La Riunione delle Stagioni

di Morgana_Redlights
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Autunno è in ritardo! ***
Capitolo 2: *** 2. Inverno è sempre in anticipo ***
Capitolo 3: *** 3. Primavera è sempre in orario ***
Capitolo 4: *** 4. Estate arriva all’improvviso ***
Capitolo 5: *** 5. Che la Riunione abbia inizio! ***



Capitolo 1
*** 1. Autunno è in ritardo! ***


LA RIUNIONE DELLE STAGIONI

1.

Autunno è in ritardo!

Era una notte buia. Il cielo era trapuntato da milioni di stelle argentate ed una Luna, tonda e lattea, illuminava quel manto tenebroso. Una portantina, nera come quella notte oscura, sfrecciava di gran carriera attraverso il Bosco Millenario. Il cocchiere, un gatto, anch’esso nero come la portantina, fumava un grosso sigaro ed i suoi occhi gialli come lanterne erano l’unica cosa distinguibile della sua figura. Il cocchiere schioccava in aria la sua bianca frusta per aizzare alla corsa le zucche stregate. Ad ogni schiocco la frusta sprigionava scintille argentee, lasciando una scia dietro di sé. I destrieri di quella portantina, appunto delle zucche stregate, erano intagliate nei modi più disparati: da ghigni feroci e ripugnanti, a delicate espressioni con decorazioni. Queste saltellavano a più non posso, emanando fumi colorati dalle bocche e dagli occhi intagliati. I fumi, verdi, rossi, viola, blu, gialli, accompagnavano le scintille della frusta in quella scia che si dissolveva velocemente dopo il loro passaggio. Le creature del bosco, sentendo quel forte trambusto, si scostavano in fretta dal loro cammino, rintanandosi nel folto e osservando sbigottiti quella portantina. Ma chi è che spronava il gatto con tutta quella premura? Era Autunno, vestita di tutto punto, che si recava come ogni scadere dell’anno alla Riunione delle Stagioni ed era in ritardo! Reggendosi il cappello, si sporse dal finestrino della portantina e mentre i rossi capelli frustavano l’aria, urlò qualcosa al cocchiere. Questo, inarcando un sopracciglio, inspirò del fumo dal sigaro e soffiandolo fuori, diede un altro colpo di frusta. Le scintille schizzarono in aria e le zucche, ormai quasi sfinite, aumentarono di più la loro corsa. Autunno ritornò a sedersi comodamente e, con l’ausilio di uno specchietto, si aggiustò l’acconciatura. Per tutte le stagioni!, perché doveva sempre arrivare in ritardo? Tutto d’un tratto la portantina di fermò e Autunno quasi sbatté il naso sul sedile di fronte. Il cocchiere miagolò qualcosa, sputando e scendendo dal sedile. Le zucche fumavano come ciminiere, erano esauste quelle poverette. Autunno scese con eleganza e pagò quel pazzo cocchiere in anticipo, dicendogli di aspettarla per la corsa di ritorno. Affermò, inoltre, che se avesse tardato gli avrebbe pagato doppiamente la corsa. Il gatto si tolse il cappello e si esibì in un inchino. Nessun problema, le disse, avrebbe atteso tutto il tempo necessario. Mentre la stagione si allontanava il pazzo cocchiere gatto si accese un secondo sigaro e gettò della polvere argentata sulle zucche addormentate. Poi sedette sul sedile di legno a rimirare le stelle e quella Luna così grande che sembrava occupare tutto il cielo. I suoi occhi come fari seguirono Autunno avvicinarsi al falò e salutare le altre stagioni. Mentre tutte si sedevano attorno al fuoco, bevendo e parlando, il cocchiere, seduto sul seggio, si appisolò.

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Capitolo 2
*** 2. Inverno è sempre in anticipo ***


2.

Inverno è sempre in anticipo

Il Bosco Millenario era abbracciato dai colori del tramonto. Le ombre degli alberi si allungavano sul sottobosco e le creature diurne si apprestavano a raggiungere velocemente le loro tane; mentre gli animali notturni emergevano dall’ombre per andare a caccia. Una portantina, pulita di tutto punto, percorreva il sentiero con andatura posata. Era tinteggiata di bianco, ma con il cielo tutto aranciato, era diventata anch’essa tutta arancione. Il cocchiere, un grosso lampione ottocentesco, guidava un corteo di pupazzi di neve stregati. Questi ultimi, rotolavano come ruote di una carrozza, lasciando dietro di loro una scia di neve sbrilluccicante. Il cocchiere teneva le lunghe briglie con le sue sottili braccia di ottone e, di tanto in tanto, dava un colpo per far correre più veloce i pupazzi. All’interno della portantina, Inverno, controllava ossessivamente l’orologio da taschino. Spero di non essere in ritardo, si diceva, altrimenti sai che figura! Ma, Inverno, non era mai in ritardo. Si massaggiava pensoso la corta ricciuta barba bianca e pensava alle sue mirabolanti imprese di quell’anno: erano davvero eccezionali! La candela del cocchiere divampò tutto d’un tratto, segno distintivo che il poveretto aveva fatto uno starnuto, perciò si avvolse in una coperta per ripararsi dal freddo. Il Bosco Millenario non conosceva stagioni, poiché le ospitava tutte ogni anno, ma le stagioni si portavano con sé ogniqualvolta che vi si recavano. Questo voleva dire che attorno alla portantina di Inverno faceva un gran freddo. Come rotolavano quei pupazzi di neve! Il lampione aveva fatto aumentare loro la corsa, poiché Inverno aveva iniziato a presentare delle rimostranze per la loro lentezza. Con un possente colpo di redini, i pupazzi vorticarono sul posto, emettendo scintille rosse e argentee e continuarono la corsa con più vigore. Per via di tutto quel gelo, il cocchiere, cercò di scaldarsi aggiungendo una candela alla sua lanterna, ma non servì a risolvere il suo problema. Si accorse, però, che fortunatamente si stavano avvicinando al falò e si chiese perché il suo passeggero ci tenesse ad arrivare sempre così presto, dato che poi avrebbe dovuto aspettare con impazienza. Il lampione infreddolito bussò sul finestrino, segno che la destinazione era giunta. Arrestò adagio i pupazzi di neve, tirando gradualmente le lunghe redini della portantina. I pupazzi si alzarono e stiracchiarono: ognuno di loro indossava una lunga sciarpa di lana di colore diverso e avevano tutti un diverso ortaggio per naso. Inverno scese dalla portantina a fatica, poiché la sua mole era imponente e di grande possanza. Infatti, rispetto al povero cocchiere, era di tre volte più alto e lo sovrastava con sguardo minaccioso. Si lamentò di essere arrivato più tardi di due minuti rispetto all’anno precedente ed il lampione si scusò chinando la grossa lanterna, mentre le fiamme al suo interno seguivano il movimento, reclinandosi all’indietro. La fredda stagione sospirò, poi, allungando la paga al cocchiere, gli chiese di attenderlo fino alla fine della riunione. Il cocchiere annuì e si accese un piccolo falò e ci mise a scaldare dell’olio per tirarsi su il morale. Nel frattempo, i pupazzi di neve si rilassavano sonnecchiando sotto il folto, mentre il sole ormai scompariva del tutto dietro agli alberi e la notte si rivelava, oscura e stellata.

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Capitolo 3
*** 3. Primavera è sempre in orario ***


3.

Primavera è sempre in orario

Era appena calata la notte e già le stelle brillavano in cielo. Una grande luna, come un globo lattiginoso, sorgeva nel centro del Bosco Millenario e, mentre tutto giaceva in quell’immortalità secolare, uno sciamare sommesso andò spargendosi tra gli alberi. Era la portantina di Primavera, tutta sgargiante nella sua vernice rosa confetto, che saettava a tutta velocità tra il folto millenario. Grosse lanterne erano appese al tettuccio spiovente della portantina ed oscillavano impazzite per la furia della corsa. Il cocchiere, un grosso coniglio pasquale, con un grosso cilindro rosa e un papillon rosso annodato stretto stretto al collo, immergeva il grosso zampone dentro un grosso sacco pieno di polline. Imprecando e sbuffando, il cocchiere, lanciava il polline allo sciame di bombi che trascinava la portantina e, questi, inseguivano le brillanti pepite d’oro come fossero briciole di pane. Primavera se ne stava tranquillamente seduta, senza proferire alcuna parola sull’anticipo o il ritardo del cocchiere. Poco le importava l’ora in cui sarebbe arrivata, tanto, si disse, io arrivo sempre in orario! Giocherellando con il suo peluche, la piccola Primavera, canticchiava una dolce melodia, scuotendo i ricciuti capelli rosa pallido e ondeggiando le corte gambette. Dall’alto del suo ruolo e, nonostante la sua presenza decisamente adorabile, il coniglio, si lasciava andare a frasi del tutto poco consone ad orecchie di bambini e pensava al perché si fossero scelte proprio quelle grosse api come cavalcature. Il polline, pensò, il polline non se ne andrà più dal mio fitto pelo morbido! Primavera, per pacificare il cocchiere, fece uscire la mano dal finestrino e, aprendola contro il vento, sprigionò una pioggia di petali di fiori di ciliegio. A quella vista, il cocchiere, si tolse il cappello, rivelando le lunghe orecchie, e si lasciò scappare un sorriso. Distratto dall’incantevole magia della stagione dell’amore, il cocchiere, si era dimenticato per un attimo di lanciare il polline e la portantina aveva già cominciato a rallentare la sua corsa, mentre il ronzio dei bombi si stava affievolendo. Ridestandosi, perciò, immediatamente dall’incanto, il coniglio, ne prese una grossa manciata a due zampe e la lanciò in aria, come fossero tante gocce d’oro. Le grosse api, vedendo piovere su di loro quell’incanto, si animarono maggiormente e la portantina subì una poderosa spinta in aventi. Primavera si tenne con le manine al sedile, imprecando a bassa voce e rivelando, per un momento, la sua matura versione. Il cocchiere si rimise il cilindro in testa e, tossicchiando con imbarazzo, riprese l’andatura costante, finché in lontananza non distinse la radura ed il focolare dell’incontro. Con estrema maestria, l’orecchiuto cocchiere, diminuì il polline fino ad arrestare completamente i bombi e scese, con un abile balzo, dal suo posto. Aiutò Primavera a scendere dalla portantina e, dopo che questa lo ebbe pagato, si allontanò salutandolo con la manina. Il cocchiere si tolse il cappello e lo posò dentro la portantina, accendendosi un fuoco e preparandosi una zuppa di carote e semi di girasole. Nel frattempo i grossi bombi ronzavano tra i fiori notturni liberi di riposare a dovere.

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Capitolo 4
*** 4. Estate arriva all’improvviso ***


4.

Estate arriva all’improvviso

Fu proprio in un momento imprevisto, che il Bosco Millenario si riempì del profumo del mare e dei fiori di campo. Uno scalpiccio frenetico di zoccoli rimbombava tra gli alberi e faceva vibrare la terra. Una miriade di cavalli, purissimi destrieri dai diversi manti, galoppavano trascinando dietro di loro una portantina dorata come i raggi del sole. Il cocchiere, un grillo un poco brillo, suonava allegramente il violino al ritmo di una vivace ballata estiva. I cavalli, seguendo il ritmo del violoncellista, galoppavano allegramente, espandendo i loro nitriti nell’aria. Il grillo suonava quel violino come un’artista: mille e mille scintille dorate sprizzavano dalla lunga asta e le corde stridevano armoniose, come fossero il vento d’una sera d’estate. E proprio Estate, in quella portantina, se ne stava comodo comodo come nulla gli importasse. Quando arrivo, arrivo, si disse, io vengo sempre all’improvviso! Abbassando il finestrino, lasciò che il suono del violino entrasse nella portantina e che i polmoni si riempissero del profumo del mare. Il grillo, con le zampe posteriori, s’asciugò la fronte con un grosso fazzoletto a pois. Sebbene la brezza serale, faceva pur sempre caldo, Estate non si risparmiava nemmeno per la corsa! Per un attimo si prese una pausa. Estrasse dal sedile un grosso bibitone ghiacciato e ne tracannò mezzo, poi riprese subito il violino, recuperando il ritmo che s’era andato rallentando. Le note uscirono un poco storte! Che diavolo c’era in quella bibita?! Dannato grillo ubriacone, pensò tra sé Estate, cosa si è messo nel bibitone? I cavalli andavano di qua e di là, ondeggiando come l’archetto del violino, mentre il grillo singhiozzava e, con gli occhi torbi, più nessuna nota ricordava. La portantina procedeva zigzagando e le creature del bosco tutte si allontanavano. Alla fine i fumi dell’alcol si diradarono ed il cocchiere riprese a suonare ordinatamente e con brio crescente. Finalmente i poveri cavalli poterono andarsene dritti per la loro strada. Seguendo il ritmo del violino filarono in fretta e, senza stanchezza, raggiunsero finalmente la radura ed il falò. Il grillo smise adagio di suonare e fece segno ad Estate che poteva andare. La stagione scese dalla portantina: un alto e abbronzato uomo, perfetto in ogni lineamento, come fosse una divinità. Il cocchiere rimase incantato dalla bellezza di Estate che, con un sorriso invitante, gli consegnò la paga e, pregandolo di aspettarlo fino alla fine della riunione, gli allungò la mancia. Il grillo si inchinò profondamente e, mentre la stagione si allontanava, il cocchiere lasciò che i cavalli si rinfrescassero nel laghetto. Il grillo estrasse la sua bibita e, sdraiato sull’erba senza stagione, sorseggiò alcol finché non venne notte.

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Capitolo 5
*** 5. Che la Riunione abbia inizio! ***


5.
Che la Riunione abbia inizio!



Il Bosco Millenario era immerso in un’atmosfera magica. La notte ormai era calata e sugli alberi, immutati dal tempo, si dipingevano sinistre ombre create dalle alte fiamme del focolare. Quattro grossi tronchi erano sistemati in cerchio attorno al falò e le tre stagioni, Estate, Inverno, Primavera, stavano chiacchierando in attesa di Autunno. Inverno era in piedi di fronte ad Estate e scuoteva con fierezza la grossa pinta di birra, parlando animatamente di come fosse stato eccezionale il suo Natale. La fredda stagione era la più alta tra tutte e, anche, la più imponente. Quella notte indossava una camicia bianca, le cui fibre erano messe a dura prova dai grossi muscoli e le cuciture stesse, di tanto in tanto, si lamentavano impercettibilmente, scricchiolando. Portava delle bretelle nere che sorreggevano un paio di brache nere a righe bianche, anch’esse tese al massimo delle loro capacità per via dei muscoli possenti. Un papillon rosso e delle eleganti scarpe nere completavano il suo abbigliamento. La figura di Inverno, nel complessivo, era quella di un uomo sui quarantacinque anni, con la barba corta, ma folta, ricciuta ed i bianchi capelli laccati all’indietro. I suoi occhi color ghiaccio erano un faro in quella notte buia. Estate, dal canto suo, ascoltava senza troppo interesse gli sproloqui altezzosi di Inverno. Poco gli importava del raccolto, del Natale, di tutte quelle cose che non riguardavano la sua stagione. Estate era una stagione disinteressata, amava le feste, amava rilassarsi e far rilassare gli altri. Poteva sembrare un ragazzo di venticinque anni, non di più! Indossava una felpa grigia con cappuccio, ma senza maniche, esibendo i muscoli magri e delineati di un giovane in forma. La zip era abbassata a mostrare i lisci pettorali scolpiti e sobri e la sua carnagione color caramello. Portava un paio di bermuda kaki e un paio di infradito blu. I suoi capelli erano lunghi e lisci, scuri come la notte e resi gonfi dall’acqua salata. I suoi occhi verde smeraldo saettavano di qua e di là, cercando qualcosa di interessante su cui posare lo sguardo, per estraniare le sue orecchie dal discorso di Inverno. Primavera, invece, se ne stava seduta sul suo tronco, con le braccia conserte ed uno sguardo cagnesco rivolto ad Inverno. Quanto detestava sentirlo sempre vantarsi di tutto, era insopportabile! La stagione dei fiori dimostrava non più di dieci anni, portava i capelli tinti di rosa leganti in delle strette treccine e gli occhi nocciola le brillavano di bagliori fiammeggianti. La piccola non arrivava al terreno, seduta com’era su quel grosso ceppo e, sgambettando, faceva oscillare le scarpette laccate di rosso. Indossava un vestitino tutto adornato di pizzi bianchi e fiocchetti ed il suo aspetto da bambolina era accentuato dalla carnagione color porcellana. Primavera pareva un’adorabile bimbetta, nel suo aspetto così dolce e calmo, ma dentro nascondeva una vera e propria diavolessa.
Finalmente arrivò Autunno che, respirando a fatica per la corsa, si accomodò subito sul tronco accanto a Primavera. La stagione delle zucche si scusò con tutte le altre per il suo ritardo e prese a tracannare con una certa grazia sgraziata un lungo bicchiere d’acqua. Inverno la osservò scuotendo il capo con disappunto; Estate ridacchiò, ma dal canto suo poco gli importava e Primavera, tenendo la brocca con due mani, le versò più e più volta acqua nel bicchiere. Autunno portava una lunga gonna blu scuro costellata di tanti punti dorati, pareva quasi un cielo stellato che, con tutte quelle fitte pieghe, si muoveva come avesse vita propria. Indossava, poi, un cardigan a coste color zucca. I lunghi capelli rossi le ricadevano, in grossi ricci, sulle spalle magre e gli occhi blu come la notte si confondevano con il cielo. Ai piedi portava un paio di scarponcini allacciati stretti e delle calze scure.
Essendo arrivati tutti, la Riunione poteva finalmente avere inizio!
Una volta che si furono tutti accomodati attorno al falò, Inverno prese la parola, come ogni anno, per introdurre la Riunione.
«A tutti do un caloroso benvenuto all’Annuale Riunione delle Stagioni. Eccoci tutti qui! Allora, com’è andato il vostro anno? Se mi permettete di cominciare – nessuno mostrò interesse nell’obiettare – vi racconterò com’è andato il mio…Bene…Devo dire che ogni prodotto, quest’anno, è stato eccezionale e, con l’assistenza di Natale, è andato tutto splendidamente. La neve è scesa copiosa e tutte le montagne si sono innevate a dovere. Fantastico non trovate? – nessuno disse nulla. Primavera cacciò indietro uno sbadiglio che sarebbe stato, altrimenti, a dir poco maleducato – In ogni caso, a voi com’è andata?»
«Bene, come ogni anno, il sole, la sabbia, il mare…insomma tutti fantastico» dichiarò Estate, senza sbilanciarsi troppo emotivamente.
«Concordo, tutto alla grande» annuì Primavera verso Estate, trattenendo a stento del rancore represso nei confronti di Inverno.
«Autunno?»
«Tutto bene!» esclamò la stagione, come fosse stata colta nell’atto di combinare qualcosa. Tutti, di fatto, si erano accorti che da quand’era arrivata, Autunno sembrava tormentata da un qualche pensiero che, con tutte le sue forze, cercava di reprimere. Nessuno di loro, però, diede al suo disagio particolare peso.
Vi starete chiedendo, però, se la riunione delle stagioni non riguardi solo questo: chiacchiere futili e qualche scaramuccia. No, no signori e signore, la Riunione delle Stagioni era ed è molto di più. Infatti, oltre ai convenevoli, le quattro stagioni dovevano, ogni anno, portare con loro un racconto, una storia da condividere con tutte le altre. La storia o il racconto doveva essere qualcosa, avvenuto durante la stagione, che per loro era stato significativo e che si era realizzato grazie alle circostanze da loro ricreate. Questa era la Riunione. Il racconto o la storia si sarebbero impresse per sempre nel Memoriale delle Stagioni, sancito dal focolare che ogni anno veniva acceso in onore al loro incontro. La storia doveva essere scritta su un foglio e bruciata nel falò, cosicché potesse essere registrata nell’ “archivio” del Bosco Millenario. Poteva succedere che una stagione non avesse nulla da raccontare, in quel caso, doveva donare al focolare un oggetto o un elemento della natura che, per quella stagione, era stato particolarmente fruttuoso o stupefacente quell’anno.
«Prendo di nuovo la parola, visto che peccate tutti di iniziativa…» sorrise ironicamente Inverno, ergendosi in tutta la sua possanza «Se non vi dispiace darei inizio alla vera riunione, portando qui al focolare il mio racconto annuale: la mia storia parla di un vecchio burbero che trovò finalmente famiglia, grazie ad una tormenta di neve»
Il racconto di Inverno fu lungo e senza esclusione di colpi. Molti momenti furono intensi, altri più blandi, ma il suo racconto si sciolse con coinvolta partecipazione del pubblico.
“C’era un uomo, un vecchio, burbero e serio che aveva deciso di vivere lontano da tutti, in alto sulle montagne. Un bel giorno, un mio giorno, il vecchio uscì di casa per andare a caccia. La neve era alta e faceva un gran freddo. Le montagne erano bellissime, quando io le innevavo, ma anche imprevedibili. Il vecchio cacciatore riuscì a prendere un coniglio, prima che il cielo si rannuvolasse e minacciasse bufera. Stava capitando, sia chiaro, non incito sempre le Bufere a manifestarsi. Allora il vecchio ci vede bene che fosse il caso di ritornare a casa. Mise coniglio e fucile in spalla e percorse, con sicurezza, la strada del ritorno. Mentre camminava, il vecchio burbero, si imbatté in un bambino. Era rannicchiato tra un cespuglio e un grosso abete e tremava di freddo. L’uomo lo osservò per un attimo, i suoi genitori sicuramente lo stavano cercando, perciò non ci badò e si incamminò di nuovo. Allora, in quel momento, decisi che la bufera si sarebbe abbattuta con più violenza. Sarei riuscito a convincere il vecchio a prendere con sé il bambino? Era quasi giunto alla sua casa, quando si rese conto che nessuno avrebbe salvato quel bambino, che sicuramente si era perso nel bosco. Quel vento e tutta quella neve lo avrebbero sommerso. Il vecchio, per quanto venisse definito cattivo, tornò a prendere il bambino e lo accudì finché la tempesta non si placò. Che mossa geniale non trovate? Alla fine, la mattina successiva, lo accompagnò al villaggio e, grazie all’assistenza delle forze dell’ordine, il bambino ritornò dalla sua famiglia. Ogni anno il bambino torna a far visita al vecchio, che chiama nonno della montagna.”
Inverno, finita la storia, osservò la reazione dei presenti, attendendo i complimenti che era sicuro gli sarebbero arrivati di dovere.
«Beh, un bel lavoro, Inverno, come al solito. Gran bel racconto. Tutta quella neve…troppo avvincente.» convenne Estate, con una punta di sarcasmo nel tono che, però, non fu colta da Inverno che accettò i complimenti come veritieri.
«Ebbene grazie! Ora, sotto a chi tocca! Primavera?»
«Se non ti spiace, Primavera, andrei io. Faccio presto. Durante la mia stagione non è successo nulla di significativo, perciò, quest’anno consegno un oggetto» dichiarò Estate e, prendendo da dietro il ceppo una stupenda conchiglia, la lanciò nel fuoco. Seguì Inverno che vi bruciò la busta con il racconto all’interno.
«Puoi andare Primavera» le passò la parola Estate, con un gesto della mano.
Il racconto di Primavera, come ogni anno, fu estremamente romantico e melenso. Sebbene il suo aspetto di bambina ed i suoi modo da adulta, Primavera, adorava le storie amorose come tutti gli adolescenti. Perciò, il suo racconto risultò estremamente tedioso per Estate, coinvolgente per Autunno che aveva un animo drammatico e noioso per Inverno.
“La storia è quella di un ragazzo delle superiori. Il ragazzo era considerato da tutte le ragazze il più bello, da tutti gli insegnanti il più intelligenti e da tutti i ragazzi il più abile negli sport. Non aveva mai voluto una ragazza e mai ne aveva illusa una sulla possibilità di avere una relazione con lui. Per questo motivo, da molti ragazzi, era considerato arrogante e vanitoso. Il ragazzo non amava mettersi in mostra, anche se dava sempre il cento per cento in tutto quello che faceva. Ci fu un giorno, un giorno molto particolare, in cui nella sua classe si iscrisse una nuova studentessa. Questa nuova ragazza era diversa da tutte le altre: non parlava quasi mai e si faceva sempre i fatti suoi. Si vestiva in modo semplice, anche se tutti la trovavano graziosa. La ragazza era molto brava a scuola, tanto da competere con il ragazzo e lo era anche negli sport. Il ragazzo cominciò ad essere molto interessato a lei ed, un giorno, decise di aspettarla dopo gli allenamenti di pallavolo. I due ragazzi tornarono a casa insieme, parlando di molte cose e scoprirono di avere molti interessi in comune. Il ragazzo si era già innamorato. Ovviamente arrivai io e portai con me gli spettacolari fiori di ciliegio che inondavano i viali di petali rosa. Così il ragazzo prese coraggio e confessò alla ragazza i suoi sentimenti. La ragazza era sorpresa, poiché anche lei era innamorata di lui, ma credeva di non essere il suo tipo. Alla fine i due ragazzi si fidanzarono e…”
Primavera fu interrotta da Inverno che non poteva più trattenersi: «C’è da dire che quel giorno, oltre ai tuoi amati ciliegi, ho fatto venire giù neve! Dannazione, senza quel tocco di classe, altro che confessione amorosa. Te lo potevi scordare!» esclamò con orgoglio.
Primavera, già sull’orlo di una crisi di nervi, sbottò con furia: «E’ proprio così, Inverno? Dannato te! Ogni anno metti lo zampino nella mia stagione! Devi smetterla. La tua è già sufficientemente lunga, perché diavolo devi mettere sempre la mani su quelle degli altri?! Quel momento era perfetto così com’era…sei un grosso maleducato!» e mentre si sfogava, la piccola Primavera si allungò. Alzandosi in piedi, adesso, sembrava proprio una donna adulta. Le trecce si erano allungate sopra il seno prosperoso, l’abito da bambolina era diventato un kimono di seta che le scendeva sui fianchi morbidi e le gambe snelle. Estate già pregustava una lite di quelle che non si vedevano da decenni e si accomodò con interesse per seguire lo svolgersi di quella vicenda. Autunno, dal canto suo, cominciò a sentirsi sempre più a disagio.
«Io?! Io maleducato?!» tuonò Inverno, ergendosi massicciamente ben oltre il volto di Primavera che, però, non era per nulla intimorita dall’aspetto della stagione: «Come osi bambina insolente! Senza il mio intervento la tua stagione sarebbe una completa noia! Solo fiori e porcherie amorose!» Primavera si arrossò in volto: «Po…porcherie amorose?! Brutto…brutto idiota, ma guarda cosa mi tocca sentire! Il tuo paesaggio è così deprimente…tutto bianco…e sarebbe la mia noiosa? Sei troppo altezzoso, vuoi sempre tutta la gloria!» balbettò per la rabbia.
Autunno, ormai allo stremo delle forze, cercò di intervenire in quella conversazione, provando a prendere la parola. Doveva assolutamente raccontare la sua storia, ormai non ce la faceva più. Si era portata persino un oggetto da consegnare al focolare, ma non ce la faceva. Aveva una paura fottuta, sarò bandita me lo sento, pensava.
«Scusate…» provò a dire, ma nessuno la ascoltò. Primavera ed Inverno ancora non accennavano a smettere ed Estate era troppo intento ad ascoltare. «Scusate!» riprovò più forte. Ancora nessuno le diede retta. Alla fine si decise, lo avrebbe detto urlando. Che imbarazzo, si disse, non credo di aver mai urlato in vita mia. «HO PARLATO CON UN ESSERE UMANO!» gridò e tutti si destarono. Cos’avevano appena udito? Autunno, umano, parlare? Mai nella storia della riunione annuale delle stagioni era stata raccontata una cosa simile. Nel regolamento non c’erano specifiche a riguardo, ma era sempre apparsa a tutti come una regola non scritta, ma infrangibile. Autunno, invece, lo aveva fatto, cos’avrebbe fatto il focolare? Sarebbe stata approvata.
«Autunno…» mormorò Primavera al colmo dello stupore e si accorse della sua lettera, la raccolse e lanciò nel focolare con un gesto meccanico. Questa affermazione costrinse tutti a sedersi ed ascoltare la storia annuale di Autunno.
La storia li sorprese? Questo non saprei dirlo, ma fece comprendere a tutti molte cose importanti e, forse, anche il focolare ne comprese la naturale conseguenza evolutiva. Quel gesto stava per portare ad un cambiamento indispensabile.
Stavo andando in giro per i fatti miei. Le foglie che cadevano su quel laghetto nascosto tra gli alberi mi ricordavano tante piccole barchette colorate. Passato il boschetto si arrivava ad un ponticello di legno che era basso ed innocuo, come l’acqua che vi scorreva sotto: trasparente si insinuava tra i massi del fondale, scomparendo di nuovo nel folto. Fu proprio su quel ponte che lo vidi. C’era un uomo molto magro, indossava un completo di flanella ingessato e una cravatta consunta e snodata, lasciata libera sul petto. L’uomo era insignificante, nella sua figura, non ricordava nessuno di noto e nemmeno nessuno che avrebbe lasciato un segno nella memoria di qualcuno. Era solo, come vuoto era quel boschetto. In mano teneva una pistola, un piccolo revolver. Gli occhi umidi e arrossati e le mani tremanti mi fecero pensare a qualcosa…un gesto che, però, non volevo dire…lo lascia sospeso in quel momento così denso. L’uomo teneva, nell’altra mano, un plico di foglio vergati a mano. Era uno scrittore. Lo avevo capito subito, ma la vita gli aveva sorriso di rado ed ormai era al limite. Era bravo, il talento non gli era oscuro, ma qualcosa ruotava costantemente a suo sfavore. Sfinito dalla fame e dalla povertà, dalla depressione ed il dissenso generale, aveva deciso di togliersi la vita. Non aveva nessuno che lo avrebbe pianto. Si infilò la pistola nella bocca e chiuse gli occhi. Cosa potevo fare? Non volevo assistere ad un suicidio, la mia stagione era appena cominciata! Mi manifestai a lui nella forma che vedete anche voi adesso e lo fermai. Gli diedi un’occasione, a quel poveretto, un motivo per continuare la sua vita. E allora gli donai un po’ di ispirazione, ma solo pronunciando il mio nome. Così, durante la mia stagione, avrebbe scritto fino a consumarsi le mani e tutto gli sarebbe andato meglio. L’uomo che mi dedicò quasi ogni suo sonetto. E si racconta molto di lui in giro. Davvero, grazie a me, quell’uomo è vivo.
La riunione si chiuse nel silenzio più attonito, mentre Autunno, con po’ di timore, consegnava al focolare la sua missione.





*La storia di questo scrittore è brevemente raccontata nel mio componimento Poeta d’autunno, per tutti coloro che fossero interessati a leggerla.
**Chiedo scusa a tutti coloro che seguono la mia storia per la lentezza con la quale ho pubblicato questo capitolo! Grazie per il sostegno.

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