Virtual Story - Level 3 di Yoshiko (/viewuser.php?uid=1750)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Password: summer ***
Capitolo 2: *** Password: parking ***
Capitolo 3: *** Password: rain ***
Capitolo 4: *** Password: river ***
Capitolo 5: *** Password: wolf ***
Capitolo 6: *** Password: road ***
Capitolo 7: *** Password: market ***
Capitolo 8: *** Password: money ***
Capitolo 1 *** Password: summer ***
Password:
summer
Le colline che cingevano la valle erano ricoperte di verdissimi
bambù e il viottolo asfaltato proseguiva dritto tra le
risaie. Julian lo percorreva pedalando, Amy era seduta sul portapacchi
della bicicletta e osservava estasiata il paesaggio. I capelli della
ragazza ogni tanto gli finivano sul collo facendogli il solletico e
inebriandolo del profumo delle ciocche morbide. Erano usciti presto e
la brezza rinfrescava l’aria di quella che sarebbe stata
un’altra calda giornata estiva.
Amy gli sfiorò un braccio in una carezza.
-Che tranquillità, vero?-
-Sì, è fantastico! Pochissime macchine e tutta
natura. Erano giorni che non vedevo un cielo così terso.-
-Ma stamattina c’era nebbia, sicuramente farà
caldo.-
-E noi ci fermeremo sotto un albero, vicino al ruscello. E poi stasera,
quando arriveremo in hotel, ci tufferemo in piscina e ci sbaferemo una
succulenta cena di pesce.-
-Sarà bellissimo.- Amy pregustò già
quei tranquilli e intimi momenti, non vedeva l’ora di
arrivare -Sei stanco?- gli domandò d’un tratto.
-Scherzi? Sei leggera come una piuma.-
-Magari.- rise lei e per ringraziarlo di quello che reputò
un complimento, si puntellò sul portapacchi e si
sollevò per regalargli un piccolo bacio sul collo.
Il movimento fece vacillare la bicicletta. Julian si
irrigidì e strinse il manubrio, frenò un
po’ mentre le ruote costeggiavano pericolosamente il ciglio
del viottolo, sfiorando l’orlo del canalino di scolo.
Restarono in carreggiata per un pelo. La ragazza circondò
con le braccia il torace di Julian ed emise una specie di mugolio
spaventato.
-C’è mancato poco!-
-Scusa…-
-Scusami tu. È colpa mia se ti sei distratto.-
-Se vuoi continuare a distrarmi magari possiamo fermarci.-
Lei rispose ridendo. Alzò gli occhi per seguire il volo di
un airone cinerino disturbato dalle loro voci. Il frinire delle cicale
riempiva l’aria. Oltre alla bellezza del paesaggio, a
inondare la campagna c’era un preziosissimo silenzio. Un
silenzio che durò pochi minuti, giusto una trentina di lente
pedalate.
-Julian, cos’è questo rumore?-
-Quale?-
-Ascolta.-
Il venticello gli sibilava nelle orecchie e all’inizio non
riuscì a distinguere nessun rumore. Poi qualcosa
arrivò. Era una specie di tenue rombo, un debole boato che
si faceva sempre più vicino. E più si avvicinava
più aumentava di volume. Come i tuoni. Julian
alzò gli occhi al cielo, oltre il profilo verde scuro delle
montagne che si stagliavano contro l’azzurro. Non era un
temporale in arrivo, nel cielo non c’era traccia di nuvole.
-Cos’è?-
Poi il rumore divenne un battito insistente, sempre più nei
pressi. Finché a interrompere il silenzio arrivò
improvviso e prepotente il ritmo dei bassi di una musica commerciale
sparata a tutto volume. Era dietro di loro.
Si volsero. Prima Amy, poi Julian, che riuscì a dare solo
una rapida occhiata.
-Un furgone.-
La vettura bianca procedeva a velocità sostenuta e li stava
rapidamente raggiungendo. Più il furgone si avvicinava e
più il frastuono della musica cresceva.
-Non ci ha visti?-
Amy si tese, aggrappata a Julian. Il conducente non solo non decelerava
ma continuava a procedere al centro della strada.
-Non può non vederci, ci siamo solo noi.-
-Non rallenta.-
-Deve vederci per forza.-
La voce di Julian fu sovrastata dal sonoro strombazzare di un clacson.
Dalle risaie si levò uno stormo spaventato di uccelli che
sorvolò la strada. Per evitarli, Julian sterzò di
colpo. Amy si strinse forte a lui.
-Ecco, ci ha visti.-
-Sì ma non rallenta.-
Julian percepì le dita di Amy aggrapparglisi con forza.
-Senti che casino! Neanche ci fosse solo lui qui!-
-Julian, accosta. Lascialo passare.-
Lui prese a costeggiare il ciglio dell’asfalto, le ruote a
sfiorare l’erba.
-Ancora, Julian.- una nota di urgenza trasudò dalla sua voce.
La vettura alle loro spalle si faceva sempre più vicina e
non rallentava.
-Più di così non posso.-
Il conducente della macchina riprese a strombazzare. Julian
s’infervorò.
-Dove pretende che vada?- si voltò un istante indietro e
sobbalzò. Il furgone gli era addosso, il paraurti quasi
sfiorava la ruota posteriore della bicicletta. Si toccarono, Amy
urlò. Julian perse il controllo, la bicicletta
ondeggiò. La ruota anteriore oltrepassò il
canalino di scolo e si addentrò nell’erba.
Precipitarono lungo il declivio. Amy gridò ancora, poi
l’acqua della risaia frenò la loro corsa in modo
così brusco che la bicicletta si capovolse. Lei e Julian
finirono nel fango, tra le rane e i germogli di riso.
Il furgone si fermò. Il frastuono della musica
cessò e i suoi occupanti scesero con uno sbatacchiare di
sportelli. Julian riemerse dalla fanghiglia e cercò Amy. La
ragazza era in ginocchio, dai capelli la melma le colava ai lati del
viso. A un passo da lei la ruota anteriore della bicicletta capovolta
continuava a girare d’inerzia.
Julian perse il controllo, una furia cieca lo assalì e
lanciò insulti verso la strada.
-Imbecilli! Cretini! Idioti! Che accidenti correte? Volevate
ammazzarci?- si puntellò nel fango e si tirò su
con un gemito di dolore. Aveva urtato il ginocchio da qualche parte e
ora gli faceva un male cane.
Amy, che piangeva di ribrezzo, interruppe i singhiozzi e corse al suo
fianco, sguazzando nella melma.
-Ti sei fatto male?-
-Credo di no… Tu?-
-Niente. Sto bene. No, anzi, sto malissimo.- si guardò le
mani da cui colava una poltiglia viscida e scura e riprese a
singhiozzare -Questa roba ha una consistenza e un odore orribili.-
-Amy, non piangere.- cercò di consolarla lui -Siamo stati
fortunati, non ci siamo fatti niente.- erano ricoperti di fango ma
almeno l’acqua aveva attutito la caduta.
Poi qualcuno rise. Non una risatina discreta, soffocata, nascosta,
colpevole. Ma un vero e proprio scoppio di ilarità che ad
Amy fece più male del capitombolo. Il suo pianto
aumentò di volume facendosi isterico. Erano caduti nel
pantano e chi ce li aveva fatti finire aveva persino il coraggio di
prendersi gioco di loro.
Per consolarla Julian avrebbe voluto accarezzarle una guancia o
lisciarle i capelli, ma non si decideva a toccare la guazza che la
ricopriva. La sensazione di quelle carezze non sarebbe stata piacevole
per nessuno dei due. La lasciò sfogarsi e alzò
gli occhi su Mark. In piedi sul ciglio della strada, l’amico
li salutava agitando un braccio.
-Come siete ridotti! Dovreste vedervi!-
-Imbecille!-
Philip si calò lungo il pendio con l’intenzione di
soccorrerli ma si arrestò sull’argine della
risaia, gli occhi al pantano e l’espressione vagamente
disgustata.
-State bene? Giuro che guidava Mark! Amy, mi dispiace tantissimo! Non
so davvero chi abbia dato la patente a questo cretino!-
Lei per ascoltarlo aveva smesso di singhiozzare, ma riprese a farlo
finché non terminò le lacrime. Tutto quel pianto
servì almeno a ripulirle un po’ il viso.
Mark sulla strada continuava a sghignazzare e non faceva un passo per
soccorrerli. Julian si strizzò il davanti della maglietta.
L’acqua scolò via ma le macchie di fango rimasero.
-Smettila di ridere! Imbecille! Potevamo farci male!-
Philip l’appoggiò.
-Piantala, Landers! Non c’è nulla di divertente.-
ma quello se ne strafregava e allora si rivolse alla coppia
-Denunciatelo, se lo merita! Io testimonierò contro di lui.
Fatevi pagare i danni!-
La risata di Mark si spense di colpo.
-Cosa? I danni? Che c’entro io? Tu Ross, sei davvero un
pessimo ciclista. Non si cammina in mezzo alla strada, se sulla strada
ci passa a mala pena una macchina.-
-Non si sorpassa in quel modo, vandalo! Non si sorpassa a tutti i
costi, anche quando non c’è spazio!-
-Gliel’ho detto.- aggiunse piatto Philip -Ma ha voluto fare
di testa sua. E la sua testa lo sapete quant’è
dura!-
-Hai rovinato il nostro viaggio di nozze!-
Philip e Mark fissarono Amy spiazzati.
-Viaggio di nozze? E quando vi sareste sposati?-
-Non ne sapevamo niente!-
-Certo, sono affari nostri!- mise in chiaro Julian arrancando insieme
ad Amy sul declivio fino a raggiungerli.
Poi Mark scoppiò a ridere di colpo.
-Eravate in viaggio di nozze? In bici? Stavate andando in viaggio di
nozze, in bici? Alla faccia del risparmio!-
Amy si imbufalì.
-Abbiamo scelto un percorso ecosostenibile, che
c’è di male?- si portò le mani ai
fianchi, la sua collera e la sporcizia che la ricoprivano erano
esilaranti e Mark non riusciva a smettere di ridere -Anche tu dovresti
andare in bicicletta invece di produrre monossido di carbonio con
quella ferraglia puzzolente. Non sai che inquini il pianeta? Cosa vuoi
lasciare in eredità ai tuoi figli? Un mondo sporco e
inquinato?-
-Capirai, i figli…- Philip scosse mesto la testa -E chi se
lo prende uno come Mark? Sarà pure belloccio, ma
è un animale selvatico, completamente indomabile. E
spilorcio.-
Mark aveva imboccato la strada del divertimento e persino le
affermazioni poco lusinghiere di Philip lo facevano sbellicare.
I tre decisero di ignorarlo.
-Quindi in definitiva qual era la vostra meta? Possiamo darvi un
passaggio?-
Landers tornò serio all’istante.
-Non dire stronzate, Callaghan! Non voglio assolutamente che mi
inzaccherino il furgone! L’ho pulito giusto tre mesi fa.-
-Pensa che schifo.-
-Ecco appunto Amy, se ti fa schifo non ci salire e siamo tutti
più contenti.-
-E che vorresti fare, Mark? Lasciarli qui in mezzo alla strada in
queste condizioni?
-Prima o poi passerà qualcuno.- si guardò
intorno. Si trovavano così immersi nella campagna che in
giro non si vedeva nessuno -Con un po’ di fortuna,
magari… prima o poi.-
-Mark!- Amy scoppiò -Hai rovinato il nostro viaggio di
nozze, ci hai ridotti in questo stato e ti rifiuti addirittura di darci
un passaggio?-
-A parte che hai appena detto che la mia macchina ti fa schifo,
comunque se ti vedessi capiresti anche tu il perché.-
Amy lo spintonò indietro e si avvicinò al
furgone. Il ragazzo la seguì immediatamente. Con un gesto
brusco, pieno di stizza, lei aprì lo sportello posteriore e
fece un balzo indietro. Alcuni oggetti ammucchiati
all’inverosimile caddero a terra. Era pieno. Quel furgone era
così pieno di roba da scoppiare. Contava dodici posti, ma la
maggior parte dello spazio disponibile era occupato da una moltitudine
di cianfrusaglie.
-Mark, ma cosa sei? Un accattone? Cos’è tutta
quest’accozzaglia che ti porti dietro?- Amy
rabbrividì inorridita -Questa non è una macchina
ma l’officina di un rigattiere! Guarda che polvere! Saranno
anni che non dai una pulita, altro che mesi! Vero? Saremo sicuramente
Julian e io a sporcarci qui dentro!-
-Non sei costretta ad accettare un passaggio che non ti ho offerto!-
-E invece sì! Accetto il passaggio che mi stanno offrendo i
tuoi sensi di colpa per ciò che ci hai fatto.- Amy si
rivolse a Julian -Devo recuperare lo zaino.-
Tornò indietro, si calò lungo il pendio e con un
moto di disgusto infilò di nuovo i piedi nel fango.
Frugò nella melma intorno alla bici e riuscì a
tirar fuori la sua borsetta e lo zaino di Julian gocciolanti di melma.
Risalì sulla strada e aprì entrambi. Gli oggetti
all’interno erano completamente bagnati ma il tessuto aveva
trattenuto il fango e non si erano sporcati. Il cibo, ben protetto da
contenitori e bustine di plastica si era salvato. Quei pochi abiti che
avevano con loro si sarebbero presto asciugati, insieme al resto. Forse
sarebbe stato recuperabile quasi tutto.
Julian risalì sulla strada dietro di lei portando con
sé la bicicletta. Non sembrava rotta ma era molto, molto
sporca.
Quando vide Philip aprire gli sportelli posteriori del furgone, Mark
balzò su.
-Che state facendo?-
-Non vorrai lasciarla nella risaia!-
-Certo che sì!-
-Ma no!- protestò Julian -Me l’hanno regalata per
le nozze, si tratta dell’ultimo modello e di sicuro non
l’abbandono qui!-
Mark continuò a borbottare contrariato ma nessuno gli diede
ascolto. Philip e Julian incastrarono la bicicletta sul retro e
salirono a bordo. Landers si rassegnò a riprendere il
proprio posto alla guida e a mettere in moto. La musica esplose, Amy
gridò di sgomento.
-Mark! Abbassa il volume! Dove credi di essere? In discoteca?-
Philip spense lo stereo e lanciò agli amici
un’occhiata imbarazzata.
-Mark ha problemi di udito.-
-Come hai potuto sopportare un tale baccano, Philip?-
-Con molta pazienza.-
-Bravo, Callaghan.- Mark ingranò la prima -Adesso fai il
martire ma fino a dieci minuti fa cantavi a squarciagola.-
Amy scosse la testa incredula.
-Voi siete davvero suonati. Altroché.-
-Se chiudi lo sportello partiamo.- la zittì Mark.
-Sì, ma vai piano.- si raccomandò Ross -Non mi
fido per niente di come guidi.-
-Non sono io quello che è finito nella risaia.-
sghignazzò -Insomma, dov’è che dovete
andare?-
Si persero due volte e Julian, che aveva fretta di arrivare, tanto
disse e tanto fece che riuscì a vietare la sosta pranzo. Si
divisero borbottando i panini preparati da Amy, neppure lontanamente
sufficienti per quattro persone, di cui tre con una fame bestiale. Nel
tardo pomeriggio il furgone di Mark entrò nel piazzale
d'accesso dell’hotel superlusso di Julian e Amy. Philip
balzò giù per primo, fece scorrere lateralmente
lo sportello posteriore e i due sposini furono a terra.
Il custode del parcheggio uscì dalla guardiola e si
avvicinò. Osservò critico la vettura e la
montagna di robaccia che conteneva e si rivolse a Mark attraverso il
finestrino abbassato per metà.
-Giovanotto, lei qui non può sostare.-
-Non sto sostando. Sto facendo scendere i passeggeri.-
-In ogni caso qui non si può fermare.-
-Non ho intenzione di fermarmi. Non vede che ho il motore acceso?-
-è comunque in attesa e lei, qui, non può
attendere.-
A Mark si rimescolò la pazienza, quel tizio era scemo o
cosa?
-Sta intralciando il traffico delle vetture autorizzate.-
-Quali vetture? Su tutto il piazzale l’unica macchina che
vedo è la mia.-
-E io l’unica macchina che vedo è
l’unica che non può starci.-
Philip, che non aveva seguito l’assurdo botta e risposta
perché occupato con Julian a scaricare la bicicletta, si
affacciò nell’abitacolo.
-Quando avrai parcheggiato raggiungici dentro. Prendiamo qualcosa al
bar e poi proseguiamo.-
-Ricevuto.-
Mark fu tentatissimo di spegnere il motore e abbandonare il furgone
proprio lì, al centro del piazzale. Ma temendo una multa che
non aveva nessuna intenzione di pagare, si risolse a cercare posteggio
da un’altra parte.
-Dov’è il parcheggio?-
-Lontano, molto lontano. Esca, giri a destra e prenda la seconda
traversa a sinistra, dopo il semaforo vada dritto e alla rotonda prenda
la terza uscita. Prosegua per circa trecento metri, dopo il bar deve
attraversare un ponte e a sinistra, dopo la farmacia,
c’è il parcheggio.-
Mark lo ascoltò sgomento. Se anche non si fosse perso,
avrebbe impiegato almeno un’ora a tornare a piedi. Nonostante
le indicazioni, avrebbe lasciato il furgone lungo la strada molto ma
molto prima del semaforo. E se gli avessero fatto la multa
l’avrebbe pagata Philip visto che la decisione di fermarsi a
prendere qualcosa al bar era sua. Ingranò la marcia e
girò a sinistra, scegliendo deliberatamente la direzione
opposta a quella che gli era stata indicata.
Julian non aveva alcuna intenzione di capitolare alle regole
dell’hotel. Poggiò i gomiti sul banco della
reception, gli occhi fissi in quelli dell’impiegato che lo
osservava impassibile attraverso gli occhialini tondi e spessi come
fondi di bicchiere e che aveva ricominciato a esprimergli
l’inaccettabile verità.
-Signor Ross, vi aspettavamo per le due. Sono passate le sei e non
avete avvisato del ritardo, così abbiamo dato via la
stanza.-
-Io voglio la mia camera! L’ho prenotata un anno fa! Lei non
ha il diritto di rovinare il mio viaggio di nozze!-
L’uomo si aggiustò impassibile gli occhiali sul
naso, squadrando dall’alto in basso la coppia che aveva
davanti. Li vedeva così sporchi e cenciosi che era contento
di non averli come ospiti.
-Non c’è niente da fare, signor Ross. Siamo al
completo.-
-Allora rivoglio indietro i miei soldi.-
Philip si mise le mani in tasca. Secondo lui il ragionamento del tipo
alla reception non faceva una grinza. Julian avrebbe dovuto avvertirli
del ritardo.
Prevedendo che la discussione sarebbe andata per le lunghe, si
avviò verso il bar dell’hotel per aspettare Mark
lì. Julian e Amy in qualche modo se la sarebbero cavata.
Trovò un tavolo libero di fronte alla vetrata che si
affacciava su uno splendido giardino e su un’imponente
piscina che lo lasciarono a bocca aperta.
-Che bel posto.-
-Sì, ma è carissimo. Non te lo consiglio,
Philip.-
Il ragazzo si volse di colpo. Al tavolo accanto, Bruce ed Evelyn
sorseggiavano due coloratissimi cocktail ricolmi di frutta.
-E voi che ci fate qui?-
-Ci dissetiamo. I drink sono un po’ costosi ma fantastici.-
-Se quest’hotel è così caro,
com’è che te lo puoi permettere, Harper?-
-Mi posso permettere solo il cocktail.-
Evelyn sorrise.
-Meglio di niente, no? E poi da qui possiamo vedere la piscina e far
finta di aver prenotato una stanza.-
Bruce diede un sonoro risucchio alla cannuccia, dopodiché
tese le orecchie.
-È Julian che strilla di là?-
-Già. Hanno assegnato a qualcun altro la stanza che aveva
prenotato. Sapevate che lui e Amy si sono sposati?-
-No!- Evelyn spalancò gli occhi.
-Così pare. Bruce, fammi assaggiare il cocktail.- Philip
allungò una mano e si appropriò del bicchiere del
compagno, ma prima che riuscisse a posarvi le labbra, lui se lo riprese.
-Neanche morto! Costa un occhio della testa!-
Philip assaporò una goccia finita sul dorso della mano.
-In effetti non è male.-
-Allora vai al bar e comprati il tuo.-
Tacquero per ascoltare le proteste di Julian, che sembrava non darsi
per vinto e i gemiti di Amy che facevano da sottofondo.
-Non gli ridaranno la stanza. Sono strapieni fino a Natale.-
-Vaglielo a dire, Evelyn. Così almeno finisce di gridare.-
-Ci va Bruce.- guardò il fidanzato -Su, per favore. Se non
la smette il servizio d’ordine lo butterà fuori e
non sarà un bello spettacolo.-
-Giura che non toccherai il mio cocktail, Philip!-
-Giuro.-
Nell’istante in cui Bruce si dirigeva verso la reception,
Mark entrò dall’ingresso del giardino.
Individuò Philip che gli faceva un cenno e lo raggiunse.
-Ciao Evelyn.-
-Ciao Mark.-
-Chi è che grida?-
-Julian. Non ha più la stanza che aveva prenotato.-
-E perché?-
-Perché sono arrivati tardi.-
-Ben gli sta. Dove s’è mai sentito che uno parte
in viaggio di nozze in bicicletta? E volevano pure dare la colpa a
noi!- Mark si sedette al posto di Bruce, prese il suo bicchiere mezzo
pieno e ne tracannò una buona metà -Ottimo.-
-Per forza, è il più caro che
c’è.- lo informò Philip.
-Paghi tu?-
-Paga Harper.-
Mark sollevò di nuovo il bicchiere ma Evelyn lo
fermò.
-Ti consiglio di non finirlo o Bruce ti tormenterà per il
resto dell’eternità.-
L’amico esitò, poi l’inquietante
prospettiva lo convinse a rinunciare. Prima di riprendere il viaggio
sarebbe andato in bagno a bere della sana acqua corrente e a usufruire
gratuitamente dei servizi. Dopo pochi istanti, Julian, Amy e Bruce li
raggiunsero al tavolo.
-No! Hai finito il mio cocktail, Philip! Mi avevi giurato che non lo
avresti toccato!-
-Io non c’entro, è stato Mark. Vero Evelyn?-
La ragazza annuì e cedette al fidanzato il proprio bicchiere
ancora mezzo pieno.
-Allora, ce l’avete o no questa stanza?-
-No!- Julian si lasciò cadere su una poltroncina. La loro
prima romantica notte di nozze era appena andata in fumo.
Amy rimase in piedi al suo fianco affranta, torcendosi una mano
nell’altra.
-Cosa facciamo adesso? Era già tutto pagato e non abbiamo
abbastanza soldi per permetterci un altro hotel.-
-Vi consiglio un campeggio, con tenda e sacco a pelo. È
ecosostenibile.-
-Vaffanculo, Landers.-
Il silenzio sancito dall’imprecazione di Julian, fu subito
interrotto dalla curiosità di Bruce, che non sembrava
toccato dalla sfortuna occorsa ai neosposi.
-Philip, dov’è Jenny?-
-Non c’è.-
-Ti aspetta a casa?-
-No.-
-Non ti aspetta?-
-No.-
-E perché non ti aspetta?-
-Perché no. Ci siamo lasciati. Piantala con
quest’interrogatorio!-
Lo fissarono tutti sgomenti, Evelyn non credette alle proprie orecchie.
-Davvero vi siete lasciati?-
Philip si censurò e Bruce rise.
-Se non ce lo vuoi dire significa che ti ha mollato lei. Giusto? Su,
sputa il rospo!-
-Non sono affari tuoi!-
Eppure continuò a impicciarsi, dando la sua personale
interpretazione dei fatti.
-Ecco cosa è successo, ve lo dico io. Jenny ha finalmente
capito che stare con te era tempo sprecato e ha trovato qualcun altro
con cui mettere su famiglia!-
-E invece no!-
-Ti ha tradito?- insistette Bruce.
Philip divenne cadaverico.
-Certo che no!-
-Bruce, smettila di assillarlo.- lo zittì Amy mettendo fine
al terzo grado. Aveva cose più importanti per cui
angustiarsi e quel continuo chiacchiericcio le toglieva la
concentrazione.
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Capitolo 2 *** Password: parking ***
2
2-
Password: parking
Spingendo il carrello pieno di buste, raggiunse la macchina e
aprì il bagagliaio per caricare la spesa. Il sole era
tramontato
e i commessi avevano cominciato ad abbassare le saracinesche del
supermercato già mentre lei era in fila alla cassa. Il
responsabile del turno serale stava ultimando i conteggi e la chiusura.
Sul piazzale erano rimaste pochissime vetture, gli ultimi clienti
depositavano gli acquisti nel bagagliaio e a poco a poco lasciavano il
grande parcheggio.
-Peter, vai a rimettere a posto il carrello?-
Il bimbetto annuì. Finì di ordinare con
meticolosa
precisione i giocattoli che la mamma gli aveva comprato e si
aggrappò al carrello. Era molto più alto di lui
ma Peter
si divertiva un mondo a riportarlo a posto. Si dava la spinta puntando
a terra i piedini, si aggrappava alla barra e si lasciava trasportare,
mentre le ruote giravano a casaccio, prendendo sempre la direzione
opposta a quella in cui doveva andare. Così ci metteva un
tempo
infinito e alla fine sua madre era costretta ad andarlo a recuperare.
Sollevò la figlia dal seggiolino e si strinse al petto quel
frugoletto di un anno e mezzo. Joy emise un gridolino entusiasta e lei
indugiò a spupazzarla. Sentiva Peter che, alle sue spalle,
guidava il carrello verso il punto di raccolta imitando con cupi
borbottii il rumore del motore di una macchina. Il parcheggio era ormai
vuoto, non correva nessun pericolo e lei lo lasciò giocare.
I lampioni del piazzale si accesero mentre apriva la portiera
posteriore. Posò la borsa sul sedile e tenendo Joy stretta a
sé, scostò peluche e cuscini che
l’irrequietezza di
Peter aveva fatto finire dappertutto. Udiva poco distanti il suo
borbottio e le sue risate. La sua allegria e la sua voglia di giocare
erano inesauribili. Si volse a cercarlo, lo vide infilare il carrello
negli altri. Allora si chinò per sistemare la bimba sul
seggiolino. Joy si lasciò solleticare il pancino e rise,
scaldandole il cuore con i suoi gorgoglii infantili. Era bellissima
quando rideva, le fossette spuntavano sulle guance piene e profumate di
latte.
-Mammi!-
L’urgenza del grido la fece scattare. Si tirò su e
si volse.
Vicino al ciglio della statale erano comparse tre grandi motociclette.
O forse erano già lì, perché non le
aveva sentite
arrivare. Semplicemente non le aveva notate. E Peter era finito
chissà come al centro dell’attenzione di un gruppo
di
giovani, radunati intorno a lui sotto il cono di luce di un lampione
che si accese giusto in quell’istante. Capelli sparati in
aria
dal gel, borchie di metallo attaccate agli abiti, collari e bracciali,
giacche di pelle nera, jeans, anfibi: la quintessenza di un manipolo di
teppisti. Uno di loro lo teneva per un braccio. Tutti erano voltati
verso di lei e tutti sorridevano. Si sentì rabbrividire
mentre
tornava a posare gli occhi su suo figlio. Peter non piangeva ma cercava
di divincolarsi da chi lo teneva stretto. Sembrava più
incollerito che impaurito e mostrava a quei brutti ceffi il suo
coraggio dando calci e pugni scatenati.
-Stavi dimenticando qualcosa, bambolina!-
L’uomo che stringeva il polso di Peter alzò di
colpo il
braccio. Il bambino fu sollevato in aria, appeso per la mano. Lei
sbiancò.
-Lascialo! Gli fai male!-
Peter non fiatò, ma l’espressione sofferente sul
visetto
fu fin troppo eloquente. La ragazza si guardò intorno in
cerca
di aiuto. Invano. Il parcheggio era deserto, nessuno sarebbe accorso a
soccorrerla, avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Si chinò nell’abitacolo, slacciò la
cinghia del
seggiolino e sollevò Joy tra le braccia. La bimba
gridò
entusiasta a quell’improvviso cambio di programma. Sua madre
non
fu per niente sicura che fosse un bene portarla con sé, ma
non
si fidava neppure a lasciarla in macchina da sola. Afferrò
anche
la borsetta, forse sarebbe bastato offrire a quei tizi qualche migliaio
di yen per pagarsi la birra e se ne sarebbero andati per la loro
strada. Quando si tirò di nuovo su, si accorse che Peter era
tornato a posare i piedi a terra. In definitiva erano tre contro tre,
anche se a spalleggiare lei c’erano soltanto i suoi figli,
rispettivamente di un anno e mezzo e di quattro.
Avanzò verso il gruppo, coltivando la speranza di riuscire a
recuperare Peter e filarsela nel modo più indolore
possibile.
Fissò negli occhi il teppista che lo teneva e
deglutì
prima di parlare. Voleva evitare di mostrarsi intimorita
perché
la paura non l’avrebbe aiutata ma la sua voce
tremò lo
stesso.
-Cosa vuoi da lui? È solo un bambino.-
-Infatti il bambino non ci interessa.- mollò la presa e
spinse il ragazzino verso di lei.
Peter la raggiunse, si aggrappò ai suoi jeans e alla
camicia.
Lei gli accarezzò rassicurante la testolina, gli
sussurrò
di scappare alla macchina e lo spinse via. Dopodiché si
volse e
prese a correre dietro di lui, Joy aggrappata così
strettamente
ai capelli da farle male. I tre teppisti gridarono,
dopodiché
reagirono.
Lei riuscì a guadagnare soltanto qualche metro, poi venne
raggiunta e afferrata per la vita in modo così brusco da
toglierle il fiato. Perse l’equilibrio e strinse di
più
Joy, che protestò con un gridolino. La presa
dell’uomo le
impedì di cadere. Lui la tirò indietro e gli
cadde
addosso, le spalle contro catene e catenelle che gli pendevano dal
collo. Il volto del teppista si insinuò tra suoi i capelli,
intriso dell’odore di fumo e di alcol. Il tanfo la
disgustò. Passò Joy sull’altra spalla
per tenerla
il più lontano possibile da quell’individuo.
Poi prese a gridare.
-Toglimi le mani di dosso! Lasciami immediatamente!- afferrò
con
la mano libera il braccio che la stringeva e tentò di
liberarsi
affondando le unghie nel giubbotto di pelle -Cosa vuoi da me?-
-Mammi!-
Peter le fu di nuovo accanto. Sentì le sue manine sulle
gambe.
Il bambino era tornato da lei in un ingenuo tentativo di difenderla. Ma
cosa poteva fare contro quei brutti ceffi?
Aveva sperato che almeno lui fosse al sicuro nella macchina e lo
sgomento di rendersi conto che purtroppo non era così fu
tale da
paralizzarla. Poi si sentì strappare Joy dalle braccia. Uno
dei
teppisti indietreggiò con la bambina, mentre
l’altro le
afferrò i polsi e la immobilizzò per impedirle di
riprendersela.
-Su, non fare storie, bellezza! Ci divertiamo un po’ insieme
e poi ti lasceremo andar via.-
L’espressione gioiosa della piccola mutò
all’istante. Scoppiò a piangere e a gridare
disperata,
assordandoli tutti con gemiti acuti.
A Joy non piaceva chi la teneva, non piaceva la puzza che sentiva.
Voleva tornare dalla mamma e tendeva le braccia paffute verso di lei,
le manine si agitavano nell’aria, i lacrimoni le rotolavano
sulle
guance. Avrebbe intenerito chiunque con un po’ di cuore. Quei
ceffi invece neppure la guardavano, ridevano e se la passavano come se
fosse una palla.
La giovane si dimenò dalla stretta del teppista.
-Stai buona, tesorino. È meglio per tutti, lo sai?-
-Vigliacchi, restituitemi mia figlia!-
-Mammi!-
Continuarono a ridere, Joy a piangere, Peter a chiamarla e
quell’energumeno che la teneva a sussurrarle proposte oscene
nelle orecchie. A un certo punto perse Joy di vista, udì
soltanto il suo pianto che si allontanava alle sue spalle.
-Cosa state facendo? Dove la state portando?-
-Stai tranquilla, zuccherino. Lui è un esperto di marmocchi.
È talmente affidabile che se l’avessi, gli
affiderei anche
mia sorella. Penserà alla tua pupetta mentre noi due ci
divertiamo.-
L’altro giovane si avvicinò.
-E poi gli darò il cambio.-
-Ho dei soldi. Lasciatemi in pace e prendeteli tutti. Potete comprarvi
delle birre, pagarvi il ristorante, le sigarette. Tutto quello che
volete.-
-Nessuno ci impedisce di fare l’una e l’altra cosa.
Abbiamo
l’intera notte a disposizione, farfallina. Possiamo
divertirci e
poi andare a cena insieme.-
Si dimenticarono di Peter, ma lui era sempre lì.
Sferrò
un calcione sullo stinco dell’uomo che teneva la sua mamma.
Lui
ululò di dolore e mollò la presa. Lei
poté
voltasi, individuare Joy e correre a riprendersela. Ma
riuscì
solo a sfiorarla, chi la inseguiva l’agguantò. Due
braccia
la strinsero da dietro, serrandole lo stomaco. Le lacrime le rigarono
le guance e le annebbiarono la vista. Non sapeva più che
fare,
non sarebbe riuscita a scappare, non si sarebbe liberata di quei tre.
Era nei guai fino al collo.
-Lasciatemi! Lasciateci in pace!-
-Non agitarti dolcezza, non ce n’è motivo. Non
vogliamo farti del male.-
-Ci terrai compagnia per qualche ora e nient’altro.-
Al pianto della bambina si aggiunsero anche le urla di Peter.
-Mammi! Aiuto!-
Quel terrore infantile le trafisse il cuore. Non riusciva neppure
più a vederlo. Cercò di voltarsi, di liberarsi e
raggiungerlo anche se, davanti a lei, Joy seguitava a singhiozzare
sull’orlo dell’isteria.
-Piccola scimmietta pestifera!-
L’uomo spintonò Peter per togliersi
definitivamente di
torno il corpicino che gli si era aggrappato e non lo mollava. Il
bambino gridò, piombò sull’asfalto, poi
più
niente.
-Fermo! Alt! Stooooooop!-
L’urlo perforò le orecchie di Mark.
Schiacciò il
pedale per arrestare il furgone mentre Philip tirava il freno
a
mano. La vettura ruotò su se stessa in un improvviso e
violento
testacoda. A Bruce il cocktail tornò su con un rigurgito e
solo
un miracolo gli impedì di vomitare. Philip
spalancò lo
sportello e saltò giù che il furgone non si era
ancora
arrestato. Corse indietro sulla strada verso il parcheggio del
supermercato.
-Philip!- lo richiamò Julian -Dove accidenti vai?-
-Forse in bagno?- tentò Bruce.
-Cazzo e non poteva dirmelo in un altro modo?- Mark teneva il volante
stretto tra le mani, faticando ancora a credere di essere riuscito a
fermarsi senza danni -C’era bisogno di inchiodare
così?-
-Deve essere stato uno stimolo improvviso e parecchio urgente.- Julian
cercò l’amico attraverso i finestrini, ma
quell’accozzaglia che riempiva il retro del furgone gli
impediva
di vedere.
-Torna indietro Mark!- lo sollecitò Amy.
-Devi andare in bagno anche tu?-
-No!-
-Allora per quanto mi riguarda possiamo anche lasciarlo qui. Stiamo
più larghi.-
Philip si fermò senza fiato davanti a un brutto ceffo che
teneva
una bimba in lacrime sospesa in aria per le bretelline di una minuscola
salopette di jeans. Lei si agitava, le lacrime e il moccio le rigavano
il viso, le guance le erano diventate scarlatte per lo sforzo. Una
mollettina con Hello Kitty le penzolava sulla fronte, appesa a una
ciocca sfilacciata di capelli, lì lì per cadere.
Indossava solo una scarpina bianca, l’altra era finita a
terra.
Un corpicino con dei pantaloncini blu e una maglietta verde mela era
riverso sul selciato. Giaceva su un fianco, un braccio sotto la testa,
l’altro adagiato scompostamente lungo il corpo. Teneva gli
occhi
chiusi, lunghe ciglia nere gli ombreggiavano le guance paffute.
L’uomo che teneva la bambina guardò Philip, poi il
furgone
che faceva retromarcia e avanzava a tutta birra. La vettura li
raggiunse in quel momento di stallo, con uno stridio di freni e una
puzza di copertoni bruciati.
Mark evitò per un pelo di investire il ragazzino steso a
terra
di cui s’accorse, minuscolo com’era, solo
all’ultimo
istante. Julian e Bruce saltarono giù per primi, poi lo fece
anche Landers, tremante, cadaverico, le mani a premersi le guance, gli
occhi spalancati.
-Non l’avevo visto!- urlò fuori di sé
-Porco mondo
non l’avevo visto! C’è mancato un pelo!
Mioddio!- si
lasciò cadere in ginocchio tremante, accanto al bambino, in
preda allo shock -Non l’avevo visto! Non l’avevo
visto! Non
ci posso credere! Per poco non lo investo! Non lo avevo visto! Mondo
bastardo, non l’avevo visto!- continuò con una
litania che
fece da sottofondo alla fuga dei tre motociclisti, i quali sparirono in
una puzzolente nuvola di gas.
-Codardi!- gridò Bruce agitando i pugni in aria -Ora
scappate,
cazzoni!- appagato da una vittoria che non gli era costata mezza
fatica, si volse per capire chi avevano soccorso.
Jenny era a un passo da lui, lacrime di sollievo che le inondavano il
viso. La fissò sbigottito, aprì la bocca per dire
qualcosa poi ci ripensò e si volse in cerca di Philip. Lui
stava
accorrendo con la bimba in braccio, la scarpina in una mano e
l’espressione ancor più sorpresa di quella del
compagno.
-Oh Philip!- gemette la ragazza tremando come una foglia -Che paura ho
avuto!-
Julian diede voce allo stupore di tutti.
-Non ci posso credere! Philip, come hai fatto a riconoscerla? Voglio
dire, non andavamo mica così piano!-
Il silenzio che seguì fu riempito dalla nenia di Mark. Si
volsero a guardarlo. Continuava a stare inginocchiato accanto a Peter,
le braccia tese verso di lui, senza il coraggio di toccarlo.
-Non l’ho visto! Non l’ho visto! Vi rendete conto?
Potevo
investirlo! È stato un miracolo! Porca miseria non
l’avevo
visto! Potevo ucciderlo! Potevo diventare un omicida! Un uccisore di
bambini, un infanticida! Oddiooooo!-
Bruce gli andò vicino e lo spintonò.
-Ahò, mo’ smettila. Che è?- Mark
alzò su di
lui uno sguardo da ebete -Non l’hai investito, non
l’hai
preso, non l’hai ammazzato. Falla finita!-
Jenny corse verso di loro, si chinò a sollevare il figlio
tra le braccia e se lo strinse al petto.
-Grazie Mark, ci hai salvati. Sei arrivato appena in tempo!-
La gratitudine di Jenny lo riscosse. Riacquistò il
controllo, la calma. Si mise in piedi e la guardò tronfio.
-Hai proprio ragione! Sono arrivato appena in tempo e vi ho salvati!-
Philip si avvicinò camminando rigido come uno zombie e
tenendo
ancora la bimba stretta a sé. Joy aveva smesso di piangere e
si
era aggrappata con le piccole dita alle pieghe della maglietta del
ragazzo. Sprofondata tra quelle braccia che la tenevano stretta,
sembrava finalmente a suo agio. Le sue guance erano ancora arrossate,
il viso bagnato di lacrime e di moccio che le colava dal nasino. Jenny
si avvicinò, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca
dei
pantaloni e con la mano libera cercò di ripulirla. Poi
rimise a
posto la mollettina sui capelli e le sorrise.
-Stai bene?-
Joy era troppo piccola per capire e risponderle, però le
sorrise e mugolò felice.
-Ta-taaa!-
Quando aveva urlato a Mark di fermarsi, Philip non sapeva
perché
lo aveva fatto. Ciò che gli era comparso davanti, passando
veloce a bordo del furgone, era stato lo sguardo disperato di due
occhioni terrorizzati. Tutto il resto era inspiegabile. Non immaginava
assolutamente di andare a salvare Jenny.
Bruce gli si accostò e lo sgomitò.
-Adesso è tutto chiaro, Philip.-
Lui si volse speranzoso.
-Davvero?-
-L’hai lasciata perché non hai voluto assumerti le
tue responsabilità.-
-Siediti dietro Callaghan.- gli disse Mark -Non puoi stare davanti con
la bambina in braccio.-
-Allora passo io davanti.-
Harper corse verso il furgone solo per accorgersi deluso che Julian
aveva avuto la sua stessa idea.
-Andiamo con ordine, Bruce. Sono arrivato prima io.-
Philip non si mosse. Preferì restare piantato come un palo
dove
gli altri lo avevano lasciato. Osservava Joy che gli sorrideva, gli
ingranaggi della sua testa giravano impazziti.
La bimba, grata dell’attenzione che lui le stava dedicando,
alzò una manina sporca di lacrime e di moccio e gliela
passò sullo zigomo in una goffa carezza. Philip si
tirò
istintivamente indietro, si affrettò a ripulirsi e per
sicurezza
l’allontanò un po’ da sé.
-Chi accidenti sei tu?-
-Ta-taaa!- rispose lei con un verso entusiasta.
Mark si sporse dal finestrino.
-Insomma Callaghan, sali o no?- e sottolineò il suo richiamo
con una strombazzata di clacson.
Philip si riscosse, raggiunse di corsa gli altri e montò sul
furgone accanto a Bruce. Jenny sedeva dietro di loro, in terza fila tra
Evelyn e Amy. Era ancora pallida di spavento e stringeva a
sé il
bambino privo di sensi, accarezzandogli la testa e mormorandogli
qualcosa.
Mark incrociò il suo sguardo attraverso lo specchietto
retrovisore.
-Stai bene, Jenny?-
-Sì, non mi sono fatta niente.-
-E il miracolato?-
-Adesso dorme.- lanciò un’occhiata a Peter, poi si
protese verso Philip che le sedeva proprio davanti.
Joy se ne stava tranquilla tra le braccia del ragazzo, un pugnetto in
bocca e gli occhi fissi sulla strada, incantata dalle luci dei lampioni
che comparivano e sparivano in successione. Jenny le
accarezzò
la testolina, attirando così l’attenzione della
piccola
che tirò fuori dalla bocca il pugno gocciolante di saliva e
lo
allungò verso di lei.
-No, grazie. Mangialo tu.-
La bambina rise e se lo rimise in bocca, tornando a fissare la strada.
-Philip, quando sei stanco di tenerla passala a me.-
Il ragazzo rispose con una specie di grugnito. Mark rise.
-E quindi? Non sei contento di aver riunito la tua famigliola?-
-Certo Philip che potevi pure dirlo. Cos’è questa
moda di
fare le cose di nascosto? Prima Amy e Julian, poi tu e
Jenny…-
-Dire cosa?-
-Che ti sei riprodotto.-
-Non mi sono riprodotto, non sono una moltiplicazione.-
-Sei lo stesso triplicato!-
-Pensa che io avevo capito che vi eravate lasciati.- buttò
lì Evelyn con aria saputa.
-Oh Mark, accidenti!- l’improvvisa esclamazione di Jenny li
fece
sobbalzare -Devi assolutamente tornare indietro, ho dimenticato la
spesa in macchina… Non l’ho neanche chiusa, la
macchina!-
-Non dire stronzate. Sai quanta benzina ci vuole per rifare tutta la
strada? E solo per un paio di buste!-
-C’erano anche i pannolini! Come faccio a cambiarla? A
quest’ora ormai i negozi sono chiusi.-
Evelyn gliene piazzò davanti una confezione integra.
-Questi qui non vanno bene?-
-Vanno benissimo! Ma guarda, sono esattamente gli stessi che compro io!-
-Mark, perché vai in giro con una scorta di pannolini?-
-Non ne so nulla, Harper. Ce li avrà messi Philip.-
-No, io no!-
-Be’, chi ce li ha messi è stato previdente.- rise
Jenny contenta e soddisfatta.
-Risolto il problema pannolini, vi faccio presente che sono quasi le
dieci e io ho sonno, oltre che fame. Dove ci fermiamo? Qui intorno non
c’è niente.-
Bruce aveva ragione. Da quando avevano lasciato il parcheggio del
supermercato procedevano nel buio più assoluto. Non
c’era
un lampione, non c’era un negozio, non c’era una
casa e la
stradina tutta curve che Landers aveva imboccato senza accorgersene
aveva cominciato a inerpicarsi in un bosco fitto e impenetrabile.
-Amy, hai una piantina della zona?-
La ragazza frugò nello zaino scampato
all’incidente. La
trovò e la porse a Julian, ancora umidiccia e molto, molto
fragile.
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Capitolo 3 *** Password: rain ***
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La stanza era perfetta, tutto era pronto. Nel camino il fuoco
scoppiettava e il suo bagliore caldo intiepidiva l’ambiente
in quella fredda e umida serata di pioggia. Sul basso tavolino che lo
separava dal camino erano posati due calici. Nel secchiello del
ghiaccio, una bottiglia di champagne era fresca al punto giusto e
pronta a essere stappata. Il tavolo accanto alla finestra era
apparecchiato, la tovaglia bianca non faceva una grinza. Tra i
bicchieri svettava una rosa rossa in un vaso di cristallo. La fiamma di
una candela faceva risplendere le stoviglie. Nell’angolo
cottura dello chalet le tartine erano allineate in
bell’ordine su un vassoio d’argento.
L’insalata era pronta, l’arrosto era nel forno a
intiepidirsi e il semifreddo al limone nel frigo.
Si affacciò in camera da letto per dare l’ennesima
ultima occhiata e controllare di non aver dimenticato nulla. Era tutto
a posto anche lì. La stanza era spiccia, in
bell’ordine, il letto ben fatto e accogliente, le coperte
tirare alla precisione. Dalla porta del bagno padronale, proveniva un
leggero profumo di lavanda.
Solo quel maledetto temporale scoppiato all’improvviso
rovinava l’atmosfera. La pioggia scrosciava a fiumi e aveva
allagato il piazzale. Per evitare che si bagnasse sarebbe dovuto
andarle incontro con l’ombrello, era sicuro che lei non lo
avesse con sé. Ma il suo gesto gentile e cavalleresco non le
avrebbe impedito di inzaccherarsi nel fango del parcheggio. Avrebbero
finito per infradiciarsi entrambi. Un lampo illuminò le
finestre, la luce del salotto ebbe un sussulto. Il tuono che
seguì penetrò così a fondo nelle
pareti di legno che lo chalet sembrò oscillare.
Lanciò un’occhiata all’orologio. Lei era
in ritardo. Lei non arrivava mai in ritardo e che lo fosse quel giorno
non era un buon segno. E se non fosse venuta? Se gli avesse dato buca?
Quella doveva essere la serata risolutiva, la serata della svolta. Lei
non poteva assolutamente non presentarsi all’appuntamento.
Respirò a fondo per scacciare il nervosismo e la
preoccupazione. La sua ospite era semplicemente in ritardo.
I colpi alla porta arrivarono improvvisi. Il fragore della pioggia che
picchiava sulle travi del tetto di legno aveva coperto ogni rumore. Non
aveva udito la macchina, non aveva neppure visto i fari illuminare il
piazzale. Finalmente era arrivata, in ritardo ma lì. Corse
ad aprire e il suo sorriso cozzò contro
l’espressione arcigna e bagnata di Landers.
-Cazzo!- gli mancò il respiro ma reagì
all’istante. Non ebbe neppure bisogno di pensarci. Gli
sbatté la porta in faccia e si appoggiò al
pannello con le spalle, caricandolo di tutto il proprio peso.
-Apri Price! Ti abbiamo riconosciuto!-
La porta risuonò di un colpo, la sua violenza gli si
trasmise lungo la schiena. Schiacciò le spalle contro il
pannello e puntò i piedi a terra. Mai. Non avrebbe aperto
mai. Se l’avesse fatto, tutta quella combriccola guastafeste
che aveva intravisto alle spalle di Landers non sarebbe più
andata via. Col temporale che imperversava, avrebbero messo radici
lì dentro. Udì la voce di Callaghan.
-Non vorrai lasciarci fuori con questo tempo!-
Sì che voleva. Non gliene fregava niente che piovesse. Come
erano arrivati, dovevano sloggiare.
-Benji, per favore…- gli parve Amy -Sii gentile, apri. Siamo
bagnati e abbiamo con noi due bambini…-
Le rispose gridando contro la porta affinché lo udissero
forte e chiaro.
-E allora? Questo non è un asilo nido!- poggiò le
mani sul pannello, scosso dai colpi insistenti dei compagni -Dovrete
passare sul mio cadavere!-
Mark percosse stizzito la porta con un calcio, poi si volse verso gli
amici. La pioggia scorreva su di loro. Avevano rovistato nel furgoncino
e avevano trovato una boa, un sacco di pellet per una termostufa che
nessuno di loro aveva, un ferro da stiro arrugginito, una cazzuola per
il cemento, un raccoglitore ad anelli formato A4, la maniglia di una
porta, una zanzariera bucata, una sedia pieghevole da spiaggia, lo
schermo di un pc, un estintore, mezza persiana, una cassetta degli
attrezzi, un tubo di gomma, una scala allungabile e pieghevole, la bici
di Julian, insomma tutto tranne un ombrello. Erano fradici e
infreddoliti. Amy rabbrividiva, le sue labbra erano diventate bluastre
per il freddo. Teneva Peter per mano, anche lui grondante di acqua.
Joy, in braccio a Jenny, starnutì. La ragazza se la strinse
al petto cercando di ripararla.
Quando la bimba starnutì di nuovo, Philip decise.
-Sfondiamo la porta.-
Landers annuì.
-Purché paghi tu i danni.-
-D’accordo.-
-Price! Se sei qui dietro ti conviene spostarti!-
I ragazzi fecero spazio, Mark arretrò. Poi si diede lo
slancio e partì. Incassò le spalle, pronto allo
schianto, ma l’urto non ci fu. La porta si
spalancò un secondo prima della collisione e Benji si
tirò di lato quando bastava per non essere travolto.
-Benvenuto, Landers.-
I piedi di Mark incespicarono nel tappeto dell’ingresso e si
spalmò sul parquet lungo disteso. L’urto gli tolse
il fiato, stelle luminose gli brillarono davanti agli occhi. Si volse
furibondo.
-Price! L’hai fatto apposta! Maledetto!-
-Ti sei fatto la bua?- chiese Peter accucciato accanto a lui, le mani
puntellate sulle ginocchia.
Mark scattò in piedi.
-Figurati! Non mi sono fatto niente, io! Non sono mica una femminuccia!-
Il bambino si gonfiò come un piccolo gallo da combattimento.
-Io pure non sono una femminuccia. Quando cado non piango mai.-
indicò la sorellina in braccio alla madre -Lei è
una femminuccia e piange sempre.-
I ragazzi entrarono in casa sfilando davanti agli occhi di Benji che li
fissava astioso, conscio dei loro piedi inzaccherati e del lago di
fango che si stava formando sul pavimento.
-Vi ho aperto ma non potete restare. Fate quello che dovete fare e poi
andate via.-
-Perché?-
-Perché ho da fare, Harper.-
-Che cosa?-
-Non sono affari tuoi.-
Amy si guardò intorno, togliendosi lo zainetto dalle spalle
e poggiandolo a terra.
-Una bella casa accogliente! È tua?-
-L’ho affittata.-
-Sì, è carina.- Julian osservò il
tavolino apparecchiato per due, notò i particolari. La
tovaglia immacolata, la candela accesa, i calici di cristallo
-Aspettavi qualcuno?-
-Certo non voi!-
-Una cena romantica.-
Benji incrociò le braccia.
-Una cena di lavoro.-
-Con lo champagne?- Julian sollevò la bottiglia dal cestello
per verificarne la marca -Un lavoro davvero impegnativo.-
-Tieni a posto le mani, Ross. E non ti azzardare ad aprirla.-
-Quanto bendiddio!- esclamò Evelyn dall’angolo
cottura, sbirciando nel frigorifero. Poi aprì il
forno e il profumo la fece quasi svenire -Di sicuro non
moriremo di fame! Ce n’è per tutti.-
-Voi non toccherete nulla, non mangerete niente e non appena
smetterà di piovere, ve ne andrete.-
-Questo è il tuo senso
dell’ospitalità?-
-Sto aspettando qualcuno e non vi permetterò di rovinarmi la
serata, Amy.-
-Sii realistico, Benji.- Philip gli fece un cenno verso le finestre
-Chi pensi che verrà quassù in una notte come
questa? Lì fuori si sta scatenando un temporale da
un’ora.-
-Voi per esempio siete arrivati.-
-Sì, per pura fortuna.- Jenny si avvicinò al
caminetto.
-Sfortuna, anzi sfiga nera vorrai dire, visto che…- il
portiere s’interruppe quando il suo sguardo passò
dagli occhi dell’amica a quelli identici della bimba che
teneva in braccio. Mise a fuoco entrambe e, come se potesse trovare in
lui la soluzione, si volse verso Philip. C’era anche un
bambino, l’aveva visto poco prima accanto a Mark. Lo
cercò e lo trovò seduto a terra a strappare con
le sue piccole dita i folti peli del tappeto.
-Che stai facendo tu? Piantala!-
Peter smise immediatamente. Quando Benji incrociò i suoi
piccoli occhi colpevoli, per un attimo gli sembrò
di guardare Philip. Il bambino era la sua copia sputata in miniatura.
-Che bella famigliola, Callaghan! Cazzo! Molla la forchetta!-
Raggiunse Philip in un lampo e gli strappò di mano la posata
con cui aveva infilzato una patata. Rimise al sicuro nel
forno la teglia che Evelyn aveva tirato fuori senza neppure chiedergli
il permesso.
-Sì, una bella famigliola.- gli fece eco Bruce.
Philip alzò le spalle.
-Pensa che ho scoperto di averla solo da qualche ora e…-
-E come mai non lo sapevi? Non avrai mica tagliato la corda dopo aver
concepito tutto questo bendiddio! Che siano tuoi non
c’è dubbio, il più grande è
la tua identica riproduzione.-
Philip spostò gli occhi su Jenny, in cerca di una risposta
che lui non sapeva darsi. Ma la ragazza era troppo indaffarata con la
figlia e non li ascoltava. Distesa Joy sui candidi cuscini del divano,
le stava sfilando via le scarpine bagnate. Peter le si
avvicinò.
-Mammi, ho fame!-
-Tra poco mangiamo, abbi pazienza. Amy, hai portato i pannolini?-
-Sì, aspetta che li prendo.-
Benji impallidì.
-Non vorrai mica cambiarlo lì sopra?-
Jenny tirò su di scatto il viso e gli lanciò
un’occhiata torva.
-è una bambina, non lo vedi?-
Amy sorrise conciliante.
-Benji, non ti agitare. Abbiamo l’asciugamano e
l’incerata, non sporcheremo niente.-
-Ho detto non sul divano!-
-E dove allora? Il tavolo è apparecchiato.-
-In bagno! Nessun posto è migliore del bagno!-
Mark non poté dargli torto.
-Almeno non ci appesterà con la puzza di merda.-
Jenny trasalì offesa, riprese Joy tra le braccia e a testa
alta sparì nel bagno.
-Che ho detto di male?-
Amy guardò l’amico malissimo.
-Il concetto potrebbe anche essere corretto, ma le parole sono
completamente sbagliate. Modera i termini davanti ai bambini.-
Mark fece spallucce e si avvicinò curioso a Peter, rimasto
accanto al divano dove sua madre lo aveva lasciato. Li guardava e li
ascoltava diffidente.
-Allora tu non saresti una femminuccia. Dì un po’,
come ti chiami?-
Il bambino lo fissò dubbioso se rispondergli o meno. Non era
sicuro che quegli sconosciuti non avrebbero fatto del male alla mamma
come i tizi del supermercato. Dopo ciò che era successo nel
parcheggio dubitava di chiunque. Ma il suo nome, a quel signore che
guidava la macchina, forse poteva dirlo. Lo guardò dritto
negli occhi.
-Peter.-
Anche Mark ebbe per un attimo la sensazione di fissare Philip, tanto
quell’espressione guardinga gli risultò familiare.
-Quanti anni hai?-
Il bimbetto alzò la manina tenendo piegato il pollice.
-Quattro?-
Peter annuì e Bruce gli indicò l’amico
che gravitava insistente nell’angolo cottura.
-Quello lì è il tuo papà, lo sai?-
Peter spalancò la bocca dalla sorpresa, i suoi occhi
divennero enormi mentre si posavano su Philip, nei pressi del
frigorifero, interessato più a trovare qualcosa da mettere
nello stomaco che a loro.
-Non lo voglio un papà! Mi basta la mamma!- corse verso suo
padre e punì la sua esistenza con un calcio ben piantato
nello stinco.
-Ma porc… Che accidenti fai?! Che cavolo! Piccola peste! Fa
male!-
Peter scappò e Philip lo inseguì zoppicando
intorno al divano e al tavolo, poi verso il bagno. Il bambino
s’infilò dentro, lui lo seguì e si
fermò sulla soglia furente. Jenny si volse spaventata, Joy
invece lo accolse con una risata, tendendo le manine per farsi prendere
in braccio.
-Che succede?-
-Mi ha dato un calcio!-
-Peter! Chiedigli subito scusa!-
Il bimbo si rifugiò dietro di lei e sprofondò il
volto nella maglietta della madre. Ostinato, non disse una parola.
-Peter non si fa. Chiedigli scusa!-
Lui scosse la testa ma il rimprovero della madre di fronte a quel padre
che non voleva fu così umiliante che i suoi occhi si
riempirono di lacrimoni. L’ira di Philip implose.
-Lascia stare Jenny, non importa.-
-Sì che importa. Peter, sei o no un bravo bambino? Chiedi
scusa a Philip.-
-Lui è cattivo!-
-Perché? Cosa ti ha fatto?-
-Non lo voglio un papà! Non ci serve!-
-Tutti i bambini hanno un papà e dovresti essere contento di
averlo anche tu.- rispose Jenny ragionevole, finendo di allacciare la
salopette alla figlia. Poi lo prese per mano -Vieni, torniamo di
là. È ora di cenare. Hai fame?-
Il bambino annuì tirando su col naso.
Rovistando nell’armadio della camera da letto, Amy
trovò una gran quantità di asciugamani che
distribuì ai ragazzi. Le scarpe bagnate e infangate erano
state accantonate vicino all’ingresso ed Evelyn aveva
asciugato il pavimento per evitare che qualcuno scivolasse.
Intanto Benji si aggirava irrequieto nel salotto, sbuffava e borbottava
scontento, lanciando continue occhiate alla finestra con la speranza
che la pioggia cessasse. Poi ci ripensava e pregava che il temporale
continuasse, che venisse giù tanta di quell’acqua
da impedire alla sua ospite di raggiungerlo. Cosa avrebbe fatto se
fosse arrivata e lo avesse trovato in compagnia di tutti quegli intrusi?
Evelyn vide Jenny uscire dal bagno.
-Hai finito?-
-Per il momento. Dopo vorrei fare una doccia.-
-Non c’è tempo. Dovete andar via.- disse Benji ma
nessuno gli diede ascolto.
-Credo che tutti faremo una doccia, Jenny.- Julian guardò
Amy che annuì.
Allora il portiere mutò tattica e pensò che prima
si sistemavano, prima se ne andavano.
-C’è un altro bagno in camera da letto.
È solo più piccolo.-
Per le ragazze era perfetto perché concedeva un minimo di
privacy. Sparirono di là insieme ai bambini. Il salotto
piombò nel silenzio, si udiva solo lo scrosciare della
pioggia all’esterno.
-Quel bambino è la tua copia spiccicata.-
Philip guardò Benji dritto negli occhi.
-Chi stai aspettando? La conosciamo?-
-Non sapevo niente della tua prole. Era un segreto?-
Philip si avvicinò al tavolo e indicò la rosa nel
vaso.
-Decorazione interessante per una cena di lavoro.
C’è pure la candela. Non immaginavo che fossi
capace di tanto romanticismo.-
-Come si chiama la bambina?-
-Cos’hai cucinato?-
-Quanti anni ha?-
-Aspetta… Hai cucinato tu la cena?- Philip indicò
le vivande -Sai cucinare questa roba?-
-Rosticceria.-
-Ah, mi pareva.-
-Va bene Callaghan, facciamo una tregua.-
L’altro annuì.
-Però come si chiama la bambina puoi dircelo, no?-
-Il bagno è libero, Julian. Se non ci vai tu ci vado io.-
-Ah già…- Ross si sfilò la maglietta,
la stese sul tappeto davanti al camino per farla asciugare e
sparì dietro la porta.
-Allora, come si chiama?-
-Non lo so, accidenti!- esplose Philip.
-Non sai come si chiama tua figlia? Ma non farmi ridere!-
-No, Price! Non lo so, maledizione! Neanche sapevo di averli, dei
figli!-
Nel silenzio che seguì, si udì lo scatto di una
serratura. La porta della camera da letto si aprì, Peter si
affacciò guardingo e li fissò uno a uno. Quello
che vide sembrò soddisfarlo, sgattaiolò fuori
silenziosissimo e richiuse piano la porta. Tornò vicino al
caminetto e si sedette sul tappeto, davanti al fuoco, accanto alla
maglietta di Julian. Tirandola un po’ qua e un po’
là con meticolosa precisione, eliminò tutte le
grinze. I ragazzi lo osservarono curiosi pensando ciascuno ai fatti
propri mentre Julian usciva dal bagno e Bruce ne entrava.
Peter alzò gli occhi su Benji.
-Ho fame.-
-Tua madre ti preparerà la cena.-
-Ho fame subito.-
-Anche noi abbiamo fame subito ma non facciamo la lagna.- lo
zittì Philip, che non gli aveva ancora perdonato il calcio.
Due sguardi praticamente identici si incrociarono, emanando scintille.
Jenny entrò nel salotto. Profumava di sapone, ma gli abiti
che indossava erano gli stessi bagnati di prima. Non aveva nulla con
cui sostituirli.
-Peter, vieni a lavarti?- lo trovò seduto davanti al fuoco.
A poco a poco i vestiti gli si stavano asciugando addosso.
-Ho già fatto il bagno con la pioggia.-
Sua madre sorrise.
-Cosa stai facendo?-
-La fila.-
-La fila per cosa?-
-Per il bagno.-
-Vuoi che ti aiuti?-
-Sono grande, mi aiuto da solo.-
-Va bene allora, fai da solo. Il bagno è libero.-
-Quello è il bagno delle femmine. Io uso
quest’altro.- e indicò la porta chiusa dietro cui
adesso c’era Philip.
-Tra quanto mangiamo?- s’informò Bruce ciondolando
tra il frigorifero e il forno. Non poteva più aspettare.
Mark rispose subito.
-Quando saremo tutti pronti, Harper.-
-Cosa mangiate?- domandò Benji polemico -Avete fatto la
spesa prima di venire qui a distruggermi la serata?-
-Hai il forno pieno, Price. Sgancia.-
-Mai!-
Jenny si avvicinò all’angolo cottura e
cominciò ad aprire pensili e sportelli tirando fuori tutto
ciò che trovò di commestibile.
Il portiere le corse accanto.
-Tieni le mani a posto! Non ho comprato questa roba per sfamarvi.-
Lei parlò calma, tranquilla, inesorabile.
-Mettiti l’anima in pace, Benji. Ci inviterai a cena, che tu
lo voglia o no.-
Il ragazzo ammutolì, perché Jenny gli aveva
appena spiattellato in faccia una verità che non voleva
accettare ma che era l’unica via possibile. Ormai erano
arrivati, ormai erano entrati e avrebbero mangiato tutto ciò
che lui aveva acquistato per se stesso e per la sua ospite. Avrebbero
fatto man bassa, non sarebbe riuscito e non avrebbe potuto fermarli in
nessun modo.
-Cominciamo dallo champagne.- Julian prese la bottiglia,
scartò con gesti esperti la stagnola e fece saltare il tappo
che colpì il soffitto e rimbalzò sulla schiena di
Bruce, che stava accorrendo con i primi bicchieri.
-Salute! Auguri! Congratulazioni! Cento di questi giorni, Julian!-
Philip, appena uscito dal bagno, rise di gusto.
-Gli stai davvero augurando un centinaio di giorni come questo?-
La voce di Amy arrivò dal camino. Nessuno l’aveva
vista tornare in salotto con Joy in braccio.
-Cento viaggi di nozze?-
-Tutti rigorosamente ecosostenibili.- le fece eco Mark con una risata.
-E centro matrimoni?-
-Potrebbe.- non smise di ridere Philip -Con tutte le fan che
ha…-
-Non sei per niente divertente.-
-Non te la prendere Amy.- le porse un bicchiere con il liquido
paglierino -Stiamo scherzando.-
-Scherziamo sulla tua vita, Philip. Così rido
anch’io.-
Il portiere si intromise.
-E cosa c’è da ridere? S’è
scoperto padre disperso di due figli che non lo conoscono e neppure lo
vogliono. E quel che è peggio, addio al sesso di coppia.
Ende! Kaputt! Se vuoi suicidarti, Callaghan, ti passo un coltello!-
-Benji! Non davanti ai bambini!-
Ma i bambini erano molto occupati e non davano loro retta. Peter aveva
dato a Joy il tappo dello champagne ripescato sotto il tavolo, convinto
che chiudendole la bocca avrebbe finito una buona volta di frignare. La
bimba aveva accolto entusiasta l’invito e adesso lo succhiava
beata, incidendo il sughero al sapore di champagne con i suoi dentini
appena spuntati. Peter si avvicinò quatto quatto al tavolino
e rubò uno dei bicchieri per premiarsi. Perché
quel giorno lui era stato bravo, aveva difeso la mamma dai signori del
supermercato e dal brutto ceffo che diceva di essere suo padre e adesso
aveva tutto il diritto di assaggiare quella cosa da grandi. Non era
mica una femminuccia. Si portò il calice alle labbra e lo
mandò giù tutto in un’unica sorsata.
Spalancò gli occhi e cominciò a tossire.
Sentì le bollicine pizzicargli il naso e uscirgli dalle
orecchie. La mamma gli strappò il bicchiere di mano.
-Peter! Che fai?-
Bruce scoppiò a ridere.
-Se l’è scolato tutto!-
-Certe cose non si lasciano a portata di mano dei bambini.-
-E adesso?- Benji scrutò preoccupato Peter e ancor
più preoccupato il tappeto -Vomita?-
-Si ubriaca?- Philip si sentì un filino responsabile. Forse
avrebbe dovuto stare più attento e tenerlo
d’occhio -Si vede che a questo bambino è mancata
la figura paterna. È un cucciolo selvatico.-
Jenny restò zitta ma il commento non le piacque. Invece
Mark, appena uscito dal bagno con i capelli ancora grondanti, ne
approfittò per dare addosso al compagno.
-Esattamente, Philip. Dove sei stato tutto questo tempo? Quattro anni
non sono mica pochi!-
Il ragazzo si volse verso Jenny.
-Forse lo hai adottato?-
Lei divenne scarlatta.
-Philip!-
-Non ci provare, Callaghan. Peter è la tua copia spiccicata!-
-Evelyn, quanto ci metti? Stiamo aspettando te per mangiare.-
urlò Bruce verso la camera da letto.
-Non devi aspettarmi per forza!-
-Poteva dirlo subito!- borbottò lui fiondandosi verso il
forno e tirando fuori l’arrosto.
Amy mollò Joy tra le braccia di Philip e corse in cucina,
tallonata da Jenny.
-Fermo, Bruce. Facciamo noi le porzioni!-
Dopo cena, mentre Evelyn e Amy rassettavano la cucina, Philip si
arrampicò sullo sgabello di legno dell’angolo
cottura. Da lì poteva tenere sotto controllo tutta la sua
famiglia. Peter era seduto di nuovo davanti al camino, il fuoco lo
affascinava, e stava costruendo qualcosa con dei piccoli pezzi di legno
che gli aveva dato Bruce. Joy aveva finito di rosicchiare il tappo e
adesso, seduta sul divano, agitava in aria il pupazzetto che Jenny, in
mancanza di giocattoli, aveva arrangiato con dei tovaglioli. Erano
svariati minuti che Philip ci giocherellava soprappensiero
rigirandosela intorno al dito, ma solo all’improvviso
realizzò di avere la fede all’anulare sinistro.
Balzò in piedi rovesciando lo sgabello con un frastuono che
spaventò tutti e si precipitò davanti a Jenny.
Tese il braccio, mostrandole l’anello.
-Quando ci siamo sposati?-
Jenny abbassò gli occhi, nessun cerchietto d’oro
adornava la sua mano sinistra.
-Ci siamo sposati?-
-Tu non ce l’hai!-
Asciugandosi le mani in uno strofinaccio, Evelyn si avvicinò
per gustarsi tutta la scena.
-Forse l’hai gettata via quando lui ti ha abbandonata.-
-Non l’ho abbandonata!-
-A noi hai detto il contrario.-
Bruce rise.
-Ci avrei scommesso che era stata lei a lasciarti.-
Philip sprofondò confuso e scontento nella poltrona.
Perché aveva la fede e lei no? Perché
all’improvviso erano spuntati quei bambini?
Jenny alzò le spalle impotente e mise sul tappeto Joy che
mugolava per scendere dal divano.
-Davvero, non ricordo.-
Stringendo il pupazzo in una mano, la bimba gattonò fino ai
piedi di Philip emettendo gridolini contenti. Gli si
aggrappò ai pantaloni, si tirò su in ginocchio e
gli porse la bambola. Philip non la prese. In realtà neppure
si accorse di lei. Aspettava da Jenny una spiegazione che non veniva.
Allora Joy iniziò a gridare una serie di ta-ta-ta-ta-ta e
continuò petulante finché lui, dopo un urlaccio
snervato di Benji, la sollevò in braccio. Mark sorrise.
-Non sei contento, Callaghan? Almeno uno dei tuoi figli ti adora.
Meglio di niente, no?-
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Capitolo 4 *** Password: river ***
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river
Philip si svegliò presto. Aveva riposato malissimo. Il
pensiero dei due bimbi non aveva abbandonato la sua mente neanche
durante il sonno. Erano stati un chiodo fisso, li aveva sognati in
tutte le forme e in tutte le salse. Persino già maggiorenni,
il matrimonio di sua figlia e la festa di laurea di Peter. Si
alzò dalla poltrona barcollando, frastornato dalla
stanchezza. Il plaid in cui si era avvolto durante la notte
scivolò a terra. Si chinò a raccoglierlo e si
volse verso l’angolo cottura, attirato dai rumori che
provenivano da lì. Amy era già sveglia e stava
preparando il caffè.
-Ne vuoi?-
Philip annuì e la raggiunse.
-Jenny?-
-Credo che stia ancora dormendo. Ieri Joy ha impiegato una vita a
prendere sonno.-
Lui la guardò con un vago senso di colpa.
-Oh, io ho dormito. E anche Evelyn. A proposito Eveyn è in
bagno.- ammiccò verso la porta -In questo bagno. Tante volte
volessi salutare Jenny…- gli strizzò un occhio e
Philip colse al volo l’invito.
C’erano ancora due o tre cose da chiarire e forse quello era
il momento giusto per ritagliarsi un po’ di privacy.
Raggiunse la porta della camera, accostò il viso
all’uscio e trattenne il respiro. Non udiva nulla.
Posò una mano sulla maniglia e la ruotò nel
momento stesso in cui quella si muoveva da sola. Ritirò di
colpo le dita mentre la porta si apriva. Dietro non c’era
nessuno. Ma abbassando lo sguardo e trasalì. Sbagliato!
C’era la piccola peste!
Una manina a strofinarsi gli occhi, Peter sbadigliò, mise a
fuoco l’adulto che aveva davanti e la sua espressione divenne
comicamente minacciosa.
-Non puoi entrare.-
-E perché?-
-Non devi stare con la mamma.-
-Davvero? Chi lo ha deciso?-
-Io. Però puoi penderti Joy, tanto piange e basta.-
-Joy è una brava bambina, al contrario di te.-
Lui arricciò la bocca e sporse il labbro inferiore, offeso.
-Non è vero! Joy non è un brava bambina! Lei non
è capace di difendere la mamma. Io sì! Non puoi
entrare, la mamma sta dormendo!-
Philip si sentì rimescolare. Chi credeva di essere, quel
piccoletto? Benji aveva forse ragione? Bambini uguale
addio-vita-di-coppia? Ma lui doveva parlare con Jenny di cose
importanti, senza quella bestiolina selvatica a mettersi di traverso.
Come levarsela di torno?
-Non decidi tu quello che devo fare. Ficcatelo in testa, pulce!-
Furiosi, offesi, testardi, ostinati, si volsero le spalle
l’un l’altro e si allontanarono ciascuno nella
direzione opposta. Philip tornò verso l’angolo
cottura, un senso di vittoriosa soddisfazione per aver avuto
l’ultima parola e aver rimesso in riga quella minuscola
pulce. Peter rientrò in camera, felice di averla avuta vinta
su un signore così tanto antipatico. Aveva difeso la mamma e
non gli aveva permesso di avvicinarsi a lei.
Amy accolse il ritorno di Philip con un sorriso.
-Dovresti risanare al più presto il rapporto conflittuale
che hai con tuo figlio. Una volta adulto potrebbe venirgli il complesso
di Edipo. Tu sai che fine ha fatto il padre di Edipo?-
-Morto ammazzato.- Benji si stiracchiò e raggiunse il
caffè sbadigliando.
-Zucchero?-
-Piuttosto qualcosa di solido da mettere nello stomaco.-
-Non è avanzato granché dalla cena.- Amy gli
indicò una confezione di fette di pan-carré ormai
agli sgoccioli.
Benji si servì abbondantemente e Philip protestò
all’istante.
-E gli altri?-
-Questo pane l’ho comprato io e se permetti ne usufruisco a
piacimento. State scroccando la mia ospitalità da ieri e a
nessuno è venuto in mente di contribuire alle spese.-
-Mi è appena sembrato di udire Landers.- lo
schernì l’amico.
Amy alzò gli occhi al cielo e, senza farsi notare, mise da
parte un paio di fette per Julian che rischiava di rimanere a digiuno,
soprattutto ora che al club degli affamati si era aggiunto anche Bruce.
Il maltempo della sera prima aveva ripulito il cielo che splendeva di
un azzurro accecante e si rifletteva sulle pozzanghere. Mark si
fermò sulla soglia stiracchiandosi. La carrozzeria del
furgone scintillava sotto i raggi del sole, la polvere, la merda degli
uccelli, il fango, era scomparso tutto. Il furgone non era mai stato
così pulito, neppure quando era uscito nuovo fiammante dal
concessionario. Momento che Mark non aveva potuto gustarsi
perché l’aveva acquistato usato e molto
più sporco di come era ora. Pensare che per ottenere tale
brillantezza non aveva dovuto tirar fuori neppure uno yen lo metteva di
buonumore. Quella pioggia era stata una manosanta, tanto più
che grazie al temporale aveva vissuto un giorno della sua vita a
scrocco di Benji. Cosa poteva desiderare di più?
Per esempio che il suddetto portiere non si avvicinasse al suo furgone
con quella valigia e quelle due buste? Che non posasse i suoi bagagli
sui sedili?
-Che stai facendo?-
-Vengo con voi. Il mio appuntamento è saltato. Cosa resto a
fare qui?-
-Cazzi tuoi. Non c’è posto.-
-Davvero? Eppure mentre eri in bagno Philip ed io abbiamo ricavato un
bel po’ di spazio.- indicò con un gesto un mucchio
di cianfrusaglie accatastate addosso al muro dello chalet.
Mark impallidì.
-Le mie cose!- corse verso i rottami, esaminandoli uno per uno. Non
c’era niente da buttare, lì. Di sicuro non quella
mezza persiana, un giorno avrebbe potuto utilizzarla come legna da
ardere. Per non parlare della sedia. Si trattava solo di ripararne il
cuscino e rimpinguare l’imbottitura. Come s’erano
permessi di gettare via quegli indispensabili metri di tubo di gomma? E
quello specchio crepato? La cornice era ancora nuova di zecca. Se
proprio serviva fare spazio, la prima cosa da scaricare era
l’ingombrante bicicletta di Julian!
Bruce si affacciò dalla porta d’ingresso.
-Mark, dove hai messo i pannolini?-
Il ragazzo neppure si volse, occupato a riagganciare a un secchio di
plastica sfondato il manico che si era staccato. In qualche modo
avrebbe potuto rattoppare il fondo e riutilizzarlo.
-Non ne so niente. Chiedi a Callaghan.-
-Philip non lo sa.-
-Allora guarda nel furgone!-
Bruce rovistò tra le cose che ingombravano
l’ultima fila di sedili e fece inavvertitamente cadere la
valigia di Benji in una pozza d’acqua. Trasalì e
si guardò intorno. Per fortuna il portiere era rientrato,
altrimenti chi lo sentiva? La rinfilò alla bell’e
meglio in mezzo agli altri bagagli, posandola sul lato bagnato in modo
che non si vedesse la macchia di fango sul tessuto. Riprese a cercare i
pannolini e li trovò in una busta sotto un cassetto spaiato.
Ne recuperò uno.
Peter gli spuntò accanto.
-Lo porto io alla mamma, signore.-
Bruce si ringalluzzì a quella dimostrazione di rispetto.
-Te lo hanno mai detto che sei proprio un bambino educato?- gli
gridò dietro mentre Peter correva via.
A un passo dall’ingresso si trovò davanti a
un’invitante pozzanghera. Allora prese la rincorsa e ci
saltò dentro, schizzandosi fin sui capelli e sparando
spruzzi a destra e a manca. Mark alzò gli occhi al cielo.
-Piove?-
Le scarpine zuppe di Peter lasciarono una traccia bagnata e fangosa sul
parquet.
-Ecco il pannolino, mammi!-
Lei lo fissò sgomenta.
-Peter! Cos’hai combinato?-
-Ho fatto il tuffo!-
I vestitini del bambino, che avevano passato la notte ad asciugarsi,
erano di nuovo costellati di schizzi. Jenny scosse la testa rassegnata.
Prima di occuparsi di Peter, doveva finire di cambiare Joy. Sdraiata
sulla schiena, le gambette all’aria, la bimba stava occupando
il tempo dell’attesa assaggiando una a una le dita dei
piedini nudi.
-Almeno hai finito di fare colazione, Peter?- Jenny prese il pannolino
e lo vide correre via senza risponderle -Peter! Hai finito di fare
colazione?-
-No, non ha finito.-
Seduto accanto a Mark, rientrato per scolarsi le ultime gocce di
caffè, Philip lanciò un’occhiata al
bicchiere colmo di succo di frutta e ai quattro biscotti sbriciolati da
piccole dita, ammollati di saliva e infine abbandonati nel piatto.
-Spi-o-ne, spi-o-ne, spi-o-ne!-
-Fanculo Landers.-
-Fallo rientrare, Philip. Prima di andare a giocare deve finire di
mangiare.-
-Io?-
Jenny gli lanciò un’occhiata penetrante.
-Certo, chi altri?-
Il giovane si alzò da tavola e uscì. Lo sentirono
gridare un paio di volte, lo videro correre qua e là per il
piazzale dietro al pargolo che se la dava a gambe e rientrare poco dopo
sconsolato.
-Non mi dà retta.-
-Certo, perché dovrebbe? Se ti incontra per strada neppure
ti riconosce.-
-Grazie per la precisazione, Benji.-
-Jenny, mi chiedevo…- cominciò Amy sorseggiando
una tazza di tè in attesa che tutti fossero pronti -Tu hai
la mia età, vero? E Peter ha quattro anni, giusto?-
Lei annuì.
-Questo significa che l’avete messo al mondo a quindici anni?-
Philip li aveva già fatti i conti e il risultato non
collimava con i suoi ricordi. Però le sue conoscenze sulla
gravidanza erano molto superficiali, anzi, il processo di nascita di un
bambino era ermetico e misterioso, molto esoterico, un rito quasi
magico. Forse in uno o due passaggi imperscrutabili a lui del tutto
oscuri, avrebbe potuto trovare una risposta. Però a chi
chiedere? Con chi consultarsi? Non voleva fare la figura dello stupido
con nessuno dei compagni. Se almeno avesse potuto scambiare con Jenny
due parole in privato. Ecco, magari poteva almeno avvertirla che voleva
parlarle in modo che anche lei contribuisse a creare
l’occasione. Le si avvicinò, Joy lo vide e tese le
manine paffute per farsi prendere in braccio. Jenny, così
abituata a fare da sola com’era, approfittò
immediatamente di quell’aiuto insperato.
-Ti adora, te la posso lasciare? Devo andare a vedere che combina
Peter!-
Neanche l’avessero chiamato, se lo trovarono accanto.
-Mammi!- corse a mettersi fra lei e Philip.
-Finisci di fare colazione, Peter.-
Quello scosse la testa e le afferrò con una mano i jeans,
tirandola verso di sé per allontanarla da Philip. Con
l’altra manina intanto lo spingeva via, premendogli le dita
su una coscia, senza riuscire tuttavia a farlo indietreggiare di un
passo.
-Pulce…- ringhiò quello lanciandogli
un’occhiataccia, alla quale il bambino rispose con uno
sguardo praticamente identico.
Mark rientrò per l'ennesima volta, sbuffando sudato. Era
riuscito a rificcare nel furgoncino praticamente tutto. Aveva
abbandonato solo il secchio sfondato. Che si stringessero, i suoi
passeggeri. Nessuno era obbligato a salire e lui li avrebbe lasciati
volentieri a terra. Se non fossero riusciti a entrare, tanto meglio!
-Insomma, siete pronti?-
-Hai ripulito i sedili? Ieri erano in condizioni pietose!-
-Certo Amy, erano tali e quali ai tuoi vestiti. Comunque li ho puliti.-
-Immagino.- la ragazza recuperò lo zainetto e prese per mano
Peter.
Benji fu l’ultimo a uscire e richiuse la porta dietro di
sé.
Pranzarono in un autogrill pagando ognuno per sé, ma Mark
insistette perché ciascuno versasse la propria quota per il
pieno di benzina.
Uscirono dal centro abitato e imboccarono la statale che costeggiava un
fiume in piena. Lo vedevano dai finestrini del furgone che ribolliva
contro gli argini, trascinando via tronchi e rami di alberi scalzati
dalla corrente impetuosa. Dopo meno di un’ora si fermarono
su uno spiazzo perché Peter doveva far
pipì.
-Non lo hai portato al bagno all’autogrill?-
domandò Mark osservando attraverso lo specchietto
retrovisore Jenny che apriva lo sportello e scendeva insieme al figlio.
Il tempo sembrava essersi guastato tutto insieme. Il cielo freddo e
nuvoloso che li sovrastava aveva richiuso in casa quasi tutta la
popolazione di quei luoghi ed erano pochissime le macchine che
percorrevano la statale.
-Certo che ci è andato.- sbuffò Philip agitandosi
nervoso sul sedile. Peter aveva chiesto di andare in bagno nel momento
in cui lui tentava di dire a Jenny che voleva parlarle -Poi
però Evelyn gli ha comprato le patatine, si è
sbafato tutto il pacchetto in meno di trenta secondi e ci ha bevuto
dietro un litro d’acqua.-
La ragazza sventagliò le ciglia.
-Me le ha chieste in un modo così carino… non
potevo proprio rifiutarmi.-
Julian aprì lo sportello e scese a terra.
-Devi farla anche tu?-
-No, Bruce. Devo muovermi. Ho il cadavere di una persiana che mi sta
scavando un buco nella coscia. Non possiamo buttarla?-
-Non possiamo buttare la tua bici?-
Jenny tornò verso il furgoncino tenendo Peter per mano.
-Noi abbiamo finito.-
-Accompagni anche me a fare pipì, mammina?- la
stuzzicò Bruce.
-Taci Harper, o ti do un pugno.-
-Hai la coda di paglia, Philip.-
Mark mise in moto, pronto a riprendere il viaggio.
-Aspetta!- Evelyn tese di colpo un braccio per indicare un punto
lontano e, strizzati com’erano sui sedili posteriori, per un
pelo non conficcò un dito nell’occhio di Julian
-Quello sull’altra riva non è Tom?-
Si volsero e lo videro. Era proprio Tom! Agitava forsennatamente una
mano in aria a destra e sinistra e gridava a squarciagola. Peccato che
fossero troppo lontani per capire.
-Cos’è quello che tiene in braccio? Un bambino?-
-Oppure un cane.-
-A me sembra più un bambino.-
-Tom non ha figli, Philip.-
-E allora? Neanch’io pensavo di averne.-
Quando Tom capì dai loro cenni che lo avevano individuato,
smise di agitarsi. Gridò insistentemente una serie di frasi
ma il fragore del fiume in piena coprì le sue parole.
-Che sta dicendo?-
-Non lo so! Non si capisce niente!-
-Aspetta, Julian.- Bruce strizzò gli occhi più
che poté -Io so leggere le labbra, dammi solo un
attimo…-
Con gesti concitati e insistenti, continuando a urlare Tom indicava il
fiume che scorreva impetuoso verso valle.
-Allora, Bruce? Cosa sta dicendo?- Amy al suo fianco teneva in braccio
Joy che ronfava come un piccolo ghiro.
-Uhm… Ecco… Ah! Dice che non sa come attraversare
il fiume! È rimasto bloccato dall’altra parte
dalla piena e ci chiede se possiamo andare a prenderlo.-
-Già, e come? Con un elicottero?-
-Julian!-
-Amy, come lo recuperiamo secondo te? Se anche avessimo una
barca…-
-Ehi! Qui c’è una barca!-
Il grido di Mark li portò ad avventurarsi tra la rigogliosa
vegetazione che cresceva sugli argini del fiume. L’amico era
già a bordo di una piccola imbarcazione di legno e stava
sciogliendo la cima che la teneva assicurata a un palo conficcato
nell’acqua. Benji si avvicinò.
-Che vuoi fare?-
-Vado a prendere Tom e lo riporto di qua.-
-Da solo?-
-Certo.-
-Vengo con te.- Philip saltò dentro.
-Cosa ho appena detto?-
Anche Julian salì a bordo.
-Siete sordi per caso? Non ho bisogno di voi, mi sareste solo
d’intralcio!-
Neppure Benji lo ascoltò. Si calò nella barca e
mentre Philip e Mark recuperavano i remi, si piazzò a prua
impettito come una polena. Amy non credette ai propri occhi.
-Non avete visto in che condizioni è il fiume?-
Julian s’innervosì.
-Vuoi che andiamo a prendere Tom e quella cosa che ha in braccio oppure
no?-
Sulla riva opposta del fiume, Becker si sbracciava ancor più
di prima e gridava a squarciagola parole portate via dal fragore dei
flutti. Saltellava come un ossesso, indicava con insistenza un punto
verso valle, faceva cenni all’imbarcazione, si piegava, si
voltava, tentava disperato di far capire loro qualcosa di urgente e
importante che però nessuno riusciva a comprendere. Amy
smise di guardarlo quando la barca si staccò dal molo e in
un secondo finì nei gorghi della corrente.
-Ehi! Aspettatemi!- Bruce corse per un tratto lungo gli argini, poi le
rocce gli sbarrarono la strada e fu costretto a fermarsi.
-Harper, rimani con le ragazze!- Mark fissò il portiere -Qui
siamo pure troppi!-
-Bruce!- lo richiamò indietro Jenny -Seguiamoli col
furgoncino!-
La barca filò via, trascinata e spinta dalla corrente verso
valle, girando su se stessa a ogni gorgo, sobbalzando alle onde,
schivando massi, colpita da tutto ciò che la corrente aveva
scalzato dalla riva durante la notte e portato via con sé.
-Dov’è che stiamo andando?- Julian si
guardò alle spalle -Tom non si vede più!-
-Callaghan, Landers!- urlò Benji che sentiva il pranzo
tornargli fastidiosamente su. Fortuna che aveva mangiato solo un panino
-Che diamine state facendo con quei remi? Dobbiamo attraversare il
fiume, non arrivare fino al mare!-
-Come possiamo remare con una corrente così forte?-
La barca si schiantò contro una roccia, il legno
scricchiolò.
-Almeno cercate di evitare i massi, o coleremo a picco in tre secondi!-
-Posso dirvi una cosa?- Julian si asciugò con una manica uno
schizzo di fiume che gli era finito sulla fronte -Mai fatto rafting ma
è spiacevolissimo.-
Philip annuì.
-Per di più siamo di nuovo fradici.-
Il fiume ribolliva come un calderone. Le onde urtavano contro i massi e
contro la barca e alzavano alti spruzzi che li investivano in pieno.
-Landers! Fai attenzione a quella roccia!-
-L’ho vista, Price! Non sono cieco!- infilò il
remo nell’acqua, lo puntò sul fondale e la barca
ruotò su se stessa allontanandosi miracolosamente dal
pericolo. Un’onda alta un metro li sollevò con
tutta l’imbarcazione. Quando ricaddero Mark perse
l’equilibrio e si spencolò oltre il bordo. Philip
lo afferrò per la maglietta un secondo prima che finisse nel
fiume. La barca si piegò da un lato imbarcando acqua. Benji
la sentì penetrargli nelle scarpe.
-Philip, torna al tuo posto! Siamo sbilanciati, rischiamo di
rovesciarci.-
-Ti pare facile!-
-Fallo!-
Avanzando instabile su un fondo che sussultava, aggrappandosi alle
travi che facevano da sedili e alla spalla di Julian, Philip
riuscì a tornare al suo posto. Abbarbicato alla prua, il
portiere scrutava il fiume in cerca degli ostacoli celati
dall’acqua agitata ma ebbe lo stesso il tempo di indicare il
remo che il ragazzo aveva abbandonato.
-Se tu e Landers riuscite a evitare i massi, forse arriveremo
dall’altra parte.-
-E tu che farai?-
-Io? Io dirigerò le manovre, naturalmente!-
-Perfetto, così se affonderemo sarà per colpa
tua.-
-Non affonderemo per colpa mia, Landers. Puoi starne certo!-
-Perché dobbiamo affondare?-
-Zitto Philip!-
Julian si guardò intorno.
-Questa bagnarola non ce l’ha un timone?-
-Secondo te in una corrente simile, ci faremmo qualcosa con un timone?
Piuttosto tienici lontani da quella roccia, Landers!- il portiere si
aggrappò ai bordi della barca e si preparò a un
urto che riuscì a essere evitato.
-Callaghan, a sinistra!-
-L’ho vista!-
-Landers, a destra!-
-L’ho vista anch’io!-
-Callaghan!- e dopo un secondo -Landers!-
-Piantala!-
E poi ancora.
-Callaghan! Landers! Landers! Landers!-
-Basta! Non posso sopportarlo!- snervato e imbufalito, in un gesto
incontrollabile di stizza Mark sollevò il remo lo
lanciò lontano. Il pezzo di legno si inabissò tra
le onde spumeggianti.
-Cos’hai fatto?-
La domanda di Julian lo mise di fronte alla realtà. Si
fissò le mani, ora più vuote che mai.
-Perché hai lanciato il remo nel fiume? Potevi infilarglielo
in bocca, se volevi farlo stare zitto!-
-Non ci ho pensato!-
-L’hai gettato via perché sei un cretino, Landers!
Ecco perché!-
-Piantala Price o ti butto in acqua!-
-Vi sembra questo il momento di litigare?!-
-Per litigare il momento è sempre buono!-
Mark non controllava più il suo lato,
l’imbarcazione urtò contro un masso e le tavole di
legno si incrinarono, cominciando a spillare acqua. Landers
alzò su Price uno sguardo colpevole ma quello, troppo preso
dal suo importante ruolo, non se ne accorse. La barca
continuò a sobbalzare imperterrita sulle onde, rendendo
difficoltoso non soltanto ogni movimento, ma anche riuscire a rimanerne
all’interno.
-Riparala Mark…- gli consigliò Philip osservando
la falla.
-Con cosa? Hai qualche idea?- diede un’occhiata alla tavola
scassata ma non trovò nulla che potesse fare al caso suo. Se
avesse avuto la sua amata persiana…
Benji li richiamò sull’attenti.
-Callaghan! Dove stai guardando? Là!-
Philip si sporse prontamente per puntellare il remo contro un masso
sbucato di colpo tra i flutti. La violenza con cui un’onda
improvvisa li spinse proprio in quella direzione, fece cozzare il legno
sulla pietra. Il remo si spaccò a metà,
lasciandolo a governare la barca con un’unica scheggia di
venti centimetri. La osservò incredulo, poi non sapendo che
farsene, la gettò sconsolato nel fiume.
-E adesso?- domandò Julian con gli occhi di fuori.
Philip alzò le spalle.
-Benji, non ho più il remo e stiamo imbarcando acqua.-
Lui si volse indietro, una maschera di incredulità.
-Bene! Direi che abbiamo concluso la traversata! E non per colpa mia!
Siete pronti a fare un bagno?-
-Tanto, più bagnati di così…-
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Capitolo 5 *** Password: wolf ***
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-Frena Bruce! La barca sta affondando!-
-Come hanno potuto? Sono scemi o cosa?- il ragazzo
arrestò il furgoncino e saltarono a terra.
Jenny appioppò Joy a Evelyn, abbandonò Peter sui
sedili e seguì Amy che correva a perdifiato lungo le sponde
del fiume. Della barca non c’era più traccia ma si
scorgevano i ragazzi emergere a tratti dai flutti, sballottati qua e
là dalla corrente, mentre cercavano di raggiungere a nuoto
la riva.
Benji passò rapidissimo accanto al tronco di un albero
spezzato che si protendeva nell’acqua per un bel tratto.
Riuscì ad aggrapparsi a un ramo mezzo sommerso e
afferrò al volo ciò che restava a galla di Ross,
finito in un gorgo e trascinato via dalla corrente. Quello riemerse
sputacchiando.
-Julian!- chiamò Amy dalla riva, bianca di preoccupazione.
Jenny superò di corsa l’amica e i due che
arrancavano sfiniti verso l'argine e proseguì per un altro
bel tratto, inseguendo il fiume che si portava via Philip e Mark senza
che lei potesse fare niente. Alla fine dovette fermarsi stringendosi la
milza senza più fiato. Un clacson strombazzò alle
sue spalle. Benji, grondante d’acqua, aveva relegato Bruce
sul sedile del passeggero, si era messo alla guida del furgone di Mark
e dava gas sul terreno sconnesso, incurante delle rocce e delle buche.
Julian protestò.
-Dal rafting al rally, sempre peggio.-
-Vuoi guidare tu, Ross? Sali Jenny, o li perdiamo!-
Benji frenò bruscamente per consentire alla ragazza di
saltare a bordo attraverso lo sportello laterale. Evelyn
abbassò gli occhi sui tappetini, percependo
dell’umido sotto i piedi. Il rivolo veniva da Julian.
-Se Mark vedesse come gli abbiamo ridotto il furgone gli prenderebbe un
colpo.-
-Lo vedrà, lo vedrà… E magari
è la volta buona che ce lo togliamo di torno.-
-Comunque Benji, ottima operazione di soccorso.- si
congratulò Bruce, coinvolgendo anche Julian con una pacca
sulla spalla -Sono proprio contento che mi abbiate lasciato a riva, mi
è bastata la doccia di ieri sera.-
-Appena scendiamo ti gonfio di botte, Harper.-
-Accelera Benji.- Jenny si tese tra i sedili, gli occhi puntati sul
fiume.
Peter le piagnucolava accanto, tirandola insistente per una manica, per
la maglia, per i jeans, cercando di attirare inutilmente
l’attenzione. Ma lo sguardo di lei era rivolto al fiume e ai
due giovani che venivano trascinati via, nient’altro le
importava.
-Povera Joy…- la cullò Evelyn. La bimba dormiva
profondamente tra le sue braccia -Hai appena ritrovato il tuo
papà e adesso stai per perderlo di nuovo.- gli occhi
inteneriti su di lei, non si accorse dello sguardo assassino che le
rivolse Jenny.
Le rapide erano fortissime, i gorghi li strapazzavano, le onde li
sommergevano e la corrente li tirava a valle ma Mark e Philip,
sputacchiando acqua, riemergevano testardi ogni volta, ancora
abbastanza in forze da accusarsi a vicenda del naufragio.
-È tutta colpa tua Callaghan! Come hai potuto rompere il
remo? Sei un idiota senza speranza!-
Mark urtò le dita contro una roccia, lanciò due o
tre imprecazioni, si spezzò quattro o cinque unghie ma
mantenne la presa, arrestando per il momento la sua corsa tra le
rapide.
Philip gli arrivò accanto un secondo dopo, si spinse con
tutte le forze verso di lui e gli si aggrappò addosso come
una scimmia per non essere portato via dalla corrente.
-Colpa mia? Hai sfondato la barca e dai la colpa a me se siamo
affondati?-
-Anche se quella falla non si fosse aperta, tu hai fracassato il remo
quindi saremmo comunque finiti contro le rocce!- Mark sentì
le dita scivolare via dall’appiglio.
-E il tuo remo, Landers? Dov’è finito il tuo remo?
Vogliamo parlarne?-
-E che c’è da dire? Mi è caduto!-
Un’onda scavalcò il masso e li travolse. Mark
perse la presa e fu trascinato via, con Philip come zavorra. Le rapide
li inghiottirono di nuovo. Si contorsero nell’acqua, Philip
si staccò dal compagno, riemerse e lo cercò. Lo
trovò più avanti e lo raggiunse con due
bracciate.
-Non sai assumerti le tue responsabilità, Landers! Fai i
casini e poi scarichi la colpa sugli altri!-
-Ma senti da che pulpito viene la predica! Io almeno non ho scaricato
mia moglie e i miei figli!-
-Non cambiare discorso!-
-Riesci a capire cosa urlano?- domandò Evelyn a Bruce.
-Ovvio! Te l’ho detto, so leggere il labiale. Ci stanno
chiedendo disperatamente aiuto!-
Sotto gli occhi furibondi di Philip che gli gridava ancora addosso per
aver messo in mezzo la sua famiglia, un gorgo afferrò Mark e
lo trascinò avanti di alcuni metri, poi in un giro su se
stesso. Il ragazzo perse l’orientamento, si
ritrovò d’improvviso sottosopra, tra schiuma e
bollicine. Cercò di tornare a galla, riemerse sputando un
litro d’acqua e si schiantò contro un grosso
tronco incastrato fra due rocce. Philip lo vide affondare.
-E adesso? Non dovrò mica salvarti?!-
Lo raggiunse e lo tirò a galla per i capelli un attimo prima
di perderlo tra le rapide, poi riuscì, non seppe neppure lui
come, ad ancorarsi al tronco che aveva quasi fatto secco Mark. Riscosse
il compagno sbatacchiandolo di qua e di là e quando quello
si riprese, lo seguì aggrappato alla corteccia fino a
toccare il fondale con i piedi. Arrancarono sulla riva carponi,
grondanti ed esausti. Crollarono tra l’erba, ansimando per lo
sforzo, Mark gemendo di dolore e contorcendosi sofferente.
-Porca miseria che botta! Devo essermi incrinato almeno tre
costole… Chi cazzo me l’ha fatto fare di prendere
quella maledetta bagnarola?-
-Infatti! Lo vedi che la colpa è tua dall’inizio
alla fine?-
Philip udì il rombo del motore del furgone e si
tirò su seduto. Ansimava ancora per lo sforzo. Jenny
saltò giù dall’abitacolo e gli si
catapultò addosso, felice di ritrovarlo sano e salvo.
-Che paura mi hai fatto prendere!-
-Mammi, mammi…- Peter s’infilò tra loro
cercando di separarli -Mammi, sono qui. Ci sono io.- puntò
una manina contro la spalla della madre e l’altra contro il
petto del ragazzo per scostarli uno dall’altra.
-Oh, Peter, tesoro… Perché fai così?-
Jenny gli accarezzò il volto -Lui è il tuo
papà.-
Il bambino sbuffò.
-Perché è lui il mio papà?-
lanciò un’occhiata al resto del gruppo valutando
Benji, poi Julian e infine Bruce che scendevano dal furgone. Mark,
fuori uso, non venne minimamente preso in considerazione -Non posso
sceglierlo io il mio papà?-
-No, non puoi sceglierlo tu.-
Assicuratasi che Philip fosse ancora tutto intero, Jenny prese il
figlio per mano e tornò da Joy, ora sveglia e pimpante in
braccio a Evelyn, cercando di spiegargli per quale motivo non poteva
scegliersi un altro padre. Philip si mise in piedi strizzandosi la
maglietta. Ne uscì un torrente d’acqua.
-Perché quella peste ce l’ha con me?-
-Te lo chiedi pure? Perché l’hai abbandonato,
naturalmente!-
-Grazie, Benji. Hai sempre una risposta per tutto. Visto che ci sei,
vuoi darmi anche qualche lezione di sopravvivenza?-
-Sicuro! Potrei insegnarti per esempio che esistono gli
anticoncezionali e che se li usassi come tutti, non ti ritroveresti con
due marmocchi a carico.-
-Julian, ce l’hai un antidolorifico? Ho la schiena a
pezzi…- Mark si accostò curvo e rattrappito come
un centenario.
-Io no, ma può darsi che ce l’abbia Amy nello
zaino.-
-Speriamo…-
-Se non si è bagnato quando ci hai fatti cadere nella
risaia.- Julian lo guardò, riflettendo astioso -Anzi, sai
che ti dico? Spero che si sia bagnato.-
-Possibile Mark che tra tutta quell’accozzaglia che ti porti
dietro non hai neppure un antidolorifico?-
-I medicinali costano, mica li regalano.-
Evelyn si avvicinò.
-Non vi siete dimenticati che dobbiamo recuperare Tom, vero?-
Dopo quella brutta avventura tra le rapide del fiume, i ragazzi non
l’avevano dimenticato, l’avevano semplicemente
rimosso.
-Ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti. Pazienza.-
-Già, Evelyn.- concordò Bruce -Ti pare facile?-
-Facilissimo. Se non l’avete visto, davanti a noi
c’è giusto un ponte che attraversa il fiume.-
Una decina di occhi si trascinò sgomenta
sull’arcata in acciaio brunito che scavalcava agevole il
corso d’acqua. Ci erano finiti praticamente sotto, eppure
nessuno di loro lo aveva notato. Dopo quella scoperta, Benji per poco
non uccise Mark e viceversa ma comunque, in cinque minuti di viaggio in
furgone, raggiunsero l’amico disperso.
Il ragazzo sedeva a terra, una bimbetta tra le braccia e
un’espressione da funerale. Quando li vide arrivare, un
insperato sollievo gli inondò il viso. Il furgone, guidato
da Mark si arrestò con una brusca frenata, alzando un nugolo
di polvere che investì Tom e la bambina, facendoli tossire
mezzi soffocati.
-Sei il solito spericolato…- commentò Amy
aggrappata al sedile.
-Se non ti piace come guido, puoi sempre andare a piedi.- Landers si
rivolse poi a Tom attraverso il finestrino abbassato -Allora? Come te
la passi?-
-Molto meglio di voi sicuramente! Ve l’ho gridato cento volte
che più avanti c’era un ponte! Perché
avete preso quella barca?-
Benji reagì all’istante. Si sporse indietro e
sollevò un pugno.
-Quindi Harper, tu sapevi leggere le labbra, giusto? Vediamo se riesci
a leggere sulle mie labbra ciò che sto per farti…-
-Ma io so leggere le labbra, non la mente. E poi forse Tom era un
po’ troppo lontano… Benji, tutti possono
sbagliare!-
-Non sulla mia pelle!-
-Io t’ammazzerei, altroché!- ci si mise pure
Philip.
-Chi è quella bimba, Tom?- chiese Jenny smontando dal
furgoncino. Peter le andò dietro come un’ombra.
Era una bella bambina con dei capelli neri tagliati a caschetto e gli
occhioni grandi dalle ciglia lunghe. Sembrava avere più o
meno l’età di Peter.
-È Katy, la figlia di Patty e…-
-Cavolo! Non ti assomiglia per niente!-
-Certo Eve!- arrossì come un pomodoro -Come fa ad
assomigliarmi? È la figlia di Patty e Holly, se mi fai
finire di parlare!-
-Stavi facendo il baby-sitter? Quanto ti danno l’ora? Ti
pagano bene?- s’informò Mark interessato.
Lui aveva una certa esperienza con i bambini e nei momenti di magra
poteva sempre reimpiegarsi. Holly grondava ricchezza da ogni prezioso
muscolo e sicuramente avrebbe guadagnato di più a tenere
quella pupattola che a vendere al mercato dell’usato tutta la
mercanzia che si portava dietro nel furgone. Sempre che, con quella
zavorra spuntata tra capo e collo in due giorni, riuscisse a
raggiungere la fiera prima che finisse.
Philip starnutì.
-Comincia a fare freddo, non c’è una lacrima di
sole. Come ci asciughiamo?-
-Accendiamo un fuoco.-
-Certo Bruce, e con cosa?-
Lui indicò muto il furgoncino e tutto il suo carico.
-No! No! No! No!- Mark indietreggiò, pronto a fare scudo con
il proprio corpo alla sua preziosa mercanzia -Scordatevelo! Non vi
farò toccare niente!-
Meno di un’ora più tardi avevano trovato il luogo
adatto per fermarsi e la mezza persiana stava dando il meglio di
sé tra le fiamme. A tratti li intossicava con la puzza di
vernice bruciata ma emanava lo stesso un calore sufficiente a scaldarli
e asciugarli. La sedia e il cassetto spaiato la seguirono nella loro
gloriosa e utilissima fine.
Mark non parlava più con nessuno e se ne stava isolato,
immusonito, seduto sull’estintore che rotolava avanti e
indietro sotto le sue natiche, rendendo scomodissima quella posizione.
Ogni volta che un oggetto finiva nel fuoco, a mente aggiungeva ai suoi
conti una cifra approssimativa e il totale di ciò che quei
vandali a fine viaggio avrebbero dovuto rimborsargli lievitava.
Il declivio erboso su cui si erano accampati terminava da una parte con
la sponda del fiume, dall’altra con il guardrail della
statale. Oltre l’altra riva ricominciava il prato e poco
lontano, proprio di fronte, si stagliava la barriera verde del bosco da
cui si innalzavano le montagne azzurrine. Il cielo s’era
schiarito al tramonto ed era diventato una luccicante distesa di
stelle. La temperatura si era alzata, l’umidità si
era dissolta e loro erano pronti a trascorrere una piacevole notte
all’aperto, dopo essersi arrangiati a mangiare quel poco di
scorta che avevano fatto al supermercato dell’autogrill,
perché non si sa mai. Tutt’intorno a loro si
sentivano frinire i grilli e sulle rive del fiume volavano le lucciole.
Peter e Katy si stavano divertendo un mondo a cercare di acchiapparle,
sotto gli occhi vigili di Amy e di Tom.
Philip si avvicinò a Jenny, seduta sull’erba con
Joy in braccio. Madre e figlia erano illuminate dalla luce calda del
falò, che gli permetteva di prendere atto, con calma, della
somiglianza dei loro visi e delle loro espressioni. Visto che Peter
continuava a giocare e per una volta non sembrava intenzionato a
interromperli, il ragazzo si avvicinò e si sedette accanto a
loro.
-Non riesco a capire.-
-Cosa, Philip?-
-Perché io ho la fede e tu no?-
Era una cosa che lo infastidiva profondamente. Se si erano sposati,
anche lei doveva indossarla. Invece nulla, non ce n’era
traccia. Jenny scosse la testa confusa.
-Non ricordo il nostro matrimonio, forse non è con me che ti
sei sposato.-
Lui trasalì.
-Io invece non ricordo la nascita dei bambini. Forse non è
con me che li hai avuti.- irritato si sfilò
l’anello e se lo rigirò tra le dita, avvicinandolo
poi al viso per vedere se tante volte riportasse una qualche incisione
che svelasse il mistero. Joy lo vide luccicare, allungò la
manina e cercò di prenderlo. Il cerchietto d’oro
si perse tra l’erba.
-Accidenti! Dov’è finito?- Jenny frugò
tra gli steli -L’ho visto cadere proprio qui!-
-Lascia stare, tanto non lo voglio. Se non l’hai tu non vedo
perché debba portarlo io.-
-Perché ti scaldi tanto, Philip?- si intromise Evelyn che
sedeva poco lontano e aveva ascoltato suo malgrado tutta la
conversazione -Jenny potrebbe averlo semplicemente lasciato a casa.-
Lui fece propria l’ipotesi dell’amica.
-Lo hai lasciato a casa?-
-Non lo so… Quando torniamo controllerò.-
-A proposito di tornare, dov’è che stiamo
andando?- chiese Bruce.
-Come dove! Alla fiera dell’usato a vendere la mia merce.-
Amy scoppiò a ridere di cuore.
-Davvero credi che qualcuno paghi per avere le tue cianfrusaglie? Tu
sei fuori Mark!-
-L’unica cosa che riusciresti a vendere, secondo me,
è la bicicletta!- disse Tom lanciando un’occhiata
al furgone.
-La bici è mia e non è in vendita.-
saltò su Julian.
Benji si piantò davanti a Mark.
-Sgancia le chiavi del furgone.-
-Perché? Che ci devi fare?-
-Devo prendere la brandina.-
-Che brandina?-
-Quella che mi sono portato dietro per ogni eventualità. Non
dormirò per terra.-
-Tu e Philip avete sacrificato il mio secchio per caricare la tua
brandina?- Mark non credeva alle proprie orecchie.
Amy scoppiò a ridere.
-Dov’è il problema? Puoi sempre rivenderla! Ti
frutterà sicuramente più di un vecchio secchio
sfondato!-
Era un suono strano quello che Mark percepiva nelle orecchie e che
raggiungeva la sua coscienza addormentata. Sembrava quasi il rumore di
un trattore. Averlo un trattore! Avrebbe potuto venderlo a un prezzo
strepitoso! Si mosse nel sonno e si girò
dall’altra parte. La serie di cuscini che aveva steso sul
prato non attutiva la durezza del terreno e da qualche ora il suo sonno
si era trasformato in un indolenzito dormiveglia. Per questo aveva
udito il rumore del trattore. Il borbottio parve d’un tratto
interrompersi, seguì un fruscio e dopo qualche istante
ricominciò. Non era forte ma aveva un qualcosa di minaccioso
che gli stava risvegliando pian piano tutti i sensi. Aprì
gli occhi. Era di schiena al falò che languiva, davanti a
lui si apriva il buio profondo del bosco. Si poggiò sul
gomito e il rumore del trattore cessò. Poi riprese. Chi
poteva andarsene in giro a quell’ora con un trattore? Era poi
davvero un trattore? Quel borbottio non gli piaceva per niente.
Un ululato spezzò la notte facendogli rizzare i capelli
sulla nuca e accapponare la pelle sulle braccia. Balzò in
piedi e qualcosa di nero e scuro davanti a lui schizzò via.
-Che cazzo è?-
Julian, dall’altra parte del fuoco, si mise seduto e si
guardò intorno.
-Mark, che succede?-
Anche Benji si mosse, rotolando sull’erba indolenzito. La sua
brandina era stata assegnata all’unanimità meno
uno ai tre bambini, così aveva finito per arrangiarsi a
terra come tutti gli altri. Tra cunette e monticelli, aveva la schiena
a pezzi.
L’attacco arrivò all’improvviso,
metà di loro dormiva ancora. Fu un nuovo ululato lungo e
potente, quello del capobranco, a svegliarli di soprassalto. I lupi li
circondarono prima che tutti fossero in piedi.
-Ci mancavano solo loro! Merda!-
-Non dire parolacce davanti ai bambini, Julian!- lo redarguì
Amy indietreggiando.
Il fuoco deperiva, durante la notte le fiamme si erano trasformate in
un inutile cumulo di braci che non erano servite a tenerli lontani.
-Come ci difendiamo? Non abbiamo niente!-
Tom rispose alla domanda di Philip afferrando la cornice dello specchio
scassato e gettandola sulla cenere. Si levò un cumulo di
scintille.
Landers urlò.
-Mi ripagherete i danni!-
-Taci, Mark!-
Dopo la cornice fu la volta della rivista porno di Bruce.
-Tom! No!-
-La ricomprerai!-
Il crepitio del legno e della carta si trasformò presto in
un fuocherello convinto che illuminò tutt’intorno
a loro. Ombre scure e veloci guizzavano al confine tra la luce e il
buio, passando dall’una all’altra con una
velocità tale da rendere impossibile individuarle.
-Lupi?- domandò Evelyn terrorizzata.
-No, conigli.- la schernì Mark.
-Tanti lupi.- gemette Bruce.
Tom prese in braccio Katy ancora mezza addormentata e gettò
frenetico tra le fiamme tutto ciò che si trovò
intorno. Dei fazzoletti usati, un tubo di Pringles…
-No! I pannolini no!- gridò Jenny.
La puzza di plastica bruciata li appestò. Un fumo nero e
acre li investì, facendoli lacrimare e tossire mezzi
soffocati.
-Grande Becker! Tu sì che sai come prendere in mano la
situazione! Meglio morire asfissiati che sbranati dai lupi!-
-Intanto il fuoco si è riacceso, Mark!- afferrò
altra carta che si trovò sottomano.
-No!- gridò Amy -La piantina no! È una questione
di sopravvivenza!- gliela strappò e se la strinse al petto.
-Esatto Amy! Se non sopravviviamo all’attacco, non ci faremo
nulla con la tua cartina!-
Lei avrebbe voluto dargli ragione, ma non ne ebbe il tempo.
Udì un ringhio alle sue spalle e si volse. Il lupo che le
era arrivato dietro di soppiatto le balzò addosso. La
schiantò a terra, ringhiò e spalancò
le fauci, pronto ad azzannarla alla gola. Julian accorse brandendo
l’estintore e colpì l’animale allo
stomaco un secondo prima che i suoi denti calassero sulle braccia che
Amy aveva sollevato per difendersi il viso. Il lupo volò
lontano con un guaito, rotolò a terra e si rimise in piedi,
intontito dal colpo.
-Amy, stai bene?- Julian le porse una mano per aiutarla ad alzarsi.
-C’è mancato poco…-
-Veramente pochissimo!-
Mark strappò a Julian l’estintore, fece scattare
la chiusura e puntò il branco, inondandolo di schiuma. I
lupi indietreggiarono accecati, scuotendo la pelliccia per liberarsi
dalla polvere bianca.
-Ci hanno circondati.- disse Bruce.
-Ma dai? Non me n’ero accorto.-
-Quanti sono?-
-Che te ne importa, Callaghan?- lo zittì Mark, reso ancor
più polemico dalla tensione -Se sai quanti sono cambia
qualcosa?-
Philip si sforzò di non rispondergli male e prese per mano
Peter che nella calca gli era finito accanto. Il bambino dapprima si
aggrappò terrorizzato alle sue dita, poi quando si accorse
che era proprio quel pericoloso signore sconosciuto a tenerlo, si
liberò e scappò lontano. Sfuggì per un
pelo a un lupo che cercò di azzannarlo.
-Peter, vieni qui!- gridò Jenny.
Posò Joy al sicuro sulla branda e corse intorno al
falò, scontrandosi con Mark che girava nell’altro
senso continuando a brandire l’estintore. La ragazza
recuperò Peter afferrandolo al volo e tornò al
riparo accanto a Landers che li difendeva lanciando gli ultimi spruzzi
di schiuma. Quando questa finì si fermò
ansimando, l’estintore tra le mani e a corto di idee.
-E adesso?-
-Non ne hai un altro?-
-Che ti sembro un pompiere?-
-Lasciamo stare ciò che sembri.- ringhiò Benji.
-Philip! Joy!-
-Philip o Joy?- fece eco Bruce incerto.
La bimba, rimasta isolata, era riuscita in qualche modo a calarsi
giù dal lettino e ora avanzava carponi, sorridente e
fiduciosa, verso i lupi.
-Bau-bau… bau-bau…-
-Philip!- chiamò ancora Jenny impietrita, il terrore negli
occhi, troppo distante per poter fare qualsiasi cosa.
Un lupo la raggiunse con due salti e l’addentò per
il pannolino, trascinandola lontano dal fuoco per sparire con lei
nell’oscurità degli alberi. Philip, Benji e Mark
scattarono verso la bestia per fermarla a tutti i costi. Joy,
sballottata di qua e di là dall’animale in cerca
di una via di fuga, cominciò a piangere e gridare.
-Lasciala bastardo!- gridò Mark avanzando armato
dell’ultimo pezzo di persiana.
Ringhiando tra i denti il lupo scartò di lato ma, gravato
dal peso della bimba, non riuscì a svicolare. Il bastone di
Mark lo colpì su una zampa. A Philip vennero i sudori freddi.
-Attento a dove miri, Landers!-
Il lupo indietreggiò, trovò un varco e si volse,
pronto a sparire nel buio insieme alla sua preda. Un tizzone infuocato
compì una parabola di scintille e andò a
schiantarsi davanti a lui, spaventando l’animale che
saltò indietro.
-Ottima mira, Benji!-
Philip approfittò dell’esitazione del lupo per
scattare in avanti. Si tuffò a terra, lo travolse con una
spallata e gli strappò la bimba dalle fauci, lasciandogli in
bocca solo brandelli di stoffa e di pannolino. Rotolò
sull’erba stringendo Joy a sé, circondandola con
le braccia per difenderla dall’urto con il suolo. Poi
balzò in piedi e tornò di corsa verso il fuoco,
due lupi che lo inseguivano vicinissimi.
-Abbassati, Philip!- gridò Benji mentre un altro tizzone
solcava il buio.
Il ragazzo ubbidì. Il legno infuocato gli passò
così vicino che sentì una scintilla bruciargli
una guancia.
-Price, cazzo!-
Piombò accanto a Jenny che tese le braccia e
acchiappò la bambina. La strinse al petto così
forte che lei emise un gridolino di protesta.
-Dobbiamo raggiungere il furgone e chiuderci dentro, sono troppi.-
-Apri la strada, Tom.- Mark gli lanciò le chiavi.
-Vai al furgone, Jenny.- le disse Philip spingendo via anche Peter,
aggrappato come un koala terrorizzato ai jeans della madre. I suoi
occhi erano sbarrati dalla paura.
La ragazza annuì e indietreggiò con i due figli,
accostandosi ad Amy e Julian in attesa del momento buono per rifugiarsi
in macchina.
-Tom ha ragione, sono troppi.-
-Avevi bisogno che lo dicesse Tom per capirlo, Philip?-
decretò Mark critico, agitando davanti a sé un
tizzone per tenerli lontani.
-E ci hanno circondati…- Benji lanciò
un’occhiata alla macchina. Distava da loro un centinaio di
metri e per il momento la via per raggiungerla era spiccia.
Incrociò gli occhi spaventati di Evelyn e le fece cenno di
affrettarsi.
Tom arrivò per primo, aprì lo sportello laterale
e depositò Katy sul sedile. Poi si armò del
bastone di una scopa e scortò Amy ed Evelyn sane e salve
fino al furgone. Il capobranco lanciò un ululato che spinse
Jenny a stringere più forte la mano di Peter nella propria.
Si volse, vide un lupo grande e grosso spiccare un salto, allontanarsi
dal fuoco e trottare verso Julian che correva con Joy in braccio. Si
fermò il tempo di un istante, si chinò ad
afferrare una grossa pietra per terra e la lanciò verso la
bestia.
-Jenny, Julian!- gridò Evelyn dal furgoncino -Stanno
arrivando, fate in fretta!-
Alcuni lupi avevano abbandonato il resto del branco intorno al
falò e li stavano inseguendo lungo il pendio. Carichi dei
bambini e lontani dal fuoco, dovevano apparire come prede
più facili. Julian vide Jenny perdere terreno, allora
tornò indietro, la prese per mano e la trascinò
verso il furgone. Le piccole gambe di Peter non riuscirono a tenere il
ritmo di quella folle corsa. Il bambino inciampò e la sua
manina scivolò via da quella di Jenny. Il tempo di farsi
lasciare da Julian e già Peter era rimasto indietro di
alcuni metri. Con le ginocchia e le manine doloranti per
l’urto, il bambino alzò gli occhi sulla madre e la
chiamò piangendo. Lei stava già tornando indietro
ma uno dei lupi sbucò d’improvviso vicinissimo e
spiccò un salto. Peter chiuse gli occhi e gridò.
Impugnandolo come una mazza da baseball, Tom fece roteare il bastone
della scopa e colpì l’animale nello stomaco,
scagliandolo lontano. Il legno si spezzò per la violenza
dell’urto, mentre il lupo atterrava con un guaito poco
distante. Rotolò sull’erba, tornò
dritto sulle zampe e ringhiando apparentemente illeso, fu pronto a
spiccare un nuovo balzo.
-Peter!-
Il grido pieno di urgenza spinse Peter a spalancare gli occhi. Vide
Philip correre verso di lui, le braccia tese, pronto a prenderlo al
volo. Allora sollevò le manine e lo chiamò
terrorizzato.
-Papà!-
Un secondo dopo si ritrovò al sicuro, aggrappato alla felpa
di suo padre, il viso premuto contro il torace del ragazzo, le lacrime
di paura che sparivano, assorbite dal tessuto. Senza rallentare Philip
raggiunse Jenny, la prese per mano e corse con lei verso il furgoncino.
Tom li seguiva. Poco più distanti anche Mark e Benji
correvano sul pendio a tutta velocità, i lupi alle calcagna.
Amy si sporse sui sedili e aprì lo sportello a Jenny, che si
infilò dentro rapida, urtando Julian che stringeva ancora
Joy. Philip entrò subito dietro di lei, tenendo Peter con
una mano e aggrappandosi con l’altra
all’intelaiatura dello sportello. Il bambino lo intralciava,
così cercò di passarlo a Jenny. Lui
gridò un’acuta protesta e gli rimase aggrappato
addosso, il viso premuto contro la sua spalla.
-Peter, vieni…- lo chiamò Jenny.
Niente da fare, continuò a stringersi al collo del
papà e non ci fu verso di smuoverlo.
Landers prese il suo posto alla guida e mise in moto. Il portiere si
catapultò al suo fianco, sul lato del passeggero.
-Andiamo via, per favore.- supplicò Amy che tremava ancora
di paura.
Mark diede gas e partirono con una sgommata. La ruota anteriore
urtò un masso e il furgoncino sobbalzò
violentemente.
-Chi accidenti ti ha dato la patente, Landers?-
-Stai sempre a criticare, Price.- replicò l’altro
con gli occhi fissi sulla strada. Le luci del furgoncino venivano
assorbite dall’oscurità circostante e riusciva a
vedere soltanto a pochi metri di distanza.
-Che brutto posto.- commentò Evelyn da dietro, girata a
osservare il declivio che si stavano lasciando alle spalle e che si
perdeva nel fitto degli alberi scuri. I lupi avevano smesso di
inseguirli ma il buio continuava a essere inquietante. Come avevano
potuto pensare che quello fosse il luogo migliore dove passare la notte?
-Degna nottata di una giornata schifosa.- borbottò Bruce.
-Pure ieri non è stato il massimo.-
-Capirai, lo dici a noi Jenny?- Julian le passò Joy che
aveva ripreso a mangiarsi il pugnetto e si guardava intorno con gli
occhi ancora spalancati dalla paura.
La ragazza se la strinse al petto, poi la voltò a pancia in
giù ed esaminò i suoi vestitini strappati alla
scarsa luce dei fari della macchina.
-è ferita?-
Peter, udendo Philip parlare, si scostò da lui quanto
bastava per guardarsi intorno. Fu felice di vedere che la mamma e Joy
gli sedevano accanto. La sua famiglia era riunita e l’odore
di quel papà non era poi così male. Gli piaceva
stargli addosso. La mamma era morbida e profumata ma il papà
era forte.
-Non lo so, non vedo nulla.- accese la luce nell’abitacolo.
Sul sederino, la bimba non aveva neppure un graffio ma il pannolino,
strappato e intriso di pipì, era da cambiare -Non ho
più pannolini. Tom li ha bruciati tutti. Come faccio?-
Evelyn frugò tra le cianfrusaglie ammucchiate in fondo.
-Ce n’è un’altra scatola.-
Riportato il furgone sulla più sicura statale, Mark
trovò il tempo di osservare Philip attraverso lo specchietto
retrovisore.
-Quando hai fatto la scorta?-
-Ti assicuro che non ce li ho messi io.-
Jenny sfilò via il pannolino vecchio, lo
appallottolò e se lo poggiò tra i piedi.
-Joy mi raccomando, adesso non fare la pipì o chi lo sente
Mark.- rise Amy pizzicando piano il suo sederino nudo.
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Capitolo 6 *** Password: road ***
Password:
road
Alle due Benji diede il cambio a Mark, alle quattro Philip lo diede a
Benji. Viaggiarono per tutta la notte, l’impellente
necessità di allontanarsi da quella pericolosissima radura
con i suoi ancor più pericolosi abitanti. Quando fu il turno
di Philip, siccome Peter di staccarsi da lui non voleva saperne, Jenny
lasciò Joy a dormire sui sedili posteriori insieme a Katy,
Evelyn e Amy e si sedette al posto del passeggero stringendo Peter tra
le braccia, bloccato dalla cintura di sicurezza che teneva anche lei.
Era l’alba quando il bambino riemerse dal sonno. Si mosse per
distendere una gambetta, poi si strofinò gli occhi per
guardarsi intorno. Sempre strada, macchine, montagne, boschi. Il
panorama non era cambiato di una virgola. Il cielo era di un grigio
tenue, stava perdendo i colori dell’alba e non aveva ancora
assunto le tinte dell’azzurro. La superstrada proseguiva
tutta dritta, era di una noia mortale. Philip sbadigliò e
Peter si volse a guardarlo. Il ragazzo se ne accorse e gli sorrise.
-Hai dormito bene?-
Il bambino annuì e cercò di avvicinarsi il
più possibile a lui. La cintura di sicurezza lo bloccava.
-Adesso ho fame.-
-Tra poco ci fermiamo, cosa vuoi per colazione?-
-Latte e biscotti.-
Niente di pretenzioso, in fondo era un bravo bambino. Per forza,
diamine, era suo figlio!
Nel furgone non volava una mosca, si udiva solo il rombo del motore.
Sui sedili posteriori i ragazzi dormivano ancora profondamente.
Qualcuno, nel fondo, addirittura russava.
-Tu vuoi latte e biscotti, papi?-
-Io vorrei un litro di caffè bello forte e senza zucchero
per svegliarmi.-
Il bambino prese atto della risposta, poi spostò gli occhi
sulla strada.
-Anche io ho sonno.-
-Dormi, allora. È ancora presto.-
Peter annuì e si accomodò meglio tra le braccia
della mamma. Chiuse gli occhi, poi li riaprì e
tornò a fissare Philip che guidava, concentrato sulla
strada.
-Quando arriviamo?-
-Mi fermo al primo autogrill che trovo.-
-Posso comprare le patatine?-
-Non volevi il latte con i biscotti?-
-Le patatine sono per dopo.-
Philip annuì. Contento ma già mezzo annoiato,
Peter si sporse verso il cruscotto e allungò una mano sul
display della radio, girando qualche rotellina curioso di scoprire cose
nuove. Poi prese un pacchetto di fazzoletti. Ne tirò fuori
uno e rimise il resto nel vano portaoggetti. Agitò il
fazzoletto in aria, lo lanciò per farlo volare.
Finì contro il cambio, Philip lo tolse e glielo
restituì.
-Vorrei una palla.-
-Se c’è, te la compro.-
Peter annuì soddisfatto, poi si allungò di nuovo
per toccare un pulsante arancione al centro del quadro comandi. Lo
accese e un ticchettio ritmico si diffuse in tutto
l’abitacolo.
-Cos’è?-
-Sono le frecce della macchina. Quando scendiamo te le faccio vedere.
Adesso spegnile però.-
Il bambino ubbidì e il ticchettio cessò.
Tornò a sedersi composto ma già un minuto dopo,
sempre più annoiato, curiosava ovunque. Accese
l’aria condizionata, poi la spense, poi l’accese di
nuovo e aumentò e diminuì la potenza. Poi la
tolse e attivò il riscaldamento. Il getto
dell’aria calda lo colpì in viso e lui rimase a
bearsene e a ridere, gli occhi socchiusi e i capelli che gli
svolazzavano sulla fronte.
-Non senti caldo?- chiese Philip che stava già cominciando a
sudare.
Peter annuì e la spense. Giocò con le leve dei
bocchettoni dell’aria, aprendoli e chiudendoli, orientandoli
prima a destra e poi a sinistra. Girò il volume della radio
spenta e lo mise al massimo. Poi l’abbassò e lo
alzò per un paio di volte senza ottenere nessun cambiamento.
Il silenzio continuava a farla da padrone nel furgone. Intanto le sue
piccole dita si agitavano vicino al quadro comandi, curiose, annoiate e
desiderose di trovare uno svago che lo aiutasse a passare il tempo.
Tirò su una leva e all’improvviso una voce forte e
chiara strappò con violenza i ragazzi dal sonno.
“Stracciarolo! Raccolta ferro vecchio, caldaie vecchie,
termosifoni. Qualsiasi tipo di ferro vecchio. Svuotiamo cantine e
soffitte. Facciamo tutti i tipi di sgombri. Una grande
opportunità davanti ai vostri occhi, non lasciateci
scappare! Avvicinatevi con fiducia! Stracciarolo! Raccolta ferro
vecchio, caldaie vecchie, termosifoni…”
-Cazzo spegni Philip!- gridò Benji da dietro.
-Non so come si fa!-
Ci pensò Peter a tirar giù la leva e a riportare
il silenzio nel furgone. Anche se ormai il silenzio era diventato un
ricordo. Joy era scoppiata a piangere e non appena la voce registrata
si dissolse, partirono i primi insulti.
-Callaghan, sei un coglione! Cosa ti salta in mente?-
-Stronzo! Volevi farci venire un infarto?-
-Non si sveglia così la gente che dorme!-
-Che cazzo di modi! Quando scendiamo ti riempio di calci!-
E infine Jenny, che si teneva una mano sul cuore.
-Philip, mi hai fatto prendere un colpo!-
Si volse a guardarla. Era cadaverico perché sapeva che
l’errore di Peter, appena si fossero fermati, avrebbe dovuto
pagarlo lui.
-Non ho fatto nulla, non sono stato io.- mormorò affranto e
guardò il bambino. Lo trovò sprofondato tra le
braccia di Jenny, che se la rideva divertito.
-Sei veramente una peste.-
Peter gli rivolse un paio di occhioni ridenti.
-Si sono spaventati!- esclamò gioioso battendo le manine.
-Si sono spaventati sì!- gli andò dietro Philip,
a quel punto incapace di trattenere le risa.
-Ride pure, il mentecatto!- sbraitò Mark -Accosta a quel
bar, ho voglia di fare colazione e conciarti per le feste!-
Philip premette sull’acceleratore e la velocità
aumentò.
-Philip, per favore fermati.- insistette Amy -Ho bisogno di andare in
bagno.-
-Anch’io.- appoggiò Evelyn.
Poi fu la volta di Bruce.
-Io ho bisogno di mangiare, sto morendo di fame. Il mio stomaco
brontola.-
-Ma se ti sei appena svegliato!-
-Anche il mio stomaco.-
-Devo cambiare Joy, Philip.-
-Papi, mi scappa la pipì…-
-Accosta maledetto!- urlò Mark vedendo che il compagno
insisteva ad accelerare -O ti massacrerò di botte anche
perché non ti sei fermato!-
Davanti a cotante richieste convincenti, Philip non poté
fare a meno di mettere la freccia e imboccare il parcheggio
dell’autogrill, infilandosi nel primo posto disponibile.
Mentre i compagni scendevano maledicendolo per il modo in cui erano
stati svegliati, Philip spense il motore, aprì lo sportello
e, illuminato da un’idea geniale, si sporse sui sedili e
prese Peter in braccio.
-Vieni che papà ti compra la palla!-
-Evviva!- gli si aggrappò lui al settimo cielo.
Tenendo il figlioletto stretto a sé, avanzò a
testa alta tra i compagni.
-Farsi scudo di un bambino. Vigliacco!- sibilò Benji quando
Philip gli passò accanto.
Quello gli rispose con una pernacchia, seguendo Jenny e Joy nel locale.
La famigliola si avvicinò al banco.
-La palla!-
-Prima la colazione, poi la palla.- lo corresse Philip -A pancia piena
si gioca meglio!-
Lo convinse in un istante, ma Peter insistette per essere messo
giù. Tenendolo per mano, si misero in coda alla cassa.
-Cosa prendi, Amy?- chiese Julian, il portafoglio in mano.
La ragazza esaminò vari tipi di dolci, poi ne scelse uno e
ordinò un succo di frutta al mirtillo.
-Io vorrei un sandwich insalata, bacon e frittata, un croissant al
cioccolato, un cappuccino e un succo all’arancia.-
-Nient’altro Bruce?- lo fulminò Evelyn con
un’occhiata di fuoco. S’era offerta di pagare, non
ci sarebbe cascata mai più.
-Hai ragione! Prendimi anche un tortino di riso e tonno.-
-Mi pareva…-
-Peter, tu che vuoi?- gli domandò Jenny quando fu il loro
turno -Va bene latte caldo e torta allo yogurt?-
-No, mammi. Vorrei un litro di caffè bello forte e senza
zucchero per svegliarmi.-
Jenny si volse.
-Come?-
Philip lo tirò indietro, tappandogli la bocca con una mano.
-Il caffè è per me. A lui latte e torta.-
La ragazza guardò Tom.
-Prendiamo lo stesso anche per Katy?-
La bambina, che Becker teneva per mano, annuì e
andò a sedersi al tavolo vicino a Peter. Amy li raggiunse e
posò sul ripiano il vassoio con la loro colazione.
-Venite bambini, andiamo a lavarci le mani.-
I due acconsentirono ubbidienti, ma davanti alle porte del bagno nacque
un problema che la giovane non aveva previsto.
-Non posso entrare nel bagno delle donne.- Peter si piantò
al centro del corridoio e si rifiutò di seguirle -Io non
sono una femminuccia.-
Amy alzò gli occhi al cielo, quel marmocchio era la copia
sputata di Philip e parlava come Mark. Da grande sarebbe diventato una
miscela esplosiva. Si mostrò paziente.
-Sei un bambino e puoi entrare.- lo rassicurò lei senza
riuscire tuttavia a convincerlo. Cosa doveva fare? Non lo sapeva... Poi
arrivò Tom a darle la soluzione -Entri con lui?-
-Guardi signora che sono capace anche da solo. Me lo ha insegnato la
mia mamma.-
Amy si sentì all'istante vecchia e fu una sensazione che non
le piacque affatto.
I quarantacinque minuti che seguirono la colazione, le ragazze li
trascorsero nello pseudo negozio di abbigliamento allestito nell'angolo
in fondo all'autogrill.
-Potete darvi una mossa?- sbuffò Mark comparendo tra Amy e
Jenny che continuavano insistenti a spulciare ogni capo di vestiario,
in cerca di qualcosa con cui sostituire gli abiti che indossavano ormai
da due giorni.
-Hai fretta?-
-Mi sono stancato di aspettare.-
Amy lo squadrò dall'alto in basso.
-Infatti non dovresti aspettare. Dovresti acquistare anche tu qualcosa.
La maglietta che indossi, oltre a essere piena di patacche, comincia a
puzzare.-
Jenny soffocò una risata e si spostò
più in là per nascondersi.
-Ti faccio presente che ieri l'ho lavata nel fiume e l'altro ieri sotto
la pioggia. Quello che dici è impossibile.- si
allontanò a testa alta, offeso.
Bene o male all’autogrill era filato tutto liscio, si erano
rifocillati, si erano lavati, avevano espletato più o meno
tutti i loro bisogni, avevano acquistato provviste e abiti puliti,
anche qualche cartolina da inviare ad amici e famiglie. Il dramma si
presentò quando ormai avevano lasciato il parcheggio da una
ventina di minuti e proseguivano verso sud a velocità
sostenuta. Se ne accorse Tom, sparando un urlo carico di angoscia.
-Ommioddio! Dov’è Katy?-
Mark sterzò di colpo sulla corsia di emergenza e si
bloccò con una frenata. L’odore dei copertoni
bruciati entrò dai finestrini aperti.
-Come cazzo guidi?- gridò Philip che fino a un istante prima
dormiva ma che il brusco cambio di rotta, oltre ad averlo svegliato, lo
aveva catapultato addosso al finestrino. L’impronta della sua
faccia rimase impressa sul vetro mentre sulla fronte gli spuntava un
bernoccolo alla velocità della luce.
-Non davanti ai bambini!- lo redarguì Jenny, stringendo al
petto Joy, svegliata anche lei di colpo.
Dietro di loro Tom continuava a urlare disperato.
-Dov’è Katy? Dov’è Katy?-
La cercarono dappertutto, persino tra le cianfrusaglie in fondo al
furgone. Non c’era. La figlia di Holly e Patty non era
lì con loro.
-L’abbiamo dimenticata all’autogrill?-
ipotizzò Amy, atterrita al solo pensiero.
-Era con te!- l’assalì Tom.
-No! Non era con me! Io le ho comprato una maglietta e mentre facevo la
fila alla cassa si è allontanata con Peter.-
Tutti gli occhi si spostarono sul bambino.
-Sono andato dal mio papà.-
Gli occhi dei ragazzi si trasferirono su Philip.
-Sì.- ammise lui -Sono venuti da me perché avevo
promesso a Peter di comprargli un pallone.- e infatti il pallone
giaceva tra le cianfrusaglie visto che il bambino se n’era
già stancato -Mentre sceglievamo la palla, Evelyn
l’ha portata a vedere le bambole.-
-Non gliene piaceva nessuna.- si scagionò lei -Mi ha detto
che aveva sete e allora siamo tornate al bar. Le ho comprato una
bottiglietta d’acqua e l’ho lasciata con Mark che
stava finendo la colazione.-
-Quando mi sono alzato per andare in bagno lei era ancora seduta al
tavolo con Benji. Stavano facendo qualcosa con un tovagliolo di carta.-
-Abbiamo costruito un aquilone.- disse il portiere -Poi mi ha detto che
andava fuori a farlo volare. Tom era accanto al furgoncino, ho pensato
che andasse da lui.-
-Da me non è mai arrivata!- gridò sotto shock -E
adesso? Mi denunceranno per abbandono di minore! E tutto quello che ho
fatto per lei in questi giorni verrà cancellato con un colpo
di spugna!-
-Se non ti calmi un colpo verrà a te. Torniamo indietro a
riprenderla, o non ti pagheranno neppure.- Mark rimise in moto e
partì con una sgommata.
-Come cazzo guidi?- domandò una vocina maschile in seconda
fila.
-Peter!- l’occhiata di disapprovazione di Jenny si
riversò al completo addosso al suo papà.
Il bambino non si accorse degli sguardi, accusatore e colpevole, che si
scambiarono i suoi genitori molto oltre la sua testa, aveva cose
più importanti a cui pensare. Si puntellò sulle
gambe della mamma e si sporse in avanti.
-Signore...- bussò sulla spalla di Benji -Lo costruisci
anche a me un aquilone?-
Dovettero percorrere quasi venti chilometri prima di trovare il modo di
uscire dalla superstrada e rientrare in senso inverso. Così
arrivarono all’autogrill quasi un’ora dopo averlo
lasciato.
Si sparpagliarono nell’edificio frugando i negozi, il
ristorante, il bar, i bagni, ogni locale da cima a fondo. Chiesero a
chiunque, fecero girare un annuncio agli altoparlanti e dopo quasi
mezz’ora di ricerche si ritrovarono all’esterno,
affranti e sfiduciati.
-L’hanno rapita.- Tom si sarebbe strappato i capelli dalla
disperazione, se le sue mani non avessero stretto il giacchino che Katy
aveva lasciato in macchina. L’unica testimonianza della sua
esistenza.
Patty non avrebbe mai più, mai più chiesto a Tom
di tenere sua figlia. Lo aveva detto mille volte a Holly che sarebbe
stato molto meglio rivolgersi a una tata esperta. Invece no, lui si era
intestardito con Tom. Non che volesse risparmiare, di soldi loro ne
avevano a palate. Ma la fiducia che aveva nel compagno di squadra era
pressoché totale. E adesso, per non averle dato retta,
avevano recuperato Katy in un autogrill sulla superstrada, seduta sui
gradini del giardinetto accanto al bar, che piangeva come una fontana.
Avevano cercato Tom nei paraggi e non lo avevano trovato. Nessuna
traccia di lui, come se si fosse volatilizzato. Tanto che Holly aveva
persino cominciato a preoccuparsi. Ma come aveva detto
“ah”, Patty aveva sollevato una mano per fermarlo.
“Non mi interessa, che fine abbia fatto. Non ho intenzione di
cercarlo.”
Figuriamoci. Aveva abbandonato la loro preziosissima figlioletta e lei
doveva preoccuparsi che non gli fosse accaduto niente? Roba da matti!
Patty si augurò con tutta se stessa che Tom non avesse mai,
mai si ripeté, neppure un figlio. Chi dimenticava i bambini
per strada, non meritava di diventare padre.
Con una punta di preoccupazione che ancora la pungolava dentro, si
volse a guardare la bambina dormire tranquilla nello spazio
ricavato tra il banchetto dei libri e le casse che li avevano contenuti
prima di venire esposti al pubblico. Patty aveva sempre adorato
partecipare ai mercatini e che stavolta l’intero ricavato
andasse all’associazione Tienimi con te, che si prendeva cura
di cani e gatti abbandonati era uno stimolo in più a
recuperare sostanziose offerte. Anche Katy era stata abbandonata
sull’autostrada, proprio come succedeva ai quadrupedi
più sfortunati. Detestava tanta crudeltà, ma
detestava ancor di più Tom. Non vedeva l’ora di
avercelo davanti per saltargli al collo e strozzarlo lentamente, molto
lentamente. Voleva vederlo diventare prima tutto rosso, poi pian piano
cianotico, infine vederlo boccheggiare come una carpa all’amo
mentre gli occhi gli si spalancavano e gli uscivano dalle orbite e alla
fine…
-Tesoro, mi passi Sotto le stelle si balla?-
Patty allungò il libro a Holly, lui aprì la prima
pagina, tracciò un autografo, lo porse alla donna che lo
reclamava e prese in cambio una generosissima offerta.
Il ragazzo la infilò entusiasta nel bussolotto.
-Se andiamo avanti così finiremo per le cinque.-
La sua idea di vendere libri autografati, stava andando alla grande.
Avevano già svuotato tre scatole su dieci. Alla gente non
interessava il libro ma la firma di Holly e si portava via qualsiasi
titolo senza andare troppo per il sottile. Un ragazzino si era
allontanato sventolando entusiasta 21 posizioni di yoga, una nonnina
aveva comprato Idraulico fai da te e un uomo grande e grosso aveva
chiesto Schemi al punto croce per tutte le stagioni, perché
il formato del libro era più grande, lui era precocemente
presbite e voleva godersi l’autografo del capitano anche
senza occhiali.
-Senti, Tom!- si spazientì Mark, tirando fuori la testa e
parte del corpo dal furgone e passandosi un braccio sulla fronte per
scostarsi i capelli dagli occhi -Sono d’accordo sul fatto che
se quella pulce è sparita la colpa è tua! Che
Patty e Holly non dovevano lasciartela! Che non sei in grado di
prenderti cura di un bambino! Che fidarsi di te è come
consegnare una banana a una scimmia.- già alla terza mazzata
Becker aveva cominciato a rimpicciolirsi, consumato dai sensi di colpa
-Che è assurdo pretendere di far emergere una vena paterna
dove non esiste, visto che non soltanto non sei padre, ma neppure
fidanzato! Che sarebbe stato meglio lasciare la marmocchia a Jack lo
Squartatore, perché anche se a pezzi, almeno
l’avremmo ritrovata! Che se...-
-Piantala, Mark!- lo fermò Philip -La colpa non è
soltanto di Tom! Avremmo dovuto tenere tutti gli occhi aperti!-
-Io li ho tenuti. E infatti nonostante l’invasione che ho
subito, non ho perso nulla del mio prezioso carico. E quello che ho
perso, l’ho perso a causa vostra. Ecco sì! Questa
sì che è colpa vostra! Comunque le chiacchiere
stanno a zero. Mentre io preparo lo stand, voi andate a denunciare la
scomparsa della pulce così Tom si mette l’anima in
pace.-
-Se la metterebbe se la ritrovassimo.-
-Vado con Tom.- disse Benji -Non me la sento di lasciarlo da solo.-
Bruce non era mica scemo.
-Non ti frega niente di Tom. Il problema è che non ti va di
sgobbare, di scaricare l’immondizia dal furgone e…-
-Cosa hai detto, Harper? Come hai chiamato tutto questo bendiddio? Sai
che una piccola parte di benzina che useremo al ritorno la
pagherò grazie ai guadagni di oggi? Una piccolissima parte
in verità, perché voi contribuirete. Divideremo
per dodici, come al solito.-
-Dodici? Perché dodici?- chiese Philip a cui non soltanto
non tornavano i conti, ma stava pagando la sua quota di benzina da
prima che raccogliessero Julian e Amy per strada. Ora s’era
francamente stufato -Siamo nove, non dodici. Hai contato bene? Jenny ed
io, Julian e Amy, Evelyn e Bruce, tu, Benji e Tom.-
-Callaghan, sei tu che non sai contare. Tu e Jenny valete per quattro.
E poi c’è la marmocchia di Holly.-
Philip lo fissò incredulo.
-I bambini non pagano. Non pagano mai. Non lo sai?-
-Intendi far pagare la bambina che abbiamo perso per strada?-
domandò Julian -Non ci posso credere.-
-Si suppone che la ritroveremo. Giusto?- Tom annuì con pari
speranza e convinzione -E i bambini occupano posto, Philip. POSTO.
Quindi pagano.-
-Anche il tuo carico occupa posto. Lo fai pagare?-
Mark, stufo di quella discussione che tra l’altro rallentava
il suo lavoro perché invece di dargli una mano erano tutti
impalati ad ascoltare, concluse:
-Posso mettere in vendita la tua prole, allora? Perché tra
loro e il mio carico c’è una bella differenza. Il
carico occupa posto e lo vendo. I tuoi figli occupano posto e stasera
li porteremo via con noi. Se hai finito di cianciare cose inutili,
ricordati che sei qui solo per darmi una mano!-
Tenendo in braccio Joy che tranquilla e beata si succhiava il pollice,
Jenny lo osservò riprendere a scaricare le cianfrusaglie di
cui era carico il furgone. E più lo guardava e
più si chiedeva come fossero riusciti a entrare tutti quanti
lì dentro.
-Fortuna che dividiamo la benzina, Mark. Davvero pensi di vendere
quegli oggetti?-
-Vedrai! Ho il senso degli affari, io.-
Benji li ascoltò solo in parte. Avrebbe avuto molto da
commentare sulle parole di Mark, ma preferiva che gli amici si
dimenticassero di lui. Mai, mai avrebbe ficcato le sue preziose mani in
mezzo a quei relitti, che erano stati riportati alla luce
chissà da quale logoro e fetido cassonetto
dell’immondizia. E poi mai e poi mai avrebbe lavorato,
faticato, sgobbato per e sotto la direzione di Landers.
-Andiamo Tom.- gli disse e lo trascinò via.
-Cercate di non metterci tutto il giorno!- gli gridò dietro
Mark, che rinunciava volentieri all’aiuto di Price ma non a
quello di Becker.
Peter si sganciò dalla mano di Philip e corse dietro ai due.
-Posso venire con voi? Posso aiutarvi a cercare Katy? Sono un
detective! Adesso entro in un telefono e poi volo.-
Benji lo guardò.
-Questo bambino non ha le idee chiare. Confonde Sherlock Holmes con
Superman.-
Tom rise e lo prese per mano. Peter afferrò le dita del
portiere e, aggrappato come una scimmia a un ramo, cominciò
a dondolarsi tra loro, emettendo dei versi che parevano
l’incrocio tra il fischio di un treno e il rombo dei motori
di un jet al decollo.
Jenny li osservò allontanarsi con un filo di preoccupazione.
-Philip, possiamo fidarci di Tom? E se sparisse anche Peter?-
Il ragazzo non aspettava altro.
-Hai ragione, vado con loro!- e corse via.
-A sgobbare sono sempre i più fessi.- borbottò
Julian serafico.
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Capitolo 7 *** Password: market ***
Password:
market
Benji si avvicinò con Peter in braccio alle tre ragazze che
aveva puntato da lontano come un falco predatore, dissimulando con
maestria il suo interesse con un’aria spaesata e confusa.
Quel contegno, secondo i suoi calcoli, avrebbe dovuto portare alla luce
in tre secondi netti l’atavico istinto femminile di aiuto e
protezione nei confronti del prossimo.
Le accostò quasi per caso, come se senza accorgersene si
fosse imbattuto proprio in loro mentre vagava sperduto tra i banchi
della fiera, in cerca di qualcosa o di qualcuno che disperava di
riuscire a ritrovare. Le tre giovani smisero di parlare e lo fissarono
appena il tempo di mettere a fuoco lui ma sopratutto il
marmocchio, dopodiché il sorriso infantile del bambino le
conquistò in un nanosecondo.
Tom e Philip erano rimasti discosti, costretti a restare dove il
portiere aveva tassativamente ordinato loro di rimanere.
“Guardate e imparate” aveva detto con aria saputa
perché i bambini avevano una loro
utilità sociale proprio come i cani, soprattutto se cuccioli.
-Ma che bellino che sei!- disse la ragazza più alta,
dedicando al marmocchio di Callaghan un sorriso che il portiere si
gustò tutto, come se fosse per lui.
-Come ti chiami?- domandò l’altra, la giovane con
una cascata di capelli neri e corvini che le arrivava più
giù delle spalle.
Bastò un lievissimo sollecito che Peter, spinto
dall’indole naturale di futuro uomo, tese le braccia verso la
giovane più graziosa e le piombò addosso,
infilando quasi per caso una manina dove il portiere avrebbe desiderato
a breve a sua volta posare le dita. Tastando un po’ qui e un
po’ lì, beandosi di quella morbidezza, il bimbetto
rise felice e gongolante.
-È tuo figlio?- fu la domanda che Benji già si
aspettava.
-Mio fratello.- era una promessa, perché se
l’aspetto del bambino era di loro gradimento, altrettanto di
loro gradimento sarebbe stata la prospettiva di un accoppiamento con un
ragazzo piacente e prestante, per giunta libero come l’aria.
Benji pensava sempre a tutto, difficilmente si faceva cogliere
impreparato dalle situazioni che la vita gli presentava ogni giorno.
Philip osservava le moine di Peter con una leggera apprensione. Dove
aveva imparato, suo figlio, a comportarsi così? Con tanta
disinvoltura? Possibile che fosse bastata una manciata di giorni
trascorsi con Price per prendere da lui tutti i difetti possibili e
immaginabili? E poi, un dubbio, anzi quasi una speranza. Anche con lui
sarebbe stato capace, all’occorrenza, di comportarsi in quel
modo davanti a un trio di gallinelle così carine?
Infastidito dal pensiero fedifrago che era scaturito dalla sua mente
senza alcun controllo, Philip sbuffò.
-Io avevo capito che andavamo a cercare Katy.-
-Dobbiamo cercarla!- annuì Tom -Dobbiamo trovarla!-
-Perché allora Benji sta perdendo tempo con quelle tre?-
-Forse sta chiedendo se l’hanno vista?-
-Tu dici?-
-No. Non credo proprio che lo stia facendo.-
Philip si guardò intorno, sforzandosi di ignorare la
sceneggiata di quel pericoloso duo e fare il punto della situazione,
cosa non facile al centro di un mercato che riempiva per intero il
sottobosco di una pineta, tra stand di oggetti vari e gastronomia che
avevano richiamato acquirenti, visitatori e avventori da tutta la
provincia. C’erano più persone lì
dentro che spettatori in uno stadio alla finale della Coppa del Mondo.
Ma da qualche parte, di sicuro, un ufficio informazioni doveva pur
esserci.
-Devo trovarla, Philip. Ti prego! Devi aiutarmi a ritrovarla! Se le
è successo qualcosa, io...- la voce si spense in un singulto.
La sincera preoccupazione dell’amico lo scosse e, dimentico
di Benji e di Peter, che era sì suo figlio ma della cui
esistenza aveva saputo così recentemente che stentava a
ricordarsene, si guardò intorno indeciso sulla direzione da
prendere.
Dopodiché, seguendo cartelli temporanei scritti a mano,
fissati con metri di spago ai tronchi di quei pini millenari, si
inoltrarono nelle stradine della fiera.
Obiettivamente nessuno dei due si era mai trovato in un posto simile,
dove la varietà della mercanzia messa in vendita superava
ogni umana immaginazione. Sulle bancarelle erano esposte cose mai
viste, oggetti così vecchi e di un tale cattivo gusto che
solo guardarli era un pugno nello stomaco ma davano speranza agli
affari di Mark; a essi però erano affiancate preziose
minuterie fatte a mano che costavano un occhio della testa. E poi cibo,
leccornie artificiali e artigianali provenienti da ogni parte del paese
e da ogni angolo del globo. Frutta tropicale mai assaggiata, di cui non
conoscevano neppure il nome, pesci multicolori adagiati su letti di
ghiaccio, dolci caramellati sul momento, fiumi di cioccolata, crepe ai
millegusti, carne di ogni tipo passata alla brace, fritta o al vapore
condita con salse per i palati più fini, pane e panini
ripieni di ogni cosa, formaggi freschi e stagionati, fritti di ogni
colore e misura.
-A me sta venendo fame. Ti dispiace se ci fermiamo un secondo a compare
qualcosa?-
Tom scosse la testa, perché aveva anche lui le stesse
necessità dell’amico. Fecero la fila in una
friggitoria, presero ciascuno un cartoccio mari e monti e ripresero il
cammino che, più che una ricerca, si stava a poco a poco
trasformando in una rilassante passeggiata.
-Ho sete.-
-Una birretta?- propose Philip indicando un banco che la spillava
ghiacciata.
-Perché no.-
Proseguirono sorseggiando la birra, superando la zona mangereccia e
inoltrandosi in quella artigiana e culturale, dove si fermarono davanti
a una bancarella carica di libri. Al di là di quella
montagnola di cultura, un tizio annoiato fumava con passione il filtro
di una sigaretta ormai giunta alla fine.
Tom si avvicinò, prese in mano un libro e lo
sfogliò interessato.
-Che dici, lo prendo?- si consultò con Philip allungandogli
il breve tomo carico di vignette.
Barzellette sui calciatori, lesse il compagno e annuì.
-Lo facciamo recitare a Bruce durante il viaggio di ritorno.-
-Se lo volete, ripassate più tardi. La padrona è
in pausa pranzo e mi ha proibito di vendere in sua assenza. Pare siano
a offerta libera ma non mi immischio negli affari degli altri.-
Tom annuì e ripose il libro.
-Torniamo dopo.-
Ripresero a camminare sotto la frescura dei pini, accarezzati da una
brezza che profumava di resina. Quella sì che era una
splendida giornata da trascorrere bighellonando all’aperto.
Si godettero la passeggiata e quando raggiunsero gli altri Philip si
trovò completamente impreparato ad affrontare la crisi
isterica di Jenny, che scoppiò improvvisa e immediata.
-Dove l’hai lasciato?-
-Dove ho lasciato chi?-
-Peter!-
Chi è Peter? Stava per farle eco Philip, poi
ritrovò di colpo la consapevolezza di essere un (pessimo)
padre e si guardò intorno sgomento, anzi a dir poco sotto
shock perché a suo figlio ormai erano ore che non pensava
più. Lo aveva mollato con Benji e… e il portiere
era lì, comodamente spaparanzato su una sdraia, una bibita
ghiacciata tra le mani. Scandagliò in un nanosecondo ogni
centimetro dello spazio intorno a loro, mentre il cuore accelerava i
battiti e un sudore gelato gli imperlava le tempie. Di Peter nessuna
traccia.
-PHILIP! DOVE ACCIDENTI LO HAI LASCIATO?-
Le urla di Jenny non lo aiutarono a fare mente locale, una goccia di
sudore gli colò fino al collo, un crampo gli
bloccò la digestione e la birra, nel suo stomaco, riprese a
fare la schiuma. Accanto a lui Tom, investito dalla consapevolezza di
aver trascorso il tempo a bighellonare tra le bancarelle,
crollò in ginocchio invocando la figlia di Holly come se
volesse chiederle la grazia di riapparire all’istante tra
loro.
-Era con Benji! L’ho lasciato con Benji!-
La giustificazione non resse, quelle parole non servirono a nulla se
non a inasprire di più Jenny.
-Peter non si lascia! Tanto meno con Benji! TU sei suo padre! TU devi
prenderti cura di Peter! NON BENJI! Fila immediatamente a cercarlo e
NON AZZARDARTI A TORNARE SENZA DI LUI!-
-Padre degenere...- borbottò Mark osservando Philip e Tom
che se la davano a gambe -Quei due sono uno peggio
dell’altro. Lasci una mocciosa a Tom e la dimentica in
autogrill, affidi un figlio a Philip e lo perde a una fiera.-
-Tu Peter per poco non lo investi.- disse Julian continuando a lucidare
con un panno il ripiano di marmo di un comodino che aveva tirato
giù dal furgone in uno sforzo immane e senza
l’aiuto di nessuno perché chi avrebbe dovuto
dargli una mano, era in giro a perder bambini.
-Chi stai cercando, Tom?-
Il ragazzo trasalì. Non poteva assolutamente sbagliarsi,
quella era proprio la voce di Patty. S’immobilizzò
come una preda presa di mira da un carnivoro nell’attimo
prima di spiccare la fuga in un inutile tentativo di guadagnare la
salvezza. Ma lì non c’era nessun posto in cui
nascondersi. Così rimase piegato in due, una mano a
sollevare il telo che ricopriva il ripiano del banco, gli occhi fissi
sotto la serie di tavoli che si susseguivano l’uno dopo
l’altro, tra la merce da vendere accatastata negli scatoloni
e gli imballi che erano stati tolti per esporre la mercanzia
più varia. Come si sarebbe presto accorta anche
l’amica che incombeva alle sue spalle, lì sotto di
Katy non c’era traccia.
-Tom?- insistette la voce e il ragazzo sembrò percepire nel
suo tono una nota di sarcasmo.
Sarcasmo? Per cosa? Si tirò su lentamente, così
lentamente che forse impiegò addirittura un minuto per
mettersi eretto, voltarsi e affrontarla. Era sola? C’era
Holly con lei? L’avrebbero ucciso? Avrebbero banchettato sui
suoi resti?
Niente di tutto ciò. Patty lo fissava furibonda ma Katy, sua
figlia, era lì. La teneva per mano e la bambina lo guardava
con un’espressione gioiosa dedicata proprio a lui, nonostante
tutto, nonostante l’avesse abbandonata, nonostante
l’avesse persa in un autogrill. Sembrava addirittura contenta
di vederlo.
In effetti fu grazie alla presenza di Katy che Patty non gli
saltò al collo e non lo strozzò. La bambina tese
le mani e, nonostante sua madre non sembrasse contenta della scelta,
gli si aggrappò alla gamba come un piccolo koala.
-Katy è una bambina generosa. Fosse stato per me, non ti
avrei perdonato così facilmente.-
-Dove l’hai trovata?- la voce di Tom uscì stentata
e roca. Passato il momento critico, non riusciva a capacitarsi del
miracolo. Accarezzò la testolina della bimba mentre Patty
tornava a prenderla per mano.
-In lacrime seduta sul marciapiede del parcheggio di un autogrill.-
-Non so come sia potuto accadere!-
-È accaduto perché l’hai dimenticata,
perché non sei affidabile. Perché io avevo
ragione a non volertela lasciare e Holly torto ad averti scelto. Come
al solito!-
Philip arrivò di corsa, sudato, affannato e preoccupatissimo.
-Tom! Non lo trovo da nessuna parte...- inquadrò
l’amica -Ciao Patty. Ah, è con te, bene! Spero di
essere altrettanto fortunato! Andiamo Tom!- lo afferrò per
un braccio e lo trascinò via -Se non ritroviamo il
marmocchio, Jenny mi uccide, chiede il divorzio, mi toglie
l’affidamento di Peter e Joy, forse addirittura mi denuncia
per smarrimento di minore! Che accidenti di fine ha fatto? È
tutta colpa di Price, quel maledetto!-
-Non erano Tom e Philip, quelli?- domandò Holly
raggiungendola.
-Sì, proprio loro.-
-E glielo hai detto?-
-No.- fece spallucce, mentre Katy le lasciava la mano e correva verso
Peter che camminava accanto a Holly tenendo tra le mani una coppa di
plastica ricolma di granita alla fragola, che si gustava con evidente
piacere.
Il ragazzo sospirò.
-Immaginavo.-
-Hanno perso anche lui, Holly! Sono davvero inqualificabili!-
-Non è raro che un bambino si perda a una fiera!- li difese
-E poi Jenny sarà preoccupata!-
-Sì, immagino di sì… Vuol dire che
quando ripasseranno lo troveranno qui. Abbiamo da vendere quasi la
metà dei libri e neppure un secondo da perdere per colpa
della loro inaffidabilità.-
Holly cacciò un altro sospiro, stavolta bello forte per
esternare la propria contrarietà, raggiunse la bancarella e
tornò al proprio posto. Peter, con l’immensa
granita tra le mani, gli trotterellò dietro e si sedette su
uno scatolone all’angolo, tranquillo e beato a imbrattarsi la
faccia di sciroppo di fragola. Katy gli corse accanto, diede una
leccatina al ghiaccio, rabbrividì e, un po’
assonnata, andò ad accoccolarsi sulle gambe del padre.
Patty, da parte sua, prese la cassetta di sicurezza in cui aveva chiuso
a chiave l’incasso e, per ammazzare il tempo in attesa di
nuovi clienti, contò e mise in ordine spicci e banconote.
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Capitolo 8 *** Password: money ***
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Sistemata sui banchi la mercanzia in vendita, stabiliti i prezzi e
raccomandatosi con i compagni di non fare sconti a nessun cliente, Mark
lasciò la postazione con un diavolo per capello. La sfortuna
aveva voluto che il suo banco fosse ai margini della fiera, in un punto
non di passaggio, il penultimo di una fila subito prima di un
bigiottiere e un produttore agricolo che vendeva miele e marmellate.
Mentre con meticolosa attenzione posizionava la mercanzia per
valorizzarne gli aspetti migliori, aveva visto che gli avventori
già dal banco del bigiottiere cominciavano a guardarsi
indietro intenzionati a tornare verso il centro della fiera e a stand
evidentemente più interessanti. La sistemazione non gli
andava proprio giù. Aveva pagato lo spazio espositivo lo
stesso prezzo degli altri, allora perché quella collocazione
così fuori mano? La sua prima tappa sarebbe stata allo stand
del comitato organizzatore, per pretendere il rimborso di almeno
metà della quota. Dopodiché avrebbe fatto il giro
della fiera. Era buona consuetudine dare un’occhiata agli
altri rivenditori per individuare possibili concorrenti e, nel caso,
ritoccare un po’ i prezzi al rialzo o al ribasso.
Recuperò una mappa dell’evento da una colonnina
informazioni e puntò dritto verso lo stand informativo
collocato proprio di lato all’ingresso.
Studiando la piantina e valutando i banchi degli altri venditori mentre
avanzava tra i visitatori, fu quasi travolto da
un’entusiastica coppia che procedeva carica di libri.
L’urto fece sfuggire a Mark la piantina e
un’invettiva, ai due buona parte dei tomi. Mentre la donna si
scusava, l’uomo si chinò a raccoglierli trafelato,
controllando che nulla si fosse rovinato.
-Mi dispiace, eravamo distratti!- lei abbassò gli occhi sul
compagno -Tutto bene?-
-Sì, gli autografi sono intatti.-
-Per fortuna! Non si sono spiegazzati?-
-No, come nuovi!-
Mark li osservò sgomento mentre lo superavano e si
allontanavano continuando a verificare l’integrità
del loro prezioso carico. Fece per proseguire verso
l’ingresso della fiera, quando notò sulla sinistra
una donna di mezza età che gli andava incontro stringendo al
petto un grande libro. Subito dietro di lei, un giovane sfogliava un
tomo piuttosto pesante e non proprio nuovo, con un sorriso estasiato a
illuminargli il volto. E ancora dietro di lui due donne, un uomo
anziano che avanzava stringendo rispettivamente un libro e un bastone
da passeggio, poi un bambino, tre ragazze, due uomini, un giovane, una
bambina con la treccia, due amiche sorridenti… chiunque
provenisse da quella direzione, portava con sé dei libri. Ed
erano tantissime persone. Mark non riuscì a capacitarsi di
ciò che vedeva. Erano solo dei libri, alcuni persino
malridotti, eppure sembravano andare a ruba, come se fossero degli
oggetti preziosissimi e rari.
La curiosità gli fece dimenticare l’originaria
intenzione di reclamare un rimborso e lo spinse a seguire il percorso
inverso di quella moltitudine di persone nello stretto corridoio
laterale. Fendendo la folla controcorrente, sempre più
numerosa via via che avanzava, raggiunse lo stand dei libri e si fece
largo tra la ressa di clienti che stavano prendendo d’assalto
il banco.
-Uno a me, offro tremila yen!-
-A me anche! Ne ho duemila!-
-Cinquemila per l’autografo!-
-Anch’io! Lasciate un libro anche a me!-
Fioccavano offerte per quei libri malridotti, alcuni in condizioni
addirittura peggiori della mercanzia portata fin lì con il
furgone. Com’era possibile? Perché tutte quelle
persone facevano a spintoni pur di riuscire a conquistarsi un libro?
Cosa avevano quei tomi di così speciale? Non riusciva a
spiegarselo. A fatica si conquistò un posto in prima fila e
si trovò faccia a faccia con Holly.
Seduto al di là del banco, firmava forsennato la seconda di
copertina dei libri che Patty gli passava in tutta fretta, radunando
nello stesso tempo migliaia di yen in una cassetta di sicurezza e
restituendo ai clienti i libri firmati.
-Cosa state facendo?-
L’amica sollevò lo sguardo dal cospicuo gruzzolo
che teneva tra le mani.
-Affari, Mark. Stiamo facendo affari!-
Landers ammutolì. Non stavano facendo affari, si stavano
arricchendo. Il suo cervello prese a lavorare alla velocità
della luce, mentre studiava il meccanismo del loro successo
imprenditoriale. I libri erano vecchi, datati, fuori commercio, di
sicuro fondi di magazzino ma Holly con il suo autografo li rinnovava,
rendendoli appetibili a chiunque fosse un suo fan.
-Tieni, signore.-
Mark abbassò gli occhi. Il figlio di Callaghan era
lì, appollaiato sul banco tra
un’infinità di libri. Sorridendo felice gli porse
un libro, lui lo prese senza pensarci. Stava perdendo tempo. Strinse il
volume tra le mani, poi se lo mise sotto il braccio con un gesto deciso
e indietreggiò tra la gente.
-Mark!- lo richiamò Patty -Se vuoi il libro devi pagarlo!-
Lui non la udì, o fece finta di non udirla. Si
sganciò dalla folla che lo pressava alle spalle.
Uscì faticosamente dal cerchio e restò a guardare
l’assembramento da fuori, mentre una miriade di progetti e
pensieri gli affollava la mente fin quasi a mandarla in tilt.
Poi, sempre con il libro sottobraccio, accantonò
definitivamente l’intenzione originaria di far visita al
comitato organizzativo e tornò di corsa dai compagni. Il
sole era alto nel cielo, era passata l’ora di pranzo e gli
rimanevano al massimo tre o quattro ore di tempo per vendere la propria
mercanzia, prima che il sole cominciasse ad abbassarsi
all’orizzonte e la fiera chiudesse definitivamente.
Philip non sapeva più dove cercare. Lui e Tom avevano
scandagliato la zona in lungo e in largo. Avevano chiesto notizie di
Peter a quasi tutti i rivenditori e nessuno lo aveva visto. Avevano
persino cercato le ragazze con cui Benji si era intrattenuto ma non le
avevano trovate. Forse avevano già lasciato la fiera.
Philip non sapeva più cosa fare. Non poteva tornare da Jenny
senza Peter. Lei non lo avrebbe perdonato. Per un momento aveva persino
pensato di prendere in prestito un bambino che gli assomigliasse e
tornare verso il banco di Landers tenendolo in braccio, restando
abbastanza distante affinché Jenny non lo riconoscesse ma
sufficientemente vicino da trarla in inganno.
Philip era stanco di girare tra la gente. Non sopportava più
di camminare in mezzo alla folla entusiasta e felice che non prestava
attenzione a dove camminava, gli occhi sugli stand, e lo urtava a ogni
passo. Per un attimo aveva perso di vista Tom, finito chissà
dove tra la gente. Lo aveva ritrovato più avanti sotto un
pino, a chiacchierare con una giovane in short e canottiera, una bella
scollatura e ugualmente belle gambe. Tom poteva distrarsi, beato lui.
Aveva ritrovato Katy, Patty non lo aveva ucciso e a Peter sembrava non
pensare più.
Philip aveva apprezzato il panorama di tutta quella pelle esposta, poi
aveva a malincuore trascinato via il compagno, perché
ritrovare suo figlio era la priorità.
Peter però sembrava essersi volatilizzato. E se lo avessero
rapito per chiederne il riscatto? E se Mark lo avesse rivenduto insieme
alle sue cianfrusaglie? Lo riteneva capace di farlo e forse era il caso
di metterlo sotto torchio per indurlo a confessare. Doveva tornare allo
stand e verificare, anche perché Peter non era da nessuna
parte ma poteva benissimo – lo sperava con tutto se stesso
– essere riuscito in qualche modo a ritrovarli.
Si avvicinò di soppiatto, tanto per essere pronto a
fronteggiare Jenny prima che lo assalisse e gli saltasse al collo. Per
fortuna in quel momento lei non c’era. Neppure Joy e Amy.
Forse si erano allontanate a comprare qualcosa da mangiare visto che
mentre lui e Tom si rimpinzavano di birra e fritti, gli altri erano
rimasti a riordinare gli oggetti e avevano saltato il pranzo.
-Allora?- domandò Evelyn quando li vide avvicinarsi -Lo
avete trovato?-
Scossero la testa.
-Speravamo che fosse tornato.- rispose Philip.
-Jenny non ne sarà contenta.-
Lo sapeva benissimo ma non era in grado di risolvere
l’immensa tragedia che gli gravava sulle spalle. Aveva
cercato il bambino ovunque e non era riuscito a trovarlo.
Spostò gli occhi su Mark.
-Tu ne sai qualcosa?-
-Di cosa?- rispose quello senza neppure alzare gli occhi, occupato
com’era.
Philip gli si avvicinò.
Dietro il banco, armato di un grosso pennarello nero indelebile,
tracciava la sua firma sugli oggetti e li riponeva sul ripiano,
mettendo il suo autografo in bella vista.
-Cosa stai facendo?-
-Sto valorizzando la mercanzia.- lanciò
un’occhiata a un paio di avventori che si avvicinarono allo
stand, come tanti altri da quando aveva iniziato a personalizzare gli
oggetti.
Ma i clienti, come tutti i precedenti, si allontanarono senza
acquistare nulla.
Mark chiuse il pennarello con un gesto stizzito e sbuffò.
Cosa c’era che non andava? Perché non funzionava?
Osservò il ripiano costellato degli oggetti più
vari marchiati con il suo nome, dopodiché spostò
lo sguardo alle persone che si avvicinavano di continuo e poi si
allontanavano. Nessuno chiedeva i prezzi, nessuno acquistava. La
lampada da tavolo, la stufa elettrica (funzionante), lo specchio, il
comodino, un vassoio inox di media grandezza, il bollitore del
tè, il set di posate ancora nella confezione originale, il
materassino da ginnastica, la boa rossa e bianca, una ciotola per cani
di un bellissimo verde smeraldo, il vaso di plastica sbeccato sul
bordo, l’innaffiatoio, i pannolini della
marmocchia… era ancora tutto lì.
Perché, accidenti? Perché?
-Tu pensi di vendere questa robaccia grazie alla tua firma?- Philip lo
guardò incredulo -Stai scherzando?-
-Se non te ne sei accorto, Callaghan, i clienti che vengono fin
quaggiù sono molto più numerosi di prima. La mia
firma tira, aspetta e vedrai.-
-Aspetta e spera.-
-Fila a cercare tuo figlio, padre degenere! E togliti da davanti che
copri la visuale ai clienti!-
-Quali clienti?-
Mark afferrò la boa e l’agitò
minaccioso davanti al compagno, che si tirò indietro di
scatto e si allontanò di nuovo, alla ricerca del bambino
perduto.
Riposto l’oggetto sul tavolo, Landers si lasciò
cadere su uno sgabello che era ancora indeciso se mettere in vendita o
meno. Una ragazza si avvicinò al banco, indicò a
Evelyn il set di posate. L’amica rispose cordiale e
sorridente, la cliente sembrò per un attimo indecisa. Mark
trattenne il fiato quando la vide prendere in mano la confezione,
togliere il coperchio su cui aveva apposto la sua preziosa firma e
scrutare gli oggetti riposti all’interno. Cucchiai, forchette
e coltelli splendevano al sole nuovi, brillanti e puliti. Mark li aveva
ricevuti con la raccolta punti della benzina. E adesso, con il suo
autografo, avevano raggiunto un valore inestimabile.
Dopo un tempo lunghissimo la ragazza annuì, porse la
confezione a Evelyn e lei la mise in una busta. Mark non
riuscì a crederci. Non c’era bisogno di sprecare
una busta per un unico oggetto. Aveva completamente dimenticato di dare
istruzioni ai compagni. Ma non importava, la cifra valeva lo spreco di
una busta. Vide la giovane porgere diecimila yen ed Evelyn
riconsegnarle qualche banconota e alcuni spicci di resto. Come la
ragazza si fu allontanata, raggiunse l’amica.
-Niente busta se acquistano soltanto un oggetto.-
Lei annuì, avrebbe dovuto immaginarlo.
-A quanto hai venduto?-
-Trecento yen.-
Per poco Mark non le saltò al collo.
-TRECENTO YEN? Con la mia firma?-
Lei rispose con veemenza.
-Sì, accidenti! Se non ci fosse stato quello scarabocchio
sulla scatola sarei sicuramente riuscita ad arrivare a mille!-
-Con il mio autografo avresti dovuto vendere quelle maledette posate
almeno a cinquemila yen!-
-Impossibile Mark! Il tuo autografo rovina la merce, non lo vuole
nessuno!-
Il ragazzo ebbe uno scompenso. Impossibile!
Evelyn continuò.
-Non lo vedi? Le persone si avvicinano, guardano e poi si allontanano.
Leggono incuriosite come se si aspettassero di trovarci scritto
chissà cosa e poi se ne vanno!-
Chissà cosa… chissà cosa…
Mark rifletté. Forse i clienti si aspettavano di trovarci
scritto qualcosa tipo… tipo la firma di Holly?
Gli si rimescolò il sangue nelle vene, impossibile accettare
che l’autografo di Hutton valesse più del suo!
Eppure…
Corse verso il furgone, dimenticando di intascare la banconota da
diecimila yen che Evelyn gli porgeva. Frugò nel vano di
carico, poi tra i sedili e tornò al banco stringendo tra le
mani una bottiglia di smacchiatore e un pacco di fazzoletti di carta.
Annacquò i tovaglioli con il liquido e prese a cancellare
forsennato tutte le firme apposte sugli oggetti, saturando
l’aria al punto che se qualcuno avesse acceso una sigaretta,
l’esplosione li avrebbe inceneriti tutti.
-E adesso che fai?- domandò Evelyn osservandolo incredula
ammonticchiare accanto a sé la mercanzia interamente
ripulita, almeno dove il pennarello non era penetrato nel materiale,
lasciando antiestetiche macchie scure e aloni nerastri.
Lui non rispose. Prese il libro che gli aveva dato Peter
all’incirca un’ora prima, proficuamente utilizzato
per puntellare la zampa di uno dei tavolini che traballava sul terreno
sconnesso. Aprì il volume alla pagina
dell’autografo e provò a tracciare la firma di
Holly su un pezzo di cartone. Tentò e ritentò
decine di volte, finché non riuscì a imitarla
così bene da rendere praticamente indistinguibile
l’originale dalla copia.
Allora, chino sotto il banco, nascosto dal ripiano, recuperò
tutti gli oggetti e tracciò la nuova firma, creando
un’ingente quantità di falsi, senza indugio e
senza remore. Dopodiché, bastò riposizionare la
mercanzia sullo stand affinché le persone cominciassero ad
avvicinarsi.
-Mamma, guarda!- il primo a notare l’autografo fu un bambino.
Corse indietro a recuperare la madre, la prese per mano e la
trascinò fin da loro -Guarda, mamma! L’autografo
di Oliver Hutton!-
-Sei sicuro?- la signora osservò titubante i venditori.
-Certo, mamma! È proprio il suo autografo! Per favore mamma,
compramelo! I libri sono finiti ma possiamo prendere quella cosa
tonda...-
Era la boa, la firma riuscita meglio. Sul bianco risaltava
perfettamente e non si notava la differenza con l’originale.
-Quanto viene?- domandò la madre rassegnata.
-Faccia lei, signora. Ma tenga presente che è un oggetto
più unico che raro. E soprattutto molto più
durevole di uno stupido libro che si può bagnare e con il
tempo ingiallire. Una boa è per sempre.-
-Me la dia, allora.-
La donna non fu che la prima di una serie di clienti che offrirono
cifre esorbitanti per la copia della firma di Holly, senza sapere di
acquistare un falso. Mark, quando cominciò a vedere la
cassetta dei soldi riempirsi, prese a fare fumo dalle orecchie per i
sentimenti contrastanti che provava. Pura gioia per il guadagno facile
e ingente, fastidio e collera perché la firma di Holly
andava a ruba mentre della sua non si era curato nessuno. Il suo ego
stava andando in tilt, la confusione era totale, tanto da non
accorgersi della tragedia che si consumava alle sue spalle, oltre lo
stand e oltre il furgone.
Jenny era sull’orlo del divorzio di un matrimonio
apparentemente mai celebrato. In lacrime, gli occhi gonfi e rossi,
osservava Philip che aveva finito le parole per scusarsi. Per quanto
fosse mortificato, per quanto si sentisse in colpa, Peter non era
saltato fuori da nessuna parte. Non ce n’era traccia, non
sapevano dove fosse finito e a quel punto era definitivamente perduto.
E Jenny non si dava pace.
-Sarebbe stato molto meglio andare a cena con quei teppisti, piuttosto
che incontrarti! Ho perso la macchina, ho perso la spesa e adesso ho
perso anche Peter!-
-Ti assicuro che l’ho cercato ovu...-
-Non avresti dovuto cercarlo, Philip! Non avresti dovuto perderlo!
È questo il problema! Non dovevi togliergli gli occhi di
dosso neppure un istante!-
-Tom e io...-
-Siete completamente inaffidabili! Tom ha perso la figlia di Patty, tu
Peter! Non ho parole per definirvi! Siete degli incoscienti!-
-Ma l’abbiamo ritrovata, Katy era con Holly e Patty!-
-LORO l’hanno ritrovata, non VOI DUE!-
-Jenny per favore, non...-
-Per favore niente, Philip. O ritrovi Peter o sparisci definitivamente!-
Mark, che si era avvicinato per recuperare un nuovo pennarello dal
furgone con cui sostituire quello ormai consumato, lanciò un
fischio di sorpresa.
-Questo sì che è un ultimatum!-
La coppia si volse, gli occhi che emanavano lampi. Jenny furibonda con
Philip, Philip furibondo con il compagno che aveva assistito alla sua
completa disfatta.
-Vai pure, Philip.- lo schernì Mark senza dimostrare per lo
sconfitto neppure un briciolo di solidarietà -Ce la caveremo
anche senza di te.-
Il ragazzo si allontanò con la coda fra le gambe.
L’unica speranza era ritrovare Peter.
-Holly, ho deciso. Con il guadagno di oggi creerò
un’associazione che si occupi di crescere i figli dei padri
degeneri.-
-Va bene.-
A lui non importava come Patty intendesse impiegare i soldi raccolti.
Holly aveva accettato di partecipare alla fiera per farla contenta e
rendersi utile al prossimo.
Il cielo si era tinto di rosso, oltre la pineta il sole stava ormai
tramontando. Era ora di andare. Aprì le scatole ormai vuote,
impilò i cartoni ben appianati l’uno
sull’altro, tolse il panno rosso dal lungo tavolo che aveva
ospitato i volumi, lo agitò nell’aria e lo
ripiegò per bene. Richiuse le sedie pieghevoli e le
appoggiò contro il ripiano, poi raccolse le proprie cose,
recuperò Peter e Katy che si inseguivano poco distanti e
tornò da Patty.
-Hai intenzione di adottarlo o possiamo riportarlo ai suoi genitori?-
-Lo riporteremo a Jenny, non a Philip.-
Holly annuì conciliante, prese il pesante zaino che
conteneva la cassetta di sicurezza e altri oggetti di uso quotidiano
che avevano portato da casa e, tenendo Peter per mano,
s’incamminò lungo lo stretto viale, tra gli alberi
e gli stand in via di smontaggio. Gli altri venditori sembravano
entusiasti, la fiera doveva essere andata bene anche per loro.
Lungo la via si imbatterono in Julian e Amy che camminavano mano nella
mano sorseggiando una coca-cola ciascuno. Ne portavano altre in due
buste, avevano fatto un carico anche per i compagni.
-Peter!- esclamò la ragazza, più sorpresa di
vedere il bambino che la coppia -Che fine hai fatto?-
-Ho giocato con Katy.- rispose lui fiero come un galletto.
-Tuo padre ti cerca disperato da ore e tua madre sta morendo di
preoccupazione!-
-Stavo giocando...- disse a voce più bassa e con tono meno
baldanzoso. Quando la mamma si preoccupava erano sempre rogne. Che il
papà lo avesse cercato non se n’era neppure
accorto. Forse non lo aveva cercato bene, visto che non lo aveva
trovato.
Amy ripescò una lattina di aranciata dalla busta e gliela
porse.
-Ne vuoi?-
Il bambino annuì, lasciò la mano di Holly e corse
da lei.
-Dov’è Jenny?- chiese Patty.
-Allo stand di Landers.- rispose Julian -Stiamo tornando lì.-
-Mark aveva uno stand?- Holly si accostò al compagno e
procedette insieme a lui -E cosa vendeva?-
-Cianfrusaglie.-
-Spero che il mercato gli sia andato bene.-
-Abbastanza.- dicendolo Julian soffocò un sorrisetto saputo,
perché Mark aveva venduto tutto soltanto grazie
all’autografo di Holly. E se il fine giustificava i mezzi,
lui era contento perché da quando l’ultimo oggetto
era sparito dai tavoli, l’atteggiamento molesto e irritante
del compagno era cambiato e il furgone si era svuotato, consentendo
loro un decoroso ritorno tra sedili larghi e comodi.
Philip era a terra, nell’angolo più lontano dello
spazio assegnato ai ragazzi. Immusonito e preoccupato, era stato
piazzato in isolamento e ormai non gli parlava più nessuno.
Jenny lo ignorava e soltanto Joy, ogni tanto, scappava dalle braccia
della madre, lo raggiungeva sgambettante e lo toccava dove capitava. Su
un ginocchio, su un braccio, sulla testa, quasi a volersi assicurare
che quel relitto umano gettato al suolo come un mucchio di biancheria
da lavare respirasse ancora. Poi Jenny arrivava di corsa, recuperava la
figlia e, dopo avergli lanciato l’ennesima occhiata
incollerita, si allontanava portandola con sé,
perché se aveva perso Peter, Philip era un pericolo anche
per Joy.
Scoppiò in lacrime, Jenny, quando vide il bambino arrivare
facendo l’altalena aggrappato alle mani di Amy e di Patty.
Accanto alla madre, Katy camminava tranquilla succhiando
un’aranciata con la cannuccia.
Corse incontro al bambino, lo prese tra le braccia e gli
inondò il viso di lacrime. Lui si scostò con una
smorfia, la spinse indietro e si guardò intorno,
perché non trovava chi voleva rivedere. Poi lo scorse, suo
padre, nell’angolo, seduto a terra con le gambe piegate e le
braccia sulle ginocchia, l’espressione afflitta e catatonica.
Gli occhi quasi assenti di Philip riacquistarono un barlume di
vitalità, ma la presenza di Peter a due passi dopo averlo
tanto cercato era così incredibile che pensò di
avere le allucinazioni.
Poi il bambino corse verso di lui e gli piombò addosso.
-Ciao papi, oggi ho giocato tutto il giorno con Katy. Possiamo
invitarla a cena?-
-Sì… sì.- tutto quello che voleva per
ringraziarlo di essere riapparso, ritornato, risorto. La sua vita
coniugale era salva e le crepe che si erano formate quel giorno si
sarebbero rattoppate con il tempo.
-Se siete pronti direi di andare.-
Mark aveva ripiegato le due tovaglie rimediate con cui aveva ricoperto
i banchi dello stand e ora le stava riponendo sul retro, vuoto, del
furgone.
-Abbiamo comprato da bere.- disse Julian raggiungendolo -Vuoi una
coca-cola? Dov’è la mia bicicletta?-
-Cinquantamila yen, Ross. È la cosa che ho venduto
più cara!-
-HAI VENDUTO LA MIA BICICLETTA?-
-Sei stato tu a sperare che il furgone si svuotasse per viaggiare
più comodo, no?-
-HAI VENDUTO LA MIA BICICLETTA!-
-E allora? Era sporca e rovinata, i raggi si erano piegati quando sei
finito nella risaia. Era pericoloso persino montarla.- lo
guardò sospettoso -Non ti darò una parte del
guadagno, se è quello che desideri. Sto scarrozzando te e
Amy da giorni, pensavi che lo avrei fatto gratis?-
La busta che conteneva le bevande sussultava in modo incontrollabile,
Julian era lì lì per saltare addosso al compagno
e non riusciva a capire cosa lo trattenesse dall’ammazzarlo.
Forse il fatto che, finora, non aveva mai aggredito nessuno?
C’era sempre una prima volta, però!
Strinse la busta tra le dita, la sollevò di scatto e
colpì Mark con le ultime bevande rimaste, la birra di
Philip, la coca-cola di Mark e un litro d’acqua per i bambini.
Landers accusò il colpo sollevando un braccio e schermandosi
il corpo. Poi prese al volo la busta prima che finisse a terra.
-Grazie per la coca-cola, Ross!- rise sguaiato e con tale strafottenza
che Julian dovette allontanarsi per non commettere un markicidio.
Quando Landers mise in moto, nel furgone si stava così
larghi che vi avevano preso posto anche Patty, Katy e Holly. Il
passaggio era gratis, perché se Mark aveva venduto tutto era
grazie alla firma falsificata.
Guidando con prudenza, Landers percorse la strada sconnessa della
pineta, sobbalzando tra le radici dei pini e le pigne cadute.
-Vai più piano.- gli disse Bruce con la voce impastata dal
sonno. Aveva dormito per buona parte del pomeriggio, perdendosi quasi
tutti gli avvenimenti di quel giorno -Mi stai facendo tornare su la
coca-cola.-
-A proposito, dov’è la mia?- domandò
Mark a Benji che era tornato a sedersi davanti.
-Io non l’ho bevuta.-
-Amy, dove hai messo la busta che ti ho dato prima?-
La ragazza frugò tra i sedili, vide Julian agguantare una
coca-cola e scuoterla con forza. Dopodiché gliela porse.
-Ma...-
-Dagliela Amy. L’abbiamo comprata per lui.- ordinò
Ross secco.
Lei ubbidì suo malgrado, poi si tirò indietro
più che poté.
Nel momento in cui Mark stappò la lattina, il furgone prese
una buca profonda e inesorabile che fece esplodere lo pneumatico. Katy
gridò, Peter gridò, Joy scoppiò a
piangere e la coca-cola invase l’abitacolo spruzzando
ovunque, inondandoli di schiuma.
-Tu e la tua coca-cola del cavolo!- sbottò Philip sfilandosi
gli occhiali stereografici e alzandosi dalla poltroncina che aveva
assunto la forma del suo corpo -Pure nella realtà virtuale
devi portartela dietro!-
-Vogliamo invece parlare di te, Callaghan? Di come sei stato capace di
perderti un figlio che neppure esiste?- Mark spostò gli
occhi su Jenny -Pensaci bene, eh!-
Julian si avvicinò.
-Restituiscimi immediatamente i miei cinquantamila yen, Mark!-
Il ragazzo si impietrì mentre Benji, da dietro, lo scherniva.
-Morto di fame pure nei sogni.-
-La prossima volta il questionario lo compilo io.- stabilì
Holly lasciando la sala.
Con Bruce, Benji e Mark finora non era andata granché.
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