Beyond the Veil

di stellalfry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Look to the past I ***
Capitolo 3: *** Look to the past II ***
Capitolo 4: *** Look to the past III ***
Capitolo 5: *** Look to the past IV ***
Capitolo 6: *** Look to the past V ***
Capitolo 7: *** Look to the past VI ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Capitolo 1: Prologue




“SIRIUS!”, gridò Harry. “SIRIUS!”

Corse verso il Velo, ignara della battaglia che si svolgeva intorno a lei, ma appena arrivò sul palco, Lupin le si abbatté contro e l’afferrò per il petto. 

“Non puoi fare più niente, Harry!”

“Possiamo salvarlo, ha solo attraversato il Velo! È proprio lì dietro!”

“No, Harry… è troppo tardi.”

“Possiamo ancora raggiungerlo!”, Harry lottò furiosamente, il respiro le usciva in rantoli soffocati e le bruciava la gola, ma Lupin non la lasciava andare.

“È morto, Harry. Sirius è morto.”

“No!”, urlò lei e con uno scatto si liberò della presa di Lupin, gettandosi oltre il Velo. 

Il mondo si contorse, qualcosa sembrò piegarla a metà ed Harry venne tirata indietro, indietro, indietro. Si sentì cadere a terra, c’era marmo freddo sotto le sue gambe e una confusione tale nella testa che non riusciva neanche ad aprire gli occhi senza gemere di dolore.

“Chi sei?”, domandò una voce alla sua destra. Harriet scattò in piedi, ma l’aveva fatto troppo velocemente perché la figura dell’uomo davanti a lei iniziò a ondeggiare confusa a destra e a sinistra e fu solo per puro istinto che Harry sollevò la bacchetta, puntandola laddove credeva fosse l’uomo.

“Metti giù quella bacchetta”, disse di nuovo la voce sconosciuta, senza scomporsi. “Non ti faremo niente.”

L’uso del plurale riscosse Harry e, sbattendo più volte le palpebre, cercò di mettere a fuoco la figura che le si trovava dinanzi. All’improvviso le due ombre danzanti davanti ai suoi occhi si divisero definitivamente ed Harry si ritrovò non uno, ma ben due sconosciuti vestiti in nero e con la punta della bacchetta rivolta verso di lei. Girandosi, scoprì che ce n'erano molti di più anche alle spalle, più di quanti riuscisse a contare, e subito strinse di più la presa sulla sua bacchetta. La testa le pulsava in modo doloroso ma cercò di ignorare la sensazione e si concentrò su quegli uomini che le stavano parlando.

“Chi siete?”

“Siamo Indicibili. Chi sei tu?”

Harry sbatté più volte le palpebre, confusa. “Sono Harriet Potter… dove sono tutti gli altri?”

“Tutti gli altri chi?”

“I… i miei amici”, sussurrò lei sentendo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo e, per la prima volta da quando era atterrata in quel posto sconosciuto, Harry si guardò intorno. Era ancora nel Ministero della Magia, il Velo era ancora lì, ma non c’erano macerie, non c’era alcun segno della battaglia appena avvenuta. “I Mangiamorte…”, sussurrò, la paura che le attanagliava lo stomaco. “Loro erano qui… la battaglia… dove sono finiti tutti?”

L’uomo che le aveva parlato fino a quel momento, l’Indicibile, rivolse uno sguardo indecifrabile al compagno al suo fianco, poi si rivolse di nuovo ad Harry. “Solo tu sei uscita dal Velo, Harriet Potter.”

Qualcuno lanciò uno storditore. 

Fu così veloce che Harry non ebbe neanche il tempo di proteggersi. L’ultima cosa che vide prima di cadere addormentata fu una donna con la veste nera avvicinarsi e sfilarle di mano la bacchetta.

Quando si svegliò, era in una stanza bianca e semplice, simile alle camere d’ospedale del San Mungo ma senza il feroce via vai che c’era lì dentro, come ricordava da quel triste giorno in cui Arthur Weasley era stato attaccato da Nagini. Qui era tutto silenzioso, immobile.

Harry gemette e dopo un attimo un piccolo segnale luminoso iniziò a lampeggiare sopra la sua testa, avvisando chissà chi che era sveglia. Non dovette attendere molto che una persona entrò nella stanza e avvicinò una sedia al letto dove era coricata. Harry la fissò e non vide altro che un volto comune, un volto che poteva confondersi tra quello di mille altri: occhi scuri, capelli castani, un viso che mostrava il primo accenno di rughe, senza però annebbiare la luce vigile e acuta nei suoi occhi. Era la donna che aveva preso la sua bacchetta.

“Buongiorno, Harriet, e ben tornata nel mondo dei vivi. Il mio nome è Mabel Rosewood e sono stata assegnata al tuo caso. Hai sete?”

Harry socchiuse gli occhi, sospettosa. “Dov’è la mia bacchetta?” chiese, ma la sua voce uscì fuori più roca di quanto si aspettasse e fu costretta a tossire.

La donna, senza un attimo di esitazione, tirò fuori dalla veste la sua bacchetta e la posò dolcemente sulle lenzuola, accanto alla mano di Harry. Sorpresa da quell’inaspettato gesto di fiducia Harry la prese piano e, lanciando uno sguardo circospetto alla donna, controllò attentamente che fosse la sua per poi lanciare un veloce Lumos per assicurarsi che non gliela avessero manomessa. Alla fine, non notando nessun cambiamento rispetto al solito, la adagiò in grembo con le mani raccolte in modo possessivo su di essa e fissò in silenzio l’Indicibile.

Quella sorrise piano. “Vuoi bere, ora?” ripeté.

Harry annuì dopo un attimo di riflessione, così Mabel fece un cenno alle sue spalle e dalla porta si fece avanti un piccolo elfo con in mano un vassoio, che fece levitare fino al letto di Harry. Dopodichè Mabel agitò la mano e quello fu il segnale per l’elfo di scomparire con uno schiocco di dita. Harry abbassò il capo sul vassoio sulle sue ginocchia e sentì tutto d’un tratto rinascere i morsi della fame che aveva ignorato fino a quel momento. Prese un morso del panino con prosciutto e insalata che le era stato offerto e bevve rumorosamente finchè non sentì che la gola liberarsi dall’agonia. A quel punto si rivolse di nuovo alla donna, Mabel, che era rimasta ad aspettare che finisse senza dire una parola.

Mabel sorrise e con un semplice gesto della bacchetta, fece scomparire il vassoio dalle sue gambe. 

“Non sei il primo viaggiatore del tempo che attraversa il Velo, Harriet”, disse la donna, attirando subito lo sguardo della ragazza, “ma la prima in tempi così recenti. L’ultima testimonianza che abbiamo risale ad ancor prima che il Ministero della Magia fosse costruito.”

“Viaggiatore del tempo?”, sussurrò Harry.

“Sì, Harriet. Siamo a giugno dell’anno 1976.”

Harry sentì gli occhi sbarrarsi e guardò spaventata la donna. “Stai mentendo, questo è un piano dei Mangiamorte. Mi hanno catturata?”

“Non sto mentendo, Harriet, e non sono una Mangiamorte.” 

“Non ti credo.”

Mabel sorrise e tirò su la manica della sua tunica, mostrandole il braccio. “E se questo non ti convince,” aggiunse in tono indulgente, “sarà solo il tempo a farlo, per quanto curiosa possa essere questa risposta.”

“Cosa vuoi dire?”

Ma Mabel Rosewood scosse la testa, tirandosi un pochino indietro. “Credo che dovrai scoprirlo da sola, mi dispiace. Per il momento posso lasciarti leggere il giornale di stamattina, è appena uscito dalla stampa.” Agitò la bacchetta e, senza parole, evocò la Gazzetta del Profeta di quel giorno. In alto a destra era riportata la data del 19 Giugno 1976. 

Harry scosse la testa. “Non è possibile, è un falso.”

“Dimmi, Harriet, che anno era quando hai attraversato il Velo?”

“Il 1996”, rispose subito, aggrottando la fronte. “Il 18 Giugno 1996.”

Mabel annuì lentamente, senza mai staccare gli occhi dai suoi. “Suppongo che il Velo ti abbia mandato indietro esattamente di venti anni del passato, Harriet. Vedi, sei rimasta svenuta per un giorno da quando sei qui.”

“Cosa mi avete fatto?”

“Nulla, ma avevi bisogno di tempo per riprenderti dalle ferite. Ti abbiamo curata, Harriet, spero che questo dimostri che non vogliamo il tuo male.”

Harry strinse gli occhi in due fessure, lasciando che le mani si stringessero ancor di più intorno alla sua bacchetta, come per assicurarsi che fosse ancora lì. “Dimostratelo. Lasciatemi andare.” Fece un cenno col capo in direzione della porta, dietro la quale si intravedevano due figure nere in piedi a fare la guardia.

Il sorriso dell’Indicibile non vacillò neanche per un istante. “Non ancora. Dobbiamo prima occuparci di alcune cose.”

“Cosa? Di cosa dovete occuparvi?” Harry deglutì e la sua voce tremò un po’, rendendo la sua domanda quasi una supplica. “Cosa ne sarà di me?”

Mabel cercò di apparire rassicurante poggiando la mano sopra la sua, ma nonostante ciò non riuscì a dissimulare il vuoto nei suoi occhi. “Ti affideremo una nuova identità”, disse. “Cambieremo i connotati del tuo volto, creeremo una storia credibile, faremo tutto ciò che necessario perché tu possa avere un nuovo futuro. Potrai vivere qui la tua vita.”

“Ma come potrò tornare a casa?”

Mabel Rosewood sorrise senza alcuna emozione. “Non puoi, Harriet. E’ possibile viaggiare indietro, mai in avanti. Ci sono troppi destini, troppe linee che cambiano di continuo, giorno dopo giorno. E’ molto probabile che il futuro che conosci non sarà quello che avverrà qui, per il semplice motivo che tu, Harriet, non eri prevista in questa linea temporale.” Si chinò un pochino verso di lei battendo dolcemente il dorso della sua mano, come per mostrarle compassione. Harry rabbrividì. Dopodichè, Mabel Rosewood si alzò e annuì con un gesto dolce del capo. “Domani riceverai tutti i dettagli sulla tua identità qui, compresa la tua storia. Hai qualche preferenze per il tuo nuovo nome?”

Harriet sentiva la gola di nuovo secca, se non più di prima, così si limitò a scuotere la testa. Mabel sembrò valutarla per qualche secondo, poi le offrì di nuovo un sorriso vuoto e stava per andarsene quando parve ricordare qualcosa. 

“Ah, Harriet.” Il sorriso era ancora lì, ma c’era qualcosa di duro nel suo sguardo che a Harry fece venire i brividi. “Ci sono delle… clausole su ciò che un viaggiatore del tempo può o non può rivelare. Ma ora non è il momento di preoccuparsene, discuteremo di questo problema quando ti sarai completamente ripresa. Buona giornata, Harriet.”

E la lasciò così, con il cuore più pesante che mai e la certezza che, qualsiasi cosa la attendesse in futuro, sarebbe stata sola. 

Una cartellina con tutte le informazioni sulla sua vita le fu consegnata il giorno dopo, come promesso da Mabel. 

Lucy Harrison era una Nata Babbana e veniva da Boxgrove, nel distretto del Chichester, West Sussex. Di recente la cittadina era stata attaccata da un folto gruppo di Mangiamorte — questa, a quanto pare, era una notizia vera, qualcosa che aveva sconvolto per mesi la comunità magica — e tra le vittime vi era anche tutta la famiglia di Lucy, il signore e la signora Harrison, insieme a suo fratello John. Rimasta orfana, era stata messa sotto la custodia di Hogwarts, che l’avrebbe accolta come sua studentessa per il sesto anno il 1° settembre. Avrebbe dovuto sostenere di nuovo tutti i suoi esami O.W.L. prima di essere definitivamente ammessa.

Nei giorni successi, Harry guarì completamente dalle sue ferite. Un uomo venne a cambiarle i connotati del volto: occhi marroni invece che verdi, una spruzzata di lentiggini e labbra più sottili. Le migliorò la vista rendendole inutile l’uso degli occhiali e provò anche a cambiarle i capelli, ma quelli persistettero ad essere una massa informe di riccioli neri, così alla fine dovettero optare per una semplice tinta babbana. 

Anche per quella brutta cicatrice sulla fronte non ci fu niente da fare, se non uno spesso strato di trucco. 

Guardandosi allo specchio, Harry pronunciò più volte il suo nome, la sua storia, tutto ciò che l’aveva portata a dove era adesso. Poi, a testa bassa, con un grave dolore nel petto, si permise di ricordare tutte quelle persone che amava e che adesso esistevano solo nella sua testa. 

Nulla sarebbe più stato lo stesso.

-

Il sesto giorno dopo il suo arrivo nel 1976, Harry si svegliò con un forte mal di testa.

“No, stai ferma. Peggiorerai solo le cose se ti muovi.” Il viso senza età dell’Indicibile Rosewood si affacciò nella sua visuale, l’espressione dura scolpita nella pietra. “Sarà più semplice se stai giù.”

“Cosa mi avete fatto?”, biascicò Harry girandosi di lato, cercando di acquietare il dolore che la luce della candela sul comodino le procurava. 

“Niente di particolare, Lucy. Ora chiudi gli occhi e riposati, non ti fa bene agitarti tanto. Ti prometto che tra qualche ora starai benissimo.” 

Harry gemette e premette forte i pugni sugli occhi. “Mi avete drogata.” Ispirò violentemente, digrignando i denti. “Mi avete drogata, non è così? Cosa mi avete fatto?”

“Nulla di cui non avessimo già discusso, Lucy.”

Harry si rotolò sul letto, gli occhi ancora chiusi, e cercò a tentoni la sua bacchetta.

“Dovresti rimetterti a letto, sei debilitata. Hai bisogno di riposo.”

Harry ringhiò e solo in quel momento schiuse le palpebre. Dapprima rimase accecata, poi vide la figura austera di Mabel Rosewood in piedi davanti al suo letto, i contorni così sfocati e deformi che sembrava stesse guardando attraverso una lente obliqua. “Cosa mi avete fatto!?”

“Te l’ho detto, Lucy…”

“Smettila di chiamarmi così!” Gridò a quel punto Harry e gettò le gambe oltre il suo letto, volendo allontanarsi quanto più possibile da quella donna diabolica. Tremava moltissimo e la testa le doleva quasi al pari di uno degli attacchi mentali di Voldemort, ma strinse i denti e puntò la bacchetta contro la donna. “Il mio nome non è Lucy!”

“Ed è qui che ti sbagli”, sussurrò piano l’Indicibile Rosewood mentre la sua ombra inghiottiva la sua figura, diventando sempre più grande e minacciosa. “Perchè tu da questo momento in poi non sei nient’altro che Lucy Harrison, una bambina senza famiglia, senza casa e senza nulla tra le mani se non quello che sei disposta a costruirti qui, in questa nuova vita.”

“No”, singhiozzò Harry, trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di fuggire via. Il mal di testa e la rabbia la stavano velocemente privando della ragione, non riusciva a pensare ad altro che a quel nome così estraneo ripetuto sulle labbra di quella donna altrettanto estranea. E minacciosa. “Non è vero.”

“È meglio che tu impari a conviverci, Lucy.”

“Mi chiamo Harri—!”, ma il suo nome si bloccò in gola ed Harry quasi si strozzò. Il dolore alle tempie sembrò farsi ancora più sordo e peggiorò sempre di più mentre cercava di pronunciare il suo nome, quello dei suoi amici, della sua famiglia. Tutto invano. Guardò Rosewood con le lacrime agli occhi, rabbiosa ma al tempo stesso stanca. “Cosa mi avete fatto?”

Mabel Rosewood camminò piano verso di lei, per poi fermarsi al suo fianco. Le poggiò dolcemente una mano sulla schiena e la condusse a letto, dove Harry si sdraiò, senza la forza di ribellarsi. 

“Abbiamo fatto quello che doveva essere fatto”, disse con tono affabile, quasi come se stesse cercando di spiegare una sciocchezzuola ad un bambino capriccioso. “Ma è meglio se non testi troppo questa nuova situazione: più persisti, più farà male, finchè non lo farà più.” E lì lasciò che una breve pausa sottolineasse la gravità delle sue parole. Poi continuò questa volta con tono più dolce, quasi comprensivo. “Posso solo immaginare quanto spiacevole possa essere questa condizione per te, ma è ciò che andava fatto. Dopotutto è pericoloso che qualcuno che sa troppo per il suo bene se ne vada in giro in un’epoca diversa, soprattutto un’epoca tanto delicata come questa. Forse è anche molto più pericoloso per te che per gli altri. Vedilo come un modo per proteggerti.”

“Come può proteggermi”, mormorò a quel punto Harry mentre si infilava lentamente nel suo letto, “se rischia di uccidermi?”

Un silenzio accolse la sua domanda, dopodichè una mano si poggiò sulla sua fronte, facendola subito rabbrividire. Forse era Harry ad essere troppo accaldata, ma le sembrava quasi che un Dissennatore l’avesse appena toccata. 

“Non rischierà di ucciderti se non tirerai troppo la corda. Credo che sia ovvio quello che tu non possa fare, in questo caso.”

“Non posso dire a nessuno chi sono”, sussurrò Harry, nascondendosi sotto le lenzuola. Il mal di testa si era attenuato, ma i suoi effetti faticavano a scomparire ed Harry sentiva ancora gli strascichi persistenti del dolore passato. “Non posso dire a nessuno da dove vengo. Né la mia storia.”

“Esatto, Lucy.”

Harry chiuse le palpebre e probabilmente si addormentò, perché la prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu un elfo che le porgeva quello che doveva essere il pranzo o la cena. Harry non aveva fame, il mal di testa era ancora così opprimente che dubitava sarebbe riuscita a mantenere qualsiasi cosa nello stomaco senza rigettarla in pochi minuti. Dopo diverso tempo, un pensiero stranamente lucido si fece spazio nella sua mente e aspettò l’arrivo di Mabel per porgerglielo. Non dovette attendere molto perchè dopo appena una mezzora l’Indicibile Rosewood camminò nella sua camera portando con sé una scatola.

“Cosa succede se un Legilimens mi legge la mente?”

La donna si fermò immediatamente sui suoi passi, sembrando quasi sorpresa. Era strano vedere qualsiasi altra emozione sulla sua faccia che non fosse una glaciale indifferenza, così Harry si affrettò a spiegare.

“In giro ci sono dei Legilimens, no? Cosa succede se leggono nella mia mente la verità?” 

E la domanda, rimasta sottintesa, era tuttavia chiara a tutte e due: sarebbe morta?

“Cosa molto intelligente da chiedere”, mormorò Mabel dopo qualche istante di silenzio, avvicinando di nuovo una sedia al suo letto. “Quasi mi verrebbe da domandare come fa una quindicenne ad essere a conoscenza di qualcosa di così segreto come l’arte della Legilimanzia, ma non potresti fornirmi lo stesso una risposta. Peccato.” 

Harry tossicchiò, sfuggendo allo sguardo curioso dell’Indicibile e concentrandosi invece sulle sue mani raccolte in grembo. “Allora?”

“Allora”, rispose piano la donna, “quei pochi Legilimens al mondo, se mai li incontrassi e se mai cercassero di scavare nella tua mente, penserebbero che sei una bravissima Occlumens.”

“Devo imparare l’Occlumanzia?”, sbottò Harry, strabuzzando gli occhi. Merlino, era già morta. “Ma non posso, ci ho pr—” Ma la testa riprese a pulsare dolorosamente, allertandola che stava parlando troppo. 

“Curioso.” Mabel chinò la testa di lato, come un gatto che studiava la sua preda. “Be’, ti sarà permesso dire che hai studiato l’Occlumanzia ed hai fallito solo quando la studierai e la fallirai qui, nella tua nuova vita. Il passato — e con passato intendo tutto ciò accaduto oltre il Velo — non è contemplato da questo momento in poi, ricordalo bene.”

Mabel aspettò qualche secondo che le sue parole colpissero nel segno ed Harry fece una smorfia, annuendo piano.

“Molto bene. Ora, per rispondere alla tua domanda, non dovrai imparare l’Occlumanzia perché i Legilimens troveranno la tua mente impenetrabile. Molti Indicibili si sono impegnati a rendere quanto più efficiente possibile l’incantesimo che ti impedisce di rivelare la tua vera identità, Lucy, ed è praticamente impossibile che qualcuno riesca a penetrarlo. Potranno ancora leggere la tua mente, soprattutto i ricordi non legati alla tua vita precedente, ma tutto il resto, anche questa conversazione, risulterà a loro impossibile da vedere o al massimo nebulosa.”

“E se si insospettiscono? Se cercano di scavare più a fondo perché sono sicuri che sto nascondendo qualcosa, cosa succederà?”

“La Legilimanzia è un’arte di per sé pericolosa, Lucy, può anche rompere le menti di chi la subisce.”

“Stai dicendo che diventerei un vegetale?”

Il sorriso di Mabel era privo di allegria. “Come tutti, d’altronde.” Dopodichè si girò e indicò il vassoio che ancora giaceva sul tavolo all’altro capo della stanza. “Non hai mangiato?”

Harry scosse il capo.

Mabel la valutò attentamente per qualche secondo, poi agitò la bacchetta e il vassoio sparì. “Tuttavia mi aspetto che stasera a cena tu mangi. Come ti senti?”

Ancora nessuna risposta ma solo uno sguardo greve. Tuttavia all’Indicibile Rosewood parve non occorrere altro che quello, essendo probabilmente già molto chiarificatore di suo.

“Migliorerà tra un giorno o due”, fornì infatti. “Gli effetti di solito non persistono mai così a lungo, ma questa volta venivi da un incantesimo abbastanza complicato che ti ha lasciata molto debole.”

“Che incantesimo è?” gracchiò con voce rauca.

“È un segreto.” L’occhiata che Harry le lanciò era velenosa, ma la donna non sembrò impressionata. “Noi Indicibili manteniamo i nostri segreti, è così che funziona.”

“E sono anche io un vostro segreto ora, non è così?”

Un cenno, poi le porse la scatola che aveva portato con sé. “E, come ho già detto, noi ci prendiamo cura dei nostri segreti.”

-

Due giorni dopo quell’incontro la lasciarono andare.

La scatola conteneva tutto ciò di cui aveva bisogno per crearsi una nuova vita, come le aveva ripetuto più volte l’Indicibile Rosewood: certificato di nascita, documenti di riconoscimento babbani e magici, alcuni vestiti (un mantello, un pantalone, una gonna, due camicie, un paio di scarpe e un po’ biancheria intima, tutto di una fattura molto semplice ed essenziale) e un conto alla Gringott a suo nome con al suo interno un incentivo del Ministero di trenta galeoni, che corrispondevano all’incirca a centocinquanta sterline. 

Dopodichè, essendo ancora una minore, gli Indicibili la affidarono all’Orfanotrofio di Windsor nel Berkshire, a circa un’ora di treno da Londra. 

Harry occupò il tempo lavorando part-time presso un piccolo negozio di merce usata lì in zona che la pagava quaranta sterline a settimana, per un totale di otto galeoni e quindici zellini in valuta magica.

Nei giorni liberi andava a Londra e studiava tutto ciò era stato pubblicato fino a quel momento sui viaggi nel tempo. Le informazioni erano molto vaghe, spesso scritte in modi astrusi e romantici, quasi stesse leggendo un romanzo invece che un libro di scienza, per quanto sperimentale fosse quella scienza. Era faticoso oltre che dispendioso andare a Londra tutti i giorni e comprare il pranzo o la cena qualora non fosse riuscita a rimediare nulla dalla mensa dell'Orfanotrofio, ma non aveva la possibilità di comprare nessuno dei libri che studiava, perché erano tutti volumi rari e dal prezzo di diverse centinaia di galeoni ciascuno. Harry riponeva speranze solo nella libreria di Hogwarts. 

Il suo compleanno passò come un qualsiasi altro giorno, con il solo leggero rammarico per il fatto che quella data, ora, non contava più nulla per Lucy Harrison, nata da qualche parte intorno la metà di ottobre. 

Merda, doveva ripetere la sua cartella.

Agosto arrivò insieme alla sua lettera di accettazione per il fondo di beneficenza che Hogwarts metteva a disposizione agli orfani di guerra. Andò alla Gringott con le cento sterline che le erano rimaste dal suo lavoro nel mondo babbano e le cambiò in valuta magica, infine prese i cento galeoni che Hogwarts le concedeva, lasciando invece al loro posto i trenta galeoni del Ministero, che preferiva conservare per qualsiasi evenienza.

Fu estenuante rendersi conto quanto costose fossero tutte le forniture per la scuola, nonostante stesse acquistando solo oggetti di seconda mano. Persino le uniformi più economiche di ‘Madame Malkin: Abiti per tutte le occasioni’ si rivelarono fin troppo costose per Harry e dovette invece rivolgersi ad una squallida bancarella a ridosso di Notturn Alley, dove comprò delle vesti quasi tre volte più grandi di lei. Le sembrava di esser tornata ai tempi in cui indossava i vecchi abiti di Dudley... 

Per tutto il restante vestiario, quello che andava sotto l’uniforme, Harry preferì rivolgersi al mondo babbano. Camicie, maglioni, pantaloni, gonne, scarpe e biancheria erano molto più economiche qui rispetto alla loro controparte magica. Non potè risparmiare invece sul suo materiale di pozioni, perchè molti oggetti col tempo si degradavano e diventavano inutilizzabili, al punto che era necessario sostituirli quasi ogni anno. (Solo il calderone le venne a costare quasi venti galeoni). Ma riuscì comunque ad abbassare il prezzo dei suoi libri scolastici, tutti usati, da ventisette a ventuno galeoni e undici falci, cosa di cui fu molto fiera. 

Quando finì con tutti i suoi acquisti, non le erano rimaste altro che due falci e tredici zellini. Decise senza alcun rimorso di prendere cinque dei suoi zellini e investirli in un gelato limone e pistacchio.

Mangiava seduta a un tavolino fuori la gelateria di Florean Fortescue quando sentì una risata dolorosamente familiare. Occhi spalancati, il respiro spezzato, Harriet si girò con uno slancio verso il suono, il gelato ormai dimenticato. 

Sirius…

Era lì, più bello e giovane che mai. 

E vivo. 

Nel futuro, Azkaban aveva profondamente cambiato questo vivace ragazzo che ora aveva di fronte, appoggiato alla vetrina del negozio di Quidditch. Non c’era in lui la pesantezza, il grigiume che ricordava nel suo Sirius. Le guance erano piene, la mascella dura e mascolina, i tratti spigolosi e acuti del Sirius di Azkaban erano ammorbiditi sotto strati e strati di salute e buon cibo. Le spalle erano larghe, grosse, e i muscoli ben definiti anche attraverso il paio di jeans babbani che indossava. Harry quasi si trovò ad arrossire per i pensieri che stava facendo sul suo padrino, ma guardandolo con più attenzione si rese conto che, no, questo giovane non sarebbe mai stato il suo padrino. Non mentre si chiamava Lucy Harrison, almeno. Un dolore al petto la colse in quel momento e cadde sulla sedia, disgustata dall’idea di continuare a mangiare il suo gelato.

Continuava a sentire alle sue spalle risate, urla, esclamazioni. Le parve anche che qualcuno chiamasse il nome di James. Rabbrividì.

Quel giorno, una volta tornata all’orfanotrofio, Harry non mangiò e filò subito in camera a piangere.

Il primo settembre trovò Harry in un piccolo attacco di panico. Aveva passato tutta l’estate a convincersi che i suoi genitori, in quest’epoca, non erano i suoi genitori. Erano dei ragazzi, dei ragazzi che neanche ci pensavano a sposarsi, ad avere una bambina, a chiamarla Harriet Jamie Potter e a morire per salvarla. Questi erano solo dei giovani innocenti che non conoscevano nulla del futuro, di quello che li avrebbe attesi. E chi diceva che tutto ciò che Harry ricordava della sua linea temporale sarebbe successo in questa? 

Devo farmi coraggio, pensò avanzando verso il binario 9¾, questa è una nuova vita e in questa vita Sirius, James e Lily sono solo degli sconosciuti... giusto?

(Svenne sul treno. Alla fine, la maledizione degli Indicibili aveva avuto la meglio.)


 

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Capitolo 2
*** Look to the past I ***


2. Look to the past I






Nella Sala Grande, i quattro lunghi tavoli delle Case si stavano riempiendo sotto un cielo nero privo di stelle, identico a quello che si scorgeva dalle finestre. Candele bianche galleggiavano a mezz'aria sopra le teste degli studenti, illuminando i fantasmi argentei sparpagliati nella sala e i volti di mille sconosciuti immersi in fitte conversazioni, intenti a scambiarsi notizie dell’estate e a gridare saluti agli amici delle altre Case.

Quando passò tra i tavoli, dietro ai nuovi bambini pronti ad essere smistati, Harry si sentì osservata, in alcuni casi anche indicata. Non era una sensazione nuova, ma le facce che la guardavano erano diverse da quelle nei suoi ricordi. Era tutto diverso.

Hogwarts non si era mai sentita così lontana da casa.

“Ai nuovi arrivati”, intonò all’improvviso la voce calda e familiare del Professor Silente, “benvenuti! E ai nostri vecchi amici, bentornati! Come ogni anno, sono felice di vedervi qui in buona salute. E, sempre come ogni anno, non mi piace che il banchetto si faccia attendere troppo! Professoressa McGonagall, se per favore potessimo iniziare con lo smistamento, ne sarei immensamente lieto... e così la mia pancia!”

Una diffusa serie di risolini si diffuse in tutta la sala e Harry si permise di osservare il suo professore.

Venti anni sembravano non aver cambiato per niente questo vecchio uomo dalla barba bianca, che per tanto tempo aveva apprezzato e mitizzato. La vista, così familiare e al tempo stesso rassicurante, scatenò immediatamente in Harry il bisogno urgente di correre da lui, raccontargli tutto, chiedere aiuto, ma subito il pensiero fu frustato via dalla sua mente con una lancinante morsa alle tempie. Si trattenne appena dal piegarsi in due, gli occhi serrati, dilaniata dal dolore. Col cuore che le batteva forte nel petto e le lacrime appena trattenute sotto le palpebre, Harry lasciò che la canzone del cappello scorresse tra le mura della Sala Grande, accompagnandola verso la lucidità.

Quando il cappello ebbe finito, con il fiato ancora spezzato in gola e gli occhi che faticavano a riacquistare la vista, Harry sentì più che vedere i tacchi della professoressa McGonagall risuonare sulla pietra. Con due falcate decise, la professoressa fu accanto alla sedia dove gli studenti stavano per essere smistati e srotolò la pergamena.

“Alderton, Katie!”, chiamò, facendo risuonare la sua voce per tutta la Sala Grande.

Una ragazzina seguì al suo appello e, una volta seduta sullo sgabello, un nuovo grido accompagnò quello della professoressa. 

“GRIFONDORO!”

Lo smistamento proseguì normalmente, con gli studenti che venivano chiamati e ordinati. Harry, in fondo alla fila dei primi anni, sentiva che la morsa alle tempie aveva finalmente rilasciato la sua presa e sperò che nessuno avesse notato il suo strano cedimento.

Quando tutti i primi anni furono ordinati, lei era l’unica rimasta in piedi. A quel punto, Silente si alzò di nuovo e, con un gesto conciliante, ordinò ai suoi studenti di fare silenzio e attendere ancora un attimo. Harry si assicurò di non guardarlo di nuovo.

“Molto bene, ragazzi, c’è ancora un’ultima questione da risolvere prima di dare inizio al nostro banchetto. Vorrei presentare a tutti una studentessa di Hogwarts, che si unirà a noi per il suo sesto anno. Lucy Harrison, prego, vieni avanti.”

Harry cercò di mantenere il suo passo fermo mentre si faceva avanti, incontrando solo per un secondo lo sguardo duro della professoressa McGonagall, prima di sedersi sulla sedia, lo stomaco arrotolato su se stesso. Gli occhi vagarono automaticamente sul lato sinistro della sala, dove così tante volte aveva pranzato e cenato insieme ai suoi amici. Ma invece di incontrare i volti familiari di Ron, Hermione, Neville e tutti gli altri, si imbatté in una ragazza dai lunghi capelli rossi, seduta accanto a un ragazzo dolorosamente familiare. Un lampo di terrore le attraversò il volto, prima che il cappello le venisse calato sugli occhi.

“Bene, bene, bene... chi abbiamo qui?” La voce del cappello rimbombò nella sua testa in quello che sembrò quasi un brontolio di soddisfazione, subito soppiantato da un’altra emozione ben più simile alla sorpresa, che si manifestò per Harry come un piccolo sobbalzo tra i pensieri. “Oh... questo è...”

Gli occhi di Harry si sgranarono, terrorizzati, quando una risata le riecheggiò nella testa.

“Oh! Oh, caro Merlino! Chi si rivede, Harriet! Devo ammettere che non mi succedeva da un po’ di smistare due volte uno stesso studente, ma ogni volta che succede... che sorpresa!”

Il cuore di Harry prese a battere così forte che quasi le scoppiava in gola. No, no, no, no... la protezione degli Indicibili doveva funzionare! Ora cosa...

“Non temere, cara”, venne subito in soccorso la voce vecchia e gracchiante del Cappello. “Non morirai seduta stante ora che so i tuoi segreti. Non sei stata tu a svelarmeli, per prima cosa, e in ogni caso la maledizione che gli Indicibili hanno messo su di te non vale per gli oggetti magici come me.”

Subito Harry ritornò a respirare, il cuore ancora in gola, ma almeno con la consapevolezza che non sarebbe morta da un momento all’altro. Mentre riprendeva controllo delle sue emozioni, una domanda iniziò a farsi spazio tra i suoi pensieri, ma non ebbe neanche il tempo di distinguerla o formularla appieno che il Cappello la anticipò.

“Purtroppo sono tenuto a custodire i segreti dei miei studenti e non potrò avvisare il preside della tua situazione, per quanto tu lo desideri.”

Ma…

“Sono leggi vecchie quanto questo castello, cara!” Continuò il Cappello, interrompendola ancora una volta. “Tutto qui è vecchio, vecchio, vecchio... e tu sei così giovane che non sei neanche nata! Mi dispiace molto, Harriet, ma non posso rivelare i tuoi segreti al preside. Mi ricorderò di te solo per l’istante in cui ti sono qui in testa, ma dopo... è così che sono fatto, purtroppo. Credo che gli Indicibili abbiano pensato proprio a tutto, questa volta, eh?”

Harry tirò su col naso, annuendo piano.

“Be’, forse potrai fare buone cose qui, non è tutto perduto. Vedo che hai in testa già molti progetti, non sei certo una ragazza sprovvista! Sono sicuro che la Biblioteca ti aiuterà in qualcosa, anche se forse non quello in cui tu pensi. C’è potenziale qui nella tua mente, sta a te vedere come sfruttarlo. Ora, ora...” Il Cappello brontolò ancora per qualche secondo, prima di iniziare con quello che sembrò un colpo di tosse imbarazzato. “Capisco che tra i tuoi pensieri ora ci sia ben altro e che sono probabilmente l’unico a cui potresti dire pressoché tutto, ma io sono un essere limitato e ho un motivo ben preciso per essere qui in questo momento.”

Fece quello che doveva essere il corrispettivo di saltello sui talloni nella sua testa, e subito la mente di Harry fu piena delle immagini di Sirius e dei suoi genitori seduti al tavolo dei Grifondoro, ridenti, circondati da amici, ancora vivi.

Strinse forte le mani sul sedile dello sgabello e pensò più forte che poteva: non Grifondoro, non Grifondoro...

“Non Grifondoro, eh?”, ridacchiò il Cappello. “Non era quello che mi avevi chiesto la prima volta. Be’, ti assicuro che farai grandi cose in ogni caso… meglio che sia SERPEVERDE!”

L’ultima parola fu pronunciata ad alta voce e risuonò forte nella Sala. L’attimo dopo il Cappello le venne sfilato da testa ed Harry fu lasciata da sola tra una marea di volti sconosciuti che la guardavano svogliati, in sottofondo un lieve applauso che morì dopo pochi secondi. Un colpetto dietro la schiena la smosse ed Harry si girò per vedere la McGonagall indicarle brevemente il suo tavolo.

Il fottuto tavolo dei Serpeverde. Cosa stava pensando quel maledetto Cappello?! Metterla a Serpeverde, un posto pieno di suprematisti del sangue e futuri Mangiamorte! Lei, che in questa vita era una Nata Babbana!

Trattenne il desiderio di prendere il Cappello Parlante dalle mani della professoressa McGonagall e strangolarlo, e invece si diresse verso il lato verde e argento della sala, lo sguardo basso e i piedi strascicanti. Stava per prender posto vicino a un ragazzino che era stato smistato quella sera, ma una mano dalle parti più centrali della tavolata si sollevò, richiamando la sua attenzione.

“Signorina Harrison, prego, il sesto anno è di qua!”, le disse un ragazzo, lo stesso con la mano alzata, puntellandosi appena oltre le teste dei suoi compagni di casa.

Cercando di calmare la pancia in subbuglio che le ordinava a gran voce di mettersi a sedere vicino a quell’innocuo ragazzino del primo anno, Harry strinse i denti e avanzò verso il tipo che l’aveva chiamata. Uno sguardo breve le suggerì subito con chi aveva a che fare. Un giovane bello, con gli occhi azzurri, gli zigomi alti e i capelli castani ordinati in una chioma morbida, mossa, lunga fino alle spalle. Aveva il sorriso di chi aveva abitualmente a che fare con tante persone e lo sguardo di chi riconosceva una Mezzosangue o, in questo caso, una Nata Babbana a pelle... o forse dal suo penoso vestiario. 

Improvvisamente Harry fu fin troppo consapevole delle maniche sfilacciate e troppo lunghe, il maglione che le cadeva in modo scomposto sulle spalle e della gonna di seconda mano che si teneva su solo grazie alla cintura.

“Ecco, puoi sederti qui, cara”, continuò il ragazzo appena Harry lo affiancò, facendole spazio accanto a sé. Aveva gli angoli della bocca tirati in un sorriso bianchissimo e fastidiosamente perfetto, una cosa così innaturale che le dava i brividi e non faceva altro che rafforzare la sua teoria che quello non fosse altro che un sorriso di circostanza. Appena Harry si sedette, il sorriso del ragazzo al suo fianco si attenuò un pochino, lasciando sul suo viso giusto l’ombra di un sorrisetto sbarazzino, e le allungò la mano. “Sono Evan Rosier, prefetto del sesto anno. Riferisci a me per qualsiasi cosa.”

Harry rispose al saluto con una veloce stretta.

“Ti presento i tuoi compagni di corso Atticus Avery, Vincent Mulciber e Graham Wilkes.” 

Le indicò in ordine un ragazzo alto e magro con una vaga somiglianza ad una volpe, un omone enorme che sembrava un miscuglio non ben identificato tra Crabbe e Goyle, solo con più muscoli che grasso, e un ultimo tipo piuttosto in disparte con gli occhi più inquietanti che avesse mai visto. Ancora una volta, Harry salutò tutti, questa volta con un cenno del capo, cercando di ignorare la tremula vocina nella sua testa che le diceva che questi erano tutti futuri Mangiamorte. 

“Ah, e naturalmente Severus Piton, il ragazzo alla tua destra.”

Le sue spalle si tesero subito ed Harry girò la testa. Proprio accanto a lei, col naso piantato in un libro di pozioni, c’era Piton. Un’adolescente Piton, più dinoccolato di quanto ricordasse, con i capelli neri e untuosi che gli scendevano in due cortine scure sul viso e il naso tre volte più grande della sua faccia. Il ragazzo Piton alzò appena lo sguardo dal libro che stava leggendo, lanciandole un'occhiata veloce, poi tornò alla lettura. Harry distolse con fatica gli occhi da lui.

In quel momento, un bicchiere tintinnò. Tutti si rivolsero al tavolo del personale, dove il Professor Silente sorrideva bonario con in mano un calice di vetro e un cucchiaino.

“Solo poche parole prima di iniziare”, disse. “Per prima cosa, diamo il benvenuto a un nuovo membro del nostro personale, il professor Marlowe, che quest’anno occuperà la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure.”

Un professore con una zazzera di capelli scuri in testa e delle vesti nere, simili a quelle che Harry aveva visto più volte indosso a Moody e a Tonks durante le loro ore di servizio, si alzò in piedi e si inchinò appena. Un leggero applauso si levò tra gli studenti, per poi essere soppresso da una mano del professor Silente che riportò il silenzio.

“Come seconda cosa”, riprese, “devo ricordarvi che la magia non è permessa nei corridoi tra le classi, così come i duelli e un certo numero di altre cose ben poco piacevoli che potete controllare sulla bacheca del nostro custode.” E così dicendo, fece un cenno nella direzione di un Argus Filch nel pieno dei suoi anni quaranta. “Tutti gli studenti devono ricordare, inoltre, che l’accesso alla Foresta Proibita è… be’ proibito, a meno che non accompagnati da un insegnante. Sono tempi difficili questi, quindi vi chiedo massima collaborazione. I prefetti del sesto e del settimo anno saranno avvisati di segnalare chiunque si attardi fuori le sale comuni oltre il coprifuoco. Per quanto riguarda il Club di Gobbiglie, il professor Trickle mi ha chiesto di informarvi che non vi saranno delle riunioni fino alla fine di settembre. Per ultimo, ma non meno importante, le selezioni di Quidditch si terranno durante la terza settimana dell’anno scolastico. Chiunque sia interessato a giocare è pregato di segnalarlo nella bacheca della sua casa e riferirà direttamente al professor Clay Quibbert. Grazie per l’attenzione e buona cena!”

Con uno sfavillante svolazzo di cappello, il Professor Silente concluse il suo discorso e sulle tavole della Sala Grande comparvero mille varietà di cibi. Insieme al calore di un buon pasto, gli studenti ripresero a rumoreggiare come loro solito, con particolare entusiasmo nel tavolo Grifondoro.

“Ebbene, Harrison”, cominciò a quel punto Rosier, servendosi distrattamente con dei piselli al vapore. “Il tuo nome non mi è nuovo, ma da quel che ricordo Lord Harrison non ha figlie o sbaglio?”

La domanda era stata posta con così tanta nonchalance che Harry era sicura che lui già conoscesse la risposta. Lanciò un’occhiata veloce ai due ragazzi seduti all’altro capo del tavolo, Avery e Mulciber, notando come anche loro fossero profondamente interessati alla conversazione, poi rispose.

“Non sono imparentata con nessuna famiglia Harrison. Sono una Nata Babbana.”

Un sorriso acuto si levò sulle labbra di Rosier, pericoloso come quello di uno squalo, ma subito lo scacciò via e smosse con fare noncurante la mano. “Be’, sciocchezze. Anche Piton qui è in parte babbano come te, sai? Ma non altrettanto carino, purtroppo.”

Dall’altro capo della tavola il ragazzo grosso, Mulciber, schioccò forte la lingua e ridacchiò, seguito a ruota da Avery. Rosier gli lanciò uno sguardo obliquo e, rafforzato dalla silenziosa partecipazione dei suoi due amici, continuò.

“E dimmi, Harrison, da dov’è che vieni? È strano che qualcuno qui in Gran Bretagna non frequenti la scuola di Hogwarts, ma dal tuo accento non mi sembri affatto straniera.”

Qua la risposta era pronta, scritta in rosso nella sua cartella. “Vengo da Boxgrove, ho studiato con insegnanti privati.”

“Boxgrove, oh?” chiese a quel punto Mulciber, acquistando improvvisamente interesse a partecipare in prima persona alla conversazione. “Successo qualcosa di carino da quelle parti?”

“I miei parenti sono morti.”

Il sorriso di Mulciber si allargò. “Oh, che dispiacere”, disse senza sembrare per niente dispiaciuto, dopodiché si sporse sul tavolo verso di lei, poggiando i gomiti in modo tutt’altro che casuale, benché la sua intenzione fosse probabilmente quella. “C’erano i Mangiamorte, vero? La notizia è comparsa su tutti i giornali qualche mese fa, so che hanno fatto molti danni da quelle parti. Li hai combattuti?”

“No.”

Harry lo fissò negli occhi, dura, ma un’improvvisa risata la destabilizzò. Si voltò nella direzione da cui proveniva il suono e vide il ragazzo che le era stato presentato come Wilkes ridere con le mani sulla pancia.

“Lei mente”, sussurrò, quando la risata gli morì sulle labbra.

Uno strano brivido scosse Harry, ma lei lo ignorò. “Non sto mentendo”, ribatté, scandendo ogni parola con durezza.

Lui spalancò gli occhi, fissandoli su di lei, ed Harry quasi sentì il respiro mancarle non appena vide come fossero chiari, un grigio così tenue che sembrava confondersi con la sclera bianca.

“Tu hai combattuto i Mangiamorte, sento la magia oscura provenire da te.”

Le sue parole la fecero rabbrividire, ma si sforzò di rispondere, notando come anche tutti gli altri presenti intorno a lei si fossero ammutoliti. Persino Piton aveva sollevato il naso dal suo libro.

“Mi hanno colpito con una maledizione”, disse lentamente, quasi sfidando l’altro ragazzo a trovare una ragionevole scusa per non crederle neanche questa volta. “Quando mi sono risvegliata ero al San Mungo, non ricordo altro.”

Ma a quanto pare a Wilkes non ci volle niente per accogliere la sua sfida, perché rise ancora una volta, prendendola così alla sprovvista che quasi sobbalzò sulla panca.

“Oh, no”, disse tra una risata e l’altra, quasi più divertito di prima “Tu menti ancora. Io sento Magia Oscura provenire da qua.”

Allungò le mani verso la bacchetta, che Harry aveva incautamente appoggiato sul tavolo, ma lei la sfilò via prima che lui potesse anche solo toccarla. A quel punto, Rosier tossicchiò.

“Be’, Harrison, hai mai assaggiato il rognone in salsa di miele? È delizioso.”

-

Alla fine del banchetto, il più scomodo e triste a cui avesse mai partecipato, Rosier l'accompagnò nelle sale di Serpeverde. La sala comune era proprio come se la ricordava da quella veloce sbirciata che ci aveva dato mentre fingeva di essere quel carlino uscito male di Pansy Parkinson al suo secondo anno, quando lei e Ron erano ancora convinti che Malfoy fosse l’Erede di Serpeverde.

Era grande, molto più grande della sala comune di Grifondoro. Forse perché qui, nei sotterranei, lo spazio era molto meno limitato rispetto a quello di una torre.

Le finestre davano direttamente sui fondali del lago, illuminati da fuochi fatui che fluttuavano nell’acqua. Vari divanetti in diversi angoli della sala ospitavano gli studenti, che parlottavano tra loro come comuni adolescenti, nessun piano malvagio di conquista del mondo a gioco di orecchio. Tutta la stanza era studiata con precisione e arredata in modo grazioso — quadri ed espositori alle pareti, soffici tappeti sui pavimenti, e persino una zona studio con tavoli e tutto, fornita di una piccola libreria piena di quelli che sembravano i libri di testo di tutte le materie. Nessuna traccia di libri sulla magia oscura.

“Vieni, ti presento le tue compagne di dormitorio.”

E così Rosier le aveva presentato la copia carbone in gonnella di Gregory Goyle e una ragazza coi lunghi capelli neri e il nasino all’insù, che si attardava in compagnia di quella che sembrava una giovanissima Narcissa Malfoy.

“Maryon, ecco la nuova ragazza Lucy Harrison. Harrison, ti presento Maryon Selwyn”, fece Rosier, sorridendo. “Maryon è una prefetta come me, quindi puoi rivolgerti a lei per qualsiasi informazione. Ora ti lascio in buone mani, signorina Harrison. Mi raccomando, Maryon, tratta bene la nostra nuova arrivata.”

Detto questo, Evan Rosier il-non-ancora-Mangiamorte se ne andò facendo l’occhiolino e lasciando Harry da sola in compagnia di una ragazza che sembrava preferire un tu per tu con gli schiopodi sparacoda di Hagrid, piuttosto che rimanere bloccata con lei.

La ragazza fece qualche smorfia e boccheggiò diverse volte, prima che la futura signora Malfoy la interrompesse, prendendole le mani tra le sue e piegando appena la testa di lato, con fare gentile e grazioso. “Non ti preoccupare, Maryon, ci vediamo domani. Stavo comunque per congedarmi e andare a dormire.”

“Sì, giusto”, annuì prontamente Maryon, sembrando tuttavia parecchio delusa. Lanciò un’occhiataccia ad Harry, poi tornò a rivolgersi a Narcissa. “Quando hai un’ora libera domani mattina? Vorrei poterti parlare quanto prima. In privato”, aggiunse un attimo dopo.

“Mi dispiace, ma il professor Lumacorno ha suggerito di organizzare dei gruppi di studio per il settimo anno e sarebbe sconveniente non seguire il suo consiglio. Ci vediamo a ora di pranzo, va bene?”

Sembrava che a Maryon non andasse poi così bene, ma Narcissa Malfoy — o meglio, Black — pose fine alla questione dandole un bacio sulla guancia.

“Allora a domani, Maryon. Buonanotte.”

Narcissa se ne andò, facendo svolazzare la manina delicata alle sue spalle. La sua figura alta, bionda e algida si distingueva fra tutti gli altri Serpeverde in altezza e grazia. Non riuscì a seguirla con lo sguardo per molto perché con uno sbuffo Maryon la invitò malamente a seguirla.

“Vieni, Harrison, la tua stanza è di qua.”

La condusse oltre un corridoio e poi giù, scendendo diverse rampe di scale.

“Ci sono diverse regole non scritte in questa scuola”, riprese la ragazza Selwyn, scuotendo la mano. “Primo, noi Serpeverde ci dimostriamo un fronte unito. Qualsiasi litigio si deve svolgere all’interno di queste mura, mai fuori. Secondo, stai attenta ai Grifondoro. C’è una certa animosità tra Grifondoro e Serpeverde e capita spesso che scoppino litigi, e ancora più spesso capita diano la colpa a noi. Terzo, evita di andare in giro da sola. I Serpeverde sono prede più facili se stiamo da soli. E infine mi permetto di consigliarti anche un’altra cosa: tieni la bocca chiusa. Sembri una ragazza abbastanza scema e di certo il tuo stato di sangue non aiuta, ma stai comunque attenta con persone come Avery e Mulciber… per non parlare di quello schifoso di Wilkes.”

“Cosa vuoi dire?” Ma Maryon scosse la mano, infastidita, e non rispose. La portò in largo un corridoio con diverse porte, disposte in modo simmetrico per lato e intervallate da divanetti. Appese ad ognuna c’era un cartellino con il numero della stanza, i nomi dei suoi occupanti e il loro anno.

“Dividerai la stanza con Romilda, ma se ti riveli abbastanza buona, il professor Lumacorno può anche decidere di assegnarti una stanza singola. Dopotutto, siamo pochi qui nei sotterranei e di spazio ce n’è. Qui a destra ci sono alcune delle camere dei ragazzi, ma ti è vietato entrarci. A quanto pare danno la scossa — non che io ci abbia mai provato!”

Harry scrollò le spalle e, dopo che Maryon le ebbe dato il suo orario per la prossima settimana, entrò nella sua nuova camera. Abituata com’era a dividere la stanza con altre quattro ragazze, rimase stupita da tutto lo spazio che c’era qui. La camera divisa esattamente a metà con due letti, due cassettiere e due scrivanie speculari; c’era persino una porta per il bagno.

Il suo baule era stato sistemato dagli elfi domestici ai piedi del letto a sinistra, così, senza neanche aspettare l’altra ragazza, Harry vi si gettò sopra e chiuse gli occhi. Era stata una lunga giornata.

Sentì l’altra ragazza entrare in camera qualche minuto dopo, ma Harry non si scompose. Aveva chiuso le tende intorno al suo letto e la sua coinquilina ebbe l’accortezza di non disturbarla. Si addormentò con in sottofondo i rumori della sua compagna di stanza che disfaceva il baule.

 

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Capitolo 3
*** Look to the past II ***




3. Look to the past II






Quando si svegliò, il giorno seguente, era ancora presto, con solo un piccolo raggio di sole che attraversava le acque torbide del lago fuori la finestra. Lanciando velocemente un incantesimo Tempus, si rese conto che erano ancora le sei. La prima lezione era alle nove. Le abitudini dei Dursley sono difficili da dimenticare…

Con tutto il tempo che aveva a disposizione, Harry decise di farsi una lunga doccia. Il giorno prima era andata a letto con la divisa ed ora era tutta stropicciata. Borbottando in modo scontento, prese un’altra uniforme dal suo baule, chiedendosi se esistesse un incantesimo per sistemare certe cose. In questa linea temporale il suo armadio era limitato, aveva ben pochi vestiti e ancor meno possibilità di acquistarne altri, quindi doveva stare attenta a quelli che già aveva.

Trascinandosi svogliatamente in bagno, Harry si svestì, mentre lo specchio l’apostrofava riguardo i suoi capelli.

“Bambina, che disastro!”

Una volta uscita dalla doccia, Harry si sentiva finalmente più sveglia. Indossò la nuova uniforme e, dopo essersi valutata con una veloce occhiata allo specchio, si pentì di non essersi mai interessata ai fascini da applicare ai vestiti. Le avrebbe fatto comodo poter rimpicciolire quelle vesti fuori misura che era costretta a indossare.

Quando ebbe finito, senza neanche darsi la pena di sistemare quell’inguardabile nido incolto che erano i suoi capelli, Harry tornò in stanza. Erano ancora le sette e la colazione non sarebbe iniziata prima delle otto. Dicendosi che era una cattiva idea uscire dai sotterranei e andare a girovagare per il castello come era sua abitudine, Harry si sistemò a letto e iniziò a leggere un vecchio libro sulle scienze non riconosciute che aveva comprato a Diagon Alley per dieci zellini.

Studiò fin quanto i rumori della sua compagna di stanza che si svegliava non la riscossero. A quel punto, posò la sua lettura e riaprì le tende.

Romilda Goyle era una ragazza dai tratti grossi, la faccia squadrata e la mascella dura e pronunciata. Portava i capelli in una tesissima crocchia sul capo, che non faceva altro che accentuare ancor di più le spigolature del suo volto. Non era difficile notare la somiglianza con l’ex compagno di scuola di Harry. C’era tutto, dal collo taurino, al naso schiacciato.

“Sei già sveglia”, grugnì la ragazza, sembrando imbarazzata. Stava in piedi nella sua veste da notte bianca con i ricami floreali color panna, facendo di tutto per non sembrare fuori luogo in quel vestito, le cui misure e il modo in cui tirava sulle spalle e sui fianchi non facevano altro che ricordare alla povera ragazza come avrebbe preferito indossare qualsiasi altra cosa piuttosto che quello.

Harry provò un’istantanea simpatia per lei, le sembrava quasi Neville. “Sì, ti ho lasciato il bagno libero.”

La ragazza Goyle la fissò per qualche secondo, poi andò al bagno senza dire una parola. Tornò in camera diversi minuti dopo, già vestita e lavata, e si sedette sul suo letto con la schiena ingobbita e le mani arricciate in grembo. Ci fu un teso silenzio tra loro due, finché Harry non si decise a romperlo.

Si alzò e si avvicinò all’altra ragazza, che la guardava con aria assai confusa. Allungò una mano. “Non ci siamo presentate molto bene ieri, Rosier aveva fretta di sbarazzarsi di me, ma voglio rimediare. Sono Lucy Harrison, ma vado per Harry.” E andava bene finché considerava Harry come diminutivo di Harrison invece che di Harriet.

Goyle annuì, le guance che le si tingevano di rosso. Le prese la mano e la scosse un paio di volte. “Romilda.”

Harry sorrise e quel sorriso parve confondere e incantare ancor di più la povera ragazza.

“Mi chiedevo… non è che potresti accompagnarmi alla Sala Grande? Non so se ricordo bene la strada e mi farebbe piacere parlare con qualcuno.”

Così Harry e Romilda raggiunsero insiema la Sala Grande. Non che Harry avesse davvero bisogno di qualcuno che l’accompagnasse, ma in questo modo aveva il doppio vantaggio di approfondire la conoscenza con Romilda e di mantenere intatta la sua copertura. Passarono la colazione con poche chiacchiere sul più e sul meno. (Harry scoprì che Romilda si stava prendendo cura di un uccellino ferito, che era attualmente in una scatola sul suo comodino). I ragazzi si presentarono poco dopo, ma non le raggiunsero. Maryon, Narcissa e un’altra ragazza dai capelli così neri da sembrare blu vennero a colazione solo molto più tardi, chiacchierando amorevolmente tra loro.

“Qual è la tua prima lezione?”

“Incantesimi.”

Romilda annuì. “Anche io prendo Incantesimi. Ti spiego dove si trova l’aula, casomai non riuscissi a tornare qui in tempo prima dell’inizio della lezione.”

Così Romilda le spiegò a grandi linee dove si trovava l’aula di incantesimi, mantenendosi pressappoco generica, indicando questo e quel quadro come punti di riferimento, ripensandoci più volte sul numero di svolte da fare. Harry voleva tantissimo avere pietà di lei e dirle di non preoccuparsi, che sapeva dov’era l’aula, dal momento che sarebbe stata sempre lì anche a vent’anni di distanza, ma non poté dire niente e strinse i denti, sorridendo appena mentre sentiva Romilda impappinarsi con le parole, su dove doveva girare e quali corridoi attraversare. Sentiva poco più in là Maryon, Narcissa e l’altra ragazza sconosciuta ridacchiare ai tentativi di Romilda di spiegare le cose a bocca piena, ma le ignorò e, quando Romilda finì, ringraziò profumatamente la ragazza del suo aiuto.

Poco prima che le lezioni iniziassero, Romilda andò come promesso a nutrire il suo uccellino ed Harry rimase sola. Sentendosi fuori luogo tra tutti quei Serpeverde che la ignoravano, decise di avviarsi verso l’aula di incantesimi. Almeno lì sarebbe potuta rimanere in pace almeno per un po’.

Ma i suoi piani andarono in frantumi quando trovò davanti alla porta del professor Flitwick un fastidiosissimo Piton, anche lui in largo anticipo rispetto all’inizio della lezione.

Le lanciò giusto un’occhiata veloce mentre lei si avvicinava, dopodiché tornò a scarabocchiare cose su quella che a Harry sembrò una vecchia edizione di Pozioni Avanzate. L’anno scolastico non era ancora neanche iniziato e lui aveva già divorato e appuntato mezzo libro, con il risultato che Harry faticava a vederci spazi bianchi lì dentro. Che cosa scrivesse lei proprio non lo sapeva, ma aveva ben altre cose di cui occuparsi in quel momento.

Era ormai tardi per tornare indietro o cambiare direzione, e sarebbe risultata anche abbastanza strana come cosa. Dopotutto Lucy Harrison non conosceva affatto Severus Piton e non aveva nessun motivo per evitarlo, così Harry si costrinse a rimanere lì dov’era, appoggiata ad una colonna del corridoio il più lontano possibile rispetto a Piton. Quasi senza rendersene conto, Harry si sorprese a guardare il suo professore di pozioni in modi che non aveva mai fatto prima.

Aveva dei sentimenti contrastanti nei suoi confronti.

Piton era l’uomo che l’aveva tormentata per cinque anni ed era stato quasi uno shock ritrovarselo accanto durante il banchetto di inizio anno, perché era l’unico che non aveva mai considerato di incontrare in questa linea temporale. Sciocco da parte sua, dal momento che aveva persino visto le sue memorie nel Pensatoio l’anno passato. Eppure…

Il fatto è che lei non conosceva nessuno qui. 

I Mangiamorte nel suo anno erano solo figure fugaci che si stagliavano nei suoi incubi; Lily e James erano morti quando aveva solo un anno e di loro non conservava altro che il ricordo attraverso le parole altrui; Remus era stato il suo insegnante, sì, ma non l’aveva mai visto al di fuori di alcune riunioni a Grimmauld Place; e Sirius… Sirius era il suo più grande rammarico. 

E poi c’era Piton. 

Il professor Piton, come le ricordava sempre Hermione. Il suo insegnante di pozioni da cinque anni a questa parte, lo stesso professore che l’aveva odiata fin dal primo istante in cui aveva messo piede nella sua aula. Era un uomo oscuro, scattante, con la lingua arguta e una certa predilezione per i mantelli ad effetto. L’aveva odiato fin dentro l’anima durante le sue lezioni di Occlumanzia, ma ora sentiva che qualcosa si era spezzato.

Forse era stata la memoria nel suo Pensatoio o forse il fatto che questo Piton non sembrava affatto lo Piton che ricordava. L’uomo scuro, sicuro di sé e sempre pronto a sfoggiare il suo ghigno era stato sostituito da questo ragazzo troppo alto, goffo e silenzioso, che Harry faticava a riconoscere nel suo vecchio professore di pozioni. E tuttavia, in qualche modo, era anche la persona che sentiva più vicina in questo momento.

Persino più di Silente.

Il preside non aveva lanciato neanche una mezza occhiata ad Harry dopo la sua presentazione il primo giorno; e da una parte Harry si sentiva rincuorata, perché in questo modo riusciva a limitare le punizioni della maledizione degli Indicibili, visto che il desiderio di parlargli e chiedergli aiuto era fortissimo ogni volta che lo vedeva, ma allo stesso tempo si sentiva tradita, come se il preside non l’avesse mai considerata per nient’altro se non il suo titolo da Ragazza Che È Sopravvissuta.

Piton invece… Piton non aveva mai fatto nulla per cambiare o comportarsi in modo diverso dal solito. Era intelligente, sferzante e acuto proprio come il professore che conosceva. La sua lingua serpentina, pur non rivolgendosi in modo diretto a lei, era sempre lì, ed Harry riusciva comunque a percepire le lunghe occhiatacce che le lanciava anche in quel momento, mentre aspettavano che la lezione iniziasse. Questo non era cambiato. Questo era familiare.

Ed era l’unica persona che la faceva sentire più vicino a casa.

Presa dalla linea di questi pensieri e con in sottofondo il solo suono della penna di Piton che graffiava ferocemente le pagine del libro, quasi si spaventò quando da dietro l’angolo fece capolino il faccione rosso e bonario del professor Flitwick.

“Oh, bene, bene!”, esclamò il professore non appena li vide, gli occhietti grandi come puntine di spillo che scattavano entusiasti dall’uno all’altra da sotto le sopracciglia scure. “Chi abbiamo qui? Signor Piton sei in anticipo come al solito, ma tu invece devi essere la nuova studentessa! La signorina Harrison, giusto?”

Harry si lisciò l’uniforme, nervosa, prima di annuire. “Sì, professore.”

“Ah! Molto bene. Entusiasta di imparare Incantesimi, vedo?”

Il professore armeggiò con un vago cenno alla porta, riferendosi chiaramente al fatto che fosse di quasi dieci minuti in anticipo rispetto all’inizio della lezione.

Lei divenne di svariate tonalità di rosso. “Err… avevo solo paura di non trovare la strada, professore, e ho deciso di anticiparmi. Non è stato difficile come credevo”, disse con una scrollata di spalle, la mano che passava in modo nervoso tra i capelli. “Non sono poi un granché in Incantesimi…”

“Mah! È tutto da vedere!”, esclamò giulivo il professore, interrompendola. “Ti assegnerò come compagna in questi primi giorni la signorina Evans. È una ragazza davvero gentile, un genio in Incantesimi, e ti sarà d’aiuto per qualsiasi lacuna nel tuo programma. Be’, che altro aspettate, signori?”, aggiunse poco dopo, saltellando sulle piccole gambe tozze. “Entrate e prendete posto!” 

Harry voleva urlare.

Mentre lei brulicava di rabbia, di paura e di ridicola aspettativa al pensiero di Lily, la classe stava iniziando ad affollarsi e, fra tutte quelle persone, Harry notò subito la ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi. Distolse rapidamente lo sguardo, gli occhi fissi sui palmi delle sue mani e una crescente tachicardia nel petto. Sentì la fronte iniziare a imperlarsi di sudore quando il professor Flitwick scese dalla cattedra appositamente per parlare alla ragazza dei suoi incubi.

Con la coda dell’occhio, vide il professore prendere la rossa da parte e indicare la direzione generale di Harry, cosa che la rese fin troppo nervosa. 

Poco dopo una mano si poggiò sulla sua spalla ed Harry sobbalzò.

“Scusa, non volevo spaventarti”, sorrise una bellissima, giovanissima e vivissima Lily Evans.

Harry boccheggiò diverse volte, la gola secca e i palmi sudati. Solo in ritardo si accorse che Lily Evans, sua madre, le stava tendendo la mano. Con deliberata lentezza, dopo aver asciugato in modo approssimativo la sua mano sulla gonna, Harry rispose al saluto.

Sua madre sorrise. “Mi chiamo Lily Evans” — sì, lo so — “E tu devi essere Lucy Harrison. Il professor Flitwick mi chiesto di assisterti per un po’, dice che non sei sicura di essere al passo con il programma. In ogni caso, è un piacere conoscerti.”

Harry sbatté le palpebre più volte, incantata dal suono dolce della voce di lei, poi si riscosse e sfilò prontamente la mano da quella di Lily, distogliendo lo sguardo.

Lily fu così gentile da non interrogarla sul suo comportamento e, senza un’altra parola, si sedette al fianco di Harry, tirando fuori dalla cartella tutti i libri per la lezione.

“Buongiorno, ragazzi, e bentornati a Hogwarts”, salutò il professor Flitwick. “Questo è un anno molto importante per voi, perché studierete per prepararvi ai MAGO dell’anno prossimo, valutazioni decisive per il vostro ingresso nel mondo del lavoro. Ora, prima di iniziare…”

Degli schiamazzi interruppero il professore e un attimo dopo la porta dell’aula si spalancò, rivelando tre ragazzi sudati e col fiatone. 

A Harry venne un colpo. 

Uno di loro era Lupin che, con quella faccia rossa e la rigida ruga fra le sopracciglia, sembrava il più imbarazzato e pentito di tutti quanti. Gli altri due erano Sirius e James Potter, entrambi piegati in due dalla corsa e con un sorrisetto malizioso sulle labbra.

“Professor Flitwick”, cominciò Lupin a testa bassa, “ci scusi per il ritardo, siamo stati… trattenuti.”

Il professore parve voler brontolare qualcosa a riguardo, ma poi alzò gli occhi al cielo e lasciò stare. “Via, via, mettetevi a sedere. Non prenderò punti per questa volta, ma che non si ripeta mai più!”

Agitò la bacchetta con fare minaccioso e in risposta i tre ragazzi si sedettero, James e Sirius ridacchiando bonariamente e Lupin ultra-mortificato e silenzioso.

“Bene, spero che nessun altro decida di arrivare in ritardo!”, esclamò il professor Flitwick e fece una pausa di qualche secondo, come aspettandosi che qualcun altro sbucasse fuori dalla porta. Ma non successe niente e il professore si rimboccò le maniche, annuendo a se stesso più che a qualcun altro. “E così sia. Come dicevo, questo è un anno decisivo nella vostra carriera scolastica. Avete appena studiato per i GUFO e so che siete stanchi, ma l’anno prossimo vi saranno i MAGO, per questo motivo non è il momento di battere la fiacca! Vi consiglio di lavorare duramente fin da ora, esplorando tutti i vostri limiti qui a lezione così da non arrivare impreparati agli esami. Ragion per cui ho deciso che per iniziare quest’anno voglio assegnarvi un incarico: ognuno di voi, organizzati in gruppi di due, dovrà sviluppare un progetto di Incantesimi. Mi raccomando, lavorate sulla vostra creatività e su tutto ciò che avete studiato fino ad oggi! Vi lascerò qui un elenco di piccoli consigli, ma sta a voi decidere cosa sviluppare.”

La mano di Lily si alzò.

“Mi dica pure, signorina Evans!”

“Professore, su che genere di progetto dovremmo lavorare? Un nuovo fascino?”

“Non necessariamente, signorina Evans. Il progetto può essere qualsiasi cosa lei voglia: un nuovo fascino, una sua rivisitazione, un oggetto incantato, o anche solo produrre con successo un incantesimo già esistente di grande difficoltà. L’importante è che sviluppiate qualcosa che metta in gioco la vostra magia e il vostro ingegno!” 

La classe annuì e il professor Flitwick distribuì a ciascuno di loro un elenco di Incantesimi assai difficili e piccole raccomandazioni su quelli che potevano essere i loro progetti. Passò un’altra decina di minuti a rispondere alle domande degli studenti, a creare i gruppi e a stabilire la data entro la quale presentare il progetto, data che si decise cadere verso la fine del semestre, a Gennaio. Solo quando le domande finirono, il professor Flitwick agitò la bacchetta e richiamò il silenzio.

“Allora bene! Ora possiamo anche cominciare la lezione!”

Un movimento alla coda dell’occhio avvisò Harry che Lily si era messa sull’attenti, la piuma d’oca già inchiostrata, pronta a scrivere ciascuna delle parole del professor Flitwick. Ricordava di aver sentito proprio dal professor Flitwick che Incantesimi era la materia preferita di sua madre.

“Il fascino che impareremo oggi si chiama Aguamenti e serve ad evocare l’acqua. Il flusso si manterrà impreciso e schizzerà ovunque, almeno finché non avrete imparato a controllarlo bene, quindi fate attenzione quando lo usate! Non voglio che si crei una lotta di gavettoni, per questo motivo proveremo l’incantesimo uno alla volta qui, al centro della classe. Questi sono i movimenti della bacchetta…”

Il professor Flitwick dimostrò l’incantesimo e procedette a riempire un calice d’acqua, dopodiché lasciò che gli studenti si esercitassero per conto proprio per qualche minuto, senza pronunciare l’incantesimo. Passò tra i banchi, controllando i movimenti di ciascuno e correggendo gli eventuali errori, finché non si fermò davanti al banco di Harry e Lily.

“Ottima padronanza della bacchetta, signorina Evans!”, esclamò con gli occhi luccicanti. “Davvero molto brava! Vuole essere la prima a testare l’incantesimo?”

Lily sorrise e annuì, così il professore la condusse al centro della classe.

“Attenzione prego! Ora la signorina Evans qui ci farà una dimostrazione. Ricorda di tenere ben puntata in su la bacchetta prima di pronunciare l'incantesimo, e poi un colpo preciso verso destra!”

Harry vide Lily stringere forte un labbro tra i denti, per poi annuire con decisione. Alzò la bacchetta, sicura, e gridò: “Aguamenti!”

Un piccolo fiotto d’acqua schizzò dalla sua bacchetta. All’inizio zampillò un po’, come se non sapesse bene che fare, ma Lily recuperò presto le redini e lo guidò nel calice che Flitwick aveva svuotato in precedenza.

Il professore battè le mani, eccitato. “Brava, molto brava, signorina Evans! Cinque punti a Grifondoro! Ora, c’è qualcun altro che vuole provare? Si faccia avanti, signor Peters, su.”

A uno ad uno tutti quanti provarono l’incantesimo. Sia Lupin che Piton riuscirono a riempire la coppa alla perfezione, senza farla traboccare, e guadagnarono anche loro cinque punti ciascuno. Un ragazzo di Corvonero che assomigliava prepotentemente a quell’idiota di McLaggen perse il controllo della sua bacchetta e l’acqua iniziò a schiaffeggiarlo, mentre Romilda non fece altro che produrre una sola gocciolina.

Alla fine fu il turno di Harry, che si bagnò tutte le scarpe prima di riuscire a condurre l’acqua all’interno del calice, riempiendolo ben oltre l’orlo e inzuppando anche le vesti del professor Flitwick.

“Be’, non troppo male”, commentò il professore con una smorfia, lanciando un fascino che asciugò sia lui che Harry. “Un po’ più di autocontrollo, magari, e soprattutto la prossima volta mettici meno magia in quell’incantesimo. Il prossimo! Perfetto, Potter, vieni tu.”

Harry scappò via dal centro della classe prima che suo padre potesse anche solo notarla. 

James Potter era proprio come Sirius glielo aveva descritto. Un ragazzo fiero, con gli stessi capelli indomabili di Harry e una forte fiducia nelle proprie abilità, spesso anche eccessiva. Fu così che Harry lo vide avanzare verso Flitwick, mento alto e camminata baldanzosa.

“Ricorda, Potter! Una bella spinta in su e poi a destra.”

Il padre di Harry lanciò un’intensa occhiata nella direzione di Sirius e, girandosi, Harry notò che il suo padrino stava ridendo sommessamente. Con una certa anticipazione per quello che stava per accadere, Harry voltò lo sguardo verso James, che proprio in quel momento lanciava l’incantesimo.

Aguamenti!”

Un forte getto d’acqua uscì fuori dalla sua bacchetta, ma invece di riempire il calice, si riversò tutto su Piton, infradiciandolo dalla testa ai piedi.

“Signor Potter! Quello che dovevi fare era riempire la coppa d’acqua!”, lo sgridò Flitwick.

Un sorrisetto arricciò le labbra di James. “Ops.”

Il professor Flitwick controllò velocemente Piton prima di asciugarlo. Harry notò che il suo futuro maestro di Pozioni era livido e fissava James con fare omicida. 

“Mi dispiace, professore, non sono riuscito a controllarlo. Mi è sfuggito di mano.”

“Be’, mi aspetto di non aver a che fare con la magia accidentale di un bambino quando insegno al mio sesto anno, signor Potter! Cinque punti in meno da Grifondoro e ora a posto!”

Con una strana sensazione che si faceva largo nel petto, Harry seguì suo padre mettersi a sedere e ridersela senza alcun ritegno con Sirius.

“Ben fatto, James! Magari adesso quell’idiota di Mocciosus imparerà a lavarsi i capelli la mattina!”

Harry distolse lo sguardo, gli occhi che le si appannavano.

Continuarono la lezione. Tutti gli studenti finirono per provare il loro incantesimo più e più volte e alla fine la maggior parte della classe riuscì a riempire il calice d’acqua. Il professor Flitwick, a quel punto, decise di alzare la posta in gioco e iniziò a spostare di qua e di là la coppa mentre i suoi alunni cercavano di centrarla.

“No, aspetta. Prova così.”

La mano di sua madre si posò sulla sua, guidandone il movimento della bacchetta. Harry sentì il respiro bloccarsi in gola.

“Sei troppo rigida quando fai l’incantesimo. Sembra che tu stia lanciando una maledizione o una fattura invece di un semplice fascino.” Lily ridacchiò ed Harry non riuscì a distogliere lo sguardo dalla sua bocca, quella dolce risata che le tirava in su gli angoli delle labbra e le riempiva le guance in modo delizioso. “Devi essere molto più morbida. Ecco, guarda qui.”

E all’improvviso Harry sentì di non farcela.

Lei era gentilissima e bravissima e meravigliosa e… tutto ciò che Harry aveva desiderato che fosse. Semplicemente non ce la faceva, non poteva sopportarlo. 

Fu salvata dal suono della campanella. Gettò tutti i suoi libri in cartella e corse fuori dalla classe, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime. Si asciugò con la manica dell’uniforme e lasciò che tutti quanti uscissero dalla classe prima di avviarsi anche lei verso la prossima lezione.

Era una fortuna che sua madre non frequentasse Erbologia, perché Harry non aveva idea di come sarebbe sopravvissuta un minuto di più in sua presenza senza compiere una qualche pazzia. Ed era certa che sarebbe stata una pazzia.

Lei è viva, pensava, e io sto per lasciarla morire senza fare niente. È come ucciderla, ucciderla due volte...

Ma Harry non poteva cambiare il futuro in questo modo, non se sperava ancora di tornare ai suoi tempi. Anche il solo fatto di essere qui, in questa linea temporale, ad interagire con i suoi genitori era un pericolo. Chissà quante cose avrebbe potuto cambiare con un semplice gesto e poi, puf, Harry non sarebbe mai nata. E magari non sarebbero mai nati neanche i suoi compagni di classe, o ancora, per qualche strano effetto farfalla, non ci sarebbe stato nessun Caramell primo ministro e nessuna Umbridge professoressa di Difesa. 

Non che queste ultime prospettive fossero così male, dopo tutto quello che le avevano fatto passare l’anno scorso, ma comunque non era pronta a rischiare il futuro e tutta la sua vita per uno sciocco capriccio.

Quella non è tua madre, continuava a ripetersi, e anche se la salvassi — anche se salvassi lei, James e Sirius, loro non sarebbero mai parte della tua famiglia. Tu saresti per sempre Lucy Harrison e un’altra Harriet Potter prenderebbe il tuo posto.

E non riusciva a capire cosa fosse più egoista: il trattenersi dal salvare una vita solo perché le future risate di quella persona non sarebbero state riservate a lei, ma ad un'altra bambina; oppure salvare quella vita e cambiare l’intero futuro del mondo magico.

Nessuna Harriet Potter, nessuna cicatrice e Voldemort ancora in libertà.

E i vent’anni di pace che avevano scaldato la Gran Bretagna magica dopo che Harry aveva sconfitto il Signore Oscuro alla tenera età di un anno sarebbero diventati solo un sogno nella testa di una ragazza di nome Harrison.

E per quanto la guerra avrebbe imperversato ancora? Magari decenni interi, magari sarebbe diventata una Terza Guerra Mondiale, con tutto il mondo magico e non impegnato in una grande campagna campale contro Voldemort.

Harry aveva sentito fin troppo a suo tempo su come Voldemort stesse diventando sempre più audace, negli ultimi anni prima della sua sconfitta. Hermione le aveva parlato di persone scomparse nel mondo babbano, di omicidi misteriosi che la polizia non riusciva a spiegarsi, perché non c’era nessuna causa apparente a quelle morti. I babbani non conoscevano l’Anatema Che Uccide ed iniziavano a nascere complotti secondo cui questa o quella nazione avesse in programma un pericoloso attacco terroristico con armi nuove e incredibilmente letali. Stavano iniziando a scoppiare focolai per tutto il mondo, focolai che non preannunciavano niente di buono per nessuno, né maghi né babbani, e tutta quella tensione si era allentata solo dopo la scomparsa di Voldemort.

Harry sapeva che salvare delle persone poteva portarne la morte di molte altre, era qualcosa che aveva imparato a proprie spese.

E come potrò convivere con tutto questo?

Passò il resto della giornata cercando di evitare quanto più possibile le persone intorno a lei, solo Romilda riusciva ad entrare nel suo raggio privato senza che lei scappasse via a gambe levate. Si sentiva stupida, ridicola anche, ma non poteva farci niente.

Era troppo da sopportare e lei… lei era sola. Totalmente sola.

Per fortuna quell’anno Hogwarts era iniziato di mercoledì ed Harry non dovette attendere molto per il sopraggiungere del fine settimana. 





 

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Capitolo 4
*** Look to the past III ***


*Attenzione! Questo capitolo contiene scene di bullismo!*


 

4. Look to the past III






Il sabato fu per Harry una grazia salvifica.

Era una mezza giornata di lezioni e, dopo due ore di Trasfigurazione in mattinata, poteva passare tutto il pomeriggio come desiderava. Aveva già in mente di andare in biblioteca e studiare ogni singolo scaffale, sapendo che non sarebbe stata disturbata da nessuno — il sabato, dopotutto, era il giorno in cui tutti si concedevano una pausa, persino a Hermione capitava di saltare una o due delle sue abituali visite in biblioteca —, quando un piccolo gemito attirò la sua attenzione.

Si guardò intorno con fare circospetto, poi si incamminò a passo leggero nel corridoio da cui aveva sentito il piagnucolio. Spalle alla parete e bacchetta alla mano, Harry iniziò ad avvicinarsi al suono e, tra i lamenti, iniziò a distinguere delle voci minacciose.

“Zitto, serpente, e dacci il tuo famiglio!”

“N-n-n-no… l-l-l-lui è buono… T-T-Timmy non mai f-f-f-fatto del male a nessuno…”

“E’ uno sporco serpente come te! Daccelo e noi lo sistemeremo come merita!”

“Sì, Rachel! Prendigli il serpente, Rachel! Tagliagli la testa, Rachel!”

Harry aveva sentito abbastanza. Uscendo da dietro l’angolo in cui si era appostata, la accolse una scena terribile. 

Un bambino con i capelli scuri e le guance piene di lacrime stava rannicchiato in un angolo, con le piccole braccia intorno al petto, proteggendo un serpentello verde e altrettanto impaurito. Intorno a lui, tre bambini di Tassorosso lo minacciavano con le bacchette spiegate. Erano ragazzi del terzo o del quarto anno, a giudicare dalle loro facce paffute e non ancora nel pieno dell’adolescenza.

Tutti e quattro i ragazzini si erano girati verso di lei non appena si era fatta avanti. La ragazzina al centro, quella di nome Rachel molto probabilmente, osò persino ringhiarle contro. “Via di qui, serpente, non sono affari tuoi!”

Harry strinse gli occhi in due fessure. “Non prendo ordini da una bambina.”

“Allora ti maledirò!”

Quello sembrò essere il segnale anche per i suoi complici in miniatura e tutti e tre presero ad attaccare Harry. Che cosa strana affrontare dei bambini quando appena pochi mesi prima aveva combattuto dei Mangiamorte. Questi ragazzini non conoscevano nessun Reducto, nessun Cruciatus, nessun Avada Kedavra, solo qualche Tarantallegra e due o tre fatture Pungenti. Harry riuscì a tenerli a bada con un semplice Protego e dopo pochi secondi, approfittando dei suoi riflessi pronti, lasciò cadere lo scudo e lanciò tre fatture Orcovolanti, la magia preferita di Ginny.

Le teste dei bulletti si riempirono di piccoli insetti fastidiosi e tutti e tre si diedero alla fuga urlando.

Quando furono lontani, Harry si diede la pena di guardare il povero ragazzino che si era appena sollevato.

Era un bambino dai capelli neri e gli occhi annacquati — un primo anno se doveva tirare ad indovinare — ed era un Serpeverde. Dal colletto dell’uniforme comparve in quel momento la testolina di un serpente, che guardò piano Harry.

“La ragazzzza che puzza di magia ci ha ssssalvati.”

Il bambino non sembrò capire nessuna delle parole del serpente, ma balbettò incoerentemente per alcuni secondi prima di scattare verso Harry. Le si abbatté contro, le piccole braccine che si sollevavano per stringerle la vita e il serpente nella sua uniforme che sibilava per il disagio. Harry, sentendosi scomoda, diede una veloce occhiata intorno, poi tranquillizzò con qualche rigida pacca il bambino singhiozzante.

“Va tutto bene, su, va tutto bene.”

Fu solo dopo parecchi minuti che il ragazzino finì di inzupparle il maglione e tirò su col naso.

“G-grazie.”

Harry fece spallucce. “Non c’è di che.”

Credeva che quello sarebbe bastato per levarsi il ragazzino di torno, ma non appena fece per andarsene, lui la seguì. Gli lanciò uno sguardo imbarazzato.

“Non dovresti stare con i tuoi amici?”

Regola numero due di Serpeverde: non andare mai in giro da soli. 

Il bambino si guardò le scarpe, torturandosi le mani. “Timmy è mio amico.”

Ci volle un momento perchè Harry collegasse. Timmy. Il serpente. Tutto chiaro. “Non hai altri amici oltre a Timmy?”

“No…”

“La ragazzzza che puzza di magia protegge il mio padrone. Sssssss. Il padrone deve sssseguire la ragazzzza.”

Harry sospirò. Due contro uno non era un gioco leale. 

Cercò di non guardare il serpente, per non lasciarsi sfuggire nessuna parola in serpentese, e rispose. “Va bene, puoi venire con me, ma sto andando in biblioteca e non sono sicura tu possa divertirti lì dentro.”

“Mi piace leggere”, la interruppe il bambino ed Harry annuì.

Insieme andarono in biblioteca. Come Harry aveva previsto, non c’era nessuno oltre qualche isolato settimo anno che si preparava per i MAGO. 

Se qualcuno trovò curiosa quella strana coppia, il bambino e la sua accompagnatrice, non fece domande e ad Harry stava bene così.

Era già stata in biblioteca per le sue ricerche durante quella breve settimana, ma non aveva fatto altro che tirare fuori qualche libro che le sembrava più interessante degli altri e leggerlo. Era un po’ come andare alla cieca. Si era ripromessa che, appena avesse avuto un po’ più di tempo, avrebbe studiato ogni libro sugli scaffali della biblioteca di Hogwarts, e quel momento era arrivato.

Taccuino alla mano e la lista che la bibliotecaria le aveva dato sui libri sullo studio del tempo nell’altra, Harry passò attraverso tutti gli scaffali di Hogwarts, appuntandosi tutti i libri che le sarebbero stati utili, quelli che promettevano bene e quelli che sembravano non centrare alla perfezione l’argomento ma che potevano essere un buon piano di studio trasversale. Ai primi faceva una stellina a lato, ai secondi un pallino e ai terzi un punto interrogativo.

In tutto questo, il ragazzino la tallonava come un cagnolino fedele. Quando lei si fermava a guardare con più interesse uno scaffale o un certo libro, lui ne approfittava per allontanarsi un pochino e cercare qualche lettura che potesse interessargli, pur facendo attenzione ad averla abbastanza a portata d’occhio. Mentre Harry ispezionava un saggio sulle giratempo, notò con la coda dell’occhio che il bambino aveva trovato un libro, uno che non aveva posato subito dopo la lettura delle prime dieci pagine. Aguzzando la vista, Harry scoprì che era nientepopodimeno che un romanzo babbano. 

Non mi sembrava il tipo da narrativa babbana, pensò distrattamente Harry, tirando giù il libro sulle giratempo ed aprendone il sommario. Studiò con una veloce occhiata gli argomenti, poi scrisse il titolo del libro sul taccuino e lo segnò con un pallino. È un ragazzo così… purosangue.

A un certo punto, mentre Harry si spostava in un’altra fila, sentì la pungente assenza di passettini timidi alle sue spalle e si girò. Il bambino non c’era. Tornando indietro, Harry vide che era seduto a lato degli scaffali che Harry stava ispezionando poco prima, troppo immerso nella lettura per notare che se n’era andata.

Tossicchiò.

Subito il bambino alzò lo sguardo e, dopo averla cercata impanicato per qualche secondo, vide la sua testa che faceva capolino dalla fila successiva. Trotterellò subito al suo fianco.

Senza neanche che se ne rendesse conto, il tempo passò e lei aveva ispezionato quasi un quarto di tutti i titoli presenti in biblioteca quando una piccola manina le tirò dolcemente la manica. 

“Sì?”, chiese Harry, guardando verso il basso, al faccino smunto del bambino che ancora stringeva tra le braccia il suo libro. Sembrava un pochino imbarazzato mentre diceva:

“Ho fame.”

Harry controllò rapidamente l’orario e quasi si lasciò scappare una maledizione. Erano in ritardo per la cena! Prendendo per la mano il ragazzino, lo tirò con lei fino alla scrivania della bibliotecaria, Irma Pince, la stessa che aveva rimbeccato Harry e Ron più volte nel corso degli anni.

Si fecero registrare tutti i libri che avevano preso in prestito — il romanzo babbano per il ragazzino, e per lei un paio di volumi che aveva trovato così promettenti da non poter aspettare un giorno di più prima di leggerli. Una volta finito, Harry uscì dalla biblioteca e corse, trascinando dietro di sé il bambino.

Tirò un sospiro di sollievo quando arrivò davanti alle porte della Sala Grande e notò che tutti stavano ancora mangiando. Stava per lasciare la mano del ragazzino, ma proprio in quell’istante, forse notando le sue intenzioni, lui gliela strinse ancor di più. Aveva gli occhi spalancati e non riusciva a distogliere lo sguardo dalla folla di ragazzi, in particolare dalla tavola dei Tassorosso.

Harry gli si chinò accanto, la mano che non accennava a lasciare la sua. 

“Non ti preoccupare, ci sarò io accanto a te.”

Al bambino sembrarono volerci diversi secondi per recepire le sue parole, ma dopo si girò verso di lei e sorrise. Entrarono nella Sala Grande mano nella mano.

-

Severus non riusciva a capire.

Non riusciva a capire come ragionasse quella stupida ragazza, Harrison. Stava in silenzio alle lezioni, reagiva in modo inspiegabile vicino a certe persone (Severus l’aveva studiata attentamente, soprattutto quando era capitata accanto a Lily durante la lezione di Incantesimi, pochi giorni prima, anche se questo aveva a che fare più con la rossa che con lei), faceva amicizia con Goyle, quando la ragazza era al gradino più basso nella scala sociale di Serpeverde, persino più in basso di Severus, data la sua incapacità magica e la tradizione di famiglia di accompagnarsi a maghi più grandi per fare da galoppini, e per non parlare della sua recente amicizia con Theodore Rookwood.

Lei e il piccolo Rookwood erano entrati in Sala Grande insieme, quella sera, mano nella mano, disgustosamente vicini, e si erano seduti accanto a Goyle. Anche se non riusciva a sentirli, Severus intuiva dalla faccia di Goyle che anche lei conosceva la fama dei Rookwood e lanciava sguardi preoccupati prima alla sua amica, poi al bambino stesso, in un ciclo infinito. 

Cosa voleva fare, quella dannata ragazza? Attirare su di sé l’attenzione del padre del bambino e morire fra atroci torture?

Severus l’osservò per tutta la durata del banchetto, facendo finta di lanciare sguardi disinteressati in direzione della Sala, oppure nascondendosi sotto la cortina di capelli neri che gli cadeva in faccia. 

La prima volta che l’aveva vista, al banchetto di inizio anno, aveva scambiato Lucy Harrison per una bambina troppo crescita e solo dopo, quando era rimasta l’unica fuori dall’ordinamento, si era permesso di osservarla meglio.

Era una ragazza piuttosto bassa, dai capelli corti e ricci, la pelle mulatta e il naso rigido vagamente all’insù. C’era qualcosa in lei che gli ricordava Potter, o almeno una sua versione femminile e dai tratti molto più morbidi, come se fosse una cugina o simile. I capelli erano gli stessi, così il colore della pelle e qualche taglio nel volto, come la mascella dura e il naso.

E la prima cosa che aveva pensato, nel vederla, era che fosse dolorosamente Grifondoro — lo sguardo, la postura, fino all’ultimo dei suoi riccioli ribelli. Tutto così Grifondoro!

Lei era avanzata sicura verso la sedia dove tutti i primi anni prima di lei erano stati ordinati e, una volta seduta, aveva passato lo sguardo su tutte le tavolate. Gli era sembrato che un lampo di terrore l’avesse attraversata non appena i suoi occhi si erano posati su quello dei Grifondoro, ma subito il capello era stato calato sul suo capo e Severus non era riuscito ad approfondire.

Dopo qualche secondo di esitazione un sorprendente “Serpeverde!” era uscito fuori dalla bocca di stoffa dal cappello, lasciando Severus molto sorpreso. Non se lo sarebbe mai aspettato.

Anche adesso, seduta accanto a baby Rookwood e a Goyle, vedeva in lei la sfacciataggine di una Grifondoro e aveva la prepotente sensazione che fosse stata assegnata alla casa sbagliata. Non c’era finezza in lei, nessuna voglia di mostrarsi intelligente e ambiziosa, non si sforzava neanche di creare una facciata apprezzabile ai purosangue. Come ogni persona imparentata anche in minima parte con i Babbani, era suo compito guadagnarsi una posizione a Serpeverde e doveva averlo capito, ormai, dal momento che non riceveva altro che indifferenza o bieco disgusto da tutti. Ma niente. Harrison non faceva niente.

Come poteva farlo? Come poteva non curarsi di quello che gli altri pensavano di lei? 

Severus si sentiva per la prima volta nella sua vita un uomo ignorante, come se gli mancasse una cosa fondamentale, come se quella cosa fosse proprio davanti a lui ma non riuscisse ad afferrarla.

Quando ebbe finito di mangiare, fu uno dei primi ad andarsene. Forse era troppo preso dai suoi pensieri perché notò tardi che qualcuno lo stava seguendo. Si girò all’istante, ma un Flipendo lo anticipò, mandandolo a sbattere contro una parete.

Si guardò freneticamente intorno, ma non c’era nessuno che potesse aiutarlo. Si era allontanato troppo dalla Sala Grande e non poteva sperare in alcun modo che qualche professore passasse di qui.

La testa pulsava e gli rendeva difficile mantenere l’equilibrio mentre cercava di rimettersi in piedi. Qualcuno rise, sguaiato.

“Guarda! Sembra uno scarafaggio che non riesce a rigirarsi!”

Seguì un’altra risata, che Severus riconobbe subito come quella di Potter. “Paragone azzeccato, Sirius.”

Solo in quel momento Severus riuscì a fare forza sulle gambe e sollevarsi, ma subito gli cacciarono via di mano la bacchetta. 

“Non lo farei se fossi in te, Mocciosus. Non ti conviene per niente.”

Severus ringhiò e lanciò uno sguardo rabbioso a Potter, che se ne stava appoggiato al muro con un piccolo sorrisetto malevolo stampato sul volto. Si scagliò contro di lui con tutta la forza che aveva in corpo e cercò di artigliargli la faccia, ma a Potter non bastò altro che fare un passo indietro, mentre Black rimetteva a posto Severus con un altro Flipendo.

“Non impari mai la lezione, eh, Piton? Ma adesso stammi bene a sentire, dopotutto io e Sirius non vogliamo fare altro che una chiacchierata. Non è vero, amico?”

Black sorrise e, come se quello fosse stato una sorta di segnale, gli si gettò contro e lo prese per un braccio, mentre Potter gli infilava una carta in bocca e lo prendeva per l’altro. Insieme trascinarono Severus in un corridoio secondario e poi attraverso una porta, mentre lui cercava in tutti i modi di divincolarsi.

La prima cosa che seppe, dopo che l’ebbero gettato contro un muro, era che adesso si trovava in un bagno.

Si girò verso i suoi aggressori, mettendosi in piedi.

“Vedi, Piton, abbiamo notato una cosa che non ci piace per niente”, cominciò Potter, camminandogli intorno come un cane da caccia intorno alla sua preda. Tuttavia, anche quando Potter fu alle sue spalle, Severus non distolse gli occhi da Black, il più pericoloso tra i due, che invece stava fermo davanti a lui con lo sguardo di chi non vedeva l’ora di entrare in scena. “Tu hai qualcosa in mente, non è vero?”

“Non so di cosa tu stia parlando, Potter”, sibilò tra i denti.

Black fece per scagliargli un incantesimo contro, ma Potter lo fermò con un gesto della mano, affiancandolo. 

“Invece io penso che tu lo sappia, Piton.” Potter prese la bacchetta di Severus dalle mani di Black ed iniziò a rigirarsela con fare contemplativo. “Quanto hai pagato questa bacchetta, Piton? Diciamo sette, otto galeoni? Le bacchette si aggirano per quel prezzo, giù di lì. Deve essere stata una grande spesa per te, Mocciosus, non è vero? E non sarebbe proprio un peccato se… si spezzasse?”

Severus spalancò gli occhi.

“Ah, sì, vedo. Ti dispiacerebbe molto, non è così? Devi aver mangiato aria fritta per diversi mesi pur di permettertela.” Potter giocherellò con la bacchetta di Severus per un po’ e a una certa iniziò pure a piegarla, come per testare la sua resistenza. “Piuttosto rigida. Mi basterebbe giusto giusto un altro po’ di pressione qui…”

“No!”

Severus sudava freddo, gli occhi fissi sulla sua bacchetta. Black e Potter dovevano aver notato il suo sguardo disperato, perchè iniziarono a ridacchiare. Severus si costrinse a riacquistare la calma. Si tirò un po’ indietro e cercò di stare il più rigido possibile, mentre una parte di lui non voleva fare altro che lanciarsi contro quel maiale e sfilargli la bacchetta di mano. 

“Dimmi cosa vuoi, Potter.”

“Sempre un ragazzo così vizioso, Severus!”, si intromise Black, divertito. “La mamma non ti ha insegnato a chiedere per favore?”

Severus strinse i denti e Black ridacchiò appena, i canini sporgenti e gli occhi allucinati. Si diceva che la pazzia scorresse nella linea Black da secoli e che per ogni nuovo nascituro la magia lanciasse in aria una moneta. Era chiaro su quale faccia della moneta fosse caduto Sirius Black.

“Per favore…”, sibilò Severus.

“Ora va molto meglio.” Un sorriso malvagio attraversò da una parte all’altra il volto di Black, poi gli lanciò contro un incantesimo e Piton si ritrovò a terra. Era appena riuscito a rimettersi in ginocchio quando Potter lo raggiunse e si sedette sui talloni, in modo da guardare Severus dritto negli occhi. 

“Be’, Mocciosus”, iniziò, continuando a giocare con la bacchetta di Severus, “credevo che avessi imparato la lezione dopo l’anno scorso, ma a quanto pare non è stato così. Una delusione, davvero, dal momento che credevo di essermi liberato del tuo ingombrante naso, ma sai che c’è? Forse è meglio così, un motivo in più per prendermela con te.”

Severus digrignò i denti. “Potter, se desideri parlare a vuoto ancora per molto...”

Ma in quel momento Potter gli afferrò il mento, rude. Strinse fino al punto da fargli male, ma Severus non osò accennare nemmeno una sillaba.

“Non mi piace il modo in cui guardi Lily”, scattò Potter, con le narici che si allargavano e il respiro che sferzava feroce sul volto di Severus. “Cosa vuoi farle? Vuoi darla in pasto ai tuoi amici Mangiamorte? Bada bene, Piton, perché questo è solo un avvertimento: se ti vedo solo provare ad avvicinare Lily, sei morto. Siamo stati chiari?”

Severus sentì le dita di Potter affondargli nella carne, le unghie che penetravano nelle guance e gli lasciavano profondi segni a forma di mezzaluna, eppure continuò a fissarlo con risoluzione.

Gli occhi di Potter lampeggiarono di rabbia e sbatté Severus contro il muro.

“Spero che questo ti serva da lezione, Mocciosus.”

Potter sputò a terra, poi andò in un bagno e gettò lì dentro la bacchetta di Severus. Solo a quel punto lui e Black se ne andarono, lasciando Severus umiliato e con un brutto taglio sulla tempia, dove Potter l’aveva scagliato contro il muro poco secondi prima.

Arrancando sulle mani e le ginocchia, Severus andò nel bagno e recuperò dal cesso la sua bacchetta, prima di accasciarsi contro la ceramica bianca. Piccoli rantoli uscivano qui e lì tra un respiro e l’altro mentre cercava di riacquistare un ritmo normale, quasi come se fosse sul punto di piangere, ma si costrinse a non farlo. Non l’avrebbe data vinta a quel maiale di Potter. Non quando non era neanche qui. 

Il freddo della ceramica sulla sua guancia era quasi un sollievo e leniva il livido che stava già iniziando a formarsi, ma Severus sapeva che non poteva rimanere qui ancora per molto. Rimettendosi lentamente in piedi, si diresse verso l’uscita, sperando di non incontrare nessuno per strada mentre andava in Infermeria. 



 

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NdA: 
Ciao! Per prima cosa, grazie se siete arrivati fin qui! 
Questa storia si prevede lunghissima. Attualmente sono arrivata al capitolo 18 e ho già 70mila parole (e non sono neanche a Natale, considerando l'arco temporale...), ma prima di pubblicare qualcosa devo sempre rivederla e correggerla, quindi mi dispiace per l'attesa. 
Per quando riguarda gli eventi, credo che sia chiaro che i Malandrini qui non siano proprio degli stinchi di santo, ma avranno una loro piccola rendezione se questo può essere di rassicurazione. Non voglio fare bashing di personaggi, ognuno di loro ha una motivazione e mi piace l'idea che vengano sviluppate lentamente, sappiate solo che non lo fanno per pura e semplice cattiveria.
In ogni caso spero che fino ad ora la storia vi piaccia! Per qualsiasi dubbio o anche solo per consigliarmi qualcosa, io sono a disposizione!
Amore, Stella

 

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Capitolo 5
*** Look to the past IV ***


5. Look to the past IV

 




Il sole filtrava appena attraverso le acque scure del Lago Nero, mentre Harry sedeva vicino alla finestra con una guancia schiacciata contro il vetro freddo, a fissare con fare svogliato i pesciolini che turbinavano avanti e indietro in stato di agitazione. L’alone nebuloso lasciato dal suo respiro sulla finestra scintillava al bagliore verdastro dei fuochi fatui che galleggiavano nel lago, dando a Harry una luce malaticcia, quasi spettrale.

Dall’altro lato della stanza, il suo letto era in condizioni pessime, disseminato di vari oggetti e una certa quantità di rifiuti. Boccette di inchiostro, penne e carte di caramelle ingombravano il pavimento, mentre parecchi libri giacevano alla rinfusa tra gli abiti aggrovigliati sul letto. La scrivania era un problema a se stante: una catasta disordinata di appunti e fogli volanti si levava in una pozza di luce tremula che Harry aveva evocato poche ore prima.

Aveva passato tutta la domenica a studiare. Era entrata in biblioteca non appena aveva aperto, dalle otto del mattino fino alle nove di sera, saltando senza neanche rendersene conto il pranzo. A una certa, il piccolo Theo e il suo amichetto Timmy erano venuti da lei, nascondendo nella tracolla un panino che Harry aveva mangiato in tutta fretta senza farsi vedere dalla bibliotecaria, Irma Price, che era certamente più giovane rispetto a quella che Harry ricordava, ma non meno inflessibile.

Quando la biblioteca aveva chiuso — la signora Price aveva dovuto tirarla via per le orecchie — Harry si era ritirata in camera senza cenare, riprendendo subito gli studi. 

Erano all’incirca le quattro del mattino quando Harry si era addormentata sulla scrivania, ed erano le sette quando una penna d’oca che le ostruiva le vie aeree l’aveva svegliata. Tossendo come una dannata, aveva destato sia Romilda sia il suo uccellino pigolante, così insieme si erano vestite e si erano dirette in Sala Grande a fare colazione. 

“Che cosa hai oggi?”, domandò Romilda, mentre si infilava nelle tasche alcuni pezzetti di pancetta.

Harry prese il suo calendario e controllò.

 

Lunedì, 6 settembre

09:00 - 10:00   Erbologia, professor H. Berry

10:30 - 11:30   Pozioni, professor H.E.F. Lumacorno

12:00 - 13:00   Pranzo

13:30 - 15:30   Doppia Difesa, professor E.J. Marlowe

 

Avendo preso solo le materie principali, ad eccezione di Storia della Magia e Astronomia, e rinunciato del tutto agli elettivi, spesso Harry si ritrovava nella stessa giornata molti periodi liberi, se non intere mattinate o pomeriggi.

Lunedì, tuttavia, sembrava fare eccezione, come a ribadire il concetto che tutti i lunedì dovevano obbligatoriamente far schifo.

“Abbiamo insieme Erbologia”, intervenne Romilda, leggendo da sopra la sua spalla. Poi fece spallucce, quasi per scusarsi. “Vedi, con Pozioni tendo a incasinare tutto, e con Difesa… meglio lasciar perdere.”

Harry strinse le labbra e annuì, cupa. Oggi avrebbe avuto ben poco tempo per i suoi studi indipendenti in biblioteca se la giornata si preannunciava così.

“Sai chi è il professor Lumacorno?”, chiese infine, levando lo sguardo dal suo programma. 

Da canto suo, Harry aveva già conosciuto il professor Herbert Berry, un ometto dal faccione sempre rosso e con due lunghi baffi a manubrio. Era stato gentile e accorto durante le lezioni, anche se singhiozzava un bel po’ tra una parola e l’altra, sintomo di un gomito troppo generoso con la burrobirra. Persino la mattina.

Per quel certo professor Marlowe, invece, dubitava che persino Romilda lo conoscesse, data la pessima abitudine degli insegnanti di Difesa di morire male o rivelarsi degli assassini a fine di ogni anno scolastico; e sebbene qualcuna delle case avesse già avuto delle lezioni con lui, era piuttosto difficile che queste condividessero i loro pareri con i Serpeverde.

Harry si riteneva fortunata che non fosse già scoppiato qualche enorme scandalo come “il professore usa le maledizioni senza perdono!” o “il rospo non vuole che usiamo la magia in classe!”. Questo Marlowe, fra tutti i professori che aveva avuto, stava passando particolarmente sottogamba, così Harry iniziò a sperare che fosse un semplice e mediocre insegnante senza nessuna intenzione di ammazzarla.

“Il professor Lumacorno?”, Romilda sembrò confusa per qualche secondo, poi realizzò con uno sfarfallio di palpebre e un inspiegabile rossore sulle guance. Distolse lo sguardo. “Oh sì, certo, a volte quasi dimentico che tu sia nuova…” 

Per qualche motivo divenne ancora più rossa, quasi rivaleggiando con un peperone. In parte divertita e in parte confusa, Harry fece un sorriso storto e aspettò che Romilda continuasse. La ragazza le lanciò una veloce occhiata da sotto le ciglia chiare, per poi chiudere gli occhi. 

“Vedi… ti sembrerà stupido… e forse anche patetico, ma… ma a me sembra di aver legato più con te in questi pochi giorni, di quanto abbia mai fatto in cinque anni con i miei coinquilini.” 

A quel punto la ragazza si girò e incontrò risoluta lo sguardo di Harry, che doveva ancora recepire le parole. Gli occhi di Harry si spalancarono man mano che arrivava alla risposta, quasi vergognandosi per la sua lentezza, e quando ebbe finito di processare si lasciò andare ad un singolo “oh”.

Per qualche secondo Harry continuò a guardare Romilda e solo dopo realizzò che la ragazza stava aspettando qualcosa, forse una risposta o un cenno. Harry arrossì. “Cioè, voglio dire… sì”, fu tutto ciò che riuscì a dire e continuò a fissare Romilda, che da canto suo sembrava piuttosto imbarazzata.

“Ehm… forse dovrei...”

“Sì.”

Un silenzio piuttosto scomodo si stese tra loro due, rotto infine da Harry che trovò come unica soluzione quella di cambiare discorso.

“Che ne dici se ci avviamo verso le serre?” suggerì, passandosi nervosamente una mano tra i riccioli corti, ed aggiunse: “E nel frattempo mi parli di questo professor Lumacorno.”

“Oh, certo.”

Così entrambe le ragazze si alzarono, allontanandosi dalla Sala Grande, accompagnate da due insistenti occhi neri.

Arrivarono alle serre in anticipo, ed erano così prese dalle loro chiacchiere che quasi mancarono Piton, giunto sul posto pochi minuti dopo. Ben presto si unirono a loro diversi studenti di tutte e quattro le case, e cinque minuti dopo l’inizio della lezione arrivò anche il professor Herbert Berry che, non appena si accorse degli studenti riuniti davanti alla sua classe, provvedette in tutta fretta a nascondere una fiaschetta nella sua giacca.

“Ragazzi, via, via, entrate pure! Non aspettate questo — hic! — povero sbadato!”

“Tu l’hai visto Piton?”, sussurrò Harry mentre si sedevano attorno a uno dei ceppi contorti di Pugnacio su cui avrebbero lavorato per tutto il quadrimestre e cominciavano a infilarsi i guanti protettivi. “Non ha distolto neanche per un istante lo sguardo da noi, la cosa mi fa un po’ paura.”

“Piton?”, fece eco Romilda, calando subito la voce quando Harry le fece cenno. “Non so, mi sembra un ragazzo normale, un po’ silenzioso, molto studioso… sai, prende nove materie MAGO.”

“Eccoci qua, ragazzi miei. Siamo tutti? Bene! La volta scorsa abbiamo spiegato e dato uno sguardo ai nostri cari Pugnaci, ma oggi impareremo a estrarne i — hic! — i baccelli! Vedete, — hic! — anche se sono piante carnivore, i Prugnaci hanno un carattere perlopiù mite. I loro baccelli invece faranno di tutto pur di mordervi e graffiarvi! Quindi attenti! Ora, — hic! — avete indossato i guanti e gli occhiali protettivi? Su, su, fate in fretta!”

“Insomma”, continuò Harry facendo una smorfia e lanciando uno sguardo al suo futuro professore di Pozioni, che in quel momento si portava dietro l’orecchio i lunghi capelli neri, lanciando occhiate circospette al Prugnacio che condivideva con un ragazzo di Corvonero. “Ha mai mostrato interesse per… per la guerra? O per certe arti?”

Harry quasi temeva che lui già conoscesse la Legilimanzia e che, solo guardandolo negli occhi, rischiasse di rivelargli tutti i suoi segreti. Sarebbe stato un gioco da ragazzi per lui andare da Voldemort e rivelargli tutto.

(Una piccola parte di Harry protestava e diceva che era impossibile, che la Legilimanzia era un’arte assai complicata, un’arte che richiedeva anni per essere padroneggiata e questo Piton ancora adolescente non poteva in nessun modo conoscerla. Ma quella vocina veniva soffocata da tutte le altri voci spaventatissime e pronte a gridare al nemico.)

“No, che io sappia no”, rispose Romilda, scuotendo la testa, “non si è rivolto a nessun lato della guerra. Se tu intendi, beh, i Mangiamorte, allora devi guardare Avery e Mulciber.” Si chinò appena verso di lei e, lanciando una veloce occhiata all’ambiente circostante, disse: “Dicono che i loro genitori siano seguaci di Tu-Sai-Chi, della cerchia interna.”

Harry guardò di sottecchi quel bestione che era Mulciber, questa volta non accompagnato da Avery, che non prendeva Erbologia, ma seduto accanto a Wilkes. Il ragazzo più grosso non faceva nulla per nascondere la sua smorfia di disgusto. 

“Mh.”

“Sarà facile riconoscerli, non temete! Sono verdi e pulsanti, dalle dimensioni di un — hic! — pompelmo”, continuò il professor Berry, singhiozzando ad oltranza e facendo sobbalzare ad ogni singhiozzo il gonfio ventre da birra. “Sfortunatamente, una delle poche occasioni in cui i Pugnaci si sentono minacciati e attaccano è proprio quando si cerca di estrarre il loro baccello. Sapete, — hic! —  i baccelli hanno al loro interno un succo molto utile e prezioso, soprattutto se estratto quando è ancora fresco. Può essere usato per le pozioni Anti Malocchio, — hic! — la pozione Dimenticante — hic! — e tante altre cose belle — hic! — che il vostro professore di Pozioni sarà felice di spiegarvi! Io, se posso permettermi, ci faccio anche qualche bel bagno. Sapete, — hic! —  la pelle esce come nuova!” 

Scambiò uno sguardo che doveva essere di complicità con gli studenti e singhiozzò di nuovo, facendo scattare in su il panciotto che gli finì dritto in faccia. Se lo risistemò, accompagnato dalle risatine degli studenti. 

“Via via! Non c’è niente da guardare — hic! — , iniziamo!”

Quello fu il segnale per mettere un punto alla loro conversazione e cominciare ad armeggiare con il Pugnacio. 

I tralci si mossero svogliatamente, mentre le due ragazze studiavano il modo migliore per agire. Alla fine decisero di bloccare i tralci e annodarli insieme, ma a quel punto il Prugnacio aveva già capito che qualcosa non andava e iniziò a ribellarsi, facendo vorticare furiosamente i rovi intorno alle loro teste. Un ramo si incastrò tra i capelli di Harry e il braccio di Romilda finì intrappolato sino al gomito all’interno del tronco quando provò a prendere il baccello. Ma alla fine, dopo quasi un’ora di lotte, Harry riuscì a estrarre una piccola pallina verde dal Pugnacio. Subito i tralci pungenti si ritrassero all’interno del ceppo contorto, che rimase un innocente ciocco di legno inanimato.

I piccoli baccelli rabbiosi furono raccolti all’interno di una cesta dal professor Berry, che promise ai ragazzi, tra un hic! e l’altro, che presto li avrebbe consegnati al professor Lumacorno, così che potessero esercitarsi anche sulle pozioni Anti Malocchio e “tutte le altre cose belle”.

Li salutò con un altro singhiozzo e gli studenti andarono ognuno per la propria strada. Harry vide Piton dirigersi subito verso l’aula di Pozioni, nonostante la lezione iniziasse tra mezz’ora, mentre Mulciber si incontrò a metà strada con Avery e Rosier, di ritorno dalla lezione di Aritmanzia. Wilkes scomparve.

Harry e Romilda, invece, decisero di passare il tempo che avevano davanti sulle rive del Lago Nero, a ridere e scherzare. 

(“Voglio entrare a far parte della squadra di Quidditch”, rivelò Romilda, arrossendo l'attimo dopo.

“Wow, è fantastico! E perchè non provi quest'anno?”

“Non lo so… pensi che potrei mai avere una possibilità?”

“Certo!”

Il sorriso di Romilda era luminosissimo.)

Quando fu fatta ora, Romilda, che aveva un periodo libero tra le lezioni, si ritirò nei dormitori di Serpeverde per controllare il suo uccellino, mentre Harry continuò giù per quella familiare discesa verso la segreta che tanto a lungo era stata di Piton.

Quando arrivò nel corridoio, vide che a continuare la materia a livello M.A.G.O. erano solo una decina di ragazzi. Due Tassorosso: una certa Marlene McKinnon, che Harry ricordava vagamente dalle sue lezioni di Incantesimi; e quello che ipotizzò fosse il padre o lo zio della sua vecchia compagna di classe Susan Bones data la somiglianza. C’erano poi Lily e una sua amica Grifondoro dai capelli biondi, Mary Macdonald. Wilkes, Snape, Selwyn e un paio di Corvonero che non aveva mai visto attendevano diligenti davanti alla porta. Pettigrew evidentemente non era riuscito ad ottenere il voto richiesto al G.U.F.O. di Pozioni, ma gli altri Malandrini sì e se ne stavano in un angolo poco distante a ridacchiare mentre Lupin cercava di zittirli.

Giusto in quel momento, la porta della segreta si aprì e un pancione a stento contenuto in una giacca di velluto color ruggine con scintillanti bottoni d’argento sbucò fuori dall’aula. Il professor Lumacorno era un uomo abbastanza in là con gli anni, con capelli più grigi che biondi. Li guardò entrare a uno a uno, i vasti baffoni da tricheco curvi sopra una bocca sorridente, e salutò con particolare entusiasmo Lily e il ragazzo che sembrava Susan Bones. 

La segreta era, cosa alquanto insolita, già piena di fumi. I banchi erano disposti in file ordinate, senza sedie e con diversi attrezzi per la preparazione di pozioni forniti in prestito dalla scuola. 

Harry vide Piton passare accanto ai grandi calderoni ribollenti e annusare interessato per poi scrivere qualcosa sul suo libro.

Prima che potesse trovare una postazione, un acuto “perbacco!” attirò l’attenzione di Harry e degli altri studenti, e si girarono tutti a guardare il professor Lumacorno che si attardava ancora alla porta e guardava in fondo al corridoio con una smorfia giocosa.

“Anche voi, ragazzacci, venite qua!”

Quando i Malandrini si fecero avanti, il professore cercò di sembrare minaccioso, agitanto il dito con fare contrito, ma alla fine si sciolse in una grassa risata e diede una pacca sulla spalla a James, invitando gli studenti a sedersi.

Harry, cercando di non farsi prendere dall’ansia, si guardò intorno. Non voleva capitare di nuovo vicino a Lily o, ancora peggio, vicino a suo padre o a Sirius. Così quando notò che il posto accanto a Selwyn era ancora libero si fiondò lì, ma Maryon fu ancora più veloce e non appena la vide venire nella sua direzione afferrò la manica del ragazzo di Tassorosso e lo tirò accanto a lei. Le lanciò un’occhiataccia, per poi rivolgere un sorriso civettuolo al suo compagno di banco, che sembrava confuso e anche un po’ lusingato dal gesto di Maryon. 

Harry, facendo scattare gli occhi da una parte all’altra, studiò rapidamente la situazione. Rimanevano solo due posti liberi ed uno di questi era accanto a Remus. Si gettò senza esitazione sull’altro, mentre un Corvonero ritardatario si sistemava accanto a Lupin.

Solo allora il professor Lumacorno chiuse la porta alle sue spalle ed Harry, girandosi, scoprì di essere finita accanto a Piton.

Cazzo. 

“Bene, bene bene…”, cominciò Lumacorno, la sagoma bassa e rotondetta che tremava attraverso i densi vapori vibranti delle pozioni. “Che piacere avere tutti voi qui! Oh, Erede Potter, Erede Black! Quasi temevo che non vi avrei più rivisti, sapete? Ma no, la vostra pratica scadente qui in classe era solo… fumo negli occhi!” 

Ridacchiò alla sua stessa battuta e agitò in modo spassionato una mano, mentre con l’altra prendeva un fazzoletto di stoffa dal taschino e ci si asciugava le lacrime. 

“Beh, spero comunque che quest’anno vi trovi più interessati alla lezione che agli scherzi.” Arricciò un sorrisetto nella loro direzione, poi si spostò tra i primi banchi. “E lei, signorina Evans! Che piacere meraviglioso riaverla qui! Anche se di lei non ho mai dubitato, lo ammetto.” Le fece un occhiolino e Lily ridacchiò in risposta. 

A quel punto il professor Lumacorno andò a sistemarsi dietro i quattro calderoni che aveva predisposto per la classe, prendendo dalla scrivania una piccola pergamena. 

“Bene, bene, facciamo l’appello! Edgar Bones?”

Il Tassorosso accanto a Selwyn alzò la mano e così tutti dopo di lui non appena vennero chiamati. Dopo un tipo di nome Lucas Goldstein, il professor Lumacorno proruppe in un: “Ah! Lucy Harrison, la nostra nuova studentessa!”

Harry strinse le labbra in una linea sottile.

“Era da un po’ che non incontravo uno studente in trasferimento”, proseguì il professore con aria pensosa. “Già! Da quando quello strano ragazzo, Albert Munich, non venne qui dalla Cecoslovacchia una decina di anni fa. A rimanere strano ci rimane eccome, il caro Munich! Ma ora è diventato il chitarrista dei Crimson Forest e quello sì che è un gruppo strano! Mi invita a tutti i concerti che tengono qui in Scozia, sapete? Che bravo ragazzo, quel caro Munich!”, disse con orgoglio, gonfiando il petto già sporgente tanto che i bottoni del panciotto minacciarono di saltar via.

Dopodichè il professore continuò con l’appello e quando l’ultimo nome, Graham Wilkes, fu chiamato, posò la pergamena e trascinò in avanti uno dei quattro calderoni, così che fosse al centro dell’aula e tutti loro potessero averne un’occhiata.

Girata in direzione del professor Lumacorno, Harry quasi saltò quando sentì il respiro di Piton sfiorarle il collo.

“Adesso, ragazzi miei”, proseguì il professore. “Ho preparato per voi alcune delle pozioni che tratteremo quest'anno — iniziamo da questa! Sapete dirmi che cos’è?” 

Indicò con la bacchetta il liquido trasparente, simile ad acqua, che ribolliva all’interno del calderone e immediatamente un lieve fruscio alle spalle di Harry l’avvisò che Piton aveva alzato la mano.

“Sì, signor Piton?”

“È Veritaserum”, rispose la voce cupa e baritonale del suo ex professore di Pozioni, facendo rabbrividire Harry.

“Corretto, signor Piton, e sa dirmi che caratteristiche presenta e che cosa fa?”

“È incolore e inodore, quasi indistinguibile dall’acqua. Può essere miscelato con qualsiasi bevanda e bastano tre gocce per costringere colui che la beve a rivelare tutti i suoi segreti.”

“Molto bene, molto bene!”, esclamò Lumacorno allegro. “Ora”, riprese levitando via il calderone e facendone avvicinare un altro, “Questa qui è piuttosto famosa, spesso e volentieri scatena scandali e proteste. Chi sa dirmi di che pozione si tratta?”

Ancora una volta Piton alzò la mano.

Harry sentì sussurrare poco lontano dalle parti di Grifondoro “Mocciosus il secchione”, ma cercò di ignorare la fitta che la colpì alle risate che seguirono.

“Ebbene, signor Piton?”

“È Amortentia.”

“Lo è eccome. Sembra quasi sciocco chiederlo, ma immagino che tu sappia che effetti ha.”

“È il filtro d’amore più potente del mondo”, rispose lui, senza mostrare la benché minima traccia di inflessione nella voce.

“Esatto! Lasciamo che qualcun altro ci spieghi come riconoscerla — oh, ma guarda che mano alzata vedo lì! Signor Potter, prego, prego, parli pure!”

Harry vide James fare una smorfia accattivante e scambiare una gomitata con Sirius, prima di rispondere. 

“Perché odora di Evans, professore!” 

Aprì le labbra in un sorriso fin troppo simile a quelli di Gilderoy Lockhart per i gusti di Harry e fece l'occhiolino non appena Lily si girò verso di lui, tutta rossa in viso; se per l’imbarazzo o per la rabbia, Harry non riusciva a capirlo, ma trovava tutta la scena profondamente ridicola. Alle sue spalle, lo sbuffo di Piton le suggerì che anche lui la pensava allo stesso modo.

“Oh! Che ragazzaccio, Erede Potter!” Rise di buon cuore il professor Lumacorno, trattenendosi il grosso ventre ballonzolante. “Mi trovo sempre ad incoraggiare i giovani amori che nascono qui a scuola! Sono davvero qualcosa di meraviglioso! Ma forse”, continuò una volta ripreso il contegno, “qualcuno può darci una risposta più chiara… magari proprio lei, signorina Evans, che dice?”

Sua madre si agitò imbarazzata. “Certo, professore… possiamo riconoscere l’Amortentia dalla tipica luminosità perlacea e dalle caratteristiche spirali del vapore, che ha un odore diverso per ciascuno di noi a seconda di ciò che ci attrae...” E a quelle parole diventò ancora più rossa.

“Risposta perfetta, molto bene! Ora andiamo avanti — no, signor Piton, lasciamo che qualcun altro risponda, questa volta! Mh…” 

Gli occhietti acquosi vagarono lentamente per tutta la classe, prima di posarsi su Harry, con l’immediato effetto di farla rabbrividire e pregare che—. 

“Sentiamo lei, signorina Harrison!”, esclamò invece il professor Lumacorno, prima ancora che Harry potesse formulare le sue preghiere. “Riesce a riconoscermi questa pozione?”

Harry strinse forte le labbra, cercando di ignorare la crescente tensione che si faceva largo nel petto ed iniziava ad imperlarle la fronte. Le vocine spaventate le dicevano che i suoi genitori la stavano guardando, la stavano giudicando! Merlino, Harry smettila!, Si rimproverò subito dopo riacquistando la concentrazione e si sporse appena verso il contenuto del calderone. 

Era una sostanza scura e fangosa con preoccupanti bolle marroni che scoppiettavano pigre di qui e di lì. Mentre la studiava, Harry si rese conto che era un intruglio dolorosamente familiare. 

“È... è Polisucco, professore?”

“Sì, corretto”, le fece Lumacorno con un sorrisetto di incoraggiamento, invitandola con una mano a continuare. 

La ragazza cercò di far riaffiorare nella mente tutto ciò che si ricordava di quell’avventura al suo secondo anno, quando lei, Ron e Hermione avevano deciso di preparare la Pozione Polisucco per infiltrarsi nei dormitori di Serpeverde. Non aveva preparato lei stessa la pozione, ma Hermione. Era lei quella intelligente, lei che aveva passato un mese a— 

“È... è una pozione notoriamente difficile, professore. Per... per molti motivi”, iniziò Harry. “Mh... è molto instabile e lunga… ci vuole quasi un mese per produrla… e alcuni ingredienti devono essere preparati anche prima. E… e bisogna stare attenti anche a trattarli... certi ingredienti, voglio dire. Perchè sono... beh, piuttosto delicati e… e se aggiunti nel momento sbagliato rischierebbero di far esplodere tutto… e per questo motivo è una pozione assai lunga...”

La ragazza richiamò alla memoria tutte le avvertenze di Hermione, tutti quei fogli pieni di scritte rosse che svolazzavano nel loro dormitorio, finendo sempre per qualche motivo nel cassetto dell’intimo di Lavanda Brown.

“E… mh… quando è pronta, lo si riconosce per il forte fumo nero… e ha bisogno di un pezzetto delle persone nelle quali ci si vuole trasformare per funzionare. Perché è questo che fa… la pozione, dico. Permette di assumere le sembianze di qualcun altro per un’ora. E una volta aggiunto il pezzo la pozione cambia aspetto… diventa liquida e…” e sa di cavolo stracotto, ma questo non lo disse naturalmente e si costrinse a tacere, chiedendosi se avesse rivelato troppo.

La risata del professore la riscosse dai suoi vaneggi. “Oh, cara!”, esclamò Lumacorno, quando riuscì a controllare le risate. “Da come me ne parli sembra quasi che l’abbia fatta tu stessa!”

La ragazza nascose la colpa nei suoi occhi chinando la testa.

“Bene, bene! Davvero molto bene!”, fece il professore tutto contento. “Due punti a ciascuno di voi, signorina Harrison, signor Piton e signorina Evans!”

“E a me, professore?”

“Oh, certo! Due punti anche a lei, signor Potter!”, rise Lumacorno, battendo le mani. "Ora c'è un'altra pozione qui alle mie spalle, ma vi dirò io che cos'è questa volta: è un Distillato della Morte Vivente e il vostro compito oggi sarà prepararlo. Siete già tutti in coppia, vero? Perfetto, andate a pagina centoventitré e iniziate!"

Un rumore di pagine che svolazzavano segnò la fine delle parole del professore. Tutti gli studenti cominciarono a deporre i pesi sulle bilance e a studiare concentrati tutti i passaggi della pozione.

“Merlino, è difficile…” Harry sentì sussurrare da qualche studente alle sue spalle. 

Aprendo anche lei a pagina centoventitré e lanciando una veloce occhiata a Piton, che era già impegnato a scarabocchiare in modo incomprensibile sul suo libro, Harry si rese conto che sì, la pozione era complicata. Molto più complicata di qualsiasi pozione Harry avesse mai preparato. Sentendosi a disagio, Harry guardò con fare supplichevole il ragazzo accanto a lei. 

“Piton”, tossicchiò.

Il suo futuro Maestro di Pozioni levò lo sguardo dal libro, fulminandola con gli occhi. “Sì?”

“Noi siamo in coppia.” 

“Evidentemente.”

“E non dovremmo”, fece spallucce, “collaborare? Tutti gli altri hanno già iniziato.” Tentò di spiegare con un cenno vago al resto della classe.

Gli occhi di Piton si assottigliarono. “Vai di fretta?”

“No!”, esclamò subito Harry, scuotendo la testa. “Io solo... non vado di fretta.” Dopotutto Piton rimaneva il bastardo permaloso che Harry aveva sempre conosciuto, con la sola differenza che mancava di… be’, di teatralità.

(Harry poteva quasi immaginare il suo ex professore esercitarsi per ore e ore allo specchio facendo volteggiare mantelli o strizzando gli occhietti nell’intento di sembrare minaccioso).

“Bene”, sbuffò il suo Maestro di Pozioni dopo una lunga occhiataccia di un’intensità imbarazzante. No, decisamente non ancora abbastanza teatrale come lo Piton del futuro. “Allora aspetta che legga tutto. Non voglio produrre una pozione scadente solo perchè la mia compagna è una superficiale.”

Non appena si girò per tornare alla sua lettura, le setole che aveva irto e agitato contro Harry si ritrassero, facendo di lui solo un ragazzo un po’ troppo alto con il naso piantato in un libro di pozioni e la fronte corrucciata. Ad Harry sembrò quasi di guardare un riccio, un riccio spaventato che scattava ad ogni accenno di minaccia, anche se quella minaccia era solo una piccola orfana di Serpeverde di cui non importava niente a nessuno.

Dopo diversi minuti in cui Harry non fece altro che girarsi i pollici con aria ansiosa e lanciare sguardi preoccupati alla classe, tutta in subbuglio per la pozione, Piton si smosse.

“Harrison”, la chiamò. “Ho bisogno che tu vada a prendere quattro foglie di Artemisia, sei Fagioli Sopoforosi, una Radice di Asfodelo, due di Valeriana e due Zanne di Serpente. Hai capito tutto?”

Harry annuì e andò nel magazzino a prendere tutto ciò di cui aveva bisogno, accertandosi bene che le foglie di Artemisia fossero le più verdi e luminose fra tutte, che le radici non sembrassero già così secche da sgretolarsi in mano e che le zanne fossero bianche e lucenti. Tornò da Piton soddisfatta, vedendo che lui stava agitando la bacchetta sul calderone.

“Cosa fai?” Gli chiese, posando tutti gli ingredienti sul tavolo.

Piton non si premurò di rispondere subito, ma passò prima a setaccio tutti gli ingredienti, annusandone alcuni e squadrandoli a un palmo dal naso altri. Alla fine annuì, soddisfatto. “Ho messo un timer sui tempi di cottura.”

Harry sbatté più volte le palpebre. Sembrava una cosa ovvia da fare. Perché non le aveva insegnato una cosa del genere al suo primo anno? Sarebbe stato molto più semplice gestire i tempi di preparazione e tutto. Quando si girò, trovò Piton a fissarla e, come se le avesse letto nella mente, proseguì.

“Probabilmente il tuo vecchio tutore non ti ha mai permesso di usare la bacchetta in classe perché se la tua magia entrasse in contatto con la pozione la renderebbe inutile o pericolosa. Ma io ho più esperienza di un normale studente e stai certa che non lascerò mai che la mia pozione prenda un Troll. Ora trita le radici.”

Ancora una volta Harry si ritrovò a fissare Piton, piuttosto scossa, poi si rivolse alla radici cercando di ricomporsi. “Quali?”

Il giovane Piton roteò gli occhi. “Quelle di Valeriana, naturalmente.”

Impressionata dalla mancanza di insulti, che di sicuro sarebbero seguiti a una domanda del genere se l’avesse posta al Piton del futuro, Harry cominciò il suo lavoro, ma non ebbe neanche il tempo di tagliare una radice che fu fermata da un ringhio.

“Ho detto tritare, non massacrare!”, scattò Piton, prendendole di mano il coltello e guardandola in cagnesco. “Chi ti ha insegnato? Un cane?!”

Harry ridacchiò. Evidentemente era la cosa sbagliata da fare perché le guance di Piton iniziarono ad assumere un’allarmante tonalità di rosso, mentre una luce rancorosa iniziava a scintillare nei suoi occhi non promettendo niente di buono.

“Se non prendi sul serio il mio lavoro…”

“No! Aspetta!”, esclamò mettendo le mani avanti e sfiorandogli il petto. Piton sembrò preso alla sprovvista da quell’azione e guardò le mani di Harry ferme sul suo petto come se fossero qualcosa di alieno, di sporco. Ma lei aveva avuto a che fare con una versione ben peggiore di Piton e non si sarebbe fatta intimorire da un adolescente troppo cresciuto che la odiava sulla base del niente. “Scusa, non è quello che intendevo. Non ridevo di te!”

“Ovviamente”, sputò lui, strappandole la mano dal petto, ma prima che potesse aprire di nuovo bocca, Harry lo anticipò.

“Il mio tutore è stato pessimo, avevi ragione. E tu… tu sei molto più bravo di lui.” Era una cosa strana da dire quando la persona a cui si rivolgeva sarebbe stato il suo “tutore”, ma Harry sapeva di dire la verità in quel momento. 

Piton la squadrò rabbioso per diversi secondi, dopodiché iniziò a tagliare una delle radici rosa, in silenzio. Quando ebbe finito le passò altrettanto silenziosamente il coltello ed Harry la prese per buona misura come una forma di perdono. Procedettero in questo modo, senza nessuna parola in eccesso, con Piton che gestiva la pozione ed Harry che tagliava gli ingredienti quando necessario.

“Schiaccialo”, disse Piton all’improvviso, dopo diversi minuti di silenzioso lavoro. 

“Come?” 

“Schiaccia il fagiolo.”

“Ma qui c’è scritto di tagliarlo…” 

“Lo so.”

Harry guardò Piton, che la fissava in silenzio aspettando qualcosa. Harry valutò velocemente la situazione e decise che se quel ragazzo sarebbe diventato il futuro Maestro di Pozioni più giovane al mondo doveva pur esserci un motivo, così lo ascoltò. Prese il coltello e, invece di cercare di tagliare a metà il Fagiolo Sopoforoso, lo schiacciò col piatto del pugnale. Con suo stupore liberò all’istante molto più succo di quanto pensava ne potesse contenere. Piton glielo prese di mano e lo versò tutto nel calderone e la pozione diventò subito della precisa sfumatura di lilla descritta nel manuale.

“Come facevi a saperlo?”

“Le grinze sul fagiolo impediscono il taglio”, spiegò lui pesando una foglia di Artemisia tritata, “perché curvano e modificano la superficie qualora qualcuno si cerchi di tagliarla. I lati, invece, sono piuttosto deboli, e questo rende facili schiacciarli. Naturalmente era solo una supposizione, ma si è rivelata corretta.”

“Oh… wow...”

Le guance di Piton si colorarono di nuovo, ma questa volta Harry dubitava che fosse per la rabbia. “Se vuoi posso lasciarti girare la pozione…” cominciò in modo cauto, subito interrotto da Harry.

“Certo. Cosa devo fare?” Si avvicinò alla spalla del suo futuro Maestro di Pozioni e guardò con curiosità il loro lavoro a dir poco perfetto, senza notare come Piton si irrigidì a quella repentina vicinanza.

“È un esperimento”, masticò Piton con voce roca e subito deglutì. “Ho bisogno di prendere dei dati. Tu fai quello che ti dico.”

“Va bene.”

Le offrì il mestolo e si spostò dall’altro lato del banco, il libro di pozioni in una mano e una penna nell’altra. Dopo qualche secondo di valutazione, disse: “Prova a girare tre volte in senso orario e due in senso antiorario, poi aspetta qualche secondo.”

Così Harry seguì le sue specifiche, mescolando la pozione esattamente come le era stato detto e aspettando una decina di secondi dopo l’ultimo giro. “E adesso?”

“Di che colore è?”

“Mh, sempre lilla.”

“E che sostanza?”

“Penso… più liquido di prima?”

“È una domanda o una constatazione, Harrison? Sii precisa.”

“Ehm, la seconda?”

Uno sbuffo. “Ora prova ad alternare due giri in senso orario ogni sei in senso antiorario e dimmi subito cosa succede.”

Harry obbedì ancora una volta e fu sorpresa di vedere la pozione diventare rosa. “Si avvicina al colore giusto, ma è molto più denso di prima. Che faccio?” 

Piton, senza distogliere lo sguardo dal suo libro, prese qualcosa dal banco e lo aggiunse alla pozione allungando il braccio. “Aspetta un minuto, poi prova di nuovo, ma questa volta fai un giro in senso orario e sette in senso antiorario.”

“Cosa hai aggiunto?”, domandò Harry curiosa, sbirciando la pozione e vedendo che tornava lilla.

“Ho annullato gli effetti del Fagiolo Sopoforoso. Aveva assorbito tutta l’Artemisia, per questo la pozione diventava sempre più densa, ma aggiungendo altre foglie tritate ho cancellato gli effetti degli ultimi passaggi. Credo di esserci vicino, comunque.”

Quando fu passato un intero minuto, Harry tornò a lavorarci su seguendo le istruzioni di Piton. L’effetto fu immediato e la pozione diventò rosa pallidissimo, come diceva il libro. 

“Piton, credo che tu ce l’abbia fatta.”

Un fruscio, poi il fiato di Piton le sfiorò il collo ed Harry si girò. I capelli neri gli ricadevano ai lati della faccia come un velo, leggermente arricciati alle estremità, aveva la fronte corrucciata e fissava intensamente il preparato all’interno del loro calderone, come se si aspettasse che gli rivelasse qualche segreto. Poi annuì, più a se stesso che a Harry, e scarabocchiò qualcosa nel suo libro. 

“Ripeti gli stessi passaggi.”

“Per quante volte?”, chiese Harry.

“Non lo so ancora.”

Così Harry continuò il suo lavoro, vagamente conscia di Piton che osservava da sopra la sua spalla e appuntava di tanto in tanto qualcosa in quel libro ormai snaturato dal precedente autore. La interrompeva ogni pochi minuti per ordinarle di fare una pausa lì o qui o chiederle qualche specifica del tipo “è ancora liquida?” o “ti sembra più lilla chiaro che rosa?”. Dovettero interrompere la pozione e aggiungere foglie di Artemisia un paio di volte prima che Piton stabilisse che, per ottenere una pozione pressoché perfetta, dovevano ripetere i giri tra le otto e le dieci volte. Ora era da decidere quale numero, tra questi qui in mezzo, fosse quello giusto.

Caddero così in una collaborazione tranquilla. Harry notò che era più facile seguire i suoi ordini sussurrati con voce calma e rilassante al suo fianco, piuttosto che quando glieli abbaiava dietro la testa. Collaborando così bene insieme che finirono la lezione prima del tempo.

Era perfetta. Della stessa colorazione che indicava il libro, con la stessa identica sfumatura e consistenza, la pozione più perfetta che Harry avesse mai fatto in tutta la sua vita. Senza pensare, rivolse un sorriso luminoso al ragazzo al suo fianco, che cadde nel momento si ricordò che lui era Piton.

E non il Piton del suo tempo, di cui aveva imparato a fidarsi nonostante i loro precedenti screzi, ma il Piton del 1976, quello che dopo la scuola si sarebbe rivolto al Signore Oscuro. Distolse subito lo sguardo e tossicchiò, sperando che l’altro ragazzo non avesse notato nulla del suo repentino cambiamento. Conclusero e imbottigliarono la pozione pressoché in silenzio, con solo qualche monosillabo da parte di Piton su come dovesse stare attenta a questo o a quest’altro, poi Harry si ritirò non appena la campanella suonò. Aveva ancora un po’ di tempo prima che fosse servito il pranzo, così si ritirò in un’aula vuota e, appoggiatasi al muro col cuore a mille e le gambe che tremavano, si lasciò cadere a terra.

Cosa stava facendo?




 

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Capitolo 6
*** Look to the past V ***


Capitolo 6: Look to the past V



Il professor Marlowe era in piedi davanti alla cattedra mentre attendeva che gli studenti entrassero. Silenzioso, attento, con la bacchetta saldamente stretta nella mano destra, guardava ad uno ad uno gli studenti che prendevano posto, rispondendo ad eventuali saluti con un rigido cenno del capo.

Tutto nel nuovo professore era all'erta, come se fosse pronto ad un possibile attacco in ogni momento, e Severus non faticava a vedere in lui l’Auror che doveva per forza essere stato. Si chiedeva come mai fosse qui, ad Hogwarts, a insegnare Difesa contro le Arti Oscure a dei bambini quando era risaputo che ormai il Ministero tenesse ben stretti a sé tutti gli Auror, vista la necessità nella contingente guerra.

Era forse malato? Storpio? Non aveva nessuna ferita visibile o particolarmente invalidante, da quel che Severus riusciva a vedere. Eppure era qui.

Quell’anno la classe era particolarmente numerosa, dal momento che moltissimi studenti sentivano su di loro il bisogno di imparare qualcosa di Difesa, così da essere pronti a qualsiasi evenienza una volta fuori dalle mura sicure di Hogwarts. Per questo motivo le classi di livello MAGO, di norma composte da alunni misti provenienti da tutte le Case, erano state divise per necessità in due gruppi — e, sorpresa sorpresa, i Serpeverde erano capitati con la compagnia esclusiva dei Grifondoro. Sembrava che a qualcuno con un particolare sadismo divertisse molto vedere le due Case più antagonistiche tra loro scagliarsi l’una sull’altra.

L’astio e l’insofferenza che scorreva tra le Case era facilmente distinguibile anche dal modo in cui amavano disporsi. Mentre la classe si riempiva, infatti, diventava sempre più chiaro il disegno generale, con il lato verde e argento disposto sul lato sinistro della stanza, e quello rosso e oro sul destro, i contatti tra le due parti ridotti al minimo. C’era Avery seduto con Mulciber come al solito, Rosier con Selwyn, Lily con Macdonald, Potter con Pettigrew, Black con Lupin, Severus con Wilkes, che nessuno degli altri Serpeverde voleva al proprio fianco, e così via, terminando con al massimo uno o due ragazzi che, per questioni di tempo o spazio, rimanevano senza un compagno con il loro stesso colore di divisa.

Col tempo che scorreva e gli ultimi ritardatari che prendevano posto, Severus osservava attentamente la porta alla ricerca di una certa persona.

Harrison non si era fatta vedere a pranzo. Non che Severus l’avesse cercata in modo smanioso con lo sguardo tra i commensali di tutta la tavolata di Serpeverde, naturalmente. No, la sua unica accortezza era stata notare la strana presenza di Goyle seduta da sola, che cacciava più e più volte occhiate imbarazzanti al portone d’ingresso della Sala Grande. Si era semplicemente abituato a vedere la ragazza in compagnia di Harrison, ecco tutto. O, almeno, così si ripeteva più volte nella sua testa da quasi un’ora.

Dopotutto la ragazza non aveva fatto nulla per essere notata. Era una strega perlopiù mediocre, sconosciuta a tutti, senza meriti particolari se non quello di essere la migliore compagna di pozioni che Severus avesse mai avuto in sei anni all’infuori di Lily. Era stata gentile, attenta, disposta all’ascolto e a seguire le sue indicazioni, nonostante piccasse in lei una sfacciata curiosità che l’aveva costretto a spiegare il perché di ognuno dei suoi accorgimenti o cambiamenti. Cosa che lo aveva infastidito oltremodo, naturalmente…

Ma chi prendeva in giro. La compagnia della ragazza gli era piaciuta e gli erano piaciute le sue domande: quella di Lucy Harrison non era stata l’accettazione passiva di quegli stupidi che non avevano neanche letto le istruzioni e contavano interamente sulla sua fama di Severus come miglior pozioniere del suo anno, ma non era stata neanche cocciuta contrarietà di chi non voleva assolutamente ascoltar ragioni, spesso costringendo Severus a intervenire di nascosto senza che l’altro se ne accorgesse.

Certo, non era perspicace o intelligente come Lily, che sembrava quasi in grado di leggergli nella mente, tanto riusciva a rimanere al passo con lui e con le sue idee; ma Harrison rimaneva nonostante tutto una compagna discreta, considerando le alternative.

E sembrava che qualcosa, in seguito all’ultimo scambio che avevano avuto, si fosse rotto nella ragazza. Severus non era così egocentrico da pensare che fosse lui il motivo di tutta quella successiva rigidità, ma non poteva dire che l’atteggiamento della ragazza non l’avesse incuriosito e, in minima parte, anche ferito.

E c’era anche un’altra persona eccessivamente curiosa a proposito di Harrison.

Wilkes, seduto accanto a Severus, guardava anche lui la porta di ingresso in attesa, sebbene non si preoccupasse di farlo in modo altrettanto accorto come Severus, risultando anzi del tutto ovvio.

Proprio in quel momento, mentre il professore si accingeva ad aprire bocca, entrò di straforo Harrison. La ridicola ragazza sembrava avesse fatto una corsa, con i capelli in condizioni peggiori del solito e il maglione mezzo cascante sulla spalla destra. Raddrizzò sia quello che la tracolla, mentre si scusava col professore con un frettoloso cenno del capo, e si mise a sedere accanto ad Emmeline Vance, una ragazza di Grifondoro buona amica di Lily che sembrava del tutto inorridita all’idea di avere una sporca Serpeverde come sua compagna di banco.

Il professore lanciò un’occhiata acuta in direzione di Harrison, ma non proferì parola. Invece, con solo un movimento della bacchetta, chiuse la porta dell’aula, facendo sobbalzare un po’ tutti quegli studenti che si erano distratti tra le chiacchiere.

Avanzò lentamente tra i banchi, fermandosi in un punto piuttosto casuale, poi si girò con uno svolazzo di vesti e lanciò un incantesimo.

Pettigrew saltò dalla sedia con un urlo, trattenendosi il sedere.

“Una fattura Pungente”, spiegò laconico il professore di fronte agli sguardi allucinati dei suoi studenti. Poi, con calma, si permise di approfondire. “Una fattura Pungente senza parole.”

I volti degli studenti erano cerei, le bocche tirate in linee mute. Severus sedeva rigido sulla sua sedia cercando di respirare meno rumorosamente possibile, proprio come gli avevano insegnato sedici lunghi anni passati insieme a un padre imprevedibile e abusivo.

“Mi sembra ovvio”, continuò ancora il professor Marlowe con voce lenta e uniforme, “che oggi studieremo gli Incantesimi non verbali. Il primo volontario si faccia avanti, prego.”

Gli studenti si guardarono tra loro con facce attonite, dopodiché Mary Macdonald sollevò timidamente la mano. 

Il professore guardò dall’altra parte.

“Ehm ehm…”, tentò di nuovo la ragazza e questa volta il professore si voltò.

“Sì, signorina—?”

“Macdonald, professore. Mi chiedevo… non ci spiegherà prima la teoria a riguardo? Non abbiamo mai trattato di incantesimi non verbali fino ad oggi.”

Un silenzio acuto si aggrappò alle mura dell’aula, stridendo forte nelle orecchie di chi attendeva con soggezione una risposta. Solo dopo quella che a Severus sembrò un’eternità, il silenzio ritrasse in un sol colpo le unghie che lo tenevano ancora aggrappato alle labbra del professor Marlowe, e lo fece pronunciando una sola parola.

“No.”

Il professore girò il capo verso i suoi alunni, il viso serio e scuro. Severus non aveva mai visto tanta gravità nel volto di una persona, tanto meno in uno apparentemente così giovane, visto e considerato che il professor Marlowe non poteva avere più di quarant’anni.

“Non perderò il mio tempo qui facendovi leggere delle sciocchezze sui vostri libri, quello potete benissimo farlo da soli nelle vostre ore di studio indipendenti. Io sono qui per aiutarvi ad affrontare una guerra incombente, non per far svolazzare pigramente le vostre bacchette su degli stupidi libri.” Guardò seriamente in direzione di tutti e Severus non poté fare a meno di distogliere lo sguardo non appena i suoi occhi chiari accennarono a spostarsi su di lui. Si pentì immediatamente, convinto che il professore avrebbe usato subito questa debolezza a suo vantaggio, ma invece il professor Marlowe passò avanti come se non l’avesse neanche visto. “Ora, signorina Macdonald, si faccia avanti.”

-

Quando la lezione giunse al termine, solo Wilkes era riuscito a lanciare un buon Protego senza parole, gli altri studenti si erano limitati a subire i colpi o al massimo a produrre un incantesimo scudo parziale e piuttosto debole, come nel caso di Severus.

Benché il professor Marlowe non sembrasse un ubriacone né un uomo dedito alla violenza senza senso, Severus si ritrovò comunque a tirare un sospiro di sollievo una volta fuori dalla sua classe. Per due intere ore gli era sembrato di esser tornato quel ragazzino spaventato che si nascondeva nel ripostiglio, cosa che aveva risvegliato in lui brutti ricordi e che l’aveva lasciato particolarmente svuotato. Stava per andare in Biblioteca per portarsi avanti con gli studi, quando la voce di Wilkes lo fermò.

“Severus”, disse, allungando il collo nella sua direzione, come un miope senza occhiali che si accertava di averci visto giusto. “Stai andando in Biblioteca?”

“Sì”, rispose Severus, lanciandogli uno sguardo superficiale. Non si chiese come sapesse già della sua destinazione, dopo anni passati con Graham Wilkes era abituato alle sue stranezze. 

L’altro ragazzo annuì lentamente e rimase in silenzio per qualche secondo. Severus stava per quasi per sbottare seccato cosa diavolo volesse, ma proprio in quel momento Wilkes girò il capo e chiamò la persona che era stata nei suoi pensieri fin da quella mattina.

“Harrison.”

Lucy Harrison, che proprio in quel momento stava uscendo da classe, si bloccò sui suoi passi, sorprendendo e quasi facendo cadere la persona che camminava dietro di lei. La ragazza si girò per scusarsi, ma il Grifondoro che aveva fatto inciampare ringhiò qualche parolaccia ben poco creativa e riprese il suo cammino scacciandola via con una dura spallata. Harrison sembrò spaesata per qualche secondo, poi si voltò verso Wilkes e avanzò di qualche passo, quasi timida. Giocava nervosamente con la cinghia della tracolla, i grandi occhi castani dalla vaga piega all’ingiù che saettavano nervosamente da Wilkes a Severus stesso, indice non tanto di paura ma di irrequietezza. Andava di fretta?

“Hey, ragazzi.” Fu tutto ciò che disse, alzando distrattamente una mano. Lei, a differenza di Severus, non aveva avuto nemmeno la decenza di applicare qualche fascino sui suoi vestiti viste le condizioni in cui versavano, tutti incredibilmente spiegazzati e più grandi di lei di diverse taglie. Davano quasi l’impressione che stesse per sprofondarci dentro.

“Stai andando in Biblioteca?”, chiese enigmaticamente Wilkes, guardandola in viso con i suoi occhi chiari, vacui.

“Err… sì. Come—?”

“Anche io e Severus stiamo andando in Biblioteca, vieni con noi?”

“Oh.” La ragazza guardò di sottecchi Severus, come se l’idea fosse stata sua. Sembrava ben poco entusiasta dalla cosa e Severus si risentì. Pensò al sorriso che lei gli aveva rivolto quella mattina a pozioni, poi subito sostituito da una smorfia e un silenzio scomodo. La consapevolezza di non essere mai abbastanza e di risultare sempre sgradito a chiunque — anche ad una ragazza che a malapena conosceva e che, a conti fatti, l’aveva visto solo per il meglio di sé, cioè durante pozioni — lo rendeva triste e lo riempiva di rancore. Così le lanciò un’occhiata ancor più risentita della sua e lei distolse lo sguardo, concentrandosi invece su Wilkes. Fece spallucce con una smorfia. “Va bene…”

“Molto bene.” Annuì Wilkes, apparentemente soddisfatto del risultato che aveva avuto, e offrì ad Harrison il braccio, nei suoi sacrosanti modi da purosangue.

La ragazza guardò stranita il gesto e, ancor più stranamente, sollevò lo sguardo su Severus, come se volesse chiedere a lui delle spiegazioni. Durò giusto un istante, quanto bastava perchè Severus lo notasse in effetti, e poi distolse di nuovo lo sguardo. Prese in modo goffo il braccio offertole da Wilkes e insieme si incamminarono in biblioteca, con Severus che li seguiva poco dietro.

In quell’ultima estate, Severus era cresciuto di diversi centimetri, quasi rivaleggiando Mulciber, che tuttavia lo superava di gran lunga in larghezza e potenza. Questa improvvisa crescita gli aveva causato non pochi problemi, in particolare trovava ben difficile abituarsi alle sue nuove gambe, molto più lunghe di quanto fossero mai state.

Aveva dovuto darsi un gran da fare con tutti i fascini che conosceva per rimediare ai suoi vestiti che ormai erano troppo piccoli per lui, come testimoniavano le caviglie che facevano capolino da sotto la veste e quelle maniche che lasciavano scoperta fin troppa pelle oltre quella dei polsi. Purtroppo anche i fascini avevano i loro limiti e Severus non poteva sperare di cavarsela ancora a lungo con le sue vecchie vesti del terzo anno. I suo calzoni, quelli che avevano dovuto subire molti più fascini di tutti gli altri suoi capi d’abbigliamento, erano decisamente quelli che soffrivano di più questa condizione. Severus li sentiva pungere e pizzicare come un vecchio maglione di lana lavato a sproposito in una soluzione orticante. C’era così tanta magia in quei pantaloni che Severus li percepiva tendersi al limite, fragili e sottili, pronti a spezzarsi in un istante se avesse aggiunto un altro fascino nel tentativo di allungare ancor di più la trama del tessuto. 

Ma il lato peggiore di tutta quella situazione era che quelle gambe improvvisamente così lunghe gli davano un’andatura sbilenca, a dir poco goffa, ed era una vergogna per il ragazzo fiero che Severus era sempre stato. 

Anche in quel momento, Severus non poteva fare a meno di ritrovarsi a disagio nel camminare con Harrison. A volte lei girava il capo verso di lui, giusto per lanciargli un’occhiata veloce, e ogni volta che lo faceva Severus sentiva le sue gambe diventare improvvisamente molli. Magro, goffo e imbarazzante, Severus sentiva che non avrebbe mai potuto raggiungere un punto più basso di questo.

Merlino, quanto odiava l’adolescenza.

“Allora, Harrison, cosa devi studiare in Biblioteca?”, domandò improvvisamente Wilkes, tirando fuori Severus dalle sue elucubrazioni. 

“Err…”, la ragazza corrucciò la fronte. “Incantesimi? Cioè, voglio dire, Incantesimi. Devo studiare Incantesimi.”

“Oh giusto.” Subito annuì Wilkes con fare condiscendente, guardando dritto davanti a sé. “Devi lavorare su quel progetto del professor Flitwick, non è così?”

“Err, sì.”

“Mh mh”, mormorò Wilkes, pensoso. Severus, nonostante non potesse vederlo bene in viso, immaginava che stesse sorridendo. Perchè, Graham Wilkes? Cosa vuoi? “Sei in gruppo con Evans, se non sbaglio.”

Al nome di Lily, una gamba di Severus andò in fallo quasi inciampando sull’altra, ma riacquistò in un attimo l’equilibrio. Il suo salvataggio improvvisato, tuttavia, non era passato inosservato ed Harrison si era girata nella sua direzione con uno sguardo confuso.

“Tutto bene, Piton?”

Severus assottigliò lo sguardo, rabbioso, anche se quella rabbia era rivolta più a se stesso che a lei. Goffo, stupido Severus! E che andassero al diavolo anche le sue gambe! Stava per risponderle bruscamente che stava bene e che doveva farsi gli affaracci suoi, quando una voce profonda e fin troppo entusiasta si levò alle sue spalle.

“Oh! Avete visto ragazzi? Mocciosus si è calpestato i piedi da solo!”

Severus richiuse di botto la bocca mentre un coro di risate si levava alla battuta di Potter e subito la sua mente si svuotò, come aveva imparato a fare quell’estate. Anche i volti di Harrison e Wilkes scomparvero di conseguenza, diventando quasi macchie confuse nello sfondo, volti come mille altri privi di qualsivoglia tipo di importanza. Il focus di Severus, in quel momento, era concentrato su ben altre cose, prima su tutte la fuga. Dalle sue spalle Potter stava già masticando una nuova battutina, ma Severus era deciso ad ignorarlo e superò senza indugio Wilkes e Harrison, che invece si erano bloccati in mezzo al corridoio. Doveva raggiungere la Biblioteca, ripeteva a se stesso, mentre cercava di mettere quanta più distanza possibile tra sé e i Malandrini. Doveva solo entrare in Biblioteca e lì sarebbe stato al sicuro, Madama Pince non avrebbe mai permesso a quei rozzi cani di entrare sapendo che tutto ciò che volevano fare era combinare casini.

Ma prima che potesse anche solo svoltare l’angolo, Black urlò un incantesimo. 

In un attimo Severus tirò fuori la sua bacchetta e si girò per parare il Densagueo di Black, ma l’incantesimo era già a buona strada per la sua faccia. Non aveva tempo per un Protego, tutto ciò che poteva fare era solo provare a schivare e—. 

“Protego!”

Velocissimo come era stato lanciato, uno scudo blu si alzò tra Severus e la fattura offensiva che gli avrebbe allungato i denti a dismisura. Black sembrava sorpreso da quella svolta, ma non quanto Severus, che osservava con occhi spalancati Harrison, la ragazza ridicola che, a quanto pareva, aveva appena salvato Severus dall’ennesima umiliazione. Come aveva fatto a tirare fuori la sua bacchetta così velocemente? E l’incantesimo, Merlino… era stata veloce.

Harrison lanciò uno sguardo disperato a Black, uno sguardo che Severus non riuscì a comprendere a pieno, poi voltò sui tacchi e marciò in direzione di Severus, tirando per il braccio Wilkes. Una volta che fu accanto a Severus, prese anche lui per il braccio e li tirò entrambi in Biblioteca, per poi scusarsi con una vocina flebile e scomparire oltre delle librerie polverose.

Wilkes ridacchiò. 

Severus si riprese dalla trance e si voltò furioso verso l’altro ragazzo. “Che c’è?”, sibilò, mantenendo un tono di voce basso ma allo stesso tempo feroce. Non voleva che Madama Pince lo cacciasse via, ma aveva bisogno di trasmettere lo stesso la sua rabbia. Non capiva ancora bene cosa fosse successo in quel corridoio, ma una parte di lui urlava di aver subito un’umiliazione mai sperimentata prima.

“Nulla, Severus”, rispose in un soffio Wilkes, lanciandogli uno sguardo acuto, il suo sorrisetto ancora parzialmente accennato sulle labbra. Schioccò la lingua e voltò di nuovo il capo nella direzione in cui Lucy Harrison era scomparsa. “Avremo un anno interessante, lo sai, vero?”

“Wilkes…”, sussurrò furioso Severus, afferrando il purosangue per il colletto. Quello gli rispose con uno sguardo vuoto.

“Dovresti lasciarmi prima che Madama Pince ci veda, Severus. Non sarebbe molto comprensiva nei tuo confronti vedendo che stai minacciando un altro studente.”

“Non sperare di cavartela così!” disse Severus in un altro sussurro rabbioso, ma lo lasciò comunque andare. Le sue mani fremevano dalla voglia di risolvere la questione nel modo babbano, ma sapeva che la sua arma migliore erano sempre state le parole. “Cosa stai facendo? Qual è il tuo piano?”

“Nulla di cui tu debba preoccuparti, Severus.”

“E invece penso proprio di sì, visto il modo in cui stai cercando di tirarmi in questa situazione!” Dire che Severus stava contenendo appena la sua rabbia era un eufemismo, visto il modo in cui sentiva tutto il suo viso accaldato, se per la collera o l’umiliazione non era dato saperlo. E che umiliazione, poi? Severus non sapeva neanche questo, ma era forse quello il motivo per cui si sentiva così travolto. “Se vuoi il tuo giocattolino Nato Babbano, Wilkes, fai pure ma non coinvolgermi. Ne ho abbastanza di questa roba ed essere usato in qualche subdolo gioco di potere è l’ultima cosa che voglio. Siamo chiari?”

“Oh, Severus”, sussurrò a quel punto Wilkes, distogliendo finalmente lo sguardo dalla corsia in cui era sparita la ragazza e voltandosi a guardare Severus. “Questo gioco riguarda più me che te e sei uno sciocco a non averlo già capito.”

“Cosa—”

Ma in quel momento, il naso arcigno di Madama Pince comparve da dietro alcuni scaffali e sussurrò loro un velenoso “Sssh!”. Severus distolse velocemente lo sguardo dalla donna e lanciò un’ultima feroce occhiataccia a Wilkes, prima di rassettare la sua tracolla e allontanarsi con  rapide falcate nell’angolo più isolato della Biblioteca.

Aveva da fare i suoi compiti e, Merlino lo salvi, non aveva bisogno di altri pensieri in più a quelli che già aveva! Ma con i suoi ancora deboli e basilari scudi di Occlumanzia caduti, la sua testa rese evidente che non voleva rendergli affatto semplice il compito e, mentre si metteva a sedere al tavolo più lontano dall’ingresso della Biblioteca e tirava fuori dalla cartella i suoi libri di testo, non potè fare a meno di pensare a cosa lo aspettasse adesso. 

Wilkes stava chiaramente giocando con Harrison, anche se Severus non aveva ancora ben capito cosa c’entrasse lui in tutto questo. Mentre Harrison... doveva stare attento intorno alla ragazza, adesso che lei aveva apertamente qualcosa con cui ricattarlo. Nessuno avrebbe mai fatto qualcosa del genere senza voler ottenere nulla in cambio.

Essere la pietra sul fondo del mare è una grazia, il silenzio un sacrificio.







Nda: Ciao! Volevo solo avvisare che questo mese non pubblicherò molto perchè devo studiare per la sessione estiva :( 
In ogni caso spero che la storia vi stia piacendo e se volete farmi sapere qualcosa o darmi qualche consiglio siete benvenuti!
Amore,
Stella

 

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Capitolo 7
*** Look to the past VI ***


Capitolo 7: Look to the past VI






Fanculo Sirius. 

Harry era in Biblioteca da più di un’ora e non era proseguita in nessuno dei suoi studi. Aveva mentito solo a metà quando aveva detto a Wilkes che avrebbe dovuto studiare Incantesimi — si era data appuntamento con Lily alle sei, così da avere quanto più tempo possibile davanti a lei per studiare il suo piccolo problema temporale, ma a quanto pare le cose non potevano mai andare bene per Harry. 

La sua testa era piena delle immagini che l’avevano assillata fin dal momento in cui le aveva viste accadere davanti ai suoi occhi, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era Sirius. Sirius Black, il suo padrino. Era così diverso dall'uomo che conosceva a suoi tempi o, meglio, dubitava di averlo mai conosciuto davvero. Per non parlare di suo padre! E Remus! Merlino, come poteva Remus voltarsi dall’altra parte? Era persino un prefetto?

Tutto ciò che aveva visto sino a quel momento le aveva lasciato l’amaro in bocca. All’inizio aveva cercato di ignorarli, di giustificarli anche, dicendo a se stessa che erano proprio come i gemelli Weasley, dei burloni senza speranza e senza cattive intenzioni; ma man mano che le loro buffonate proseguivano e lei li osservava in silenzio, iniziò a diventare difficile non notare come i loro scherzi fossero ben diversi da quelli che i gemelli Weasley erano soliti scatenare in tutta la scuola. Fred e George non avevano mai fatto del male a nessuno, non avevano mai umiliato o bullizzato. Quelle erano cose che facevano unicamente Malfoy e Dudley. 

E i Malandrini sembravano incarnare quei due esempi in un unico grande schifo.

Un mal di testa pulsante iniziava a darle tormento, questa volta non frutto della maledizione degli Indicibili. Harry strinse la radice del naso tra il pollice e l’indice e gemette, subito ripresa dall’aspro “Sssh!” di Irma Pince. Non poteva andare avanti così ancora a lungo.

Proprio in quel momento, una testolina nera fece capolino da sopra le interminabili pile di libri che Harry aveva accumulato sul suo tavolo e, insieme alla testa del bambino, sbucò fuori anche la testolina di un serpente, rimasto nascosto fino a quel momento nel colletto del ragazzo.

“La ragazzzza che puzzzzzza di magia è qui, padroncino.”

“Ciao Theo, ciao Timmy”, salutò allora Harry con la testa appoggiata pesantemente sul palmo della mano e senza neanche sollevare lo sguardo dal libro che stava leggendo. I suoi occhi stanchi scorrevano pigramente la pagina senza davvero capire nulla di quello che c’era scritto e quindi non notò subito come il ragazzino sembrasse più agitato del solito. 

“Stai… stai studiando, Harry?”

“Sì.”

“E… cosa stai studiando?”, domandò il bambino. Harry corrucciò le sopracciglia e, stranita dal quel comportamento, alzò la testa per guardarlo. Sembrava preoccupato. 

“C’è qualcosa che non va?”, chiese, cercando di decidere se fosse una buona idea lasciare che Timmy strisciasse sui suoi appunti o se fosse stato meglio rimetterlo al suo posto nella cartella del bambino, dove vi erano meno rischi che qualcuno potesse vederlo.

“Mh…” Theo si dondolava sulle punte, la piccola fronte aggrottata ben più di quanto fosse normale per un bambino della sua età. Faceva scattare gli occhietti scuri di qui e di lì, in chiaro stato di agitazione, e persino il suo serpente sembrava infastidito visto che di solito preferiva non uscire mai dal suo maglione o dalla tracolla.

Harry sospirò. “Spara, Theo, qualsiasi cosa sia possiamo risolverla insieme.”

Il ragazzino si fece improvvisamente piccolo e imbarazzato. Harry quasi non riuscì a sentirlo quando aprì bocca, nonostante nella Biblioteca non vi fosse altro che silenzio e qualche eventuale fruscio di pagine. 

“Ho dei problemi… con un incantesimo.”

“Che incantesimo?”, domandò allora Harry, addolcendo la voce nel modo in cui aveva visto fare alla signora Weasley quando si rivolgeva a lei o ai suoi figli — se non era arrabbiata con loro, naturalmente.

Theo non rispose ma prese un libro dalla sua cartella, aprì una pagina e lo spinse verso di lei con fare timoroso. Harry fece un sorrisino al bambino, cercando di tranquillizzarlo, poi guardò l’incantesimo che Theo le stava indicando.

“Wingardium Leviosa?”, chiese conferma e, al cenno di Theo, continuò. “Va bene, allora. Fammi vedere il movimento che fai.”

Il bambino si posizionò e aprì la bocca, ma fu prontamente fermato e la sua bacchetta abbassata. 

“No, no”, gli sussurrò concitata Harry, gli occhi che scattavano di qui e di lì alla ricerca di eventuali testimoni. “Mostrami solo il movimento, senza parole. Cerchiamo di evitare di fare pasticci qui in Biblioteca, ok? Non voglio che Madama Pince si arrabbi.” Dopotutto, i primi incantesimi di Harry erano stati un disastro totale e non voleva rischiare che Theo rovinasse dei libri. Aveva bisogno di quella Biblioteca, non poteva farsi cacciare perché il bambino aveva buttato giù tutti gli scaffali o aveva dato fuoco a qualcosa.

Theo annuì subito e lanciò anche lui una veloce occhiata a destra e a sinistra, assicurandosi che non vi fosse nessuno nei paraggi proprio come aveva fatto Harry, poi le mostrò il movimento che a dirla tutta sembrava più un tentativo di non far cadere la bacchetta che un vero incantesimo, così Harry si alzò e procedette a correggerlo.

“Sbagli, devi mantenere il polso più in su rispetto alla bacchetta. Puntala un po’ verso il basso. Ecco, così, bravo. Ora, quando fai il movimento, fai attenzione alla curvatura, non tagliare subito verso il centro o non funzionerà.” Fece un esempio con la propria bacchetta, prima lentamente, perché lui potesse studiarlo, poi a velocità normale. Il bambino la guardò attentamente per tutto il processo e, risoluto, lo imitò. “Sei uno studente veloce, Theo. Ora fammi sentire come dici l’incantesimo, questa volta solo a voce.” 

“W-w-wingardium Levi-iosa.”

“Qualche ‘w’ e ‘i’ di meno, questa volta. Su, ripeti.” Così il bambino ripeté finché non ebbe una pronuncia perfetta. Harry sorrise. “Molto bene, Theo, davvero! Dopo, quando usciamo da qui, cerchiamo di esercitarci davvero sull’incantesimo. Va bene?”

Harry si stava già rimettendo a sedere, stanca ma decisa a finire almeno il capitolo che cercava di leggere da due ore a questa parte, quando la vocina di Theo la riscosse.

“Perchè queste cose non ce le dicono in classe?” 

“Be’, credo perchè ci sono tanti studenti, no? Sarebbe difficile gestirli tutti ad uno ad uno. E poi i primi anni sono sempre più numerosi, col passare del tempo migliorerà, fidati. Ci saranno sempre meno studenti e i professori impareranno a conoscerti. Starai bene.”

“Ma io non piaccio molto ai professori…”, disse a quel punto il bambino con un sussurro triste e allungò una mano verso il suo serpente, che si era arrotolato sotto la luce di una candela magica. Timmy subito si infilò nella sua manica, contento che il suo padroncino si fosse calmato.

“Oh?” Harry guardò confusa Theo, cercando di intuire qualcosa dalla sua espressione, ma il ragazzino aveva lo sguardo basso e in penombra. “Il professor Flitwick”, iniziò allora con voce cauta, cercando di leggere al suo meglio il linguaggio del corpo di Theo, “si è sempre preoccupato molto dei suoi studenti, indipendentemente dalla loro casa.” 

Ma il bambino la interruppe ancor prima che finisse scuotendo il capo risolutamente. “Lo so. Non è il professor Flitwick il problema. O meglio, lo è anche lui, ma…”

“Ma?”

Theo tirò su col naso. “Stiamo con i Grifondoro.”

“Ah.” 

In tutta onestà, non ne era neanche tanto più sorpresa, anche se il pensiero si accompagnava sempre con una fitta di dolore. Prima Piton, poi Theo... c’era un problema lì sotto ed era dolorosamente evidente. 

Quando stava dall’altra parte, a Grifondoro, non credeva neanche che esistesse un accanimento del genere. Certo, la faida tra lei e Malfoy non era un segreto per nessuno, ma non era mai stato a senso unico, anzi, ancora le lampeggiavano davanti agli occhi quelle maledette spille “Potter puzza” del Torneo Tremaghi. Ma adesso che si trovava tra i Serpeverde assisteva a cose che prima non era stata in grado di riconoscere o non aveva voluto vedere: la faida tra Grifondoro e Serpeverde non era come quella tra lei e Malfoy, e non era per niente onesta con se stessa se a volte cercava di illudersi che lo fosse. Quando era una Grifondoro, dopotutto, nessuno aveva mai avuto il bisogno di dirle che una delle regole principali era quella di girare accompagnati con un altro Grifondoro perchè c’era il rischio che qualche subdolo Serpeverde attaccasse.

Cosa che, invece, sembrava accadere assai di frequente a parti inverse.

“Mi… mi danno problemi”, stava continuando Theo, i pugni stretti contro i fianchi e gli occhi lucidi. “Mi fanno tremare, mi lanciano le carte addosso e mi sussurrano cose cattive. Non riesco a concentrarmi, non riesco… non riesco a fare niente, e i professori sono sempre così delusi da me.”

Harry si guardò intorno, poi allungò una mano verso Theo e lo tirò a sé, impacciata. Theo ne approfittò subito per stringere la braccia intorno al suo collo e piagnucolare. 

“Forse dovresti solo farlo notare ai professori”, suggerì Harry dopo qualche minuto, cercando di essere rassicurante. “Potresti chiedere di farti mettere vicino a qualcuno meno problematico, un Serpeverde, magari.”

Theo sussurrò qualcosa di incomprensibile nel suo maglione.

“Come?”

Il bambino si scostò appena dal suo abbraccio e incontrò brevemente il suo sguardo, prima di puntare gli occhi a terra alle sue scarpe. “Emma e Georgina non mi vogliono.”

“Emma e Georgina? Sono le tue compagne di Serpeverde?” Un cenno. “Be’, basta un altro Serpeverde che non siano Emma e Georgina, semplice.” Ma quelle parole sembrarono intristire ancor di più il bambino, che iniziò a tremare e a tirare frequentemente su col naso. 

“Non ci sono altri Serpeverde oltre a Emma e Georgina”, spiegò con voce tremante, poi si rigettò subito tra le braccia di Harry.

“Oh.” Fu tutto quello che la ragazza riuscì a dire, mentre il bambino le piangeva sulla spalla. Harry aspettò che Theo si calmasse un po’, dopodichè lo tirò di nuovo lontano da sè e lo guardò negli occhi, questa volta assicurandosi che lui non abbassasse di nuovo lo sguardo. “Senti, facciamo così, parlerò io con i professori e vedrò di aiutarti con Emma, Georgina e tutti gli altri, va bene? Ora che ne dici se ripetiamo un altro po’ quell’incantesimo, ti va?”

Theo annuì subito e così ripresero a lavorare sull’incantesimo. Non che il bambino ne avesse ancora bisogno, ma Harry non se la sentiva di lasciarlo da solo in quelle condizioni e, dopo l’esperienza con Piton, non voleva neanche che se ne andasse in giro per Hogwarts senza qualcuno al suo fianco per proteggerlo. 

Dopo gli eventi di quel giorno, era impossibile non lasciare che i pensieri vagassero. E, come ovvio in quella circostanza, capitava sempre che si soffermassero sempre su quelle spiacevoli scoperte che non poteva più seppellire sotto strati e strati di orgoglio e cavalleria Grifondoro. Aveva visto già nel Pensatoio del vecchio Piton un indizio della portata del bullismo di Sirius e di suo padre, ma era diverso dal vederlo accadere quotidianamente davanti ai suoi occhi, ogni giorno della settimana. Potevano essere piccole sciocchezze, come buttargli a terra dei libri o farlo inciampare, ma a volte erano più cattivi ed elaborati, come lo scherzo con Aguamenti o come nel ricordo che Harry aveva visto al suo quinto anno.

Chiaramente, era ben lontana dal dire che la sua vecchia Casa fosse un covo di bulli. Bastava pensare a Hermione o Ron o Neville o qualsiasi altro dei suoi amici… anche Lily, volendo fare un esempio più attuale. Ma non era neanche la Casa bianca e candida che aveva sempre pensato che fosse, in contrasto con gli oscuri e malvagi Serpeverde. 

Persa in quei pensieri e con un occhio su Theo che si esercitava a pochi passi da lei, non notò subito la figura che si librava a lato della sua visuale e fu solo grazie a un leggero colpo di tosse che quella la avvertì della sua presenza. Harry si girò immediatamente e così Theo, che sembrava spaventatissimo di esser stato colto in flagrante.

“Non si possono fare magie in Biblioteca, sapete?”, disse Lily Evans sorridendo. “Sono una prefetta, normalmente dovrei prendere punti.”

La bocca di Harry si chiuse tutto d’un botto con uno schiocco di denti e arrossì. “Non non stavamo… voglio dire… io e Theo… non c’era magia… solo…”

Una dolce risata si levò dalle labbra di Lily, risuonando appena nella Biblioteca. Subito la ragazza si tappò la bocca con una mano, sogghignando e guardando di sottecchi alle sue spalle in un atteggiamento cospiratorio. “Non vi preoccupate”, disse quando fu sicura che Madama Pince non l’avesse sentita, “non prenderò punti. Piuttosto, in cosa vi stavate esercitando?”

Le guance di Harry erano in fiamme e non voleva fare altro che nascondersi sottoterra, ma si sforzò di rispondere. “Niente di che, aiutavo… aiutavo Theo con un incantesimo che non aveva ben capito.”

Theo annuì, come per rafforzare la risposta, ma corse a nascondersi dietro le sue gambe non appena l’attenzione di Lily si posò su di lui. Lily ridacchiò.

“Be’, se avete bisogno di tempo, posso aspettare. Credo di essere un po’ in anticipo, in effetti.”

Harry guardò alle sue spalle a Theo, che ancora si nascondeva imbarazzato. Scosse piano la testa. “Credo che abbiamo finito qui. Evans, ti presento Theo. Theo, Evans.”

“Lily va bene”, lei aggiunse con un sorriso e Theo si calmò, scostandosi appena dal suo rifugio dietro le gambe di Harry e guardando curiosamente la ragazza con i capelli rossi. Poi afferrò una manica di Harry e la tirò appena.  

“Posso… posso rimanere qui con voi? Non voglio uscire.”

Harry guardò prima Theo poi Lily. Si schiarì la voce. “Ti… ti dispiace se Theo rimane con noi? Anche lui stava studiando e...” Diede uno sguardo veloce al bambino, che la guardava con occhi imploranti — evidentemente neanche lui voleva avventurarsi da solo nei corridoi di Hogwarts, col rischio di incontrare qualcuno dei suoi tormentatori. “È un ragazzo tranquillo, davvero.”

La risata di Lily era dolcissima. “Certo, non c’è problema.”

E in un attimo Theo sembrò tranquillizzarsi. Il suo volto si distese, le sopracciglia persero la loro forma scura e aggrottata e le spalle caddero, come se fino a quel momento fossero rimaste rigide come un manico di scopa. Rimasero a guardarsi per qualche secondo in silenzio e Harry si agitò a disagio sui suoi piedi, insicura sul da farsi. 

“Vedo che stavi già studiando”, disse a quel punto Lily, avvicinandosi alla sua scrivania e dando un’occhiata alle sue letture. “Il percorso della storia: un tempo non lineare di Christopher Cohen; Nuove teorie sulla ricostruzione del passato, Lysandra E. Black; De Tempore et Divinatione, Aurelius M. Maximum… questo non è neanche in inglese, sai leggere il latino?”

“No. Stavo, ehm, imparando.” Harry indicò un dizionario che giaceva scompostamente in un angolo del tavolo, abbandonato in preda alla frustrazione dopo l’ultimo infruttuoso tentativo di traduzione.

“Vuoi una mano? Ho studiato un po’ di latino in queste ultime estati. Credevo che mi avrebbe aiutato con, be’, tutto, considerando che tutto il mondo magico è basato in buona parte sul latino.”

L’offerta era stata posta in modo gentile, ma l’idea di passare più tempo del necessario con sua madre spaventò Harry così tanto che scosse il capo con fin troppa veemenza. Non si sarebbe meravigliata se Lily si fosse offesa dopo un rifiuto tanto maleducato, ma Lily non si offese e sembrò solo un pochino dispiaciuta. Immediatamente Harry si sentì in colpa.

“Sono sciocchezze, davvero”, cercò di spiegare. “Uno stupido progetto personale, non vale la pena imparare un’intera lingua per questo.”

“Sembra che tu ti stia impegnando un bel po’ con questo tuo progetto, però. Ma non insisterò, non ti preoccupare.”

Harry arrossì, quasi tentata di scusarsi. Alla fine fece un cenno alla sua scrivania. “Ti va bene se ci sediamo? Se aspetti qualche minuto, rimetto a posto questi libri e iniziamo.”

Lily annuì, così Harry si caricò in braccio la sua pila di libri e procedette a riporli, ben felice della tregua che questa attività le avrebbe dato da sua madre. Ne approfittò per calmare il cuore impazzito e dare una scossa ai suoi pensieri: era già abbastanza stupida di suo, non era necessario che anche l’emozione facesse la sua parte. Quando tornò, trovò Lily a conversare piacevolmente con Theo.

“... e allora papà me l’ha regalato per difendermi dalle persone cattive, per spaventarle, ma Timmy è troppo pauroso e non vuole mai vedere nessuno. Quando siamo in camera si nasconde in fondo al baule e non vuole uscire, anche se siamo solo io e lui. Credo che gli manchi casa…”

“Non ti preoccupare, sono certa che più in là imparerà che anche questa è casa sua. Hogwarts è casa di tutti.”

Theo annuì. “Giusto. Timmy deve solo crescere, come me. Hogwarts ora è casa mia, giusto? È casa di tutti.”

“Esatto.” Ridacchiò Lily.

Theo sorrise di rimando, poi corrucciò la fronte, improvvisamente serio. “Di tutti, tranne dei babbani e dei sanguemarcio, però.”

Subito ogni senso in Harry si rizzò, e così fece anche Lily se l’improvvisa rigidità della sua schiera fosse stato un indizio. 

“E questo chi lo dice?” domandò infatti la ragazza rossa mantendendo la voce bassa e dolce. Harry si avvicinò piano ai due, impressionata dalla capacità di Lily di rimanere calma anche di fronte a una parola del genere detta con tanto candore, come se la usasse ogni giorno. E probabilmente era proprio così.

“Papà.” Fu l’altrettanto candida risposta di Theo.

Lily annuì piano e stava per dire qualcosa quando Harry la anticipò, sopraggiungendo in quel momento alle spalle di Lily. “Theo.”

Theo si girò verso di lei sorridendo.

“Io sono una Nata Babbana.” 

E il sorriso del bambino si cristallizzò. 

Ma Harry non aveva ancora finito con lui e indicò la narrativa babbana che faceva capolino dalla sua tracolla. “E quel libro che hai preso è stato scritto da babbani.”

Gli occhietti nocciola di Theo iniziarono a correre spaventati da Harry al suo libro, come se vedesse entrambi per la prima volta. Alla fine si concentrò su di lei. “Tu?”, chiese con vocina flebile flebile ed Harry annuì. A quel punto Theo chiuse la bocca e si fissò le scarpe, pensieroso. Lanciò un piccolo sguardo a Timmy, che in quel momento assaggiava l’aria con la lingua dal colletto del suo maglione, poi a Lily, che a sua volta fissava Harry curiosa e sorpresa. Harry fece finta di non accorgersene.

Theo non parlò più, ma allo stesso tempo non si scostò quando Harry si sedette accanto a lui nè gettò via il suo libro. La guardò sconcertato per qualche istante, poi Timmy sibilò e lui si concentrò sul suo serpente, rimasto incastrato nei bottoni della camicia. 

“Allora”, iniziò Lily guardando Harry dall’altro capo del tavolo, le sopracciglia aggrottate e un sorrisino insicuro appena accennato sulle labbra, “sei anche tu una Nata Babbana.”

Harry annuì piano e si ricordò che, fino a prova contraria, Lucy Harrison non sapeva che anche Lily lo fosse. Cercò di fare una faccia sorpresa. “Anche tu?”

“Sì.” Ora Lily sorrideva apertamente ed era difficile per Harry non farsi distrarre da quel sorriso così luminoso. Merlino, era bellissima. “Sai, non pensavo che ci fossero Nati Babbani a Serpeverde… cioè, so che devono essercene stati di sicuro alcuni nel corso degli anni, ma non ne ho mai conosciuto nessuno.”

Harry si grattò la testa, imbarazzata. “Mh… forse si nascondono. Insomma, non lo dicono in giro.”

“Tu l’hai nascosto?”

Harry cercò di leggere qualsiasi sottinteso nella domanda di Lily, ma non ne trovò nessuno. Sembrava semplice e pura curiosità. A forza di cercare doppi sensi e cose non dette sto diventando proprio come i Serpeverde, pensò tra sè e sè, poi sbuffò. 

“No, anzi, è stata una delle prime cose che ho detto quando mi hanno presentata a banchetto. Credevo che tutti quei purosangue stessero per mangiarmi.”

“È una cosa molto coraggiosa da fare!”

“O stupida”, mormorò Harry con un filo di rosso che le colorava le guance.

“Io invece penso che tu sia stata coraggiosa, magari c’è anche un po’ di Grifondoro in te! Ci vuole molto coraggio per non nascondere quello che sei.”

Harry fece spallucce, compiaciuta e al tempo stesso imbarazzata. Cambiò subito discorso. “Hai già qualche idea per l’incarico di Flitwick?”

Lily sembrava volesse continuare sulla falsariga di prima, ma dopo qualche secondo di conflitto con se stessa sembrò cedere. “Qualcosina sì”, rispose, prendendo dalla sua cartella dei libri. “Ma speravo di confrontarmi con te. Dimmi, conosci qualcosa sulla teoria dell’Incanalazione?”

Alla fine studiarono un progetto fin troppo complicato per i gusti di Harry: un misto di Trasfigurazioni e Incantesimi così difficile che Harry gemeva al solo pensiero. Avrebbe voluto fare qualcosa di molto più semplice, qualcosa che avrebbe impiegato molto meno tempo e molta meno compagnia di sua madre, ma alla fine non era riuscita a resistere di fronte all’entusiasmo di Lily. Si diedero appuntamento la settimana prossima, il tempo necessario per studiare alcuni degli Incantesimi che avrebbero dovuto usare e i possibili modi in cui avrebbero dovuto legarli, poi si salutarono con un sorriso, forse il più vero che avesse mai ricevuto da Lily fino a quel momento.

Mi crede una Nata Babbana come lei, tutto qui, si diceva mentre accompagnava Theo in Sala Grande per la cena. È come quel sentimento amichevole fra camerati che appartengono alla stessa fazione e non necessariamente significa altro.

Eppure, nonostante se lo ripetesse in tutti i modi e in tutte le salse, non poteva fare a meno di sorridere più del solito, una risatina sciocca che si librava veloce dalla sua gola ogni volta che il ricordo del loro tempo passato insieme veniva alla luce. Se non fosse stata sua madre, avrebbe pensato di avere una cotta.

Aveva lasciato Theo in Sala Grande, con la promessa di Romilda di non lasciarlo da solo e di riaccompagnarlo quando avessero finito di mangiare, poi aveva preso una mela e si era incamminata nei sotterranei di Serpeverde, decisa a lavorare un po’ su quel libro latino che aveva preso in prestito dalla Biblioteca. 

Non aveva fame, nel suo stomaco c’erano già abbastanza farfalle.

Erano le otto di sera e i corridoi erano deserti, a parte Harry e qualche solitario fantasma che accorreva in ritardo alla Sala Grande. Benchè non mangiassero, infatti, i fantasmi erano sempre ben felici di riunirsi all’ora dei pasti, forse trovando divertente far passare l’appetito agli studenti con i loro macabri spettacoli di arti penzolanti e vestiti macchiati di sangue. Gli unici rumori in tutta Hogwarts erano i mormorii lontani dei ragazzi in Sala Grande, che ridevano, mangiavano e sbattevano le posate, e i passi di Harry che camminava quasi saltellando. 

All’improvviso un rumore affrettato di passi interruppero i pensieri di Harry e la faccia sorridente di Lily scomparve dalla sua testa, sostituita da ben più urgenti istinti alla battaglia. Si nascose in un’alcova del muro mentre i passi si facevano sempre più vicini. 

“Aspetta, fermati!”, gridò una voce femminile e subito dopo un fruscio di vesti suggerì che la persona in questione si fosse fermata, girandosi verso la sua inseguitrice.

“Se non mi vedranno in Sala Grande si insospettiranno!”, sussurrò urgentemente un’altra voce, anche questa appartenente a una donna. Erano entrambe molto familiari alle orecchie di Harry.

L’altra persona rispose qualcosa, ma era troppo lontana perché Harry la sentisse bene. “... bugia… non ti sei sentita bene…”

“Non ho il lusso di non sentirmi bene, Maryon!” Poi le voci si abbassarono, alcuni passi suggerirono che l’una si fosse avvicinata all’altra. “Scusa... credo che… momento migliore...”

Ma l’altra ragazza, Maryon, evidentemente non era d’accordo. Fu con voce alta e alterata che rispose. “Non è mai il momento migliore per te.” Harry rimase in ascolto, ma nessuna risposta venne dall’altra donna. Maryon continuò e, anche se rispose a voce più bassa rispetto a prima, Harry la sentì meglio: si erano avvicinate al suo nascondiglio. “Neanche Vivien sa niente e voi due condividete una stanza. Lo sai che è preoccupata per te? Non sa più che pensare.”

“Maryon…”

“Per favore, Narcissa, non tenerci all’oscuro.”

Harry trattenne il fiato. Dall’altra parte del corridoio, anche Narcissa ispirò violentemente. Sembrarono passare ore quando la futura moglie di Lucius parlò, la voce più stanca che mai. “È stato deciso.”

Un’altra pausa. Maryon si mosse un poco e questa volta il sussurro fu così fievole che, nonostante si fosse avvicinata, Harry quasi faticò a sentirlo. Era abbastansta sicura che c’entrasse in qualche modo la festa di Samhain, anche se non capiva bene per cosa.

“Sì.” Fu la risposta secca di Narcissa. “Mio padre ha già chiesto a Silente di esonerarmi da scuola quel giorno, vuole che partecipi anche io.”

“Vuole che tu prenda—”

“No, vuole solo che…” La voce di Narcissa divenne quasi beffarda, “mi presenti in società.”

“La scusa del matrimonio non ha funzionato?”

Un silenzio acuto rispose al posto suo. Dopo qualche secondo, Narcissa sussurrò qualcosa che Harry non sentì, poi alcuni passi incerti la allontanarono da Maryon avvicinandola ancor di più ad Harry. “Lucius farà tutto quello che gli dice suo padre, non si opporrà.” Altri passi. “Devo andare, Maryon.”

“Narcissa...”

“Scusa, non posso.” 

I passi si persero in lontananza, superando il suo nascondiglio senza un secondo di tentennamento. 

Passarono diversi minuti, ma Harry non sentì più nulla. Dovevano essersene andate entrambe. Decise di sporgersi appena dal suo nascondiglio per controllare.

E subito Maryon le fu addosso.

“Cosa ci fai qui?”, sibilò velenosa la ragazza, spingendola con tanta forza da mandarla al tappeto. Non le diede neanche il tempo di rialzarsi che le ficcò un ginocchio nella pancia e le puntò la bacchetta al collo. “Cosa hai sentito?”

Harry scosse veementemente il capo, ma Maryon la interruppe.

“Non importa.” I suoi occhi neri mandarono scintille di rabbia e la sua bacchetta penetrò più in profondità nella delicata pelle del collo di Harry. “Fra poco non ricorderai più niente.”

Subito gli occhi di Harry si spalancarono, terrorizzati. “No, aspetta!”

Obliviate.








N.d.A
Ciao! E scusate per l'attesa! Spero di riprendere a ritmi normali ora che la sessione è finita, quindi... dita incrociate! In ogni caso, ho notato di avere alcuni problemi con la formattazione (testo, corsivi, spaziature, ecc.) e sto cercando di sistemarli, ma sono ancora ben lontana dal capire come funziona questo editor :p .
Spero che la lettura vi sia piaciuta! Se avete qualcosa da dirmi sono sempre qui, come al solito!
Tanti abbracci,
Stella

 

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