And everywhere I'd look, your eyes I'd find

di hapworth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi piacciono i treni ***
Capitolo 2: *** I numeri sono speciali ***
Capitolo 3: *** Correre è complicato ***
Capitolo 4: *** Il mio posto e quello degli altri ***
Capitolo 5: *** Facciamo amicizia, ma senza esagerare ***
Capitolo 6: *** Un passo dopo l'altro ***
Capitolo 7: *** Oltre la nostra linea di separazione ***
Capitolo 8: *** La mia casa è la tua casa ***
Capitolo 9: *** Dove razionale e irrazionale si incontrano, là ci sei tu ***
Capitolo 10: *** Oggi, domani e il giorno dopo ancora ***



Capitolo 1
*** Mi piacciono i treni ***


Sono passati quasi due anni da quando ho messo la parola “fine” a questa storia per la prima volta. Da allora ho dedicato a questa creatura due revisioni complete e varie aggiunte per renderla più omogenea, cercando di non perdere comunque di vista il fatto che fosse nata come slice of life e che, quindi, dovesse mantenere quel tono.
Ho attraversato diversi momenti in cui non desideravo davvero postarla, perché malgrado tutto era da diverso tempo che non creavo una storia a più capitoli e che arrivasse alla doppia cifra – non scrivendo da sola almeno; niente di troppo ansiogeno, ma comunque è stato per me terapeutico e, anche se nutro ancora molte riserve su ciò che ho scritto e come l'ho scritto, amo questa storia e amo il rapporto che ho finito per creare tra i due. Ne sono pienamente soddisfatta insomma e spero che chi vorrà accompagnarmi (?) possa in qualche modo affezionarsi almeno un po'.
Detto questo, vi auguro una buona lettura.

hapworth

Ringraziamenti: Prima di tutto ringrazio tantissimo Ortensia_, che sebbene fosse impegnatissima è riuscita a ritagliarsi un po' di tempo per i primi capitoli della mia creatura e a darmi consigli utili e correggermi degli strafalcioni che mi erano – ovviamente – sfuggiti. Grazie, sei stata un tesoro!
E poi un grazie speciale a laNill, mia perenne partner in crime da anni che, volente o nolente, finisce per sorbirsi in modo diretto o indiretto - anche quando non ama particolarmente le ship o quando non ha per niente voglia di sentirmi blaterare - i miei dubbi e le mie insicurezze. E tutto senza strozzarmi, seppure attraverso lo schermo di un computer o di un cellulare. Sai che ti adoro.

Dedicato a: La dedico a F., perché anche se non la leggerà mai e non è stata scritta pensando a lui, la verità è che la voglia di trattare su questo tema mi è venuta proprio dopo averlo conosciuto – anche se sono passati anni da allora e io ero solo una ragazzina e lui un bambino.
In seconda battuta, la dedico a tutti quei bambini e ragazzi che sono definiti “problematici” e che per questo sono scacciati da quelle aggregazioni sociali, ricche di benpensanti, che nel momento in cui serve davvero un sostegno a qualcuno, se ne lavano le mani. Questa è anche per te A., perché non hai mai meritato il modo in cui ti hanno descritto e trattato. Ancora mi pento di non essere stata abbastanza adulta e coraggiosa per oppormi con maggior forza. Spero che un giorno capirai.
In ultimo la dedico a L., che ho conosciuto solo quando questa storia era già finita e che mi ha aiutato, seppure inconsapevolmente, nel rendere il piccolo Shouto ancora più credibile durante la revisione. Meriti il meglio e spero che la vita non ti porti via anche l'amore incondizionato che tutti meritiamo.
E ricordate sempre che nessuno ha il diritto di cacciare, evitare o sminuire ciò che siamo e le nostre infinite possibilità. Nessuno.


 
Tell me how you feel
Well I feel like they're talking in a language I don't speak
And they're talking it to me

(“Talk”, Coldplay)


And everywhere I'd look, your eyes I'd find
Capitolo 1 - Mi piacciono i treni

«Non ti allontanare troppo dal giardino, Izuku!» Inko osservò il figlio di cinque anni annuire; aveva un sorriso ampio sul visetto tondo e paffuto – le assomigliava così tanto! - mentre apriva la porta di casa e usciva in giardino per giocare. Izuku aveva i capelli ricci, di un particolare color verde scuro e due occhi grandi di una tonalità di un verde molto più brillante rispetto a quella dei capelli.
Una volta fuori, il bambino si guardò intorno con curiosità: si erano trasferiti solo quel giorno dalla città in cui era nato e non aveva ancora avuto modo di esplorare i dintorni. La sua idea, in realtà, era stata quella di giocare un po' nel loro bel giardino, ma era anche molto emozionato all'idea di scoprire qualcosa del nuovo quartiere.
La piccola villetta monofamiliare dei Midoriya si trovava in una zona residenziale molto carina, dove altre piccole ville creavano un'ambientazione simile a quella dei libri che Izuku si faceva leggere dalla mamma. C'era tanto verde e ognuna di esse aveva un piccolo giardino sul davanti, recintato.
Izuku osservò la staccionata ricoperta dalle piante rampicanti che separava casa Midoriya da quella di fianco a loro che, a giudicare dal primo sguardo, era decisamente molto più grande. Incuriosito, si avvicinò al confine, cercando di sbirciare oltre la lunga e alta – almeno per la sua statura minuta – siepe che faceva da barriera tra le due proprietà.
Non era un tipo sportivo, ma gli piaceva arrampicarsi, così riuscì a risalire la siepe e a sbirciare oltre: un giardino grande, molto diverso dal loro; non c'erano fiori, solo un enorme prato verde con diversi attrezzi e quello che, presumibilmente, assomigliava a un orto proprio oltre la staccionata dove si era arrampicato.
In mezzo a quella massa di oggetti, principalmente metallici, stava un bambino.
Izuku inclinò leggermente la testa, osservando il colore inusuale dei suoi capelli: ne aveva una parte rossa, sulla sinistra, e come se fosse stato tagliato a metà, una parte completamente bianca sulla destra. Non lo vedeva bene, ma era indaffarato a fare qualcosa con le mani.
Era ancora indeciso sul da farsi, quando all'improvviso nel suo campo visivo entrò qualcuno. Fece appena in tempo a vedere la frangia di colore diverso, prima di perdere l'equilibrio – già precario – sulla staccionata e cadere all'indietro. «Ah!» esclamò, mentre atterrava sull'erba, portandosi la mano a massaggiarsi la testa e il collo.
«Tu chi sei?» la voce sconosciuta gli fece sollevare la testa verso la siepe.
Il bambino che aveva guardato poco prima era lì e lo osservava; aveva gli occhi di colore diverso, uno grigio e uno azzurro, rispettivamente alla destra e alla sinistra e lo fissava, apparentemente incuriosito anche se non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Izuku, imbarazzato, si alzò in piedi. Non arrivava alla siepe, quindi l'altro bambino era più in alto, ma non sembrava molto importante. «Io sono Izuku.»
«Io mi chiamo Shouto. Vuoi giocare con i trenini?» gli domandò. Izuku sorrise, mentre l'altro bambino sembrava non guardarlo direttamente. Eppure era chiaro che stesse parlando con lui – controllò anche se ci fosse qualcuno dietro di sé, ma non c'era nessuno, quindi... Probabilmente era solo timido.
«Mi piacerebbe-»
«Ai miei fratelli non piacciono, quindi se vuoi possiamo giocare insieme.» continuò quello, mentre spariva al di sotto della siepe e poi faceva capolino – il tutto continuando a parlare – davanti al cancello di casa sua.
Izuku annuì. «Lo dico alla mamma.»
Shouto non disse niente, rimanendo fermo sul posto, davanti al cancelletto, mentre Izuku apriva la porta di casa e infilava la testa all'interno. Cercò con lo sguardo la madre, sentendo dei rumori provienienti – come sempre – dalla cucina.
«Mamma, posso andare a giocare con Shouto?» Inko apparve proprio dalla soglia della cucina e lo guardò sorpresa. «Chi è Shouto...?»
«Abita di fianco a noi. Posso?» spiegò, dandosi mentalmente dello stupido: come faceva sua madre a conoscerlo, se lui stesso lo aveva appena incontrato? Inko gli sorrise, annuendo bonariamente mentre si asciugava le mani con un panno. «A patto che quando è ora torni a casa.»
Izuku annuì energicamente, i capelli crespi che si muovevano con lui in un assurdo effetto di gravità. Sapeva che sua madre non gli avrebbe mai vietato di farsi un nuovo amico, ma allo stesso tempo sapeva di doverlo comunque chiedere. Era contento che sua madre fosse sempre così buona. «Grazie mamma!»
Izuku uscì di corsa e trovò Shouto dove lo aveva lasciato, che si guardava intorno e muoveva i piedi, in un modo un po' strano prima sulla punta e poi dietro. Avanti e indietro, in una ripetizione continua, mentre teneva la testa bassa e le mani incrociate dietro la schiena.
«Ha detto di sì!» annunciò Izuku. Shouto si riscosse, ma lo guardò solo un attimo, prima di muovere appena la testa e fargli strada, fino ad arrivare nel giardino di casa sua.
Una volta che il cancelletto fu aperto, Shouto si diresse a passo spedito – ma apparentemente incerto – verso quella che appariva proprio come la postazione di un bambino. Izuku riconobbe che tutto era sistemato in modo che ci potesse arrivare con le mani senza spostarsi troppo in giro.
Shouto si lasciò ricadere a terra con un tonfo, mentre Izuku si sistemava al suo fianco, osservando i binari impilati uno sopra l'altro e i vagoni poggiati sull'erba. «Sono bellissimi! Posso prenderli?» domandò, lanciando uno sguardo nella direzione del nuovo amico che, voltandosi nella sua direzione, arrossì appena. «S-sì.» mormorò.
Izuku non se lo fece ripetere due volte e cominciò a osservare con attenzione i dettagli dei modellini; erano fatti benissimo, lui non ne aveva mai avuti, anche perché preferiva le automobiline o i pupazzi, però erano bellissimi.
«Sai che i vagoni sono lunghi sei metri per quattro? La sbarra di ferro è larga circa due metri e otto.» gli rese noto l'altro bambino mentre, con la lingua che spuntava a lato della bocca, cominciava a sistemare i binari uno vicino all'altro.
Izuku lo osservò in silenzio, cercando di capire come unire i diversi vagoni insieme.
«Fantastico!» esclamò Izuku una volta che ebbero finito di montare la pista. Si estendeva intorno a loro, racchiudendoli all'interno; non c'erano ostacoli, ma Shouto aveva sistemato una scatola tagliata come se fosse stata una galleria.
Il treno era stato montato e la locomotiva sistemata davanti ai vagoni. Izuku batté le mani tra loro, in segno di eccitazione, mentre Shouto osservava in modo fisso e apparentemente scettico il loro operato, come se mancasse qualcosa.
«Ci vuole un ponte.» annunciò infine, mentre si alzava e quasi inciampava sui binari mentre cadeva per terra e si rialzava mettendo prima i gomiti, facendo leva su di essi e poi sulle ginocchia.
«Ti aiuto!» Izuku si rialzò, affiancandosi a Shouto, che però si era già rialzato. Erano quasi alti uguali, la loro corporatura era anche molto simile; unica differenza era la loro carnagione: Shouto aveva una tonalità molto chiara, mentre Izuku più rosea e sulle guance aveva qualche lentiggine.
Alla fine trovarono un coccio rotto e lo misero sotto ai binari, in modo da simulare un piccolo rialzo – non eccessivo, per evitare di rovinare la pista – e si rimisero seduti uno vicino all'altro, prima di far partire il treno.
«Tutti in carrozza.» annunciò Shouto, mentre Izuku imitava il ciuff ciuff della locomotiva; il meccanismo fu azionato dal pulsante sul pannello davanti a loro e il treno cominciò a muoversi, tra le loro esclamazioni eccitate.
Il percorso dei binari venne attraversato senza problemi dal modellino, mentre Izuku e Shouto ne osservavano incantati il suo proseguire in modo costante; era fantastico, o almeno per loro sembrava la cosa più bella del mondo. Izuku indicò emozionato la galleria e poi il piccolo rialzo che simulava il ponte, preoccupato che il trenino non riuscisse a farcela, ma contrariamente alla sua convinzione, il piccolo mezzo riuscì ad attraversare il tutto facilmente.
Rimasero probabilmente diverse ore a osservare l'andatura del trenino, cambiandone la velocità con il pannello e inserendo gallerie e rialzi, cambiando anche il percorso dei binari.
«Izuku! È ora di mangiare!» la voce di sua madre riscosse Izuku molto tempo dopo, facendolo inevitabilmente intristire per un attimo al pensiero che il pomeriggio fosse già finito. «Sì!» esclamò, vedendo la capigliatura verde scuro di Inko apparire dal portone di casa, intravedendola solo di poco da sopra la siepe.
Il bambino si voltò verso Shouto, che continuava a osservare con attenzione il trenino.
«Sho-chan, io devo andare.» annunciò. Quello non reagì immediatamente, ci volle un secondo richiamo da parte di Izuku, per fargli volgere lo sguardo nella sua direzione. Lo guardò solo un attimo, come aveva già fatto in precedenza e annuì, l'espressione indecifrabile; Izuku non vi diede peso e cominciò ad alzarsi da terra.
«Ci vediamo domani.» mormorò Shouto; non era una proposta, sembrava più un dato di fatto, mentre si alzava facendo leva nuovamente sui gomiti e poi sui piedi. Izuku lo osservò in silenzio per qualche istante, prima di sorridere entusiasta. «Sì!»
Il pensiero di essersi fatto un amico così velocemente lo rendeva davvero felice. Il giorno dopo avrebbero giocato ancora. Izuku non si trattenne e abbracciò Sho-chan, in una presa stretta, ma non troppo.
«Ciao, ciao Sho-chan!» lo salutò dopo averlo lasciato, sempre col sorriso, mentre Shouto lo guardava in tralice, con l'occhio azzurro e schiudeva le labbra per un attimo, senza tuttavia dire niente se non un semplice «Ciao.» mormorato in un tono stranito.
Izuku non ci prestò attenzione, anche perché per lui abbracciarsi era un saluto sufficiente e zompettò contento verso la casa a fianco.
Shouto rimase fermo sul posto ancora a lungo, prima che la voce di sua madre lo inducesse – dopo diversi richiami – a rientrare e rimettere a posto i suoi giocattoli. Ciao, ciao Sho-chan!
Qualcosa dentro di lui parve fare rumore, ma Shouto non sapeva che cosa fosse né, probabilmente, era ancora in grado di capirlo.


Continua...



Note finali.
Il titolo della storia è ripreso dal testo di Catch the Wind di Donovan.
Le informazioni circa i treni sono basate sulle normative europee, non ho assolutamente idea di come siano le regole in Giappone, ma Shouto si basa sul fatto che il suo è un modellino importato dall'Europa, quindi di per sé l'informazione è “importante” per quello dal suo punto di vista.
Le informazioni circa i numeri romani sono prese da Wikipedia.
Le età dei fratelli di Shouto sono falsate per mia volontà, in modo da poter sviluppare meglio la sua condizione ed evitare possibili – e ovvie – ripercussioni su di loro e sul loro comportamento, rendendoli abbastanza maturi da capire la situazione del fratello e le sue necessità.
I coniugi Todoroki qui sono sì sposati grazie a un matrimonio combinato, ma le motivazioni sono semplicemente economiche. La situazione non è rosea, ma non è nemmeno critica come quella della storia originale.
La madre di Izuku è rimasta vedova circa due anni dopo la nascita del figlio.
Nonostante la storia sia scritta in terza persona e da entrambi i punti di vista, come si può notare il titolo di ogni capitolo è in prima persona e dal punto di vista di Shouto, collegato a ciò che verrà trattato in modo più approfondito nel capitolo.
I modi di dire sono presi dalla mia esperienza personale, dunque non ho idea se siano usati in altre parti di Italia oltre che la mia. Perdonate questa leggerezza, ma non volevo cercare modi di dire di cui non conosco bene le sfumature, mi sembrava poco credibile.
Ultima nota, ma non ultima: ho raccolto un sacco di informazioni prima di imbarcarmi a caratterizzare Shouto, adattando il suo ic a quello che desideravo ottenere. Ho ancora un sacco di dubbi sul risultato finale, ma posso dire che ho fatto il meglio che potevo, cercando anche di non essere superficiale, che è una cosa che volevo in ogni modo evitare.

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Capitolo 2
*** I numeri sono speciali ***


E dopo una settimana di pausa, eccomi di nuovo con il secondo capitolo. Ho deciso di mantenere l'aggiornamento così: un lunedì sì e uno no, in modo da non sentirmi ansiosa riguardo al dover controllare per l'ennesima volta il capitolo ogni volta. Sono anni che non posto una storia a capitoli (da sola) e quindi soffro un po' di crisi di prestazione: abituata come sono a produrre solo oneshot e simili, non ho mai un calendario fisso e quindi...
Ma lasciamo perdere e torniamo al capitolo: questo risulta leggermente più lungo rispetto al precedente. Noterete, con l'andare avanti dei capitoli, che non hanno una lunghezza omogenea e, anzi, alcuni sono corti, altri un po' più lunghi, senza risultare eccessiva. È stata una scelta, perché come slice of life, mi trovavo meglio a narrare momenti della storia, senza essere costretta a scrivere tutto ciò che accade prima o dopo quello che succede.
Inoltre compio salti temporali, a volte di pochi mesi (come questo capitolo) a volte di anni.
E direi che è tutto, vi auguro una buona lettura!

hapworth


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Capitolo 2 - I numeri sono speciali

La sveglia a forma di rana sul comodino segnava le due del pomeriggio quando Izuku sollevò la testa: era ora! Si alzò di scatto, afferrando i calzini bianchi e infilandoseli, prima di uscire di corsa dalla propria stanza, scendendo le scale e trovando sua madre in cucina, alle prese con le pulizie. «Mamma, vado da Sho-chan!» annunciò con la voce eccessivamente alta. La donna si voltò appena, un sospiro le uscì dalle labbra, mentre si passava una mano sulla fronte. «D'accordo, ci vediamo più tardi-» fece appena in tempo a dire, prima che il figlio la interrompesse.
«Sì, ciao!» la salutò Izuku, chiudendosi la porta alle spalle dopo essersi infilato le scarpe e scendendo i tre gradini che lo separavano dal giardino.
Si stiracchiò, tirando il gomito verso l'alto e facendo poi a cambio, prima di spostare lo sguardo all'insù; la giornata era piuttosto bella: il sole brillava alto per essere il primo dopopranzo e l'azzurro del cielo non era turbato, se non da qualche rada nuvola bianca molto fumosa.
Solo a quel punto si voltò di lato, verso lo steccato e la siepe che separava casa sua da quella dei Todoroki, dove abitava il suo migliore amico Shouto.
Erano coetanei e presto avrebbero cominciato le elementari nella stessa scuola.
L'essere riuscito a farsi fin da subito un amico non appena trasferito, aveva dato la giusta carica a Izuku, che adorava passare il tempo con l'altro bambino: Shouto aveva sempre qualcosa da dire, cose da fargli scoprire e giochi nuovi da mostrargli.
Avevano passato quasi tutta l'estate a giocare con il modellino di treno – e ancora lo facevano, benché pian piano Shouto avesse dimostrato una graduale perdita di interesse, cosa che era stata accompagnata anche dalla sua, in effetti: era monotono giocare sempre con la stessa cosa e ormai entrambi sapevano tutte le possibili combinazioni tra la velocità e i percorsi che avrebbero potuto far compiere al mezzo di trasporto in miniatura.
Quando sentì il rumore della porta che si apriva, uscì dal proprio giardino per andare davanti al cancelletto di Shouto, che apparve sulla soglia scendendo i tre scalini; gli lanciò uno sguardo veloce, mentre Izuku lo salutava con la mano e l'altro avanzava, in modo fin troppo rapido – tanto da far pensare che sarebbe potuto franare al suolo. «Vieni!» lo richiamò l'altro, come se quello valesse, di fatto, come un saluto.
Solo una volta entrato, si rese conto che Shouto aveva tra le mani un libro; non era grande, non eccessivamente almeno, ma era chiaramente un libro da adulti e ce ne stavano altri sulla coperta che era stata sistemata dalla mamma di Todoroki – aveva preso l'abitudine di farlo, considerando che loro due si sedevano sempre nello stesso posto poco dopo pranzo per giocare.
«Ho trovato questi nella libreria di papà e mi sono informato. Guarda.» aprì il libro e, invece di indicargli il testo, il suo dito pallido gli indicò il numero – o quello che presumeva lo fosse – della pagina. Izuku si sporse, osservando quei segni che ai suoi occhi non apparivano affatto come numeri – non sapeva ancora leggere, ma sapeva riconoscere un numero quando lo vedeva.
«Cosa sono?»
«Numeri romani.» annunciò quello; sembrava entusiasta e anche se non stava sorridendo, gli occhi gli brillavano mentre osservava la pagina, per poi cominciare a sfogliare.
Shouto era emozionato, perché aveva passato tutta la sera precedente a osservare le pagine di quei libri. Aveva scoperto che i numeri romani non erano il modo consueto di numerare un libro e che, se li trovava, spesso erano libri particolari o era una numerazione utilizzata solo per quella che si chiamava prefazione o introduzione, dipendeva molto e spesso la usavano se c'erano scritte cose intelligenti e complicate.
«Ah?» lo stupore di Izuku era palpabile e Shouto si trattenne dal rimproverarlo, perché gli piaceva quando assumeva quell'espressione confusa. Non aveva mai pensato che fosse divertente accusarlo perché non sapeva le cose: fargli presente le sue scoperte, in fondo, era un modo per condividere le stesse esperienze, le stesse cose e Izuku era molto bravo a seguirlo. Nessuno ci riusciva mai – neppure ci provavano, in effetti – e Shouto aveva imparato a non coinvolgere gli altri nei suoi interessi; ma con Izuku era diverso.
«Il sistema di numerazione romano è un sistema di numerazione per il quale a ogni simbolo letterario è associato un valore: il numero rappresentato è dato dalla somma o dalla differenza dei valori di ogni simbolo che lo compone.» lo informò l'amico, quasi recitando una definizione – cosa che era alla fine dei conti.
Era bello vedere Shouto così visivamente emozionato, anche se non sorrideva era chiaro che fosse davvero preso dalla cosa, così come lo era stato la prima volta che si erano visti parlando di trenini e di lunghezze e spessore e cose che Izuku non capiva ancora a pieno. Gli piaceva quando parlava tanto, perché l'altro bambino sembrava sapere un sacco di cose che Izuku non avrebbe mai imparato o scoperto senza di lui.
Stava ancora parlando, quando il cancelletto venne aperto e apparve un uomo alto, dai capelli rossi e gli occhi azzurri. Izuku non ci mise molto a capire che fosse il padre di Shouto, anche se il suo sguardo era severo, non come quello grande e addolcito del bambino vicino a sé.
Shouto tremò leggermente, guardando solo per un istante nella direzione del padre, prima di abbassare lo sguardo. Non sapeva mai come comportarsi di fronte al genitore, era qualcosa che lo bloccava, lo rendeva ansioso. Avrebbe tanto voluto che l'uomo facesse la prima mossa, che lo cercasse davvero.
Izuku, da parte sua, sollevò timidamente la mano. Era intimorito dalla stazza di quello sconosciuto e dallo sguardo truce che aveva dipinto sul viso. L'uomo li notò subito – probabilmente li aveva notati fin dall'inizio – e si avvicinò a passo tranquillo.
«Tu devi essere Izuku.» annunciò, arrivato a pochi passi da entrambi. Si piegò allora, arrivando più o meno alla loro stessa altezza, cosa che fece tornare lo sguardo di Shouto sul genitore.
L'uomo sorrise al bambino, accarezzandogli la testa rossa e bianca. «Sono a casa, Shouto.»
Qualcosa parve accendersi nello sguardo di Shouto, che abbozzò un'espressione strana prima di alzare la manina piccola e agitarla leggermente, sebbene fosse probabilmente più facile salutare a voce.
Izuku notò la leggera tensione dell'amichetto, ma sembrava anche rassicurato per certi versi. Era un po' invidioso: lui non avrebbe mai ricevuto una carezza da suo padre. Soffocò malamente quel senso di malessere, dicendosi che non era giusto accusare gli altri per qualcosa che era successo e basta. Ma era triste pensarci.
«Io sono Enji Todoroki, il padre di Shouto.» si presentò poi l'uomo - visto da vicino era ancora più imponente di quanto gli era apparso fino a poco prima.
«Piacere, signore.» mormorò Izuku; non sembrava cattivo, non in quel momento. Era solo molto grande, più grande di lui e più grande di sua madre. Persino più grande della signora Rei, la madre di Shouto, ma d'altra parte la donna gli era sempre parsa abbastanza minuta – anche in confronto alla sua, di mamma.
L'uomo poi tornò a dedicare l'attenzione – e lo sguardo – al figlio. «Shouto, cosa devi dire?»
Il bambino sollevò lo sguardo, le mani strette contro il tessuto della coperta sotto di loro; sembrava sul punto di scappare, ma non lo fece. Era chiaramente teso e ansioso, ma Izuku notò che allo stesso tempo sembrava sapere cosa fare. «Bentornato, papà.»
L'uomo annuì, apparentemente soddisfatto, sollevandosi nuovamente da terra e raddrizzandosi dopo un'ultima pacca sulla testa del bambino. «Bene, ora vi lascio giocare.»
Detto questo si apprestò ad avvicinarsi al portone di casa; tuttavia, dopo averla aperta, si voltò di nuovo verso di loro, cercando lo sguardo del figlio. «Shouto, riporta i libri in casa quando avete finito.»
Il bambino annuì con un cenno della testa, a scatto, cosa che fece preoccupare l'altro: c'era qualcosa di strano? Non avrebbe saputo dirlo. Era la prima volta che vedeva Shouto reagire in quel modo, ma forse era per via del comportamento di suo padre; era molto diverso da come si comportava la signora Rei: lei non era mai così fisica, ma sorrideva spesso, incoraggiando Shouto a parlare, parlare e parlare, senza limitarlo o rimproverarlo, anche quando non rispondeva immediatamente alle domande o ai “sono tornata”.
«Senti qua.» Shouto sapeva leggere da qualche tempo, cosa che faceva all'improvviso – come in quel momento – prendendo un libro a caso e sempre lo stesso numero di pagina, possibilmente al centro. Non leggeva bene, era ancora lento, ma rispetto a Izuku che neppure riusciva a decifrare i suoi libri per bambini – che si faceva leggere dalla mamma – era molto intelligente. Izuku non disse niente, continuando ad ascoltarlo mentre leggeva – anche se non capiva la maggior parte di quello che diceva – finché Shouto non si fermò.
Lo guardò di nuovo, nel modo in cui faceva lui: lo fissava un istante e poi distoglieva lo sguardo, tornando al libro. «Voglio insegnarti a leggere.»
«Davvero?»
«Sì. Così possiamo parlare di numeri insieme.» annunciò Shouto. I suoi occhi di colore diverso lo sbirciarono da sotto la frangia bianca e rossa, mentre le guance si tingevano appena di rosa. Izuku avvampò, le guance coperte di lentiggini che si arrossavano, mentre si sentiva in imbarazzo, ma allo stesso tempo felice. «Va bene!»
Sarebbe stato divertente e lo sapeva, d'altronde Shouto era un bravo insegnante – o almeno così Izuku aveva sempre pensato. Il fatto che ripetesse spesso gli stessi concetti, lo aiutava a capire, a farsi entrare in testa quello che cercava di insegnargli.
Shouto prese il libro, posandolo di fronte a loro e indicandogli la prima riga. «Questo che ideogramma è?»
Izuku avvampò, consapevole di non saperlo affatto. L'altro attendeva in silenzio, apparentemente non notando il suo disagio e il fatto che fosse fin troppo chiaro quale fosse il problema.
«Si legge So ed è scritto in hiragana, che è impiegato specialmente per i prefissi, i suffissi, le particelle. Viene usato anche per trascrivere la pronuncia dei kanji.» Izuku ascoltava ammirato, annuendo di tanto in tanto mentre Shouto gli raccontava delle combinazioni, dei tipi di ideogrammi e di quanto fossero intuibili certe parole solo per i disegni stilizzati che venivano utilizzati nello scriverli, dei milioni, miliardi, di parole che si potevano inventare, scoprire e modificare e scrivere in modo differente, solo cambiando l'alfabeto di riferimento.
Fu bello e Izuku ebbe un assaggio di quello che voleva dire essere con qualcuno, al di fuori di sua mamma, che lo faceva stare bene e sentire a proprio agio.
Dall'altro lato, Shouto sperimentò – o meglio continuò a sperimentare – la sensazione di aver trovato qualcuno a cui poteva dire tutto, senza la paura di essere lasciato indietro perché non capiva affatto gli altri e nessuno sembrava capirlo a propria volta.


Continua...

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Capitolo 3
*** Correre è complicato ***


Eccoci di nuovo. Questo terzo capitolo è di nuovo abbastanza corposo per gli standard della storia, con un evento che sviluppa maggiormente l'amicizia tra Izuku e Shouto.
Come ho già ribadito più volte, la struttura della storia è volutamente a slice of life, cosa che magari può non piacere a tutti, ma ho scelto questo genere di narrazione perché l'ho trovata più congeniale al tipo di storia che volevo raccontare. E niente, come al solito auguro una buona lettura a chi vorrà leggere anche questo capitolo.

hapworth


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Capitolo 3 - Correre è complicato

Iniziare la scuola, per Izuku era stato fantastico: non aveva mai visto tanti bambini tutti insieme e quando andava all'asilo, visto che abitava in una piccola città, i suoi compagni erano stati i soliti dieci vicini di casa che conosceva e con i quali aveva sempre giocato. Trasferirsi, in un certo senso, aveva cambiato la sua percezione delle cose e ingrandito il suo mondo.
Lui e Sho-chan erano finiti in classi diverse purtroppo, ma per fortuna erano l'una di fronte all'altra e passavano l'intervallo e la pausa pranzo a mensa insieme. Certo, Shouto era molto diverso da lui: preferiva stare in disparte e raramente partecipava se vicino a loro c'erano altri bambini; si limitava a sedersi al suo fianco e a mangiare con lentezza, senza guardarli, ma rimanendo a contatto con la sua spalla, come se quel genere di vicinanza, per lui, fosse una rassicurazione.
Izuku non ci faceva caso, anche perché gli faceva piacere che il suo amico gli volesse così bene e lo considerasse così importante; gli piaceva tanto, passare del tempo con Shouto, molto più che con gli altri bambini e non importava che fosse più silenzioso e timido degli altri; con lui parlava tanto e si lasciava abbracciare, cosa che sembrava assolutamente fuori questione con chiunque altro.
Una volta, un loro compagno aveva provato ad abbracciarlo e Shouto, per tutta risposta, l'aveva spinto via, per poi nascondersi dietro a Izuku, osservando a terra. Da allora Takahashi, ma anche gli altri bambini, non avevano più provato ad abbracciarlo o ad avvicinarsi troppo, per paura di essere spinti via.
«Tu cosa farai domani?» Izuku e Shouto erano seduti in mensa a finire gli avanzi del loro pranzo. Shouto si rigirava con le bacchette la verdura cotta, che sembrava non apprezzare particolarmente. «La maestra mi ha messo a fare il percorso.» mormorò Shouto. Era un po' preoccupato, perché non aveva avuto modo di studiare per bene la cosa: la maestra gli aveva detto che non avrebbe visto fino al giorno dopo come sarebbero stati posizionati gli ostacoli e, davvero, la cosa lo metteva in agitazione. Izuku si illuminò, voltandosi di scatto e aprendo un gran sorriso sul viso.
«Quello con gli ostacoli?» domandò, osservando l'amico che continuava a giocare con la propria verdura.
«Sì, quello con i coni e la corda. Non mi piace. Gliel'ho detto, ma era l'unica disciplina che potevo fare da solo domani.» il tono era piatto, come se il fatto non lo toccasse, ma Izuku capiva che quell'idea non gli piaceva neanche un po'; la sua postura era rigida e lo sguardo era fisso sul piatto quasi vuoto.
Izuku gli prese una delle mani nelle proprie, inducendolo a voltarsi e, quando lo fece, gli sorrise. «Anche io faccio il percorso.» annunciò. Shouto lo osservò direttamente per qualche attimo, prima di abbassare nuovamente lo sguardo; non gli stava stringendo la mano, ma non lo stava neppure rifiutando come – probabilmente – avrebbe fatto con chiunque altro.
«Ma non sono capace di correre.» ammise. Izuku lo sapeva: Shouto, era bravissimo a leggere e studiare, capiva un sacco di cose – molte più di lui –, ma quando si trattava di muoversi era un disastro. Gli piaceva leggere, studiare e scrivere, ma era goffo.
Quando giocavano a nascondino, per quanto Shouto fosse bravo a nascondersi o a trovarlo, era difficile vincesse una gara a chi arrivava per primo e Izuku finiva per vincere in ogni caso, proprio perché Shouto non era affatto bravo nel correre o muoversi in silenzio.
«Ci alleneremo insieme.» Shouto non ne era troppo convinto, ma ne era comunque grato. Sapeva che Izuku a volte non sembrava capirlo, ma cercava sempre di aiutarlo come poteva, anche se Shouto aveva “una faccia buffa”.
Fino a qualche mese prima non gli era importato, perché solo Izuku glielo diceva e non vedeva niente che potesse dargli fastidio, ma nell'ultimo periodo molti dei suoi compagni di classe lo facevano – e usavano parole come strano o diverso, che non riusciva davvero a interpretare – anche se quella definizione gli dava una brutta sensazione.
Non avrebbe saputo dirne il perché, ma quando lo dicevano gli altri sembrava sbagliato e lo metteva a disagio. Mentre con Izuku non si sentiva mai così.
Izuku, d'altra parte, con il passare del tempo stava diventando sempre più bravo a capirlo e gli piaceva essere l'unico in grado di leggergli dentro, per quanto cattivo quel pensiero potesse essere.

«Vai Sho-chan, salta!» i due bambini erano uno di fianco all'altro che correvano, allenandosi per il giorno successivo – cioè, Izuku correva, Shouto inciampava nei suoi stessi piedi. Sarebbe stato divertente, se non fosse stato piuttosto chiaro che quella situazione non piaceva per niente all'amico e, anzi, gli provocava una chiara frustrazione e senso di insoddisfazione.
La mamma di Shouto li osservava dalla veranda con della limonata che aveva preparato e, apparentemente, dato l'odore di torta che si propagava per tutto il giardino – la loro merenda. Non aveva detto niente quando Izuku le aveva annunciato che si sarebbero allenati per il giorno dello sport, anzi: aveva sorriso e aveva dato un buffetto sulla guancia al figlio che però era rimasto in silenzio e con lo sguardo fisso davanti a sé.
Sho-chan non era un bambino che piangeva: quando cadeva, spesso si rialzava senza un lamento. Si puliva il viso, o le ginocchia e poi riprendeva a correre, provando a non inciampare con tutte le sue forze. Izuku lo ammirava; quando lui cadeva, spesso gli venivano le lacrime agli occhi e l'istinto era quello di chiamare la sua mamma – anche se non lo aveva fatto durante i loro allenamenti, perché voleva far vedere all'amico che lui era forte, che non aveva bisogno della mamma se si faceva male o gli veniva da piangere.
Stavano ancora allenandosi, quando il padre di Shouto entrò in giardino; il suo sguardo indugiò un istante sulla moglie e poi andò direttamente su Izuku e il figlio. «Ciao ragazzi.»
«Salve signor Todoroki.» lo salutò Izuku con un sorriso, mentre teneva la mano di Shouto che era quasi inciampato nel saltare un sasso. L'uomo si avvicinò ai due, mentre il figlio sollevava lentamente lo sguardo. «Ciao papà.» mormorò quando questi fu a pochi passi da lui; strinse un po' troppo forte la mano di Izuku, ma il bambino non si lamentò, mentre l'uomo guardava il loro percorso improvvisato, fatto di pietre, vasi, tavoli e sedie da esterno.
«Vi state allenando per la giornata sportiva?» domandò l'uomo. Shouto tacque, ma sentì il cuore che cominciava a battere più forte; qualcosa di piccolo, minuscolo. Qualcosa a cui non sapeva dare nome, ma che sapeva fosse dovuto al modo in cui suo padre gli si rivolgeva in quel momento.
Fu Izuku a rispondere al posto suo: Shouto non sarebbe mai riuscito a spiaccicare una sola parola in quel momento.
«Sì! Facciamo il percorso, ma non siamo bravi a saltare e correre...» rese noto il suo migliore amico, scoprendo i denti e facendo notare che aveva un buco tra di essi, chiaro indizio che gliene fosse caduto uno da poco.
«Bravi, verremo a vedervi. Verrà anche la tua mamma?» domandò ancora il padre di Shouto, rivolgendo stavolta tutta la sua attenzione su Izuku.
«Sì!» esclamò questi emozionato, mentre volgeva appena lo sguardo verso la siepe che separava casa Todoroki da casa Midoriya.
L'uomo rimase ancora qualche secondo, prima di lasciarli e avvicinarsi alla moglie, salutandola con un cenno e un bacio. Izuku distolse lo sguardo, sentendosi in imbarazzo: a volte si chiedeva se la sua mamma e il suo papà si sarebbero comportati allo stesso modo, se l'uomo fosse ancora stato lì.
«Ci saranno anche Fuyumi e Natsuo.»
«Davvero?» Izuku non li aveva mai visti, sapeva che erano più grandi e non aveva mai avuto modo di conoscerli. «Sì. Natsuo ha detto che non posso fargli fare brutta figura. Ha detto che sennò sembrerei uno sfigato.»
«Un cosa?» Izuku non conosceva quella parola, così inclinò appena lo sguardo.
«Ho letto che vuol dire persona sfortunata.» disse Shouto, ma contrariamente a Izuku, non ne sembrava turbato. Izuku sentì la sensazione di disagio e fastidio nel petto crescere: ogni tanto li aveva sentiti gli altri bambini chiamarlo in quel modo o anche con cose peggiori e brutte, cose che non gli piacevano. «Non è vero, non lo sei! Sei fantastico!»
«Davvero? Ma alla gara cadrò e farò fare brutta figura a Natsuo. Deluderò papà.» fece Shouto. Teneva lo sguardo fisso di fronte a sé, senza guardare l'amico. Sapeva che lo avrebbe fatto, non riusciva neppure a correre per due metri senza inciampare nei suoi piedi.
Izuku, preso dall'istinto e da qualcosa di più profondo, che gli nasceva dal cuore, lo abbracciò stretto. Shouto rimase inerme, tra le sue braccia, ma il suo cuore batteva forte e il suo sguardo era velato, Izuku lo sapeva. «Cadiamo tutti. La mamma dice che basta essere capaci di rialzarsi.»
«Inko-san è saggia.» fece Shouto, il cuore che batteva assordante nelle orecchie di Izuku e nelle sue.
«Le mamme sono super.» affermò il bambino dai capelli verde scuro, mentre Shouto stringeva tra le dita la maglietta dell'amico. «Già.»

Il giorno in cui si sarebbe tenuta la Giornata dello sport era soleggiato; il sole era alto nel cielo e la temperatura, per essere inizio autunno, era decisamente mite e avrebbe permesso ai partecipanti di indossare maglie a maniche corte e pantaloncini anche all'esterno – dove si sarebbero, in effetti, svolte la maggior parte delle competizioni.
La priorità l'avevano gli alunni delle classi inferiori, che avevano una scelta più modesta di discipline data la loro età, come la corsa a ostacoli, la staffetta e altri sport di squadra; le uniche gare che prevedevano il fare da soli erano le gare di velocità e, appunto, la corsa a ostacoli – che poi era un percorso che prevedeva sì di correre, ma non solo.
Izuku si era iscritto alla staffetta, alla corsa a ostacoli e al gioco dei prestiti – la prima spinto dai suoi compagni, la seconda perché sapeva che Shouto probabilmente si sarebbe ritrovato iscritto a quella e l'ultima perché gli piaceva il nome della gara.
Izuku e Shouto erano in gruppo nelle rispettive classi; intravide i coniugi Todoroki con quelli che sembravano i due figli maggiori e sua madre, che però era da un lato diverso rispetto a loro e, poi, visualizzò il suo amico.
Era facile da individuare, perché malgrado fossero tutti insieme, Shouto era leggermente staccato dal resto del gruppo; le braccia mollemente abbandonate accanto ai fianchi e lo sguardo fisso, la fascia colorata per indicare la loro squadra con il numero della classe stampata sopra.
Izuku saltellò su un piede, agitando le mani per farsi notare dall'amico, ma era chiaro che fosse già stato visto. Infatti Shouto guardava nella sua direzione; lui sorrise apertamente, agitando la mano e in risposta Shouto sollevò la mano destra, in segno di saluto.
Le prime gare furono quelle sul campo e Izuku prese parte alla staffetta, mentre sua madre faceva un tifo esagerato; anche se non vinsero, si divertì tantissimo.
Poi fu il turno del percorso. Lui e Shouto non furono avversari: dovette partire prima e, quando ebbe finito, l'amico stava partendo; non aveva altre attività fino al primo pomeriggio, così si fermò a bordo campo a fare il tifo.
I compagni di squadra di Shouto non erano particolarmente solidali con lui, ma non lo stavano nemmeno prendendo in giro, anche se correndo inciampava spesso e quando doveva abbassarsi o saltare si fermava un secondo per decidere cosa fosse giusto fare – era proprio nel suo stile, pensare anche alla minima stupidaggine ed era divertente sapere di essere il solo a capire che cosa gli passasse nella testa in quei momenti. Lo sapeva perché passavano tanto tempo insieme e Shouto gli parlava moltissimo.
Qualcun altro lo avrebbe reputato noioso, ma Izuku si divertiva ad ascoltarlo, specie quando gli raccontava come si fosse appassionato improvvisamente a qualcosa che altri neppure avrebbero notato. Aveva sempre così tanto da dire, che Izuku trovava raramente spazio per inserirsi, ma gli piaceva comunque, perché poi Shouto lo guardava con i suoi occhi brillanti ed era come se sorridesse, anche se non lo faceva come gli altri.
«Vai Sho-chan! Vai!» gridò Izuku, saltando sulle piccole gambe, mentre teneva entrambe le mani ai lati del viso, per far sentire meglio e più forte la sua voce – glielo aveva insegnato proprio l'amico tempo prima.
Shouto correva in modo disconnesso, ma alla fine riuscì ad arrivare alla fine del percorso. Izuku gli corse incontro, abbracciandolo forte e ridendo. «Sei stato bravissimo!»
Il bambino si lasciò stringere, il cuore che batteva e il respiro pesante per la fatica; sentiva le gambe molli e una sensazione strana nel petto, anche se non sapeva affatto che cosa fosse.
«Sono inciampato e caduto.» ammise Shouto, come se fosse una colpa, come se quel pensiero valesse molto di più che non essere riuscito comunque ad arrivare alla fine.
«Non importa, l'allenamento speciale è servito.» dichiarò Izuku, staccandosi dall'altro, che lo guardò un istante, prima di spostare lo sguardo oltre loro e poi riabbassarlo. Inconsciamente, cercò nella direzione dei suoi genitori che si stavano muovendo verso di loro.
Izuku sorrideva ancora, mentre si voltava e vedeva arrivare la signora Rei e il signor Enji, seguito da un ragazzo e una ragazza che, poco prima, aveva pensato potessero essere i fratelli di Shouto.
La donna si chinò di fronte al figlio insieme al marito, mentre Izuku si faceva da parte e notava la sua mamma che si avvicinava, cosa che lo indusse a correre da lei, abbracciandola mentre quella lo sollevava e piangeva complimentandosi. «Sei stato fantastico, Izuku! Fantastico.»
«Grazie mamma. Dopo ho anche la gara dei prestiti, spero sia divertente!»
La donna sorrise, mentre si asciugava le lacrime di gioia e lo posava a terra. «Oh, è un gioco bellissimo Izuku. Speriamo ti capiti una carta fortunata.»
Cercò con lo sguardo Shouto, poco distante da loro. La sua mamma e il suo papà gli stavano parlando e lui stava picchiettando il piede a terra, le mani dietro la schiena – era chiaramente in ansia, nonostante l'espressione contenta della mamma e quella compiaciuta del padre.
Shouto sentiva il cuore che batteva ancora forte, ma non era più per via della fatica, dato che stava respirando normalmente. Era più dovuto al modo in cui sua madre e suo padre gli parlavano, all'espressione che non riusciva a leggere sui loro volti, ma che inconsciamente sembrava qualcosa di bello, come le loro parole e i loro complimenti. Era bello, non averli delusi anche se aveva avuto paura tutto il tempo di farlo e di non essere abbastanza bravo.
La gara dei prestiti si dimostrò molto divertente, anche se Izuku dovette trascinarsi per mezzo percorso Kacchan, un suo compagno di classe che amava prenderlo in giro quando poteva.
Shouto e Izuku non erano più riusciti a vedersi, perché la famiglia Todoroki si era riunita subito dopo pranzo ed era andata via, cosa che lo aveva rattristato un po', ma almeno erano riusciti a salutarsi con lo sguardo, perché Shouto lo aveva guardato prima di sparire oltre la folla.
Era stato triste, ma Izuku si era detto che in fondo non c'era motivo per Shouto e per la sua famiglia di rimanere, considerando che il figlio non aveva gare al pomeriggio; eppure gli era dispiaciuto comunque. Se ci fosse stato, sicuramente avrebbe portato Shouto con sé durante la gara dei prestiti e non Kacchan.


Continua...

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Capitolo 4
*** Il mio posto e quello degli altri ***


Siamo arrivati al quarto capitolo. Ho deciso di postarlo di nuovo un po' prima del solito perché, come al solito, i lunedì sono un po' un casino per me - ma ormai ho scelto questo come giorno per aggiornare, quindi tanto vale.
Capitolo che, ammetto, è stato abbastanza difficile, come sempre, per il fatto che non volevo rendere Shouto troppo borderline, ma dargli comunque una connotazione molto netta rispetto a quello che gli altri bambini si aspettavano. E niente, spero che il capitolo possa piacervi e vi auguro una buona lettura!

hapworth


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Capitolo 4 - Il mio posto e quello degli altri

Le medie a confronto con le elementari sarebbero state completamente diverse, Izuku lo aveva capito non appena varcata la soglia della classe che, per i successivi tre anni, sarebbe stata la sua.
Le facce erano per lo più conosciute: molti dei bambini che erano stati suoi compagni alle elementari, si erano iscritti alle medie nello stesso complesso.
Kacchan, Kamatsu, Takahashi e non solo, erano finiti nella sua stessa classe; con lui, per la prima volta, c'era anche Sho-chan. Durante tutte le elementari non avevano avuto modo di frequentare la stessa classe, perché a ogni sorteggio finivano in sezioni differenti. Ma quella volta no, quella volta sarebbero stati insieme.
Fu del tutto naturale per Izuku scegliere una coppia di banchi liberi, così che Shouto potesse affiancarsi a lui e prendere posto al proprio fianco. «Sono emozionatissimo!» esclamò elettrizzato, mentre osservava con i nervi a fior di pelle l'ambiente.
Shouto era stato agitato tutta la settimana, preoccupato per la nuova classe, i nuovi professori e le nuove facce – non era bravo a riconoscere gli altri, ci metteva un po' ad associare un nome e un viso, cosa che a Izuku invece non aveva mai creato molti problemi, dunque avrebbe potuto aiutarlo. «Non mi piace.» disse Shouto, mentre si tormentava le mani, poggiate sul grembo; aveva il viso rivolto verso il basso e, malgrado la sua espressione non facesse trasparire altro che calma, in realtà era chiaramente sotto pressione.
L'idea di conoscere nuove persone, di essere in un ambiente sconosciuto, lo metteva in ansia e lo faceva preoccupare in modo talvolta eccessivo, se ne rendeva conto da solo, ma non sapeva come fermarsi. Come poteva? Le persone non gli erano mai piaciute particolarmente, Izuku era un'eccezione, ma solo perché riusciva a capirlo, o quantomeno ci provava. Izuku era diverso da tutti gli altri.
Izuku sorrise, cercando di trasmettergli tranquillità e deciso a non voler far preoccupare ancora di più l'amico. «Shouto tranquillo, guarda: quella è Kamatsu, lì c'è Takahashi e...»
Shouto aveva evidentemente seguito il suo percorso con lo sguardo, perché lo anticipò. «Bakugou. Non mi piace come ti tratta.» era una cosa strana da sentirgli dire, perché spesso Shouto non prestava attenzione agli altri; eppure, con Bakugou, sembrava aver preso molto a cuore la questione, fin da quando per caso aveva visto Izuku spintonato di lato e il suddetto deriderlo. Si era messo in mezzo allora e, anche se era stato spintonato a propria volta, non aveva detto nulla: era rimasto lì, a frapporsi tra Izuku e Bakugou, lo sguardo ostinatamente fissato verso il basso.
Bakugou li aveva chiamati sfigati e poi se ne era andato. Shouto però non ne era rimasto impressionato, consapevole che l'essere sfortunato non aveva nulla a che fare con l'essere trattato male da qualcun altro, specie se quel qualcuno era una persona come Bakugou.
Il fatto che avrebbero condiviso la classe quell'anno non rassicurava Izuku, anche perché Kacchan non era mai stato avezzo al risultare simpatico agli altri, né a trattarli bene. Era infantile e, spesso, piantagrane. Izuku lo accettava, principalmente perché sapeva che dentro era buono, era solo il suo modo di porsi, ma non voleva che trattasse male Shouto, considerando anche quanto fosse sensibile: si buttava spesso giù, anche per cose che agli altri non avrebbero minimamente creato problemi.
«Siamo di nuovo insieme, eh, Midoriya?» Takahashi gli diede una pacca sulle spalle, sorridendo. Izuku rispose al sorriso, notando solo di sfuggita l'espressione pensierosa dell'altro rivolta al suo fianco, verso Shouto. Era chiaramente indeciso su come comportarsi con lui, visto quanto i loro rapporti non fossero mai stati intimi – non dopo l'episodio dello spintone.
«Ci sei anche tu, eh Todoroki?» provò, dimostrando in parte la sua buona volontà. Shouto sollevò brevemente lo sguardo, osservandolo per qualche attimo, prima di riabbassarlo senza dire niente. Il sorriso nervoso dipinto sul viso di Takahashi era piuttosto palese.
«Sarà divertente.» disse Izuku, distraendo il ragazzo e interrompendo quel momento di totale imbarazzo, cosa che Takahashi colse al volo, dopo avergli dato l'ennesima pacca per poi allontanarsi.
Izuku si lasciò ricadere sulla sedia. «Non puoi fare così, Sho-chan. Anche se non ti piace-»
«Non mi piace.» infatti. Il ragazzo sospirò: lo sapeva già, per quanto non fosse incline al dialogo, Shouto aveva la pessima abitudine di ignorare le persone che non gli piacevano. Era fin troppo sincero da quel punto di vista e – anche se era una congettura – doveva aver preso sul personale il fatto che Takahashi fosse molto espansivo.

«Ecco i due sfigati.» la voce fin troppo alta di Kacchan fece sollevare lo sguardo di Izuku dal proprio panino; lui e Shouto avevano trovato un posto tranquillo dove pranzare, cosa che aveva placato enormemente l'agitazione dell'amico che quando era arrivato il momento di mangiare era stato preso da una vera e propria crisi di ansia, desideroso di andare alla mensa – che però non era più prevista per le scuole medie. E ovviamente Bakugou li aveva trovati, pronto a fare lo spaccone.
«Kacchan...»
«Ancora con questa storia. Non siamo più alle elementari.» Izuku sbuffò; era intimidito da Bakugou, ma non era il caso di renderglielo noto, né fargli capire che quelle parole lo ferissero. Certo, non erano mai stati particolarmente vicini, ma avevano passato sei anni nella stessa classe e qualcosa per lui aveva significato. «E non siamo amici.»
Shouto se ne stava vicino a lui, a mangiare piano il proprio pranzo nella scatola di plastica da bento; sembrava non considerare minimamente l'altro, il che Izuku sapeva non era mai un bene. La cosa che più desiderava Kacchan era essere considerato del resto – ed era anche il motivo per cui li aveva cercati.
«Parlo anche con te, deficiente. O sei troppo preso dal tuo riso fritto, per accorgerti degli altri?» la voce di Bakugou parve riscuotere in parte Shouto, che sollevò lo sguardo e glielo rivolse. Contrariamente a quanto era solito fare, continuò a guardarlo in modo fisso, come se lo stesse valutando, piuttosto che esserne intimorito e questo parve irritare ulteriormente l'altro ragazzo, che con un passo lo raggiunse, afferrandolo per la camicia dell'uniforme per sollevarlo, facendogli cadere il bento a terra, e parlargli addosso. «Credi di essere tanto superiore?»
«Stavo mangiando...» disse Shouto, ma non guardò nella direzione del bento, piuttosto diretto sul viso di Bakugou. Izuku a quel punto cercò di intervenire. «Kacchan smettila, non ti ha fatto niente!»
«Tsk, è troppo sfigato. Non c'è soddisfazione nemmeno a maltrattarlo.» detto questo lo mollò e Shouto ritornò coi piedi ben piantati a terra. Bakugou li fulminò un'ultima volta, prima di andare per la sua strada.
Un sospiro di sollievo uscì, inevitabilmente, dalle labbra di Izuku. «Ah, accidenti. È veramente un ragaz-» si interruppe, notando come Shouto stesse raccogliendo gli avanzi di quello che aveva mangiato fino a poco prima e che erano finiti a terra. «Lasciali lì, Sho-chan. È da buttare.»
L'altro ragazzo volse lo sguardo su di lui. «Ma non avevo finito. E la mamma dice che devo-»
«Per una volta non è la fine del mondo e poi sei stato coraggioso, io me la sarei fatta sotto.»
Shouto lo guardò intensamente, come se non capisse a pieno le sue parole – il che era normale, succedeva spesso con lui. «Era un modo di dire, però fa paura.»
Dopo quello Shouto annuì, come rassicurato da quella precisazione e insieme ripulirono. «Non capisco perché ci chiama sfigati. In che modo sarebbe un insulto e una giustificazione a come ci tratta?» domandò Shouto, ancora fissato su quel pensiero e quel concetto. Ok, non era fortunato, né aveva un qualche tipo di assicurazione per esserlo, ma Bakugou sì? Ne dubitava. Razionalmente era improbabile.
Izuku alzò le spalle per poi riabbassarle. «Forse è il suo modo di dimostrare affetto.» Shouto storse il naso e sollevò le sopracciglia, per nulla convinto. «Non credo.»

Essere compagni di classe per la prima volta, mise Izuku di fronte alla consapevolezza che Shouto era molto sincero riguardo a ciò che pensava degli altri, tanto da rasentare la maleducazione a volte. Non che gliene facesse una colpa: l'ignorare chi lo guardava storto o lo trattava volontariamente da stupido aveva solo quello che si meritava – almeno dal suo punto di vista. Diverso, di certo, era quando qualcuno cercava di avvicinarlo per farci amicizia senza cattiveria.
Shouto era chiaramente a disagio in quei momenti, lo capiva dalla postura e dal suo evitare un contatto visivo, dalla chiusura che con i suoi piccoli tic manifestava. Certo, gli altri non avrebbero mai potuto capire, ma Izuku che lo conosceva e che passava con lui tanto tempo, riusciva a vedere oltre la patina di indifferenza e apparente apatia.
«Certo che siete molto amici, eh?» Takahashi sembrava non essersi del tutto rassegnato al voler socializzare con Shouto, sebbene l'altro non avesse fatto mistero del suo fastidio – anche in modo verbale – alla sua presenza. Izuku sorrise, scuotendo brevemente le spalle, mentre Shouto sonnecchiava con la testa appoggiata alla sua spalla: erano andati a una visita guidata quel giorno e stavano tornando.
Takahashi era seduto davanti a loro e, per parlargli, si era girato e aveva appoggiato entrambe le mani sul proprio schienale, che era parallelo a quello di Shouto.
«Sì, siamo anche vicini di casa.» mormorò Izuku.
«Non è strano?» osservò brevemente il ragazzo. Izuku lo guardò interrogativo, non capendo.
«Strano?»
«Beh, sei l'unico con cui ha un vero rapporto. Gli altri neppure li guarda... Nemmeno le ragazze.» continuò Takahashi. Midoriya ci pensò qualche secondo, giusto un istante: era strano non voler fare amicizia con gli altri? Non lo credeva, specialmente perché Shouto non si era mai davvero isolato volontariamente.
«In realtà a lui piacerebbe legare. Siete voi che lo allontanate perché è timido.»
«Timido?» dal tono di voce di Takahashi, riusciva a capire che non era quello l'aggettivo che avrebbe usato per descrivere Shouto Todoroki.
«Sì. Per esempio, ti piacciono le espressioni?»
«Le espressioni? Intendi quelle di matematica?»
«Sì, ultimamente ne è molto appassionato. Ne fa almeno una cinquantina al giorno.» rivelò Izuku, volgendo appena lo sguardo su quello addormentato dell'amico; russava leggermente, le labbra schiuse e la frangia gli copriva la fronte da un lato e l'occhio, rendendo il suo aspetto molto più infantile.
Takahashi fece un'espressione schifata: era chiaro che non gli piacessero. «Non particolarmente.»
«I numeri primi?»
«... Non amo la matematica.» ammise infine Takahashi, come se quell'ammissione fosse quasi una resa. Izuku rise piano, eppure questo non evitò che Shouto socchiudesse gli occhi e, poi, sbattesse le palpebre due o tre volte, guardandosi intorno, prima di fissarsi su Takahashi, ancora voltato nella loro direzione.
«Ben svegliato, principessa.» lo prese in giro quello. Shouto rimase con la bocca socchiusa, incapace di rispondergli. Non aveva capito la presa in giro, così Takahashi sbuffò. «Non sei per niente divertente!» e detto quello si rimise a sedere composto.
Shouto rimase ancora qualche istante immobile a fissare il punto dove, fino a poco prima, era stato l'altro ragazzo; poi però Izuku gli diede una leggera spallata. «Ehi, stava scherzando.»
«Ah.» si limitò a rispondere quello, prima di riabbassare lo sguardo. Midoriya sorrise intenerito e carico di affetto: cosa c'era di strano se era molto più posato e poco incline agli scherzi? Lo era sempre stato e non gli aveva mai dato fastidio la cosa. Del resto neppure lui sapeva fare molta ironia, il che in effetti era una fortuna per entrambi.


Continua...

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Capitolo 5
*** Facciamo amicizia, ma senza esagerare ***


Siamo arrivati a metà di questa storia, quasi non ci credo. In realtà, mentre la scrivevo, avevo già progettato il numero di capitoli e, in qualche modo, dopo così tanto tempo senza scrivere qualcosa di strutturato in più capitoli da sola, è stato un modo molto più facile di procedere... certo, il tutto stava nell'avere ispirazione, ovviamente, e cercare di rendere al meglio quello che volevo dire.
Questo, per me, è uno dei capitoli di svolta: Shouto finalmente comincia a prendere consapevolezza di se stesso, di quello che vuole, seppure ancora con timidezza e senza avere ben chiaro se stesso - d'altronde non è che un adolescente. E niente, spero che anche questo capitolo possa piacere a chi leggerà.
Vi auguro, come sempre, una buona lettura.

hapworth

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Capitolo 5 - Facciamo amicizia, ma senza esagerare

Compiere quindici anni era un traguardo importante: segnava l'inizio delle superiori. Certo, non era ancora l'entrata nel mondo vero, ma in qualche modo era finalmente il distacco dall'età infantile e l'inizio dell'adolescenza.
Izuku ne era estasiato, dato che per lui ogni inizio era qualcosa di nuovo da scoprire. Tutto il contrario di Shouto, che invece sembrava essere più spaventato che mai a quella prospettiva; nell'ultimo periodo aveva cominciato a manifestare diversi tic nervosi, causati principalmente dallo stress che gli provocava il pensiero di iniziare di nuovo un percorso con persone che non conosceva.
Alle medie era stato più facile; gran parte degli studenti erano stati loro compagni dalle elementari... ma le superiori? Le superiori erano tutta un'incognita. E se da un lato Izuku era fremente d'eccitazione, dall'altro Shouto avrebbe voluto semplicemente sprofondare in un buco molto, molto profondo – o chiudersi in casa. L'idea anche dell'obbligatorietà di prendere parte a un club era una cosa che gli dava molto da pensare: come avrebbe fatto? Non aveva doti particolari, se la cavava solo con i numeri e aveva passioni che nessun'altro sembrava capire – a volte neppure Izuku, malgrado non fosse così esplicito nel dirglielo.
«Non essere nervoso, andrà tutto bene vedrai.» la voce di Izuku era tranquilla, così come il suo sguardo gentile e Shouto, anche se non lo esprimeva né a voce né con l'espressione, si sentì rassicurato un minimo. Lasciò che il sollievo lo cogliesse, lo riempisse; sentiva ancora l'ansia e la tentazione di tornare indietro – aver fatto colazione circa venti minuti prima del solito lo aveva destabilizzato abbastanza – ma non poteva e lo sapeva bene.
Izuku osservò l'amico; benché la sua espressione non lasciasse tradire nulla, quando arrivarono alla soglia dell'istituto, fu chiaro come il sole il suo disagio. «Dammi la mano.» lo incoraggiò, porgendogliela. Era una cosa solo loro: quando c'era qualcosa che spaventava particolarmente Shouto, Izuku si faceva sempre avanti con quella proposta, come se quel semplice contatto tra loro fosse abbastanza per infondere coraggio nell'amico.
L'altro lo guardò in silenzio, prima di allungare la mano e afferrare quella di Izuku. La stringeva sempre un po' troppo forte, ma non importava: sapeva che era perché si fidava di lui. Shouto non aveva mai tenuto per mano nessuno, tranne a lui. Suo padre lo afferrava per il polso, perché a quel contatto tra le mani, Shouto spesso si divincolava e quando dovevano andare fuori era inevitabile – da piccolo – dover essere preso per mano o comunque stretto in qualche modo.
Tenere per mano Izuku, al contrario, era la cosa più naturale del mondo, qualcosa che lo calmava, ma che con l'andare del tempo gli aveva fatto prendere dimestichezza con la consapevolezza che gli piaceva anche. Era bello, tenerlo per mano, sentire il calore irradiarsi dalla sua pelle morbida, leggermente screpolata. Dita lunghe, ma più tozze delle sue, così come il colore e la temperatura differente.
Arrivarono di fronte alla classe e Izuku lasciò la mano di Shouto, sfilando delicatamente e lentamente le dita intrecciate dalle sue, in una carezza impalpabile che faceva sempre palpitare un po' troppo il cuore di entrambi. Lo sguardo verde si soffermò qualche istante sul suo e le labbra di Izuku si sollevarono in quel sorriso aperto che gli era così proprio e perfetto, da non essere comparabile con nient'altro agli occhi di Shouto.
Quando entrarono, Izuku e Shouto furono accolti da rumori e chiacchiere piuttosto alte: c'era esaltazione, proveniente dalle brevi vacanze e tutti stavano cominciando a creare una sorta di embrione di conoscenza. Anche Izuku ne venne travolto, quando una ragazza dai capelli castani e gli occhi del medesimo colore gli andò vicino. «Ehi ciao! Io sono Ochako Uraraka.» si presentò quella, un bel sorriso a illuminarle il viso tondeggiante, ma a primo impatto cordiale.
«Izuku Midoriya. Vengo dalle scuole medie T..»
«Oh, anche il tuo amico?» gli domandò, indicando Shouto che si era portato una mano all'orecchio, infastidito dall'eccessivo rumore, benché la sua espressione non fosse cambiata. «Sì. Si chiama Shouto Todoroki, siamo compagni fin dalle elementari.»
La ragazza si illuminò; sembrava che quell'informazione l'avesse resa euforica. «Che bello! Anche a me sarebbe piaciuto un sacco avere qualcuno per tutti gli anni scolastici!» era chiaro che non stesse mentendo, gli occhi le brillavano, mentre osservava prima Todoroki e poi Midoriya.
«Se venite dalla scuola T., allora...» la sua voce si affievolì, mentre Katsuki Bakugou appariva al suo fianco. «Di nuovo voi, sfigati!»
«Kacchan, anche tu alla Yuuei?» quello emise un tsk, senza salutare, andando invece a sedersi al banco in fondo, dove aveva preso stabilmente posto sin dal primo anno delle elementari.
Uraraka ridacchiò, portandosi la mano dietro la nuca, chiaramente a disagio. «È sempre così?»
«Anche peggio.» la voce di Shouto arrivò prima che potesse farlo Izuku e lei sorrise, nel vedere l'altro ragazzo finalmente rivolgere lo sguardo – seppur brevemente – verso di lei: aveva sicuramente pensato che non l'avesse sentita o che non fosse interessato a fare amicizia, Izuku lo riusciva a capire dalla sua espressione, ma Shouto era fatto così. Ascoltava tutto, anche quando non sembrava attento.
«Todoroki-kun, vero? Io sono-»
«Uraraka-san.» la interruppe quello; non la guardava più ormai, se ne stava di fianco a Midoriya a osservare oltre la ragazza, mentre si contraeva nervosamente le dita. Era agitato e a disagio.
Izuku sorrise, alleggerendo la tensione. «Shouto è molto timido, ma in realtà gli piace parlare. Un sacco, proprio.»
«Oh... davvero?» domandò la ragazza; non sembrava essere una presa in giro, il suo tono era gentile e sembrava sinceramente interessata a quello che Izuku stava dicendo. Shouto ne fu un po' geloso, ma non disse niente. «Ti piace la matematica?» le domandò allora Todoroki, riabbassando lo sguardo su di lei. Uraraka fece una faccia strana, che non riuscì a capire né a identificare, così attese che parlasse. «Non molto. Non sono brava.» ammise, dando così modo a Shouto di capire che quella era una faccia da disagio o imbarazzo – era diversa da quella di Izuku, non avrebbe mai potuto capirlo.
«Allora dovresti venire a fare i compiti con noi, quando ci saranno cose difficili. Shouto è fantastico coi numeri e spiega anche bene.» in realtà non era bravo a spiegare: era troppo veloce nel parlare e spesso partiva per la tangente, passando da un discorso a un altro, ma i suoi schemi erano sempre molto chiari, così come gli esercizi su cui si attardava spesso ogni giorno e che avevano sempre aiutato Izuku a capire meglio ciò che gli risultava difficile. Al contrario, non era bravo nelle attività sportive o nei lavori di gruppo. Non lo era mai stato e ormai era chiaro che quella situazione non sarebbe mai cambiata.
«Sarebbe fantastico! Ma solo se anche Todoroki-kun è d'accordo.»
«Va bene.» si limitò a rispondere l'interpellato dopo qualche secondo; ed era vero. Non gli piaceva raccontare bugie, non ne sentiva mai il bisogno e Uraraka-san sembrava anche piuttosto simpatica; quantomeno non lo stava guardando in modo strano. E Izuku sembrava rilassato nel parlarle, cosa che capitava raramente.
«Io mi sono messa in terza fila, ci sono due posti liberi se volete!» esclamò poi, indicando il banco da lei occupato, che era più o meno al centro dell'aula e da ambo i lati c'erano dei posti liberi; Izuku lanciò uno sguardo a Shouto che senza dire niente si mosse verso il banco vicino alla finestra, lasciando libero quello di fianco a Uraraka. «Ci si vede bene.» affermò, mentre posava la propria cartella sullo stesso e cominciava a togliere la roba per posizionarla sotto il banco in modo ordinato.
Izuku rise, rivolgendosi poi a Ochako. «Saremo vicini di banco per un po'.» annunciò. Lei annuì e la campanella suonò poco dopo, mentre il professore entrava e tutti gli altri studenti si affrettavano a prendere posto.

Contrariamente alle paure di Izuku, Shouto fece amicizia con Uraraka. O meglio, cominciò a parlarle sempre più di frequente, anche senza il suo intervento: il solo salutarla con un cenno o risponderle quando parlava, era un buon segno e Izuku ne era molto contento, visti gli anni delle elementari e delle medie, in cui era stato il suo unico contatto – anche per via della diffidenza e del carattere molto inflessibile di Shouto verso gli estranei. Ma Ochako era gentile, paziente e molto simpatica; parlava anche lei moltissimo, sebbene fosse anche una buona ascoltatrice e quello – per Shouto – era una cosa vitale, dato quanto parlava se stimolato abbastanza.
Certo, i suoi erano discorsi che spesso faticavano a seguire entrambi, ma stavano volentieri a sentire e partecipavano quando c'era qualcosa che capivano e su cui avevano un'opinione. Todoroki stava imparando a muoversi in un contesto che gli era nuovo e, malgrado ne fosse terrorizzato, stava cominciando a sentirsi più sicuro.
Al loro trio si era unito ben presto Tenya Iida, il ragazzo seduto dietro a Izuku. Era il classico ragazzo con gli occhiali e molto serio, posato e volenteroso – o almeno così lo aveva inquadrato Midoriya. Era anche lui un buon chiacchierone ed era fondamentalmente un ottimista – il che, unito all'ottimismo di Ochako, a quello di Izuku e alla spiccata tendenza di Shouto a buttarsi giù di morale quando non era capito, era una buona ricetta.
«Capoclasse con Yaoyorozu quindi.» concluse Tenya, la posa fiera, l'espressione soddisfatta. Si era proposto perché nutriva grande fiducia nelle proprie capacità di negoziazione e perché voleva entrare nel Consiglio Studentesco in futuro – ed era, in effetti, adattissimo a lui. Momo Yaoyorozu era una loro compagna di classe, un'altra ragazza seria, ma abbastanza taciturna che però aveva un bell'atteggiamento con gli altri ed era sempre disponibile. Era stata una buona scelta, Izuku avrebbe votato per lei, se non fosse stato per Iida.
«Congratulazioni capoclasse.» lo prese in giro Uraraka, dandogli una pacca sulla schiena. Tenya sorrise soddisfatto, non cogliendo la presa in giro – non che fosse cattiveria, quanto piuttosto un po' di ironia. Shouto non disse niente di troppo, limitandosi a un semplice «Ho votato per te.», che fece sorridere Iida. Izuku sorrise a propria volta: era così prevedibile, nella sua sincerità, che a volte lo inteneriva.
«Grazie per la fiducia, Todoroki-kun. Non vi deluderò.» concluse il ragazzo, chiaramente carico, prima di lasciarli per andare verso Yaoyorozu.
«Sarà un buon capoclasse sicuramente.» valutò Uraraka, mentre Izuku annuiva, per poi annunciare che sarebbe andata al bagno. Shouto tacque, osservando brevemente Iida e invidiandolo un po', per la facilità con la quale riusciva a parlare con tutti – ma d'altra parte, anche Izuku e Uraraka erano così.
«Ehi, tutto bene?» Shouto si voltò verso l'amico, guardandolo per qualche istante prima di fissare altrove, oltre la figura di Izuku. «Mi piacerebbe essere come gli altri.»
«Cosa intendi?» non riuscì a etichettare la faccia di Izuku, ma era chiaramente qualcosa di negativo, visto come lo stava guardando – riconosceva solo i suoi segnali, principalmente perché aveva passato gran parte della sua vita al suo fianco. «Fare amicizia.»
«Sho-chan...» la regressione di Izuku, nel chiamarlo col suo soprannome, lo infastidì. Era chiaro che la cosa lo preoccupasse, ma del resto era sempre stato un peso – o almeno così aveva cominciato a pensare di se stesso, specie perché l'amico era sempre a fargli da supporto. «Perché non capisco?»
Il tono di voce era piatto, ma Izuku ne percepì tutta la sofferenza dietro.
«Non siamo tutti uguali, non è import-»
«Lo è per me. Perché non ci riesco? Perché è così difficile? Alle elementari ero sempre tenuto a distanza, alle medie anche. Eppure io ce la mettevo tutta...»
Izuku sentì gli occhi pungere, ma non avrebbe pianto in mezzo alla classe. Si limitò a sorridergli dolcemente e un po' tristemente, posando la mano sul dorso di quella di Shouto. «Stai andando bene adesso. Uraraka e Iida sono gentili, no?»
Il senso di frustrazione non diminuiva, ma doveva riconoscere che era vero. Stava andando meglio, stava diventando più bravo; c'erano sempre tante cose che non capiva, come le espressioni, i modi di dire e quando era giusto ridere – cosa che comunque non faceva quasi mai, così come del resto le battute non fossero poi così fantastiche dal suo punto di vista. Izuku era sempre paziente e lo rendeva sempre più tranquillo, felice, aiutandolo a fare ordine in quelle cose chiamate “sentimenti” che lui non capiva a pieno: era la sua bussola, la sua Stella Polare. Come avrebbe fatto, senza di lui?
Avrebbe voluto dirglielo, ma sua madre gli diceva spesso che c'era un tempo e un luogo per ogni cosa e che non era sempre giusto dire ciò che pensava: ultimamente lo faceva con maggiore frequenza, visto quanto a volte le sue osservazioni avessero provocato una o più occhiate di disapprovazione da parte di suo padre.
«Sì, lo sono.» fu quello che disse quindi. Iida e Uraraka erano davvero gentili, anche se non avrebbero mai potuto competere con Izuku nella sua classifica delle persone più gentili – o in quella di chi era importante per lui.


Continua...

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Capitolo 6
*** Un passo dopo l'altro ***


Siamo arrivati a un altro capitolo svolta per quanto riguarda la vita di Shouto, anche se in realtà se guardiamo a tutta la storia, in ogni capitolo impara qualcosa e si rende conto del proprio potenziale e di quello che, con tutti i suoi limiti, può fare se solo lo desidera. E niente, vi lascio al capitolo, stavolta molto puccioso.
Buona lettura!

hapworth

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Capitolo 6 - Un passo dopo l'altro

Stare insieme agli altri aveva cominciato a non creare più troppi problemi a Shouto – che in realtà si erano verificati per via di come era sempre stato additato durante le elementari e le medie – e, bene o male, durante il suo secondo anno conosceva tutti gli alunni della classe. Certo, era ben lontano dall'essere amico con tutti, ma ci parlava tranquillamente; a volte non capiva quando non era il caso di parlare troppo, ma Izuku aveva sempre quel riguardo di alleggerire o cambiare argomento, così non si sentiva mai a disagio.
Una delle cose più difficili che stava cercando di imparare erano le battute e i modi di dire. Era complicato, perché suo padre e sua madre non li avevano mai usati – e d'altra parte, suo padre non era proprio una persona con uno spiccato senso dell'umorismo... o almeno così aveva detto Izuku, lui non sapeva neppure come esserlo.
Così si era fissato in modo permanente nell'imparare a memoria modi di dire, per far sì che quando qualcuno li avrebbe detti, avrebbe saputo se era il momento di ridere, o comunque capire se quella persona era ironica o stava scherzando. Izuku gli aveva detto di non fissarsi sul “senso letterale”, perché altrimenti non avrebbe mai potuto comprendere davvero ciò che gli altri cercavano di dire, ma di ampliare un po' i suoi orizzonti, cercando un senso generale delle cose.
Il bue che dà del cornuto all'asino.” o“L'erba del vicino è sempre più verde.” erano solo due esempi di qualcosa che era davvero complicato da visualizzare: il bue aveva le corna... ma l'asino no. Dunque cosa voleva dire? E perché mai l'erba del vicino doveva essere per forza di cose “più verde”? Ok, il giardino della famiglia di Izuku era sicuramente molto più curato e pieno di fiori del loro, ma era un caso fortuito, non la norma.
Non trovava davvero senso, un nesso. Eppure Izuku gli aveva detto che era normale, che non avessero senso. «Sono modi di dire, Shouto. Non è importante che siano veri, ma che le persone capiscano quello che intendi dire.»
«Ma non ha senso.» fece notare. Izuku rise, mentre finiva l'esercizio di matematica, per poi confrontarlo con quello dell'amico e passandosi nervoso le mani tra i capelli crespi. «Accidenti, ho sbagliato!» come al solito. Shouto si propose di aiutarlo, cercando di spiegargli, ma il risultato lo ottenne solo dopo che alle sue parole, gli ebbe mostrato un esempio.

Parlare era divertente. Aveva anche cominciato a dare il tempo agli altri di dire la loro, senza monopolizzare l'attenzione, ma attendendo – in modo tutt'altro che facile – il proprio turno. Izuku era contento che Shouto stesse imparando a stare in mezzo agli altri: la loro classe era molto eterogenea e aveva un buon affiatamento; tutti si davano una mano e si conoscevano, chi più chi meno, ma era bello finalmente sperimentare quel tipo di ambiente sano e pacifico.
Certo, Kacchan era tutt'altro che pacifico, ma veniva tenuto più o meno in riga da Kirishima che aveva un temperamento simile, anche se contrariamente a Bakugou era estroverso e disponibile.
«Aizawa-sensei poteva evitare di farci un compito a sorpresa però...» si lamento Ashido; i capelli dalle mèches rosa che apparivano quasi più sbiaditi, mentre parlava con quel tono. «Non possiamo farci nulla, si era svegliato con la luna storta.» Izuku convenne con le parole di Yaoyorozu, lanciando tuttavia uno sguardo a Shouto che aveva il proprio fisso sulla ragazza, mentre dentro di sé pensava “Ah-ha! Eccone uno!”, cosa che lo fece sorridere cautamente.
«Oh! Todoroki-kun stai sorridendo!» osservò Mineta, indicandolo. Tutti si voltarono nella sua direzione e Shouto si sentì in imbarazzo, tanto che avvampò appena, mentre si tormentava le mani in grembo. Izuku poteva quasi capire cosa stesse pensando: voglio scappare. Ma, il solo fatto che non lo stesse facendo davvero, era un chiaro segnale di quanto si fosse davvero integrato. E la loro sezione era piena di ragazzi gentili, che non lo prendevano in giro con cattiveria.
«Su che cosa ti sei documentato ultimamente, Todoroki-kun?» era stata Uraraka a parlare, mettendo nuovamente i riflettori su Shouto. Sentiva ancora il cuore battere velocemente, ma un senso di gioia, nell'attenzione che l'amica gli stava rivolgendo, lo scaldò.
«Sui modi di dire... Izuku mi ha consigliato di darci un'occhiata, visto che non sempre li capisco.»
Izuku rise internamente: altra peculiarità che non gli era mai mancata era sicuramente la completa sincerità, anche a suo discapito. Certo, era una cosa che prima non aveva mai fatto davvero, non con tutti e non più di due o tre volte dato che era completamente fuori fase con il tempismo, ma...
«Fantastico. Me ne insegneresti qualcuno? Io non ne so molti-» era stata Yaoyorozu a parlare, incoraggiata anche da Tokoyami e Kirishima, nonché Uraraka e Iida.
Shouto sembrò risplendere di luce propria per un istante, agli occhi di Izuku. Aveva un sorriso tenue e imbarazzato, ma era chiaramente felice, almeno ai suoi occhi – e sperava anche a quelli di tutti gli altri.
E cominciò a ripetere quello che aveva imparato; aveva il tono monocorde e a volte apparentemente annoiato, ma nessuno sembrava farci caso, ridacchiando quando ne diceva qualcuno divertente. Allora Shouto si fermava e chiedeva che cosa ci fosse di divertente e uno di loro cercava di spiegarglielo.
Era più bello così, che non mentre aveva cercato di impararli tutti a memoria. Ed era anche bello che nessuno lo guardasse in modo strano, quando ammetteva che non capiva davvero che cosa ci fosse di divertente.
«Ce n'è uno che non ha senso. “Il bue che dà del cornuto all'asino”... ma l'asino non ha le corna.» valutò Shouto, guardando interrogativo nessuno in particolare. Iida prese la parola. «Beh, hai ragione. Infatti io preferisco “Il merlo che dice al corvo come sei nero”, questa almeno ha più senso.» tutti parvero convenire con il Capoclasse, anche Shouto che – effettivamente – riconosceva il fatto che quello, come modo di dire e come frase, avesse senso, anche considerandone il significato implicito di “qualcuno che biasima qualcun altro per qualcosa che però fa lui stesso”, come aveva spiegato poco prima Uraraka.
«Ma vogliamo parlare di “Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”? Andiamo! Che sta a significare?» era stato Kirishima a parlare; Shouto non riusciva a capire se fosse serio o meno, ma era chiaro che fosse sincero. Lo erano tutti i suoi compagni ed era qualcosa che non aveva mai sperimentato prima. Era felice, perché stava imparando a essere se stesso, senza la paura di essere allontanato.
Izuku era vicino a lui, ma allo stesso tempo vicino a sé aveva anche Uraraka, Iida, Kirishima, Yaoyorozu... Era complicato ricordare nomi e facce con gli altri, ma loro piano piano avevano ripetuto così spesso i loro nomi – cosa che prima nessuno aveva mai fatto per lui – che era riuscito a ricordarseli bene dopo solo un anno insieme.
«Shouto...» la voce di Izuku lo distrasse, facendolo voltare al proprio fianco. L'amico sorrideva, dandogli una leggera spallata senza fargli male. «Sei felice?»
Non rispose subito. Doveva pensarci seriamente: felicità. Che cos'era? Non ne era sicuro, non completamente. Eppure, nel vedere gli altri parlare con lui, ridere con lui e starlo ad ascoltare, sentiva uno strano senso di pace. Non c'era l'ansia, non c'era il disagio o l'imbarazzo di essere differente da loro – loro, che erano tutti una giostra di persone con vite, caratteri e aspetto diverso – ed era bello. Se sentirsi caldo, al sicuro e in pace era la felicità... probabilmente lo era.
«Credo di sì.» ammise alla fine.
Izuku rise. «Non c'è fretta.»
Ma Shouto non capì ciò cui si riferiva – o forse lo capì, ma non era ancora il momento. La felicità andava costruita, quello era solo un embrione, un primo assaggio di ciò che sarebbe potuto essere un giorno.
«Per essere felici, non c'è fretta.» specificò Izuku, consapevole che Shouto non avesse compreso, inconsapevole che, nel proprio cuore e in quello dell'amico, ci fosse il medesimo piccolo pensiero. Un tassello mancante, che un giorno sarebbe andato a posto, come le loro mani, che anche nei momenti come quello, si trovavano e si intrecciavano in modo così naturale da sembrare parti divise dello stesso corpo. No, non c'era fretta per quello.


Continua...

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Capitolo 7
*** Oltre la nostra linea di separazione ***


La fine si avvicina inesorabile, ma ecco un capitolo fondamentale e... niente, non vi dico altro.
Buona lettura!

hapworth

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Capitolo 7 - Oltre la nostra linea di separazione

L'abitudine aveva insegnato a Shouto che c'era sempre un modo giusto di fare una cosa. Era sistematico e banale come concetto, ma d'altra parte lui non aveva mai considerato nulla con quella accezione – non davvero. C'erano una miriade di cose che non capiva e che gli altri avrebbero reputato banali. Certo, ogni giorno ne imparava di nuove, cercava di migliorarsi di capire meglio. Ciò, però, non negava il fatto che quelle cose esistessero.
Non aveva mai reputato il proprio rapporto con Izuku in qualche modo anomalo; non lo aveva fatto perché per lui, Izuku, era importante ed era normale che sentisse affetto e qualcosa di molto forte quando lo vedeva o faceva qualcosa. Non era il centro del suo universo, ma era comunque un tassello fondamentale della sua vita – lo era sempre stato.
Izuku era una presenza fissa, qualcuno di insostituibile nella sua scala degli affetti e dell'importanza. Con il tempo aveva scalato ogni classifica mentale di Shouto, soppiantando chiunque altro con molta facilità.
«Crede sia amore?» aveva chiesto al suo dottore, quello che una volta ogni due settimane vedeva per parlare di ciò che era successo nella sua vita; lo aveva cambiato quando aveva cominciato le superiori e, contrariamente alla dottoressa che vedeva prima, lui si soffermava molto sulle sue sensazioni, sul suo sentire più che sul suo agire. Lo incoraggiava a scrivere liste, ad appuntarsi ciò che lo interessava in modo da sentirsi sicuro e fare spesso “classifiche” su qualsiasi cosa.
Era bello, perché in quel modo programmava le sue giornate e i suoi impegni senza provare l'ansia che cominciava a essere un problema da qualche tempo; riusciva ad arginarsi.
«Non lo so, Shouto. Tu credi che lo sia?» lo faceva spesso, di rigirargli la domanda in modo che potesse pensarci in modo più serio. Non sapeva niente di amore, ma sapeva cosa voleva da Izuku. Lo capiva ogni volta che si guardavano, ogni volta che l'altro rideva, ogni volta che le loro mani si sfioravano anche solo per sbaglio. «Sì.» ammise; ma dentro c'era già nato il pensiero che le cose non sarebbero più state come prima dopo.
L'ansia era stata da sempre fedele compagna di Shouto: non muoveva un passo, senza pensare alle implicazioni che quel singolo passo potesse significare per la sua vita e per il mondo esterno; era tutto estremamente calcolato, o quantomeno pensato. Crescendo, stava imparando che segnarsi i punti fondamentali della giornata, dove dovesse andare, il percorso da seguire, lo aiutavano a contenere quell'insostenibile ansia e disagio che provava durante ogni istante.
Allo stesso tempo, stare in mezzo a persone aperte e disponibili come i suoi compagni delle superiori, lo stava aiutando in modo molto concreto su come agire in gruppo, cosa che fino a qualche anno prima era stata per lui inconcepibile.
Izuku era chiaramente fiero di lui, gli diceva spesso che uscire dal bozzolo non era un male e che isolarsi non aveva senso, non con la sezione A. E Shouto lo aveva preso in parola durante tutti e tre gli anni delle superiori.

Arrivati alla soglia del diploma, Midoriya aveva stretto ancora di più il suo rapporto con Shouto – e non solo con lui – amicizie che, sua madre diceva, sarebbero presumibilmente sopravvissute più o meno a lungo, a seconda di quanta attenzione, una volta usciti dalle scuole, vi avrebbe dedicato.
Certo, l'eccezione sarebbe sicuramente stata la sua amicizia con Shouto, poiché il loro legame andava avanti da molto più tempo, a prescindere da scuola e situazioni, ma d'altra parte Izuku si cominciava a rendere pienamente conto di una cosa che, in precedenza, non era stata di grande importanza, ossia l'intensità di quel legame.
Era cresciuto con lui, gli si era piantato nel petto ed era germogliato in modo del tutto naturale, con la piena consapevolezza di se stesso e dei propri desideri. Quello stesso desiderio che, dentro, infuriava nel pieno della sua forza.Voleva che Shouto lo vedesse in modo diverso.
Izuku era da sempre una persona paziente, lo era stato da bambino e quella sua caratteristica non si era mai persa, ma sviluppata piuttosto con il passare degli anni; essere amico di Shouto Todoroki lo aveva solo aiutato verso quell'inevitabile sviluppo di quella sua dote. Per tale motivo, malgrado fosse a pieno consapevole dei propri sentimenti profondi verso l'amico, pazientava, conscio che non avrebbe mai potuto imporre nulla all'altro ricavandone un bene.
La sua paura di non essere ricambiato, con l'andare del tempo, si era in qualche modo riassorbita: Shouto era sempre molto sincero, specialmente con le parole, ma – almeno con lui – anche con i gesti. Se per un certo periodo la loro stretta vicinanza aveva impensierito Izuku circa la possibilità che fosse perché erano maggiormente legati, questa era andata scemando quando Shouto aveva cominciato a cercare con insistenza attimi in cui fossero solo loro due. Malgrado la sua espressività, il suo sguardo e il suo tono non dessero alcun indizio su quello che sentiva, Midoriya sapeva, intravedeva oltre quella superficie poiché ne conosceva ogni sfumatura.
Shouto era agitato, sentiva la bocca dello stomaco stringersi ogni volta che era insieme a Izuku. Ansia e paura, che si mescolavano insieme dandogli la giusta – o ingiusta – connotazione di ciò che quello che voleva aveva un peso non indifferente. Combatteva con quei mostri da tutta la vita, da ancora prima di conoscerne il nome – e le cause -, ma non era ancora in grado di sconfiggerli. Poteva tenerli a bada, imbrigliarli con l'inganno e con pensieri positivi come gli avevano insegnato... Tuttavia nei momenti meno opportuni quelli tornavano prepotentemente a distruggere tutto.
«Izuku...» doveva risultare sicuro di sé, ma probabilmente Izuku gli leggeva tutto in faccia, anche se era l'unico che non avrebbe dovuto capire. L'altro gli sorrise, in attesa.
Lo aveva chiamato quando si era reso conto che per quel pomeriggio le attività del club di Midoriya erano state sospese a causa pioggia e, dato che lui era sempre riuscito a far parte di quelli che tornano a casa, era chiaro che avesse voluto approfittarne.
«Hai deciso per l'università?» non era quello che voleva chiedergli, ma andava bene lo stesso. Era un'altra delle cose che voleva sapere, che gli servivano. Non voleva allontanarsi da lui e, allo stesso tempo, doveva ancora fare chiarezza in se stesso.
«Oh, sì! Entrerò all'Università di Tokyo, il loro dipartimento di Legge è fantastico.» spiegò. In seno, Izuku aveva sviluppato il desiderio di entrare nel mondo della giustizia – il che, in effetti, per Shouto non era stata una sorpresa; l'unico motivo di ansia era stata la sua mancata decisione su quale complesso frequentare e, sebbene la scelta di Tokyo fosse scontata, Todoroki non aveva mai voluto darla per tale.
«Io anche.»
«Sono contento che hai deciso di frequentare l'Università.» la sua famiglia non voleva; suo padre era stato piuttosto chiaro su quel punto e sua madre non era per nulla d'accordo che lasciasse casa visto che sembrava non essere in grado di prendersi cura di se stesso. Ma Shouto voleva, lo voleva disperatamente. Anche il suo dottore gli aveva detto che se lo desiderava poteva e doveva, perché lo avrebbe reso libero, specie se fosse andato a vivere da solo in un'altra città.
«Izuku, io...» come fare? E se non fosse stato più lo stesso tra loro dopo? E se Izuku non avesse provato lo stesso, se avesse finito per odiarlo? Aveva letto un sacco sull'argomento, sulle relazioni omosessuali e sul fatto che non fossero così comuni o moralmente accettate da tutti – il che gli aveva dato sempre da pensare, visto che non voleva ferire Midoriya o tradire la sua fiducia, men che meno danneggiare il loro rapporto.
«Mi piaci.» per un istante si chiese se lo avesse detto senza rendersene conto, prima ancora di visualizzare nella mente ciò che voleva dire. Fu con ritardo, che si accorse di non essere stato lui a parlare. Izuku era di fronte a lui, l'espressione strana, una che non gli aveva mai visto: occhi stretti, gote arrossate e i pugni chiusi. Distolse lo sguardo, sentendo l'improvviso disagio della situazione prima ancora di registrare sul serio le implicazioni.
«Shouto...?» la voce di Izuku gli giunse fin troppo ovattata, mentre era concentrato sulla cosa giusta da dire, su come dirla, sullo sguardo da fare, sul modo in cui era più giusto muoversi e porsi. Come fare? Come... «Shouto! Guardami!»
Il tono di Midoriya era strano, più alto, più autoritario – per un attimo lo associò a quello di suo padre, quando non riusciva a fare qualcosa, quando faceva qualcosa di sbagliato, quando il suo modo di essere non era quello giusto e-
Poi però Izuku lo toccò, stringendogli le spalle per scuoterlo. Shouto sollevò lo sguardo, specchiandosi in quegli enormi occhi verdi. Lo fissavano intensamente, così tanto da sentirne il pieno disagio fin nel profondo e non capiva. Cosa provava? Cosa sentiva? Izuku non lo aveva mai guardato in quel modo.
«Parla, Shouto!» fu un rimprovero, o almeno la mente di Todoroki lo registrò come tale, mentre si scuoteva e si allontanava di un passo dall'amico.
Ferito. Ecco cosa gli lesse per un istante negli occhi; l'aveva già vista quell'espressione.
«Io... non voglio.» Izuku non capì a cosa l'altro potesse riferirsi, mentre si abbracciava da solo e lo guardava, distogliendo lo sguardo, un segno di ovvio disagio.
Midoriya era ferito, perché una parte di sé aveva sperato. Sì, sperato in modo egoistico che Shouto sentisse le sue stesse cose, che non fosse solo una sua visione egoistica, che non lo stesse equivocando. Eppure... doveva essere così.
Abbassò lo sguardo, vinto e abbattuto. Credeva che volesse dirgli la stessa cosa, aveva creduto che fosse quello il motivo per cui lo continuava a seguire quando era da solo, proprio come quando erano piccoli... ma evidentemente era solo un istinto infantile, del legame che condividevano, come l'imprinting per un cucciolo che seguiva la prima persona che gli donava gentilezza.
Strinse gli occhi, cercando di trattenere tutto l'astio e l'acido che aveva dentro. Non doveva piangere, né sentirsi così triste: Shouto era importante per lui, non avrebbe fatto una scenata rovinando il loro rapporto, danneggiando inevitabilmente tutte le certezze dell'altro. Poteva essere ipocrita, ma ci teneva a Todoroki e non voleva che un suo problema gli creasse disagio.
«Non voglio che le cose cambino.» disse ancora Shouto, dando l'ennesima coltellata nel suo petto. Sì, lo sapeva. Sapeva che era sincero, eppure proprio per quello, faceva ancora più male.
Cercò di raddrizzarsi, di rendere asciutti i suoi occhi senza passarsi le mani sugli stessi – gesto che Shouto avrebbe probabilmente associato proprio al pianto -, invece cercò il proprio sorriso, la propria facciata innocente, l'Izuku che Shouto amava avere accanto, quello di cui aveva bisogno.
«Lo so.» ammise. Il tono gli uscì più tormentato e basso di quanto avrebbe voluto, ma confidava nel fatto che Shouto non ne capisse le implicazioni sotto.
Tacquero entrambi per interminabili istanti, almeno finché Shouto non si fece coraggio.
«Però io voglio stare con te per sempre.» fu una dichiarazione molto elementare, se si pensava al vasto lessico che Shouto Todoroki aveva sempre dato prova di possedere fin da quando era bambino. Eppure, quelle parole, parvero rianimare Izuku che sollevò lo sguardo su di lui in modo diretto. La sorpresa dipinta nei suoi occhi verdi e nella sua espressione appena arrossata.
«Essere omosessuali non è facile e non possiamo neppure sposarci, a meno di non andare in Canada, negli Stati Uniti d'America o in alcuni paesi europei. Non possiamo neppure preservare la specie, ma potremmo sempre adottare, se mai volessimo un bambino – se tu vuoi. Però credo che la cosa principale sia prima dirlo ai nostri genitori e poi andare a vivere insieme. Faremo la stessa Università e se tutto va bene tu lavorerai in Tribunale a Tokyo e io potrei lavorare come traduttore a casa, i nostri orari non sarebbero gli stessi, ma-»
Il dito gli premette sulle labbra ancora prima che potesse rendersene conto; Izuku era a meno di un passo da lui, il suo indice sulle sue labbra e gli occhi brillanti. Sorrideva, un bel sorriso radioso, seppure imbarazzato e Shouto avvertì quella stretta al petto, la sensazione di pace e pienezza che lo coglieva in alcuni momenti particolari delle sue giornate. Era la felicità che faceva, ancora una volta, la sua comparsa nella sua vita.
«Corri troppo, lo sai?»
«Me lo dicono spesso.» recitò Shouto, memore della sua passata ossessione per le battute e i modi di dire: sembrava proprio il momento giusto e la risatina che uscì a Izuku nell'udirlo, gli diede ancora una volta la riprova che era un'intuizione esatta, così sorrise timidamente anche lui.
Era bello, essere felici.


Continua...

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Capitolo 8
*** La mia casa è la tua casa ***


Ma buon pomeriggio! Normalmente posto in serata, ma oggi per fortuna ho una giornata tranquilla e me la sono presa comoda, riuscendo a postare a un'ora decente!
E niente, questo capitolo è piuttosto breve, ma spero che possa piacervi.
Buona lettura! **

hapworth

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Capitolo 8 - La mia casa è la tua casa

Trasferirsi aveva avuto sulla vita di Shouto molto più impatto di quanto avrebbe mai creduto possibile; certo, l'ansia, la paura e il blocco che gli erano venuti il giorno in cui lui e Izuku avevano effettivamente lasciato le loro case, lo aveva lasciato terrorizzato e immobile per diverso tempo. Salvo poi vedere sua madre sulla soglia sorridergli con gli occhi lucidi, e uno sguardo che non aveva mai visto su quello di suo padre – Izuku, più tardi, gli aveva rivelato che suo padre era sicuramente molto fiero della sua scelta ed era per quello che aveva accettato di vederlo lasciare il “nido”, come lo chiamava lui.
Contrariamente alle loro paure, rivelare la nascita del loro amore non aveva creato granché scompiglio – persino Enji Todoroki non aveva fatto resistenza, chiedendo semplicemente al figlio se ne fosse sicuro o se non si fosse piuttosto fatto prendere dall'entusiasmo giovanile.
Shouto aveva scosso la testa, rivelando che era da mesi che ne parlava con il proprio psicologo e che erano riusciti a fare un quadro della situazione, facendogli anche capire cosa si aspettava e cosa invece non aveva considerato. Il suo supporto era stato, senza ombra di dubbio, fondamentale.
Sapeva a cosa sarebbe andato incontro iniziando la sua vita in un posto nuovo e lui e Izuku erano arrivati al compromesso che Shouto avrebbe dovuto compilare una lista di cose, nel caso in cui avesse sentito forte l'impulso di lasciarsi vittima delle sue piccole manie.
Era andata bene, dopo un primo momento di disagio e intenso senso di impotenza circa cose che erano al di fuori del suo controllo, come la disposizione delle stanze e il fatto che il bagno fosse completamente diverso da quello che aveva avuto a casa: non più una vasca, bensì una doccia.
La stanza da letto gli aveva creato altrettanti problemi, malgrado il fatto che ognuno di loro avesse la sua stanza. Non era una questione di dove dormire, quanto piuttosto che Shouto sentiva stretta la necessità di avere un posto solo e unicamente suo, cosa che Izuku aveva compreso e accettato di buon grado. D'altra parte stavano insieme, ma non avevano ancora fatto passi avanti al di fuori di tenersi per mano e sedersi vicini, abbracciarsi.
Izuku sapeva che ci voleva del tempo, senza considerare il fatto che fossero entrambi inesperti e non solo: essere amici prima di tutto, aveva dato a entrambi un certo tipo di confidenza tale che il confine era così labile da non essere neppure notato.
Lui reputava stupido pensare che la sola cosa che potesse fare davvero la differenza tra amicizia e amore fosse il condividere un letto, quanto piuttosto il vivere gli stessi spazi e gli stessi momenti, su dimensioni anche differenti, incontrandosi a metà strada.
Con Shouto, d'altra parte, era sempre stato così: viveva la sua dimensione e il suo tempo, la sua realtà delle cose e gli andava incontro, trovandolo ad aspettarlo là, dove le cose diventavano uguali per entrambi. La loro era sempre stata un'amicizia fatta di compromessi e accettazioni, dove convivevano le loro differenze come ricchezza piuttosto che come limite. Non era stato differente dopo essersi riconosciuti come coppia.
«Mi piace la casa.» aveva detto Shouto una mattina, dopo che si era seduto a tavola, mentre Izuku gli porgeva una tazza di tè. «Davvero?»
«Sì.» Shouto non volle dire – o meglio scelse di non dire – che aveva stilato una lista di pro e contro, in cui avrebbe potuto facilmente vincere il “non mi piace”, ma che invece aveva scelto lui stesso di ignorare per una semplice constatazione. Piccola, ma molto importante e che gli aveva dato la giusta connotazione di quanto fosse importante che vincesse l'aspetto positivo.
«È la nostra.» Midoriya rise, portandosi una mano sulla bocca in un gesto innocente, quanto divertito, mentre Shouto lo guardava interrogativo.
Izuku scosse la testa. «Niente, sono contento che ti piaccia.» ed era proprio così, perché d'altra parte aveva continuato a pensare che Shouto non riuscisse a sentirla sua e che la cosa lo rendesse troppo inquieto, per poter provare un sentimento di appartenenza a quel posto che era finalmente solo e unicamente loro. Un posto dove si potevano incontrare a metà strada, dove Izuku e Shouto, le loro esistenze, gravitavano vicine, ma allo stesso tempo nelle proprie dimensioni e nei propri spazi.
Shouto sorrise tiepido, di quell'espressione ancora acerba che aveva imparato ad assumere e che sembrava venirgli più naturale con l'andare del tempo e nei momenti giusti. Non aveva più il timore di sbagliare, non con lui. Izuku non lo avrebbe mai deriso o fatto sentire inadeguato.
Shouto si avvicinò al compagno, poggiando la testa contro la sua spalla e socchiudendo gli occhi; non era eccessiva la loro differenza di altezza, anzi, si differenziavano solo di qualche centimetro e quello, in parte, aveva fatto in modo che il contatto tra di loro rimanesse costante per stessa volontà di Shouto oltre che di Izuku, che era sempre stato un ragazzo amante del contatto con le persone a cui voleva bene.
Ricordava distintamente lo stupore della madre di Shouto, quando il figlio non aveva dato minimamente segno di fastidio a un Izuku che lo prendeva per mano all'improvviso o gli schioccava baci contro la guancia per salutarlo, o lo abbracciava. All'epoca Midoriya era stato troppo piccolo per capire la portata e l'importanza di quel comportamento, né aveva compreso l'espressione estremamente colpita e quasi commossa di Rei Todoroki, che si era portata una mano contro la bocca e poi era rientrata in casa annunciando che avrebbe preparato della limonata.
Ormai capiva, e proprio perché era consapevole, sapeva anche che quello era stato forse il primo segnale che il suo rapporto con Shouto avrebbe avuto un forte impatto sulla vita di entrambi. Non era ancora chiaro come, ma d'altra parte era stato proprio quello, il momento in cui tutto era cambiato.
Sospirò, accarezzando i capelli rossi del fidanzato, che teneva gli occhi chiusi e l'espressione pacata. Sembrava ancora il bambino che era stato, sempre alla ricerca di contatto e di qualcosa di cui, allora, forse non era ancora così consapevole di volere.
Shouto riaprì gli occhi, al tocco gentile di Izuku. Gli occhi eterocromatici erano fermi, ma dentro si sentiva colto da quell'emozione piena di luce e calore.
«Mangiamo?» domandò poi e Midoriya annuì, mentre sfiorava con la mano quella del compagno nel passargli a fianco per raggiungere la cucina.


Continua...

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Capitolo 9
*** Dove razionale e irrazionale si incontrano, là ci sei tu ***


Buondì! Anche oggi sono riuscita a ritagliarmi uno spazio per revisionare e poi postare il capitolo, senza ansie varie.
Siamo agli sgoccioli e spero che questo capitolo possa piacervi e divertirvi, dato che io mi sono divertita un sacco a scriverlo. Ci vogliono ogni tanto momenti come questi, specie nella vita di coppia e... niente.
Vi auguro una buona lettura!

hapworth

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Capitolo 9 - Dove razionale e irrazionale si incontrano, là ci sei tu

Il rumore proveniente dalla cucina svegliò Izuku, ancora confuso e un po' avvinto dalle maglie del sonno. Lanciò uno sguardo verso il comodino: erano le sette e mezza. Normalmente, la sua sveglia avrebbe dovuto suonare mezz'ora prima...
Mentre metabolizzava il pensiero, si alzava di fretta e si lanciava dentro l'armadio, alla ricerca di qualcosa da mettersi per andare a lezione, caracollandosi a rotta di collo verso la cucina e dove Shouto stava facendo bollire l'acqua per il caffè. Questi si voltò nella sua direzione, guardandolo in silenzio, le labbra sigillate per qualche istante, e fu allora che Midoriya si rese conto di un particolare: se erano le sette e mezza, Shouto doveva già essere fuori dall'appartamento. Ma se era lì, allora...
«Non dirmelo...» mugolò, prima di stamparsi una mano sulla faccia, chiudendo gli occhi. Shouto tacque ancora qualche secondo, l'espressione insondabile come al solito, ma Izuku sapeva che non era proprio così. «Che stai facendo, Izuku? Oggi è domenica.»
Ecco, appunto. Un verso di esasperazione gli uscì dalla gola, mentre scivolava a terra e si mandava mentalmente a quel paese: si era preoccupato di prepararsi velocemente per uscire, quando non solo la sua sveglia non era suonata, ma era stato proprio Shouto a svegliarlo con il suo muoversi in cucina – tutti indizi che non fosse un giorno feriale – e lui si era comunque vestito in fretta e furia.
Gli veniva da piangere, considerato che la domenica era l'unico giorno in cui poteva dormire – il sabato aveva il part-time al mattino – e l'aveva appena sprecato. Quando sollevò lo sguardo verde, si ritrovò a specchiarsi negli occhi di Shouto, che si era chinato di fronte a lui, a poco meno di un passo. «Tutto bene, Izuku?»
Lui annuì, abbozzando un sorriso. «Sì, scusami. È che pensavo non fosse domenica.» ammise. Sapeva che Shouto non lo avrebbe deriso, avrebbe piuttosto cercato di capirlo, in quel suo modo un po' lento e un po' troppo gentile e sincero. Il silenzio successivo, gli fece capire che l'altro stava elaborando l'informazione. «Ma sono a casa. Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì o venerdì non mi avresti trovato qui. Hai dimenticato la sveglia in funzione?» Izuku rise, sospirando subito dopo. «No, è che ti ho sentito ed ero mezzo addormentato, quindi...»
«Non ha senso.» borbottò Shouto, pronto a difendere la sua posizione. Izuku sapeva che aveva ragione e, d'altra parte, lui stesso non capiva pienamente cosa lo avesse spinto a prepararsi – probabilmente il dormiveglia. «Ti ho svegliato io, quindi non ha senso.» percepiva il nervosismo dell'altro, chiaramente aveva bisogno di una spiegazione più esaustiva. Si irritava quando non riusciva a seguire la sua logica, o meglio la non-logica dei pensieri.
«Già. Ma sai, ho dormito poco, probabilmente non avevo ancora realizzato la cosa.» Shouto annuì, prima di schiudere nuovamente le labbra per parlare, salvo poi essere interrotto dal fischio del bollitore sul fuoco.
Si alzò quasi subito, scattando verso il fornello per spegnerlo. La rapidità con la quale recuperò le tazze nella lavastoviglie fece sorridere Izuku: capitava di rado che facessero colazione insieme, dato che avevano orari differenti di vita, ma contrariamente a tutto, Shouto era sempre pronto a quell'eventualità.
«Io vorrei il-»
«Il tè. Vuoi il tè, giusto? Tre cucchiaini e uno spicchio di limone.» fu la risposta automatica del compagno, mentre trafficava col bollitore, le tazze e le bustine.
Shouto portò le tazze sul loro tavolino per i pasti – che aveva già apparecchiato prima di mettere il bollitore sul fuoco – e porse a Izuku la sua tazza pronta. Si sedette, osservandolo in silenzio: era vestito per uscire, in quel gesto che nulla aveva di logico, ma che come gli aveva detto, doveva essere stato causato dalla stanchezza. Il pensiero lo fece immediatamente preoccupare: non dormiva abbastanza? Sapeva che lavorava un sacco. Andava a lezione durante la settimana – come lui –, ma poi il sabato e la domenica lavorava, a volte il sabato tutto il giorno.
Vivevano in città da circa un mese e avevano preso la loro routine seriamente; si vedevano a volte all'ora di pranzo, ma il pasto che condividevano sempre era la cena. Shouto aveva imparato a fare diverse cose con l'aiuto dei libri che sua mamma gli aveva lasciato. Quello che preferiva era cimentarsi in diversi tipi di pasta: gli piaceva preparare i sughi mentre l'acqua bolliva e poi la pasta cuoceva e Izuku non sembrava affatto dispiaciuto della cosa, considerando che invece lui non era così bravo ai fornelli.
Tre biscotti al cioccolato, la tazza di caffèlatte e una fetta della torta avanzata dal part-time di Izuku, che aveva portato il giorno prima a casa. La colazione finì relativamente in fretta e Shouto fu pronto per tornare nella sua stanza, vestirsi e poi mettersi lì sul tavolo a studiare.
Izuku, dal canto proprio, aveva appena finito di bere il proprio tè e stava cominciando a sistemare il tavolo e le stoviglie da lavare nel lavandino. «Tolgo la roba dalla lavastoviglie?»
Shouto si irrigidì appena. Era sulla sua lista: svuotare la lavastoviglie. Ma sapeva che doveva imparare a distaccarsene. Inghiottì a vuoto, voltandosi verso l'altro. «S-sì.»
Il momento di silenzio che seguì, gli fece quasi anticipare le parole successive di Izuku. «Vieni, facciamolo insieme.» un sospiro di sollievo, colmo di quella gratitudine che solo l'altro riusciva a donargli. Non sapeva ancora come ci riuscisse, ma Izuku trovava sempre un modo per calmare il suo animo agitato, il suo voler fare le cose da solo, capire tutto e subito, il suo parlare furioso. Stare con Izuku lo rendeva migliore e, a livello conscio, era convinto che fosse uno dei motivi razionali per cui si era irrazionalmente innamorato di lui. Era illogico, ma allo stesso tempo non lo era.
Ricordava che spesso, nei libri, c'erano figure retoriche e metafore per definire l'amore o l'anima gemella; campo metafisico in cui lui non riusciva pienamente a muoversi – la filosofia non era mai stata il suo forte, preferiva i numeri e le traduzioni con le loro sfumature definite, solo da decifrare – eppure quando guardava Izuku, quando ci parlava, gli sembrava di capire.
Due parti di un solo insieme, l'unione di due anime, un filo che collegava le persone... erano, a livello razionale, cose inconcepibili; ma Izuku gli faceva capire, almeno in parte, quel che significava. La completezza di tutto ciò che lui non era, quel tassello di irrazionalità che Shouto non riusciva a essere perché altrimenti sarebbe impazzito.
Izuku era il caos, ma era il caos che Shouto anelava più di ogni altra cosa e, anche se non aveva senso, anche se era completamente fuori dalla realtà... capiva e riusciva a intravederne i contorni. Era quello, quel singolo tassello di caos che lui aveva imparato a chiamare amore.

«Shouto?» la voce di Izuku lo riscosse dal sonno. Schiuse gli occhi, sbattendoli diverse volte prima di mettere a fuoco; la televisione era accesa a livello basso sul telegiornale della sera e Izuku stava di fronte a lui, l'odore di caffè, fritto e fumo addosso. Del resto lavorava in una caffetteria.
«Sei tornato.» disse, raddrizzandosi sul divano e guardandolo. L'altro annuì, mentre si slacciava i primi bottoni della camicia e andava poi a sedersi vicino a lui.
Shouto gli si accoccolò contro, in quel gesto che aveva dell'istintivo, ma anche del piacevole. Non avevano mai avuto problemi a stare vicino, cosa che era continuata anche da quando si erano messi insieme, seppure non avessero ancora affrontato diverse cose – come il fatto che non si fossero ancora davvero baciati o che il loro legame affettivo fosse, almeno momentaneamente, più platonico che non fisico. Izuku cominciava a reputarlo un problema, ma voleva rispettare i limiti di Shouto, che non sembrava così impensierito dalla cosa – se lo fosse stato, conoscendolo, gliene avrebbe parlato senza mezzi termini.
Mentre lo pensava, gli passava la mano tra i capelli rossi e quelli bianchi, in quel gesto affettivo che l'altro sembrava apprezzare sempre in quei momenti di tenerezza.
«Izuku?» la voce di Shouto era bassa, seppure la sua inflessione fosse quella di sempre. «Mh?»
«Noi stiamo insieme.» non era una domanda, era più un'affermazione e Izuku avvampò comunque, non aspettandosi quella schiettezza diretta. «Sì, perché lo chiedi?»
Shouto non attese neppure che finisse la domanda per sollevarsi e guardarlo, voltando appena la testa in modo che i suoi occhi dal colore diverso lo fissassero nella penombra della loro sala. «E allora perché non facciamo le cose che fanno i fidanzati?»
«Cose?»
«Baciarci. O masturbarci. O avere rapporti ana-» la mano di Izuku gli volò sulla bocca prima che potesse concludere; si sentiva avvampare, ma avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe successa una cosa simile: Shouto era diretto, per niente incline ai giri di parole – che non utilizzava mai – ed era molto sincero e, accidenti a lui, specifico.
«AHHHH! Aspetta un attimo!» lo rimproverò, mentre teneva ancora la mano sulla bocca di Shouto, che lo guardava, la mano contro il suo polso che stringeva un po' troppo, ma senza chiara intenzione di fargli male. Izuku lo liberò dalla mano, portandosele entrambe sulla faccia color rosso acceso. «Cosa ho detto?» chiese Shouto, chiaramente confuso.
«Hai detto... puoi chiamarlo in modo meno esplicito?»
«Ti riferisci al sesso anale?» domandò allora, sottolineando senza esserne consapevole, l'imbarazzo di Izuku.
«QUELLO, PROPRIO QUELLO. Chiamalo solo “sesso”, ti prego.» gli disse, raggomitolandosi un po' su se stesso, portandosi le ginocchia al petto. Shouto tacque, benché avesse annuito a quella richiesta: doveva chiamarlo sesso, anche se non era proprio giusto, considerando che ne intendeva più di cose il “sesso” - tipo i rapporti vaginali, che per ragioni anatomiche loro non avrebbero mai potuto fare insieme.
Dopo qualche momento di silenzio, Shouto si sentì autorizzato a invadere nuovamente lo spazio personale del compagno, ancora raggomitolato su se stesso.
«Izuku?» lo chiamò e l'altro sollevò appena lo sguardo. «... Perché me l'hai chiesto ora?»
«Ho sentito un mio senpai che ne parlava. Sta uscendo con una ragazza da una settimana e hanno “già fatto tutto”.» come se non fosse stato abbastanza imbarazzante sentirsi orribile per aver immaginato Shouto in momenti di intimità, ci si mettevano anche i suoi senpai a rendere l'altro curioso e invadente. E pensare che aveva voluto aspettare perché non sembrava il momento e l'altro non ne aveva mai fatto parola.
«Noi stiamo insieme da 90 giorni e non ci siamo ancora baciati. Eppure ci conosciamo da quando eravamo bambini.» Izuku sentì il cuore mancare; come distruggere il momento, ricordargli che erano stati bambini insieme e facendolo sentire ancora peggio. Inghiottì le parole, consapevole che Shouto non aveva intenzione di farlo sentire a disagio o incolparlo, era solo il suo modo. «Sono tre mesi, Shouto. E poi è proprio perché siamo stati amici che... è diverso.»
«Diverso come?» domandò ancora l'altro, inclinando appena la testa in un gesto infantile che fece sorridere e rilassare Izuku, che scosse appena la testa. «Perché quando si è prima amici ci sono cose che vengono naturali e altre, invece, non tanto.» cercò di spiegargli, mentre gli accarezzava una guancia e l'altro, istintivamente, socchiudeva gli occhi.
«Come abbracciarsi?» tentò Shouto, la voce chiara, ma gli occhi socchiusi sotto quella carezza gentile e intima come mai prima. «Esatto. È difficile capire quando è il momento giusto o quando si passa dall'essere amici all'essere amanti.»
«Per quello ci si bacia e si fa sesso, no?» questa volta Izuku riuscì a contenere il rossore e l'imbarazzo, limitandosi ad annuire e sospirare leggermente; non era proprio così, ma era il modo più semplice di porla e che non mettesse dubbi o in confusione Shouto.
«Quindi quand'è il momento giusto?» non l'avrebbe scampata, glielo leggeva negli occhi determinati. «Presumo quando entrambi sono d'accordo.»
«Io voglio tutto però. Tu no?» ennesimo assenso imbarazzato, ma allo stesso tempo gentile e affettuoso, come quella mano che adesso non gli stava più accarezzando la guancia, ma stringeva quella tiepida di Shouto tra loro, posata sul divano e la copriva con il palmo, intrecciandone le loro dita. «Anche io. Ma cominciamo da un bacio, ok?» propose cautamente. Shouto annuì, prima di abbozzare quel tiepido sorriso che ogni tanto sbucava fuori all'improvviso.
«Sì!» esclamò. Non sembrava, ma Izuku lo vedeva dai suoi occhi, dal suo brillare, che era felice.
E quando le loro labbra si incontrarono, in un contatto timido, ma fermo, Izuku capì che quello era davvero il loro inizio. Un nuovo inizio e che ce ne sarebbero stati tanti altri in futuro.


Continua...

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Capitolo 10
*** Oggi, domani e il giorno dopo ancora ***


Siamo giunti alla fine di questo viaggio. Non ho molto da dire, anche perché ho credo detto tutto all'inizio: tengo moltissimo a questa piccola storia, a questo insieme di slice of life in cui Shouto e Izuku crescono insieme, imparano a conoscersi e si innamorano. Ho voluto affrontare una tematica che mi è sempre stata molto a cuore e spero di essere riuscita davvero nell'intento senza essere pressapochista o troppo marcata. Era la prima volta e spero di migliorare, perché vorrei in futuro affrontare temi delicati come questi, perché la vita è un tutto tondo e tutti abbiamo bisogno di essere capiti e amati.
La scelta di parlare di Shouto con la Sindrome di Asperger è stata dettata dal fatto che volevo sì affrontare l'autismo, ma volevo farlo in modo più leggero e scanzonato possibile, senza per questo risultare troppo, dato che ho sempre un'insicurezza di fondo, per quanto mi documenti o affronti nella vita reale persone di ogni tipo e storia. E niente, ringrazio tutti quelli che mi hanno accompagnata in questo viaggio, perché anche se da quando ho scritto la prima bozza di questa storia sono passati anni, alla fine ce l'ho fatta a tirare fuori qualcosa di decente.
Buona lettura!

hapworth


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Capitolo 10 - Oggi, domani e il giorno dopo ancora

Stabilire i limiti era stato facile una volta iniziato, molto più facile di quanto Izuku avesse previsto. Shouto non aveva avuto problemi, né sembrava intenzionato a fargliene, per il loro rapporto; erano giunti alla conclusione – o meglio al compromesso che se ci fossero stati problemi, avrebbero dovuto dirselo a vicenda e la cosa, stranamente, stava funzionando.
Certo, Izuku si imbarazzava ancora quando Shouto parlava di “sesso anale” – che, accidenti, bastava usare la parola sesso, era tanto complicato? -, ma tranne quella piccola svista, le cose andavano bene. Almeno erano andate bene fino a quel momento.
«E quindi sono andato in farmacia e ho preso dei preservativi e del lubrificante. Se vogliamo farlo, dobbiamo andare per gradi.» Izuku avrebbe apprezzato un po' meno sincerità e schiettezza da parte del compagno, almeno da quel punto di vista. «Il senpai ha detto che sono importanti i preliminari e...»
Quando sarebbe finita quella storia? Se avessero fatto sesso ne avrebbe parlato di meno? Dubitava, considerando che Shouto si era preso così a cuore la faccenda fin da quando avevano chiarito le cose e, sul serio, Izuku aveva bisogno che non ne parlasse in modo così diretto. Sperava solo che la loro vita sessuale non sarebbe stata messa in pubblica piazza con il senpai – anche perché Shouto aveva pochi amici, dunque al massimo lo avrebbero saputo in due o tre, ma erano già fin troppi. Si fidava, ma non voleva privarlo della libertà di scelta di parlare con i pochi amici che aveva in totale libertà, per lui era importante – e poi Shouto considerava bugie anche le omissioni.
«... dato che abbiamo anche cominciato a fare sesso intercrurale, credevo che fosse il momento adatto.» Izuku si tappò le orecchie, morendo internamente di imbarazzo al continuo parlare di Shouto. La loro vita amorosa – e sessuale – non aveva bisogno di essere espressa in modo tanto clinico e diretto, anche se non era cattiveria quella dell'amante.
«Shouto...»
«... ho letto che dobbiamo prima fare un po' di preparazione, altrimenti non sarà piacevole. Ho anche guardato qualche video consiglia-»
«SHOUTO!» il ragazzo si ammutolì, guardando verso Izuku che era rosso – quasi blu in effetti – e lo guardava con una strana espressione. Non sembrava imbarazzo, non solo almeno: aveva imparato a riconoscere l'imbarazzo di Izuku quando avevano cominciato a baciarsi con la lingua e a toccarsi intimamente, condividendo il letto e gli orgasmi, seppure non con penetrazione anale.
«Cosa ho fatto?»
«Calmati. Vai troppo in fretta, io-» sospirò Izuku; Shouto capì: si era di nuovo eccitato tutto da solo, pensando a mille cose insieme, senza considerare minimamente cosa potesse pensare il compagno di quello che aveva deciso. Si rabbuiò, consapevole che non era stato responsabile, né rispettoso nei confronti di Izuku quel comportamento: lo amava, ma a volte pensava di non essere abbastanza. Che forse, in qualche modo, Izuku avrebbe preferito qualcuno che lo capisse al volo, senza che parlasse, solo con uno sguardo. Lui non sarebbe mai riuscito a farlo, anche se ogni tanto qualcosa riusciva a capirla senza che Izuku gliela dicesse. «Scusa. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere. Possiamo anche non usarli se non vuoi.» anche se lui avrebbe voluto. Voleva Izuku, di quel desiderio che gli chiudeva lo stomaco in modo irrazionale, come se facesse male – e che sapeva era dovuto principalmente all'eccitazione e a una reazione fisica, più che emotiva, anche se gli piaceva pensare che non fosse solo quello e sapeva che non lo era. Ma non voleva costringerlo, né fare qualcosa che non voleva: il sesso anale non era necessario, lo aveva letto, c'erano un sacco di coppie omosessuali che non si penetravano a vicenda e che stavano bene comunque. Non era una cosa necessaria e, se Izuku non voleva, lui non avrebbe insistito per niente.
«Non volevo dire che non voglio.» mormorò Izuku, il viso che si rasserenava un po', mentre prendeva qualche respiro. «Solo che a volte corri troppo. Sono... contento che tu ci tenga tanto, e anche io ci tengo, ma vorrei che ne parlassi sempre con me quando hai qualche dubbio o curiosità. Sono... inesperto anche io, ricordi? Siamo...»
«Sulla stessa barca!» esclamò Shouto, gli occhi brillanti per quell'emozione che gli dava utilizzare, a distanza di anni, quello che aveva imparato con tanta fatica alle superiori. Adorava ancora i modi di dire e, quando ne sentiva di nuovi, se li scriveva e faceva qualche ricerca, in modo da poterne comprendere appieno il significato, facendosi aiutare anche da Izuku, come sempre.
«Esatto, Shouto. Siamo sulla stessa barca e vorrei che parlassimo di più di queste cose. Mi imbarazzano, ma sono anche felice.» Shouto annuì, abbracciando stretto Izuku e affondando il viso tra il collo e la spalla del compagno, annusandolo con poca discrezione, la presa un po' troppo forte come sempre. Izuku rise, abbracciandolo a propria volta: gli piaceva lo stesso, anche quando lo stringeva troppo forte, era un suo modo di amarlo, come molti altri.
«Ora ci baciamo?» domandò poi Shouto, scostandosi appena da quel punto e guardandolo dritto negli occhi, in quel contatto che condividevano solo loro e che Shouto aveva dato prova di voler condividere solo con lui, probabilmente per via di quello che erano stati e che erano.
Izuku rise di fronte all'espressione dell'amante. «Sì, ora ci baciamo.» anche se era imbarazzante sentirsi sempre chiedere le cose, andava bene, dimostrava tutto quello che c'era nella mente di Shouto, la sua premura, il suo amore, la sua devozione e la sua sincerità più assoluta.
Il bacio fu goffo come sempre all'inizio, ma trovarono il loro ritmo dopo un po' e Izuku tremò, così come Shouto, poco prima che si staccassero entrambi dal contatto. Izuku sospirò accaldato, le mani strette contro la stoffa della maglia morbida del compagno che lo teneva stretto a sé.
«Proviamo quello che hai comprato, ti va?» la voce bassa di Izuku fece scattare, con qualche istante di ritardo, Shouto che lo rilasciò per guardarlo sul viso arrossato. «Davvero?»
«Davvero.» confermò Izuku, allungandosi per stringere nuovamente l'amante e ridere, imbarazzato, confondendo apparentemente Shouto. «Però prima dobbiamo spogliarci, sennò...»
«Shouto.» lo ammonì l'altro, nella sua confusione: che aveva detto? Mica potevano usare il lubrificante da vestiti...?
«Cosa-» ma venne interrotto dal dito che, delicatamente, si posò sulle sue labbra.
«Stai zitto e dammi un bacio, ok?» e Shouto non se lo fece dire due volte, mentre socchiudeva gli occhi e lo teneva stretto, sentendo il cuore battere e battere e battere ancora, in quel continuo concentrato di sangue, ossigeno, adrenalina ed eccitazione che, sapeva, significava amare qualcuno ed essere amato.


Fine

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