Near, figlio e successore di Elle

di Alphisia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mio padre ***
Capitolo 2: *** Frittelle alla crema ***
Capitolo 3: *** Attento a lei ***
Capitolo 4: *** Sguardo ***



Capitolo 1
*** Mio padre ***


Quartier generale, 16.57 di sabato 12 dicembre 2009


Gli schermi si oscurano d’improvviso per poi illuminarsi di nuovo con una grossa N gotica. 
-Era da un pezzo che non si faceva vivo - commenta Hideki. 
-Che vuole oramai? - anche Matsuda si è alzato in piedi. 
Già, cosa vuole questo adesso? 
-Sono Elle - gli dico appena mi infilo le cuffie e il microfono. 
-Elle, da quanto tempo. Ti sono grato per non avere ancora interrotto il canale di comunicazione. 
-Di che si tratta, Near? 
-Sono arrivato in Giappone per catturare Kira. 
In Giappone?! 
Che bisogno c’era di dirmelo? Vuole spingermi a fare qualche passo falso? 
Ha la stessa voce calma e monotona di Ryuzaki con cui ho già combattuto. E vinto. 
-A questo punto, se vogliamo catturare Kira, è fondamentale indagare a partire dalla NHN e da Kyomi Takada. Così sono venuto anche io in Giappone per seguire questa pista. 
-Anche io sto indagando su questa pista in Giappone. Sarei lieto se potessimo collaborare.
-Certo. Può darsi che ci incontreremo presto. 
Puoi giurarci. Così potrò eliminare tutti i degni successori di Elle. 
-Sono sicuro che quel giorno sistemeremo Kira una volta per tutte e vendicheremo mio padre. 
La chiamata viene agganciata. 
Mio padre?
Un silenzio eloquente piomba nella stanza. 
-Ho capito bene? - chiede per primo Matsuda, frastornato come tutti. 
Ryuzaki aveva un figlio? Ma non aveva neanche trent’anni quando l'ho conosciuto. 
-Ecco perché è così motivato a trovare Kira - prova a ragionare Hideki, che inizia a camminare in tondo. 
-Quanti anni potrà avere questo ragazzino? Una persona giovane e troppo coinvolta potrebbe anche essere pericolosa. 
Cosa pensa di poter fare contro di me, che ho anche sconfitto suo padre? 
-Non lo so, ma, se è davvero suo figlio e ha intuito la stessa pista che stiamo seguendo noi, deve avere di sicuro le facoltà intellettive di Elle. 
Bel discorsetto, Hideki. Arriva proprio da te, che te la sei data a gambe quando Elle ti ha chiesto di collaborare con lui. 
Matsuda sembra ancora scosso dalla rivelazione, fissa i monitor tornati scuri con le braccia conserte. Si volta lentamente verso di me. 
 -Ma quindi ha avuto anche una ragazza?
Sempre domande stupide, Matsuda. 
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Wammy’s House, 16.00 di mercoledì 26 ottobre 1994 

Appena esco in cortile, le campane iniziano a rintoccare. Alzo gli occhi e mi riparo la vista con una mano dai raggi ancora forti del sole di ottobre. Mi faccio strada tra i bambini che sciamano senza posa, liberati dalla costrizione del banco e delle maestre. 
Ecco perché rimango sempre dentro a quest’ora. Oltre a non aver trovato neanche un posto nella sala comune, si erano già tutti presi le scacchiere. Mi arrangerò con un quaderno, per studiare sarà più che sufficiente. 
Un pallone da calcio mi colpisce la gamba. Vedo dei bambini che mi fanno segno di rilanciarglielo: con due tocchi eseguo una gran bella punizione. Attraverso lo spazio che mi separa dalle panchine sotto gli alberi, proprio di fronte all’edificio principale. La ghiaia scricchiola cupa sotto le scarpe. Trovo un posto al riparo dal sole e mi siedo. Apro il quaderno e prendo la matita sull’orecchio per cominciare a disegnare la scacchiera. 
Cerco di isolarmi dalle urla, ma i bambini hanno deciso di assieparsi tutti davanti a me. Urlanti, attorniano una ragazza che avrà la mia età e distribuisce qualcosa dal cestino dietro della sua bicicletta. 
Avrei voluto provare qualche nuova mossa nella calma del mio angolo in sala comune, ma dovrò accontentarmi. Le ho studiate per un po’ e credo che sia giunto il momento di metterle in pratica. Quillsh è stato molto bravo a iniziarmi a questo gioco, ma ora potrei batterlo facilmente. 
Finalmente le urla si fanno lontane e guadagno un po’ di tranquillità. I bambini se ne vanno nel grande giardino alle mie spalle. Quanto mistero trovavo anche io in una piccola foresta come quella. La ragazza sta per mettersi in sella, quando si ferma, prende qualcosa dal cesto e comincia ad attraversare il cortile, sulle mie orme. 
Mi guardo di lato. 
Qualcuno vicino a me ha dimenticato qualcosa? 
Impossibile, sono solo. 
Regge in mano un tovagliolo di carta e quello che sembra un dolce. Arrivata a poca distanza, allunga la mano e me lo porge. Una ciliegina rossa e glassata brilla sopra la crema pasticcera, arrotolata con maestria, e la pasta dorata. 
Mi sta regalando una frittella ripiena? 
Poso il quaderno accanto a me e la prendo con indice e pollice. 
-Grazie. 
Addento la pasta e la crema dolce trabocca. 
È molto buona. La guardo attentamente prima di inzuppare il dito nella crema giallognola e assaggiarla da sola. 
È squisita. 
-Ti piace? 
-Moltissimo. Ne hai altre? 
Potrei mangiarne per tutto il pomeriggio. 
Si volta verso la sua bici, appoggiata al muro dell’edificio. 
-Purtroppo no, questa era l’ultima. Te l’ho tenuta da parte. 
Per me? 
-Domani torno. Se vuoi, puoi averne un’altra.
-Ti ringrazio - annuisco e mordo la ciliegina rossa. 
-Ho visto che continuavi a fissarmi, ma non ti alzavi. Ho pensato che non puoi muoverti. Sai, sei in una posizione strana per sedersi. 
-In verità la trovo molto comoda. E poi stavo pensando a ciò che ho studiato di scacchi - e faccio un cenno alla scacchiera sul quaderno. 
-Non stavi guardando me? 
Lei sorride sfregandosi le mani e poi aggiustandosi una ciocca di capelli rossi e ricci dietro l’orecchio. 
-No. 
Arrossisce e si congeda in fretta per correre alla sua bicicletta. Con un movimento preciso, si mette in sella senza che la gonna della divisa scolastica possa sollevarsi e lasciare troppo alla vista. Non alza mai la testa, non rivolge neanche uno sguardo indietro. La guardo uscire dai cancelli della Wammy’s House. 
Questa frittella è buonissima. 
 
{L'idea di questa storia viene da una curiosità che ho sentito in un video: Near e Mello erano stati pensati per essere non solo i successori di Elle, ma anche i suoi figli. Se avete letto o visto Death Note, sapete che la scelta finale è stata diversa. 

Però mi sono detta, ma perché no?, è un'idea plausibile! E più rivedevo DN e più mi accorgevo di quanto davvero Elle e Near fossero simili, nei modi, nei gesti e, ovviamente nelle capacità intellettive. Non è un caso che alla fine sia stato proprio lui a beccare Kira!

Spero che le prossime puntate vi piacciano! Ci ho messo molto a scrivere tutta la storia, ma è già conclusa e aspetta solo di essere pubblicata. Ci sarà tanto amore, tanto affetto, ma anche dilemmi e un po' di sofferenza :/ Sì, mi sento in colpa, ma ho infierito sul povero Elle. Al prossimo weekend con la seconda puntata!
}

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Capitolo 2
*** Frittelle alla crema ***


Wammy’s House, 16.02 di giovedì 27 ottobre 1994

Mi siedo sulla panchina proprio mentre quella ragazza gentile sfreccia dentro al cortile. Lavoro ancora sul quaderno, tanto manca ancora un po’ prima che mi possa portare la frittella. 
È stata molto gentile ieri a portarmela. Era dolce, ma non stucchevole. Delicata, ma con un sapore ben definito. Forse le fa lei, ma sembra che sul cestino da cui le prende ci siano delle scritte rosse: Queen of Tarts. Credo che vengano da una pasticceria. 
Non l’avevo mai vista venire qui, credo che l’avrei notata subito. Certo, ieri era la prima volta che scendevo a quest’ora. 
I bambini finalmente la lasciano sola. Sorrido: è arrivato il mio turno. 
Armeggia di nuovo nel cestino, ma, aspetta: sta mettendo a posto. 
E per me? 
Prende il manubrio, ma prima di girare la bici mi rivolge uno sguardo e un saluto timido con la mano. 
Perché oggi non viene? 
La raggiungo prima che possa fuggire. 
-Finalmente ti sei alzato. 
-Pensavo me la portassi tu. 
-Ieri sono venuta io solo perché pensavo non potessi venire tu. 
-Oh ok. Ma quindi ne hai una anche per me? 
Alza le spalle, ma sorride come quando ieri le ho detto che mi era piaciuta.
-I bambini se le sono finite tutte. 
-Ma io la aspettavo. 
-Dovevi alzarti prima - mi sorride - ma puoi sempre attendere domani. 
-E scommetto che non me la porterai ancora, vero?
-Sei un tipo sveglio eh. Aspetta, non ricordo il tuo nome. 
-Non te l’ho detto. 
-Forse neanche io. Comunque mi chiamo Jane. 
Stende la sua mano chiara, pronta a stringere la mia. 
In fondo è stata molto gentile ieri e forse avrei potuto venire io qui oggi, ma stavo pensando ad altro. 
Tiro fuori la mia mano dalla tasca. 
-Elle, piacere. 
-Elle? Un nome strano per un tipo… sveglio! Piacere mio. Allora ci vediamo domani. 
Mi fa un occhiolino mentre sale in sella e uscire a gran velocità. 
Che strana ragazza che sei, Jane. 
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Wammy’s House, 16.04 di venerdì 28 ottobre 1994

I freni della bici fischiano forte per fermarsi sulla ghiaia con il prezioso carico. Jane si alza in piedi sui pedali per poi appoggiarsi a terra. 
-Questa volta sarai il primo. 
-Dalle pure prima ai bambini. Tienimene da parte una, come hai fatto l’altro ieri. 
Attendo paziente che tutti abbiano il loro dolcetto. Alcuni tra i bambini più piccoli mi riconoscono e, quando sono abbastanza lontani, si voltano e parlottano indicandomi. Io rispondo al loro sguardo in silenzio, stando in disparte appoggiato al muro. Uno invece si pianta proprio davanti a me, a bocca aperta, mentre la crema della frittella gli cade sulle mani. 
Jane riesce a destreggiarsi tra le loro manine tese e a sbrigarsi tenendoli a bada. Finalmente il mio turno. I bambini sono già spariti di nuovo e Jane prende questa volta due frittelle. 
-Oggi una anche per me. 
Mi porge la mia mentre dà un morso alla sua. 
-Ti ringrazio. 
-Sono contenta che ti piaccia. 
Intingo il dito nella crema. È una vera delizia. 
-Sai che le faccio io? 
-Avrei detto che arrivavano da una pasticceria. 
-È perché ci lavoro.  
-Allora perché hai una divisa scolastica? 
-Nel pomeriggio, dopo la scuola, lavoro per racimolare qualche soldino. Sai, in famiglia fa sempre comodo. 
Tengo la ciliegia tra i denti e tiro via il picciolo. 
-Senti, oggi il sole è troppo forte. Andiamo sotto quella pianta? - e con un cenno indica la panchina sotto dove ero seduto la prima volta che ci siamo incontrati. 
-Vuoi fermarti a parlare con me? 
-Sì, non ti va? 
Davvero gentile questa Jane. Almeno lei non sembra interessata solo alle mie capacità mentali, e neanche infastidita. Dà un morso e la crema gialla esce. Si pulisce con la lingua le labbra sporche. 
-Ne metto sempre troppa. 
-Io non credo. 
Ci dobbiamo sedere vicini, nella piccola parte della panchina rimasta all’ombra del sole al tramonto. Anche lei è chiara come me, le guance le si sono già arrossate. Ha dei grandi occhi verdi e le lentiggini sul naso. Le ciglia rosse come i suoi capelli, mossi e ora un po’ arruffati. 
-Ma quanti anni hai? - le chiedo. 
-Diciassette, tu? 
-Quasi quindici. 
La crema mi è colata sulle mani mentre la squadravo, qualche goccia ha macchiato anche le mie scarpe bianche. 
-Sembravi più grande. 
-Me lo dicono in tanti, ma forse è solo perché sono più silenzioso degli altri. 
Si pulisce le mani con un gesto veloce sulla gonna a pieghe. 
-Ma stai sempre seduto così? 
-Sì, perché?
-Non stai scomodo?
-No, te l’ho già detto. 
-Ma…
-È che se non sto così le mie capacità mentali diminuiscono. 
-Dici che se stessi anche io così diventerei più intelligente? 
-Non credo sia una questione di intelligenza, ma potresti sempre provare. 
Sorride e accenna alla gonna. 
-Non posso. 
-Non intendevo provocarti. 
-Tranquillo, lo avevo capito. Ora devo andare - sbuffa - devo studiare per gli esami. 
-Ci vediamo domani? 
Annuisce e mi saluta mentre cammina veloce verso la sua bici. Ricambio il saluto e vedo Quillsh, fermo immobile sulla porta d’ingresso. Deve dirmi qualcosa? 


L'angolo dell'autrice
Finalmente il nostro caro Elle si fa un'amica. Non che me lo sia mai immaginato come un tipo solitario, piuttosto solo introverso. Lo si vede da come riesce a empatizzare con le persone e a trovarsi a suo agio in mezzo alla gente che non è un eremita. 
La sua attesa nella prima scena non è frutto del non capire che deve alzare il suo culetto e andare a prendersi ciò che vuole, ma è solo che è troppo pigro. Anche perché, il giorno dopo, non se lo fa ripetere due volte e si fa trovare già in piedi da Jane. 
Alla fine, però, appare il suo mentore, Quillsh Wammy, proprio sulla porta d'ingresso a fissarlo. Secondo voi, si sarà mica preoccupato per il suo protetto che simpatizza con una ragazza, per di più carina e che viene da fuori? La risposta nel prossimo capitolo! ;) 
Fatemi sapere cosa ne pensate, sono molto curiosa :) 
Alphisia

 

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Capitolo 3
*** Attento a lei ***


Wammy’s House, 16.30 di sabato 29 ottobre 1994

Le campane segnano le quattro e mezza. Diversamente dal solito, il cortile è vuoto e silenzioso. Con questo diluvio, infatti, i bambini non si sono azzardati ad uscire dalla porta. Neanche Jane però è apparsa dal cancello. Ormai è passata mezz’ora da quando arrivava e io sono zuppo. Sapevo che le possibilità che venisse non erano molte, ma ho sacrificato volontariamente la mia ora di scacchi del pomeriggio per attenderla. 
Sospiro. 
Ci ho sperato, per una volta. 
-Elle. 
La voce roca di Quillsh. 
Se ne sta in piedi, alla fine dalle scale, con un ombrello nero e il suo impermeabile. 
-Vieni dentro. Ti prenderai un brutto raffreddore se stai ancora sotto l’acqua. 
Tanto ormai non verrà più, mi sembra evidente. 
Niente frittelle oggi. 
Annuisco e mi infilo sotto l’ombrello. 
-Ti devo parlare, saliamo nel mio studio. 
Mi è sembrato parecchio strano in questi giorni. Sempre distante e freddo. Quando il pomeriggio rientravo, era sempre lì a fissarmi dall’alto della scala nella grande sala d’ingresso. Di sicuro è per Jane. Rimango in silenzio finché non si siede davanti a me. Quindi per un bel po’ di tempo. 
La strada dall’ingresso al suo ufficio è lunga, attraversa molti corridoi e sale diverse scale. Il tutto camminando in un ambiente simile a quello dei più prestigiosi college. Quillsh non ha badato a spese e ha preso l’edificio più importante di Winchester per adibirlo a luogo di accoglienza per orfani, me compreso. 
Fruga in un armadio alla sinistra della scrivania e mi lancia un asciugamano. 
Appena si siede, inizio io a parlare per primo. 
-È per quella ragazza? 
Punta i gomiti sui braccioli della sua comoda sedia e intreccia le dita. 
-Non pensavo sarebbe mai arrivato questo momento, ma è ora che ti faccia un certo discorso. 
Alzo gli occhi mentre mi strofino i capelli bagnati. 
-Non credo mi debba spiegare niente sul sesso. 
-Oh no. Il sesso è una delle cose che meno mi preoccupano per un giovane come te.
Lo devo prendere come un complimento?
-E poi di quello avete già avuto abbastanza lezioni e incontri. Voglio farti capire che devi stare attento alle persone che scegli di avere vicino, a cui scegli di legarti. Qui dentro siete tutti uguali, vi conoscete tutti, ma chi viene da fuori non sa le vostre potenzialità o, forse, potrebbero sfruttarle contro il vostro volere. 
-Mi sembra che stia correndo troppo, signor Wammy. Non avevo mai visto quella ragazza prima di tre giorni fa. Non ho alcuna intenzione di...
-Sei una persona speciale, con un grande futuro, ma devi stare attento alle persone attorno a te, che potrebbero influenzarlo. 
Sbuffo. Mi piace dare una mano ogni tanto alla polizia per qualche caso più complesso e raffinato, ma a volte preferirei farmi i cavoli miei. Quillsh insiste perché lo faccia, così che possa continuare a costruirmi la mia reputazione e anche a rendermi presto economicamente indipendente. Ma io sto bene qui. 
-È stata lei ad avvicinarmi, non il contrario. Io le ho solo educatamente risposto, come mi ha insegnato a fare lei. E poi mi sta simpatica. 
-Simpatica? 
-Sì, per una volta qualcuno vuole parlarmi solo per il gusto di fare quattro chiacchiere, non perché sono intelligente o vuole carpire qualche mio segreto. 
-Dubito che qui non ci sia nessuno che ti apprezzi per quello che sei davvero. 
-Finora non ne ho trovati. 
-Va bene, ma comunque stai attento. Relazionarsi in maniera stretta con un’altra persona può essere molto difficile e faticoso. Può portarti via molte energie preziose. 
-Signor Wammy, l’essere introverso non significa che io non abbia conoscenza o non abbia sperimentato, anche in maniera superficiale, una relazione amorosa. 
Si alza, fa il giro della scrivania e si siede sul bordo, scostando alcuni fogli appoggiati su una cartelletta. 
-Fai attenzione. Sei cresciuto così tanto in poco tempo. Mi sembra ieri che ti ho portato per mano qui. Hai già quindici anni, sarai in grado di affrontare ciò che le tue scelte ti riserveranno. Ma ti prego di fare attenzione. 
Mi alzo dalla sedia e annuisco. Appoggio l’asciugamano sulla scrivania e mi congedo. 
Non credo si sia bevuto il fatto che abbia già avuto una ragazza per più di una settimana l’anno scorso, ma almeno mi sono liberato. 

 
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Wammy’s House, 16.20 di lunedì 31 ottobre 1994

Finalmente Jane si rivolge a me dopo aver sfamato tutti gli altri bambini. 
-Potevi dirmi che oggi era il tuo compleanno! Ti avrei potuto preparare qualcosa di nuovo. Non ne hai abbastanza di queste frittelle? 
Scuoto la testa e prendo il primo morso. 
Come faccio a stancarmene? 
Anche se di solito, dopo aver mangiato dolci, la mia mente lavora più velocemente, non succede dopo questa merenda pomeridiana. Forse è sì dolce, ma non così come sembra. Non abbastanza perché la mia attenzione non si spezzi ogni cinque minuti. 
Jane si dirige verso la nostra panchina, ma la trattengo per il braccio. 
-No, aspetta. Ti va di fare un giro nel giardino oggi? 
Almeno saremo al riparo dagli occhi di Quillsh. 
Guarda le fronde ingiallite degli alberi davanti a noi e annuisce. Entriamo insieme nel sentiero in ombra, dalle stradine ai lati appaiono e scompaiono i bambini, come fatine di un luogo magico. 
-Cosa avresti potuto farmi? 
Jane mastica in silenzio e riflette un po’.
-Magari qualche muffin, al cioccolato o alla vaniglia. Quale preferisci?
-Io adoro il cioccolato. 
Sarebbe stato perfetto, peccato non averglielo detto. 
-Anche io lo adoro. Te ne posso portare uno domani. 
-Lo faresti davvero? Ma non sarà più il mio compleanno. 
-Prendilo con un regalo in ritardo. 
Un regalo? 
Mi fermo nel mezzo del sentiero, ma lei avanza da sola. La giacca corta di un verde scuro, lo stesso colore della gonna, non le terrà abbastanza caldo. La gonna e le gambe coperte solo dai calzettoni neri, lunghi fino al ginocchio, non la aiuteranno. L’unico rimedio contro il freddo è la sciarpa gialla di lana che le avvolge il collo e i suoi capelli rossi, lunghi fino alle spalle. Si volta a cercarmi appena non mi vede più al suo fianco. 
-Perché mi faresti un regalo? Non mi conosci neanche. 
Alza le spalle. 
-Quante domande. È solo un gesto carino. 
Perché un tale dispendio di energie per uno sconosciuto? 
Sarebbe il primo regalo sincero che ricevo. Neanche Quillsh me ne ha mai fatto uno. E le sue invenzioni non contano.
Riprende a camminare e io la raggiungo subito. Non mi guarda e non sorride più. 
-Lo apprezzerei molto. 
Nessuna risposta. 
-Te ne sarei molto grato, Jane. 
Finalmente un’occhiata. 
-Va bene, te ne porterò uno. Spero che venga bene, ne ho fatti pochi finora.  
-Mi presterò come cavia. 
-Sai, non ho potuto sperimentare molto. Quest’anno, dopo il lavoro, devo correre a casa a studiare. Ho gli esami e non posso farmi bocciare. 
-Vuoi che ti dia una mano?
-Ma hai quindici anni, non conosci mica le cose che sto facendo io. 
-In realtà, sto preparando alcuni esami dell’università. 
Jane si ferma e mi fissa con gli occhioni verdi spalancati. L’ultimo pezzo del dolce rimane tra le sue dita. 
-Gli esami dell’università?
Alzo le spalle. 
-Sì, i programmi del liceo mi annoiavano. 
Rimane ancora in silenzio. 
-A dire la verità, anche quelli degli anni precedenti mi annoiavano, così mi sono portato sempre avanti. 
-Allora spero tanto che tu sia bravo in filosofia perché non ci capisco niente. 
-Non è tra le materie in cui eccello, ma mi piace e ho già superato alcuni esami della facoltà universitaria. 
Ora sorride, si creano due fossette sulle guance arrossate dal freddo. Non posso non sorriderle anche io. 
-Che c’è? 
-Sapevo che eri un tipo speciale. 
Me lo dicono tutti, ma sentirlo da lei, non so perché, ha un valore diverso. Non è il solito complimento, le solite piaggerie per entrare nelle mie grazie o per indicarmi come diverso. E il petto mi si scalda. 
Continuiamo a camminare per qualche istante, entrambi in silenzio. Faccio fatica a tenere lo sguardo davanti, la vorrei guardare in viso, vorrei rivedere di nuovo quel sorriso così sincero, ma mi limito a guardarle le scarpe di vernice che si sporcano nella polvere del sentiero. 
-Senti, ma voi potete uscire da qui? 
-Sì, dobbiamo avere un permesso, ma posso ottenerlo facilmente. 
-Ti andrebbe di fare un giro in città domani? 
Annuisco mentre finisco l’ultimo pezzettino. 
-Dove vorresti andare? 
-Non lo so, ma possiamo andare a prendere una cioccolata calda. 
È un invito perfetto questo. Come posso rifiutare? 
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Ore 18.00 

-Scusi, signor Wammy, perché non può concedermelo? Ho fatto qualcosa che mi impedisce di avere il permesso di uscire? 
Quillsh dietro la scrivania è appoggiato allo schienale della sedia. 
-Non sono tenuto a spiegarti perché, ma sono sicuro che ci sei già arrivato. 
Sbuffo. 
-Sì, è per lei. Mi ha chiesto di aiutarla con filosofia. Quest’anno ha gli esami e…
-È anche più grande di te?
-Sì, ha diciassette anni. 
Mi fa sobbalzare sbattendo un pugno sul tavolo. 
-Stai attento, Elle. Stai molto attento. 
-Sono uno dei ragazzi più intelligenti di Inghilterra… 
-Il quoziente intellettivo non misura la furbizia e tu sei solo un quindicenne fresco fresco, cresciuto in un luogo protetto da tutto e da tutti. 
Il giudizio di Quillsh è offuscato dalla volontà di proteggermi. Da chi poi, da una ragazza che distribuisce frittelle? 
-Signor Wammy, lo sa che non servirà a niente impedirmi di andare? 
Si alza in piedi d’improvviso per guardarmi negli occhi. Ormai sono quasi della sua stessa altezza. 
-Metterò alla prova la tua responsabilità o non la vedrai più neanche qui dentro a distribuire dolciumi. 
Perché dovrebbe farlo? È così pericolosa per me? È così pericoloso avere piacere a spendere del tempo con una persona? 
Inghiotto il rospo e annuisco. Esco dalla stanza con le mani in tasca. 
Domani non mi devo far vedere mentre vado da Jane. 
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Wammy’s House, 16.30 di martedì 1° novembre 1994

Mi guardo intorno in questo angolo del giardino. I grandi pini scuri mi proteggeranno dagli occhi che mi tengono sotto controllo da qualche giorno. Mi tolgo la giacca blu e il maglione bianco per appoggiarli per terra, fuori dal cancello. Mezzo nudo e infreddolito, riesco a passare tra le sbarre, leggermente aperte da qualche altro fuggitivo prima di me. Tutti all’orfanotrofio conoscono questo passaggio, ma non ne avevo mai avuto bisogno prima. 
È fin troppo facile. Di sicuro Quillsh mi starà già cercando. 
Mi infilo di nuovo il maglione e il cappotto e mi sistemo la sciarpa verde. Cammino con le mani in tasca fino all’angolo del giardino, dove ho detto a Jane di aspettarmi. 
Eccola, appoggiata alla sua bici con le braccia conserte. È girata dall’altra parte, vedo solo i suoi capelli rossi, imbrigliati nella sciarpa. Appena si volta e si accorge di me, mi saluta con il braccio in alto. 
-Perché non sei uscito dalla porta principale? 
Alzo le spalle. 
-Non mi hanno dato il permesso. 
-Come mai? 
-Non lo so, ma, come vedi, me lo sono preso lo stesso. 
Prende la bici per il manubrio e cominciamo a camminare. 
-Sei sicuro di volere anche la cioccolata oggi? Ti sei mangiato anche il mio muffin prima. 
-Non potevo rifiutare un regalo. 
Sorride. 
-Allora vieni, la pasticceria è poco lontano da qui. 
Ci incamminiamo per la strada di fianco all’orfanotrofio, pieno di persone e di negozi nel pieno dell’attività. Infilo il naso nella sciarpa e le mani ancora più a fondo nelle tasche del cappotto per il vento freddo che prende forza nel viale dritto. 
Prima di girare un angolo, però, vedo sul lato di fronte la galleria in cui di solito faccio un salto di sabato. Ci sarei voluto andare settimana scorsa, ma pioveva troppo. 
-Aspetta - trattengo Jane per un braccio e faccio un cenno alle vetrine con i quadri esposti - ti va di entrare a fare un giro? 
Jane non risponde subito, anzi, chiude la bocca e ci riflette un po’. Poi si guarda fino ai piedi. 
-Ma posso entrare con la divisa?
-Non si faranno problemi. 
Attraversiamo di corsa la strada, mentre il semaforo è già giallo. Jane appoggia la bici al muro e suono il campanello della galleria. La signora Van Dogen alza la testa dalla sua scrivania, mi vede e viene ad aprirmi sorridente. 
-Buonasera signor Mitchel, entri pure. Oh, è in compagnia. 
-Buonasera signora Van Dogen. 
Chiude la porta e ci accoglie con il suo completo nero nel negozio luminoso e con le pareti bianche macchiate del colore dei quadri. 
-È da un po’ che non ci veniva a trovare. Buonasera anche a lei - saluta gentilmente anche Jane. Si guarda attorno con le mani unite all’altezza della vita e il naso dentro la sciarpa, come se facesse più freddo che fuori. Non credo sia molto a suo agio qui.
-Signora Van Dogen, c’è qualcosa di nuovo? 
Si ferma a riflettere. 
-Penso proprio che ci sia qualcosa che non ha visto l’ultima volta. 
Si incammina in uno dei corridoi e la seguo. Dopo qualche passo mi accorgo che Jane non c’è. È rimasta impalata a guardare le opere appese attorno a lei. Penso che non voglia proprio muoversi. 
-Vieni - le sussurro con un gesto della mano. 
Si ridesta dal suo imbarazzo e si incammina dietro di me. La signora Van Dogen accende la luce di una saletta senza opere appese, ma statuine nere e filiformi appoggiate ognuna sul proprio piedistallo. 
-Queste sono le nuove sculture di Adriano Dutra, uno scultore brasiliano molto giovane, ma dal grande talento, che sintetizza la sua cultura e quella dei suoi nonni, immigrati africani. Ci sono arrivate due settimane fa, ma molti clienti si sono mostrati interessati. 
-Grazie per l’informazione, ma oggi non credo che comprerò nulla per il signor Wammy. Sono qui solo per dare un’occhiata insieme alla mia amica, che era molto curiosa di vedere ciò che avevate. 
-Oh bene, è figlia di collezionisti d’arte? - chiede direttamente a lei, che però rimane pietrificata da un tale appellativo. 
-No, è solo interessata a ciò che avete qui. Le ho parlato molto di voi. 
La signora Van Dogen finalmente perde la smania di vendere e si quieta. 
-Allora vi lascio guardare. Se vuole altre informazioni - si rivolge direttamente a Jane - sono di là. Ho molte altre opere da potervi mostrare. 
La ringraziamo e ci lascia soli. 
Fisso l’opera davanti a me, alta circa quaranta centimetri, che dovrebbe raffigurare due persone, una sulle gambe dell’altra, in un dolce abbraccio. L’ennesima vuota imitazione dell’arte africana fatta da un pronipote che il continente dei suoi nonni l’ha visto solo nei documentari della BBC. La signora Van Dogen dovrebbe cominciare a scegliere più attentamente i suoi artisti, altrimenti potrebbe finire presto in un circuito secondario di gallerie che frequentano i collezionisti che vogliono solo arricchirsi rivendendo le opere, ma che non capiscono niente di arte. 
Mi volto e vedo Jane che si guarda ancora in giro. 
-Ti piace? - le domando a bassa voce, così che la proprietaria non riesca a sentirmi dall’ingresso. 
Sorride e si avvicina, ma si stringe nelle spalle. 
-Purtroppo non ci capisco molto di queste cose. 
-Non c’è bisogno di capire. Guardala e dimmi se ti piace. 
Storce il labbro. 
-Dovrebbero essere due persone che si abbracciano, no? 
-Dovrebbero
-Sono carine, ma sono così esili, scheletriche, come se mancasse qualcosa. 
-Sì, anche secondo me manca qualcosa. 
-Che cosa? - chiede, forse stupita di trovarmi d’accordo. 
-Una scintilla di vita, indispensabile per creare una vera opera d’arte. 
Jane guarda di nuovo le orribili statuine. Prima inclina la testa di lato e poi si abbassa per esaminarla più da vicino. Ha avuto un’ottima intuizione, si è accorta subito che questo tizio è un artigiano che potrebbe fare solo soprammobili per i grandi magazzini. 
Si raddrizza e si regge il mento con due dita. Sta per aggiungere qualcos’altro, ma mi sporgo verso di lei per darle un bacio sulla guancia morbida. Mi guarda sorpresa e sorride. Si tocca proprio dove ho posato le labbra. Abbassa lo sguardo e torna alla presunta opera d’arte per poi prendere la mia mano. 
Non immaginavo di poter fissare un oggetto tanto brutto per così tanto tempo. 

 

[Appunto dell'autrice
Nonostante dal manga o dall'anima possa sembrare che Elle sia una persona che raramente esce di casa, c'è un fumetto dedicato a lui che racconta invece che tra le sue attività preferite erano andare nei parchi giochi, al cinema e visitare mostre d'arte. Non che mi sorprenda che Elle possa essere sensibile all'arte, quanto che fosse una delle cose che aveva piacere di fare. Ho deciso di inserire qui il primo timido bacetto per la gentile Jane, per cui Elle sfida anche le limitazioni del signor Wammy. A lui, evidentemente, la ragazza non piace per niente. 
All'inizio, un piccolo riferimento alla scena più straziante della serie: le campane sotto la pioggia :( 
Fatemi sapere cosa ne pensate :) Sarò molto felice di leggervi]

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Capitolo 4
*** Sguardo ***


Wammy’s House, 17.05 di venerdì 4 novembre 1994

Rivolgo uno sguardo veloce all’edificio principale dell’orfanotrofio alle mie spalle e mi infilo insieme a Jane nel parco. Anche volendo tenerci d’occhio, il signor Wammy non può farlo dal suo studio ora. Nulla gli impedisce di farlo da un’altra stanza, ma la cosa non mi preoccupa. Anzi, sono sicuro che lo stia facendo, visto che è da quando sono uscito senza permesso che non mi ha neanche incrociato. 
-Allora, cosa hai da fare? 
Jane sbuffa. 
-Kant, la critica alla ragion pura. 
Di bambini non se ne vedono più come settimana scorsa. Il vento ha iniziato ad alzarsi e il sole oggi è sparito presto dietro le nuvole. Il riparo dei grandi alberi, le panchine e il silenzio sono tutti per noi. 
Prendo un respiro profondo. Il tempo potrebbe anche fermarsi e sarei felice.
Non la prima, puntiamo alla seconda panchina della stradina sulla destra della via principale. All’inizio era perché ci riparavamo dal sole, ora è solo abitudine. Ci sediamo e Jane tiene il libro stretto al petto le ginocchia serrate, che inizia ad agitare su e giù. 
-È che non ci capisco niente. Non sono stupida eh. 
Non l’ho mai pensato. 
-Ma a cosa mi possono servire tutte queste cose? 
-A pensare di meno. 
-A me sembra proprio il contrario. 
Mi siedo accanto a lei con le mani in tasca, un po’ per il freddo un po’ per abitudine. 
-E invece studi ciò che altri hanno pensato, e molto, anche per te, su temi che interrogano l’uomo da millenni. Qual è il senso della vita, se esiste un dio sopra le nostre teste che decide la nostra vita e, ancora più importante, la nostra morte, che ruolo deve avere la libertà della coscienza umana nelle dinamiche della società. Se ti venisse in mente, guardando il cielo di notte, di interrogarti su una questione del genere, saprai che molti lo hanno già fatto per te. Se trovi difficile quello che leggi, beh, ho una buona notizia per te: la tua mente funziona. 
Jane mi squadra un attimo in silenzio. 
-Grazie. 
-Perché?
-Era un complimento, no?
-No. È normale farsi queste domande. 
Ride, ma le sue labbra sono quasi completamente nascoste dalla sciarpa. Il libro rimbalza sulle ginocchia che si agitano ancora, mentre le mani sono sparite nelle maniche. Allora mi alzo in piedi, mi tolgo il cappotto e glielo metto attorno alle spalle. 
-Ma cosa fai? 
-Mi sembra evidente - rispondo mentre mi rimetto a sedere. 
Sì, senza cappotto fa un gran freddo. 
-Non se ne parla, hai solo quella magliettina addosso. 
-Non mi sembra che tu sia molto più coperta. 
Ma le mie parole non servono a nulla. Si avvicina e allunga un lembo del mio cappotto blu perché possa coprire anche le mie spalle. Alza il collo per ripararsi, si rannicchia dentro e appoggia la testa al mio braccio. 
-Così non si scalderà nessuno dei due - le faccio notare. 
-A me basta. E poi non lo sai? - rialza la testa per guardarmi - due corpi vicini si scaldano più in fretta. Non li vedi i film? 
Certo che lo so, la termodinamica non è una disciplina a me sconosciuta, non servono i film per…
Il suo profumo e i suoi grandi occhi verdi mi irretiscono e mi impediscono di ribattere come vorrei. Mi sento come se fossi seduto come tutti, anzi, forse anche peggio. Non posso far altro che guardarla. 
Il tempo si è fermato davvero. 
Invece no. 
È un suo timido bacio a ridestarmi. 
Ora vorrei che si fermasse, mentre posso sfiorare le sue guance con le mie dita fredde, mentre sento il suo tocco delicato accarezzarmi il collo e rimaniamo accoccolati vicini. 
Il libro scivola giù dalle sue gambe, facendoci ritornare al freddo pomeriggio di novembre. Si china subito a raccoglierlo. 
-Scusami - sussurra. Lo apre e tiene gli occhi fissi sulle pagine, mentre cerca qualcosa senza neanche leggere. 
Appena incrocia di nuovo il mio sguardo, però, il libro cade ancora per terra e mi prende il viso per baciarmi con più impeto di prima. 
Non immaginavo che Kant potesse offrirmi anche questo. 

 
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Wammy’s House, 11.24 di lunedì 22 novembre 1994

I casi di mafia sono molto complessi e sono anche quelli su cui la polizia spesso si muove male. Al contrario di quello che si pensa, non si deve seguire la scia del sangue, ma quella dei soldi. Riciclaggio, conti in paradisi fiscali, sistemi di scatole cinesi: solo così si possono trovare i veri mandanti, le vere teste pensanti delle organizzazioni. L’italiano e il giapponese mi sono tornati molto utili in questi casi, con cui mi piace sempre confrontarmi. Meglio delle guerre fra bande o dei patetici serial killer che stuprano e uccidono donne indifese, scelte in base alle loro seghe mentali. Eppure oggi la signora Taylor è così noiosa. 
Non sono neanche le undici e mezza. 
Mi lascio andare e la testa sbatte sul banco. 
Che palle, quando arrivano le quattro?
-Elle, tutto bene? 
Le risponderò da questa posizione. Non ho neanche voglia di aprire gli occhi. 
-Sì, signora Taylor. Non si offenda, ma oggi è più noiosa del solito. 
-Oh, il signorino non ritiene la lezione interessante per lui? 
-Esatto. 
-Allora puoi attendere fuori la fine. 
La notizia migliore di oggi. Allontano dal banco la sedia per alzarmi e andarmene dall’aula. Chi se ne frega del demerito per questa cacciata, alcuni dei miei colleghi già ridacchiano. Me ne farò una ragione. Tanto questo caso l'ho già studiato. 
In corridoio, appoggio la fronte alla finestra del secondo piano, che dà proprio sul parco dell’orfanotrofio. Gli alberi cominciano ormai a essere spogli. Non ci nasconderanno ancora per molto. Dovremo trovare un altro posto, anche perché l’autunno comincia a irrigidirsi. Diventa sempre più difficile rimanere fuori per studiare. 
Studiare
Sorrido. 
Abbiamo di meglio da fare.  
È evidente che Jane abbia ormai occupato i miei pensieri. È il punto focale di tutte le mie energie, se neanche i casi da approfondire riescono a tenermi concentrato. È successo qualcosa di profondo. Quando piove e non può venire, tutto diventa un buco nero, tutto viene attratto da lei. 
Neanche mangiare mi aiuta. Di solito lo zucchero fa funzionare il mio cervello in maniera più efficiente, ma ogni volta che trovo davanti un dolce mi ricordo di quelli di Jane. Muffin, brownies, frittelle di tutti i tipi. Poche torte, quelle sono più difficili da trasportare intatte fin qui, ma mi ha raccontato come le fa. 
E se un giorno andassi io a trovarla in pasticceria? Mi ha detto dove si trova, potrei farle una sorpresa. 
Devo uscire appena dopo pranzo o rischio di arrivare troppo tardi. 
La farà contenta però. Poi torneremo qui insieme a studiare. 
Mi potrebbe vedere Quillsh. 
No, di sicuro mi vedrà. L’entrata della Wammy’s House è davanti al suo studio. Potrei infilarmi dietro in uno dei passaggi che conosco. 
Sbuffo. 
Non cambierebbe molto. Quillsh è molto silenzioso nei miei confronti in questo periodo. La faccenda di Jane non gli è andata giù. Saprà dei nostri pomeriggi insieme, saprà anche della nostra uscita di qualche settimana fa, ma non ha fatto niente. Perché? Che mi stia mettendo alla prova? Vuole vedere fin dove mi voglio spingere, nonostante quello che mi dice di fare? 
O che voglia chiudere gli occhi di fronte a quello che cosa faccio?
Alzo le spalle. 
In fondo, non sto facendo niente di strano per un quindicenne normale. 
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[L'angolo dell'autrice
Hai capito Kant? A me non è mai capitata una cosa del genere eh
Beh, le cose ora vanno un po' troppo bene tra i due ragazzi. Penso che metterò un po' i bastoni tra le ruote in questa storia d'amore]

 

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