Identites revealed di Sailor Silver Ladybug (/viewuser.php?uid=1162675)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Lo steccato ***
Capitolo 2: *** 2. Ciò che sente un gatto ***
Capitolo 3: *** 3. Il primo bacio di Usagi ***
Capitolo 4: *** 4. La sorveglianza ***
Capitolo 1 *** 1. Lo steccato ***
1. Lo steccato
Usagi si chiedeva da quanto tempo fosse lì, penosa, fredda, ed esposta. Poteva essere un anno... forse due, o dieci. Tre decadi... un milione di anni... e lei aveva FAME! Desiderò di avere un telefono, ma sua madre aveva detto che lei non "aveva mostrato abbastanza responsabilità". Davvero, solo perché ogni tanto dimenticava i compiti, e ok di solito non arrivava in tempo a scuola... o non si svegliava in orario. Ma cos'era una ragazza a fare?
Lo equilibrava bene? Con tutta la cosa del dover salvare il mondo?
Non aveva un orologio, ma era passata almeno un'ora... giusto? Si chiese dove fosse Luna. La sua voce era rauca a furia di gridare aiuto, ma se Luna fosse arrivata e l'avesse trovata lei avrebbe potuto cercare... Oh, aspetta. No. Nessuno poteva scoprire che era in grado di parlare. Anche se... Mamoru aveva sentito la sua voce una volta, quindi forse non sarebbe svenuto se lei gli avesse mandato una gatta che - NO! Non aveva intenzione di cercare quel... quello… STUPIDO!
"Wow Odango" disse una voce tra le risate. "Sicuramente sai come ficcarti nei guai."
La mia solita fortuna! pensò lei desiderando selvaggiamente di poter fuggire via. Nonostante il forte desiderio di urlare e strillare, Usagi con molta calma disse, a denti stretti, "Mamoru-baka potresti aiutarmi per favore."
"Non lo so Odango," disse con voce strascicata "con te nel recinto, non ci sarebbe nessuno pronto ogni mattina a scagliarsi contro il mio petto. Potrebbe essere bello andare a scuola senza essere molestato."
Usagi sbatté i piedi sull'asfalto frustrata, con i denti ancora stretti. Non poteva dirgli nulla o lui non l'avrebbe aiutata, e iniziava a essere buio. Desiderò che lo Youma avesse colpito più vicino a casa sua, ma non poteva farci nulla se era finita in quella parte della città.
Sfortunatamente, mentre stava cercando di aiutare un cucciolo a liberarsi dalla staccionata dove si era incastrato col collare e si stava strozzando, era rimasta bloccata lei stessa, solo che lei era messa peggio. La testa, le spalle e un braccio erano da una parte del recinto, ma dal petto in giù era dall'altra parte, carponi, con indosso solo la divisa di scuola che per fortuna la copriva di più rispetto all'uniforme Sailor. I capelli erano orribilmente incastrati nel recinto, e qualcosa la tirava verso il basso. Forse la spilla, o altri capelli.
"A far del bene ci si rimette sempre!" borbottò sottovoce "Vedi se lo aiuto, il prossimo cagnolino!" Ovviamente l'avrebbe aiutato. Lo avrebbe sempre fatto. Non c'era modo che potesse girare le spalle a qualcuno che aveva bisogno di aiuto, persona o animale che fosse. Ma adesso le rimaneva solo sedere lì e ascoltare mentre Mamoru la prendeva in giro per quanto tempo lui avesse giudicato appropriato, prima di comportarsi come un essere umano.
"Da quanto tempo stai così, comunque? Pensavi forse che dall'altra parte avresti trovato il tuo cervello?" Mamoru continuava a sbeffeggiarla.
Lei rimase in silenzio. Se gli avesse parlato ad alta voce avrebbe strillato e allora sarebbe rimasta incastrata lì ed era buio e freddo. Voleva andarsene! Aveva provato, davvero, a non piangere, ma grandi e silenziose lacrime avevano iniziato a scorrerle lungo il viso e iniziò a singhiozzare lievemente. Si sentiva così misera, e voleva davvero soltanto andare a casa.
***
Mamoru si sentiva un idiota colossale. Quella povera ragazza stava piangendo per colpa di quello che aveva detto. Perché doveva sempre comportarsi da stupido con lei?
Si inginocchiò dietro di lei, o meglio una parte di lei, e iniziò a tirare i suoi capelli via dal recinto senza far volare una parola. Gli ci vollero almeno dieci minuti prima di spicciarli, ma lei ancora non riusciva a uscire.
Le andò dietro, la afferrò per i fianchi, e tirò. Ma lei si mosse solo quanto permetteva l'ondeggiare del recinto, per quanto lui tirasse più forte. Provò ancora, con più forza, e tutto ciò che ottenne fu un'erezione che non sarebbe sparita quando i fianchi di lei avrebbero colpito i suoi, e si immaginò a prenderla in quel modo. Vari altri tentativi non fecero altro che rendere la situazione peggiore per lui.
Alla fine le disse di aspettare un attimo, e scavalcò la recinzione in un punto poco distante da lei. Inginocchiandoglisi di fronte dovette infilare le dita tra il petto di lei e il fiocco, e un pezzo di metallo dentellato. Realizzò che aveva tutto il petto squarciato e sanguinante. E lui era stato uno stronzo totale con lei. Si sentì ancora peggio. Specie dato che stando così vicino alla sua scollatura si stava eccitando ancora di più.
"Quando hai fatto l'ultimo richiamo per il tetano?" le chiese con lo sguardo fisso sul metallo arrugginito, riflettendo se fosse il caso di portarla al Pronto Soccorso.
"Non lo so. Mi pare quando mi si è ficcato il chiodo nel piede. L'anno scorso credo".
“Ouch” doveva aver fatto male, pensò. “Beh, se è così recente non penso tu abbia bisogno dell’ospedale”. Si mosse, spostandosi fino a stendersi su un fianco così da poter guardare sotto la ragazza. “La tua spilla si è impigliata.” Mamoru iniziò a pensare a come slacciarla senza infilarle le mani nella camicetta, ma non aveva scelta. La punta che la teneva si era infilata, attraverso il fiocco, nella maglia. Le sue dita le toccarono il seno e lui arrossì nell’oscurità.
Alla fine la spilla venne rimossa, e Usagi tirò fuori la mano per prenderla mormorando un “grazie”. Mamoru gliela diede, e lei la mise… da qualche parte. Un momento prima era lì e l’attimo dopo era sparita, un po’ come lui faceva apparire le sue rose, dal nulla. Usagi intanto provava ancora a liberarsi, e lui provò ad aiutarla, ma c’era solo una cosa da fare. Tirarle i fianchi. Accidenti!
Una volta che le prese gentilmente i fianchi, Mamoru tirò, e Usagi immediatamente balzò fuori all’indietro, sbattendo contro il cavallo dei pantaloni di lui. Mamoru si morse un gemito, e si alzò allungandole una mano per aiutarla. Poi, mentre camminavano in silenzio, si chiese una volta di più che cosa ci facesse lei in quella parte della città. Intanto, nella sua testa continuavano a risuonare le parole che le aveva rivolto.
“Mi spiace per quello che ho detto prima Usagi.” La sentì sussultare e, quando si girò a guardarla, la vide con la bocca aperta, sorpresa. Intanto continuava a chiedersi cosa lo spingesse sempre a trattarla così male. Che poi, se doveva essere onesto, a lui lei piaceva come persona. Era divertente e gentile e sveglia, anche se non lo dava a vedere.
“Uhm, tranquillo, va bene.” Gli sussurrò intanto lei. “Non sbagliavi mica sulla parte in cui ti inciampo addosso, è solo che faccio fatica ad alzarmi dal letto, non dormo molto, e sono sempre in ritardo la mattina, ed è come se tu fossi una calamita. Non penso, a parte te, di aver urtato due volte la stessa persona. E sei l’unico che su cui inciampo, sin da quando ci siamo conosciuti.”
“Come mai non dormi abbastanza?”
“Beh tra gli incubi continui e i comb- cioè, sì ecco, incubi.”
Mamoru aveva colto il lapsus, ma non lo menzionò. Lei era peggio di un puzzle, e ancora non sapeva dove collocare il pezzo. “Che cosa sogni?” le chiese alla fine.
“C’è un ragazzo. Lui mi ama e io lo amo, ma c’è una guerra.” Usagi corrugò le sopracciglia, frustrata. “E c’è una donna crudele che mi attacca, ma lui mi si para di fronte e si prende il colpo. Muore tra le mie braccia, e subito dopo io prendo la sua spada e mi uccido. E muoio. Fa male. Tanto. All’inizio mi svegliavo urlando, ma ora pare che ci abbia fatto l’abitudine.”
“Mi suona familiare. Era un film? Quella donna, aveva i capelli rossi lunghi? E se guardi in alto c’è la terra in cielo, e non la luna?”
Usagi annuì. “Sì, ma non mi pare di aver mai visto un film del genere. Forse quando ero più piccola.”
“E perché sei in giro a quest’ora?” Mamoru era curioso. Aveva combattuto contro uno Youma appena un’ora prima di trovarla, e si era fermato lungo la strada in una libreria sperando avesse qualcosa sui cristalli.
“Uh, ecco…” Usagi non riusciva a pensare a una scusa. “Avevo una cosa da fare… e poi c’era…” sospirò pesantemente prima di dire “Posso solo dirti che avevo un buon motivo?”
“Okay.” Mamoru si accorse che Usagi stava tremando. Ed effettivamente aveva iniziato a fare freddo, quindi la portò in un café vicino alla fermata dell’autobus. “Aspettiamo l’autobus qui”, e intanto ordinò per sé un caffè e per lei una cioccolata calda.
***
“Posso vedere il tuo libro?” chiese Usagi, notando il libro sulle gemme che sbucava dalla busta. “Prometto che te lo ridò”.
Quando le allungò il libro, lei sorrise per ringraziare e subito andò al glossario, sperando di trovare il cristallo d’argento menzionato. Trovò un cristallo di argento, tra quelli di vari colori, ma non era altro che un disegno tra tanti altri. Trovò poi i nomi dei Quattro generali. In quel momento, desiderò avere una penna per segnarsi tutto. Guardò di nuovo al titolo e decise che ne avrebbe presa anche lei una copia. Non aveva ancora pensato di cercare risposte in un libro.
***
Mamoru intanto era tornato con le loro bevande, e la stava guardando attentamente. Notò immediatamente cosa Usagi stesse guardando, cosa avesse cercato, e cioè il cristallo d’argento e i nomi dei generali. Chiuse gli occhi e sovrappose un’immagine di Sailor Moon sul volto di Usagi, e quasi rantolò quando se ne rese conto. Usagi era Sailor Moon!
Lei non gli aveva restituito il libro, e lui lo fece scivolare nella busta. “Non sapevo fossi interessata alle pietre preziose. Cosa ne sai a riguardo?”
“Poco e nulla. La mia è la perla…” rise. “Ma, come dire, mi ha incuriosita. Fra quanto arriva l’autobus?”
“Se è in orario circa tre minuti,” le rispose, indicandole la fermata. Per tenerla al caldo le aveva poggiato una mano sulla spalla. Usagi non gli aveva detto nulla e non lo aveva fermato, quindi Mamoru la lasciò lì fino all’arrivo del bus. Lei sedette vicino al finestrino, e lui scivolò accanto a lei, gustandosi la sensazione di tepore dei loro corpi vicini. Mamoru si immaginava benissimo le gambe di Usagi strette attorno ai suoi fianchi mentre… Scosse la testa. Essere adolescenti aveva i suoi lati negativi.
“Hai poi fatto quel compito di cui parlavi con Motoki ieri?” le chiese. “Hai detto che era per venerdì, giusto?”
“L’ho iniziato, ma mi confondo sempre con i tipi di parole. Qual è la differenza tra verbi e avverbi? I nomi sembrano facili… sarebbe bello se fosse tutto più facile da capire. Anche tu avevi problemi con Inglese?”
“Sì. Ci sono parole che si pronunciano nello stesso modo ma hanno significati diversi. Mi facevano impazzire. Ho odiato i test d’ingresso alle superiori per colpa loro” e rise. Parlarono fino a che non arrivò la loro fermata, e lui le chiese se voleva salire, per pulirle le ferite. Usagi si guardò il petto e fece una smorfia.
Mamoru viveva al diciottesimo piano. L’appartamento era relativamente piccolo, ma ben arredato, e tutto era nuovo. Usagi sedette sul bancone del bagno, così da non far piegare Mamoru. Il disinfettante pizzicava, ma ormai si era abituata a pulire ferite e tagli con l’alcool, che era anche peggio. Lui non disse niente alla sua non-reazione, ma la aggiunse a tutto quello che aveva imparato quella sera. Così come notò che le ferite, una volta pulite, sparivano.
“Dovrebbero guarire in un’ora, se sei veloce a guarire quanto me,” le disse, e aspettò di vedere la sua reazione. Sulla faccia di Usagi passarono varie espressioni. Sorpresa, confusione, irritazione, poi la realizzazione, e quindi shock, orrore, accettazione, e infine speranza.
“Sei tu?” chiese quindi eccitata, e lui annuì. Diede uno scatto e le apparve tra le mani la spilla. Lui fece lo stesso ed ecco che comparvero due piccole rose rosa. Mamoru sorrise, e le incastrò negli chignon di lei. “Oh grazie al cielo!” sussurrò Usagi “Adesso tutto ha senso.”
Lui la guardò di suggita “Cosa?”
Usagi arrossì di un rosa acceso e si guardò i piedi. “Cose da ragazze” mormorò. E lui capì. Le sollevò il mento e la guardò dritto negli occhi.
“No, cose da ragazza, ma anche da ragazzo.” Poi abbassò le labbra per incontrare gentilmente le sue. “Mi piaci anche tu in entrambe le forme. È il motivo principale per cui ti stuzzicavo” ammise.
“Adesso la domanda è: dobbiamo dirlo a Luna?” disse Usagi quando si separarono. Mamoru tremò. Quella micia lo odiava, quindi lui votava no. Alla fine lei fu d’accordo, ma gli fece promettere di non arrabbiarsi se, per qualche ragione, si fosse trovata costretta a confessare. Parlarono poi per un po’ del perché stessero cercando il cristallo d’argento, e dato che entrambi lo dovevano consegnare alla principessa decisero che non avrebbero lasciato che i sospetti di Luna si mettessero tra di loro.
Poi lui la accompagnò a casa, e si offrì per aiutarla con Inglese, per stare ancora un po’ insieme.
E diventarono ognuno il mondo dell’altro.
Note della traduttrice.
Questo è il primo capitolo di una raccolta. Sono 16 OS auto-conclusive totalmente indipendenti l’una dall’altra (ce ne saranno solo due che avranno lo stesso avvio, ma si svilupperanno poi in modi diversi).
Che dire, ragazzi.
Ho iniziato a leggere fanfiction su Sailor Moon quest’estate (la sessione estiva fa brutti scherzi), e come mia abitudine ho sfarfallato un po’ qui su Efp, un po’ anche su fanfiction.net, e ho trovato questa serie di storielle leggere, un po’ come l’anime che, nonostante la sottotrama abbastanza complessa (non di comprensione, ma proprio ben costruita), presenta spesso episodi lievi, un po’ sciocchi, ma molto divertenti e assolutamente preziosi.
Io spero possa piacere a molti. Ho promesso all’autrice, Tori, che avrei tradotto tutte le OS, e così farò. Solo, ci metterò un pochino, perché l’università (a distanza, maledetta) me se magna.
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Capitolo 2 *** 2. Ciò che sente un gatto ***
2. Ciò che sente un gatto
Mamoru Chiba doveva ammettere che la sala giochi "The Crown" aveva due valide qualità. Entrambe bionde.Il primo era il suo migliore amico Motoki, che inizialmente lo aveva convinto a venire alla sala giochi con la scusa del caffè gratis, così che potessero studiare insieme quando c'era calma. Erano amici sin dalle scuole medie, e ora che erano al secondo anno delle scuole superiori, avevano un sacco di esami e progetti da fare. E questo gli dava un'ottima scusa per continuare a venire.
Perché la seconda ottima qualità era la ragazza per cui aveva una cotta segreta da mesi. Era solitamente la più brillante, felice e divertente ragazza sul pianeta. Il suo vizio di correre in maniera assurda per la strada li aveva spesso portati a scontrarsi e a cadere per terra. E lui amava quando accadeva, perché significava che l'avrebbe ritrovata sopra di sé, ansimante (anche se spesso sfortunatamente era un lamento) per alcuni secondi prima che lei si rialzasse. E sfortunatamente, quando lei era nei paraggi, lui non diceva e non faceva mai la cosa giusta.
Ogni volta che la vedeva, la sua bocca si apriva e ne uscivano fuori cose orribili, terribili e spaventose. E lui non sembrava riuscire a fermarsi. Desiderava dirle quanto fosse bella, che lei gli piaceva e che avrebbe tanto voluto uscire con lei. Ma non poteva. E non solo per la sua linguaccia velenosa. Perché Mamoru aveva un segreto. Era l'eroe mascherato Tuxedo Kamen. Combatteva mostri e si scontrava con i generali del Dark Kingdom più volte nell'arco della settimana, al fianco di Sailor Moon.
I due combattevano insieme il Negaverse ormai da mesi. All’inizio non sapeva cosa gli stesse accadendo. Poi una notte si era trasformato di fronte a Motoki. Appena aveva rivisto l’amico, le domande avevano iniziato a far affiorare i ricordi. E da quel momento i suoi insulti nei confronti di Usagi Tsukino erano diventati intenzionali. Perché avrebbe preferito morire solo e miserabile, piuttosto che rischiare di metterla in pericolo.
Attraversò le porte e si diresse al suo solito posto, con la mente fissa sulla bionda. I suoi occhi azzurri lo colpivano sempre alla bocca dello stomaco. Le sue gambe, sottili e incredibilmente lunghe, lo lasciavano sempre a bocca aperta. Lei era assolutamente incredibile. Era divertente, dolce, e talmente gentile che ogni volta lo lasciava senza fiato. Trattava chiunque come so fossero amici di lunga data.
Gli ci volle un momento per realizzare che Motoki non era al bancone. Girò la testa e guardò allo specchio dietro l’altro bancone. Motoki era chinato su un tavolo. E seduta su una delle panchine c’era Usagi. Che stava piangendo. Non il lamentio che significava che era irritata o arrabbiata. No, era piuttosto quel tipo di pianto silenzioso, e Mamoru si preoccupò.
Discusse con se stesso. Era meglio andare a vedere cosa non andasse, o aspettare e chiedere a Motoki? Dopo quella che sembrò un’eternità (ma era passato, in vero, meno di un minuto), scese dallo sgabello e si diresse al tavolo. Si avvicinò abbastanza da sentire una parte della conversazione.
“… di loro si comportavano in modo strano. Cioè, rude, orribile. Umino era il peggiore. Ha alzato la gonna di Haruna-sensei, e poi uno degli altri l’ha fatta inciampare. E poi eravamo fuori in cortile e i ragazzi hanno lanciato dei sassi alla finestra del preside. E poi Umino…” e qui si interruppe, singhiozzando. Motoki le poggiò una mano sulla spalla. “Mi ha preso la mano e ha provato… ha provato a… a baciarmi. Non in un modo carino. Sono scappata, ma… c’è qualcosa che non va con loro.” E scosse la testa. “Stupida cartomante”.
La sua mente iniziò a lavorare con quelle informazioni. Aveva visto Usagi la sera prima, giusto di fronte a un negozio di cartomanzia. Lei lo aveva colpito in testa con una scarpa. Non aveva fatto davvero tanto male, ma era stato comunque cattivo con lei. Non ci aveva dato comunque molto peso. Slittò nella panca di fronte a lei, senza nemmeno guardare Motoki mentre l’amico guardava lei. Aveva bisogno di informazioni prima di andare a controllare quel posto.
“Va tutto bene Odango? Ho sentito qualcosa, e sembra che sia stata una brutta esperienza”.
“Sì,” rispose lei quietamente. “Scusa, non volevo trattenere Motoki onii-san.”
“Va tutto bene Odango. Sei sconvolta, non è vero?” Gli chiese lui.
Motoki aveva una mano sulla sua spalla, e gli gettò un’occhiata di avvertimento. Però lui ci stava davvero provando, ad essere gentile con lei. “Nessuno dovrebbe passare quello che ha passato oggi lei, o la sua insegnante.” Rispose Motoki.
“No, è vero,” fece Mamoru. “Vuoi che ti accompagni a casa, Odango?”
“No, ma grazie Mamoru-san,” gli rispose Usagi, sorprendendolo. A quanto pareva, lei lo chiamava baka solo quando lui era maleducato con lei. Mise da parte l’informazione per un’altra volta.
Un gattino nero con una luna crescente saltò sulle gambe di Usagi e strofinò la testolina sotto il mento della ragazza.
“Hey Luna,” disse Motoki facendole una carezza. “Ti segue davvero dappertutto eh?”
Usagi abbuì, e poi sgusciò fuori dal tavolino. “Uh, devo andare adesso. Ci vediamo dopo ragazzi, va bene?”
“Va bene Usagi-chan, sta attenta.” Le fece Motoki.
“Sì!” fece un piccolo cenno di saluto e corse fuori dalla porta, con il viso leggermente più sereno rispetto a poco prima, e Mamoru sospirò per il sollievo.
“Vado a dare una controllata a quel posto,” mormorò a Motoki.
Mamoru si diresse fuori, stringendosi nella giacca verde appena lasciò il locale. Non riusciva a togliersi dalla testa come era sottosopra Usagi. Si stava preoccupando per lei. Non l’aveva mai vista in quelle condizioni. Avrebbe preferito sentirla urlare dritto nelle sue orecchie, piuttosto che vederla piangere sul serio.
Era a metà strada tra il locale e la Casa della Fortuna quando sentì il familiare tiro nella pancia. Sailor Moon si era trasformata, e dalla direzione in cui era, Mamoru intuì subito che stava indagando sullo stesso posto in cui lui era diretto. Slittò in un vicoletto e lasciò andare la trasformazione, una rosa apparve nella sua mano e in un attimo era Tuxedo Kamen.
Corse sui tetti, saltando da uno all’altro con la facilità data dalla pratica, e poi scivolò nell’edificio sfruttando una finestra aperta al piano superiore. Mentre si faceva strada nel palazzo, gli giunsero all’orecchio i rumori di un combattimento, e sentì Sailor Moon piangere per la paura.
Quando la raggiunse, la guerriera era circondata da studenti maledetti. Incapace di combatterli o far loro del male, era arretrata fino a essere accerchiata.
Uno Youma a cui lei poteva facilmente tenere testa, ma non poteva ferire degli innocenti. Una rosa gli apparve tra le mani e lui la gettò addosso alla cartomante, sospirando di sollievo quando vide i ragazzi fermarsi. Lanciò alla giovane eroina alcuni incoraggiamenti e si girò, consapevole che lei fosse in grado di gestire il resto. Rimase comunque vicino, in caso avesse ancora bisogno di aiuto.
Jadeite uscì fuori da un angolo con un altro Youma al seguito. Aveva orecchie da gatto, grigie, e una lunga coda grigia. Non riuscì a schivare il lampo verde che iniziò a scorrergli intorno. Lanciò un ruggito appena tutto in lui iniziò a dolere, ma tutto ciò che venne fuori fu un piccolo “meow”.
Pochi attimi dopo si ritrovò sollevato dal pavimento. I suoi baffi iniziarono a fremere, la sua coda a sferzare l’aria intorno, le zampe gli facevano male. Il suo corpo gli sembrava strano, ma era perfettamente consapevole di essere stato trasformato in un gatto. Far funzionare quel suo nuovo corpo, comunque, era un problema.
Lo Youma e Jadeite erano appena scomparsi quando un piccolo gatto nero gridò a Sailor Moon che lo seguiva, prima di saltare via dietro di loro. Realizzare che la guerriera della Luna era ancora lì diede a Tuxedo Kamen speranza. Saltò e si avviò a tentoni verso di lei, che stava ancora celebrando un lavoro ben fatto. Si girò subito e lo tirò su.
“Ce l’abbiamo fatta!” disse mentre lasciava la Casa della Fortuna.
Mamoru guardò su alla bella Moon Senshi. Era calda e dolce, e gli ricordò qualcuno, anche se non riusciva a capire chi. Di nuovo provò a chiederle aiuto, ma ne venne fuori solo un altro “meow”.
“Va tutto bene Luna, non vedo nessuno,” disse Sailor Moon. Quella sì che era una bella coincidenza. Quanti gatti di nome Luna aveva incontrato in un solo giorno. “Oh” continuò poi, “questo mi sembra un buon posto. Non vedo nessuno.” Mamoru vide come lei si guardava attentamente intorno mentre entrava nel vicolo. Una luce gli fece chiudere gli occhi per un secondo.
Dopo aver strizzato gli occhi un paio di volte si girò nuovamente a guardarla. E rimase shockato. Sailor Moon era Usagi Tsukino. La ragazza di cui era innamorato e che voleva tenere lontano dai guai.
Sentì il mondo diventare nero. Questo era troppo. I suoi occhi si chiusero e si accasciò tra le sue braccia.
Quando i suoi occhi si aprirono di nuovo, si ritrovò su un letto con Usagi che lo guardava, carezzandogli la testa e sussurrandogli paroline gentili.
“Va tutto bene. Sei al sicuro.”
Luna era in piedi alla fine del letto, gli occhi fissi su di lui.
“Sei sicura che sia lui Luna?” chiese e la gatta annuì. Lui stava a guardare, cercando di ricordare cosa fosse accaduto.
"Meow?" chiese, provando a chiedere aiuto.
“Come mai non parla?” chiese Usagi alla sua amica.
“Non lo so. Probabilmente perché è un vero gatto, sai che io non lo sono. Vengo da un altro pianeta, ne abbiamo già parlato.”
“Scusa Luna, sono solo preoccupata. Sembrava non riuscisse nemmeno a camminare bene, prima.”
“Essere trasformato in un gatto fa questo a una persona, suppongo” rifletté il gatto. Tuxedo Kamen la fissò, sperando che potesse capirlo.
“Meow?” chiese, speranzoso.
“Mi spiace, non riusciamo a capirti. Va tutto bene comunque. Luna ha visto cos’è successo, e io sto andando a cercare lo Youma.”
Lui scosse la testa in un ‘no’. Non poteva andare a cercarlo da sola. Aveva bisogno che lui le guardasse le spalle. Cosa avrebbe fatto se ci fosse stato un secondo Youma, o se fosse stata una trappola?
“E ora, Tuxedo Kamen. Io so che è il tuo lavoro proteggermi, ma a volte finisco gli Youma prima che tu possa arrivare. A volte anche i salvatori hanno bisogno di aiuto.” Usagi sorrise. “Hai bisogno di qualcosa? Devi usare il bagno? Luna non ha una lettiera o cose simili. Onestamente credo non ci si avvicinerebbe nemmeno con un palo di 5 metri, quindi… devo portarti fuori. E immagino che non hai intenzione di mangiare cibo per gatti.”
Lui scosse la testa.
“La domanda è, dovremmo portarlo con noi,” disse invece Luna con voce ferma. “Ha ragione quando dice che spesso hai bisogno di aiuto. Non puoi sapere se c’è un altro Youma.”
Tuxedo Kamen annuì vigorosamente, e fece per sedersi sulle zampe posteriori, con quelle anteriori a tenerlo dritto. Diede un colpetto alla mano di Usagi e lei prese ad accarezzare il pelo sulla sua testa.
“Allora sai dov’è andato?” chiese Usagi.
“In un negozio per animali. Immagino ci sia almeno un altro Youma lì” le disse Luna.
“Bene, allora suppongo sia meglio un attacco furtivo. Nemmeno il tempo di un discorsetto di apertura” Usagi aggrottò la fronte. “Come mai me ne esco sempre con quelle parole? Non è che sia intenzionale.”
“Non lo so. Concentrati nel non dire nulla allora.” Luna saltò giù dal letto e scomparve per un paio di minuti. Quando fece ritorno, spinse la maniglia della porta e lui sentì il click della serratura poco dopo.
“Bene, dormono tutti. Possiamo andare.”
Usagi annuì e lo sollevò, dirigendosi verso la finestra. Si arrampicò su un piccolo balcone, e dopo essere saltata a terra corse giù per la strada, con Luna al seguito, molto più velocemente di quanto lui avrebbe mai immaginato.
Fecero un bel pezzo di strada prima che Usagi si fermasse in un vicolo. A metà strada c’era un secondo vicolo che terminava con un muro. Entrò e lo posò a terra.
“Voltati.” Ordinò Luna.
Tuxedo Kamen guardò la gatta e fece come gli era stato detto. “Potere del cristallo di luna, vieni a me!” sentì la voce calma ma ferma dietro di lui. Per alcuni lunghi secondi il vicolo fu illuminato dalla luce della sua trasformazione, poi Luna annuì permettendogli di guardare.
Sailor Moon era lì, sciolse la posa finale della fine della sua trasformazione e raggiunse il gatto per sollevarlo di nuovo. Lui vide Luna saltare e realizzò che non era sulla spalla della Senshi. Lei vi si arrampicò abbastanza facilmente. Nel momento in cui desiderò fare lo stesso, si rese conto di essere ben felice di essere pressato contro il morbido petto della ragazza, e sapeva benissimo che non c’era modo di arrampicarsi senza usare gli artigli.
Sailor Moon saltò e in un attimo stavano correndo sui tetti. Il negozio di animali verso cui erano diretti era silenzioso, tranne che per la risata aspra che riconobbe essere quella di Jadeite. La piccola eroina bionda si insinuò da una finestra e lo poggiò a terra. Luna saltò giù e lo raggiunse silenziosamente.
“Bene” sussurrò Luna. “Dovrebbero essere nel retro. Seconda porta. Dovresti essere in grado di attivare la tiara anche a bassa voce. Non lo so.”
Usagi provò a fare come la gatta aveva suggerito, poi tenne l’arma tra le mani e si avvicinò alla porta.
“Punta allo Youma con le orecchie da gatto e la coda grigie,” disse la gatta, “così Tuxedo Kamen dovrebbe riuscire a tornare normale e sarebbe in grado di aiutarti in caso di trappole o simili.”
Sailor Moon annuì. Lui e luna rimasero vicini ai suoi stivali non appena lei imboccò la porta. La aprì con un movimento veloce, poi il suo braccio si mosse così veloce che lui riuscì con difficoltà a vedere il momento in cui la tiara si trasformò in un disco. Non ci fu nemmeno uno stridio e lo Youma morì.
Tuxedo Kamen sentì di nuovo montare il dolore, e giacque sul pavimento per alcuni istanti. Quando fu di nuovo in grado di muoversi, Sailor Moon stava combattendo con un altro Youma, quest’altro blu e squamato, con artigli affilati e una lunga coda sottile. Aveva i capelli scuri, ma quella era l’unica somiglianza con una persona.
Sailor Moon venne gettata contro un muro di gabbie, con strani animali all’interno che sembravano l’incrocio tra un coniglio e un criceto. Lo Youma si stava buttando su di lei, ma Tuxedo Kamen era tornato in sé e gettò una rosa velocemente, fermando lo Youma nelle sue trappole mentre queste volavano via e circondavano il rettiliano. La cosa si dibatté, ma Sailor Moon si era già tirata su.
Tuxedo Kameno sentì il sussurro del suo attacco, e poi un’arma brillante colpì il collo dello Youma, lasciando solo un mucchietto di polvere. Jadeite non si vedeva in giro. Luna se ne stava sulla cima di una delle gabbie, e strillò non appena apparve una strana luce, prima che tutte le creature scomparissero come se non fossero mai esistite.
“Whoa,” disse Sailor Moon con un sorriso. “Ce l’abbiamo fatta. Penso sia un record Luna, tre Youma in una notte.”
“Stai migliorando tantissimo Us… cioè, Sailor Moon. Andiamo via di qui, ora.”
Sailor Moon tornò indietro e Luna e Tuxedo Kamen la seguirono per la stessa finestra da cui erano entrati. Raggiunsero il vicolo dopo poco, e lei tornò ad essere di nuovo Usagi in un lampo di luce.
Tuxedo Kamen rilasciò anche lui la sua trasformazione, tornando a essere Mamoru.
“Usagi,” le sussurrò. E poi, senza pensarci due volte, sfiorò le sue labbra con un bacio gentile. “Grazie.”
“Di-di niente” balbettò lei, arrossendo lievemente.
“Mi devo scusare con te” disse lui, e tirò fuori tutto. La sua paura di essere ferito, la sua paura, ancor più grande, che lei venisse ferita per colpa di chi era lui, il suo amore crescente per lei, e la sua ammirazione per lei, sia come Sailor Moon, sia come Usagi. Il modo in cui lui si sentiva chiamare quando lei si trasformava, e come avesse capito di tenere a entrambe le parti di lei, quasi quanto teneva alla sua Principessa della Luna.
“Principessa della Luna?” chiese Luna con eccitazione.
Mamoru annuì. “La sogno ogni notte. Mi chiede sempre di trovare il Cristallo d’Argento. Ne ha bisogno per svegliarsi.”
“Com’è? Com’è fatta?” chiese Luna. Lui notò che Usagi non aveva aperto bocca, e lo guardava con una strana espressione in viso, ma rispose alla domanda di Luna.
“È in ombra. Sta in piedi in alto su un balcone, e non le vedo il volto. Vedo solo i suoi lunghi capelli biondi. Sono raccolti in due odang-oh!” Guardò Usagi, che era tornata nell’ombra, e si gettò in ginocchio a terra un attimo dopo. “Oh Kami!” sussurrò.
Luna spostò lo sguardo da lui a Usagi più volte, prima di capire. Spalancò gli occhi e poi prese a guardare Usagi, sola con lui.
Ci fu un lievissimo sussurro da parte della biondina. “Endymion?” chiese.
Flash di ricordi iniziarono a colpirlo. Momenti passati in un grande roseto sulla terra, o su un balcone sulla luna. Poi chiese “Serenity?”
E lei anche cadde sulle ginocchia.
Luna era ancora silenziosa, mentre tutti e tre si guardavano l’un l’altro. Dopo quella che sembrò un’eternità finalmente parlò. “Ho trasformato la Principessa in una Guerriera. E il principe della Terra… oh la Centrale mi ucciderà!”
Usagi sorrise “Non lo permetterò.”
“Io nemmeno” annuì Mamoru.
Poi si alzò, e andò incontro alla ragazza che amava, aiutandola ad alzarsi prima di prenderla tra le braccia per un altro bacio gentile. “La mia Usako” le sussurrò.
“Il mio Mamo-chan” rispose lei.
Le accompagnò a casa, e la salutò. Adesso sapeva che quella notte i suoi sogni sarebbero stati diversi. Quelli di lei anche. Adesso conoscevano il loro passato. Era tempo di imparare il loro presente, e camminare insieme verso il futuro.
Note della traduttrice.
Lo so, sono un po’ in ritardo. Non ci sono scuse che tengano.
Però voglio un po’ spiegare.
La situazione, per via del COVID, è diventata insostenibile. Non so quanti di voi siano nella mia stessa situazione, ma non metto piede in università dal 4 marzo 2020. Più di un anno. Sono all’ultimo anno, manca poco alla mia laurea. Rendermi conto che non metterò più piede in università mi ha devastata.
So che ci sono sicuramente questioni più importanti, e che il voler fare lezione in un’aula universitaria, o studiare nella biblioteca di facoltà può sembrare un capriccio, però è anche vero che oggi come non mai la parvenza di una normalità è insieme un’utopia e una cosa a cui guardare speranzosi.
Detto ciò.
Mi scuso per il ritardo immane (circa sei mesi), ma ho passato il mio tempo chiusa nella mia cameretta, alternando gli “ommioddiogliesami”, gli “ommioddiolatesi”, gli “ommioddioiltirocinio” e gli “ommioddiocheschifoquestavita”.
Nel frattempo ho anche fatto scorpacciata di anime, giusto per non perdere le care, vecchie, abitudini.
Spero di far arrivare presto il prossimo episodio. Davvero, prometto che mi impegnerò.
Tanti saluti,
Calypso_
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Capitolo 3 *** 3. Il primo bacio di Usagi ***
3.
Il
primo bacio di Usagi
Mamoru
e Motoki
stavano ridendo per l’ultimo litigio di Rei e Usagi. Le due
avevano messo su
una litigata sugli argomenti più assurdi. Poi ci sarebbe
stata quella che i
clienti affezionati della sala giochi e del bar chiamavano guerra
di lingue1.
Che è una cosa ridicola da dire, Mamoru lo ha sempre
pensato. Lo faceva
sembrare come se si stessero baciando, o come se le loro lingue, da
sole,
avessero in qualche modo imparato a usare delle armi e stessero
scagliando
raffiche nella breve distanza che c’era tra le due ragazzine.
Mamoru
anche,
ovviamente, metteva su ridicoli teatrini con Usagi. Per la maggior
parte sui
suoi capelli… la chiamava Odango Atama, cioè
Testa a Odango2. E la
prendeva in giro per i suoi voti, per i suoi perenni ritardi, e i suoi
movimenti maldestri. Ma le lamentele più veementi
riguardavano il suo essere
rumorosa, e la velocità della ragazza nel mandare
già enormi quantità di cibo.
Mamoru sorrise, a ripensare a certi loro bisticci. Non gli sarebbe
dispiaciuto
ingaggiare con lei una battaglia di lingue, la variante col bacio,
ovviamente.
Ma era abbastanza sicuro che lei non aveva ancora avuto il suo primo
bacio, e
che lo stava riservando per una persona speciale. Lui non glielo
avrebbe mai
rubato, e quindi la stuzzicava. Entrambi avevano abbassato i toni,
comunque,
comunque. Ora i loro litigi erano sciocchi quasi quanto lo erano quelli
con
Rei, e lui pensò che probabilmente potevano anche diventare
buoni amici.
Riprese
a guardare
nella loro direzione, abbastanza sicuro, e Rei aveva il braccio attorno
le
spalle di Usagi, mentre entrambe ridevano insieme. Mamoru sapeva che
Rei sapeva
essere severa alle volte, ma sapeva anche che, come anche lui, non
intendesse
mai dire cose davvero cattive nei confronti dell’amica.
Chiunque adorava Usagi.
Era una cosa con cui non si poteva scendere a compromessi. La ragazzina
era
talmente dolce e gentile che attirava le persone attorno a lei.
Usagi
si spostò
vicino a Naru, che stava giocando a Sailor V. Mamoru la teneva
d’occhio dallo
specchio. Non la stava stalkerando, solo faceva attenzione a lei. Non
la
seguiva a casa o cose simili. Beh, non esattamente. C’erano
volte che
continuava a litigare con lei anche per strada, per assicurarsi che non
le
succedesse niente. Entrambi erano consapevoli della cosa, comunque.
Yodu
entrò,
dandosi arie, insieme ai suoi amici, e si diresse dritto dove Usagi e
Naru
stavano giocando. La piccola rossa alzò lo sguardo non
appena il ragazzo più
grande le mise un braccio sulle spalle. Rabbrividì e
cercò di allontanarsi.
Usagi, vedendo la sua reazione, si alzò e lo
fissò.
“Lasciala
in
pace!” urlò, catturando così
l’attenzione di Mamoru e Motoki, che stavano
ancora al bancone. Le altre ragazze iniziarono a schierarsi dietro di
lei.
Usagi allungò un braccio e torse quello di lui fino a quando
non lasciò Naru,
che prontamente si nascose dietro le spalle dell’amica.
Mamoru dovette
ammettere che le cinque ragazze apparivano formidabili, ma lui
conosceva Yodu,
e sapeva più che bene cosa avrebbe potuto fare. Fece un
cenno a Motoki e si
avvicinarono anche loro due al gruppo.
I
due amici
teppistelli di Yodu si mossero velocemente, afferrando ognuno un
braccio di
Usagi e avvicinandola a Yodu. Lei iniziò a urlare per il
dolore e per la rabbia.
Yodu ghignò e la afferrò per la schiena con una
mano, mentre l’altra si posava
sulla nuca della ragazza. Iniziò a tirare Usagi
più vicina, pronto a saltarle
addosso in quello che aveva tutta l’aria di un bacio non
voluto.
Mamoru
non sapeva
come aveva fatto ad attraversare l’intera stanza, ma si
trovò immediatamente di
fronte a Usagi, con Yodu che volava. Cadde a terra più o
meno a un metro da
dov’era, battendo pesantemente il sedere. Sentì i
rumori di una rissa, ma nel
tempo che il ragazzo era caduto a terra, Mamoru aveva preso Usagi e
l’aveva
portata via, saltando oltre lo sgabello di un videogioco e raggiungendo
una
consolle dall’altra parte della sala giochi.
La
portò via
tenendola stretta tra le sue braccia sicure, dietro il bancone e poi
nella
piccola sala relax. Si chiuse la porta alle spalle senza mai smettere
di
tenerla stretta, guardando come Motoki e le ragazze si fossero
sbarazzati
intanto della spazzatura. Naru intanto era corsa dietro ai giochi, e si
era
nascosta dietro lui e Usagi nella stanzetta.
Mamoru
osservò
Motoki e le quattro ragazze scortare fuori Yodu e gli altri due fuori
dall’Arcade. Avrebbe voluto raggiungerli e pestare a sangue
il ragazzo, ma la
ragazzina tremante tra le sue braccia veniva per prima.
Sentì, più che vedere, i
loro pugni. Il suo focus era Usagi in quel momento, quindi
lascò perdere la
rissa nel momento in cui uscirono dal locale, e strinse forte la
ragazza in un
abbraccio.
Le
ci vollero
alcuni minuti per calmare il respiro e i singhiozzi abbastanza per
parlare.
“Mamoru?” tirò su col naso, ancora
piuttosto turbata e spaventata. Lei lo
guardò, e lui non poté far altro che stringerla
un altro po’.
“Va
tutto bene,
Usagi, è andato via.” Non l’avrebbe
certo chiamata Odango in un momento simile.
Mamoru
cercò di
tenere a bada la rabbia nella sua voce, non voleva assolutamente che
venisse
fuori quanto vicino era stato ad ammazzare Yodu. Quel ragazzino andava
preso e
punito per come trattava le ragazze. Ed era nella stessa classe di
Mamoru. Non capiva
come avesse superato la quinta elementare2! Lei
ancora tremava e
tirava su col naso. “Non permetterò che qualcuno
ti faccia male, mai.” Le
promise.
“Lo
so” rispose
lei, nascondendosi sul suo petto e continuando a piangere.
“Usagi?”
Mamoru
non era certo di voler fare quella domanda.
“Sì?”
rispose lei,
stavolta senza alzare lo sguardo.
“Sarebbe
stato il
tuo primo bacio?” e quasi si strozzò, Mamoru, nel
chiedere. Lei annuì contro il
suo petto, ma non disse altro. E lui avrebbe voluto strozzare Yodu. Era
fortunato che Usagi era la sua priorità. Forse un
po’ meno fortunato, dato che
c’era anche Makoto. Non era sicuro che il ragazzo sarebbe
sopravvissuto all’ira
di lei. Tra l’altro, lei, Motoki e le altre ancora non
tornavano.
Gli
ci volle
un’ora, a Mamoru, per far sbollire la rabbia.
Un’ora
e ancora la
rabbia di Mamoru non era passata. Sedeva al bancone, mandando
giù una tazza di
caffè e il suo stesso carattere. Una parte di lui voleva
scovare Yodu ovunque
egli fosse, e picchiarlo fino a farlo sanguinare. Non sarebbe stato
corretto
però, dato che aveva una forza fuori dal comune. Era un
ragazzo normale per la
maggior parte del tempo, ma quando il dovere chiamava lui diventava
Tuxedo
Kamen, il protettore di Sailor Moon, l’altra bionda imbranata
della sua vita.
Anche quando non era trasformato, era più forte e guariva
più velocemente di
chiunque altro.
Sentì
un suono da
dietro, e si girò in tempo per vedere Usagi tornare dal
bagno. Sembrava ancora
sconvolta, e aveva davvero voglia di prenderla e coccolarla. Avrebbe
fatto di
tutto per assicurarsi che fosse al sicuro e felice.
"Mamoru,
posso
chiederti un favore?" Usagi si stava strizzando le mani e aveva ancora
i
segni delle lacrime sulle gote. Sembrava pallida e spaventata.
Qualsiasi
cosa
Usagi.” Mamoru cercò di sorridere, ma non ci
riuscì. Era rimasta talmente tanto
tempo in bagno con Naru e le altre che si era preoccupato.
Puoi
riaccompagnarmi a casa?” Tirò di nuovo su col naso
e si scacciò una lacrima
dall’occhio. Lui subito la avvolse con un braccio, tenendola
stretta.
“Sì.
A meno che tu
non preferisca chiamare tuo padre e farti venire a prendere.”
Usagi scosse la
testa e si accoccolò più stretta alla spalla di
Mamoru.
Lui
fece cenno a
Motoki, e colse lo sguardo delle ragazze, promettendo loro
silenziosamente che
sarebbe stato attento a che niente accadesse a Usagi. Tutte annuirono,
certe
che lui avrebbe tenuto fede al patto. Si era guadagnato in qualche modo
il loro
rispetto, e anche se non era stato intenzionale, era felice di
ciò. Tenne
stretto il braccio intorno a Usagi, e prese le due borse, sua e di lei,
prima
di scortarla fuori dalla sala giochi.
La
passeggiata non
era lunga, in un giorno normale, ma i passi di Usagi erano trascinati.
Non era
sicuro di cosa volesse dire alla ragazza. Voleva assicurarsi che stesse
bene,
ma non era mai il migliore, quando si trattava di emozioni. Non aveva
conosciuto molto amore nella sua vita. Solo Motoki, e Usagi, si erano
mai
preoccupati davvero per lui. E per loro, lui avrebbe fatto di tutto.
“Stai
bene?”
chiese alla fine.
“Penso
di sì. Non
avrei mai pensato che qualcuno potesse fare una cosa del genere a
me” soffiò.
Poi “Ehi Mamoru?” chiese.
Lui
si fermò a
guardarla. Il sole stava iniziando a calare, e scintillava sui suoi
lunghi
capelli biondi, rendendola bellissima anche con le tracce di lacrime
sul viso,
e il naso rosso e un po’ infiammato. Le toccò una
guancia e lei lo alzò gli
occhi e incontrò il suo sguardo, arrossendo un po’.
“Voglio
chiederti
una cosa. Puoi dire di no. Non mi offendo.” Mentre parlava,
aveva preso di
nuovo a strizzarsi le mani, mentre il fiato le si bloccava in gola.
“Mi
chiedevo, sai… se forse ti andava… di
baciarmi”
Mamoru
rimase
immobile a pensarci. Sapeva che lei in quel momento era preda delle
emozioni. E
sapeva anche di avere buoni tre anni più di lei. E
però incontrò i suoi occhi,
e sorrise, assicurandosi di farle sapere che era felice della sua
richiesta.
“Non
ti dirò di
no, Usagi. Anzi, ne sarei onorato. Ma non stasera. Non dopo quello che
è
successo. Non voglio che associ il tuo primo bacio a questo. Il tuo
primo bacio
dovrebbe essere tutto quello che hai sempre sognato.”
Lei
tirò su col
naso, e poi gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo
stretto. Lui la tirò
su, tenendosela vicina e lasciando che piangesse sulla sua spalla.
"Mi
ha
spaventato," ammise alla fine, e i suoi singhiozzi le scossero il
corpo. Lui
la spostò tra le sue braccia, di modo da tenerla con un
braccio dietro le
spalle e uno sotto le ginocchia. Le due borse gli colpivano le gambe a
ogni
passo, ma non se ne preoccupò. Solo, la portò a
casa. Nel tempo che ci mise a
raggiungere la zona residenziale in cui lei viveva, Usagi si era
addormentata.
Camminò
fino alla
porta di casa sua e bussò piano. Ad aprire fu un ragazzino
coi capelli marroni,
che subito su fece indietro per chiamare la madre. Un uomo, che
somigliava
tanto al ragazzo, entrò nella stanza, seguito da una donna
dai capelli blu.
“Per
favore non
svegliatela,” sussurrò Mamoru appena lo
raggiunsero, “ha avuto un pessimo
pomeriggio.” La donna gli fece cenno di seguirlo su per le
scale. Aprì una
porta con una targhetta a forma di coniglio, e tirò
giù il piumino dal letto.
Sopra c’erano delle lune e dei conigli disegnati, molto
appropriati visti il
nome di lei. La poggiò gentilmente giù, mancando
per un pelo il micio nero. Gli
ci vollero due tentativi per togliere le braccia di lei dal suo collo.
Una
volta messa
comoda e coperta, Mamoru seguì sua madre giù per
le scale, con il piccolo gatto
nero al seguito. Si ritrovò seduto su una sedia in salotto,
a fronteggiare la
sua famiglia e i penetranti occhi magenta del gatto, che si era mosso
fino a
sedere sul tavolinetto. Non sapeva da dove partire per iniziare a
spiegare.
Io
sono Ikuko,”
disse quindi la donna con voce gentile, “lui è
Kenji” e indicò suo marito, “e questo
è Shingo”. Poi gli sorrise, “Mi puoi
spiegare cosa è successo?”
Mamoru
sospirò.
“Mi chiamo Chiba Mamoru. Sono un amico di Usagi, delle
ragazze e di Motoki” si
fermò, mentre gli altri annuivano.
“C’è un ragazzo, in classe con me e
Motoki.
È un po’ un idiota, soprattutto quando si tratta
di ragazze. Oggi è arrivato
alla sala giochi e ha cercato le attenzioni di Naru, afferrandole una
spalla.
Usagi è subito saltata per difenderla. Sapete
com’è fatta” e accennò a
Luna,
“ha salvato Luna da quella banda di ragazzini che la stavano
infastidendo.”
Tutta
la famiglia
della ragazza annuì. Suo padre si accigliò ma con
la mano gli fece cenno di
continuare.
Lui
riprese. “Yodu
è arrivato con un gruppo di suoi amici, ma io e Motoki non
ce ne siamo accorti
subito.” Nel dirlo abbassò lo sguardo, sentendosi
in colpa. Se avesse notato in
tempo gli altri ragazzi, non li avrebbe mai fatti avvicinare a Usagi.
“Due
ragazzi hanno afferrato Usagi e l’hanno trascinata fino a
Yodu. Lui l’ha presa
per la maglia e ha provato a baciarla. L’ho presa in tempo,
ma era vicino.
Credo di averlo colpito, ma sinceramente non ricordo bene. Ho preso
Usagi e
l’ho portata nella saletta relax. Motoki e le ragazze, tranne
Naru, li hanno
trascinati fuori dalla sala giochi. Sono abbastanza sicuro che Makoto
gli abbia
rotto un braccio. Ami ha detto di aver sentito qualcosa spezzarsi.
Usagi era davvero
spaventata. Si è stretta a me per un bel po’ di
tempo. Ha pianto un bel po’”.
Sospirò
ancora. “È
andata in bagno con le ragazze e Naru, e quando è tornata mi
ha chiesto di
accompagnarla a casa. Credo fosse preoccupata per come avrebbe reagito,
Tsukino-san,”
aggiunse, guardando al padre della ragazza. L’uomo
annuì soltanto, deglutendo.
“Sa che nessuno di voi l’avrebbe colpevolizzata, ma
credo fosse spaventata che
lei potesse andare e farlo fuori.” Prese un altro profondo
sospiro, poi
continuò.
“In
ogni caso,
sarebbe stato il suo primo bacio, e penso fosse più turbata
per questo, che per
il fatto che lui le abbia toccato il fondoschiena. Ha dei sogni a
riguardo,
vuole che sia speciale. Era così spaventata che, mentre
venivamo qui, mi ha
chiesto di baciarla. Penso che abbia paura che lui possa provarci di
nuovo.”
Abbassò
di nuovo
lo sguardo. "Le ho promesso che se ancora vorrà che la baci,
lo farò. Ci
tengo a lei, e farei qualsiasi cosa per lei, quindi se davvero vuole
che io lo
faccia, lo farò." Poi mandò giù un
bolo di saliva, e alzò gli occhi il
tanto che bastava per incrociare lo sguardo dell’uomo.
"Ti
piacerebbe restare per cena?" chiese Ikuko, sorprendendolo. Era
abbastanza
certo che dopo le ultime parole sarebbe stato cacciato a calci.
Guardò il padre
di Usagi, che annuì, e suo fratello che sorrise. Anche Luna
saltò sulle sue
gambe e iniziò a fare le fusa. Era una reazione enormemente
diversa da quella
che si era aspettato.
Diede
un debole
sorriso e annuì. Pochi momenti dopo, sentirono piangere
dalla stanza di Usagi,
e in un battito di ciglia il gatto era andato, con Ikuko dietro quasi
alla
stessa velocità. Mamoru rimase seduto in silenzio con Kenji
e Shingo, incerto
su cosa dire.
"Grazie,"
la voce di Kenji era quieta e calma, anche se poteva sentire tutte le
emozioni
che aveva accumulato sottopelle.
Mamoru
si inchinò
di nuovo. “Ah, è giusto che lo sappiate. Yodu
è bandito dalla sala giochi a
vita. Motoki me l’ha detto mentre le ragazze erano in
bagno.”
"Pensi
che
cercherà di nuovo mia sorella" chiese Shingo, con tono
preoccupato.
“Non
credo, ma non
mi sento di assicurarlo. Però posso dire che Usagi
è molto più forte di quanto
sembri. E non è sola. Tra le ragazze, me e Motoki,
quell’idiota non ha molte
speranze” e sorrise.
Primo
bacio
Era
passata circa
una settimana dall’incidente al Crown. Per un giorno o due si
era preoccupato,
perché Usagi aveva paura a mettere piede nella sala giochi.
Alla fine era
andato a prenderla davanti la sua scuola media, e le aveva promesso che
non
avrebbe lasciato il suo fianco per tutto il tempo che sarebbe voluta
rimanere. Non
voleva che la ragazza associasse un luogo di spensieratezza e
felicità a un
solo brutto momento, ed anche se non voleva farle pressione, voleva che
sapesse
che le avrebbe guardato le spalle se voleva entrare. Usagi sorrise a
Mamoru, e
il cuore del ragazzo ebbe un guizzo quando lei disse che poteva fare
tutto, se
lui era lì con lei. Nell’arco di quella settimana,
avevano passato molto tempo
insieme, non solo durante i loro scontri mattutini, o in sala giochi.
Lui aveva
iniziato a farle compagnia nel tragitto fino alla sala giochi, dopo
scuola.
A
volte le amiche
di lei li raggiungevano. Scoprì che gli piaceva la quieta e
studiosa Ami.
Makoto sapeva essere un po’ selvaggia alle volte, ma aveva un
cuore davvero
romantico. E poi era dolce, e spesso costringeva tutti a mangiare.
Anche Rei e
Minako spesso li raggiungevano durante il tragitto. Rei era fiera e
aveva un
bel carattere, ma sotto sotto era dotata di saggezza e comprensione.
Minako
somigliava in modo sorprendente a Usagi, un piccolo raggio di sole per
tutti, ma
era anche una brillante mente strategica, e piena di piani per
accompagnarla.
Passava il tempo provando a far mettere insieme la gente, rallegrandosi
quando
aveva successo.
Ma
era Usagi
quella che lo aveva più colpito. Non aveva notato quanto i
suoi pregi
superassero i suoi difetti. Non importava quanta fame avesse, avrebbe
dato via
il suo cibo subito se qualcun altro era affamato. Aiutava animaletti e
bambini
piccoli. Cantava meravigliosamente, e sembrava anche saper ballare.
Poteva non
aver voglia di studiare, ma a conti fatti era davvero intelligente.
A
volte le ragazze
sparivano senza ragione, ma alla fine si era abituato, e la cosa
capitava
sempre nel momento migliore, quando anche lui doveva andare. Solo
Motoki sapeva
che lui era Tuxedo Kamen. Lo avrebbe detto anche a Usagi, se avesse
avuto la
certezza che la cosa non l’avrebbe messa in pericolo.
Un
pomeriggio
stava accompagnando Usagi alla sala giochi, erano solo loro due. Usagi
era
silenziosa. Non si era ancora ripresa dall’incidente, e la
cosa lo preoccupava.
Ma quel giorno aveva un sorriso sottile in volto, e lui non poteva far
altro
che chiedersi a cosa stesse pensando. Stavano passando nei pressi del
parco
quando lei si fermò a guardarlo.
"Mamoru-san?"
La
guardò negli
occhi, notando in loro un piccolo luccichio. "Sì?" Era
curioso e, se doveva
essere onesto con se stesso, non voleva fare altro che chinarsi e
baciarla.
"Mi
stavo
chiedendo se intendevi davvero quello che hai detto?" Usagi
arrossì un
pochino. "Riguardo il baciarmi, se avessi ancora voluto."
Deglutì.
"Sì,"
sussurrò.
"Vorrei
che
lo facessi," disse lei, e lui si accorse che con la punta della scarpa
stava puntando a terra.
Lui
prese a guardarsi
intorno nel parco e vide una panchina che si affacciava sul ruscello.
"Vieni con me," disse gentilmente. C'erano bei fiori dappertutto e
pensò
che fosse un bel posto per il primo bacio di una ragazza, forse. Le
prese la
mano e la guidò. Si sedettero insieme e lui si
voltò verso di lei. "Sei
sicura Usako," sussurrò, senza nemmeno preoccuparsi che il
nomignolo che
le aveva dato gli sfuggisse dalle labbra.
"Sono
sicura."
Dicendolo alzò gli occhi verso di lui, con gli occhi cerulei
che brillavano per
l’emozione.
Allora
lui si
chinò, e le poggiò delicatamente il palmo della
mano sulla guancia, strofinando
il pollice su e giù sulla pelle liscia. Lentamente
abbassò le labbra su quelle
di lei, e iniziò a lasciare piccoli baci agli angoli della
bocca, prima di
premere delicatamente le labbra su quelle di lei. Sapeva di burro cacao
alla
fragola. Fece scivolare fuori la lingua, sfiorandole appena il labbro
inferiore, e quando lei aprì leggermente le labbra
approfondì il bacio.
Assaggiarla,
sentirla, era incredibile, e Mamoru era convinto che sarebbe potuto
morire
felice in quel momento, ogni suo desiderio era stato esaudito. Lei fece
un
piccolo suono, e gli toccò la lingua con la sua. Lui
sorrise, e anche lei a
ruota, prima di tirarsi indietro lentamente. Lasciò ancora
piccoli baci gentili
sull’angolo della sua bocca, e poi uno per uno sulle palpebre
chiuse, prima di
allontanarsi.
Lei
fece un
piccolo sospiro felice e aprì gli occhi, fissandolo con
soggezione.
"Wow," sussurrò. "È sempre così?"
Mamoru
scosse la testa.
"Non lo so. Solo che tengo molto a te. Volevo che fosse speciale."
“Anche
tu tieni a
me?” sorrise lei.
A
lui non sfuggì
la parola. Lei aveva detto anche. Significava che
lei teneva a lui. Sorrise
e le prese la mano. “Tantissimo, Usako.”
“Mi
piace.”
Ridacchiò, tenendosi una mano sulla bocca.
“Usako.” Poi gli sorrise.
“Mamo-chan.”
Non
riuscì a
trattenere la smorfia sciocca che si aprì sul suo viso.
Col
Negaverse
attivo, Mamoru non aveva avuto molto tempo per vedersi da solo con
Usagi nei
giorni a seguire. Provavano a stare insieme quando potevano, e spesso
lo si
vedeva seduto al tavolo con lei e le ragazze, il pomeriggio. Non sapeva
quanto
lontano quella relazione sarebbe arrivata, ma Mamoru era abbastanza
sicuro che
si stava innamorando di lei.
Era
stato facile
iniziare una relazione insieme, e tutti sembravano contenti, come se
non
avessero fatto altro che aspettare che succedesse. Mamoru piaceva ai
genitori
di lei, anche a suo padre. Specialmente considerando che era stato
onesto e
aperto con l’uomo riguardo i suoi sentimenti e le sue
intenzioni rispetto a
Usagi. Le sue amiche sembravano averlo accettato nel gruppo come se
fosse
sempre stato lì.
Motoki
lo aveva un
po’ preso in giro, ma nello stesso modo in cui lui lo aveva
preso in giro
quando aveva iniziato a uscire con Reika. C’era un accordo
silente, per cui
entrambi avrebbero fatto di tutto per aiutare la ragazza del proprio
amico,
come fosse la propria. E non guastava sapere che per Motoki Usagi era
praticamente una sorellina.
Un
pomeriggio,
mentre finalmente riuscivano a stare un po’ insieme,
tornarono al parco, seduti
su quella stessa panchina. Usagi stava diventando più
propositiva, baciandolo
nel modo in cui lei voleva, e a lui piaceva. Lei era la persona
più dolce che
lui avesse mai conosciuto, e tendeva a vivere la vita al meglio. E
adesso
tendeva al meglio anche nel baciare lui.
E
poi sentirono le
urla. Usagi balzò sulla panchina e si girò nella
direzione da cui provenivano,
cercando di correre da quella parte per difendere chiunque si fosse
fatto male.
E anche se amava questo in lei, Mamoru temette si trattasse di uno
Youma che
avrebbe potuto farle del male.
“Stai
qua, ci
penso io”.
“No!”
pianse lei, “ti
farai male!”
“Anche
tu”,
rispose lui, spingendola indietro quando provò a seguirlo.
“Non
rimarrò qua!”,
insisteva lei intanto, “devo andare.”
“Posso
farcela” continuava
lui. “Per favore, rimani qui al sicuro”. Non aveva
sentito ancora Sailor Moon
trasformarsi, ma sapeva che se uno Youma avesse attaccato, lei sarebbe
giunta
immediatamente.
E
poi sentì un bip
venire dal polso di lei, che distrasse entrambi. Lei coprì
l’orologio, ma il
suono continuò. C’era una strana lucina, e poi
sentì una voce. “Moon!” pianse
la voce “abbiamo bisogno di te!”.
Al
che Usagi sospirò
un “sto arrivando”, e quando mosse la mano apparve
la faccia di Mars.
Poi
si girò verso
di lui. “Non dirlo a nessuno”, gli disse, e poi si
spostò dietro gli alberi.
“Certo
che no!”, e
nel momento in cui si nascosero da sguardi curiosi tirò
fuori una rosa,
trasformandosi. “Sbrigati e trasformati”.
Usagi
aveva la
bocca spalancata. Quando la chiuse, si prese un altro secondo per
fissarlo. “Girati.”
Lui
obbedì. Ci fu
un lampo di luce e un suono improvviso, e poi dopo qualche secondo
Sailor Moon
gli stava tenendo la mano.
“Scusa,”
gli
disse, “ma io, uhm… beh si vede più di
quel che dovrebbe quando mi trasformo. Peggio
che con la fuku”, continuò a mormorare.
Corsero
insieme
verso la fonte delle urla, e lui lanciò una rosa per fermare
uno Youma che
stava attaccando una donna. Sailor Moon evocò la sua tiara,
“Moon tiara action!”,
disse, e la lanciò con una mossa morbida. Lo Youma si
disintegrò. Mars e
Mercury si avvicinarono velocemente.
“Perché
sei
arrivata tardi? Cos’è successo?” chiese
Mercury.
“Come
mai Tuxie è arrivato
con te?” Mars.
Sailor
Venus balzò
giù da un muretto. Lei e Sailor Jupiter corsero verso di
loro, mentro Tuxedo
Kamen le scrutava una per una. Adesso le riconosceva. Mars era Rei,
Mercury era
Ami, Jupiter era Makoto e Venus era Minako.
“Beh,
ora si spiegano
tante cose”, fece lui, e sorridendo si abbassò per
baciare Sailor Moon. Lei lo
baciò di rimando, sorridendo a sua volta.
“Conoscete
tutte il
mio ragazzo”, disse lei con un sorriso felice. Le ragazze
sussultarono, poi
mormorarono insieme il nome del ragazzo, ma Mamoru fu felice di notare
che
tutte quante lo avevano accettato come avevano fatto anche nelle sua
forma
civile.
“Penso
che abbiamo
molto di cui parlare” disse Sailor Moon, “ci
incontriamo al tempio?”
Mars
annuì, e
tutte gli diedero il benvenuto nel loro gruppo.
Tori's
Public Service Message
Okay,
momento spiegazioni… potete saltarlo se
volete, ma io devo dirlo. Ci sono cose che non sono accettabili. Tutti
noi perdiamo
il controllo e facciamo cose stupide seguendo “il
momento”. Non è di questo che
parlo. Quello di cui sto parlando è quello che succede
quando qualcuno fa
deliberatamente qualcosa sapendo che non è voluta. Anche un
bacio può spezzare
il cuore di qualcuno. Questa storia non è
“brutta” come quella sul Dark
Endymion, e non è nemmeno come in “Losing
Control”. Qui c’è un abuso, ma non
del tipo che viene punito di solito.
Per
qualcuno di dolce e innocente come la
quattordicenne Usagi, un bacio è davvero importante. Vi
ricordate di quando
Unazuki parlava del voler aspettare per il suo primo bacio? Nessuno ha
mai
parlato con me quando ero giovane del significato che ha un bacio.
Nessuno ha
sottolineato che avevo una mia scelta, che avevo il controllo del mio
stesso
corpo. Infatti, quelli che dovevano insegnarmelo tendevano piuttosto ad
avere
una bassa considerazione di ragazze e donne, e quando mi succedeva
qualcosa lo
minimizzavano.
Quindi,
questo è il mio messaggio. IL TUO CORPO TI
APPARTIENE. UOMO, DONNA, TRANSGENDER… non importa. TU hai la
facoltà di
decidere cosa possono o non possono farti. Se una persona ti spinge a
fare qualcosa
che ti fa provare tristezza, rabbia o paura, parlane con una persona di
cui ti
fidi. Anche se solo contatti RAINN.
Fine
della spiegazione.
Note
di traduzione
Prima
di passare alle note, ci tengo a scusarmi con chiunque attendeva questo
capitolo. Giaceva tradotto a metà da mesi nel PC, in attesa
di vedere una fine.
Non ho scuse, davvero.
1
Ho tradotto
letteralmente dal giapponese, ma la versione italiana è testolina
buffa,
mentre quella inglese è testa a raviolo.
L’odango è un’acconciatura
giapponese, diventata poi popolare proprio grazie a Sailor Moon, che
l’autrice
era solita farsi quando frequentava l’università.
2
nell’originale è seventh grade.
Ora, io sono abbastanza certa che qui
l’autrice stesse facendo riferimento al modello inglese di
scuola, e non a
quello giapponese (che prevede un ciclo scolastico del tipo 6-3-3). Seventh
grade mi fa pensare tanto alla scuola di modello inglese
(ricordo alle
elementari e medie la confusione per le classi che erano
così strane dalle
nostre). Anyway, ho supposto che quello di Mamoru
fosse un modo di dire
simile al “manco un bambino delle elementari” e mi
sono regolata di
conseguenza. Se c’è qualcuno che ne sa a riguardo,
eventuali
consigli/correzioni sono sempre ben accetti (anche perché
per un attimo mi è
venuto in mente che potessi sbagliarmi, e che intendesse piuttosto una
cosa del
tipo “sta in classe con Mamoru, e andava dietro alle
ragazzine delle medie”,
visto che Mamoru è ben più grande di Usagi e
delle altre). La versione
originale comunque è questa: “And
he was in Mamoru's grade.
He had no reason to go after a seventh grader!
Ci
ho tenuto poi a
trascrivere le note autrice di Tori, perché penso sia un
importante messaggio.
RAINN è l’acronimo di Rape, Abuse & Incest
National Network, un’organizzazione
no-profit attiva negli Stati Uniti, anzi la più grande
organizzazione, che si
occupa di prevenire gli stupri e aiutare le vittime di abusi.
Colgo
l’occasione per
spingere anche chi legge questa traduzione a seguire l’invito
di Tori. Chiunque
tu sia, se un’altra persona ti fa sentire a disagio, o se fa
fisicamente
qualcosa per farti del male in questi termini, denuncia.
Fine
dello spiegone.
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Capitolo 4 *** 4. La sorveglianza ***
AN:
Sì... Mamoru è un po' inquietante questa volta...
non è male, solo che non possiede molte abilità
sociali ed è sospettoso e curioso... e un po' innamorato.
Prometto che quando la storia finirà lui
migliorerà. Queste cose richiedono tempo.
TN : La storia di oggi è divisa
in due parti, ma entrambe sono pubblicate in un'unica soluzione. Come
avete già letto dalle note dell'autrice, il comportamento di
Mamoru qui è un po' "particolare"; ça va sans
dire, certi comportamenti non vanno assolutamente incoraggiati o
emulati.
Chiedo scusa qui, prima della storia, a
chiunque aspettasse questo aggiornamento. L'ultimo periodo per me
è stato un po' meh, e anche se non devo metterci l'inventiva
in questa storia perché è già scritta,
il pensiero di mettermi al PC e tradurla in certi giorni era davvero
ingestibile. Non voglio giustificarmi, solo spiegare i motivi che mi
hanno tenuta lontana da questi schermi. Non posso promettere nulla
purtroppo, ma sappiate che faccio del mio meglio.
La
sorveglianza
Capitolo
1
Curiosità
Chiba
Mamoru non era un uomo sospettoso. Non di solito. Non era un uomo fuori
dall’ordinario...
O meglio, non lo era mai stato. No, non molto tempo fa era un uomo
normale, anche se solitario. Finché non aveva incontrato
LEI. Era una super-eroina
della
varietà più carina.
Lunghi capelli biondi dorati raccolti in due chignon, con lunghi
festoni che le scendevano lungo la schiena e arrivavano quasi ai piedi.
E per un attimo, prima che lei cominciasse a piangere come una bambina,
mentre la guardava di profilo nella gioielleria buia, aveva visto solo
un assaggio di chi sarebbe potuta diventare e di chi sarebbe potuta
essere. Per appena un istante gli aveva ricordato la principessa dei
suoi sogni, anche se nessuna principessa poteva essere così
goffa e infantile, giusto?
Non
poteva essere una coincidenza che avesse incontrato due ragazze con
quei lunghi capelli biondi in quello stile nello stesso giorno. Nella
sua fuka,
come Sailor Moon, poteva vedere il suo volto, ma non riusciva a
cogliere alcun dettaglio che potesse rivelare la sua
identità. Questo lo colpì come un vecchio
concetto magico, chiamato glamour.
Era sicuro che qualsiasi cosa le desse tutti i suoi poteri la stesse
camuffando.
Lui
stesso non ne sapeva molto. Dopo tutto, si era trasformato solo poche
volte... ma era stato un bisogno disperato di arrivare a lei. Una rosa
era apparsa improvvisamente nella sua mano con un leggero movimento,
come se l'avesse estratta dal nulla. Forse una tasca subspaziale, o una
qualche forma di telecinesi. Avrebbe dovuto fare delle ricerche in
merito più tardi.
Ma
Mamoru era incuriosito. A diciassette anni viveva da solo, in un
piccolo appartamento, e, se non era soddisfatto,
almeno non era infelice di questa situazione. Aveva un amico, Motoki,
che lavorava alla sala giochi. E se non si sbagliava, era il posto
migliore per iniziare a osservare la ragazza. Doveva sapere. Doveva
scoprire se i suoi sospetti erano veri. E se lo erano, doveva imparare
ogni minima cosa sulla ragazza. Chi era. Come aveva ottenuto i suoi
poteri. Sapeva del cristallo? Era legata alla principessa dei suoi
sogni? Perché era legato a lei?
Mamoru
si passò le dita tra i capelli neri come l'inchiostro,
mentre sedeva nella sua cabina a guardare Usagi. Nella sua mente la
conosceva già. Dopo essere stato colpito da un compito in
classe, da una scarpa e dalla stessa ragazza bionda, con qualche
insulto piccato tra loro, cominciava a sentirsi come se la conoscesse.
Era una stupida e un'imbranata. Era pigra e demotivata. Era una
piagnucolona, senza rispetto per se stessa e senza una vera
intelligenza. Mangiava troppo e troppo in fretta e non aveva alcuna
educazione a tavola. E non aveva mai conosciuto veri problemi. A
parte...
La
sua migliore amica Naru era stata ferita nell'attacco alla gioielleria
e Usagi aveva pianto per lei. Poi, aveva visto quanto Usagi fosse
sconvolta una settimana prima, quando il suo amico Umino aveva iniziato
a comportarsi in modo strano e aveva cercato di costringerla a
baciarlo. Lei aveva pianto per ore e vederla
in
lacrime lo aveva turbato più di quanto avrebbe creduto.
Qualche
giorno dopo aveva riso di nascosto di lei quando aveva iniziato a
parlare di scrivere lettere d'amore... a lui, a Tuxedo Kamen. E poi si
era preoccupato che lei fosse caduta nella trappola. E lo era stata,
per un momento, ma solo perché aveva toccato quella ricevuta
da Naru. Ogni giorno che passava era sempre più sicuro che
la ragazza non fosse solo quello che sembrava.
E
per quanto riguarda Sailor Moon... Dopo averla aiutata in gioielleria,
l'aveva osservata attentamente. Era apparsa di nuovo per fermare la
fuga di energia con la falsa cartomante. Non era stato facile per lei.
L'aveva rivista quando aveva dovuto fermare la "malattia del sonno"
causata dalle spille regalate da Jadeite alla stazione radio alle donne
che scrivevano lettere d'amore.
Continuò
a guardare la ragazza, sorseggiando il caffè e fingendo di
studiare. Non sapeva quanto tempo fosse rimasto lì seduto
prima che accadesse. Stava giocando al gioco arcade Sailor V,
borbottando e urlando a turno tra sé e sé, quando
alle sue spalle una bambina cominciò
a piangere. La piccola
non
aveva più di sette anni e Mamoru non vide nessun genitore
nelle vicinanze. Usagi girò di scatto la testa e si
voltò istantaneamente verso la bambina, scivolando dal
sedile e mettendosi a terra davanti alla ragazza dai capelli d'ebano.
"Cosa
c'è, tesoro?", le sentì chiedere.
"Non
riesco... non riesco a trovare la mamma!". Il bambino si
lamentò.
Mamoru
guardò stupito Usagi che apriva le braccia e la bambina vi
si gettava dentro. Prendendo in braccio la bambina, si alzò
e si diresse verso il bancone (con più grazia di quanto
avrebbe creduto possibile) per parlare con Motoki. Mamoru non
riuscì più a sentire ciò che veniva
detto, ma osservò stupito come la bionda tirasse fuori la
sua borsetta e pagasse un succo di frutta e una merendina per la
bambina. Si sedette con la bambina mentre Motoki cercava nella sala
giochi la madre della bambina. Gli ci vollero solo pochi minuti per
trovare la donna, che stava uscendo dalla toilette, e la condusse al
bancone per il loro incontro.
La
madre singhiozzava e cercava di porgere qualcosa a Usagi, che scosse la
testa più volte e diede alla donna, che ora stringeva la
figlia, un caldo abbraccio e un sorriso. Mamoru la guardò
salutare per alcuni istanti, prima di recuperare il suo zaino e
andarsene.
Dopo
aver atteso un minuto, Mamoru si alzò e seguì la
ragazza. Rimase indietro, osservando da lontano un piccolo gatto nero
che saltava dal davanzale della finestra sulla spalla di Usagi. La
ragazza parlava animatamente con il felino, anche se lui non riusciva a
sentire nulla di ciò che veniva detto. Li seguì
per tre isolati prima che la ragazza girasse l'angolo. Quando raggiunse
il punto e guardò il nuovo sentiero, lei non c'era
più. Quel giorno non la vide più.
Mamoru
era frustrato. Erano passati tre giorni. Tre lunghi giorni in cui aveva
cercato, senza successo, di seguire la bella biondina. Il che era
assurdo, perché la vedeva ovunque. Nel parco l'aveva vista
arrampicarsi su un albero, molto instabilmente, per salvare un gattino.
La vide portare da bere al giardiniere. La vide usare un fazzoletto
come vela per un bambino che aveva costruito una piccola barca di
legno. E ogni giorno che passava, si incantava sempre di
più. Voleva sapere se quella ragazza era la paladina
dell'amore e della giustizia.
Il
problema era che, non importava quante volte la vedesse, alla fine
spariva dietro un angolo e quando lui lo raggiungeva era già
sparita. In qualche modo, doveva collegare un localizzatore o una
telecamera alla ragazza. Forse entrambe. E sapeva come fare per
metterglielo addosso. Quasi ogni giorno si incontravano mentre andavano
a scuola. A dire il vero, lei gli sbatteva contro mentre sfrecciava
sulla strada, correndo più velocemente di quanto lui avrebbe
immaginato possibile per una persona così minuta. I lividi
sul petto lo dimostrano. Stava diventando più bravo a
prenderla, invece di cadere entrambi sul sedere. Ma se fosse riuscito a
fare in modo di cadere sopra di lei, avrebbe potuto posizionare una
telecamera al centro della spilla. E forse poteva inserire un
localizzatore in una delle sue scarpe, se il momento era giusto. Lei
tendeva a buttarle via regolarmente. Lui doveva solo prenderne una.
Aveva
trovato un negozio di elettronica specializzato in sorveglianza e aveva
corrotto un tizio dall'aspetto losco perché gli mostrasse
delle telecamere che consentivano l'uso dell'audio e della vista e
aveva anche acquistato il sistema. C'era una piccola scatola che poteva
attaccare al retro del suo televisore per poterla osservare a
piacimento. Registrava tutto ciò che lei faceva. Poteva
anche guardare tramite un dispositivo portatile, che sarebbe servito
anche come mappa per il tracker.
Purtroppo, le telecamere non
potevano essere posizionate sulla spilla, ma erano incastonate in tre
piccoli oggetti. Il primo era un peluche (aveva scelto un coniglietto),
il secondo era un paio di orecchini e il terzo era una piccola spilla
d'oro con una rosa rossa in cima. Acquistò due tracker, uno
per le scarpe da scuola e l'altro per le scarpe da ginnastica. Erano
quasi invisibili a causa delle loro dimensioni e potevano essere
premuti contro l'esterno e si sarebbero attaccati in modo permanente.
Finora
tutto bene,
pensò Mamoru quel pomeriggio. Lei aveva tirato diversi calci
al gioco delle Sailor V e la sua minuscola scarpa sinistra era volata
dritta verso la sua testa. Riuscì a prenderla prima che
facesse danni e attaccò rapidamente il tracker nero.
"Odango
atama, sei una minaccia!", lo rimproverò mentre gli
restituiva la scarpa.
"USAGI!",
gridò. "Il mio nome è Usagi. Imparalo!".
Afferrò la scarpa, si girò e volò via.
Lui ridacchiò. Era adorabile quando era arrabbiata. Il
nasino arricciato, gli occhi fiammeggianti, le guance rosa. Adorabile.
Uscì rapidamente dalla sala giochi e si diresse verso casa.
Quella
notte ci fu un altro attacco Youma. Nelle case del quartiere, i peluche
appena acquistati prosciugavano l'energia vitale dei bambini. Si
svegliò alle 2:07 del mattino e sentì il bisogno
di trovare Sailor Moon e salvarla. Lei aveva paura, questo lo
capì anche quando la rosa gli apparve in mano, e lui doveva
raggiungerla in fretta. Raggiunse il balcone a tempo di record, si
gettò sul tetto e corse verso l'attrazione. La zona
commerciale di Jūban era
invasa
da quello
che sembrava un gatto molto grande e molto arrabbiato. Ma quello che
poteva vedere era una creatura che sembrava un misto tra un gatto
impagliato e un porcospino. Attualmente, dalla creatura volavano punte
argentate affilate verso Sailor Moon. Lei si abbassò e
schivò, ma erano troppi per lei. Si gettò da un
palo della luce, la prese e
la tenne contro
il petto e saltò sul tetto di un edificio vicino.
"Presto,
usa il diadema!".
"Moon
Tiara Action",
urlò lei e lanciò l'oggetto contro il mostro. La
cosa lo schivò
e iniziò a correre verso l'edificio dopo di loro. Tuxedo
Mask lanciò tre rose affilate contro lo Youma e
tirò Sailor Moon dietro il suo mantello. Una volta che il
mostro raggiunse la cima dell'edificio, Sailor Moon lanciò
il diadema e lui
lanciò altre
rose. Colpi diretti da tutti e quattro i proiettili e all'improvviso la
creatura scomparve lasciando un piccolo gattino di peluche sul tetto.
"Grazie
per avermi salvato Tuxedo Kamen!". Sailor Moon gli rivolse quegli
splendidi occhi cerulei e lui quasi si sciolse. ‘Dio,
questa ragazza è bellissima’,
pensò ancora.
Secondo
il suo orologio erano le 3:47 del mattino quando entrò nella
scuola media Jūban.
Mamoru passò diversi minuti a sfogliare i dati personali
della ragazza, che trovò molto interessanti. La ragazza era
in realtà molto più brillante di quanto
sembrasse. Il suo problema principale erano i test. Sapeva fare i
compiti in classe, ma ogni volta che si sottoponeva a un test era un
vero disastro. Si chiese se si trattasse di una forma di ansia... il
che poteva anche spiegare le sue azioni durante i primi combattimenti
che aveva visto. Tendeva a farsi prendere dal panico per un momento e
aveva sempre bisogno di una sorta di incoraggiamento ‘da
parte del sottoscritto’,
aggiunse lui
a mente,
prima di affrontare finalmente lo Youma. Sembrava anche che a volte
perdesse (o non facesse) i compiti.
Dopo
aver ottenuto il suo indirizzo di casa, trovò il suo
armadietto e fece la consegna speciale dei suoi "regali". Poi si
diresse verso casa sua e si arrampicò sull'albero appena
fuori dalla sua stanza. Sembrava che lei dormisse profondamente. Non
fece rumore aprendo la finestra e arrampicandosi prima di sistemare il
coniglietto su una mensola piena di altri giocattoli di peluche. Si
assicurò che la telecamera avesse una buona angolazione, ma
che il coniglietto non fosse evidente, perché, essendo una
ragazza, pensava che si sarebbe ricordata di aver ricevuto un regalo
del genere.
Finalmente
arrivò a casa, accese la telecamera del coniglietto e si
addormentò con la televisione accesa, osservando la piccola
nei suoi sogni tranquilli. L'ultimo pensiero, prima che il sonno lo
invadesse completamente, fu che lei russava.
Si svegliò la prima
volta che la madre entrò nella sua stanza. Lei non lo fece.
Sebbene dovesse scusare la prima volta, dato che la ragazza si trovava
in quella particolare età dello sviluppo in cui tutto sembra
accadere da un giorno all'altro, e dato che la sera prima aveva
partecipato a una battaglia, alla quarta volta che la madre
entrò nella stanza esultò mentalmente quando la
donna le afferrò i piedi e la trascinò fuori dal
letto.
La
sentì lamentarsi mentre si affrettava a prendere i vestiti
e, quando lei lasciò la stanza per fare la doccia e
vestirsi, lui ne approfittò per fare colazione. La vide
un'ultima volta mentre tornava di corsa nella stanza per prendere la
borsa, urlando che non aveva finito i compiti di inglese.
Spense
la televisione e uscì di casa, aspettandola allo stesso
angolo in cui si scontravano quasi quotidianamente. E 3, 2, 1...
Uscì, e ovviamente si trovò tra le mani una
bionda minuta e leggiadra. I capelli di lei gli sferzavano il viso
mentre gli sbattevano sul petto e lei quasi rimbalzava all'indietro sul
sedere. Lui rise.
"Che
fretta c'è, Odango Atama?", chiese con un ghigno
presuntuoso. Resistette all'impulso di afferrarle il sedere con uno
sforzo erculeo e la lasciò andare con cautela.
"Usagi!",
urlò lei. "Merda! Devo andare!" E senza una parola se ne
andò via di corsa. Lui percorse i due isolati fino al suo
palazzo e accese le altre due telecamere su uno schermo diviso,
sperando che lei le prendesse e le mettesse prima della lezione.
Ci
volle meno tempo di quanto avrebbe immaginato perché lei
aprisse l'armadietto. Ma si fermò quando vide i suoi regali
e il bigliettino che le chiedeva di indossarli e di pensare al suo
"ammiratore segreto". La spilla con la rosa andò al
colletto, che si abbassò immediatamente in modo che un lato
dello schermo fosse una semplice immagine del suo petto in crescita.
Gli orecchini sono stati inseriti un attimo dopo e lui ha avuto la
visione del mondo di lei che entrava in classe con diversi minuti di
ritardo.
Fu
immediatamente mandata in corridoio a stare in piedi per quindici
minuti. Non aveva mai capito quella punizione. Perché far
uscire qualcuno dalla classe per un ritardo? Non aveva senso.
Sicuramente la detenzione era più adatta. Lei
passò il tempo in corridoio facendo uno spuntino con
qualcosa nascosto in tasca e lavorando alle ultime domande dei compiti
di inglese. Si rallegrò mentalmente per quello, anche se la
pagina dei verbi era stata fatta male. Sembrava che la ragazza avesse
bisogno di un tutor. Immediatamente volle offrirsi come volontario.
Quando
fu richiamata in classe, passò la maggior parte del tempo a
scarabocchiare sul quaderno, invece di usarlo per il vero scopo, e a
sonnecchiare. Il pranzo fu trascorso con una ragazzina dai capelli
rossi e un ragazzo bruno e sfigato che sembrava eccessivamente
interessato a tutto ciò che lei diceva e faceva, e che
sembrava spuntare continuamente dal nulla e spaventare le ragazze.
Tuttavia,
era la conversazione che trovava intrigante. A quanto pare, volevano
andare in una nuova palestra che offriva una sorta di dimagrimento
miracoloso. L'altra ragazza, Naru, guardò la sua Odango. "Ci
vado di sicuro. Voglio proprio vedere se funziona. Vuoi venire con me?".
Il
ragazzo, che avevano chiamato Umino, accennò al fatto che
entrambe avrebbero potuto perdere qualche chilo, quando un'altra
ragazza, che in realtà era in sovrappeso, si
avvicinò e cominciò a picchiarlo e a gridargli
che doveva farsi gli affari suoi. Poi si rivolse a Usagi. "Non credo
che dovresti cercare di perdere peso. Davvero, non voglio che tu svenga
di nuovo!".
Usagi
rise. "Non preoccuparti, prendo le mie medicine. E onestamente, in sei
mesi sono ingrassata di sette chili. Il medico dice che sto meglio".
Mamoru
si accigliò. Non aveva notato una condizione medica mentre
leggeva le trascrizioni della ragazza. Si chiese se avesse
l'ipertiroidismo. Questo spiegherebbe quanto mangiava in sala giochi e
perché i genitori avevano istituito un conto per gli
spuntini. La ragazza avrebbe comunque avuto bisogno di una paghetta per
giocare, ma almeno non sarebbe rimasta senza cibo. Si segnò
mentalmente di iniziare a comprare snack ricchi di grassi sani e
proteine, per ogni evenienza.
Mamoru
era un po' preoccupato quando Usagi aveva accettato di andare a provare
la palestra, ma era anche curioso della cosa. Tirò fuori il
giornale che aveva portato con sé e lesse di diversi
misteriosi casi di esaurimento di persone che vi si erano recate.
Avrebbe dovuto sorvegliare il posto.
Improvvisamente
la telecamera a spillo su un lato dello schermo cambiò
angolazione, così che non si trovò più
a fissare i seni di lei, anche se poteva vederli nella parte inferiore
dello schermo. Per qualche motivo non aveva detto ai suoi amici dei
regali. Dopo il grido di gioia che aveva emesso quando li aveva visti,
non ne aveva più parlato. Si chiese se le piacessero.
Mentre
lei finiva la scuola, lui passava il tempo a lavorare sui compiti e sui
progetti. Sapeva di non poter perdere molti giorni di scuola per la sua
sorveglianza e non voleva rimanere troppo indietro. L'ufficio presenze
della scuola gli aveva detto che poteva farsi portare i compiti da
Motoki. Chiamò il giovane e gli chiese di infilarli sotto la
porta mentre tornava a casa. Doveva scoprire la verità entro
il fine settimana. Lo sapeva e basta.
Guardava
spesso lo schermo, anche se teneva il volume basso per potersi
concentrare. Un'occhiata lo fece arrossire furiosamente mentre lei si
stava cambiando per andare in palestra e la sua maglietta, forse appesa
all'armadietto, catturava l'immagine di una Usagi a torso nudo e senza
gonna. Distolse subito lo sguardo, ma non poté fare a meno
di lanciare occasionalmente un'occhiata allo schermo mentre lei si
metteva la tuta da ginnastica.
Usagi
era completamente incapace di fare ginnastica. Inciampava e cadeva,
comportandosi come una palla da bowling in procinto di fare strike
quando si trovava vicino a qualcuno durante questi episodi di
face-planting. L'allenatore le aveva chiesto di fare semplicemente dei
giri intorno alla palestra, sostenendo che dandole una racchetta
probabilmente la scuola l'avrebbe denunciata.
Dopo
la scuola si era incontrata con le altre ragazze e lui la guardava
frustrato mentre si dirigeva verso la palestra. Una parte di lui voleva
correre a salvarla, ma doveva sapere, no? Doveva vedere se era Sailor
Moon. Quando le ragazze entrarono nell'ingresso dell'edificio, un
brivido lo attraversò.
"Uscite
da lì...", mormorò verso il suo schermo,
stringendo i pugni.
La
sorveglianza
Capitolo
2
Shapelin
Non appena le ragazze
entrarono, un uomo dall'aspetto inquietante, che sembrava vagamente
familiare, si avvicinò loro, offrendo un abbonamento di
prova gratuito. Le ragazze entrarono nello spogliatoio e lui
abbassò lo sguardo in modo da vedere a malapena lo schermo.
Voleva tenerla d'occhio, ma anche lasciarle la privacy per cambiarsi.
Afferrò il palmare e spense la televisione. Adesso aveva
addosso solo gli orecchini, quindi la guardò mentre
camminava, urtando diverse persone mentre si dirigeva verso la fermata
dell'autobus, con il volume basso negli auricolari.
Sentì
Usagi borbottare sottovoce a proposito di Luna. Ricordava che era il
nome del suo gatto. Usò prima la cyclette e poi la rowing
machine. Doveva ammettere che si impegnava molto quando iniziava
qualcosa. Anche se ansimava, non si arrendeva. Buttò spesso
un occhio alla stanza, e più volte allo strano uomo. Si
chiese se anche lei avesse ricevuto da lui la stessa inquietante
sensazione.
Salì
sull'autobus, diretto verso di lei, e si sedette in fondo. Quando
guardò di nuovo il dispositivo, lei era nella stanza della
spa, ovviamente a cambiarsi. Distolse lo sguardo, per sicurezza,
tenendo il palmare stretto al petto in modo che nessun altro potesse
vederla. Non sapeva dove fossero andate le altre ragazze, ma non erano
più con lei. La sentì sospirare mentre
sprofondava nell'acqua, emettere lievi schizzi mentre si metteva in
posizione comoda e un gemito mentre i muscoli tesi si rilasciavano.
Il
suo corpo reagì quasi violentemente, risvegliandosi in un
istante, e non poté fare a meno di sbirciare lo schermo. Lei
era in acqua, ma si guardava sotto la superficie. Poteva vedere
l'innalzamento dei suoi seni cremosi sopra la superficie e
l’immagine rifratta del resto di lei. Guardò solo
per un momento, ma fu sufficiente per imprimere l'immagine nel suo
cervello per sempre.
Si
sentì un libertino. Sbirciò di nuovo. Lei si era
appoggiata allo schienale, fissando il soffitto, e lui tirò
un sospiro di sollievo. Il suo corpo era ancora teso, dolorosamente
pulsante, ma lei era nascosta alla sua vista.
"Chissà
dove sono andati i miei amici", disse lei con un sospiro.
L'autobus
si fermò a due isolati da Shapelin e lui scese, ma la
reazione che stava ancora avendo lo rendeva difficile e quasi doloroso.
Sentì degli schizzi, ma tenne il dispositivo in tasca, non
volendo che qualcun altro la vedesse accidentalmente. Si diresse verso
la palestra e si stava preparando a entrare quando la sentì
sospirare.
"Se
ne sono già andati?", si chiese. "Immagino che questo
significhi che andrò da sola".
Un
attimo dopo uscì dalle porte. Mamoru si avvicinò
a lei, riuscendo a sentire il profumo di gelsomino dell'acqua del
bagno, e le diede un colpetto sulla spalla. Cercò di
controllare la sua bocca, assicurandosi che non uscissero insulti. Il
volto di lei si contorse mentre lo guardava.
"Ehi,
piccolo Odango", disse. "Io...", non era sicuro di cosa volesse dirle.
"Non mi piace l'aspetto di questo posto", fece un cenno con la testa
verso l'edificio. "Non è sicuro". Le porse alcuni ritagli di
giornale e se ne andò prima che lei potesse dire qualcosa in
risposta.
Si
nascose nell'ombra di un vicolo lì vicino e la
guardò mentre si sedeva su una panchina e sfogliava i
ritagli di giornale. "Chissà di cosa si trattava", disse ad
alta voce, e poi fu ovviamente catturata dalle storie di persone che si
ammalavano e non stavano bene dopo aver lavorato lì. "Hmm",
pensò, "si tratta di metodi sbagliati o di qualcosa di
più? Devo parlare con Luna".
La
guardò in piedi mentre l'autobus si avvicinava e si
trasformò in Tuxedo Kamen per tornare a casa non appena lei
fosse salita a bordo.
Voleva
disperatamente uccidere il gatto di Usagi. Il felino sapeva parlare.
Quando lei aveva parlato per la prima volta lo aveva scioccato e la
scodella di pasta era caduta sul pavimento accanto a lui, ma
si era subito ripreso quando aveva sentito alcune delle cose che diceva.
Quando
Usagi era entrata in camera da letto, il maledetto gatto aveva tenuto
in mano un disegno a pastello di una Usagi ingrassata e con il muso da
maiale. Lei aveva gridato di rabbia e aveva strappato il disegno,
accartocciandolo. Non aveva reagito diversamente e si era chiesta
perché la ragazza non avesse urlato. "È l'aspetto
che avrai se non ti impegni di più", aveva detto il gatto.
In quel momento era caduto e le tagliatelle erano finite su di lui e
sul pavimento.
Sentì
Usagi sospirare e si dimenticò del disordine. "Ci sto
provando Luna, ok?".
"Non
credo che tu ci stia provando abbastanza", disse la gatta in tono
sprezzante.
La
ragazza tirò fuori i ritagli di giornale e li
sfogliò di nuovo. Li ordinò per data e li pose
sulla scrivania di fronte al gatto. "Dai un'occhiata a questi", disse
dolcemente.
Mamoru
osservò la sera mentre Usagi faceva i compiti e scendeva a
cena dove toccava appena il cibo. Si preparò per andare a
letto e tirò un pesante sospiro quando rimase sola in bagno.
Si infilò nel letto senza dire una parola e si
girò verso il muro. Lui passò alla telecamera del
coniglietto e osservò le sue spalle scosse da singhiozzi
silenziosi.
Oh
sì, voleva assolutamente uccidere il gatto.
Mamoru
si preoccupò quando Usagi uscì di casa senza fare
colazione. Le andò incontro, al solito posto, e
lasciò che lei lo urtasse di nuovo, ma quella mattina non
c'era calore o fuoco in lei. Invece di sgridarla, le afferrò
le spalle e si chinò a scrutarne il viso. Le lacrime avevano
lasciato tracce sulle guance e lui la tirò delicatamente sul
ciglio della strada.
"Cosa
c'è che non va, piccola Odango?", le chiese, mantenendo un
tono gentile.
"Niente",
mentì lei. "Ho... letto quei ritagli di giornale. Grazie per
l'avvertimento". La sua voce era appena superiore a un sussurro.
Senza
pensarci le diede un piccolo abbraccio, poi la lasciò. Lei
alzò lo sguardo su di lui, ovviamente spaventata, e gli
rivolse un piccolo e timido sorriso, prima di voltarsi verso la scuola.
Lui si mise al suo fianco finché non si separarono dal
cancello, senza dire un'altra parola. Il silenzio non era fastidioso,
ma anzi era caldo.
Lui
salutò con un cenno del capo e lei alzò la mano
per ricambiare il gesto con un altro timido sorriso. Mamoru
capì in quel momento di essere innamorato di quella ragazza.
Quel
giorno ebbe difficoltà a concentrarsi a scuola. Continuava a
sporgere il palmare per sbirciare il suo quaderno, dove c'erano cuori e
fiori scarabocchiati dappertutto. Quando la scuola finì, si
diresse verso il Crown Gaming Center, dove sapeva che lei si sarebbe
diretta per un frullato e, si sperava, per mangiare, ma la
trovò fuori, che guardava mestamente, con una mano premuta
sulla testa. Mentre la guardava, le gambe di lei tremavano e
cominciò a cadere.
La
prese al volo e la portò all'interno della sala giochi.
Facendo un cenno a Motoki, portò Usagi nella sala relax.
Prese un succo di frutta dal frigorifero e una barretta proteica dalla
tasca subspaziale e tornò dove l'aveva adagiata sul divano.
La svegliò e la spinse a mangiare e bere. Ci volle un po',
ma il suo colorito cominciò a tornare, e con esso il suo
temperamento.
Cercò
di controllarlo, ma quando lei ammise di non aver mangiato, volle
scuoterla. L'unica cosa che riusciva a immaginare era di prendere a
calci quel gatto nero da un capo all'altro di Tokyo.
"Usagi?"
cominciò. Non poteva raccontarle tutto quello che aveva
visto e sentito, ma forse poteva farla riflettere su quello che stava
facendo. "Perché non mangi? Sei troppo magra per saltare un
pasto!". Cercò di controllare la voce, ma le ultime parole
uscirono quasi con durezza. Strinse un pugno dietro la schiena,
conficcando le unghie nel palmo.
"Ma-Mamoru?"
chiese timidamente, tendendo una mano come per raggiungerlo.
"Mi
dispiace Usagi, ma così non si può andare
avanti". Lui tirò fuori dalla tasca diverse barrette
proteiche e gliele porse. "Se non inizi a mangiare, chiamerò
tua madre". Usagi sussultò alla minaccia.
"Mamoru
io...", ma lui non la lasciò finire.
"Pensi
che non sappia cosa direbbero quei teppisti della Shapelin a una
ragazza come te. Vogliono farti sentire insicura!". Non poteva farle
capire che aveva sentito Luna. "Sei troppo magra. So che ti prendo in
giro per come mangi, ma questo non significa che voglio che tu smetta
di mangiare". Cercò di controllare il respiro e si
inginocchiò davanti a lei. "Promettimi, qui e ora, che
mangerai".
Usagi
annuì con la testa, ma non fu sufficiente. "La tua parola
Usagi, o chiamo tua madre".
Lei
sospirò: "Prometto che mangerò".
Lui
si alzò e le tese la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei se ne
andò, guardandosi alle spalle con un piccolo sorriso, e lui
sospirò di sollievo prima di tornare a casa.
Era
sotto la doccia, pensando ancora a Usagi, quando la sentì
trasformarsi. Giurò e si sciacquò il sapone dai
capelli, trasformandosi non appena chiuse l'acqua. Le sue scarpe da
sera scivolarono un po' sul pavimento bagnato della doccia, ma si
riprese e attraversò l'appartamento fino al balcone. I
sentimenti di paura di lei furono toccati dall'orrore e dalla rabbia.
Qualcuno a cui teneva era in pericolo. Riconobbe i sentimenti della
prima notte in cui l'aveva incontrata, quando Naru era in pericolo.
Allora non la conosceva, ma ora era in grado di riconoscere i
sentimenti.
Sì,
Usagi era sicuramente Sailor Moon. Corse sui tetti, sfrecciando nella
sera, con la luce del sole al tramonto che a volte lo accecava. La sua
rabbia aumentò, così come la sua
volontà di aiutare, e in pochi istanti la battaglia era
finita. Si spostò allora all'interno dell'edificio, alla
ricerca di lei.
Vide
Luna e Sailor Moon salire le scale, la battaglia era già
finita. L'eroina aveva avvolto il braccio intorno alla vita della sua
insegnante, sostenendola. La spostò su una sedia accanto ai
gradini e la fece sedere in attesa dell'ambulanza.
Chiamò
il felino e lei si mosse verso di lui. Fece attenzione a non allungare
la mano per strangolarla. "Forse", sussurrò in un sussurro
mortale, "dovresti fare attenzione a ciò che dici alla tua
protetta prima che si faccia male seriamente. Oggi è
svenuta. Lo sapevi?".
La
gatta lo guardò, sbigottita, ma lui non aveva finito. "Sai
perché è svenuta, Luna? Perché hai
ferito i suoi sentimenti. Le hai fatto credere di essere grassa". I
suoi occhi si allargarono. "Oh sì, so chi è, e
almeno la proteggerò", fece una pausa, "morirei per lei, e
tu la tratti come spazzatura. Ho sentito quello che le hai detto ieri
sera". Le lanciò un'occhiata severa, poi cercò
Usagi.
Sailor
Moon li stava guardando entrambi, ancora in cima alle scale, senza
sapere cosa stesse succedendo o perché stessero parlando.
Poteva sentire la sua curiosità e la sua stanchezza.
Tornò a guardare Luna. "So chi è e mi preoccupo
per lei. Se non ci tieni, allora esci dalla sua vita. Se lo fai, impara
che ha QUATTORDICI anni e parlale con gentilezza". Si
allontanò, ma mentre se ne andava chiamò da sopra
la spalla: "Ti prometto che ti terrò d'occhio!".
Mamoru
tentennava sulle sue scelte. A lei piaceva il rosa, ma l'unico che
avevano in rosa aveva la forma di un maiale, e questo non sarebbe mai
andato bene. Così scelse quello rosso. Quello a forma di
cuoricino e con un pulsante di chiamata rosa. Lo collegò al
suo dispositivo portatile e pagò un anno intero in anticipo.
Tornò a casa per aspettare il buio e scrivere un biglietto
appropriato.
Accese
la televisione per guardarla dalla telecamera del coniglietto. Era
adorabile. Aveva fatto i compiti, ma li aveva lasciati sopra il
comò quando aveva rimesso i libri nella borsa. Lei lesse
alcuni manga e litigò con suo fratello per decidere quale
gioco di Sailor V fosse migliore. Aveva anche chiamato le sue amiche
per assicurarsi che stessero tutte bene e aveva scritto un biglietto di
auguri per la sua insegnante. È stata davvero molto dolce.
Indossava
un pigiama da coniglietta per andare a letto. Non appena fu sicuro che
stesse dormendo, percorse i due isolati fino a casa sua, si
trasformò sotto l'albero vicino alla finestra e si
infilò nella sua stanza. Prese i compiti dal comò
e li infilò nello zaino.
Il
nuovo oggetto che mise sul suo comodino quella sera fu un piccolo
orologio rosso a forma di cuore. C'era un pulsante di chiamata, in
pratica un segnale di soccorso, in modo che se lei avesse avuto bisogno
di lui, avrebbe potuto chiamarlo. Il biglietto che aveva appoggiato
alla rosa probabilmente non era abbastanza convincente, ma sperava che
avrebbe funzionato.
Usagi,
Non sono
molto bravo con le parole, ogni volta che ti parlo vado nel panico e
non sono gentile. Volevo solo dirti che mi piaci molto e che vorrei che
fossimo più che amici, ma so di averti fatto arrabbiare
molto, quindi se non vuoi posso capire. Spero solo che mi permetterai
di provare a farti cambiare idea. Se vuoi parlarmi, vedermi o hai
bisogno di me per qualsiasi cosa, premi il piccolo pulsante
sull'orologio e io sarò lì.
Conosco il tuo segreto... e se guardi il fiore, conoscerai il mio. Ti
prenderò in qualsiasi momento.
Mamoru
P.S. Sei stata brava oggi!
Lei non
trovò la lettera o il regalo se non dopo una battaglia
contro uno Youma nel cuore della notte. Alla fine l'aveva sconfitto ed
era tornata a casa. Poiché erano quasi le cinque del
mattino, decise di rimanere sveglia, accese la luce e trovò
la lettera. Appena finito di leggere, premette il pulsante e lui
scivolò dall'albero nella sua camera da letto.
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