A love that won't sit still

di ferao
(/viewuser.php?uid=33257)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Signora, i limoni! ***
Capitolo 2: *** Padri e figlie (e madri) ***
Capitolo 3: *** Ai Tiri Vispi ***



Capitolo 1
*** Signora, i limoni! ***


Doverose note iniziali:
Questa raccolta disomogenea raccoglierà tutte le storie che scriverò per partecipare alla sfida del gruppo Apri le challenge, chiudi le challenge di Gaia Bessie su fb. Inizialmente non avevo idea di cosa scrivere, poi mi sono detta: "ehi, ho un sacco di scenette Percy/Audrey in mente, perché non sfruttare l'occasione per buttarle giù?". Così ho deciso di sfruttare ogni prompt per delle storie o scene con protagonisti questi due, tenendo come riferimento la caratterizzazione che ho dato loro in Edax Rerum e Omne Trinum (ma tranquill*, cercherò di restare spoiler free!).
Non so quante storie riuscirò a scrivere per questa iniziativa, ma intanto ci provo!
Il titolo della raccolta è ispirato alla canzone Stray Italian Greyhound, che considero LA canzone che meglio descrive il rapporto tra Percy e Audrey nella serie di Edax Rerum. Sì, ogni tanto sono romantica.
In cima a ogni oneshot trovate il prompt che l'ha ispirata. Buona lettura e buon divertimento, e se volete lasciare critiche o commenti sono sempre più che contenta di riceverne ^^




 

A love that won't sit still
1: Signora, i limoni!

(Giorno 2, prompt "trash": "Signora, i limoni!")





 

«Questa è tutta colpa tua.»

«Colpa m- in quale universo potrebbe essere colpa mia?»

«L'universo in cui tu hai portato le tue figlie da tua madre invece che dalla mia, ecco quale!»

«Non potevo certo prevedere...»

«Oh, no, certo che non potevi! D'altronde tua madre va al mercato di paese tutti i mercoledì, come avresti potuto immaginare che l'avrebbe fatto anche oggi? O che ci avrebbe portato Molly e Lucy per non lasciarle sole alla Tana?»

«Abbassa la voce! Sono le quattro di notte!»

«E quindi? Hai forse paura che le bambine si sveglino? Troppo tardi, Perce!»

«Signoooooooraaaaaaaa!»

«Oh, per Ecate e Medea, se non la finiscono le faccio a spezzatino!»

«Non esagerare! Sono solo bambine!»

«Sì, bambine in una fase del loro sviluppo in cui ridono per qualsiasi cazzata!»

«Una fase completamente normale! Dovresti essere contenta che le tue figlie abbiano uno sviluppo cerebrale del tutto in linea con...»

«Con il cazzo! Io ho un lavoro, Perce! Non posso passare la notte sveglia perché Molly al mercato ha sentito un fruttivendolo strillare "Signora, i limoni!" dietro a una cazzo di Babbana...»

«Signoooooooooraaaaaaaaaaa!»

«Ah, ora siamo anche al razzismo?!»

«Hai capito cosa intendo, cazzo, fammi finire! Non posso non dormire perché tua figlia ha sentito un fruttivendolo strillare così, l'ha trovato buffo, l'ha ripetuto a Lucy e ora l'altra tua figlia lo vuole sentire a ripetizione anche alle cazzo di quattro di notte, cazzo!»

«E pensi che io sia contento?! Ho un lavoro anch'io, cara, tra tre ore e mezza ho una riunione con il direttore del Corpo delle Convenzioni dei Commerci Magici Internazionali...»

«E io ho la cazzo di delegazione persiana in visita, facciamo cambio?!»

«Accoa, Molly! Accoa i limoni!»

«Ancora? Okay! Siiiiiiiignooooooraaaaaaaaaaaaaaaaaaa i limooooooooooniiiiiiiii!»

«Io le strangolo!»

«Adesso vado a silenziare la stanza.»

«Sei scemo? Non si silenziano le stanze dei bambini! E se succede qualcosa?!»

«Preferisci restare sveglia tutta la notte?»

«Accoa, accoa!»

«Siiiiignoooooooo...»

«FATE SILENZIO, O VI PORTO AL WIZENGAMOT!»

«...»

«...»

«...»

«...?»

«Ha... ha funzionato?»

«Parrebbe. Aspettiamo qualche minuto.»

«...»

«...»

«Sul serio? Il Wizengamot? Almeno Molly sa cos'è?»

«No, ma è una parola spaventosa, se hai cinque anni e mezzo.»

«Vero.»

«...»

«...»

«...vuoi fare pace, o...?»

«Domattina. Ora provo a recuperare un po' di sonno.»

«Concordo. A domattina.»

«Ti amo.»

«Ti amo.»

«...»

«...»

«...okay, finalmente dormono. Lucy, vuoi risentirlo?»

«Sììì!»

«Allora, faceva così: SIIIIIIIGNOOOOOOOOOOOOOORAAAAAAAAAAAA!»

«Ma porc...!»

«Non ci credo, cazzo.»

«Cazzo. Non smetteranno mai, vero?»

«Mai.»

«...»

«Caffè?»

«Tu e le tue domande retoriche, Weasley.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Padri e figlie (e madri) ***


Questa oneshot si può considerare un seguito "diretto" di Edax Rerum, ambientato una quindicina di anni dopo, MA è completamente slegato da quella long salvo piccolissimi dettagli alla "blink and you'll miss it", perciò potete leggervela anche se non conoscete ER. Buona lettura!




2: Padri e figlie (e madri)

(Giorno 3, prompt "trash": "Un purosangue non fa a gara con i pony" - Nina Moric
Giorno 4, prompt "trash": "Ricordati cosa facevi tu a sedici anni, ricordati da dove vieni" - Fabrizio Corona su Ilary Blasi
Giorno 8, prompt "trash": "È più emozionante di quella volta che avevo dimenticato come ci si siede" - Peter Griffin
Giorno 22, prompt "trash": "È una cavalletta impazzita!" - Alessandra Celentano)




 

«Non mi sembra vero di essere di nuovo qui, in un’occasione del genere,» gongolò Percy, guardando gli spalti tutt’attorno con l’espressione di un bambino alle giostre. «Non è emozionante, amore?» 

A braccia conserte e gambe accavallate, vestita interamente di nero e con un paio di grossi occhiali da sole a conferirle un’aria ancora più torva, Audrey sembrava l’incarnazione del sarcasmo. «Oh, sì,» strascicò. «Più emozionante di quella volta che ho dimenticato come ci si siede.» 

«In che senso?» le domandò Sarah Baston, seduta tra lei e Percy.

«In senso letterale. È stato poco prima che diventassi Maestra, Silas stava sperimentando la manipolazione della memoria a lungo termine e mi è toccato fargli da cavia. Dodici ore di vita che non riavrò mai più.» 

«È stato bellissimo, ogni volta che vedeva una sedia andava in panico per la confusione,» ridacchiò Percy. A differenza di Audrey era di ottimo umore, e ne aveva tutte le ragioni: la giornata di maggio era calda e soleggiata, e di lì a poco avrebbero assistito alla finale della Coppa del Quidditch di Hogwarts, Grifondoro contro Serpeverde, assieme ai genitori e parenti delle squadre. Finalmente avrebbero potuto vedere la loro Molly giocare dal vivo — o meglio, Percy l’avrebbe vista, Audrey invece sarebbe stata troppo impegnata a tenere a bada le vertigini per godersi l’incontro.

Cosa che non guastava affatto il divertimento al marito.

«Ah ah, spiritoso,» grugnì Audrey. «Vedremo quanto riderai quando Serpeverde schiaccerà la tua patetica squadretta.»

«Ti ricordo che in quella patetica squadretta giocano tua figlia, la sua migliore amica e tuo nipote.»

«Dettagli.» 

«Peccato che Ginny non sia potuta venire,» disse Oliver a Percy, seduto accanto a lui. «Juliana dice che James è un ottimo Portiere, sarebbe stata contenta di vederlo.» 

«Già. In compenso ci sono Harry e Ron.» Indicò la tribuna opposta, dove le figure di suo fratello e suo cognato spiccavano in mezzo agli studenti. Ecco cosa succedeva ad arrivare in ritardo e a non trovare posto tra i familiari. «A fine partita dovrò ricordarmi di dire a Ron due parole sul camino che vuole aprire nel suo nuovo negozio.»

«Oh, Perce, non puoi aspettare? Non credo che Ronald voglia parlare di lavoro proprio oggi.»

«No, Audrey, non posso aspettare, se voglio concludere la cosa entro breve. Lui e George hanno intasato la posta dei Trasporti di richieste, e…»

«E tu accontentali a prescindere, no? A che ti serve essere Direttore dei Trasporti se non puoi abusare della tua posizione per fare favori ai parenti?»

«Abusare?! Ma come ti permetti di suggerire…!»

La risposta indignata di Percy fu tagliata dalla risata di Sarah, che trovava sempre incredibilmente spassosi i battibecchi tra i coniugi Weasley-Bennet. «Ah, no,» intervenne invece Oliver, «se dobbiamo parlare di richieste, io ho una proposta di modifica dei requisiti minimi per i manici di scopa sportivi pendente da anni!»

«Non è pendente, Baston, è stata cestinata nel momento in cui è comparsa sulla mia scrivania.»

«Cosa?! E perché non me l’hai mai detto?!»

«Te lo dico praticamente ogni volta che ci vediamo, dal 2017.»

Stavolta toccò a Audrey ridacchiare, il che per un attimo diminuì il contrasto visivo tra lei e Sarah Baston. Come i rispettivi mariti, le due non avrebbero potuto essere più diverse per carattere e aspetto: entrambe erano donne in carriera nei rispettivi campi, ma Sarah era sempre impeccabile nel vestire e nel suo portamento posato e dignitoso, mentre Audrey — pur essendo la più vecchia di tutti anche se non lo dimostrava, come amava ricordarle Percy — non aveva perduto le tendenze casinare di gioventù, né il gusto per gli abiti con troppi colori. Tutto questo però cambiava quando si trattava di Quidditch, perché allora Sarah dismetteva i panni della calma PR per trasformarsi in un diavolo di tifosa con molte opinioni e nessuna paura di esprimerle a voce alta, Audrey invece si trincerava dietro spesse mura di fastidio e insulti non troppo velati a chiunque fosse il deficiente che aveva deciso di creare uno sport in volo. 

Vederle sorridere entrambe nello stesso momento in uno stadio di Quidditch era un evento probabile quanto sopravvivere a un Anatema che Uccide.

«Manici di scopa, pft,» brontolò Audrey, recuperando l’aria scontenta e sedendo ancora più rigida sul sedile. «Li ho sempre trovati assurdi. Se l’uomo fosse stato creato per volare, sarebbe nato con le ali.»

Percy abbandonò la discussione con Oliver per lanciarle un’occhiata incredula. «E tu saresti una scienziata? Ma l’obiettivo della scienza non era quello di superare i limiti della natura umana?»

«Non se i limiti sono i miei.»

Prima che i due potessero iniziare uno dei loro botta e risposta, destinato a sfociare nell’inevitabile riappacificazione appena tornati a casa, la voce argentina di Eulalia Bose risuonò nello speaker.

«Attenzione, per favore! Professori, parenti e studenti, benvenuti alla finale del torneo di Quidditch di Hogwarts!»

Tutti applaudirono e diversi studenti fischiarono. I più eccitati erano ovviamente i Grifondoro e i Serpeverde, che avevano preparato striscioni e bandiere dei rispettivi colori; Ron e Harry erano infelicemente seduti nel mezzo di una folla verde-argento, il che fece ghignare Audrey più del dovuto.

«Le squadre che si competono la Coppa sono tra le più agguerrite dell’ultimo decennio. Fate un caloroso applauso ai favoriti per il titolo: SERPEVERDE!»

Un boato attraversò la tribuna dei familiari. Sarah fu costretta a tapparsi le orecchie mentre Audrey, in un inedito slancio di entusiasmo, si alzava in piedi e accoglieva l’ingresso della squadra fischiando con le dita — più per infastidire Percy e i Baston che per altro.

«Rubens, Hussain, Lynch, Orsinov, Bulstrode, Nesbin e Orsinov, una squadra in forma smagliante,» declamò Eulalia Bose. «E ora gli sfidanti, in svantaggio di duecento punti: GRIFONDORO!»

Fu il turno di Audrey di ripararsi dalle urla sfegatate degli altri tre. La squadra di Grifondoro entrò in campo come un’unica massa scarlatta: James davanti a tutti, salutato con una quantità incredibile di ovazioni — tra cui risuonò lo “SPACCALI TUTTI, JAMES!” di Harry e Ron — e una pari quantità di versi di disapprovazione; Molly e Juliana chiudevano la fila dietro ai Cacciatori, l’una alta e magra come il padre e con gli indomabili capelli rossi malamente raccolti, l’altra bruna, piccolina e costretta ad affrettare il passo per stare dietro agli altri. Come sempre quando camminavano affiancate, le due sedicenni facevano pensare a una cicogna accanto a un passerotto.

«Baston, Ali, Keay, Robinson, Cattermole, Weasley e Potter! Attendiamo che i capitani si diano la mano…»

«Tua figlia è assolutamente sprecata come Battitrice,» mormorò Oliver a Percy mentre Lukas Orsinov e Gerry Keay si stringevano la mano davanti a madama Bumb. «Guarda che braccia lunghe… l’allenassi io, farebbe la Cacciatrice a vita.»

«Aspetta di vederla con una mazza in mano, cambierai idea,» replicò l’altro.

Non dovettero attendere a lungo. La partita entrò presto nel vivo: Serpeverde era decisa a mantenere il vantaggio e giocava soprattutto in difesa, per guadagnare il tempo necessario al loro Cercatore per acchiappare il Boccino; Grifondoro invece faceva di tutto per provocare azioni e distrarre gli avversari, nella speranza di colmare lo svantaggio prima di chiudere la partita. La più attiva di tutti era Juliana Baston, che schizzava qua e là sul campo come un uccellino impazzito tallonata da Daniel Rubens.

«Sta fingendo di seguire il Boccino per ingannare l’altro Cercatore,» disse Oliver tutto eccitato, incapace di stare fermo sul posto. «Così può… oh, no!»

Anche Sarah sussultò. Un Bolide sparato da Brutus Nesbin si stava dirigendo a tutta velocità verso Juliana. La Cercatrice non se ne accorse, troppo presa dalla sua serie di finte; ma prima che Oliver potesse gridare per avvertirla, dal nulla sbucò fuori Molly Weasley la quale, con un rovescio particolarmente preciso e un ghigno definibile solo come crudele, rispedì il Bolide al mittente mancando di meri millimetri la testa di un Cacciatore avversario.

«Wow!» commentò Oliver, applaudendo l’azione assieme ai Grifondoro. «Hai ragione, Perce, Molly non è affatto sprecata come Battitrice.»   

«Certo che ho ragione, la mia bambina è perfetta,» puntualizzò Percy con lo stesso, identico ghigno della figlia. «Ma anche Juliana se la cava.»

«Se la cava? Ohi, ti rendi conto di chi stai parlando, sì? Jules ha imparato prima a volare e poi a camminare, dire che se la cava è riduttivo!»  

«Mh, ne riparleremo se e quando avrà preso il Boccino.»

Offeso nell’orgoglio, Oliver ribatté qualcosa che fu coperto dall’esultanza per un gol di Grifondoro, ma che Percy udì benissimo, perché subito i due iniziarono a bisticciare tra loro perdendosi l’azione successiva.

«Ma sentili, quei due. Quando si dice il rapporto tra padri e figlie, eh?» scherzò Sarah, guardando Audrey che da parte sua guardava ovunque tranne che verso i giocatori in volo.

«Mh, già. Figlie,» brontolò lei. «Te le tieni in pancia nove mesi rinunciando ad assumere alcol e quant’altro, le partorisci, le allatti, le rendi il tuo universo… e poi quelle ingrate non solo diventano le copie sputate del padre, ma un giorno dicono “papà” per la prima volta e di colpo tu non conti più un cazzo, perché da quel momento esistono solo loro due. Dico bene?»

«Oh, non saprei. Jules e io abbiamo un bellissimo rapporto, sai, ci diciamo sempre tutto, condividiamo un sacco di cose… siamo proprio grandi amiche.»

«…ah.»

«Sembra proprio che Serpeverde si sia stancata di giocare in difesa! Hussain ruba la Pluffa a Robinson e la passa a Lynch, che finta e passa a Orsinov, Orsinov si avvicina all’area di Grifondoro e tenta il tiro… E POTTER LA PARA!»

«Cos… grande, James!» strillò Percy, abbandonando la discussione con Baston per mettersi a saltellare e ululare assieme a Sarah. 

Ormai la difesa verde-argento era rotta. Nella mezz’ora successiva i Cacciatori di Grifondoro segnarono ben quattro gol, mentre James parava una Pluffa dietro l’altra per l’incontenibile gioia di Harry e Ron e lo scorno dei Serpeverde che li circondavano. Intanto Juliana seguitava a sfrecciare in mezzo agli avversari («è una cavalletta impazzita quella lì, c'è da chiedersi come faccia Weasley a starle dietro dentro e fuori dal campo!») intralciandoli il più possibile nelle azioni; per contro i Serpeverde cercavano di disarcionarla, ma era sempre protetta da Molly che compariva nei momenti più inaspettati a respingere palle e persone a colpi di mazza. A un certo punto la Battitrice sparò un Bolide contro il Portiere di Serpeverde nel momento esatto in cui Gerry Keay entrava con la Pluffa in area di rigore, evitando il fallo e permettendo al capitano di segnare.

«E grazie al gesto atletico di Weasley e Keay siamo sessanta a zero per Grifondoro! Ehi Baston, direi che Molly si è guadagnata una cena fuori, no?»

«Che ha detto?» fece Audrey rialzando la testa di scatto. Vide sua figlia battere il cinque a Gerry e Juliana e sorrise fiera, ma un capogiro la costrinse di nuovo a prendersi la testa tra le mani.

«Ormai Grifondoro ha colmato lo svantaggio, e se adesso Baston riuscisse a… oh cribbio… da come Rubens si sta dirigendo verso la porta avversaria direi che… SÌ, HA VISTO IL BOCCINO!»

L’intero stadio sussultò rumorosamente e tutti si sporsero a guardare Daniel Rubens, che filava come una scheggia verso l’area di Grifondoro. Uno scintillio intermittente a metà del palo centrale segnalava che no, non era una finta: il ragazzo aveva davvero individuato il Boccino d’oro, e di lì a poco l’avrebbe catturato chiudendo la partita.

«Oh, no, Jules non ce la farà mai a raggiungerlo!» gemette Sarah, e proprio in quel momento la Cercatrice iniziò il suo inseguimento dall’altra parte del campo. 

Rubens aveva un ottimo manico di scopa, ma Juliana pesava quaranta chili bagnata e la sua tecnica di volo era eccezionale: la figurina scarlatta saettò tra i giocatori e si buttò in picchiata, per poi raddrizzarsi e volare raso terra con l’altro Cercatore diversi metri sopra di lei. 

«Baston tenta la rincorsa, ma Rubens è molto più avanti… se il labiale non mi inganna, Potter sta insultando pesantemente la madre di Rubens e tutti i suoi antenati…» 

Non era il solo: dai tifosi di Grifondoro arrivavano urla scomposte di ogni tipo contro il Cercatore di Serpeverde. Sarah aveva abbandonato qualsiasi traccia di ritegno e strillava invettive feroci, e persino Audrey si era alzata in piedi e tolta gli occhiali da sole per assistere alla scena. L’unico silenzioso era Oliver, che col cuore in gola stritolava il braccio di Percy e teneva gli occhi puntati su Juliana mentre lei accelerava sempre di più, sempre parallela a Rubens, finché… 

Nel momento in cui Rubens allungava la mano per afferrare la pallina dorata, Juliana virò bruscamente verso l’alto e con uno scatto improvviso gli sbucò davanti, soffiandogli il Boccino un istante prima che le sue dita lo sfiorassero. L’intero stadio esplose.

«BASTON HA PRESO IL BOCCINO! GRIFONDORO CHIUDE CON DUECENTODIECI A ZERO E VINCE LA COPPA!» 

«Abbiamo vinto! Abbiamo vinto, cazzo! » ululò Oliver, scuotendo Percy così forte da fargli volare via gli occhiali. Quello se ne accorse a malapena, impegnato com’era a sgolarsi e saltare per l’entusiasmo in mezzo a decine di parenti giubilanti e ad altrettanti delusi.

«Abbiamo vinto!» riuscì a esalare con voce rauca, quando finalmente Oliver lo mollò per abbracciare Sarah e Audrey gli restituì gli occhiali acchiappati al volo. «Mia figlia ha vinto!»

«Nostra figlia,» precisò lei, schioccandogli un grosso bacio.

Nell’esultanza generale, la squadra di Grifondoro si radunò in aria vicino all’anello più alto per festeggiare la sua Cercatrice. Audrey si azzardò a gettare un’occhiata verso Molly, che abbracciava i compagni e agitava la mazza in un gesto celebrativo, e per la seconda volta si sentì riempire di orgoglio.

«Devo ammetterlo, è davvero più emozionante di quando ho dimenticato come ci si siede,» scherzò stringendosi al marito.

«Vero?! L’avevo detto che avresti fatto bene a venire! Però onore al merito, i tuoi Serpeverde hanno giocato decentemente.»

«Oh, grazie.»

«No, sul serio! Chiedi a Oliver com’è stato quando noi abbiamo vinto la Coppa! Una partita sporchissima, madama Bumb non faceva che fischiare rigori, questi ragazzi invece sono stati veramente corretti…»

Non appena Percy ebbe pronunciato l’ultima sillaba di “corretti”, un grido nel megafono richiamò l’attenzione generale.

«Sembra che i Bolidi non vogliano saperne di fermarsi, forse vogliono partecipare alla festa di… BRUTUS CHE CAZZO FAI, FERMATI!»

Tutti sobbalzarono e guardarono in aria. Brutus Nesbin aveva impugnato la mazza e colpito ancora una volta il Bolide, dirigendolo alla cieca verso il gruppo di Grifondoro in aria. Al richiamo di Eulalia Bose i giocatori più esterni si sparpagliarono immediatamente, evitando l’impatto, ma Juliana Baston non fu altrettanto pronta: il Bolide la colpì dritta in faccia e la scalzò dalla scopa, facendola precipitare nel vuoto.


 

*

 

Ci fu un attimo di silenzio raggelato mentre Juliana piombava giù a peso morto e raggiungeva il suolo con sordo crack . Solo allora lo stadio e i giocatori si risvegliarono in una baraonda di urla, insulti ed esclamazioni da ogni parte. Eulalia Bose ululò ingiurie su ingiurie nello speaker ai danni del Battitore falloso; Molly si buttò in picchiata verso l’amica mentre gli altri Grifondoro — James in testa — si lanciavano contro gli avversari, decisi a far fare loro la stessa fine di Juliana; madama Bumb e la preside McGranitt tentarono invano di riportare l’ordine con minacce di espulsione e punizioni, ma i giocatori non le udirono nemmeno. In mezzo a quel caos, Audrey, Percy e i Baston rimasero pietrificati a guardare Juliana immobile a terra.

La prima a riscuotersi fu Sarah. «Jules!» strillò, facendosi largo a spintoni per scendere dalla tribuna. Audrey afferrò il proprio tascapane e la seguì di corsa, Percy invece restò impalato accanto a Oliver a guardare alternatamente Juliana e Molly che planava verso di lei. Più in alto, in un tentativo di interrompere la mischia aerea, il capitano di Serpeverde cercò di togliere la mazza di mano a Nesbin, ma quello lo dribblò e raggiunse di nuovo il Bolide per spararlo con tutta la propria furia contro Molly.

«No!» esclamò Percy, e nello stesso momento risuonò una voce alle sue spalle.

«Vai, figliolo, butta a terra quella stronza!» 

La rabbia lo attraversò come una scossa elettrica, paralizzandolo per un secondo — il tempo di decidere che avrebbe ammazzato o mutilato chiunque avesse osato pronunciare quella frase. 

«Ehi! Quella stronza è mia figlia!» ringhiò voltandosi verso la platea di gente alle sue spalle. Gli ci volle meno di un attimo per individuare il responsabile, e quando lo riconobbe scoprì i denti.

«Ingram Nesbin, eh?» Sollevò il mento e si raddrizzò gli occhiali. «Ma certo. La mela non cade lontano dall’albero.»

Sentendosi apostrofare, l’uomo nerboruto che rispondeva al nome di Ingram Nesbin digrignò i denti a propria volta. «Che cazzo vuoi, stronzo?» berciò. «Ora uno non può più nemmeno fare il tifo per il proprio figlio?»

«Non se tuo figlio prova a uccidere mia figlia, stronzo!»

Il sogghigno tagliente di Nesbin aumentò esponenzialmente la furia di Percy. «Uccidere, che parolona… Se tua figlia non sa prendersi un Bolide, forse non dovrebbe giocare. D’altronde i pony non possono fare a gara coi purosangue…»

«Tuo figlio ha commesso un fallo da espulsione eterna dal Quidditch!» si inserì Oliver con un ringhio di gola. «Meriterebbe il divieto a vita di salire su una scopa!» 

«Oh-ho, il divieto a vita!» lo sbeffeggiò Nesbin — benché con meno vigore di prima, perché un conto era fare il gradasso con il tizio magro, occhialuto e stempiato, un conto era farlo con quell’energumeno tutto muscoli e rabbia. «E chi glielo darebbe il divieto a vita, tu? O questo tipo qua, magari? Sei forse il Ministro del Quidditch, quattrocchi?»

«Del Quidditch? Nooo,» Percy si sfilò gli occhiali e se li pulì sulla maglia, «ma conosco il tizio che dirige il Dipartimento dei Trasporti Magici e può decretare che Brutus Nesbin debba stare a cinquanta metri da qualsiasi manico di scopa, foss’anche per pulire i pavimenti, pena una multa di mille galeoni.» Si rimise gli occhiali, e sul suo viso ricomparve il ghigno crudele con cui sua figlia Molly aveva spedito un Bolide quasi in testa a un avversario. «Ops, che sbadato. Non conosco questo tizio. Lo sono.» 

La bocca di Ingram Nesbin si aprì e richiuse più volte mentre il suo sguardo passava da Percy a Oliver e ritorno. Dopo diversi secondi di indecisione, l’uomo serrò la mascella e rimase in silenzio.

«Molto bene. Ora noi andiamo a controllare come stanno le nostre figlie, e a te conviene sperare che il tuo Brutus non le abbia ammaccate troppo, altrimenti sapremo che provvedimenti prendere.» 

Ingram non rispose, al che Percy gli voltò le spalle e prese Oliver per un gomito. «Vedi, Baston?» disse poi, imbaldanzito dall'aver vinto quello scontro verbale. «È così che si trattano gli ex Mangiamort…» 

Una manona gli si piazzò sulla spalla e lo costrinse a girarsi. «Ho cambiato idea,» disse Nesbin, «mio figlio può fare a meno della scopa e del Quidditch, ma io questa faccia da cazzo te la devo proprio spaccare.» 

«Oh, merda,» fu tutto ciò che Percy riuscì a replicare, prima della rissa che coinvolse mezza tribuna dei familiari.

Ignare di tutto ciò, Audrey e Sarah avevano quasi raggiunto Juliana esanime sotto le porte di Grifondoro. Madama Paciock era già china su di lei a verificarne le condizioni, ma quando vide arrivare le due donne si alzò e si diresse decisa verso di loro.

«Signore, non è permesso stare qui, dovete…»

«Maestra Audrey Bennet, Ufficio Misteri, aria,» sbottò Audrey, aggirandola senza neanche guardarla. Lei e Sarah si inginocchiarono ai lati di Juliana e ne esaminarono le condizioni: si aspettavano di trovarla ridotta in poltiglia, invece il suo viso aveva assorbito bene l’urto e i danni esterni erano minimi. Quelli interni, d’altronde… 

«Sarah, cerca di svegliarla, devo capire quali pozioni posso darle e quali no,» borbottò estraendo fiale di vario colore e dimensione dal tascapane. In quella giunse Molly, che evitò un Bolide senza nemmeno accorgersene e saltò giù dalla scopa prima ancora che questa si fermasse.

«Jules!» Si buttò addosso a Juliana e iniziò a scuoterla. Era mortalmente pallida, i grandi occhi azzurri spalancati dal terrore. «Jules, piccola, stai bene? Svegliati, per favore!»

«Molly, aspetta, lascia fare a me…» provò a dirle Sarah, ma la ragazza seguitò a scrollare l’amica finché quella non emise un debole gemito.

«Oh, meno male, niente rianimazione,» sospirò Audrey, mettendo via alcune fiale. «Vediamo allora qualcosa per…» 

«Signora Bennet,» ritentò madama Paciock, «sono io qui la Guaritrice! Lei non è qualificata per…»

«Signora Paciock, quale parte di “Maestra Audrey Bennet, Ufficio Misteri, aria” non era chiara?»

«Chi… chi sono? Dove sono?» esalò Juliana, roteando gli occhi.

«Jules! Sei viva!» Molly l’abbracciò e le strappò un altro gemito, poi la guardò in viso e sbiancò ulteriormente. «Oddio, hai sbattuto la testa? Hai perso la memoria? Dimmi la formazione della Scozia alla Coppa del Mondo del 2016 in ordine alfabetico, riserve incluse.» 

«La… che?»

«Oh no! Ha perso la memoria!» ululò Molly, per poi scoppiare a piangere drammaticamente contro il petto di Juliana. «È tutta colpa mia… dovevo prendere quel cazzo di Bolide…» 

«Figlia, calmati,» tagliò corto Audrey. «Juliana, va tutto bene. Qual è l’ultima cosa che ricordi?» 

«Il… Boccino… Daniel… ho… ho vinto?» 

«Sì, tesoro, hai preso il Boccino prima di Daniel,» le rispose Sarah carezzandole i capelli. «Sei stata bravissima…» 

«È stata colpa mia!» singhiozzò Molly. «Brutus ti ha tirato un Bolide in faccia, avrei dovuto fermarlo! Ma mio padre gli ritirerà la scopa e gli chiuderà il camino, lui può farlo!» 

«Un Bolide a partita conclusa e Pluffa ferma,» brontolò Audrey, selezionando tre pozioni dai colori brillanti e passandole a Sarah affinché le somministrasse a Juliana. «La pena per un fallo del genere è l’espulsione dalla Lega per almeno sei mesi e una penalità fissa per i sei mesi successivi, mentre a livello dilettantistico può arrivare fino a un anno… non guardatemi così,» disse a Sarah e Molly che la fissavano sbalordite. «Vivo con Percy Weasley, conosco le regole di qualsiasi cosa.» 

«Signora Bennet!» sbraitò madama Paciock, battendo un piede a terra per richiamare l’attenzione. «Signora Baston, signorina Weasley, dovete andarvene! State solo intralciando…»

«Io non vado da nessuna parte!» ruggì Molly con uno sguardo di fuoco. 

«Invece sì, signorina, altrimenti…» 

«È la mia ragazza, chiaro?! Non vado da nessuna parte!» 

Ciò detto, riprese a piangere accasciata su Juliana. Le sue parole ci misero qualche secondo a penetrare nel cervello di Audrey, ma quando ci riuscirono le fecero lo stesso effetto di una scossa elettrica; si girò lentamente verso Sarah, la quale le rivolse un identico sguardo allibito.

Juliana e Molly erano… cosa?!

«Io non… non è… oh, dannazione!» Madama Paciock sbuffò. «Va bene, Weasley, tu puoi restare, ma voialtre dovete…» 

«Non credo proprio!» esclamò Sarah. «Io sono sua madre!» 

«E io sono… beh, sua suocera, a quanto pare!» si aggiunse Audrey.

La Guaritrice emise un verso esasperato. «Va bene! Ma almeno portiamo questa poverina in infermeria! Vi pare il posto adatto?» 

Indicò tutto attorno a sé con un gesto circolare del dito. Audrey e Sarah si riscossero e guardarono lo stadio: dalla tribuna dei familiari venivano urla e suoni di rissa, mentre i giocatori erano atterrati e se le stavano dando di santa ragione in mezzo al campo.

«Oh… okay,» sbuffò Audrey, «andiamo in infermeria. Ma usiamo le mie pozioni. Non mi fido degli intrugli che tenete qui.»

«Pensavo che le pozioni di Hogwarts venissero fornite dal Ministero,» osservò Sarah, aiutando a trasportare Juliana con un Incantesimo Levitante.

«Appunto.» 

 

*

 

L’infermeria rimase tranquilla per poco: ben presto Juliana e le sue accompagnatrici furono raggiunte da diversi giocatori ammaccati, un professore che aveva cercato di sedare una rissa alla babbana tra i genitori («giuro su Circe, Neville, la prossima volta che ti metti in una situazione del genere ti ripari il naso da solo!») e numerosi partecipanti alla suddetta rissa, tra cui — per sommo orrore di Audrey — il Direttore dei Trasporti Magici Percy Weasley.

«Cosa hai combinato stavolta?!» Osservò il viso tumefatto del marito e scosse la testa. «Non posso lasciarti solo due minuti che ti riduci così!»  

«Perché non hai visto com’è ridotto l’altro!» protestò Percy, tenendosi l’impacco freddo sulla metà del volto che aveva avuto un incontro ravvicinato con Ingram Nesbin. «Gli ho fatto capire chi comanda, a quel troglodita!» 

«Ma se non sei riuscito nemmeno a sfiorarlo,» osservò Oliver, pesto ma soddisfatto, anche lui con un impacco sull’occhio.

«Ma l’ho distrutto moralmente ! È quello che conta!»

«Certo, Perce, certo,» l’amico gli diede una pacca consolatoria sulla spalla. «Dov’è Jules?» 

Audrey accennò con la testa al divisorio di tela che separava il lettino di Juliana dal resto dell'infermeria. «Sarah e Molly sono con lei. Non si è fatta nulla di che, solo qualche incrinatura qua e là ma starà bene dopo un buon sonno. È tosta, la piccola.» 

«Tutta suo padre,» Oliver ridacchiò. 

Al di là del divisorio, Juliana dormiva beatamente nel lettino, con Sarah che le carezzava piano la testa e Molly che le teneva una mano sfiorandole delicatamente le nocche. Quando la ragazza vide entrare i genitori, mollò la mano e scattò in piedi.

«Mamma. Papà. Ehm…»  

Deglutì. Ora che Juliana era sana e salva, il pallore della preoccupazione aveva lasciato il posto a un diffuso rossore imbarazzato sul suo viso. «Io… ehm…»

«Tesoro, penso sia meglio lasciare loro un po’ di privacy. Andiamo?»   

Molly annuì e seguì i genitori fuori dall’infermeria, le spalle incassate, strascinando i piedi. Camminava sempre un po’ curva, vergognandosi della sua altezza che sin da piccola l’aveva fatta spiccare tra le compagne di scuola. Quando però furono giunti nel cortile deserto, lontani dagli echi della partita e di tutto ciò che vi era seguito, la ragazza si fece ancora più curva.

«Penso di dovervi delle spiegazioni,» proruppe prima ancora che gli altri potessero dire qualcosa. «Per… prima.»

Percy aprì la bocca per chiedere di cosa diavolo stesse parlando, ma Audrey fu più rapida. «Solo se lo vuoi, tesoro. Non ci devi proprio niente.»

«No, io…» Molly si tormentò le mani e il suo viso assunse la stessa, identica sfumatura della divisa da Quidditch che ancora indossava. «I-io ho aspettato anche troppo. Ehm… Okay. Ecco qua.» Inspirò a fondo e buttò fuori l’aria di colpo. «Jules e io stiamo insieme.»

Si strinse ancora di più nelle spalle, gli occhi che correvano in ogni direzione possibile in cerca di una via di fuga. Nelle menti di Audrey e Percy passò lo stesso ricordo di lei bambina che confessava qualche marachella, e sorrisero inteneriti.

«Oh, tesoro, è bellissimo.» Audrey si fece avanti e le prese le mani. «Juliana è una ragazza adorabile.»

«State… insieme? E da quanto?» chiese invece Percy, aggrottando la fronte — il che gli causò dolore al lato ammaccato del viso, ma cercò di non darlo a vedere.

Invece di rispondere, Molly rialzò il capo e guardò entrambi dubbiosa. «Uhm… da… a giugno sarà un anno, ma… perché siete così tranquilli?»

«In che senso?»

«In senso letterale. Perché siete così tranquilli? Vi ho appena detto che sto con una ragazza, non…» agitò una mano. «Non vi disturba?»

Audrey e Percy si scambiarono uno sguardo confuso. «Beh, siamo… sorpresi, ma non ci disturba di certo,» disse lei, mentre lui annuiva. «Insomma, hai sedici anni.»

«No, intendo… è una ragazza.»

«Molly, conosciamo Juliana da quando portavate entrambe il pannolino, sappiamo che è una ragazza.»

«Papà, per cortesia!» Molly sbuffò. «Io sono una ragazza, e lei è una ragazza. E a voi non crea nessun problema? Niente di niente?»

I due adulti si guardarono di nuovo. Se la loro figlia avesse iniziato a dire che il cielo era verde e che gli Erumpent volavano, sarebbero stati molto meno confusi.

«Molly… quello che dici non ha senso. Perché dovrebbe essere un problema?» Percy fece un passo avanti e le si avvicinò. «Lo sai che noi…» 

«No che non lo so!» eruppe Molly, facendolo sobbalzare.

«Cos…»

«Voi… voi non parlate mai di questo! D-di cosa pensate di… di gente come me!»

«Gente come… Molly! Sei nostra figlia, cosa mai dovremmo pensare di te?»

Quella domanda parve esasperare Molly ancora di più, perché la ragazza si staccò dalla presa della madre e diede le spalle ai genitori incrociando le braccia. Dopo qualche istante, un singhiozzo risuonò nel cortile.

«Ehi… ehi,» Audrey l’afferrò per le spalle e la costrinse gentilmente a girarsi. «Tesoro… pensavi che ce l’avremmo avuta con te perché ti piacciono le ragazze?»

«I-io non lo so!» Molly si coprì il viso con le mani per nascondere le lacrime. «Non abbiamo mai parlato di… di queste cose!»

«Di sesso e relazioni? Ma se ti ho fatto il discorso quando avevi dieci anni!»

«No, mamma, tu mi hai spiegato come nascono i bambini!»

«Appunt… oh. Oooh.» Toccò a Audrey coprirsi il viso. «E tu hai dato per scontato…» 

«E che altro avrei dovuto pensare?!»

«Molly…» La donna sospirò. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. È che per me… per noi è sempre stato ovvio che avremmo accettato qualsiasi persona tu avessi deciso di avere come partner, chiunque essa fosse.»

«Mi permetto di dissentire,» brontolò Percy. «Non avrei mai accettato uno come il figlio di Ingram Nesbin.»

Quello riscosse Molly abbastanza da farle scoprire il viso. «Cos… Brutus? Non avrei mai potuto mettermi con quello schifo, papà.»

«Certo, perché sei la ragazza più intelligente del mondo e posso sempre fidarmi di te.»       

Lei sbuffò una risatina fra le lacrime. «Il punto è che avremmo dovuto mettere in chiaro le cose prima,» riprese Audrey, «e mi dispiace tanto. Ma sai che puoi sempre parlarci di quello che vuoi.»

Molly annuì, masticandosi il labbro inferiore. Audrey le lasciò il tempo di riprendersi un po’, accarezzandole il viso e spostandole i capelli sfuggiti alla coda malfatta. «E così ti piacciono le ragazze, eh?» chiese poi, in un tono così buffamente cospiratorio che le provocò un’altra risatina.

«Sì… cioè, anche. Non trovo brutti neanche i ragazzi, ecco. Non so se ha senso.» 

«Oh, fidati, ne ha. Tua madre lo sa bene.»

«Ehi!» Audrey diede uno schiaffo sul braccio a Percy. «È un momento madre-figlia, ti spiace?»

«In che senso… mamma, anche tu?»

«Mh-mh. A quanto pare ti ho passato qualcosa di mio, oltre a questo.» Le premette l’indice sulla punta del naso, che scherzosamente aveva sempre detto essere il loro unico punto in comune. 

«Grandioso, ora mi sento davvero stupida a non avertene mai parlato,» grugnì Molly.

«No che non lo sei!»

«Mh. Comunque non ha importanza, perché in un certo senso mi è sempre piaciuta solo Jules.» Scrollò le spalle. «Quando ci siamo incontrate la prima volta è stato tipo un colpo di fulmine.»

«E questo invece è tuo padre,» sospirò Audrey. «Tesoro, siamo felicissimi per te. E la prossima volta che Juliana verrà a trovarci, la accoglieremo come la tua ragazza. Sono sicura che tutti in famiglia saranno eccitatissimi per voi due.»   

A quelle parole, Molly sbiancò. «La mia famiglia, forse. Ma quella di Juliana? Oh Merlino, le ho fatto praticamente outing davanti alla madre… la signora Baston non ha detto nulla, ma che ne so se…»

«Sarah è a posto,» la rassicurò Percy. «E anche Oliver. Sono brave persone, non preoccuparti.»

«Ma se non dovessero accettare che…»

«Lo accetteranno, se vogliono continuare a usare la Metropolvere di casa e mantenere le loro patenti di Materializzazione. Per non parlare dei manici di scopa.»

Audrey sollevò un sopracciglio scettico nella sua direzione, Molly invece gli scoccò uno sguardo adorante. «Davvero lo faresti, papà?»

«Naturalmente. A che mi serve essere Direttore dei Trasporti se non posso abusare della mia posizione per aiutare mia figlia?» 

«Oh, per la Dea,» grugnì Audrey roteando gli occhi, mentre Molly si fiondava ad abbracciare il padre. «Beh, congratulazioni, tesoro. E complimenti per la partita, sei stata eccezionale.»

«Ma se non l’hai nemmeno guardata,» borbottò lei contro la maglia del padre.

«Invece sì, non si è persa neanche un minuto,» rispose pronto lui, strizzando l’occhio a Audrey.

«Davvero?!» 

«Naturalmente. A un certo punto non so chi strillasse di più tra lei e Sarah. Ehi,» le diede una pacchetta affettuosa sulla testa, «ricordatelo sempre: siamo fieri di te, in tutto.»

«Sempre,» aggiunse Audrey, e si unì all’abbraccio.

«…e come dicono i Babbani, tutto è bene quel che finisce bene.» 

I tre sobbalzarono. «Lucy!» esclamò Percy, notando la sua secondogenita a pochi passi di distanza. «Da quanto sei qui?»  

La tredicenne, vestita di rosso come i tifosi di Grifondoro, scrollò le spalle in modo simile a Molly. «Qualche minuto. Ho accompagnato Dougal in infermeria da Juliana e i suoi mi hanno detto che eravate usciti.» Guardò la sorella e fece una smorfia. «Finalmente glielo hai detto. Se avessi dovuto continuare a fare finta di niente penso sarei esplosa.» 

«Tu sapevi di Molly e Juliana?» 

«Tutti sanno di Molly e Juliana. Onestamente, non puoi fare due passi qui senza imbatterti in loro che girano mano nella mano, e Hogwarts è grande.» 

«Ehi, risparmia il sarcasmo per un altro momento, signorina. Adesso è ora di abbracci.» 

Audrey accompagnò la frase con un gesto della mano; Lucy roteò gli occhi, ma alla fine si lasciò assorbire dall’abbraccio collettivo dei Weasley-Bennet.

«…è un buon momento per dirvi che mi sono baciata con Dougal Baston?» chiese dopo qualche secondo.

«Oh, per Godric,» sospirò Percy, mentre Audrey scoppiava a ridere. 

 

*

 

«Tutto bene?» 

Audrey smise di fissare il vuoto dal divano di casa e guardò suo marito, che arrivava con le tazze di tè e caffè e le si sedeva accanto. «Grazie,» disse, accettando la propria bevanda. «Tutto bene, solo…» 

Sbuffò. La giornata e le emozioni che aveva portato con sé iniziavano a chiedere il conto alle sue energie. «Stavo pensando a Molly,» borbottò sprofondando nello schienale del divano. «Sono preoccupata.» 

«Non devi. Anche se ci fossero alcolici alla festa per la Coppa del Quidditch, sai che lei…» 

«Cos… no, no, figuriamoci. No… per la questione di lei e Juliana.» Deglutì e tirò su col naso. «Le piace da quando ha undici anni, stanno insieme da un anno… e lei aveva paura di confidarsi con me perché quando le ho parlato di sesso le ho solo spiegato come si rimane incinte. Ha dato per scontato che l’avrei accettata solo se fosse stata in una relazione etero, capisci? Io! Sono così idiota…» 

«Amore, non sei idiota. Tutti e due abbiamo omesso di dire a Molly e Lucy che possono stare con chiunque al mondo. A me pareva ovvio, onestamente.» 

«Anche a me! Ma non è solo questo, è che… che Molly non si fida di me. Che razza di madre sono se la mia stessa figlia ha paura di raccontarmi quello che le succede?» 

«Sul serio, Bennet? Sei turbata perché tua figlia di sedici anni non ti ha confidato che ha una ragazza? Ricordati un po’ quello che facevi tu, a sedici anni!»

«Ehi! Io ero Prefetto a sedici anni!»

«Anche io.» Percy fece una pausa. «E inoltre mi nascondevo nelle aule vuote con la mia ragazza ogni volta che avevo un minuto libero, ma di certo non andavo a sbandierarlo.»

«Mh. Direi che Molly non ha ereditato la tua discrezione, stando a quanto dice Lucy.» Sorseggiò il caffè e sospirò. «No, capisco cosa intendi, però…» 

Si morse le labbra e tornò a guardare fisso dinanzi a sé. Percy l’osservò in silenzio, infine sospirò. «Ho capito. È quello che ha detto Sarah, vero? Il fatto che lei e Juliana siano “amiche” e abbiano un rapporto migliore di quello tra te e Molly?» 

«Lo hai sentito? Pensavo stessi litigando con Oliver.» 

«Io sento tutto.» Si aggiustò gli occhiali. «E ti farei notare che, a quanto mi hai raccontato, anche Sarah era sconvolta quando Molly ha detto di essere la ragazza di Juliana. Ergo, non lo sapeva. Ergo, non è vero che sua figlia le racconta ogni cosa.»  

Attese che la realizzazione si depositasse nel cervello di sua moglie. «Oh,» fece lei, quando questo avvenne. «Oooh. Perciò…»

«…non sei una madre peggiore di Sarah Baston solo perché tua figlia adolescente non ti ha scelta come confidente per la sua vita amorosa.»

Quello riportò il sorriso sul volto di Audrey. Per un po’ i due se ne rimasero accoccolati in silenzio sul divano, ciascuno immerso nei propri pensieri e nella propria bevanda calda; a un certo punto, la donna iniziò a ridacchiare.

«Che c’è?» chiese Percy.

«Sto pensando che Molly è proprio identica a te. Ha persino la stessa passione per le brune scozzesi.»

«Scema.» Le schioccò un bacio sulla testa, e quando lei alzò il viso per offrirgli le labbra fu solo contento di rispondere — almeno finché una scossa di dolore non gli attraversò la faccia.

«Ahia!»

«Oh, no, mi dispiace!»

«Non importa, prima o poi la pozione farà effetto. Nel frattempo, ho una mezza idea di cosa mi farebbe stare meglio…»

Fece un sorrisetto suggestivo. Audrey inarcò entrambe le sopracciglia, cercando di capire se scherzasse o meno, ma alla fine dovette roteare gli occhi.

«Oh, e va bene,» sospirò. «Raccontami come hai distrutto moralmente chi ti ha preso a pugni, forza.»  

«Grazie di averlo chiesto! Dunque, è iniziato tutto dopo che Juliana ha preso il Boccino…» attaccò lui immediatamente, e Audrey si preparò a un lungo, lungo resoconto.








Note:

Per questo capitolo ho giocato a "vediamo quanti prompt posso inserire in poco più di 6k parole", come avete potuto vedere dalle note iniziali. Oltre alle citazioni in cima, un'altra che ho nascosto nel testo è "Se l'uomo fosse stato creato per volare, sarebbe nato con le ali", che è tratta da "La spada nella roccia" (nessuna ragione per inserirla, se non che mi faceva ridere mettere una frase del genere in bocca a una scienziata come Audrey).

Considero questa oneshot un seguito diretto di Edax Rerum per via dei personaggi che vi vengono nominati, nella fattispecie: Daniel Rubens, Eulalia Bose, Juliana Baston, Brutus Nesbin e il padre di questi, Ingram Nesbin (che appunto in ER è un ex Mangiamorte).

Non seguo sport di nessun tipo da ANNI, e penso si noti nella mia assoluta incapacità di descrivere una partita di Quidditch. Ci sono però alcune strizzate d'occhio all'altra famosa finale Grifondoro-Serpeverde, quella giocata da Oliver, Harry e il resto della loro squadra nel Prigioniero di Azkaban.

Questa ff non ha pretese di descrivere accuratamente lo struggle di fare coming out coi propri genitori. Posso solo immaginare quanto sia difficile e so che spesso e volentieri le cose non vanno lisce come a Molly. Lo scopo di questa storia era quello di divertire e trasmettere sensazioni e valori positivi: se ci sono riuscita, lo considererò un successo :)

Gli appassionati di New Generation potrebbero lamentare l'assenza dello stuolo di Weasley/Potter/eccetera in questa oneshot, ma onestamente non c'entravano tutti e sarebbero stati superflui (ma ehi, se strizzate gli occhi vedrete un James in gran forma!).

Alcuni nomi o cognomi usati per i giocatori di Serpeverde e Grifondoro sono stati rubati dalla mia più recente ossessione, ossia The Magnus Archives. Si tratta di: Hussain, Orsinov, Lukas, Robinson e Gerry Keay. Suggerisco caldamente di ascoltare questo podcast se amate l'horror, gli eldritch terrors, la rappresentazione LGBTQA+ fatta BENE e le cose belle in generale.

Grazie! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ai Tiri Vispi ***


 

Avevo iniziato a buttar giù questa oneshot mesi e mesi fa, quando ancora la challenge era molto più attiva di adesso; vuoi per altre ispirazioni, vuoi perché non ho gran dimestichezza con questo tipo di AU, dopo un po' l'ho parcheggiata per dedicarmi a progetti più "urgenti". L'ho ripresa in mano per partecipare alla challenge che ha dato origine alla raccolta God Rest Ye Merry Hippogriffs (cui non posso più iscriverla perché non l'ho finita in tempo, ma vabbè) e mi sono sorpresa a divertirmi tantissimo scrivendola. Non so a quantə di voi piacerà - come dicevo, non ho gran familiarità con i coffeeshop!AU - ma spero vi divertiate a trovare tutte le "variazioni sul tema" che ho introdotto per inserire i personaggi in questa ambientazione.
(Ah, non ho assolutamente nulla contro Starbucks. Qui viene nominato esclusivamente ai fini dell'ambientazione.)
Dialoghi e situazioni sono ovviamente ispirati a Omne Trinum Est Perfectum. Una sola nota importante: qui Audrey è stata trasformata in un'assistente universitaria per affinità col suo lavoro in OTP, ma tutti i dettagli in merito sono ispirati a quel che so delle università italiane. Non ho la più pallida idea di come funzioni il sistema britannico, perciò, se quanto ho scritto non è coerente con la realtà, vi prego di considerarlo un AU nell'AU. Idem per quanto riguarda ogni riferimento al lavoro negli studi legali britannici.
Buona lettura!

 






3: Ai Tiri Vispi

(Giorno 3, prompt 1: Coffeeshop!AU)





 

Ci sono tre ragioni per cui Audrey Bennet prende il suo triplo caffè mattutino ai Tiri Vispi Weasley, invece che allo Starbucks dall’altra parte della strada o nel bar dell’università.

La prima: il nome. Chi accidenti chiamerebbe mai un bar “Tiri Vispi”? Non ha nessun senso, zero, nada, rien, eppure i proprietari hanno deciso di dargli esattamente quel nome perché sì, al diavolo la logica e la dignità. Un tale coraggio merita di essere premiato, per come la vede lei. 

La seconda: l’ambiente. Il nonsense della denominazione si estende infatti all’interno del locale, arredato come — Audrey può solo immaginarlo — il salotto di una casa di campagna particolarmente confusionaria. L’unica stanza è ingombra di sedie scompagnate e tavolini decorati di centrini fatti a mano, e un angolo è occupato da un grosso divano in stoffa marrone su cui è buttata una coloratissima coperta a uncinetto. La pendola al lato opposto dell’entrata non segna mai l’ora giusta, ma il dong che risuona implacabile ogni sessanta minuti riscuote i cervelli annebbiati dal sonno mattutino meglio di un caffè in endovena. Ogni singolo mobile è pulito e comodo, e allo stesso tempo ha l’aria di essere uscito dritto dalla soffitta dei bisnonni dei proprietari — e probabilmente è proprio così.

La terza: i soldi. Con uno stipendio da assistente universitaria puoi permetterti ben pochi dei mocha-frappo-ciocco-cosi del succitato Starbucks, e la caffetteria dell’uni è frequentata da troppi studenti ansiosi di sapere se hai già corretto l’esonero di algebra lineare o di chiederti spiegazioni sul capitolo X del libro Y, perciò l’unica alternativa possibile è andare in un bar che non ti succhi via più soldi del dovuto garantendoti, al contempo, un caffè decente e la dovuta privacy. E il caffè dei Tiri Vispi, grazie al cielo, è decentissimo.

Per queste tre ragioni, ogni mattina Audrey Bennet se ne sbatte dei commenti dei colleghi e va a iniettarsi la sua dose vitale di caffeina in quel bar che non sembra un bar. Alle sette e mezza il posto è pressoché deserto, e lei ama approfittare di quella calma per correggere i compiti degli studenti o lavorare ai propri scritti. Oggi ha portato con sé la bozza stampata del suo ultimo articolo, un pet project che magari non vedrà mai la luce su alcuna rivista ma è la perfetta distrazione dal lavoro quotidiano e dalle deadline più urgenti. Chi avrebbe mai pensato che un argomento dal nome frivolo come “geometria sacra” fosse in realtà così affascinante e pieno di spunti?

Riflette tra sé mentre lascia vagare lo sguardo sui dolci, pregustando il momento in cui potrà mettersi seduta al solito tavolino e lavorare alla bozza. C’è un che di soddisfacente nel correggere gli articoli a mano piuttosto che al computer, il senso di star facendo qualcosa di concreto a dispetto di tutti quelli che considerano la sua carriera qualcosa di poco serio. Un dottorato? Ancora? Perché non ti trovi un lavoro vero? Alla tua età non vorresti qualcosa di più stabile, che ti permetta di comprare casa e mettere su famiglia? Lo diciamo per te, eh, perché siamo preoccupati che non combinerai mai nulla di buono nella vita, mica perché ci piace farci i cazzi altrui per non riflettere su quanto siano vuote e futili le nostre esistenze...

Uno schiarirsi di gola la riscuote da quei pensieri. Con la riacquistata lucidità, Audrey realizza che sta fissando con astio un’innocente danese con l’uvetta; distoglie allora lo sguardo e lo punta in direzione del bancone, curiosa di vedere chi c’è quel mattino.

I Tiri Vispi Weasley sono — sorpresa sorpresa — un bar a conduzione familiare, al cui banco ogni mattina si alterna una diversa testa rossa. Nessun dubbio riguardo alla parentela tra loro. Quella che si vede più spesso è una signora bassa e rotonda dal sorriso dolce che cerca sempre di convincere Audrey a prendere una brioche o una fetta di torta insieme al suo triplo caffè, perché non è sano rimanere a stomaco vuoto, cara, non fare complimenti, se non sei convinta te la offro io; talvolta la sostituisce un ragazzo robusto dalla battuta facile e il flirt ancora più facile, che ogni tanto scompare nel retro per fare scambio col suo gemello. La cosa esilarante è che fingono di essere sempre la stessa persona, e il trucco riesce loro così bene che Audrey ci ha messo un po’ a capirlo.

Non fossero così più giovani di lei, ci farebbe seriamente un pensiero.

L’ultima è una ragazza, probabilmente la più piccola della nidiata, atletica e chiacchierona già alle sette e mezza del mattino, i cui discorsi vertono sempre attorno a due argomenti: la squadra di rugby per cui gioca e il suo fidanzato. Audrey la trova terribilmente carina e simpatica e ama ascoltarla, ma in questo momento spera proprio che non ci sia lei dietro al bancone, perché il desiderio di mettersi a lavorare è più forte di quello di socializzare.

Beh, a quanto pare è fortunata. Il tizio che si frappone tra lei e la macchina del caffè non è la giocatrice di rugby, ma non è neanche uno dei gemelli. A dirla tutta, Audrey non lo ha mai visto prima. È alto e magro e dietro gli occhiali ha l’espressione più tetra del mondo, in stridente contrasto col grembiule magenta che tutti i baristi indossano lì; solo i capelli color fiamma permettono di identificarlo come appartenente alla schiera dei Weasley.

O quello, o i Tiri Vispi assumono solo pel di carota.

«Buongiorno,» mugugna. «Cosa le preparo?»

«Il solito,» risponde Audrey prima ancora di rendersene conto, e beccandosi subito un’alzata di sopracciglio in risposta. Certo. Difficile che uno che non hai mai visto ti dia il solito. «Scusa, volevo dire... un triplo caffè.»

«Caldo? Freddo? Macchiato?»

«Normale. Cioè, caldo.» 

«Basta?»

Oh, santo cielo. Audrey non è mai stata di quelle persone che pretendono gioia e simpatia dai loro baristi, specie alle sette e mezza del mattino che è un orario abbastanza infame per tutti, però non le dispiacerebbe se quel tizio si dimostrasse un po’ meno… scocciato? Annoiato? Disgustato da tutto ciò che lo circonda?

Si morde la lingua e torna a osservare la danese che ha perforato con lo sguardo poco prima. Ma sì, male non può farle.

La indica al barista scontroso, il quale annuisce e gliela mette da parte. «Si vada pure a sedere, le porto subito tutto.»

Oh? Anche quella è una novità, visto che né la signora dal sorriso dolce né gli altri figli si sono mai offerti di portarle la colazione al tavolo. Un punto per il tizio con gli occhiali. Audrey paga, lo ringrazia con un sorriso — non ricambiato — e va al solito tavolino accanto alla pendola.

Si siede e, come d’abitudine, sposta di qualche centimetro la lampada Tiffany per fare spazio alle bozze. Oggi il locale è vuoto e silenzioso, ma il lieve rintocco della pendola sopperisce alla mancanza di brusio di fondo e l’aiuta a dare un ritmo ai propri pensieri; afferra la penna, cerca il punto in cui si è interrotta il giorno prima e, con un familiare pizzico di soddisfazione allo stomaco, inizia a correggere.

Di quando in quando tende l’orecchio in direzione del bancone, resistendo alla tentazione di sbirciare per non far sentire il barista nuovo in difficoltà. Avverte il rumore della macchina del caffè, poi un sibilo e un’imprecazione a bassa voce da cui si può dedurre che il ragazzo ha ancora bisogno di un po’ di pratica; il cigolio della porta che dà sul retro, un parlottare concitato — coi gemelli, forse? — infine uno sbuffo e, di nuovo, i rumori della macchina del caffè. Quando finalmente la sua colazione arriva, sono passati almeno dieci minuti.

«Scusi il ritardo,» borbotta il tizio, e Audrey nota che ha le orecchie ferocemente arrossate. 

«Nessun problema.» 

Gli fa posto sul tavolo e lo ringrazia, per tornare subito alla bozza; sbarra e riscrive un paio di parole, appunta una citazione a cui manca una fonte, e le ci vogliono dieci secondi per accorgersi, con la coda dell’occhio, che il tizio non si è mosso da lì.

«Uhm… serve qualcosa?» chiede alzando la testa. 

Lui non risponde subito, intento com’è a osservare i fogli stampati. Apre la bocca e la richiude, indeciso, e finalmente si schiarisce la gola. 

«Ehm… è una tesi, quella?» 

«Questa? Oh, no, è solo una bozza di articolo scientifico.» 

Il tizio tentenna ancora. Oh, no, stanno per arrivare le domande. Su cosa si concentrerà? Sul suo scrivere a mano? Sull’argomento dell’articolo? In genere, quando un perfetto estraneo decide di fare commenti non richiesti, questi spaziano dal Ma perché non correggi direttamente al PC che è più comodo? al Ma chimica e matematica non sono materie da uomini?, e ogni tanto qualcuno di particolarmente spiritoso ci mette pure un Ah ma sei un’assistente? Pensavo fossi una studentessa, sembri così giovane!

Farebbe pure ridere, se non glielo dicessero ogni. Singola. Volta.

Alla fine, dopo essersi mordicchiato l’interno della guancia, il tizio si decide. «C’è una virgola tra soggetto e verbo. Quindicesima riga dall’alto.»

Audrey sgrana gli occhi. Okay, quello non glielo ha mai detto nessuno. Guarda la bozza e sì, cazzo, il tizio ha proprio ragione: una virgola tra soggetto e verbo, roba per cui lei stessa bastonerebbe senza pietà i propri studenti.

«Oh, merda!» geme e si affretta a segnare l’errore. «Grazie,» bofonchia poi. «L’ho riletto così tante volte che ormai non vedo più i refusi.»

«In questo caso… ehm… forse vuole controllare anche l’ortografia di “parallelogramma”. L’ha scritto più volte senza la doppia L.»

«Cos…»

Merda. Ha di nuovo ragione. Masticando un’imprecazione tra i denti, più per lo scorno di essere stata corretta da uno sconosciuto che per l’errore vero e proprio, Audrey segna in alto sul foglio di ricontrollare tutte le occorrenze di “parallelogramma”. Mentre sta per ringraziare di nuovo il tizio e magari aggiungere una battuta che non la faccia sembrare una completa rincoglionita, tipo si vede proprio che ho bisogno di caffè, eh?, sente di nuovo il cigolio della porta sul retro e, quando alza la testa, si rende conto di essere rimasta sola.

 

*

 

Sono di nuovo le sette e mezza di mattina, e il tizio con gli occhiali è di nuovo al bancone del bar. Inconsueto. Audrey ha notato che, sebbene non ci sia proprio una rotazione tra i vari Weasley, c’è quantomeno un’alternanza ed è raro che i più giovani si facciano due giorni di lavoro di fila. Beh, poco male: visto che ieri, quando è andata via, il tizio non era ancora uscito dalla cucina, magari oggi ne può approfittare per ringraziarlo della sua correzione di bozze improvvisata.

«Buongiorno.»

Lui le dà le spalle mentre sistema alcune tazze su un ripiano piuttosto in alto, operazione che gli riesce facile grazie alle lunghe braccia; appena sente la sua voce, sobbalza e una tazza gli scappa di mano, infrangendosi a terra.

«Merda,» sibila tra i denti. Subito però si ricorda di non essere da solo, guarda Audrey e sbianca.

«Oh, ehm… m-mi scusi tanto,» farfuglia, il rossore che gli crepita istantaneo dal collo al viso. «Io non, ehm, non avevo, non…»

«Nessun problema,» si affretta a dirgli. 

Tutt’altro che rassicurato, il tizio guarda i cocci a terra e le fa cenno di aspettare, poi corre nel retro e ne ritorna come un fulmine con scopa e paletta. «Mi dispiace moltissimo,» borbotta dopo aver sistemato il danno. «Cosa vuole? Cioè, no, volevo dire… cosa posso prepararle?»   

Santo cielo. È persino più impacciato e inesperto di quanto Audrey avesse immaginato. Perché diavolo i suoi colleghi lo tengono a lavorare da solo, invece di, tipo, affiancarlo durante il primo periodo? Un punto in meno per la signora, la rugbista e i gemelli.

Chiede un triplo caffè e, per facilitargli al massimo le cose, gli consegna i soldi già contati. Lui li riconta lo stesso, ormai paonazzo fino alle orecchie, poi si mette in tutta fretta alla macchina del caffè. Quando le porta il suo ordine al tavolino, sono passati solo cinque minuti.

«Mi scusi ancora, dottoressa. Sono costernato.» 

Sembra davvero mortificato — fin troppo — per il piccolo incidente, ma non è questo a far aggrottare la fronte a Audrey. Dottoressa? In genere, il massimo che si becca dagli sconosciuti è “signorina”.

«Come sai che sono una dottoressa?»

Il tizio la guarda come se gli avesse chiesto la radice cubica di un numero immaginario. «Io… beh…» si aggiusta occhiali e capelli in rapida sequenza, sebbene siano entrambi a posto. «Ecco, ieri stava correggendo la bozza di un articolo scientifico. Visto che qui vicino c’è la facoltà di Scienze ho pensato che potesse essere un’universitaria, ma se fosse una studentessa probabilmente non pubblicherebbe articoli, perciò può essere solo una dottoranda o una professoressa. Ma mi sembra, con tutto il rispetto, un po’ giovane per essere una professoressa. Perciò…»

«Oh.» Il ragionamento non fa una grinza, e causa a Audrey un sorriso spontaneo. «Sì, è corretto. Sono un’assistente di algebra.»

Si aspetta che il tizio reagisca in qualche maniera a quella conferma della sua deduzione, invece lui fa solo un cenno secco con la testa, come a dire “sì, lo sapevo già”. «A questo proposito, uhm… io, ecco, credo di doverle delle scuse.» 

«Delle… scuse?»

«Sì. Per il mio comportamento di ieri.» Di nuovo la mano agli occhiali e ai capelli. «Non avrei dovuto, uhm, permettermi di correggere il suo lavoro. Mi dispiace.»

Audrey sente le proprie sopracciglia alzarsi fino alla sommità della fronte. «Ma… scherzi, vero? Io volevo ringraziarti per l’aiuto!»

«…davvero?»

«Certo! Non sono molto brava a trovare i refusi nei miei stessi scritti, quindi mi hai fatto un favore enorme. E devo proprio farti i complimenti, hai un occhio di falco.»

È più che consapevole dell’ironia di dire a una persona miope che ha un “occhio di falco”, tuttavia il tizio non sembra coglierla, tutt’altro: le sue guance si riaccendono, ma stavolta è un rossore molto più moderato di prima.

«Oh.» Sposta il peso da un piede all’altro. «Io… mi scusi, non sono abituato a tutto questo. Non è quello che mi viene detto di solito quando correggo qualcuno.»

«Ah no? E cosa ti dicono di solito?»

«Che sono un rompipalle.»

Lo dice in un tono così grave che Audrey non riesce a trattenere una risata — o meglio, un verso sguaiato che si riverbera nel bar e che la obbliga a tapparsi la bocca con una mano per fermarlo.

«S-scusami, non volevo,» balbetta mentre diventa il suo turno di avvampare furiosamente. L’imbarazzo però svanisce in fretta nel momento in cui si accorge che, per la prima volta, il tizio sta sorridendo — un sorriso timido e microscopico, ma sempre un sorriso. 

Un bel sorriso, tutto sommato. 

Audrey vorrebbe ricambiarlo, ma proprio allora entrano due clienti, e il tizio è costretto a correre al bancone.

 

*

 

Il terzo giorno le sorride di nuovo, appena la vede entrare nel bar. Il quarto giorno le prepara il triplo caffè prima ancora che lei lo chieda. Il quinto giorno… è sabato, e Audrey non va all’università, ma il lunedì successivo lo ritrova sempre lì al bancone e il suo stomaco fa un saltello.

«Buongiorno, dottoressa,» la saluta come al solito. Il modo in cui pronuncia la parola “dottoressa” fa sempre cose al suo ego, perché lo dice con un tale sottofondo di genuino rispetto da farlo sembrare il titolo più importante del mondo.

«Buongiorno.» Si avvicina al bancone e nota che oggi il tizio ha una targhetta col nome appuntata sul grembiule magenta. «Ti chiami… Percival? O Perseus?»

Lui si guarda la targhetta e fa una piccola smorfia. «Ehm… nessuno dei due. Non è un diminutivo, è… solo Percy.»

Non serve un dottorato per capire che non è soddisfatto di quel nome così breve. «Bello,» commenta Audrey con un gran sorriso. «Come Julian, Shelley e la Primula Rossa. Un nome significativo.»

Lui aggrotta la fronte. «Gli ultimi due sono familiari, ma il primo mi è del tutto ignoto.»

«Non sai chi era Percy Lavon Julian?»  

«Temo di no.»

«Ma è importantissimo! È stato un grandissimo scienziato, uno dei primi afroamericani a ricevere il dottorato in chimica, e ha gettato le basi di una marea di studi in ambito farmaceutico. Sai che è stato il primo a sviluppare il cortisone sintetico? E che…»

Senza nemmeno rendersene conto, inizia a riversargli addosso tutto quello che sa sul suo scienziato preferito — perché sì, algebra le piace, ma è pur sempre laureata in chimica e il primo amore non si scorda mai. Parla e parla e Percy non fa mai cenno di interromperla, anzi si appoggia coi gomiti al bancone per ascoltarla meglio, l’espressione rapita di chi voglia davvero saperne di più. Si ferma solo per metterle davanti il triplo caffè che Audrey non ricorda di avergli chiesto, e lei si ferma solo per berne qualche sorso; a un certo punto le sembra che la porta che dà sul retro si apra e si richiuda velocemente, ma è troppo concentrata sul vago sorriso di Percy e sui suoi occhi azzurri e attenti per darci troppo peso.

Parla, e parla, finché la sua collega Portia non le telefona per chiederle dove diavolo sia finita. Solo allora si accorge di quanto è in ritardo, si scusa con Percy e scappa via, sebbene a malincuore.

E forse è la sua immaginazione, ma anche lui sembra piuttosto dispiaciuto di vederla andar via.

 

*

 

Per le prime due settimane è quasi sempre lei a parlare, e lui a fare domande. Lo interessa qualunque cosa — le sue materie, com’è la vita da assistente, se si trova bene nell’ambiente universitario — e benché Audrey sappia benissimo che la gentilezza è parte integrante del lavorare col pubblico e che quindi non c’è altro dietro a quella curiosità nei suoi confronti, non le dispiace comunque ricevere un po’ di attenzione. È la ragione per cui ama essere un’assistente, d’altronde. Così, tutte le volte che i Tiri Vispi sono vuoti a parte loro due, diserta il solito tavolo — e il lavoro, urgente o meno — e si mette al bancone a chiacchierare col suo barista preferito.

Le tocca insistere parecchio affinché lui smetta di chiamarla “dottoressa” e passi a “Audrey” — e ogni tanto gli scappa comunque, quella parola, ma è sempre talmente intrisa di sincera stima che lei non riesce a rimproverarlo. E le tocca insistere ancora di più perché sia lui a parlare di sé. Poco a poco scopre che è laureato in diritto internazionale e che sogna una carriera diplomatica, ma per il momento deve accontentarsi di ruoli da tuttofare sottopagato in qualche studio legale; che gli impiegati dei Tiri Vispi Weasley sono in effetti sua madre, sua sorella e due dei suoi fratelli, e che altri tre sono sparsi in giro per il globo; che non ha mai lavorato lì prima d’ora, ma i gemelli hanno scommesso che non sarebbe stato in grado di occuparsi del bar tutti i giorni per un mese e ha intenzione di dimostrare che hanno torto.

Scopre che qualche anno fa sosteneva il partito promotore della Brexit — il che gli fa perdere molti punti — ma che poi ha avuto un ravvedimento operoso e ora milita per un partito di ideali diametralmente opposti — il che glieli fa riguadagnare — e pur non avendo legami con la Scozia ne sostiene l’indipendenza per una questione di mera giustizia — e poco ci manca che Audrey, scozzese da generazioni, scavalchi il bancone e lo abbracci. Scopre che ama leggere, e che da bambino il suo sogno era diventare abbastanza ricco da comprarsi tutti i libri che voleva. 

Che essere il terzo figlio è sempre stato pesante per lui, mai il più piccolo o il più grande, solo uno nel mezzo a cui nessuno dà retta — o almeno, questa è stata la sua sensazione crescendo, a posteriori però vede bene che non è mai stato così. Che uno dei suoi zii insegna alla facoltà di Scienze — il professor Prewett, lo conosci? le chiede, e Audrey strabuzza gli occhi nel realizzare che sta parlando proprio del suo relatore.

Scopre che si tocca gli occhiali quando è in difficoltà e che le sue mani non stanno quasi mai ferme — è tutto un picchiettare nervoso delle dita, spostare oggetti, tracciare le linee del bancone. Scopre che quando parla di argomenti che lo appassionano si illumina tutto, e il suo entusiasmo è contagioso, anche se si tratta di cavilli legali e differenze tra sistemi giuridici di diversi Paesi. Che se appoggia i gomiti al bancone e si piega in avanti verso di lei, riesce a contargli le lentiggini che gli attraversano il viso.

Scopre che il suo sorriso le piace davvero, davvero tanto, e le piace essere lei a provocarglielo. Che le piace guardarlo, quasi quanto le piace parlargli. E che andarsene dal bar per recarsi in università diventa un po’ più difficile a ogni giorno che passa.

 

*

 

«Va tutto bene?»

Il no che la faccia di Percy esprime potrebbe essere più evidente solo se se lo scrivesse in fronte con un pennarello. «Certo,» mugugna tuttavia. «Solo un… disaccordo tra fratelli.» 

Così dicendo guarda in direzione della porta chiusa sul retro, e neanche a farlo apposta si sente una risata provenire da lì. Audrey reagisce con una smorfia. A lei i gemelli stanno simpatici da quel poco che li conosce, ma è pur vero che non ci ha dovuto convivere per vent’anni, e può solo immaginare quanto possa essere impegnativo averli come fratelli.

«Mi spiace.» 

«Mh, in realtà dovevo aspettarmelo.» Si aggiusta gli occhiali con fare sbrigativo. «Siccome il mese è agli sgoccioli e sto vincendo la scommessa, devono inventarsi nuovi modi per mettermi in difficoltà.»

Audrey sbuffa una risata. «Hai gestito da solo un bar per quasi un mese di fila, cosa diavolo potrebbe metterti in difficoltà?»

Lui non ricambia il buonumore. All’improvviso sembra di nuovo il tizio impacciato e a disagio di qualche settimana prima. «Ecco… n-no, niente.»

«Dai, adesso sono curiosa.»

«È una scemenza, davvero, non vuoi saperla.»

Audrey alza un sopracciglio e gli scocca l’occhiata più-che-collaudata con cui castiga i suoi studenti quando sbagliano risposta. Funziona. Percy impallidisce e arrossisce in rapida sequenza, infine china il capo e dice qualcosa a voce bassissima.

«Come, scusa?»

«Ho detto…» si schiarisce la voce, che però rimane poco più di un sussurro. «Hanno scommesso che non verresti mai a cena con me, se te lo chiedessi.»

Il dong inaspettato della pendola la fa sobbalzare. «Te l’ho detto, è una scemenza,» aggiunge Percy in tutta fretta, arrossendo come mai prima d’ora. «Non è… è solo per infastidirmi, davvero, n-non devi prenderlo sul serio, i-io…»

Farfuglia qualcos’altro che Audrey non sente, impegnata com’è a processare quella novità. L’idea che Percy voglia andare a cena con lei non le è mai, mai passata per la testa: sì, chiacchierano tutte le mattine, e sì, lui sembra piuttosto felice quando non ci sono altri clienti nel bar a parte lei, ma lo ha sempre interpretato come una normale cortesia verso una cliente e nient’altro. Ragion per cui, pur essendosi arresa al fatto di avere una cotta per quel tizio, ha evitato qualsiasi atteggiamento potesse somigliare a un flirt — per non rischiare di mettere in difficoltà un poveraccio che cerca solo di fare bene il proprio lavoro, che magari ha già un ragazzo o una ragazza e di tutto ha bisogno fuorché una fonte di imbarazzo. 

Quello, però, crea uno scenario del tutto nuovo.

«Quindi… scusa, non ho capito,» Audrey agita le mani per fermare il suo balbettio. «Hai accettato la scommessa oppure no?»

Lui spalanca la bocca, scandalizzato. «Cos… no, certo che no!»  

«E perché?»

«Perché… perché non voglio mancarti di rispetto.» Si tocca di nuovo gli occhiali, mortificato. «Non potrei mai… invitarti a uscire con me per una stupida scommessa, sarebbe terribilmente irriguardoso.» 

Che è diverso da non potrei mai invitarti a uscire con me punto e basta. Il cervello di Audrey assorbe l’informazione, la mette insieme alla vista di Percy che sembra sul punto di nascondersi nella prima credenza disponibile, e alla fine prende la decisione.

«Di’ loro che accetti.»

Percy allarga gli occhi in maniera così comica che per non ridere Audrey deve mordersi la lingua. «P-prego?»

«Va’ dai tuoi fratelli e accetta la scommessa, poi torna di qua.»

Il senso di quelle parole ci mette qualche secondo a penetrare lo shock di Percy. Quando ci riesce, un piccolo sorriso gli sbuca sulle labbra. 

«Dici che potrei vincerla?»

Audrey fa spallucce, anche se in realtà si sente sul punto di schizzare fuori dalla propria pelle. «Chissà? Lo scoprirai al tuo ritorno, se ti sbrighi.»

Il sorriso arriva a toccare le orecchie, e mentre Percy si precipita nel retro come se avesse un razzo alle calcagna, Audrey se ne sente nascere uno ancora più grande in viso.

 

*

 

«Non era proprio questo a cui pensavo quando mi hai offerto un caffè dopo cena.»

«Ti stai lamentando?»

Finge di rifletterci mentre le labbra di Percy fanno qualcosa di assolutamente osceno al suo collo. Merda. Deve tenere un seminario domani. 

Le toccherà mettersi una sciarpa. 

«Nah,» risponde infine. «Solo un’osservazione.»

«Mh.»

Osservazione veritiera. La proposta di Percy sembrava la classica scusa per invitarla a casa propria a concludere la serata — una serata andata molto, molto, molto bene — pertanto Audrey l’ha accettata senza nemmeno pensarci su. Grave errore, di cui si è resa conto solo quando l’ha seguito attraverso un’anonima porta del quartiere universitario e si è ritrovata dentro ai Tiri Vispi, dietro al bancone.

«Non ho caffè in casa,» ha spiegato lui con una scrollata di spalle, prima di portarle le mani ai fianchi e baciarla contro il registratore di cassa.

«Quindi è questo che fai di solito?» Seduta sul bancone, le gambe avvolte attorno alla sua vita, Audrey infila le dita tra i capelli di Percy e lo costringe a staccarsi per guardarlo. «Porti le ragazze qui per sedurle con la promessa di un caffè?» 

«Io? Mai.» Il suo viso è ancora più gradevole senza occhiali, o forse è la luce languida nei suoi occhi a fare quell’effetto. «Fred e George sì, invece, e sospetto che anche Ginny ci porti Harry ogni tanto. Motivo per cui siamo qui al bancone, invece che sul divano.»

«Non stiamo infrangendo, tipo, dodicimila norme sanitarie?»

«Di più, molte di più.»

«Ti toccherà pulire bene. E disinfettare.»

«Tanto domani non sono di turno.» Si sporge a mordicchiarle un labbro. «Ho finito il mio mese di lavoro qui.»

La realizzazione le causa una stretta nel petto. «Sarà strano venire la mattina e non trovarti.» 

«Non è detto. Ricordi quello studio legale internazionalista presso cui ho fatto un colloquio, Crouch&Crouch?» 

«Sì?» 

«Mi hanno preso. Comincio la settimana prossima. E visto che si trova proprio a due passi da qui… immagino che diventerò cliente fisso dei Tiri Vispi. È molto meglio dello Starbucks, dopotutto.» 

La stretta si scioglie, trasformandosi in una sensazione di calore che le avvolge il cuore e lo stomaco. «Grandioso,» mormora, riattirandolo a sé. «Sembra proprio che ci rivedremo spesso, allora.»

Lui le sorride contro la pelle. «Spero proprio di sì.» 

 

*

 

Ci sono cinque ragioni per cui Audrey Bennet prende il suo triplo caffè mattutino ai Tiri Vispi Weasley, invece che allo Starbucks dall’altra parte della strada o nel bar dell’università.      

La prima: il nome. Fred e George si rifiutano di spiegarle perché lo hanno scelto né cosa significhi, mentre Ginny e la signora Weasley non ne hanno la più pallida idea, ma lei sa che se insiste abbastanza prima o poi riuscirà a scoprirlo e così, tutte le volte che al bancone ci sono i gemelli, insiste.

La seconda: l’ambiente. Non è proprio uguale all’abitazione dei signori Weasley nel Devon, ma lo è abbastanza da far sentire Audrey a casa non appena vi mette piede; in ogni centrino a uncinetto può vedere la mano esperta e amorevole di Molly, e poiché non toccherà mai con un dito la coperta adagiata sul divano dei Tiri Vispi, è felice di sapere che ce n’è un’altra identica fatta apposta per lei nel suo appartamento.

La terza: i soldi. Perché mai dovrebbe farsi spennare il magro stipendio da assistente allo Starbucks, quando ai Tiri Vispi ha una quasi suocera e diversi quasi cognati ben contenti di offrirle la colazione più spesso che no? Non che lei se ne approfitti — continua a prendere sempre e solo un triplo caffè ogni mattina, e se di quando in quando accetta un dolcetto è solo per fare felice la signora Weasley — ma quella semplice attenzione nei suoi confronti le scalda il cuore.

La quarta: la compagnia. Audrey è sempre felice di vedere Fred e George, scambiare due chiacchiere con la signora Weasley e informarsi da Ginny sul suo ragazzo e la sua squadra di rugby: le piacciono tutte, quelle persone che l’hanno accolta nelle loro vite con sconcertante facilità e giusto un centinaio di prese in giro da parte dei ragazzi per via della sua, uhm, frequentazione. Le piace incontrarle, parlare con loro, le piace essere in grado di conoscerle meglio e sapere di essere parte della loro famiglia, anche se ci vorranno ancora molti, molti anni prima che ciò avvenga in maniera ufficiale e con tanto di firme su un foglio — se mai accadrà.

Ma la ragione più importante per cui non scambierebbe mai i Tiri Vispi con nessun altro bar del pianeta è il fatto che, tutte le mattine alle sette e mezza, trova il suo ragazzo già seduto al tavolino accanto alla pendola, la lampada Tiffany spostata in modo da fare posto ai compiti da correggere o alle bozze da rivedere. Tutte le mattine Percy alza la testa dai suoi atti giudiziari e le sorride, e tutte le mattine lei sente il medesimo saltello allo stomaco di quando lo vedeva dietro al bancone, col grembiule magenta e il caffè già pronto per lei.

Sì. I Tiri Vispi sono decisamente meglio dello Starbucks.





 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3972077