Figlia dell'Oceano

di Annabeth16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ANTEFATTO - ALICE ***
Capitolo 2: *** Trovo il mare nella foresta - PERCY ***
Capitolo 3: *** Scoperte - PERCY ***
Capitolo 4: *** Un problemino e un mistero - ANNABETH ***
Capitolo 5: *** La missione - ALICE ***
Capitolo 6: *** Partenza - Percy ***
Capitolo 7: *** SCUSATE ***



Capitolo 1
*** ANTEFATTO - ALICE ***


NOTA DELL’AUTRICE: Ciao! Questa è la mia prima fanfiction su Percy Jackson ed è ambientata dopo: “Lo scontro finale”, più precisamente tra esso e la saga “Eroi dell’Olimpo”.  Il primo capitolo sono degli sketch della vita della nostra Alice (che sarà un personaggio molto importante) e sono un ANTEFATTO alla storia.  Buona lettura!
 
1.ANTEFATTO - ALICE
Mi dimenai urlando. Ancora quel brutto sogno. L’incubo che non mi lasciava pace. Il sogno era potente, però riuscii ad aggrapparmi all’ultimo pezzo di coscienza che era rimasto in me e spalancai gli occhi. Il respiro era tutto un affanno e riuscivo a percepire il calore irradiato dalla mia pelle bollente. Ero zuppa dalla testa ai piedi, così come il cuscino e le lenzuola. Per prima cosa controllai di avere ancora al polso il mio braccialetto portafortuna. Era molto semplice: una catenella color argento dalla quale pendeva un cuoricino di acquamarina. La sua storia era semplice quanto misteriosa…
 
Non sopportavo l’idea che mia madre mi avesse mentito. Io un padre ce l’avevo, ce l’avevo eccome. Solo che mamma non mi voleva rivelare niente sul suo conto, non che lei sapesse molto più di me. Tutto ciò era frustrante. Avevo sempre desiderato poter ricevere un affetto paterno, avere qualcuno da cui andare quando avevo gli incubi che giocasse con me e me li togliesse con un bacio…  Desideravo ardentemente che mio padre si facesse vivo, principalmente per tirargli due schiaffi e due urli. Mi aveva abbandonato, dopotutto. Avevo solo 12 anni quando feci quell’apocalittica discussione con mia madre. Ed è proprio da quel fatidico 9 luglio che cominciai a sentire le voci e ad avere gli incubi. A volte la voce era rassicurante, amorevole, quasi come quella di un padre, altre era maligna, sprezzante, a tratti suadente, come se volesse convincermi ad ubbidire ai suoi ordini. Ovviamente la seconda voce era quella che mi tormentava di più. Mi sembrava di scoppiare, di non essere…normale, ecco. Mia madre mi rimproverava sempre perché non riuscivo a stare ferma per più di un due minuti, e in più a scuola ero una frana. Avevo forti sospetti di essere dislessica anche se le visite fino a quel momento lo avevano negato.
Stavo ancora camminando rancorosa sulla spiaggia e stavo giusto pensando al fatto che mio padre non mi aveva voluto quando sentii la voce buona per la prima volta dopo millenni.
“Non è vero, io sono sempre stato qui”.
Ero scossa. Molto scossa. Sono sempre stato qui? E dove? Chi era quella voce? Che la smettesse di tormentarmi!
I miei pensieri malinconici e feroci si bloccarono quando vidi un’onda gentile ma anomala infrangersi sulla spiaggia. Quando le acque si ritrassero vidi che sulla sabbia luccicava qualcosa. Era il mio braccialetto. Lo adoravo perché proveniva dal mare, quella che consideravo la mia essenza. Solo mooolto più tardi avrei capito quanto quella frase fosse vera….
 
Attesi che il respiro si calmasse e poi mi sfilai la maglietta oversize che usavo per dormire. Desideravo con tutto il cuore di farmi un bel bagno fresco. Aprii la porta della casa piano per non svegliare mamma e corsi leggera sulla spiaggia. Di solito non c’era niente che funzionasse contro quell’incubo che mi assaliva quasi tutte le notti a parte un bel bagno nell’oceano. Lanciai uno sguardo al mio braccialetto che, al chiaro di luna e in presenza dell’oceano brillava illuminandosi di verde acqua.
Adoravo quell’acquamarina…
Mi tuffai in acqua, ed essa aveva una temperatura magnifica.
Nonostante fosse appena marzo, l’acqua peer me era perfetta. E la cosa strana è che, a differenza di tutte le altre madri, la mia non si preoccupava affatto che io potessi prendermi una polmonite. Mi lasciava fare il bagno pure di inverno. E in un certo senso lo apprezzavo, perché io adoravo l’acqua.
 
Fu terribile. Vidi mia madre venire letteralmente aspirata dalla terra sotto ai suoi piedi. Io urlavo, lei piangeva. Io temetti di impazzire: entrambe le voci mi assillavano il cervello.
Non preoccuparti, cara! Ci sono io!”, diceva quella buona.
“Guarda! Guarda tua madre e soffri, piccola insolente! Se non ti unirai a me questo sarà il destino delle persone che ami”, diceva quella cattiva.
«MAMMA! TI PREGO NON MI LASCIARE!», supplicai urlando e piangendo.
«Piccola mia, ormai Lei mi ha preso. Non avere paura, ascolta la voce del mare ed essa ti guiderà. Prendi la busta che è sotto al mio letto e scappa! Corri! Vattene da qui!»
Io non volevo lasciarla ma i suoi occhi mi supplicavano. Ormai la terra l’aveva quasi inghiottita: le labbra erano già sotto al terreno. Io non volevo assistere ed ebbi paura. Afferrai la busta e scappai, lontano, più forte e lontano che potei.
 
Ormai ero allo stremo delle forze. Mi serviva dell’acqua, ma per quanto mi riguardava avrei potuto anche essere al Polo Sud. Solo che ero in una foresta cupa e rigogliosa. Mi gettai a terra, stremata, stringendo in mano la busta di mia madre e portando al petto la mano con il braccialetto. Caddi ai piedi di un albero e persi i sensi.

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Capitolo 2
*** Trovo il mare nella foresta - PERCY ***


 
2.Trovo il mare nella foresta – PERCY
«Ehi!», dissi.
Annabeth aveva appena atterrato un ragazzo della casa di Apollo.
«Non male, Mark. Ma devi essere più svelto e non lasciarti distrarre», spiegò Annabeth al giovane ragazzo.
«Va’ pure al poligono di tiro con l’arco, per oggi può andare», concluse.
Io e Annabeth eravamo diventati una specie di insegnanti qui al Campo Mezzosangue. Voglio dire, non a tutti gli effetti, ma molti giovani semidei venivano a chiederci un allenamento.
Mark rinfoderò la spada ed estrasse l’arco dalla faretra. Di sicuro il suo divino padre lo avrebbe aiutato molto di più con l’arco che con la spada. In battaglia gli arcieri di Apollo ci erano stati utilissimi. Non sbagliavano mai un colpo.
«Allora, pronto per l’ispezione nella foresta?», mi chiese Annabeth dopo che Mark se ne fu andato.
Io mi avvicinai sorridendo e posai le mie labbra sulle sue. Lei arrossì. Eh già, io e Annabeth ci eravamo fidanzati.
«Certo!», le dissi e un attimo dopo correvo a rotta di collo e con la spada sguainata verso la foresta.
«Stupido!», mi urlò dietro lei inseguendomi.
Dopo la battaglia Chirone aveva incaricato me e Annabeth di fare un’ispezione nella foresta almeno due volte a settimana, per evitare che si riformassero troppi mostri.
Ci inoltrammo nel bosco ridendo e con la spada alzata. Dopo la sconfitta di Crono i mostri erano un po’ diminuiti perché ne avevamo fatti fuori un bel po’,ma qualche volta capitava che una dracena solitaria si aggirasse per la nostra foresta.
Sentimmo un latrato e subito dopo ci ritrovammo atterrati da un segugio infernale. Annabeth urlò ma io mi limitai a dire:
«Felice di vederti, signora O’Leary!», la salutai. Lei si spostò e mi rialzai. Porsi la mano ad Annabeth.
«Questo cane mi farà venire un infarto, un giorno o l’altro», esclamò afferrandomi la mano.
«Penso ci sarà utile contro qualche mostro», commentai mentre la tiravo su.
Proseguimmo senza altre interruzioni guardandoci le spalle e con la signora O’Leary che scodinzolava allegra.
Ad un certo punto sentimmo contemporaneamente un sibilo che proveniva da destra e un gemito che veniva da sinistra.
«Sarà una dracena, vado io. Tu va’ a sinistra», mi disse Annabeth estraendo il suo coltello preferito.
Io girai attorno ad un albero scrutando attorno. Fu allora che la notai.
Rannicchiata ai piedi di un albero a pochi metri da me c’era una ragazza dai capelli ramati. Non riuscivo a distinguere bene il suo corpo, ma dedussi che non stava bene.
Soffiò il vento e sentii un forte profumo di mare. Ma eravamo nel pieno della foresta. Com’era possibile? Più mi avvicinavo alla ragazza e più mi sentivo attratto perché sapeva proprio di oceano. Di oceano libero e sconfinato.
Mi chinai su di lei e la osservai. Non avvertiva la mia presenza. Male. Poteva essere morta. Aveva le mani al petto, nascoste, come se volesse proteggerle. Le toccai la fronte e con un sospiro di sollievo scoprii che era ancora calda, anzi troppo calda. Era malata, ma perlomeno era viva.
«Ehi…», le dissi piano scuotendola appena per svegliarla.
Lei spalancò gli occhi e urlò spaventata. Io rimasi di sasso. Letteralmente.
Mi avevano sempre detto che avevo gli occhi del colore del mare, di un bell’azzurro. Ma i miei occhi non erano nulla in confronto ai suoi. Sembrava quasi di scorgere dentro ad essi tutta la forza dell’oceano. Erano uno specchio sul mare. E il colore non era azzurro come i miei, ma cambiava impercettibilmente ed erano… verdi, no azzurri, no verde acqua. Di che colore è il mare? Un misto tra questi. E i suoi erano così.
Non mi accorsi che intanto la ragazza mi aveva ferito alla spalla ed era svenuta.
«Percy!»
Mi voltai e vidi Annabeth che mi correva incontro. Non aveva un graffio, ovviamente.
«Che è successo? Stai bene?», chiese ansiosa. Ma prima che le potessi rispondere mi baciò.
«Oh, dei!», esclamò quando vide la ragazza a terra. «E lei, chi è?»
«Non lo so, ma è in gravi condizioni», le spiegai.
«È svenuta?». Annuii.
Annabeth si bloccò e annusò l’aria con espressione perplessa.
«Percy, hai fatto un bagno al lago oggi?», mi chiese.
«No, perché?». Poi lo intuii.
«C’è l’odore del mare nell’aria. E anche molto forte. Ma non proviene da te, ora che ci penso», disse.
«È lei», le risposi indicando la ragazza.
«Non sarà tua…»
«Sorella? Probabile. Ma adesso dobbiamo portarla al campo, ho la sensazione che non stia troppo bene».
Chiamai la signora O’Leary e caricai la ragazza sulla sua groppa e corremmo in direzione del campo.

NOTA AUTRICE: Ciao! So che questo capitolo è un po' corto ma spero di rimediare con il prossimo. Per favore scrivetemi quello che pensate di questa serie❤

 

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Capitolo 3
*** Scoperte - PERCY ***


3.Scoperte – PERCY
«Annabeth, sento che la sua energia sta svanendo, va’ a chiamare un guaritore di Apollo!», ordinai.
Io presi la ragazza tra le braccia e scoprii che era leggerissima. La trasportai fino alla Casa Grande, da Chirone.
«Chirone!», urlai.
Il centauro bianco mi venne incontro perplesso.
«Percy! Che succede? Chi è questa ragazza?», chiese.
«Io… non lo so ma bisogna curarla», esclamai. Non sapevo perché fossi così nervoso e agitato, probabilmente perché sentivo quella ragazza molto vicina a me.
«Portala in infermeria», ordinò.
 
Ero seduto con Annabeth vicino alla branda della ragazza. Chirone diceva che si sarebbe svegliata a momenti. Le avevamo dato un po’ di nettare e un guaritore di Apollo aveva dichiarato che molto probabilmente era stata attaccata da un mostro, lo aveva sconfitto ma era rimasta gravemente ferita ed era svenuta. Avevo parlato con Chirone ma lui non mi aveva detto molto. Sospettava di qualcosa, ma dalla sua faccia non sembrava nulla di grave anche se pareva un po’ turbato. Provavo qualcosa di strano verso quella ragazza, ma non riuscivo a spiegarlo.
«Percy…». Annabeth mi chiamò stringendomi la mano. «È normale», mi disse.
Io mi voltai a guardarla.
«Cosa?»
«Che ti dispiaccia per lei. In fondo è tua sorella. Vedrai, si riprenderà»
Io la abbracciai forte. Non potevo desiderare fidanzata migliore di Annabeth anche se certe volte era davvero insopportabile.
«Non so, è come se…», iniziai.
«Come se…?», mi esortò lei.
«Mi sento attratto da lei… ma in modo strano», provai a spiegare, ma non era esattamente la definizione giusta.
Annabeth mi guardò male, molto male.
«Beh, allora credo proprio che la mia presenza qui non serva a molto. In fondo, chi l’ha detto che è tua sorella?», mi disse freddamente. E girò i tacchi tutta impettita per andarsene.
Avete presente quando vi ho detto che Annabeth a volte è davvero insopportabile? Ecco, sono proprio questi i momenti. Il suo problema è che è troppo possessiva nei confronti degli amici… ma soprattutto del fidanzato che, per la cronaca, sarebbe il sottoscritto. E l’avevo imparato a mie spese…
Afferrai Annabeth per il polso e le dissi:
«Aspetta! Non intendevo dire quello! Lo sai che ti amo».
Lei arrossì e sospirò.
«Penso che a volte sei proprio insopportabile, Testa d’Alghe»
«Tipo quando ho ragione?», chiesi sarcastico.
Lei mi diede un leggero bacio sulle labbra. «Già».
Sorrisi. Quanto l’adoravo…
«Percy!», mi chiamò all’improvviso.
Io mi voltai di scatto e vidi la ragazza che stava riprendendo conoscenza. Io mi avvicinai cauto, non sapendo bene come avrebbe reagito e non sapendo come comportarmi.
Mi sedetti come prima accanto a lei. Di nuovo, la vista dei suoi occhi mi lasciò senza parole. Anche Annabeth doveva essere della stessa opinione perché quando mi voltai verso di lei aveva sul viso un’espressione stupita e meravigliata.
«Chi… siete? Dove mi trovo?», chiese la ragazza.
Io le sorrisi per infonderle coraggio.
«Va tutto bene. Io sono Percy e lei è Annabeth. E ti trovi al Campo Mezzosangue», le dissi.
«Il Campo Mezzosangue? Davvero?», domandò speranzosa.
«Sì. Come ti chiami?», disse Annabeth.
«Alice», rispose lei.
Annabeth s’illuminò ma non disse nulla.
«Stai bene?», le chiesi.
«Potrei fare venti giri di campo»
«Perfetto. Allora ti portiamo alla Casa Grande».
 
Spiegammo ad Alice come stavano le cose (la solita tiritera sugli dei dell’Olimpo che esistono davvero, eccetera eccetera) e lei non batté ciglio per tutto il tempo come se qualcosa sapesse già.
Lei annuì quando Chirone ebbe finito di parlare.
«Tutto ok? Non… non sei scioccata?», chiese Annabeth stupita. Alice scosse la testa.
«In realtà non tanto», ci spiegò. Ma prima che potesse continuare Chirone disse:
«Ti va di raccontarci la tua storia?»
«D’accordo, ma non so se ci crederete», ci avvisò lei. Io sorrisi. «Tranquilla, siamo abituati alle cose strane».
«Mi chiamo Alice Flores e ho 14 anni. Sono nata il 9 luglio nello stato di New York. Mia madre si… si chiamava Miranda Flores ed è morta circa un anno fa lasciandomi una lettera. Il… il punto è che lei è morta risucchiata dalla terra. Io non sono normale. Sono iperattiva, credo anche di essere dislessica, sento le voci, faccio sempre incubi assurdi che mi tormentano anche per un anno di fila», cominciò.
«Oh, beh! Non ci sono dubbi, sei proprio una semidea!», esclamai.
«Nella lettera che mia madre mi ha lasciato c’era scritto che io ero una semidea, e che mio padre era un dio. Di cercare il Campo Mezzosangue perché lì mi avrebbero accolta, anche se mi ha scritto di stare attenta perché io ero speciale, diversa. Non sapeva se mi avreste accolto bene».
«Tutto qui?», chiese Chirone sospettoso.
«Ehm… credo di sì», disse lei intimidita.
«Se ti vieni in mente qualcosa che dovremmo sapere, fai un fischio».
«Okay, non c’è problema».
«Percy, Annabeth? Fate fare un giro del campo ad Alice e accompagnatela alla Casa di Ermes».
Noi annuimmo. Tesi la mano ad Alice e mi voltai verso la porta.
«Ah, Percy?», mi fermò Chirone. «Dopo fai un salto al lago, magari», mi suggerì indicando la mia ferita.
«Oh, sicuro», dissi e ce ne andammo.

NOTA AUTRICE: Ciao! Vi è piaciuto questo capitolo? La storia di Alice è molto misteriosa e non date per scontato nulla! Mi raccomando lasciate una recensione o mettete la storia tra i preferiti!  E per ora credo di non dovervi dire altro, se non di fare una visitina anche alla mia altra storia (genere romantico, rating giallo) che si chiama: "Testa tra le nuvole". Grazie!

 

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Capitolo 4
*** Un problemino e un mistero - ANNABETH ***


NOTA AUTRICE: Secondo me questo capitolo è venuto abbastanza bene e spero vi piaccia. Per favore lasciate un commento! Buona Lettura!
 
4.Un problemino e un mistero – ANNABETH
«Perché devo andare nella casa di Ermes?», chiese Alice.
«Ermes oltre a essere il messaggero degli dei è anche il dio dei viandanti», spiegai. «Perciò tutti i semidei all’inizio vanno nella sua capanna, dato che il loro genitore divino non gli ha ancora riconosciuti», conclusi.
«Mi riconoscerà?», domandò speranzosa. Come tutti erano stati, d’altronde. A questo non aveva ancora pensato. Avevamo stretto un patto con gli dei: dovevano riconoscere tutti i loro figli entro il loro tredicesimo compleanno. Qualcosa non tornava.
«Quando hai detto che compi gli anni?», chiesi.
«Il nove luglio», mi rispose guardandomi come se fossi matta. Così le spiegai del patto e la rassicurai dicendole che gli dei non potevano sottrarsi al patto e che, in fondo, essendo l’11 luglio, erano solo due giorni di ritardo. Lei parve tranquillizzarsi un poco.
«D’accordo».
Io e Percy l’accompagnammo a fare un giro turistico del campo: le mostrammo il poligono di tiro con l’arco, l’arena di combattimento, il padiglione della mensa, le fucine e l’armeria.
«Ma come fate quando piove?», chiese Alice lanciando uno sguardo perplesso alla mensa. Io soffocai una risatina. Mi ricordava molto Percy: anche lui aveva fatto la stessa domanda quando era arrivato. Mi voltai verso di lui e vidi che era arrossito.
«Che ho detto?», si difese Alice.
«Niente. Comunque qui non piove mai. Almeno che il signor D non lo voglia», spiegai io.
«Il signor D è Dion…»
«Sì, è lui, ma vacci piano con i nomi», l’ammonii.
«Cioè, abbiamo un dio qui al campo??»
«Già. Ma il signor D è qui per punizione», le risposi.
«Un dio in punizione?»
«Un castigo che arriva dritto dritto da Zeus», s’inserì Percy. «Ê stato punito per averci provato con non so quale ninfa proibita e allora Zeus lo ha confinato qui per secoli dove non può toccare nemmeno una goccia di alcool. In poche parole: un padre comprensivo», concluse ironicamente.
Un tuono rimbombò nel cielo. Io risi.
«L’avevo detto di andarci piano con i nomi», dissi.
Percy borbottò qualcosa di molto simile a un: “Tuona pure quanto ti pare”.
Alzai gli occhi al cielo e mi accorsi che il sole stava calando.
«Ehm, Alice? Credo sia meglio che ti accompagniamo alla casa di Ermes, ti devi dare una sistemata prima di venire a cena», dissi.
Lei mi guardò un po’ imbarazzata.
«Ehm… Annabeth, io non ho vestiti…».
Giusto! Quanto ero sciocca!
«Ma certo. Facciamo prima un salto alla cabina di Atena», risolsi io.
«Per la cena ti basterà seguire quelli della tua casa», la informò Percy.
«D’accordo»
«Percy, va’ pure al lago. Io ti raggiungo tra un attimo», dissi.
Lui annuì e io accompagnai Alice nella mia cabina.
 
«Fatto!», esclamai sedendomi sulla sponda del lago.
Percy mi salutò sorridendo e poi si tuffò in acqua per guarire la ferita (essere figlio di Poseidone ha i suoi vantaggi). Riemerse completamente asciutto (non si bagnava se non era lui a volerlo).
Io però lo guardai perplessa.
«Che c’è?», mi chiese.
«La tua ferita. Non è guarita», risposi.
«Che…?». Si guardò la spalla e si accorse che la ferita era tale e uguale a prima.  «Ma come è possibile??», esclamò esterrefatto.
«Chi ti ha ferito?», chiesi.
«Alice», disse illuminandosi come se avesse capito qualcosa. «Quando l’ho trovata ho provato a svegliarla e lei ha urlato e mi ha ferito per poi svenire di nuovo», mi raccontò.
«Quella ragazza ha decisamente qualcosa di strano», dissi io sempre più stupita e curiosa.
«Già. Magari l’acqua non può guarire le ferite che mi hanno inferto dei miei parenti», suppose.
«Mmm… forse. C’è un solo modo per saperlo: devi chiedere a Tyson di ferirti», sentenziai.
«Cosa??»
«È l’unico modo. Lui ti ferisce, tu ti butti in acqua e vediamo che succede»
«Forse hai ragione», disse infine.
Io sorrisi. Lui fece per andare verso le cabine quando io lo fermai.
«Aspetta. Dobbiamo fare qualcosa per quella spalla»
«Vedi quell’alga laggiù?», dissi indicando qualcosa nel lago.
«Quella blu vicino al sasso?», chiese conferma lui. Io annuii.
Lui si tuffò e riemerse pochi secondi dopo con l’alga. Gliela presi dalle mani e la posai sulla ferita.
«Ahi!», gridò Percy. Io lo baciai sulla guancia ridendo.
«Θεραπεύστε, Θεϊκό Απόλλωνα, σε αντάλλαγμα για μια προσφορά», recitai. Era la formula in greco antico per invocare Apollo di guarire. (Guarisci, Divino Apollo, in cambio di un’offerta).
La ferita cominciò a rimarginarsi in fetta finché di lei non rimase solo una lieve cicatrice.
«Come facevi a sapere…?», chiese lui stupito.
«Un anno ho seguito un corso di medicina con quelli della casa di Apollo», spiegai brevemente.
«Wow…»
«Ora andiamo da Tyson», dissi.
 
«Fratellino!», esclamò Tyson e corse incontro a Percy.
«Ciao Tyson», rispose lui. «Ehm… io sono qui per chiederti un favore», cominciò un po’ in difficoltà.
«Ci serve che tu ferisca Percy», lo aiutai. «Sai della nuova ragazza arrivata al campo?», chiesi. Lui annuì. «Per sbaglio lei ha ferito Percy e l’acqua non lo guarisce. Vogliamo capire: se tu ferissi Percy, dato che sei suo fratello, l’acqua lo guarirebbe?», spiegai.
Lui fece un cenno con la testa come per dire che aveva capito.
«D’accordo. Dove, fratello?», chiese poi a Percy.
«Ehm… sulla mano?», propose.
Tyson estrasse la spada e procurò a Percy un bel taglio sanguinante sul palmo della mano.
«Ahhh!», strillò lui.
«Credo sia meglio che tu corra al lago», suggerii e Percy partì a razzo.
Lo raggiunsi ansimando.
«La prossima…volta… un po’ più… piano… che ne dici?», dissi tra un respiro e l’altro.
Lui si era già buttato nel lago. Quando riemerse la ferita era perfettamente guarita. Non c’era neanche una piccola traccia.
«Il mistero si complica» mormorai.

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Capitolo 5
*** La missione - ALICE ***


 5. La missione – ALICE
Erano passate ormai due settimane da quando ero al campo. Mi ero rivelata una combattente nata. Ero bravissima con la spada ed eccellevo nel tiro con l’arco. La mia arma preferita però era il pugnale con l’elsa blu che mi ero scelta all’armeria. Allora non sapevo ancora che possedevo già la mia arma più potente…
 
Quella mattina mi svegliai pressoché felice. Mi avevano accolto nel migliore dei modi, non me lo sarei mai aspettata. Anche se a volte mi guardavano in modo strano…
Comunque non sapevano ancora del mio segreto più importante, ma era una cosa così inverosimile che non ce la facevo proprio a raccontarlo. E se mi avessero cacciata? Non ci volevo neanche pensare!
Mi alzai molto presto, ma dovevo farci l’abitudine se volevo sopravvivere nella casa di Ermes. C’era un bagno solo per sessanta ragazzi scalmanati e avevo imparato a mie spese che c’erano delle regole di sopravvivenza.
1)Svegliarsi presto la mattina se volevi andare a colazione con un aspetto decente.
2)Tenere le proprie cose sempre vicino al proprio letto oppure portarsele dietro se non volevi che ti venissero rubate.
Queste erano quelle che avevo imparato già dal primo giorno, ma ero sicura che ne avrei scoperte altre.
Comunque aspettai un po’ e alla fine ci mettemmo in fila per andare a mensa. Eravamo decisamente la casa più numerosa: ad alcuni tavoli erano sedute solo due, tre o quattro persone.
Mi avviai insieme agli altri per fare l’offerta ad Ermes e vidi Percy che gettava due razioni di cibo: una per Poseidone e una per Apollo. Che significava? Chiesi ad uno della mia casa e mi spiegò che se chiedevi un favore a un dio era buona cosa che tu gli facessi un’offerta.
Nel bel mezzo della colazione arrivò Chirone al galoppo e aveva la faccia molto preoccupata. Tutti si zittirono.
«Percy, Annabeth, venite. Subito».
 
Dopo circa un quarto d’ora, quando stavamo andando al poligono di tiro con l’arco, mi raggiunse un satiro.
«Sei tu Alice Flores?», mi chiese. Io annuii.
«Sei convocata da Chirone alla Casa Grande. Vieni, ti accompagno io».
Seguii il satiro e mi allontanai dalla casa di Ermes. Giungemmo alla Casa Grande e il satiro si dileguò. Io entrai un po’ titubante e venni accolta da Percy. Era visibilmente agitato.
Entrammo e trovammo Chirone che ci aspettava.
«Dunque Alice, ti spiegherò la situazione in breve», esordì. «Si stanno risvegliando dei mostri, nonostante noi gli abbiamo sconfitti in massa solo un mese fa. Le Cacciatrici di Artemide hanno chiesto aiuto. Ci sono troppo mostri che pullulano per l’America. Voi vi occuperete di quelli di New York. Inoltre, Talia ha detto di raggiungerla al più presto a Manhattan, altrimenti sarà troppo tardi. Testuali parole», mi spiegò.
«Solitamente le missioni si affidano ad un eroe che si deve scegliere due compagni. Ho affidato la missione a Percy, che ovviamente ha scelto Annabeth e… te».
«I-io??», chiesi sbalordita.
«Ci farebbe comodo una guerriera come te. Hai uno stile tutto tuo e te la cavi con un sacco di armi», mi disse Percy.
«Non sei obbligata, puoi anche rifiutare», mi disse il centauro.
Una missione. A rischio della vita. Ci sarebbero stati un sacco di mostri. Ci sarebbero stati Percy e Annabeth. Mi sembrava un’ottima idea.
«Ci sto», dissi, cercando di apparire sicura della mia scelta.
«Bene, allora non ci resta che spedire Percy dall’Oracolo», concluse Chirone.
«No», si oppose Percy. «Credo che debba andare Alice. Non lo so Chirone, ho come una sensazione», disse cercando di spiegarsi.
«E d’accordo. Mi fido di te, Percy. Accompagna Alice dall’Oracolo e spiegale che cos’è. Annabeth, tu va’ a preparare gli zaini».
 
«L’Oracolo è… beh, è una mummia», mi spiegò Percy.
«Una che???», esclamai.
«È una specie di mummia dell’ultima ragazza ad avere il dono dello spirito di Delfi».
«Questa cosa mette i brividi», commentai.
«Aspetta di trovartela davanti che recita la tua profezia con la voce cavernosa», disse Percy rabbrividendo.
«Così non mi sei d’aiuto, sai?»
«Oh, già. Scusa».
«Arrivati. A te l’onore. Cerca di non andare in stato di shock per favore, dico sul serio», mi avvertì.
«Idiota», gli risposi.
 
Altro che stato di shock! Ero letteralmente paralizzata. Ricordavo ancora le parole dell’Oracolo:
 
Per le strade camminerete
e verso l’ignoto andrete.
La terra si sta risvegliando
e scatenerete la sua ira.
All’ultimo fiato
la verità fuori verrà.
L’ultima decisione in mano sarà
alla figlia dell’oceano che sceglier dovrà.
 
Una profezia di certo molto incoraggiante.

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Capitolo 6
*** Partenza - Percy ***


6.Partenza – PERCY
«Ehi, tutto bene?!», chiesi apprensivo quando vidi Alice che usciva con espressione terrorizzata. Quanto la capivo…
Lei mi guardò un po’ storto.
«Credo… di sì», mi rispose un po’ incerta.
«Andiamo da Chirone. Magari riuscirai a dirci la profezia», le dissi gentilmente prendendola per un braccio. Dubitavo della sua stabilità.
Raggiungemmo la sala ricreativa dove ci aspettava Chirone. Ci venne incontro apprensivo.
«Non è in stato di shock però è scossa», spiegai.
«Non sono scossa! Sto benissimo!», mi rimbeccò lei.
«Vuoi dirci cosa ti ha detto l’oracolo?», le chiese Chirone.
Lei rimase incerta per un attimo poi annuì.
«Per le strade camminerete e verso l’ignoto andrete. La terra si sta  risvegliando e scatenerete la su ira», cominciò. Qui ebbe un sussulto e si fermò: evidentemente il verso che veniva dopo non le piaceva molto. Invece riprese:
«All’ultimo fiato la verità fuori verrà», concluse.
«Tutto qui?», domandò Chirone. Alice annuì. C’era qualcosa che non tornava, qualcosa che mi era già capitato ma non riuscivo a ricordare cosa.
«D’accordo, allora siete pronti per partire», concluse il centauro.
 
Eravamo sulla macchina che ci avrebbe portato a New York. Alla guida c’era come sempre Argo, il nostro capo della sicurezza dai cento occhi. Ero seduto nel posto centrale tra Annabeth e Alice. Ripensavo ancora alla profezia di Alice e mi chiedevo cosa c’era che non andasse.
«Percy, tutto bene?», mi chiese Annabeth. Improvvisamente scattò una scintilla nel mio cervello iperattivo. Anche Annabeth una volta mi aveva nascosto l’ultimo verso della profezia e io l’avevo capito perché le profezie finiscono sempre in rima baciata!
«Sì, si», le risposi frettolosamente. «Alice? Come finisce la tua profezia?», chiesi a bruciapelo.
Lei mi guardò impaurita. «Che?»
«La tua profezia. Non è completa. Come finisce?», ripetei.
Lei prese a tormentarsi le mani e divenne rossa. Poi sospirò.
«E d’accordo. L’ultima decisione in mano sarà, alla figlia dell’oceano che sceglier dovrà», rivelò.
«Non mi piace questa missione», mormorò Annabeth. Quanto la capivo…
«Ma chi è la figlia dell’oceano?», domandai.
«Mmm… e se fosse una figlia di Oceano? Il titano fratello di Crono?», propose Annabeth.
«Impossibile», dissi. «È stato gettato nel Tartaro», ricordai.
«Ma Crono si è già liberato in passato», insistette lei.
«Non ci sarà un secondo Luke», dichiarai. «E comunque mi sembra impossibile».
Annabeth non replicò ma lanciò un’occhiata ad Alice.
«Ma se non è Oceano, cosa intende la profezia per “figlia dell’oceano”?»
«Non lo so, Annabeth. Ma i significati delle profezie sono molteplici, lo sai».
E con questo la nostra conversazione si chiuse.
 
Scendemmo dall’auto e ringraziammo Argo.
«Bene, credo che dovremmo raggiungere Talia a Manhattan, il prima possibile», annunciai.
«Questa cosa non mi piace, sbrighiamoci!», rincarò Annabeth.
«Dobbiamo andare al porto, a piedi non arriveremo mai a Manhattan in tempo», disse Alice.
«Hai ragione. Hai problemi di mare, Alice?», chiesi. Lo dissi per galanteria, ma conoscevo già la risposta. Infatti lei mi guardò come se fossi matto.
«Certo che no! Io adoro il mare»
«Allora al porto!», esclamò Annabeth, e cominciò a correre.
Noi la seguimmo.
«Credo che sia meglio passare per posti più isolati, dobbiamo stare un po’ fuori città», dissi.
Ci spostammo in modo da non dare nell’occhio.
«Ehm… scusate?», s’inserì Alice.
«Sì?»
«Chirone ci ha detto che dovremmo abbattere qualche mostro», ci ricordò.
«Ha ragione», dichiarai. Annabeth annuì.
Ma non avemmo il tempo di continuare la nostra conversazione perché sentimmo un sibilo lontano.
«Intendevi qualcosa come questi mostri?», urlò Annabeth.
«Iniziamo bene la missione…», commentai io.
Sentimmo i sibili sempre più vicino. Ma ora si era aggiunto anche un altro suono. Non sapevo di cosa si trattasse ma nulla di buono, ne ero certo.
«Sono un bel po’!», dissi.
«Combattiamo?», chiese Annabeth in direzione di Alice.
Lei stringeva con forza l’elsa blu del suo pugnale talmente tanto da avere le nocche bianche. Sudava freddo, lo si vedeva da un chilometro di distanza.
«D’accordo», disse infine.
«Ehi, sei una guerriera straordinaria, davvero», le dissi per infonderle coraggio. Non che fosse una bugia, ovvio.
E con un grido ci gettammo verso l’orda di mostri che stava per arrivare.
Ci nascondemmo dietro ad un cespuglio e restammo quatti nell’attesa di vedere in faccia il nostro nemico. Pochi minuti dopo vedemmo arrivare un gruppetto di otto dracene e quattro empuse. In totale dodici nemici contro tre. Fantastico.
«E adesso che facciamo?», mi sussurrò Annabeth.
«Aspettiamo di coglierle di sorpresa», risposi.
Ci zittimmo all’istante perché cominciammo a sentire delle voci. Era una dracena che stava parlando.
«Sssì, le abbiamo sssistemate, la nosstra ssignora ssarà contenta»
«E la ragazza? È pericolosa», le chiese un’empusa.
«A quella penserà la ssorella della nosstra padrona», le rispose la dracena.
«Chi, Teti?»
«Shhh… Non pronunciare il ssuo nome!», l’ammonì l’altra.
L’empusa si fermò a fiutare l’aria: aveva avvertito il nostro odore.
«C’è puzza di mare », commentò.
«Ssta zitta! Il mare è a pochi chilometri da qui, è ovvio che ssenti il ssuo odore», la rimbeccò la dracena.
Non avevamo più tempo. Presto si sarebbero accorti della nostra presenza.
«Ora», sussurrai.
Ci gettammo sui mostri e sguainai Vortice. Ero immortale (a parte il mio tallone d’Achille) perciò non temevo di morire. Uccisi quattro dracene con quattro colpi di spada ben assestati e mi guardai intorno. Alice era circondata dalle empuse che tiravano fuori i denti pronte ad azzannarla. Se la stava cavando piuttosto bene, non aveva nemmeno una ferita. Ma le empuse non erano nemici da poco, perciò corsi in suo aiuto. Trafissi un’empusa alle spalle e si sgretolò sotto i miei occhi. Poi mi misi al fianco di Alice. Ora eravamo tre contro due. Mi concessi uno sguardo veloce ad Annabeth. Aveva già ucciso tre dracene, ma l’ultima sembrava più abile e non mollava. Però Annabeth non dava segni di cedimento e combatteva senza fermarsi.
Non mi accorsi che un’empusa si era avventata su di me e mi aveva colpito in pieno petto. Sfortunatamente, quello non era il mio punto mortale. Il contraccolpo fu di una potenza tale da gettare a terra l’empusa e stordirla ed io approfittai per distruggerla. Ora avevamo un’empusa a testa e Annabeth continuava a combattere contro quella che sembrava la nuova regina delle dracene.
Alice sembrava in difficoltà, ma teneva testa alla sua empusa in modo spettacolare. Io feci una finta ma l’empusa non ci cascò e mi colpì nel fianco. Devo dire che per me quel duello non stava andando benissimo. Per fortuna che ero immortale, altrimenti sarei già morto da un pezzo. Ma d’altronde ero impegnato a controllare che Annabeth e Alice non avessero bisogno del mio aiuto. Ripresi il controllo di me stesso e uccisi l’empusa. Stavo per decidere chi delle due dovessi aiutare quando Annabeth e Alice trafissero il loro nemico all’unisono. Annabeth si voltò verso di me soddisfatta e mi sorrise con il volto imperlato di sudore. Alice invece crollò a terra e svenne. Fu allora che notai un segno sulla mano. L’empusa l’aveva morsa.

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Capitolo 7
*** SCUSATE ***


Ciao ragazzi! SCUSATEMI. So che la mia ultima pubblicazione è di molti mesi fa ormai, ma ho avuto quello che si dice “blocco dello scrittore”. Non ho scritto nulla per un bel po’ e adesso vorrei ricominciare. Vi ringrazio per le vostre letture ma vi chiedo per favore di recensire perché per me è molto importante e in questo modo capisco cosa ne pensate della storia. Spero di farmi perdonare. A presto!

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