza. Voleva baciarla. Moltissimo. Ma aveva ancora la sua mano a sostenergli il mento, e il viso sembrava non voler rispondere ai comandi. Voleva avvicinarsi, ma era il movimento più difficile che avesse mai tentato. Inej gli sorrise, e fu lei ad accostare le labbra alle sue. Si diedero un bacio leggero, e poi un altro, meno leggero, e sentì le loro lingue incontrarsi per dirsi tutto quello che erano incapaci di comunicare a parole. Provò a tirarla verso di sé, ma il dolore si irradiò ovunque. Al diavolo. Lei scosse la testa, sorridendo, e si alzò per svuotare la tinozza. Kaz intanto si gettò sul letto, la stanchezza lo stava ammazzando. La sentì tagliare della stoffa con un pugnale, e le sue dita rapide cominciarono ad avvolgere le fasciature intorno alle ferite. Voleva liberarsi dei pantaloni, armeggiò con la cintura e poi tentò di sfilarseli. La mano di Inej gli attraversò la gamba, mentre lo aiutava, il suo tocco lo fece sobbalzare.

— Tu vuoi uccidermi — boccheggiò. 

— Mi sembra che tu ci stia riuscendo benissimo da solo — gli rispose lei, mentre annodava l’ultima fasciatura. — Ho fatto — aggiunse — vado a cercare la Corporalki —.

— Resta con me — le disse in un sussurro. Lei era già vicina alla finestra. 

— Finché non ti addormenti, pazzo di un Brekker —.

— Accordato —. 

Si infilò sotto alle lenzuola, gli mise un braccio sotto al capo e lasciò che il viso di Kaz trovasse posto sotto al suo. S’intrecciarono, e non passarono cinque minuti che lo sentì abbandonarsi al sonno. Accarezzò il suo corpo a lungo, poiché non sapeva se al suo risveglio avrebbe potuto farlo di nuovo.

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Capitolo 4
*** Confessioni, prima parte ***


La frescura dell’aria mattutina portò Kaz a stringersi nel cappotto. I colori dell’alba si riflettevano sulle case del Barile, conferendo loro un fascino di cui erano prive nell’usuale grigiore di Ketterdam. Il suo respiro e i suoi sbuffi formavano nuvolette bianche che si disperdevano rapidamente. Lo attendeva una bella strigliata, dall’unica persona da cui avrebbe accettato di prenderla: ovviamente, Inej. Come se quello non bastasse, la gamba irradiava pulsazioni da quando si era alzato, costringendolo a procedere più lentamente e dolorosamente del solito. La giornata si preannunciava pessima, ma questo lo lasciava del tutto indifferente. Non esistevano giornate felici nel Barile. 

Inej gli aveva dato appuntamento al porto, lasciandogli un foglietto sul letto, su cui aveva scritto il luogo e l’orario dell’incontro in tre parole asciutte. Di solito era lui ad essere secco, non lei.

La vide subito, seduta sulla banchina, con le gambe penzoloni e la lunga treccia che le sfiorava la schiena. Era certo che l’avesse sentito avvicinarsi, fra i passi scoordinati e i colpi del suo bastone, tuttavia non si mosse di un millimetro. 

— Buongiorno, Kaz — gli disse, con la voce leggera come un battito d’ali. 

— Inej —. 

Con qualche movimento maldestro si abbassò per sedersi accanto a lei. Non c’era nessuna barca attraccata davanti a loro, e Inej osservava il ritmo ipnotico delle increspature dell’acqua. Gestiva il silenzio con la stessa maestria con cui era capace di rendersi invisibile, diceva tutto senza pronunciare una sola parola. Kaz non riusciva a sopportare quella tensione.

— Sono tutt’orecchi, Spettro — iniziò lui, spostando lo sguardo sul suo viso. Lei si voltò, e un’espressione di stupore le alterò i lineamenti. 

— Kaz... Cos’è successo al tuo naso? — gli chiese, divertita. Con grande disappunto di Kaz, Inej si abbandonò ad una limpida risata. Non esisteva un suono più appagante per lui, gli era mancato in modo doloroso quando lei era lontana. Tuttavia, quella mattina la sua risata lo lasciò impassibile. 

— E’ stata quell’incapace della tua Corporalki, si è lasciata prendere la mano — disse con tono stizzito.

— E’ più bello di prima — gli fece notare lei. 

— Sono un capoclan del Barile, non un damerino che suona il violino e passa il resto del tempo a rigirarsi i pollici —. 

— Non c’è di che, Kaz, davvero —. Ignorò la sua provocazione. 

— Alla prossima rissa qualcuno provvederà a farlo tornare come prima. Non ti ci abituare —. 

— Non mi abituo mai a niente di ciò che ti riguarda, Kaz Brekker —. A quella parole un sorriso obliquo gli attraversò le labbra. Forse non era così arrabbiata.

— Il tuo naso è un bel inconveniente, dato che mi ero ripromessa di essere furiosa con te — confessò Inej, lanciando uno sguardo fugace in direzione di Kaz. I suoi capelli corvini si agitavano assecondando la brezza, e la luce calda del mattino ammorbidiva i lineamenti spigolosi del suo viso.

— Forse devo ringraziarla davvero, la Corporalki. Poche cose mi fanno paura come uno Spettro incazzato —. 

Inej alzò un sopracciglio — Davvero? —.

— No — ammise lui — ma mi diverte che tu ci abbia sperato —. Gli angoli della bocca gli si sollevarono in un sorriso di scherno. In riposta si beccò uno strattone da parte di Inej. — Adesso ti metti a colpire i poveri storpi? — le chiese, con fare vittimista.

— Solo i poveri storpi con i nasi belli — ribatté lei.

— Allora sono spacciato — concluse Kaz, avvicinando la sua mano guantata alla guancia di Inej. Stavolta era lui a muoversi lentamente, per permetterle di scostarsi. Non lo fece, ma i suoi occhi scuri gli incatenarono lo sguardo. Le doveva delle risposte. 

— Sai che non manca molto alla mia ripartenza. Andrò a Ravka — cominciò lei, e lui annuì in risposta. — Ieri stavo reclutando nuovi membri per l’equipaggio, e io, Kaz, lo sapevo che avresti provato ad infiltrare i tuoi sulla nave —. A quel punto distolse lo sguardo, tornò ad osservare l’orizzonte. Non fu minimamente sorpreso dalle parole di Inej, aveva accettato da tempo la sua capacità di prevedere le sue mosse. Non senza una buona dose di frustrazione.

Lei continuò — Così ho chiesto a tutti di mostrarmi i loro tatuaggi —.

— Avrei fatto lo stesso — commentò lui. 

— Sapevo anche che saresti riuscito a nascondere il corvo e il calice, magari con l’aiuto della Splasmaforme che ho portato da te per farti aiutare. Questo non voglio saperlo. Così ho osservato il loro comportamento mentre esaminavo gli avambracci, per capire chi fossero i più nervosi —. 

— Astuto, in effetti —. Sbuffò. — Quegli stupidi idioti si sono fatti beccare così? — borbottò.

— Già —. Sospirò. — Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, Kaz, come fai ancora a pensare che io abbia bisogno di protezione? Io non vengo a dirti come fare il tuo lavoro, potresti evitare di intrometterti nel mio? —. Ignorò la fitta che gli flagellò la gamba. Inej aveva frainteso, ma quelle parole lo ferirono ugualmente. Sentì che lo avevano toccato in un punto delicato.

— Non hai capito, Inej — riuscì a dire.

— Cosa? — tutto in lei era in attesa, Kaz non sapeva bene di quale rivelazione. 

Parlò la lingua che gli veniva facile. — Pensi davvero che non abbia niente di meglio da fare che sprecare tre dei miei uomini per proteggere te? Pensavo che mi conoscessi meglio, Spettro. Quegli uomini non erano per te, ma per me —.

Lei sembrava ancora più confusa. — Cosa vuoi dire? —

Già, cosa voleva dirle? Passò al vaglio un buon numero di mezze verità che avrebbe potuto propinarle, non dubitava che Inej ci avrebbe creduto. Si fidava di lui. Ma alla fine, non disse nulla di tutto ciò. Sarebbe stato migliore rispetto al passato, per sentire di meritarla almeno un po’. 

— Se pensi che starò di nuovo per mesi senza avere tue notizie, ti sbagli. Non starò di nuovo senza sapere in quale sperduta parte di mondo ti trovi, ignorando se sei ancora tutta intera, se sei morta e gli uccelli ti stanno beccando le budella, o se stai marcendo in qualche prigione. Questa volta, Spettro, saprò dove diavolo sei ancor prima che tu ci arrivi. E’ per questo che li avrei pagati — ringhiò. Il suo tono era stato più aggressivo di quanto avrebbe voluto, ma il pensiero di non avere notizie di lei per mesi, gli incendiava le viscere. 

Inej lo fissava incredula, l’espressione immobile. 

— Volevi che ti scrivessero di me? —. La sua voce tradiva un’emozione che non seppe decifrare.

Non riuscì a reggere il suo sguardo. — Sì, e spesso —.

— Perché non lo hai chiesto a me, Kaz? —. Nessuna traccia di rabbia, eppure la pelle ambrata del suo volto era arrossita. 

— Non volevo darti un pensiero in più. Dare la caccia agli schiavisti immagino ti impensierisca a sufficienza —.

In risposta, Inej alzò le braccia in un gesto esasperato. — Sai una cosa, Kaz? Sei piuttosto stupido, per essere un genio —. Forse adesso era un po’ arrabbiata. 

— Mmh? —. In quel momento era lui, a non capire. All’improvviso, si sentì afferrare il volto fra la mani di Inej. I palmi caldi di lei gli scatenarono la nausea famigliare da contatto, e di riflesso si portò la mano alla gola.

— Respira — ordinò lei. E’ vero, si stava dimenticando di farlo. Si aggrappò al suo sguardo con tutte le sue forze. Grandi occhi neri, che aveva visto luccicare molte volte, per una risata cristallina, per le lacrime, per l’eccitazione. Quante volte aveva sognato quegli occhi, non sapeva dirlo. Li avrebbe seguiti persino all’inferno.

Respirò.

—  Kaz Brekker — iniziò la sua ragazza Suli.

— Rietveld — la interruppe lui. Cosa diavolo stava facendo? Perché la logica del mondo finiva quando compariva Inej?

Le pupille di lei si dilatarono, allentò la presa, e Kaz a poco a poco riprese consapevolezza delle loro pelli umide, viscide. Gli si mozzò il fiato, mentre buttava giù la bile.

— Respira — ordinò di nuovo lei. Obbedì. La sua voce era una scintilla di luce che gli indicava la traiettoria da seguire, nel buio profondo della sua mente. 

— Kaz Rietveld — ricominciò — Mi chiamano Spettro, perché tutto in me vaga senza sosta, e non c’è anima viva che possa sentirmi. — Fece una pausa, chiuse gli occhi — Ma il pensiero di te, Kaz, è l’unica cosa immobile e rumorosa della mia vita —. Li riaprì, e in qualche modo il suo sguardo dolce fu uno schiaffo in pieno viso. Si sentiva come se Inej gli avesse perforato il petto con un pugno, e ora stesse stringendo le dita attorno al suo cuore pulsante. Lei era insieme la sua salvezza e la sua distruzione, e che lo salvasse o lo distruggesse non aveva importanza, tutto quello che contava era stare accanto a lei. 

Non riuscì a dire una sola parola. Sentì le piccole mani di Inej scivolargli lentamente dal viso, la sua espressione paziente lasciava intendere che non si aspettava nessuna risposta da parte sua. Si maledì per questo. 

— R di Rietveld? — gli chiese lei, alludendo al tatuaggio sul suo bicipite. La sua voce si era fatta morbida come seta. 

— E’ così — confermò lui, sentendo alleggerirsi il peso che abitualmente gli gravava sullo stomaco. Era una sensazione nuova, ora erano in due a spartirsi quel fardello. Da un po’ di tempo desiderava farlo, ma non aveva mai trovato il coraggio, fino a quel momento. Non avrebbe saputo dire precisamente da quando, ma il pensiero che lei non conoscesse il suo vero nome aveva cominciato a tormentarlo. — Ovviamente puoi chiamarmi come ti pare — gli disse infine lui.

Dopo un attimo di esitazione, Inej rispose — Che ne dici di “Kaz, mio caro, tesoro del mio cuore”? —.

— Ti dico che la tua carriera da pirata cadrebbe a picco, se mi chiamassi così — e poi aggiunse — e che mi rubi le battute —. Le fece l’occhiolino, facendo arrossire, suo malgrado, Inej. Si avvicinò lentamente al viso di Kaz, poteva già percepire le labbra morbide di lei premere sulle sue. Ma per tutti i dannati Santi, erano al porto. Il suo sguardo fece un guizzo a sinistra, per vedere se ci fosse qualcuno intorno, ottenendo come risultato quello di far allontanare rapidamente Inej. Le afferrò il braccio, per tenerla vicino a sé. 

— Forse dovremmo cercare un posto più... appartato — tentò lui. Lei scostò la mano di Kaz dal suo braccio con un gesto delicato.

— In realtà, non ho tempo per appartarmi con te, Kaz. Il dovere mi chiama. Ma oggi, ti rivedrò? — un’espressione fiduciosa le si dipinse sul viso. 

Gli fece perdere la concentrazione, e ci mise un attimo prima di risponderle — Temo di sì —. 

Inej si librò in volo, in un attimo sparì dal sul campo visivo. Lei era felice, e con suo grande stupore dovette constatare che la sua felicità gli aveva guarito la gamba.

Si alzò in un baleno. Sarebbe stata una giornata diversa dalle altre, ma perché lo fosse, aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno. Si avviò a grandi passi. La gente intorno a lui gli faceva spazio, perché se c’era qualcosa che temevano di più della furia di Manisporche, era il suo sorriso stampato in faccia.    

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Capitolo 5
*** Confessioni, seconda parte ***


E così Inej ci era riuscita, a tirare fuori quel briciolo di umanità che lui era convinto di aver perso per sempre. Aveva teso la mano a Kaz Rietveld, un bambino di nove anni sepolto dai cadaveri e morto di peste, e quel fantasma aveva risposto alla sua stretta, emergendo dall’acqua putrida e stringendosi a lei con tutte le sue forze. Ce l’aveva fatta, quel maledetto Spettro, a fare breccia nelle parti più profonde del bastardo del Barile. E la cosa peggiore era che questo lo faceva stare bene, dannatamente bene. Si ritrovò a chiedersi se avrebbe ugualmente insistito con Per Haskell per l’acquisto del suo contratto, se allora avesse saputo che quella ragazza gli avrebbe accartocciato l’anima, e fatto mettere in discussione le fondamenta del suo essere. Manisporche non avrebbe fatto quell’errore, ma il Kaz che era diventato benediceva ogni giorno il coraggio che aveva avuto Inej nel pronunciare quelle parole, io ti posso aiutare. Gli veniva la pelle d’oca a pensarci. 

E poi, cosa gli aveva detto lei? Che il pensiero di lui era l’unica cosa immobile e rumorosa della sua vita. Trattenne un sorriso, pensando che probabilmente lui era un pensiero immobile e rumoroso per tutto il Barile. Ma ovviamente, per lei era una questione diversa, lo conosceva in un modo che lui stesso faticava a capire. Ogni tocco delle sue dita, ogni scambio di baci, la sentiva sfiorare le sue parti più vulnerabili, accarezzarle come se fossero qualcosa che poteva essere amato. E lui voleva essere amato da lei, con ogni fibra del suo corpo. 

Proprio per questo, voleva regalarle un ricordo da portare con sé, per quando la sua nave da guerra sarebbe salpata portandola in terre lontane da Ketterdam, lontane da lui. Una parte del suo cervello insisteva nel dirgli che stava per fare un’idiozia, e l’altra parte pure, ma era emozionato come un ragazzino. La stessa eccitazione di quanto la notte, sul suo letto, si esercitava per ripetere i trucchi da prestigiatore che lo affascinavano tanto. Anche se doveva ammettere che stava per fare qualcosa di gran lunga più complesso di un trucco di magia.

— Guarda chi si vede! — esclamò Jesper, non appena lo vide sulla soglia. — Vorrei chiederti qual buon vento di porta qui, ma ti conosco abbastanza da sapere che nessun buon vento ti porta da nessuna buona parte —. I suoi occhi verdi scintillavano di entusiasmo. Sperò vivamente che non lo abbracciasse.

— Ciao, Jes. Lo sai, che decido io quale direzione far prendere al vento —. 

— Wy, attacca col flauto la famosa canzone “Il vento mi porta galoppando da te, mia bellissima Inej”. E’ la preferita di Kaz —. Wylan scosse la testa con aria divertita e poi tornò ad immergersi in scartoffie ricoperte di numeri. 

— Piantala — disse seccamente Kaz. 

— Dai, Kaz, un po’ di allegria! — lo incoraggiò Jesper. — E dal momento che sei qui, dimmi, chi devo centrare con le mie bambine? Stanno facendo la polvere e non vorrei che si abituassero —.  Così dicendo estrasse le pistole dal fodero e se le fece roteare velocemente fra le dita. 

— Nessuno, in realtà. Sono qui per un consiglio —. L’ultimo parola gli bruciò sulla lingua come se fosse velenosa. 

Jesper si immobilizzò con la bocca spalancata, e persino Wylan si affrettò a distogliere l’attenzione dai suoi fogli e a puntarla su di lui.

— Ho sentito quel che credo di aver sentito? — domandò Jesper non appena si riprese dallo shock.

— Hai sentito quel che credi di aver sentito — ammise Kaz. Dopodiché, non ci fu un solo muscolo di Jesper che rimase fermo al suo posto, e lo vide guizzare in mille direzioni farfugliando parole come “colpo grosso”, “braccio destro” e poi “le kruge sono sempre kruge”. 

— Nulla di tutto questo, Jes. Ma ti assicuro, non è meno importante — lo rassicurò. Dopotutto, gli dispiaceva vedere la sua espressione raggiante sgonfiarsi come un palloncino.

Jesper esitò un attimo, e poi si illuminò. — Sei qui per Inej? —.

— Esattamente — rispose Kaz, che cominciava seriamente a rimpiangere ciò che stava facendo. 

— Cos’hai in mente? — gli chiese l’amico, sedendosi su una sedia e appoggiando il viso sui palmi delle mani. Gli luccicavano gli occhi. 

Kaz era davvero in difficoltà. Si sforzò di pensare che non sarebbe stato molto diverso dal  progettare un colpo, con lucidità e astuzia.

— Qualcosa di bello — disse infine. 

Jesper in risposta fece un lungo fischio. — Lo Spettro ha fatto un ottimo lavoro con te — commentò.

— Tipo una cena? — s’intromise Wylan, facendo tirare un sospiro di sollievo a Kaz.

— Tipo una cena, sì —.

— Allora lasciatelo dire, amico, quei capelli hanno bisogno di una sistemata —. Ma perché il mondo intero ce l’aveva con i suoi capelli? Si passò d’istinto le mani ai lati della testa, e annuì in direzione di Jesper. Quella sera doveva essere tutto perfetto, anche il suo taglio di capelli. 

— Poi? — chiese.

— Poi cosa? — 

— Cosa diavolo si fa ad una cena con la propria ragazza? —. Nessuno rise, e fu loro riconoscente. Lo capivano più di quanto credesse.

— Si portano dei fiori? — provò Jesper. Si immaginò porgere un mazzo di rose a Inej, e scacciò via rapidamente quell’immagine. Si sarebbe sentito un’idiota. Scossa la testa in segno di diniego.

— Cioccolatini? —. 

Scosse nuovamente la testa. Manisporche con dei cioccolatini, ma per piacere. 

— Regalale un pugnale, Kaz — propose Wylan, che ormai aveva definitivamente abbandonato l’idea di riprendere i suoi calcoli.

— E’ una buona idea, ma gliene ho già regalato uno. Il suo primo pugnale — rispose.

— Sankt Petyr? — chiese Jesper. Annuì in risposta. 

— Quanto tempo è passato? Anni? — chiese Wylan.

— Sì, perché? —.

— Allora, io credo... — iniziò, alzando timidamente lo sguardo verso di lui — che potresti regalargliene un altro, diverso. Uno che racconti chi siete diventati —.

Quelle parole aleggiarono nell’aria, facendo sprofondare tutti nel silenzio. Era un’ottima idea, ma esattamente, chi erano diventati, lui e Inej? 

Wy, penso che tu ti sia appena guadagnato un bacio! — esclamò Jesper, e così dicendo si diresse verso di lui, stampandogli un bacio sulle labbra nonostante le sue proteste. 

— Penso si possa fare. Grazie, Wylan —. 

— Di nulla. E invece, per la cena, sai già dove andare? — gli chiese.

Kaz finse di riflettere per un attimo poi scosse la testa. — No —. Manisporche non aveva mai avuto bisogno di viziarsi in ristoranti di lusso, quelle erano le abitudini dei polli che spennava.

— Che ne dici di questo splendido posto? —. Jesper accompagnò la sua domanda con un ampio gesto delle braccia, sotto lo sguardo in cagnesco del suo ragazzo. 

— Non credo che Wylan mi sia così debitore da farmi un favore del genere, Jes —. Le guance del figlio di Van Eck si erano fatte color porpora.

— Eddai, mercantuccio! — insisteva Jesper — Dì ai cuochi di preparare una cena coi fiocchi, e di sparire non appena sia stato tutto servito! Io e te andiamo a farci qualche partita a Tre Uomo Mora e poi piangiamo le kruge perse sui cuscini dorati di un sontuoso albergo. Pensi di poter davvero resistere a questa proposta? —. 

Kaz non seppe dire con certezza cosa convinse Wylan, ma sospettava che avesse a che fare con l’occhiata che gli lanciò Jesper.

— Spiegherò alla servitù cosa fare — disse annuendo Wylan — ma per favore, Kaz, non combinare guai — lo implorò.

— Hai la mia parola — gli assicurò Kaz, e vide il figlio di Van Eck sbiancare in risposta al suo sorriso. 

Fece un cenno di saluto, e poi si calcò il cappello sulla testa. Si diresse a grandi passi verso la porta: aveva un’arma da procurarsi per il suo amato Spettro. 

 

Inej aveva avuto una giornata lunga. I preparativi per la partenza anticipata le rubavano tempo ed energie, che avrebbe volentieri speso in altro modo. Ma gli schiavisti non si fermavano da soli e aveva una causa da perseguire: i compromessi facevano parte del gioco. Un sorriso le increspò le labbra pensando alle lettere che avrebbe scritto a Kaz durante il suo viaggio verso Ravka, ma soprattutto a quelle che avrebbe ricevuto da lui. Sarebbe stato pragmatico anche in quel caso, o avrebbe lasciato scorrere le parole più fluidamente, vergandole sulla carta? Lo avrebbe scoperto, ma prudentemente sceglieva di tenere basse le aspettative. Gli spiragli nel cuore di Kaz erano difficili da aprire e si rimarginavano con una rapidità sorprendente. 

Non vedeva l’ora di tuffarsi in un bagno caldo a casa di Jesper e Wylan, e di mettere sotto i denti qualcosa di buono. Erano passate molte ore dal suo ultimo pasto. Si calò giù per una grondaia e dopo un paio di minuti si trovò davanti alla porta d’ingresso.

Compagni marinai, stappate le bottiglie! Questa notte le sirene cantano per noi, compagni marinai! — cantò a squarciagola Inej entrando, aspettando che Jesper intonasse in risposta la parte successiva. Silenzio. Si arrestò di colpo, quella casa non era mai così silenziosa, e nemmeno così buia. C’era qualcosa di strano nell’aria, e restò in allerta.

Lo sfrigolio di un fiammifero nel buio illuminò il sorriso obliquo di Kaz, che senza alzare lo sguardo accendeva alcune lunghe candele disposte ordinatamente sulla tavola. Per tutti i Santi. 

— Sento di poter dire che né la compagnia di Jesper né quella dei marinai ti facciano bene, Spettro —. La sua voce rauca si fece spazio fra loro, e in qualche modo le ricordò il profumo dei gerani selvatici che amava sua madre. Le ricordò casa. Kaz Brekker era casa. 

— Perché, la tua sì? — ribatté lei, avvicinandosi curiosa alla tavola imbandita. C’erano tutti i suoi piatti preferiti, nessuno escluso. Cosa stava succedendo? Avevano confuso la data del suo compleanno? Si sentì improvvisamente in imbarazzo.

— Me lo dirai alla fine di questa serata, Inej —. Benedì la semioscurità della sala da pranzo che le nascondeva il rossore sulle guance, anche se non escludeva che Kaz potesse percepirlo nell’aria. 

Si impegnò per mantenere la voce ferma. — Cosa si festeggia? —. 

Kaz si schiarì la gola. — Noi due —. 

Si appoggiò ad una sedia per non cadere. O uno di loro due si era tracannato una bottiglia intera di whisky, o cominciava ad avere delle allucinazioni. Perché chiaramente quella non poteva essere la realtà. Le ci volle un attimo per riprendersi, e poi alzò lo sguardo verso Kaz, che la scrutava attentamente. Era vestito di tutto punto, la giacca gli cadeva perfettamente sulle spalle, e sotto di essa la camicia stirata aderiva al suo corpo tradendone la struttura muscolosa. Intorno al collo aveva annodata una cravatta bianca, il nodo fermato da un gioiello notevole. Persino i suoi capelli erano più ordinati del solito. Faceva sul serio. Gli occhi color caffè amaro erano in attesa di una sua risposta, ma quando lei aprì bocca non fu in grado di dire nient’altro che — Posso farmi un bagno, prima? —. 

— Ma certo — le rispose lui. — Ti aspetto qui —. 

A quelle parole Inej volò al piano di sopra, doveva fare in fretta, di certo non voleva farlo aspettare troppo, correndo il rischio che lui rinsavisse e se la desse a gambe. Entrata in camera notò subito che qualcuno aveva appoggiato sul suo letto un elegante abito nero, di seta. Maledetta seta. Prese il biglietto che vi si trovava sopra. “Nemmeno il sacro bastone di Kaz saprà resisterti” c’era scritto, con una calligrafia nervosa, e in un angolo si leggeva la firma “Jes (e Wylan)”. Le sfuggì una risatina. 

Si passò la stoffa del vestito tra le mani, facendosi venire i brividi, e sentì gli incubi riaffiorare in superficie. Scosse la testa nel tentativo di scacciare via quelle immagini. A occhio e croce, era della misura giusta. Aveva un taglio semplice, senza fronzoli, anche se la scollatura era certamente più generosa di qualsiasi cosa avesse mai indossato. Jesper e Wylan si erano persino occupati di procurarle delle scarpe da abbinare al vestito. Anche in questo caso, per fortuna, nulla di troppo sfarzoso, avevano un po’ di tacco ma nel complesso erano piuttosto sobrie. Prese tutto e andò in bagno, dove trovò già pronta persino la vasca da bagno. Mise una mano nell’acqua e sentì che era ancora calda, si spogliò di tutti i vestiti che indossava e ci si fiondò dentro. Si era dimenticata di chiudere la porta a chiave, ma ad essere sincera forse non era stato un errore accidentale. Da quando era diventata così sfacciata? Decise che dopo tutto quello che aveva passato e che avrebbe passato, non era un peccato così grave desiderare Kaz Brekker, e non se ne sarebbe fatta una colpa. 

Prese una saponetta e cominciò a strofinarsela con vigore sul corpo, l’obiettivo era profumare almeno la metà di quanto profumava lui. Si interruppe quando sentì battere due colpi alla porta, le sfuggì un sorriso. Kaz era davvero cambiato.

— E’ aperto —. A quelle parole sentì girare il pomello e vide Kaz entrare con un’espressione imbarazzata che cercava di dissimulare guardandosi in giro. 

— Poteva essere chiunque — disse lui, mentre si avvicinava cautamente alla vasca. Inej alzò gli occhi al cielo. 

— Non ci crederai mai, ma hai un passo piuttosto inconfondibile —. Lui grugnì in risposta, e poi le sventolò sotto al naso il bigliettino di Jesper.

— E questo? — le chiese. Inej gli indicò il vestito che aveva appoggiato ad uno sgabello nell’angolo del bagno. Kaz lo prese con attenzione, studiandone la forma, e ne toccò il tessuto con le mani nude. 

— Credo che tenere Jesper lontano dalle bische lo stia facendo diventare più saggio — sentenziò, e poi, rivolgendosi a lei, aggiunse — Ma non devi farlo per forza —. 

— Ci proverò, Kaz — gli rispose, reggendo il suo sguardo indagatore. Poi lo vide frugare su uno scaffale, ed estrarre un asciugamano sufficientemente grande da avvolgerla completamente. Sprofondò ancora di più nell’acqua. Chi era quel ragazzo e cosa ne aveva fatto di Kaz Brekker? Poi lui avvicinò alla vasca lo sgabello su cui prima erano appoggiati i vestiti, e ci si sedette sopra, con gli occhi che indugiavano su di lei. Aveva la stessa espressione sul viso di quando fiutava un buon affare. 

— Sei dannatamente bella, Inej — le disse. A lei ronzavano le orecchie.

— Cosa? — le sfuggì, incredula. Non si sarebbe mai aspettata che Kaz nella sua vita le facesse un complimento simile.

— Mi hai sentito —. Quelle parole la fecero tornare alla realtà. Era proprio Kaz, e non si era sbagliata su ciò che le aveva detto. 

— Sì, ti ho sentito. E ora voglio un bacio —. Lui a quelle parole si immobilizzò, gli vide serrare la mascella. Inej attese.

— A stare con me hai preso la brutta abitudine di dare ordini — commentò lui, e dal cambiamento della sua espressione sul volto, Inej capì che stava per ricevere quel bacio.

— Kaz, amore del mio cuore, potresti, per favo... — le labbra di Kaz si posarono delicatamente sulle sue, e la baciò piano, sfiorandola leggermente per poi ritrarsi, una, due, tre volte. Una lenta agonia. Si issò per rubargli un bacio più deciso, che lui le restituì con piacere. Sentiva il suo sorriso sfiorarle il viso, e le sue mani appoggiarsi sui suoi fianchi per poi risalire sulle lievi curve del suo corpo, esitando infine sui suoi seni. Avrebbe desiderato restare lì per sempre, col respiro affannato di Manisporche sulla sua pelle, e i loro cuori che martellavano all’unisono.

Poi si accorse che Kaz si era portato una mano alla gola, e capì. Si scostò dalle sue labbra, e vide un’ombra attraversargli gli occhi.

— Mi dispiace — le disse, con un soffio di voce. Gli posò una mano sotto al mento per costringerlo a guardarla.

— Raccontami, Kaz Rietveld. Cos’è successo a Jordie? —. Lo vide deglutire, l’eccitazione scomparsa dal suo viso. Non c’era posto per nient’altro che non fosse dolore. 

— Perché ora? — le chiese. 

— Perché non c’è mai un momento giusto, per queste cose —. 

Lui si protese in avanti e infilò una ciocca di capelli ribelle dietro al suo orecchio. — Allora preparati, perché ti racconterò come sono morto —. 

— Sono pronta, lo sono sempre stata — gli disse lei, prendendogli le mani, e cercando di abbracciarlo, in qualche modo, col suo sguardo.

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Capitolo 6
*** Confessioni, terza parte ***


Confessioni, terza parte

 

— Ti risparmio la parte che sai già — iniziò Kaz, passandosi una mano bagnata fra i capelli. — Eravamo due stupidi bambini io e Jordie, rimasti orfani. Allora Pekka Rollins era un mercante di nome Hertzoon, e ci prese tutto quello che avevamo —. Inej riconosceva facilmente l’ombra che  calava sui suoi occhi quando parlava del passato. Le sue iridi scure sembravano nere come pece in quel momento, buie come l’acqua del mare quando cala la notte. Invece il suo volto era pallido, ma non aveva il biancore della luna che era abituata a contemplare sul ponte della sua nave, era di un colorito malsano, e i muscoli del suo viso erano rilassati in modo innaturale. Kaz non aveva espressione in quel momento.

— Finimmo sotto i ponti — continuò — e la peste ci prese entrambi. Jordie morì. No, non è vero, morimmo entrambi quella notte, e venimmo scaricati alla Chiatta del Mietitore —. 

Inej s’immobilizzò. Non c’era nulla che potesse dire per consolarlo, non esistevano parole di comprensione che potessero guarire le sue ferite. E poi lei, non lo comprendeva affatto. Come avrebbe potuto? Le immagini di Kaz da bambino le affollarono la mente, una dopo l’altra, senza tregua. Riusciva a vederlo, pallido come ora, col panico che si faceva strada in lui, mentre capiva di essere stato abbandonato da tutti. I corpi dei morti attorno a lui, gonfi e viscidi come se non fossero mai appartenuti alla terra dei vivi. Jordie, molle e sfigurato dalla malattia, accanto a lui, che era esile ma ancora palpitante in vita, in qualche modo. Non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire qualche lacrima. Dunque era questo il segreto di Kaz Brekker, creduto morto come il fratello, scaraventato impietosamente sulla Chiatta del Mietitore assieme a lui. Inej avrebbe voluto essere una Santa, potente e senza tempo, per poter tornare indietro, affondare le mani fra i cadaveri e prendere Kaz Rietveld con sé, per poi portarlo in un luogo lontano, dove sarebbe stato tenuto in vita da qualcosa che non fosse la sete di vendetta. Ma era solo Inej, e non aveva che da offrirgli la sua sua presenza, lì, in quel momento. 

Kaz aveva il capo chino e lo teneva stretto fra gli avambracci, gli occhi chiusi. Lei portò una mano sul suo viso, sperando che lui non si ritraesse al contatto. Non lo face, posò le dita sulle sue, e inaspettatamente puntò gli occhi su di lei. Quasi trasalì. Chiunque governasse gli inferi, doveva avere lo sguardo di Manisporche in quel momento. 

— E poi, sai cosa feci, Inej? —. Gli tremava leggermente il labbro inferiore. — Poi usai mio fratello come un galleggiante. Mi salvai così, usando il corpo di Jordie —. 

Inej pronunciò una preghiera silenziosa. Si chiese quali forze oscure avessero tessuto le fila della vita di quel ragazzo, quali ombre l’avessero condannato ad una vita simile. Ma Kaz, ancora una volta, era stato più forte. C’era dell’oscurità in lui, certo, ma solo uno stupido non sarebbe riuscito a guardare oltre. Lui l’aveva protetta, aveva vegliato su di lei, e infine aveva speso tutto quello che aveva per darle la libertà. 

— Sono certa che Jordie sia felice di averti salvato la vita — riuscì a dire lei, buttando giù il groppo che aveva in gola. — E poi sei riuscito a vendicarlo, tuo fratello —. Gli vide le fiamme negli occhi smorzarsi leggermente.

— La vendetta è un impegno senza fine — disse con la voce un po’ rotta. — A proposito, ho saputo che ti sei infiltrata a casa di Pekka e gli hai inciso una J sul petto. Non ti ho ancora ringraziata —.

Inej sorrise. — Non mi devi ringraziare. L’ho fatto per me stessa, per punirlo per quello che ti ha fatto —. Sospirò. — Ora che so tutta la storia, sarà meglio che affili i miei pugnali —. 

Inaspettatamente, sorrise anche lui. — Alla fine ho fatto un buon lavoro con te, Spettro —.

— E’ vero — gli concesse. Dopotutto, l’aveva aiutata a diventare quella ragazza pericolosa che aveva sempre visto in lei. — Lascia andare il passato, Kaz. Il futuro ha molto da offrirti —. 

— Lo sai benissimo anche tu, che ogni offerta è un debito —. Il suo tono era duro, ma il viso riprendeva colorito. Inej sperò con tutta sé stessa che il coraggio che aveva avuto Kaz nel dar voce al passato, avesse il potere di indebolire il suo trauma, e di lasciarlo libero una volta per tutte.

— Non le offerte che riceverai da me — disse, sperando che fossero ancora in tempo per trascorrere una serata lontani dalle ombre di chi erano stati.

Lui alzò un sopracciglio. — Lo spero bene, altrimenti m’indebiterei peggio di Jesper —. 

— Jes adesso è posto, non si lascia più prendere la mano al gioco — lo rimbeccò.

— Me lo auguro per il mercantuccio — disse lui, mentre si alzava e stendeva davanti a lei l’asciugamano di cotone. — Pronta? Non voglio sprecare un altro minuto di questa serata —. 

Inej in risposta alle sue parole si mise in piedi, notando con un certo sollievo che guardandola Kaz aveva perso tutta la rigidità che aveva avuto fino a quel momento. L’avvolse come un bozzolo con un gesto rapido, e la prese in braccio per farla uscire dalla vasca.   

Era in piedi davanti a lui, e poteva vedere i suoi lineamenti rilassarsi, sentire le sue mani che le si appoggiavano delicatamente intorno al collo. Le sue dita la sfioravano con la stessa delicatezza con cui gli aveva visto centinaia di volte cullare i lucchetti che forzava con tanta facilità. Molto romantico, pensò Inej, e alzò un angolo delle labbra in un mezzo sorriso. Kaz piegò lentamente il collo, chiuse gli occhi e avvicinò il volto al suo. Chiuse gli occhi anche lei, le loro fronti si toccarono.  

— Il cuore è una freccia — sussurrò Inej, dando voce senza volerlo ai propri pensieri.

— Richiede un obiettivo preciso — replicò lui, con la voce rauca che amava tanto. 

Inej fu colta di sorpresa, non si ricordava di aver mai parlato di quel proverbio Suli a Kaz. Lui la guardò divertito e sembrò leggerle nella mente. — Pensavi che non ascoltassi le tue sciocchezze Suli? Ho la gamba zoppa ma non mi hanno ancora strappato le orecchie —. 

— Non ricordavo di avertene parlato — ammise lei, ignorando il suo tono sarcastico. 

— E invece l’hai fatto, altrimenti non avrei potuto inciderti questo — disse, mentre estraeva con la sua usuale abilità da prestigiatore un pugnale dalla manica. Aveva la lama sottile, leggermente arcuata. L’impugnatura era un gioiello intarsiato di pietre blu cobalto, che erano disposte magistralmente per sembrare piccole stelle perse nel cielo argentato del manico. Non aveva mai visto un oggetto più bello. Kaz inclinò la lama perché rilucesse, e a quel punto Inej riuscì a leggere ciò che lui aveva fatto incidere a lettere corsive. L’amore è una freccia. 

— Per te —.

Inej prese quel pugnale prezioso fra le mani, ancora raggrinzite per essere state nell’acqua. Era sorprendentemente leggero, e così bello che sperò di non doverlo usare mai. O forse l’avrebbe conservato per le occasioni speciali, come la prossima incisione sul petto di Pekka Rollins. Era un’arma da regina, non da pirata, e capì che forse era così che la vedeva Kaz. 

— Anche stavolta, non ho parole per ringraziarti, Kaz — gli disse Inej. 

— Anche stavolta, non ne ho bisogno — le rispose lui, stampandole un rapido bacio sulla fronte. — Dimmi solo che lo chiamerai Sankto Kaz —.

Inej non avrebbe voluto farlo, ma scoppiò a ridere. — Hai già abbastanza appellativi, non te ne servono altri —. Lui fece una smorfia di disappunto. — E poi devo proprio dirtelo, ti stai rivelando molto meno affezionato alle kruge di quanto saresti mai disposto ad ammettere — lo canzonò lei. 

— Un altro dei segreti che custodirai per sempre, Spettro —. Si sedette nuovamente sullo sgabello, per lasciarle il tempo di vestirsi. Inej si asciugò rapidamente, e lanciò un rapido sguardo a Kaz. Non la stava guardando come si sarebbe aspettata, ma probabilmente aveva bisogno di metabolizzare la loro conversazione. Prese il vestito e se lo infilò in un attimo, lasciando che la seta coprisse il suo corpo cadendole addosso come liquido. Le calzava a pennello. Sentì afferrarle il petto la famigliare sensazione di disagio che provava quando i ricordi la riportavano al Serraglio. La conosceva bene, quella sensazione. Ancora sopraffatta dalle sue emozioni, calzò le scarpette che Jesper e Wylan le avevano regalato. Prima di voltarsi verso Kaz, esitò. E lei, sarebbe riuscita a fare quello che aveva fatto lui? A gettare quelle parole fra loro e mostrarsi nuda come non aveva mai fatto? Non aspettò di rifletterci a lungo, prima di iniziare a parlare.

— Una volta, Kaz — iniziò, posando una mano sulla sua spalla. Lui si voltò verso di lei, e mentre indugiava con lo sguardo sul suo corpo, le sue pupille si dilatarono alla luce fioca delle candele. Le iridi furono di nuovo del colore del caffè amaro. — Al Serraglio, non riuscii a separarmi dal mio corpo. Di solito ci riuscivo molto bene, ma quella volta, qualcosa non andò come avrebbe dovuto. Il mio cliente mi riconobbe, mi aveva vista esibirmi con la mia famiglia, quando ero una bambina. Quel ricordo mi bloccò nel mio corpo, e non riuscii a separarmi da esso — Scosse la testa. — Fu terribile —. Sentì il proprio viso rigarsi di pianto, ma non le importava. Lei e Kaz avevano raggiunto un livello di intimità a cui mai avrebbe creduto di poter arrivare, e questo la rendeva profondamente serena. Lo guardava mentre la collera gli annebbiava la vista, e stringeva i pugni così forti che le nocche gli diventarono bianche.

— Dimmi il suo nome — ringhiò. 

Inej portò le mani sul suo viso, tentando di distendere con le dita la sua espressione arcigna. — Non me lo ricordo, e non ha importanza —. 

— Ho recuperato i tuoi genitori e te li ho portati a Ketterdam su una nave. Posso trovare anche quest’uomo senza problemi —. Quel pensiero sembrò farlo sentire meglio. Espirò, e le baciò delicatamente le lacrime che le erano scese sulle guance. — Ora, Inej, te lo devo dire. Sento di non poter resistere a vederti con questo vestito molto a lungo. E mi è anche passata la fame —.

Inej sentì le guance andarle in fiamme. —  Anche a me —. 

— Allora è deciso, passiamo alla parte successiva del programma —. E così dicendo, prese il suo bastone in mano, e agganciò con testa di corvo il pomello della porta, aprendola. Con sua grande sorpresa, si mise in spalla Inej con un movimento rapido. I suoi lunghi capelli, che non aveva ancora intrecciato, arrivarono quasi a sfiorare il pavimento. 

— Kaz! — lo chiamò lei, ridendo. — Mettimi giù o ti faccio a fettine! —. 

— Spettro, le tue minacce non hanno mai fatto un grande effetto su di me, dovresti saperlo — le rispose, mentre si dirigeva in camera sua, appoggiandosi pesantemente al bastone. Percepiva la mano calda di lui appoggiata sulla sua coscia senza troppa discrezione, e sentì il cuore accelerare il battito. Varcata la soglia della stanza li avvolse il buio, solo il chiarore della luna la illuminava debolmente. Kaz la lasciò delicatamente sul letto, e si occupò subito di accendere un paio di candele. Quando tornò a posare lo sguardo su lei, aveva un’espressione che non gli aveva mai visto in viso. Era sereno, aveva la pace sul volto. Ed era bellissimo. Gli fece cenno con la mano perché si avvicinasse, e quando fu sufficientemente vicino, afferrò la sua cravatta con un gesto deciso. Lui sgranò gli occhi dalla sorpresa, ma fu un attimo, poi vide le sue labbra distendersi in un sorriso furbo. — Spettro — sussurrò. 

— Manisporche — lo chiamò lei, di rimando. Quando si baciavano, lui aveva il vantaggio dell’altezza, e fu così anche quella volta. Si chinò per sfiorarle le labbra, e Inej non sentì nessuna rigidità nel suo tocco. Non sapeva quanto quella situazione sarebbe durata, ma certamente non ne avrebbe sprecato nemmeno un secondo. Gli sfilò il fermacravatta, e poi con le sue dita sottili cercò di slacciargli il noto attorno al collo. Le mani di Kaz le vennero in aiuto, mentre iniziavano a baciarsi. Inej seppe fin dentro le ossa che quella notte i loro corpi non avrebbero avuto tregua. Fece scivolare le mani sul suo petto, seguendone le linee della muscolatura. La colpì la sensazione di famigliarità che provò nel toccarlo, non l’aveva fatto molte volte, eppure eccola di nuovo lì, la sensazione di casa. Kaz Brekker era casa. Lentamente, gli sbottonò la camicia, lasciando che si aprisse in una striscia di pelle bianca come latte, così in contrasto con la sua, del colore del caramello bruciato. Lui le aveva appoggiato le mani sui fianchi, e sentiva le sue dita spingersi lentamente verso il suo fondoschiena. Voleva darle in tempo di fermarlo, ma lei non ne aveva alcun interesse, e avendo intuito il suo movimento, gli prese i polsi per guidarlo. Lui staccò le labbra dalle sue per la sorpresa, sentì il suo respiro sfiorarle la pelle, e alzò lo sguardo verso il suo viso. Kaz. Era proprio lui. E la guardava con occhi lucidi di eccitazione, mentre sentiva le sue mani stringerla. Lo liberò della camicia, anche se ebbe un po’ di difficoltà nello spostare le mani del suo ragazzo dal punto in cui si erano sistemate. Lui le riposizionò immediatamente al loro posto, mentre appoggiava la testa nell’incavo del collo e ricominciava a baciarla di nuovo. Lo strinse a sé, ma il vestito la intralciava, voleva sentire addosso tutto il calore della sua pelle. Anticipando ciò che voleva, Kaz fece scorrere le sue mani sotto alla seta, per aiutarla a sbarazzarsene. Poi Inej ci riuscì, ad aggrovigliarsi con tutta sé stessa sul suo corpo. Lui fu costretto a sdraiarsi sul letto, mentre lei sopra di lui si prendeva ogni centimetro della sua pelle, fra i baci e le carezze. Le sfuggì una risata, quando lui alzò le mani in segno di resa. — Troppo presto per arrendersi — gli disse.

— Dici? — le domandò lui, mentre con delicatezza la sfiorava in mezzo alle gambe. 

Furono le ultime parole ad attraversare la stanza, poi furono solo sospiri.

 

Avrebbero guardato l’alba sul tetto, e Inej avrebbe promesso a Kaz che un giorno sarebbe tornata per restare da lui a Ketterdam. Avrebbero mangiato ciò che i cuochi avevano preparato per la loro cena, incuranti del fatto che ormai fosse tutto irrimediabilmente freddo. Avrebbero ballato senza musica, scoordinati e ubriachi delle loro stesse emozioni. Kaz avrebbe prestato il suo bastone ad Inej per permetterle di fare una sua convincente imitazione.

Ma ancora non lo sapevano, e avvolti dai loro stessi corpi speravano che quel momento non avesse mai fine.

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