Gift Of The Gods

di _Zaelit_
(/viewuser.php?uid=1129077)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una vera casa ***
Capitolo 3: *** Visitatore ***
Capitolo 4: *** Monte Nibel ***
Capitolo 5: *** Chi non muore... ***
Capitolo 6: *** Oltre la solitudine ***
Capitolo 7: *** Ritorno ***
Capitolo 8: *** Non sono come te ***
Capitolo 9: *** Bentornato ***
Capitolo 10: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 11: *** Prigionieri ***
Capitolo 12: *** Un tocco di normalità ***
Capitolo 13: *** Bambini ***
Capitolo 14: *** Parte di te ***
Capitolo 15: *** Lieta di conoscerti ***
Capitolo 16: *** Duello a coppie ***
Capitolo 17: *** Non si smette mai di imparare ***
Capitolo 18: *** Un fragile sogno ***
Capitolo 19: *** Verità sul passato ***
Capitolo 20: *** La forza del perdono ***
Capitolo 21: *** Mercato Murato ***
Capitolo 22: *** L'ombra dei vicoli ***
Capitolo 23: *** Il quartiere dei club ***
Capitolo 24: *** Mare di luci ***
Capitolo 25: *** Reclutamento ***
Capitolo 26: *** L'Arena di Don Corneo ***
Capitolo 27: *** Primo round ***
Capitolo 28: *** La Tigre e il Cigno ***
Capitolo 29: *** A fin di bene ***
Capitolo 30: *** Inganno ***
Capitolo 31: *** Sei un soldato ***
Capitolo 32: *** Il Dolcemiele ***
Capitolo 33: *** Spalle al muro ***
Capitolo 34: *** Ferite aperte ***
Capitolo 35: *** A qualsiasi costo ***
Capitolo 36: *** Vittime e peccatori ***
Capitolo 37: *** Ricordi ***
Capitolo 38: *** Ogni tipo di amore ***
Capitolo 39: *** Passato, presente ***
Capitolo 40: *** Vana speranza ***
Capitolo 41: *** Nel tuo eterno riposo ***
Capitolo 42: *** Falsa verità ***
Capitolo 43: *** La forza necessaria ***
Capitolo 44: *** Da zero ***
Capitolo 45: *** Debole ***
Capitolo 46: *** Doccia di mako ***
Capitolo 47: *** Settore Sette ***
Capitolo 48: *** Cambiamento ***
Capitolo 49: *** Incertezza ***
Capitolo 50: *** Mettersi alla prova ***
Capitolo 51: *** Legge del Fato ***
Capitolo 52: *** Secondo primo incontro ***
Capitolo 53: *** L'occasione perfetta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Un fascio di luce verde, fredda e brillante nella sua misteriosa crudeltà, balenò all'interno del laboratorio. Un riflesso proveniente dall'interno di una capsula speciale, su cui occhi severi, pacati o perplessi cercavano dettagli e risposte ai dubbi che li rendevano più opachi.
Quelli sottili, allungati e graziosi della giovane donna che sostava su una pedana rialzata erano certamente i più attenti. Indossava un lungo camice bianco i cui lembi le sfioravano le caviglie, e un paio di occhiali sottili e neri che minacciavano di scivolarle dal naso. I capelli neri, tagliati da poco, erano raccolti in uno chignon ordinato sulla nuca, uno che sarebbe stato degno d'una ballerina se solo quel corpo non fosse stato così rigido, composto, in guardia.
«Procediamo alla fase finale.» ordinò con voce neutra, come stesse chiedendo un semplice favore a un amico di lunga data.
Quando un uomo slanciato mosse la testa bionda per annuire e si mosse come gli era stato comandato, sulla bocca della scienziata si formò un sogghigno compiaciuto.
L'uomo, un SOLDIER che portava già la fascia onoraria e di riconoscibilità che lo presentava a chiunque lo incontrasse come un membro di prima classe della prestigiosa divisione, raggiunse la capsula. Persino lui titubò prima di pigiare l'ultimo pulsante necessario a completare quella pericolosa manovra.
Un'altra donna, più alta della prima, dalla pelle morbida e scura e un taglio di capelli mascolino, si morse le labbra e si rivolse alla prima. Al contrario del maschio, indossava abiti più eleganti, neri come la notte, con sotto una camicia bianca coperta da una cravatta corvina.
«Jadin, fermiamoci. È troppo rischioso. Lui...»
La sua implorazione non trovò fine. Alla scienziata bastò sollevare una mano per interromperla e credere di poter proseguire il discorso sovrastando la sua voce con la propria.
«Un anno, Vaneja.» le ricordò, senza perdere il cupo sorrisetto che, a primo impatto, sarebbe sembrato tanto tenero e innocente. «Questo esperimento va avanti da un anno. Hai idea degli sforzi fatti anche solo per poterlo iniziare?»
«Sì, ma...»
«Abbiamo qui la manifestazione vivente delle teorie del professore. Anche se Hojo è morto, la sua scienza continua a vivere. E questo è l'unico modo che abbiamo... per vendicarlo.»
Ritrovato il coraggio, il SOLDIER premette leggermente il bottone grigio e la porta di vetro della cella si aprì. Il fluido verdastro si riversò a terra, gli sporcò le scarpe, inondò come un piccolo tsunami tutto il piano inferiore del laboratorio.
Tra quelle piccole onde verdi e gelide cadde in ginocchio un uomo. Completamente nudo e in preda ai brividi, sembrò svegliarsi appena in tempo da quel sonno indotto da evitare di colpire il pavimento anche con il bel viso giovane e astuto. Si resse invece sulle mani, fallendo a trovare le forze necessarie per rialzarsi e finendo poi sui gomiti. Si strinse un palmo sulla gola, ebbe un violento conato e il medesimo liquido di preservazione sgorgò dalle sue labbra, insieme a delle chiazze di saliva e qualche forte colpo di tosse.
Jadin sembrò felice di vederlo così debole. Dopotutto, chi non lo sarebbe stato? Era una donna intelligente e sapeva benissimo che, se fosse stato solo un briciolo più sveglio e forte di quanto non fosse adesso, quel suo soggetto sarebbe stato in grado di strangolarla a mani nude senza nemmeno affaticarsi.
Ammiccò in direzione del biondo, indicandogli la mossa successiva.
«Narcisse.» lo richiamò, spostando il mento verso l'uomo lasciato cadere fuori dalla capsula rigenerativa.
Il SOLDIER replicò abbassandosi e facendosi passare sulle spalle un braccio del soggetto, che sembrò borbottare un'imprecazione sottovoce.
Dopodiché, la scienziata guardò anche Vaneja, la quale prese a domandarsi per quale motivo anche lei era stata convocata lì, trattandosi di una Turk e non di un'assistente di laboratorio, e rispondendosi automaticamente, solo l'attimo successivo, che Jadin l'aveva probabilmente convocata per mostrarle tutto ciò. Come se fosse una prova di fiducia. Sapeva che quello sguardo conteneva un'intrinseca richiesta, perciò avanzò e, non senza qualche scrupolo, si chinò per aiutare Narcisse a sorreggere il soggetto.
Poco dopo, i due iniziarono a muoversi in avanti.
L'uomo che stavano aiutando, sporco ancora di quel fluido viscido e brillante dalle dita dei piedi ai capelli fulvi che gli sfioravano il mento, non riuscì a reggersi sui propri muscoli e precipitò di nuovo, venendo preso al volo grazie ai riflessi dei due.
Passo dopo passo, fu portato al cospetto di Jadin, che ammirava soddisfatta il suo lavoro.
«Ben svegliato.» pronunciò melliflua la donna, guardandolo dall'alto.
L'uomo era abbastanza sveglio da sentirla. Sentendosi provocare, anzi, sentendo che si stava prendendo gioco di lui, sorprese i due guerrieri addestrati che lo tenevano fermo con uno strattone e provò a gettarsi su di lei. Capì che, se si trovava lì, la colpa doveva essere sua o di un suo superiore, anche se al momento non ricordava i dettagli di come si fosse cacciato in quella situazione.
Narcisse fu rapido abbastanza da girare quello stesso braccio che teneva sollevato fino a fare tremare le ossa del gomito.
Il prigioniero - pensò di esserlo, dato che non era lì per sua volontà - mostrò i denti e si fermò, sibilando.
Jadin respirò a fondo. Si aspettava una reazione da parte sua. Lo conosceva abbastanza da ricordare quanto testardo e indomabile potesse dimostrarsi. In realtà, tutti lo sapevano. Solo che lo avevano dimenticato. Lo credevano disperso, o morto, avevano pianto la sua scomparsa molto tempo prima.
«Infinito è il mistero del Dono della Dea...» recitò accuratamente e a memoria la scienziata, muovendo qualche passo verso di lui, lungo una serie di scalini in grata metallica che tintinnò al suo passaggio.  «Così noi lo cerchiamo, elevandolo al cielo
Vaneja e Narcisse parvero confusi udendo quelle curiose parole apparentemente bisognose di un'adeguata parafrasi.
Tuttavia, sul volto dell'uomo nuovamente inginocchiato apparve un amaro sorriso, troppo debole per assomigliare a uno dei suoi, quei presuntuosi e astuti ghigni che amava usare per sbeffeggiare i nemici. Quanto... quanto tempo era passato?
«Credi che ti basterà recitare il primo atto di Loveless a memoria,» prese a domandare alzando pian piano la testa, «per convincermi a non uccidervi tutti e tre, dopo avermi fatto questo?»
Un bagliore più potente della luce pulsante del fluido di mantenimento si aprì nella stanza. Due pozze bluastre, fredde, spietate. Allo stesso tempo, calme come quella rabbia invisibile, ma che ruggiva nel suo petto per convincerlo a liberarla, a darle sfogo. Voleva il loro sangue. Lo reclamava.
Jadin si fermò sulla scala, sebbene non fosse ancora arrivata davanti a lui.
La presa di Narcisse e Vaneja si strinse, lasciò segni rossi sulla candida pelle dell'uomo dal viso affilato, che ricordava vagamente quello di una volpe ingannatrice.
Ma la scienziata non perse il sorriso, ora tuttavia forzato.
«La mia non è stata una scelta casuale. Ritengo che ascoltare quello che ho da dirti potrebbe interessare persino te.» mormorò, allargando appena le braccia.
Gli stanchi occhi blu del prigioniero la squadrarono dalla testa ai piedi, con l'intento di irritarla o convincerla ad avvicinarsi. Così avrebbe combattuto con i denti, o a calci. Era sicuro che sarebbe riuscito a ucciderli tutti e tre in pochi secondi, anche senza usare le braccia. Forse era vero... un tempo. Ora, doveva ammetterlo, si sentiva tremendamente debole. Ciò non significava che le avrebbe dato alcuna soddisfazione.
«Ciò che ritengo io, invece, è che dovrei darvi esattamente dieci secondi per lasciarmi andare... e portarmi la mia uniforme.» sfidò quindi. Quel liquido era gelido, per cui aveva la pelle d'oca e non gli sarebbe dispiaciuto vestirsi. Ogni centimetro del suo corpo allenato era scosso dai brividi.
Jadin iniziava a perdere la pazienza, ma si limitò a socchiudere gli occhi e riprendere a camminare verso di lui. Scalino dopo scalino.
«Forse siamo partiti con il piede sbagliato. Lascia che t'illustri meglio la situazione attuale...»
, gongolò internamente il soggetto dai capelli rossicci che gli coprivano la fronte, Avvicinati. Sarò anche ridotto a uno straccio, ma questo non mi impedirà di strapparti quel sorrisetto dalla faccia.
«Sei stato portato qui mesi fa su ordine del professor Hojo, che immagino ti sia familiare. Ricordi cosa ti accadde dopo esserti ferito durante un allenamento?» gli domandò lei, senza smettere di avanzare.
Van e Narcisse esitarono, indurirono la loro stretta su di lui, che non sentiva più circolare il sangue nelle braccia. In realtà, non sentiva proprio niente se non un freddo pungente e una sensazione di confusione mentale, dovuta probabilmente al lungo sonno cui era stato obbligato.
Eppure, ricordava cosa era accaduto. Era passato più di un anno dal giorno in cui aveva sfidato un amico nel simulatore dedito agli allenamenti dei seconda classe, un'idea nata dal forte desiderio di dimostrare a quell'amico che arroganza e popolarità non sono gli ingredienti per la creazione di un eroe. Eppure era rimasto ferito e, da quel momento, le sue condizioni erano andare peggiorando, fino a farlo diventare l'ombra di se stesso. Stava morendo.
«Deterioramento fisico.» Jadin diede un nome al suo problema, «Dovuto alle cellule del tuo corpo. Mi guardi come se fossi la tua carceriera, ma in realtà io e il professore ti abbiamo salvato la vita, arrestando quel processo.»
Altri passi verso di lui. La scalinata terminò, la donna stava per raggiungerlo.
L'uomo tentò di restare immobile, di non agitarsi. Se avesse lasciato distrarre i due che lo tenevano fermo, forse sarebbe riuscito a coglierli di sorpresa e liberarsi.
«Cosa dovrei fare, dunque? Ringraziarti per avermi ridotto a un vegetale per mesi?» tossì divertito, dandole corda.
«Esattamente. Poiché, se non l'avessi fatto, tu saresti morto. E sai qual è la parte migliore, in tutto ciò?» domandò, fermandosi proprio davanti a lui.
Il soggetto strinse i denti. Voleva ucciderla, farle pagare per quello che gli stava accadendo, perché si sentiva così debole, e...
«Il fatto che io possa indurre di nuovo quel processo nel tuo corpo per controllo remoto. Posso renderlo più veloce, più aggressivo, più doloroso. Posso ucciderti quando e come voglio.»
Jadin si abbassò fino a sfiorare la sua mandibola con le dita. Afferrò il suo mento sottile e appuntito, lo sollevò per osservare meglio quei profondi occhi chiari e sorridergli, l'espressione di chi sapeva di avere il coltello dalla parte del manico.
«Se deciderai di non collaborare, s'intende.»
L'uomo rabbrividì. Stavolta non fu per il freddo. Ricordava cosa aveva provato quando quel deterioramento l'aveva colpito, quando era giunto a uno stato avanzato, quando si sentiva a un passo dalla fine e debole, fragile... e sapeva di non voler morire. Soprattutto, non in quel modo.
Avrebbe voluto mordere quella mano piccola e delicata, anche se un gesto di così poca classe non era esattamente nel suo stile.
«Non che io abbia ampia scelta.» si difese solo con il suo pungente sarcasmo.
Lei gli lasciò una carezza sullo zigomo, come un premio dato a un cane che esegue bene un comando.
«Vedo che hai compreso. Allora, mi ascolterai?» proseguì.
Lui provò invano a sollevare le spalle, dopodiché si scrollò di dosso quella mano affusolata e indicò con la testa i due guerrieri a entrambi i lati.
«Non vado da nessuna parte.» continuò ad affidarsi all'ironia.
Lei scosse la mano, come se volesse pulirla.
«Molto bravo, iniziamo ad intenderci.»
Si abbassò di nuovo per raggiungere la sua altezza, scoccando un'occhiata a Vaneja, cui tremavano le gambe. Fu come una silenziosa ammonizione. Narcisse, se non altro, aveva meno dubbi.
«Lascia che te lo spieghi nel modo più diretto e comprensibile: il professor Hojo è morto. È stato ucciso da due persone che tu conosci molto bene.»
Gli balenarono in mente i visi dei suoi vecchi amici. Uno di loro parlava di sogni e onore, l'altro desiderava la pace, ma la morte danzava sulla sua lama e segnava il suo passaggio. Quello scienziato di cui la donna stava parlando non era il suo creatore, ma aveva dato vita a un mostro che tutti chiamavano eroe. Ad ogni modo, non gli dispiaceva affatto che fosse stato fatto fuori. Gli sembrò solo strano sapere che i suoi amici si erano riuniti.
«È inutile domandare se ti ricordi di Sephiroth, ma...» Jadin si portò le mani ai fianchi, alzandosi e guardandolo senza neppure piegare il viso, una sensazione che lui detestò. «... sicuramente non ti aspettavi di sentirti dire che la tua allieva lo ha aiutato nell'impresa, e che è diventata terribilmente potente, una volta venuta a conoscenza della verità sulla sua nascita, della sua creazione in laboratorio.»
Prima o poi Sephiroth avrebbe fatto fuori quel vecchio folle, certo, ma perché mai avrebbe dovuto avere bisogno di aiuto? Chi era questa persona di cui stava parlando?
«Allieva? Io non ho allievi.» scandì con finta calma.
«Oh, ne avevi una, anni fa. Prima che decidessi di disertare. Il suo nome è Rainiel Chanstor.»
Un lampo di ricordi si abbatté su di lui, una sequenza di immagini rapide e confuse ma che, nella sua mente, assunsero un nitido significato. Lunghi capelli rossastri, occhi del colore del mare o del cielo, determinazione e ambizione che non conoscevano fine, due spade corte come arma contro un mondo che desiderava salvare.
«Sì... ti ricordi di lei.» Jadin sorrise, capendo cosa stesse accadendo dalla sua sola espressione.
Narcisse assottigliò lo sguardo, ripensando a quella giovane ragazza. Era stato lui a darle la notizia, quando Hojo convinse il Presidente a nominarla SOLDIER di prima classe. Naturalmente, a quel tempo era già a conoscenza del piano del professore e della sua assistente, Jadin.
Vaneja, d'altro canto, era stata la sua migliore amica, prima che si ritrovasse di su fronti opposti. Rainiel aveva disertato, si era unita a Sephiroth, aveva ucciso il direttore del dipartimento scientifico... e non poteva essere perdonata. Anche se sapere che v'era una taglia sulla sua testa le metteva una profonda agitazione e le faceva sentire lo stomaco in subbuglio.
«Ciò che dovrai fare per me sarà semplice: trova Sephiroth e Rainiel e portali da me.» comandò, senza battere ciglio.
Lui storse le labbra in una smorfia.
«Perché ti interessano così tanto?»
«Perché hanno intralciato una ricerca che va avanti da decenni. Voglio che tornino da me, così potrò continuare quello che il professore non è riuscito a portare a termine: studiarli, sottoporli a nuovi controlli ed esperimenti. Non hai idea di cosa potrebbe nascere da quei due individui. I miei informatori, però, hanno perso le lore tracce mesi fa. Tutto ciò che sanno è che si sono separati, e questo rende l'incarico più difficile. Tuttavia... recentemente alcuni presunti avvistamenti potrebbero rivelarsi determinanti.»
L'uomo serrò i denti, lasciando calare la testa inanimata, sorretta solo dal collo che, anche se muscoloso, restava sottile.
L'idea di dare la caccia a Sephiroth non gli era nuova, lui era l'unico a poter fermare quel processo di degradazione, tempo prima, e dunque si era messo sulle sue tracce per convincerlo ad aiutarlo. Un aiuto che gli aveva negato. Questo avrebbe reso le cose più semplici.
Quanto a Rainiel... quella testarda ragazzina gli ricordava molto entrambi i suoi amici, ma non credeva che potesse arrivare a tanto. Non sapeva che anche lei fosse frutto di un esperimento. Dunque... non sapeva cosa aspettarsi da lei. Questo lo esaltò, l'idea di mettersi alla prova contro di lei lo sedusse. Sarebbe stato... divertente, forse.
E comunque non aveva scelta.
«Lo farò.» cedette allora, senza guardarla negli occhi.
Giurò a se stesso che avrebbe colto la prima opportunità per liberarsi e farla pentire di averlo reso il suo schiavo.
Lei lo immaginò, ma non se ne curò affatto. Al contrario, gli passò una mano fra i capelli. Di nuovo, come se fosse un animale da addestrare.
«Molto bravo... Genesis.» pronunciò il suo nome mentre luci verdi e acquose vorticano nelle sue iridi troppo simili a quelle del professore, «La tua lealtà ci sarà molto utile in questo gioco tra fazioni.»
Un gesto soltanto: Genesis fu lasciato cadere a terra e, poco dopo, sentì una cappa avvolgerlo. Represse l'istinto di premersela su tutto il corpo, di lasciar battere i denti fra loro, e si limitò a coprirsi come poteva senza perdere la propria dignità.
Quando sollevò il viso, si arrese consapevolmente a quello che, da ora in avanti, sarebbe stato il suo futuro.
«La superficie dell'acqua s'increspa... L'anima vagante non conosce riposo.»
Mentre completava quel secondo atto rimasto sospeso, ricordandolo perfettamente grazie alle migliaia di riletture e ricerche, non poté fare a meno di rivedersi in quelle righe malinconiche e misteriose.
Avrebbe dovuto attendere ancora molto, molto a lungo... prima di poter finalmente riposare.

 

- Angolo Autrice -
Salve a tutti! Eccomi tornata dopo qualche mesetto con il sequel alla fanfic "Project Rainiel". In questa nuova storia, come avrete notato, torneremo a seguire le vicende di Rainiel e Sephiroth, e vedremo personaggi vecchi e nuovi, alcuni dei quali cambieranno ruolo rispetto a come li ricordavamo. Primo fra tutti, sicuramente, è Genesis, che si ritrova a dover seguire il volere del dipartimento scientifico. Questo significa che dovrà vedersela con l'ex-Generale di SOLDIER e la sua cara allieva... come andrà a finire? Spero che vorrete continuare a leggere e, perché no, anche lasciare un commento con le vostre impressioni. Sentitevi liberi di esprimervi e io farò il possibile per migliorarmi e, spero, offrirvi una bella storia. Per ora, comunque, mi limito ad augurarvi una buona gionata o buona notte, ricordatevi che potete seguire i miei aggiornamenti su Tumblr, dove mi trovate con il nickname Zaelit. Un saluto a tutti ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una vera casa ***


Capitolo 1
UNA VERA CASA

 
 
Una leggera brezza primaverile sollevò e lasciò fluttuare per qualche secondo nell'aria una pioggia di petali dalle sfumature delicate, in un piccolo vortice lento e profumato che andò a ricadere leggiadro in un laghetto accanto alla collinetta.
Rainiel seguì il percorso di quei petali come rapita, vedendoli calare cullati dal soffio di vento ancora freddo, come fossero...piume. Ma non lo erano, quei fiori erano colorati e innocenti, puri perché nati da poco. Continuò a osservarli, mettendo su, in poco tempo e senza neppure accorgersene, un'espressione malinconica. Dentro di sé, ne era sicura, per un attimo aveva sperato che quelle fossero lucide piume nere.
«Ortensie.» le spiegò comprensiva e paziente la ragazza che era con lei, occupata ad accarezzare i boccioli non ancora completamente schiusi, le ginocchia poggiate sull'erba fresca. Sbuffò e scosse la testa, sebbene senza alcuna rabbia. «O almeno lo erano. Quei poveri fiori erano troppo deboli, è bastato un colpo di vento a rovinarli...»
Rainiel, in piedi a solo qualche metro di distanza, si sporse preoccupata e colpevole oltre la sua spalla, osservando il danno.
«Scusami, forse avrei dovuto annaffiarli di più...» respirò a fondo e portò le mani al petto. «Non sono... abituata a prendermi cura di cose così belle e fragili, ma starò più attenta in futuro.» Dopotutto, glielo aveva spiegato e ripetuto fino allo sfinimento: il nome di ciascun fiore, il loro significato, come coltivarli e quanto annaffiarli... solo che proprio non riusciva a ricordare tutto. Aveva sempre la testa fra le nuvole.
Osservò la ragazza, poco più grande di lei in termini d'età, guardarla con un ampio sorriso come a chiederle di non farci troppo caso. Si alzò da terra, dondolò sui piedi e si pulì il grazioso vestito rosa antico con qualche colpetto dei palmi, prima di sistemare il fiocco che aveva tra i capelli e che l'alito di vento aveva scomposto.
«Non preoccuparti, possiamo ancora salvarli. E poi guarda quanti ne stanno crescendo... una piccola svista non rovinerà il giardino!»
Allargando le mani, la fanciulla dai capelli castani fece un mezzo giro sul posto, ben attenta a non calpestare i colorati fiori che crescevano tutt'attorno a loro. Si trovavano su una piccola collinetta da cui potevano vedere per intero la piccola valle in cui si trovavano: tre isolotti collegati da ponti di legno scuro si affacciavano su un laghetto, originato da una piccola cascata il cui scrosciare faceva da sottofondo alla loro conversazione. Tutto era verde, un verde vivo e brillante, che Rain non aveva mai visto a Midgar, e forse nemmeno nel piccolo villaggio da cui veniva e a cui non voleva più pensare, Darefall. L'isolotto a Ovest era l'unico a non essere ricoperto da una distesa variopinta, e vi stanziava una villetta in pietra a due piani, con il tetto di mattoni che si appiattiva sulla sommità per lasciare spazio a un quieto terrazzo circondato da una ringhiera.
Non stava mentendo, il cortile a cui avevano badato per mesi non era mai stato così fiorito, anche se lo era già, almeno in parte, quando Rain aveva messo piede in quel posto per la prima volta, dopo la fine di una lunga battaglia che per poco non aveva portato via la sua vita, e quella di una persona a cui teneva moltissimo. Era stato il suo migliore amico, Zack, un ex-SOLDIER come lei, a convincerla a trasferirsi lì con lui, dato che si trattava della casa della sua fidanzata.
Aerith Gainsborough: la dolce ragazza dai capelli bruni e gli occhi verdi e splendenti come il prato che ora le stava indicando, il viso sempre illuminato da un morbido sorriso, anche se i suoi occhi avevano un'aria malinconica. Era stata felicissima di ospitarli e di conoscere Rainiel, non aveva esitato un solo istante quando era andata loro incontro in un piccolo tunnel del Settore 5, la notte in cui i due guerrieri erano arrivati, e aveva accettato prima ancora che Zack potesse finire di pronunciare quella domanda.
Per quanto riguardava sua madre, Elmyra, convincerla era stato un po' complicato. Non le piaceva affatto la Shinra e, considerato che lei e il suo amico erano stati dei SOLDIER di prima classe fino a solo qualche giorno prima, inizialmente li aveva costretti a noleggiare delle camere nell'albergo più vicino. Aerith si era scusata per una settimana intera e, per riconciliare tutti, aveva poi convinto Elmyra, mostrando come Zack e Rain stavano prestando aiuto agli abitanti del settore in varie mansioni. Rainiel aveva persino trovato e riaccompagnato all'orfanotrofio a pochi passi dal loro giardino una bambina che si era allontanata troppo ed era stata persa di vista. Infine, Elmyra aveva ceduto. Anche se riluttante, aveva accettato di ospitarli, liberando una camera per la ragazza SOLDIER al secondo piano, proprio accanto a quella di sua figlia e di Zack. Rain aveva dovuto sorbirsi occhiatacce e borbottii per un bel po', ma quello era accaduto mesi e mesi fa. Le foglie erano cadute, l'aria s'era fatta più fredda, le giornate andavano accorciandosi... e ora che la primavera era esplosa con le sue tinte e i suoi profumi, Elmyra voleva bene a lei e Zack come se fossero altri due figli di cui prendersi cura.
Rainiel apprezzava moltissimo quello che faceva per loro. Solo l'estate prima, aveva perso entrambi i suoi genitori in una frana che aveva mietuto molte vittime a Darefall. Non era sicura di essersi ripresa del tutto da allora, ma Elmyra faceva il possibile per farla sentire a casa, ora che si fidava di lei. Non era pacata e cortese come la sua vera madre, ma faceva il possibile per far sentire la ragazza parte di una nuova, armoniosa famiglia. Anche... se lei continuava a sentirsi diversa, come se fosse nel posto sbagliato. Lontana dalla vita che le spettava davvero, una di avventure e missioni al fianco di...
Ricordare quel nome, quel volto, le fece abbassare la testa e realizzare di star sognando a occhi aperti. Cercò di scacciare dalla propria mente le immagini di una possente ala corvina, fili d'argento che avrebbero potuto fare invidia al pallore lunare, e occhi sottili, profondi, determinati, di un intenso verde acqua.Si strinse le braccia attorno alla vita e distolse lo sguardo.
«Sì... possiamo salvarli.» tornò con i piedi per terra e a concentrarsi su quella discussione, abbassandosi a sua volta verso le ortensie che ora dondolavano deluse e rovinate. La giacca color cuoio che indossava - e che era diventata la sua preferita, da quando aveva detto addio al suo outfit personalizzato da prima classe - svolazzò alle sue spalle prima di sfiorare i ciuffi d'erba.
Aerith aprì un po' di più gli occhi tondi e chiari e piegò la schiena per osservare quello che accadde dopo.
Rainiel strinse le labbra, facendo appello a un'energia in lei che dormiva da tanto, tanto tempo. Non richiamarla la faceva sentire più umana ma, al contempo, le dava l'impressione di non essere completamente se stessa. Come se andasse in giro con un occhio bendato, o un braccio legato dietro la schiena.
Aveva perso l'abitudine, quella scioltezza con cui, un tempo, avrebbe fatto una cosa così semplice e anche molto, molto di più nell'arco di tempo impiegato dal battito d'ali d'una farfalla. Infine avvicinò le dita sottili al bocciolo strapazzato, e i petali si mossero in sua direzione, come se li stesse chiamando. L'ortensia traballò e in cima allo stelo nacquero e crebbero in pochi secondi dei nuovi petali, sani e saturi di un meraviglioso color violetto.
Aerith si lasciò scappare un piccolo risolino e battè le mani, sorpresa. Sapeva dei poteri di Rain ma, a pensarci meglio, non li aveva mai visti a lavoro.
«Splendido! Davvero meraviglioso!» si complimentò, mentre Rainiel si tirava su e tentava di reprimere un lieve sorriso. «Dovresti usare il tuo dono più spesso. Potresti rendere i bassifondi un mare di fiori e alberi e...»
«Usarlo... non mi piace più.» la interruppe lei, massaggiandosi il collo, «Sento che non è qualcosa di naturale e, al contrario, va contro la natura stessa. Quello che creo con questo dono... non è reale.»
La ragazza più grande s'imbronciò, scherzosamente, e si chinò a toccare l'ortensia. «A me sembra reale. Anzi, mi sembra il fiore più bello di tutto il giardino!» la incoraggiò, prima di sussultare lievemente e tornare a rivolgersi verso il terreno. Il suo sorriso si fece più ampio e calò le palpebre sugli occhi, come se stesse ascoltando qualcosa. Anche se Rain non sentiva altro che il rumore della cascata e il debole fruscio del vento. «Penso proprio che questo piccolo fiore ti sia grato per ciò che hai fatto per lui.» mormorò con calma.
Le sopracciglia di Rainiel si sollevarono. Non sapeva proprio cosa pensare.
Aveva scoperto, forse un mese dopo il suo arrivo nel Settore 5, il motivo per cui Elmyra odiava tanto la Shinra. Sua figlia, Aerith, veniva tenuta costantemente d'occhio dalla divisione speciale dei Turks, anche se ultimamente il colosso aziendale che teneva in pugno Midgar sembrava troppo occupato a ripare i danni che Rainiel e la sua squadra si erano lasciati dietro per soddisfare i bisogni di un vecchio scienziato senza vita. Esatto, perché Hojo voleva anche Aerith. Era stata una vera sorpresa scoprire che la ragazza allegra e spensierata, amante dei fiori, era stata letteralmente tenuta prigioniera dal dipartimento scientifico per anni all'interno della Palazzo Shinra. E questo perché... lei era speciale. Non era semplicemente umana. Forse era per quel motivo che Rain e lei andavano tanto d'accordo. Si assomigliavano, anche se al contempo non avrebbero potuto essere più diverse.
«Hai sentito... la sua voce?» chiese impacciatamente l'ex-SOLDIER, piegando la testa e osservandola con gli occhi di una bambina curiosa.
Lei addolcì lo sguardo. «A volte il Pianeta decide di parlarmi. In generale, però, posso sentire ciò che prova.» sospirò.
Sicuramente Gaia era un pianeta molto, molto deluso del comportamento dei suoi abitanti. Così tanti conflitti, il problema della mako, tutto quell'odio verso ogni cosa... Rainiel provò pietà per ciò che doveva subire. Ne provò ancora di più per Aerith, costretta a sentire su di sé quella stessa sensazione.
Un'Antica. Ecco cos'era quella ragazza. Rainiel aveva creduto di esserlo, per un breve periodo, ma quello era solo un piccolo aspetto di sé. Lei era... più complicata. Il risultato di un progetto in cui il crudele professore si era sbizzarrito. Un ibrido tra umano e Cetra... e, soprattutto, tra una creatura aliena. Era l'erede di Yoshua, alieno benevolo caduto su Gaia migliaia di anni prima in seguito all'arrivo dell'ostile Jenova. La sua erede, e quella del suo dono. Rain era capace di cose incredibili. La natura si piegava al suo desiderio, fluiva in lei la sua energia, la curava e la proteggeva, anche se agli inizi era stata guidata dal solo istinto e si era rivelata distruttiva.
Cercò di non pensarci. Gli ultimi mesi erano stati una vera rinascita, ma ora che non aveva più una guerra a cui pensare si era ritrovata da sola con i suoi demoni. Tutte le notti, quando si infilava sotto le coperte e abbracciava il cuscino, sentendosi sola, vedeva quella frana, e le case sepolte dai massi. Vedeva i suoi genitori. E tutte le persone che, come loro, aveva deluso...
Un fischio in lontananza fece drizzare le loro teste come parabole dirette alla fonte. Proveniva dal piccolo tunnel che conduceva alla splendida casa.
«Vi ho disturbate, donzelle?» chiese un giovane uomo, altissimo, con una chioma nera pettinata all'indietro sul capo e un paio di occhi blu simili a quelli di un cucciolo testardo. Benché il suo viso sembrasse un po' infantile, i pettorali e gli addominali erano ben visibili sotto il piccolo maglione smanicato bluastro che portava e le grandi spalle lo facevano sembrare intimidatorio... più o meno.
«Zack!» esclamò Aerith, percorrendo in fretta la stradina del cortile e balzando su un ponticello di legno per raggiungerlo e gettargli le braccia al collo.
Lui emise un verso sorpreso ma non si tirò indietro quando l'Antica gli stampò un docile bacio sulle labbra. Con le braccia le circondò la vita sottile e chiuse gli occhi, prima di sollevarla e farle fare un giro in aria mentre lei rideva e muoveva i piedi.
Rain sorrise istintivamente, ma il suo fu un sorriso amaro, educato più che genuino. Ovviamente era contentissima della relazione fra Zack ed Aerith, ed era ancora più contenta di essere amica di entrambi, ma vederli insieme, felici e senza problemi la faceva sentire un po'... invidiosa.
Anche lei era innamorata di un uomo. Uno per cui si sarebbe volentieri sacrificata, se fosse stato necessario. La loro era stata una storia travagliata, ricca di alti e bassi, ma erano sempre riusciti a ritrovarsi, a proteggersi a vicenda.
Dovette distogliere lo sguardo, unire le mani davanti allo stomaco e torturarsi le povere dita.
Sephiroth.
Non lo vedeva da mesi. Non sapeva dove si trovasse, con chi, o quantomeno se stesse male o bene. Questo la rendeva ansiosa, e la faceva sentire impotente. Sarebbe stata una menzogna dire che non si recasse ogni giorno, appena sveglia, al limitare del settore 5 per osservare la distesa arida attorno a Midgar. In attesa di vederlo tornare. Ma non era ancora accaduto.
Zack la salutò con un gesto della mano e un sorriso, ma notò che non stava guardando, così si incupì e andò verso di lei, che neanche ci fece caso.
Le mancava... più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Non si era mai sentita così per nessun altro, e dubitava fortemente che sarebbe accaduto in futuro con un'altra persona. Le sarebbe piaciuto abbracciare lui la notte, anziché quel cuscino.
Una promessa: le aveva detto che sarebbe tornato, quindi così sarebbe stato. Eventualmente. Lei era stata la prima a supportarlo e a chiedergli di prendersi il tempo che gli serviva.
Sephiroth non aveva reagito bene, una volta scoperte le sue origini. Sì era rinchiuso negli archivi della Shinra per una settimana, dopodiché aveva dato di matto. Rain ricordava ancora le fiamme, il fumo, e portava ancora una cicatrice ben visibile vicino alla clavicola, una che le era quasi costata la vita. Ma lo aveva perdonato, lo aveva compreso. Ora si fidava di lui e dell'uomo che aveva intenzione di diventare. L'uomo con cui lei voleva passare il resto della sua vita.
Ma lui non c'era.
«Mi senti, Rain?»
Un dito picchiettò sulla tempia della giovane donna, che sobbalzò e guardò Zack, la mano ancora sollevata.
«S- Scusa... stavo riflettendo. Cosa dicevi?»
«Un abitante ha bisogno del nostro aiuto. Vorrebbe andare al cimitero nei pressi del settore 5, ma alcune persone dichiarano di aver visto dei mostri infestare la zona, così hanno pensato di chiamare noi per aiutarli.»
Mercenari e tuttofare: ecco il lavoro che i due ex-SOLDIER avevano trovato nel Settore 5, sin dal primo istante. La gente chiedeva loro aiuto con varie mansioni, dopodiché dimostrava la sua gratitudine via pagamento. Loro spendevano i soldi per aiutare Elmyra con le spese della casa, o per migliorare le proprie armi. Nel tempo libero si allenavano, o aiutavano Aerith con il suo lavoro, accompagnandola a vendere fiori nel settore. Ovviamente Zack ed Aerith a volte volevano passare del tempo da soli, quindi Rain andava a fare delle lunghe passeggiate o aiutava Elmyra in casa, anche se non se la cavava particolarmente bene ai fornelli e non era portata per le faccende domestiche in generale. Finiva sempre per dover chiedere scusa a causa di qualche guaio e questo la faceva sentire, come al solito, fuori posto. Quella non era la vita adatta a lei e, benché avesse trovato una vera casa e una nuova famiglia, nel suo cuore restava un vuoto che nessuno, tranne un unico uomo, sarebbe riuscito a riempire.
Ma combattere, aiutare gli altri e fare del bene, perlomeno, la aiutava a distrarsi. A ricordare il suo obiettivo principale: diventare un'eroina. Il sogno che coltivava sin da piccola, e a cui aveva rischiato di rinunciare troppe volte a causa dei suoi trascorsi.
«Possiamo andarci subito.» propose, oltrepassando il ponte per raggiungere l'isoletta più vicina alla bocca della valle. Andando a Sud da lì avrebbe raggiunto il cuore del Settore 5 e, tutt'attorno, avrebbe trovato l'orfanotrofio Casa Verde, il mercato, il bar, la discarica e, non troppo lontano, anche il cimitero. Più a Nord si trovava anche una graziosa chiesa abbandonata dove Aerith cresceva altri dei suoi fiori. Una chiesa con un buco nel tetto. Ogni volta che Rain tirava fuori la discussione del come si fosse creato, Zack cercava di cambiare argomento.
«Perfetto, allora. Aerith, puoi dire a Elmyra che torneremo per cena.» avvisò la fidanzata, sfiorando e poi afferrando con calma una delle sue mani, molto più piccole delle proprie.
Lei chinò il capo. «Mi piacerebbe venire con voi, qualche volta.»
Fu Rainiel a rispondere.
«Anche a noi piacerebbe che venissi, ma potrebbe rivelarsi troppo rischioso. Non vogliamo che ti accada nulla di male.» le spiegò, prima di ammiccare in direzione della casa. «Elmyra ci farebbe a fettine, se succedesse.»
Tutti e tre si concessero qualche secondo per ridere, dopodiché Aerith si sollevò sulle punte il più possibile per baciare la guancia di Zack.
«Allora fate presto. Dopo cena potremmo fare una passeggiata tutti insieme, o fare visita ai bambini della Casa Verde.» propose.
Il ragazzo le rispose annuendo e ricordandole che non avrebbero comunque impiegato molto. Più venivano assoldati, più riuscivano a guadagnare, e più potevano aiutare Aerith, Elmyra e gli altri bisognosi del distretto in cui vivevano.
A saluti terminati, i due ex-SOLDIER si misero in marcia. Lungo la strada, Zack osservò di sfuggita Rain.
«Sono contento che tu ad Aerith andiate d'accordo. Sembrate quasi... sorelle.» notò, muovendo le mani mentre parlava per enfatizzare il concetto.
Rainiel, che si era di nuovo distratta, dovette attendere di elaborare il suo commento prima di pensare a una risposta. Una che si rivelò semplice e diretta.
«È una ragazza molto dolce. È difficile non volerle bene.»
«Lo è.» ridacchiò lui, prima di sollevare un sopracciglio e darle uno scherzoso buffetto sulla spalla, «Ma tu hai sempre la testa altrove. E, ahimè, credo di sapere a chi corrisponda questo "altrove".»
L'amica dovette arrestare la sua camminata. Strinse le mani a pugno e si morse la lingua, guardandosi i piedi coperti da comodi scarponcini color camoscio adatti al movimento.
«Scusami...» mormorò. Di nuovo. Si scusava sempre, di qualsiasi cosa. Avvertì quel suo continuo ripetersi e strinse le palpebre. «Io... Non è facile. Siete una bellissima coppia, Elmyra fa il possibile per noi, gli abitanti sono molto gentili, ma...»
Respirò a fondo e con calma, per evitare di sfogarsi e di lasciar prendere il sopravvento alle emozioni.
«Ma non è la stessa cosa, senza di lui. Soprattutto dopo tutto quello che avete passato insieme.» Zack completò la frase per lei e si avvicinò per scompigliarle i capelli, tentando di strapparle un sorriso.
«Tornerà. Per te, tornerà sicuramente.» le ricordò.
Gli occhi lucidi di Rainiel si alzarono su di lui. Non titubanti, al contrario. Quella frase le infuse speranza.
«Sì.» si ripeté allora, cercando di donargli quel sorriso che si aspettava da lei. «Manca poco. Ne sono certa.»
Inspirò a pieni polmoni, dopodiché lasciò andare l'aria. La sua mente parve liberarsi come un cielo dopo la pioggia, finalmente privo dei nuvoloni grigi.
Doveva solo essere paziente. Il momento stava per arrivare. Glielo aveva promesso. E Rainiel si fidava completamente di Sephiroth.

 


image

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Visitatore ***


Capitolo 2
VISITATORE

 

Nibelheim era una cittadina bella e tranquilla, un paesino in cui poter condurre una vita semplice ma anche pacifica. Le piccole case che la componevano, dalle pareti di legno chiaro e i tetti a spiovente, si trovavano alle falde del Monte Nibel, e circondavano una piccola piazza con al centro una grande cisterna. Da lassù, il panorama era magnifico. Specialmente la notte.
Le stelle che brillavano su Nibelheim non erano poche e flebili come quelle visibili da Midgar. Il cielo su Gaia era un abbraccio di colori che spaziava tra il nero, il blu e il magenta, una scia luminosa in continuo movimento. Un vero spettacolo.
Gli occhi di Cloud, però, erano posti su un soggetto più interessante.
La sua amica d'infanzia era cambiata parecchio, nel tempo in cui lui era stato via. Anche se al momento indossava ancora uno dei suoi tipici abiti lunghi e che sapevano già di estate, i suoi muscoli erano più delineati, i suoi movimenti più sicuri, anche mentre dondolava spensierata le gambe nel vuoto oltre la cisterna. I suoi occhi scarlatti esploravano l'infinito cielo notturno, le sue tinte accattivanti come fossero quelle di un quadro dipinto da un'entità superiore.
Non si accorse di essersi imbabolato guardandola finché lei non si ravviò una ciocca mora dietro un orecchio e lo osservò a sua volta, lasciandosi sfuggire una risatina.
«Ho qualcosa tra i capelli, per caso?» domandò scherzosa, mentre lui batteva le palpebre e scuoteva la testa, trattenendosi in ogni modo possibile per evitare di arrossire. Si strinse nelle proprie braccia. A Nibelheim, in quel periodo dell'anno, fortunatamente faceva abbastanza caldo. Di notte però le temperature scendevano, e fu grato di aver tenuto il maglione smanicato reduce delle sue avventure da fante della Shinra. Una storia che si era lasciato alle spalle, per tornare al suo paese natio.
«No, non è niente. Stavo solo pensando...» provò a dire, ma la sua improvvisazione fallì prima ancora di nascere. Quando posò di nuovo gli occhi su di lei, non riuscì a reggere il confronto più di qualche secondo. Comunque non lo diede a vedere, schiarendosi la gola e ammiccando in direzione della strada.
Gli occhi rossi di Tifa erano puntati su di lui. Non un colore maligno, ma intenso e dolce. Profondo come l'anima della persona che li sfoggiava.
Cloud dovette mordersi l'interno delle guance per non distrarsi di nuovo. «... che si sta facendo tardi. Dovremmo tornare a casa.»
Era già passata l'ora della cena. Da quando il ragazzo aveva fatto ritorno a casa, solitamente Tifa passava le sue giornate con lui, ignorando spesso gli altri giovani uomini del paesino che richiedevano costantemente le sue attenzioni. Dopotutto era una ragazza molto carina, ma sin da piccola sembrava interessata a farsi notare un po' da lui. Cloud la considerava... una cara amica. Anche se stare in sua compagnia lo faceva sentire in un modo che non avrebbe saputo definire.
Ecco perché tornare era stato così difficile. Le aveva fatto una promessa, tanto tempo fa. Sarebbe diventato un SOLDIER. Sarebbe sempre tornato da lei per salvarla nel caso in cui fosse stata in pericolo.
Non era riuscito nel suo intento. Non era mai stato ammesso nella divisione. Ma Tifa sembrava tenere più alla seconda parte della promessa. Era contenta che Cloud fosse tornato. Così tanto che ormai passavano insieme intere giornate. A volte Claudia, la madre del ragazzo, la invitava persino a dormire a casa loro, e lei non diceva mai di no.
Nibelheim era così: piccola, accogliente... e dava una sensazione di calore, di famiglia. Anche se Cloud si sentiva limitato, incompreso, in quel posto.
Tifa annuì energicamente e lasciò oscillare le gambe un'ultima volta. Poco dopo il ragazzo la vide saltare giù dalla cisterna. Un salto folle e pericoloso, per un principiante. Tanto che gli saltò il cuore in gola.
Tuttavia, la donna atterrò saldamente sui piedi, flesse i polpacci e sfiorò il terreno con le dita, ricomponendosi e togliendo con qualche colpetto qualche piega qui e là sul suo nell'abito. Era fresca come una rosa.
«Allora? Vieni o no?» invitò con un'altra mezza risata l'amico a raggiungerla.
Cloud aveva la bocca spalancata, l'espressione tesa.
A volte dimenticava quel che Tifa gli aveva detto: mentre lui era via, aveva preso lezioni da un maestro di arti marziali locale. Non sapeva impugnare una spada, o qualsiasi altra arma, ma era diventata piuttosto brava con le nocche e i calci. Sembrava piccola e fragile, ma conservava in sé una forza spettacolare.
Riprendendo fiato per lo spavento, Cloud la imitò e atterrò accanto a lei. Anche lui si era allenato, ma continuava a preferire le lame al combattimento corpo a corpo.
Tifa intonò una piccola canzone a labbra serrate e attese che lui la affiancasse prima di procedere verso casa sua, che non era a molti passi di distanza dalla piazzetta sterrata in cui si trovavano.
A volte passavano intere ore così, senza parlarsi. Andavano in giro, passeggiavano nella cittadina e nei boschi tutt'attorno, si avventuravano sulla montagna, non troppo in alto, e non si scambiavano una parola. Eppure, la loro compagnia era fondamentale l'uno per l'altra. Sembrava che si dicessero così tanto, senza neanche esprimersi a parole. L'unico problema era che Cloud si sentiva lontano anni luce da lei. Tifa era... semplicemente perfetta. Forte, bella e coraggiosa. Continuava a pensare che, se avesse tentato di diventare una SOLDIER, lei ci sarebbe riuscita.
«Potrei fermarmi da te e Claudia, stasera.» mormorò Tifa, vedendolo più perso nei suoi pensieri del solito. Sapeva che Cloud tendeva a tenere la testa tra le nuvole, ma non glielo faceva mai notare. Anche in quel caso, si limitò ad aprire un nuovo argomento così che lui la guardasse e le rispondesse.
Cloud non riteneva strano che la ragazza dormisse a casa sua. La stanza degli ospiti era sempre libera e, a volte, capitava che in piena notte i due si incontrassero in cucina o si arrampicassero insieme sul tetto per respirare l'aria piacevolmente fredda. Ammiravano l'alba e, ogni tanto, Tifa si addormentava con la testa poggiata su una spalla del ragazzo. Così, lui lasciava riposare gli occhi e aspettava che il sole sorgesse del tutto, e che il gallo iniziasse a cantare, prima di disturbarla.
«Certo, va benissimo.» le rispose infatti, vedendo la porta della sua casa. Sempre di poche parole. Un po' intimidatorio, per chi non lo conosceva bene.
«E poi potremmo aiutare il turista, accompagnandolo sulla montagna.» propose. Il Monte Nibel non era un luogo esattamente sicuro, e il padre di Tifa non era contento che la figlia desiderasse tanto di avventurarsi verso la cima. Un'occasione del genere sarebbe stata quella giusta per partire in esplorazione.
Ma Cloud non era al corrente di un certo dettaglio.
«Turista?» ripeté infatti, raggiungendo l'uscio e fermandosi. «Non sapevo che ci fosse un turista, in città.»
Tifa sollevò le spalle, attendendo mentre lui bussava con calma alla porta. Le luci all'interno erano accese, per cui Claudia doveva essere ancora sveglia.
«Gira voce che sia arrivato uno sconosciuto, qualche ora fa. Nessuno è riuscito a osservarlo a dovere, sembra un tipo sfuggente. Forse è solo di passaggio, ma potremmo cercarlo e proporgli un giro turistico.» si spiegò meglio.
Il ragazzo strinse i denti, massaggiandosi il mento. Non era convinto della spiegazione fornitagli dall'amica, e non voleva che lei si cacciasse nei guai per cercare un estraneo che si comportava in maniera insolita. Ecco perché rilassò i muscoli, arrendevole.
«D'accordo, ti accompagnerò.» accettò, reprimendo un sorrisetto quando la vide addolcirsi e ringraziarlo. Rimanendo con lei, aveva pensato, l'avrebbe protetta nel caso in cui l'uomo si fosse rivelato pericoloso.
Lei sembrò molto contenta della sua risposta. Strinse le palpebre sui grandi occhi, dopodiché legò le mani dietro la schiena e si volse in direzione della porta quando sentì che qualcuno la stava aprendo dall'interno. Quando notò un ciuffo biondo simile a quello dell'amico, poi, schiuse le labbra per salutare.
«Buonasera, Claudia. Mi chiedevo se potessi restare da voi per...»
«Cloud.»
Il fante sussultò quando sentì la voce della madre chiamarlo in tono così serio. Avrebbe osato dire preoccupato. Come se tremasse.
Si sporse per vederla fare capolino dallo stipite, le labbra serrate. Osservava Tifa come a volerle chiedere scusa per averla interrotta ma, allo stesso tempo, chiedeva silenziosamente alla ragazza di tornare a casa. Sarebbe stato meglio così, almeno per quella sera.
«Che succede, mamma?» domandò a bassa voce il figlio, comprendendo che qualsiasi cosa l'avesse fatta agitare tanto, quel momento si trovava in casa loro.
«C'è... una persona. Ha chiesto di te. Io non ho...»
Claudia lasciò la frase a metà. Come se, ovviamente, non potesse parlare in maniera del tutto libera.
Le sue parole confusero il giovane.
«Una persona? E chi sarebbe?»
Ma soprattutto, pensò in sé, le ha fatto del male? Se così fosse stato, sarebbe stato lieto di spezzare ogni singolo osso di chiunque avesse osato mettere le mani addosso a sua madre.
Eppure, Claudia sembrava stare bene. Era pallida, stanca, confusa come se avesse tante domande e, chiunque fosse alle sue spalle, non avesse risposto a una sola di esse. Ancor di più, sembrava estremamente sorpresa.
«Credo che sia meglio se entri. Ha detto di volerti parlare in privato.» continuò lei.
Tifa era, di gran lunga, la più disorientata dei tre. Cloud pensò che fosse indecisa sul da farsi, così provò ad aprir bocca per chiederle gentilmente di tornare a casa, per il suo bene. Lei, tuttavia, puntò in risposta i piedi a terra, ancor prima che potesse fiatare. Tanto bastò a fargli capire cosa intendesse con quel gesto: Io non mi muovo da qui.
Voleva difendere Cloud e sua madre. Se c'era da affrontare un nemico, lei era pronta a tutto.
Il fante non se la sentì di impiegare altro tempo per insistere, così poggiò una mano sulla porta e la spinse. Cigolò, mentre Claudia si allontanava da essa per fare entrare il figlio e la sua amica.
L'espressione sul viso di Cloud era truce, come quella di cucciolo di leone che cerca di imparare a ruggire. Doveva riuscirci.
Non aveva spade con sé in quel momento, ma ne aveva conservata una in casa. Gli sarebbe bastato muoversi verso la parete e l'avrebbe trovata lì. Questo la rassicurò.
Eppure, tutta la sua determinazione svanì dal volto insieme al colorito quando notò, effettivamente, chi fosse la persona che lo stava cercando. Comprese in quell'attimo stesso che il turista sfuggevole di cui Tifa gli aveva raccontato non era, in realtà, neppure un turista. Anche non conoscendo bene Nibelheim, sarebbe riuscito a muoversi tranquillamente come se quelle terre gli appartenessero. C'erano mostri, sulla montagna, ma nessuno che potesse creargli problemi.
Lo comprese grazie alla lunga katana d'acciaio che, attualmente, riposava legata al suo fianco sinistro.
Il tavolo e tutte le sedie erano sgombere, ma lui attendeva in piedi, la schiena appoggiata contro una delle pareti portanti della casa, oltre il ripiano della cucina che separava l'area da pranzo dal soggiorno. Con i suoi lunghi capelli chiari, del colore della superficie lunare, la pelle candida e perfetta e il tessuto lucente dei suoi vestiti corvini, risaltava perfettamente sullo sfondo delle pareti scure della casa. Le luci all'ingresso si riflettevano nelle sue iridi del colore della mako. Pupille serpentine guizzarono rapide ma calme su di lui, lo squadrarono dai piedi alla testa per assicurarsi che si trattasse proprio del ragazzo che stava cercando. Con le braccia conserte, raddrizzò appena il capo e si lasciò sfuggire un mezzo sogghigno quando lo vide tremare.
«Da quanto tempo... Cloud.»
La sua voce fu appena un sussurro, ma l'aria vibrò come se temesse quel simbolo.
Lo conosceva. Cloud lo conosceva, e sapeva che non era un suo nemico, perlomeno non più. Anche se quell'uomo aveva quasi ucciso due suoi cari amici, un tempo, aveva anche combattuto al loro fianco per proteggerli. Era stato con lui nel Drum, mesi prima, quando avevano affrontato Hojo nel cuore del labirintico laboratorio. Con loro c'era anche Rainiel. Se non fosse stato per quella ragazza, Cloud avrebbe continuato a temere il Generale di SOLDIER, un angelo caduto che aveva voltato le spalle a Midgar, alla Shinra.
Nonostante non percepisse intenti ostili in lui, date le sue spalle rilassate, le palpebre leggermente calate, con le lunghe ciglia nere che cadevano sulle brillanti iridi - anche se in realtà sarebbe stato in grado di sfoderare la sua katana e ucciderlo in meno di un secondo -, Cloud continuava, però, a sentirsi inquieto. Forse perché non si era ancora ripreso del tutto dalla guerra cui non apparteneva, ma in cui si era tuffato per difendere ciò in cui credeva, forse perché ricordava le condizioni in cui Zack e Rainiel si erano ritrovati dopo essere stati attaccati da lui, o magari semplicemente perché aveva davanti a sé un eroe creduto morto o disperso, che mai e poi mai avrebbe immaginato di vedere a Nibelheim. La sua forza era schiacciante, permeava l'intera casa, ma era qualcosa di naturale. Non era lui a tentare di sembrare spaventoso. Lo era e basta.
«... Sephiroth.» chiamò quindi, riconoscendolo. Non riuscì a muovere passi verso di lui.
L'uomo dai capelli argentati nascose il pallido sorriso che aveva sfoderato e tornò serio. Si mise in piedi, spostandosi in avanti. I lembi della sua lunga uniforme nera frusciarono placide.
Osservò lui, poi Claudia, infine Tifa. Parve studiarli tutti e tre, domandarsi quale fosse il legame che li univa. Quando comprese, senza fiatare, tornò a guardare Cloud. In attesa.
«Sephiroth? L'eroe di guerra Sephiroth?» esclamò Tifa, forse la meno nervosa, ora che aveva conosciuto l'estraneo di cui Claudia aveva parlato. Si trattenne dall'indicarlo con un dito, gesto che non sarebbe risultato tanto educato, ma rivolse all'amico una smorfia confusa.
Cloud stravedeva per Sephiroth, un tempo. Erano state le sue gesta a ispirarlo e convincerlo a partire per Midgar, era stato l'inizio del suo sogno, quello di diventare un SOLDIER. Un eroe come lui.
L'ex-Generale respirò a fondo, senza sciogliere la stretta delle braccia, l'una sull'altra. Comprendeva lo stupore della ragazza, decisamente più giovane di lui, ma non aveva tempo da perdere con i convenevoli.
«Ho saputo che vuoi parlarmi in privato.» si schiarí la voce Cloud, muovendo un passo avanti giusto per evitare che l'unica cosa a frapporsi tra lui e il guerriero fosse proprio Tifa.
«Esatto.» affermò pragmatico lui.
«Andiamo fuori.» concordò lui allora. Non aveva più ragione di temerlo, a meno che la sua battaglia con Hojo non fosse stata solo una messinscena, ma si fidava abbastanza di Rainiel da sapere che, secondo lei, Sephiroth era una brava persona. Una che meritava una seconda possibilità. Rain gli aveva già concesso quella occasione ma, stavolta, toccava a lui. E quale occasione migliore di comprenderlo più a fondo se non ascoltando ciò che aveva da dire?
L'uomo alto, vestito in abiti scuri, con due cinghie che gli coprivano l'ampio petto allenato e un lungo colletto che gli sfiorava i lati della mandibola, mise su un'espressione compiaciuta. Benché sembrasse, per propria natura, minaccioso e intimidatorio... Cloud comprese che la sua felicità era reale. Quasi come se avesse avuto modo di ricongiungersi con un vecchio amico.
Così gli fece strada, sotto gli occhi allibiti di Claudia e Tifa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Monte Nibel ***


Capitolo 3
MONTE NIBEL
 
Tifa protestò poco prima che i due guerrieri uscissero di casa. Disse che aveva compreso che qualcosa non andava, che voleva restare al fianco di Cloud e che non avrebbe rivelato nulla a nessuno, se si fosse trattato di un'informazione privata riguardante la Shinra o qualsiasi altro argomento. Questo perché era preoccupata, e voleva proteggere il suo amico.
Era bastato un solo sguardo di Sephiroth per dissuaderla dalla sua idea. Cloud sentiva ancora crescere in sé quell'istinto protettivo, ma non obiettò. Se Tifa fosse rimasta in casa con Claudia, lui si sarebbe sentito più tranquillo.
Così, iniziò quella strana passeggiata a tarda notte. La piazza di Nibelheim era illuminata dalle tenui luci dei lampioni, ma la mako che fluiva negli occhi ferini dell'ex-Generale era di gran lunga più brillante.
Non aveva assolutamente idea di cosa gli stesse passando per la mente. Così, tenendosi a debita distanza e cercando di non lasciare che la voce si piegasse per il timore, iniziò quella conversazione.
«Dunque?» mormorò appena, senza osservarlo, «Perché sei a Nibelheim?»
Sephiroth camminava pacato, senza alcuna fretta. Osservava le case circostanti e i loro tetti a spiovente, il bosco che si arrampicava sul versante della montagna. Nella linea infinita dell'orizzonte brillavano stelle che raccontavano di un mondo lontano, i confini del creato.
«Prima di darti le dovute spiegazioni,» cambiò argomento con fare distratto, il suo viso inespressivo, «ho una domanda da porti.»
Cloud si morse un labbro. Non amava essere ignorato, neanche da colui che, per tutta un'infanzia, era stato il suo eroe, il suo punto di riferimento. Averlo attorno lo metteva ancora in imbarazzo.
«Di che si tratta?» continuò comunque. Non era il caso di farlo arrabbiare.
Stavolta, gli occhi d'acqua brillante sferzarono la penombra e si posarono su di lui, dall'alto. In termini di statura, Cloud era costretto ad alzare il viso per dialogare con lui, arrivava a malapena all'altezza del suo petto.
«Rainiel.» pronunciò lui. Per un attimo, solo un attimo, il tono della sua voce si fece più dolce, più vulnerabile. Subito dopo, però, s'indurì di nuovo, tornò profondo e forte. «Hai sue notizie?»
Il ragazzo lo studiò attentamente. Notò che sembrava sinceramente interessato a ciò di cui aveva chiesto. Addirittura, che avesse bisogno di udire una risposta positiva, come se fosse in pena da tanto tempo.
Tuttavia, dovette scuotere il capo.
«Non ho più visto lei e Zack dal giorno in cui sei partito. Mi hanno scritto una lettera, qualche mese fa, per cui tutto ciò che so è che abitano entrambi nei bassifondi del Settore 5 di Midgar.» raccontò i piccoli dettagli che ricordava di quel messaggio scritto in una grafia troppo graziosa e curata per appartenere al suo vivace migliore amico, «Sinceramente, pensavo che li avessi già raggiunti da tempo.»
Dopotutto, il tempo era volato, e con esso i giorni, le settimane, le stagioni... ancora qualche mese e sarebbe passato un anno, dalla sua fatidica partenza, una ricerca della redenzione, tentativo di compiere le decisioni giuste ora che tutto poteva ricominciare.
Ascoltando le sue parole, Sephiroth calò le palpebre sugli occhi e chinò il mento, inspirando a fondo. La sua fronte si contrasse impercettibilmente.
«Pensavo anch'io che l'avrei fatto.» lasciò intendere le sue intenzioni, prima di riprendersi e irrigidire di nuovo i muscoli per assumere una postura più composta e severa.
«Non hai risposto alla mia domanda.»
Cloud si arrestò proprio mentre gli dava quel promemoria. Non aveva senso percorrere a piedi lo spiazzo attorno alla cisterna. Forse avrebbero finito anche per girare e rigirare attorno agli argomenti.
«Perché sei a Nibelheim?» ripeté.
«Ho scoperto di essere nato qui.» rispose prontamente lui, come se rivelare quei segreti del suo passato non lo turbasse più, non adesso. In effetti, mentre ammirava quelle case e quel panorama notturno, poté giurare di sentirlo... familiare. Anche se era stato lì solo da bambino, e solo per poco tempo. In breve era stato portato a Midgar, sottoposto agli esperimenti, controlli e test del professor Hojo. Quattro anni più tardi, aveva tenuto tra le braccia una neonata di cui non conosceva neppure il nome, ma che sapeva di dover proteggere. La situazione non era cambiata poi così tanto.
«Ma ho bisogno di più informazioni. Ho fatto molte ricerche, negli ultimi tempi. Ho saputo che il reattore mako del Monte Nibel presenta un malfunzionamento.»
Cloud chinò la testa. In realtà, oltre che un profondo senso si sorpresa data la scoperta, provò un po' di compassione per lui. Dopo tutto quello che aveva trascorso, stava ancora cercando ogni piccolo tassello che potesse condurlo al grande mosaico che rappresentavano le sue origini. Se non altro, non era più ossessionato dalla sua natura come un tempo. Stava, anzi, elaborando pian piano ogni particolare terrificante appartenente alla sua infanzia, e a ciò che l'aveva preceduta. Mesi di ricerche e ipotesi. Secoli prima, l'arrivo sul pianeta di una misteriosa creatura. Era davvero triste che dovesse inseguire così qualcosa che, per la maggior parte delle persone, era naturale. Avere ricordi di un sé bambino, per esempio: mentre Cloud veniva cullato dalle calorose braccia della madre, tra le mani di Sephiroth veniva messa una spada. Sotto la sua pelle, aghi e tubi. Su di lui, una doccia di mako che gli prosciugava via ogni energia.
Comunque, non capiva come tutto ciò potesse essere collegato a Nibelheim, dunque glielo chiese.
«Ho un'ipotesi da confermare.» si limitò a dire lui, fermo su due piedi a sua volta. Lo guardava tranquillo, le mani lontane dalla Masamune, katana leggendaria che solo lui sapeva maneggiare.
«Per farlo, ho bisogno di qualcuno che mi guidi fin lì.» terminò poi.
Il giovane dai capelli biondi sussultò. Non era uno sciocco, per cui sapeva bene che quella era, a tutti gli effetti, un'implicita richiesta. Gli stava... chiedendo un favore.
Proprio lui, l'eroe di guerra Sephiroth. Sempre ammesso che così volesse essere ricordato...
Eppure, era a conoscenza dei rischi.
«La strada per il reattore è pericolosa e disseminata di mostri.» gli raccontò ciò che sapeva, ricordando quando, da bambini, lui e Tifa avevano avuto una terribile esperienza tra quei boschi e le vie ripide e nascoste del monte. La ragazza era stata in coma per un'intera settimana dopo essere scivolata lungo il crinale. «Inoltre, i cittadini hanno già comunicato il malfunzionamento a Midgar. La Shinra invierà presto una squadra ad occuparsene. Che accadrebbe se ci trovassero lì? Tu ed io siamo entrambi disertori, pubblicamente considerati dispersi o morti in missione.»
«Oh, Cloud. Se anche ci trovassero...» con un movimento sinuoso, la mano guantata di Sephiroth si spostò verso l'elsa della katana, come se volesse sfiorare l'aria che la circondava, «... dubito fortemente che deciderebbero di crearci problemi.»
Se anche avesse cercato di non rendere palese il brivido che lo attraversò, Cloud non sarebbe riuscito nell'intento. Non dubitava di una sola parola tra quelle che uscirono dalle sue labbra.
«Quando intenti partire?» si limitò a domandare, ancora titubante.
«Il prima possibile.» rispose l'altro, «Voglio risolvere in fretta questa faccenda. Sono stato via troppo a lungo.»
Il più giovane sapeva benissimo a cosa stesse alludendo con quelle parole. Il suo tono verteva ancora verso note malinconiche, cariche di solitudine. Per quanto potesse sembrare freddo, spaventoso e irraggiungibile, nel suo petto batteva un cuore umano, vivo, che desiderava ciò molti altri volevano. Soprattutto, bramava una vita normale. Un po' di conforto e di pace, al fianco delle persone a lui care.
«Domattina.» propose quindi Cloud, che non sarebbe stato in grado di rifiutare neppure se quel guerriero davanti a lui avesse perso quel suo aspetto minaccioso.
Il viso di lui parve illuminarsi, almeno un po'.
«Domattina andrà bene.»

 
Così, all'alba del nuovo giorno, Cloud e Sephiroth si ritrovarono al limitare della cittadina di Nibelheim. Sephiroth aveva trascorso la notte in una piccola locanda dall'altro lato della piazza, e il biondino fu condannato ad addormentarsi a un orario inimmaginabile, poiché Tifa lo trattenne per ore intere, interrogandolo sui minimi dettagli della loro conversazione. Alla fine, la ragazza era tornata a casa sua per non disturbarlo. Per quanto potesse essere curiosa, non era invadente e sapeva che Cloud stava semplicemente facendo un favore a una persona che, forse, avrebbe potuto chiamare "amico". Non le dispiaceva che ne trovasse qualcuno.
Il fante aveva rindossato i suoi vecchi indumenti, con lo spallaccio un po' malconcio e un maglione attillato e smanicato che Zack gli aveva regalato tempo prima. Una cinghia di cuoio scura legava il coprispalla a una spessa cintura in vita, sotto la quale ampi pantaloni andavano a infilarsi in stivali pesanti, adatti al terreno scosceso della montagna. Il Generale, d'altro canto, aveva un aspetto impeccabile come sempre. Anche in passato, quando il più giovane non si perdeva un singolo telegiornale o articolo su carta nella speranza di vederlo, o di vedere una sua foto, e di sentirgli pronunciare quelle poche parole che concedeva ai microfoni e alle telecamere, Sephiroth non sembrava avere un difetto. Non solo perché avesse, di fatto, un DNA alterato che migliorava ogni suo singolo tratto dalla nascita, donandogli forza, abilità e persino un'apparenza sovrannaturali, ma anche perché sembrava abituato a dover essere sempre pronto a dimostrare qualcosa a qualcuno. Questo gli dispiacque un po'.
Si incamminarono in silenzio lungo la strada di cui Tifa gli aveva parlato. Cloud sapeva che aveva lavorato come guida turistica, in passato, anche se non si era mai spinta troppo lontana da Nibelheim, specialmente su ordine di suo padre. Le sue indicazioni si rivelarono corrette.
Il Monte Nibel era un luogo spettrale, via via che ci si avvicinava alla cima l'odore della mako si faceva più forte, l'erba moriva, gli alberi sparivano. Ben presto il bosco si fece più simile a una landa desolata, un cimitero in cui non v'era spazio per alcuna forma di vita. I due procedettero per ore, parlando raramente e solo per chiedere informazioni o avvisare l'altro di eventuali pericoli.
C'era un ponte, molto vicino alla cima, che minacciò di cedere sotto i loro piedi. Fortuna volle che, essendo loro solamente in due, le tavole di legno ressero il peso. Sephiroth tagliò le corde che lo reggevano dopo che lui e Cloud l'ebbero attraversato, spiegando che sarebbe stato pericoloso per altri turisti in futuro, e che loro avrebbero cercato un'altra strada al ritorno.
Finalmente, raggiunsero la sommità della montagna. Il picco si allungava in ramificazioni scure, macabre, come rami d'alberi spogli o dita ossute che si alzavano verso il cielo nuvoloso. Il reattore era lì. In parte, scavato nella roccia della parete montuosa.
Sephiroth non poté fare a meno di paragonare, nella sua mente, quel luogo alla montagna che lui e il suo gruppo avevano scalato a Darefall, quel fatidico giorno di quasi un anno prima. L'anno in cui era avvenuta la frana, e Rainiel aveva perso i suoi genitori. Si pentì di aver trascorso così poco tempo con lei, di averla lasciata sola senza pensare al fatto che avrebb sentito quella pesante solitudine. Anche se con lei c'era Zack, non avrebbe dovuto farlo. Se le avesse chiesto di andare con lui, molto probabilmente, gli avrebbe risposto di sì senza pensarci due volte. Eppure, Sephrioth aveva davvero bisogno di quel tempo per se stesso. Gli ultimi mesi erano stati duri, ma gli avevano dato una possibilità di introspezione che l'aveva aiutato a schiarire i pensieri, ad alleviare i suoi sensi di colpa.
Ora che era lì, sapeva di dover avere pazienza un'ultima volta, doveva solo fare un altro sforzo, e poi il suo esilio volontario sarebbe terminato. Avrebbe rivisto la donna che lo attendeva da così tanto tempo. La sua allieva, la sua salvezza.
Così, facendosi forza ripensando ai dettagli del suo volto, dei capelli rossastri e mossi, ricordando il suo temperamento ribelle, il carattere testardo, la sua espressione determinata... fu lui a pensare di dover tentare di essere coraggioso come lei.
Si mosse, salì i gradini che l'avrebbero portato all'ingresso.
Dietro di lui, Cloud recuperava le energie. Tra un respiro e l'altro, aprì la bocca per parlare.
«La porta è sigillata. Hai pensato a un modo per-?»
Un clangore riecheggiò sordo nell'aria fredda. Fu una saetta d'acciaio, un baluginio rapido come un colpo d'ala, un battito di ciglia.
La porta metallica era a pezzi. Crollò ai piedi del Generale in una pioggia di macerie.
Sephiroth osservò Cloud da sopra una spalla, la katana ancora stretta nella mano mancina, immobile e silenziosa.
«... Una domanda sciocca.» si rispose da sé il biondo, scuotendo la testa e raggiungendolo. Si fermò solo un attimo per osservare impressionato la sua opera. Dopodiché entrarono.
Il reattore mako era un labirinto di tubi, scale e piccoli passaggi in metallo. Avanzando fino al suo cuore, si ritrovarono in una sala obliqua. Tubi rossi e violacei spuntavano dal pavimento come grandi vene sanguigne, collegavano capsule di contenimento scientifiche che, si presupponeva, avevano il compito di condensare la mako per trasformarla in materia. Le capsule presentavano piccole finestrelle da cui filtrava un'intensa luce dello stesso colore degli occhi di Sephiroth. Disposte su più file, le prime più in basso e le altre via via sempre più in alto, e divise da un'altra gradinata in una sezione di sinistra e una di destra, culminavano con una parete scura, su cui si rifletteva la luce bluastra e verdognola che regnava in quel luogo da incubo.
Al centro v'era una grande porta. Sopra di essa, un'enorme scritta a caratteri maiuscoli, una che fece accapponare la pelle a entrambi.
Lessero, con il fiato sospeso e il cuore in gola:
"Jenova." 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chi non muore... ***


Capitolo 4
CHI NON MUORE...

 
Sephiroth, per la prima volta in vita sua, tremò per la paura di ciò che lo aspettava. Non perché temesse per la propria vita, al contrario, aveva fiducia nelle proprie capacità e sapeva che, qualsiasi cosa fosse accaduta, sarebbe stato in grado di proteggere se stesso e Cloud senza problemi. Piuttosto, quella porta chiusa davanti a sé rappresentava un'incognita della sua vita che si portava avanti sin dalla nascita.
Poteva quasi sentire quel sottile legame attraversare la barriera metallica, un tocco delicato sulla sua mente, una voce melodiosa e persuasiva che chiamava con affetto il suo nome. Lo attirava, inevitabilmente.
"Madre." formulò quella parola nei suoi pensieri mentre fissava gli occhi sul nome a caratteri cubitali di Jenova, posto sopra l'arcata d'ingresso.
Finalmente, si disse. Dopo tutti quegli anni, finalmente poteva incontrare la fonte di tutto ciò che era sempre stato. Il motivo, la ragione della sua esistenza. Era la risposta alla sua più grande domanda.
Quando Cloud, alle sue spalle, lo chiamò per nome, fu come se un fulmine gli fosse caduto sul petto.
Si sentì confuso, riportato bruscamente alla realtà, e indietreggiò di un passo quasi rischiando di inciampare sul gradino più alto, a qualche passo dal suo stivale.
«Va tutto bene?» gli domandò il ragazzo. Notava che il Generale aveva socchiuso gli occhi, portando la mano destra a una tempia, come se l'avesse colto un'emicrania.
«Sì.» ribatté lui, non volendo preoccuparlo, ma continuò comunque a sentire quello strano magnetismo. «Sto bene.»
Ricordò ciò che Rainiel aveva cercato di fargli capire mesi prima. Jenova non era sua madre. Si trattava di una pericolosa creatura aliena e, se per lui e lei valevano le stesse regole che si applicavano a Rain e l'alieno Yoshua, allora v'era il rischio che uno dei due prendesse il sopravvento sull'altro. Sephiroth non voleva rischiare di diventare il burattino di quel mostro. Allo stesso tempo, tuttavia, non poteva lasciare quel posto senza incontrarla. S'impose, però, di resistere solo un altro po'.
«Dobbiamo scoprire da cosa ha origine il malfunzionamento, o la mako in fuoriuscita causerà gravi problemi alla zona e a Nibelheim.» diede indicazioni a Cloud, che annuì comprensivo e ridiscese le scale per occuparsi di quell'incarico prima di entrare nella sala di Jenova.
Sephiroth si volse per proseguire lungo una delle file di grandi capsule grigie. Il fluido luminescente attraversava la spessa finestrella che permetteva di sbirciare all'interno. Così, diede un'occhiata. Ciò che vide non lo sorprese affatto, al contrario, confermò i suoi dubbi.
Cloud aveva trovato l'origine del problema: una valvola malfunzionante che stava alterando il processo a base di mako del reattore.
All'improvviso, comunque, si sentì chiamare dal Generale e, confuso, lo raggiunse.
«Ho dato un'occhiata alla valvola. Non era poi così grave come problema, quindi-»
Il gesto successivo dell'uomo più adulto lo zittì, anche se non voleva essere burbero né irrispettoso. Si fece solamente da parte, prima di indicare con una mano la finestrella. Sul suo volto era possibile leggere chiaro disgusto.
«Guarda.» mormorò solamente.
Cloud gli scoccò uno sguardo non del tutto convinto, ma fece come richiesto. Dovette sollevarsi sulle punte dei piedi per raggiungere il vetro, ma guardò comunque all'interno della capsula.
Dopodiché indietreggiò, quasi perdendo l'equilibrio. Il suo viso si trasformò in una maschera di orrore. Emise un verso basso e intimorito, cui Sephiroth non reagì. Non lo giudicò. Lui si sentiva allo stesso modo, era solo più bravo a nascondere le proprie emozioni. Dentro di sé, però, il suo cuore vacillava. La sua mente rischiava per l'ennesima volta di frantumarsi, di farsi annebbiare dalla rabbia e dal dolore.
Aveva visto un volto e un corpo deformi. Smorfie mostruose, pelle ruvida, scura, come pietra. E occhi che, di umano, non avevano più nulla.
«Che diamine è quella creatura?» domandò con voce affannata dalla paura il più giovane.
«Adesso? Solo un altro dei giocattoli del professor Hojo. Un esperimento, un numero di una lunga serie.» gli diede risposta l'uomo dai capelli argentati, contraendo i muscoli della fronte. «Ma prima... prima era una persona qualunque. Un essere umano innocente.»
Senza tremori né esitazione, appoggiò la mano destra sul fianco della capsula. Rainiel gli aveva insegnato a badare agli altri, a sentire ciò che sentivano le altre persone. Così sentì tutta la sofferenza contenuta in quella cella, come se fosse la propria. Separò le labbra e strinse i denti, furente. «Hojo è morto, fortunatamente. Queste sono state le sue ultime vittime. Non permetteremo che accada di nuovo qualcosa del genere.»
Pronunciò quel nome con sdegno, benché fosse cosciente di star parlando del suo padre biologico. Il genitore che lui stesso aveva ucciso, mesi prima, nel Drum dell'edificio Shinra. Un genitore che, comunque, si rifiutava di riconoscere.
Cloud era inorridito, ma scostò l'attenzione dalla finestra quando vide che il più grande si stava premendo una mano sulla tempia, stringendo gli occhi.
Quel legame, quel richiamo... si fece più forte e insistente nell'attimo in cui trasformò in parole un pensiero.
«Mostri...» sillabò, affaticato, «Forse io... non sono poi così diverso da loro.»
Cloud osò persino sfiorargli una spalla, pur di farlo tornare in sé. Non era il caso di lasciarlo abbandonarsi alla tentazione dell'odio e della vendetta.
«Tu non sei come loro.»
Quando pronunciò quelle parole, l'altro ebbe una breve visione. Vide davanti a sé la giovane donna che, in pochi mesi, era diventata la sua unica ragione di sopravvivenza. L'unico motivo per cui non era diventato come Jenova: ostile e malvagio.
Non sei un mostro, gli ripeteva lei afferrando le sue braccia e facendo incontrare i loro sguardi. Intendeva davvero ciò che diceva, Tu non sei un mostro, Sephiroth. La scelta è solo tua.
«...mia...» bisbigliò in tono così basso che Cloud neppure poté udirlo.
Scosse la testa, ringraziando il cielo che, questa volta, il suo alleato e i ricordi di Rainiel lo avessero riportato con i piedi per terra, e riprese fiato.
«Venire qui è stato un errore. Se il problema è risolto, possiamo andarcene.» esclamò tutto d'un tratto.
Il biondo strabuzzò gli occhi.
«Ma... credevo che volessi vedere Jenova... »
«Questo non è il momento adatto.» si spiegò lui, «È troppo... forte.»
Sentiva la sua voce pulsargli nella testa, chiamarlo figlio, promettergli potere e giustizia. Poteva udire i suoi sussurri, che gli chiedevano di liberarsi della feccia che lo circondava. Uccidere Cloud, poi cercare e fare lo stesso con Zack. Con Rainiel. Eliminarli tutti, e diventare suo erede. Il prescelto, padrone del mondo.
Una parte di lui avrebbe voluto ascoltarla, fare come chiedeva. Era la parte più profonda e buia della sua anima, il mostro che viveva dentro di lui e che tentava di domare da tanto, troppo tempo. L'altra implorò, supplicò che quella voce lo lasciasse in pace. Intimò che non voleva nulla del genere, che non avrebbe mai fatto del male alle uniche persone che gli erano rimaste vicine nonostante tutto. Non poteva commettere due volte lo stesso errore.
«Sephiroth...» Cloud lo chiamò di nuovo, notando i suoi occhi aperti, l'espressione angosciata. Il Generale aveva affondato le dita nei capelli grigi e sembrava intrappolato nella sua stessa mente. Il suo corpo iniziò a tremare. «Sephiroth, stai bene?» chiese di nuovo a quel punto, prima di cercare di afferrare il suo braccio per tirarlo via, «Andiamo via. Non importa.»
Sephiroth tentò di riprendere il controllo di sé. Non voleva lasciarsi sopraffare di nuovo. Se Jenova avesse fatto breccia nella sua testa, nei suoi pensieri e nel suo spirito proprio in quel momento, forse avrebbe ucciso il ragazzo innocente che era lì con lui. Non si sarebbe mai perdonato una cosa del genere.
Il più giovane tentò di condurlo verso i gradini. Erano ancora di spalle rispetto all'ingresso, quando due piume nere fluttuarono davanti agli occhi azzurri del fante.
Cloud catturò un lampo rosso con la coda dell'occhio.
«Mio amico, prendi il volo adesso? Verso un mondo che entrambi ci teme?»
Quella voce.
Quella frase.
Una freccia che trafisse Sephiroth al petto, una consapevolezza che sfiorava i limiti dell'assurdo.
Una figura vestita di nero e scarlatto discese dal soffitto, appoggiandosi con grazia al suolo. Una maestosa ala nera si estendeva dalla sua spalla sinistra. Davanti a essa era protesa una mano guantata. In quella destra, stringeva una spada dall'elsa corvina e la lama rossa, come la lunga giacca che arrivava fino alle caviglie. Sul petto, due cinghie nere sovrastavano un maglione e uno stemma che poteva ricondurre a una sola fonte: SOLDIER.
«Tutto ciò che ti attende è un triste domani. Non importa dove possano soffiare i venti.»
Occhi bluastri coronavano un amaro sorriso tirato o, per meglio dire, un ghigno feroce.
L'angelo nero che li aveva sorpresi nel reattore del Monte Nibel li osservò in silenzio, soddisfatto dell'entrata drammatica di cui era stato capace.
«O potrei dire, per adattarmi alla situazione: te ne vai di già, amico mio?»
Sephiroth aveva ancora il busto lievemente piegato in avanti, il volto stanco della lotta nella sua mente, ma alzò comunque la testa per osservare l'uomo appena giunto, sbiancando come se stesse osservando un fantasma.
«...Genesis.» chiamò il suo nome. Il nome... di un amico.
Lui chiuse gli occhi, compiaciuto. Come se gradisse sapere di non essere stato dimenticato.
«Ne è passato di tempo, Sephiroth.» salutò, ignorando completamente Cloud che rimase immobile al suo posto, ancora troppo confuso per affiancare il suo viso a un ricordo. Eppure, il volto di Genesis era piuttosto famoso: tendeva a essere posto proprio accanto a quello di Sephiroth, sui notiziari e sui giornali di Midgar. Del mondo intero, anzi. L'unico problema... era che era fosse stato affiancato, tempo prima, al titolo "deceduto in missione".
«È il caso di dire "Chi non muore si rivede".» ridacchiò piano lo smilzo SOLDIER di prima classe, lasciando che la mano libera affondasse nei capelli color ruggine per poi ravviare il ciuffo sulla sinistra della fronte. Un gesto molto teatrale.
Sephiroth era semplicemente sconvolto. Come se non bastassero i sussurri malvagi dell'aliena contenuta nel reattore, presenza di cui sospettava e motivo per il quale era andato sin lì, ora si ritrovava davanti un vero e proprio fantasma del passato. Gli sembrava di essere bloccato in una dimensione onirica dalla quale non poteva ancora risvegliarsi. Ad ogni modo, osservò l'ala nera spiegata, simile alla sua, anche se apparentemente più sottile e dalle piume più affilate, adatte a un volo più rapido, e anche la spada rossa stretta in mano, e comprese che Genesis non era lì per un'amichevole rimpatriata.
«L'ultima volta che ci siamo visti, in effetti, ti implorai di offrirmi le tue cellule. Stavo morendo lentamente, la degradazione del mio corpo poteva essere fermata solo da quelle. Mi sarebbe bastato persino un tuo capello, una minima goccia di sangue, ma tu...» Genesis scosse la testa, osservandolo con evidentemente disprezzo, «... rifiutasti. Me lo ricordo bene. Credevi che sarei morto?»
Anche il volto di Sephiroth s'inasprì. In lui sentiva un carico di rabbia che non gli apparteneva. Uno che, sapeva bene, gli era dato dalla vicinanza della Madre. Allungò un braccio per fare cenno a Cloud di restare dietro, e il ragazzo si allontanò stringendo le labbra in una linea, spaventato.
«L'ultima volta che ci siamo visti, hai cercato di uccidere me e Zack.» ribatté a tono il Generale, facendo appello alla resistenza di cui era capace la sua mente per sopportare gli stimoli furiosi che provavano a convincerlo. «Perché sei tornato?» chiese senza mezzi termini, riconoscendo davanti a sé un nemico, più che un vecchio amico.
Genesis mimò una smorfia. «"Perché"? Il "come" non t'interessa affatto?» finse dispiacere, lasciando che l'ala nera battesse un singolo colpo, per dare enfasi alle proprie parole.
«No, per nulla. Immagino tu sia qui per ragioni tutt'altro che benevole. Mostrami quali sono, dunque, così porterò a termine ciò che la degradazione non è riuscita a fare.» minacciò apertamente l'altro.
Sephiroth lo osservava giudizioso, bello e freddo come un giovane dio in attesa della battaglia. Se ne stava su quei gradini, a guardarlo dall'alto, e Genesis lo odiò profondamente per questo.
Lo aveva sempre guardato dall'alto. Tutta quella fama, tutto quel potere, tutto l'amore che riceveva dalla miriade di persone che, a ogni sua apparizione pubblica, scuotevano le braccia e gridavano il suo nome come se lui fosse stato il solo ad aver salvato le loro vite.
Quella sua arroganza... quel suo sentirsi ed essere l'eroe più importante al mondo... lo disgustavano.
Ecco perché sollevò le spalle e, con un sorriso amaro, mormorò: «Se tieni davvero tanto a sapere perché sono qui...»
I suoi freddi occhi azzurri incontrarono quelli verdi di Sephiroth in un guizzo, un baluginio appena visibile. «... ti accontenterò.»
Una folata di vento sferzò l'aria, causando un'onda d'urto così potente che Cloud fu sbalzato via, contro una capsula, e si coprì il viso e il petto per ripararsi. Piume corvine vorticarono nell'aria sospesa, maestose e messaggere di discordia. Infine, la saetta color rubino calò come una sentenza di morte sulla testa di Sephiroth, che osservava immobile.
Genesis aveva attaccato con una velocità impressionante. Estremamente elevata.
Ma non abbastanza da cogliere impreparato lui.
Un clangore metallico fece dolere i timpani del giovane fante lì vicino, che osservò colto dallo stupore.
Sephiroth reggeva la Masamune con una sola mano, la sinistra, e parava il colpo senza battere ciglio, i suoi muscoli erano rigidi ma non sembravano faticare sotto la pressione imposta da Genesis, ancora sospeso a mezz'aria, che cercava di ferirlo mentre si librava verso il soffitto con l'ala nera che oscillava leggera nell'aria.
I due si contestarono l'attacco per qualche breve centesimo di secondo, un arco di tempo che tuttavia parve un'eternità, dopodiché il viso dell'ex-Generale si rabbuiò. Piegò il gomito, la stoffa lucida e nera della lunga giacca si piegò, attaccandosi alla pelle delle braccia, il bicipe che si contraeva per scagliare la mossa che aveva in mente. Con un gesto tanto potente quanto leggiadro, Sephiroth rispedì Genesis al pianerottolo inferiore, spingendolo via con la lama della Masamune.
Lui tossì un brevissimo lamento, atterrando su entrambi i piedi, le ginocchia piegate e un palmo sul pavimento. Si ricompose immediatamente, allungando una mano verso l'avversario che continuava a essere più in alto rispetto a lui. Tra le dita nacque una luce calda, misteriosa. Canalizzò in quella mano le sue energie per sferrare un attacco magico. Dopodiché... spostò il braccio per mirare altrove. Più precisamente, in direzione di Cloud. Una mossa davvero meschina.
Sephiroth strinse le labbra e saltò in direzione del ragazzo ancora steso a terra e con la schiena contro la cella da laboratorio. Lo afferrò con un braccio, mentre il raggio di luce veniva lanciato in sua direzione. Balzò via tirando con sé il più giovane un attimo prima che venissero entrambi colpiti, dovendo accettare di lasciare andare Cloud a un atterraggio non particolarmente morbido. Il biondo ruzzolò a terra, emettendo un basso lamento, e Sephiroth si volse appena in tempo verso Genesis da notare che era stato abbastanza veloce da prendere ancora una volta la mira. Il fascio luminoso procedette verso di lui, che schivò in un soffio. L'incantesimo, tuttavia, gli sfiorò una spalla, bruciandogli di striscio la pelle del braccio. Sephiroth si ritrasse, stringendo appena gli occhi ma non osando dare segni evidenti di sofferenza. Poteva sopportare dolori peggiori di una semplice e lieve ustione.
Afferrò meglio l'impugnatura della katana, si protese in avanti e scattò verso Genesis.
Lui schivò il primo colpo, poi parò il secondo mentre indietreggiava. Al terzo fendente, la Masamune penetrò nel muro dietro di lui a pochi centimetri dalla sua gola. Genesis aveva la schiena schiacciata contro quella stessa parete. Senza abbassare il mento, posò gli occhi sul suo riflesso nell'acciaio freddo e brillante della spada e scoprì i denti. Comprese che Sephiroth non stava mancando il bersaglio per semplice errore. Lo stava... risparmiando.
«Combatti ancora come se fossi l'eroe?» sibilò, spingendolo via con un calcio al petto.
Mentre il guerriero vestito di nero era costretto a indietreggiare, Genesis si scostò, trovando un luogo più sicuro in cui pensare al suo prossimo attacco.
Nonostante ciò, si ritrovò subito braccato, come se Sephiroth non avesse affatto accusato il colpo. Stavolta faticò a difendersi, per cui i suoi piedi strisciarono sul pavimento e rischiò di perdere l'equilibrio. Ruotò su se stesso, per tentare un attacco vorticante alle gambe del SOLDIER di prima classe, ma lui era già alle sue spalle. La Masamune soffiò come una vipera a un palmo dal suo naso, mentre il disertore dai capelli rossi inclinava indietro la schiena per abbassarsi e risparmiare la gola da quell'attacco furente.
Furente. Esattamente. Genesis si sentì spiazzato. Sephiroth non combatteva mai con rabbia, riusciva a sembrare calmo e ad avere sangue freddo anche nei contesti più stressanti. Benché il loro ultimo incontro risalisse a molto, molto tempo prima, si rifiutava di pensare che il suo vecchio amico fosse cambiato così tanto.
Un altro fendente. Un'altra parata di fortuna. Ennesimo affondo, ennesima schivata miracolosa. Genesis iniziava a non sopportare più i ritmi dell'uomo contro cui stava lottando.
Lo guardò negli occhi. Quegli occhi che erano sempre stati gelidi, placidi e atoni... ora si stringevano, infastiditi. Sembrava che volesse umiliarlo, per costringerlo ad andar via.
Come un instancabile predatore, Sephiroth riprese fiato in silenzio e attese la sua prossima mossa falsa.
Genesis non sapeva che a renderlo tanto aggressivo fosse, in realtà, quella voce nella sua mente che, ora estremamente vicina e concreta, gli ordinava di versare sangue, di non esitare. Forse si stava addirittura trattenendo, per evitare di ucciderlo.
Che insulsaggine. Genesis aveva sempre odiato quel suo sguardo sicuro, aveva invidiato - anche se mai lo avrebbe ammesso - quelle sue abilità, e l'arroganza con la quale si presentava sempre.
Era perfetto. Sotto ogni minimo punto di vista, Sephiroth era impeccabile, agli occhi di chiunque. Quando ancora entrambi, e Angeal, facevano parte dell'élite di prima classe di SOLDIER, anni prima, benché non vi fosse uno di loro che avesse titoli più rilevanti rispetto agli altri due, lui era sempre sotto i riflettori. Infine, era stato nominato Generale di SOLDIER. Aveva segnato le sorti di una guerra, conquistato la nazione nemica, ed era diventato il simbolo di Midgar: chi vi abitava lo amava. Chi voleva distruggerla, lo temeva.
Quanto odiava quella situazione... non tollerava che si comportasse sempre così: come se nulla al mondo potesse scalfirlo. E ora osava persino risparmiarlo, come se fosse già scritto che avrebbe perso quella battaglia? Non poteva accettarlo. Anche se, riconobbe, farlo infuriare di più non sarebbe stata una buona idea, pensò comunque di tentare. Solo per non essere trattato con sufficienza.
«Sembri accanito, Sephiroth.» disse mentre sollevava una mano per indicargli di farsi avanti, una provocazione che non sortiva effetti su di lui, «Vuoi farmi credere che ti stai limitando a costringermi a scappare con la coda fra le gambe solo perché hai altro a cui pensare? Cerchi di proteggere qualcuno?»
Un punto debole... doveva trovarne uno, premere il tasto dolente.
Lo trovò, in un groviglio di sensazioni e ricordi che appartenevano a un lontano passato. Quello... sarebbe stato ottimo.
«Forse... la mia giovane allieva? Ho sentito che ti sei ammorbidito, ultimamente. È stato merito suo?» azzardò un sorriso, alzando pian piano la testa, «Rainiel... chi l'avrebbe mai detto. Ho sentito che è diventata piuttosto importante per te.»
Nel sentire pronunciare quel nome, nel sentirlo mormorato tra le sue labbra, Sephiroth s'irrigidì. La stanza fu pervasa di una tensione così densa da sembrare palpabile. Il suo oscuro e profondo potere lo circondava come un'aura invisibile, un avvertimento. Non parlare di lei. Un ordine tacito e, in sé, al contempo, un dovere autoimposto: proteggere Rainiel da qualsiasi minaccia. Almeno su questo Genesis non aveva parlato a vanvera.
Poi, però, osò troppo. Superò qualsiasi limite di sopportazione di cui Sephiroth era capace. Campanello d'allarme, considerata la sua infinita pazienza.
«Vuoi sapere perché sono qui, Sephiroth? Te lo dirò, dunque.» quasi bisbigliò, ma fu abbastanza da essere recepito forte e chiaro, «Sono tornato per te... e per lei. So dove si trova. So che cos'è. E penso proprio che andrò a farle visita molto presto.»
Quella minaccia fu troppo, ma non fu Sephiroth a pensarlo. No, lui neanche ragionò più di tanto sulle sue parole. Tutto ciò che poté fare fu affidarsi all'istinto. Farsi divorare da quei sussurri che lo persuadevano.
Fu Genesis, al contrario, ad accorgersi di aver esagerato. Non aveva mentito, niente affatto, dato che quella era la missione che la scienziata sua carceriera gli aveva imposto, ma dosò le parole per renderle abbastanza provocatorie da fare perdere la testa al Generale.
Aveva sentito la loro storia. Dopo la diserzione di Genesis, Rainiel era diventata allieva di Angeal, poi di Sephiroth, che si era proposto spontaneamente come suo mentore. Da quel momento i due avevano trascorso moltissimo tempo insieme, si erano protetti e salvati a vicenda, dai nemici e da se stessi. Non conosceva i dettagli, ma sapeva che, adesso, erano ben più di un semplice maestro e la sua apprendista.
Non credeva, però, che quella Rainiel potesse significare tanto per lui. Non aveva mai pensato a una donna capace di stare al suo fianco, di tenergli testa e allo stesso tempo di dargli pace in quella vita caotica.
Sottovalutare il suo legame con la ragazza fu un errore che gli costò grave.
Sentì un rumore sordo, un dolore bruciante ai polmoni che si espandeva alla schiena e alle spalle. La sua spada era ancora stretta nel pugno, ma il braccio che la reggeva era tenuto a terra dal peso dello stivale lucido di Sephiroth, che con un ginocchio, intanto, premeva sulle sue costole. Genesis era stato atterrato e, benché avesse ancora un braccio libero, gli fu presto comprensibile che gli sarebbe servito a ben poco. A sfiorare il suo palmo chiaro v'era la punta della katana, un'arma elegante e leale, mortale nelle mani del suo possessore. Ora, minacciava di infilzare la gola del guerriero a terra. Gli occhi serpentini di Sephiroth erano bui, offuscati dall'astio. Non sembravano neppure i suoi... avevano un aspetto diverso.
«Non ho idea di cosa tu voglia da Rainiel,» cominciò a bassa voce, un tono graffiante e che scandì bene ogni singola parola, specialmente il nome pronunciato, quasi come in un ringhio, «ma starai lontano da lei, se hai a cuore la tua vita.»
Persino Cloud temette per la propria incolumità, nel sentire quelle parole. Furono esclamate in tono basso, tutt'altro che irato, ma scavarono fin sotto la sua pelle, insieme a un'orrida sensazione di paura e di quel tremendo potere che si espandeva lentamente nel reattore.
Genesis spalancò gli occhi, contro ogni sua aspettativa, e per un attimo rimase senza fiato e senza parole. Sentì il mondo vacillare attorno a lui, la pelle d'oca invadergli il corpo. Tuttavia, non perse la sua sfrontatezza. Anzi, la usò a proprio vantaggio, insieme a quel sentimento che colse nella voce di Sephiroth.
«Sembri davvero molto legato alla ragazza. Ma dimmi...» sorrise mellifluo, «credi che lei la pensi allo stesso modo? Che starà per sempre con un mostro come te?»
Quella domanda non piantò il seme del dubbio, ma scosse profondamente il guerriero argentato. Sentì di nuovo quella voce che lo chiamava, ricordò cosa aveva fatto qualche mese prima. Rimembrò le fiamme, e il sangue, la sensazione che aveva provato nel tornare in sé e scoprire che aveva ridotto Rainiel in fin di vita. Ricordò quanto si era odiato, e come aveva giurato di odiarsi per sempre, quando l'aveva tenuta tra le braccia, morente, e aveva cercato di curarla prima di fuggire via come un vigliacco.
Perso nei ricordi, la sua vista si offuscò, lo tradì. E Genesis non chiedeva di meglio.
«Sephiroth!» provò a chiamarlo per avvisarlo il giovane Cloud, persino lanciando in avanti una mano, ma non fece in tempo.
Un gomito colpì Sephiroth alla gola, costringendolo a indietreggiare e a stringersi il collo mentre tossiva, e con un calcio Genesis lo fece barcollare via, prima di spalancare di nuovo la maestosa ala e librarsi in cielo.
Quando Sephiroth riaprì gli occhi, era già scomparso. Ma riecheggiava, nel reattore, la sua voce cantilenante e vittoriosa:
«Benché il domani sia arido di promesse, nulla impedirà... il mio ritorno.»
Un giuramento, un avvertimento.
Uno che fece ribollire il sangue nelle vene del Generale.
Ancora una volta, ciò che aveva a cuore finiva nel mirino di un nemico. O, per meglio dire, di un vecchio amico...
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Oltre la solitudine ***


Capitolo 5
OLTRE LA SOLITUDINE

 
Genesis si lasciò dietro nient'altro che una muta pioggia di piume nere e un avvertimento.
Il malfunzionamento nel reattore del Monte Nibel era ormai stato riparato, per cui Sephiroth si limitò a raccogliere la sua Masamune e a dirigersi fuori dalla struttura in poche, rapide falcate. Il suo viso era una maschera di placida, fredda furia. Ignorò il dolore dovuto ai colpi subiti in combattimento, tanto da dimenticarlo in fretta. Ignorò anche la voce di Cloud che si librava alta alle sue spalle.
«Sephiroth, aspetta! Quello... quello era...?»
Ma in risposta ebbe solo silenzio, il rumore degli stivali del Generale che calpestavano il terreno con andatura decisa. Comprese che aveva già pensato alla sua mossa successiva. Terminata la lotta fisica, ne iniziava una di strategia.
Lo inseguì, ammutolendosi e sperando che non fosse tanto arrabbiato da mettere a ferro e fuoco il villaggio.
Persino ore più tardi, quando raggiunsero effettivamente Nibelheim, il SOLDIER si limitò a entrare nella locanda dove aveva trascorso la notte senza spiccicare una parola, facendo però quasi prendere un infarto alla povera receptionist che lo sentì di colpo spalancare la porta d'ingresso, e senza fermarsi si diresse al piano di sopra, in camera, e non ne uscì se non qualche minuto dopo, con una piccola sacca in spalla. Conteneva i pochi averi che portava con sé in ogni suo viaggio, perlopiù provviste, pozioni, qualche Materia e qualsiasi altra cosa potesse essere considerata essenziale in missione.
Cloud attendeva, ancora indolenzito e confuso, proprio sull'uscio, le spalle contro la parete esterna dell'albergo.
Si ritrovò di nuovo Sephiroth accanto, ma di nuovo lui non lo degnò di uno sguardo. Quando notò il bagaglio, però, gli si parò davanti, trovando il coraggio di chiedergli spiegazioni.
«Stai ripartendo? Sul serio?» sfidò cercando di non dare troppo a vedere il tremolio che gli attraversò la schiena.
Sephiroth strinse gli occhi, abbassandoli su di lui. Sembrava infastidito. Andava di fretta.
«Esatto. Immediatamente.» sillabò appena, muovendo un altro passo.
Cloud, però, non si arrese. Lo ostacolò di nuovo.
«Vuoi scherzare? Non hai... non mi hai nemmeno dato uno straccio di spiegazione riguardo quanto è successo!» esigette.
Le labbra del più adulto divennero una sottile riga rosea. Con un movimento fluido del braccio, lasciò cadere a terra la sacca e mosse rigidamente la mano per enfatizzare le sue parole.
«Questo è perché ne so quanto te, non credi?»
Nervosismo. Ecco cosa c'era nella sua voce.
Cloud indietreggiò, ma non se ne rese neppure conto. Piuttosto, sollevò le sopracciglia.
«Ma dovrai pur avere una teoria, giusto? Quell'uomo... era Genesis, no? Faceva parte della prima classe di SOLDIER. Era un tuo caro amico, e ora...!»
«Genesis» alzò appena la voce il Generale, sbrigandosi a correggerlo, «non è un mio amico.»
Una parte di lui faticò nel pronunciare quella frase. L'altra... ribolliva ancora di autentica rabbia.
Cloud mosse su e giù la testa, distogliendo lo sguardo e sospirando. Tentò di comprendere il suo punto di vista.
«Quindi vuoi dargli la caccia. Dico bene?» domandò.
Sephiroth concentrò la sua attenzione sulle montagne in lontananza, divise da una macchia verde di fronde e prati dall'immenso e luminoso cielo mattutino.
«È stato piuttosto specifico nel delineare le sue intenzioni.» gli ricordò, «Dato che non può ferirmi direttamente, tenterà di fare del male a Rainiel. Riesci a capirlo, questo?» tentò di spiegargli, ma non riuscì comunque a sembrare calmo come al solito. Si poteva chiaramente notare il suo petto gonfiarsi e sgonfiarsi a ogni respiro in modo agitato.
Di nuovo, il biondo non poté che annuire in silenzio.
«Allora comprenderai anche il perché io voglia partire seduta stante per tornare a Midgar.» proseguì al suo posto l'altro, scandendo con precisione ogni parola. Non ammetteva obiezioni.
Cloud non poté che massaggiarsi il collo. Fissò un punto casuale del terreno che di colpo gli sembrò particolarmente interessante.
«...Sì, capisco.» mormorò, o forse borbottò quelle poche parole. «Ma...»
L'uomo dai capelli argentati fece appello alla propria pazienza. A volte non sapeva se definirla infinita o molto, molto scarsa. Probabilmente dipendeva dalle situazioni.
«Ma?» gli fece eco, tenendo le labbra separate e il mento alto.
«Forse... non dovresti andare da solo.» disse con un fil di voce lui.
Sephiroth non poté che corrugare la fronte. Aveva capito bene?
«Cloud,» chiamò allora, provocandogli un sussulto, «Mi stai per caso chiedendo di portarti con me a Midgar?» non temette di chiedere.
Lui serrò i denti e si graffiò accidentalmente il collo, per cui riportò entrambe le mani lungo i fianchi.
Nibelheim... era stato bello tornarci. Non aveva visto sua madre e Tifa per molto tempo, dal giorno in cui era partito per unirsi a SOLDIER. E il motivo per cui era partito in primo luogo era proprio perché voleva diventare un eroe. Un eroe come il leggendario Sephiroth, lo stesso Sephiroth che ora attendeva risposta davanti a lui. Nibelheim era la sua casa - la casa di entrambi, ricordò - ma in realtà nessuno dei due era tagliato per vivere in un luogo come quello. Il villaggio avrebbe volentieri fatto a meno di Cloud, comunque, da sempre considerato un emarginato. Dunque...
«Non conosco bene Genesis» spiegò quindi, «ma so che non è un avversario da sottovalutare. Inoltre, ha minacciato di ferire i miei amici. Zack, Rain... se non fosse per loro, magari Hojo mi avrebbe trasformato in una delle sue cavie. Magari sarei rimasto un fante ignaro degli orrori commessi dalla Shinra. Grazie a loro... ho aperto gli occhi. Ho salvato innumerevoli vite. Ed è questo che fanno gli eroi.»
Con tutto il coraggio che aveva in corpo, sollevò lo sguardo per incontrare quello di colui che era stato il suo idolo, il suo esempio. Da giovane la sua unica aspirazione era... essere esattamente come Sephiroth. Un'idea sciocca, forse, dato che lo stesso Generale avrebbe volentieri fatto a meno di essere se stesso, una macchina da guerra assoggettata alle folle, costantemente osservata, eppure sempre costretta alla solitudine.
Tuttavia, Cloud aveva combattuto con lui e aveva capito che essere eroi non significa vincere le guerre o eliminare il maggior numero di nemici. Aveva visto Sephiroth lottare con ardore, mettere anima e corpo in una guerra che era risultata nella salvezza di molte persone innocenti, una guerra mossa a Hojo, e soprattutto... sapeva che aveva fatto tutto ciò, prima che per qualsiasi altra cosa, per Rainiel.
Non poteva definire perfettamente il legame che univa lui alla sua cara amica, ma sapeva che si trattava di qualcosa di forte e resistente, che non poteva essere spezzato. Un po'... riteneva di dover fare la stessa cosa per Tifa. Per proteggere anche lei. E sua madre. Se Genesis avesse attaccato la città, anziché il reattore, come sarebbe andata a finire? Avrebbe ucciso qualcuno, avrebbe fatto del male alle persone cui voleva più bene? Scoprirlo era un rischio che non voleva correre, motivo per il quale non aveva dubbi in merito. Sì, sarebbe partito con Sephiroth. Sarebbe tornato a Midgar.
L'uomo dai capelli argentati comprese il suo sguardo determinato e non poté fare a meno di reprimere un piccolo sorriso. Cloud lo incuriosiva, parecchio. Lo aveva sorpreso, e questo non era un evento da poco. L'ultima volta che una persona era riuscita a sorprenderlo a quel modo, si trattava di Rainiel, e Sephiroth le aveva proposto di diventare la sua allieva. Chissà, magari le loro avventure gli avrebbero permesso di studiare meglio quel giovane fante e capire per quale assurdo motivo non fosse stato ammesso prima nella divisione di SOLDIER.
«Se è questo che desideri, non ti ostacolerò.» incrociò le braccia dunque, rivolgendosi al ragazzo, e con il mento mimò un gesto verso l'altro lato della piazza cittadina, lì dove prendeva posto la casa di Cloud. «Prepara un bagaglio quanto più leggero possibile. Dovremo viaggiare veloci.» gli concesse quindi.
Impossibile descrivere il sorriso che Cloud sfoggiò in quel momento. Era così impaziente e carico di emozioni che per poco non saltò sul posto. Mosse le mani e balbettò qualche vago ringraziamento, dopodiché gli voltò le spalle per correre a casa e fare come gli aveva detto. Era certo che non stesse mentendo e che l'avrebbe aspettato lì finché non fosse stato pronto.
Tuttavia, per poco non andò a sbattere contro un'altra persona, una che strinse le braccia al petto e si allontanò con un piccolo balzo, tossendo una breve scusa.
Cloud la aiutò a reggersi prima che perdesse l'equilibrio... e sbiancò.
«Tifa? Che ci fai qui?» esclamò.
Sephiroth, dietro di lui, alzò un sopracciglio. Aveva appena visto la ragazza fare capolino da un angolo della locanda, l'espressione preoccupata. A giudicare dal suo sguardo, sapeva già benissimo per quale motivo si era rivelata per parlare con loro.
«Io... ecco...» Tifa si schiarí la voce, stringendo le mani a pugno e piantando saldamente i piedi a terra, forse per darsi più coraggio. «Girava voce che foste tornati, quindi vi stavo cercando per sapere del reattore e del malfunzionamento. Poi, però, non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione... scusatemi, mi dispiace di aver origliato.»
Chinò la testa, le labbra strette così come gli occhi, ma Cloud le poggiò una mano sulla spalla per convincerla a ricomporsi.
«Vuoi... vuoi davvero ripartire, Cloud? Sei tornato a casa solo da pochi mesi...» domandò poi al diretto interessato.
Il ragazzo si sentì stringere il cuore, nel momento in cui la guardò in viso e notò la tristezza nei suoi occhi. Sembrava davvero dispiaciuta di dovergli dire addio di nuovo.
«I miei amici sono in pericolo... ricordi Zack, Rainiel? Te ne avevo parlato.»
Tifa annuì, quindi lui continuò.
«Un uomo molto pericoloso ha dichiarato di voler dar loro la caccia e... loro hanno fatto così tanto per me, non posso abbandonarli proprio adesso e fare finta di nulla.»
Cercò di farle capire come si sentiva, parlando in maniera quanto più sincera possibile.
Tifa mosse un passo avanti. Inevitabilmente, lui cercò di nascondere il rossore che pian piano gli colorava gli zigomi.
«Non ti chiederei mai una cosa del genere! So che devi partire per una giusta causa, ma... anche io sono una tua amica, giusto? Ricordi la promessa che mi hai fatto?»
Timidamente, Cloud guardò altrove e calò le palpebre sugli occhi.
«... Sì, certo.»
La ragazza gli mostrò un sorriso grazioso.
«Quindi non puoi abbandonare neanche me, vero?»
Con più determinazione, pose le mani sui fianchi e sollevò la testa.
«Ecco perché verrò con voi e vi darò una mano a sconfiggere Genesis!»
All'unisono, due voci la assordarono.
«Non se ne parla.» dissero in coro Cloud e Sephiroth. Quest'ultimo rimase qualche passo indietro, il viso buio e severo. Mise i brividi alla ragazza, ma l'idea che Cloud fosse lì le donò il coraggio di cui aveva bisogno.
«Andiamo! Non vi causerò problemi, dico sul serio!» provò a pregarli, piegando le labbra.
«Questa non è una missione adatta ai dilettanti, signorina. Non credere che le nostre avventure siano gioiose e semplici come lo sono nei libri che leggi o nelle storie che ascolti.» Sephiroth fu esaustivo con quei termini. «È troppo pericoloso, e non voglio rischiare delle vite inutilmente.» sintetizzò poi.
Ma Tifa non sembrava voler cedere.
«Non sono una dilettante. Negli ultimi anni mi sono allenata nel combattimento con il maestro Zangan. Conosco le arti marziali, e so come difendermi. Ve ne darò prova, se verremo attaccati.»
Sephiroth sospirò. Voleva partire il prima possibile, e non aveva tempo per discussioni del genere. Non mentre Genesis si dirigeva, forse in volo, a Midgar.
«Se verremo attaccati, non ti posso assicurare che potremo proteggerti. Non hai idea delle sorprese che Genesis potrebbe riservarci. Sorprese tutt'altro che gradite.» tentò di dissuaderla ancora.
Cloud annuì a sua volta.
«Sarai più al sicuro qui, Tifa. Ti prometto che tornerò a casa non appena...»
«No!» Tifa prese un profondo respiro e lo guardò, i grandi occhi scarlatti che lo imploravano di darle ascolto. «Io... non voglio più rimanere a casa, fare da guida turistica, mentre aspetto il tuo ritorno. Io voglio fare parte delle tue avventure, Cloud. Vorrei vedere il mondo oltre Nibelheim. E...» sorrise poi, «mi piacerebbe molto conoscere i tuoi amici.»
Cloud si sentì colpire al cuore da quelle parole. Non era sua intenzione trascurare Tifa, né lasciarla continuamente indietro. Da bambini, creavano le proprie avventure e a volte finivano nei guai. Ma lo facevano sempre assieme. Anche quando Cloud non era visto di buon occhio dagli altri abitanti del paesino. Tifa... era sempre lì con lui. Averla con sé sarebbe stato solamente un piacere, ma aveva paura che potesse succederle qualcosa. Non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato. E non sarebbe stato l'unico a odiarsi...
«E tuo padre?» le domandò. Sapeva bene quanto Brian Lockhart potesse essere protettivo nei confronti della figlia. Inoltre, non aveva mai covato una particolare simpatia per lui.
«Non sono più una bambina,» sbuffò Tifa, pensando a ciò che avrebbe potuto dirle, «Mio padre capirà. Sa che posso cavarmela.»
Cloud sospirò, e infine spezzò quel legame visivo. Una risposta più che sufficiente per la coraggiosa ragazza, che dondolò soddisfatta sui talloni e gli scoccò un occhiolino.
«Grazie per la fiducia!» ridacchiò un po', dopodiché si piegò in avanti, si sporse sulle punte degli stivali e lasciò un rapido bacio sulla guancia dell'amico.
Cloud divenne una statua di pietra a quel contatto, ma sentì comunque un brivido corrergli su per la schiena e il viso cambiare colore, tanto che percepì il calore delle guance e della fronte.
Tifa, però, non rise di quella sua reazione, ma corse subito via.
«Vado a prepararmi! Ci metterò un attimo!» alzò la voce per farsi sentire mentre scuoteva un braccio in aria. Sparì oltre la cisterna e si diresse a casa, non perdendo un minimo del suo entusiasmo.
Cloud non si mosse di un centimetro, gli occhi ben aperti e un senso di imbarazzo totale che lo inglobava.
Eppure, neanche Sephiroth riuscì a trattenere un sogghigno. Capì benissimo cosa stesse succedendo tra i due, e decise crudelmente di girare un po' il coltello nella piaga.
«Una ragazza alquanto testarda.» commentò infatti, «Spero tu sia un tipo paziente, Cloud.»
E chi, meglio di lui, avrebbe potuto spiegargli quanto fosse difficile avere a che fare con una giovane donna tanto caparbia? Tifa e Rainiel avevano molto in comune, da questo punto di vista.
Il fante scosse la testa per risvegliarsi da quello stato di confusione e non si girò neanche a guardarlo, sperando che il suo viso avesse ripristinato il colore originario. Speranza piuttosto vana.
«T- Torno subito!» balbettò mentre anche lui si dirigeva alla casa della madre.
Sephiroth dovette nascondere le labbra con il dorso di una mano coperta dal guanto nero in modo quanto più discreto possibile. Superata la necessità di ridere, chinò la testa e andò a cercarsi un posto in cui attendere che i due arrivassero, nella speranza che non impiegassero troppo tempo.
Mentre camminava, realizzò qualcosa che cambiò il suo punto di vista. Non era più... solo. Dopo tanti mesi trascorsi a spostarsi negli angoli più reconditi del mondo pur di trovare le ultime Copie-R e, soprattutto, pur di trovare il tanto agognato perdono per se stesso, adesso aveva... delle persone con sé. Non era abituato a nulla del genere, tanto che non sapeva esattamente come avrebbe dovuto sentirsi. Eppure, poté giurare di provare un minimo di... felicità. Aveva vissuto nella solitudine per gran parte della sua vita, e poi aveva conosciuto...
Quasi ebbe l'impressione di sentire Rain, lì con lui, tirargli uno scherzoso colpo di fianco per strappargli una risata.
Si strinse un braccio. Non avrebbe saputo descrivere a parole quanto lei gli mancava. In ogni istante, sperava di avvicinarsi di più al momento in cui l'avrebbe rivista, l'avrebbe stretta a sé. Ma Rainiel era di nuovo in pericolo. Tutti loro le erano.
E lui si sarebbe assicurato che quella volta... fosse l'ultima. Non l'avrebbe più lasciata. Non si sarebbe mai più sentito solo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ritorno ***


Capitolo 6
RITORNO

Rainiel afferrò al volo un bambino che rischiò di inciampare mentre saltava sullo pneumatico un po' sgonfio di una vecchia auto, lasciato nello spiazzo davanti alla Casa Verde per diventare parte di un piccolo parco giochi improvvisato. Il piccolo non poteva avere più di quattro anni di età, e si era chiaramente lasciato prendere dall'entusiasmo del gioco appena inventato dai bambini più grandi. Lo prese in braccio, passandogli una mano sui capelli per controllare che stesse bene.
«Attento a dove metti questi piedini, Jared!» ridacchiò afferrando la punta della scarpetta del bimbo, che rise dimenticando la paura della caduta e corse via non appena fu messo a terra, per tornare dall'amichetta con cui stava giocando.
Rain si mise le mani sui fianchi e lo osservò con un piccolo sorriso, ferma davanti alla scalinata dell'orfanotrofio, nel cuore dei bassifondi del Settore 5. Era una bella giornata, e i bambini ne stavano approfittando per passare un po' di tempo all'aria aperta, ora che l'inverno era terminato e le temperature si erano alzate. Aveva pensato di dare una mano alle maestre della Casa Verde, prima di tutto portando dei fiori che Aerith voleva regalare ai bambini, dopodiché aveva riparato alcuni mobili un po' rovinati e dato una mano alle cuoche a preparare, per quanto le riuscisse, qualcosa per cena. Ora che aveva finito, non avendo di meglio da fare, stava trascorrendo il pomeriggio a tenere d'occhio i bambini che si divertivano spensierati. Quell'aria che si respirava tra loro... aveva un non so che di familiare. Sì... una grande famiglia.
Si strinse nelle braccia, pensando a quella parola. Famiglia... la sola pronuncia la faceva ancora tremare, ma cercava di non pensarci. Di non farsi la colpa per quello che era successo ai suoi genitori, e di non ripetersi che una famiglia vera, alla fine, non l'aveva mai avuta.
Prima che potesse sprofondare in pensieri più cupi, fu salvata da una giovane donna che le si avvicinò con un grande sorriso in volto. La riconobbe subito: era Miss Folia, una delle maestre. Aveva qualche anno in meno di lei, ma sembrava già un'adulta. Portava il grembiule verde attorno alla vita, i corti capelli neri tenuti alti da un cerchietto e un paio di occhiali colorati sul naso. La pelle scura brillava della luce dorata del sole in procinto di tramontare, che si rifletteva anche nelle sue iridi castane.
«Rainiel! Mi hanno detto che stavi giocando con i bambini, sono venuta a salutarti.» la accolse lei, piegando un po' la testa.
Rain rispose scuotendo una mano con gentilezza, per chiederle di non essere tanto formale. «Ho visto che le maestre erano occupate, così mi sono proposta di dar loro un'occhiata fino all'ora di cena. Sembra che si stiano divertendo un mondo.» le spiegò allegramente, guardando intanto una bambina che sfidava un'amica a un immaginario duello di spade di legno. Le ricordò un po' la se stessa di tanti anni prima, quando proclamò di essere "la grande e possente SOLDIER venuta a salvare la principessa", interpretata da una terza ragazzina.
«Sei stata molto gentile, e scusami se non sono arrivata prima.» continuò la maestra, per poi incrociare le braccia e guardarla. «Che ne dici di fermarti per cena? I bambini saranno al settimo cielo, so che ti chiedono sempre di raccontar loro delle storie.»
Ed era così, infatti: Rainiel non aveva raccontato a nessuno del suo trascorso come SOLDIER, e non era certa che gli altri, in città, sapessero chi fosse o da dove arrivasse, ma nessuno le aveva mai fatto una domanda di troppo. A volte i bambini le chiedevano di raccontare delle sue avventure, perché sapevano che lavorava come tuttofare insieme a Zack, con cui spesso andava a scacciare dei mostri di poco conto dalla discarica o dal limitare del settore, ma lei non aveva mai fatto parola di nessuna delle missioni affidatele dalla Shinra, anche se si sarebbero rivelate di gran lunga più interessanti, così si limitava a inventare dei racconti di sana pianta, che comprendevano combattimenti e salvataggi, eroi, amori e amicizie. I bimbi la imploravano di raccontargli almeno un'altra storia, fino all'orario in cui venivano messi a letto. Questo capitava almeno una volta alla settimana, e a Rain non dispiaceva affatto. Sapeva quanto fosse importante tenere compagnia e rallegrare i piccoli, i cui genitori purtroppo non c'erano più. Lei stessa era un'orfana, e sentiva di essere una sorta di sorella maggiore per tutti loro.
«Oh, ti ringrazio per l'invito, ma credo che Elmyra ormai abbia già iniziato a cucinare.» si scusò, prima di vedere il viso triste di un bambino che passava di lì e aveva sentito la conversazione, per cui si sentì sciogliere. «Ma... posso comunque fare un salto a casa e avvisarla di non aspettarmi per cena, nessun prob-»
Qualcuno, fra i piccoli, lanciò uno strillo e corse di nuovo dentro la casa. Era terrorizzato, aveva appena visto un uomo con una brutta ferita in volto e il passo zoppicante dirigersi affannato proprio verso Rainiel.
La ragazza fu strattonata per le spalle mentre i piccoli si radunavano alle spalle di Miss Folia, e tentò di sorreggere il pover'uomo, che riconobbe essere un anziano che possedeva un negozietto, sulla via del mercato. L'uomo balbettava spaventato, dando vita a frasi incomprensibili.
«Calma, calma ora...» tentò di aiutarlo Rain, osservando attentamente la sua ferita. Sembrava essere un taglio, inferto da una lama o qualcosa di simile. Gli copriva l'intera guancia. «Cerca di respirare. Dimmi, cosa è successo? Chi ti ha ferito?»
«Il SOLDIER... il SOLDIER rosso...» continuava a ripetere il povero anziano, ancora sotto shock. Indicò freneticamente una strada dall'altro lato dello spiazzo sterrato d'appartenenza all'orfanotrofio. «Alla stazione, ha attaccato... hanno... sono tanti, e...»
Rainiel gli ripeté di nuovo di respirare, confusa dalle sue parole. SOLDIER? Lì? Era impossibile, o quantomeno improbabile, a meno che non si trattasse di una squadra di ricerca giunta sin lì per recuperare lei e Zack, che comunque erano dei disertori. Non credeva che, con la morte di Hojo, la divisione avrebbe continuato a cercarli nonostante tutto.
«La stazione.» ripeté l'anziano, la mano che tremava e continuava a indicare, «Ci sono... dei bambini lì.»
Gli occhi di Rain si spalancarono del tutto. Sentì il sangue ribollirle nel vene e un senso di istintiva protettività invaderla e sostenerla nelle sue seguenti mosse: affidò l'anziano a Folia e prese ad allontanarsi a grandi passi. Raccomandò alla maestra di prestare soccorso all'uomo e di rintanarsi all'interno della struttura con il resto dei bambini fino al suo ritorno.
«Cercate Aerith.» chiese alla fine, senza neanche sapere bene il perché. Aerith... lei avrebbe saputo come aiutarli. Lo sentiva.
Attraversò la piccola zona al coperto, simile a un'officina, che divideva la piazza della Casa Verde dalla strada dei negozi, dove un grande televisore adesso spento pendeva dall'alto insieme alle insegne delle attività. Notò qualche viso sconvolto, udì sussurri tra la gente che sfiorava e sorpassava. Sapeva che avevano visto qualcuno, qualcosa... di pericoloso.
Prese la strada che conduceva alla stazione senza guardarsi indietro e, incredibilmente, incrociò sul suo sentiero Zack. Arrivava da un'altra area del settore, ma sembrava diretto nello stesso luogo.
I due si fermarono per il tempo necessario a scambiarsi un'occhiata d'intesa.
Zack sfilò la grande spada Potens appesa alla schiena, Rain fece lo stesso con le sue lame corte Aikuchi, che aveva legato sotto la giacca sul dorso per non spaventare i bambini.
«Avvistamento di un pericoloso nemico alla stazione.» ricapitolò il soldato dai capelli neri mentre correva al fianco dell'amica. Bastava svoltare un'ultima volta e sarebbero giunti a destinazione. Potevano già udire qualche persona chiamare aiuto e un paio di bambini piangere.
«A giudicare dalla confusione,» constatò Rainiel con massima attenzione, «direi anche più di uno.»
Non poteva fare a meno di pensare che SOLDIER fosse infine giunta a infliggere loro la punizione per aver disertato. Non era certa che la morte di Hojo fosse stata attribuita a loro, ma dai telegiornali dei mesi precedenti sapeva che, benché si fosse sollevato un gran polverone in merito, la dipartita dello scienziato era stata attribuita, almeno pubblicamente, a un incidente in laboratorio. Per quanto riguardava lei, Zack e Cloud, risultavano dispersi in missione, ma i notiziari avevano scoraggiato il pubblico che ancora sperava in un loro ritrovamento. E Sephiroth... be', lui era scomparso tempo prima, secondo i dati. Veniva ricordato come una sorta di leggenda, ma il mondo era già alla ricerca di un nuovo eroe. 
Rain cercò di non pensare a lui mentre correva verso la stazione, o il suo cuore si sarebbe stretto per la malinconia. Non poteva permettersi distrazioni, non in quei contesti soprattutto.
Svoltato l'angolo, si ritrovarono nel piazzale da cui partivano i treni. L'ultimo era probabilmente appena partito o ancora in arrivo, perché i binari erano vuoti. A rendere caotico il posto, però, ci pensava ben altro: una mezza dozzina di uomini in uniforme da battaglia e con il viso coperto da un elmo stavano seminando il panico tra le gente che si trovava lì per caso o per viaggiare. Erano tutti maschi, molto alti e all'apparenza giovani, ma Rain non li riconobbe. Non erano SOLDIER, né Turk, e sicuramente non fanti. Alcuni di loro si stavano accanendo contro anziani o addirittura bambini, ma qualche adulto residente nel settore 5 si era frapposto tra loro e ora cercava di difenderli. Grazie al cielo, a un primo sguardo non sembravano esserci vittime, e i feriti non erano gravi.
Rainiel e Zack non dovettero riflettere due volte per gettarsi nella mischia, le armi già in pugno.
Il ragazzo afferrò una bambina che strillava e piangeva un attimo prima che uno di quei misteriosi soldati la raggiungesse, la caricò su una delle braccia e la tenne stretta mentre cercava di mulinare la spada Potens con l'altra per attaccare il nemico.
Lei, invece, si lanciò tra un uomo che difendeva una coppia di anziani e il nemico che provava a ferirlo con le sue armi. Parò l'attacco di una spada con le proprie Aikuchi e puntò i piedi a terra per non perdere l'equilibrio. Urlò all'uomo alle sue spalle di portare gli altri in salvo, di avvisare chiunque potesse aiutarlo di fare lo stesso. Lui non se lo fece ripetere due volte.
Un altro soldato attaccò Rainiel, che ritrovatasi da sola fece una capriola all'indietro e atterrò davanti a un muretto, accanto a una rete metallica. Chinò la schiena per prepararsi all'attacco e strinse le palpebre.
Posiziona i piedi. Non distogliere lo sguardo dall'avversario. Studialo attentamente: quale lato lascia scoperto, la direzione in cui guarda, come tiene l'arma fra le mani...
Quelle parole, quegli insegnamenti, scorrevano come acqua di un fiume nella sua mente.
Sephiroth le aveva insegnato molto, in quei brevi mesi in cui era stato il suo mentore. Sapeva già combattere grazie al precedente maestro, Angeal, e a qualche dote naturale, ma Sephiroth l'aveva trasformata. Pur essendo il SOLDIER più potente ed esperto di sempre, le aveva insegnato il combattimento come se fosse un'arte.
Non riuscì a resistere e pensò ancora a lui mentre scattava al minimo segno di movimento di uno degli avversari. Lo sentì vicino, anche se forse era a mondi di distanza da lei.
Si avvicinò pericolosamente all'avversario che per primo aveva mosso un passo. Da quella distanza lei era avvantaggiata, le sue spade corte non avevano limiti e potevano colpire più facilmente, a differenza di quelle grandi che maneggiavano i nemici.
Ferì il primo a un fianco, poi lo calciò via con uno stivale mentre l'altro prendeva la rincorsa per attaccarla.
Le bastò piegarsi all'indietro, abbassando la schiena. La lama affilata tagliò l'aria sopra il suo viso, produsse una cupa melodia mentre una piccola corrente di vento investiva la ragazza.
Girò su se stessa, sfruttando la velocità dell'opponente per farlo inciampare con una spinta.
In quel preciso istante, arrivò un terzo avversario. D'altronde erano sei in totale e Zack, che aveva già messo al sicuro la bambina, ne stava affrontando la metà.
Rain si ritrovò tra loro, al centro di un pericoloso e figurativo triangolo.
Raddrizzò la schiena, socchiuse gli occhi e sospirò.
«Tre contro una...» soffiò dell'aria per spostare dal viso un ciuffo rossastro che aveva davanti agli occhi, «Non vi pare di essere pochi?»
I tre ringhiarono per la rabbia e le si gettarono contro. Lei non aspettava altro. Pose una spada davanti al petto e tese il braccio che reggeva l'altra dietro la schiena, spingendo sui talloni per girare su se stessa. Vorticò e respinse con quel tornado d'acciaio tutti e tre, poi attaccò quello che si era avvicinato troppo.
Lo sventurato si ritrovò messo al tappeto da due colpi delle sue nocche al petto, svariati graffi su braccia e gambe e, infine, da un calcio ben assestato dritto al mento.
Ne restavano due.
Uno di loro alzò le braccia e lasciò cadere la spada dall'alto proprio sulla testa della giovane ex-SOLDIER, che però aveva sentito il suo urlo - che brutta idea, urlare in battaglia se si voleva sorprendere l'avversario - e che si scostò girandosi di profilo al momento giusto.
Quel povero ciuffo che aveva sistemato solo un attimo prima fu tagliato via dalla lama, e questo le causò un leggero irritamento.
Colpì al ventre l'uomo con una gomitata, lo disarmò afferrando il suo braccio e torcendogli un polso. Quando la spada cadde a terra, lo colpì al naso con l'elsa di una Aikuchi. A giudicare dal rumore poco piacevole, non sarebbe guarito in fretta. Se non altro non era più in grado di combattere, ora che anche lui era al tappeto.
L'ultimo fu più attento, e girò attorno alla ragazza con movimenti cauti, cercando un punto cieco in cui fare breccia.
Rainiel lo capì all'istante, e lasciò di proposito un fianco scoperto. Un implicito invito a farsi avanti.
Il nemico cadde nella sua trappola, perché caricò come un forsennato in sua direzione, convinto di ciò che faceva, ma la ragazza rispose prontamente. Sollevò le Aikuchi, parò il colpo e lo costrinse ad abbassare la spada. In quel preciso istante spalancò un po' di più gli occhi, serrò le labbra e avvinghiò le gambe attorno alle sue caviglie. Le bastò porre un minimo di forza per gettarlo a terra. Quando furono entrambi al suolo, la ragazza continuò a tenerlo fermo come un serpente che stritola la preda, anche se lui si dimenava. Alla fine, riuscì a colpirlo a una tempia e a fargli perdere conoscenza.
Uccidere non era nel suo stile. Non lo avrebbe mai fatto, se non in caso di estrema necessità, era una promessa che si era fatta e a cui voleva tener fede. Diede un'occhiata a Zack, e notò che aveva finito di lottare in quel momento e ne era uscito vincitore a sua volta. Ora che i nemici erano stati resi innocui, ci avrebbero pensato le autorità locali ad assicurarli alla giustizia.
In quel momento però, proprio mentre si rialzava da terra e scuoteva la polvere dalla giacca color cuoio adesso un po' sgualcita, notò l'espressione di terrore sul volto di Zack. Il ragazzo stava rimuovendo l'elmetto dal viso di uno degli aggressori, ed era rimasto pietrificato nel vedere quel volto.
Era lontano, per cui Rain pensò di fare la stessa cosa con uno degli avversari sconfitti da lei. Con la punta dell'Aikuchi gli sfilò il copricapo in metallo... e rabbrividì.
Capelli rossicci, lunghe ciglia nere che, già sapeva, nascondevano occhi azzurri, di quell'intensità caratteristica della mako. Gli zigomi alti, e l'espressione perennemente sprezzante anche se elegante.
Lo aveva conosciuto per poco, ma non avrebbe mai dimenticato il suo volto.
«Genesis...?» quasi barcollò, indietreggiando e lasciando cadere l'elmo, che piombò sull'asfalto con un tonfo.
Da quel momento accadde tutto velocemente, Rain si sentì così confusa che non ebbe né il tempo né il modo di reagire con prontezza.
Una sfera calda e brillante attraversò il cielo, fatta di pura magia, e colpì Zack in pieno petto. Il ragazzo lanciò un urlo spezzato e fu sbalzato via di diversi metri. Batté la schiena contro una delle reti che circondavano la stazione, separandola dalle zone più pericolose della discarica meccanica, e cadde a terra con le mani strette al torso.
Rain ebbe appena il tempo di pronunciare la prima sillaba del suo nome, perché tutto ciò che notò fu un'ombra che si sovrapponeva alla sua, oscurando il sole che tramontava, e un brivido le attraversò la schiena.
Si ritrovò senza fiato, dolorante e ferita. Era a terra, ed era sicura di aver ricevuto un colpo dall'alto. Si portò una mano alla spalla e quando la ritrasse non vide altro che sangue. Nella caduta aveva allentato la presa su una delle sue spade, e ora non sapeva più dove si trovasse. Si rimise in piedi, ma un altro colpo le strappò un grido e la fece indietreggiare. Cadde sulle ginocchia, perché una lama le aveva appena ferito un polpaccio.
Contro le sfumature sanguigne del cielo, tinto dal sole morente, si stagliava un'alta sagoma in controluce, una lunga giacca dondolava ai suoi fianchi, e delle piume piovevano dal cielo, anche se non v'era l'ombra di ali alle sue spalle.
Per un momento, e forse anche stupidamente, pensò che si trattasse di Sephiroth. Quelle piume... le ricordava bene. Ma non poteva essere così. Sephiroth non le avrebbe fatto del male, non di nuovo. Era pronta a scommetterci.
E poi... percepì una rabbia più calda di quella che l'ex-Generale tendeva a contenere, a sfogare tramite il combattimento. La sua era una gelida ira, a differenza di quella che impregnava l'aria adesso. Questa aveva l'odore di odio e invidia, e anche una sottile nota di puro divertimento.
«Ti trovo bene, Rainiel.» pronunciò la figura avvicinandosi a lei.
Rain si sforzò di rimettersi in piedi. Stava sanguinando, ma aveva subito di peggio.
Mulinò la spada rimanente davanti a sé quando fu sicura che il nemico si trovasse alla sua portata, ma l'ombra scattò e in avanti, piombò su di lei. Le bloccò il braccio. Ora, il suo viso risaltava nonostante i raggi tiepidi del sole alle sue spalle facessero capolino tra i suoi capelli, lunghi fino al mento e ispidi.
«Pare che tu sia migliorata parecchio, dal giorno in cui Sephiroth ti raccomandò alla terza classe.» continuò a dire, mentre lei provava a liberarsi, i denti stretti e un sibilo tra le labbra. L'uomo era più grande, alto e forte di lei. O, per meglio dire, più esperto in combattimento. Non si mosse di un centimetro. «E dire che non avrei scommesso un soldo su di te. Complimenti al nostro Generale, ha proprio trovato il cavallo vincente.»
Rain odiò le sue parole, soprattutto perché erano intrise di un pungente sarcasmo che non le andò affatto a genio, ma non ebbe modo di fargliela pagare.
Una spada rossa brillò nella mano destra del SOLDIER vestito di rosso, e in un attimo Rainiel sentì una fitta attraversarle il corpo intero.
La lama scavò nella sua pelle all'altezza delle costole, sul fianco sinistro del corpo. Avrebbe potuto affondare, perforare degli organi vitali, ma sembrava che il suo intento non fosse quello di ucciderla, non per il momento. Era più... una tortura.
La sua maglia candida fu macchiata di nuovo di rosso, una chiazza che si espanse sempre di più e si riversò fuori dagli strappi nel tessuto, gocciolando a terra.
Sentì il braccio libero dalla presa, e zoppicò via per allontanarsi dal pericolo.
Zack, a terra, allungò un braccio in sua direzione.
«No...» tossì, il petto che gli bruciava, «Genesis... no...!» chiamò il nome del nemico dal volto familiare. Ma, a differenza di Angeal e Sephiroth, Genesis non era mai stato un suo amico. Non aveva motivo di ascoltare le sue preghiere.
Rainiel si sentì come in un déjà-vù. Le ferite aperte, il suo migliore amico che implorava clemenza per lei... un mentore di cui si era fidata, che ora voleva farle del male.
Perciò sollevò lo sguardo ed ebbe paura.
Genesis, il vero Genesis, le sorrideva guardandola dall'alto, piazzato in mezzo ai corpi dei suoi cloni che, notò Rain, parvero iniziare a consumarsi, degradarsi. Stavano... morendo.
E lui era lì, altezzoso e sicuro, un fantasma del passato venuto a prenderla. L'aveva trovata. Catturarla era la sua unica speranza di salvezza... e l'unico modo di vendicarsi adeguatamente di Sephiroth.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Non sono come te ***


Capitolo 7
NON SONO COME TE
 

La vista di Rain si fece più sfocata. La ragazza poteva sentire il cuore che le martellava le tempie e il sangue caldo che le colava lento sulle mani per poi gocciolare a terra. Strinse le labbra e si ripromise di essere forte, di non arrendersi. Oramai non combatteva contro un degno avversario da mesi, non per la sopravvivenza. Si accorse di quanto tempo fosse effettivamente passato solo quando sentì la stanchezza delle ossa e dei muscoli, che imploravano pietà.
Indietreggiando, Rainiel strinse con più forza la spada e tamponò con l'altra mano la ferita al fianco. Col fiatone, non temette di guardare dritto negli occhi Genesis.
«Tu...» quasi ringhiò, sentendo una fitta al polpaccio sanguinante. A stento riusciva a stare in piedi. «Io credevo che fossi...»
«Morto?» Genesis completò la frase per lei, avanzando senza paura per raggiungerla. Per ogni suo passo, Rain ne muoveva due indietro. Lasciò andare una bassa risata che gli graffiò la gola. «Me lo sento dire spesso, ultimamente. Risparmia l'entusiasmo.»
La ragazza lanciò uno sguardo a Zack. Era stato colpito da un fendente magico e le sue condizioni sembravano serie. Faticava ancora a rialzarsi, probabilmente non riusciva a prendere fiato. Lei avrebbe voluto raggiungerlo, ma non ci sarebbe riuscita senza un diversivo. Ragionò, proponendosi di prendere tempo con qualche più che lecita domanda.
«Come... perché sei tornato?» borbottò a voce abbastanza alta da farsi udire.
Il drammatico SOLDIER di prima classe alzò il mento, senza smettere di sorridere, e puntò un dito proprio contro di lei.
«Ma per te, ovvio.» la osservò come un predatore avrebbe contemplato la sua preda. «Sai, mi sono giunte delle voci molto interessanti sul tuo conto. Per esempio... che tu e il mio caro amico Sephiroth siete diventati piuttosto intimi, negli ultimi mesi.»
Rain smise di indietreggiare. I suoi occhi si aprirono di più, ma non per la paura. Al contrario, sentire quel nome pronunciato da lui... si posizionò in modo da favorire qualsiasi attacco o difesa.
«E soprattutto, che tu hai un curioso... dono. Dico bene, figlia di Yoshua?» sfidò apertamente l'uomo.
Rainiel avrebbe potuto ribadire a quanto aveva appena assunto, ma era più interessata alla prima delle sue frasi.
«Se hai fatto del male a Sephiroth, giuro che io-»
«Non ti scaldare, novellina.» la zittì rapidamente Genesis. Allungò un braccio verso destra. Tra le dita, stringeva già la sua arma prediletta, Rapier: una spada da stocco che riprendeva il tono carminio del vestiario del padrone, con una materia incastonata nell'elsa. «Anziché preoccuparti per lui, che ne dici di mostrarmi il tuo potere?»
Stava giocando. Rainiel sapeva che Genesis stava semplicemente giocando con il suo cibo. Le sue parole, il suo modo di comportarsi, il solo pensiero che avesse fatto del male a Zack e a Sephiroth... le fecero ribollire il sangue nelle vene.
Senza ripensamenti, allargò e puntò con determinazione le gambe a terra, sollevò sulla testa l'unica spada rimasta e assunse una posa più adatta alla battaglia, l'arma stretta fra le due mani, il corpo parzialmente di profilo rispetto all'avversario.
«Sono un'ex-SOLDIER di prima classe, allieva di Angeal e Sephiroth. Non una novellina.» annunciò allora con voce calda e forte. Strinse le palpebre e mimò un sogghigno in direzione del nemico. «Vuoi vedere il mio potere, Genesis? Dovrai costringermi.»
L'uomo si sentì folgorare dal suo sguardo chiaro. Quella posa, quel tono di voce, quell'espressione... Genesis guardò lei, ma vide Sephiroth al suo posto. L'allieva aveva imparato molto dal maestro. Sicuramente... aveva preso da lui la stessa arroganza. Questo lo fece infuriare.
Come un fulmine rosso, si scagliò contro di lei.
Rain sapeva come prevedere un attacco in base alla posizione dei piedi dell'avversario, e schivò il suo primo attacco, tuttavia non poteva dimenticare che Genesis era quasi allo stesso livello dei suoi altri due maestri. Come se non bastasse, era già ferita e stanca per via del precedente combattimento. Eluse i suoi primi attacchi, piegandosi per evitare un fendente, ma non poté fare nulla per evitare un colpo di ginocchio dritto alla schiena. Serrò i denti per evitare di urlare dal dolore e si spostò con un salto, restituendo il favore con un rapido giro: allungò il braccio e, sfruttando lo slancio e la velocità del movimento, permise alla punta della lama di graffiare la guancia del nemico.
Genesis sollevò le sopracciglia, indietreggiò per evitare di perdere un occhio nel tentativo di attaccare comunque e si portò le dita allo zigomo, notando la ferita.
Rainiel non distolse lo sguardo da lui, con il fiatone e le ferite ancora aperte. Non sapeva come il suo corpo le stesse permettendo di resistere, forse era merito dell'adrenalina. Raddrizzò la schiena e per poco non ebbe voglia di gridare. Sentiva le ossa a pezzi, non era più abituata a quelle lotte e, certamente, non avrebbe mostrato il suo dono a Genesis. Non poteva sapere cosa volesse da lei, ma di certo il suo ritorno non significava nulla di buono. Tra l'altro, non manifestava più il dono al massimo delle sue potenzialità da mesi, ormai. Richiamarlo la faceva sentire strana, prosciugava le sue energie e le ricordava, soprattutto, quanto fosse... poco umana. Una parte di sé avrebbe voluto dimenticarlo.
Rapier sferzò l'aria con un sibilo, una silenziosa promessa di dolore. Genesis non pensò due volte prima di tornare all'attacco, questa volta con intenti più seri.
Rain non aveva neppure fatto in tempo a cercare con lo sguardo l'altra Aikuchi, e ora non ne aveva più la possibilità. Si difese come poteva, basandosi più che altro sullo schivare i suoi attacchi piuttosto che sull'offensiva. La rete metallica alle sue spalle era sempre più vicina e Zack non si era ancora ripreso. Non restava che sperare in un miracolo, a meno che...
Rapier e l'Aikuchi si scontrarono, il cozzare delle loro lame affilate produsse un suono che riecheggiò in tutta la stazione.
Rain non sapeva ancora quanto Genesis fosse forte. Lui era stato costretto ad allenarla, anni prima, ma in realtà i loro incontri erano basati sul nulla. Si trattava di un maestro distratto e poco interessato, capace solo di dettare qualche ordine e di rintanarsi in un angolo a leggere per le ore successive, mentre Rain affrontava dei nemici di poco conto generati dal simulatore. A quel tempo, lei lo riteneva un altro dei modelli ai quali ispirarsi. Tutti conoscevano il potente trio di SOLDIER, l'élite dell'élite, e tutti li rispettavano e amavano. Ma Genesis... era sempre stato il più distante dei tre, e anche il più ambizioso. Era... controverso, e Rain non riuscì mai a capirlo. Non lo capiva neppure adesso, ma ebbe la certezza che Genesis meritava davvero il suo posto nell'Olimpo della Shinra, se ne accorse quando sentì l'Aikuchi strillare sotto il peso della sua spada, e quando i muscoli delle proprie braccia minacciarono di cedere.
Genesis non aveva versato una singola goccia di sudore, non aveva accusato che quell'insignificante graffio alla guancia, mentre lei era già a pezzi. Stava perdendo sangue velocemente, e le sue energie stavano per abbandonarla.
«Non fare la preziosa.» sibilò l'uomo a un soffio dal suo viso, l'espressione contorta in una smorfia spazientita. Fece appello alla sua forza per aumentare la pressione sulla lama.
Rain sussultò e cercò di pensare a un modo per allontanarsi. Se avesse insistito troppo, l'Aikuchi si sarebbe spezzata. E dire che aveva fatto costruire e aggiornare le sue armi proprio per renderle resistenti...
«C'è un solo modo per difenderti. Mostrami il dono.» continuò a sogghignare lui, avanzando di un passo.
Lei si sentì letteralmente respingere nella direzione opposta. Non aveva idea del come fosse possibile. All'apparenza, Genesis era più esile e smilzo di Sephiroth e soprattutto di Angeal, ma la sua forza fisica non aveva nulla da invidiare a quella dei due vecchi amici.
«Altrimenti ucciderò te e il tuo amico.» minacciò poi. Piegò il viso in avanti, per avvicinarlo al suo e sussurrarle un ultimo avvertimento. «Poi raderò al suolo questo settore e andrò a cercare Sephiroth. Immagino che ti convenga semplicemente obbedire.»
Rain sentì il braccio dolere, non poté che piegarlo verso il proprio petto. Ma non si arrese. Al contrario, ogni sua singola minaccia era come carburante per la sua determinazione.
«Non permetterò che accada nulla di tutto ciò.» esclamò cercando di guadagnare spazio, o almeno di dissuaderlo o spaventarlo. «Combatterò finché avrò fiato in corpo, e se anche dovessi perdere...»
Fissò i suoi grandi occhi azzurri su quelli vagamente più scuri e dalle sfumature verdi di Genesis. Di nuovo, quello sguardo sembrava...
«Non potrai mai e poi mai sconfiggere lui. Non c'è possibilità che tu vinca.» lo mise in guardia. Entrambi sapevano a chi si stesse riferendo.
Tuttavia, quella frase fu l'albore della sua disfatta. Perché c'era una sola cosa che Genesis non riusciva a sopportare: l'idea che Sephiroth fosse migliore di lui. Aveva dovuto convivere con quel paragone per tutta una vita, ed era stanco, si sentiva umiliato ogni volta che qualcuno gli faceva notare quanto il grande eroe di guerra fosse più... più tutto, in realtà, in confronto a lui. Più forte, più esperto, più famoso, più amato, più avvenente... e dire che era persino più giovane di lui. Quella era la croce che da sempre portava con sé. Ma lui l'avrebbe spezzata.
Sentì un carico montante di rabbia bruciargli il petto, e decise che era finito il tempo dei giochi e delle richieste. Rapier spinse via Rainiel, la ragazza si ritrovò con la schiena contro la rete. La lama affondò pericolosamente verso il suo viso e lei si spostò appena in tempo da evitare una terribile fine. La spada scarlatta tagliò il metallo della parete come fosse burro, e strisciò minacciosamente in orizzontale per raggiungerla di nuovo.
Rainiel chinò la testa e provò a fuggire alla propria destra, la il braccio libero di Genesis la raggiunse e la bloccò.
La ragazza sentì un colpo sordo alla schiena e cadde con un forte colpo di tosse, i polmoni sembravano riempirsi di acqua bollente o fuoco vivo. Si strinse la gola e si girò, ma non riuscì ad alzarsi. Tutto quello che poté fare fu trascinarsi sui palmi e sui piedi, anche se la caviglia ferita non era d'aiuto. Provò ad allontanarsi, ma era troppo lenta.
Mulinò la spada in direzione di Genesis, ma la sua Rapier fu più rapida e le colpì le nocche con la parte laterale. L'Aikuchi cadde a terra, e l'uomo la allontanò dalla sua portata con uno stivale.
Rain si lasciò sfuggire un verso preoccupato, ma non distolse lo sguardo. Tamponò la ferita sul fianco con una mano e si allontanò di circa due metri mentre Genesis si fermava davanti a lei.
«Non te lo chiederò un'altra volta, ragazzina.» mormorò annoiato lui, allungando la spada verso di lei. Era lontana, ma avrebbe potuto raggiungerla con un semplice salto. «Evoca il dono di Yoshua. Adesso. O muori.»
Rain sembrava una giovane cerva tratta in gabbia dall'astuto cacciatore. Serrò le labbra anche se aveva il fiatone, e cercò di calmarsi. Rimanendo stretta al suo onore e alla sua promessa fino alla fine, lo osservò con sguardo di sfida. Non v'era paura in quegli occhi che avevano visto tanta sofferenza e distruzione.
Genesis schioccò la lingua, stizzito, e ritirò la spada per aprire il palmo della mano verso di lei. Si era stancato del suo tentativo di rimanere coraggiosa e dedita al suo sogno. Che orribile vizio, quello di voler diventare un eroe.
«Al diavolo la missione.» sussurrò a stento mentre un lampo di luce gialla brillava davanti al suo guanto rosso, un piccolo sole in miniatura accecava la ragazza, che vide al suo interno fiamme e stelle.
Rain non poté che deglutire rumorosamente e sperare, pregare che una forza superiore l'ascoltasse.
Fu come un istinto che si risvegliava, una belva celata nelle profondità del suo animo che risaliva lentamente in superficie. Le pietre sul terreno tremarono e saltarono, mentre qualcosa sotto di loro si muoveva.
Radici. Il potere della terra s'inchinava ai bisogni di Rainiel, all'ordine muto dell'erede di Yoshua. Genesis non lo sapeva ancora, ma sotto ai suoi piedi crescevano e serpeggiavano come vene a fior di pelle quei rami che si sondavano il suolo alla ricerca del nemico. La ragazza era stanca, nervosa e  determinata a non morire... ebbe in mente l'idea di trascinarlo nelle profondità della terra stringendo i lacci di legno attorno alle sue caviglie, ma... se fosse sopravvissuto, se avesse schivato il suo attacco, allora lei avrebbe perso e lui avrebbe avuto conferma dei suoi poteri. Non sapeva cosa volesse farsene, ma non poteva comunque rischiare.
Il dono di Yoshua la consumò fisicamente e mentalmente non appena fu attivato. Rain non faceva uno sforzo simile da troppo tempo, e il suo corpo faticò a sopportare quel dispendio di energie. Si sentì prosciugare di ogni forza residua e tentò di non accasciarsi. Le sue radici si muovevano lente, forse non avrebbero fatto in tempo a proteggerla. Riusciva a sentirle scavare nel terreno, ma era come se ad ogni centimetro il suolo si rinforzasse.
Genesis non aspettò inviti per sferrare il suo ultimo attacco. La luce crebbe, divenne calda, bollente, e brillante più che mai.
Rain poteva sentire la potenza, la rabbia che quell'incantesimo conteneva, e socchiuse gli occhi. Pregò che, perlomeno, qualcuno potesse aiutare Zack mentre Genesis si concentrava su di lei.
La magia si allontanò dalla mano del super-SOLDIER, rapida come uno schiocco di frusta. Un proiettile indirizzato su di lei, che si riparò con il braccio, per quanto inutile fosse quel tentativo. I rami sotto di lei emersero timidamente dal suolo, vicino ai piedi nel nemico, allungandosi come dita alla ricerca del bersaglio da afferrare, ma erano troppo lenti. Si fermarono nell'istante in cui Rain si lasciò sfuggire un basso sussulto di paura.
Eppure... eppure quella potente magia non la sfiorò. Non sentì più il suono scoppiettante delle sue fiamme, né il calore bruciarle la pelle. Era... come scomparsa. Impossibile. Non sapeva spiegarsi il come. Pensò che Genesis avesse attuato un altro dei suoi subdoli scherzi, e si scoprì il viso per osservare la sua espressione, sperando di leggergli sul viso la risposta alle proprie domande.
Invece si ritrovò davanti, a un palmo di distanza, una cascata di lisci fili d'argento. Oltre ad essi, piume del colore della notte più buia, che formavano un muro compatto e impenetrabile. Una lunga lama d'acciaio era stretta nella mano destra dell'uomo che l'aveva appena difesa da quel colpo forse letale.
E Rain tremò, fu scossa profondamente, quando le palpebre dell'eroe si sollevarono e rivelarono occhi verdi, ferini e profondi, pupille nere e strette e un'espressione preoccupata stampata sul giovane viso.
Tremò... perché aspettava da troppo tempo quel momento, arrivato nell'unico attimo in cui si era concessa di non pensarci.
E tremò perché, finalmente, Sephiroth era lì davanti a lei, ed era tornato per salvarla. Per proteggerla. Per lottare al suo fianco.
Riparati dall'ala nera del guerriero, i due si guardarono per due secondi che parvero un'eternità, con le labbra dischiuse ma incapaci di proferire qualsiasi parola. Comunicarono solo con gli occhi, perché Rainiel sentiva che se avesse provato a muoversi il suo corpo non le avrebbe risposto. Domande, risposte: i due si parlano in silenzio, rivelarono quanto entrambi avevano sentito la mancanza dell'altro e, se non fossero stati in una tale situazione, Sephiroth avrebbe anche potuta stringerla a sé e baciarla con tutta la passione necessaria a compensare per quei lunghi mesi in cui aveva sofferto la sua assenza, a dimostrarle quanto anche lui si sentiva rinato nel vederla di nuovo.
Ma non era né il momento, né il luogo adatto. Aveva pazientato così tanto che un ultimo sforzo non gli sarebbe costato troppo.
Rain vide l'espressione dell'uomo indurirsi, farsi severa. Gli occhi verdi abbandonarono i suoi, cercarono la fonte che aveva causato tanta rabbia. Cercarono Genesis.
Lui era sconvolto almeno quanto Rain, ma non poteva dire di essere felice di rivederlo. Notò, in lontananza, che anche il ragazzo biondo incontrato al reattore e una giovane vestita di nero e bianco erano accorsi sulla scena e stavano prestando un primo soccorso a Zack, ancora riverso a terra.
«Sephiroth, come hai fatto a-»
«Ti avevo avvisato» lo interruppe l'altro prima ancora che potesse completare quella frase. Qualsiasi fosse il suo dubbio, non gliene importava minimamente. «di non pensare neanche lontanamente di fare del male a lei.»
Si alzò lentamente, ritirando la grande ala nera che, seppur avendo accusato il colpo, sembrava non averlo sofferto affatto. Scomparve come un'ombra, mentre la mano mancina stringeva l'impugnatura della Masamune. Il vento, in quell'attimo, divenne molto più freddo.
Genesis scoprì appena i denti. A malincuore, indietreggiò di un passo.
«Eri mio amico, Genesis.» lo avvisò ancora il più forte dei due, «Ma, ora che hai provato a ferire ciò a cui più tengo, considerati mio nemico.»
Una minaccia? No... un avvertimento. Sephiroth aveva molti, molti nemici, in tutto il mondo. L'intera Wutai era sua nemica. Lui era il demone conquistatore che aveva strappato loro la libertà e per questo probabilmente era odiato da ogni singolo abitante di quel luogo, ma oltre ad essere disprezzato... era temuto, oltre ogni immaginazione. Chi l'aveva visto combattere sapeva di cosa fosse capace, e chi non aveva mai assistito a un simile spettacolo aveva aspettative anche più titaniche. Si era diffusa la leggenda di un guerriero più potente di qualsiasi altro, più letale e spietato.
Genesis rientrava nella prima categoria, tra coloro che lo conoscevano. Le loro spade si erano incontrate molte volte, durante gli allenamenti e anche in qualche sporadico litigio tra adolescenti. Di una cosa era certo... non aveva mai vinto una sola volta contro di lui.
Serrò le labbra, mentre Sephiroth avanzava a passo calmo verso di lui, il mento basso e gli occhi stretti che lo guardavano come se fosse una preda cui saltare alla gola. Si sentì schiacciato dall'aura che emanava.
«Sparisci, ora,» gli consigliò in un sussurro che assomigliava al sibilo di un pericoloso serpente a sonagli, «prima che io decida di ucciderti.»
Un tale affronto... l'orgoglio era il carburante dell'anima di Genesis, tanto quanto l'onore lo era per quello di Angeal. Avrebbe sopportato qualsiasi ferita, qualsiasi dolore, ma non poteva tollerare di perdere così facilmente la dignità.
Anche mentre indietreggiava, puntò un dito verso di lui, aggrottò le sopracciglia e si trattenne dal ringhiare come una volpe selvatica.
«Puoi continuare ad atteggiarti da eroe quanto ti pare, Sephiroth, ma non sarai mai nulla di simile.» alzò la voce. Strinse i pugni e comprese che attaccarlo in quel momento avrebbe sancito la propria fine. Avrebbe dovuto rimandare, di nuovo. Se avesse fallito... quella sadica scienziata avrebbe ripristinato il processo di degradazione. Non poteva andare a finire così. Quell'orrida sensazione...
«Io e te non siamo altro che mostri.» ci tenne a ricordargli, ancora, «Mostri incapaci di redimersi e di vivere in qualsiasi modo che non comprenda il soffrire e causare sofferenza agli altri, e lei...» con il mento ammiccò in direzione di Rain, ancora immobile e sconvolta a terra, riversa su un fianco mentre si sosteneva a malapena con un gomito, «... anche lei è un mostro. Per quanto cercherà di negarlo, per quanto sia geneticamente speciale, rimarrà sempre una nostra simile.»
Rainiel si sentì attraversare al petto da una fitta. Com'era accaduto più volte in passato, in momenti di estrema agitazione come quello, rivide per un attimo il volto dei suoi genitori. La sera in cui, dopo essere tornata a Darefall, aveva rivelato di sapere di essere stata adottata. Li aveva insultati e incolpati, ed era corsa via di casa senza sapere che non li avrebbe mai più rivisti. E la loro morte era tutta colpa sua... e di quel nefasto potere, quella maledizione che portava...
Sephiroth lanciò uno sguardo alla donna con la coda dell'occhio. Percepì i pensieri che le ronzarono in mente, i sensi di colpa che cercavano di tirarla di nuovo in quel vortice. Sapeva come si sentiva in quel momento, esattamente come si era sentito lui dopo averle fatto del male. Imperdonabile, o forse no.
«Io non sono come te.» sentenziò cupamente, calando le lunghe ciglia sugli occhi prima di rivolgere un'ultima volta la sua attenzione a Genesis. «Lei...» mormorò allora, «... non è come te.»
E, un po', le sue parole addolcirono la condanna di Rain. Sentì di poter respirare di nuovo, seppur con fatica.
Genesis non fu altrettanto contento del suo breve discorso.
Alzò l'ala nera e posò Rapier, librandosi in cielo.
«Non credere di poterti liberare di me, Sephiroth. Io non ti temo.» soffiò, velenoso. Realtà o menzogna? «Arriverà il momento in cui neanche tu potrai proteggerla. E io sarò pronto. Nulla impedirà il mio ritorno
Dopo aver recitato quella citazione finale, si allontanò in volo rapido com'era arrivato, lasciandosi dietro i corpi delle copie che ormai erano avvizzite e consumate dal degrado. Un orribile processo.
Sephiroth sapeva che Genesis non mentiva. Sarebbe tornato, con nuovi pericolosi piani in mente, ma anche lui si sarebbe tenuto pronto per l'occasione. Ma adesso, prima di tutto, doveva prendersi cura di Rain.
Non perse un attimo prima di girarsi a guardarla.
Con non troppo stupore, la vide già in piedi. Era ridotta a uno straccio, stanca e ferita, e la sua pelle era più pallida di molte tonalità rispetto al solito, ma il sorriso che gli rivolse non era meno bello di tutti gli altri che le avesse visto fare per lui. Che giovane testarda... e incredibilmente forte.
Lei si avvicinò a piccoli passi, una mano premuts sul fianco, gli occhi che brillavano di lacrime non versate.
«Sei...» riuscì a trovare le forze per mormorare l'inizio di una breve frase. I suoi muscoli sembrarono rilassarsi all'improvviso. Sephiroth comprese, e avanzò. «... tornato.»
Con un piccolo lamento, la ragazza cadde morbidamente in avanti, chiudendo gli occhi. Trovò ad accoglierla le braccia di Sephiroth, che le risparmiarono la caduta, ma quando lui la strinse e provò a farle ritrovare l'equilibrio, Rain era già profondamente addormentata, stanca e priva di sensi. Lui la sollevò senza problemi e si prese un attimo per controllare le sue ferite. Aveva bisogno di cure, ma non era in pericolo di vita.
Non era così che si aspettava il loro primo incontro dopo tutto quel tempo, ma non gli importò. Mentre scostava una ciocca di capelli dalla sua fronte calda, non poté trattenere anche lui un sorriso. Finalmente... era di nuovo a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Bentornato ***


Capitolo 8

BENTORNATO


Fortunatamente, a Zack bastò una pozione per rimettersi in sesto quel tanto che bastava da tornare in piedi. Si scosse la polvere di dosso, ancora confuso per quanto successo, e sollevando gli occhi blu si ritrovò di fronte quelli più chiari di Cloud. Il suo migliore amico.
Il ragazzo più giovane fece per parlare, per spiegargli come e perché fossero giunti sin lì, ma Zack non gli diede nemmeno il tempo di formulare una frase completa nei suoi pensieri. Gli gettò le braccia al collo, stringendolo in una stretta che gli tolse il respiro, mentre si lasciava sfuggire una gioiosa risata.
«Cloud, amico mio!» esclamò emozionato, lasciando dondolare le mani.
Cloud si ritrovò schiacciato contro il suo petto e scosse la testa, tentando di liberarsi, mormorando qualche basso "è bello rivederti" seguito da altri "mi fai male".
Quando il SOLDIER lo lasciò andare, si volse dall'altro lato per guardare Tifa. La ragazza mise su un sorriso imbarazzato e alzò una mano in segno di saluto.
Zack indicò lei, poi Cloud, poi di nuovo lei e proseguì così per qualche secondo, con la bocca aperta e un'espressione incredula in viso.
«Lei... Lei è?»
«Sì, lei è Tifa.» rispose prontamente Cloud, prima che potesse dire qualcosa di inappropriato. Sapeva quanto potesse essere esuberante, a volte. «La mia amica.» aggiunse dopo essersi schiarito la gola. Tifa si mordicchiò un labbro.
Zack annuì, comprensivo. «Ragazzi, non ho idea di come o perché siate arrivati fin qui da Nibelheim, ma c'è una cosa che posso dire con certezza.» Formò un ghigno canino, di chi già sa come andranno le cose. «Sono lietissimo di avervi qua! Ora che non posso più importunare Rainiel avevo giusto bisogno di qualcuno da infastidire, se capite cosa intendo.» Alzò e sollevò le sopracciglia.
Oh, Cloud lo capiva eccome. Ecco perché fece per parlare e in quell'istante ebbe compassione per la sua amica dai capelli rossicci, considerato che Zack l'aveva provocata per un bel po' insinuando che ci fosse qualcosa tra lei e Sephiroth ben prima che i due anche solo iniziassero a stringere un vero e proprio legame.
Lo salvò però la stessa Tifa, che con un colpetto di tosse attirò la loro attenzione. «A proposito di Rainiel, se è lei la ragazza di cui parlate penso proprio che non sia in ottime condizioni...» Stava indicando alla sua destra.
E da lì stava giusto arrivando l'ex-Generale, l'allieva sostenuta tra le sue braccia, profondamente addormentata e priva di forze. Gli occhi di Sephiroth si distaccarono dalla sua figura solo quando fu abbastanza vicino al resto del gruppo. 
«È molto provata, ma si riprenderà.» spiegò con calma, tenendola stretta a sé non tanto per proteggerla, dato che ora sembrava più tranquillo, ma perché non riusciva a descrivere quanto lo facesse sentire bene sapere che, appena si fosse risvegliata, avrebbe potuto parlare e trascorrere un po' di tempo con lei. Aveva praticato un Curaga su di lei per assicurarsi che le sue ferite si chiudessero, ma la stanchezza e il dolore di certo restavano, per cui non voleva costringerla a svegliarsi, aveva bisogno di riposare.
Zack capì che la ragazza stava bene e sospirò di sollievo, dopodiché guardò Sephiroth e per poco non si gettò anche su di lui, che però mosse un passo indietro e mosse le braccia per indicare che non era il momento adatto a un abbraccio fraterno.
«Sono lieto di rivederti, Zack.» disse comunque con un placido sorriso, sembrando tutt'altra persona rispetto a come lo avevano conosciuto Cloud e Tifa a Nibelheim o a come era effettivamente stato fino al momento in cui Genesis non si era ritirato. Sapevano che questo cambiamento era dovuto a Rain, e nei cuori di tutti loro ci fu un fremito di tenerezza per questo. Di felicità.
Zack aveva quasi le lacrime agli occhi. Era passato così tanto tempo...
«Vale lo stesso per me.» mormorò con voce tremante, dopodiché si guardò attorno. «Bene, immagino che dovrò avvisare Elmyra della presenza di tre ospiti. Spero che non decida di scuoiarmi vivo.»
«Elmyra?» chiese Cloud, confuso.
«Oh, è... la madre di Aerith, la mia ragazza. Io e Rain viviamo da lei da quando abbiamo lasciato la piattaforma. Immagino che non abbiate prenotato un albergo nelle vicinanze, quindi non fate complimenti. Aerith adorerà conoscervi!»
Aerith. Chissà come mai, questo nome non sembrava nuovo a Sephiroth, ma non si fece troppe domande.
Seguirono tutti Zack, fino alla casa nascosta nella piccola valle, e dopo una confusione iniziale, Elmyra sbollì la rabbia (addirittura un Generale di SOLDIER in casa!) e ovviamente lo stupore, e cercò di gestire la situazione come poteva.
Aerith guardò incuriosita Cloud e Sephiroth, e in maniera particolare quest'ultimo. Le ricordava un po' Zack ma, al contempo, era del tutto diverso. Pensava che i SOLDIER avessero uniformi comode e semplici, e occhi del colore dell'acqua del mare profondo, ma i suoi... quelli sembravano gli occhi di un serpente, anche se al momento erano rilassati. Fortunatamente lui non ricambiò il suo sguardo mentre lo osservava.
La ragazza portò Rain al piano di sopra, nella stanza degli ospiti, e Sephiroth si propose di seguirla rivolgendole per la prima volta la parola. Elmyra si frappose tra i due. Non si fidava di lui, evidentemente, e non amava l'idea che vagasse per la casa mentre Aerith era fuori dal suo controllo.
Zack si schiarí la voce e si avvicinò a lui per sussurrargli: «Dalle tempo. Elmyra è molto protettiva, ha fatto lo stesso con me e Rain quando siamo arrivati. Ci si abituerà.»
L'altro strinse i pugni e si allontanò. Evidentemente non gli restava che pazientare ancora un po'.
I rimanenti si accomodarono al tavolo tondo della cucina, ed Elmyra servì una cena che dovette dividere come poteva. D'altronde non si immaginava che tante persone si presentassero a casa. Cosa non avrebbe fatto, per l'amore di sua figlia!
Aerith si unì a loro poco dopo, sedendosi al fianco di Zack e lasciandogli un bacio sulla guancia.
«Rainiel sta bene.» sollevò poi la voce, guardando in direzione di Sephiroth. Non sapeva molto di lui, Rain non le aveva mai accennato nulla, ma era stato lui a portarla in braccio sin lì. Significava qualcosa? «Le ferite sono guarite quasi del tutto, in effetti la guarigione procede a una velocità... interessante.» le sfuggì un sorrisino, ricordando il fiore che Rain aveva salvato nel giardino. «Ha solo bisogno di una lunga dormita. Come tutti, immagino!»
«Puoi dirlo forte, amore.» Zack sbadigliò. «Il problema sarà... dividersi le stanze.»
«Esattamente.» Elmyra s'intromise. Era di pessimo umore, aveva a stento toccato il cibo nel suo piatto, rigirandolo con la forchetta qui e là. «Ho solo tre stanze da letto. La mia, quella di Aerith e Zack e quella di Rainiel.» Ovvero la stanza degli ospiti, dove stava riposando ora.
«Non è un problema.» propose Cloud dopo aver deglutito un boccone. Come Tifa, stava mangiando di gusto. Il viaggio era durato parecchio e non avevano avuto il lusso di pranzi e cene complete. «Possiamo cercare una stanza libera in una locanda, qui nel Settore 5.»
Conosceva a malapena la zona, ci era stato solo per qualche missione e sicuramente non per dormire, ma se la sarebbero cavata in qualche modo.
Sephiroth non aggiunse nulla. Non amava l'idea di allontanarsi dalla casa mentre Rain si riprendeva dalla lotta, ma non era in condizioni di avanzare pretese. Anche lui stava a stento mangiando qualcosa.
Zack notò il suo sguardo pensieroso incollato al piatto e sfoderò un sogghigno da volpe.
«Elmyra, Sephiroth potrebbe fermarsi qui, se non è un problema. Lui e Rainiel non avrebbero problemi a dormire insieme. Vedi, loro...»
«Zack.» lo zittì lui, introverso e riservato come al solito, ma ormai gli occhi di tutti erano fissi sul diretto interessato.
Aerith aveva la bocca aperta. Tifa e Cloud sapevano già tutto, e distolsero per primi lo sguardo.
«Quindi... quindi tu e Rainiel...?» la fioraia balbettò qualche parola, sbattendo le palpebre, ma non poté che mostrare un tenero sorriso. «Non me ne ha fatto parola, ma sono felice per voi!»
Sephiroth scoccò un'occhiata torva a Zack. Lo sapeva, sapeva benissimo che lui e Rain non stavano insieme. Non ne avevano mai parlato, non avevano mai concordato nulla e a malapena erano riusciti a ritagliarsi qualche momento per loro, per poi essere puntualmente interrotti da qualcuno o qualcosa. Praticamente non avevano mai vissuto nulla come una vera coppia. Ma come partners, compagni di battaglia, questo sì.
Certo, per gli altri al tavolo doveva sembrare molto strano. Elmyra ed Aerith, in effetti, non sapevano molto neppure di Rain. Il suo passato, il fatto di essere un esperimento condotto da Hojo sulla creatura aliena Yoshua, restava per loro un mistero. Quello che vedevano era una giovane ex-SOLDIER di prima classe palesemente innamorata di un uomo che per qualche ragione era lontano da lei, ora. Avevano pensato a un amore non corrisposto, o magari che avesse perso il suo amante, ma di certo non avevano pensato che egli fosse vivo e vegeto e fosse proprio Sephiroth, famoso in ogni angolo del mondo come Generale di SOLDIER... un generale deceduto in missione, a giudicare dalle testate dei giornali. Era come starsene seduti a tavola con un fantasma. Inquietante e interessante al tempo stesso. Aerith avrebbe tempestato Rain di domande non appena si fosse svegliata.
Elmyra vedeva la ragazza come una figlia ormai, si era affezionata a lei e aveva paura che le accadesse qualcosa, ma sapendo che ogni mattina Rain si recava al confine per attendere il suo ritorno e non faceva che pensare a lui a ogni ora del giorno, non ebbe il cuore di rifiutare.
«Puoi dormire al piano di sopra. Cercherò io un posto dove stare per la notte ai tuoi amici, e poi troveremo una soluzione per tutto quanto.» sospirò, massaggiandosi la fronte. Sembrava più pallida e magra del solito, ma doveva essere colpa della stanchezza e dello stress.
Amici... Sephiroth doveva ancora abituarsi a quella parola.
Tifa pensò di tirare su di morale tutti quanti iniziando una conversazione.
«Aerith, ho visto che fuori c'è un giardino bellissimo. Te ne prendi cura tu?» chiese rivolgendole un gran sorriso.
Lei annuì energicamente. «Sono belli, vero? Mi piacciono molto i fiori, li coltivo qui e alla chiesa a Nord del settore, e quando posso li vendo in giro per Midgar. Rainiel mi dà una mano nel tempo libero, è molto brava.»
In realtà Rain era una frana. Finiva sempre per calpestare qualche fiore o per dimenticarsi di annaffiarne un paio, ma non importava. Ce la metteva comunque tutta e faceva del suo meglio.
Sephiroth non riusciva a immaginarsela mentre si prendeva cura dei fiori. Rain era una guerriera amante delle avventure, non della vita sedentaria e tranquilla come quella che sembrava condurre lì. Era contento che stesse bene, ma comprese subito come doveva essersi sentita lì. Estremamente grata alla famiglia che l'aveva accolta, ma al contempo... fuori posto. Come si era sempre sentito anche lui in qualsiasi situazione che non fosse la guerra, prima di conoscerla.
«Da dove avete detto di venire?» chiese Elmyra, giudicando attentamente i tre nuovi arrivati.
«Nibelheim.» dissero tutti e tre in coro. Tifa e Cloud sudavano freddo, ma cercarono di non darlo a vedere.
«È un posto lontano?»
«Abbastanza.» spiegò il ragazzo biondo.
Lei annuì, senza commentare. Evidentemente non poteva rispedirli a casa come se nulla fosse. Be', almeno ci aveva provato.
«E Rainiel,» aggiunse poi, guardando Sephiroth, «Come l'hai conosciuta?»
Lui avrebbe voluto spiegarle che l'aveva tenuta tra le braccia quando aveva solo quattro anni e lei era appena una neonata, che il loro primo incontro era stato in una stanza da laboratorio fredda e bianca, e che Hojo li aveva fatti incontrare per fare esperimenti sul loro sangue, come aveva scoperto nell'ultimo anno, ma tirò un lembo delle labbra e le risparmiò i dettagli.
«Rain è... era la mia allieva.» si corresse, «Ho visto le sue abilità in missione e le ho chiesto se aveva bisogno di un mentore.»
«E alla fine, una cosa tira l'altra, un appuntamento e un po' di tempo insieme, ed è scoccata la scintilla.» concluse Zack per lui, evitando di farlo sentire in imbarazzo.
Aveva appena ridotto la loro travagliata storia ai minimi dettagli e a un grande cliché, ma se non altro aveva soddisfatto la curiosità di Elmyra senza doverle raccontare di Darefall, dell'incendio alla Shinra, dell'Oasi e del DRUM. Molto più comodo.
«Quindi eri il suo mentore e ora...?» Gli occhi di Aerith brillarono. Strinse il braccio del suo ragazzo. «Insegnante e allieva! Molto romantico!» si lasciò sfuggire un risolino, uno che fece capire a Sephiroth che prima fosse finita la conversazione, meglio sarebbe stato per tutti. Non era tornato sin lì solo per prendere parte a un simile interrogatorio sulla sua vita privata, che sempre aveva cercato di tenere nascosta. Se non altro, aveva messo le cose in chiaro.
La cena terminò con poche altre conversazioni. Perlopiù fu Elmyra a chiedere informazioni ai tre ospiti per sapere cosa facevano per la Shinra o comunque perché fossero arrivati fin lì. Le raccontarono di Genesis, dal fatto che volesse Rain per qualche motivo, senza parlarle dei progetti e di tutti gli altri dettagli da film horror. Lei sembrava piuttosto infuriata. Non amava la Shinra perché sembrava molto interessata ad Aerith, e ora... persino Rainiel era ricercata da un super-SOLDIER. Nella sua vita erano piombati molti nuovi personaggi, ma avrebbe sopportato per il bene di coloro a cui teneva.
Arrivò la sera ed Elmyra uscì di casa per accompagnare Cloud e Tifa a una locanda vicina con dei posti letto. Cloud chiese prima di tutto se era possibile fare una chiamata in anticipo per prenotare due posti letto. Separati. O due camere completamente diverse. Tifa non fece commenti a riguardo. I tre uscirono ed Elmyra portò la figlia con sé per sicurezza, lasciando Zack a casa... per controllare Sephiroth.
I due erano in terrazzo, a respirare l'aria fresca e pulita della primavera, ben diversa da quella che sapeva di fumo e mako che invece ricopriva la piattaforma. Era un posto che, per certi versi, ricordava Nibelheim. E che sapeva di casa. Sephiroth si godette quei momenti e realizzò che, se non avesse incontrato Rainiel, se il suo passato non fosse stato tanto caotico e difficile, non si sarebbe mai potuto godere nulla del genere. Sarebbe stato ancora chiuso lì, in uno dei piani più alti del palazzo Shinra, circondato da paparazzi e fanatici e uomini e donne che si interessavano a lui solo perché sapevano di poter ottenere qualcosa in cambio. Da giovane aveva sbagliato tante volte, si era fidato di loro, che si erano approfittati di quella che voleva semplicemente essere gentilezza o buona educazione. O il disperato tentativo di un giovane che non ha mai realmente visto il mondo al di fuori. E anche se ormai le sue ricchezze e la sua fama erano un ricordo dimenticato in quella torre di Midgar, Sephiroth non poteva dire di sentirsi triste a riguardo. Aveva perso tutto, ma aveva trovato degli amici, e ora era libero. Be', più o meno, considerato il pericolo di Genesis. Per qualche motivo, però, non aveva paura, non si sentiva legato al passato come era stato un tempo, quando Hojo era in vita. Non passava un giorno senza che pensasse a ciò che aveva dovuto fare per liberare se stesso e tutti gli altri dalle catene imposte da quel mostro, ma si era ripromesso di non pentirsene. Aveva fatto la cosa giusta. L'aveva fatto per loro, per lui, e per Rain.
«E così hai trascorso tutti questi mesi a eliminare le ultime copie-R e a indagare sul progetto Jenova?» domandò Zack a un tratto, risvegliandolo dai suoi pensieri. Aveva i gomiti appoggiati sulla ringhiera e ammirava la piccola cascata che si riversava nel laghetto sulla sinistra del giardino.
«Più o meno.» rispose lui. Davvero erano stati solo pochi mesi? Sembrava essere trascorsa un'eternità.
«E hai scoperto qualcosa di nuovo...?» chiese poi con più prudenza. Sapeva quanto quel passato, quell'incognita, fosse importante per lui. Aveva perso la ragione, un tempo, scoprendo quali fossero le sue origini. Lo stesso era accaduto a Rain, che però non si era lasciata andare all'odio per gli altri bensì a quello per se stessa. Non era semplice.
«Molte cose.» sospirò Sephiroth, le braccia incrociate mentre guardava il cielo stellato. Rainiel non mentiva: ogni tanto aveva proprio bisogno di alzare gli occhi al firmamento e prendersi del tempo per respirare. Per calmarsi. Sembrava tutto più facile, dopo. «Ma non sapevo che Genesis fosse... vivo.» aggiunse poi.
Zack annuì debolmente. «L'ultima volta che lo abbiamo visto, ho fatto un bel volo dalla piattaforma.» si grattò la testa. «So quanto la sua amicizia fosse importante per te, ma ho sempre considerato Genesis un tipo un po'... bizzarro. Quando ho saputo della degradazione, devo dire che non mi sono sentito dispiaciuto per lui. Quello... è un tipo pericoloso, Sephiroth.» gli raccomandò. Come se lui già non lo sapesse. Erano cresciuti insieme, come amici, come fratelli. «Bisogna essere prudenti, perché tornerà. Cercherà di fare del male a Rainiel. Hai idea del perché?»
«No, ma lo scoprirò. E non le torcerà un capello finché sarà con noi.» gli assicurò lui.
Rilassò le spalle e osservò la porta che dava sulla scala all'interno. Scendendo si sarebbe ritrovato sul pianerottolo che dava sulla camera di Zack ed Aerith e, proprio accanto, su quella dove ora riposava Rainiel.
«Potrebbe essersi svegliata.» commentò il ragazzo dai capelli neri, cogliendo al volo i suoi pensieri. Alzò le sopracciglia. «Se vuoi andare a vedere come sta, sei libero di farlo. Dirò a Elmyra che va tutto bene e che avete preso sonno.» lo rassicurò.
In effetti, Sephiroth non faceva che pensare alle sue condizioni. Se fosse stata sveglia, probabilmente sarebbe corsa a cercarlo, ma anche se dormiva profondamente lui voleva starle accanto, vegliare su di lei. Non voleva perdersi più uno solo dei secondi che aveva a disposizione per stare insieme. E non voleva più allontanarsi così tanto e per così tanto tempo...
Anche lui sforzò un sorriso, debole e stanco, e gli rivolse uno sguardo di gratitudine. Si avvicinò alla porta, sicuro di rivederlo l'indomani a colazione o anche prima, ma si sentì chiamare.
«Sephiroth, un'ultima cosa.»
Lui si girò a guardarlo, incuriosito.
E Zack strizzò un occhio.
«Bentornato a casa.»
Nel cuore di Sephiroth si smosse qualcosa. Forse non era completamente insensibile. Forse... avere una famiglia non gli dispiaceva affatto. Poteva farci l'abitudine.
Ringraziò con un cenno del capo, e rientrò in casa.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Di nuovo insieme ***


Capitolo 9
DI NUOVO INSIEME
 
La stanza di Rain era buia, illuminata solo da una lanterna accesa in precedenza da Aerith, ma lasciata ad un'intensità bassa cosicché non infastidisse la ragazza addormentata.
Sephiroth entrò senza fare un suono, e si chiuse la porta alle spalle dando un'occhiata alla stanza. Era piuttosto stretta, ottima per una singola persona, piuttosto che per due. Ed era molto all'antica, come quelle che aveva visto a Nibelheim. Scaffali di legno, libri e calamai, un bel tappeto rosso, fiori ad abbellire i vasi e due grandi finestre triangolari, una sulla parete di destra e l'altra su quella di fronte all'ingresso. Proprio accanto a quella finestra, in un lettino a una piazza e mezza, tra alcuni cuscini bianchi e rossi, riposava Rain. Era sdraiata con il viso rivolto al soffitto, e la sua espressione era riposata e tranquilla. Non l'aveva mai vista così... serena, mai.
Una volta, Rain aveva dormito in casa sua, a Darefall, e lui le aveva ceduto la stanza per non farla sentire in imbarazzo, ma ora... per la Dea, le cose erano cambiate eccome.
Si avvicinò lento al letto, e spostò una sedia dallo scrittoio per condurla accanto al materasso. Si sedette e osservò quell'espressione vivida e allegra che le colorava il volto di una bellezza troppo fine per appartenere a quel mondo così grezzo e pieno di bruttezze. L'aveva sognata... così tante volte, aveva sognato di trascorrere del tempo con lei, senza timore di essere interrotti da altri. Ora, però, non voleva disturbarla. Per questo non osò nemmeno fare rumore o infilarsi sotto le lenzuola, specialmente non senza il suo permesso. Non avevano mai dormito insieme e non sapeva come avrebbe potuto prendere quella novità. Magari le sarebbe sembrato strano. Preferì quindi attendere, o pazientare per quella notte. Altre sarebbero giunte il giorno dopo, e quello dopo ancora.
Si era cambiato d'abiti, indossando un pantalone largo adatto alla casa e una maglia nera a maniche corte, e aveva lasciato all'ingresso gli stivali alti e gli spallacci di metallo. Voleva solo... riposare con lei. Ascoltò il suo respiro regolare dopo aver poggiato la testa alle coperte, vicino al suo grembo, ma non la sfiorò. Realizzò di non sapere come comportarsi, e che tutto ciò era nuovo per lui come lo era stato il loro appuntamento, tanto tempo fa, e come lo erano stati i loro allenamenti anche prima. Le cose erano cambiate. Loro erano cambiati. Sperò solamente che ciò che provava per lui non fosse mutato da come lo ricordava. Sperò di essere accettato da lei, che significava così tanto per lui.
Realizzò di starsi lentamente addormentando, ma tirò su la testa rapido come un falco non appena udì Rain muoversi e fare un respiro un po' più lungo degli altri. Da SOLDIER, aveva imparato a dormire con un occhio ed entrambe le orecchie aperte. Sarebbe bastato il ronzio di una mosca a svegliarlo completamente, anche se nel cuore della notte. E sapendo che doveva prendersi cura di lei, vegliarla ed essere pronto se le fosse servito qualcosa, non si fece problemi a osservarla e constatare che tutto fosse a posto.
Ma ecco che gli occhi di Rain si aprirono, fari blu che fendevano la penombra e si rivolgevano direttamente a lui. Più grandi, più belli di come li ricordava. Sembrava uno dei suoi sogni.
Sentì un brivido attraversargli il cuore e trattenne l'entusiasmo. Da un lato si sentiva piuttosto patetico, quell'emozione in lui a volte lo faceva sentire come un bambino impaziente.
«Rain.» chiamò quindi con la voce più mansueta e docile che gli fosse mai riuscita, «Sei sveglia. Stai bene?»
La ragazza separò le labbra. Le sue iridi si fecero lucide. Provò a dire qualcosa, ma non ci riuscì.
E così, calciò via le lenzuola e gli saltò addosso senza preoccuparsi delle conseguenze, stringendo le braccia attorno alle sue spalle e affondando il viso nel suo ampio petto.
Sephiroth barcollò e saltò in piedi, o sarebbe caduto insieme alla sedia di legno che si rovesciò dietro di lui. Non senza un pizzico di sorpresa, si accomodò sul ciglio del letto e cercò di capire cosa fosse quel sentimento... quel brivido che lo aveva attraversato quando lei lo aveva stretto. Era qualcosa di meraviglioso e strano al contempo.
«Sephiroth, sei qui!» singhiozzò la ragazza muovendo il viso contro il suo torace, la schiena scossa da piccoli fremiti, «Pensavo di averlo sognato... Pensavo che non fosse vero... Dimmi che non è un sogno, te ne prego!»
«No Rain, non è un sogno.» Sephiroth non ebbe bisogno di pensare due volte per trovare il coraggio necessario e ricambiare l'abbraccio con delicatezza. La cinse con le grandi braccia scoperte e approfittò della bella sensazione della sua pelle a contatto con la propria, senza guanti o altre seccature di mezzo. Appoggiò una guancia alla sua nuca e inspirò il buon odore dei suoi capelli, anche se al momento erano un po' sporchi a causa della battaglia ed Aerith non era riuscita a ripulirli al meglio.
«Non è un sogno.» disse ancora. Stavolta, forse più a se stesso che a lei. Come promemoria. «Sono davvero qui.»
Lei si tirò indietro e lo osservò con lacrime di gioia.
«Io... Io non so spiegarti quanto mi sei mancato.» provò a esprimersi, mentre lui le ripuliva il viso dalle lacrime con un pollice. Lei accostò la guancia al suo palmo e si beò di quel contatto. «Stai bene? Cosa è successo in questi mesi?»
«Sto bene. E ti racconterò tutto domani, con calma. Dovresti tornare a dormire e recuperare le energie.» propose.
Rainiel scosse la testa. Poteva restare sveglia ancora un po'. Si prese qualche istante solo per contemplarlo, dopodiché prese fiato e scelse di parlare di una faccenda un po' più urgente.
«Oggi... mi hai salvata. Genesis ha attaccato la stazione e io mi sono precipitata lì. C'erano dei bambini... come stanno i bambini? Cosa gli è successo?»
«I bambini stanno bene.» La rassicurò lui, accarezzandole uno zigomo per tranquillizzarla. Osservò i suoi occhi e ogni caratteristica del suo viso. Era così bella, così dannatamente bella in qualsiasi condizione si trovasse. E anche lei gli era mancata moltissimo. «Zack li ha condotti a casa prima di tornare qui.»
Rainiel poté infine respirare liberamente. «Ottimo...» si tranquillizzò, prima di procedere. «Genesis è tornato?» Ricordava la sua fuga.
«No, non si hanno sue notizie da quel momento. Per un po' non ci darà noie, mi auguro.»
«Lui voleva... voleva vedere il mio potere. Mi ha provocata, minacciata, parlava di te e...» scosse la testa, riprendendosi. In effetti si sentiva ancora molto stanca.
Sephiroth emise un basso sibilo per calmarla, senza smettere di darle attenzioni. Non sapeva i motivi che spingevano Genesis a comportarsi così, ma non li avrebbe scoperti in una notte senza riposo. Dovevano tutti riprendersi e avviare delle indagini, cercare sue tracce, scoprire i suoi piani. Un'aspettativa che, da una parte, confortava entrambi: finalmente si tornava in azione. Insieme.
«Genesis è pericoloso, ma riusciremo a risolvere anche questa situazione.» la rassicurò. «Ci penseremo domani, per ora devi riposarti.» ripeté.
Rain annuì, ma sembrava troppo vigile ed entusiasta per andare a dormire tanto facilmente. Erano stati così lontani... mondi di distanza, dall'altro lato delle stelle. Ed era passata un'eternità. Ecco come percepivano quanto accaduto, entrambi.
«Non te ne andrai, vero...?» domandò Rain, preoccupata. Pensava di non poter sopportare di separarsi di nuovo da lui. «Intendo... siamo a casa di Elmyra. Questa è la mia stanza. Immagino che non ti abbia riservato un benvenuto dolce e gentile, giusto?»
«No, non esattamente. Specialmente per il sospetto e il disprezzo serviti a cena.»
La ragazza si lasciò sfuggire una bassa risata.
«È una brava donna, credimi. Avrei voluto presentartela io, o almeno presentarti a lei. È protettiva solo perché tiene ad Aerith...»
«E a te.» la corresse lui.
Lei sembrò dubitarne, ma poco dopo annuì lentamente. «E a me. Mi ha accolta per tutto questo tempo, è una persona meravigliosa. Come lo è Aerith. Non preoccuparti se ti hanno punzecchiato un po', stasera.» tossì un'altra risata.
Lui le mostrò un sorriso passeggero, rilassando le spalle. Si erano allontanati quel tanto necessario per parlare, e ora sentiva che uscire da quella porta sarebbe stata una vera sofferenza.
«Riguardo la tua domanda...» riprese la discussione di prima, «Elmyra non sembra particolarmente contenta di avermi in casa. Non ama molto SOLDIER e guardacaso io ne ero il Generale.» sospirò, «Zack ovviamente ha detto la sua e, data la situazione, la madre di Aerith mi ha permesso di restare, ma...»
Lanciò una rapida occhiata al letto. Rain comprese cosa intendeva.
«Se la cosa ti crea fastidio o imbarazzo, andrò a trovarmi un altro posto nel settore e verrò domattina a-»
Rain strinse la sua mano con più forza. Sembrò addirittura tirarlo delicatamente a sé.
«Resta.» gli disse quindi, senza ombra di esitazione nel tono. Le sue gote si fecero più rosse. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che erano stati insieme che ora le sembrava di dover rivivere ogni momento daccapo... aveva bisogno di un po' di tempo per sciogliere il ghiaccio, esattamente come lui, ma non per questo voleva mandarlo via. «Nulla mi renderebbe più felice.» aggiunse infatti.
Sephiroth non si preoccupò di nascondere quel piccolo sorriso che gli sollevò le labbra. Non sapeva come descrivere il sollievo che lo colse. Era qualcosa di magico.
Rainiel non aspettò altro. Era già abbastanza tardi. Si fece più in là sul materasso, sistemando le coperte e stringendosi alla parete sotto la finestra, e lo tirò per una mano per incoraggiarlo a prendere posto a letto. Anche lui era sicuramente molto stanco: aveva viaggiato per giorni e l'aveva difesa da Genesis solo qualche ora prima.
Lui si lasciò guidare sulle lenzuola, e non si coprì perché non sentiva freddo.
Rainiel appoggiò la testa a un angolo del cuscino, pronta a dividerlo con lui, e restò sdraiata su un fianco a guardarlo ancora per un po'. Si contemplarono a vicenda, dicendosi tante cose senza neppure parlare, come capitava spesso d'altronde. Lui prese una sua ciocca di capelli tra le dita e ci giocò pigramente per qualche minuto. Il tempo sembrava essersi fermato. Erano così vicini... finalmente, insieme. Temevano che quella notte avrebbe strappato via anche questa piccola certezza. Non sapevano cosa il domani avrebbe portato loro, e per questo volevano godersi ogni possibile momento.
Non c'era malizia nei loro sguardi. Erano solamente contenti di stare insieme. Di guardarsi. Di viversi a vicenda. L'esperienza più bella dello loro vita.
Poco dopo Rainiel si sentì audace abbastanza da scivolare più vicina a lui, che l'accolse tra le braccia, contro il proprio petto, avvicinando il viso al suo.
Rain sollevò il proprio per continuare ad ammirarlo. Inspirò a pieni polmoni.
«Mi è mancato il tuo profumo.» mormorò, un soffio nella notte. Nessuno dei fiori del giardino di Aerith era paragonabile a quello emanato dalla sua pelle, dai suoi lunghi capelli argentati, dai suoi vestiti freschi e morbidi. «E il tuo sguardo. E la tua voce. Ogni cosa di te...»
Lui socchiuse gli occhi nel sentire le sue adorabili parole, sussurrate a un soffio da viso. La strinse di più a sé, sfiorò le sue labbra con le proprie.
Forse... forse era troppo presto per fare finta di nulla. Forse avevano entrambi bisogno di più tempo, così si limitò a condividere il suo respiro caldo, ad appoggiare la fronte alla sua. Il mondo era più tranquillo, più stabile, adesso.
«Mi sei mancata anche tu.» le spiegò in un bisbiglio. «Ma non andrò più via, lo prometto.»
«Lo hai già promesso. Hai detto che saresti tornato, e rimasto.»
«Ed è quello che intendo fare.»
«Allora non vedo l'ora che arrivi domani.» sorrise a un centimetro da lui, «Perché voglio farti conoscere questo nuovo mondo. Voglio viverlo, con te, come se fosse la prima volta che lo vedo.»
Una proposta che non si poteva rifiutare così facilmente. Sì, quella era una vita monotona e per niente adatta a persone come loro, troppo semplice e tranquilla per chi continuava involontariamente ad attirarsi guai addosso come una calamita, ma non sarebbe stato male avere un assaggio di quella realtà parallela, anche solo per un giorno.
«Sì,» si concesse allora Sephiroth. L'avrebbe considerato... come un giorno di ferie più che meritato, per entrambi. «Va bene.»
Rain sorrise ampiamente e gli carezzò il viso con la mano mancina, sentendo la sua pelle fredda sotto le dita e trattenendosi, perché sapeva che avrebbe potuto baciarlo, lì e subito, e nessuno stavolta avrebbe fatto nulla per impedirlo. Eppure non voleva esagerare, non voleva correre troppo. Immaginò che lui la pensasse allo stesso modo.
«Riposa.» le disse lui ancora una volta, socchiudendo le palpebre a malincuore. Non aveva sonno, ma sperava che così lei lo avesse imitato. «Domattina sarò ancora qui.»
Un'altra splendida promessa.
Rainiel ampliò il sorriso e si strinse a lui, accoccolandosi contro il suo corpo. Non le importava se facesse caldo o meno. I suoi capelli coprirono la mano di Sephiroth che ora vi riposava in mezzo, le sue gambe si intrecciarono a quelle dell'uomo. Poté sentire il battito del suo cuore, un po' più veloce del solito.
«Lo so.» disse in un sussurro. Si addormentò con la sensazione di essere al sicuro e di stare più bene che mai. Non importava quali pericoli li aspettassero.
Sephiroth restò sveglio, ma rilassato, finché non sentì il suo respiro farsi leggero. La tenne stretta a sé senza trovare strano nulla di tutto quello. Mesi prima aveva sperato che un momento simile arrivasse rapidamente. Dopo il loro primo appuntamento, era così che avrebbe voluto concludere la serata. Ma andava bene lo stesso. Nonostante tutto quello che avevano trascorso, nonostante i tempi e le distanze che li avevano separati, ora erano di nuovo insieme.
Anche lui, quella notte, riuscì a prendere sonno abbastanza in fretta. Riposò come non aveva mai fatto, e forse stavolta non sarebbe bastato il minimo fruscio del vento a destarlo.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Prigionieri ***


Capitolo 10
PRIGIONIERI
 
Genesis sentì il vento insidiarsi tra le piume della sua ala. Quale immenso senso di libertà... e che grande peccato, il fatto che fosse solo un'illusione.
Guardò Midgar dall'alto con gli occhi di chi ha imparato a odiare il posto che l'ha accolto. Più di quanto aveva odiato Banora, la sua vera casa, il villaggio dove erano cresciuti lui e Angeal. La città sulla piattaforma era bellissima, di una bellezza che i paesi come il suo potevano solamente sognare, moderna e tecnologica, ma come tutte le cose troppo belle per essere vere, nascondeva un lato oscuro. Tutto ciò su cui era stata fondata erano oscurità e menzogne e segreti brutali.
A malincuore, scese di quota per planare, silenzioso come un gufo a caccia, su uno degli eliporti della torre Shinra che gli erano stati indicati in precedenza. Poggiò i piedi a terra in un atterraggio perfetto e aggraziato, e lanciò un'ultima occhiata carica di rimorso all'ala alla sua sinistra prima di farla sparire in un vortice di piume nere.
Con tanti pensieri per la testa camminò senza alcuna fretta verso la porta automatica che si aprì orizzontalmente appena vi fu davanti, e poi attraversò i corridoi del palazzo, illuminati solo da quell'inquietante luce troppo bianca. Come aveva fatto a farci l'abitudine?
Si sentì come una volpe in un pollaio, mentre si aggirava a passo felpato tra un piano e l'altro, discendendo verso il posto che sapeva di dover raggiungere. Una volpe con una museruola.
Evitò di buon grado i piani di residenza dei SOLDIER prendendo l'ascensore e ammirando per ancora qualche secondo la grande città e le sue luci immortali. Un reattore poco lontano stava emanando una pallida luce verde.
Arrivò al piano esatto. Davanti a quella maledetta porta. L'ufficio della scienziata che lo teneva stretto al guinzaglio.
Pigiò la maniglia giurando a se stesso che avrebbe dato quel luogo alle fiamme, prima o poi.
All'interno della stanza erano già presenti i suoi tre cari carcerieri. La donna dagli occhi allungati, la scienziata devota a Hojo, Jadin, era accomodata dietro la sua scrivania e stava leggendo dei fascicoli sistemandosi gli occhiali sul piccolo naso.
«Non ti hanno insegnato a bussare?» domandò seccata.
Gli altri due erano in piedi, alla sua destra e sinistra. Il SOLDIER di prima classe biondo, Narcisse, era acquattato in un angolino buio, le spalle e un piede contro il muro. Gli lanciò un'occhiataccia appena entrò.
Fu ricambiata.
«Immagino non facesse parte del programma di prima classe.» sibilò in risposta Genesis, forte del suo sarcasmo, ispezionando anche l'ultima presente.
Una Turk dal taglio corto e corvino, la pelle bronzea e gli occhi grandi. Se ne stava in piedi con un'espressione non troppo convinta, e sembrava del tutto fuori luogo lì.
Jadin ignorò la sua simpatica battuta.
«A giudicare dal fatto che non vedo Rainiel e Sephiroth qui con te, considererò il tuo tentativo di oggi un fallimento.» cambiò al contrario argomento, a stento dedicandolo di uno sguardo che lo analizzò da capo a piedi. Se non altro, non era ferito.
Eppure le sue parole lo fecero tremare di rabbia.
«Oggi? Fallimento?» ringhiò piano, «Ho volato fino a Nibelheim e ritorno per fare quello che mi hai chiesto.» le fece notare.
«Ma senza risultati.» continuò a sminuirlo lei, «Come dicevo, un totale fallimento.»
Genesis strinse i pugni per la rabbia e la stoffa lucida dei suoi guanti rossi si tese. Camminò avanti e indietro per l'ufficio per sbollire la rabbia.
«Sephiroth e la ragazza sono di nuovo insieme. Ci sono altri, con loro, tra cui Zack Fair.»
La Turk, che se non ricordava male doveva chiamarsi Vaneja, deglutì visibilmente. Non sembrava particolarmente a suo agio. Evidentemente conosceva tutti quei nomi e, a differenza degli altri due, non sembrava avere rancori esagerati nei loro confronti.
«Non m'importa di chi ci sia con loro. Voglio entrambi. Se è necessario per la realizzazione della missione, elimina chiunque si metta in mezzo.» ripeté la giovane scienziata.
Genesis era colpito, se non altro, dalla crudeltà che una persona smilza e piccola come Jadin potesse contenere. Aveva un aspetto grazioso e docile, eppure nascondeva molto sotto quella maschera.
«Non sarà comunque facile portarli qui. Non in vita. Sembra che ti aspetti che io risolva questo problema da un giorno all'altro.»
«Perché è proprio quello che mi aspetto da te. Se ci tieni alla tua vita, certo.»
Il super-SOLDIER perse la pazienza e si scagliò contro di lei.
Narcisse si spostò fulmineo, andando a pararsi fra i due. La Turk mise mano alla pistola nella fondina sul suo fianco. Genesis si arrestò e scoprì i denti verso di loro come un animale selvatico.
«Non sono la tua marionetta, ragazzina. Non sto agli ordini di nessuno. Se solo volessi, potrei uccidervi tutti e tre seduta stante.» volle ricordarle.
Jadid sospirò, annoiata, ma gli rivolse comunque un sorriso.
«So benissimo che non è la volontà, quella che ti manca. No... piuttosto, quella che non hai è la libertà di scegliere.»
«Perché altrimenti mi uccideresti? Inizio a dubitare del fatto che tu sia in grado di uccidermi. Cos'è, hai inventato un bottone che puoi premere quando ne hai voglia e disintegrarmi all'istante?»
«Oh, qualcosa del genere. Grazie per la domanda.»
Jadin si alzò lasciando frusciare i lunghi lembi bianchi del camice. Girò attorno alla scrivania e continuò a camminare verso di lui.
«Vedi, nel periodo in cui dormivi profondamente ho iniettato nel tuo corpo delle cellule in grado di reagire a particolari stimoli esterni, persino quelli digitali.»
Poggiò una mano sulla spalla di Narcisse, inducendolo a rilassare i muscoli.
Il SOLDIER sorrise compiaciuto e fece come gli era stato chiesto.
«Dopodiché, ho ideato un programma automatico che ha il compito di attivare quelle determinate cellule, inducendo loro e quelle vicine all'autodistruzione grazie anche all'uso del DNA di Jenova. Il software è progettato per attivare la degradazione una volta al giorno, ma io mi occupo di rimandare di altre ventiquattr'ore l'avvio, ogni giorno, accendendovi tramite una password che soltanto la sottoscritta conosce.»
Genesis avrebbe voluto strapparle quel dannato sorriso dalla faccia. Non la sopportava, così gongolante e sicura di sé mentre lui era in catene, piegato ai suoi voleri.
«Quindi, se dovessi fare del male a qualcuno di noi, specialmente a me, io semplicemente non inserirei più quella password.» si picchiettò un dito sulla tempia, «E l'unico posto in cui è conservata è la mia mente. Non puoi averla. Fai un solo passo falso, Genesis, e non vedrai una morte istantanea, ma una lenta e dolorosa. Capisci cosa intendo.»
Non era una domanda. Lo capiva davvero. Aveva dovuto convivere con la degradazione per settimane. In quei momenti, sembrava che gli stessero tranciando via a piccoli morsi sempre più parti del corpo, fino a renderlo incapace di difendersi.
Si odiò, così tanto e in maniera talmente tremenda... non poteva fare nulla. Se davvero Jadin non stava mentendo, allora non c'era alcun modo per trarsi in salvo da solo. Era sotto scacco dal momento in cui aveva ceduto alla degradazione, mesi prima, convinto di essere vicino alla morte, dall'attimo in cui aveva chiuso gli occhi per poi riaprirli in quel laboratorio, davanti alla scienziata. Era diventato niente più che uno schiavo costretto a ubbidire.
Avanzò nella stanza, ignorando Narcisse e la Turk, e poggiò le mani sulla scrivania davanti a lui.
«Troverò un modo.» giurò, e la sua non era una promessa. Non stava parlando del suo compito... no, la sua era una minaccia.
Jadin lo comprese.
«Buona fortuna, allora.» lo derise ancora, chinando la testa vicino a lui e sorridendogli a una spanna dal viso. «Ma fino a quel momento sarai mio e farai ciò che ti chiedo. E quello che ti ordino...»
Genesis la fulminò con lo sguardo.
Non aveva mai preso ordini, neppure quando era parte dell'élite di SOLDIER. Tutto quello che aveva fatto non gli era stato imposto, era stato una sua scelta. E ora...
«... è di portarmi il soggetto S ed il soggetto R. Voglio Sephiroth e Rainiel, vivi, e tu li condurrai da me in un modo o nell'altro.» gli diede istruzioni. «Ci siamo capiti?» chiese poi conferma.
L'uomo mostrò i denti. Il suo voleva essere un sorriso beffardo, di quelli che avrebbe sfoderato davanti alla stessa morte. In verità, però, non ci teneva proprio a morire. Aveva le sue ambizioni, anche se tutto il mondo gli era crollato addosso e ormai nessuno derivava più far parte della sua vita. E pensare... che forse Sephiroth era l'ultimo caro amico che gli restava. 
Un pensiero sciocco, si disse poi. Aveva perso anche lui. Probabilmente lo odiava, specie dopo aver attaccato la sua cara allieva.
Rivoltarsi contro di lui era tutto ciò che poteva fare per rimanere in vita. Sacrificare la sua, e tutto ciò a cui lui teneva, per tornare libero. Sempre che così fosse. Jadin non gli aveva mai promesso nulla, in realtà.
Gli faceva male la testa ogni volta che ci pensava, così si impose di seguire l'istinto.
Tirò su la schiena e annuì, e suo malgrado sembrò così maledettamente spaventato che si diede il voltastomaco da solo.
Si sarebbe vendicato anche di questo.
«Altroché.» rispose senza mezzi termini. In quel momento non aveva voglia nemmeno di recitare qualche verso in replica alla sua altezzosa richiesta.
Jadin azzardò di più. Con una mano diede una sistemata alla sua giacca. Pur sapendo che Genesis aveva una voglia matta di estrarre Rapier e mozzarle il braccio.
«Bravissimo. Vedi? È tutto più semplice, una volta stabiliti i ruoli: io comando e tu esegui.»
Tornò dietro la scrivania senza attendere risposta.
«Sparisci, ora. Non farmi attendere, o potrei dimenticarmi di risparmiarti la vita per un altro giorno ancora.»
Il sangue ribolliva nelle vene del SOLDIER, che tuttavia non poté obiettare. Non si inchinò come forse lei aveva sperato, si limitò a indietreggiare a testa alta, l'andamento un po' oscillante, negli occhi una fiamma viva, odio puro.
Squadrò da capo a piedi lei e i sue due scagnozzi. Narcisse non mantenne il suo sguardo, fingendo noia quando invece fu possibile notare la sua pelle d'oca. Vaneja... lei non osò nemmeno tentare di provocarlo.
Genesis non salutò, non aggiunse altro. Lasciò la stanza sui suoi piedi, tornando a camminare tra i corridoi che aveva percorso per tutta una vita, e raramente da solo. Era arrivato lì con Angeal, dopotutto. Ma quella era una realtà diversa, una vita diversa. Lui... sentiva di essere morto davvero, tempo prima, e di essere poco più che uno spettro adesso. Andò a cercarsi un posto tra le tenebre della Torre Shinra. Uno in cui poter pensare a un piano che salvasse la sua vita, e condannasse quella di colui che un tempo aveva chiamato amico.
Intanto, nell'ufficio di Jadin, la scienziata scoccò un'occhiata all'ultimo SOLDIER rimasto nella stanza.
«Narcisse.» lo chiamò, la voce atona.
Il biondo dagli occhi simili a rubini si irrigidì, pronto a qualsiasi richiesta.
«Voglio che tu lo segua a debita distanza.» lo informò lei, incrociando le braccia e lasciandosi cadere sulla sedia girevole davanti allo scrittoio.
Da un comodino trasse fuori un fascicolo relativamente scarno, che portava il titolo di "Progetto Rainiel". Erano appunti che aveva raccolto durante il periodo di assistenza nei laboratori al fianco del grande e unico Hojo, un uomo che per lei era stato di enorme ispirazione. Come lui, Jadin desiderava sapere fino a che limite la scienza potesse spingersi, sempre ammesso che un limite esistesse. Aveva scoperto del progetto quando Hojo aveva iniziato a fidarsi di lei, e ne era rimasta affascinata. L'idea che da semplici cellule aliene si potesse formare un essere umano, e che questo fosse dotato di poteri straordinari, che fosse un ibrido... alle sue orecchie era una dolce melodia. Il laboratorio era il suo parco giochi e lei voleva fingersi il dio indiscusso di quel luogo. Aveva iniziato a frequentare Rainiel per osservarla da vicino, ma lei non sapeva nulla. Così l'aveva aiutata a comprendere. Quando era fuggita con Sephiroth, quando Hojo era morto, aveva visto il suo piccolo paradiso crollare. Lo voleva ripristinare, voleva esplorare le possibilità di due DNA perfetti e unici che mai e poi mai sarebbe stata in grado di ricreare basandosi sulle sue sole competenze.
Ecco perché non poteva fallire.
Lasciò scorrere le lunghe unghia rosee sulla copertina del fascicolo, prima di sistemare gli occhiali sul naso.
«Tu hai conosciuto Sephiroth e hai avuto modo di allenarti con Rainiel. Potresti guadagnarti la loro fiducia. Va', e assicurati che Genesis porti a termine la missione e non si faccia venire strane idee.» finì allora di dire a Narcisse.
Lui annuì.
«Sarà fatto. Ho già qualche idea in mente... non ti deluderò.» sorrise spavaldo, per poi schiarirsi la gola, «Anche se naturalmente questo comporterà una paga più... generosa, mi auguro.»
Jadin alzò gli occhi al cielo.
«Voi SOLDIER siete così puntigliosi! Sì, certo, avrai la tua paga a lavoro completato.» lo rassicurò.
Lui gongolò per quella speranza. Poi a sua volta si diresse all'uscio. «Era tutto ciò che volevo sapere. Ti chiamerò quando avrò finito, così potrai mettere sul fornello un buon tè per i nostri due cari ospiti.»
Jadin si coprí la fronte con una mano quando anche lui se ne fu andato. Respirò a fondo, ricordando che a stento sopportava i suoi collaboratori. Si ricordò anche... dell'amica taciturna.
«Come mai così silenziosa, Vaneja?» le domandò quanto più direttamente possibile.
La Turk sembrava scossa. Quasi balzò sul posto per la sorpresa di essere stata interpellata, e finse un colpetto di tosse.
«Ascoltavo.» squittì a malapena, evitando il contatto visivo.
«Se ascoltavi, avrai anche formulato una personale opinione della situazione attuale. Non ti ho mai chiesto cosa ne pensi della missione... e perché mi sembri sempre così poco convinta di quello che stiamo facendo.»
E come avrebbe fatto a esserne convinta, dopotutto? Vaneja non aveva idea di cosa pensare, figurarsi di come agire.
Come Rainiel, aveva sempre pensato che Jadin fosse una normalissima ragazza, un'amica fedele a cui rivolgersi per avere delle informazioni in più tra quelle chiuse sotto chiave, o anche solo per prendere un caffè insieme o fare un giro in città nel fine settimana. Le aveva sempre voluto bene. Si era fidata di lei.
La notte in cui la Turk aveva voltato le spalle a Rain, Zack e Cloud, quella in cui aveva permesso loro di entrare nel laboratorio di Hojo pur sapendo che loro l'avrebbero ucciso, era stata anche quella in cui la sua perfetta illusione era andata in frantumi. All'alba l'allarme e le notizie avevano raggiunto tutti nella Torre Shinra, dopodiché si erano propagati anche nel resto di Midgar. Quello stesso giorno, aveva fatto visita a Jadin per chiederle se sapesse qualcosa in più. Magari... che fine avesse fatto Rainiel. Si sentiva in colpa per essersi comportata in quel modo con lei, anche se era stata tenuta all'oscuro di tutto. Quando aveva bussato alla porta dell'ufficio, lo stesso in cui si trovava ora, tuttavia... la Jadin che l'aveva fatta accomodare non era più la timida e dolce ragazza che arrossiva a ogni interazione con Cloud. La sua espressione era di pietra, la sua voce dura e decisa. La Jadin della messinscena era ormai morta o, per meglio dire, non era mai esistita. Vaneja aveva fatto squadra con lei per non essere contro di lei. Quella nuova Jadin le faceva paura. Allo stesso tempo, si ripeteva che quel che stavano facendo era giusto. Che Rain e Sephiroth erano davvero dei mostri e che per il bene del resto del mondo sarebbe stato meglio trattarli come tali. E i mostri... se non si uccidono, si rinchiudono. Si tengono sotto controllo. Si domano.
Le sue unghie grattarono la superficie liscia della scrivania mentre ci ripensava.
«Non ho motivo di commentare un piano che non è mio. Io mi sto limitando a seguire la tua linea di pensiero.» disse allora, cercando di ignorare le gambe che ancora non avevano smesso di tremare. Lì con loro, fino a pochi secondi prima, c'era anche Genesis, un essere spaventoso. Ma in che guaio si stava cacciando? «Anche se non sto facendo nulla di particolare, se non aspettare i tuoi ordini, o di vedere che piega prenderà il corso degli eventi. Mi domando solo...»
Jadin tese l'orecchio. La ragazza aveva esitato, lasciato una frase a metà. Snervante.
«Cosa, Van? Sii chiara. Puoi chiedermi ciò che vuoi.»
«Io... credo sia inutile chiederti il perché lo stai facendo. Il fatto è che... non so se sono in grado di fare del male a Rainiel. O a Zack. Oppure a Cloud.» mormorò a stento la Turk, «La mia divisione ha deciso di non immischiarsi nelle faccende del dipartimento scientifico dopo la morte del professor Hojo. Eppure io ci sono dentro fino al collo. Quel che voglio sapere è se c'è un motivo per venirne fuori.» Con molti giri di parole, riuscì ad arrivare al sodo.
La scienziata fece qualche attimo di silenzio, dopodiché mostrò un piccolo sorriso e andò a prendere posto accanto a lei. Le posò una mano sulla spalla. Sembrava che si stesse rivolgendo a una bambina cocciuta.
«Van, carissima Van...» sospirò, «Non capisci? Noi siamo immischiate in questa faccenda dal momento in cui abbiamo messo piede a Midgar. Tutti lo sono, qui alla Shinra, è solo che non ne sono ancora consapevoli, e alcuni non lo saranno mai. Ma io e te lo siamo, e possiamo fare qualcosa per evitare che accada il peggio. Dimmi, non è per questo che hai deciso di entrare a far parte dei Turks? Per proteggere i giusti lavorando nell'ombra?» chiese con voce calma e trascinante.
Vaneja dovette sforzarsi di non evitare il suo tocco. Si sentiva estremamente a disagio, non vedeva l'ora di lasciare quell'ufficio, tornare nella sua stanza e chiudere la porta facendo fare alla chiave almeno tre giri nella serratura.
«Sì, ma-»
«Allora quello che stai facendo è giusto, e non dovresti porti troppe domande. I tuoi superiori fanno la stessa cosa. Reno, Rude, Tseng... credi che loro prendano parte solamente alle missioni che più gli piacciono? Tu non puoi sapere quanti lavori sporchi debbano accettare. In qualità di Turk, però, devi fare lo stesso. Anche se questo significa andare contro Rainiel e gli altri.»
Van serrò i denti prima di parlare di nuovo.
«Credi davvero che Rain sia pericolosa? La conosco bene e da molti anni, e non ha mai fatto nulla che reputerei malvagio. Non c'è un altro modo di risolvere la questione?»
Davvero non riusciva a immaginarsi mentre faceva del male a colei che era stata la sua migliore amica. Jadin, però, non sembrava d'accordo. Batté con rabbia una mano sul tavolo e fece sussultare la ragazza più alta.
«Vorrai scherzare! Rain ti ha mentito, ti ha voltato le spalle e non ha esitato a mettere il suo bene e quello di altre persone prima del tuo. Sono d'accordo, in passato è stata una ragazza premurosa e non è mai venuta meno alla nostra amicizia, ma sai benissimo qual è il suo problema.» alzò la voce.
Vaneja si pizzicò un braccio. Sapeva a cosa stava alludendo, e che Jadin voleva che fosse proprio lei a dirlo.
«... Sephiroth.» soffiò con un fil di voce dunque, «Il problema è Sephiroth.»
«Separarli porterebbe solo a un miglioramento, tanto per cominciare. Hai visto che cattiva influenza quel SOLDIER ha su di lei. Credimi, le stiamo facendo un favore.»
Vaneja sentiva le lacrime agli occhi, ma si morse la lingua e mantenne la calma. Voleva davvero crederle, voleva che pensarla a quel modo fosse così facile, ma la verità è che si sentiva in colpa. Stava permettendo che accadesse tutto questo, ma ciò che voleva era tornare ai bei tempi in cui lei, Jadin, Rain, Zack e Cloud si ritrovano la mattina al bar della zona ristoro per fare colazione tutti insieme, parlare del più e del meno e stuzzicarsi con frecciatine e battute di ogni tipo. Le mancavano, più che mai, le risate dei suoi amici. E le proprie. Van non rideva da quella maledetta notte.
Jadin le diede un'ultima pacca sulla spalla, poi prese ad allontanarsi.
«Rifletti su questo, Van, e fatti una bella dormita. Voglio che tu sia pronta, nel caso in cui dovessi mandare anche te là sotto.» l'avvisò, facendo riferimento ai bassifondi, e così la congedò definitivamente.
Van si morse le labbra fino a sentire il sangue tra i denti e sotto la lingua.
Pronta... non credeva che sarebbe mai stata pronta per una cosa simile. Ma l'avrebbe fatto comunque.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Un tocco di normalità ***


Capitolo 11
UN TOCCO DI NORMALITÀ
 
Quella seguente fu forse la miglior mattina di sempre. La prima in cui Sephiroth sentì di poter tranquillamente oziare senza essere svegliato all'alba perché era stato chiamato in missione, o in laboratorio per il solito prelievo di sangue, o magari perché aveva sentito dei mostri avvicinarsi al suo rifugio nelle terre aride lontane da Midgar.
Dormì profondamente, e sognò di quand'era giovane. Venne a galla la memoria di angherie e torture subite solo in tenera età, ma riaffiorarono anche i bei momenti passati con i suoi due migliori amici.
Era capitato, una volta, che Angeal si facesse una bella risata perché Sephiroth aveva lanciato la sua Masamune dritta alla mela che Genesis stava per addentare. Nel loro gioco, di solito la mela veniva posta in testa, ma il tragico SOLDIER dai capelli rossastri aveva borbottato una qualche provocazione che aveva immediatamente ricevuto risposta. Sporco della polpa della mela, che si ritrovò sulle palpebre e sul petto, lanciò un'occhiata torva al compagno vestito di nero mentre quello dagli occhi azzurri si piegava su se stesso senza potersi contenere.
In quei giorni, sembrava che al mondo esistessero solo loro tre. Sembrava che tutto andasse bene, che non si stessero allenando perché c'era una guerra da combattere, dei terreni da conquistare... delle persone da uccidere.
Forse era stata la guerra a dividerli, a renderli così... distaccati. Diversi.
Quando erano tornati dalle prime file, erano lieti di rivedersi e di sapere che gli altri stavano bene. Eppure c'era una luce diversa nei loro occhi, una molto più opaca.
Ma fu, tutto sommato, un bel sogno. Le risate spazzavano via la malinconia delle giornate di solitudine. Quelle sfide che si lanciavano riempivano pomeriggi che altrimenti sarebbero stati vuoti e insensati. Anche nei momenti difficili, a Sephiroth bastava pensare ai suoi amici, al fatto che li avrebbe rivisti, che avrebbero portato via quei suoi dubbi e pensieri con un sorriso e una pacca sulla spalla. Lo pensava, mentre quegli orridi tubi gli si conficcavano nelle vene e lui stringeva i denti. Mentre veniva spinto sotto la gelida doccia di mako in quella dannata stanza bianca. Mentre crollava sulle ginocchia e si chiedeva se quella fosse la normalità.
 
Quando si risvegliò, i suoi amici non erano più lì con lui. Il mondo era cambiato, era diverso e diverso era diventato anche lui, ma era ugualmente un posto luminoso e ricco di speranze.
Avrebbe ricordato Genesis, si sarebbe torturato con i suoi stessi pensieri, se non avesse trovato lì Rain, ancora fra le sue braccia.
Nella notte, la ragazza doveva essersi girata dall'altro lato, perché ora aveva la schiena rivolta verso di lui, anche se non si era allontanata, e riposava la testa sul suo braccio sinistro. Aveva un piede tra le sue ginocchia, e una mano legata alla sua, che invece le cingeva il fianco e le si poggiava sul ventre.
Il guerriero prese fiato e ricordò la sera prima. Ricordò di essere a casa di Aerith, di aver dormito con Rainiel per la prima volta. Il risveglio fu più lieto che mai.
Sorrise istintivamente, abbassando la testa per poggiarla sulla spalla della giovane donna. Delicatamente, spostò le loro mani intrecciate e le portò alle labbra. Baciò le sue dita come se le stesse sfiorando, ma lei emise un piccolo verso, come se le avesse fatto il solletico.
Aprì lentamente gli occhi azzurri, le pupille si strinsero al bagliore che proveniva dalla finestra e impiegarono qualche secondo ad abituarsi alla luce del sole. Poco dopo si accorse della sua posizione, ma anziché scostarsi strofinò un piede contro la sua gamba in modo pigro.
«Buongiorno.» biascicò con un sorriso vivace ma assonnato sul volto. 
Lui socchiuse di nuovo gli occhi, istintivamente cercando di mostrarsi impassibile come al solito.
«Ti ho svegliata?» domandò con tono di voce atono anche se, sotto sotto, la sua voleva essere una cortesia o un riguardo.
Fortunatamente lei comprese le sue buone intenzioni. Si fece più piccola sotto il suo braccio, contro di lui, lasciandosi viziare un po'.
«Mh. Può darsi.» gorgogliò tranquilla.  «O forse sono solo i miei super-sensi da SOLDIER di prima classe...» Gli strappò una sincera risata, e poté giurare che il cuore le battesse con più energia in quel momento.
Stare lì con lui in quel momento aveva appena annullato quasi un anno di preoccupazioni e nostalgia.
Lanciò un'altra occhiata alla finestra e per poco non trasalì. Si irrigidì sotto le lenzuola e si tirò un po' su, stuzzicando la curiosità dell'uomo accanto a lei.
«Abbiamo dormito fino a tardi!» esclamò, come se la cosa avrebbe avuto delle severe conseguenze.
Lui non si era curato dell'orario. Probabilmente erano già le dieci o le undici del mattino. Aveva riposato così bene accanto a lei che gli sarebbe piaciuto rimanere a letto tutto il giorno...
Ecco perché non titubò nell'emettere un basso verso di gola, come un piccolo ringhio contenuto e assopito, e di stringerla nuovamente a sé. Con le dita scoperte stuzzicò la stoffa del suo abito da notte. Avvicinò il viso all'incavo fra il suo collo e la spalla.
«Non è un problema. Meritavi di riposare almeno un po'.» soffiò contro la sua pelle. Le causò un piacevole formicolio lungo la spina dorsale. Sentì immediatamente le sue labbra che si dichiudevano e le sue spalle che si irrigidivano per poi sciogliersi di nuovo.
Rain dovette mantenere l'autocontrollo. Per un attimo ebbe voglia di maledirlo... era astuto. Lo stava facendo di proposito. Come dice il detto, il lupo perde il pelo ma non il vizio, e lui non aveva perso il vizio di metterla alla prova. Né quel suo tocco di arroganza che lo rendeva, in un certo senso, ancora più affascinante.
Un implicito invito: "Resta qui con me ancora per un po'".
Al che rispose: «Ho... degli impegni. Devo... dovrei...»
Ma sentì la sua bocca sul collo. Non la baciò, si limitò a sfregarla dolcemente in quel punto, come un gatto che richiede attenzioni.
Di questo passo avrebbe davvero trascorso tutto il resto del giorno tra le coperte. Ma sicuramente la colazione era già fredda e gli altri sarebbero presto saliti in camera a controllare che stessero bene.
Per un po', si lasciò andare al momento. Sentiva che niente la poteva rendere più felice di quello. Eppure le ore in una giornata erano troppo poche, e lei voleva fare così tante cose che forse non le sarebbero nemmeno bastate quelle che aveva a disposizione.
«Fammi indovinare... "Zack si starà chiedendo dove siamo finiti".» le lesse nel pensiero.
Lei annuì, con un risolino.
«E non ho intenzione di trascorrere la giornata a fare da bersaglio alle sue sconce supposizioni.»
Lui tirò su un lembo delle labbra.
«E va bene. Andiamo.» si concesse.
Si allontanò, lasciandole un incredibile senso di vuoto, e si alzò senza problemi. Con le spalle rivolte alla finestra, il sole disegnò su di lui le linee di scapole forti e muscoli agili.
Rainiel distolse lo sguardo prima di arrossire come una bambina.
 
Andò a cambiarsi in bagno, lasciando a lui lo spazio della stanza, e si incontrarono sul pianerottolo quando ebbero indossato i loro tipici indumenti. Rain aveva dovuto apportare un cambiamento al suo vestiario: la giacca di cuoio si era sgualcita nel combattimento del giorno prima, e così aveva scelto un comodo maglione leggero e smanicato, che assomigliava tanto a quelli indossati dai SOLDIER, e un pantalone dello stesso colore. Chissà che non l'avrebbero aiutata a mimetizzarsi tra loro, nel caso in cui ne avessero incontrato un gruppo.
Scesero le scale per poi arrivare in cucina, dove Zack ed Aerith erano già comodamente seduti e stavano facendo colazione.
«Ben svegliati, dormiglioni.» ridacchiò Aerith alzandosi per prendere altre due sedie.
Rain mise su un sorriso un po' imbarazzato, cercando di balbettare qualche scusa, ma Zack le andò incontro e la afferrò le braccia per guardarla dalla testa ai piedi.
«Sei come nuova, grazie alla Dea!» sospirò più tranquillo, per poi abbracciarla. «Ti sei ripresa?»
Lei ricambiò la stretta e annuì piano. «Sì, sto molto meglio, anche se quello che è successo ieri mi ha lasciata... perplessa.»
Zack mormorò concordando con lei. Subito dopo incrociò le braccia e guardò Sephiroth.
«Be', allora? Come ci si sente a essere tornati?» esclamò mentre Aerith portava le sedie al tavolo e tagliava due fette da una torta di mele ancora calda. Elmyra doveva averla preparata appena sveglia, per poi uscire di casa per sbrigare i suoi impegni.
Sephiroth non lo guardò direttamente, mentre rispondeva.
«È... una bella sensazione.»
Zack seguì la direzione del suo sguardo, e notò che ricadeva su Rain, la quale cercava di nascondere un timido sorriso.
«Mh... Lo credo bene!» sogghignò, per poi prendere fiato per colpirli con un'altra tempesta di tremende battutine.
«Zack.» lo richiamò Aerith con finta rigidità nella voce. «Dà loro almeno il tempo di svegliarsi, prima di torturarli.»
Lui sbuffò come un bimbo indispettito, e tornò al tavolo facendo loro segno di prendere posto.
«Gradite del caffè?» chiese la fioraia.
Rain fu l'unica ad annuire, e la ringraziò della sua gentilezza mentre lei tornava in cucina.
La colazione proseguì tra chiacchiere e domande di ogni tipo. Aerith, in maniera particolare, era molto curiosa di saperne di più su Sephiroth e sulla sua storia con Rainiel. Le sue risposte, però, erano molto vaghe e non esattamente vivaci. Ricordava ancora bene l'interrogatorio della sera prima e per Rain fu chiaro che non vedesse l'ora di uscire di casa, anche se il super-SOLDIER continuava ad avere la sensazione di aver già visto Aerith da qualche parte, in passato. Fu Rainiel a rispondere per lui, dicendo lo stretto indispensabile, senza condividere più di quanto avrebbe dovuto. Sapeva che ci sarebbe voluto del tempo, per lui, per abituarsi a quella situazione, sempre che ci fosse riuscito. Non era un uomo abituato ad avere così tanti amici, figurarsi a vivere con loro.
Si cercò poi di cambiare argomento, di parlare di temi più recenti: la loro ultima battaglia, cosa era accaduto negli ultimi mesi in cui erano stati separati...
«E hai saputo di Genesis così, all'improvviso?» domandò Zack ancor prima di finire di masticare il boccone dolce che aveva spinto in una guancia.
Sephiroth sapeva che si stava rivolgendo a lui, questa volta, così poggiò educatamente la forchetta sul tovagliolo e tenne dritta la schiena.
«A dire il vero l'ho incontrato. O meglio, lui mi ha trovato. Mi trovavo a Nibelheim, ero lì perché...»
Non terminò la frase. Sentiva gli occhi di Aerith inevitabilmente puntati su di lui, incuriositi. Erano già in troppi a sapere delle sue vere origini, avrebbe spiegato il motivo del suo viaggio a Rain e Zack più tardi.
«... non importa.» tossì piano, riportando gli occhi sul tavolo.
Rainiel non ne sapeva nulla, per cui ne approfittò per portare la sua sedia un po' più vicina alla sua.
«Nibelheim? Non sarà mica il villaggio di cui è originario Cloud?» le sembrò di ricordare, «Hai incontrato anche lui?»
Zack si grattò la testa.
«Oh, giusto, non potevi saperlo perché dormivi. Be', sì, Sephiroth ha incontrato Cloud, e c'è di più! È venuto fin qua ad aiutare la nostra causa.»
Rainiel saltò letteralmente giù dalla sedia, premendo le mani sul tavolo.
«Cosa?! Cloud è qui?! Non l'ho neanche salutato!»
«Non solo! Ha anche portato con sé Tifa!» la informò l'amico.
La ragazza cercò di non saltare sul posto. Conosceva Cloud da talmente tanti anni da aver capito cosa Tifa rappresentasse per lui, benché non volesse ammetterlo.
«Stiamo parlando di quella Tifa?» gongolò.
Zack annuì e incrociò le gambe.
«E di chi altri se no? E sai che significa questo?»
«Che approfitteremo della situazione per far sì che passino dei bei momenti insieme così da legare il più possibile tra loro?» dedusse lei.
Lui sollevò la mano.
«Ho sempre saputo che tra noi ci fosse una certa telepatia.» tirò su col naso per scherzo, in maniera molto solenne.
Lei gli batté il cinque e rise con forza.
Aerith si sentì scaldare il cuore. In tutto quel lungo periodo di permanenza a casa sua, non aveva mai sentito Rainiel ridere in modo tanto genuino. Era cambiata completamente da un giorno all'altro e, sapeva, gran parte del merito andava a Sephiroth. Fu grata che la sua amica avesse trovato qualcuno in grado di farla sentire così, come Zack faceva sentire lei, anche nei momenti più bui.
Sephiroth stava pensando all'incirca la stessa cosa. Non aveva realizzato di essersi imbambolato per un attimo a osservare e ascoltare la risata della giovane donna dai capelli rossastri, la stessa che la sera prima faticava a reggersi in piedi e lottava per sopravvivere, o meglio, per difendere gli altri. Era un'eroina più di quanto lui sarebbe mai stato, si disse. Era semplicemente straordinaria.
Persino in quella situazione... dopo tutto quello che avevano passato, dopo il dolore che aveva affrontato, le battaglie a cui aveva preso parte, gli orrori visti e subiti... e nonostante ci fosse ancora un pericolo in agguato, lì fuori, lei riusciva a dare alla sua vita... un tocco di normalità.
Proprio adesso, erano quattro buoni amici seduti a un tavolo a fare colazione e parlare tutti assieme del più e del meno, come se nulla di tutto il resto fosse mai accaduto.
Era strano... ma in modo piacevole.
Sephiroth non aveva mai avuto nessuno con cui sedersi e scambiare quattro chiacchiere. Non prima di Angeal e Genesis. Non prima di Zack. E di Rain. Forse non era mai accaduto nemmeno con loro, dato che erano sempre stati tutti troppo impegnati a pensare a faccende più urgenti e meno liete.
Si rilassò, finalmente, e si godette il suono di quella risata, degli uccellini che cantavano fuori dalle finestre, dello scrosciare della cascata in giardino. Il suono della normalità, che per la prima volta apparteneva anche a lui.
Almeno finché Zack non propose un'idea.
«Cloud e Tifa sono stati qui presto, stamattina. Immagino siano andati a comprare delle provviste e a fare un giro nel settore e nelle aree limitrofe. Sono sicuro che li incontrerai in giro, prima o poi.»
Rain registrò tutte le informazioni e annuì in modo energico. Finì la sua fetta di torta in un sol boccone e notò che Sephiroth, pur avendone lasciata sul tavolo più di metà, non sembrava intenzionato a dare un solo morso di più.
Per cui lo afferrò giocosamente per un braccio e lo scosse.
«Andiamo, allora! Non vedo l'ora di farti vedere il Settore 5! Ci sono così tante persone che vorrei farti conoscere e...»
Sephiroth non finì nemmeno di udire la sua frase, perché si alzò lentamente e con un'espressione arresa e divertita al contempo, accontentandola. Come avrebbe potuto, considerato che non vedeva una Rainiel così entusiasta da ben prima dell'incidente di Darefall che aveva segnato la sua vita?
Inoltre, non aveva mai vissuto il Settore 5. Vi era stato diverse volte, ma sempre in missione, e praticamente mai nel cuore del quartiere, ma solo nelle zone circostanti. Sarebbe stata un'esperienza interessante.
Salutarono Aerith e Zack, lasciando loro un po' di tempo per stare assieme, e si allontanarono dalla casa e dalla valle fiorita in cui era situata in tutta calma.
C'era tempo. Ce ne sarebbe stato, per un po'.
Rainiel notò, con somma gioia, che i fiori del giardino sembravano più colorati e in salute, ora che lui era al suo fianco. Sentiva le energie fluire in lei. Il suo potere... vivo come se non si fosse mai addormentato.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Bambini ***


Capitolo 12
BAMBINI

 
Il Settore 5 risplendeva di una luce diversa, quel mattino. Sembrava che gli uccellini cantassero con più allegria, o che le piante fossero più verdi, o i cittadini più sorridenti. Fatto stava che Rainiel si guardava attorno e si sentiva colma di felicità e gratitudine per quel che stava vivendo.
Scortò Sephiroth fuori dal giardino di Aerith e poi in una stretta via sterrata che portava al cuore del quartiere. Per qualche motivo, camminava a debita distanza da lui. Non sapeva bene come sentirsi ora che era presente, lì con lei, ma non era infastidita né a disagio. Al contrario, percepiva un certo senso dj sicurezza in più.
Anche lui era piuttosto sovrappensiero, si guardava attorno come se vedesse il mondo per la prima volta, e comunque sembrava che ogni meraviglia che incontrasse non fosse paragonabile a quella appena oltrepassata. Rain ebbe pazienza: sapeva bene che faticava a mostrare le sue emozioni, non gliene fece una colpa. Al contrario, sperò di aiutarlo con qualche domanda.
«Hai avuto modo di dare un'occhiata in giro?» chiese riferendosi al giorno prima. Camminava così spedita e tranquilla che quasi si sentiva fluttuare.
Lui negò usando la testa. «Non ancora.» aggiunse.
Rain si morse un labbro, realizzando che l'uomo accanto a lei probabilmente non si era allontanato da casa, la sera precedente, per essere presente in caso le sue condizioni peggiorassero.
«Non fa niente. Vorrà dire che avrò il piacere di mostrarti il settore!» canticchiò quindi, precendendolo di qualche passo sulla stradina.
Sephiroth sentì il petto infiammarsi quando vide il sole baciarle i capelli e farli diventare del colore dell'oro e del bronzo, bagnandole le guance e le ciglia e proiettando la sua ombra agile sulle siepi e sui muri che costellavano il viale. Avrebbe potuto ammirare quello spettacolo per tutto il giorno, o tutta la vita.
Si ricompose con un finto e basso colpo di tosse quando Rain si fermò e sollevò un dito, guardandolo con l'espressione di chi ha appena avuto un'idea e vuole proporla.
«Ci sono! Potrei portarti alla Casa Verde. Ai bambini farebbe piacere conoscerti!»
Sephiroth piegò la testa quando sentì la parola bambini.
«Casa Verde?» le fece eco infatti.
Rain annuì. «È un orfanotrofio. Si trova qui vicino, basta raggiungere la piazza e girare a sinistra. Aerith e io portiamo dei fiori, di solito, quando visitiamo, ma pazienza per questa volta!» decise, riprendendo a camminare.
Sephiroth la seguì a passo moderato, anche se quelle novità lo incuriosivano e, in un certo senso, spaventavano. Pensava di non essere tagliato per fare parte di una quotidianità tanto tranquilla, di essere troppo diverso per incontrare e stare tra quella gente.
«Capisco. E così, in questi mesi ti sei presa cura dei bambini che vi abitano?» domandò.
Rainiel nascose l'entusiasmo provato nel sentire la sua voce titubare per un attimo. Che non gli stessero particolarmente a cuore i più piccoli?
«Vado alla Casa per aiutare le maestre, occuparmi dei lavori di riparazione o accettare piccole missioni. Con il tempo i bambini si sono affezionati a me, e così ora cerco di passare un po' di tempo con loro.»
Sephiroth la seguì abbassando la testa per guardare, perso nei suoi pensieri, la terra e la polvere che calpestava.
Provò a immaginarsi Rain fra tanti piccoli bimbi che scorrazzano e cercano le sue attenzioni. Quel pensiero ebbe un effetto curioso e inspiegabile su di lui. Non ebbe il tempo di scacciarlo o elaborarlo perché arrivarono subito in piazza.
Sulla sinistra, come promesso dalla ragazza, risaltava un grazioso e modesto edificio dalla facciata in mattone. Su un fianco appariva un quadro fatto di fiori colorati e freschi, davanti all'ingresso un lungo tavolo occupava la piazza e infine, sullo sfondo e a sinistra dell'orfanotrofio, oltre una serie di mezzi pneumatici fissati al terreno come gioco disponibile ai piccoli, un muro di lamina chiudeva lo spazio. Su di esso risaltavano disegni infantili ma molto colorati, che rappresentavano perlopiù moguri e chocobo.
Nella piazza correvano e schiamazzavano alcuni degli orfani della struttura. Sembravano felici, colti da quella spensieratezza che solo l'infanzia può donare, ma che Seph non aveva mai conosciuto. Si rimproverò per quel pensiero, però, perché ragionando in fretta notò che se quei bambini erano lì era perché non avevano avuto un bel passato e si erano ritrovati soli in un'età molto delicata. Era bello... davvero gentile, da parte di Rain, occuparsi di loro per non farli sentire soli. Persino lui avrebbe voluto che ci fosse stato qualcuno, anni prima, a dargli le stesse attenzioni. Forse molte cose sarebbero cambiate, forse lui non si sarebbe sentito così sbagliato e incompreso...
Una bambina che non poteva avere più di sei anni sfrecciò verso Rainiel nell'istante stesso in cui la vide, sbracciandosi e chiamandola a gran voce.
Lei si abbassò e sorrise in saluto, prendendola al volo in braccio e sollevandola mentre lei la stringeva e giocava con le sue ciocche.
Era la bambina che, solo il giorno prima, Zack aveva messo al riparo durante l'attacco di Genesis e delle sue copie, ma sembrava essersi ripresa.
«Già in giro a combinare marachelle?» chiese scherzosa l'adulta scompigliandole i capelli e dondolandola tra le braccia.
Lei annuì con forza, come se volesse giustificarsi. «Oggi non abbiamo compiti e le maestre hanno detto che possiamo giocare fino all'ora di pranzo! Giochi con me, Rainiel? Ti preeego!» la implorò muovendo i piccoli piedi avanti e indietro.
Lei però dovette limitarsi a solleticarle il naso con il mignolo. «Mi dispiace, piccola peste, ma purtroppo oggi ho da fare. Devo far fare un giro turistico a una persona.»
La bambina sbuffò e mise il broncio, ma i suoi occhi si spalancarono nel puntarsi sulla "persona" in questione.
Sephiroth non era molto abituato a stare in mezzo ai bambini. In passato era capitato che alcuni di loro lo seguissero mentre marciava in ritorno dalle battaglie verso casa, quando i media lo proclamavano eroe e loro volevano incontrarlo a tutti i costi. Gli passavano tra gli stivali, gli stringevano una mano, lo acclamavano e giocavano con i lembi della sua lunga divisa prima che i genitori corressero a riacciuffarli, scusandosi, o alcune guardie li riportassero da loro. A lui non aveva mai dato fastidio, pur essendo un tipo pragmatico e che non si fermava troppo a badare alle piccole cose. Non sapeva proprio cosa pensare dei bambini, per il semplice fatto che non li conosceva e non aveva avuto modo di interagire con loro, se non in quelle occasioni.
Eppure, quando quella bambina lo fissò a quel modo, con i suoi grandi occhioni castani, si sentì come se avesse puntata contro la più sorprendente arma del mondo.
«Rainiel, chi è quel signore coi capelli bianchi?» domandò la piccola mentre si mordicchiava un pollice.
Lui batté rapidamente le ciglia. Signore, ripensò borbottando tra sé e sé. E seppur avesse cercato di trattenersi, non poté che sfuggirgli un: «Sono grigi.»
Rain letteralmente sussultò e gli rivolse uno sguardo che avrebbe fatto sentire in colpa anche l'uomo più risoluto del mondo. Che, per coincidenza, era proprio Sephiroth.
Cercò di recuperare con un sorriso. «Lui è Sephiroth, un mio amico. Volevo mostrargli la Casa Verde. È la prima volta che viene qui, sai?» le raccontò poche informazioni, giusto per accontentarla. Meglio distrarla un po', che ricordarle la confusione del giorno prima. Non voleva metterla a disagio.
«Che strano.» esclamò la piccola con la beata indifferenza dei primi anni di vita, esaminando il SOLDIER da capo a piedi come se lui non potesse nemmeno accorgersene e rimuginando sul termine "amico", «Secondo me è il tuo fidanzato.»
E, con quella frase, riuscì a folgorare sul posto entrambi.
Rain non fu più in grado di formulare una frase di senso compiuto. Balbettò qualche parola come se volesse negare tutto, ma le salvò la vita un altro bambino, più grande di qualche anno rispetto alla femmina, che andò verso di loro con un grande sorriso.
«Ehy, io lo so chi è Sephiroth!» saltellò sul posto, ancora sudato per aver giocato tra gli pneumatici, «È l'eroe di guerra, quello dei notiziari! Ma non dovrebbe essere morto?»
«A me sembra vivo.» mormorò curiosa la più piccola, e allungò una mano verso l'uomo come se volesse controllare di persona.
Rain comprese che, se glielo avesse lasciato fare, Sephiroth non avrebbe più avuto scampo. Sarebbe stato costretto a prendere il tè finto con i peluche e a farsi truccare con i pennarelli, o magari a partecipare a una partita di nascondino. Prima che il SOLDIER d'élite decidesse di spiccare il volo e sparire per qualche altro mese, lei mise a terra la piccola.
«Comunque sia, bambini, noi dobbiamo proprio andare. Che ne dite di tornare a giocare? O magari di fare qualche bel disegno da mostrarmi la prossima volta.» propose, realizzando che la sua era stata una pessima idea.
Ne fu convinta quando la piccoletta sfrecciò via dalle sue braccia e si aggrappò allo stivale del SOLDIER, la cui unica reazione fu un piccolo sobbalzo e le palpebre che si stringevano. Rain voleva mettersi le mani ai capelli.
«Ma io volevo giocare con voi. Signore, posso farti una treccia ai capelli? Sono così lunghi e lisci!»
Per quanto l'idea di vedere Sephiroth con una treccia piena di foglioline e fiori rosa fosse intrigante, la giovane donna andò a recuperare la bambina, che ci mise un po' a decidersi a lasciare andare la sua caviglia. Rain non aveva mai visto Sephiroth tanto in difficoltà come nel momento in cui le rivolse uno sguardo che trasudava da ogni poro un sonoro: "non ho assolutamente idea di cosa dovrei fare". Come se non bastasse, anche l'altro bambino prese a proporre diversi giochi per il nuovo arrivato.
Fortunatamente apparve sull'uscio la maestra Folia, che scosse un braccio per richiamare i suoi alunni.
«Su, ragazzi, lasciate andare Rainiel!  Giocherà con voi un'altra volta!» ridacchiò mentre i due piccoli strisciavano le scarpe sulla terra, tornando da lei sbuffando. La maestra ne approfittò per scoccare un occhiolino in direzione di Rain, e comprese subito che doveva essere in compagnia dall'uomo alla sua sinistra, così non si avvicinò per non trattenerlo oltre. «Scusali, sai come sono.» fece spallucce continuando a parlare con la ragazza che spesso e volentieri l'aiutava nelle faccende dell'orfanotrofio, «Vai pure, passa da noi più tardi, se ti va. Ti aspettiamo!» le diede via libera per allontanarsi prima che altri bimbi sentissero la sua voce e corressero da lei.
Rainiel unì le mani e chinò un po' la testa per ringraziarla in silenzio prima che sparisse oltre le porte della Casa. Quando il pericolo fu scampato, girò agilmente su se stessa per tornare a osservare Sephiroth, rimasto immobile in quel punto della piazza.
L'uomo sollevò un sopracciglio nel notare che le sue guance erano paonazze e il suo sguardo sfuggente.
«Scusami...» pigolò massaggiandosi il collo, «Forse non è stata una buona idea.»
Sephiroth avrebbe voluto dirle che si era trovato benissimo, mentirle giusto per non farla sentire in imbarazzo, ma lei parve riprendersi da sola perché in un attimo intrecciò una mano alla sua e lo trascinò via verso un'altra strada come se i bambini che correvano in giro fossero proprio loro due.
«Magari un posto più tranquillo? Che ne diresti di vedere la chiesa?» rise mentre i capelli le fluttuavano alle spalle, sostenuti dal vento gentile.
E Sephiroth scoprì di non essere in grado di dirle di no.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Parte di te ***


Capitolo 13

PARTE DI TE


 

Cloud stava trasportando le buste con i viveri comprati come ringraziamento per l'ospitalità di Elmyra, camminando con calma all'ombra della piattaforma sospesa.

Tifa era a qualche passo di distanza, più avanti sulla strada, e regolarmente si fermava a chiedergli se avesse bisogno di una mano a trasportare tutto quanto. Aiuto che lui prontamente rifiutava con un tenue ringraziamento.

Quel posto era molto diverso da Nibelheim ma, chissà come mai, Cloud qui si trovava a suo agio. Certo, lontano dal caos del mercato o dalla strada del bar, dove bambini e adulti affollavano le strade per dirigersi ai negozi sulla strada o al grande schermo per ascoltare le ultime notizie. Dopo aver comprato quel che serviva, avevano deciso di fare una breve passeggiata prima di tornare. Ora stavano attraversando una strada limitrofa del settore, e Tifa si era appena fermata ad ammirare dei fiori lungo la strada, lodandone il bel colore dei petali.

Cloud notò che, vicino ai suoi piedi, vi era una macchietta dello stesso tipo di fiori. Si abbassò sulle ginocchia e, con viso impassibile, ne strappò uno e andò verso di lei.

«Non credevo che a Midgar ci fossero fiori tanto belli. Immagino sia merito di Aerith se...»

La ragazza stava giusto parlando tra sé e sé, e quando si alzò e si volse si portò una mano alle labbra. Cloud le stava porgendo uno di quei fiori. Sentì gli zigomi infiammarsi e accettò, sfiorando la sua mano.

«Oh... grazie mille, Cloud. È decisamente il più bello tra questi.» Ed era vero. Ai suoi occhi era il migliore proprio perché era stato lui a regalarglielo.

Il ragazzo guardò altrove, mostrando un morbido sorriso appena accennato. Quando non era sovrappensiero, quando era da solo con lei e non c'erano altre persone né il pentimento di essere tornato a Nibelheim a tormentarlo, non gli dispiaceva comportarsi una volta tanto in maniera carina.

Tifa era un'amica speciale. Forse più di una semplice amica, per lui, ma non glielo aveva mai rivelato. Non voleva rovinare il loro rapporto.

«Vuoi tornare a casa?» le chiese, appoggiando a terra le buste che scivolarono lente sul suo stivale.

Lei sollevò le spalle, stringendo il fiore giallo al petto.

«Potremmo fare un salto da Aerith per portare loro la spesa. E per mettere questo in un vaso con un po' d'acqua, prima che appassisca.» propose, aspettando una sua indicazione.

«Perfetto. Andiamo, allora.»

Si rimisero in marcia e pochi minuti dopo bussarono alla porta di casa.

Ad aprire fu Elmyra, che probabilmente era tornata da poco, considerato che aveva ancora indosso la giacca e le scarpe.

Quando Cloud portò il piccolo dono in cucina, a lui e Tifa parve di scorgere una scintilla di gratitudine e tenerezza nell'espressione sempre un po' crucciata della padrona di casa, che offrì loro anche il vaso di cui avevano bisogno.

Aerith scese le scale di fretta, seguita poco dopo da Zack, più pacato di lei.

Si sedettero insieme al tavolo, Cloud e Tifa ne approfittarono per riposarsi un po'.

«Rainiel sta meglio?» chiese il ragazzo più giovane, convinto che l'amica fosse ancora addormentata, e che Sephiroth stesse vegliando su di lei come aveva fatto sin dalla sera prima.

«Alla grande. La dormigliona si è decisa a svegliarsi. Immagino che stia portando Sephiroth a fare un giro del settore.» ipotizzò Zack, con una sottile risatina. Aerith gli pizzicò un braccio, ma trattenne anche lei una risata.

Tifa era raggiante. «Oh, allora potremmo andare a cercarli! Non ho ancora avuto occasione di presentarmi come si deve.» propose.

Cloud annuì, ed Aerith strizzò loro l'occhio.

«Se conosco bene Rain, in questo momento si trova alla chiesa.»

«Chiesa?» le fece eco Cloud, confuso. Pensava di aver capito male, dato che Rainiel non era un'assidua frequentatrice delle messe.

Aerith annuì in risposta e spiegò loro a cosa si riferiva: alla periferia del settore, superata una strada sterrata che si apriva tra macerie e discariche meccaniche, v'era una chiesa abbandonata dove i fiori crescevano spontaneamente. Lei e Rain passavano molto tempo lì, a prendersi cura del piccolo giardino o semplicemente per stare lontane dal resto del mondo, se ve ne era bisogno. La chiesa era un luogo estremamente calmo e isolato.

«Che indecenza. Scegliere una chiesa per un incontro romantico!» scherzò Zack, la lingua affilata come al solito, e si buscò uno schiaffo sulla nuca da parte di Elmyra.

La fioraia spiegò ai due nuovi arrivati come raggiungere quel luogo, e Cloud e Tifa lasciarono di nuovo la villetta nel giro di qualche minuto.

«Allora,» cominciò a bassa voce Tifa a un tratto, mentre in silenzio attraversavano una strada deserta, «stavo pensando... che non ti ho mai davvero chiesto nulla a proposito di Rainiel. Praticamente non so nulla di lei.»

«È testarda quasi quanto qualcuno di mia conoscenza.» Cloud sbuffò divertito, e Tifa si copri le labbra con due dita per bloccare un risolino. «Ma è anche coraggiosa, e gentile. Penso che andrete d'accordo.» immaginò.

Tifa si massaggiò il collo e si sentì relativamente in colpa. Da come la descrivevano gli altri, Rain sembrava una persona stupenda. Bastava pensare al modo in cui, solo il giorno prima, aveva difeso Zack al costo della vita contro un nemico pericoloso come Genesis. Cloud era partito con Sephiroth per difenderla, perché aveva un debito da ripagare. Avevano combattuto fianco a fianco una volta, e l'avrebbero fatto ancora se uno di loro ne avesse avuto il bisogno.

Lei, d'altro canto... si era messa in viaggio solo perché Cloud aveva deciso di lasciare Nibelheim. Non c'era niente, in quel villaggio, per lui, e a questo punto Tifa la pensava allo stesso modo per se stessa. Voleva fare parte della sua vita, delle sue avventure, e non sentirle semplicemente raccontare al suo ritorno.

Si disse che non c'era da vergognarsene: avrebbe stretto amicizia con Rain, e dimostrato a Cloud che anche lei poteva entrare a far parte di quel gruppo... di quella strana e stupenda famiglia.

 

Aerith non si era sbagliata: Rainiel era, difatti, alla vecchia chiesa in compagnia di Sephiroth. Avevano aperto le grandi porte e richiuse subito dopo, entrando in quell'ambiente che non sembrava fare parte dello stesso mondo oltre le pareti. La struttura era vuota, eccezion fatta per qualche panca, e lì dove avrebbe dovuto trovarsi l'abside ora si abbeveravano della luce del sole un centinaio di piccoli fiori gialli, l'erba del verde più intenso sparsa attorno, che aveva sovrastato la pavimentazione di assi di legno. In cima, da un curioso buco nel soffitto, la luce filtrava come un raggio ultraterreno, e lo stesso valeva per le grandi finestre. C'era un buon profumo e l'aria era fresca. Persino Sephiroth si rilassò più di quanto avesse previsto, una volta che si fu guardato attorno e che ebbe inspirato a fondo.

«Allora?» Rainiel lo precedette nella navata, camminando all'indietro con le mani intrecciate oltre la schiena, gli occhi chiusi e un sorriso speranzoso in viso. «Che te ne pare?» chiese, e la sua voce leggera fu trasportata dall'eco e rimbombò tra le travi del soffitto e le colonne di pietra sgretolate.

Sembrava di aver messo piede in un sogno. Sephiroth sfiorò con una mano, coperta dal guanto, una delle panche attorno a lui, giusto per assicurarsi che fosse tutto vero.

«È... interessante.» si concesse di dire, con un'espressione atona ma gli occhi vagamente più brillanti del solito.

Tanto bastò a Rain per dirsi soddisfatta. Sapeva che lui preferiva i luoghi riservati, silenziosi, e che nonostante la sua fama non apprezzava restare troppo a lungo in luoghi affollati. Forse era a causa dei brutti ricordi di guerra, in cui era inevitabile rimanere bloccati nella massa in fermento, o forse era semplicemente introverso. Non le parve il caso di chiedergli un motivo.

Lentamente, si avvicinò a lui e il legno sotto i suoi stivali cigolò. Gli prese una mano, e lo guardò per qualche secondo dal basso prima di fare qualsiasi altra cosa.

Sephiroth vide di nuovo i suoi capelli cospargersi di luce, ammirò quegli occhi blu e profondi che tanto gli erano mancati, e ispezionò quelle labbra morbide e sottili che avrebbe tanto voluto assaporare in quel preciso istante.

Non aveva mai saputo spiegarsi come Rainiel facesse ad avere un tale effetto su di lui. Senza bisogno di parlare, o fare altro che essergli accanto... lo rendeva diverso. Più simile alla persona che avrebbe voluto diventare, più... umano.

E l'avrebbe davvero baciata se lei non si fosse spostata per condurlo al piccolo giardino al termine della navata. Rain si piegò sulle ginocchia e carezzò alcuni boccioli dorati.

«Ecco il tesoro segreto di Aerith.» gongolò, inspirando il profumo dei fiori. Poteva quasi sentire la loro energia vitale sotto le dita. Come un tenue battito cardiaco, che dal cuore del pianeta si diffondeva e ramificava fino alla più piccola venatura delle loro foglie.

Sephiroth non sapeva spiegarsi un'altra cosa: come avessero fatto quei fiori a sbocciare in un luogo del genere. Midgar sorgeva sopra una distesa arida, come aridi erano i bassifondi. Quel poco spazio che non occupavano le case era stato caricato di rifiuti e macchinari malandati, e nelle discariche prosperavano i mostri. I fiori, per quel che sapeva, erano esseri delicati, che avevano bisogno di cura e attenzione per crescere nel modo adatto. Come una persona, avrebbe detto la parte più infantile e profonda di lui. No, doveva esserci una soluzione razionale.

«Li hai creati tu?» domandò allora, e Rain s'irrigidì.

Da quando aveva fatto ritorno, quella era stata la prima volta che faceva riferimento ai suoi poteri. Un argomento che lei avrebbe sorvolato più che volentieri.

«Oh, no. Io... non uso più il dono da...»

La ragazza smise di parlare dopo essersi rialzata, e il suo sguardo naufragò nel vuoto.

Senza contare quelle poche volte in cui aveva rinvigorito i fiori nel giardino dell'amica, Rainiel non attivava il dono di Yoshua dalla notte in cui avevano combattuto contro Hojo. Aveva assimilato la creatura aliena, assorbito i suoi poteri e poi li aveva scagliati contro lo scienziato. Come se non bastasse, dal suo potere e da quello di Sephiroth, dal loro stesso sangue, era nata una materia di un rosso scuro. Sephiroth aveva letteralmente perso la vita in quello scontro, ma una volta usata la materia ignota Rain si era rivelata capace di usare il suo dono per riportarlo in vita. O almeno questo pensava che fosse accaduto. Più ricordava quei momenti, più la sua mente andava alla deriva.

Rimembrava la paura di averlo perso, il senso di disperazione che l'aveva colta. E, per quanto non avrebbe mai cambiato idea sull'uso della materia ignota se fosse tornata indietro, si rendeva conto che lei non avrebbe dovuto essere capace di riportare in vita qualcuno con il suo potere. Era sbagliato, e contro l'ordine naturale delle cose. Un Cetra non l'avrebbe fatto, per il bene del lifestream. Ma lei non era un'Antica, era a malapena una persona. Un ibrido. Non esisteva nessuno come lei su Gaia. Non abbastanza umana, non del tutto aliena.

La mano di Sephiroth le si posò sulla spalla. Bastò quel tocco deciso ma delicato a salvarla dal flusso incessante di pensieri in cui ogni tanto rischiava di annegare.

«Capisco per quale motivo,» disse in tono più pacato l'uomo, «ma non devi sentirti in colpa per essere ciò che sei.»

Quelle parole e il loro significato avevano aiutato anche lui a tornare sulla retta via, quando aveva perso la strada e si era lasciato divorare dall'odio che provava per ogni cosa ma, più di qualsiasi altra, per se stesso.

Lei chinò la testa e non osò affrontare quella discussione in maniera diretta.

«Non mi fa sentire bene... usare il dono. Tutto qui.» sollevò le spalle, e lui ritirò la mano, «Ad ogni modo non ne ho avuto bisogno, mi sono difesa con le mie sole forze quando era necessario, e tutto è filato liscio come sempre.» prese a diventare più schiva.

Sephiroth lo notò. Aveva trascorso abbastanza tempo con lei da sapere che, per portarla a riflettere, doveva assumere il tono da maestro che pensava di aver lasciato al simulatore della Torre Shinra tanto tempo prima.

«Ieri hai combattuto contro Genesis. Avevi la necessità di usare il tuo potere, ma non l'hai fatto. Perché?»

Lei notò la sua voce, più severa, e si sentì di nuovo una giovane allieva che ha tutto da imparare.

«Non ne avevo bisogno.» insisté. Una menzogna.

«Questo non è vero.» E una verità. «Eri in pericolo di vita. Se non fossi arrivato io...»

Rain si sentì spazientita e perse il controllo.

«Sarei morta? Sì, lo so.» alzò le braccia e poi le lasciò ricadere, cingendo se stessa in un abbraccio personale che, in qualche modo, la faceva sentire più protetta. «Lo so benissimo. È chiaro che Genesis abbia pensato di eliminarmi. Ma lui continuava a chiedere di mostrare il dono, di usarlo contro di lui...»

Sephiroth notò che la giovane stava tremando. Si mosse istintivamente verso di lei.

E Rain indietreggiò. Era ancora scossa dalla lotta, evidentemente.

«E non è del tutto corretto dire che io non l'abbia usato. Sapevo di essere in pericolo, così ho evocato il potere, ma...» Rain strinse le palpebre e scosse piano la testa, «Quelle radici erano troppo deboli. Troppo lente. Volevo attaccare Genesis, ma non ne sono stata in grado. Non so più come controllarlo e ho paura...» fece una pausa, che durò qualche secondo e comprese un singhiozzo quasi impercettibile, «... ho paura che tornerà ad avere lui il controllo su di me, se lo lascio libero. Temo di poter fare del male a qualcuno come è stato con i miei genitori. Non voglio correre questo rischio... non sopporterei di nuovo di perdere qualcuno...»

Si stava aprendo completamente a lui perché si fidava ciecamente, e perché si era tenuta dentro quelle parole inespresse per un tempo che le era sembrato interminabile. Ora che poteva sfogarsi, in un certo senso, si sentiva meglio, ma rimaneva il terrore di quella possibilità. Ne aveva abbastanza dei sensi di colpa.

Sephiroth era forse l'unico che poteva comprenderla, l'unico che condivideva un passato simile al suo e a sua volta aveva ceduto all'oscurità del suo animo e alla paura. Era precipitato nella follia, e non ne sarebbe mai emerso senza l'aiuto di Rainiel.

Stavolta non le diede il tempo di indietreggiare. La raggiunse e la strinse a sé, avvicinandola dopo averle cinto un fianco e portato l'altra mano dietro la nuca. Mentre lei si abbandonava alla bella sensazione della sua vicinanza e premeva la fronte e le mani sul suo petto, lui le baciò i capelli ramati scuri e mossi.

Avrebbe potuto calmarla semplicemente rimanendo lì, con lei, in silenzio. Tuttavia sapeva che Rain aveva bisogno di più che di qualche attimo di pace, che doveva sentirsi bene con se stessa, ma non solo quando lui era presente.

«Quello che è successo non riaccadrà mai più.» le promise, e in un certo senso stava parlando di entrambi. «Sei perfettamente in grado di controllarlo. Sei tu ad avere potere su di lui, e non il contrario.»

Mentre lo diceva, ripensò alla voce che aveva sentito nel reattore di Nibelheim. Jenova che lo chiamava a sé, gli prometteva comprensione e potere, un potere così sconfinato che in quel momento rifiutare gli era sembrato un gesto stupido. Eppure doveva ricordare a se stesso che quel richiamo non era nulla di buono. Che lei non era sua madre.

Allo stesso modo, Rainiel doveva ricordarsi di essere padrona di se stessa e delle sue abilità, e non schiava.

«Credi che sia essenziale che io lo usi?» domandò la giovane donna, circondandogli le spalle con le braccia. Sephiroth era un gigante in confronto a lei, per cui doveva sempre sollevarsi sulle punte quando lo abbracciava... o baciava. Anche se era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che era successa una cosa simile.

Lui cercò di agevolarla chinando un po' di più la testa. Anche se era sovrappensiero, aveva ascoltato con attenzione la sua domanda.

«Fa parte di te. Come lo fanno i tuoi occhi, o i tuoi arti. E più di quanto lo facciano le tue spade.» disse la sua opinione, per quanto anche lui si sarebbe sentito nudo e in un certo senso vulnerabile, senza la Masamune. «Piuttosto che usarlo con rassegnazione, dovresti accettarlo.»

A lei piacque quella spiegazione. «Però! Non ti ricordavo così filosofico.» ridacchiò, facendo accelerare i battiti del cuore dell'uomo. Lei non se ne accorse. «Mi piacerebbe accettare tante cose di me stessa. Ma è un po' difficile senza un mentore che mi indichi la via.»

Sephiroth comprese la sua implicita richiesta. «Abbiamo abbastanza tempo a disposizione per riprendere gli allenamenti.»

«Prega solo che non inizi a piacermi troppo il mio potere. Potrei persino sconfiggerti.»

«Non ci spererei troppo.»

Rain gli colpì piano un braccio, lasciandosi scappare un "Hey!" fintamente offeso che riecheggiò più forte delle altre parole.

Stavano ancora ridendo, quando le porte della chiesa si aprirono lentamente.

Entrambi furono presi alla sprovvista e, da soldati quali erano, si misero sulla difensiva.

Rain cercò accanto a un fianco una Aikuchi che quella mattina però non aveva portato con sé, mentre Sephiroth sollevava un braccio in modo da coprirla parzialmente e le sue pupille si facevano più strette, così come le palpebre, lo sguardo puntato dritto sull'ingresso.

Nessuno andava mai alla chiesa se non Aerith, che per quanto ne sapeva Rain non ci sarebbe andata quella mattina, e ricevere visite era un po' strano. Tuttavia, il nemico che Sephiroth e Rainiel stavano aspettando non si palesò mai. Non era stato Genesis a sorprenderli di nuovo con una delle sue entrate a effetto, né un altro inviato della Shinra venuto lì per riportarli nelle loro gabbie d'oro.

Dietro la porta fecero capolino solamente il giovane Cloud, che spingeva con entrambe le braccia i portoni, e dietro di lui una Tifa leggermente imbarazzata.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Lieta di conoscerti ***


Capitolo 14

LIETA DI CONOSCERTI


Cloud e Tifa erano sulla porta della chiesa, e non appena videro Sephiroth e Rainiel in posizione di difesa pensarono di essere di troppo.
«Uhm...» balbettò Cloud, con una certa dignità, «Non volevamo disturbare. Siamo passati a salutare Rain.»
Tifa fece un timido passo avanti e sollevò una mano, non sapendo bene come presentarsi. Aveva visto Rainiel solo da addormentata, ma ora la ragazza era lì davanti a lei, sveglia e vigile. I suoi occhi del colore del mare erano stretti e severi, ma si addolcirono in pochi secondi.
«Cloud...?» pronunciò con una scintilla nello sguardo e nella voce, mentre Sephiroth abbassava il braccio che le tagliava la strada e ammorbidiva i muscoli, senza parlare.
Lui non poté nascondere un vago sorriso davanti all'amica.
«Da quanto tempo.» esclamò allora.
Rainiel era sempre stata una sorta di sorella maggiore per lui. Quando lavoravano entrambi alla Shinra, la ragazza era stata il perno del loro gruppo di amici, esattamente come Zack, colui con cui aveva legato di più. Rainiel aveva un'energia unica, era una persona speciale. Un po', si sentiva di dire che lo aveva cresciuto e guidato in quell'ambiente quando Zack lo aveva introdotto agli altri, anche se aveva solo pochi anni in più di lui.
Rain balzò letteralmente sul posto. «Cloud!» ripeté, stavolta a voce più alta.
Sephiroth non ci pensò nemmeno a fermarla, anzi si fece da parte, e lei sfrecciò come un lampo lungo la navata per raggiungere l'ingresso e gettare le braccia al collo dell'amico.
Lui barcollò all'indietro, ma reagì con una risata un po' imbarazzata e mantenne l'equilibrio.
A Rainiel esplodeva il cuore di gioia nel pensare che si fossero finalmente riuniti. Avrebbe tanto voluto avere Jadin e Vaneja lì con loro, e tutto sarebbe stato perfetto...
Si ritrasse e lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Dimmi, sei sempre stato più alto di me o a Nibelheim vi danno da mangiare qualcosa che vi fa crescere più in fretta del normale?»
Lui si massaggiò la testa, guardando altrove. «Immagino sia la seconda opzione.»
Lei era ancora in preda all'entusiasmo e gli fece una sfilza di domande sugli ultimi mesi, ma in breve notò anche la ragazza che lo accompagnava e le rivolse un sorriso a trentadue denti.
«Fammi indovinare! Tu devi essere Tifa!»
Lei, che si era tenuta un po' in disparte per non sentirsi di troppo, avanzò di un passo e chinò la testa. Dopotutto, Rainiel era un soldato ed era più grande di lei.
«Esattamente. È un piacere fare la tua conoscenza, Rainiel.»
Quest'ultima si allontanò dal caro amico per stringerle la mano, scuotendo la testa come a dirle che non c'era bisogno di tanta formalità.
«Il piacere è tutto mio! Cloud mi ha parlato molto di te... ma sei ancora più splendida di quanto immaginassi!» non temette di complimentarsi.
Le guance di Tifa si colorarono di un tenue rosso.
"Cloud ha parlato di me e ha detto che sono carina?" dedusse l'unica cosa che avesse senso, e ne ebbe la conferma quando il biondo si morse le labbra e guardò altrove.
«Grazie... è bello sapere che ti sei ripresa. Sei stata molto coraggiosa ieri.» volle ricambiare la cortesia, sentendosi subito a suo agio con lei. Rain non era un'estroversa in grado di stringere subito amicizia con persone nuove, ma in quel momento si sentiva così felice che non poté contenere la parlantina.
Non aveva idea che Tifa e Cloud l'avessero vista combattere, il giorno prima, ma a chiarire i suoi dubbi ci pensò Sephiroth, che in completo silenzio li aveva raggiunti.
«Hanno insistito per seguirmi quando sono tornato da Nibelheim. È lì che abbiamo incontrato Genesis.» rivelò mentre prendeva posto accanto a Rainiel, incrociando le braccia al petto.
La ragazza rossiccia rifletté sulle sue parole. «Nibelheim... non ti ho mai chiesto perché ti sei recato lì, ora che ci penso.»
L'uomo sollevò il mento. «Ne parleremo più tardi.» propose, «A dire il vero, ci sono molte cose di cui dovremo parlare.»
La ragazza comprese che non era il momento adatto e non volle insistere, piuttosto tornò a rivolgersi ai due ragazzi appena arrivati. D'un tratto abbassò gli occhi e notò un dettaglio che le fece dischiudere le labbra.
«Quelli sono guanti da combattimento? Pratichi il corpo a corpo?!» quasi esultò, non volendo invadere lo spazio privato di Tifa ma comunque non potendo fare a meno di commentare.
Lei batté rapidamente le ciglia e sorrise. «Esatto. Negli ultimi anni ho appreso l'arte marziale Zangan-Ryu.» raccontò, anche se Rain purtroppo capì poco e nulla di quello che disse.
Tifa notò che la stava squadrando con aria confusa, e Sephiroth decise crudelmente di intromettersi.
«Rainiel non è ferrata nel corpo a corpo.»
Quella era una frecciatina diretta solo all'allieva, che si ricordò dell'ultimo combattimento a mani nude che aveva tentato, proprio contro di lui, e si tinse di rosso da capo a piedi pensando all'epilogo di quella vicenda. Sephiroth mise su un sogghigno compiaciuto che nascose poco dopo, prima che Cloud e Tifa se ne accorgessero.
Rainiel sapeva di dover cambiare argomento, e in fretta, per evitare di sembrare strana. Giurò che l'uomo al suo fianco gliel'avrebbe pagata e, come primo tassello della sua vendetta, ebbe un'idea geniale.
«Io e Sephiroth stavamo giusto parlando di allenamenti. Purtroppo sono un po' arrugginita persino con le spade e quindi devo riprenderci la mano. Che ve ne pare di unirvi a noi per un duello a coppie, questo pomeriggio?»
E infatti, catturò l'attenzione di tutti e tre.
«Sembra una buona idea!» disse raggiante Tifa, mentre Cloud guardava altrove e realizzava che avrebbe certamente partecipato in coppia con lei.
Sephiroth sollevò un sopracciglio.
«Non abbiamo organizzato nessun-»
«Perfetto allora!» con la sua voce, sovrastò quella del mentore e, nel voltarsi verso di lui, gli schioccò un occhiolino che gli fece capire che quella era proprio una bella ripicca nei suoi confronti.
Il super-SOLDIER non seppe bene come reagire, e quindi poté giusto soffocare una risatina. Era da tanto che non lottava insieme a Rain, ed era capitato in generale poche volte, rispetto a tutte quelle in cui lo aveva fatto contro di lei. Chissà quali sorprese avrebbe riservato quell'incontro.
Non restava che recuperare le armi e, dopo pranzo, trovare uno spiazzo adatto al combattimento.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Duello a coppie ***


Capitolo 15

DUELLO A COPPIE


 

I quattro sfidanti trovarono un ottimo posto in cui disputare per la vittoria dell'addestramento: nelle discariche tutt'attorno ai bassifondi, alcuni spiazzi erano abbastanza grandi per muoversi in libertà nei limiti degli attacchi accettabili in uno scontro tra amici. Ne trovarono uno non troppo lontano dalla stazione, vicino a un grande cancello nero con su impresso il simbolo di un uomo influente del vicino Settore 6. Si trattava perlopiù di una strada circondata da rottami che portava chissà dove, almeno per quanto ne sapeva Tifa, che non era mai stata a Midgar.

La ragazza era un po' nervosa, in realtà. Gli altri tre compagni si conoscevano da anni e di certo avevano avuto modo di sfidarsi o partecipare a missioni insieme in passato, mentre lei si sentiva un pesce fuor d'acqua, venuta da lontano e intrufolarsi in quell'armonia che li faceva sembrava una grande famiglia felice.

Si distrasse un po' quando Rain chiese a tutti di prepararsi e Cloud le andò incontro. Zack era stato molto gentile: una volta saputo di cosa intendevano fare, gli prestò la sua spada Potens, insieme a una bella pacca sulla spalla e un "cerca di non graffiarla".

Lui ed Aerith non volevano perdersi il combattimento: li avevano seguiti e avevano trovato un bel posticino in alto da cui osservare lo spettacolo. Mentre i quattro al livello inferiore discutevano di strategie e quant'altro, Aerith poggiò il mento sui palmi delle mani e si rivolse al fidanzato, seduto proprio accanto a lei.

«Perché non abbiamo partecipato anche noi? Un torneo sarebbe stato ancora più divertente.»

Lui sbuffò, muovendo una mano in aria. «Scherzi? Vinceremmo subito. Non partecipiamo perché non vogliamo metterli troppo in difficoltà.»

Aerith si coprì la bocca per trattenere una risata sguaiata e lo spintonò piano. «Te l'ho già detto che sei impossibile?»

«Un paio di volte, ma ripetimelo pure senza problemi. Mi piace quando lo dici.»

Il ragazzo le scoccò un occhiolino che le fece sciogliere il cuore. Aerith scosse la testa e lo ammutolì con un gesto scherzoso prima di tornare a concentrarsi sul vero evento della giornata.

Cloud era a un passo da Tifa, che si rigirava tra le dita i guanti rinforzati.

«Sono... molto forti?» riuscì a chiedere solamente, osservando di tanto in tanto gli avversari.

Il ragazzo sembrava preoccupato. Non gli piaceva perdere, lo metteva in imbarazzo. Tra l'altro, non era molto abituato ai giochi di squadra essendo un tipo solitario. Ma con Tifa... si sentiva un po' più tranquillo. Non metteva in dubbio la sua bravura in combattimento.

«Più di quanto immagini, ma sono fuori allenamento da un po'. Dobbiamo capire su quali punti hanno carenze e fare breccia.» spiegò meglio, alzando per qualche secondo la spada davanti al viso e ripetendo qualcosa a voce talmente bassa che lei non lo sentì.

«Spero di essere all'altezza. So che è un allenamento, ma non voglio che tu perda a causa mia.» rivelò, una mano che giocherellava fra i capelli e l'altra ancora sollevata, davanti al petto.

Per poco non sussultò, quando Cloud la afferrò. La sua mano sembrava completare la propria, ma si disse che era un pensiero sciocco.

Non la stava guardando direttamente, ma era chiaro che tenesse a parlarle.

«Non so se vinceremo o perderemo e non m'importa.» spiegò, la fronte un po' corrugata, «Ma so che lo faremo assieme, e ciò che conta è questo.»

Tifa si sentì rivivere, i suoi occhi brillarono. Per tanto tempo aveva atteso che Cloud tornasse da lei a Nibelheim da eroe, per poi rendersi conto che tutto ciò che desiderava in realtà era fare parte della sua vita, non rimanendo indietro. Ora, finalmente, poteva dire che anche la sua avventura era iniziata. Quell'addestramento sarebbe stata la sua alba.

Dall'altro lato dello spiazzo, Rain sbirciava i due amici con le braccia conserte.

«Però, la mia idea ha funzionato. Guarda come sono carini, insieme!» bisbigliò per non farsi sentire che da Sephiroth, il quale era immobile al suo fianco, la Masamune lunga e lucida in mano con la lama rivolta indietro, verso il cielo.

«Carini?» ripeté, sollevando un sopracciglio. Rainiel sprizzava energia da ogni poro. Si poteva notare anche dal suo modo di parlare.

Lei gesticolò per farsi capire. «Insomma, Cloud è cotto di lei da anni, e inizio a pensare che per Tifa sia lo stesso. Oggi avranno modo di legare un po'. Combattere insieme fa miracoli.»

Con la stessa espressione di prima, e in aggiunta un sogghigno compiaciuto, Sephiroth chinò un po' la testa verso la sua allieva. «Mh, ma non mi dire.»

Rain reagì alla sua voce bassa e roca con un fremito e cambiando colore di pelle, tendendo a una tonalità molto più infuocata. Non intendeva fare un paragone, ma ci aveva comunque centrato in pieno. Se lo avessero detto a lei, solo un anno prima...

«Hai... hai capito.» balbettò, ravviandosi una ciocca dietro un orecchio e schiarendosi la gola. «Ad ogni modo, non andarci giù pesante. È chiaro che Cloud voglia fare bella figura.» ridacchiò poi, ancora imbarazzata.

Sephiroth lasciò oscillare la sua katana per rinsaldare meglio la presa sull'impugnatura. «Dimentichi che sono stato un mentore. Darò quel che è necessario per un addestramento.»

Oh, la stava torturando di proposito, con quelle battute mirate. Una vendetta alla vendetta di Rainiel, che si finse imbronciata.

«D'accordo, vediamo se il nostro lavoro di squadra ha perso colpi.» lo provocò a sua volta, chiamando a raccolta gli altri due per l'inizio dello scontro.

Cloud e Tifa annuirono, segno che erano pronti a iniziare. Il ragazzo afferrò con entrambe le mani l'elsa della spada Potens e inclinò le spalle, mentre Tifa sollevò i pugni.

Sephiroth scoccò un'ultima occhiata alla ragazza accanto a lui, una d'intesa, prima di portare la Masamune sopra di lui, rivolgendo il fianco destro ai nemici. Rainiel, infine, portò le mani dietro la schiena e sfilò dalle guaine incrociate le sue fedeli Aikuchi, che roteò fra le dita prima di porle davanti a sé, disposte in maniera tale da formare una tenaglia.

Aerith si alzò in piedi dal suo posto in prima fila e il suo vestito chiaro svolazzò al vento. Mettendo le mani a cono davanti alle labbra improvvisò un conto alla rovescia come se quello fosse un vero duello, proprio come quelli dell'Arena del Mercato Murato. Infine, saltò sul posto mentre dava il via.

Un lembo delle labbra di Rain si tirò in alto, in un mezzo sorriso, e lo stesso valse per Sephiroth. Avevano davanti a loro rispettivamente Cloud e Tifa, ma a meno di un secondo dall'inizio scattarono in avanti e poi si scambiarono di posto come due fulmini, uno argentato e l'altro rosso. Non ebbero nemmeno bisogno di mettersi d'accordo verbalmente, era come se sapessero già alla perfezione come muoversi in sincrono, come se recitassero un copione già accordato in precedenza di cui però non avevano mai nemmeno discusso.

Cloud e Tifa rimasero interdetti per un attimo. La ragazza dai capelli scuri si vide piombare davanti l'avversaria con un sorriso tinto in volto, non di sfida, ma di vera allegria. Sembrava contenta di sfidarla e aiutarla a testare i suoi limiti. Tifa alzò i pugni e parò un calcio alto di Rainiel, che ruotò su se stessa come un vortice di fiamme rosse. Non usò le spade per aprire lo scontro, e Tifa lo apprezzò, ma non voleva essere sottovalutata. Balzò indietro con cautela e serrò meglio le dita.

Accanto a lei, un cozzare improvviso di spade la fece sussultare e si sforzò di non distrarsi.

Sephiroth era piombato su Cloud in completo silenzio, un'ombra che si muoveva leggiadra sul terreno. Il giovane lo aveva sempre avuto ad esempio, aveva cercato di studiare i suoi modi di fare, ma tra la teoria e la messa in pratica il divario era un vero dirupo. Bastava un minimo dispendio d'energie, e il Generale poteva vincere quella lotta in una manciata di secondi. Evidentemente non aveva preso troppo sul serio la sfida, perché Cloud riuscì a parare il suo colpo con la grande spada Potens. Per un attimo pensò di cedere: la Masamune era sottile ma pesante, anche se non quanto la sua arma, che era molto più massiccia, ma quando la colpì sembrò che gli fosse arrivata contro un'onda d'urto fenomenale. Le spalle gli bruciarono, ma alla fine riuscì a respingerlo e a sollevare la spada per mulinarla davanti a sé, nel tentativo di farlo allontanare.

Sephiroth allungò un piede indietro e spostò la spada nella mano mancina, lasciandosi scivolare qualche metro più lontano dall'opponente. In realtà Cloud gli aveva appena fatto un enorme favore. La Masamune era ottima per i combattimenti a media distanza piuttosto che ravvicinati, e ora il ragazzo più giovane era nel bel mezzo del suo raggio d'azione.

Aerith rischiava di mordersi le unghie, tanto era concentrata e immersa nello scontro.

«Sono velocissimi!» esclamò, tirando piano il lembo della maglia di Zack per l'entusiasmo.

Lui gongolò e si mise più comodo. «La lotta è appena iniziata. Non hai ancora visto niente!» promise. Aerith non staccò gli occhi dalla scena.

Rain lasciò che le Aikuchi sferzassero l'aria e si prese qualche secondo per osservare bene Tifa, gli occhi che squadravano ogni minimo dettaglio dall'espressione alla postura, e persino l'ambiente circostante.

"Mi sta studiando alla ricerca di un punto debole." si disse, mordendosi le labbra. Provò a imitarla, ma Rain era come una fortezza inespugnabile. Non aveva un solo lato scoperto e trovare un diversivo per distrarla in quella situazione era impossibile.

"Potrei avvicinarmi e provare a disarmarla. Sephiroth ha detto che non eccelle nel corpo a corpo. Questo è il suo punto debole, allora."

Una scarica di determinazione irrigidì i suoi muscoli e, un attimo dopo, Tifa iniziò a correre verso Rain, che rimase immobile. La più giovane prese velocità e le corse dritta incontro, ma all'ultimo secondo cambiò traiettoria e si diresse verso il muro. Con un abile salto, si diede la spinta con i piedi contro la parete e girò in aria, atterrando alle spalle della ragazza e concentrando la propria forza nelle nocche della mano sinistra, mirando al suo posto. Con un colpo ben assestato avrebbe fatto in maniera tale che perdesse la presa sull'arma. Avrebbe significato essere già a metà dell'opera. Dunque colpì.

Rain, però, schivò spostandosi quel tanto che bastava da eludere l'attacco, dopodiché roteò e unì le spade, contrattaccando servendosi dello slancio di Tifa, che stava ancora precipitando in avanti.

La ragazza si difese alzando i guanti placcati di metallo sul dorso, e le spade scivolarono via con una scintilla. Ancora in movimento, mentre cadeva all'indietro dopo essersi girata approfittò della velocità per fare una capriola e rialzarsi, spingendosi di nuovo lontana da lei.

"Accidenti, non ha funzionato..." pensò mentre respirava con affanno. "Devo pensare a un'altra strategia".

Nel frattempo, Sephiroth non aveva atteso prima di sferrare oltre al primo anche il secondo attacco. La Masamune si muoveva come una frusta che Cloud doveva schivare a tutti i costi. Il Generale non andò in affondo, ma tentò due colpi orizzontali. Cloud schivò il primo abbassandosi e il secondo saltando oltre la traiettoria della lama. Subito dopo, mentre ancora lui migliorava la presa sull'elsa, si tuffò verso di lui, cercando di colpirlo sul fianco destro, dov'era scoperto.

"Sephiroth è mancino, logico che tenga la katana sul lato sinistro del corpo. Ci metterà un po' ad abituarsi all'attacco sul lato opposto, e io guadagnerò qualche attimo per colpirlo. Posso vincere." si disse, serrando e mostrando i denti mentre prendeva la rincorsa e nutriva le sue ambizioni.

Gli occhi freddi del super-SOLDIER lo gelarono, non perdendolo di vista un attimo, ma Cloud non si scoraggiò: era ormai a un passo da lui, e Sephiroth non aveva ancora nemmeno avvicinato le mani per spostare la katana dall'una all'altra.

Il ragazzo alzò le braccia e girò la spada per colpirlo al fianco con la parte piatta e non quella affilata, così che il colpo gli facesse perdere l'equilibrio. Lo avrebbe fatto cadere e sovrastato, e a quel punto non avrebbe avuto vie di fuga. Cloud poteva vincere per resa avversaria.

O almeno così sperava, perché Sephiroth non sembrava d'accordo con il suo piano, formulato un po' troppo in fretta e con eccessiva sicurezza, per i suoi gusti.

Lanciò letteralmente in aria la Masamune come se volesse farla cadere al suolo, e con un gesto fulmineo piegò il polso destro e strinse l'impugnatura alla perfezione. Con la lama rivolta verso l'alto, abbassò rapido l'arma e l'impugnatura affondò tra le scapole di Cloud, che perse lo slancio e cadde a terra con un tonfo e un lamento.

Mentre si riprendeva dallo stordimento, alzò lo sguardo su Sephiroth che sorrideva placido e riprendeva la spada con la mano sinistra, allungando quella destra verso di lui per aiutarlo a rialzarsi.

«Sono ambidestro.» si lasciò sfuggire in una bassa frase che assomigliava tanto a una risata contenuta. Come se avesse letto i suoi pensieri. Umiliante.

Allora Cloud non sapeva proprio tutto di lui, ma non c'era da meravigliarsene. Poche volte lo aveva visto combattere dal vivo, e perlopiù in situazioni in cui erano entrambi troppo occupati a sopravvivere per fare caso allo stile di combattimento dell'altro, per cui sentì di avere ancora molto da imparare.

La mano era tesa verso di lui, avvolta nel guanto di lucida pelle nera. La sua non voleva essere un'umiliazione, ma Cloud non reagiva bene a questo tipo di cose. In realtà era più orgoglioso di quanto volesse ammettere, e non poteva dimostrarsi tanto debole in combattimento, specialmente agli occhi di Tifa. Tra l'altro, anche Zack e la sua fidanzata lo stavano guardando. Il suo migliore amico gli aveva ceduto in prestito la spada tramandatagli dal suo mentore. Non poteva deluderlo.

Roteò sulle ginocchia, sollevando un denso polverone da terra, e si rialzò in una tenace piroetta che mirava ad abbattere la spada Potens su una delle spalle del nemico.

Rainiel stava attendendo il passo successivo di Tifa, ma non aveva perso d'occhio il combattimento in corso accanto a lei nemmeno per un attimo. Nulla vietava a Cloud di cambiare bersaglio e prendersela con lei, e se Tifa avesse deciso di sfidare la fortuna prendendosela con Sephiroth, Rain avrebbe dovuto assicurarsi che fosse in una posizione favorevole per scambiarsi avversario o combattere da solo contro due, nonché di avvisarlo, certo.

Le parve incredibilmente insolito il fatto che Sephiroth non fosse riuscito a schivare quell'attacco, per quanto rapido Cloud fosse stato - e di questo si sarebbe dovuta complimentare più tardi con il giovane -, ma il suo corpo si mosse per istinto prima ancora che la sua mente formulasse dei pensieri concreti.

«Attento!» gridò, o forse no, perché quel suono le rimbombò nelle orecchie e per quanto ne sapeva poteva esserselo solo immaginato. Allungò una mano, stretta a pugno attorno alla spada, verso il mentore in pericolo.

A un passo dai piedi di Sephiroth, un muro di pietra si sollevò dal terreno con la velocità di un proiettile, la polvere e la terra che si sgretolavano e scivolavano a grumi dalla piccola parete, grande a sufficienza da schermare il Generale da quell'attacco.

Cloud non poteva arrestare un colpo così rapido, per cui vide solo la spada Potens abbattersi sul muro e rimbalzare indietro con un clangore metallico e un rinculo abbastanza potente da costringerlo a indietreggiare.

Rainiel teneva le palpebre e le labbra semi-serrate, concentrata nell'intento che le era costato giusto qualche decimo di secondo. La ragazza era scioccata di essere riuscita a evocare così il dono dopo quello che era accaduto alla stazione contro Genesis, e fu distratta dal sorriso compiaciuto di Sephiroth, voltato di profilo, che la osservava con la coda dell'occhio. Non si era mosso minimamente, i suoi muscoli erano rilassati. Non aveva neanche lontanamente contemplato l'idea di parare l'attacco di Cloud perché sapeva benissimo che Rainiel avrebbe fatto tutto al posto suo. Così, era riuscito a farle utilizzare il suo dono per un buon fine.

Tifa ed Aerith erano forse ancora più sconvolte, dato che non avevano mai visto davvero il suo potere all'opera. La prima, comunque, non dimenticò di trovarsi nel bel mezzo di una lotta e vide in quell'evento la breccia perfetta. Rainiel si era distratta, e quella era la sua occasione.

Si tuffò in avanti a testa bassa e colpì con le nocche Rainiel allo stomaco.

La ragazza sputò aria, svuotandosi i polmoni, e indietreggiò, mentre il suo muro di pietra e terra si frantumava a causa della perdita di controllo.

Tifa non si fermò e procedette con una serie di colpi concatenati tra cui pugni e calci assestati abbastanza bene dal colpirla a un polso e privarla di un'Aikuchi.

Per Rainiel fu un brusco risveglio, ma si mise subito in posizione di difesa.

Aerith aveva una mano sulle labbra, sconvolta.

«Non avevo idea che il dono di Rain potesse fare cose del genere...» commentò.

Zack aveva lottato al fianco dell'amica e poteva dire, senza cadere in errore, che quello non era che un minimo assaggio di ciò che Rain poteva fare. L'aveva vista trasformare il terreno arido in sabbie mobili che avevano risucchiato un mostro di mako, e il ricordo di come la montagna di Darefall era franata in seguito a un suo attacco di panico era ancora vivido nei suoi pensieri, sebbene fosse passato quasi un anno dalla triste vicenda.

«Sephiroth salta fuori dal nulla e Rainiel ricomincia a manifestare il dono. Quei due non si rendono neanche lontanamente conto di quanto abbiano bisogno l'uno dell'altra...» mormorò sottovoce, sfiorandosi il mento con le dita. «Vediamo come chiuderanno le danze, adesso.»

Il combattimento era iniziato da pochissimi minuti, che erano sembrati un'eternità, ma ora che Tifa era riuscita a colpire Rainiel, la quale aveva a sua volta difeso Sephiroth da Cloud, era certo che l'addestramento si sarebbe concluso in fretta, anche perché ormai non si trattava più di due lotte separate uno contro uno, ma di una mischia.

Lo capì quando Sephiroth distrusse quel che rimaneva della parete di pietra davanti a sé, lasciando piovere su Cloud i frammenti grigi e lanciandosi in direzione della sua allieva, di nuovo sotto attacco da parte di Tifa, che mirava al fianco scoperto ora che Rain non aveva più una delle armi con sé.

Le tagliò la strada con una raffica che gli smosse i lunghi capelli, e si frappose fra loro facendo in maniera tale che il pugno della ragazza, molto più giovane di lui come d'altronde lo era Cloud, arrivasse dritto nel suo palmo. A quel punto serrò le dita attorno alle sue nocche e le piegò il polso. Spazzò via le sue gambe con uno sgambetto e la poveretta si ritrovò a terra in un attimo. Sephiroth non dovette nemmeno fare ricorso alla sua arma. Rainiel non perse tempo a muovere uno stivale verso l'avversaria. Davanti alla sua punta sorsero radici resistenti e fili d'erba intrecciati, che avvolsero polsi e caviglie di Tifa, rendendola inoffensiva. Era ormai fuori gioco.

«Tifa!» ruggì Cloud vedendola in difficoltà, e portò indietro la spada per prendere la rincorsa verso i due nemici. Aveva ancora la vista sfocata a causa della polvere.

Rainiel sobbalzò al tono della sua voce, carico di enfasi nonostante quello fosse un semplice allenamento. Capiva quando il ragazzo tenesse alla compagna di squadra, ma non poteva permettergli di liberarla.

Precedette Sephiroth, aggirandolo con due passi aggraziati, e piombò davanti al ragazzo fissando su di lui le iridi di un blu ancora più acceso e intenso di quello che riempiva le sue.

L'Aikuchi era a malapena un pugnale, se paragonata alla sua spada, ma lei la brandì con entrambe le mani e si sforzò di respingere il colpo, fino a fargli abbassare le braccia per lo sfinimento. A quel punto sfrecciò alle sue spalle e legò insieme le mani. Rovi marroni serrarono anche i suoi polsi, Rainiel si sforzò di non fare crescere spine di essi e di dare loro forza. Fu convinta del suo successo solo quando la cute di Cloud si arrossò attorno a quell'area, e allora lo costrinse ad abbassarsi, mettendo un ginocchio a terra.

Cloud alzò la testa come se volesse trovare una via di fuga, solo per trovarsi il luccichio sinistro della katana del Generale a un soffio dalla gola, che la solleticava.

Fine dei giochi. Lui e Tifa avevano perso.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Non si smette mai di imparare ***


Capitolo 16

NON SI SMETTE MAI DI IMPARARE


 

Una volta terminato l'addestramento, i quattro sfidanti ebbero bisogno di qualche momento per riprendere fiato.
Rainiel si appoggiò pigramente a una spalla di Sephiroth quando lui ritirò la spada che teneva puntata contro Cloud. Lui la sostenne con un braccio dietro la schiena, comprensivo della sua situazione. Aveva utilizzato il dono in maniera impeccabile nonostante lo avesse celato per mesi, e per lei doveva essere stato molto stancante. Tuttavia, le rivolse uno sguardo orgoglioso quando lei lo guardò. La ragazza sorrise e le sue guance si tinsero di rosso.
Aerith, dal suo punto d'osservazione più in alto, si alzò battendo le mani ed esclamò: «Abbiamo una squadra vincente!»
Un attimo dopo stava già trascinando Zack per una mano, così da tornare da loro.
I rampicanti creati da Rain sbiadirono e appassirono diventando secchi, poi si sgretolarono al minimo movimento, senza più alcuna energia a fluire dentro di loro. Cloud e Tifa si liberarono e, con sguardo un po' amareggiato, si ricomposero. La ragazza raggiunse l'amico e lo aiutò a rialzarsi, mormorandogli qualcosa per cui lui distolse la propria attenzione, chiaramente in imbarazzo. Doveva essersi trattato di un complimento.
«Devo dirlo: niente male. Siete uno spasso da guardare. Mai pensato di fare fortuna all'Arena di Don Corneo?» propose scherzosamente Zack dopo qualche minuto.
In quel momento Rain e Sephiroth si erano seduti su una cassa di plastica rossa rovesciata abbastanza resistente da reggere il peso di entrambi, e la donna stava bevendo a volontà da una borraccia d'acqua portata da Aerith.
Tifa, con Cloud a suo seguito, si avvicinò ai due vincitori chinando la schiena con un sorriso. «È stato un piacere. Siete davvero molto forti. Sfidarvi ci ha aiutati a capire meglio quali sono i nostri punti di forza e quelli deboli.» mormorò grata, facendo sciogliere il cuore di Rainiel e dell'amica al suo fianco. La prima, poi, smise di bere e prese fiato per rispondere.
«Il piacere è tutto nostro. Devo dire che Cloud è migliorato moltissimo, i suoi attacchi sono sempre più forti e veloci. Mentre tu, Tifa, sei molto, molto brava. Tieni gli occhi aperti, perché la Shinra pagherebbe fior di guil per assoldarti. E noi conosciamo i metodi dell'azienda...»
Tifa nascose le mani dietro la schiena, intrecciando le dita, e abbassò gli occhi sulle scarpe. «Esageri... c'è ancora molto che devo imparare.»
Rain le strizzò l'occhio. «Non si finisce mai di imparare, né all'inizio né quando si è veterani!» recitò un vecchio proverbio che aveva sentito dire ai SOLDIER più grandi lei quando era ancora in terza classe. Insieme alle parole di sua madre e di Angeal, "Abbraccia i tuoi sogni", quel detto occupava un posto importante nel suo cuore. Le ricordava di non montarsi mai la testa e di restare umile perché un guerriero non deve mai sottovalutare un nemico o sopravvalutare se stesso.
Cloud non sembrava aver preso bene la sconfitta. Non perché non sapesse perdere, ma perché dentro di sé ogni volta in cui veniva messo al tappeto si ripeteva che forse aveva fatto bene a rinunciare al sogno di diventare un SOLDIER, perché non ci sarebbe comunque mai riuscito. Tutti i suoi amici lo avevano incoraggiato, spronato, si erano allenati con lui a volte per aiutarlo a migliorarsi, ma lui non aveva mai avuto il coraggio di tentare. I vertici di SOLDIER forse non sapevano neanche della sua esistenza.
Si avvicinò a capo chino al gruppo, fermandosi accanto a Tifa. I pugni stretti saldamente lungo i fianchi.
«Sephiroth.» pronunciò con tono grave.
Il giovane uomo chiamato in causa alzò un sopracciglio. Anche gli altri puntarono i loro sguardi su di loro, e si allontanarono di un passo per lasciare loro spazio.
«Grazie per aver lottato con me. Avevo già affrontato Rainiel in passato, ma... sfidare l'eroe che ha plasmato i miei ideali e i miei sogni è stato un vero onore.» annunciò. Un attimo dopo chinò la schiena in segno di rispetto.
Gli occhi ferini di Sephiroth si strinsero. Aveva sentito dirsi quelle parole tante volte, in vita sua: era l'idolo di molti, amato e inneggiato dal pubblico grazie ai media, e così aveva spesso conosciuto persone, agli eventi importanti in cui veniva periodicamente invitato come vanto messo in bella mostra dalla Shinra, che avevano rivelato di essere particolarmente affezionati a lui. O, per meglio dire, a ciò che rappresentava, la figura leggendaria che si era costruito attorno e che si era diffusa grazie ai notiziari, le interviste e tutto il resto.
Cloud non era come tutti gli altri. Aveva una luce diversa negli occhi, un'ambizione particolare ma sopita. Avevano lottato fianco a fianco, nel DRUM, e poteva giurare di non aver mai visto un fante così in gamba nel combattimento. Ma era anche un ragazzo riservato, che tendeva a mettere da parte le emozioni alla ricerca di una verità razionale, per quanto pessimista. Questo... lo rendeva simile a lui. Si assomigliavano, e Sephiroth provava raramente questa sensazione. L'aveva provata, più che con chiunque altro, quando aveva imparato a conoscere Rainiel, ma aveva sentito ancora prima di avere qualcosa in comune con Genesis, Angeal, Zack... e poi con lui. Pensarci era quasi ironico.
«Se per te significa molto, ti affronterò ogni volta che vorrai.» gli rispose dopo un breve attimo di riflessione. Sentì Rain cercare la sua mano, sfiorargli le dita, e lo percepì quasi come un complimento. Era contenta che stesse stringendo nuovi legami con i suoi amici nonostante tutto quello che avevano dovuto affrontare. Forse gli ostacoli lungo il percorso li avevano resi tutti più affiatati, come una grande famiglia. Quella sensazione di calore, di dimestichezza, lo investì di nuovo come un'onda tiepida e morbida, e provò un curioso sollievo.
Cloud si morse con forza le labbra e sembrò titubare per un attimo, poi finalmente lasciò emergere il coraggio che non gli mancava, ma nascondeva dietro il sottile velo di paura che quasi sempre gli aveva barricato la strada. Andò oltre il suo pensare di non essere abbastanza per niente e nessuno.
«Quello che vorrei chiederti... Ecco...» Una goccia di sudore gli calò dalla fronte, «È di diventare il mio mentore. Sarei più che mai onorato di essere tuo allievo, se lo vorrai.»
Lo stupore fu generale. Zack si coprì la bocca con le nocche di una mano, sentendosi più orgoglioso che mai del suo amico, mentre Aerith sollevava le sopracciglia e batteva entusiasmata le mani due volte. Tifa era letteralmente senza parole, lo sguardo sconvolto anche se in senso positivo. Rainiel, invece, si alternava guardando prima l'amico poi Sephiroth, in trepidante attesa di scoprire quale sarebbe stata la sua risposta.
Le lunghe ciglia scure calarono sugli occhi verdi del generale, coprendoli per qualche secondo. Impossibile capire cosa gli stesse passando per la mente.
Quello che Cloud aveva chiesto era stato e continuava a essere il sogno di tanti. Anche se era considerato dal mondo come morto o disperso, qualunque bambino o giovane con la passione per SOLDIER avrebbe risposto alla domanda "qual è il tuo sogno nel cassetto?" dicendo di voler lavorare con Sephiroth e apprendere da lui, anche quando lui stesso era solo un ragazzo e ispirava milioni di persone tramite lo schermo dei televisori o dei cellulari.
Rainiel stessa aveva impiegato un po' a essere notata da lui. Era stata un portento, è vero, ma senza l'aiuto di Angeal il Generale non si sarebbe interessato a lei, quella prima volta. Poi era stato lui a farsi avanti, anni più tardi.
Una volta gli aveva chiesto cosa ne pensasse di Cloud, e lui aveva risposto che l'avrebbe valutato per farsi un'idea riguardo al suo essere o meno un valido candidato per la divisione d'élite di cui entrambi facevano già parte. Ora era arrivato il momento di esprimere un giudizio concreto.
«Sono un maestro severo.» pronunciò fendendo il silenzio, «Spero ti ci abituerai.»
E quello contava come un sì.
I minuti seguenti furono come una celebrazione per augurare il meglio a Cloud, che era più emozionato che mai anche se tendeva a nasconderlo. Quando si mise a parlare con Tifa, Zack ed Aerith - e mentre il suo migliore amico lo bloccava sottobraccio per scompigliargli con forza i capelli mentre rideva di gusto per la contentezza, Rain si fece da parte per raggiungere Sephiroth, che si era tenuto distante.
«E così sei di nuovo un mentore.» lo punzecchiò lei quando gli fu accanto, mostrandogli un sorrisetto.
«Ne vale la pena. Cloud è tagliato per...» iniziò lui, poi si fermò, lo sguardo perso nel vuoto prima che scuotesse la testa. Per entrare a far parte di SOLDIER, stava per dire, come se per un momento avesse dimenticato la realtà dei fatti. «...Per diventare un eroe.» si corresse dopo, concludendo.
«Lo è senz'altro.» confermò Rainiel. Poco dopo appoggiò un braccio al suo, avvicinandosi a lui e guardando in alto addolcendo il sorriso che gli aveva rivolto. «Sono lieta che tu abbia accettato. Anzi, sono orgogliosa di te.» mormorò a voce più bassa. «Hai sempre fatto molto per noi. Ora che sei tornato vedo che pian piano è diventato più facile per te sentirti meno solo... o almeno spero sia così.»
Sephiroth amava e odiava il modo in cui lei lo faceva sentire con solo qualche parola: il suo cuore andava in subbuglio, la pelle gli formicolava piacevolmente, il suo respiro accelerava e allo stesso tempo lui si sentiva più leggero, più speranzoso. Anche se non era di molte parole, avrebbe potuto stare a discorrere ore e ore con lei, perché si sentiva semplicemente vivo.
Si piegò in sua direzione e, mentre gli altri non guardavano, le cinse un fianco con un braccio e chinò la testa per raggiungere la sua.
«Ho smesso di essere solo nel momento in cui hai accettato di essere la mia allieva.» rivelò in un sussurro caldo che fece sentire le farfalle nello stomaco alla ragazza. Premette le labbra sottili su un lembo di quelle di Rain, per poi sfregarle delicatamente contro le sue. Presto, si disse, ma non ancora.
Lei attese, ma non pretese. E non contestò quando lui si allontanò per guardarla negli occhi.
«Ho imparato da te più di quanto sia riuscito a insegnarti. Accettare era il minimo che potessi fare, e l'ho fatto volentieri.» spiegò allora.
Rainiel reagì abbracciandolo. Non sapeva che Sephiroth la pensasse così, e non le dispiaceva affatto. Gli aveva regalo degli amici, un posto da chiamare casa. O forse li avevano trovati insieme. In ogni caso era vero, si sentivano entrambi meno soli.
E avevano imparato moltissimo l'uno dall'altra.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Un fragile sogno ***


Capitolo 17

UN FRAGILE SOGNO


 

La pace di quei giorni era così rara e immersiva che tutti fecero il possibile per imitare una vita quanto più normale possibile. Non parlarono di Midgar e di SOLDIER, né di Hojo e dei suoi esperimenti.

Sephiroth scelse di non mettere al corrente Aerith della sua storia. Era sempre stato diffidente e mai e poi mai sarebbe riuscito a rivelare un tassello così importante a una persona appena conosciuta, per quanto familiare gli sembrasse quella ragazza dai capelli intrecciati e il curioso fiocco tra i capelli. Forse fu Zack a darle qualche indizio, ma l'ex-Generale si limitò a fornire i dettagli più importanti solo a Rainiel, raccontandole di ciò che aveva fatto negli ultimi mesi, del motivo del suo viaggio a Nibelheim e dell'incontro con Genesis nel reattore malfunzionante. Il resto della storia lo conosceva già.

«Sei andato a Nibelheim per vedere... Jenova?» balbettò Rain quando lo venne a sapere, una sera sul terrazzo della casa. Le si formò la pelle d'oca, e si strinse tra le sue stesse braccia. Non lo stava rimproverando anche perché non ne avrebbe avuto ragione, solamente si ricordava quanto difficile fosse stato per lei affrontare il primo contatto con Yoshua che, nei suoi confronti, rappresentava la stessa figura che Jenova era invece per lui. Dopo aver scoperto di essere prodotti di un esperimento - lei creata in laboratorio e senza una famiglia biologica, lui sacrificato dai suoi stessi genitori nel nome della scienza quando sua madre era ancora in gestazione - avevano avuto bisogno di molto, molto tempo per riprendersi dalla dura scoperta. Lei aveva sfiorato la disperazione più totale, aveva smesso di mangiare e si sarebbe lasciata morire se non fosse stato per i suoi amici e il suo mentore, lui era stato vinto dalla rabbia e dal follia e aveva dato sfogo alle emozioni esplose all'improvviso tingendo il palazzo Shinra del rosso delle fiamme. Era storia, ormai, ma non avrebbero mai potuto dimenticare o ignorare quel che avevano dovuto entrambi affrontare a causa del loro passato.

«Volevo incontrarla. Ne sentivo... il bisogno.» esitò Sephiroth in risposta. Il suo tono di voce era troppo debole.

Rain gli afferrò subito una mano e la strinse. Lui non esitava mai. Sapeva quanto per lui quell'argomento fosse difficile, quanto lo mettesse a dura prova combattere contro i demoni che lo tormentavano per cercare di diventare una persona migliore, per se stesso e per lei.

Non parlò, sapendo che l'uomo aveva ancora qualcosa da dire.

I suoi occhi ferini si abbassarono sul giardino, le ciglia nere sfiorarono gli zigomi su cui danzava lentamente la soffusa luce lunare.

«Non ci sono riuscito. Quando sono arrivato lì... l'ho sentita. Mi stava parlando, mi chiamava a sé. Stavo per accettare, ma se l'avessi fatto...»

S'interruppe e con un sospiro appoggiò i gomiti alla ringhiera e nel piegare la schiena in avanti si strofinò la fronte con le dita della mano sinistra, quasi avesse mal di testa.

Lei gli si fece più vicina, carezzandogli un braccio con pazienza e premura. Avrebbe potuto rassicurarlo in molti modi, parlargli come se fosse un bambino, in tono dolce e caldo, ma invece gli si rivolse per quello che era: un uomo coraggioso, che stava dando il massimo per migliorarsi e che poteva superare qualsiasi ostacolo.

«Sei più forte di lei.» gli ricordò, la voce determinata. «E se non l'hai incontrata, poco importa. Ci saranno altre occasioni in futuro.» gli sorrise.

Lui la ringraziò con una singola occhiata, scoccata tra le fessure tra le dita che ancora gli coprivano il volto.

Rainiel sentì le farfalle nello stomaco. I suoi occhi verdi brillavano di luce propria, intensa come quella della mako, e la guardavano come nessun altro avrebbe saputo fare. Erano più vasti e profondi del cielo stellato sopra di loro.

«Vorrei che venissi con me, quando tornerò là.» sussurrò lui, quasi si vergognasse di ammetterlo. E non perché lo seccasse dover fare affidamento su di lei, al contrario. Essendo abituato a cavarsela sempre da solo, chiedere aiuto lo metteva in soggezione. Era un'altra cosa alla quale avrebbe dovuto fare abitudine.

Lei poggiò la testa sulla sua spalla. «Ma certo.» confermò senza bisogno di rifletterci, «L'affronteremo insieme.»

 

Quei giorni furono così calmi che per un po' si dimenticarono del pericolo imminente. Il Settore 5, per quanto spoglio e malmesso, divenne un paradiso per loro in confronto alle terre aride oltre i bassifondi o, ancor di più, alle lussuose sale e tutti quei piani della Torre Shinra. Forse Genesis aveva rinunciato all'impresa. Un giorno, Cloud aveva ipotizzato ciò durante una discussione. In risposta Sephiroth, che aveva iniziato ad allenarlo ogni pomeriggio, lo aveva folgorato con lo sguardo.

«Genesis non si arrende tanto facilmente.» aveva detto, ed era calato il silenzio. Un po' se ne pentì, ricordando che quello era un tratto che li accomunava.

Perlopiù tendevano a non far parola di quello che li aspettava. Nessuno aveva tutta quella gran voglia di infrangere il sogno di cristallo che all'improvviso si era ricamato attorno a loro. Le giornate trascorrevano sempre uguali ma non per questo erano meno valorose. Per Sephiroth, ogni momento speso accanto a Rain era degno d'essere vissuto, un cimelio prezioso.

Lei era contenta di passare del tempo con la famiglia che si era scelta, che l'aveva trovata e accolta dopo la perdita dei suoi genitori adottivi, che aveva risanato un vuoto importante nel suo cuore. Passava molto tempo anche con Zack e Cloud, quando lui non si allenava o non era con Tifa. I due andavano spesso in giro assieme, e nessuno osava disturbarli. Quando tornavano, spesso Tifa qualche fiore appuntato alle bretelle sul petto o fra i capelli, e il ragazzo biondo il viso arrossato. Zack e Rain avevano aperto le scommesse su chi dei due si sarebbe dichiarato prima all'altro, ma le puntate ricadevano tutte sulla ragazza.

Aerith aveva stretto amicizia con tutti... a parte Sephiroth, come sempre inavvicinabile. Era incuriosita dalla somiglianza di Cloud e Zack, anche se Rain non riusciva a notarne molte, e lei e Tifa avevano legato sin da subito, quindi le tre ragazze avevano presto formato un trio infallibile capace di fare preoccupare persino dei tipi come Zack, Cloud e Sephiroth.

Elmyra stava pian piano accettando gli ultimi arrivati nella famiglia che, lentamente, era diventata un po' troppo grande per la sua villetta. Con il tempo smise di trattare gli ospiti, e Sephiroth in particolare, in modo freddo e brusco. Essere premurosa era nella sua indole, anche se lo dimostrava in maniere tutte sue.

E così, quasi due settimane dopo la felice rimpatriata, il mondo era perfetto, colorato e fin troppo tranquillo.

Infatti, quella delicata pace s'infranse. Lo scudo protettivo di quel fragile sogno andò in mille pezzi, com'era destinato ad accadere, il pomeriggio in cui Zack, di ritorno da una missione per conto di un abitante del Settore 5, tornò a casa in tutta fretta e spalancò trafelato la porta principale mentre gli altri, occupati ad apparecchiare la tavola, si voltavano verso di lui perplessi.

Il ragazzo dai capelli corvini riprese fiato lentamente e poggiò le mani sulle ginocchia prima di ricomporsi.

Rainiel lo raggiunse, per aiutarlo e controllare che stesse bene. Aerith immediatamente accanto a lei.

«Zack, cosa succede?»

Lui le riservò un'occhiata che, da sola, le fece capire ogni cosa. Poi passò a osservare tutti gli altri presenti.

«Genesis.» riuscì a dire quando ebbe fiato a sufficienza. Ci fu scalpore e nervosismo nel gruppo. «Genesis è stato avvistato nel Settore 6.»

Rain batté le palpebre e guardò in un punto impreciso, immersa nei suoi pensieri. «Il mercato murato...»

Poi guardò istintivamente Sephiroth, che posò sul tavolo davanti a lui quello che aveva in mano e chiese con un cenno della testa ai presenti di seguirlo al piano di sopra. Era arrivato il momento di discutere della situazione.

Elmyra, che stava giusto per mettere a tavola un grande piatto a base di pollo fumante, corrugò la fronte e girò i tacchi per rientrare in cucina con uno sbuffo seccato.

«Ottimo,» borbottò, «Credo proprio che stasera la cena si fredderà.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Verità sul passato ***


Capitolo 18

VERITÀ SUL PASSATO


 

La stanza di Rain e Sephiroth era piuttosto piccola per una riunione dell'intero gruppo, ma se la fecero andar bene. Il terrazzo sarebbe stata un'alternativa migliore, non fosse stato per la leggera pioggia che bagnava l'erba all'esterno. Se non altro l'aria era tiepida, e il canto dei grilli quieto e rilassante.

Si disposero tutti in una forma che vagamente ricordava un cerchio. Tifa e Cloud all'ingresso, Aerith vicino alla libreria, Zack su una sedia proprio accanto a lei, che ancora riprendeva fiato. Rain si accomodò direttamente sul materasso, le dita incrociate e la testa bassa. Si morse le labbra in silenzio, mentre il ricordo del suo scontro con Genesis l'assaliva. Anziché elaborarlo, lo aveva spinto in un angolo della sua mente nella speranza che non si ripresentasse. L'idea di non essere riuscita a difendersi da sola la terrorizzava, la spinse a domandarsi se i suoi poteri sarebbero venuti meno di nuovo, in futuro.

L'ex-Generale era accanto a lei, adesso, le braccia incrociate e la postura che di per sé già lasciava intuire che fosse stato un soldato.

«Spiegati meglio.» propose proprio lui a Zack.

Il ragazzo stava guardando Aerith, la quale aveva portato con sé un bicchiere d'acqua prima di salire al piano superiore con loro, e ora glielo stava porgendo. Lui bevve un sorso e sospirò prima di rispondere. «Stavo passeggiando nei pressi della stazione, quando ho sentito un anziano lamentarsi con il nipote di aver visto l'aggressore di qualche settimana fa nei pressi del settore 6. Il giovane non sembrava credergli, ma mi sono avvicinato per fare qualche domanda... e lui ha perfettamente descritto Genesis. Non si è ancora arreso.»

Cloud aggrottò la fronte, ricordandosi di cosa fosse in grado di fare quel pericoloso elemento. Rainiel era, con tutta probabilità, ancora più preoccupata.

«Lo sapevo...» mormorò infatti, sentendosi una sciocca. Davvero sperava che la sua vita potesse essere così calma e felice? Il destino aveva in serbo per lei e i suoi amici eventi come quello da quando era venuta al mondo e anche prima.

Istintivamente, Sephiroth mosse una mano in sua direzione per rassicurarla.

«Annienteremo la minaccia. Ora che sappiamo dove si trova, possiamo attaccare per primi.» comunicò.

Tifa sollevò piano una mano, quasi volesse chiedere il permesso di parlare. «Chiedo scusa, ma... e se fosse esattamente quel che vuole? Chi ci dice che non stiamo per finire in trappola?»

Cloud annuì. «Tifa ha ragione. Se ci limitassimo a osservarlo, noi...»

«E aspettare che attacchi all'improvviso? Così da farci sorprendere?» Il modo in cui il più grande rispose fece gelare il sangue a tutti. Solitamente non era così nervoso, neanche sotto stress. «Conosco Genesis da una vita e potrei difendermi da lui senza problemi, ma non permetterò che faccia del male a Rainiel per una svista o perché avete paura di agire prima di lui.» sentenziò, un dato di fatto che non ammetteva repliche.

Rain si piegò in avanti per sfiorargli la mano.

«Sephiroth, calma... possiamo discuterne.»

«L'unica cosa di cui mi sento in dovere di discutere è l'urgenza della missione. Genesis è imprevedibile quanto perseverante. Potrebbe attendere mesi e farci credere di essersi ritirato, solo per attendere il momento in cui sarai da sola e tenderti un agguato.»

La ragazza lo osservò bene mentre discutevano, e notò brillare nei suoi occhi luminosi una scintilla di seria preoccupazione. Forse... quella era paura. Paura di perderla. Lo capì benissimo. Solo qualche mese prima aveva tenuto fra le proprie braccia il suo corpo temendo di averlo perso per sempre, e non aveva mai sperimentato nulla di peggiore di quella sensazione. Lui l'aveva sempre protetta con ogni sua forza, ma Genesis non era un nemico qualunque. Era un suo amico. E dato che lo conosceva così bene, forse avrebbe potuto sfruttare i suoi punti deboli per aggirarlo e arrivare sino a lei, un metodo per ferire anche lui. Non aveva torto: attendere era troppo pericoloso.

«Anche io sono d'accordo con Sephiroth.» annunciò Zack, le mani sulle ginocchia e il respiro di nuovo regolare. «Il settore 6 è il luogo perfetto, se si vuole sorprendere qualcuno. È possibile mantenere un basso profilo senza attirare attenzioni indesiderate. Non sappiamo per quanto rimarrà lì, ma dovremmo andare al più presto.»

Rain chinò la testa, ormai arresa a quell'idea. «Nessuno conosce il nemico meglio di voi due... e di me. Giocheremo d'anticipo, se questo può rassicurarvi.»

Sephiroth batté lentamente le ciglia mentre muoveva un primo passo verso la porta. «Allora non c'è altro da aggiungere. Rifocillatevi e preparatevi a partire. Possiamo raggiungere il mercato murato questa notte stessa.»

Cloud gli bloccò la strada, anche se non con aria tracotante. Tifa lo guardò confusa.

«C'è una cosa di cui dovremmo parlare, in realtà.» disse con voce un po' più alta del solito.

In risposta, vide il Generale sollevare un sopracciglio.

«So di non poter avanzare pretese, ma mi piacerebbe sapere per quale motivo Genesis ci sta alle calcagna. Perché vuole te e Rainiel, e soprattutto per quale motivo è scomparso anni fa. I media sono stati piuttosto vaghi a riguardo e non ho mai compreso cosa gli fosse accaduto.»

Sembrò esitare, ma completò la sua richiesta senza tirarsi indietro.

In effetti, neanche Rain aveva idea di cosa fosse successo nel dettaglio. Un giorno Genesis era lì nel simulatore con lei, ad allenarla, e quello dopo era scomparso. Mesi più avanti, Zack era corso da lei più entusiasta che mai dicendo che da SOLDIER di seconda classe avrebbe iniziato a lavorare con Angeal sul campo. Da lì in poi, lo aveva visto sempre meno, e ogni volta sembrava più abbattuto della precedente. Un giorno, di ritorno da una missione in Wutai, le aveva portato la triste notizia della scomparsa di Angeal. Girava voce che si fosse alleato con Genesis. Allora Rain non aveva ancora stretto un legame con Sephiroth, per cui non poteva immaginare quanto tutto ciò lo avesse sconvolto, ma a modo suo partecipò a quel dolore. Angeal era stato un mentore importante per lei, e soffrì molto quando venne a sapere che era stato dichiarato disperso o addirittura morto in missione. Per diversi mesi, Zack non si era ripreso. L'unico con cui parlava era Sephiroth, e sempre con cautela. Rainiel lo sapeva perché ogni tanto se lo lasciava sfuggire, ma le capitò anche, una o due volte al massimo, di vederli di sfuggita quando attraversava i corridoi del piano riservato alla prima classe. Non aveva mai chiesto più del dovuto per non peggiorare la situazione del suo migliore amico, ma ora era più curiosa che mai di sapere cosa fosse davvero accaduto.

Alla richiesta di Cloud, Sephiroth rispose abbassando lo sguardo. Chiaramente aveva intenzione di rifiutare, per non riportare a galla una verità con la quale sperava di aver fatto pace tanto tempo prima, o che semplicemente non aveva ancora accettato e lo tormentava.

Cloud allora guardò Zack. Anche lui ne sapeva molto a riguardo, ma il ragazzo sgranò gli occhi, perdendosi in ricordi lontani. Aerith gli poggiò una mano su una spalla, preoccupata.

«Non siete obbligati a farlo, se non vi sentite a vostro agio.» mise subito in chiaro Rain, alzandosi lentamente dal materasso e affiancando il Generale, ma guardando anche in direzione dell'amico per assicurarsi che stesse bene. «Non nascondo che anch'io vorrei sapere la verità, ma possiamo tutti aspettare. L'unica cosa che mi preme capire è perché Genesis stia facendo tutto questo, ma dubito che qualcuno qui lo sappia.»

Pensava che una volta detto ciò avrebbe rimandato la discussione a un secondo momento, ma Zack incrociò le braccia.

«No. È giusto che lo sappiate anche voi.» sospirò, prima di massaggiarsi la fronte.

Sephiroth non era troppo sorpreso di quella scelta. Zack era sempre stato più estroverso e loquace di lui, in ogni caso. Se voleva raccontare quella storia, poteva almeno permetterglielo o aiutarlo a farlo.

Inutile dire che il ragazzo dai capelli corvini catturò l'attenzione generale.

Sephiroth, comunque, ricordò un dettaglio. «Alcuni segreti è meglio che restino tali, per salvaguardare determinate persone...» lasciò intendere, rivolgendo un rapido sguardo a Aerith. Sicuramente la stessa regola si applicava anche a Tifa. Loro due non erano mai state parte della Shinra, e forse restare all'oscuro della verità non avrebbe fatto che giovargli.

Aerith s'imbronciò, mostrando la parte più audace di sé. Non le importava di star discutendo con un bambino capriccioso o con il grande Generale Sephiroth della divisione d'élite SOLDIER.

«Non ho bisogno di essere salvaguardata, e immagino che lo stesso valga per qualcun altro.» protestò, «Se Zack non ha problemi a rendermi partecipe, ti pregherei di non preoccuparti al posto suo.»

Rain alzò le sopracciglia, colpita dal suo coraggio. Non era tipico di tutti i giorni vedere qualcuno rispondere a Sephiroth per le rime.

Lui però non ne fece un dramma. «Proteggere le persone era parte del mio lavoro, una volta. Ma se ti piace tanto tuffarti in guai inutili, di certo non sarò io a impedirtelo o a dirti che ti avevo avvisata.» sibilò con un tono di voce basso e raggelante.

Zack sbuffò e scosse le mani. «Per amor della Dea, non è questo il momento di battibeccare. Chi vuole sapere la verità è libero di ascoltare o, in caso contrario, di uscire da quella porta.» li mise a tacere.

In un gesto simultaneo, Aerith e Sephiroth si misero a braccia conserte e guardarono in direzioni opposte.

Rain rischiò di lasciarsi sfuggire una risata, per poi dirsi che non sarebbe stato appropriato. Comunque sarebbe passata a entrambi.

Zack tirò un sospiro di sollievo. «Tornando all'argomento principale, vi racconterò quel che so perché ritengo che sia giusto farlo.» si spiegò prima di iniziare, «Prima di tutto, come immagino sappiate già, anni fa SOLDIER disponeva di una élite di massimo prestigio.»

Tifa piegò la testa. Ne aveva letto sui giornali. «Sephiroth, Genesis e Angeal?» tirò a indovinare.

«Esatto. Senza troppi giri di parole riguardo i loro compiti o la loro amicizia, bisogna sapere che un giorno Genesis disertò portando con sé molti SOLDIER di classi più basse.»

«Sì, ricordo che vi fu un periodo di caos totale alla Shinra. Ero da poco entrato a far parte della fanteria, allora.» confermò Cloud.

Zack annuì. «Io e Angeal eravamo in Wutai, quando lui sparì e io seppi che i SOLDIER disertori erano stati trasformati in copie di Genesis. In quel momento non potevo saperlo, ma c'era di mezzo il professor Hollander, secondo in termini di follia e crudeltà solo a Hojo, giusto per fare un paragone. Genesis creò scompiglio in varie aree, per esempio a Banora, il villaggio natale di lui ed Angeal.» Fece una pausa, piegando la schiena e appoggiando i gomiti sulle gambe. «Lì... sono successe molte cose. Incontrai Genesis, e anche Angeal...» Chinò la testa.

Sephiroth notò che faceva fatica a narrare quella parte, così continuò al posto suo. «Fuggirono entrambi di nuovo, dopodiché la Shinra ordinò che Banora venisse bombardata per cancellare ogni prova di ciò che stava facendo Genesis. Oggi non è che un cratere pullulante di vie sotterranee.» tagliò corto.

Rain non poté fare a meno di avanzare una domanda. «Ma per quale motivo Genesis ha tradito la Shinra in primo luogo? Lui... aveva tutto.» Non riusciva a spiegarselo. Non era un segreto che Genesis fosse sempre stato invidioso della fama e delle capacità di Sephiroth, ma dubitava che fosse quello il suo movente.

Il suo mentore strinse i denti, facendo schioccare la lingua come se parlare di lui lo infastidisse o nauseasse. «Eseguiva gli ordini di Hollander. Il corpo di Genesis si stava deteriorando, le sue cellule si autodistruggevano. Saprai già che anche a lui ed Angeal fu iniettato il DNA di Jenova, da neonato, ma il risultato ottenuto fu diverso rispetto a...»

S'interruppe. Me, voleva dire, facendo un paragone, ma quella stanza era troppo affollata per parlare delle sue origini. Rain non lo esortò a continuare.

«In ogni caso forse Hollander gli aveva promesso di aiutarlo a patto che seguisse i suoi ordini. E così Genesis ha seminato caos ovunque.»

Aerith aveva una domanda, ma era ancora troppo stizzita, quindi non lo guardò direttamente.

«E non c'era nessun modo per salvarlo prima che morisse?»

Fu come ricevere un pugnale dritto al petto. Sephiroth separò le labbra, ma fece fatica a trovare le parole adatte.

«Un modo c'era, immagino...»

Zack si schiarì la voce e si mosse sulla sedia, a disagio, ma non intervenne.

Rainiel comprese che qualcosa non andava. Gli occhi di Sephiroth si fecero più scuri mentre iniziava a raccontare.

«A quel tempo non sapevo nulla di Jenova, degli esperimenti o di tutto il resto. Non capivo perché Genesis e Angeal mi avessero voltato le spalle. Dai piani alti mi fu ordinato diverse volte di trovare entrambi e ucciderli in quanto disertori. Rifiutai categoricamente.»

Cloud batté le palpebre, confuso. «I SOLDIER possono rifiutare un ordine?»

«Certo che no.» tossì amareggiato Zack, «Ma chi credi che avrebbe avuto il coraggio di insistere? Stiamo parlando di Sephiroth.»

Cloud alzò le spalle. Non aveva tutti i torti.

«Comunque sia, la responsabilità delle missioni ricadde su di me. Ovviamente.» procedette il ragazzo corvino, notando che Sephiroth eludeva il suo sguardo, «Ma Sephiroth mi propose un modo di agire che avrebbe non solo soddisfatto i vertici dell'azienda, ma anche risparmiato Genesis e Angeal.»

«Fallire una missione... di proposito.» dedusse rapidamente Rainiel, il cuore che le faceva male. Sephiroth aveva fatto il possibile, nonostante fosse incredibilmente ferito dal tradimento dei suoi migliori amici.

«Speravo che fosse così. Mi sarebbe bastato capire il motivo per cui si stavano comportando a quel modo. Invece, quando incontrai Genesis durante un suo attacco...» Strinse le dita, e la forma delle nocche si delineò sul tessuto lucido dei guanti di pelle, «... lui mi chiese di aiutarlo. Parlò di qualcosa riguardante le mie cellule, che potevano guarirlo. Di unirmi a lui. Non ero a conoscenza della verità, per cui pensai che stesse delirando, e quando compresi che Genesis non aveva intenzione di tornare alla Shinra, ma di convincere me a disertare a mia volta, la rabbia ebbe la meglio. Non lo lasciai finire, e andai via prima che si spiegasse. Sapevo che la degradazione avrebbe potuto ucciderlo, ma non guardai indietro. Ero troppo infuriato per farlo. E da quel momento... non lo vidi più. Zack era lì con me, quel giorno.»

Serrò i denti non appena ebbe finito di narrare la storia dal suo punto di vista. Non sostenne lo sguardo di nessuno nella stanza, come se avesse appena raccontato il suo segreto più oscuro.

Era chiaro come il sole che i sensi di colpa lo stessero divorando. Li aveva dimenticati, per un po', ma erano tornati insieme alla nuova apparizione di Genesis. Non sapeva cosa pensare.

Dopotutto, aveva voltato le spalle a un amico. Lo aveva abbandonato a un destino crudele e inevitabile. Anche se Genesis aveva cercato di fare del male a lui e Zack durante gli assalti, anche se aveva ucciso e torturato per i suoi scopi, non riusciva a fare finta di nulla. Era un altro degli innumerevoli errori che aveva commesso in passato.

Rain avrebbe voluto dire qualcosa per confortarlo, ma quando provò a sfiorarlo di nuovo lui si allontanò. Non era il momento adatto. La ragazza sentì una profonda sensazione di tristezza invaderla ma fu comprensiva e non insistette.

«Ero lì eccome. A causa di quell'attacco feci un bel volo dalla piattaforma e piombai nei bassifondi. Avete mai notato quel curioso buco sul tetto della chiesa?»

Rainiel strabuzzò gli occhi. Zack non le aveva mai raccontato nulla di quella vicenda. Possibile che avesse incontrato Aerith a quel modo?

Il suo tentativo di sdrammatizzare servì solo fino a un certo punto. Cloud ridusse le labbra a una linea sottile e poi alzò il mento. «E per quanto riguarda Angeal?»

Ecco sparire l'ironia dal viso di Zack. «Lo incontrai altre volte, dopo la sua sparizione in Wutai, ma lui... continuò a tenermi a distanza, a evitarmi. Infine non si ebbero più sue notizie. Io... purtroppo credo che si sia lasciato morire, anche se non era affetto dallo stesso problema di Genesis. Era troppo legato al suo onore per accettare di essere frutto di un esperimento. Si sentiva un mostro.»

Rainiel sentì un tuffo al cuore. Nel profondo dell'anima sapeva che Angeal era morto, era come un presentimento che si era presentato dopo qualche tempo dalla sua scomparsa, ma riceverne la conferma da qualcun altro... fu dura da elaborare. Aveva già perso abbastanza persone care.

«Neanche Hollander si è più fatto vivo. Spero che sia capitato lo stesso anche a lui, dato che è sua la colpa di tutto.» aggiunse poi, rancoroso.

Tifa aveva gli occhi lucidi per tutto quello che aveva appena scoperto, ma i dubbi superavano la commozione. «Genesis avrebbe dovuto cedere a sua volta... come fa a essere ancora vivo?» si chiese.

«Esatto.» le fece eco il ragazzo accanto a lei, «Non mi sembrava che fosse più nemmeno afflitto dalla degradazione. Deve aver trovato una cura.»

«Questo non lo so.» ammise il Generale a occhi socchiusi, la fronte corrugata. «Ma di certo i suoi piani non sono cambiati. L'unica cosa che gli interessa è seminare discordia attorno a lui. E per qualche motivo è entrato in possesso delle informazioni riguardanti il Progetto Yoshua, e ora vuole mettere le mani su Rainiel.» allungò una mano e colpì il muro con la parte laterale del pugno serrato. «Va fermato a ogni costo. Potremo fargli tutte le domande che vogliamo quando sarà in catene.» Sempre che non mi costringa a ucciderlo prima, avrebbe voluto aggiungere, ma evitò.

Qualcuno, nella stanza, sussultò o tremò. Rainiel sapeva bene quanto fosse dura per lui gestire emozioni negative come quella, e che volesse proteggerla al punto da perdere di vista il resto. Avrebbe parlato con lui per rassicurarlo, più tardi.

Sephiroth prese un profondo respiro e cercò di schiarirsi le idee. «Ora dobbiamo prepararci. Ci vediamo all'ingresso tra quindici minuti.»

Aerith mosse un passo avanti, alzando piano la mano. «Io vengo con v-»

Zack le sfiorò la mano e, quando lei lo guardò, scosse la testa per farle capire che non sarebbe stato il caso né di tuffarsi in un pericolo così grande, né di insistere e fare innervosire il Generale.

La fioraia ridusse le labbra a una linea sottile e batté un piede a terra, ma comprese la situazione e non disse altro.

Rainiel osservò la stanza svuotarsi pian piano, mentre lei guardava silenziosamente fuori dalla finestra.

Li attendeva una lunga e difficile notte.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** La forza del perdono ***


Capitolo 19

LA FORZA DEL PERDONO


Rain finì di conservare le poche cose che doveva portare con sé in una piccola sacca che l'avrebbe accompagnata nel Mercato Murato. Nulla di più che una manciata di monete, dell'acqua e qualche pozione curativa. Alla cintura stretta in vita appese, in presenza degli appositi fori, le materie necessarie a evocare magie da battaglia, sebbene non fosse abituata a usarne spesso.

L'idea del settore 6 la intrigava e spaventava al tempo stesso. Aveva sentito parlare di quel posto, ma non l'aveva mai realmente visitato. Aerith e Zack non avevano mai avuto ragione di metterci piede, e lei aveva preferito rifugiarsi nel settore 5 senza allontanarsi per tutti quei mesi, dato che non vi si trovava poi così male. Sapeva che il Mercato Murato era un tripudio di voci, colori e musica, sempre affollato e mai statico, un mondo notturno in continuo mutamento, dove per confondersi al meglio la soluzione migliore era seguire il flusso e lasciarsi trasportare da esso. Restare lucidi in mezzo a tutte quelle distrazioni sarebbe stato difficile, ma non impossibile, un po' come impelagarsi in affari loschi che in quel particolare luogo non mancavano di certo all'appello. 

La cosa che la preoccupava di più, però, non era di certo la strategia di quella notte o i pericoli del nuovo settore. No, la sua ansia derivava da una cosa in particolare, o per meglio dire da qualcuno. Una persona che in quel momento era in piedi a qualche passo da lei, in fondo alla stanza.

Mentre lei aveva sistemato le sue cose su una sedia mentre si vestiva e preparava, Sephiroth era rimasto in piedi davanti al letto e in quel momento stava giusto finendo di sistemarsi addosso l'ultimo spallaccio.

Negli ultimi giorni aveva indossato abiti comodi, adatti alla casa e al quartiere, e vederlo di nuovo in vesti di guerra suscitò emozioni contrastanti in Rainiel. Ancor di più, la sua espressione corrugata e determinata la impensieriva.

Gli si avvicinò quando furono ormai entrambi pronti, anche se lui era rimasto davanti alla finestra a scrutare il panorama notturno della valle fiorita all'esterno. Tutto era ammantato da ombre bluastre e il luccichio del laghetto brillava placido mentre le ombre delle increspature dell'acqua si riflettevano sulle corolle dei fiori e le pareti di roccia che circondavano la casa. 

Ancora qualche minuto e sarebbero dovuti scendere al piano di sotto, dove forse qualcuno li stava già aspettando. La notte che li attendeva non era di certo rassicurante, ed era passato molto tempo dall'ultima volta che Rain era partita in missione senza la certezza che tutti sarebbero tornati a casa sani e salvi. Un po' si aggrappò al piacevole senso di protezione che la figura del suo mentore le offriva, ma sapeva di dover essere altrettanto di sostegno a lui.

Camminò piano fino a sostare proprio al suo fianco, le braccia strette attorno a sé stessa in un abbraccio privato e difensivo, anche se con lui poteva stare tranquilla.

«Pensavo che avremmo avuto un po' di tempo in più.» sospirò allora, imprimendo nella sua mente la posizione dei fiori nel giardino, il punto da cui la luce della luna filtrava da oltre la piattaforma su di loro per rischiarare il paesaggio. Forse aveva dato tutto troppo per scontato. Aveva così tanta fretta di andar via che non si era accorta di essersi affezionata a quella stabilità che mai aveva avuto nella vita.

«Avremo tutto il tempo che vorremo, quando questa situazione sarà stata risolta.» le promise lui, portando le braccia lungo i fianchi. Il suo intervento fu atono e coinciso, ma era chiaro che anche lui si sentisse un po' strano dopo quella pace che per la prima volta aveva sperimentato. La sua vita era stata quasi perfetta per un paio di settimane, e ora doveva lottare di nuovo per tenere al sicuro se stesso e le persone che gli erano care.

Rain replicò annuendo e abbassando la sguardo. Non era del tutto convinta.

Lui lo notò senza neanche il bisogno di girarsi verso di lei. Si limitò a studiarla con la coda dell'occhio, valutando se avesse bisogno di lui accanto o preferisse rimanere sola per un po'.

«Stai bene, Rain?» chiese allora, facendo il possibile per rendere più delicate le sue parole.

Lei sollevò le spalle mentre inspirava con forza e si mordeva le labbra.

«No. Affatto. Sono in pensiero e... mi sento frustrata.» Gesticolò per spiegarsi meglio, ma le parole proprio non riuscivano a uscire come lei le aveva pensate. Balbettò per un attimo. «Io... Io non so neanche come sentirmi. Sono un soldato, dovrei essere abituata a queste cose. È la lotta, l'adrenalina, che mi fa sentire viva. Ma allo stesso tempo ho paura che, dopo ogni battaglia, qualcosa non sarà più identico a prima. Ho paura...»

Lo guardò direttamente, beandosi di quei sottili fari verdi che squarciavano il buio, che la osservavano dall'alto senza giudicarla, che l'ascoltavano con reale premura. E tuttavia distolse lo sguardo, non riuscendo a sostenerlo mentre parlava di quell'argomento.

«Ho paura di perderti, dopo quello che è successo nel DRUM un anno fa. O di perdere i miei amici.» Calò le ciglia sugli occhi, vergognandosi. «Non è molto professionale, lo so.»

Sentì uno dei guanti in lucida pelle nera dell'uomo accanto a lei sfiorarle le dita, schiudendole per stringerle la mano e darle conforto. Sephiroth si avvicinò a lei, ora girato del tutto in sua direzione.

«Non perderai nessuno, questa notte. Sono qui per proteggervi.» le assicurò.

«Lo so. È questo il punto.» sospirò lei, sentendosi in imbarazzo perché non sapeva nemmeno come spiegarsi. «Quante volte hai rischiato di ferirti o addirittura morire per pensare alla mia incolumità? Stavolta non deve essere così. So che vuoi proteggermi, ma la rabbia che provi verso Genesis... non voglio che ti si ritorca contro.» cercò di fargli capire.

Sephiroth guardò con un attimo di confusione i suoi occhi, alternandosi tra il destro e il sinistro, stringendo le palpebre.

«Genesis vuole farti del male. Lui...»

«Era tuo amico, ed è arrabbiato, stando a quanto hai raccontato stasera. Io non voglio che tu faccia del male a un tuo amico perché ha perso la strada. Forse possiamo aiutarlo.» 

Sephiroth stavolta capì bene a cosa stesse puntando la ragazza. Alzò il mento distaccando leggermente le labbra, su cui si tinse un effimero e amareggiato sorriso.

«Tu vuoi salvarlo, dunque.»

Lei strinse con un po' più di forza la sua mano.

«Sì. E so che, nel profondo del tuo cuore, anche tu lo vuoi. Vuoi rimediare a quanto è accaduto.»

Sephiroth lesse la verità nei suoi grandi occhi blu, ma dovette replicare con un'espressione severa.

«Tu non lo conosci come lo conosco io, Rainiel. Genesis non è in grado di controllare le sue emozioni negative. Non perderà tempo, e attaccherà te per ferire me.»

«È vero, forse non lo conosco, ma so abbastanza di te da essere sicura che, se gli parlassi, forse potresti riuscire a dissuaderlo dalle sue idee, qualsiasi esse siano.»

Sephiroth rifletté su quelle parole. D'altronde, lui non era forse arrivato al punto tale da essere addirittura peggiore di Genesis? Aveva alimentato l'odio in sé e aveva lasciato che distruggesse tutto, che facesse del male alla persona cui teneva più di tutte al mondo e a un caro amico, forse l'ultimo che gli rimaneva. Anche adesso, il suo primo pensiero era stato quello di eliminare la fonte del pericolo. Era così che era stato addestrato per una vita intera d'altronde. La procedura dei SOLDIER era semplice: individuare un pericolo e fare tutto il possibile per annientarlo. Nei grandi piani della Shinra non esistevano trattative e lieti fini. Forse era davvero lui a essere cieco a causa dell'educazione ricevuta.

Rain era riuscita a guarirlo da tutte le ferite che gli solcavano il cuore, la mente e lo spirito. Era bastata la sua gentilezza, il suo perdono, la sua capacità di ricominciare. Aveva molto da imparare da lei, benché fosse lui il mentore tra i due. Certo, lui le aveva insegnato a combattere, a difendersi e l'aveva aiutata a farsi strada in un periodo a lei ostile, ma era stata la ragazza a prendersi cura di lui con estrema pazienza. Continuava a farlo ancora oggi.

Doveva molto a Genesis perché era stato suo amico e perché lo aveva abbandonato in un impeto di delusione e rabbia, ma doveva tutto a Rainiel che era stata la luce che aveva dissipato le tenebre in lui. Accontentarla poteva essere un passo in più nel suo percorso di redenzione.

Mentre rifletteva sulle sue parole, lasciò scorrere le dita della mano destra sulla clavicola della ragazza, fino a scostare piano un lembo della sua giacca per scoprirle la spalla.

Lei avrebbe potuto fermarlo in qualsiasi momento, ma non lo fece. Sapeva quale fosse il suo intento.

Oltre la divisa smanicata da SOLDIER, sulla pelle chiara della giovane donna, Sephiroth rivide quella cicatrice che per tanto tempo l'aveva tormentato. Una faglia rosea e ben visibile, che aveva impiegato molto tempo e costanti cure per rimarginarsi e che mai sarebbe scomparsa. Percorse il segno netto e preciso con un dito, perso nei suoi pensieri più remoti. Nei momenti difficili rivedeva ancora quella scena. A volte gli appariva in sogno. La masamune che la trafiggeva, la sollevava. Il suo sangue che grondava tra le fiamme. E lui... lui che si sentiva soddisfatto di quello scempio. Come aveva potuto?

Strinse i denti e Rain capì subito che stava lottando contro i suoi ricordi, contro quei demoni con cui poteva solo imparare a convivere. Circondò la sua mano con la propria e la guidò sulla sua spalla, così che con il palmo coprisse e nascondesse la cicatrice. Così che potesse capire che non era nulla più che un simbolo del passato che entrambi dovevano superare.

Diminuì le distanze fermandosi a una spanna da lui, che ora non osava sorreggere un contatto visivo.

«Quando ci lasciamo tutto alle spalle diventiamo più forti.» gli disse, facendo riferimento a entrambe le situazioni prese in causa quella sera, «Perdonare ci rende liberi. Liberi di continuare a vivere. Di tornare ad amare anche quando abbiamo sofferto. Anche quando abbiamo fatto soffrire qualcun altro.»

Sollevò l'altra mano per toccargli una guancia, coprirla e chiedergli in silenzio di tornare a guardarla. Quando lui lo fece, lei gli sorrise dolcemente.

«Io ti ho perdonato sin dall'inizio. Ora tocca e te decidere se fare lo stesso.»

Con te. Con Genesis.

Ecco cosa intendeva.

Se lei aveva perdonato un gesto come il suo, che l'aveva portata sulla soglia tra la vita e la morte, allora lui poteva fare quantomeno lo sforzo di tentare di persuadere Genesis a riconsiderare le sue azioni. Questo avrebbe soddisfatto Rainiel, non solo perché avrebbe mostrato che Sephiroth era capace di controllare i propri sentimenti, ma anche perché avrebbe escluso lui e gli altri dalla situazione di pericolo.

Doveva farlo, almeno per lei. Ma anche per se stesso.

La guardò con un'intensità al contempo familiare e nuova, ponendo una mano sulla sua già alzata e sentendo, con l'altra, il calore della sua pelle sotto il tessuto teso del guanto.

Non le aveva mai detto quanto anche lui temesse di perderla. Non era mai stato veramente chiaro riguardo l'immensità di ciò che provasse nei suoi confronti. Non avrebbe saputo spiegarlo a parole, metterlo per iscritto o disegnarlo. Era totalmente inerme, vulnerabile a quello che lei gli suscitava. Non capiva come fosse possibile che Rainiel mettesse a tacere i suoi dubbi con la stessa rapidità con cui si presentavano, come facesse a curarlo con la sua sola presenza.

Avrebbe smosso gli oceani e le montagne per lei. Avrebbe lottato, ucciso e perso la vita se soltanto lei glielo avesse chiesto. Ma non era questo che lei voleva. Non voleva la violenza o la brutalità di cui lui era capace. O meglio, voleva tutto di lui e per questo sperava che lui vedesse oltre quello che era fisicamente e crudelmente in grado di fare. Lo aveva accettato, lo aveva migliorato, nonostante lui l'avesse fatta soffrire oltre ogni immaginazione e fosse persino scappato per paura di fronteggiare la realtà.

Codardo. Vigliacco. Traditore.

Ecco le accuse che quelle voci insistenti in lui avanzavano.

E lei... lei le spazzava via entrando nella sua stessa stanza, guardandolo o parlandogli.

«Ci proverò.» le promise. Era deciso a mantenere le promesse che ultimamente le stava facendo. Dopodiché la guardò come incredulo, come se non meritasse davvero le sue attenzioni. Quel pensiero si dissipò in fretta come tutti gli altri. Quello che si era creato fra loro esisteva per un motivo, e quel motivo era che si meritavano a vicenda, che erano forti insieme e potevano rendersi felici l'un l'altra. «Grazie.» mormorò poi, a voce più bassa, «A volte perdo la strada. Se non ci fossi tu...»

«Io sono qui. E sarò sempre qui, con te.» lo rassicurò lei, senza smettere di sorridergli.

Sephiroth ammirò per qualche istante la luce nei suoi occhi, sentendosi rinato. Sentirsi debole nei confronti di qualcosa non era mai stato così piacevole. Per qualche secondo dimenticò tutto. Genesis, il pericolo, il passato. Quasi dimenticò anche il suo stesso nome. E perse il controllo su un'emozione in particolare, una che sovrastò e si fece strada fra la rabbia, il rancore, la paura. Non poté contenerla, perché era più forte di lui. Infinitamente più forte.

Chinò la testa e strinse a sé senza esitazioni Rainiel. Aveva aspettato, lo avevano fatto entrambi, per essere sicuro che tra loro fosse rimasto tutto come lo avevano lasciato. Si sbagliava. Con il tempo il loro legame si era solo rafforzato. E il tempo dell'attesa poteva anche concludersi senza lasciare dubbi.

La baciò e si sentì trascinato dalla potenza di quel gesto, dalla sensazione che ebbe in lui. Una fiamma, calda e piacevole, che gli invadeva il corpo e liberava la mente. Si considerò uno stupido per non averlo fatto prima, magari nell'istante stesso in cui l'aveva rivista o quando erano rimasti soli, in quella stessa stanza, la notte in cui Aerith l'aveva guarita e lei si era risvegliata e lo aveva trovato accanto a sé.

Aveva dimenticato come tutto ciò lo facesse sentire, ma ricordò ben presto quanto gli fosse effettivamente mancato. Fu come riprendere fiato dopo essere rimasto confinato per secoli sul fondo del mare. Non credeva che si sarebbe mai abituato a qualcosa di simile. L'unica cosa di cui era certo era che, ogni volta che si ritrovavano, che comunicavano in quel modo, quel che provava veniva alimentato.

Le strinse una spalla e cinse il fianco, lasciando che i propri capelli le solleticassero il viso, mentre lei continuava a sfiorargli la guancia e poggiava l'altra mano sul suo petto, sentendo i battiti del suo cuore che acceleravano.

C'era una certa resistenza da parte di entrambi, per quanto debole. Erano in ritardo, gli altri li stavano già probabilmente aspettando all'ingresso, altrimenti non sapevano di preciso fino a che punto la passione li avrebbe condotti. Era un'onda di energia pura.

Si presero ogni secondo che avevano a disposizione, ogni singolo respiro, senza mai allontanarsi. Viversi a vicenda era qualcosa di cui ormai sentivano bisogno, come riposarsi o nutrirsi.

Sephiroth avrebbe potuto pronunciare quelle poche parole cui le persone riducevano i propri sentimenti. Avrebbe potuto sussurrarle sulle sue labbra, sulla sua pelle, e lasciare che non fossero altro che parole. Ma non si fermò, non se ne curò perché non ne trovò il bisogno. Stava già professando tutto quel che era in lui senza bisogno di parlare, di sottrarre tempo prezioso alla meraviglia che stavano vivendo.

Si strinsero con l'intenzione di non lasciarsi andare. Con forza e delicatezza in egual misura. Finché non sentirono la mente leggera e il respiro mozzato. Finché non compresero entrambi che rischiavano di non interrompersi più. E solo a quel punto riuscirono a essere abbastanza lucidi da fermarsi. Fu doloroso, ma avevano dei doveri cui far fronte.

Rain ritagliò un altro rapido attimo per abbracciarlo, per stringersi a lui, inspirare il buon profumo che emanava, sentirsi bene tra le sue braccia mentre entrambi riprendevano fiato. Ancora qualche secondo. Ancora un'altra breve eternità.

Lui affondò il viso tra i suoi capelli, disegnando percorsi astratti sulla sua schiena con il movimento calmo di una mano.

Perdersi non era possibile. Non sarebbero sopravvissuti. Non era un'opzione contemplata.

Questo lui lo sapeva, era innegabile.

«Qualunque cosa accada, restami vicina stanotte.» quasi la pregò, bisognoso di assicurarsi che tutto sarebbe andato per il meglio. Avrebbero risolto quel problema, dopodiché sarebbero tornati alla vita di sempre. Per quanto lui stonasse con la calma e la quieta gioia del settore 5, avrebbe imparato a integrarsi con gli altri in qualche modo. Così Rain sarebbe rimasta fuori da qualsiasi pericolo in futuro. Sempre ammesso che, come al solito, altri guai non cercassero appositamente loro due...

La ragazza provò un senso di tenerezza e annuì piano.

«Andrà tutto bene.» gli disse, in un sussurro, ma rivolse quelle parole anche a se stessa per calmarsi. «Domattina, quando saremo di ritorno, andremo a guardare l'alba assieme. E poi dormiremo tutto il giorno. Ti piace come idea?» si lasciò sfuggire una risata.

Sephiroth non si curava troppo di albe o tramonti, né sarebbe stato in grado di dormire ininterrottamente per così tanto tempo essendo abituato a ricaricare velocemente le energie ed essere sempre attivo, ma l'idea non sembrava affatto male. Era qualcosa per cui valeva la pena tornare.

«Faremo tutto quello che preferisci.» replicò allora, sfiorandole il mento e riavviandole dei capelli dietro l'orecchio per osservare ancora per qualche attimo il suo viso.

Quasi provò dolore nell'allontanarsi e spezzare il loro abbraccio.

«Dobbiamo andare...» le ricordò suo malgrado.

Lei abbassò la testa e andò verso la piccola sacca che aveva preparato, indossandola a tracolla.

«D'accordo.» sussurrò, girando i polsi e muovendo i talloni come per riscaldare i muscoli. Raggiunse la porta, l'uomo che la seguiva a qualche metro di distanza. «Mercato Murato... arriviamo.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Mercato Murato ***


Capitolo 20

MERCATO MURATO


 

Dal settore 5, raggiungere il Mercato Murato non richiedeva troppo tempo. Specialmente se si avevano a disposizione le conoscenze di Aerith: la ragazza era una grande esploratrice e conosceva i vicoli del quartiere come il palmo della sua mano. Aveva insistito un po' per partire con il resto del gruppo, ma Elmyra le aveva severamente proibito di seguire i suoi impavidi compagni davanti a tutti, chiarendo che non avrebbe messo a rischio anche la sua vita. La donna era molto preoccupata anche per gli altri, ma era logico che tenesse in maniera particolare alla figlia. La fioraia allora aveva ceduto e, indicata agli altri la scorciatoia da seguire per raggiungere il settore adiacente, aveva salutato Zack con un bacio e Rain con un abbraccio, raccomandando a tutti di tornare a casa sani e salvi. Il suo fidanzato fu chiaro a riguardo: sarebbero stati tutti di ritorno entro l'alba. Cosa poteva mai andare storto in una sola notte?

In realtà non avevano la minima idea di quanto piena quella notte sarebbe effettivamente stata per loro. Il Mercato Murato si risvegliava proprio nelle ore più buie e, quando il gruppo lo raggiunse, si mostrò a loro per ciò che era davvero.

Oltre le mura d'ingresso si estendeva una marea di luci, suoni, vicoli, strade ed edifici. La gente affluiva da ogni direzione, come se trascinata da una corrente, e ognuno riusciva a confondersi e al contempo a risaltare tra tutti gli altri. Brillavano i vestiti eleganti e attraenti delle donne, o quelli stravaganti e audaci di molte altre persone. La gente proveniva da ogni dove per dimenticarsi, per una sola notte, di tutto il resto. Raggi di luci colorate accecavano e disorientavano, ma c'era anche chi ne approfittava per trovare un suo piccolo spazio nella ribalta e sfoggiare qualche impressionante mossa di ballo.

Istintivamente, Zack e Rain iniziarono a muovere i piedi o le spalle ritmo della musica. Quando abitavano ancora sulla piattaforma, non era raro che visitassero locali e discoteche per passare la serata con i loro amici. Spesso Cloud si univa a loro, ma preferiva restare seduto al tavolo a tenere d'occhio i loro drink piuttosto che tuffarsi nella calca per scatenarsi sulla pista da ballo. Vaneja era, invece, proprio come loro... davvero un peccato che non fosse lì in quel momento. A Rain sarebbe piaciuto afferrarle le braccia e trascinarla tra la folla per seguire il ritmo in sua compagnia.

Anche Tifa sembrava incuriosita da quello che la circondava, anche se al momento stava osservando un gruppetto di curiosi individui, vestiti di giacche di pelle nera e jeans strappati, che stava chiaramente cercando di attaccare briga con un giovane ragazzo non del tutto sobrio. Distolse lo sguardo e strinse le palpebre a causa delle luci che a intermittenza tingevano la notte dei loro vividi toni.

Sephiroth, per terminare, non poteva fare a meno di stonare con tutto ciò che lo circondava. Era un pesce fuor d'acqua. Il suo stile, il suo carattere e la sua espressione perennemente seria si adattavano molto di più a un luogo sofisticato e lavorativo come la Torre Shinra che non all'energia vibrante del Mercato Murato. Alcune ragazze, e forse anche qualche ragazzo, avevano lanciato in sua direzione sguardi languidi da quando aveva superato i muri all'entrata, lasciandosi alle spalle la fermata della carovana trainata da chocobo che, dietro pagamento, avrebbe anche potuto riportarli al settore 5 al termine della nottata. Lui non sembrava nemmeno curarsene: spiccava tra tutti persino in un contesto come quello a causa del suo aspetto insolito, della sua altezza e del suo vestiario e, a capo del gruppo che ora sostava davanti a quelle stesse mura, stava passando a setaccio con lo sguardo tutto ciò che lo circondava, senza  lasciarsi sfuggire un singolo dettaglio.

Rainiel lo affiancò, guardandolo con la coda dell'occhio. Non riusciva a spiegarsi come facesse a cambiare all'improvviso quando, in un luogo chiuso o aperto che fosse, ci fossero altre persone oltre a loro due. Quando riuscivano a rimanere da soli, il giovane uomo sembrava una persona completamente diversa nei modi di fare, di parlare, nelle espressioni del viso... ora era tornato il freddo Generale che ricordava dai tempi dei primi allenamenti nel simulatore della Shinra, più di un anno prima. Tempi che, suo malgrado, le mancavano. Quasi non riuscì a nascondere un sorrisetto, cosa che non passò inosservata, pensando che sarebbe stato divertente vedere come una persona come Sephiroth riuscisse a muoversi in un ambiente che, per una volta, si confaceva di più alle abitudini di lei che viceversa.

Lui non aveva intenzione di darsi per vinto benché fosse chiaramente in soggezione e al di fuori della sua bolla di comfort personale. Irrigidì infatti la schiena, chiarendo che era meglio non perdere altro tempo. «Non è il caso di dividerci per il momento, anche se questo settore è ampio. Perlustriamo la zona e iniziamo a fare domande ai locali quanto più discretamente possibile. Non vogliamo dare nell'occhio.» diede istruzioni, muovendosi senza attendere repliche.

Camminò verso un negozietto che si affacciava sulla strada accanto a una piccola e trasandata locanda immediatamente sul fianco sinistro dell'ingresso oltre la muraglia. Fu allora che Zack, con il suo tipico sogghigno stampato in viso, affiancò Rainiel e si nascose le labbra con il dorso di una mano.

«Non preoccuparti troppo per lui. Chissà che non finisca persino per divertirsi, in un posto come questo.» ridacchiò strizzando l'occhio all'amica prima di seguire il capogruppo.

Tifa avanzò a sua volta, una mano posta sulla spalla di Cloud che nel frattempo si guardava attorno con il viso arrossato e lo sguardo perso.

Rainiel sollevò le spalle con un sospiro, chiudendo la fila. Sarebbe stata una luuunga notte.

 

Iniziarono a fare domande nei vari negozi o ai dipendenti delle attrazioni prossime all'ingresso del mercato, tenendosi sempre sul vago. Sephiroth, per una volta, si dimostrò una totale frana in qualcosa: gli interrogativi che poneva erano troppo formali e rigidi, non godevano della scioltezza necessaria a farlo sembrare un semplice ragazzo come tanti, venuto sin lì per godersi una notte spensierata in compagnia di qualche coetaneo. Fu Zack a prendere la parola quindi, iniziando a chiedere in giro di Genesis come se stesse cercando un amico che si era accidentalmente allontanato dal gruppo per colpa di un imprevisto, in alcuni casi descritto come un allontanamento immotivato e in altri come un malore dovuto a un giro di troppo al bar.

La tattica di Zack si rivelò funzionante. Sephiroth non fece commenti a riguardo, me sembrava piuttosto nervoso, quasi ferito nell'orgoglio. A differenza degli altri giovani della sua età, lui non si era mai potuto concedere una vera serata di svago in discoteca. I posti che aveva frequentato, anche da adolescente, erano troppo eleganti e riservati per definirsi tali, sempre ed esclusivamente selezionati dai piani alti dell'azienda per la quale lavorava dalla nascita.

Non aveva idea di come fingere di essere come tutti gli altri, più o meno come Cloud e Tifa che, invece, erano penalizzati dal fatto di essere nati e cresciuti in un piccolo paesino il cui divertimento maggiore poteva forse essere l'arrampicarsi sulla cisterna al centro della piazza principale o avventurarsi nei boschi circostanti.

Zack invece era un estroverso nato, l'anima della festa. Riuscì persino a fare amicizia con qualche negoziante e assicurarsi informazioni in più con delle belle parole.

Dalle indagini risultò che un uomo descritto come molto simile a quello che loro stavano cercando, effettivamente, era stato avvistato qui e là nel settore 6. Tuttavia, se c'era qualcosa che tutti coloro disposti a rispondere alle loro domande avevano riferito, era che era parso loro come una persona schiva, che preferiva nascondersi nelle tenebre dei vicoletti limitrofi al settore piuttosto che farsi notare sulle strade principali. Sommando quanto riferito da tutti, nell'arco di circa mezz'ora compresero che Genesis doveva essere passato in quelle zone negli ultimi due o tre giorni, ma raramente aveva messo piede nelle aree più affollate. A volte, però, sembrava fermarsi in determinati posti, mai lo stesso, come in attesa di qualcosa. O qualcuno.

Il gruppo si radunò all'angolo di una strada, nei pressi della locanda, per discutere. Dopo aver declinato l'invito del dipendente che chiese loro di entrare e affittare una camera per la notte credendoli dei turisti in visita, per quanto ritenesse interessante l'idea di vivere l'esperienza di una notte in un albergo della zona, Rainiel si concentrò e prese la parola.

«Dunque, quello che sappiamo è che Genesis si trova davvero all'interno del Mercato Murato al momento. Dico bene?» chiese conferma.

Cloud piegò la testa, cercando di ricordare tutte le dichiarazioni raccolte negli ultimi minuti. «Non possiamo esserne del tutto certi, ma è altamente probabile.»

Tifa sospirò dopo averlo ascoltato. «Il problema è che questo posto è enorme. E poi, con la forte musica e tutte queste luci, non confondersi è impossibile. Dobbiamo dare per scontato che molti testimoni si stiano sbagliando e non abbiano davvero incontrato questo... Genesis.» ricordò. Non aveva idea di chi fosse, alla fin fine, dato che lo aveva visto una singola volta e solo di sfuggita, prima che scappasse per evitare uno scontro diretto con Sephiroth. «Capire quali luoghi frequenta di preciso e localizzarlo non sarà affatto semplice... siamo sicuri che ci basterà qualche ora?» domandò inoltre.

Sephiroth lasciò scendere le palpebre sugli occhi. «Una notte sarà più che sufficiente a risolvere una volta per tutte questa situazione.» rispose bruscamente, non perché ritenesse inappropriata la sua domanda, quanto per il fatto che quella confusione attorno a lui stava mettendo a dura prova i suoi nervi.

Zack sollevò un sopracciglio, squadrando i volti dei compagni per captare qualche intenzione. «Quindi che si fa? Dovremmo dividerci?» domandò.

Sephiroth si sfiorò la fronte con una mano. «Può darsi che si riveli necessario, se non riusciremo a ricavare altre informazioni importanti. Sarebbe comunque preferibile rimanere un gruppo compatto, data la pericolosità della missione.»

Il suo gergo militare e specifico mise a disagio qualcuno tra gli amici in ascolto, ma nessuno osò ribattere.

Rain era forse la più abituata a quel suo comportamento. Fu lei a prendere l'iniziativa. «Direi che dovremmo separarci solo per un po' di tempo e setacciare prima di tutto la zona più vicina all'ingresso del mercato. Ognuno di noi potrebbe perlustrare un'area diversa e infine potremmo rivederci tutti qui. Facciamo... tra una quindicina di minuti?»

Zack alzò una mano immediatamente. «Ci sto! E io andrò a dare un'occhiata a quelle bancarelle laggiù... cioè, intendo, a chiedere informazioni su Genesis, ovviamente.» Leccandosi le labbra guizzò via rapido come una frusta, lasciando allibiti tutti gli altri.

Cloud sospirò, avvezzo ai modi del migliore amico. «Immagino che dovrei andare con lui. Temo che perderà di vista l'obiettivo principale non appena gli brontolerà lo stomaco.» disse, allontanandosi a sua volta.

Sephiroth, che prima teneva gli occhi chiusi, li sgranò più del solito. Aveva avuto tanti sottoposti nella sua vita, dato che veniva spesso messo a capo di gruppi e divisioni, persino durante le invasioni o la guerra contro il Wutai. Fatto stava che nessuno dei suoi subordinati aveva mai agito senza chiedere una conferma direttamente a lui. Zack e gli altri non erano obbligati a farlo, dato che non esisteva nessuna regola precisa che li definisse membri di una squadra da lui guidata, ma la sensazione riuscì comunque a sgomentarlo. Lì era un pari di tutti gli altri, e si sarebbe dovuto fare andar bene anche i loro modi di portare a termine i compiti prefissi.

Rainiel notò la sua difficoltà e, senza scrupoli, gli poggiò una mano sul braccio e gli rivolse un sorriso d'incoraggiamento, prima di parlare a Tifa. «Tu hai una preferenza particolare sull'area da controllare?» le domandò.

Lei deglutì visibilmente. «Sei davvero gentile a chiedermelo ma... in realtà è la prima volta che vengo qui e non so nemmeno come orientarmi. Credo che rimarrò vicina alla strada principale. Addentrarmi nei vicoli potrebbe solo attirarci addosso qualche guaio, purtroppo... Mi è parso di vedere molte persone non affidabili da queste parti.»

Rainiel tirò su un lembo delle labbra. «Non posso non darti ragione. Non voglio metterti a rischio, quindi andrà benissimo comunque. Ci rivediamo qui tra poco, allora!»

Le due si salutarono e Tifa sfilò addentrandosi nella strada illuminata. Anche lei non fu risparmiata da sguardi sognanti e alcuni persino offensivi, ma Rain ricordò il modo in cui aveva combattuto durante l'allenamento di recente e mise da parte i propri dubbi. Chiunque avesse osato disturbarla sarebbe di certo tornato a casa con qualche dente in meno e il naso rotto.

Fece anche lei per muoversi, ma Sephiroth si era già silenziosamente piazzato davanti a lei, bloccandole la strada.

Lei sapeva già cosa avesse intenzione di dirle.

«Andrà tutto bene.» gli disse ancora infatti, per rassicurarlo. «Vado a controllare i vicoli. Qualcuno deve pur farlo, no? E sarò di ritorno tra quindici minuti.»

«Andare lì da sola non è sicuro.» sentenziò lui, cupo.

«Ho le Aikuchi con me.» Rain picchiettò sulla lunga giacca che aveva messo. Lì nel settore 6 quasi tutti non andavano mai in giro sprovvisti di armi, ma lei aveva preferito nascondere le sue spade corte sotto l'indumento per non destare la curiosità di chi aveva voglia solamente di menare le mani. «So difendermi, e il massimo pericolo che potrei incontrare è qualche povero ubriaco attaccabrighe.»

Lui strinse gli occhi, severo. «Oppure Genesis. O anche la Shinra, chi può dirlo?» sibilò con un sarcasmo che in qualche modo gli si addiceva. In realtà non era mai stato così serio. «Hai già dimenticato quello che ti ho detto qualche ora fa?»

Ovviamente Rain non aveva dimenticato nulla. «Certo che no. Ma perché mai la Shinra dovrebbe venire in un posto come questo? E non sappiamo nemmeno se Genesis sia qui o in un'altra area. Ci stiamo dividendo proprio per cercarlo.»

Sephiroth era già abbastanza nervoso perché si trovava in un ambiente tutto meno che adatto a lui. Fare i conti con la testardaggine di Rainiel non era mai stato un vero problema per lui, che il più delle volte riusciva a mitigare il suo entusiasmo e a dissuaderla dal finire nei guai. Quella volta, però, non aveva intenzione di correre rischi inutili, al costo di proibirle categoricamente di allontanarsi da lui.

«Ti stupiresti di quanti collegamenti la Shinra abbia con il Mercato Murato e chi lo presiede. E soprattutto, nel caso non te ne fossi accorta, ti ricordo che abbiamo appurato che uno degli obiettivi a cui mira Genesis sei proprio tu. Aggirarti da sola in un posto come questo significa offrirti a lui su un piatto d'argento.» le fece la ramanzina da bravo mentore qual era.

Rainiel era quasi divertita dalla sua espressione imbronciata, ma per rispetto nei suoi confronti non lo diede a vedere. Sapeva bene quanto doveva essere frustrante per lui tutto quello e non voleva girare il coltello nella piaga. In ogni caso, avere paura di qualcosa non era mai stato nel loro stile. Ecco perché si sollevò sulle punte dei piedi e lo prese alla sprovvista, avvicinando il viso al suo.

«Perché non mi segui a distanza, allora?» gli propose. D'altronde non aveva problemi nel perlustrare la zona in sua compagnia. Sarebbe stato più sicuro e, di certo, a lui riusciva di più confondersi con le tenebre delle zone in ombra che tra la folla di giovani entusiasti che celebravano la notte lungo le vie e nei locali. Arrivò così vicina a lui da sussurrare a un soffio dalle sue labbra. «Saremmo entrambi più sicuri. Sono certa che non lasceresti mai che Genesis mi facesse del male. Vero?»

Lui si irrigidì. Effusioni del genere, in pubblico e non nella comodità di un ambiente privato come la loro camera da letto, erano un'altra cosa a cui non si era ancora del tutto abituato. O forse era solo sorpreso dall'intraprendenza che Rain stava dimostrando quella sera. Forse il Mercato Murato aveva una cattiva influenza su di lei. Cattiva... ma interessante.

Osservò con meticolosa attenzione il suo viso, frenando l'istinto di annullare la distanze fra loro per non dargliela vinta. Il suo profumo lo inebriava. Davvero un peccato che un momento del genere venisse rovinato dall'ambiente circostante e dal nome di Genesis pronunciato quando a separarli c'era solo quella distanza.

Alla fine, per non cedere e rinunciare alla propria dignità, distolse lo sguardo. Lei sogghignò e si riabbassò sulle piante degli stivali.

«Non allontanarti troppo. Resta dove posso vederti.» le disse a braccia conserte e la fronte aggrottata.

Rain pensò che fosse, a suo modo, adorabile. E lei era molto fortunata. Chiunque altro sarebbe stato immediatamente rimesso al suo posto. Sephiroth non era una persona facile da convincere o con cui scendere a patti. Lei era semplicemente molto privilegiata, ma non voleva comunque approfittarne troppo.

Dato che si era girato in un'altra direzione, ne approfittò per scoccargli un rapido bacio sulla guancia e fargli un sorriso.

«Stai al passo, allora!» ridacchiò, allontanandosi a velocità moderata e individuando presto delle strade secondarie da cui iniziare la sua ricerca. Finora avevano solo visitato i negozi principali, quindi quelle erano ancora acque inesplorate. Doveva davvero prestare la massima attenzione, benché Sephiroth sarebbe stato la sua ombra.

Lui, ora qualche metro alle sue spalle, impiegò un po' a riprendersi.

«Questo posto mi farà impazzire.» sbuffò un lamento con voce graffiante, prima di portare le braccia lungo i fianchi e mettersi in movimento a sua volta.

O forse lo avrebbe fatto impazzire Rainiel.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** L'ombra dei vicoli ***


Capitolo 21

L'OMBRA DEI VICOLI


 

I vicoli riflettevano una realtà opposta alla colorata utopia delle vie principali del Mercato Murato. Laddove la strada primaria del settore dedicato all'intrattenimento e impegnato in un processo di espansione così intenso da dover essere limitato da una muraglia a opera della Shinra, i luoghi che si nascondevano oltre gli edifici, i negozietti e i locali del grande mercato erano il regno dei segreti e del proibito.

La musica dei club arrivava più ovattata alle orecchie di Rainiel, che stava attraversando uno di quei vicoli con aria indifferente, anche se non aveva intenzione di abbassare la guardia. Solo il ritmo potente delle musiche energiche riusciva ancora a sincronizzarsi a quello del suo battito cardiaco, che cercò di tenere sotto controllo. Perdere la calma avrebbe significato diventare un bersaglio facile. Sapeva di non essere davvero da sola, comunque. Il suo fedele angelo guardiano era nascosto, proprio in quell'istante, da qualche parte tra quelle ombre tinte dalla giovane notte. I suoi occhi guardinghi non l'avevano persa di vista neanche per un attimo, ne era sicura.

La gente che incrociò mentre allungava le gambe per superare piccoli ostacoli come cocci di vetro o rottami e spazzatura di vario tipo lasciata con noncuranza lungo la strada, oppure girandosi su un fianco per scivolare tra pareti troppo strette da permetterle di passare altrimenti oltre, apparteneva a categorie di ogni tipo e aspetto.

Ignorò gli schiocchi dei baci e le risatine degli amanti che avevano trovato nelle vie secondarie il loro nascondiglio romantico per la notte, così da stringere forte il proprio partner e mostrarsi a vicenda i reciproci sentimenti. Per fortuna, fu a sua volta ignorata anche da quegli individui che invece avevano l'aria di essere più pericolosi di qualche piccioncino riservato.

Gruppi di uomini e donne dall'aria losca, i visi coperti o le guance arrossate dall'alcol, magari le mani sporche e graffiate che stringevano bottiglie vuote che avevano l'aria di non essere le prime a essere state svuotate dall'inizio della serata, costellavano quei luoghi come un mare infestato da squali. Replicò alle occhiate intimidatorie di chi s'interessò a lei senza intenzione di provocare nessuno, ma semplicemente lasciando loro capire, magari facendo intravedere il luccichio dell'acciaio nascosto sotto la giacca, che sarebbe stato meglio per entrambi non avere nulla a che fare gli uni con l'altra. Così, nessuno osò disturbarla.

Lì intorno non c'era comunque traccia di Genesis. Fermarsi a chiedere informazioni non sembrava neppure la scelta migliore. Chi si nascondeva lì era impegnato a fare ben altro, troppo per rispondere gentilmente alle domande di un'estranea solitaria alla ricerca di un altro estraneo solitario. Così non fece che aguzzare la vista e percorrere nella sua interezza quell'area del Mercato Murato, lasciando riposare gli occhi, ora lontani dai flash variopinti dell'ingresso e dei club.

La sua missione non ebbe successo e, da una parte, la cosa la rincuorò. Se davvero si fosse ritrovata davanti Genesis in un contesto come quello, pensò, come si sarebbe comportata? Sephiroth aveva ragione di considerarla testarda e impulsiva. La vibrante fluidità del settore 6 l'aveva influenzata, spingendola a cercare l'azione prima ancora di mettere insieme un piano concreto. Ora si ritrovò improvvisamente a desiderare di ricongiungersi agli altri e scusarsi con l'uomo che aveva provato a metterla in guardia. Genesis, molto probabilmente, era un nemico che non poteva sconfiggere da sola.

Tornò sui suoi passi quando mancavano oramai solo cinque minuti al termine del tempo assegnato alle indagini ai membri della squadra di cui faceva parte, così da arrivare in tempo e assicurarsi che tutti i suoi amici stessero bene.

Ma fu proprio mentre cercava di stringersi tra la fessura tra due muri per accedere all'area successiva che una forza misteriosa la trascinò indietro, afferrandole un polso con convinzione esemplare.

Rainiel era stata una SOLDIER di prima classe. Un'allieva del Generale dell'élite militare della Shinra. I suoi sensi e riflessi erano affinati, addestrati a reagire istantaneamente. Fu solo il pensiero che potesse trattarsi di Sephiroth a frenarla dal calare prontamente la spada che estrasse dalle cinghie legate sotto la giacca sulla mano di chi avesse osato prenderla alla sprovvista.

Si considerò un'ingenua solo quando un'altra mano le coprì la bocca e si sentì trascinare verso una piccola area più grande ma nascosta dietro un'ulteriore struttura abbandonata. A quel punto non si astenne dal puntare alla gola dell'audace aggressore la lama argentata, che brillò dei riflessi lunari. Una goccia di sangue bagnò la pelle chiara del malcapitato.

Era schiacciata al suo corpo, quello di un uomo all'incirca suo coetaneo. Ma quello non era il corpo di Sephiroth. E le iridi a un palmo dal suo viso non erano verdi e ferine, ma di un rosso intenso e sfacciate. Tutto le sembrò sbagliato e ripugnante. Non avrebbe mai accettato di buon grado di essere costretta a un contatto fisico come quello da un uomo, o da chiunque in generale. Così si allontanò bruscamente, pronta a usare l'Aikuchi nella sua mano destra per liberarsi dalla presa salda su di lei.

Non emise un verso di paura, né pronunciò parola alcuna, fissando la propria espressione gelida e determinata sull'avversario, che a quanto pareva non era neppure Genesis o un soldato reso suo clone.

Davanti a lei individuò una chioma bionda, di media lunghezza, e l'inconfodibile stemma della compagnia per la quale aveva lavorato per buona parte della sua vita, proprio sotto la cintola di cuoio che reggeva una sofisticata balestra con materie magiche incastonate sulla parte dorsale di essa.

«Shhh! Rainiel, sono io! Non voglio farti del male!» esclamò in un sussurro trafelato il giovane uomo davanti a lei.

Allora comprese. Ricordò. Si era allenata con lui, mesi prima. Era stato lui a portarle la notizia della sua promozione alla prima classe.

Abbassò la spada che aveva prodotto un impercettibile taglio sulla sua pelle. «... Narcisse?» pronunciò confusa Rain, la fronte corrugata. Non aveva abbastanza confidenza con lui da considerarlo un suo amico, ma era un conoscente. Zack le aveva persino proposto, a un certo punto, di tentare di intraprendere un passo in più con lui per lasciarsi alle spalle la situazione amorosa da cui era bruscamente uscita... e che aveva comunque, anche in seguito, preferito a quell'ipotesi. «Perché sei qui? E che ti salta in mente? Mi hai spaventata! Avrei potuto ferirti!» gli fece notare, dando uno scossone all'Aikuchi.

Lui mise su un sogghigno forzato. Non fu difficile notare le piccole goccioline sulla sua fronte. «Oh, immagino proprio di sì. Sei molto più veloce di quanto ricordassi. Fuggire dalla Shinra pare faccia miracoli.» sfiorò con il dito di una delle mani, che ritrasse lentamente, la punta acuminata della spada. «Ci sai fare con queste, mh?» sottolineò ancora.

Rain storse le labbra, ritraendosi ancora un po'. Aveva sviluppato un certo senso di prudenza nei confronti di chiunque rappresentasse la compagnia elettrica tra le cui mani era racchiusa l'intera Midgar, e molto di più. Si offese un po' per le sue parole. Magari era migliorata, ma di certo era in grado di tenere testa a Narcisse da ben prima di lasciare la Shinra. Le sue non erano che moine, il che significava che la stava cercando per un motivo specifico. Voleva qualcosa da lei.

Ci pensò su nel minor tempo possibile, dato quello che aveva a disposizione, e cercò di non essere troppo prevenuta nei suoi confronti. Narcisse non si era mai comportato male con lei, anche se non si poteva mai sapere.

«Non hai risposto alla mia domanda. Che ci fai nel Mercato Murato? Dovresti essere a Midgar.»

«Potrei dire lo stesso a te, sai?» Narcisse sbuffò una risata e chinò il capo prima di guardarla di nuovo, una mano salda alla cintura scura. «Cosa ti ha fatto pensare che disertare sarebbe stata una buona idea? Hai la Shinra alle calcagna. La questione è stata insabbiata per evitare l'attenzione dei media, ma le voci girano rapide comunque.»

«Che girino pure.» replicò disinteressata lei, «Non ho la minima intenzione di tornare a lavorare per la Shinra. Se è stata SOLDIER a mandarti qua per avvisarmi, puoi benissimo tornare indietro e dirgli che possono benissimo...»

«Calma, calma...» Narcisse le poggiò, all'improvviso, una mano sulla spalla. Lei sfuggì al suo tocco, come un animale selvatico che non si fida della mano che tenta di nutrirlo. Nei suoi occhi il SOLDIER di prima classe lesse dell'aggressività. Rainiel lo conosceva, ma questo non voleva dire che si fidasse di lui. E Narcisse rischiava di fare il passo più lungo della gamba, quindi si schiarì la voce e si ricompose. «Non sono qui per conto della Shinra. È vero, voglio avvisarti, ma l'argomento ti interesserà di certo.»

«Sono tutt'orecchie, allora.» replicò Rainiel. In tutto ciò, non aveva ancora rinfoderato l'arma.

Narcisse osservò la spada senza abbassare il mento. La ragazza non stava scherzando. Era davvero all'erta. Pensò che spiegarsi in fretta fosse la via migliore per convincerla.

«Il nome di Genesis ti dice niente?» mormorò quindi.

Gli occhi di Rain si aprirono un po' di più, ma non lasciò trapelare altri cambiamenti emotivi. «Ovviamente. Era il mio mentore, prima di Angeal e Sephiroth.» nominare i suoi maestri, davanti a una persona di cui si fidava, e specialmente il nome del secondo, non la fece sentire a suo agio, come se stesse in qualche modo tradendo la loro fiducia. Allontanò quella sensazione non appena Narcisse replicò.

«Non fare finta di nulla, Rain. So che sei qui per un motivo. Stai cercando anche tu Genesis a causa dei suoi attacchi al settore 5, vero?» domandò.

Rainiel irrigidì le spalle, notando qualcosa di cui non parlò. Piuttosto, lo invitò a continuare. «E se anche fosse?»

«Bene, io sono qui per lo stesso motivo. La Shinra è sulle tracce di Genesis da qualche settimana, ormai. Abbiamo ricevuto delle soffiate. Stanotte, lui è qui.»

La giovane donna strinse i denti e piegò impercettibilmente la testa. «È quello che spero.»

«Non ne sarei troppo lieto, se fossi in te. Genesis ha in mente di attuare un attacco nel quartiere dei locali notturni, praticamente potrebbe agire da un momento all'altro.» la mise in guardia. «Volevo avvisarti per tenerti al sicuro. Genesis è arrabbiato e non vorrei che ti facesse del male.»

«Davvero premuroso.» disse con tono piatto lei, prima di sollevare un sopracciglio, «Ma perché mai dovrebbe attaccare proprio lì?»

«Chi può dirlo?» Narcisse sollevò le spalle, «Creare semplicemente scompiglio? Vendicarsi della Shinra? Può darsi che sia folle e voglia semplicemente uccidere qualcuno, non mi stupirei se fosse quello il caso. O magari mi sbaglio e il nostro informatore mentiva.»

«E tu sei qui per impedire che qualcuno si ferisca?»

«Mi hanno inviato a osservare come si evolve la situazione. La Shinra ritiene che Genesis stia agendo con cautela perché un colpo al Mercato Murato non gli converrebbe troppo. Quando ti ho vista, ho pensato di avvisarti. Vuoi incolparmi perché tengo a te?» Nel dirlo si poggiò una mano sul petto e tirò indietro la schiena.

Era una persona diversa dal Narcisse gentile e disponibile che ricordava dagli allenamenti alla Shinra. Ricordò che Sephiroth l'aveva descritto come un uomo vanitoso e insopportabile. Valutò adesso l'idea di dargli ragione.

«No, certo che no...» In quel momento, Rainiel addolcì la voce e sfoderò un debole sorriso. Rinfoderò persino l'Aikuchi nella sua guaina, allargando le braccia in segno di ringraziamento. «Perdonami se sembro un po' brusca. Genesis si sta rivelando un bel problema e tendo a innervosirmi in fretta, negli ultimi tempi. Sei stato molto cordiale ad avvisarmi per tempo. Dovrei evitare la zona, quindi?»

Lui parve rilassarsi. Si mosse come se volesse avvicinarsi a lei, ma poi ricordò il modo in cui si era scansata e finse di distribuire meglio il peso su un'altra gamba.

«Sei una mia pari, cara Rainiel. Non posso dirti cosa puoi o non puoi fare. L'importante è che tu tenga gli occhi aperti.» aggiunse, dopodiché fece per uscire dallo spiazzo nel vicolo, da cui poi avrebbe raggiunto un'altra via secondaria. «Comunque... non so cosa ti abbia spinta ad allontanarti dalla Shinra e non mi va di essere invadente chiedendotelo, ma...» le rivolse un'occhiolino dopo aver fatto scorrere gli occhi su di lei dalla testa ai piedi e viceversa, «... se mai volessi tornare a lavorare come SOLDIER, potrei mettere una buona parola su di te coi piani alti. Mi farebbe piacere tornare a spendere più tempo con te. La solitudine si fa sentire, da quando non ci sei più.»

Rainiel avrebbe potuto vomitare. Cos'era quello sguardo d'analisi che le aveva appena rivolto?

Allargò il sorriso in maniera esagerata, arrivando a chiudere gli occhi. «Mai e poi mai.» ridacchiò con aria fintamente allegra, «Ma apprezzo che la mia compagnia ti manchi.» mentì di seguito.

Narcisse rise, anche se non c'era nulla da ridere. «Io ci ho provato.» alzò in aria le mani, con tono innocente. Poi iniziò ad allontanarsi. «Stai attenta là fuori, SOLDIER di prima classe Rainiel Chanstor.» la chiamò con il titolo per la quale era conosciuta alla Shinra, «Forse ci rivedremo. La notte è giovane e si prospetta molto interessante.»

Rainiel non replicò. Lo osservò allontanarsi e contò fino a venti secondi dopo che fu scomparso e il passo dei suoi stivali sull'asfalto si dissolse in lontananza, tra la musica ovattata e il brusio del quartiere.

Solo allora uscì dallo spiazzo e si tuffò tra le ombre di un muro di pietra lì vicino, appoggiando le spalle a esso e sfiorandosi la fronte con una mano.

«Hai sentito tutto, non è vero?» chiese alla tenebra alla sua sinistra.

Ammantato da essa, Sephiroth era nella stessa posizione, ma intrecciò le braccia davanti al petto e socchiuse gli occhi. «Ovviamente.» rispose prima di procedere, «Ti avevo avvertita, no?» sospirò poi, quasi incredulo di tanta ingenuità, «Quell'uomo è un idiota.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Il quartiere dei club ***


Capitolo 22

IL QUARTIERE DEI CLUB


«Narcisse non me la racconta giusta.» pronunciò Rainiel a bassa voce. Lungo la via principale del settore avrebbe dovuto alzare un po' la voce per farsi sentire, ma lì nel vicolo poté tranquillamente sussurrare. Lei e Sephiroth erano due ombre davanti a un muro di pietra, un angolo del quartiere nascosto a occhi indiscreti. «Ha parlato dell'attacco di Genesis al settore 5. Capisco che SOLDIER possa esserne al corrente, ma come faceva a sapere che io mi trovavo lì?» storse le labbra. «Che mi abbia tenuta d'occhio per tutto questo tempo?»

«Non è ovvio?» Sephiroth trattenne un altro sospiro, guardando nella direzione in cui Narcisse era sparito qualche secondo prima. I suoi occhi erano come fari verdi che brillavano nell'oscurità. Un passante non del tutto sobrio cercò di metterli a fuoco e corse via intimorito non appena si vide perforare dalle sue pupille sottili e allungate.

«La Shinra ci sta alle costole. Siamo una grande perdita per la divisione SOLDIER. E una consistente minaccia per l'incolumità della compagnia. Pensa a quanti segreti potremmo rivelare.» le spiegò cauto, senza muoversi ma modulando il tono di voce e riuscendo, in qualche modo, a renderlo più convincente.

«Purtroppo devo darti ragione.» Rain annuì, dopodiché si spostò dal muro e si piazzò di fronte a lui, allargando le braccia e rilassando le spalle. «Ma cosa c'entra Genesis con tutto questo? Narcisse ha lasciato intendere che SOLDIER lo sta cercando.»

«Quando ha disertato, la divisione ha organizzato numerose missioni di ricerca per trovarlo e riportarlo a Midgar.» raccontò Sephiroth senza cambiare minimamente espressione, che restava neutra e atona. «Se SOLDIER sa del suo attacco al settore 5, chiaramente non può più dichiararlo deceduto in missione. Può darsi che vogliano catturare anche lui.»

Rainiel si grattò la testa, una mano ora salda su un fianco. «È la spiegazione più plausibile, ma non sono del tutto persuasa. È come se ci fosse una tessera del puzzle che non s'incastra con le altre... Genesis e SOLDIER... dev'esserci un collegamento diverso tra le due parti.»

«Ho avuto la stessa impressione.» Sephiroth si ricompose, separando le spalle larghe dalla parete dietro di lui e facendo un cenno con la testa alla ragazza per invitarla a seguirlo mentre iniziava a percorrere la strada all'inverso per uscire dal vicolo. «Hai sentito cosa ha detto: secondo la compagnia, Genesis vuole attaccare di nuovo, stanotte. Il quartiere dei locali notturni potrebbe rivelarsi il posto ideale per colpire e poi confondersi con la massa. Eppure...»

Si bloccò, un dito che sfiorava il mento. Rain era un passo più indietro rispetto a lui, ma con una falcata più ampia lo affiancò, notando la sua fronte aggrottarsi, le palpebre stringersi. «Eppure?» gli fece eco.

Lui lasciò schioccare la lingua, affatto convinto. «Una mossa del genere non è nello stile di Genesis. Non si nasconderebbe mai, al contrario, si farebbe notare più che volentieri, prima di andar via. Come ha fatto a Nibelheim e al settore 5. E di certo non perderebbe tempo a far saltare in aria qualche discoteca per vendicarsi della Shinra. Questa storia non si regge in piedi.»

La giovane donna si fidava completamente di lui. Sapeva che Sephiroth era stato il migliore amico di Genesis, fino a qualche anno prima. I due trascorrevano gran parte delle loro giornate assieme e si conoscevano a vicenda più di chiunque altro. Erano come fratelli.

«Se Narcisse ha mentito...» valutò Rain, all'improvviso meno motivata, «... forse la situazione è più grave di quel che pensavamo. Dovremmo annullare la missione?»

«No.» la risposta dell'uomo fu forse troppo brusca, infatti si schiarì la gola subito dopo. «Torniamo dagli altri e informiamoli su quanto abbiamo scoperto. Poi... faremo una visita alla zona interessata.» diede istruzioni.

Rain batté le ciglia, sorpresa dalla sua scelta. Il quartiere dei club... sarebbe stata un'impresa portare avanti l'operazione in un posto del genere. Musica ritmata, forti luci, la calca di persone in movimento... praticamente l'incubo peggiore di Sephiroth.

 

Raggiunti gli altri, che nel frattempo si erano radunati nel punto in cui si erano salutati qualche minuto prima, ascoltarono quanto avevano da riportare prima di raccontare la vicenda appena vissuta nel vicolo.

Zack e Cloud spiegarono di aver incontrato un mercante dai modi di fare insoliti, con un occhio nero e gonfio. Sembrava aver fatto a pugni da poco. Pagando le informazioni, i due ragazzi avevano saputo che l'uomo aveva, almeno a detta sua, incontrato e provocato Genesis. Che fosse vero o meno era impossibile da stabilire. Certo era che il fatto che se la fosse cavata con solo un livido in pieno viso aveva dell'incredibile.

Tifa, invece, si era spinta un po' più avanti. Un gruppo di donne le aveva raccontato di aver intravisto Genesis nel quartiere notturno. La sua versione concideva con quella di Narcisse, che Rain raccontò immediatamente per mettere tutti in guardia.

Fu chiaro che la soluzione più logica consisteva nel dirigersi sul luogo interessato. Zack sembrava febbricitante all'idea di visitare i locali più vivi, mentre Cloud pareva star male solo a pensarci. Tifa strinse una delle sue mani nella propria mentre gli altri erano distratti, strappandogli un sorrisino.

 

Arrivarono dunque sul posto. Il quartiere in questione era molto piccolo, e ospitava vari locali ammassati gli uni sugli altri, in un'area più bassa delle altre oltre una serie di edifici. Le insegne luminose brillavano nella notte, creative e accattivanti, e sulla strada stretta le persone prendevano un po' d'aria fresca prima di tuffarsi di nuovo all'interno per ballare e divertirsi fino all'alba.

Il disagio provato dai più introversi del gruppo era palpabile, soprattutto perché a causa della strada stretta alcune persone finivano per collidere con altre, per litigare, e qualcuno cercò persino di allungare una mano verso la borsa di una donna, che lanciò uno strillo ed espose il ladro, il quale fuggì via all'istante. Troppo caos, almeno per quelli come Cloud e Sephiroth, troppi rumori e troppe persone. Il settore 5, al confronto, era un paradiso terrestre di calma e tranquillità. Placido e fermo nel tempo.

«Come facciamo a sapere da dove dovremmo iniziare a cercare?» domandò Tifa prima di mordersi un labbro. Un uomo le sfilò accanto rivolgendole un fischio acuto. Cloud stava per inseguirlo e prenderlo a calci, ma lei lo fermò afferrandolo per un braccio e alzando gli occhi al cielo. Non avevano tempo da perdere a causa di qualche semplice idiota.

Sephiroth, ancora in testa al gruppo, si stava guardando attorno alla ricerca del minimo indizio. Tra tutta quella gente sarebbe stato difficile trovare la persona interessata.

«Dobbiamo tenere gli occhi aperti. Non siamo neanche sicuri che lui si trovi qui, ma non dobbiamo abbassare la guardia.» spiegò sovrastando la forte musica quel tanto che bastava con la sua voce graffiante.

Zack sembrava impaziente. Era dietro di lui, vicino a Rainiel, e iniziò a scuoterla per le spalle sbuffando come un bambino. «Non potremmo semplicemente entrare nei locali e controllare? Questa è la mia canzone preferita!» protestò indicando uno dei club più affollati.

«Perché no?» il tono di Sephiroth fu così genuino che quasi la sua risposta suonò convincente, «Mi sembra un'ottima idea, se il piano è quello di perdere tempo.»

Il sorriso che si era stampato sul viso di Zack scemò all'improvviso e il ragazzo finse una risata. «Ah ah. Spiritoso. Sai, ti preferivo quando non sapevi ancora cosa fosse il sarcasmo.»

Rainiel gli diede una leggera gomitata affettuosa. «Rilassati, Zack. Quando avremo concluso questa storia, verremo qui e ballare tutte le volte che vorrai.» gli promise, prima di girarsi verso Cloud e Tifa, che chiudevano la fila. «Potreste unirvi a noi anche voi due. Che ne dite?»

Cloud fece per parlare, ma Tifa quasi gli si piazzò davanti, sfoderando un tenero sorriso.

«Sarebbe splendido! Grazie dell'invito!»

Zack incrociò le braccia. «Siete tutti invitati tranne Sephiroth.» annunciò in un primo momento, portando l'uomo davanti a lui a mettere su un'espressione stizzita. Quando Rain lo guardò fingendo di rimproverarlo con lo sguardo, però, tirò su l'indice e sogghignò. «Anzi, no! Verrà anche lui. Sono proprio curioso di vedere come se la cava sulla pista da ballo.»

«Scordatelo.» replicò immediatamente il più grande, muovendo una mano in aria, sul punto di aumentare la velocità dei propri passi. «E cerchiamo di concentrarci. Dobbiamo trovare Genesis.»

Nel dirlo, quasi non finì la frase che una figura sconosciuta gli piombò addosso. Rain fu abbastanza previdente da tirarlo indietro, verso di lei, da una manica della lunga giacca di pelle lucida. Se preso alla sprovvista, gli istinti difensivi da SOLDIER di Sephiroth avrebbero potuto portarlo ad agire prima di qualsiasi pensiero razionale, il che li avrebbe condotti in guai seri.

«Avete per caso detto "Genesis"?»

Davanti a loro c'era adesso una giovane donna in un vestito corto e brillante, di un intenso colore viola. Aveva capelli biondi ricci e corti, e se ne stava al di sotto dell'insegna di uno dei locali, davanti al quale ingresso il gruppo era stato costretto a fermarsi.

Tutti e cinque la squadrarono con aria sospettosa, mettendole i brividi. La donna alzò le mani mostrando i palmi e indugiò in una breve risatina.

«Scusatemi se vi ho interrotti! Io lavoro qui. Poco fa un certo Genesis è passato da queste parti. Capelli rossicci, occhi blu, vestito di rosso. Ha pagato l'ingresso a un gruppo di amici ed è entrato. Mi ha chiesto di aspettarvi qui fuori e di informarvi, dato che lo state cercando. Siete voi i suoi amici, giusto?» spiegò in fretta.

Sephiroth notò l'ingenuità della dipendente, ma non si fidò comunque. All'interno del Mercato Murato, ogni menzogna era un guadagno. Dovevano stare attenti o chiunque avrebbe cercato di raggirarli. Eppure, quella era una pista da non lasciarsi sfuggire. L'idea che Genesis fosse all'interno del club, solo a qualche passo da loro, lo spinse a cogliere la palla al balzo.

«Sì, siamo noi. Lo stavamo cercando. Quanto tempo fa è arrivato? È sicura che non abbia lasciato il locale?» domandò, senza rilassare i muscoli o divincolarsi dalla presa di Rain che, dietro di lui, alternava lo sguardo tra lui e la donna vestita di viola.

Quest'ultima batté le ciglia, forse confusa dalla rapidità delle sue domande. «Uhm... sarà arrivato circa mezz'ora fa. E no, che io sappia non è ancora andato via. Perché, c'è qualcosa che non va?»

A quel punto intervenne Zack, affiancando il capogruppo. «Ma no, è che siamo felici di averlo finalmente trovato! Sa, è quel tipo di persona che va a zonzo da sola e perde il suo gruppo di amici senza rendersene conto. Il minimo che può fare è pagarci un biglietto... e un drink!» mentì con il sorriso più innocente del mondo in viso, tirato da un orecchio all'altro.

La donna parve rilassarsi e si coprì le labbra mentre ridacchiava in modo contenuto. «Posso capirlo, il Mercato Murato straripa di persone come lui. Accomodatevi allora, immagino che lo troverete al bancone del bar ad aspettarvi!» indicò, facendosi da parte e allungando un braccio per indicare loro l'ingresso. Un buttafuori che aveva seguito la vicenda aprì la porta e storse le labbra, un po' seccato e con aria arrogante, a stento mascherata dagli occhiali scuri che portava sul naso. Aveva da subito capito che si trattava di un gruppo di forestieri e non di gente del posto o clienti affezionati.

«Non causate problemi nel club o ve la vedrete con me, ragazzini.» osò poi brontolargli contro.

Sephiroth lo rimise al suo posto semplicemente passandogli accanto ed entrando per primo nel locale, spiandolo con la coda dell'occhio. Anche se più magro e sciolto nei movimenti, era alto almeno quanto lui e minaccioso il doppio. Strinse le palpebre nel tacito avvertimento di non rendersi un intralcio per lui o gli altri membri del proprio gruppo, e il buttafuori mosse un passo indietro cercando di conservare la dignità e non sussultare davanti ai fari di mako dalle pupille ferine dell'uomo.

Dietro Sephiroth, seguirono Rainiel e Zack. La prima sollevò le spalle e rivolse allo sconosciuto un sorrisetto. Era più che lieta che Sephiroth scacciasse i fastidi evitabili senza fare scenate. Il buttafuori voleva fare il gradasso con loro, ma aveva imparato una lezione. Il secondo non si proccupò di strafare e puntò medio e indice contro i propri occhi e poi in sua direzione, in un "ti tengo d'occhio" che portò il buttafuori a mugugnare qualche lamentela sottovoce finché non furono tutti entrati nel locale e lui ebbe richiuso la porta, smorzando le luci e la musica provenienti dall'interno.

Sulla strada, la donna vestita di viola incrociò le braccia e batté un piede a terra, mentre la sua espressione sorridente si trasformava in una appagata.

«È fatta.» quasi cantilenò, alzando una mano come in attesa di qualcosa.

Un'ombra si mosse dietro di lei e la raggiunse. Sul suo palmo furono posati dei gil, una paga soddisfacente.

Genesis riportò le braccia lungo i fianchi e strinse le labbra. Aveva preso quei soldi da uno dei cassetti di Jadin, nel suo ufficio nella Torre Shinra. La scienziata era così occupata a blaterare di come lo tenesse in pugno che non se n'era nemmeno accorta. E se anche lo avesse fatto, a Genesis non ne sarebbe importato di meno. Non poteva fargli nulla. Lui le serviva ancora.

«Bel lavoro.» finse di complimentarsi, anche se quello era stato un giochetto da ragazzi, «Mi hai fatto un grande favore.» mormorò sollevando un sopracciglio e un lato della bocca.

La dipendente scosse la manciata di gil davanti ai suoi occhi. «Sarò lieta di farti tutti i favori che vorrai, se la paga è sempre così generosa.» ridacchiò prima di allontanarsi e tornare al lavoro.

Genesis rimase in mezzo alla strada, le persone che scorrevano come un fiume dalle correnti contrastanti tutt'attorno a lui. Quello che stava facendo non lo divertiva affatto, anche se una parte di lui l'avrebbe chiamata vendetta. Quella notte doveva riservare ancora molte sorprese. Aveva studiato un piano approfondito per garantire la riuscita della missione... e la propria sopravvivenza. O almeno sperava.

Fatto stava che in quell'edificio fosse appena entrata una persona alla quale tempo prima teneva moltissimo, anche se nei suoi confronti aveva spesso provato più invidia che affetto.

Ora le cose stavano per cambiare. La sua opera stava per essere portata a termine.

Non aveva idea di cosa questo avrebbe comportato, per il suo vecchio amico e colei che era stata la sua allieva, anche se solo per breve tempo. Un po'... questo lo preoccupava.

Ma che altra scelta aveva? Ormai c'era dentro fino al collo. Tanto valeva annegare del tutto in quell'enorme problema.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Mare di luci ***


Capitolo 23

MARE DI LUCI


Il gruppo di Rainiel si ritrovò in cima a una rampa di scale in una stanza illuminata da fari intermittenti di ogni colore. Dal piano inferiore proveniva la musica e il ritmo delle canzoni riecheggiava sotto i piedi e nello stomaco della ragazza, che iniziò a ritenere che il volume fosse veramente troppo alto.

Affiancò il giovane uomo a capo della squadra e tutti insieme scesero fino al piano inferiore senza proferire parola, a dispetto della curiosa conversazione appena tenuta con la dipendente in strada.

Al piano di sotto si ritrovarono di fronte a un arco di ingresso che si affacciava su una grande sala dal pavimento lucido e segnato da forme geometriche. Le persone si ammassavano sotto i lampadari roteanti, la loro pelle e i vestiti tinti prima di blu, ora di verde o ancora di rosso e giallo. C'era così tanta gente che tutti sembravano uguali, le loro voci un unico coro che a stento si sentiva oltre la musica, distribuita da altoparlanti e casse di dimensioni mostruose, sparse in punti strategici. Rain non riuscì nemmeno a vedere il fondo della sala, ma suppose che lì doveva trovarsi l'equipe del deejay e, da qualche altra parte, il bancone del bar e i tavoli. L'idea che avrebbero dovuto cercare Genesis in quella marea informe le fece girare la testa. All'interno del locale l'aria non sembrava bastare a respirare a dovere, la vista era offuscata da fumi di scena e dai flash improvvisi. Riusciva a stento a sentire e vedere qualcosa.

«Oh, meraviglioso!» esclamò Zack a pieni polmoni, con pungente sarcasmo. Aveva circondato le spalle di Cloud con un braccio dopo averlo visto vacillare e indietreggiare. «Genesis non vuole renderci la vita facile, vero?» sbuffò ancora.

Anche Tifa sembrava intimorita, ma stavolta fu Cloud stesso a stringere la sua mano nella propria, guardando nella direzione opposta per l'imbarazzo. Lei sembrò comunque apprezzare il gesto.

Il remix di musiche e ritmi era così invadente che Rainiel riuscì a stento a riconoscere e distinguere le parole del suo migliore amico.

Addirittura, persino Sephiroth dovette sforzarsi per imporre la propria voce sulla musica. Erano rari di per sé i momenti in cui alzava i toni, quindi la situazione si rivelò per lui alquanto frustrante. Cercò di non darci troppo peso.

«Dobbiamo perlustrare il locale se vogliamo trovare Genesis. Cercate di rimanere vicini.» pronunciò scandendo bene ogni singola lettera così da non diversi ripetere. Solo dopo si abbassò quel tanto che bastava per parlare all'orecchio della donna al suo fianco. «Se la ricerca non darà risultati, tra pochi minuti usciremo da qui e ci divideremo per aspettare Genesis all'ingresso e all'uscita secondaria.» spiegò. Non stava mormorando, eppure il suo le sembrò un sussurro appena accennato. In effetti quel posto era tutto meno che ideale per una missione rischiosa e di massima importanza come quella.

Prima che potesse replicare, sentì la mano dell'ex-Generale chiudersi sulla sua. Aveva chiaramente paura di perderla in mezzo alla folla, e la sua era una preoccupazione ben fondata. Forse Genesis li aveva attirati qui proprio a tal proposito. Sarebbe stato più semplice attaccare un solo membro del gruppo isolato dagli altri.

«Andiamo.» concluse allora Sephiroth, prima di dirigersi verso la folla.

Da vicino, era più facile notare persone di ogni tipo. Stili diversi, acconciature originali, vestiti brillanti e di ogni colore o motivo. C'era persino qualcuno più alto di Sephiroth e, in alcuni punti della sala, sorgevano palchetti su cui ballerini e ballerine si stavano esibendo divertendosi più che mai. Ogni ritmo della musica era come una scarica elettrica che provocava un'ondata umana di movimenti e schiamazzi.

In condizioni normali, Rainiel si sarebbe divertita un mondo in un posto del genere. Ballare le piaceva da sempre, anche se gli ultimi accadimenti della sua vita le avevano proibito di dedicarsi agli interessi che condivideva con molte altre ragazze di vent'anni come lei. Purtroppo quella sera non poté che sentirsi soffocare appena dovette trattenere il fiato per sgusciare tra le persone che saltavano e si muovevano al suono emanato dalle casse. Ricevette qualche colpo involontario, come gli altri che la seguivano in una fila disordinata. Zack le aveva poggiato una mano sulla spalla per non perderla di vista ma, solo qualche minuto dopo essersi inseriti nel flusso di giovani sulla pista da ballo, due ragazzi che stavano litigando si spintonarono a vicenda e uno di loro finì addosso al braccio di Zack, che scivolò via da lei e scomparve oltre i due litiganti. Probabilmente Zack provò a raggiungerla di nuovo e Rain si fermò sul posto cercando di chiamare il suo nome, ma non sentì nemmeno il suono delle sue stesse parole. L'idea che lui, Cloud e Tifa fossero rimasti indietro le fece schizzare il cuore in gola. Come se non bastasse, il suo fermarsi all'improvviso la mise nei guai.

Si arrestò così all'improvviso che Sephiroth non fece in tempo a stringere la presa sulla sua mano. Quando Rain si accorse di essere rimasta sola nella folla era ormai troppo tardi. Cercò di chiamare anche lui, di sollevarsi sulle punte dei piedi per cercare lui o i suoi amici, ma altre persone finirono per spingerla qui e là per sbaglio come una bambola di pezza. Quasi cadde a terra.

Si spostò involontariamente dal posto in cui era rimasta realizzando che la loro era stata una pessima idea. Cercare un super-SOLDIER potenzialmente letale in un club incredibilmente affollato? Praticamente si erano gettati la zappa sui piedi da soli. Peggio ancora, gli avevano fatto un enorme favore.

Sentì il fumo pizzicarle gli occhi e ricordò quello che Sephiroth le aveva detto: tra pochi minuti, in caso di un esito negativo della ricerca, sarebbero tornati all'ingresso. La scelta più saggia era quella di ritornare lì il prima possibile e attendere anche gli altri, che certamente avrebbero fatto lo stesso.

Il caso volle, però, che Rainiel fosse circondata da uomini e donne molto alti e che proprio in quel momento le luci avessero iniziato a brillare con un'intermittenza più rapida e aggressiva. Non riusciva a vedere oltre le teste di chi la circondava. Le tempie le pulsavano con forza e si sentì mancare il respiro, le braccia strette al corpo, la sagoma metallica delle spade che scavava un'impronta sulla propria pelle. Solo qualche minuto prima aveva visto qualcuno, tra la folle, perdere i sensi a causa di tutto quel caos. Il problema era che ora era da sola. Se fosse caduta a terra lì, non era certa che altri l'avrebbero soccorsa, e non era comunque il caso di svenire proprio in quel momento e in quel luogo.

Si costrinse a resistere, mordendosi con forza le labbra e cercando di respirare quanto più a fondo possibile, ma c'era qualcosa in quel posto che non andava. L'aria sembrava irrespirabile. Le persone attorno a lei stavano bene e non sembravano risentirne, eppure...

Altri spintoni. Finì ancora chissà dove. Se non altro, questa volta riuscì a intravedere l'ingresso da cui era arrivata poco prima. Cercò di muoversi in quella direzione, quasi inciampando sull'angolo di uno dei palchi rialzati. Con la gola secca, ebbe un'idea. Si arrampicò sul gradino del palco guadagnandosi gli insulti di una ragazza poco più giovane di lei che quasi scivolò oltre il bordo, dato che l'area straripava di gente. Rainiel non le prestò minimamente attenzione e cercò di usare il tempo che aveva a disposizione per cercare i suoi compagni nella massa: magari l'elsa della spada Potens di Zack o la chioma spinata di Cloud potevano risaltare tra quella marea di luci e ritmo, eppure non riuscì a individuare nemmeno uno dei suoi amici. Alla fine le fu chiaro che se fosse rimasta oltre in quella posizione qualcuno avrebbe rischiato di spingerla giù. Intenzionalmente o meno. Scese mantenendo l'equilibrio per miracolo e continuò a muoversi verso l'uscita.

Sussultò quando una mano le sfiorò un polso. Si ritirò per quanto riuscì, mentre la sua immaginazione galoppava libera. Era Genesis? L'aveva trovata? Fosse stato quello il caso, sarebbe stata la fine. Non poteva usare i suoi poteri in uno spazio tanto ristretto o avrebbe ferito qualcuno, e a malapena riusciva a muovere le braccia. Tirare fuori dalla giacca le Aikuchi e mulinarle in aria per difendersi sarebbe stata un'impresa lì dentro.

Grazie alla Dea, forse per fortuna, non aveva davanti Genesis, ma una donna con qualche anno in più rispetto a lei, splendidamente vestita e truccata, i capelli neri sciolti e la pelle scura su cui risaltavano dei disegni realizzati con una sostanza fluorescente che brillavano al buio. La donna stava sorridendo.

«Hai l'aria di una che si è persa.» rise parlando ad alta voce, prima di avvicinare un curioso oggetto alle labbra. Sembrava essere un lungo e sottile sigaro, da cui inspirò a fondo prima di espirare in tutta calma. La nube vaporosa di fumo finì dritta contro Rainiel, che tossì con forza. Quella sostanza aveva qualcosa di strano, un odore inebriante e un colore verdastro. Sarebbe stato meglio non sapere affatto di che si trattava.

«Hai bisogno che ti accompagni al bagno? Sembra tu non stia tanto bene.» propose ancora la giovane donna sconosciuta.

Scuotendo per quel che poteva una mano davanti al viso, Rainiel declinò l'invito muovendo la testa. «Non ne ho bisogno, grazie...»

L'estranea strinse di nuovo il sigaro fra le labbra e Rain, istintivamente, si girò dall'altro lato per andare via. «Devo andare, scusami...» tossì coprendosi naso e bocca.

Qualsiasi cosa quella donna le avesse appena soffiato contro, qualcosa non andava affatto bene. Aveva lo stesso odore dell'aria che si respirava in quel posto, ma era più forte. Non lo aveva riconosciuto prima dato che non lo sentiva da un po', ma lo realizzò in quel momento. Era l'odore della mako. Debole, unito a quello di molti altri aromi, ma inconfondibile.

C'era un motivo se lei e gli altri si trovavano proprio in quel locale. E non era nulla di positivo. Doveva trovare gli altri e uscirne al più presto.

Mentre si faceva strada verso le porte si sentì progressivamente più debole, come se le forze le venissero meno. Provò a sollevare un palmo aperto per sentire l'energia del suo dono scorrere in lei, ma sembrava quasi che il potere si fosse addormentato. Si reggeva a stento in piedi. Che stava succedendo?

Ancora qualche minuto in quella sala e sarebbe andata nel panico. Avrebbe smesso di respirare e perso i sensi. Probabilmente qualcuno la stava osservando, o magari seguendo. Non doveva cedere. Non poteva. L'avrebbero raggiunta e chissà cosa sarebbe accaduto dopo...

Le mancava poco. Stava per tornare all'ingresso. La sbalordì sapere quanto in fondo nella stanza si erano spinti lei e gli altri prima di perdersi di vista. Tornare indietro era come remare controcorrente, con gli occhi che le si chiudevano per un innaturale e improvviso senso di stanchezza.

Individuò una breccia tra le persone, ideale per stringersi un po' e uscire dalla massa in movimento al più presto, ma un ragazzo alto e atletico le si parò davanti. A giudicare dal suo aspetto doveva essere un giovane di Midgar in visita al Mercato Murato con un gruppo di amici, o forse colleghi. Non si era nemmeno accorto di averle tagliato la strada.

Rainiel, con il fiato corto, percepì di rischiare di rimettere l'intera cena sulla sua giacchetta nuova di zecca se non si fosse spostato per lasciarla passare. A malapena riusciva a ragionare lucidamente.

Debolmente picchiettò un dito sulla sua spalla.

«Scu... Scusami...» tossì sperando che la sentisse. Se non altro lui si voltò in sua direzione, il sorriso più ampio e allegro che lei avesse mai visto, e la ragazza notò il proprio riflesso nelle lenti degli occhiali da sole che gli coprivano il viso. Aveva un aspetto orribile. Era impallidita di colpo e ansimava per la stanchezza. A malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e la schiena dritta.

«Dovrei passare, per favore.» gli chiese allora, sperando che le buona maniere l'aiutassero a convincerlo più in fretta.

Ma lui aveva capito tutt'altro. «Come hai detto, carina?» le si avvicinò alzando le sopracciglia interessato, «Vuoi ballare?»

Non le lasciò il tempo di spiegarsi, chiudendo una mano nella sua e poggiando l'altra sul suo fianco.

Rainiel sobbalzò e si liberò dalla sua presa corrugando la fronte. «No!» scosse le mani, troppo stanca per innervosirsi. «Devo uscire di qui. Fammi passare e...»

«Eddai, tesoro. Non vuoi ballare? Non ti va neanche un drink? Guarda che non mordo...» rise mentre allungava di nuovo un braccio verso di lei.

Rain indietreggiò ancora e colpì qualcuno con la schiena. Era impossibile non finire schiacciati contro qualcuno in un simile posto, quindi a stento se ne accorse, ma quello che la sorprese fu vedere una mano serrarsi con forza attorno al polso dello sconosciuto insistente. Una mano coperta da un guanto nero.

«Ti ha già detto di no.» sibilò la persona dietro di lei. Il suo familiare tono di voce riuscì a metterle i brividi. E di sicuro li mise anche al giovane ragazzo che aveva provato a raggiungerla e che, in quel momento, stava cercando di liberarsi dalla stretta dell'altro uomo. A giudicare dalle pieghe della sua manica e dalla sua faccia sconvolta, era una presa bella salda.

«Non costringerla a ripetersi.» continuò poi chi era arrivato in suo soccorso. Lei lo riconobbe prima ancora di girarsi a guardarlo.

Sephiroth torreggiava tra gli altri, il viso atono e in qualche modo minaccioso. La sua gelida calma era più spaventosa di qualsiasi forma di rabbia. Guardò per un attimo Rainiel prima di riportare gli occhi sullo scocciatore e aprire un po' di più gli occhi per suggerirgli di sparire dalla loro vista.

Il ragazzo borbottò qualcosa sottovoce, forse delle scuse, e non appena Sephiroth allentò la presa corse via gettandosi addosso agli altri pur di allontanarsi. Gli amici che fino a poco prima lo stavano guardando con espressioni divertite si zittirono e lo seguirono mentre spariva nella calca.

Rainiel provò a pronunciare qualcosa, qualsiasi cosa, ma la nausea le attorcigliò lo stomaco e la gola e si coprì il viso.

Sephiroth notò il suo colorito preoccupante e la strinse a sé senza osare rimproverarla per essersi allontanata. In ogni caso sapeva che non era stata colpa sua.

«Andiamo via di qui.» disse con una certa fretta, e forse lei non lo sentì nemmeno.

Grazie a lui e al fatto che la gente che lo vedeva avvicinarsi si allontanasse quel tanto che bastava da permettere a entrambi di muoversi senza troppe seccature, riuscirono a raggiungere di nuovo l'ingresso. Era già un miracolo che nessuno avesse riconosciuto i loro volti quella sera, data la loro popolarità in quanto SOLDIER. Ora che Rainiel non stava chiaramente bene, Sephiroth comprese a sua volta che quella era stata una cattiva idea e decise di mettere da parte il piano e la missione. Per lei.

Tutto quello di cui avevano bisogno al momento era un po' d'aria fresca.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Reclutamento ***


Capitolo 24

RECLUTAMENTO


 

«Per fortuna ti ho vista salire su uno dei palchi lì dentro, o non ti avrei più trovata.»

Le parole di Sephiroth suonavano come ovattate alle orecchie di Rain ma, se non altro, ora potevano parlare senza dover gridare a pieni polmoni. Al piano di sopra del locale la musica non era altrettanto forte e l'aria era quantomeno respirabile.

La ragazza fu accompagnata dal giovane uomo su per la scale fino alla porta d'ingresso ma, all'improvviso, un colpo di tosse la fece piegare su se stessa.

Sephiroth l'afferrò circondandole la vita con un braccio nell'istante in cui le sue gambe cedettero. Non fosse stato per i suoi riflessi innati, Rain si sarebbe rovinata a terra.

«Questo posto ha qualcosa che non va...» rifletté lui ad alta voce. «Riesci a reggerti? Dobbiamo uscire.»

Rain annuì. «Sì, posso farcela. Ma gli altri...»

Zack, Cloud e Tifa erano ancora al piano di sotto, chissà dove. Forse in balia di Genesis e di tutti coloro che era riuscito a far lavorare per lui. Una di loro era di certo la donna che le aveva soffiato contro quel vapore che l'aveva prosciugata di ogni energia, come un veleno gassoso.

«Gli altri ci raggiungeranno. Non puoi restare qui.» tagliò corto l'uomo, aiutandola a ricomporsi.

Rainiel tremava, era bianca come un lenzuolo, la tosse e la nausea la attorcigliavano polmoni e viscere. Non poteva trattarsi dei sintomi di un'improvvisa malattia. Come Sephiroth, Rainiel non si ammalava praticamente mai. Il suo sistema immunitario aveva una marcia in più rispetto a quello delle persone comuni, il che voleva dire che aveva respirato qualcosa mirato appositamente a persone come lei. Anche perché tutti gli altri presenti nel club non sembravano infastiditi da nulla.

Zack e gli altri non avrebbero dovuto aver problemi in merito. O almeno lo sperava.

In un altro contesto forse avrebbe insistito per tornare giù e cercarli, tuttavia al momento non aveva nemmeno le forze per ribattere. Lasciò che lui le sorreggesse le braccia, pronto a supportarla di nuovo in caso di cedimento, e così uscirono dal locale.

La prima idea di Sephiroth fu quella di interrogare il buttafuori all'ingresso. Aveva una gran voglia di mettergli le mani addosso e convincerlo a dire quel che sapeva su quella strana faccenda, tuttavia l'uomo di guardia al locale era un altro. Della dipendente che li aveva convinti a entrare, nemmeno l'ombra.

Stava succedendo qualcosa di strano. Narcisse che avvisava Rain di un attacco che non sarebbe mai davvero avvenuto, l'avvistamento di Genesis in quel posto, l'aria nociva all'interno del club nel quale erano stati indotti a entrare. Il Mercato Murato si stava rivelando, più di quel che pensavano, una trappola infernale. O magari un labirinto senza via d'uscita.

Rain respirò a pieni polmoni l'aria dell'ambiente aperto, non sentendosi più soffocare tra i fumi di mako e l'ammasso dinamico di giovani ballerini. Sephiroth la guidò in uno spazio tra il club e l'edificio che lo seguiva, il limitare di un vicolo che conduceva chissà dove. Fece per parlare, ma un altro brivido scosse Rain.

La ragazza si lasciò cadere sulla ginocchia e si portò le mani alle labbra, il viso verde per un conato di nausea. Lui sentì il cuore stringersi alla sua vista in quelle condizioni. Con una mano le trattenne i capelli dietro la schiena e con l'altra cercò di carezzarle un braccio, ma Rain riuscì a respingere l'istinto e riprese a respirare più a fondo che poteva.

«Ti senti meglio?» provò a domandarle lui, accovacciandosi accanto a lei incurante degli sguardi delle persone che, accanto a loro, sulla strada, facevano avanti e indietro per scegliere in quale locale entrare. In realtà nessuno diede loro troppa attenzione. Probabilmente pensavano che Rain avesse alzato un po' troppo il gomito e ne stesse pagando le conseguenze, fenomeni del genere non erano una rarità in quel posto.

Lei strinse i denti prima di separarli per rispondere. «Mi riprenderò.» Nel dirlo si girò a guardarlo e, alla luce più limpida dei fari delle strade, lo osservò meglio e rabbrividì. Anche lui era più pallido. Delle gocce di sudore freddo gli bagnavano la fronte. I suoi occhi sembravano stanchi, ma stava cercando di non darlo a vedere.

Rain ebbe un tuffo al cuore. «Devono aver rilasciato una strana sostanza laggiù... forse ci stavano aspettando.» ipotizzò.

«È più che certo. Avrei dovuto aspettarmelo. Mi dispiace.» rispose lui, cercando di aiutarla a rialzarsi.

Rain poteva sentire la sua stanchezza. Nel parlare, quasi ansimava. Si fece forza per non rendergli il lavoro più complicato.

«Non è colpa tua, nessuno di noi poteva saperlo.» Ancora una volta, un altro respiro profondo. «Ma ora mi sto riprendendo in fretta. Mi passerà. Dobbiamo solo aspettare che gli altri...»

Un'ombra, anzi, due ombre si proiettarono su di lei, oscurando la luce dei lampioni e arrampicandosi su per il muro del vicolo mentre lei si rialzava con calma. Due paia di occhi stavano osservando lei e l'uomo che l'accompagnava, il quale non perse tempo a frapporsi tra lei e chiunque si fosse appena avvicinato.

Erano due uomini, un po' bassi e tozzi, dalle curiose capigliature spinate. Uno di loro aveva i capelli verdi, l'altro magenta. Portavano giacchette di pelle, semplici pantaloni e stivali borchiati come le loro cinture.

«Bene bene!» batté le mani uno di loro, avvicinandosi. Si fermò quando gli occhi da serpente di Sephiroth lo inchiodarono sul posto. «Voi dovete essere "quelli nuovi".»

«Già: due SOLDIER in fuga che si divertono a girovagare per il Mercato Murato. Il posto è di vostro gradimento?» ribadì l'altro, entrambi avevano sorrisi sghembi in viso e l'aria di chi non ha paura di menare le mani.

Sephiroth, però, avrebbe potuto occuparsi di entrambi contemporaneamente. A occhi chiusi. E con una mano sola. Voleva che il concetto fosse chiaro.

«Se state cercando guai, avete scelto il momento e la persona sbagliata.» mormorò con un volume di voce tale a rendere le sue parole appena percettibili, basse e placide. Il suo voleva essere un cortese avvertimento. In passato, quando ancora non riusciva a controllarsi e non rifletteva sul voler diventare una persona migliore, avrebbe ridotto entrambi a un ammasso di carne livida. «Siamo occupati. E già abbastanza nervosi. Girate a largo.» pronunciò in sua difesa e in quella di Rain che, dietro di lui, stava pian piano recuperando le forze.

I due tipi esitarono per un attimo solo, dopodiché si scambiarono un'altra occhiata e quello con i capelli verdi riprese a parlare.

«In realtà siete stati praticamente voi a cercarci. Dei forestieri che fanno domande in giro per il settore, cercando un potenziale pericolo per questo posto e chi lo visita... credevate che Don Corneo ci sarebbe passato sopra tanto facilmente? O che non l'avrebbe notato?»

Quindi era quella la realtà dei fatti. I due uomini erano sgherri di Don Corneo, il boss del Mercato Murato. Tutti lo conoscevano: era una figura abbastanza controversa, un po' avanti con gli anni, ma dallo spirito perennemente giovane. Le sue... insolite abitudini erano discusse in tutta Midgar, ma nessuno avrebbe mai osato ostacolarlo. Aveva in pugno l'intero settore 6 e probabilmente molto di più. Era tanto disgustevole quanto potente. Governava sul Mercato Murato dal suo palazzo, una luminosa pagoda a più piani, e solo la Dea sapeva cosa accadesse fra quelle mura.

La cosa peggiore era che Don Corneo e la Shinra erano certamente in affari. E questo complicava le cose per il gruppo in spedizione al mercato.

Persino Sephiroth comprendeva che attirarsi addosso l'attenzione del settore 6, e dell'intera Shinra, non sarebbe stato produttivo. Si prese qualche secondo per riflettere, senza mai spostarsi dal punto in cui si trovava, un braccio sollevato a coprire Rain. Difenderla era la sua priorità al momento, dato che riusciva a stento a reggersi in piedi.

«Non vedo come il nostro operato possa infastidirlo.» replicò dunque, di certo non intimorito.

Uno degli scagnozzi ridacchiò. «Diciamo solamente che non ama i ficcanaso. Ma oggi dev'essere il vostro giorno fortunato, perché a quanto pare lo avete... incuriosito.»

Fortuna? "Incuriosire" uno come lui poteva portare solo altri guai.

«Non abbiamo nessuna intenzione di incontrarlo, o di fare qualsiasi altra cosa per lui.» andò dritto al sodo il Generale, cercando di congedarli senza essere costretto a mettere mano alla Masamune. Gli era stata insegnata la diplomazia, ma quella non era la serata giusta.

Uno degli sgherri ebbe l'idea di toccargli una spalla per "convincerlo". In realtà riuscì a malapena a sfiorarlo, perché se uno sguardo avesse potuto uccidere allora in quell'istante sarebbe caduto a terra con il cuore fermo nel petto.

«Con calma... non volete neanche sentire la nostra proposta, prima di decidere?» chiese emulando una risatina nervosa.

Stavolta furono loro a essere circondati, però, perché dietro di loro apparve Zack con le braccia conserte. L'impugnatura della grande spada appesa alla sua schiena fu subito notata.

«Una proposta, eh? Non starete cercando guai, mi auguro.» pronunciò sorprendendoli, prima di guardare in direzione dei due compagni. «C'è qualche problema?» chiese in tutta calma.

Rain si schiarì la voce. «Va tutto bene. Questi signori sono inviati di Don Corneo.» spiegò, cercando in realtà di metterlo in guardia, «Stavamo discutendo di una certa proposta che il Don vorrebbe farci...»

Dietro Zack si fermarono anche Cloud e Tifa. Tutti e tre dovevano appena essere usciti dal locale, ma erano in gran forma, segno che i fumi di mako non avevano avuto effetti strani su di loro.

I due scagnozzi erano in minoranza numerica, ma non sembravano preoccupati. Perché avrebbero dovuto? Uno schiocco di dita e l'intero settore li avrebbe affiancati, cambiando le sorti di quell'incontro.

«Ah sì?» soffiò Zack, di colpo ricordando a tutti come si sarebbe comportato un SOLDIER qual era in una situazione simile. «Sentiamo che avete da dire, allora.»

Quello con i capelli verdi fece sentire la sua voce. «Però... pare che abbiamo tutta la cricca di disertori al completo. I tre SOLDIER di prima classe e il giovane fante. E avete persino portato un'amica.»

L'occhiata che scoccò a Tifa mandò in bestia Cloud, furioso che le si mancasse di rispetto. Fortunatamente Zack gli toccò una spalla, mantenendolo calmo.

Fu l'altro sgherro a continuare il discorso. «Dateci ascolto e nessuno saprà mai che avete messo piede qui. Non vi piacerebbe che la Shinra sapesse che siete tutti riuniti qui, vero? Verrebbero a prendervi prima dell'alba, data la vostra importanza.»

Purtroppo erano ben informati. Un altro chiaro segno del loro accordo con la famosa compagnia elettrica.

«E immagino che la vostra gentilezza richieda qualcosa in cambio, non è vero?» commentò con pungente ironia Sephiroth, studiandoli senza lasciarsi sfuggire nemmeno il movimento causato dalla loro respirazione, in attesa di qualsiasi potenziale pericolo.

L'altro scagnozzo fece spallucce. «A questo mondo nulla è gratuito. Ma noi vogliamo offrirvi un'opportunità. Don Corneo sa di voi ed è disposto a chiudere un occhio sulla vostra presenza qui... a patto che...»

Li lasciò sulle spine, muovendo le mani per creare suspense come un bambino.

Zack poteva sentire la tensione nella sua squadra crescere a dismisura. «A patto che? Avanti, non abbiamo tutta la notte.»

«Impazienti, mh?» brontolò il lacchè, prima di sospirare. «Ecco l'offerta, dunque: voi avrete il nostro silenzio e in cambio... voi vi esibirete all'Arena di Don Corneo. Quel che richiediamo è semplicemente la vostra partecipazione ai combattimenti per il bene dello spettacolo e dell'intrattenimento del pubblico. Ci state?»

«Assolutamente no.» Fu Sephiroth a rispondere per tutti.

«No?» esclamarono in coro i due sottoposti.

«Non siamo fenomeni da baraccone. Se sapete che stiamo cercando di mantenere un profilo basso dovreste anche dedurre che esibirsi in un'Arena non è il modo migliore per passare inosservati.»

«Nessuno aprirà bocca su di voi. Ve lo posso garantire. Don Corneo ha i suoi mezzi.»

Sephiroth si mosse, camminando verso di loro. I due si spostarono improvvisamente e lui, portando con sé Rain, passò fra di loro deciso a lasciarsi alle spalle quella brutta storia.

«La risposta è comunque no. Ce ne stiamo andando. Grazie tante per la vostra "proposta".»

Il gruppo stesso era interdetto, ma tutti si prepararono a seguirlo. Almeno finché lo sgherro dall'acconciatura verde non alzò la voce.

«Andatevene ora e la Shinra vi farà visita! Siete stati avvisati!» minacciò apertamente.

Non avrebbe dovuto farlo.

Sephiroth lasciò andare Rainiel e si girò per fronteggiarlo, avvicinandosi pericolosamente a lui...

Ma lo sgherro parlò, cosciente di doversi mettere in salvo.

«E poi state cercando un certo Genesis, no? Caso vuole che Don Corneo abbia reclutato anche lui per l'Arena.»

Quella frase cambiò ogni cosa.

Sephiroth si fermò, Zack e Cloud lo affiancarono per fermarlo nel caso in cui avesse in mente qualche azione sconsiderata. Quei due subordinati del boss avevano superato da un pezzo il limite della sua pazienza, ma prendersela con loro avrebbe solo peggiorato la situazione.

«Come faccio a sapere che non stai mentendo?» domandò. Il fatto che conoscessero il nome di Genesis non lo stupiva affatto. D'altronde avevano occhi e orecchie ovunque e, conoscendo il suo vecchio amico, non notarlo sarebbe stato molto difficile per dei tipi come loro.

«Non lo sai, no? Per questo dovreste accettare la proposta. Potreste incontrare Genesis al torneo di stasera. Immagina che splendida finale sarebbe!» sorrise di nuovo, cosciente che l'offerta stava iniziando a persuaderlo.

Zack alzò una mano per chiedere un attimo di tempo e si allontanò da loro, seguito da Sephiroth e Cloud. Raggiunsero Rain e Tifa per discutere sul da farsi.

«Se Genesis ha accettato, questa è la nostra occasione.» esordì il giovane ex-SOLDIER dai capelli neri. «Una volta all'Arena, saremo solo noi contro di lui. E non potrà più ritirarsi. Saremmo in netto vantaggio.»

«Be'... dando per scontato che Genesis partecipi davvero al torneo.» parlò poi Cloud.

Sephiroth non sembrava ancora convinto. «All'interno del locale qualcuno ha cercato di indebolirci. Rainiel ha respirato uno strano veleno e non si è ancora ripresa. Non possiamo metterla a rischio.»

«Veleno?» Tifa sussultò, guardandola e notando solo in quel momento il suo aspetto spossato.

«Sto bene. Mi riprenderò strada facendo.» La diretta interessata sollevò una mano per tranquillizzare tutti.

«Quindi vuoi partecipare?» chiese Zack, conscio della gravità della situazione.

Rainiel piegò la testa. «Non abbiamo molte alternative, no? Se non accettiamo, SOLDIER avrà un indizio su dove ci troviamo. E allora dovremo scappare di nuovo, senza la possibilità di fare ritorno al settore 5...»

Fuggire dove, d'altronde? Nibelheim era troppo lontana, Midgar troppo esposta alla Shinra. E Darefall... Rain sperava di non dover più mettere piede nella sua città natale, dopo il disastro che l'aveva colpita a causa sua. Gli abitanti di quel posto la vedevano ancora come la responsabile della frana che aveva mietuto molte vittime innocenti.

«È pericoloso.» aggiunse il Generale a tono più basso, forse cosciente di star rimandando l'inevitabile.

«Sì, ma non abbiamo altra scelta.» ribatté lei. E tutti sapevano che aveva ragione.

Zack prese un bel respiro. «Quindi sacrifichiamo un'ora del nostro tempo per suonarle a qualche fanatico della lotta. Nel peggiore dei casi non otterremo nulla e non troveremo Genesis, ma almeno faremo contento quel simpaticone di Don Corneo, così non rivelerà la nostra posizione alla Shinra.» ricapitolò. «Siamo tutti d'accordo?»

Ci volle ancora qualche secondo per convincere tutti, ma alla fine il cenno d'assenso che ne scaturì fu unanime. Come già detto, non c'erano alternative. Si erano già tuffati in grandi guai, e ora dovevano affrontarne le conseguenze.

Zack puntò un dito contro gli sgherri.

«E va bene, allora. Parteciperemo.» annunciò, non senza una certa fierezza, «Avvisate il vostro boss: stasera assisterà a uno spettacolo senza precedenti.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** L'Arena di Don Corneo ***


Capitolo 25

L'ARENA DI DON CORNEO


 

«Quello di stasera sarà un torneo speciale.»

La voce di uno dei due sgherri accompagnò Rainiel e gli altri mentre varcavano la soglia d'ingresso dell'Arena di Don Corneo.

L'edificio era degno di tal nome: situato solo a pochi metri dalla mansione del boss dei bassifondi, giusto prima del ponte che conduceva alla struttura dai tetti a spiovente, era immenso, illuminato e maestoso. L'entrata sembrava sorvegliata da una gigantesca statua che raffigurava una creatura simile a un drago impegnata a stringere tra le spire un malcapitato guerriero. I portoni erano rossi, enormi e spalancati, in attesa che gli spalti venissero occupati dal pubblico che stava giungendo da ogni angolo del Mercato Murato per assistere al brutale spettacolo di quella sera.

Rainiel non si sorprese che così tanta gente fosse appassionata di lotta e violenza. Era lo stesso motivo per cui i film d'azione più sanguinolenti andavano tanto di moda. La gente credeva che le scazzottate fossero divertenti. Lei e i suoi amici, però, sapevano cosa fosse una vera battaglia. Una vera guerra. E per questo non la trovavano interessante, né divertente.

Inoltre l'idea che loro non si sarebbero trovati in platea, ma nella fossa dell'arena, le mise i brividi. Stava ancora male per quello che era successo al club dal quale si erano messi in cammino solo pochi minuti prima, e cercò di respirare a fondo e si risparmiare le energie mentre si spostavano verso quella nuova, ignota meta.

La ragazza si guardò attorno, così come i suoi compagni, mentre si trovavano nella hall principale dell'edificio. Don Corneo non aveva badato a spese per le decorazioni e il disegn in generale del posto. C'era persino un negozietto di souvenir poco lontano dalla biglietteria.

Furono gli scagnozzi del boss a parlare con i responsabili per iscrivere tutti i presenti ai combattimenti. Subito dopo guidarono la squadra di forestieri fino a un grande ascensore. Pigiato un tasto, questo prese a discendere verso un piano inferiore.

Nessuno dei presenti, eccezion fatta per gli sgherri, sapevano cosa aspettarsi da quel posto, per cui non si rilassarono nemmeno per un attimo.

L'uomo dai capelli magenta riprese la discussione quando l'ascensore prese a muoversi, alzando un indice e rivolgendosi al gruppo.

«Nel torneo dovrete affrontare, potenzialmente, tre scontri in totale. L'eliminazione è diretta, quindi se perderete uno scontro sarete squalificati.» li avvisò, «Il numero massimo di partecipanti è di tre per volta, ma potrebbe variare in base al numero degli sfidanti che vi troverete contro in ciascuna manche. In ogni caso, il numero stabilito vi sarà comunicato cinque minuti prima dello scontro, così avrete tutto il tempo di decidere chi mandare avanti. L'importante è che, nei tre diversi scontri, partecipiate tutti almeno una volta, altrimenti sarete comunque squalificati.»

Zack tossì una risata che di divertito non aveva nulla. «Don Corneo muore dalla voglia di vederci tutti all'opera, eh?»

Lo sgherro fece spallucce. «Dovreste sentirvi onorati. È difficile catturare l'attenzione di un pezzo grosso, qui al Mercato Murato, e al vostro amo ha abboccato il pesce più grande di tutto lo stagno.» ricordò loro. L'ascensore rallentò e prese a fermarsi, le porte ancora chiuse. «Se questo Genesis che state cercando è un bravo combattente, forse ve lo ritroverete contro in uno dei turni. Magari persino in finale, quello sì che farebbe impazzire il pubblico.»

A Sephiroth importava poco dei desideri dei tifosi sfegatati sugli spalti, ed era troppo snervato per dimostrarsi paziente.

«Quando inizierà il primo scontro?» domandò diretto.

«Tra cinque minuti esatti.» replicò uno degli scagnozzi.

«Allora saprete già chi è il nostro sfidante e qual è il numero di partecipanti per il primo round.»

«Tre partecipanti per la prima battaglia. Il numero massimo. Non uno in più, né uno in meno. E non ci è concesso dirvi chi dovrete affrontare, lo scoprirete all'inizio dello scontro.»

«Meraviglioso.» Sephiroth si sfregò la fronte con l'indice e il pollice di una mano, già stanco delle regole di quel posto assurdo. Per tutta la vita non aveva fatto che combattere perché gli era stato imposto. Esibirsi nella sua letale arte solo per il divertimento del pubblico non era tanto diverso, e non gli piaceva affatto.

Quando finalmente l'ascensore si fu assestato, e mentre loro finivano di parlare, le porte si aprirono rivelando un corridoio che si prolungava sulla sinistra, grigio e molto più scuro dell'androne d'ingresso. Due stanze si affacciavano su quell'area, le porte chiuse giusto a qualche passo da loro.

Gli sgherri invitarono i cinque partecipanti a scendere, ma rimasero sull'ascensore.

«È consentito l'uso di qualsiasi arma, materia o quel che più vi pare e piace. Cercate solo di non restarci secchi.» terminò di spiegare il lacchè dalla cresta verde, lisciandosi il giubbino di pelle. «E scegliete bene i partecipanti di ciascun round. Buona fortuna, ci vedremo al termine del primo scontro.»

Premuto il pulsante, le due guide tornarono al piano superiore, lasciando Rain e gli altri da soli nel corridoio, in fondo al quale un cancello ad apertura orizzontale li separava dal ring.

I cinque amici si scambiarono degli sguardi, in attesa che qualcuno facesse la prima mossa. A tal proposito ci pensò Sephiroth, che si avviò verso una delle porte e la spalancò, rivelando una sala d'attesa molto disordinata. Vi entrò, seguito a ruota dagli altri.

«Quindi?» Zack sospirò, toccandosi il dorso del collo. «Che ve ne pare?»

«Ho l'impressione che le regole siano un'optional qui, eccezion fatta per il numero di partecipanti.» si espresse Cloud, senza sedersi al tavolo. Restò in piedi e si guardò attorno, sentendosi più sicuro solo quando fece caso al peso della spada che portava appesa alla schiena, come Zack gli aveva insegnato. «Il che significa che arrivare in finale non sarà semplice.»

«C'è una certa probabilità di incontrare Genesis in uno dei primi scontri, però. Sempre che la fortuna ci assista.» ricordò a tutti Tifa, molto a disagio. Non voleva rischiare di sembrare la più debole lì dentro. Si era allenata parecchio e oramai se la cavava bene nel corpo a corpo. I suoi pugni colpivano come acciaio. Avrebbe colto l'occasione per dimostrare a tutti il proprio valore.

Sephiroth schiuse appena le labbra. «Non possiamo fare affidamento sulla fortuna. Dobbiamo arrivare in finale, costi quel che costi.»

Mentre lo diceva, sfiorò l'elsa della Masamune, la fedele katana sempre al suo fianco. La compagna di una vita intera.

Mentre Rain si incupiva nel notare le sue serie intenzioni, Zack sollevò una mano per richiamare l'attenzione di tutti.

«Comunque sia, il tempo stringe. Io mi propongo come partecipante per il primo scontro, che ci servirà per sondare il terreno. Non possiamo comunque predire quando ci troveremo contro Genesis, e avete sentito cosa ha detto quel tipo di prima: dobbiamo partecipare tutti.» ricordò le poche regole elencate, «Dunque? Chi vuole farmi compagnia?»

Rainiel mosse un passo avanti e separò le labbra per proporsi a sua volta.

«Parteciperò io.» Sephiroth fu così rapido da anticiparla. «Hai bisogno di riposare, Rain.» tagliò corto, rivolto alla ragazza.

Lei aggrottò la fronte. «Io? E tu, allora? Qualsiasi cosa abbiano usato contro di noi poco fa ha avuto effetto anche su di te. Non sei al massimo delle forze.»

«Ma sto comunque meglio di te.»

I due si osservarono per un po', come in una gara di sguardi. Gli altri tre presenti distolsero l'attenzione, intimiditi dal loro battibeccare, sapendo che era meglio non immischiarsi.

«Posso combattere benissimo anche così.» insisté testardamente, anche se sfidarlo la metteva in soggezione. Una parte di lei lo considerava ancora il suo mentore, da cui aveva molto da imparare. Era trascorso molto tempo dal giorno in cui la loro relazione aveva oltrepassato il semplice ambito professionale, ma non poteva che sentirsi così, anche se in minima parte.

«Non contro Genesis.» le ricordò lui e, per primo, respirò a fondo per calmarsi. L'ultima cosa che gli interessava al momento era litigare con Rainiel come se fossero una coppietta indecisa. Anche se in realtà, forse, lo erano sul serio. «Non voglio proibirtelo, vorrei solo che comprendessi che aspettare il prossimo scontro, o quello successivo, è la scelta migliore per tutti noi, e per te in primis.» si espresse quindi a un tono più adeguato.

Persino Tifa, che conosceva il Generale da molto meno tempo degli altri, sollevò un sopracciglio e guardò Cloud con un'espressione incuriosita, avendo in risposta un'alzata di spalle. Non aveva mai visto Sephiroth rivolgersi così a nessuno. Questo la diceva lunga su quanto tenesse davvero a Rain.

Rainiel non poté che gonfiare le guance e e picchiettare un piede a terra. In un certo senso, voleva dimostrargli di non essere debole e di poter tenere testa a Genesis anche in quelle condizioni, ma ricordava bene come il suo scontro con lui era andato a finire giorni prima. Non era il caso di rischiare di farsi eliminare... in tutti sensi, non solo dal torneo.

«Va bene, allora.» accettò il compromesso, con uno sbuffo. «Ma parteciperò al prossimo scontro. Mi sarò ripresa per quel momento.» scese poi a patti. Non voleva ammetterlo data la piccola discussione, ma il fatto di non poter assistere Sephiroth nel combattimento la preoccupava. Aveva notato il suo malessere, dopo aver respirato quel misterioso veleno. Sembrava che l'uomo avesse la febbre, eppure controllava alla perfezione il suo corpo. Corpo che per tutta una vita aveva di sicuro dovuto sopportare di peggio.

Lui si limitò a distogliere lo sguardo. Non poteva trattarla come se fosse fatta di cristallo e proteggerla di continuo, dato che questo non avrebbe significato altro che rinnegare le sue capacità. Un conto era insistere per il suo bene, un altro tenerla segregata. Lui era stato obbligato sin da piccolo a seguire le direttive di altre senza possibilità di dire di no. Non avrebbe fatto altrettanto con lei.

Zack alzò pian piano il tono di voce.

«Beeene... allora ci manca solo il terzo partecipante. Cloud, Tifa?» chiamò i due amici.

Loro si scambiarono uno sguardo rapido, ma poi Cloud si mordicchiò un labbro.

«Se per te non è un problema,» disse rivolto a Tifa, «vorrei prendere parte io allo scontro. Come dice Zack, dobbiamo sondare il terreno.»

Tifa annuì piano. Anche Cloud si era offerto volontario per permettere a Tifa di partecipare a uno scontro secondario, più sicuro perché di certo i tre uomini avrebbero appreso altro sulle regole del torneo, ma era troppo orgoglioso, o magari timido, per ammetterlo. Entrambi avrebbero preferito combattere l'uno al fianco dell'altra, ma non potevano chiedere ai compagni di ritirarsi per questo motivo.

La ragazza aveva intenzione di dire qualcosa, ma un uomo entrò nella stanza e chiese ai combattenti di presentarsi al cancello. Era tempo che lo show iniziasse.

Il dipendente si lasciò la porta alle spalle aperta, e Zack e Sephiroth furono i primi a uscire dopo aver salutato le due amiche che avrebbero, almeno per quel turno, atteso il loro ritorno. Cloud fece per seguirli, ma Tifa sentì l'improvviso impulso di afferrare la mano di Cloud, trattenendolo ancora un po'. Quando lui si voltò a guardarla, notò che la ragazza aveva le guance arrossate e non osava guardarlo direttamente.

«Fai attenzione.» si raccomandò. L'Arena di Don Corneo era un luogo di intrattenimento, ma non andava presa sottogamba.

Lui, timidamente, fece cenno di sì con la testa. «Vinceremo lo scontro.» le promise poi. Non era la prima volta che le faceva una promessa, ma a causa della piega presa dagli eventi aveva dovuto infrangere la prima. Non sarebbe accaduto di nuovo.

Lei gli mostrò un sorriso solare. «Non ne ho mai dubitato.»

Zack rientrò nella stanza trafelato e afferrò Cloud per il colletto. «Scusami tanto, cara Tifa, ma devo rubartelo per un po'!» disse mentre l'amico dai capelli biondi si dimenava e Zack lo trascinava via di peso, quasi facendolo cadere. In fondo al corridoio, la voce di Sephiroth esortò i due a darsi una mossa.

Tifa ridacchiò piano, ma si accorse di essere inevitabilmente in pensiero per i suoi amici... per Cloud. Quella era una realtà differente per entrambi, una vita pericolosa.

Eppure era lieta di aver seguito Cloud fino a Midgar. Era più che contenta di essere finalmente parte della sua vita.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Primo round ***


Capitolo 26

PRIMO ROUND


 

Tifa e Rainiel erano rimaste da poco sole all'interno della sala d'attesa dell'Arena di Don Corneo. La stanza ospitava un piccolo schermo da cui osservare il combattimento che sarebbe iniziato da lì a breve. Era ancora spento, lo schermo non presentava che l'immagine di una muta interferenza.

Tifa era rimasta vicino alla porta, le mani giunte davanti al petto, chiaramente pensierosa.

Rain, che iniziava già a sentirsi meglio - avere le cellule di Yoshua in lei a volte rappresentava un vantaggio, soprattutto quando riusciva a guarire da ferite o malattie al doppio della velocità di un comune essere umano - si avvicinò a lei e si schiarì la voce, attirando la sua attenzione.

«Sei preoccupata per Cloud, non è vero?» le chiese, un'espressione in viso molto simile a quella che Zack usava per scoccare le sue tipiche frecciatine.

Tifa deglutì, come se dire la verità le costasse. In quel momento, benché fosse un'abile guerriera, apparve finalmente come ciò che sotto sotto era davvero: una giovane ragazza con qualche anno in meno di lei, a volte insicura e fragile.

«Sono preoccupata per tutti i nostri amici.» provò a dire, per poi mordersi la lingua. Aveva appena chiamato gli amici di Cloud i suoi amici?

Pensò di essere stata troppo frettolosa, ma Rain replicò con un grande e caloroso sorriso. Era lieta che si trovasse a suo agio con tutti.

«Certo. Ma quando si tratta di Cloud...» lasciò in sospeso la frase, voltandole le spalle e iniziando a camminare avanti e indietro. Non voleva essere fastidiosa, ma avevano notato tutti gli sguardi che lei e il biondino si scambiavano, a volte senza rendersene conto.

«Lui tiene moltissimo a te, sai?» disse poi, con un tono di voce più serio. «Prima che accadesse... tutto questo, quando abitavamo sulla piattaforma e lavoravamo per la Shinra, Cloud parlava spesso di questa giovane ragazza dalla quale non vedeva l'ora di tornare una volta entrato nella divisione SOLDIER. E quando non ha superato le prove... disse che tornare da sconfitto sarebbe stato imbarazzante per lui. Temeva il tuo giudizio.» le disse, senza rivelare nulla che Cloud le avesse detto di tenere per sé. «Be', senza troppi giri di parole, non voglio intromettermi o trarre conclusioni affrettate ma vorrei dirti che, per quanto ne so, tutto quello che Cloud ha fatto finora, lo ha fatto per te. E io vorrei ringraziarti per essere stata d'ispirazione per lui e per averlo seguito fin qui. Quando ci sei tu, Cloud brilla di una luce diversa.» terminò infine, sorridendole in maniera più tenera.

Tifa cambiò colore, e abbassò un po' la testa cosicché i ciuffi anteriori della capigliatura nascondessero almeno un po' il suo viso. Il suo cuore palpitò un po' più velocemente. In realtà aveva già l'impressione che Cloud si comportasse in maniera diversa con lei, ma sentirlo dire da Rain, che per Cloud era come una sorella maggiore, confermò qualcosa che le diede grande sollievo, ma anche preoccupazione. Cloud... persino per lei a volte rimaneva un mistero, ma era sempre riuscita a vedere in lui qualcosa di più profondo oltre le apparenze. Una luce, una bontà particolare. E se era lei a ravvivare quel piccolo fuoco nel suo cuore, avrebbe continuato a seguirlo e sostenerlo cosicché fosse sempre felice e motivato.

Sorrise a sua volta. «Non c'è bisogno di ringraziarmi, Rainiel. Anzi, sono io a essere grata a voi! In questi anni avete fatto sentire Cloud a casa. Ne aveva bisogno. Nibelheim gli stava troppo stretta...»

Rainiel poteva capire quella sensazione. Da piccola, il suo sogno più grande era lasciare il paesino di Darefall e diventare una SOLDIER di prima classe, ispirata da Sephiroth proprio come Cloud. Se solo non fosse mai partita, forse, avrebbe evitato tante tragedie. Ma si sarebbe anche persa delle cose meravigliose, come l'avventura, i suoi amici, il legame con Sephiroth. Per cose del genere non poteva che essere grata.

Un forte rumore riportò entrambe con i piedi per terra. Le ragazze notarono lo schermo della televisione accendersi e mostrare una sequenza di inquadrature sulla fossa da combattimento. Tutt'attorno gli spalti erano quasi pieni. Due presentatori, uno vestito elegantemente e l'altro con un giubbino smanicato, entrambi con gli occhiali da sole, stavano salutando il pubblico.

«Benvenuti all'Arena di Don Corneo, cari spettatori!» salutò uno di loro, incoraggiando gli applausi del pubblico. «Siete prooonti al torneo di stasera? Siete pronti alla fatica, al sangue, alle lacrime?» urlò teatralmente, mentre il collega gli dava man forte.

Fu proprio il secondo a sollevare le braccia per attirare a sé gli sguardi. La gente sugli spalti fischiava e schiamazzava, impaziente.

«Non vogliamo farvi aspettare, conoscete già lo stile dell'Arena, quindi diamo subito inizio al primo scontro!» indicò il cancello rosso alla sua destra, che prese ad aprirsi.

Rain e Tifa sussultarono nel vedere far capolino dietro di essa i loro tre compagni. Stavano entrando nell'arena.

«La prima squadra è composta da gente che sembra sapere il fatto suo, ma bisognerà capire se quelle vistose armi e divise non siano solo fumo e niente arrosto! Credete che questi forzuti giovanotti possano vincere il torneo?» li invitò a entrare uno dei presentatori.

Dei tre uomini, Cloud e Sephiroth ignorarono i fischi della folla che già non vedeva l'ora di vederli mangiare polvere, prima ancora che entrassero nel ring. Zack invece ricambiò con delle smorfie. Fu solo quando camminarono fino a raggiungere il campo di battaglia che le voci prima si zittirono e poi scoppiarono in un caos esaltato.

Rainiel si coprì la bocca con un palmo. Gli sgherri avevano assicurato loro che avrebbero mantenuto basso il loro profilo, e invece i presentatori stavano mirando proprio sulla popolarità dei loro volti per attirare l'entusiasmo della platea. Logico che tutti conoscessero già Sephiroth, che era un eroe di guerra acclamato dai media. E forse avevano un'idea anche degli altri, quantomeno associata al concetto di "disertori". Dopo quel torneo avrebbero dovuto lasciare il settore 6 e restare lontani dai riflettori almeno per un po'. Rain stava già valutando l'idea di barricarsi in casa della sua amica Aerith.

«Pare che il gruppetto abbia già conquistato i cuori del pubblico, eh?» rise senza alcun decoro uno dei presentatori, prima di allontanarsi dai tre, soprattutto dopo aver ricevuto delle gelide occhiate. «Date un caloroso benvenuto alla prima squadra di oggi, i SOLDIER!»

La folla andò in visibilio.

Rain voleva sparire, e reagì battendosi una mano sulla fronte. Tifa scosse la testa. «"I SOLDIER"? Alla faccia dell'indiscrezione...» commentò sottovoce.

«Speriamo solo che tutto questo finisca in fretta.» sospirò l'amica dai capelli rossastri.

I presentatori procedettero con il presentare i rivali: l'intera squadra di Rainiel attese con il fiato sospeso mentre i cancelli si aprivano, ma restarono poi delusi nel vedere che la squadra avversaria era composta semplicemente da tre giovani con delle strane maschere e vestiti addosso. Probabilmente si trattava di una manciata di delinquenti, come quelli che spesso Rain veniva assoldata per scacciare dal settore 5, dato che provavano a rubare o scatenare risse nel quartiere.

E loro che avevano salutato i loro compagni come se fossero andati in guerra...

I presentatori diedero inizio allo scontro, allontanandosi dall'area della lotta.

Rainiel si accomodò su una panca e incrociò le gambe, ogni sua singola preoccupazione dissolta. «Cinque minuti.» scommise sulla durata dello scontro, «Cinque minuti e sarà tutto finito. Sempre che i nostri compagni siano magnanimi.»

Tifa si limitò ad annuire debolmente. Rainiel sapeva meglio di lei di cosa fossero capaci quei tre assieme. Se non altro, avrebbe imparato molto da quello spettacolo.

 

Sephiroth, Zack e Cloud erano disposti su una linea orizzontale immaginaria nel centro del ring, i corpi ancora rilassati, mentre i delinquenti loro avversari cercavano di provocarli con offese e gesti inappropriati, in attesa che attaccassero.

Il Generale era al centro, ma come Cloud si girò a guardare Zack che, in tutta calma e con le braccia incrociate dietro la testa, storceva le labbra. «Tutto qui? Se ogni scontro sarà così, è certo che arriveremo in finale. E anche Genesis.» 

Da una parte ne era felice, dato che la vittoria era sicura, ma da un'altra era annoiato. Era da tanto che non affrontava un rivale degno di tal titolo. Prendere a calci qualche seccatore non sarebbe stato divertente.

Cloud, a differenza sua, non voleva sottovalutare i nemici. Fu il primo a estrarre la spada che Zack tempo prima gli aveva regalato, e ad assumere una posizione adatta all'inizio dello scontro, sull'offensiva. Stava solo aspettando un comando per attaccare.

Sephiroth lo spiò con la coda dell'occhio e non poté reprimere un flebile sorriso, quando notò che stava tenendo a mente tutto ciò che lui gli aveva insegnato nelle ultime settimane. Anche se era diventato suo allievo da poco, imparava molto velocemente: come rendere più salda la presa sull'impugnatura, come minimizzare il dispendio di energie usando l'intelligenza anziché la forza e in quali casi sarebbe stato meglio attaccare o puntare sulla difesa... tutte le lezioni erano state recepite e applicate alla pratica. Rainiel, ormai molto tempo prima, gli aveva dato soddisfazioni simili.

«Cloud.» lo chiamò allora, e fu come vederlo scattare sull'attenti. Il ragazzo si sentiva ancora in soggezione, ma Sephiroth era abituato a vedere le persone reagire così a lui. «Ricorda bene le tecniche di cui abbiamo discusso. Questo scontro è decisamente alla tua portata.» provò a tranquillizzarlo. Era bene essere cauti in battaglia, ma non tanto rigidi e dubbiosi.

Lui annuì, prendendo un profondo respiro e perfezionando la posa e la presa sull'elsa. Sephiroth approvò con un cenno della testa.

Zack, alla fine, sentendo le esclamazioni degli spettatori trasformarsi in lamenti impazienti, prese tra le mani la spada Potens e la fece roteare prima di assumere a sua volta la posa adatta.

«Vogliamo mettere subito fine alla battaglia? O mettiamo su uno bello spettacolino, già che siamo qui?» domandò.

«Cerchiamo di prendere tempo.» replicò il Generale, «Se Rain vuole partecipare al prossimo scontro, dobbiamo darle il tempo di recuperare le energie.»

I due compagni furono d'accordo. Era premuroso, da parte sua, considerare anche quella necessità. Una alla quale persino Rainiel forse non avrebbe pensato.

E così, Sephiroth per primo si mosse rapido e silenzioso verso i nemici. Cloud e Zack lo seguirono come fedeli ombre, ognuno di loro puntò a un avversario diverso.

 

Come Rainiel aveva programmato, lo scontro terminò nell'arco di cinque minuti, quando Zack si limitò a spintonare con un viso annoiato il criminale che, dopo essersi rialzato, disarmato e confuso, aveva cercato di colpirlo con un pugno allo stomaco. Il poveretto ricadde a terra e perse i sensi, vedendo le stelle. I suoi due compari stavano già sonnecchiando, a qualche metro da lui. Alla fine, le armi non si erano rivelate necessarie. Quei tre non avevano sincronia né strategia. Volevano solo menare le mani e  mulinare i coltellini al vento senza un senso logico. Nessuno dei tre era stato ferito, ma di certo una volta svegli avrebbero dovuto passare qualche ora a mettere del ghiaccio su tutti quei lividi.

La folla stava esultando, chiamando a gran voce il nome della squadra, e Sephiroth strinse le palpebre. Oramai essere associato a SOLDIER non era che un'offesa nei suoi confronti.

Tornarono alla sala d'attesa, Zack entrò per primo nella stanza, facendo drammatici inchini mentre Rain e Tifa accoglievano tutti e tre con degli applausi.

«Sarò qui per gli autografi ogni giovedì!» continuò a recitare il ragazzo dai capelli neri, mentre Tifa andava ad abbracciare Cloud, un po' timidamente a causa di quello che Rainiel le aveva detto prima. «Siete stati bravissimi, complimenti!»

Sephiroth si fermò vicino a una parete, inespressivo come al solito. La masamune era immacolata. «Questo scontro era uno specchietto per le allodole. Ci ha solo tolto tempo prezioso.»

«Ah sì?» Rain si avvicinò a lui con un piccolo sogghigno. «Io dico che vi siete divertiti. Avreste potuto chiudere il round in pochi secondi, come mai ci avete messo tanto?» lo punzecchiò.

Sephiroth incrociò le braccia e guardò altrove. Rain sapeva che lo aveva fatto per dare più tempo a lei, ma anche che lui era un tipo orgoglioso. Ecco perché si sporse in avanti e si limitò a scoccargli un occhiolino. «Grazie.» sussurrò. Gli avrebbe quantomeno lasciato un bacio sulla guancia, ma sapeva che era un tipo riservato e che preferiva lasciare cose del genere a momenti più privati.

Dopo un po' nella stanza entrarono anche gli uomini che li avevano accompagnati all'Arena, complimentandosi. Dissero che il pubblico aveva apprezzato molto la loro performance - come se non fossero altro che fenomeni da baraccone - e che erano terminati anche gli altri scontri. Ora toccava di nuovo a loro scendere in campo.

Sephiroth chiese, senza mezzi termini, se Genesis fosse passato al secondo turno. Non ne aveva dubbi, in realtà, considerato il livello degli avversari contro cui si erano dovuti confrontare loro, ma voleva una conferma della sua partecipazione. Gli sgherri spiegarono che il regolamento impediva loro di rispondere. Avvisarono che entro cinque minuti avrebbero dovuto scegliere due partecipanti per lo scontro successivo. Il numero si era ridotto. Fatta la richiesta, lasciarono la stanza augurando alla squadra buona fortuna per l'incontro.

Quando la porta si chiuse, Cloud sospirò. «Inizio a pensare che il regolamento sia sul serio solo una facciata. Esiste solo nei momenti in cui conviene che esista.» fece notare.

«Puoi dirlo forte.» Zack si massaggiò il collo, sbuffando. «Be', non possiamo farci molto. Ormai siamo a metà strada, non ha senso ritirarci e fare cancellare il torneo. Don Corneo ci starebbe addosso per la rabbia e noi abbiamo già abbastanza problemi.»

Tifa mosse un passo avanti. «Allora dobbiamo scegliere i partecipanti. Due, questa volta...» rifletté.

Rainiel notò che ultimamente stava diventando meno timida attorno a loro, segno che si stava integrando bene nel gruppo. Le fece davvero molto piacere. Motivo in più per cui le balzò accanto, dandole una piccola gomitata amichevole.

«Allora che ne dici di lottare assieme, io e te?» le offrì, «Abbiamo mandato gli uomini in avanscoperta, ma ora è il turno di uno scontro tutto al femminile!» rise scherzosa.

Gli occhi di Tifa brillarono mentre annuiva. «Mi sembra un'ottima idea! Così loro potranno riposare, e in più avremo tutti partecipato e non saremo condizionati da questa regola per l'ultimo scontro.»

Se Cloud sembrava impaziente di vedere le abilità di Tifa all'opera, Sephiroth aveva un'aria più agitata.

«Sei sicura di non voler riposare un altro po'?» domandò a Rainiel tornando al suo fianco.

Lei scosse la testa. «Adesso sto alla grande. E ho una gran voglia di farmi valere! Farai il tifo per me, vero?» scherzò ancora, ma la risposta di Sephiroth parve sincera.

«Come sempre.»

«Ottimo, allora! Tifa, sei pronta?»

La ragazza tirò il lembo dei guanti da combattimento e strinse le dita, determinata. «Prontissima.» 

«Andiamo, dunque! Ragazzi miei, rifatevi gli occhi, vi faremo vedere come si vince uno scontro!» promise Rain, mentre lei e Tifa sfilavano fino alla porta, pronte a raggiungere il ring.

Sephiroth alzò di poco la voce per un'ultima raccomandazione, dietro di loro. «Le probabilità di incontrare Genesis sono aumentate. Tenete gli occhi aperti. Se la situazione dovesse sfuggire di mano, arriveremo per aiutarvi.»

Francamente, non poteva importargliene meno delle regole dell'Arena. E non aveva paura di Don Corneo, né dei suoi scagnozzi. Non ne sarebbero bastati un centinaio, a metterlo in difficoltà. Quella che voleva evitare era solo la seccatura di averci a che fare, dato che erano convinti di essere i padroni del Mercato Murato.

Osservò le due ragazze svoltare l'angolo per raggiungere i cancelli e, imponendosi di non preoccuparsi troppo e di avere fiducia in Rainiel, fiducia che provava davvero, si andò a posizionare davanti allo schermo alla sua sinistra. In pochi minuti lei e Tifa furono presentate e accolte dal pubblico con reazioni di ogni tipo, sia positive che offensive, ma non se ne curarono.

Ora non restava che attendere la squadra avversaria.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** La Tigre e il Cigno ***


Capitolo 27

LA TIGRE E IL CIGNO


 

Rainiel non si era sbagliata nel dire che quello sarebbe stato uno scontro tutto al femminile.

Mentre Tifa batteva le nocche di una mano contro quelle dell'altra, e mentre Rain faceva ruotare le sue spade corte cercando di ignorare il brusio causato dalla folla sugli spalti, i grandi cancelli davanti a loro si aprirono e, dal buio del corridoio sul lato opposto dell'arena, emersero due giovani donne dai volti coperti: una aveva una maschera metallica che la copriva dal mento al naso, l'altra un velo legato a un filo d'oro attorno al volto e alla nuca che però lasciava scoperti i lineamenti delicati del viso: le labbra sottili, gli occhi truccati con cura e leggermente assottigliati, come quelli della compagna di squadra. A giudicare dal loro aspetto dovevano provenire entrambe da Wutai, e non solo. Di certo si trattava di sorelle gemelle, perché la somiglianza tra loro era impressionante. Allo stesso tempo non avrebbero potuto essere più diverse: la ragazza dalla maschera metallica aveva vestiti comodi ma attillati - un top da allenamento e un pantalone dal motivo militare, con delle placche di metallo sulle rotule -  i muscoli ben definiti, le sopracciglia aggrottate e i capelli corti legati in una piccola coda di cavallo alta e spinosa, neri ma dalle punte tinte di biondo. La sorella, a qualche passo da lei, era identica a lei in termini di altezza e di tratti somatici, ma più snella, vestita con abiti più leggeri e i suoi capelli erano del tutto corvini, lunghi e raccolti in una treccia che riposava sulla sua spalla sinistra.

«Abbiamo due paia di signorine che si sfideranno in questo turno, a quanto pare!» sghignazzò uno dei due presentatori, mentre gli spettatori, soprattutto gli uomini, praticamente davano di matto.

Rainiel non capiva cosa trovassero di tanto speciale in uno scontro come quello. Osservò con cura le sue avversarie, senza lasciarsi sfuggire un solo particolare. Avevano l'aria di chi sa il fatto suo e non andavano sottovalutate.

«Le opponenti delle qui presenti SOLDIER,» continuò il presentatore, che neanche sapeva che Tifa in realtà non era mai stata parte della famosa divisione, «sono molto conosciute da chi s'intende di lotta, qui al Mercato Murato. Hanno già partecipato a molti tornei e attirato l'attenzione dell'unico e solo Don Corneo! Ma presentiamole ai novellini che non sanno ancora molto su di loro: Evora e Anora vengono rispettivamente chiamate "la Tigre e il Cigno".» indicò prima la sorella dall'aspetto più rigido e allenato, poi quella più placida e graziosa, «Non è un dubbio che anche oggi ci assicureranno un bello spettacolo e, magari, scaleranno la vetta fino al primo posto sul podio! Che dite, rispediranno a casa a piangere queste ragazzine?» indicò poi verso Rain e Tifa, stringendo la mano a pugno con un pollice che indicava verso il basso.

La folla parve fare il tifo per Evora e Anora, impaziente di vedere le altre due sfidanti al tappeto.

Ma loro avevano promesso ai loro amici che avrebbero assicurato loro l'ingresso alla finale. Se avessero vinto quello scontro, sarebbe rimasta solo quella da affrontare.

Gli spettatori battevano i piedi e lasciavano dondolare in alto le mani, aspettando che lo scontro iniziasse. I presentatori sapevano di doverli accontentare, così lasciarono il centro del ring e si allontanarono annunciando l'inizio del round.

Rain finì di osservare le due sorelle: Evora non aveva armi con sé, e i suoi vestiti presentavano rinforzi e placche metalliche per la difesa. Anora, invece, aveva delle curiose armi che le penzolavano dalle mani: sembravano dei kunai, grandi ma sottili, legati a dei nastrini rosa che a loro volta erano stretti per l'estremità opposta ai polsi della ragazza. A giudicare da ciò, si poteva evincere che una lottasse a mani nude, da vicino, e l'altra a distanza.

In circostanze normali Rain avrebbe senza dubbio scelto di fronteggiare Anora, ma c'era una strana sicurezza negli occhi delle gemelle che le metteva ansia. Erano entrambe silenziose. E poi c'era un piccolo dettaglio che forse avrebbero potuto sfruttare...

Si chinò verso Tifa. «Io sfiderò Evora. Va bene?»

Tifa strabuzzò gli occhi, guardando l'altra sorella, che invece sarebbe toccata a lei. «Ne sei sicura?» chiese a bassa voce. «Non credo che abbiano intenzione di darsi il cambio durante la lotta, e la tua sfidante è di certo brava nel corpo a corpo.»

Rainiel respirò a fondo, lentamente. «Sì, immagino che lo sia. Tu pensa solo a cercare il punto debole di Anora. Vedi quei nastri?»

Tifa lanciò una rapida occhiata verso le armi della ragazza.

«Può usarli da lontano, ma anche da vicino. Devi cercare di starle così vicina da non lasciarle la possibiltà di usarli.» spiegò, la voce così determinata e sicura che Tifa per poco non la riconobbe più. L'aveva sempre vista come una giovane donna solare e vivace, ma quella fredda serietà di adesso... rendeva chiaro che avesse preso lezioni da Sephiroth.

«Farò del mio meglio. Buona fortuna.» disse quindi, allontanandosi e andando a posizionarsi davanti al cosiddetto Cigno.

Quest'ultimo la guardò piegando la testa in un movimento fluido quanto intimidatorio. «Pensi che basteranno quei guanti a fermare i miei kunai?» disse in una voce trascinante e un po' acuta.

Tifa strinse le dita e sollevò i gomiti, posizionando bene i piedi. «È tutto da vedere, ma spero che vada così.»

«Ti farai molto male, signorina.» la mise in guardia Anora, preparandosi.

Intanto Rainiel si fermò davanti a Evora, che tossì una risata.

«Questo non mi pare il posto adatto a una ragazzina come te,» le disse lei, «Non se tieni a quelle ossicine gracili che ti ritrovi.»

«Ti farò vedere quanto sono gracile.» rispose a tono Rainiel, stringendo gli occhi. Non amava chiacchierare durante i combattimenti. La distraeva.

Fu Anora a fare la prima mossa, però, perché uno dei nastri rosa scattò in aria in un movimento fulmineo ed elastico mentre il Cigno volteggiava su se stesso per indirizzare l'arma, una vera e propria frusta dalla punta d'acciaio. Tifa se ne accorse giusto in tempo da pararsi il viso con entrambe le braccia, strette lateralmente. Il kunai graffiò i suoi guanti, generando scintille. Che razza di forza era quella? Tifa non si aspettava che uno strumento come quello potesse godere di una simile precisione.

Rainiel guardò in sua direzione per controllare che stesse bene ed Evora me approfittò per prendere la rincorsa in sua direzione, pronta a colpirla con un pugno alle costole. Rain, però, non l'aveva persa di vista. Si scostò e la calciò via mentre ammortizzava la velocità. Evora, però, sembrava aver calcolato tutto. Ruotò sul posto grazie alla velocità e colpì Rainiel in pieno viso con un tallone. La ragazza scoprì a sue spese che anche quello presentava un rinforzo in metallo.

Per poco non perse l'equilibrio, piegandosi verso la propria sinistra quasi completamente con la schiena. I capelli le nascondevano gli occhi, ma Evora la vide ricomporsi senza il minimo lamento. Portò le nocche alla guancia e alle labbra, sfregandole sulla pelle. Vide una buona dose di sangue sulla sua mano, e la ragazza fu costretta a sputare saliva rossa a terra prima di rivolgerle un'occhiata gelida. Non era arrabbiata... forse era solamente più motivata.

 

Nella saletta che si affacciava sul corridoio, ora che i cancelli erano chiusi, i tre compagni di squadra di Tifa e Rain osservavano passo dopo passo lo scontro.

Zack e Cloud sussultarono quando videro - e sentirono il rumore poderoso - del calcio che aveva appena colpito la loro amica. Sephiroth si limitò a stringere le palpebre.

«Quello... ha fatto male. Molto male.» commentò Zack. A loro tre era andata bene, non avevano neanche un graffio dato il livello degli avversari del turno precedente.

«Forse avremmo dovuto proporci noi per questo scontro.» rifletté Cloud, non perché si considerasse più bravo delle due donne ma perché avrebbe volentieri risparmiato a entrambe quella situazione, tuttavia l'amico gli rispose subito.

«E mandare Tifa e Rain in finale da sole? Se questi sono i livelli della semifinale credo che già da adesso ci sia da preoccuparsi...»

Quando finì di parlare, Zack non poté non guardare Sephiroth con la coda dell'occhio. Certo, era preoccupato, ma nonostante quello che era appena successo si sorprese di vedere l'ex-Generale in uno stato di totale calma apparente, gli occhi taglienti fissi sullo schermo. Strano, si disse, aveva pensato che avrebbe distrutto i cancelli per soccorrere Rain e invece eccolo lì, immobile in piedi e con le braccia conserte, le labbra ridotte a una linea più seria che mai.

«Tu che ne pensi, Sephiroth?» gli chiese dunque, troppo curioso per trattenersi.

«Lo scontro è appena iniziato.» replicò lui solamente, «E non basta un semplice colpo per sconfiggere Rainiel.» spiegò, «Osservate e non agitatevi troppo. Rain farà pagare l'affronto alla sua avversaria, con gli interessi.» Lo disse senza dubitare di una singola parola.

Zack sollevò le sopracciglia, incredulo, ma poi si riprese e tornò a guardare verso il televisore. Era stato lui a insegnarle la maggior parte delle cose che sapeva, quindi poteva predire meglio di chiunque altro le sorti di quella sfida. Non dovevano fare altro che credere nelle loro compagne di squadra.

 

Rainiel non sembrava affatto disturbata dal colpo ricevuto. Incrociò le lame davanti a sé e prese fiato piano, prima di guardare Evora e lanciarsi verso di lei con una velocità impressionante. La ragazza strinse i denti ed evitò un fendente che però riuscì a sfiorarle e scavare appena nella pelle di una guancia.

Intanto, Tifa evitava con cautela i colpi di Anora, che vorticava come un tornado, strattonando e maneggiando con attenzione i suoi nastri. I kunai si muovevano attorno a lei come code feline, sferzando l'aria.

Tifa saltò per evitarne uno che colpì alle sue caviglie, poi si abbassò per non farsi colpire dall'altro. Incredibilmente, l'altro aveva già compiuto il giro e tornato da lei. Non riuscì a muoversi in tempo e, stavolta, il kunai le ferì una spalla. Tifa strinse le labbra e uscì dal raggio di azione di Anora, prima di decidersi a tentare il tutto per tutto.

Osservò i movimenti della nemica, notando un certo schema in essi. Era come l'arte marziale che lei stessa aveva imparato, c'era una logica dietro ogni movimento, ogni postazione. Una regola per tutto. E alcune regole si possono raggirare, se le si conosce abbastanza. L'unica differenza tra loro era che Anora aveva uno stile più aggraziato, quasi senza peso, come una danza in punta di piedi. Persino il velo sul suo viso e la treccia giravano in aria sollevandosi per la velocità.

Tifa si avvicinò così che lei non smettesse di attaccarla, e lo notò. Lo schema che cercava: il Cigno sollevava un braccio e abbassava l'altro, dirigeva un colpo a sinistra e quello successivo a destra. Era così perfetta da essere anche vulnerabile.

Schivò uno dei colpi. Non poteva essere sicura della logica numerica dietro i suoi attacchi, ma finché Anora si limitava a quello poteva affrontarla senza troppe complicazioni.

Approfittò della breccia lasciata dal nastrino e scivolò vicina alla sfidante. La sua specialità era il combattimento ravvicinato, quindi doveva fare come Rainiel le aveva spiegato.

Arrivò talmente vicina all'avversaria da poterle contare le ciglia, e la fece indietreggiare con una ginocchiata allo stomaco. Provò a colpirla con un pugno mentre vacillava, ma ritrovò il kunai a un soffio dalla propria gola, schivandolo per miracolo.

Anora aveva appena afferrato un punto dei nastri, riducendone il raggio. Un rischio che Tifa aveva calcolato, ma che rendeva le cose meno semplici. Ora i kunai potevano diventate più veloci e potenti. Doveva restare in guardia.

A qualche metro di distanza, Rainiel era decisamente passata all'offensiva.

Aveva capito che Evora era più brava ad attaccare che a difendersi e, in un certo senso, questo valeva anche per lei, motivo per il quale non doveva permettere che l'avversaria passasse in vantaggio. Se era impegnata a muovere gli arti cosicché le placche difensive bloccassero le lame delle Aikuchi, allora non poteva usare pugni e calci. Questo dava a Rainiel quantomeno il tempo di pensare a una buona strategia.

Unì le spade per sferrare un colpo più potente degli altri: anche se era più lento, spezzava il ritmo a cui la Tigre si era abituata.

Riuscì a farle perdere l'equilibrio. Evora barcollò all'indietro e Rain tentò un affondo con la spada, usando il fianco della lama d'acciaio piuttosto che la punta affilata. Non voleva ferire gravemente la sfidante, solo costringerla alla resa. Lei, però, si lasciò cadere per poi reggersi su piedi e palmi, il ventre rivolto al soffitto, e si rialzò con uno slancio, roteando per colpire Rain con lo stesso calcio provato prima.

Stavolta, però, la ragazza non si lasciò trovare impreparata. Strinse i gomiti e bloccò la sua gamba al volo con le braccia, per poi rivolgerle un sorrisino. Mentre Evora batteva le ciglia, allibita, lei la strattonò tirandola a sé. Una volta fatto ciò, la ripagò con la sua stessa moneta proprio come Sephiroth aveva predetto. Le sue nocche le colpirono lo zigomo, proprio nel punto in cui la maschera non arrivava a coprirla, non provocando danni degni di nota ma senz'altro causandole una certa irritazione e un po' di emicrania.

La spinse via subito dopo, allontanandosi da lei e lasciando oscillare le spade nell'aria senza peso. Nella saletta oltre le mura i suoi compagni esultarono o sorrisero, fieri di lei e della sua piccola vendetta.

«Hai ancora intenzione di considerarmi una ragazzina?» domandò senza perdere quel piccolo ghigno.

Evora quasi ringhiò dietro la maschera. «Fortuna del principiante. Non ricapiterà.» borbottò prima di tornare all'attacco.

Per qualche motivo, emise un fischio acuto.

Rainiel non se ne curò, ma se ne accorse immediatamente Tifa che, non molto distante, vide lo sguardo di Anora scattare in direzione della sorella. Prima che potesse anche solo aprire bocca per avvisare la sua amica, il Cigno spedì uno dei suoi kunai verso Rainiel. Quando Tifa lanciò l'allarme era ormai troppo tardi, ma la ragazza dai capelli rossicci fece affidamento ai suoi riflessi.

Il baluginio di luce sulla lama dell'arma da lancio la attirò subito, così si spostò appena in tempo da evitare gravi danni, anche perché il kunai aveva mirato, con una logica meschina, ai suoi occhi. Ne ricavò nient'altro che un graffietto sulla gola, che scese fino a una clavicola. Visibile, ma poco profondo.

Il vero problema fu la moda seguente della Tigre che, con quel cambio di piani sleale ma consentito dal regolamento dello scontro, era riuscita a fare distrarre l'avversaria. Si abbassò e la afferrò per le gambe al di sopra delle ginocchia, sbalzandola via in un brutale placcaggio che portò Rain a stringere gli occhi e cadere di peso a terra, battendo le spalle e la testa. Dalle sue labbra, questa volta, sgorgò un lamento.

Tifa provò a correre in sua direzione, ma un nastro le si avvolse agile attorno a una caviglia, facendola cadere.

«Io e te non abbiamo finito.» le disse Anora, inespressiva.

«Stavi combattendo con me! Perché hai attaccato lei?» chiese spiegazioni, sbigottita.

Lei alzò gli occhi al cielo. «Perché questi non sono scontri individuali. E perché la Tigre e il Cigno devono proteggersi a vicenda, se necessario.»

La cosa peggiore era che Tifa non poteva nemmeno darle torto. Quantomeno avrebbe potuto sfruttare il punto lasciato scoperto nel momento in cui aveva lanciato il kunai per attaccarla, ma raggiungere Rainiel era stato il primo istinto di Tifa. Se non poteva aiutarla adesso, avrebbe prima sconfitto la sua avversaria.

In un attimo si rialzò girando su se stessa come un turbine d'acqua, la bocca serrata in un'espressione di pura determinazione, e afferrò il nastro dandogli uno scossone. Essendo legato al polso della ragazza, questa fu sbilanciata in avanti e Tifa stavolta la colpì con una buona dose di forza e strategia, proprio sotto il mento, riservandole lo stesso trattamento che sua sorella aveva rivolto a Rain, a causa sua.

Poteva vincere quello scontro. Doveva farlo. Per dimostrare il suo valore... e per aiutare Rain, che era sempre stata gentile e ospitale con lei.

La situazione della sua compagna di squadra, nel frattempo, era diventata abbastanza critica.

 

Nella sala d'attesa, Zack rabbrividì nel vedere Evora ridere mentre teneva bloccata la loro amica sotto di sé. Strinse le nocche, e prese a colpirla con velocità e potenza, senza il minimo riguardo che invece lei le aveva mostrato, evitando di ferirla seriamente.

«Quella tipa è fuori di testa!» esclamò. Si era già tolto un guanto per mordersi le unghie, l'ansia schizzata alle stelle.

Cloud non riuscì a non distogliere lo sguardo. Sapeva che Tifa se la stava cavando abbastanza bene contro Anora, ma ora era in pensiero per Rain. «Non si è ancora ripresa del tutto, e questo torneo non pone limiti alla violenza. Se Rainiel non riesce a recuperare...» Non continuò la frase. Ormai stava pensando al peggio. Niente di tutto quello che stava succedendo era corretto.

Stavolta furono entrambi a guardare in direzione di Sephiroth che, adesso, aveva un'espressione più nervosa tinta in viso, ma non eccessivamente. Era bravo a nascondere le sue emozioni, ma lo tradivano le sopracciglia appena corrugate e le ciglia che quasi si sfioravano tra loro.

Si piegò in avanti, appoggiando le mani sul tavolo e concentrandosi su ogni singolo dettaglio rappresentato sullo schermo. Erano passati anni, ma era accaduto qualcosa di simile quando aveva visto Rain alla Shinra per la prima volta. Angeal e Genesis le avevano mostrato quella ragazza che aveva sconfitto tutti i suoi sfidanti attraverso le telecamere del simulatore. Ma quella volta si era trattato di un combattimento leale.

A differenza di Cloud, non guardò altrove. L'unico motivo per cui non era intervenuto era il suo rispetto nei confronti della ragazza, perché sapeva che una cosa del genere avrebbe minato profondamente il suo orgoglio, ma lui per primo si era pentito di non aver insistito di più per evitare di prendere parte a quell'assurdo spettacolino.  Doveva esserci un altro modo per trovare Genesis, uno che non comprendesse quella sofferenza per la ragazza.

«Avanti, Rain.» si ritrovò a sussurrare. I due ragazzi lì vicino lo udirono, ma non osarono commentare.

Lui credeva in Rainiel. Ora... Rainiel doveva credere in se stessa. Ad ogni costo.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** A fin di bene ***


Capitolo 28

A FIN DI BENE


 

Il soffitto dell'Arena era opaco, tremulo. Rainiel vedeva due volte ciascun lampadario, due volte ogni viso in platea. I ruggiti esaltati della folla impietosa erano ovattati e lontani, solo un basso fischio le invadeva le orecchie.
Aveva sentito i primi colpi di Evora. Erano decisi e molto, molto dolorosi. I suoi pugni le avevano colpito il volto, il petto, le spalle. La giovane donna le era addosso, e stava sfogando tanta rabbia su di lei. Non era un caso che venisse chiamata Tigre: ogni attacco era simile a un'artigliata.
Ora, però, Rain si era rifugiata in un angolino della sua mente. "Sto perdendo..." si rese conto, osservando il buio della sua coscienza, un mondo senza peso né forma, "Dobbiamo arrivare all'ultimo scontro. Dobbiamo trovare Genesis. Contano tutti di me... Sephiroth conta su di me..."
Il suo corpo si mosse da solo. Provò ad attaccare usando le lame, ma Evora era troppo vicina e aveva trovato il modo di bloccarla. Combattere a mani nude sarebbe stato un suicidio, dato che l'avversaria era più abile di lei in questo. Ne risultò che la Tigre, notando il suo movimento, non fece che colpirla con più forza. Il suo corpo fu scosso da brividi violenti. Il rumore delle nocche che si schiantavano contro pelle e ossa riecheggiava in tutto lo stadio.
Tifa cercava, a tratti, di avvicinarsi a lei, ma era proprio ciò che Anora voleva impedirle di fare. Questo la fece innervosire, motivo per il quale il Cigno fu colpito più volte dai suoi pugni rapidi e precisi. Se non altro, la sua battaglia stava andando abbastanza bene. Quello che interessava a lei, però, era correre in soccorso dell'amica al più presto.
Rainiel non sapeva che sia lei, sia gli uomini rimasti nella sala d'attesa, stavano facendo il tifo per lei e chiamando il suo nome, ma lei iniziava a sentire il peso della debolezza.
Il veleno che aveva respirato solo qualche minuto prima del torneo aveva indebolito i suoi muscoli e le sue ossa. Aveva cercato di fare finta di nulla, ma la battaglia la portò a capire quanto, in verità, questo l'avesse danneggiata.
Le spade erano inutili. Tentare il corpo a corpo era anche peggio. Restava un'alternativa soltanto...
Rain poteva sentirla: l'energia misteriosa che le scorreva nelle vene, soprattutto nei momenti più difficili, come un sistema di sopravvivenza che si sarebbe attivato comunque, che le piacesse o meno, da un momento all'altro.
Voleva fermarlo. Non era il momento adatto a usare il dono, davanti a tutte quelle persone e per uno scontro che, in realtà, era insignificante rispetto al vero proposito per cui Rainiel e i suoi amici si trovavano al Mercato Murato quella notte.
Era troppo pericoloso. Lo ripeté decine di volte, nella sua mente. Doveva controllarlo. E se avesse fatto del male a qualcuno? Magari a Tifa, che era lì con lei? Non poteva rischiare.
Eppure, un'altra voce si sovrappose alla sua.
«Fa parte di te. Come lo fanno i tuoi occhi, o i tuoi arti. E più di quanto lo facciano le tue spade.»
La coscienza di Rain tremò. Forse aveva ragione. Forse poteva controllarlo e non c'era ragione di temerlo...
Fa parte di te.
Dovresti accettarlo.
Per una volta, almeno una, decise di seguire quel consiglio. Di dimenticare l'odio che provava verso quel lato di sé, che per errore le aveva strappato tutto: la sua casa, i suoi genitori. Tutto, perché non aveva saputo come usarlo.
O perché non lo aveva accettato?
L'energia fluì in lei con più velocità. Con rabbia dirompente. Era stanca di sentirsi in colpa perché era ciò che era. Se aveva quel dono, forse c'era un motivo. Era stanca di voltare le spalle alla sua vera natura, quella che Yoshua le aveva donato. Quello era il suo potere.
Spalancò gli occhi, i denti stretti, il sangue che scorreva fra le sue labbra e dalla fronte, sulle ciglia. A terra, goccioline scure e brillanti schizzarono via. La ragazza aveva sollevato le braccia, ma non per attaccare. I suoi pugni si abbatterono sul terreno con così tanta forza che questi su sgretolò, come se un considerevole peso fosse stato lasciato cadere a piani e piani di distanza.
Evora smise di attaccare, vedendo quel che era accaduto e l'espressione di Rainiel. Sembrava irata, ma non capì se quella rabbia fosse rivolta a lei. Di certo, una piccola parte lo era. No... quella era qualcosa di più profondo e personale. Che le era successo? Aveva trovato la motivazione per rovesciare le sorti della battaglia?
Allontanandosi quel tanto che bastava, giocò al gioco di Rainiel, che trovò di nuovo lo spazio necessario ad agire.
Strinse le dita attorno all'elsa di entrambe le Aikuchi. Attorno alle sue mani sprizzarono lingue di fuoco che, in un vortice luminoso, si attorcigliarono attorno alle lame argentate. Le due spade avvolte dal fuoco sfrecciarono in direzione di Evora, la quale riuscì a risparmiarmi una brutta cicatrice in pieno petto, ma si ritrovò comunque un leggero taglio che disegnava sul suo top scuro una minacciosa croce obliqua.
Terrorizzata da quello strano potere, che di certo non era dovuto all'uso di una materia, mentre il fuoco si spegneva e Rain si rimetteva in piedi, la Tigre strisciò su talloni e gomiti per trascinarsi quanto più lontano possibile da lei.
La ragazza armata di spade le scosse mentre sospirava per calmarsi, il cuore che batteva come un tamburo nel petto. Era coperta di lividi e graffi, un occhio più chiuso dell'altro e uno zigomo che iniziava a gonfiarsi e diventare violaceo, ma non aveva la minima intenzione di arrendersi.
Per qualche motivo, si sentiva benissimo. Libera. Dare sfogo a quello di cui era davvero capace era come spiccare il volo, liberarsi da pesanti catene.
Ma la soddisfazione durò poco.
L'intera Arena era precipitata nel silenzio. Gli spettatori guardavano a bocca spalancata in sua direzione, compresi i tre che, più in alto, prendevano posto in tre sedie più vistose, chiaramente riservate a personaggi di una certa importanza e influenza nel sesto settore. Rain non poteva distinguere chiaramente i loro volti e neanche se ne curò. Aveva combinato un guaio.

Cloud guardava allibito il televisore, mentre Zack puntava un dito sullo schermo.
«Ha... ha usato il dono?» balbettò incredulo. «Siamo in guai seri. La voce si diffonderà a macchia d'olio! La Shinra saprà che siamo qui e poi...»
«Era l'unica cosa che poteva fare.» la giustificò Sephiroth, senza neanche guardarlo. Ora era chiaramente preoccupato, del tutto preso dall'immagine sulla tv, che mostrava Rainiel intenta a guardarsi attorno. Anche Tifa e Anora avevano interrotto il loro combattimento, stupite dalle fiamme che avevano illuminato il campo di battaglia.
«Non lo metto in dubbio, ma...» alzò timidamente la voce Cloud, con un piccolo colpo di tosse a precederlo, «... Zack ha ragione. Ora gli occhi di Midgar saranno su di noi.»
Sephiroth ne era cosciente, anche se avrebbe voluto dire loro di non preoccuparsi della Shinra. Avrebbero pensato dopo a un modo per sparire per un po' di tempo. Ora però, Rain era seriamente esposta. Qualcosa in lui lo portò a raddrizzare la schiena e muovere un passo verso la porta.
La mano di Zack, però, gli si posò sulla spalla. «Se intervieni ora, sarà solo peggio.» dovette ammettere. Non era il caso di creare altro scompiglio e attirare ancora di più l'attenzione su di loro. «Rain ormai ha esposto il suo dono. Lasciamo che lo usi per concludere lo scontro.» lo portò a ragionare.
I muscoli di Sephiroth erano tesi, ma s'impose di avere pazienza. Zack non aveva tutti i torti.
E non era sbagliato nemmeno dire che molti occhi stavano guardando a Rain, al momento.

Un paio in particolare, bluastri e freddi come il ghiaccio, la stavano ammirando da un lato in ombra negli spalti, dietro una tendina di ciuffi tendenti al ramato. Un sorriso si tinse sul viso dell'uomo che, finalmente, aveva visto all'opera quel potere che tanto lo incuriosiva.
Quello... quello era un dono degli dèi. Dèi che venivano da molto lontano. Pericolosi o benevoli... misteriosi e potenti. Uno di loro portava il nome di Yoshua, e davanti a lui ora si trovava la sua erede.
«Il tuo desiderio...» disse, sottovoce, a se stesso, «... è il portatore di vita. Il Dono della Dea.»
Che si fosse sbagliato? Forse aveva cercato, per una vita intera, il dono sbagliato. O forse ne esisteva più di uno. Quello... era lì, di fronte ai suoi occhi.
Con un sorriso, si allontanò dagli spalti. Non aveva ancora concluso la sua parte di lavoro, e la missione di quella notte era improvvisamente diventata più intrigante.

Rainiel sentì tutto il peso di quegli sguardi, che la divoravano con curiosità. Si era appena trasformata in ciò che loro volevano vedere in lei: un fenomeno da baraccone, qualcosa di esotico e incomprensibile. Qualcosa da conoscere e analizzare. Gli occhi che vedeva su di lei gli sembrarono quelli di Hojo ed ebbe un tuffo al cuore.
La stasi generale fu interrotta dal dito di Evora, puntato contro di lei. La sua espressione era ancora sconvolta.
«Tu... hai barato! Come hai fatto?» la accusò.
Rainiel si guardò le mani. Il fuoco era svanito, ma la vampata non era certo passata inosservata. Era stato più forte di lei. Ecco che succedeva, quando era in pericolo. Una parte di lei avrebbe voluto che quello fosse veramente solo un trucco, e non una parte integrante di sé. Eppure... stava iniziando a comprendere, ad accettare ciò che era. Cosa c'era di sbagliato, se il suo dono veniva usato a fin di bene o per legittima difesa?
Anora, lontana dalla sorella, sibilò. «Quello che ha fatto è contro le regole! Qualsiasi magia abbia usato... non rientra nelle regole dell'Arena!» annunciò, cosicché la sentissero tutti.
Qualcuno tra la folla le diede ragione, altri batterono i piedi a terra. Rain si era appena guadagnata tanti nemici, ma anche qualche fan.
I due presentatori si scambiarono un'occhiata, ancora sbigottiti. Quando uno dei due diede una gomitata all'altro, poi, quest'ultimo si schiarì la voce e parlò nel microfono.
«Tutto è lecito all'Arena... se il Don è d'accordo!» ricordò.
Uno schermo su una parete si illuminò e catturò l'attenzione di tutti. Rainiel strinse gli occhi per guardarlo con più attenzione. L'unica immagine proiettata era il disegno stilizzato del boss del Mercato Murato, con quel suo aspetto buffo e lussureggiante al tempo stesso, un sigaro stretto fra i denti e il ciuffo biondo che copriva solo una piccola porzione della nuca, su cui spiccava un tatuaggio a forma di cuore.
Ci fu un attimo di pausa in cui il pubblico lasciò vibrare le mani e mosse i piedi imitando un rullo di tamburi... finché l'immagine non si trasformò in un Don Corneo esuberante, con un cartello sollevato che presentava la parola "Ok".
«Don Corneo ha dato la sua approvazione! Che lo scontro ricominci, anche a suon di... qualsiasi cosa fosse quella!» rise il presentatore, le luci della ribalta che tornavano a posizionarsi sul ring.
Dunque non solo il boss del Settore 6 stava osservando Rainiel, ma era anche colpito dalla sua abilità. Il che poteva essere molto positivo... oppure un terribile guaio.
Quel che contava ora era mettere fine a quel combattimento il prima possibile. In finale... in finale forse avrebbero trovato Genesis e lo scontro si sarebbe spostato altrove.
Rain guardò Tifa. La ragazza aveva messo alle strette Anora, ma il loro scontro si era interrotto. Prima che potesse ricominciare, Rainiel pensò che, arrivati a quel punto, tanto valesse dare il cento per cento. Una volta conclusa la nottata, sarebbe scomparsa insieme agli altri, fino all'attenuarsi delle voci sul suo conto. Ad ogni modo, non aveva più senso fare finta di nulla.
Ecco perché storse le labbra in un'espressione concentrata, di totale impegno, e abbassandosi lasciò aderire con un rapido movimento i palmi a terra, lasciando andare le spade.
Da quel suo movimento, un'onda sotterranea si mosse fino a raggiungere Evora. Sotto di lei emerse il tronco di un'albero che, flessuoso e agile, crebbe rapidamente e la trascinò via. La pianta si avvicinò rapida all'altra sorella, colpendo anche lei. Una volta investite entrambe, l'arbusto si piegò con un movimento elastico verso la parete curva dell'Arena e da esso crebbero dei rami che formarono una vera e propria trappola che catturò le due gemelle.
Rainiel non fece del male né all'una né all'altra. Si limitò a impedire loro qualsiasi movimento, costringendole ad arrendersi. Agì con talmente tanta velocità che persino il pubblicò andò in visibilio e tutti si alzarono, alcuni urlando la parola "SOLDIER" per elogiarla, altri semplicemente commentando esterrefatti quello che era appena accaduto.
Evora e Anora erano sconvolte, così tanto da non osare fare nulla per ribattere alla sua mossa. Anche perché erano completamente bloccate e inermi.
Tifa si sentì raggelare il sangue nelle vene quando vide il potere mostrato dalla sua nuova amica. Conosceva poche cose di lei, Cloud era sempre stato vago a riguardo, ma sapeva che aveva qualcosa di speciale. Solo... non pensava che si trattasse di qualcosa di simile. Eppure, considerò il suo dono qualcosa di bellissimo. Rainiel aveva un contatto con la natura che trascendeva persino quello che univa il Pianeta e i Cetra. Era un ibrido perfetto tra gli esseri viventi che governavano il pianeta, possedeva un talento unico eppure non aveva mai anche solo pensato di usarlo per fini personali. Al contrario, dava il massimo per aiutare gli altri e condurre una vita normale. Il suo animo era a dir poco nobile.
Rain respirò a fondo, stanca sia per lo scontro - che tutto sommato era durato pochi minuti, anche se le erano sembrati un'eternità - che per l'uso delle proprie energie. Non essendo più abituata a fare sfogo al suo dono tanto frequentemente, e soprattutto dopo le vicende nel DRUM, in cui aveva ceduto parte delle sue energie per salvare Sephiroth, usare quel potere richiedeva uno sforzo paragonabile a una lunga maratona.
Se non altro, c'era riuscita. Sorrise, ignara che gli amici dietro lo schermo collegato alle telecamere, e il suo mentore in particolare, stessero facendo la stessa cosa.
Lo aveva controllato. Lo aveva accettato. Era forte come in passato, ma più mansueto. Finalmente era riuscita a considerarlo un vero dono, e non una maledizione.
Se c'era ancora qualche residuo di Yoshua in lei, sapeva che in quel momento era fiero di lei. Il suo genitore, se così poteva definirsi, era giunto su Gaia per portare speranza, e la sua erede stava rispettando meticolosamente il compito da lui lasciato a metà. In effetti un'abilità come quella, tenuta sottochiave per essere studiata o usata per scopi malvagi, era sprecata e nociva.
Rain sapeva di poter fare di più. Di poter sfruttare ciò di cui era capace per una causa migliore.
Ecco perché si rialzò, lentamente, ed esultò roteando le spade, risollevate da terra, e le rinfoderò.
La folla era impazzita. Molte persone s'interessarono a lei, quella sera.
E, da una parte, Rainiel fu lieta di vedere sui loro volti non paura e disgusto... ma sano stupore e una genuina dose di gioia.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Inganno ***


Capitolo 29

INGANNO


 

Rainiel e Tifa fecero ritorno alla sala d'attesa. Una volta aperta la porta, la prima delle due restò impietrita. Contro qualsiasi sua aspettativa, notò Sephiroth avvicinarsi a lei a grandi passi e stringerla a sé con delicatezza. Il suo non era un abbraccio energico e sollevato perché stava bene, ma uno di conforto. Uno... che racchiudeva un certo orgoglio.

Rain tenne gli occhi ben aperti mentre appoggiava la testa al suo petto e il mento di lui trovava posto sulla propria nuca, benché i capelli fossero pieni di polvere e rovinati a causa dello scontro che era appena terminato.

Sapeva che l'aveva fatto per un motivo preciso. Era stato lui a dirle di credere nel proprio potenziale, di non vergognarsi del suo dono, che di malvagio non aveva nulla. Ed era fiero di lei, sotto ogni punto di vista, perché aveva dato ascolto a quel consiglio.

Cloud, Tifa e Zack osservarono sbigottiti quella scena che, tutto sommato, si svolse abbastanza in fretta. Questione di pochissimi secondi, e Sephiroth si tirò indietro per guardare Rain dall'alto, fingendo che non fosse successo niente. Le effusioni d'affetto in pubblico non facevano proprio per lui.

«Siete state molto brave.» si complimentò quindi il mentore, prima di rivolgere la sua attenzione anche al resto della squadra. «Il prossimo scontro sarà l'ultimo.» sospirò, e questa volta lo fece con enorme sollievo. Nessuno di loro, d'altronde, aveva voglia di spendere altro tempo in quel posto. Nella situazione in cui si trovavano, un torneo all'Arena di Don Corneo sarebbe dovuto essere l'ultimo dei loro pensieri, e invece erano stati costretti a partecipare.

Zack strizzò di nascosto l'occhio a Rain, ammiccando in direzione dell'ex-Generale per provocarla un po' e guadagnandosi una smorfia in cambio, dopodiché raggiunse il centro della stanza e sollevò una mano per prendere la parola.

«Ormai è praticamente sicuro che il nostro avversario in finale sarà Genesis. Dobbiamo tenere gli occhi aperti. In caso di difficoltà, non è detto che non metterà a repentaglio le vite degli spettatori pur di darci noia.» ricordò ai suoi amici.

Ci fu un cenno d'assenso generale. Non serviva conoscere Genesis a fondo, per capire che Zack diceva il vero sul suo conto.

Essendo ormai i finalisti di quel torneo, non dovettero attendere troppo, prima che gli sgherri del boss del Mercato Murato si presentassero di nuovo nella stanza, avvisandoli dell'imminente inizio della finale. I partecipanti ammessi, questa volta, sarebbero stati tre.

«Uno di voi dovrà essere la qui presente signorina...» tenne a specificare uno dei due, guardando dall'alto al basso Rainiel, la quale, per una volta, gli scoccò un'occhiata ancora più intimidatoria di quella che gli rivolse Sephiroth alle sue spalle.

«Ehm...» si schiarì la voce il sottoposto, ricomponendosi, «È una specifica richiesta del Don. Qualsiasi cosa tu abbia combinato là fuori, al pubblico è piaciuta moltissimo. Cerca di fare quella cosa strana di nuovo, se possibile!»

Zack tagliò corto, avvicinandosi a lui. «Molto interessante, ma stavolta vogliamo sapere se il nostro avversario sarà Genesis. Potete dircelo ormai, no?»

I due sgherri si guardarono. Quello che era rimasto in silenzio fino a quel momento prese la parola. «Ve lo abbiamo detto e ripetuto: non possiamo darvi informazioni sui vostri sfidanti.»

«Certo...» continuò il ragazzo dai capelli neri, «e questo fa parte del regolamento? O dite così solo perché vi conviene?»

«Sentite,» rise nervosamente il primo dei due scagnozzi di Don Corneo, «non abbiamo comunque sprecato il vostro tempo! Siete diventati delle star, il pubblico vi ama, questa notte è tutta vostra! E vi faremo ricevere una bella somma se vincerete!» annunciò sfregando indice e pollice fra loro davanti alla sua faccia.

Si guadagnò delle occhiate folgoranti. Nessuno di loro aveva partecipato per guadagnare dei soldi, né per diventare famoso. Erano già abbastanza ricercati dalla Shinra. La fama non faceva proprio al caso loro.

Un altoparlante fece giungere sino a loro le voci dei presentatori. Stavano di nuovo incitando il pubblico.

I due sgherri presero ad allontanarsi. «È il momento della ribalta! Scegliete in fretta i partecipanti, e mi raccomando... la ragazza deve essere fra loro!»

Lasciarono la sala immediatamente, prima che uno dei cinque perdesse la pazienza.

Rain sospirò. Voleva prendere parte allo scontro, certo, ma non era al massimo della forma. Edora l'aveva conciata piuttosto male, ma cercò di non pensarci. Quella notte sarebbe finita presto, e l'indomani mattina avrebbe messo un po'di ghiaccio su tutti quei lividi. Si ripulì dal sangue e dai graffi con un panno e un po' d'acqua mentre gli altri discutevano su chi dovesse accompagnarla.

Cloud stava per proporsi di nuovo, ma Sephiroth lo bloccò alzando una mano, il palmo aperto verso di lui.

«Io e Zack conosciamo Genesis meglio di tutti.» ricordò a lui e Tifa, «Avete fatto la vostra parte. Metteremo fine noi a questo scontro.» proseguì.

Zack si mordicchiò un labbro. «Mi dispiace Cloud, ma sono d'accordo con lui.» gli diede un amichevole e debole pugno alla spalla, «Sei stato tosto però, eh?»

Cloud abbassò la testa con un sorrisetto e non replicò. Non voleva insistere. Sephiroth aveva davvero ragione. Non era sicuro correre rischi contro un ex-SOLDIER d'élite.

Rainiel guardò i due uomini che l'avrebbero affiancata nella battaglia. Sephiroth si era avvicinato a lei e stava per parlare, ma lo precedette mostrandogli un debole sorriso.

«Sto bene. Posso farcela.» disse soltanto. Sapeva che si preoccupava per lei, e stavolta aveva un buon motivo per farlo, ma lei si sentiva sicura. Non sarebbe stato un problema, per lui, mettersi contro Don Corneo, che aveva richiesto espressamente che Rain partecipasse anche alla battaglia seguente, ma la ragazza non voleva che i suoi amici s'impelagassero in altri guai, quindi una volta tanto avrebbe fatto come richiesto. E poi... ora poteva contare sul suo dono. Non aveva più motivo di nasconderlo. Sentiva che ci avrebbe fatto l'abitudine, finalmente.

Dopo aver salutato Cloud e Tifa, che in caso di necessità sarebbero intervenuti, Rain gettò un braccio sulla spalla del suo migliore amico e uno su quella del mentore, camminando verso la porta.

«Allora,» cercò di far suonare energica la propria voce, «siamo di nuovo noi tre insieme, eh? Come ai vecchi tempi.»

Ripensò un po' al passato. A quello che era successo nel DRUM. Al tempo che avevano passato all'Oasi. Alla loro vecchia vita a Midgar. E infine ripensò a Darefall e a quello sventurato giorno.

Meritavano tutti un po' di pace. Mettere fine allo scontro con Genesis avrebbe assicurato quella tanto agognata calma a ciascuno di loro, almeno per un po'.

«Portiamo a termine anche questa missione.» disse dunque.

Davanti a loro, poco dopo, i cancelli si aprirono ancora una volta.

 

Le presentazioni furono brevi e concise, la fantomatica squadra dei SOLDIER ormai aveva riscosso l'amore del pubblico e guadagnato non pochi fan. Non che questo fosse un fattore positivo.

«E ora prepariamoci al gran finale...» annunciò il presentatore, creando tensione.

I cancelli sul lato opposto dell'Arena presero ad aprirsi ma, dietro di essi, era tutto ancora buio.

«Siete pronti a uno scontro all'ultimo sangue? Ad assistere a una vera e propria carneficina?» continuò a urlare, non curandosi delle sue parole, «I cari SOLDIER dovranno vedersela con un nemico potente. Uno soltanto, che si è fatto strada fino alla finale sbaragliando la concorrenza! La sua brutalità non ha limite! Non conosce la pietà!»

Rainiel e gli altri si guardarono, speranzosi. Un nemico solamente, brutale e impietoso. Allora Genesis era davvero giunto sin lì per quello scontro? Era possibile... un amante della drammaticità come lui sarebbe stato capace di spettacolarizzare la loro resa dei conti assicurandosi un pubblico come quello dell'Arena.

Quando i cancelli si furono aperti, il secondo presentatore fomentò la folla, che di nuovo non stava più nella pelle per la curiosità.

«Questo nemico non va sottovalutato! Combatte per uccidere, e non ha intenzione di fermarsi! Signore e signori, vi presentiamo di nuovo...»

Un rumore sordo di ferraglia attirò l'attenzione dei tre SOLDIER in gara. Delle scintille illuminarono il corridoio, sempre più vicine. E poi...

«... "Lo Spezzaossa"!»

In quel momento arrivò. Di certo non era un nemico dall'aria fragile, considerato che si trattava di una macchina da guerra simile a quelle prodotte dalla Shinra, solo molto, molto più grande e con decisamente più lame di metallo, che mise in mostra facendole roteare e sferragliare, muovendo in aria delle braccia metalliche legate al corpo principale. Tuttavia... quello non era Genesis.

Rain per prima provò una forte delusione e grande rabbia. Anche Zack, che tra tutti sarebbe stato quello più in grado di ridurre la storia a una barzelletta e dimenticarla in fretta, si concesse un commento seccato.

Ma Sephiroth...

Rainiel sentì un'energia profonda e scura accanto a lei. Ma, quando si voltò, lui non era più al suo fianco.

Il presentatore aveva ripreso il suo discorso. «I SOLDIER e Lo Spezzaossa si contenderanno la vittoria, oggi, ma non è detto che tutti usciranno dall'Arena ancora integri! Senza ulteriori indugi, diamo inizio a...!»

Un lampo. Un suono acuto, simile a un fischio, così perfetto e cristallino da ricordare un soffio di vento o il tenue tremolio della superficie dell'acqua. Eppure, un atto incredibilmente potente e distruttivo.

Lo Spezzaossa era lì, in piedi e funzionante, davanti a tutti. E l'attimo dopo era stato tagliato a metà, le scintille avevano mandato l'intera macchina in cortocircuito e il metallo si era riversato a terra, oramai niente più che un mucchio di latta da rottamare.

E Sephiroth era lì, al centro del campo di battaglia con in mano la sua fedele Masamune, un'espressione cupa e atona in viso.

Ancora una volta calò il silenzio, ma questa volta nessuno osò interromperlo. Neppure i presentatori aprirono bocca per almeno una non indifferente quantità di secondi.

La finale era terminata ancora prima di iniziare.

Sephiroth provava dentro di sè una frustrazione tale che avrebbe volentieri ridotto in macerie l'intero edificio, ma sapeva di dover gestire quelle emozioni che cercavano di divorarlo. Era inquieto, eppure aveva una buona ragione per esserlo.

Tutta quella fatica... tutto quel tempo sprecato... assolutamente per nulla.

Genesis non era lì.

Erano stati ingannati.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Sei un soldato ***


Capitolo 30

SEI UN SOLDATO


 

Qualsiasi idea avesse avuto in mente Sephiroth quando si avvicinò minaccioso ai due sgherri che avevano accompagnato la sua squadra sino all'Arena del Mercato Murato, fortunatamente Zack riuscì a impedire che si concretizzasse trattenendo indietro il Generale di SOLDIER, nello sguardo un'espressione preoccupata. Dietro di loro li seguivano tutti gli altri amici, prima fra tutti Rain, che dovette liberarsi la strada a suon di spallate accidentali e scuse, mentre sgusciava tra i fan che si era creata senza una specifica intenzione. Tutti avevano capito che Sephiroth non era esattamente di buon umore al momento, e quello che le interessava di più era raggiungerlo e aiutarlo a ritrovare la calma.

I due sgherri stavano contando i guil intascati dalle scommesse facendo scorrere le dita tra le singole banconote strette in un blocco e fissate da un elastico. Barcollarono per lo spavento quando l'ombra dell'ex-Generale, avvicinatosi a grandi falcate e in completo silenzio, si proiettò su di loro.

«Oh...! Guarda un po' chi abbiamo qui, i vincitori!» uno dei due cercò di buttarla sul ridere, ma non funzionò.

«Volete prenderci in giro?» La voce di Sephiroth non era alta o aggressiva, tutto il contrario: un sibilo basso e gelido. Tagliente quasi quanto lo sguardo impietoso che rivolse all'uomo che aveva parlato.

I due iniziarono a sudare freddo e le loro gole si mossero visibilmente quando deglutirono un nodo amaro.

Zack tirò via Sephiroth per una spalla.

«Cerchiamo di darci una calmata.» provò ad attirare la sua attenzione, «Questi due sono solo degli idioti. Andiamocene. Stiamo sprecando il nostro tempo.»

«Ne abbiamo già sprecato abbastanza.» Sephiroth si scrollò la sua mano di dosso e Zack si morse un labbro, preoccupato. «Dov'è Genesis?» chiese ancora l'uomo dai capelli argentati, che non aveva intenzione di andare via a mani vuote. Non dopo aver dato spettacolo come una belva da circo per niente. Non dopo che Rainiel aveva rischiato di essere ferita gravemente in uno scontro.

Ma furono le espressioni dei due uomini, di colpo meno sbruffoni e tenaci, a rispondergli, piuttosto che le loro parole. Sì spintonavano a vicenda, come a cercare di convincere l'altro a propinargli una scusa più o meno credibile.

«Non ne avete idea.» dedusse ciò che solo uno sciocco non avrebbe compreso, «Non ha mai davvero avuto intenzione di partecipare, non è vero? Probabilmente avete mentito anche sull'averlo incontrato.»

Stava perdendo la pazienza, in quel suo modo freddo e intimidatorio di dimostrarlo. Era così furente che sarebbe stato in grado di tagliare entrambe le loro gole con un solo gesto. Non ci sarebbero stati zampilli di sangue, né grida. Ma neppure una soluzione al suo problema.

Si rese conto della gravità dei suoi pensieri solo quando una mano più piccola si intrecciò alla sua, quella che normalmente avrebbe usato per sorreggere la spada.

Rain lo affiancò, ancora con il fiatone per la corsa. Doveva averlo inseguito con non poche difficoltà dall'ascensore. Un gruppo di addetti alla sicurezza stava tenendo la piccola folla di ammiratori lontani da loro, ma Cloud e Tifa erano ancora bloccati nel flusso e riuscirono a tirarsene fuori solo qualche secondo più tardi, fermandosi dietro di loro.

Rainiel gli rivolse un'occhiata che chiaramente aveva dell'ammonimento, ma anche qualcosa di confortante. Aveva davvero pensato di uccidere quei due uomini? Per un motivo del genere?

Rainiel non gli parlò, ma gli strinse la mano per riportarlo alla realtà e guardò con disprezzo i due uomini davanti a lei.

«Della vostra bella faccia tosta avremo modo di parlarne in un secondo momento. Anzi, sapete una cosa? Lasciamo perdere. Spero proprio di non rimettere mai più piede in questo posto.»

«Ma...» lo sgherro che doveva essere il meno sveglio dei due provò a insistere, «... il pubblico dell'Arena vuole rivederti all'opera! Sarebbe fantastico se...»

Inutile dire che si beccò prima uno schiaffo in piena nuca dal collega, poi uno sguardo feroce da parte della ragazza.

«Al diavolo voi e l'Arena.» borbottò prima di muovere un passo indietro, «Sephiroth, Zack. Andiamo via.» Si accorse solo dopo che Cloud e Tifa l'avevano raggiunta, e incluse anche loro con un cenno della testa.

Raggiunsero la strada da un'uscita secondaria. Farsi bloccare dai fanatici sulla via principale sarebbe stato il colmo della serata. Quella loro deviazione di percorso si era rivelata solo un danno. Rainiel pensò che, da una parte, era stata colpa loro. Sephiroth aveva ragione nell'insistere a non partecipare. Avrebbero dovuto immaginare che si trattava solo di una trappola, un tentativo di Don Corneo di lucrare sulle loro presenze e popolarità senza dar loro nulla in cambio. Neanche i soldi promessi che, ovviamente, non avevano alcun interesse a ritirare. Ad ogni modo, i due accompagnatori non gli avevano mai fatto alcuna promessa sulla presenza di Genesis. Erano stati sciocchi e avevano abboccato all'amo quasi subito.

Zack si grattò la testa, lasciandosi andare a un sospiro esasperato. «Siamo di nuovo al punto di partenza. Accidenti, ma è davvero così impossibile trovare qualcuno che possa aiutarci senza cercare di farci del male o di sfruttarci in qualche modo?»

Cloud, non meno stanco e seccato degli altri, alzò gli occhi al cielo. «Al Mercato Murato?» fece finta di pensarci, «Sì.»

Zack si appoggiò a un muro, lamentandosi di nuovo.

Mentre gli altri scuotevano le teste, pensando a una soluzione per non rendere inutile il resto della notte, Rain lasciò andare la mano di Sephiroth e si avviò verso un vicolo senza guardarlo, le braccia conserte.

«Seguimi.» gli disse in un tono che spaventò gli altri tre presenti, «Dobbiamo parlare.»

Svanì nel vicolo e Sephiroth guardò il posto vuoto che aveva lasciato accanto a lui, socchiudendo le palpebre e respirando a fondo. Sapeva già in cosa sarebbe consistita la ramanzina, e che probabilmente se la meritava davvero, ma non era davvero dell'umore adatto a farsi sgridare per aver perso la pazienza.

Zack fischiò con gli occhi ben aperti. «Qualcuno è nei guai.» sussurrò poi a Tifa, non troppo lontana da lui, cercando qualcosa di divertente da dire per risollevare il morale della squadra.

In effetti, l'ultima volta che Sephiroth e Rain avevano avuto una discussione accesa, lei aveva cercato di affettarlo con le sue Aikuchi. Anche se poi la disputa era terminata in un modo del tutto diverso.

Senza fiatare seguì Rainiel nel vicolo, trovandola di spalle in un piccolo spiazzo in penombra, i muscoli rigidi. Solo lei sarebbe stata in grado di avanzare un rimprovero al grande Sephiroth senza fare una brutta fine.

L'uomo sospirò, abbassando le ciglia nere sugli occhi che perforavano le tenebre. «Mi sono controllato.» iniziò fin da subito, a tono moderato. Stavolta era così snervato che non si sarebbe scusato. «Anche se non è stato semplice. Questo luogo, questa gente... mi stanno facendo impazzire.» E non era affatto sbagliato.

«Sephiroth.» Rainiel sospirò e si volse a guardarlo. Lo sorprese, perché non era arrabbiata, ma quasi triste. Sconfortata di aver perso tutto quel tempo e quelle energie... per assolutamente nulla. «Lo so, non voglio darti torto. È normale che tu sia arrabbiato. Lo sono anche io, quindi non devi giustificarti.» Si coprì la fronte con una mano. Aveva ancora il viso pallido e i suoi arti tremavano, se osservati con una certa attenzione. Quel minimo di forze recuperate prima del combattimento si erano esaurite di nuovo. Soprattutto perché aveva usato il suo dono. «È colpa mia. Se non avessi insistito per convincerti a partecipare, a quest'ora forse avremmo già trovato Genesis. Scusami. Avevi ragione.»

Sephiroth impiegò un po' a smaltire la confusione. Dunque era lei a volersi scusare, e non a pretendere il contrario. Aveva senso, conoscendola, ma come al solito era riuscita a sorprenderlo.

Sì, era visibilmente abbattuta e probabilmente sull'orlo di una crisi nervosa. Le si poteva leggere lo sconforto negli occhi. Aveva bisogno di una rassicurazione, ecco perché gli aveva chiesto di parlarne in privato.

Lui abbassò la testa e sospirò, rilassando il corpo e avvicinandosi a lei. Fu la ragazza, però, ad andargli in contro e ad abbracciarlo, in modo quasi timido.

«Abbiamo commesso un errore. Non è colpa tua. E la notte non è ancora terminata.» si ritrovò a dire lui, ascoltando i suoi respiri ancora affannati e riuscendo a sentire sotto le proprie mani il suo corpo che tremava.

«Ma ho rovinato tutto... ero contenta di essere riuscita a usare il mio potere, ma ora che ci rifletto su mi rendo conto di essere stata stupida. La Shinra saprà che ci troviamo nei bassifondi e tornerà a darci problemi. Possiamo dire addio alla nostra vita tranquilla nel settore 5. Oh, per la Dea, sono un danno ambulante...»

Sephiroth si allontanò quel tanto che bastava da rivolgerle uno sguardo severo, ma solo fino a un certo punto.

«Rain, basta adesso.» interruppe quel flusso di pensieri negativi che stava per portarla a un attacco di panico, «Sapevamo che la nostra era una situazione precaria. Non possiamo rimanere nei bassifondi, e allora? Andremo altrove. Ovunque troveremo un posto adatto. Questo non cambia nulla. E non ti rende in alcun modo stupida. Hai fatto l'unica cosa che potevi fare in una situazione di pericolo. Non è quello che ti ho insegnato?»

Rain trovò un grande sollievo nel vederlo comportarsi di nuovo come il mentore che per lei era stato. Sentiva di avere ancora bisogno di molti suoi consigli, e non solo inerenti al combattimento. La sua calma e la sua esperienza si rivelavano molto utili, se c'era da tranquillizzarla. In realtà, tutto di lui la rassicurava.

«Genesis è ancora qui, da qualche parte. Non siamo stati sconfitti. Non siamo stati separati.» continuò poi, ponendo un'enfasi non casuale sull'ultima parola .

D'altronde, per lui il settore 5 non era una casa. E nemmeno per lei. Erano loro stessi, la loro casa. Erano insieme dopo tutto il tempo di necessaria solitudine che avevano trascorso.

«Sei un soldato, Rain. Quando ti viene affidata una missione, la porti a termine con successo. Sei tu stessa a importelo, giusto?»

Rainiel annuì debolmente.

«Allora procediamo con questa missione. Quando sarà finita, avremo il tempo di pensare a tutto il resto.»

La ragazza riuscì finalmente a mostrare un'espressione più lieta. «Sissignore.» rise piano, e lui comprese che avrebbe potuto dare la vita per quel suono.

Rainiel, poi, distolse lo sguardo e mantenne su un debole sorriso, un po' forzato. «So che non è semplice, per nessuno di noi, vivere una situazione del genere. E so che avere a che fare con Genesis ti rende nervoso.» fece una breve premessa, sospirando, «Ma stanotte ho bisogno di te. Ho veramente bisogno che tutto questo finisca. Sono stanca della Shinra e dei problemi che continua a causarci.»

Sephiroth non avrebbe potuto essere più d'accordo. «Finirà.» la rassicurò. Qualcosa dentro di lui, però, vacillò. Era sicuro di poter mentenere quella promessa?

Fu distratto dal sorriso, questa volta più sincero, di Rain, che strinse la sua mano prima di lasciarla andare. Non avevano molto tempo a disposizione, ma almeno erano riusciti a ritagliarsi qualche minuto per stare un po' da soli.

«Torniamo dagli altri e procediamo con le indagini. Sono sicura che Genesis non è lontano.» commentò, prima di camminare verso l'uscita dal vicolo, un'ombra che si confondeva con le altre, lì dove le luci colorate dei club non potevano raggiungerla. Prima di tutto, dovevano allontanarsi dal quartiere di Don Corneo e in particolar modo dall'Arena.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Il Dolcemiele ***


Capitolo 31

IL DOLCEMIELE


Tutto sembrava, almeno per il momento, tranquillo. La preoccupazione però non tardò ad arrivare, quando Rain e Sephiroth, di ritorno dagli altri, notarono che Cloud, Zack e Tifa erano stati approcciati da uno strano gruppo.

Si trattava di due uomini, forse guardie del corpo a giudicare dal loro aspetto e dalla stazza, e di un altro uomo molto, molto curioso. Aveva capelli scuri molto corti e una barba curata gli ornava il viso, su cui risaltavano due zigomi alti e scavati. Risaltavano parecchio non solo la sua espressione pacata e suadente, con quello sguardo penetrante e le sottili sopracciglia arcuate, ma anche l'abbigliamento decisamente fuori dall'ordinario: una giacca che lasciava scoperta parte del petto, su cui però si legavano dei lacci in un disegno simmetrico e curato, di un viola così scuro da tendere al nero, con decorazioni in oro sulle estremità e una pelliccia raffinata attorno al collo, con tanto di pantalone abbinato. Anche la sua posa era curiosa, il fisico snello ma allenato fermo in una postura rigida e rilassata al contempo, in un'immagine che di certo era stata studiata e pensata per sembrare accomodante. Fu il primo motivo che portò Rainiel a pensare che forse non si fosse avvicinato a loro in cerca di guai, ma per parlare.

Nonostante ciò, la squadra quella sera aveva già dovuto fare i conti con dei seccatori che li avevano avvicinati con una scusa e qualche ricatto, e la loro fiducia si era esaurita nell'arco di un'ora.

Ecco perché Sephiroth non trattenne un tono intimidatorio nella voce, quando affiancò Zack, che sembrava star facendo da portavoce ai due amici più giovani, e si rivolse direttamente a loro.

«Non so se siete qui per avanzare proposte, ma siamo impegnati.» esordì per poi guardare gli altri tre. In realtà, non sembravano molto tesi.

L'uomo indugiò in una breve risatina. «Nessuna proposta, temo.» Allungò una mano in direzione dell'ex-Generale, il suo movimento sinuoso e quasi ipnotico. Trasudava grazia ed eleganza da ogni poro. «Buonasera. È un piacere conoscerti faccia a faccia, Sephiroth.» disse in tutta calma, prima di guardare anche la ragazza al suo fianco «E lo stesso vale per te, Rainiel. Posso permettermi tanta informalità, vero?»

Be', se non altro le sue maniere non erano male. Eppure tutti e cinque i suoi interlocutori erano all'erta, data la piega che quella notte aveva preso nel giro di qualche ora.

«Sembra che tu ci conosca già, ma noi non sappiamo chi tu sia.» replicò quindi la stessa Rain, avanzando di un passo.

L'uomo sorrise e si piegò in un docile inchino, senza mai sembrare disturbato dalla cautela delle persone che aveva di fronte. «Mi chiamo Andrea Rhodea. Loro sono... gentili collaboratori.» indicò le guardie al suo fianco, che non batterono ciglio. «Ma forse il mio nome vi è già noto.»

«Sei il proprietario del Dolcemiele.» non tardò a dire Zack, con una naturalezza che andò scemando nel corso della frase, date le occhiate perplesse che ricevette dai suoi compagni. «Che c'è? Me ne hanno parlato tempo fa alcuni colleghi di SOLDIER!» si giustificò in un bisbiglio.

Il Dolcemiele certo era un locale conosciuto non solo nei bassifondi, ma anche in tutta Midgar. Soprattutto per il carattere peculiare dei suoi spettacoli... e dei curiosi costumi di scena che richiamavano certi animali muniti di pungiglione. Di sicuro c'era che si trattava di un luogo non accessibile a tutti: senza le giuste conoscenze, tanta pazienza e una buona dose di gil, trovare un posto come spettatore poteva rivelarsi una vera impresa.

«Esattamente. Immagino vi starete domandando per quale motivo io sia venuto a parlarvi. Come stavo già spiegando ai vostri amici, ho assistito allo scontro e discusso con Don Corneo. Oltre a essere il proprietario del Dolcemiele, tutti al Mercato Murato sanno che sono anche una delle sue conoscenze più fidate, qui nel settore.» si spiegò Andrea Rhodea, in poche parole ma senza alcuna fretta.

«Non vogliamo avere a che fare con lui.» Sephiroth incrociò le braccia, stanco di ripetere quella frase ancora e ancora.

Eppure la risposta dell'uomo, più anziano di lui ma comunque dall'aspetto giovane e bello, riuscì a prenderlo alla sprovvista. «Certo, comprendo bene. Credete che io lo frequenti per una simpatia personale?» sospirò, sfiorandosi il mento. «Discutere con lui non è semplice, ma sono riuscito a guadagnarvi un po' di tempo. Attirare l'attenzione di quell'uomo non è sempre un fattore positivo. Se è sicurezza quella che cercate, vorrei chiedervi di seguirmi in un luogo più appartato.» Lì chiaramente avrebbero avuto modo di discutere meglio dei motivi di Rhodea, ma il gruppo non sembrava del tutto persuaso.

«Aspetta.» Rain lo bloccò prima che potesse voltarle le spalle, il tono fermo e lo sguardo quieto quanto guardingo. «Perché vuoi aiutarci? Se sei un uomo fidato di Don Corneo, non dovresti rispettare il suo volere?»

«Il rispetto è un valore ambiguo. La mia concezione di esso non comprende il mandare a morte persone talentuose e promettenti come voi.» spiegò Andrea nel modo più diretto e onesto possibile, «Ho visto come combattete. Mi sono informato su di voi. Sono un perfezionista, e vi ritengo notevoli. Sarebbe un peccato sprecare qualità come le vostre, e in più credo che sia meglio stringere alleanze che inimicizie. Non trovi anche tu, Rainiel?»

«E cos'è che il Don vorrebbe, di preciso?»

«Preferisco sorvolare sul discorso del convincerti a candidarti come sua "sposina" di questa notte. Immagino conosciate tutti le abitudini del boss del Mercato Murato.» si spiegò in tono piatto, venato solo da una scintilla di disappunto, «Sono riuscito a dissuaderlo, non temere. È del resto dei suoi piani che dovreste preoccuparvi. Invitarvi nella sua guardia personale, farvi combattere gli uni contro gli altri all'Arena... tutte possibilità che suppongo non vi interessino.»

Persino Sephiroth diede l'impressione di essere nauseato, ma fra tutti quella che trovò più rivoltante la discussione fu proprio Rainiel. Sposina di Don Corneo? Sul serio? Avrebbe preferito riavvolgere il tempo e farsi assorbire da Yoshua che accettare una simile proposta.

Zack batté rapidamente le ciglia e prese la parola, mentre dietro di lui Tifa si faceva più vicina a Cloud, sentendosi più sicura.

«Quindi stai dicendo che Don Corneo ha intenzione di braccarci e tenerci qui nel settore 6 come gioiellini da esposizione?»

«Fondamentalmente, sì. Soprattutto dopo il... trucchetto che la vostra amica ha utilizzato durante la penultima lotta.» Andrea spostò lo sguardo di nuovo su Rain, che chiaramente più di tutti lo intrigava, in termini di potenzialità. D'altronde non capitava tutti i giorni di vedere una ventenne qualunque sprizzare fiamme dal corpo. «Per vostra fortuna, l'attenzione di Don Corneo è volatile. Vi basterà tenere un basso profilo per un po' di tempo, e prima o poi troverà un'altra distrazione.»

«Oh, ci abbiamo provato per tutta la notte.» Zack si grattò la testa, sconfortato.

Rhodea scosse un dito davanti a lui, un altro movimento incredibilmente aggraziato. «Non è girovagando per il Mercato Murato che vi terrete fuori dai guai. In più, Don Corneo non è l'unico ad aver messo gli occhi su di voi. Se mi seguiste al Dolcemiele avremmo modo di discuterne in maniera più approfondita.»

Cloud piegò la testa. «Dovremmo venire al Dolcemiele?» suonò quasi allarmato. Chissà come mai aveva una strana sensazione.

Andrea si sporse su un lato per guardarlo da capo a piedi, per poi mettere su un sorrisetto d'approvazione. «Non temere, giovane Cloud. Per quanto mi piacerebbe ospitarti sul mio palco, non è lo spettacolo l'evento più importante di stasera.» A frase finita gli scoccò un occhiolino e Cloud, irrigidendosi, distolse lo sguardo mentre Tifa tratteneva con tutte le sue forze una risatina.

Ovviamente nemmeno Sephiroth aveva tutta questa gran voglia di nascondersi tra una manciata di ballerini dagli insoliti costumi. «La tua idea di "basso profilo" riguarda il mescolarsi nella folla? Se è così, ci abbiamo già provato e non ha funzionato.»

«Il Dolcemiele non è come gli altri posti che avete visitato. Credetemi se vi dico che conosco i nomi, i volti e le intenzioni di chiunque varchi la soglia del mio locale. Sarà comunque un posto più sicuro dell'Arena di Don Corneo.»

Il suo ragionamento non faceva una piega. L'ex-Generale socchiuse gli occhi e sospirò. Aveva detto bene, quel posto lo avrebbe fatto impazzire presto o tardi. Oramai non vedeva l'ora che arrivasse l'alba. E soprattutto, avrebbe fatto pagare a Genesis tanta umiliazione, pur rimanendo fedele al favore promesso a Rainiel.

Fu proprio in sua direzione che guardò, alla ricerca di qualche consiglio o parere. Rain quasi sobbalzò. Toccava a lei la scelta? Allora, se così era...

«Va bene, ti seguiremo.» si morse un labbro facendo una breve pausa, per poi guardare i suoi compagni. «Vi ho trascinati io in questo casino. Direi che abbiamo bisogno di qualche informazione in più e di un momento per riorganizzare le idee.» esclamò senza esitazioni.

Sephiroth si risparmiò il discorso che le aveva già fatto e guardò di nuovo Rhodea.

«Fai strada, dunque.» Neanche per un secondo contestò l'idea di Rainiel. Né lo fece il resto dei loro compagni.

Così Andrea Rhodea sorrise e, girandogli le spalle, iniziò a camminare. Il passo sembrava quello di un felino, ma con la leggerezza di una colomba. Il proprietario del locale illustrò loro una strada meno frequentata delle altre e ben presto scorsero tutti in lontananza le luci del Dolcemiele.

 

♪ "Life can be harsh, it can be bitter, but we can make it oh so sweet, here at the Honeybee Inn every moment is a treat..."

 

Zack non riuscì a fare a meno di muovere la testa a ritmo della musica trascinante che proveniva dall'interno del locale. Essendo quella una zona più sicura, attraversò con gli altri l'ingresso principale, saltando la fila alla reception mentre Andrea salutava collaboratori e fan a destra e a manca.

L'atmosfera di quel luogo aveva qualcosa di diverso, avrebbe osato dire di magico. Sembrava il tipico luogo in cui ci si sarebbe potuti perdere per l'intera notte senza rendersi conto dell'arrivo delle luci dell'alba.

Cloud si sentì tremendamente a disagio quando furono accolti da un gruppetto di ballerine in costumi da scena: un abito da ballo giallo e nero, con un vistoso pungiglione che oscillava sulla parte inferiore del dorso. Non si fecero problemi a chiudere la fila prendendo lui e Tifa a braccetto e accompagnandoli nella sala dello spettacolo dopo aver esordito con un acuto: «Benvenuti al Dolcemiele!»

La ragazza parve disorientata per un po', ma trovò divertente quell'ambiente così strano e diverso dalla tradizionale Nibelheim in cui era nata e cresciuta. Cloud si distrasse dalle sue cattive sensazioni quando la vide sfociare in una breve e tenera risata, ma in seguito le porte della sala principale si aprirono e la sua attenzione fu di nuovo dirottata altrove.

Attraversarono la grande sala dello spettacolo, passando non troppo lontani dal palco. I ballerini si stavano esibendo proprio in quel momento, mentre gli spettatori si godevano la serata sui loro comodi divanetti neri, accostati a tavolini bassi che, come le decorazioni illuminate sulle pareti che si estendevano fino alla scalinata all'ingresso, riprendevano la forma esagonale tipica di un alveare.

Uomini e donne si esibivano anche fra la gente, invitando persino i più timidi a ballare. Zack e Rain erano i più interessati a quell'atmosfera che aveva qualcosa di magico e che, almeno per qualche momento, fece dimenticare loro i dispiaceri di quella serata. Un ballerino si avvicinò alla coda che avevano formato e fece volteggiare la ridente Rainiel in una piroetta, prima di muovere abilmente le gambe in un passo rapido di danza e togliersi il cappello salutando Zack che ormai stava per farsi trascinare dal ritmo. Due ragazze, scintillanti nei loro costumi gialli e neri, provarono ad avvicinarsi a Sephiroth, forse per invitarlo a godersi la festa, ma bastò una sua rapida occhiata a far cambiare loro traiettoria.

Ospiti di ogni tipo salutavano ed esultavano al passaggio di Andrea Rhodea, la vera star di quel posto, chiedendogli come mai non si stesse esibendo in quel momento.

«Purtroppo, oltre al diletto, anche il dovere chiama.» rispondeva lui con sorrisi pacati, prima di continuare per la sua strada.

«Stand up, cast your fears aside!» cantavano i ballerini in coro, destreggiandosi tra spettacoli di luce per i quali Rhodea non aveva sicuramente badato a spese, «Stand up, bare your soul with pride!» proseguiva quindi il ritornello, su una base che aveva dell'ipnotico.

Purtroppo l'entusiasmo andò frenato quando, attraversato il locale e raggiunto il "dietro le quinte" che tutti, al Mercato Murato, sognavano di visitare almeno una volta, alla fine tutti si ritrovarono in quello che sembrava essere l'ufficio del proprietario. Andrea Rhodea scintillava molto di più sotto la grande scritta luminosa del nome del locale sul palco esagonale che dietro una scrivania laccata di nero lucido, ma probabilmente anche per un impiego del genere si doveva andare incontro a una certa burocrazia.

Le guardie di Andrea erano rimaste fuori, ma nella stanza si fermarono comunque alcuni ballerini che, si scoprì, erano segretamente sue guardie. A quanto pare quel pungiglione sapeva davvero far male, se provocato.

Il proprietario si accomodò dietro il tavolo, le mani giunte e i gomiti sui poggiabraccia, una postura elegante quanto rilassata. Prima di ciò, fece segno agli ospiti di accomodarsi nel lungo divano davanti a lui. I posti erano comunque troppo pochi per in gruppo così numeroso, così Cloud e Sephiroth rimasero in piedi, mentre Zack sedeva, ancora inebriato dallo spettacolo, tra Rainiel e Tifa.

«Ho sentito tante voci su questo posto,» rise infatti il corvino, «ma non mi sarei mai aspettato che fosse tanto... spettacolare!» non trovò termine migliore.

«Sei sempre il benvenuto, Zack. D'altronde ormai sei una star dell'Arena.» replicò Andrea, mentre i suoi collaboratori versavano dell'acqua a tutti, ma solo alcuni bevvero per dissetarsi. Nel frattempo, in sottofondo era ancora possibile udire la musica dell'esibizione mitigata dalla presenza delle pareti, di un curioso viola scuro ma intenso.

«Mi sto seriamente immaginando con uno di quei costumi da ape indosso. Tu no, Rain?» chiese poi Zack, impossibile capire se scherzasse o meno. Sembrava un bambino la mattina del suo compleanno, o un cagnolino scodinzolante.

Rainiel finì di bere e alzò gli occhi al soffitto mentre rifletteva. «Non ne ho idea. Mi starebbe bene?» Nel dirlo, sfidò di proposito con la coda dell'occhio Sephiroth, che era dietro di lui e che, immediatamente, distolse lo sguardo e strinse le labbra con un'espressione illeggibile. Dedicarsi a fantasie del genere non era compreso nella missione.

«Avete fisici minuziosamente allenati, ritengo che i costumi del Dolcemiele vi starebbero alla perfezione, e ne abbiamo di tutte le taglie. Quel che importa davvero, tuttavia, è che vi sentiate a vostro agio con voi stessi.» disse il proprietario mentre una ballerina e un ballerino si accostavano ai lati della sua sedia e poggiavano le mani sulle sue spalle.

Zack tossì una risata e si volse a guardare alle sue spalle. «Ragazzi, pagherei per vedere voi due vestiti così!» disse a Cloud e Sephiroth con tanto di occhiolino.

Il primo arrossì e gli disse sottovoce di piantarla, l'altro strinse gli occhi e serrò le braccia.

«Passiamo agli affari più importanti. Hai detto di doverci mettere in guardia, Rhodea.» parlò quindi il Generale, stanco di perdere tempo, «Da chi stai cercando di proteggerci?»

Andrea prese un respiro profondo e nell'ufficio calò un silenzio saturo di tensione.

«Temo lo sappiate già. Si tratta di Genesis Rhapsodos, ex SOLDIER di prima classe.» pronunciò con una certa drammaticità, senza sorprendere più di tanto i suoi ospiti. Solo dopo li fissò uno ad uno, più serio che mai. «È più pericoloso di quel che pensate, in più non è qui da solo.» continuò allora. Fece una breve pausa, dopodiché riprese, le fronte aggrottata: «Ha intenzione di attuare un piano per farvi del male. E temo che ci riuscirà.»

La squadra di Rain si scambiò occhiate ansiose. A quanto sembrava, la serata stava davvero per accendersi d'azione.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Spalle al muro ***


Capitolo 32

SPALLE AL MURO


Il silenzio nell'ufficio si fece estenuante.

Sephiroth iniziò a sentire i nervi a fior di pelle, era stanco di quei toni enigmatici piuttosto che pratici. Aveva bisogno di risposte concrete, non di indovinelli.

«Che intendi dire? Se non è qui da solo, allora significa che ha un alleato nel Mercato Murato.» cercò comunque di mantenersi calmo. Per qualche ragione, però, parlare di Genesis lo rendeva irrequieto. Non sapeva nemmeno come sentirsi a riguardo. Una parte di lui lo considerava ancora suo amico, voleva recuperarlo e aiutarlo proprio come aveva suggerito Rain. La parte più profonda, d'altro canto, quella dove dimorava il mostro che spesso aveva preso il controllo... Solo la Dea sapeva cosa avrebbe voluto fargli, una volta che gli avesse messo le mani addosso.

Andrea Rhodea si schiarì la voce, e anche in quello mantenne una certa elegante compostezza. «No, non nel Mercato Murato. I suoi aiuti arrivano dall'alto.» Indicò sopra le loro teste, le labbra strette.

Rain strabuzzò gli occhi. «La piattaforma?» indovinò subito.

Zack scosse la testa. «Genesis ha disertato anni fa. Perché mai qualcuno a Midgar dovrebbe offrirgli il suo aiuto? La Shinra dovrebbe stargli alle costole.»

In effetti non aveva senso, anche Sephiroth la pensava così. Tacque e rifletté mentre i due amici più giovani ponevano le loro domande. C'era qualcosa di non detto, sotto quel velo di ambiguità. Genesis di solito operava da solo. Non aveva avuto bisogno di aiuti, se non da parte dei suoi cloni, quando aveva dato il via ai suoi attacchi tempo prima. Di certo non avrebbe accettato le proposte amichevoli della compagnia che aveva condotto esperimenti su di lui quando era solo un neonato.

«Questo non posso dirvelo, per il semplice fatto che non ne ho idea. Voi non ve ne sarete accorti, ma il settore stanotte pullula di SOLDIER.» li avvisò allora Rhodea, mentre una ballerina prendeva dal tavolo un calice trasparente e glielo porgeva. Bevve un rapido sorso prima di continuare. «Non credo che Genesis abbia previsto la vostra partecipazione all'Arena, ma Don Corneo gli ha fatto un bel favore, mettendovi in bella vista. Quello è stato il segnale definitivo che Genesis deve aver dato agli altri.»

Rainiel per poco non cadde dal divanetto. Guardò gli altri, in particolare Sephiroth, e immediatamente si compresero a vicenda.

Narcisse. Rain aveva incontrato Narcisse quella sera, nei vicoli. Allora lui le aveva mentito? Non era da solo e non era lì per controllare che Genesis non seminasse il panico. Era lì... per loro. In attesa del momento più adatto per circondarli.

La situazione era più grave di quanto pensassero. Vedersela con Genesis non era impresa da poco, ma se fosse stato solo avrebbero persino potuto parlargli e cercare di farlo ragionare. Ma se SOLDIER aveva mandato lì una truppa...

«Quindi... ci hanno pedinati?» mormorò Tifa, il cuore che le batteva in gola. Erano in guai seri.

Andrea mosse una mano in aria, leggiadro. «No, non qui al Dolcemiele. Non vi ho avvisati prima per non mettervi in allarme, ma questo posto è sicuro. Per quanto ne so, però, il locale potrebbe persino essere circondato.»

Zack si alzò dal divano, sconvolto. «Avresti dovuto dircelo! Perché non l'hai fatto?»

«Come ho già detto, avevo bisogno che vi comportaste in modo normale. I miei collaboratori hanno individuato alcuni SOLDIER nascosti tra la folla e sono tutti stati apparentemente seminati lungo il tragitto, ma questo non significa che il pericolo è scampato.»

Sephiroth sibilò sottovoce. «No, certo che no.» Scosse piano la testa prima di guardare il proprietario del Dolcemiele, «Dobbiamo andarcene il prima possibile, allora. Finché è notte, possiamo approfittare del buio per mimetizzarci. Ma se rimanessimo qui fino al sorgere del sole, si farebbero anche meno scrupoli ad attaccare. Ad ogni modo aspetteranno finché non saremo usciti da qui.» spiegò chiaramente il loro piano, per pure deduzione.

Andrea sollevò un sopracciglio, non poco colpito dalle sue abilità strategiche. «Nessuno meglio di te conosce il modus operandi di SOLDIER, Generale.» disse quindi, osservando quelle iridi feline sferzare l'aria fra loro. Neanche le luci del locale erano riuscite a mutare il colore della mako di cui erano iniettate le sue iridi.

«Ci stanno braccando come mastini.» constatò Cloud, lo sguardo basso. Erano tutti e cinque molto ansiosi. Il tempo scorreva rapido. «Dobbiamo annullare la missione?»

«Non possiamo dar luogo a uno scontro diretto con una truppa di SOLDIER. Peggioreremmo solo la situazione.» Suo malgrado, Sephiroth dovette fare un passo indietro e rivalutare le sue scelte. L'incolumità dei suoi compagni, questa volta, aveva la priorità sulla riuscita del piano.

Rhodea si rialzò piano dalla sedia. Fretta o meno, mancava ancora qualche ora all'alba e un minuto in più o meno non avrebbe fatto differenza, dato che i nemici erano comunque lì fuori.

«Posso mostrarvi una via secondaria sul retro del Dolcemiele. Vi porterà dritti alla tangenziale crollata del settore 6. Quel luogo pullula di banditi e mostri, ma è pur sempre meglio della Shinra. Da lì vi sarà facile raggiungere il settore 5, e potrete andare dove volete.» spiegò. D'altronde non sapeva che il gruppo venisse proprio da quel settore, ma aveva appena fatto loro un enorme favore.

Ormai era chiaro a tutti che il piano, dunque, era tornare lì, fare i bagagli e sparire il prima possibile. Non potevano permettersi di attirare l'attenzione della Shinra proprio nel settore dove abitava Aerith, che era già tenuta d'occhio, di tanto in tanto, dai Turks. Rainiel ricordava benissimo i giorni in cui lei e Zack dovevano allontanarsi o nascondersi per evitare di essere visti.

Bastò un cenno della testa del Generale, e gli altri quattro membri del gruppo si mossero a loro volta. Andrea e i suoi dipendenti li accompagnarono sul retro del locale.

Durante il tragitto, il proprietario parve decidersi a rivelare un altro dettaglio. «Il SOLDIER Genesis ha provato a corrompermi.» La sua voce riecheggiò nel corridoio illuminato del Dolcemiele, «Ho provato a sviarlo con l'inganno, ma temo non se la sia bevuta. Sono sicuro che comunque abbia già stretto parecchie amicizie nel Mercato.»

Sephiroth, che gli camminava accanto, gli rivolse un'occhiata d'analisi. Non se la sentì di biasimarlo per aver tenuto il segreto fino a quel momento, e se non altro era stato generoso abbastanza da metterli al corrente di quel dettaglio.

«Nutrivamo questo dubbio. Abbiamo avuto degli incontri fuori dall'ordinario, questa sera, non mi stupisce che fossero opera sua.» replicò allora, ripensando alla ragazza vestita di viola che li aveva invitati nel locale e alla nube di mako che lui e Rainiel avevano respirato. Poteva sentire ancora i polmoni bruciare e le vene pizzicare. Quel veleno mirava proprio a loro due.

Rhodea sospirò. «Tenete gli occhi aperti, lì fuori. Non è in mio potere fare altro per aiutarvi, non senza mettere a rischio la mia posizione nel Mercato Murato. Come capirete, non è il caso di correre questo rischio.»

Rainiel poteva comprendere eccome. A volte mettersi contro un solo uomo di potere poteva significare mettersi contro tutti coloro che lo seguivano. Don Corneo era quel tipo di uomo.

«Non preoccuparti,» disse quindi mentre allungava il passo per affiancarlo sul lato opposto, «Sei stato l'unico a darci un vero aiuto, stanotte. Te ne siamo grati.»

Lui la guardò per un attimo e poi abbassò la testa con un debole sorriso sulle labbra. «Grazie a te per aver mostrato la tua arte. È stato d'ispirazione. Mi auguro che vada tutto per il meglio e che tornerai a trovarmi.»

Rain strinse gli occhi e ridacchiò. «Volentieri! Mi piacerebbe godermi uno spettacolo!»

 

La loro chiacchierata fu costretta a terminare quando raggiunsero l'uscita secondaria del Dolcemiele. Andrea li mise in guardia un'ultima volta, ripetendo le indicazioni e facendo loro i migliori auguri. Non poteva dar loro delle guardie né scortarli personalmente. Quello era davvero il massimo che poteva fare per loro, in più al distogliere l'attenzione di Don Corneo così che il Mercato Murato si dimenticasse in fretta della loro presenza lì quella sera.

Fuori l'aria era più fredda del solito. Le luci artificiali della piattaforma sopra le loro teste erano state spente e ora era tutto così buio che per un attimo Rain credette di vedere davvero il cielo notturno. Non aveva mai fatto davvero l'abitudine ad avere Midgar su di lei piuttosto che sotto i piedi. Un po' la città le mancava, ma era comunque a casa adesso. Quella a cui voleva tornare era nel settore 5. Lì avrebbe salutato Aerith per un po', ma poi sarebbe tornato tutto al suo posto... giusto?

Quando Zack provò a parlare, qualche minuto dopo essere partiti, Sephiroth lo precedette con tono placido. «Non dobbiamo fare rumore o attirare l'attenzione di chiunque ci sia vicino. Parleremo una volta raggiunta la tangenziale.» ricordò a tutti, che si ritrovarono d'accordo con lui. Sapeva davvero, dopotutto, come condurre un gruppo. E pensare che aveva vissuto momenti simili durante la guerra in Wutai...

La strada che stavano percorrendo era sterrata, la polvere si sollevava sotto i loro piedi. Qualche sporadico lampione illuminava la via, ma la vera luce proveniva dalle finestre degli edifici vicini: due case, un piccolo albergo, e forse un bar quasi deserto oltre lo spesso muro che separava quella strada dall'adiacente. Ferraglia e cocci di bottiglia erano ovunque sul terreno, ma nessuno percorreva quella strada da un bel po'. Sarebbe stato difficile individuarli, a meno che...

Rainiel notò all'improvviso una strana ombra sovrapporsi alla sua, che si allungava sul terreno davanti a lei. Era già successo in passato. Non accadde nulla, almeno per il momento: più veloce dei suoi passi, la sagoma scura scomparve con un fruscio. Sollevando il viso trovò solo il buio ad attenderla, neanche un alito di vento, non una particella di polvere di troppo nell'aria. Un brivido la colse, insieme a un pensiero.

Andrea Rhodea li aveva aiutati al massimo delle sue capacità, sfruttando le informazioni in suo possesso. C'era una cosa, però, che non sapeva ancora: il loro nemico poteva volare.

Allungò un braccio in avanti, alla sua destra, provando ad afferrare la manica mancina di Sephiroth, che con quella mano reggeva la Masamune. Aveva già separato le labbra per pronunciare il suo nome, quando una seconda ombra emerse dallo sfondo di tenebre del viale, scavalcando il basso muro sulla destra, e una voce familiare la batté sul tempo.

«Andate già via?» chiese lo sconosciuto, che rimase tale ancora per poco.

Sephiroth inchiodò i piedi al suolo, alzando istintivamente il braccio sinistro per coprire il resto del gruppo. Qualunque cosa o persona si fosse avvicinata a loro, avrebbe dovuto aggirare il raggio d'azione della sua katana. In un vicolo come quello non si sarebbe rivelato facile.

Rain impiegò non più di due secondi ad accostare un nome alla vista di quell'inconfondibile ciuffo biondo e di quei occhi scarlatti, ben più intensi di quelli rossastri di Tifa che, ignara dell'identità dell'uomo, comprese comunque che non era lì per aiutarli e sollevò i pugni.

«Narcisse!» sussultò la SOLDIER dai capelli ramati.

«Rainiel, Rainiel, Rainiel...» Narcisse lasciò oscillare la testa in segno di disappunto, le mani sui fianchi e la postura sicura. «Non ti avevo avvisata? Questo posto non è sicuro per te. Saresti dovuta tornare a casa già da qualche ora... hai idea di quanto mi hai fatto penare? Ti ho dovuta seguire ovunque.»

«Nessuno te lo ha chiesto.» questa volta fu il tono irritato di Sephiroth a imporsi sul suo. Che si rivolgesse un tono del genere a Rainiel non gli andava molto a genio, specialmente se da uno come lui.

Narcisse titubò nell'incontrare il suo sguardo impetuoso. Certo, era anche lui un SOLDIER di prima classe, ma le sue abilità non erano minimamente paragonabili a quelle dello spadaccino che aveva di fronte. Fu solo l'orgoglio a spingerlo a rispondere a tono pur di mantenere una certa dignità.

«Da quanto tempo, Sephiroth. Lieto di sapere che sei borioso e pieno di te come sempre.» storse allora le labbra in replica.

Lui si limitò a guardarlo con sufficienza. "Da quale pulpito", avrebbe voluto rispondergli una parte di lui, ma non era il momento adatto a certe bambinate.

Che tra i due non scorresse buon sangue Rainiel lo sapeva già, lo aveva intuito mesi prima durante un discorso con il Generale, ma quella era la prima volta che i due si incontravano in sua presenza.

«Per quanto mi secchi ammetterlo, sulla piattaforma hanno bisogno anche di te, grande eroe.» Narcisse proseguì con il battibecco, incurante dell'infantilità dei propri insulti, «Quindi lasciate che ve lo chieda direttamente, questa volta: avete intenzione di prendere un treno per il tunnel elicoidale e fare un bel viaggetto comodi sui vostri sedili in prima classe, o dobbiamo trascinarvi fino a Midgar?»

Questa volta fu Zack a rispondere, la mano pronta sull'elsa della poderosa spada Potens. «La seconda, se ti va di provarci.»

Narcisse lo studiò per qualche attimo. Lo conosceva, e Zack aveva creduto che si trattasse di una brava persona, una adatta a risollevare Rain dalle sue sofferenze, ma ora più che mai aveva deluso le sue aspettative.

«Tu sta' al tuo posto, cucciolotto. L'invito è esteso solo a Rainiel e Sephiroth.»

Zack strinse i denti. Stava davvero emulando i termini usati in passato da Angeal per ferirlo? Se ne sarebbe pentito amaramente.

Persino Cloud parve spazientito dalla sua tracotanza. «Se vuoi loro dovrai vedertela con tutti noi.» lo mise allora in guardia.

Ma Narcisse sorrise, vanaglorioso come sempre era stato e aveva cercato di nascondere, almeno in presenza di Rain, benché non fosse mai riuscito a conquistare la sua piena fiducia.

Rain sapeva perché fosse tanto tranquillo. Narcisse era bravo nel combattimento ma non altrettanto attento alle sue parole. Aveva lasciato intendere di non essere lì da solo, confermando i suoi timori. Lentamente, anche lei incrociò le braccia davanti al ventre per afferrare le Aikuchi dalle guaine legate alla cinghia stretta in vita. Scappare non sarebbe stato semplice. Sephiroth era l'unico in grado di volare fra loro, e non li avrebbe mai abbandonati al loro destino. Erano circondati. Avevano le spalle al muro.

Ulteriore conferma fu la lenta apparizione di una mezza dozzina di SOLDIER, alcuni di terza e altri persino di seconda classe, alle spalle di Narcisse. Avevano tutti i volti coperti, ma si muovevano in maniera fin troppo meccanica per essere persone normali.

Il cuore della ragazza vacillò. Erano altre copie di Genesis? O forse qualcuno aveva condotto esperimenti su di loro, riducendoli a macchine da guerra prive di forza di volontà e pensiero razionale, come era già accaduto alle vittime di Hojo in passato? Aveva dovuto porre fine alla vita di così tante persone, a causa del folle scienziato e dei suoi giochetti da laboratorio che avevano loro la vita. Se però altri soldati mutati erano apparsi lì, quella sera, significava che qualcuno stava portando avanti il suo lavoro. Quindi ucciderlo non era servito a nulla?

Si morse le labbra quasi fino a farle sanguinare.

«Chi sono quelle persone?» ringhiò contro Narcisse, sorprendendosi dell'enfasi messa nelle proprie parole. La sua fu rabbia vera, ma anche paura.

Narcisse la guardò senza perdere quel maledetto sogghigno che ora lei desiderava solo strappargli via a suon di pugni.

«Loro? Oh, non ha più importanza ormai. Chi importa davvero qui sei tu, e lo spavaldo ex-Generale che hai affianco. Quindi, hai intenzione di fare la brava e tornare a Midgar sui tuoi piedi?» la provocò ancora.

Negli occhi della ragazza spuntò un luccichio sofferente e al contempo irato, ma pur sempre quieto. Mantenne la calma, ma la sua voce vibrò di odio puro. «Preferisco tornarci in una bara.» sibilò infatti, il veleno che le sgorgava dalle labbra. Persino Sephiroth si sorprese di quella sua reazione.

Narcisse sospirò e si passò una mano fra i capelli biondi. «Come sei cocciuta. Immagino che dovrò convincerti con le cattive, allora...» parlò prima di abbassare il braccio con uno scatto.

Afferrò rapidamente la balestra che portava legata alla cintura, la sollevò e una delle materie incastonate nel manico brillò di luce verde. Il dardo era già stato caricato, così si limitò a rimuovere la sicura. La punta della freccia brillò di elettricità, il Fulgor evocato che si preparava a colpire.

Il suo errore fu credere di essere stato veloce abbastanza da prenderli alla sprovvista. Più rapida della sua freccia fu, tuttavia, il guizzo argenteo della Masamune, lunga abbastanza da raggiungerlo in un singolo movimento ben assestato. La lama leggendaria spezzò a metà il dardo, rendendolo innocuo, e scavò un taglio abbastanza profondo nella mano del SOLDIER, che indietreggiò senza riuscire a contenere un lamento acuto.

Una folata di vento lo fece indietreggiare. Perse l'equilibrio e cadde a terra, sconvolto dal fendente aereo, l'impatto di quell attacco fuori dalla sua portata. Ma ciò che lo terrorizzò di più fu la vista di Sephiroth in piedi davanti a lui, imperioso e freddo, il suo sguardo glaciale che lo inchiodava al suolo. Si era mosso in totale silenzio nella penombra. Narcisse non si era neanche accorto di lui mentre si accingeva a premere il grilletto della balestra che ora riposava a terra a un metro da lui. I SOLDIER mutati alle sue spalle provarono a muoversi, ma persino loro temettero che la Masamune, ora puntata alla gola di Narcisse dall'alto verso il basso, li ferisse o uccidesse sul colpo.

I compagni del Generale, dietro di lui, erano altrettanto sbalorditi. Avevano vissuto la quotidianità in compagnia di un Sephiroth pacato e composto, che raramente aveva messo mano alla spada nel settore 5 se non per allenare Cloud, e anche in quei momenti non aveva dimostrato che una minima frazione delle sue reali capacità. D'altronde, dentro di lui scorreva un sangue diverso, iniettato di Mako e delle cellule aliene di Jenova, che gli conferivano abilità straordinarie. Narcisse aveva appena scoperto a sue spese alcune di esse.

«Vattene, Narcisse.» quasi bisbigliò l'uomo dai capelli d'argento, che ora ricadevano come una morbida cascata ai lati del suo volto affilato. «Non ho voglia di ucciderti, stasera.»

Un avvertimento. Se lo avesse rispettato, Narcisse avrebbe avuto salva la vita. Ma come al solito dimostrò la sua sfacciataggine.

Il grande sorriso che rivolse a lui questa volta fu solo una mimica, un'apparenza mirata a nascondere il terrore che ora gli stava facendo tremare le caviglie.

«Andare via? E perché mai?» si trattenne dal balbettare, «Sta andando tutto secondo i piani.»

Sollevò una mano, come a dare un cenno, e Sephiroth valutò l'idea di mozzargliela così da concretizzare il proprio consiglio. Purtroppo, però, il suo braccio non rispose al comando impartito. Il suo non fu che un tremolio innocuo.

Rain fu scossa da un brivido che le attraversò la schiena e risalì fino alla punta dei capelli. Neanche lei e gli altri riuscirono a muovere un passo, né un dito. E lei conosceva tremendamente bene quella sensazione...

Con la coda dell'occhio, li vide. I congegni scientifici partoriti dalla malsana mente del defunto professor Hojo. Meccanismi volanti, silenziosi e ultrarapidi, tondi come piccole sfere di metallo, che avevano il potere di creare un campo magnetico attorno al corpo dell'individuo colpito, e annullare qualsiasi facoltà di movimento, eccezion fatta per i più basilari, come quelli di occhi e labbra.

Sephiroth emise un verso appena accennato, come un soffocato borbottio. Provò a liberarsi dalla presa della sfera, gli sarebbe bastato distruggerla per riacquisire le sue normali capacità, ma per qualche motivo non ci riuscì.

Narcisse sgusciò via, riafferrando l'arma e rialzandosi dopo aver strisciato tra la polvere per almeno un metro e mezzo di distanza. Si rialzò, ripulendosi i vestiti, e ridacchiò.

«Non fai più lo sbruffone, eh?» quasi si soffocò con le sue stesse parole, gli occhi da spiritato esageratamente spalancati, «Questi gioiellini sono modelli nuovi di zecca. Progettati specificatamente per resistere a te.» Si calmò pian piano, picchiettando il dito sul meccanismo che lo aveva bloccato, «Se tu non riesci a muovere un muscolo, non c'è neanche il rischio che ce la facciano i tuoi amichetti.»

Chiaramente. Alla Shinra avevano raccolto dati, informazioni e DNA a sufficienza a lui appartenenti per più di vent'anni. Il lavoro del padre che aveva rifiutato di conoscere gli marciava contro anche dopo la sua morte. Lo aveva avvisato: lui era condannato a vivere per sempre con una parte di lui in sé, a partire dal sangue che gli scorreva nelle vene e che ora gli pulsava nelle tempie. Non se ne sarebbe mai liberato del tutto, e questo rischiava di farlo impazzire.

Mentre Cloud e Tifa stringevano i denti e mormoravano esclamazioni timorose, Zack gli scoccò un'occhiata fiammante.

«Razza di...» provò a dire.

«Linguaggio, Zack.» lo fermò appena in tempo una voce altezzosa alle sue spalle, che insieme al crepitio del terriccio sotto gli stivali del suo proprietario si faceva sempre più vicina. «Ci sono delle signore qui presenti, no?»

E poi Rain lo vide apparire al suo fianco. Quella giacca rossa, i capelli lunghi fino al mento, la pelle pallida e giovane. Non sembrava cambiato di una virgola, dal loro ultimo spiacevole incontro.

«Genesis...» pronunciò senza fiato. Ecco l'ombra che aveva visto librarsi in volo poco prima. Il loro silente osservatore. Era riuscito a raggirarli per l'intera serata. E ora eccolo lì, aveva ottenuto ciò che desiderava. Ma perché era in compagnia di Narcisse?

Le palpebre di Sephiroth si separarono un po' di più mentre non poteva fare altro che rimanere in quella sua postura composta, le braccia sollevate e intente a reggere la Masamune, ancora rivolta al terreno, immobile.

«Te la sei presa comoda.» lo rimproverò Narcisse.

«Volevo godermi un po' lo spettacolo. Come sta la mano?»

«Va' a quel paese.»

Genesis ignorò bellamente l'insulto e guardò Rain per un attimo, studiando l'angoscia nel suo sguardo, il respiro inquieto che le gonfiava e sgonfiava rapidamente il petto, dopodiché sfilò fino all'inaspettato alleato con cui aveva organizzato quel piano giorno prima, dopo una tediante conversazione nel laboratorio della loro mandante, a Midgar.

Camminò accanto a colui che un tempo era stato il suo migliore amico, il suo idolo. Ridotto a niente più che una statua impotente al suo cospetto, almeno per il momento. Genesis trovò deplorevole il fatto che la scienza fosse davvero riuscita a domare uno come lui. Entrambi avevano ali per volare, ma le sue erano state tarpate, in senso figurativo, proprio in quell'istante.

Si fermò davanti a lui e trattenne un sospiro. «È terribile vederti in questo stato.» gli disse allora.

Sephiroth pensò che si trattasse di un'ennesima provocazione, ma nel cercare il suo sguardo si sorprese di una cosa: non c'era alcun ghigno a sollevargli le labbra, nessuna scintilla astuta nei suoi occhi. Solo uno sconfinato senso di delusione e malinconia.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Ferite aperte ***


Capitolo 33

FERITE APERTE


Un senso di acuta claustrofobia folgorò Rainiel. Provò a muovere i polsi, i piedi, ma non poteva fare altro che stringere i denti e vivere quell'atroce condizione. Le era già capitato in passato, quando Hojo aveva cercato di farla assorbire dall'alieno Yoshua e aveva fallito, per questo ora si sentiva come una volpe in trappola. Stava rivivendo quegli istanti di terrore dopo mesi trascorsi a cercare di dimenticare tutto.

Genesis spostò lo sguardo da lei a Sephiroth un paio di volte, ma non parlò. Tuttavia, nulla lo risparmiò dallo scrollarsi di dosso Narcisse quando provò a poggiargli una mano sulla spalla.

«Scusatemi, temo di non avervi avvisati per tempo.» proseguì il SOLDIER dai capelli biondi con le sue provocazioni, «Non c'è bisogno di presentazioni, se non altro. Vi basta sapere che Genesis, per il momento, lavora per me.»

«Io non lavoro per nessuno.» ribatté l'uomo accanto a lui. Una bugia, in realtà, dato che sapeva benissimo di essere costretto a collaborare con lui e la sua cricca di matti.

Sephiroth ad ogni modo poteva sentire l'amarezza riempirlo, forse ancora più forte del timore. Incontrare Genesis dopo la loro brusca separazione, anni prima, non si era rivelato facile prima e non lo era magicamente diventato adesso. Quello era l'amico con cui era cresciuto per anni tra le mura del palazzo della compagnia per cui lavoravano, e allo stesso tempo era uno sconosciuto, completamente diverso, prosciugato dalla sua reale essenza. Poteva sentire quella mancanza.

«Sei davvero deludente.» gli disse quindi in tono piatto, quasi arreso all'idea che le cose non sarebbero potute andare diversamente. «Credevo odiassi la Shinra, e invece sei tornato a essere il suo cane fedele. Sei diventato esattamente ciò che dicevi di disprezzare.» gli rivolse quelle parole senza cura alcuna, ignorando le conseguenze. Ancora per una volta, si sentì tradito.

Se nell'equazione fosse stato compreso solo Genesis, forse avrebbe potuto cambiarlo, sostenerlo, riportarlo sulla retta via come Rain aveva fatto anche con lui. La Shinra, però, era un problema che sperava rimanesse distaccato dal loro turbolento rapporto d'amicizia, che in quell'istante considerò come andato definitivamente in frantumi. Invece eccoli lì, ancora una volta su fronti opposti, ma invertiti: una volta lui era stato un disertore e Sephiroth il SOLDIER inviato a riportarlo indietro. Adesso accadeva tutto il contrario.

Quelle parole riuscirono nell'intento per cui erano state pronunciate: ferire Genesis nell'orgoglio. Il giovane uomo, comunque poco più grande di Sephiroth in termini di età, si strinse una mano al petto e cercò di difendersi.

«Non farmi la paternale, oh grande eroe di guerra, conquistatore di nazioni!» finse di elogiarlo, quando in realtà non fece che ricordargli ciò che era stato. Dietro di sé quella leggenda si trascinava una scia di sangue di dimensioni impensabili. «Tu sei stato il fiore all'occhiello di SOLDIER dall'attimo in cui hai imparato a tenere in mano una spada. Sei tu il cane che ha sempre scodinzolato al padrone, anche quando lo prendeva a calci. Nonostante quello che ci è stato fatto, quello che sospettavi, sei rimasto leale alla divisione e non hai mai contestato un ordine.» lo accusò ancora e ancora.

Lo ricordava perfettamente, il momento in cui si era rivolto a lui in cerca di aiuto. Morente, debole e fragile, aveva teso una mano in sua direzione... e lui gli aveva voltato le spalle con sdegno.

Lo sguardo di Sephiroth, quando incrociò il suo dopo che Genesis si fu avvicinato, si dimostrò però altrettanto ferito. Bruciava di una desolazione unica e personale, causata da lui solamente. Come se fosse in lutto per la perdita di un amico che ostinatamente aveva creduto di poter salvare.

«È questo che credi?» mosse a stento le labbra il Generale, «Per te ho rifiutato dozzine di ordini. Ho fatto il possibile per cercare di sviare le ricerche, per cercare di salvarti la vita. Ma in questo momento me ne sto pentendo amaramente.» Fece una breve pausa, prima di ridurre gli occhi a lunette luminose, le file di ciglia lunghe e nere che si sfioravano. Fu allora che scoccò il colpo finale. «Tu sei la ragione per la quale Angeal è morto.»

Un sussurro che pesò più della pressione magnetica dei meccanismi che tenevano fermi lui e i suoi compagni. Alle sue spalle, Rainiel e Zack, che erano stati allievi dell'uomo citato, sussultarono per la durezza di quella frase.

Ma quello che ne accusò più di tutti i danni fu proprio Genesis. Se la Masamune lo avesse trafitto al cuore, questo avrebbe sanguinato meno. Barcollò indietro per l'impatto come se lui e Sephiroth si fossero dati battaglia in una dimensione alternativa e astratta.

Angeal. Tra tutti e tre, era sempre stato l'amico più responsabile e giusto. Quando lui e Sephiroth si cacciavano nei guai, era sempre Angeal a correre in loro soccorso. Era stato un uomo buono e leale fino alla fine, legato ai suoi valori e all'onore di cui tanto parlava, tediandoli nei più noiosi pomeriggi assolati trascorsi sui terrazzi dove i tre giovani cercavano di ritagliarsi un angolo di normalità nel tempo libero.

Poi, un giorno diverso dagli altri, Genesis aveva scoperto le loro vere origini e aveva deciso di disertare. Era stato a causa sua che, non molto tempo dopo, Angeal era venuto a conoscenza della verità. Nei registri di SOLDIER risultava come disperso, ma Genesis sapeva bene che si era lasciato morire, incapace di sopportare la realtà dei fatti, quella di essere un mostro. Se non avesse reagito così impulsivamente, se solo ne avesse parlato con tutti e tre nell'istante stesso in cui aveva scoperto tutto... forse Angeal sarebbe stato lì con loro, e non in uno squallido vicolo del Mercato Murato, ma nella bella Midgar, o in missione in qualche angolo recondito del mondo.

Ma lui lo aveva convinto del fatto di essere un mostro, lo aveva spinto quasi fino alla soglia della follia, e avrebbe fatto la stessa cosa con Sephiroth, se ne avesse avuto il tempo. Questo era il motivo per cui Angeal non era lì con loro. Forse lui avrebbe trovato una soluzione per evitare tutto ciò...

Genesis desiderò solo cavarsi gli occhi pur di non vedere quello sguardo inquisitorio su si sé, pur di non provare quel senso di colpa. Sephiroth lo aveva sempre guardato con sufficienza e altezzosità, ma mai con disprezzo, come invece stava facendo in quel momento, e questo disintegrò qualcosa dentro di lui, la fece a pezzi con rabbia.

Narcisse alzò gli occhi al cielo e sbuffò un sospiro annoiato. Colpì la schiena di Genesis con una pacca intesa a risvegliarlo dai suoi pensieri.

«Una riunione molto commovente,» pronunciò infatti, aggrottando le sopracciglia, «ma adesso sbrigati, Genesis. Non abbiamo tutta la notte.»

L'uomo dai capelli rossicci abbassò lo sguardo, incapace di sostenere ancora quello di Sephiroth, che provò di nuovo a muoversi senza successo. Con la mente annebbiata dai morsi del rimpianto, Genesis affondò una mano sotto la giacca rossa e ne estrasse qualcosa. Un ago sottile brillò alla luce dei lampioni. La siringa che gli apparve in mano era piena alla massima capienza di un curioso liquido verde acqua, limpido e luminoso.

Sephiroth lo sfidò con lo sguardo. Qualsiasi cosa ci fosse lì dentro, sapevano entrambi che non avrebbe funzionato su di lui. Non sarebbero mai riusciti, neanche con l'aiuto di un'altra dozzina di persone, a riportarlo a Midgar con la forza.

Ma questo Genesis lo sapeva già. O meglio, lo sapevano coloro che lo avevano inviato a compiere quella missione. Per questo strinse le palpebre e aggirò il vecchio amico, camminando in un'altra direzione alle sue spalle. Verso Rainiel.

Sephiroth sentì i muscoli di tutto il corpo irrigidirsi. I suoi tentativi di liberarsi dal campo magnetico si fecero più tenaci. Aveva promesso a Rainiel che avrebbe difeso lei e gli altri, e cosa stava facendo adesso? Assolutamente nulla.

«Genesis.» disse quindi a denti stretti, cercando di fermarlo. Non lo avrebbe implorato, no. Se fosse riuscito a liberarsi da lì lo avrebbe fermato con le sue stesse mani.

Mentre sul viso di Narcisse si dipingeva un ghigno soddisfatto, Genesis continuò a camminare.

Rain lo vide avanzare verso di lei, l'espressione mesta e quella siringa fra le mani. Qualunque cosa fosse, non voleva averla in corpo. Provò a muovere qualsiasi cosa: una gamba, un dito, ma non fece altro che finire nel panico. I polmoni le bruciavano per la rapidità dei respiri. Stava succedendo di nuovo. Era immobile, impotente, come lo era stata davanti a Hojo quella notte, nel DRUM. Non riuscì neanche a parlare, a stento sentì le voci attorno a lei, dato il palpitio del cuore che si era spostato nelle orecchie.

«Genesis, fermati!» Persino Zack, l'allievo dell'amico perduto, provò a convincerlo a cambiare idea.

Genesis odiava il modo in cui quel ragazzo assomigliasse tanto ad Angeal. Sembrava un suo fratello minore, parlava e si comportava come lui in molti casi. Ignorare le sue parole di come ignorare quelle del suo maestro.

«Mio amico, le sorti son crudeli.» recitò allora, la prima cosa che gli venne in mente, «né più sogni, né onore rimangono.»

Sì accostò a Rainiel, che non poté fare altro che guardarlo. A qualche passo da loro, Sephiroth stava facendo il possibile per liberarsi e intervenire. Non era la prima volta che veniva messo in gabbia, ma non vi era mai rimasto per troppo tempo. Stavolta non poteva essere diverso.

Narcisse notò una scintilla baluginare sulla sfera meccanica che lo teneva fermo. «Non prendertela comoda.» fece quindi pressione al compagno di missione, una gocciolina di sudore che gli bagnava la fronte.

Genesis ricambiò lo sguardo di colei che, per un breve periodo, era stata la sua allieva, ma calò presto le palpebre. «La freccia ha lasciato l'arco della Dea. La mia anima, dalla vendetta corrotta, ha sopportato il tormento per trovare la fine del viaggio...»

Individuò il braccio della ragazza. L'ago perforò senza problemi la pelle morbida e pallida. Rain non riuscì a trattenere un verso di terrore che annullò qualsiasi limite di pazienza di Sephiroth. Il corpo del Generale tremava, tanto disperati erano i suoi sforzi. Doveva riuscire a raggiungerla nel minor tempo possibile.

Il pollice di Genesis pigiò senza sforzi lo stantuffo. Rainiel era pietrificata. Non fu neanche in grado di pregarlo di risparmiarla. Se non altro, i tre amici accanto a lei cercarono di dissuaderlo e protestare, benché risultò tutto inutile.

«... nella mia salvezza, e nel tuo sonno eterno.» Genesis finì di recitare quella parte del quarto atto di Loveless, che sul momento gli sembrava abbastanza adeguata. Cercò conforto in quelle parole che conosceva a memoria, ma ne trovò poco.

Rain sentì la paura attenuarsi pian piano, insieme a tutto il resto. Le luci attorno a lei si sfuocarono, i suoni si fecero più ovattati mentre le sue pupille si espandevano e il suo corpo soccombeva alla sostanza calmante. Ben presto l'unico suono che riuscì a distinguere chiaramente fu quello del proprio respiro affaticato.

Una serie di scintille fecero scricchiolare il congegno meccanico ancora una volta. Sephiroth strinse la presa attorno all'elsa della Masamune. Le sue dita si mossero, così come la lama della spada, che sibilò sul terreno muovendosi lentamente.

«Datti una mossa!» Narcisse esortò ancora una volta il suo alleato.

Genesis toccò qualcosa sul meccanismo che aveva bloccato Rainiel e la ragazza fu immediatamente rilasciata dal suo controllo. Si stupì di quanto deboli fossero le proprie gambe, dato che perse immediatamente l'equilibrio e rischiò di rovinarsi al suolo mentre i suoi amici chiamavano terrorizzati il suo nome.

Circondandola con un braccio, Genesis evitò che cadesse. La risollevò piano e se la caricò in braccio senza incontrare resistenza da parte sua.

«Maledetto...» soffiò Zack, tentando a sua volta di distruggere il campo magnetico. Nel suo caso, però, questo non si smosse di un centimetro.

Ma quello che circondava Sephiroth prese a tremare e lampeggiare per le interferenze. Il congegno emetteva strani suoni digitali.

«Lasciala andare.» ordinò con tono grave e gelido il Generale, che vide Genesis passargli accanto con Rainiel inerme fra le braccia.

Gli occhi chiari di Rain lo incontrarono, ma sembrarono guardare attraverso di lui, incapaci di mantenere la concentrazione. Era in totale stato confusionario.

Genesis lo osservò, questa volta dall'alto in basso, ma non si sentì potente o orgoglioso. Straordinariamente titubò, come se si sentisse dalla parte del torto.

Ma che altra scelta aveva? Se non avesse ubbidito agli ordini della scienziata che l'aveva mandato fin lì lo avrebbero fatto fuori.

Distolse lo sguardo più in fretta che poteva, e lo rivolse a Narcisse.

«Sei soddisfatto, adesso?» strinse le palpebre e si morse la lingua. Cos'era quello che stava provando? Senso di colpa?

«Lo sarò quando questa cavia avrà raggiunto i laboratori della Shinra.» sbadigliò l'altro SOLDIER, che in ogni modo stava cercando di sembrare tranquillo, come se la situazione fosse del tutto sotto controllo. «Vattene, che aspetti?» si tradì poi da solo, rivelando la sua fretta.

Il campo magnetico iniziò a perdere pezzi. La mano di Sephiroth si mosse con estrema lentezza, la Masamune si sollevò dal suolo.

Rainiel sentì i suoi amici, dietro di lui, chiamarla per nome. Cercò di non cedere alla stanchezza e all'impotenza. Allungò le dita verso il terreno, e due piccole radici si strinsero attorno alle caviglie di Genesis, che osservò sbalordito quello che era in grado di fare anche se in quelle condizioni. Purtroppo a Rain restavano poche energie, e non era in condizioni adatte al combattimento, motivo per cui a lui bastò muovere i piedi per spezzare i rami che cercavano di risalire lungo le sue gambe. Borbottò un sommesso "Tsk!" a metà tra la sorpresa per il potere mostrato dalla ragazza e la delusione per il compito che era obbligato a svolgere.

Dietro di lui, come in un oscuro lampo, un'ala sinistra si spiegò perdendo qualche nera piuma. Era dello stesso identico colore di quella di Sephiroth, e fu accolta dagli spettatori con un sussulto, seguito da attimi di silenzio interminabili, con il fiato sospeso. Si mosse agile ma cauta, come a testare l'aria e le poche correnti, e rimase aperta mentre Genesis si sollevava lentamente dal suolo, portando Rainiel con sé.

La ragazza boccheggiò. Dentro di sé la paura era stata attutita dalla sostanza che Genesis le aveva iniettato, ma questo non significava che fosse scomparsa. Era davvero terrorizzata. Si sentì librare in volo ed ebbe le vertigini. Sotto di lei, le sagome confuse dei suoi compagni diventavano via via più lontane.

«Sephiroth...» chiamò quindi con un fil di voce, in cerca di aiuto.

Pezzi di barriera letteralmente schizzarono via mentre le spalle e la schiena dell'ex-Generale si tendevano e irrigidivano. Quel richiamo ebbe su di lui una reazione che lo fece sentire come una belva fuori controllo, in totale condizione di furia.

Stava accadendo proprio quello che più temeva: stavano per portargli via lei. La Dea solamente sapeva cosa le avrebbero fatto, una volta trascinata di nuovo in quel laboratorio da incubo.

La voce di Rain  rimbombò nelle sue orecchie, quello che era un debole bisbiglio fu percepito come un grido disperato. Non poteva lasciare che accadesse senza far nulla.

«Vigliacchi!» urlò ancora Zack.

«Fermatevi!» strillò poi Tifa.

Ma Genesis lanciò un ultimo sguardo sotto di sé, il sapore amaro che gli invadeva la gola. Guardò Sephiroth che stava ancora una volta per superare i suoi limiti e si accorse di quanto, effettivamente, Rainiel significasse per lui. Era a causa di quella ragazza se era cambiato tanto.

Ma era un cambiamento negativo, il suo? Sephiroth aveva trovato una nuova famiglia, stava guarendo lentamente dalle ferite lasciate aperte sin dalla sua infanzia, mentre lui era ancora un prigioniero. La sua condanna non era ancora terminata.

Se avesse esitato ancora, quella notte sarebbe morto. Non poteva ribellarsi a quella folle scienziata, che poteva condurlo a una morte lenta e dolorosa, ma non poteva neanche fare dietro front adesso e liberare Sephiroth con le sue mani. Il vecchio amico l'avrebbe ucciso alla prima occasione disponibile, dato il suo stato attuale.

Non aveva alternative, né piani di fuga. Rafforzò la stretta attorno alle spalle e sotto i polpacci di quella che era stata la sua apprendista, dopodiché si allontanò a gran velocità, verso l'estremità più vicina della piattaforma. Da lì sarebbe risalito in città in breve tempo.

Sephiroth fu attraversato da una scarica di rabbia mai conosciuta prima. Vide la sfumatura rossastra dei capelli di Rain svanire nel buio della notte, lontana dalle fonti di luce, e strinse i denti finché il sapore del sangue non gli solleticò la lingua.

Avrebbe sopportato qualsiasi cosa, ma non il perdere lei. Non avrebbe tollerato in silenzio che le facessero del male.

Narcisse prese a indietreggiare lentamente quando una scintilla più luminosa delle altre fece traballare la sfera metallica.

«Qui abbiamo finito.» si ripulì una spalla da inesistenti granelli di polvere, «Immagino che tu verrai a visitarci sulle tue gambe da solo, a breve, quindi non c'è fretta. Possiamo benissimo...»

Sobbalzò prima di poter finire la frase. Uno scricchiolio, poi un altro, e infine una gigantesca ombra scura che offuscò la visuale davanti a lui, alla destra di Sephiroth. In un turbinio di piume e sangue, l'ala del SOLDIER si rivelò in tutta la sua maestosità e i piccoli cristalli della barriera esplosero in ogni direzione. Nulla importò al giovane uomo del dolore all'ala, usata per sfondare definitivamente il campo magnetico reso già debole in precedenza.

La Masamune sfiorò la gola di Narcisse, che squittì e comprese, ringraziando la Dea, che Sephiroth non era interessato a lui. Non ancora.

L'eroe leggendario si piegò sui polpacci e spiccò un salto disumano nel cielo, dove l'ala nera si spalancò in tutta la sua lunghezza, rivelandosi più robusta di quella di Genesis. Fu un movimento così rapido che l'impatto sollevò la polvere dal terreno e Narcisse finì di nuovo a terra, mentre dietro di lui i SOLDIER mutati traballavano e si agitavano.

Sephiroth aveva un solo obiettivo in mente. Genesis era tremendamente veloce, ma forse esisteva ancora una speranza di seguirlo. Si piegò a mezz'aria e si mosse in avanti, seguendo la traiettoria scelta da colui che lo aveva preceduto.

Zack, Cloud e Tifa rimasero a terra, incapaci di muoversi.

«Dannazione! Tecnologia da quattro soldi!» imprecò Narcisse, battendo un pugno a terra. Doveva aver pensato che il Generale si fosse già allontanato abbastanza, perché puntò un dito dritto contro il trio e sbraitò. «Uccideteli, veloci! Dobbiamo assicurarci che Sephiroth non raggiunga Genesis!»

I versi preoccupati dei tre s'intensificarono quando tutta la piccola armata di SOLDIER imbracciò saldamente i fucili e prese la mira. Le armi erano già cariche.

Sephiroth rallentò il suo volo, fermandosi nel cielo buio con l'ala corvina che oscillava impaziente, la mente in subbuglio.

Vai. Devi trovare Rain. Tutto il resto non ha importanza.

Questo gli stava suggerendo, gridando, il suo cuore in quel momento.

Lui, però, sapeva anche essere un uomo razionale, e Rainiel gli aveva insegnato molte cose, che non poteva ignorare.

Se vado adesso, loro moriranno.

Ecco la mente che con prontezza diceva la sua, straziandolo. Scegliere una fra le due strade fu probabilmente la decisione più difficile della sua vita, e non poté ignorarla.

Ricordò il sussurro di Rain che lo chiamava cercando il suo aiuto, e lo sentì sovrapporsi ai rumori metallici dei fucili pronti a sparare.

La lotta dentro di lui si consumò in istanti fatali. Dopodiché, Sephiroth tornò a terra nel luogo da cui era partito. 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** A qualsiasi costo ***


Capitolo 34

A QUALSIASI COSTO


 

Il suono di un'arma che faceva fuoco, il fruscio di un'ala corvina, i lamenti di tre giovani innocenti. Poi il sinistro luccichio dell'acciaio. Infine più nulla.

Cloud strinse gli occhi mentre attendeva il suo inevitabile destino, lì in un vicolo divorato dalla penombra, lontano dalla casa in cui era nato e cresciuto. Esattamente come Tifa e Zack, non poté fare altro che ragionare rapidamente sul senso della propria esistenza, ora che questa stava per dissolversi in un polverone di luci verdastre, prima che le loro anime si ricongiungessero al lifestream.

Per quanto gli ultimi tempi della sua vita fossero stati difficili, sapeva di essere stato felice. Aveva trovato una nuova famiglia. Ma ora che i soldati della Shinra avevano sparato, in prossimità di quella terribile morte, Cloud avrebbe solo voluto allungare un braccio in direzione di Tifa e intrecciare le dita alle sue. Fu un istinto innato, ma non poté soddisfarlo, perché ogni muscolo del suo corpo era bloccato. In quegli attimi, provò solo un profondo terrore.

Dopodiché lo sentì: lo stridere di piombo e acciaio. Sotto le palpebre, scorse lo scintillio di quella spada che aleggiava, maestosa ed elegante, a un palmo dal suo viso. I colpi del fucile non avevano neanche avuto la possibilità di sfiorarlo. Le armi dei soldati erano ridotte a rottami spaccati a metà, affettati come morbido burro.

Sephiroth era un essere più veloce di qualsiasi arma al mondo. Era lui stesso l'arma più pericolosa che fosse mai stata creata. I suoi riflessi avevano un che di divino, il suo corpo era agile e scattante come un lampo. Inarrestabile.

Fu questo il motivo per cui Narcisse sbiancò, il ghigno beffardo di vittoria che moriva per lasciar spazio a un'esangue smorfia di puro terrore, quando vide il super SOLDIER deviare i colpi dei suoi soldati con l'esile corpo della Masamune, sua fedele compagna.

Ma ancora più di quell'argentea servitrice, ciò che davvero lo scosse al punto da fargli provare le vertigini, furono i due occhi che lo individuarono e concentrarono su di lui tutta la loro ira. Non esisteva tenebra abbastanza forte da smorzarne la luce. Pupille ferine circondate da pozze d'acqua verde, in cui ribolliva il gelido e allo stesso tempo incandescente rancore più letale che Narcisse avesse mai visto nei suoi anni di servizio come SOLDIER di prima classe.

Sephiroth lo aveva risparmiato poco prima, e quello era stato il suo errore, il motivo per cui Narcisse era riuscito nel suo intento: strappargli la persona che più contava per lui al mondo. Era l'unico modo per convincerlo a tornare a Midgar. Quel che non aveva tenuto in conto, però, era la rabbia che ora rischiava di abbattersi su di lui.

Se prima il corpo della leggenda vivente quasi aveva tremato per la frenesia suscitata dal desiderio di salvare la sua compagna, ora il super SOLDIER era in monumento di compostezza. Petto e spalle si sollevavano lenti e leggeri a ogni respiro.

Dopodiché iniziò a muoversi verso di lui.

Narcisse lanciò un piccolo urlo che non poté contenere. Indietreggiò senza voltarsi e incespicò suo suoi stessi piedi, finendo di nuovo a terra. Sembrava quasi che il suo posto fosse fra la polvere. Arrancò cercando la sua balestra, caricandovi un dardo con non poca fatica. In momenti come quello si pentiva di aver scelto come propria un'arma così lenta da ricaricare. Per ogni manciata di centimetri che spolverava strisciando su talloni e fondoschiena, il suo nemico muoveva due passi avanti. Infine lo raggiunse.

Narcisse scoprì con amarezza che i soldati dietro di lui avevano ritrovato abbastanza forza di volontà da togliersi di mezzo. Alcuni erano scappati, gli altri erano comunque così lontani da risultare irraggiungibili.

In preda al panico, scosse una mano davanti al viso.

«S- Sephiroth, aspetta... Possiamo parlarn-» balbettò prima che quel familiare luccichio lo accecasse.

La Masamune scattò come una molla. Avrebbe potuto trafiggergli il cuore, ma qualcosa in lui lo spinse a essere magnanimo. L'infallibile lama lo inchiodò a terra, la sua giacca perforata da parte a parte in prossimità di un fianco.

Sephiroth torreggiava su di lui, imperioso. Un angelo della morte pronto a strapparlo dal caldo abbraccio della vita al minimo sbaglio.

«Cosa avete intenzione di farne di Rainiel?» domandò laconico il semidio in penombra, «Chi ha orchestrato tutto questo?»

Non ci fu bisogno di aggiungere alcun "Rispondi, se tieni alla tua vita" o "scegli bene le tue parole", entrambe le cose erano sottintese e inutili da specificare.

Narcisse squittì come il topo in trappola che era. «Jadin!» La sua voce era mozzata, disidratata, «La scienziata Jadin, l'apprendista di Hojo! Ho ricevuto da lei i miei ordini, ma non ho idea di quali siano i suoi piani di preciso! So solo che è interessata al potenziale tuo e di Rainiel e vuole tenervi a portata di mano così da condurre eventuali esperimenti. Non so altro, davvero!»

Ci fu un sussulto alle spalle dell'ex-Generale.  Jadin era un nome che Zack e Cloud conoscevano molto bene: era stata una loro cara amica per anni. Credere che fosse lei a tirare i fili di quell'operazione gli risultò difficile da credere.

Sephiroth, al contrario, aveva imparato nel tempo a non fidarsi degli scienziati: quello che lo aveva cresciuto lo aveva improvvisamente abbandonato, quello che gli aveva dato la vita aveva trasformato lui, i suoi vecchi amici e Rainiel in meri esperimenti da laboratorio. Jadin, quasi un anno prima, era stata ben lieta di indicargli la strada che lo avrebbe condotto agli archivi scientifici, lì dove lui una settimana più tardi avrebbe scatenato un incendio. Dunque portarlo a leggere tutte le informazioni sulla sua reale ragione d'esistenza era stata un'azione pianificata? Non era affatto sorpreso. E non aveva tempo per esserlo.

Strinse le palpebre e dentro di lui sentì il mostro agitarsi e lottare per uscire. Narcisse aveva messo a dura prova la sua calma, ma fargli del male andava contro la promessa fatta a Rainiel. Ucciderlo senza motivo non sarebbe servito a nulla.

Strinse le dita attorno all'elsa della Masamune, ancorata a terra, e Narcisse sobbalzò, il labbro inferiore che tremava come quello di un poppante. Una scena pietosa.

Non aveva senso chiedergli dove Genesis avrebbe portato Rain, e ogni secondo era tempo prezioso che veniva sprecato, per cui non attese oltre. Doveva liberare i suoi amici e tornare da Rainiel, anche se ora inseguire l'amico alato si sarebbe rivelato impossibile. 

Estrasse l'arma dal suolo, mentre il nemico si copriva il viso e singhiozzava senza versare lacrime.

«Sparisci prima che io cambi idea.» lo avvisò, atono. Non aggiunse altro. Gli voltò le spalle e individuò i meccanismi che tenevano bloccati i suoi compagni.

Fece appena in tempo a sollevare la Masamune, lacerando il metallo del congegno che imprigionava Zack nel suo campo magnetico, perché dietro di lui Narcisse si mosse e commise l'errore più stupido della sua vita.

Forse per tamponare la ferita accusata dal suo orgoglio, forse per pura e semplice follia o paura, Narcisse non scappò. Al contrario, cercò la balestra e puntò dritto davanti a sé.

«Maledetto spavaldo... chi ti credi di essere...?!» sibilò infatti, così piano che risultò difficile udirlo. Tutti i suoi commilitoni lo avevano abbandonato, ma se anche fossero stati lì non avrebbero cercato di fermarlo o proteggerlo dalle conseguenze di quello che stava per fare.

Zack strabuzzò gli occhi e spalancò le labbra. «Sephiroth!» lo avvisò, ma non servì.

La balestra mirava alle spalle del Generale. Una mossa meschina. Così tanto da far finalmente terminare la battaglia interiore che tormentava il super SOLDIER.

Il nostro si dimenò, graffiò, lacerò. Infine prevalse sulla ragione che con fatica cercava di emergere in tutta quella cieca rabbia.

Il colpo che Sephiroth sferrò non fu per vendicare sé stesso dall'affronto di un attacco alle spalle, ma per punirlo per ciò che aveva fatto a Rainiel. L'aveva tradita, aggirata e ora a causa sua era stata persino rapita. Quel colpo fu personale, sentito e tanto liberatorio da risultare inebriante nella sua malvagia intenzione.

In ogni caso, fu talmente veloce da precedere sia lo scocco del dardo, sia il movimento delle labbra di Zack. Abbastanza da tagliare l'aria fredda di quella notte e raggiungere la gola del nemico. Silenziosamente, mise fine a tutto.

Il corpo di Narcisse si accasciò sul terreno dove aveva strisciato, la balestra ancora stretta fra le dita. Sephiroth sentì una goccia calda macchiargli il viso, ma non provò pena per lui. Se ne sarebbe pentito dopo. In quel momento, la rabbia gli serviva. Comunque, gli aveva dato una possibilità e lo aveva avvisato.

Zack boccheggiò. Era già stato scioccato dall'agguato teso, poi dalla rivelazione circa la sua amica Jadin. Veder Narcisse morire in quel modo davanti ai suoi occhi fu il culmine di quel vortice di orrori, come lo fu per Cloud e Tifa, che assistettero senza neanche la possibilità di coprirsi gli occhi o di voltarsi dall'altro lato. Quando anche loro furono liberati, questa volta da un'arma la cui argentea lama aveva bevuto il sangue di un nemico, si mantennero a qualche passo di distanza dal compagno dai lunghi capelli del colore della luna.

Sephiroth guardò verso di loro, forse per controllare che stessero bene, ma i suoi occhi erano focalizzati su qualcosa di lontano, irriconoscibili. Era fuori di sé, il viso sporco di sangue non suo che lo rendeva ancora più spaventoso di quanto già non fosse.

Poi, a farli tremare furono le sue parole. Quiete, ma affilate. Cariche di un'ora gelida e letale.

«Che vogliate seguirmi o meno,» li avvisò camminando tra loro come un superuomo tra gli attoniti osservatori, «io andrò a Midgar. E riporterò indietro Rainiel, a qualsiasi costo.»

Li oltrepassò con quell'avvertimento, e i suoi seguaci furono convinti di una cosa: per nessuna ragione al mondo si sarebbe fermato.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Vittime e peccatori ***


Capitolo 35
VITTIME E PECCATORI
 
Quella notte, per Rainiel, Midgar aveva il doppio degli edifici e dei settori, le sue luci erano sfuocate e accecanti, i suoi suoni sibilanti per quanto lontani.
Nel sangue della ragazza scorreva qualcosa che, in quei duri minuti, lottò come un folle contro il siero che le era stato iniettato. Un calmante, una droga, un sonnifero? Non aveva idea di cosa le corresse in corpo, ma quel che di Yoshua era in lei era più forte, tanto che iniziò pian piano a riprendersi.
Non l'avesse mai fatto, il senso di vertigine peggiore della sua vita s'impossessò di lei non appena si vide fluttuare sulla grande piattaforma, a metri e metri dal suolo. Con la vista ancora opaca e le orecchie che le fischiavano, si aggrappò a ciò che più trovò vicino: una giacca scarlatta dal lungo colletto.
«Non muoverti troppo o potrei valutare l'idea di lasciarti cadere.» schioccò la lingua Genesis, che la reggeva fra le braccia da chissà quanto tempo. Ma il suo non era un abbraccio protettivo, quello che ci si sarebbe aspettato da un mentore o un amico, era semplicemente costretto a trascinarla fino alla meta che gli era stata imposta.
Rain avrebbe rimesso la cena, se non fosse stata cosciente del fatto che a quel punto lui l'avrebbe davvero fatta piombare a tutta velocità sull'autostrada del quinto settore sotto di loro. Allentò la presa sforzandosi di non iniziare a scalciare o dimenarsi. Fare perdere l'equilibrio al suo rapitore sarebbe stato un suicidio. Allo stesso tempo, però, non aveva intenzione di starsene buona mentre veniva portata in quelle condizioni chissà dove.
Strinse le labbra, come se fossero aride. Sentì la gola secca. «Dove... dove stiamo andando?» chiese, forse un po' ingenuamente.
«Alla Torre Shinra, ovviamente. Credevi che ti avrei portata a vedere una messa in scena di Loveless?»
Il sarcasmo di Genesis non fu apprezzato, specialmente in quel momento. Rainiel stava pian piano ritrovando le proprie facoltà e sapeva che, se aveva intenzione di ribellarsi, doveva farlo al più presto.
Dondolò la testa, estremamente pesante. «Fammi scendere. Io... non posso tornare lì.»
«Non è un ritorno piacevole neanche per me, credimi.»
«Allora fermati.» replicò, la voce che quasi veniva sovrastata dal rumore del battito agile dell'ala del SOLDIER, «Devo tornare dagli altri. Narcisse ha...»
«Gli altri, gli altri...» Genesis emise un verso disgustato, ma qualcosa in lui si smosse. Quella ragazza era così dannatamente generosa che un po' gli ricordava Angeal. E quella non era la nottata ideale per piangere la scomparsa di un amico deluso. «Perché non inizi a preoccuparti un po' per te stessa? Non ti aspetta nulla di buono alla Shinra.»
«Lo so. Per favore.» Rainiel strinse gli occhi e batté le palpebre, respirando piano. «Genesis, devi fermarti. Perché lo stai facendo?» Provò a tirare la sua giacca, ma il suo gesto fu tremendamente debole, ogni movimento lento e invano. «Qualsiasi sia il motivo, noi... noi possiamo aiutarti. Possiamo sistemare le cose. Sephiroth...»
A Genesis importava poco del fine di quella frase. Bastò sentire quel nome, quel maledetto nome che prima o poi lo avrebbe fatto impazzire. Lo tormentava notte e giorno.
Si udì il lamento strozzato di Rain mentre il giovane uomo si lanciava in picchiata a caduta libera. La ragazza sentì di precipitare nel vuoto e suo malgrado saldò la presa su di lui, sentendosi inerme.
Planarono sul tetto di un grattacielo del settore che stavano sorvolando fino a poco prima. Era un edificio insulso in confronto alla Torre Shinra, ma non per questo poteva essere considerato mediocre. Contava almeno una trentina di piani e, molti metri più in basso, le luci dei semafori e dei lampioni illuminavano la città eternamente sveglia, con le automobili che sfrecciavano tra le strade persino a quell'ora.
Non fu un atterraggio piacevole. Rain sentì la corsa arrestarsi all'improvviso e sussultò. Prima ancora che potesse riprendersi dallo spavento, Genesis la lasciò cadere sul terrazzo dell'edificio, ancora in preda a freddi spasmi causati dalla sostanza che cercava di annullare le sue difese.
Cadde su un fianco e strinse occhi e denti trattenendo un verso di dolore. Ogni osso sembrava bruciare e rompersi ancora e ancora, in pezzi sempre più piccoli. Rotolò e si sforzò comunque fino a reggersi su ginocchia e palmi delle mani, tirandosi su con estrema difficoltà.
Genesis avanzò severo verso di lei. «Non smetterai mai di fare affidamento su di lui, huh?» sibilò infastidito, raggiungendola.
Rain temette la sua reazione e perse l'equilibrio, cadendo nella direzione opposta, sulla schiena, e trascinandosi via.
«Credi anche tu che sia un eroe, non è vero? Sephiroth è giusto, perfetto e cordiale. Ma non hai idea di cosa sia capace di fare. Di quello che ha fatto molte volte, in passato.»
La ragazza tossì, senza fiato, ma osò sollevare lo sguardo. Vide la figura del nemico sdoppiarsi e poi ritornare a fondersi in una solamente. Il cielo stellato dai colori smorzati, su di loro, ruotava attorno a lei in un giro crudele.
«Io lo conosco meglio di quanto tu creda.» lo sfidò dunque, sfruttando il ritrovato coraggio per difendere il suo compagno. Non avrebbe mai lasciato che si parlasse così di lui.
Genesis la guardò risollevarsi, una scena che considerò patetica dato che tentò e fallì più volte, cadendo a terra come un bambino che cerca di imparare a camminare, prima di riuscirci finalmente. Anche a quel punto, comunque, le sue gambe erano scosse dai tremori.
«Allora saprai già quello che mi ha fatto.» L'uomo dai capelli rossicci si sentiva fuori di sé, sconfitto dalla propria rabbia che prendeva il sopravvento sul buon senso, «Mi abbandonò quando più avevo bisogno di lui. Si rifiutò di salvarmi la vita, benché non gli costasse nulla provare.»
Rainiel, allora, si strinse le braccia attorno ai fianchi per contenere le fitte di dolore e provò a guardarlo. Il suo sguardo si perse qui e là mentre cercava di mettere a fuoco il suo viso. «Era sconvolto. Ti aveva finalmente ritrovato dopo quel che era successo. Avevate perso Angeal da così poco. Tu gli chiedesti di disertare a sua volta.» dimostrò di conoscere la storia dietro quel cupo dissidio. Genesis la guardò ergersi, indifesa quanto tenace, contro la miriade di edifici illuminati della città e lo stesso cielo, tinto di una sfumatura imprecisa tra il nero e il verdastro. «Tu lo hai tradito, Genesis.»
Il citato non prese bene quelle parole, spaventandola con un'improvvisa mossa in avanti, che la spinse per paura più vicina al cornicione del palazzo.
«Io ho tradito la Shinra!» soffiò come una vipera, la grazia del suo carattere persa nell'impeto dello sfogo. Puntò un dito verso il basso, indicando il terreno maledetto su cui camminava, «Ho voltato le spalle a quei macellai che mi hanno reso un mostro, che hanno giocato a fare gli dèi rovinando la mia vita quando ero solo un bambino.» si giustificò.
«Lo stesso accadde a lui.» rispose ancora Rainiel, «E ad Angeal, e a me. Tu hai scelto la violenza e non sei più tornato indietro.»
«Era l'unica cosa che potevo fare, l'unica cosa giusta!»
«Lui era il tuo migliore amico,» Rainiel boccheggiò per un attimo, prima di trovare fiato a sufficienza, «e tu te ne andasti senza dire una parola.»
Genesis drizzò la schiena e barcollò sul posto, incapace di replicare.
Rainiel notò il suo cambiamento e si resse alla bassa ringhiera contro cui aveva battuto la schiena poco prima. Sotto di lei, le strade e le auto e l'aria fredda della notte.
«Sapevi che anche lui era stato vittima degli stessi esperimenti. Avrebbe potuto aiutarti, avreste potuto affrontare insieme quella realtà. Ma tu te ne andasti.»
«Basta...» mormorò Genesis, scuotendo piano la testa, «Ora smettila.»
«Lui soffrì oltre ogni immaginazione per la tua scomparsa e per quella di Angeal. Non fu più lo stesso di prima. Lui teneva moltissimo a te.»
«Fa' silenzio!» Genesis si scagliò contro di lei, trovando una resistenza smorzata dall'effetto del siero. L'afferrò per il colletto della maglia e la sollevò come se fosse una delle piume che ora ricadevano dalla sua ala affilata, che si muoveva sinuosa dietro di lui. La spinse oltre il cornicione, portandola a oscillare in pericolo di vita, il vento che le smuoveva i capelli ramati e frusciava mellifluo. «Un'altra parola sbagliata,» l'avvisò allora Genesis, che non riusciva più a riconoscersi, divorato dal senso di colpa che in tutti i modi stava cercando di ricacciare là da dove era venuto, «e ti getterò dal palazzo. Non m'importa cosa accadrà.»
Rain vide di nuovo il mondo capovolgersi, sentì il proprio peso annullarsi. Il cuore le balzò in gola. Anche allora, però, non perse le speranze. Ribellarsi fisicamente non sarebbe servito a nulla; al contrario, forse, poteva fare qualcosa per sistemare la situazione, e per aiutare anche chi le stava facendo del male.
Trattenne i brividi, stringendo le dita attorno al polso della mano che la teneva sospesa nel cielo. «Stanotte non siamo venuti a cercarti per ucciderti.» tartagliò quindi, le parole spezzate dalla pressione alla gola e dalla scomoda posizione, «Ho parlato con Sephiroth. Ha detto... di essere disposto ad aiutarti. Lui voleva solo aiutarti.» ripeté, il tono disperato ma deciso.
Gli occhi chiari di Genesis si spalancarono. Affogò un grido nervoso nella sua mente in subbuglio. Rimase in apnea per qualche attimo.
Perché? Era l'unica cosa che riusciva a domandarsi. Perché diamine Sephiroth stava cercando ancora di redimerlo, dopo tutto quello che aveva fatto? Le loro lame si erano già incrociate negli ultimi tempi, ma tutto quello che Sephiroth aveva fatto era stato avvertirlo, minacciarlo, risparmiarlo. Lui aveva ferito la donna a cui si era legato, probabilmente colei a cui lui più teneva al mondo, ma il suo vecchio amico continuava a nutrire delle speranze per lui. Non gli aveva mai fatto nulla di male, non aveva mai cercato di ucciderlo.
Era snervante il modo in cui questo suo buonismo lo faceva sentire. Perché non poteva semplicemente odiarlo? Sarebbe stato tutto più semplice. Avrebbe completato la missione senza rimorsi, e invece ora doveva lottare con quel che rimaneva della propria buona coscienza.
Erano cresciuti assieme in quell'ambiente ostile. Erano diventati fratelli, compagni di vita, eguali, nonostante uno dei due fosse più forte e lodato dell'altro. Avevano affrontato insieme una guerra e la morte del loro migliore amico. Come erano arrivati a questo punto?
Genesis strinse i denti fino a farsi sanguinare le labbra. Non trovò conforto nella poesia, questa volta, né nel pensiero della Dea. Strattonò di nuovo Rainiel e, per quanto bruscamente, la tirò via dal cornicione, risparmiandole la vita e facendola ripiombare sul terrazzo con un tonfo e un lamento.
«È tardi ormai per aiutarmi. Per salvarmi.» Si stupì del fatto che la propria voce tremasse, come se la tristezza o la paura avessero avuto la meglio. E in realtà era proprio così. Aveva una maledetta paura di morire. «Sephiroth avrebbe dovuto pensarci prima.» Per quanto cercasse di convincere se stesso, non ci riuscì.
Rainiel non si lasciò sfuggire, nonostante la stanchezza e la confusione, quella nota stonata nel suo tono. «No...» tossì, «Non è tardi.»
Genesis si sentì perforare dai suoi grandi occhi blu. I segni della mako in lei erano quasi nulli. Sembrava una ragazza normalissima: non aveva ali angeliche oppure occhi ferini, eppure non era umana. In quel momento però non sembrava altro che una vittima innocente, una giovane donna che annegava nella sofferenza e al contempo cercava di venire a capo dei problemi attorno a lei.
«Perché stai facendo tutto questo?» gli chiese in un bisbiglio che si confuse con la brezza notturna e con le sue allucinanti sfumature verdi e azzurre. «Puoi fermarti, se lo vuoi.»
«Credi che dipenda tutto da me, non è vero?» Genesis non lo sapeva, ma i suoi occhi luccicavano. Il dolore era immenso, ma la paura lo era di più. L'idea di degradarsi come gli era accaduto un tempo, di riprovare quella sensazione, lo schiacciava. Tra l'altro, Jadin di sicuro aveva volutamente dimenticato di resettare il timer giornaliero, perché da qualche ora poteva sentire le proprie cellule bruciare, ogni parte di lui formicolare e spegnersi con lancinante lentezza. «Se mi fermo adesso, mi uccideranno!» L'ala alla sua sinistra fu scossa da un brivido e sbatté nel vuoto, come a dare enfasi alle sue parole.
La speranza negli occhi di Rainiel, a quel punto, scemò fino all'ultima scintilla. I muscoli delle braccia, che la reggevano per miracolo, si ammorbidirono mentre le sue sopracciglia si rilassavano.
«Ti hanno obbligato.» mormorò. Non era una domanda, ma Genesis le rispose comunque.
«Certo che sì.» confessò, muovendo un braccio e voltandole le spalle. A stento sopportava quel suo faccino triste. Non voleva la sua pietà. Non era ancora così miserabile. «Non ho ancora intenzione di morire.» le assicurò allora, prima che si mettesse strane idee in testa. Sacrificarsi per lei? Non avrebbe avuto senso. Qualcosa gli suggerì che non avrebbe dovuto farlo neanche per il suo migliore amico.
Eppure Rain non si sognò nemmeno di chiedergli una cosa del genere. Quello che domandò fu un favore, certo, ma contenne della comprensione e, soprattutto, una triste resa.
«Se adesso mi porti alla Shinra,» sussurrò a stento, guardando la sua ala, più magra e fragile di quella che lei ben ricordava, «io non ti odierò. Saprò che l'hai fatto perché sei stato costretto. Ma t'imploro...» il suo tono si smorzò, piegandosi per la disperazione. Tutte quelle parole venivano dal cuore ed erano sincere, «... non lasciare che prendano anche lui. Proverai a impedirlo?»
Genesis era incredulo. Non si capacitava del fatto che quella ragazza fosse così testarda e ingenua da scambiare la sua vita per quella di un'altra persona.
«Non farmi una richiesta del genere.» sibilò, nervoso, «Sephiroth non farebbe una cosa simile per te.»
«Sì, invece.» Rain cercò di tenere gli occhi aperti per guardarlo, «Per questo voglio che tu lo impedisca.»
Il SOLDIER davanti a lei strinse i denti finché non sentì dolore alle gengive. La afferrò per un braccio dopo aver scosso la testa. «Non posso fermarlo. Te l'ho già detto, sono un ostaggio. E non morirò per lui.»
Rainiel non fu in grado di resistere alla sua presa. Genesis si avvicinò di nuovo al cornicione e la sollevò tra le proprie braccia, saltando e battendo con forza l'unica ala. Riprese il volo, mentre Rain boccheggiava trattenendo i singhiozzi.
Il giovane uomo rifletté su quello che la ragazza doveva provare per colui che un tempo era il suo migliore amico. Davvero il loro legame era così forte? Dunque, magari, c'era davvero ancora qualcosa in buono in Sephiroth. E, se aveva deciso di dargli un'occasione di redimersi, a quanto pareva anche in se stesso. Due vittime, non erano altro che questo, e lo era anche Rain. Genesis non poteva fare altro che rispettare gli ordini ma, mentre volava in direzione della grande Torre Shinra, si rese conto di provare qualcosa di tremendo. Un senso di colpa opprimente, non solo nei confronti della ragazza, ma anche del suo amico.
Sarebbe riuscito a rimediare a un peccato così grave? Solo la Dea poteva saperlo.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Ricordi ***


Capitolo 36
RICORDI

Non erano ancora sorte le prime luci dell'alba, quando Genesis atterrò in uno degli eliporti della torre con l'ostaggio tra le sue braccia. Tutto taceva, eccezion fatta per il comune sottofondo cittadino, un brusio indistinto di clacson, strade ed elicotteri sulle loro teste.
Provò a mettere giù Rainiel, stanco di trascinarla in giro come un sacco di carbone, ma la ragazza non riusciva nemmeno a reggersi sulle gambe. Debole e stanca, dopo essere stata avvelenata, colpita duramente e persino drogata, stava già compiendo un enorme sforzo tenendo gli occhi aperti e la mente attiva per evitare di perdere i sensi.
Per cui non la lasciò andare. Doveva raggiungere gli uffici di Jadin, non molto lontani dal luogo in cui, un anno prima, il fuoco aveva divorato gli archivi e le informazioni riservate che essi custodivano. Tutto ciò mentre Genesis dormiva profondamente in una capsula di contenimento.
Era cambiato così tanto dalla volta in cui aveva chiuso gli occhi per riaprirli in quel buio laboratorio, mesi dopo. Non era trascorsa che qualche settimana da allora, ma Genesis sperava già di poter tornare a riposare il prima possibile.
La strada che Jadin e gli altri avevano preparato per lui era deserta, per cui non temeva di essere sorpreso. Non poteva lasciare, dopotutto, che un membro di SOLDIER o altri dipendenti della Shinra lo vedessero aggirarsi per i corridoi del palazzo, non dopo essere stato dichiarato morto in missione.
Un ascensore privato lo portò nel corridoio degli uffici. Quello di Jadin era stato spostato e non era più una semplice segreteria, ma una vera e propria anticamera che conduceva al piccolo paradiso privato della scienziata. Un paradiso per lei, non certo per i soggetti dei suoi test.
Genesis odiava quella flebile luce verdastra, quel colore freddo e malato che si mischiava con la cupa penombra, e odiava l'odore sterile e pulito dei laboratori. A volte lo sognava la notte, per poi svegliarsi di colpo, le cellule del suo corpo in fiamme. Sarebbe arrivato al punto da implorare Jadin di tenerlo in vita? Forse sì, anche se a rifletterci a mente lucida si disse che avrebbe preferito togliersi la vita che darle quella soddisfazione.
Soddisfatta era proprio la parola adatta a Jadin, al suo ghigno compiaciuto, alla posa comoda del suo corpo e delle sue braccia strette davanti al busto. La vide lì, sulla soglia d'ingresso non appena attraversarono insieme la porta per ritrovarsi in una stanza dalle pareti bianche, costellata da macchinari, spenti o attivi, di ogni tipo.
«Sei in ritardo.» pronunciò la voce graziosa e femminile della ragazza vestita di un camice bianco, i lunghi capelli neri raccolti in una crocchia dietro la testa, gli occhiali da vista ben sistemati sulla punta del naso da bambina.
Genesis le rispose con un'occhiataccia. Come poteva quella donna sembrare così tenera e innocente e al tempo stesso essere tanto crudele e pragmatica? Era abituato ai modi di fare degli scienziati, per così dire, ma adesso gli sembrò di avere davanti una versione differente di Hojo.
Rainiel sussultò nell'udire quella voce, che apparteneva a chi credeva essere sua amica. Lei e Jadin lo erano state per anni, praticamente da quando entrambe erano arrivate a Midgar, una da Darefall e l'altra da Wutai. Avevano riso, scherzato, trascorso intere giornate assieme. Jadin era importante per lei, e conosceva quasi tutto di Rain. Il che, a ripensarci in quel momento, non era un fattore a vantaggio della povera ragazza trascinata fin lì.
«Jad?» pronunciò quel nomignolo che le affibbiava ogni tanto, «Cosa... ci fai qui?»
La ragazza dai capelli neri mosse qualche passo verso di lei, mentre Genesis la metteva giù. Rain rimase a terra, a stento in ginocchio. Jadin le accarezzò i capelli mentre le sorrideva in modo quasi convincente.
«Ti aspettavo, no?» sospirò. «Non sei contenta di essere tornata a casa, Rain? È questo il tuo posto, dovresti saperlo. Non sei fatta per stare lontana dal tuo luogo d'origine. Darefall, i bassifondi... non apparterrai mai a nessuno di loro. Tu sei di proprietà della Shinra.» le disse, contenta di poterla guardare dall'alto in basso mentre i suoi occhi confusi e attoniti ricambiavano quel contatto visivo.
Era la sua parte preferita, quella. Il momento in cui i suoi soggetti comprendevano la realtà dei fatti. Vedere Rainiel mettere insieme, progressivamente, i pezzi del puzzle fu un piacere unico, per giunta. Aveva fantasticato su quel momento per anni, da quando Hojo l'aveva accolta nel proprio laboratorio come apprendista benché fosse ancora una ragazzina, e le aveva affidato il compito di sorvegliare Rain, quella giovane SOLDIER che era appena stata assegnata alla terza classe su richiesta dello stesso Sephiroth.
Ora, le iridi deboli di Rainiel mostrarono la ferita del tradimento, l'incredulità. Anni e anni di menzogne... venute a galla in un unico istante.
«Meglio ancora, tu appartieni alla scienza.» Jadin si divertì a girare il coltello nella piaga, «Non sei altro che un esperimento.»
Finì di carezzarle i capelli e vi affondò le dita sottili, tirandole indietro la testa senza più alcuna delicatezza. Controllò le sue pupille e il pallore del viso. Il siero aveva fatto il suo effetto, ma non sarebbe durato per sempre. La lasciò andare.
«Dov'è Sephiroth?» chiese all'improvviso, rivolgendosi di nuovo a Genesis mentre Rain abbassava lo sguardo, incapace di replicare o di lamentarsi.
Il giovane uomo stava osservando la ragazza ai suoi piedi, cercando di ignorare la sensazione nata in lui. Sapeva cosa significasse sentirsi traditi, ma non poteva permettersi di empatizzare con lei in quel momento.
«È rimasto nei bassifondi.» rispose allora.
«E Narcisse?»
«Lo stesso vale per lui. Dubito che farà ritorno.» Le labbra di Genesis divennero una linea sottile. «Per quanto riguarda Sephiroth, tuttavia... penso ti convenga sbrigarti.»
Jadin non prese bene la notizia, ma se anche le fosse importato qualcosa di Narcisse allora lo nascose alla perfezione, procedendo priva di alcuna preoccupazione.
«Non perdiamo altro tempo, allora.» Schioccò le dita, e una seconda figura attraversò la stanza.
La sua pelle era scura, gli occhi di un bel verde luminoso, i capelli corti e i vestiti neri, un'inconfondibile uniforme elegante che una delle divisioni della Shinra indossava come simbolo distintivo.
Vaneja si abbassò sul corpo dell'amica, sfiorandola e tremando. L'ultima volta che si erano incontrate, non l'aveva trattata nel migliore dei modi. Sapeva benissimo che, se adesso Rain si trovava lì con loro, la colpa era anche la propria.
Rainiel non poteva reggere tanto. Scosse la testa, il cuore che batteva impazzito. «No...» incespicò su quell'unica parola, «Non anche tu... ti prego...»
Vaneja combatté come una furia contro le lacrime che minacciavano di uscire. La sua presenza lì non era di alcuna utilità, lo sapeva, ma Jadin voleva che ci fosse per dimostrarle la sua fedeltà. Una volta aveva pensato che stare dalla sua parte fosse la cosa giusta. Ora se ne stava pentendo amaramente.
Guardò le condizioni della sua amica e le venne la pelle d'oca. «Rain... scusami.»
Ma, a sentire quelle parole, fu Rainiel a iniziare a piangere. Si sentì così tradita, presa in giro e sofferente da dimenticare il dolore che il farmaco che aveva in corpo le stava procurando.
«Perché?» le chiese, cercando inutilmente di sfuggire al suo tocco mentre Vaneja la rimetteva in piedi, il tutto fra Genesis e Jadin, rispettivamente davanti alla porta e a qualche metro da essa. «Van, ti prego... io mi fidavo... non puoi...» singhiozzò la ragazza.
Vaneja non tentò più alcun contatto visivo. Tremò, e valutò seriamente l'idea di estrarre la pistola e far fuori Jadin per mettere fine a tutto. Ma così facendo sarebbe morto anche Genesis a causa della degradazione. E se avesse rivolto l'arma verso se stessa...?
«Vaneja.» La scienziata chiamò il suo nome, austera. «Ti ricordo che Hojo è morto perché tu non hai avuto il coraggio di sorvegliare l'ingresso del suo laboratorio. Non vuoi che i Turks sappiano che hai disobbedito all'ordine che ti era stato imposto, giusto?» le ricordò con una minaccia tutto fuorché velata.
L'altra giovane donna sentì le spalle irrigidirsi.
«Lo immaginavo.» Jadin prese la sua reazione come una risposta positiva, «Datti una mossa, portala al macchinario.»
Nel sentire quella parola, Rain tremò. Sephiroth era abituato ai controlli, le iniezioni, ma gli esperimenti su di lei si erano limitati perlopiù a controlli a distanza, come quando i Turks si recavano a casa dei suoi genitori durante i suoi primi anni di vita, o quando Hojo la osservava aggirarsi nei corridoi della torre. Non aveva idea di cosa volessero farle adesso, e in un certo senso Jadin la spaventava più di Hojo, dato che aveva finto di esserle amica mentre lui non era mai stato cordiale nei suoi confronti.
Genesis stesso notò la lotta interiore di Vaneja e ci si rispecchiò. Quanto danno stava creando quella giovane scienziata? Si era creata molti nemici, ma nessuno era in condizione di sconfiggerla.
La Turk resse Rainiel per le braccia e iniziò a muoversi. L'altra cercò come poteva di ancorare i piedi al suolo, ma  finì solo per essere trascinata. Mentre la stanza ruotava su se stessa, notò la figura del macchinario di cui parlava Jadin, al centro di essa. Era grande, inquietante, e tubi di ogni tipo aspettavano solo di essere collegati al suo corpo, di aderire alla sua pelle o di scavare al di sotto di essa.
Si dimenò, ma fu tutto inutile. «Van...!» pronunciò, ma la ragazza proseguì, stringendo gli occhi. Quindi si rivolse agli altri due presenti. «Genesis. Jadin. Vi prego... che intenzioni avete?» cercò di domandare senza far strascicare le parole.
Genesis la guardò per qualche secondo e si rese conto che Sephiroth forse lo avrebbe punito con la morte per aver lasciato che una cosa del genere accadesse. Allo stesso modo sentì di meritarselo. Quello che stavano facendo in quel laboratorio era orribile e disumano, tutto ciò contro cui aveva lottato dall'attimo in cui aveva scoperto di essere il frutto di un mero gioco scientifico.
Se avesse potuto uccidere con uno sguardo, Jadin sarebbe crollata priva di vita al suolo in quell'istante. Eppure, la donna sembrava perfettamente a suo agio, l'unica priva di scrupoli tra tutti loro.
Vaneja accompagnò Rain alla macchina, la sollevò e la costrinse a sedersi su di essa. Bloccò le sue mani, le gambe e persino la gola con dei cerchi metallici che si chiusero con uno schiocco e generarono una forma di campo magnetico simile a quello che l'aveva bloccata. La Turk fece per metterle in testa un casco con collegati sensori e fili di ogni tipo e colore, ma esitò quando Rainiel strinse i denti e il terreno sotto i loro piedi tremò. Rampicanti sbucarono dal terreno e si aggrapparono con forza disperata al macchinario, arrampicandosi lungo la sua superficie e le gambe della ragazza intrappolata.
Genesis osservò esterrefatto dalla forza di volontà di Rainiel, così indifesa eppure comunque potente.
Jadin alzò gli occhi al cielo e camminò fino a una stazione di controllo dotata di pulsantiera e computer che avevano già iniziato a monitorare dati come il suo battito cardiaco. Le bastò toccare uno dei tasti, e una scossa elettrica attraversò l'intero corpo di Rainiel, spalancandole gli occhi e provocandole uno spasmo visibilmente doloroso. Le si mozzò il respiro e Vaneja vide la scena da vicino, inorridita. Tutti si volsero a guardare Jadin, che aveva appena dichiarato le sue intenzioni: torturarla, almeno per il momento.
«Questo è un piccolo assaggio di quello che ti aspetta.» avvisò la sua nuova cavia, con un sorrisino. «Non rendermi le cose più complicate e cerca di collaborare una buona volta.» la mise in guardia.
Rain, però, fu tutto meno che confortata. Vaneja si sbrigò a metterle il casco e intanto Jadin si avvicinò alla macchina per collegare al corpo di Rain aghi, sensori e ventose di vario tipo.
La ragazza ormai in catene riuscì a muovere le dita di una mano e a stringere debolmente il braccio di Vaneja.
«Per favore... » la implorò, «Uccidimi, piuttosto... non lasciare che accada... farà delle cose terribili, a tutti...»
Lo sapeva benissimo, che Jadin avrebbe usato le informazioni raccolte da quegli esperimenti su di lei per dare vita a una nuova spirale di orrori di ogni tipo. Persone innocenti sarebbero morte tra atroci sofferenze, mentre lei sarebbe stata tenuta in vita per alimentare quel tetro circo degli orrori. Non era qualcosa che poteva sopportare.
Anche Vaneja ne era al corrente, ma si sentiva come se non avesse altra scelta. Rifiutare di stare agli ordini della scienziata ora che era immersa in quel guaio fino al collo avrebbe significato causare la morte di almeno uno dei presenti in quella stanza, e non avrebbe retto questa responsabilità né il senso di colpa conseguente.
«Rain... non posso...» mormorò, e quando Jadin si allontanò verso la pulsantiera ne approfittò per sussurrare. «Cercherò di trovare un modo, Rain. Mi dispiace così tanto. Ti prego, resisti fino ad allora.»
Rainiel la guardò mentre le lacrime si cristallizzavano tra le sue lunghe ciglia scure. Continuò a bisbigliare il suo nome mentre lei si allontanava, incapace di sopportare il peso della sua voce che la chiamava.
Ora l'opera di Jadin era completa: Rain era legata al macchinario come un martire crocifisso, sospesa a qualche centimetro dal suolo, le piante rampicanti ora ferme, dato che aveva esaurito ogni forza. Rainiel sapeva benissimo che stava per attraversare le pene dell'inferno, ma non fu quel pensiero a spaventarla, non tanto quanto la sensazione che lo stesso sarebbe accaduto a Sephiroth, se nessuno gli avesse impedito di correre lì a salvarla.
«Cosa intendi fare?» chiese un'altra volta a Jadin, tra un respiro affaticato e l'altro, incapace di muovere un muscolo. Gli aghi sottopelle le stavano causando un dolore immenso, a ogni minimo spostamento pungevano la carne viva sotto di loro. Vide il riflesso degli schermi sugli occhiali di Jadin, l'elettrocardiogramma verde su sfondo nero che teneva traccia di ogni pesante battito del suo cuore inquieto.
La donna non la guardò nemmeno mentre rispondeva, occupata a impostare parametri adatti alle sue intenzioni dietro i computer che emergevano dalla scrivania.
«Sto per renderti innocua, semplice. Fidati, ti porterò al punto tale che non penserai più nemmeno alla possibilità di ribellarti a me.» le riferì, con una punta di orgoglio, prima di rivolgerle un breve sorriso, «Naturalmente lo stesso accadrà a Sephiroth, non temere. Tu e il tuo innamorato condividerete un destino simile, non lo trovi romantico?» insinuò, quasi convinta di ciò che diceva.
Di nuovo, il terrore ebbe la meglio su Rainiel. Diede uno scossone alle braccia. Il macchinario tremò, ma a lei toccò il peggio. Piccoli rivoli di sangue le chiazzarono la pelle e lei soffocò un urlo stringendo le labbra.
«Non riuscirai mai a catturarlo come hai fatto con me. Arrenditi, Jadin. Puoi ancora... tornare indietro...» provò a convincerla, a sarebbe stato davvero molto più semplice tentare di fare cambiare idea a Genesis, piuttosto che a lei che non provava il minimo senso di colpa.
Jadin, infatti, fece spallucce come se la cosa non la riguardasse affatto. «Arrendermi? Fammi indovinare, perché il potentissimo super SOLDIER sarebbe in grado di sfondare la porta di questo posto e tagliarmi la gola in un istante, e tutto per salvare te dalle mie grinfie?» parlò imitando una fastidiosa e infantile vocina, prima di tornare seria.
Ma serio più che mai fu anche lo sguardo che Rainiel le rivolse, uno che non aveva più nulla di affettuoso. «Esattamente.» sibilò, questa volta senza balbettare o faticare.
Jadin trattenne una risatina. «Oh, fidati, non accadrà mai. Sephiroth non verrà a salvarti.»
«Credi davvero che...»
«Ah, non fraintendermi! Certo, nelle condizioni di adesso sono certa che sta correndo come un pazzo per raggiungerti il prima possibile. Non so cosa gli piaccia tanto di te, ma ucciderebbe o morirebbe pur di salvarti la vita, questo è certo. Ma è certo solo per il momento.» cercò di spiegarsi prima che Rain traesse conclusioni affrettate.
Genesis, che non si era mosso dalla porta d'ingresso, sollevò un sopracciglio e mimò l'espressione turbata di Rain, guardando in direzione della scienziata. «E questo cosa vorrebbe dire?» domandò delucidazioni.
Jadin gli rivolse uno sguardo fugace, ma fu guardando e parlando con Rainiel che rispose. «Ho intenzione di togliervi l'unica cosa che vi rende davvero forti e legati. Non il vostro potere, non le vostre armi. No...» abbassò lo sguardo, respirando a fondo per godersi i pochi secondi antecedenti la rivelazione che attendeva di fare da tempo, «Io vi priverò dei vostri ricordi. Tornerà tutto al principio, come sarebbe dovuto essere. Sephiroth non si ricorderà nemmeno di te, e lo stesso accadrà a te. Sarà come se non fossi mai stata la sua allieva, come se foste niente più che estranei. Tutto tornerà alla normalità.» assicurò, calma.
Più di ogni altra cosa, questo spaventò Rainiel. Scosse la testa e riprese a scuotere gli arti, stavolta incurante del sangue che scorreva o del dolore atroce. Non poteva permettere che accadesse una cosa del genere. Non ci credeva nemmeno.
«Non puoi farlo. Una cosa del genere... è impossibile.» provò a convincersi.
Jadin sbuffò, annoiata. «Ancora con questa storia? Siamo riusciti a creare un gruppo di super-soldati grazie al DNA di una creatura aliena. Quando capirete, tutti voi, che non c'è nulla che la scienza non possa fare?» la rimbeccò, prima di voltarsi verso la parete alle sue spalle, su cui spiccavano quadri e locandine di studi anatomici o simili, «Il cervello umano è la più perfetta delle macchine ma, proprio come una macchina, si può comprendere e manipolare, dato che funziona per impulsi elettrici. Basta stimolarne i punti giusti, attaccarne degli altri, e con i materiali di cui siamo a disposizione è quasi possibile riformattarlo, come un vecchio computer malfunzionante.» illustrò la sua diabolica tecnica. Non c'era nulla di umano o compassionevole in quello che stava dicendo, in quello che le avrebbe fatto. Tornò a guardarla, appagata. «Ti conosco meglio di quanto tu conosca te stessa, Rain, per non parlare di tutti i dati raccolti su Sephiroth nel corso degli anni grazie agli studi del professor Hojo... lavorare su di voi sarà come dipingere su una tela, ricalcando un disegno già preparato da qualcun'altro. Purtroppo per te, però, non sarà un procedimento indolore.»
Mentre Rainiel cercava inutilmente di liberarsi, confusa e terrorizzata dalle sue parole, furono proprio Genesis e Vaneja a cedere alle preoccupazioni. Non erano al corrente che quelli fossero i suoi piani. Entrambi credevano che Jadin si sarebbe limitata a tenere Rainiel in una teca di vetro, magari sottoponendola ad analisi e studi di tanto in tanto. Non potevano immaginare che volesse spingersi a tanto. O forse potevano, dato che gli scienziati della Shinra erano rinomati per la loro mancanza di scrupoli.
«Non puoi fare una cosa del genere...!» La Turk si fece avanti, ma lo sguardo freddo della donna la paralizzò. Se si fosse ribellata, chiaramente avrebbe finito per diventare un'altra delle sue cavie.
Genesis rifletté sul suo piano. Voleva riportare le cose alla loro origine. Al momento in cui Sephiroth altro non era che il Generale di SOLDIER, il suo Generale, e Rainiel una novellina. Poteva davvero funzionare? Il lato più nostalgico di lui disse che era la scelta più giusta, ma quello razionale, più forte, emerse in pochi secondi.
«Questo non rientrava nei nostri accordi.» mostrò i denti come una volpe inferocita, ma incontrò solo il tipico sogghigno della giovane donna.
«Quali accordi? Non hai alcun diritto di scelta. Rispetta i miei comandi, o pregherai di ricevere la stessa gentilezza riservata a Rainiel, piuttosto che subire la morte che ti attende.» gli ricordò.
Genesis batté le palpebre. Certo, non voleva vedere di nuovo il suo intero corpo degradarsi e spegnersi lentamente, ma oramai era sicuro di non voler nemmeno assistere a un tale spettacolo in silenzio. Avrebbe dovuto sacrificarsi, uccidere quella folle donna e basta, ma non ne ebbe il coraggio. La morte lo spaventava troppo e lei era l'unica in grado di tenerlo in vita.
Rainiel sembrava un animale selvatico fuori controllo. La sua pelle ormai era macchiata di sangue, ma non si arrese nemmeno quando il macchinario si accese e due grandi serbatoi dietro di esso si riempirono di un fluido fluorescente. Mako, in grandissime quantità.
«Ora sta' buona, Rain. La mako che sto per iniettarti ti permetterà di sopravvivere al dolore dell'operazione. Oh, avrei potuto anestetizzarti, ma non volevo privarmi di questo piccolo divertimento. Spero che tu non te la prenda.» rise ancora Jadin, melliflua. Premendo un altro pulsante attivò i tubi collegati ai serbatoi.
La mako si riversò pian piano dritta nelle vene della ragazza davanti a lei, che percepì il dolore e l'orrore di ogni singolo secondo, uno sempre più forte, eppure quella non era che una piccola preparazione al peggio.
Genesis strinse le palpebre, disgustato e scioccato. Gli occhi di Rainiel brillarono fino a emettere luce propria, di quel verde acqua tipico del fluido, mentre la ragazza gridava a pieni polmoni. Le sue grida lo stordirono e lui mosse qualche passo avanti.
Rainiel non si meritava una cosa del genere. E Sephiroth... Jadin aveva intenzione di riservare lo stesso procedimento anche a lui.
Rain era rigida, sofferente più che mai, ma guardò comunque Jadin dritta negli occhi. «Tu non potrai mai... prenderti i miei ricordi.» soffiò tra i denti stretti, finché dalle gengive non sgorgò altro sangue, «Me li riprenderò. Non puoi... non lo farai...»
Jadin sospirò, per quanto non poté negare che lo sguardo ferale degli occhi brillanti di Rainiel le mise i brividi. Avvicinò la mano a una leva e fece segno a Jadin e Genesis di allontanarsi dalla macchina.
«Forza, iniziamo. Non abbiamo tutta la notte.»
Fece per premere la leva che avrebbe dato inizio al vero inferno, quando Vaneja non ne poté più.
La Turk alternò lo sguardo tra lei e Rain, colta da spasmi e in preda a un pianto sofferente, e perse il controllo. «Al diavolo...» sibilò sottovoce, e in un attimo estrasse la pistola dalla fodera, mirando dritto a Jadin.
La scienziata, però, si aspettava questo tipo di reazione da parte sua. Premette tempestivamente un pulsante sotto la scrivania, e uno stormo di droni armati uscì dalle postazioni segrete tra gli scaffali. Uno di essi miro subito alla mano di Vaneja. Un proiettile le colpì la mano, disarmandola, e Vaneja cadde a terra con un urlo, tamponando la parte ferita. Un altro drone le portò subito via la pistola.
Genesis mosse un passo avanti, quando l'istinto prevalse e fu colto dall'idea di aiutare Rain, ma altri droni lo circondarono.
Jadin si massaggiò la fronte. «Siete davvero dei collaboratori inutili. Mettiamola in questi termini: ostacolatemi un'altra volta e morirete stanotte.» li mise in guardia.
Entrambi si fermarono, impossibilitati a muoversi, ma Rain non si lasciò sfuggire il loro tentativo. Purtroppo non riuscì nemmeno a ringraziarli, perché da lì a qualche secondo percepì il dolore più forte e lancinante che avesse mai provato in vita sua.
Jadin avvicinò di nuovo la mano alla leva e, questa volta, pigiò senza provare alcuna emozione al di fuori della soddisfazione.
Rain fu convinta di star per morire. Quello che provò fu orribile, anche se la mako stava alleviando la sensazione inibendo i suoi sensi. Quel dolore fu tuttavia vivido, reale, inimmaginabile.
Il macchinario inviò delle scosse elettriche in tutto il suo corpo, ma ogni singola di esse colpì le aree designate del suo cervello. Fu come veder la luce dei propri occhi spegnersi all'improvviso, come sentire il cuore fermarsi e traghettare continuamente fra la vita e la morte, per quella che le sembrò un'eternità, finché tutto ciò che poté fare fu chiudere le palpebre e lasciarsi andare. Smettere di combattere, perché non ne aveva più le forze.
L'immagine che invocò nella propria mente fu il viso di Sephiroth, la sensazione del suo tocco, il suo buon profumo o il suono della sua voce.
Ben presto, però, fu come se l'immagine stesse prendendo fuoco e bruciando lentamente. Svanì, pezzo dopo pezzo, e insieme a essa tutto ciò che era accaduto negli ultimi anni.
Bruciava Darefall, il dolore della perdita di un padre e di una madre, il senso di colpa angosciante che l'aveva colpita in seguito a quella frana.
Bruciarono di nuovo gli archivi, e il tormento nato quando Sephiroth si era librato in volo, abbandonandola tra le fiamme.
Bruciò anche il DRUM, e la figura di Yoshua, la paura che l'aveva pervasa quando stava per essere assimilata, l'odio nei confronti di Hojo, l'agonia del veder inerme davanti al sé il corpo senza vita dell'uomo che amava e che era convinta di aver perso.
Bruciò tutti questo e, per qualche attimo, Rainiel si sentì persino sollevata. Tutta quella tristezza scorreva via come acqua sulle sponde di un ruscello, dimenticata.
Ma fu doloroso comunque, perché insieme a essa bruciò anche una parte importante di lei.
Fu ridotto in cenere il ricordo di un bacio sulla porta della sua camera, dell'affetto che aveva dato e che le era stato dato, e svanì la potente felicità che l'aveva pervasa quando finalmente Sephiroth era tornata per lei, mesi dopo la loro separazione.
Tornò quella che era una volta. Felice, forse, ma incompleta. Ignara della realtà. Una versione di sé che le mancava, certo, ma a cui non voleva fare ritorno.
Dimenticò le simpatiche battute di Zack, la timidezza di Cloud, il tenero sorriso di Aerith e la delicata tenacia di Tifa. Svanirono i colori da ogni frammento della sua memoria, finché non rimase più nulla, solo particelle anonime perse nel vuoto della sua mente.
Quando perse i sensi, Rainiel fu annullata, come ogni cosa che le era accaduta negli ultimi anni.
Ma promise, promise con ogni sua forza che avrebbe riavuto tutto indietro, un giorno.
E che avrebbe ricordato lui. A ogni costo.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Ogni tipo di amore ***


Capitolo 37
OGNI TIPO DI AMORE
 

Sephiroth desiderò distruggere l'orologio che, sulla parete della cucina della casa di Aerith, scandiva ogni maledetto secondo. Gliene sarebbero bastati sette, a occhio e croce, per sguainare la spada e far fuori tutti coloro che gli avevano portato via Rainiel, tuttavia lui era ancora nei bassifondi.
Zack lo aveva praticamente implorato di aspettare, di dirigersi con loro al Settore 5. In un altro caso il Generale sarebbe stato più che lieto di lasciarsi alle spalle le luci e il caos urbano del Mercato Murato, ma era tutto meno che felice al momento.
I suoi passi risuonavano in una casa piena, ma silenziosa. Tutti erano raccolti attorno al tavolo ovale della cucina, persino Elmyra, che era stata svegliata nel cuore della notte, così come Aerith, che stava stringendo la mano di Zack, seduto al suo fianco, per confortarlo.
«L'hanno presa...» Lo sguardo della fioraia cadde su un punto impreciso del pavimento, perduto. Se c'era qualcuno, fra tutti loro e oltre Sephiroth, a sapere di cosa fosse capace la Shinra quando si parlava di esperimenti, quella era lei. Non aveva raccontato ancora a nessuno di essere cresciuta in una di quelle stanze bianche con la sua madre biologica, tranne che a Zack e Rain. Il ricordo di quei giorni la tormentava ancora.
Non c'era una singola persona, in quella stanza, che non fosse sconvolta.
Elmyra scosse la testa, battendo piano un pugno sul tavolo. Si era affezionata a Rain più che mai, come se fosse un'altra figlia, e non era pronta a dirle addio.
«Dovete riportarla qui. Deve essere salvata.»
Zack respirò a fondo. «Se non pensiamo a un piano adatto, finiremo solo per peggiorare la situazione, Elmyra.»
I passi degli stivali neri si avvicinarono alla porta. Sephiroth era l'unico a non essere seduto. Oltre i vetri della porta d'ingresso poteva vedere i primi raggi del sole illuminare il giardino esterno. Rainiel era stata portata via da diverse ore e nemmeno per un secondo era riuscito a sentirsi tranquillo. L'unico motivo per cui si trovava lì, al momento, era perché voleva scortare il gruppo al settore 5 per assicurarsi che non venisse attaccato da altri SOLDIER di pattuglia quella notte. Ora, però, non aveva altre ragioni per restare né altro tempo da perdere.
«Vuoi un piano, Zack? Ecco il mio.» Il super-SOLDIER  parlò con gelido pragmatismo, «Mi dirigo sulla piattaforma. Libero Rain con la forza. La riporto qui, a casa, dove sarà al riparo. Dopodiché mi assicuro che chiunque le abbia fatto del male paghi per questo.» spiegò.
Zack si alzò di scatto, gli occhi lucidi. La sedia stridette contro il pavimento e Aerith si allontanò, spaventata.
«Apri gli occhi, Sephiroth. Avevano meccanismi in grado di immobilizzare persino te. Hanno usato un siero che ha annullato i poteri di Rainiel. Vuoi che catturino anche te? O forse vuoi farti ammazzare? È questo che desideri?» praticamente gli ringhiò contro. Era stanco, nervoso e preoccupato. Nessuno di loro aveva mai visto Zack comportarsi in questo modo. Lui era sempre stato gentile e premuroso con tutti, il tipico burlone sempre pronto a risolvere ogni problema con una risata. Eppure sul suo viso adesso non v'era neanche l'ombra di un sorriso.
Sephiroth, però, non aveva il tempo materiale né la voglia di mettersi a discutere con lui.
«Quello che desidero io è riprendermi Rainiel. Mentre voi state qui a blaterare di un piano, forse le sta accadendo qualcosa di orribile. Riesci a comprenderlo, questo?»
Il Generale era fermo davanti a lui, sotto la luce fioca di un lampadario. Gli altri erano troppo allibiti per fiatare.
Zack strinse gli occhi e si picchiettò il petto con una mano. «E pensi che non lo voglia anch'io? Rain per me è come una sorella. Per questo voglio essere pronto e assicurarmi che il piano vada per il meglio.» abbassò la voce così tanto da essere irriconoscibile, «Non sei l'unico che tiene a lei, lo sai?»
Ma Sephiroth non era in vena di subire ramanzine. Non se nel frattempo l'unica immagine nella sua mente era una Rain che urlava straziata il suo nome in cerca di aiuto.
Si avvicinò al ragazzo, sfidandolo con uno sguardo diretto che non aveva più nulla di amichevole.
«A quanto pare non ci tieni abbastanza.» sibilò infatti, senza alcun rimorso. Erano parole dure, ma in quel momento non gl'importò.
Al contrario, Zack si sentì colpire duramente da quella semplice frase. Era stato il migliore amico di Rainiel per anni, erano praticamente cresciuti assieme. Con lei aveva riso, pianto e trascorso quasi ogni giorno della propria vita fino a quel momento. Come osava insinuare una cosa del genere?
Accecato dalla rabbia si mosse a sua volta in avanti, la mano che si alzava in cerca dello spadone. Nello stesso istante, con riflessi felini, Sephiroth sfiorò con le dita l'elsa della Masamune. Aerith saltò giù dalla sedia e tirò indietro Zack per una spalla, dall'altro lato del tavolo Cloud si sporse in avanti per fermare il suo mentore, sotto lo sguardo attonito di Tifa.
Ma a impedire la tragedia, in realtà, fu Elmyra. Si alzò a sua volta, aumentando il volume della voce. «Basta, adesso! Insomma, vi sembra il momento adatto per litigare? Siete uomini o bambini?» gli urlò contro, inviperita.
Sephiroth e Zack si fermarono. Non perché avrebbero davvero dato ascolto alla madre di Aerith, ma perché quel richiamo permise loro di rendersi conto di quello che stavano per fare. Erano cari amici, e nel momento del bisogno stavano per saltarsi alla gola a vicenda. Cosa gli stava succedendo?
Sephiroth respirò a fondo e si guardò attorno per calmarsi. Non poteva permettersi di perdere la lucidità proprio in un momento così critico. Aveva bisogno di supporto, e non avere Rain lì con lui si rivelò asfissiante in questi termini.
Dunque guardò Elmyra, che negli ultimi mesi era stata la famiglia della ragazza. «Tu cosa ne pensi?» le domandò, forse con vero interesse, o magari in tono di sfida. Mentre le parlava, poi, spostò lo sguardo su Aerith. C'era qualcosa, in quella ragazza, che lo portava a pensare che gli fosse familiare, e questo gli diede qualche briciola di fiducia in più nei loro confronti.
Elmyra si passò una mano fra i capelli, le occhiaie ben visibili sul suo volto. «Penso di essere d'accordo con un SOLDIER, per la prima volta in vita mia.» rivelò, guardandolo. «Solo tu sei in grado di farti strada in quel covo di vipere e uscirne con Rainiel sana e salva. Credi di poterlo fare?»
«È il mio obiettivo.» replicò lui, come se stesse parlando di una missione. Inevitabilmente, stava pian piano tornando a essere la macchina da guerra che era stato progettato per diventare, ma adesso doveva abbracciare questa sua natura se voleva portare a termine il suo compito con successo.
Elmyra annuì lentamente. «Allora credo che dovresti andare. Voglio essere sincera: non so se sarà pericoloso per te o meno, se ti accadrà qualcosa, ma tutto quel che m'importa è rivedere Rainiel. Riportala qui, per favore.»
Sephiroth la guardò per qualche attimo ed ebbe come un flashback. Si ritrovò all'improvviso a Darefall, sull'uscio della casa della sua allieva. Stava parlando con sua madre, che gli aveva chiesto di proteggerla, la mattina della catastrofe che le aveva cambiato la vita.
Rain non aveva una vera madre, a differenza sua, ma aveva potuto contare su ben due figure materne. L'amore che quelle due donne erano in grado di darle era infinito, per questo Sephiroth si fidava di loro e solamente di loro, perché anche loro avrebbero dato la loro vita per lei.
«Lo farò.» le promise, prima di allontanare la mano dalla spada. Cercò di ritrovare il controllo, come Rain gli aveva insegnato. Nei momenti di rabbia pura poteva ancora sentire il lugubre richiamo di Jenova. Doveva resisterle ad ogni costo. «Non vi obbligherò a seguirmi. Anzi, vi consiglio di non farlo.» parlò con gli altri presenti, «Io partirò immediatamente. Se non dovessi tornare...» strinse le palpebre, ma cercò di non dimostrarsi esitante, «... fate tutto ciò che è in vostro potere per ritrovare Rainiel, e fate attenzione ai SOLDIER che perlustrano i bassifondi.» li mise in guardia.
Guardò Cloud mentre si allontanava verso l'uscita. Il ragazzo si era distaccato persino da Tifa per cercare di fermarlo. Era il suo allievo adesso, e perdere un eroe e un mentore sarebbe stato per lui un colpo duro da reggere.
Sephiroth, però, sapeva che non sarebbe stato in grado di tenerlo al sicuro durante un'impresa del genere. Si era affezionato al ragazzo, anche se non l'avrebbe mai ammesso, e non poteva lasciare che gli accadesse qualcosa di male.
«Resta qui, Cloud.» Il suo non fu un ordine da maestro, ma un consiglio da amico, sincero e altruista. «Proteggi gli altri. Li affido a te.» abbassò poi la voce. Lo salutò con una breve pacca sulla spalla, lenta e tutto meno che energica, ma fu abbastanza per Cloud, che comprese i suoi tormenti e non provò a insistere.
Sephiroth non si guardò più alle spalle, e per questo sperò di non rimpiangere di non aver chiarito del tutto con Zack. Oltrepassò la porta e si ritrovò nel giardino di Aerith. Camminò per qualche passo, prima di recuperare del tutto le proprie facoltà e convincersi di star facendo la cosa giusta. Non restava che spiccare il volo.
Ma la porta della casa si spalancò e dei piccoli passi si mossero sull'erba.
«Sephiroth, aspetta!» chiamò una voce tenue.
Il giovane uomo si fermò e, lanciando un'occhiata alle sue spalle, vide proprio Aerith correre in sua direzione. La ragazza mosse qualche passo e si fermò davanti a lui, riprendendo fiato rapidamente.
Sephiroth si girò del tutti verso di lei e la guardò dall'alto con aria interrogativa. «Se vuoi cercare di fermarmi...» provò a dissuaderla prima ancora che provasse a fare una cosa del genere, ma Aerith scosse rapidamente la testa, la fronte corrucciata.
«No, anche secondo me Rain dev'essere portata via da quel posto il prima possibile. Io vorrei solo... avvertirti.»
Aerith guardò dritto negli occhi di Sephiroth. Gli occhi dei SOLDIER le piacevano molto, come aveva detto a Zack più d'una volta, ma quelli di Sephiroth erano diversi dagli altri. Verdi, intensi e dalle pupille serpentine. Belli, certo, ma anche terribilmente spaventosi.
In quelle iridi, sul momento, lesse della confusione. «Di cosa?» le chiese infatti.
Aerith non sapeva come spiegare bene la propria sensazione. A volte quello che provava era così e basta. Il suo intuito non si era mai sbagliato. Il flusso vitale del mondo era come un libro aperto che solo lei poteva leggere, e non poteva fare altro che affidarsi a esso.
«È successo qualcosa a Rainiel. Posso sentirlo. Non chiedermi come... ma ne sono sicura.» provò a parlare.
Un'altra persona forse si sarebbe messa a ridere, ma Sephiroth aveva capito sin dal loro primo incontro che Aerith non era una ragazza come tante. C'era qualcosa di speciale in lei, che lo convinse a darle ascolto. Per questo strinse le palpebre e le labbra.
«Cosa?» continuò a domandare, temendo il peggio. Dubitava che la Shinra avrebbe ucciso Rainiel, che era una cavia così preziosa e unica, ma conosceva bene la ragazza e sapeva che sarebbe stata in grado di trovare un modo per costringerli a ucciderla piuttosto che rimanere prigioniera. Sperava solo di arrivare prima di quel momento.
Aerith abbassò la testa e guardò i fili d'erba del giardino piegarsi al lieve vento. «Una parte di lei si è sgretolata. Ho percepito la sua sofferenza, e allo stesso tempo uno strano senso di sollievo. Ho paura che le sia capitato qualcosa di irrimediabile.» parlò cercando di tradurre la sua sensazione come meglio poteva, «Quel che voglio dirti è che forse la Rainiel che incontrerai non sarà... come prima.» Avrebbe voluto dargli più informazioni, ma non aveva idea di cosa le fosse capitato davvero. Aveva solo sentito delle piccole particelle annegare nel flusso generale che era a lei collegato. Rain era viva, e di questo ne era certa, ma non era più la stessa di sempre.
La mani di Sephiroth si strinsero in pugni. Provò un odio sconfinato, peggiore persino di quello nato quando aveva scoperto la verità dietro le sue origini, e pertanto controllare quel lato oscuro dentro di lui stava diventando più difficile ogni secondo che passava.
«Qualunque cosa sia accaduta, porterò Rain via di lì.» le assicurò.
Le voltò le spalle, mentre Aerith lo osservava fare ancora due passi prima di fermarsi di nuovo. In quel frangente si ringraziarono a vicenda in totale silenzio, perché sapevano bene quanto entrambi fossero stati importanti per Rainiel.
Sephiroth evocò la sua grande ala, davanti agli occhi esterrefatti di Aerith, che osservò rapita le piume cadute poggiarsi tra i fiori del prato colorato.
L'uomo si sollevò in volo e si allontanò a gran velocità, lasciandosi alle spalle un posto sicuro e confortevole, per tornare nel fulcro di orrori in cui era cresciuto per tutta una vita, prima di risvegliarsi da quella catarsi e finalmente trovare la libertà.
Mentre solcava i cieli stretti dei bassifondi, che Aerith guardò dal suo piccolo e grazioso giardino con aria spaventata, dato che il cielo immenso le aveva sempre messo paura, Sephiroth ripensò a quello che Rain aveva trovato lasciando finalmente SOLDIER, la Shinra e l'intera Midgar.
Aveva potuto sperimentare ogni tipo di amore, in una vita dove un valore del genere non era affatto scontato. Lui era cresciuto da solo, tradito e abbandonato, mentre lei aveva avuto una madre e un padre amorevoli, degli amici che avrebbero lottato al suo fianco senza alcun dubbio, e infine aveva trovato anche lui. C'erano così tanti motivi per salvarla che forse quel che provava per lei, il loro indissolubile legame, poteva essere considerato solo un granello di una grande clessidra in quell'oceano di persone che lei aveva amato, ispirato, aiutato.
Rainiel era una persona buona, pura. Non meritava che le capitasse qualcosa di così terribile come quello che stava vivendo adesso. Non c'era giustizia nel suo destino.
Ma Sephiroth quel destino lo avrebbe cambiato, per lei. Perché, in tutti quei tipi di amore che Rain aveva avuto la fortuna di provare, il suo era ugualmente forte e indistruttibile, e lo avrebbe guidato sino a lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Passato, presente ***


Capitolo 38
PASSATO, PRESENTE
 

Il suono del terreno che si muoveva sotto i suoi piedi la spaventò. Il cielo su di lei era limpido, come lo era l'orizzonte, puntellato di foreste rigogliose. Poteva quasi vedere i tetti delle case del villaggio, da lì. Ma stava crollando tutto.
Il boato aveva squarciato il cielo e lei riusciva a stento a muoversi, spaventata. Sentì due mani tirarla indietro, mentre un pezzo di roccia si staccava dal versante e crollava giù a picco.
Respirò con fatica. Si girò per cercare conforto negli occhi di chi l'aveva salvata. C'erano due uomini in piedi, dietro di lei, ma nessuno di loro aveva un volto, o forse erano semplicemente i suoi occhi a essere abbagliati dalla luce.
Fu distratta da un pensiero: Darefall. Quelle rocce avrebbero...

Rain si svegliò con il cuore che le martellava nel petto. Attorno a lei inizialmente fu tutto bianco, poi iniziò a mettere a fuoco i primi oggetti: lettini, scaffali di metallo, medicinali. La stanza dell'infermeria era vuota, eccezion fatta per lei, e oltre le finestre stava sorgendo l'alba, ma il cielo era ancora abbastanza buio.
Aveva un tremendo mal di testa, se ne accorse quando provò a mettersi seduta e la stanza girò attorno a lei. Trattenendo un conato di vomito, si alzò barcollando e tossendo e cercò di raggiungere la porta.
Per quanto aveva dormito? E cos'era successo? Ricordava solo vagamente il momento in cui era andata a dormire, dopo essere stata al simulatore nel pomeriggio. Anche quella volta, il suo mentore non si era presentato. Non che fosse una novità, d'altronde...
Uno specchio era vicino alla porta dell'infermeria. Se era stata portata lì, forse aveva avuto un malore o si era fatta male. Decise quindi di darsi una controllata, specchiandosi. Quando lo fece, però, sussultò.
Non fu la veste azzurrina che indossava a sconvolgerla, né le pesanti occhiaie. Quel che la fece tremare fu il suo aspetto. Era sempre stata così alta e matura? E i suoi capelli erano davvero così lunghi? Quel corpo non le sembrava nemmeno il suo. Insomma, non sembrava adatto a una sedicenne come lei...
Indietreggiò, stordita, e si toccò le spalle, il grembo, le gambe. Sì, era assolutamente lei la donna nello specchio, ma era cambiata moltissimo dall'ultima volta che aveva visto il proprio riflesso. Doveva scoprire cosa le era successo. Forse avrebbe trovato dei medici nei pressi dell'infermeria o vicino ai laboratori.
Praticamente si tuffò fuori dalla porta, ma si accorse di essere indolenzita. Era coperta di cerotti e qualche benda qui e là, e dei lividi stavano iniziando a emergere sulla pelle, ma la stanchezza che sentiva non era solo fisica. Le sembrava di aver ricevuto una martellata dritta alla testa, e stava per andare nel panico perché non riusciva assolutamente a ricordare cosa le fosse accaduto.
Su un muro nel corridoio, dopo aver mosso qualche faticoso passo senza trovare un'anima viva, spiò un cartello che indicava i piani della Torre Shinra, dove ormai viveva. A solo qualche piano di distanza avrebbe trovato i laboratori. Forse poteva chiedere indizi ai dipendenti di quel posto.
In silenzio e boccheggiante si avviò verso l'ascensore. Sotto di lei Midgar non era cambiata molto rispetto al suo ultimo ricordo di lei, ma c'era qualcosa di strano che le sfuggiva. Forse la città non era cambiata... ma lei sì. E aveva bisogno di scoprire perché.

Nel frattempo, in uno di quei laboratori, tre persone si muovevano per prepararsi a ciò che sarebbe accaduto da lì a poco.
Il processo che aveva cambiato Rain si era concluso da qualche ora, ma sapevano tutti e tre che la notte non era ancora terminata. Una grande minaccia si spostava rapida verso di loro, e dovevano farai trovare pronti, o avrebbero perso la vita.
Jadin aveva fatto sistemare ad alcuni assistenti di laboratorio suoi complici il macchinario, cui erano state staccate le capsule di mako ormai vuote. Il quantitativo utilizzato per permettere a Rainiel di sopravvivere al mutamento era spaventoso, ma la scienziata non sembrava affatto turbata da tutto ciò. Semplicemente, quando aveva finito di strapparle via i ricordi, le aveva iniettato un siero in grado di farla svegliare nel giro di due ore al massimo, in condizioni tali da poterla tenere sotto controllo, e aveva poi chiesto a Genesis di portarla in infermeria, dove avrebbe aperto gli occhi credendo di essersi appena ripresa da un incidente subito chissà come. A convincerla di una falsa verità ci avrebbero pensato loro, a tempo debito.
Genesis era tornato al laboratorio subito dopo, il corpo che strideva perché Jadin non aveva ancora arrestato la degradazione. Non l'avrebbe fatto finché tutto non fosse andato secondo i suoi piani, naturalmente, o il SOLDIER avrebbe potuto pensare di sottrarsi ai suoi compiti con la forza, a discapito di qualsiasi conseguenza. Farlo sentire così male faceva parte del piano, perché lo avrebbe spinto a lavorare duramente per arrestare quel dolore. Fino ad adesso, pareva che funzionasse come idea.
Vaneja era in un angolo, seduta a terra, la schiena contro la parete. Aveva pianto per un po', inorridita e colpevole. Uno degli assistenti le aveva bendato la mano: per poco non aveva perso un dito, quando il drone le aveva sparato per disarmarla, ma di certo avrebbe ricordato la lezione per sempre. I droni ora erano tornati al loro posto, ma la Turk sapeva di non essere fuori pericolo.
Singhiozzò rumorosamente e Jadin, che ora stava lavorando al computer per cambiare i parametri e adattarli alla sua prossima vittima, alzò gli occhi al cielo. «Datti un contegno, ragazza. Sei o non sei una Turk?»
«Tu sei un mostro...» balbettò sottovoce lei.
Sapeva che le immagini che aveva visto non l'avrebbero mai abbandonata, né le avrebbero consentito di dormire profondamente la notte. Aveva visto Rain sanguinare, l'aveva sentita strillare per il dolore, un dolore più forte della sua maledetta mano sanguinante. Avrebbe dovuto uccidere la scienziata e portare la sua amica via di là, ma era troppo tardi adesso. Se c'era un modo di fare tornare Rainiel a quella che era prima, quello lo conosceva solo lei. Vaneja si sentì stupida e ingenua. Ma che diamine aveva combinato?
Jadin, in tutta risposta, si fece una piccola risata. «Gli ignoranti dicono sempre così quando ammirano il progresso per la prima volta. Vedrai che ti passerà...» la incoraggiò. Poco dopo finì di battere sulla tastiera e cercò Genesis con lo sguardo. L'uomo era sul lato opposto della stanza, stava guardando il macchinario con sguardo vacuo, assente. «E tu?» lo richiamò con scherno, «Non hai nulla da dire? Nessun verso tratto da quel tuo bel poemetto da recitare? Sei insolitamente silenzioso.»
Genesis spostò lentamente gli occhi nei suoi. Non aveva nessuna intenzione di rispondere con sarcasmo, o di mostrarsi impassibile. In quegli occhi c'era solo sdegno, odio e profondo rancore. Anche lui credeva di dover agire prima, ma non l'avrebbe fatto. Lo aveva detto: non avrebbe messo a rischio la sua vita per Rainiel. Ma c'era un'altra persona in pericolo adesso.
Tornò a guardare l'aggeggio meccanico davanti a lui, capace di fare qualcosa di impressionante come cancellare la memoria di una persona. «Riserverai lo stesso trattamento a Sephiroth?» le domandò.
Jadin premette il tasto invio della tastiera. «Naturalmente.» replicò in tono ovvio, «Anche se ho intenzione di rendere le cose un po' più movimentate. Non capita tutti i giorni di fare esperimenti sul giocattolo preferito del professor Hojo, non trovi anche tu?» gli sorrise senza neanche guardarlo direttamente. Lo fece solo in seguito, quando si avviò al centro della stanza per controllare un'ultima volta i cavi del macchinario. «Non ti metterai in mezzo anche stavolta, è chiaro. Non devo spiegarti di nuovo quel che capiterebbe in seguito.»
Genesis la guardò destreggiarsi tra tubature e sensori, e strinse i denti. «Come sai che avrà effetto su di lui? La sua mente è diversa dalla nostra.»
Jadin si sfiorò il petto, offesa dalla sua sfiducia. «Credi che non lo sappia? Ho trascorso un anno della mia esistenza a progettare questo gioiellino. Se volessi potrei fondere la mente di Sephiroth premendo un pulsante. Sempre che non voglia provare prima tu, magari sarebbe persino più piacevole della degradazione.» scherzò infine, crudelmente.
Genesis mosse d'istinto un passo indietro. Non ci teneva proprio a sperimentare quella tortura, creata da una donna deviata e ossessionata dalla scienza.
Jadin finì di sistemare i sensori e si ripulì le mani, per poi avvicinarsi con un sogghigno a Genesis. «Stai pensando che vorresti uccidermi, non è vero?» domandò, tirando fuori dal nulla un quesito forte come quello.
La fronte e il naso di Genesis si accigliarono. Non aveva torto. Giorno e notte sognava e fantasticava su tutti i modi in cui avrebbe potuto fargliela pagare per averlo tenuto prigioniero, schiavizzato e privato del suo diritto di decisione.
«Non rispondermi, lo so già.» respirò a fondo Jadin, poggiando una mano sul suo torace, una che Genesis avrebbe voluto mozzarle con un morso. La donna abbassò la voce, «Non sarai qui, quando Sephiroth arriverà. Non vuoi che ti veda in queste condizioni, e io non voglio che tu lo veda e ti faccia venire in mente strane idee per salvargli la vita. Se lo facessi, ti farei squartare da lui in persona, capito?» gli rinfrescò la memoria.
Genesis non dubitava che fosse in grado di fare anche qualcosa di simile, ma non accettava di essere altrove, mentre il suo vecchio amico veniva torturato. Forse poteva davvero aiutare lui e redimersi così, no? O forse era troppo tardi e Rainiel si sbagliava?
«Voglio incontrarlo.»
Jadin scosse la testa e spostò la mano, provando ad accarezzargli una guancia. Genesis questa volta si tirò indietro, nauseato, e un lembo delle labbra di lei si sollevò divertito. «La mia non era una domanda, ma un comando. Non hai possibilità di scelta.» tornò a rammentargli, «E comunque hai un piano a cui attenerti. Rainiel a quest'ora potrebbe essersi svegliata. Devi andare da lei... è una ragazzina appena entrata in SOLDIER e tu sei il suo mentore, no? Avrà bisogno di te.» lo prese persino in giro. «Va', prima che arrivi la seconda seccatura di stanotte. Qui fuori troverai un gruppo di soldati che mi rispondono, dì loro di mobilitarsi in cerca di Sephiroth e di portarlo qui vivo quando si presenterà.» diede infine le istruzioni di cui necessitava.
Le mani di Genesis si strinsero a pugno. Dall'altro lato della stanza, Vaneja osservò la sua reazione e pregò che il SOLDIER attaccasse la scienziata con lo scopo di ucciderla. Sarebbe stato uno spettacolo piacevole, dato quello che aveva fatto.
Tuttavia, Genesis annegò la sua rabbia in un angolo del suo animo. Si ripromise che l'avrebbe lasciata emergere un giorno, in condizioni più favorevoli. Si sarebbe liberato del suo controllo e a quel punto lei non avrebbe avuto scampo. Lui era più forte, più astuto. Poteva trovare un modo di raggirarla.
Per esempio, credette che girovagare con la scusa di dover trovare la ragazza sarebbe stato un buon pretesto per incontrare Sephiroth, magari da solo. Per questo si avviò verso la porta, il cuore in gola perché sapeva di non avere molto tempo a sufficienza né parecchie possibilità di riuscita.
«Mi raccomando, Genesis...» esclamò Jadin alle sue spalle, «... ricorda le conseguenze.»
Oh, le ricordava eccome. Non c'era nemmeno bisogno di ripeterle così tanto spesso. Ma doveva almeno provare. Non sarebbe riuscito a vivere con la consapevolezza di aver lasciato correre un problema del genere.
Lo avrebbe fatto nel nome di un'amicizia perduta nel passato, dissolta in un presente caotico e ingiusto, e anche... nel nome di Angeal. Doveva quel tentativo almeno a lui. Ai sogni e all'onore. Forse, anche a se stesso.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Vana speranza ***


Capitolo 39
VANA SPERANZA

Il sole era appena sorto, quando una finestra ai piani alti della Torre Shinra s'infranse. I cocci di vetro caddero ovunque, sul pavimento di un ufficio sgombro appartenente a chi sa chi.
Sephiroth non si pose il problema di ripulire, non aveva tempo per fermarsi e cancellare le proprie tracce. Camminò nella stanza, affatto stanco per il volo, e mosse la lunga ala per stirare i muscoli sforzati per arrivare sin lì. Non rimase fermo un secondo di più, o il sonno avrebbe avuto la meglio su di lui, insieme alla preoccupazione. La realtà era che stava facendo completamente affidamento sull'adrenalina che aveva in corpo, la quale non gli permetteva di sentire nulla se non l'urgente bisogno di ritrovare Rainiel e andar via di lì.
Camminando tra i corridoi, ricordò scene di un passato che si era lasciato alle spalle più di un anno prima. Si era sentito al sicuro, tra quelle stanze, quegli uffici, quelle sale d'addestramento. Vi era cresciuto, anche se era nato molto lontano da lì, e lì aveva conosciuto i suoi migliori amici e tutte le altre persone che erano importanti tutt'ora per lui. Tornare lì non ebbe un bell'effetto su di lui. Sapeva benissimo che quella nostalgia era solo un'illusione che Hojo e i suoi collaboratori avevano creato, esattamente come avevano creato lui. La loro precisione era stata disumana.
Lì, Sephiroth aveva messo fine alla vita di suo padre. Non passava un singolo giorno in cui non ci ripensasse. Quante persone aveva ucciso nella sua vita, in guerra per esempio? Non ne aveva mai tenuto il conto, ma di certo non erano poche. Per sopravvivere aveva deciso di non guardare mai ai corpi che si lasciava dietro, alla sofferenza che un ordine portato a termine avrebbe causato alle famiglie di quelle persone. Per molti era un eroe di guerra, per altri un assassino spietato. Non avrebbe chiuso occhio la notte, se non avesse imparato a ignorare quella dura realtà. Eppure Hojo non era mai sparito. No, aveva tenuto fede alla sua promessa: una parte di lui sarebbe sempre rimasta con il figlio. Non si era sbagliato, altrimenti Sephiroth non sarebbe stato in quel posto, quella notte. Era ancora una volta colpa di Hojo se lui, Rainiel e molti altri stavano soffrendo. Per poco non rabbrividì, quando pensò di riuscire a udire la stridula risata dello scienziato riecheggiare tra i corridoi vuoti.
Non sapeva da dove iniziare a cercare, ma aveva un indizio di partenza: sicuramente Rain non si trovava nei piani adibiti ad alloggio per i SOLDIER, ma poteva essere nei pressi dei laboratori, poco sotto la sala delle conferenze. Aveva percorso quella strada un numero indefinito di volte, ogni volta che Hojo aveva bisogno di "tenerlo sotto controllo", con docce di mako, iniezioni e prelievi. Che sensazione tremenda.
Percorse le scale, non potendo permettersi di incontrare qualcuno negli ascensori, dove avrebbe avuto meno mobilità persino ora che aveva ripiegato l'ala su se stessa e l'aveva lasciata svanire. Per ogni passo che muoveva un nuovo dubbio gli attraversava la mente.
E se Rainiel fosse stata in condizioni critiche? Non era in grado di guarirla come avrebbe fatto un dottore. Sarebbe dovuto rimanere a cercare aiuto, o forse tentare un viaggio rapido e disperato fino ad Aerith? Lei si era presa cura di Rain dopo l'attacco di Genesis, e le aveva permesso di rimettersi in sesto in qualche ora.
E Genesis... come si sarebbe comportato, se prima di trovare lei avesse incrociato la sua stessa strada? Al momento era preda di una furia cieca così forte che non era sicuro di riuscire a rispondere delle proprie azioni. C'era ancora una parte di lui che provava profondo affetto per il suo vecchio amico ma, immerso nel suo odio e nella paura di perdere la persona cui più teneva al mondo, rischiava di scaricare quella negatività su di lui. Doveva mantenere fede alla promessa fatta a Rainiel, però. Anche se era stato Genesis stesso a portargliela via. Questo gliel'avrebbe fatto pagare caro.
Era combattuto, stordito, decisamente non nelle migliori condizioni, ma non si fermò. Camminò per un paio di minuti, attento a non farsi vedere, anche se il posto era praticamente deserto a quell'ora e non tutti i piani erano accessibili a chiunque. Unico problema: gruppi di soldati stavano perlustrando i piani, molto probabilmente in attesa del suo arrivo. La sua presenza lì era considerata come una grande minaccia, quindi doveva fare attenzione ed essere quanto più furtivo possibile.
Raggiunse l'infermeria e decise di dare un'occhiata anche lì, per sicurezza, ma i letti erano vuoti, uno dei quali disfatto, e pensò che un qualche ferito stesse per tornare a riposare, quindi si allontanò in fretta.
I laboratori non erano lontani e, anche se Sephiroth sperava di non mettere mai più piede in uno di essi in vita sua, sapeva che questa volta sarebbe stato inevitabile. Serrò i denti e percorse l'ultima rampa di scale.
Quando svoltò un angolo, un paio di occhi lo notò di sfuggita, cogliendo i lembi della sua uniforme o i fili sottili dei suoi capelli argentati svanire oltre la parete.
Genesis sussultò. L'aveva davvero trovato prima degli altri? Forse aveva una possibilità di riuscire a parlargli, a convincerlo ad andare via prima che mettessero le mani anche su di lui. Avrebbe detto a Jadin che era fuggito, e magari convincendola si sarebbe risparmiato una tremenda morte, almeno per il momento.
Nell'incrocio di corridoi in cui si trovava, avanzò rapido per svoltare l'angolo, ma rimase sbalordito.
Sephiroth era rimasto immobile, le braccia lungo i fianchi, le labbra separate.
Davanti alla porta di uno dei laboratori, che non apparteneva a Jadin, stava la giovane ragazza dai capelli ramati che si era appena risvegliata da un sonno che, a sua impressione, era durato anni.
Rainiel non si aspettava di vedere Sephiroth proprio lì, e strabuzzò gli occhi, cercando di riprendersi dalla sorpresa.
Il generale, al contrario, provò un enorme senso di sollievo. Rainiel aveva cerotti e bende ovunque, ma camminava e tutto sommato sembrava stare bene, quindi non restava che fuggire di lì.
«Rain!» esclamò praticamente sottovoce, iniziando a muoversi rapidamente verso di lei. Aveva voglia di stringerla tra le sue braccia, di scacciare la paura che aveva provato, convinto di averla persa. Voleva solo tornare a casa e rispettare la sua volontà: avrebbero guardato l'alba senza fare assolutamente nulla, stretti e uniti, questa volta per sempre.
Rainiel sembrava incuriosita. Si rivolse completamente verso di lui, rimanendo ferma sul posto. «Sephiroth?» pronunciò, confusa.
Genesis restò nascosto dietro la parete, comprendendo che non era il momento adatto per agire, o Sephiroth l'avrebbe visto come una minaccia. Ma Rainiel... sembrava felicemente sorpresa di vederlo lì, che lo avesse ricordato? Quindi il piano di Jadin era andato in fumo e il suo assurdo macchinario non aveva avuto effetto?
Sephiroth aumentò gradualmente la velocità dei propri passi, finché non raggiunse Rainiel e le afferrò le braccia, guardandola da capo a piedi.
«Rain, stai bene?» le domandò, rivolgendole quello sguardo premuroso che non aveva mai rivolto a nessun altro, «Dobbiamo andare via di qui. Torniamo a casa.» le spiegò, conscio di non poter rimanere lì oltre. Se li avessero scoperti sarebbe stata la fine.
Lasciò scivolare la propria mano in una di quelle della giovane donna e si volse, pronto a spiegare di nuovo l'ala nera e a portare entrambi via da quell'incubo.
Ma Rainiel fece resistenza, restando ferma sul suo posto, i piedi ben piantati a terra e lo sguardo perplesso. Allontanò la mano dalla sua.
«Sephiroth... Generale Sephiroth... sta bene?» gli chiese, prendendolo alla sprovvista e persino muovendo un passo indietro. «È successo qualcosa? Posso... posso chiamare un dottore, se serve...» balbettò.
In quel momento, Rain non comprese la terribile confusione che devastò Sephiroth. Nella sua mente, lei si era appena ritrovata davanti al suo eroe, colui che l'aveva ispirata e che non vedeva dal momento in cui l'aveva ammessa tra le fila di SOLDIER, affidandola a Genesis come apprendista. Perché adesso si comportava come se la conoscesse da una vita? Solo i suoi genitori la chiamavano Rain, per cui anche un diminutivo del genere le parve strano.
Sephiroth raggelò, convincendosi di essersi sbagliato, di non aver immediatamente compreso cosa fosse accaduto, ma non era così.
«Generale? Cosa stai dicendo, Rain?» domandò appena, prima di scuotere la testa. «Non abbiamo tempo. Sei confusa, lo so, ma dobbiamo andare via di qui.»
Rainiel, in tutta risposta, indietreggiò di un altro passo, lo sguardo spaventato. Una conferma, per Genesis, che al contrario delle sue aspettative Jadin era riuscita perfettamente nel suo intento. Vedere la reazione di Sephiroth fu pesante persino per lui, che rimane nella penombra del corridoio senza mostrarsi.
«Signore, io... non capisco. Mi sono risvegliata poco fa e non so cosa stia accadendo.» spiegò la ragazza, un'espressione che non era più la sua da tanto tempo. «Mi lasci chiamare aiuto. Se riuscissimo a trovare qualcuno...»
Sephiroth la guardò senza riconoscerla. La situazione era peggiore di quanto si aspettasse. Dentro di lui sentì infrangersi una speranza di vitale importanza.
«Cosa ti hanno fatto?» le domandò, gli occhi ridotti a fessure luminose e il corpo immediatamente meno rigido, più spossato. Tutta la stanchezza ricadde su di lui come un macigno in quell'istante.
Rain continuava a non capire. «Chi...?» chiese, ferita dallo sguardo che le stava rivolgendo. Aveva per caso fatto qualcosa di male, qualcosa che aveva ferito i sentimenti del Generale? Non voleva che cambiasse opinione su di lei, ma durante il loro primo e ultimo incontro era sembrato così fiero e ora... ora non trasmetteva altro che delusione.
Non ebbero tempo di proseguire la loro conversazione. Genesis stava valutando l'idea di raggiungere Sephiroth per dirgli di prendere Rain e scappare, al costo di dover trascinare l'ignara ragazza via di là in volo, ma quando mosse un passo verso di loro fu subito costretto a tornare a nascondersi.
Il rumore di passi rapidi ma pesanti raggiunse il luogo dove tutti e tre su trovavano. Dei droni sferici volarono rapidi lungo il corridoio e raggiunsero Sephiroth. In un attimo, l'uomo fu di nuovo sotto il controllo del campo magnetico immobilizzante di quei congegni.
Lui spalancò le palpebre e provò a liberarsi, ma non aveva più la forza per farlo. Comprese di aver fallito nell'attimo in cui i soldati mutati inviati da Jadin lo raggiunsero e circondarono, afferrandolo per le braccia e le gambe.
Mentre lo bloccavano, assicurandosi di impedirne ogni movimento, Rainiel sussultò e guardò terrificata quello che stava accadendo.
Sephiroth sussurrò un'imprecazione che lei non sentì nemmeno, quando uno dei soldati tirò via dalla cintura una siringa con un siero, forse del sonnifero, e la conficcò senza alcuna delicatezza nella parte di corpo scoperta sul torace dell'uomo, che cercava inutilmente di liberarsi.
«Fermi...! Cosa state facendo?!» Rainiel provò a intervenire, avvicinandosi alla scena, ma uno dei soldati le bloccò la strada sollevando una mano, il palmo aperto rivolto verso di lei.
«Stia indietro, signorina. Quest'individuo è pericoloso.»
«Pericoloso? Quest'uomo è il Generale di SOLDIER!»
«Stia indietro, lo ripeto. O dovremo prendere provvedimenti anche nei suoi confronti.»
Rain osservò inerme mentre Sephiroth veniva reso inerme e trascinato via. In parte, si accorse anche di una certa arrendevolezza da parte sua. Come se fosse stanco e privato di ogni speranza. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarlo, ma non comprendeva cosa stesse accadendo. Un po' come non lo comprendeva lui.
Genesis attese in quel corridoio buio, combattuto più che mai. Era arrivato tardi. Se avesse incontrato Sephiroth solo un secondo prima che svoltasse l'angolo e incontrasse lei, forse sarebbe riuscito ad avvisarlo giusto in tempo. Adesso... non c'era più molto da fare. L'idea di quello che gli sarebbe accaduto di lì a poco lo fece sentire male, ma non poteva intervenire in alcun modo. Ancora una volta, era prigioniero del volere di quella dannata scienziata.
Sephiroth sapeva di aver perso, ma anche di star andando incontro a una sorte tremenda. Era arrivato sin lì per salvare la ragazza, ma nessuno avrebbe tirato lui fuori dai guai.
Mentre i soldati lo portavano via, incapace di fare qualsiasi cosa oltre al parlare, alzò la voce e guardò Rainiel dritta negli occhi.
«Ricordami.» le disse, usando quel tono da mentore che l'aveva istruita per mesi, e questo la fece tremare.
Era familiare, ma sconosciuto. Le rimase impresso e, sapeva, l'avrebbe tormentata per un bel po'.
Sephiroth scomparve oltre l'angolo, nella direzione opposta rispetto a dove si trovava Genesis, costretto a sua volta a guardarlo senza poter agire. A differenza sua, Rainiel non aveva idea di quel che gli sarebbe capitato.
La ragazza attraversò di fretta il corridoio. Forse gli sarebbe corsa dietro e questo, Genesis lo sapeva, sarebbe stato rischioso per lei. Se non poteva fare più nulla per il suo vecchio amico, allora avrebbe cercato di tenere al sicuro, almeno in parte, la sua allieva.
«SOLDIER di terza classe Rainiel.» la chiamò dalla penombra, facendola rabbrividire.
La ragazza si volse e, invece che spaventarsi davanti alla vista dell'uomo che l'aveva rapita, si irrigidì mettendosi sull'attenti. Come una brava SOLDIER.
«Genesis!» salutò senza l'uso di titoli. Non era un generale, al contrario di Sephiroth, ma non gli mancò comunque di rispetto, usando un tono serio e formale.
«Non dovresti essere qui.» le disse, avanzando verso di lei e facendo praticamente finta di trovarsi lì per caso. Si era già calato nella parte dettatagli da Jadin. Si odiò per questo.
Rain rilassò i muscoli e guardò alle sue spalle, verso il corridoio in cui erano scomparsi i soldati. «Loro... hanno preso il Generale Sephiroth. Non capisco perché.» provò ad avvisarlo, naturalmente.
«Sei confusa, Rainiel, e lo è anche lui.» Genesis si morse le labbra ripetendo quello che le era già stato detto, «Starà bene. Si prenderanno cura di lui e tornerà quello di sempre. Tu hai bisogno di riposare.» Girò su se stesso e camminò verso la scala che li avrebbe portati al piano superiore. «Seguimi. Ti spiegherò tutto quando ti avrò accompagnata in camera tua.» replicò.
Rain annuì, per quanto titubante. Genesis era il suo mentore, dopotutto, e poteva fidarsi di lui... giusto?
Lo seguì, ma il suo pensiero era altrove, come d'altronde il suo cuore. Solo che ancora non lo sapeva.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Nel tuo eterno riposo ***


Capitolo 40
NEL TUO ETERNO RIPOSO
 

Per la seconda volta quel giorno, Jadin legò bene la sua preziosa cavia al macchinario che aveva inventato. Il giovane uomo dai capelli argentati sembrava pacato, non perché fosse lieto di essere lì, ma perché probabilmente aveva perso la volontà di combattere. Non si poteva mai essere del tutto certi, però, e questo era il motivo per cui la scienziata lo aveva immobilizzato non solo usando le braccia dello stesso marchingegno, ma anche con dei droni magnetici, per non parlare delle ripetute iniezioni di sonniferi e calmanti a cui lo stava sottoponendo. Con una dose del genere avrebbe potuto stendere persino un elefante, ma il corpo del super-SOLDIER era semplicemente diverso, più resistente di qualsiasi altra cosa al mondo. C'era voluta un'ora intera, prima che iniziasse a dare i primi segni di spossamento.
Ora, finalmente, Sephiroth riposava con le mani aperte a croce e la schiena legata al macchinario. Jadin aveva avuto cura di inserire gli aghi nella sua pelle con le sue stesse mani, e il suo non era un tocco gentile.
Sephiroth percepì un forte senso di nausea. Lì, a petto nudo, immobile e circondato da luci bianche, con in sottofondo i "bip" delle macchine di monitoraggio, si sentì di nuovo quello che era stato da bambino e che, a quanto pareva, era destinato a essere per tutta una vita: un soggetto per esperimenti inumani. Un vero e proprio schiavo.
L'ultimo sensore fu finalmente appoggiato sul suo torace, in prossimità del cuore. Sephiroth strinse le labbra. Non le avrebbe dato la soddisfazione di sentirlo lamentarsi, men che meno urlare, neanche una singola volta.
«Ecco fatto.» Jadin batté una volta le mani e si asciugò il sudore dalla fronte con una manica del camice, «Siamo pronti a iniziare.» terminò, camminando a passo danzante per la vivacità fino al pannello di controllo.
Sephiroth non aveva aperto bocca da quando era entrato in quella stanza. Non aveva risposto a una sola delle domande che lei gli aveva posto, se non con gelide occhiate e silenziose promesse di vendetta. In quel momento si guardò attorno, notando la giovane Turk che un tempo aveva cercato di fermarlo, quando aveva finalmente deciso di eliminare Hojo. Quando l'aveva vista aveva pensato immediatamente che anche lei avesse tradito la fiducia di Rain e che dovesse subirne le conseguenze, ma si era poi ricreduto guardando più attentamente la sua mano bendata e i suoi occhi scavati dal pianto. Si rendeva conto che era stata costretta a essere lì, chissà sotto quale minaccia.
Ora, ebbe il bisogno di porre una semplice domanda. «Cos'hai fatto a Rain?» pronunciò con tono contenuto, guardando di nuovo la sua carnefice.
Jadin non gli prestò più di tanta attenzione. «Lo scoprirai tra poco, non essere impaziente.»
«Lei non mi ha riconosciuto.»
«Non è piacevole, vero? Se può farti star meglio, non è del tutto esatto quel che dici. Ti conosce ancora, ma non come l'uomo che sei oggi. Come molti altri, lei ricorda il grande eroe di guerra Sephiroth, il forte e valoroso Generale che la accolse nella divisione di SOLDIER. Quanto tempo è passato da quel momento? Non pochi anni, mh...» rifletté, per poi fare spallucce, «Be', per lei è come se fosse accaduto tutto solo poco tempo fa. Beata ingenuità.»
Lui ripensò ai cerotti che le coprivano il corpo, alcuni macchiati visibilmente di sangue, e mentalmente ricollegò quella vista alla situazione che lui stesso stava affrontando in quel momento.
«Cosa le hai fatto?» ripeté, buio in viso.
Jadin lo guardò in totale tranquillità, anzi, con una punta di soddisfazione. Davanti a lei aveva una bestia selvaggia finalmente domata. Gongolava dall'attimo in cui lo aveva rivisto.
«Ho fatto pulizia dei suoi ricordi superflui. Per esempio, quelli che riguardano voi due. Non prova più nulla per te, lo sai?» continuò a colpirlo per ferirlo non solo con i fatti, ma anche con le parole. Sephiroth pensò che questo fosse tutto ancora da vedere. «Non ha idea di cosa sia accaduto a Darefall, all'Oasi o nel DRUM. E non sa nulla delle sue origini, o delle tue. O di quelle di Genesis, per quel che importa.»
Gli occhi di Sephiroth si strinsero nell'udire quel nome. «Lui dov'è?» le chiese. Se stava per essere manipolato e torturato, tanto valeva togliersi qualche dubbio.
«Con lei, al momento.»
Il Generale si agitò, e il macchinario tremò al suo minimo spostamento, benché fosse completamente inoffensivo in quello stato.
Jadin sollevò un sopracciglio, calmando le proprie preoccupazioni. «Non le farà del male, non temere. Ora lei è la sua cara, giovane allieva, proprio come decidesti tu, ricordi?» gli sorrise, «Sarà una delle poche cose che ricorderai, tra poco.»
«Perché lavora per te?» domandò di nuovo l'uomo, riferendosi al vecchio amico.
«Vorrei dirti che lo fa perché è spinto dalla sua gelosia, o dal bisogno di dimostrarti il suo valore, ma in realtà... non ha avuto scelta. Genesis è una delle mie tante pedine.»
Questo cambiava le cose. Sephiroth fu scosso da una sensazione. Aveva dato la caccia al suo amico... che in realtà era quasi del tutto innocente. Comprese molte cose, persino i suoi discorsi. Cercava di dimostrarsi forte, ma era terribilmente spaventato.
«Quell'uomo non fa che blaterare di quel libricino e del Dono della Dea. È uno sciocco. Non si è accorto che esistono ben due dèi, e nessuno eccetto loro: Yoshua e Jenova.» Jadin fornì poi la sua versione, «Il tuo potere e quello di Rainiel. Il vostro legame. La vostra forza, unita... questo è il vero dono degli dèi, un dono che non è nato dalla fede... ma dalla scienza. Come qualsiasi altra cosa.»
Scienza, scienza, scienza. Sephiroth aveva imparato a detestare quella parola. Era vero, era stata la scienza il suo punto d'origine, ma ora rischiava anche di essere la sua fine, come lo era stata per suo padre... e probabilmente anche sua madre.
Non avrebbe ricordato più nulla neanche di loro. Tutte quelle scoperte, tutti i mesi trascorsi a superare il trauma di quel che aveva appreso sarebbero svaniti e lui sarebbe tornato a essere una macchina da guerra sopita alla mercé della Shinra. Il loro letale fenomeno da baraccone, con Jadin che tirava i fili di quello spettacolo di burattini preparato con minuzia.
«Ripensandoci...» continuò poi la donna, richiamando la sua attenzione, «Guarda il lato positivo: Rain non saprà mai che hai provato a ucciderla, tu non lo ricorderai...»
Sephiroth strinse le palpebre. Avrebbe perso volentieri la memoria di quell'episodio, ma in realtà sapeva quanto fosse importante nella storia della sua vita con Rain. Quando lui si era perso, e lei lo aveva trovato e riportato sulla via della ragione.
«Scommetto che il pensiero ti attrae. Dimenticare le tue colpe, come se non fosse mai accaduta una cosa simile. Ma non avrai questa soddisfazione, perché voglio rivelarti una cosa.» Jadin mosse qualche passo verso di lui, mentre Vaneja guardava la scena in totale silenzio.
Sephiroth la guardò dall'alto del macchinario, un angelo intrappolato e legato a una croce di metallo. La sua Masamune era scomparsa e lui non poteva muoversi, o l'avrebbe trafitta lì e subito, senza ripensamenti.
«Il tuo attimo di follia non è stato completamente colpa tua. Era stato programmato che accadesse, come voleva Hojo.» parlò però la donna.
In quel momento, l'arroganza di Sephiroth vacillò. La sua espressione dura e pragmatica lasciò spazio per un attimo alla confusione. Gli capita solo quando l'argomento sfiorato era quello, il suo passato, la complessità della sua psiche.
«Come puoi essere in grado di programmare una cosa del genere?» sibilò infatti a bassa voce, infastidito dai suoi tentativi di manipolarlo.
Eppure, Jadin era più sincera che mai. «Noi non possiamo farlo, ma Jenova sì.» mormorò infatti, «So che sei stato a Nibelheim. Dimmi, ti è capitato di sentire il suo richiamo? Anche Rain si sentiva inevitabilmente chiamare da Yoshua. È il vostro corpo a causare quest'attrazione, le vostre cellule, i vostri geni. Siete una parte viva dei mostri da cui discendete.»
La mente di Sephiroth fu scossa, come nel mezzo di una tempesta. Aggrottò la fronte e per la prima volta si sentì davvero stancato dai farmaci che gli scorrevano nelle vene e dalle peripezie di quella lunga notte.
«Jenova non ha potere su di me.» provò a convincerla, o meglio, a convincersi.
Lei scosse la testa. «Sì che ne ha. E più le stai vicino, più continuerà ad averne. Hojo parlava di una Riunione, ma non si riferiva solo a Yoshua. Alla fine, tutto ciò che è suo tornerà a lei, e questa sarà la tua fine.» spiegò con totale naturalezza, «Non abbiamo dovuto fare altro che spostare temporalmente Jenova qui a Midgar. Ho dato il diario di Hojo a Rainiel, e sapevo che non sarebbe riuscita a mantenere il segreto. Quella ragazza parla troppo.» sbuffò, sollevando le spalle, «Dopodiché sei venuto a cercarmi, come mi aspettavo. Ti ho consegnato le chiavi dell'archivio e hai iniziato a scivolare nella follia. Non ti biasimo, lo avrei fatto anch'io, sapendo di essere un mero esperimento. Noi... ti abbiamo solamente dato una piccola spinta. Ho studiato a lungo Jenova, so bene che non perderebbe occasione di corrodere la mente di chi gli sta attorno. Tu le sei andato incontro a braccia aperte, e lei ti ha sussurrato di uccidere Rainiel, l'unica cosa che ti avrebbe permesso di rimanere umano.»
Sephiroth rivisse quei momenti. Era semplicemente sconvolto, forse più del momento in cui aveva appreso del progetto che gli aveva dato la vita, più di quando si era ripreso dalla follia tra le fiamme dell'archivio. Nel giro di qualche breve secondo comprese di aver sbagliato per tutta la vita. La Shinra non era la sua nemesi, non erano i padroni del mondo che pensavano di essere, erano solo un mezzo per uno scopo. A tessere quella grande tela non erano loro, non era stato Hojo né Jadin, ma il vero nemico. E il vero nemico era Jenova.
Quell'essere... Sephiroth aveva dimostrato di avere buon senso, quando si era rifiutato di incontrarla. Probabilmente la creatura aliena avrebbe davvero fatto breccia tra i suoi pensieri, avrebbe consumato quello che di buono c'era in lui, lo avrebbe spinto a uccidere il giovane Cloud, che lo aveva accompagnato, e a dare alle fiamme Nibelheim. Dopodiché, sarebbe toccato a Rainiel, a Zack, a Aerith e Tifa. E al resto del mondo.
Non aveva mai riflettuto in quei termini. Questo cambiava tutto. E, in parte, mitigava il tremendo senso di colpa che lo aveva accompagnato ogni giorno della sua vita, dal secondo in cui aveva fatto del male a Rain nella convinzione di punire l'umanità attraverso di lei, di vendicare un tradimento.
Ora, non poteva assolutamente dimenticare una cosa del genere. Ignaro di quella realtà, sarebbe stato in balia di Jenova più che mai. Avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore, forse, e in maniera più grave. Jenova poteva prendere il controllo della sua mente e delle sue azioni, vivere dentro di lui come un parassita letale, che si nutriva della sua rabbia e della sua immensa tristezza, per portare dolore e distruzione. Sarebbe riuscita a farlo, prima o poi, e sulle sue mani egli avrebbe visto il sangue di tanta povera gente innocente.
Lui non voleva essere quel tipo di uomo. Lui voleva essere il Sephiroth buono e giusto che avevano conosciuto Genesis e Angeal, che aveva conosciuto Rainiel e l'aveva addestrata. Aveva bisogno di loro più che mai, ma non li avrebbe visti adesso.
Provò a liberarsi, ma aveva deciso di lasciarsi cedere al peso dei sonniferi e della stanchezza, ed era troppo tardi ormai per tornare indietro. Pregò il suo corpo e il suo cervello di restare lucidi, di non arrendersi proprio adesso. Doveva liberarsi, trovare Rain, fuggire via. E soprattutto, doveva trovare e annientare Jenova prima che lei annientasse lui.
Jadin poteva vedere il panico avere la meglio su di lui, nulla sarebbe stato più gratificante di quella scena.
«Povero, piccolo Sephiroth.» lo schernì, «Ogni volta che sei convinto di aver compreso qualcosa, ti accorgi che la realtà è ben diversa. Che hai inseguito una menzogna dopo l'altra, per tutta la vita. Ma io...» Jadin tornò alla sua postazione, «Io ti darò la pace che cerchi, Sephiroth. Nel tuo eterno riposo. Non puoi soffrire per qualcosa di cui non sei a conoscenza. Risponderai alla Shinra, perché è per questo che sei stato creato, e troveremo un modo per piegare anche Jenova alla nostra volontà, tramite te. Sarai l'arma più pericolosa mai inventata. Midgar conquisterà il mondo grazie ai tuoi sforzi.»
Posizionò la mano sulla pulsantiera. Dall'altro lato della stanza, Vaneja sussultò e i suoi occhi tornarono a luccicare. Alternò la vista tra la scienziata e la sua vittima e, rendendosi conto di non poter fare nulla per evitare quel che stava per accadere, strinse gli occhi con forza e usò entrambe le mani, benché una fosse gravemente ferita, per coprirsi le orecchie. Non voleva assistere di nuovo a quello scempio. Voleva solo sparire.
Sephiroth mostrò i denti cercando di muoversi, ma era tutto inutile. Poté percepire l'adrenalina combattere il siero che lo indeboliva, ma non era abbastanza.
«Stai commettendo un gravissimo errore.» cercò di metterla in guardia, «Se adesso elimini i miei ricordi, forse tra non molto tempo non esisterà più nessuna Midgar.»
Jadin sospirò, tediata dai tentativi di farle cambiare idea di quella sera. «Risparmiati il discorso, ha già tentato Rainiel, e con scarsi risultati.»
Rainiel... avrebbe messo in pericolo persino lei. Soprattutto lei. Aveva appena appreso che non era stata interamente colpa sua quello che le aveva fatto in passato, eppure adesso rischiava di diventare ancora più pericoloso nei suoi confronti. Sapeva benissimo che, nello stato ignaro in cui viveva anni prima, non sarebbe stato in grado di resistere ai dolci richiami di sua Madre. Il suo rancore avrebbe amplificato i poteri della creatura. Il suo essere solo, disorientato, l'avrebbe portato a cercare un appiglio sicuro nell'unica radice che aveva, in assenza di figure genitoriali, di una guida, o di una persona amata. Rischiava seriamente di rivolgersi a Jenova per disperazione. Sapeva bene cosa fosse quel sentimento, e non voleva che lo divorasse, peggio di come aveva fatto in passato.
«Rimpiangerai la tua scelta.» provò ad avvisarla un'ultima volta, ma nemmeno adesso Jadin aveva intenzione di cedere ai suoi avvertimenti. Era convinta di essere in totale controllo della situazione, inconscia del fatto che, forse, stava per firmare una condanna a morte, non esclusivamente sua, ma di molte persone innocenti.
«La mia scelta ci porterà alla grandezza!» replicò infatti, un sorriso in volto che non aveva nulla di lucido. «Sei irritante, Sephiroth, ma soprattutto sei un essere curioso. Ho iniettato a Rainiel una dose massiccia di mako per sostenere il dolore dell'operazione. Tu non ne hai bisogno, sarà solo molto più doloroso.» Piegò la testa come un gatto curioso che osserva la preda, gli occhi ben aperti dietro gli occhialini che teneva sul naso, «E sarà davvero un piacere guardare.»
Non attese oltre, non gli diede il tempo di prepararsi. Pigiò la leva, e aumentò la carica del macchinario al massimo. Fu come se un fulmine si fosse abbattuto su di essa.
Sephiroth si sentì colpire con una forza che non aveva mai conosciuto, peggiore dei colpi da arma da fuoco o di una lama che gli affondava nella pelle, diversa da una scottatura e in sostanza da qualsiasi altra cosa. Avvertì ogni sua cellula tremare in risposta a un dolore così lancinante che, per un istante, pensò di rischiare la morte. Ma la parte di Jenova che viveva in lui lo rendeva resistente. Sarebbe sopravvissuto a questo e probabilmente ad altro, e ora aveva un motivo per farlo.
Non le diede alcuna soddisfazione. Non gridò, non emise un lamento. Quella sofferenza era qualcosa di osceno, quel dolore totalmente sconosciuto e terribile, ma non le diede la possibilità di gongolare mentre lo guardava contorcersi dal dolore.
Aveva appena appreso la verità su Genesis e su Jenova, e sapeva di star per dimenticare tutto. Gradualmente, ogni suo ricordo recente stava svanendo.
L'unico appiglio a cui si rivolse fu il ricordo di Rainiel, che mantenne vivo finché non faticò a ricordare il colore dei suoi occhi o il profumo dei suoi capelli, il suono melodioso della sua voce. Alla fine, non ricordò quasi più nemmeno il suo nome, non il dolce nomignolo Rain che usava per parlarle.
Ma il sentimento che provava per lei era vivo, lo sarebbe stato ancora per un po'. Per sempre, sperava. Nello stato in cui era adesso si disse che una vita senza l'amore di Rain non valeva la pena di essere vissuta, e ne era fermamente convinto.
Le aveva promesso che avrebbero osservato assieme quell'alba dopo aver risolto tutto. Invece, ora i problemi non avevano fatto che moltiplicarsi e, forse, questa volta non esisteva un pulsante di reset o una materia ignota che avrebbe sistemato le cose. Non restava che sperare in Zack e negli altri, o nell'eventualità che lui o Rainiel si svegliassero da quel sonno a occhi aperti.
Mentre i suoi, di occhi, si chiudevano, invece, rivolse all'immagine sbiadita di Rain una silenziosa implorazione.
"Ricordami", le aveva chiesto. Ma c'era qualcosa in più di cui aveva bisogno adesso.
"E aiutami a ricordare."

 

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Falsa verità ***


Capitolo 41
FALSA VERITA'
 
Il rumore di una tazzina che collideva con il piattino di ceramica sottostante risvegliò bruscamente Rainiel da un momento di riflessione, catturando il suo sguardo fino a poco prima perso oltre la finestra della sua stanza da letto.
Genesis si era offerto spontaneamente di prepararle un buon tè caldo per aiutarla a riprendersi. Rain aveva trascorso l'intera giornata precedente a dormire per rimettersi in sesto e, benché ora si sentisse più riposata, il suo senso di confusione non si era affatto mitigato.
Le bastò guardarsi attorno per avere l'emicrania. Cos'era quella stanza, così lussuosa e spaziosa? Non le sembrava adatta a una SOLDIER di terza classe come lei. E da quando Genesis si dimostrava così premuroso nei suoi confronti? Non aveva mai dimostrato particolare interesse verso di lei, anzi non si era proprio creato problemi a ignorarla, il più delle volte.
Lo guardò prendere posto al tavolo rotondo, con un sospiro e lo sguardo un po' perso.
Jadin gli aveva espressamente ordinato di essere gentile con lei, ma questo Rain non poteva saperlo. Era trascorso un giorno intero dalla sua perdita di memoria e Genesis aveva usato tutto il tempo a disposizione per pensare a un discorso sensato da fare a Rainiel per convincerla di un mucchio di menzogne che presto sarebbero diventate la sua verità. In quelle ore, la scienziata aveva orchestrato tutto perfettamente, inventandosi una storiella che giustificasse il ritorno di Rain, Genesis e Sephiroth alla Shinra, una in grado di convincere non solo loro, ma anche di essere credibile per i media cittadini.
Rain afferrò timidamente il manico della tazzina e si specchiò sulla superficie tremula della bevanda calda.
«Avrai molte domande, immagino.» Genesis ruppe il silenzio, inspirando a fondo. Era il momento di iniziare quel patetico teatrino.
Rainiel non lo guardò direttamente. «Molte, in effetti.» La sua fronte si corrugò, le sopracciglia basse, «Ma in realtà non saprei nemmeno da dove iniziare. Un attimo prima ero nel mio alloggio, alle caserme, e poi...»
«Ti sei risvegliata,» la precedette lui, «Senza ricordare più nulla.»
La ragazza alzò di scatto la testa, la schiena curvata e le labbra socchiuse. «Esatto. Non capisco cosa sia accaduto. È tutto... così diverso. Io mi sento diversa.»
Genesis osservò il suo sguardo vagare di nuovo. Si appoggiò allo schienale e la studiò attentamente. «Hai perso la memoria, Rain.» Questa non era una menzogna, ma avrebbe preferito che lo fosse. Oppure, avrebbe voluto piuttosto raccontarle tutta la verità.
Rain restò immobile per qualche secondo, l'espressione sofferta. «... Quanto ho dimenticato?» gli domandò.
Genesis intrecciò le braccia e accavallò le gambe sotto al tavolo. «Da quanto tempo pensi di essere mia allieva?»
«Qualche mese... non ricordo di preciso.»
«Hai dimenticato all'incirca quattro anni. Tranquilla, potresti recuperare i tuoi ricordi. Devi solo riposare e riprenderti dal trauma subito.» Questa, invece, era una falsità.
Rainiel aveva voglia di piangere. Aveva vent'anni. Praticamente aveva saltato buona parte della propria adolescenza. In più, era rimasta una SOLDIER di terza classe per tutto questo tempo e non conosceva altre persone se non Genesis, il che significava che non aveva concluso poi molto in quel lasso di tempo. Sì, voleva recuperare ogni memoria perduta.
«È sicuro che ricorderò tutto?» domandò, speranzosa.
Genesis fece ricorso al lato più tenace e impassibile del suo animo per restare imparziale davanti a una scena del genere. Per quanto avrebbe solo dovuto detestarla, Rain finiva quasi per intenerirlo, suscitare la sua compassione.
«No, ma puoi comunque provare a ricordare le cose più importanti.»
Infilò una mano in tasca e ne estrasse un contenitore metallico tondo, che poggiò sul tavolo accanto alle dita pallide della ragazza.
«Prendi questi farmaci, è stato il dipartimento scientifico a consigliarmeli. Te li fornirò di settimana in settimana. Aiuteranno la tua memoria a ristabilirsi.» le spiegò.
Rain aprì la scatoletta d'alluminio e vide piccole pillole bianche dall'aria innocua, come se fossero semplici antidolorifici.
Genesis sapeva benissimo che non erano nulla del genere, e nemmeno pillole per stimolare la memoria. Quei medicinali avrebbero solo tenuto a bada il dono di Rain che, se manifestato inconsciamente, rischiava di rivelarle la natura delle bugie su cui stava per fondare la sua nuova vita.
«Grazie.» pigolò la ragazza, richiudendo il barattolo e straziando il cuore di Genesis, che non voleva neppure trovarsi lì. Tornò a guardarlo, e lui abbassò lo sguardo mentre lei gli parlava, per evitare che notasse il senso di colpa nei suoi occhi.
«Posso chiederti... com'è accaduto?» riprovò Rain. Aveva bisogno di scoprire quei dettagli.
Genesis ripeté velocemente nella propria mente i punti su cui si era accordato con Jadin per la creazione di quella storia-esca.
«Tu e un gruppo di altri SOLDIER siete partiti per una missione, non molto tempo fa. L'obiettivo era liberare un prigioniero dai nemici di Wutai che lo avevano intrappolato. La missione è andata a buon fine, ma i soldati della nazione nemica hanno usato contro di voi un'arma sconosciuta per confondervi e sconfiggervi. Credo che la perdita di memoria sia una diretta conseguenza del suo impatto. Sei fortunata a essere sopravvissuta.» s'inventò quindi.
Rain sgranò gli occhi. Una cosa del genere era incredibile. «Accidenti... e cosa ne è stato del prigioniero?» volle sapere. Sperava almeno di aver completato la missione.
Genesis abbassò il capo, e anche la voce. «Sono io quel prigioniero.» Con l'eccezione che continuava a esserlo ancora, ma non si trovava tra le grinfie di Wutai, solo in quelle di una folle scienziata con manie di grandezza.
Rain si coprì le labbra. «Mi dispiace moltissimo... per quanto sei stato lì?»
«Un paio d'anni.» Questo avrebbe giustificato la sua assenza per tutto quel tempo.
La sua allieva restò in silenzio per una quantità indefinita di secondi. Aveva un'espressione triste in volto, e sembrava così genuinamente dispiaciuta per lui che osservarla stava diventando sempre più fastidioso ogni secondo che passava.
Infine, il suo sguardo bluastro, che ancora risentiva della luminescenza della mako, si fissò su quello dell'uomo.
«Sono lieta che tu sia tornato, e che stia bene.» mormorò, non senza un certo imbarazzo. Era sincera più che mai.
Genesis si morse l'interno di un labbro con forza. Rain per caso si considerava sua amica, ai tempi in cui era stato suo compito addestrarla? E per quale motivo? L'aveva allontanata con ogni mezzo possibile... eppure lei continuava a vedere del buono in lui. Lo aveva fatto fino all'ultimo secondo. Perché non poteva semplicemente odiarlo, così da rendere le cose più semplici?
«Anch'io... sono contento di essere tornato.» mentì, cercando di non tradire la sua sceneggiata con una microespressione troppo rivelatoria o qualcosa del genere.
Seguirono dei secondi di silenzio interrotti solo dai pochi, ovattati rumori al di là della porta, dal ticchettio di un orologio sulla parete che non segnava l'ora esatta, e dal basso suono di due respiri incerti.
«Genesis...» Fu Rainiel a parlare, dopo quell'eternità di attesa che in realtà era stata forse fin troppo breve, «Posso fare una domanda?»
Il giovane uomo sollevò un sopracciglio. «Di che si tratta?» Era pronto a propinarle un'altra menzogna, ma non vedeva l'ora di andarsene. Aveva fatto il suo lavoro, quello che gli avrebbe permesso di vedere l'alba del nuovo giorno. Jadin aveva resettato la degradazione con molto ritardo, il giorno prima, e non voleva esagerare con le provocazioni.
Eppure, Rain intrecciò le dita e lo spiazzò. «Riguarda...» deglutì, forse preoccupata, «... Sephiroth.»
Genesis spalancò gli occhi e si spostò scomodamente sulla sedia, stavolta trasudando agitazione.
Ricordava forse qualcosa di lui? Forse, allora, potevano collaborare. O sarebbe stato troppo pericoloso?
«Cosa vuoi sapere di Sephiroth?» le domandò, ma non poté nasconderle, questa volta, il proprio nervosismo.
Rainiel lo scrutò a lungo, cercando di carpire un cenno, un segnale, un minimo gesto che potesse aiutarla a ricordare, ma non ci riuscì.
«Ieri notte, quando l'ho incontrato nei corridoi del piano dei laboratori, lui... mi ha chiamata Rain, come se mi conoscesse bene. Ha cercato di portarmi via. Tu sai perché?» domandò. Nelle sue orecchie risuonava ancora una parola in particolare. "Ricordami". Cosa doveva ricordare di lui, esattamente?
Genesis doveva pensare rapidamente a una risposta efficace. Si calmò, e in parte gli dispiacque anche, quando comprese che in realtà Rain aveva perso tutti i ricordi che Jadin aveva voluto cancellare. L'operazione era stata un successo.
«Il Generale Sephiroth era in missione con te, quando siete stati attaccati.» ricostruì dunque quel finto ricordo, «Tu e lui siete i soli a essere sopravvissuti. Per quanto ne so, siete stati trasportati in infermeria d'urgenza una volta arrivati qui a Midgar. Forse lui, come te, aveva ripreso conoscenza e si trovava in uno stato di confusione. Voleva portarti al sicuro.»
Rainiel trovò sensata la sua spiegazione, ma essa non spiegava quello che lui le aveva detto in quel corridoio. Il suo sguardo, la sua voce... c'era una strana familiarità nel suo comportamento. Come se fosse accaduto qualcosa, tra loro due. In più, il pensiero che tutti i loro compagni di missione avessero perso la vita la scosse parecchio.
Provò a osare di più. «Mi piacerebbe incontrarlo, per parlargli.» richiese. Sapeva che Sephiroth era un uomo importante, impegnato, e che difficilmente avrebbe trovato tempo per una semplice SOLDIER di terza classe come lei, ma tanto valeva provarci. Forse anche lui aveva vuoti di memoria.
Genesis, però, la folgorò con lo sguardo. Il pensiero di loro due che si incontravano in quello stato, nel rischio che ripristinassero i loro ricordi, lo tormentò. In tal caso la colpa sarebbe ricaduta su di lui, e Jadin gli avrebbe fatto pagare quell'errore donandogli una lunga, terribile agonia. Il solo pensiero lo fece alzare con un movimento brusco dal tavolo.
«Sephiroth ha bisogno di riposare, esattamente come te. Non vi siete ancora ripresi del tutto. E tu devi ritornare al più presto ai tuoi allenamenti.» negò rapidamente.
Rain lo guardò, disorientata. «Sarebbe solo per qualche domanda, non è mia intenzione disturbarlo e...»
«Prendi le tue pillole, Rainiel Chanstor,» tuonò seppur a tono contenuto il falso mentore, «e torna a letto. Dei medici verranno a visitarti tra qualche ora. Se dovessi aver bisogno di me, contattami.»
Le girò le spalle, avvicinandosi alla porta. Era ancora voltato di spalle, quando le parlò per l'ultima volta.
«Cerca di pensare un po' di più a te stessa.» le consigliò, «Scoprirai che essere egoisti a volte è l'unico modo che si ha per sopportare i periodi più bui.»
Si stava chiaramente riferendo a Sephiroth, e a tutte le altre preoccupazioni della ragazza. Non aspettò risposta, lasciò la stanza e si richiuse la porta alle spalle, lasciando Rain da sola con i suoi pensieri.
Aveva l'impressione che, una volta, quei pensieri fossero addirittura assillanti, che non la lasciassero riposare in pace. Ora, invece, non sapeva più nemmeno a cosa pensare. Era stato rimosso qualcosa di importante dalla sua mente, ma non solo. Un vuoto significativo se ne stava lì, nel bel mezzo del suo petto, e la pregava di trovare una soluzione.
Rainiel guardò di nuovo all'interno della tazza di tè che a malapena aveva assaggiato.
La superficie dell'acqua era ancora tremula. La pace di quel limpido piano sconvolta da ignote onde d'incertezza.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** La forza necessaria ***


Capitolo 42
LA FORZA NECESSARIA

Nei bassifondi, la luce dei fari solari artificiali sembrava meno luminosa del solito.
Zack se ne stava seduto scomodamente sul letto che condivideva, così come la stanza, con Aerith. Stava guardando attraverso la finestra, gli occhi persi tra i fili d'erba e il laghetto del giardino davanti all'edificio di legno. I fiori del prato erano meno verdi. La sua ragazza forse avrebbe detto che erano tristi. La mancanza di Rainiel si faceva sentire, e probabilmente era il suo essere lì, il suo dono di legarsi alla natura, che dava vigore a quei variopinti boccioli, ora più molli e scoloriti.
Zack lasciò cadere la testa penzoloni in avanti e se la resse con le mani coperte dai guanti. Le tempie gli bruciavano, un po' come gli occhi. Non aveva dormito per più di una decina di minuti, nelle ultime quarantott'ore. Non ci riusciva affatto. Se ne stava lì, a casa, a guardare la strada principale o il giardino di Aerith, oppure andava in giro armato di spada Potens a controllare la zona. Di Rain o Sephiroth, però, non c'era traccia.
La porta della camera si aprì con un timido cigolio. Una falce di tenua luce lo illuminò, prima di spegnersi quando la porta fu richiusa. I passi leggeri della ragazza dal fiocco rosa non lo spaventarono, e lui non si volse a guardarla, anche se la sua sola presenza, lì, gli dava un po' di forza per affrontare quella situazione.
«Cloud e Tifa sono tornati dalla stazione?» domandò il ragazzo, la voce spezzata dalla preoccupazione e dalla stanchezza.
Aerith intrecciò le dita di una mano con quelle dell'altra e si sedette sul bordo del materasso, accanto a lui, sopra le coperte ordinate. «Sì.» replicò. D'altronde li aveva appena accolti di nuovo in casa. I loro due amici erano andati alla stazione ad attendere un possibile ritorno dei due dispersi attraverso il tunnel elicoidale, ma non c'erano grandi speranze in merito.
Zack le pose un'altra domanda, per quanto già sospettasse quale sarebbe stata la risposta. «Nulla?»
«Nulla...» Aerith sospirò, spostandosi più vicino a lui con una mossa distratta. Lo guardò, mordendosi un labbro, mentre lui si copriva il volto e si dava un colpetto alle guance per mantenersi lucido.
«Sono scomparsi da un giorno intero, ormai.» mormorò il ragazzo, finendo per guardare un punto impreciso della parete legnosa davanti a lui.
Oltre quella parete v'era la camera che per qualche settimana aveva ospitato i loro due amici perduti. A volte sentivano le risatine di Rain arrivare da quella stanza. A volte persino quelle di Sephiroth, per quanto improbabile sembrasse. Ora, quel silenzio lo stava distruggendo.
«Non abbiamo ricevuto loro notizie. Non sappiamo nemmeno se siano vivi o...» Non terminò la frase. Non ne aveva il coraggio.
Aerith gli massaggiò la schiena, sforzando un sorrisino. «Sono vivi, riesco a sentirlo.» gli disse subito, così che mantenesse la calma. «Può darsi che siano semplicemente fuggiti. Li conosci, sai che sanno difendersi. Magari torneranno da noi tra non molto.»
Zack scosse la testa. «Amo il tuo ottimismo, ma questa volta temo ti sbagli. Se Sephiroth fosse riuscito a liberare Rain, l'avrebbe riportata qui immediatamente.»
«Ne sei sicuro?»
«Più di qualsiasi altra cosa. È il posto più sicuro che conosca. L'unico dove porterebbe Rainiel. Qui tu potresti prenderti cura di lei.» disse, e la guardò.
Aerith rifletté per qualche istante. Non dubitava delle sue parole. Quei due sembravano fatti l'uno per l'altra. Tutti avevano capito che erano profondamente innamorati, per quanto forse non l'avrebbero ammesso ancora per molto.
Riprese piano il respiro e appoggiò la testa alla spalla di Zack. «Troveremo un modo. Forse hanno bisogno di più tempo, o forse del nostro aiuto.»
«Certo che hanno bisogno di noi...» Zack strinse le palpebre, sentendosi più vulnerabile ora che Aerith era con lui, come se non dovesse fingere di avere sempre addosso quella corazza che aveva mostrato così tante volte. «Rain è come una sorella per me. Ho già perso una persona a cui volevo bene. Non voglio perdere anche lei...»
Aerith sentì un brivido attraversarlo e lo cinse con le braccia, sibilando fra le labbra per calmarlo. Zack non trattenne un singhiozzo. Una lacrima gli rigò una guancia.
«Non la perderai. Troveremo una soluzione.» lo spronò, «Vi siete sempre guardati le spalle a vicenda, e così avete sconfitto ogni problema. Questa volta non andrà diversamente.»
«Questa volta siamo stati divisi.» Zack ripensò alle parole di Sephiroth. "Non ci teneva abbastanza". La verità è che teneva così tanto alla sua migliore amica che, nel sentire quell'insinuazione, aveva provato l'impulso di colpire Sephiroth così forte da mandarlo a terra, anche se le probabilità di riuscirci erano minime. «Il settore 5 e il Mercato Murato pullulano di squadre di SOLDIER e persino di Turks che ci stanno palesemente cercando. Noi, Cloud e Tifa possiamo a malapena mettere piede fuori da questa casa, rischiando sempre che portino via anche qualcun'altro. Non abbiamo un piano, e probabilmente in questo momento Rain e Sephiroth stanno subendo qualcosa di orribile.» Zack elencò le sue preoccupazioni asciugandosi gli occhi con il dorso di un braccio.
Aerith scelse di non renderlo partecipe della sensazione di cui aveva già parlato all'ex-Generale. Non voleva stressarlo ancora di più.
«Potremmo spostarci.» propose, «Trovare un luogo più sicuro, dove organizzare le idee e pensare a un piano per risolvere tutto.»
«E dove?» Zack sospirò, «Non esiste un luogo sicuro, all'ombra di Midgar. La Shinra sa che siamo qui.»
Aerith si guardò i piedi per qualche attimo, riflettendo. «Non lo so, ma forse possiamo chiedere un consiglio a Cloud e Tifa.» ebbe allora quell'idea, «L'importante sarà discuterne tutti assieme. Se collaboriamo, riusciremo a trovare una soluzione nel minor tempo possibile.»
Zack sapeva che la ragazza aveva ragione. Erano una squadra, anzi, una grande famiglia. Tutti loro avevano perso qualcuno o qualcosa, tutti avevano bisogno del sostegno degli altri. Non dovevano lasciare che quel che era accaduto li separasse.
Lui, però, non poteva fare a meno di pensare alle problematiche che avrebbero interferito.
«Pensi davvero che Elmyra ti permetterà di venire con noi, ovunque sia il luogo in cui andremo?»
Aerith fece spallucce. «No, non lo farà.» E poco dopo gli scoccò un occhiolino. «Ecco perché scapperò di casa.»
Inizialmente, Zack strabuzzò gli occhi. In realtà, però, sapeva benissimo che Aerith lo faceva spesso. Che fosse per andare a trovare i bambini della Casa Verde, o per avere un momento di solitudine alla chiesa, o anche solo per incontrare lui nel primo periodo in cui si erano conosciuti, la ragazza trovava sempre un modo per sgusciare via dal nido e della chioccia protettiva che lo supervisionava.
Un sincero sorriso gli tinse il volto, e di conseguenza anche Aerith non poté fare a meno di sorridere. Era impossibile spiegare quanto bene facesse, a entrambi, vedere l'altro stare finalmente un po' meglio.
«Sei la persona più cocciuta che conosca.» Zack tirò su col naso.
Aerith piegò il viso in avanti, verso di lui. «Ma è questo che ti piace di me, no?»
Zack la guardò, in silenzio, per qualche secondo. Per un attimo ogni problema fu spazzato via. Le circondò il viso con una mano, diminuendo le distanze.
«A me piace ogni singola cosa di te.»
Poggiò piano le labbra sulle sue, e si sentì rinascere.
Aerith era sempre stato il suo faro, il suo porto sicuro. A lei faceva ritorno sempre, nei momenti di gioia e in quelli di dolore. Voleva condividere ogni aspetto della sua vita con lei. Ecco perché la sua presenza gli diede forza, tutta quella di cui aveva bisogno per prendere le redini della situazione.
Rainiel si fidava di lui. E anche Sephiroth. E lui avrebbe aiutato entrambi a tornare a casa, non importava quale sarebbe stato il prezzo della libertà.
Nel giro di qualche minuto, lui ed Aerith si presentarono al piano di sotto. Elmyra non era lì, aveva insistito per uscire e aiutare i più giovani a cercare i due dispersi, e sarebbe probabilmente tornata fra non molto tempo.
Cloud e Tifa, intanto, erano rimasti nel giardino, vicini alla porta d'ingresso della casa. Cloud stava seduto sullo scalone del porticato, mentre Tifa camminava nervosamente sulla stradina di ciottoli fra le due fila separate di fiori. Poco più avanti, la piccola cascata oltre il ponte di legno copriva il suono delle suole dei suoi stivali che battevano contro il terreno.
«Dove potremmo cercare?» domandò proprio lei, che intanto si stava torturando le mani, rigirandosi la stoffa dei guanti tra le dita e ogni tanto mordicchiandosi un'unghia.
Cloud teneva la testa bassa. Anche lui era abbastanza provato dalla scomparsa di due dei suoi grandi punti di riferimento. Il pensiero che nemmeno Sephiroth avesse fatto ritorno, persino a mani vuote, lo aveva condannato a uno stato di totale agitazione.
«Non abbiamo ancora fatto un salto alla discarica, o alla chiesa...» provò a riflettere.
Tifa allargò le braccia. «Bene, allora. Andiamoci subito.»
Cloud parve ricordare un dettaglio in quell'istante. «Non credo abbia senso. Nessuno dei due è collegato direttamente alla piattaforma, e nemmeno alla stazione. Se anche fossero tornati in volo, non sarebbero andati là.»
«Ma possiamo fare comunque un tentativo, giusto?»
«Non voglio metterti in pericolo. La zona è sorvegliata dalla Shinra. Ci stanno cercando perché sanno che potremmo aiutare Rain e Sephiroth a fare ritorno.»
Tifa fu intenerita da quello che le disse, ma teneva ben poco alla propria incolumità, se aveva l'occasione di aiutare Rainiel, che era stata così gentile e accogliente con lei, e anche Sephiroth, che le aveva permesso di dirigersi con lui e Cloud fin lì, dove aveva finalmente trovato un luogo che si sentiva di chiamare casa.
Per fortuna, eventuali mosse azzardate furono prevenute dalla porta di casa che si aprì in quell'istante. Cloud si alzò, allarmato, e si allontanò, per poi calmarsi quando vide emergere dalla sala da pranzo i due amici più grandi.
Zack aveva gli occhi un po' arrossati, ed Aerith gli teneva teneramente una mano. Fu lui a parlare per primo.
«Sappiamo cosa fare.» annunciò infatti. Quando notò l'espressione speranzosa di entrambi i suoi interlocutori, però, si grattò i capelli corvini con la mano libera, distogliendo lo sguardo. «Be', più o meno.»
Aerith riprese il discorso al suo posto. «Restare nel settore 5 ormai è troppo rischioso. Abbiamo pensato che sarebbe meglio trovare un'altra sistemazione, una più sicura, dove potremo decidere il da farsi.»
Cloud batté rapidamente le palpebre. «Be'... in effetti è sensato. Ma dove dovremmo andare? L'unico posto ospitale che conosco è Nibelheim, ma è a giorni di viaggio da qui.»
Zack annuì e sospirò. «Persino Darefall è troppo lontana come base. E l'Oasi... meglio lasciar perdere, il dipartimento scientifico tiene d'occhio quel posto da sempre.»
Cloud annuì. L'Oasi era assolutamente una cattiva idea. Forse, nemmeno Darefall era l'ideale. Salvare la vita a Rain solo per portarla al riparo nel luogo in cui aveva perso i genitori non sembrava la migliore delle scelte.
Aerith gonfiò le guance. «Questo in effetti potrebbe essere un problema. Nessuno di voi ha altre idee? Magari potremmo trovare un posto in uno degli altri settori.» domandò.
Tuttavia, le rispose solo il silenzio. Zack non aveva familiarità con i bassifondi, men che meno i due ragazzi di Nibelheim. Tifa, però, li sorprese sollevando un indice e sorridendo vivacemente.
«Ci sono! Il mio maestro di lotta ha delle conoscenze nel Settore 7!» annunciò, «Non so di chi si tratti, di preciso, ma se riuscissi a contattarlo e a fargli qualche domanda potremmo dirigerci là e cercare un luogo sicuro in cui nasconderci per il tempo necessario.»
Cloud rifletté sulle sue parole. «Sembra un'ottima idea. La Shinra non ha interessi nel Settore 7, per quanto ne so.»
Gli occhi di Aerith, però, brillarono. «Di questo non sono sicura, ma ho appena ricordato una cosa!» esclamò.
Zack la guardò con un sopracciglio alzato. «Cosa?»
«C'è un giovane uomo proveniente dal Settore 7 che periodicamente fa visita alla Casa Verde per prendersi cura dei bambini o semplicemente passare un po' di tempo con loro. Mi pare che se il suo nome sia Biggs. Potremmo parlare con lui, giusto? Sono sicura che sarebbe lieto di darci una mano, è una persona così gentile!»
«Be', speriamo lo sia abbastanza da darci una mano.» ironizzò, sentendosi di nuovo quello di una volta. Era strano fare quei discorsi e organizzare nuove missioni senza Rainiel e Sephiroth a dire la loro, ma potevano farcela. Sentiva di avere la volontà sufficiente per riuscirci.
«È deciso, allora.» mormorò, guardando l'acqua limpida della cascata riversarsi nel fiume e poi, più in alto, l'immenso cielo lontano. Per una volta, faceva paura anche a lui. «Partiremo quanto prima per il Settore 7.»
"Voi, amici miei..." aggiunse poi, solo nella sua mente, chiudendo gli occhi e immaginando la grande città di Midgar, la Torre Shinra, e le due persone care che avrebbero trovato lì, "... aspettateci. Arriveremo per voi."

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Da zero ***


Capitolo 43
DA ZERO

Rain sentiva che quella divisa da SOLDIER di terza classe le stava un po' troppo stretta. Non perché lo fosse davvero, era della sua taglia e le calzava a pennello oggettivamente, ma c'era comunque qualcosa che non andava. Quel violaceo scoccava con il suo volto più maturo. Era cambiata, era cresciuta, ma non ricordava in che modo. Eppure, rimaneva una semplice SOLDIER di terza classe.
Con un sospiro, la ragazza finì di indossare gli spallacci, raccolse i capelli in una crocchia alta e si spostò dal bagno, dove aveva appena finito di fare una rilassante doccia calda, al soggiorno. La sua camera era troppo comoda per essere quella di un'operatrice del suo rango, era un open space con tutto ciò che le serviva, e in cui probabilmente nessuno aveva abitato per un po'. Che fosse un premio per la missione portata a buon termine, dato che aveva salvato Genesis dai suoi carcerieri a Wutai?
Rainiel si spostò davanti la televisione e la accese per qualche minuto, avendo ancora un po' di tempo rimanente prima di dover lasciare la stanza. Fece zapping tra i vari canali, finché non trovò la rete televisiva esclusiva della Shinra, la SNNet News.  Su Midgar Today, negli ultimi giorni, avevano parlato parecchio di lei, il che l'aveva portata a non lasciare la stanza per un po', se non per i quotidiani accertamenti medici. D'altronde, doveva essere tenuta sotto controllo.
«La Torre Shinra è attualmente ancora circondata da reporter provenienti da ogni settore di Midgar, in attesa ormai da giorni di avere qualche informazione in più circa il ritorno del SOLDIER Genesis, precedentemente creduto un disertore, poi dichiarato morto in missione e infine etichettato come prigioniero di guerra in Wutai.» stava spiegando in quel momento il conduttore, seduto dietro la sua bella e linda scrivania, «Il Presidente Shinra attualmente non ha rilasciato deposizioni, né lo hanno fatto i responsabili di SOLDIER. Desta scalpore soprattutto il ritorno del Generale Sephiroth, celebre eroe di guerra, creduto disperso in missione da qualche mese. Il SOLDIER di prima classe, però, non si è ancora mostrato alle telecamere e non ha rilasciato alcun messaggio per le sue migliaia di fan che piangono di gioia per la sua comparsa.»
La scena mutò. Un'orda di giornalisti stava assaltando un gruppo di medici e scienziati che Rain non conosceva, nel momento in cui stavamo uscendo da uno degli ascensori in un piano aperto al pubblico. Alcuni si avvicinarono a una bassa donna dai lunghi capelli neri e le posero incessanti domande sull'eroe acclamato e desiderato da tutti.
«Sephiroth è attualmente in convalescenza. La missione è durata mesi, e contro lui e la sua squadra sono stata utilizzate delle armi all'avanguardia che hanno avuto conseguenze... insolite.» si limitò a dire la scienziata, «Chiedo che abbiate rispetto della sua privacy. In questi giorni si sta sottoponendo a controlli e cure di vario tipo, sono certa che tornerà sotto i riflettori quando si sentirà meglio.»
Una giovane e coraggiosa reporter scavalcò la fila di curiosi per spingere il microfono che teneva in mano verso di lei. «Mi scusi, cosa può dirci invece dell'altra superstite della missione? Sappiamo solo che si tratta di una SOLDIER donna, ma la sua identità non è stata resa pubblica.»
La scienziata indurì la propria espressione. «Le donne che fanno parte di SOLDIER si contano sulle dita di una mano, lo so, ma l'identità della sopravvissuta non è di grande interesse. Si tratta di una SOLDIER di terza classe, nulla di più.»
L'emozione dei giornalisti scemò dopo quella frase e Rainiel, un po' amareggiata, si strinse nelle spalle e spense la TV mentre la frenesia giornalistica andava avanti. La fame d'informazioni era animalesca, e fin troppo stressante per lei.
Ripensò a Sephiroth mentre guardava lo schermo nero, e il suo riflesso al suo interno. Probabilmente doveva essere ridotto peggio di lei, se non si era ancora fatto vivo. Si ricordava di lei? Sembrava di sì, e anche bene. Ma forse non gli importava più di tanto di chi fosse, come al resto del mondo. Se non altro, era contenta di aver dato una mano a portare al sicuro Genesis.
Afferrò le chiavi dell'appartamento e chiuse a chiave la porta, sfilando nel corridoio. Chi la incrociava lungo il piano degli alloggi destinati alla divisione di cui faceva parte si stringeva in gruppetti isolati che sgomberavano il passaggio quando la vedevano arrivare.
«Hai visto? Quella è Rainiel!»
«Già... chissà che diamine è successo? È scomparsa per mesi.»
«Missione top-secret, a quanto pare. Ma guarda quella divisa...»
«Terza classe, eh? Pensavo che l'avessero promossa di rango già da un po'.»
«Be', forse l'hanno declassata. Meglio starle alla larga, potrebbe aver combinato qualcosa di grave...»
Quei sussurri infastidirono Rain, che però si sforzò come poteva di ignorarli. Si cinse nelle proprie spalle e aumentò la velocità dei passi, chiudendosi finalmente in ascensore.
Rilassò la schiena contro le porte di vetro mentre davanti a lei si estendeva una bellissima Midgar, visibile oltre le pareti trasparenti, e un cielo vasto e azzurro, anche se un po' spento.
Cercò di allontanare quei pensieri. Non era stata declassata. Semplicemente... in tutti quegli anni non aveva fatto nulla di così notevole da farla salire di grado. Avrebbe rimediato adesso, però... giusto?
Affondò una mano in tasca. Non aveva portato con sé le pillole, che prendeva regolarmente come il suo mentore le aveva spiegato, quindi non c'era nulla lì oltre al suo telefono, che aveva trovato in camera al risveglio. Purtroppo, non c'erano informazioni utili al suo interno. Il cellulare sembrava essere stato formattato. Forse aveva subito un colpo durante i combattimenti, o chissà cosa. Non c'era più nulla al suo interno che facesse da pista a Rain per recuperare almeno una delle tante memorie che aveva perso.
Il suo primo istinto fu aprire la sezione dei messaggi. Aveva inviato almeno una decina di saluti e domande a sua madre e suo padre, che abitavano a Darefall e che, purtroppo, non li avevano ricevuti. Non se ne preoccupava più di tanto: il suo villaggio era piccolo e isolato, a volte non prendeva nemmeno la TV. Non era raro che mancasse il campo per le connessioni cellulari, anche per lunghi periodi, ma non poter avere nemmeno quell'appiglio la faceva star male. Pensava già di voler prendere delle ferie anticipate per trascorrere qualche giorno a Darefall con loro. Posò il telefono quando notò che nemmeno questa volta aveva ricevuto una replica, e si guardò le punte dei piedi, con l'anima che le sembrava tanto una barchetta in alto mare. Era persa e disorientata e non aveva amici che la cercassero, né altre persone che potessero aiutarla, a quanto sembrava.
Cosa aveva fatto per tutti quegli anni? Davvero non aveva conosciuto nessuno in maniera più approfondita, e aveva trascorso tutto il suo tempo a pensare al lavoro, pur senza guadagnarsi una promozione?
Probabilmente aveva fallito come SOLDIER. Il suo sogno di diventare un'eroina non aveva trovato un livello di capacità alto quanto quello delle sue ambizioni e ora eccola lì, ventenne e con già diversi anni di servizio, impegnata a portare a termine dei programmi pensati per la terza classe. Sentiva, però, di poter fare più di così. Lo avrebbe dimostrato al suo maestro.
Genesis, d'altronde, la aspettava proprio adesso nella sala d'addestramento che stava per raggiungere. Aveva fissato con lei una data per riprendere gli allenamenti, e finalmente quel giorno era arrivato. La ragazza era stanca di poltrire a letto senza uno scopo, e aveva davvero bisogno di svagarsi un po' e sfogarsi con della sana attività fisica.
Quando le porte dell'ascensore di vetro si aprirono, sfrecciò rapida verso il simulatore ignorando le voci di corridoio e le occhiate non del tutto prudenti che le si posavano addosso, dicendosi che la curiosità nei suoi confronti si sarebbe esaurita con il tempo. Gli occhi di tutti al momento non era puntati su di lei, ma su un'altra persona che non aveva ancora fatto la sua comparsa pubblicamente.
Aspettò che il simulatore si aprisse ed entrò con un passo più incerto, guardandosi attorno e guardando con aria persa i pannelli blu scuro di quella stanza che ricordava di aver visitato solo pochi giorni prima ma che, allo stesso tempo, le dava l'impressione di non averci messo piede per molto, molto tempo.
Genesis era in fondo alla sala, Rapier in una mano e Loveless nell'altra. Sembrava essersi ripreso in fretta... sembrava. La sua voce tradì l'apparenza.
«... La Dea discenderà dal cielo...» stava finendo di recitare in quel momento, una delle tante frasi che aveva ripetuto forse un'infinità di volte, «... Si dispiegheranno ali di luce e tenebra. Ella ci guiderà alla felicità, il suo dono... sempiterno
Rainiel ascoltò rapita quei versi pronunciati con un velo di malinconia, trattenuta e nascosta, ma comunque presente almeno in parte. Camminò leggiadra pregando che il rumore metallico delle sue Aikuchi, portate da lei da Genesis nella sua stanza, non disturbasse il cantore impegnato.
Genesis, però, chiuse il libro con uno scatto e  lo ripose al sicuro.
«Tu credi che raggiungere la felicità sia possibile, Rainiel?» domandò distrattamente, facendo capire alla ragazza di essersi accorto della sua presenza.
Lei batté le ciglia, presa alla sprovvista. «Be'... mi auguro di sì.» balbettò sottovoce, osservando il mentore posizionarsi di fronte a lei, l'espressione atona, «Perlomeno, io mi sentirei felice se riuscissi finalmente ad abbracciare i miei sogni...» si guardò le punte dei piedi, pensierosa.
Genesis la studiò per qualche secondo, prima di mostrare un sorriso amaro ma non sforzato.
«Ho... sbagliato qualcosa?» domandò Rainiel, allarmata.
«Parli come un mio vecchio amico.» aggirò lui l'argomento, scuotendo la testa. Per qualche motivo, non la guardava direttamente negli occhi.
Rain avrebbe voluto chiedergli di chi stesse parlando, ma Rapier si mosse leggiadra davanti a lei. Genesis vi passò sopra una delle mani, coperta da un lungo guanto rosso, e la lama brillò istantaneamente dello stesso colore.
«I sogni sono spesso pericolosi.» rifletté il giovane uomo, mentre rilassava i muscoli un secondo prima di tenderli per prepararsi a una lotta.
Rain replicò sfoderando le spade, facendole ruotare tra le dita e assumendo una posa adatta alla difesa. Fece tutto in maniera automatica, senza doverci riflettere, il che sorprese anche lei. Le sue gambe e le sue mani sapevano già tutto quello che andava fatto.
«Un eroe può sognare di salvare il mondo, di compiere scelte giuste, e rischiare invece di diventare un mostro.» parlò a tono più basso Genesis, perso sicuramente in pensieri lontani, che a Rain non era dato conoscere. L'uomo puntò l'arma verso di lei, stringendo le labbra nel vedere la posa che aveva assunto rapidamente, «Non cadere nel tranello in cui altri sono già inciampati, Rainiel. Se vuoi inseguire i tuoi sogni, dimostrami che lo farai sempre seguendo la ragione.» le chiese. Nei suoi occhi, un manto di profondi sensi di colpa.
Rainiel non comprendeva le sue parole. Genesis non era mai stato così diretto... così interessato, nei suoi confronti. Non credeva che gli importasse davvero quel che avrebbe fatto lei del suo futuro.
«Lo farò... per i miei sogni, e il mio onore da SOLDIER.» replicò allora, forse un po' stranita.
Ma Genesis non sorrise, non annuì. La sua unica risposta fu un attacco.
Ora stava davvero per iniziare a insegnarle qualcosa.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Debole ***


Capitolo 44
DEBOLE

Il combattimento iniziò nel momento in cui Rapier gettò un'ombra rossastra sulle pareti del simulatore. Silenziosa come il volo di un gufo in piena notte, ma brillante come il più raro dei gioielli, l'arma impugnata da Genesis sferzò l'aria e mirò dritta alla spalla dell'apprendista, che si rese conto troppo tardi di quel fulmine cremisi, tanto da distanziare le palpebre in riflesso all'attacco solo quando la lama stava per sfiorarle una ciocca di capelli. Aveva già perso.
O almeno, così credeva. I suoi arti si mossero con una forza e una velocità che non credeva potessero appartenerle. La memoria muscolare vinse sulle angosce della mente e Rain si ritrovò a spostarsi come un soffio di vento primaverile, leggera e agile. Si spostò quel tanto che bastava da permettere alla spada avversaria di fendere l'aria alla sua sinistra, dopodiché mosse le braccia in quella stessa direzione, bloccando fra esse la mano guantata di Genesis.
Il SOLDIER saltò un respiro, incredulo del fatto che la sua vecchia allieva avesse deciso di tentare la sorte con un'azione del genere: stava cercando di disarmarlo. La allontanò dunque con una ginocchiata a un fianco, usando la spinta di uno stivale per lanciarsi all'indietro e riprendendo l'equilibrio con incomparabile maestria.
Rainiel a stento sentì il suo colpo, tant'era immersa nei suoi pensieri. Barcollò via ma riuscì a non cadere, la spinta non era stata eccessiva ma aveva avuto effetto vista la sua distrazione finale. Genesis la scrutò mentre lei guardava attonita le Aikuchi che stava impugnando, come se non potesse credere di essere stata lei a compiere una mossa del genere.
Comprendendo l'origine da cui la sua abilità derivava, ma incapace di renderle note anche a lei, Genesis frustò il vuoto accanto a lui con un gesto secco della lama. «In guardia, SOLDIER!» riportò bruscamente la ragazza alla realtà, quasi divertito dal suo improvviso sussulto, «Mai cedere a distrazioni o perdere di vista il nemico.» sibilò a denti stretti.
Rain annuì rapidamente, in un modo tanto infantile che a stento rispecchiava una giovane donna della sua età. La sua memoria era retrocessa a tempi più lontani, più lieti, e sembrava una persona completamente diversa rispetto a quella che Genesis aveva conosciuto prima degli aberranti esperimenti di Jadin. Tuttavia, i muscoli conservavano ricordi tutti loro. Il suo corpo sapeva danzare sul filo del rasoio, muoversi fra perigli di ogni genere e difendersi fino all'ultima goccia di energia che poteva consumare. Rainiel poteva non ricordare di essere stata una SOLDIER ben più esperta di una misera terza classe, ma il suo fisico non poteva essere costretto a dimenticare quel prezioso dettaglio.
«Chiedo scusa...» balbettò infatti, ancora sconvolta, «È solo che non capisco come io ci sia riuscita...» lasciò che i suoi pensieri si riversassero in parole sussurrate a qualche metro di distanza dal rivale.
Lui non la prese bene e mosse un passo minaccioso contro di lei, facendola indietreggiare e suggerendole di tenere alte le spade corte per prepararsi alla controffensiva.
«Riuscita a fare cosa? L'arma è ancora in mano mia. Un nemico reale ti avrebbe uccisa senza esitazioni.» la rimproverò, ripetendosi che trattarla freddamente e con severità l'avrebbe portata a odiarlo e gli avrebbe reso il compito più facile.
Nonostante ciò, Rainiel aveva qualcosa di speciale. Forse un innato senso dell'ottimismo, o magari era così ottusa da ostinarsi a vedere sempre il lato più ottimistico di ogni situazione. Anziché innervosirsi o rattristarsi per il suo richiamo, si ricompose in una postura più adatta alla battaglia.
«Be', fortuna che sei il mio mentore, allora.»
Il sorriso furbo e ingenuo che gli rivolse ravvivò la fiamma del senso di colpa nel cuore di Genesis. Perché quella dannata ragazza non poteva semplicemente stare al suo posto?
La caricò con falcate rapide e ampie, menando fendenti a destra e manca. Lei li evitò muovendosi nella direzione opposta e indietreggiando, finché Rapier non sfiorò la sua spalla, strappandole un innocuo piccolo spruzzo di sangue scuro, che si perse nell'aria.
A quel punto Rainiel capì di non poter continuare a difendersi senza tentare almeno un attacco. Si abbassò quando la spada nemica tentò un affondo al livello del suo collo, dopodiché ruotò su un tallone tenendo l'altra gamba tesa per spazzare via Genesis, che però fu abbastanza attento da prevedere le sue intenzioni e ritirarsi. A quel punto Rain ottenne abbastanza spazio per tentare qualcosa di più sfacciato.
Rialzandosi in un turbinio di ciocche ramate, fissò gli occhi celesti sull'opponente e tagliò l'aria che aveva di fronte, apparentemente senza alcuna ragione. Invece, Genesis comprese in ritardo la sua idea e fu travolto da un fendente aereo originato da una delle Aikuchi. Una forza eterea e bluastra lo investì, privandolo del fiato e costringendolo a piegarsi.
Rain gli fu addosso come una furia, un sorriso soddisfatto tinto su quel volto di bambina cresciuta troppo in fretta. Si sentiva come in uno strano sogno, uno di quelli in cui si ritrovava in possesso di poteri fuori dalla norma, e poteva lottare contro avversari letali o volare nel cielo di una Midgar notturna, luminosa e satura dell'odore della mako proveniente dai reattori che circondavano la città.
Abbassò la spada sulla sua testa, con rapidità ma forza non sufficiente a ferirlo davvero, eppure lui non volle dargliela vinta comunque.
Genesis alzò Rapier e bloccò il suo colpo, spingendola via dopo aver bloccato il suo polso e affondato un gomito tra le sue costole.
Rainiel tentennò, perse una spada nell'impatto e portò la mano libera alla zona dolorante, sputando la poca aria che le restava nei polmoni.
Quando Genesis tornò a scattare in sua direzione, il suo attacco fu più feroce degli altri, come se dovesse dar prova dal suo valore. Non sottovalutarmi, sembrava dire, e al tempo stesso quello sguardo brillante e stracolmo di cieca boria non sembrava rivolto all'allieva, ma a una figura al di là di lei, una che nemmeno si trovava in quella stanza.
Rainiel individuò la traiettoria dell'arma abbastanza in fretta da scansarsi lanciandosi con poca eleganza a terra, alla sua destra, e rotolando su un fianco. Provò a individuare la spada corta che le era sfuggita di mano, ma l'austero maestro captò le sue intenzioni e si frappose fra lei e l'arma. Rain osservò il suo petto che si gonfiava e riabbassava, travolto da una fatica che non gli si addiceva. Le venne in mente che probabilmente, per lui, tornare ad allenarsi e a combattere era difficile tanto quanto lo era per lei, se non di più. Per anni era stato tenuto prigioniero da Wutai, stando a quanto le aveva raccontato, e dubitava seriamente che i suoi carcerieri gli avessero permesso di dedicarsi al tipico allenamento giornaliero che si confaceva a un membro d'élite di SOLDIER.
D'altronde, la ragazza fu colta dalla stessa, improvvisa stanchezza. Qualcosa dentro di lei le gridava di andare avanti: il combattimento era iniziato da pochi minuti, ma sembrava essere durato un'eternità. Una forza dormiente in lei si era risvegliata pian piano, come l'istinto di un predatore che prova l'ebrezza di tornare a caccia dopo tanto tempo. Desiderava mostrare al suo insegnante i miglioramenti che aveva ottenuto dopo anni di stenti, anche se lei stessa non li ricordava.
Genesis considerò quel piccolo sogghigno divertito che le si tinse in volto come un esplicito invito, una sfida da cogliere al volo. Si tuffò nell'aria come se non fosse afflitto dalle leggi della gravità, apparendo e svanendo in un lampo rossiccio prima a destra e poi alla sinistra della ragazza, cogliendola alla sprovvista dal lato in cui ora non stringeva più la spada. Provò un affondo, e il cozzare metallico delle lame gli fece aggrottare la fronte.
Rain era stata addirittura più veloce di lui. Si era girata in sua direzione così in fretta da provocare una certa delusione personale al suo vecchio-nuovo mentore. Rapier era più grande e affilata di un'Aikuchi, addirittura più spaventosa, con quella sfumata e spettrale luce cremisi che la permeava, ma la singola spada a una mano della ragazza individuò e bloccò il suo movimento con estrema precisione.
Genesis si perse per un secondo nell'espressione concentrata della donna, che respinse l'attacco con uno sforzo dei muscoli delle braccia, stringendo l'elsa con tutte e dieci le dita.
Assecondando quel movimento, il SOLDIER più esperto finse di tirarsi indietro, e invece approfittò dello slancio per sollevare agilmente una gamba e tentare di mettere a segno un doloroso calcio nello sterno dell'allieva. Una volta privata del fiato, disarmarla e bloccarla sarebbe stato un gioco da ragazzi. Inoltre, avrebbe potuto considerarla una soddisfacente piccola rivincita personale. Benché i sensi di colpa ammantassero i suoi pensieri come nubi grige che rovinano un bel giorno di sole, Genesis non era ancora guarito dall'ebrezza dell'invidia. Doveva dimostrare, sempre e comunque, di poter essere meglio di colui che per anni aveva gettato ombra su di lui, anche se non intenzionalmente. Sconfiggere la sua beniamina, e che per di più non si limitava a essere solo una semplice apprendista ma qualcosa di molto più profondo, era un'idea così dolce da causargli l'acquolina in bocca.
Tuttavia, Rainiel era mossa da una forza che di umano aveva ben poco. Riflessi vigili che avrebbero fatto sfigurare un aggraziato felino. Evitò il suo stivale in una mossa agile, abbassando la schiena con l'equilibrio di una combattente esperta, e poi rialzandosi causando una cascata inversa di morbide ciocche dei colori dell'autunno.
Rapito da quell'immagine, da quello sguardo fin troppo simile a quello ferino e severo che l'aveva accompagnato e giudicato per tutta una vita, Genesis boccheggiò... ed esitò.
La ragazza non aspettava altro. Sembrò un fantasma, quando si gettò in avanti in totale silenzio e con due rapidi passi. Colpì Rapier a qualche centimetro dalle dita del soldato che la impugnava, dal basso, e la spada si sollevò quasi con naturalezza, sgusciando via dalla presa del guanto lucido. Roteò in aria come un comune pezzo di metallo e, quando cadde, lo fece con un tonfo sordo e sgraziato, di ferro che rimbalza contro un pavimento freddo, e a diversi metri di distanza dal suo allibito possessore.
Genesis osservò Rapier con sguardo attonito, confuso dalla progressiva scomparsa della luce cremisi attorno alla sua spada. Aveva ancora un braccio teso verso l’arma, quando sentì una leggera pressione sul collo. Calando gli occhi chiari, incrociò il riflesso delle proprie iridi sul fianco liscio e pulito dell’Aikuchi rimasta in mano all’allieva.
Quest’ultima aveva faticato non poco nel portare a termine una mossa del genere. Il suo torace faceva su e giù velocemente, al ritmo irregolare del suo respiro, le labbra dischiuse in un fiero sorriso, cercando di far entrare quanta più aria possibile nei polmoni.
«E adesso?» chiese la giovane donna con un fil di voce, «Ci sono riuscita?»
Genesis si sentì avvampare da un’ondata di incredulità e vergogna. Davvero era messo così male da farsi sconfiggere da una pivellina che solo qualche giorno prima era stata letteralmente torturata? Che diamine stava succedendo al suo corpo? Quella non era la sua forza. Era un mero fantasma del vero Genesis. Questa scoperta lo sconvolse più del termine stesso della battaglia.
Accecato da una rabbia che in realtà non era rivolta a Rainiel, in un gesto rapido e feroce spinse via su di un lato la spada corta, afferrò la ragazza per il colletto dell’uniforme smanicata e spazzò via le sue gambe, facendola piombare a terra.
La ragazza colpì il terreno con la schiena e latrò un lamento, mettendosi a sedere e guardando Genesis con un’aria a metà tra il confuso e l’offeso.
«Ehy, non è valido! Lo scontro era terminato!»
«Ho per caso detto questo?»
«No, ma io…»
«Allora non era terminato.»
Genesis andò a recuperare Rapier e la rinfoderò, cupo in volto, mentre Rainiel si rimetteva in piedi e scuoteva via la polvere dai vestiti. La giovane allieva si massaggiò la schiena e guardò il mentore che le dava le spalle. Che avesse ferito i suoi sentimenti?
Provò a muovere qualche passo verso di lui. «Genesis… mi dispiace se ho fatto qualcosa di sbagliato. Capisco che questi ultimi anni non siano stati facili per te, quindi è perfettamente normale se non riesci a…»
«Taci.» sibilò lui, senza nemmeno voltarsi verso di lei. Il suo fu un ordine appena mormorato, ma carico di risentimento. «Sto benissimo, quindi risparmiami la tiritera.»
Le sopracciglia di Rain si aggrottarono, e lei non osò più continuare a camminare in sua direzione. «Non ti disturberò, allora. Ma se posso aggiungere solo una cosa…» Si schiarì la voce, esitante, mentre a sua volta andava a raccogliere l’arma caduta, «Sono felice che tu sia tornato. E che sia di nuovo il mio mentore. Volevo che lo sapessi, per quello che vale. Hai la mia completa ammirazione.» spiegò rapidamente, senza incespicare sulle parole.
Un tonfo al petto, ecco cosa provò il SOLDIER che si trovava in quella stanza con lei. L’ammirazione di qualcuno… era tutto ciò che aveva desiderato, il motivo che l’aveva spinto a impegnarsi per risalire la scala gerarchica della divisione che poi aveva abbandonato. Soprattutto, desiderava l’approvazione di Sephiroth, il suo modello d’ispirazione. Rainiel non sarebbe mai stata davvero la sua apprendista, questo era certo. Sapeva già combattere e, al momento, per quanto detestasse ammetterlo, probabilmente sapeva farlo anche meglio di lui. Non aveva molto da insegnarle, se non quelle astute mosse da gioco sporco che tirava fuori nei momenti critici. Usare la testa per sconfiggere i muscoli era tutto ciò che gli rimaneva da fare, finché la degradazione non avesse colpito anche la sua mente. Jadin dimenticava volontariamente, alcune volte, di arrestare il processo immediatamente. L’autodistruzione del corpo di Genesis andava avanti e così, anche quando poi la sua fine veniva rimandata così da consentirgli di trascorrere un altro giorno di vita da schiavo di una folle scienziata, molte delle sue cellule non si ripristinavano affatto. Momento dopo momento, lui diventava più debole. Più inutile. Questo pensiero lo uccideva più della degradazione stessa, e Jadin lo sapeva benissimo.
Mentre lui rifletteva, Rain si avvicinò alla porta del simulatore. Sapeva che per quel giorno poteva bastare così. Si fermò solo quando la voce, un po’ spezzata, di Genesis la indusse a farlo.
«Non credere che queste tue parole mi convincano a essere più indulgente nei tuoi confronti.» esclamò a tono più alto e, questa volta, le lanciò un’occhiata da sopra una spalla.
Il viso della ragazza si illuminò di nuovo con un rapido sorriso. «Lo spero bene! Con l’indulgenza non si è mai sicuri di aver appreso tutto!» ridacchiò, e rinfoderò le spade nelle loro guaine. «Attendo con ansia il prossimo addestramento, e stavolta non mi farò cogliere impreparata!»
Si congedò con un piccolo inchino e uscì, lasciando Genesis da solo con i suoi pensieri. La cosa più spaventosa che potesse capitargli.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Doccia di mako ***


 
Capitolo 45
DOCCIA DI MAKO

Il silenzio nel lussuoso appartamento open-space era contrastato solo dallo sporadico suono di timide gocce d'acqua che scivolavano da un rubinetto la cui maniglia non era stata stretta con forza sufficiente a impedire che perdesse. Plic, plic. Andava avanti da ore, ormai.
Servendosi del bottone di un telecomando, il giovane uomo rannicchiato sul letto cambiò canale. La TV era accesa e collegata all'intera Midgar, ma ogni singola rete non faceva che trasmettere la stessa cosa. La stessa, rimbombante notizia.
Capitò su di un telegiornale dell'ultima ora. Una reporter ben truccata e vestita di tutto punto era situata di fronte alle porte scorrevoli dell'ingresso della Torre Shinra. Spostandosi quel tanto che bastava, lasciò che il cameraman riprendesse l'orda di fan appostati nella piazza davanti al grattacielo. Tenevano sollevati cartelloni e striscioni con su scritto a lettere cubitali il nome del loro idolo. Qui e là spuntavano, non rari, disegni o citazioni motivazionali.
La giornalista decise di disturbare una delle guardie all'entrata, senza farsi alcuno scrupolo.
«Cosa ci sa dire dell'eroe di guerra Sephiroth? È da giorni, ormai, che ha fatto la sua comparsa qui in città. Come mai non si è ancora presentato? La gente pensa che la Shinra possa aver diffuso una voce falsa, solo per sollevare il morale alla società! Come potete risponderci a proposito?»
La guardia obbligò i due ad abbassare la telecamera, e poi parlò. «Il Generale Sephiroth è davvero tornato, e attualmente è sottoposto alle cure del dipartimento scientifico. Non appena si riprenderà, sono certo che farà la sua apparizione pubblica per ringraziare i fan che hanno atteso così tanto...»
La televisione si spense con un suono digitale. Il telecomando affondò tra le morbide coperte pulite del grande letto a due piazze. Il giovane uomo si lasciò ricadere tra i cuscini freschi e, attorno a lui, i suoi lunghi capelli fluttuarono come fili di luce lunare dispersi nel vento.
Cure del dipartimento scientifico? Come no. Da quando si era ripreso, Sephiroth si era sentito, più che mai, solo e abbandonato da tutti. Gli scienziati gli avevano rifilato ogni sorta di medicina nell'arco di pochi giorni, e gli avevano inferto controlli così numerosi che non era del tutto sicuro di avere abbastanza sangue nelle vene. Dalle analisi era emerso che il suo corpo non si stava riprendendo affatto da qualsiasi cosa gli fosse capitata.
Aveva perso peso, rapidamente e in modo per niente salutare. Riusciva a stento a dormire e non poteva nemmeno immaginare di mettere sotto i denti qualcosa che non gli provocasse la nausea. Aveva fatto lunghe docce calde e rilassanti, ma anche così facendo non era riuscito a strigliarsi di dosso la spossatezza che lo tormentava. Era destabilizzato e, cosa ancor peggiore, non ricordava assolutamente nulla del motivo per cui era ridotto in quel modo.
Si sentiva come se si fosse svegliato da un coma durato anni, e nessuno aveva avuto la decenza di essere cauto con lui. La prima notizia che aveva ricevuto era stata quella della morte di Angeal, il suo migliore amico. Non era riuscito a versare neanche una lacrima per lui, perché non era sicuro di avere le forze adatte a piangerlo a sufficienza. Non era sicuro neanche di aver del tutto elaborato il lutto. Sapeva solo che era accaduto molto, molto tempo fa, ormai. Un tempo che era stato completamente rimosso dalla sua mente.
Si massaggiò la fronte mentre guardava un punto impreciso del soffitto bianco, continuando a pensare, così tanto che ben presto la pressione alle tempie si fece insostenibile. Allargò le braccia sul materasso su cui si era disteso a petto nudo. Il suo torace era ricoperto da garze e cerotti, e indossare una maglia da casa o l'uniforme finiva solo per farne staccare qualcuno o causargli fastidio, quindi aveva dovuto ripiegare per l'unica scelta rimasta. Indossava morbidi pantaloni di tuta lunghi e neri, adatti al movimento, ma non si sognava affatto di tornare agli addestramenti tanto presto.
Chiuse gli occhi per cercare di ricordare, come aveva già fatto diverse volte, e soprattutto a tarda notte, negli ultimi giorni. Niente da fare. Tutto quello che riaffiorava nella sua memoria era un tremendo dolore, dovuto a chissà cosa. Si era risvegliato in uno dei laboratori, coperto di sangue. La sua spada gli era stata restituita in seguito, ed era l'unica cosa a essere rimasta esattamente come se la ricordava. Guardandosi allo specchio, aveva fatto fatica a riconoscersi. L'ultima volta che lo aveva fatto, aveva solo vent'anni. Ora era quasi un uomo adulto.
Piegò la testa verso sinistra e notò un vassoio poggiato su un mobile accanto al letto, con su un piatto con la colazione che qualche minuto prima gli era stata portata in camera da un inserviente della compagnia. Non l'aveva nemmeno guardata, disgustato dal solo odore che il cibo emetteva, e non perché non fosse buono. Al contrario, gli erano state riservate prelibatezze di ogni sorta, ma non riusciva ad avere fame.
«Dannazione...» mormorò a denti stretti. Ma come si era ridotto? O meglio, cosa lo aveva ridotto così? Che diamine era successo?
Più di tutto, non tollerava l'idea di aver perso Angeal così all'improvviso, per un motivo che non gli era stato neanche precisato. Tutto quello che gli era stato detto era riassumibile in un "La tua ultima missione è terminata in tragedia. Sei l'unico sopravvissuto della squadra, ma Genesis adesso sta bene".
C'erano così tante cose che non andavano bene, in quel discorso: prima di tutto, cosa c'entrava Genesis in tutto ciò? Aveva carpito qualcosa a proposito di una prigionia, e sapeva di essere stato incaricato di riportarlo indietro, ma trovava incredibilmente strana l'idea di non essere riuscito a proteggere nessuno dei suoi sottoposti davanti alla minaccia che gli aveva fatto perdere la memoria.
E qui sorgeva il secondo problema. Non era l'unico sopravvissuto, in realtà. Ogni media riportava che anche una giovane SOLDIER di terza classe era riuscita a scampare alla morte proprio come lui, ma questo non gli era stato comunicato, forse perché non sembrava, ai suoi informatori, una notizia di sufficiente importanza. Per lui, però, lo era eccome: sapere di aver protetto quantomeno una singola persona dalla morte, e di aver riportato Genesis a Midgar sano e salvo, un po' lo rincuorava. Solo un po'.
Si era chiesto chi potesse essere questa fortunata soldatessa scampata alla tragedia, in quanto nessuno sembrava voler diffonderne il nome. Chissà perché, nel sentire quella notizia gli era tornata in mente la giovane ragazza che aveva steso tutti i concorrenti durante l'esame di ammissione a SOLDIER, e che lui stesso aveva raccomandato alla divisione. Possibile, però, che dopo ben quattro anni una persona con un simile potenziale non avesse scalato neanche un po' i ranghi di SOLDIER? Qualcosa non gli tornava.
Di nuovo, una fitta di mal di testa lo assalì. Provò a chiudere gli occhi e a far finta che non fosse altro che l'effetto dei medicinali.
Quando bussarono alla porta, qualche minuto dopo, emise un basso rantolo infastidito. Era sicuro che sarebbe riuscito persino ad addormentarsi, stanco com'era, ma ovviamente aveva dimenticato gli impegni che lo aspettavano. Ne aveva sempre qualcuno programmato, eppure gli sembrava di aver perso l'abitudine del rispettarli in maniera quasi religiosa. Non si sentiva più puntuale, pronto e scattante come prima, e non solo perché le sue condizioni di salute si erano aggravate nell'ultimo periodo o perché soffriva di amnesia: si trattava di una sensazione più simile a quella che si sviluppa quando ci si rilassa dopo tanto tempo di duro lavoro e non si riesce più a trovare la voglia di tornare ai propri doveri.
A bussare era stata una donna magrolina ma alta, coperta da un camice bianco che già di per sé annunciava molte cose a suo riguardo: il Dipartimento Scientifico voleva sottoporre a una visita l'uomo, e immediatamente. Oppure lo attendeva qualche sorta di stramba cura che da anni, ormai, gli rifilavano quasi quotidianamente.
Quando era approdato all'età adolescenziale, la stretta che premeva su di lui, i "devi fare così, è un ordine", erano andati via via scemando. Sephiroth era diventato un ragazzo forte e stimolava una profonda paura quando si provava a cercare di comandarlo a bacchetta, dunque spesso riusciva a scrollarsi di dosso le assurde richieste di quei fanatici fissati con la scienza, ossessionati dal misuramento dei suoi valori, che si trattasse di centimetri guadagnati in altezza o banalmente persino il livello della pressione sanguigna. Ora, però, sentiva che se si fosse rifiutato non avrebbe fatto altro che condannarsi a subire insistenti tentativi di convincerlo a farsi dare un'occhiata, e non aveva né le forze né la pazienza per sopportare dei medici invadenti. Decise allora di togliersi subito il sassolino dalla scarpa, indossò una maglia comoda in tinta uniforme nera e si mise ai piedi dei semplici stivali di pelle, per poi seguire la donna.
Era convinto che l'avrebbe portato all'ufficio del Dottor Hojo, dove era solito sentirsi riferire da quel vecchio inquietante tutte le varie analisi di cui aveva bisogno e i relativi risultati. Una volta non capiva una sola parola di quello che gli raccontava, ma col tempo e qualche ricerca aveva imparato a memoria tutte le sigle e i paroloni che quello strambo complessato gli elencava.
In realtà, si sbagliava. Fu condotto su un altro piano, sempre appartenente al Dipartimento Scientifico, e la donna lo accompagnò a una porta sorvegliata da due membri della fanteria che imbracciavano i loro fucili e nascondevano il viso con i tipici elmetti bianchi della divisione. Non mossero un muscolo, mentre Sephiroth sfilava tra loro, eppure percepì un certo disagio nelle due guardie.
Sephiroth si ritrovò all'interno di una grande stanza bianca che aveva tutta l'aria di essere una sorta di bagno o spogliatoio. Purtroppo, sapeva benissimo per quale motivo era stato condotto lì, e di certo non si trattava di un semplice bagno.
Incrociò le braccia al petto e precedette la scienzata che provò a parlargli. Doveva trattarsi di una timida apprendista, perché chinò la testa e non osò interromperlo o imporsi.
«Non ho intenzione di farlo.» disse chiaro e tondo il giovane uomo, guardando i singoli box dalle pareti argentate che spezzavano la monotonia del bianco metallico e alienante della sala.
La donna si schiarì la voce, incerta. «Immagino non sia piacevole, signore, ma il capo-dipartimento ha ordinato che effettuasse una doccia di mako per stabilizzare la sua salute. Ha detto che la aiuterà a riprendersi.»
Sephiroth increspò le labbra e abbassò impercettibilmente un sopracciglio. «Durante l'ultimo controllo non è emerso alcun dato preoccupante che mi imponga un trattamento simile. Non mi serve assolutamente a niente.» ribatté, forte della sua opinione.
Se poteva evitare una di quelle docce di mako, allora l'avrebbe fatto. Le cure a lui riservate erano diverse rispetto a quelle fornite ai tipici SOLDIER di prima classe. Non sapeva cosa, di preciso, mischiassero alla mako liquida che faceva effetto direttamente a contatto con la cute, che assorbiva le componenti, ma ogni volta che si sottoponeva a una di quelle docce finiva sempre per presentare effetti collaterali di qualche tipo: estrema sonnolenza o insonnia, completa perdita dell'appetito, a volte forte nausea o addirittura sentori di febbre, per quanto per lui fosse praticamente impossibile ammalarsi. Certo, fare una letterale doccia di mako era comunque più piacevole che essere immersi in una di quelle vasche cilindriche di vetro ricolme di quel liquido verde e denso fino all'orlo che Sephiroth aveva visto più volte nei laboratori, contenenti tubi di ogni tipo e colore, ma ad ogni modo ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Puoi dire al Professor Hojo che ha sbagliato a fare i conti. Può prescrivermi un altro tipo di cura che sia realmente utile, oppure star tranquillo comunque, dato che mi riprenderò di certo in un modo o nell'altro.» aggiunse poi, pronto a lasciare la stanza. Di certo non lo avrebbero trascinato nei box.
La ragazza, comunque, sembrò tentennare. «Generale...» pigolò, facendosi coraggio, «... il professore è venuto a mancare più di un anno fa, ormai. Non è più lui a gestire il dipartimento.»
Il suo fu appena un incerto sussurro, ma Sephiroth spalancò ugualmente le palpebre ornate di lunghe ciglia scure. «È deceduto?» ripetè, come a voler elaborare la notizia, ma non provò pena o dispiacere per lui. Era una terribile persona in vita, e da morto non avrebbe fatto differenza.
La scienziata annuì, unendo le mani davanti al grembo in una postura composta. «C'è stato un attentato nei laboratori che ha causato anche la parziale distruzione del DRUM. Il colpevole non è mai stato trovato.» spiegò meglio, cosciente che non poteva ricordare quel dettaglio.
Dunque era stato ucciso. La cosa non stupì Sephiroth. Hojo aveva tanti nemici. Naturale che avesse fatto arrabbiare, alla fine, le persone sbagliate. Abbassò per un attimo gli occhi su un punto qualsiasi del pavimento.
«Dunque? Chi è il responsabile, adesso?»
«La dottoressa Jadin.» replicò lei, fulminea.
«Jadin? Il nome mi è nuovo.»
«È subentrata in seguito alla scomparsa del professore, è logico che non se ne ricordi. Lei e la dottoressa vi siete conosciuti, in passato. Sembrate... andare abbastanza d'accordo.»
C'erano tante cose che sembrarono strane al Generale, in quel momento. Intanto, perché non era intervenuto durante l'attacco al DRUM? Una persona come lui veniva sempre schierata in prima fila, se una personalità importante quale il professore si trovava in pericolo. Ad avere la precedenza su di lui era forse solo lo stesso Presidente Shinra. E poi, trovò curioso il modo in cui l'apprendista pronunciò quell'ultima frase. Non sembrava molto convinta.
Forse la donna si accorse di aver detto qualcosa di troppo, quindi si fece da parte per permettere al SOLDIER di passare. «La dottoressa ritiene che il suo corpo sia stato sottoposto a gravi traumi fisici, signore. Revisionando i risultati delle ultime analisi personalmente, è giunta alla conclusione che ha bisogno di significative dosi di mako per recuperare le forze così da tornare a essere operativo e sopportare i farmaci prescritti senza effetti indesiderati.» recitò quasi un copione, e Sephiroth capì di dover fare quello sforzo.
Si avvicino suo malgrado alle due panchine che dividevano una fila di tre grandi box, su un lato della stanza, dagli altri tre sul lato opposto, e afferrò i lembi della maglia così da sollevarla e sfilarla dalla testa. Prima di farlo, lanciò un'occhiata alla dottoressa per invitarla a lasciargli almeno un po' di dignitosa privacy, dopodiché individuò delle telecamere pendenti dal soffitto che lo infastidirono non poco.
«Vorrete scherzare.» sibilò infatti, ammiccando in direzione dei congegni di osservazione.
L'apprendista sussultò. «Oh, quelli sono lì solo per una questione di sicurezza. Se un paziente dovesse sentirsi male durante...»
Nulla da fare. Lo sguardo truce di Sephiroth spense gradualmente la sua voce, come un fuoco che pian piano si estingue tra le braci.
La donna si girò e s'incamminò verso l'uscita. «Chiederò che vengano spente.» gli assicurò, poi sparì oltre l'uscio e si richiuse la porta alle spalle.
Sephiroth non era sicuro di potersi fidare di quella promessa, dunque preferì spogliarsi all'interno del box stesso, sentendo l'aria fredda del laboratorio stuzzicargli la pelle pallida. Poggiò le piante nude dei piedi sulle mattonelle in marmo, e con una piccola maniglia di metallo azionò il getto di mako, che gli piombò sulla schiena, causandogli un attimo di pelle d'oca. Il liquido verde gli colò lungo le ampie spalle, seguendo le curve dei muscoli del dorso o dei pettorali, bagnandogli capelli e viso, scivolando tra le ciglia e le labbra, fino a gocciolare lungo le cosce, i polpacci e le caviglie.
La sensazione fu orribile, come d'altronde si aspettava, e non solo per il freddo. Qualsiasi prodotto lo stesse permeando al momento, comportava uno sforzo fisico non da poco al suo corpo per assimilarlo e sopportarlo. Iniziò con innocui giramenti di testa, poi cominciò ad avvertire la vista sfocarsi come se avesse la pressione bassa. Poi i muscoli diventarono molli come gomma pane.
Resistette finché gli fu possibile, poi non poté fare altro che accucciarsi per terra. Se non altro il pavimento era pulito ma, oltre alla sensazione di essere comunque osservato che gli provocava una certa forma di vergogna, vista la sua riservatezza, doveva fare i conti anche con quella fatica improvvisa. Prima di tornare in camera, di certo, avrebbe fatto un'altra doccia, questa volta di acqua vera, per ripulirsi del tutto da quel liquido luminoso verde come i suoi occhi.
Abbandonò la schiena contro la parete del bagno, le ginocchia vicine al petto, le braccia molli e le labbra dischiuse.
Erano cambiate tante cose, mentre altre erano rimaste le stesse. Comunque fosse, non poteva fare a meno di sentirsi come uno schiavo. Uno che respira per la prima volta il dolce profumo della libertà, solo per poi essere catturato nuovamente dai suoi spregevoli padroni. Vecchi i nuovi, non aveva importanza. Era rinchiuso lì, come da bambino, e forse lo sarebbe stato per sempre. Solo... non riusciva a capire il perché.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Settore Sette ***


Capitolo 46
SETTORE SETTE
 

 

La luce fredda dei soli artificiali posti sotto la piattaforma brillava potente sulla testa di Tifa, mentre passeggiava pensierosa tra le vie polverose del settore sette.

Benché fosse stata lei a guidare sin lì i suoi compagni, non aveva mai visitato quella zona dei bassifondi - anzi, non le era mai capitato di lasciare la piccola e isolata Nibelheim, e ora si guardava attorno meravigliata.

Bambini felici scorrazzavano qui e là tra le macerie meccaniche, auto rottamate e rifiuti metallici appartenenti a nessuno. Un gatto si stava godendo l'aria aperta sonnecchiando sull'uscio di una casa e stirò le zampe sbadigliando quando Tifa gli passò vicino. Gli abitanti sembravano tutti indaffarati, ma non come aveva visto nei telegiornali che parlavano della grande Midgar: lassù tutti correvano da qualche parte, sempre di fretta, come se la punizione per il ritardo fosse qualcosa di tremendo. Nei bassifondi, però, l'atmosfera era decisamente più pacifica. Tutti si davano da fare, ma c'era un senso di accoglienza e bontà tutt'attorno a quelle persone estranee che alla ragazza ricordava vagamente il suo villaggio natale.

Lanciò un'occhiata incuriosita a Cloud, che camminava proprio accanto a lei. Anche lui sembrava perso nell'ammirazione di quel luogo così fuori dagli schemi, e per un attimo lei s'imbambolò a guardarlo. I suoi ciuffi biondi ondeggiavano morbidi sospinti da una brezza tiepida, i suoi occhi erano quello sprazzo di cielo invisibile sopra di loro, lo stesso intenso, profondo colore. E poi, si posarono su di lei.

Tifa avvampò, colta sul fatto, e deviò il suo sguardo troppo tardi per poter anche solo finta di star guardando un punto impreciso dietro il ragazzo.

«Tifa?» la chiamò innocentemente Cloud e, se lei si fosse voltata, avrebbe notato che anche le sue guance avevano assunto un colorito paonazzo, «Qualcosa non va?»

Lei scosse la testa. Forse poteva davvero far finta di nulla. «Nulla,» balbettò, «è solo che il maestro Zangan ha detto che l'avremmo trovato qui.»

Effettivamente c'era stato uno scambio d'informazioni piuttosto travagliato, negli ultimi giorni. Era servito un bel po' di tempo anche solo per scoprire dove si trovasse Zangan, l'anziano maestro che aveva insegnato a Tifa come combattere e difendersi dopo la morte di sua madre Thea, e soprattutto dopo la partenza di Cloud per unirsi a SOLDIER, cosa che l'aveva dispiaciuta più di quanto si sarebbe mai potuta aspettare. Zangan era un grande viaggiatore e aveva preso molti allievi sotto la sua ala protettiva ma, per fortuna, sembrava che in quel periodo fosse tornato di nuovo, seppur temporaneamente, a Nibelheim. 

Inviargli una lettera non era stato semplice. Era la madre di Aerith l'unica a potersi muovere liberamente per il settore cinque, riportando poi al suo arrivo la posizione accurata di ciascuna truppa di fanti della Shinra, o persino di Turks, che sorvegliavano la zona. Alcuni di loro avevano persino fatto visita in casa con la scusa di dover "controllare lo status" della giovane fioraia. Presentandosi senza invito né preavviso, spesso Tifa e gli altri avevano dovuto trovare un rifugio improvvisato, tanto che la ragazza aveva finito per ascoltare una conversazione tra le proprietarie di casa e gli uomini in nero dall'interno di una piccola dispensa.

La cosa che la preoccupava di più, tuttavia, era la totale assenza di notizie da parte di Rainiel, o quantomeno di Sephiroth. Da quando la ragazza era stata portata via, quella notte al Mercato Murato, e lui era volato sulla piattaforma con la promessa di riportarla indietro sana e salva, nessuno dei due si era più fatto vivo. Essendo ormai passata qualche settimana, la situazione era chiaramente critica e aveva iniziato a preoccupare tutti, e seriamente. Più di qualsiasi altra cosa, l'urgenza principale era quella di ritrovare i loro due amici e aiutarli. Chiaramente, se non avevano fatto ritorno era perché era capitato loro qualcosa di oscuro e pericoloso, e non perché avevano semplicemente deciso di voler passare un po' di tempo assieme, lontani da tutti.

Da qui la ricerca disperata per Zangan, che aveva conoscenze nel settore sette. Lì avrebberp potuto trovare una sistemazione di fortuna e agire senza sottoporti costantemente al pericolo di essere scovati dalla Shinra. Il suo maestro, così come Aerith, conosceva alcune persone provenienti da quella zona dei bassifondi. La ragazza non poteva allontanarsi più di tanto per controllare, e il giovane uomo di cui aveva parlato con gli altri, quel certo Biggs che faceva sporadicamente visita alla Casa Verde, non si era più fatto vedere. Zangan, allora, aveva replicato con una lettera ben precisa.

«Il bar senza nome nel cuore del settore...» Tifa ripeté sottovoce le indicazioni che Zangan aveva allegato al suo messaggio. Un bar senza nome, costruito di recente e in possesso di chissà chi. La situazione non sembrava affatto semplice, o almeno finché Aerith non si aggiunse alla discussione.

Lei e Zack stavano camminando a qualche metro da Tifa e Cloud, precedendoli sul sentiero. In quel distretto dei bassifondi, per fortuna, nessuno sembrava far caso più di tanto all'enorme spada appesa alla schiena dell'ex-SOLDIER. Per quanto ne sapevano gli abitanti del posto, poteva essere un membro dell'esercito fuori servizio o un tuttofare venuto sin lì per scacciare qualche mostro dalle discariche. Aerith si sentiva tranquilla nel viaggiare accanto a lui, e sapendo che anche gli altri due amici sapevano difendersi molto bene, tuttavia le loro ricerche non li avevano condotti ad alcun risultato. Poi, all'improvviso, lo vide.

Un piccolo edificio costruito in legno, collegato a una piazza sterrata da una scalinata cigolante, si ergeva in risalto rispetto alle strutture circostanti. Non c'era insegna all'ingresso che ne riportasse il nome, né una singola anima che stesse entrando o uscendo da quel posto. Aveva l'aria di essere distaccato da qualsiasi cosa lo circondasse, non come se fosse fuori posto, ma come un faro nel bel mezzo di un mare in burrasca. Aerith lo indicò trattenendo a stento un gridolino di gioia.

«Dev'essere quello, ne sono sicura!» esclamò, per poi ricomporsi con un rapido colpo di tosse. Forse si era fatta trascinare troppo dall'entusiasmo.

Zack praticamente sussultò accanto a lei, poggiando lo sguardo sull'edificio in mezzo ai ruderi e alle altre baracche più fatiscenti. Non che il tanto ricercato bar avesse l'aria di un palazzo reale, naturalmente: i lavori si erano sicuramente conclusi da poco, ma era chiaro che ci fosse ancora molto da sistemare.

«Immagino proprio di sì.» sospirò sollevato, fingendo di asciugarsi il sudore dalla fronte. Si guardò attorno. «Ormai è da un po' che cerchiamo. Non mi sembra ci siano altri posti qui attorno che corrispondano alla descrizione nella lettera.»

«Allora andiamo!» Cloud mosse il primo passo avanti. Il suo mentore era scomparso, e con lui la sua cara amica, che per lui era sempre stata più che altro una sorella maggiore. Aveva parecchia fretta di rivedere entrambi.

Tuttavia, quando poggiò per primo lo stivale sulla piattaforma lignea rialzata davanti alla porta d'ingresso, un fischiò catturò la sua attenzione.

Un giovane uomo spuntò come un fantasma alle loro spalle, fermandosi nel mezzo della strada e fissandoli a braccia conserte. «Interessante, è da un po' che non abbiamo nuovi clienti.» emulò una breve risata che aveva più l'aria di essere una prova, una che avrebbe determinato o meno se quei quattro avventori mai visti prima non fossero solo portatori di guai. «Da dove arrivate, ragazzi? Cosa vi porta qui?»

Aerith si voltò in uno scatto, spaventata da quel richiamo inaspettato, ma mise su un sorriso molto rapidamente. «Non lo sai che terrorizzare chiunque cerchi di entrare in un locale non fa bene agli affari?» sfidò giocosa.

Il giovane uomo cambiò rapidamente espressione. Sollevò la testa e il ciuffo nero di capelli si scostò dalla sua fronte per un momento, lasciando intravedere meglio una fascia rossa legata attorno alla nuca.

«Aerith! E tu che ci fai qua?»

Aerith scese rapida gli scalini e gli andò incontro, fermandosi a qualche passo da lui e sorridendogli a occhi chiusi, le mani giunte dietro la schiena. «Ciao, Biggs!» salutò usando quel nomignolo con cui era conosciuto in tutti i bassifondi.

Biggs era un brav'uomo, molto amato e rispettato. Era stato un insegnante alla Casa Verde per molti anni, e la maestra Folia parlava sempre molto bene di lui ad Aerith, quando dava una mano nell'orfanotrofio. Era proprio lì che Aerith lo aveva conosciuto, e aveva appreso molte cose da lui, benché non fosse particolarmente più grande in termini d'età. Poteva avere qualcosa come ventitré anni, era alto e snello, non proprio il tipo che ci si sarebbe aspettato di veder combattere con una spada contro mostri e nemici, ma non per questo meno importante per il bene dei bassifondi: Biggs era molto paziente e affettuoso con i bambini, e Aerith lo stimava moltissimo.

«Sono venuta qui... per un'emergenza.» continuò a dire Aerith, questa volta facendo attenzione al volume della propria voce, «Loro sono i miei amici. Te li presenterò volentieri ma, prima, potremmo entrare?» chiese poi, indicando la porta del bar alle sue spalle.

Biggs guardò oltre la ragazza e fissò attentamente Zack, Cloud e Tifa. Sebbene quest'ultima non sembrasse rappresentare una grande minaccia, visto anche il viso gentile che aveva messo su mentre scuoteva docilmente una mano in saluto, gli altri due avevano un'aria più cupa. Era chiaro che non si fidavano di lui, come lui non si fidava di loro.

«Certamente, entriamo. Anch'io ho delle persone da presentarti.» disse solamente, e camminò in mezzo al piccolo gruppo per precederli, aprendo la porta del locale ed entrando.

Il bar era molto semplice e spazioso, aveva una deliziosa aria rustica e la musica ovattata proveniente da un vecchio jukebox in un angolo si manifestò non appena la porta fu spostata con un cigolo. C'era qualche tavolo qui e là, ma tutto sommato la zona sembrava ancora piuttosto scarna e bisognosa di qualche fronzolo. Un bersaglio per il tiro a freccette se ne stava attaccato a una parete, con una lista ingiallita appesa non molto lontana che recitava dei nomi - "Barret", "Jessie", "Biggs", "Wedge" - e un elenco di punteggi, dal più alto al più basso, subito accanto. In cima, scritto con un pennarello nero più grande e una grafia più buffa, era stato chiaramente aggiunto in seguito un ultimo nome, "Marlene", seguito da un numero così alto da essere impossibile.

Ad interrompere la musica jazz che dava un'atmosfera ancora più vintage e intima al bar, v'erano solo delle voci scherzose provenienti dal fondo della stanza.

Una giovane donna seduta al bancone stava leggendo un libro poggiato sulla superficie liscia davanti a lei. «... Dopodiché, la bambina esclamò: "ma che denti grandi che hai, nonnina!", e a quel punto il lupo aprì le sue enormi fauci, mostrando a Cappuccetto Rosso delle zanne così lunghe e affilate che...»

«Piantala, Jessie.» Brontolò un omone tutto muscoli che stava ripulendo dei bicchieri oltre il bancone, «Quella favola non è adatta a una bambina così piccola. Non vedi che la spaventi?»

La donna, che sfoggiava una cascata di capelli castani lasciati sciolti sulle spalle, afferrò il libro e lo ondulò in aria. «Ma dai, Barret! La conoscono tutti i bimbi, questa storia! E poi la piccola Marlene non si fa spaventare da così poco, non è vero?»

Fece il solletico a una bambina davvero molto piccola che stava tenendo in braccio, seduta sulle sue gambe, e lei ridacchiò e blaterò qualche parola priva di senso, ancora incapace di articolare una vera risposta. Non poteva avere più di uno o due anni d'età.

Poi, Biggs fece il suo ingresso, seguito dai quattro nuovi arrivati e, dopo averli lasciati entrare e chiuso la porta fingendo un gesto di cortesia, li superò di nuovo per andare a posizionarsi su uno sgabello davanti a uno scaffale di alcolici. «Ehylà Jess, Barret.» salutò tranquillamente, ma gli altri due risposero solo con un cenno della testa.

Improvvisamente, la musica non sembrò più solo il buffo sottofondo di una conversazione infantile, ma l'unica cosa a separare i quattro turisti da un silenzio molto imbarazzante. Biggs picchiettò dunque due dita sul tavolo scuro. «Eddai, Barret, non ci servi niente? Ti ho portato un gruppetto di nuovi clienti.» recitò con voce amichevole, ma lo sguardo che lanciò alla montagna di muscoli umana diceva tutt'altro. Qualcosa come "cerchiamo di capire con chi abbiamo a che fare".

Zack e Cloud lasciarono che fossero le ragazze a accomodarsi al bancone. Non c'era posto per tutti, e loro erano gli unici a essere armati, motivo per cui sarebbe stato saggio prepararsi a ogni evenienza. In tempi del genere, era consigliabile non fidarsi di nessuno.

Barret strinse le labbra scure, studiando i quattro giovani come un predatore farebbe con la sua preda. Solo quando si volse per avvicinarsi alla bottiglia di alcolici, spostandosi, il gruppo notò che non aveva un braccio. L'avambraccio destro, per la precisione, era stato reciso all'altezza del gomito, e terminava con una copertura metallica a incastro, forse realizzata per attaccare all'arto una protesi che, tuttavia, al momento non stava indossando. Afferrò una bottiglia di liquore ambrato e, pur avendo a disposizione una sola mano, riuscì a riempire cinque bicchieri in pochi secondi senza spillare nemmeno una goccia.

Biggs mandò giù la sua dose senza problemi, e senza mai perdere quel coraggioso sorriso in grado d'illudere chiunque che quella situazione fosse normale e nient'affatto tesa. Quando poggiò il bicchierino sul bancone, guardò divertito i suoi ospiti. Eccezion fatta per Zack, gli altri tre non sembravano particolarmente esperti di alcolici. Le loro facce mentre mandavano giù il liquore erano degne di una fotografia.

«Dunque, vi presento Barret e Jessie. Loro sono... degli amici.» sorrise indicando prima l'omone e poi la giovanissima ragazza. Infine, fece un piccolo "ciao" con la mano alla bimba che cercava di pronunciare goffamente il suo nome. «Lei è la piccola Marlene, la figlia di Barret.» spiegò poi. Era chiaro, a giudicare dal suo aspetto, che Marlene non fosse la figlia biologica di quello che aveva tutta l'aria di essere il proprietario di quel posto, ma la piccola era così giovane da lasciar pensare che Barret se ne prendesse cura forse addirittura da quando era venuta al mondo.

Aerith si fece coraggio e salutò tutti con un timido cenno del capo. «Io mi chiamo Aerith, e loro sono Zack, Cloud e Tifa. Veniamo dal settore cinque, piacere di conoscervi!» pronunciò dolcemente, forse guadagnandosi la simpatia di Jessie, che replicò al suo sorriso con un altro.

«Settore cinque, huh?» Barret ripose la bottiglia sullo scaffale e si girò di nuovo, appoggiando la mano sul bancone. «Ho sentito che è in subbuglio, di questi tempi. Ne sapete qualcosa?» domandò con un poderoso vocione. Non stava alzando la voce, ma nonostante questo riusciva a farsi sentire chiaramente e a sembrare intimidatorio al tempo stesso.

Zack mormorò qualche parola con le labbra che ancora sfioravano il bordo di vetro del bicchiere. «Sappiamo che sono aumentati i controlli della Shinra, come immagino ve ne siate accorti anche voi.» replicò senza farsi spaventare.

Barret si lasciò sfuggire uno sbuffo dal naso e squadrò da testa a piedi il giovane soldato. «Davvero? Nulla di più?»

«C'è qualcosa in più che dovremmo sapere, forse?»

«Be', non sono io quello che se ne va in giro con uno spadone. Dove hai trovato un'arma del genere?»

«Mi è stata regalata da una persona.»

«Curioso.» Barrett spostò lo sguardo su Biggs, come a lanciargli un silenzioso segnale, «Potrei giurare di averla già vista in TV. Doveva trattarsi di una persona molto famosa.»

Zack alzò pian piano il braccio destro con la mano libera. L'arma da cui rifiutava di separarsi aveva fatto saltare la sua copertura. Effettivamente, Angeal si era mostrato più volte in televisione con la Spada Potens al suo fianco.

«Non abbiamo fatto nulla di male, e non vogliamo guai.» esclamò subito.

«Siediti, ragazzo. E anche il tuo amico.» Barret indicò lui e poi Cloud, infine mosse il mento verso l'altra giovane donna, «Jessie, porta Marlene in camera.»

Jessie non ci pensò due volte ad alzarsi, tenendo salda la bimba al petto. «Ed ecco il grande lupo cattivo...» cantilenò sottovoce per poi sparire chissà dove sul retro del bar, mentre Barret brontolava qualcosa.

Biggs si alzò e andò dietro il bancone, così i due posti liberi furono occupati da Zack e Cloud. Barret versò loro un altro bicchiere di liquore, senza smettere di fissarli negli occhi mentre il liquido alcolico ambrato scorreva con un tenue scroscio. Zack sostenne il suo sguardo senza fiatare, mentre Cloud si ritrovò, a un certo punto, a fissare un dettaglio del bancone che da irrilevante aveva assunto un'aria molto interessante.

«Non prendiamoci in giro.» tuonò poi Barret, che come al solito stava parlando a un tono di voce normale senza rendersi conto di star urlando, «Ditemi la verità. Chi siete voi?»

Biggs si appoggiò a una parete con le braccia conserte e un ginocchio piegato, lo stivale premuto al muro, e fissò i quattro scambiarsi qualche rapida occhiata.

«Io sono un ex-SOLDIER. Lui faceva parte della fanteria.» Fu Zack a parlare per primo, indicando poi il suo migliore amico, infine rivolgendosi ad Aerith e Tifa, «Lei è la mia ragazza, vive nei bassifondi come tutti voi. Lei invece proviene da un villaggio lontano.»

A sentir nominare la divisione, Barret serrò i denti e s'inasprì, una vena sporgente sulla sua fronte. «Non ho nulla contro queste signorine, dunque. Ma voi...» Portò la mano sotto il bancone e trascinò via qualcosa da un ripiano ligneo. Cloud sussultò e si preparò ad afferrare la spada, ma Zack gli poggiò una mano sulla spalla, fermandolo senza nemmeno il bisogno di rivolgergli uno sguardo. «... siete due cani della Shinra.» Poggiò un pesante affare sul bancone, e ci fu un tremore generale. Quella che sembrava una normale protesi per il suo arto mutilato era, invece, un'arma portatile molto simile a una mitragliatrice. Tuttavia, non la legò al gancio nel braccio e si allontanò da essa, lasciando intendere che si trattava di un semplice avvertimento.

«Come ho detto, lo eravamo.» Zack dovette fingere di non deglutire un nodo amaro, «Ci siamo distaccati dalla Shinra ormai da un bel po'.»

«E come mai? Non vi andava più di stare al guinzaglio?»

«Barret...» Biggs sospirò.

«Non stavamo al guinzaglio di nessuno. Abbiamo rispettato gli ordini finché...»

«Siamo sicuri che non siate ancora dei fedeli cagnolini? Cosa mi assicura che non siate venuti sin qui solo per fregarci?»

«Noi non...!»

Un paio di mani guantate batterono con forza sul ripiano in legno. Tifa saltò giù dalla sedia e rivolse a tutti i presenti un'occhiataccia snervata. «Abbiamo bisogno di aiuto.» esordì, interrompendo quel battibecco che non avrebbe portato proprio a nulla.

Barret la guardò incuriosito, sorpreso dalla sua tenacia, ma Tifa si sentì intimorita per un attimo e abbassò lo sguardo. «La Shinra è nostra nemica. Ci ha portato via due carissimi amici che ora sono tenuti prigionieri, nella migliore delle ipotesi. Ci ha obbligati a lasciare le nostre case, a nasconderci, a sopravvivere piuttosto che vivere, e io sono la più fortunata tra tutti noi. Per quanto riguarda loro,» indicò i tre amici seduti che la guardarono piacevolmente increduli, «hanno dovuto affrontare l'inimmaginabile. Ora vogliamo riprenderci ciò che la Shinra ci ha portato via. Il mio maestro Zangan ha detto che qui avremmo trovato dei validi alleati. Allora? Potete davvero aiutarci, oppure no?» terminò coraggiosamente.

Seguì qualche secondo di silenzio, con quella musica in sottofondo che si fece particolarmente fastidiosa quando il jukebox si bloccò e ripetè tre volte lo stesso verso di una canzone. Qualche rumore proveniente dall'esterno annunciava che un gruppo di chiassosi bambini si stava divertendo a giocare in strada, e un cane di media taglia aveva trovare il loro vociare tedioso, tanto da mettersi a latrare indemoniato.

Barret non staccò gli occhi di dosso a Tifa, e poco dopo strinse le palpebre, afferrando l'arto metallico e riponendo sotto il bancone. «Qualsiasi nemico della Shinra è un nostro alleato.» recitò quasi religiosamente, mentre Biggs rilassava le spalle qualche metro più in là, ritrovando finalmente il respiro dopo un momento così teso. «Hai fegato, ragazza. Come hai detto che ti chiami?»

Lei batté le ciglia, confusa dal suo stesso gesto. «Tifa...» mormorò infatti, stordita da quell'ondata improvvisa di audacia. Non si accorse nemmeno di Cloud che la guardava esterrefatto, gli occhi brillanti di ammirazione.

«Bene, Tifa, tu mi piaci. Sarò lieto di aiutarti.Non ho dubbi che quel che hai detto sia vero, riconosco un bugiardo quando ne vedo uno, e tu non lo sembri proprio.»

Zack chinò il capo e sorseggiò un altro po' di liquore, amareggiato. Non era proprio riuscito a fare la sua bella figura da capitano della squadra, ma pazienza. Tifa, se non altro, aveva appena assicurato un tetto sulla testa a tutti quanti. Aerith, accanto a lui, sollevò un pollice in direzione di Tifa non appena il proprietario si fu voltato di spalle.

«C'è tanto di cui dobbiamo parlare, e tanti segreti che dovrete mantenere. Ci fidiamo di Zangan, quindi per esteso voglio fidarmi anche di voi. Avremo modo di introdurci meglio nei prossimi giorni ma, fino ad allora, sappiate questo...» Barret sollevò il suo bicchiere proponendo un rapido brindisi. «... Da oggi, siete i benvenuti nell'Avalanche.» Detto ciò, tracannò la bevanda senza battere ciglio.

Tutti e quattro gli ospiti sussultarono. Avalanche, un nome che da qualche tempo si sentiva pronunciare spesso. C'era chi li considerava solo una manciata di attivisti pazzoidi, chi li vedeva come una vera e propria minaccia in quanto ecoterroristi, e chi invece credeva che avrebbero salvato il mondo. Avalanche, in ogni caso, si muoveva nel nome del bene del pianeta, un pianeta che ogni giorno di più veniva prosciugato dalle sue energie vitali, destinato a diventare un guscio vuoto e desolato.

Avalanche aveva con loro un nemico comune: la Shinra. Fucina di orrori, prosciugatrice di vita: il suo operato sapeva offrire a tutti un'ottica condivisa, generando in loro il forte bisogno di portare a termine una sola, specifica missione: fermarla definitivamente.

Tifa ricordò questi dettagli e poté finalmente respirare e sentire il cuore rallentare, passando da un ritmo frenetico a uno più tranquillo. Sì, effettivamente si sentiva la benvenuta. E magari avrebbe potuto dare una sistemata a quel bar.

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Cambiamento ***


Capitolo 47
CAMBIAMENTO

Vagando come un fantasma in una magione infestata, Sephiroth attraversò i lucenti corridoi del piano riservato ai SOLDIER di prima classe. Era di ritorno dall'ennesimo controllo, un'altra visita al laboratorio che di certo non avrebbe portato a nulla se non altra spossatezza e un forte senso di fastidio.

Fuori dal palazzo pioveva, un evento piuttosto raro a Midgar, e un vero miracolo per chiunque venisse dai bassifondi. Non poteva nemmeno immaginare come si potessero sentire gli abitanti di quel mondo laggiù, privati del sole e del cielo e di tutto ciò che era a essi collegato. L'odore della pioggia gli trasmetteva tranquillità, benché non fosse abbastanza per mettere a tacere i suoi dubbi o il suo nervosismo.

Gli era capitato in passato di essere evitato dagli altri membri della sua divisione. Non perché lo odiassero, ma perché sprizzava inconsapevolmente un'aria così intimidatoria da costringere gli altri a spostarsi per fare strada lungo il suo cammino. Una reazione non voluta, soprattutto ora che avrebbe pagato ingenti somme di gil anche solo per scambiare quattro chiacchiere con una persona che non fosse vestita in camice bianco e indossasse una mascherina.

Mentre camminava per il corridoio, gli altri SOLDIER si ritirarono di qualche passo mormorando qualcosa tra di loro con la presunzione di non poter essere uditi, o con la convinzione, forse, che fosse così stupido da non accorgersi che l'argomento di quella conversazione segreta era proprio lui. Lanciò qualche occhiata d'avvertimento, e il basso brusio dei loro vocii terminò con la stessa rapidità con cui era iniziato.

Non aveva bisogno di altra gente piena di domande attorno. Ci pensavano già i giornalisti ad assillarlo, richiedendo che si mostrasse in pubblico, come se il consenso generale fosse più importante della sua salute. Be', forse lo era davvero, almeno per la Shinra. Nulla a cui non fosse amaramente abituato, però.

Aumentò il passo, sentendosi rimbombare in testa quesiti e tormenti privi di risposta. Poi raggiunse una porta, e tirò un enorme sospiro di sollievo. Aveva l'impressione di non ritrovarsi lì da anni, eppure nei ricordi che gli erano rimasti si recava spesso lì, come tappa intermedia tra la sua stanza e il simulatore personale dell'élite.

Bussò, la mano tremante suo malgrado. Perché si sentiva così strano nel fare una cosa quotidiana come il passare a trovare un amico? Ben presto i suoi ricordi sarebbero tornati, si disse, e tutto sarebbe tornato alla normalità. O quasi tutto, almeno.

La porta si aprì e lui sospirò di sollievo. La prima faccia amichevole che incontrava, e forse l'unica che riconosceva come tale, ormai, era proprio davanti ai suoi occhi. Eppure... la sua espressione lo confuse piuttosto che metterlo a suo agio.

Genesis Rhapsodos rimase immobile sulla porta per qualche secondo, boccheggiante, con la fronte aggrottata. Sephiroth non poté fare a meno di notare che aveva cerchi scuri attorno agli occhi e il viso più smunto del solito. Non sembrava essere cambiato poi molto, rispetto al passato, ma di nuovo provò la sensazione di averlo incontrato dopo un'eternità.

Genesis non gli avrebbe mai gettato le braccia al collo per abbracciarlo, certo, non era il tipo da dimostrare il suo affetto tanto apertamente, esattamente come lui, ma non fu questo a spegnere la scintilla di speranza nata in Sephiroth. Genesis sbiancò, senza lasciare andare la maniglia, e poco dopo si morse le labbra e sussurrò una singola domanda.

«Perché sei qui?»

Le sopracciglia argentee di Sephiroth si sollevarono mentre il suo debole sorriso svaniva del tutto. «Ti sto facendo visita, immagino.» Distogliendo lo sguardo, sbirciò oltre le spalle dell'amico. La sua stanza non sembrava nella migliore delle condizioni, proprio come il proprietario. «Possiamo parlare?» domandò poi.

In una situazione normale non avrebbe insistito vedendo di non essere il benvenuto. Avrebbe voltato le spalle e percorso la sua strada, abituato a non ricevere attenzioni particolari se non quelle che un fan dedicherebbe al suo idolo o uno scienziato alla sua invenzione migliore. Tuttavia, in quel momento non sapeva dove altro andare, da chi altro cercare conforto.

Il rapporto fra lui e Genesis non era mai stato tutto rose e fiori. Non erano solo amici, ma anche rivali, e ogni singola cosa fra loro finiva per diventare una competizione, che si trattasse di un qualsiasi addestramento, di prove d'intelligenza o persino missioni. La cosa peggiore era che, in qualsiasi campo, Sephiroth prevaleva di continuo. Le alte sfere della Shinra erano in visibilio per lui, mentre Genesis aveva continuato a vivere nella sua ombra, secondo in tutto e per tutto a lui. Questo aveva causato una ferita mai rimarginata, un senso di invidia profondo e malsano originatosi in Genesis, che si sentiva inutile se paragonato a lui, nonostante fosse più grande d'età e non fosse cresciuto fra le quattro mura di un palazzo di vetro e cemento.

Che fosse quello il motivo per cui Genesis non sembrava affatto contento della sua visita al suo appartamento? Sephiroth cercò di pensare rapidamente a una soluzione logica. Forse, fra loro due era successo qualcosa in tutti quegli anni di cui lui non ricordava niente. Un litigio, o altro di simile, magari aveva allontanato i due definitivamente e, adesso, Genesis si ritrova davanti un vecchio amico con cui non si era mai riappacificato. Questo Sephiroth non poteva saperlo, ma in ogni caso non aveva senso dare peso a sciocchezze del genere. Aveva bisogno di risposte.

Mosse un passo avanti quando, passato qualche secondo, si accorse che forse Genesis non avrebbe proferito parola. «Genesis?» lo chiamò infatti, «Posso entrare?»

Lui non replicò, ma si spostò di lato, lasciandolo passare e, quando fu entrato, richiuse la porta. Ancora voltato di spalle, si rigirò fra due dita il colletto della maglia aderente a maniche corte che stava indossando in quel momento, nel comfort della sua casa.

Sephiroth a stento riconobbe la casa in cui si ritrovò. C'era uno strano odore dolciastro e febbrile, in mezzo a quel mare di coperte disfatte, qualche piatto da ripulire e un filo di polvere evidente qui e là sui mobili che non veniva spazzato via da un bel po'. Ricordava Genesis come una persona quasi ossessionata dall'ordine, così rigorosa da infuriarsi quando non raggiungeva un risultato definibile perfetto. Ora era cambiato tutto.

Perso nei suoi pensieri, non si accorse che lui si era mosso finché non gli sfilò di fianco, andando ad accomodarsi su un divano rivestito in pelle amaranto. Quasi ci sprofondò sopra, prima di indicare a Sephiroth di andare a occupare il posto davanti a lui, una poltrona più piccola che se ne stava oltre un basso tavolinetto in mogano, con un rapido cenno del braccio.

Lui non fiatò, e andò a prendere posto accompagnato dal suono della pioggia che cadeva a catinelle dietro la grande parete di vetro. Oltre quell'immensa finestra, Midgar sembrava un fantasma, una città morta e abbandonata, con sagome grigiastre che emergevano tra la nebbia e le luci verde fluorescente dei reattori in lontananza.

«Questa è la prima volta che ci vediamo, da quando... è accaduto.» Sephiroth pensò che fosse meglio non scendere troppo nei dettagli con quella frase. Guardò colui che ancora considerava un amico, e tuttavia lui gli rinnegò qualsiasi contatto visivo, perdendosi nei meandri del disordine dell'ampio salotto. «Mi hanno detto che sei stato tenuto prigioniero a lungo.»

Genesis si morse un labbro. Sephiroth pensò di aver rievocato in lui ricordi tutt'altro che piacevoli, ma il giovane uomo in realtà stava pensando di non essere ancora libero. Continuava a rimanere un prigioniero, e quella sfarzosa città di luci era la sua cella dorata. Dover fingere un passato mai accaduto, per di più, era la sua tortura e condanna.

«Sto bene. La missione è andata a buon fine.» replicò in un sibilo, grattando con le unghie la superficie ruvida del bracciolo del divano.

Quando calò la testa, i ciuffi di Sephiroth gli coprirono la fronte come una tenda, nascondendo la sua espressione inibita. «Ne dubito. Sei rimasto a Wutai per anni, e a causa mia molti SOLDIER sono morti.»

«Abbiamo affrontato una guerra, anni fa. Siamo abituati a scenari del genere. E quelle persone vengono pagate per morire per noi. Non temere, le loro famiglie riceveranno un lauto compenso.» s'inventò di sana pianta l'uomo dai capelli rossi, schiarendosi la gola come se gli bruciasse.

Sephiroth non si sorprese del pragmatismo da lui dimostrato. Certamente nessuno di loro due era mai stato troppo empatico, e il pensiero razionale era l'unica salvezza dai suoi sensi di colpa.

«Ad ogni modo, sono contento che tu sia tornato.» disse apertamente, forse un po' in soggezione, a testa bassa. Erano grandi amici, ma difficilmente per loro due era possibile fare una conversazione sincera che non trattasse gli addestramenti, le missioni o Loveless.

Questa volta, Genesis lo guardò. «Sì...» parlò con il disgusto di chi sta mandando giù per la gola un sorso di veleno, «... anch'io.» Come no. Detestava quel posto e avrebbe ucciso per potersene andare. Forse Wutai era davvero più ospitale, anche al costo di fare davvero da ostaggio.

«Ascolta, Genesis.» Sephiroth sollevò il viso e, a giudicare dal suo tono, lui comprese che le seguenti parole non sarebbero state affatto piacevoli, «Ho ricevuto la notizia. Di ciò che è successo ad Angeal.»

A questo punto, Genesis si rialzò dal divano con uno scatto, attraversando il salone per avvicinarsi a un angolo della stanza adibito a bar. Gli era capitato, in passato, di festeggiare lì con i suoi due più cari amici la vittoria in missione, o altri successi particolari, di tanto in tanto riuscendo a ottenere qualche alcolico qui e là anche quando non avevano ancora l'età adatta a bere. Erano i tre piccoli gioielli della Shinra, d'altronde, e le regole potevano essere leggermente piegate per persone come loro.

L'unico a non essere d'accordo era Angeal, che era sempre stato il più responsabile dei tre. A Genesis parve di sentire il suo rimprovero riecheggiare soffice nell'aria che lo separava dall'altro amico, mentre afferrava una bottiglia di liquore e richiudeva il tappo, per poi sollevare il bicchiere alle labbra.

«Gli uomini non piangono per se stessi, ma per i loro compagni.» recitò solenne, e poi bevve tutto d'un fiato quell'alcolico che gli pizzicò la gola, senza nemmeno offrirne un bicchiere a Sephiroth, che rimase immobile sulla poltrona a osservarlo.

«Com'è successo?» domandò poi, quando lo vide appoggiare entrambe le mani sul bancone.

Lui esitò per un secondo. «Come succedono molte altre cose,» disse poi, sbrigativo, «Doveva accadere e basta. Non ha senso rimuginarci sopra.» Forse lo disse più a se stesso che a lui. D'altronde, parte della colpa di Angeal era sua, o almeno così credeva. Era stato lui a rivelargli la sua vera natura. Credeva di motivarlo così da averlo al suo fianco nella sua gloriosa crociata contro la Shinra, e invece lo aveva spinto verso un baratro da cui non v'era ritorno. A causa sua, Angeal aveva perso qualsiasi volontà di continuare a vivere. Aveva creduto di essere un mostro. Non che lui, Genesis e Sephiroth non lo fossero davvero, ma non era quello il finale sperato dal giovane uomo.

Le palpebre di Sephiroth si strinsero mentre fissava un punto indefinito del tavolo di vetro davanti a lui. «Non riesco a credere che sia accaduto davvero.» La sua voce sembrò eccessivamente debole per uno come lui.

Genesis provò qualcosa che avrebbe volentieri strappato via dal suo corpo e, per eludere i sensi di colpa, riempì un altro bicchiere e lo portò a lui, riprendendo posto.

Sephiroth osservò il suo riflesso sulla superficie limpida del liquido e quasi non si riconobbe. Era praticamente un uomo fatto adesso, ma nel suo ultimo ricordo non era che un ventenne. Avrebbe voluto prendere quel bicchiere e mandare giù in un sorso il contenuto, ma stava prendendo farmaci di ogni tipo da qualche tempo ormai e sarebbe stato meglio evitare di assumere sostanze alcoliche. Lo spinse via con la punta delle dita.

«Sembra quasi...» Rifletté per un momento, facendo una pausa, «di essermi addormentato in un mondo e risvegliatomi in uno completamente nuovo. E tu sei l'unico a non essere cambiato più di tanto.» mormorò poi guardando l'amico.

Genesis guardò altrove, mordendosi un labbro. Certo che non era cambiato, aveva trascorso gli ultimi anni in una cella di mantenimento da laboratorio a galleggiare tra i fluidi di conservazione che gli avevano impedito di marcire del tutto a causa della degradazione. Questo però non glielo poteva dire.

Sephiroth scambiò il suo silenzio per fastidio. Genesis era sempre stato un po' intrattabile, un tipo difficile con cui avere a che fare, ma probabilmente doveva essere sconvolto quanto lui, pensò Sephiroth che credeva che avesse vissuto in prigionia per tutto quel tempo a Wutai. Sapendo che non avrebbe ottenuto altre informazioni e che avrebbe rischiato di sembrare insistente,  si alzò e si avviò da solo alla porta.

«Quando avrai voglia di parlare, saprai dove trovarmi.» disse semplicemente, mentre Genesis quasi tirava un sospiro di sollievo. Lui gli lanciò un'occhiata da sopra una spalla e notò che si irrigidiva di nuovo, quasi colto al sprovvista. «Nei prossimi giorni tornerò al simulatore. Mi piacerebbe allenarmi con te.» gli fece sapere.

Genesis mosse una mano in aria. «Se gli impegni lo permetteranno.»

«Parli della tua allieva?»

Dopo aver udito quella domanda, Genesis si morse la lingua, maledicendosi. Avrebbe dovuto fare più attenzione alle sue parole e agli argomenti trattati.

«Mi porta via fin troppo tempo.» provò a salvarsi in calcio d'angolo.

«Non può unirsi a noi? Se è una terza classe, avrebbe molto da imparare.»

«Da quando sei così espansivo, Sephiroth?» Genesis alzò il tono di voce e rivolse all'amico un'occhiata torva. Non si rese nemmeno conto del suo atteggiamento.

Sephiroth s'incuriosì. Avevano parlato più negli ultimi secondi che in tutto il resto del tempo che lui aveva trascorso in quella casa.

Genesis si accorse che lui aveva alzato la guardia, e si accomodò nel tentativo di sembrare un po' rilassato, obiettivo molto arduo da raggiungere.

«Non ha le basi necessarie. Ci rallenterebbe o si farebbe male. Preferisco addestrarla da solo.» cercò di giustificarsi.

Sephiroth trovò a dir poco strano il suo comportamento. Che tra Genesis e quella giovane ragazza ci fosse qualcosa? Sembrava che il suo amico cercasse di evitare l'argomento, o di presentargliela. Eppure, era stato lui ad affidarla al giovane uomo chiedendo che le insegnasse a combattere a dovere, e Genesis al tempo non sembrava affatto contento, anzi, praticamente non si presentava mai alle lezioni. Be', nell'arco di circa cinque anni poteva cambiare ogni cosa.

«Si tratta della ragazza sopravvissuta, non è vero?» domandò poi Sephiroth, senza insistere, ma piuttosto cercando allo stesso tempo di punzecchiarlo un po' per scatenare un qualsiasi tipo di reazione in lui che gli ricordasse i vecchi tempi, e di cavargli fuori qualche informazione in più circa la misteriosa missione dalla quale era tornato privo di qualsiasi ricordo degli ultimi anni della sua vita. «Come sta?»

«Meglio di me o di te, non preoccuparti.» Genesis cercò di nuovo di sviare il discorso muovendo un braccio e guardando altrove. «Non ti arrovellare troppo, Sephiroth. Non è nessuno di importante. Solo una terza classe qualsiasi. Una molto fortunata, se non altro.» finì di parlare della sua allieva, pulendosi via istantaneamente una gocciolina di sudore dalla fronte. Non vedeva l'ora che quella conversazione finisse.

Per fortuna, Sephiroth aprì la porta. Aveva già messo un piede fuori, quando pronunciò le ultime parole prima di lasciare Genesis da solo nel comfort della sua stanza.

«Può darsi che sia più di una semplice terza classe, se è ancora viva.» mormorò pensoso, chiudendo la porta, «Il tempo rivelerà il resto.»

Non aveva idea di quale fosse stata la reazione di Genesis a quella dichiarazione, ma si divertì ad immaginarla. Quella sorta di complicità e rivalità era ciò che cercava di ripristinare del suo passato, o perlomeno di quello che ancora ricordava. Angeal stesso avrebbe voluto che i due si riappacificassero.

Dunque, Sephiroth decise di punto in bianco che avrebbe riportato il vecchio Genesis a galla. E magari, con l'aiuto della sua tanto celebre allieva superstite.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Incertezza ***


Capitolo 48
INCERTEZZA

 

Le luci del laboratorio, fredde e soffuse, riuscivano sempre a mettere i brividi a Genesis. Aveva passato fin troppo tempo della sua vita lì dentro, ed era il posto che meno gli mancava, quando era lontano da Midgar. Ora, per una questione di sopravvivenza, doveva recarsi lì ogni sera.

Jadin diede un'ultima occhiata al macchinario davanti a lei, si sfilò lo stetoscopio e sospirò. «Che dire? Non sei in condizioni ottimali, ma sei anche piuttosto resistente.» Finse quasi di esserne dispiaciuta, alzandosi dallo sgabello mobile su cui aveva preso posto per auscultare i battiti e il respiro di Genesis tramite la campana metallica connessa all'archetto biauricolare. «Ad ogni modo, noto che ultimamente il tuo comportamento non è dei migliori. Come punizione, ultimamente ho dovuto rimandare più e più volte il reset del timer collegato alla tua condizione. Lo sai che la disintegrazione spontanea delle cellule non ti farà bene, a lungo termine, vero?» parlò con la voce che un pediatra avrebbe usato per rivolgersi a un piccolo paziente.

Genesis si infilò una canotta e le lanciò uno sguardo truce. «Non ti preoccupa la possibilità di potermi uccidere?» sibilò a denti stretti, «Se io morissi, non avresti più alcuna marionetta costretta a seguire i tuoi ordini. Narcisse ha fatto la fine che da tempo meritava, e quella giovane Turk che ti fa da assistente è fin troppo ingenua per fare il tuo lavoro sporco, lo sappiamo entrambi.»

Imperturbabile, Jadin rimise a posto gli attrezzi medici muovendo l'altra mano in aria. «Che volpe! Eppure sei molto disperato, vedo che sei arrivato al punto da volermi far ragionare su una simile eventualità, pur di convincermi a lasciarti l'occasione per tornare libero.» La scienziata si girò, appoggiandosi con la parte inferiore del dorso ed entrambe le mani alla scrivania bianca dietro di lei. «Ah, la libertà. Deve mancarti molto, anche se non sei mai stato realmente libero.»

Genesis stavolta non trattenne alcuna furia, semplicemente le rivolse un sorriso carismatico che quasi riuscì a sembrare genuino. «Non ho alcun interesse nel convincerti a lasciarmi andare, nuova piccola Hojo. Io ti sto solo avvisando.» Si alzò e, con passo lento e aggraziato, si fermò a una spanna da lei. «Ti avviso... che ti conviene uccidermi davvero, prima che io trovi il modo di sottrarmi ai tuoi giochetti.» terminò in un sussurro.

Per una volta, Jadin sembrò quasi perdere la sua maschera da sapientona ipersicura e vacillò, stringendo le palpebre. Quella volta... mostrò un briciolo di paura. E a Genesis non serviva altro. Quella era la conferma che cercava, la soluzione al suo dubbio. Capì che dunque esisteva realmente una cura alla degradazione del suo corpo, un modo di fermarla una volta per tutte.

Jadin lo spintonò e tornò dietro la scrivania, emulando una risata divertita che tradiva la sua appena riscoperta insicurezza. «Immagino che lasciarti fantasticare un po' su una vendetta che non potrai mai portare a termine non ti farà male, dopotutto. Anzi, forse potrà persino aiutarti a svolgere meglio i tuoi compiti, visto che ultimamente il tuo operato sta lasciando a desiderare.» si fece scudo con quelle parole, aggiornando una cartella con i nuovi dati sulla salute di Genesis e poi richiudendola. «Piuttosto, ho saputo che Sephiroth ti ha fatto visita, qualche giorno fa.» continuò poi, mentre riponeva il documento su uno scaffale ordinato in fondo alla stanza.

Genesis finì di legarsi gli spallacci sulla giacca e sbuffò, a metà tra il divertito e l'amareggiato. «Non ti sfugge nulla.»

Lei gli rivolse un sorriso sornione. «Direi di no.» Gli fece cenno di parlare con una mano, «Dunque? Come ti è sembrato?»

Genesis le diede le spalle e guardò attraverso la parete di vetro dell'ufficio. Il resto dei laboratori, dall'altro lato, ospitava altri scienziati che, nonostante l'ora tarda, erano ancora indaffarati a portare a termine esperimenti di ogni genere. Odiò la vista di creature deformi e spasmodiche che venivano trascinate in celle isolate dentro gabbie fin troppo piccole per loro, e cercò di allontanare la domanda che gli ronzava in mente: se, un tempo, fossero stati umani anche loro.

«Come tu lo volevi: confuso, disorientato.» rispose poi alla sua domanda. «Mi ha chiesto di raccontargli cos'è accaduto in questi anni. E ovviamente... ho fornito la tua versione dei fatti.»

Jadin batté una singola volta le mani, appagata. «Allora non sei del tutto inutile! Bene!»

Lui le rivolse un'occhiata gelida, i colori della mako che ribolliva in una vasca oltre la finestra, al piano sottostante, mutarono il tono della sua pelle, rendendolo più minaccioso nonostante il suo stato cagionevole.

La scienziata sospirò e si accomodò, alzando gli occhi al cielo. «Ricorda quello che ti ho detto, e saprai come comportarti con lui. Ad ogni modo il Presidente ha già tenuto a informarmi che ben presto verrà riabilitato al ruolo di Generale, e ricomincerà a lavorare per SOLDIER, a partire da qualche piccola missione per certificare il suo status attuale. Dubito che lo rivedrai spesso.»

«Mi ha chiesto... di lei.» Genesis fu ben contento di lasciarsi sfuggire quel dettaglio. Era certo che, anche senza fare il nome della sua giovane allieva, avrebbe catturato l'attenzione della donna e risvegliato le sue paure.

Jadin stava annotando qualcosa su un'agenda personale, ma la matita che teneva fra le dita si spezzò con un suono ligneo e i suoi occhi infuriati guizzarono sul suo sogghigno mal celato.

«Genesis.» Capì al volo, diventando più seria che mai, «Non devono incontrarsi

Con l'espressione di una volpe ritrovatasi davanti a un pollaio incustodito, Genesis mosse qualche passo verso la scrivania. «Oh? Credevo che il tuo... trattamento... fosse infallibile. Non vorrai dirmi che non ne sei più tanto certa?»

«Questa è un'idiozia!» Jadin si rialzò, puntandogli contro un dito, «Ogni cosa che faccio è e resta infallibile! Semplicemente, quei due sono già abbastanza fastidiosi da tenere a bada da separati, e quella ragazzina è fin troppo curiosa, potrebbe ficcanasare dove non dovrebbe. Capisci che ripetere il processo potrebbe avere conseguenze gravi su entrambi, giusto?»

Genesis socchiuse gli occhi, la luce fredda gli baciò le palpebre e lui mosse le labbra recitando una citazione di Loveless: «Anche se il domani è arido di promesse, nulla impedirà il mio ritorno.» gongolò sottovoce. Molte cose non potevano essere impedite. Per esempio, un incontro che già da tempo si era dimostrato voluto dal fato. Lui ormai lo aveva capito, quel dono che andava cercando era sempre stato lì, sotto i suoi occhi. Diviso a metà tra un destino che lo avrebbe condotto a un'agonia lenta ma inesorabile, e una promessa fatta a un amico che non riusciva più a capire se poteva o meno considerare tale. Forse, quella promessa l'aveva fatta a se stesso.

L'unico motivo per cui Genesis si sentì tranquillo in quel momento fu la consapevolezza che niente o nessuno avrebbe potuto fare in maniera tale da sottoporre di nuovo Rainiel e Sephiroth, o entrambi addirittura, al processo che aveva strappato via i loro ricordi. Non avrebbe funzionato più di quella singola volta.

«Mia cara dottoressa...» Genesis si avviò alla porta, «Temo tu sia stata un po' imprudente. Hai riportato alle fauci della Compagnia due bocconi più che preziosi. Se Sephiroth è già stato richiesto per delle missioni, nulla vieta che anche Rainiel venga adocchiata dai piani alti. Loro sanno di lei, dopotutto, così come sanno di noi.»

Jadin lo guardò sfilare con quel suo ritrovato ghigno astuto e digrignò i denti, furente, talmente tanto da non riuscire a trovare parole adatte da spiccicare per salvare la sua dignitosa immagine.

«Non nego che la tua opera in materia di scienza sia impressionante, ma... ti manca l'ordine che invece possedeva il professor Hojo. O, per quel che vale, almeno un pizzico di quello di Hollander.» continuò a stuzzicarla Genesis, lieto di quella sua piccola vittoria.

La scienziata non ci vide più dalla rabbia. Si lanciò in avanti prima ancora di comprendere cosa stava facendo, in uno scatto che però agli occhi di un SOLDIER era così lento da poter essere evitato persino all'ultimo secondo. Jadin poteva contare sulla sua intelligenza straordinaria, ma non era addestrata al combattimento o a qualsiasi altra disciplina fisica, per cui non aveva speranze contro di lui da quel punto di vista, ma non le importò. Voleva colpirlo. Sollevò alta una mano e si preparò a stampargli uno schiaffo in pieno viso...

... quando la mano di Genesis le afferrò il polso con forza. Jadin impallidì. Nonostante le sue condizioni tutto meno che favorevoli, quell'uomo restava un SOLDIER d'élite e lei era stata impulsiva ed era cascata nella sua trappola. Quasi si preparò a essere colpita di rimando, cosa che gli avrebbe fatto pagare cara. Anzi, sperò davvero che lui facesse qualcosa di altrettanto avventato. Non aveva il fegato di ucciderla, e non avrebbe comunque usato la spada Rapier che portava sempre con sé, ma bastava un colpo qualsiasi, un affronto qualunque. Lei avrebbe agito di conseguenza.

Invece, tutto ciò che la ferì fu quel sorriso soddisfatto visto da vicino. Genesis allentò gradualmente la presa sul suo braccio e la lasciò libera, senza torcerle un solo capello. Non le avrebbe dato alcuna occasione di vendicarsi, e le fece capire che osare troppo le si sarebbe ritorto contro. Quello... era solo un assaggio. Genesis fu felice di sapere di avere ancora un po' di vantaggio dalla sua parte.

«Buonanotte, dottoressa Jadin.» recitò così come recitava le strofe di quel poema che aveva imparato a memoria, e con un ultimo rapido sguardo vittorioso lasciò la stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

Jadin rimase sola con i suoi pensieri, a rimuginare sulle parole che Genesis le aveva scagliato contro. Hojo era il suo punto di riferimento, il modello che sempre aveva voluto raggiungere e imitare, ed era convinta di esserci riuscita. Eppure, in lei s'insinuò il dubbio. Forse, effettivamente, il professore avrebbe saputo cosa fare in una situazione del genere, molto meglio di lei.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Mettersi alla prova ***


Capitolo 49
METTERSI ALLA PROVA

Negli ultimi giorni, Rainiel non aveva sperimentato altro che una calma piatta tale da darle ai nervi. La sua vita era monotona, grigia e insoddisfacente. Bloccata alla terza classe di SOLDIER, tutto ciò che le veniva chiesto di fare da qualche settimana da parte degli uffici direttivi era pattugliare la città in gruppo con la fanteria, oppure occuparsi di qualche incarico di poco conto all'interno della stessa Torre Shinra. Quando aveva chiesto a uno dei dirigenti di darle in carico quantomeno una breve missione nei bassifondi, quasi lui le aveva urlato contro di starsene al suo posto, o l'avrebbe fatta scacciare dalla divisione per la sua insolenza. D'altronde, non poteva di certo essere declassata.
 
E così non aveva fatto altro che allenarsi al simulatore con Genesis, o in palestra da sola. Aveva provato a farsi qualche amico, avvicinandosi ai gruppetti di persone che si radunavano sul piano dedicato agli appartamenti dei SOLDIER come lei, ma puntualmente veniva evitata come se fosse portatrice sana di una terribile malattia virale. Aveva ottenuto pochissime volte, forse solo due o tre, il permesso di dirigersi in città per fare una passeggiata o godersi un caffè all'aria aperta, e le era stato ribadito di non allontanarsi troppo.
 
"Devi ancora essere tenuta sotto controllo", le ripetevano tutti i supervisori e gli scienziati che la visitavano, "Non possiamo permetterci che qualche spia di Wutai ti faccia del male per impedirti di rivelarci informazioni preziose".
 
Be', Rain avrebbe voluto urlare loro contro che lei non aveva la benché minima idea di cosa fosse accaduto a Wutai, e che comunque sapeva come difendersi da sola, soprattutto se si trovava in uno dei settori vicini alla sede centrale della compagnia. Tuttavia, camminava su un filo molto sottile e non poteva permettersi sfuriate del genere. Si limitò sempre, dunque, ad accettare le loro richieste.
 
Probabilmente Genesis fu poi richiesto altrove, o semplicemente decise che non si sarebbe presentato agli addestramenti per qualche giorno, perché Rainiel si ritrovò più e più volte ad aspettarlo a vuoto all'interno del simulatore, tornandosene poi a casa con passo sconsolato. Probabilmente il suo mentore aveva bisogno di una settimana di pausa, d'altronde anche lui doveva riprendersi dagli ultimi eventi proprio come lei, e per questo motivo non se la sentì di biasimarlo troppo per il suo comportamento, anche se avrebbe potuto quantomeno avvisarla.
 
In un altro lungo pomeriggio privo di impegni, Rain si ritrovò ad ammazzare il tempo sdraiata a pancia in giù sul proprio letto, le gambe piegate che dal ginocchio in giù ciondolavano annoiate sopra di lei, il viso immerso in un comodo cuscino e le dita che scorrevano sullo schermo di un telefono che sembrava essere appartenuto a un fantasma. Non c'erano numeri salvati in rubrica se non quelli dei suoi superiori, quello di Genesis e infine quello dei suoi genitori. Sapeva che i due avevano messo da parte un gruzzoletto così da poter comprare un cellulare, quando lei era partita per Midgar, e spesso l'unico modo che avevano di sentirsi per lunghi periodi era tramite qualche sporadica telefonata o dei brevi messaggi.
 
Rainiel le aveva provate tutte, ormai, ma i suoi parenti non rispondevano. Anzi, sembravano irraggiungibili. Proprio in quel momento, premette il pulsante rosso sullo schermo del cellulare per l'ennesima volta, interrompendo la voce della segreteria telefonica che la invitata a ritentare più tardi.
 
Sospirò, affranta. Ormai erano passate diverse settimane da quando la sua misteriosa missione era stata portata a termine, e lei non era ancora riuscita a mettersi in contatto con loro. Che fossero in pensiero? Francamente, anche lei lo era, e non poco, ma si convinse che semplicemente doveva trattarsi di un guasto tecnico, visto il piccolo villaggio isolato da cui proveniva.
 
Si tirò giù dal letto e si guardò allo specchio, con una strana sensazione di nausea. Non perché non le piacesse ciò che aveva davanti, ma perché stentava a riconoscersi. Era così... diversa. Onde evitare inutili giramenti di testa, lasciò ciondolare il capo e prese a fare avanti e indietro per la stanza. Ma per quale motivo non aveva assolutamente nulla da fare? Era certa di non essere affatto abituata a una vita del genere! Era sempre stata socievole e vivace, possibile che non avesse stretto nemmeno un'amicizia in tutti quegli anni?
 
Puntò i piedi a terra e sbuffò, come una bambina nel bel mezzo di un capriccio. «Ugh... sto per impazzire!» Si sfiorò le tempie, pensando a un modo qualsiasi per ammazzare il tempo. E così lo trovò.
 
«Va bene, Genesis. Se tu non ci sei...» Fece spallucce e, con un piccolo ghigno, si avvicinò all'armadio. Lo aprì, rivelando la sua uniforme da SOLDIER, appesa a una gruccia in un angolo ordinato del guardaroba. «... Vorrà dire che dovrò allenarmi da sola!»
 
Sempre meglio che andarsene in palestra, sotto gli occhi di gente che spifferava pettegolezzi su di lei, convinti che non lei non li sentisse. Si chiedevano tutti come mai Rainiel fosse lì, offendendola. Si aspettavano forse che morisse in missione? Lei viveva lì da anni, dopotutto! Perché mai non sarebbe dovuta tornare a casa sua?
 
Si cambiò e uscì dall'appartamento, le aikuchi accuratamente fissate alla larga cintura di cuoio nero legata in vita. Se non ricordava male, quel giorno i seconda classe avevano un turno di pattuglia in città, probabilmente ai margini di uno dei vari settori di Midgar. Questo significava che non doveva preoccuparsi di prenotare il simulatore, cosa che avrebbe dovuto fare in assenza di un élite influente come Genesis, e che dunque poteva usufruirne senza problemi, molto probabilmente.
 
Infatti, non si sbagliava. Lo trovò vuoto, e ottenne il permesso da una guardia all'esterno di entrare e addestrarsi per circa un'ora.
 
C'era una pulsantiera all'interno, che permetteva di selezionare uno scenario e un tempo per la simulazione, così come eventuali nemici da affrontare. Rain era stufa di sentirsi in colpa per essere rimasta in terza classe, e decise di dare prova a se stessa di essere capace di grandi imprese.
 
Selezionò una delle missioni più difficili disponibili e, mentre tutt'attorno a lei le particelle digitali mutavano e assumevano la forma di uno sconfinato panorama montuoso, respirò a pieni polmoni ed estrasse le spade corte dalle loro guaine, roteandole fra le dita e allargando le braccia. Si guardò attorno, godendosi quello sprazzo di libertà, o quantomeno la sua illusione. Anche se si trovava all'interno della torre della compagnia per la quale lavorava da anni, per un momento ebbe la sensazione di trovarsi là fuori da qualche parte, nel bel mezzo della natura selvaggia, in missione o a riposo per qualche giorno.
 
«Sembra quasi Darefall, da qui...» sorrise nostalgica, ammirando il panorama. Lei si trovava su un'altura ripida, ma da lì poteva vedere la pianura sotto il monte estendersi per chilometri e chilometri. Una dolce finzione che riuscì ad alleggerire il suo cuore, in qualche modo. Altre montagne sorgevano lontane, ammantate dalle basse nubi, coperte di immensi boschi verdi che le rivestivano come una coperta.
 
Avrebbe potuto ammirare quella meraviglia per tutto il giorno, rimanere lì e fingere di non essere così lontana da casa, addirittura far finta che quella laggiù fosse davvero Darefall, ma non poteva. Nessun sogno era così dolce e perfetto da poter essere afferrato semplicemente tendendo una mano verso di esso.
 
Di nuovo, si domandò come mai i suo genitori non rispondessero alle sue telefonate, oppure almeno ai messaggi che aveva inviato loro. Si disse che avrebbe scritto una lettera da inviargli, a discapito del tempo di consegna. Si era quasi messa il cuore in pace, quando...
 
Uno stridio metallico sferzò l'aria a un passo da lei. Pezzi di roccia ed erba volarono in aria, tagliuzzati come carta. Con la coda dell'occhio, mentre si spostava con uno scatto instintivo nella direzione opposta al colpo, Rain vide il lato lucente di una lama grigia, una grande ascia brillante che si era conficcata nel terreno a pochi centimetri da lei. Non fosse stato per i suoi sensi innati, Rain avrebbe perso un braccio. Si chiese dunque se non avesse esagerato nello scegliere quel livello di missione.
 
Rotolò via con una capriola, e si appostò con un salto su un masso più alto, osservando il suo avversario. La creatura davanti a lei era un marchingegno metallico dalla forma di un grande rettile antropomorfo, un'altra creazione, certamente, del dipartimento atto alla costruzione di armi per l'esercito di Midgar. Il mostro meccanico aveva un'aria appositamente lugubre e spaventosa, era alto forse tre metri, o magari di più, e in ogni caso torreggiava su Rain anche se si trovava vagamente più in basso in termini di postazione. Le piccole macerie che aveva creato con quel singolo colpo, mirato e pulito, rotolarono giù lungo il fianco del monte roccioso, e Rain strinse gli occhi e si chiese se quella scena non fosse, per qualche motivo, a lei familiare.
 
Non ci fu tempo per rimuginare oltre, però, perché con un sibilo metallico la creatura emise uno sbuffò vaporoso da alcune valvole situate sul dorso del suo collo, ed estrasse l'ascia dal suolo, per poi mulinarla di nuovo verso Rain.
 
Anche stavolta, la ragazza dovette accontentarsi di schivare. Non aveva studiato abbastanza i movimenti del suo nemico e non poteva rischiare di risultare vulnerabile per una mancanza di attenzione. Si lanciò in alto dandosi la spinta con i polpacci e, mentre roteava in aria, osservò a testa in giù la sommità della roccia che veniva tagliata via con la facilità con cui sarebbe stato possibile affettare un panetto di burro con un semplice coltello da cucina. Con un brivido, atterrò dietro il mostro dopo aver estratto le sue spade corte in volo.
 
Con sguardo vigile, esaminò in un meno di un secondo la struttura corporea del suo avversario, cercando di individuare punti deboli di qualsiasi tipo. La sua corazza non prometteva nulla di buono, tuttavia, in quanto era visibilmente rinforzata a dovere e le placche metalliche erano state saldate così bene da non lasciare spazi adatti a un affondo con la lama che avrebbe potuto intaccare meccanismi vitali per la macchina. Insomma, era come combattere contro un'impenetrabile armatura ambulante.
 
Rain provò dunque a mirare più in basso, all'altezza di un ginocchio, ma uno sbuffo di vapore bollente la investì in pieno, strappandole un grido. La giovane donna chiuse gli occhi per proteggersi e si allontanò con un balzo, tossendo ripetutamente prima di riuscire a riaprire gli occhi in totale sicurezza, appena in tempo per vedere che parte della corazza metallica della macchina da guerra si era sollevata, rivelando due fori di media grandezza, larghi forse quanto il palmo di una mano umana, simili alla marmitta di un'auto o alla bocca di un cannone in scala ridotta. Il vapore caldo era fuoriuscito da lì in un getto, e Rainiel capì che doveva trattarsi di un contrattacco difensivo per proteggere il robot da attacchi alle spalle.
 
Il capo-dipartimento Heidegger, che lei aveva incontrato solo di rado, e i suoi sottoposti si erano davvero superati con quell'invenzione.
 
Il rettile meccanico si girò di scatto, facendo ondeggiare la lunga coda simile a quella di un alligatore, ma dalla forma ossuta, come fossero una serie di vertebre collegate da pezzi di metallo che a ogni scatto provocavano un rumore serpentino da mettere i brividi. La creatura guardò Rainiel, impugnando l'ascia con entrambe le grandi mani, ed emise un ruggito che mise in mostra lunghi denti seghettati che giravano in un sistema a catena, come quello di una motosega accesa. Se fosse riuscito a colpirla, Rain avrebbe certamente messo a repentaglio, se non la sua stessa vita, almeno un arto e un paio di ossa. Non doveva assolutamente permettergli di avvicinarsi... situazione non facile.
 
I due si guardarono per un po', a debita distanza, e Rainiel non osò scattare verso la porta del simulatore per annullare l'allenamento. No, lo avrebbe portato a termine dimostrando a se stessa che era in grado di fare grandi cose, e che non sarebbe rimasta bloccata in terza classe per sempre. Avrebbe abbracciato il suo sogno di diventare un eroe, con o senza i suoi ricordi.
 
Impugnò saldamente l'elsa delle sue lame Aikuchi e si erse coraggiosa sulla roccia su cui aveva trovato riparo. Non sarebbe scappata via. Quella era la sua battaglia.
 
Si mosse, e il vero addestramento ebbe inizio in quell'istante.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Legge del Fato ***


Capitolo 50
LEGGE DEL FATO

Un cono di luce illuminò la cima della montagna su cui il combattimento si stava disputando. Rainiel aveva allungato una mano verso il suo bersaglio, proprio mentre lui si lanciava verso di lei, e una materia verde incastonata nella cintura che stava indossando brillò di luce propria, mentre delle scintille si formavano tra le dita della ragazza. La magia galvanica nacque dal nulla con uno schiocco, e una serie di saette si scagliarono da Rain fino al nemico, elettrificando i suoi circuiti e bloccandolo per un attimo, un lasso di tempo breve ma sufficiente a una SOLDIER come lei a mettere in atto un'adeguata strategia.
Conoscere le debolezze di un nemico o quantomeno carpirle durante lo scontro stesso era un requisito essenziale per chi voleva fare parte non solo della prima classe, ma della divisione in generale. Un compito così essenziale veniva insegnato anche ai membri della fanteria come addestramento di base. Il ragionamento di Rain fu dunque semplice e conciso: usare una materia ardente contro quella macchina da guerra avrebbe portato a poco e nulla, così come una venefica: Bioga non poteva avvelenare un nemico che non aveva davvero una vita o un sistema corporeo in grado di far fluire la magia dannifica lungo le vene e gli arti. Un fulmine, però, avrebbe potuto compromettere il funzionamento di una macchina, non del tutto certamente, ma almeno un po'. Quella deduzione, fortunatamente, si rivelò esatta, probabilmente a causa di un fattore di iper-sicurezza da parte del dipartimento di Pubblica Sicurezza, o magari era semplicemente colpa della branca di Sviluppo Bellico, in mano all'ambiziosa capo-dipartimento Scarlet, che sapeva come far parlare di sé in tutta Midgar a causa delle sue trovate, geniali ma cruenti, in campo di creazione di armi.
Ad ogni modo, Rainiel non perse tempo. Veloce come il fulmine appena scagliato, approfittò di quel momento di debolezza da parte dell'oppositore per impugnare le sue spade e mirare alle gambe della belva meccanica. La corporatura del nemico era massiccia, ma le Aikuchi di Rain erano state create per tagliare anche la materia più solida. I suoi genitori avevano speso i risparmi di una vita per far sì che la loro amatissima figlia avesse quelle armi che tanto desiderava, motivo per cui la ragazza inviò loro un tacito ringraziamento, quando notò il mostro crollare a terra.
Tuttavia, pur bloccando i movimenti del nemico, non aveva fatto nulla per impedirgli di usare gli arti superiori, o persino la coda. Fu quest'ultima a scagliare il colpo seguente, abbattendosi con forza e con un rumore poco rassicurante sulle gambe della ragazza, all'altezza della tibia. Come risultato, Rain fu spazzata via da quel gesto rapido e cadde a terra, battendo i gomiti con forza contro la roccia. Si graffiò le braccia contro il terreno, e il sangue rimase impresso sulle pietrine e sull'erba, che le sporcarono la pelle attorno alla ferita. Rainiel non urlò, ma strinse i denti e sollevò lo sguardo.
Ruotando a metà su se stesso grazie certamente a un meccanismo interno, il robot sollevò di nuovo la grande ascia e la abbatté con notevole potenza sulla giovane donna, la quale previde appena in tempo il suo tentativo di finirla e si scansò, roteando su di un fianco.
Inevitabilmente, finì per raggiungere il dirupo al suo fianco, e cadde giù... o meglio, si lasciò cadere. Quella direzione fu scelta appositamente: Rain si aggrappò alla parete rocciosa e invocò la magia di una materia del vento, così una raffica improvvisa sotto i suoi stivali la lanciò in aria, sopra il mostro.
Quest'ultimo perse di vista l'obiettivo per un istante, e iniziò a colpire spasmodicamente il terreno vicino al precipizio con la propria arma, forse convinto di far sì che la ragazza cadesse nel vuoto in tale maniera.
Tuttavia, Rainiel atterrò proprio sulle sue spalle e, impugnando le Aikuchi verso il basso, infilzò con maestria l'articolazione metallica che teneva l'arto della belva rettiliana al resto del corpo. L'arto cadde trascinando con sé l'ascia, e il robot prese a roteare su se stesso, nel panico a causa dei danni subiti.
Rain si aggrappò con forza al collo robusto della macchina da guerra che, spinta al limite, sfoderò le zanne della catena tagliente cingolata. La ragazza strabuzzò gli occhi e si morse le labbra mentre schivava meglio che poteva i morsi dell'alligatore di metallo, le cui fauci si chiudevano con sonori schiocchi ora a destra e ora a sinistra della sua nuca.
«Non riesci a prendermi, eh?!» lo provocò lei, sicura che un rottame come quello non potesse offendersi.
Dopodiché, quasi come se l'avesse davvero sentita, le sue speranze s'infransero in un attimo, dato che altri due fori cilindrici si scoprirono dietro il collo della belva, e una sinistra luce calda apparve nelle profondità del suo corpo.
«Oh-oh...»
Rainiel pensò rapidamente a un modo per salvarsi, ma non sembrò trovare una soluzione: non aveva nulla per coprire le bocche da cui sarebbe fuoriuscito il vapore ustionante, e se avesse provato a saltare via i denti aguzzi del mostro le avrebbero afferrato una gamba, tranciandola di netto, e la sua carriera da combattente si sarebbe conclusa in tragedia.
Eppure mai, nemmeno per un singolo istante, Rainiel si pentì di essersi messa alla prova con quella missione. Era determinata a portarla a compimento, in un modo o nell'altro. E se non c'era alcuna scappatoia logica di cui approfittare... l'avrebbe creato lei, un modo di vincere.
Non del tutto convinta di ciò che stava facendo, infilzò le marmitte di vapore con entrambe le Aikuchi e si sorprese di vedere il robot... smettere di muoversi. Che ci fosse riuscita davvero?
Dopodiché, un allarme intrinseco alla creatura prese a risuonare, acuto e fastidioso. Rainiel si rese conto di aver pensato a un'ottima mossa, se l'idea era quella di saltare in aria insieme al nemico.
Non riuscendo a estrarre le armi, a malincuore dovette lasciarle conficcate nel corpo dell'avversario e, temendo il peggio, saltò più in alto che poteva.
L'allarme s'intensificò e aumentò di volume e poi, mentre Rain era in aria sopra di lui, il nemico emise vapore caldo da ogni singola giuntura del suo corpo di metallo.
La ragazza si trovava giusto a distanza di sicurezza, perché quando arrivò l'esplosione riuscì a stento a coprirsi in viso con gli avambracci, i quali non si ustionarono forse solo per un miracolo voluto dalla Dea. L'onda d'urto la lanciò più in alto e, da lassù, Rainiel si vide ricadere in mezzo alla nube calda. Prima che le sue risorse si esaurissero, non essendo lei il tipo di soldato da fare troppo affidamento sulle magie, usò l'ultima piccola carica di potere della materia d'aria per darsi la spinta sufficiente ad atterrare più in là, mentre il vapore si diradava lasciando dietro di sé solo un'aria torbida che contrastava con la brezza fredda delle montagne.
Rainiel non poté calcolare benissimo l'atterraggio, vista la situazione, e si dovette accontentare di tornare a terra vicino al precipizio che aveva usato poco prima come rampa di lancio. Davanti a sé, mentre tossiva e scuoteva una mano in aria per schiarirsi la visuale, vide due cose che le sollevarono parecchio il morale: per prima cosa, le sue Aikuchi stavano bene. Erano abbastanza resistenti da sopportare l'esplosione del macchinario, ma ora le loro lame erano incandescenti e, per evitare inutili incidenti, Rainiel avrebbe fatto meglio ad aspettare un po' prima di toccarle. In secondo luogo, poi, appurò con piacere che del mostro che aveva affrontato non era rimasto altro che un cumulo di rottami bollenti.
Aveva vinto, dimostrando a se stessa, prima che a tutti gli altri, di essere in grado di portare a termine una missione difficile come quella, e persino in poco tempo. Riprese fiato, con un sorriso che le affiorava sulle labbra e che non poté contenere, e saltellò sul posto mentre celebrava la riuscita dell'addestramento. Oh, quanto avrebbe voluto che Genesis fosse lì, a quel punto! Dimostrargli di non essere una palla al piede come lui le aveva fatto credere all'inizio del suo apprendistato non sarebbe stato affatto male, ma andava bene anche così.
Smise di saltare sul posto come una bambina e si ricompose, con un respiro profondo.
«Direi che per oggi può bastare!» gongolò ripulendosi i vestiti e la pelle dal terriccio e dalla polvere. Dopo essersi ripulita le mani ravviò una ciocca di capelli che si era scostata dalla fronte e liberò la chioma ramata dall'elastico che la teneva legata in un'alta coda di cavallo, scuotendo la testa per lasciare i capelli liberi. Erano cresciuti parecchio, negli ultimi tempi, e non poteva assolutamente combattere senza fastidi lasciandoli sciolti, ma ora era tutto finito.
Mosse un passo verso la catasta di rimasugli meccanici, sicura che presto o tardi il simulatore avrebbe resettato le impostazioni della mappa a quelle originali, e proprio in quel momento un rumore sospetto catturò la sua attenzione. Proveniva dal basso, e lo seguì con lo sguardo.
L'ascia del nemico era piantata a terra, a qualche passo da lei, e una sottile faglia si era diradata e ramificata verso il bordo del dirupo. Proprio dove si trovava Rainiel in quel momento.
Presa dall'entusiasmo del momento, Rain non si rese conto di aver mosso l'unico passo falso di quel giorno, calpestando la crepa nel terreno. Prima ancora che potesse elaborare in modo cosciente quel che era capitato, sentì il terreno sgretolarsi sotto di lei, e sparire, lasciando solo il vuoto. Con un urlo, Rain cadde.
Il potere magico della sua materia si era definitivamente esaurito, e non aveva con sé le spade da conficcare nella parete rocciosa per assicurarsi una presa salda, dunque provò a reggersi con il solo uso delle mani, ma tra la velocità con cui tutto accadde, il sudore freddo sulla sua pelle e tutto il resto, Rainiel non riuscì ad afferrare il bordo dell'altura e scivolò nel vuoto. Certo, si trovava all'interno del simulatore, ma una caduta da quell'altezza avrebbe comunque potuto essere pericolosa, se non fatale. Tutto, lì dentro, diventava reale per qualche attimo.
Fu qualcosa di inaspettato e misterioso a interrompere la sua caduta, mentre lei teneva gli occhi chiusi e stretti come una bambina spaventata dal buio. Qualcosa che le afferrò un polso in maniera così salda da farle quasi male, ma non poteva lamentarsi certo per la poca delicatezza di quel salvataggio all'ultimo momento.
Mentre ciondolava sulla valle che attendeva la sua caduta più in basso, riuscì a notare solo un guanto nero che copriva la mano che l'aveva afferrata prima che fosse troppo tardi.
"Genesis!" pensò istintivamente, incuriosita dal fatto che il suo mentore fosse tornato prima di quanto si aspettasse. D'altronde, era lui a decidere che i loro addestramenti si sarebbero tenuti proprio lì.
Afferrò il braccio che, con i muscoli tesi sotto i vestiti, le stava impedendo di precipitare, e il suo salvatore la aiutò a risalire sul bordo del precipizio.
Rainiel si aggrappò al terreno roccioso e facilitò l'operazione, arrampicandosi con le sue forze e allontanandosi dal bordo a gattoni prima di sedersi contro il tronco di un albero e riprendere fiato, gli occhi ancora chiusi per la paura.
«Sei... arrivato giusto in tempo...» ansimò stanca per la battaglia e stremata dallo spavento improvviso che l'aveva colta, una mano ferma sul petto.
«Immagino proprio di sì.» rispose calma e pacata la voce.
Una voce che non era affatto quella di Genesis. Questa era più profonda, più fredda e calma... e riconoscibile ovunque.
Rainiel spalancò gli occhi e lo vide. Ciuffi argentati che gli incorniciavano il volto pallido, e occhi ferini del colore dell'acqua limpida puntati su di lei, in un'espressione quasi... divertita.
Solo in quel momento la ragazza saltò in piedi, sull'attenti, e il cuore riprese a batterle veloce, persino peggio di come aveva fatto poco prima.
«Generale Sephiroth!» salutò, in maniera consona a una persona del suo rango, mentre anche lui si rialzava dalla posizione accovacciata che aveva assunto e la fissava in silenzio.
Un silenzio glaciale. Rainiel provò una strana sensazione nel vederlo, un movimento improvviso dentro di lei, come una piccola fiamma che si agitava per qualcosa che non riuscì a comprendere. Per un secondo... le sembrò di aver rivisto un volto familiare, dopo un lungo e interminabile sonno, in un incontro voluto dall'indiscutibile legge del fato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Secondo primo incontro ***


Capitolo 51
SECONDO PRIMO INCONTRO

 

Immobile come una statua di ghiaccio, sull'attenti per il suo Generale, Rain osservò con occhi spalancati Sephiroth che si ricomponeva, mettendosi in piedi e dando un'occhiata in basso, nel profondo del dirupo da cui aveva appena salvato la soldatessa.

«Sarà pure un simulatore, ma una caduta da questa altezza avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi.» disse il guerriero d'élite, per poi ripulirsi dalla polvere e camminare in direzione opposta al precipizio. Tutto attorno a lui, il paesaggio di montagna si trasformò digitalmente, divenendo di nuovo la bluastra cupola della stanza d'allenamento digitale.

Rainiel quasi si sforzò di trattenere il fiato. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva parlato con il Generale, il suo idolo indiscusso? Anni, forse? No... a ripensarci, si disse, aveva avuto una strana conversazione con lui non molto tempo prima.

«Nome e classe.» richiese schietto Sephiroth, ancora di spalle rispetto a lei.

«Rainiel Chanstor, signore!» I muscoli di Rainiel si tesero, la schiena perfettamente dritta, una mano sulla fronte e l'altra rigida lungo il fianco. «Terza classe di SOLDIER!»

«Chanstor...» Sephiroth ripeté quel cognome come se stesse cercando di capire se suonasse familiare il suo suono, o il movimento delle sue labbra nel pronunciarlo. Poi camminò di profilo, avvicinandosi a uno schermo non troppo lontano dall'uscita che riportava le statistiche e i dati dell'addestramento scelto per la simulazione. «Dici di essere una terza classe, Chanstor, ma noto che hai selezionato una missione appositamente programmata per i membri della prima.» Parlando con voce pacata ma fredda, in un gesto lento e aggraziato si voltò a guardare la ragazza in uniforme. I suoi occhi serpentini le perforarono l'anima, facendola sentire vulnerabile.

Tremando, Rain cercò una giustificazione valida. «Chiedo scusa, signore. Io... Io volevo solo... mettermi alla prova, e...»

«L'hai superata, e con un ottimo punteggio, anche.» Sephiroth spense lo schermo, interrompendo il suo balbettio. A braccia incrociate, prese ad avvicinarsi a lei. «Riposo, soldato.» aggiunse poi con un sopracciglio sollevato, notando la postura rigida della ragazza ancora sull'attenti.

Rainiel sbiancò e cercò di non incontrare il suo sguardo. Sephiroth notò subito questa sua esitazione. «Non è un rimprovero.» sentì di dover aggiungere, considerando quella ragazza piuttosto strana. «Ti ho osservata per un po'. Non molti SOLDIER del tuo rango possiedono le capacità necessarie per completare un livello di addestramento del genere.»

Lei abbassò lo sguardo sui piedi, imbarazzata. Se non era un rimprovero, avrebbe dovuto considerarlo un complimento?

«Tuttavia...» Sephiroth riprese a muoversi. Lei non capì dove stesse andando finché non lo vide raggiungere le sue Aikuchi, cadute a terra poco prima, e sollevarle, rigirandole tra le mani nel tentativo di esaminarle con minuzia. «Il simulatore è disponibile agli addestramenti per i seconda classe. Persino i membri in prima devono prenotare prima di poterne usufruire. E quelli di terza, come te, non possono addestrarsi qui senza la presenza o il permesso di un mentore di rango superiore.»

Ecco. Quella era la parte del rimprovero. Rainiel piegò la schiena in un inchino rispettoso, il sudore freddo che si radunava in piccole goccioline sulla sua fronte.

«Sono mortificata per non aver rispettato il regolamento, signore. Ecco...» balbettò una giustificazione, «... Il mio mentore è fuori città per una missione, e ho pensato di addestrarmi da sola. Non ho comunque chiesto un permesso, quindi so di aver sbagliato. Ero così impaziente di riprendere gli allenamenti che ho dimenticato questo dettaglio. Non ricapiterà più.»

Riaprendo gli occhi, Rainiel si trovò davanti le sue due spade corte, strette in un guanto nero teso verso di lei. Sephiroth si era mosso, silenzioso come un'ombra, ed era tornato davanti a lei.

«... Chanstor.» ripeté, ancora una volta. «Tu sei l'allieva di Genesis. Sono stato io ad affidarti a lui per il tuo apprendistato.» disse all'improvviso, il viso calmo attraversato da una piccola ruga dubbiosa, «Non è così?»

I grandi occhi azzurri di Rain si spalancarono mentre rinfoderava le spade. «Lei... si ricorda di me, signore?»

Sephiroth parve vacillare per un momento, a quella domanda. «Io...»

Una sagoma sfocata, un pavimento biancastro, un neonato in lacrime. Una sfera rosso sangue, una giovane guerriera promettente, il viso di un amico. E poi? Oltre quel punto era tutto... oscurità. Perché gli era tornato in mente tutto ciò?

Il Generale scosse la testa, come si fosse distratto all'improvviso. «... Ricordo qualcosa. È stato molti anni fa. Hai sconfitto tutti gli aspiranti SOLDIER del tuo corso, pur essendo l'unica candidata donna, e tra i più giovani.» Ripercorse quell'esperienza, vista attraverso lo schermo di un computer. Angeal era stato ben lieto di chiamarlo nella stanza di controllo per mostrargli lo spettacolo. «Io... non dimentico facilmente chi riesce a sorprendermi.» aggiunse.

Si sentiva strano. Come se stesse recitando un copione preesistente. Qualcosa che aveva già detto, già fatto. Ebbe una sensazione di deja-vu.

Rain non riuscì a nascondere un piccolo sorriso che colse Sephiroth alla sprovvista, un bagliore di ammirazione nei suoi occhi. «Sono così lieta che non mi abbia dimenticata! Grazie a lei sono l'allieva di Genesis, e...» Si guardò alle spalle. Osservò il simulatore.

Sì, era la sua allieva. Da anni. Non era mai stata promossa, non aveva mai stretto una singola amicizia. Che aveva fatto della sua vita, esattamente?

«... e sto apprendendo molto. La strada è lunga, ma dimostrerò il mio valore.» annunciò.

Sephiroth si ritrovò a fissarla per qualche secondo. Quello sguardo sul suo volto, quel desiderio di inseguire i suoi sogni... quella forte ambizione mai dormiente, sempre lì, in prima linea, esposta al mondo: La soldatessa gli ricordò immediatamente Angeal. Una fitta al cuore lo costrinse a volgere altrove lo sguardo.

«Sii paziente. Genesis è un ottimo SOLDIER, quando non è troppo occupato a essere una testa calda. Sarà un ottimo esempio, per te.» la rassicurò.

Stavolta fu la sua breve risata a sorprenderlo. Rainiel si coprì le labbra, piacevolmente stranita dal fatto che il Generale fosse capace di scherzare così su un amico.

Sephiroth la guardò con attenzione. Quel sorriso gli era così familiare, ma... era anche sconosciuto.

«Ci siamo incontrati di nuovo, dopo quella volta, Chanstor?» domandò.

La risatina di Rain si arrestò di colpo.

Un salvataggio inaspettatoUn ramo animato in una foresta buia. Un viaggio verso un villaggio lontano. Una frana. Era tutto lì, e poi... i ricordi sparirono. Cosa stava pensando? Cosa aveva ricordato? Lo aveva solo... immaginato?

Rainiel si schiarì la gola. «È possibile che io abbia partecipato ad alcune missioni con lei, signore. Soprattutto ad una, la più recente, in Wutai. Però...» La ragazza scosse la testa. Non aveva idea di cosa fosse successo in Wutai. Genesis non le aveva fornito troppe informazioni.

Sephiroth annuì, comprensivo ma anche amareggiato. «Non ricordi, dunque. Speravo che potessi aiutarmi, ma siamo nella medesima situazione.» sospirò, «Ho sentito che sei l'unica superstite, oltre me. A quanto pare abbiamo entrambi subito dei gravi danni alla memoria.» ricapitolò, confermando quello che era il suo dubbio.

Rainiel notò in lui una punta di frustrazione. «Mi dispiace...» aggiunse, stringendosi un braccio con la mano opposta, «I dottori hanno detto che potrei recuperare i ricordi, nel giro di qualche mese. Forse per lei, signore, il processo sarà anche più rapido.» provò a consolarlo.

Sephiroth lo apprezzò, ma non lo diede a vedere, restando esternamente impassibile, perso nei suoi pensieri più immediati.

Rain si massaggiò il collo e iniziò a parlare di nuovo, attirando la sua attenzione.

«Noi... ci siamo incontrati di nuovo, non molti giorni fa, a dire il vero. Dopo la missione.» raccontò.

Fu a questo punto che le palpebre di Sephiroth si separarono ancor di più. «Davvero?» chiese, atono all'esterno ma piuttosto incuriosito in fondo. Ecco qualcos'altro che non ricordava minimamente.

Rain annuì. «Nel corridoio, tra gli uffici degli scienziati. Io ero appena uscita dall'infermeria, e lei ha detto... delle cose strane.» si pentì forse, troppo tardi, di aver accennato a quel fatto. D'altronde Genesis le aveva fatto capire in molti modi che non avrebbe dovuto premere troppo sullo stato di confusione del Generale. Lungi da lei volerlo turbare in alcun modo.

Sephiroth però era ormai troppo interessato a quella faccenda. Incrociò le braccia e osservò i ciuffi ramati che celavano le guance arrossate della giovane SOLDIER. «Continua.» la spronò.

Lei usò la punta di uno stivale per grattarsi nervosamente l'altra caviglia, mantenne lo sguardo basso, le mani dietro la schiena. «Mi ha chiesto di...» si schiarì la voce, lanciando fugacemente qualche occhiata a lui, che la metteva abbastanza in soggezione, «... Ricordarla.»

Il Generale rimase lì, pensante, ancora per un po'. Non sembrò elaborare subito quello che l'allieva del suo amico disse, o per la precisione non lo capì affatto. Aveva chiesto a quella giovane SOLDIER di ricordarlo? E perché mai? Sembrava che si ricordassero perfettamente a vicenda.

La risata, ancora una volta imbarazzata, di Rain lo strappò alle sue riflessioni. «Be', potrei aver capito male. Sempre che non me lo sia immaginato, o sognato, chi lo sa.» spiegò, prima di arrossire e scuotere le braccia, totalmente vulnerabile davanti al suo modello ispiratore, «Voglio dire, non che io la sogni, Generale, assolutamente! Però, cioè, intendevo che...»

«Sephiroth.» la corresse lui, osservando il simulatore attorno a loro e cogliendola alla sprovvista, «Chiamami solo Sephiroth. Quel titolo... mi sta un po' stretto, ultimamente.»

Rain nascose un piccolo sorriso. Esattamente come a lei stava stretta quella divisa da terza classe.

«Comunque sia, forse si è trattato di un'allucinazione, o forse ero in stato confusionale. Sta di fatto che non ricordo assolutamente quel nostro incontro, solo il primo.» dichiarò chiusa quella discussione. «È stato un piacere incontrarti, Rainiel. Hai ottime doti, consiglierò a Genesis di raccomandarti al direttore per una promozione di livello o persino di classe.»

Gli occhi di Rainiel brillarono. «Sarebbe un onore, signore!» quasi cantilenò per la gioia, prima di ricomporsi, «Cioè, grazie mille... Sephiroth.»

Lui le rivolse un piccolo sorriso. Cordialità, amicizia, informalità. Tutti ciò non gli dispiaceva affatto, al contrario, bramava momenti semplici come quelli come fossero ossigeno. Purtroppo però Angeal non sarebbe stato lì a fargli discorsi sull'onore per ore e ore, e neppure Genesis sembrava aver voglia di  assillarlo con la recitazione di quel suo prezioso poema. Forse si era fermato a parlare con quella ragazza per disperazione - d'altronde, quando gli era mai capitato di fare una conversazione con un giovane terza classe che non fosse semplicemente mirata a organizzare strategie e dare ordini da seguire? Ad ogni modo, si sentiva un po' meglio, e pensò di aver preso una buona scelta, quando aveva affidato quella giovane promettente a Genesis.

«Porta a Genesis i miei saluti, quando ritornerà a Midgar.» sollevò un guanto in aria, in cenno di congedo. «E cerca di non sforzarti troppo. I danni al simulatore costano un bel po' di guil al presidente, ma non sono certo che potranno aggiustare anche te.» sogghignò.

Rainiel si passò una mano fra i capelli. «Ricevuto. Ho superato la prova che mi ero prefissata, quindi... cercherò di stare tranquilla d'ora in avanti.» promise con un tono più innocente che sincero.

Sephiroth scosse la testa, divertito. «Sarà meglio per te.» scherzò ancora, prima di uscire.

Per qualche motivo, mentre osservava la porta chiudersi alle spalle dell'uomo, Rainiel provò una sorta di deja-vu. Guardò le mani salde attorno all'elsa delle sue spade e sospirò, scuotendo la testa e dando la colpa alla confusione degli ultimi tempi. Aveva ancora bisogno di tempo per riprendersi, e non era l'unica.

Mentre gli altri la evitavano e le lanciavano occhiate sospette, Sephiroth non si era fatto problemi a chiacchierare con lei per un po' e, pur essendo noto per la sua aria severa e intransigente, era stato molto gentile con lei, persino divertente. Rainiel aveva davvero bisogno di qualcuno con cui parlare, per esempio un amico, ma non aveva nessuno, e quei pochi minuti si erano rivelati molto importanti per lei.

Così, mentre riprendeva fiato e sentiva finalmente i muscoli dolerle ora che l'adrenalina del combattimento l'aveva abbandonata, si ripromise che quella non sarebbe stata la loro ultima conversazione.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** L'occasione perfetta ***


Capitolo 52
L'OCCASIONE PERFETTA

 

Dopo circa due settimane dal suo incontro con Sephiroth, l'ultima cosa che Rainiel poteva aspettarsi era di ricevere un incarico dai piani alti di SOLDIER.

Wutai si era rivelata un nemico problematico, negli ultimi tempi. La guerra era finita da un po' di tempo, ma non tutte le questioni irrisolte erano state sedate, ne era una prova la sua perdita di memoria, o così credeva.

Ad ogni modo, il Presidente Shinra stesso aveva fatto sì che venissero contattati tre membri di SOLDIER per portare a termine l'incarico. In realtà, si trattava di un problema abbastanza banale. Nella nazione all'estremo occidente del Pianeta, una banda di ribelli aveva causato dei fastidi a una truppa stanziatasi nei pressi della capitale, sulle montagne a sud della città. Si trattava di gente comune, non di guerrieri, che avevano raccolto ciò che avevano per far fronte alla minaccia di Midgar, ma non avevano avuto molto successo. Continuavano a essere decimati, e questo portava solo ad altri dissapori tra i due popoli. In pratica, si trattava di una missione vinta in partenza.

Rainiel era felice di poter partecipare. Prima di tutto, lei non aveva preso parte alla guerra in Wutai, e nemmeno si ricordava che fosse terminata, quindi un viaggio del genere le avrebbe fatto capire cosa stava accadendo al di là delle mura protettive della piattaforma. In secondo luogo, aveva in mente di provare a risolvere quella situazione con il dialogo, piuttosto che con le sue Aikuchi. Se si trattava di civili, non sarebbe stato giusto combatterli, nemmeno se loro erano solo in tre.

Dopodiché, venne a sapere chi sarebbero stati i suoi due accompagnatori. Glielo rivelò Genesis, lungo un corridoio del grattacielo che faceva loro da casa, dopo che il suo viso era sbiancato, così tanto da sembrare più freddo ancora della luce biancastra del telefono che aveva in mano e che, lentamente, girò verso l'allieva quando lei gli chiese quale fosse il problema.

«Sembra che avrai modo di fare addestramento sul campo, e sarò lì per osservarti.» disse quasi come ripiego, mentre chiaramente stava pensando a qualcos'altro, che lo stava forse assillando.

Rainiel guardò lo schermo del cellulare e sorrise. «Non sapevo che avessero spedito anche te! Non è un po' strano che inviino un SOLDIER d'élite per un compito di grado così basso?» domandò ingenuamente.

Genesis sospirò, picchiettando con un dito sullo schermo. «La compagnia vuole fare vedere al mondo che SOLDIER è ancora in carreggiata. Il nostro viaggio a Wutai sarà un semplice avviso a coloro che pensano di poter scampare al controllo della Shinra, e di Midgar.» spiegò con insolita pazienza, dopodiché abbassò il tono di voce, «D'altronde è chiaro, visto chi sarà il terzo membro della squadra.»

La ragazza seguì la direzione indicata dal suo dito e praticamente tremò, non sapeva se di paura o entusiasmo.

«Sephiroth?!» quasi si affogò con le lettere nella fretta impiegata nel pronunciare quel nome, che nella mail del Presidente chiudeva la fila del cast perfetto per lo spettacolo che la Shinra stava organizzando a discapito di quella povera gente di Wutai.

Genesis non rispose, chiuse il telefono e lo rimise in tasca, taciturno. Rain non notò nulla di strano, vista la sua tipica diffidenza, ma soprattutto perché era appena caduta nelle sue immaginazioni fantastiche, in cui avrebbe dato prova della sua bravura proprio sotto gli occhi del suo idolo indiscusso, e forse questo le sarebbe davvero valso una promozione. Quel che non notò fu invece la solitaria goccia di sudore che bagnò la fronte del suo mentore mentre camminava con passo più spedito.

Jadin gli aveva esplicitamente raccomandato, più volte, di impedire a qualsiasi costo che quei due s'incontrassero. Non aveva nemmeno idea che si fossero già parlati, due settimane prima, durante l'addestramento fuori programma di Rain, la quale aveva tenuto nascosto quel piccolo dettaglio al mentore che in quel momento era via per lavoro, e che si sarebbe innervosito se avesse saputo della sua disubbidienza. Di conseguenza, non gli aveva nemmeno raccontato di aver parlato con Sephiroth e, a giudicare dalla sua calma nei giorni seguenti a quello, probabilmente nemmeno Sephiroth aveva accennato all'accaduto con lui.

Se da una parte si disse che non era colpa sua e che una cosa del genere era ormai inevitabile, vista la volontà del Presidente di avere quei tre nello specifico come squadra di soccorso a Wutai, dall'altra si rese conto che Jadin non era esattamente una persona ragionevole e che avrebbe colto la palla al balzo per scaricare la sua frustrazione su qualcuno, e lui era la vittima perfetta.

Odiava soffrire così tanto e, anche quando il decadimento gli lasciava un attimo di respiro dopo i reset quotidiani attivati manualmente dalla scienziata, era l'ansia a consumarlo vivo, assieme al risentimento. Fare il minimo passo falso gli avrebbe garantito delle torture gratuite da parte della diretta discepola di Hojo, mentre il rispettare la sua deviata, folle volontà avrebbe significato tradire colui che un tempo era stato il suo più caro amico, che ora non si rendeva neppure conto di essere un topo da laboratorio chiuso in un labirinto senza uscite.

Ma Rainiel, che era in quella situazione di beata ignoranza a sua volta, era terribilmente felice di poter avere finalmente un'opportunità d'oro. Certo, Wutai la spaventava - era lì che aveva perso i ricordi, stando alla storia del suo mentore, e sapeva bene che per Genesis tornare lì dopo quei fatidici anni di prigionia sarebbe stato a dir poco traumatico - eppure era felice di poter lasciare Midgar e respirare aria nuova, una volta tanto. Chiusa in quella torre a fare addestramenti di continuo contro dei computer programmati non le avrebbe giovato oltre un certo punto. Aveva bisogno di azione, viva e reale, e finalmente le si era aperta davanti una porta che non poteva assolutamente richiudere.

Proprio per questo, quando le fu comunicato che a separarla da quella missione v'era solamente un accertamento medico, non esitò a farsi trovare pronta e in orario davanti alla porta dell'ufficio della dottoressa che l'avrebbe visitata. E la donna in questione era...

«Professoressa Jadin, capo del dipartimento scientifico. È un piacere conoscerti, SOLDIER di terza classe Rainiel Chanstor.» salutò la donna minuta che aveva appena aperto la porta dell'ufficio medico, una giovane ragazza dai tratti che ricordavano vagamente quelli tipici di Wutai: sottili occhi allungati e scuri, e lunghi capelli neri, lisci e lucenti. Indossava un camice bianco e un paio di occhialini sottili e rotondi.

Rainiel ricambiò il saluto con una stretta di mano. Ricordava di aver visto il suo volto in televisione. «Ho sentito parlare di lei, ha sostituito il professor Hojo! Dev'essere stato difficile gestire una tale mole di nuovo lavoro.» commentò apertamente, mentre entrava nello studio e si toglieva la giacca verde militare che aveva indossato.

Jadin ridacchiò sottovoce, aggraziata. «Ti prego, dammi del tu. Abbiamo praticamente la stessa età.» la invitò, per poi indicarle un lettino coperto da un velo di morbida carta bianca sul quale sedersi.

Rainiel seguì le sue indicazioni. «È ammirevole che qualcuno così giovane sia riuscito a farsi strada in così poco tempo.» tornò a dire.

Lei fece spallucce, afferrando da un cassetto uno stetoscopio per l'auscultazione cardiaca. «Le circostanze della mia ascesa di grado sono state tristi, ma non posso negare di essere entusiasmata dall'idea di portare avanti i progetti nati da una mente tanto brillante. Hojo sapeva il fatto suo, e le sue ricerche hanno fatto la storia della scienza.»

Rainiel abbassò lo scollo della maglia per permettere alla campana metallica dello strumento medico di catturare al meglio il suono del suo cuore. Non gli era mai andato particolarmente a genio Hojo, quindi si limitò ad annuire con poca convinzione, ma era felice di poter discutere con qualcuno che era riuscito laddove lei aveva fallito, nella realizzazione di un grande sogno di carriera.

«Spero anch'io, un giorno, di poter coprire una carica importante all'interno di SOLDIER.» sospirò, beccandosi un'occhiata torva ma bonaria dalla dottoressa che cercava di visitarla.

Dopo un po', la donna posò lo strumento e rispose. «Sono sicura che ce la farai. Tra l'altro, ora tutti i riflettori sono puntati su di te, viste le ultime vicende.»

Rain fece dondolare i piedi accanto al lettino. «Be'... non lo so. Credo che alla gente importi più che altro di Sephiroth.»

Notò un tremolio quasi impercettibile della scienziata, che le rivolse un sorriso. «È una celebrità, normale che sia andata così. Ma c'è chi è anche incuriosito da te.» Scrisse qualcosa su un foglio. «Il tuo cuore sta bene, comunque. È giovane e forte.» la rassicurò.

Rainiel gongolò in silenzio, festeggiando internamente. Un passo più vicino al poter partecipare a quella missione lontana.

Jadin, però, dovette cercare di non fare sentire il rumore dei suoi denti che digrignavano. Quando aveva saputo della missione, la sua prima idea era stata quella di falsificare la cartella clinica di Rainiel e Sephiroth e presentarle direttamente al presidente Shinra, sperando di convincerlo a non inviare almeno uno dei due a Wutai. Eppure non c'era stato nulla da fare. Il Presidente aveva espressamente richiesto che venissero mandati entrambi, "anche se con un piede nella fossa", perché era questo ciò che il popolo voleva: degli eroi a cui guardare con ammirazione, per essere tenuti calmi nel persuasivo tepore del senso di sicurezza che quelle maestose figure sullo schermo avrebbero elargito a tutti i cittadini di Midgar. Ed eccola lì, a fare una visita in regola a Rainiel, con una voglia matta di strappare il foglio che stava annotando e sparare un colpo alla ragazza o qualsiasi altra cosa le avrebbe permesso di renderla inabile allo svolgimento di incarichi almeno per un po', ma non poteva. Tragicamente, la storia che aveva pensato per convincere i due amnesici della falsa verità che aveva costruito, si era rivelata un grosso guaio, perché il Presidente voleva cavalcare l'onda della novità per fare risplendere la Shinra in quanto compagnia, senza prestare troppa attenzione agli sviluppi del dipartimento scientifico.

Rainiel dovette sottoporsi a qualche altro controllo: una breve prova fisica, una oculistica, persino una concernente i riflessi. Incredibilmente, eccelleva in tutto. Il suo corpo era perfetto, e Jadin rimase affascinata nel poter notare da vicino quando in fretta fosse guarito da quella che era stata a tutti gli effetti una tortura dimenticata.

La conversazione si portò avanti ancora per un po', principalmente grazie all'entusiasmo della loquace Rainiel, che approfittò dell'apparente bontà del suo medico per raccontarle quanto fosse felice di poter avere quell'occasione.

«È incredibile che ultimamente sia riuscita a interagire così tanto con Sephiroth!» esclamò, al settimo cielo, mentre indossava di nuovo la giacca.

Jadin sbavò la firma sui documenti che aveva riempito. «Prego?»

«Intendo dire...» Rain si grattò il collo, «Prima la notte in cui sono rinvenuta, poi al simulatore. E ora potrò persino andare in missione con lui! È l'onore più grande in cui un SOLDIER come me possa sperare!» gioì come una bambina in procinto di scartare un regalo di compleanno.

Il sorrisino di Jadin svanì nonostante cercasse di mantenere la situazione sotto controllo. «Quindi hai già fatto conoscenza del Generale?» chiese, «Ma non mi dire...»

Lei annuì energicamente. «L'ho conosciuto anni fa, in realtà. Fu lui a permettere il mio ingresso in SOLDIER. Ma l'ultima volta che ci ho parlato, saranno state... due settimane fa? Ci siamo incontrati al simulatore per puro caso, e in silenzio ha assistito a uno dei miei addestramenti. È stato imbarazzante, ma almeno ho fatto bella figura!» finse di vantarsi, per poi ridere, «Ad ogni modo sono contenta di aver potuto parlare con lui. Abbiamo molto in comune, da quando siamo sopravvissuti all'ultimo viaggio in Wutai. Ho scoperto che si sente proprio come me. Questo mi fa sentire... meno sola, immagino.» spiegò, cercando di rendere il suo un discorso sensato.

Jadin, però, aveva smesso di ascoltarla. Quel che le importava non era quanto andassero d'accordo. Sapeva benissimo che prima che cancellasse loro i ricordi l'uno dell'altra quei due si erano persino innamorati, quindi era logico che fossero tanto in sintonia. Eppure aveva ordinato a Genesis di impedire che i due si rivolgessero anche solo la parola, con la speranza di poter ideare un piano prima che partissero nuovamente per Wutai. E invece, ecco le sue certezze andare in fumo perché quel cantore disperato non era riuscito a fare il suo dannato lavoro.

«Sono certa che avrete molto da dirvi. Tu, lui.. e anche Genesis Rhapsodos.» pronunciò quell'ultimo nome con una certa enfasi, fredda e sibilante, cui Rain non prestò troppo caso.

Jadin era certa che avrebbe contraccambiato il favore, mostrando a Genesis le conseguenze delle sue azioni. Forse, questo l'avrebbe finalmente convinto a stare un po' più attento.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3974026