Canto di lupi, leoni, vigliacchi ed eroi

di Dalybook04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della rottura di coglioni: il matrimonio ***
Capitolo 2: *** Sei proprio una (dolcissima) testa di minchia ***
Capitolo 3: *** Io mi rifiuto ***
Capitolo 4: *** Il primo che fa commenti del cazzo verrà sbranato dai lupi ***
Capitolo 5: *** Dovevo pur mostrare chi comanda, no? ***
Capitolo 6: *** Odio dare ragione al vecchio ***
Capitolo 7: *** Non avrò quel crucco come parente ***
Capitolo 8: *** Mi sto congelando il culo ***
Capitolo 9: *** Volevate la battaglia, eh? ***
Capitolo 10: *** Non giudicatemi ***
Capitolo 11: *** Sto diventando un fottuto Cupido ***
Capitolo 12: *** Bene, ho fatto una discreta figura di merda ***
Capitolo 13: *** Non sto gongolando ***
Capitolo 14: *** Che succede? Vorrei saperlo ***
Capitolo 15: *** Feli io ti uccido ***
Capitolo 16: *** L'avevo detto io ***
Capitolo 17: *** Una cosa giusta l'hai detta ***
Capitolo 18: *** Che casino ***
Capitolo 19: *** Ripeto: non giudicatemi ***
Capitolo 20: *** Io sbrano il crucco ***
Capitolo 21: *** Si chiama Karma ***
Capitolo 22: *** Ma chi ti vuole ***
Capitolo 23: *** È stata una bella avventura ***



Capitolo 1
*** L'inizio della rottura di coglioni: il matrimonio ***


Lovino aveva solo il suo fratellino e l'amico del nonno che li aveva portati via dalla sua parte, ma per riconquistare il suo regno aveva bisogno di eserciti. Navi. Armi. E ora come ora aveva giusto il suo cognome.
L'unico modo per procurarsi ciò di cui aveva bisogno era un matrimonio. Lì a Essos non si facevano troppi problemi per il genere del consorte del sovrano, lì contavano più la forza, l'onore e stronzate simili. Gli eredi li avrebbero trovati poi, c'erano tanti di quegli orfani che non ci voleva tanto.
Accarezzò la testa della sua cucciola mentre pensava, sul balcone della sua casa, sdraiato comodamente su un triclinio. Oh, giusto, aveva anche loro, la sua cucciola e quella di suo fratello.
La vera arma che aveva permesso a Romolo Augusto Vargas di conquistare tutto, oltre all'esercito ben organizzato e alla sua tenacia, erano loro, in fondo. I lupi. Li chiamavano metalupi, Lovino li chiamava semplicemente famiglia. La lupa di Romolo, chiamata in maniera forse poco fantasiosa Lupa, era enorme, ciecamente fedele e letale per chiunque non stesse simpatica a lei o al suo padrone. Lovino ricordava le sere passate a farsi scaldare dalla sua pelliccia, quando ancora era un bambino, al fianco di suo fratello, mentre la loro mamma raccontava loro delle favole di eroi, guerrieri e principi. Lupa aveva osservato la loro crescita: era lì mentre muovevano i primi passi, mentre dicevano le prime parole, mentre imparavano gli usi di corte. E aveva anche avuto dei cuccioli, poco prima della fine.
Era morta insieme al suo padrone, fedele fino alla fine. Ma i cuccioli erano ancora lì, erano cresciuti e obbedivano solo a loro.
Feliciano, suo fratello, aveva chiamato la sua lupacchiotta Venezia, come la città dove era nato. In onore di suo nonno, Lovino aveva chiamato la sua Roma, come la sua capitale e la città che il nonno aveva sempre amato, fino alla fine. A soli dieci anni, che per la loro specie erano pochissimi, era più grande e forte di qualsiasi lupo normale, con il manto del colore del cioccolato e gli occhi scuri, praticamente neri. Roma scodinzolò e gli si acciambellò affianco, strusciando il muso contro la sua mano. Lovino rise sottovoce e prese a farle i grattini. Non capiva perché le persone avessero paura quando la vedevano, la sua cucciola era dolcissima.
-dobbiamo fare tutti dei sacrifici, Roma- le disse, pettinandole il pelo con le dita -la tua mamma è morta per noi. Anche la mia mamma. E mio nonno. E io voglio onorare la loro memoria- sospirò, cercando di non piangere -in fondo è solo un matrimonio, no? Chissene frega se dovrò concedermi a uno sconosciuto. Le puttane lo fanno di continuo per pochi soldi, io lo sto facendo per un regno. Il nostro regno, capisci? Tutto quello che ci è stato portato via...- appoggiò la fronte contro il suo muso, incontrando i suoi occhi neri. Suo fratello diceva che sembravano degli occhi demoniaci. A Lovino sembravano semplicemente dei pozzi scuri e onesti, leali, che riflettevano quello che vedevano fedelmente -lo vendicherò. Li vendicheremo. Io e te. Ma soprattutto io.
Un'ancella lo raggiunse -meus dominus, il bagno è pronto.
Lovino sospirò, diede un'ultima carezza alla sua cucciola e si alzò, spolverandosi la tunica dai peli di Roma -arrivo.

Il bagno gli distese un po' i nervi, almeno. L'amico di suo nonno che parlava ininterrottamente del matrimonio un po' meno.
-dovrai superare una prova di forza, ma sono sicuro che non sarà niente di complicato. Il tuo vestito è arrivato questa mattina, ed è a dir poco meraviglioso. Appena avrai finito qui, le ancelle ti vestiranno e ti prepareranno al meglio. Devi essere perfetto per...
-com'è lui?- lo interruppe, curioso. Conosceva a mala pena il suo nome. Se proprio doveva dargli il culo, qualche informazione sarebbe stata gradita.
-è grande e forte.
-questo lo sapevo. Ma... dico come persona. Quanti anni ha?
-sei più di te.
Quindi ne aveva ventidue. Pensava fosse più vecchio -va bene. C'è... c'è altro che devo sapere? Sono settimane che mi ripeti come piacergli, ma di lui non so nulla.
-perché come piacergli è l'unica cosa che ti serve sapere- replicò quello, osservando un'ancella che gli insaponava la schiena -e poi, nessuno sa molto di lui. Non l'ho mai visto dal vivo, ma dicono sia molto piacente.
È potente, pensò Lovino. Grazie al cazzo che lo dicono.
-cerca di essere cortese. Devi compiacerlo.
-lo so, non fate altro che ripetermelo. L'ho capito, non sono un coglione.
L'uomo sospirò -va bene, vedo che non sono gradito qui. Ti lascio nelle mani delle ancelle.
Rimasto senza nessuno con cui parlare (le ancelle non erano autorizzate a farlo se non per motivi puramente pratici), Lovino si rivolse alla sua cucciola. Le accarezzò la testolina, bagnandole il pelo, e ridacchiò al suo starnuto infastidito -scusa, Roma. Però anche tu devi essere bella, per "compiacere" il mio sposo. Spero non sia allergico al tuo pelo, o sarà un matrimonio breve.
Dopo un'ora a farsi pulire ogni cazzo di centimetro di pelle dalle ancelle, finalmente Lovino uscì, con le mani completamente raggrinzite. Si lasciò asciugare e indossò la sua veste nuziale: una tunica argentea ricoperta di pizzi pregiatissimi in seta, secondo l'uso locale, lunga fino al ginocchio e senza maniche, stretta in vita da una cintura scura e sottile che, sulla fibbia, riportava il logo della sua famiglia. Al collo tenne l'unico punto su cui era sempre stato inamovibile: un ciondolo d'oro appartenuto a sua madre, l'unico cimelio che aveva portato via dalla sua vecchia vita. Suo fratello ne aveva uno simile, e anche lui non se lo toglieva mai.
Inoltre, notò mentre le ancelle lo vestivano, quello era un capo incredibilmente facile da togliere. Aprivi la cintura, lo tiravi via e lui rimaneva nudo come mamma l'aveva fatto, ed era anche particolarmente aderente. Osservandosi allo specchio, Lovino si vide, per la prima volta, attraente. Quel pezzo di stoffa evidenziava tutte le cose giuste e nascondeva tutte le cose sbagliate. Avevano proprio pensato a tutto per far andar bene quel matrimonio, eh? Se l'avesse visto così, probabilmente quell'uomo lo avrebbe sposato solo per potergli saltare addosso... oppure lo avrebbe fatto e basta. Lovino non era forte o muscoloso, aveva solo la sua cucciola a difenderlo, ma neanche lei avrebbe potuto molto contro un esercito di guerrieri, non così piccola almeno. Per cui, se quello avesse voluto, avrebbe potuto prenderlo lì, sul posto, e poi andarsene, e lui non avrebbe potuto opporsi. Al pensiero sentì un brivido freddo lungo la sua schiena, ma si sforzò di nasconderlo e continuò ad osservarsi davanti allo specchio, accarezzando la stoffa morbida dell'abito. Dopo averlo vestito, le ancelle gli sistemarono i capelli castani in un caschetto ordinato ma anche un po' scarmigliato (a una tribù di guerrieri, troppo ordine non sarebbe piaciuto, no?). Gli sistemarono una corona d'alloro sulla fronte, il simbolo di vittoria che suo nonno tante volte aveva indossato, anche se Lovino non riusciva proprio a capire cosa diavolo avesse vinto. Infine lo truccarono, non in modo esagerato, abbastanza da cancellare le imperfezioni sul suo viso.
Una volta pronto, Lovino chiese di restare qualche minuto da solo. Posò la corona su un tavolo, si diresse sul balcone e si sporse ad osservare il paesaggio che gli era diventato così familiare che, anche senza voltarsi, avrebbe saputo descrivere perfettamente le montagne alle sue spalle. Davanti a lui, invece, c'erano le foreste, la sabbia rossastra e, infine, il mare. Quel mare apparentemente infinito, oltre il quale c'era la sua casa. La casa che gli avevano portato via.
Un rumore lo riportò alla realtà. Una trentina di cavalli stava arrivando, ognuno con a bordo un cavaliere. Giustamente, pensò. Sono una tribù di cavalieri. Basano la loro intera cazzo di vita sui cavalli. Di certo non se la sono fatta a piedi.
Inspirò profondamente e tornò dentro, sarebbero venuti a chiamarlo entro poco. Abbracciò Roma, forte, fregandosene altamente dei peli che avrebbero potuto riempire quell'abito fatto a posta per farlo sposare. La lupa gli leccò la guancia, facendolo sorridere leggermente.
-grazie, Roma- si rimise in piedi e si spolverò il vestito. Inspirò profondamente. Nessuna debolezza, stava andando tra lupi molto meno dolci -ora andiamo, Roma.
Uscito dalla stanza beccò subito suo fratello, che lo stava andando a chiamare. Tra loro due le differenze erano ben poche, tanto che molti li scambiavano per gemelli. Feliciano era un poco più alto, aveva gli occhi castani invece che verdi e i suoi lineamenti erano più affilati, meno morbidi. Caratterialmente poi si somigliavano come il giorno e la notte, ma quello è un altro discorso.
Lui l'avevano vestito in modo completamente diverso. Indossava anche lui una tunica al ginocchio, ma completamente anonima, quasi da bambino. Bianca, notò Lovino, il colore della purezza. Avevano fatto di tutto per farlo sembrare il più infantile possibile, non che, tra l'atteggiamento e il sorriso del ragazzino, ce ne fosse così tanto bisogno. Venezia era al suo fianco, poco più piccola della sorella, ma con i denti più affilati e gli occhi azzurri, oltre che dal pelo leggermente più chiaro.
-sono arrivati!- esclamò, rischiando di cadergli addosso. Aveva corso, e se lo sposo non fosse stato così nervoso lo avrebbe sicuramente rimproverato (gli ripeteva sempre di non correre!). Feliciano fece un passo indietro e lo studiò, stupito -sei... sei stupendo, fratellone!
Lovino roteò gli occhi -non avere quel tono sorpreso- gli strinse la mano -andiamo, deficiente. E comportati bene.
Il ragazzino annuì, ricambiando la stretta per rassicurarlo. Non lo aveva mai visto così nervoso, anche se era bravo a nasconderlo. L'unico sintomo di quell'agitazione era Roma, che lo seguiva sull'attenti, pronta a rispondere a qualsiasi minaccia, come sempre sensibile all'umore del suo padrone.
Di fronte alla porta c'era il loro tutore, che si torceva le mani, agitato. Quando lo vide si illuminò -Lovino! Sei perfetto, le ancelle hanno fatto un lavoro eccellente.
Se non avesse avuto il cuore in gola, Lovino gli avrebbe di certo risposto male.
-sono lì fuori. Devi uscire da solo e raggiungere il tuo sposo.
-e come cazzo dovrei riconoscerlo?
-è l'unico sceso da cavallo, e ha una collana d'oro intorno al collo- rispose quello, impaziente -ora vai. Possibilmente senza la tua, ehm, bestiola.
Lovino annuì e si diresse verso il grande portone, facendo segno a Roma di seguirlo. Andava bene tutto, ma la sua cucciola non gliela toglievano. Davanti al portone esitò un secondo, poi spinse i battenti e finalmente uscì alla luce del sole.

Be', almeno gli avevano detto la verità. Il suo sposo era davvero di bell'aspetto. E tanto anche.
Non ci voleva certo un genio a riconoscerlo. I cavalieri si erano disposti, ancora a cavallo, in due ale laterali, lasciando un corridoio vuoto che partiva dal palazzo e arrivava al loro capo, che, come gli avevano detto, era smontato da cavallo e aveva una collana d'oro intorno al collo, anche se definirla collana era forse un po' sbrigativo. Era una sorta di corona, maestosa ed elaborata, solo che invece di portarla sulla testa la teneva intorno al collo, da tradizione.
Con un groppo in gola, Lovino percorse la navata improvvisata, ignorando gli sguardi famelici dei cavalieri su di lui. Non lo avrebbero toccato, no? Era proprietà del capo, anche se come rassicurazione non era granché per il suo orgoglio.
Incontrò lo sguardo del suo sposo, e si ricordò di tenere la testa alta e la schiena dritta. Non doveva avere paura. Era Lovino Romano della casata Vargas, nipote di Romolo Augusto Vargas, e i Vargas non avevano paura.
Si prese un momento per osservare l'uomo con cui, in teoria, avrebbe dovuto passare il resto della sua vita, tanto non è che avesse altro da guardare.
Aveva gli occhi verdi. Quella fu la prima cosa a stupirlo. In quelle terre baciate dal sole, la maggior parte delle persone aveva gli occhi scuri. Lovino, con i suoi occhi mezzi verdi e mezzi castani, era già considerato una rarità, ma due occhi così... così perfettamente e inequivocabilmente verdi non li vedeva da parecchio. Sorrideva, ma in modo gentile, quasi ingenuo, e quella fu l'altra cosa che a stupirlo. Il ragazzo si era aspettato un ghigno, un sorriso malizioso o soddisfatto, non di certo quell'espressione quasi... rassicurante. Per il resto era in linea con il resto della popolazione: pelle scura baciata dal sole, riccioli scuri, fisico allenato da anni di lotte e ricoperto di cicatrici... ma cavolo, quegli occhi...
Sentì il cuore battere un po' più forte. Poteva andargli peggio, decisamente. Almeno era giovane, si era aspettato un quarantenne bavoso, anche se probabilmente dipendeva dall'aspettativa di vita molto bassa di quella tribù. Il suo vestito... be', forse definirlo vestito era esagerato. Secondo la moda del suo popolo era a petto nudo, l'unica copertura in quella zona era la sua corona, mentre dalla vita in giù era coperto da un paio di pantaloni in cuoio, probabilmente perfetti per la battaglia e per cavalcare, ma per un matrimonio... dovevano decisamente riparlare del suo vestiario.
Quando arrivò davanti a lui, quello gli fece un breve inchino. Lovino ricambiò il gesto, chinando la testa, come gli avevano insegnato. Era un modo per riconoscersi come pari, avevano detto.
Poi quello gli prese la mano e se la portò alle labbra, lasciandoci un piccolo bacio lì dove entro poco ci sarebbe stato l'anello. Tornò a sorridergli -io sono Antonio. Parli la mia lingua?
Il ragazzo annuì -sono Lovino, anche se penso che tu lo sappia già.
Antonio sorrise e fece un altro passo verso di lui, facendolo sobbalzare impercettibilmente. Avvicinò le mani alla sua vita, con una lieve punta di imbarazzo, e indicò il suo cavallo con un cenno del mento -posso...?
Lovino ci mise qualche secondo a capire che voleva aiutarlo a salire sul cavallo. Annuì, avvicinandosi alla bestia. Prima di salire si chinò verso la sua Roma, e si mise a sussurrarle cosa fare nella sua lingua natale.
-stai tranquilla, cucciola. Vai con Feli- indicò con un cenno del mento l'inizio della navata, dove suo fratello osservava la scena nervosamente. Roma gli leccò le mani in segno d'affetto, mostrò i denti ad Antonio e poi obbedì, raggiungendo sua sorella. A quel punto il ragazzo si rimise in piedi e si lasciò sollevare. Le mani di Antonio erano gentili, in qualche modo, quasi timide, e non toccarono altro che il vestito. Galante, per quanto quella situazione potesse esserlo.
Tuttavia, quando Lovino si sedette sull'animale si ritrovò a trattenere una smorfia. Cazzo, quel vestito era buono a tutto tranne che a cavalcare, soprattutto se lo si faceva senza sella. Antonio sembrò notare il suo disappunto, e salì sul suo cavallo con una risatina.
-quell'abito è bellissimo, ma non penso sia molto... pratico- commentò, facendo partire l'animale. Lovino trattenne una rispostaccia.
Di fronte alla porta di quella che per anni era stata la sua casa, vide il suo mentore fargli segno di abbracciare il suo sposo. Si concentrò sulla sua schiena abbronzata per non arrossire, e alla fine si decise a posargli le mani sulla vita.
-posso?- chiese, aggrappandosi a lui. Ne ebbe l'ennesima prova: i cavalli non facevano per lui. Rimpianse la sua Roma, anche se era ancora troppo piccola per essere una cavalcatura affidabile -non... non sono abituato a cavalcare.
-certo- rispose quello, cordiale. Dietro di loro Lovino scorse il resto della tribù seguirli, con suo fratello e il suo mentore in mezzo alla fiumana. Roma e Venezia erano ai lati del corteo, ben lontane dagli zoccoli -ma temo che ti ci dovrai abituare.
Lovino si appoggiò a lui e socchiuse gli occhi, seppellendo il viso contro la sua spalla. Sospirò -mi sa proprio di sì.
Per qualche secondo l'unico rumore fu quello degli zoccoli.
-il posto non è distante- aggiunse quello, tanto per fare conversazione.
-dovrò fare un... una prova di qualche tipo?
Antonio annuì -non ti preoccupare, non è niente che tu non possa superare.
Sbuffò una risata -anche con questo vestito?
Antonio ridacchiò -anche con quel vestito.

La radura era stupenda. Il sole stava tramontando, tingendo il mare dei colori del sangue, e il resto del villaggio si era radunato intorno a un cerchio di terra, lasciando libero giusto un corridoio per farli passare. Antonio si fermò nel mezzo del cerchio, scese da cavallo e poi lo aiutò a scendere. Lovino sentì chiaramente la gente trattenere il fiato, ma non sapeva dire se fosse per la vista delle due lupe o per la vista di lui e suo fratello. Forse per entrambe le cose.
Dopo qualche secondo di bisbigli e caos generale, Antonio prese la parola, e tutti tacquero, cavalli compresi. Lì per lì Lovino lo aveva preso come un semplice ragazzo, anche un po' stupidotto, ma, da come si comportava davanti al resto del mondo, si vedeva che era un leader. Ebbe un brivido. Nonostante stesse parlando in modo che tutti li sentissero, si rivolse a Lovino -mio sole e stelle, per avere la tua mano- seh certo, era la mano che voleva -ti ho portato un dono, che sperò apprezzerai- si girò verso due soldati -portate gli animali.
Animali? Eh?
In pochi minuti, i soldati trascinarono lì una gabbia su delle ruote. E dentro la gabbia...
-se riuscirai a domarli, questi animali saranno tuoi.
Lovino ebbe un brivido. Oh no, quel cretino aveva frainteso tutto!
Dentro la gabbia c'erano una dozzina di metalupi, grandi almeno il doppio, se non il triplo, della sua Roma, tutti con i denti sguainati.
Cazzo cazzo cazzo cazzo. Ma non gli avevano detto niente?!
Suo nonno sapeva ammaestrare quelle bestie. La sua famiglia conosceva l'arte per controllarli. Peccato che fossero stati uccisi tutti prima di poterla insegnare a lui e suo fratello!
Si girò verso Feliciano, nel panico quanto lui. Il mentore era impallidito, ma alzò le spalle, come a dire "non posso farci niente. Arrangiati". Fantastico.
Non c'era una leggenda che diceva che tutti i lupi rispondevano istintivamente ai comandi di chi aveva sangue Vargas? Tanto valeva provare.
Così annuì e raggiunse la gabbia. Le due guardie aprirono la porta il tempo necessario a farlo entrare, poi la chiusero subito. La gabbia era costruita da sbarre di legno molto vicine l'una all'altra, così che dall'esterno fosse possibile guardare all'interno, ma che i buchi per l'aria fossero troppo piccoli per mettere agli animali di fuggire o aggredire qualcuno attraverso le sbarre, che tra l'altro erano coperte di... oh. Di strozzalupo. Ecco perché non avevano ancora distrutto la gabbia. Che bastardi.
I lupi lo circondarono, ringhiando, forse pensando che lui fosse la loro cena, ma non si lasciò intimidire e si guardò intorno. Suo nonno gli aveva accennato qualcosa...
Il capobranco. Doveva individuare il capobranco.
Quella parte non fu difficile. Era il più grosso e quello che lo studiava più attentamente, quello che gli altri guardavano aspettando istruzioni.
Si girò completamente verso di lui e allungò la mano verso il suo muso, come si faceva con i cani. Quello, logicamente, cercò di mordergliela via, ma fu abbastanza veloce da allontanarla prima.
Intravide Roma e Venezia girare furtivamente intorno alla gabbia, ma schioccò la lingua contro il palato per dire loro di allontanarsi. Ci mancava solo che le sue alleate mangiassero dello strozzalupo per sbaglio, ed erano comunque troppo piccole per poter fare qualcosa. E poi, di sicuro nascondersi dietro il suo branco non era il modo migliore per conquistare il loro rispetto.
Il cerchio si strinse. Una goccia di sudore gli corse lungo la tempia, ma si mostrò calmo e cercò di regolare il battito del suo cuore. Che altro aveva detto suo nonno?
Per un istante gli tornò in mente quello che Romolo gli aveva raccomandato tanti anni prima, dandogli tra le sue braccia tozze di bimbo la sua Roma, appena cucciola.
Vedi di farti rispettare, o sarà lei a controllare te. Ricordati, Lovinus: la tua testardaggine è l'arma migliore che hai.
La testardaggine...
E a quel punto fece la cosa più stupida che potesse fare. Guardò negli occhi il capobranco.
Dovete sapere che i cani, così come i lupi, percepiscono questo gesto come una sfida, e così fece quello. Il cerchio si strinse ancora, ma Lovino non distolse lo sguardo. Farlo sarebbe equivalso a dare il consenso a farsi sbranare.
Rimase fermo, a testa alta, con gli occhi fissi in quelli rossi del capobranco, anche quando se lo ritrovò, ringhiante, a un palmo dal suo viso. Aveva un alito di merda, tra parentesi. Che cazzo gli avevano dato da mangiare?
Sono Lovino Romano Vargas, gli comunicò con lo sguardo. Sono io il più forte. Io controllo i lupi, non il contrario.
Restarono così a lungo. Occhi contro occhi, in una gara a chi era più testardo. E Lovino lo era parecchio, perché alla fine fu il lupo che, lentamente, proprio quando il ragazzo si stava preparando a farsi sbranare, chinò la testa e si sedette davanti a lui, imitato da tutto il branco.
Lovino allungò una mano verso di lui, e questa volta non incontro resistenza. A quel punto si concesse un sorriso e prese ad accarezzargli il muso, facendolo scondinzolare. Fuori dalla gabbia scoppiarono in fragorosi applausi.
Il capobranco gli mostrò il fianco, con la pancia a terra, in un chiaro invito. Allora tolse la mano dal suo muso e salì sul suo dorso grigio, e nonostante quello si fosse abbassato notevolmente fece comunque un po' di fatica a salirgli in groppa, ma nessuno sembrò notarlo. Una volta seduto comodamente, il lupo tornò a quattro zampe, sollevandolo ad almeno un metro e mezzo da terra. Lovino trattenne un sorriso soddisfatto. Quella era una cavalcatura comoda, altro che cavalli, tanto più o meno l'altezza era la stessa.
Le guardie aprirono tutta una parete della gabbia per farli passare, e Lovino sogghignò, molto più in alto di tutti gli altri, se non giusto di quelli rimasti a cavallo.
Roma e Venezia raggiunsero il branco, e per una volta Lovino dovette chinarsi per accarezzare la testa della sua cucciola. Il lupo ringhiò alle due cucciole solo per un istante, prima che uno schiocco di dita di Lovino lo zittisse.
Antonio applaudì, e sembrava essere l'unico non a disagio davanti a quegli animali. Persino Feliciano sembrava spaventato, e lui c'era abituato, in fondo Lupa era più o meno grande quanto quei lupi, forse anche un po' di più.
-sono davvero stupito, amore mio. Direi che nessuno qui ha dubbi che tu sia più che degno di regnare al mio fianco- un urlo di approvazione provenne dal suo popolo. Feliciano applaudì, entusiasta. Antonio si avvicinò, allargando le braccia -allora, se non ti dispiace, scendi, e celebriamo la nostra unione.
Lovino sussurrò qualcosa all'orecchio del suo lupo, che si chinò come prima per farlo scendere. C'era una sorta di lingua segreta che tutti i lupi capivano istintivamente, e che i Vargas conoscevano senza doverla imparare, un misto di gesti fisici e versi semplici. Ma, come suo nonno gli aveva insegnato, un conto era dire qualcosa, un conto era farsi obbedire. Anche se parlava la loro lingua, per farsi ascoltare doveva ottenere il loro rispetto, e c'era appena riuscito.
Roma gli leccò la mano, entusiasta, e Lovino le diede un buffetto sulla testa prima di ordinare a tutti, con uno schiocco di lingua chiaro e conciso, di stare a cuccia. Tutti i lupi obbedirono contemporaneamente, facendo salire un verso sorpreso tra le file di pubblico.
Più a suo agio, Lovino raggiunse il suo sposo, che gli prese la mano e lo guidò all'altare.
La cerimonia in sé fu breve, in realtà. Forse per non annoiare il popolo o forse, più probabilmente, per non dargli il tempo di cambiare idea, fatto sta che in pochi minuti Lovino si ritrovò un piccolo cerchietto d'oro all'anulare. Strana la vita, eh? Un attimo sei libero e quello dopo toh, un anello. A dir poco romantico.
Quando arrivò il momento del bacio, a dirla tutta, il suo nuovo marito cercò di essere dolce, per quanto la situazione lo concedesse. Gli posò le mani sui fianchi, delicatamente, senza cercare di toccare oltre. D'altronde erano sposati: aveva tutta la vita per quello, ma Lovino gliene fu grato lo stesso; lo attirò a sé, lentamente, e posò la fronte contro la sua, dandogli qualche secondo per realizzare che stesse succedendo; e poi, finalmente, lo baciò, dolcemente, come se avesse paura di romperlo. Tanto per rendere la scena ancora più da film, Lovino gli gettò le braccia al collo per tirarselo più vicino, anche perché quello era fastidiosamente alto. I suoi capelli erano soffici, il che era strano, visto che... be'... tra i suoi muscoli sodi e le cicatrici, di soffice in lui c'era ben poco. Anche la sua bocca lo era, sapeva leggermente di incenso, per qualche assurdo motivo.
Intorno a loro il pubblico scoppiò in un abbraccio fragoroso, e i lupi si misero a ululare, tanto per festeggiare, facendolo sorridere. Per essere un primo bacio non era male, anche se c'era un po' troppa gente a guardarli per i suoi gusti, ma vabbé. Meglio che baciare un vecchio bavoso che allungava troppo le mani, quello era poco ma sicuro. Almeno Antonio era gentile... stava provando a metterlo a suo agio.
Dopo la cerimonia ci fu una breve cena e poi, alla fine, il momento tanto temuto. La prima notte di nozze.
Mentre seguiva il cavallo di suo marito verso il villaggio, Lovino nascose il viso nel pelo del suo nuovo lupo per non arrossire. Doveva trovargli un nome... uhm... Palermo. Sì, Palermo poteva andare. Gli servivano almeno altri undici nomi. Cominciò a pensare alle alternative, per distrarsi da quello che stava per succedere.
Ma arrivarono, era inevitabile. La folla si disperse, ognuno se ne tornò alla propria tenda. Feliciano e il suo mentore furono portati in una tenda per gli ospiti. Quella del capo, da quello che Lovino aveva imparato, era sempre in una posizione da cui potesse vedere tutti, e dove tutti potessero raggiungerlo. Visto che erano in una zona collinare, era in cima ad un colle, mentre le altre persone erano nella parte più bassa. Le guardie furono le ultime ad allontanarsi, finché non rimasero solo loro due e i lupi. Alla fine anche quel breve tragitto in solitaria finì e raggiunsero la tenda di Antonio che, come c'era da aspettarsi, era la più grande. Lovino scese dal suo lupo e si girò verso di loro, dando le spalle al marito. Disse loro di andare da suo fratello e di tornare la mattina dopo, e quelli obbedirono. Roma gli diede un colpetto affettuoso con il muso prima di andarsene.
E così dovette affrontare quello che più lo aveva spaventato di quella giornata. La notte.
Antonio gli prese la mano, con un sorriso gentile -questa sarà la tua casa. Non è lussuosa quanto una reggia, ma...
-mi piace- lo interruppe, seguendolo all'interno -odio le cose troppo... troppo.
-be', allora qui ti troverai bene- gli si avvicinò di nuovo, come durante il loro bacio, e posò la fronte contro la sua. Gli prese anche l'altra mano, e Lovino trattenne il fiato. Il suo bacio fu lento, dolce, quasi timido. Il ragazzo aggrottò la fronte, ma si appoggiò a lui, schiudendo le labbra come, pensò con ironia, entro poco avrebbe fatto con le gambe. Si aspettava qualcosa di... sì insomma, di più passionale. Si aspettava di venir preso e sbattuto sul letto, di sentire le mani di Antonio superare il suo abito e gettarlo a terra senza ritegno alcuno, di...
E invece no. Antonio semplicemente si allontanò, lo baciò sulla guancia e andò a letto, posando la sua corona sul suo comodino e infilandosi sotto le coperte.
-che cazzo...- lo raggiunse, sedendosi al suo fianco. Gli afferrò la mano -cosa non va?
-no, non è niente- si sforzò di sorridergli -non... non mi va molto, tutto qui.
-ho... ho sbagliato qualcosa? Non sono abbastanza bello?- si morse il labbro, eppure aveva fatto come gli avevano detto...
-se sei... mierda, ma ti sei guardato allo specchio? Sei il ragazzo più bello che abbia mai visto.
Lovino si morse più forte il labbro, pensando.
-avresti... avresti preferito mio fratello?
Suo marito aggrottò la fronte, confuso -no. Perché avrei dovuto?
-è più carino.
-lui è carino. Tu sei bellissimo.
Lovino sbuffò, sentendosi un coglione -è per i vestiti...- mugugnò, chinando la testa. Cazzo, che imbarazzo.
-no, non è per i vestiti- gli accarezzò la guancia -sei più bello e basta. Anche caratterialmente ti preferisco, per quel poco che ho visto.
-e allora cosa non va?
-niente, è che...- sospirò, girandosi verso di lui. Lo baciò sulla fronte -tu non vuoi essere qui. Non mi ami, non mi vuoi. Farlo con te mi darebbe la sensazione di...- fece una smorfia -violentarti, ecco. E non mi va.
Lovino rimase in silenzio per un po', riflettendo sul modo più dolce e amorevole per dargli del coglione. Alla fine rinunciò e rise -sei un coglione. Un coglione dolce, ma un coglione- lo baciò, gli prese la mano e se la portò sul fondoschiena, salendogli in braccio -non hai pensato che forse mi vada di farlo con te?- con un dito gli accarezzò il petto, studiando il profilo degli addominali -sì insomma, sei oggettivamente un gran pezzo di manzo.
-stavi tremando- protestò lui, ma sembrava più un mugolio. Lovino roteò gli occhi, si sistemò meglio su di lui, facendolo gemere, e tornò a baciarlo. Fanculo, si disse. Se questo non si dà una mossa, ci penso io. E, questa volta, Antonio si lasciò andare e fu lui a toccarlo, oltrepassando il tessuto morbido della sua veste. Lovino scese a baciargli il collo, mentre con le mani scendeva ad armeggiare con i suoi pantaloni. Come cazzo si toglievano quei cosi?
-ti voglio- gli sussurrò, gemendo sottovoce nel sentire le sue mani calde prendere sempre più confidenza con il suo corpo.
E, quando si ritrovò con la schiena premuta contro il materasso di paglia, non poté dire di non esserselo aspettato, o meritato. Rise contro la sua bocca che, famelica, si stava prendendo sempre più libertà con la sua, facendolo gemere senza ritegno.
Fanculo l'ansia, si disse. Ora sì che si ragiona.

Buonsalve amici! Oggi si comincia una nuova avventura.
Spieghino per chi non conoscesse il mondo di Game of thrones (che neanch'io conosco così bene, spero di non dire cavolate!): il mondo è diviso in due continenti, Essos (quello più orientaleggiante, dove c'è Lovino, decisamente più barbaro e quant'altro) e Westeros (medievale, in teoria più evoluto)
Ad Essos ci sono varie città indipendenti, tribù che si contendono il potere... è un casino, in breve. Westeros invece è divisa in sette regni, con a capo un singolo re. Ogni regno ha un lord capo (tipo feudi per intenderci) che risponde al re. Le varie famiglie nobili si odiano tra loro ecc ecc. Il regno più a nord è Grande Inverno, sul confine nord c'è la Barriera (protetta da dei guardiani), oltre la quale ci sono estranei e bruti. Gli estranei sono simili a zombie versione Frozen, i Bruti sono umani che vivono in tribù e sono più selvaggi.
Penso sia chiaro(?) ma se ci sono domande chiedete pure (o drogatevi di video del Trono del muori come me)
Spero vi sia piaciuto il capitolo, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Sei proprio una (dolcissima) testa di minchia ***


Svegliarsi con qualcuno al proprio fianco fu una novità, ma Antonio sperava di farci l'abitudine.
Mentre dormiva, Lovino sembrava quasi un angelo (o almeno, lo sarebbe sembrato se loro avessero avuto la concezione di angelo). Era più tranquillo, dimostrava la sua vera età. Senza tutto quel trucco, poi, era più reale. Il giorno prima era perfetto: bello sotto ogni punto di vista, quasi divino. Così, con i capelli scarmigliati, le labbra screpolate, delle leggere occhiaie e un piccolo neo sulla guancia, appena sotto l'occhio sinistro, era più vero, e secondo Antonio anche più bello.
Prese ad accarezzargli la schiena nuda con la punta delle dita, lentamente, cercando di non svegliarlo, ma Lovino mugugnò qualcosa, infastidito, e si girò dall'altra parte. Il capoclan si lasciò sfuggire una piccola risata e lo baciò sulla spalla, stringendoselo maggiormente contro.
-mh...- lo spinse debolmente via, senza crederci veramente -lasciami dormire, bastardo.
-scusami, mio sole e stelle, ma è tardi. Dobbiamo metterci in viaggio entro questo pomeriggio, e bisogna preparare tutto.
-che due coglioni...- sospirò e tornò a girarsi verso di lui, nascondendo il viso contro il suo petto -che ore sono?
Antonio cominciò ad accarezzargli i capelli -è ancora presto, il sole è sorto poco fa.
-e allora perché mi hai svegliato?- protestò, con tono infantile. Suo marito rise sottovoce.
-non l'ho fatto a posta, scusa.
Lovino mugugnò qualcosa e sollevò il viso verso di lui, con un leggero broncio. Era adorabile -almeno dammi un bacio, stronzo.
E Antonio fu ben felice di accontentarlo, con una mano sul suo fianco e una dietro la sua nuca. Lovino gli posò le mani sulle guance per tenerselo vicino, premendosi di più contro di lui.
-perché?- gli chiese, interrompendo il bacio. Antonio aggrottò la fronte.
-perché cosa?
-perché sei così dolce con me?
Antonio aggrottò la fronte, confuso -sei mio marito.
-sai benissimo che non significa niente. Ho visto mariti essere più dolci con il cane che con la moglie.
Antonio alzò le spalle -mi piace essere dolce- ridacchiò, baciandolo sulla fronte -siamo sposati da un giorno e vuoi già il divorzio, querido?
Lovino arrossì, bofonchiando un -non fare il coglione- e nascondendosi di nuovo contro il suo petto. Antonio rimase in silenzio per un po', accarezzandogli la schiena. Poi sospirò.
-mio padre era un uomo violento. Non voglio essere come lui.
Lovino sollevò il viso e lo osservò, stupito. In quei due giorni aveva visto suo marito sorridere sempre, era arrivato a pensare che fosse un qualche tipo di paralisi facciale. Ora che però non vedeva più il suo sorriso, si ritrovò a sentirne la mancanza. Roteò gli occhi -ma per chi mi hai preso? Secondo te lascerei che tu mi faccia del male? Mi hai regalato una dozzina di lupi assassini, idiota.
Antonio ridacchiò, gli prese la mano e gli baciò le nocche -certo. Scusami, mi amor. Ma comunque, voglio essere il marito più amorevole possibile- lo baciò -te lo meriti.
-e tu che ne sai?- avrebbe voluto essere più aggressivo, ma gli uscì una specie di mormorio. Sentiva qualcosa di strano agitarsi nello stomaco, e non voleva sapere cosa fosse -mi conosci da meno di due giorni.
Antonio sembrò imbarazzato -be'... conosco la tua storia, e non mi sembri cattivo, tutt'altro.
-bah. Se lo dici tu- scrollò le spalle, e gli ci volle qualche secondo per accorgersi di un dettaglio -io però di te non so nulla.
-mh?
-la tua storia, il tuo passato... non so nulla.
-oh. Pensavo ti avessero detto qualcosa.
Lovino alzò le spalle e imitò la voce del suo mentore -"quello che ti serve sapere è come compiacerlo".
-che stronzata.
Lovino trattenne un sorriso -già- gli scostò una ciocca di capelli dal viso, e cominciò a rigirarsela tra le dita -quindi...
-sono nato a Westeros- iniziò Antonio, e già questa fu una sorpresa. Notando la sua confusione, quello rise e lo baciò sulla fronte -non te lo immaginavi, vero? Sono nato a sud, vicino a roccia del drago. Sai... una volta ho visto tuo nonno. Stava passando per il mio paesino per andare da non so quale lord, e sai cosa mi stupì?- gli sollevò leggermente il viso con una mano, e poi lo baciò -qualche volta capitava che passassero di lì dei nobili, non era così strano, ma tuo nonno...- scosse la testa con un sorriso, come a dire "mecojoni" -lui mi rimase impresso, e non perché era il re. Tua madre, tu e il tuo neonato fratello erano in una carrozza dorata, e gli altri vassalli seguivano in delle carrozze poco più indietro. I cavalieri e i soldati circondavano le carrozze, per proteggervi. Ma tuo nonno non era nella carrozza, come ci si aspettava. Era davanti a tutti, in cima alla fila, a cavallo della sua lupa, e incuteva più terrore di tutti i soldati messi insieme.
Lovino annuì -il nonno diceva che era da vigliacchi nascondersi dietro i cittadini che avrebbe dovuto proteggere, e che nessun re onorevole dovrebbe farlo, o non si meriterebbe la corona.
Antonio annuì, accarezzandogli le labbra con il pollice -mi fece venire i brividi...- scosse la testa, tornando alla realtà -mio padre morì durante la guerra. A quel punto io, mia madre e mio fratello, rimasti senza niente, scappammo qui e ci unimmo a questa tribù- prese ad accarezzargli il dorso della mano -mia madre era una tosta, sai? Divenne capo tribù in un paio d'anni.
-una donna?
-una donna. Qui il genere non conta molto: il più forte è il più forte, fine, e mia madre era forte- lo baciò sulla fronte, con un sorrisetto, prima di continuare -è morta l'anno scorso, e lì è sorto un problema per la successione.
-pensavo che non fosse ereditario il potere qui.
-infatti. Ma alla morte di un capo il figlio maggiore, se vuole tenere il potere, può sfidare l'intero villaggio. Dall'alba al tramonto chiunque può combattere contro di lui: se qualcuno lo batte, fino al tramonto chiunque appartenente alla tribù può sfidarlo e prendere il potere, e così via.
-e allora dov'era il problema?
-mio fratello- esitò un secondo -siamo gemelli.
-ah.
-già. Lui sosteneva di essere nato prima, ma in duello l'ho battuto. Quindi la tribù si divise in due: chi sosteneva me e chi sosteneva lui, e ci siamo divisi i territori. Siamo in guerra di continuo da allora.
-oh...- non rimase molto stupito, in realtà. Anche suo nonno era stato costretto a uccidere suo fratello per avere il potere. Si sistemò meglio contro il cuscino -e poi?
-ho comunque lanciato la sfida a quello che restava della tribù.
Lovino annuì, rotolò via dal suo abbraccio e si sedette a cavalcioni su di lui. Lo baciò, gli prese le mani e se le mise sui fianchi. Suo marito rise sottovoce e scese con le mani, facendolo gemere a bassa voce. Appoggio la fronte contro la sua, mentre le mani di Antonio gli facevano venire i brividi su tutta la schiena -e com'è finita?- si sentiva stupido a chiederglielo, o forse più a sussurrarglielo. Se era lì l'esito era palese, ma voleva sentirglielo dire.
-li ho sconfitti tutti- disse in risposta, e a quel tono Lovino sentì la pelle d'oca. Lo baciò ancora, con foga, senza riuscire a trattenersi. Tra un bacio e l'altro, il capoclan ripeté, direttamente contro il suo orecchio -li ho sconfitti tutti-, e Lovino sentì quel nodo allo stomaco esplodere.

-padron Arthur, vostro padre vi vuole parlare.
Arthur Kirkland odiava svegliarsi in quel modo. Si girò, dando le spalle al servo, e si coprì la testa con il lenzuolo -digli che arrivo.
-è urgente- insisté quello.
-se non vuole vedere di persona quanto è cresciuta la mia capacità di far figli da quando sono uscito dalla pancia di quella povera donna di mia madre, gli conviene darmi almeno il tempo di mettermi un paio di pantaloni- replicò, acido, coprendosi la testa con un cuscino. Il servo annuì e uscì di corsa, chiudendola porta.
Arthur rimase qualche secondo così, fermo, valutando l'idea di tornare a dormire. Poi si alzò, sbuffando, e andò a vestirsi (citando le sue stesse parole: un suddito di sua maestà, per quanto quest'ultimo sia un bastardo senza eguali, deve essere sempre presentabile) e scese di sotto, borbottando imprecazioni.
Sul suo rapporto con suo padre potrei scrivere un libro intero, ma posso riassumerlo con poche parole, dette dallo stesso Arthur. Una volta, suo fratello (uno dei tanti) gli aveva chiesto cosa ne pensasse di tutti i sicari mandati a uccidere loro padre. La risposta, lapidaria, di Arthur era stata: hanno la mia benedizione.
Penso che basti per farvi capire che famiglia felice fosse, no?
La sala del trono da bambino gli faceva paura, alta e imponente com'era. Ora che aveva vent'anni, neanche ci faceva più caso.
Raggiunse il trono di spade, la sedia più scomoda del regno. Una leggenda diceva che fosse stato creato dal fuoco di drago, mille anni prima che quelli si estinguessero. Secondo Arthur, era solo lo scherzo di qualche fabbro troppo ubriaco. E seduto lì, con l'espressione di uno che aveva preso una delle suddette spade in un luogo poco piacevole, c'era suo padre. Arthur fece un profondissimo inchino, che nella sua testa era colmo di sarcasmo e odio.
-tirati su, figliolo. Un Kirkland non si piega davanti a nessuno tranne che ai Sette Dei. È per questo che noi siamo qui, e Vargas è sotto terra.
"No" avrebbe voluto dirgli Arthur "Vargas è sotto terra perché lo hanno pugnalato a tradimento, e tu sei lì perché lo stronzo che l'ha pugnalato credeva che saresti stato un re saggio", ma si morse la lingua e tornò al punto.
-di cosa volevate parlarmi, padre?- sì, quella parola aveva davvero un saporaccio.
-Carriedo si è sposato.
-e questo tizio che non conosco non mi ha invitato? Allora si merita tutte le mie congratulazioni.
-Antonio Fernandez Carriedo è il capo di una delle tribù più influenti di tutta Essos, ed è colui che possiede la più grande quantità di territori. Inoltre è il fratello del capo della seconda tribù più influente di tutta Essos, e se si unissero possederebbero praticamente tutta Essos.
Arthur inarcò un sopracciglio -okay. E quindi?
-si è sposato con il nipote di Vargas.
-il?
Suo padre grugnì -hanno usanze strane lì.
Meglio non dirgli che anche suo figlio aveva delle usanze strane.
-okay. E quindi?
-e quindi il nipote di Vargas si è sposato con un uomo che potenzialmente potrebbe controllare mezzo mondo.
-mh. E questo non ti va bene, quindi dobbiamo assolutamente rompere i coglioni e rovinargli ancora la vita, giusto?
-esatto.
-fantastico, buona fortuna. Se è tutto qui io allora andr...
-non ho finito- lo interruppe. Arthur si trattenne dal roteare gli occhi -dobbiamo fare una mossa politica che ci assicuri il successo in caso di guerra.
-agli abitanti di Essos non è mai fregato niente di noi. Non hanno praticamente mai attraversato il mare.
-e questo secondo te esclude che possano farlo? Non fare lo stupido. Sai quanto me che Vargas vuole vendetta.
Arthur inarcò un sopracciglio -e avrebbe torto? Avete sterminato tutta la sua famiglia.
-suo nonno era un tiranno.
-suo nonno. Bastava far fuori lui ma nooo, i Kirkland fanno le cose per bene e uccidono anche donne e bambini.
-veramente abbiamo lasciato in vita i bambini- brontolò il re -Bonnefoy ha insistito che gli innocenti andassero risparmiati- ah, se si parlava di Bonnefoy nessuno ne sapeva più di Arthur -e ora ci ritroviamo quei due stronzetti tra capo e collo.
-e puoi biasimarli?
-no, ma dobbiamo tenerci preparati.
Il figlio sospirò -come vuoi. Allora cosa hai intenzione di fare?
-ho già mandato dei sicari a cercarli. Si muovono di continuo, ma qualcuno li troverà.
-okay. Allora ho tanto da far...
-ma c'è dell'altro- quel luccichio nei suoi occhi azzurri non gli piaceva per niente -è tempo che tu ti sposi, figliolo.
Un pugno allo stomaco sarebbe stato meglio -cosa? Ma perché io?! Ho dei fratelli maggiori!
-sai bene quanto me che Allistor è la persona meno adatta a governare che gli dei abbiano mai creato- quanto avrebbe voluto dargli torto... -Dylan si è fatto sacerdote e James è dai guardiani.
-allora dai tutto ad Alfred! Lo sai che non vede l'ora di...
-tu affideresti un regno ad Alfred?
Arthur non riuscì a controbattere. Non avrebbe affidato neanche un cane ad Alfred.
Sospirò, cercando di restare calmo -con chi?- gli uscì praticamente un ringhio, ma se ne fregò.
-Belle Tyrell. Ho già parlato con il fratello. È una cugina dei Bonnefoy, fa parte della seconda casa più ricca del regno...
-dopo i Bonnefoy.
-...ed è una lady esemplare. Andrete d'accordo. Vi sposerete qualche mese, il tempo di ultimare i preparativi.
Tipico di suo padre. Dare in sposo suo figlio senza neanche chiedergli il permesso.
-immagino di non avere modo di oppormi.
-esatto.
-allora, se non avete altro da dirmi, mio signor sommo stronzo, io vado.
-dove?
-in un bordello. Se devo sposarmi, tanto vale approfittarne ora.

Non andò in un bordello, anche se spesso scherzava dicendo al suo amante che si sarebbe venduto senza problemi per una collana abbastanza bella (e quello di solito replicava dicendo che no, non si sarebbe venduto per una collana, ma per un vestito o un paio di scarpe...).
Era piuttosto sconvolto, capitelo. E così, visto che quello era in città, ne aveva approfittato ed era corso dall'unica persona in grado di farlo incazzare e calmarlo allo stesso tempo.
E finalmente lì, su quel letto dalle lenzuola spiegazzate, con la testa boccolosa del suo amante sul suo petto, Arthur si concesse di respirare.
-ti devo dire una cosa- interruppe così il silenzio.
-lo so. Mi è arrivato l'invito stamattina- rispose quello, osservando le loro mani intrecciate. Non riusciva a guardarlo in faccia.
-l'hanno saputo tutti prima di me eh?- sospirò, stringendogli la mano -Francis, ascolta...
-lo so. Non ce l'ho con te- e ancora non lo guardava in faccia.
Arthur inarcò un sopracciglio -non sei arrabbiato?
-oh no, sono furioso- ridacchiò, si girò sulla pancia e premette il viso contro il suo petto, cercando di non urlare. Arthur cominciò ad accarezzargli i capelli biondi, per farlo rilassare -ma non con te- la sua voce era smorzata dal busto del suo amante, ma Arthur sentì lo stesso -con tuo padre. E con il mio. E con il resto del mondo, credo. E mi dà così fastidio pensare che qualcuno, tra un mese, sarà con te come lo sono io ora...
-dormiremo in letti separati, se ti rassicura. Mio padre non ha mai dormito con mia madre.
Francis sollevò lo sguardo su di lui, finalmente, ma, alla vista di quei due occhi azzurri così lucidi e arrossati, Arthur si ritrovò a desiderare che non lo avesse mai fatto. Faceva male vederlo così -ma dovrai andarci a letto. Dovrai fotterla.
Arthur sospirò -be', non impazzisco all'idea, lo ammetto, ma...- scrollò le spalle, e prese ad accarezzargli la guancia -vedila come un lavoro. Non è un qualcosa che farò per piacere, assolutamente, è più un dovere.
-ma a te piacciono le donne- replicò Francis, socchiudendo gli occhi alle sue carezze. Una lacrima gli corse lungo la guancia, prontamente asciugata da un dito gentile.
-a me piaci tu, cretino.
-sei così romantico, mon amour.
-lo so, darling- lo baciò sulla fronte. Poi aggrottò la sua -aspetta, ti hanno invitato?
Francis annuì, sovrappensiero -hanno invitato tutta la mia famiglia. Belle è mia cugina, in fondo.
-Kirkland e Bonnefoy allo stesso matrimonio? Ci sarà da divertirsi. Magari nel casino riusciamo a svignarcela.
-non ci sarò- replicò, abbassando lo sguardo -mio padre mi ha ordinato di andare al nord per degli affari.
-degli affari?
-una scusa per tenermi lontano dal matrimonio. Sa che ho un debole per te- gli diede un buffetto sulla guancia, scherzosamente -però voglio tutti i dettagli. Voglio sapere anche quante occhiatacce si lanciano i nostri infami padri. Il numero preciso.
Arthur ridacchiò -va bene- lo baciò sulle nocche -tanto lo sai che la più grande scocciatura della mia vita resti tu, no? Una scocciatura con dei lati positivi, pochi, ma pur sempre una scocciatura.
Francis ridacchiò, lo baciò e Arthur lasciò vagare una mano sulla sua pelle nuda, senza più remore, facendolo ridere.
-e tu resterai sempre la persona più noiosa che conosca- sussurrò Francis sulle sue labbra, infilandogli una mano tra le gambe.
-ti odio, darling.
-ti odio anch'io, mon amour.

Forse vi starete chiedendo: ma che cazzo ho appena letto? Cioé questi sembrano innamorati, scopano e nel mentre si insultano... ma che problemi hanno?
Ed è una domanda legittima, miei cari lettori, e la spiegazione risiede nel legame... particolare che lega questi due personaggi.
In breve si amavano, penso che l'abbiate intuito, ma avevano un modo tutto loro per dimostrarselo.
Francis e Arthur si erano conosciuti da bambini, durante la guerra tra i loro papà (bastardi) e Romolo Augusto Vargas. Ma occorre fare un ulteriore passo indietro, parecchio indietro.
Le casate Kirkland, a cui apparteneva Arthur, e Bonnefoy, a cui apparteneva Francis, si odiavano dall'alba dei tempi. Una leggenda, a cui entrambi i ragazzi credevano, diceva che, mentre i draghi fondevano le spade per creare il trono, quindi vi parlo di almeno duemila anni fa, affianco c'erano un Kirkland e un Bonnefoy che litigavano per chi dovesse mettere per primo la propria spada nel mucchio. Risultato: nessuno dei due la mise. Era una leggenda, e può sembrare campata per aria, ma... be', basta passare un quarto d'ora con  un esponente delle due famiglie per capire che, forse, così campata per aria non lo è.
Quindi. Tornando a noi.
Queste due creature ancora pure e innocenti si erano incontrate nel bel mezzo di una sanguinosa guerra civile, causata da un imperatore così folle da riuscire a riunire le due famiglie che più si detestavano al mondo sotto uno stesso partito. Un ottimo inizio per una storia d'amore, no?
Da bambini litigavano sempre. Erano il terrore di tate e babysitter. Potevano andare avanti ore ed ore ed ore ed ore... finché qualcuno non perdeva la pazienza e dava un bel pattone sul sedere a tutti e due, zittendoli, di solito uno dei fratelli maggiori di Arthur. I loro padri, con la scusa di essere "troppo occupati con la guerra per occuparsi di due mocciosi", tacitamente approvavano su tutta la linea l'odio tra quei due bimbi alti un metro e un grammo di pazienza (senza rendersi conto che così finalmente avevano trovato qualcosa su cui concordavano), cosa che li spingeva a continuare. Alla fine, tra un insulto e un pugno, si affezionarono, e in qualche modo assurdo e contorto finirono a stringere persino una qualche strana sorta di amicizia (che però avrebbero ripudiato all'istante se qualcuno ne avesse parlato ad alta voce).
Tuttavia la guerra finì. Kirkland padre divenne il re, offendendo a morte (come se fosse una novità... Bonnefoy si definiva "offeso a morte" almeno tre volte al giorno. Arthur sospettava che Francis avesse preso dal padre tutta quella voglia di fare scenate isteriche) Bonnefoy padre, e i due bambini non si videro più per anni.
Saltiamo a qualche anno dopo, hanno entrambi sedici anni (che età magica eh?). Ad una festa di fidanzamento, qualcuno ha avuto l'ardire di invitare sia un Bonnefoy che un Kirkland (evento che rasentava l'allineamento dei pianeti in quanto a rarità e a presagio di sventura), ovvero Francis e Arthur, l'uno amico della promessa sposa e l'altro amico del promesso sposo. Venendo a sapere della presenza dell'altro, i due avevano speso giorni a pensare agli insulti migliori e alle offese più sagaci. Arthur si fece fuori mezza bottiglia di gin per lubrificarsi l'ugola e Francis fece le prove davanti allo specchio.
Peccato che, vittima di un qualche delirio ormonale (o, più semplicemente, i sette dei si erano rotti i coglioni di vederli litigare senza combinare nulla), i due, invece di urlarsi addosso, finirono a perdere la verginità sul letto della promessa sposa, nella maniera meno consona e decente possibile. Forse penserete che, in seguito a questo incidente ("è colpa dell'alcool e della scarsa luce se ora mi sembri bello"), entrambi se ne fossero pentiti, avessero deciso, per una volta d'accordo, di dimenticare tutto e di andarsene per la propria strada. In fondo si odiavano, no?
Vi rispondo così: mentre fuori ballavano e si divertivano, loro fecero sesso quattro volte di fila, intervallati giusto da pause di pochi minuti per riprendere fiato e insultarsi a bassa voce, tornando a baciarsi subito dopo.
Quella relazione clandestina, ormai di quattro anni, era intervallata da talmente tanti litigi che non litigavano mai veramente. Si dicevano le peggio cose, e poi finivano a letto. Anzi, spesso si dicevano le peggio cose mentre erano a letto, il che ci porta a tutt'altro livello di disagio.
Nonostante vivessero distanti, si vedevano più volte che potevano ed erano assolutamente fedeli. Si amavano, non dubitatene, davvero. Avevano solo un modo tutto loro di dimostrarselo.
E così, mentre Bonnefoy padre insultava a tavola i Kirkland perché gli avevano rubato la corona e Kirkland padre insultava i Bonnefoy perché avevano un po' troppi soldi e pagavano un po' troppe poche tasse, i loro figli pensavano a quando si sarebbero rivisti e avrebbero condiviso di nuovo il letto.
A questo proposito: i Bonnefoy non erano così ricchi, a dirla tutta. Possedevano le terre più ricche e fertili di Westeros, certo, e l'evasione fiscale era di casa, ma avevano il brutto vizio di sperperare soldi in cose inutili. Francis in questo era un maestro: bei vestiti (soprattutto da donna. Amava quegli abiti!), bei gioielli, belle scarpe, bei mobili, begli accessori... in generale, Francis amava le cose belle, e Arthur non riusciva proprio a rimproverarlo quando quello indossava certi indumenti fatti proprio per provocarlo, di solito perché la sua saliva finiva in posti dove non avrebbe dovuto essere e, soprattutto, in breve, molto breve, tempo si ritrovava la lingua occupata a fare ben altro che parlare.
Non che Francis se ne approfittasse... figuriamoci...
Osservando Arthur che dormiva, Francis cercò di un piangere. Si sentiva in colpa a mentirgli, ma non poteva dirgli tutto. Sì, sarebbe andato al nord per degli affari, e sì quella era in parte una scusa di suo padre per tenerlo lontano dal matrimonio, ma c'era dell'altro.
Sospirò, si alzò dal letto e si rivestì silenziosamente. Prese un foglio e scrisse due rapide righe per Arthur, poi gli lasciò il bigliettino piegato nella tasca della giacca, dove teneva la sua fiaschetta e dove sapeva che avrebbe infilato le mani non appena l'avesse indossata, più per abitudine che per un reale motivo.
Sospirò, stampò un bacio sulle labbra del suo amante e poi uscì, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.

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Capitolo 3
*** Io mi rifiuto ***


Nel frattempo, in un posto così freddo da essere chiamato Grande Inverno, Ludwig Beilschmidt stava controllando che tutto fosse pronto per la partenza.
-come procede fratellino?- Gilbert Beilschmidt, fratello maggiore di Ludwig Beilschmidt, entrò di gran carriera, posò il braccio sulle spalle del fratellino, nonostante quello fosse notevolmente più alto di lui, e si sporse a controllare la lista -tutto pronto?
Ludwig annuì, con gli occhi azzurri ancora puntati sulla lista -deve solo arrivare l'inviato dei Bonnefoy e poi potremo partire.
Gilbert roteò gli occhi e gli strizzò una guancia. Quello neanche fece una smorfia, concentrato -rilassati, fratellino. Ci vuole una settimana di cammino prima che quello arrivi. E considerando quanto sono lenti i Bonnefoy, ce ne vorranno due.
-spero che almeno in una situazione così delicata si sbrighino.
-io non ne sarei così sicuro. Non conosci Francis come lo conosco io- sbuffò -però sarebbe stato bello partire dal sud. Ci sono certe ragazze...
-secondo te il re non si farebbe due domande se vedesse noi, che non siamo mai scesi oltre la capitale, scendere al sud e prendere una nave verso Essos insieme a un Bonnefoy, pochi giorni dopo il matrimonio di Vargas con uno degli uomini più potenti di Essos?
-lo so, fratellino, infatti ho usato il condizionale. Però non capisco perché Vargas abbia deciso di allearsi con noi, i nipoti dell'assassino di suo nonno, e con i Bonnefoy, gli alleati di Kirkland durante la guerra per usurpare suo nonno.
Ludwig alzò le spalle -evidentemente ha dimenticato le vecchie inimicizie.
Gilbert rise -si vede che non sei al mondo da molto, fratellino. Le vecchie inimicizie non muoiono mai, al massimo vengono temporaneamente messe da parte. Le amicizie invece sono le prime a essere dimenticate- sogghignò e gli spettinò i capelli -a questo proposito, sbaglio o tu eri molto... amico con il piccolo Vargas?
Ludwig arrossì, ed essendo bianco come il latte si notava parecchio -non vedo come questo c'entri. Hai detto tu che le amicizie sono le prime ad essere dimenticate.
-ma a quanto pare tu non l'hai fatto- gongolò, godendosi il suo imbarazzo -o sbaglio?
Ludwig scosse la testa, esasperato -Gilbert...
-il piccolo Ludwig è innamorato! Il piccolo Ludwig è inn...- si interruppe sentendo una spada puntata contro la sua schiena. Si irrigidì -chi osa puntare una spada contro il magnifico me?
La punta andò più in profondità. Una risata femminile rispose alla sua domanda.
-donna! Lasciami andare.
-quando la smetterai di fare il cretino.
-io faccio il lord, non il cretino.
-e secondo la mia esperienza, la differenza è poca- ribatté lei, rinfoderando l'arma.
Gilbert si voltò, offeso -ah ah. Molto divertente, Eliza.
-lo so- si girò verso Ludwig -è tutto a posto, mio signore?
-ah, a lui dai del signore e a me del cretino?
-chiediti perché.
Elizabeta, chiamata da tutti Eliza, era una graziosa fanciulla mediamente alta, piuttosto esile ma a modo suo formosa. I boccoli castani le sfioravano la vita e gli occhi verdi brillavano divertiti mentre le labbra piene erano atteggiate in un sorriso. Bella com'era, nessuno si stupiva di tutte le proposte di matrimonio che puntualmente riceveva, e che altrettanto puntualmente, e qualcuno avrebbe detto spietatamente, rifiutava.
Questo perché questa giovane dall'aspetto quasi da bambolina, con i suoi bei vestiti e la sua pelle chiara, era la guerriera più temibile di tutto Grande Inverno, secondo molti di tutta Westeros. Lei e i due fratelli Beilshmidt si conoscevano da quando erano piccoli, lei aveva praticamente visto nascere il piccolo Ludwig, e Gilbert aveva una trascurabilissima, mastodontica cotta per lei da quando avevano nove anni.
Eliza si rivolse a Ludwig -vengo con voi?
-no. Devono rimanere delle guardie a proteggere Grande Inverno in nostra assenza, e tu sei la migliore.
Eliza annuì -va bene. Fate attenzione, mi raccomando- gli diede un buffetto sulla guancia, e dovette mettersi in punta di piedi per farlo -tieni d'occhio tuo fratello. Cerca di farlo tornare intero, sai quanto me che la moderazione non è il suo forte, e non voglio che si inimichi un intero popolo di guerrieri.
-ehi!- protestò Gilbert -sono io il maggiore qui. Sono io a occuparmi di lui.
-in teoria- replicò Eliza. Gli stampò un bacio sulla guancia, e questa volta dovette solo sollevare un po' il viso. Gilbert tacque, improvvisamente mansueto come un agnellino, incapace di dire qualcosa diverso da un balbettio -fai il bravo.
-non partiamo domani- replicò Ludwig -potrai fargli tutte le raccomandazioni necessarie quando Bonnefoy si degnerà di farsi vivo.
-quindi tra un mese- concluse lei, roteando gli occhi divertita. Si girò verso di lui, dando le spalle a Gilbert, che riprese a respirare.
Il lord scrollò le spalle -è così lento?
-ah giusto, non te lo ricordi. Da bambini io, Gilbert e Francis eravamo molto amici. Tu non eri ancora nato, o se lo eri eri ancora in fasce.
-era adorabile da bimbo- brontolò Gilbert -quando ancora era più basso di me e mi considerava una divinità, com'è giusto che sia.
-Francis è una vera primadonna- continuò Eliza -lo è sempre stato. Ci metteva ore a decidere come vestirsi. Conoscendolo avrà il doppio dei vostri bagagli, come minimo.
-quando c'era anche Arthur poi...- Gilbert ridacchiò -ci teneva così tanto a essere più bello di lui che passava tutta la notte a cercare dei vestiti adatti. Non ho mai visto qualcuno odiarsi come si odiavano quei due.
Eliza sbuffò una risata -odiarsi? Amarsi semmai. Mai vista tanta tensione sessuale... ho sentito dire che a una festa di fidanzamento sono spariti per tutto il tempo, e quando sono tornati erano parecchio in... disordine.
Gilbert inarcò un sopracciglio -sul serio? Non me lo sarei mai aspettato.
-scherzi? Erano palesemente innamorati l'uno dell'altro, ma erano troppo stupidi e orgogliosi per accorgersene e dirselo.
Ludwig sospirò, esasperato -mi ricordano qualcuno...
-davvero, bruder? Di chi parli? Della cuoca e del pasticcere? No perché sono sicuro al mille percento che abbiano una relazione segreta...
-parli di te e il piccolo Feliciano?- chiese Eliza, gentile, con un luccichio strano negli occhi -non mi sembrava aveste quel tipo di rapporto- il luccichio si intensificò -a proposito, se non sbaglio ci sarà anche lui a Essos. Forse dovrei venire anch'io...
Ludwig spostò gli occhi da uno all'altra, basito. Poi scosse la testa, esperato, e si girò per andare a controllare i sartiami -io non ho parole...

-col cazzo.
-amore...
-AMORE UNA CEPPA DI MINCHIA. PIUTTOSTO MI STRAPPO LE VISCERE E MI FACCIO SBRANARE DAI CANI.
Antonio sospirò e gli accarezzò la guancia. Quello gli diede uno schiaffo sulla mano -è l'unico modo.
-non è vero- si allontanò e incrociò le braccia al petto -hai la cavalleria più potente del mondo al tuo servizio. Non abbiamo bisogno di...
-sì, ma per arrivare a Westeros abbiamo bisogno di navi- replicò Antonio.
-e quindi? Le costruiamo.
-navi che non ci vengano affondate non appena ci avviciniamo alla costa- concluse, e Lovino non riuscì a rispondergli. Il capotribù gli accarezzò la guancia, e lui questa volta glielo lasciò fare -so che non è facile per te, mio sole e stelle. Ma è necessario.
Lovino brontolò qualcosa di non ben definito, si avvicinò a lui e sbatté la testa contro il suo petto, imbronciato. Da lì aveva una splendida vista sugli addominali dell'altro, ma non era quello il momento. Antonio prese ad accarezzargli i capelli con una mano, e il più piccolo sentì la fede nuziale scontrarsi contro la sua nuca.
-è solo un'alleanza temporanea- lo rassicurò, a bassa voce, e lui annuì impercettibilmente -non appena avremo fatto fuori l'usurpatore, saliremo al trono, io e te- lo baciò sulla testa, stringendoselo contro -saremo i padroni del mondo- sussurrò, dandogli i brividi -tu sarai il re di Westeros e io di Essos, e tutti tremeranno solo sentendo i nostri nomi. Te lo giuro- sospirò, restando in silenzio per un po' -ma, per ora, dobbiamo fare delle alleanze.
-mh...- ci sapeva fare con le parole, lo stronzo.
In quel momento entrò Feliciano, quasi saltellando -fratellone, fratellone, è vero che vengono degli inviati da casa? È vero?
-cretino, si bussa- lo rimproverò, allontanandosi dall'abbraccio di suo marito, che non riuscì a trattenere un sorriso divertito.
-ma è una tenda, a che dovrei bussare?
-chiedi di entrare ad alta voce- sbuffò lui. Feliciano si grattò la nuca, imbarazzato.
-scusa...- poi si illuminò -allora, è vero?
-sì- sbuffò, contrariato -non dovresti essere così contento. Sono il nemico.
-ma vengono da casa- replicò Feliciano -sono anni che non vedo qualcuno che viene da casa!
-sì sì, ma placa l'entusiasmo. Rimangono il nemico. Siamo solo temporaneamente in pace.
Antonio ridacchiò e stampò un bacio sulla testa di suo marito -però cerchiamo di essere educati, d'accordo? L'alleanza deve durante un pochino.
-lo so, bastardo- Lovino roteò gli occhi.
-bene. Io devo andare, domani dobbiamo partire e devo controllare gli ultimi preparativi- lo baciò, salutò Feliciano e uscì dalla tenda.
Il fratello minore attese di sentire i suoi passi abbastanza lontani prima di parlare -come va con lui?
Lovino scrollò le spalle, sedendosi sul letto -bene credo. È... è gentile, e dolce, e sto bene con lui.
Feliciano si sedette al suo fianco e gli prese la mano -e lo ami?
Il fratello gli rivolse un piccolo sorriso -l'ho conosciuto ieri, Feli. È un po' troppo presto per dirlo, non trovi? Ma... è sulla buona strada, credo.
Il sorriso di Feliciano si fece più malizioso -e ieri notte che avete fatto, porcellini?
Il neomarito arrossì e nascose il viso tra le mani, imprecando tra i denti -idiota.
-lo so. Però rispondimi.
Scrollò le spalle, ancora rosso in faccia -non... non abbiamo fatto tutto, se capisci cosa intendo.
-non gli hai dato il culo?
-esat... chi ti dice che sia io il passivo?
Feliciano sbuffò -dai. L'hai visto bene? Ha stampato in faccia "tra un po' mi fotterò Lovino Romano Vargas e lo farò urlare come una..."
-va bene, va bene, ho capito!- lo interruppe, sempre più rosso -e comunque non mi sembri messo meglio di me...
Feliciano sorrise angelicamente -che ne sai che mi piacciono i ragazzi?
-stai scherzando? È da ieri che ti mangi con gli occhi tutti i soldati, dal primo all'ultimo. Se spogliare con gli occhi facesse spogliare realmente, ti saresti già fatto dare una passata dall'intero esercito.
Il sorriso del ragazzino aumentò. Alzò le spalle -che ci vuoi fare? Sono lì, sono uno più figo dell'altro e sono tutti a petto nudo- gli fece l'occhionino -gli occhi sono fatti per guardare, fratellone.
-seh, ma il culo non è fatto per essere sbattuto in faccia a tutti.
-ma per farsi sbattere da...
-neanche!
Feliciano sbuffò una risata. Poi si illuminò, sporgendosi verso di lui curiosissimo -e quindi che avete fatto? Perché avete fatto qualcosa, vero? Non dirmi che vi siete solo dati dei bacini sulle guance stringendovi la mano teneramente, perché non ci credo.
Lovino tornò a sembrare un pomodoro sul punto di scoppiare -no... ecco... noi...- arrendendosi alla balbuzie, fece un gesto piuttosto inequivocabile con la mano.
-aaah, quindi vi siete solo fatti una sega a vicenda. Be', meglio di niente.
Lovino roteò gli occhi. Poi si morse il labbro, chinando lo sguardo -non... cioé è stato strano. Non è che semplicemente ci siamo infilati le mani nelle mutande a vicenda e via, è...- prese a tormentarsi le mani, cercando di trovare le parole migliori per spiegarsi senza arrossire come una pudica verginella -era... siamo partiti baciandoci, e cavolo se bacia bene, e io mi sentivo... come se stessi andando a fuoco, ma era piacevole, e dovunque mi toccasse, e fidati che ha toccato parecchio, quella sensazione aumentava, e in qualche modo volevo... ecco... che arrivasse al massimo, capisci? Volevo sentire la sua pelle il più possibile contro la mia- esitò, leccandosi le labbra -però così è riduttivo, in realtà. Non so come spiegartelo, Feli.
-uhm...- stette in silenzio per qualche attimo, pensando. Poi tornò a sorridere -be', questo spiega perché tu riesca a stare seduto. Me lo stavo chiedendo da un po' in effetti...
Lovino gli diede un pugno sulla spalla, con un quarto di sorriso -deficiente.
Feliciano rise, poi continuò con le sue domande, curioso -e... avete fatto altro?
Lovino prese a rigirarsi una ciocca di capelli tra le dita, arrossendo come un... uno sposo, ecco -uhm, stamattina...- mugugnò, con lo sguardo ostinatamente fisso sulle coperte, forse pensando a cosa ci avesse fatto, lì sopra -abbiamo, uhm, rifatto quello di ieri sera... più o meno.
Feliciano inarcò un sopracciglio -più o meno?
-c'era... qualcosa di più- bofonchiò, imbarazzatissimo -lui ha... quasi fatto una cosa con... con la bocca...
-un pompino?
Lovino lo guardò male -pischellè, sei un po' troppo esperto in queste cose. C'è qualcosa da dirmi?
Roteò gli occhi -no, fratellone, non ho mai fatto niente... purtroppo.
-purtroppo?
-non cambiare discorso!- lo rimproverò -quindi te lo ha s...
-più o meno- lo interruppe, guardandolo male. Poi sembrò ricordarsi qualcosa, abbassandosi leggermente i pantaloni da un lato per mostrare un segno rosso -e ha, uhm, fatto questo.
Feliciano fischiò -ooooh. Quindi è uno di quelli che a cui piace marcare il territorio- commentò, con un sorrisetto.
Lovino lo guardò male, coprendosi l'anca scoperta -mi inquieti.
-be', mio marito sarà fortunato- ridacchiò, alzandosi in piedi con un movimento fluido -andiamo a cena? Dovrebbe iniziare tra poco.
-tu pensi o al sesso o a mangiare- scherzò, ma neanche tanto, seguendolo.
-penso anche al vino.
-ah be', allora scusa.
La cena fu una sorpresa. Visto che era bel tempo (e in fondo a Essos era raro che piovesse) mangiavano fuori, al centro del campo. Era stato allestito un grande fuoco da campo, e tutti si erano radunati lì. La cosa veramente sorprendente era la mancanza di divisioni sociali. Tutti parlavano con tutti, tutti avevano lo stesso cibo, tutti erano uguali. Le uniche differenze erano la vicinanza al fuoco, ma Lovino ipotizzò che la ratio fosse "chi prima arriva meglio alloggia". Individuò suo marito più o meno al centro della mischia, che parlava tranquillamente con un uomo che Lovino non riconobbe e quello che doveva essere un soldato. Lo raggiunse e si sedette al suo fianco -ciao.
Antonio gli sorrise e lo baciò sulla fronte -hola, mi amor. Hola, Felì.
-ciao!- salutò il più giovane, sistemandosi affianco al fratello.
Il soldato e l'uomo chinarono la testa -nostro signore.
-oh, ehm, ciao...- chinò a sua volta la testa. Sentì un braccio intorno alle spalle, e si ritrovò ad appoggiare la testa contro la sua spalla -di che stavate parlando?
-della partenza di domani. Dovremo muoverci per l'alba, entro mezzogiorno dobbiamo essere a Penthos.
-uhm... va bene- si rannicchiò al suo fianco. Cominciava a far freddo, e aveva solo un paio di pantaloni di cuoio e una tunica sottile, mentre Antonio aveva la pelle più calda del fuoco. Feliciano aveva un sorriso malizioso che preferiva ignorare -dove dobbiamo andare?
-a nord. Dobbiamo andare incontro ai nostri alleati.
Sbuffò -cioé noi dobbiamo farci giorni di cammino perché quelli non vogliono muovere il culo?
-vengono da Westeros- replicò, con un sorriso divertito -lo muovono sì il culo.
Lovino sbuffò, ma non rispose.
Una ragazzina carina lì raggiunse con due ciotole e le diede ai due fratelli. Lovino fece per ringraziarla ("bisogna sempre essere educati con le signore, Lavinius" gli ricordava sempre il nonno), ma quella fuggì via. Aggrottò la fronte, confuso, ma alzò le spalle e si mise a mangiare. Se c'era una cosa su cui andavano d'accordo lui e suo fratello, era la santità del cibo. Dentro la ciotola c'era dello spezzatino che non era male, ma, pensò con un certo orgoglio, lui avrebbe saputo fare di meglio. Ecco, ora aveva voglia di pizza...
I due uomini si congedarono e andarono da quelle che dovevano essere le loro famiglie. Lovino aggrottò la fronte -perché si comportano in modo strano?
Antonio sembrò intenerirsi -non te ne sei accorto?
-no. Non fare quella faccia, non sono un idiota, ma non vedo cosa...
-hanno paura di te.
-di... di me?- era assurdo -non faccio paura.
-ehm, fratellone... hai ammaestrato una dozzina di lupi enormi e assassini- gli ricordò Feliciano.
-e sei l'erede del più grande imperatore della storia- concluse Antonio. Scrollò le spalle -e poi sei nuovo. Non preoccuparti, si abitueranno a te- lo baciò sulla guancia -ti adoreranno.
-se lo dici tu- finché aveva da mangiare gli andava bene tutto.
-stavo pensando... potremmo usare i tuoi lupi per agevolare il viaggio? Sarebbero utili per trasportare i bagagli eccetera.
Alzò le spalle -va bene, ci pensiamo io e Feli- suo fratello annuì, con un sorriso
-grazie, querido!- gli stampò un bacio, e lui si ritrovò ad arrossire. Tornò a concentrarsi sul cibo, brontolando.

-quanti giorni ci vorranno per arrivare?- gli chiese entrando nella loro tenda. Antonio, che gli aveva preso la mano, prese a giocherellare con le sue dita.
-non lo so. Se ci sbrighiamo, una quindicina. Ai nostri alleati ci vorrà come minimo una settimana ad arrivare, ma partiranno dopo- si sfilò la corona e la posò sul comodino, stiracchiandosi il collo -madre de Dios, quell'affare pesa...
Lovino sbuffò una risata -vieni qui- si sedette sul letto e gli fece cenno di sistemarsi accanto a lui -girati, su che sono stanco- quello obbedì, curioso. Lovino cominciò a massaggiargli le spalle, lentamente.
-meglio?- domandò dopo qualche secondo. In risposta gli giunse un mugolio.
-hai delle mani magiche- stabilì suo marito, rilassandosi. Lovino sbuffò una risata.
-una delle cose che ho dovuto imparare per "compiacere mio marito".
Antonio roteò gli occhi, anche se lui non poteva vederlo -davvero? Quante cose hai dovuto imparare?
Lovino lo baciò sulla spalla -ti stupirebbe.
-sorprendimi, allora- ridacchiò e gli prese la mano. Gli baciò il dorso e si girò verso di lui, sorridendo -avanti.
Lovino gli rivolse un sorrisetto -non penserai mica che mi giocherò tutte le mie carte così? Te lo scordi, bastardo.
Antonio ricambiò il sorriso -permettimi almeno di ricambiare il favore.
Il ragazzo si lasciò cadere all'indietro, sui cuscini. Sorrise e allargò le braccia -vieni qui, allora.
E a quel tono non riuscì proprio a dir di no. Gattonò verso di lui tra le coperte sfatte, fino a posare la fronte sulla sua. Sentì una mano di suo marito stretta contro la sua schiena, come a impedirgli di andarsene, e mentre gli schiudeva le labbra con la lingua di ritrovò a sorridere compiaciuto. Lovino allargò le gambe intorno ai suoi fianchi, stringendolo forte a sé e premendosi il più possibile contro il suo corpo. Antonio lo sentì mugolare contro la sua bocca, e il suo sorriso si fece ancora più sornione.
Scese a baciarlo sul collo, mentre le sue mani si facevano lentamente strada sulla pelle morbida dell'altro, che, con i suoi lievi gemiti appena trattenuti dalle sue labbra rosse, gli mandava delle scosse di piacere dritte nel cervello, intorpidendo sempre di più il suo giudizio, e poi giù, lungo la colonna vertebrale, e ancora più giù.
Gli tolse la tunica, lasciandolo a petto nudo. Tracciò il profilo di quel corpo con la punta delle dita, forse preoccupato di romperlo, forse cercando di trattenersi dal fare cazzate e rovinare tutto andando troppo di fretta; baciò quella pelle un poco più chiara della sua, la marchiò, la morse piano, beandosi dei gemiti e dei sospiri che provocava con quei gesti così semplici e così naturali. E poi scese ancora.
-b-bastardo...- Lovino quasi tremava, con il volto deformato dal piacere. Non riusciva a ragionare, a pensare, e in effetti neanche lo voleva. Se avesse riflettuto a fondo, se ne avesse avuto l'opportunità, si sarebbe accorto che si stavano spingendo decisamente più in là, che tutto quello stava andando in una direzione ben precisa, e ne avrebbe avuto paura, forse abbastanza da fermarsi, di sicuro quanto bastava a guastare il momento. Così, invece, non gli importava. Lo voleva, e andava bene così.
Quasi sospirò di sollievo quando suo marito lo baciò ancora sulle labbra, e comunque non riusciva a trattenere quei suoni così imbarazzanti che gli uscivano dalla bocca, visto che quel bastardo continuava a mettere le sue cazzo di mani ovunque, e solo gli dei sapevano quanto voleva che non si fermasse.
E Antonio non lo fece. Non si fermò, andò fino in fondo, e tutto quello fu così dannatamente, incredibilmente, dolorosamente perfetto che si sentirono toccare il cielo.
Lovino ignorò il dolore e capovolse le posizioni, salendogli sopra. Si chinò a baciarlo, cercando di andare con calma. Antonio scese a baciargli il collo, facendolo sospirare, e scese con le mani lungo la sua schiena, cercando di riprendere il controllo. Il ragazzo gli prese le mani e gliele sistemò lungo i fianchi.
-fermo- la sua voce fu stranamente sicura, molto più di quanto non si sentisse. Posò la fronte contro la sua -ora ci penso io.
Antonio lo guardò, con gli occhi lucidi per il piacere. Mugolò qualcosa -Lovi...
-zitto- si sistemò meglio su di lui, sentendolo sempre più in profondità dentro di sé. Ansimò mentre Antonio gli baciava il collo, stringendolo forte. Cominciò a muoversi, dapprima piano, poi sempre più rapido, inondando l'aria dei loro gemiti e del loro piacere, sempre di più, sempre di più, facendo crescere quel fuoco ancora e ancora e ancora, finché...

Merda, pensò Lovino, sdraiandosi sulla pancia, con il fiatone. Scrutò il profilo di suo marito, che lo stava stringendo tra le braccia, con un sorriso e un braccio intorno ai suoi fianchi.
È successo davvero...

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Capitolo 4
*** Il primo che fa commenti del cazzo verrà sbranato dai lupi ***


Lovino, sdraiato sul dorso del suo lupo, aveva sempre più voglia di ordinare ai suoi cuccioli di aggredire quella faccia di merda di suo marito, che ogni dodici secondi (li aveva contati) si girava a guardarlo preoccupato.
Non lo so, rendilo più palese! Vuoi urlarlo? Forse gli estranei nel Vero Nord non se ne sono ancora accorti, vuoi andare a dirglielo?
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di esplorare i motivi della sua lievissima scocciatura.
Primo: il risveglio era stato un trauma. Non aveva mai sentito così tanto male in vita sua. Braccia, busto, gambe e didietro. Soprattutto didietro.
Neanche riusciva a muoversi. Cioé, ci riusciva, ma poi sentiva delle fitte così forti di dolore che era costretto a bloccarsi. Se irrigidiva i muscoli, poi... ahia, meglio evitare.
Per carità, Antonio era stato dolce. Aveva fatto del suo meglio: dopo un po' di coccole, lo aveva aiutato a fare il bagno (e non aveva allungato le mani nel frattempo. Cosa che mandò in confusione i due partiti nella testa di Lovino: uno apprezzava il gesto, l'altro, una minoranza tuttavia rumorosa, voleva saltargli addosso e farsi sbattere nell'acqua calda come un tappeto impolverato), e mentre lui si riposava un altro po' nel letto era andato a prendergli la colazione. Dolce, a suo modo. Lovino era irritato, ma c'era anche una certa... tenerezza, ecco. Era intenerito, diciamo le cose come stanno.
Poi erano cominciate le rotture di coglioni.
Erano usciti dalla tenda (con una certa fatica da parte sua, ammettiamolo. Antonio si era proposto di portarlo in braccio, ma aveva ancora una certa dignità e non avrebbe fatto la parte della principessa in difficoltà) e Lovino con un fischio aveva richiamato i suoi lupi, che erano accorsi (alcuni guardando male Antonio. Evidentemente avevano percepito il dolore del loro padrone e ne avevano individuato la causa). Lovino era salito sul più grande e aveva cercato una posizione comoda. Gli c'era voluto un po', ma alla fine era riuscito a trovarne una abbastanza buona: si era sdraiato a pancia in giù sul dorso dell'animale, che povera bestiola aveva dovuto sopportare tutti i suoi spostamenti, aveva appoggiato la testa sulla sua e aveva lasciato ricadere le gambe sui fianchi della bestia. Insomma, praticamente era seduto normalmente, ma si era chinato e aveva sistemato il sedere in modo che non gli facesse troppo male (perché stare seduto dritto era assolutamente, innegabilmente fuori discussione). Per fortuna quel giorno aveva messo un paio di pantaloni per il viaggio, o avrebbe mostrato il culo all'intero villaggio, e non sarebbe stato esattamente il massimo.
La cosa più fastidiosa? Antonio che lo scrutava preoccupato manco fosse un fottuto neonato.
-smettila- bofonchiò contro il pelo dell'animale -ti ho detto che sto bene. Non serve guardarmi come se avessi chissà che brutta malattia.
-scusami, mio sole e stelle- rispose Antonio, lasciandogli una carezza tra i capelli. Roma gli mostrò i denti -è che non riesco a fare a meno di pensare che... sì, che sia colpa mia.
Nooooooo, ma davvero? Che idea assurda!
-non sono una bambolina di pezza- ringhiò, e sembrava davvero uno dei suoi lupi -né una principessa in difficoltà. Quindi smettila di fare quella faccia o te la strappo via con le mie mani.
Antonio annuì, leggermente impallidito, e non lo guardò più per il resto del tragitto, anche se aveva un piccolo sorriso compiaciuto sulla bocca. Se ne avesse avuto la forza, Lovino gliel'avrebbe tolto a suon di schiaffi.
L'altra cosa irritante si presentò quando raggiunsero il resto del villaggio.
Perché? Perché Lovino si sentiva tutti i loro cazzo di occhi di merda puntati addosso.
Cercò di mettersi dritto, per mostrare un minimo di dignità, e sentì chiaramente dei sussurri. Sbuffò, cercando di ignorarli.
Suo fratello si avvicinò, con al suo fianco Venezia -ehm, fratellone...
-che vuoi, testa di minchia?
-ehm, ti sei visto allo specchio?- Feliciano aveva il tono di un servo che diceva al re ubriacone che era finito il vino. Lovino aggrottò la fronte.
No, in effetti no. L'unico specchio che avevano in tenda era quello affianco alla vasca, ma mentre faceva il bagno quella era alle sue spalle. Cominciò a chiedersi se Antonio non l'avesse fatto sedere lì a posta per impedirgli di guardarsi -no, perché? Ho qualcosa in faccia?
Feliciano deglutì. Poi si indicò il collo.
Lovino aggrottò la fronte, con un sospetto sempre peggiore. Si posò la mano sul collo, sfiorandosi la pelle con i polpastrelli. Per qualche centimetro non sentì nulla. Poi, un lieve rigonfiamento (che nulla aveva a che fare con il pomo d'Adamo) e, all'incirca al centro, delle piccole incalanature, più o meno tutte delle stesse dimensioni. Sentì la vena sulla tempia pulsare. Continuò a toccarsi il collo, trovando prima uno, poi due, tre, quattro altri segni simili.
Cinque cazzo di segni lì, in bella vista, sul collo. E il bastardo non gli aveva detto nulla. Oh, questa gliela avrebbe fatta pagara carissima.
Ecco spiegate tutte quelle occhiate.
Gli uscì il secondo ringhio della giornata. Disse al suo lupo di accelerare e raggiunse suo marito, quello stronzo... stava parlando con alcuni soldati. Lo affiancò.
-maritino mio...- lo chiamò, con tono dolce. Antonio lo guardò, sorpreso.
-dimmi, mio sole e stelle.
-ti dispiacerebbe dirmi cosa cAZZO HO SUL COLLO?
Antonio impallidì e sforzò una risata -niente, amore...
Il lupo gli ringhiò, percependo puzza di stronzate. Lovino si lasciò sfuggire un sorriso soddifatto, che bravo cucciolotto.
-ecco... uhm... potresti avere qualche piccolo e insignificante segno di... ehm...
-piccolo e insignificante?!- guardò malissimo i soldati dietro suo marito, che stavano ridacchiando -fatevi i cazzi vostri, voi. Tra marito e marito non mettere il dito- tornò a rivolgersi al capotribù -riguardo a noi...
-sono i segni dell'amore che provo per te- lo interruppe. Lovino sentì l'occhio sinistro contrarsi in uno spasmo -dovresti andarne fiero.
Non riuscì a trattenersi: gli diede un calcio, forte, sul fianco. Sorrise -anche questo è segno dell'amore che provo per te. Dovresti andarne fiero.
Antonio, piegato in due, non replicò.
-la prossima volta, magari, avvertimi, coglione- gli spettinò i capelli, poi se ne andò. Doveva trovare una sciarpa. Puntò lo sguardo sul sole cocente e sospirò. Sarebbe stata una lunga giornata.
Tutto il viaggio, in realtà, fu una rottura di coglioni. Dopo aver legato delle imbracature ai suoi lupi per portare i carichi più pesanti (che per loro non erano un grande sforzo, a dirla tutta. Erano carini con quei carichi, sembravano dei cani da slitta, solo che lì faceva un caldo porco e neve non ce n'era), non è che avesse molto da fare. Per la cronaca, in realtà non è che non sapesse del tutto dei segni che gli aveva lasciato suo marito la sera prima. Ne aveva notati diversi sul petto ma, appunto, pensava fossero solo lì, e li aveva coperti con una tunica di lino. Sperava che si fosse trattenuto almeno sui posti visibili!
Dopo una lunga e attenta analisi (tanto non è che avesse altro con cui tenersi occupato), stabilì che non è che fossero i segni in sé a dargli fastidio... in qualche contorto e strano modo, gli davano una sensazione simile a quella dell'anello che portava al dito. Una sorta di... appartenenza? Una conferma della sua unione con quel dolcissimo e stronzissimo bastardo, ecco, e non gli davano fastidio di per sé. Gli dava fastidio che tutti li fissassero, ecco. O, per meglio dire, che tutti lo fissassero. Odiava essere al centro dell'attenzione di troppe persone, lo faceva sentire come un fenomeno da baraccone. Certo, se erano attenzioni positive (tipo quando aveva addestrato i lupi) li sopportava, ma in generale preferiva starsene nel suo angolino senza farsi notare. E, si rese conto, gli dava fastidio anche il fatto che Antonio non gli avesse detto nulla. Era una cazzata, ma se cominciava a nascondergli anche le stronzate... chissà che gli avrebbe nascosto entro qualche anno.
Scosse la testa. Ma che mi prende? Non si erano sposati per amore, per niente. Da quanto si conoscevano... due, tre giorni? Erano solo andati a letto, com'era normale tra sposi. Fine. Antonio non lo amava, e lui non lo amava.
In realtà non è neanche così sbagliato, ve lo dico. Non si amavano ancora, si piacevano (parecchio) e basta. In fondo dai, il colpo di fulmine è una stronzata. L'amore si costruisce piano piano, di questo era convinto Lovino, non certo andando a letto una volta e litigando per un paio di morsi.
Seppellì il viso contro il pelo del suo lupo, frustrato. Eppure gli dava così fastidio! Quanto altro gli nascondeva quel bastardo? Magari aveva altre mogli e centinaia di figli. Magari era un suo cugino segreto. Magari...
Accelerò leggermente e lo raggiunse. Neanche si era reso conto di aver ordinato al lupo di farlo.
Antonio sembrò sorpreso, ma sorrise -ehi, amore...- gli prese la mano, e il più giovane glielo lasciò fare -come ti senti?- domandò a bassa voce, cercando di non farsi sentire dal resto della tribù, che era a qualche metro di distanza. Lovino sbuffò -meh.
-mi dispiace. Se vuoi quando ci fermiamo per la notte ti faccio qualche massaggio- sembrò accorgersi di qualcosa, e sospirò, divertito -lo so, lo so, non sei una principessa da salvare, lo so benissimo- il livido sul suo fianco concordò -ma ciò non toglie che ci prendiamo cura dell'altro a vicenda, no?
Lovino grugnì. In effetti non sarebbe stato male...
Dopo qualche minuto di silenzio, Antonio cominciò a preoccuparsi.
-c'è qualcosa di cui volevi parlarmi?- chiese, in tono gentile. Lovino chinò la testa, in modo che i capelli gli ricadessero sul viso per coprirgli le guance rosse.
-uhm... perché... ecco...- sospirò, frustrato, e si sistemò una ciocca dietro l'orecchio -perché non mi hai detto niente?
Antonio sembrò confuso -di... dei segni?- Lovino annuì, sempre più rosso. Il capotribù scrollò le spalle -non volevo che ti arrabbiassi, e non mi sembrava qualcosa di così importante. E poi...- gli rivolse un sorrisino colpevole. Colpo basso -mi piace vederteli addosso.
-uhm... però...- abbassò il tono della voce fino, praticamente, a sussurrarlo -non mi piace che mi nascondi le cose.
Antonio sbatté le palpebre, cercando di interpretare le sue parole. Poi sembrò capire -ooh. Che carino che sei Lovi!- gli strizzò la guancia, facendolo pentire enormemente di essere venuto a parlargli -non preoccuparti, non ti nasconderò più nulla!
-ecco- gonfiò le guance, offeso. Antonio aveva notato che lo faceva spesso, e ogni volta era più adorabile della precedente. Lovino gli strinse la mano -bravo, bastardo. Ora io, uhm, torno al mio posto- e rallentò il passo, fino a tornare nella posizione precedente.

Francis sospirò di sollievo quando vide il castello di Grande Inverno.
Cioé, non era particolarmente contento di essere lì, anzi. Avrebbe preferito essere da qualche parte con Arthur, a dirla tutta. Ma odiava viaggiare, soprattutto su quel cavallo scomodo e puzzolente, e fermarsi per un po' non poteva che fargli piacere.
L'accoglienza non fu delle più calorose, ma d'altronde il posto non era dei più calorosi, quindi c'era una certa coerenza. Il soldato che l'aveva accompagnato lì ("sei di una famiglia prestigiosa, figliolo, e questo è il minimo della protezione che devi avere") affidò i suoi bagagli ad alcuni facchini, mentre altri due uomini portarono nelle stalle i loro cavalli.
Poi Francis fu travolto da un tornado albino.
-Fran!- Gilbert lo strinse a sé con un braccio, spettinandogli i capelli -come sei diventato grande! Kesesesese!
-non, i miei capelli!- strillò, cercando di spingerlo via. Gilbert rise più forte.
-sempre la solita donnicciola! Kesesesese!
-Gilbért, lasciami!- si ritrovò a ridere anche lui. Gilbert era sempre il solito.
Una mano agguantò l'albino per il colletto della maglia e lo tirò via -bruder, non è il momento.
Francis inquadrò il suo salvatore e sgranò gli occhi -Ludwìg?
Il biondo annuì. Francis non riusciva a crederci. Se lo ricordava piccolino, magrino, un biondino con gli occhioni azzurri sempre fissi su un libro più grosso di lui. Di certo non pensava che lo avrebbe mai superato in altezza, di sicuro non così tanto, e tanto meno si immaginava che fosse così muscoloso! Gli unici aspetti invariati erano i capelli biondi, tenuti corti, e gli occhi azzurri, che però erano più severi, più maturi.
Ludwig annuì, tendendogli la mano -è un piacere averti qui.
-uhm, sì...- gliela strinse, cauto. La mano era ricoperta di calli e incredibilmente fredda -sei... cresciuto parecchio.
Ludwig scrollò le spalle larghe -me lo dicono spesso.
-quando, ehm, partiamo?
-domani, se non ti dispiace. Dobbiamo fare il più in fretta possibile.
Annuì -certo, nessun problema. Ma... se venissero a cercarci?
-ho detto di dire che siamo in missione nel Vero Nord per discutere di alcune faccende con i bruti.
-oh. Va bene.
Gilbert gli circondò le spalle con un braccio -ti accompagno in camera tua, sarai stanco. Abbiamo tanto di cui parlare!
Francis lo seguì, ridacchiando -direi proprio di sì.
-allora...- quando furono lontani, Gilbert abbassò la voce -con Arthur?
-Arthur?- cercò di non andare nel panico. Erano sempre stati attenti a non farsi beccare, Gilbert non poteva saperne niente, no? -che c'entra quel bruco insolente?
-be', da piccoli eravate molto legati, e con legati intendo "avevate una palese cotta l'uno per l'altro ma non volevate ammetterlo". Ora come state messi? Dite ancora di odiarvi?
Oh, pensò Francis, se potessi raccontarti tutto... non riusciresti neanche a guardarmi in faccia.
-lo vedo poco, per fortuna. E ci odiamo, tanto per la cronaca.
Gilbert roteò gli occhi -certo, come no.
-dico davvero.
-sì sì.
-invece di giudicare me, con Eliza come va?- il padrone di casa non rispose. Aprì una porta, e Francis si ritrovò in una stanza piuttosto grande, dove erano già stati lasciati i suoi bagagli.
Gilbert sospirò -un giorno sarà mia.
-più che altro sarà lei ad avere te. Conoscendola...
-dettagli. E comunque mi deve dei soldi.
-perché?- aprì un baule e fece una smorfia. I vestiti si erano tutti spiegazzati!
-lei diceva che tu e Arthur stavate insieme- un brivido freddo gli corse lungo la schiena -ma a quanto pare no.
-già. Voglio parte di quei soldi.
-sempre che me li dia. Conoscendola, no. Vorrà la prova definitiva.
-la mia parola non basta?
-no. Perché sei un ottimo bugiardo, e lei lo sa bene.
Francis roteò gli occhi, divertito -io? Figurati. Perché dovrei mentirvi?
-perché dai, o vorresti dare, il culo ad Arthur, ma lo neghi.
-ti ho detto che non mi piace.
-ceeeeeeeerto.
-davvero.
-mhmh.
-sono serio.
-andrei avanti, ma ho fame e tra poco è ora di cena. Andiamo, su.

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Capitolo 5
*** Dovevo pur mostrare chi comanda, no? ***


Buontonno! Scusate tantissimo per il ritardo, ma sono state settimane intense a scuola e mi è passato di mente il fatto che avrei dovuto aggiornare. 4000 parole mi sembrano un buon modo di farmi perdonare però.
Enjoy!

Lovino non riusciva a dormire. Sospirò, esasperato, si tolse il braccio di suo marito dalla vita, si allontanò da lui, si girò e si alzò. Si infilò una tunica a caso e uscì dalla tenda per prendere un po' d'aria, sperando di riuscire camminando a stancarsi abbastanza da addormentarsi.
Silenziosamente strisciò tra le tende, per non svegliare nessuno, fino a ritrovarsi fuori dall'accampamento, con l'erba fino alla vita. La rugiada gli sfiorò le gambe nude, bagnandogli leggermente la pelle.
Raggiunse la spiaggia e sospirò. Da lì, da quel mare, il mattino dopo sarebbero dovuti arrivare i suoi alleati. Il suo primo contatto dopo dieci anni con casa sua.
Si strinse nella veste leggera per ripararsi dal vento e si avvicinò ulteriormente al mare. Puntò lo sguardo all'orizzonte.
La vista dell'oceano lo rilassava sempre. Tutta quell'immensità gli ricordava quanto fosse un puntino, e tutto quello che facesse insignificante, e al tempo stesso gli ricordava casa. Certo, la capitale non era vicino al mare, ma ci andavano spesso, ed era da quello stesso mare che era scappato. E poi il rumore costante delle onde lo calmava: una cosa regolare e continua in mezzo a un mondo incasinato e discontinuo. Sospirò ancora, immergendo i piedi nell'acqua salata.
Quando sentì due braccia avvolgerlo da dietro per poco non gli venne un infarto, ma sentendo la voce di suo marito nell'orecchio si rilassò.
-tutto bene, mi amor?
Annuì, appoggiandosi a lui e posando le mani sulle sue braccia. Si trattenne dall'insultarlo, non voleva svegliare tutti -non riuscivo a dormire.
Antonio lo baciò sulla spalla -mhmh- lo baciò sul collo -ti piace, vero? Il mare intendo. È da quando siamo arrivati che continui a osservarlo.
Lovino annuì, con un piccolo sorriso -mi ricorda quando ero bambino.
Antonio lo baciò di nuovo sul collo -dovevi essere adorabile da piccolo.
Lovino roteò gli occhi -no, non credo- si girò tra le sue braccia e immerse una mano tra i suoi capelli, tirandoselo contro per baciarlo sulle labbra -ero uno stronzetto viziato.
Il sorriso di suo marito splendette alla luce della luna -eri?
Lovino gli diede un pugno sulla spalla -coglione.
La sua risata coprì il rumore delle onde, ma non gli diede fastidio. Si lasciò abbracciare, socchiudendo gli occhi e rilassandosi sotto il suo tocco.
-dovrebbero arrivare domani- mormorò. Non serviva specificare il soggetto.
Antonio annuì -sì- lo baciò tra i capelli -sei nervoso, mio sole e stelle?
Si morse il labbro -non è nervosismo... non proprio. Sono emozionato, credo. Sono anni che non vedo qualcuno che viene da casa.
Casa. Quattro lettere, un mondo racchiuso in quattro punti cardinali.
-e...?
-e?
-c'è altro, vero?- quel bastardo era un po' troppo bravo a conoscere la gente. In due settimane lo capiva già meglio della maggior parte delle persone, e la cosa era fastidiosa.
Sospirò -è... sono anni che sogno il mio ritorno a casa, che penso al trono di mio nonno. E ora che stiamo facendo i primi passi per raggiungerlo...- non riuscì a continuare.
-hai paura- concluse Antonio.
Lovino rimase in silenzio per un po', senza il coraggio di spezzare il silenzio. Ci pensò suo marito.
-non ti preoccupare. La strada è lunga, non voglio illuderti, ma ti riporterò a casa. Ho giurato di renderti felice, no?
Il ragazzo grugnì. Poi sospirò -è che... non sono neanche così sicuro di volerci tornare, a casa.
Antonio aggrottò la fronte -in che senso?
-solo...- prese a giocherellare con le sue dita, nervoso. Sospirò -governare non è semplice, e soprattutto non è semplice governare mezzo mondo. E non so se voglio, o posso, sostenere una responsabilità simile. Feli non ricorda bene, ma io più o meno sì... a volte sogno il nonno, e sono i miei incubi peggiori. Lui... non stava molto... bene, ecco. Era stressato, e credo che lo stress lo abbia fatto... crollare- l'ultima parola fu poco più di un sussurro. Non ne aveva mai parlato a nessuno -e sono ancora incazzato per la sua morte, non ti credere. Ho solo dei ricordi vaghi e degli strascichi di sogni, ma ogni volta che mi sveglio dicendo il suo nome non riesco a non chiedermi se non abbiano fatto bene. E non voglio diventare come forse era lui, costretto ad allontanare le persone che ama, schiacciato da un potere troppo grande per una persona sola. Odio le battaglie, le guerre...- la sua voce si spezzò. Ricacciò le lacrime -e odio l'idea che qualcuno soffra o muoia per me. E se dovesse succedere qualcosa a Feli per colpa mia... cazzo. Vorrei... sì insomma, qui sono felice, credo. Ho mio fratello, te e delle persone che sembrano buone. Non... forse è una cosa infantile, ma mi piacerebbe un mondo dove tutti possono passare il loro tempo così, ad arrabbiarsi per le cavolate e a guardare il mare- sospirò, stringendolo -a volte non capisco se voglio il trono o sento di doverlo volere, ecco.
-oh, Lovi...- lo baciò sulla testa, cullandolo. Il ragazzo sentì le palpebre farsi pesanti -sei così... così puro e dolce. Mi dispiace spezzarti il cuore, ma un mondo così... no, non penso sia possibile.
-lo so benissimo, bastardo.
-ma, se avrai il trono, potrai provare a costruirlo.
Lovino inarcò un sopracciglio, per quanto il sonno glielo permettesse -tramite una dittatura?
-dittatura? No no. Un dittatore è qualcuno non amato dal popolo, ma ti adoreranno tutti, come potrebbero non farlo? Sei così adorabile e buono.
Lovino scosse la testa -no. I dittatori spesso sono adorati... ma dittatori rimangono- trattenne uno sbadiglio.
Antonio sorrise intenerito -ma le persone non li percepiscono come tali- lo baciò sulla fronte -ora non ci pensare, amore mio- lo prese in braccio a mo' di sposa, e Lovino non ebbe la forza di mandarlo a fanculo. Si appoggiò alla sua spalla, chiudendo gli occhi. Dal dondolio leggero, intuì che suo marito lo stava riportando a letto.
Lovino forse avrebbe protestato dicendo che voleva stare ancora in spiaggia, ma ormai era andato, e stava per crollare definitivamente. Mentre lasciava scivolare via la sua coscienza, sperò di fare dei bei sogni.

Feliciano si era aspettato di più, sinceramente. Pensava ci sarebbero state decine di navi enormi, con vele gigantesche finemente decorate, soldati ovunque, armature eleganti...
Invece la nave era una, e neanche tanto grossa, con solo una vela.
"Be'" pensò "in effetti se sono qui di nascosto non avrebbero potuto portare chissà quante navi... però peccato, speravo in un'entrata in scena più figa".
Sospirò -fratellone, possiamo andare?
Lovino, che stava osservando la scena, scosse la testa -aspetta.
Quella mattina, suo fratello lo aveva trascinato via non appena le navi erano state in vista. Dove? Su una piccola collina lì vicino, insieme a tutti i lupi.
-si può sapere che vuoi fare?
Lovino gli rivolse un sorriso furbo -vuoi fare la tua porca figura o no? Sali su un lupo, sbrigati- e, senza aspettarlo, salì sul suo lupo solito, quello più grande e maestoso. Feliciano roteò gli occhi divertito e salì sul lupo più vicino, uno di medie dimensioni. Venezia, ancora troppo piccola per reggere il suo peso, lo raggiunse e gli strusciò il muso contro la mano, alla ricerca di coccole. Ridacchiò e le accarezzò la testolina, facendola scondinzolare.
Intanto, giù in spiaggia, Antonio stava sbrigando i convenevoli. Dopo varie manovre, i suoi alleati erano scesi in spiaggia, e mentre alcuni uomini si occupavano della nave il capotribù si avvicinò ai suoi ospiti con un sorriso.
-benvenuti!- chinò la testa. Quelli lo guardarono, confusi. Trattenne un risolino, e il resto lo sussurrò -dovreste abbassare anche voi la nuca, sarebbe una mancanza di rispetto altrimenti. A me non importa molto di queste tradizioni, ma gli altri ci tengono molto...
Quelli sgranarono gli occhi e obbedirono. Allora il capotribù sollevò il capo e si concesse qualche secondo per osservarli. Uno era un biondo vestito elegantemente, il più basso del gruppo, con la pelle un po' più scura degli altri (ma comunque molto chiara), gli occhi azzurri e una smorfia di fastidio alla vista di come la sabbia stesse imbrattando le sue scarpe. Il secondo era un ragazzino, ma era impressionante. Di qualche centimetro più alto di Antonio, non doveva avere più di sedici anni, eppure sembrava già un guerriero esperto, ed era più muscoloso di parecchi suoi soldati; nonostante fosse il più giovane era anche il più serio, e si guardava intorno un po' curioso e un po' guardingo. Il terzo, infine, era pallido come la neve (anche se Antonio l'aveva vista molto di rado), con i capelli del medesimo colore e gli occhi rossi, e aveva un sorrisetto irriverente sulla bocca. Tuttavia era sull'attenti, con una mano vicino alla spada che portava al fianco.
Sorrise maggiormente -ottimo! Vi do il benvenuto a Essos, spero che la nostra alleanza sarà proficua per tutti.
Il biondo muscoloso annuì -lo speriamo anche noi, e vi ringraziamo per l'ospitalità.
Annuì -è un onore- si girò verso il suo popolo -ora, mio marito dovrebbe essere qui intorno...
Si sentì un ululato così potente da far tremare la terra. Antonio si trattenne dal roteare gli occhi, divertito.
Quattordici metalupi scesero lungo una collina lì vicino, e in meno di dieci secondi furono al loro fianco. Uno spettacolo a dir poco impressionante. Sul lupo più grosso, Lovino rivolse un sorriso freddo ai loro ospiti -ciao.
Venezia e Roma ringhiarono ai tre delegati, ma Lovino schioccò le dita, e quelle tacquero.
-scusatele- guardò il ragazzo più giovane mentre parlava, quello che più somigliava al nonno, con aria tutt'altro che dispiaciuta -percepiscono il sangue del traditore.
Il ragazzo, a onor del vero, non sembrò intimorito. Inarcò un sopracciglio -e il sangue del pazzo non lo percepiscono?
-del pazzo che ha conquistato mezzo mondo? Non dà loro fastidio, tutt'altro- scese dal lupo, elegantemente, atterrando in piedi, e affiancò suo marito, che gli prese delicatamente la mano -scusate il ritardo- e, di nuovo, non sembrava dispiaciuto. Antonio trattenne un sorriso, quel lato del suo compagno non gli dispiaceva per niente. Puntò lo sguardo su Feliciano, anche lui sceso dal suo lupo, che stava osservando anche lui il ragazzo biondo, ma con tutto tranne che astio.
"Se il mio Lovi non fosse impegnato a guardare male quel ragazzo" pensò con ironia "probabilmente starebbe facendo una bella lavata di capo a Feli"
Feliciano che, tanto per la cronaca, stava squadrando da capo a piedi, su e giù, il bel teutonico, con un labbro premuto tra i denti e un sorrisino compiaciuto.
Qui finisce male.
L'albino, tra tutti, sembrava il più divertito. Scoppiò a ridere -che inizio promettente!

Fu un inizio promettente davvero. Dopo un breve pranzo e un rapido giro di presentazioni, cominciarono le trattative.
Lovino, a dirla tutta, non ascoltò quasi niente di tutta quella roba noiosa, impegnato piuttosto ad accarezzare la sua Roma e a intrecciarle il pelo in delle treccine, per poi scioglierle. Feliciano, invece, passò il suo tempo ad osservare Ludwig, affascinato.
Da bambini erano amici, e questo se lo ricordava bene. Amici... forse anche un po' di più. Poi c'era stata la guerra e per anni non si erano rivisti, ma quella nuova versione del teutonico non gli dispiaceva per niente, anzi... si morse il labbro, era diventato davvero bello. Doveva provarci, decisamente.
Quando il sole cominciò a tramontare, si offrì di accompagnare i loro ospiti alla loro tenda. Suo fratello lo incenerì con lo sguardo.
-non ci pensare nea...
-fantastico, grazie Feli!- lo interruppe Antonio, con un ampio sorriso. Lovino incenerì suo marito con lo sguardo, ma prima che potesse dire qualsiasi altra cosa Feliciano uscì, seguito dagli altri tre.
-la tenda del capo è al centro- spiegò -in modo che tutti possano vederlo e che lui possa vedere tutti. Ma, per tradizione, gli incontri con persone al di fuori della tribù si tengono fuori dal villaggio, in una tenda a parte, nel punto dove si è richiesta l'udienza. Nel vostro caso, come avete visto, nella spiaggia, proprio dove siete arrivati.
Ludwig annuì, interessato. Feliciano non guardò gli altri due, non gli interessavano granché.
-la vostra tenda sarà vicino a quella di Antonio, comunque, perché simbolicamente siete sotto la sua ala protettiva o qualcosa del genere.
-e... non poteva accompagnarci lui?- intervenne Gilbert. Feliciano scrollò le spalle.
-conoscendo mio fratello, avranno da discutere di alcune cose- si girò verso di loro e fece l'occhiolino, camminando all'indietro -se sentiste delle urla non vi preoccupate, o è mio fratello che fa l'isterico o stanno facendo sesso. Di solito le due cose si accompagnano- si girò, dando loro le spalle. Guardò di sbieco Ludwig, curioso -vi infastidisce la questione del loro matrimonio?
Sentì la risata di Gilbert alle proprie spalle -sinceramente? Buon per loro! Non dev'essere male avere qualcuno di così bello al proprio fianco, no?
L'altro biondo, Francis, scrollò le spalle -non sono un fan dei matrimoni in generale, quindi la cosa non mi tocca più di tanto- sembrò perdersi nei propri pensieri, con espressione abbattuta. Feliciano si girò verso Ludwig, curioso -e voi? Che ne pensate?- si morse il labbro, voleva una risposta. Il biondo sembrò a disagio, alzò le spalle.
-perché dovrebbe infastidirmi? Sono affari loro quello che fanno a letto.
Feliciano sorrise, con una risatina -be', a molti sembra importare fin troppo. Non tanto qui, ma a casa dicevano che fosse una cosa orribile, anche se non capisco perché. Lovino è così contento.
Ludwig scrollò nuovamente le spalle, leggermente rosso -non ho mai capito perché tutto questo accanimento... non mi pare che si chieda a due sposi che combina nel letto nuziale.
Feliciano aumentò il sorriso. Non poteva sperare di meglio. Rise -esattamente!- si fermò e indicò la tenda davanti a sé -questa è la tenda di Antonio e di mio fratello- ne indicò una lì affianco, un po' più bassa -questa è la vostra.
-tu dove dormi?- intervenne Gilbert, che proprio non ce la faceva a dare del voi a quel ragazzino, non quando lo aveva visto alto meno di un metro, a girare per un palazzo così enorme sulle sue gambette grassocce, con la sua cucciola di cane al fianco. Almeno... Gilbert aveva pensato fosse una cagnolina. Scrutando la lupa che camminava al loro fianco, si rese conto di quanto fosse stato stupido.
Feliciano indicò una piccola tenda davanti alla loro -lì.
-i lupi dove dormono?- si interessò Ludwig -devono essere costosi da mantenere.
Feliciano scosse la testa, ridacchiando -sono creature libere. Qui hanno tutto lo spazio che vogliono per cacciare, si procurano da sé il cibo. Alcuni dormono con me, altri preferiscono dormire nell'erba. Al richiamo di mio fratello però rispondono sempre- spettinò la testolina della sua Venezia, che gli mostrò i denti. Ludwig inizialmente si allarmò, poi si rese conto che era il suo modo di sorridere -tranne Venezia. Lei risponde a me, ma all'occorrenza anche a Lovi- sorrise a Ludwig -volete accarezzarla? Da piccolo adoravate i cani, o sbaglio?
Il ragazzo sembrò spaventato. Scosse la testa -uhm, sì... cioé sì, mi piacciono i cani, ma i vostri animali... uhm...- deglutì -temo di non stare loro molto simpatico.
Francis afferrò l'amico per un braccio e fece cenno di entrare nella loro tenda. Un po' riluttante, Gilbert obbedì.
Feliciano si intenerì e scosse la testa -ma no, figuratevi. La mia Venezia è dolcissima, vi assicuro che non vi morderebbe mai, a meno che non sia provocata, s'intende- gli prese la mano, con un sorriso dolce -quindi? Vi va? Posso tenervi la mano se vi fa stare più tranquillo.
La pelle di Ludwig era fredda, notò. Al solo pensiero di sentire quelle dita rincorrersi lungo la sua schiena, scendendo lentamente, Feliciano ebbe un brivido, il quale si fiondò giù dalla sua colonna vertebrale, scaldandogli il ventre. Quando lo vide annuire, con le guance adorabilmente rosse, portò le loro mani sul pelo della lupacchiotta, che ubbidiente si fece accarezzare. Gli sorrise -visto? Non c'è da aver paura- le fece qualche grattino sotto al mento -i lupi sembrano tanto spaventosi, ma in realtà sono buonissimi. Mi ricordano un po' mio fratello, a essere onesti.
Ludwig grugnì -lui invece mi odia proprio.
Feliciano ridacchiò -mi sa proprio di sì- fece scorrere il palmo sul pelo della cucciola, fino ad appoggiarlo sul dorso della mano dell'altro. Intrecciò dita con le sue, scrutandolo -anche voi sembrate spaventoso, sapete? Però credo che, come Venezia, sotto sotto siate molto dolce- gli si avvicinò, stringendogli la mano. Aveva un profumo buonissimo... -o mi sbaglio?
Ludwig arrossì maggiormente, e distolse lo sguardo -io, uhm...- allontanò la mano -credo di... dover andare.
Feliciano cercò di non mostrarsi troppo deluso. Poi si disse che ne aveva tutto il diritto. Sforzò un sorriso e fece un passo indietro -certo. Immagino siate stanco per il viaggio- Ludwig annuì -certo. Mi congedo- però una vittoria voleva prendersela. Annullò la distanza tra loro, si mise in punta di piedi e gli stampò un bacio sulla guancia, e il resto della frase fu poco più di un sussurro -ci vediamo a cena...
E se ne andò, beandosi del suo viso rosso.

-se quel bastardo crucco traditore faccia da cazzo non si stacca da mio fratello lo faccio sbranare dai cani- sibilò Lovino a cena, fissando con odio uno dei loro alleati dall'altra parte del tavolo. Antonio ridacchiò e lo strinse a sé.
-penso che sia tuo fratello a stargli appiccicato, mio sole e stelle.
-dettagli. Lui non lo sta allontanando. Io lo uccido.
-su, amore, stanno facendo amicizia.
Lovino lo incenerì con lo sguardo, ma almeno aveva smesso di guardare male il teutonico -amicizia? Amicizia?! Quello vuole violentare il mio fratellino!
Antonio si sporse a guardare i due -no, sono abbastanza sicuro che sia il contrario.
Lovino gli diede un pugno sulla spalla -coglione.
-io li trovo carini.
-tu sei un idiota.
Meglio distrarlo prima di rischiare un incidente diplomatico, pensò Antonio. Fece scivolare una mano dietro alla nuca di suo marito e se lo tirò contro per baciarlo a bocca aperta.
Lovino protestò a mezza voce, ma dopo qualche secondo si lasciò andare, alzando gli occhi al cielo.
-sei il capo qui- gli disse allontanandolo da sé -non possiamo appartarci come due adolescenti.
Antonio abbozzò un sorriso -chi ha parlato di appartarci?
-non scoperemo davanti a tutti.
-non ho mai parlato di fare l'amore, amore.
-se mi ficchi la lingua in gola così o volevi assaggiare i miei polmoni o hai in mente altro, non pensare che non lo sappia- lo baciò a stampo, con una mano sulla sua coscia -o ancora volevi distrarmi dal bastardo violentatore di fratelli minori.
Antonio gli sorrise -amo la tua intelligenza.
-seh, perché a te manca- si allontanò da lui e tornò a guardare male il... -dove cazzo sono finiti?!

Feliciano non aveva aspettato altro che una distrazione. Non appena Lovino aveva distolto lo sguardo, aveva afferrato Ludwig per mano e gli aveva chiesto di parlare in privato, trascinandolo lontano, verso la sua tenda, senza neanche aspettare una risposta.
Venezia li seguì, scodinzolando.
-di cosa mi volevate parlare?
Feliciano si sedette sul suo letto, accarezzando la sua lupetta -possiamo darci del tu?
Ludwig sembrò a disagio -certo, come preferit... come preferisci.
Feliciano sospirò e gli strinse la mano -volevo fare chiarezza su alcune... cose.
-dimmi.
-ecco... ti... ti ricordi quando eravamo bambini? Durante la guerra?
Un bacio. C'era stato un bacio dolce come una nuvola, delicato come un fiore, il primo per entrambi, tanti anni addietro. Feliciano non aveva mai smesso di pensarci. Per quanto ne dicesse, quello che c'era stato tra loro gli era rimasto nel cuore come un coltello di ghiaccio nel petto, e ora che ce l'aveva davanti, ora che l'aveva rivisto dopo tanti anni quando si era rassegnato a non rivederlo più, voleva capire se quel bacio avesse significato qualcosa anche per lui, voleva sapere se il suo cuore era spezzato o se invece la sua attesa aveva un senso.
Gli strinse la mano e lo invitò a sedersi al suo fianco -io non ho dimenticato niente. E mi chiedevo se anche tu...
E fu un istante. Le guance di Ludwig si scaldarono e Feliciano capì, in un istante, che c'era speranza. Le labbra di Ludwig si tesero, si scontrarono, si ritirarono per poi tornare un poco più rosse e ancora più invitanti e poi si schiusero per farne uscire un sospiro che fece traboccare il cuore di Feliciano di gioia -sì. Sì, ricordo anch'io. Per quanto ci abbia provato, non sono riuscito a dimenticare neanche un istante.
Feliciano gli si avvicinò leggermente -avresti voluto dimenticarmi- gli sussurrò -per andare avanti? O perché sono la progenie del pazzo? O perché consideri immorale ciò che senti?
-perché mi sentivo in colpa- replicò. Feliciano sentì una mano sul fianco e si impose di non tremare -e perché mi distrai. Non riesco a lavorare per bene se penso a te e a quanto sei...- si interruppe.
Feliciano gli sorrise -non si vive per lavorare. Le distrazioni fanno bene- allacciò le braccia intorno al suo collo e se lo avvicinò, era a un soffio dalle sue labbra, si sentì prendere fuoco -considero un onore essere rimasto nei tuoi pensieri così a lungo.
Avrebbe voluto dire tante cose. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, farsi raccontare per filo e per segno come fosse cambiata casa sua, casa loro, chiedergli se ci fossero state altre persone e come avesse cercato di dimenticarlo, per poi raccontargli tante, tantissime cose, e confrontare i modi in cui avevano provato a dimenticarsi a vicenda e come avessero fallito. Avrebbe voluto dire qualche frase a effetto, ma non ebbe il tempo. Perché, sulla "e" di "tempo" quel filo che li aveva attirati l'uno all'altro fin da bambini li spinse l'uno verso l'altro e finalmente si baciarono, sentendo le rispettive guance bruciare e lo stomaco esplodere.
Partì come quello che si erano dati da bambini. Iniziò così  e per pochi secondi lo rimase, un semplice bacio a stampo, puro e casto. Poi Feliciano schiuse le labbra e da lì la situazione cambiò drasticamente. Fatto sta che in trenta secondi si ritrovarono completamente addosso all'altro, con le labbra che, malinconiche dopo non essersi sentite per anni, si incontrarono e si scontrarono incessantemente. Feliciano era seduto sulle sue gambe, con le mani tra i capelli biondi dell'altro e le sue mani sulle proprie cosce e forse sarebbero dovuti tornare dagli altri prima che suo fratello facesse una scenata, ma poi Ludwig gli morse il labbro e tutto perse di significato.
L'unico motivo per cui si allontanarono era perché qualcuno passò affianco alla tenda e Ludwig si staccò, forse per paura di venire beccati. Feliciano cercò di non mostrarsi troppo irritato, in fondo erano nella tenda, chi avrebbe dovuto vederli?, ma poi si rese conto che non era qualcuno, ma l'intero villaggio che se ne stava tornando nelle proprie tende. Sgranò gli occhi.
-oh, dev'essere finita la cena- scese dalle sue gambe e lo scrutò, cercando di intuire i suoi pensieri. Ludwig sembrava qualcuno sull'orlo del panico -uhm... tutto a posto?
-sì- si alzò in piedi -sì, è tutto perfetto- espirò profodamente -credo di... di dover andare. Mio fratello sarà preoccupato e non voglio che il tuo...- lasciò in sospeso il resto della frase. Scosse ma testa -devo andare. Scusa, vorrei...- di nuovo in sospeso -vado. Sì, tolgo il disturbo.
Feliciano si posò le dita sulle labbra, che ancora formicolavano per il bacio. Si alzò in piedi e lo trattenne per la giacca, mettendosi in punta di piedi per baciarlo nuovamente, con più calma.
-stanotte- gli sussurrò, accarezzandogli la guancia leggermente velata di barba -se vuoi puoi venire qui, mentre tutti dormono- Ludwig lo baciò, interrompendolo a metà.
-se non è un problema...
Feliciano sorrise, intenerito -se te l'ho chiesto non è un problema- lo baciò ancora, poi si allontanò -allora a dopo.
-a... a dopo- e uscì, un po' barcollante, dalla tenda.
Feliciano si buttò sul letto, nascondendo il viso nel cuscino. Dondolò le gambe in aria, contento. Aveva ancora il sapore di Ludwig in bocca. Chiuse gli occhi, non vedeva l'ora che arrivasse quella notte.
Quel momento di pace adolescenziale fu interrotta dall'arrivo di una furia.
-tu ora mi dici che cazzo avete fatto tu e il crucco- Feliciano si sentì tirare su da suo fratello, furioso. Antonio, alle spalle di suo marito, abbozzò un sorriso di scuse.
-l'ho trattenuto il più possibile.
-io e te facciamo i conti dopo. Ora fuori dai coglioni, c'è bisogno di una riunione tra fratelli.
Antonio rise e gli stampò un bacio sulla tempia prima di andarsene -vado dagli ospiti, se mi cerchi sono con loro, querido.
-sì sì, sticazzi- quando fu uscito, Lovino si sedette accanto al fratello e gli strinse la mano -lo sai che se t'ha messo le mani addosso basta dirlo e lo rispedisco a Westeros a calci in culo, vero?
-ci siamo baciati!- lo abbracciò di slancio, contentissimo. Lovino sbuffò.
-tu eri consenziente?
-sì! È stato bellissimo!
-ma che palle, ora non ho più la scusa per picchiarlo.
Feliciano rise -non picchiare il mio uomo- su quel punto era serio. Lovino alzò gli occhi al cielo.
-come ti pare. Dai, racconta, si vede che non vedi l'ora.
Feliciano si lasciò sfuggire una risatina e si mise a raccontare, entusiasta -l'ho portato qui perché volevo chiedergli se si ricordasse di quanto eravamo bambini e...
-ancora quel bacio?- Lovino sospirò, irritato -ci sei stato da cani. Gli conviene ricordarselo.
-sì che se lo ricordava! E... e abbiamo parlato per un po' ed eravamo vicini, vicinissimi, e poi mi ha baciato ed è stato stupendo!
-sembri una ragazzina- commentò Lovino -ma a stampo o...
Feliciano si morse il labbro inferiore -all'inizio...- ammise -poi... ecco...
-ah, ecco perché sei così contento. Basta che non gli dai il culo subito.
-perché no?
Lovino lo incenerì con lo sguardo -perché l'hai appena conosciuto.
-veramente no. E poi tu e Antonio...
-io e Antonio siamo sposati. È diverso.
-sì, perché io Ludwig lo conosco da anni.
Lovino sbuffò -eravate bambini. La gente cambia in tanti anni.
-se anche facessi l'amore con lui, a te che te ne frega scusa?
-sei mio fratello, certo che mi frega. Puoi fare quel che vuoi, ti sto solo dicendo di stare attento a non darti al primo che passa solo perché hai gli ormoni a mille. Non mi va di vederti con il cuore spezzato.
-ma lo amo.
Lovino alzò gli occhi al cielo -hai quattordici anni ed è la tua prima esperienza. Non andare troppo di corsa, mh?
-anche Antonio è la tua prima esperienza, ma non mi pare che tu ti stia contenendo.
Lo sguardo di Lovino si fece gelido -io e Antonio siamo sposati, e se l'ho sposato è anche per te, perché voglio farti tornare a casa.
-scusa tanto se non voglio andare con uno sconosciuto per una guerra del cazzo ma voglio vivere la prima volta con una persona che amo!
Lovino sembrò fare un concreto sforzo per non dargli un pugno. Si alzò, lasciandogli la mano -è per questo che ti sto dicendo di avere pazienza e non darti al primo che passa.
Feliciano sentì la rabbia svanire. Ebbe voglia di darsi un pugno da solo -fratellone...
-vado nella mia tenda. Se mi cerchi sono lì- e uscì, senza dargli tempo di scusarsi. Feliciano sospirò.
-sono un coglione- e dirlo ad alta voce lo fece sentire un po' meglio.

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Capitolo 6
*** Odio dare ragione al vecchio ***


Non appena fu entrato nella loro tenda, Gilbert si fiondò sul fratellino.
-allora? Che avete fatto tu e Feliciano?
Ludwig cercò di non mostrarsi spaventato -ehm... niente di che...
-ma fammi il piacere! È da quando siamo arrivati che quel ragazzino ci prova con te. Non è vero, Fran?
Francis, buttato sul suo letto di paglia con aria depressa, annuì -oui.
-visto? Dai, racconta al tuo fratellone!
-abbiamo solo parlato- mentì Ludwig, raggiungendo il suo letto e togliendosi la pelliccia. Lì faceva decisamente troppo caldo, ma non aveva vestiti più adatti.
-e cosa vi siete detti? Cosa vi siete detti?- Gilbert sembrava un bambino davanti a un nuovo giocattolo.
-la cosa non ti riguarda.
-eddai, non farti pregare. Sono sempre tuo...
-è permesso?- intervenne una voce dall'esterno.
-avanti- sbuffò Francis, sollevando la testa dal suo cuscino.
Antonio fece capolino dalla porta -ciao. Vi andrebbe di bere qualcosa? Se dobbiamo passare del tempo insieme, tanto vale fare amicizia.
Gilbert lo indicò -questo, signori, è il tipo di approccio che mi piace. Che alcolici avete qui ad Essos?
-alcolici buoni- rispose il capotribù, con un sorriso.
-i miei preferiti- lo raggiunse all'ingresso della tenda e si voltò a guardare i compagni -voi? Venite?
-arrivo- Francis si alzò in piedi e raggiunse gli altri due -ho decisamente bisogno di bere stasera.
-Ludwig?
-non vengo, sono molto stanco- replicò Ludwig -ma grazie dell'invito.
Gilbert sbuffò -che palle che sei. Non aspettarci sveglio- e uscì dalla tenda, fischiettando. Si rivolse al capotribù -allora, avete delle locande o qualcosa del genere qui?
-c'è una tenda apposita per chi ha voglia di bere- rispose Antonio, guidandoli attraverso il campo -è sempre la più esterna, per evitare che eventuali urla disturbino gli altri.
-siete proprio organizzatissimi, eh?
Il moro abbozzò un sorriso -è anche la più lontana dai bambini, se è per questo. Ci manca solo che si ubriachino da infanti.
-mi sembra giusto- l'albino diede una gomitata all'amico -Francis si può sapere che hai? È tutta la sera che sei depresso.
Francis sospirò, volgendo lo sguardo verso il cielo -un cuore infranto, presumo. Mi manca il mio amore.
-oh, che palle che sei- Gilbert gli diede una pacca sulla spalla, rischiando di farlo cadere -divertiti un po' tra amici, su. Ieri non eri così.
-vedere un amore sbocciare mi ha ricordato il mio- sospirò.
-parli di Felì?- Antonio entrò in una tenda, salutando quello che noi definiremmo un barista -in effetti lui e Ludwig sono carini, ma temo che il mio Lovi non sia molto contento del loro affetto.
-stava fumando di rabbia- ribatté Gilbert, sedendosi al primo tavolo disponibile -senza offesa eh, non sto insultando il tuo maritino.
Antonio scrollò le spalle, ridacchiando -non hai tutti i torti. È leggermente... possessivo. Non che lo biasimi, ha praticamente cresciuto lui suo fratello da quando... be', per un bel po' di tempo. Ma parliamo di cose più allegre- il barista portò loro alcuni bicchieri. Antonio sorrise -avete mai assaggiato la sangria?
-c'è della frutta- notò Francis -è normale?
-certo! È lì il bello. Bevi e mangi insieme.
-è forte?- domandò Gilbert.
-abbastanza.
-allora mi piace- e si scolò mezzo bicchiere.

Feliciano uscì dalla sua tenda in punta di piedi, sgattaiolando in quella di suo fratello. Si intrufolò sotto le coperte e abbracciò Lovino, nascondendosi contro il suo petto. Chiuse gli occhi -scusa. Sono stato uno stronzo.
Lovino sospirò, mettendo da parte il suo libro, e si mise ad accarezzargli i capelli -aveva ragione il nonno quando diceva che noi due adolescenti saremmo stati la sua rovina. Non ci pensare, è normale essere teste di cazzo alla tua età.
-non volevo dire quelle cose. Apprezzo quello che fai, davvero.
-lo so, Feli, non preoccuparti- sbuffò una risata -ti ricordi com'ero io a quattordici anni, no?
-come sei anche ora vorrai dire- replicò Feliciano, abbozzando un sorriso.
-fottiti, mi sono ammansito. Prima ero peggio. Litigavo di continuo con l'amico del nonno, ricordi?
Feliciano annuì, appoggiandosi alla sua spalla -dicevi che doveva lasciarti stare e che non te ne fregava nulla di un popolo di barbari.
Lovino sospirò, divertito -be', ora sono la regina di quei barbari, quindi presumo che dovrei ringraziarlo.
-non sei la...
-praticamente sì- meglio cambiare discorso -quindi con il crucco...
Feliciano decise di dargli corda -ci siamo baciati- ripeté.
-con la lingua?
Feliciano si sentì arrossire, ma annuì -sì.
-e... avete fatto altro?
-no.
-oh be', ho la sensazione che stanotte vi rifarete.
Feliciano lo guardò, con gli occhi sgranati -e tu che ne sai?
Lovino alzò gli occhi al cielo -ti prego. Siete due adolescenti che si piacciono e si sono baciati di nascosto in una tenda. Pensi che mi beva che ve ne starete mano nella mano a darvi baci sulle guance e a parlare di politica?
-sì ma... che ne sai che sarà stasera?
-l'ho già detto che siete adolescenti, vero?- gli scostò un ciuffo dal viso, divertito -non avete pazienza, voi.
-guarda che non sei tanto più grande- brontolò Feliciano -due anni non sono tanti.
-due anni sono un abisso incolmabile.
-gne gne- Feliciano si lasciò sfuggire una domanda -con Antonio...
-non so se lo amo- lo interruppe, sapendo dove volesse andare a parare -insomma... lo conosco da poco, no? E considerando che mi ha quasi comprato non so se...
-lo sottovaluti- replicò Feliciano -cioé... non penso l'abbia intesa in quel modo. Non ti ha comprato.
-no, ma non puoi venirmi a dire che il nostro è un matrimonio fatto per amore.
-però potrebbe diventarlo. Non puoi impedirti di innamorarti di lui perché hai paura.
-io non ho...
-oh sì, tu hai paura. Hai paura che ti tradisca, che ti scarichi, che ti spezzi il cuore e tu debba rimanergli affianco comunque. E lo capisco, ma Antonio non mi sembra il tipo, sinceramente. E poi puoi sempre farlo sbranare dai cani.
Lovino abbozzò un sorriso, poi sospirò -su, vai dal crucco. E non fate rumore, ché mi tocca sentirvi.
Feliciano rise -tranquillo, non penso che faremo l'amore. Ci sbaciucchieremo un po'.
-basta che lo facciate in silenzio.
Feliciano lo baciò sulla guancia, stringendolo forte a sé -grazie, fratellone. Ti voglio tanto, tanto bene.
-sì, sì. Mo vai, divertiti.
Quando Feliciano rientrò nella sua tenda, più tranquillo, trovò, a guardarsi intorno come un ladro colto sul fatto, Ludwig, visibilmente a disagio.
-ciao. Sono in anticipo o...
Lo baciò. Gli strinse il viso tra le mani, lo fece abbassare e lo baciò. Semplicemente.
Il biondò sembrò più tranquillo -presumo sia un no.
Feliciano gli sorrise -è un "mi sei mancato"- lo baciò ancora e lo sospinse verso il letto. Ludwig si sedette e lasciò che quello si sistemasse sul suo grembo, con le guance rosse e il cuore impazzito.
Feliciano gli prese le mani, grandi e callose, sistemandosele sui fianchi. Rise contro le sue labbra e gli strinse i capelli, tirandoglieli leggermente. Sospirò -Ludwig...- quello tornò a baciarlo, con forza, schiudendogli le labbra e facendolo gemere leggermente.
-uhm... che facciamo stasera?- chiese il biondo, imbarazzato. Feliciano gli accarezzò la guancia, intenerito.
-ci baciamo, che ne dici? Non... non me la sento di fare altro.
-sì sì certo, non mi interessa... quello- gli accarezzò i fianchi, facendolo sorridere -mi... mi interessi tu.
Feliciano lo baciò. Posò la fronte contro la sua, perdendosi nei suoi occhi azzurri come in un lago d'inverno -dormi con me stanotte?- domandò -solo dormire. Come quando eravamo piccoli. Ti va?
Ludwig annuì, stringendogli la mano -va bene.
Era una pessima idea. Avrebbero potuto beccarli, suo fratello di sicuro se ne sarebbe accorto, se li avesse beccati il fratello di Feliciano sarebbero stati nella merda, o così pensava, ma ormai era talmente perso in quegli occhi nocciola che non riuscì a non dire di sì.

Antonio rientrò a tarda notte, ma non era particolarmente brillo. Gilbert aveva bevuto parecchio, fino a svenire mormorando qualcosa su una certa Eliza. Francis anche aveva bevuto molto, ma era rimasto cosciente abbastanza da intrattenere una conversazione quasi decente. Lui invece aveva bevuto giusto un paio di bicchieri, visto che qualcuno doveva pur fare quello responsabile e non gli andava di farsi vedere ubriaco da Lovino. A proposito di suo marito... dopo essersi spogliato della corona si intrufolò nel letto con lui, abbracciandolo da dietro e inspirando il suo profumo. Mmmh, gli era mancato.
Antonio pensava che il suo querido stesse dormendo, invece quello si girò tra le sue braccia e lo baciò, sorprendendolo.
-ti ho svegliato?- sussurrò il più grande -scusa.
-no, non riuscivo a dormire- replicò Lovino, nascondendo il viso contro la sua spalla nuda -com'è andata con gli altri? Sai di alcool.
-ho bevuto un paio di bicchieri- ammise, accarezzandogli la schiena al di sotto della sua veste -ma nulla di più.
-va bene- Lovino lo baciò sul petto, in un punto a caso sotto la spalla. Era strano, stabilì Antonio. Cercò di intercettare il suo sguardo, ma quello lo evitò accuratamente -buonanotte.
-tutto a posto?- gli sollevò il viso con due dita, costringendolo a incontrare il suo sguardo. Sì, aveva decisamente gli occhi lucidi -hai pianto, mi amor?
-no, io...- sospirò, esasperato -una litigata con Feliciano. Niente di che, abbiamo fatto pace.
-e allora perché sei ancora in lacrime?- gli stampò un bacio, intrecciando le mani con le sue -parlami, Lovi. Puoi dirmi tutto, lo sai.
-non è niente. Solo un... un battibecco- si girò dall'altra parte, abbracciando il suo cuscino -buonanotte.
Antonio lo abbracciò da dietro, sussurrandogli all'orecchio -Lovi? Lo so che qualcosa non va. Puoi parlarmene, davvero. Qualcuno ti ha fatto del male? Ho fatto qualcosa di sbagliato?
-no- Lovino sospirò -non è colpa tua. Te l'ho detto, ho solo litigato con Feliciano.
-riguardo a cosa?
-al crucco- sospirò -è una cosa stupida, lascia stare.
-se fosse una cosa stupida non avresti pianto.
-ti ho detto che non è niente.
-Lovino- gli strinse la mano -non devi nasconderti. Mi importa di te, davvero.
Mi importa di te.
Non me l'aveva mai detto nessuno prima.
Era troppo stanco per protestare ancora. Aveva sonno, voleva dormire, e soprattutto era stanco di nascondere e negare sempre tutto. La voce gli uscì tremula -ho paura- quel sussurro faceva schifo. Sentì suo nonno rivoltarsi nella tomba, anche se dubitava gliene avessero dedicata una. I Vargas non hanno mai paura -ho paura di innamorarmi di te- sì, aveva decisamente la voce troppo tremula. Era una cosa così stupida... piantò la testa contro la sua spalla -come faccio ad amarti se so che tra poco potresti morire per colpa mia? Ne uscirei devastato e... e non posso permettermelo, non di nuovo.
Antonio sentì una tenerezza infinita. Lo strinse, baciandolo sulla testa -oh, Lovi... sei così dolce. Ma è proprio perché potrei morire presto che, se mi ami, devi approfittarne. Vivere con il rimpianto è anche peggio che soffrire dopo aver vissuto al meglio ogni singolo giorno.
-non può mancarti ciò che non conosci- mormorò Lovino, a capo chino -non può mancarmi l'amore di qualcuno se non lo provo prima.
-ma ti mancherà non averlo fatto- qualcosa di umido si scontrò contro la sua pelle -cos'ha più valore: la gioia più grande e il dolore maggiore, o l'ignoranza?
-l'ignoranza è beata.
-e i sentimenti sono ciò che ci rendono umani. Soprattutto quelli forti. Soprattutto il dolore.
Lovino si lasciò scappare un singhiozzo e sollevò lo sguardo su suo marito. Antonio gli sorrideva, dolcemente, accarezzandogli la guancia.
-i tuoi occhi sono ancora più belli ricoperti dalle lacrime- gli sussurrò Antonio, osservandolo con aria sognante -non pensavo potessero essere più belli di prima. Però non voglio più vederli così, se non per la gioia- lo baciò, facendolo piangere ancora più forte -permettimi di renderti l'uomo più felice del mondo, Lovi. Lascia che io ti renda più umano possibile.
-vuoi farmi soffrire- replicò, piano, più per il gusto di rispondere che per un reale motivo.
-no. È la cosa che meno voglio in assoluto, ma se è il prezzo da pagare per vederti sorridere posso sopportare quel fardello al posto tuo.
-perché?- si asciugò le guance, cercando di controllarsi. Poi quel bastardo di Antonio decise di dargli il colpo di grazia.
Sorrise, stringendogli la mano -perché mi sto innamorando di te, più profondamente di quanto lo avessi mai creduto possibile.
Lovino era senza fiato. Lo abbracciò, gettandogli le braccia al collo, e rise -mi sento un idiota. Un completo idiota. Non so perché sono così melodrammatico, non lo sono mai stato e...
-va bene, Lovi. Non c'è niente di male- lo baciò sulla spalla -sei sensibile, anche se non lo mostri mai- lo baciò sul collo -considero un onore vederti così.
Lovino sbuffò una risata -vedere un ragazzino piagnucoloso in lacrime? Che onore.
-vedere il ragazzo più buono, diffidente e fantastico del mondo fidarsi abbastanza di me da lasciarsi andare? Sì, è un onore.
-idiota- lo baciò. E poi lo baciò di nuovo. E di nuovo. E ancora e ancora e ancora e ancora.
Antonio gli accarezzò le cosce, al di sotto della veste da notte. Sorrideva, divertito, con due occhi luminosissimi, e Lovino si sentì in dovere di baciarlo su quel sorriso da schiaffi. Non se n'era ancora accorto, troppo concentrato sulle mani di suo marito sul suo corpo, ma tra un bacio e l'altro gli era salito a cavalcioni, scostando le coperte che erano diventate solo d'intralcio.
-Lovi?
-sh- lo baciò. Un bacio lungo, disperato, di chi ha bisogno di quello per non soffocare -hai già detto abbastanza, bastardo- si lasciò trascinare di nuovo in un altro bacio, afferrandogli le mani e portandole più in profondità al di sotto della sua veste. Lo guardò negli occhi, con un sorrisino -facciamo altro? Più piacevole di piagnucolare? Che ne dici?
Antonio sorrise, sfilandogli la veste. Lovino rabbrividì per il freddo, ma le labbra di suo marito sul suo petto lo distrassero in un istante dal gelo. Inarcò la schiena e sospirò, stringendo i capelli dell'altro tra le dita per tenerlo lì, vicino a lui. Sospirò -bravo...

Lovino si svegliò per primo. Strano, di solito doveva farsi svegliare da Antonio. A proposito del bastardo... era adorabile mentre dormiva. Sembrava un semplice ragazzo, niente di più. Non aveva mai notato quanto fossero lunghe le sue ciglia, ma arrivavano a sfiorargli le guance. Aveva delle lentiggini, piccolissime, che si confondevano con la pelle scura ma che ora, alla luce del sole e a quella distanza, erano evidenti. Si mise a contarle. Poi iniziò a unirle mentalmente per formare dei disegni, ancora mezzo addormentato. Aveva appena disegnato l'orsa maggiore quando sentì la presa sui suoi fianchi stringersi e un mugugno contro l'orecchio.
Antonio aprì gli occhi e sorrise, spettinandosi i capelli con una mano -buongiorno- sbadigliò -dormito bene?
Lovino annuì, appoggiando la testa sulla sua spalla e lasciandosi accarezzare la schiena lentamente -tu?
-mai dormito meglio- lo baciò sulla fronte -ti fa male?
-non tanto- nascose il viso contro il suo petto, rosso in viso -mi hai lasciato dei segni?
-uno qui- ammise, sfiorandogli un punto all'incirca sul pomo d'Adamo -e altri qui- scese ad accarezzargli il petto, dandogli i brividi.
-che palle che sei. Perché ci provi tanto gusto?
Antonio gli rivolse un sorriso furbo -non mi sembra che ti dispiacciano, mio sole e stelle- gli sollevò il viso e lo baciò, tenendoselo vicino il più possibile. Gli piaceva la sensazione del corpo nudo di Lovino premuto contro il suo, era come se ciò li rinchiudesse in una bolla solo per loro. E poi Lovino aveva la pelle così morbida e un profumo così buono che era impossibile non apprezzare una sensazione simile -e vederti con quei segni sapendo di averteli fatti io, è una goduria doppia.
-pervertito- prese ad accarezzare il braccio intorno alla propria vita, disegnando delle figure immaginarie contro la sua pelle. Sospirò, imbronciato -non ho voglia di alzarmi.
Antonio ridacchiò contro il suo orecchio -neanche io. Sarebbe bello restare qui tutto il giorno, a farci le coccole e a fare l'amore.
-e non possiamo farlo? Sei il capo, puoi fare quel che vuoi.
-sono il capo, e per questo devo lavorare più degli altri- lo baciò sul collo, sulla guancia e sulle labbra -ma ti prometto che appena avrò un giorno libero lo passeremo insieme, a fare tutto quello che vuoi.
-mi piace come idea- si baciarono. Lovino si lasciò sfuggire un sorriso -mi ricorderò di questa cosa. Sarai il mio schiavo.
-spero anche sessuale- ignorando la sua gomitata, Antonio lo baciò sulla guancia, ridendo -dai, ci stavi pensando anche tu.
-non sono così pervertito.
-oh, avanti- salì su di lui, premendosi contro il suo corpo. Lovino si coprì la bocca con una mano per non gemere.
-sei un bastardo.
-lo so- gli strinse la mano e la allontanò dalla sua bocca, intrecciando le dita con le sue e portandogli il braccio sul cuscino, oltre la testa, molto lentamente. Il resto della sua frase fu un sussurro, roco, dritto contro l'orecchio di Lovino -non ti piacerebbe? Una giornata solo io e te, nudi, nel letto, a fare l'amore come se il resto del mondo non esistesse- Lovino mugolò qualcosa contro il suo orecchio, sporgendosi verso di lui. Cercò di usare l'altra mano per avvicinarselo maggiormente, ma Antonio gli bloccò anche quella, tenendogli i polsi incrociati sul cuscino.
-sei un...- bofonchiò Lovino, con le guance rosse, ma la mano di suo marito tra le gambe lo interruppe. Inarcò la schiena, ansimando, cercando di andargli incontro il più possibile -cazzo. Tu vuoi uccidermi.
Antonio gli sorrise, chinandosi a baciarlo -no, mi amor. Solo farti rilassare un po'.
-non sta funz..- si interruppe, inspirando profondamente -muoviti, bastardo.

Francis si svegliò con il profumo di Arthur intorno a lui. Sorrise e allungò una mano fuori dalle coperte alla ricerca del suo amante, ma scontrò la paglia. Riaprì gli occhi.
Ah.
Giusto. Era a Essos.
Abbracciò la camicia di Arthur e ci nascose il viso, immaginando di avere il viso nell'incavo del suo collo, di essersi appena svegliato dopo aver fatto l'amore con lui. Sospirò.
-buongiorno dormiglione!- Gilbert era sempre Gilbert. Sbuffò, frustrato, e sollevò il viso dal suo cuscino.
-bonjour. Ludwig?
-sparito. Si sveglia sempre presto, ma ho come la sensazione che questa volta Feliciano c'entri qualcosa.
-i giovani innamorati sono sempre così. Non vedono altro che se stessi.
-e tu?- Gilbert si sedette affianco all'amico -chi è il tuo amore?
-non lo conosci- ed era vero. Gilbert non conosceva Arthur: sapeva solo chi fosse. Conoscerlo era tutt'altra faccenda -e mi manca così tanto.
-ho notato. Quella camicia non è tua, vero?
Francis se la strinse meglio addosso -da cosa l'hai capito?
-stai scherzando? È la cosa meno elegante che ti abbia mai visto addosso. Non è credibile neanche come camicia da notte.
Francis ridacchiò -sì, non hai tutti i torti. Mon amour non è molto... attento alla moda. Probabilmente non s'è neanche accorto che gliel'ho rubata.
-come si chiama?
-non posso dirtelo.
Gilbert roteò gli occhi -va bene, allora parlami di lui. Com'è?
-lui...- Francis sospirò, posando il mento sulle proprie ginocchia -è gentile. Non lo ammette, ma lo è. È testardo, anche. E dispettoso. E sono fottutamente innamorato di lui.
-da quanto?
-da quanto stiamo insieme? Qualche anno- si sdraiò sul letto, lasciandosi avvolgere dal suo profumo -è pieno di difetti, ti giuro. Potrei elencarteli tutti a memoria, li conosco meglio dei miei, e li amo tutti, ancora più dei suoi pregi.
-sei proprio cotto- commentò Gilbert -e lui? Ti ama?
-sì. Non me lo dice spesso, ma mi ama. È più uno che usa i fatti, capisci?
-ho presente il tipo.
-ecco. Lui è... concreto. In un mondo fatto di apparenza come quello che vivo ogni giorno, lui è la mia ancora. Lui ha tanti, tantissimi problemi, tanti quanti quelli che ho io. Ma quando siamo insieme... non so, è come se tutto quello che fa schifo e va male, sia perfetto e vada benissimo.
-sei un romanticone- commentò Gilbert.
-lo dice sempre anche lui- Francis sospirò -ma in fondo gli piace.
-è Arthur?
Francis sbuffò -ti ho detto che non posso dirti chi sia.
-dai, sono tuo amico. Non lo dirò a nessuno.
-non posso e basta. Ti voglio bene Gil, sei il mio migliore amico, ma semplicemente non posso rischiare, né tanto meno posso mettere a rischio lui.
-va bene, va bene. Su, andiamo a colazione. Devo prendere in giro Ludwig per la sua notte con Feliciano.
Francis lo seguì fuori, ridacchiando -non sai se sono stati insieme.
-con chi altro potrebbe essere?

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Capitolo 7
*** Non avrò quel crucco come parente ***


La sposa era stupenda.
Bionda, capelli lunghi fino a metà della schiena, sorriso cordiale e due occhi verdi in grado di stregare chiunque.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare Arthur, però, era a quanto sarebbe stato bene Francis con il vestito che stava indossando lei.
Era azzurro, lungo, con le maniche così fini da lasciar intravedere la pelle candida oltre il tessuto e ricoperto di pietroline preziose bianche.
Non le donava l'azzurro. Non c'era niente di azzurro in lei: né gli occhi, né l'atteggiamento. L'azzurro era il colore di Francis, dei suoi occhi, era il colore perfetto per lui: pacato, elegante e mai banale. Vederlo addosso a qualcun'altra, un'altra che di lì a poco avrebbe dovuto sposare, gli fece salire il vomito.
-lasciamo che i futuri sposi si conoscano- propose suo padre. La voglia di vomitare di Arthur crebbe, magari di farlo su quel sorriso gelido che aveva stampato in faccia il genitore. Il fratello della sua... della ragazza annuì, lanciando un'occhiata piena di significato alla sorella. Peccato che Arthur non lo sapesse, il significato.
Non gli piaceva quel tipo. Era biondo e aveva gli occhi azzurri anche lui, ma non aveva un briciolo dell'eleganza di Francis. Era lì per l'affare, nulla di più.
La porta si chiuse e lo stomaco di Arthur si rifiutava di fare altrettanto e di lasciarlo quietare. Si sforzò di fare il gentleman e baciò la mano della dama.
-è un piacere conoscervi- no. No, non lo è, non lo è per niente, vorrei solo che Francis fosse al tuo posto per poter flirtare e scherzare e litigare e baciarlo e baciarlo e cazzo se mi manca
La dama sorrise. Aveva un sorriso quasi felino -il piacere è tutto mio. Potete chiamarmi Belle.
Belle. Era innegabile che fosse bella, Arthur avrebbe mentito se avesse detto di non trovarla attraente, ma Francis lo era semplicemente di più. Lei era attraente per tutti, Francis era irresistibile per lui.
-allora presumo che possiate chiamarmi Arthur.
Belle annuì -voglio essere franca con voi.
-ditemi pure.
-non pretendo di essere amata, né apprezzata da voi. So benissimo che voi non mi amate e probabilmente non mi amerete mai. L'unica cosa che vi chiedo è un po' di rispetto e di sincerità.
Arthur annuì -certamente.
-allora ho una domanda, e vi chiedo di dirmi la verità.
-va bene.
-siete già innamorato di qualcun altro?
Arthur annuì -sì.
-e... ho qualche possibilità di farvi dimenticare questa persona?
-no.
Gli dispiaceva essere così schietto, ma Belle gli aveva chiesto la verità. La ragazza annuì, senza mostrarsi particolarmente turbata -va bene. Vi ringrazio per l'onestà.
-mi dispiace.
-no, non dovete. Funzionano così i matrimoni.
-meritereste di sposare qualcuno che vi ami.
-temo che il mondo non funzioni come nelle favole. E se anche funzionasse in tal modo, non potrei comunque sposare chi desidero davvero.
-sì...- il suo sguardo si perse oltre la finestra. Chissà come se la stava cavando Francis, al freddo e al gelo su nel Nord.

Francis stava morendo di caldo. Si asciugò la fronte con la manica della veste, brontolando.
-è peggio di una sauna questo posto- si lamentò.
Gilbert, che essendo albino doveva restare all'ombra imbaccuccato dalla testa ai piedi per non rischiare ustioni, sospirò -a chi lo dici. Appena torniamo a casa mi butto sulla neve e non mi tolgo più. Ci faccio il bagno, cazzo.
Francis sbuffò una risata -da un estremo all'altro. Non so se odio più il freddo o il caldo.
Vennero raggiunti da Feliciano, con addosso solo un paio di pantaloni -ciao! Che ci fate tutti imbaccuccati? Ci credo che avete caldo.
Gilbert sospirò -se scoprissi anche solo le caviglie mi ustionerei all'istante. Già tenendo la faccia scoperta sto rischiando.
-oh, mi dispiace. Anche tu hai lo stesso problema, Francis?
-no.
Feliciano aggrottò la fronte -e allora perché sei...
-hai idea di quanto costi questa camicia? L'ho portata, ora me la metto. E poi non sono il tipo di ragazzo che si denuda davanti a degli sconosciuti.
Feliciano non sembrò cogliere la frecciatina e sorrise -oh, va bene. Contento te... comunque visto il caldo stiamo andando a fare un bagno qui in un fiume qui vicino, anche per abbeverare i cavalli eccetera. Venite?
-oh, finalmente- Francis si alzò -un'ottima idea. Vado a mettermi dei vestiti più comodi- e tornò nella sua tenda.
Gilbert ne approfittò per agguantare Feliciano per un braccio -sai mica dov'è mio fratello? Non l'ho ancora visto.
-l'ho incontrato a colazione poco fa- mentì Feliciano, sorridendo -è molto mattiniero, no?
-uhm, sì... ho notato che siete molto uniti- continuò, sogghignando -dimmi, c'è qualcosa tra voi?
Feliciano continuava a sorridere -solo una sincera amicizia.
-ma dai, a chi vuoi darla a bere? Puoi dirmelo, non lo dirò a nessuno.
Feliciano scrollò le spalle -be', mi piace Ludwig. Anche in senso amoroso, penso. Ma dubito che mi ricambi.
-stai scherzando?- Gilbert scosse la testa -è cotto marcio!
Feliciano alzò le spalle -è timido. Non saprei come approcciarlo senza farlo scappare- era esilarante. Altro che timido, Ludwig ci sapeva fare, bastava incoraggiarlo nel modo giusto.
-devo fargli un discorsetto da fratello maggiore- rimuginò Gilbert -non può lasciarsi scappare un'occasione così. Dovrà pur trovarsi qualcuno!
Feliciano ridacchiò, senza dire niente.
Francis ritornò, con una camicia in lino molto sottile -eccomi! Andiamo, sto morendo di caldo.

Due giorni dopo erano a Qarth. Qarth era una città grande, una delle più ricche, e soprattutto era quella con il porto più ampio e più vicino a Westeros. Se volevano arrivare dall'altra parte con un grande esercito, dovevano per forza partire da lì, e per partire da lì, magari facendosi prestare anche qualche nave, dovevano avere il benestare del governo della città.
Dalla loro parte c'era un po' di storia. Durante il governo di Romolo, Qarth era un centro fondamentale, il collegamento tra Oriente e Occidente, e la regina di Qarth in persona era stata un'amante dell'imperatore. Gli stessi Lovino e Feliciano, nella loro fuga, erano sbarcati lì e per qualche tempo erano stati ospitati presso la corte, sebbene in via ufficiosa.
Invece da quando i Kirkland erano al potere Qarth aveva perso il suo collegamento con l'Occidente, in quanto i nuovi reali preferivano commerciare con dei loro alleati che durante la rivolta li avevano aiutati. Era quindi presumibile pensare che i sovrani di Qarth fossero ben felici di favorire un cambio di governo, e in ciò speravano i nostri eroi.
Lovino, sul suo lupo, strinse la mano a suo fratello osservando le mura delle città. Alcuni anni prima da quelle mura erano usciti due bambini, senza sapere cosa avrebbero fatto di lì in poi. Feliciano ricambiò la stretta, evidentemente se lo ricordava. Come avrebbe potuto dimentircarlo, d'altronde.

Il palazzo era magnifico. La sala del trono era incredibile: dal soffitto alto, dalle pareti dorate, tutto quanto era opulento, quasi esagerato. Sul trono però non c'era una regina, ma un re.
Lovino sentì un brivido. Sì, conosceva il nuovo sovrano. No, non era contento della sua presa di potere.
Sadiq era il figlio adottivo della vecchia regina, Elena. Lovino aveva sentito voci sulla morte della sovrana, ma aveva sperato che fosse andato al potere il figlio biologico, l'erede di sangue, ovvero Heracles, più saggio e pacato. Tuttavia Heracles aveva appena diciotto anni e per legge ne servivano ventuno per governare, mentre Sadiq ne aveva venticinque, quindi aveva preso temporaneamente lui il potere. Quando temporaneamente non era dato saperlo.
Antonio salutò il sovrano con un piccolo inchino -salve. Vi ringraziamo per l'ospitalità. Siamo qui per...
-lo so perché siete qui, re del sole- lo interruppe Sadiq, freddamente -e siamo disposti a darvelo, insieme ad una dozzina delle nostre navi migliori.
Antonio sorrise -vi ringraziamo infinitamente. Non so come esprimere la gratitu...
-ma ad una condizione- continuò il sovrano -vedete, è nostra tradizione che un capitano, prima di partire, debba riflettere per bene sul passato, sul presente e sul futuro.
-naturalmente il vostro futuro prevede grandi ricompense, non appena...
-fammi finire- sembrava irritato. Lovino strinse la mano a suo marito per intimargli di tacere -per far sì che ciò accada, deve superare una prova. Deve entrare nel tempio sacro, dove gli dei gli mostreranno ciò che gli dei vorranno mostrargli. Se, uscito dal tempio, sarà ancora intenzionato a partire, potrà andare.
-oh, va bene, nessun problema. Direi che vado io, se nessuno è...
-deve andare lui- con un cenno del mento indicò Lovino -il figlio della lupa.
Antonio sembrò sul punto di protestare, ma Lovino annuì -certamente.
-Lovi...- Antonio gli strinse la mano -non sei costretto a fare nulla, lo sai vero?
-non è una costrizione. Mi va bene farlo.
Antonio non sembrava convinto, ma Sadiq sorrise come se tutto fosse a posto -molto bene. A mezzogiorno manderò un mio servo a venirti a prendere. Nel frattempo potete riposarvi nelle stanze a voi affidate.

-è pericoloso- esordì Antonio non appena furono da soli nella loro camera. Lovino sospirò e si sedette sul letto.
-abbiamo altra scelta?
-sì. Li costringiamo ad aiutarci. Abbiamo la cavalleria migliore del mondo, possiamo attaccarli e...
-questa è la cosa più stupida. Pensi che non si siano preparati? E poi siamo entrati solo noi due, gli altri sono fuori, e le mura sono impenetrabili. Se anche tu riuscissi a dare l'ordine di attaccare, non li farebbero entrare e ammazzerebbero noi nel frattempo.
-scappiamo nella notte con delle navi e ci incontriamo con gli altri più avanti.
-supponendo che arriviamo al porto senza farci ammazzare, potremmo al massimo prendere una barchetta a testa.
-allora vado io. Se...
-vogliono me- gli prese le mani e lo fece sedere al suo fianco -senti, neanche a me piace l'idea, ma devo farlo.
Antonio gli abbracciò la vita, nascondendo il viso contro il suo petto -odio l'idea che tu vada da solo. Potrebbero farti del male e non potrei fare niente.
Lovino prese ad accarezzargli i capelli, lentamente. Antonio sembrava davvero un bambino certe volte -se avessero voluto farmi del male, sarei già morto, non credi?
-che ne so...- bofonchiò -vorranno divertirsi un po'.
-cos'è, non ti fidi di me?
-ti affiderei la mia vita- rispose, sincero -è di loro che non mi fido.
Lovino lo baciò tra i capelli -su, non fare i capricci- lo strinse -andrà bene. Entro in quel tempio, mi faccio dire due stronzate dagli dei ed esco.
Antonio sospirò, con il battito del cuore di suo marito nelle orecchie -lo spero, mio sole e stelle. Lo spero proprio.

Il tempio era piccolo.
Lovino non c'era mai stato nel breve periodo in cui era stato lì, ma si aspettava che la cerimonia sarebbe stata nella grande cattedrale centrale. Invece le guardie li avevano scortati sul retro del palazzo, nel bosco, fino a un piccolo tempietto che più che un tempio sembrava un capanno delle scope.
-non mi piace- mormorò Antonio, che aveva insistito nell'accompagnarlo. Lovino sbuffò.
-non mettermi più ansia di quanta non ne abbia già.
E Antonio tacque.
Davanti al tempio c'era Sadiq, vestito con abiti cerimoniali, che vedendoli sorrise affabilmente e allargò le braccia -eccovi! Prego Lovino, entra.
-tutto qui? Niente cerimonie?
-niente cerimonie. Entra e basta.
-e quando posso uscire?
-lo saprai.
Lovino imprecò mentalmente, quanto odiava quelle rispose del cazzo. Lasciò la mano del marito -be', allora vado.
Fece per entrare nel tempio, ma Antonio lo fermò e lo fece girare verso di sé, baciandolo sulle labbra con dolcezza. Lovino rimase senza fiato: un altro bacio perfetto, da favola, che lo rincoglionì di botto.
-buona fortuna- gli sussurrò Antonio sulle labbra, lasciandolo andare. Lovino balbettò qualcosa, poi tossì, si girò verso l'ingresso ed entrò nel tempio, immergendosi nell'oscurità.

"LI VOGLIO TUTTI MORTI"
"DARÒ FUOCO AI LORO PALAZZI E APPENDERÒ LE LORO TESTE IN GIRO PER ROMA"
"CHE CI PROVINO A UCCIDERMI. VINCERÒ SEMPRE IO"
"IO SONO L'IMPERATORE"
"IO VINCO"
"IO"
"Mio signore... ci sono i bambini"
"CHE IMPARINO COSA SUCCEDE A METTERSI CONTRO DI ME E CONTRO LA MIA FAMIGLIA"
"Nonno... nonno calmati"
"Per favore nonno"
"NO CHE NON MI CALMO. MI CALMERÒ QUANDO QUEI DUE TRADITORI SARANNO MORTI"
"QUANDO LA MIA SPADA SARÀ NEL LORO CUORE"
"QUANDO DOMINERÒ IL MONDO"
"QUANDO TUTTI NEL MONDO MI RISPETTERANNO E MI TEMERANNO TROPPO PER RIBELLARSI ALLORA SARÒ CALMO"

Suo nonno. Avevano deciso di mostrargli lui per il passato.
Lovino osservò il piccolo sé, che tremava terrorizzato e scosse la testa.
Fatemi vedere dell'altro.

Un ragazzo biondo osserva il mare. Tiene tra le dita un bigliettino stropicciato, lo legge e lo rilegge bevendo dalla sua fiaschetta.
"Je t'aime" recita il bigliettino. Sotto, la firma è inequivocabilmente quella di Francis.
Il biondo sospira.
"Mi manchi, darling"
"Signor Kirkland" interviene una voce esterna.
"Dimmi"
"Sua maestà vi chiama"
"Dite a mio padre di aspettare, sto arrivando"
"È urgente"
"Ho detto che sto arrivando"
Si infila il biglietto in tasca e tira un altro sorso dalla sua fiaschetta.
"Che palle" guarda in direzione di Lovino, come se lo vedesse, e per qualche secondo è come se si stessero guardando negli occhi. Poi il biondo sospira e si incammina nella direzione opposta, verso un grande palazzo con gli stendardi reali e il simbolo di un leone un po' ovunque.

Il mare sarà in tempesta, una tempesta furiosa come mai se ne sono viste fino ad allora.
Due flotte si scontreranno in quel casino, una con lo stemma del leone e una con uno stemma che Lovino non riconosce.
Un fulmine squarcerà l'aria, il mondo tremerà.
La flotta dallo stemma sconosciuto perderà.
Dai relitti ne usciranno alcuni superstiti.
Tra questi ci sarà Antonio, fradicio e furioso, con una luce malata negli occhi.
Lovino non si vede. Ha come la sensazione che il conflitto lo riguardi, ma non vede se stesso da nessuna parte.
Arretra, terrorizzato.
Inciampa e cade. Il mare distrutto s'è trasformato in una pozzanghera, e in quell'acqua ancora in tempesta Lovino dovrebbe vedere il suo riflesso.
Dovrebbe.
In teoria quello che ci dovrebbe essere è il suo riflesso.
Si vede quello nell'acqua, no? Quello.
Ma al suo posto vede solo un grande lupo scuro.

Lovino corse fuori, terrorizzato. Nella testa gli rimbombavano delle voci.

"IO LO AMMAZZO"
"LO UCCIDO"

Ma la voce non era quella di suo nonno. Qualcuno lo chiamò, suo marito cercò di abbracciarlo ma Lovino arretrò.
-io...- non riusciva a respirare -devo... devo pensare- corse via. Il bosco gli sussurrava cose, tre milioni di voci, tre miliardi, mille miliardi, e Lovino non riusciva a fermarle, non riusciva, non ce la faceva, voleva solo che tacessero.

LO UCCIDO
  i lupi
    puttana
      se ci scoprissero
        il mio erede
          amore mio
            il mio Lovino
               dove sei finito
                 lo riporterò a casa
                   QUEL FIGLIO DI PUTTANA
                   ti amo
                 UNA FAMIGLIA DI TRADITORI
               la prossima volta non sarò così buono
              sei vivo
            stammi lontano
         sei qui
      la collana
    stanno ululando
il nonno è morto

-Lovino?
Lovino sollevò lo sguardo e sentì gli occhi riempirsi di lacrime -Heracles...
Si abbracciarono. Silenzio, finalmente.
-cosa ti hanno detto gli dei?
-non lo so.
-sì che lo sai. Sforzati di dirmelo.
Lovino espirò -prima mi hanno fatto vedere mio nonno. Aveva appena saputo della rivolta dei Kirkland e dei Bonnefoy ed era... era come impazzito. Continuava a sbraitare e a urlare e... e...- sbatté le palpebre. Una, due, tre volte -quella fu la prima volta che ebbi davvero paura di lui.
Heracles annuì -per il presente? Cos'hai visto?
-c'era un... un ragazzo biondo. Credo fosse un Kirkland, quella alle sue spalle mi sembrava la capitale. Aveva un bigliettino in mano.
-che diceva?
-era un biglietto d'amore- disse -ma non saprei dire da parte di  chi fosse- mentì.
-potrebbe essere uno dei figli del re. E per il futuro?
Lovino deglutì. Quella era la parte più spaventosa -c'era una battaglia, con le navi. Vincevano i Kirkland e... e dalle altre navi usciva mio marito. Io non c'ero ma... ma ho come la sensazione che c'entrassi qualcosa. Forse ci morirò, in quella battaglia.
-non credo- Heracles era stato forse il primo e l'unico che avesse definito amico. Lo conosceva fin da quando erano piccoli, per via dei rapporti tra le loro famiglie. Dopo la morte del nonno, era stato Heracles a consolarlo e a consigliargli come fare da lì in poi. Lovino non aveva voluto farsi vedere debole da suo fratello, Heracles era stato l'ideale per sfogarsi un po'.
-secondo te dovrei partire comunque?
Heracles si sedette affianco a lui, all'ombra di un albero, e sembrò pensarci su.
-da quel che ho imparato, non conviene mai opporsi a una profezia. Quello che hai visto accadrà, che tu lo voglia o meno.
-quindi mi stai dicendo di partire.
-se anche non partissi, che cambierebbe? Prima o poi quelle navi affonderanno, ma se ti opponi potresti peggiorare le cose.
-e quindi cosa? Antonio potrebbe morire?
-non credo. Se l'hai visto lì vuol dire che lì è vivo. Ma forse sarai tu quello morto, se non parti. Hai detto che non ti sei visto.
-sì.
-allora sei uno dei punti di domanda. Da dove guardavi la scena?
-dall'alto.
-forse guardavi la scena da una montagna, quindi eri lì ma da un'altra parte.
-no. Era come se lo guardassi dal cielo- sentì improvvisamente freddo -dici che significa che sarò morto? Potrebbero uccidermi e allora Antonio vorrebbe vendicarsi e...
-non credo. Perché mostrarti qualcosa che non vivrai?
-per avvertirmi?
-non è una cosa che farebbero gli dei. Non gli interessa avvertirti.
-e allora che ne so io?
Heracles si fece pensieroso -non saprei dirti, gli dei sono sempre misteriosi.
-ma pensi che dovrei andare- sospirò, tirandosi le ginocchia al petto e posandoci il mento sopra -che cazzo di casino.
Heracles abbozzò un sorriso -il prezzo di volere il potere.
-smettila di insinuare cose- distese le ginocchia, con un minuscolo sorriso -e tu? Non lo vuoi il potere?
-no.
-e non ti dà fastidio che sia Sadiq a governare?
-non sai quanto. Ho provato a convincerlo a ritornare a una democrazia, come faceva mamma, ma non vuole sentire ragioni.
-oh be', buona fortuna- si rialzò, spolverandosi i pantaloni -meglio andare. Antonio starà uscendo di testa.

E aveva avuto ragione. Antonio sembrava davvero sul punto di uscire di testa per la preoccupazione. Lovino ebbe appena il tempo di salutare prima di venire investito dall'abbraccio del ragazzo, che lo stritolò controllando contemporaneamente, solo gli dei sapevano come, le sue condizioni fisiche senza distaccarsi di un millimetro.
-tutto a posto? Stai bene? È successo qualcosa? Vuoi qualcosa? Dimmi che cosa vuoi e lo avrai. Ero così preoccupato...
Lovino sospirò, appoggiandosi alla sua spalla e socchiudendo gli occhi -voglio che stai zitto. Sto bene- chiarì -ho solo mal di testa.
Antonio si mise ad accarezzargli la schiena, dolcemente. Screanzato -torniamo nella nostra stanza? Che ne dici?
-uhm...- allacciò le braccia intorno al suo collo quando quello lo sollevò, quasi come una sposa, senza mostrare il minino sforzo -se insisti...
-mi dispiace interrompervi- intervenne Sadiq, con l'aria ben poco dispiaciuta -ma ho bisogno di sapere se Lovino è ancora intenzionato a partire.
Antonio incenerì il sovrano con lo sguardo. Forse non una grande idea, ma non gli importava -non vedi che è stanco?
-partiamo- rispose Lovino, sistemandosi meglio tra le braccia di suo marito -il prima possibile.
Sadiq sorrise -molto bene. Vado a occuparmi dei preparativi- e se ne andò. Heracles sospirò.
-meglio che lo controlli. Ciao Lovino, a dopo- e se ne andò, brontolando a mezza voce.
Antonio inarcò un sopracciglio -"ciao Lovino"? Conosci quel tizio?
-mh? Sì- si mise a sistemargli i capelli distrattamente. Mai una volta che si pettinasse... -eravamo amici da piccoli.
-gli piaci?
-non dirmi che sei geloso.
-non cambiare argomento.
Lovino alzò gli occhi al cielo, sporgendosi a baciarlo.
-a me piaci tu- chiarì, accarezzandogli la guancia -Heracles è solo un amico. E poi sono anni che ha una cotta per Sadiq ma non vuole ammetterlo, quindi dubito di interessargli più di tanto.
-non devi interessargli proprio- brontolò Antonio. Lovino rise e lo baciò.
-come ti pare, rompicazzo. Ora mi porti in camera che ho sonno?

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Capitolo 8
*** Mi sto congelando il culo ***


Grande Inverno era fredda. Lovino stava tremando come una foglia e non erano neanche sbarcati.
-abbiamo delle pellicce in più- Ludwig aprì il baule nella sua stanza e cominciò a ravattarci dentro -uhm... vediamo se troviamo qualcosa di adatto.
Lovino si appiccicò a suo marito, che aveva la pelle in qualche modo bollente e non sembrava soffrire il freddo. Maledetto stronzo. Neanche suo fratello sembrava soffrire più tanto il gelo, era più concentrato a osservare con aria sognante il biondo. Vi odio.
Lovino, lo avrete intuito, aveva sempre odiato il freddo. Non riusciva proprio a tollerarlo: un colpo di vento e tremava come una foglia.
-questa dovrebbe starti- sollevò una pelliccia scura e la porse a Feliciano, che esitò. Al suo fianco Venezia guaì e Roma ringhiò verso il tedesco.
-è pelliccia di lupo quella?- domandò Feliciano, scrutando il capo. Ludwig sembro realizzare l'errore e si affrettò a infilare la pelliccia nel baule, il più in fondo possibile.
Lovino roteò gli occhi, che cretino. Suo marito lo strinse maggiormente a sé e si mise a dargli dei piccoli baci lungo il collo, facendogli passare improvvisamente il freddo.
-questa dovrebbe andare- ne passò un'altra al minore dei Vargas -è orso- chiarì, osservandolo mentre la indossava. Feliciano ci stava dentro tre volte, ma almeno sembrava calda.
Lovino avrebbe tanto voluto un fuoco vicino a cui dormire. Peccato che fossero su una nave in legno, in mezzo a un mare ancora più gelido dell'aria, e che non fosse proprio una grande idea accenderne uno.
Poco dopo Ludwig diede una pelliccia anche a lui, che ci si avvolse come se non avesse aspettato altro. Sospirò. Poi il biondo ne porse una anche ad Antonio, che rifiutò cortesemente.
-no, ti ringrazio. Sto bene così.
-ma che sei scemo?- Lovino afferrò la pelliccia e gliela sistemò sulle spalle, avvolgendocelo per bene -ti prenderai un accidente sennò.
-ma sto bene...
-niente storie- gliela allacciò per bene, stretta -ecco. Se ti ammali ti uccido.
Antonio lo baciò -sei così premuroso, mi amor.
-statti zitto e ringrazia il crucco.
-grazie Ludwig.
-bravo.
-uhm, di niente- si rialzò -domani mattina dovremmo sbarcare. Vado a... rifinire gli ultimi dettagli- e uscì dalla sua camera, lasciandoli soli. Feliciano prese la mano di suo fratello, con gli occhi leggermente lucidi.
-stiamo tornando a casa- si asciugò le guance, lasciandosi abbracciare dal maggiore -non sembra vero... domani siamo a casa.
-non proprio. La nostra casa è più giù- si mise ad accarezzargli la schiena, per tranquillizzarlo -però sì. Siamo quasi a casa, fratellino.
Feliciano espirò, allontanandosi dall'abbraccio della sua famiglia -vado... vado a vedere se hanno bisogno di una mano.
Lovino gli sistemò la pelliccia, controllando che fosse ben coperto -va bene, Feli. Stai attento.
Quello ridacchiò -va bene, mammina- gli stampò un bacio sulla guancia e corse via, senza dargli il tempo di replicare.
-che cretino- tornò a farsi abbracciare da suo marito, sospirando -ho freddo.
-sei adorabile con questa pelliccia.
-non sono adorabile- gli strinse la mano  e si allontanò da lui -andiamo, dai.
La loro cabina era minimale. Un letto, i loro bauli e un vaso da notte, ma a Lovino piaceva. Soprattutto quando, di notte, dopo aver fatto l'amore rimanevano sdraiati nel letto, abbracciati, a scaldarsi a vicenda. Antonio chiuse la porta e lo sollevò per i fianchi, baciandolo. Lovino istintivamente sorrise e si ritrovò con la schiena premuta contro il letto, la bocca di suo marito lungo il collo e le sue mani sulla pelliccia.
-ho freddo- si lamentò mentre quello gliela toglieva.
-ti scaldo io- lo rassicurò con un sorrisino, togliendogliela di torno. Lovino lo lasciò fare, tirandoselo contro per baciarlo a bocca aperta, e andò a sfilargli la pelliccia a sua volta, lasciando scorrere le mani sul suo petto nudo, godendosi la sensazione di quei muscoli sodi contro le dita.
-abbiamo poco tempo- gli sussurrò Antonio -tra poco devo andare dalle mie truppe.
-e allora sbrigati invece di parlare.

Il castello era enorme. Lovino sarebbe stato impressionato se non avesse avuto le chiappe congelate sul suo lupo.
E poi il castello di mio nonno era più bello.
Sarebbe stato carino essere accolti da una folla, ma non potevano rischiare che ci fossero spie dei Kirkland, quindi dovettero entrare di nascosto, dal retro.
-è finita la pace- commentò una ragazza mora raggiungendoli nell'ingresso del palazzo e abbracciando Ludwig -com'è andato il viaggio?
-tutto bene- la strinse, dandole qualche pacca sulla spalla. Feliciano assottigliò lo sguardo e Lovino sentì Venezia ringhiare.
Poi la ragazza si girò verso di loro e sorrise -Feli! Lovi! Quanto tempo!- e abbracciò anche a loro. Roma e Venezia si misero ad annusarla, curiose.
-ma sono adorabili!- si chinò ad accarezzare le due lupe, ridacchiando -ciao anche a voi.
-non saluti neanche il tuo lord?- commentò Gilbert -quei cagnacci sono più importanti di me?
-di sicuro più intelligenti.
-cagnaccio ci sarai tu- Lovino richiamò le due lupette, accarezzandole -occhio a come parli che ti faccio sbranare.
-sì sì- abbracciò Eliza a sua volta, tenendola stretta forse un po' troppo a lungo.
-vi mostriamo le vostre stanze- intervenne Ludwig, scrutando il fratello con un minuscolo sorriso. Feliciano si attaccò al suo braccio, sorridendo solare -certo Ludwig! Facci strada.
-uhm sì. Vi farò portare i bagagli in camera il prima possibile.
Lovino sbuffò -sbrigati, crucco, sono stanco.
Antonio gli strinse la mano -vuoi che ti porti in braccio, querido?
-non sono un bambino, bastardo.
-da questa parte.
Rimasto solo con lei, Gilbert sospirò -strano a dirsi, ma mi sei mancata.
-che onore- si appoggiò alla sua spalla -anche tu. Era noioso non poterti dare fastidio.
-dolce come ogni signora.
-me lo diceva sempre mio padre.
Gilbert si irrigidì -non nominarlo. Non pensare a lui, non se lo merita.
-lo so- si allontanò da lui, con un piccolo sorriso -non ti preoccupare, sto bene.
Il ragazzo accarezzò il viso, posandole le mani sulle guance.
-non sai che darei per averti potuto proteggere all'epoca. Se tu mi lasciassi...
Eliza si allontanò, con il cadavere del suo sorriso tra le labbra -non sono una delle vostre dame- lo interruppe, gelida -non ho bisogno che tu mi protegga.
-lo so ma...
-ma niente. Se io fossi un maschio, vorresti proteggermi comunque?
-sì.
-e lo vorresti con la stessa intensità?
-sì- esitò -almeno... sì. Sì, penso di sì.
-sei molto dolce, ma non sono di porcellana.
-lo so- fece un passo verso di lei, cercando di rimediare -lo so benissimo, solo... vorrei che tu non dovessi più soffrire.
-e vorresti soffrire tu al posto mio? Come un fottuto principe azzurro?
-cosa ci sarebbe di male?
-che io non ho bisogno di un principe. Non lo voglio.
Gilbert rabbrividì -sei... ti piacciono le donne?
-non è quello. Cioé sì, le ragazze sono fantastiche e hanno la pelle così profumata e... ma non è quello. Mi piacciono anche i ragazzi.
-oh. Bene- voleva baciarla. Lo voleva davvero tanto, tantissimo. Peccato che, se l'avesse fatto, con ogni probabilità lei lo avrebbe ucciso in modo doloroso.
Qualcuno la chiamò, interrompendo quel silenzio imbarazzante. Eliza sospirò, stampandogli un bacio sulla guancia.
-devo andare. Ci vediamo dopo.
-sì... a dopo.

-invaderemo i Łukasiewicz- annunciò Ludwig in consiglio di guerra.
-chi cazzo ha dato il comando a questo qui esattamente?- brontolò Lovino.
-è solo una proposta, ma è la cosa più sensata da fare. Sono il territorio più vicino e qualche tempo fa l'erede del lord padrone è diventato cavaliere del re. Se li attacchiamo, Kirkland dovrà intervenire. Penserà a una rivolta nostra, niente di difficile da gestire, senza sospettare nulla della presenza delle truppe di Antonio e dei lupi di Lovino- spostò delle piccole figure sulla mappa, nel territorio dei Łukasiewicz, appena sotto il territorio di Ludwig e Gilbert -allora il re verrà con poche truppe, e nel mentre noi scenderemo il più possibile cercando un luogo il più favorevole possibile per noi- portò dei soldatini dalla capitale fino a raggiungere gli altri -e a quel punto, se siamo fortunati, potremo riuscire a uccidere il re e a prenderci il regno.
-e i figli? Se il grosso dell'esercito rimane giù...
-a quello penseremo dopo. Se li porta con sé, quanto meno i maggiori, potrebbero cadere anche loro in combattimento.
Francis si sforzò di imbastire un sorriso -non potremmo risparmiarli? Non saremmo diversi da loro se li uccidessimo.
Ludwig alzò le spalle -se andranno contro di noi non potremo fare altro.
-sì ma...
-a questo proposito, tu devi rimanere nascosto. Non devono sapere che voi state dalla nostra parte.
Francis deglutì -ma...
-pensavo che ne saresti stato contento, Fran- intervenne Gilbert -hai sempre odiato le battaglie.
-infatti ma...- "ma speravo di trovare Arthur in mezzo al marasma e portarlo in salvo" non poteva dirlo -mi sento inutile.
-il tuo è un nascondiglio strategico. Se ti vedessero e attaccassero anche i vostri territori sarebbe un disastro.
Francis annuì. Doveva trovare il modo per salvare Arthur comunque -quindi resto qui a Grande Inverno?
-no. Se avessimo bisogno di rinforzi in caso le cose si mettano male, saresti a giorni di cavallo. Sarai a capo di una legione di rinforzo poco più indietro di noi. Se qualcosa andasse storto, mandiamo un messaggero e ci raggiungi. Magari uno dei lupi, vista la loro velocità.
Lovino accarezzò la testa di Roma da sotto il tavolo -basta che i miei cuccioli non corrano rischi.
-in battaglia...
-sì, quello va bene. Dico niente rischi ulteriori- si mise a farle i grattini, aveva il pelo così morbido -e non rispondo di eventuali morti tra i nostri per i miei cagnolini. Sono innoqui, ma se rompono loro il cazzo...
-avvertirò i soldati di comportarsi bene- lo rincuorò Ludwig, con i denti fissi sulle zanne di Roma, ora atteggiate a una specie di sorriso
-quando attaccheremo?- chiese Eliza.
-il prima possibile. Dalla nostra parte abbiamo l'effetto sorpresa, non dobbiamo sprecarlo perdendo tempo. Partiremo domani, il castello del lord Łukasiewicz è a circa un giorno di cavallo da qui. Faremo irruzione nel palazzo e prenderemo prigionero il lord e suo figlio. Hanno un esercito debole, non sarà un problema. Dopo di che andremo più a sud possibile, aspettando il re e il suo esercito. Intanto Francis e un piccolo gruppo di rinforzo resteranno a distanza, in modo che, se ce ne sarà bisogno, avremo dei rinforzi a disposizione. Ogni sera comunicheremo con delle lettere tramite uno dei lupi, dovrebbero sentire l'odore di un esercito.
-ovvio, per chi hai preso i miei cuccioli?
-quanto distante devo rimanere?- chiese Francis
-abbastanza da non essere visibile, ma comunque vicino. Regolati tu. Se fossimo in zona collinare, l'ideale sarebbe che voi vi nascondiate dietro a un colle o qualcosa del genere.
Francis annuì -va bene.
-per l'assetto di battaglia avevo pensato a...

-posso parlarti un secondo in privato?
Francis si girò a guardare Lovino, stupito.
-moi?
-sì, tu. Vieni- lasciò andare la mano di suo marito e si incamminò verso il giardino, senza dire nient'altro. Francis alzò le spalle e lo seguì, curioso.
In realtà Lovino non aveva idea di dove stesse andando. Non conosceva quel posto, ecco. Presumeva che in quella direzione ci fossero i giardini, anche se forse definirli giardini era un parolone visto il freddo che impediva a qualsiasi cosa di crescere, e sperava che lì avrebbe trovato un angolino tranquillo.
Per sua fortuna fu così. Individuò un giardino nel giardino, con una grande quercia che per i locali era sacra.
Si sedette su un masso lì affianco e mandò due suoi lupi a controllare lì intorno che non ci fosse nessuno.
-perché mi hai portato qui?- domandò Francis, torcendosi le mani.
Lovino cercò la maniera migliore per dirlo.
-mi hanno definito in tanti modi- esordì -ma non sono un infame, e mi sembrava giusto parlarne prima con te.
-parlarmi di cosa, esattamente?
-so del tuo amante- ecco, forse e dico forse questa non era esattamente la maniera migliore o più delicata per dirlo, ma Lovino era sempre stato più diretto.
Francis esitò -se parli di Gilbert siamo solo amic...
-no, non parlo di lui. Sto parlando del figlio di Kirkland.
Ed eccolo, il momento esatto in cui tutto il colore sparì dal viso di Francis. Tutto, in un istante. Sforzò una risata.
-non so di cosa tu stia...
-non serve negarlo.
Tante emozioni si rincorsero sul viso del biondo. Confusione, incertezza, rabbia e, infine, rassegnazione. Si sedette accanto a lui, stanco.
-come?
-nel tempio a Qarth. Gli dei mi hanno mostrato un ragazzo biondo, con il vessillo dei Kirkland alle spalle. Aveva un mano un tuo bigliettino.
-quindi stava pensando a me- mormorò -è una amara consolazione- rimase in silenzio, poi sospirò -si chiama Arthur. Ci conosciamo da quando eravamo piccoli e... e lo amo. Non so come o perché ma lo amo più di qualunque altra cosa, e sì, darei la vita per lui in qualsiasi momento, senza esitazione. Ma questo non significa che io sia un traditore.
-come faccio a fidarmi?
-lui odia suo padre, più di quanto tu possa immaginare. Sotto un certo punto di vista gli sto facendo un favore. E la nostra guerra non è contro di lui, ma contro il re. Non è neanche il primogenito, non andrà al trono.
Lovino si alzò -mi fido- stabilì -e non lo dirò agli altri. Ma se ci tradisci e per colpa tua succede qualcosa a mio fratello, ai miei lupi o a mio marito...
-mi fai sbranare dai cani?- concluse Francis, che ormai conosceva la minaccia standard di Lovino.
-no- rispose, gelido come la neve intorno -ti uccido con le mie stesse mani.
Francis lo osservò andare via, seguito dai due lupi che lo avevano accompagnato. Sospirò, coprendosi il viso con le mani.
Che fottuto casino.

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Capitolo 9
*** Volevate la battaglia, eh? ***


Forse vi aspettereste un racconto dettagliato della battaglia, con il conteggio dei morti, la descrizione dei combattimenti e delle armature dei cavalieri e quant'altro, ma la verità è che non c'è granché da descrivere. Non appena si erano avvicinati al castello, infatti, il lord locale si era arreso e si era lasciato prendere prigioniero insieme alla sua famiglia.
-sono proprio necessarie le manette?- chiese il figlio del lord, un giovane biondo e mingherlino vestito di rosa.
-stai zitto, Feliks- lo rimproverò il padre, che si era fatto incatenare senza protestare.
-scusa pà- sbuffò, lasciando che il soldato lo incatenasse -mi si rovinerà tutta la pelle cioé.
-ti ho detto di stare zitto.
Lovino si stiracchiò -quindi mi sono svegliato all'alba per niente?
Ludwig sembrò scocciato -non proprio "per niente".
-avevamo sopravvalutato il problema.
-meglio sopravvalutarlo che farci trovare impreparati.
-fare tutto in pompa magna per niente è uno spreco di energie.
-non abbiamo fatto niente in pompa magna, solo...
-basta voi due- Feliciano si mise in mezzo, zittendoli -abbiamo di meglio da fare che sentirvi litigare come due bambini.
-noi non stavamo...- cominciò Ludwig, ma si zittì all'occhiataccia dell'altro ragazzo.
Lovino sbuffò -idiota- e, senza specificare a chi si stesse riferendo, tornò dai suoi lupi, che erano tornati dalla loro retata nelle cucine. Feliciano abbassò il tono della voce in modo da farsi sentire solo dal biondo.
-vacci piano con lui, mh? Già non è contento che tra noi ci sia... dell'amicizia...
-si lamenta di continuo- brontolò -sembra quasi che tifi per il nemico.
Feliciano si concesse un sorriso intenerito e gli si avvicinò, sistemandogli i capelli con una mano -odia l'idea di doverti un favore per tutto quello che state facendo per noi- mormorò, stringendogli la mano -tu però cerca di essere gentile, va bene? Ci parlo io poi con mio fratello- gli accarezzò la guancia con la mano libera, alla quale Ludwig si appoggiò chiudendo gli occhi -stai andando bene- lo rassicurò, sfiorandogli le labbra con il pollice -vinceremo- stabilì -e avrete ciò che vi spetta.
-e se...- Ludwig abbassò ancora il tono della voce -ciò non comprendesse tuo fratello sul trono?
Feliciano sentì un brivido freddo lungo tutta la schiena. Arretrò -in... in che senso? Certo che questo comprende mio fratello sul...
-non essere ingenuo- lo interruppe Ludwig, guardandosi attorno per controllare che non ci fosse nessuno intorno -qui l'unico che rivuole davvero tuo fratello al potere è tuo fratello stesso, e forse Antonio se è davvero così cotto come sembra. Quando avremo fatto fuori Kirkland, ci sarà un'altra guerra, ma tra di noi, e sarà il nord a vincerla.
Il castano non riconobbe quasi la sua voce per il tono gelido che utilizzò per replicare che -non ne sarei così sicuro, se fossi in te. Essere troppo orgogliosi porta alla rovina.
-sono solo realista. I Bonnefoy sono i più ricchi, ma il loro esercito è debole e hanno sperperato quasi tutto il loro patrimonio, lo sanno tutti. Le truppe di tuo fratello sono forti, ma non hanno una base stabile e non conoscono bene il territorio.
-la nostra base sarà la capitale- replicò, gelido -e mio fratello conosce bene il territorio.
-non quanto lo conosco io, e lui è completamente incapace nell'arte della guerra. A eccezione di vostro nonno, voi Vargas siete sempre stati artisti, non guerrieri. Avete mani adatte a un pennello, ad una penna magari, ma non alla spada.
-non mi sembrava che queste mani ti dispiacessero, ieri notte.
-non voglio offenderti...
-ci stai riuscendo.
-...sto solo cercando di dire che, se le cose si mettessero male, potresti venire da me. Ti proteggerei.
-ma per chi mi hai preso? Non sono una cortigiana da proteggere così puoi scopartela nel tempo libero.
-non è...
-e non sono neanche un cretino che non è in grado neanche di allacciarsi le scarpe senza il tuo aiuto.
-lo so ma...
-ma niente. Se io ti chiedessi di tradire tuo fratello per me, lo faresti?
-forse, se ci fossero dei giusti motivi.
-stai dicendo che mio fratello potrebbe darmene?
-non si può mai sapere. La tua famiglia...
-siamo tendenti alla pazzia? Intendi dire questo?
-be'... è innegabile che vostro nonno avesse quelle tendenze e...
-tuo nonno ci ha traditi, ma non mi pare che io giri con l'armatura per paura di venire pugnalato a morte- replicò -né tantomeno che lo faccia mio fratello.
-mio nonno aveva i suoi motivi.
-e se te li dessi io, dei motivi? Se... se impazzissi completamente e cercassi di dare fuoco a tutto il regno, mi uccideresti?
-non lo so. Vorresti che lo faresti?
-perché, tu sì?
-forse. Se fossi irrecuperabile... sì, preferirei venir fatto fuori. E tu?
Feliciano era senza parole. Perciò ricorse al dizionario di base, quello che aveva imparato da suo fratello, la prima cosa che si impara quando si studia una lingua, ciò che è indispensabile sapere se si vuole vivere bene.
-vaffanculo.
E se ne andò.

Quando Lovino vide suo fratello arrivare in lacrime, seppe per certo che quel crucco doveva morire.
-che ti ha fatto?
Feliciano si sedette affianco a lui e piantò la testa contro la sua spalla, abbracciandolo di slancio.
Lovino sospirò e lo strinse, mentre controllava che i suoi lupetti non sbranassero qualcuno. Vide Roma con un intero prosciutto in bocca e trattenne un sorriso.
-quindi? Cosa ha combinato il crucco?
-e-ecco...- tra un singhiozzo e l'altro, gli raccontò tutto.
Lovino sospirò mentalmente di sollievo, visto che -ah, tutto qui?
-come tutto qui? Ha detto che...
-be', ha ragione. Ci sarà un'altra guerra, ma tra di noi.
Feliciano abbracciò il fratello, nascondendo il viso contro la sua spalla -non ti tradirò.
-be', dovresti.
-c-cosa?
Lovino gli asciugò la guancia, con un piccolo sorriso, quasi materno -sai cos'è che mi importa di più?
-del trono?
-no, che tu stia bene. E se devi andare dal crucco per sopravvivere, fallo.
-ma...
-no- lo strinse forte -promettimi che, se le cose andassero male, andrai da lui. Tienitelo buono.
-ti stava dando del pazzo!
-e io gli do del coglione. Siamo pari.
-però...
-ascoltami- gli strinse il viso, costringendolo a guardarlo negli occhi -giurami sulla testa di nostra madre che, se ce ne fosse bisogno, farai di tutto per sopravvivere. Anche rifugiarti dal crucco.
-no.
-sì.
-non voglio lasciarti.
-e io non voglio che tu muoia.
-neanche io.
-ma sono io il maggiore- gli spettinò i capelli, divertito -sei il mio fratellino, e se non posso proteggerti io, mi va bene che lo faccia a qualcun altro.
-non voglio essere protetto. Non sono un bambino.
-lo so, ma rimani il mio fratellino. Per me sarai sempre un bambino, rassegnati.
Feliciano sbuffò, appoggiando la testa sulla sua spalla -ma non lo sono.
-che vuoi farci? Lo spirito di mamma si è impossessato di me.
Feliciano sbuffò -sei un rompicoglioni.
-finalmente cominci a parlare come si deve.
-dovresti sentire come ho mandato a fanculo Ludwig. Ti avrei reso fiero.
-ovvio. Ce l'abbiamo nel sangue, mandare a fanculo la gente è un arte, fratellino.
Il minore gli strinse la mano, appoggiandosi a lui e chiudendo gli occhi. Sospirò -ho imparato dal migliore.

-sono preoccupato per Feli- mormorò Lovino contro la spalla nuda di suo marito, stringendosi a lui alla ricerca di calore -forse non avremmo dovuto portarlo in guerra. È così giovane...
-è quasi un uomo- ribatté Antonio -e lasciarlo solo sarebbe stato più rischioso. Sai quanto me che il re avrà già mandato dei sicari a cercarvi.
-sì... ma rimango preoccupato. A Grande Inverno forse sarebbe stato più al sicuro.
-non sarebbe rimasto lì da solo. Ci avrebbe seguiti di sicuro.
-così non mi aiuti.
-scusa, mio sole e stelle, sto solo cercando di essere realista.
-fanculo te e il realismo- nascose il viso contro il suo petto -sai cosa non è realistico? Che tu abbia la pelle bollente con tutto questo freddo.
Antonio abbozzò un sorriso, stringendolo -be', va a vantaggio tuo- lo baciò tra i capelli. Lovino era adorabile, così piccolo e tremante per il freddo. Aveva la pelle tiepida, un po' meno scura del solito per colpa del clima gelido che c'era così a nord -e poi scendendo a sud arriveremo in posti più temperati.
-speriamo. Mi si stanno congelando le chiappe.
-a me non sembrano tanto congelate- per sicurezza controllò personalmente toccando l'area in questione -no, decisamente no.
-pervertito- si sistemò meglio tra le sue braccia.
-vuoi che mi sposti?
-col cazzo, ho freddo- allacciò le gambe intorno al suo bacino, tenendolo fermo. Forse, ma solo forse, a una piccolissima parte di lui piaceva stare così, stretti l'uno all'altro per ripararsi dal freddo. Forse.
Antonio capovolse le posizioni, in modo da ritrovarsi Lovino seduto in grembo. Il ragazzo gli si spalmò addosso, cercando calore -stai fermo.
-mh...- si mise ad accarezzargli la schiena con le mani bollenti, dandogli i brividi -e se io non volessi farlo?
-fallo comunque.
-sei un piccolo dittatore- lo baciò sulla fronte, divertito -i tuoi sudditi dovranno avere paura.
-tratto così solo il bastardo che ho sposato- si sistemò meglio la coperta sulla schiena, seppellendo la faccia contro il petto di suo marito -che palle il freddo- brontolò contro la sua pelle, facendolo ridere.
-forse è meglio dormire- mormorò Antonio dopo qualche secondo, disegnando delle figure che capiva solo lui sulla schiena dell'altro -domani sarà una giornata impegnativa.
-forse- si sdraiò al suo fianco, rannicchiandosi contro la sua spalla. Sospirò -abbracciami, stronzo. Ho freddo.
Antonio rise -agli ordini- lo strinse, girandosi verso di lui. Scese a baciarlo lungo il collo, accarezzandogli i fianchi al di sotto delle coperte.
-fermo- protestò a bassa voce -altrimenti non dormiamo.
-ti sto solo coccolando un po'- e continuò con i suoi baci, limitandosi al collo.
-sei uno stronzo.
-ti amo anch'io- Lovino sentì i brividi a quella frase, e il bacio che seguì sulla sua pelle non lo aiutava.
-rimani uno stronzo.
-come dici tu- lo baciò appena dietro all'orecchio -comunque non preoccuparti per tuo fratello. Se la caverà.
-lo spero- lo baciò a stampo -lo spero davvero tanto.

Due giorni dopo, l'esercito del re era arrivato. Francis lo capì prima ancora di leggere il messaggio legato alla zampa del lupo di Lovino.
"Il re è a meno di un giorno di distanza. Tenetevi pronti e avvicinatevi il più possibile"
"Una spia ha detto che ha portato anche i figli maggiori" aggiungeva una nota a margine, doveva averlo aggiunto Lovino
Francis sentì un brivido.
Arthur... Arthur era in pericolo.
-vado a fare una cavalcata per controllare che non ci sia nessuno in giro- disse, legando al lupo un messaggio in cui diceva che si stava avvicinando -voi intanto iniziate a smontare, dobbiamo avvicinarci agli altri. Partire pure senza di me, vado in avanscoperta.
-sì signore.
-bene- e partì, seguendo il lupo.
Doveva trovare Arthur.

Ebbe culo. Non c'è un modo più elegante per dirlo: ebbe semplicemente culo.
Insomma, sapeva che Arthur andava spesso a camminare quando era nervoso, e che tendenzialmente quando c'era in giro suo padre si defilava, ma per lo più aveva sperato di beccarlo nei dintorni dell'accampamento nemico a imprecare contro il reale didietro del suo reale padre e a bere dalla sua fedele fiaschetta. Di certo non si era aspettato di rischiare un frontale con il suo cavallo.
-ma che cazzo...
-Arthur!
-Francis? Che cazzo ci fai qui?
-che cazzo ci fai tu qui?
-stavo venendo a salvarti!
-no, io stavo venendo a salvarti!
-ma cosa...
Francis sentì un rumore in lontananza. Afferrò il braccio del suo amante -vieni, nascondiamoci nel bosco. Lì potrai insultarmi quanto ti pare.

-pensavo che i bastardi del nord ti avessero preso prigioniero- spiegò Arthur, seduto sotto un alto pino -stavo venendo a cercare di salvarti.
-e tuo padre lo sa?
-secondo te me lo avrebbe lasciato fare?
-giusto- meglio così.
Arthur gli strinse la mano -e tu invece?
-me ne sono andato poco prima che scendessero per la guerra- mentì -ho sentito alcuni discorsi di nascosto e sono scappato. Pensavo... insomma, volevo avvertirti.
-non serve- lo rassicurò, baciandogli il dorso della mano -domani ci sarà la battaglia, ma vinceremo. È solo una rivoltina da niente.
Francis gli strinse con forza entrambe le mani -resta qui con me.
-cosa?
-resta qui con me.
-ma devo...
-ti prego. Non posso saperti in pericolo- interruppe le sue proteste con un bacio.  Cazzo quanto gli era mancato -hai detto che è solo una rivoltina da niente. Allora rimani qui con me, al sicuro.
-non posso non farmi vedere...
-nessuno noterà la tua assenza nel caos della battaglia- gli salì sopra, strusciandosi leggermente sul cavallo del suoi pantaloni. Lo baciò, tirandogli i capelli biondi e portandosi le sue mani sui fianchi con la mano libera -e poi mi sei mancato... così tanto...
-io...- lo baciò di nuovo, a bocca aperta, riprendendo a strusciarsi lentamente e sorridendo quando sentì Arthur ricambiare con altrettanta passione.
In fondo quel lungo periodo di lontananza era stato duro per entrambi.

Gilbert stava cercando in tutti i modi qualcosa con cui tenersi occupato. Aveva impartito ordini alle truppe, aveva controllato le provviste e gli armamenti, aveva fatto una decina di discorsi motivazionali diversi a vari gruppetti di soldati per rassicurarli, si era assicurato che tutti mangiassero abbastanza a cena e aveva risolto una litigata per chi dovesse avere la branda migliore. Ora che tutti stavano dormendo, però, cominciava ad annoiarsi.
Lanciò una pallina in aria, fino a farle sfiorare il tetto della sua tenda, e poi la riacchiappò al volo per la cinquantatreesima volta quella sera. Non riusciva a fermarsi: fermarsi avrebbe significato pensare al giorno dopo, e pensare al giorno avrebbe significato andare nel panico più totale e non poteva permetterselo.
-posso?
-Eliza!- la pallina gli cadde in testa. Si alzò di scatto dalla sua branda e fu subito da lei -vieni vieni. È successo qualcosa?
La ragazza si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio -no io...- sembrava spaventata.
-ti sono venute? Se non te la senti di combattere basta dirlo, anche se sei la nostra combattente più forte, non importa, solo...
-non ho il ciclo- lo interruppe -ma sei carino a preoccuparti.
Pensa che io sia carino -e allora cosa ti porta qui?
-io...- sospirò, smettendo di tormentarsi le mani. Sembrò prendere una decisione -questa è la prima vera guerra che combattiamo- iniziò.
-lo so- le strinse le mani -anch'io sono nervoso.
-non è solo nervosismo- cominciò a camminare avanti e indietro per la piccola tenda, tormentandosi una ciocca di capelli -io... non voglio rimpianti. E so che non è giusto nei tuoi confronti perché non posso caricarti di un carico emotivo del genere per mio egoismo ma...
-aspetta, carico emotivo? Cosa intendi?
E a quel punto Eliza fece una cosa assolutamente priva di senso. Gli si avvicinò, gli prese il volto tra le mani e lo baciò.
Gilbert pensò che la pallina, cadendogli in testa, lo avesse ucciso, ma non aveva senso. Perché sarebbe dovuto finire in Paradiso?
Be', fanculo, si disse. Qualunque cosa sia, meglio godersela. Chiuse gli occhi e la strinse tra le braccia con gentilezza, posandole le mani suoi fianchi, e solo lì perché era un signore e aveva una discreta paura di essere evirato dalla ragazza se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
Eliza gli strinse la mano -non so se vuoi... ecco...- indicò il letto.
Gilbert iniziò a credere davvero di aver preso una botta troppo forte in testa -intendi... dormire abbracciati?
Eliza cominciò a chiedersi la stessa cosa.
-no, intendo...- sbuffò, meglio essere diretti. Si sfilò la maglia, rimanendo mezza nuda davanti a lui. Gilbert fece la faccia di uno che avesse visto tutti gli dei davanti a sé -andare a letto, ecco.
-tu vuoi... andare con me?
-se non lo volessi non sarei qui- gli si avvicinò -e tu?- Gilbert annuì più e più volte, per una volta senza parole. La ragazza sorrise divertita, gli gettò le braccia al collo e lo baciò, premendosi contro di lui. Gilbert prese coraggio e la strinse, posandole le mani sulla schiena nuda. Eliza si sentì sollevare e allacciò le gambe al suo bacino, immergendo le mani tra i suoi capelli, bianchi come la neve ma per nulla freddi.
-ne sei sicura?
Lo baciò sul collo, con un piccolo sorriso -sì. Sicurissima.

Feliciano non riusciva a dormire. Si rigirò per l'ennesima volta tra le coperte, poi sbuffò. Scostò le coperte, prese il cuscino e uscì, lasciandosi svegliare dal freddo della sera contro il tessuto leggero della sua veste da notte. Rabbrividì, meglio non restare troppo lì, in mezzo ad un accampamento pieno di soldati, poco vestito, di notte. Corse verso la tenda di Ludwig, con l'erba umida contro i suoi piedi nudi.
Una volta lì tirò un sospirò di sollievo.
-Feliciano?
Si diede mentalmente dell'idiota. Non sapeva neanche lui perché fosse andato lì: aveva bisogno di fare sonni tranquilli, e aveva sentito il bisogno di andare lì.
Abbozzò un sorriso imbarazzato, anche se era buio e Ludwig non poteva vederlo -posso dormire con te? Mio fratello e Antonio stanno facendo un casino...- non era del tutto una bugia, ma pure loro erano andati a dormire ormai.
-uhm... va bene...- il biondo scostò le coperte, mezzo addormentato, e si spostò per fargli spazio. Feliciano si sdraiò accanto a lui e si rannicchiò sotto le coperte, stava congelando.
Tienitelo buono gli sussurrò una vocina stranamente simile a quella di suo fratello.
Abbracciò la sua schiena, nascondendoci il viso. Sospirò, Ludwig aveva un buon odore. Sollevò la testa e si sporse a baciarlo sul collo.
-che... che stai facendo?
-scusa- intrecciò le dita sopra il suo petto e continuò a dargli baci un po' a caso tra collo e spalle -ho esagerato.
Ludwig si girò e lo baciò sulle labbra. Feliciano trattenne un sospiro, gli era mancato farlo -no, sono io a dovermi scusare.
Abbozzò un sorriso, accarezzandogli la guancia con due dita -pace?
-pace.
-bene...- sentì le palpebre farsi pesanti. Si rannicchiò tra le braccia di Ludwig e chiuse gli occhi -buonanotte...

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Capitolo 10
*** Non giudicatemi ***


Ehi! Scusate il ritardo, ma ho avuto un po' da fare in questi giorni.
Buon san Giovanni Battista (patrono di Genova, dove vivo! :D)

Francis si risvegliò tra le braccia di Arthur. Lo osservò dormire, con un piccolo sorriso dolce come il miele.
Quanto mi sei mancato, mon amour.
Non avrebbe saputo dire dopo quanto Arthur si fosse svegliato, fatto sta che lo fece. Aggrottò la fronte, sbatté le palpebre, infastidito dal sole, si guardò intorno, confuso su dove si trovasse, e infine abbassò lo sguardo su Francis e gli rivolse un adorabile sorriso assonnato, che Francis non esitò a baciare.
-buongiorno.
-buongiorno, amore- lo baciò di nuovo, accarezzandogli la guancia. Arthur sbadigliò, spettinandosi i capelli -perché sei così sdolcinato tutto a un tratto?
-perché mi sei mancato- tornò a baciarlo, tanti piccoli baci, prima sulla bocca, poi sul collo, sulla guancia, sulla punta del naso. Arthur rise, piano, ancora troppo assonnato per darsi il suo solito contegno. Francis amava quei momenti tranquilli, da sempre, e sapere di essere il solo a vedere Arthur così, assonnato e completamente rilassato, gli dava una soddisfazione inimmaginabile.
-sei strano- stabilì Arthur, lasciandosi baciare, una mano stretta a quella del suddetto strano e l'altra sulla sua nuca.
Un rumore, cos'è? Chi osa disturbarci, un animale, un cacciatore che si è perso? È mica un tuono?
No, peggio, caro il mio Francis. Molto di peggio.
-cazzo, la guerra- improvvisamente vigile Arthur si alzò di scatto e raccattò i suoi vestiti, infilandosi i pantaloni di corsa, tuttavia qualcosa, qualcuno, gli afferrò il polso per trattenerlo.
-no!
-darling...
-darling un cazzo. Resta qui con me, ti prego- Francis era disperato. Non poteva lasciarlo andare in guerra, doveva proteggerlo, doveva salvargli la vita ad ogni costo.
-non posso, devo...- assottigliò lo sguardo, un sospetto terribile conficcato nella sua testa come una lama di ghiaccio ad alimentare la sua rabbia. Quando questo coltello si scioglierà, il giovane si renderà conto dello sbaglio commesso, della ferita infertagli, ma quanto ci vorrà? -aspetta... cosa ne sapevi che ci sarei stato anch'io? Era un segreto, l'ho scoperto un'ora prima della partenza e...
Panico. Puro, assoluto e semplice panico.
-l'ho... l'ho sentito dire da... e... e pensavo di... dovevo controllare per... per saperti al sicuro e...
-non sei così coraggioso- lo interruppe Arthur, arretrando.
Francis sgranò gli occhi -non penserai mica che ti voglia fare del male.
-da chi hai sentito che ero qui?
-da... dai Beilschmidt. Ne parlavano vicino all'accampamento e...
-quindi eri vicino al loro accampamento. Perché?
-stavo... stavo scappando ed erano nei paraggi.
-ma sei partito prima che partissero a loro volta.
Francis voleva piangere -di... di poco.
-quindi mi stai dicendo che un intero esercito ha raggiunto te, che eri da solo, a cavallo, e con delle ore di vantaggio?
-mi... mi ero fermato per la notte e ho perso tempo...
-avresti comunque potuto seminarli in fretta. E poi perché...
Troppe, troppe bugie. Francis mentiva sempre: al mondo, a suo padre, a se stesso, ma non ad Arthur. Viveva di apparenza, da sempre, e l'unico con cui si toglieva la sua maschera era proprio Arthur. Come, come poteva mentire ancora?
-mio padre mi ha costretto- gli uscì -lui... si è alleato con loro. Io non volevo, sai che...
-lo sapevo!- quanto può essere crudele un dito puntato contro -sei un bugiardo.
-non potevo vederti morire così!
-perché sei così sicuro che morirei? Ce ne saremmo accorti se tuo padre avesse mandato delle truppe, quindi è solo l'esercito del nor...- si interruppe vedendo la faccia dell'altro, che ormai era un libro aperto pronto a rivelare tutti i suoi più loschi segreti. Arthur sentì improvvisamente più freddo, la lama sempre più conficcata nel suo cranio -non è solo l'esercito del nord, vero? C'è qualcun altro.
Francis voleva urlare. Non riusciva ad aprire bocca, ma non servì, perché il suo amore, da sempre così intelligente, avrebbe dovuto aspettarselo in fondo, ci arrivò comunque.
-Vargas...- sussurrò -vi... vi siete alleati con lui per togliere di torno noi.
-solo tuo padre- gli strinse la mano -ti prego, credimi. Se non combatti saranno più buoni, ti risparmieranno- abbozzò un sorriso -è quello che hai sempre voluto, no? Potremmo... potremmo andare a vivere in campagna, solo noi due, e stare tranquilli, senza che le nostre famiglie ci diano fastidio.
Arthur gli lasciò la mano. Il suo tono era freddo e duro come l'acciaio -sembri molto sicuro che vincerete- si infilò la maglia e le scarpe, senza aggiungere altro. Forse stava cercando di riordinare i pensieri.
-mon amour...
-non dire niente- slegò il suo cavallo dall'albero dove lo aveva legato e rimase zitto qualche secondo, poi sembrò trovare le parole giuste -non sono un traditore.
-lo so! Lo so, sei leale, ma...
-potrò anche odiare mio padre, ma non lascerò i miei fratelli a morire.
-e lo capisco ma...
-tu...- sgranò gli occhi, il sospetto divenuto fantasia -sei qui per tenermi occupato.
-cosa? No!
Lo sguardo di Arthur si irrigidì -sì invece. Ti hanno mandato loro, vero? Cosa credi, che sia un idiota?
-no, non mi hanno mandato, non sanno...
-tu sai- lo interruppe -che non lascerei i miei fratelli soli a morire. Sai che quello che stavi cercando di fare non avrebbe funzionato, e sai anche che sono il miglior stratega della famiglia. Ti hanno mandato qui per farmi perdere tempo, vero? Mi hai fatto da puttana per darvi del vantaggio.
-no! Arthur ascoltami, ti prego, stai andando al macello e non voglio...
-non vuoi cosa? Che io faccia il culo ai tuoi nuovi amichetti? Ti sei fatto scopare anche da loro?
Francis fece la faccia di uno che avesse appena preso un pugno nello stomaco -secondo te farei mai una cosa del genere?! Arthur, per favore...- provò ad avvicinarsi a lui, ma quello prese la spada dal fodero sul cavallo e gliela puntò contro. Francis si immobilizzò, con gli occhi sgranati -cosa?!
-non ti ammazzo solo in virtù di quello che provavo per te- ringhiò -ma la prossima volta non sarò così buono.
-provavi?- adesso stava cominciando a incazzarsi anche lui -quindi da ieri notte a oggi ti sei dimenticato di tutto quello che provavi? O è stato tutto finto e per te ero solo un bel passatempo?
-per te non lo ero?
-no- arretrò, fissandolo con odio -ma forse è stato un errore.
-già- salì a cavallo, rinfoderando la spada -forse sì.
Il rumore degli zoccoli del cavallo, toc toc toc, via coprì quello del cuore di entrambi che si spezzava in un miliardo di pezzi.

-dove stracazzo eri finito?!
-ho avuto dei problemi- Arthur scese da cavallo -come sta andando?
-una merda, per colpa dei tuoi "problemi".
-non rompere il cazzo, Allistor. Quanto una merda?
-tanto una merda. Ci sono dentro anche Vargas e Carriedo con i loro cazzo di lupi e i loro cazzo di cavalieri.
-ci sono anche i Bonnefoy, anche se non hanno mandato truppe per ora.
-e tu che ne s... Francis?
Arthur strinse i denti -già. Come sempre, i miei problemi riguardano lui.
-avete litigato?
-ti sembra il momento di parlarne? Dobbiamo ritirarci.
-e grazie al cazzo, ma dove e come?
Arthur si guardò intorno -la foresta?
-quale parte di "hanno dei fottutissimi lupi" non ti è chiara?
-nella foresta ci sono migliaia di animali. Gli odori li confonderanno.
-sono metalupi. Non li inganni così facilmente.
-hai qualche idea migliore?
-sei tu quello intelligente in famiglia.
Arthur alzò gli occhi al cielo -grazie tante- osservò i soldati davanti a loro che facevano da scudo e vide qualcosa in lontananza -forse...
-cosa? Forse cosa?
-il fiume.
-è un ruscello.
-meglio di niente! Abbiamo la flotta più potente del mondo, usiamola cazzo.
-non ci siamo mica portati dietro le navi!
-questo lo dici tu- corse verso l'accampamento e afferrò la prima tenda che gli capitò a tiro -questo è un tessuto idrofobo.
-eh?
-è ricoperto della sostanza che fa sì che il legno delle navi non si rovini.
-mh. E quin... non vorrai usare le tende come navi spero?
-hai altre idee?
-...no, tanto mi basta- richiamò alcuni soldati, i superstiti della guardia del re -prendete tutte le tende che riuscite e correte al fiume.
-nostro padre?
-da quel che so è in battaglia- Allistor afferrò una tenda -per i cavalli?
-li carichiamo sulle tende e speriamo non facciano affondare tutto.
-mi piace come approccio.
-sempre meglio che crepare sotto il nemico.
-giusto! Libertà!

Feliciano rise, al terzo bicchiere di vino, e si unì al coro di soldati. Ludwig, al suo fianco, sembrava un po' contrariato all'idea che bevesse, tuttavia erano tutti così felici che non osava rovinare la festa, e anzi si era concesso qualche sorriso che Feliciano avrebbe tanto, ma tanto, voluto baciare.
Avevano vinto, il re era morto. Alcuni erano riusciti a scappare usando delle tende come barche, ma comunque per loro era stato un successo, e ciò significava una bella festa.
Il ragazzo trattenne una risata nel vedere che suo fratello ancora non si era staccato da Antonio.
-dovremmo cronometrare quanto tempo rimangono appiccicati- commentò Gilbert.
-la risposta è: parecchio.
-quello è poco ma sicuro.
Fino a dieci minuti prima i due maritini stavano ballando sul tavolo una tipica danza della tribù. Come poi fossero finiti a limonare sdraiati sul tavolo, il maggiore sopra il più piccolo, intrecciati l'uno all'altro come una catena umana, non l'aveva ancora ben capito nessuno.
-ho visto una mano infilarsi in posti segreti- notò Gilbert, ridendo, con la quinta birra della serata in mano -secondo me finiscono a scopare qui davanti a tutti.
-mio fratello? Quello che si vergogna a farsi vedere senza maglietta da me? Non lo farà mai.
-scommettiamo?
-ci sto. Cosa?
-non ne ho idea.
-chi vince farà fare all'altro una penitenza a sua scelta- propose Eliza, interessata. Gilbert annuì.
-ci sto.
-Feli, non è una buona idea- provò a dissuaderlo Ludwig, ma il ragazzo lo ignorò.
-ci sto- e si strinsero la mano. L'albino ghignò.
-guardali. Sono a tanto così dallo scopare.
Feliciano non disse nulla, con un sorrisino. Finalmente i due si staccarono, fu Lovino a farlo, per sporgersi a sussurrare qualcosa all'orecchio di suo marito. Feliciano aumentò il suo sorriso quando vide Antonio sgranare gli occhi, mettersi seduto, scendere dal tavolo, sollevare Lovino come se non pesasse niente e andare via, quasi correndo, presumibilmente verso la loro tenda.
Eliza era piegata in due sul tavolo dalle risate, mentre Gilbert aveva la bocca spalancata.
-non ci posso credere...
-ti farò sapere la tua penitenza a breve- concluse Feliciano, accavallando le gambe con aria elegante, sotto lo sguardo affascinato di Ludwig.
Gilbert si alzò -ho bisogno di un'altra birra.
-vengo con te, se ti ubriachi devo vederlo- stabilì Eliza, seguendolo. Feliciano strinse la mano al suo ragazzo segreto.
-posso dormire con te? Ho la tenda affianco a quella di mio fratello, e ho come la sensazione che quei due faranno casino fino a un orario indecente.
Ludwig intrecciò le dita con le sue -certo. Vieni pure quando vuoi.
Feliciano gli stampò un bacio sulla guancia -grazie, Luddi- finì in un sorso il suo bicchiere di vino e si alzò, trascinandoselo dietro, ridendo -andiamo a ballare!

Antonio aveva un sorriso stupidamente enorme, Lovino aveva davvero la tentazione di strangolarlo e far passare il tutto come un incidente.
-come stai, mi amor?
-vaffanculo.
Una merda. Ecco come stava.
Non negava che la notte precedente fosse stata piacevole, ma tra il vino e l'euforia per la vittoria al bastardo non era minimamente passato per l'anticamera del suo cervello bacato che forse avrebbe dovuto darsi un po' una controllata. E sì, lì per lì neanche Lovino ci aveva pensato, era un po' preso da altre cose, e non negava che quella mancanza di controllo fosse stata per certi versi piacevole, molto piacevole, ma...
Sì insomma, per farla breve: aveva un male al culo che non riusciva a muoversi. Di nuovo.
-ti faccio un massaggio?
-ti taglio l'uccello e te lo lego al collo?
Antonio non sembrò intimido, anzi. Salì sulla schiena di suo marito, sedendosi sul suo bacino, e iniziò a massaggiargli le spalle delicatamente. Lovino non aveva la forza, e neanche la voglia a dirla proprio tutta, di protestare, così seppellì il viso nel cuscino per non gemere, che ci manca gli venga voglia di nuovo, è la volta buona che glielo stacco a morsi sul serio.
Almeno, si disse, ho avuto la mia rivincita. Si riferiva ai segni di morsi sul collo del più grande, che lasciavano ben intendere che il capotribù fosse proprietà privata. Non che quel sorriso enorme lasciasse dubbi su cosa avesse fatto suddetto capotribù la notte precedente, ma sempre meglio precisare, visto che la sera prima c'erano state decisamente troppe ragazze intente a fissare decisamente troppo a lungo suo marito. Della tribù e non. Devo fare un discorsetto al crucco sulle ragazze del suo popolo. Devono starsene alla larga.
Antonio si era messo a dargli dei baci sulla schiena nuda, comunque.
-smettila- mormorò, sollevando una mano per mandarlo via, senza successo visto che Antonio gli prese la mano e baciò anche quella, sul palmo, scendendo poi lungo il polso e il braccio. Lovino lo scacciò via in malo modo, rimettendo il braccio sotto le coperte -stronzo. Non te lo ridò il culo, è inutile che ci provi.
-ti sto solo coccolando.
-sì sì, come no.
Antonio lo baciò sulla colonna vertebrale, circa a metà schiena -ti amo.
Lovino si irrigidì, il che gli causò una scossa di dolore lungo tutta la schiena. Cercò di girarsi, fallendo, e tornò a nascondere il viso nel cuscino -cosa?
-ho detto che ti amo.
-lo dici solo perché ti ho dato il culo.
-no- Antonio lo abbracciò, dandogli tanti piccoli baci sulla spalla -lo dico perché è vero.
Lovino inspirò profondamente, cercando di pensare a qualcosa di profondamente romantico da dire, ma con il battito sfrenato del suo cuore nelle orecchie non riusciva a ragionare.
-baciami- gli uscì infine -baciami come se questa fosse la nostra ultima notte.
Antonio sorrise contro la sua pelle -ma è giorno.
-mi sembrava una cosa bella da dire. Tu fallo e non rompere.
-certo- lo fece girare e lo baciò sulle labbra, facendolo sciogliere come neve al sole. Antonio lo guardò negli occhi, con due occhi completamente persi -sei bellissimo...
-ti ho detto di baciarmi- e lo zittì, di nuovo, con le sue labbra. Erano morbide, quelle di Antonio, il ragazzo avrebbe potuto rimanere così tutto il giorno, con una mano tra i suoi capelli e le gambe intrecciate alle sue.
Sentì una mano di suo marito accarezzargli il fianco, lentamente, scendendo lungo la coscia, fino al ginocchio, e poi di nuovo su, e si sentì tremare a quel contatto.
-hai i peli più lunghi o sbaglio?- mormorò Antonio contro la sua bocca, con un sorriso divertito.
-vaffanculo- se lo tirò contro, spalmandoglisi contro, e stava quasi per dimenticare i, per così dire, problemi tecnici e tornare a farsi sbattere sul letto, quando una vocettina da fuori annunciò la sua presenta.
-posso entrare?
-Feli!- allontanò da sé con una spinta suo marito e cercò di mettersi seduto, fallendo -aspetta un attimo.
Antonio sbuffò, imbronciato -che tempismo.
Lovino gli stampò un bacio -tanto non te l'avrei dato comunque.
-ci sono altre cose che...
-dopo- promise -però ora mi passi qualcosa da mettermi addosso?
-ma stai meglio senza.
-non posso farmi vedere nudo dal mio fratellino- si sporse a sussurrargli all'orecchio, mentre con un dito percorreva il profilo dei suoi addominali -e poi pensavo ti piacesse togliermeli...
Meno di tre secondi dopo aveva in mano una tunica di lino, che indossò con una risatina -vestiti anche tu.
-agli ordini- si infilò un paio di pantaloni e una tunica corta, sempre con quel sorrisone stampato in faccia.
-hai dei...- si indicò il collo. Antonio alzò le spalle.
-va bene- si chinò a baciarlo -vi lascio soli, tanto ho da fare con le truppe eccetera. Torno il prima possibile, mi amor- lo baciò ancora, un po' più a lungo.
-uhm- lo trattenne e si fece baciare di nuovo. Si sentì arrossire ma -ti amo anch'io, stronzo- lo lasciò andare -su, non hai le tue cose regali da fare?
Antonio aveva un sorriso così enorme che Lovino si chiese se non gli facessero male le guance -giusto. A dopo, querido- e se ne andò, quasi trotterellando.
Feliciano sbucò dalla tenda -si può sapere che gli hai fatto? Sembrava in paradiso.
Lovino gli fece l'occhiolino -sono incredibilmente bravo a letto, fratellino.
-è per questo che non riesci a sederti?
-fottiti- gli indicò il posto affianco a lui -siediti e racconta che hai fatto con il crucco.
-che ne sai che...
-te lo si legge in faccia. Ora siedi.
Feliciano esitò -considerando quel che ci avete fatto su quel letto non so se...
-oh, non rompere i coglioni- lo afferrò per un braccio e se lo tirò affianco -su, racconta.
Feliciano si sedette a gambe incrociate sul letto -uhm... ieri dopo la festa sono andato nella sua tenda, visto che voi due facevate un casino pazzesco.
-ringraziami pure dopo- replicò, coccolando Roma che era appena arrivata e si era sdraiata in grembo al suo padrone.
-e... uhm... ci siamo baciati un po' e... gli ho... fatto una cosa con la bocca.
Lovino fischiò -hai capito il fratellino. Intraprendente.
-tu l'hai mai fatto ad Antonio?
-avoja.
-e come... cioé... com'è andata?
Lovino alzò le spalle -a parte una volta che sono quasi soffocato direi bene.
-quasi soffocato? È messo così bene?
-non per quello, aveva fatto un movimento che... lascia stare. Comunque non mi sono messo certo a misurare ma- sospirò -di sicuro sa come usarlo.
-è stato con altri prima?
Lovino sgranò gli occhi -non... non gliel'ho chiesto.
Anche se in effetti... Antonio era troppo esperto in quelle cose per aver perso la verginità con lui.
Porca troia.
-Lud è tenerissimo- si sdraiò e dondolò le gambe in aria, con aria innamorata -mi coccola tantissimo ed è sempre così imbarazzato...- si morse il labbro -però a volte si lascia andare e ha quell'aria da cattivo ragazzo che...- rabbrividì -non sai che mi farei fare da lui quando è così.
-non mi interessa saperlo.
-con Antonio invece?- si girò sulla pancia, osservando il fratello con aria curiosa.
-cose che le tue orecchie innocenti non sono pronte a sentire.
-oh, ma dai! Non chiedo i dettagli ma...
-no.
-ti prego.
-no.
-daaaai.
-no.
-per favoooore.
Niente, alla fine cedette. Feliciano sapeva essere testardo.
-diciamo che non c'è andato per il sottile.
-cioé?
-cioé... siamo arrivati in tenda, appiccicati come cozze, e lui mi ha afferrato e sbattuto sul letto come non pesassi niente e...- il suo sguardo si perse in lontananza -diciamo che non pensavo che una cosa così dolorosa potesse essere così bella- si morse il labbro -cazzo...
-e così non riesci a sederti.
-mi va bene- Roma si gettò all'indietro, alla ricerca di più coccole -cioé no, però va bene.
-mi dai qualche dritta su... su cosa provare con Luddi?
-ti sembro un esperto?
-sì- gli fece due occhioni così -dai, dimmi cos'è che ti piace di più.
-idiota- Lovino arrossì, chinando lo sguardo sulla lupa -i... i baci.
-i baci?
Lovino annuì -quando lui... quando si mette a baciarmi un po' ovunque. Prima mi bacia sulla bocca, poi sul collo, lentamente, e arriva al petto, poi ancora giù, ogni tanto morde o lascia segni, o a volte lo fa mentre sono di schiena.
-questo? Ti bacia un po' dappertutto?
Il maggiore scrollò le spalle -mi fa sentire... apprezzato. Non giudicarmi, stronzo.
Feliciano alzò le spalle -no, lo capisco, ma non penso sia il mio genere.
-lui ha ricambiato il favore?
-eh?
-il crucco, ieri. Ha fatto la stessa cosa a te?
-oh, no. Ha... usato le mani. Però mi è piaciuto.
-e fattelo succhiare da lui, che devo dirti.
-sempre delicato.
Lovino chinò la testa. Gli uscì un sussurro -mi ha detto che mi ama.
Feliciano non capì -cosa?
-mi ha detto che mi ama- ripeté quello, a voce più alta. Il minore dei due sgranò gli occhi.
-oh mio... è fantastico! E tu cosa gli hai detto?
Lovino alzò le spalle -che lo amo anch'io... più o meno.
-più o meno?
-sì insomma, gliel'ho detto a modo mio, ma l'ha capito.
-aaah- Feliciano abbracciò il fratello, posando la guancia contro il suo petto -sono felice per te, fratellone.
-il crucco?
-non ce lo siamo detti.
-mh- si mise ad accarezzargli i capelli, una cosa che fin da bambino lo aveva sempre rilassato -stai diventando grande.
-posso stare un po' qui con te?
-mh? Certo, tanto mica vado da qualche parte- si sistemò meglio, stringendolo contro il suo petto -partiamo domani, vero?
-sì- lo baciò sulla guancia -sono tutti così sbronzi dopo ieri sera...
-immagino. Dai, raccontami un po' più nel dettaglio come va col crucco, so che lo vuoi fare.
Feliciano abbozzò un sorrisino, rigirandosi una ciocca di capelli -normale credo... mi piace tantissimo, Lovi! È forte e bello e intelligente e con me è sempre così dolce...
-mhmh. Approfondisci.
-se ci tieni...

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Capitolo 11
*** Sto diventando un fottuto Cupido ***


Arthur continuava a fare avanti e indietro per la sala del trono, riflettendo.
I suoi fratelli lo osservavano in silenzio, forse anche un po' invidiosi. Il notaio, al contrario, sembrava scocciato.
-in che senso io?
-gliel'ho già detto, Vostra Maestà. Sul testamento risulta il vostro nome.
-ma...
-piantala di scavare solchi sul pavimento- lo interruppe Allistor, scocciato -sei tu il re. Congratulazioni.
-non serve usare tutto questo sarcasmo.
-non sono sarcastico, sono risentito.
-non è colpa mia! Se vuoi infierire sul cadavere di nostro padre fai pure, anche se ora come ora non ho idea di dove cazzo sia, ma non prendertela con me.
-che palle bro- commentò Alfred, imbronciato -almeno posso fare da primo cavaliere?
-non voglio essere re! Volete la corona? Prendetevela. Abdico subito, ditemi solo dove cazzo devo firmare e...
-smettila di fare il santarellino, sai anche tu che vuoi il potere ancora più di noi- replicò Allistor.
-quello che voglio- ringhiò Arthur -è una vita tranquilla in campagna, senza rotture di coglioni- e con Francis aggiunse una vocetta fastidiosa. Stai zitta.
-oh, ti prego- Allistor alzò gli occhi al cielo -smettila con questa stronzata della povera vittima costretta dal padre.
-non è...
-sì invece. Qui dentro sei sempre stato quello più interessato alla politica, alla storia e compagnia bella. Pensi che fossi il favorito di papà per il tuo bel faccino? Solo che ti piaceva fingerti alternativo per non so che stronzata adolescenziale e per scoparti quel rivoluzionario di Francis con la coscienza a posto.
Arthur strinse i pugni -non nominarlo. Non farlo.
-vedi? Vuoi vendetta. Tu vuoi sederti su quella sedia più di chiunque altro, e sei quello più portato per farlo.
-penso di sapere quello che voglio più di te.
-ah, davvero? E cosa vuoi?
-te l'ho detto poco fa. Sei così vecchio da avere già problemi di memoria?
-ne sei davvero così sicuro?
-sì.
-e tutte quelle lezioni di oratoria? Tutte le ore passate a leggere libri di orazioni, a studiare l'arte della politica e della guerra, tutte le volte che ti sei intrufolato nel concilio ristretto per sentire che stavano combinando?
-mi interessavo di attualità. Ci vivo in questo paese.
-no. Cercavi di imparare come fare.
-tu che ne sai?
-sono tuo fratello, idiota. Ti ho visto crescere, ti conosco. Fino a un paio di anni fa non ammettevi di volere il trono per non dare la soddisfazione a papà e per non inimicarti il resto della famiglia, poi hai cominciato a fotterti Francis e ti sei dimenticato di tutto per pensare al culo di quello lì.
Arthur si sentì ringhiare -ti ho detto di non nominarmelo.
-ma non mi stai dando torto.
-fottiti.
-me lo dici spesso- replicò, per niente infastidito -ma continui a non darmi torto.
Arthur emise un gemito frustrato -e va bene, prendo 'sto cazzo di trono. Contento?
-no. Ma per ora mi reputerò soddisfatto.
-però tu sarai la mano del re.
-col cazzo.
Arthur inarcò un sopracciglio, con le mani sui fianchi. Allistor sbuffò.
-e va bene. Ma mi prendo la libertà di assentarmi come e quando mi pare.
-sopravviverò a questa condizione- e si strinsero la mano.
Il resto della famiglia sospirò di sollievo: i litigi tra quei due fratelli in particolare erano sempre tremendi, e raramente si concludevano con una pace.
-vado a organizzare tutto per l'incoronazione- annunciò la neo mano del re.
-vengo con te. Dobbiamo posticipare il matrimonio con Belle Tyrell.
-con che scusa?
-siamo troppo occupati con la guerra per pensarci. Non riveliamo ancora che sappiamo dei Bonnefoy, possiamo usarlo a nostro vantaggio.
-a volte hai persino delle idee intelligenti.
I due si allontanarono parlottando.

-re Arthur?!
-già, ero stupito anch'io.
-no, non hai capito. Non è possibile- Francis stava facendo avanti e indietro da quando il corvo con la notizia della futura incoronazione era giunto a destinazione -lui non vuole fare il re! Odia quelle cose!
-le odierà anche, ma pare che non si faccia tanti problemi a prendere il posto di papino- Gilbert continuò a leggere la lettera -la mano del re è un certo Alistor.
-Allistor?!
-quello che hai detto tu.
-ma come cazzo... si odiano a morte!
-come dice il detto? Tieniti stretti gli amici e i nemici ancora di più.
-allora dovrei essere con lui- brontolò Francis -non a stravaffanculo.
-perché si odiano tanto?- chiese Ludwig -potrebbe tornarci utile per separarli.
Francis arrossì leggermente, tormentandosi l'orlo della camicia -no... una vecchia storia.
-che vecchia storia?
-rivalità tra fratelli. Arthur è sempre stato il preferito e Allistor era geloso. E... uhm... una vecchia gelosia.
-che vecchia gelosia?
Francis arrossì sempre di più. A Eliza venne un sospetto.
-non dirmi che tra te e Allistor c'è stato qualcosa.
La faccia del giovane confermò tutto. Eliza sgranò gli occhi e si sporse verso di lui, con gli occhi luminosi -racconta tutto. Sembra di stare in un romanzo rosa.
-non è che ci sia stato proprio qualcosa...- si grattò la nuca, a disagio -solo un flirt. Niente di che in realtà, ma Arthur se l'è presa.
-perché tra voi c'era qualcosa?- domandò ancora Eliza.
-dobbiamo preoccuparci?- aggiunse Ludwig, zittito da un'occhiataccia della ragazza.
Francis chinò lo sguardo ripensando al loro litigio -no... non più.
-come non più?!
-ma porca troia Fran, non puoi farmi perdere soldi così!
-era solo sesso- mentì -poi Allistor ci ha provato con me, Arthur si è arrabbiato ed è finita lì.
-potremmo usare questa cosa per ingannarlo?
-non credo. Non è proprio... finita bene. Non mi va di parlarne.
Gilbert sbuffò -finirò in bancarotta così.
Eliza gli mandò un bacio -prego.
-quindi? Qual è il piano?- intervenne Antonio -gli andiamo contro?
-direi proprio di sì. Un re inesperto è più facile da battere- commentò Ludwig.
-anche noi siamo inesperti- replicò Francis a mezza voce, lugubre.
-perché Lovino non c'è?
-non stava molto bene.
-dovrebbe partecipare alle riunioni. È per lui che siamo qui, in fondo.
Antonio si fece più freddo -ho detto che non stava bene. Ne faccio io le veci- bevve un sorso di vino -e non siete qui per Lovino, comunque.
-direi di andare ancora più a sud- rifletté Ludwig -le truppe hanno il morale alto, sarà facile battere Kirkland.
-non saprei- mormorò Francis -è lui lo stratega di famiglia. È un genio militare.
-non mi pare che abbiamo avuto problemi l'altra volta.
-perché l'altra volta non c'era, ma l'idea delle tende è stata sua di sicuro. È la tipica cosa che penserebbe Arthur- si rigirò una ciocca di capelli tra le dita, con aria malinconica -adora le navi... gli sono sempre piaciute le storie di pirati.
Gli altri si scambiarono un'occhiata imbarazzata. Alla fine fu Ludwig a parlare -bene, è chiaro che sei ancora innamorato di lui.
Francis sgranò gli occhi -ehm...
-non serve negarlo- lo interruppe -si vede. Solo... questa cosa non deve essere di intralcio alla guerra, o ci saranno serie conseguenze.
Francia si morse l'interno della guancia -certo.
-molto bene. Procediamo...

-hola, mi amor- Antonio si infilò sotto le coperte senza neanche svestirsi e si strinse alla schiena di suo marito, stanco -scusa se sono tornato tardi.
Lovino mormorò qualcosa, girandosi verso di lui lentamente e stampandogli un bacio -com'è andata?
Antonio sorrise vedendo la sua espressione assonnata e gli strinse la mano, portandosela alla bocca e stampando un bacio sull'anello -come mi aspettavo che andasse. Andremo verso sud, è cambiato il re.
-mh- sbadigliò e si strinse a lui -chi è ora?
-un certo Arthur. Ha avuto una relazione con Francis da quel che ho capito- sentì chiaramente Lovino irrigidirsi tra le sue braccia. Si mise ad accarezzargli la schiena per farlo rilassare -lo conosci?
-l'ho... l'ho visto nel tempio a Qarth- mormorò. Una parte della verità.
-oh- sospirò -non lasciarti condizionare troppo da quello che hai visto, amore. Volevano solo spaventarti.
-non lo so...- sollevò la testa e posò la fronte contro quella del più grande, stringendogli il viso tra le mani e guardandolo dritto negli occhi -promettimi che non lo sfiderai via mare.
-cosa?
-promettimi che non lo sfiderai via mare- ripeté.
Antonio si lasciò sfuggire una risata -mi amor, se mi sfida lui non posso rifiutarmi di...
-però giurami che tu non lo sfiderai per primo. Per favore.
-se questo ti farà stare più tranquillo... certo, te lo giuro- e gli stampò un bacio, tanto per suggellare il patto -ora però riposati, querido.
Lovino mugugnò qualcosa, stringendosi a lui e chiudendo gli occhi. Dopo qualche minuto il suo respiro si regolarizzò e Antonio trattenne un sorriso, Lovino mentre dormiva sembrava un angioletto.

-allora?
-allora cosa?- Francis aveva gli occhi arrossati, stava chiaramente piangendo prima dell'arrivo dell'altro ragazzo.
-che è successo con Arthur?
-non vedo come ti interessi. Tornatene pure al tuo matrimonio perfetto- replicò il biondo, acido.
-hai la faccia di uno che ne vuole parlare- Lovino si sedette accanto a lui, lasciando il debito spazio per evitare di essere mal menato -e sono l'unico che sa che la storia tra te e Arthur è ancora lì, no? Volevo solo essere gentile.
-tu? Gentile?
-va bene, non sono esattamente un maestro di finezza e non sono stato particolarmente accogliente nei vostri confronti, ma...- alzò le spalle -non sono una persona così di merda, e provando a mettermi nei tuoi panni ho capito che i tuoi panni fanno schifo e che forse ti avrebbe fatto bene parlarne.
-stai insultando i miei vestiti?
-sto dicendo che capisco che ti trovi nella merda.
Francis si lasciò sfuggire una risata. Una lacrima gli scappò, suicidandosi verso i suoi pantaloni -questo è poco ma sicuro.
-quindi? Che è successo?
-se Antonio vuole sapere digli di venire direttamente a chiedere a me.
-Antonio non ne sa niente. Gli unici che sanno che sono qui sono i miei lupi, e loro non sono molto loquaci.
Francis sbuffò una risata -cosa vuoi che ti dica?
-non lo so. Quello che vuoi dire su Arthur.
-quello che voglio dire su Arthur- ringhiò -è che è un bastardo idiota opportunista che non si è fatto problemi a buttare nel culo del suo stupido cavallo quattro anni di relazione.
Lovino fischiò -povero cavallo. Potresti essere un pochino più specifico?
Francis sbuffò -ci siamo visti... la sera prima della battaglia. Grazie della nota, a proposito. Non volevo che fosse in pericolo, così ho preso un cavallo, ho detto alle truppe di avvicinarsi e sono corso a cercarlo. Lui... lui pensava che mi aveste preso prigioniero, così stava venendo a cercarmi, e ci siamo trovati a metà strada. Ci siamo rifugiati nel bosco lì vicino e... e abbiamo fatto l'amore.
-be', buono.
-già. Peccato che il giorno dopo abbiamo litigato e mi abbia dato della volgare troia.
-oh. Perché?
-pensava che mi aveste mandato a distrarlo- mormorò, sul punto di piangere -mi ha creduto una spia e... e mi ha puntato la spada contro, capisci?! Ha detto che non mi amava più, che non dovevo più avvicinarmi a lui e... e se n'è andato come se niente fosse!
-e pensi che fosse serio?
-non lo so! Ma mi ha spezzato il cuore, capisci? Ha preso quattro anni, quattro dannatissimi anni, in cui gli ho dato anima e corpo, e ha mandato tutto a fanculo in pochi minuti! E ora scopro che è diventato re, quando mi diceva sempre di non volerlo essere, e che ha scelto come mano destra il fratello che ha sempre odiato, che odiava perché ci aveva provato con me! È un bastardo!
-uhm. Forse è ferito a sua volta e ha detto quelle cose per farti stare male? Insomma, senza offesa ma deve amarti per forza, altrimenti come cazzo avrebbe potuto sopportarti per quattro anni?
Francis lo guardò stranito -certo che mi ama.
-ma sei hai detto...
-solo che è così orgoglioso e così coglione che vorrei sbatterlo al muro! E poi come ha osato puntarmi addosso la spada?!
-sono... sono alquanto confuso. Tu parla, farò finta di ascoltarti.
-e ovviamente s'è messo a fare lo stronzo dopo che avevamo fatto sesso. Ovvio!
-perché ho queste idee di merda?

-cosa stai disegnando?
Feliciano abbozzò un sorriso e si portò la matita alle labbra, mordicchiando leggermente l'estremità con un sorrisino -te.
-mh?- Ludwig si girò sul fianco per guardarlo meglio, ancora assonnato -me?
Feliciano annuì -sì.
Ludwig si mise seduto -posso vederlo?
Il ragazzo scosse la testa -no.
-perché?
-non è finito- chiuse il suo quadernetto -e se anche lo fosse non te lo farei vedere.
-dai- si alzò in piedi e gli andò incontro. Feliciano trattenne un sorrisino, Ludwig senza vestiti era uno spettacolo di muscoli che non vedeva l'ora di toccare -perché mi stavi disegnando?
Il castano alzò le spalle -eri bello e mi andava- nascose il taccuino dietro la schiena -quindi torna a dormire e fammi finire.
-non ho più sonno- replicò, con un sorrisetto divertito. Lo raggiunse e gli posò le mani sui fianchi nudi -fammi vedere- gli sussurrò, con una voce così roca che Feliciano ebbe l'istinto di spogliarsi, anche se era già nudo, e dirgli "guardami! Guardami quanto vuoi!"
-no- replicò, sottovoce.
-l'hai voluto tu- e lo sollevò, mettendoselo in spalla come un sacco di patate. Feliciano emise un urletto, aggrappandosi a lui.
-mettimi giù!
-dammi quel taccuino.
-no!- rise e si sistemò meglio sulla sua spalla, stringendo forte il taccuino tra le mani -mai!
Ludwig si mise ad andare in giro per la tenda, sballottandolo in giro -cederai.
-no!- si aggrappò al suo collo con le braccia, tenendo il taccuino il più lontano possibile -lasciami!
-fammi vedere il disegno.
-no!
-e allora non ti lascio- lo sollevò dalla sua spalla e lo prese in braccio a mo' di sposa, facendolo arrossire come una vergine la prima notte di nozze. Ludwig lo baciò, con forza, buttandolo sul letto e salendogli sopra, sovrastandolo completamente. Feliciano gli gettò le braccia al collo, trascinandolo in un altro bacio, e Ludwig fu pronto ad approfittare del suo attimo di debolezza per strappargli il taccuino dalle mani e alzarsi per esaminarlo meglio alla luce delle candele, lasciandolo lì, insoddisfatto e senza fiato.
-cosa...
-sei eccezionale- mormorò, studiando i disegni -il tratto, le linee...
-ridammi quel coso- brontolò -e vieni qui.
Ludwig non lo ascoltò e si soffermò su alcuni disegni che lo rappresentavano. In uno stava leggendo, Feliciano si era concentrato sul suo viso e sui suoi occhi in particolare, concentrati sul libro. In un altro disegno aveva invece rappresentato tutto il corpo, studiando le proporzioni e i muscoli. In un altro ancora si era dedicato alle sue mani, impegnate ad accarezzare qualcosa che non aveva rappresentato in modo gentile. Nell'ultimo, infine, aveva disegnato il suo volto addormentato, ma quella era appena una bozza.
-è così che mi vedi?- in quei disegni era forte, gentile. Le sue mani erano delicate, il suo corpo forte, i suoi occhi appassionati, la sua espressione serena mentre dormiva. Andava oltre l'apparenza inflessibile e rigida che tutti vedevano, andava ben più in profondità catturando le espressioni e i movimenti che faceva nei rari momenti di serenità che gli venivano concessi.
Feliciano arrossì -sono solo disegni.
-no, sono... sono stupendi, davvero.
Il castano sorrise -grazie Luddi!- si fece più malizioso e allargò le braccia in un chiaro invito -sai cos'altro è stupendo? Se vieni qui te lo faccio vedere.
-ce l'ho davanti una cosa stupenda- replicò, squadrandolo. Chiuse il taccuino e lo sistemò sulla scrivania affianco al letto, poi gli si sdraiò affianco, baciandolo dolcemente e lasciando vagare le mani lungo il suo corpo -ma se vuoi mostrarmi qualcosa in più...

 

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Capitolo 12
*** Bene, ho fatto una discreta figura di merda ***


-bastardo?
-mh? Dimmi Lovi- Antonio era in pura estasi. Si era svegliato con Lovino che gli faceva le coccole, in fondo, e ancora non aveva smesso.
-pensavo...- iniziò, accarezzandogli i capelli con una mano e il braccio, dove le vene facevano capolino, con l'altro -di scendere in battaglia la prossima volta.
Antonio si irrigidì. Sollevò la testa dal petto di suo marito e lo guardò dritto negli occhi per capire quanto fosse serio, e dal suo sguardo capì che sì, lo era.
-non se ne parla neanche.
-non ti sto chiedendo il permesso.
-perché questo desiderio? Qualcuno ti ha insultato?
-voglio solo sentirmi utile.
-ma tu sei utile. I lupi...
-i lupi fanno da soli, e non è bello starsene al sicuro mentre tutti gli altri rischiano la vita per te.
-è questo? Ti senti in colpa?
-non... non è solo senso di colpa. Voglio combattere anch'io. Non voglio essere ricordato come un codardo che si nasconde dietro le sue truppe e si rende utile solo scopandosi il marito.
Antonio gli strinse il viso tra le mani -nessuno lo pensa, amore.
-ah no? Guarda che le orecchie le ho anch'io. Lo sento come mi chiamano i soldati. "La puttana di Spagna", "la regina d'Oriente", "l'inculato da mille uomini", "il..."
-smettila- era tremendo sentire quegli insulti rivolti a Lovino -è per questo che vuoi scendere in battaglia? Per zittire i soldati?
-no- ringhiò, frustrato -ho anch'io un orgoglio, lo sai? E starmene chiuso in tenda senza fare niente tranne aprire e chiudere le gambe a comando non lo rinfranca di certo- si allontanò da lui, alzandosi e vestendosi in fretta e furia -non ti sto chiedendo il permesso, comunque. Ormai l'ho deciso, te lo stavo solo dicendo.
Antonio sospirò -Lovi, non sai neanche combattere...
-questo lo dici tu- si infilò una tunica, con aria sempre più scocciata -mi hanno insegnato. Non mi piace molto farlo, ma so difendermi.
-non contro dei guerrieri esperti grandi tre volte te.
-stai dicendo che sono debole?
-sto dicendo che sei delicato.
-già- replicò, acido -delicato. Come una donna, un delicato fiore da proteggere- continuò, sarcastico -be', se anche una donna combatte, non vedo perché io non dovrei farlo.
-Eliza combatte da tutta la vita.
-e io cosa credi che faccia?!- era scarlatto in viso per la rabbia ormai -ho visto mio nonno impazzirmi davanti agli occhi, ho visto la mia famiglia venire sterminata, sono fuggito dall'altra parte del mondo con un fratellino piccolo a cui badare e senza uno straccio di idea su come andare avanti e mi sono sposato con uno stronzo per provare a riprendermi ciò che mi spetta, alleandomi con quelli che più odio al mondo. È tutta la cazzo di vita che lotto per sopravvivere, con la spada o meno. Quindi non venirmi a dire che non sono in grado di andare avanti, perché se c'è uno qui che si sa aggrappare alla vita come una cagna furiosa, con le unghie e con i cazzo di denti, quello sono io- e uscì dalla tenda, furioso.
Antonio sospirò, lasciandosi andare contro il cuscino.
In quanto a testardaggine non lo batte nessuno eh?

-l'esercito del nord si avvicina- esordì così Allistor, entrando nella sala del trono con una lettera in mano -sono arrivati nel regno dei Tully.
-di già?
-eh.
-cazzo. Prepara le truppe, gli andremo incontro.
-hai un piano?
-ovviamente.
-spiega.
-be', considerando il trucco delle barche dell'altra volta vorranno assicurarsi di incontrarci in un posto senza corsi d'acqua- iniziò, indicando la cartina stesa sul tavolo -ma si dà il caso che le terre dei Tully siano zeppe di fiumi, non a caso il loro simbolo è un pesce.
-mh. Quindi?
-quindi questo lascia una sola zona disponibile, qui- indicò un punto -e si dà il caso che a loro ci vorranno almeno tre giorni di marce forzate prima di raggiungere questo punto, mentre a noi ne basterà uno- rivolse al fratello un sorriso aguzzo -ciò darà alle nostre truppe tutto il tempo di riposarsi, e a noi di preparare qualche... sorpresina.
-che tipo di sorpresina?
-il nostro problema più grande sono i loro metalupi, no?- prese un sorso dalla sua fiaschetta -allora prendiamoceli. Mi servono i cacciatori più esperti della città, subito.
-non funzionerà. Sono lupi, rispondono solo al capobranco.
-è questo il punto, fratellino- il suo sorriso divenne ancora più acuto, tanto da tagliare in due le guance -ci prendiamo anche lui.
-parli di Vargas?
-esattamente.
-non s'è fatto vedere durante la prima battaglia. Non penso che lo farà ora.
-dimentichi una cosa. I Vargas sono lupi. Sono orgogliosi, irascibili, lunatici e ossessionati dal branco. Ai soldati non sarà piaciuto che il loro capo non si sia fatto vedere, e a lui non piacerà l'idea di non piacere a loro. Quindi verrà- si guardò le unghie, annoiato -e se anche non lo facesse, cosa di cui dubito, comunque ci libereremmo dei lupi, il che non è male, e considerando che abbiamo un esercito almeno tre volte più numeroso...
-va bene, non è male- ammise Allistor -ma se non venissero lì? Se ci superassero e lasciassimo la capitale scoperta aspettandoli?
-non è possibile. Loro puntano la capitale, giusto? Ma per raggiungerla devono per forza passare di qui, che ci aspettino o meno. Altrimenti dovrebbero fare il giro delle montagne, ma è una stupida perdita di tempo e chiaramente vogliono fare in fretta.
-mh. Va bene, ha senso- si rimise l'elmo, infilando la spada nel fodero -vado ad avvertire i tenenti di radunare le truppe- fece per uscire, poi cambiò idea e rientrò -e comunque sono io il fratello maggiore, fratellino.
Ma Arthur era troppo occupato a osservare, con una luce quasi maniacale negli occhi, la mappa per curarsi di lui.

-Lovi...
-stai zitto- Lovino, sdraiato a letto, si girò sul fianco, dandogli le spalle e rannicchiandosi su se stesso -non voglio sentire una parola, brutto bastardo.
-possiamo almeno parlarne? Sono due giorni che mi tieni il muso.
-ne abbiamo già parlato, mi pare.
-tu hai parlato, io ho ascoltato. Se ora parlo io, tu mi ascolterai?
-dipende dal numero di stronzate che tiri fuori da quella tua boccaccia- sibilò.
Antonio sospirò -lo so che sei un adulto e non posso decidere per te- iniziò.
-ecco. Basta, non c'è altro da dire.
-ma non voglio saperti in pericolo- continuò, ignorandolo -perché non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa.
-se mi succede qualcosa è colpa mia. Non sentirti in colpa.
-e non puoi negare di essere quello che più vogliono fare fuori- aggiunse -perché sei l'erede e tutto il resto.
Questa volta Lovino tacque.
-quindi ci ho riflettuto e non ti impedirò di scendere in campo, se questo è ciò che davvero desideri, dal profondo del cuore- concluse -ma ti prego, promettimi che mi starai vicino. Ho bisogno di sapere che stai bene per combattere al meglio- lo abbracciò, ignorando le sue proteste -me lo prometti? Ti sembra un buon compromesso?
Lovino bofonchiò qualcosa, imbronciato. Poi sospirò -cercherò di starti vicino, ma non garantisco nulla. Sai, la battaglia è... caotica.
Antonio sorrise, baciandolo sulla nuca -grazie, amore.
-ruffiano.
-sono solo innamorato di te- riprese a riempirlo di baci, dolcemente -e sono felice che non andremo in battaglia con questioni irrisolte. È una delle cose più brutte.
-uhm- Lovino finalmente si girò a guardarlo in faccia, rosso sulle gote -quante?
-cosa?
-con quante altre sei andato?
Antonio sbatté le palpebre, confuso -in... in che senso?
-a letto. Con quanta altra gente sei andato a letto?
-a parte te nessuno.
-non prendermi per il culo- scelta di parole infelice -sei... sei troppo esperto per essere... sai... vergine la prima notte. E poi sei anche più grande, quindi non è possibile che...
Il bastardo ebbe l'ardire di scoppiare a ridere. Lovino sentì la fortissima tentazione di sbatterlo a dormire fuori, al freddo.
-non sono stato con nessun'altro, Lovi- riprese ad accarezzargli la schiena, lentamente -insomma, sapevo che prima o poi mi sarei sposato con qualcuno, e considerando che quel qualcuno sicuramente sarebbe stato vergine non mi sembrava corretto.
-tu sei strano- dichiarò il più giovane, sistemandosi meglio tra le braccia del marito -ma quindi come...
Era buio, ma fu sicuro al cento percento che suo marito fosse arrossito.
-uhm... dunque... mia madre mi diceva sempre che il segreto di un buon matrimonio è nel letto...- iniziò, a disagio -quindi, ecco... mi sembrava giusto prepararmi un poco.
-quindi sei andato in un bordello.
-sì, ma non per quello che pensi tu.
-quale altro motivo esiste per andare in un bordello?
Antonio era sempre più rosso -be'... imparare.
-im... imparare? Cioé tu, un capotribù con un sacco di soldi, sei andato in un bordello per imparare a dare piacere a me?
-detto così lo fai sembrare strano.
-perché lo è!
-non così tanto. Anche a te hanno insegnato delle cose, no?
-sì ma ero io il venduto!
-volevo essere all'altezza- replicò, offeso -e poi non è che mi dispiaccia l'idea di governare anche Westeros, quindi non è proprio una vendita.
-l'idea che io governi Westeros- replicò Lovino.
-mh? Sì, è quello che ho detto.
-non mi sembra.
-be', ciò che governi tu lo governo anch'io e viceversa, no?
-mh.
-comunque non mi sono fatto toccare da quelle signorine- aggiunse -mi sono solo fatto dire qualche trucco. Sembravano dispiaciute- rifletté -anche se una ha detto che ero molto carino a preoccuparmi per te.
-grazie tante che erano dispiaciute, sei un figo pazzesco.
Antonio gli fece l'occhiolino -tutto per te.
-cretino- si lasciò sfuggire una risata e lo baciò, posandogli le mani sulle guance. Antonio sospirò.
-quanto mi è mancato baciarti- mormorò, trascinandolo in un altro bacio, più appassionato. Lovino si sentì tremare sotto il suo tocco.
-se domani potremmo morire- mormorò, spingendosi contro di lui -fa' in modo che questa notte sia memorabile.
E quella notte memorabile lo fu per davvero.

-devi proprio?
-sì Feli.
-per favore rimani con me- lo abbracciò forte, con le lacrime agli occhi -non voglio che rischi la vita.
-devo, Feli- lo strinse forte, cercando di mostrarsi fiducioso -sarai solo a qualche ora di distanza. Non è neanche detto che ci sia una battaglia.
-stai attento.
-certo.
-non buttarti nella mischia.
-ti ricordo che il maggiore sono io- scherzò, separandosi dal suo abbraccio. Gli spettinò i capelli -andrà bene.
Continuò a chiedersi se non gli avesse mentito per tutto il viaggio. Antonio gli strinse la mano dal suo cavallo.
-se vuoi puoi tornare indietro- gli sussurrò. Lovino scosse la testa. Sì, avrebbe potuto farlo. Bastava far girare il suo lupo e correre via, da Feliciano e Francis. Ma che razza di uomo sarebbe stato? Che sovrano lasciava i suoi soldati a morire? Quelle vite valevano la sua codardia?
-no.
-sei sicuro?
-sì.
Antonio sospirò -va bene. Mi dai un bacio di buona fortuna?
Il ragazzo si concesse un sorriso e si sollevò l'elmo -se proprio devo- e si sporse a baciarlo, attento a non cadere.
Si sentì uno squillo di trombe in lontananza.
-sono già qui- mormorò Antonio, voltato verso la direzione del suono. Lovino si sforzò di non tremare e seguì suo marito verso la battaglia.
Correre con il suo lupo era una delle cose che più amava. Con il vento tra i capelli e il mondo che gli scorreva affianco, Lovino si sentiva finalmente più sicuro di sé, più forte, più se stesso.
Poi il buio.

-il mio erede!- suo nonno sorride, ha gli occhi un po' lucidi mentre lo tiene in braccio -sei davvero un bel bambino. Sarai un lupetto grande e forte, vero? Porterai tanto onore al tuo vecchio nonno.
"Ci sto provando" vorrebbe dirgli.
-hai un sangue nobile, piccolo mio- gli fa i grattini sotto il mento, il bimbo agita i pugnetti ridacchiando -hai il mio sangue. Spero solo che riuscirai a spezzare la maledizione, almeno tu.
"Maledizione? Che maledizione?"
Ma il piccolo Lovino non sa ancora parlare, è appena venuto al mondo d'altronde. Si limita a emettere un gorgoglio, qualcosa di vagamente interrogativo.
Qualcuno entra nella stanza -papà, il piccolo ha fame.
"Mamma" vorrebbe urlare. Rivuole la sua mamma, la rivuole, vuole che sia lei a proteggerlo dal resto del mondo, che sia lei a occuparsi del suo fratellino, che lo abbracci e gli dica che va tutto bene.
-oh, lasciaci soli ancora un po'. Dobbiamo fare delle chiacchere tra uomini.
"Sì" pensò Lovino "dimmi di più sulla maledizione"
-deve mangiare.
-può mangiare tra poco.
-e rischiare che si senta male?
Romolo sospira -sei un po' troppo chioccia- e le passa il bambino, delicatamente. Caterina stringe il figlio al petto.
-ha pochi giorni, bisogna stare attenti.
-dovresti riposarti.
-mi riposerò quando lui sarà grande e non avrà più bisogno di me- sorride al figlio -vero, amore?
"Sì" vorrebbe dirle "ho tanto, tanto bisogno di te"
-ho capito, non sono gradito- Romolo stampa un bacio sulla guancia della figlia, uno sulla fronte del nipotino e poi esce.
"No aspetta. Torna indietro, ti prego"
Ma ormai se n'è andato.

-LOVINO.
"Sono qui", vorrebbe dire, ma Antonio non lo sente.
-LOVINO DOVE SEI.
"Non lo so neanche io"
Venezia sta annusando in giro per il campo di battaglia, cercando delle tracce. Non c'è traccia di altri lupi.
Anche Feliciano lo sta chiamando -LOVINO!
Ludwig posa una mano sulla spalla del ragazzo -Feli, non è qui.
"Odio dare ragione al crucco"
Feliciano lo scaccia in mano modo, con le lacrime agli occhi -e allora dov'è finito?!
-LOVINO.
-devono averlo catturato.
-e se è morto? Se sta per morire? Se è svenuto?
-non penso che si sarebbero lasciati sfuggire l'occasione di catturarlo. E poi si sono comportati in modo strano. Avrebbero potuto annientarci completamente, ma se ne sono andati. Probabilmente volevano portare via Lovino prima che ci accorgessimo della sua assenza.
-era al mio fianco- ringhiò Antonio -e poi è sparito. Quindi o quei bastardi praticano la magia, o Lovino è ancora qui in giro.
-nel caos della battaglia...
-è sparito anche il lupo. Sono spariti tutti i lupi, e penso che delle bestie così grandi si notino, o no?
"Bestia ci sarai tu"
-allora cosa...
Venezia si è messa a scavare in terra come una fossennata. Feliciano se ne accorge e le corre incontro, per aiutarla.
-cos'hai trovato, bella?- mentre quei due cretini litigano, sotto un leggero strato di terra e sangue trovano del legno. Feliciano aggrotta la fronte e scosta le tavole, scoprendo una fossa. Venezia geme e si allontana, piagnucolando.
-strozzalupo- sussurra il ragazzo. Osserva le tavole, al di sotto c'è una sorta di meccanismo per aprirle e chiuderle.
-sono a peso- mormora Ludwig, che lo ha raggiunto -quando un animale di un certo peso ci cammina sopra, le tavole si aprono e lo fanno cadere.
-e lo strozzalupo sotto li uccide- conclude Antonio.
-no. Lo strozzalupo uccide se ingerito, ma lo hanno bruciato- lo corregge Feliciano, riflettendo.
-e se inalato cosa fa?
Il ragazzo sbatte le palpebre -fa svenire. Ma funziona sui lupi, quindi Lovino potrebbe...- ironia della sorte, sviene, non cadendo nella fossa solo perché Ludwig lo afferra al volo.
-a quanto pare funziona anche su di loro- concluse il biondo, alzandosi con Feliciano in braccio -respira, sta solo dormendo. Penso che anche a Lovino sia successa la stessa cosa, e quando ci siamo ritirati sono tornati a svuotare le fosse.
Antonio non si è ancora mosso. Osserva qualcosa, attento. A Lovino fa male al cuore vederlo così preoccupato.
-c'è qualcosa là sotto- dice, e poi si butta nella fossa, coprendosi il naso con la maglia. Afferra l'oggetto, se lo lega in vita e poi si tira su, sotto lo sguardo incuriosito di Ludwig.
-cos'è?
-l'elmo di Lovino- lo stringe forte, tanto che le dita sbiancano -dev'essergli caduto...
-no, non credo. C'è qualcosa sul retro.
Antonio aggrotta la fronte e gira l'elmo, estraendo un biglietto che era stato infilato nel casco.
"Venite a prendervelo"

-mi sa che abbiamo esagerato con lo strozzalupo. Questo ancora che dorme.
-senti hanno fatto tutto i cacciatori, mica è colpa nostra se questo è così gracilino che un po' di gas lo stende.
-aspetta, si sta svegliando.
Lovino aprì gli occhi. Si sentiva intontito, sul punto di vomitare, un po' come dopo una sbornia. Quando inquadrò i suoi rapitori per poco non vomitò davvero.
-che cazzo avete in faccia, due vermi?
Davanti a sé aveva due ragazzi, uno dai capelli rossi e uno biondo, entrambi sui vent'anni, ed entrambi avevano una massa informe e scura al posto delle sopracciglia. Il biondo sbuffò.
-divertente. È davvero un inizio promettente.
-be', in effetti un po' lo sembrano.
-guarda che le tue sono anche peggio, cretino- il biondo si schiarì la voce e porse a Lovino la mano -Arthur Kirkland, nuovo re, mentre il cretino qui affianco è mio fratello Allistor.
Nella mente di Lovino si affacciarono due informazioni. Primo, questo stronzo ha il posto che dovrebbe essere mio, e secondo...
-certo che Francis ha degli standard di bellezza davvero bassi.
Allistor scoppiò a ridere.
Il re inspirò profondamente -scusa un secondo- si girò verso il fratello e gli diede un calcio -ti ricordo che Francis ti ha rifiutato per me, quindi forse mi preoccuperei.
-scusa ma...- e scoppiò nuovamente a ridere, tanto da piegarsi in due.
Intanto nel cervello di Lovino si affacciò una terza informazione -i miei lupi dove sono?
-nelle celle. Si sono risvegliati prima di te, sono abbastanza irrequieti.
-esigo di vederli.
-forse non sai in che posizione ti trovi...
-sì sì, sono un tuo prigioniero, non sono un coglione. Ma se vuoi che collabori, ti conviene farmi vedere i miei lupi.
Arthur sembrò interessato -cosa ne sai che voglio che tu collabori?
"Più che altro lo spero"
Abbassò lo sguardo su di sé -sono in un letto comodo- si guardò intorno -in una stanza grande che non mi sembra esattamente una cella. Quindi evidentemente vuoi trattarmi bene per convincermi a fare qualcosa per te.
-ma che bravo. Sì, in effetti vorrei qualcosa da te- si mise a camminare per la stanza mentre spiegava -vedi, mio padre aveva un punto debole fondamentale.
-essere un traditore bastardo?
-non avere l'appoggio popolare. Anche tra i nobili ci sono ancora diversi rivoltosi che sono dalla parte di tuo nonno e che mio padre non riuscì mai a conquistare, ed è il motivo per cui ora ci troviamo in questa guerra.
-mh. E io che c'entro?
Il sorriso di Arthur si affilò -se io sposassi un Vargas, zittirei quelle voci.
-oh no no no no, col cazzo. Ti sfuggono un paio di cose: primo, sono già sposato; secondo, ho un coso tra le gambe che non mi rende il candidato ideale considerando le leggi di questo paese; e terzo, piuttosto che darti il culo mi faccio sacerdote.
Arthur alzò le spalle -c'è qualche documento che attesta il tuo matrimonio?
Lovino esitò. Non aveva firmato nulla a ben pensarci -no ma...
-e se anche ci fosse, un matrimonio fatto a Essos non conta qui. In secondo luogo, sono il re, le leggi le posso cambiare.
-ma non la mentalità. Un matrimonio tra due uomini continuerà a essere malvisto.
-ma un matrimonio tra l'erede Vargas e l'erede Kirkland sarà molto apprezzato- ribatté, con un sorriso perfido -e se ci fossero degli scontenti, esiste la pena di morte. E per quanto riguarda il sesso...- alzò le spalle -non mi interessa. Sei carino ma non sei il mio tipo. Trovati pure un amante o quel che ti pare.
-oh certo- brontolò Lovino -il tuo tipo è biondo e ha l'erre moscia, giusto?
Arthur alzò gli occhi al cielo -esattamente.
-e comunque no, non ti sposo.
-cosa ti fa credere di avere una scelta?
-vaffanculo.

 

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Capitolo 13
*** Non sto gongolando ***


-ciao.
Lovino per poco non cadde dal letto -e tu chi cazzo sei?!
-la tua nuova accompagnatrice pare.
-che screanzati. Un uomo e una donna in stanza insieme?
La ragazza alzò le spalle -da quel che so le donne non vi interessano.
Lovino sentì le guance scaldarsi -non è quello il punto- si alzò e le porse la mano, cercando di darsi un tono -Lovino Romano Vargas.
-Belle Tyrell- fece per stringergli la mano, ma Lovino la intercettò e si chinò a farle il baciamano, perché era una persona educata. La ragazza arrossì lievemente -devi aver conosciuto mio cugino Francis.
-purtroppo sì.
-tutti quelli che l'hanno incontrato rispondono così- si sedette sul letto, con aria stanca -ero la promessa sposa di Arthur, sapete? Ma hanno fatto saltare tutto.
-oh... mi dispiace.
-a me no.
-comprensibile- si stiracchiò, andando verso l'armadio della stanza alla ricerca di qualcosa di più comodo. Mentre dormiva qualcuno doveva avergli tolto l'armatura, lasciandogli addosso la tunica, ma ormai dopo due giorni di sonno puzzava. Sbuffò -ma chi cazzo ha scelto questa roba? Sono orrendi.
-stasera ci sarà un ballo- lo informò Belle, osservandolo mentre svuotava l'armadio alla ricerca di qualcosa di decente -per celebrare il vostro fidanzamento.
-che stronzata. Ho già un marito, basta e avanza così.
-mi hanno chiesto di prepararvi per la serata.
-non si aspettano che mi finga innamorato vero? Perché piuttosto vomito sulla corona di quel coglione.
Belle abbozzò un sorriso -no, non direi, ma presumo che a un certo punto dovrete ballare con il vostro promesso.
-ma col cazzo- Lovino si sedette sul letto, riflettendo -voi ci sarete?
-purtroppo sì.
-e qualche spia di mio marito ci sarà- continuò -del crucco, o di tuo cugino.
-presumibilmente. Sua maestà vuole che il messaggio arrivi anche a loro, sta organizzando tutto a posta.
Lovino sogghignò -allora tanto vale mandare un bel messaggio. Ci state?
-se si tratta di danneggiare Arthur sì- una luce sadica le illuminò gli occhi -e soprattutto quello stronzo di mio fratello, che mi ha venduta come se niente fosse.
-perfetto.
-cos'avete in mente?
-be', penso sia dimostrato ormai che non so granché sulla guerra- si alzò, con un sorrisetto -ma sugli scandali di corte non mi batte nessuno.
-spiegati.
-è una festa di fidanzamento.
-eh.
-e niente è più scandoloso di due fidanzati che si ignorano bellamente. Soprattutto se è uno dei due che ignora l'altro, e se quest'altro è il re in persona. Ma qui sorge un problema: il re ha le armi, ma ci siete voi.
-cosa devo fare?
-ballare con me. Sarebbe scortese rifiutare l'invito di una signora, no? Arthur avrà le mani legate.
Belle fischiò -siete un genio del male.
Il ragazzo gongolò -grazie.
-è meglio che vi facciate un bagno, dovete fare un'entrata in scena spettacolare e non potete farla se puzzate di morto.
-giusto. Il bagno...?
-lì- indicò una porta affianco al letto, che Lovino non aveva neanche notato -fate pure con calma, devo pensare a come vestirvi e truccarvi al meglio.
-perché voi?
La ragazza strinse i pugni -mio fratello ha pensato che fosse cordiale che io vi facessi da damigella.
Lovino fischiò -che stronzo.
-già. Mi lasciate libertà?
-a patto di non conciarmi come un pagliaccio certo.
-vi ringrazio- una luce malvagia le illuminò il viso -sarete perfetto e incredibilmente scandaloso.
-adoro essere incredibilmente scandaloso.

La sala era magnifica. Già di per sé la sala del trono incuteva un certo timore reverenziale, ma con l'aggiunta di tutte quelle ricche e grandiose decorazioni diventava un vero spettacolo
Mancava solo una cosa all'appello.
-dove cazzo è finito?- sibilò Arthur al fratello, che alzò le spalle.
-Belle ha detto che erano quasi pronti.
-l'ha detto due ore fa!
-non possiamo mica trascinarli di peso.
-no?
-no Arthur, non possiamo- Allistor alzò gli occhi al cielo, divertito -lo sai come sono le donne, no? Sempre in ritardo.
-in teoria Lovino non è una donna- bofonchiò.
-sai quanto me che non significa nulla.
Arthur alzò gli occhi al cielo e osservò gli invitati. Lord e ladies, cavalieri e dame, tutti ordinati, tutti eleganti, un mare di vestiti colorati e armature, luccichii e gioielli, lustro e sobrietà insieme.
Poi le porte si spalancarono e l'attenzione dell'intera sala fu focalizzata da due persone sole.
Belle si era decisamente fatta prendere la mano dal trucco. Il volto di Lovino era regale, austero, l'unico accenno di colore gli occhi verdi e le labbra ricoperte di porpora scuro. Le palpebre erano ricoperte di nero, una linea sottile per evidenziarne lo sguardo.
Quanto al vestito, Arthur lo aveva lasciato scegliere a uno dei suoi fratelli, ma non aveva pensato che gli si sarebbe ritorto contro, eppure era stato così.
Pelle. Pelle nera, aderente, sfacciata, pantaloni così stretti da sembrare illegali. In teoria ci sarebbe stata una tunica chiara da aggiungere sopra per coprire, ma Lovino non l'aveva indossata. Sul busto aveva stretto un corsetto scuro, con dei ricami a forma di teste di lupo e dei brillanti sparsi in giro. In teoria su quel corsetto gliel'avevano dato loro, ma sopra doveva esserci dell'altro a coprire, cazzo. Sulla gola nuda spiccava un ciondolo d'oro, che scintillava alla luce delle candele, mentre sulle spalle aveva drappeggiato un mantello scuro con ricami d'oro.
Dov'era finita la tunica bianca? Su Belle ovviamente, che l'aveva ricucita in modo da utilizzarla come coprispalle. Al di sotto di esso indossava un magnifico vestito bianco, quasi angelico, che spiccava contro gli abiti di Lovino come luce e oscurità. Anche il trucco della ragazza era in netto contrasto: sottile, quasi invisibile se non per dei leggeri diamanti ai lati degli occhi, dove una linea scura e sottile di trucco terminava.
Allistor trattenne una risata -forse avremmo dovuto evitare il corsetto.
-forse?!
Il giovane Vargas guardava dritto davanti a sé, con sicurezza, come se fosse nato per solcare quel palcoscenico che era la sala del trono.
Lo è.
Raggiunse Arthur senza dire una parola, sotto gli occhi di tutti, e lasciò il braccio della sua accompagnatrice per salire le scale che portavano al trono e sedersi sul bracciolo di esso, con aria nostalgica.
-da bambino mi sedevo sempre qui- disse tra sé e sé, a tono abbastanza alto per farsi sentire da tutti forte e chiaro -e nonno mi raccontava delle storie.
-storie di follia?- sibilò Arthur, furioso.
-storie d'amore- replicò, a bassa voce. Gli occhi gli si inumidirono -mi parlava di guerrieri ed eroi, principi e principesse- si morse l'interno della guancia per non piangere.
Quella non era la sala di suo nonno, né il suo palazzo, ma il trono era lo stesso, e Lovino si sentiva crollare a pensarci. Ci giocava, su quel trono, quando il nonno era in buona lena. Lo ricordava mentre sollevava verso il cielo, seduto su di esso, il piccolo Feliciano ancora in fasce; ricordava la risata del bambino e il tono bonario del nonno che gli indicava la sala del trono.
"Un giorno tutto questo sarà tuo"
Ricordava quando il nonno lo faceva sedere sulle sue ginocchia e lasciava che lo osservasse lavorare, chiedendogli un parere.
"Che ne pensi, Lavinius? Chi ha ragione?"
"Li puniamo, Lavinius?"
"Si fa così, Lavinius"
"Prenderai il mio posto, Lavinius"
E se io non lo volessi?
"Un giorno ti siederai su questo trono"
Ma non lo voglio.
"Sarà così"
Si schiarì la voce e incenerì la folla con lo sguardo -che avete da guardare?

Intanto, fuori dalle mura della città, c'era aria di rissa.
-NON ME NE FREGA UN CAZZO. RIVOGLIO MIO MARITO.
-SE TI FAI AMMAZZARE COME UN COGLIONE PEGGIORI LE COSE.
-DOBBIAMO SALVARLO.
-SENZA FARCI AMMAZZARE.
-è arrivato un messaggio dalla nostra spia- intervenne Francis, entrando nella tenda. Antonio gli fu subito addosso.
-che dice?! Lovi come sta? Se lo hanno sfiorato anche solo con un dito...
-se mi lasci il tempo di leggerlo te lo dico- replicò, stizzito, allontanandosi da lui.
Antonio riprese a camminare avanti e indietro, nervoso. In un angolo Feliciano osservava il tutto, tormentandosi i capelli, le mani, l'orlo della camicia, battendo il piede per terra, sbirciandosi a guardare oltre la tenda, coccolando la sua lupa. Ludwig avrebbe voluto consolarlo, ma stava cercando di impedire ad Antonio di farsi ammazzare.
-si sta svolgendo una festa- lesse Francis -per festeggiare il...- si interruppe.
-il cosa? Il cosa?!
-il... fidanzamento ufficiale tra Arthur e Lovino- stritolò il foglio tra le mani, con aria omicida -io lo uccido. Lo ammazzo, gli faccio un culo che rimarrà nella leggenda.
-sono con te- anche Antonio era livido di rabbia -come cazzo si permette di rubarmi l'uomo?!
-come cazzo si permette di tradirmi così?! E poi doveva sposare mia cugina! Sta insultando due volte la mia famiglia!
-non me ne frega un cazzo della tua famiglia RIVOGLIO LOVINO-
-finisci di leggere la lettera per favore- intervenne Ludwig.
-alla festa c'è circa un centinaio di persone, tutti nobili, e una quindicina di guardie agli ingressi, ma presumo ce ne siano altre in zona che attendono di intervenire in caso di bisogno- continuò Francis -Lovino sta bene e anche tua cugina, che gli fa da accompagnatrice e si è occupata di prepararlo al meglio. Lovino ha indosso un...- si lasciò sfuggire una risata. Un suono strano, che non si sentiva da parecchio.
-si può sapere cosa c'è di tanto divertente?- sbottò Feliciano, che non aveva quasi parlato in quei giorni.
-Lovino ha indosso un corsetto nero e dei pantaloni di pelle ed è truccato pesantemente, ha fatto molto scandalo- lesse. Rise di nuovo -mi stavo immaginando la faccia di Arthur nel vederlo- rise di nuovo -epico, davvero.
-altro?
-la festa finirà per mezzanotte, all'incirca. Una missione per recuperare Lovino mi sembra fattibile.
-allora facciamola.
-dobbiamo trovare il modo di entrare- rifletté Ludwig -possibilmente senza farci ammazzare.
Antonio aveva la faccia di uno pronto a sacrificare l'intero esercito e se stesso pur di far uscire Lovino sano e salvo da lì -lo riporterò a casa- giurò -dovessi far saltare in aria l'universo.
-c'è un passaggio segreto- intervenne Francis -Arthur non ne sa niente. Lo usavo qualche anno fa per andare da lui.
-quindi lo conosce.
-no- alzò le spalle -gli ho detto che mi intrufolavo dall'entrata della servitù.
-perché?
Il ragazzo impallidì -perché è poco... dignitosa come entrata. L'ho trovata per caso da bambino mentre giocavo a nascondino con Arthur.
-e nessuno ne sa niente?
-dov'è?- intervenne Antonio.
Francis deglutì. Si era ripromesso di non passarci più ma -nelle fogne.

Lovino aveva male ai piedi a furia di ballare, ma si rifiutava di ballare con Arthur. Piuttosto avrebbe preferito perdere i piedi.
-state davvero bene con questi vestiti- commentò Belle, divertita.
-e voi siete divina con questo abito- rispose, facendole fare una giravolta. Benedì mentalmente le lezioni di ballo che lo avevano costretto a fare, alla fine gli erano tornate utili.
-che balli si fanno a Essos?- domandò la ragazza, curiosa. Lovino sospirò ripensando ad Antonio.
-molto meno eleganti- disse -più spontanei, più vivi. Spesso si balla sui tavoli.
-sui tavoli?
Lovino annuì -si tolgono i piatti e si sale per farsi vedere meglio. Le musiche sono più veloci, più ritmate.
-le preferite alle nostre?
-no- rispose, sincero -sono solo diverse, però preferisco ballare quelle- altra giravolta -è più divertente.
-e i vestiti? Come sono?
-più leggeri. Lì fa troppo caldo per indossare cose come queste- si indicò con un cenno del mento -se indossassi qualcosa di completamente nero, sverrei in pochi minuti. I tessuti sono così leggeri da essere quasi trasparenti, spesso gli uomini girano con il petto scoperto ed è piuttosto piacevole da guardare a essere sinceri.
Belle si concesse una risatina -posso ben immaginarlo. Dubito che qui ci sia qualcuno che sarebbe una visione tanto celestiale.
Lovino abbozzò un sorrisino -personalmente facevo la mia porca figura, ma sì, concordo. Forse solo le guardie.
-anche Arthur e alcuni dei suoi fratelli potrebbero essere interessanti.
-mah, non sono il mio tipo. Troppo pallidi e biondi, preferisco i mori- preferisco Antonio.
-vostro marito com'è?
-decisamente più bello- trattenne un sorriso a immaginare l'espressione di Antonio nel vederlo vestito in quel modo. Riusciva a immaginare perfettamente i suoi occhi sgranati, la sua bocca spalancata, e trattenne a stento un brivido a immaginare le sue mani sul suo corsetto, lungo il suo corpo, fino ai pantaloni...
Concentrati sul ballare, idiota.
-e caratterialmente?
-è gentile- rispose -sempre sorridente e buono. Fa di tutto per rendermi felice- sospirò -nessuno si è mai occupato tanto di me. Forse mia madre, ma quando poi è arrivato Feli si è occupata più di lui, e lo capisco, ma essere per una volta la priorità di qualcuno...- sorrise leggermente -Antonio è così. Si preoccupa per me, cerca di mettermi a mio agio...
-è per questo che ne siete innamorato? Perché vi tratta bene?
-no- esitò -non solo. Sto... sto bene con lui. Mi capisce, mi apprezza per quello che sono e mi sopporta e... non... non so come spiegarlo. Quando non c'è mi manca, quando c'è il tempo scorre troppo in fretta. Amo come si comporta, il suo carattere, la sua voce, il suo accento...
-ora vi manca?
-sì. Sia lui che mio fratello- si oscurò in viso -saranno preoccupatissimi... se fanno qualche cazzata per salvarmi li uccido.
-non vuoi tornare da loro?
-non se rischieranno la morte- separò le mani da lei per qualche secondo, per poi tornare in posizione -non sono inerme. Posso salvarmi da solo.
-contro un intero esercito?
-non ho mai accennato a uno scontro diretto, ma direi di non parlarne qui
-ovviamente. Domani mattina, magari.
Lovino annuì -sì, mi sembra l'ideale.
Non sapevano, poveri stolti, che non si sarebbero rivisti la mattina successiva, e che la fuga che tanto agognavano sarebbe arrivata ben prima di quanto non si aspettassero.
Intanto, dall'altra parte della sala, qualcuno stava osservando quei due con aria truce.
-mi sta ignorando- sibilò Arthur.
-già- confermò Allistor.
-che bastardo.
-già.
-come la risolvo?
-vuoi la soluzione violenta o quella pacifica?
-quella pacifica.
-proponi un brindisi, coinvolgilo e forzalo a ballare con te.
-non male- afferrò un bicchiere e si avviò verso Lovino, ma qualcosa lo bloccò. Oltre la musica si sentirono dei rumori poco fraintendibili: una battaglia.
I due fratelli Kirkland si guardarono, le porte si spalancarono: un piccolo gruppo di soldati nemici entrò di corsa.
Anche gli altri se ne accorsero: la musica si fermò, i più vicini alla porta corsero via fiondandosi addosso agli altri, le dame urlarono, le guardie cercarono di andare verso i nemici combattendo contro la folla e nel casino Lovino fu l'unico a cercare di scappare, ma Allistor gli fu subito addosso e lo afferrò di peso, bloccandolo.
-LASCIAMI CAZZO- si dimenò cercando di fuggire, ma Allistor arretrò verso il trono. Antonio urlò come un animale ferito e corse verso il marito, cercando di schivare la folla, ma una guardia lo intercettò fermando la sua corsa con un duello.
Arthur ne approfittò ed estrasse un fazzoletto dalla tasca, corse verso il fratello e lo premette sulla faccia di Lovino, che svenne, smettendo così di dimenarsi.
-non dirmi che ti sei portato dello strozzalupo dietro- commentò suo fratello, sistemandosi il ragazzo in spalla.
-stai zitto e corri, che questi ci ammazzano.

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Capitolo 14
*** Che succede? Vorrei saperlo ***


Due bambini piangono

Pericolo

Vogliono la mamma

Pericolo

La mamma arriva

Pericolo

È una lupa

Pericolo

Lupa

Pericolo

Questa è la mia città

Pericolo

Qui

Pericolo

Dove Lupa mi ha trovato

Pericolo

Dove ho ucciso mio fratello

Pericolo

Dove mamma mi ha trovato

Pericolo

Piangente

Pericolo

Sul cadavere di Remo

Pericolo

Questa è la mia città

Pericolo

La mia Roma

Pericolo

Qui giacerà il mio cadavere

Pericolo

Qui cresceranno i miei figli

Pericolo

Qui regneranno i miei discendenti

Pericolo

Qui sarà la mia casa

Pericolo

Qui morirò

Pericolo

Sperando che almeno da morto

Pericolo

Sarò di nuovo me stesso

COMBATTI
UCCIDI
SOPRAVVIVI
COMBATTI
UCCIDI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI

Tu sei il mio erede

PERICOLO

Il mio orgoglio

PERICOLO

La mia eredità

PERICOLO

Tu sei la mia speranza

PERICOLO

Il mio futuro

PERICOLO

Tu sei così piccolo

PERICOLO

Così fragile

PERICOLO

Il più forte di mille altri neonati come te

PERICOLO

Tu hai un grande potere

PERICOLO

Un potere più grande di te

PERICOLO

Tre generazioni di dolore ti pendono sulla testa

PERICOLO

E mi dispiace darti tutto questo

PERICOLO

Mi dispiace così tanto

PERICOLO

Mio dolce Lovino

PERICOLO

Spero solo che

PERICOLO

Almeno tu

PERICOLO

Riesca a sbloccarti

PERICOLO

E a vivere in pace

SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI
SOPRAVVIVI

Lovino riaprì gli occhi.

Devo sopravvivere

Allistor si girò, dopo aver barricato la porta segreta da cui erano usciti. Aggrottò la fronte -dov'è Lovino?
Arthur controllò che la porta fosse chiusa per bene e si girò a sua volta -come dov'è? Era lì un secondo fa. Se anche si fosse svegli...
-vabbé, chissene fotte- afferrò il fratello per un braccio -muovi il culo prima che ci becchino!

-dove cazzo è Lovino?!
Belle, che era stata trascinata via dalla folla, indicò tremante la porta da cui erano fuggiti Allistor e Arthur -so... sono andati di là.
Antonio allora la lasciò andare e corse in quella direzione, seguito a ruota da Feliciano.
Francis la abbracciò -vieni qui, tesoro, adesso ci sono io.
Antonio andò dritto per quello che era a tutti gli effetti un passaggio segreto e corse verso una porta chiusa, che sfondò a spallate.
Fuori, un prato fiorito e la luce del sole restituì loro lo sguardo, ma ad Antonio non interessava minimamente.
Di Arthur, e soprattutto di Lovino, nessuna traccia.
Urlò. Urlò, come un animale ferito, e urlò ancora e ancora e ancora. Voleva sradicare il mondo, bruciarlo, vaporizzarlo, distruggere ogni stelo d'erba e ogni sasso, ogni oceano e ogni montagna, ogni albero e ogni casa, fino a quando non avrebbe riavuto Lovino tra le braccia.
-i suoi vestiti- mormorò Feliciano, sollevando un piccolo fagotto scuro da terra. Antonio glieli prese dalle mani e li strinse, c'era ancora il suo odore.
-Venezia riesce a rintracciarlo?- gli uscì un sussurro, aveva la gola secca -forse è solo uno stratagemma per distrarci.
Feliciano annuì -possiamo prova...- gli morì la voce. Sollevò una catenina d'oro e gli occhi gli si riempirono di lacrime -la collana...- se la strinse al petto -que... questa gliel'aveva data mamma. Non... non l'avrebbe mai persa.
-potrebbero avergliela tolta- continuò, perché le alternative erano troppo terrorizzanti per essere pensate -era svenuto...
Feliciano non sembrò convinto -la chiusura è rotta... come se fosse stata strappata via.
-visto? Chiama Venezia- devo trovarlo devo trovarlo devo trovarlo.
La lupa annusò i vestiti e si mise a seguire una traccia, fermandosi dopo alcuni metri.
-cos'ha? Perché si è fermata?
-non... non sente più niente credo- Feliciano si chinò davanti alla sua cucciola e le porse nuovamente i vestiti -avanti, bella, trova Lovino.
Venezia annusò in giro, ma continuava a fermarsi in quel punto, vicino al bosco, osservando il padrone con aria interrogativa. Feliciano esitò.
-forse non riesce a seguire la traccia per via della foresta...
Antonio non sembrava convinto. Entrò nel bosco, guardandosi intorno, ma non c'era traccia di altre persone da nessuna parte. Lo chiamò, urlò con tutto il fiato che aveva in gola il suo nome, ma nulla gli rispose, se non il verso di alcuni animali e il rumore del vento.
Feliciano gli afferrò il braccio -torniamo dagli altri. Possiamo organizzare una squadra di ricerca. Se hanno trovato gli altri lupi di Lovino possiamo usarli per cercarlo.
-non serve- mormorò -se lo sono portati dietro, è evidente.
-possiamo rintracciarli con il suo odore.
-a quest'ora chissà dove sono. Se il tuo lupo...- gli morì la voce. Si sentiva insensibile, un pezzo di ghiaccio -se lei non ce l'ha fatta, non penso che usare più lupi cambi la situazione.
-possiamo provarci- il ragazzino si girò verso il limitare del bosco e corse verso il castello -vado a vedere se li hanno trovati, torno subito!
Antonio lo seguì, lentamente, cercando di mantenere la calma. Raggiunto il confine del bosco, però, qualcosa lo fece crollare.
La fede di Lovino. Era lì, per terra, tra l'erba.
Cadde. Cadde in ginocchio, senza forze, raccolse quel piccolo pezzetto d'oro e se lo strinse al petto, senza fiato.
Pianse. Pianse come un disperato, senza riuscire a fermarsi, senza quasi accorgersene. Non riusciva a fermarsi, non riusciva a controllarsi, non poteva fare altro. Sentiva gli occhi degli animali curiosi su di sé, ma non gli interessava. Non gli interessava più nulla, non aveva più nessuna ragione per vivere, per essere lì.
Qualcosa forse ancora c'era.
La vendetta.
Voleva vendicarsi. Voleva vedere il sangue di quel bastardo sulle sue mani, la sua testa mozzata, il suo petto squarciato. Voleva farlo soffrire tanto quanto stava soffrendo lui e poi ancora di più, dargli la morte più dolorosa che esistesse e poi farlo soffrire ancora. Perché qualcosa, una sensazione alla base dello stomaco, un dolore proprio lì, alla sinistra del cuore, gli diceva che Lovino era morto. Che quei vestiti erano strappati per un motivo, che quella collana non era stata strappata via per caso, che la fede non si trovava lì per pura coincidenza.
Certo, voi, razionali, potreste trovare delle pecche. Perché strappargli i vestiti? Perché lasciare lì la collana d'oro, perché la fede così distante dal resto, perché portarsi dietro il corpo o prendersi la briga di seppellirlo? Non ne avrebbero avuto il tempo, sono scappati in fretta e furia, se davvero lo avevano ucciso perché lo avevano spogliato di tutto e dove avevano messo il corpo?
Voi state già trovando i difetti in questo crimini. Forse voi, razionali, avreste dato un'occhiata più approfondita agli animali nella foresta.
Ma stiamo parlando di un uomo distrutto dal dolore. Non riusciva a ragionare, a pensare, solo ad agire, a piangere e a urlare. Sentiva che Lovino era morto e non riusciva a trovare alternative. Lo aveva visto svenire addosso al tizio con i capelli rossi, lo aveva visto morire. Evidentemente non c'era del narcotico in quel fazzoletto, ma direttamente del veleno. Sentiva che qualcosa di grosso era successo lì. C'era uno strano odore nell'aria, e non era il puzzo di cadavere. Quel minuscolo brandello di necessità che gli era rimasto gli urlava morte, l'ansia che lo aveva torturato per giorni rinfrancava e i suoi occhi trovavano solo prove su prove, indubbiamente dubbie, prive di senso, ma che non facevano altro che confermare tutto.
Si infilò la fede di Lovino al dito, ma gli stava piccola, così la spostò al mignolo. Avrebbe voluto rifugiarsi tra le braccia di Lovino a piangere, ma le sue braccia ormai erano fredde e non c'era più il battito del suo cuore a calmarlo come una ninna nanna.
Si asciugò le guance e si alzò in piedi. Doveva comportarsi da adulto e fare quel che doveva fare.
Feliciano tornò pochi minuti dopo, con i lupi di Lovino al seguito -eccomi! Per fortuna loro stanno bene. Possono cercarlo e...
-sì- mormorò -prova. Io... credo di aver bisogno di riposarmi qualche minuto, non... non mi sento molto bene.
Feliciano lo osservò barcollare fuori dalla foresta, preoccupato.
Nessuno dei due si accorse di una piccola figura scura che si aggiunse al branco.

Antonio era sdraiato a letto dalla parte di Lovino, stringendo i suoi vestiti tra le braccia e cercando di immaginare di averlo lì, al suo fianco.
Qualcuno lo interruppe -Antonio?
Quello mugugnò, nascodendo il viso nell'incavo del collo del suo Lovino immaginario. Una mano si posò sulla sua spalla.
Per qualche secondo si illuse che quello fosse Lovino, ma quando alzò lo sguardo si rese conto che era semplicemente Feliciano.
-ciao- tornò al suo angolino felice.
-senti... so di non essere Lovino, ma se vuoi posso fingere.
-cosa?- si girò a guardarlo, confuso. Feliciano arrossì.
-non... non per il sesso, sia chiaro, ma se vuoi abbracciarmi fingendo che sia lui...
-no- chiuse gli occhi -non sarebbe la stessa cosa. Siete simili, non identici. Non avete lo stesso profumo.
Feliciano si dondolò con aria imbarazzata -va bene... se hai bisogno basta chiedere, comunque- fece per uscire, ma tornò indietro -ti stanno aspettando al consiglio di guerra. Se non te la senti dico di...
-no, ci sono- si alzò, asciugandosi gli occhi distrattamente -arrivo subito, datemi due minuti.
-certo- gli rivolse un sorriso gentile, un po' tirato, e uscì.

Va bene, non penso di aver ingannato nessuno: Lovino era vivo. Un po' diverso, ma vivo.
Vi starete chiedendo perché i vestiti si fossero strappati, come sia scappato da Arthur e Allistor così in fretta, perché la collana si sia rotta e perché la fede fosse lì.
La risposta è semplice. Perché, per scappare, per salvarsi la pelle, il corpo di Lovino era mutato. I sensi si erano acuiti, i peli si erano infoltiti, la parte rosa dell'occhio si era allungata. Gli arti si erano trasformati in zampe, la postura si era modificata, le orecchie si erano appuntite.
In breve, era diventato uno dei suoi lupi. Veloce, troppo veloce per un essere umano, e così era scappato nel bosco. Il petto si era ampliato, la schiena si era piegata, e ciò aveva strappato i vestiti. Il collo si era ingrossato e ciò aveva rotto la collana, e infine le mani, quando era già a metà strada verso il bosco, erano diventate zampe, e le dita erano diventate tali che l'anello era scappato e s'era perso per strada.
Nello scappare non aveva ragionato; aveva seguito l'istinto e aveva corso. Solo dopo qualche centinaio di metri, al sicuro, la sua umanità era tornata a farsi sentire, e si era chiesto cosa stracazzo stesse succedendo, per usare parole sue. Poi aveva sentito degli odori familiari, e nel seguirli era tornato indietro, rimanendo comunque nell'ombra. Confuso da tutti quegli odori nuovi, quegli istinti strani, quel corpo estraneo e familiare al tempo stesso, era rimasto a guardare, senza riuscire a intervenire. La parte più istintiva di lui gli diceva di scappare, ché gli umani erano malvagi, ché volevano la sua pelle, la sua carne; l'altra parte di lui, quella umana, gli diceva di andare da Antonio a consolarlo, fargli capire, abbracciarlo. Così, come compromesso, rimase a guardare.
Poi era arrivato qualcun altro, qualcuno in grado di sintetizzare le due parti di lui in una sola.
Suo fratello. In fondo, chi è più affettuoso di una mamma lupa? E sì, Lovino non era la madre di suo fratello, ma poco ci mancava, e questo lo mosse in avanti. La seconda cosa che lo smosse fu il suo branco, non penso neanche di dover specificare il motivo. E così si confuse in mezzo agli altri, senza farsi notare. I lupi lo avevano riconosciuto, lo sapeva, ma non avevano avuto reazioni particolari. Soltanto Roma gli andò incontro e gli leccò il muso, scodinzolando, ma niente che facesse intuire qualcosa a Feliciano. Forse avevano percepito l'umore del loro capobranco, o forse Lovino aveva dato l'ordine di tacere in modo istintivo, senza dirlo direttamente.
Feliciano diede l'ordine di cercare Lovino, e Lovino diede l'ordine di obbedire e fingere di cercarlo, ma senza trovarlo direttamente.
Era strano quel corpo, ma approfittò di quelle finte ricerche per adattarsi il più possibile e, rannicchiato dietro ad un albero, cercare di tornare umano.
Forse vi state chiedendo come mai non sia nel panico. La risposta lui non la sapeva, ma in qualche modo si sentiva a suo agio in quella forma, anzi... si trovava quasi meglio di quanto non facesse da umano. A dirla tutta era più rilassato. Forse era quella la maledizione di cui parlava il nonno.
Spero solo che tu riesca a sbloccarti
Forse si riferiva a quello. Forse... forse era una specie di lupo mannaro e lo avevano bloccato in una forma sola, per questo ora stava meglio.
Ci sei vicino, mio tesoro.
Ragionava meglio, notò. Una volta che riusciva a relegare l'istinto in un angolino del suo cervello, aveva la mente più lucida di quanto non avesse mai avuto. Era meno emotivo, meno isterico, meno impulsivo in qualche modo.
Feliciano li richiamò, e lui non era ancora riuscito a tornare umano.
Devo esercitarmi.
-vado alla tenda, piccoli- disse il ragazzino, con voce un po' tremula. La speranza stava venendo meno. Lovino avrebbe voluto avvertirlo, ma non sapeva come fare. Qualcosa, un sesto senso, gli diceva di lasciar perdere e osservare in silenzio -voi continuate le ricerche.
Lovino, ovviamente, disobbedì e lo seguì a distanza, in silenzio.

La tenda del consiglio di guerra era silenziosa. Lovino rimase fuori, a spiare tramite le pieghe della tenda. Tutti osservavano Antonio, che ancora non aveva parlato. Persino Lovino, da fuori, percepiva la tensione.
Poi Antonio sbottò.
-io lo ammazzo- si alzò in piedi e sbatté la mano sul tavolo così forte che Lovino temette che si spezzasse -IO LO AMMAZZO. LO UCCIDO, LO FACCIO FUORI CON LE MIE MANI- il lupo vide chiaramente Francis sobbalzare e impallidire -TROVATE QUEL BASTARDO E PORTATEMELO.
-con la rabbia non risolviamo nulla- Ludwig fu l'unico a riuscire a trovare il coraggio di parlare -dobbiamo pensare a dove potrebbe essere.
-NON ME NE FREGA UN CAZZO, VOGLIO AVERLO IN CATENE DAVANTI A ME.
-e lo avrai- gli garantì il biondo -però...
-PERÒ UN CAZZO. TROVATELO. PORTATELO QUI.
Lovino si rese conto di avere la coda bassa e di aver cambiato posizione per mettersi in difesa.
Ho paura, capì. Ho paura di Antonio.
Fino a una settimana prima sarebbe stata una cosa assurda, impossibile. Non poteva avere paura di Antonio. Antonio non poteva fargli paura, non era semplicemente possibile.
Eppure...
Lo osservò meglio. Qualcosa nei suoi occhi era familiare, ma diverso dal solito.
Sembrano quelli del nonno.
La pupilla era stretta, gli occhi iniettati di sangue, il bel verde di cui Lovino si era innamorato quasi malato.
Cosa stai combinando, bastardo?
-i lupi stanno proseguendo le ricerche- intervenne Feliciano -forse li troveranno loro.
-stanno andando verso il mare- mormorò Francis -è lì che sono più forti, ed è lì che noi siamo più deboli.
-bene- ringhiò Antonio -allora bruciamo le loro navi e affoghiamoli.
Lovino ebbe un brivido. No...
Glielo aveva promesso. Lo aveva giurato...
Ma ormai Antonio era spezzato. Se anche fosse ritornato, la sua voglia di vendicarsi sarebbe rimasta. La follia lo stava consumando, metterci un freno con l'affetto non avrebbe aiutato. Ci aveva provato con suo nonno, e lui l'aveva ignorato.
Quella battaglia ci sarà, qualsiasi cosa tu faccia per impedirlo.
Ma forse, se non si fosse opposto, se avesse lasciato che le cose andassero come dovevano andare, ci sarebbe stata una conclusione positiva.
Se Antonio avesse sbattuto la faccia con la realtà, forse sarebbe riuscito a rialzarsi senza farsi troppo male.
E così, fece un passo indietro e ululò. Dal bosco, tutti i lupi risposero al suo verso e si unirono al suo canto di dolore. Dolore per il suo cuore spezzato, per il suo amore perduto, per quello che stava per fare.
Feliciano fece la faccia di uno che aveva preso un pugno in pieno viso. Tutto il colore svanì dal suo viso in un istante e per poco non cadde a terra.
-i lupi...- mormorò -stanno ululando...
-cosa significa?- Antonio si guardò intorno, stralunato, cercando di capire. Un sospettò si fece largo nella sua testa e per poco non saltò addosso a Feliciano -cosa significa?!
Il ragazzino deglutì -quando il nonno è morto- mormorò -tutti i lupi del suo branco ulularono.
-potrebbe essere una coincidenza- cercò di consolarlo Ludwig, ma Feliciano scosse la testa, con le lacrime che gli scorrevano sulle guance, copiose e senza il minimo controllo.
-non se ululano con questo tipo di dolore- si asciugò le guance -non lo sentite? Sono disperati- e ancora non era riuscito a smettere di piangere.
Lovino si ritirò e tornò verso il bosco. Non riusciva più a vedere suo fratello piangere in quel modo.


 

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Capitolo 15
*** Feli io ti uccido ***


Feliciano non riusciva a dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi, quell'ululato devastante gli tornava nelle orecchie, come la più macabra delle ninne nanne, e si ricordava di chi aveva perso.
Non voleva piangere, non voleva soffrire. Il dolore che lo attendeva di lì a un istante era così devastante, così puro ed enorme, che non se lo poteva permettere.
Aveva bisogno di distrarsi, di non pensare, di togliersi quell'ululato dalle orecchie, e tutto quel suo evitare il dolore lo stava rendendo apatico da far schifo, e voleva ritornare a sentire qualcosa così disperatamente che era disposto a tutto, tranne che ad avvicinarsi a quel precipizio oltre il quale c'era solo dolore.
Così si alzò dal suo letto, si vestì rapidamente, fece attenzione a non svegliare Venezia, l'unica lupa rimasta con lui, e uscì dalla tenda per andare da Ludwig.

Ludwig che dormiva era così carino che era un peccato svegliarlo, ma a Feli non importava più di niente. Si infilò nel letto con lui e gli scosse la spalla -Ludwig? Ludwig, svegliati.
Il biondo mugugnò qualcosa e riaprì gli occhi. Quando lo mise a fuoco nel buio, la sua espressione si intenerì.
-Feli, è successo qualcosa?- si mise ad accarezzargli la guancia, dolcemente -non riesci a dormire?
Feliciano scosse la testa e si strinse a lui, nascondendo il viso contro il suo petto. Lì, al caldo e al sicuro, il ragazzino era a tanto così dal piangere.
No, si disse. Devo distrarmi.
Così sollevò il viso e lo baciò, spingendolo per farlo sdraiare sulla schiena e salendogli sopra senza troppi complimenti.
-che fai?- Ludwig gli posò una mano sulla bocca per farlo stare fermo. Gli scostò una ciocca di capelli dal viso -hai avuto una giornata pesante, dovresti dormire.
-no- scosse la testa, con gli occhi lucidi. Gli tremava la voce -ogni volta che chiudo gli occhi li risento. Non voglio dormire, non voglio pensare- tornò a baciarlo con forza, disperato -ti prego, aiutami a non pensare. Se penso...- gli morì la voce -se penso crollo.
Ludwig sospirò, accarezzandogli lentamente la schiena -va bene- gli infilò le mani nei pantaloni e glieli sfilò del tutto, sporgendosi a baciarlo sul collo. Feliciano mugolò, contrariato. Ancora riusciva a pensare, e lui non voleva pensare, non voleva sentire nient'altro che Ludwig, perché tutto il resto era dolore e solo dolore.
-di più- mormorò, andando a togliergli i pantaloni. Sospirò contro le sue labbra -voglio di più.
-Feli...- cercò di farlo ragionare, di calmarlo, ma il moro non voleva ragionare, non voleva calmarsi, voleva il piacere, voleva un dolore abbastanza forte da far tacere il resto per un po'.
-no- gli si sedette in grembo, togliendosi la maglia e lanciandola chissà dove. Torno a baciarlo -lo voglio. Per favore.
Ludwig sospirò, Feliciano ormai conosceva quel tono abbastanza da sapere che stava per cedere -sei sicuro?
-sì.
-sei sconvolto, non mi sembra il caso di...
-per favore- stava per piangere -ho bisogno di... di una cosa bella. Sta andando tutto male e... e ho bisogno di qualcosa di buono- una lacrima gli scivolò sulla guancia -ho bisogno di te. Sei... sei tutto quello che mi è rimasto.
E a quel punto Ludwig non riuscì più a dir di no, anche perché dai, in fondo era umano anche lui. Sfido chiunque a resistere con il ragazzo dei tuoi sogni implorante e completamente nudo addosso a te.
Feliciano per poco non pianse dal sollievo, baciando il biondo con tutta la disperazione del mondo. Sì, era quello che voleva. Tanto, troppo per pensare, per ragionare, solo un miscuglio di piacere e dolore così intenso da rendere impossibile distinguerli l'uno dall'altro. Ne voleva di più, di più, sempre di più, voleva annullarsi completamente, smettere di esistere se non in funzione di Ludwig, perché se non esisteva non doveva soffrire, se nella sua vita c'era solo Ludwig doveva preoccuparsi soltanto di lui, che non lo avrebbe mai fatto cadere nel vuoto. Forte, saldo, sicuro com'era, non avrebbe neanche fatto fatica a tenerlo su, l'avrebbe sostenuto e tenuto lontano da lì.
-ti amo- gli sussurrò, gemendo leggermente. Lo baciò -ti amo.
Ludwig lo strinse forte, facendolo sorridere. Era al sicuro, ora. Ludwig non lo avrebbe mai lasciato cadere.

Antonio non aveva dormito, questo era chiaro a tutti lì dentro. Aveva due occhiaie enormi, gli occhi iniettati di sangue, l'espressione stravolta.
Se Ludwig non fosse stato preoccupato per Feliciano, si sarebbe impensierito per la condizione del capotribù, ma era semplicemente troppo entusiasta ed esausto a causa della notte precedente per pensare coerentemente.
-le navi dal nord stanno arrivando- disse solo, gli era arrivata la risposta quel giorno.
Antonio annuì -il bastardo dov'è?
Fu Francis, anche lui con due occhiaie enormi, a rispondere -delle spie l'hanno visto dirigersi al porto più vicino insieme al fratello. È lì che hanno la loro flotta e parte dell'esercito. Di Lovino...- non concluse la frase, ma era chiaro il concetto. "Di Lovino nessuna traccia". Antonio aveva la faccia di uno che aveva appena ricevuto un pugno nello stomaco, ma annuì. Feliciano appoggiò la testa alla spalla del suo ragazzo e chiuse gli occhi, sforzandosi di non tremare. Ludwig lo strinse, cercando di confortarlo il più possibile.
-raggiungiamoli. Le nostre navi attraccheranno vicino al porto e noi saliremo lì. Li distruggeremo- ringhiò Antonio -e poi prenderemo noi il potere. È quello che avrebbe voluto Lovino.
Lo so cosa state pensando.
"No, razza di deficiente, non è quello che Lovino vuole!"
Peccato che Antonio non fosse propriamente in grado di ragionare lucidamente in quel momento, penso lo abbiate notato.
Soffriva. Semplicemente soffriva e aveva paura di cosa ci sarebbe stato di lì in avanti. Era spaventato all'idea di andare avanti, non sapeva cosa fare, non capiva cosa, come tutto fosse andato a puttane in così poco tempo. Aveva visto Lovino lì, in quella sala, smettere di ballare e guardarlo con occhi luminosi, speranzoso, credendo in lui, credendo che lo avrebbe salvato, che tutto sarebbe andato bene di lì in poi. E invece lo aveva deluso: lo avevano preso senza che lui potesse fare qualcosa e lo avevano portato via, lontano da lui. Chissà che gli avevano fatto, chissà se aveva sofferto. E, come ogni persona che soffre, Antonio era alla ricerca disperata di un colpevole. Ricerca già conclusa, in realtà: la colpa era di Arthur, non ci voleva un genio a capirlo. Che poi la realtà fosse diversa era irrilevante: aveva bisogno di convincersene, e quindi per lui era così.
Non sapeva quanto tutto quello gli si sarebbe ritorto contro.

Feliciano si sdraiò a letto, tirandosi addosso Ludwig e baciandolo a bocca aperta. Ti voglio di nuovo.

E dimmi le tue verità

Lo baciò con più foga, spogliandolo in fretta e furia. Basta, basta, non voglio sentirti più.

Coraline, Coraline 
E dimmi le tue verità   
Coraline, Coraline    

Quella vecchia ballata gliela cantava sempre Lovino quando erano bambini e il più piccolo non riusciva a dormire. Trovava qualcosa di rassicurante nella storia di quella fanciulla, ma più probabilmente trovava conforto nel tono di Lovino mentre cantava.

Coraline bella come il sole       
Guerriera dal cuore zelante         
Capelli come rose rosse           
Preziosi quei fili di rame amore portali da me             

Baciò con ancora più foga Ludwig, disperato. Basta basta basta non voglio sentire non voglio pensare non voglio piangere di nuovo

Se senti campane cantare               
Vedrai Coraline che piange                 
Che prende il dolore degli altri                   
E poi lo porta dentro lei                     

Ludwig si allontanò da lui e lo guardò, preoccupato. Gli scostò una ciocca di capelli dal viso, dolcemente, e Feli per poco non urlò per la frustrazione. Non voleva la dolcezza, voleva essere sbattuto come se non ci fosse un domani, non voleva più sentire, piangere, urlare. Voleva solo il brivido del sesso, il dolore e il piacere dell'amplesso, così forti e soffocanti da coprire ogni cosa.

Però lei sa la verità                     
Non è per tutti andare avanti                   
Con il cuore che è diviso in due metà                 

-sei sicuro di stare bene?
No, pensò. Non so bene. Non sto bene, mi è appena morto il fratello, e se tu ora non mi scopi abbastanza bene da farmi stare per un po' tranquillo senza pensarci e poi dormire senza incubi, penso che impazzirò del tutto.
Ma spiegarglielo avrebbe chiesto dirlo. Dirlo avrebbe significato ammettere che Lovino era morto. Ammettere che Lovino era morto avrebbe significato pensarci. Pensarci avrebbe significato piangere per quello. E piangere per quello era qualcosa che Feliciano non poteva più sopportare.
Quindi lo baciò e basta, allargando le gambe intorno a lui per prepararsi meglio ad accorglielo dentro di sé.
-sì- mormorò -sto benissimo- andò a togliergli i pantaloni. Aveva un bisogno così disperato di lui che si faceva quasi schifo, ma quella era l'alternativa migliore che aveva per trovare un po' di pace. Le altre erano alcool e oppio.

È freddo già               

Sospirò contro la spalla di Ludwig, cercando di respirare.

È una bambina però sente            
Come un peso e prima o poi si spezzerà           
La gente dirà: "Non vale niente"         

Non voglio sentire. Non voglio sentire. Non voglio sentire.

Non riesce neanche a uscire da una misera porta       
Ma un giorno, una volta lei ci riuscirà     

Si concentrò su Ludwig, sulla sensazione di essere una cosa sola con lui, sul battito del suo cuore contro il suo. Di più.

E ho detto a Coraline che può crescere   

Si ritrovò a implorarlo, dapprima a bassa voce, poi sempre più forte. Falli tacere.

Prendere le sue cose e poi partire 

Quando sentì l'orgasmo avvicinarsi per poco non tirò un sospiro di sollievo. Finalmente un po' di pace.

Ma Coraline non vuole mangiare

Sì Coraline vorrebbe sparire

Silenzio.
Finalmente.
Non ci mise molto ad addormentarsi.

...
Coraline, bella come il sole
Ha perso il frutto del suo ventre
Non ha conosciuto l'amore
Ha un padre che di padre è niente
Le han detto in città c'è un castello
Con mura talmente potenti
Che se ci vai a vivere dentro
Non potrà colpirti più niente
Non potrà colpirti più niente
...

Sognò una ninna nanna, ma non era suo fratello a cantarla questa volta.
Mamma...
"Piccolo mio, perché piangi?"
Non sto piangendo. Sono grande, non posso più farlo.
Poi mamma sorride e non riesce più a pensare come un adulto. Essere bambino è stupendo, è tutto così semplice.
"Che ne dici se ti racconto una storia? Magari così riuscirai a dormire"
Vorrebbe annuire, ma è solo un infante tra le braccia della mamma.
"C'era una volta una mamma lupa con due adorabili cucciolini"
"La mamma lupa amava tanto i suoi lupetti e avrebbe dato la vita per proteggerli, come qualsiasi mamma farebbe per i suoi piccoli"
"Un giorno, però, dei cacciatori tanto cattivi rapirono i due cuccioli, lasciando la mamma da sola"
"La lupa si disperò, cercò i suoi piccoli ovunque e pianse, pianse tantissimo"
Mamma aumenta il suo sorriso, accarezzandogli la testolina e la guancia paffuta.
"Ma alla fine riuscì a ritrovare i suoi bambini, e rimase con loro per sempre"
Gli bacia la guancia paffuta.
"Allo stesso modo io resterò sempre vicino a te e a tuo fratello, piccolo mio. E vi ritroverò, se dei cacciatori ci separeranno. Te lo prometto"

"Lovi, Lovi. Cosa ti ha fatto fare il nonno?"
"Cose da grandi" suo fratello gli tiene la mano, sono due bambini. Lovino è alto, molto più alto di lui, stanno andando verso la sala del trono, che è ancora più alta di Lovino e persino più alta del nonno.
"E anch'io farò quelle cose da grandi?"
Lovino sembra orgoglioso di sé "no. Sono io l'erede"
"E allora io cosa farò?"
"Quello che vuoi"
Quello che voglio. Era questo il prezzo da pagare per essere l'erede? Poter fare di tutto, avere il potere di fare quello che si voleva della vita degli altri, ma non della propria?
"Se potessi scegliere cosa fare, che cosa faresti?"
"L'imperatore. Questo è quello che sono e quello che sarò"
"Ma se..."
"Basta, Feli" c'è del dolore nella sua voce, troppo per un bambino di cinque anni. La consapevolezza che i suoi sogni non si sarebbero avverati completamente, se non quelli riguardanti una politica e un potere che ancora non capiva, che era troppo piccolo per capire.
"Ti voglio bene, fratellone" Grazie, vorrebbe dirgli. Grazie di prenderti questo peso al posto mio. Però sapeva bene, conosceva il temperamento di suo fratello e di suo nonno, che se lo avesse detto ad alta voce Lovino avrebbe negato e avrebbe chiuso la conversazione in malo modo. Detto così, in modo più indiretto, andava bene.
Lovino gli stringe la mano. Sta sorridendo "su, sbrighiamoci, al nonno non piacciono i ritardatari e mamma sarà preoccupata"

Ha la febbre, una febbre terribile. Il piccolo Feli è bloccato a letto da giorni, con un panno bagnato in fronte e la sua mamma accanto che gli racconta tutte le favole che conosce e prega tutti gli dei affinché il suo piccolo si riprenda il prima possibile.
Suo fratello gli tiene la mano, lo osserva in silenzio, non dice niente, sembra quasi che non osi fiatare.
Feliciano cercò di svegliarsi, sia quello piccolo che quello grande, ma senza risultato.
Sente delle voci, dei rumori, non capisce cosa siano. Voci, che dicono?
Ho caldo, ho freddo, cos'ho sulla fronte? Sono stanco, voglio dormire, ho bisogno di un bagno, sono tutto sudato.
Ulula. Chi è che ulula, perché ulula?
Apro gli occhi.
Foresta, fiumi, la luce nel sole dritta negli occhi. Sono sdraiato, sono in piedi.
Due lupi lottano, due lupi identici. Feliciano sente che sono in parità.
Si voltano verso di lui e il ragazzo ha un brivido.
Hanno entrambi gli occhi di Lovino.


 

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Capitolo 16
*** L'avevo detto io ***


Feliciano si risvegliò di scatto. Si sfiorò le guance, erano umide, stava ancora piangendo e non sapeva perché.
Ludwig ancora dormiva al suo fianco, tranquillo. Si infilò nell'incavo del suo braccio e chiuse gli occhi.
Non riusciva a pensare, il suo petto si alzava e si abbassava troppo in fretta per concederglielo e il suo cuore batteva così forte da coprire ogni pensiero.
Mamma, il nonno, Lovino, i lupi, la febbre...
Si tastò la fronte, ma non era febbricitante. Chiuse gli occhi, non era ancora l'alba, forse poteva ancora dormire qualche ora.
...
No, evidentemente no. Si tolse il braccio di Ludwig dalla vita e si alzò, si infilò una tunica raccolta da terra, prese una pergamena e un carboncino e uscì fuori per disegnare un po' alla luce della luna. Davanti alla tenda di Antonio esitò.
La curiosità ebbe la meglio e si azzardò a dare un'occhiata.
Antonio stava dormendo, dalla parte del letto di Lovino, abbracciando il cuscino. Teneva sul viso una tunica del marito, forse cercandone il profumo, e Feliciano ebbe l'intenzione che avesse finito di piangere solo sopraggiunto il sonno. Si allontanò prima di svegliarlo.
Uscì dall'accampamento, silenziosamente, fino a raggiungere il piccolo lago vicino al quale si erano sistemati. Si tolse la tunica, posò i fogli a terra su di essa e si immerse nell'acqua fresca.
Un passo, l'acqua alle ginocchia.
Due passi, acqua alla vita.
Tre passi, acqua all'ombelico.
Feliciano sospirò e si immerse del tutto, fino alla testa. L'acqua gelida lo risvegliò del tutto, strappandolo dai suoi sogni.
Niente.
Lì sotto c'era il niente più assoluto.
Aprì gli occhi e si guardò intorno. Nero. Nero, nero, nero, un lieve raggio di luna e poi di nuovo nero nero nero.
C'è pace, lì sotto.
Sembra di essere tornato nel grembo materno.
I polmoni cominciarono a bruciare, lo imploravano di dare loro di nuovo ossigeno, di farli lavorare, ma il ragazzo voleva rimanere lì, dove c'era finalmente un po' di pace.
Alla fine però l'istinto di sopravvivere ebbe il sopravvento su quello di restare sano di mente.
Come compromesso tra le due parti si mise a disegnare. Lasciò andare la mano e sfogò sulla carta ruvida tutto: l'ansia, il dolore, il disprezzo, la nostalgia. Semplicemente permise alla sua disperazione di guidare il carboncino stretto tra le sue dita, senza pensare, senza riflettere.
Vieni con noi, sussurrarono le ombre nel bosco, torna te stesso
Feliciano si alzò e fece un passo avanti, lasciando cadere il disegno a terra.
Vieni, continuarono, spezza la maledizione
Una mano si posò sulla sua spalla, riportandolo alla realtà.
-Feli- lo richiamò Ludwig, con aria preoccupata -che stai facendo?
Il ragazzo si guardò intorno, confuso -io... non riuscivo a dormire- mormorò -e... sono venuto a fare un bagno.
-nel cuore della notte?
-avevo caldo.
-ma è inverno.
-dormire con te mi mette caldo.
Ludwig sospirò e lo coprì con la sua pelliccia, posandogli un braccio sulle spalle per tenerlo fermo.
Ha paura che scappi?
Venezia, accanto a lui, scodinzolò e si strusciò addosso al suo padrone per scaldarlo.
-vieni, torniamo in tenda- fece per guidarlo di nuovo verso la tenda, ma notò qualcosa a terra e si chinò a raccoglierlo -l'hai disegnato tu?- chiese, gentilmente.
Feliciano annuì, posando la testa sulla sua spalla -avevo voglia di disegnare un po'.
-è molto bello- mormorò il tedesco -perché proprio un lupo?
Feliciano sgranò gli occhi e gli strappò il foglio di mano, studiandolo alla luce tenue della lampada che si era portato dietro Ludwig
-un... lupo- mormorò. Sì, era proprio un lupo. Un lupo identico a quello che aveva visto in sogno.
-è Venezia- mentì, tenendosi stretto il disegno. Fece un buffetto al muso della sua lupetta -è bellissima, non è vero?
-sì- rispose Ludwig, cauto. Sospirò -stai bene?
-sì- si appoggiò a lui, stanco -ho solo fatto un brutto sogno.
-ne vuoi parlare?
-no- non avrebbe saputo che dirgli -solo... riportami a casa.
Ludwig annuì, lo prese in braccio a mo' di sposa, attento a coprirlo con la pelliccia, e si diresse verso la sua tenda.
Oh, mio piccolo, ingenuo Ludwig, lo vedi che non ascolti? Feliciano, dolce, stanco Feliciano, non ti ha chiesto di riportarlo alla tenda, ma di riportarlo a casa. La differenza è un abisso, ma presto lo imparerai a tue spese. Intanto goditi la vista del tuo angelo addormentato, finché puoi, perché su di voi si sta per abbattere una tempesta così violenta che riuscirà a separarvi. Feliciano lo sente, i lupi percepiscono certe cose, per questo è così agitato. Ma tu non lo sai, piccolino. Non lo sai, non lo vedi, e ti illudi che sia pazzia invece di previdenza.
Ora però goditi la visione del tuo amato addormentato, così tranquillo tra le tue braccia. Non c'è visione più pura, vero?

-sono preoccupato per Feliciano- confessò Ludwig al fratello, osservando il ragazzo in questione cavalcare poco più avanti con la sua lupa affianco.
-ha appena perso il fratello- lo rassicurò Gilbert -è normale che sia un po' scosso.
-ieri si è alzato nel cuore della notte- continuò Ludwig -l'ho ritrovato nudo affianco al lago, bagnato dalla testa ai piedi- sospirò -ha detto che ha avuto un incubo ed è andato a fare un bagno perché aveva caldo...- tirò fuori dalla sua borsa il disegno del lupo -ha fatto questo. Dice che sia Venezia, ma non ci somiglia.
Gilbert alzò le spalle -i lupi sono lupi. Non vedo tutta questa differenza.
-no, Venezia ha i denti più affilati. E poi le orecchie, queste sono più corte, Venezia le ha più lunghe.
-be', l'ha disegnato di notte. Non è strano che ci sia qualche imprecisione.
Ludwig scosse la testa -stava andando verso la foresta, credo, e quando l'ho fermato sembrava che... che si fosse appena risvegliato da un sogno.
-pensi che sia sonnambulo?
-può darsi. Ma aveva uno sguardo...- sospirò -la pupilla era strettissima, sembravano brillare al buio. Sembravano gli occhi di un lupo.
Gilbert strinse la mano di suo fratello -avevi sonno anche tu, no? Ti sarai fatto condizionare. Ma se cominci a farti suggestionare e a dubitare di chi hai intorno, rimarrai solo, e non è assolutamente una cosa che puoi permetterti durante la guerra.
-lo so. Sono solo preoccupato per lui.
-ci stiamo avvicinando alla vecchia capitale- aggiunse Gilbert -e al vecchio palazzo di suo nonno. Questa cosa potrebbe starlo agitando.
-può essere.
-più che altro sono preoccupato per Antonio. Non è molto... lucido e ci sta guidando al massacro.
-lo so e non ho intenzione di far morire i miei uomini per questo.
-che intendi?- ormai stavano sussurrando.
-che ne possiamo approfittare per prendere noi il controllo. Antonio ormai è un capo debole, ci vorrà poco ad eliminarlo.
-per Bonnefoy?
-ci alleiamo con loro per abbattere Antonio. Poi ci occupiamo anche di loro.
-e poi?
-e poi cosa?
-metti che vinciamo. Che succederà dopo?
-governeremo tutto Westeros?
-oh no, fratellino, me ne tiro fuori.
-come scusa?!
-non mi interessa il potere. Lo sto facendo per te- si stiracchiò -quando tutto questo casino sarà finito, mi ritirerò in un castello a non fare un cazzo per tutta la vita, se non vantarmi del mio fratellino, re del mondo. O, se mi annoierò, farò il comandante di una qualche legione. Mi piace la vita militare- gli diede una pacca sulla spalla, ridendo -e chissà, magari un giorno diventerai persino zio!
-se trovi qualche santa che ti sopporti.
Gilbert sorrise e rivolse lo sguardo verso Eliza, che cavalcava poco più indietro. -ho già qualcuno in mente...
Ludwig seguì la direzione del suo sguardo e inarcò un sopracciglio -sai che non hai la minima possibilità di sposarla, vero? Odia quelle cose.
-chi ha mai parlato di matrimonio?
-sei un lord, dovrai sposarti con qualcuno.
-sono un lord, posso fare il cazzo che mi pare. Più che altro, sei consapevole che se sarai re dovrai avere un erede, vero?
Ludwig alzò le spalle -temo di sì. Cercherò una donna disposta a darmi un erede e... farò quel che devo fare.
-e Feliciano?
-cosa c'entra Feliciano?
-state insieme, no?
-non direi che "stiamo insieme". Un fidanzamento includerebbe un matrimonio, e non è una cosa possibile per noi. Abbiamo una... relazione stretta.
-molto stretta da quel che sento la notte.
-ma la realtà è che non potremo fare altro che sposare delle donne. Funziona così, qui.
-e non ti infastidisce l'idea di lui che va con un'altra?
Si oscurò in viso -non sai quanto- strinse le redini del cavallo -ma mi toccherà sopportare.
-potrebbe scegliere di non sposarsi.
-non gli converebbe. Non tutti saranno contenti della nostra ascesa, tanto meno con un Vargas affianco. Se vuole vivere tranquillo gli converrà sposare una dama di una famiglia più apprezzata.
-dubito che sarà d'accordo.
-dovrà portare avanti la sua dinastia, no? Ormai è rimasto solo lui.
-non so quanto gli interessi, francamente.
-quella sarà una sua scelta.
-stai dando per scontata una cosa, fratellino.
-e cosa, esattamente?
-che Feliciano rimarrà con te anche dopo la guerra.
-non essere stupido, certo che rimarrà con me.
Gilbert scosse la testa -rifletti. Cosa lo ha portato fino a qui? Suo fratello. E ora che suo fratello non c'è più, cosa lo tiene qui?
-non avrebbe un altro posto dove andare. La sua possibilità migliore è stare con me.
-dai per scontato che voglia fare la cosa migliore per se stesso.
-solo un pazzo non lo farebbe.
Gilbert non disse nulla. Il minore continuò. -non starai insinuando che sia pazzo?
-hai detto tu che si sta comportando in modo strano. Ce l'ha nel sangue.
-è proprio per evitare che impazzisca che lo sto tenendo d'occhio!
-e poi- continuò Gilbert -Feliciano è un artista.
-e con ciò?
-gli artisti sono ben peggiori dei pazzi. Non fanno quel che è meglio per loro, ma per la loro arte, e i due interessi il più delle volte si scontrano.
-cosa c'entra?
-il dolore crea la migliore arte, Ludwig. Pensa a tutte le poesie, le canzoni, i dipinti che hai dovuto studiare. Quanti di quelli erano dovuti a delle crisi? A delle difficoltà dell'artista? A delle tragedie?
-non è vero. Molte delle opere migliori nascono dall'amore.
-e dal conseguente cuore infranto.
-comunque non vedo cosa c'entri l'arte di Feliciano in tutto questo. Un conto è fare arte, l'altro essere un idiota.
Gilbert allargò le braccia, ridendo -essere artisti è anche peggio che essere idioti! Ricorda quello che hai studiato: il pittore che si taglio l'orecchio, il drammaturgo che abbandonò la sua città per andare in scena,  il poeta che scappò in Oriente per dimenticare il suo cuore spezzato e si ammalò per questo.
-non ho intenzione di spezzare il cuore di Feli, se è questo quello a cui stai pensando.
-lo so benissimo. Ho paura che sia lui a spezzarlo a te.
-non lo farebbe mai, è troppo buono per...
-se dovesse scegliere tra te e la sua arte, cosa pensi che farebbe?
-se l'arte ti rovina la vita come dici, sceglierebbe me per salvarsi la pelle.
-ma è proprio nelle tragedie che si diventa eterni, e l'eternità è ciò a cui tende l'arte e l'artista ancora di più.
-nelle grandi gesta si diventa eterni- replicò Ludwig -e conquistare un intero regno è qualcosa di sufficientemente grande, o no?
-chissà. Una delle cose più rare è la capacità di fermarsi e considerarsi soddisfatti. Riuscirai a capire quando sarà il momento di accontentarsi?
-da quando in qua dai consigli come un vecchio saggio?
Gilbert alzò le spalle, divertito -ogni tanto lo spirito del nonno si impossessa di me.

Antonio salì sul ponte della nave, a spada sguainata. Dall'altra parte del mare, sull'imbarcazione avversaria, Arthur sorrideva, con aria divertita. C'era qualcosa di crudele nei suoi occhi verdi.
-non ditemi che avete nascosto Lovino per paura che lo rapisca di nuovo.
Antonio gli puntò contro la spada, ringhiando -non osare nominarlo, pezzo di merda.
Il biondo rise, con un sorriso sempre più beffardo -come sei esagerato. Non gli ho torto neanche un capello.
-l'hai soltato ucciso- ribatté il moro, sentendo un brivido a quelle parole.
L'altro esitò, sorpreso. Elaborò le sue parole, poi scoppiò a ridere. Una risata sincera, come quella di chi vede un cagnolino fare un qualcosa di incredibilmente stupido. -pensi davvero che l'abbia ucciso?
-perché, non l'hai fatto?- una piccola crepa nelle sue certezze, dentro alla quale si infilò un raggio di speranza.
-dimmi un motivo sensato per cui avrei dovuto uccidere Lovino.
Antonio esitò. Poi si disse che non doveva farsi ingannare -perché sei pazzo.
-sarò anche pazzo, ma non sono un idiota- gli occhi verdi del biondo si trasformarono in veleno -sai cos'è successo, invece? Mi sono girato un attimo per sbarrare la porta ed è scappato. Pensavo fosse tornato da te, e invece...- un veleno ben peggiore dello strozzalupo -e invece mi sa che è scappato da te. O sbaglio?
-smettila di mentirmi, Kirkland! Perché Lovino avrebbe dovuto fug...- un lupo. Un lupo fuori dalla tenda delle riunioni che lo guardava. Un lupo in posizione di difesa, ringhiante, con la coda tra le gambe. Un lupo con gli occhi dello stesso colore di quelli di Lovino.
Antonio si guardò intorno, come risvegliatosi da un sogno. Era su una nave con la spada sguainata contro Kirkland.
Promettimi che non lo sfiderai mai via mare.
Cosa diamine era diventato? Aveva infranto l'unica richiesta che mai gli avesse fatto l'amore della sua vita, proprio dopo averlo fatto scappare.
-cos'hai ora? Non vuoi più combattere? Che noia.
Antonio cercò di riprendersi e avanzò verso di lui -non penserai di potermi abbattere con un paio di discorsi senza senso.
-a giudicare dalla tua faccia, non mi sembrano così senza senso. O almeno tu non li giudichi tale- si sistemò il cappello a tesa larga, da pirata, sul viso, lasciando scoperto il sorriso perfido. Gli puntò la spada contro -ora abbiamo intenzione di combattere o dobbiamo aspettare che Lovino venga a darci l'autorizzazione?
Antonio ringhiò -ti ho detto di non nominarlo!  

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Capitolo 17
*** Una cosa giusta l'hai detta ***


Era andata una merda.
È qualcosa di scontato, già lo sapevamo, quindi non soffermiamoci troppo. Concentriamoci sul dettaglio che aveva sconcertato Lovino durante la sua visione: Antonio era furioso. Era scosso da una rabbia così cieca, così furiosa, che sembrava in grado di distruggere il mondo e farlo sprofondare negli oceani in tempesta. Quell'ira funesta, però, non era rivolta verso l'avversario, come Lovino aveva pensato, bensì verso un nemico ben più subdolo e più difficile da vincere.
Se stesso.
Si odiava, si odiava a morte. Non si uccise solo perché sapeva di meritare ben di peggio.
Una cosa gli aveva chiesto Lovino. Una! E neanche quella era riuscito a dargli.
"Non sfidarlo via mare". E lui che aveva fatto? L'aveva sfidato via mare! Un genio, un vero genio!
Aveva capito di aver perso nel momento esatto in cui si era ricordato della promessa infranta. Primo, perché gli dei non perdonano chi infrange le promesse, e secondo, perché Lovino, come a lui stesso piaceva ripetere di continuo, "aveva sempre ragione", quindi se gli aveva chiesto di non farlo doveva pur esserci un motivo.
Poi Kirkland aveva tirato fuori l'artiglieria pesante.
Cannoni, li avevano chiamati. Lì per lì ad Antonio non era importato molto di come si chiamassero, l'unica cosa coerente che era riuscito a pensare era stata una sfilza di imprecazioni che non sto a ripetervi. In un secondo, dopo un breve combattimento contro Kirkland stranamente finito in parità, si era ritrovato in mare insieme ai superstiti. Lo schianto con l'acqua gelida era stato terrificante. Non quanto quello con la realtà preso pochi minuti prima, ma comunque era stato doloroso.
Lo avevano ripescato poco dopo, però nessuno aveva avuto il coraggio di toccarlo più del necessario per tirarlo fuori dall'acqua. Aveva il fuoco negli occhi, di gran lunga più bruciante di quello sparato dai cannoni.
Ignorando Feliciano che cercava di convincerlo ad andare dal dottore per farsi curare le ferite, si era rintanato nella sua tenda, e lì era rimasto a pensare per ore. A pensare e a piangere per il sollievo, a dirla tutta.
Lovino è vivo. Il sollievo nel saperlo era troppo immenso per riuscire a metabolizzarlo. D'altro canto...
L'hai fatto scappare. Sì, ma almeno è vivo.
Un lupo. Avrei dovuto aspettarmelo.
Questo spiegava i vestiti strappati e il fatto che Venezia non riuscisse a trovarlo. Perché non me ne ha parlato?
Pensò a Feli, stupito quanto lui nel trovare i vestiti distrutti e la collana spezzata. Lovino lo avrebbe certo detto al fratello, quindi o Feli era un bugiardo migliore di quanto non sembrasse o neanche Lovino lo sapeva.
L'ululato... deve averlo iniziato lui. All'inizio era un lupo solo, doveva essere lui, poi gli altri si sono uniti. Ma perché ululare? Per confonderci, giusto. Sapeva che Feliciano avrebbe capito la cosa sbagliata. Oppure Lovi non è più umano e si è solo comportato da lupo?
No, quel lupo mi ha guardato. L'ho visto, c'era qualcosa di più nei suoi occhi. Forse mi sto ingannando, ma voglio credere che il mio Lovi sia ancora lì fuori. Forse è solo un incantesimo di Kirkland... ma non credo. L'avrebbe detto, se avesse saputo che Lovi era un lupo. Invece ha detto che è scappato e che lui non sapeva come, quindi non deve saperne niente. Oppure ha mentito, possibile, ma ha senso. Se Lovi si è trasformato mentre quello era di spalle ed è corso via, Kirkland non ha visto niente. Quei lupi sono velocissimi, ha senso.
Avrebbe dovuto aspettarselo, comunque. C'era stato a caccia, sapeva come si comportavano gli animali. Per farli scappare, non c'è modo più semplice che urlare. E lui che aveva fatto? Aveva urlato, come un pazzo, e Lovino era scappato.
"Eh ma Lovino non è un animale selvatico"
Dite di no?
Da quanto tempo non aveva delle racidi stabili? Da quanto tempo non faceva altro che correre da una parte all'altra, con fratellino al seguito, cercando disperatamente un modo per sopravvivere? Da quanto tempo aveva smesso di avere delle passioni, degli interessi diversi dall'andare avanti, pur di sopravvivere? Da quanto tempo preferiva sopravvivere che morire dopo aver vissuto?
Come biasimarlo eh, chi al suo posto avrebbe fatto diversamente? Ma così si era avvicinato sempre più allo stato di animale, e sempre meno a quello di umano.
La trasformazione in lupo era stata solo il tassello finale di una lunga catena, ancor più vecchia di lui. E Antonio aveva intravisto qualcosa di quella catena, aveva capito che ci fosse qualcosa sotto, peccato che avesse gettato tutto al vento per farsi rassicurare dalla pazzia.
Quel piccolo lupo dal manto rossiccio era lì fuori, da qualche parte. Quel piccolo lupo dal pelo rossiccio era scappato da lui, e Antonio non aveva intenzione di costringerlo a sopportare la sua presenza, ma al tempo stesso non voleva perderlo per sempre.
Che fare allora?
Bella domanda.

Durante il loro viaggio verso nord, per andare incontro ai loro alleati, erano stati colti di sorpresa da una tempesta di quelle tremende, che li aveva costretti a rifugiarsi in alcune grotte di fortuna.
In una di quelle, una delle più piccole, si erano rifugiati loro due, e come due amanti nascosti da sguardi indiscreti nel bosco avevano fatto l'amore cullati dal rumore della pioggia.
Lovino ora lo guarda, con gli occhi socchiusi e un lievissimo sorriso compiaciuto sulle labbra. Antonio aveva notato che suo marito non sorrideva spesso davanti agli altri, ma che si lasciava andare solo quando era completamente a suo agio, di solito con Feliciano. Sapere di essere abbastanza per cui da farlo sorridere così serenamente gli riempe il cuore di gioia.
Percorre con la punta delle dita la schiena nuda di suo marito, lentamente, su e giù, giù e su.
Lovino mormora qualcosa contro il suo orecchio, sospira, si stringe a lui.
"Non hai niente di meglio da fare che infastidirmi, bastardo?" sussurra, riaprendo gli occhi, leggermente lucidi e appannati dal sonno e dal piacere di poco prima.
"No" ride Antonio, contro la sua pelle. Lo bacia sulla spalla, stringendoselo contro ancor di più "sono tutto per te"
"Che culo"
"Dovrei essere io a dirlo" replica, divertito, scendendo con le mani fino a un punto ben preciso "che culo"
Lovino alza gli occhi al cielo "miei dei, quanto sei stupido"
"Miei dei, quanto sei bello" risponde, sfiorandogli i fianchi con un tocco delicato come una piuma.
"Miei dei, quanto sei cieco"
"Miei dei, quanto sei ottuso" interrompe la sua risposta con un bacio, schiudendogli la bocca con tutta la dolcezza del mondo. Si allontana da lui e punta lo sguardo nel suo, senza riuscire a distoglierlo. Gli accarezza il viso con una mano, l'altra posata sul suo fianco. Lovino si appoggia al suo palmo, come un cucciolo alla ricerca di coccole "sei meraviglioso" lo bacia di nuovo "bellissimo" lo bacia sul collo, Lovino sospira "irresistibile" se lo stringe contro, scendendo a baciare, mordere, succhiare un lembo dietro l'altro della sua pelle così morbida, così profumata. Sente le mani di Lovino tra i capelli, a impedirgli di allontanarsi, e sorride per l'ingenuità del suo amorito. Che motivo avrebbe di staccarsi dal suo paradiso personale?
Le gambe nude di Lovino si stringono alle sue, si avvolgono ai suoi fianchi, lo stringono forte.
"Sei un porco"
"Solo per te, Lovi" lo bacia appena sotto all'orecchio, gli morde il lobo. Non ha fretta, l'unica cosa che vuole è dedicarsi al suo tesoro nel modo migliore possibile. Lovino trema contro il suo tocco, Antonio sospira "Dei, quanto mi piaci"
"Sbrigati" il ragazzo ha il fiato corto, si preme ancora di più contro suo marito alla ricerca di calore. Gli tira i capelli per fargli sollevare il viso e baciarlo, strusciandoglisi addosso per trovare un po' di piacere. Gli morde il labbro, sospira una leggera risata "sei impaziente quanto me, a quanto sento"
"Lascia che ti coccoli un po'" Lovino gli si siede in braccio e lo bacia. Antonio trattiene una risata, il suo Lovi è sempre così impaziente...

A distanza di mesi, Antonio ricordava quella notte piovosa come uno degli ultimi momenti davvero tranquilli passati con Lovino.
Voleva altre notti così. Voleva fare ancora l'amore con lui mentre fuori pioveva, voleva di nuovo dedicarsi esclusivamente a lui mentre fuori imperversava il caos, voleva ancora trovare la pace in lui e con lui nel loro piccolo angolo di mondo.
Sicuramente costringerlo a tornare da lui non era un'opzione valida, anche perché Lovino si sarebbe limitato a scappare ancora. C'era solo una cosa che poteva fare, a quel punto, ed era sperare.
Se non puoi raggiungere qualcuno, lascia che quel qualcuno venga da te.

Feliciano vagava per la foresta, accompagnato esclusivamente da Venezia. Non aveva voluto sentire ragioni su quella faccenda: doveva essere solo.
Nell'allontanarsi da Kirkland, avevano raggiunto una zona ben precisa. Il ragazzino aveva sperato di visitarla con il fratello, e invece era solo.
Il vecchio palazzo di suo nonno. Si sentiva già a casa, pur non essendoci ancora arrivato.
Quando i Kirkland avevano conquistato tutto, il palazzo era stato abbandonato e la sua città distrutta. La natura si era riappropriata di tutto, e ora, dove un tempo sorgevano le più magnifiche costruzioni della capitale dell'impero, erbacce e animali pascolavano tranquillamente. Tuttavia a Feliciano non disturbava molto: c'era qualcosa di incredibilmente giusto in tutto quello. Suo nonno glielo ripeteva sempre, d'altronde: dalla natura veniamo, e alla natura ritorneremo. Doveva valere anche per le città.
Superò una casa ormai storta e ricoperta di erbacce e uscì dai confini della città. Ricordava ancora tutto il percorso a memoria: seguendo la via principale, ora diventata un manto erboso, si raggiungeva finalmente il castello.
Ludwig non era stato contento della sua decisione, ma Feli non aveva avuto bisogno della sua approvazione: aveva deciso che sarebbe andato lì fin da quando aveva saputo che sarebbero partiti.
Anche il castello se lo era ripreso la natura. Sembrava sul punto di cadere da un momento all'altro, quindi Feliciano preferì non entrare. Si diresse verso i giardini, dove gli avevano detto che...
Eccola.
La tomba del nonno, proprio come aveva detto Ludwig. Kirkland aveva avuto almeno la decenza di seppellire il suo nemico.
E lì, acciambellato sulla lapide...
Un lupo. Il lupo del suo sogno.
L'animale sollevò lo sguardo su di lui, si scrutarono per qualche secondo. Feliciano non riusciva a parlare, sentiva le gambe tremare, gli occhi riempirsi di lacrime. Al suo fianco, Venezia ululò e corse incontro alla sorella Roma, rotolandosi con lei sull'erba. Feliciano però non riusciva a essere contento per la sua lupa, riusciva solo a pensare a...
-L-Lovino?
E il lupo cambiò forma, proprio lì, davanti ai suoi occhi. Il pelo si ritiro, gli artigli anche. Le zampe si allungarono, la schiena si distese. I lineamenti si fecero sempre più netti, più umani, fino a quando l'unica cosa immutata furono appunto gli occhi.
Feliciano trattenne il fiato. Una lacrima gli corse lungo la guancia.
Suo fratello.
Suo fratello era lì, davanti ai suoi occhi.
Suo fratello era lì, davanti ai suoi occhi, vivo.
Corse ad abbracciarlo, con tanto slancio da spingerlo a terra. Lovino lo strinse, ridendo a bassa voce.
-quindi ti sono mancato.
-sei uno stronzo- stava piangendo, disperato, le braccia avvolte intorno al fratello per impedirgli in tutti i modi di scappare ancora. Lovino sospirò, accarezzandogli la schiena.
-mi sei mancato anche tu, fratellino.
Rimasero così, abbracciati, stretti, l'uno tremante, scosso dai singhiozzi, l'altro rassicurante nel tentativo di calmarlo, come quando il più piccolo dei due aveva un incubo e il povero fratello maggiore, martire indiscusso e candidato al ruolo di santo, indossava le vesti da madre della situazione e passava l'intera notte abbracciando il fratellino e cantandogli ninna nanne su ninna nanne per farlo calmare, rassegnatosi ormai al sonno incontrollabile che lo avrebbe accompagnato per tutta la giornata successiva. Allo stesso modo, Feliciano ora piangeva contro la spalla del fratello, entrambi cresciuti, entrambi quasi adulti, ancora simili a quei bambini destinati a passare la notte in bianco. Allo stesso modo, Feliciano si era appena risvegliato da un incubo, un incubo in cui lui era rimasto solo al mondo e suo fratello era morto. Anzi, non era stato propriamente un incubo, e questo gli ricordava una cosa...
Diede un pugno sulla spalla a Lovino, ancora in lacrime -non ti permettere mai più di farmi uno scherzo simile! Sono stato una merda, stronzo!
-scusa, hai ragione, ma non ho avuto scelta- Lovino staccò una mano dalla sua schiena per massaggiarsi la spalla, bofonchiando -mi hai fatto male...
-spiegami che cazzo hai combinato o te ne arriva un altro- si mise seduto, pur tenendogli stretta una mano per impedirgli di scappare, e notò un dettaglio -e perché sei nudo.
-hai visto che ero un lupo, no?
Sì, ma sul momento non ci aveva fatto troppo caso -sì.
-questa è metà della faccenda. Ascolta...- gli strinse le mani -non ci ho capito molto, sinceramente, nonno non ci ha mai detto un cazzo e...- sospirò, cercando di restare calmo -noi non possiamo capire i lupi perché siamo affini a loro. Noi possiamo capire i lupi perché siamo loro. Non so come, o perché, non so un cazzo su questa storia, ma possiamo trasformarci in lupi- gli brillavano gli occhi -anzi, forse è più corretto dire che possiamo ritornare lupi.
-i... i tuoi denti- mormorò Feliciano, osservando il sorriso del fratello, dove due enormi canini, he sembravano sbucati da una di quelle storie di paura piene di vampiri che raccontava il nonno per pavoneggiarsi parlando delle sue battaglie, facevano capolino, ferendo il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, anche se Lovino non sembrava farci troppo caso. Vedendo lo sguardo spaventato e incuriosito del fratellino, però, se li coprì di scatto con la mano libera, leccandoseli per controllare il loro stato.
-merda, scusa, non so ancora controllarmi bene quando torno umano.
-sei... sei come un lupo mannaro?
-non proprio. Quelli si trasformano con la luna piena, io posso farlo quando voglio- sorrise, con dei denti normali, sollevando lo sguardo al cielo -è bellissimo, Feli. Correre con i lupi, alla loro velocità, essere un tutt'uno con la natura, preoccuparti solo di come sopravvivere...
-e a tuo fratello non ci pensi?- replicò, freddo -ad Antonio?
Lovino ebbe un sussulto a quel nome, ma lo mascherò bene -perché pensi che sia venuto qui? Aspettavo te, sapevo che saresti tornato a casa- lo scrutò, attento, con un piccolo sorriso curioso -fatti guardare un po'. Sei diventato più alto o sbaglio?
-non ci ho fatto caso- mormorò, appoggiando la testa sulla sua spalla e abbracciandolo.
Lovino sospirò, stringendolo -Feli... ascoltami, è importante. Prima ero... come bloccato. Ero più nervoso, più isterico... be', un po' lo sono ancora, però hai capito che intendo. L'essere bloccato in forma umana era come un... un'adolescenza nell'adolescenza. Un Inferno, in pratica.
-pensi che anche io...
-sì. Devi imparare a mutare anche tu. Ho paura che... che nonno sia impazzito perché era bloccato e non voglio che ti succeda.
-come faccio?
-non... non te lo so spiegare. Io mi sono trasformato quando mi sono sentito in pericolo di vita, l'istinto ha preso il sopravvento e...- si indicò -ecco.
-devo rischiare la vita?
-spero di no! Devi provarci, lasciarti andare. È una cosa tua, personale, capisci? Però promettimi che ci proverai, per favore. Non voglio saperti in pericolo.
-vieni con me. Torna a casa- gli strinse la mano -mi insegnerai tu a farlo e... e saremo di nuovo insieme, come prima.
Lovino distolse lo sguardo. Il suo labbro inferiore, stretto tra i denti, era bianco come la neve invernali, neve dove si potevano intravedere le impronte dei lupi selvaggi che ci erano passati sopra per cercare cibo.
-non posso.
-cosa?! Perché?
-è... complicato.
-ti ha fatto qualcosa Arthur? Ti ha minacciato o...
-no, non c'entra quello stronzo.
-e allora cosa?!
Lovino sospirò -Antonio.
-cosa... che c'entra Antonio?
-l'hai visto, no? È completamente impazzito.
-perché tu non c'eri!
-no. Cioé sì, ma no- sospirò, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. Feliciano notò in quel momento quanto si fossero allungati, tanto da superare le spalle e tuffarsi nella schiena -il potere strega, Feliciano. Fa impazzire, ed è una lezione che io e te non possiamo permetterci di dimenticare.
-non crederai a quella stronzata per cui rischiamo di impazzire per colpa del nonno?
-no, ma abbiamo visto con i nostri occhi cosa succede a un uomo schiavo del potere. Stava succedendo lo stesso ad Antonio, Feli. Lo hai visto in quella tenda- gli strinse la mano -aveva gli stessi occhi del nonno. Non potevo permettere che impazzisse anche lui.
-e quindi l'hai abbandonato.
-sì- abbozzò un sorriso triste -così la fai suonare peggio di quanto non sia. Al tempio, a Qarth, avevo visto una battaglia in nave. Una delle due flotte affondava e... e da lì ne usciva Antonio, vivo. Io non c'ero- era strano parlarne a qualcuno. Aveva tenuto il segreto così a lungo... -quella battaglia ci sarebbe stata, in un modo o nell'altro.
-c'è già stata- mormorò Feliciano -abbiamo perso.
-ma Antonio stava bene- replicò Lovino -e se mi fossi opposto, se avessi cercato di interferire con gli dei... forse non sarei qui io, o te, o forse Antonio ci sarebbe morto. Preferisco che mi odi ma che sia vivo e sano di mente, piuttosto che rimanere al suo fianco e vederlo impazzire come il nonno.
-avresti potuto aiutarlo standogli vicino- "e stando vicino a me"
Suo fratello aveva un sorriso incredibilmente triste -se fossi rimasto con lui, sarebbe solo peggiorato. Sarebbe andato avanti con l'idea di conquistare tutto e...
-se n'è andato.
Lovino lo guardò, con gli occhi sgranati -cosa?
-dopo la battaglia se n'è andato- ripeté Feliciano. La mano di suo fratello si strinse intorno al suo polso, invitandolo a continuare -l'abbiamo tirato fuori dell'acqua e si è chiuso nella sua tenda tutta la notte senza dire una parola. Arthur deve avergli detto qualcosa, ma Antonio non ha voluto dirmi cosa. Alcuni soldati però hanno sentito che veniva fatto il tuo nome. Il giorno dopo è ripartito per Essos con le sue truppe e si è tirato fuori dall'alleanza- tirò fuori una lettera dalla tasca -a proposito... mi ha dato questo. Mi ha chiesto di dartelo, se ti avessi trovato- gli si inumidirono gli occhi -pensavo che... che non sarebbe mai successo perché... perché pensavo che tu fossi morto. Non l'ho letto, comunque- glielo passò. Lovino strappò il sigillo in cera, gli tremavano le mani.
-il crucco gliel'ha fatto fare?- mormorò, leggendo. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, il battito del piede per terra seguiva quello del cuore. Tum tum tum.
-cosa?
-andarsene. Il crucco gliel'ha fatto fare? Non ha protestato né niente?
-be', a livello di esercito non serviva a granché. I soldati di Antonio sono bravi in pianura, ma ormai siamo in montagna, e ultimamente Antonio era una mina vagante, quindi alla fine Ludwig era sollevato.
-uhm- Lovino annuì e riportò gli occhi sulla lettera. Feliciano non riusciva a leggere, ma a suo fratello sfuggì una risata, un po' singhiozzata.
-che dice?
-niente...- si strinse il foglio al petto e chiuse gli occhi. Poi la ripiegò e si rivolse al fratello, con un piccolo sorriso -con il crucco? Come va?
Feliciano trattenne un sospiro. Spesso si ritrovava ad odiare la tendenza di suo fratello a cambiare argomento -bene... ma non è quello di cui stavamo parlando. Tornerai con Antonio?
-non lo so, Feli- prese a rigirarsi la lettera tra le mani, con un labbro premuto tra i denti -non avevamo una relazione esattamente sana.
-in... in che senso?
-dipendevamo troppo l'uno dall'altro. E infatti guarda cos'è successo non appena ci siamo allontanati...
-non riuscire a stare senza l'altro fa parte dell'amore, no?
-sì, ma non in quel modo. È difficile da spiegare, me ne sono reso conto allontanandomi da lui.
-non mi sembra, fratellone... anche con Lud abbiamo un rapporto così e...
-così in che senso?- lo interruppe, con un sopracciglio inarcato.
-io dipendo da lui e lui da me. Ci amiamo.
-l'amore non è dipendenza, Feli.
-lo so! Però c'è anche quello, no?
Lovino si portò una mano alla testa, sembrò pensare al modo migliore di spiegarglielo. Feliciano lo batté sul tempo -senti, so che Lud non ti è mai piaciuto, ma...
-l'avete fatto?- lo interruppe.
-sì.
-com'è stata la prima volta.
-bellissima.
-e... cosa l'ha portata? Non mi servono i dettagli, solo capire come è andata.
-uhm... be'... io ero depresso perché pensavo che tu fossi morto- gli diede una gomitata -a proposito, grazie ancora dell'infarto.
-continua.
-be'... ero triste e non riuscivo a dormire e mi sentivo così... vuoto, in qualche modo. Non riuscivo a sentire niente tranne il dolore e volevo qualcosa di bello. Così... sono andato da lui.
-Feli...- il ragazzo riuscì a percepire senza problemi la disapprovazione nella voce del fratello.
-so che non ti piace Ludwig ma...
-non c'entra- lo interruppe -ti rendi conto che non eri pienamente consenziente, vero?
-certo che lo ero. Sono andato a cercarlo io.
-perché eri sconvolto. Non fosse successo quel che è successo, l'avresti fatto ugualmente?
-sì.
-e sei sicuro di non averlo fatto solo come valvola di sfogo?
-io...- Feliciano odiava quello sguardo, quasi da madre, che assumeva suo fratello certe volte, come se lo conoscesse meglio di quanto non si conoscesse lui stesso. Il fatto che ciò fosse vero peggiorava le cose -sì, Lovino. Smettila con l'interrogatorio- cercò un modo per cambiare argomento -al tramonto devo andare, Lud mi rivuole da lui entro sera.
-"ti rivuole"?- ripeté Lovino, scocciato -ma che è, tua madre?
-sai com'è, Kirkland ci vuole morti e questo è il luogo più scontato dove cercarmi.
-hai Venezia.
-non potrebbe molto contro delle balestre o cose simili.
Lovino sbuffò -sei un Vargas. La foresta è il tuo habitat naturale, devi solo imparare a sfruttarlo.
-se me lo insegnassi...
-non c'è niente da insegnare. Hai tutto qui- si indicò la testa -è solo sepolto. Ce l'hai nell'istinto, devi solo riuscire a tirarlo fuori.
-e come faccio?
-lasciati andare, picciriddu. Corri, perditi nella natura, smetti di pensare come un umano.
-ma io sono un umano.
-mh, non ne sarei così sicuro- scherzò. Poi tornò serio -non farti controllare dal crucco.
-non mi controlla, Lovi- si strinse a lui, sorridendo al pensiero del suo ragazzo -si preoccupa solo per me. Voleva accompagnarmi fino a qui per paura che mi facessero del male, mi sono dovuto impuntare!
Lovino non sembrava convinto -fammi capire, prova a controllarti?
-no, non è quello! Aveva paura che potessero farmi del male, tutto qui. Anche tu mi avresti fermato, no?
-mh. Fammi una promessa, va bene? Stacci attento. Se diventasse instabile...
-Lud non è instabile- lo interruppe, nervoso -è la cosa più stabile a cui possa appigliarmi.
Lovino abbozzò un sorriso -ti stai innervosendo.
-non è vero.
-oh, sì che lo è. È perché sei bloccato. Lo senti che lo sei, ma non riuscivi a capire. Ora lo capisci meglio?
Feliciano si morse il labbro. Sì, sapeva di essere un po' (tanto) emotivo, ma... -pensavo fosse... sai, l'adolescenza.
-non solo. Noi Vargas siamo... siamo più instabili degli altri. Ti ricordi mamma?
-non era instabile.
-perché passava tutto il suo tempo a badare a noi. Le mamme lupe sono tra gli animali più iperprotettivi. Sfogava la sua lupa repressa su di noi, diciamo.
-mi ricorda qualcuno...
-non sono una mamma lupa.
Feliciano inarcò un sopracciglio -davvero?
-hai davanti a te la prova che sono un maschio.
-ma sei stato come una mamma per me- lo abbracciò -grazie. Ora però sono grande, non serve più che tu ti preoccupi per me. Sto bene con Lud, non mi serve che tu mi protegga.
-non sei ancora un adulto, Feli. E io ti proteggerò sempre, ti vada o no.
-non serve che tu mi protegga da chi mi ama.
-lo vedi che sei ancora piccolo?- gli accarezzò la schiena, lentamente. Aveva le mani calde, ricoperte di calli che si facevano sentire oltre il tessuto della maglia del ragazzino, che tuttavia non si scostò: quel tocco aveva ancora qualcosa di così materno, così rassicurante, che non se ne sarebbe allontanato per niente al mondo -sono le persone che ti amano quelle a ferirti di più.
-come te e Antonio?- non aveva un tono d'accusa: stava solo facendo una constatazione. Lovino sospirò, sistemandogli una ciocca di capelli.
-esatto. Lui ha ferito me e io ho ferito lui.
Feliciano si voltò a guardarlo. Lovino aveva un sorriso triste in viso.
-fratellone?
-sì?
-c'è qualche possibilità che torniate insieme?
-non lo so- strinse la lettera con la mano libera -forse.
-ti ama ancora- lo incoraggiò. Si sentiva come un figlio, bloccato tra due genitori sul punto di separarsi -prova a... dargli un'altra opportunità. È tornato in sé.
-lo so, non... non è più lui il problema- si morse il labbro -sono io. Sono cambiato, ora. Non voglio che tutto torni come prima.
-perché no? Eri felice.
-dipendevamo troppo l'uno dall'altro, e infatti appena ci siamo separati...
-è normale quando si ama qualcuno.
-l'amore non è dipendenza, Feli.
-sì, ma... insomma, quando si ama qualcuno non si riesce a stare senza di lui.
-quando ami qualcuno riesci a lasciarlo andare. Io e Antonio non saremmo stati in grado di separarci.
Feliciano esitò. A pensarci, neanche lui e Ludwig. Scosse la testa, che cosa assurda. Lui e Ludwig non erano dipendenti l'uno dall'altro, non più di quanto non fosse normale tra le coppie -questo non significa che non possiate riprovarci. Non dev'essere tutto identico a prima, potete migliorare.
-forse.
-tentar non nuoce.
-invece nuoce eccome- mormorò, con un sorriso triste -se andasse male, ne usciremmo devastati entrambi.
-ma se andasse bene, sareste le persone più felici del pianeta.
-chissà. Devo... devo pensarci, poi deciderò se il gioco vale la candela- gli accarezzò la guancia -comunque, ti lascerò qui le indicazioni per trovarmi, se avrai bisogno di me. Non ti abbandono, fratellino.
Feliciano abbozzò una risata -se domani torno qui, ti ritroverò?
-chissà.
-rassicurante. Cerca di non farti ammazzare, chiaro?
-non sono io quello in guerra. Non più, almeno.
-c'è Ludwig a proteggermi- sollevò lo sguardo sul cielo e si alzò di scatto -cazzo, sta per tramontare il sole!- guardò il fratello, con un labbro tra i denti -devo andare...
Lovino sospirò -allora vai.
Feliciano corse via, seguito da Venezia, poi tornò indietro e abbracciò il fratello di slancio, buttandolo a terra -ti voglio bene.
-anche io, cretino- lo baciò sulla fronte -ora vai dal tuo crucco, su.
-appena potrò ti verrò a trovare, promesso!
-non penso che resterò qui a lungo- mormorò, scostandogli i capelli dalla fronte -ma farò in modo che tu possa trovarmi. Sei il mio fratellino, Feli. Segui l'istinto, ti porterà sempre da me.
-ti voglio tanto bene- ripeté, scostandosi a malincuore da lui. Venezia strusciò il muso contro quello della sorella, latrando. Feliciano si alzò in piedi -tornerò presto! Giuro!
-ti voglio bene anch'io- si girò sulla pancia e si ritrasformò in lupo, strusciando leggermente il muso sulla gamba di suo fratello in segno di saluto.
-sei adorabile da lupetto!- squittì il ragazzino, abbracciando forte l'animale. Sospirò, triste -ora vado... stai attento, mi raccomando Lovi!- e corse via, seguito dalla sua lupa.
Lovino scosse la testa e si girò verso Roma, che lo osservava con la testolina inclinata. La lupa si girò verso la lettera, abbandonata a terra, con una domanda chiara negli occhi. "Che vuoi fare?". Non sapeva leggere, ma l'odore su quel pezzo di carta era inconfondibile.
Lovino sospirò, rilesse un'ultima volta il foglio e poi lo fece a pezzetti, che sepolse in terra. Meglio non correre il rischio che altri leggessero, non avrebbe potuto portarlo con sé comunque.
Immagino che vi siate chiedendo cosa ci fosse scritto su quella lettera. Curiosi, eh?
Dai, la smetto di tenervi sulle spine.
"Ti amo.
Se mi vuoi ancora vieni a Qarth"
Due righe, nove parole, un miliardo di emozioni per Lovino.

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Capitolo 18
*** Che casino ***


Lo scorso capitolo è stato bello tosto, vero? Magari vorreste un po' di tranquillità, qualche scena tranquilla, un po' di sentimenti belli...
Bene.
Ecco a voi una battaglia fatta di morte, sangue e distruzione.
Arthur ormai aveva messo il pilota automatico: ruota, para, schiva, colpisci.
Intorno a lui la lotta infuriava, c'era tanta di quella morte che, se si fosse lasciato distrarre, se si fosse deconcentrato anche solo un istante, questa l'avrebbe inghiottito, soffocandolo con i suoi gelidi tentacoli neri, trascinandolo nell'abisso più oscuri.
E così Arthur procedeva automaticamente, senza pensare, come una macchina: ruota, para, schiva, colpisci. Ruota, para, schiva, colpisci. Ruota para schiva colpisci. Ruotaparaschivacolpisci. Ruotaparaschivacolpisciruotaparaschivacolp
-Arthur...
isci. E ovviamente aveva colpito la persona sbagliata. Su migliaia di sconosciuti, aveva ferito l'unica di cui gli importasse davvero.
Francis ora lo osservava, con la spada del suo amante nel fianco, l'armatura indossata solo in parte. Ci aveva voluto provare, Francis. Aveva voluto, imprudente e innamorato, tentare di far rinsavire Arthur con le parole, le carezze, invece che con la spada, e così si era avvicinato, aveva tolto parte dell'ingombrante e scomoda armatura perché "è Arthur, non mi farebbe mai del male" e perché voleva essere riconosciuto, ed ecco il risultato: sangue, debolezza e resti altrui sulle ginocchia, che erano crollate sul terreno saturo di sangue. Una cazzata? Sì, ma non aveva potuto farne a meno. Non voleva che tra lui e Arthur ci fosse ferro e sangue. E infatti...
Sentì delle urla, un sostegno dietro la schiena, qualcuno che gli diceva qualcosa, ma non capiva. Stava scivolando via, lentamente, perdendosi in un sogno di fiumi impetuosi e colli fioriti. E, Dei, sarebbe stato così bello rimanerci.

Eliza non dormiva da tre giorni. Era dall'inizio della guerra che sperava che...
Scosse la testa e strinse la mano di Gilbert, con le lacrime agli occhi. Non lasciarmi, almeno tu.
Era stato ferito in guerra, per difendere un compagno. A quanto aveva detto il dottore, non era stata tanto la ferita il problema, quanto la caduta da cavallo, che gli aveva fatto perdere i sensi, e per fortuna erano riusciti a portarlo fuori dalla battaglia ancora vivo, dritto fino alla tenda dell'infermeria.
Eliza stava ancora combattendo, lo aveva scoperto solo molto dopo, e si era immediatamente fiondata lì.
Dalla parte opposta del letto, Ludwig non aveva ancora detto una parola. Feliciano, al suo fianco, gli teneva la mano sussurrandogli qualcosa che Eliza non sentiva, ma che doveva essere rassicurante. Il ragazzino biondo aveva un taglio sul viso, ma non sembrava curarsene, a differenza di Feliciano che glielo stava tamponando con delicatezza.
Gilbert si risvegliò un'ora dopo l'arrivo di Eliza, quando Ludwig se n'era dovuto andare per gestire l'esercito seguito a ruota da Feliciano, mentre stava tramontando il sole. La ragazza gli fu subito accanto, stringendogli la mano fredda.
-ehi...- mormorò, studiando la sua espressione. Gilbert aveva un bernoccolo dall'aria preoccupante sulla cima della testa e vari graffi un po' ovunque, ma per il resto sembrava stare bene -come stai?
L'albino cercò di mettersi seduto, fallendo -uno schifo.
-ti ricordi chi sono?- il pensiero che la risposta potesse essere negativa la stava uccidendo. Gilbert abbozzò un sorriso.
-l'ultima volta che ho controllato eri l'incredibile ragazza spaccaculi che amo. È cambiato qualcosa?
Scoppiò a piangere, di brutto. Una lacrima, due, tre, ancora e ancora, una lacrima dopo l'altra, a rincorrersi, a sfuggirsi, a cercarsi sulle sue guance. Gilbert le strinse la mano, preoccupato e senza la possibilità di fare di più. Era intontito e indolenzito, avrebbe voluto abbracciarla ma riusciva a mala pena a muoversi leggermente.
-Eliza? È successo qualcosa?
La ragazza sollevò lo sguardo su di lui. Si posò una mano sul ventre, stringendogli forte l'altra. Stava piangendo, ma la sua voce era ferma.
-sono incinta.
E Gilbert capì che quella volta avrebbe dovuto essere responsabile. Niente cazzate, non più. In un secondo, comprese che di lì in poi sarebbe cambiato tutto.
Immagino conosciate l'espressione "rito di passaggio". In caso non ne sapeste il significato, indica un azione, un gesto, un rito appunto, che segnala il raggiungimento dell'età adulta e l'abbandono dell'infanzia. Per i romani era il cambio della toga, per Gilbert fu quell'esatto momento. In un istante, vedendo la donna che amava con la mano sul grembo, seppe improvvisamente che ormai non poteva più permettersi di sbagliare, che non era più responsabile di sé stesso, ma di altre due persone. Responsabile di un bambino. Del suo bambino.
Scostò le coperte e slanciò le gambe oltre il letto. Mani sul materasso, spinta e su, in piedi. Eliza lo osservava, senza parole, con le lacrime sulle guance. Le prese la mano posata sulla pancia e se la portò alla bocca, baciandone il palmo. Le sorrise, con gli occhi lucidi.
-questa è in assoluto la cosa più bella che potessi dirmi.
Eliza riprese a piangere, e lacrima dopo lacrima, singhiozzo dopo singhiozzo, quel nodo di paura si sciolse piano piano. Avrebbe addirittura riso, se non fosse stata colta così tanto dal pianto. In risposta il ragazzo la strinse, accarezzandole piano i capelli castani, una volta tanto sciolti sulle spalle, liberi da ogni costrizione.
-ce la faremo- le sussurrò, baciandola sulla testa. Chiuse gli occhi -ci penso io a voi, finché non potremo farlo insieme.

Arthur non dormiva da tre giorni e la cosa stava iniziando a pesargli. Non tanto per la mancanza di sonno in sé, aveva passato periodi peggiori, quanto per l'ansia, soffocante, i costanti sensi di colpa e, soprattutto, la perenne sensazione di non poter fare niente tranne aspettare che Francis si risvegliasse.
Francis era pallido, oscenamente pallido. I boccoli biondi, per cui tanto Arthur lo aveva deriso quando erano bambini, erano sparpagliati sul cuscino, circondandogli il viso smunto come un'aureola. E, infine, le bende intorno al fianco sembravano osservare Arthur, accusarlo, ricordandogli ogni istante la sua colpa. È per te che siamo qui.
Allistor stava iniziando a preoccuparsi. E quando Allistor iniziava a preoccuparsi, la situazione era veramente grave. Arthur tuttavia non aveva voluto sentire ragioni: aveva portato Francis nel loro accampamento e aveva costretto i medici a curarlo. Aveva osservato il tutto, in silenzio, e così continuava a fare, delegando i suoi compiti reali al fratello.
Il quarto giorno Francis si risvegliò.
Non fu un risveglio particolarmente ecclatante, in realtà. Un mugugno, un movimento nel letto, ed ecco che il ragazzo aveva gli occhi aperti e si guardava intorno, confuso.
-dove...
-Francis!- Arthur cercò di mantenere il contegno. Fallì e chinò la testa per nascondere le lacrime -come... come stai?
-uno schifo- mormorò, con un piccolo sorriso. Allungò il braccio, a fatica, e gli asciugò una guancia -perché piangi?
-mi dispiace- si tolse le lacrime dal viso, infastidito -ho... ho fatto una cazzata. Scusa.
Francis sospirò e allargò le braccia -vieni qui, cherie- e Arthur ci si fiondò, sdraiandosi al suo fianco e stringendolo forte. Mugugnò uno contro il suo orecchio -scusa- strascicato e Francis rise.
-credo che questa sia la prima volta da quando ci conosciamo in cui tu ti sia scusato con me per qualcosa.
-ti ho quasi ucciso.
-conoscendoti, avresti potuto farmi cose di gran lunga peggiori. Tagliarmi i capelli, per esempio.
-smettila di fare il coglione- brontolò, nascondendo il viso contro la sua spalla. Francis rise e gli strinse la mano.
-ora ti riconosco, mon amour- lo baciò tra i capelli e chiuse gli occhi. Un sospiro -mi sei mancato. E non ti ho ancora perdonato per avermi dato della puttana.
Arthur lo strinse maggiormente a sé -sei la mia puttana.
-ah no tesoro, dopo che mi hai insultato non osare dirmi che sono tuo.
-I love you.
-ruffiano- lo baciò, e sembrò che non si fossero mai allontanati. Era un qualcosa di familiare, come tornare a casa dopo un esodo di anni e anni. Francis si sentì improvvisamente meglio.
-resta con me- sussurrò Arthur, stringendogli le mani.
-vorrei, mon amour, ma temo che mio padre non gradirebbe- Francis gli accarezzò le occhiaie, preoccupato -da quant'è che non dormi una notte intera?
-settimane.
-be', stanotte vedi di dormire. Se non lo farai, ti stancherò così tanto da farti crollare, oppure mi metterò a elencarti tutti i miei abiti in ordine di acquisto, soffermandomi su stoffe, modelli, pizzi...
Arthur abbozzò un sorriso -mi addormento a pensarci.
-ecco. E comunque...- Francis aveva sempre avuto un pessimo rapporto con suo padre, questo perché il patriarca dei Bonnefoy avrebbe voluto tutto tranne un primogenito come quello che gli dei gli avevano dato. Il patriarca dei Bonnefoy avrebbe voluto un figlio diligente. Combattivo. Forte. Etero. E invece era nato lui, un effemminato che si era innamorato perdutamente del figlio dell'acerrimo nemico della loro famiglia. Per tutta la vita Francis si era sentito rimproverare per come era. "Sii più uomo", "non indossare quei vestiti in pubblico", "non comportarti così", "mi fai vergognare", "che penserà la gente di noi, eh?" "vuoi smetterla di essere egoista?" "quando inizierai a pensare alla tua famiglia?". Be', Francis ormai era un uomo e si era stancato di nascondersi. Non si vergognava di chi era, né di chi amava. L'unica cosa di cui si vergognasse sul serio, era proprio l'uomo che gli aveva dato la vita. E cominciava ad averne abbastanza. Per questo non vi stupisca il fatto che -ho un'idea per togliere dalle scatole mio padre e stare con te- gli rivolse un piccolo sorriso, quasi timido, quasi pudico -ero proprio venuto a dirtelo quando...- si indicò il ventre.
-e quale sarebbe quest'idea?
-meglio che tu non lo sappia. Dammi un paio di giorni e la risolvo, promesso.
-uhm, va bene. Non fare cazzate.
Francis sorrise e lo baciò sui capelli -non ti preoccupare, cherie.
-mh.
-adesso però mi baci un po'? Direi che me lo sono meritato.

-come sarebbe a dire che te ne vai?!
-Eliza è incinta- continuò Gilbert, serio come non lo era mai stato -dobbiamo tornare a Grande Inverno.
Ludwig stava andando nel panico -no!
-fratellino- gli posò la mano sulla spalla, cercando di farlo stare calmo. Abbozzò un sorriso -non sei contento? Stai per diventare zio.
-no!- se lo scrollò di dosso -non puoi abbandonarmi qui nel bel mezzo di una fottuta guerra!
-non sono fondamentale qui. Pensi tu alla strategia e...
-come fai a essere sicuro che sia incinta?- lo interruppe -non mi pare sia ingrassata.
-non le viene il ciclo da due mesi, più o meno da quando...- arrossì leggermente -ci... ci siamo divertiti. Ultimamente poi ha la nausea e i vari sintomi e un dottore ha confermato la cosa.
-potresti non essere tu il padre. La sera prima della scorsa battaglia l'ho vista andare nella tenda di... di... di un altro soldato.
Gilbert inarcò un sopracciglio -era con me quella notte- replicò -e sei sempre stato un pessimo bugiardo.
Ludwig si sentiva sul punto di piangere -non puoi lasciarmi qui da solo. Ho bisogno di te.
-non è vero- il fratello maggiore strinse la mano all'altro -ormai sei grande, Lud. Sei quasi un uomo e sei la persona più intelligente che conosca. Lo sai che ti voglio bene, te ne vorrò sempre, più di quanto ne voglia a me stesso, ma devo pensare a chi ha più bisogno di me, ed è questo bambino.
Normalmente Ludwig avrebbe capito. Normalmente gli avrebbe dato ragione.  Normalmente avrebbe fatto la persona ragionevole e l'avrebbe lasciato andare. Normalmente sarebbe stato persino felice di avere un nipotino.
Ma quella non era una situazione normale: era la guerra. E Ludwig era troppo giovane, troppo piccolo per gestire da solo tutto quello da solo. La teoria la padroneggiava benissimo: conosceva i piani di battaglia, i punti di forza e le debolezze del proprio esercito e di quello avversario. La teoria la sapeva, era un genio della tattica militare, glielo dicevano tutti. Tuttavia, e in quei tutti sembravano dimenticarlo, era un essere umano, aveva dei punti di forza e delle debolezze a sua volta. Per combattere le sue debolezze, aveva sempre, sempre, sempre avuto suo fratello accanto, a sostenerlo, magari sbagliando, magari fallendo, ma la sua sola presenza bastava a calmare Ludwig meglio di qualsiasi altra cosa.
Non poteva perdere suo fratello. Semplicemente non poteva, tanto meno in quel momento. Il suo cervello girava e rigirava alla ricerca di una soluzione, un modo per farlo restare, ma senza successo.
-mandiamo Eliza a Grande Inverno- propose -e tu rimani qui fino alla fine della guerra.
Gilbert sospirò -Lud... non voglio che mio figlio cresca senza un padre come sono cresciuto io e come sei cresciuto tu.
-sono cresciuto benissimo. C'era il nonno che...
-il nonno poteva lavorare, era un lord. Eliza non è di famiglia nobile ed è una donna con un figlio in grembo. Se io morissi, che le succederebbe?
-ci sarei io.
-non se perdiamo e ci ammazzano entrambi.
-allora resta con me, così vinceremo!
Gilbert sospirò, frustrato -cerca di ascoltarmi. Io ti voglio bene, te ne vorrò sempre. Ho partecipato a questa guerra per te, perché sei la persona più importante della mia vita e morirei per te senza esitazione. Ma ora c'è qualcosa di più grande, capisci? Un bambino è una cosa grossa e non posso rischiare di far crescere mio figlio senza suo padre, povero e abbandonato a se stesso. Non posso e non voglio lasciare la donna che amo sola con il mio bambino. Avremmo dovuto pensarci prima, sì, ma ormai quel che è fatto è fatto e non mi sottrarrò alle mie responsabilità.
Inconsciamente, Ludwig capì in quel momento che no, non avrebbe potuto convincere suo fratello a rimanere. E lì, nella disperazione più profonda, subentrò la rabbia.
-STRONZO- urlò, ferito, buttando a terra i fogli presenti sul suo tavolo. Non era abbastanza: ribaltò direttamente il tavolo -perché mi fai questo?!
Gilbert, a onor del vero, non batté ciglio -non c'entri tu. Non fare il bambino.
-ah, io farei il bambino?! Sei sempre in giro a far cazzate, ne fai una di troppo e improvvisamente diventi tu quello responsabile?- tirò un calcio al tavolo, che scricchiolò pericolosamente. Non riusciva a star fermo. Rabbia, lava calda gli scorreva nelle vene, pulsandogli nella tempia, facendogli prudere le mani dalla voglia di distruggere qualcosa. Ringhiò -non potevi tenertelo nei pantaloni fino alla fine della guerra?! Era tanto difficile?
-non mi pare che tu e Feli vi conteniate.
-IO E FELI NON RISCHIAMO DI TROVARCI IN TRE.
-TI HO DETTO- alzò la voce l'albino, per farsi ascoltare -che so di aver sbagliato, e me ne assumo le responsabilità.
-e quelle verso di me non contano un cazzo?!
-tu sei grande, sai badare a te stesso.
In risposta, Ludwig scaraventò una sedia a terra, sempre più accecato dalla rabbia -EGOISTA- urlò, anche se l'egoista era lui -DOVEVI PROPRIO SCOPARTI QUELLA PUTT...
Dolore. Un colpo, forte, netto, dritto sulla guancia.
-urlami addosso quanto cazzo ti pare- sibilò Gil, gelido -ma non ti permettere di dire qualcosa su Eliza.
Ludwig sgranò gli occhi, troppo scioccato per parlare. Mai, mai Gilbert gli aveva messo le mani addosso. Dopo pochi secondi, però, ritornò la rabbia.
Ciò che successe dopo non gli è chiaro. Qualcosa, qualcosa che andava ben oltre la semplice furia, prese il sopravvento, e si ritrovò a terra, a lottare contro il suo stesso fratello.
Due braccia lo tirarono indietro. Feliciano, rimasto ad ascoltare fuori dalla tenda, era accorso e, con una forza che non pensava di avere nemmeno lui, tirò indietro il suo amante, separandolo, bloccandolo, tirandolo via. Gilbert si asciugò il sangue dal naso e si rialzò, guardando male il fratellino, che ormai più che una persona sembrava un animale con la rabbia.
-dopo pranzo partiamo- stabilì, lapidario -se non ti sarai calmato, non disturbarti a venire a salutarmi.
Ludwig avrebbe voluto distruggere dell'altro, ma Feliciano lo teneva fermo, non riusciva  a liberarsi.
Ci volle quasi un'ora perché riuscisse a darsi una calmata. A quel punto Feliciano, senza lasciarlo, tramutò quella stretta in un abbraccio, lasciando che il biondo si sfogasse piangendo contro la sua spalla.
-sei più tranquillo ora?- sussurrò Feliciano, accarezzando i capelli al ragazzo tra le sue braccia. Ludwig non rispose, si limitò a stringerlo più forte a sé, per impedirgli di andarsene. Dopo qualche minuto, però, le sue mani scesero ai pantaloni di Feliciano, intrufolandosi al di sotto di essi mentre le sue labbra scendevano sul suo collo.
-no, Luddi, fermo- Feliciano gli prese le mani e le strinse con le sue, costringendolo a sollevare il volto per guardarlo negli occhi -fidati. Fare sesso non ti aiuterà a distrarti.
-perché no?- mormorò quello in risposta -l'hai fatto anche tu.
Feliciano gli rivolse un sorriso intenerito, accarezzandogli le guance con dolcezza -appunto. Ti assicuro che non funziona. Il dolore rimane lì, amore. Stai solo ritardando le cose.
-allora voglio ritardarle.
-renderai il tutto anche peggiore.
-a chi importa?
-a me- lo baciò, sforzandosi di sembrare rassicurante -devi affrontare la cosa e andare a salutare tuo fratello prima che parta, chiaro?
Ludwig serrò i pugni -non gli starai dando ragione, spero.
-non gli sto dando ragione. Ha ragione.
Quello era troppo. Persino Feliciano, il dolce Feliciano, il ragazzo che amava, che gli era sempre rimasto accanto, ora gli stava dando contro. Ludwig non si era mai sentito così solo e, soprattutto, così incazzato. Si allontanò da lui, assottigliando lo sguardo.
-mi stai prendendo per il culo?
-no. Sappiamo entrambi quanto sia brutto essere orfani- gli strinse la mano -e fidati, non vuoi sentire che si prova a perdere il proprio fratello.
Ludwig scostò la mano in malo modo -lo sto sentendo proprio ora.
-no. Gilbert è vivo.
-Gilbert mi sta abbandonando.
-ma è vivo, e potrete rivedervi- Feliciano trattenne un sorriso a pensare che sì, anche suo fratello era vivo. Magari lontano, ma vivo.
-smettila di farmi la morale- tirò un calcio così forte alla sedia da ribaltarla completamente -SMETTETELA DI FARMI TUTTI LA MORALE.
-calmati, Luddi- Feliciano cercò di abbracciarlo, di tranquillizzarlo, ma ormai quello non lo sentiva. Era semplicemente troppo furioso per fare altro che incazzarsi.
Per la prima, primissima volta, Feliciano ebbe paura di lui. Nonostante il suo aspetto possente, nonostante fosse ben consapevole che Ludwig avrebbe potuto rivoltarlo come un calzino senza problemi, non aveva mai, mai, avuto paura di lui. Conosceva la sua indole gentile, il suo cuore buono, e sapeva che Ludwig non gli avrebbe mai fatto del male.
Ora, però, quell'indole gentile, quel cuore buono che l'avevano fatto innamorare, erano completamente andati, rimpiazzati dalla rabbia. No, non rabbia... peggio. Pazzia, pazzia vera e propria. Qualcosa, un ricordo lontano, un istinto sepolto, riconosceva quel tipo di sguardo senza neanche soffermarcisi. Ne sentiva il tanfo, ne percepiva il rumore. I peli gli si rizzarono, la gola gli si seccò, il cuore iniziò a dare gli straordinari. Tutto, tutto nel suo corpo riconosceva la follia come sua nemica, e ne aveva paura. E vederla in Ludwig... anzi, non vederla: percepirla. Percepirla in Ludwig era la peggiore delle sofferenze.
All'interno della sua bocca, Feliciano sentì i denti allungarsi, e dovette trattenersi dal ringhiare. Si conficcò le unghie, le quali si stavano trasformando in artigli, nei palmi delle mani, per nasconderli. Non poteva vederli, ma anche i suoi occhi stavano mutando: più ferini, più animaleschi. Occhi da lupo.
Corse fuori dalla tenda. Ludwig urlò e si sfogò su quello che aveva davanti, cercò di richiamarlo, lo insultò, ma Feliciano non poteva voltarsi. Mano a mano che si allontanava dalla tenda, il suo corpo cambiava, si modificava, e in pochissimi secondi ridivenne lupo e corse via, troppo veloce perché un umano potesse seguirlo.
Forse avrebbe dovuto riflettere, meditare, scappare di nascosto. La verità era che il suo cervello era come scollegato: c'era solo l'istinto. E l'istinto gli suggeriva una cosa sola: scappa.
Anzi. C'era una seconda cosa, un po' secondaria rispetto alla fuga. Vai da tuo fratello, ricongiungiti al branco.
E così corse.


 

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Capitolo 19
*** Ripeto: non giudicatemi ***


E Lovino dov'era?
Dall'altra parte del mondo. O meglio, ci stava andando, con Roma al suo fianco. Aveva dovuto abbandonare il suo branco... una sofferenza, ma con il senno di poi quei lupi sarebbero stati più al sicuro senza di lui. Roma, però, non ne aveva voluto sapere di lasciarlo, e così era rimasta con lui. Aveva lasciato un messaggio per suo fratello, ovviamente, sulla tomba del nonno, per ogni evenienza, e infine era partito.
Per dove?
Qarth, naturalmente.
Sì, insomma, ci aveva pensato, e il bastardo gli mancava. Voleva almeno sapere come stesse, ecco. E... sì, un po' si sentiva in colpa per averlo lasciato, anche se se l'era meritato. Così... be', Roma (la città, non la lupa), non era lontana da un florido porto sempre molto affollato. Rubare dei vestiti più o meno della sua taglia da una valigia era stato facile, informarsi sulla prima nave disponibile per Qarth ancora di più. Di sicuro, una città come quella aveva visto personaggi più strani di un ragazzino accompagnato da una lupa in grado di mutare forma. Le città di mare hanno l'incredibile capacità di non stupirsi di fronte alle cose più assurde, e quindi Lovino riuscì a passare inosservato. Nessuno notò due animali in più intrufolarsi nella stiva, né tantomeno riuscirono a trovare i colpevoli dei continui furti di cibo che avvenivano misteriosamente nel bel mezzo dell'oceano. Chissà chi fu.
Infine, sbarcò a Qarth e la prima cosa che fece fu andare da Heracles. Sì, insomma, Antonio gli aveva indicato Qarth, ma non era detto che fosse ancora lì, e supponendo che fosse lì Lovino non sapeva dove cercarlo. Sperava che Heracles ne sapesse qualcosa.
Il governo della città era cambiato, aveva scoperto. Ora era il suo amico al comando, ma in pratica lasciava che il parlamento cittadino decidesse tutto. Democrazia, la chiamavano. Sembrava una bella cosa.
La conversazione che ebbe con Heracles... non ci voleva ripensare. Portava con sé un carico emotivo che non era pronto ad affrontare. Aveva, però, ottenuto l'indirizzo di Antonio. Con Roma al seguito, seguì le indicazioni dategli dall'amico e raggiunse una piccola casetta in legno, uguale a tutte le altre in quella via. Inspirò profondamente e annuì, con un piccolo sorriso. Da lì veniva l'odore di Antonio.
Va bene, era entrato di nascosto. Era curioso e Antonio non era a casa, che poteva farci? E poi un vago sospetto si era fatto largo nella sua testa...
Quella casa era abbastanza grande per due persone. Un nodo allo stomaco, una vocina fastidiosa, gli suggeriva che... forse... Antonio non era rimasto fedele a lui. Forse, da quando aveva scritto il biglietto a quel momento, aveva cambiato idea, e Lovino in tutta onestà non gli avrebbe dato torto, ma, in caso, tanto valeva scoprirlo prima, così da prepararsi mentalmente al colpo e soffrire in privato. Cioé, con Roma, ma lei non contava, era sempre stata con lui, anche in momenti ben peggiori. Così, entrò in casa per indagare, approfittando della pessima serratura del bastardo.
Dentro, nessun odore di donna, solo di Antonio. Gli bastò una breve occhiata per capire che no, il bastardo viveva da solo e decisamente non aveva invitato nessun potenziale amante lì dentro. C'era semplicemente troppo casino. Vestiti sparsi in giro, resti di cibo ovunque, sporco, animaletti piuttosto disgustosi...
Qualsiasi donna sarebbe scappata mettendo piede lì dentro e, se non avesse passato tanto tempo in mezzo alla natura, persino Lovino si sarebbe dileguato, inquietato. Per fortuna era abituato ai lupi, che non erano esattamente più puliti.
Nel suo giro turistico di quella dimostrazione di devastazione umana, raggiunse la camera da letto, leggermente più pulita, e notò qualcosa che gli fece inumidire gli occhi, cosa che decisamente non avrebbe voluto mostrare. Doveva essere forte, un vero macho, duro, inflessibile e... e...
E Antonio aveva tenuto i suoi vestiti. Anzi, c'era di più: teneva alcuni di essi sul letto, che era per due persone, decisamente troppo grande per la piccola camera, dal lato dove avrebbe dormito Lovino. Probabilmente, immaginò il ragazzo, Antonio dormiva abbracciando quel mucchietto di abiti, immaginando di star abbracciando lui. Si asciugò distrattamente le guance e si guardò intorno. Il letto occupava la maggior parte della stanza, in un angolino c'era un baule aperto, pieno di vestiti di Antonio. Lovino non esitò ad afferrare una sua camicia e infilarsela, gettando via quella che gli aveva dato Heracles.
Sospirò, stringendosi l'indumento addosso con gli occhi chiusi. Era come essere abbracciato da Antonio, in un certo senso. Era circondato dal suo profumo, una sensazione simile a quella di essere stretto dalle sue braccia.
Si fiondò sul letto, avvolgendosi nelle coperte come un bruco in attesa di diventare farfalla, e chiuse gli occhi.
Casa. Era a casa. Anche se non aveva la fede al dito, anche se Antonio non era tornato, bastava essere nel letto dove lui dormiva, bastava che ci fosse anche il suo profumo e Lovino si sentiva a casa. Roma gli si acciambellò affianco, stanca povera cucciola, e si addormentò di botto. Lovino iniziò a pensare che non fosse poi una cattiva idea... si meritava un pisolino, dopo tutto...

Lo scatto della porta. Dei passi, lenti, sospettosi, di chi si è accorto che qualcosa non torna. Una voce, la sua voce.
-c'è qualcuno?
Lovino aprì gli occhi di scatto, più sveglio che mai. Si alzò dal letto, quasi saltando, e rapidamente si diede una sistemata ai capelli. Fuori il sole era tramontato, per quanto aveva dormito? Si rivolse a Roma.
-come sto?
La lupetta, in risposta, gli leccò la mano, come dire "vai a riprenderti il tuo anello". Lovino le diede una carezza rapida, inspirò profondamente e si decise ad uscire dalla stanza.
Antonio si girò all'istante verso di lui, come se avesse percepito il suo arrivo. La spada, che aveva preso per timore di un ladro, cadde a terra, con un flagore metallico che fece sobbalzare Lovino. Il ragazzo si sforzò di abbozzare un sorriso -ciao...
Antonio non disse niente, fece solo un passo avanti. Lovino si sentì in dovere di parlare. Come sempre, di fronte al bastardo si sentiva in dovere di parlare.
-mi dispiace. Lo so, non avrei dovuto lasciarti, ma stavi impazzendo e ho avuto paura e... e... e ho scoperto delle cose assurde, davvero assurde, ero confuso, non sapevo come tornare...- altri passi in avanti. Lovino si premette contro il muro alle sue spalle -e... capisco se mi odi. Lo capisco, davvero. Solo... Feli mi ha dato quel biglietto e ho pensato che forse potremmo ricominciare... se vuoi... e...- altri passi, ancora e ancora. Ormai erano così vicini che Lovino sentiva il respiro dell'altro dritto contro il viso -se... se sei arrabbiato fai bene- continuò, premendosi contro la parete -lo... lo sarei anch'io- deglutì -se... se vuoi vendicarti, lo accetterò. È... è giusto così- Antonio era sempre più vicino. Alzò la mano, e Lovino chiuse gli occhi e chinò la testa, preparandosi al colpo.
Colpo che non arrivò mai, e mai sarebbe arrivato. Al suo posto, una carezza, leggera, sulla guancia, come un modo per assicurarsi di non star sognando. Lovino riaprì gli occhi e li puntò in quelli dell'altro, che, e ad osservarlo meglio se ne sarebbe accorto, maledetto lui e le sue fottute paranoie, aveva gli occhi lucidi e sorrideva, come sempre. Il suo solito sorriso genuino all'Antonio. La sua voce tremava.
-sei ancora più bello del giorno in cui ti ho perso- mormorò, a voce bassissima. Lovino sentì gli occhi inondarsi di lacrime, forse l'acqua di mare era stata assorbita dal suo corpo durante il viaggio e ora si stava liberando, perché non era umanamente possibile piangere così tanto. Antonio lo abbracciò, forte, e il ragazzo si aggrappò a lui, alle sue spalle, le sue mani, le sue braccia, il suo viso, disperato e così dannatamente felice.
Si sentì sollevare, ma non ci diede peso. Antonio lo portò in camera, ma senza secondi fini, non era il momento di pensarci, semplicemente aveva bisogno che il suo amore fosse lì con lui, in quel letto dove tanto aveva pianto sperando nel suo ritorno. E rimasero così, abbracciati, sul letto, mentre il tempo scorreva loro addosso come sabbia sfuggita ad una clessidra. Quelli avrebbero potuto essere dieci minuti come dieci anni, pochi secondi o tutta la vita. Non importava, ormai erano andati oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre tutto.
-sei qui- singhiozzò Antonio, e Lovino avrebbe riso se non fosse stato così impegnato a piangere di gioia. Era ironico, cazzo. Come sempre, di tutte le stronzate che avrebbe potuto dire e che aveva detto, aveva dimenticato l'unica davvero importante.

-forse...- mormorò, con la gola secca. La voce gli tremava, cazzo, troppe lacrime -forse dovrei raccontarti un paio di cose.
Antonio gli asciugò le guance con le dita, lentamente. Lovino fu sul punto di scoppiare a piangere di nuovo, ma si trattenne e si limitò a rivolgergli un piccolissimo sorriso.
-se vuoi, mi amor- replicò il più grande, accarezzandogli lentamente la schiena.
-devo- inspirò profondamente, cercando il punto da cui partire -conosci... conosci la leggenda sulla fondazione di Roma?
-quella dei due gemelli cresciuti dalla lupa?
-sì.
-sono l'ultima parte. Tutta la cosa su Enea e quella città...- gli rivolse un sorrisino colpevole -l'ho dimenticata. Troppo complicata.
-non importa, tanto era falsa.
-co... cosa?
-ma sì, se l'è inventata nonno per avere una scusa per invadere i popoli vicini. Il resto è... è vero in parte- intrecciò le dita con le sue, appoggiandosi alla sua spalla -nonno... sì, fu cresciuto dalla lupa insieme al fratello. Ma...- inspirò profondamente -loro non furono adottati dalla lupa. Loro erano figli della lupa.
-aspetta, in che sen...
-lasciami finire- e Antonio ammutolì -bravo. Allora... quella lupa ebbe solo due cuccioli, per qualche motivo. E gli dei decisero di... di renderli umani, non saprei dire perché. Forse volevano che nonno formasse il suo impero, forse si annoiavano. Sta di fatto che un bel giorno nonno e Remo si svegliarono con mani e piedi invece di zampe, gambe e braccia, testa... insomma, due umani, bambini, e la loro mamma continuò a occuparsi di loro. Un giorno, quando avevano cinque o sei anni, alcuni cacciatori li trovarono e li portarono con loro, credendo di fare il loro bene. Poi nonno crebbe, lui e Remo fondarono una città, nonno ammazzò il fratello e fondò il suo impero. Ritrovò sua madre e la portò con sé, chiamandola Lupa. Quindi sì, la metalupa di mio nonno era la mia bisnonna e tecnicamente Roma è mia zia.
-uhm...- Antonio sembrava confuso -è un po'... strano.
-aspetta di sentire il resto. Quando ormai era già quasi un imperatore, nonno viaggiò in Oriente, qui a Qarth, e si innamorò della regina. La madre di Heracles, per intenderci. Ebbero una figlia... mia madre. Quindi sì, pure Heracles è mio zio. Ho tanti zii a quanto pare, che culo. Nonno la crebbe a Roma, per capire se fosse anche lei una lupa o no. Da piccola era un'umana normale... ma quando arrivò l'adolescenza peggiorò. Era nervosa, irascibile, lunatica... più di un'adolescente normale. E nonno capì che era una mezza lupa, bloccata come era lui in un'unica forma. Il motivo per cui impazzì... oltre allo stress, fu anche questo. Era bloccato in un corpo umano, e mano a mano che invecchiava si sentiva sempre peggio. Mia madre uguale, così nonno cercò un modo per farla distrarre, e qui entriamo in gioco io e Feli- abbozzò un sorriso un po' triste -le mamme lupe sono tra le più iperprotettive, sai? Così nonno fece sposare mamma e lei ebbe me, e dopo due anni Feli. Pensava talmente tanto a noi che non pensava ad altro. Era come se... sfogasse i suoi istinti da lupa repressa su di noi, infatti era iperprotettiva da matti. Poi...- rabbrividì -sono morti.
-anche tu e Feli siete così, quindi?- chiese Antonio, con gentilezza. Lovino annuì, rannicchiandosi addosso a lui.
-sì. Quando... dopo il ballo, quando quello stronzo mi ha dato lo strozzalupo, io... è come se mi si fosse sbloccato qualcosa nel cervello, e mi sono trasformato in lupo.
-lo so.
-lo... lo sai?
-ho visto il lupo... cioé te, fuori dalla tenda. Lì per lì non ci ho fatto caso, dopo però ripensandoci ho fatto due più due.
-uhm...
-sapevi già di questa cosa?
-no. Me... me l'ha raccontata Heracles. Nonno ne aveva parlato solo a sua madre, così lei lo ha raccontato a lui e lui a me- sospirò, sognante -ho vissuto nei boschi per un po'... è stato bellissimo. Per tutta la vita è stato come se avessi avuto una picca rovente in fronte, e ora che non ce l'ho più sono così... in pace.
-e... perché sei tornato da me?
Lovino abbozzò un sorriso. Che ottuso. Gli accarezzò la guancia -perché mi sei mancato, cretino. Ho rivisto Feli, mi ha dato la tua lettera e... ho deciso di venirti a cercare.
Antonio lo baciò sulla fronte, sorridendo leggermente.
-ho fatto tante cazzate- iniziò -ti avevo fatto una promessa e non l'ho mantenuta. Pensavo che tu fossi morto e sono quasi impazzito per questo. Ma... ho capito i miei errori, e ti amo, sicuramente più di quanto ami me stesso. Quindi, ecco, ti andrebbe di... riprovarci?
Lovino sorrise, che idiota. Finalmente, finalmente, lo baciò sulle labbra, tenendogli fermo il viso con le mani. Posò la fronte contro la sua -per quale fottuto motivo pensi che io sia qui, eh, bastardo?
Antonio sorrise -ti amo- e posò ancora le labbra sulle sue, più a lungo. Si esplorarono a vicenda, con le mani e con la bocca, cercando di trovare le differenze con i loro stessi di una volta e scoprendo che, sì, erano le stesse persone, ma no, non lo erano. Erano più maturi, più consapevoli, e in qualche modo erano sempre gli stessi.
-aspetta- mormorò Antonio, allontanandosi da lui. Lovino si trattenne dal gemere di frustrazione. C'era la pace, in quella bocca. E lui rivoleva la pace.
-che c'è?
-ho una domanda.
-mh.
-se sei mezzo lupo- arrossì leggermente. Adorabile -nel senso... segui la stagione degli amori?
-aspetta cosa? In che senso?
-nel senso...- Antonio era sempre più rosso. Il ragazzo si trattenne dal strizzargli le guance -gli... i lupi si accoppiano solo nella stagione degli amori, no? Funziona così anche per te?
Lovino era senza parole. Sapeva che suo marito era un idiota, ma non così tanto.
-bastardo- iniziò, con voce quasi dolce, come chi stia spiegando qualcosa a un bambino incredibilmente stupido -io e te ci siamo accoppiati più e più volte- rabbrividiva di piacere a pensarci -e non solo durante la stagione degli amori. Secondo te?
-non so... forse trasformandoti è cambiato?
Lovino si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e gli rivolse un piccolo sorriso malizioso -ho i miei dubbi, ma... vogliamo provare?
-intendi... ora?
-se vuoi- gli salì sopra e si sedette sul suo grembo, chinandosi a baciarlo. Sorrise quando sentì le braccia di Antonio stringerlo, brividi di piacere quando le mani di suo marito sfiorarono la sua pelle da sotto la camicia.
-questa è mia o sbaglio?- mormorò Antonio, tirando leggermente il lembo della maglia di Lovino. Il ragazzo, in risposta, se la tolse e la lanciò via.
-problema risolto- e tornò a baciarlo, con passione, così bisognoso di contatto da non avere la minima intenzione si staccarsi da lui, mai, mai più. Registrò vagamente Roma che usciva dalla camera e si ripromise di farle un regalino, povera stellina, li avrebbe dovuti sopportare. Poi Antonio scese con le mani, e improvvisamente non gli importò più di nient'altro al mondo.

Quella non fu certo la loro notte migliore, chiariamoci. Di sicuro non la più lunga. Sì insomma, tra l'emozione e il fatto che non si amassero da parecchio tempo, nessuno dei due mostrò particolare resistenza. Tuttavia erano entrambi così felici che non se ne preoccuparono, era sufficiente essere di nuovo lì, abbracciati sotto le coperte dopo aver fatto l'amore, come tante altre volte prima.
-hai una cicatrice qui- mormorò Antonio, accarezzandogli la schiena nuda. Lovino alzò le spalle, più addormentato che sveglio.
-devo essermela fatta nel bosco.
Antonio lo baciò sulla spalla, lasciandogli scappare un sorriso -ti amo.
-mh. Anche io, bastardo- un altro bacio, sulle labbra però. Lovino gli immerse le mani tra i capelli e se lo strinse contro, prolungando il bacio.
-sai- mormorò il bastardo -sei arrivato proprio nel momento giusto, a ben pensarci.
-lo so, sono fantastico. Perché?
Antonio gli baciò le nocche della mano sinistra prima di rispondere -domani è il mio giorno libero.
Lovino riaprì gli occhi di scatto -il tuo che?
-il mio giorno libero. Per legge, tutti i lavoratori di Qarth hanno diritto a due giorni liberi alla settimana.
-m-ma tu sei il re di...
-non sono il re di un bel niente- intrecciò le dita con le sue -ho abdicato. Non ero più in grado di governare e non avevo neanche più voglia di farlo.
-quindi domani...
-potremo stare tutto il giorno qui a non fare niente- concluse Antonio, sorridendo -come sognavi.
Lovino lo baciò. Intensamente, di slancio, intrecciando le gambe con le sue e tenendoselo vicino con le mani, stringendo i capelli, le spalle, il collo, qualsiasi punto riuscisse a raggiungere.
-ti amo- sentiva gli occhi bruciare, diamine. Sempre colpa del bastardo. Lo baciò di nuovo -ti amo così tanto...
Antonio rise, baciandogli il collo e accarezzandogli la schiena con tocchi leggeri -anche io, Lovi- e lo baciò di nuovo, inspirando il suo profumo. Sorrise -hai qualche idea su cosa fare domani?
-per prima cosa, pulire questo porcile- gli tirò una ciocca di capelli -sei un porco, meno male che sono tornato. Questo posto è una discarica, gli animali sono più puliti.
-va bene, va bene.
-poi, se fai il bravo...- fece ritorno quel sorrisino malizioso di prima -vedremo.
-farò il bravo- lo baciò a stampo. Quando si allontanò, si era fatto improvvisamente serio. Gli strinse la mano -ti troverò qui, quando mi sveglierò?
Lovino avrebbe voluto fare una battuta, ma capì che non fosse il caso. Gli strinse la mano -sì. Finché non mi darai motivi per non farlo, rimarrò al tuo fianco.
Il sorriso del bastardo stava diventando esagerato -allora ho una cosa per te- liberò la sua mano e si sfilò un anello d'oro dal mignolo. Gli rivolse un sorriso dolce, quasi timido -se... se vuoi di nuovo...
-sì. Sì, lo voglio.
E così, lentamente, Antonio fece scorrere quel piccolo cerchio d'oro intorno al suo dito, dandogli tutto il tempo di cambiare idea, ma Lovino non ne aveva bisogno. E, come al loro matrimonio, Antonio gli posò le mani sui fianchi, lo attirò tra le sue braccia e lo baciò, una nuova promessa di lealtà, un nuovo inizio che, speravano entrambi, sarebbe finito meglio del precedente. Oh be', era un ottimo inizio, no?
 

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Capitolo 20
*** Io sbrano il crucco ***


Gilbert sorrise quando vide Grande Inverno e baciò Eliza sulla guancia. Erano a cavallo, di più non avevano potuto prendere, un bellissimo  animale dal manto chiaro, come il ragazzo. Seppur non entusiasta, Eliza aveva lasciato che guidasse lui l'animale per tutte le lunghe settimane di viaggio, limitandosi a stare davanti a lui, stretta tra le sue braccia che stringevano le redini.
-siamo a casa- mormorò il giovane contro l'orecchio della sua compagnia, accarezzandole il ventre ancora non così gonfio da essere evidente -appena arriviamo ti metti a letto e ti riposi, mh? Sistemo io le tue cose.
Eliza alzò gli occhi al cielo -posso anche farlo da sola.
-sei in una condizione delicata...
-sono incinta, non ho perso le mani. E poi sono ancora ai primi mesi.
-appunto- la baciò sulla spalla -c'è il rischio di...
-smettila.
-va bene, küken. Hai fame? Vuoi che ti faccia portare qualcosa appena arriviamo?
-no- Eliza sorrise maliziosamente e si girò a baciarlo, prendendogli una mano e portandosela sul seno -c'è un'altra cosa che avrei voglia di fare...
Gilbert si staccò all'istante -aspetta, non farà male al bambino?
Eliza inarcò un sopracciglio -non c'è ancora nessun bambino, Gilbert. È un cosino minuscolo.
-è un cosino minuscolo e delicato!
Eliza si imbronciò -la smetti di trattarmi come se fossi fatta di vetro?
-so benissimo quanto tu sia forte- replicò Gilbert -ma porti in grembo un bambino fragile.
-lo sto già proteggendo io- replicò lei, gelida, girandosi verso il castello. Gilbert sospirò, posando il mento contro la sua spalla divertito, e si mise a baciarla sul collo lentamente, stringendola maggiormente a sé -se ci tieni facciamolo...
-no, vaffanculo- si tolse le sue mani di dosso, infastidita -ti interessa solo quello.
-non è vero! Sei tu che...
-fottiti.
Gilbert la baciò sulla guancia -ti amo.
-vaffanculo- sembrò ricordare qualcosa -con Ludwig...
-ha dato un po' di matto. Gli passerà.
Eliza sentì gli occhi farsi lucidi -è colpa mia. Sono un disastro. Avrei dovuto andarmene senza dire niente e...
-no!- le strinse le mani -no, ascoltami. La colpa non è assolutamente tua. Ho fatto un casino e non è giusto che ne paghi solo tu le conseguenze. Ludwig capirà.
-m-ma...
-ma niente- sorrise -stiamo per avere un bambino ed è una cosa stupenda. Se Ludwig non lo vuole capire, affari suoi. Non farò crescere mio figlio da solo perché lui si è messo a fare i capricci.
Eliza si coprì il volto con le mani, sbuffando -sono troppo emotiva.
L'albino la baciò sulla guancia -è la gravidanza, non preoccuparti. Mia madre era insopportabile quando aspettava mio fratello.
Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, ancora. Abbracciò il suo compagno, singhiozzando -scusa! Sono un disastro, dovrai sopportarmi e ti stancherai di me e mi lascerai e...
-no, no, no, Eliza, guardami. Ti amo, va bene? E non mi importa se sei più emotiva, perché ti amerò ugualmente- le sorrise, asciugandole le guance -stiamo aspettando un bimbo! Pensa a questo, perché è la cosa più bella che potesse capitarci e va bene così.
Eliza lo abbracciò -ti amo!

Antonio si svegliò con il sole in faccia. Sbadigliò, si passò una mano tra i capelli e si guardò intorno. Le coperte al suo fianco erano scombinate, segno che Lovino si era già alzato. Notò i vestiti di suo marito per terra e abbozzò un sorriso. Un dolce odore gli stuzzicò le narici e si girò sulla schiena. Dalla stanza accanto provenivano dei rumori di cottura e Antonio si disse che era proprio un bel modo di svegliarsi.
Finalmente si decise ad alzarsi e, rivestitosi, andò nella stanza accanto, abbracciando da dietro Lovino, impegnato a preparare la colazione.
-questo è il miglior modo di svegliarsi che esista- mormorò contro la sua spalla nuda, baciandolo dolcemente.
Lovino si strinse a lui, sorridendo lievemente -sto preparando dei biscotti- disse, sollevando la pentola per mostrarglieli con aria soddisfatta.
Antonio abbozzò un sorriso malizioso -ma io non mi riferivo al cibo- ribatté, allungando le mani dai suoi fianchi al suo pube e spingendosi contro il suo sedere.
Lovino aggrottò la fronte -a cosa...- abbassò lo sguardo e sbuffò -ah. Che palle.
-già- lo baciò sulla guancia -ti sei dimenticato ancora di vestirti.
-è una rottura di palle. I lupi non si vestono.
Antonio ridacchiò -i lupi hanno il pelo.
-anche io ho il pelo.
-ma più corto.
-i pesci non hanno peli, non mi pare si vestano.
-amore, fosse per me sarebbe illegale farti mettere qualcosa addosso, ma le regole sociali impongono che tu ti copra un minimo.
-le regoli sociali sono stupide- abbozzò un piccolo sorriso -mamma mi aveva raccontato che quando ero piccolo era impossibile farmi tenere addosso qualcosa. Correvo sempre nudo per il castello, e lo stesso Feli.
Notando che il suo ragazzo si stava intristendo, Antonio decise di cambiare argomento.
-sì querido, ma se lo fa un bambino è una cosa carina, se lo fa un adulto è una molestia.
Lovino sbuffò una risata -lo so, coglione. Ma finché sto a casa va bene, no?
-oh sì- il più anziano riprese a baciare l'altro sul collo, stringendolo più forte tra le braccia, per poi mordergli leggermente il lobo dell'orecchio -quanto cazzo sei bello...
Lovino mugolò qualcosa, inclinando la testa per dargli più spazio sul suo collo -dai, smettila. Tra un po' devo andare a lavorare.
-ormai sono giorni che ci lavori- replicò lo spagnolo, sussurrando -se anche tardi un pochino...
Lovino gli strinse le mani, fermandogliele -stasera.
Antonio si allontanò da lui, tenendogli le mani -va bene, mi amor.
Lovino si girò e lo baciò a stampo -bravo- riprese a cucinare -credo di... starmi riabituando alla vita umana. Anche se certe cose sono stupide, ma mi sto riadattando credo.
Antonio lo baciò sulla guancia -bravo, amore. Però magari ricontrolla due o tre volte di essere vestito prima di uscire.
Lovino alzò gli occhi al cielo -sì sì, come vuoi. Ora mangia, su. E vedi di fartelo piacere.

Heracles era riuscito a trovargli un lavoro alla biblioteca pubblica e Lovino si era innamorato all'istante di quel posto. Sì, insomma... era un lettore incallito, nonostante negli ultimi tempi non avesse avuto il tempo che avrebbe voluto per leggere. Suo nonno gli aveva sempre inculcato l'idea per cui la cultura fosse la cosa più importante che abbiamo, e Lovino non ne aveva mai dubitato, per cui essere messo a lavorare in una delle biblioteche più grandi del mondo... be', di sicuro non gli dispiaceva.
Il mastro bibliotecario era un uomo anziano, motivo per cui se ne restava nel suo ufficio la maggior parte del tempo. A ogni bibliotecario era affidato un reparto, e a turno si occupavano dell'ingresso. A Lovino, ovviamente, era stato affidato il reparto di letteratura latina.
Ah, quanto amava quei libri! Ogni tanto, mentre li sistemava, si ritrovava ad avere gli occhi lucidi, ricordandosi magari del commento del nonno, o della voce di mamma che gli leggeva questo o quell'altro libro.
Si stavano poi aggiungendo alcuni libri nuovi, che però non lo convincevano, perché quello non era latino. "Un dialetto" avevano detto, ma non ne era convinto. "La divina commedia" era stato il primo, a cui poi se n'erano aggiunti altri. Sì, sembrava latino, ma era più la lingua che parlavano dopo la caduta del nonno. Non era latino, era un... una lingua diversa, ecco. Bah.
A parte quello, però, si trovava bene.

Antonio entrò in biblioteca e si guardò intorno, cercando di indovinare dove si trovasse Lovino. Aveva detto reparto latino, ma dove diamine era?
Si avvicinò al bancone dell'ingresso, dietro al quale non c'era nessuno, se non una bambina di circa quattro anni seduta sul tavolo, impegnata a leggere un libro più grande di lei.
-ehm... ciao- iniziò, cercando di attirare la sua attenzione -ti sei persa?
La bambina alzò lo sguardo su di lui, aveva gli occhi azzurri -vivo qui.
-oh. E i tuoi genitori...
-sono morti.
-ah.
E tornò a leggere il libro.
Antonio tossicchiò -sai dove posso trovare il reparto di latino?
-letteratura latina?- chiese la piccola, senza alzare gli occhi dal libro.
-quello.
Quella lo studiò per qualche secondo, in silenzio.
-stai cercando Lovino?
-uhm... sì.
Altri secondi di silenzio. Quella sembrò valutare la sua idoneità ad essere lì dentro. Poi, terminata la sua analisi, infilò un pezzetto di carta nel libro, lo chiuse e allargò le braccia -mettimi a terra.
-oh, ehm, certo- cercando di essere il più delicato possibile, le posò le mani sotto le ascelle e la sollevò fino a posarla sul pavimento -ecco.
-grazie- e si avviò verso alcune librerie, senza dire una parola. Antonio la seguì, un po' confuso.
Dopo alcune svolte, la bimba si mise a correre fino alla libreria successiva, poi girò. Antonio la sentì parlare sottovoce con qualcuno e sospirò di sollievo quando sentì la voce di Lovino risponderle.
-qualcuno? Chi mi sta cercando?
-un tipo strano- replicò la bimba sottovoce. Antonio li raggiunse e si intenerì vedendo suo marito inginocchiato a terra per essere all'altezza della piccola, che gli stava sussurrando all'orecchio con aria d'intesa.
"Devono andare d'accordo" pensò, salutando Lovino con la mano. Il ragazzo abbozzò un sorriso.
-hai ragione, è un tipo strano.
-lo conosci?
-purtroppo sì- si rialzò in piedi e stampò un bacio sulle labbra di suo marito -che ci fai qui?
-ho finito prima a lavoro e ho pensato di venirti a prendere- lo baciò sulla guancia, posandogli un braccio intorno alla vita.
La bimba, scioccata, tirò per una manica Lovino, fino a farlo abbassare alla sua altezza.
-state insieme?- gli sussurrò all'orecchio. Lovino annuì.
-sì.
La bambina fece una faccia disgustata -che schifo l'amore!
-oh, non è così male, sai?- Lovino si allontanò dalle braccia di suo marito e tornò a sistemare alcuni libri -il bastardo sa essere piacevole.
La bambina non sembrava convinta.
Lovino sembrò dire qualcos'altro, ma sentì qualcosa e si alzò in piedi di scatto. Due lupi, due lupi in carne ed ossa, fecero capolino dalle librerie. Lovino mollò i libri sullo scaffale più vicino e corse loro incontro -Feli! Venezia!
La bambina sgranò gli occhi e si nascose dietro Antonio, afferrandogli la maglia, spaventata alla vista degli animali.
Lovino accarezzò il fratellino, cercando di calmarlo -rilassati- suggerì -respira. Concentrati su di me. Torna umano. Ce la puoi fare, mh? Segui il suono della mia voce.
Lentamente, il corpo di uno dei due animali mutò, trasformandosi in quello di un ragazzino spaventato e tremante, con le guance ricoperte di lacrime. Lovino lo abbracciò, cercando di coprirlo il più possibile.
-bastardo, passami la tua giacca!
Antonio se la sfilò e gliela passò, osservandolo mentre la sistemava sulle spalle del più piccolo per coprirlo. La bambina si sporse da dietro Antonio, osservando la scena. Lovino stava abbracciando forte il ragazzo, che gli piangeva sulla spalla, tremando.
La piccola tirò la manica di Antonio e gli fece cenno di prenderla in braccio. Si sporse a sussurrargli all'orecchio, confusa -chi è quel mezzo lupo?
-il fratellino di Lovi- rispose, sussurrando. Si allontanò, lasciando soli i due Vargas.
-e perché sta piangendo?- continuò lei.
-non lo so- meglio trovare un modo per distrarla. Le sorrise -che libro stavi leggendo prima? Ti va di parlarmene?

Lovino uscì dal piccolo salotto e chiuse la porta alle proprie spalle, stanco. Antonio all'istante gli andò incontro, con le braccia spalancate nelle quali Lovino non esitò a infilarsi, rilassandosi contro di lui.
-come sta Feli?- gli sussurrò Antonio, guidandolo verso il letto con gentilezza. Nella stanza accanto, intanto, Roma e Venezia dormivano beate, acciambellate su una stuoia, finalmente insieme.
Il mutaforma si lasciò portare, senza forza fisica, ma con ancora parecchio fuoco nell'animo. E infatti... -quel crucco di merda lo rovino. Gli spezzo le ossa una per una. Lo scortico centimetro per centimetro, partendo dalle palle.
-calmati- lo fece sistemare a letto e gli strinse le mani -spiegami. Fammi capire.
Lovino sbatté la testa contro il suo petto e si aggrappò alla sua maglia, stanco e furioso.
-Feli si è addormentato per sfinimento- mormorò -per quanto ha pianto. Non sono riuscito a consolarlo, solo a calmarlo un po'.
-piangere fa bene.
-sì, ma non riesco a vederlo così.
-cosa è successo?- chiese, ancora, e finalmente Lovino si degnò di rispondere.
-non me l'ha spiegato per bene, ma il crucco ha dato di matto, Feli si è spaventato, si stava trasformando davanti a lui ma è scappato ed è venuto a cercarmi.
Antonio lo baciò sulla testa -come ti ha trovato?
-gli avevo lasciato scritto che fossi a Qarth, quindi si è imbucato su una nave mentre ero già in viaggio ed è arrivato qui. Poi ha seguito il mio odore.
-Venezia non c'era riuscita.
-è... complicato. Quando dai da annusare un vestito a un animale, quello cosa sente?
-l'odore?
-no. Per lo più il sudore ed eventuali profumi- vedendo suo marito confuso, Lovino continuò -i lupi non sudano. Cioé, sudano dai cuscinetti sotto le zampe, ma è un'altra cosa.
-oooh.
-Feli ha fatto una cosa diversa, ha seguito l'odore del branco, e avendomi visto da lupo aveva in testa il mio odore in entrambe le forme, inconsciamente. Ha unito le cose e mi ha trovato.
-sembra complicato.
-è più spontaneo di quanto non possa sembrare. Aveva bisogno di me e l'istinto lo ha guidato.
Antonio lo baciò sulla fronte -è così che hai trovato me?
Lovino si concesse un piccolo sorriso, sollevando il viso per baciarlo sulla punta del naso -circa. Ho chiesto a Heracles dove abitassi, ha controllato i registri e mi ha dato le indicazioni.
Antonio si mostrò infastidito -ah, quindi tutto merito del fantastico Heracles.
-dovresti ringraziarlo, cretino.
-mh. Tornando a Feli...
-può rimanere qui per un po'?
Antonio lo baciò a stampo -non devi neanche chiederlo, Lovi. Questa è anche casa tua.
-grazie, bastardo- lo baciò, poi tornò a nascondersi contro la sua spalla -stasera non ho voglia di...
-certo- lo interruppe Antonio, stringendolo forte -non ci stavo neanche pensando. Non preoccuparti, riposati e basta.
-non voglio che Feli soffra- mugugnò Lovino contro la sua spalla -era devastato. Non voglio più vederlo così.
-era scioccato- ribatté Antonio, accarezzandogli lentamente la schiena per calmarlo -vedrai che domani starà meglio. Tu stagli vicino, cerca di distrarlo.
-potrei comprargli qualcosa per disegnare. Lo distrarrebbe.
-c'è un negozio qui vicino che vende quel tipo di cose. Quaderni, penne, pennelli...
-domani mattina provo ad andare- rifletté, rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli di Antonio -e magari gli prendo qualche vestito. Non può usare i miei abiti per sempre.
Antonio lo baciò sulla guancia -quindi avrò due Vargas che mi girano nudi per casa?
In risposta Lovino gli tirò la ciocca di capelli, strappandogli un gemito di dolore -non fare quella faccia, bastardo! Non ti farò fare il pervertito sul mio fratellino.
-non ne ho bisogno- replicò Antonio, baciandolo -ho già il meglio qui davanti a me.
-maniaco.
-te amo.
-idiota- lo baciò, tirandoselo contro -però abbracciami, stronzo.


 

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Capitolo 21
*** Si chiama Karma ***


E Ludwig?
Torniamo un attimo indietro, a quando Feli era scappato.
Dopo la fuga di Feliciano, Ludwig aveva spaccato un paio di cose, accecato da una rabbia troppo cocente per essere trattenuta. Successivamente, aveva mandato alcuni soldati a cercarlo, e altri erano andati a riferirgli di aver visto il ragazzino fuggire verso il bosco, dove poi aveva indirizzato le ricerche, ma di Feliciano, come potrete facilmente intuire, nessuna traccia. Alcuni folli, poi, avevano sostenuto di averlo visto trasformarsi in lupo, ma dovevano aver visto male, o confuso Venezia con il suo padrone. Nonostante ciò, Ludwig era andato a dormire relativamente tranquillo, sicuro che avrebbe rivisto il suo ragazzo il giorno dopo.
"Tornerà" si ripeteva "si è solo messo un'idea sciocca in testa. Capirà che ho ragione e tornerà"
Come immagino abbiate intuito, Feliciano non tornò, né il giorno dopo né quelli successivi.
Arrivò infine il momento in cui furono costretti ad andarsene per non attirare eccessivamente il nemico, e di Feliciano ancora nessuna traccia. L'esercito tuttavia si spostò ugualmente verso est, e Ludwig si sentiva più solo e infuriato che mai.
L'unico a soffrire tanto la solitudine, se non di più, era Francis, ma per tutt'altro motivo: era tornato a casa. Uno pensa che un'occasione simile debba essere lieta, e invece per il giovane era più simile ad un incubo.
La grande sala da pranzo non era cambiata durante la sua assenza. I mobili dorati, i grandi specchi alle pareti, l'enorme lampadario, le alte finestre, tutto comunicava ricchezza ed opulenza.
Da bambino Francis aveva corso per quella sala, aveva guardato il panorama intorno, aveva mangiato lì, felice, circondato dalla sua famiglia, cercando in ogni modo l'approvazione del padre.
Fallendo, miseramente, ogni singola volta, in quanto mai, mai e poi mai era riuscito a trovare quel che cercava in un sorriso, un cenno del capo, una carezza del padre. Niente di niente, mai. Ogni azione da lui compiuta era sempre stata rifiutata da chi avrebbe dovuto amarlo più di ogni altro. Era stato viziato, sì, ma non amato.
"Devi fare di più"
"Devi fare di più"
"Devi fare di più"
Questo gli comunicava quella sala. Devi commissionare più dipinti, più affreschi, più oro. Devi organizzare feste più grandi, invitare più invitati, chiamare musicisti migliori. Devi far cucinare cibo migliore, più raffinato, più più più, tutto più, perché quello che sei non è abbastanza, non sei abbastanza, sii di più, devi essere di più di più di più. Più uomo, più maschile, più forte, più raffinato, più regale, più sciupafemmine, meno frocio, meno femminile, meno Francis.
Il giovane aveva costruito tutto se stesso lì dentro, e una volta uscito da lì aveva riciclato tutto quel che era per mandare a fanculo quel palazzo.
Raffinato, sì, ma a modo suo. Oro nei capelli, zaffiri negli occhi, questo non me lo toglierete. Per tutta l'infanzia si era sentito dire di dover fare di più, e una volta uscito da lì, durante la prima guerra che avesse mai vissuto, ma non combattuto, incontrato Arthur ancora bambino e ancora odiato più che amato, si era reso conto di essere molto, molto di più. Sentendosi insultare dritto in faccia da Arthur, che rappresentava tutto ciò che quella villa odiava, e negando ciò che quello aveva detto, dicendo ad alta voce "ti sbagli" a lui, dicendo "ti sbagli" per la prima volta, aveva trovato il coraggio di guardarsi allo specchio e dirsi "ti sbagli" anche a lui. Io non sono così. Io sono molto di più.
E così aveva cominciato a scegliersi da solo i vestiti, non quelli che avrebbero soddisfatto il padre, ma quelli che avrebbero soddisfatto lui. Si era fatto crescere i capelli, li aveva curati sempre più, per farli risplendere più dell'oro in quella sala. Aveva iniziato a truccarsi, a sfruttare il suo viso come una tela, per essere più bello di quegli affreschi. Per anni aveva lavorato su se stesso, sulla sua autostima, per anni si era ripetuto davanti allo specchio, ogni singolo giorno, io valgo, io valgo, io valgo, fino al giorno in cui aveva ritrovato quel bambino, cresciuto come lui, quel bambino che gli aveva aperto gli occhi, che lo aveva insultato, e lo aveva ritrovato senza parole diverse da "ti amo" da rivolgergli. Mentre si davano il primo bacio, Francis aveva chiuso gli occhi e si era detto io valgo; aveva studiato il suo riflesso negli occhi verdi del suo amante e si era detto io valgo; si erano concessi l'uno all'altro, si erano amati, e Francis si era ripetuto io valgo, io valgo, io valgo, io valgo abbastanza da essere amato, e con il tempo quel sussurro era diventato noi valiamo, noi valiamo, noi valiamo abbastanza da amarci.
Ora Francis era di nuovo lì, ma non era più un bambino. Quegli specchi non gli rinfacciavano i suoi difetti, ma gli mostravano i suoi pregi. Quell'oro non lo faceva sfigurare, ma brillare. Quei dipinti non lo mortificavano, ma lo affascinavano come l'arte deve fare. Quelle finestre non gli sbattevano in faccia la meraviglia del mondo fuori da lì, ma lasciavano entrare la luce per fargli vedere meglio cosa ci fosse là dentro.
L'unica cosa che non era cambiata era suo padre, che sì, era invecchiato, ma ancora lo guardava come se fosse solo una delusione. A Francis, tuttavia, non importava del suo sguardo, non più.
-padre.
-figlio.
E Spirito Santo amen. No scusate, torno alla narrazione.
-cosa ti porta al mio sguardo?- continuò il padre, seduto sul suo trono. Nonostante non fosse re, il patriarca dei Bonnefoy aveva voluto comunque un trono nella sala centrale del suo castello. Francis ricordava quando giocava con sua cugina e saliva su quella sedia che se la tirava troppo, quando il padre era assente; si fingeva grande, forte e potente, un re in tutto e per tutto, quello che avrebbero voluto che lui diventasse da grande. Ora quel trono quasi lo disgusta, ma non è importante l'oggetto in sé quanto ciò che esso rappresentava, ovvero il potere del patriarca sulla famiglia Bonnefoy e, cosa più importante, su tutti i territori che essa possedeva e su tutti coloro che lì vivevano.
-notizie dall'esercito. La guerra sta andando male, i nostri alleati da oriente si sono ritirati e converrebbe anche a noi farlo prima che ci arrivi un ultimatum dalla corona.
Suo padre non sembrò sorpreso, né arrabbiato, solo irritato -avresti potuto scrivermelo via lettera e mandare un messaggero, così da evitarmi il dolore di vedere davanti ai miei occhi la mia più grande delusione.
-i messaggeri non sono affidabili. Inoltre, padre, ero curioso di sapere se il vostro adorabile carattere fosse mutato con l'avanzare degli anni, ma pare proprio di no.
-non fare del sarcasmo con me. Il sarcasmo è roba da Kirkland.
-e la gentilezza da Bonnefoy?
-la purezza è da Bonnefoy. La purezza del sangue, dei costumi e delle tradizioni.
Oh, sapesse quanto Francis fosse impuro, da quel punto di vista. La pecora nera di famiglia, venuta a ribaltare il concetto di normalità a suo favore.
-la guerra sarebbe un'arte pura?
-la più pura di tutte.
-e vincere?
-il più auspicabile dei risultati.
-in tal caso dovremmo cambiare alleato.
-non si vince con gli alleati, ma con la forza e la nobiltà d'animo, cosa che i nostri nemici non hanno e i nostri alleati nemmeno, ma per loro ci sarà tempo, una volta eliminati i nemici peggiori.
-ovvero i Kirkland.
-tutta la famiglia.
-tutta? Anche i bambini?
-uccidere gli innocenti non è degno di noi. Li rieducheremo nel modo migliore, come avremmo fatto con i due giovani Vargas se non fossero scappati.
-Kirkland ha avuto parecchi figli. Sarà un lavoro lungo.
Suo padre emise un verso di scherno -nei avrei voluti molti anch'io, se solo il figlio del demonio non avesse ucciso la mia amata per venire alla luce.
-curioso, pensavo di essere figlio tuo.
-titolo di sangue, non di cuore, ma suppongo che ciò che ci mandano gli dei abbia uno scopo. Vincerò, seppur per mano tua.
Francis sospirò. Suo padre non sarebbe mai cambiato -se stanno così le cose, padre, permettetemi di versarvi un bicchiere di vino per brindare alla vittoria del nostro casato.
L'uomo fece un cenno incurante con la mano -vediamo se sei capace almeno di versarmi da bere.
Francis schioccò le dita e un servo portò nella sala una bottiglia di vino e due bicchieri. Versò due bicchieri, il primo per il padre, il secondo per il figlio.
-al nostro casato- sollevò il bicchiere e bevve il primo sorso. Il sapore del vino gli invase la bocca, simile a sangue. Suo padre fece lo stesso, svuotando il bicchiere in un sorso.
Per alcuni secondi si scrutarono in silenzio, puro odio dove ci sarebbe dovuto essere amore.
Agorix Bonnefoy si portò le mani alla gola, senza fiato. Tossì, le mani imbrattate di sangue. Sollevò gli occhi sul figlio, che lo scrutava in silenzio, con un minuscolo sorriso, quasi felino, mentre ancora sorseggiava il suo bicchiere di vino.
-ricordi cosa mi insegnasti, padre?- disse il giovane, avvicinandosi al trono -il veleno è l'arma delle donne. E visto che mi vedi come la più empia di loro, mi è sembrato opportuno ripagarti con la più empia delle loro monete.
Agorix sgranò gli occhi, senza riuscire a muoversi. Francis lo affiancò, gli circondò le spalle con un braccio per tenerlo seduto, in una sorta di macabro abbraccio, e gli sfilò la corona che soleva portare dalla testa canuta. Il suo sussurro fu un sibilo contro l'orecchio del moribondo -ti è sempre importato così tanto di questo trono. Morirai ai suoi piedi, e ci sarò io seduto sopra- lo lasciò andare. Agorix rotolò lungo i gradini che conducevano al trono, un assaggio della caduta che lo avrebbe condotto all'Inferno.
Francis indossò la corona dorata sul suo capo ancor più dorato e si sedette sul trono, osservando dall'alto in basso il padre contorcersi e soffocare nel suo vomito, impassibile, come un giovane dio sceso in terra per osservare gli umani, o come un bambino che scruta le formiche morire sotto la luce di una lente.
-sai, padre?- disse ancora -avevi ragione su una cosa. Sarò io a portare il nostro casato alla vittoria, non in tuo nome, ma nel mio.
Si rivolse al servo -porta via il corpo e pulisci, poi fammi portare carta e penna e chiama i messaggeri. Devo avvertire il resto della famiglia del cambio di potere- sorrise -ora il capofamiglia sono io.

-toglimi una curiosità- mormorò Francis sul petto del suo amante, baciandolo all'incirca dove c'era il cuore. Arthur sospirò, intrecciando una mano tra i suoi capelli per tenerselo vicino.
-dimmi.
-cosa è successo a Lovino?
Arthur alzò le spalle -io non l'ho toccato. L'ho fatto svenire con lo strozzalupo, siamo usciti, Allistor l'ha messo a terra il tempo di chiudere la porta ed è sparito. Pensavo fosse tornato da voi.
-no, nessuno l'ha più visto- lo baciò di nuovo sul petto, poi lo morse, così forte da farlo sanguinare. Arthur sussultò, portandosi la mano libera al punto ferito con un gemito di dolore.
-questo- sibilò Francis -è per aver organizzato un matrimonio con Lovino e per aver mollato la mia cara Belle. Stronzo.
-me lo merito.
-ringrazia che sia troppo stanco per picchiarti ancora- si sistemò meglio addosso al suo amore, coprendo entrambi con le coperte -non lo facevamo da troppo, sono distrutto.
Arthur riprese ad accarezzargli i capelli -togli una curiosità a me ora.
-mh.
-cosa è successo a tuo padre?
Francis rimase in silenzio, cercando di riordinare i pensieri e inventarsi la storia più credibile.
-era anziano- mormorò -e stressato. Il cuore non gli ha retto.
-mh- mormorò Arthur -e ti aspetti che ci creda?
-perché non dovresti?
-vai a parlare con tuo padre, dopo anni nei quali sei sempre stato in giro proprio per non andare in quella casa, e improvvisamente quello crepa. È strano.
Francis alzò le spalle e si sollevò per baciarlo, sorridendo -sono un ragazzo fortunato- lo baciò sulla fronte -e anche tu lo sei, ovviamente. Hai me, come potresti essere altro che fortunato?
Arthur alzò gli occhi al cielo -smettila di evitare di rispondermi.
Un sospiro gli sfuggì dalle labbra, ancora atteggiate ad un sorriso -non voglio parlare di mio padre. Ormai è finita, voglio solo occuparmi di te.
-che onore- sarcasmo, come sempre, ma meno del normale. Francis sorrise e lo baciò a stampo.
-infatti. Un grande onore.
Arthur sospirò, stanco, lasciandosi andare contro il cuscino -potresti essermi mancato.
-potrei?
-c'è una remota possibilità, sì.
-mhmh- Francis gli si spalmò addosso, come un gatto alla ricerca di coccole, e tornò a cercare le sue labbra, con il disperato bisogno di attenzioni e amore -anche io ti amo...

-che cazzo significa che i Bonnefoy si ritirano dall'alleanza?!
-la lettera dice così, signore- il messaggero, povero martire, si sforzò di non tremare mentre Ludwig, travolto da una rabbia antica, primordiale, violenta, incontrollabile, ribaltava la sedia su cui poco prima era seduto. Stava andando tutto male. Prima Lovino, poi Antonio, il suo stesso fratello, Feliciano e ora il suo ultimo, preziosissimo alleato. Tutti, tutti lo stavano abbandonando, lasciando un semplice adolescente alle porte della pubertà a gestire un esercito e una guerra. Sfido voi a mantenere la calma.
Ludwig inspirò profondamente. Aveva bisogno di alleati, di qualcuno che stesse al suo fianco. E, più di tutto, voleva qualcuno che lo abbracciasse, gli baciasse i capelli e gli dicesse che tutto sarebbe andato bene, ma le poche persone a cui avrebbe concesso di farlo ormai lo avevano lasciato.
Poi cercò di ricomporsi. Era un generale, un comandante. I capi non piangono e non mostrano debolezze.
-di' a Bonnefoy- ringhiò -di andare al Diavolo. Lo accompagnerò io stesso all'Inferno, se necessario.
Tanto, si disse, nessun Inferno potrà mai essere peggio di quel che sto provando ora.
Sono così egocentrici i ragazzini!

-ciao, amore- Antonio abbracciò da dietro suo marito e lo baciò sulla guancia, sbirciando oltre la sua spalla -che fai di bello?
-cucino- rispose quello, a mezzavoce, concentrato -sei già tornato da lavoro?
-il sole è tramontato da un pezzo. Feli dov'è?
-l'ho convinto a uscire per una passeggiata con Roma e Venezia. È andato a comprare dei colori in città.
-mh- con un sorrisino furbo, Antonio lo strinse maggiormente e sfiorò quel corpo caldo con la punta delle dita, scendendo lentamente verso il basso. Lo voleva, desiderava così ardentemente quel calore, quelle sensazioni che solo quel ragazzo riusciva a dargli; amava sentirlo gemere, urlare, percepire le unghie di quel piccolo lupetto conficcate nella pelle morbida delle sue spalle mentre con voce rotta lo pregava a mezza voce di portarlo al limite del piacere, vedere i suoi occhi lucidi socchiudersi nel sentire quel limite sempre più vicino, le sue labbra di rosa spalancarsi per urlare, le sue gambe stringersi intorno al bacino dell'altro per impedirgli di andarsene, sciocca premura visto che a quello mai e poi mai sarebbe venuta in mente una possibilità simile.
Ad Antonio piaceva l'amplesso, l'ebrezza del sesso e il vortice dell'orgasmo, ma ancora di più amava vedere Lovino godere e sapere di esserne la causa. Ecco, quella era la cosa più soddisfacente per lui, e forse è questa la proverbiale differenza tra fare sesso e fare l'amore.
-quindi siamo soli?- sussurrò all'orecchio del suo piccolo, mordendogli leggermente il lobo. Lovino sospirò e si lasciò andare contro di lui, contro il suo corpo, rilassandosi nel suo abbraccio -abbiamo casa libera?
-sì, ma non esaltarti. Non c'è molto tempo, Feli potrebbe tornare da un momento all'altro, e non mi va di farmi beccare da lui mentre scopiamo in cucina.
Antonio, con un sorrisetto, lo fece girare, baciandolo contro il muro. Lovino decise di concedergli un bacio, bagnato, volgare, senza preoccuparsi troppo del resto, una mano tra i suoi capelli e le sue, di mani, che studiavano tutto il suo corpo silenziosamente, alla ricerca dei punti che più gli davano piacere. Poi si scostò, fermando le labbra bollenti dell'altro con una mano e sorridendo leggermente alla sua smorfia imbronciata.
-Feli potrebbe tornare- gli ricordò, scostandolo delicatamente e sfuggendo al suo abbraccio per tornare a cucinare. Antonio tornò all'attacco, stringendolo ancora e scendendo a baciarlo sul collo.
-allora facciamo in fretta.
-fermo- replicò Lovino, risoluto, e quello obbedì, allontanandosi di scatto. Il più giovane sorrise al suo amante e gli fece l'occhiolino -stasera ci rifacciamo, promesso. Ho in serbo una sorpresa...
Antonio gli restituì il sorriso -non vedo l'ora.
-lo so- si girò e tornò a dedicarsi alle verdure -ora dammi una mano e lava la verdura rimasta.
-agli ordini!
E lavorarono in silenzio, fianco a fianco, senza più bisogno di parlare, fino a quando un tarlo fastidioso nella testa di Antonio non lo costrinse a rompere quel vetro di pace e silenzio.
-Lovi...
-mh.
-senti, ci ho pensato un po'. Tu e Feli... sì, avete un sangue speciale, no? Quindi se tu volessi... ecco... mandare avanti la discendenza con una donna per mantenere il vostro potere, per me andrebbe be...
-assolutamente no- lo interruppe Lovino, categorico. Decise di spiegarsi -non potrei mai dare un fardello simile ad un bambino. Non sarebbe giusto.
-il vostro potere sarebbe un fardello?
-certo. Mio nonno è impazzito per questo, io e Feli abbiamo rischiato. Abbiamo solo sofferto per questo nostro potere e non voglio che un mio eventuale figlio debba passare la stessa cosa solo per "mandare avanti la stirpe"- mimò il gesto con la mano, rigirandosi il coltello tra le dita. Si sistemò una ciocca e continuò a parlare -se poi vuoi dei figli, bastardo, possiamo adottarli. O... o puoi trovarti una donna, se...
-non voglio una donna- lo interruppe Antonio, stringendogli la mano -se avrò un figlio, lo crescerò con te.
Lovino era rosso come il peperone che stava tagliando -come ti pare- bofonchiò, tornando al suo lavoro.
-e... se tu volessi adottare un bimbo con me, ne sarei felicissimo- continuò Antonio, studiando il piccolo sorriso sulle labbra di Lovino.
-per ora no. Dobbiamo risolvere il casino di Feli e sistemarci un po'. Poi... vedremo.
Antonio gli strinse la mano, portandosela alle labbra e baciando la fede. Annuì, sorridendo, con gli occhi leggermente lucidi.
-sì. Vedremo- si asciugò le guance -sono... sono così fortunato ad averti al mio fianco.
-ovvio. Ora torna a lavoro, basta romanticherie per oggi.
-ti amo.
-anche io, ma ho detto basta romanticherie.
Antonio ridacchiò, tornando al suo lavoro -sì... come vuoi.


 

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Capitolo 22
*** Ma chi ti vuole ***


Arthur inspirò profondamente mentre il suo amante gli allacciava l'armatura intorno al busto con attenzione, cercando di fare del suo meglio per proteggerlo.
-sei nervoso- stabilì Francis, e non era una domanda. Arthur gli passò una mano tra i capelli distrattamente, per controllare inconsciamente che quello fosse ancora con lui. Una chioma morbida, boccolosa e ben curata rispose alla sua domanda con un secco e deciso "sì".
-stiamo per andare in battaglia. Certo che sono nervoso.
Ancora una volta, Francis non ebbe bisogno che lui dicesse la verità per capirla.
-so che vorresti che io non vada- mormorò -ma le mie truppe rispondono solo a me. E soprattutto, voglio restare al tuo fianco nel modo migliore possibile.
-lo so. Non voglio impedirtelo, ma sono comunque preoccupato.
Francis si rialzò da terra e gli stampò un bacio, così delicatamente che fu come un soffio di vento sulle labbra schiuse del giovane re.
-anche io lo sono, cosa credi?- gli accarezzò il viso, scostandogli i capelli dalla fronte con gentilezza -ma mi fido di te. La tua forza è la mia, e la mia forza è la tua.
Arthur abbozzò un sorriso, lo attirò a sé afferrandolo per l'armatura e lo baciò, più rudemente di quanto l'altro avesse fatto prima, infilandogli una mano tra i capelli per trattenerlo a sé più a lungo. Francis lo lasciò fare, quel giorno più mansueto del solito, limitandosi a posargli una mano sulla guancia, se per abbozzare una protesta, tenerlo a sé o semplice abitudine, Arthur non lo sapeva e non gli interessava. La lingua di Francis si muoveva placida contro la sua, forse in un blando tentativo di far durare di più il bacio per averne un ricordo più definito, o banalmente per semplice stanchezza o desiderio di qualche coccola. Arthur invece era nervoso, e tali erano i suoi movimenti. Nervoso era il modo in cui accarezzava le ciocche bionde del compagno, quasi tirandole; nervose erano le sue labbra, schiuse all'istante alla ricerca di un po' di pace; nervosi erano i movimenti della sua lingua, frenetica mentre cercava di distrarsi per non pensare alla battaglia imminente.
Fu Francis a staccarsi, sempre con calma, prima socchiudendo le labbra e poi allontanandosi definitivamente dall'amante con un leggero schiocco, e tuttavia non si scostò dal suo abbraccio, limitandosi a scollegare le bocche.
-mon amour- sussurrò, sfiorandogli la guancia con un dito. Istantaneamente Arthur rilassò i muscoli, che neanche si era accorto di aver contratto -calmati, mh? Non farà bene a nessuno se tu andrai in battaglia così teso. Questo- gli sfiorò i capelli, riferendosi alla testa sottostante e all'ancora più sottostante cervello -deve lavorare bene, e per farlo deve essere rilassato- gli prese le mani, stringendole e accarezzandogli i polsi per rassicurarlo -guardami negli occhi. Non andrà tutto alla perfezione, per forza qualcosa andrà storto, ma tu sei intelligente e so che potrai rimediare. Quindi ora fidati di me e abbi fiducia in te stesso, chiaro?
Arthur gli sorrise leggermente -cristallino.
-bene. Adesso fatti sistemare l'armatura e andiamo, non vorrai arrivare tardi alla tua stessa guerra- lasciò vagare le mani lungo il pettorale dell'armatura, fino a una cinghia allentata che si affrettò a sistemare.
Arthur gli accarezzò il retro del collo, dolcemente -pensavo che arrivare tardi fosse degno delle migliori dive.
-ma non dei generali. Dipende tutto dal contesto, chenille, pensavo l'avessi capito ormai.
Arthur sorrise leggermente -giusto.
-direi che sei a posto- Francis si staccò da lui, recuperando una distanza accettabile socialmente -andiamo.
-sì- Arthur si avviò alla porta, ma esitò sulla porta e si girò nuovamente verso Francis -io ti a...
-fermo, non dirlo. La fai sembrare come se questa fosse l'ultima volta che ci vediamo, e non sarà così. In tenda o all'Inferno, noi ci stringeremo ancora.
Arthur gli prese la mano -volevo solo augurarti buona fortuna.
Francis finse di crederci -anche a te allora.

Ludwig correva più velocemente che mai, nella testa solo imprecazioni e casa sua in mente.
Come potete immaginare, aveva perso. Solo com'era contro i due eserciti più grandi del regno, cosa altro poteva succedere?
Lo avevano attaccato a sorpresa, i bastardi, prima che riuscisse a trovare un altro alleato a cui aggrapparsi. E così, ora correva, tornava indietro, al posto dove era nato e cresciuto, sperando, pregando, che suo fratello non ce l'avesse tanto con lui da riconsegnarlo al nemico.
Dalle torri nemiche, torri di un vecchio castello dei Bonnefoy dal quale avevano attaccato l'esercito del Nord, Arthur stava per scoccare una freccia dritta verso il nemico, ma Francis gli bloccò la mano.
-lascialo andare- spiegò così il suo gesto, con una richiesta assurda.
-perché?
Francis abbozzò un sorriso -è solo un ragazzino, non ne vale la pena. E Gilbert non mi perdonerebbe se ti lasciassi fare.
Arthur inarcò un sopracciglio -Gilbert?
-suo fratello.
-sì, lo so chi è, ma che c'entra?
Francis alzò le spalle -è il mio migliore amico.
-e quindi? Mi ha dichiarato guerra.
-anche io l'ho fatto, ti ricordo- gli stampò un bacio sulla guancia, tanto erano soli -però sei carino quando sei geloso.
-non sono geloso.
-oh, sì che lo sei. Ma è solo un amico, tranquillo. E non gli piacciono gli uomini.
-mah.
Mentre questo allegro siparietto aveva luogo, Ludwig aveva raggiunto il bosco, dove gli alberi lo avrebbero protetto dalla vista di altri arcieri. Gli altri sopravvissuti, ormai, erano stati catturati o finiti con le frecce.

Grazie al cielo riuscì a rubare un cavallo e del cibo poco dopo la sua fuga. Tre giorni dopo era di nuovo a casa.
Non sapeva come il fratello lo avrebbe accolto, ma sperava che non se la fosse presa. Era pronto a scusarsi, ovviamente. D'altronde per sopravvivere gli esseri umani sono disposti a mandare all'aria cose ben più grandi dell'orgoglio.
Si coprì il capo con un mantello ed entrò nel cortile del palazzo, sperando che nessuno lo riconoscesse, visto che sicuramente lì ci sarebbero state spie del nemico o direttamente soldati incaricati di ucciderlo. Mentre si stava chiedendo come entrare a palazzo e cercare suo fratello senza farsi notare, si ricordò che ogni pomeriggio quello aveva l'abitudine di andare nel parco degli alberi degli dei a pensare. Forse le cose erano cambiate, ma tanto valeva provare, tanto lì non ci andava mai nessuno.
Quando vide una figura bianca, tanto bianca da confondersi con i residui di neve intorno, seduta ai piedi di uno degli alberi a lucidare la propria spada, per poco non scoppiò a piangere. Gilbert sollevò lo sguardo e lo scrutò per qualche secondo, forse chiedendosi chi fosse. Ludwig aveva paura della sua reazione, aveva paura di aver perso anche lui, ma si tolse ugualmente il cappuccio per scoprire il volto.
Gilbert, però, sembrò soltanto sollevato.  Gli corse incontro e lo abbracciò, stringendolo forte.
-sei vivo!- si allontanò da lui e gli scrutò attentamente il viso, il collo, quel che si riusciva a intravedere dai vestiti -stai bene? Sei ferito? Hai mangiato?
Ludwig non riuscì a resistere: vittima del sollievo e della nostalgia, finalmente si concesse di scoppiare a piangere, stringendo convulsamente il fratello a sé.
-ehi...- mormorò Gilbert, accarezzandogli la schiena, piano -non preoccuparti, troveremo una soluzione.
-sc-scusa... i-io non... non volevo...
-lo so, tranquillo- gli diede qualche patta sulle spalle -adesso ti faccio entrare a palazzo e vediamo cosa fare.

-ho già un'idea in mente- confessò Gilbert, sedendosi sul suo letto -non puoi restare qui, è troppo pericoloso. Il re ha messo una taglia sulla tua testa e questo è il primo posto dove verrà a cercarti. È questione di giorni prima che venga qui.
-posso nascondermi.
-non voglio farti vivere il resto della vita nascosto sotto il letto. Però ho già un piano.
-ovvero?
-Antonio ora vive a Qarth. Si è offerto di ospitarti. Puoi rifarti una vita lì, è una città molto popolosa, trovarti sarà difficile, ed essendo un regno a parte dubito che daranno l'autorizzazione a Kirkland di cercarti e fare quello che gli pare.
Ludwig inarcò un sopracciglio. Per mettersi in contatto con Antonio e ricevere la risposta, ci sarebbe voluto almeno un paio di settimane. Gilbert aveva dovuto iniziare a organizzarsi non appena arrivato a Grande Inverno. Sapere che il fratello si fosse preoccupato di lui gli scaldò il cuore.
-non fare quella faccia, verrò a trovarti!- Gilbert sorrise -appena Eliza e il bambino potranno sopportare il viaggio, verremo subito a fartelo conoscere.
-oh giusto, il bambino. Come sta Eliza?
Il sorriso di Gilbert si ampliò ancora -bene. Le è già cresciuta un po' di pancia! È molto volubile, ma è normale.
-falle i miei auguri.
-tra due giorni c'è una nave che parte per Qarth- continuò Gilbert -ti imbarcherai, Antonio verrà a prenderti, gli ho chiesto di tenere d'occhio le navi che arrivavano. Intanto resta qui, appena si sveglia ti faccio vedere Eliza.
Ludwig sforzò un sorriso -sono felice per te, Gilbert. Davvero.
-e Feli? Dov'è?
Ludwig sentì improvvisamente freddo -se n'è andato- aveva la voce stranamente calma, come se stesse raccontando qualcosa che non lo riguardava -abbiamo litigato ed è scappato. Non so dove sia finito.
Gilbert gli strinse la mano -vedrai che andrà tutto per il meglio. E se non torna, peggio per lui, si è perso un gran bel maschione nordico.
Ludwig appoggiò la testa sulla sua spalla, divertito -grazie di... di tutto.
-sei il mio fratellino, non devi ringraziami.
-scusa.
-figurati- gli diede qualche pacca sulla spalla -non mi diventare sdolcinato ora eh!

Lovino era sdraiato sul giaciglio dove dormiva suo fratello con lui, entrambi sottoforma di lupi. Strofinò il muso con quello del fratellino e gli leccò la testolina. Feliciano scodinzolò leggermente, tornando poi nel solito stato depresso.
Lovino annusò l'aria e sentì i passi di Antonio avvicinarsi, ma c'era qualcun altro con lui, qualcuno di famigliare. Feliciano si mise seduto di scatto e si ritrasformò in umano, guardando il fratello con il terrore negli occhi. Lovino si ritrasformò a sua volta e si rivestì, lanciando una tunica in faccia al fratello per invitarlo cordialmente a fare lo stesso, con un sospetto su chi potesse essere il misterioso accompagnatore.
-se è chi penso che sia- ringhiò, legandosi i capelli troppo lunghi in un piccolo codino, ancora non aveva trovato la voglia di tagliarseli -gli strappo la faccia a morsi.
Feliciano gli strinse la mano -no, fratellone. Facci parlare prima.
-col cazzo.
-per favore...
E intanto erano arrivati. Antonio stava giusto infilando la chiave nella serratura.
-la casa non è grandissima, ma puoi restare qui tutto il tempo di cui avrai bisogno.
-ti ringrazio.
Feliciano riconobbe la voce ed ebbe un brivido. Afferrò per un braccio suo fratello, che stava già partendo con l'intenzione di sbranare il loro ospite.
-aspetta- sussurrò -lasciaci parlare un attimo.
-se ti sfiora, è un uomo morto- chiarì Lovino, uscendo dalla stanza per andare da loro. Ludwig lo riconobbe e sgranò gli occhi, ma non ebbe il tempo di commentare perché anche Feliciano uscì allo scoperto. Il ragazzino gli rivolse un sorriso imbarazzato -ciao...
Ludwig non disse nulla. Si limitò a scrutarlo, cercando disperatamente di capire.
Avete presente quei silenzi imbarazzanti? Quelli che sono talmente densi e tesi da poter essere tagliati con il coltello?
Ecco.
Quel silenzio era anche peggio.
Fu Antonio il primo a parlare. Afferrò suo marito per un braccio e andò verso un'altra stanza -bene! Noi vi lasciamo soli qualche minuto, così potete chiarir...
-col cazzo!- Lovino si liberò con uno strattone dalla sua presa -io di qui non mi muovo. Se prova a fare del male a Feli, devo essere qui per ucciderlo.
-non gli farà del male. Vero, Ludwig?
Quello annuì, senza staccare gli occhi di dosso al ragazzo in questione.
-non mi fido.
Antonio riprovò ad andarsene con il compagno al seguito, ma quello era irremovibile. Allora sospirò e ricorse a metodi più estremi: lo prese in braccio, a mo' di sacco di patate, e, ignorando le sue urla di protesta, si chiuse in un'altra stanza. Lovino risbucò dalla porta -ao, crucco demmerda, sia chiaro, io sento tutto e vedo tutto. Ci metto un secondo a staccarti la faccia a morsi, e non solo quel...- e Antonio richiuse la porta, interrompendo il suo sproloquio.
Ancora nessuno dei due aveva trovato il coraggio di parlare.
Feliciano, per quanto ci provasse, non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi azzurri -sono un mutaforma- sputò fuori. Ludwig sgranò gli occhi.
-cosa?
-sono un mutaforma- ripeté.
Ludwig rimase in silenzio per qualche secondo. Poi, rise.
-mi aspettavo qualsiasi scusa, qualsiasi, ma una stronzata del genere no.
-non è una stronzata.
-pensi davvero che ci creda? Che sia così idiota da credere che la magia esista e tu possa cambiare forma? L'ho visto il tuo corpo, cazzo, e anche spesso, e sono piuttosto sicuro che non cambi.
-ma...
-mi credi così stupido? Io me ne vado. Quando avrai intenzione di parlarmi come una persona adulta vienimi a cercare- si girò verso la porta e fece per uscire, ma un lupo, un lupo, gli sbarrò la strada e lo guardò. Quel lupo aveva gli stessi occhi di Feliciano, il pelo dello stesso colore dei capelli di Feliciano, pure la tunica, che si era strappata ma non tanto da togliersi del tutto, era la stessa che Feliciano indossava poco prima. Poi il lupo, lupo, animale, non umano, si ritrasformò in Feliciano, che ora lo guardava, inginocchiato a terra, la tunica strappata scivolata di lato a lasciare scoperta una spalla. Ludwig, malgrado tutto, ebbe la fortissima tentazione di mordere quella pelle scoperta, affogarci il viso e non pensare più a niente.
-ora mi credi?- si sistemò la tunica, che però gli scivolò dall'altra parte.
-i-io...- era logicamente confuso, capitelo -qui... quindi anche Venezia e... e Roma sono...
-no, loro sono solo lupe- il ragazzino si stava tormentando le mani, nervoso -io e mio fratello...
-perché non me l'hai detto?- lo interruppe, arretrando quando quello gli si avvicinò.
-non lo sapevamo neanche noi. Quando Kirkland ha rapito Lovi, dopo il ballo, lui è... si è ritrasformato. Qualche giorno prima che- non sapeva come dirlo -che litigassimo, quando sono andato a Roma, Lovino è venuto a cercarmi e mi ha detto quel che sapeva.
-e non me ne hai parlato.
-non sapevo se anch'io ne fossi capace e avevi altro a cui pensare.
Ludwig voleva piangere. Davvero Feliciano pensava che per lui ci fosse qualcosa di più importante? Che la guerra contasse più di lui? Faceva davvero così schifo a dimostrare quel che provava?
Basta pensarci, ormai non importava più.
-quindi che è successo? C'era la luna piena e sei corso a unirti al branco?
Feliciano ridacchiò. Un suono strano in quel frangente.
-non fare lo sciocco. Sono un mutaforma, non un licantropo!
-oh be'. Allora scusa.
-comunque...- si incupì -mi hai fatto paura, Ludwig. Ho avuto paura di te e sono scappato. Ti rendi conto di cosa significa, avere paura della persona che ami? Sei consapevole di aver oltrepassato il limite, sì?
Ludwig rise. Semplicemente, rise -pensavo ci... ci fosse qualche motivo complesso, qualcosa di superiore che non riuscivo a cogliere che ti avesse spinto ad andartene. Invece avevi semplicemente paura!
Feliciano sostenne il suo sguardo, questa volta -se la paura che provavo è arrivata a coprire l'amore che provo per te, forse dovresti farti due domande.
-non venirmi a dire che mi amavi. Se mi avessi amato, saresti rimasto al mio fianco. Chi ama, non abbandona.
-chi ama fa ciò che è meglio per l'altro, anche se ciò lo fa soffrire.
-quindi farmi perdere tutto era il meglio?!
-meglio che impazzire e finire pugnalato alle spalle? Sì!
-POTREI ESSERE SUL TRONO ADESSO.
-MA A QUALE PREZZO?
Ludwig inspirò profondamente, cercando di calmarsi. Non voleva essere sbranato da un lupo, e non si riferiva a Feliciano -me ne vado. Devo... devo schiarirmi le idee.
Feliciano non disse nulla. Tornò lupo e uscì dalla stanza, rifugiandosi nella tana delle due lupette a cui tanto voleva bene.
Ludwig, rimasto solo, cercò di darsi una calmata. Che doveva fare?
Forse Antonio poteva dargli un consiglio. Andò a cercarlo.
Lo trovò nella stanza dove era sparito con Lovino. E a proposito, quest'ultimo era appiccicato al muro, aggrappato alla maglia del marito, mentre questo lo baciava e teneva le mani in posti che Ludwig per fortuna non riusciva a vedere dalla sua posizione. Tossicchiò.
Antonio, a onor del vero, non sembrò affatto imbarazzato, a differenza di Lovino che, per lo spavento, si trasformò in lupo e scappò via, non prima di aver morso la caviglia al biondo mentre usciva.
Ludwig cercò di non mostrarsi dolorante mentre controllava il punto ferito. Per fortuna, niente sangue -ho... interrotto qualcosa?
Antonio scrollò le spalle -nah, ci rifaremo dopo. Era l'unico modo per impedirgli di andare a staccarti la testa quando avete iniziato a urlare, sai com'è Lovi...- capì che forse era meglio cambiare argomento -cosa posso fare per te?
-uhm, io...- si sentiva sempre più stupido -possiamo parlare un secondo? Fuori da qui magari...
Antonio annuì -meglio. Conoscendo Lovino, starà origliando di sicuro.
In risposta, dalla stanza accanto si sentì un "FATTI I CAZZI TUOI" urlato a gran voce. Il moro ridacchiò.
-sai, mantengono l'udito e l'olfatto super sviluppati anche da umani, anche se un po' a sprazzi. Il che può essere fastidioso, a volte.
Lovino, rosso come un pomodoro, sbucò dalla porta brandendo una pantofola -se non ti va bene, bastardo, quella è la porta!
Antonio rise -te amo.
-vaffanculo. Torno da Feli- incenerì con lo sguardo Ludwig e uscì.
-come fai a... a sopportare tutto questo?
Antonio gli rivolse un sorriso comprensivo, forse un po' triste -usciamo a camminare, ti va? Una passeggiata è miracolosa per sbollire la rabbia.

-dici che ci sentono?
Antonio scrollò le spalle, guardando la neve che iniziava a posarsi sulle strade. L'inverno era ormai arrivato. Quando Feli se n'era andato, rifletté Ludwig, era inizio ottobre.
-no. Hanno un udito sviluppato, non i superpoteri. Siamo abbastanza lontani- si avvolse meglio nel giaccone e rimase in silenzio, aspettando la sua risposta. Vedendo che non arrivava, lo aiutò a iniziare -mi hai chiesto come faccio a sopportare tutto questo. A cosa ti riferisci? Al fatto che mio marito sia per metà lupo, che sia tornato dopo essere scappato, o a qualche cos'altro?
Ludwig scrollò le spalle. Gli piaceva il freddo, lo aiutava a schiarirsi le idee e gli ricordava casa -entrambe le cose, credo.
-oh be', la cosa del lupo è facile. Sono più loro ad avere difficoltà, sai? I peli in giro sono fastidiosi, ma ero già abituato a Roma e Venezia, quindi non è un grande problema- nascose il viso nella sciarpa, lui invece odiava il freddo, anche se la neve era bella, e guardare Lovino giocarci era uno spettacolo unico -Lovi ha tanti problemi ultimamente. Ha vissuto a lungo come lupo e...- scosse la testa -è la sua forma naturale, in realtà, quindi riadattarsi alla vita umana è difficile, ma ce la sta facendo. Feli invece non sta avendo molti problemi, è solo un po' triste per... lo sai. A proposito, Lovi non pensava davvero che tu stessi per fare del male a Feli, lo sai, vero? Se lo avesse pensato, non sarebbero bastati tutti i baci del mondo a trattenerlo. Ha solo paura che tu ferisca Feli emotivamente, capisci? Ma gli passerà, se non gli darai motivo di pensare il contrario.
-come hai fatto a perdonare Lovino?
Antonio sollevò lo sguardo verso il cielo, pensieroso -perdonare dici? Credo sia la parola sbagliata. Perdonare presuppone che io fossi arrabbiato con lui.
-e non lo eri?
-no- Antonio sospirò -Ludwig, hai mai avuto paura che Feli fosse morto?
-no. Cioé, era una possibilità, ma...
-non ne avevi le prove- concluse l'altro -e quindi ti dicevi che no, non era possibile, da qualche parte doveva essere. Ecco, io invece le prove le avevo. Ero certo che Lovino fosse morto, e ti assicuro che è la sensazione più brutta del mondo. Prova a immaginare di non vedere mai più il sorriso di Feliciano, i suoi occhi, di non sentire più il suo profumo, la sua risata, il suo tocco, di non fare più l'amore con lui. Riesci a immaginarlo? È una cosa orribile, ti auguro di non sperimentarlo mai. Come potevo arrabbiarmi con Lovino? Quando ho saputo che era vivo, non ho potuto fare altro che essere felice, più felice che mai. Ero arrabbiato, sì, ma con me stesso, perché se aveva scelto di non tornare era per colpa mia- gli diede una pacca sulla spalla -non posso decidere né per te, né per Feliciano, e capisco che trovare la forza di perdonarlo non sia semplice, ma ti consiglio di pensarci molto, molto bene. Perdere per sempre la persona che ami...- si incupì -non è una cosa facile da gestire.
-lo so.
-no, non lo sai. Non avevi la certezza di non rivedere mai più Feliciano. Così la avresti. Il dubbio e la certezza sono completamente diversi.
-preferisco essere sicuro di qualcosa.
Antonio scollò le spalle -se lo dici tu. Se non hai altro da chiedermi, ti lascio solo per un po', così puoi riflettere con calma. Torna a casa quando vuoi e non sentirti in dovere di decidere subito cosa fare, ci parlo io con Lovino, non preoccuparti.
Ludwig annuì -grazie.
Antonio sorrise -figurati. Dovevo un favore a Gilbert, d'altronde. A più tardi.

Ludwig rientrò a tarda sera, saltando anche la cena. Al suo ingresso, Feliciano non si alzò dal suo giaciglio, si limitò a sollevare lo sguardo su di lui con le sopracciglia leggermente aggrottate.
-possiamo parlare?- esordì il biondo, imbarazzato. Feliciano scrollò le spalle.
-parliamo.
-uhm... magari in privato...
-col cazzo- lo interruppe Lovino.
E sia, brontolò mentalmente il biondo, sedendosi vicino al suo... ex? Ragazzo? Boh. Decise di essere breve.
-allora... ci ho pensato, a lungo, e...- inspirò, ed espirando tirò fuori -non so se... se le cose potranno tornare come prima, però possiamo riprovarci.
-chi ti dice che lui voglia riprovarci?- replicò Lovino, intromettendosi.
-fratellone...
-un cazzo, Feli. Lui non c'era, ma per colpa sua sei stato una merda. Non ti vedevo così da quando sono morti il nonno e mamma, e che cazzo. Non ho potuto impedire che soffrissi quella volta, né questa, ma se posso impedirne una terza, stai pure tranquillo che lo farò, per quanto possa piacerti 'sto stronzo platinato.
Feliciano rivolse al fratello un sorriso e lo abbracciò, forte.
-Lovi... lo so che vuoi proteggermi, ma non puoi farlo per sempre. Devi lasciarmi crescere, e soffrire fa parte di quel percorso.
-l'ho già fatto- brontolò Lovino contro la sua spalla -ti ho lasciato solo per qualche settimana e guarda che cazzo è successo.
-ma questa volta ci sei tu al mio fianco!- gli sorrise -non ho detto che devi andartene, solo... lasciarmi decidere da solo cosa è giusto e cosa no. E poi- sfoderò un sorriso affilato quanto i suoi denti da lupo -non sono inerme, non più. Lud non farà più il cattivo, vero? O potrebbe svegliarsi con qualche parte mancante.
Il ragazzo interpellato si affrettò ad annuire.
-visto?
Lovino sospirò, imbronciato -poi non venire a piangere da me.
-quello lo farò sempre, mammina.
Il coppino che ricevette fu meritato.
-mammina lo dici a qualcun altro, scimunito!
Antonio prese la mano a suo marito -li lasciamo da soli un secondo, che dici?
Lovino ghignò -solo se Feli promette che, se la patata platinata qui presente farà lo stronzo, gli mozzerà la minchia.
Feliciano ridacchiò -va bene, fratellone.
-mh. Stai attento e se dovesse metterti le mani addosso, sappi che conosco un ottimo posto dove nascondere i cadaveri- e con questa nota felice, si lasciò trascinare fuori da casa.
Ludwig non sapeva esattamente che dire, ma non ce ne fu bisogno. Feliciano lo raggiunse, gli prese il viso tra le mani (aveva le unghie lunghe ora, abbastanza da graffiare leggermente le guance del biondo) e lo baciò sulle labbra sottili, facendolo sentire nuovamente in pace.
Finalmente, si disse il biondo, sei di nuovo qui.
Ludwig aveva quel corpo mascolino, forte, possente, con quel profumo di pino e inverno che lo faceva sempre sentire al sicuro. A confronto, Feli era così piccolo, delicato, quasi femmineo oserei dire. Ma, si ricordò, sentendo il labbro inferiore venir morso del suo amante, piccolo non significa debole.
Feliciano gli sorrise, solare, come sempre -ora hai intenzione di farti perdonare o no? Pensi che bastino un paio di belle parole per riconquistarmi? No signore. Mi aspetto grandi gesta romantiche e cose così.
Ludwig sorrise, stringendolo tra le braccia -va bene...
Un secondo dopo gli arrivò uno schiaffo dritto dritto sulla guancia.
-sei stato uno stronzo, te ne rendi conto? Pensi che non abbia sentito quello che hai detto a Gilbert a cavallo?- Feliciano si allontanò da lui, indispettito -davvero pensavi che fossi d'accordo nel starmene lì, zitto e buono, a guardarti governare il mio regno e a farmi scopare a comando quando non eri occupato a tradirmi con la tua regina per produrre un erede a cui dare il mio regno?!
-non è quello che...
-oh sì, è quello che intendevi. Prima pensavo di essere obbligato a farmelo andare bene perché eri l'ultima persona che mi era rimasta, ma standoti lontano ho capito che non ho bisogno di te, o di altri, per farmi la mia vita. Mi va bene riprovarci, ma alle nostre condizioni, non solo alle tue. E le mie sono che voglio la mia indipendenza. Non ho intenzione di annullarmi di nuovo per qualcuno, né per te, né per nessun altro. Non sarò più inerte, non accetterò più tutto quello che decidi solo perché l'hai detto tu. Voglio stare con un uomo, non con un tiranno. Tutto chiaro?
Ludwig annuì -sì.
-se ti va bene bene, altrimenti ciao, buona fortuna per tutto, ognuno per la sua strada.
-mi... mi va bene. Mi va benissimo- annuì più volte, imbarazzato -ripensandoci, hai ragione tu. La nostra relazione non era molto... sana e forse ci sono tante cose da cambiare, ma non... non voglio perderti, né tanto meno distruggerti. Non è una giustificazione, ma ero così concentrato sulla guerra da... hai capito.
Feliciano sorrise, sembrava soddisfatto -bene. Allora ricominciamo, ti va? Come se ci fossimo appena conosciuti.
Ludwig annuì. In fondo, c'erano già passati. Si erano conosciuti per la prima volta da bambini, innocenti, puri, lontani da tutto lo schifo del mondo nonostante ne fossero circondati; una seconda volta pochi mesi prima, e quella stessa merda, una guerra da loro stessi voluta, aveva distrutto tutto un'altra volta. E ora c'era questo nuovo inizio, l'ennesimo.
Be', dicono che la terza volta sia quella buona.
Feliciano gli tese la mano, sorridendo.
-piacere allora, Feliciano Vargas.

 

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Capitolo 23
*** È stata una bella avventura ***


Lovino sta cercando nel suo armadio qualcosa da mettersi da almeno un'ora, e ancora niente.
Perché tutta questa indecisione? Forse perché quel bastardo di suo marito non rimette mai a posto i suoi vestiti, e quindi sono mischiati ai suoi e non riesce a trovare qualcosa della sua taglia.
-lurido bastardo- brontola, con un labbro premuto tra i denti per trattenersi dall'urlare -questa me la paghi...
Roma, addormentata al suo fianco, brontola qualcosa nel sonno.
Il giovane si imbatte in un vecchio vestito, una tunica lasciata a prendere polvere in fondo al mobile. La osserva e lascia scorrere le dita lungo il pizzo e i ricami, ricordando la sensazione di quel tessuto morbido sulla sua pelle.
Antonio entra e lo trova così, con la sua veste nuziale premuta contro il corpo e lo sguardo perso. Lo raggiunge e gli prende una mano, cercando di attirare la sua attenzione.
Lovino lo guarda, ma ci mette qualche secondo a vederlo veramente, e allora Antonio posa le labbra sulla sua fronte, controllando che suo marito non abbia la febbre, ma non gli sembra, allora che c'è?
-cos'hai, piccolo?
-non chiamarmi piccolo- mormora distrattamente, più per abitudine che per reale risposta. Scuote la testa come un cane bagnato e sembra riprendersi un po'; la tunica argentata scivola di nuovo nel baule -stavo solo... pensando. Sono anni che siamo sposati, ti rendi conto? Sembra ieri...
Antonio gli stringe le mani e lo bacia, piano, cercando di farlo ritornare in sé.
-stai bene, amore?
Lovino annuisce, ancora con lo sguardo un po' perso, e lo abbraccia, il viso nascosto nel suo petto. Si lascia stringere, piano, e allaccia le braccia intorno alla vita di suo marito per non farlo allontanare.
-vuoi che dica agli altri di tornare domani?
-no- scuote la testa e si allontana da lui, sorridendo leggermente -sto... sto bene. Mi sono solo perso un attimo nei ricordi. Sto bene.
-sicuro?
-sicuro. Piuttosto, hai apparecchiato la tavola?
Antonio sorride leggermente -sì signore.
-hai spento il fuoco?
-sì signore.
-sistemato le pentole sporche?
-signorsì.
-bravo.
-mi merito una ricompensa?
-no.
-su... dame un beso- lo fa girare, baciandolo. Sorride -te amo.
-mh. Ora lasciami, devo vestirmi.
-va bene- lo bacia ancora, rapidamente, a stampo -vado a controllare se stiano arrivando.
-vai vai- rimasto solo, Lovino torna a prepararsi. Sceglie una tunica bianca, molto semplice, con una corda in vita a stringerla. Si fa un veloce bagno, si veste ed esce fuori, trovando suo marito seduto nel giardino sul retro della loro nuova casa, al tavolo che hanno sistemato per gli ospiti.
-tra quanto arrivano?- chiede, sedendosi in braccio al più grande. Ora che non c'è nessuno, può permettersi qualche sdolcinatezza. Antonio lo stringe senza esitare e non commenta il suo gesto, ha imparato tempo prima a godersi quel che arriva e basta.
-non lo so. Conoscendo tuo fratello, in ritardo.
Lovino alza gli occhi al cielo -vorrei dirti di no, ma hai ragione. Forse il crucco riesce a fargli muovere il culo.
-ho qualche dubbio a riguardo.
-l'altro crucco invece?
-oh, lui è abbastanza puntuale di solito, ma con il bambino...
-fantastico. Il primo che si lamenterà del cibo freddo, prenderà un calcio in culo così forte da rispedirlo a Westeros. Pure un ceffone se si tratta di Feli.
-ma perché mi odi tanto, fratellone?- interviene il diretto interessato, entrando nel cortile dal cancello, seguito da Venezia, che subito corre in casa dalla sorella.
-perché sei una testa di cazzo- risponde quello, alzandosi in piedi e andandogli incontro.
-però sono puntuale.
-ti ha trascinato di peso il crucco scommetto.
-questo è irrilevante- gli porge un pacchetto -Lud ha fatto un dolce!
-ma che carino- commenta, sarcastico, prendendo il pacchetto e dirigendosi in cucina -gli altri?
-più indietro. Il bambino si intestardito che vuole camminare da solo e ci stanno mettendo il triplo.
-che si sbrighino, voglio vedere la creatura.
Feliciano segue il fratello in cucina -cos'hai cucinato di buono?
-non ti faccio assaggiare niente, è inutile che ci provi- sistema il dolce in uno spazietto libero e controlla le varie pietanze con lo sguardo.
-dai, fratellone, solo un pezzettino...
Prontamente Lovino afferra il mestolo in legno e lo punta contro il fratellino -giù le mani. Fila fuori, zitto e buono.
-che palle che sei.
-ho detto fuori!

-Gilbert!
-Antonio!- i due amici si abbracciano, ridendo.
-mi dispiace interrompere questo esempio di idillio virile- commenta Eliza -ma siete sulla porta e io vorrei passare.
-scusa liebe- l'albino si scosta, lasciando passare sua moglie e suo figlio di quattro anni. Il piccolo si guarda intorno, per mano alla madre, affascinato da quelle persone che non conosce, ma di cui ha sentito tanto parlare dai genitori. Zio Ludwig e zio Feli già si sono rivelati interessanti, adesso è curioso di conoscere anche zio Antonio e zio Lovino.
Antonio si inginocchia per essere alla sua altezza e gli sorride -ciao piccolo! Come ti chiami?
-Friedrich.
-io sono Antonio.
-lo so. Papà parla sempre di te e di zio Francis.
Antonio ride -è un onore.
Un urlo giunge dalla cucina. Antonio si alza -mi vogliono in cucina. Torno subito, voi intanto sedetevi, fate come se foste a casa vostra- e scappa dentro.
Feliciano ride -Lovi è sempre il solito.
-ti ho sentito, ingrato d'un fratello- commenta quello uscendo e guardandosi intorno -mi sono fatto dare il cambio per vedere il...- vede il piccolo Friedrich e sorride -ma ciao. Finalmente ci conosciamo.
Ora. C'è una cosa che pochi sanno, ovvero quanto Lovino sia bravo con i bambini. In pochi minuti monopolizza completamente l'attenzione del piccolo Friedrich, che vorrà sedersi accanto a lui a tavola, raccontandogli una storia.
-e quindi che fece il piccolo lupo?- domanda il bambino, con gli occhi luminosi. Lovino sorride.
-il piccolo lupo tornò a casa, dalla sua famiglia.
-ma... ma il regno! E l'eredità di suo nonno! Ha rinunciato a tutto! Perché?
Lovino punta lo sguardo sull'uomo seduto davanti a lui. Antonio gli stringe la mano dall'altra parte del tavolo -non era quella la cosa più importante. Preferiresti essere potente e ricco, ma solo, o avere una vita normale ed essere felice con chi ami?
Il bambino ci pensa su.
-basta storie per ora. Mangia, prima che si freddi- interviene Eliza, rimproverando il figlio, che la guarda imbronciato prima di prendere la forchetta e obbedire a quanto detto.
Gilbert sbuffa -ma era una storia interessante...
-quel che ho detto vale anche per te.
-sissignora.
Una testolina riccioluta fa capolino dalla recinzione intorno al giardino -Lovi? Sei qui?
-Mia! Arrivo- l'uomo scatta subito, e in breve è fuori dal giardino, a parlare con qualcuno di troppo basso per essere completamente visibile. Ludwig e Feliciano si scambiano un'occhiata d'intesa -è successo qualcosa?
-ti ho riportato quel libro che...
Gilbert guarda prima il fratello, poi il cognato e poi l'amico.
-bene, cosa dovete dirci?
-niente- mente Antonio.
-sto per diventare zio. Di nuovo- replica Feliciano.
Eliza guarda Lovino, che parla con la bambina sorridendo. Sì, riconosce quel tipo di sorriso, decisamente. È lo stesso che ha Gilbert quando guarda suo figlio -chi è quella bambina?
-la nipote del capo bibliotecario dove lavora Lovino- replica Antonio, stanco -solo che quel tizio è vecchissimo, quindi praticamente la stiamo crescendo noi.
-appunto. Quindi io sono lo zio- si pavoneggia Feliciano. Antonio però lo guarda male.
-non possiamo adottarla finché suo nonno è vivo, e lei continua a vivere con lui. Lovi ci sta male, quindi per favore, non tirate fuori l'argomento.
Eliza sorride comprensiva -certo- lei impazzirebbe a non poter dormire sotto lo stesso tetto del suo bambino, quindi capisce perfettamente.
Feliciano si appoggia alla spalla del suo fidanzato, che, per altro, è completamente perso per il nipotino, e ride -be', che dire? A quanto pare gli unici senza marmocchi tra i piedi siamo noi, amore.
Ludwig scrolla le spalle -chissà. Forse un giorno.
-kesesesesese, se divento zio, devo essere il primo a saperlo!
-ja, ja.
Friedrich scuote la manica di suo padre -vati?
-dimmi.
-quindi quella bambina è mia cugina?
Gilbert esita, guardando Antonio per chiedergli con lo sguardo cosa dire. Quello scrolla le spalle.
-una... cugina non ufficiale.
Friedrich stranamente sembra capire, perché annuisce e torna a mangiare. Gli piacciono le definizioni, rendono più semplice e comprensibile il mondo.
Lovino torna poco dopo, con un libro tra le braccia e la bambina, che avrà intorno agli otto, nove anni, per mano -Antò, vai a prendere un'altra sedia, io porto dentro il libro e prendo le posate. Abbiamo un'altra ospite.
-il cibo basterà?- chiede Gilbert. Domanda stupida.
-fidati- lo tranquillizza Feliciano -basterà. Basterebbe per l'intero quartiere probabilmente.
Antonio si alza e abbraccia la bambina, sollevandola da terra per farla ridere.
-vado a prendere il trono per la principessa.
Mia ride -non sono una principessa!
-corro, mi reina- la posa a terra e torna dentro casa. Eliza porge la mano alla bambina.
-mi chiamo Eliza. È bello non essere l'unica femmina, finalmente.
Mia, imbarazzata, le stringe la mano -sono Mia.
-è un piacere, Mia.
Lovino torna e sistema il piatto in più nel posto libero, che guarda caso è accanto al suo. Come se si fosse aspettato l'arrivo della sua bambina, perché dicano quel che gli pare, ma Mia è la sua bambina, e avesse sistemato i posti di conseguenza.
Feli sorride e si alza per abbracciare la nipotina -ma ciao! Quanto sei diventata alta!
Mia sogghigna -magari tra poco sarò più alta di te.
-più di Lovi sicuro.
Il diretto interessato sgancia un bel coppino al fratello -zitto e buono tu, sei più alto solo di un centimetro.
Feliciano ammicca -ma un centimetro può fare la differenza, Lovi, dovresti saperlo.
Altro coppino.
-non fare queste battute davanti alle creature!
Antonio torna -il trono per la principessa!- annuncia, sistemando la sedia. Mia lo ringrazia con un sorriso e si siede, mentre Lovino non esita nel versarle una porzione generosa di pasta.
-magna, che devi crescere abbastanza da sputare in testa a quel disgraziato di mio fratello.
-ma Lovi!
-zitto e torna dal crucco.

-Lovi?
-mh?
-per quanto riguarda Mia...- e così cattura immediatamente la sua attenzione. Lovino, che si stava per addormentare tra le braccia di suo marito come ogni sera, si risveglia all'improvviso e si mette seduto, facendo cadere le lenzuola dal suo corpo nudo.
-cosa?
-l'altro giorno è venuto suo nonno a parlarmi.
-è venuto fin qui?
-no, sono andato io in biblioteca a cercarti e mi ha parlato.
-che ha detto?
-che si rende conto di non essere in grado di crescere sua nipote al meglio per via dell'età e di essere alla fine del suoi giorni. Non vuole che Mia finisca in orfanotrofio o cose simili, quindi...- sorride, accarezzando la guancia al suo amore -mi ha chiesto se vogliamo prendercene cura noi. In via definitiva.
Le dita di Antonio si inumidiscono. Qualcosa, una lacrima o due, c'è finita sopra.
-d-davvero?
Antonio annuisce -ha detto che vuole vederla comunque, ma non penso sia un problema, no?
-no, certo che no!- sorride, spontaneo, abbracciando forte Antonio. Poi si risolleva -perché hai aspettato tanto a dirmelo?
-non volevo illuderti- gli scosta una ciocca di capelli dal viso -ma ne abbiamo discusso e mi sono informato sulle procedure per l'adozione. Ha già firmato, manca solo la tua firma e... be', Mia è nostra figlia.
-miei dei!- lo abbraccia, forte, piangendo di gioia. Tira su con il naso -Mia lo sa già?
Antonio annuisce, asciugandogli le guance -sì, suo nonno gliene ha parlato ieri.
Lovino ride -quindi l'unico all'oscuro di tutto ero io.
-volevo farti una sorpresa- ammette lo spagnolo, con un sorrisino colpevole.
Lovino si stringe a lui, sorride, lo bacia -grazie. Ti amo.

Gilbert osserva suo figlio dormire nel lettino accanto e vorrebbe proprio avere un qualcosa che stampi dipinti istantanei, perché quella è una delle immagini più belle che abbia mai visto. Il bambino è sereno, sorride leggermente, gli occhi azzurri chiusi e i ricci castani a coprirgli la fronte.
-è crollato subito- mormora Eliza, accarezzandogli i capelli.
-dev'essere la stanchezza per il viaggio- scruta il viso del bambino, tremulo alla luce irregolare delle candele -non è abituato a stare con così tanta gente. Non gli farà male?
-non credo. Deve conoscere i posti e le persone, non possiamo farlo vivere per sempre nella nostra bolla.
-lo so, ma... ma non voglio che soffra.
Eliza sorride, dolcemente, e gli accarezza il viso, soffermandosi sulla bocca. L'uomo istintivamente chiude gli occhi -neanche io. Potessi allontanare da lui tutta l'infelicità e la cattiveria dal mondo lo farei senza pensarci due volte.
-già, anch'io.
-ma lui è nato dalla sofferenza, dalla guerra- sorride, quasi abbia fatto una battuta divertente -un piccolo raggio di luce nell'ombra.
-Lud già lo adora- commenta, nascondendo il viso tra i seni di sua moglie, coperti dalla veste da notte -avevo paura che...
Non conclude la frase. Neanche lui sa cosa lo spaventasse: aveva paura e basta.
Eliza gli accarezza i capelli bianchi come la neve -è maturato tanto, lo hai visto. Ormai è un uomo.
-al piccolo piace. Lo zio intendo. Gli sta simpatico- sospira -andarsene gli dispiacerà, e a noi toccherà spiegargli perché zio Ludwig non può venire a trovarci a casa.
-possiamo venire qui noi.
-suppongo di sì.
Silenzio. L'unico rumore il lieve russare del bambino, quasi impercettibile, tanto da poter essere scambiato per il respiro.
-a cosa pensi?
-forse Fran ci potrebbe mettere una buona parola, se glielo chiedessi- mormora Gilbert -per far rimuovere il bando a vita di Lud.
-non credo. Ora non decide più solo il re, e i vecchi senatori vedono di buon occhio le punizioni severe.
Gilbert sbuffa -non ha senso. Chi sbaglia non va solo punito. Se io chiudessi Fried in camera ogni volta che ruba un dolcetto senza spiegargli niente sul perché sia sbagliato, otterrei solo che lui stia più attento a non farsi beccare la volta dopo.
Eliza inizia a intrecciare i suoi capelli in treccine, divertita -ma tu lo aiuti sempre a rubare i dolci dalle cucine, non credere che non lo sappia.
-questo è irrilevante, il punto è un altro.
-lo so, ma che ci vuoi fare? Puoi provare a parlarne a Francis, ma penso che ti risponderebbe come ho fatto io.
Gilbert sospira -odio quando hai ragione.
-quindi sempre?
-e... e poi sono preoccupato per Lud. Dalle lettere mi dice sempre che va tutto bene, ma se mi mentisse? O se avesse bisogno di un consiglio? Con i tempi che ci sono, non riuscirei a dargli una mano prima di due settimane. E se gli succedesse qualcosa?
-c'è Feli con lui. E Antonio. E Lovino. E soprattutto, ormai è un uomo, sa badare a se stesso.
-ma io sono suo fratello.
-e ci sarai il più possibile per lui. Adesso goditelo finché siamo qui.
-mhmh- solleva il viso e sorride nell'ammirare quanto bella sia sua moglie -ti amo.
-oggi sei in vena di dire quel che pensi eh?- si china a baciarlo -anche io, idiota.

Francis osserva la capitale dall'alto del suo balcone, una vestaglia di seta rossa indosso e un bicchiere di vino in mano. Si gode il silenzio, la pace che dà osservare una città così laboriosa dall'alto, come un'ape regina che vola sopra il suo alveare.
-Francis? Hai preso tu la mia vestaglia?
Fine della pace, Arthur si è svegliato.
-oui.
Uno sbuffo dall'interno della stanza -non capisco questa tua passione nel rubarmi i vestiti. Dici sempre che sono orrendi e...
-ma questa te l'ho regalata io.
-la metti più tu di me.
-un regalo ha sempre più di un fine.
-stronzo.
-no Angleterre, non essere così romantico, mi imbarazzo!
-e tu torna dentro, non posso uscire nudo, un bastardo mi ha rubato la vestaglia e la tua puzza talmente tanto di profumo che se la metto svengo.
Francis simula un broncio mentre rientra in stanza e chiude la porta del balcone -pensavo ti piacesse la mia eau de toilette.
-non se te ne versi una bottiglia intera addosso- Arthur lo tira per la vestaglia per farlo sedere sul letto e lo bacia, piano, morbido contro la sua bocca e ancora assonnato. Quando si allontana lo guarda male -ora sei contento?
Francis gli sorride, beffardo -solo se me ne dai un altro.
-ruffiano.
-ho anche dei difetti.
-anche? Vuol dire che hai dei pregi?
-incredibilmente sì.
-strabiliante- Arthur si alza e va a vestirsi, e Francis si gode lo spettacolo in silenzio. Trova incredibilmente bello, non sensuale o arrapante, solo bello, il corpo di Arthur di prima mattina, le lentiggini sulle spalle, i segni delle lenzuola stropicciate sulla schiena, il segno di un morso sul sedere; le occhiaie sul viso, le labbra screpolate, i capelli privi di ordine. Quella scena, quegli istanti tra il sonno e la veglia, sono così autentici, così puri, così intimi che li trova anche migliori del sesso. Il sesso lo puoi fare con chiunque, ma da quante persone ti faresti vedere mezzo addormentato, scarmigliato e con gli occhi ancora gonfi di sonno senza vergognarti minimamente?
-hai finito di guardarmi il culo o vuoi che mi metta a novanta per farti vedere meglio?
-non sarebbe male, mon amour.
Arthur alza gli occhi al cielo -tra poco abbiamo una riunione in parlamento, quindi alzati, renditi presentabile e vai, io arrivo dopo.
-io che arrivo puntuale? Poco credibile.
-allora vado prima io, però sbrigati- Arthur aveva voluto essere migliore di suo padre, quando la guerra era finita. Lo vuole ancora, in realtà. E così aveva deciso di dare ai suoi cittadini la possibilità di fare pessime leggi per conto proprio. O, per dirla con le parole di Francis, democrazia.
Certo, lui aveva il potere sulle questioni di guerra e un posto fisso e di rilievo, ma il parlamento, eletto dalla parte più ricca della popolazione, ma ci stavano lavorando, prendeva parecchie decisioni importanti. E le cose stanno andando abbastanza bene.
-su cosa si discute oggi?
-una legge sulle navi da pesca.
-Dio che noia. Mi porterò qualcosa da fare.
-è bello vedere che prendi il tuo lavoro sul serio.
Francis gli sorride, malandrino, e gli stampa un bacio -se ti annoi, incrocia il mio sguardo. Ci divertiamo un po'.
-non lo faremo in parlamento. Non di nuovo. Non con i parlamentari dentro.
-hai un'opinione così bassa di me? Volevo commentare i vestiti degli altri!
-sì certo- rivestito, Arthur si avvia alla porta -io vado, tu non farti notare.
-dammi un bacio- lo raggiunge, lo attira a sé e lo bacia -je t'aime.
-mh, me too. A dopo. E se mi sporchi la vestaglia, te la faccio lavare con la lingua.
-sei così romantico, amore.
Rimasto solo, Francis torna a guardare il panorama. La capitale è bellissima e, spera, con quello che stanno costruendo anche la più piccola delle api operaie avrà una vita migliore.

"Ma che merda di finale è?'
"A me è piaciuta, fratellone"
"Scherzi? Io volevo più violenza! Più sangue! Avessi io il potere di trasformarmi in lupo, oh, altro che tornare da quel bastardo, avrei riconquistato tutto e ucciso il crucco! Ho capito che il bastardo è un gran figo e mi farei fare di tutto da lui, però con un minimo di dignità cazzo! Non rinunciare a tutto così, riprenditi il tuo regno!"
"Ma l'amore..."
"Amore un cazzo!"
"Tu non faresti lo stesso per Antonio?"
"Cazzo c'entra il bastardo?"
"Ti ricordo che stavi per piangere quando Antonio, quello della serie, pensava che..."
"Non è vero!"
"Quindi non ti è piaciuta?"
"No! Fossi stato io, altro che far tornare insieme quei due coglioni, il crucco se ne andava a cagare e addio. Ma poi perché far finire la serie con il bastardo francese?"
"È comunque uno dei protagonisti..."
"È francese!"
"Be', io l'ho trovata avvincente"
"Se se, come ti pare"
"Cosa guardiamo dopo?"
"Montalbano"
"Ti prego no"
"Oh, invece sì. Questa serie l'hai scelta tu, la prossima la scelgo io e io dico Montalbano"
"La prossima maratona me la faccio con Lud..."
"Se, così finite a scopare e non guardate niente"
"Ha parlato la suora. Sei peggio della Monaca di Monza quando ti ci metti"
"Felicià, fatteli li cazzi tua ogni tanto"

Ringraziamenti:
Presumo di dover fare un discorso.
Siamo arrivati alla fine di questa storia, della quale, ammetto, non avevo in mente in ogni dettaglio la trama all'inizio, ma è arrivata con il tempo e una buona dose di crisi nel cuore della notte, e qui è doveroso un ringraziamento speciale a _Meliodas_Sama_, che ha sopportato le mie crisi creative mi ha aiutato a dare un senso alle idee che mi frullavano in testa (<3)
E ovviamente ringrazio tutti voi lettori: quelli che recensiscono, hanno aggiunto la storia alle liste o se ne stanno silenziosi, qui o su Wattpad
Per il futuro non ho piani precisi, vedrò dove mi porta il vento, ma non penso che pubblicherò altre storie lunghe, al massimo qualche OS ogni tanto, ora come ora non ho le idee necessarie, ma chissà, il futuro è imprevedibile.
Che dire... spero che questa storia vi abbia soddisfatti e che i suoi difetti non vi abbiano troppo infastiditi
Vi invito, se ne avete voglia, a farmi sapere cosa ne pensate così che io possa migliorare e... niente, direi che non ho altro da dire (argh, odio questo tipo di cose)
Alla prossima!
Daly


 

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