Il principe del calmo mattino

di Juliet8198
(/viewuser.php?uid=1120876)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREMESSA ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***
Capitolo 18: *** XVII ***
Capitolo 19: *** XVIII ***
Capitolo 20: *** IXX ***
Capitolo 21: *** XX ***
Capitolo 22: *** XXI ***
Capitolo 23: *** XXII ***
Capitolo 24: *** XXIII ***
Capitolo 25: *** XXIV ***
Capitolo 26: *** XXV ***
Capitolo 27: *** XXVI ***
Capitolo 28: *** XVII ***
Capitolo 29: *** XVIII ***
Capitolo 30: *** IXXX ***
Capitolo 31: *** XXX ***
Capitolo 32: *** XXXI ***
Capitolo 33: *** XXXII ***
Capitolo 34: *** XXXIII ***
Capitolo 35: *** XXXIV ***
Capitolo 36: *** XXXV ***
Capitolo 37: *** XXXVI ***
Capitolo 38: *** XXXVII ***
Capitolo 39: *** XXXVIII ***
Capitolo 40: *** IXL ***
Capitolo 41: *** XL ***
Capitolo 42: *** XLI ***
Capitolo 43: *** XLII ***
Capitolo 44: *** XLIII ***
Capitolo 45: *** XLIV ***
Capitolo 46: *** XLV ***
Capitolo 47: *** XLVI ***
Capitolo 48: *** XLVII ***
Capitolo 49: *** XLVIII ***
Capitolo 50: *** IL ***
Capitolo 51: *** L ***
Capitolo 52: *** Epilogo ***
Capitolo 53: *** Not the end ***
Capitolo 54: *** Ringraziamenti ***
Capitolo 55: *** Solitary ***
Capitolo 56: *** Speciale 10K ***



Capitolo 1
*** PREMESSA ***


Prima di iniziare questa storia, sento la necessità di fare alcune precisazioni. 

 

1- L'ispirazione di questa storia è nata dal video musicale di Daechwita. Nonostante ciò, a parte l'idea generale, mi 

distaccherò da esso sia nei dettagli che nel periodo storico in cui è ambientato.

 

2- Prima di iniziare a scrivere, ho studiato la storia e la cultura della Corea (in libri veri, non su Wikipedia), perciò cercherò di essere il più accurata possibile. Se commetterò degli errori, vi prego di perdonarmi e di segnalarmelo in modo che possa informarmi e correggerli. 

 

3- La storia sarà ambientata durante il regno del re Yonsangun e tratterà avvenimenti storici realmente accaduti come i massacri dei sarim degli anni 1498 e 1504. Talvolta, mi allontanerò dalla realtà storica per poter aggiungere gli elementi romanzati, perciò questa storia non rispecchierà i fatti con la massima accuratezza. Per questo stesso motivo, ad esempio, ho dovuto cambiare il nome della dinastia da Yi a Min (dato che questa è pur sempre una fanfiction su Min Yoongi). 

 

4- Inserirò riferimenti storici e culturali del tempo e cercherò di spiegarli nelle note autore a fine capitolo, in modo da alleggerire il più possibile la lettura. Qualora siano presenti titoli nobiliari, verranno tradotti con titoli corrispondenti nell'italiano e vicini al ruolo originale per il suddetto motivo. 

 

5- Le frasi scritte in corsivo si riferiranno al cinese. 

 

6- Ci tengo a precisare che non approvo in nessun modo comportamenti abusivi o violenti nei confronti delle donne, ma vi prego di tenere conto del contesto sociale in cui la storia è ambientata, durante il quale le donne (e ancora di più gli schiavi) erano tenute in bassissima considerazione. 

 

7- Il titolo della storia si riferisce al nome con cui era nota la Corea, ovvero Choson (o Joseon), che significa appunto "Calmo mattino". Ecco una mappa di come appariva al tempo. 


 

 

 

 

Bene, penso di avere finito di annoiarvi. Adesso, possiamo passare alla parte divertente! Non amo fare le presentazioni dei personaggi, ma ultimamente mi sono cimentata nei collage perciò ho creato dei moodboard dei protagonisti e coprotagonisti principali (popolo di EFP, sono forse riuscita a mettervi un immagine il problema è che le presentazioni dei personaggi mi vengono troppo grandi perciò dovrete passare da wattpad per vederle.) 

 

                                                                                                

 

                                                                                                 

 

 

 

                                                                                                    

                                                   

 

 

 

                                                                                              

 

 

 

                                                                                             

 

 

 

                                                                           

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***


Inspirò. 

 

La calligrafia è una questione di meditazione. Il flusso che unisce l'aria nel corpo e il movimento nel braccio al liquido nel pennello è un circolo che scorre come un fiume.

 

Il petto si riempì, trascinando con sé la mano che si allontanò dal foglio e sollevò  lo strumento, bloccandolo in un momento di stasi perfetta. Il movimento era pronto. Il fiume era sul ciglio di una cascata, vicino a precipitare e scaricare tutta la sua energia nel proprio letto, trascinando con sé ogni cosa si frapponesse al suo cammino. 

 

Espirò.

 

Il braccio intraprese la sua discesa precipitosa, condotto dal fuoriuscire dell'aria, e avvicinò il pennello alla superficie intonsa. Le setole avevano appena iniziato a sfiorare la carta, macchiandola di qualche schizzo di nero, pronte a tracciare il flusso di quell'oscuro fiume. 

 

-Mio signore! 

 

La mano esitò, virando indecisa e scorrendo con un tremolio nervoso. Al posto di un fiume dalle ampie e definite sponde, sul foglio si trovava un rigagnolo di montagna pieno di curve e dossi. Yoongi fece schioccare rumorosamente la lingua. Contemplando il rovinoso risultato, risucchiò le guance all'interno della bocca, scavandole nervosamente coi denti prima di emettere un sospiro. 

 

"Avrei dovuto tagliargli la lingua tanto tempo fa. Perché non l'ho ancora fatto?" 

 

Le orecchie del giovane si acuirono al suono dei passetti concitati del suo assistente, che si stava precipitando verso le sue stanze. 

 

"Dovrò chiedere a Jungkook di provvedere il prima possibile." 

 

La porta scorse frettolosamente sul suo asse, provocando un fruscio irritato nel legno. Anche l'arredo non sopportava l'impetuosa irruenza di Hoseok. 

 

-A cosa devo questa inaspettata quanto sgradita irruzione? 

 

Il tono del padrone era minacciosamente basso; il suo sottoposto doveva avere colto senza ombra di dubbio la malcelata irritazione che vi aleggiava. Egli, però, la ignorò imperterrito. D'altronde, Hoseok era l'unica persona in quella casa che non sembrava essere influenzata dai malumori del giovane signore. 

 

-Namjoon è alla soglia. 

 

Yoongi piegò lievemente il capo, rilassando il collo. Sospirando nuovamente, arrotolò il foglio recante il tremolante rigagnolo nero e lo allontanò dalla sua vista. 

 

-Si presenta alla mia porta senza essere invitato e senza che io abbia richiesto i suoi servigi? Ha qualche malsano desiderio di terminare la sua esistenza?

 

Il giovane si strofinò le palpebre, cullandosi nel conforto dell'oscurità. Quando riaprì gli occhi, però, il suo assistente era ancora lì. 

 

-Dice che ha portato un dono. Merce rara. 

 

Il signore distese nuovamente il collo, sentendo un sonoro schiocco provenire dalle sue ossa. 

 

-Non sono interessato alle armi. Dovrebbe saperlo. 

 

Hoseok, per la prima volta da che aveva messo piede nella stanza, sembrò a disagio. I suoi occhi si allontanarono dal padrone, posandosi sul pavimento, mentre le sue mani presero a contorcersi nervosamente. 

 

-Penso di avere intravisto una terza persona insieme a Namjoon e al suo secondo. 

 

Al suono di quelle parole, Yoongi alzò il capo e sollevò un sopracciglio. 

 

"Schiavi?" 

 

 

 

Il giovane signore sedeva placidamente a gambe incrociate quando Namjoon fece il suo ingresso nella sala di accoglienza. In effetti, chiamarla sala di accoglienza era un generoso complimento, date le sue modeste dimensioni e il suo scarso arredamento. In generale, però, Yoongi non aveva mai amato gli inutili fronzoli. Questo aspetto si rifletteva anche sul suo abbigliamento. Non indossava mai i raffinati hanbok reali. Pure in quel momento, nel ricevere un ospite, non si era curato di cambiare la sua veste. Tale ospite, d'altronde, non avrebbe neanche meritato la cortesia, considerando il suo sgradito arrivo. 

 

-Vi ringrazio di avermi concesso udienza nonostante la mia inaspettata visita, mio signore.

 

Yoongi contemplò il giovane ignorando le sue parole. Il suo corpo, il suo viso, la sua voce. Lo irritavano grandemente. Namjoon sapeva perfettamente come addestrare le sue membra a fingere la più totale deferenza. Ma il giovane signore poteva leggere nei suoi occhi quanto poco rispetto si celava in realtà dietro a quelle onorevoli espressioni. 

 

-Spero per il tuo benestare che tale inaspettata visita sia motivata da cause assai importanti, Namjoon. 

 

Il ragazzo si fermò al suo cospetto, annuendo mansuetamente. Non vi era traccia di nervosismo o agitazione nel suo collo e nelle sue mani, come se non avesse colto la velata minaccia nelle sue parole. La sua indifferenza, accostata al fasullo rispetto che gli mostrava, facevano oscurare la vista di Yoongi. Tollerava quel ragazzo solo perché era un'ottima fonte di informazioni e perché era sveglio. Il problema stava nel fatto che era troppo sveglio. 

 

-Il mio sottoposto ha...

 

Gli occhi di Namjoon saettarono per un istante in direzione dell'uomo alle sue spalle, il quale abbassò lo sguardo al pavimento. 

 

-... incontrato un affare interessante. So che solitamente il mio signore non ricerca questo genere di merce, ma ho pensato che potesse esservi utile. 

 

Yoongi scorse un leggero movimento alle spalle del ragazzo. Sapeva già cosa stava per proporgli. Ne aveva avuto la conferma quando aveva intravisto quella terza figura entrare nella stanza dopo il suo secondo. Il giovane aveva cercato di ignorarne la presenza, ma il largo cappello di paglia che ne nascondeva i lineamenti non aveva fatto che attirare il suo occhio. Era una donna. Il pregiato hanbok che indossava non lasciava spazio a dubbi. 

 

Per quale motivo quella serpe di Namjoon gli avrebbe rifilato una schiava? 

 

E per quale motivo l'aveva incartata con così tanta cura? 

 

Quella seta veniva sicuramente dall'impero. Era talmente lucida da catturare avidamente la scarsa luminosità della stanza e trasformare l'arancio della camicia in un cielo sull'orlo del tramonto e il verde della gonna in un prato ricoperto di rugiada. 

 

-Non sono interessato. 

 

Il tono del giovane calò perentorio nella stanza, pesante come la lama di un boia. Il corpo di Namjoon non manifestò il minimo segno di indugio. 

 

-Vi prego di darle un'occhiata prima di prendere una decisione, mio signore.

 

Il ragazzo si scostò facendo un passo di lato e liberando la vista sull'oggetto di interesse. Quest'ultimo portò le pallide mani al cappello e lo sollevò dal capo. 

 

 

 

Yoongi ne aveva viste di cose bizzarre nella vita. Soprattutto nel periodo in cui aveva risieduto nella capitale, non era raro scorgere carovane straniere e compagnie di intrattenitori da terre lontane. Aveva incontrato uomini dalla pelle del colore del legno e altri con grandi occhi chiari come il cielo. Ma la creatura di fronte a lui era un esemplare unico. 

 

Non poteva essere umana. Doveva per forza essere l'incarnazione di una cavalla bianca o la manifestazione di una ninfa celeste. Solo quello avrebbe potuto spiegare l'immensa meraviglia che le sue sembianze avevano instillato in lui. 

 

Non appena il cappello lasciò la testa della donna, una cascata di filamenti d'oro scivolò sulle sue spalle. Quelle preziose fibre ricadevano in piccole onde, simili alla superficie di un mare turbato, e circondavano un viso piccolo e tondeggiante. I suoi occhi... di che colore erano? 

 

"Dei del cielo..." 

 

Erano giada levigata. Se li avesse paragonati alle pietre incastonate nell'ornamento che sorreggeva i propri capelli, molto probabilmente sarebbe stato incapace di distinguerli.

 

A ben guardarla, dalla freschezza della sua pelle e dalla morbidezza delle sue forme, Yoongi notò che doveva essere giovane. Più giovane di lui. Nonostante ciò, aveva già la struttura di una donna. 

 

I grandi occhi della creatura lo scrutarono attentamente per diversi istanti, esitanti e allo stesso tempo quasi sfacciati. Poi, si abbassarono con modestia. La giovane giunse le mani davanti al suo viso, sovrapponendole l'una all'altra fino e formare una linea orizzontale, le abbassò e chinò le ginocchia fino a raggiungere il pavimento. Il suo capo si era chinato in avanti e non si sollevò completamente neppure quando fu di nuovo in piedi. 

 

-Che cosa significa, Namjoon?

 

Il signore distolse gli occhi dalla giovane donna e li puntò nello sguardo attento dell'interpellato. Questo si schiarì la gola e analizzò velocemente la figura che si era appena inchinata.

 

-Come vi ho detto, mio signore, il mio sottoposto ha incontrato questo interessante affare mentre percorreva le campagne vicine al confine. L'ha trovata a vivere con una famiglia di contadini. 

 

Yoongi riportò la sua attenzione sulla ragazza. Poteva notare che le sue mani erano leggermente rovinate nelle parti in cui si reggevano gli strumenti per lavorare i campi. Le dita recavano anche lievi sbucciature nelle nocche, segno che doveva aver passato del tempo a strofinare i panni sporchi. Infine, sulla sua pelle si poteva cogliere un lieve rossore dovuto alle scottature del sole. 

 

Non c'era dubbio. Il suo corpo portava i segni del lavoro in sé. Nonostante ciò, era pure evidente che quello stesso corpo non era abituato a quel genere di attività. Le bruciature erano troppo recenti, troppo poco sedimentate nell'organismo per poter suggerire una provenienza contadina. Quella ragazza doveva avere avuto una dimora confortevole e pasti regolari nella sua infanzia. 

 

-Da dove vieni?

 

La creatura non sollevò il capo alla sua domanda. Rimase muta, immobile. 

 

-Non parla la nostra lingua, mio signore. Ma a quanto pare conosce quella dell'impero. 

 

Yoongi sollevò di scatto un sopracciglio, osservando la giovane. 

 

-Parli la lingua dell'impero? 

 

La ragazza tenne gli occhi fissi sul pavimento e la mani giunte vicine al ventre. 

 

-Sì, mio signore.

 

Yoongi non poté trattenere un ghigno di fronte a quella risposta. Una cavalla bianca che parlava la lingua dell'impero vestita come una donna di Choson. Di certo non era una visione che si incontrava tutti i giorni. 

 

-Come ti chiami?

 

La ragazza, imperterrita, tenne gli occhi al pavimento. 

 

-Il mio nome è Diana. Il mio nome di famiglia è Barbo. 

 

La situazione, agli occhi di Yoongi, era ancora più ilare. Aveva perfino un nome di famiglia. Sapeva inchinarsi e conosceva il linguaggio formale da rivolgere ad una persona del suo rango. Non c'era dubbio che Namjoon l'avesse preparata per quell'incontro, eppure era evidente che era già stata addestrata all'etichetta per anni. Decisamente non proveniva da un contesto contadino. 

 

-Da dove vieni? 

 

A quella domanda, la giovane sembrò esitare. Le mani ancora giunte sul suo ventre si strinsero, attorcigliando per un momento le dita in una morsa. 

 

-Da molto lontano, mio signore. 

 

-Quanto lontano? 

 

Le domande uscivano dalla bocca del giovane padrone taglienti eppure piene, tronfie di curiosità. Per una persona come lui, che riusciva normalmente a celare senza indugi le sue emozioni, stava facendo davvero un pessimo lavoro. 

 

-Da Occidente. 

 

-Non è un novità. Molti stranieri che giungono nelle nostre terre vengono da Occidente. Da dove di preciso? 

 

La giovane sembrò esitare nuovamente. Dopo qualche istante, deglutì. 

 

-Se mi è concesso avere il materiale per scrivere ve lo posso mostrare. 

 

Yoongi non poté fare a meno di lasciare che un fiotto di curiosità si tramutasse in uno spasmo della bocca. Con un cenno del capo, ordinò ad Hoseok di portare il necessario nella stanza e, in seguito, riportò la sua attenzione sulla giovane donna. Passarono lunghi, trascinati istanti di silenzio, nell'attesa del ritorno dell'assistente. Il signore di certo non aveva intenzione di rompere quella beata calma. Lui ci sguazzava, nel silenzio. Anche in quello imbarazzato e irrequieto che era nato in quel momento. Gli altri presenti, parimenti, non sembravano intenzionati a fare il primo passo. La giovane rimaneva immobile nella sua posa ossequiosa, Namjoon era fermo come una statua con gli occhi puntati sulla sua merce e il suo secondo continuava a tenere lo sguardo basso, agitando impercettibilmente le mani tremanti.

 

E poi c'era Jungkook. 

 

Da quando Yoongi aveva messo piede nella stanza, il ragazzo aveva preso posto alle sue spalle e si era bloccato nella sua tipica posizione, dritto sui piedi come un tronco. La sua guardia personale era un tipo di poche parole e il signore lo apprezzava grandemente per questo. La sua presenza era talmente silenziosa da essere appena percepibile nella stanza, ma lui sapeva che le sue mani rilassate sarebbero infallibilmente state pronte a sfoderare la spada nel momento del bisogno. Quel ragazzo era così. Tremendamente affidabile. 

 

Hoseok fece il suo ritorno, avvicinandosi alla giovane e posandole davanti un tavolino imbandito con carta, inchiostro, acqua e una pietra scura. La creatura afferrò la stecca di inchiostro solido senza esitazione, versò qualche goccia di acqua nella pietra e prese con lenti e accurati movimenti a strofinare il pigmento sulla superficie. Quando ebbe finalmente ottenuto un liquido scuro e non troppo denso, prese il pennello con pollice e indice, intingendo le setole nel composto. 

 

"Molto probabilmente è capace di scrivere. Sa come usare i nostri strumenti di scrittura."

 

Yoongi, senza accorgersene, aveva preso a toccarsi il mento con le dita. 

 

"Potrebbe essere una spia?" 

 

Il pennello prese ad accarezzare la carta in linee fluide, tracciate senza incertezza e con movimenti circolari. Dopo poco tempo, la giovane si fermò a contemplare il risultato. Appoggiando delicatamente la punta setosa, lasciò un'ultima traccia di inchiostro prima di riporre il pennello sul suo supporto. Il signore la studiò attentamente mentre prendeva il foglio e lo sollevava davanti ai suoi occhi. 

 

-Quell'area scura che vedete è da dove provengono io. Si trova oltre le Indie, oltre alle pianure della steppa e oltre al Mar Nero e alla Palestina. Sorge nella penisola che sormonta il continente nero. Si chiama Venezia, è una città commerciale che si affaccia sul mare Mediterraneo. 

 

I grandi occhi della ragazza si spensero impercettibilmente di quel fuoco che li aveva animati durante la spiegazione. Abbassò lo sguardo, nascondendolo dietro al foglio. 

 

-È da lì che provengo. 

 

Yoongi osservò per qualche istante la mappa. Non era accurata, sopratutto nella parte meridionale. Inoltre, si fermava ai confini dell'impero, poco oltre Beijing. La penisola di Choson era appena abbozzata e mancava completamente l'arcipelago di isole che si affacciava all'altro lato del mare orientale. Era certo, però, che la giovane aveva una conoscenza generale della geografia del continente. 

 

-Come sei arrivata qui? Perché ti trovavi da una famiglia di contadini? 

 

La giovane abbassò le mani e, per un istante, sollevò i grandi occhi su di lui. Che gli dei potessero aiutarlo, dovette distogliere lo sguardo. 

 

-È una storia molto lunga, mio signore. 

 

Yoongi giunse le mani sulle sue gambe incrociate, rilassando la schiena. 

 

-Abbiamo tempo.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Come siamo formali a iniziare così gli angoli autrice... e va beh, dato che questa storia è un po' più seria del solito dobbiamo apparire professionali almeno in partenza. Dunque, iniziamo che già abbiamo un sacco di cose di cui parlare. 

 

Come anticipato nella premessa, il corsivo si riferisce al cinese e come, come avrete capito, la Cina qua viene indicata come l'impero. 

 

Il cavallo bianco nella mitologia tradizionale coreana era simbolo di purezza e divinità, quasi come una sorta di messaggero degli dei. 

 

Yoongi rimane stupito dal fatto che Diana ha un cognome (o nome di famiglia) perché nell'antichità in Corea solo i nobili avevano cognomi. La gente comune non ne aveva affatto. Tenete a mente questo aspetto perché più avanti nella storia ve lo spiegherò più a fondo (scoprirete anche perché è pieno di Park e di Kim). 

 

L'hanbok è il vestito tradizionale coreano. Nella versione femminile è costituito da un'ampia gonna che arriva sotto il seno e una specie di camicia che si incrocia sul petto. Nella versione maschile, ovviamente, presenta dei pantaloni. 

 

Bene, per ora è tutto. Se avete altri dubbi non esitate a scrivermi e sarò felice di rispondere. Spero che la storia non vi annoi, so che può essere più pesante da leggere delle altre ma la trama ha anche molte sorprese nascoste (e molti momenti Sope ).

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II ***


Le dita di Diana iniziavano a dolere. I leggeri plettri infilati sulle punte di pollice, indice, medio e anulare le stavano irritando la pelle. Una volta tolti, avrebbero sicuramente lasciato un anello di rossore. A Diana, però, non importava. Anzi, avrebbe accolto quei segni come un indicatore del suo impegno, della sua dedizione. 

 

Certo, agli uomini non piacevano le donne con le mani rovinate. Era una fortuna, in effetti, che alla ragazza non interessasse quel genere di attenzione. Si sarebbe mal conciliata con la necessità di lunghe ore di esercizio che uno strumento complesso come il guzheng richiedeva. 

 

Le note malinconiche della piccola arpa cinese si diffondevano nell'aria come seta. Accarezzavano le orecchie con le loro morbide flessioni, inebriavano i sensi con il loro soave riverbero. Quando la melodia giunse al termine, Diana appoggiò le mani sul ventre, aspettando pazientemente che le corde cessassero la loro vibrazione. 

 

-Avete raggiunto degli ottimi risultati, signorina. Mi complimento non solo per il vostro talento musicale, ma anche per il vostro dedito allenamento. 

 

La giovane allontanò lo strumento dal suo grembo, sollevandosi in piedi. Le ginocchia erano un po' incerte dopo ore passate per terra a sorreggere il suo peso. 

 

-I miei risultati sono solo merito dei vostri sapienti insegnamenti, maestro. 

 

L'uomo accolse il complimento con un umile cenno del capo, sorridendo alla sua allieva. Il maestro Jian seguiva Diana da ormai otto anni. Era stato sorprendente per molti quando suo padre era tornato dal suo ennesimo viaggio verso Oriente con l'eunuco, affermando che fosse un regalo di una nobile famiglia cinese vicina alla casata imperiale. Diceva che era stato un segno della loro gratitudine per i suoi servigi e una dimostrazione della loro amicizia. Davanti a quella prova così evidente del suo arrivo nell'impero celeste, le malelingue che avevano imperato per anni si erano finalmente acquietate, almeno per il momento. 

 

C'era poco da fare. Suo padre, essendo uno dei pochissimi mercanti ad avere ancora il privilegio di poter mettere piede nella terra della seta, non poteva che attirare l'invidia di molti, principalmente degli altri mercanti dell'Arte. Non capivano come facesse a riuscire a mantenere tali buoni rapporti con l'impero, quando il suo sovrano si ostinava così fortemente a respingere gli occidentali. Non vedevano il suo genio. Non potevano, accecati dalla loro invidia. Non vedevano il modo unico che suo padre aveva di coinvolgere le persone, di entrare nelle loro grazie tramite la sua lingua arguta e il suo atteggiamento mellifluo. 

 

Diana poteva solo sognare di diventare la metà della persona che era lui. 

 

-Per oggi vi lascerò riposare. Ho sentito che il padrone avrà bisogno di voi e... credo che riceverete anche delle notizie. 

 

Gli occhi della ragazza si spalancarono, inglobando con attenzione il viso del suo maestro. 

 

-Davvero? Un viaggio? 

 

L'uomo chiuse sommessamente gli occhi affusolati, con un sorriso che rivelava più di quello che la sua bocca disse. 

 

-Con il vostro permesso, mi congederei per la giornata.

 

Distrattamente, la ragazza scosse il capo annuendo e, dopo qualche istante, si ricordò di piegare il busto in un inchino. Quando il maestro ebbe lasciato la sua stanza, rivolse lo sguardo alla finestra aperta che dava sul canale. La loro casa era sufficientemente lontana dal porto da non dover sopportare l'odore acre di pesce, ma abbastanza vicina da poter ricevere l'aria salmastra del mare. Questa entrò nell'ambiente abbracciando il suo viso con il suo fresco tocco.

 

Amava Venezia. Era colorata e vivace, piena di rumori, odori e voci diverse. Nonostante ciò, nel suo cuore risiedevano mura di oro e tetti spioventi. Vasi di giada e tende di seta. Dragoni a guardia dei cancelli e fiori di pruno nei giardini. Quel maestoso impero cinese di cui suo padre le narrava dall'infanzia era entrato in lei come i vangeli. Era inciso indelebilmente nella sua mente. I suoi occhi bramavano di poterlo vedere. Il suo corpo anelava di poter percorrere le sue strade. Non aveva desiderato altro, per anni. 

 

Diana si affacciò alla finestra, contemplando il canale sotto di essa. Come al solito a quell'ora del mattino, era cullato dal ritmico cantilenare dei battipali, che martellavano energicamente per piantare nuovi sostegni per le barche sul fondo della laguna. L'acqua era macchiata dal passaggio delle colorate strutture, recanti merci e talvolta anche persone. 

 

Se quello che il maestro Jian aveva suggerito era vero, forse quella volta avrebbe davvero potuto coronare il suo sogno. Avrebbe dovuto chiedere a suo padre, o non avrebbe potuto saperlo con certezza. 

 

-Buongiorno, mio splendido giglio di campo.

 

La giovane si voltò, frustando l'aria con i suoi lunghi boccoli dorati. Il sorriso nacque spontaneamente sulle sue labbra non appena scorse l'uomo fermo sulla soglia della sua porta. 

 

-Buongiorno, padre. 

 

Bruno Barbo era ancora un uomo affascinante alla sua età. La sua mascella volitiva era addolcita da occhi dello stesso brillante verde di quelli di Diana e dalla intrigante espressività, accentuata dalla sua alta e definita figura. Alcune delle varie malelingue avevano usato anche questo come pretesto per il suo successo fra le famiglie nobiliari cinesi. Dicevano che vincesse le grazie delle concubine reali con favori carnali oltre che con la sua parlata accattivante. 

 

-Hai terminato i tuoi esercizi per la giornata? 

 

L'uomo le sorrise con calore e Diana annuì energicamente. Avrebbe dovuto chiederglielo? O era meglio aspettare? Forse avrebbe dovuto lasciare che fosse lui ad iniziare il discorso. Forse lei non avrebbe neanche dovuto sapere. 

 

-Molto bene. Madonna Lucrezia è in visita alla città e ha richiesto la nostra presenza. 

 

La ragazza sbatté le palpebre diverse volte. 

 

-La nostra presenza, padre? 

 

L'uomo annuì, sorridendo con maggior trasporto. 

 

-A quanto pare, ha sentito parlare di te e vuole conoscerti. 

 

Diana rimase bloccata sul posto. Non riusciva a muovere una sola parte del corpo. 

 

-Forza, preparati! Dovrai essere più che presentabile per conoscerla. 

 

Pronunciate le ultime parole, il padre si voltò e lasciò la stanza. Talvolta era così, lui. Enigmatico. 

 

Diana non sapeva che fare. Madonna Lucrezia... avrebbe detto che era una dea per lei, se non fosse stato profano anche solo pensare una cosa del genere. Una donna di tale intelletto e successo, che proveniva da una famiglia così importante come quella dei Borgia, per giunta. Era impensabile credere che avesse potuto essere interessata a lei. 

 

Quando la sua nutrice fece il suo ingresso nella stanza, la ragazza era ancora imbambolata davanti alla finestra. Non si accorse delle mani della donna che le avevano già avvolto la vita e che iniziavano a slacciarle il vestito. 

 

-Forza signorina, non c'è tempo da perdere! Il padrone ha detto che dobbiamo conciarvi da festa! Vi imbelletterò così bene che appena metterete piede fuori da questa casa, avrete almeno tre uomini prostrati al vostro cammino! 

 

Diana rimase in silenzio, tacendo nonostante il dolore provocatole dalle mani irruente della donna fra i suoi lunghi capelli. Non le importava se dieci o cento uomini si sarebbero inchinati davanti a lei dichiarandole il loro amore. Ma se avesse potuto vincere il favore di madonna Lucrezia... quella sarebbe stata tutta un'altra storia. 

 

 

 

-Non ti torturare le mani a quel modo. 

 

Diana non si era accorta di avere iniziato ad intrecciare nervosamente le dita. 

 

-Vi chiedo scusa, padre. 

 

Abbassando il capo, la ragazza fuggì dallo sguardo severo dell'uomo. 

 

-Se vorrai prendere il mio posto, un giorno, dovrai essere in grado di affrontare tutti i mercanti dell'Arte al completo, che avranno i loro avidi occhi puntati su di te. Dovrai anche essere in grado di parlare con le nobili famiglie dell'impero e mostrarti sicura di te. 

 

Diana si morse un labbro, liberandolo subito dalla presa dei denti quando si accorse di avere commesso un altro passo falso. 

 

-Sì, padre. 

 

Se davvero voleva prendere il suo posto come unica erede dell'attività mercantile di suo padre, avrebbe dovuto lavorare di più. La strada non le sarebbe stata spianata dinanzi. 

 

Quando finalmente giunsero di fronte all'edificio dal frontone finemente intarsiato, il padre fece un passo e fermò le sue gambe, voltandosi verso la ragazza. 

 

-Lo sai che quello che ti dico è per il tuo bene, non è vero?

 

Diana annuì, guardando i caldi occhi dell'uomo che la fissava con tutto l'amore che le aveva sempre mostrato dal giorno della sua nascita. 

 

Il padre sembrò soddisfatto, tanto che si voltò richiamando l'attenzione del suo servitore e ordinandogli di iniziare a scaricare la merce dal carro che li aveva seguiti. La giovane, nel frattempo, giunse le mani davanti al corpo nel tentativo di tenerle ferme. C'era poco da fare, il nervosismo non sembrava lasciarla. Il ventre non la smetteva di rivoltarsi su se stesso, facendo impacciati capitomboli che le davano un senso di vertigine. 

 

"Penserà che sono stupida?" 

 

"Mi troverà noiosa?" 

 

"Cielo, potrei comportarmi in modo scortese in sua presenza!" 

 

-Siete invitati ad entrare. Madonna Lucrezia vi attende. 

 

Bene. Ormai era troppo tardi per fuggire. Non poté fare altro che seguire suo padre, mentre si faceva strada nell'elegante  dimora. Facendo attenzione di non perdere il passo, Diana prese ad osservare l'ambiente circostante man mano che attraversavano le diverse stanze dell'edificio. Ognuna era decorata da affreschi più o meno intricati. Talvolta, si limitavano ad un motivo geometrico che si ripeteva lungo tutta l'ampiezza delle pareti, altre volte si dispiegavano in ampie e dettagliate scene di dame e cavalieri. 

 

Quando, infine, il servitore si fermò in una stanza che sembrava più grande delle altre, Diana poté scorgere un accenno di un vestito ampio e pieno di raffinati ricami di prezioso oro su un lussurioso sfondo rosso. La sua mente, per un momento, si svuotò completamente; senza accorgersene aveva incollato gli occhi al pavimento di legno. 

 

-È un piacere vedervi, messer Bruno. E vi ringrazio di avere esaudito la mia richiesta. 

 

La voce vellutata della donna fece sollevare il capo della giovane. Mentre suo padre chinava il busto in modo ossequioso, Diana afferrò il vestito per potersi piegare in una riverenza. 

 

-Ringrazio voi per il vostro invito, mia signora. 

 

A quelle parole, le labbra di suo padre si distesero nel sorriso cordiale che rivolgeva a tutti coloro che voleva compiacere. Era un misto di fascino e mistero, cortesia e irriverenza che accalappiava le persone nella sua rete. Madonna Lucrezia, però, non era una persona qualsiasi. 

 

-Vedo che siete affascinante come sempre, messere. E voi, Diana, siete più graziosa di quanto avessi sentito. 

 

L'interpellata abbassò pudicamente il capo, piegandosi in un'altra riverenza. 

 

-I vostri complimenti mi imbarazzano, mia signora. Sopratutto quando in questa stanza siete voi la vista più gradevole-mormorò in risposta. 

 

La nobildonna si lasciò andare ad una breve, garbata risata. 

 

-Vedo che l'avete addestrata lunga la vostra stessa via, messer Bruno.

 

-Modestamente, mia signora, è così. 

 

Madonna Lucrezia convenne distrattamente col capo, mantenendo lo sguardo sulla giovane dietro all'uomo. 

 

-Vorrà dire che il suo conversare sarà altrettanto stimolante.

 

 

 

-Ho sentito delle voci interessanti sul tuo conto, Diana... oltre a quelle che elogiano il tuo talento musicale e la tua eccellente conoscenza della lingua cinese. 

 

La ragazza riuscì a mantenere la sua posizione composta nonostante l'intensità dello sguardo della donna seduta vicino a lei. 

 

-La mia signora sicuramente saprà che le voci sono sempre un'eco amplificata della realtà, in positivo come in negativo. Le mie modeste doti non meritano tanta attenzione. 

 

La donna chinò il capo di lato, forse nel tentativo di osservarla meglio. 

 

-C'è anche notevole saggezza nelle tue parole. Ho sentito mormorare del tuo arguto intelletto. A questo proposito, mi piacerebbe conoscere la tua opinione sulla situazione della città al momento. So che il blocco del mar Nero ha messo in difficoltà non poche attività. 

 

Diana sbattè gli occhi, cercando di regolare il respiro. Sapeva conversare. Sapeva come intrattenere una persona. E sopratutto sapeva come navigare in argomenti tanto turbolenti. 

 

-Le sacre scritture dicono che l'accorto vede la calamità e vi si nasconde. Purtroppo, in questa città sono stati pochi gli accorti che hanno saputo vedere i segni del cambiamento e ora lamentano il loro fallimento mangiando alla tavola di chi invece ha avuto la saggezza di adattarsi. Prego che in futuro queste persone possano imparare dal passato e prosperare con risorse proprie. 

 

Un lieve ghigno si impadronì delle labbra di madonna Lucrezia, ingentilendo ancora di più i suoi lineamenti pieni. 

 

-Saggia e pure sapiente. Non fate altro che stupirmi. 

 

Le ultime pile di seta erano state visionate e condotte nel magazzino dell'abitazione, dopo che la donna aveva manifestato il suo desiderio di acquistarle. Diana, osservando il corpo di suo padre avvicinarsi all'uscita, si alzò e rivolse una riverenza alla donna. 

 

-Pregherò affinché la mia signora possa sempre essere in salute. Vi ringrazio di avermi concesso il piacere della vostra compagnia quest'oggi- annunciò con voce più sicura e rilassata rispetto a quando aveva fatto il suo ingresso nella stanza. 

 

-E io pregherò che la tua saggezza non faccia che crescere. È stato piacevole poter godere della tua presenza. 

 

Diana, una volta messo piede fuori dalla stanza, trasse un sospiro di sollievo. Sentiva ancora gli occhi curiosi della donna che le pungolavano la schiena, ma cercò di scostare la sensazione dal suo corpo scrollando le spalle. Il nervosismo, che inizialmente l'aveva attanagliata, l'aveva abbandonata col procedere della conversazione e le aveva permesso di esprimersi con naturalezza. Non le restava che pregare di avere fatto una buona impressione su quella persona che ammirava così tanto. 

 

 

 

-Come mai quell'espressione corrucciata, mia signora? C'è qualcosa che vi turba? 

 

Lucrezia lanciò un'occhiata distratta alla sua dama di compagnia, intenta a pettinarle i capelli in quella maniera che le rilassava così tanto la testa. 

 

-Quella ragazza...- mormorò semplicemente la donna, socchiudendo le palpebre. 

 

La dama si fermò per un istante nel movimento, terminando il piacere che la signora stava provando al cuoio capelluto. 

 

-La signorina Diana? Non avete gradito il tempo passato con lei? 

 

Lucrezia emise un lungo sospiro. Ovviamente non capiva. Bisognava avere uno spiccato spirito di osservazione per percepire ciò che si nascondeva sotto la superficie di un bel discorso. 

 

-Dimmi, Ginevra: fra un mulo nato e cresciuto in un piccolo recinto, che non ha mai conosciuto altro che la verga nella sua vita, e un mulo nato e cresciuto in una pianura verde, a brucare e gioire della sua libertà... quale dei due sarebbe più felice? 

 

La dama si fermò per un altro istante, intenta a contemplare la domanda. Cercava un trabocchetto, tanto le sembrava facile la risposta. 

 

-Ovviamente il secondo, mia signora. 

 

Lucrezia non poté fare a meno che esalare un altro sospiro. 

 

-E se ti dicessi che il secondo mulo, dopo aver conosciuto la bellezza della libertà, venisse improvvisamente preso e messo in cattività? In catene, per la prima volta nella sua vita?

 

La dama chinò il capo, arrovellando le sopracciglia. La sua signora sapeva essere davvero complicata, certe volte. 

 

-Allora probabilmente direi il primo. 

 

La nobildonna abbassò gli occhi, tirando leggermente i capelli contro la spazzola nelle mani della dama. 

 

-Quella ragazza mi preoccupa... finora non ha conosciuto altro che libertà nella sua vita. Ma suo padre è più arguto di quanto lascia intuire. E temo che lei sia ancora troppo ingenua...

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Uhm... di cosa parlerà Lucrezia? Che questo sia uno spoiler per il futuro? Eh... lo scopriremo solo vivendo. E comunque sì, si tratta proprio di Lucrezia Borgia. Dato che il periodo storico coincideva, ho pensato di aggiungere questo piccolo Easter egg perché si complementava bene con il personaggio di Diana, che aspira ad essere una donna sveglia e in grado di amministrare i possedimenti del padre come lei. 

 

Anche qua abbiamo un bel po di cose di cui discutere. Il guzheng, citato all'inizio, è appunto un'arpa cinese tenuta in orizzontale e suonata con dei plettri infilati sulla punta delle dita (tutte tranne il mignolo) con degli anellini. Su YouTube potrete sentire come suona, è davvero bello come strumento e per questo era fra quelli più in voga alla corte cinese. 

 

L'Arte a cui ho fatto riferimento un paio di volte è la corporazione dei mercanti. Le corporazioni al tempo erano una sorta di associazioni di persone che praticavano lo stesso mestiere nella città e che regolavano i prezzi e le leggi che si dovevano seguire per poter mantenere un equilibrio economico ed evitare attività illegali. 

 

Il mestieri del battipalo non esiste più, ma consisteva nel piantare appunto i pali che servivano all'attracco delle barche nei canali ed erano conosciuti per i loro canti di lavoro. 

 

Il blocco del Mar Nero di cui parla Lucrezia si riferisce alla conquista da parte dei Turchi di Costantinopoli e della caduta del sacro impero romano di Oriente. Da che i Turchi si erano piazzati lì, era impossibile attraversare il Mar Nero e percorrere la della via nell'entroterra. Per questo il commercio con la Cina in sto periodo non era al top, anche perché la nuova dinastia imperiale non apprezzava molto gli occidentali tanto che avevano quasi completamente chiuso le frontiere (la causa era un "piccolo diverbio" con gli Unni, lunga storia). 

 

Ah, giusto. Ho aggiustato la punteggiatura dei dialoghi, dato che solo alla fine di Dreamland mi sono accorta del fatto che fosse sbagliata XD che gioia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III ***


La piazza del mercato era sempre gremita in quel momento della mattinata. Il sole era circa a metà del suo cammino verso il mezzogiorno, rendendo l'aria calda ma non eccessivamente soffocante. Le ore di mezzo erano sempre le migliori della giornata e forse proprio per quel motivo erano quelle che le persone sfruttavano di più per uscire dalle loro abitazioni. 

 

Diana non aveva necessità di comprare qualcosa in particolare. Amava semplicemente immergersi in quell'atmosfera così caotica e così piena di vita. I tessuti variopinti appesi in bella mostra svolazzavano sotto la solerzia del vento come eleganti uccelli; l'odore di pane sfornato riscaldava l'aria con la sua timida fragranza; le urla dei venditori risuonavano per la strada allegri ed energici. Quella mattina c'era perfino un musico di strada che si esibiva in un componimento popolare, attirando non pochi ammiratori. 

 

Con un lieve sorriso sulle labbra, la ragazza saltellò con lo sguardo da un banco all'altro, rimanendo talvolta intrappolata a fissare i prodotti esposti. Un orafo aveva messo in mostra una piccola composizione di gioielli dallo stile assai raffinato e i suoi occhi non avevano potuto che fermarsi ad ammirarne la fattura. Quando furono sazi della vista, si sollevarono dal prezioso obbiettivo e tornarono a contemplare la strada. Il sorriso di Diana, per un momento, cedette. 

 

Un piccolo gruppo di giovani, figli di alcuni mercanti dell'Arte, era intento a parlottare animatamente. L'avevano senza dubbio studiata mentre era intenta ad ammirare i prodotti dell'orafo. Uno di loro, se la memoria non la ingannava, aveva anche avanzato una proposta di matrimonio nei suoi confronti l'anno precedente. La ragazza scosse il capo, si voltò e prese la strada di casa. 

 

Era ovvio che le persone parlassero. Tanto più coloro che conoscevano le sue peculiari circostanze. Una giovane che all'età di diciotto anni non era ancora né sposata né promessa in matrimonio non era cosa comune. Era ormai noto che suo padre avesse rifiutato tutte le proposte offertele in passato. Era anche noto che, in assenza di un erede maschio, Bruno Barbo avesse deciso di nominare la sua unica figlia femmina come nuovo capo della sua attività commerciale. Ridicolo. Inaudito. Folle. 

 

Già, le persone non capivano. Sin da quando era piccola suo padre aveva sempre avuto fiducia in lei. L'aveva istruita a leggere, scrivere e fare di conto. Le aveva insegnato la geografia e le basi della navigazione. Le aveva anche insegnato a tenere la contabilità e a comprendere l'arte del commercio. Quello che aveva previsto per lei era folle e inaudito. Ma non aveva mai avuto dubbi che lei ce l'avrebbe potuta fare. 

 

Diana emise un sospiro mentre i suoi piedi ciondolavano sulla via di casa. Un altra coppia di giovani ragazze incrociò la sua strada, salutandola brevemente con un cenno del capo ma allontanandosi subito dopo. La gente aveva iniziato a pensare che non si sarebbe mai sposata. Non era così. Certo, non era fra i suoi interessi andare in giro a caccia di uomini, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto legarsi a qualcuno. Era necessario un erede che portasse avanti l'attività commerciale dopo di lei. Suo padre, però, aveva sempre detto che avrebbe accettato solo la proposta migliore al tempo più propizio. La ragazza non aveva mai capito che cosa volesse dire con queste parole, ma non era rimasta a rimuginarci su. Sapeva che la sua decisione sarebbe stata la migliore per lei. 

 

 

 

-Perché dovete fare una cosa simile? 

 

-Non è il tuo compito mettere in dubbio le mie decisioni. 

 

-Ma si tratta di mia figlia! Io... non posso permetterlo! 

 

-Non hai il potere di interferire, perciò questa discussione è chiusa. 

 

Diana aveva appena fatto il suo ingresso nella casa quando le voci dei suoi genitori, benché lontane, la raggiunsero. Stavano discutendo? 

 

-Vi prego, mio signore... è un viaggio così lungo... 

 

"Viaggio?" 

 

Stavano forse parlando del viaggio che maestro Jian aveva suggerito? Diana percorse a piccoli passi il corridoio finché non giunse abbastanza vicino alla porta da cui provenivano le voci. Non le piaceva origliare, ma la curiosità era un fuoco troppo bruciante. Le stava divorando gli intestini dal giorno precedente e nulla era riuscito a spegnerla. 

 

-Come ho già detto, la decisione è già stata presa e deve solo essere comunicata a Diana. 

 

Suo padre non usava mai il suo tono mellifluo con sua madre. La maggior parte delle volte era duro e freddo, quasi pungente. La perentorietà di quella frase, però, sembrava più spigolosa del solito. 

 

Perché sua madre non voleva farla partire? 

 

Diana udì i passi decisi dell'uomo che si avvicinava a lei, perciò si scostò velocemente dalla porta e si infilò in camera sua in un rapido movimento. Si sedette allo scrittoio ed estrasse velocemente dallo scompartimento sotto al ripiano la raccolta di componimenti poetici cinesi che stava studiando da qualche settimana. La aprì nella prima pagina che le capitò sotto le dita, fermando i suoi occhi e il fremere del suo corpo giusto in tempo per ricevere l'arrivo di suo padre. 

 

-Sei tornata dalla tua passeggiata? Non ti ho sentito arrivare. 

 

Ogni tanto, Diana aveva pensato che fosse lievemente spaventoso il contrasto quasi stridente nella voce di suo padre. Fino a qualche istante prima, sembrava vetro affilato conficcato in una ferita, ferro rovente che marchiava la pelle. Nel momento in cui aveva aperto bocca davanti a lei, invece, si era trasformato in miele ambrato, colante e dolce sulla lingua. Quell'uomo era una misteriosa dicotomia vivente. Aveva molti volti e Diana non era sicura di conoscerli tutti.

 

-Sono tornata da poco, padre. 

 

Senza staccare gli occhi dagli ideogrammi sulla carta, la giovane percepì il passo felino dell'uomo avvicinarsi a lei. 

 

-Devo darti una notizia. 

 

Le palpebre di Diana non poterono fare a meno di sbattere un paio di volte, frenetiche come ali di farfalla. Le sue dita chiusero il libro, accarezzandone nervosamente la copertina. Era il momento. 

 

-Di cosa si tratta, padre? 

 

Il volto dell'uomo si illuminò come il sole. Emanava lo stesso calore, la stessa intensa ed accecante luce. 

 

-La nave salperà con la prossima muda di Pasqua. 

 

Le gote della ragazza dovevano essersi imporporate, dal momento che sentiva un crescente calore diffondersi sul suo viso. Il suo cuore era stretto in una dolce morsa di emozione. 

 

-Sulla nave ci sarai anche tu. 

 

Non poté fare a meno di sorridere. Il suo viso doleva da quanto stava sollevando gli angoli della bocca. Le sue gambe scattarono in piedi e la condussero dall'uomo, che la circondò con le sue braccia. 

 

-Grazie padre!

 

Con la testa appoggiata al suo petto, Diana poté sentire il riverbero della sua risata pregna di calore.

 

-So che non vedevi l'ora. Sarà un lungo viaggio, ma ti assicuro che non ne rimarrai delusa. 

 

La ragazza non poté fare altro che annuire in silenzio, stretta ancora contro il petto dell'uomo.

 

-Verrà anche il maestro Jian? 

 

La giovane allontanò il viso per poter guardare negli occhi il padre. 

 

-Ma certo. Ti seguirà personalmente durante tutto il viaggio. 

 

Sorrise, grata della notizia. Sapere di avere il maestro al suo fianco la rassicurava non poco. Anche se era ansiosa di partire, un piccolo timore bussava alle porte della sua mente. L'ignoto che il futuro le riservava accendeva una manciata nel retro della sua nuca. Essere così lontana da casa sarebbe stato disorientante, forse anche terrorizzante talvolta. Con una persona familiare al suo fianco, però, sentiva che anche in una terra sconosciuta avrebbe potuto comunque sentirsi al sicuro. 

 

 

 

Diana inglobò il mercantile con gli occhi, divorando ogni dettaglio degli alberi e delle immense vele. Sopra di essa, l'equipaggio correva da un estremo all'altro abbaiando ordini, slegando funi e assicurando i barili con le scorte di cibo. Accanto ad essa, le altre navi della muda erano similmente immerse nello stesso stato febbrile, preparandosi all'imminente partenza. 

 

Suo padre era sul ciglio della passerella, intento a discutere i dettagli del tragitto con gli altri naviganti della muda e lei era lì. Ferma davanti all'imbarcazione come una bambina davanti al suo primo regalo. Talmente impaziente che l'aria salmastra le sembrava gravida della sua stessa eccitazione. 

 

Frettolosamente, si voltò verso la donna dallo sguardo nuvoloso che era ferma in silenzio alle sue spalle. 

 

-Non temete, madre, andrà tutto bene. Quando tornerò vi racconterò tutto quello che ho visto. Vi porterò anche dei regali! 

 

Diana aveva afferrato le mani fredde della donna e le aveva strette delicatamente fra le sue. Sua madre, però, sembrava rabbuiarsi sempre più ad ogni parola che le veniva indirizzata, finché non abbassò il capo evitando lo sguardo della figlia. 

 

"Perché siete così ansiosa?" 

 

Non glielo chiese. Forse non voleva sapere la risposta. 

 

-È vero che il viaggio sarà lungo ma staremo bene. Non avete motivo di preoccuparvi. 

 

La donna annuì distrattamente alle sue parole, avvolgendo le braccia attorno alla ragazza. Diana la sentì stringere e stringere ancora. Sembrava non averne abbastanza. Si aggrappava a lei come se dovesse scivolare via da un momento all'altro e dissolversi in schiuma di mare. 

 

-Ti voglio bene- mormorò in risposta. 

 

La donna, per un momento, rimase con la bocca dischiusa, come se avesse voluto aggiungere altro. 

 

-È ora. 

 

La voce di suo padre la distolse per un istante dalla contemplazione di sua madre. Quando posò di nuovo lo sguardo su di lei, quell'espressione sul bilico della confessione era sparita. La donna si allontanò, rivolgendole un ultimo sorriso. Un sorriso mesto, sormontato da occhi spenti. 

 

Diana si voltò, rivolgendo l'attenzione all'uomo sull'orlo della passerella. Fece un passo. Prese la mano che le era stata offerta e poggiò un piede sulla stretta superficie di legno. Una decina di passi dopo e si era ritrovata sull'imbarcazione, dopo che suo padre l'ebbe afferrata per la vita per calarla delicatamente sul ponte. La passerella fu tirata a bordo e l'aria iniziò a riempirsi del suono stridulo dei segnali di partenza. La frenesia della nave sembrò aumentare ancora di più rispetto a prima. L'equipaggio aveva velocemente occupato i posti vicino alle vele, liberando le cime che le tenevano legate in modo che le grandi ali bianche della nave potessero spiegarsi in tutta la loro magnificenza. Le funi che legavano l'imbarcazione alla banchina furono sciolte e l'ancora fu lentamente ritirata a bordo. 

 

Il vento era dalla loro parte quel giorno. Finì nella trappola delle larghe vele e, come un cavallo imbizzarrito, iniziò a tirare contro i suoi finimenti, spingendo le navi lontano dalla terra ferma. Quell'indomito animale sgroppava ferocemente, travolgendo il corpo di Diana e scompigliandole i capelli in una disordinata nuvola dorata. Impudente, le alzava il vestito, facendo fluttuare la stoffa sulle sue gambe prima che lei potesse fermarla con le mani. 

 

Le navi si raggrupparono, ognuna ad una buona distanza dalla vicina seppur rimanendo a portata di occhio, e superarono finalmente le basse acque  della laguna. Davanti a loro, solo l'infinita distesa del mare. 

 

 

 

Una volta terminata la magia della partenza, Diana dovette a malincuore prendere atto delle numerose attenzioni che le venivano rivolte. I marinai, benché ancora fermi nelle loro postazioni, avevano gli occhi fissi su di lei. Avidi? No, non ancora. Avevano appena lasciato la terraferma, non erano ancora affamati di quel tipo di necessità. Circospetti? Sì. 

 

-Diana, vorrei che conoscessi il comandante della nave. 

 

La ragazza sfuggì da quelli sguardi indagatori e si voltò verso l'uomo che suo padre le stava indicando. Doveva all'incirca avere la sua stessa età, data la leggera stempiatura, unita all'argenteo grigiore che iniziava a spruzzarne i capelli. La postura fiera e impettita suggeriva che anni di esperienza lo avevano reso un uomo rispettato e conosciuto per il suo lavoro. 

 

-È un onore fare la vostra conoscenza. 

 

Diana chinò brevemente il capo sotto i piccoli occhi attenti dell'uomo. Erano scuri, ma brillanti di attenzione. Sormontavano un naso importante e fiero quanto il petto del possessore. 

 

-Posso dire lo stesso, mia signora. 

 

L'uomo rivolse alla ragazza un rigido cenno del capo, dopo aver fatto tuonare la sua voce profonda nell'aria. Passò qualche istante in cui il comandante scrutò il ponte con meticolosa cura, passando con lo sguardo ogni componente dell'equipaggio. 

 

-Permettetemi di darvi un suggerimento, mia signora. 

 

Diana, a quelle parole, tese la schiena in una linea retta. Osservando i piccoli occhi dell'uomo, vi scorse una traccia della stessa circospezione che animava i marinai. 

 

-L'equipaggio era stato avvisato della vostra presenza a bordo. Nonostante ciò...

 

Il comandante distolse lo sguardo per passare nuovamente al vaglio l'ambiente circostante. 

 

-... le consiglierei di passare più tempo possibile nella vostra cabina. Dopo qualche settimana per mare, gli uomini diventano irrequieti. 

 

"Ma certo."

 

Diana si aspettava una cosa simile. Non solo avere una donna a bordo portava cattiva sorte. Era anche una forte fonte di distrazione. La ragazza avrebbe tanto voluto passare le sue giornate con il viso esposto alla selvaggia aria del mare, ma sapeva anche che la situazione richiedeva un comportamento accorto. 

 

-La ringrazio per il consiglio, comandante. Lo seguirò sicuramente.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Oggi ce la caviamo in fretta. Ho solo una cosa da spiegare e dopo andiamo via lisci. 

 

La muda era una specie di spedizione di navi organizzata periodicamente da Venezia. Permetteva ai mercanti di viaggiare per mare senza temere l'attacco di pirati. 

 

Se queste spiegazioni vi annoiano potete saltarle, non siete obbligati a leggerle per forza. Come avevo premesso, dato che ho sottinteso un po' di cose nel testo per rendere la lettura più scorrevole ho pensato di scriverle per rendere più chiari passaggi che possono risultare sconosciuti. Ho anche deciso di non spiegare queste cose nel testo perché non avrebbe senso, dato che la storia è comunque vista dalla prospettiva dei personaggi. E di certo non è che loro si metterebbero a spiegare a se stessi che cosa significa muda o cos'è l'hanbok. Per questo mi sembrava la scelta più logica. 

 

Bene, spero che questi tre capitoli vi siano piaciuti, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione sull'inizio della storia. Aggiornerò una volta a settimana di mercoledì (salvo imprevisti).

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** IV ***


Diana era abituata al moto oscillatorio delle imbarcazioni. Non era la prima volta che saliva su un mezzo simile. Certo, la differenza in dimensione era un fattore notevole. Un altro fattore notevole era la durata del viaggio. Non si era mai allontanata dalla terraferma per più di mezza giornata. Questo aspetto doveva aver influito sulla sua percezione dell'esperienza. 

 

Il primo giorno passato a bordo rinchiusa nella sua cabina era stato abbellito ed edulcorato dallo scoppiettio eccitato dei suoi nervi, che l'avevano portata a percorrere il piccolo spazio in cui era costretta avanti e indietro, come un cane in gabbia. Tre passi, una giravolta e altri tre passi. E si ritrovava sempre a finire ferma davanti alla finestra che mostrava l'inquieto sciabordare dell'acqua contro lo specchio di poppa o quello che da piccola, scherzosamente, definiva il deretano della nave. 

 

I movimenti dell'imbarcazione erano assai amplificati dalle sue dimensioni. Se le barche su cui aveva navigato fino a quel momento erano scosse dalle onde con piccoli singhiozzi che facevano sobbalzare il corpo, costringendo ad un buon equilibrio per bilanciare i fianchi e per non cadere sotto alla sollecitazione dell'ondulazione a destra e sinistra, quella nave assomigliava piuttosto ad una grande culla. L'oscillazione da una parte all'altra era lenta, profonda, quasi rassicurante. I passeggeri potevano sentire il suo fianco sprofondare nell'acqua e accoglierli nelle sue braccia, per poi gentilmente sospingerli a tornare al loro posto quando si rimetteva in posizione eretta. Era come cavalcare una gigantesca balena. 

 

Il secondo giorno la stasi prolungata iniziava già ad avere la meglio su di lei. Le sue gambe erano pesanti e gonfie, urlavano per potersi liberare e camminare per ore e ore, come la loro proprietaria amava fare. Invece erano lì, costrette a sedere mentre la noia di Diana la portava a terminare quel libro di componimenti cinesi che aveva abbandonato fin troppe volte. 

 

Il terzo giorno l'aria di mare doveva avere avuto influenzato anche gli umori del suo corpo. Era una vera e propria scomodità. Non che non avesse previsto l'eventualità, difatti si era preparata con il necessario, ma il non poter usufruire delle attente cure della sua nutrice rendeva l'inconveniente ancora più spiacevole. Sdraiata nella sua branda con ancora indosso la sua veste da notte nonostante il sole fosse già ben alto nel cielo, si era attorcigliata il ventre con le braccia, cercando di coccolare il suo corpo dolorante. La pezza che aveva scaldato al sole e posto negli indumenti intimi la stava aiutando a percepire un leggero sollievo ma non poteva alleviare il mal di testa martellante o la bruciante necessità di quei panetti al miele che la sua nutrice le faceva sempre da quando era piccola. Non la aiutava neppure il pensiero che prima o poi si sarebbe dovuta alzare per lavare la veste e le lenzuola, onde evitare di dover consegnare a dei giovani mozzi disgustati la sua biancheria sporca di sangue. 

 

Un lieve bussare alla porta la spinse a socchiudere le palpebre pigre, infastidite dai raggi di luce. 

 

-Sono io, signorina. 

 

Diana sospirò con gratitudine e richiuse gli occhi. 

 

-Entri pure, maestro Jian.

 

L'eunuco fece il suo ingresso nella stanza e scrutò per qualche istante la ragazza avvolta nelle coperte. Gli bastò uno sguardo alla sua pelle ingiallita e alle sue occhiaie violacee per capire la situazione. 

 

-Perché non mi avete fatto avere parola della vostra indisposizione? Avrei potuto portarvi un tè rinvigorente. 

 

Diana donò all'interlocutore un breve sorriso. 

 

-Non volevo importunarvi. 

 

L'uomo scosse il capo un paio di volte aggrottando le sopracciglia. 

 

-Signorina, sapete di non dover avere riserve con me. Vado subito a prepararvi una bevanda calda. Vi porterò anche delle erbe per il mal di testa. 

 

Diana ringraziò il maestro con un sorriso più ampio e un cenno del capo, prima di tornare a stringere le coperte contro il suo corpo dolente. Non era mai stata così grata di avere l'uomo al suo fianco. In quanto eunuco, il maestro Jian aveva affiancato per anni le nobildonne della famiglia a cui apparteneva prima di giungere a Venezia, perciò conosceva le necessità femminili molto bene. Aveva anche quella giusta misura di sensibilità per sapere come affrontare determinati argomenti e come dare assistenza senza risultare invasivo. 

 

La giovane cercò di far vagare la mente, svuotandola di ogni superfluo pensiero che amplificava le stilettate alla testa. Avrebbe dovuto esercitarsi con il guzheng. Avrebbe dovuto anche studiare diverse pagine di un saggio filosofico di quel neoconfuciano di cui non ricordava neppure il nome. No, aveva bisogno di riposo. Non poteva continuare a pensare a come stava sprecando il tempo. 

 

Provò a immaginare quei fantasmagorici palazzi dai tetti spioventi. Vide i suoi piedi mentre ne percorrevano i corridoi, le sue mani che accarezzavano le pareti in legno levigato, le sue dita che sfioravano i petali dei fiori nascosti nel cortile interno. Quel pensiero le lasciò una sensazione dolce nell'anima. Come sarebbe stato essere lì? Chi avrebbe incontrato? 

 

-Vi ho portato il tè, signorina. 

 

Diana era talmente affondata in quella visione da non essersi accorta dell'ingresso del maestro nella stanza.  L'uomo scivolò silenziosamente vicino al tavolino che recava la sua spazzola, insieme alla piccola vasca in cui si rinfrescava il viso alla mattina, e vi appoggiò sopra una pesante teiera in ferro scuro con una singola tazza di ceramica. Era la sua preferita. Sul suo sfondo bianco, un blu più acceso del mare si dimenava in strisce sinuose a forma di carnosi petali protesi verso il basso. 

 

-Quando avete finito di bere verrò a prendere le lenzuola e la biancheria. 

 

La giovane sollevò lo sguardo verso l'uomo. 

 

"Grazie al cielo." 

 

Senza replicare, ringraziò il maestro con un sorriso e un cenno del capo. Non era davvero il suo lavoro quello di lavare i suoi indumenti. Nonostante ciò, aveva avuto la sensibilità per proporsi di farlo dopo aver notato lo stato pietoso in cui il suo povero corpo versava. Con il sorriso ancora pigramente appoggiato sulle sue labbra, sollevò la teiera e versò il liquido scuro nella tazza. Il suo tipico colore ambrato verteva questa volta più verso il nero, tanto da assomigliare quasi a inchiostro diluito, e il suo aroma aveva un retrogusto salato, quasi affumicato. 

 

Diana strinse le mani attorno alla ceramica, beandosi del tepore che aveva iniziato ad emanare. Inspirò il sapido vapore che ascendeva al cielo e sentì le membra rilassarsi. 

 

 

 

La fine della sua indisposizione, che era trascorsa con le uniche visite del maestro Jian per portarle i pasti e aiutarla a prendersi cura del suo corpo, corrispose con il primo attracco dell'imbarcazione. Essa era ancorata ad uno stallo nel porto di Atene come una docile giumenta legata in una stalla, bloccata nelle sue oscillazioni dall'acqua bassa vicino alla terraferma.  

 

La sosta non doveva durare più di due giorni. Suo padre sarebbe sceso, avrebbe contattato gli artigiani di ceramiche che solitamente lo rifornivano con i loro manufatti e, dopo aver caricato la nave, avrebbe guidato la partenza verso la nuova meta. L'uomo non le aveva chiesto di seguirla a terra e lei non avrebbe imposto la sua presenza, nonostante il fatto che dovette ignorare le sue paranoie sul perché non fosse stata invitata ad assistere agli scambi. Finì per trascorrere la prima giornata con gli occhi puntati sulla piccola finestra, con la sola visione di un'altra imbarcazione attraccata non troppo lontano dalla loro. Sembrava un mercantile spagnolo, a giudicare dalla forma della chiglia e dal vistoso cappello che il comandante portava. 

 

Diana emise un lungo sbuffo. Le sue labbra si incurvarono, esponendosi in avanti e amplificando il sibilo che la fuoriuscita di aria aveva provocato. Una settimana chiusa in quella cabina. Una settimana a rimbalzare tra la branda, il tavolino a cui si sedeva per scrivere e la finestra. L'unico altro arredo consisteva in un magro guardaroba, più simile ad un armadietto, che conteneva alcuni semplici vestiti appesi. Gli indumenti più raffinati li conservava nel baule di legno contenente il resto dei suoi effetti personali, in modo da mantenerli intatti e lindi per il suo arrivo nell'impero. 

 

Non poteva. Non ce la faceva più. Aveva davvero bisogno di un po' di aria, quella stanza aveva iniziato ad impregnarsi dell'umidità del legno e  sentiva che il suo petto non avrebbe sopportato ulteriormente la puzza di chiuso in cui era immersa. L'equipaggio doveva essere intento a scaricare la merce da vendere ai mercanti locali, perciò il ponte probabilmente era sgombro e se anche non lo fosse stato nessuno l'avrebbe notata. 

 

Fece un passo fuori dalla cabina, incontrando una piccola serie di scalini da cui si intravedevano i primi raggi di luce. Non ricordava bene come era giunta lì, poiché dal momento in cui vi aveva messo piede non era più uscita dalla stanza. Alla fine, il maestro Jian si era prostrato a svolgere i lavori che normalmente sarebbero spettati ad un servo qualsiasi, come svuotare il suo vaso da notte, portarle i pasti o cambiarle l'acqua per il lavatoio. Suo padre, d'altronde, aveva stabilito insieme al comandante che Jian fosse l'unico a prendersi cura dei suoi bisogni, non volendo creare spiacevoli situazioni con l'equipaggio. Il maestro, dal canto suo, non aveva replicato all'ordine del suo signore e non se n'era mai lamentato. 

 

Mentre Diana saliva lungo la serie di scalini, iniziò a intravedere il ponte cosparso di casse ma apparentemente privo di persone. La sua testa emerse finalmente alla luce del sole, spuntando appena dall'oscurità della scala alle sue spalle e venendo travolta dalla freschezza dell'aria pulita. Voltandosi da un lato e dall'altro vide un paio di marinai intenti a legare dei barili con delle funi e calarli da una botola che doveva portare alla stiva, da cui proveniva una terza voce che ringhiava vigorosi ordini. Non avrebbero fatto caso a lei. 

 

Mise il primo piede sul ponte e si portò lentamente vicino al bordo della nave. Appoggiandosi al parapetto di legno, scaldato dai raggi gentili del sole, accolse la vista del porto di Atene da una prospettiva di cui fino a quel momento non era riuscita a godere. L'aria aveva lo stesso odore salmastro che aveva conosciuto a Venezia, ma esso era in qualche modo intiepidito da un elemento dolce. Era meno pungente di quello a cui era abituata, più invitante. Anche l'atmosfera, benché animata quanto quella del porto di casa sua, era meno caotica. Era più pacata, più sottile. 

 

I suoi occhi percorsero la città dalla costa alla cima, spingendo la vista fino al limite più estremo pur di scorgere più dettagli possibili. E, in effetti, iniziò ad intravedere un guizzo di pietra bianca, quasi accecante sotto all'insistenza della  luce. Il Partenone sembrava la regina di Atene, seduta sulla sua collinetta come fosse un trono. Diana non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Dopo tutto, il suo nome pagano in quella città trovava i suoi natali. Diana, Artemide. Molti nella sua terra natale storcevano il naso davanti ad un nome profano come quello, dedicato alla dea della caccia. Cosa ne avrebbero pensato gli abitanti di quella pacata città? L'avrebbero apprezzato? O ne sarebbero rimasti altrettanto contrariati? 

 

Un movimento colse l'attenzione della giovane, distogliendola dalla struttura architettonica. Un manipolo di marinai si stava avvicinando al mercantile, trasportando in coppie delle casse rettangolari. Presto sarebbero saliti a bordo per caricare la merce. Era ora di tornare sotto coperta. 

 

Si voltò e fece un passo verso la scaletta che l'avrebbe condotta alla sua cabina. Una sensazione le punzecchiava la mente, irritandole i nervi. Si sentiva osservata. Le bastò un'occhiata per notare gli sguardi fastidiosamente fissi dei marinai che erano precedente intenti a calare barili nella stiva. Erano entrambi fermi in una posa rilassata, con le braccia appoggiate alle ginocchia. Diana distolse lo sguardo e fece un altro passo. 

 

Un rumore di gola che raspa. E poi, uno sputo. 

 

La giovane lo vide atterrare vicino al suo piede ed alzò gli occhi per osservare la bocca contratta dell'uomo panciuto che doveva esserne il responsabile. Trasse un respiro. Le tremavano le mani, ma dovette stringerle insieme contro il suo ventre per evitare che la cosa si notasse. Deglutendo pesantemente, distese le labbra e sorrise. I due marinai, per un momento, sembrarono confusi. 

 

-Vi chiedo perdono se la mia presenza è causa di disturbo. Spero, da questo momento, di non importunarvi più e prego che il vostro lavoro non stanchi troppo le vostre membra. 

 

E, infine, la sferzata finale. Afferrò una ciocca di capelli dorati e la portò pudicamente dietro all'orecchio, afferrò la gonna e si piegò in una breve riverenza, accompagnata da un cenno del capo e da un nuovo, timido sorriso. 

 

A quel punto, sotto agli sguardi esterrefatti dei due uomini, si voltò nuovamente e riprese la discesa verso la sua cabina.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Dunque, non dovrebbe esserci nulla da spiegare in questo capitolo, se mi è sfuggito fatemelo sapere. Per rispecchiare il mio umore della settimana si parla di ciclo, yeah! XD ho notato che poche storie raccontano di momenti come questi, anche se fanno effettivamente parte della nostra quotidianità. Insomma, tutte queste eroine pronte a salvare il mondo non hanno mai le mestruazioni? 

A parte questo, nel prossimo capitolo scopriremo il motivo delle azioni di Diana. Abbiate un po’ di pazienza perché il viaggio continuerà ancora un po’ ma ho certo di accorciarlo il più possibile per rendere meno noiosa questa parte. Alla prossima settimana!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** V ***


-Mi mancano di rispetto, padre. 

 

-È naturale che lo facciano.

 

-Ma padre...

 

-Diana, ascoltami. Le persone ti mancheranno di rispetto per il resto della tua vita. Ma tu devi smetterla di reagire come un ragazzetto di strada che agita i pugni e ringhia come un randagio. Smettila di difenderti come un uomo. Tu non sei un uomo. 

 

-Ma, padre, come dovrei fare? Dovrei lasciarmi calpestare senza rispondere? 

 

-Sì. 

 

Il silenzio esterrefatto di Diana impregnò l'aria con tutta la sua delusione. Guardava il padre, che aveva gli occhi chiari puntati su di lei, accesi di determinazione, e si chiedeva che cosa diavolo gli passasse per la testa. 

 

-Tu hai tre armi, Diana. Ed è su di esse che dovrai fare affidamento nella tua vita. 

La prima è la bellezza. Quando le persone ti guardano vedono un angelo del paradiso, si sentono beati dalla tua presenza. Ma se apri la bocca e inizi a battibeccare come un'oca l'incantesimo si rompe. 

La seconda è il tuo intelletto. Usa la testa e risparmia la lingua per le poche parole che conteranno davvero. La sincerità non è amica della strategia. 

Infine, la terza. L'innocenza. 

 

La giovane sbatté le palpebre, in attesa di una spiegazione. Data la natura del discorso di suo padre, forse aveva intuito dove sarebbe andato a finire, ma non era sicura di comprendere totalmente quale fosse la sua visione. 

 

-L'innocenza, padre? 

 

-Sì. Le persone ti guardano, vedono un angelo e pensano che tu sia angelo. Non si aspettano la manipolazione, l'inganno, l'astuzia. Non riescono ad associarle alla tua figura. Ebbene, lascia che lo credano. Copri la la manipolazione con un sorriso. Maschera l'inganno con una timida risata. Nascondi l'astuzia con una frase leggera e priva di malizia. 

In questo modo, potrai conquistare chiunque. 

 

 

Diana era seduta al tavolino con la spazzola in mano e le setole fra i boccoli dorati. Il suo sguardo era fermo sul legno scuro, laccato con tale cura da riflettere il suo viso. Il volto di quella giovane nel riflesso era contrariato, ma forse era anche spaventato. Lo si vedeva dalla piega inquieta del labbro e dal leggero tremore che le prendeva ancora le mani. 

 

Avrebbe dovuto dire a suo padre quello che era successo? Diana emise un breve sospiro. No, non era necessario. A giudicare dai visi imbambolati dei due uomini, probabilmente non avrebbero più avuto alcun pensiero di importunarla. Avevano cercato di esprimere il loro disprezzo per la sua presenza sulla nave e lei aveva dato loro un motivo per non disprezzarla. La questione doveva ormai essere risolta. 

 

La giovane chiuse gli occhi e alzò il capo. Era stufa di vedere il timore e l'incertezza riflessi nelle sue iridi. Voltò la testa e rivolse la sua attenzione alla piccola finestra. Il sole aveva iniziato la sua discesa, tanto che si stava affacciando dall'angolo del cielo, accecandola con la sua gloriosa maestosità. Lei doveva essere come il sole. Doveva accecare le persone con il suo aspetto, con le sue false intenzioni e frasi insincere. Poi, doveva essere discreta come la luna. Celare i suoi pensieri e portare oscuramente avanti i suoi piani. 

 

Una domanda, però, rotolava nella sua mente da quando suo padre le aveva rivolto quelle parole. Aveva la forza per essere quel genere di persona? 

 

 

 

Quando giunsero sulle coste del continente nero suo padre, nuovamente, non richiese la sua presenza a terra. Avevano passato tre giorni attraccati mentre l'equipaggio si svagava in qualche taverna e due delle navi che li avevano seguiti  si staccavano dalla loro piccola flotta per tornare a casa. Erano pochi quelli abbastanza arditi da avventurarsi oltre il mar Rosso ed era per questo preciso motivo che il mercato di suo padre era così proficuo. Ormai, aveva ottenuto il monopolio quasi esclusivo del commercio di spezie e di ceramiche, oltre che di incensi e di seta. 

 

Quando la nave fu carica di nuove provviste di cibo e i marinai si furono sfogati di ogni nostalgia di terra e di terreni desideri, era rimasta una sola imbarcazione a seguirli nel tratto successivo. Il tratto più lungo, il più insidioso.

 

Diana aveva perso il conto dei giorni. Dopo aver lasciato l'Africa, la navigazione era diventata un susseguirsi di giorno e notte in un ciclo perpetuo di abitudini. Si alzava, si vestiva, consumava il suo pasto, si esercitava con il guzheng il più sommessamente possibile e studiava. Ormai le settimane erano diventate una identica all'altra, tanto da venire lentamente divorate dalla noia della giovane. Con gli occhi fissi sulla finestra, non faceva altro che pregare di vedere le onde mosse da lievi increspature, segno che il vento soffiava e che la nave procedeva spedita verso la sua meta. Quando invece l'acqua era liscia come seta e perfino lo sbattocchio continuo contro lo specchio di poppa diventava pigro, chiudeva gli occhi e pregava intensamente che comparisse una qualche gigantesca creatura che iniziasse a sospingerli fino alla destinazione. 

 

Pregava e pregava, ma le onde rimanevano quiete e sotto il velo scuro del mare non si vedeva alcun mitico leviatano. 

 

Quando giunsero sulle coste delle Indie, Diana aveva davvero sperato. Aveva conservato il desiderio nel suo cuore e quel piccolo barlume di luce nascosto nei recessi della sua mente. Quel barlume fu spento da una folata di vento quando nuovamente suo padre scese dalla nave. Senza di lei. 

 

Perché non voleva farle vedere le città? Perché non la portava con sé? In quanto sua erede, avrebbe dovuto conoscere i mercanti con cui scambiavano le merci da portare a Venezia. Era vero che, una volta che avrebbe preso le redini dell'attività, non sarebbe stata lei in prima persona a svolgere ogni viaggio, come invece suo padre aveva fatto. Bruno Barbo si era già premurato di affidare ad un assistente la responsabilità futura di compiere gli scambi. Nonostante ciò, Diana non riusciva proprio a capire. Qual era lo scopo della sua presenza, se non poteva neanche scendere a terra e vedere tutte le civiltà di cui aveva sempre e solo conosciuto i prodotti? 

 

Prima che suo padre lasciasse la nave per raggiungere la costa delle Indie glielo chiese. Gli chiese per quale motivo non voleva portarla con sé.

 

-Queste strade non sono sicure come quelle dell'impero- le aveva risposto. 

 

-Non voglio metterti in pericolo. Ti farò scendere solo quando sarò certo di poter mantenere la tua incolumità. 

 

Aveva pronunciato quelle parole con quel tono dolce come il miele che usava quando voleva adularla o quando voleva confortarla. Quel tono di voce era una sorta di ricompensa. Un contentino, in questo caso. 

 

Diana decise di credergli. Non era sicura di essere stata persuasa dalle sue parole, ma dovette forzarsi ad accettarle per la sua propria pace mentale. Le era necessario, o avrebbe passato il resto del viaggio a farsi domande su domande, continuando a pungolarsi e a irritarsi ad ogni attracco della nave e ad ogni mancata opportunità di visitare le terre in cui abbassavano l'ancora. 

 

 

 

Il sommesso bussare alla porta fece sollevare gli occhi di Diana dal libro dei conti. Aveva passato l'ultima giornata ad analizzare il rapporto tra le spese e il guadagno dell'anno precedente, cercando di trovare modi per ottimizzare i risparmi. Sulla soglia, invece di trovare il maestro Jian, svettava l'alta figura di suo padre, avvolta in delle semplici brache scure ed una casacca chiara. Doveva essere la terza volta che le veniva a fare visita dall'inizio dell'ultimo tratto del viaggio. Era sempre impegnato a regolare la contabilità o a seguire i passi del comandante per controllare che il viaggio procedesse come previsto. 

 

-Buongiorno padre. 

 

L'uomo rispose al saluto della figlia con un caldo sorriso. 

 

-Ho delle buone notizie. 

 

Diana appoggiò la piuma nel vasetto di inchiostro e rivolse tutte le sue attenzioni all'interlocutore. Le sue orecchie erano pronte, scattanti e ricettive. 

 

-Entro il tramonto di domani dovremmo arrivare a Zhanjiang. 

 

La giovane avrebbe voluto saltare in piedi e gridare di gioia. Il suo petto non riusciva a trattenere l'emozione, tanto che esplose in un sorriso sul suo volto. 

 

Terra. 

 

Aria. 

 

E non terra e aria qualsiasi. 

 

La terra dell'impero. 

 

L'aria del profondo Oriente.

 

-Davvero?- chiese in tono sottile, quasi col timore di pronunciare le parole troppo forte e disintegrare l'illusione di quella felicità. 

 

L'uomo rivolse i brillanti occhi su di lei. Avevano una luce che Diana aveva sempre identificato come fierezza, verso se stesso o verso di lei, a seconda della situazione. 

 

-Davvero. Jian ti aiuterà a preparare i tuoi effetti. Indossa indumenti comodi, dovremo partire immediatamente con la carovana diretta a Xi'an non appena avremo finito di scaricare la merce. 

 

La giovane non riusciva a parlare. Annuì semplicemente, cercando di contenere perfino l'energia con cui scuoteva il capo, per paura che trasudasse fin troppo dell'entusiasmo che le incendiava l'anima. 

 

Non appena suo padre ebbe lasciato la cabina, Diana si diresse verso il grosso baule che conteneva i suoi vestiti più pregiati. Inginocchiandosi davanti ad esso, aprì il pesante coperchio, facendo sbattocchiare il gancio di metallo e cigolare i cardini sotto pressione. Non avrebbe dovuto spostare nulla per evitare di stropicciare le stoffe delicate ma non poteva trattenersi. Iniziò a scavare con le mani, spostando strati di broccato rosso, decori d'oro, tessuti azzurro cielo e vestaglie per la notte. Le sue dita, infine, raggiunsero l'impalpabile velo rosa prima che i suoi occhi potessero vederlo. Infilò entrambe le mani sotto al vestito e, lentamente, lo estrasse dal fondo del baule, spostando tutto ciò che vi era ammucchiato sopra. 

 

Una volta che ebbe dissotterrato il suo piccolo tesoro, si alzò in piedi e lasciò che le estremità cadessero fino al pavimento. L'hanfu era semplice nella fattura ma i suoi colori sembravano imitare la maestosa grazia dell'alba. Il pallido rosa del cielo si rifletteva nella gonna, mentre il viola residuo della notte tingeva il taglio sul seno e la punta delle maniche. Non aveva mai avuto modo di indossare pubblicamente quel vestito. Glielo aveva donato suo padre qualche anno prima e da quel momento nella mente di Diana era diventato come un memoriale. 

 

Prima o poi lo avrebbe indossato. Prima o poi sarebbe giunta in quella terra in cui avrebbe potuto sfoggiarlo in tutta la sua magnifica delicatezza. 

 

Le dita dei piedi della ragazza si arricciarono su loro stesse, prima di ricondurla davanti al baule. Prese tutti i vestiti che aveva malamente scostato per estrarre l'hanfu e cercò di riporli al loro posto meglio che poteva. Poi, aprì il piccolo guardaroba e circondò con entrambe le braccia i pochi indumenti che vi erano rimasti appesi. Li buttò sopra alla pila disordinata ed estrasse un unico abito che avrebbe indossato il giorno dopo per il viaggio, prima di richiudere il coperchio cigolante. 

 

 

 

Viaggiare su un cavallo era molto, molto peggio che essere rinchiusa nella cabina di una nave. La carovana procedeva con passo costante ma terribilmente lento. Gli animali marciavano con una calma disarmante e le ruote dei mezzi di trasporto masticavano il terreno senza ingordigia, come un uomo dalla pancia piena davanti ad una tavola imbandita. Se nella sua cabina Diana aveva almeno la libertà di percorrere quei brevi passi per giungere fino alla finestra e dare alle sue gambe l'illusione di poter essere libere, seduta sul placido destriero non poteva nemmeno fare quel poco di moto. 

 

Appollaiata lì, come un uccello rattrappito, sentiva le caviglie gonfiarsi giorno dopo giorno e le punte dei piedi intorpidirsi. Non poteva neanche distruggere la noia esercitandosi con il guzheng. Riusciva a mala pena a leggere, dovendo occasionalmente interrompersi a causa della nausea che il movimento altalenante le provocava. Per non parlare della scomodità della notte, passata in una tenda che fortunatamente non condivideva con nessuno, ma nella quale si sentiva terribilmente in balia degli agenti esterni. 

 

Non poteva lamentarsi, però. Era su quella terra che tanto aveva agognato. Anche se al momento aveva ancora l'aspetto di un semplice terreno battuto, presto le avrebbe riservato tutta la sua splendida grandezza. Con il naso immerso nell'aria fresca della mattina, Diana spinse gli occhi ai confini dell'orizzonte, oltre il quale poteva distinguere delle figure chine in avanti con larghi cappelli triangolari e brache arrotolate fino al ginocchio. Poteva perfino intravedere il luccichio dell'acqua che invadeva i campi di riso, da cui spuntavano timidi ciuffetti di verde. La visione, per qualche motivo, rilassava i suoi occhi e addolciva la sua mente. 

 

Voltò il capo. Alla sua destra, suo padre cavalcava fieramente un cavallo scuro, dalla lucida criniera incendiata dal sole. Con un moto di invidia, Diana non poté fare a meno di osservare la comoda posizione in cui era sistemato. Doveva essere molto meglio stare seduti con entrambi i piedi nelle staffe, piuttosto che dover rimanere arrampicati su un unico lato dell'animale. 

 

-Quanto tempo manca al nostro arrivo, padre?- 

 

L'uomo rivolse l'attenzione su di lei, volgendo il viso. Per un istante, passò qualcosa lungo la sua fronte. Una ruga, una linea d'espressione che non gli aveva mai visto. Le sue sopracciglia, in risposta, si erano leggermente aggrottate, abbassandosi verso il basso come una pesante bisaccia. Qualsiasi cosa fosse stata, però, fu sciacquata via dal volto dell'uomo senza che potesse avere il tempo di riconoscerla. 

 

-Non manca molto, non temere. 

 

Per rinforzare la sua rassicurazione, le sorrise. Diana non capiva. C'era qualcosa di sbagliato nel suo viso. Qualcosa di alieno, di estraneo. Il sorriso sulle sue labbra non era quello usava rivolgerle di solito. Era più teso, più tetro. Voleva imitare il suo originale, ma sembrava non riuscirci fino in fondo. 

 

Diana schiuse la bocca. 

 

Un sibilo. 

 

Prima che le parole potessero nascere sulle sue labbra, un fiore spuntò sul petto di suo padre. Le sue radici erano di metallo, il suo stelo era di legno e i suoi petali erano piume affilate. 

 

Diana spalancò la bocca. 

 

Un grido. 

 

Il mondo, in un secondo, crollò.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Wow. Non so che altro dire. Questa storia sta ricevendo molta più attenzione di quanto mi aspettassi, sia su wattpad che su EFP. Grazie per tutti i commenti positivi e tutte le persone che si stanno prendendo il tempo di conoscere le avventure di Diana, ho molte sorprese in serbo per il futuro, perciò spero davvero che vogliate restare per scoprirle. Bene, detto ciò, metto l’unica nota necessaria in questo capitolo. 

 

L’hanfu è il vestito tradizionale cinese. Nella forma a cui mi riferisco nel capitolo è caratterizzato da una specie di lunga gonna che parte da sopra il seno e da una una parte superiore costituita da maniche lunghe e larghe, ma può avere un aspetto simile al kimono giapponese.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VI ***


Il volto di suo padre si era accartocciato in un'espressione disgustosa. La sua bocca era tesa in una smorfia, spalancata come un portone, con un silenzioso lamento intrappolato nella gola. 

 

-Padre!

 

La voce di Diana uscì sgraziata e raspante. Si accorse di essersi morsa l'interno della guancia solo quando il sapore agrodolce di sangue le risvegliò la lingua. 

 

Sangue. 

 

Come quello che sgorgava sul petto dell'uomo accanto a lei. 

 

Lo stomaco della giovane si contorse. I suoi piedi, per un istante, sembrarono sospesi nel vuoto. Come se stesse precipitando da un dirupo. Abbassò lo sguardo e vide il suo cavallo accasciato a terra. La sua scarpa era rimasta infilata nella staffa sinistra, perciò il suo corpo era ancora appoggiato alla schiena dell'animale, ma nonostante ciò questo si abbandonò al terreno, rotolando sul fianco. Il suo collo muscoloso era perforato da una freccia. Il suo manto chiaro come l'ambra era rosso. 

 

Rosso. Come il broccato del vestito nel suo baule. Come il letto del sole morente. Come quella bellissima polvere con cui i popoli delle Indie usavano decorarsi la pelle. 

 

Rosso, come il sangue che tingeva il petto di suo padre. 

 

Diana sentiva le urla intorno a lei. Degli uomini gridavano, abbaiavano e ringhiavano come bestie feroci mentre facevano sibilare i loro archi. I suoi occhi tornarono sul corpo dell'uomo al suo fianco. Il liquido scorreva su di esso  placido eppure inarrestabile. Aveva affogato la casacca chiara, divorando trama e ordito come un avido conquistatore. 

 

-Padre! Padre! 

 

"Rispondetemi! Ditemi qualcosa!" 

 

La mente di Diana non riusciva a pensare. A mala pena riusciva a vedere oltre al cerchio offuscato al centro del quale c'era solo il viso contorto e pallido dell'uomo. Lui sbatté gli occhi. Le labbra si mossero impercettibilmente. Un rantolo ne uscì, sforzato e spremuto fuori dalla sua gola, atroce come il rumore del ferro che graffia. 

 

Il cerchio della visione della ragazza si stava restringendo. Divenne una nuvola sfocata, un cielo in tempesta, bagnato, fradicio. Il suo viso era umido. 

 

Doveva alzarsi. Doveva aiutarlo. Il cavallo, però, la tratteneva a terra col suo peso e il suo piede non riusciva a sfilarsi dalla staffa. 

 

Doveva alzarsi. Subito. 

 

Spostò il peso del bacino oltre la pancia dell'animale e con la mano si sfilò la scarpa, il cui piccolo tacco si era definitivamente incastrato nel metallo. 

 

Le urla intorno a lei continuavano, ma sembravano diminuire gradualmente. La quantità di voci che rombavano nell'aria diventava man mano sempre minore.

 

Diana si alzò, strattonando il vestito che era rimasto intrappolato sotto al peso dell'animale. Il corpo di suo padre era fermo a terra. Una mano sul petto non riusciva a fermare l'avanzata imperturbabile del sangue, che con la sua fuoriuscita aveva trasformato l'affascinante viso di Bruno Barbo in un maschera cerea e pallida come la luna. 

 

-Signorina, scappi! 

 

Diana non si era accorta che la mano soccorritrice apparteneva maestro Jian. L'uomo premeva un pezzo di camicia sulla ferita, circondando la punta della freccia conficcatavi, e stava inginocchiato accanto al corpo inerme. 

 

-Scappi! Adesso! Corra!

 

La giovane non riusciva a percepire le parole. Non capiva. Non capiva nulla, in quel caos dell'inferno. 

 

Un grido le sfuggì dalla bocca all'avvento improvviso di un dolore alla base del cranio. La sua visuale si era trasformata in terreno battuto, costellato di impronte di zoccoli. Qualcuno le teneva i capelli e sbraitava qualcosa in una lingua che Diana non conosceva. 

 

-No! Signorina! 

 

La voce di Jian la risvegliò dall'incredulo oblio che la sua mente le aveva imposto. Puntò i piedi a terra e tirò. Il cuoio capelluto urlava dal bruciore, le ciocche lottavano contro la sua volontà e la sua poca forza. L'uomo che la teneva, però, non sembrava smosso dai suoi tentativi di scappare. Con uno strattone della mano, la riportò vicino alla sua gamba, in ginocchio. Il movimento improvviso e violento le aveva frustato il collo, trasmettendo una scossa che le aveva fatto tremare la schiena. Ansimante e con gli occhi ancora offuscati dalle lacrime, sentì la voce del maestro Jian farsi più vicina. 

 

L'uomo che la teneva per i capelli diede un altro strattone, come un padrone che tira pesantemente la briglia di un cavallo irriverente. La sollevò, costringendola ad appoggiare il peso sulle gambe tremanti. Urlò qualcosa verso di lei, ma lei non riusciva a capire. Con un gesto secco della mano, la fece avanzare, tirandola fino alla sua spalla in modo che fosse costretta a camminare con i suoi piedi. 

 

Le ginocchia non riuscivano a sorreggerla. Quando cercava di farle rimanere dritte, esse cedevano come gli arti tremolanti di un puledro. Nel mentre in cui l'uomo la trascinava e sbraitava sempre più forte, come se questo le avrebbe permesso di capire quello che diceva, si era ritrovata a gridare aiuto. Dalla sua bocca fuoriuscivano parole confuse, incongruenti e disperate. Chiamava suo padre. Chiamava il maestro Jian. Chiedeva soccorso. Gli diceva di lasciarla. 

 

Ogni richiesta, ogni grido cadevano nell'aria inascoltati, silenziosi e ininfluenti come una goccia d'acqua che atterrava su un terreno arido. Nel momento in cui toccava la superficie, veniva assorbita, senza lasciare traccia del suo passaggio. 

 

Nessuno l'avrebbe aiutata. 

 

 

 

 

Il fianco le faceva male come se le avessero piantato un pugnale nelle carni. Nel momento in cui era stata scaraventata nel retro di un carro coperto da un tendone, le si era mozzato fiato. Qualcosa doveva essersi danneggiato nel suo corpo, perché ogni respiro era un'impresa immane. Forzare l'aria nel petto provocava una stilettata di dolore, che si intensificava ancora di più quando tentava di espirare. 

 

Le altre quattro donne nel carro sembravano avere graffi superficiali ma apparivano incolumi. Erano lì, ognuna raggomitolata su se stessa nel suo angolo, silenziose, con gli occhi grandi e terrorizzati, caviglie e polsi legati con delle corde spesse e ben strette. Come lei. L'unica differenza era che lei ad ogni sobbalzo della vettura mugugnava di dolore. Si guardavano negli occhi, ma non dicevano una parola. Ognuna sapeva cosa era successo e sapeva cosa la attendeva. 

 

Diana abbassò lo sguardo sul proprio piede sprovvisto di scarpa, ormai sporco di terra. Le ruote sembrarono passare su un dosso più grosso degli altri, provocando un leggero dondolio nel carro. Il mugolio, senza che se ne accorgesse, si trasformò in un lamento. 

 

-Ti fa male il fianco?

 

La giovane si voltò e sbatté gli occhi. La ragazza più vicina a lei la guardava aggrottando leggermente le sopracciglia. Ebbe un attimo di esitazione prima di annuire, abbassando nuovamente gli occhi a terra. 

 

-Posso vedere? 

 

Diana si guardò. Non sarebbe riuscita a sciogliere i lacci del corsetto in quelle condizioni. Prese dunque l'orlo della gonna e se lo sollevò fino a raggiungere il seno, in modo che il fianco nudo potesse essere visibile. La giovane donna accanto a lei si avvicinò impercettibilmente, senza però fare alcuna mossa per toccarla. Anche nella penombra dell'ambiente, si poteva chiaramente vedere il livido scuro che prendeva parte delle sue costole, avvolgendole il fianco come un macabro marchio. 

 

-Purtroppo, penso ci sia poco da fare. Anche bendarti non servirebbe a molto se non renderti ancora più difficile respirare. 

 

Diana osservò gli occhi affusolati della donna e l'espressione contrariata della bocca. Sembrava molto magra e molto stanca. Ma, al contrario del resto delle presenti, non pareva essere particolarmente spaventata. 

 

-Lascia che ti allenti un po' il vestito. 

 

Detto ciò, la fece girare in modo da vedere la sua schiena e iniziò infilare le sottili dita sotto i lacci del corsetto. In un primo momento, Diana la sentì tirare, probabilmente per allentare il nodo che legava le due estremità, e un grido mozzato a metà le nacque in gola. Poi, dopo qualche istante, iniziò a sentire la morsa della rigida stoffa allentarsi, lasciandola fuggire dalle sue fauci e permettendole di fare respiri più profondi. 

 

Le dita sottili si allontanarono dalla sua schiena e, una volta giratasi, si accorse che la giovane era strisciata fino alle botti accatastate in fondo al carro. 

 

-Dovrebbero trasportare una qualche sorta di liquore. Se riusciamo ad aprirne una, può aiutarti a sopportare il dolore. 

 

Era vero. Quello era il vino che suo padre avrebbe venduto ai nobili dell'impero. Suo padre...

 

La donna aveva preso a cercare impacciatamente qualcosa, percorrendo il legno con le mani legate e strascicando la parte inferiore del corpo, anch'essa impossibilitata nei movimenti. 

 

-Ci serve qualcosa di appuntito che possa penetrare sotto al coperchio. 

 

Le altre donne la fissavano, ma non muovevano un dito. Sembravano bloccate in uno stato di gelo che ne paralizzava le membra. Diana le capiva; stava ancora lei stessa cercando di uscire dal torpore dello sgomento, svegliando il suo corpo. Abbassò gli occhi e vide la sottile placca dorata della collana appoggiata sul suo petto. La prese fra le dita e se la sfilò dal collo, porgendola silenziosamente alla donna. 

 

Questa, ringraziandola, infilò la base contro la parete di una delle botti e iniziò a fare leva. Dopo un paio di tentativi, il coperchio di legno si alzò con un leggero cigolio, sprigionando nell'aria il prepotente odore di vino. 

 

Diana si avvicinò e, aggrappandosi al bordo della botte, espose il naso al liquido inebriante. Come avrebbe dovuto bere? Non riusciva neppure ad usare le mani come coppa. 

 

-Forza. Vai, con la bocca.

 

La giovane la guardò per un momento, perplessa. Poi, affondò le labbra e sentì il sapore pungente e ricco riempirle la gola. Dopo due sorsate, alzò la testa e si allontanò. Iniziava già a sentire il fuoco nascere nel suo ventre e salire fino alle sue guance. 

 

-Anche voi dovreste bere. Non sappiamo quando ci daranno dell'acqua, potrebbero passare giorni. 

 

Le tre donne la guardarono. Non si muovevano. I loro occhi rimanevano fermi, spalancati e schivi. La prima, quella più vicina alle botti, si fece infine avanti e le altre poco dopo la seguirono. Una volta che ebbero tutte bevuto, la donna richiuse il coperchio, dandogli leggeri colpetti coi pugni uniti per sigillarlo definitivamente. 

 

-Grazie. 

 

La voce di Diana era gracchiante come un uccello d'estate. Non aveva più parlato da quando l'avevano scaraventata lì. La sua gola era intorpidita quanto il suo corpo, rallentata quanto la sua mente. Conservava ancora il dolore delle grida che aveva disperatamente lanciato prima di essere trascinata via. 

 

La donna le rispose con un cenno del capo. 

 

-Sono Mei Lin. 

 

-Mi chiamo Diana. 

 

Ogni parola le graffiava la gola, ruvida come legno. Il dolore doveva essere ancora più amplificato dai residui di vino rimasti che, oltre ad incendiarle lo stomaco, le torturavano le ferite nella bocca. 

 

-Parli bene la nostra lingua. 

 

-L'ho studiata per anni. 

 

In verità, la giovane faceva fatica a capire le parole di Mei Lin. Masticava a denti stretti alcune vocali e intonava certe espressioni in maniera diversa da quella a cui era abituata. Nonostante ciò, l'idea di riuscire a comunicare con qualcuno era impagabile. 

 

Mei Lin sembrò soprappensiero mentre la fissava. Distolse lo sguardo e lo tenne sul pavimento per lunghi istanti. 

 

-Non ti preoccupare, non ci faranno del male. Vorranno venderci, perciò non possono danneggiare la merce. Tu in particolare probabilmente finirai in qualche posto elegante. Nella peggiore delle ipotesi in un bordello, nella migliore in casa di qualche nobile. Non ti picchieranno. 

 

Le labbra di Diana tremavano. Mei Lin doveva essersene accorta, perché distolse nuovamente gli occhi. Forse pensava di essere di conforto. 

 

-Sembri essere abituata a tutto questo. 

 

Anche la voce della giovane tremava leggermente, abbassando il tono già arrochito dalla gola in fiamme. 

 

-Non è la prima volta che vengo presa per essere venduta. Il padrone con cui viaggiavo mi ha comprata un anno fa. 

 

Diana si morse il labbro inferiore nel tentativo di fermare il tremolio, ma senza avere successo. 

 

-E prima? 

 

-Prima? 

 

-Prima di essere venduta. Dove vivevi prima? 

 

La ragazza iniziò ad ascoltare Mei Lin, che raccontava del suo villaggio, del suo campo di miglio, della sua vacca preferita e dei suoi genitori. Mentre ascoltava, sentiva il vino intorpidirle le membra e addormentare il dolore che le pugnalava il fianco, e si perse ad assaporare il suono della voce della donna. Allontanandosi, dal corpo e dalla sua mente. Dal suo dolore. Dal bruciore nel petto. Dalla paura. Dal rosso che compariva non appena chiudeva gli occhi. Dalla faccia distorta, pallida, imbruttita dallo spasmo di un grido.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Niente da spiegare oggi. Solo tanti cuoricini per tutte le persone che stanno leggendo la storia (vi vedo, voi che su EFP l’avete messa nelle storie preferite o da seguire, vi lovvo tanto). 

Il percorso di Diana sta prendendo una tragica piega, come avete visto qua. Avremo ancora un bel po’ di peripezie per lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VII ***


(ATTENZIONE: questo capitolo contiene temi sensibili) 

 

Il vino, alla fine, doveva avere intorpidito la sua mente fino a farla addormentare. Quando Diana schiuse le palpebre, si accorse che il carro era fermo e che le voci all'esterno discutevano concitatamente. Mei Lin e le altre tre donne erano sedute con i corpi tesi e gli occhi attenti. 

 

-Penso che ci fermeremo qui per la notte. 

 

La ragazza annuì brevemente, raddrizzandosi in posizione eretta e stringendo le labbra per impedire che un verso ne fuoriuscisse. Il fianco era tornato a pulsare con sfiancante persistenza. L'unico lato positivo era che il dolore la stava aiutando a scrollarsi il sonno di dosso e a recuperare la lucidità che aveva perso nel vino. 

 

-Hawi! Umjig-yeo la! 

 

Il viso di un uomo apparve improvvisamente nel retro del carro, scostando violentemente il tendone in modo che il cielo sull'orlo del tramonto fosse visibile. Non guardava nessuna di loro in particolare, ma rivolgeva le sue folte sopracciglia contratte e la sua espressione dura a tutte le presenti in generale. Diana sbatté le palpebre, stringendosi le gambe contro il ventre. 

 

-Ma! Hawi! 

 

Il tono secco dell'uomo si era fatto più alto e più rombante. La sua voce, benché non particolarmente forte, rimbombava nell'abitacolo carica di asprezza. 

 

Diana si guardò attorno per vedere se qualcuno capisse le parole che venivano loro rivolte, ma vide lo stesso sguardo di confuso terrore che sapeva possedere a sua volta. Dopo qualche istante, l'uomo aggrottò ancora di più le sopracciglia folte sulla fronte scurita dal sole. 

 

-Aish! 

 

Allungò un grosso braccio e afferrò il gomito di Diana che, istintivamente, cercò di allontanarsi e di arretrare verso le botti di vino. L'uomo, con la bocca contratta in una smorfia infastidita, la trascinò fino al ciglio del carro e, infine, le diede un ultimo strattone che la fece cadere a terra. Il peso del suo corpo si concentrò proprio sul fianco pulsante, costringendola a sibilare fra i denti, mentre un breve gorgoglio le moriva in gola. Un altro uomo le si avvicinò e la afferrò per il braccio, tirando finché non fu in piedi. 

 

-Gaja. 

 

La trascinò, lasciando che i suoi piedi legati venissero solcati dalle rocce nel terreno, fino a raggiungere una botte, vicino alla quale erano fermi altri due uomini dalla pelle abbronzata, intenti ad attizzare il fuoco. 

 

-Eumju. 

 

Diana sollevò gli occhi sulla figura accanto a sé. Le tremavano le labbra, ma non poteva farci niente. Sotto lo sguardo di cenere dell'uomo, il suo corpo era caduto in uno stato di terrore incontrollato. In più, non aveva la più pallida idea di cosa le stesse dicendo. 

 

Lui la fissò ostinatamente per un altro istante, prima di sbuffare. 

 

-Eumju, ppalli. 

 

Dopo averle afferrato la nuca, le spinse il viso contro il bordo della botte. Conteneva acqua. Voleva che bevesse? Cautamente, avvicinò la bocca alla superficie trasparente e vi intinse le labbra. 

 

Non era acqua. 

 

Quell'odore... lo aveva già sentito. Dove lo aveva sentito? Era sicura di conoscerlo. 

 

Deglutendo rumorosamente sotto allo sguardo attento della figura imperiosa, fece finta di inghiottire il liquido, mantenendo le labbra serrate. Il sapore era dolciastro, ma aveva un retrogusto fresco. Quell'odore... lo aveva sentito nel magazzino di erbe del maestro Jian. 

 

Era un infuso di... non ricordava il nome. Ma era sicura che fosse un'erba soporifera. La ragazza strinse ancora più forte le labbra e deglutì nuovamente, inspirando profondamente. Si allontanò dall'acqua e si asciugò maldestramente la bocca con le dita. Riportò gli occhi in alto e incontrò nuovamente lo sguardo duro dell' uomo che la fissava con attenzione. Questo la afferrò nuovamente, riprendendo a trascinarla finché non fu sul bordo del carro. Con una mano, le prese le gambe legate e le sollevò fino a farla cadere all'interno. 

 

Non appena fu di nuovo nell'abitacolo, strisciò fino a porsi il più lontana possibile dall'apertura, da cui una alla volta stava rientrando anche il resto delle donne che erano con lei. Mei Lin fu l'ultima a fare il suo scomodo ingresso nel carro, prima che il tendone venisse richiuso sul cielo ormai tinto dei colori notturni. 

 

-Aspettate... dov'è Hua? 

 

Una delle donne, quella che sembrava la più vicina alla sua età, fissava il punto da cui era appena passata con le pupille dilatate. Diana scandagliò velocemente con lo sguardo le presenti: erano in quattro. Ne mancava una. 

 

-Dov'è Hua? Perché non è tornata? 

 

La giovane passò lo sguardo terrorizzato su ognuna di loro. Cercando una risposta che nessuna aveva. Mei Lin, allora, abbassò gli occhi ai suoi piedi incrostati di terra e graffi. Un grido si levò nell'aria. Proveniva dall'esterno. Era abbastanza vicino da permettere alle presenti di distinguere la giovane voce che lo stava lanciando. Quella voce che chiedeva aiuto. 

 

-No...

 

Gli occhi della donna erano più grandi, il panico vi si poteva leggere nonostante la piega all'ingiù delle palpebre ne limitasse l'espressività. 

 

-Hua! 

 

Si trascinò fino al bordo del carro e fece per scostare il pesante tendone che ne ricopriva l'uscita. Le urla si erano fatte più intense. Più disperate. 

 

-Dove pensi di andare? Se esci di qui farai la sua stessa fine. 

 

Diana voltò lo sguardo sconvolto in direzione di Mei Lin. Aveva gli occhi bassi, non guardava la giovane in procinto di uscire dall'abitacolo. Quegli occhi sembravano distaccati e al tempo stesso terribilmente tenebrosi. 

 

-Non mi interessa! 

 

La giovane scostò il tendone e si lanciò oltre il bordo di legno. Diana non poté fare a meno di serrare le palpebre. Se avesse potuto, si sarebbe chiusa anche le orecchie. Le grida erano raddoppiate. Si chiamavano a vicenda, ma sembravano incapaci di aiutarsi. 

 

-Se stessero zitte e li lasciassero fare, sarebbero già di ritorno dopo una passata. 

 

Diana rivolse lo sguardo alla donna che ancora non aveva avuto modo di conoscere, l'unica rimasta nel carro con lei e Mei Lin. Nonostante le sue parole crude, la sua bocca era contratta in una smorfia che probabilmente voleva rispecchiare fastidio ma che rifletteva fin troppo chiaramente il turbamento che imperava anche dentro di lei. 

 

La ragazza tornò a stringersi a sé, abbassando lo sguardo sui piedi ormai simili, in quanto anche l'ultimo aveva perso la scarpa, con le unghie rotte e sporche e la pelle graffiata dalla ruvidità del terreno. Ogni parte del suo corpo tremava impercettibilmente. Più si stringeva per cercare di fermare le sue membra e più il tremore diventava violento. 

 

-Non ti preoccupare. Te l'ho detto, a te non faranno niente.

 

Diana rivolse gli occhi umidi verso Mei Lin, che teneva ostinatamente lo sguardo a terra. 

 

Avrebbe voluto crederle. 

 

 

 

Quella notte non era riuscita a dormire neanche per un istante. Le urla erano continuate per più di quanto la sua mente avesse potuto sopportare. In più, il tremolio nervoso del suo corpo non era cessato, lasciandola in uno stato rattrappito e sfinito. Il terrore che regnava nella sua mente, però, non l'aveva fatta cedere. 

 

Quando le due donne furono riportate all'interno del carro, chiuse le palpebre e fece finta di respira profondamente. Nel momento in cui il tendone tornò a coprire la luce della luna e i pesanti passi si furono allontanati, aprì gli occhi. I due corpi sembravano gusci ammaccati senza anima. Erano graffiati, con i vestiti strappati e in alcuni punti sporchi di sangue. I visi erano la frattura più evidente in quell'involucro così malandato. Erano sporchi di lacrime, tante lacrime che dovevano averli solcati. Gli occhi erano vuoti. La guardarono per un momento, ma sembrarono attraversarla. Come se non vedessero. O come se fossero stati chiusi per sempre. 

 

Diana le aveva guardate, più tremante di prima. Si avvicinò ai barili e, usando lo stesso metodo di Mei Lin, ne aprì uno. Prese un lembo del suo vestito e tirò con la poca forza che aveva fino a strappare una striscia. La intinse nel liquido e si trascinò fino alle due figure abbarbicate l'una all'altra. Sollevò un mano sul braccio sanguinante di una di loro e fece per avvicinarsi, ma questa si ritrasse veloce come un topolino. Diana portò lo sguardo sul volto terrorizzato della donna. 

 

-Voglio solo pulirvi le ferite. Brucerà un po', ma è meglio di niente. 

 

La giovane, quella che doveva chiamarsi Hua, la fissò con i suoi piccoli occhi vuoti. Tremava con così tanta violenza da sbattere contro il fianco del carro e provocare un rumore che aveva svegliato anche le altre due presenti. Quando, però, Diana fece per avvicinarsi nuovamente al suo braccio, non si ritrasse. Seppellì il viso nel petto della donna al suo fianco e lasciò che i capelli impiastricciati di sporco coprissero i suoi versi di dolore. 

 

Diana cercò di essere il più delicata possibile. Tamponò tutti i tagli che riuscì a vedere dopo aver alzato un lembo del tendone per far penetrare un po' di limpida luce lunare. Una volta finito di medicare entrambe, fissò le loro gambe piene di lividi. Le estremità non erano più legate e nonostante ciò sembravano impossibilitate a muoversi. La ragazza deglutì. Lì si nascondevano ferite che non avrebbe potuto curare neanche con l'intero magazzino di erbe del maestro Jian. 

 

Quando sorse il sole e l'aria pungente del mattino costrinse le donne ad attorcigliarsi su se stesse per conservare un po' di calore, l'uomo dalle folte sopracciglia si affacciò dal retro del tendone, allungando una mano per lasciare una ciotola di riso. Una singola ciotola. 

 

Mei Lin fu la prima ad avvicinarsi mentre le due giovani, alla vista dell'uomo, si erano strette a vicenda, iniziando a singhiozzare sommessamente e nascondendo i visi. 

 

La donna che era rimasta nel carro con loro la sera precedente si fece avanti per seconda, affondando la mano nel contenitore ed estraendone un pugno colmo di riso. Silenziosamente, arretrò fino a riportarsi con la schiena contro le botti e iniziò a mangiare un chicco alla volta. Forse, sperava di fare durare di più la scarna porzione di cibo. 

 

Mei Lin la guardò e le offrì la ciotola, invitandola a prendere la sua parte. Diana fece per allungare la mano, ma si fermò. Si voltò verso le due donne che ancora singhiozzavamo, una con il viso nel petto dell'altra. Alla luce del giorno poteva vedere le macchie violacee che il vino aveva lasciato sulla loro pelle, dove la sua mano era passata per medicare le ferite. 

 

Dopo un istante, si fece avanti e prese la ciotola dalle mani della donna. Si trascinò lentamente, con le gambe formicolanti che la inchiodavano al pavimento. Quando fu davanti alle due figure, porse loro la ciotola, poggiandola davanti ai loro piedi e allontanandosi di qualche spanna. 

 

-Forza, mangiate. 

 

Non usò il tono accondiscendente che era tipico di suo padre. Piuttosto, cercò di piegare la voce in modo che risultasse rassicurante. Tentò di manifestare la sua buona volontà in quelle due semplici parole, nella speranza che le due impaurite creature si riaprissero al mondo. Sembrò funzionare. Lentamente, le donne si sciolsero dalla loro stretta morbosa e avvicinarono il viso al biancore del riso. 

 

Dopo aver preso un pugno a testa, iniziarono a masticare piccoli bocconi di chicchi appiccicaticci, tenendo gli occhi bassi  ancora bagnati dalle lacrime. 

 

-Come vi chiamate? 

 

Diana attese pazientemente che le due ritrovassero il coraggio di sollevare lo sguardo. Non lo fecero. 

 

-Hua. 

 

La voce della prima era acuta e melodica come le note del guzheng. La sua figura era piuttosto piccola e assai magra, i suoi capelli scuri le raggiungevano le spalle, incorniciando un viso giovane ma sciupato dalla malnutrizione. 

 

-Shan. 

 

Quella della seconda assomigliava maggiormente ad un liuto. Il suono era meno pungente, più grave e roco. La sua figura era alta ma non per questo più rotonda. Sembrava condividere la magrezza con la sua compagnia, oltre al viso smunto e leggermente segnato dal sole. 

 

-Qian. 

 

Diana, sorpresa, voltò il capo di lato. La donna accostata alle botti in fondo al carro aveva parlato mantenendo gli occhi sui chicchi di riso che, nonostante la sua lentezza, sembravano calare sempre di più. La sua espressione era severa e lievemente accigliata, anche se il cipiglio delle sue sopracciglia scure sembrava nascondere qualcosa che non voleva mostrare al resto delle presenti. 

 

-Diana. Piacere di fare la conoscenza.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Ebbene. Spero di avere trattato l’argomento con la giusta sensibilità. Quello che succede in questo capitolo non voleva essere uno strumento narrativo, ma voleva rispecchiare quella che era la realtà all’epoca. Tutto qui. 

Ho deciso di non mettere la traduzione delle parole dei rapitori per lasciare lo stesso sentimento di confusione e mistero che prova Diana. Provate a capire cosa vogliono dire dal contesto, come ha dovuto fare lei (o usato google traduttore, come ho fatto io XD). 

Buona BE week a tutti, vi sentiamo la prossima settimana con le prime impressioni sull’album!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** VIII ***


(ATTENZIONE: questo capitolo contiene temi sensibili)

 

-Signorina, siete ancora in veste da notte? 

 

La sua nutrice volteggiava concitata per la stanza, inarrestabile quanto testarda. Con i capelli ingrigiti avvolti in una stretta cuffietta e il vestito dai toni spenti che si agitava insieme al suo corpo, spalancò le ante del guardaroba mentre borbottava come un pentolone sul fuoco. 

 

-Non vorrete che le persone pensino che siate pigra, non è vero? Forza, a quest'ora dovreste essere già bella impomatata! 

 

Diana guardò la figura famigliare mentre le prendeva le mani e la sollevava dal letto. Le sue braccia grassocce la avvolsero gentilmente, prima di spogliarla dalla sua candida veste. Era così rassicurante. I suoi modi di fare erano talvolta bruschi e la sua lingua era fin troppo schietta, ma la sua presenza era come il profumo del mare. Inscindibile dalla sua mente. Un'immagine incisa nella sua memoria per l'eternità. 

 

A Diana piaceva. Era a casa. Si stava preparando per la giornata. Avrebbe aspettato il maestro Jian per fare esercizi di scrittura e poi avrebbe fatto sentire a suo padre il nuovo componimento che aveva imparato.

 

Ma certo. 

 

Suo padre sarebbe tornato a casa alla sera e la avrebbe ascoltata suonare. 

 

L'avrebbe guardata con quell'accenno di sorriso incastrato fra le labbra e avrebbe atteso la fine dell'esibizione per complimentare il suo impegno. 

 

Poi le avrebbe suggerito di essere più aggraziata nei movimenti e le avrebbe augurato una buona notte. 

 

-Diana...

 

Rosso. Era tutto rosso a eccezione del pallore grigiastro del viso dell'uomo. 

 

"No! Padre!" 

 

La sua voce non usciva. Non riusciva ad emettere un suono. Era muta. E il mondo era sordo. 

 

-Diana, adesso tocca a te...

 

La giovane era sopra al corpo di suo padre con le mani premute sul suo petto. Ma più premeva e più il rosso prendeva piede. Aveva iniziato a tingerle la pelle, salendo lungo i polsi fino a raggiungere i suoi avambracci. Provò a scacciarlo via, quel rosso appiccicoso. Ma più cercava di toglierlo e più esso si arrampicava su di lei.

 

-Diana... 

 

Gli occhi di suo padre erano freddi come il mare all'alba. Il loro verde chiaro e affasciante era soffocato dal nulla. Il suo corpo... la giovane poteva sentirlo sotto le dita. Era gelido. Rigido, come un fantoccio. 

 

"No!" 

 

Non era vero. Nulla era vero. Lei era nella sua stanza, con la sua nutrice, pronta ad iniziare una nuova giornata della sua banale vita. Non era partita insieme alla nave in rotta verso l'impero. Non aveva trascorso mesi rinchiusa in una cabina a crogiolarsi nell'autocommiserazione e nella noia. E non aveva visto la vita lasciare il corpo di suo padre mentre veniva portata via. Non aveva gridato, implorato aiuto. 

 

"Signore... sia benedetto il tuo nome."

 

"Signore... ti prego."

 

"Signore... perché?"

 

Diana sentiva le lacrime sulle sue guance ma non ebbe il coraggio di aprire gli occhi. 

 

"Perché a me?" 

 

"Signore... quali crimini ho commesso per essere punita in questo modo?" 

 

-Diana...

 

"Perché..." 

 

-Diana! 

 

 

 

Gli occhi attenti di Mei Lin la scrutavano con un velo di preoccupazione. 

 

"No... Mei Lin... vattene, non voglio essere qui..." 

 

-Diana, stai bene?

 

La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, mentre le lacrime continuavano a scivolare sulle sue guance. 

 

"No." 

 

La mano ruvida della donna le accarezzò il viso, portando via parte del piccole gocce di sofferenza che vi si erano accumulate sopra. Diana trasse un sospiro, sentendo il petto tremare. Si sollevò lentamente a sedere, cercando di liberare gli occhi dal sonno e dal rosso. Era stanca di vedere il rosso ovunque.

 

-Ci siamo fermati? 

 

La sua voce gorgogliava fastidiosamente, probabilmente a causa delle lacrime. Quando sollevò lo sguardo, vide Mei Lin scuotere il capo. 

 

-Non ancora. 

 

La giovane annuì. In effetti, sentiva che il carro stava continuando a muoversi, sbatacchiando sommessamente i loro corpi. Dopo un istante, notò che le altre donne erano sveglie e avevano gli occhi puntati su di lei. 

 

-Qualcuno capisce quello che dicono? Non ho mai sentito la loro lingua. 

 

Nessuno si fece avanti. 

 

-Dovrebbe essere la lingua di Choson. Penso che è lì che siamo dirette.

 

-Choson? 

 

Mei Lin scosse lievemente le spalle. 

 

-Ne ho sentito parlare e talvolta ho incontrato alcuni mercanti provenienti da lì, ma non so altro. Penso sia una terra confinante. 

 

Diana serrò le palpebre. Essere portata in una terra di cui non conosceva niente se non il nome ed essere venduta alla prima persona che si sarebbe fatta avanti. Erano cose che non avevano posto nella sua mente. Doveva fare qualcosa. Il prima possibile. 

 

-Non dovreste bere l'acqua. È stata infusa con un'erba soporifera. 

 

Una ad una, guardò tutte le presenti, soffermandosi per vedere la loro risposta. Nessuna sembrava interessata alle sue parole. 

 

-La usano per impedire che scappiamo durante la notte. 

 

Qian strofinava i polsi fra di loro, probabilmente nel tentativo di allentare la presa delle corde. Il risultato però fu solo un aumento delle piaghe che già le segnavano la pelle. 

 

-Una ragione in più per non ingerirla. Abbiamo il vino, possiamo bere questo. Se riusciamo a rimanere sveglie durante la notte potremmo provare a scappare. 

 

Diana aveva provato a gonfiare la sua voce di risolutezza. Aveva tentato di schiarire la sua gola e pronunciare quelle parole senza vacillare. Nonostante ciò, gli occhi delle presenti rimasero freddamente spenti. 

 

-È un suicidio. Dove potremmo mai andare? 

 

Il tono di Qian era più aspro dell'aceto e più tagliente del ferro. Le sue parole non erano indecise. Non nascondevano pensieri inespressi. No. Venivano direttamente dal suo cuore, un cuore rimpinzato di paura e risentimento. La giovane fece per aprire la bocca, ma la debole voce di Hua la silenziò prima che potesse replicare. 

 

-L'acqua... aiuta a sopportare il dolore.

 

La sua piccola mano afferrò la camiciola logora. Terra e sangue la incrostavano in un connubio sgraziato, che la rendevano come una tela incompleta. 

 

-Mi aiuta a non vedere... quando mi addormento non vedo niente. E quando...

 

I suoi piccoli occhi si erano dilatati fino a spalancarsi. Fissi e vitrei come quelli dei pesci incastrati nelle reti dei pescatori. 

 

-Quando mi prendono non sento. Non sento... niente. 

 

Diana vide la schiena di Shan contrarsi sotto un lungo brivido. Le guardò. Guardò quelle due donne e cercò di scavare dentro i loro occhi per trovare un segno. Di reazione? Di vita? Non lo sapeva. Ma più scavava e più fango trovava. Niente. Sembrava che ogni traccia di coraggio e di calore fosse stata soppressa. 

 

-Dovresti iniziare a bere anche tu. Non sappiamo cosa potrebbe succedere da qui al nostro arrivo... avere qualcosa che ti addormenti i sensi può essere utile.

 

La giovane fissò per lunghi istanti Qian. La donna era barricata dietro ad un muro invalicabile. Nel suo sguardo vi era un tipo diverso di indifferenza da quella di Hua e Shan. Mentre le due erano vuote, cave come un tronco marcio e divorato dai parassiti, lei era rinchiusa dietro una fortezza costruita dalle sue paure. 

 

Si voltò e guardò la persona accanto a lei. Mei Lin. Anche lei era rivestita di un tipo ancora diverso di indifferenza. Se avesse dovuto descriverla, avrebbe detto che fosse serena rassegnazione. Una quieta, pacata accettazione del destino che la attendeva. 

 

La donna molto probabilmente percepiva lo sguardo di Diana su di lei, ma sembrò ignorarlo. Lasciò che il silenzio nell'abitacolo risiedesse fra di loro, gravido delle domande inespresse di una e del rigetto delle altre. 

 

 

 

 

I movimenti del carro cessarono quando la luce del tramonto iniziò a penetrare dai lembi del tendone. Le voci basse ma imperiose dei due uomini affidati a loro si avvicinarono velocemente, anticipando il loro arrivo. Quando il primo, quello dalle sopracciglia folte, si affacciò nel retro del carro, Diana riconobbe le parole che iniziò a ringhiare contro le presenti. Strisciando sul legno, si avvicinò lentamente all'apertura, avvicinandosi alla figura con lo sguardo corrucciato rivolto su di lei. Dopo essere stata scaraventata giù, sentì una mano afferrarla e trascinarla come aveva già fatto in precedenza. 

 

I suoi talloni solcavano il terreno, lasciando l'indizio di una scia dietro di sé. La giovane sentiva la pelle venire divorata da ogni elemento. Dalle corde che le mordicchiavano i polsi, a quelle che le mangiucchiavano le caviglie, provocando talvolta rivoli scuri, alla ruvida terra che le incideva i piedi. 

 

Quando fu davanti al barile, si portò oltre il bordo e immerse le labbra prima che l'uomo potesse farlo per lei. Aveva ancora il sapore fresco di quell'erba. Dopo aver finto di ingoiare un paio di sorsate, si sollevò, evitando lo sguardo della figura. 

 

Quando si ritrovò nel carro, poté constatare di essere nuovamente stata la prima a ritornare. Qian fece il suo ingresso poco dopo. Dietro a lei, anche Hua e Shan rientrarono maldestramente, con le mani tremanti e i piedi ancora una volta legati assieme. 

 

Diana attese. E mentre attendeva, notò che ognuna delle presenti evitava il suo sguardo. La mandibola di Qian era stretta in una morsa, mentre le due giovani si erano allontanate dall'entrata e avevano affondato i visi nei petti. 

 

Attese ancora. 

 

Il tempo passava. Gli istanti scendevano come grani di sale in una clessidra. Ogni grano cadeva lento, agonizzante e accompagnato da uno spasmo dei suoi arti. 

 

Dov'era Mei Lin? 

 

Un lamento trattenuto le raggiunse le orecchie. 

 

"No..." 

 

Diana scivolò fino all'estremità del carro, appoggiandosi al bordo e afferrando il tendone. 

 

"Signore, ti prego... ti prego, non questo." 

 

Voleva scostarlo. Le sue mani rimasero ferme con il tendone stretto fra le dita. Il lamento era sommesso ma suonava proprio come la voce di Mei Lin. 

 

"Signore, ti scongiuro!" 

 

Mei Lin non urlava come avevano fatto Hua e Shan. Sembrava trattenere il pianto, cercando di non rilasciare alcun suono. Diana si accorse di stare singhiozzando solo quando trasse un respiro inconsistente. 

 

Doveva fare qualcosa. 

 

Doveva andare da Mei Lin. 

 

Doveva muoversi da lì e andare ad aiutarla!

 

Le sue unghie sporche e annerite artigliarono lo spesso materiale. Strinse gli occhi e inalò aria in brevi ispirazioni. Le lacrime erano talmente copiose da cadere dal suo viso e bagnare il suo vestito strappato. 

 

Doveva fare qualcosa... ma non ne aveva il coraggio. 

 

 

 

Diana aveva l'impressione che fosse passata tutta la notte. Quando, però, Mei Lin fu riportata nel retro del tendone, vide che la luna aveva appena fatto la sua comparsa nel cielo. Nel momento in cui il corpo della donna fu di nuovo nell'abitacolo, Diana allungò le mani verso di lei. 

 

-Perdonami...

 

Benché avesse la sensazione di non riuscire a versare più lacrime di quelle che già aveva consumato quel giorno, sentì le guance inumidirsi nuovamente. 

 

-Mei Lin...

 

Un rantolo soffocato sfuggì dalle sue labbra. Le labbra di una codarda che invoca pietà. 

 

-...perdonami.

 

-Non è colpa tua. 

 

La voce della giovane era cavernosa, arrochita da qualcosa che Diana non riusciva a identificare. Avrebbe voluto avvolgere le sue braccia attorno al corpo della donna. Avrebbe voluto stringerla fino a quando ogni frammento e ogni crepa non fossero tornati al loro posto, ma non poteva fare neppure quello. 

 

Era una codarda. 

 

-Non è colpa tua. 

 

La voce di Mei Lin tornò gradualmente ad addolcirsi in quel modo che le piaceva tanto. Aveva delle note calde e rassicuranti che cullavano la sua mente vacillante. 

 

Non si meritava quella dolcezza. Non dopo aver ascoltato i suoi lamenti ed essere rimasta attaccata alle sue paure. 

 

-Diana... 

 

La giovane aveva preso le mani di Mei Lin, cercando di strofinarle fra le sue come faceva la sua nutrice quando lei iniziava a piangere. 

 

-Diana, questa notte... devi scappare. 

 

Il suo viso scattò verso l'alto. 

 

-Mei Lin che cosa...

 

-Hanno bevuto molto questa sera. Anche la vedetta si stava addormentando. Devi usare questa occasione e scappare più lontano che puoi. 

 

Diana fissò la donna. Perché? Perché lei sembrava così ferma, invacillabile? 

 

-Se devo scappare, tu verrai con me. Tutte. Dobbiamo andarcene tutte!

 

Si voltò e passò con lo sguardo ognuna delle figure. Nessuna sollevò lo sguardo verso di lei. Nessuna la guardò con occhi speranzosi. 

 

-Diana... io sono molto lontana dalla mia famiglia. Io... ormai ho accettato il mio destino. Non ce l'ho più. 

 

La giovane la osservò in aspettativa. 

 

-Che cosa non hai più?

 

Il suo sussurro era disperato quanto un grido mentre stringeva ancora più forte le mani della donna. 

 

-La speranza. La libertà. 

 

Dopo aver pronunciato quell'ultima, perentoria parola, estrasse dalla casacca un frammento di terracotta. Premendo l'estremità affilata contro le corde che legavano i polsi di Diana, iniziò a strofinare fino a quando le fibre non presero a rompersi. 

 

-No, Mei Lin, ti prego... non ti posso lasciare qui. 

 

In pochi istanti le sue mani erano libere, con le piaghe provocate dalle corde dolorosamente esposte all'aria. Senza indugiare, la donna proseguì a lavorare sul nodo che stringeva le caviglie. 

 

-Mei Lin, ti prego...

 

Quando rialzò lo sguardo, nulla era cambiato. Indifferenza. Paura. Nessuna delle presenti sembrava intenzionata a muoversi dal suo posto. 

 

Nell'istante in cui le sue caviglie furono denudate, la donna si avvicinò fino all'apertura del tendone e scostò lievemente il tessuto. 

 

-Devi andare. Ora. Sono tutti addormentati. 

 

-Mei Lin, ti prego, devi venire...

 

-Vai! 

 

La donna, con la poca energia che conservava, la afferrò e la portò fino al bordo. Scostò il tendone e le fece cenno di uscire. 

 

-Addio... Diana.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Giuro che nel prossimo capitolo le cose si muovono in una direzione nuova. Giuro che incontrerete uno dei ragazzi. Non so perché, ma la parte del flashback sta venendo molto più lunga di quello che pensavo. Ammazza, siamo già all’ottavo capitolo e c’è ancora così tanto che deve succedere... sta storia verrà più lunga di Dreamland di sicuro. 

E comunque...ci lasciamo per una settimana e guarda quello che succede. Life goes on...BE...ah, e poi c’è quella piccola cosa insignificante...

G

R

A

M

M

Y

Not gonna say anymore than this. 

 

Attachment.png

 

Ps: canzone preferita di BE? La mia è Blue and Grey ma sinceramente ho fatto binge listening di tutto l’album da quando è uscito. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** IX ***


Il corpo di Diana era stato spinto con tanta veemenza da precipitare giù dal carro fino a raggiungere dolorosamente il terreno. Il suo fianco, però, non si lamentò della caduta. Con il passare dei giorni, infatti, il violento martellare nelle coste si era trasformato in un famigliare bussare che l'accompagnava costantemente. 

 

La giovane afferrò il bordo di legno, appoggiandosi ad esso per issarsi sulle gambe tremanti. Le caviglie incerte sembravano dubitare di riuscire a sostenerla, dopo il tempo che avevano passato soffocate dalle corde. Le sue ginocchia cigolavano, irrigidite dal freddo della notte e dalla mancanza di movimento. 

 

Il suo volto, ancora umido, si rivolse al tendone che copriva l'abitacolo in cui aveva trascorso i suoi ultimi giorni. 

 

"Corri." 

 

Non poteva andarsene così. Non poteva tradire Mei Lin ancora di più. 

 

"Devi scappare. Ora o mai più." 

 

I suoi occhi offuscati si rivolsero febbrilmente verso il cerchio di uomini addormentati intorno ad un fuoco. L'accampamento di fortuna sembrava essere immerso nel silenzio più profondo, stemperato solo dallo stridere degli insetti della notte e dallo scoppiettare occasionale delle fiamme. 

 

-Diana, promettimi una cosa. 

Dovrai sempre... sempre fare tutto il necessario per sopravvivere. 

Se devi ingannare, inganna. Se devi tradire, tradisci. Se devi strisciare, striscia. 

Sopravvivi, a qualsiasi costo. 

 

"Corri." 

 

Le sue gambe, ondulanti e dalla falcata altalenante, iniziarono a compiere i primi passi. Non aveva neanche pensato in che direzione andare. Non sapeva neppure dove si trovava. Prese semplicemente a correre, il più lontano possibile da lì. 

 

Non era giusto. Non poteva lasciare lì quelle donne. 

 

"Non puoi liberare chi è schiavo della sua mente." 

 

Diana strinse i denti, ispirando l'aria fredda mentre sentiva il calore del fuoco farsi sempre più lontano dalla sua schiena. I suoi piedi colpivano dolorosamente il terreno aspro, emettendo un tonfo sordo che le risuonava nelle orecchie come un memento. Stava scappando. 

 

"Non ti fermare." 

 

Il vestito, un tempo del colore del grano in estate, era diventato un guazzabuglio di terra e sangue e i sui lembi rovinati le sbattevano fastidiosamente contro le gambe. Aveva già il petto avvolto dalle fiamme e la gola piena del freddo e dell'aria che inalava così avidamente, ma afferrò la gonna e la sollevò, correndo ancora più forte. 

 

Solo quando ogni indizio dell'accampamento fu solo un lontano ricordo nella visione della giovane, si fermò. Accasciandosi sul ciglio del sentiero che aveva percorso, abbandonò il capo all'indietro affinché potesse essere inondato dalle dita gentili della luna. Il bussare sommesso del fianco era tornato a farsi più insistente, carico del ritmo che aveva agitato la sua corsa fino a quel momento. 

 

Un brivido le fece scrollare le spalle. 

 

Non poteva restare lì. Avrebbe voluto stendersi e addormentarmi fino a svegliarsi con la pancia piena e il corpo finalmente riposato, ma non poteva. Il freddo della notte non sarebbe stato pietoso nei suoi confronti, senza contare gli altri elementi ancora meno indulgenti che la circondavano. 

 

Dove mai sarebbe potuta andare, comunque? 

 

Non sapeva dov'era. 

 

Non sapeva neanche se si trovava già oltre il confine di quella terra di cui Mei Lin aveva parlato. Anche guardando le stelle, non avrebbe saputo che direzione prendere. 

 

"Non ha importanza. Raggiungerò il villaggio più vicino e cercherò di capire come tornare a Zhanjiang. O almeno cercherò di raggiungere la capitale." 

 

Certo. Doveva alzarsi e ricominciare a correre. 

 

La sua mente era annebbiata come una mattina d'inverno. La fitta coltre di nuvole non le permetteva di guardare altro che il suo corpo e la sua posizione. La disperazione aveva messo un paraocchi alla sua fronte, conducendo il suo sguardo su un unico, fondamentale obbiettivo. 

 

"Sopravvivi." 

 

Le sue gambe si rialzarono, più tremanti di quando erano state liberate per la prima volta. 

 

E camminò. 

 

Camminò per ore. 

 

Camminò fino a che la luce del mattino non intrise il cielo di rosa e oro. Fino a che il calore del sole non iniziò ad abbracciare le sue membra stanche. 

 

Camminò fino a che i suoi occhi non si chiusero e il tremore alle gambe non cessò. Fino a quando la mancanza di cibo e lo sfinimento non trascinarono il suo corpo verso il basso. 

 

Allora, Diana si riposò. 

 

 

 

-Jimin-ah! Ppalli! Eumsig gajyeowa! 

 

Ai confini della percezione di Diana, una voce brontolava sommessamente stuzzicandole le orecchie. Era la sua nutrice? Quel modo buffo di ingrossare la voce quando riprendeva qualcuno era così simile che non le fece neppure notare le parole così estranee. 

 

-Sonyeoga kkaeeona. 

 

Quella voce femminile aveva un modo bizzarro di divorare le parole. Sembrava avere qualcosa in bocca quando masticava le vocali, mentre scivolava sulle consonanti, allungandole in maniera quasi comica. 

 

Quando la giovane sentì un liquido caldo bagnarle le labbra, tentò di aprire gli occhi, lottando contro la morsa in cui le ciglia li avevano rinchiusi. Dopo un paio di tentativi, la visione fumosa di un tetto di legno si presentò a lei, lasciandola in uno stato di ipnosi. Era piuttosto sicura di avere visto solo un soffitto di stelle l'ultima volta che aveva rivolto lo sguardo in alto. 

 

Dove si trovava? 

 

-Ohi, ohi! Jeogiyo, ib-eul yeol. 

 

Diana sentì ancora il liquido caldo inumidirle le labbra, prima di scivolarle sulle guance e bagnarle fastidiosamente le orecchie. Sbatté le palpebre ancora, prima di voltare il capo. Una donna, che doveva avere all'incirca l'età di sua madre, la guardava con una mano sospesa in aria, carica di un cucchiaio di legno. Le rughe ai lati dei suoi piccoli occhi affusolati si stiracchiarono leggermente quando i loro sguardi si incontrarono. 

 

-Gwaenchanh-a? 

 

Diana, per tutto l'amore del Signore, non riusciva a comprendere una sola parola che la donna pronunciava. Alcune espressioni risuonavano vagamente simili al cinese, ma non era in grado di dare un senso alle frasi che le venivano rivolte. Di certo, però, riscontrò una notevole somiglianza con la lingua parlata dagli uomini che l'avevano presa. 

 

-Dove mi trovo? 

 

Le lievi rughe sulla pelle della donna si irrigidirono leggermente, mentre una smorfia le compariva sulla bocca. Era evidente che non capisse il cinese.

 

Dopo qualche istante di muta meditazione, la donna sembrò riscuotersi e si voltò alle sue spalle, rivolgendo una serie di parole sconosciute ad una persona che Diana non riusciva a vedere. Quando riportò il volto su di lei, aveva un sorriso storto sulle labbra e sollevava il cucchiaio di legno davanti a lei. 

 

-Geogjeong hajima. Meogda.

 

Aveva pronunciato quelle parole lentamente, scandendo ogni sillaba con quel buffo modo di parlare. Non aveva importanza, in quanto Diana non riusciva ancora a capire cosa stesse dicendo. Quando, però, il cucchiaio fu avvicinato alla sua bocca, cercò di sollevare la testa e schiuse le labbra. Il liquido caldo scese velocemente nella sua gola e la giovane si accorse di avere i crampi della fame solo quando la sua pancia borbottò, contrariata per la poca quantità di cibo. Puntando le dita sulla superficie sotto di lei, si issò a sedere, drizzando finalmente la schiena con la testa intenta a vorticare vertiginosamente. 

 

-Ma, ma! Goyohi- disse la donna, ridendo lievemente. 

 

Vedendo che riusciva a stare seduta da sola e che sembrava aver recuperato l'equilibrio, le lasciò fra le mani il cucchiaio insieme ad una ciotola fatta dello stesso legno scuro, colma di quella che sembrava zuppa di verdure. Una sorsata alla volta, Diana si ritrovò a guardare il fondo del contenitore in un batter d'occhio. Sollevando lo sguardo, incontrò l'espressione soddisfatta della donna, che la osservava con meticolosa attenzione. Avrebbe voluto ringraziarla ma dubitava che avrebbe capito cosa intendeva dirle. In mancanza di alternative, decise di abbassare il capo più che poteva nell'inchino più profondo che il suo corpo le permetteva e rivolgendo infine un sorriso grato. 

 

-Oh, mwoya, mwoya, hajima!- 

 

La donna scoppiò a ridere agitando una mano davanti al viso della giovane e nascondendo il viso imbarazzato. Dopo qualche istante, Diana notò che accanto a lei era comparso un giovane con delle bende in mano. I suoi occhi stretti rimanevano pudicamente lontani dai suoi ed erano lievemente celati dagli scuri capelli arruffati. Aveva un bel viso. La linea gentile della mandibola era resa ancora più innocente dalle guance rotonde, mentre il piccolo naso sormontava delle labbra carnose. 

 

Guardandolo, la giovane pensò di vedere gli eleganti volti dipinti nel paravento che si trovava nella sua stanza, dietro al quale si nascondeva per cambiarsi. 

 

-Neo ileum-i mwoni?

 

Nuovamente, la donna pronunciò lentamente ogni sillaba, guardandola con aspettazione. Le aveva rivolto una domanda, ma non aveva idea di cosa avrebbe dovuto rispondere. La donna accartocciò le sopracciglia, storcendo la bocca in segno di meditazione. 

 

-Chong-eun- disse infine, toccandosi il petto e indicandosi con il dito. 

 

-Naneun Chong-eun. 

 

Spostando la punta del dito, indicò il ragazzo al suo fianco che, per la prima volta da quando era arrivato, sollevò lo sguardo su di lei. 

 

-Jimin. Geu Jimin. 

 

Infine, la donna portò il dito verso di lei. 

 

-Dangsin?

 

Gli occhi della giovane si illuminarono. 

 

-Diana- rispose toccandosi il petto a sua volta e chinando lievemente il capo. 

 

I due interlocutori la guardarono con una curiosa luce negli occhi, ripentendo il suo nome con incertezza e trasformando maldestramente la D in una T calcata. La donna, soddisfatta, prese le bende dalle mani del ragazzo che doveva chiamarsi Jimin e afferrò dolcemente i suoi polsi. 

 

Diana abbassò gli occhi sulle dita seccate dal sole e dal lavoro manuale che le scioglievano abilmente la medicazione che vi era già presente, esponendo una serie di piaghe dai lembi bianchi e umidi. La giovane sentì l'aria colpire la pelle esposta e sensibile e sibilò leggermente non appena la donna iniziò a spalmare un unguento dall'odore simile alla menta. Sovrastando i suoi piccoli pigolii, Chong-eun prese a pronunciare delle parole cantilenanti, intonandole come se stesse cercando di far addormentare un fanciullo inquieto. 

 

 

 

Dopo aver ricevuto nuove medicazioni anche alle caviglie, Diana provò lentamente ad alzarsi. Il materasso su cui era sdraiata era più sottile di quello in cui era abituata a dormire e si trovava sul pavimento, costringendola a fare uno sforzo maggiore per sollevare il peso del suo corpo. Al primo tentativo, le gambe non la ressero e la abbandonarono ad una caduta che fu bloccata solo dalla prontezza delle mani di Chong-eun. A seguito di quel piccolo incidente, tentò lentamente di recuperare la stabilità e, quando riuscì finalmente a rimanere in piedi senza il supporto della donna, si avvicinò alla piccola apertura da cui si vedeva il cielo. 

 

Stava già arrivando la sera. 

 

Per quanto aveva dormito? L'ultimo ricordo che aveva erano le prime luci del mattino che accendevano il cielo. 

 

Dopo aver sgranchito le gambe, Diana tornò a sedersi e osservò la donna finire di preparare quella che doveva essere la cena con il solerte aiuto di Jimin. Passandosi una mano fra i lunghi capelli dorati, sentì le tracce di nodi e di sporco abbarbicati fastidiosamente alle ciocche. Agognava un bagno in maniera viscerale. Non c'era una parte del suo corpo che non fosse lercia, incrostata di terra e di sudore. Quei pensieri l'avevano spinta a strofinarsi convulsamente le ciocche rigide e le mani scurite. 

 

Quando Chong-eun riportò lo sguardo su di lei sembrò capire cosa provocava l'inquietudine della ragazza. Dopo aver afferrato un secchio d'acqua e dei vestiti, la prese per mano e la condusse fuori dalla piccola casa, circondata da un grande campo. Una volta che ebbe raggiunto il retro dell'abitazione, la donna le appoggiò il secchio a fianco e lasciò i vestiti su una panca di legno. 

 

Diana guardò per qualche istante il secchio d'acqua. Infine, sospirò. Iniziò immergendo i capelli in tutta la loro lunghezza e strofinando il cuoio capelluto fino a sentire il freddo della sera pungerle la pelle bagnata. Poi, trattenendo il respiro, si gettò l'intero contenuto del secchio addosso, cercando di pulire al meglio che poteva le parti più sporche. Dopo essersi asciugata col suo vecchio abito, indossò la camiciola e le brache lasciatele dalla donna e tornò dentro alla casa. Avvicinandosi al focolare dove la cena stava finendo di cucinare, prese a pettinarsi le lunghe ciocche con le mani, lasciando che il fuoco le asciugasse e le tingesse con i suoi riflessi aranciati. 

 

Dopo poco, Chong-eun fu di nuovo davanti a lei con una ciotola colma di una sorta di pappa di cereali e la invitò con lo sguardo a mangiare. Dopo averle lasciato il cibo, la donna si diresse verso un angolo della stanza.

 

Sdraiato su un materasso simile a quello dove si era risvegliata lei, giaceva un uomo pallido e tremante.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Dunque. Vi aspettavate la comparsa del nostro piccolo mochi con le gambe? Sorpresi? Eh già, il nostro piccolo Jimin è Giulia passione contadino in questa storia. Mi raccomando, tenente bene a mente ogni personaggio che vedete perché questa storia è piena di sottotrame, che si sveleranno gradualmente con il passare dei capitoli. Più tutti i membri avranno una storia personale che verrà svelata nel corso della storia perciò WATCH OUT.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** X ***


Diana cercò di mantenere un certo livello di discrezione mentre studiava il modo cauto ma affettuoso con cui Chong-eun si rivolgeva all'uomo sdraiato nell'angolo della stanza. Anche Jimin si avvicinò velocemente al materasso, inginocchiandosi davanti a quel corpo dall'apparenza così fragile. 

 

La giovane prese a masticare lentamente la cena, lanciando occasionali occhiate alla scena. L'uomo sembrava talmente debole da non riuscire neppure ad issarsi a sedere, tanto che la donna doveva imboccarlo lentamente. Il ragazzo restava seduto al suo fianco immobile, pronunciando una frase di tanto in tanto con un vacillante sorriso sulle labbra. Jimin aveva una voce flebile, quasi femminea nella sua acuta inflessione, ma perfettamente complementare alle sue sembianze aggraziate. I suoi occhi, però, sembravano incurvarsi sempre più all'ingiù ogni volta che si posavano sull'uomo sdraiato. 

 

Diana non poté farne a meno. Si ritrovò a guardare quelle tre persone vicine nel corpo quanto nello spirito e non riuscì a distogliere lo sguardo. La sua gola sembrava essere stata annodata, strozzata da un cappio impietoso che stringeva, stringeva sempre di più. Il dolore fisico saliva fino ai suoi occhi, costringendola a sbattere le palpebre numerose volte. Infine, raggiungeva la fronte, appesantendola come se qualcuno vi avesse posato un macigno sopra. 

 

Una famiglia. Lei non ce l'aveva più. 

 

Un padre. Lei non ce l'aveva più. 

 

Che cosa avrebbe dato pur di poter guardare di nuovo gli occhi ansiosi ma colmi affetto di sua madre? 

 

A chi avrebbe venduto l'anima pur di rivedere lo sguardo fiero di suo padre su di lei? 

 

Quando viveva a Venezia aveva sempre avuto la sensazione di essere un animale in gabbia. Era così impaziente di scoprire il mondo. Era così ansiosa di scappare da quella città e trovarsi in terre nuove, sconosciute. 

 

Ma... in quel momento, avrebbe dato la sua vita stessa pur di essere di nuovo a casa.

 

Una lacrima sfuggì alla presa delle sue ciglia e le rigò una guancia con la sua umida scia, ma Diana la asciugò velocemente, abbassando lo sguardo sulla sua ciotola ormai vuota. 

 

Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. Non poteva lasciare che l'ansia e la disperazione la trascinassero in un baratro di autocommiserazione. Non poteva permetterselo. Nonostante ciò, nonostante questa consapevolezza, la sua mente non poteva fare a meno di vorticare sugli stessi, soffocanti pensieri. 

 

Era sola. 

 

Orfana di padre. 

 

Circondata da persone che non parlavano la sua lingua e in una terra di cui non sapeva niente. 

 

Probabilmente, non avrebbe mai più rivisto la sua casa. 

 

Strinse il legno sotto le dita, mordendosi le labbra. Doveva smetterla di essere così egoista. Era stata accolta da persone gentili e generose. Persone che a loro volta stavano affrontando difficoltà. Non aveva il diritto di pensare di essere l'unica persona al mondo a soffrire. 

 

Mentre cercava di aggiustare i suoi pensieri e di fermare le lacrime che salivano ai suoi occhi come nuvole cariche di pioggia, continuava a trarre profondi respiri. Era talmente assorta nella sua meditazione, che non si era accorta dell'arrivo di Chong-eun. La donna si era accomodata accanto a lei e aveva posato delicatamente una mano sulla sua schiena. Quando la giovane finalmente aprì gli occhi e notò la sua presenza, le rivolse un sorriso. 

 

Era un sorriso unico, uno di quelli che esprimevano tutte le parole che non riuscivano a scambiarsi. Il suo calore le diceva che capiva il suo smarrimento e la sua lieve malinconia le suggeriva che comprendeva anche il suo dolore. Che era lì per confortarla. Diana, senza sapere come rispondere, chinò la testa in segno di gratitudine. Il sorriso di Chong-eun si allargò ulteriormente prima che le sue mani si spostassero dalla sua schiena. 

 

Quando le sentì percorrere le sue ciocche dorate, la giovane non seppe come reagire. Poi, gradualmente, iniziò a percepire la sua mente annebbiarsi sempre più, svuotandosi di ogni superfluo pensiero sotto alla dolce sollecitazione delle dita che le passavano curiosamente fra i capelli. Senza accorgersene, Diana si ritrovò sdraiata sulle gambe della donna, con le palpebre sempre più pesanti. 

 

 

 

Dopo tre giorni di attente medicazioni e riposo, il corpo di Diana sembrò tornare a riprendere le forze. Quella mattina, Chong-eun si accovacciò davanti a lei, salutandola con una generosa espressione e un caldo sorriso sul volto. Vedendo come riusciva a reggersi bene sui piedi e come le ferite avevano già iniziato a richiudersi, la donna la guardò con determinazione. 

 

Durante la colazione, la giovane sentì le sue dita sottili percorrerle i capelli. Mentre portava il cucchiaio alla bocca, però, Chong-eun improvvisamente iniziò a tirare, rischiando di far cadere il cibo dalle mani di Diana. Ripresasi dalla sorpresa, si accorse che la donna aveva preso ad intrecciarle le ciocche dorate, creando in breve tempo una corona attorno alla sua testa. Quando percepì che le mani si erano allontanate dal suo cuoio capelluto, si toccò il capo, percependo una sorta di stretta crocchia che le lasciava il collo libero. 

 

Non appena ebbe finito di consumare il suo pasto, infine, le mise sulle gambe un cappello di paglia, simile a quelli che aveva visto indosso ai contadini chini sui capi di riso lungo il tragitto della carovana. La donna indicò la sua testa e il cappello, come a suggerirle che doveva indossarlo. Diana, allora, prese l'oggetto e se le pose sul capo, legando infine i lacci sotto il mento. 

 

Forse capiva. Il cappello avrebbe nascosto i suoi capelli e, in parte, la sua insolita fisionomia. 

 

La donna sembrò soddisfatta mentre la osservava con il nuovo copricapo e la invitò ad alzarsi, prima di afferrare una cesta colma di panni. Dopo aver lasciato il carico fra le braccia di Jimin, si voltò verso di lei sorridendo. 

 

-Gaja!- continuava ad esclamare, indicando con la testa la porta e con il dito il ragazzo. 

 

-Jimin-ileul ttala.

 

Diana, sbattendo le palpebre, studiò per un istante lo sguardo timido del ragazzo, che continuava a rimbalzare dal pavimento a lei. Poi, comprendendo, si alzò in piedi e infilò le calzature rigide che la donna le porse. 

 

Il tragitto fu breve ma avvolto nel silenzio. Jimin la precedeva, avanzando in un percorso che partiva dal retro della casa e sembrava immergersi in una piccola radura, senza mai voltarsi verso di lei. Quando, davanti a loro, si dispiegò lo stretto letto di un fiume dal fondale apparentemente basso, il ragazzo si fermò, avvicinandosi all'argine e poggiando la cesta di vestiti. 

 

Le rivolse un'occhiata esitante, prima di afferrare il primo paio di brache sul mucchio di panni e farle segno con la testa di fare lo stesso. 

 

"Fare il bucato?" 

 

Dopo un attimo di esitazione, Diana si avvicinò e prese il vestito giallo che spiccava nel groviglio di abiti dal tessuto ruvido e rovinato. Guardando con attenzione Jimin, si avvicinò ad una roccia liscia ancorata al bordo terroso e immerse le dita nell'acqua gelida. Combattendo il torpore che il freddo le provocava alle mani, iniziò a strofinare, imitando i gesti che il ragazzo compiva.

 

Non aveva mai lavato degli indumenti in vita sua. Non sapeva quanta pressione dovesse mettere o quanto forte dovesse strofinare per far sì che lo sporco abbandonasse le fibre del tessuto. Dopo un tempo che le sembrò infinito, guardò il suo vestito soddisfatta e lo poggiò al suo fianco, voltandosi per afferrare un nuovo panno dal mucchio. Con sgomento, notò la pila di abiti puliti accanto a Jimin. Lei aveva già la schiena in fiamme dallo sforzo e sentiva la pelle delle mani bruciare, probabilmente già pronta a sbucciarsi, e aveva a malapena iniziato. 

 

Trattenendo un sospiro, arricciò le labbra e ricominciò a strofinare con più determinazione. Dopo un po' di tempo, il movimento ripetitivo e il freddo nelle dita diventarono un piacevole balsamo per la sua mente. Diana non era abituata alla natura puramente fisica del lavoro manuale, ma si accorse che la aiutava ad incastrare la testa in semplici attività che le permettevano di concentrarsi su un unico, essenziale obiettivo. Era quasi confortante. 

 

La giovane sentiva lo sguardo del ragazzo su di lei. Lui cercava di essere discreto, ma lei percepiva il modo in cui ogni volta che si voltava per prendere un nuovo indumento, ogni volta che si fermava per riposare le braccia, i suoi occhi scivolavano su di lei per qualche istante. Diana fece finta di nulla, rimanendo concentrata sulla sua dose di lavoro. Il suo aspetto doveva essere bizzarro per gli abitanti di quella terra. Probabilmente, non erano abituati a vedere occidentali. Probabilmente erano come lei quando, inizialmente, rimaneva incantata ad osservare la curiosa forma degli occhi del maestro Jian invece che ascoltare le sue lezioni. 

 

Il ricordo le strappò un breve, fugace sorriso. Si voltò per prendere l'ultima camiciola rimasta nella cesta, ma le sue mani si scontrarono con quelle arrossate del ragazzo. Immediatamente, Jimin si ritrasse, lasciando che fosse lei a prendere l'indumento e seppellendo il mento nel petto. Diana, allora, si soffermò un attimo per guardare le sue guance imporporate e le sue labbra leggermente arricciate. Avevano un'espressione buffa, una di quelle che la sua nutrice avrebbe definito "muso". Una di quelle espressioni che lei faceva da piccola quando era imbarazzata o contrariata. 

 

Lei, allora, distese la bocca in un sorriso, che fece sollevare fino a raggiungere gli occhi. Per un istante, le pupille scure del giovane incontrarono le sue, prima di ritirarsi velocemente, lontane da lei. 

 

Con il sorriso ancora aggrappato alle labbra, la ragazza si voltò e affondò le mani nell'acqua fredda. 

 

 

 

Con il passare dei giorni, Diana si abituava sempre di più al lavoro. Il dolore delle membra le rendeva il sonno difficile e la infastidiva per tutta la giornata, ma trovava grande soddisfazione nel contribuire al benessere di quella famiglia che l'aveva ospitata così generosamente. Non potendo mostrare la sua gratitudine in altri modi, trovò che essere utile dal punto di vista fisico fosse quantomeno un punto di partenza. 

 

Il lavoro nei campi era la parte più dura. Dal momento che la stagione invernale era ormai alle porte, il terreno era già libero del raccolto e necessitava di essere smosso per impedire che il gelo lo indurisse. Il suo compito, quindi, era di affondare la zappa nel suolo e rivoltare le zolle di terra, in modo che la superficie diventasse irregolare. Sulle dita avevano già iniziato a comparire le vesciche dovute al costante stringere e strofinare dello strumento nelle sue mani, ma a Diana poco importava. Aveva convissuto con i segni dei plettri del guzheng per buona parte della sua vita, ormai. 

 

Jimin era sempre insieme a lei quando usciva a lavorare nel campo. Quella giornata, in particolare, tentava di restargli abbastanza vicino in modo da poterlo tenere sotto agli occhi, dal momento che si erano allontanati dalla casa più del solito. Il ragazzo era un lavoratore instancabile e silenzioso. Affondava la zappa nel terreno con regolarità martellante e non cedeva il passo alla stanchezza anche quando la giovane poteva vedere il sudore colargli sul viso. 

 

Quel suo atteggiamento così determinato, così dedito, la spingeva a dare del suo meglio a sua volta. Anche se sentiva la schiena urlare dal dolore ogni volta che sollevava lo strumento in aria, non si fermava. Affondava e affondava ancora, finché non vide la notevole dose di terreno che era riuscita a smuovere. Era soddisfatta. Anche quel poco che aveva in quel momento sembrava darle uno scopo, una speranza di qualche genere. Forse non avrebbe potuto avere la sua vita di prima. Forse, però, avrebbe potuto trovare il suo equilibrio in una nuova realtà. 

 

Diana sollevò la schiena, raddrizzando le membra che schioccarono fastidiosamente in segno di protesta. 

 

Ci mise qualche istante per realizzare la presenza dello scalpiccio di zoccoli di cavallo in avvicinamento. La giovane rivolse lo sguardo verso la fonte del rumore. Non appena vide tre cavalieri giungere nella loro direzione, abbassò la testa, lasciando che il cappello di paglia le nascondesse il volto. Riprendendo a lavorare, finse di non sentire gli animali rallentare, per fermarsi proprio vicino a lei. Finse di non sentire i passi degli uomini marciare determinati, proprio verso di lei. 

 

Finse totale indifferenza, finché una mano non le afferrò la mandibola, costringendola a sollevare la testa. Un uomo con il naso appuntito e un'espressione altera la scrutò attentamente, studiando ogni parte del suo viso. Diana provò a ritrarsi, ma non appena iniziò a indietreggiare sentì il corpo di un altro uomo dietro di sé. 

 

"No..."

 

Il cuore le martellava nelle orecchie mentre sentiva la mandibola sempre più stretta fra le dita dello scrutatore. Questo, dopo un ultimo sguardo, fece un cenno di assenso e sembrò trasmettere un ordine ai due uomini rimasti. Diana iniziò ad urlare non appena sentì la braccia che la avvolsero e le mani che le strapparono il cappello di paglia, sostituendolo con un sacco di tela. 

 

-Jimin! 

 

Prima che il sacco fosse calato sulla sua testa, la giovane riuscì a voltarsi verso il ragazzo. 

 

Perché non stava intervenendo? Perché non faceva nulla? 

 

E poi Diana lo vide. Lo sguardo colpevole negli occhi del giovane. La muta richiesta di assoluzione. La vergogna. 

 

"No." 

 

"No, ti prego, non ancora!" 

 

Quando il buio prese piede nella sua visione, sotto agli ordini perentori dell'uomo davanti a lei, percepì un'ultima parola. 

 

-Mianhae.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Perché le cose non possono rimanere serene neanche per un capitolo. Lol.

Chi se l’era vista arrivare? Il nostro piccolo e tenero mochi con le gambe traditore... ripeto, tenete a mente tutto quello che vedete. Anche se può sembrare che alcuni personaggi facciano una breve comparsa non sono spariti per sempre...

E adesso meditate e attendete perché al prossimo capitolo incontreremo un altro personaggio tanto atteso!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XI ***


"Signore... quale grande peccato ho compiuto per meritarmi questo?" 

 

Mentre il suo corpo rimbalzava fastidiosamente sul cavallo, Diana iniziò a sentire i suoi sensi addormentarsi. Aveva la necessità di estraniarsi, di allontanarsi dalle sue fragili membra. Membra che erano state vendute. Per cosa, poi? 

 

"Signore... mi odi?" 

 

Il cuore batteva lentamente, suonava una triste melodia per lei. Si stava spegnendo. Stava perdendo anche quel piccolo briciolo di speranza che le era rimasta. 

 

"È questo il mio destino? È questo che vuoi per me?" 

 

Forse era così. Era destino che diventasse una schiava. Se questo era vero, non aveva alcun senso provare a contrastare ciò che il fato o il Signore volevano per lei. 

 

Il suo corpo sdraiato malamente sul cavallo stava perdendo la presa sulla sua coscienza. Doveva allontanarsi da lì. Dal suo inutile involucro. Da quello che era un essere umano e che stava per diventare una proprietà. 

 

Il sorriso pieno di calore di Chong-eun la trattenne per un momento. Una piccola ancora, che tirava debolmente una grande nave in mezzo alla più violenta delle tempeste. 

 

Lo sapeva? Era stata una sua idea? 

 

Il solo pensiero le dava la nausea. Come poteva una persona così gentile anche solo considerare di venderla? 

 

Che senso avrebbe avuto salvarla, allora? 

 

Perché guarirla, se aveva intenzione di liberarsene? 

 

O forse era stata un'idea di Jimin. I suoi occhi scuri, piccoli ma espressivi, avevano parlato più onestamente di quanto ogni parola potesse fare. Lui. Lui l'aveva tradita. 

 

Perché? 

 

"Perché? Signore..." 

 

La marcia indomita del cavallo si fermò, ponendo fine al fastidioso penzolare del suo corpo, appoggiato di traverso rispetto al dorso dell'animale. Diana si accorse appena delle mani che la afferrarono per la vita, trascinandola violentemente giù dalla sua scomoda posizione e ponendola sulla larga spalla di un uomo. 

 

Non emise un suono. Non un lamento. Non un grido. 

 

A cosa sarebbe servito, se non a farla sentire ancora più patetica? 

 

Nessuno avrebbe risposto. 

 

Non lo avevano fatto le persone che la amavano. 

 

Non lo aveva fatto la persona che l'aveva salvata. 

 

Di certo, nessun altro lo avrebbe fatto in quel momento.

 

Il suo corpo, dopo un breve tragitto, fu finalmente scaraventato a terra. Mentre delle voci discutevano concitatamente, Diana rimase immobile sulla superficie di legno sotto di lei, strofinando appena i polsi. Le corde che li circondavano stuzzicavano fastidiosamente le cicatrici ancora fresche delle piaghe che le avevano precedute. 

 

Quando il sacco fu sollevato dalla sua testa, la prima cosa che i suoi occhi videro fu il volto corrucciato di un giovane. Non doveva avere molti più anni di lei, eppure era seduto fieramente, con il petto dritto e lo sguardo irremovibile. 

 

La giovane abbassò la testa. 

 

Doveva sopravvivere. Anche senza la sua dignità. 

 

La voce calma ma imperiosa dell'uomo sembrò rivolgersi verso di lei. Naturalmente, non capiva che cosa le stesse chiedendo. Abbassò ancora di più la testa, chiudendo febbrilmente le palpebre per placare il bruciore agli occhi. 

 

-Riesci a capirmi? 

 

Il suo volto scattò verso l'alto, illuminandosi di una flebile, ingenua speranza. I suoi occhi incontrarono quelli adombrati del giovane, che la fissava con un'espressione dubbiosa. 

 

-Sì. Parlo la lingua dell'impero.

 

Quando il suo interlocutore annuì soprappensiero, le sfuggì un sospiro dalle labbra. Qualcuno che poteva capirla. Qualcuno con cui poter comunicare. 

 

Nel momento stesso in cui quei pensieri entrarono nella sua mente, Diana serrò gli occhi.

 

"Stupida. L'unica persona che ti può capire è la persona che ti possiede." 

 

-Qual'è il tuo nome? 

 

La ragazza tornò a guardare il giovane uomo, incontrando brevemente i suoi occhi tempestosi, dal taglio affilato, per poi scendere sui lunghi capelli scuri che gli raggiungevano il petto abbronzato. 

 

-Diana. 

 

Per un momento, le sue mani si protesero in avanti, prima di bloccarsi. 

 

"Sopravvivi." 

 

"A qualsiasi costo."

 

Serrò la mandibola, ingoiando ogni pensiero che le urlava di non piegare la testa. Infine, fece scivolare le mani in avanti, abbassandosi fino a raggiungere il legno del pavimento e congiungendo le punte delle dita davanti  alla sua fronte. 

 

La forma più profonda di inchino che conosceva. 

 

-Alza il capo. 

 

Esitante, Diana obbedì, riportando la testa dritta e gli occhi incerti sul giovane. 

 

-Non sarò io il tuo padrone. Inoltre, dovrai imparare ad inchinarti alla nostra maniera. Come avrai notato, non siamo nell'impero.

 

Dopo aver terminato la frase, si voltò verso due dei tre uomini che l'avevano portata via, impartendo brevi ordini con tono grave e sguardo pesante. Quando lasciarono la stanza, sospirò, riportando gli occhi su di lei. 

 

-Non tratto schiavi. Non sono parte del mio mercato. Il mio assistente, però, è stato... un po' troppo zelante. 

 

Diana lo guardava con ansiosa aspettazione, impaziente che continuasse a parlare.

 

Che cosa voleva dire questo per lei? 

 

Si sarebbero semplicemente liberati della sua inutile presenza? 

 

Non l'avrebbero venduta? 

 

Il giovane emise un altro sospiro, strofinandosi gli occhi con gesti lenti e stanchi. 

 

-Pensava che vendendoti al re avremmo ricavato una somma cospicua, date le tue... sembianze singolari. 

 

La mandibola dell'uomo si contrasse brevemente, rendendo gli angoli del suo viso più spigolosi, benché non eccessivamente aspri. Le sue labbra si incurvarono verso il basso. 

 

-Ma non ho intenzione di seguire il suo suggerimento. Domani verrai condotta al cospetto di una persona molto importante, perciò dovrai mantenere un atteggiamento rispettoso e dignitoso e pregare che ti prenda. È la tua migliore occasione, al momento. 

 

Diana, senza replicare, annuì scuotendo semplicemente il capo. Non sapeva se quelle parole volevano dire che il giovane stava cercando in un qualche modo di aiutarla, ma sapeva di non avere alternative. 

 

-Ti farai un bagno e verrai vestita in maniera consona. Dopo di ciò, ti insegnerò la base dell'etichetta che dovrai tenere davanti alla persona che domani incontrerai. Che cosa sei in grado di fare? 

 

La giovane aveva seguito con attenzione ogni parola, mantenendo lo sguardo sul petto dell'uomo, avvolto in un abito molto simile a quello indossato dai nobili dell'impero cinese. Non era di una fattura tanto sopraffina da lasciare intendere un rango alto nel suo possessore, ma era abbastanza raffinato da suggerire uno stato di benessere. 

 

-So leggere e scrivere nella lingua dell'impero, oltre che fare di conto. So suonare il guzheng e conosco le basi per suonare la pipa. So anche preparare il tè.

 

Il giovane piegò il capo di lato. 

 

-Non certo doti da serva...- mormorò a fior di labbra.

 

-Dopo cena allora mi preparerai del tè. Mi servirà a giudicare quanto chiedere quando ti presenterò domani. 

 

Diana annuì brevemente, chinando il capo e appoggiando lo sguardo sul pavimento. 

 

 

 

Non appena la conversazione con il giovane uomo fu terminata, una donna dalla schiena curva e i capelli interamente tinti dall'argento della vecchiaia entrò nella stanza, facendole segno di seguirla. Mentre la piccola figura la conduceva lungo uno stretto corridoio, poté constatare come la casa in cui si trovasse fosse notevolmente grande rispetto al piccolo ambiente in cui la famiglia di contadini viveva. Nel breve tragitto che compì, poté notare almeno quattro porte scorrevoli, chiuse su ambienti di cui poteva solo immaginare l'ampiezza. 

 

Quando la donna la fece entrare dentro all'ultima stanza del corridoio, la giovane incontrò una grande vasca scavata nel legno del terreno. L'anziana le prese i polsi, sciogliendo con lenta accuratezza le corde che li tenevano costretti, e la spinse dietro a un paravento, muovendo le mani e incitandola, probabilmente, a spogliarsi. 

 

L'acqua nella vasca conservava un piacevole tepore che le sciolse le membra dalla loro rigidità, causata dal freddo che vi si era infiltrato nel corso dei giorni passati a lavorare. Gli aromi disciolti all'interno le abbracciarono la mente, cullandola in un confortevole bozzolo che allontanò, per qualche istante, l'angoscia incastrata nel suo cuore. Mentre la donna aveva preso a strofinarle energicamente i capelli con le dita rattrappite, chiuse gli occhi. L'aria intorno a lei profumava di fiori e di legno di acero, un aroma che sapeva bene essere fra i più pregiati in tutto l'Oriente. 

 

Era stanca. 

 

Stanca, però, non era una parola che poteva catturare completamente il sentimento di smarrimento, unito all'angoscia e l'impotenza che avevano preso le redini della sua coscienza. Perciò, sotto alle mani sapienti dell'anziana donna, lasciò scivolare via i suoi pensieri come gocce di rugiada che cadono dalle foglie. 

 

Anche solo per poco, aveva bisogno di essere libera. 

 

Aveva bisogno di avere la mente limpida. Chiara come l'alba.

 

Quando fu strappata dal conforto dell'acqua calda e delle mani gentili che le percorrevano il corpo, Diana fu aiutata a indossare una bizzarra combinazione di abiti. Le fu infilata una lunga gonna di seta rigida, che si gonfiava intorno al suo corpo come una campana. Poi, le venne chiusa sul petto una camiciola corta, che arrivava appena a coprirle la vita. Infine, i suoi lunghi capelli furono attentamente acconciati in una crocchia stretta, fermata da un'ornamento in oro incastonato di perle che voleva imitare un ramoscello di fiori di pesco. 

 

Fu condotta in una stanza diversa, dove era steso un basso materasso su un piano di legno rialzato dal terreno, e fu lasciata lì dalla donna. Diana non poté fare a meno di pensare a come quell'unico ambiente fosse grande quanto l'intera abitazione della famiglia di Chong-eun. Quel solo pensiero fu in grado di intorpidire nuovamente le acque della sua mente. Come una scura goccia di inchiostro che veniva lasciata cadere dentro un bicchiere d'acqua, quel singolo, semplice pensiero iniziò a macchiare di oscurità tutto ciò che la circondava. 

 

Chong-eun.

 

La persona che l'aveva curata con tanta gentilezza. 

 

E prima di lei Mei Lin, che l'aveva aiutata a scappare. 

 

E prima di quello... la libertà. 

 

L'oscurità fu brevemente interrotta nel suo cammino quando le fu portata la cena. Benché il suo fisico fosse in migliori condizioni rispetto a quando si trovava nel carro con le altre donne, il corpo di Diana non riuscì a mangiare tutto il cibo che le era stato portato. Le cinque portate erano troppo per lei che, da settimane ormai, mangiava porzioni scarne e condivise con altri affamati.

 

Nel momento in cui ebbe terminato la cena, la donna anziana le fece nuovamente segno di seguirla e, in poco tempo, la fece arrivare in quella che doveva essere la cucina. Ponendole davanti una teiera bassa e composta di ceramica scura, le indicò una serie di giare contenenti foglie essiccate. 

 

Se n'era dimenticata. Doveva preparare il tè per il giovane signore della casa. 

 

Si avvicinò alle giare e iniziò a prendere una manciata di foglie da ognuna, annusandone attentamente l'aroma. C'erano molte tipologie diverse, alcune mescolate anche a fiori essiccati. Scrutando ogni contenitore, meditò per qualche istante. 

 

Il tè era un'arte. La più sublime, secondo il maestro Jian. E pure la più difficile da affinare. 

 

Non era questione di infondere il tè nella maniera corretta. Bisognava creare un'opera che potesse compiacere completamente il palato dell'assaggiatore, anche senza conoscere quali fossero i suoi gusti. 

 

Non era una battaglia di strategie. Non si poteva insegnare. Era una sensazione sulla punta della coscienza che suggeriva solo ai migliori quale fosse l'aroma che parlasse della persona che lo avrebbe assaggiato. 

 

Diana contemplò le sue possibilità, prima di far cadere l'occhio su un vaso di terracotta, contenente del riso ingiallito. 

 

Ne prese qualche chicco e se lo mise in bocca, assaporandone il lieve retrogusto salato. Incurvando le labbra, ne afferrò una manciata e la lasciò cadere nella teiera. 

 

 

 

Nel momento in cui fece il suo ingresso con il vassoio carico di teiera e tazza, lo sguardo affilato del giovane la scrutò con insolita intensità. Diana tenne gli occhi bassi mentre si avvicinava cautamente al corpo seduto e poggiava il vassoio al pavimento, con lenti movimenti misurati in modo da non causare rumore. 

 

-Toglitelo. 

 

Il tono aspro tinto da una punta di ira fecero sollevare di scatto gli occhi della giovane. 

 

-Cosa? 

 

Le sue sopracciglia si incurvarono, aggrottandosi a causa della confusione che regnava nella sua mente. Cosa aveva fatto di sbagliato? 

 

-Togliti quell'ornamento che hai nei capelli. Non so perché ti sia stato dato, ma non puoi indossarlo- ringhiò con tono basso il giovane. 

 

Rapidamente, la ragazza estrasse il ramoscello dorato dalla crocchia sulla sua nuca e lo pose nelle mani del signore. Questo afferrò l'oggetto come un rapace che artiglia la preda, infilandolo freneticamente all'interno della sua veste e fuggendo dallo sguardo confuso della ragazza. 

 

Questa, esitante, afferrò il manico della teiera e, reggendo il coperchio con la punta delle dita, versò il contenuto nella tazza di ceramica chiara. Con le sopracciglia corrugate, il giovane prese l'oggetto e ne osservò il contenuto. 

 

-Ti è per caso cascato del riso nel mio tè? 

 

Diana abbassò gli occhi, con le labbra che tremavano. 

 

-No, mio signore. Vi prego di provarlo, ho pensato all'aroma che potesse meglio rappresentare la vostra persona. Si tratta di un tè nero che ho arricchito con del riso tostato. 

 

Lo scetticismo era evidente nel viso dell'uomo mentre continuava a rigirare il liquido nella tazza ma, dopo qualche istante, vi bagnò le labbra. 

 

La ragazza attese. Voleva mantenere lo sguardo pudicamente basso, ma non poté trattenersi. Alzò gli occhi per osservare ansiosamente l'espressione del giovane. Lo vide assaporare il tè attentamente, passandolo da una parte all'altra della bocca prima di ingoiare e prendere un'altra sorsata. 

 

Una volta che la tazza fu vuota, si portò una mano davanti alla bocca. Nonostante il gesto, Diana pensò di poter intravedere il principio di una smorfia soddisfatta agli angoli delle sue labbra.

 

-Molto bene. Potrò strappare una bella cifra a quel bonzo recluso.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Dunque, di solito aspetto l’ultimo capitolo per fare i ringraziamenti individuali, ma mi sento di iniziare già adesso perché il numero di persone che salvano la storia continua ad aumentare e io *.*

 

Perciò molto brevemente ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite 

 

Alohomorra_

CalamityClaire (che ringrazio anche per la recensione)

Cloeferry

Emi94

Jungkook004

 

E chi l’ha messa nelle preferite 

 

Aperonzina (sempre nel mio cuore)

JCMA

LadyTsuky

mairaderosa000

_purcit_

 

Grazie piccole personcine adorabili <3 

 

Ok, aggiungiamo anche le note su due aspetti citati in questo capitolo. 

 

La pipa è un liuto cinese, molto semplicemente. 

 

Per quanto riguarda la scena della vasca da bagno, perdonatemi ma sono andata ad istinto perché purtroppo non sono riuscita a trovare la struttura di una casa tradizionale coreana perciò ho pensato di ispirarmi al modello giapponese dell'ofuro. Se qualcuno di voi è più informato di me in materia, sentitevi liberi di dirmelo e mi correggerò subito. 

 

Infine... siete pronti? Al prossimo capitolo il tanto atteso ritorno del nostro caro male lead! Allacciate le cinture!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XII ***


Per tutta la durata del racconto, Yoongi non riuscì a staccare lo sguardo dall'espressione cangiante sul volto della giovane. Inizialmente, le sue labbra erano rimaste rigide e i suoi occhi fissi sul pavimento, ma con il proseguire degli eventi i suoi tratti sembrarono sciogliersi sempre di più, trasportati dall'ansia, l'angoscia e la disperazione dei ricordi. La sua bocca rosea tremava come un cerbiatto spaventato, le sue iridi spaventate divennero più lucide delle gemme al dito dell'imperatore celeste. 

 

Per tutta la durata del racconto, Yoongi dovette celare il suo interesse e la sua avida curiosità con una mano davanti alla bocca e uno sguardo impassibile. Nel momento in cui la creatura smise di parlare, però, la sua anima iniziò a raspare alla porta del suo cuore come un randagio in cerca di cibo.

 

Ancora. 

 

Voleva sentire ancora la sua voce. 

 

Voleva sentirla ancora parlare.

 

-Dunque, la figlia di un mercante che non sa cucinare, non sa rammendare, sa a malapena curare un campo e fare il bucato. E non sa parlare la nostra lingua. 

 

Non appena le parole uscirono dalla sua bocca, annoiate eppure appuntite come frecce, vide le sue palpebre spalancarsi come le porte dell'aldilà. Terrore. Era terrorizzata. 

 

-La tua storia è commovente ma non ricaverei alcun vantaggio dal tenerti qui. Non mi serve una persona che faccia di conto o che parli la lingua dell'impero, nè tanto meno mi serve qualcuno che mi intrattenga con della musica. 

 

Il giovane staccò gli occhi dalla figura con la testa china e le mani congiunte in un connubio tremante per portarli sull'uomo in piedi dietro di lei. 

 

-Pensavo mi conoscessi, Namjoon. Non riesco proprio a vedere come tu abbia potuto pensare che una merce del genere potesse interessarmi. 

 

L'interpellato raddrizzò lievemente le spalle, alzando il mento pur mantenendo gli occhi lontani dai suoi. 

 

"Tsk, ridicolo." 

 

-Sono sicuro, mio signore, che voi più di chiunque altro conosciate i... bizzarri gusti di sua altezza reale. 

 

Yoongi strinse gli occhi in due linee sottili, affilate come spade.

 

-Ho pensato che questa...- pronunciò indicando la creatura -... potesse essere la vostra occasione per compiacere il re e negoziare il vostro...

 

Le parole del giovane furono interrotte dallo stridore metallico di una lama che accarezzava il suo fodero, sibilando di piacere come un serpente. Yoongi non poté evitare che un ghigno gli sollevasse un angolo della bocca. Gli occhi alteri di Namjoon erano stati violentemente catturati dalla spada lucente puntata al suo petto. 

 

Anche se era fuori dal suo campo visivo, il signore poteva percepire il corpo teso e pronto all'azione di Jungkook appena dietro di lui. 

 

La mano del ragazzo era più lesta della sua lingua. 

 

Yoongi sapeva che gli sarebbe bastata una parola, anzi, uno sguardo affinché la sua guardia affondasse l'arma.

 

-Perdonami Namjoon. Il ragazzo è piuttosto sensibile a chi mi manca di rispetto. Suvvia Jungkook, non offendiamo il nostro ospite in questo modo. 

 

Il tono del signore si era alzato pericolosamente come in una filastrocca canzonatoria, accompagnata da un oscuro sorriso. 

 

La sua guardia non si mosse. 

 

-D'altra parte, Namjoon non voleva sottintendere che io abbia bisogno del suo aiuto per implorare pietà al re... non è vero? 

 

La voce dell'oratore tornò ad un registro più basso, oscillando pericolosamente negli abissi della sua gola come il ruggito di una tigre. 

 

Namjoon abbassò gli occhi ma Yoongi poté notare la tensione nelle sue spalle farsi più reale, manifestandosi nella vena gonfia al lato del suo collo. 

 

-Vi chiedo scusa, mio signore- mormorò. 

 

Il giovane si aprì in un lungo, soddisfatto sorriso e, con un impercettibile gesto del capo, lasciò che Jungkook ritraesse la sua arma. 

 

-Dal momento che voi non siete interessato all'affare, allora, vorrà dire che ascolterò il suggerimento del mio assistente e offrirò la merce al re in persona. Sono convinto che apprezzerà. 

 

Yoongi strinse violentemente la mandibola. Sulle ultime parole, Namjoon aveva impudentemente sollevato lo sguardo, puntandolo contro di lui. Con le sopracciglia sollevate, lo osservava con la vittoria incastrata nel viso. 

 

"Brutta serpe, infido bastardo, figlio di una cagna maledetta..." 

 

Il signore fece un errore. Un errore che gli costò tutto. Abbassò gli occhi sulla creatura seduta, ancora intenta a nascondere il tremore delle mani. 

 

Sangue. 

 

Troppo sangue. 

 

Vendetta. 

 

Dolore. 

 

Non poteva. Non poteva farle questo.

 

-Accetto. 

 

La parola uscì dalle sue labbra così velocemente che parve quasi un sussurro del vento. Lo sporco manipolatore piegò piamente il capo, probabilmente per mascherare quella stupida espressione soddisfatta che aveva dipinta in volto. 

 

-Molto bene, mio signore. 

 

 

 

Diana fece un errore. Colta dalla curiosità, dopo essersi inchinata davanti al misterioso signore a cui era destinata, aveva sollevato lo sguardo per un istante. Un singolo, fatale istante. 

 

La notte precedente si era domandata che aspetto avrebbe avuto la persona che l'avrebbe acquistata. La persona che avrebbe tenuto in mano la sua vita come un pezzo di carta, che l'avrebbe posseduta come una bestia da soma. Si aspettava un nobile, qualcuno probabilmente vicino in qualche modo alla famiglia reale. 

 

Non si aspettava lui. 

 

Plutone. 

 

Non poteva che essere lui. Quell'uomo era circondato dalla morte in una maniera che Diana non poteva nemmeno concepire. Lo rivestiva interamente, aderendo al suo corpo come la veste che gli abbracciava il petto. Si rispecchiava nei suoi occhi freddi e irremovibili, stantii come l'abisso del Tartaro. Si rifletteva nella sua pelle talmente pallida da poter essere stata toccata solo dalla luce dei campi elisi. Ma, soprattutto, gli segnava il volto con crudeltà, attraversando l'occhio destro con una lunga cicatrice che partiva dalla fronte vino a raggiungere la pallida guancia.

 

Non vi era altra spiegazione. Plutone sedeva di fronte a lei, pronto a giudicare la sua anima e a spedirla nel freddo abbraccio degli Inferi. 

 

La dea della caccia e il dio della tomba. Quale infausto connubio poteva generare il loro incontro.

 

Diana lo sentì minacciare il giovane signore che l'aveva portata lì. Vide la sua guardia puntargli la spada contro. Anche se non capiva le parole che si stavano scambiando, percepiva che la transazione non stava andando a buon fine. Strinse le mani, percorse da un tremolio che non riusciva a fermare neanche con la morsa più violenta. 

 

Non sapeva se pregare che la situazione si risolvesse e che l'oscuro dio cambiasse idea o se sperare il contrario. Dopo aver incrociato i suoi occhi, non sapeva più dove sarebbe stata al sicuro. 

 

-Tu. 

 

La giovane sollevò appena la testa, mantenendo lo sguardo terrorizzato ben lontano dalla figura di fronte a lei. 

 

-D'ora in poi lavorerai in questa casa come serva. Hoseok ti accompagnerà in cucina dalla bisbetica pettegola. Mastica un po' la lingua dell'impero, perciò potrà mostrarti le mansioni da svolgere. In questa casa siamo un po' a corto di personale perciò tutti fanno tutto, senza se e senza ma. Lo stesso varrà per te. Sono stato chiaro? 

 

Diana non esitò a scuotere il capo per mostrare che aveva compreso. 

 

-Molto bene. Adesso vai- concluse con un'annoiata indifferenza nella voce. 

 

La ragazza osservò il giovane che le aveva portato gli strumenti di scrittura farsi avanti e mostrarle un sorriso appena accennato. Era un'espressione abbozzata, cortese ma cauta, eppure conservava così tanta gentilezza che si ritrovò a non stringere più le mani tremanti e a seguire la figura senza esitazione. Il giovane che la guidava non disse una parola per tutta la durata del tragitto e, quando le indicò l'ingresso di quella che doveva essere la cucina, la salutò con un lieve cenno del capo e una calda luce negli occhi. 

 

Una volta entrata nella stanza, Diana rimase per qualche istante perplessa davanti alla figura di un uomo  intento a tagliare delle verdure, che emise un verso lamentoso simile al ragliare di un asino non appena Hoseok gli ebbe spiegato brevemente la situazione. 

 

L'uomo la guardò spalancando gli occhi e contorcendo la bocca in un buffo ovale, prima di brontolare un sonoro "Aish!" e raschiare la gola in un intercalare che, Diana aveva imparato, doveva essere tipico della gente del posto. 

 

"Lui dovrebbe essere la bisbetica pettegola?" 

 

-Tu come chiami? 

 

Come il giovane signore aveva detto, l'uomo parlava la lingua dell'impero in modo elementare, divorandone i suoni in una maniera del tutto estranea all'originale. 

 

-Diana. 

 

L'uomo ascoltò la sua risposta prima di iniziare a scuotere pomposamente il capo. 

 

-Aish! Bene, Diana, benvenuta in casa mia. Tu penso già incontrato altri. Beh, noi siamo. Noi pochi perciò tu abituare lavoro. No come spilorcio che tutto giorno dormire e basta! 

 

La giovane, per qualche motivo, si ritrovò a trattenere uno sbuffo divertito. Quell'uomo aveva un modo bizzarro di parlare, annunciando ogni frase in modo plateale e accompagnandola con una generosa espressione del viso. 

 

-Grazie, è un piacere fare la vostra conoscenza. Qual è il vostro nome? 

 

L'uomo, a quel punto, fece per lisciare le pieghe del suo umile abito e si incorniciò la mandibola con la mano, come a mettere in risalto il suo viso. 

 

-Io Seukjin, cuoco. Tu già incontrato Hoseok, persona fastidiosa ma lavora tanto. Penso tu già incontrato Jungkook, ragazzino poche parole, tutto giorno con spada. Io dovuto crescere lui, tu sai? Lui viziato come mucca ma io cresciuto lui! Ah, poi c'è spilorcio. 

 

Diana si lasciò sfuggire un ampio sorriso sulle labbra. 

 

-Chi sarebbe lo spilorcio?- chiese con una punta di ilarità nella voce. 

 

-Ah, spilorcio è signore casa. Lui grande spilorcio, no volere soldi tasse, no spendere soldi cibo. Guarda! Io tutti giorni verdure! Solo verdure! Io voglio carne! Jungkook no forza senza carne! Come fare tutti giorni verdure? Tu capire? 

 

Ad ogni frase, Seukjin agitava sempre di più la testa come se potesse dare ancora più enfasi alla gravità delle sue affermazioni e Diana si ritrovò a doversi trattenere dallo scoppiare a ridere. 

 

-Io grande cuoco di corte! Io nato in cucina, con ciotola di riso in mano! Io cucinare prima che camminare! E non posso avere carne? No pesce? No! Jin solo verdure! 

 

Diana non ce la fece più. Una breve risata le sfuggì dalle labbra, riempiendo il silenzio momentaneo che aveva seguito lo sfogo dell'uomo. 

 

-Tu eri il cuoco alla corte del re? Come mai sei qui? Come fai a conoscere la lingua dell'impero? 

 

Seukjin sembrò improvvisamente placarsi. La punta delle sue orecchie aveva buffamente iniziato a tingersi di porpora man mano che lasciava scorrere il suo fiume di parole, ma sembrava che il colore le stesse abbandonando e che il suo viso si stesse rasserenando. 

 

-Tu no sapere? Spilorcio è dinastia Min, principe Yoongi. Fratello di re pazzo. 

 

Diana corrugò le sopracciglia e osservò attentamente il cuoco tornare a tagliare le verdure. 

 

"Principe?"

 

-È un principe? Perché è qui, in una semplice abitazione, con solo tre persone al suo servizio? 

 

Il coltello nelle mani di Jin, per un istante, si fermò e la ragazza poté notare come le dita che lo stringevano si fecero più morbose. 

 

-Principe stato esiliato. Principe andato contro a ordine di re e stato esiliato. Fortunato che re non tagliato testa. 

 

Le ultime parole furono pronunciate con un'amarezza tanto evidente da lasciare il suo spiacevole retrogusto anche sulla lingua di Diana. Dopo qualche istante di pesante, spettrale silenzio, un silenzio gravido di quelle parole così infauste, Jin sembrò scuotersi di dosso l'oscurità che lui stesso aveva invocato. 

 

-Io imparato lingua impero perché tuuuuuutto giorno sentire nobili parlare lingua. Tuuuutto giorno consiglieri parlare lingua, concubine parlare lingua, principi parlare lingua. Passato re adorare lingua impero. 

 

Con un lieve sorriso, la giovane cercò di seguire la leggerezza con cui l'uomo aveva nuovamente rivestito la sua voce. 

 

-Devi essere davvero bravo per aver imparato solo ascoltando gli altri. 

 

Seukjin piegò il capo di lato con un sorriso timido sulle labbra e una risatina imbarazzata fra i denti. 

 

-Aish, tu ragione. Io molto intelligente. Io più intelligente di Hoseok, ma lui braccio destro di principe. Io anche più forte di Jungkook, ma modesto perciò lasciato ragazzo facesse guardia. Io anche più bello di spilorcio. 

 

E mentre pronunciava ogni frase, Diana notava come gradualmente il rossore sulla punta delle orecchie tornava sempre più a farsi evidente, rendendo manifesto quanto l'uomo stesse mentendo. Con un sorriso divertito sulle labbra, lasciò che le mostrasse come tagliare le verdure che poi avrebbero composto la cena mentre continuava ad ascoltarlo cicalecciare sui vari aneddoti della sua grande esperienza di vita. 

 

 

 

Pace. 

 

Benedetta pace. 

 

Il gradevole vuoto lasciato dalla mancanza delle sgradite presenze che avevano interrotto il suo sacrosanto momento di riposo era un'agognata vittoria che stava assaporando fino all'ultima goccia. Finalmente quella serpe schifosa se n'era andata dalla sua casa. Lui e i suoi stupidi giochi mentali, lui e le sue stupide strategie. 

 

Lo aveva sconfitto. 

 

Lo aveva costretto a fare esattamente ciò che voleva. 

 

Sapeva che quel briciolo di coscienza che gli era rimasta gli  avrebbe impedito di lasciare che la ragazza venisse scaraventata nelle grinfie del pazzo. 

 

Sapeva che il suo odio per suo fratello avrebbe sovrastato qualsiasi pensiero di autoconservazione, di rigetto, di asocialità che poteva nutrire. 

 

-Mio signore...

 

Un lungo sbuffo fuoriuscì dalle sue labbra. 

 

La pace durava sempre troppo poco. 

 

-Hoseok, ho bisogno di riposare la mente data la brusca interruzione, perciò ti consiglio caldamente di non disturbarmi se non vuoi riceverne le conseguenze. 

 

Il suo assistente, come suo solito, non sembrò percepire le sue parole come un'effettiva minaccia. 

 

-Sono arrivate due lettere per voi. 

 

Yoongi trattenne il respiro, sollevando finalmente gli occhi sullo sguardo corrucciato del giovane e sugli involucri di seta che stringeva in mano. 

 

-Una è del vostro maestro. E una... è di Taehyung.

 

Il principe contorse la bocca in una smorfia. 

 

-Hoseok... portami da bere.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Yooooooooo ci siamo arrivati finalmente! Vi ho fatto aspettare un po’ ma penso che la pazienza sia stata ben ripagata. Non vedevo l’ora di pubblicare questo capitolo, è decisamente uno di quelli che mi è piaciuto di più scrivere. In origine, non pensavo neanche di far parlare Jin, ma poi ho pensato che sarebbe stato difficile se nessun altro oltre a Yoongi parlasse il cinese perciò ho pensato di dare a Jin un modo di esprimersi e devo dire di essere soddisfatta della decisione. 

 

A parte questo, nel prossimo capitolo avremo i Bangtan al completo, dato che inizieremo a conoscere anche Tae! E detto ciò, vi piace la nuova copertina??? Ho dovuto aspettare a metterla perché scadessero le valutazioni di alcuni concorsi a cui ero iscritta perciò era già pronta da un po’. Spero davvero che vi piaccia e che rispecchi meglio la storia! 

 

Grazie ancora per tutti i lettori che si stanno unendo alla gang, sia su wattpad che su EFP! Love you

 

(PS: preparatevi perché i prossimi due capitoli saranno tosti)

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIII ***


L'involucro azzurro era leggermente più pesante del suo simile, abbandonato sul piccolo tavolino sulle sue ginocchia. La stoffa aveva una trama più raffinata ed era stata avvolta attorno al suo contenuto con una cura e un'attenzione al dettaglio che non facevano altro che urlare il nome del loro possessore. 

 

Yoongi emise un sospiro. Il ragazzo era dannatamente ostinato. Stupidamente ostinato. Dopo essere rimasto per due anni senza risposta avrebbe dovuto cedere. Dopo aver continuato a mandare lettere su lettere, ognuna caduta nel vuoto,  lasciata a marcire in uno scomparto ammuffito, una persona qualunque avrebbe abbandonato ogni speranza. Avrebbe imprecato contro il destinatario, inveendo contro la sua indifferenza. Avrebbe potuto anche mandare un'ultimo, perentorio messaggio scritto con un'inchiostro di rabbia e rancore. O di semplice delusione. Di demoralizzazione. 

 

Non Kim Taehyung. 

 

Lui non era una persona qualunque. 

 

Quel maledetto moccioso non mollava l'osso neanche se gli si rifilava un calcio nelle costole. Tornava ai piedi del padrone scodinzolando allegramente, con gli occhi eccitati e il corpo pronto a ricevere altri colpi. 

 

Una persona del genere non aveva posto nella corte reale. 

 

Ciao hyung

 

Yoongi deglutì, riponendo il dipinto che il ragazzo aveva allegato. Invece che passare il tempo a studiare spendeva le giornate ad osservare i fiori e a dipingere. Ogni sua lettera era accompagnata da tracce di inchiostro che delineavano la forma di uno stelo di bambù dalla linea elegante o delle raffinate punte di una foglia di acero. 

 

Per farlo sentire vicino al palazzo, aveva detto. 

 

Per fargli sentire la sua presenza al suo fianco. 

 

Scuotendo la testa, riportò gli occhi sulle colonne di segni disordinati. Di questo passo non avrebbe mai passato l'esame per diventare funzionario di corte. Certo, questo a meno che sua madre non avesse già parlato con la commissione. 

 

Come stai? Qui nella capitale l'inverno sembra essere arrivato all'improvviso. Fino all'altro giorno, passeggiavo per le strade con la veste leggera, beandomi dei raggi del sole che ancora riscaldavano l'aria. Adesso, invece, non posso esporre il naso fuori dalla porta senza tremare. 

 

Com'è la stagione lì? Gli alberi hanno già perso le foglie? Immagino di sì. Vorrei mostrarti i fiori che ho fatto crescere nel cortile, ma non posso staccarli, sono troppo rari. Non sono riuscito neanche a dipingerli. Sono troppo belli. 

 

Mi ricordano di te. 

 

Yoongi strinse gli occhi. Stupido moccioso. Aveva diciotto anni, ormai, e ancora parlava come un bambino. Guardava il mondo come un infante che non conosceva lo sporco, la feccia, il putridume. 

 

Mi ricordano di te perché sono fra i pochi fiori che sopravvivono all'inverno. Sono semplici, senza pretese. Sono bianchi come la tua pelle e hanno pistilli scuri come i tuoi capelli. E sono determinati. Anche se la neve li sommerge non piegano la testa, rimangono ritti, fieri sul loro stelo. Non lasciano che nulla e nessuno li faccia soccombere. 

 

Il signore sollevò gli occhi al soffitto. 

 

"Non hai idea di quello che dici, moccioso." 

 

"Non mi conosci. Affatto." 

 

Non era forte. Non era determinato. E non era indomito. Taehyung lo vedeva ancora con gli stessi occhi con cui lo guardava da bambino, quando lo ammirava con la bocca spalancata mentre gli mostrava come tenere la spada in mano. Quando Yoongi era un piccolo pezzo di sterco pieno di sé. Egocentrico. Incurante delle malelingue che lo circondavano. Anzi, sguazzandoci dentro come un maiale nel fango. 

 

-Stai lontano da mio figlio! 

 

Strinse la mandibola. La verità era che lui era solo un vigliacco. 

 

-Non lascerò che rovini le sue possibilità di successo per stare vicino a... te! 

 

Il disgusto. Verso sé stesso e verso le persone che lo circondavano, mosche che ronzavano intorno agli escrementi e si cibavano di zozzuria. E poi volavano via, poggiandosi sui fiori, contaminandoli con il marciume che usciva dalla loro bocca. 

 

-Hai già distrutto questa famiglia abbastanza! 

 

Ma certo. L'aveva distrutta lui, quella famiglia. 

 

Su una cosa, però, la madre di Taehyung aveva ragione. Non doveva rovinare anche lui. Non poteva trascinarlo con sé, in mezzo allo sporco. Taehyung non conosceva l'oscurità del mondo. Vedeva solo la luce, i colori, la bellezza. Per lui non esistevano ombre. E Yoongi non poteva lasciare che le proprie, immense, dense e oscure, spegnessero il suo angolo luminoso.

 

-La tua sola nascita è una disgrazia! 

 

Hyung, vorrei scappare e venire da te. Quando guardo i fiori e quando sento mormorare le concubine di te vorrei raggiungerti e rimanere con te, come quando ero piccolo. Mia madre non vuole. So che probabilmente neanche tu vorresti. Non voglio che mi sgridi, perciò resto e guardo i fiori per sentire meno la tua mancanza. 

 

Come se si potesse sentire la mancanza di uno come lui. Ridicolo. 

 

So che leggi le mie lettere. Anche se non mi rispondi, a me va bene così. So che stai cercando di proteggermi.

 

Vorrei conoscere il tuo stato di salute, ma mi accontento di sapere che leggi le mie parole. Finché non giungeranno brutte notizie, saprò che stai bene e questo mi basta. 

 

Yoongi avrebbe voluto accartocciare la lettera e gettarla nel fuoco. Avrebbe voluto alzarsi e lanciare quello stupido pezzo di carta fuori dalla porta, lontano dai suoi occhi. Invece lo ripiegò lentamente, accuratamente. Dopo avervi appoggiato sopra il dipinto, lo infilò dentro al suo involucro di seta con gesti cauti, per evitare che si piegasse anche un solo angolo. 

 

I suoi occhi caddero, infine, sul bozzolo rosso che voleva rifiutarsi di aprire. Prese il piccolo bicchiere fra le mani e ingoiò in un sorso il liquore in esso contenuto. Anche dopo mezza bottiglia di soju, non era ancora pronto. 

 

Un vigliacco, appunto. 

 

Immaginava già cosa volesse da lui, quella lettera. Quello che lui, codardamente, si rifiutava di accettare. 

 

Mio signore, 

 

spero che questa mia possa trovarvi in salute. Ogni giorno penso a voi e a come stiate passando questi momenti difficili. 

 

Il giovane sbuffò, ingollando un altro sorso. Troppi formalismi, stupidi formalismi. Pompose formule. Inutili perdite di tempo. 

 

Mio signore, arriverò dritto al cuore della faccenda. Sapete che non vi scriverei se non fosse una questione della massima urgenza. Purtroppo, difatti, abbiamo notizie del fatto che il covo di vipere sia ancora in fermento. Non sono sazie. Vogliono divorare ancora e ripetere gli infausti fatti di cinque anni fa. 

 

Yoongi sorrise. Spalancò le labbra e lasciò che una risata graffiante gli facesse sanguinare la gola. 

 

Ovviamente. Ovviamente quell'avida bestia non era soddisfatta! Voleva di più. Voleva distruggere ancora più vite. 

 

Ebbene, era in esilio, ormai. Confinato in una regione arida e fredda, dove non si poteva crescere neppure il riso a causa della gravità della siccità. Cos'altro potevano fargli? Lui era fuori dal gioco, esattamente come volevano loro. 

 

La vipera attorcigliata al collo del re sta congiurando qualcosa. Intende colpirci, usando voi. Si dice che intenda rivelare a sua maestà le circostanze dietro alla vostra nascita e alla morte della regina Yun. 

 

Strinse la carta fra le mani, strofinando il materiale sotto le dita. E inghiottì un altro bicchiere. 

 

Glielo dicessero. Che gli dicessero pure, a quel pazzo maledetto, chi era lui! Gli dicessero tutta la verità! 

 

Mio signore, immagino che siate consapevole di ciò che questo implica, per voi come per tutti noi. So che non desiderate più di quello che avete, ma vi prego di considerare il fatto che potremmo ritrovarci senza alternative. Una volta che il re verrà a conoscenza del motivo per cui la regina Yun, la vostra nobile madre, è morta, non esiterà ad uccidere voi e tutti quelli che si trovano sotto al vostro tetto. 

 

A partire da quel ragazzo che vi ostinate così dannatamente a tenere con voi. 

 

Non appena la vipera verrà a sapere di chi è figlio, sarà il primo a cui faranno saltare la testa. 

 

La risata tornò nella sua gola più violenta, più rauca. Questa volta, carica di puro e semplice giubilio.

 

Ci provassero! 

 

Ci dovevano solo provare, ad avvicinarsi a Jungkook! 

 

Non avrebbero potuto fare un solo passo senza ritrovarsi le dita mozzate una ad una. Non avrebbero potuto emettere un solo respiro prima di dare l'ultimo addio alla vita. 

 

Che mandassero i loro uomini! 

 

Che mandassero dieci, venti, trenta uomini! 

 

La spada di Jungkook, unita alla sua rabbia, sarebbe diventata solo più famelica ad ogni volto che si sarebbe mostrato davanti ad essa, ad ogni vita tolta. 

 

E dopo ciò, Yoongi avrebbe rimandato indietro a suo fratello le teste mozzate, avvolte in strati di seta come preziosi regali. 

 

Oh, quanto avrebbe voluto vedere l'odio negli occhi del pazzo! 

 

Per il benessere vostro e delle persone che vi stanno affianco, vi prego, vi scongiuro di considerare l'idea di prendere il trono. Questa nazione non può sopportare ancora a lungo i liceziosi vizi di un sovrano incurante. 

 

Non può sopportare una perdita grave come quella di cinque anni fa, che vi ha portato all'esilio.

 

Vi prego di meditare sulle mie parole, mio signore. 

 

Potreste salvare tutti noi. 

 

Yoongi accartocciò il pezzo di carta. Prese il bicchiere, stringendolo avidamente nel pugno, e lo avvicinò alla bocca, versandone il contenuto direttamente nella  gola. Schiantò la mano sul tavolino, lasciando che la ceramica emettesse un tonfo assordante nel silenzio della stanza. 

 

Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi. 

 

Sangue.

 

Così tanto sangue era stato versato quel giorno. 

 

Ricordava ancora come le sue ossa avevano iniziato a tremare non appena suo fratello aveva emesso l'ordine. 

 

Uccidere. 

 

Uccidere tutti i nemici. Le loro mogli. Le loro figlie e soprattutto i loro figli. I loro servitori. Le loro bestie. 

 

Distruggere tutto. 

 

Suo fratello aveva dato l'ordine e sulla bocca aveva un sorriso divertito. Un luccichio eccitato dietro allo sguardo. 

 

Per cosa, poi? 

 

Perché quella carogna infida di Im Sahong aveva bisogno di avere la strada libera.

 

Yoongi deglutì, lasciando che lo soju gli incendiasse la gola come il fuoco che aveva divorato le case di centinaia di famiglie, quel giorno. 

 

Prese la bottiglia. 

 

Era vuota. 

 

Afferrò il bicchiere. Vuoto. 

 

Con uno schianto timido e un tintinnio irritato la ceramica si frantumò contro la parere di fronte a lui. 

 

Sangue. Urla. Bambini che venivano uccisi dalla spada di soldati che eseguivano un ordine. L'ordine del re. 

 

Lo scalpiccio di passi concitati si avvicinò alla sua stanza. Yoongi scoppiò nuovamente a ridere. 

 

No, questa volta no. Non avrebbe guardato suo fratello pronunciare l'ordine. Non avrebbe ascoltato le urla. 

 

No, sarebbe rimasto lì, nella sua casa, a lucidare la spada in attesa della sua morte. 

 

Con un sorriso sulle labbra. 

 

Lo avrebbe aspettato a braccia aperte. 

 

-Mio signore...

 

Hoseok lo guardava con gli occhi spalancati. Doveva averlo sentito ridere. Doveva avere capito quanto fosse grave la situazione. 

 

Yoongi appoggiò pigramente lo sguardo offuscato su di lui. 

 

Il liquore era finito. 

 

Aveva bisogno di qualcos'altro che gli spegnesse la mente. 

 

Che cancellasse i ricordi. 

 

-Porta qui la ragazza. 

 

Gli occhi del suo assistente si riempirono di un terrore che non aveva mai mostrato di fronte a lui. 

 

-Mio signore...

 

-Ho detto: porta qui la ragazza. 

 

Allungò mollemente il braccio, portando alla sua attenzione il gomitolo di carta stropicciata. 

 

-E brucia questa. 

 

Hoseok non si mosse. Abbassò lo sguardo sulla mano esposta verso di lui e poi sul giovane principe. 

 

-Mio signore... penso che abbiate bisogno di...

 

-Non temere. 

 

Yoongi sollevò un angolo della bocca, con un ghigno teso sulle labbra. Pieno di ilarità. 

 

-Se mai dovessero occorrere spiacevoli incidenti, farò ciò che mio padre non ha avuto il fegato di fare- sputò, voltandosi con un largo sorriso sul volto. 

 

Avrebbe aperto la donna a metà e le avrebbe strappato la vita prima che il bastardo potesse anche solo pensare di nascere.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Taehyung è qui, signori. Cioè, non proprio... dovremo aspettare un po’ per vederlo di persona but still... avete avuto un assaggio del tipo di personaggio che è. Quale relazione avrà con Yoongi? Sono aperte le scommesse. 

 

E ora, un po’ di spiegazioni. 

Hyung è un onorifico usato nel linguaggio informale per chiamare o riferirsi a maschi più grandi con cui si ha un certo livello di vicinanza o intimità (usato solo da maschi nei confronti di maschi). 

 

L’esame per funzionari di corte si riferisce a una sorta di vero e proprio esame di stato che veniva fatto periodicamente per scegliere sia i soldati reali che i funzionari che avrebbero servito il re. Al tempo cercavano di privilegiare la meritocrazia per quanto riguarda le cariche politiche, anche se molte fra le più importanti erano comunque passate in eredità dalle famiglie nobiliari ai propri eredi. Questo aspetto è legato anche alla faccenda di cinque anni prima accennata nel capitolo, che verrà spiegata gradualmente più avanti. 

 

Similmente, anche quel nome strano che avete visto, Im Sahong, verrà spiegato in futuro (eh, non potevo rivelare tutto subito). 

 

Infine, voglio dire di essere consapevole delle numerose ripetizioni presenti in questi ultimi capitoli ma non temete, sono scelte volontarie. Se le trovate un po’ rindondanti fatemelo sapere che vedrò di aggiustare il testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XIV ***


La voce di Seukjin era talmente squillante da riempire completamente la cucina e colmare il silenzio delle altre due figure presenti. L'uomo chiacchierava incessantemente, lasciando che dalla sua bocca fuoriuscisse un flusso continuo e disarmante di parole, ognuna accompagnata da una generosa dose di enfasi e da espressioni del viso atte a sottolineare il suo punto di vista. 

 

Da quando Jungkook aveva messo piede nella cucina, invece, non aveva pronunciato parola. Aveva preso la ciotola colma di riso fumante e verdure stufate e aveva iniziato a ingoiare il cibo con gli occhi bassi, concentrati sull'obbiettivo. Sembrava essere abituato al discorrere incessante del cuoco che, per contro, appariva irritato dall'indifferenza del più giovane. 

 

A un certo punto arrivò perfino a schiaffeggiare il collo del ragazzo dopo aver ostinatamente continuato a rivolgergli la stessa domanda per tre volte, senza ricevere risposta. A seguito di quel gesto, la guardia aveva finalmente sollevato gli occhi dal cibo e si era girata verso il maggiore con un mugolio irritato. 

 

Mentre i due prendevano a battibeccare animatamente nella loro lingua, Diana ingoiava un risolino divertito insieme ad agglomerati di verdure. Anche se il ragazzo non l'aveva ancora guardata da che si erano incontrati per la prima volta, non sentiva alcuna forma di ostilità provenire da lui nei suoi confronti. Sembrava essere semplicemente un giovane riservato, che non amava avere a che fare con le persone. 

 

Questa tesi fu ulteriormente avvalorata dal modo con cui interagiva con Seukjin. Pareva che il carattere estroverso e un po' rumoroso dell'uomo riuscisse a stimolare in un qualche modo la timidezza del ragazzo, tirandolo fuori dal suo bozzolo di silenzio. Il cuoco aveva detto di averlo cresciuto e, in effetti, sembrava proprio che nel corso degli anni si fosse ritagliato un posto nel cuore del giovane con pazienza e tanto lavoro. Scavando a fondo oltre la coltre di riservatezza e raggiungendo un livello di intimità che gli permetteva di aprirsi più di quanto normalmente avrebbe fatto. 

 

Osservando ciò, Diana sentì un senso di rassicurazione rasserenare la sua mente, almeno per poco. 

 

Poteva esserci posto per lei in una casa come quella? 

 

Quelle persone avrebbero dimostrato lo stesso livello di cura e di attenzione nei suoi confronti? 

 

Mentre meditava su quelle domande che le ronzavano incessantemente in testa, volando in circolo senza lasciare che i dubbi la abbandonassero, una quarta figura fece il suo ingresso nella stanza. 

 

Diana aggrottò le sopracciglia. L'espressione sul viso di Hoseok era assai diversa da quella che le aveva mostrato poco tempo prima, quando l'aveva accompagnata lì. Sembrava... terrorizzata. 

 

Dopo aver percorso con gli occhi l'ambiente e inglobato la scena davanti a sé, il giovane si decise a posare lo sguardo su di lei con una misteriosa dose di apprensione, malcelata nella piega inquieta delle labbra. E pronunciò una frase.

 

Seukjin lo fissò per un lungo istante, convertendo velocemente il sorriso spensierato in un cipiglio confuso. 

 

-Mwoya?- chiese infine abbassando la voce ad un tono più calmo, quasi sospettoso. 

 

Hoseok emise un breve sospiro, allontanando gli occhi dalle persone sedute a terra, intente a consumare la cena. Poi, li riportò sul cuoco con un'oscurità ancora più funesta e replicò con un'altra breve serie di parole, pronunciate a denti stretti. 

 

L'interlocutore fissò il giovane con le labbra dischiuse, prima di inghiottire una smorfia amara e cercare di rilassare i lineamenti del viso. 

 

-Principe vuole vederti. Segui Hoseok. 

 

Diana, dopo un attimo di esitazione, annuì. Sollevandosi da terra, si avvicinò al giovane che evitò cautamente il suo sguardo curioso e le rivolse prontamente la schiena. Percorrendo lo stretto corridoio in legno, Diana poté nuovamente constatare come l'abitazione fosse più piccola rispetto a quella del suo venditore. Le porte che si susseguirono sotto al suo sguardo furono di numero molto inferiore, tanto che per giungere nella stanza del principe non dovettero fare più di dieci passi. 

 

Hoseok scostò la porta scorrevole e chinò il capo, indicandole brevemente di entrare. Quando si raddrizzò, però, Diana vide nei suoi occhi una strana luce ansiosa, quasi preoccupata. La giovane, con un ultimo, esitante cenno del capo, lo salutò cautamente e fece il suo ingresso. 

 

A catturare avidamente il suo sguardo non appena mise piede nella stanza fu la figura seduta e accartocciata in avanti, con i gomiti appoggiati su un basso tavolino che sormontava le sue gambe. Il principe indossava la stessa semplice veste che portava durante il loro primo incontro, una lunga casacca incrociata sul petto dalla forma assai simile all'hanfu di un nobile di basso rango. 

 

La stoffa non era trasandata ma era troppo semplice per appartenere ad un membro della famiglia reale. L'unico vago segno del suo stato appariva essere l'ornamento d'oro sulla cima della sua testa, che reggeva una piccola crocchia di capelli scuri. Le lunghe ciocche che non erano state catturate dall'ornamento scendevano mollemente fino raggiungere la parte bassa della sua schiena, tanto lisce da riflettere la luce delle candele come il mare al tramonto. 

 

-Entra. 

 

La sua voce era più rauca di quando avevano parlato in precedenza. Sembrava essere stata affilata da un fabbro maldestro, che aveva lasciato frastagliature lungo il prezioso filo. 

 

Diana obbedì, portandosi davanti a lui e inginocchiandosi nell''inchino che le era stato insegnato. L'uomo, però, non sollevò il capo, lasciandolo intrappolato fra le mani e cadente in avanti. La giovane, allora, pur mantenendo la testa umilmente bassa approfittò del silenzio del padrone per scrutare il suo circondario. 

 

Se il vestiario non sembrava riflettere la posizione del signore, l'ambiente circostante pareva non essere da meno. La stanza era più piccola del luogo in cui era stata ricevuta e il suo arredamento si limitava a due mobiletti a cassetti in legno e ad una serie di rotoli appesi alle pareti, recanti componimenti calligrafici o dipinti di fiori. 

 

-Spogliati. 

 

Il respiro morì nella gola di Diana prima di poter raggiungere il suo petto. 

 

-Come? 

 

Doveva aspettarselo. Che stolta. 

 

-Sembra che sia calato l'udito di tutti gli abitanti di questa casa. Spogliati, ho detto.

 

La giovane strinse la stoffa della gonna tra le dita, aggrappandosi ad essa come ad una scialuppa di salvataggio. Le labbra tremanti dovevano farla sembrare ancora più patetica di quanto già non appariva, perciò le morse violentemente, conficcando i denti nella carne finché non sentì il sapore ferroso del sangue stuzzicarle la lingua.

 

Doveva aspettarselo. 

 

Sapeva che una cosa del genere sarebbe accaduta eppure...

 

... eppure come una stupida aveva pensato che non potesse succedere a lei. 

 

Che Mei Lin l'avesse salvata perché a lei fosse risparmiato questo destino. 

 

Quanta presunzione. Pensare che lei non avrebbe subito lo stesso trattamento. Per quale ragione?

 

Era una schiava. Un possedimento di cui il padrone poteva disporre a proprio piacimento, quando voleva e nel modo che voleva. 

 

-Non mi hai sentito? 

 

Il giovane signore, infine, sollevò il capo. I suoi occhi scuri, dal taglio stretto ed enigmatico, erano offuscati da una coltre di fitta nebbia. Era visibilmente ubriaco. 

 

Troppo tardi Diana si accorse che ormai il suo intero corpo era pervaso dai brividi. Troppo tardi si accorse di essere come un cerbiatto terrorizzato davanti ad un orso di montagna con la zampa pronta a perforarle un fianco. 

 

-Sopravvivi. 

 

Lo voleva. Voleva sopravvivere. 

 

-A qualsiasi costo. 

 

Anche a quel costo? 

 

La giovane non riuscì a schiudere la bocca per emettere una risposta. Temeva che, nel momento in cui l'avesse lasciata sfuggire alla sua morsa, i denti avrebbero preso a battere rumorosi come zoccoli di cavallo. 

 

Il principe piegò il capo, mantenendo lo sguardo annebbiato sul suo viso. Poi, con lenti e pigri movimenti, si voltò. Il sibilo basso di una lama fece scattare gli occhi della giovane sul luccichio gelido della spada puntata contro di lei. Spada che aveva maldestramente mancato di notare quando aveva osservato l'ambiente. 

 

-Devo riformulare la richiesta? 

 

Diana voleva piangere. Voleva raggomitolarsi lì, sul nudo pavimento, e iniziare a dondolarsi come una bambina mentre lasciava che il mal di testa che le offuscava i pensieri si convertisse in singhiozzi e gocce di paura. 

 

-Sopravvivi. 

 

Doveva obbedirgli. Doveva obbedire al comando di suo padre. A qualsiasi costo. 

 

-No. 

 

La parola sfuggì al controllo della sua mente, scivolando dalle sue labbra furtiva come una ladra. 

 

"Mi dispiace padre." 

 

-No? 

 

La domanda non fu rivolta con rabbia o con frustrazione. Piuttosto, sembrava che un rivolo di curiosità vi si fosse insinuato dentro, come se il suo possessore fosse piacevolmente stupito da quella semplice, breve parola. 

 

-No, mio signore. 

 

"Padre, perdonami. So di essere una delusione." 

 

"Ma... padre, non posso." 

 

Aveva ceduto la sua umanità. Aveva ceduto il suo diritto ad essere una persona, ad appartenere a se stessa e a nessun altro. Non le rimaneva altro che quello. La sua dignità. Una minima eredità. Una piccola consolazione. 

 

Ma era la sua unica consolazione. 

 

La cosa per cui Mei Lin si era sacrificata. 

 

La cosa per cui aveva continuato a correre anche se le gambe urlavano di fermarsi, implorando pietà. 

 

-Hai una spada puntata contro e un uomo dalla dubbia morale che non ha timore di usarla. Hai forse il desiderio di morire? 

 

Diana strinse ancora di più la stoffa fra le dita e abbassò il capo fino a piegare il busto. 

 

-No, mio signore. Non desidero morire. Desidero compiere la mia scelta.

 

Avrebbe fatto meglio a starsene zitta. Suo padre le diceva sempre che la sua impulsività era la causa di tutti i suoi guai. Avrebbe dovuto ingoiare il suo stupido orgoglio eppure...

 

-Una scelta? Nella posizione in cui ti trovi pensi di avere una scelta? 

 

Diana deglutì, sperando che la raucedine delle lacrime intrappolate nella sua gola non la tradisse. 

 

-Posso scegliere se obbedire al vostro comando o rifiutarmi e rischiare la vita. Posso scegliere se accettare il mio destino o tentare di scappare. 

 

La giovane sentì una secca risata fuoriuscire dal giovane padrone. Le ricordava il suono delle foglie autunnali che scricchiolavano sotto i piedi qualora qualcuno osava calpestarle. Era, stranamente, rassicurante.

 

-La chiami scelta, questa? 

 

Un'altra risata, priva di gioia, più pesante della precedente.

 

-E sentiamo... come avresti intenzione di scappare? 

 

Diana scavò l'interno della sua guancia con i denti, cercando di sublimare il nervoso tremolio del suo corpo in un gesto meno lampante. 

 

-Potrei provare a prendere la vostra spada e rivolgerla contro di voi. O potrei cercare di distrarvi mentre scappo dalla porta. 

 

Non sapeva se quella fosse la strategia migliore. A quel punto, stava semplicemente improvvisando. Ed era assai probabile che stesse combinando un disastro.

 

-E se dovessi fallire? 

 

Diana sollevò gli occhi e, per la prima volta, li rivolse sfacciatamente contro quelli del giovane. Era tremante, sull'orlo delle lacrime. Ma irremovibile. 

 

-Allora mi getterei sulla vostra spada prima che mi possiate costringere. 

 

Le ultime parole risuonarono nella stanza perentorie, aggravate dal suo tono imbevuto di risolutezza. Era perfino riuscita ad evitare che il tremore le facesse inciampare la lingua. 

 

L'uomo la fissò. Si portò una mano davanti alla bocca e prese a sfiorarsi il mento con le sopracciglia congiunte sulla fronte. 

 

-Una scelta... che idea ridicola...- lo sentì mormorare. 

 

La giovane trasse un lungo respiro e preparò la sua mente agli istanti che avrebbero seguito quell'affermazione. Si preparò a scattare in piedi e correre. Si preparò... ad afferrare la lama fra le mani, a sentire il freddo bacio del ferro prima di lasciare che le perforasse il petto. 

 

Aveva fatto la sua scelta. 

 

-Vattene. 

 

Il metallo tintinnò contrariato quando incontrò il pavimento. L'arma era stata abbandonata al fianco del suo padrone, vicina al corpo che era tornato a contorcersi su se stesso. 

 

Diana necessitò di un solo istante prima di comprendere cosa le era appena stato detto. Dopo ciò, scattò in piedi fulminea e corse verso la porta, facendo scivolare il legno più velocemente che poteva nonostante la sua pesantezza. 

 

Quando richiuse il pannello scorrevole dietro la sua schiena, si appoggiò contro la parete e sollevò la testa. Hoseok era lì. Gli occhi ansiosi percorsero la sua figura per intero e si soffermarono sul suo viso, analizzando preoccupati il terrore che si era annidato nello sguardo della ragazza. Insieme alle lacrime ormai libere di scivolare sulle sue gote. 

 

Il giovane strinse la mandibola, facendole cenno col capo di seguirlo. 

 

Dopo pochi passi, aprì una porta su una semplice stanza con un materasso e una coperta, illuminata da una singola candela. Senza ulteriore esitazione, Diana vi si fiondò dentro, abbandonandosi sul pavimento. 

 

Strinse la coperta attorno al suo corpo tremante e, quando i singhiozzi si fecero troppo violenti, morse il tessuto lasciando che assorbisse i singulti convulsi della sua voce.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Eh... che dire. Ok, è stato un capitolo tosto. Yoongi è stato... cattivello. Non ve la prendete con lui, però, si redimerà, anche perché lui non è così di solito. È solo che ha ricevuto notizie brutte brutte. 

E comunque... siamo già a 800 letture. A sto punto non mi sorprenderebbe se raggiungessimo le mille nel giro dei prossimi capitoli. In vista di ciò, quindi, sto già iniziando a preparare la sorpresa per festeggiare il traguardo (nulla di paragonabile al what if di Dreamland, non montatevi la testa XD).

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XV ***


Quella notte fu popolata dal nero. 

 

Un nero assoluto, tiranno, despota. 

 

Catturava ogni sorta di luce che potesse anche solo pensare di nascere. 

 

Un nero avido, egoista. Non ammetteva altri abitanti nel suo regno. Non ammetteva popolo sotto il suo dominio.

 

Solo una totale e assoluta egemonia.

 

A un certo punto, però, un lampo di oro tagliò quell'abisso infinito, ferendolo come una preziosa cicatrice. Una lunga, lucente cicatrice che lo attraversava per il lungo, imbevendo l'oscurità di un sangue caldo, il sangue del sole. 

 

Quella notte fu dominata da dei della morte e da lacrime. Tante lacrime. Continuavano a scendere sul suo viso stanco, spinte fuori da una gola secca e convulsa, partorite da occhi stremati. E ognuna delle piccole gocce scivolava lungo il suo corpo come un topolino, come una creatura fatata, frutto della creazione di qualche ninfa dei fiumi. E una dopo l'altra si arrampicavano lungo un calice d'oro, incastonato di giada.

 

Ad ogni singulto, il prezioso recipiente sembrava colmarsi sempre di più, il livello del liquido al suo interno che cresceva a vista d'occhio, fino a raggiungere pericolosamente il bordo. 

 

Stava per traboccare; il calmo specchio di lacrime era sul punto di riversarsi lungo le pareti di oro, di inondare le gemme e seppellirla sotto la loro forza, lei, la loro padrona. Ma non successe. 

 

Una mano si fece avanti nell'oscurità, raggiungendo il manico e afferrandolo con fermezza. La mano sollevò il calice fino a che Diana non poté più vedere altro che la base rovinata. 

 

Il prezioso recipiente incontrò infine delle labbra compiaciute, pronte a baciare l'oro e inghiottire il liquido salmastro.

 

Le labbra di suo padre. 

 

L'uomo, con occhi scintillanti di soddisfazione ed un sorriso tronfio, inclinò il capo all'indietro. E bevve. Bevve come se non potesse esserci bevanda più inebriante al mondo. Come se fosse stato per mesi senz'acqua, come se agognasse quella coppa con tutto il suo essere. 

 

E Diana non poté fare altro che fissarlo. 

 

Quando finalmente aprì gli occhi, la sua gola era chiusa da una morsa che le rendeva difficile il respiro. Scostando appena la parete coperta da un sottile strato di carta, poté intravedere l'alba intenta a dare il suo addio alla notte. Il cielo assomigliava ad un pezzo di stoffa immerso in una tinozza di tintura. Il rosa dell'orizzonte aveva preso a salire lungo la trama, divorando il buio per convertirlo in uno speranzoso indaco. 

 

Nonostante la bellezza che le abbracciava il viso, però, non riuscì a sopprimere la pressione che le costringeva le tempie. Strofinandosi gli occhi per scacciare le tracce incrostate di lacrime, abbassò lo sguardo, accorgendosi solo allora di aver dormito indossando il prezioso vestito che il suo venditore le aveva fatto indossare. La stoffa lucida della gonna sembrava essere stata maltratta malamente a causa delle numerose pieghe che si erano formate per tutta la sua lunghezza. 

 

Non poteva continuare a indossarlo. Se doveva lavorare manualmente, avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più pratico. 

 

Quando si voltò verso la porta e vi trovò davanti una pila di vestiti, ebbe un sussulto. Sembrava che qualcuno avesse udito i suoi pensieri. O, più probabilmente, avesse anticipato le sue necessità. Afferrò la prima casacca e il primo paio di brache del mucchio e, dopo aver constatato il leggero eccesso di tessuto, ripose il resto degli indumenti dentro una piccola credenza in legno scuro. 

 

Non le ci volle molto per percepire i lievi rumori della casa, indice che c'erano già altre persone sveglie e al lavoro, perciò, senza indugio, si alzò e uscì dalla propria stanza. Dalla cucina si sollevava un lieve odore di riso, mentre il tintinnio delle stoviglie si diffondeva lungo il corridoio come un'allegra melodia. Non fu sorpresa, infatti, di trovare l'ambiente già popolato da un Seukjin affaccendato, intento ad assaggiare una misteriosa zuppa posta sul fuoco. 

 

-Ohi! Buongiorno! Io no sentito te entrare, perdona. 

 

Sembrava che il cuoco stesse costringendo la sua bocca a replicare lo stesso tono spensierato del giorno prima, senza riuscire del tutto nell'intento. Diana notò immediatamente il modo in cui i suoi occhi non rimanevano su di lei per più di un istante, prima di fissare il pavimento oscurati dalla piega turbata delle sopracciglia. 

 

-Non c'è problema. Cosa posso fare? 

 

L'uomo sollevò per un istante lo sguardo su di lei. Per tutta la durata di quel momento, analizzò a fondo il suo viso come se volesse decifrarne l'espressione, in cerca di qualcosa. Qualcosa che rispondesse alle domande che non aveva il coraggio di esprimere a voce alta. 

 

-Puoi... tagliare kimchi. 

 

Il cuoco distolse nervosamente lo sguardo e le mise sotto agli occhi una ciotola piena di una bizzarra poltiglia rossa. Prendendo il coltello in mano, Diana prese cautamente un pezzo della sostanza, osservandolo con circospezione. A vederla meglio, si accorse che in realtà quella che sembrava semplice poltiglia erano foglie di cavolo imbevute di una qualche misteriosa mistura di spezie. L'odore pungente, inoltre, pareva indicare che fosse stata lasciata a fermentare, per rendere il sapore più stimolante. 

 

Mentre iniziava a tagliare in piccole strisce le foglie di cavolo, udì la porta strisciare sul suo supporto mentre dei passetti concitati facevano il loro ingresso nella stanza. 

 

-Joh-eun achim.

 

La voce di Hoseok raggiunse i presenti con la raucedine del sonno ad abbassarne il tono normalmente più acuto. La giovane sollevò lo sguardo e fece un lieve cenno del capo al ragazzo, che prese ad avvicinarsi esitante. Quando li ebbe raggiunti e si fu seduto affianco a lei, intraprese una conversazione sommessa con il cuoco, che sembrò ritrovare un entusiasmo più genuino nella sua voce. 

 

Diana, nel frattempo, continuò a tagliare la poltiglia finché non si ritrovò fra le dita solo sottili strisce di rosso. Mentre si puliva le mani, però, sentì il fastidio di uno sguardo insistentemente puntato sui suoi polsi. Quando ebbe le mani pulite, infatti, esse furono afferrate con veemenza e portate sotto lo scrutinio attento dei due uomini. 

 

La giovane sollevò un sopracciglio, lasciando inespresso l'interrogativo nella sua mente mentre fissava i due individui che le stringevano le mani. Dopo lunghi istanti di imbarazzato silenzio, Hoseok le sfiorò con le dita il punto in cui le corde avevano martoriato la pelle settimane prima, provocando piaghe che si erano ormai convertite in cicatrici. Il rossore irritato ancora presente, però, era il sintomo dell'ultimo tragitto che aveva compiuto e che ancora non si era convinto ad abbandonarla. 

 

-Tu male? 

 

Seukjin sollevò gli occhi scuri su di lei con il viso accartocciato in una smorfia contrariata. Diana, a quel punto, si rilassò lievemente in un timido sorriso. 

 

-Non tanto, il peggio è passato- replicò, aggiungendo una scrollata di spalle. 

 

Hoseok non sembrò intenzionato a distogliere lo sguardo dal rossore della pelle, mantenendo la testa china. 

 

-Gwaenchanh-a. 

 

Il giovane sollevò di scatto gli occhi, sorpreso. Probabilmente aveva pronunciato la parola nel modo sbagliato e non era neppure sicura del suo significato, ma il ragazzo doveva comunque aver intuito cosa intendeva dire. 

 

"Sto bene." 

 

Nonostante ciò, nonostante la rassicurazione nel suo tono e nel suo viso, l'assistente del principe non sembrò essere soddisfatto. Si alzò in piedi e iniziò a frugare fra i cassetti di una credenza contenente erbe essiccate, ignorando platealmente i lamentosi richiami del cuoco. Dopo aver aperto ogni scomparto, estrasse un piccolo contenitore e si voltò con gli occhi socchiusi in una curva soddisfatta. 

 

Non appena Hoseok sollevò il coperchio, il pungente odore di oli essenziali e di piante medicinali prese a coprire quello candido del riso e perfino quello più sfacciato delle verdure fermentate. Dopo aver intinto due dita nell'appiccicoso unguento al suo interno, il giovane riprese delicatamente le sue mani e iniziò a spargere il medicinale sul rossore delle ferite, con meticolosa lentezza. Una volta che ebbe finito di coprire tutte le irritazioni, poi, rimase per qualche istante a fissarle le dita. 

 

-Tu suoni? 

 

La domanda di Seukjin le fece sollevare amaramente un angolo della bocca. 

 

-Sì. 

 

Era evidente nei calli formatisi sulla punta delle dita, nella leggera forma schiacciata che la sua pelle aveva assunto dopo essere stata soffocata per anni dai plettri.

 

Hoseok inclinò il capo, mantenendo lo sguardo e la presa sulle sue mani. Per qualche motivo, una smorfia nostalgica aveva preso piede sulla sua bocca, trasportando il suo intero essere in un luogo e in un tempo lontani, inaccessibili a tutti gli altri presenti nella stanza. 

 

Dove stava vagando la sua mente? 

 

Dentro quali ricordi stava annegando? 

 

Il fruscio irritato della porta che si apriva mise a tacere quelle domande. Quando sollevò lo sguardo, incontrò per la prima volta due occhi ombrosi che la fissavano con determinazione e un lieve cipiglio. E nonostante ciò Diana poté scorgere la timida gentilezza nascosta dietro alla barricata di indifferenza in essi contenuta. 

 

-Vieni. 

 

Fu l'unica parola che Jungkook pronunciò. La sua voce giovane era più bassa di quella del cuoco e perfino di quella dell'assistente del signore, per questo risuonò nella stanza come le note di un tronfio liuto le cui corde erano state pizzicate con asprezza. 

 

Diana vide Hoseok e Seukjin voltarsi verso il giovane e iniziare a ricoprilo di domande insieme a piccati rimproveri. Dopo un attimo di esitazione, però, decise di alzarsi e avvicinarsi al ragazzo che, prontamente, le voltò le spalle. 

 

 

 

Quella notte fu dominata dal rosso. 

 

Spietato, appiccicoso rosso. 

 

E urla. Così tante urla. 

 

E il tremore di un ragazzo. Un bambino con gli occhi spalancati e le mani sporche del sangue dei suoi genitori. 

 

La notte fu anche dominata dagli occhi severi dell'uomo che era costretto a chiamare padre. Yoongi fu trasportato nel tempo in cui ancora desiderava compiacerlo. Anche se sapeva che non avrebbe mai ricevuto da lui l'amore che voleva. 

 

Non pretendeva affetto.

 

Non pretendeva di essere chiamato figlio. 

 

Desiderava solo che lo guardasse. Che quell'uomo lo guardasse negli occhi come... 

 

Come? 

 

Non lo sapeva neanche lui. Come un essere umano? Come qualcuno degno di poterlo chiamare padre? 

 

E invece tutto ciò che vedeva ogni volta che incontrava quello sguardo era disprezzo. E pentimento. 

 

Aveva tredici anni quando quell'uomo morì. Avrebbe voluto provare qualcosa ma non riusciva a forzare il suo cuore a produrre una sola goccia di dolore. 

 

Il dolore nasce dal rimpianto della perdita. 

 

E il rimpianto della perdita nasce dall'amore. 

 

E Yoongi non aveva amore in sé. 

 

Non era un recipiente adatto per quel tipo di emozione. 

 

-Vostra maestà... vi prego di riconsiderare la vostra decisione. Il principe Yonsan... la sua mente è turbata, voi lo sapete meglio di chiunque altro. 

 

-Mai. 

 

La voce del re perforò le orecchie del ragazzino che Yoongi era, pugnalando il suo cuore con un veleno mortale. 

 

-Lascerei cento volte il trono a quel pazzo piuttosto che... piuttosto che cederlo a lui. 

 

Il veleno aveva iniziato a espandersi nelle sue viscere, addormentando prima i suoi arti, poi i suoi intestìni e infine la sua gola. 

 

-Lui non sarà mai mio erede.

 

E proprio quando la sua anima stava per abbandonare il suo involucro inutile, ormai inutilizzabile, un abbraccio di caldo oro lo avvolse. Un oro gentile, forte, impetuoso come il mare. I suoi flutti lo circondarono, cancellando l'amarezza incastrata sulla sua lingua e cullandolo come le braccia della madre che non aveva mai conosciuto.

 

Era così gentile. 

 

Così calmo e rassicurante. 

 

Gli dava quasi l'illusione di poter comprendere cosa fosse l'amore. Di poter concepire l'esistenza di quell'emozione che finora non gli era parsa altro che una leggenda. 

 

La porta scivolò sommessamente, provocando il più leggero rumore possibile. Yoongi aveva ancora gli occhi chiusi e il capo sorretto da una mano, nel tentativo vano di scacciare il mal di testa che il liquore gli aveva gentilmente donato. 

 

-Entra. 

 

I lievi passi che percorsero il pavimento non potevano che essere i suoi. Nessuno in quella casa era così aggraziato. 

 

Avrebbe dovuto guardarla negli occhi mentre pronunciava le parole che serbava nella sua mente. Sarebbe stato assai auspicabile. Eppure... 

 

Che cosa vi avrebbe trovato? 

 

Se il prezioso verde fosse stato inacidito dall'odio, dal rancore... Se il caldo oro avesse perso la sua gentilezza e non fosse diventato altro che freddo, impietoso metallo...

 

Eppure doveva guardarla. 

 

Con suo grande sgomento, quella che incontrò quando sollevò il capo fu la figura tremante e terrorizzata che si trovava di fronte a lui anche la sera prima. 

 

Perché lui non solo era un codardo. Era anche un mostro. 

 

Perché lei l'aveva guardato nello stesso modo in cui quel bambino con le mani sporche di sangue aveva guardato la spada che stava per calare sul suo collo. 

 

Lui era diventato la spada. Ed era diventato il boia. 

 

-Io...

 

La sua stupida voce uscì debolmente dalla sua gola, come se avesse paura di ferirla ancora. 

 

-Scusami.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

OH BOY. We're in for a run.  Siete pronti? Iniziate a raccogliere gli indizi perché piano piano riveleremo tutto il passato di Yoongi e ragazzi... c'è da soffrire. Chi è secondo voi il bambino del suo sogno? Sono aperte scommesse. 

Ricordate che ogni personaggio secondario ha una sottotrama che deve essere svelata perciò occhi aperti! Hoseokie finora è rimasto un po' nell'ombra ma dal prossimo capitolo sarà molto più partecipe. Tenete gli occhi su di lui, avrà un ruolo importante nella storia (è anche il mio personaggio secondario preferito 😏). 

 

Comunque... vi volevo avvisare, se siete interessati che presto dovrebbe uscire la mia intervista sullo scambio letture di Valentina01092017 se siete interessati dateci un'occhiata.

 

And infine un ringraziamento speciale per book_addicted su EFP per aver non solo mostrato interesse per tutte e tre le mie storie ma per avermi perfino messo fra gli autori preferiti T.T grazie personcina del cuore 💓

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** XVI ***


Diana si ritrovò a sbattere freneticamente le palpebre sollevando lo sguardo sul capo chino dell'uomo davanti a lei. 

 

Aveva sicuramente sentito male. 

 

-Perdonami. Il mio comportamento di ieri sera è stato irrispettoso e... a dir poco riprovevole. 

 

Non aveva udito male. La giovane abbassò gli occhi sul pavimento con la testa popolata da domande. Perché si stava scusando? Era un principe. Un nobile, un reale. E lei era... solo una schiava. 

 

-Non dovete chiedere il mio perdono, mio signore. Sono una vostra proprietà adesso, avete il diritto legale di disporre di me come meglio desiderate. 

 

A quel punto, dopo le sue brillanti repliche della sera prima, sarebbe già dovuta essere in ginocchio con la frusta a strapparle la pelle della schiena. 

 

Era quello il destino di una schiava. Non aveva il diritto di replicare. Non aveva il diritto di dire "No".

 

Eppure l'aveva fatto. 

 

-No, tu...

 

Diana osservò con meticolosa attenzione il modo in cui il giovane signore portò l'altra mano sulla sua faccia e prese a strofinarsi viso e occhi, emanando uno sbuffo stanco. La sua voce sembrava ancora più rauca della notte passata. Crepitava nella sua gola come il fuoco in un camino, fiamme gentili che ammantavano i pezzi di legno e dipingevano l'ambiente di un arancio accogliente. 

 

Quando il principe finalmente sollevò il capo, Diana vide per l'ennesima volta la morte nel suo sguardo. Gli occhi scuri come il Tartaro sembravano offuscati da una nebbia diversa da quella che li aveva posseduti la sera prima, mentre la sua pelle pallida era spiegazzata come un lenzuolo usato e recava i segni di un sonno tormentato. 

 

-Tu non sei... una mia proprietà- affermò puntando le oscure pupille nelle sue. 

 

Diana voleva distogliere lo sguardo ma non ci riusciva. Gli occhi del suo interlocutore si erano assottigliati impercettibilmente, rendendo ancora più affilato il loro taglio affusolato e catturandola in una rete ineluttabile. 

 

Strinse involontariamente le mani a pugno. No. 

 

Non doveva fidarsi. 

 

Non poteva fidarsi. 

 

Lo aveva già fatto in passato, aveva già lasciato che il suo cuore si aprisse, che confidasse nella bontà umana. Non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore. 

 

-Ascoltami: in questa casa non esistono schiavi, non esistono nobili, non esistono... intoccabili.

 

La fiamma sempre più divampante nascosta nella voce del giovane si assottigliò brevemente al calare dell'ultima parola e Diana non poté fare a meno di domandarsi che cosa significasse ciò. Era a conoscenza del sistema di caste esistente in alcune culture orientali e sapeva che gli intoccabili erano il fondo della piramide sociale, una categoria umana relegata all'isolamento a causa di determinati lavori che svolgevano. 

 

C'era un intoccabile in quella casa? 

 

E se era così... chi era? 

 

-Ti ho acquistata, questo è vero... ma tu non sei una schiava. 

 

"Non fidarti."

 

Non doveva. Il discorso del giovane era miele per le orecchie ma Diana ormai sapeva che le parole avevano valore quanto le foglie al vento. Una volta che la corrente le trasportava via, se ne andavano per sempre, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Chiunque sarebbe stato capace di promettere regni, ricchezze e potenza con la lingua, ma proferire il contrario il giorno seguente. La parola era fugace, senza peso.

 

-Vi ringrazio per la vostra benevolenza, mio signore. 

 

Diana chinò rigidamente il capo con la schiena dritta come un manico di scopa, mentre si stritolava le mani e stringeva la mandibola per pronunciare quelle parole ossequiose. Aveva già rischiato troppo sputando ad alta voce i suoi pensieri, da quel momento avrebbe dovuto mantenere molta più discrezione. 

 

Fingere, doveva fingere. 

 

-E un'altra cosa. 

 

Il tono caldo come il fuoco si fece più aspro, scoppiettando come le fiamme che spezzano il duro legno nelle loro fauci. 

 

-Non amo le persone che fingono ciò che non sono. Non amo chi usa intricati giri di parole o false forme di riverenza per mascherare le proprie intenzioni. 

 

Gli occhi della ragazza si spalancarono, manifestando maldestramente il panico che lampeggiava nella sua mente. Doveva calmarsi. Di certo il signore non poteva leggere nella sua mente. Non poteva sapere quello che lei pensava. 

 

-Preferisco chi si esprime apertamente, senza nascondere il suo vero pensiero. Perciò, da ora in poi, niente inutili formalismi e niente più maschere. Parla secondo il tuo desiderio, esprimi la tua opinione per quella che è. 

 

"Non fidarti." 

 

Era vero, non doveva, eppure... 

 

Neppure suo padre le aveva mai chiesto di esprimere la sua opinione. Essa poteva essere resa manifesta solo se richiesta e non poteva mai apertamente contraddire ciò che lui diceva. Non poteva dare voce ai suoi pensieri senza censure. 

 

Non poteva.

 

Doveva fingere. 

 

-Come desiderate- replicò a denti stretti mantenendo lo sguardo al pavimento. 

 

Tutto quel discorso non aveva senso. Perché scusarsi? Perché dirle che non era una schiava? Che aveva il diritto di pronunciare la propria opinione? 

 

Doveva essere un qualche mezzo per torcere la sua parola contro di lei. Certo, doveva essere senza dubbio così. 

 

Non importava quello che l'uomo diceva. Non avrebbe scordato tanto facilmente la spada puntata contro il suo petto e la minaccia manifesta nella sua voce. 

 

-Ah, prima che mi dimentichi. Da domani inizierai a studiare la nostra lingua. Jungkook ha imparato la lingua dell'impero anni fa, ma non ricorda quasi più niente, e Hoseok non conosce una parola. Sarebbe uno scomodo inconveniente se tu non riuscissi a comunicare con nessun altro in questa casa a parte me e Seukjin.- 

 

Diana si affrettò ad annuire con fare accondiscendente, ricordandosi troppo tardi della richiesta del signore e accorgendosene solo a causa dello sguardo contrariato che questo le rivolse. 

 

-Puoi andare adesso. 

 

Diana fece per aprire la bocca e pronunciare un ossequioso saluto ma si fermò. Richiuse le labbra e rimase per qualche istante in silenzio. 

 

-Grazie- disse semplicemente, prima di alzarsi e uscire dalla stanza. 

 

Non si sarebbe fidata... nonostante ciò, avrebbe accettato le sue scuse. Questo pensava mentre chiudeva dietro di sé la porta, lasciandosi alle spalle l'uomo rivestito di morte. 

 

Sollevando gli occhi, sobbalzò leggermente nell'incontrare la figura snella di Hoseok appoggiata alla parete di fronte, con lo sguardo ansiosamente appoggiato su di lei. Per qualche secondo, la studiò attentamente con la testa inclinata e un'espressione assorta sul viso. 

 

-Gwaenchanh-a?

 

Pronunciò la domanda con un filo di voce e un lieve sorriso cordiale sulle labbra. La giovane annuì appena mantenendo lo sguardo su quello dell'uomo, che piegò leggermente il capo in segno di saluto. 

 

Mentre prendeva a percorrere lo stretto corridoio, Diana percepì il giovane entrare nella stanza che si era appena lasciata alle spalle ma cercò di non darvi alcun peso. Piuttosto, avvicinandosi sempre di più alla cucina iniziò a udire di nuovo i brontolii allegri delle stoviglie. 

 

Un altro rumore però le fece voltare la testa. Proveniva dalla sua destra, oltre una porta scorrevole che sembrava condurre all'esterno piuttosto che in una stanza. Forse non era un'ottima idea lasciare che la curiosità prendesse le redini del suo corpo, eppure Diana si ritrovò a scostare di un dito la parete di legno, percependo immediatamente il freddo che iniziò a mordicchiarle fastidiosamente il naso. Oltre la fessura, poté intravedere una passerella quadrata che circondava un piccolo cortile interno, al cui centro vi era uno spiazzo erboso rinsecchito dal gelo. 

 

Ed ecco la fonte del rumore. 

 

La spada di Jungkook fendeva l'aria rilasciando un sibilo sinistro dietro di sé, prima di terminare il suo viaggio contro un fantoccio sorretto da un palo nel terreno. Ogni colpo sembrava inferto con una tale precisione che avrebbe potuto tagliare anche le pulci sui vestiti di quel bersaglio fasullo. Per qualche sconosciuto motivo, Diana si ritrovò a contemplare il viso concentrato del giovane che, nonostante la fronte grondante, non pareva serbare un briciolo di stanchezza. 

 

La ragazza era stupidamente ferma davanti alle nuvole di fumo che fuoriuscivano dalle sue labbra che, unite al cruccio concentrato delle sopracciglia, facevano assomigliare Jungkook ad uno di quei leggendari dragoni protettori dell'impero celeste. E mentre era lì, una domanda tornò nella sua testa, bussando affinché le fosse concessa attenzione dopo essere stata accantonata. 

 

Chi era l'intoccabile? 

 

 

 

-Mio signore, dobbiamo parlare. 

 

Yoongi si sfregò nuovamente le palpebre appesantite. 

 

-Fa che sia una cosa veloce, Hoseok. Non ho dormito molto e non mi dispiacerebbe poter rimediare il prima possibile. 

 

Il mal di testa lo stava uccidendo lentamente, come se il suo capo fosse stato posto sull'incudine di un fabbro che continuava a calare il suo pesante martello sulle sue tempie, violento e determinato a colpire finché il suo cranio non fosse esploso. 

 

Per qualche motivo, neppure la conversazione con la ragazza lo aveva fatto sentire meglio. Pensava che almeno si sarebbe sentito sollevato. Ma cosa si aspettava? 

 

Lei non si fidava di lui. Era palese. 

 

E come avrebbe potuto?

 

Non aveva importanza quali parole avesse pronunciato per farle cambiare idea. Non avrebbe cancellato il fatto che lui aveva pagato per possederla o che avesse approfittato della sua posizione per comportarsi come... come avrebbe fatto suo fratello. 

 

-Sarò breve. Che cosa è successo ieri sera? 

 

Yoongi strizzò gli occhi mentre un sapore amaro iniziò a diffondersi nella sua bocca. 

 

Che gusto avrebbe avuto il veleno? 

 

Talvolta si era fatto quella domanda. Nei giorni più bui. 

 

-Ieri sera- ripetè stancamente. 

 

-Ieri sera. Che cosa è successo con la ragazza?

 

Yoongi si morse il labbro, sperando che presto il dolore si tramutasse in una sufficiente distrazione. 

 

Era successo che lui si era comportato come un pazzo violento, come il sanguinario lussurioso che sedeva sul trono in quel momento. 

 

Al solo pensiero le sue interiora si rivoltarono, nonostante non avesse neppure toccato cibo dall'inizio della giornata.

 

-Perché me lo chiedi? 

 

-Avete fatto del male alla ragazza? 

 

Yoongi avrebbe voluto inginocchiarsi e lasciare che i suoi intestìni gli sconvolgessero il corpo con spasmi violenti. Avrebbe voluto sentire il bruciore acido del vomito salire sulla sua bocca. Forse avrebbe aiutato a purificare i suoi peccati. 

 

-Non sono affari tuoi. 

 

Mostro. 

 

Identico a suo fratello. 

 

-Yoongi. 

 

Il principe sollevò per la prima volta lo sguardo. Gli occhi di Hoseok fiammeggiavano come un incendio, pungenti frecce che gli trapassavano lo sterno. 

 

"Che cosa hai fatto?" urlavano nelle sue orecchie. 

 

-Io non ho deciso di servire un essere che si approfitta degli altri. Quel tipo di uomo non è lo stesso ragazzo che mi offrì di seguirlo. Non è l'uomo che guarda gli altri senza pregiudizi. Perciò vi prego di dirmi la verità, perché nel caso in cui mi sia sbagliato, nel caso vi abbia giudicato male per tutti questi anni, allora lascerò questa casa. 

 

Yoongi avrebbe voluto scoppiare a ridere. Avrebbe voluto anche scoppiare a piangere. 

 

Faceva male. Eppure era per quel preciso motivo che non poteva fare a meno di quell'irritante assistente al suo fianco. 

 

Nessuno gli parlava con così tanta franchezza come faceva lui. 

 

-Non... non le ho fatto niente. Ma ci sono andato... maledettamente vicino. 

 

Il giovane in piedi di fronte a lui aggrottò le sopracciglia in un cipiglio severo, ma la sua espressione non aveva la stessa aspra violenza di quando era entrato. 

 

-Che cosa è successo? 

 

Il signore abbassò nuovamente il capo, afferrandolo con entrambe le mani prima che potesse essere ridotto in frantumi da quel fabbro persistente. 

 

-Yonsan ci ucciderà tutti.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Capitolo cortino... sorry, questo e il prossimo sono un po' di passaggio perciò non saranno dei gran capitoloni (in più ho avuto una settimana infernale perciò ho scritto il prossimo capitolo con mezza parte del cervello, preparatevi perché non sarà il massimo). 

 

A parte questo... Hobi. Hobi Hobi Hobi. Tenete gli occhi su di lui, mi raccomando. C'è un motivo per cui lui può permettersi di chiamare Yoongi per nome ma... ve lo svelerò solo più avanti 😏

 

E infine shoutout a moonlight_megan per avermi messo tra gli autori preferiti (ma che davvero? Qua ci sono troppe persone che mi esprimono il loro affetto, I can’t).

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** XVII ***


 Il silenzio che seguì quell'amara sentenza risuonava nella stanza come un gong rovinato, fastidioso e stridente nelle orecchie, oltre che vagamente oscuro. Yoongi allontanò gli occhi dal suo assistente, ponendoli sulle sue pallide e nodose mani intrecciate assieme. 

 

Che mera pretesa di uomo che era.

 

Tremante e spaventato, nascosto nel suo piccolo dominio come un eremita, arroccato dietro al suo terrore. 

 

Codardo. 

 

-Che venga.

 

Il principe sollevò un angolo della bocca in una piega amara, per quanto divertita. 

 

-Dico sul serio. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi. Tutti in questa casa lo sapevano e hanno scelto consapevolmente di seguirvi. 

 

"Beh... quasi tutti" pensò il signore, con la mente irrequieta. 

 

La ragazza non lo sapeva. La ragazza non aveva avuto scelta, non era consapevole del rischio a cui era sottoposta stando sotto il suo tetto.

 

-Perciò aspetteremo. E nel frattempo acquisteremo un po' di armi per Jungkook. 

 

Yoongi avrebbe riso se la sua mente non fosse stata così tanto obnubilata dal senso di colpa. Anche se erano consapevoli di quello a cui andavano incontro, quella non era... 

 

... la loro battaglia. 

 

Era lui l'avversario, l'opponente. 

 

Eppure lui non aveva la minima voglia di combattere. 

 

-Hoseok.

 

Sentì lo sguardo del suo assistente farsi più gentile su di lui. 

 

Diamine, non voleva la sua pietà. E lui lo sapeva bene. 

 

-Rimpiangi mai la tua vita di prima? 

 

La domanda uscì leggera come un soffio di vento, sottile come gli spifferi che si appiattivano sotto alle fessure delle porte per infilarsi nel caldo della stanza e trasmettere piccoli brividi lungo la schiena. 

 

-Mai. 

 

La risposta, per contro, giunse immediata e perentoria. Il tono di Hoseok non vacillò, mantenne la sua risoluta musicalità per tutta la parola.

 

-Non tornerei mai alla mia vita di prima. Il mio posto è qui. 

 

Yoongi non ebbe il coraggio di guardare quegli occhi così sinceri. Non erano puri come quelli di Jungkook o canzonatori come quelli di Seokjin. Avevano visto la loro buona dose di feccia nel mondo. Erano stati contaminati dall'odio in passato. Eppure mantenevano ancora quella cristallina limpidezza che metteva in difficoltà il suo animo codardo. 

 

-Hoseok... 

 

Non aveva più le forze. Non aveva il coraggio di pronunciare le parole che serbava nel cuore, perché erano le parole di un vigliacco. Aveva bisogno di partorirle, di espellerle dal suo corpo per fermare la contaminazione che stavano provocando in lui. Ma era così difficile. 

 

-... io non voglio il trono. Non ho mai voluto il trono. Neanche quando mio... neanche quando il re me lo negò, non lo volevo. Io non sono adatto ad essere re. 

 

Il suo assistente emise uno sbuffo dal naso. 

 

-Conosco un paio di persone che dissentirebbero con questa affermazione. 

 

Yoongi scosse la testa massaggiandosi la fronte. 

 

-Contadini a cui importa solo la quantità di tasse che dovranno pagare. Venderebbero la loro lealtà a chiunque, purché abbassasse la cifra.

 

-Un governante giusto che non guarda ai propri interessi è già molto più di quello che adesso siede sul trono- replicò Hoseok con un cipiglio piccato. 

 

Yoongi non sapeva che rispondere. Lui non poteva vedere il suo cuore. Non poteva sapere fino a che punto arrivava la sua pigrezza, la sua codardia. Non poteva capire che un uomo come lui non avrebbe mai potuto governare una nazione. 

 

-Comunque, è una vostra scelta. Noi vi seguiremo, qualsiasi decisione prenderete. 

 

Il principe sollevò lo sguardo sugli occhi del giovane, incendiati dalla loro divampante sincerità, e tentò di non distogliere lo sguardo come era tentato di fare. 

 

-Sempre. 

 

 

 

La mattina seguente Diana si era alzata senza indugio alle prime luci dell'alba, svegliata dallo scalpiccio concitato dei passi di Seokjin lungo il corridoio che portava alla cucina. Si presentò poco dopo nella calda stanza indossando un nuovo paio di brache e una camiciola di un grigio scolorito ma dal tessuto piuttosto resistente. 

 

Dopo aver salutato allegramente il cuoco, che le diede il buongiorno con un brillante sorriso sulla bocca, iniziò a sminuzzare le verdure che avrebbero composto la colazione. Man mano che lavorava, però, sentiva la mente ricominciare a vorticare carica dei dubbi e delle domande del giorno prima, rimasti sedimentati in essa come sassolini sul bordo della strada. Fastidiosi sassolini che si infilavano nelle sue scarpe e le punzecchiavano le suole dei piedi finché non si fermava per estrarli. 

 

Assorta com'era dal vortice nella sua mente, non si accorse neppure della striscia rossa che aveva preso a macchiare la pelle chiara del suo dito. 

 

-Ohi ohi! Attenta! Tu ferita?

 

Diana portò distrattamente la sua attenzione sul piccolo taglio da cui fuoriusciva il rigolo scuro di sangue. Doveva aver toccato per sbaglio il filo del coltello. La ferita non bruciava, perciò scrollò semplicemente le spalle allontanando le mani dal cibo. 

 

Il cuoco, per contro, sembrava in preda al più caotico panico. Mentre correva per la cucina in cerca di un panno con cui tamponare, continuava a borbottare come una pentola sul fuoco. 

 

-Tu guardare quello che fa! Tu attenta! Se no poi chi aiuta Seokjin?- esclamò con voce squillante. 

 

Lo sguardo apprensivo si spense pian piano mentre premeva il panno sul suo dito e osservava il sangue cessare la sua fuoriuscita ma, nonostante ciò, emise uno sbuffo spazientito. 

 

-Tu testa da altra parte. Tu cosa pensare? 

 

Diana rimase per qualche istante in silenzio. Aveva ragione. Eppure aveva così tante domande... non sapeva neanche da dove iniziare. 

 

-Posso chiederti un paio di cose?- tentò esitante, osservando la reazione dell'uomo con la coda dell'occhio. 

 

-Tu prova, se io so, io dire te. 

 

Diana lo ringraziò con un sorriso e un cenno del capo, prima di tornare a fissare davanti a sé e iniziare a scavare per trovare il capo di quella matassa intricata di pensieri. 

 

Da dove iniziare? 

 

-Perché siete qui? 

 

Seukjin sollevò un sopracciglio, osservandola dubbioso. 

 

-Intendo... mi hai detto che il principe è stato esiliato e che per questo siete qui ma... perché è stato esiliato? Che cosa ha fatto? 

 

Perché le importava? 

 

Cosa sarebbe cambiato se anche avesse scoperto il motivo per cui quell'uomo era stato esiliato? 

 

La cosa non avrebbe di certo cambiato la propria risoluzione nei suoi confronti. 

 

La sua domanda causò un drastico tracollo nell'espressione dell'uomo. La smorfia spensierata di poco prima si convertì in un'oscura espressione e gli occhi del cuoco si allontanarono dai suoi per posarsi sulle mani che stringevano il panno. 

 

-Quella è... lunga storia. E io no conosco tutta quanta. Quel giorno successe tante cose. 

 

Seokjin emise un lungo sospiro mentre corrugava le sopracciglia. 

 

-Io posso te dire solo che re è pazzo. Tanto pazzo. Ma grande problema è che persone intorno a lui usano lui per loro scopi. 

 

La ragazza osservò attentamente il volto contrariato del giovane mentre la sua mente si caricava di nuove informazioni. Il re veniva usato dai suoi consiglieri per avvantaggiare la loro posizione politica? Forse anche per togliere di mezzo i nemici che si frapponevano a loro. Ma questo comunque non rivelava che cosa c'entrasse il signore della casa.

 

-Ma se tu vuole sapere tutta storia, chiedi principe. 

 

Diana tirò la bocca in una smorfia ironica. 

 

-Penso che non sia un'opzione, al momento. 

 

Seokjin alzò lo sguardo su di lei, inclinando la testa con le labbra arricciate. 

 

-Principe non è cattiva persona. È grande spilorcio, questo sì. 

 

La giovane non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un risolino, che le permise di allentare la tensione che le aveva preso le mani. La sola idea di incrociare nuovamente lo sguardo oscuro di quell'uomo le irrigidiva tutte le membra come ghiaccio. 

 

-So che principe ha carattere difficile. Ma lui no cattivo. 

 

La replica che stava per uscire dalla bocca di Diana fu interrotta dallo scorrere della porta della cucina, azione che provocò la fuga di parte di quel piacevole tepore che contraddistingueva l'ambiente. Jungkook fece il suo ingresso silenziosamente, salutando a malapena il cuoco con una secca parola e mantenendo il capo abbassato mentre si stropicciava gli occhi. Dietro di lui, Hoseok sembrava sprigionare un'energia completamente diversa, più frizzante e dinamica nonostante la giornata fosse appena iniziata. L'alto volume della sua voce, infatti, unito al modo concitato con cui spinse il ragazzo nella cucina sembrò irritare grandemente quest'ultimo, che borbottò fra i denti una frase vagamente minacciosa. 

 

La porta, a seguito del passaggio di Hoseok, rimase aperta. Diana prese ad alzarsi per chiuderla, al fine di impedire che altro calore abbandonasse la stanza, quando si bloccò. Lunghi serpenti scuri, lucenti come l'onice, si affacciarono sull'ambiente. Il loro possessore fece qualche passo altalenante oltre la soglia, prima di voltarsi e richiudere dietro di sè la parete scorrevole. 

 

La ragazza abbassò immediatamente lo sguardo sul panno attorcigliato attorno alla sua mano. Il sangue sembrava essersi finalmente fermato, perciò si scoprì le dita e riprese in mano il coltello, lasciando che il suo riflesso la distraesse dalla persona che si stava lentamente avvicinando alla sua posizione. 

 

Il principe non emise una parola. Caracollò semplicemente come un animale insonnolito, come un grande gatto stanco con gli  occhi ancora chiusi dal sonno. Per quanto la vista inusuale la lasciasse piuttosto perplessa, la giovane mantenne lo sguardo basso e la guardia alzata.

 

Doveva fare attenzione. 

 

-Ah! Signore di casa degnato di mangiare con noi altri! Era ora! 

 

Diana non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi. Il cuoco si era rivolto con così tanta confidenza al giovane che sembrava quasi stesse parlando con un suo pari. Ma ciò che la stupiva ancora di più era l'indifferenza con cui fu accolto quel rimprovero ben poco velato. 

 

-Seokjin, il sole è appena sorto, sai che non voglio discutere prima che sia arrivato almeno mezzogiorno. 

 

Il signore si stropicciò pigramente gli occhi mentre lasciava che la sua voce gracchiante di sonno replicasse. E mentre Diana cercava di studiare discretamente i suoi movimenti, si accorse che si stava avvicinando sempre di più a lei. 

 

Ormai il suo corpo si trovava ad un passo dal proprio. Mentre tagliava silenziosamente la polpa rossa del kimchi, poteva intravedere i piedi scalzi dell'uomo, talmente chiari da contrastare violentemente il legno scuro del pavimento, e l'orlo  dei suoi pantaloni. 

 

Infine, con suo grande orrore, vide le sue gambe piegarsi. 

 

Era seduto proprio vicino a lei. 

 

Percepiva il suo respiro lento e regolare fin troppo vicino per i suoi gusti e sentiva l'attenzione di quelle pupille oscure sulle sue mani. 

 

Lo udì schiarirsi brevemente la gola.

 

-Buongiorno.

 

Diana non sapeva che fare. Avrebbe dovuto guardarlo negli occhi, usare la stessa sciolta naturalezza con cui Seokjin si era rivolto a lui? Oppure avrebbe dovuto tenere il capo chino, mostrare comunque il rispetto che le era stato insegnato a manifestare? Alla fine, in preda al panico e all'indecisione, sussurrò un basso e traballante "Buongiorno". 

 

Il pasto trascorse fra la conversazione sommessa di Hoseok, il cicaleccio concitato del cuoco e il calmo silenzio di Jungkook. Il signore della casa, dal canto suo, sembrava essere abituato all'incessante ronzio della compagnia. Osservava i presenti con una calma che poteva indicare solo quanto famigliare ormai fosse con quel chiacchiericcio mattiniero.

 

Diana ingoiò il suo cibo nel più totale silenzio, cercando di distrarre la sua mente dalla presenza al suo fianco. Tale presenza, benché vestita in modo molto più semplice e con i lunghi capelli sciolti sulle spalle, la intimidiva oltre ogni suo controllo. 

 

Non era così. 

 

Lei non era mai stata così.

 

Lei aveva imparato a leggere le persone, a sapere sempre quale fosse il modo migliore di agire con ogni tipo di essere umano che le si presentava davanti. 

 

Quell'uomo, però, la destabilizzava. 

 

-Se sei pronta, andiamo.

 

Diana sbatté le palpebre, realizzando che la voce profonda accanto al suo viso si stava rivolgendo a lei. Si voltò verso il pallido volto al suo fianco e lo guardò con aria interrogativa. 

 

-Te l'avevo detto che oggi avresti iniziato a studiare la nostra lingua. Pensavi che te l'avrebbe insegnata Seokjin? 

 

La realizzazione fece abbassare lo sguardo della ragazza, mentre posava rapidamente la ciotola a terra e cercava di guadagnare tempo per pensare. 

 

Pensare. 

 

Come poteva? 

 

Come aveva fatto a non pensarci prima? 

 

Come avrebbe fatto a passare ore sotto allo sguardo di quell'uomo?

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Buongiorno e ben tornati su questi schermi. Come avevo detto la settimana scorsa, questo capitolo è un po’ schifino perché l’ho scritto con la testa da un’altra parte perciò chiedo perdono. Il prossimo però è venuto meglio, non temete. Inizieremo a legare con un personaggio secondario... uhm... chissà chi sarà...

 

Sono un po’ indecisa su quanto farvi aspettare prima di rivelare per bene il passato di Yoongi. Non vedo l’ora di fare un bel flashback e dirvi tutto, ma non voglio rovinarvi il momento perciò penso che ve lo farò sudare ancora un po’ XD

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** XVIII ***


-Gli esseri umani sono come il cielo del mattino. 

 

Suo padre lo diceva spesso. 

 

-Se sai osservarne i colori e il modo in cui le nuvole li adornano, riuscirai a predirne il comportamento futuro. 

 

Era così che era cresciuta. Studiando le sfumature delle persone che la circondavano, cercando di leggere nel loro vestiario, nel loro agire, nei loro gesti quali sarebbero state le loro azioni. 

 

-Un orizzonte rosa come le gote delle fanciulle ti rimarrà fedele per tutta la giornata. Ma presta attenzione al vento dal nord, potrebbe portare tempesta nel giro di un battito di ciglia. 

 

Madonna Lucrezia era come un cielo dai colori limpidi ma costellato di nuvole che ne nascondevano numerose, strategiche porzioni. Era diretta e affidabile, ma piena di segreti. Il modo raffinato e opulento con cui si adornava indicava anche la sua malcelata propensione all'autocompiacimento, all'osservare maniacalmente le espressioni adoranti di coloro che la veneravano come una dea. 

 

Diana lo aveva capito nel momento in cui aveva messo piede nella sua residenza. 

 

Solitamente le bastavano pochi sguardi per intuire la tendenza dell'animo di una persona. 

 

Ma quello che vedeva da qualche giorno non era altro che profonda oscurità. 

 

-Hai capito? 

 

Il tono distaccato del principe riportò la sua attenzione sul rotolo fra le sue mani, su cui era stata ordinatamente scritta una serie di segni suddivisi in gruppi. 

 

Diana osservò attentamente le combinazioni di linee e cerchi, studiando il modo in cui ricorrevano in diverse combinazioni. 

 

-È molto più semplice di quanto pensassi- esclamò istintivamente. 

 

Dopo un attimo di esitazione, lanciò una breve occhiata al suo insegnante da sotto le ciglia per vedere se la sua replica aveva suscitato irritazione. Tutto ciò che trovò, però, fu la più semplice e totale indifferenza. 

 

-Lo è?- chiese l'uomo con lo stesso tono piatto che aveva preso ad usare dal momento in cui si era seduto nella stanza insieme a lei. 

 

Indifferenza... sembrava così fuori luogo dopo la conversazione che avevano avuto il giorno prima. 

 

Non ci riusciva. 

 

Per quanto provasse, non riusciva a leggere quel cielo così tetro, così offuscato da una pesante coltre di nubi grigie, che oscuravano la luce tanto da rendere il giorno simile alla notte. E se questo non fosse stato abbastanza, una fitta cortina di nebbia le impediva di vedere più in là del suo naso, di percepire se ci fosse anche solo un accenno di frattura in quell'immenso grigiore, anche solo un sussurro di raggi di sole. 

 

Quel cielo avrebbe potuto portare tempesta, la più violenta che avesse mai visto. 

 

O avrebbe potuto essere la fine di un maremoto, gli ultimi stralci di maltempo prima di lasciare spazio al più azzurro degli orizzonti. 

 

-Per quanto alcuni suoni ricordino la lingua dell'impero, il vostro sistema alfabetico è molto più simile al nostro ed è molto più intuitivo. 

 

Le nuvole non si mossero, ma una lieve brezza le soffiò gentilmente sul viso. Non era una corrente di pioggia. Era un vento che scacciava l'oscurità. 

 

Il principe non sorrise. Nonostante ciò, Diana colse le sue labbra sottili distendersi impercettibilmente e i suoi occhi affilati sollevarsi appena. 

 

-Benché il nostro sistema di scrittura non sia longevo quanto quello dell'impero, è stato costruito con più logica. Nonostante ciò, non pretenderò che tu impari a scrivere nella nostra lingua, ma sarebbe utile se almeno riuscissi a leggere. 

 

La ragazza corrugò le sopracciglia inclinando lievemente il capo. 

 

-A quale scopo? 

 

Il principe non rispose. Si sollevò lentamente, emettendo uno sbuffo stanco a fior di labbra, e si diresse verso uno dei due mobiletti a cassetti che componevano il semplice arredamento della stanza. La ragazza cercò di osservarlo discretamente mentre apriva uno sportello di legno scuro, laccato in modo da essere lucido come uno specchio, e iniziare a fare correre le dita su una serie di fogli fittamente scritti. 

 

C'era un piccolo dettaglio che attirava avidamente i suoi occhi. Dietro alla pila di rotoli e carta imbratta di inchiostro, nascosta come una lepre dietro un rovo, spuntava una piccola torre di involucri di seta colorata. Erano stati attentamente riposti uno sopra l'altro, piegati in modo certosino e disposti ognuno nella stessa direzione.

 

Che cosa aveva così tanto valore da essere conservato con tale cura?

 

Che cosa stava a cuore a quell'uomo? 

 

Quali erano i segreti che si nascondevano dietro alla coltre di nubi? 

 

Non poteva fare a meno che continuare a generare nuove domande nella sua mente. 

 

L'uomo, dopo aver estratto una piccola pila di fogli, si rialzò, avvicinandosi al basso tavolino intorno al quale avevano iniziato la loro lezione. Si sedette nuovamente di fronte a lei e le posò davanti i documenti che teneva in mano. 

 

Colonne di lettere che ancora non comprendeva si susseguivano fino alla fine della carta in ordinati raggruppamenti. 

 

-Hai detto di saper fare di conto, giusto? 

 

Diana sollevò lo sguardo confusa, ma annuì.

 

-Ebbene, quando avrai preso dimestichezza con la lingua potrai aiutare nella gestione delle tasse.

 

Il capo di Diana scattò fulmineo verso il volto dell'uomo. 

 

-Voi... gestite un terreno? 

 

Il suo interlocutore allontanò lo sguardo da lei, posandolo sulla parete al suo fianco mentre appoggiava placidamente il capo sulla mano. 

 

-È complicato. Diciamo che amministro una piccola porzione della regione, un contentino da parte di mio fratello per addolcirmi il palato dopo avermi esiliato dalla capitale. Formalmente, però, la regione è sotto la giurisdizione di Lee Beom Seok, il governatore. È lui che riceve le tasse che noi raccogliamo. 

 

-Dunque il vostro territorio è diviso in regioni? 

 

Il principe annuì con un secco cenno del capo. 

 

-Otto regioni ognuna amministrata da un governatore, funzionari di corte scelti dai ministri. Sfortunatamente, la regione in cui ci troviamo è stata lasciata nelle mani del più incompetente di tutti...- disse infine, con uno sbuffo spazientito. 

 

Diana riportò lo sguardo sulle colonne ordinate fra le sue dita. Nomi, cifre, appezzamenti di terreno. Era l'elenco dei cittadini che dovevano pagare le tasse. 

 

Troppe domande le giravano nella testa. Le faceva quasi male a causa della quantità di pensieri che pressavano per ricevere attenzione. 

 

-Voi... perché vostro fratello vi affiderebbe un terreno dopo avervi esiliato? 

 

Il principe riportò per un attimo gli occhi ombrosi su di lei, prima di allontanarli nuovamente dalla sua presa. Non riusciva a mantenere il contatto visivo per più di pochi istanti. Non riusciva a catturare quella belva selvaggia per il tempo necessario a studiarne le intenzioni. 

 

-Non è stata un'idea di mio fratello quella di farmi esiliare. Lui non... mi odia... 

 

La frase rimase sospesa nell'aria, il tono leggero come se avesse voluto terminare ma le parole fossero rimaste intrappolate prima di uscire. 

 

Non ancora. 

 

Quella conclusione aleggiava nella stanza, minacciosa seppur inespressa. 

 

Le labbra di Diana si mossero prima che la sua razionalità potesse fermarle. 

 

-Che cosa è successo quel giorno? 

 

Nel giro di un istante le nubi divennero più scure del mare di notte. Ogni traccia di brezza gentile era sparita, lasciando il posto ad un turbine violento che sollevava onde pronte a capovolgere intere imbarcazioni. 

 

Il viso del signore si fece, se possibile, più pallido. La sua mascella era tesa, affilata come una lama, i suoi occhi due buchi di oscurità, burroni in cui nessun essere vivente sarebbe voluto sprofondare. 

 

La ragazza poté sentire un brivido camminarle lungo la schiena e sussurrarle all'orecchio che la tempesta era in arrivo. Purtroppo, aveva udito la sua voce troppo tardi. 

 

La pioggia aveva già iniziato a cadere. 

 

-Non sono affari che ti riguardano. 

 

La voce di crepitante fuoco, roca nel suo basso divorare di fiamme nel camino, era diventata tagliente come schegge di ghiaccio, appuntita come i bordi di un coccio rotto. 

 

Forse, però, erano i frammenti di un vaso ferito. Un'anima distrutta, ridotta in frantumi.

 

-La lezione per oggi è terminata. 

 

Diana dovette attendere qualche istante prima di capire di essere stata congedata. Sbattendo freneticamente le palpebre, si sollevò in piedi e scivolò sul pavimento senza produrre rumore, raggiungendo velocemente la porta. 

 

 

 

Il corridoio era silenzioso in quel momento del giorno. Seokjin non aveva ancora iniziato a preparare il pranzo, perciò non giungeva nessun allegro brontolio dalla cucina. Di Hoseok non vi era traccia e Diana si ritrovò a domandarsi dove spendesse le giornate, dal momento che spesso spariva per apparire solo al momento dei pasti.

 

La casa appariva vuota, cava.

 

Ma poi lo sentì. 

 

Il lieve fruscio che tagliava l'aria fredda come se fosse carne. Il suono di respiri affannati e di versi di sforzo emessi da una bocca contratta. 

 

Quando scostò la parete al suo fianco, infatti, era ancora lì. 

 

Jungkook era coperto da una tunica leggera, che gli avvolgeva il petto e raggiungeva appena il collo teso. La sua fronte sudata era nascosta da una fascia logora, legata dietro alla nuca, mentre i capelli bagnati dall'umidità gli cadevano sugli occhi.

 

Era ancora lì, ad agitare la spada con gli arti contratti e gli occhi caldi delle braci della battaglia. 

 

Quello era un cielo che poteva leggere. 

 

Quel cielo al tramonto, tinto di arancio e di rosso. Un profondo rosso. L'oscurità della notte aveva preso ad adombrargli il grembo; era sull'orlo del declino, sul ciglio della perdizione. 

 

Eppure conservava ancora dei bellissimi colori. Vi rimaneva attaccato morbosamente, come se significassero tutto per lui. 

 

Leale. Come il sole che tramonta inesorabilmente ogni giorno. 

 

Ecco un essere umano con cui sapeva cosa fare. 

 

Richiudendo silenziosamente la porta, si diresse verso la cucina trovandola, come si aspettava, vuota e silenziosa. Dopo aver posto un calderone pieno d'acqua sul fuoco e aver stuzzicato le braci in modo che rianimassero le fiamme, si diresse verso il mobile a piccoli cassetti da cui Hoseok aveva preso l'unguento con cui le aveva medicato i polsi. 

 

Uno scomparto dietro l'altro, estrasse ogni erba ed ogni fiore che trovava, strofinandoci attentamente le dita sopra e avvicinandole al naso per studiarne l'odore. 

 

Non ci voleva del tè.

 

Zenzero. Ecco cosa le serviva. 

 

Si voltò, prendendo a scostare le verdure accuratamente accatastate da Seokjin finché non trovò la radice bitorzoluta dal colore dorato. Dopo averne fatto cadere qualche pezzo in una teiera di ferro scuro che aveva trovato nascosta dietro un mucchio di stoviglie, si pose di nuovo davanti al mobiletto delle erbe medicinali. 

 

Ci voleva qualcosa... 

 

Da quello che aveva potuto osservare, Jungkook non amava i sapori amari. Prediligeva piatti dove non si sentisse il retrogusto delle verdure, per questo spesso il cuoco doveva aggiungere delle spezie in più alla sua ciotola. 

 

Ci voleva qualcosa che ingentilisse il palato. 

 

Ripassò una per una le erbe, strappandone piccoli pezzi e appoggiandoli brevemente sulla lingua. 

 

"Eccolo." 

 

 

 

Doveva essere pronto. 

 

Pronto a qualsiasi evenienza, in qualsiasi momento. 

 

Un fendente affondò nel morbido corpo del fantoccio di fronte a sé. 

 

Di più. Doveva essere più forte, più veloce. 

 

Sarebbero arrivati, come cinque anni prima. Sarebbero arrivati e lui sarebbe stato pronto a sguainare la spada.

 

A lottare per la sua vita. 

 

Era stato il suo signore ad insegnargli come tenere l'arma in mano. L'aveva istruito su come difendersi, come trovare i punti deboli dell'avversario, come colpire.

 

Dal giorno in cui imparò come tenere una spada, non smise più. Si sarebbe allenato fino a crollare. 

 

Perché questa volta avrebbe combattuto fino a che non gli avessero tagliato le gambe. 

 

E anche allora avrebbe continuato a sferrare fendenti finché non gli avessero tagliato le braccia. 

 

E anche a quel punto avrebbe morso e sputato finché non gli avessero tagliato la testa. 

 

Nessuno sarebbe morto sotto la sua protezione. 

 

Nessuno. 

 

-Chiedo scusa. 

 

Il ragazzo si voltò di scatto con il cuore in gola, il battito che gli pulsava nelle orecchie come i tamburi di una marcia militare. Si voltò con gli occhi spalancati puntando l'arma davanti a sé, mancando per un soffio il collo della nuova ospite della casa. 

 

Non appena vide le ciocche bionde che cadevano su una pelle chiara come la neve, abbassò immediatamente l'arma prendendo profondi respiri. L'aria gelida gli pizzicava il naso ad ogni ispirazione raffreddandogli la gola, ma il suo corpo era infuocato dall'allenamento. 

 

La creatura davanti a lui parve leggermente turbata dalla lama che aveva pericolosamente sfiorato il suo collo, ma fu lesta a nascondere il suo sussulto e a distendere il viso arrossato dal freddo in un'espressione gentile. 

 

-Io... 

 

Cercava le parole, abbassando lo sguardo a terra come se avesse potuto trovarle nascoste fra l'erba irrigidita dal ghiaccio. 

 

Jungkook la fissò in silenzio, con gli arti tesi a causa dell'energia nervosa che vibrava dentro di essi. Si stava raffreddando restando fermo; il calore accumulato durante l'allenamento lo stava velocemente abbandonando. 

 

Doveva ricominciare a muoversi il prima possibile.

 

-Per te. 

 

Sotto al naso del ragazzo fu posta una tazza fumante, al cui interno galleggiavano i petali di un fiore di cui non ricordava il nome. 

 

Sollevò il volto su quegli occhi così fastidiosamente inconsueti e le rivolse un'occhiata interrogativa. 

 

Jungkook non capiva. 

 

Non era per la lingua. 

 

Jungkook non capiva le persone. 

 

-Per te- ripetè la giovane, aggiungendo un sorriso gentile alla sua espressione.

 

O, almeno, Jungkook supponeva fosse gentile. Non sapeva leggere i volti degli altri. Non sapeva capire se una persona nascondeva le sue vere intenzioni dietro una facciata. Aveva imparato che non poteva davvero sapere quello gli altri pensavano. 

 

Il ragazzo guardò circospetto il liquido chiaro e avvicinò cautamente la tazza alle labbra. C'era odore di zenzero. Non gli piaceva lo zenzero. Non gli piacevano le cose che gli pizzicavano sulla lingua. 

 

Avrebbe gettato il contenuto a terra senza indugio se solo due occhi ansiosi non fossero rimasti su di lui per tutto il tempo, studiando con aspettazione le sue mosse. 

 

Perciò, chiudendo il naso, ingoiò tutto d'un fiato.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Hello. Come andiamo? Siete pronti a un po’ di Kookie development? Cosa ne dite del suo POV? Questo giro il capitolo è un po’ più lunghino del solito. Ah, e nel prossimo ci sarà una mezza rivelazione riguardo Yoongi... mmh, chissà. 

 

Dunque, per quanto riguarda le questioni tecniche. L’alfabeto coreano o Hangul era nato poco prima dell’ambientazione della storia, nel 1443 ad opera del re Sejong. È forte perché era stato costruito apposta e proclamato in una precisa data, per questo i coreani ne festeggiano il “compleanno” ogni anno. In più, come ho detto nel capitolo, è molto più semplice del cinese perché ad ogni segno corrisponde una sillaba e non una parola, quindi è molto più simile al nostro sistema di scrittura. 

Giusto per essere chiari, la lingua coreana in forma orale esisteva già da tempo ma prima di allora il sistema di scrittura ufficiale era quello cinese. Anche però dopo che l’alfabeto coreano fu inventato, i documenti ufficiali erano scritti in cinese (era un po’ come il latino nel nostro inizio rinascimento). Ecco spiegato perché Yoongi parla cinese. Non solo era necessario per chi aveva cariche importanti nello stato ma era anche trendy fra i nobili. 

 

Comunque mi sono resa conto che sto usando un sacco di paragoni. Ma del tipo... un sacco. Volevo chiedervi se li trovate noiosi o troppo pesanti, nel caso cercherò di cambiare un po’ lo stile se vi dà fastidio nella lettura. Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** IXX ***


Dolce. 

 

Diana sorrise, sollevando appena gli angoli della bocca. Il suo piano aveva avuto effetto. Lo capì dall'espressione sorpresa nel viso del ragazzo, che sbatté le palpebre osservando il liquido dentro la tazza come se cercasse l'inganno dietro a quello strano intruglio. 

 

Avrebbe voluto scoppiare a ridere, ma si trattenne. 

 

Jungkook aveva occhi più grandi rispetto al resto delle persone che aveva incontrato in quel continente. Solitamente, quelli dei popoli orientali erano sottili e costantemente socchiusi a causa del loro taglio così allungato. Quelli del ragazzo invece erano scuri e brillanti come quelli di un cerbiatto, contornati da folte ciglia che ne enfatizzavano ancora di più l'espressività. 

 

Doveva essere appena più giovane di Diana. Eppure in quel momento aveva lo stesso sguardo di un bambino davanti ad uno spettacolo di giocolieri in piazza. 

 

-È... buono. Grazie- mormorò flebilmente, riprendendo a sorseggiare il liquido caldo. 

 

La giovane piegò lievemente il capo tentando di trattenere la soddisfazione. Lo sapeva. Il fiore che aveva aggiunto all'infuso aveva un retrogusto dolce, simile al miele, che le aveva permesso di mitigare il sapore pungente dello zenzero. 

 

-Oggi...

 

Abbassò il capo guardandosi le mani. Qual'era la parola? Aveva sentito parlare Seokjin così tanto che avrebbe dovuto conoscere almeno una base di conversazione, ma i termini le sfuggivano dalla mente non appena tentava di portarli sulla lingua. 

 

-Uhm... oggi... freddo- disse con incertezza, inciampando leggermente sull'ultima parola. 

 

Jungkook sollevò i grandi occhi su di lei, guardandola con aspettazione. 

 

-Quella...- aggiunse indicando la tazza fra le sue mani -... mmh, protegge... tu freddo.

 

Non appena ebbe concluso la frase, sbuffò esasperata. Era frustrante. Molto frustrante. Probabilmente il ragazzo non aveva neppure capito cosa voleva dire nel suo modo maldestro di spiegare. 

 

Voleva semplicemente dirgli che l'aveva preparata per aiutarlo a non raffreddarsi troppo, dato che passava tutta la giornata all'esterno. Lo zenzero gli avrebbe scaldato il corpo e avrebbe anche allontanato i malanni. 

 

Ovviamente, però, con la sua limitata conoscenza della lingua non riusciva a spiegare neppure una cosa così semplice. 

 

Diana si morse il labbro inferiore, abbassando il capo imbarazzata. 

 

-Grazie. 

 

Quando tornò a guardare il giovane, lo trovò con la tazza vuota fra le mani e lo sguardo lontano da lei. Giocherellò brevemente con la ceramica scura, prima di porgergliela timidamente e farle un cenno del capo. In segno di ringraziamento, immaginò lei. 

 

Non sapeva come rispondere. Era evidente.

 

Non era difficile capire quel ragazzo. Era il tipo di persona che ragionava con il corpo. Poteva affrontare problemi esterni e minacce fisiche senza indugio. Il suo istinto guidava la sua persona in maniera più che efficiente. 

 

Il problema era, molto probabilmente, che non sapeva come risolvere situazioni che richiedevano ragionamento e interpretazione. In casi come quelli, quindi, il ragazzo si trovava spaesato. 

 

Diana lo capì, perciò sorrise e prese la tazza dalle sue mani, chinando il capo a sua volta. 

 

 

 

Il principe era silenzioso. 

 

Fastidiosamente silenzioso. 

 

Non che solitamente fosse un eloquente oratore. Non si spendeva a fare più di qualche commento durante i pasti, passando piuttosto il tempo a mangiare con calma un boccone alla volta. 

 

Il silenzio non era una novità. 

 

Eppure quella mattina l'uomo sembrava essersi chiuso dietro una barricata. Dal momento in cui aveva messo piede nella cucina, il suo intero essere prese a gridare ai presenti "Non rivolgetemi la parola". Lo si capiva dalla curva chiusa delle spalle. Dallo sguardo assonnato ma freddamente minaccioso nei suoi occhi. Dalla linea stretta e piatta in cui erano tese le labbra. 

 

Lo avevano intuito tutti. Difatti, nessuno lo interpellò. Il cuoco spinse la ciotola verso il signore senza piccati rimproveri o domande impertinenti. Hoseok non gli chiese come intendeva trascorrere la sua giornata. E Jungkook... beh, Jungkook continuò a divorare avidamente il suo pasto, come era solito fare. 

 

Diana, però, sentiva l'energia nervosa della persona accanto a sé raggiungerla come un'alta marea. Doveva essere quella cosa che il maestro Jian chiamava aura. Diceva che era una sorta di estensione dell'anima di una persona, una manifestazione esterna di ciò che si nascondeva all'interno. Più erano forti i sentimenti di un individuo, più questi si manifestavano nell'ambiente circostante. 

 

Per la prima volta nella sua vita, Diana ebbe la netta sensazione di percepire l'aura di una persona. Era come se le emozioni del principe fossero un fuoco che ricopriva il suo corpo; spinoso, nero, denso di irritazione e malumore. 

 

Ma perché? 

 

Era per quello che era successo il giorno prima? 

 

La ragazza aveva capito che la questione del suo esilio era un argomento delicato per lui... ma non capiva. Ci doveva essere di più. Non era sufficiente a spiegare la diffidenza dietro alla quale si chiudeva. Non spiegava l'oscurità che sembrava essere diventata una parte inscindibile di lui. 

 

-Oggi non studieremo. Riprenderemo le lezioni domani- eruppe improvvisamente l'uomo, appoggiando le bacchette dentro alla sua ciotola. 

 

Diana rimase per qualche istante con il boccone per aria, contemplando il profilo indifferente al suo fianco. 

 

Era davvero così tanto suscettibile? 

 

-Ah, voi lasciate lei libera oggi? Bene. Allora tu aiuta me fare bucato. Jungkook consuma vestiti come io mangio kimchi. 

 

L'esclamazione di Seokjin la incentivò a distogliere lo sguardo dal suo insegnante e annuire brevemente. 

 

Almeno si sarebbe sentita utile. Almeno avrebbe fatto qualcosa di produttivo, invece di sprecare la giornata a causa del cattivo umore di una certa persona. 

 

Diana si trattenne dallo sbuffare sonoramente e corrucciare le sopracciglia. Non sarebbe stato saggio mostrare il suo disappunto così apertamente.

 

-Hai qualcosa da dire? 

 

Rimase congelata sul posto. La voce crepitante aveva un qualcosa di misteriosamente ruvido quella mattina. Era pungente come un sacco rovinato. Ma, sopratutto, si rivolgeva proprio a lei. Come se avesse potuto leggere i suoi pensieri. 

 

Doveva togliersi da quella situazione. E in fretta. 

 

-No, mio signore. 

 

Si voltò, mantenendo lo sguardo pudicamente basso e chinando appena le testa in un gesto di rispetto. Infine, sorrise, tendendo le labbra in una linea morbida che avrebbe messo in evidenza i suoi zigomi rosei. 

 

Lanciò brevemente un'occhiata al suo interlocutore e vi lèsse esattamente quello che si aspettava. Irritazione. Era contrariato dai suoi modi eccessivamente ossequiosi. Ovviamente. 

 

Ma non le importava. 

 

L'uomo, a quel punto, si alzò bruscamente e lasciò la stanza, chiudendo la porta dietro di sé con un tonfo sordo. 

 

 

 

-Aish! 

 

Seokjin scosse il capo con un'espressione contrariata sul viso, arricciando le labbra mentre sollevava davanti agli occhi una casacca sdrucita. 

 

-Quel ragazzo! Io no faccio tempo a cucire nuovo vestito che lui già distrutto. Lui muove come tigre e ogni volta strappa tutto! Io stufo! 

 

Emettendo aria con un lungo, irritato sbuffo, il cuoco si alzò in piedi prendendo una pila di vestiti fra le braccia. 

 

-Io vado cucire toppe su panni di capra, anche se lui non merita. Tu lavorare sola?- chiese guardando le sue mani arrossate immerse nell'acqua fredda. 

 

Diana annuì con un lieve sorriso e osservò l'uomo che si allontanava borbottando fra di sé, probabilmente pronunciando altri colorati insulti contro il ragazzo. 

 

Non appena fu sparito, la giovane roteò il capo all'indietro nel vano tentativo di alleviare il bruciore al collo. Non aveva trascorso molto tempo chinata sul bacile a strofinare la stoffa, ma il suo corpo iniziava già a dare segni di stanchezza. 

 

Eppure non le dispiaceva. 

 

Come era stato quando si trovava nella piccola catapecchia di Chong-eun, aveva ritrovato il conforto del lavoro manuale. Quel balsamo per la sua mente aveva allontanato l'irritazione generata dal misterioso comportamento del signore e aveva permesso a tutte le domande accumulatesi nella sua testa di ricevere ordine e attenzione.

 

Nonostante le dita arrossate e screpolate, il freddo che si intrufolava dentro alla sua casacca e le irrigidiva le membra e il bruciore alla base del cranio, la sua mente non era mai stata così limpida come in quel momento. 

 

Sembrava che più le condizioni esterne fossero avverse e gravose per il suo corpo, più la sua anima si schiariva.

 

Dopo aver terminato di strofinare dei pantaloni sporchi di fango, probabilmente sempre appartenenti a Jungkook, fece una breve pausa. 

 

Si trovava nel cortile che solitamente il ragazzo usava per allenarsi e il gelo dell'ambiente esterno stava congelando la sua fronte imperlata di sudore. Doveva andare avanti ma le braccia erano diventate molli e prive di forze, mentre la schiena sembrava non riuscire a raddrizzarsi. 

 

Diana cercò di ricordare le lavandaie che si radunavano ai lavatoi vicino al mercato. Le vedeva sempre le mattine che andava in piazza. Erano lì per ore e ore, col caldo torrido e con il gelo più rigido, a strofinare senza sosta ridendo fra di loro con le gote rubiconde per lo sforzo. 

 

Ricordava. Ricordava che ogni volta cantilenavano qualcosa. Canzoni popolari. Motivetti ripetitivi. 

 

Forse anche lei sarebbe riuscita a continuare a lavorare con la musica. Ricordava una canzone che un musico suonava spesso durante le mattine soleggiate di primavera. Anche se il mercato era un groviglio rumoroso di urla e schiamazzi, quando quel musico iniziava a pizzicare il suo liuto il mondo sembrava zittirsi per rimanere ad ascoltare con il fiato sospeso. 

 

-Per chi non fraintenda

Narra la leggenda 

Di quella gitana 

Che pregò la luna

Bianca ed alta nel ciel 

 

Mentre sorrideva

Lei la supplicava

Fa che torni da me

 

Diana ricordava ogni parola. La prima volta che aveva sentito quella canzone, era rimasta con le labbra dischiuse fino a che lo strumento non si era zittito e la folla non era esplosa in richieste di altre storie. 

 

-Tu riavrai quell'uomo 

Pelle scura

Con il suo perdono 

Donna impura

Però in cambio voglio 

Che il tuo primo figlio 

Venga a stare con me 

 

Chi suo figlio immola 

Per non stare sola 

Non è degna di un re 

 

Amava quella storia. Amava quella melodia. Se chiudeva gli occhi, aveva perfino l'impressione di poter vedere la donna dalla pelle ambrata inginocchiata sotto al disco freddo della luna, con le guance rigate dalle lacrime e le labbra aperte in un'implorazione. 

 

-Luna adesso sei madre

Ma chi fece di te 

Una donna non c'è 

Dimmi luna d'argento 

Come lo cullerai 

Se le braccia non hai 

 

Figlio della luna 

 

La canzone stava facendo il suo effetto. Il bruciore sembrava meno intenso e le braccia ritrovarono la spinta di energia che serbavano segretamente, dandole nuovo slancio per strofinare sempre di più man mano che la pila di indumenti calava. 

 

-Nacque a primavera 

Un bambino

Da quel padre scuro 

come il fumo

Con la pelle chiara 

Gli occhi di laguna 

Come un figlio di luna

 

Questo è un tradimento

Lui non è mio figlio 

Ed io no, non lo voglio

 

Un figlio di luna. Le ricordava qualcuno. Qualcuno con la pelle fredda e bianca come la luce dell'astro. Con i capelli scuri come la notte. 

 

-Il gitano folle 

Di dolore

Colto proprio al centro 

Dell'onore

L'afferrò gridando

La baciò piangendo 

Poi la lama affondò

 

Corse sopra il monte 

 Col bambino in braccio 

E lì lo abbandonò

 

Sin dalla prima volta che aveva sentito la storia, Diana non aveva provato pietà per la gitana. 

 

No, Diana non aveva amato la storia per la donna e per il suo amore folle. 

 

Lei ascoltava la storia per il figlio. 

 

-Luna adesso sei madre 

Ma chi fece di te 

Una donna non c'è 

Dimmi luna d'argento 

Come lo cullerai se le braccia non hai 

 

Figlio della luna 

 

Diana era troppo immersa nella melodia. Troppo assorta nel suo frenetico strofinare per accorgersi degli occhi scuri, del volto pallido come la luna che si era affacciato sul cortile e la osservava silenziosamente. 

 

-Se la luna piena

Poi diviene

È perché il bambino 

Dorme bene 

Ma se sta piangendo lei se lo trastulla 

Cala e poi si fa culla 

Ma se sta piangendo lei se lo trastulla 

Cala e poi si fa culla

 

Quel bambino nato sotto circostante avverse, da genitori indegni. Quel bambino che non aveva colpa. Quel bambino che era stato premiato, trovando le braccia di una madre che lo avrebbe amato. 

 

Quando abbassò la mano per afferrare un nuovo indumento, sentì solo l'erba rigida sotto le dita. Aveva terminato. Senza neanche accorgersene. 

 

Con un sorriso soddisfatto, si asciugò il sudore sulla fronte con la manica e iniziò a sollevarsi sulle gambe stanche. Raddrizzò la schiena, che schioccò sonoramente dal fastidio, e sollevò il capo. 

 

Si bloccò. 

 

Il principe la guardava con gli occhi socchiusi ma attenti. 

 

-Era la tua lingua quella? 

 

Diana, con il cuore martellante nel petto e incapace di rispondere, annuì semplicemente, abbassando il viso imbarazzata. 

 

-Di che parla la canzone? 

 

La giovane piegò lievemente il capo, osservando l'uomo di sbieco. L'irritazione sembrava essersene andata dal suo viso, lasciando il posto a semplice e pura curiosità. 

 

-Parla di... 

 

Diana spalancò gli occhi. 

 

-Parla dell'amore di una donna e del patto che fa con la luna per poter riavere il suo amato. 

 

C'era un motivo se il principe era stato allontanato così facilmente dal palazzo reale. 

 

-La luna aiuta la donna ma in cambio lei le dovrà donare suo figlio. 

 

C'era un motivo per cui nessuno aveva evidentemente pensato di deporre il re pazzo dal suo trono. Non poteva essere solo un manipolo di consiglieri corrotti che sfruttava la situazione... c'era qualcosa che impediva la detronizzazione. 

 

-Quando la donna dà alla luce il bambino, questo non assomiglia al padre. Per questo motivo, l'uomo... uccide la sua amata e abbandona il figlio. 

 

Gli occhi curiosi erano diventati tempestosi. Violenti e irrequieti, feriti. 

 

Il principe abbassò il capo, facendo scivolare le lunghe ciocche scure sul suo petto. Diana vide quell'impercettibile piega di sofferenza che per un istante, un lampo nel cielo, gli attraversò la bocca. 

 

-Buffo. Questa storia...- gli occhi scuri saettarono lontano da lei, sfuggenti come topi. 

 

-... mi pare familiare.-

 

Aveva ragione. 

 

Il motivo dietro all'oscurità che ammantava la figura di quell'uomo. 

 

Il principe non poteva essere re. Lui era... un figlio illegittimo. 

 

-Volevi sapere perché sono stato esiliato?

 

Diana, troppo presa dal pensiero che rimbombava nella sua mente, si accorse appena di quello che il principe le disse. 

 

-Come prego? 

 

L'uomo si voltò lentamente, muovendosi verso la porta scorrevole. 

 

-Torna dentro e preparami una tazza di tè. Se sarà di mio gradimento, ti racconterò che cosa è successo veramente.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

BAM BAM BAAAAAAM!

Eh già. Nel prossimo capitolo inizieremo a vedere che cosa è successo davvero a Yoongi. Dai, non vi ho fatto aspettare così tanto. E comunque, dato che non riuscivo a trovare canzoni popolari del cinquecento, ho finito per usare il testo di quella dei Mecano, Figlio della luna XD. Ci azzeccava troppo nella storia e suona propio come una ballata rinascimentale. Se la volete ascoltare vi lascio il link https://youtu.be/0iU5Snr_D44

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** XX ***


I suoi piedi la tradirono non appena fece il suo ingresso nella cucina. Inciampò leggermente, dovendo così fermare la sua corsa per riprendere l'equilibrio. Nel momento in cui il principe aveva emesso quelle parole, si era lanciata all'interno dell'abitazione iniziando a pensare freneticamente. 

 

Voleva scoprire la verità. Per quale motivo, non lo sapeva neppure lei. 

 

Ma non poteva fallire. 

 

Si pose velocemente davanti alle giare contenenti le foglie di tè e rimase per qualche istante a contemplarle. Infine, emise un lungo sospiro. Contrariamente alla dispensa del signore che l'aveva venduta, questa non era fornita di una grande varietà di miscele. Invece, i suoi occhi incontrarono gli unici due tipi pietosamente vicini al fondo dei contenitori: un tè verde e un tè nero. 

 

Diana non aveva mai visto il principe bere nessuno dei due, ma sapeva che prediligeva i sapori amari, più forti sul palato. Il tè nero sarebbe stata la scelta ideale. Mancava solo qualcosa che gli desse il tocco finale. 

 

Cercando nella credenza a cassetti l'elemento da aggiungere all'infuso per Jungkook, ricordava di aver visto dei fiori di gelsomino essiccati. Aprì il piccolo scomparto e avvicinò i petali al naso, ispirando a fondo il forte aroma. 

 

Era una scelta azzardata. 

 

Ma, in fondo, quale miscela sarebbe stata migliore di foglie nere e petali bianchi per un figlio della luna?

 

 La sua mano rimase sospesa sulla teiera per qualche istante, prima di lasciare cadere l'ingrediente. 

 

Quando fece il suo ingresso nella stanza, trovò il suo proprietario esattamente dove si aspettava che fosse, seduto a gambe incrociate davanti al basso tavolino su cui usava scrivere. Silenziosamente, fece il suo ingresso e appoggiò il vassoio che portava fra le mani davanti al capo abbassato dell'uomo. 

 

Lui non disse una parola. 

 

Con una lentezza mortale, afferrò il manico di bambù della teiera e versò il liquido dal ricco colore terroso nella tazza circolare. Dopo averla afferrata, ingoiò il contenuto in un solo sorso e appoggiò pesantemente la ceramica sul tavolino. 

 

Nuovamente, non disse una parola. 

 

Sollevò gli occhi scuri, perturbati, nebulosi e la fissò. Tirò le labbra in una smorfia, di compiacimento o di disappunto Diana non ebbe modo di capirlo. La cicatrice sbiadita che gli tagliava l'occhio destro si raggrinzì a seguito del movimento e la ragazza non poté fare a meno di rimanere a contemplarla per qualche istante. 

 

Infine, il signore distolse lo sguardo. 

 

-Avevo sedici anni quando successe. 

 

 

 

Il palazzo reale era un letamaio grondante di mosche. Fastidiose, rumorose mosche che ronzavano attorno alle carcasse per potersi nutrire. 

 

Yoongi si era ormai abituato alla loro presenza, ma non riusciva ancora ad annientare il moto di fastidio che ogni giorno, ogni singolo istante lo dominava. 

 

Sentiva i loro avidi occhi ovunque. Udiva le loro disgustose voci parlottare e sussurrare costantemente. 

 

-Il bastardo. 

 

-Ecco il bastardo. 

 

-Non è neppure figlio del re. 

 

-Per quale motivo si trova ancora a corte?

 

-La povera regina... 

 

-Era così giovane... 

 

-... una donna così bella...

 

Perché era colpa sua. La sua nascita era colpa sua. La morte di sua madre era colpa sua. L'inadeguatezza del suo sangue era colpa sua. 

 

Ogni giorno camminava per i lunghi corridoi del palazzo e incontrava ministri, servitori, concubine. Tutti sapevano. Nessuno aveva il fegato di dirglielo in faccia, ma non appena volgeva l'angolo sentiva i loro fetidi fiati dare aria a quelle latrine che si ritrovavano per bocche. 

 

Tutti lo sapevano in quel lurido castello di sterco.

 

Tranne due persone. 

 

E sarebbe dovuto rimanere così. 

 

-Hyung! 

 

Yoongi non si voltò neppure. Sapeva che un quattordicenne con troppe energie e una mente dal funzionamento misterioso si sarebbe presto attorcigliato al suo fianco come una pianta rampicante. 

 

-Se non ricordo male dovresti essere a lezione in questo momento. Come vanno i tuoi studi nella lingua dell'impero, Taehyung? 

 

Il silenzio al suo fianco gli dipinse un sorrisetto sulle labbra. Quel ragazzino era incorreggibile. 

 

-Non ti preoccupare hyung, recupererò tutto! Volevo solo vederti allenare con la spada. 

 

Il ragazzo sollevò gli occhi al soffitto di travi scure mentre si dirigeva verso il piccolo cortile interno che affiancava le sue stanze private. Teoricamente, nessuno della corte doveva avervi accesso, ma le guardie avevano imparato presto che niente poteva battere l'insistenza di Taehyung. 

 

-Sei tu che dovrai affrontare l'ira di tua madre, non io... 

 

Lo sguardo di un servitore dalla barba appuntita, fermo all'angolo del cortile con la sua spada in mano, lo spinse a sollevare gli angoli della bocca in una smorfia ironica. 

 

-Volevo dire... della nobile principessa Myeongsuk. 

 

Con uno sguardo di sfida, osservò il volto impassibile dell'uomo mentre gli porgeva l'arma. Ovviamente, le orecchie della sua cara zia erano ovunque. 

 

Quando si voltò, il ragazzino era in piedi lungo il bordo del quadrato erboso, con gli occhi attenti e il viso illuminato dal sole. 

 

Non poteva fare a meno di pensarlo ogni volta. Suo cugino non sembrava neppure lontanamente imparentato con quella vipera di donna.

 

Ironicamente, non sembrava lontanamente imparentato neanche con lui. Dai suoi occhi grandi e luminosi, alla sua pelle dai toni ambrati che sua madre disprezzava tanto. Niente suggeriva che nelle loro vene scorresse lo stesso sangue.

 

"Buffo" pensò amaramente. 

 

Yoongi estrasse la lama dal fodero, apprezzando il sibilo acuto con cui gli diede il buongiorno. Si prese qualche istante per abituarsi al peso ormai famigliare dell'arma nella sua stretta, fino a che non sentì che essa era diventata un prolungamento della sua stessa mano. 

 

E sferrò il primo fendente. 

 

Le sue doti di combattimento non erano eccezionali, ne era consapevole. Ma non aveva bisogno che lo fossero. Gli era stato insegnato a brandire la spada più per scena che per reale necessità. Rinchiuso in quelle mura, non avrebbe mai avuto un reale bisogno di sapere come combattere.

 

O, almeno, così credeva. 

 

Quando il cuoio dell'impugnatura si fu completamente scaldato sotto i suoi polpastrelli e la sua fronte iniziò a imperlarsi di sudore, si fermò e si allontanò dal fantoccio di paglia davanti a lui. 

 

-Hyung! Ora posso provare? Ti prego! 

 

Taehyung scalpitava come un puledro in mezzo ad una prateria e il suo corpo ondeggiava talmente tanto da far svolazzare a destra e a sinistra i suoi lunghi capelli scuri. 

 

Yoongi emise un sospiro. 

 

-Va be...- 

 

Non fece in tempo a terminare la frase che suo cugino era già al suo fianco. Scuotendo il capo, il principe porse la lama al ragazzino, trattenendosi dal commentare il modo in cui il suo braccio cedette non appena ebbe impugnato l'arma. Invece, si pose dietro di lui e gli afferrò la mano, spostandola vicino all'elsa bronzea. Con il piede gli fece segno di allargare le gambe e gli disse di abbassare il bacino, in modo da bilanciare tutto il suo corpo. 

 

Mise la sua pallida mano su quella dorata di Taehyung e gli sospinse il braccio lentamente, facendogli compiere un movimento dal basso verso l'alto. 

 

-Ora prova tu. 

 

Si allontanò di qualche passo e fissò il ragazzino dallo sguardo eccitato e il corpo vibrante di energia. 

 

Fece altri due passi indietro. 

 

La prudenza non era mai troppa. 

 

Taehyung caricò il braccio tremante e sollevò l'arma davanti a sé, fermandosi in una posa che doveva avere visto durante qualche esibizione della danza della spada. 

 

Yoongi si mise una mano davanti alla bocca, ridacchiando sommessamente fra sé. 

 

-Mio signore. 

 

Un nuovo servitore si trovava dietro di lui con il busto piegato in avanti in un inchino. 

 

-Sì? 

 

-Sua maestà richiede la vostra presenza. 

 

Yoongi sollevò gli occhi al cielo. 

 

-Tae, la lezione è finita. 

 

La faccia del ragazzino si sciolse verso il basso in una smorfia delusa mentre con voce lamentosa lo implorava di concedergli ancora un po' di tempo. Yoongi però prese velocemente la lama dalle sue mani e la ripose nel fodero legato alla sua vita. 

 

-Il re- furono le uniche parole che aggiunse. 

 

Suo cugino tacque all'istante. Abbassò il capo e annuì mestamente, dirigendosi verso le porte blu come la notte intarsiate d'oro. 

 

Infine, Yoongi si voltò verso il servitore. 

 

-Possiamo andare. 

 

 

 

 

Con sua sorpresa, non fu condotto negli appartamenti privati di suo fratello. Solitamente, l'uomo lo chiamava nelle sue stanze per offrirgli di condividere una delle numerose donne che si era fatto recapitare o per chiedergli di suonare per lui. 

 

E seppur si rifiutasse ogni volta di accettare la prima opzione, molto spesso il re faceva chiudere a chiave la stanza, costringendolo ad assistere ai suoi intercorsi. 

 

-Voglio renderti un uomo, Yoongi. 

 

-Sei il mio prezioso fratellino. 

 

-Non mi rimane nessuno a parte te. 

 

Yonsan era sempre stato morbosamente attaccato a lui. Perché non sapeva. Solo per questo motivo se lo teneva stretto più che poteva, nella sua cieca convinzione che Yoongi fosse l'unica persona di cui si poteva fidare. 

 

Ogni tanto, però, poteva vedere il lampo di dubbio che gli balenava negli occhi. La paura viscerale che ogni sovrano, prima o poi, sperimenta. Si chiedeva se avrebbe mai preso il suo posto. Se lo avrebbe fatto cadere dal trono. 

 

Lo vedeva, talvolta, nel suo sguardo. 

 

Il servitore, però, lo condusse verso il cortile principale del palazzo e il giovane principe trasse un sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto assistere ancora una volta alla dimostrazione delle perversioni di suo fratello. 

 

Una volta giunto sulla lunga balconata che dava sul quadrato inondato dal sole, notò con sorpresa che era gremito di ministri di ogni rango. I loro colorati vestiti creavano un mare disomogeneo di rosso, blu e verde che lo disturbava misteriosamente. 

 

Era diverso tempo che non venivano riuniti così tanti ufficiali a palazzo. Forse il re si era finalmente deciso a fare il cerimoniale per la venuta della pioggia che gli era stato richiesto da ormai troppo tempo. Il popolo stava iniziando a diventare irrequieto a causa del lungo periodo di secca, tanto che anche coloro che avevano sempre passivamente accettato i capricci del sovrano stavano iniziando a manifestare il loro disappunto. 

 

Era noto che l'assenza di pioggia era il risultato di una mancanza nel re. E Yonsangun aveva fin troppe mancanze che potevano giustificare l'ira degli dei. 

 

-Sei giunto, fratellino? Perdonami per aver interrotto il tuo allenamento, desideravo condividere con te lo spettacolo di oggi. 

 

Spettacolo? 

 

Yoongi deglutì nervosamente. Qualcosa non andava. 

 

C'erano troppe persone. Alcuni ministri erano pure affiancati dai loro figli, a volte addirittura dalle loro mogli. Ognuno di quegli uomini teneva la testa bassa e stringeva la mano dei propri famigliari sudando copiosamente. 

 

Curiosamente, erano tutti sarim. 

 

Poi, il principe notò un altro elemento che lo mise fortemente a disagio. Le guardie del palazzo, insieme a quelle cittadine, erano disposte in due file ordinate sul fondo del cortile, talmente impassibili da potersi confondere con le colonne rosse che si susseguivano ordinatamente per tutto il perimetro e che sorreggevano il tetto scuro di forma spiovente del grande ingresso. 

 

Qualcosa decisamente non andava. 

 

-Siete pronto, sire? 

 

Ed ecco l'ultimo elemento. Im Sahong. 

 

-Saluti a vostra altezza reale, principe Yoongi.

 

Il giovane fu costretto a trattenere la smorfia di disgusto pronta a spuntargli sulle labbra. Im Sahong doveva essere stato, in una reincarnazione precedente, il mostruoso connubio fra una serpe venerea e un rospo. Non aveva mai conosciuto essere più viscido, più schifosamente falso ed opportunista di lui. 

 

Anche in quel momento, piegato in un inchino talmente profondo da nascondergli completamente il volto, trasmetteva quell'aria di superiorità che lo accompagnava costantemente. 

 

Yonsan era seduto sul trono. Ma quell'uomo era il vero re. 

 

-Nobile fratello, come mai sono state radunate così tante persone?

 

Ignorando l'omino ancora piegato nella sua direzione, si forzò ad usare il linguaggio più rispettoso che conosceva. Lo odiava. Odiava fingere sottomissione verso una persona che non la meritava. 

 

Aveva assistito a troppe dimostrazioni della follia di suo fratello per poterlo ancora guardare con un minimo di rispetto. Aveva visto troppo... sin dall'età di undici anni. 

 

Ma aveva anche imparato ad essere cauto quando la situazione lo richiedeva. 

 

-Lo scoprirai in un attimo- replicò il sovrano, rivolgendogli un sorriso tanto compiaciuto quanto pericolosamente sinistro. 

 

-Oggi risolveremo ogni problema di questo palazzo. 

 

Yoongi aggrottò le sopracciglia, riportando la sua attenzione alla folla radunata sotto di sé. 

 

Il re, allora, segnalò con la mano inanellata d'oro di iniziare. Im Sahong fece un tronfio passo avanti e con terribile lentezza aprì il rotolo che teneva fra le mani. 

 

-Per editto reale, tutti i funzionari sarim qui presenti sono riconosciuti colpevoli di tradimento contro il re per averne incoraggiato la deposizione e per aver congiurato contro il nostro onorevole defunto sovrano, sua maestà il re Seongjong. Per questo sono condannati all'esecuzione propria e di tutti i componenti delle loro case.

 

Yonsan sollevò l'angolo della bocca in un ghigno soddisfatto e socchiuse appena le labbra. 

 

-Uccideteli tutti.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Ebbene, allacciate le cinture perché sarà un angolo lungo. Molto lungo. Ci sono tante cosa da spiegare riguardo ai riferimenti storici in questo capitolo (e preparatevi perché il prossimo sarà un po’ gore... ok, un po’ tanto gore). 

 

Quando Yoongi parla dei colori dei ministri è perché in base al “livello” del ministro potevano vestirsi con quei tre colori. Non sto qui a spingervi tutte le classi e i livelli perché è una gran confusione e sinceramente ci ho capito poco anche io. Basta sapere che quelli di grado più alto indossavano il rosso, quelli di grado medio indossavano il blu e tutti quelli sotto indossavano il verde. 

 

Poi, la principessa Myeongsuk. È esistita veramente, non so se abbia avuto figli ma l’ho resa la madre di Tae per motivi di trama. Così come in questa storia, era la sorella del re precedente, quindi diciamo che aveva una certa autorità. 

 

Spesso troverete in riferimento al re attuale, il fratello di Yoongi, sia il nome Yonsan che Yonsangun. Questo perché chi diventava re assumeva un nuovo nome da sovrano. Yonsan era il nome da principe. Per quanto riguarda la sua figura, sono rimasta abbastanza fedele al personaggio originale. Era davvero un pazzo con manie di persecuzione e che amava “indulgere nei piaceri della carne”... diciamo così. L’unica cosa che non è verosimile alla realtà è il fatto che adorasse il fratello minore. La verità è che molto probabilmente ha tentato di ucciderlo perché aveva paura di essere detronizzato (e faceva bene). 

 

È vero che, in periodi di siccità o di infertilità del terreno, si addossava la colpa al re. Si credeva che ogni peccato del re risultasse in una punizione degli dei su tutto il popolo, perciò il re doveva fare un rituale buddhista per chiedere pietà presso gli dei (ma ciò voleva dire anche ammettere di aver commesso qualcosa di sbagliato). 

 

Dunque, i sarim. È un argomento un po’ complicato perciò diciamo che vi darò giusto un’infarinatura e spiegherò i dettagli più importanti nella storia. I sarim erano ministri di orientamento confuciano, per questo erano abbastanza bacchettoni e facevano rispettare le regole in maniera piuttosto rigida. In generale, molti di questi ministri avevano raggiunto la loro posizione per meritocrazia grazie a quell’esame di stato di cui vi avevo parlato un po’ di tempo fa. Praticamente tramite questo esame chiunque poteva accedere a delle cariche politiche, anche la gente del popolo. Vi lascio immaginare come la presero le vecchie famiglie nobiliari che: primo, preferivano il buddhismo (fondamentalmente perché aveva una filosofia molto più permissiva e indulgente); secondo, tramandavano le cariche politiche di generazione in generazione, in modo da conservare il potere all’interno della propria famiglia; terzo, qualora amministrassero una regione, potevano fare i comodi loro e aumentare le tasse a proprio piacimento per tenersi una buona percentuale. 

 

Bene, vi ho rimpinzati per bene di informazioni XD. Lo so, lo so. Ma come avete già visto in questo capitolo, succederanno cose, perciò ho pensato che fosse utile che capisce un minimo il motivo dietro le dinamiche di questa tragedia che, lo sottolineo, è avvenuta per davvero.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** XXI ***


(AVVERTENZA: questo capitolo conterrà scene sensibili.)

 

No. 

 

Yoongi spalancò gli occhi. 

 

-Fratello, che cosa...

 

Le parole gli morirono in gola come una candela spenta dalla violenza del vento. Le guardie uscirono dal loro stato d'immobilità, come statue intrappolate nel loro bozzolo di pietra che fossero state finalmente liberate. Nel momento in cui iniziarono a disperdersi per tutto il cortile, l'aria prese a risuonare di grida, lame che tagliano la carne e pianti singhiozzanti. 

 

-Fratello, devi fermarli! Perché? Perché vuoi questo? 

 

Si voltò verso il profilo imperturbabile dell'uomo asciutto, con la pelle leggermente abbronzata dal sole nonostante l'ombrello sulla sua testa e i capelli ordinatamente tirati in una crocchia. Le rughe di espressione avevano appena iniziato a segnargli gli angoli della bocca, distesa in un placido sorriso. 

 

-Yoongi, un giorno capirai che dei sacrifici sono necessari per il benessere del regno. Quelle persone erano una minaccia alla nostra sopravvivenza. 

 

No, Yoongi non avrebbe mai capito.

 

Yoongi vedeva solo il sangue che scorreva come rigagnoli di montagna, che luccicava sotto alla luce del sole, innaffiando  ogni cosa. Vedeva colli sgozzati e teste che rotolavano fino a che altri cadaveri non ne fermavano il cammino. 

 

-Ci sono bambini! Come possono dei bambini minacciare la nostra sopravvivenza?

 

Mentre pronunciava quelle parole, Yoongi riportò gli occhi sul bacile di quel mare rosso. Proprio sotto alla balconata su cui si trovava lui, c'era un piccolo che piangeva. Si guardava in giro, continuando a vorticare sui piedi minuti in cerca dei suoi genitori. Perché i corpi vicino a lui non avevano i volti delle persone che gli avevano dato la vita. 

 

-Vostra altezza reale, il sangue cattivo si trasmette di generazione in generazione. Un'erba malsana contamina tutte quelle nelle sue vicinanze. Non possiamo permettere che crescano degli uomini con la stessa corruzione di questi peccatori. 

 

Il principe non stava più ascoltando. 

 

Una guardia si era avvicinata al bambino in lacrime. 

 

Il piccolo non doveva avere più di cinque anni. 

 

L'uomo non ebbe un istante di esitazione. Sollevò la spada già grondante di rosso, sporcata dal mare in cui i suoi piedi erano immersi. 

 

Il corpo minuto cadde a terra senza fare rumore. Si sentì solo il rivoltante suono umido della pozza che accolse un nuovo sacrificio nel suo appiccicoso abbraccio. 

 

-Yoongi, che cosa stai facendo? 

 

La voce di suo fratello era lontana. Molto lontana. 

 

Non solo perché la sua mente stava cercando di silenziare l'ambiente intorno a lui, in modo che le urla non gli perforassero le orecchie. 

 

No. 

 

Era perché, ancora prima che potesse anche solo partorire un pensiero razionale, le sue gambe avevano già sceso le scale della balconata. I suoi piedi avevano preso a correre, rischiando talvolta di scivolare a causa delle pozzanghere rosse su cui atterravano. 

 

Yoongi sentiva il peso della sua spada al suo fianco. Gli sbatteva contro la gamba ad ogni passo, rammentandogli in modo martellante della sua presenza. 

 

-Yoongi!

 

I suoi occhi facevano fatica a focalizzarsi su un'unica scena. Rimbalzavano freneticamente dalle guardie con le armi conficcate nel petto di qualche cadavere, alle persone che correvano verso il fondo del cortile nel vano tentativo di fuggire. 

 

Toccò il manico della spada, ma gli tremavano le mani. Tutto il suo corpo, per la verità, tremava. 

 

E il suo stomaco stava iniziando a rivoltarsi a causa del fetore metallico che gli schiaffeggiò le narici. 

 

Un curioso pizzicore alla mandibola gli suggeriva che avrebbe volentieri rimesso tutto quello che aveva mangiato nella giornata. 

 

I suoi occhi, finalmente, riuscirono a rimanere per più di qualche istante fissi davanti a sé. 

 

Si fermarono sul corpo contratto di un ragazzino che poteva avere l'età di Taehyung. Anzi, doveva essere anche più giovane. Era tanto gracile, con quel corpo magro e sconvolto dai singhiozzi, accovacciato vicino a un uomo con il petto perforato. 

 

I suoi grandi occhi assomigliavano un po' a quelli di suo cugino. Erano offuscati dalle lacrime e si sollevarono sulla lama che creava un'ombra perfetta sul suo viso. 

 

Per Yoongi ci fu un momento di buio. 

 

Non era sicuro di vedere cosa stava facendo ma, ad un certo punto, fu consapevole del peso della spada nella sua mano. 

 

Non sapeva se fu perché, per un istante, vide Taehyung al posto di quel ragazzino. Vide Taehyung, con i grandi occhi inondati dal terrore. Vide Taehyung sul punto di essere privato del suo bellissimo volto sorridente, che sarebbe rotolato via, avvolto dai suoi morbidi capelli come un prezioso involucro. 

 

Quando Yoongi riprese conoscenza, nel momento in cui il buio si schiarì lasciandogli vedere con chiarezza ciò che lo circondava, la sua arma era sollevata, puntata contro il petto della guardia che stava per uccidere il ragazzino. 

 

Le sue braccia non erano mai state forti, ma in quel momento facevano tremare la lama come la coda di un cane eccitato. 

 

Era troppo tardi. Vide il lampo di consapevolezza nel volto del soldato, ma il suo braccio aveva già iniziato la sua discesa verso il basso e nulla avrebbe potuto fermarlo. 

 

Il principe fece appena in tempo a fare un passo indietro. 

 

 

 

Fortunatamente, gli occhi di Yoongi si chiusero d'istinto poco prima dell'impatto. 

 

Si aspettò di percepire la vita abbandonarlo in un colpo, un battito di ciglia. Ma così non fu. 

 

Il lato destro della sua faccia prese a bruciare come se qualcuno vi avesse accesso un fuoco sopra. Bruciava così tanto che il suo occhio sinistro prese a lacrimare senza che lui se ne accorgesse neppure. 

 

La sua gola aveva il sapore del sangue quando emise un grido. Si portò la mano sul viso e sentì le dita impiastricciarsi di appiccicume. 

 

-Vostra altezza, io...

 

Yoongi riuscì finalmente ad aprire l'occhio sinistro. La guardia era ferma con la spada abbassata. Lo sguardo terrorizzato che poco prima era negli occhi del ragazzino sembrava essere passato in quelli dell'uomo armato. 

 

-Fermi! Chiunque ferisca il principe verrà immediatamente messo a morte! 

 

La voce di suo fratello tuonò carica di panico e rabbia, sovrastando perfino le urla. La guardia, spalancando ancora di più le palpebre, fece cadere l'arma con un clangore metallico. 

 

Era la sua occasione. Poteva ferirlo, o almeno provarci. Il problema era che non riusciva a reggere la spada perché non poteva togliere la mano dalla sua guancia. Se lo avesse fatto, aveva l'impressione che il fuoco avrebbe ricominciato a divorargli le carni ancora più avido di prima. 

 

In più, la sua visuale era limitata a causa dell'unico occhio che riusciva a tenere aperto. 

 

-Prendetelo e portatelo qui! 

 

No...

 

Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa...

 

La guardia iniziò ad avvicinarsi a lui, prima cautamente, poi con maggior sicurezza man mano che notava la sua impossibilità di difendersi. 

 

Doveva agire. 

 

C'era qualcosa che tremava nel suo limitato campo visivo. Qualcosa di vivo, in contrasto con quel mare di morte immobile. 

 

Mentre il soldato si avvicinava, Yoongi si voltò appena. Il ragazzino lo guardava con gli occhi spalancati e il corpo raggomitolato su se stesso. 

 

-Scappa- mormorò. 

 

Il ragazzino non si mosse. Non sbatté neppure le palpebre. 

 

L'uscita del cortile era dietro di lui. Le guardie erano sparpagliate per tutto il quadrato ormai, perciò niente avrebbe bloccato la sua fuga. 

 

Forse, ce l'avrebbe potuta fare. 

 

Avrebbe potuto uscire di lì, vivo.

 

-Scappa! 

 

Il soldato stava per prendere Yoongi dal fianco cieco, ma il ragazzo si voltò di scatto e gli puntò l'arma incerta contro, arretrando fino a coprire il più giovane con la sua ombra. 

 

-Vostra altezza... 

 

-Non ti avvicinare! 

 

Sentì appena il suono di piedi che pestavano il mare appiccicoso. Le gambe del ragazzino stavano cedendo, lo tenevano in piedi per miracolo. Eppure lo condussero sempre più vicino all'uscita. 

 

Yoongi continuò ad arretrare mantenendo l'arma alzata davanti a sé. 

 

Ormai avevano raggiunto il limitare del cortile. La tettoia scura aveva iniziato a coprire le loro teste dal sole e il principe si ritrovò in mezzo a due colonne rosse, alla sua destra e alla sua sinistra, ritte e tornite come possenti guardiani. 

 

Mantenne lo sguardo sul soldato che si avvicinava lentamente a lui ma voltò di poco la testa verso le sue spalle. 

 

-Corri più veloce che puoi e nasconditi nella foresta- sussurrò. 

 

Lo scalpiccio concitato che gli giunse alle orecchie gli fece capire che le sue parole erano state ascoltate. La guardia esitò per qualche istante. I suoi occhi scattarono verso il ragazzino che stava correndo oltre la porta del palazzo reale, prima di ritornare sul viso insanguinato di Yoongi. 

 

Senza dire una parola, si avvicinò velocemente al suo fianco destro e gli afferrò le mani, facendogli cadere la lama a terra con un tintinnio contrariato e costringendolo a scoprire la guancia.

 

Nel momento in cui la ferita incontrò l'aria fu come se qualcuno avesse soffiato sopra alle fiamme che vi divampavano dentro.

 

Il bruciore gli dava alla testa, tanto che non si accorse di avere iniziato a grugnire fino ad arrivare ad emettere un urlo. 

 

La guardia, impassibile, lo spinse attraverso il mare di rosso che, in quel piccolo lasso di tempo, era diventata una distesa più silenziosa. Il suo livello era arrivato a raggiungergli le caviglie. 

 

Quando Yoongi non grugniva di dolore, voltava il capo a destra e a sinistra. Ormai, però, i superstiti erano pochi. Un manipolo di uomini che cercava di lottare con gli assalitori, ma finendo per raggiungere la massa informe e inanimata che dilagava sul pavimento. 

 

Un uomo si voltò verso di lui mentre stava per risalire i gradini della balconata. I suoi occhi lo implorarono, per un istante. Il momento successivo erano diventati vacui e lattiginosi, come quelli dei pesci sui banchi dei mercanti. 

 

Non c'era più nulla che lui potesse fare. 

 

Ormai poteva vedere al limite del suo campo visivo i piedi riccamente calzati del re. 

 

-Yoongi, che cosa ti è saltato in mente? 

 

Il principe non rispose. Tenne il capo abbassato, nel tentativo di alleviare il dolore che gli divorava la guancia e l'occhio. Probabilmente non stava aiutando, perché sentiva i disgustosi rivoli di sangue scorrergli lungo il volto fino a raggiungergli il collo e infilarsi sotto alla casacca.

 

-Mio signore, il principe ha contravvenuto ai vostri ordini... dovrebbe essere... 

 

Oh... Im Sahong non vedeva l'ora! Non vedeva l'ora di avere una scusa per toglierlo dal fianco di suo fratello, per toglierlo di mezzo del tutto! 

 

E pure quella grande idea... doveva essere stata partorita dalla sua mente malata! Era risaputo che i sarim contrastavano apertamente i modi di fare retrogradi delle vecchie famiglie nobiliari. Per un tradizionalista attaccato alla sua posizione come un parassita, non esisteva minaccia peggiore. 

 

Yoongi non poté più trattenersi.

 

-Brutta carogna figlio di una...

 

Suo fratello alzò una mano e il ragazzo si morse la lingua, digrignando i denti come un randagio. 

 

-Per adesso il principe verrà condotto dal medico per essere curato. Quando potrà reggersi di nuovo in piedi, deciderò quale destino lo attenderà- furono le uniche parole che il sovrano pronunciò. 

 

Per un attimo, il giovane lo fissò. Aveva le sopracciglia corrugate in un cipiglio contrariato, come se Yoongi fosse stato un poppante che aveva appena rotto un vaso prezioso. 

 

Distolse lo sguardo, mentre la guardia lo trascinava via dalla vista dell'uomo che non avrebbe più chiamato fratello. 

 

 

 

La sua faccia puzzava di erbe medicinali. L'odore era talmente forte da aprirgli le narici e raggiungergli la gola, che raspava infastidita. Il lato destro del suo volto era stato avvolto da bende, ma fortunatamente il bruciore sembrava essere diminuito, riducendosi ad un'insistente pulsare. 

 

Apparentemente, il suo occhio non era rimasto danneggiato dal colpo, perciò non appena la ferita fosse guarita avrebbe ripreso a vedere come prima. 

 

Questo, ovviamente, se la sua testa fosse stata ancora attaccata al suo collo. 

 

E in quel momento, in piedi davanti al trono di legno scuro percorso da dragoni d'oro, non era così tanto sicuro di quell'opzione. 

 

-Vostra maestà, la pena per chiunque vada contro gli ordini del re è chiara...

 

Im Sahong non vedeva l'ora. Probabilmente aveva già chiamato il boia, forse suggerendogli di prendere la sua arma più rovinata, in modo che l'esecuzione fosse risultata ancora più lenta e dolorosa. 

 

-Ne sono a conoscenza. 

 

La voce del re risuonò perentoria nell'ambiente, facendo allontanare di qualche passo il consigliere, piegato in un inchino profondo. 

 

Yoongi avrebbe voluto sputare in faccia a quello scarto di carogna ma convenne che, nella posizione in cui si trovava, l'azione poteva risultare controproducente. 

 

Gli occhi del sovrano erano fissi su di lui. La sua fronte era aggrottata e appesantita da un grappolo di rughe. 

 

-Principe Yoongi, per il crimine di aver contrastato gli ordini del re...

 

L'uomo trasse un sospiro. 

 

-... ti condanno all'esilio dalla capitale. Verrai confinato nella regione di Pyeongan-do, dove passerai il resto dei tuoi giorni.

 

Esilio. Yoongi sarebbe scoppiato a ridere. 

 

Yonsan si rendeva conto che gli stava facendo il favore più grande della sua vita? 

 

-Ma vostra maestà... 

 

-La mia decisione è presa. 

 

Im Sahong arretrò nuovamente, sigillando le labbra in una piega contrariata. 

 

"Che peccato", avrebbe voluto rispondere Yoongi. 

 

Gli dispiaceva così tanto vederlo insoddisfatto. 

 

-Potrai scegliere le guardie e i servitori che ti accompa...

 

-No.

 

Era la prima parola che pronunciava da che aveva messo piede in quella stanza. 

 

-Mi basterà un servitore. Non mi farò accompagnare da nessun altro.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Eeeeeeeh... mi potrebbe essere caduta un po’ la mano sul gore. Sorry. Comunque, Yoongi supereroe è il nostro mito. 

 

Dunque, per quanto riguarda la dinamica delle azioni di questo capitolo, è stata più che altro opera di fantasia. Non so di preciso in che modi si sia svolta questa epurazione dei sarim, ma è più probabile che, invece di un bagno di sangue come ho descritto qua, avessero preso in custodia i singoli individui per poi sottoporli alla decapitazione. Per motivi di trama, però, ho adattato la scena in questo modo. 

Per quanto riguarda il fatto che anche le famiglie dei sarim rimasero vittime di questa strage, invece, si tratta di un elemento fedele alla storia originale. 

 

Adesso le domande da chiedersi sono... cosa sarà successo al ragazzino? E chi sarà mai il servitore che Yoongi sceglierà di portare con sé? Uhm... XD ok, la seconda non è poi così difficile.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** XXII ***


Il re rimase per qualche istante chiuso in un silenzio perplesso. 

 

-Non essere ridicolo adesso, Yoongi... 

 

Il ragazzo mantenne gli occhi al pavimento irrigidendo la mascella. 

 

-Mi basterà un servitore. Non prederò nessun altro. 

 

Guardie? Come avrebbe potuto portarsi dietro delle guardie? Quelle stesse guardie che solo poche ore prima avevano tagliato le teste di uomini, donne e bambini? 

 

Come avrebbe potuto fidarsi di persone che avevano ciecamente obbedito a un ordine così assurdo, così disumano da essere contro natura? 

 

No. 

 

Lo avrebbero cacciato dalla capitale? Ebbene, era la sua unica occasione. L'occasione di essere libero. 

 

Libero dalla nefasta influenza del sovrano. 

 

Libero dai macabri complotti di Im Sahong. 

 

Libero dall'odio cieco di sua zia. 

 

E non poteva essere libero se al suo fianco aveva persone macchiate del sangue di innocenti. Avrebbe dovuto passare la vita a guardarsi le spalle, esattamente come aveva fatto fino a quel momento all'interno del palazzo. 

 

Ma non più. 

 

Il re lo guardò a lungo con uno sguardo contrariato sul viso. 

 

Yoongi provò a cercare, dietro al bagliore folle di quegli occhi offuscati, un briciolo di rimorso. Una pallida luce di colpevolezza, una scintilla di redenzione. 

 

Non vi era. Per quell'uomo tutto ciò che era successo quel giorno aveva la stessa importanza che consumare un pasto. 

 

Non era stato nulla. 

 

Niente. 

 

Per lui in quel momento era una questione più urgente che il suo caro fratello avesse una scorta dignitosa. 

 

-Ebbene, se è questo che desideri... 

 

Il sovrano si voltò verso il capo della servitù fermo vicino alla porta, un ometto basso e dal fisico asciutto con la testa china e la bocca costantemente serrata. 

 

-Raduna tutti i servitori del palazzo nel cortile principale in modo che il principe possa scegliere chi portare con sé. 

 

Invece che annuire e lasciare rapidamente la stanza, l'uomo sembrò esitare per qualche istante. 

 

-Vostra maestà, il cortile principale è ancora... 

 

Un brivido percorse la schiena di Yoongi e il lato destro del suo volto parve pulsare un po' più insistentemente. 

 

Non avevano ancora lavato via il sangue. 

 

Il mare era troppo grande per essere domato in così poco tempo. 

 

Forse c'erano ancora pile di cadaveri lasciati a putrefare sotto alla calura del sole. 

 

Che cosa sarebbe successo loro? Sarebbero stati restituiti alle proprie famiglie? Avrebbero avuto l'opportunità di ricevere una sepoltura dignitosa? 

 

O... sarebbero stati gettati in qualche fossa comune, impilati l'uno sopra l'altro come scarti, come rifiuti? 

 

Perfino il re parve esitare brevemente di fronte alla replica del servitore. 

 

-Beh, allora... fateli radunare nel cortile interno agli appartamenti del principe. E fate in fretta. 

 

Questa volta, l'uomo annuì con sottomissione e scivolò via dalla sala del trono. Il sovrano riportò allora lo sguardo sul capo chino del fratello. 

 

-Ti invierò con regolarità dei sussidi in modo che tu possa...

 

-Non ve ne sarà bisogno. 

 

Non voleva nulla da lui. 

 

Non avrebbe accettato la sua carità. 

 

Avrebbe preferito diventare un intoccabile piuttosto che vivere mantenuto da quel...

 

Il re sbuffò, massaggiandosi la fronte. 

 

-Allora accetta almeno di vivere nella magione vicino al confine e amministrare la porzione di terreno circostante. Non è facile vivere a Pyeongan-do, è la regione che ha subito di più gli effetti della siccità. 

 

Il principe si morse il labbro inferiore. Quella preoccupazione così sincera e genuina gli creò una sorta di viscerale repulsione che gli inacidì lo stomaco. 

 

-Come desiderate, vostra maestà. 

 

L'uomo lo fissò in silenzio. Yoongi non lo guardò, ma percepì l'insoddisfazione che la sua fredda risposta aveva causato. 

 

Per un momento, un solo istante... ebbe pena per lui. Sembrava non rendersi neppure conto della portata delle sue azioni. Era solo un fantoccio nelle mani di un avido manipolatore.

 

Un fantoccio senza anima. 

 

-Molto bene. Conducete il principe nei suoi appartamenti. 

 

 

 

Il suo cortile personale non assomigliava affatto al grande spiazzo di pietra in cui erano stati radunati i ministri. 

 

Quel quadrato erboso era molto più piccolo ed era circondato ai quattro lati dalle porte scorrevoli delle sue stanze, dai variopinti blu e verdi. Le colonne rosse che reggevano il tetto spiovente erano assai più basse rispetto a quelle che sorreggevano l'imponente ingresso del palazzo, massicce e possenti come se fossero state loro le vere guardie a protezione dell'edificio. 

 

In effetti, poiché il suo cortile privato era di così più ridotte dimensioni, appariva estremamente affollato a causa del numero di servitori che vi erano stati portati. 

 

Yoongi percorse con lo sguardo ogni uomo, ogni eunuco e ogni ancella. 

 

Una decina erano i servi personali del re. 

 

Un paio erano le fedeli orecchie della principessa Myeongsuk. 

 

Tutti gli altri erano stati piazzati dalle grandi famiglie nobiliari per tenere sotto controllo la situazione a palazzo o erano spie di Im Sahong. 

 

Alcuni di loro erano i servitori che avevano seguito Yoongi negli ultimi anni ma il principe sapeva che anche loro erano stati mandati da qualcuno. 

 

Non poteva fidarsi. 

 

Non poteva fidarsi di nessuno.

 

Avrebbe volentieri lasciato tutti lì, fermi come degli allocchi, e partire da solo. Sfortunatamente, una vita cresciuta nelle mani di altri non gli aveva permesso di essere indipendente. 

 

Il suo orgoglio bruciava di umiliazione a quel pensiero, ma doveva essere onesto con se stesso. 

 

Non sarebbe sopravvissuto da solo. Non aveva idea di come prendersi cura di se stesso. Aveva bisogno di un assistente. 

 

Eppure... non poteva convivere con qualcuno che avrebbe potuto piantargli una spada nella pancia non appena avesse chiuso gli occhi. 

 

O che avrebbe venduto i suoi segreti al migliore offerente alla prima occasione utile. 

 

-Sono tutti i servitori del palazzo? 

 

L'uomo che era stato incaricato dal re era fermo al suo fianco con il capo umilmente chino. 

 

-Non tutti, mio signore, solo quelli che siamo riusciti a radunare nel minor tempo possi...

 

Da dietro al portone di ingresso provennero degli schiamazzi. Yoongi li avrebbe definiti gli starnazzi di un'oca impettita se non fossero suonati così tanto umani. 

 

Eppure erano acuti e petulanti, proprio come quelli di un'oca. 

 

-Cosa sta succedendo? 

 

Il capo della servitù sembrò, per un momento, sciogliersi dalla sua impeccabile postura da umile servitore. Emise un sospiro e, prima che potesse spiegare, fu preceduto dal suono dell porte che venivano aperte. 

 

Un ragazzo fu condotto da una guardia dallo sguardo assai irritato verso il cortile. 

 

Il ragazzo doveva avere l'età di Yoongi, seppur fosse molto più alto di lui. Ma sopratutto, nonostante venisse bruscamente trascinato dal soldato per un braccio, si dimenava animatamente ricoprendo l'uomo di insulti. 

 

-Ma insomma! Vi sembra questo il modo di trattare il cuoco di corte? Voi non sapete che io ho una grande responsabilità, vero? Ah, voi esseri ignoranti... 

 

Il capo della servitù aggrottò le sopracciglia e lanciò uno sguardo infuocato in direzione del giovane. Questo, però, parve ignorare platealmente il muto rimprovero del superiore, continuando nel suo incessante fiume di elucubrazioni. 

 

-Vi chiedo perdono, vostra altezza. Il cuoco di corte non è abituato a interagire con persone del vostro rango... 

 

L'uomo era piegato in un profondo inchino mentre sciorinava una serie di scuse, ma il principe poteva comunque intravedere le occhiate che stava lanciando al ragazzo ignaro. 

 

Quando quest'ultimo, però, fu posto accanto agli altri servitori, proprio davanti agli occhi del principe, tacque immediatamente. Nonostante ciò, non abbassò lo sguardo e non cercò di evitare gli occhi tenebrosi di Yoongi. 

 

-Molto bene. Verrà lui. 

 

Il capo della servitù alzò la testa di scatto e, per la prima volta, fissò il principe con un totale e genuino stupore. 

 

-Come avete detto? 

 

Yoongi piegò placidamente il capo in direzione del ragazzo con la voce da oca. 

 

-Sarà il cuoco a venire con me. Partiremo domani all'alba. 

 

Il principe posò per un breve istante lo sguardo sul giovane, trovandovi due palpebre spalancate e una bocca contorta in un'espressione di sorpresa. 

 

-Aspettate... che cosa sta succedendo? 

 

-Vostra altezza, siete sicuro? 

 

L'uomo al suo fianco lo guardava con le sopracciglia aggrottate come a voler esprimere a gran voce "Vi consiglio caldamente di cambiare idea!".

 

-Insomma, lo abbiamo fatto condurre qui solo perché sua maestà ha ordinato di portare tutti i servitori ma... 

 

-Sono sicuro. 

 

Il cuoco di corte. Non aveva mai sentito parlare di lui e non aveva mai visto la sua faccia. 

 

Ciò voleva dire una cosa sola. Non era una spia. 

 

Se non era abituato a interagire con i nobili, questo significava che non era solito ficcare il naso in situazioni che non lo riguardavano per ascoltare gli affari degli altri. 

 

Inoltre, il suo posto era uno che diventava facilmente vacante. Ogni due o tre anni un cuoco veniva giustiziato per attentato avvelenamento nei confronti del re o del principe. Se il ragazzo aveva ancora la testa sul collo era perché nessuno lo aveva ancora comprato. 

 

E ciò voleva dire che sapeva fare il suo lavoro. 

 

A Yoongi non serviva altro. 

 

-Chiedo scusa ma... io non ho ancora capito! 

 

 

 

Il cielo era tinto di oro quella mattina. Gli ricordava gli intarsi delle porte del palazzo: possenti draghi, leggendarie creature o distese di fiori eleganti che si susseguivano su manti di legno scuro.

 

Non gli sarebbe mancato quel posto. Non aveva accumulato altro che una pila di ricordi negativi, stantii e ingombranti come rifiuti che impuzzolentivano e ingrigivano tutta l'opulenza che conteneva. 

 

Non rimpiangeva nulla. 

 

Nulla. 

 

Eccetto forse... 

 

-Hyung! 

 

Yoongi si morse il labbro inferiore. Ovviamente, l'unica persona che non avrebbe voluto salutare in quel giorno. Purtroppo, anche l'unica persona che desiderava vedere prima di andarsene. 

 

I grandi occhi di Taehyung erano stupidamente bagnati da gocce perlacee, impreziosite dal riflesso dell'alba. 

 

-Che cosa ci fai qui?- gli chiese freddamente il principe. 

 

-Hyung! Che cosa... che cosa ti hanno fatto? 

 

Una mano tremante fece per sfiorare la benda che copriva la parte destra del suo volto, ma si ritrasse prima di raggiungere l'obbiettivo. 

 

-Hyung, ho scoperto che te ne vai... io... è vero? Ti prego, dimmi che torni! 

 

Il ragazzino si aggrappò al suo hanbok nero come un'aquila. Arpionò il tessuto come se fosse stato l'unico appiglio che gli impedisse di cadere in un baratro buio. 

 

Yoongi avrebbe voluto scrollarselo di dosso. Avrebbe voluto allontanarlo bruscamente, voltarsi e andarsene senza dire una parola.

 

Sarebbe stato meglio così, per tutti e due. Lui lo avrebbe comunque odiato, prima o poi. Lo avrebbe sicuramente detestato una volta scoperta tutta la verità. 

 

E Yoongi se ne sarebbe potuto andare con il cuore in pace. 

 

E invece non ci riusciva. 

 

Si ritrovò a contemplare il viso in lacrime di suo cugino, incapace di distogliere lo sguardo. 

 

Taehyung non aveva un padre. Sua madre lo aveva cresciuto nel terrore e nella rigidità, costringendolo a essere il perfetto erede che lei aveva bisogno che lui fosse. 

 

Perciò Taehyung aveva solo lui. Se anche Yoongi avesse distrutto quel poco di felicità che gli era rimasta, lui sarebbe crollato. Si sarebbe disintegrato, ridotto ad un briciolo del ragazzo che era e dell'uomo che poteva diventare. 

 

Non poteva fargli questo. 

 

-Tae, devo andare. 

 

Il suo tono era indulgente, forse anche carico di rimorso. 

 

-No, ti prego hyung... 

 

Il ragazzino gli circondò il busto con le braccia, stritolandolo in un abbraccio che, in qualsiasi altro momento, Yoongi avrebbe definito fastidioso. 

 

Il principe tacque. Avrebbe voluto immergere il viso nei lunghi capelli del cugino e dirgli che poteva venire con lui, se voleva. 

 

Sarebbe stato libero anche lui. Avrebbe potuto dedicarsi all'arte, come aveva sempre voluto, e sua madre non sarebbe stata lì a giudicarlo per ogni sua mossa. 

 

Ma il ragazzo lo sentiva. 

 

Sentiva lo sguardo di ferro di Myeongsuk, che lo osservava da sotto la tettoia dell'ingresso come un falco. Un rammemoratore pesantemente nascosto nei suoi occhi inflessibili. 

 

"Stai lontano da mio figlio." 

 

Yoongi percepì anche la presenza del cuoco, che era stato condotto vicino ai due cavalli che li avrebbero portati fino a destinazione. 

 

Era ora. 

 

-Devo andare. 

 

-Hyung, portami via con te...

 

Yoongi strinse gli occhi alla richiesta di quella voce così infantile. Sentiva la spalla umida, bagnata dai singhiozzi del ragazzino. 

 

-Un giorno... te lo prometto...

 

Furono le ultime parole che mormorò stupidamente contro l'orecchio di Taehyung.

 

Non doveva fare promesse che sapeva di non poter mantenere. 

 

Era stato così egoista da parte sua. 

 

Eppure voleva che Taehyung continuasse a crescere con una speranza. Anche se misera e inutile. 

 

Gli diede una pacca sulla testa e si allontanò dalle braccia del ragazzino con gli occhi umidi.

 

Lui lo lasciò andare. 

 

Rimase fermo a guardarlo mentre si voltava e raggiungeva la sua cavalcatura con le spalle curve e pesanti. Rimase fermo a guardarlo anche mentre montava sull'animale e assicurava le bisacce. 

 

E Yoongi non si voltò più indietro.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Sniff... perché l’angst non può mai mancare. Per qualche motivo Tae finisce sempre in scene strappalacrime (o in lacrime strappascene?) nelle mie storie. Io boh. 

Abbiamo ufficialmente introdotto Seokjin! XD fun fact, all’inizio quando stavo progettando la storia doveva essere l’assistente di Namjoon ma sapevo che in quel caso avrebbe fatto giusto qualche sporadica comparsa e mi dispiaceva. Devo dire però che man mano come personaggio ha preso una piega inaspettata e molto più spazio di quanto pensavo di dedicargli. But I regret nothing.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** XXIII ***


-Non potremmo fare una pausa? 

 

Yoongi trattenne l'ennesimo sospiro e alzò gli occhi al cielo. 

 

-Siamo appena partiti ed è già la terza volta che mi fai questa domanda. 

 

Il principe sentiva la spada sbattere contro il fianco al ritmo lento del passo del cavallo e dovette mordersi l'interno della guancia per impedire alla sua irritazione di avere la meglio. 

 

-È solo che non mi trovo a mio agio ad avere una bestia in mezzo alle gambe... è la prima volta che salgo su un cavallo... non potevamo prendere un mezzo diverso?- chiese con voce lamentosa il cuoco al suo fianco.

 

Questa volta il giovane non trattenne il sospiro che gli sorse spontaneo. Iniziava a rimpiangere le sue recenti decisioni. 

 

-E con quale altro mezzo avresti preferito viaggiare, di grazia? 

 

Per qualche istante, non si udì altro rumore che quello della radura che li circondava. Erano appena usciti dai confini della capitale per immergersi in un sentiero boschivo che conduceva a nord e, intorno a loro, non vi era altro che una distesa di alti alberi e scarni arbusti. 

 

-Un carro? Non avreste avuto comunque bisogno di portare con voi, che so... abiti? Cimeli di famiglia? 

 

Il principe chiuse gli occhi e si massaggiò le palpebre, trattenendo l'istinto di far partire il cavallo al galoppo e lasciare lì quella fastidiosa cicala lamentosa. 

 

-Un carro avrebbe rallentato il viaggio e ci avrebbe reso più vulnerabili ad eventuali attacchi. Inoltre, ho tutto quello che mi serve con me.

 

Sentì il ragazzo lanciare uno sguardo scettico sulle sue bisacce, forse per giudicare la quantità di oggetti che esse potevano contenere, ma notò con piacere che decise di non replicare. 

 

-Io mi chiamo Seokjin, comunque. 

 

Il principe rimase in silenzio, ignorando l'informazione non richiesta. 

 

Avrebbe desiderato un po' di quiete. Il dolore della ferita era tornato a martellargli la testa, rendendogli la mente piuttosto annebbiata. In più, nei suoi occhi era ancora intrappolata l'immagine del mare di sangue e delle lacrime di suo cugino. 

 

Necessitava pace mentale. 

 

Necessitava tempo per digerire tutti gli eventi che si erano susseguiti nell'arco di quei due giorni. 

 

Ma a quanto pareva il suo compagno di viaggio non riusciva a comprendere questo suo bisogno.

 

-Quanti anni avete? 

 

Yoongi si costrinse a schiudere le labbra, talmente pigre che sarebbero rimaste volentieri serrate. 

 

-Ha importanza?- chiese con fredda indifferenza. 

 

Quando usava quel tono aspro e tagliente con i servitori del palazzo solitamente riceveva in risposta un profondo inchino e delle tremanti scuse. 

 

Ma, nuovamente, sembrava che il suo compagno di viaggio fosse inconsapevole delle sue intenzioni. 

 

-Direi di sì. Avete iniziato a rivolgervi a me sin da subito in maniera informale, benché io sia piuttosto certo di essere più grande di voi. 

 

Yoongi corrugò le sopracciglia e si voltò verso il cuoco che, benché sedesse in maniera rigida sulla sua cavalcatura aggrappandosi alla criniera del povero animale, lo fissava con assoluta sincerità. 

 

-Ho sedici anni. 

 

Seokjin fece schioccare sonoramente la lingua. 

 

-Come immaginavo, sono più grande di voi di un anno. Non pensate che dovreste usare un linguaggio più formale quando vi rivolgete a me? 

 

Yoongi era sinceramente, totalmente, stupidamente incredulo. Nessun servitore aveva mai osato questionare la sua mancanza di formalità nel rivolgersi ai suoi sottoposti, neppure quelli molto più anziani di lui. 

 

Lui era un principe, d'altronde. 

 

Gli avevano insegnato sin dalla nascita che l'onore e il rispetto gli erano dovuti a causa della sua posizione. 

 

In effetti, però, ogni qualvolta le persone si rivolgevano a lui con finta deferenza provava un moto di fastidio. La schiettezza di quel ragazzo, benché disarmante, era una novità che si ritrovò sorprendentemente ad apprezzare. 

 

-Quindi vorresti che mi rivolgessi a te in maniera formale? 

 

-No. 

 

Il principe corrugò ancora di più le sopracciglia. Sentiva che quella conversazione gli stava consumando la testa. 

 

-Non voglio che mi parliate in maniera informale. Ma io sono comunque più grande di voi. 

 

Yoongi scosse leggermente la testa. Era quello il punto di tutto quell'inutile discorso? 

 

-Vedete, è una questione di...

 

-Shh! 

 

Fortunatamente, il cuoco serrò immediatamente la bocca non appena il principe lo zittì. Forse era perché aveva percepito il senso di allarme nella sua voce, o perché aveva notato la postura rigida che il suo corpo aveva assunto, spingendolo a portare la mano all'elsa della spada. 

 

O forse era perché anche lui, come Yoongi, aveva sentito quel leggero fruscio provenire dalla loro destra, dietro un gruppo di arbusti. 

 

"Come immaginavo." 

 

"Im Sahong non poteva resistere ad un'occasione così succulenta." 

 

Sapeva che c'era la possibilità di un'imboscata. Il fatto di non essere accompagnato da nessuna guardia lo rendeva un bersaglio ancora più facile. L'opportunità perfetta per i suoi nemici di liberarsi di un potenziale pericolo una volta per tutte. 

 

Yoongi attese. 

 

Poteva essere stato un semplice animale spaventato dai cavalli, ma ne dubitava. Sentiva la pressante sensazione di due occhi che lo fissavano con intensità. C'era qualcuno. 

 

Un altro rumore sorse nello stesso punto, dietro ai cespugli. Un rametto che si spezzava timidamente sotto al peso di un piede. Un respiro affannoso malamente celato.  

 

Il principe fece per estrarre la spada ma esitò. Un soldato non avrebbe mai fatto errori così grossolani. O era un novellino alle prime armi oppure... 

 

-Vieni fuori! 

 

Silenzio. 

 

Nulla si mosse. 

 

Perfino il suono del respiro, così evidente fino a un momento prima, sembrò cessare. 

 

Yoongi rimase in attesa per qualche istante. Infine, smontò da cavallo. 

 

-Che cosa state facendo? 

 

Seokjin lo guardò con gli occhi spalancati mentre sussurrava la sua esclamazione.

 

Il giovane lo ignorò, avvicinandosi sempre di più al gruppo di cespugli. Il rumore dei respiri era più debole di prima, più contenuto, ma man mano che si avvicinava diventava maggiormente evidente. 

 

Quando giunse davanti agli arbusti, si fermò. Non era un soldato. Quelle piccole, tremolanti ispirazioni non potevano venire dal petto di un uomo. 

 

Non appena si sporse oltre la barriera che nascondeva il suo obbiettivo, infatti, incontrò due grandi occhi spaventati e un corpo minuto e cosparso di brividi. 

 

Era vivo. 

 

Era davvero riuscito a scappare e gli aveva dato retta. 

 

Si era nascosto nella foresta. 

 

-Vieni fuori- ripetè, questa volta in tono basso e accondiscendente. 

 

-Non ti faremo del male. 

 

Il ragazzino con gli occhi simili a Taehyung studiò il suo volto per qualche istante. Dopo essersi soffermato sulla benda che gli copriva la guancia destra, sembrò riprendere un po' di colore nel viso pallido. 

 

Nonostante ciò, non si alzò. Yoongi, allora, allungò una mano verso di lui. 

 

In effetti, a ben guardarlo, non aveva molte somiglianze con suo cugino. Le folte ciglia scure che gli accentuavano gli occhi lo facevano assomigliare più ad un piccolo cerbiatto spaventato. Anzi, sembrava un coniglio. La forma arricciata delle labbra che faceva spuntare i due incisivi frontali gli davano proprio l'aria di un coniglietto. 

 

-Beh... e tu da dove spunti fuori? 

 

Nel momento in cui il ragazzino prese la mano del principe e uscì dal suo nascondiglio, Seokjin si precipitò giù dal cavallo, rischiando nel mentre di rompersi una gamba. Dopo essere scivolato malamente giù dalla sella, il cuoco si avvicinò rapidamente al gruppo di cespugli. 

 

-Da quanto eri nascosto lì?- chiese il principe con tono pacato. 

 

Se aveva raggiunto la foresta non appena fuggito dal palazzo, doveva essere lì da quasi un giorno. Ciò voleva dire che molto probabilmente non toccava cibo da diverse ore e che doveva aver passato la notte al freddo a dormire in mezzo agli arbusti. 

 

Il ragazzino lo fissò ma non rispose. Non sapeva se fosse un tipo di poche parole o se fosse timoroso di lui. Però Yoongi aveva notato come i suoi occhi continuavano a scivolare sulla benda che gli copriva il lato destro del viso. 

 

-Sei scappato da casa tua? Per quale motivo sei qua? Non sai che è pericoloso rimanere nella foresta? Potrebbero attaccarti degli animali selvatici! 

 

Mentre enunciava la sua sequela di domande, il cuoco si avvicinò sempre di più ponendo le mani sui fianchi come una massaia contrariata. Il ragazzino studiò il giovane con maggiore circospezione ma, nuovamente, non disse una parola. 

 

-Hai fame? 

 

Lui riportò la sua attenzione su Yoongi. Questa volta, dopo qualche momento di incertezza, annuì scuotendo il capo. 

 

-Dovrebbe tornare dalla sua famiglia, dovremmo aiutarlo a ritrovare la strada di casa!- esclamò Seokjin, guardando il principe con un cipiglio contrariato. 

 

Yoongi abbassò gli occhi ed ebbe l'impressione di sentire un lieve mugolio sofferente provenire dal ragazzino. 

 

Non aveva più una famiglia a cui tornare. 

 

I suoi genitori giacevano in una pozza di sangue, lasciati a putrefare sul cortile di pietra del palazzo. 

 

Il principe ebbe un sussulto allo stomaco. 

 

-Vuoi venire con noi? 

 

I grandi occhi del ragazzino si spalancarono. 

 

-Ma voi mi ascoltate quando parlo?

 

Yoongi ignorò il commento del cuoco. 

 

-Andiamo a Pyeongan-do. 

 

Il ragazzino abbassò lo sguardo. Le sue palpebre sfarfallarono leggermente, segno che stava valutando l'offerta ma che aveva ancora timore. Poi, però, risollevò la testa e annuì. Mordendosi le labbra con imbarazzo, scavalcò i cespugli e si avvicinò lentamente ai due ragazzi. 

 

-Come ti chiami? 

 

Il ragazzino abbassò il capo, guardando ovunque pur di non incrociare lo sguardo dei due interlocutori. 

 

-Jungkook. 

 

 

 

Alla fine Seokjin aveva ottenuto quello che voleva. 

 

Dopo aver legato le cavalcature al tronco di un albero, si erano tutti seduti a terra e avevano iniziato a tirare fuori le scorte di cibo per il viaggio. Yoongi rimase sorpreso dal fatto che il cavallo del cuoco non fosse morto dalla fatica in quel breve tratto che avevano percorso. Il ragazzo iniziò a prelevare sempre più contenitori di carne essiccata, pesce grigliato e verdure fermentate tanto che il principe si chiese come avesse fatto a fare entrare tutte quelle cose nelle borse fissate sulla schiena dell'animale. 

 

Ma mentre lui e il cuoco avevano spizzicato appena qualche assaggio, Jungkook aveva preso a divorare tutto ciò che gli veniva posto davanti. 

 

-Sarai anche uno di poche parole ma il tuo stomaco non è affatto timido- borbottò Seokjin con gli occhi piantati sul ragazzino. 

 

Questo, in tutta risposta, continuò a ingoiare la striscia di carne di bovino che aveva tra le mani. In effetti, l'unica parola che aveva pronunciato era stata il suo nome. Anche durante il pasto l'unico modo con cui comunicava con i due ragazzi era con cenni del capo. 

 

Curiosamente, però, mentre sembrava essere più diffidente nei confronti del cuoco, pareva essere più propenso a rispondere a Yoongi, tanto che il principe poteva sentire l'attenzione con cui lo studiava silenziosamente. 

 

-Ricordatemi per quale motivo stiamo portando con noi un ragazzino trovato nella foresta, invece che accompagnarlo dalla sua famiglia- brontolò Seokjin tra un boccone e l'altro. 

 

-Tra l'altro, non sapevo neanche che andassimo a Pyeongan-do. Ieri mi hanno semplicemente riportato in cucina come un prigioniero dopo avermi ordinato di presentarmi all'ingresso del palazzo stamattina all'alba... 

 

-I miei genitori sono morti. 

 

I presenti si bloccarono sul posto, come se una qualche divinità avesse scatenato i suoi poteri pietrificandoli nel bel mezzo del pasto. Seokjin non portò neppure le bacchette alla bocca, le lasciò ferme a mezz'aria mentre posava gli occhi spalancati sul ragazzino. 

 

-Non ho più una famiglia. 

 

La voce di Jungkook era incerta e lievemente acuta, dandogli un'aria ancora più indifesa. Yoongi riprese a mangiare ma mantenne lo sguardo basso. 

 

Avrebbe voluto dirgli qualcosa. 

 

Che gli dispiaceva. 

 

Che desiderava essere stato in grado di salvare anche i suoi genitori.

 

Che si sentiva terribilmente impotente. 

 

Che non si era mai sentito così tanto inutile come in quel momento.

 

Forse, se non avesse esitato, se non avesse tremato come un codardo, avrebbe potuto salvare più persone. 

 

Eppure non riuscì a pronunciare una singola parola. Erano tutte intrappolate nella sua gola, così pesanti e ingombranti da rendergli ogni boccone sempre più difficile da ingoiare. 

 

-Voi lo sapevate? 

 

Il principe sentì lo sguardo insistente del cuoco su di lui ma non rispose. Era troppo impegnato a tenere il cibo nello stomaco. 

 

Un imbarazzato silenzio lasciò spazio alla voce della foresta. Il fruscio degli uccelli che si infilavano tra i rami degli alberi. Il basso frinire dei grilli. Il lieve tamburellare delle zampe delle lepri che correvano nei loro nascondigli. Tutto intorno a loro parlava, forse cercando di riempire il vuoto che le parole non riuscivano a colmare.

 

-Beh, piccolo Jungkook, ora non dovrai più preoccuparti. 

 

Il ragazzino sollevò lo sguardo incerto sul cuoco, che lo guardava con occhi lucidi posando una mano sui suoi capelli. 

 

-D'ora in poi ci pensa hyung a te.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Ed ecco tornato Kookie! Siete contenti? Io sì, il piccolo coniglietto tenerselo mi mancava già, anche se lo avevamo lasciato per poco. Devo dire la verità, dopo aver scritto questo capitolo ero molto indecisa sé continuare a raccontare del viaggio oppure riportarci da Diana e Yoongi e vedere che succede. Ero talmente indecisa che fino a che non ho iniziato a scrivere non avevo idea di che direzione prendere, ma alla fine sono abbastanza soddisfatta di quello che è venuto fuori. Nessuno anticipazione però ;) 

 

By the way, preparatevi perché questa storia verrà decisamente più lunga delle mie precedenti. Mi sono resa conto che ancora devono succedere un sacco di cose e nonostante ciò siamo già al capitolo 23. Però ho deciso di continuare così perché voglio mostrare e costruire le varie relazioni fra i personaggi poco alla volta in modo che possano risultare più interessanti anche per voi. Sentitevi liberi comunque di farmi sapere se considerate il ritmo troppo lento, vedrò di aggiustare un po’ la narrazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** XXIV ***


Quando la voce del principe cessò di riempire l'aria con il suo caldo crepitio, la stanza parve diventare più stretta. Era come se ad ogni parola le pareti si fossero accostate tra di loro sempre più, costringendo i due corpi e le due anime ad avvicinarsi un soffio alla volta. 

 

Forse era per quello che Diana si era ritrovata leggermente protesa in avanti alla fine del racconto del ragazzo. Si sentiva come un pesce appeso alle sue labbra, con il petto trafitto da un uncino crudele e doloroso, incapace di lasciarla andare alla sua presa mortale. Non voleva allontanarsi. Non voleva fuggire o chiudere le orecchie. 

 

Voleva sapere di più. 

 

C'erano cose che il principe ancora non le aveva rivelato. Il mistero dietro alla sua nascita, ad esempio. Il segreto che pesava sulla sua coscienza e che sembrava minacciare di corrompere il rapporto che aveva con suo cugino. 

 

Bramava di più. Ma sapeva di non dover essere avida. 

 

Con quello che aveva sentito, la nebbia che nascondeva i veri colori di quel cielo misterioso aveva iniziato a sollevarsi, dandole modo di dare una forma e una sostanza a ciò che aveva davanti. Benché per la maggior parte facesse ancora fatica a sondare completamente gli abissi di quell'animo chiuso e così tormentato, sentiva di iniziare ad avere un'idea di che tipo di uomo era.

 

 Le ricordò una formica che tentava di sollevare un masso grosso quanto un carro. Per quanto si sforzasse, per quanto lottasse, era un peso troppo grande per lei. Eppure quella formica sentiva la responsabilità di salvare le sue compagne rimaste schiacciate da quel masso. E non riusciva a darsi pace per la sua incapacità di aiutarle. 

 

-Il resto, beh... lo puoi immaginare. Siamo arrivati qua e... in qualche modo abbiamo imparato a prenderci cura di noi stessi. 

 

Diana rimase in silenzio, come aveva fatto per la durata di tutto il racconto. C'erano momenti in cui il silenzio era più prezioso delle parole. Momenti in cui ascoltare era la più utile delle risorse, la medicina più efficace. 

 

-E Hoseok?- mormorò infine la ragazza. 

 

Il principe piegò appena il capo alla domanda, ma mantenne gli occhi fissi sul pavimento di legno, come aveva fatto da quando aveva iniziato a raccontare.

 

-Hoseok... si unì in seguito. La sua storia è un po' diversa dalle nostre. Sarebbe meglio se fosse lui a raccontartela in prima persona. 

 

Diana annuì senza insistere ulteriormente. Aveva capito che, se le precedenti conversazioni con il principe non erano state casuali, Hoseok doveva essere l'intoccabile che lui aveva menzionato. E benché la ragazza conoscesse la nozione dietro a quella parola, non poteva comprendere fino in fondo cosa essa comportasse. Non poteva immaginare quale vita avesse avuto il ragazzo prima di entrare in quella bizzarra compagnia, né quale sorta di sofferenze doveva aver patito a causa di quella semplice, insignificante parola. 

 

Una parola poteva valere tanto. Poteva valere un mondo. Schiava, ad esempio. Per Diana quella parola valeva come la sua intera vita. 

 

La ragazza comprese, perciò tacque. 

 

I suoi occhi chiari ricercarono quelli sfuggenti dell'uomo seduto di fronte a lei ma, nuovamente, non riuscì a catturarli. Scivolavano dalla sua presa come un pesce che si dimenava e usava le sue squame lisce per sgusciare via da lei. 

 

Avrebbe voluto poter vedere le sue orbite nere, così diverse dalle proprie. Avrebbe voluto provare a sondare quei due buchi di oscurità, per capire cosa fosse meglio fare. La sua mente sapeva cosa avrebbe potuto dire, quale risposta avrebbe potuto offrire a quella persona che aveva aperto una parte della sua anima a lei. La risposta che suo padre avrebbe dato. 

 

Una lusinga.

 

Una velata forma di adulazione, atta a entrare nelle grazie di quel nobile e a sfruttare la sua vulnerabilità. 

 

Ma Diana non voleva. Erano le parole che era stata addestrata a dire, non quelle che il suo cuore desiderava pronunciare. Ed era quello il problema. 

 

Cosa desiderava pronunciare? 

 

Cosa avrebbe potuto proferire per sanare almeno una piccola parte di quell'anima frammentata? 

 

Diana si ritrovò a contemplare la cicatrice biancastra che attraversava l'occhio destro del principe. Normalmente, una simile ferita avrebbe dovuto sfigurare il viso di chi la riceveva. Eppure per qualche motivo la ragazza trovò che aggiungesse ancora più fascino a quei lineamenti già eleganti. Le sue estremità pallide e rosee accarezzavano dolcemente la fronte dell'uomo, fino a scendere come un torrente di montagna sullo zigomo. 

 

Era bella. Ed era un rammemoratore. Un memento del suo coraggio, quel coraggio che lui sembrava così ostinatamente negare. 

 

-Voi... portate sulle vostre spalle un peso che vi sta schiacciando.

 

Mentre pronunciava quelle prime parole, Diana rimase con lo sguardo ipnotizzato su quella cicatrice, talmente concentrata da notare a mala pena che l'occhio che attraversava aveva preso a fissarla. 

 

-Voi considerate voi stesso... in maniera molto ignobile. Troppo. 

 

La ragazza stava sprofondando in un mare nero. Pensava che sarebbe stato spiacevole e appiccicoso come pece liquida e invece era calmo e accogliente. La stava abbracciando con delicatezza e cautela, insieme ad una punta di riservatezza, avvolgendola lentamente come se avesse avuto paura di ferirla se avesse stretto troppo forte. 

 

-Voi siete... una brava persona. 

 

Diana trasse un sospiro per riempirsi il petto. Per qualche motivo, si ritrovava sempre più a corto di aria. 

 

-Voi... siete una persona buona. 

 

La giovane sbatté le palpebre febbrilmente. La sua mano si era alzata contro la sua volontà, sollevandosi fino a raggiungere il livello del suo sguardo. Del loro sguardo. Era sospesa a mezz'aria, ferma ad appena un soffio da quella elegante linea che conservava il coraggio di quell'uomo, o di quel ragazzo che era. 

 

Se solo avesse allungato le dita, avrebbe potuto sfiorarla. I suoi polpastrelli avrebbero potuto accarezzarla, ricoprirla di gentili attenzioni come essa meritava. 

 

Ma Diana si bloccò. C'era un limite tra volere e potere, un limite invalicabile. E lei stava per precipitarcisi dentro senza neanche avere la coscienza di pentirsene. Con il viso accaldato, cercò di risvegliarsi da quella bizzarra ipnosi in cui sembrava essere caduta e riprendere il controllo del suo corpo. 

 

Era una schiava. E quell'uomo era un principe. Dal momento che lei gli aveva rivolto domande inopportune, lui si era sentito in dovere di raccontarle la sua storia. Non c'era nulla di più. 

 

Fece per ritrarre vergognosamente la mano, ma qualcosa la bloccò. Diana distolse lo sguardo dalle orbite scure fisse su di lei e lo abbassò sulle dite pallide che avvolgevano delicatamente le sue. Erano nodose, magre e longilinee. Rendevano la mano a cui appartenevano slanciata ed elegante, simile ad un giglio con i petali appena dischiusi.

 

Staccò gli occhi dalle due mani intrecciate e li riportò sullo sguardo oscuro che le sormontava. 

 

Per un attimo, Diana sentì quel limite tra volere e potere farsi più labile, quasi inesistente. 

 

Voleva rimanere lì, ferma in quell'istante, con il fiato sospeso e il petto che solleticava. 

 

Non poteva. 

 

Era un dato di fatto. 

 

Non poteva. 

 

Non sapeva neppure cosa stesse succedendo, cosa stessero facendo. Cos'era quel misterioso scambio di fulmini che sembrava avvenire tra le loro pelli. Cosa significava quella corda che la teneva ancorata agli occhi di lui. 

 

Non poteva. 

 

Infatti, il tempo doveva continuare. Come se esso avesse tagliato i legami che li tenevano fermi in quelle posizioni, i loro corpi si sciolsero, scivolando freneticamente lontano l'uno dall'altro. 

 

Diana non capiva ma non era il momento per indagare dietro a quello che era successo. Ma che cosa, effettivamente, era successo? Erano rimasti per chissà quanto tempo a fissarsi negli occhi con le mani intrecciate. Non era nulla. Non poteva essere niente di più. 

 

La ragazza sentiva il viso bollire come una pentola sul fuoco mentre le sue emozioni borbottavano nella sua testa. L'imbarazzo la più pressante di tutte. I suoi occhi si allontanarono dalla figura dell'uomo e da tutto ciò che vi fosse anche solo lontanamente vicino, mentre si alzava in piedi raccogliendo con mani incerte la teiera e la tazza ancora appoggiate sul tavolino sulle gambe di lui. 

 

E per quanto la sua mente tentò di rimanere focalizzata sui propri arti, non poté fare a meno di percepire il soffio del suo respiro, che raggiunse le sue clavicole accarezzandole impudentemente. Non riuscì a pronunciare una sola parola. Una volta che ebbe raccolto il vassoio carico di stoviglie, fece semplicemente un inchino, sollevandosi su piedi tremanti. 

 

-Aspetta. 

 

La ragazza si fermò ma mantenne lo sguardo a terra. La voce che l'aveva chiamata tacque, come se fosse stata incerta a sua volta. 

 

-Questa sera... portami ancora quel tè che hai preparato oggi. 

 

Diana si profuse in un altro goffo inchino prima di ruotare sui palmi dei piedi e fare un altro passo verso la porta. 

 

-Per favore. 

 

 

 

 

Seokjin doveva essersi sicuramente accorto che qualcosa non andava. Benché non avesse fatto commenti, Diana sentiva il suo sguardo su di lei ogni volta che le sue mani facevano scivolare il coltello o facevano cadere frammenti di verdure costellando il pavimento della cucina di colorati coriandoli di kimchi e rape bianche. 

 

La ragazza si rendeva conto di essere un disastro. Purtroppo, però, non poteva farci niente. Il sole era ormai calato eppure il suo corpo era ancora invaso da quell'energia nervosa che le governava gli arti da quando aveva lasciato la stanza del principe. Era come se tutto il suo essere fosse stato trasformato in un ammasso di tremolante gelatina. 

 

Non era malata, o almeno credeva di non esserlo. Nonostante ciò, i tremori non la abbandonavano. 

 

Era forse paura? No, ne dubitava. Non sembrava essere un'emozione negativa la responsabile di quella bizzarra frenesia. 

 

Sembrava più... eccitazione? Irrequietezza? 

 

-Tu bene?

 

Diana si accorse in quel momento che un altro grumo di kimchi aveva finito per coronare quel bislacco disegno che era andato a formarsi sul pavimento. Scusandosi diverse volte prese lo straccio che usavano per strofinare i pavimenti e iniziò a pulire tutto il disastro che aveva creato, tentando di evitare lo sguardo di Seokjin. 

 

-Sto bene. 

 

Quando sollevò la testa, però, per sbaglio incrociò il volto del cuoco, contorto in un'espressione dubbiosa. 

 

-Sto bene, davvero- ripetè nella sua lingua, tentando di sembrare più decisa. 

 

Fortunatamente, la conversazione morì quando la porta della cucina scorse sulla parete, rivelando la figura di Jungkook. Diana lo salutò con un sorriso e un cenno del capo, mentre il ragazzo si limitò ad un breve inchino. Mentre riprendeva a tagliare le verdure, lo percepì mentre si sedeva vicino a lei, rimanendo comunque ad una distanza moderata. 

 

La giovane avrebbe voluto girarsi verso di lui e guardarlo negli occhi. Nella sua mente, le parole del principe continuavano a risuonare a ripetizione, come una melodia rimasta impigliata nei suoi pensieri che non riusciva a liberarsi. Voleva guardarlo negli occhi. Per qualche motivo, voleva stringere le sue braccia attorno a quel corpo che una volta era stato tremante e gracile e fragile, voleva accarezzargli la testa e dirgli che era cresciuto molto bene. Voleva dirgli che era un bravo ragazzo e che, anche se non aveva conosciuto i suoi genitori, era sicura sarebbero stati fieri di lui. Della persona leale e gentile che era diventato. 

 

Diana, però, si trattenne. Decise semplicemente di lanciargli un'occhiata di traverso e concedergli un altro caloroso sorriso, lasciando il ragazzo confuso su cosa avesse provocato quello sbalzo nei suoi confronti. 

 

 

 

Quando anche Hoseok ebbe raggiunto la cucina, annunciò che il principe avrebbe mangiato nelle sue stanze. Benché iniziava a comprendere le conversazioni che venivano scambiate tra i tre giovani uomini, Diana passò l'intero pasto a mangiucchiare il suo cibo in silenzio e con lo stomaco troppo pigro per accettare la cena. 

 

Sentiva la clessidra nella sua mente contare i granelli che cadevano dalla sua strettoia. Ad ogni boccone che compiva, ad ogni piatto che i presenti terminavano, si avvicinava sempre di più il momento in cui lei sarebbe dovuta tornare dal signore. Perciò cercò di rallentare il tempo. Portò il cibo alla bocca con sempre maggior lentezza, tentò di masticare e ingoiare ogni morso con calma e aspettando fino a che non perdeva sapore sulla sua lingua. 

 

Era ridicola, doveva ammetterlo. Non avrebbe potuto scappare per sempre. Prima o poi sarebbe dovuta rientrare da quella porta e affrontare qualsiasi cosa stava succedendo dentro di lei. Ma non era pronta. 

 

Il pasto terminò. Ognuno dei commensali aveva la pancia piena e iniziava a portare le stoviglie nel bacile pieno d'acqua dove Seokjin le avrebbe lavate. 

 

Non aveva più via di fuga. 

 

-Seokjin, dovrei usare il calderone per scaldare l'acqua per il tè del principe, se non ti dispiace- mormorò infine, raccogliendo tutto il coraggio che le era rimasto. 

 

Il cuoco annuì, procedendo a lavare l'attrezzo per primo in modo che lei lo potesse usare. 

 

-Tu fatto una altra magia delle tue, eh? 

 

Diana sbatté le palpebre sorpresa. 

 

-Come prego? 

 

Seokjin piegò platealmente il capo, schioccando la lingua. 

 

-Io sentito Jungkook parlare per più di una frase di tè che tu preparato lui. E tu credimi, una parola a giorno è già molto per Jungkook. Una frase... è fine del mondo. Tu deve essere riuscita a stregare pure spilorcio con tuo intruglio magico. 

 

Diana piegò il capo allontanando il complimento con un timido sorriso e una debole replica. Prese il calderone dalle mani di Seokjin e, silenziosamente, iniziò a preparare la miscela di foglie nere e fiori di gelsomino. 

 

Doveva andare. 

 

Voleva andare? 

 

La domanda continuava a girarle per la mente da una parte e dall'altra mentre l'acqua arrivava a ebollizione, borbottando sempre più man mano che il suo tempo giungeva al termine. 

 

Doveva. 

 

Ma non poteva. 

 

-Hoseok... tu potresti... portare questo... al signore?

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Lo sentite questo rumore? Lo sentite anche voi? Penso sia il suono... DELLA SHIP CHE SALPA! Ok, scusate. In realtà è successo ben poco ma la nostra piccola e inesperta Diana è già tutta imbarazzata. Ma non temete, o voi famelici shipper, vi darò ancora più ciccia da masticare nei prossimi capitoli! (Ps: nel prossimo inizieremo a dare un’occhiata al passato di Hobi, ssssh!) 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** XXV ***


Hoseok aveva passato buona parte della sua vita in mezzo alle donne. Probabilmente, poteva perfino affermare di conoscerle meglio di quanto conoscesse gli uomini. Sapeva leggere i loro volti, le loro espressioni e le frasi inespresse che si nascondevano dietro alle loro parole. 

 

Hoseok in effetti adorava stare in mezzo alle donne. Mentre gli uomini che aveva incontrato nella sua adolescenza non avevano fatto altro che guardarlo con occhi che altalenavano fra disgusto e avida cupidigia, le donne che avevano fatto parte della sua vita, anche solo per brevi momenti, lo avevano sempre coccolato fra le loro braccia gentili. In esse aveva trovato amanti generose, talvolta malinconicamente solitarie, dedite ad ammirare la sua bellezza con carezze e venerazioni. Gli uomini invece erano gelosi, avidi e aggressivi. Non anelavano alla sua compagnia, ma al suo corpo e all'idea perversa che di esso avevano nella loro mente. 

 

Nel momento in cui Hoseok aveva messo gli occhi su quella ragazza, era stato prontamente in grado di discernere i suoi pensieri. Per quanto la mancanza di comunicazione creasse una barriera tra loro due, il ragazzo non aveva avuto alcun problema nel comprendere le emozioni della giovane. Era quasi buffo, contando che ci aveva messo anni per riuscire a capire cosa passasse per la testa di Jungkook e ancora non era sicuro di conoscere del tutto Seokjin, o di essere in sintonia con il suo carattere bizzarro. 

 

Quando Hoseok sentì la richiesta di Diana, mormorata e balbettata più per timidezza che per difficoltà nella lingua, poté già intuire cosa fosse successo. Sin da quando era entrato nella cucina la ragazza era rimasta con lo sguardo lontano e le guance imporporate. Quell'espressione la conosceva fin troppo bene. Era la più riconoscibile nello spettro delle complicate emozioni di una donna. 

 

Doveva essere successo qualcosa tra lei e Yoongi quel pomeriggio. Non era sicuro di cosa, ma doveva averli portati ad un momento di vicinanza tale da risvegliare dei timidi sentimenti nel cuore della giovane. Dall'incertezza nei suoi occhi e dal suo rifiuto nell'affrontare il principe, però, era evidente che lei non lo aveva ancora realizzato. 

 

Hoseok, approfittando del fatto che la ragazza avesse lo sguardo pudicamente fisso sul pavimento, si lasciò sfuggire un sorriso saccente. Moriva dalla curiosità di sapere cosa fosse successo ma sapeva che non avrebbe fatto altro che metterla ulteriormente in imbarazzo se avesse indagato in quel momento. Una stanza con tre uomini non era il posto per le confessioni amorose. 

 

Alla fine, il ragazzo accettò lanciandole semplicemente uno sguardo rassicurante e afferrò il vassoio che lei aveva così accuratamente preparato. Quando entrò dalla porta e vide il signore sollevare lo sguardo speranzoso su di lui, non poté trattenere la smorfia divertita che gli si dipinse sulla bocca. Evidentemente, la ragazza non era l'unica con il cuore in subbuglio. 

 

-Diana-ssi mi ha chiesto di portarvi questo, mio signore. 

 

Le ultime due parole erano formalmente inutili ai fini della loro conversazione, dato che ormai avevano perso alcuna sorta di autorità da un bel po' fra i due giovani. Hoseok le calcò con particolare ironia solo per vedere il lieve velo di irritazione già presente negli occhi del signore farsi ancora più prepotente. 

 

Il principe era così. Aveva imparato a trattenere così bene le sue emozioni che aveva bisogno di essere spinto fino al limite del precipizio per indurlo a manifestarle esteriormente in tutta la loro sincerità. 

 

-Capisco- borbottò con tono basso.

 

Hoseok scosse il capo, ridendo sommessamente mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. 

 

-Su, avanti, ditemi. Che cosa avete combinato questa volta?- chiese, iniziando a versare il tè nella tazza di ceramica e osservando lo sguardo sfuggente del padrone. 

 

L'interessato, in risposta, sbuffò come un orso contrariato. 

 

-Non ho fatto niente. Perché dovrei aver fatto qualcosa?

 

Hoseok fissò il giovane con le sopracciglia alzate e una smorfia sulla bocca. Era decisamente successo qualcosa. L'imbarazzo che arrossiva la punta delle orecchie del principe era un segnale fin troppo evidente, insieme al modo evasivo in cui sembrava sfuggire alla conversazione. 

 

-Io... almeno credo- aggiunse infine Yoongi.

 

Hoseok, a quel punto, scoppiò a ridere rischiando di rovesciare la bottiglia di soju che teneva fra le mani.

 

-Voi credete? 

 

Il giovane scosse la testa continuando a ridacchiare e ingoiò il primo bicchiere di liquore, apprezzando il lieve pizzicorio che gli provocò in gola. Sarebbe stata una lunga conversazione, aveva bisogno di essere ben attrezzato. 

 

-Se devi ridere come una gallina puoi anche andartene di qui- replicò aspramente il signore allungando la mano verso la bottiglia di soju. 

 

Hoseok, con un rapido ed elegante movimento, gli sfilò l'oggetto da sotto il naso prima che potesse anche solo sfiorarlo con le dita. 

 

-Questo è mio. Voi avete il tè che la dolce cavalla dagli occhi di giada vi ha preparato. 

 

Yoongi spalancò le palpebre, puntando le sue orbite scure su di lui mentre aggrottava le sopracciglia. 

 

-Hai letto i miei componimenti!

 

Hoseok, invece che rispondere, trangugiò un altro bicchiere di liquore gongolando silenziosamente sotto lo sguardo ansioso del signore. 

 

-Prima che vi illustri come si corteggia una donna senza metterla in soggezione o allontanarla con i vostri modi burberi, spiegatemi per dritto e rovescio che cosa è successo. E preghiamo che il danno non sia così tanto irreparabile. 

 

Hoseok appoggiò platealmente il bicchierino sul basso tavolo e prese a fissare insistentemente il padrone. I secondi passarono nel più totale silenzio prima che lui si decidesse a uscire dal suo mutismo sbuffando sonoramente. 

 

-Le ho raccontato di cosa è successo, di quando me ne sono andato. 

 

Il giovane scosse il capo, incoraggiandolo a continuare. 

 

-E lei mi ha detto delle cose. 

 

Hoseok lo fissava con tanta intensità che non sapeva neppure se avesse sbattuto gli occhi. 

 

-E dopo si è avvicinata a me. Stava per toccarmi il viso. 

 

Il giovane assistente spalancò le palpebre protendendosi appena in avanti e annuendo di nuovo. Era estenuante aspettare che Yoongi arrivasse al punto. 

 

-E... le ho solo preso la mano. E siamo rimasti lì come degli allocchi finché lei non è scappata via. 

 

Hoseok, a quel punto, sbuffò platealmente appoggiando il capo al suo palmo. Quell'uomo gli avrebbe fatto perdere la testa con la sua ottusità. 

 

-Bene, direi che abbiamo un paio di cose su cui discutere. 

 

Il principe lo guardò per qualche istante con incertezza, ma alla fine annuì abbassando il capo in imbarazzo. 

 

-Ah... e non le ho detto niente di te. 

 

Udendo quelle parole, lo sguardo del giovane si ammorbidì lievemente. 

 

-Grazie. 

 

Hoseok sorrise appena e vide il signore sollevare finalmente gli occhi su di lui, forse per vedere se la menzione del suo passato aveva in qualche modo acceso del risentimento.

 

-Davvero. Lo apprezzo. 

 

 

 

La notte era stata travagliata da coperte arrotolate intorno alle gambe e lunghi momenti di contemplazione del soffitto di legno. Inutile a dirsi che la mattina seguente il risveglio era stato assai duro. 

 

Diana sentiva la stanchezza appendersi al suo viso e trascinarle giù le palpebre, oltre che appesantirle le membra. Mentre si costringeva pigramente a mettersi seduta e passarsi le mani tra i lunghi capelli, sentiva la testa martellare fastidiosamente. Credeva che, a forza di pensare e ripensare per tutta la notte, alla fine si sarebbe consumata. 

 

Quando udì due colpi alla porta, però, il suo corpo iniziò velocemente a tendersi in una morsa nervosa. 

 

-Sì?- rispose esitante. 

 

La porta scorse lentamente sul suo asse di legno, lasciando intravedere il volto sorridente di Hoseok, che la osservava con occhi illuminati da una scintilla curiosa. 

 

-Buongiorno. 

 

Diana rispose al saluto leggermente confusa. Seokjin aveva bisogno di lei in cucina? Era successo qualcosa? Era la prima volta che il ragazzo veniva nella sua stanza. 

 

-Posso darti una mano?

 

Alla gentile domanda, il ragazzo unì un cenno del capo che indicava la sua massa di capelli aggrovigliati, lasciando la giovane ancora più confusa. Annuendo impercettibilmente, però, lo lasciò entrare. Osservò con attenzione mentre lui si avvicinava a lei e prendeva il pettine dai denti lunghi che le avevano fatto trovare insieme ai vestiti puliti dopo l'ultimo bucato. 

 

Hoseok aveva una delicatezza e un'attenzione nel pettinarle i capelli che era quasi soprannaturale. Al contrario delle mani energiche della sua balia, le sue avevano un tocco leggero e riuscivano a passare lo strumento tra le sue onde intricate senza provocarle dolore. Diana rimase ancora più stupita quando il giovane si mise perfino ad acconciarle le ciocche in una morbida treccia, permettendole di avere il viso e il collo liberi. 

 

-Tu sei bravo a... fare questo. 

 

Hoseok sorrise appena, provocando delle dolci rughe di espressione sotto agli occhi luminosi, ma non replicò. Sfilò invece un piccolo oggetto dalla sua veste. Un fermaglio leggermente usurato dal tempo ma modellato in due piccoli e graziosi fiori azzurri. Dopo averlo fissato con attenzione all'estremità della treccia, il ragazzo rimase per qualche istante ad ammirarlo con un sorriso che Diana interpretò come nostalgico. 

 

-Ti sta bene- disse semplicemente. 

 

La giovane lo ringraziò e rimase per qualche istante con gli occhi su di lui. Il ragazzo la guardò, ricambiando lo sguardo con calorosa luce. 

 

-C'è qualcosa che mi vuoi chiedere?- domandò lui infine, con l'espressione di chi conosce già la risposta.

 

Diana si prese qualche istante per riflettere, prima di decidere di parlare. 

 

-Sì- disse, prima di aggiungere -ma solo quando... sarò capace di capire. 

 

Hoseok aprì le sue dolci labbra dalla forma elegante in un sorriso più ampio e la guardò annuendo con il capo. Diana non voleva sprecare quell'opportunità. Sapeva che una storia come quella del ragazzo poteva essere ascoltata solo una volta perciò voleva essere sicura di poterla comprendere fino in fondo prima di avanzare la sua richiesta.

 

-Posso dirti una cosa? 

 

La giovane annuì voltandosi completamente verso il viso di lui. 

 

-Mi piaci. 

 

Diana spalancò le palpebre. Non era convinta di aver capito bene, ma la sua espressione provocò uno scoppio di ilarità nel ragazzo, che si aprì in una melodiosa risata. Una volta calmatosi, infine, tornò a guardarla con solennità. 

 

-Quando avrai bisogno di parlare con qualcuno, sappi che potrai rivolgerti a me. 

 

La ragazza, nonostante il lieve imbarazzo, sentì gli occhi bruciare per un breve momento, ma riuscì a dissolvere quella fastidiosa sensazione sbattendo velocemente le palpebre. 

 

Qualcuno con cui parlare. 

 

Una persona a cui rivolgersi... 

 

... un amico. 

 

Non le sarebbe dispiaciuto. 

 

-Anche quando si tratterà del principe. 

 

A quelle parole, Diana allontanò immediatamente lo sguardo dal ragazzo, ma lo sentì comunque ridacchiare sommessamente. 

 

-È un po' burbero ma è una brava persona- aggiunse lui infine, lanciandole un sorriso rassicurante. 

 

-Lo dico per esperienza personale. 

 

La giovane lo studiò per qualche istante prima di annuire. Avrebbe portato avanti la conversazione, ma il frenetico turbinio di coltelli e pentole proveniente dalla cucina indicava che Seokjin era ben sveglio e pronto all'opera perciò entrambi decisero di alzarsi e lasciare l'ambiente. 

 

 

 

Dal momento in cui aveva messo piede nella stanza del principe, lei e il giovane non si erano rivolti neanche uno sguardo. Mentre il signore iniziava a spiegarle i significati di alcune frasi, manteneva gli occhi sulle carte nelle sue mani. Diana, similmente, non sollevò il capo neppure una volta, rimando a fissare le mani lattiginose e affusolate che le porgevano gli esercizi da svolgere. 

 

L'aria nella stanza era gravida della tensione fra i due corpi. L'aspettativa che lasciava il fiato sospeso nel petto della giovane era come denso miele che le rallentava i movimenti, rendendoli rigidi e impacciati. 

 

Non sarebbe successo niente. 

 

Probabilmente, lui non pensava neanche più a quello che era accaduto il giorno prima. 

 

Si sentiva una stupida bambinetta al solo fatto di essere ancora incastrata in quegli inutili pensieri. 

 

Per tutta la durata della lezione, la giovane cercò di allontanare quei ragionamenti superflui svolgendo i suoi esercizi in silenzio e terminando rapidamente tutti i compiti che il principe le diede da svolgere. Quando ebbe restituito l'ultimo foglio al giovane, infine, il silenzio divenne una presenza fin troppo ingombrante per poter essere ignorata.

 

-Hai mai imparato l'arte della calligrafia?- chiese lui con voce bassa dopo istanti interminabili. 

 

Diana scosse il capo mantenendo lo sguardo sulla veste scura che avvolgeva il petto di fronte a lei, ma senza portarlo sul viso che la sormontava. Sentì il giovane  mormorare un verso di assenso, prima di porgerle un nuovo foglio intonso e alzarsi in piedi. La ragazza iniziò a sciogliere soprappensiero il bastoncino di inchiostro scuro sulla pietra ruvida, intingendo infine il pennello nel liquido denso. 

 

-Che cosa devo fare?- domandò, percependo i passi dell'uomo dietro di lei. 

 

Pensò che fosse andato verso il mobiletto a scomparti per prendere un altro foglio. Quando, però, sentì il calore di un altro corpo avvicinarsi alla sua schiena e una mano pallida entrare nel suo campo visivo afferrando la propria, trangugiò una boccata d'aria, serrando le labbra. 

 

-Lascia che te lo mostri.

 

 

ANGOLO AUTRICE (MALVAGIA) 

 

Adoro chiudere i capitoli con questa suspense? Oh sì. Adoro vedervi sclerare subito dopo e insultarmi pesantemente? Altro che. Lol. Nella prossima puntata vedremo una Diana piuttosto in difficoltà... la la la e voi dovete aspettare una settimana 😘 sono malefica? Assolutamente. 

 

A parte questo, iniziamo a scoprire un piccolo accenno del passato di Hobi e credo che alcuni di voi abbiano già immaginato un po’ il contesto. Sappiate però che c’è ancora molto che non sapete, perciò attendete, miei cari, attendete impazienti... 

 

Non sono sicura se l’avevo già messo in precedenza, nel dubbio lo inserisco anche qui. 

-ssi: termine onorifico del linguaggio formale che può corrispondere a signore/signora/signorina.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** XXVI ***


Diana aveva l'impressione che il suo corpo fosse diventato una statua di marmo. Le sue membra erano rigide e pesanti, congelate eppure tremanti. 

 

Per quanto tentasse di concentrarsi sul pennello nella sua mano e sull'inchiostro che fluiva fra le sue setole, non poteva fare a meno di far cadere lo sguardo sulle dita affusolate che avvolgevano accuratamente le proprie. La sua mente era come le mura di un castello sotto assedio. Il calore del petto appena accostato alla sua schiena, non abbastanza da pesare su di lei ma vicino quel tanto da farle percepire la sua presenza era come catapulte che lanciavano dardi infuocati sulla sua fragile città. Il respiro che sbatteva sul suo collo era una pioggia di frecce che la punzecchiava impietosamente, provocando fastidiosi brividi sulla sua pelle. Poteva anche sentire i suoi lunghi capelli corvini sfiorare il suo viso, solleticandole la guancia.

 

-Rilassa le braccia e respira lentamente. 

 

Come ci sarebbe riuscita? 

 

La sua bocca era così vicina al suo orecchio che la sua voce, da un docile focolare, si era trasformata in un violento incendio, così caldo e impetuoso da poter incenerire ogni parte del suo corpo. Il suo tono basso e crepitante le pareva emettere realmente il calore del fuoco, tanto che temeva quasi che il profilo del suo viso si sarebbe inesorabilmente sciolto. 

 

Come avrebbe potuto rilassarsi in una situazione del genere? 

 

A malapena riusciva a trarre respiri regolari senza lasciare trapelare in modo troppo palese il tremore del suo petto. 

 

E nonostante ciò, ci provò. Ci provò davvero. Tentò di sciogliere la rigidità nel suo braccio, lasciando che si appoggiasse dolcemente a quello di lui, e trasse un'inspirazione più profonda, anche se il risultato fu che la sua testa prese a girare ancora più vorticosamente. 

 

-La calligrafia è diversa dalla normale scrittura. È una forma d'arte. E come tale richiede una connessione più intima fra l'opera e l'artista. 

 

Gli occhi di Diana sfarfallarono come ali di libellula. Aveva compreso poche parole di ciò che il principe aveva detto e di queste le uniche che erano rimaste aggrappate alla sua mente erano state "connessione più intima". 

 

-Non scriverai solo con la tua mano. Il processo dovrà coinvolgere il tuo intero corpo, a partire dal respiro. Da esso, partirà il flusso di energia che trasporterà tutte le tue membra. 

 

C'era qualcosa di misteriosamente poetico nel modo in cui il giovane pronunciava parole come "flusso" e "coinvolgere". Diana provò a concentrarsi sul contenuto della frase che aveva pronunciato, benché la sua mente venisse costantemente distratta dai numerosi attacchi a cui era sottoposta. 

 

Era normale che si sentisse così nervosa? 

 

Era forse perché era il primo uomo ad avvicinarsi a lei a quel modo? 

 

No. Diana non aveva alcuna esperienza nel campo, benché diversi giovani avessero provato ad avanzare corteggiamenti nei suoi confronti. Nonostante ciò, capiva che quel misterioso essere che le solleticava la pancia e le alleggeriva la testa, che le faceva accaldare le guance e che le riempiva la mente di futili pensieri era quello di cui la sua balia parlava sin da quando era piccola. 

 

L'attrazione tra un uomo e una donna. Quella cosa che vedeva nelle guance purpuree delle giovani figlie dei pescatori che venivano prese per la vita dai loro amati per essere condotte in una danza tutta loro. 

 

Quella che non aveva mai visto negli occhi dei suoi genitori, posti assieme in un matrimonio atto ad elevare il prestigio della famiglia. 

 

Quella che pensava non avrebbe mai provato, per nessuno. 

 

Diana doveva ricordare il suo posto. Doveva ricordare chi era in quel momento. 

 

Eppure, tenersi stretta alla realtà diventava sempre più difficile, come se la corda che reggeva l'ancora della sua nave si stesse lentamente consumando. 

 

-Trai un respiro profondo. 

 

Diana inspirò fino a che il suo petto non fu pieno, seppur sembrasse ancora svuotato. 

 

-Ora... lasciati andare. 

 

La giovane liberò l'aria che aveva intrappolato dentro di sé e lasciò che accadesse. Il suo braccio fluì, sospinto dal vento del suo respiro e trascinando con sé la sua mano che, come se fosse essa stessa fatta di acqua, lasciò una traccia del suo passaggio. 

 

Le sue spalle si abbassarono. La sua pancia smise di sfarfallare così violentemente. Perfino le sue gambe parvero rilassarsi impercettibilmente. 

 

Con l'energia rimasta dal respiro, il braccio che la avvolgeva la sospinse in modo da lasciare altri due segni scuri sul foglio. 

 

-Ancora. 

 

Diana inspirò di nuovo e le loro mani diedero vita ad altri tre fiumi scuri su quel campo bianco. Dopo un ultimo respiro, tutti i segni erano al loro posto, rivelando il simbolo cinese che avevano composto come i mattoni di una casa. 

 

Amore. 

 

-Come mai avete scelto questa parola?- chiese lei, dopo aver ripreso a malapena il controllo della sua voce. 

 

Nonostante non potesse vedere il viso dell'uomo, sentì l'esitazione della sua risposta dalla tensione della sua mano. 

 

-Nessun... motivo in particolare- mormorò lui dopo istanti di silenzio. 

 

Rimasero così. Lui con il petto appoggiato alla sua schiena e il braccio avvolto attorno al suo e lei immobile, con la mano sorretta da un giglio pallido e gentile.

 

Doveva rimanere ancorata alla realtà. 

 

Tutto ciò... non era possibile. 

 

Era sbagliato. Quello che stava provando era sbagliato. Quello che stava facendo era... sbagliato. 

 

-Grazie per... avermelo mostrato. 

 

Il petto di lui si scostò appena e il suo braccio si irrigidì come un ramo.

 

-Bene... adesso... sai come si fa. 

 

Dopo aver borbottato l'ultima frase con distacco, si allontanò da lei, privandola di quel calore che stava iniziando a diventare così accogliente e famigliare. In quel momento, si sentiva come un viandante nel mezzo di una foresta buia e fredda il cui focolare era stato violentemente spento dal vento. Senza quel tepore così piacevole, il suo corpo rimase a tremare nel suo isolamento. 

 

Era sbagliato. Doveva ripeterselo, perché sembrava che il resto di sé non volesse comprendere quel semplice concetto. 

 

-Penso che... per oggi può bastare con gli studi della lingua. Però potresti dare un'occhiata al registro delle tasse dal momento che almeno sei in grado di leggere. 

 

Diana annuì istintivamente, senza realmente comprendere quello che il giovane le stava dicendo. Stava ancora cercando di risvegliarsi da quella sorta di ipnosi in cui il suo corpo sembrava essere caduto. 

 

-È dentro al mobiletto, il primo libro della pila. 

 

Seguendo le istruzioni del signore, la giovane si avvicinò e aprì lo sportello di legno. Non fu difficile trovare l'oggetto, poggiato sopra a una montagna disordinata di rotoli e carte. Dietro di essa, in forte contrasto, risaltava poi la fila di involucri di raffinata seta, impilati l'uno sopra all'altro con estrema accuratezza. La giovane iniziava ad immaginare chi fosse il mandante di quei preziosi messaggi, ma trattenne la sua curiosità e afferrò il libro, richiudendo lo sportello subito dopo. 

 

 

 

Diana aggrottò le sopracciglia. Il sole aveva iniziato la sua discesa verso la sera, pronto a tuffarsi oltre il bordo dell'orizzonte per lasciare che la sua stola ambrata ricoprisse il cielo in tutta la sua bellezza. 

 

Da quando si era seduta al tavolino con il libro in mano, non era esistito altro che silenzio nella stanza. 

 

Benché all'inizio fosse rimasta leggermente frastornata dalla distanza che sembrava essere improvvisamente calata sui loro corpi, concentrarsi sulle cifre sotto i suoi occhi era stato un esercizio efficace per distrarre la sua mente. Infatti, doveva aver passato ormai più di un'ora a controllare e ricontrollare le serie di numeri, contraendo sempre di più la fronte. 

 

E per quanto provasse sembrava non riuscire a risolvere la questione. 

 

-Mio signore, chiedo scusa ma... c'è una discrepanza nelle cifre. 

 

L'uomo non sollevò gli occhi su di lei alla domanda. 

 

-Spiegati meglio. 

 

Diana, contraendo la bocca, riportò lo sguardo sulle colonne di inchiostro fra le sue mani. 

 

-La quantità richiesta dal governatore e la quantità effettivamente versata dai contadini non coincidono. Manca almeno un quarto delle tasse dovute, eppure sono segnate come pagate.

 

Il principe non sembrò turbato dalla sua rivelazione e, nuovamente, mantenne il capo abbassato sulle carte fra le sue mani. 

 

-Lee Beom Seok, come ogni governatore di questa nazione, ha la fastidiosa tendenza a pretendere più di quello che dovrebbe, giusto per poter intascare una parte delle tasse prima di darle al re. Inizialmente, gli avevo semplicemente rifilato la cifra pattuita dalla legge ma mi ero stufato di litigare con quella petulante testa calda. 

 

La mente di Diana iniziò a macerare le informazioni alacremente. Aveva senso, in effetti. Anche nei territori della sua repubblica esistevano ancora signori feudatari che imponevano dazi irragionevoli sui loro sottoposti. 

 

-Quindi... da dove viene il resto dei soldi?- domandò lei alla fine, studiandolo attentamente. 

 

Il giovane non rispose immediatamente, ma scrollò le spalle con disinvoltura. 

 

-Negli ultimi anni ho iniziato a fare affari con Namjoon...-

 

Fece una pausa, muovendosi appena dalla sua posizione.

 

-... l'uomo che ti ha portata qui. Principalmente scambio informazioni sul palazzo grazie ai pochi contatti che mi sono rimasti da quando sono stato esiliato. 

 

Diana fissò il giovane in attonito silenzio. 

 

-Voi usate i vostri fondi per pagare la restante parte delle tasse al governatore. 

 

Il principe scosse nuovamente le spalle con ostentata disinvoltura e si passò una mano dietro al collo, continuando ad evitare il suo sguardo. 

 

-Una piccola parte delle tasse è destinata a me in qualità di mediatore e amministratore del terreno. Insieme a quello che racimolo dagli scambi con Namjoon riusciamo abbondantemente a mantenerci. Il resto non mi serve, perciò tanto vale usarlo. 

 

La giovane lo guardò incredula. Seokjin si lamentava che non c'era carne nei loro pasti, perché il signore non voleva spendere soldi per comprarla. Eppure... quelli stessi soldi servivano a coprire le tasse che i contadini non riuscivano a provvedere. 

 

Diana non poté trattenersi. 

 

-Voi... le persone sanno quello che voi fate per loro? Sono sicura che vi sarebbero infinitamente grate. 

 

Il giovane sbuffò con aria vagamente ironica. 

 

-Sanno solo che adesso devono pagare meno tasse di prima. Non hanno bisogno di conoscere i dettagli. 

 

La ragazza socchiuse gli occhi, percorrendo il volto apparentemente indifferente di fronte a lei. La piega delle sue labbra, la posa rilassata dei suoi occhi, il modo in cui il suo corpo voleva indicare che quel gesto non faceva di lui niente di speciale. Si sbagliava. 

 

-È molto generoso da parte vostra. 

 

Finalmente, lui la guardò. Questa volta era lei a voler fuggire dal suo sguardo scuro, ma esso la scrutò con tale sincera curiosità che non ebbe il cuore di allontanarsi. 

 

-Non è niente di che. Ho fatto solo ciò che era giusto- mormorò lui a fior di labbra. 

 

"Non tutti hanno il coraggio di fare ciò che è giusto."

 

"Non tutti hanno il cuore per sacrificare se stessi al posto degli altri."

 

Diana avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma non ce la fece. Perché neppure lei lo aveva avuto. Quando Mei Lin aveva avuto bisogno di lei, non aveva avuto quel coraggio. Non aveva avuto lo stesso spirito di sacrificio. 

 

Diana iniziava a intravedere sempre nuovi colori in quel cielo posto davanti ai suoi occhi. Oltre alle nuvole grigie, oltre alla coltre di nebbia, era spuntato improvvisamente un arcobaleno. Era timido, si nascondeva dietro alle nubi per non mostrare i suoi splendidi colori eppure era lì, per indicare che la tempesta era finita e che un periodo di pace poteva iniziare. 

 

E lei voleva vedere di più. 

 

Voleva sapere di più, di quel cielo. 

 

-Mio signore! 

 

La voce squillante di Seokjin raggiunse la stanza, riscuotendo i presenti dalla loro contemplazione. Il tramestio concitato dei suoi passi giunse chiaramente dal corridoio, portando i due giovani ad osservare la porta in attesa dell'inevitabile irruzione del cuoco. 

 

-Mio signore! 

 

Il giovane fece capolino nell'ambiente con il fiato corto e il viso contratto in una smorfia illeggibile. Diana, inavvertitamente, sentì un fiotto di apprensione raggiungerle il petto. 

 

-Che succede? È morto forse qualcuno?- chiese il principe, appoggiandosi placidamente al tavolino. 

 

Seokjin si prese il tempo per riprendere fiato e lanciare uno sguardo contrariato nei confronti del padrone. 

 

-Hoseok... Hoseok è tornato a casa con un ragazzo. 

 

Non appena quella frase cadde nel silenzio della stanza, si udì il suono di due paia di passi in avvicinamento. Uno sembrava essere quello calmo e silenzioso dell'assistente mentre l'altro... era trascinato e pesante. 

 

Seokjin si voltò, probabilmente per osservare i nuovi arrivati, prima di spalancare la porta e rivelare la scena ai presenti. 

 

Gli occhi di Diana, dopo essersi appoggiati sulla figura magra e sporca che veniva sorretta dalla presa ferrea di Hoseok, si spalancarono. 

 

-L'ho beccato mentre cercava di sfilarmi i soldi. Ma vi prego di essere indulgente con lui, ho l'impressione che abbia passato un brutto periodo. 

 

La ragazza cercò di ritrovare la voce nella sua gola, almeno quel tanto che bastava per dire qualcosa. Qualsiasi cosa.

 

-Diana-ssi, stai bene? 

 

La giovane non si concentrò sulla domanda di Seokjin ma catturò gli occhi del ragazzo, fino a quel momento incollati alle assi di legno del pavimento. 

 

E quando incrociarono i suoi, non ci misero molto a spalancarsi nello stupore e nella terribile consapevolezza. 

 

-Jimin?

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

BOOM BABY! Che capitolo, spero siate ancora tutti interi. Fra la rivelazione finale e il “momento” tra Yoongi e Diana vi ho piazzato un bel carico da cento XD

 

E come vi avevo anticipato, non ci siamo lasciati alle spalle Jimin. Ebbene, eccolo qua. Adesso cosa succederà? 😏 lo scopriremo solo nella prossima puntata, sempre su questi schermi! 

 

Side note, ho recentemente scoperto un musical nuovo che mi sta già facendo innamorare, Hadestown, un retelling del mito di Orfeo ed Euridice in un mondo post-apocalittico dalle sembianze vagamente memori della Grande Depressione. Eh oh boy. Sono ispirata. Ho passato tutta la notte a macinare un retelling del mito di Ade e Persefone in chiave moderna (e Ade lo interpreta Namjoon 🤭). Mmh... chissà se questa idea vedrà la luce oppure no...

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** XVII ***


Seguirono istanti di lungo, estenuante silenzio. I presenti sembravano sospesi in una stasi carica di aspettativa, come se avessero avuto il timore di rompere, con un solo movimento, il delicato equilibrio fra le due persone intente a fissarsi. 

 

Non c'era dubbio. I lineamenti delicati e gentili di quel volto quasi androgeno nella sua eterea bellezza potevano appartenere solo a Jimin. In effetti, Diana non poteva dimenticare quel viso. Non poteva dimenticare il modo pietoso in cui i suoi occhi l'avevano guardata, il modo in cui la sua bocca rosea aveva mormorato una parola che al tempo non comprendeva. 

 

Perdonami

 

-Jimin. 

 

Non era più una domanda. Era un'affermazione. Jimin era lì, di fronte a lei, con il viso scavato e il corpo ritratto sotto a vestiti sporchi e troppo grandi. Le sue pupille scure percorrevano il suo volto disperate, forse in cerca di un segnale che gli dicesse che si stava sbagliando. Che non era davvero lei, la ragazza che lui aveva venduto. 

 

Ma più la scrutava e più era evidente la terribile realizzazione nel suo viso. 

 

-Oh cielo... 

 

La sua flebile voce tagliò il silenzio come la lama sottile di un coltello. Diana rimase a fissarlo imperterrita, il volto contratto in un'espressione di cui lei stessa non era consapevole. In quale modo lo stava fissando? Con astio? Stupore? Pietà? 

 

In effetti, non sapeva neanche che cosa stava provando nel suo cuore alla vista di quel ragazzo. La smorfia contratta delle sue labbra, però, si sciolse leggermente non appena vide gli occhi docili di lui riempirsi di lacrime. 

 

-Mi dispiace!- urlò gettando il capo in avanti e stendendo le braccia davanti a sé, liberandosi dalla presa ferrea di Hoseok. 

 

-Mi dispiace! Mi dispiace, mi dispiace, perdonami...- mormorava, mentre i singhiozzi scuotevano la sua schiena stretta e magra. 

 

Diana rimase a fissarlo senza sapere che fare. Avrebbe potuto consolarlo, dirgli che non ce l'aveva con lui per quello che aveva fatto. D'altronde, si conoscevano a malapena. Lei era un'estranea per lui e, se il suo gesto era stato generato dalla necessità di sostenere la sua famiglia, poteva comprenderlo. 

 

Nonostante ciò, nonostante razionalmente accettasse tutto ciò nella sua mente, non riusciva a costringersi a mormorare alcuna parola nei confronti del ragazzo. 

 

-Vi conoscete? 

 

Diana si voltò per rivolgere la sua attenzione al principe, che la fissava con un'espressione indecifrabile negli occhi. 

 

"Bene" pensò. 

 

Era passata da un calderone bollente ad un fuoco ustionante. Non era pronta ad affrontare lo sguardo penetrante del signore. Il suo corpo era ancora lievemente intorpidito dalle azioni che avevano preceduto quell'irruzione. Ma non poteva fissarlo senza rivolgergli la parola. 

 

-Sì, ci conosciamo. Lui... 

 

Esitò. Era la scelta giusta rivelare che Jimin era la persona che l'aveva tradita e venduta? Quali conseguenze ci sarebbero state per lui una volta che la verità fosse venuta a galla? 

 

Diana fermò il suo ragionamento, contraendo appena le sopracciglia. 

 

Perché mai dovrebbe avere avuto importanza? Pensava davvero di essere diventata talmente rilevante per gli abitanti di quella casa al punto da spingerli a vendicarla per una simile azione? 

 

Forse stava iniziando a riempirsi un po' troppo la testa con stupide fantasie. Non aveva importanza quanto gentili potessero essere quegli uomini. Lei rimaneva pur sempre una schiava. 

 

-Lui?

 

Il signore la incalzò con un tono leggermente irritato e gli occhi insistentemente fissi su di lei. E se il suo sguardo non fosse stato sufficiente nel renderla inquieta, Diana poteva sentire anche il lieve singhiozzare di Jimin, ancora riverso per terra. 

 

-Lui... è il figlio della famiglia di contadini che mi ha accolto in casa propria- replicò infine in un sussurro, sollevando brevemente lo sguardo sulla figura di Jungkook, che aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza. 

 

Gli occhi insistenti del signore sembrarono farsi inflessibili, rigidi come metallo. 

 

-Intendi il ragazzo che ti ha venduto a dei trafficanti?

 

Diana spalancò gli occhi. Non si aspettava il tono aspro con cui quella domanda venne sputata fuori dalle labbra del principe. Non si aspettava che la domanda le venisse rivolta nella loro lingua, così che tutti i presenti potessero comprendere. Ma sopratutto non si aspettava gli sguardi appuntiti come spade che, in risposta, iniziarono a trafiggere il corpo accasciato per terra. 

 

Questo, al suono della voce del signore, si irrigidì, cessando il suo sonoro singhiozzare e le sue scuse mormorate a fior di labbra. 

 

L'intera stanza, in un solo istante, sembrava essersi rivoltata contro di lui. E Diana osservò i presenti uno ad uno con stupore crescente. 

 

Hoseok non si mosse dal suo posto e non riprese la casacca del ragazzo nel suo pugno, ma trasformò il suo sguardo, fino a quel momento pietoso, in uno freddo e distaccato. Il disappunto di Seokjin fu ancora più evidente a causa della sua eccessiva espressività, tanto che sul suo volto si dipinse un cipiglio irritato, se non addirittura furibondo. 

 

Diana, con grande sorpresa, trovò perfino Jungkook con la mandibola contratta e gli occhi minacciosamente fissi sul corpo di Jimin, mentre portava con disinvoltura una mano sull'elsa della spada e faceva un'impercettibile passo in avanti. 

 

-Dunque, è lui?

 

La domanda, posta con ferrea insistenza, la portò a rivolgere nuovamente lo sguardo sul principe, che guardava il ragazzo con gli occhi di un predatore invasato dalla sua sete di sangue. 

 

La giovane non sapeva se era una buona idea rispondere, ma non aveva alternative. 

 

-Sì.

 

Al suono della sua flebile replica, la stanza parve divenire una landa gelata. Gli sguardi dei presenti si fecero più freddi e impietosi, mentre il corpo disteso a terra riprese a singhiozzare ancora più violentemente di prima. 

 

Non sapeva che fare. Pensava di essere disposta a perdonare. Pensava di essere una persona buona, gentile, caritatevole. La sua balia la ricopriva di tutti quei complimenti quando era piccola e lei vi aveva sempre creduto. 

 

-Oh signorina, quanto siete buona! 

 

-Quanto siete cara! Il vostro futuro sposo sarà così fortunato ad avere una persona tanto onorevole quanto voi! 

 

Davvero lo era? Era così facile essere gentili e generosi quando nessuno le recava offesa. Eppure, in quella situazione, non riusciva ad essere così pronta ad elargire il suo perdono incondizionato.

 

Forse, in fondo, non era una persona buona.

 

Oppure, forse, era semplicemente parte della natura umana, l'essere incapaci di perdonare senza riserve.

 

Non ne era sicura. E forse non avrebbe mai trovato la risposta alla sua domanda da sola. Eppure in quel momento doveva scegliere. Doveva scegliere che tipo di persona essere.

 

-Jimin... 

 

Non appena il suo nome scivolò dalle sue labbra, la testa del ragazzo scattò verso di lei. Diana contrasse la bocca. Aveva pianto. Era pentito. E lei non aveva bisogno di attaccarsi al passato e al risentimento per sentirsi meglio. 

 

-Perché sei qui? Perché non sei... a casa tua... a lavorare i campi? 

 

La domanda parve rompere qualcosa dentro al ragazzo. I singhiozzi tornarono più prepotenti e lo fecero accartocciare su se stesso. 

 

Diana lo osservò con una vena di pietà. La sua gentilezza sarebbe stata la sua punizione. E a quanto pareva stava funzionando. 

 

-Io... Io... mio padre... mia madre... 

 

Le parole uscivano a tratti, interrotte dai convulsi respiri che gli tagliavano il petto. 

 

-Mio padre... io avevo bisogno dei soldi per mio padre... il medico voleva una cifra troppo alta... noi... non avevamo i soldi e ogni giorno peggiorava... 

 

La voce di Jimin si rompeva sempre più, sbriciolandosi come preziosa ceramica e lasciando frammenti frastagliati e inconsistenti. 

 

-E allora... quell'uomo... mi aveva detto che avrei potuto avere i soldi... ti ha vista mentre lavoravamo i campi e mi ha detto che se avessi lasciato che ti portassero via avrei avuto il necessario per pagare il medico... 

 

La gola del ragazzo ormai emetteva un lamento acuto, man mano che le lacrime scorrevano sul suo viso affogandolo sempre di più. 

 

Diana lo contemplò. Lo immaginava. Aveva considerato che potesse essere quella la motivazione. Sentirlo con le sue orecchie, però, fece sciogliere leggermente il nodo di risentimento intrappolato nel suo stomaco. 

 

-Quando mia madre è venuta a saperlo... non mi ha rivolto più la parola... diceva che suo figlio non avrebbe mai tradito una persona che era stata accolta nella nostra casa... 

 

Il giovane trasse un respiro più profondo degli altri, ma sembrò non riuscire a placare il suo petto singhiozzante. 

 

-Ho pagato il medico... ho preso la medicina per mio padre... ma non è servito a niente! 

 

La voce del giovane, fino a un momento prima flebile e rotta, si alzò fino a gridare in tutta la sua miserabile pietositá. Diana chiuse gli occhi e abbassò il capo. Il risentimento rimasto nel suo stomaco si dissipò interamente, lasciando dietro di sé solo una memoria dei sentimenti che aveva così tanto faticato ad abbandonare. 

 

Jimin era già stato punito.

 

-È morto... è morto pochi giorni dopo la visita del medico... e mia madre lo ha seguito una settimana dopo, uccisa dal dolore!

 

Diana spalancò gli occhi. Chong-eun era morta? 

 

La ragazza ripensò al suo sorriso gentile, al suo tono accogliente che l'aveva fatta sentire al sicuro dopo tutto quello che le era successo. Sentì il bruciore delle lacrime farsi spazio nella sua fronte, costringendola a sbattere le palpebre. 

 

-Non riuscivo a gestire il terreno da solo! Non sapevo come prendermi cura della casa e di me stesso e... di tutto... non avevo niente... niente... 

 

La giovane lo guardò e piegò il capo. Sapeva cosa voleva dire rimanere senza niente. Sapeva cosa voleva dire perdere un genitore sotto i propri occhi. 

 

-E dunque sei venuto... in città in cerca... di soldi. 

 

Concluse lei con tono gentile. Non voleva essere una critica o un rimprovero. Sentiva che il ragazzo non aveva avuto scelta. 

 

-È questo il motivo per cui hai tentato di derubare Hoseok?

 

Diana si voltò verso il principe. La storia di Jimin non sembrava aver sciolto lo sguardo impietoso che gli stava rivolgendo, tanto che sputò la domanda con lo stesso tono freddo che aveva all'inizio. 

 

Il ragazzo alzò appena la testa, notando forse la posa autorevole del signore e l'inflessibilità nella sua voce. 

 

-Chiedo perdono...- mormorò, nascondendo il viso dietro alle braccia tremanti e tornando ad accasciarsi al pavimento. 

 

Il principe non sembrò mosso dalla fragilità del giovane. 

 

-Non è a me che devi chiedere perdono- replicò infine, puntando lo sguardo sul suo assistente. 

 

Hoseok per un momento parve scambiare una silenziosa conversazione con il padrone, fatta solo di sguardi muti e sopracciglia aggrottate, rivolgendo infine gli occhi con più docilità su Jimin. 

 

-Non ho ricevuto nessun danno, in fin dei conti. Non è riuscito a sfilarmi i soldi prima che io lo beccassi perciò non sono io la parte lesa. 

 

Diana improvvisamente sentì l'attenzione della stanza precipitare su di lei. Benché i presenti parvero trasmettere un'aria meno ostile nei confronti del ragazzo, la giovane poté percepire la diffidenza dietro i loro sguardi e il modo in cui la guardavano con aspettazione. 

 

Pur non voltandosi, sentiva perfino gli occhi appuntiti del principe su di lei. Lui non sarebbe intervenuto. 

 

Stava a lei il verdetto. 

 

-Hai pagato... abbastanza per quello che... hai fatto. 

 

Jimin alzò gli occhi arrossati dalle lacrime su di lei. Il suo perdono sembrava averlo ferito perfino più del suo rancore. 

 

-Se fossi stata... al tuo posto probabilmente avrei... fatto la stessa cosa- concluse infine, rivolgendogli un lieve sorriso. 

 

La bocca del giovane si piegò all'ingiù mentre lucide gocce di rugiada riprendevano a scorrere sul suo viso. 

 

Diana si voltò ancora una volta per trovare gli occhi scuri del principe scrutarla con un cipiglio illeggibile, quasi contrariato. 

 

-Quindi... che ne faremo di lui adesso? 

 

La domanda di Seokjin apparentemente non fu sufficiente a fare distogliere l'attenzione del giovane da lei, tanto che il silenzio fu l'unica risposta che parve ricevere. 

 

-Tu che cosa vuoi che ne facciamo?- chiese con gli occhi scuri concentrati unicamente su di lei. 

 

Diana gli lanciò velocemente un'occhiata perplessa. Era sincero? Le stava davvero chiedendo di prendere una simile decisione? 

 

Il suo sguardo cadde sulla figura accasciata sul pavimento. Sapeva che stavano discutendo del suo futuro, eppure rimaneva lì, in silenzio. Non aveva intenzione di replicare. Non avrebbe implorato la grazia per se stesso. Attendeva semplicemente la scure che sarebbe calata sul suo collo, con rassegnata accettazione. 

 

-Beh... in questa casa c'è sempre bisogno di mani in più, non credete?- chiese lei, riportando infine lo sguardo sul signore. 

 

Lui rimase immobile a fissarla, con gli occhi sottili puntati sul suo viso. 

 

-È questo che vuoi? Che lo accogliamo qua, come un randagio? Che viva sotto il tuo stesso tetto?- chiese con maggiore insistenza il giovane. 

 

Diana rispose al suo sguardo con calma e con tutta la determinazione che aveva racimolato dall'inizio di quella conversazione. Trasse un respiro profondo e guardò il signore diritto nelle sue iridi di onice. 

 

-Non ha nessun posto a cui tornare, perciò sicuramente tornerà a rubare se lo lasciassimo andare così. Tanto vale dargli un impiego.

 

La mandibola del principe, per un attimo, si tese in un angolo rigido. Poi, però, Diana vide il suo sguardo ammorbidirsi impercettibilmente. 

 

-Va bene. Resterà qua.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

A volte ritornano... e sta volta sono qui per restare! Ebbene sì, il nostro Chimmy è ufficialmente tornato e verrà adottato in casa Min da ora in poi. Anche se, come avete visto, i presenti potrebbero risultare un po’ ostili all’inizio...🤭😏

 

Non ho altro da aggiungere se non ringraziare tutte le nuove persone che continuano ad unirsi al nostro viaggio, davvero non pensavo che questa storia sarebbe piaciuta così tanto e non fate altro che darmi ancora più carica per continuare a scrivere! Grazie mille belle personcine! 

 

Attachment.png

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** XVIII ***


Cosa? 

 

Jimin sollevò la testa di scatto, fissando istintivamente il giovane che aveva pronunciato quelle parole. 

 

-Chiedo scusa... credo di non aver capito...- replicò debolmente, con la voce arrochita dalle lacrime. 

 

Sapeva che non avrebbe dovuto guardare così sfacciatamente negli occhi il signore. Era evidente che era un nobile ed era ancora più evidente il suo sdegno per lui. Eppure Jimin non poté farne a meno. Le sue parole gli rimbombavano stupidamente in testa, rumorose come un campanaccio ridondante.

 

Il giovane rispose al suo sguardo incredulo con un'espressione lievemente irritata e occhi indifferenti. 

 

-Rimarrai qui, a lavorare. Sarà il tuo modo di espiare le tue colpe. 

 

No, non era vero. 

 

Non poteva essere vero. 

 

Portò lo sguardo sul viso della ninfa dai capelli del colore del sole, ma ciò che vi trovò non fece altro che alimentare l'incendio nella sua mente. Gentilezza. Un sorriso comprensivo, benevolo. 

 

No. Era sbagliato. 

 

Lui doveva essere punito! 

 

Aveva quasi derubato il servitore di un nobile e aveva venduto una ragazza per trarne profitto! Lui non meritava pietà, non meritava comprensione! 

 

Lui meritava la morte. Meritava che la giovane guardia dagli occhi ardenti di furore usasse la sua spada per staccargli la testa. A quel punto avrebbe raggiunto la pace. 

 

La colpa se ne sarebbe andata dal suo cuore. Il dolore si sarebbe dissipato per sempre dal suo petto. E quando la sua testa sarebbe rotolata sul soffice cuscino erboso del cortile della casa, sarebbe finalmente stata vuota. 

 

Vuota dei ricordi. 

 

Vuota degli occhi vitrei di suo padre, che spirava l'ultimo fiato fra le braccia di sua madre. 

 

Vuota della mano di lei che abbassava le palpebre di lui, bagnandole infine con le sue lacrime stanche. 

 

Jimin stava singhiozzando di nuovo. Probabilmente gli abitanti di quella casa, oltre ad odiarlo per quello che aveva fatto, dovevano ritenerlo profondamente fastidioso, con tutto quel frignare come un ridicolo poppante. 

 

Ma non poteva farci niente. 

 

-No... perché... perché?

 

Rivolse lo sguardo appannato sulla figura celeste che stava davanti a lui, rivolgendole con gli occhi tutte le domande che non riusciva ad esprimere ad alta voce. 

 

Perché aiutarlo dopo quello che aveva fatto? 

 

Perché salvarlo, quando era evidente che il tradimento l'avesse ferita? 

 

Perché? 

 

Perché...

 

Non riusciva a concepirlo. 

 

-Per Chong-eun- rispose infine lei. 

 

Jimin chiuse gli occhi, percependo le lacrime che scorrevano sulle sue guance tondeggianti. Ma certo. Era ovvio. 

 

-E perché... meriti una seconda occasione. 

 

Spalancò di nuovo le palpebre per poter fissare incredulo la ninfa. In quel momento, con il sole che batteva sul suo profilo enfatizzando il biancore della sua pelle e trasformando i suoi capelli in oro fuso, avvolta nella nuvola confusa del suo dolore, sembrava letteralmente una visione divina. 

 

Doveva essere tutto un sogno. 

 

Jimin abbassò il capo. Benché fossero passate settimane, aveva ancora l'impressione di sentire il bruciore sulla guancia dello schiaffo di sua madre. 

 

-Stupido ragazzo! Cosa pensavi di ottenere? Credi che li voglio, quei soldi? I soldi che hai ottenuto tradendo una persona fragile, che aveva già sofferto e che aveva trovato rifugio nella nostra casa?

 

L'aveva implorata di capire. Capire perché lo aveva fatto. Non avevano scelta. Lui non aveva scelta. Non poteva lasciare che suo padre morisse così, quando aveva un'occasione. 

 

-Ce la siamo sempre cavata e ce la saremmo cavata comunque! Pensi che il male che hai creato con le tue azioni non si riverserà comunque su di noi? Pensavi davvero di risolvere tutto facendo soffrire un'altra persona? Non è così che ti ho cresciuto...

 

La delusione negli occhi di sua madre era la più amara delle punizioni. Non era sua intenzione fare del male alla ragazza. Pensava, sperava che sarebbe stata trattata bene, dato che aveva l'aspetto di una nobile. Anzi, aveva l'aspetto di una principessa. Jimin non ne aveva mai incontrate prima, ma aveva l'impressione che la giovane non potesse trovare altro posto se non al fianco di un re, ricoperta di oro e attenzioni, osannata dai suoi sudditi come una dea.

 

Ma sua madre non gli rivolse più la parola. E quel silenzio lo uccise, lo distrusse pezzo dopo pezzo. Solo quando stava per spirare, consumata dalle lacrime e dal dolore che le scavava il cuore come marciume, prese a cullarlo fra le sue braccia come era solita fare quando era piccolo. 

 

-Mi dispiace Jimin-ie. 

 

-Il mio piccolo Jimin-ie...

 

-Mi dispiace, sei bravo. Sei bravo, non è colpa tua... 

 

E poi... il silenzio. 

 

Il silenzio era come una stanza senza aria. Come un mano che premeva sul suo petto, sbriciolandogli le ossa e schiacciandogli il cuore. Come un cappio attorno alla gola, che tirava, tirava e tirava fino a che le sue membra non cessavano di ribellarsi e si abbandonavano finalmente al dolce abbraccio della morte. 

 

Il silenzio lo stava uccidendo, questa volta per davvero. Erano giorni che non mangiava. Giorni che non dormiva decentemente. Il suo corpo non era mai stato panciuto e sazio come quello di un ricco, ma in quel periodo era diventato ancora più asciutto, tanto che la pelle aveva preso ad attaccarsi morbosamente alle sue costole. 

 

Jimin era stanco. Quando un braccio lo fece sollevare dal pavimento e una voce lo incitò ad alzarsi, sentì il peso dei giorni, delle settimane, della morte, della fame, dell'insonnia, della colpa calare su di lui e spegnere tutto. Spegnere il sole e la luce, la visione della ninfa celeste e del signore oscuro dal cipiglio contrariato. 

 

E Jimin crollò a terra. 

 

 

 

Il mondo era buio, nero e freddo prima che aprisse gli occhi. Ma non appena sollevò le palpebre ci fu calore, unito a qualcosa che non sentiva da tanto, troppo tempo. L'odore ricco e avvolgente di cibo caldo, che si pavoneggiava sotto al suo naso facendo gorgogliare il suo stomaco, costringendolo a stringersi su se stesso, ad aggrapparsi all'aria provocando dolorosi crampi. 

 

Jimin ci mise qualche istante per capire che si trovava in un cucina. Una figura alta e dalle spalle larghe era china su un calderone che bolliva sul fuoco, borbottando più rumorosamente del suo ventre. Si mise lentamente a sedere con gli occhi concentrati sul cibo e si afferrò la testa fra le mani. 

 

Era una visione? 

 

-Come ti senti? 

 

Una voce docile lo fece voltare alla sua destra, dove trovò il giovane uomo che aveva quasi derubato intento a fissarlo con cauta gentilezza. Di fianco a lui, in piedi in una posa rigida e nervosa, stava la giovane guardia con gli occhi irrequieti fissi su di lui. 

 

Jimin annuì distrattamente, non del tutto sicuro di aver capito la domanda ma non volendo rimanere in silenzio. 

 

-Hai perso conoscenza, perciò ti abbiamo portato qua, dato che è la stanza più calda della casa. Da quanto non mangi? 

 

Il giovane abbassò gli occhi sui suoi vestiti logori e cadenti, la gola serrata da una vergogna spietata. 

 

-Non... non me lo ricordo. 

 

-Beh, allora mangia! 

 

Una scodella bollente gli fu bruscamente abbandonata fra le mani, mentre l'uomo dalle spalle larghe si girò con uno sbuffo spazientito. 

 

-Adesso fai parte di questa casa e dovrai iniziare a lavorare, perciò è meglio che ti rimetti in forze in fretta- continuò borbottando con voce contrariata. 

 

Il giovane di fronte a lui si aprì in un ghigno divertito, rivolgendogli uno sguardo comprensivo. 

 

-Non fare caso a lui, è il suo modo di dire che si prenderà cura di te. E quando gli sarà passata l'arrabbiatura vedrai che ti tratterà con più gentilezza. 

 

A quelle parole, si udì un sonoro verso di disappunto provenire dalla schiena della persona in questione, ma nessuna replica lo seguì. 

 

Jimin, allora, fece un cenno del capo al ragazzo di fronte a lui in segno di gratitudine e prese a portarsi il cibo alla bocca. Iniziò lentamente, masticando il cibo con estenuante calma per non sembrare ingordo. Ad ogni boccone, però, il suo stomaco prese a brontolare con maggiore aggressività, avido di avere di più, sempre di più. Senza accorgersene, si ritrovò a fissare il fondo di legno della ciotola, la pancia gorgogliante di soddisfazione e la mente acuita dall'energia che aveva appena assunto. 

 

-Ti chiami Jimin, giusto? 

 

Il ragazzo sollevò finalmente lo sguardo, riabbassandolo poi timoroso. Si era comportato come un ingrato. Aveva divorato tutto quel cibo come se fosse già parte di quella casa, senza mostrare un minimo di umiltà. Piegò il capo più che poté prima di mormorare un timido assenso e ringraziare per il pasto. 

 

-Ehi, Jimin, non devi essere così formale con noi. Va tutto bene. 

 

La voce rassicurante del ragazzo lo spinse a sollevare appena lo sguardo, incontrando un paio di occhi brillanti di gentilezza. 

 

-Adesso fai parte di questa casa- aggiunse, rivolgendogli un sorriso accogliente. 

 

Gli ricordava vagamente gli abbracci di sua madre. 

 

-Io sono Hoseok, comunque. Il brontolone laggiù è il nostro abile cuoco, Seokjin. Mentre questo ragazzino silenzioso e a tratti minaccioso è Jungkook. 

 

Jimin alzò lo sguardo con timore, incontrando gli occhi di brace del ragazzo. Doveva essere appena più giovane di lui, eppure lo superava già in altezza e in corporatura. La guardia continuò a fissarlo senza battere ciglio, sfruttando la sua figura muscolosa per lasciare che la sua ombra incombesse su di lui, una minaccia tanto velata quanto efficace. 

 

-Mettiamo le cose in chiaro- furono le prime parole che Jungkook pronunciò, abbassandosi affinché i loro occhi fossero allo stesso livello. 

 

-Se provi anche a solo a pensare di tradire di nuovo Diana-ssi... o di recarle danno o fastidio in qualsiasi altro modo...- 

 

Hoseok appoggiò con delicatezza una mano sulla spalla del ragazzo. 

 

-Jungkook-ie, penso che abbia capito. 

 

Jimin non si era accorto di tremare. Quando abbassò gli occhi sulle sue mani, però, le trovò avvolte in una morsa timorosa, simile ad un uccellino nascosto nel suo nido che si nasconde dal suo predatore. 

 

-Jimin, penso che tu abbia imparato la lezione. E penso anche che la tua gratitudine verso Diana-ssi sia sincera, perciò sono convinto che non ci dovremo più preoccupare di cose del genere. 

 

Il ragazzo sollevò la testa puntando gli occhi lucidi su quelli di Hoseok e annuendo con fin troppa enfasi. Mai. Mai più. Al solo pensiero... avrebbe preso la spada lui stesso per punirsi.

 

Lo sguardo di Hoseok fu gentile e sembrò comprendere la sua risoluzione. E nonostante ciò Jimin sentì un rivolo di diffidenza farsi spazio nel suo petto. Qualcosa non andava. 

 

-Sappi, però, che Diana-ssi è parte della nostra famiglia. E noi non apprezziamo chi fa del male alla nostra famiglia. 

 

Il sorriso non lasciò mai il volto del giovane, ma aveva assunto l'aspetto della lama curva di un'ascia, contrastando con il calore invitante che fino a istanti prima emanava. 

 

-Sono stato chiaro? 

 

Jimin deglutì il groppo che sembrava serrargli la gola e annuì lentamente. Non se lo sarebbe dimenticato. 

 

 

 

-Perché lo hai perdonato? 

 

Diana sentiva che quella domanda sarebbe arrivata. Ne era sicura, per qualche motivo. 

 

-Perché sembrava sinceramente pentito e perché ha già pagato abbastanza. 

 

Il principe contrasse la bocca in una smorfia, appoggiando il mento sul palmo della mano. 

 

-Non è così facile- borbottò tra i denti, strappando un debole sorriso alla giovane. 

 

-No, non lo è. 

 

Il ragazzo si girò a guardarla con un interrogativo negli occhi. Piegò il capo, come se cercasse di trapassarle il cranio con la potenza del suo sguardo, forse per capire finalmente una volta per tutte che cosa le passasse per la testa. 

 

-Ma avevo una scelta. E ho scelto di essere la persona che perdona. 

 

Il giovane si aprì in un sorriso beffardo, scuotendo il capo. 

 

-Ancora con questo discorso della scelta? Quindi? Basta che uno sia pentito per ricevere la grazia? Indipendentemente da quello che ha fatto? Basta desiderare di perdonarlo? 

 

Diana socchiuse gli occhi, studiando il dolore che lentamente iniziava a diffondersi nei lineamenti del principe. 

 

-Ci sono colpe che non possono essere espiate. 

 

Diana fece una pausa, lasciando che le parole si sedimentassero nella mente del giovane, mentre vedeva l'ombra di un temporale farsi spazio sulla sua fronte. 

 

-Ci sono peccati che non possono essere coperti, neanche dal più sincero pentimento. 

 

La giovane accarezzò con lo sguardo le guance pallide di lui, cercando di trasmettergli lo stesso gentile tocco che le sue mani avrebbero potuto trasmettere, se solo avessero avuto il permesso di toccarlo. 

 

-Ci sono persone che non meritano il nostro perdono. Ed è giusto così. Ma questo... non era il caso- concluse, riservando tutta la sua attenzione agli occhi persi e così ingenuamente confusi del principe. 

 

Lui la guardò. La guardò per tanto, troppo tempo senza pronunciare una parola. La guardò come se lei fosse stata il sole e lui non potesse sopportarne la vista senza ustionarsi, ma allo stesso tempo non potesse distogliere gli occhi a causa del fascino che emanava. 

 

-Io non ti capisco. 

 

Diana si sarebbe messa a ridere, ma si lasciò sfuggire solo un semplice sorriso divertito. Avrebbe potuto dire la stessa cosa.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Diciamolo tutti insieme... uno, due, tre... don't mind Jimin! Il nostro piccolo monchi ne ha passate tante ma finalmente ha trovato una casa in cui sentirsi al sicuro (beh... forse XD). Anche se i ragazzi sono un po' protettivi alla fine sappiamo che andrà tutto bene. Ma... Hoseok con il momento minaccioso? Ne vogliamo parlare XD? Patatoso, coccoloso e tutto ma... non si scherza con le persone a cui tiene. 

 

Eeeee come preannunciato inizierò a mettere i disegni dei personaggi con le loro informazioni personali e dettagli che non emergono dalla storia per i curiosi! (Sorry EFP, don't hate me, dovrete passare da wattpad). 

 

Aaaaaah dimenticavo! Ho vinto il mio primo concorso e sono tanto tanto happy 😭 grazie alla dolcissima JSElordi  per le belle parole e per aver organizzato questa iniziativa. Se siete interessati, date un'occhiata al suo profilo, ha sempre le mani in pasta in progetti interessanti ed è anche un'ottima scrittrice. Fra un po dovrebbe anche uscire la recensione "premio" della storia insieme ad un'intervista perciò stay tuned! 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** IXXX ***


La beatitudine della mattina accolse le membra di Diana come un abbraccio freddo ma affettuoso. L'aria fresca le stuzzicò la pelle, ricoprendola di brividi superficiali che le camminavano lungo le braccia con gambe corte ma assai veloci, strappandole un sospiro deliziato. La primavera stava sciogliendo la rigidità dell'inverno dal paesaggio, adornando gli alberi con nuovi, lussuriosi vestiti e donandogli preziose gemme, ancora pallide imitazioni dei gioielli in cui poi si sarebbero trasformate. 

 

Diana non sapeva più neanche da quanto tempo era lì. Era come se la pace di quel mondo e il calore di quella casa le avessero fatto dimenticare quello che lei era, il posto da cui proveniva. Quanto tempo era passato? Tre mesi? Quattro? Forse di più. 

 

Un anno da quando aveva messo piede su quella nave che aveva cambiato il suo destino per sempre. Un anno da quando non vedeva la sua casa. Sua madre. 

 

Come stava sua madre? Era giunta a conoscenza di quello che era successo? Che cosa le avrebbero detto? Che non aveva più un marito? Che la figlia era probabilmente morta a sua volta? 

 

Diana sbatté gli occhi, accecata dai primi raggi di sole che filtravano dalle mura che circondavano l'abitazione. Pensare a sua madre le trasmetteva un senso di amarezza sulla punta della lingua. Dal momento che aveva trovato la pace, un equilibrio in una nuova realtà, la mancanza di quello che aveva perso non le pesava nel cuore con così tanta prepotenza. 

 

Eppure... 

 

Eppure sua madre era nella loro grande casa vicino al canale. Da sola. Senza sapere quale destino si fosse preso sua figlia. Senza speranza di poterla riabbracciare. 

 

Diana serrò gli occhi. Si concentrò sul calore che veniva irradiato dall'oggetto fra le sue mani, sul dolce odore che esso emanava stuzzicandole le narici. 

 

-Buongiorno Jungkook. 

 

Il ragazzo si voltò e concentrò lo sguardo su di lei. Era sempre così. Talmente assorbito dal suo allenamento che non si accorgeva neppure del suo arrivo, nonostante quella fosse ormai diventata un'abitudine. Difatti, il giovane non fu sorpreso. Cercando di rallentare il petto, vittima di respiri profondi e avidi di aria, si avvicinò a lei lentamente, arrivando perfino al punto di rivolgerle un timido sorriso. 

 

Diana gli porse la tazza fumante contenente il suo infuso mattutino, che gli preparava quasi ogni giorno, e sorrise ancora più generosamente. I suoi progressi con Jungkook, a detta di Seokjin, erano spaventosi. Ai suoi occhi, per contro, il ragazzo sembrava aprirsi a lei molto, molto lentamente, timido come una conchiglia che rivela cautamente la preziosa perla nascosta al suo interno. Ma era felice di quel poco che lui le concedeva. 

 

-Hai mangiato? 

 

Diana studiò con attenzione il giovane che sorseggiava la bevanda in silenzio, cercando accuratamente di evitare il suo sguardo, posando gli occhi su tutto tranne che su di lei. Sapeva, infatti, che qualora avrebbe incontrato il viso della ragazza, vi avrebbe trovato un cipiglio severo e una bocca contratta. 

 

-Questa volta non dirò a Seokjin che avevi già iniziato l'allenamento prima del pasto, ma non dimenticarti di passare dalla cucina. Hai bisogno di mangiare per avere la forza di tirare di spada. 

 

Il tono quasi materno nella voce di Diana era diventato un vezzo inconsapevole. Per qualche motivo, il suo rapporto con Jungkook si era gradualmente trasformato in qualcosa di simile a quello tra due fratelli. Il ragazzo, in qualche modo, tirava fuori un lato protettivo che lei non immaginava neppure di avere. 

 

-Grazie...- borbottò lui, guardandola attraverso ciglia abbassate e folte che nascondevano la timidezza del suo sguardo. 

 

Diana sorrise e prese la tazza fra le mani di lui. Se avesse detto a Seokjin che Jungkook aveva di nuovo saltato il pasto, sarebbe iniziata una sequela di lamentele che avrebbe avuto fine solo quando tutti i presenti avessero lasciato la cucina. E anche allora, molto probabilmente, il cuoco avrebbe continuato a borbottare tra sé e sé fino a quando non si sarebbe ritenuto soddisfatto. 

 

 

 

Come ogni mattina, la cucina era un tripudio di odori e di voci che sovrastavano rumorosamente l'ambiente. Jimin, dopo il primo mese chiuso dietro una corazza di timore e diffidenza, aveva mostrato una personalità gioiosa e conciliante, generosa nell'elargire sorrisi e attenzioni agli abitanti della casa. 

 

Seokjin, da parte sua, in breve tempo lo aveva preso sotto la sua ala protettiva. In effetti, lui e il ragazzo sembravano aver sviluppato lo stesso rapporto scherzoso che il cuoco condivideva con Jungkook, tanto che spesso Diana li scopriva a stuzzicarsi a vicenda come due bambini. 

 

-Buongiorno Diana-ssi.

 

Il sorriso di Jimin era talmente ampio che le sue guance si alzavano fino a fargli socchiudere gli occhi. Quella sua espressione, così genuina e in un qualche modo infantile, le faceva sciogliere il cuore tanto che si ritrovava a rispondergli con altrettanto calore. Il ragazzo era sempre molto attento a lei, al punto che poteva sentire i suoi occhi seguirla costantemente. Le chiedeva come stava, se avesse dormito bene e quando aveva le dita rovinate a casa del lavoro manuale gliele afferrava per medicarle lui stesso. 

 

Diana era toccata dalla sua premura, anche se immaginava da cosa essa fosse generata. Benché non lo esprimesse ad alta voce, il senso di gratitudine nei suoi confronti trasudava da ogni suo gesto, da ogni sua più piccola espressione. La ragazza avrebbe voluto farne a meno, ma non desiderava renderlo infelice perciò rimenava sempre in silenzio. 

 

-Oggi devi andare in città, Hoseok? 

 

L'interpellato alzò gli occhi su Seokjin, scuotendo il capo distrattamente. Il cuoco annuì soddisfatto. 

 

-Molto bene. Avrò bisogno di tante mani, è arrivato il momento di ripulire quella stanza in cui abbiamo accantonato tutte le cianfrusaglie che non usiamo. 

 

Diana alzò un sopracciglio. La ricordava, vi era entrata un giorno per sbaglio, inciampando immediatamente in una spada di bambù abbandonata per terra. Era senza dubbio l'ambiente più spoglio di tutta la casa, ma il problema era che la polvere e le ragnatele lo avevano ormai ricoperto fino al soffitto, diventando essi stessi un grottesco arredamento. 

 

-Non fate quelle facce! Se ci mettiamo tutti e quattro faremo in fretta! Se riuscissimo a liberare completamente la stanza, poi, potrei finalmente avere un posto in cui dormire in pace senza dover sentire il russare costante di Jungkook. 

 

L'interpellato si voltò per replicare prontamente, ma uno sguardo di Seokjin fu sufficiente ad uccidere le parole ancora prima che potessero uscirgli dalla bocca. 

 

In effetti, iniziavano a stare un po' stretti. Da quando Diana era entrata nella casa, la stanza in cui dormiva Hoseok era stata data a lei per concederle un po' di riservatezza. Dall'arrivo di Jimin, perciò, i quattro servitori si erano ritrovati a dormire tutti in un'unico ambiente, dal momento che il principe aveva le sue stanze private. 

 

I presenti, perciò, concordarono con il cuoco. Dello spazio in più avrebbe di certo fatto comodo.

 

-Mio signore? 

 

L'attenzione dei commensali si spostò sulla figura silenziosa che sorseggiava pigramente il suo tè mattutino, nascosta dietro una cortina di capelli scuri che la proteggeva dalla fastidiosa luce attorno a sé. Quando borbottò un "Fate come volete", si alzarono tutti in piedi dirigendosi verso il loro obbiettivo. 

 

Una volta aperta la porta sull'ambiente, lei e Seokjin presero a tossire a causa della nuvola di polvere che si alzò dagli oggetti abbandonati sul pavimento. 

 

-Bene... diamoci da fare! 

 

Diana, con le maniche sollevate e un fazzoletto legato dietro alla testa a coprirle il naso, continuava a sollevare oggetti sempre più curiosi. Una collezione di ceramiche da tè importata dall'impero, lasciata ad assopire in un angolo dimenticato. Vestiti stracciati, sdruciti, ormai ridotti a brandelli, a detta di Seokjin i panni di Jungkook. 

 

-Quel ragazzino cresce troppo in fretta.

 

Diana aveva riso di gusto al commento del cuoco, scuotendo la testa davanti al suo modo di fare quasi materno. E poi hanbok pregiati, bordati di oro e richiusi in scatole di legno che non sembravano vedere la luce da chissà quanto tempo. Spade vecchie, arrugginite e di metallo scadente, alcune poco più lunghe del suo braccio, le spade con cui Jungkook si era allenato da piccolo. 

 

Poi, un oggetto dalla forma famigliare catturò l'attenzione della ragazza. Le mostrava solo la schiena, perché la sua pancia era appoggiata sul pavimento polveroso, ma non appena lo sollevò non poté non riconoscerlo. Diana sorrise accarezzandone il dorso curvo come quello di un liuto e sospirò passando le dita sulle corde lisce. 

 

-Diana-ssi? 

 

I presenti si voltarono verso di lei, osservando il modo in cui cullava lo strumento fra le sue mani. 

 

-Non sapevo che avevate una pipa. 

 

Hoseok le rivolse un sorriso appena accennato. 

 

-Il principe talvolta si cimentava nella musica, ma è da un po' di tempo che non vi si dedica più. Penso che si sia lasciato prendere da altri passatempi.

 

Diana abbassò gli occhi sullo strumento musicale con pietà. Era un tale peccato lasciarlo lì, in quella stanza buia, soffocato da una coperta di polvere e senza orecchie che potessero ascoltarlo. 

 

-Tu lo sai suonare, non è vero? 

 

La giovane rispose con un timido cenno del capo, abbassando umilmente il volto in modo che non si potesse notare il rossore delle sue guance. Era vero, ma era passato così tanto tempo dall'ultima volta... 

 

-Perché non suoni per noi? È comunque ora che facciamo una pausa. 

 

Diana esitò per un momento, ma decise di annuire, scrollandosi di dosso il timore e l'esitazione. Seokjin fece per raggiungere la porta, seguito da un eccitato Jimin. L'unica figura che non si mosse fu quella di Hoseok, catturando l'attenzione della giovane. 

 

-Dal momento che abbiamo la musica... 

 

Il giovane si piegò in avanti, raccogliendo un oggetto dal pavimento che aveva fissato per diverso tempo da che era iniziata quella conversazione. La ragazza osservò con curiosità l'espressione distaccata eppure nostalgica che aveva preso piede sul suo volto. 

 

-... ci vorrebbe anche una danza. 

 

Teneva fra le mani quello che sembrava essere un grande ventaglio arancione, composto da larghe e lussuriose piume. Seokjin percorse nervosamente la figura del ragazzo, studiandone con attenzione ogni movimento. 

 

-Sei... sicuro? 

 

Il giovane non rispose alla domanda, ma mantenne lo sguardo sull'oggetto fra le sue mani. Infine, annuì distrattamente, marciando con determinazione verso il cortile della casa. 

 

 

 

Diana era seduta sulla passerella di legno che circondava il piccolo quadrato erboso, con le gambe a penzoloni oltre il bordo e le mani intente a regolare le chiavi della pipa. Lo strumento era meno armonioso di quanto avesse sperato, a causa del tempo passato abbandonato a se stesso senza qualcuno che si prendesse cura delle sue fragili corde. Una volta che fu finalmente soddisfatta del suo suono, però, sollevò gli occhi sulla figura che dominava il cortile, con lo sguardo abbassato a terra e il ventaglio dal colore sgargiante stretto fra le dita. 

 

Hoseok percepì il suo sguardo ansioso e le rispose con un sorriso debole, ma sufficiente a farle capire che era pronto. In tutta sincerità, la ragazza non sapeva cosa aspettarsi. Perciò, trasse un sospiro, chiuse gli occhi e quando li riaprì prese a pizzicare le sottili corde con la punta delle dita. 

 

In quel momento, fu come se una cortina fosse stata improvvisamente calata sull'ambiente. Le prime note furono incerte e un po' zoppicanti, ma in breve tempo Diana fu in grado di calarsi in quel mondo che era fatto solo di suoni e di sospiri del vento. Poi, lo vide. 

 

Hoseok era esso stesso un sospiro del vento. Era aria, nella sua forma più potente e passionale. I suoi arti erano veli di seta, leggiadri e fluidi come un fiume. Il ventaglio nella sua mano era come una lanterna nella notte che catturava lo sguardo dei presenti ogni volta che il suo possessore ne sfoggiava le piume. 

 

L'espressione nel suo viso... Diana non aveva mai visto Hoseok con quel tipo di luce negli occhi. Non era Hoseok. Era come se un'altra persona avesse vestito i suoi panni, si fosse infiltrata nel suo corpo e rivolgesse agli spettatori uno sguardo distaccato ma malizioso. Un istante prima sembrava avido di attenzioni, bagnandosi nelle acque dell'ammirazione di chi lo osservava; l'istante dopo si nascondeva pudicamente dietro alle piume vanesie, come a voler fingere una vena di modestia.

 

Hoseok era lontano. Era perso in un mondo che Diana non conosceva, a cui nessuno dei presenti aveva accesso. E quando la melodia giunse al termine, al giovane ci vollero diversi istanti per tornare nel suo corpo, nel cortile della casa, nella sua identità. 

 

Il suo sguardo, però, serbava ancora una scintilla di qualcosa. Nostalgia? Dolore? Rimorso? Diana non capiva, c'era qualcosa che le sfuggiva. 

 

-È stato... bellissimo- furono le uniche parole che la ragazza disse. 

 

Hoseok rivolse lo sguardo annebbiato verso di lei. Non appena percorse il suo viso con gli occhi, la sua espressione parve addolcirsi. 

 

-Era tanto tempo che non lo facevo. Una volta... questa era la mia realtà. 

 

La sua realtà... quella che aveva lasciato alle spalle, prima di entrare a far parte della cerchia del principe. Che cosa era successo? Diana voleva sapere ma... non si portò a chiedere. Doveva essere lui a parlare. 

 

Hoseok, infatti, si sedette accanto a lei, riprendendo fiato. In un attimo, lanciò uno sguardo verso Seokjin, il quale annuì e si voltò verso la porta incitando Jimin a entrare. 

 

-Hai voglia di sentire una storia? 

 

Diana scosse il capo per assentire, troppo timorosa di distrarlo anche solo pronunciando delle parole.

 

-Una volta c'era una bellissima ballerina. La più bella di Choson.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ok, sono disposta ad inginocchiarmi a terra pur di avere il vostro perdono. Lo so che il capitolo è noiosissimo ed ero seriamente (SERIAMENTE!) intenzionata ad iniziare il flashback sulla vita di Hoseok. Il problema era che prima dopo introdurre il time skip, spiegare brevemente cosa è successo nel frattempo, piazzare la situazione, dargli il giusto contesto, iniziare a introdurre il flashback e... avevamo già superato le 2000 parole. E a sto punto iniziamo per bene dal prossimo capitolo e fine. 

 

Perdonatemi, davvero. Ma stringete i denti e fatevi forza che il prossimo è tutto dedicato al nostro amato ballerino. 

 

Giusto per rinfrescarvi le idee, la pipa che viene menzionata nel capitolo è sempre un tipo di liuto cinese un po’ più grande e che veniva suonata posizionata verticalmente sulle ginocchia. 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** XXX ***


-Hoseokie, balla con me. 

 

La donna dai lunghi capelli corvini gli afferrò le piccole mani, avvolgendole nelle sue come dei preziosi petali chiusi attorno al cuore di un fiore. Gli occhi del bambino caddero sul sorriso avvolgente e splendente come la luce del sole che vi era su quel viso così armonioso. 

 

-Bravo Hoseokie. Balla con me. 

 

La donna lo fece volteggiare insieme a lei, lasciando che i loro piedi li portassero in un girotondo infinito, di cui le loro mani allacciate erano il perno. Il bambino sentiva la testa girare buffamente, trasmettendogli una bizzarra euforia che lo portò a ridacchiare con la sua acuta vocina. Il vestito usurato di sua madre volteggiava intorno al suo corpo come la vela di una magica barca, mentre la sua treccia catturava la luce del sole a causa del piccolo fermaglio ornato da due graziosi fiori azzurri alla sua estremità. 

 

Sua madre era la donna più bella di Choson. Nessuno lo avrebbe mai convinto del contrario. 

 

E sua madre era anche la ballerina più leggiadra che avesse mai visto. 

 

-Fammi vedere, Hoseokie. Fammi vedere come balli- esclamò ad un certo punto, lasciando le sue piccole mani.

 

Il piccolo sollevò gli occhi confusi sulla donna, sentendo il corpo freddo e incerto dopo essere stato abbandonato dal confortante tocco di lei. La sua espressione doveva essere in qualche modo buffa, perché le sue orecchie percepirono diverse risate cariche di dolcezza. 

 

-Sì, facci vedere Hoseokie! 

 

Le donne intorno a lui lo incoraggiarono con larghi sorrisi e occhi scintillanti, alcune iniziando a battere le mani sostituendo il suono dei tamburi assenti. La voce di sua madre, a quel punto, intonò una melodia ripetitiva ma vivace, una che il piccolo aveva sentito diverse volte durante le feste in cui lei si esibiva. 

 

Timidamente, il piccolo iniziò a girare su se stesso, chiudendo gli occhi per non vedere gli sguardi curiosi che lo osservavano. Cercava di ricordare come si muoveva lei, quando con grazia volteggiava sul posto e sfoggiava ventagli con lunghe code di seta. Hoseok non sapeva ballare in altro modo, perciò iniziò a replicare quei movimenti che aveva visto così tante volte. Ancora con le palpebre serrate, sentì i sospiri deliziati delle donne che lo circondavano mentre il battito di mani si faceva sempre più incalzante. 

 

Il bambino seguì il ritmo dei tamburi invisibili, lasciò che la voce melodiosa muovesse i suoi arti mentre nella sua testa immaginava i flauti diventare sempre più acuti. Hoseok si fermò solo quando si accorse che il battito di mani era cessato e che la voce si era silenziata, lasciando il posto ad un allegro scroscio di applausi. 

 

-Il nostro Hoseokie ha un futuro. 

 

Sua madre annuì con fierezza all'affermazione della donna, mantenendo gli occhi sul piccolo che la guardava con timidezza e con mani conserte. 

 

-Vuoi diventare come la mamma, Hoseokie? Vuoi ballare anche tu? 

 

Il bambino scosse impetuosamente il capo in un assenso assai convinto, strappando una risata alla donna. 

 

-Allora la mamma ti insegnerà a ballare. Diventerai l'artista più richiesto di tutta Choson, il mio piccolo Hoseokie! 

 

Lui batté le mani impaziente, guardando la madre con aspettazione. 

 

-Ara... vuoi davvero questo per lui? 

 

Una voce sterile, contenente una punta di malinconia, strappò i due dal bozzolo di calore in cui erano rinchiusi. Sua madre si girò verso la donna che aveva parlato. Soyon, la ballerina più anziana della compagnia, li fissava con occhi socchiusi mentre rimaneva seduta contro il muro della sordida strada in cui risiedevano in quel periodo. 

 

-Non vorresti qualcosa di meglio per tuo figlio?- aggiunse con un'amarezza che fece contrarre le sopracciglia del bambino. 

 

Non capiva cosa stesse succedendo, ma percepì la mano di sua madre stringersi attorno alla propria, mentre la sua delicata bocca si irrigidiva in una smorfia che non gli piaceva. 

 

-Quali alternative ha?

 

La risposta di sua madre fece sollevare gli occhi del bambino su di lei. Sul suo viso si era dipinta un'espressione indecifrabile, una che lui non riusciva a capire. 

 

-Anche se lo volesse... non potrebbe fare altro. Nessuno gli darebbe un lavoro. Tanto vale fargli fare qualcosa che ama. 

 

Soyon scosse la testa ma non replicò. Hoseok la osservò in attesa di qualcosa, in attesa di qualcuno che gli spiegasse perché Soyon sembrasse triste. In attesa che qualcuno gli spiegasse perché gli splendenti occhi di sua madre si erano trasformati in braci di un focolare. Eppure, tutti tacquero. Poi, la donna con la mano avvolta attorno alla sua lo tirò a sé, sorridendogli come se nulla fosse successo. 

 

-Andiamo, Hoseokie. La mamma ti trasformerà nel miglior ballerino di Choson! 

 

 

 

I tamburi gli rimbombavano nel corpo, trasformando il battito del suo cuore affinché seguisse lo stesso martellante ritmo. I vestiti colorati che volteggiavano, creando sequenze di bianco, rosso e blu, gli cullavano lo sguardo. I ventagli spiegati erano come candide ali e Hoseok aveva l'impressione che un giorno o l'altro gli avrebbero davvero permesso di volare. Su, nel cielo, lontano da quella terra così piena di sordida sporcizia e di intolleranza. 

 

-Vuoi davvero questo per lui?

 

La voce femminile gorgheggiava in note basse e avvincenti, trasportandolo in uno stato di ipnosi in cui la sua mente rimaneva incastrata, lasciando che il suo corpo agisse di propria volontà. 

 

-Non vorresti qualcosa di meglio per tuo figlio?

 

Hoseok poteva sguazzare nell'ammirazione degli sguardi che lo circondavano. Occhi che lo guardavano con meraviglia, avida curiosità, talvolta cupidigia. Quegli sguardi che si trasformavano in disgusto, apatia, ribrezzo nel momento in cui la musica terminava. Quando la sua magia cessava e Hoseok non era più quella incantevole creatura che volteggiava in mezzo ad un cerchio di donne, ma tornava ad essere una nullità abbandonata sul ciglio della strada. 

 

Le persone lo ammiravano. Ma lo facevano solo fino a quando non ricordavano che era un reietto, uno scarto. Quando vedevano le tende sdrucite e bucherellate che costituivano la sua "casa" l'adorazione fuggiva dai loro occhi. E lui tornava ad essere un pezzo di sterco, qualcosa che le persone guardavano storcendo il naso e allontanandosi velocemente. 

 

D'altronde, lo sapevano tutti che cosa si dicesse degli artisti di strada. Vagabondi, che girovagavano di città in città con la scusa di esibirsi. Frottole. Erano solo ladri, che si approfittavano della distrazione della folla per infilare le loro sudice dita nelle loro vesti. Ostruivano le strade in cui piantavano i loro accampamenti precari, vivendo ammassati gli uni agli altri come animali. E le donne... non erano altro che prostitute viandanti. Lo sapevano tutti. Usavano la loro danza per attirare l'attenzione di uomini facoltosi, che poi le avrebbero invitate nelle loro dimore per poter ricevere le loro grazie in privato. 

 

E poi vedevano Hoseok. Un ragazzino di appena tredici anni che si esibiva in mezzo ad uno stuolo di donne. Ballando come una di loro. 

 

Nella compagnia di sua madre non c'erano ballerini maschi, perciò lui era cresciuto imparando l'unica danza che le componenti della sua famiglia così poco convenzionale conoscevano: quella femminile. 

 

Per la sua prima esibizione, Hoseok ricordava fin troppo lucidamente la meraviglia che aveva provato nel vedere il vestito che sua madre e il resto delle ballerine avevano cucito per lui, usando una stoffa fin troppo preziosa comprata con i pochi soldi che riuscirono a mettere insieme. 

 

Adorava la sensazione del tessuto sulla pelle, il modo in cui lo trasformava in qualcosa di diverso. Qualcosa di più. Quando indossava il suo pregiato vestito e iniziava ad esibirsi, non era più uno scarto sul ciglio della strada. Lui era la stella che faceva spalancare gli occhi degli osservatori in meraviglia. 

 

-Hoseokie... 

 

Il ragazzino dovette sbattere le palpebre un paio di volte. L'esibizione era finita. Il pubblico che si era radunato attorno a loro aveva già preso a disperdersi, lasciando la piazza vuota. Come il suo stomaco. 

 

-Andiamo Hoseokie. 

 

Gli occhi del ragazzino fissarono la donna che gli faceva cenno di seguire la compagnia, che si stava già disperdendo in cerca di un posto dove mangiare. E sua madre non era lì. Non era lo stesso. Ballare senza che lei fosse nel cerchio di danzatrici che volteggiavano attorno a lui era sbagliato. Come se un giorno all'improvviso il sole fosse sparito dal cielo. Hoseok provava un senso di vuoto che non riusciva a colmare neanche nell'estasi della musica e nel piacere della danza. 

 

Seguendo docilmente le donne della compagnia, strascicò i suoi passi in direzione del loro accampamento. Quelle poche persone che incrociarono nel tragitto lanciarono al gruppo sguardi indiscreti, malfidati, portando i propri piedi ad allontanarsi sempre di più. 

 

Hoseok a malapena li notò. Tutto ciò che aveva importanza in quel momento era tornare alla sua tenda. Non appena raggiunse la struttura e scostò il lembo di stoffa in cui consisteva la porta della loro precaria casa, vide il corpo debole e malnutrito abbandonato sul cumulo di stracci che costituiva il suo umile letto. 

 

-Hoseokie- affermò semplicemente le flebile voce. 

 

Sua madre, così bella e splendente, aveva preso ad assomigliare ad un uccellino smagrito e spennacchiato abbandonato a se stesso in un nido malandato. E il ragazzino non poteva fare a meno di deglutire un groppo di amarezza ogni volta che posava gli occhi su di lei. 

 

-Com'è andata l'esibizione?- riuscì a chiedere con un debole sorriso la donna. 

 

Hoseok annuì appena con la testa, senza confidare sufficientemente nella sua voce per pronunciare delle parole. 

 

-Come stai? 

 

Sua madre gli sorrise nuovamente ma non rispose alla sua domanda, limitandosi a piegare il capo con un'espressione sospesa tra l'ironia e la rassegnazione. 

 

"Come credi che stia..." 

 

Hoseok immaginava già le parole che avrebbe voluto pronunciare. E lui sapeva che l'unico motivo per cui non le proferiva era per non aggiungere altra sofferenza nel suo cuore. 

 

-Hoseokie, siediti qua per favore. 

 

Sua madre toccò brevemente un posto al suo fianco e il ragazzino obbedì, lasciando che il suo corpo si abbandonasse sul cumulo di stracci. 

 

-Tesoro mio... 

 

Lui aggrottò le sopracciglia. C'era qualcosa di pericolosamente triste nel modo in cui sua madre aveva iniziato la frase. Hoseok sapeva che destino la attendeva. Lo immaginava, anche se nessuno aveva il coraggio di dirglielo in faccia. Era già successo ad altre due ballerine della compagnia, di spegnersi in silenzio in giovane età. La fame, gli stenti e la loro precaria abitazione non erano condizioni favorevoli a una buona salute.

 

-Non so come dirtelo- ammise lei, abbassando gli occhi in modo che fossero il più lontani possibile da lui. 

 

Che cosa? Che cosa non sapeva come dire? Che sarebbe morta? Questo già lo sapeva! Non c'era la necessità di sbatterglielo sotto al naso. Hoseok tese la bocca in una linea sofferente, ricercando con avidità lo sguardo della donna affinché la conversazione finisse il prima possibile. 

 

-Hoseokie... non sono più nelle condizioni di viaggiare. 

 

Il ragazzino la fissò. I suoi occhi spalancati bruciavano, forse perché non riusciva a sbattere le palpebre. 

 

-Mamma... 

 

-No, Hoseokie. Ne ho già parlato con le altre. Sappiamo come vanno queste cose. Non rimane molto tempo e io rallenterei solo la compagnia. 

 

Hoseok sentiva gli occhi pizzicare ma si costrinse a parlare. 

 

-Mamma... 

 

-Le ragazze sono d'accordo. Voglio che tu...

 

-No. 

 

Sua madre lo guardò con una dolcezza che gli dava la nausea. Era l'ultima cosa che voleva vedere. L'ultima che voleva sentire. Immaginava già come sarebbe finita quella conversazione e di certo non le avrebbe dato modo di concludere la sua frase. 

 

-Ti prego, Hoseokie. 

 

-No- replicò fermamente. 

 

La sua voce tremava leggermente a causa delle lacrime che non poteva lasciare uscire ma riuscì comunque a pronunciare con aspra determinazione la sua risposta. Non c'era assolutamente nessun modo in cui lui avrebbe accettato. 

 

-Hoseokie... non puoi restare qua con me. Il tuo futuro è esibirti. Tu sei nato per questo. Ed è l'unico modo in cui potrai sostenerti. Se non parti assieme a loro, sarà difficile trovare un'altra compagnia che ti accetti.

 

-Ho detto di no, mamma. 

 

La spiegazione di sua madre non mosse minimamente la determinazione del ragazzino. Non esisteva un universo in cui lui l'avrebbe abbandonata a se stessa. 

 

-Hoseok...

 

-Non mi interessa del futuro. Adesso ci sei tu. Tu sei il mio presente e io vivo per questo. Per il mio presente. Non ti lascerò qui da sola, dovessero anche trascinarmi via. 

 

Gli occhi lucidi di Hoseok si fissarono in quelli malinconici della donna, inflessibili seppur sull'orlo delle lacrime. 

 

-Io resto qui.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

OH BOY. Ci siamo. È iniziato l’atteso flashback nel passato di Hoseok e... sinceramente non vedevo l’ora. Ma vi avverto. Preparatevi perché il prossimo capitolo sarà una fucilata nelle costole XD no, davvero, chi mi segue da un po’ sa che amo un po’ di angst per torturare i miei personaggi (cioè, ho inventato sette scabrosi modi di uccidere i Bangtan nella mia prima storia, non so se mi spiego), ma con Hoseok ho riscoperto un lato sadico nascosto della mia personalità. Insomma... preparatevi perché sarà tosta. Tanto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** XXXI ***


I piedi di Hoseok strascicavano rumorosamente sul terreno, incerti nel loro passo e privi di energia, ma determinati nella loro ostinazione. Il suo stomaco vuoto aveva iniziato a fargli girare la testa, tanto che il paesaggio attorno a lui ondeggiava come quando sua madre lo faceva girare in tondo da bambino. E continuava a passarsi le dita sotto alle unghie, raschiando, grattando, sfregando sempre di più ma senza successo. La terra vi era ancora incastrata sotto e non sembrava intenzionata ad andarsene. 

 

Hoseok non la voleva vedere. Gli ricordava ad ogni singolo istante del suo disperato scavare, delle dita che affondavano disperate nel terreno mentre il suo petto singhiozzava convulsamente. Piangeva così tanto che si ritrovò a pensare che da lì a poco avrebbe iniziato a crescere dell'erba su quel rettangolo scuro. 

 

E poi gli ricordava di come aveva sbattuto i pugni contro l'arido suolo con le braccia deboli e tremanti e di come i suoi occhi erano inavvertitamente caduti sul corpo inerme accanto a lui. La bellissima donna non splendeva più come il sole, anche sotto alla luce impietosa del mezzogiorno. Sembrava piuttosto una ninfa benedetta dal bacio della luna, nel suo pallore innaturale. 

 

Nessuno lo aveva aiutato a seppellirla. Aveva dovuto trascinare il suo corpo, il suo... cadavere, attraversando tutta la città, incespicando, piangendo, implorando qualcuno che gli desse una mano. Era riuscito a raggiungere la soglia del tempio buddhista e aveva racimolato tutta l'energia rimasta per gridare aiuto. Per gridare che sua madre stava morendo. In realtà, sapeva che era già morta, ma nessuno presta soccorso ai morti. 

 

Perciò chiese aiuto. Ma nessuno giunse. 

 

Allora chiese semplicemente che un officiante lo aiutasse a darle una sepoltura. Ma fu invitato ad allontanarsi e a non disturbare i monaci nella loro meditazione. 

 

Aveva rubato una zappa dal campo di un contadino perché le sue mani erano stanche e le sue unghie spezzate e sanguinanti. Dopo aver trascinato il corpo di sua madre fino all'esterno della città in un campo abbandonato, affondò lo strumento finché non riuscì a creare una fossa lunga quanto la ninfa lunare. Hoseok si era inginocchiato e aveva lasciato un umido bacio sulla fronte della donna, prima di fare cadere il suo corpo nella sua indegna tomba. 

 

Non riusciva a guardarla così. Lì era buio, umido e pieno di insetti che le avrebbero divorato le membra e avrebbero ridotto in polvere i suoi bellissimi capelli neri. Hoseok piangeva mentre si costringeva a buttare la terra nella fossa, un pugno alla volta. Cercò di non guardare il corpo che spariva sempre di più, divorato dall'umida coperta che sarebbe diventata la sua nuova casa. 

 

A sua madre non sarebbe piaciuto stare lì. Lei amava la luce, amava sentire i raggi riscaldarle la pelle e indorarla gentilmente, trasformandola in un prezioso gioiello. Hoseok non avrebbe dovuto lasciarla lì. O forse avrebbe dovuto stendersi accanto a lei e stringerla. In questo modo quel posto non sarebbe stato così freddo, se ci fossero rimasti insieme. Si sarebbero scaldati a vicenda e lei non si sarebbe sentita sola. 

 

Lui non si sarebbe sentito solo. 

 

Il ragazzino però, continuando a piangere, si ritrovò sotto alle mani solo un rettangolo di terra smossa e appiattita. Ricordava vagamente di aver afferrato delle pietre lisce e averle impilate l'una sopra l'altra fino a formare una piccola torre. Ridicola, in confronto alle tombe che aveva potuto intravedere vicino al tempio. Alla prima folata di vento sarebbe sicuramente crollata. Ma non aveva importanza. Era un piccolo monito, per un altrettanto piccola persona. 

 

Un rammemoratore del fatto che lui era stato lì e che avrebbe ricordato. 

 

Quando Hoseok aveva fatto ritorno in città, con il viso umido e arrossato e le mani sporche di terra e di sangue, i suoi piedi lo avevano portato nella via in cui aveva vissuto negli ultimi mesi. Non aveva nulla che potesse anche solo lontanamente definire "casa", ma quella piccola tenda sdrucita era l'unico possesso che gli era rimasto. L'unica barriera fra lui e il cielo, fra lui e la strada. 

 

Ma quando voltò l'angolo, la tenda non c'era più. Al suo posto, i suoi occhi trovarono solo una piccola montagna di cenere. 

 

Hoseok la fissò. La fissò per un tempo troppo lungo. Non era la sua tenda. No, doveva avere sbagliato strada. Quando se ne era allontanato era confuso, aveva gli occhi offuscati dalle lacrime e la testa piena di pensieri ben più urgenti. Allora tornò sui suoi passi. Quando si ritrovò nella via del mercato, quella dove poche settimane prima si era esibito, prese la strada che lo aveva condotto al loro accampamento, la strada che aveva percorso diverse volte insieme alle ballerine della compagnia. Ma quando voltò l'angolo, il cumulo di cenere era ancora lì. E la sua tenda non c'era. 

 

Il ragazzino si avvicinò alla pozza di grigio polveroso con i pugni tremanti, inginocchiandosi davanti ad esso fino a toccare il terreno. Affondò una mano in mezzo all'ammasso di nulla e di bruciato e sentì qualcosa pungergli appena la punta della dita. Estrasse la mano e lo guardò. Anche senza soffiar via la polvere, Hoseok poteva riconoscere i fiori blu sul fermaglio che teneva nel pugno. 

 

Il ragazzino strinse gli occhi e si morse il labbro. Morse più forte che poteva, perché se non l'avesse fatto avrebbe iniziato ad urlare e tutti nel vicinato sarebbero usciti dalle loro case, tutti avrebbero spalancato le loro stupide finestre per guardarlo. E forse avrebbero dato fuoco pure a lui. 

 

 

 

Hoseok sarebbe rimasto a marcire in quella strada fino alla sua morte. Era seduto lì, appoggiato contro il muro vicino al quale la sua tenda giaceva fino a poco prima, e non aveva idea di quanto tempo fosse passato. 

 

Aveva fame.

 

Ma più di quello aveva voglia che tutto finisse. 

 

Ci aveva provato. Ci aveva provato sul serio. Aveva bussato alla porta di ogni contadino, ogni artigiano, ogni mercante implorando che gli dessero un lavoro. Alla decima risposta negativa, aveva iniziato a mettersi inginocchio e a inchinarsi fino a che la sua fronte non toccava il pavimento.

 

-Anche se lo volesse... non potrebbe fare altro. Nessuno gli darebbe un lavoro.

 

Sua madre aveva ragione. La compagnia se n'era andata da almeno due settimane e nessuno in città avrebbe preso un'artista di strada in casa propria. 

 

Un intoccabile.

 

E gli unici elementi che costituivano la sua "casa" erano spariti. Sua madre e la loro tenda non c'erano più. 

 

"Mamma... dovrei tornare e sdraiarmi accanto a te?" 

 

"O dovrei lasciarmi morire qua?" 

 

Non aveva un lavoro. Non aveva un tetto sopra la testa. Per gli abitanti di quella città lui probabilmente non esisteva neanche. 

 

Nessuno lo avrebbe preso... 

 

Hoseok spalancò gli occhi. 

 

Un posto c'era. L'unico posto in cui gli avrebbero dato un lavoro senza porsi il problema di chi fosse o da dove venisse. 

 

Il ragazzino si alzò e prese a marciare oscillando pericolosamente per le strade della città. Non ricordava precisamente dove fosse, ma doveva essere vicino. Lo aveva visto diverse volte mentre faceva ritorno dalle sue esibizioni. Sapeva che alcune delle ballerine vi avevano fatto occasionalmente visita per arrotondare il salario. Era una cosa che talvolta facevano, qualora non arrivavano generosi benefattori a richiedere le loro danze. 

 

Quando Hoseok vide la casa decorata con un'opulenza che puzzava di fasullo, un'eccessività che dava fin troppo nell'occhio con le sue piccole colonne rosse e le sue tende variopinte che coprivano a malapena la vista sulle scene che vi si svolgevano dentro, sapeva di essere giunto a destinazione. 

 

Senza indugio, perciò, iniziò a sbattere i pugni contro la porta intagliata. 

 

Nessuno rispose.

 

-Fatemi entrare! 

 

La sua voce era rauca, più debole di quello che avrebbe voluto, ma continuò a urlare fino a che la superficie di legno non si aprì. Una giovane donna con un cipiglio infastidito lo osservò confusa. 

 

-Tu che cosa ci fai qui ragazzino? Torna a casa tua, questo non è posto per te. 

 

No, quello era esattamente posto per lui. Non aveva più nulla da perdere, d'altronde. 

 

-Datemi un lavoro. 

 

La giovane contrasse le sopracciglia. 

 

-Che cosa... 

 

-Chi è? 

 

Una voce profonda e graffiante come pietra giunse dalle spalle della ragazza. Lei chinò il capo, allontanandosi dalla porta affinché la visuale della persona dietro di lei potesse essere libera. 

 

Una figura alta e avvolta in strati di seta lucente si avvicinò a lui, scivolando sul pavimento con una grazia che aveva visto solo nelle ballerine che si esibivano con lui.

 

-Ti conosco. Sei il piccolo raggio di sole che si è esibito con la compagnia di artisti di strada qualche settimana fa. 

 

Hoseok sentì due dita appoggiarsi sotto al suo mento e sollevarlo fino a che i suoi occhi non incontrarono quelli di carbone di una donna anziana, forse dell'età di Soyon. 

 

-Perché sei qua, ragazzo? 

 

-Datemi un lavoro- sputò lui seccamente per la seconda volta. 

 

-Per favore- aggiunse infine abbassando appena lo sguardo.

 

La donna non sembrò turbata dalla sua impudenza. Sul suo viso, in effetti, non si dipinse alcun tipo di espressione. 

 

-Hai idea di che posto sia questo, ragazzo? 

 

Hoseok annuì fermamente. Era cresciuto girando di città in città, di villaggio in villaggio. Ovunque andasse, c'era sempre un posto come quello. 

 

-E hai idea di cosa comporta lavorare qui?- domandò nuovamente l'anziana, abbassando ancora di più la voce fino a che non ebbe raggiunto la stessa ruvidità del selciato. 

 

Il ragazzino annuì ancora una volta. Nonostante la sua inarrestabile determinazione, però, non riuscì a trattenere il breve brivido di terrore che gli camminò lungo la schiena. 

 

-Farò tutto quello che mi verrà chiesto. Tutto. 

 

Mentre pronunciava la sua risposta, guardò gli occhi della donna con fermezza. Lei, a quel punto, parve sciogliersi per un breve istante. 

 

-Ragazzino... sei sicuro di volerlo? Non hai davvero altre alternative? 

 

Hoseok, per un momento, serrò le palpebre e deglutì. Quando le riaprì, la sua disperazione prese il sopravvento del suo volto come alta marea. 

 

-No, signora. Non ne ho- replicò infine con voce tremante. 

 

La sua interlocutrice lo osservò per lunghi istanti di silenzio. Poi, annuì distrattamente e fece cenno alla ragazza dietro di lei. 

 

-Fallo entrare e vestilo. 

 

 

 

Hoseok sapeva dov'era. Nella sua testa, lui sapeva in che posto era e, sopratutto, in che posizione si trovava. Eppure, mai nella sua vita si era sentito tanto smarrito. Non si era mai sentito così tanto perso, neanche quando in una folla di persone per un istante perdeva la presa dalla mano di sua madre e si ritrovava a girare in tondo cercando disperatamente il suo viso.

 

In quella stanza dalle pareti ricoperte di rosso e legno scuro lucido come uno specchio, avvolto in un abito bordato di oro che si apriva sul suo petto rivelando fin troppo delle sue forme giovanili, di quel suo corpo ancora così acerbo, non riusciva a fare altro che sentire di avere perso. Perso la strada di casa. Perso la strada per ritornare da sua madre. Perso se stesso. 

 

Quando la porta scorse sul suo asse, Hoseok sobbalzò sul posto. 

 

Era pronto. 

 

Poteva farcela. 

 

Non doveva avere paura. Sarebbe finita in fretta. 

 

Un uomo dalle spalle ampie e il viso rotondo fece il suo ingresso nell'ambiente. Il ragazzino lo guardò per un istante ma abbassò immediatamente il capo, inchinandosi umilmente. Approfittando di quel momento di distrazione, infilò le mani nelle larghe maniche della sua casacca e strinse i pugni. Strinse cercando di fermare il tremore che gli stava rattrappendo le mani. 

 

-Vieni. 

 

La voce bassa e secca dell'uomo gli fece alzare lo sguardo annebbiato, richiamando la sua attenzione sulla mano che gli indicava il materasso sulla piattaforma rialzata. Le gambe di Hoseok, per qualche grazia del cielo, non cedettero quando si sollevò in piedi. E benché sentisse ogni fibra del suo corpo urlare, contorcersi e persuaderlo a scappare di lì, si portò fino all'obiettivo indicatogli. 

 

-Inginocchiati. 

 

Il ragazzino desiderava abbandonare il suo corpo sul morbido tessuto sotto i suoi piedi con un tonfo, ma lui lo forzò a piegarsi con lenta grazia. Con la grazia con cui danzava. 

 

-Apri la bocca e non emettere un fiato.

 

Hoseok serrò gli occhi, un principio di lacrime sul bordo delle ciglia e la gola serrata in una morsa di terrore mentre obbediva. 

 

E, da quel momento in poi, la sua mente si spense.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

Ok. Ora fate un bel respiro. Va tutto bene, lo so, lo so che state soffrendo e lo so che mi odiate e ne avete tutte le ragioni. Tranquilli, non descriverò ulteriormente la scena perché non è nelle mie corde (e perché già mi sono venuti i brividi solo a scrivere questo finale). Detto ciò, siete pronti? Tutti insieme! 

 

Seeeeeeeeeeeeee ti accorgi di essere già arrivata al capitolo 31 e di non essere neanche minimamente vicina alla fine della storia e ancora devono succedere un sacco di cose e a quest’ora dreamland era già conclusa e speri che i lettori non si siano stufati di teeeee.............. BATTI LE MANI! 

 

 

*clap* *clap* 

 

Lol. Davvero, manca ancora un sacco di roba, di sto passo potrei addirittura superare i 50 capitoli. Spero davvero che la cosa non vi dispiaccia e che siate pronti a seguire il viaggio dei nostri protagonisti ancora per un po’. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** XXXII ***


Diana non si era accorta di avere il volto bagnato dalle lacrime. Non fino a quando la mano affusolata di Hoseok non raggiunse la sua guancia per asciugarla con un tocco gentile, quasi pietoso. Come se fosse stato lui a dover consolare lei. 

 

Si sentì ridicola, ma non poteva farci nulla. Più pensava alle parole che si erano appena riversate su di lei, più sentiva la voglia di piangere. Quanta sofferenza può sopportare un essere umano prima di spezzarsi? Ma, sopratutto, come aveva potuto un ragazzo così fragile e così ferito diventare il brillante raggio di sole che si trovava di fronte a lei, che le sorrideva come se la vita che aveva appena sviscerato per lei non gli appartenesse? 

 

Diana, allora, fece l'unica cosa che riteneva essere giusta. Prese la mano che l'aveva appena consolata e la strinse. La strinse con tutta l'energia della sua compassione e con tutto il dolore di quel ragazzino che sentiva nel suo stesso cuore. Non poteva tornare indietro nel tempo e salvarlo, o essere lì per lui nel momento più difficile della sua esistenza, ma poteva far capire all'adulto che era diventato che sentiva tutta la sua sofferenza nelle viscere e che avrebbe volentieri portato quel peso insieme a lui. 

 

Mentre continuava a singhiozzare, con il viso sempre più vicino alla mano che ancora stringeva, sentì un dolce tocco sui suoi capelli. Un tocco famigliare, uno che sapeva come accarezzarla con la gentilezza di una madre. 

 

-Va tutto bene. Il passato è passato. Sto bene, adesso. 

 

Il tono sereno di Hoseok riuscì parzialmente a convincere la giovane che quella pronunciata era effettivamente la verità, ma nonostante ciò lei non poteva fare a meno di sentire il nodo di disgusto e tristezza farsi sempre più stretto. Il passato non era mai solo passato. Lo sguardo distante che talvolta prendeva i lineamenti del giovane uomo ne era una vivida testimonianza. 

 

-Tu... tu... non meritavi tutto questo. 

 

Hoseok alzò semplicemente le spalle con un'espressione noncurante, sufficiente a farla distrarre dai suoi singhiozzi ma non abbastanza convincente per persuaderla del tutto. 

 

-Non vorresti sapere come ho incontrato questa banda di scalmanati?- chiese allora lui con una punta di divertimento nella voce. 

 

Diana sapeva che stava cercando di risollevarle l'animo. Nonostante ciò, annuì e si strofinò gli occhi, posandoli nuovamente sul dolce viso che la osservava. 

 

 

 

Hoseok era abbandonato contro l'angolo di una strada come una decorazione priva di anima. I suoi occhi parevano immersi in un bacile di acqua sporca. Tutto il mondo intorno a lui appariva sudicio e raccapricciante. Come la sua pelle. 

 

Puzzava di troppi uomini diversi. Aveva il fetore della loro perversione, delle loro disgustose mani. Dei loro occhi. Delle loro bocche. Non c'era una parte del suo corpo che non gli trasmettesse la voglia di buttarsi in un fiume e strofinare via il sudiciume. Il problema era che ci aveva provato. Ma non aveva funzionato. 

 

La sola idea di dover convivere con se stesso, con quel corpo, per il resto della sua vita, gli dava un principio di conati alla base della mandibola. Se avesse potuto, avrebbe gettato nelle fiamme quell'involucro consumato, violato, dolorante, e avrebbe vestito una pelle nuova. Sarebbe diventato chiunque, pur di non essere se stesso. 

 

Eppure eccolo lì. All'angolo di una strada con un espressione apatica sul viso e quel corpo così disgustosamente raccapricciante nascosto malamente dalla larga casacca lucida di un brillante color scarlatto, atto a catturare l'attenzione dei passanti. A cercare clienti. 

 

Non poteva lamentarsi. L'aveva scelta lui. Aveva scelto lui quella vita, non gli rimaneva altro che conviverci, un giorno dopo l'altro. 

 

Gli occhi di Hoseok si sollevarono pigramente. Il pomeriggio non riservava una pesca molto proficua. Nessun uomo sano di mente che abitasse nei dintorni si sarebbe avvicinato a lui in pieno giorno, con il rischio di essere riconosciuto da mezzo villaggio. Doveva puntare ai viandanti, ai visitatori di passaggio. Uomini lontani dalle loro famiglie, dalle loro comunità, da persone che li avrebbero potuti screditare. 

 

Fu allora che vide il ragazzo con lunghi serpenti di seta. Hoseok rimase, per qualche istante, affascinato. Non aveva mai visto nessun uomo con capelli così ben curati, che complementavano con tanta grazia la sua carnagione pallida. Un nobile? Molto probabile, nonostante l'hanbok sporco e trasandato che indossava, poiché la postura eretta e dignitosa trasudava una notevole dose di autorità. Si guardava attorno con sguardo attento, quasi  circospetto, come se da un momento all'altro qualcuno sarebbe spuntato alle sue spalle per aggredirlo. O come se odiasse con tutto se stesso essere lì. 

 

Hoseok contemplò l'idea. Era quasi certo che fosse un nobile. E non l'aveva mai visto nelle vicinanze perciò era abbastanza sicuro che fosse di passaggio. Valeva la pena provare ad avvicinarlo? Eppure era così giovane. Anche se aveva attorno a sé un'aura matura, quasi saggia, non poteva essere molto più grande di lui. 

 

I suoi dubbi furono dissolti nel momento in cui si accorse che gli occhi scuri dello sconosciuto si erano posati su di lui. 

 

-Ehi tu. 

 

Hoseok piegò appena il capo con una punta di irritazione che gli ribolliva nel cuore, nonostante fosse abituato a ben peggiori tipi di umiliazione. Era decisamente un nobile e, come tale, non aveva alcun riguardo verso la dignità altrui. 

 

-Scusami, sapresti dirmi che direzione dobbiamo prendere per raggiungere Pyeongan-do?

 

Si trattenne appena dal contrarre le sopracciglia. L'improvvisa formalità, quasi rispettosa, che aveva preso il sopravvento nel discorso del giovane sembrava cozzare non poco con la sua attitudine precedente. Scusami? Doveva essersi sbagliato. 

 

Hoseok, invece che replicare, fece quello che doveva fare. Sollevò la bocca in un sorriso saccente, un po' misterioso e appena civettuolo, prima di puntare gli occhi in quelli indifferenti del nobile. 

 

-Penso di poterti aiutare... ma non desideri rimanere qua almeno una sera? È un viaggio lungo e il pomeriggio è già inoltrato. Il mio signore avrà sicuramente bisogno di riposo... 

 

Si avvicinò al ragazzo, che aveva preso a fissarlo con sospetto, e si fermò ad un soffio dal suo viso. 

 

-... e magari di godere di una piacevole compagnia. 

 

Hoseok vide il corpo vicino a lui irrigidirsi e allora sapeva, era certo di avere centrato il bersaglio. 

 

-Cosa ne pensi, mio signore? 

 

Quando si allontanò per poter vedere la risposta nel viso della sua preda, però, si ritrovò ad essere perplesso. Cos'era quello sguardo freddo e inflessibile?

 

Il giovane nobile lo fissò per un tempo troppo lungo, tanto che Hoseok non sapeva più se fosse il caso di allontanarsi e provare la sua fortuna altrove. Non riusciva neppure a nascondere la sorpresa nel suo volto, per quanto addestrato fosse nel controllare le sue espressioni. 

 

-Quanti anni hai?- sputò infine lui. 

 

Hoseok lo guardò con perplessità, sollevando infine un sopracciglio, stupito.

 

-Quindici. 

 

Il giovane signore contrasse la mandibola, indurendo ulteriormente lo sguardo. 

 

-Chi ti costringe a fare questo? 

 

Al ragazzo ci volle qualche istante per comprendere che l'emozione che aveva così prepotente preso il sopravvento sui lineamenti del nobile fosse rabbia e che, per qualche motivo, essa non sembrava essere indirizzata a lui. E allora gli ci vollero ancora altri istanti per forzare sul suo viso quell'espressione lussuriosa che aveva imparato ad indossare con fin troppa facilità. 

 

-E se lo facessi perché adoro passare il tempo con giovani di bell'aspetto come voi?- chiese forzando la dolcezza e la sagacità nel suo tono, benché i conati minacciassero già di fare la loro comparsa. 

 

L'espressione negli occhi del giovane, però, non sembrò mutare. 

 

-Hai bisogno di soldi? Sei senza famiglia? 

 

Hoseok avrebbe dovuto continuare la sua farsa, continuare a corteggiarlo finché non fosse riuscito a distruggere quello strato di freddezza e diffidenza che lo circondavano. Oppure avrebbe dovuto girarsi e dirgli addio senza un momento di esitazione. 

 

Eppure... 

 

Sei senza famiglia. Nessuno nominava la sua famiglia da... anni. E le immagini tornarono a lui come se non se ne fossero mai andate, come se fossero rimaste lì tutto il tempo, come se la tomba fosse stata scavata nella sua testa invece che nella terra. 

 

E Hoseok si accorse appena di avere un'espressione smarrita sul viso. 

 

Si risvegliò dai suoi ricordi solo quando sentì una voce squillante richiamare l'attenzione del giovane signore. Alle sua spalle erano apparsi due servitori, uno che doveva aver appena raggiunto la soglia dell'età adulta e uno assai più giovane e dallo sguardo spaurito. 

 

-Mio signore?- ripetè il servitore più maturo. 

 

Hoseok abbassò il capo e trasse un respiro profondo. Gli serviva appena il tempo di riprendere il controllo del suo corpo. Appena il tempo di riportare un'espressione professionale sul suo viso e offrire languidamente ai servitori di unirsi alla compagnia. 

 

Sollevò il volto e aprì la bocca per...

 

-Vuoi venire con noi? 

 

Hoseok spalancò gli occhi. Quelle erano le sue parole. Le parole che avrebbe dovuto dire lui. Per quale motivo il giovane nobile le stava pronunciando al posto suo? Non aveva senso... 

 

-Come... come dite? 

 

-Mio signore!

 

Il servitore che era precedentemente intervenuto sembrò sbottare dall'irritazione. 

 

-Non possiamo continuare con questa storia fino a Pyeongan-do! Quanti ragazzi avete intenzione di raccogliere lungo la strada? 

 

Hoseok sbatté le palpebre seguendo con gli occhi il giovane uomo nel suo eloquente lamentarsi. 

 

Che cosa... 

 

Che cosa voleva dire? 

 

-Sa come arrivare là e noi siamo irrimediabilmente persi perciò abbiamo bisogno del suo aiuto. Ci è utile. 

 

Hoseok non capiva. Davvero non capiva. 

 

Il servitore lo guardò con un cipiglio dubbioso, prima di studiare attentamente il suo intero corpo e sbuffare spazientito. 

 

-Non... non avete tutti i torti- sbottò infine incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo. 

 

Il signore allontanò la sua attenzione dal giovane uomo e la riportò su di lui. 

 

-Sai scrivere? 

 

Hoseok, con la testa immersa in uno stato di ipnosi e il corpo incapace di rispondere ai suoi comandi, si limitò a negare con il capo. 

 

-Sai leggere? 

 

Sbatté le palpebre. Che razza di conversazione era quella? Ma, sopratutto, perché non aveva già voltato la testa e non aveva preso a marciare verso un'altra strada? 

 

-No, mio signore. 

 

Il giovane nobile parve riflettere per qualche istante, abbassando lo sguardo a terra. 

 

-Non ha importanza. Puoi imparare. Accompagnaci fino a Pyeongan-do, se nel corso del tragitto ti dimostrerai degno di fiducia potrai lavorare per me. Cosa ne pensi? 

 

Hoseok non capiva. Lo guardava, guardava quel giovane dai capelli curati e lo sguardo ferreo nella sua determinazione e non capiva. 

 

-Potrai condurre la vita che vuoi. Non sarai costretto a fare nulla che tu non desideri. Ti darò la posizione che vuoi. Non dovrai più... fare tutto questo. 

 

Hoseok non riusciva a deglutire. Era un sogno. Doveva essere un sogno. Persone così non esistevano. Esistevano persone che lo guardavano con lussuria o con disgusto. Esistevano persone che bruciavano la sua casa e ignoravano i suoi richiami di aiuto. Esistevano persone che si volgevano dall'altra parte. Non esistevano persone gentili. Non potevano esistere persone come lui. 

 

-Come facciamo a sapere che può davvero conoscere la strada?- chiese a quel punto il servitore con le braccia ancora ostinatamente incrociate. 

 

Hoseok non pensò. Forse, se lo avesse fatto, si sarebbe zittito prima di pronunciare quelle parole. Prima di buttarsi nelle mani di uno sconosciuto che molto probabilmente non era gentile come voleva apparire. 

 

Doveva nascondere un secondo fine. Doveva avere un ulteriore scopo. 

 

Eppure, dopo anni di cieca sofferenza e muta rassegnazione, Hoseok credette. 

 

Per la prima volta, credette in un altro essere umano. 

 

-Sono cresciuto in una compagnia di artisti di strada. Abbiamo girato di regione in regione per anni, perciò sono stato a Pyeongan-do almeno tre volte. Posso indicarvi la strada con certezza. 

 

Il giovane nobile lo guardò negli occhi, forse per sondare la sua risoluzione, forse per discernere la fonte del tremore che si nascondeva in fondo alla sua voce. 

 

-A me basta. Vuoi venire con noi? 

 

Per la terza volta gli rivolse quell'invito. Hoseok avrebbe dovuto rifiutare. E tornare ad essere il corpo senza anima. Il corpo corrotto, sporco e sudicio. Fetido. Rotto. Distrutto. 

 

-Verrò con voi.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Eeeeeeeee qui si conclude il flashback sul passato di Hoseok! Cosa ne dite? Vi ha soddisfatto? Ve lo aspettavate? Quanto avete sofferto da 0 a “voglio prendere l’autrice a mazzate sui denti”? (Non lo fate per favore, ci tengo ai miei denti). 

Comunque, tenente a mente che il flashback finisce qui, perciò dal prossimo capitolo torneremo al presente (e forse da una prospettiva che non avevamo mai visto finora 😌🤫). 

E basta. Per stavolta non ho altro se non... attendente perché tra poco le cose andranno in malora... ma proprio tanto. 

 

Attachment.png

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** XXXIII ***


Noia. 

 

Una noia infinita, sfinente. Da quando Yoongi se n'era andato, non c'era nulla che potesse curare questa condizione cronica. 

 

Nulla. 

 

Non c'era compagnia che sembrasse saziare questo suo inguaribile morbo. Non c'era parola di Im Sahong che riuscisse veramente a solleticare il suo ego a sufficienza dal distrarlo dal suo infinito cattivo umore. Non c'era persona che riuscisse a colmare il vuoto lasciato dal suo fratellino. 

 

Yonsan era solo. Lo era sempre stato, ma si rese conto di esserlo ancora di più da quando Yoongi non era più al suo fianco. Il che era ironico, contando quanto il ragazzo odiasse la sua compagnia. Ma era proprio questo che attraeva così ardentemente il re. 

 

Yoongi non era un animale addomesticato come tutti i servitori del palazzo o un fantoccio senza anima come i nobili che leccavano ossequiosamente i suoi piedi. Lui era libero. 

 

Yoongi la libertà ce l'aveva nell'animo. Era intrinseca nel suo essere, permeava ogni sua azione. Lo rendeva immune ai futili giochi di potere e lo rendeva ostinato contro coloro che si opponevano al suo pensiero.

 

Era così. Libero. Selvaggio. Indomabile. 

 

Proprio per questo Yonsan non poteva resistere dal cercare di dominarlo. Che cosa poteva farci, d'altronde? Se un cacciatore trovasse il cervo con le corne più lunghe mai viste da occhio umano e il manto più prezioso dell'oro, come potrebbe lasciarlo andare senza conficcare la propria freccia nel suo fianco, senza asserire seduta stante il suo possesso su di esso? Se un uomo vedesse la donna con le forme più generose e il corpo avvolto nei vestiti più succinti, come potrebbe trattenersi dal prenderla e reclamarla? 

 

Era questa la natura dell'uomo. L'egoismo. L'impossibilità di vivere sapendo che esiste qualcosa di bellissimo e di non poterlo avere. 

 

E con Yoongi era così. Era la creatura più splendida, nella sua selvaggia libertà, su cui Yonsan avesse mai posato gli occhi. Ma non apparteneva più a lui. Non si trovava più fra le sue mani, sotto il suo controllo. 

 

E tutto era più solitario. La finta deferenza di Im Sahong era più fastidiosamente evidente. Il re lasciava che quell'uomo detenesse il potere al posto suo perché, in fondo, non poteva importargliene di meno. Che mandasse il paese in malora, non aveva scelto lui di essere re. Apprezzava l'autorità che la posizione gli dava, ma non potevano pretendere che ne accettasse anche il peso. Quello era compito di altri. 

 

E così le giornate erano lunghe. Infinite sequenze di ripetitive azioni, di esseri di cui non si interessava, di questioni che non lo riguardavano. 

 

Sua madre, se così la poteva definire, non si mostrava a lui da mesi con il pretesto di una qualche indisposizione. Scuse. Solo scuse. Quella donna non gli aveva rivolto la parola neppure nell'infanzia. Non l'aveva mai guardato come se fosse suo figlio. E Yonsan non capiva. 

 

Aveva fatto qualcosa di sbagliato? 

 

Aveva fatto qualcosa per meritare lo sdegno della donna che l'aveva messo al mondo? 

 

A volte, pensava che sarebbe stato meglio essere come Yoongi. Sarebbe stato meglio se sua madre fosse morta e lui non avesse mai dovuto incontrare il suo sguardo. 

 

Le giornate erano noiose. 

 

E Yonsan era solo. 

 

-Sire... 

 

Il re posò placidamente gli occhi sul pallido servitore inchinato al suo cospetto. 

 

Insetti. Inutili, noiosi insetti. Se fossero spariti, chi se ne sarebbe accorto? E invece era scappato il cervo più bello del paese, lasciando un così grande vuoto dietro di sé. 

 

-È arrivato il resoconto sulle regioni del nord riguardo al raccolto.

 

Le regioni del nord... Yonsan assottigliò le palpebre. 

 

-Portalo a Im Sahong. Ci sono notizie sul principe? 

 

Il servitore ritirò velocemente il rotolo di carta nella manica del suo vestito, mantenendo il corpo attentamente piegato in avanti. 

 

-Dall'ultimo rapporto degli informatori, pare che abbia acquistato una schiava dalle sembianze inusuali. Dicono venga da Occidente. 

 

"Oh?" 

 

Yoongi aveva acquistato una schiava? Questa era certo una novità. Qualcosa aveva finalmente catturato l'attenzione del suo fratellino, oltre a quel manipolo di randagi che aveva raccolto sotto al suo tetto? 

 

Se fosse stato vero... 

 

Come avrebbe reagito? Come avrebbe reagito se avesse preso qualcosa di prezioso per lui? 

 

Oh, doveva scoprirlo. Voleva vedere quell'espressione feroce nel suo viso. Doveva vederla! 

 

-Sono a corto di compagnia, in questo periodo- mormorò infine il re, abbassando lo sguardo sul servitore ancora chino. 

 

"Yoongi... come reagirai?" 

 

-Vedete di procurarmi qualcosa di interessante che possa intrattenermi. 

 

-Sì, maestà. 

 

 

 

Diana apprezzava già la compagnia di Hoseok, in quanto era la persona con cui si trovava più facilmente a comunicare oltre a Seokjin. Ma, da quando aveva scoperto la sua storia, si era ritrovata a gravitare attorno a lui ancora più del solito. Normalmente, preferiva non lasciar trasparire troppo di quello che pensava, anche con quelle persone che ormai erano diventate parte della sua quotidianità. Eppure in quei giorni non riusciva a trattenersi. 

 

Era più forte di lei. 

 

Era come se il suo corpo cercasse involontariamente di sopprimere ogni traccia di sofferenza in quel ragazzo che non aveva mostrato altro che gentilezza nei suoi confronti dal momento che aveva messo piede in quella casa. Come se volesse trasmettergli con ogni sua fibra che poteva contare su di lei, che era pronta ad essergli amica e ad essere al suo fianco. 

 

Hoseok, dal canto suo, non sembrava disprezzare tutte quelle nuove attenzioni. Aveva preso a intavolare conversazioni con lei al momento dei pasti, rendendola più partecipe anche nei battibecchi che fin troppo spesso sorgevano fra il cuoco e Jungkook, e riempiendo la cucina con le loro rumorose risate. 

 

Il principe rimaneva sempre nel suo riservato silenzio. Mangiava il suo pasto, teneva gli occhi pigramente abbassati sulla sua ciotola e talvolta interveniva per sibilare una sferzata contro la permalosità di Seokjin o l'eccessivo rumore che la sua voce provocava. E Diana, in quei momenti, poteva percepire il velo di ilarità che permeava il suo tono e il modo sottile in cui suoi occhi guardavano con affetto le persone sedute intorno a lui. 

 

E si ritrovò a guardarlo più volte di quante avrebbe dovuto. Forse, molte di più. 

 

Lo capì quando lui sollevò finalmente il capo, cogliendola nel pieno del suo crimine. E i loro occhi si incrociarono. E Diana avrebbe dovuto trovare una scusa, una qualsiasi. 

 

Oppure avrebbe dovuto semplicemente dire la verità, ovvero che da quando aveva parlato con Hoseok aveva avuto ancora un'ulteriore conferma del fatto che lui fosse effettivamente una persona buona. 

 

Ma perché, poi, le importava tanto? 

 

No. Avrebbe dovuto distogliere lo sguardo e fare finta che nulla fosse successo. E così fece. 

 

-Raggiungimi nelle mie stanze- disse la voce crepitante come il focolare vicino a lei. 

 

Diana si voltò verso il principe, che si stava sollevando con annoiata indifferenza dalla sua posizione seduta. Stava parlando con lei? Avrebbe dovuto trovare il coraggio di aprire la bocca e di chiederglielo, quando notò lo sguardo di rimprovero che Hoseok stava lanciando al giovane. 

 

Il signore doveva aver percepito l'insistenza del suo assistente, poiché portò gli occhi su di lui e rimase in silenzio per qualche istante. Nuovamente, Diana ebbe l'impressione che i due fossero in grado di comunicare ad un livello più profondo, perché parvero scambiarsi un'intera conversazione nel più totale silenzio. 

 

Alla fine, il principe riportò gli occhi su di lei. 

 

-Per favore, potresti seguirmi nelle mie stanze?- ripetè con calcolata lentezza. 

 

Diana, trattenendo a stento lo stupore sul suo viso, annuì velocemente, osservando il principe lasciare la cucina. Quando fece per alzarsi a sua volta, però,  sentì una mano prenderle delicatamente il braccio. I dolci occhi di Hoseok la salutarono calorosamente, rallentando il nervoso sfarfallio che era nato nel suo cuore contro la sua volontà. 

 

-Ricordi quello che ti ho detto di Yoongi?- le chiese, abbassando la sua limpida voce ad un sussurro. 

 

Sì, Diana ricordava. Annuendo, cercò di capire nel suo cuore quando aveva iniziato a credere alle parole di Hoseok. Che il principe era una brava persona. 

 

-È burbero e ha delle brutte maniere. Talvolta non sa come esternare i suoi sentimenti. Ma non devi avere paura di lui. 

 

Diana annuì nuovamente. Sì, lo sapeva. E... forse... non sapeva precisamente quando, ma aveva cessato di sentirsi intimorita dalla sua presenza. Quello che provava ormai era diventato qualcosa di diverso dal timore, anche se non era certa di che nome potesse essergli affidato. 

 

-Se, però, dovessi sentirti a disagio...- 

 

La testa della ragazza scattò verso l'alto, sorpresa. 

 

-... se in un qualsiasi momento succedesse qualcosa che non ti piace, non esitare a venire da me. Capito? 

 

La giovane sorrise. Poteva esistere persona più preziosa di quella davanti a lei? Non lo sapeva. Ma in quel momento aveva l'impressione che no, non poteva essere. Sorrise e si alzò, perché sapeva che c'era qualcuno che teneva a lei al punto da prometterle protezione e da tenere in considerazione i suoi sentimenti. 

 

 

 

-Come posso aiutarvi, mio signore? 

 

La stanza nella penombra delle candele e della notte appariva solitaria come la sera in cui Diana si era ripromessa di non fidarsi di quell'uomo. Eppure eccola lì, con una strana fiducia nel cuore e una rinnovata mentalità nei suoi confronti. E senza paura. 

 

-Suo... 

 

La giovane scrutò curiosamente il principe mentre balbettava il principio di una parola, per poi bloccarsi con la lingua fra i denti e un'espressione irritata dipinta sulla fronte. 

 

-Potresti... suonare per me? 

 

Diana spalancò gli occhi. 

 

-Come dite? 

 

L'uomo mantenne lo sguardo lontano da lei, ancora contenente un cipiglio crucciato, ma oramai trasformatosi in qualcosa di più simile all'imbarazzo. 

 

-Nelle ultime notti ho faticato a prendere sonno. Ti ho sentita l'altro giorno e... mi chiedevo se potessi suonare per me. Forse potrebbe aiutarmi. 

 

Diana percepì un piccolo mulino formarsi nel suo stomaco. Le rimestava le interiora, trasportandola in una giravolta che le fece alleggerire la testa e accalorare il volto. Non era una brutta sensazione, ma era sconosciuta e per questo le dava un senso di vertigine. Come mettere il piede nel vuoto e non sapere che cosa sarebbe successo di lì a poco. Come mancare un gradino e ritrovarsi sul punto di cadere. 

 

Si sarebbe fatta male? 

 

-Certo.

 

Il principe sollevò finalmente lo sguardo e Diana, questa volta, poté distintamente notare l'imbarazzo che gli aveva imporporato le guance pallide. E nonostante quella candida emozione, il suo viso era allo stesso tempo sciolto dalla luce delle candele, che rimbalzavano sui suoi zigomi alti e sulla pelle rosea della cicatrice. Qualcosa che catturò gli occhi di Diana come una falena attratta dal fuoco. 

 

Si sarebbe bruciata?

 

-Suonerò per voi. 

 

Il giovane signore annuì distrattamente, distogliendo lo sguardo da lei e puntandolo sullo strumento che era posato sul pavimento. La pipa. Mentre la ragazza si portava verso di esso, intravide il principe avvicinarsi alla piattaforma rialzata su cui era posato un materasso sottile. In qualche modo, osservare il ragazzo infilare il proprio corpo sotto alle coperte e distendersi, lasciando che i suoi lunghi capelli scuri cadessero ai suoi fianchi come affluenti dello Stige, la fece ritrarre pudicamente. Come se avesse posato lo sguardo su una parte che era riservata solo alla donna che avrebbe condiviso la vita con lui. 

 

Abbassando la testa, concentrò la sua attenzione sullo strumento stretto fra le sue braccia e iniziò a pizzicarne le corde, intonando la melodia più lenta e rasserenante che potesse ricordare.

 

"Mia musica... mio strumento... fate che l'oscuro dio della morte si addormenti... fate che i suoi occhi stiano lontani da me..." 

 

Eppure, quando la melodia fu terminata e le sue mani si furono fermate, il volto pallido era voltato verso di lei e la scrutava con minuziosa attenzione. 

 

-Non ci riesco. 

 

Diana cercò di ignorare il crepitare basso della voce che si era rivolta a lei, concentrandosi piuttosto su come il suo tono ricordasse vagamente i lamenti capricciosi di un bambino. 

 

-Non riuscite ad addormentarvi?

 

L'uomo annuì e si sollevò in una posizione seduta. Diana osservò attentamente il suo corpo che scivolava con disinvoltura oltre il legno della piattaforma fino a ritrovarsi seduto sul pavimento. Ad un soffio da lei. 

 

-Non riesco. Non riesco a chiudere gli occhi- mormorò lui, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. 

 

Diana trasse un respiro tremante. 

 

-Per quale motivo? 

 

La luce delle candele bruciava metà del volto del principe in una pozzanghera d'oro, lasciando invece l'altra metà sospesa sul baratro dell'oscurità. 

 

-Perché anche quando chiudo gli occhi, vedo il tuo volto. 

 

E Diana non si era accorta che quel viso diviso tra oro e tenebre era diventato così vicino che lei avrebbe potuto accarezzarlo solo con il suo respiro. E lei era immobile. Ferma. Sospesa dai fili del tempo. 

 

Se solo si fosse sporta di un soffio, lo avrebbe raggiunto, lo avrebbe incontrato in una maniera che le era proibita... ma lei non si allontanò. 

 

Lui lo fece. 

 

-Potresti suonarmi ancora qualcosa? 

 

Diana si incassò nelle spalle, ingobbendosi in una forma che cercava di proteggerla dal tremore del suo stesso corpo, e riprese ad accarezzare lo strumento, mentre il principe scivolava velocemente sotto alle coperte.

 

Per tutta la sera, non accarezzò altro che lo strumento.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Soooooooo.... 🤭 che succederà ora? Sono aperte le scommesse. E comunque ho due avvisi: mercoledì prossimo sarò fuori casa perciò potrei pubblicare la sera tardi o il giorno dopo se proprio non riesco. Secondo.... potrei non essere viva proprio per pubblicare la settimana prossima. 

 

Il motivo è uno e uno soltanto....... QUEI MALEDETTI CON LA STUPIDISSIMA BUTTER PERCHÉ NON HO GIÀ GUARDATO IL TEASER 3000 VOLTE E LANCIATO IL TELEFONO CONTRO IL MURO MA STO BENE STO BENISSIMO DAVVERO

 

Chiedo scusa 🤐 ho recuperato la mia sanità mentale, giusto perché so che oggi e domani sono salva e non ci saranno altri attentati alla mia vita. Ma venerdì... venerdì potrebbe essere il giorno del mio funerale. È stato bello scrivere per voi. Pregate per me. 

 

A parte questo, piccola informazione. La madre a cui fa riferimento Yonsan era la regina Jeongyeon, la terza consorte del re precedente dopo la regina Yoon, la madre di Yoongi. Diciamo che al tempo il re aveva uno stuolo di concubine e chi di esse riusciva a partorire un principe reale aveva diritto ad essere eletta regina, per questo potevano cambiarle e liquidarle con tale velocità. Ulteriori dettagli verrano svelati più avanti, però ora sappiate che la regina Jeongyeon era ancora viva e viveva al palazzo con il titolo di passata regina. 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** XXXIV ***


La mattina seguente, Diana constatò con velato sollievo che il principe non aveva preso parte al pasto assieme al resto degli abitanti della casa. Nonostante ciò, sapeva che avrebbe dovuto rimettere piede in quella stanza. Quella stanza che ormai nella sua testa era diventata un'alcova segreta. Ogni volta che ne varcava la soglia, era come entrare in un nuovo mondo, un mondo dove lei non si comportava come una schiava e lui non si comportava come un principe. Dove lei si ritrovava a compiere azioni e a partorire pensieri che a mente lucida non avrebbe mai potuto neppure sognare. 

 

Diana sapeva di aver attirato la curiosità di Hoseok con il suo riservato silenzio durante tutto il pasto, ma il ragazzo ebbe la sensibilità di non indagare ulteriormente sul motivo a cui fosse dovuto. D'altronde, conoscendolo, la giovane poteva immaginare che avesse capito già quale fosse la causa del suo mutismo. 

 

Ma, quando ebbe terminato di mangiare, Diana aveva fatto pace con il suo cuore, almeno in parte. Sarebbe entrata da quella porta e nulla sarebbe successo. Nulla era cambiato. Anche se era ormai consapevole del fatto che il modo in cui vedeva il principe non era più semplicemente quello di una servitrice nei confronti del suo signore, lei non avrebbe lasciato che futili sentimenti come quelli oscurassero il suo giudizio. 

 

Ma certo. Era semplice. Poteva farcela. 

 

Forte di quel pensiero, si alzò e lasciò la cucina, dirigendosi verso la stanza. Una semplice stanza. Una stanza uguale alle altre. Una stanza che non significava nulla. 

 

Quando aprì la porta, però, non ritrovò il principe al suo solito posto, seduto a terra davanti al suo basso tavolino. 

 

-Sei venuta? 

 

Diana voltò lo sguardo e trovò il giovane dalla parte opposta rispetto all'ingresso, con la schiena rivolta verso di lei e le mani intente a stringere la cinta di un abito molto più raffinato rispetto a quelli che indossava abitualmente. Quando si girò, infatti, gli occhi della ragazza incontrarono una preziosa casacca nera bordata di oro e ricamata con intricati disegni di dragoni e nuvole e sbuffi di fuoco. 

 

Aveva avuto quell'impressione anche la sera prima, sotto alla calda luce delle candele, ma il principe sembrava nato per indossare l'oro. 

 

-Questa mattina non terremo la nostra lezione- continuò lui, tenendo gli occhi lontani da lei e facendoli scattare su ogni oggetto di arredamento su cui potessero posarsi. 

 

Diana fece per chinare il capo in una muta accettazione della decisione del signore, prima di mordersi il labbro. 

 

"Parla. Parla con sincerità." 

 

-Per quale motivo? 

 

Il signore continuò ad allontanare gli occhi da lei, raccogliendo la sua spada e legandola alla sua cinta, catturando un raggio di sole nella sua elsa lucida. 

 

-È il momento di andare a consegnare le tasse al governatore. Pare che sia in vena di contrattazioni, per cui ha richiesto la mia presenza. 

 

Diana corrugò le sopracciglia. In effetti, quello era un compito che solitamente eseguiva Hoseok. Evidentemente il governatore doveva aver capito che parte dei soldi non venivano detratti dai cittadini, bensì dai fondi personali del principe. 

 

Se quello era il caso, poteva voler dire solo due cose: o desiderava incoraggiare il signore a prendere tutte le tasse dovute dal popolo, oppure pensava di poter richiedere di più con il pretesto di nascondere la verità alle sfere più alte. 

 

-Porterò con me Hoseok e Jungkook, perciò tu rimarrai qua con Seokjin e Jimin. 

 

Il giovane aveva terminato di sistemare il suo abbigliamento, ma si era inginocchiato davanti ad uno specchio per sistemare l'ornamento d'oro che portava in testa, dando un ordine alle ciocche scure che lasciava normalmente allo stato selvaggio. 

 

Diana, benché sapeva che lui non potesse vederla, annuì in gesto di assenso. Era logico che portasse con sé il suo assistente e la guardia. La rasserenava, per qualche motivo, sapere che non se ne sarebbe andato senza protezione. 

 

-Stai attenta. 

 

La ragazza chiuse il viso in una smorfia confusa. 

 

-A cosa? 

 

Un lungo silenzio seguì, interrotto a mala pena dal debole strisciare del pettine fra la chioma di onice del giovane. 

 

-Sarà anche parte di questa casa, ma ancora non mi fido di Jimin. Non abbassare la guardia con lui. 

 

La giovane si ritrasse appena, piegando il capo con un sentimento contrariato che le cresceva nel cuore. 

 

-Io, invece, mi fido di lui. In questi mesi ha dimostrato di essere affidabile, non ha alcun motivo di commettere le stesse azioni del passato. 

 

Il principe appoggiò il pettine nello scomparto di legno che si trovava davanti a sé, provocando un lieve tintinnio sordo. 

 

-Sei troppo ingenua. 

 

Gli occhi di Diana si spalancarono. 

 

"Taci. Non aprire bocca!" 

 

-Come prego? 

 

Quello sarebbe stato un buon momento per dare ascolto agli insegnamenti di suo padre, di controllare il suo temperamento, di evitare ogni tipo di scontro. Di non esternare i suoi veri pensieri. 

 

E invece non poté trattenere il tono irritato con cui sputò fuori la domanda. 

 

E, finalmente, incontrò gli occhi scuri del principe. 

 

-Non dovresti fidarti così facilmente delle persone. Non puoi sapere le loro vere intenzioni.

 

Diana provò a mordersi la lingua: forse il dolore fisico sarebbe riuscito a fermare il fiume di parole che era pronto a straripare dalla sua bocca. Ma a quanto pareva non c'era nulla che potesse placare la crescente irritazione nel suo petto. 

 

-E per questo motivo sarei ingenua? 

 

Il principe non distolse lo sguardo da lei, nonostante il fuoco dei suoi sentimenti doveva essere ben evidente nei suoi occhi, inacidendo quel verde che era sempre stato il vanto della sua famiglia. 

 

-Lo hai dimostrato in più di un'occasione. Pensi davvero che tuo padre avesse intenzione di riconoscerti come erede della sua compagnia? 

 

La ragazza sentì una fitta al petto e non riuscì a distinguere se fosse un dolore reale o se fosse solo nella sua testa. 

 

-Di cosa... di cosa state parlando? 

 

Il volto del giovane rimase impassibile. Le sue parole uscirono come veleno dalla lingua di un serpente. 

 

-Anche se non ho conosciuto quell'uomo, posso di certo affermare che un mercante non insegna al suo erede come preparare il tè o come suonare uno strumento. Quella è l'istruzione dovuta a una concubina. 

 

Diana serrò la mandibola. L'irritazione, in breve tempo, era fermentata nel suo stomaco, bruciando tutto quello che incontrava nel suo cammino, fino ad esplodere in un violento fuoco. Rabbia. Una divampante, accecante rabbia. 

 

-Che cosa state insinuando?- chiese con tono minacciosamente basso. 

 

"Controllati." 

 

"Non lasciare che veda quanto ti ha ferito." 

 

Ma non poteva. 

 

-Sto solo dicendo che tuo padre potrebbe non essere la persona che pensavi. Tutte le persone che ammiriamo nascondono un lato sgradevole. E tu hai la tendenza a lasciare che il tuo giudizio venga alterato dalla tua fiducia nel prossimo. 

 

Diana aveva male alle tempie. Troppe voci si sovrapponevano nella sua testa, invocando  attenzione. 

 

"Ha ragione." 

 

"In fondo, non lo hai sempre dubitato anche tu?" 

 

"Come si permette!" 

 

"Lui non conosceva tuo padre!"

 

"Chiuditi la bocca e vattene." 

 

"Comportati come la schiava che sei." 

 

-Voi non sapete niente.- 

 

La ragazza si ritrovò a sibilare le parole con la stessa dose di veleno usata dal giovane, alzandosi mentre i suoi occhi ne perforavano l'elegante figura. Quella figura che fino a istanti prima le appariva così affascinante, avvolta nell'oro. 

 

-Non vi permettete di parlare di mio padre, mai più. 

 

E Diana se ne andò, sbattendo la porta dietro di sé. 

 

 

 

-Voi... voi siete letteralmente un disastro! 

 

Non c'era bisogno che Hoseok glielo dicesse. Lo sapeva da solo. Da quando aveva lasciato la sua stanza non aveva fatto altro che contemplare tutti i livelli di idiozia che aveva toccato non solo in quella mattina, ma anche la sera precedente. 

 

Confessarle che pensava a lei in ogni momento? Ma certo, perché no? 

 

Provare a baciarla mentre era pietrificata dal terrore? La mossa migliore.

 

Ma il meglio... il meglio lo aveva raggiunto quel giorno. 

 

Insultare suo padre? Davvero, lui sì che sapeva come affascinare una donna. 

 

Yoongi emise un lungo, sofferto sospiro. 

 

-Mi sto già bastonando da solo a sufficienza, non ho bisogno della tua dose di commiserazione. E poi stavo seguendo il tuo consiglio! 

 

Hoseok voltò la testa di scatto nella sua direzione, tanto velocemente che il principe temette che si fosse fatto male. 

 

-Io vi ho detto di essere spontaneo e sincero! Non di insultare una persona che le sta a cuore! 

 

Il signore serrò gli occhi, strofinandosi le palpebre con le dita. Non bastava l'irritazione nel dover contrattare con il governatore. Ovviamente, doveva mancare la ramanzina del suo assistente ad aggravare la sua già consistente emicrania. 

 

-Se i vostri fondi sono così ben forniti da permettervi di coprire le tasse che i contadini si rifiutano di versare, mi chiedo se non possiate aggiungere un ulteriore contributo, magari per evitare ogni sorta di fuga di notizie...

 

Yoongi strinse i denti. Avido bastardo. 

 

-Se faceste adeguatamente il vostro lavoro, sapreste che a causa della siccità il raccolto degli ultimi anni non può raggiungere il guadagno solito. Quei contadini non riescono neppure a ricavare il necessario per le loro famiglie, non potrebbero sopperire alla differenza che voi avete imposto neanche in anni di lavoro! 

 

-Possono sempre vendere i loro figli come schiavi. D'altronde, continuano a procreare con la rapidità di animali, non sarebbe certo un problema un paio di braccia in meno. 

 

-Io stavo cercando di essere sincero! La stavo sinceramente avvertendo di non fidarsi troppo facilmente delle persone! 

 

Hoseok emise un verso che doveva indicare quanto fosse stufo di dover ragionare con lui. In effetti, anche Yoongi si ritrovava a essere stanco di se stesso a volte. 

 

-Non era questo che intendevo quando vi ho detto di essere sincero! Volevo dire riguardo ai vostri sentimenti! Non potete affrontare argomenti così delicati senza un minimo di tatto! 

 

Il principe rimase in silenzio lanciando un'occhiata a Jungkook alle loro spalle, che li seguiva sul suo cavallo fingendo di non stare ascoltando la conversazione. Una conversazione che, comunque, non aveva senso di esistere. Perché sicuramente non c'era modo che la ragazza lo avrebbe perdonato. 

 

Però avrebbe dovuto scusarsi. 

 

Poteva? 

 

Era il caso? 

 

Sì, avrebbe dovuto scusarsi. Era il minimo che potesse fare, anche se sarebbe servito a ben poco. 

 

Dopo aver lasciato i cavalli alla locanda che glieli aveva dati in prestito, il trio si diresse verso l'abitazione. A ogni passo, il mal di testa di Yoongi aumentava. A ogni passo, cercava una nuova parola da aggiungere alle sue zoppicanti scuse, nel vano tentativo di trovare una formula che non risultasse troppo insincera, ma senza negare i punti che aveva messo in risalto. 

 

Sapeva di aver ragione, ma aveva sbagliato nell'attaccare suo padre e nel chiamarla ingenua. 

 

Ecco, questo era quello che voleva dire. 

 

Il tetto spiovente dell'edificio comparve alla vista, incendiato dal rosso e l'arancio del tramonto. Il discorso nella mente di Yoongi prese a incastrarsi pezzo dopo pezzo, fino a che lui non mise piede all'interno del suo terreno. 

 

-Mio signore! 

 

Jimin apparve sulla porta d'ingresso, il volto più pallido del riso al vapore e uno sguardo di terrore negli occhi. In breve tempo, Seokjin era alle sue spalle. E fu allora che Yoongi ebbe modo di preoccuparsi. Il cuoco normalmente aveva una carnagione più scura del contadino, eppure in quel momento era sbiancato quanto lui. 

 

-Mio signore... Diana è scomparsa. 

 

Il principe sbatté le palpebre. Quando le riaprì, Jungkook aveva già conficcato le unghie nella casacca di Jimin e sollevava il ragazzo con le braccia tese in una morsa rabbiosa. 

 

-Che cosa hai fatto? 

 

Il giovane scosse la testa; gli occhi gli si stavano riempiendo di lacrime ma non riusciva a pronunciare alcuna parola. 

 

E Yoongi era ancora immobile sul posto. 

 

-Non è stato lui. 

 

Seokjin lanciò un'occhiata a Jungkook, ma il ragazzo non mollò la presa. 

 

-È stato con me tutto il tempo, in cucina, mentre Diana era in cortile a fare il bucato. Abbiamo sentito un urlo, ma quando siamo usciti lei era sparita. Era rimasta solo una sua scarpa abbandonata vicino alla tinozza dell'acqua. 

 

La guardia, però, strinse ancora di più la presa sulla casacca del ragazzo, senza distogliere lo sguardo dal volto ricoperto di lacrime e schiacciandolo sotto al suo peso contro il terreno. 

 

-Potrebbe avere preso accordi prima che la venissero a prendere! Non possiamo sapere se lui non è coinvolto!

 

Yoongi sentiva un lontano ronzio nelle orecchie. Era simile al sentimento che aveva provato quel giorno, nel cortile insanguinato del palazzo. Il prurito alle dita che lo incitava a estrarre la spada. La miccia nelle gambe che lo spingeva a scattare in avanti e chiudere le dita attorno al collo del giovane. Ma sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e ancorarlo al terreno. 

 

Maledetto Hoseok. 

 

-Jungkook, lascialo. Non è stato lui.

 

Il cuoco aveva usato un tono che raramente, molto raramente Yoongi gli aveva sentito. Era il tono che nasceva dall'autorità del maggiore della casa. 

 

Il principe si accorse solo in quel momento di stare respirando pesantemente, tanto che il petto gli bruciava a causa di tutta l'aria che stava incamerando. 

 

-Ho trovato questo vicino alla scarpa di Diana. 

 

Seokjin si avvicinò al signore, uno sguardo freddo eppure così evidentemente spaventoso nella sua rabbia. Allungò una mano e gli lasciò sul palmo un oggetto di pesante metallo. Le parole incespicarono nella bocca di Yoongi, mentre uccideva l'ultimo respiro rimasto nella sua gola. 

 

Il sigillo reale. 

 

No. 

 

No, no, no...

 

Diana era... al palazzo. 

 

-Hoseok- mormorò il principe, senza staccare gli occhi dall'oggetto. 

 

-Chiama Namjoon. Subito.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Eccomi qua! Un po’ in ritardo rispetto al solito ma ci sono! Anche oggi niente presentazione del personaggio, ma penso che avrete di che divertirvi con questo capitolo comunque 😏 state pronti perché al prossimo avremo delle interessanti e inaspettate rivelazioni 🤭

 

Ps: non sono sopravvissuta al comeback di butter, infatti è il mio fantasma che scrive. Almeno me ne sono andata con la pace mentale che quei criminali che hanno causato la mia de partita sono già finiti in prigione

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** XXXV ***


Diana non era irritata. 

 

La prima volta era stata spaventata. 

 

La seconda era stata sconfortata. 

 

Ma questa volta... questa volta era furiosa. 

 

Si sentiva una stupida. Doveva per forza esserlo per finire con l'essere rapita per tre volte nel giro di così poco tempo. Non riusciva neppure ad avere paura. La sua testa era semplicemente piena di tutta la rabbia che da quella mattina aveva iniziato ad accumularsi. 

 

Avrebbe voluto pregare il Signore per chiedergli aiuto o per ripetere quella domanda che le rotolava con così tanta insistenza nella mente. 

 

Perché. 

 

Eppure non lo fece. Invece, passò tutta la durata del viaggio rinchiusa nel retro di un carretto, in quella che sembrava una grande gabbia di ferro coperta da un telo, a rimuginare sulla sua debolezza. 

 

Non appena sarebbe uscita da lì avrebbe costretto Jungkook a insegnarle a usare la spada. 

 

Perché sarebbe uscita di lì. E non solo, sarebbe tornata in quella casa, da quelle persone che forse, in fondo, aveva iniziato a considerare una famiglia e che, forse, sperava nel suo cuore fossero un briciolo preoccupate per lei. 

 

E poi sarebbe andata dal principe e avrebbe finalmente scaricato tutta la sua rabbia su di lui. Gli avrebbe urlato che si sbagliava sul suo conto e sul conto di suo padre. Poi avrebbe ammesso che, forse, un fondo di verità c'era nelle sue parole. E poi lo avrebbe mandato al diavolo.

 

Diana non sapeva come, ma sarebbe uscita di lì. Quando finalmente dopo giorni di viaggio il carro si fermò, però, dovette ammettere che le sarebbero servite tutte le sue doti per poter riuscire nell'intento. 

 

Non aveva mai visto il palazzo reale di Beijing ma, guardando l'edificio davanti a sé, aveva l'impressione che potesse assomigliargli molto. Imponenti colonne rosse che sorreggevano un doppio tetto spiovente riccamente decorato con intarsi verdi e azzurri che richiamavano avidamente l'attenzione, affiancato da due ali che si estendevano in grande distanza. Era esattamente come si immaginava che fosse la residenza dell'imperatore celeste. 

 

Il carro fu fatto entrare all'interno di un cortile largo, in fondo al quale una scalinata portava a una terrazza coperta da un'ampia tettoia. Diana sentiva una familiarità in quel luogo che la fece sentire a disagio. Quel posto doveva essere... doveva essere quello descritto dal principe. Non appena sentì le ruote fermarsi, abbassò il lembo del telo che aveva sollevato per poter osservare la scena. Un massiccio uomo si presentò alla sua vista dopo aver rimosso completamente la copertura, costringendola a sbattere le palpebre per l'improvvisa luce che inondò i suoi occhi. 

 

L'uomo, senza pronunciare una parola, aprì la gabbia metallica e afferrò l'estremità della corda che era stata legata attorno ai suoi polsi. Ancora una volta.

 

Finalmente le cicatrici dei suoi passati prelevamenti erano sbiadite fino a diventare un vago disegno sulla sua pelle, ma Diana sentì il pungente cordame ricominciare a marchiarla. Nessuno le aveva dato da mangiare da che era stata rinchiusa lì, perciò nel momento in cui fu trascinata giù dal carretto, i suoi piedi incespicarono e la sua testa prese a girare vorticosamente. E, mentre cercava di riprendere quel poco di equilibrio che le sue gambe potevano concederle, intravide una figura ritta avvicinarsi a lei e fissarla con indifferenza. 

 

-Datele da mangiare e fatela vestire dalle serve prima di condurla dal re. 

 

"Maledizione..."

 

Diana strinse i denti. Quindi era davvero come pensava. Sarebbe diventata il nuovo animale esotico del sovrano. La ragazza iniziò a passare al vaglio ogni ricordo di ogni conversazione che aveva avuto riguardo a quell'uomo, cercando tutte le informazioni che le potessero risultare utili.

 

Tutto pur di elaborare una strategia che la potesse aiutare ad uscire di lì. 

 

Assorta nei suoi pensieri, a malapena si accorse dei larghi corridoi lungo i quali fu condotta o degli sguardi avidamente incuriositi dei nobili di passaggio, che la scrutavano come se davvero fosse stata una bestia rara. 

 

Il re era pazzo. Aveva una strana ossessione per il principe. Amava intrattenersi in diversi intercorsi sessuali, possibilmente cambiando con frequenza accompagnatrici. Era probabile che avesse anche gusti particolari in tale ambito. 

 

Si sarebbe stancato di lei presto. Forse, la sua presenza lì era solo un capriccio, un dispetto nei confronti del fratello minore. Ipotesi assai probabile, considerata l'indole imprevedibile che era emersa dai racconti del signore.

 

La domanda era: che ne sarebbe stato di lei una volta che se ne sarebbe stufato? L'avrebbe lasciata andare? L'avrebbe donata a qualche suo sottoposto, non sapendo che farsene? Oppure... si sarebbe disfatto di lei? 

 

La prima opzione sembrava la più improbabile. Le ultime due però non le davano grande libertà di fuga. Doveva elaborare un piano che le permettesse di sfuggire subito, prima di finire in una situazione ancora più complicata di quella. 

 

La corda fu strattonata violentemente in avanti, forse perché aveva rallentato il passo mentre era immersa nei suoi pensieri. Diana sollevò lo sguardo e intravide l'ingresso di quella che doveva essere la cucina. 

 

L’ombra di un sorriso, per un istante, fece capolino sul suo viso.

 

Dunque, era quello il regno di Seokjin prima di arrivare a Pyeongan-do. Il ricordo del cuoco, in qualche modo, riuscì a distogliere la sua mente per un breve istante dall'ansia che aveva iniziato a prendere il sopravvento. 

 

La ragazza, allora, si guardò attorno per la prima volta. Colori vivaci si susseguivano sotto al suo sguardo, combattendo per ricevere la sua attenzione, insieme a pietre preziose incastonate in ricchi ornamenti. Poi, inciampò in due grandi occhi limpidi, che la osservavano con una curiosità che non aveva nulla di malevolo nella sua profondità. Una curiosità genuina, sorpresa, ammirata. E una scintilla di qualcosa di più. 

 

Ma prima che Diana potesse osservare il viso a cui apparteneva, fu trascinata all'interno della chiassosa cucina. 

 

 

 

Quando Namjoon fece il suo ingresso nella stanza, Yoongi non sollevò la testa. Nondimeno, sapeva per certo che il suo assistente si trovava alle sue spalle, silenziosamente in attesa qualche passo più indietro, così come Jungkook si trovava alle proprie con le mani conserte dietro la schiena e lo sguardo attento. 

 

-Lasciateci soli. 

 

Ci fu un momento di esitazione, forse uno scambio di sguardi tra l'ospite e il suo braccio destro e una serie di interrogativi riposti nei loro occhi. Eppure, dopo qualche istante Namjoon doveva aver dato la sua approvazione, perché l'uomo dietro di lui scivolò via seguito dalla sua guardia, che chiuse silenziosamente la porta dopo il suo passaggio.

 

Yoongi aveva ancora la testa appoggiata sulle sue mani giunte, la fronte abbandonata in avanti e le lunghe ciocche che aveva così accuratamente acconciato quella mattina riverse davanti a lui come una tenda. 

 

-A cosa devo questa improvvisa segretezza? 

 

Yoongi riuscì a percepire il lieve velo di irritazione nella voce di Namjoon, ma non poteva importargliene di meno. Nonostante ciò, decise di sollevare finalmente il capo per piantare i propri occhi aridi e arrossati sulla figura davanti a lui. 

 

-Avevo bisogno di parlare con mio cugino, l'erede della famiglia Kim, non con Namjoon il contrabbandiere. Ho pensato che per questo motivo non avresti gradito la presenza di orecchie indiscrete. 

 

Sebbene il vuoto nel petto di Yoongi stesse assorbendo ogni traccia di emozione dal suo corpo, poté brevemente apprezzare la reazione che le sue parole provocarono nel giovane, che contrasse la mascella e distolse per un momento lo sguardo. 

 

-Passato erede della famiglia. Ora quel titolo spetta a Taehyung. 

 

Il principe si sarebbe aperto in un ghigno se non fosse stato per l'impietoso nero che gli dominava la mente, uccidendo ogni traccia di umorismo in lui. 

 

-Non farmi ridere. Sappiamo tutti e due che Taehyung non è portato per quel ruolo. Vuoi farmi davvero credere che avresti lasciato a lui questa responsabilità, con il rischio che tutto il resto della famiglia lo distruggesse con le proprie grinfie? 

 

Sapeva già la risposta. Ma Namjoon era sempre stato fastidiosamente testardo. Era anche sempre stato cocciutamente moralista perciò, nonostante il suo allontanamento dai Kim, sapeva che non avrebbe lasciato che andassero allo sbaraglio. Yoongi aveva sempre trovato questa combinazione di caratteristiche in suo cugino così insopportabile che anche quando visitava il palazzo, passava con lui appena il tempo indispensabile.

 

-Sarebbe comunque stato Taehyung l'erede ufficiale, se suo padre non fosse morto poco dopo la sua nascita e mio padre non avesse di conseguenza ereditato il titolo. Perciò, in fondo, le cose sarebbero andate così comunque. 

 

Il signore non poté che osservarlo con irritazione. Namjoon aveva anche una risposta pronta per tutto. Sempre. 

 

-Qual è il motivo per cui mi cercavi, dunque? 

 

Yoongi emise un lieve sbuffo dal naso. Il contrasto tra il suo linguaggio eccessivamente formale nei loro usuali incontri rispetto al modo così estremamente casuale con cui si stava rivolgendo a lui era dir poco ilare. Le due facce di Kim Namjoon, quelle che raramente rivelava al mondo, erano ben diverse l'una dall'altra.

 

-Credo che tu sappia già perché ti ho chiamato. 

 

Il suo interlocutore non rispose, ma Yoongi poté vedere come la sua replica non scaturì alcuna sorta di sorpresa nei suoi lineamenti. 

 

-Mi è stato riferito che due uomini sono arrivati in città con uno strano carro coperto e se ne sono andati in fretta e furia. In giro si dice che è il metodo con cui il re fa reclutare le sue accompagnatrici. 

 

Suo cugino fece una pausa e, per un istante, a Yoongi parve di vedere una scintilla di pietà nei suoi occhi da volpe. 

 

-Dunque... la ragazza? 

 

Il principe non rispose. Gli si era chiusa la gola. 

 

"Maledizione."

 

Si morse un labbro, tentando di soffocare il boato che stava nascendo nel suo stomaco e che rischiava di esplodere da un momento all'altro. 

 

-Non posso entrare nella capitale. Se lo facessi, mi taglierebbero la testa all'istante e non potrei salvarla. 

 

Yoongi strinse le palpebre e trasse un lungo, tremante, rabbioso respiro. Odiava se stesso. Odiava ciò che stava per fare. Ma non aveva alternative. 

 

-Ho bisogno che vai a palazzo al mio posto. 

 

Namjoon rimase in silenzio, ma il principe sapeva che la richiesta era giunta forte e chiara.

 

-Mi stai chiedendo di rimettere piede nella capitale dopo cinque anni. 

 

Yoongi non staccò gli occhi da quelli apparentemente imperturbati del cugino. 

 

-Sì. 

 

-Cosa che comporterà il mio ritorno nella famiglia. 

 

-Sì. 

 

La mascella di Namjoon aveva ripreso a tendersi e il suo mento si stava leggermente sporgendo in avanti, segno che la sua pazienza stava giungendo al limite. 

 

-E che dovrò riprendere il ruolo di erede. 

 

Yoongi non battè ciglio. 

 

-Se sarà necessario, sì. 

 

Seguì un'altra lunga, interminabile pausa. Gli occhi affilati del giovane avevano preso ad assomigliare a lame di coltelli, pronte a ferirlo alla prima mossa falsa.

 

-Questo significherà inoltre che dovrò incontrare il re e, in un qualche modo, convincerlo a lasciarla andare. 

 

-Esatto. 

 

-Rischiando, di conseguenza, la decapitazione. 

 

Yoongi, nuovamente, rimase impassibile. 

 

-Ho piena fiducia nelle tue capacità di persuasione. 

 

Namjoon, allora, doveva aver raggiunto il limite. Il suo sopracciglio si sollevò, corrugandone la fronte, mentre i suoi denti avevano preso a scavare l'interno della guancia. Non era più solo irritato. Ormai era furibondo. 

 

-Sai benissimo che ho giurato di non rimettere più piede in quel posto. 

 

Il respiro del giovane giungeva fuori a sbuffi, facendo sollevare visibilmente il suo petto. Yoongi contemplò la tensione nella sua postura per qualche istante, prima di replicare. 

 

-È per quella ragazza? Pensi ancora a lei? 

 

Anche in questo caso, il principe non aveva bisogno di risposta. Il modo in cui suo cugino allontanò velocemente lo sguardo da lui e infilò distrattamente la mano nel hanbok era fin troppo chiaro. 

 

-Fammi questo favore e in cambio farò tutto ciò che desideri. 

 

Rapidamente come si erano allontanati, così gli occhi di Namjoon tornarono su di lui, ormai incapaci di dimostrarsi indifferenti. Stava considerando la sua proposta. C'era una possibilità. Non gli importava il prezzo. Avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa. Era stupido da parte sua. Irrazionale, forse. Ma, vedendo un'occasione davanti a sé, la sua mente si spense completamente. 

 

-Lo farò. 

 

Yoongi trattenne un respiro. Un'occasione. C'era un'occasione. 

 

-In cambio, dovrai prendere quel trono. 

 

Una voragine si aprì sotto alle gambe di Yoongi. Era profonda, buia e lo stava risucchiando velocemente. Questo... questo era un prezzo parecchio alto. 

 

-Non mi interessa chi diventa re, ma Yonsangun deve morire. Lui e quella viscida serpe che gli sta attorcigliata la collo. Ti darò armi e uomini. Farò in modo che tu abbia il supporto del popolo e dei Kim. Ma sarò io a ucciderli. Io, con le mie mani. 

 

La voragine si allargava sempre di più. Oltre a ciò, sopra di lui era comparso un macigno che lo schiacciava... lo schiacciava con crescente prepotenza. 

 

Responsabilità. Terrore. Trono. Potere. 

 

Il peso lo soffocava. Faceva fatica a respirare. 

 

-Affare fatto.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

BAM BAM BAAAAAAAAAAM! Il nostro Namjoon non era un delinquente qualunque! Ve lo aspettavate? Ancora un po’ di pazienza e capiremo anche il perché se n’è andato dalla capitale e perché vuole uccidere il re, ma intanto vediamo se siete stati attenti. Che cosa avrà nascosto del hanbok? Si tratta di un oggetto che abbiamo già visto di sfuggita in una scena passata. Chi dà la risposta giusta riceverà una menzione nel prossimo angolo (e magari chissà... se avete una storia in corso potrei farci un salto e lasciare un commentino....) 

 

Dunque, spieghiamo un attimo questo complicato giro di parentele in modo che sia tutto chiaro. Yoongi, Namjoon e Taehyung sono tutti cugini. Namjoon e Taehyung appartengono alla famiglia Kim e sono figli di due fratelli e di due sorelle (due principesse reali, zie di Yoongi). Il padre di Tae era il capo della famiglia Kim, ma essendo morto alla nascita di Tae il titolo è passato a suo fratello, il padre di Namjoon. Perciò, se Namjoon non se ne fosse andato avrebbe ereditato il titolo a sua volta. La famiglia Kim, insieme ai Park e ai Lee, era una delle più longeve ed è stata storicamente sempre legata alla famiglia reale (talvolta sedendo anche sul trono). Ed ecco perché così tant’è persone in Corea hanno questi cognomi. La gente comune, non avendo cognomi, poteva acquistarlo dai nobili o gliene veniva assegnato uno durante il censimento periodico. Ed ecco qua che solo nei Bangtan ci ritroviamo tre persone con il cognome Kim. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** XXXVI ***


Namjoon lo osservò in silenzio, lo sguardo da volpe che lo scrutava con circospezione dall'alto della sua statura.

 

-Ne sei sicuro? Non si torna più indietro. E non azzardarti a pensare che riuscirai a fregarmi una volta che ti avrò portato ciò che desideri. Farò in modo che il popolo richieda la tua incoronazione a gran voce, non avrai alcuna possibilità di fuga. 

 

Yoongi sbatté pigramente le palpebre, il corpo rilassato in una posa che trasudava una confidenza che non possedeva. Il macigno rendeva ogni respiro più doloroso, più lento, più agonizzante, ma lui forzò il suo petto a muoversi con naturalezza. 

 

-Potrei sempre fuggire oltre il confine, rinchiudermi in una catapecchia e vivere il resto della mia miserabile vita da contadino. 

 

Suo cugino sembrò cogliere il sottotono ironico nella sua risposta ma il suo volto rimase freddamente impassibile. 

 

Aveva anche un pessimo senso dell'umorismo. 

 

-Sappiamo entrambi che non saresti in grado di far crescere neppure un quadrato di sterpaglie. 

 

Yoongi sollevò un sopracciglio. Forse il suo senso dell'umorismo non era così pessimo. 

 

Il principe trasse un sospiro. Aveva bisogno di lasciarsi andare, almeno per un momento. Non ce la faceva. Non riusciva a fingere che andasse tutto bene, che l'idea di diventare re non lo terrorizzasse o che non avesse paura che ogni istante che passava la vita di Diana fosse sempre più in pericolo. 

 

Si strofinò le palpebre con le dita, cercando di dissolvere il bruciore che vi si era annidato da un po'. 

 

-Manterrò la mia parola. Ma dato che il prezzo che mi chiedi è assai alto, le mie condizioni cambieranno leggermente. 

 

Namjoon non replicò, ma lo osservò con insistenza e un velo di scetticismo dipinto nella piega in mezzo alle sopracciglia. 

 

Yoongi ignorò il bruciore agli occhi e tornò a fissarlo. 

 

-Dovrai portare qui anche Taehyung. 

 

Finalmente. Finalmente la maschera di indifferenza e di rigidità sul volto di suo cugino si spezzò. La sua espressione si contrasse in una di pura sorpresa, le sue palpebre spalancate e il suo corpo proteso in avanti. 

 

-Sei impazzito? Rischia la vita se viene associato a te, sopratutto contando che diventerai il nemico pubblico del re! 

 

Il principe contemplò con sadico compiacimento il modo in cui Namjoon si scioglieva sotto alla potenza delle sue emozioni. In fondo, c'era ancora qualcosa che era in grado di smuoverlo. 

 

-Lui è già associato a me. Tutti sanno a palazzo che non ha mai smesso di scrivermi e che non avrebbe voluto che me ne andassi. Pensi davvero che nel momento in cui mi rivolterò contro il re, lui non inizierà la sua vendetta proprio da Taehyung? 

 

Il giovane fermo in piedi fece per aprire la bocca ma, dopo un istante di esitazione, la richiuse in una morsa rabbiosa. 

 

-Lui... lui è l'unica parte della mia famiglia che non ho rinnegato. È mio cugino! Se dovesse essere anche solo lontanamente in pericolo... 

 

-Namjoon. 

 

La voce di Yoongi tagliò la stanza con un colpo affilato e ferreo. Passato era il terrore. Passate erano l'angoscia e l'esitazione. 

 

-Sai bene cosa significa per me Taehyung. 

 

Il ragazzo serrò le labbra, fissandolo con uno sguardo colpevole. 

 

-Lo sai bene. Lui è tuo cugino ma per me... 

 

Yoongi abbassò lo sguardo. 

 

-... per me è diverso. 

 

Trasse un breve respiro, che gli tagliò la gola con la sua freddezza. 

 

-Yonsan è a un passo dal scoprire la verità. Im Sahong sta solo aspettando il momento giusto per lanciarla su di lui e scatenare un'altra catastrofe. Se lasciassimo Taehyung a palazzo, sarebbe il primo a morire insieme a sua madre. Portandolo via, possiamo trasferirlo in un posto sicuro, lontano dalla capitale e dagli assassini del re. 

 

Namjoon aveva abbassato lo sguardo a terra; un'oscurità ne annebbiava gli occhi, rendendoli ancora più neri del carbone e ancora più ardenti delle braci. 

 

-Va bene. Preleverò anche lui. 

 

Yoongi, finalmente, rilassò il petto. Taehyung sarebbe stato tratto al sicuro. Taehyung sarebbe tornato al suo fianco. 

 

-Gli dirai la verità?- chiese all'improvviso suo cugino. 

 

Il signore serrò le palpebre. 

 

"Mai." 

 

-Forse.

 

-Hyung... 

 

Namjoon aveva leggermente piegato il capo di lato, osservandolo con uno sguardo che puzzava fin troppo di pietà per i suoi gusti. 

 

-Prima o poi dovrà saperlo. 

 

"Così che possa iniziare ad odiarmi." 

 

Il suo sorriso si sarebbe spento. I suoi occhi non avrebbero più brillato nell'osservarlo. E Yoongi non avrebbe più potuto guardarlo con quell'orgoglio, quell'orgoglio che gli gonfiava il petto al pensiero di essere...

 

-Non è un affare che ti riguarda. 

 

-Hyung... 

 

-Non c'è tempo da perdere. Devi partire immediatamente. Dovrebbero arrivare alla capitale nel giro di poco e noi abbiamo già un giorno di svantaggio.

 

Namjoon rimase in silenzio ma, alla fine, si piegò in un inchino. 

 

-Come desiderate... vostra maestà. 

 

Mentre il cugino si chiudeva la porta alle spalle, Yoongi non poté fare a meno di pensare ai suoi pugni che gli gonfiavano la faccia fino a trasformarla in un prato di lividi. Irritante. Dannatamente irritante. 

 

Il silenzio tornò a dominare la sua stanza. Era solo. 

 

I suoi occhi caddero sulla spada appoggiata al suo fianco, fedelmente immancabile. La afferrò e si sollevò fino a raggiungere lo specchio che aveva usato quella stessa mattina. Quando Diana stava dietro di lui, baciata dai raggi del sole come una creatura divina. Quando l'aveva guardato con rabbia, delusione e occhi feriti. 

 

Yoongi sospirò ed estrasse la lama. 

 

 

 

Per tutta la durata del pasto, comprendente una misera ciotola di zuppa di tofu, l'uomo massiccio non lasciò il suo fianco e, sopratutto, non sciolse la corda che le legava i polsi. Per questo motivo, si ritrovò a rovesciare impacciatamente più volte il liquido dal cucchiaio man mano che se lo portava alla bocca e rendendo l'intero processo infinitamente più lento. 

 

Una volta terminato, l'uomo diede uno strattone, invitandola ad alzarsi e prendendo silenziosamente un corridoio largo ma deserto. Una volta giunti davanti ad una porta scorrevole, questa scivolò sul suo asse rivelando una donna magra con i capelli stretti in una crocchia e lo sguardo puntato al pavimento. Dietro di lei, altre due donne attendevano pazientemente con il capo chinato e mani giunte davanti a sé. 

 

Diana fu spinta all'interno dell'ambiente e, una volta che fu fatta sedere per terra, venne liberata dalla corda. L'uomo massiccio non emise una parola, non un grugnito, non un verso. Nulla. Se ne andò in silenzio, lasciandola nella stanza che assomigliava a quella nella residenza di Namjoon. Come allora, infatti, fu spogliata e fu invitata ad entrare in una larga vasca di legno scavata nel pavimento. 

 

Al contatto con l'acqua, però, Diana strinse i denti e trasse un respiro affilato. I suoi polsi erano costellati di piccoli tagli e rigoli di sangue, risvegliato dal liquido e dalla rottura delle croste che si erano andate a formare nel corso dei giorni. La ragazza fissò la sua pelle per qualche istante, prima di sollevare lo sguardo sulle serve che le stavamo strofinando il corpo. 

 

-Potrei passare dal medico prima di presentarmi al cospetto del re? Non vorrei mostrare a sua maestà una vista così disdicevole- disse con tono desolato, abbassando pudicamente lo sguardo mentre sollevava le sue mani sanguinanti. 

 

Ci fu un momento di esitazione fra le tre donne. Si fissarono a vicenda con dubbio negli occhi, forse perché non si aspettavano che la straniera fosse in grado di parlare la loro lingua o forse perché non sapevano come rispondere. Poi, la servitrice  che aveva aperto la porta si rivolse verso di lei. 

 

-Il medico non è presente oggi. 

 

Diana dovette ingoiare un sorriso. 

 

"Meglio ancora." 

 

-Non è un problema, posso medicarmi da sola. Non ci metterò molto, giusto il tempo di fermare il sangue e mettere un po' di unguento sulle ferite, in modo che non debbano essere un disturbo per gli occhi di sua maestà. 

 

La sua voce era caduta in una cantilena smielata, eccessivamente dolce perfino per le sue orecchie. Le donne, però, non parvero dubitare della sua recita. 

 

-Chiederemo al responsabile- replicò la servitrice, continuando poi a strofinarle la pelle. 

 

Una volta che fu asciutta, le fu portato un hanbok molto più ampio rispetto a quello che le aveva fatto indossare Namjoon. Il tessuto era di un candido colore rosa nella gonna vaporosa, pallido come le gote delle fanciulle, mentre nella camicia prendeva i toni azzurri di un cielo all'alba. Colori puri. Colori innocenti. Colori chiari. Il rosso e il nero, aveva imparato, appartenevano ai reali. Erano colori che una schiava non avrebbe mai indossato. 

 

Quando i suoi capelli furono acconciati in una crocchia fissata da una vistosa spilla dorata che le faceva pizzicare la cute, la porta si aprì con un suono secco e determinato, rivelando lo stesso uomo dall'espressione indifferente che aveva incontrato nel cortile. Doveva essere il capo dei servitori. 

 

-È pronta?

 

La sua voce era monotona, priva di emozione come lo era il suo volto. La osservò con sufficienza, con la stessa attenzione con cui si sarebbe guardata una credenza. 

 

-Sì, ma ha richiesto di passare dallo studio del medico per medicarsi i polsi. 

 

Diana avrebbe voluto sbuffare davanti all'espressione inquisitoria dell'uomo, ma mantenne una piega umile nella bocca e chinò il capo, sollevando le mani davanti a sé e presentandole agli occhi del miscredente. 

 

-Desidero solo non presentare una visione poco piacevole a sua maestà. Farò in modo che l'odore delle erbe medicinali non sia di disturbo. 

 

Umile. Sottomessa. Così doveva apparire. 

 

L'uomo rimase in silenzio, scrutando attentamente i suoi polsi con le palpebre socchiuse. Infine, fece un cenno col capo. 

 

-Seguimi. 

 

Tre corridoi dopo, Diana fu fatta entrare in una stanza stretta ma costipata di ampolle, mobiletti a cassetti, scatole e fasci di erbe appesi al soffitto che pendevano davanti ai suoi occhi. Un'ambiente pulito, sì, ma assai caotico.

 

-Non ci impiegare troppo tempo. 

 

La ragazza fece un breve gesto col capo, come ad acconsentire umilmente, e si diresse verso il primo, largo mobile a scompartimenti. 

 

"Accidenti." 

 

Non poteva cercare quello di cui aveva bisogno con quell'uomo alle calcagna. Non aveva calcolato il fatto che sarebbe stato lì ad osservare ogni sua mossa e che probabilmente avrebbe capito che cosa aveva in mente nel momento in cui avrebbe sollevato l'erba di cui era in cerca.

 

"Pensa, Diana, pensa..." 

 

Aveva bisogno di una scusa... una scusa qualsiasi...

 

Mordendosi il labbro, si voltò piegandosi in un inchino e sputando la prima cosa che le venne in mente. 

 

-Vi chiedo scusa, ma necessiterei di acqua per pulire le ferite e mescolare le erbe. 

 

Mentre rimaneva chinata in avanti, poteva percepire l'esitazione nel servitore. I suoi piedi si mossero appena, sospesi nel decidere se assecondarla o meno. 

 

"Andiamo... forza..." 

 

Dopo un tempo che le parve infinito, il capo della servitù girò su se stesso e uscì dalla stanza, lasciandola completamente sola. 

 

"Ora o mai più."

 

Una volta che si fu accertata che l'uomo non fosse più a portata di orecchio, si fiondò sulla cassettiera, iniziando velocemente ad aprire i vari scompartimenti e richiudendoli poi con violenza man mano che ne analizzava il contenuto. 

 

Maledizione... non ricordava neppure com'era fatta, l'erba che cercava. Doveva puntare sul riconoscerne l'odore, in base a quello che era rimasto nella sua memoria. 

 

Passò al vaglio ogni cassetto del primo mobile, senza successo. 

 

Il tempo passava troppo in fretta. Erano dei passi quelli che sentiva? Ogni rumore che non fosse generato da lei le faceva scattare nervosamente le mani, pronte ad allontanarsi dal legno e dai ciuffi di piante per nascondersi dietro la sua schiena. 

 

Non c'era... non era da nessuna parte. Ma non era possibile... doveva esserci! Quell'erba veniva usata anche in caso di operazioni molto invasive che richiedevano che il paziente fosse incosciente. Doveva esserci... doveva... 

 

Il suono di passi divenne distinto e sempre più vicino. Le sue mani, finalmente, incontrarono steli appuntiti, sormontati da piccoli fiori pallidi e un forte odore che il suo naso riconobbe all'istante. 

 

Eccola! 

 

La pianta che sicuramente era stata mescolata all'acqua dai rapitori che la presero la prima volta! Quando la porta si spalancò, un generoso mazzolino era stato infilato sotto alla camiciola del suo hanbok, mentre le sue mani ricercavano con estenuante lentezza per i piccoli cassetti. Prese distrattamente delle bende e afferrò il primo unguento che le capitò fra le dita, prima di voltarsi e ringraziare il servitore per la ciotola di acqua che aveva posato sul tavolo.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Buongiorno buongiornino. Come state? Mi state bene? Mi raccomando che se no questa autrice di preoccupa. Dunque, altre novità in questo capitolo! Diana sta iniziando a mettere in atto il piano per evadere da quel posto infernale E forse rivedremo Taehyung molto presto? (forse perfino ancora più presto di quanto pensiate???) 

 

E... non ho molto altro da dire XD il prossimo capitolo sarà interamente dedicato a Diana così non dovete stare con l’ansia di vedere che cosa le succede. Ma non temete, non lasceremo da parte la nostra squadra di scalmanati per molto. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** XXXVII ***


Nonostante i suoi sforzi, nonostante la ferrea determinazione nella sua mente e la rassicurante via di fuga che aveva nascosto nel vestito, Diana non poté fare a meno di iniziare a tremare nel momento in cui intravide delle pesanti porte intarsiate di oro. Le sue gambe, prive di energia a causa della scarsità di cibo, eseguivano ogni passo in avanti ciondolando pericolosamente e dandole un senso di vertigine, come se avessero potuto crollare da un momento all'altro. Il suo labbro inferiore era stretto fra i denti, che affondavano, affondavano sempre di più fino a farle sentire il sapore ferroso del sangue sulla punta della lingua. E le mani. Le mani erano strette in una posa che doveva apparire composta ed elegante, ma che in realtà era semplicemente una morsa di terrore e dita stritolate. 

 

Arrivati al cospetto della grande porta scura, due guardie scrutarono per un istante lei e il capo della servitù, prima di voltarsi e aprire con un lento cigolio le due superfici. Diana, non appena ebbe l'opportunità di intravedere l'interno della stanza, abbassò gli occhi al pavimento. 

 

Non doveva, per alcuna ragione al mondo, contrariare il sovrano. La sua occasione sarebbe andata in fumo se non fosse riuscita a costruire un minimo di fiducia nei suoi confronti. 

 

Con la coda dell'occhio, vide l'uomo che le faceva da guida iniziare a camminare, perciò prese a seguirlo rimanendo due passi indietro rispetto a lui. Nel momento in cui si fermò, lei lo imitò prontamente. Sguardo basso ma testa alta. Schiena dritta ma umilmente protesa in avanti. 

 

-È dunque questa la creatura acquistata da mio fratello? 

 

"Creatura..." 

 

Come una bestia. 

 

Diana si trattenne dallo stringere i denti. Non doveva dare un minimo segno di contrarietà. Non un segnale di cedimento. Nulla. Ogni sua azione doveva essere perfetta. 

 

-È lei, mio signore. 

 

La giovane, avendo il capo abbassato, non poteva vedere il sovrano. Nondimeno, la sua voce le ricordò il tuono. Aveva un bassa asprezza, una che non aveva nulla a che fare con il crepitante calore nascosto nel tono del principe. Era fredda. Una voce priva di emozione umana. 

 

-Sa parlare? 

 

Aveva la cantilena lamentosa di un bambino annoiato, eppure nascondeva una minacciosa oscurità che rendeva l'animo inquieto. Diana sentì dei brividi formarsi sulla sua pelle ma non lasciò che le scuotessero le spalle. 

 

-Sì, conosce la nostra lingua, mio signore. 

 

Era il momento. 

 

La ragazza giunse le mani in una linea orizzontale all'altezza della sua fronte e inclinò ancora di più il capo, piegando infine le ginocchia nell'inchino che Namjoon le aveva insegnato. 

 

-La vostra umile schiava è al vostro servizio, vostra maestà. 

 

Silenzio. 

 

Diana strinse leggermente le dita sulla mano che reggeva. Era un cattivo segno? L'attesa le stava facendo letteralmente fermare il cuore. 

 

Poi, un fruscio di tessuti pesanti e pregiati. Lo sentì avvicinarsi. Percepì la sua presenza sempre più prossima e cercò di rilassare ogni parte del suo corpo, rimanendo comunque in quell'inchino così scomodo. 

 

Una mano le agguantò con ferocia il mento, sollevandole la testa con un gesto brusco. 

 

La ragazza dovette trattenere il respiro per non sussultare. 

 

Anche quell'uomo, come il principe, era avvolto da oscurità. Ma, mentre quella del fratello era gentile, timida e riservata, quella del sovrano era impietosa, fredda e nascondeva demoni che occasionalmente si specchiavano nei suoi occhi pigri. 

 

Non assomigliava a Yoongi. 

 

Al principe. Il principe, non Yoongi. 

 

Quell'uomo non aveva niente della candida carnagione del giovane, niente della piega gentile del suo profilo o della morbida curva degli zigomi. Il volto del re era una serie di spigoli e vetri affilati. Il naso sporgente, un perfetto triangolo sul volto. Le guance vuote, aderenti alle ossa sottostanti. Gli occhi incavati, le sopracciglia folte e dalla piega severa. 

 

Diana non riconobbe niente del principe in lui. 

 

-Ha gli occhi di una tigre... i capelli di una giumenta di razza... la pelle di gesso. Da quale maledetto buco ha tirato fuori questa... 

 

L'interrogativo rimase sospeso nell'aria, mentre le pupille scure dell'uomo continuavano a contemplarla. Diana, per qualche motivo, si sentiva sudicia. Come se avesse lavorato tutto il giorno e fosse stata fradicia di sudore. Portava quella stessa sensazione di ribrezzo, quel senso di necessità di gettarsi in una tinozza di acqua e strofinarsi via tutto il cattivo odore. Ma lei era pulita. La sua pelle era stata accuratamente profumata con olii essenziali e i suoi capelli spazzolati. 

 

Eppure, sotto allo sguardo di quell'uomo, il suo corpo pizzicava fastidiosamente. 

 

-Deve aver pagato una bella cifra...- continuò il re, mormorando la frase mentre piegava leggermente il capo. 

 

Diana abbassò lo sguardo. Sperava che il suo gesto fosse inteso come un simbolo di pudicizia e non, come effettivamente era, un tentativo di fuga. Non ce la faceva. Ogni istante sotto agli occhi del sovrano era un conato represso nella sua gola, era acido nel suo stomaco e saliva nella sua bocca. 

 

-Chi ti ha insegnato la nostra lingua? 

 

La giovane esitò per qualche istante. Non sapeva se rispondere che era il stato il principe in persona a istruirla avrebbe aggravato la sua posizione. Dimostrare una maggiore prossimità a lui poteva possibilmente stimolare ancora di più le tendenze vendicative del sovrano. 

 

-È stato il cuoco della casa, mio signore. Ho passato molto tempo in cucina a lavorare al suo fianco, perciò ho imparato grazie a lui. 

 

Non era del tutto una bugia. Seokjin aveva impiegato ogni momento utile ad insegnarle parole nuove, interrogandola poi con scherzosa severità e premiando i suoi progressi con una dose di cibo in più nella sua ciotola, sotto allo sguardo invidioso di Jungkook e a quello divertito di Hoseok. 

 

-Il cuoco, eh?

 

Il sovrano continuò a girarle attorno, tracciando un percorso sul suo corpo con i suoi occhi freddi e cavi. Diana pregava, implorava dentro di sé che la congedasse subito. Ma doveva anche iniziare a mettere in atto il suo piano. 

 

-Mi intratterrai nelle mie stanze questa sera. Data la speciale occasione, credo proprio che non farò venire altra compagnia. Voglio... 

 

Una mano le arpionò i capelli, sollevandole con violenza la testa ancora una volta. Diana trattenne il grido soffocato che le era spontaneamente nato in gola, ma spalancò le palpebre. 

 

-... godere di questo interessante acquisto senza distrazioni. 

 

La presa sulle sue ciocche si sciolse, lasciando che il suo capo si piegasse nuovamente in avanti. Questa volta, non per umiltà, ma per la forza della vergogna e della paura che la fecero rattrappire su se stessa. I suoi intestìni si rivoltarono, dandole fastidiosi dolori e una sensazione di freddo all'addome. 

 

Ma doveva parlare... 

 

Anche se era sul punto di rimettere... anche se stava sudando dal terrore... Doveva...

 

-Se posso permettermi, mio signore...

 

Maledizione. La sua stupida voce si era rotta in un acuto che tradiva il suo tremore. 

 

-Sono stata istruita nella preparazione del tè e nell'arte musicale del guzheng e della pipa. Se è vostro desiderio, posso mettere queste mie umili doti al vostro servizio per allietare la vostra serata. 

 

Diana non tremava. Ormai, il suo corpo sembrava scosso da un terremoto, ma lei strinse. Strinse tutto ciò che poteva stringere pregando affinché nessuno lo notasse. 

 

E il silenzio calava ad ogni istante sempre di più come una scure sul suo collo. 

 

-Così sia. 

 

Respirò. Strizzò gli occhi e, con malandato controllo, annuì con il capo. 

 

-Conducila in cucina e dalle uno strumento prima di portarla da me questa sera. Ora andate. 

 

Diana percepì il servitore al suo fianco piegarsi in un inchino di assenso, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta, con lei al suo seguito. 

 

 

 

Diana non sarebbe voluta tornare in quella stanza neanche se l'avessero trascinata con la forza. Una volta uscita e condotta in un grande ambiente pullulante di donne che la scrutarono con malcelata curiosità (concubine, aveva immaginato), si era ritrovata a grattarsi la pelle delle braccia soprappensiero. Nell'istante in cui si distraeva, le sue unghie iniziavano a raspare avidamente, tracciando solchi rossi sul biancore della sua carnagione. Come se in questo modo sarebbe riuscita a togliersi di dosso la sensazione degli occhi di quell'uomo su di lei. 

 

Nondimeno, si ritrovava a poca distanza da quella porta, con un vassoio fra le mani e le braccia accuratamente coperte.

 

E ad ogni passo, un pensiero martellava con insistenza nella sua testa. 

 

E se avesse fallito? Cosa sarebbe successo se il tè che aveva preparato accucciandosi in un angolo tranquillo della cucina e aggiungendo all'infuso l'erba nascosta nel suo vestito non avesse avuto effetto? E se avesse sbagliato il procedimento? E se non ne avesse messa a sufficienza, per paura che l'odore fosse troppo evidente? 

 

Aveva tentato di mascherare il pungente aroma che emanava con una generosa dose di foglie nere e una manciata di petali essiccati.

 

Eppure... se avesse fallito... 

 

Se lui le avesse messo le mani addosso... 

 

La teiera tintinnò allarmata, come a volerla richiamare all'attenzione per aver fatto oscillare il vassoio. 

 

Come aveva fatto Hoseok? Se lei aveva voglia di strapparsi la pelle di dosso al solo pensiero dello sguardo di quell'uomo, come aveva fatto Hoseok a sopravvivere? 

 

E lei? Lei ci sarebbe riuscita? 

 

Quando fece il suo ingresso nella stanza, chinò il capo in segno di omaggio verso l'uomo placidamente seduto sulla piattaforma rialzata su cui era appoggiato il suo materasso. 

 

Era una stupida. Le porte erano simili, ma quella non era la stessa stanza. L'ambiente in cui era stata condotta nel pomeriggio era molto più ampio e presentava un trono di legno scuro e lucido, separato dal pavimento da tre gradini. 

 

Quella, invece, doveva essere la stanza personale del re. 

 

Diana fissò gli occhi sulla teiera in ceramica scura dalla superficie rugosa e deglutì.

 

Il suo piano avrebbe avuto successo. 

 

Lei sarebbe uscita di lì e tutto sarebbe andato bene. Doveva.

 

Scivolando sul pavimento il più silenziosamente possibile, si avvicinò con cautela al sovrano, posando il vassoio ai piedi della piattaforma e allontanandosi velocemente. Il guzheng era stato portato lì precedentemente, perché si ritrovava già nella stanza ed era a poca distanza da lei, alla sua destra. 

 

Senza esitazione, si diresse verso le strumento, inginocchiandosi davanti ad esso. Sentì il fruscio delle vesti a indicazione che il sovrano stava scivolando giù dal suo giaciglio, perciò prese a infilarsi i plettri in ogni dito, deliziandosi nella famigliare sensazione che le costringeva la pelle. 

 

Le era mancata. Le dava un senso di nostalgia, un assaggio di un tempo passato che sembrava così lontano da non appartenerle più. Di pomeriggi passati davanti alla finestra di camera sua a esercitarsi per ore e ore e di sere trascorse a fasciarsi le mani per lenire il rossore.

 

Ma quel piccolo momento di gioia fu strappato via dalla mano che si infilò all'interno della sua camicia, arrivando così pericolosamente vicina al contatto con la sua pelle. 

 

Diana deglutì. Le sue membra erano diventate ferro incandescente immerso in acqua gelata. 

 

-Sai, sono un uomo piuttosto impaziente. Non amo inutili perdite di tempo... 

 

Diana non respirava. Se l'avesse fatto, avrebbe sicuramente sentito il suo odore nelle narici e questo l'avrebbe portata a rimettere quel poco che c'era nel suo stomaco. 

 

Era... vicino. 

 

Era così vicino che sentiva il suo respiro sul collo, il suo corpo pressato contro la sua schiena in un modo che... assomigliava così tanto a quando il principe si era avvicinato a lei. 

 

Eppure era così diverso.

 

Mentre il secondo aveva accuratamente evitato di creare ulteriore contatto con lei, il primo sembrava impudicamente determinato a coprire ogni parte del suo corpo che non era sotto al suo tocco. 

 

Doveva rimanere lucida. Non poteva scoppiare in lacrime. 

 

Non poteva piangere. 

 

Doveva... 

 

Diana strinse gli occhi. Era stufa di fare quello che doveva fare. Era estenuante. Avrebbe semplicemente voluto iniziare a gridare e scaraventare quell'uomo lontano da lei. E voleva piangere. Lo voleva così tanto che le faceva male la fronte e le pulsavano gli occhi. 

 

-Non vorrei che il vostro tè si raffreddi, mio signore. 

 

Le sue dita erano rattrappite, piegate come artigli sotto alle pieghe della suo vestito. Non ce la faceva... non poteva farcela... 

 

-Ogni piacere, per poter essere sublime, deve essere consumato al momento perfetto. Non trovate? 

 

Non sapeva come aveva fatto a calmare il tono della sua voce fino a riuscire a pronunciare quelle parole senza tradire il terrore che le aveva circondato la gola. Eppure parve funzionare. 

 

Il fastidioso contatto nella sua schiena si allontanò, lasciandole modo di respirare profondamente e riprendere, con notevole difficoltà a causa del tremore, a infilare i plettri nelle dita. 

 

Intravide l'uomo sedersi dietro al vassoio. Lontano da lei. 

 

-Hai una fastidiosa sagacità. Ma non mi dispiace del tutto. Mi ricorda un po' Yoongi. 

 

Diana contemplò distrattamente quella frase mentre prendeva a pizzicare le corde dello strumento, scivolando in una melodia che aveva suonato fin troppe volte. Lenta, suadente, gentile. Perfetta per chi doveva essere accompagnato nel sonno. 

 

L'uomo non disse una parola. Prese la tazza in cui aveva versato il liquido, la osservò appena, forse annusandone il contenuto, e iniziò sorseggiare. 

 

Un sorso. 

 

Due sorsi. 

 

La musica era lenta, docile come una ninnananna. 

 

L'aroma del tè la raggiunse, stuzzicandole le narici. Non percepiva neppure l'odore di erba medicinale e la cosa, al contempo, la rasserenò e la preoccupò. 

 

"E se non fosse abbastanza? E se... e se..." 

 

La tazza fu appoggiata al vassoio. E il corpo dell'uomo prese a oscillare leggermente. 

 

La musica lo stava abbracciando. Gli stava sussurrando all'orecchio parole dolci e rassicuranti, gli cullava la mente in un delizioso oblio. 

 

-Come se la sta cavando il mio... adorato fratello?

 

Diana si arrischiò nel lanciargli uno sguardo rapido di traverso. Aveva le palpebre socchiuse. Non la guardava, ma fissava invece il pavimento in modo assente. 

 

-Vive come un eremita, mio signore. Non ha contatti con la società, a parte per le persone che vivono sotto al suo tetto.

 

Diana pregò. 

 

Probabilmente, non aveva mai pregato con così tanta intensità. 

 

Il re annuì pigramente con il capo, gli occhi nebulosi e lontani e la voce leggermente impastata. 

 

-Capisco...

 

Disperazione era una parola che non poteva neanche lontanamente definire lo stato di ansia e apprensione che la teneva appesa al collo in quel momento. 

 

Allora Diana continuò a suonare. Continuò a suonare finché la musica non prese il completo controllo. 

 

E, infine, gli fece chiudere gli occhi.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Ammazza che ansia sto capitolo. E non è ancora finita. Diana deve trovare il modo di uscire da palazzo adesso! 😭 come farà? Sono aperte le scommesse. Btw, D1 del muster mi ha ucciso. Non possono mettermi su un’esibizione di Daechwita tutti insieme. Non possono. Mi faceva male il cuore davvero (shoutout alla dolcissima xrosiex22 che ha pensato a noi in quel momento 💜

 

Eeeeeeeeeeeee come promessoooooooo siete prooooonti????? Così, a sorpresa, vi droppo la prima bozza per la copertina per la nuova storia (in realtà ho bisogno di un’opinione perché ho il brutto vizio di paccare completamente le copertine al primo colpo, perciò ho bisogno che mi diciate se può andare oppure no XD). 

Come scritto nell’annuncio è un soulmate au e il protagonista sarà.... il nostro cuoco preferito! Perdonatemi, so che vi lancio addosso un sacco di idee diverse di storie e poi alla fine finisco sempre per fare cose di cui non vi avevo parlato e accantonare invece quelle di cui vi avevo parlato XD ma sono una persona piuttosto inconsistente da questo punto di vista. Mi vengono un sacco di idee diverse ma molto spesso non riesco ad immaginare uno sviluppo di trama soddisfacente perciò di 300 incipit che mi vengono in mente di solito solo uno o due hanno davvero le potenzialità per diventare delle storie. 

 

Comunque, spero che apprezzerete e magari più avanti dropperò anche l’anteprima di trama. 

(Sorry popolo di EFP, non odiatemi ma sapete già cosa fare per vedere la copertina)

 

Attachment.png

 

Ps: per chi non l’ha letto, ripeto l’annuncio. Vi consiglio di andare a leggere il capitolo extra che ho aggiunto alla fine di Dreamland dal titolo “Another chapter in a new story” perché sarà legato al finale della storia. Per i lettori di EFP, lo aggiungerò oggi dato che non era presente.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** XXXVIII ***


Diana trattenne il respiro. 

 

La melodia era terminata e le corde del guzheng avevano smesso di vibrare, trasmettendo gli ultimi strascichi di suono nell'aria. Aveva gli occhi incollati allo strumento, priva del coraggio di sollevare lo sguardo e trovare due buchi di fredda oscurità ad attenderla. 

 

Eppure non si sentiva alcun rumore, se non il sommesso respirare dell'uomo. 

 

Diana strinse le palpebre. Se si fosse avvicinato nuovamente sfruttando un suo momento di distrazione... 

 

Si morse il labbro. E si costrinse a sollevare il capo. 

 

Il corpo dell'uomo era accasciato su se stesso, accartocciato nella posizione a gambe incrociate che aveva assunto per poter bere il tè. Il capo era abbandonato in avanti, contorcendogli la schiena in una maniera che appariva assai scomoda, ma Diana non riusciva a vedergli gli occhi. Sembrava addormentato, ma non poteva averne la certezza senza avvicinarsi.

 

Fece per alzarsi, ma esitò. Le dita le tremavano ancora e una pericolosa voragine si era aperta nel suo stomaco, dandole una fastidiosa sensazione di leggerezza. Paura. La sola idea di avvicinarsi a quell'uomo non faceva che provocarle ondate di puro terrore. 

 

"Stupida, non sprecare questa occasione!" 

 

Corrugando le sopracciglia, strinse i pugni e si sollevò in piedi, abbandonando lo strumento alle sue spalle. Il respiro dell'uomo era profondo e regolare. Doveva essere addormentato. Non poteva essere altrimenti. 

 

Era a due passi da lui. 

 

Un passo. 

 

L'uomo non si mosse. 

 

Se avesse avuto una spada, Diana avrebbe potuto tagliargli la testa senza che potesse emettere un singolo lamento. Seppellendo il pensiero nei recessi della sua mente, si sporse in avanti piegandosi sulle ginocchia. 

 

Aveva gli occhi chiusi e il volto rilassato. 

 

Diana sospirò più silenziosamente che poteva. Ce l'aveva fatta. Ce l'aveva davvero fatta. 

 

Avrebbe voluto mettersi a ridere. Se non fosse stato per il fatto che era semplicemente alla fase iniziale del suo piano di fuga. L'unica fase, in realtà, che aveva studiato attentamente. Doveva ancora uscire dalla stanza passando inosservata, sgusciare fuori dal palazzo e riuscire, in un qualche modo, a tornare a Pyeongan-do. 

 

Se già anche solo tenere a bada il re era stata un'impresa... come avrebbe fatto con tutto il resto? 

 

Diana sospirò nuovamente, ma prese a guardarsi attorno. Non poteva uscire dalla porta da cui era entrata. Sapeva già che due guardie erano davanti all'ingresso e di certo non avrebbero creduto che il re avesse deciso di liberarsi del suo intrattenimento così presto. Doveva trovare un'altra uscita. 

 

La stanza era ampia, molto più grande di quella in cui risiedeva il principe. Era anche molto più ricca di arredamento, sotto forma di cassettiere, lussuosi mobiletti in legno lucido e ceramiche preziose. Ma gli occhi di Diana si concentrarono sull'unica parte della parete a destra ad esser priva di rotoli calligrafici e decorazioni. 

 

Una porta scorrevole. 

 

Cautamente, prese ad avvicinarsi alla parete in legno. Se aveva ragione, avrebbe condotto ad un cortile interno, simile a quello nella casa del principe. Dal di lì, poi, avrebbe dovuto trovare il modo per raggiungere le mura del palazzo e uscire senza essere notata dalle guardie. 

 

Le sue dita raggiunsero la superficie, ma Diana si morse l'interno della guancia. 

 

Ci sarebbe stato qualcuno anche lì? 

 

Scostò la parete, lasciando uno spazio appena sufficiente a far passare il suo naso. Nulla. 

 

Non riusciva a vedere niente. 

 

Ma poteva darsi che, se ci fossero state delle guardie, fossero ai due lati della porta, come all'ingresso. 

 

"Accidenti..." 

 

Doveva prendere una decisione. Doveva correre il rischio. 

 

Sussurrando una breve preghiera, prese a scostare la superficie di legno fino a che il suo corpo non fu in grado di attraversarla. Sporse il capo a destra, poi a sinistra. 

 

Nessuno. 

 

Diana si portò completamente fuori dalla stanza, chiudendo lentamente la porta dietro di sé per evitare ogni tipo di rumore. 

 

E così si presentava una nuova serie di problemi. 

 

Come uscire da lì? 

 

Come mascherare il suo aspetto? 

 

Come passare inosservata?

 

Diana non aveva considerato che i suoi capelli potessero essere la sua ragione di fallimento. Avrebbe dovuto ricordare quanto le sue sembianze fossero così spiccatamente riconoscibili in quella nazione. 

 

Si guardò intorno. Non c'erano guardie ma, come aveva previsto, era sbucata in una sorta di cortile, costellato di piante e fiori e recante un piccolo laghetto sormontato da un ponte. A circondare il quadrato, c'erano altre porte che sembravano portare ad altrettante stanze della residenza, ma Diana non poteva sapere chi vi fosse stato dentro. 

 

"Maledizione..." 

 

"Dannazione!" 

 

Doveva fare qualcosa. Quale scegliere? 

 

Con la fronte corrugata, Diana fece un passo per dirigersi verso la porta alla sua destra prima di bloccarsi. Era un cigolio quello che aveva sentito alle sue spalle? 

 

Fece per girarsi, ma una mano entrò nel suo campo visivo e si piantò davanti alla sua bocca, uccidendo il grido che stava per emettere. 

 

 

 

-Ti prego non urlare o ci scopriranno. 

 

Diana, che fino a quel momento aveva cercato disperatamente di strappare la mano davanti alla sua bocca conficcando le unghie nella pelle del misterioso uomo, si bloccò. 

 

Una voce profonda e così curiosamente gentile era accostata al suo orecchio. La presa si fece più docile, tanto che la ragazza non era più costretta in una morsa ferrea. 

 

-Adesso ti lascio andare ma, ti prego, non urlare e non scappare. 

 

Diana annuì lentamente con il capo e sentì la mano allontanarsi dal suo viso. Quando si voltò, la luce della luna colpì un volto di ragazzo dai lineamenti magnificamente eleganti. Pelle bronzea, lunghi capelli ordinati che ricadevano fino al suo petto, un sorriso gentile e due occhi straordinariamente grandi in confronto al resto degli uomini orientali che aveva incontrato fino a quel momento. 

 

-Scusa se ti ho spaventato, ma sono dovuto strisciare qua in segreto, anche se il mio piano originale era di salvarti dalle grinfie del re. A quanto pare sono stato battuto sul tempo. 

 

Diana contemplò il modo in cui gli angoli della bocca del giovane si alzarono in un adorabile sorriso imbarazzato, mentre il suo sguardo brillava con la stessa curiosità che aveva incontrato quella mattina, prima di essere trascinata in cucina. 

 

E i suoi lineamenti... gli ricordavano il racconto di... 

 

La giovane piegò il capo di lato. 

 

-... Taehyung-ssi?

 

Gli occhi del giovane si illuminarono di una luce nuova, che amplificava il riflesso del bagliore della luna e li rendeva ancora più affascinanti da osservare. 

 

-Mi conosci?

 

Diana strinse le palpebre e trasse un lungo sospiro. Le era davvero capitata una così grande fortuna, dopo tutto? 

 

-Il principe mi ha parlato molto di voi. Vi ho riconosciuto dalla sua descrizione.

 

Il ragazzo si avvicinò di un passo a lei e le afferrò le mani fra le sue, avvolgendole in una stretta entusiasta. 

 

-Davvero? Hyung ha davvero parlato di me? 

 

Diana annuì con un sorriso, osservando come pura e incontaminata gioia si dipingeva sui lineamenti del giovane. 

 

-Mi ha raccontato di quando vi ha insegnato a maneggiare la spada e di quando se n'è dovuto andare. Di quanto è stata dura per lui lasciarvi indietro. 

 

Taehyung sorrise, abbassando lo sguardo al pavimento e lasciando che le lunghe ciocche scure coprissero l'imbarazzo dipinto sul suo volto. 

 

-Quindi... ha ricevuto le mie lettere? 

 

Diana, che aveva ancora le mani avvolte in quelle del giovane, si liberò dalla sua presa per poter stringere a sua volta le sue in modo rassicurante. 

 

-Le ha ricevute. E le ha conservato tutte quante. Non vi ha risposto per non mettervi in pericolo, ma so per certo che non avrebbe desiderato altro che rivedervi. 

 

Il ragazzo parve, per un istante, trattenere un'ondata di emozioni che stava crescendo nei suoi occhi, intenti a contemplare ancora le assi del pavimento e oscillando, come se fossero stati in cerca di un appiglio che li potesse rasserenare. Infine, sollevò il capo e la osservò con un sorriso ancora più ampio. 

 

-Grazie. Davvero, grazie. 

 

Diana sorrise a sua volta e, inaspettatamente, si ritrovò impossibilitata a non rispondere con lo stesso trasporto che aveva dimostrato il suo interlocutore. 

 

Era così strano. Aveva appena conosciuto quel ragazzo, ma sembrava già che la sua genuinità l'avesse contagiata in maniera ineluttabile. 

 

Taehyung, a quel punto, prese a guardarsi in giro, un cipiglio a spegnere parte della commozione residua nei suoi occhi. 

 

-Ora però è meglio che ce ne andiamo, prima che si accorgano della tua presenza. Ti accompagnerò fino al cortile principale e dal di lì potrai nasconderti in un piccolo carro che un servitore farà uscire da palazzo. 

 

Diana contemplò il viso del ragazzo mentre esponeva il suo piano, corrugando le sopracciglia. 

 

-Avete... avete organizzato tutto questo per aiutarmi? 

 

Il giovane la guardò con un sorriso timido, abbassando lo sguardo.

 

-Non c'è molto che posso fare. Non ho il potere di fermare il re, ma posso almeno aiutare te a essere libera. Anche se ho sentito che hyung ti ha comprato come schiava, sono convinto che non ti abbia mai trattata in maniera irrispettosa. 

 

Diana sorrise. Taehyung era il tipo di persona che aveva davvero capito l'indole del principe, anche dietro al suo fare freddo e indifferente. 

 

-È così. Infatti voglio cercare di tornare a casa. 

 

Diana spalancò appena gli occhi. 

 

A casa? 

 

Non a Venezia... a casa. In quella piccola magione con il cortile erboso dove Jungkook si allenava ogni mattina, la cucina caotica in cui Seokjin borbottava fra se e se e... la stanza in cui Yoongi passava ore seduto davanti a un tavolino a leggere o creare componimenti poetici. 

 

-Credi che... potrei venire anche io? 

 

La giovane sollevò lo sguardo sorpresa. Taehyung si mordeva il labbro, completamente incapace di mascherare il nervosismo che gli contorceva il viso e gli faceva pudicamente abbassare lo sguardo. 

 

-Credi... credi che hyung si arrabbierà? 

 

Diana sorrise. Socchiuse gli occhi, contemplando l'agitazione che aveva preso il corpo del ragazzo mentre aspettava nervosamente la sua risposta. 

 

-Non credo. Lui avrebbe voluto portarvi con sé sin dall'inizio, ma non l'ha fatto per paura che le sue azioni potessero mettervi in pericolo. Se voi però decideste di raggiungerlo, probabilmente sarà preoccupato all'inizio, ma sarà felice di avervi al suo fianco. 

 

Il giovane sollevò lo sguardo con un'espressione sospesa fra la speranza e la preoccupazione, prendendo ad osservarla con attenzione, come se fosse in cerca di una qualche traccia di bugia. 

 

-Davvero? Davvero lo pensi? 

 

Diana annuì, cercando di sorridere nel modo più convincente che conoscesse. Il giovane allora distolse lo sguardo, ma invece che abbassarlo al pavimento, lo sollevò fino a raggiungere la luna. 

 

-Non c'è posto per me qui. Non sono il figlio che mia madre vorrebbe, non sono il capo di cui la famiglia avrebbe bisogno e... il mio posto è accanto a hyung. Ovunque egli sia, qualsiasi cosa lui stia facendo, io... voglio stare al suo fianco. 

 

Diana sorrise e piegò la testa. Quel giovane aveva le sembianze del ragazzino del racconto del principe ma il suo animo era diverso. Quel ragazzino era cresciuto, era diventato un uomo che avrebbe reso orgogliosa quella persona che ammirava così tanto. 

 

A quel punto, la ragazza sollevò una mano davanti a sé. 

 

-Allora andiamo. 

 

Taehyung abbassò lo sguardo e osservò la sua offerta per qualche istante. Poi, con un sorriso timido ma determinato, la afferrò. 

 

-Andiamo.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Awwwwww capitolo tenerello 💜💜💜 come promesso, il ritorno di Tae è finalmente avvenuto e d’ora in poi avrà un ruolo molto più presente negli avvenimenti che si susseguiranno. Mi dispiace che il capitolo sia più corto del solito ma avevo bisogno di fermarmi qui perché il prossimo sarà tuuuuuuttooooo dedicato a Namjoon (fate bene attenzione alla sua storia, in futuro potrebbe aiutarvi). 

 

Detto questo, ho grandi progetti in mente e la nuova storia di cui vi ho accennato non è che l’inizio. Vi darò ulteriori informazioni non appena Il principe del calmo mattino sarà terminata, ma preparatevi perché c’è un grande disegno che sta prendendo forma. Vi dico solo che il JU si sta sviluppando in qualcosa di ben affermato e Canon. Perciò, allacciate le cinture, miei cari. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** IXL ***


Namjoon era appena un marmocchio quando la conobbe. La ragazza della luna. La chiamava così perché, da stupido ragazzino imbambolato che era, non riusciva a trovare paragone migliore per descriverla. Capelli scuri come il cielo notturno, occhi brillanti come le stelle e pelle chiara come... come la luna. 

 

E lui la guardava con sguardo avido. Avido di bere ogni dettaglio di lei e di imprimerlo nella sua mente. Forse, se avesse potuto vedere il futuro allora, avrebbe speso ancora più tempo a studiarne i lineamenti affinché non sfuggissero mai dalla presa della sua memoria. Infatti, a distanza di cinque anni, sentiva già l'immagine sfumare. I colori sbiadivano e i contorni si facevano più nebulosi. Ormai, il viso di quella ragazza che aveva così tanto adorato non era che un disegno sbavato, sciacquato via dalle acque del tempo. 

 

Eppure era stato così felice insieme a lei. 

 

Quanto erano stati insieme? Quanti anni? 

 

Anni passati a sgattaiolare via da casa per andare al mercato e confondersi fra i commercianti e gli artigiani. Scorrazzare fra i banchi, afferrare un mazzo di fiori di campo al volo e raggiungere una piccola alcova fra due case abbandonate. Un posto in cui nessuno si sarebbe avventurato senza conoscerlo. 

 

Il loro posto. 

 

Lei diceva che lui assomigliava al sole. 

 

Era intelligente. Una delle poche persone che stava ad ascoltare i suoi lunghi viaggi di riflessione, in cui iniziava a blaterare senza sosta sulla filosofia di un determinato studioso o sulle varie teorie sull'origine del mondo. O sul perché le nuvole erano sospese nel cielo, senza che dei fili le sostenessero. O sul perché gli astri si susseguivano ogni giorno in una danza infinita. Chi li governava? Perché non fallivano mai il loro percorso e come facevano a nascondersi dietro l'orizzonte?

 

Lei non fingeva di starlo a sentire nascondendo malamente la sua noia, come altri suoi coetanei. Lo ascoltava. Lo ascoltava davvero. E dava la sua opinione, spesso assai differente dalla propria, talvolta piuttosto fantasiosa. Ma lo guardava e sorrideva, dicendo che le piaceva parlare con lui. Le piaceva ascoltarlo. 

 

E rideva. 

 

Namjoon ricordava il giorno in cui comprò il fermaglio, quello che aveva intenzione di regalarle. Era riuscito a convincere sua madre a concedergli i soldi, dicendole vagamente che era destinato alla figlia di una famiglia nobile. Riuscì straordinariamente a scansare ogni domanda sulla vera identità della ragazza e, con la borsa piena di soldi, era uscito verso il mercato con un balzo. 

 

Avrebbe voluto prenderle qualcosa che ricordasse la luna ma, sfortunatamente, non riuscì a trovare nulla. Dopo aver scartato diversi ornamenti troppo vistosi per i suoi gusti, i suoi occhi caddero su un fermaglio dorato a forma di ramoscello di pesco. Non era quello che cercava, ma dovette ammettere che le perle incastonate sopra gli ricordavano il chiarore della sua pelle e la cosa non gli dispiaceva. La forma era semplice e non attirava troppo l'attenzione: era perfetto per lei, che non amava le cose superflue. 

 

Quando il commerciante glielo consegnò, avvolto in un sacchetto di seta, Namjoon se lo infilò prontamente nell'hanbok, accertandosi ad ogni passo che il suo peso fosse ancora presente e che non si fosse spostato neanche di un soffio. 

 

Quando raggiunse il loro punto di ritrovo, però, lei non c'era. 

 

Il ragazzo sentì una fitta di delusione, ma non ci fece troppo caso. Erano già capitati giorni in cui lei non era riuscita ad uscire, come era successo anche per lui. 

 

Nel momento in cui tornò a casa, però, sentì che qualcosa non andava. Suo padre non era a palazzo. Che cosa ci faceva lì a quell'ora? Normalmente, sarebbe stato impegnato a svolgere i suoi compiti da ministro. 

 

Namjoon ricordava ancora vividamente il modo in cui sua madre lo guardava ansiosa, uno sguardo di apprensione negli occhi stanchi e una linea di paura sulla fronte. 

 

-Siete sicuro che non rischiamo? Se ha commesso una simile cosa... non si può sapere se un giorno non si rivolterà anche contro di noi. 

 

Il giovane corrugò le sopracciglia, rimanendo in ascolto dietro all'angolo della stanza ma senza palesarsi ai suoi genitori. 

 

-Non può. Se distrugge anche noi, non rimarrà più nessuno a mandare avanti il paese. In più, i Kim sono a palazzo da troppe generazioni. Siamo parte del fondamento della nazione stessa. Persino un essere come Im Sahong non è tanto avventato. 

 

-Ma, mio signore... 

 

-Areum. 

 

Suo padre pose la mano su quella di sua madre, attirando gli occhi preoccupati della donna nei suoi. 

 

-Ho collaborato nell'organizzazione di questo piano proprio per evitare che ci vedesse come nemici. Se provasse anche solo a torcerci un capello, potremmo minacciare di raccontare a tutti quello che è accaduto. 

 

Namjoon sentiva un fastidioso nodo in gola. Ma cosa... cosa era successo? 

 

Perché quella conversazione lo rendeva così ansioso?

 

Non poteva essere legato all'assenza di lei... no, le due cose non potevano essere correlate. Eppure... 

 

Il ragazzo inghiottì un grumo di angoscia, sentendo la saliva asciugarsi sul suo palato. Infilò una mano nel suo hanbok, sentendo la piacevole carezza della seta sotto alle dita. Il fermaglio era ancora lì, in attesa di essere consegnato. 

 

-È successo qualcosa, padre? 

 

Namjoon voltò l'angolo, costringendo sua madre a sollevare lo sguardo su di lui, prima di distoglierlo freneticamente mentre suo padre lo guardava con un cipiglio severo. 

 

-Nulla di cui tu debba preoccuparti, figliolo. 

 

Il ragazzo socchiuse le palpebre, fissando l'uomo con circospezione. Era giovane, ma non era stupido. Quando si sarebbero accorti di questo semplice fatto? 

 

-Mi avete sempre incoraggiato ad essere più coinvolto negli affari della famiglia, padre. Non pensate sia il caso di mettermi al corrente se qualcosa può potenzialmente porre una minaccia per noi? 

 

Il giovane notò il modo in cui suo padre strinse i denti, forse ad indicare la sua irritazione nel sentirsi ritorcere contro le sue stesse parole. Alla fine, però, scosse il capo. 

 

-Si tratta degli ufficiali sarim. Il re ha fatto uccidere tutti quelli a palazzo e le loro famiglie. Li ha fatti radunare nel cortile principale e... ha ordinato alle guardie di decapitarli tutti, fino all'ultimo. 

 

Namjoon si dimenticò di respirare. Un brivido freddo gli attraversò la schiena e il petto prese a bruciargli per la mancanza d'aria.

 

-Ufficiali... sarim? 

 

No, no, no, no, c'era sicuramente un errore, non poteva essere, non poteva... magari non era... non era andata a palazzo... la sua famiglia non era stata chiamata... non poteva... 

 

-Sì. Praticamente tutti. E anche chi non si era presentato è stato ucciso nella propria casa. Lui e tutti quelli della sua famiglia. 

 

No... 

 

... no...

 

Tutto ma non questo... 

 

Namjoon era bravo a contenere le proprie emozioni. Suo cugino, Yoongi, diceva che era irritante il fatto che riuscisse così bene a mascherare quello che pensava davvero. Eppure in quel momento non sarebbe bastato tutto l'autocontrollo del mondo per impedirgli di crollare a terra e afferrarsi la testa fra le mani. 

 

-Figliolo, stai bene? 

 

-Avete contribuito a questo piano? 

 

La domanda fu sussurrata nel silenzio della casa e non ricevette alcuna risposta. Namjoon fece scattare la testa verso l'alto, scontrandosi con lo sguardo confuso di suo padre. 

 

-Avete contribuito, sì o no? 

 

La domanda si trasformò in un grido che spaventò perfino lui. Non aveva importanza. Nulla importava. 

 

-Namjoon, ho dovuto dare il mio sostegno al re. Se mi fossi opposto, i Kim sarebbero stati in pericolo. Quando un giorno diventerai il capo della famiglia capirai che...

 

Il ragazzo non ascoltò il resto della frase. Si voltò e prese a correre fuori da quella casa. Corse, corse a perdifiato anche quando la polvere del terreno gli si infilò in gola, facendolo tossire e facendogli pizzicare gli occhi. 

 

C'era ancora una speranza. Magari erano fuggiti. Magari qualcuno li aveva avvertiti ed erano scappati prima di essere raggiunti dai soldati. Magari...

 

Namjoon vide la residenza di lei all'orizzonte. 

 

Non vi aveva mai messo piede ma sapeva esattamente qual era. Lei gliel'aveva indicata più volte e lui aveva occasionalmente trascorso alcuni pomeriggi passeggiandoci davanti, fingendo indifferenza mentre lanciava occhiate all'interno per vedere se riusciva ad intravederla. 

 

Era silenziosa. Non sembrava abitata da nessuno. Infatti, quando si scaraventò sulla porta, iniziando a bussare nella speranza che qualcuno giungesse, quella si aprì dopo un solo colpo. 

 

E Namjoon vide. 

 

Vide il rosso che tingeva i pavimenti partendo dal petto di alcuni servitori riversi nel corridoio. 

 

Con la gola secca e gli occhi umidi, aveva aperto la bocca. Al primo tentativo, però, nessun suono vi uscì. 

 

-Nari... 

 

Un sussurro in una casa di fantasmi. 

 

Il rosso dilagava in ogni stanza, macchiava le pareti, strisciava pericolosamente verso le sue caviglie, pronto ad avvilupparsi attorno al suo piede. 

 

-Nari! 

 

Namjoon gridò. Nessuno rispose. 

 

Magari erano rimasti solo i servitori nella casa. Magari...

 

Namjoon entrò in una stanza. Non sapeva quale. Non aveva importanza. 

 

E vide il rosso che macchiava così rozzamente la pelle di luna di lei. 

 

 

 

Namjoon strinse i denti mentre sentiva il fastidioso punzecchiare sulla dita. Provò a rilassare la mano, lasciando che le delicate perle del fermaglio facessero capolino dal suo pugno. Se avesse stretto di più, avrebbe potuto romperlo e non se lo poteva permettere. Era tutto quello che gli rimaneva di lei. 

 

-Il re è pronto ad accogliervi. 

 

Il capo della servitù si piegò in un inchino profondo e Namjoon ricominciò a stringere i denti prima di rilasciare un rumoroso respiro dalle narici. Erano anni che non indossava un hanbok da nobile. Troppi strati, troppi fronzoli, troppa pesantezza. Gli costringeva i movimenti e soprattutto gli ricordava in maniera pedante che aveva rimesso piede in quella casa. 

 

Non solo. 

 

Aveva rimesso piede in quella famiglia. La famiglia che aveva collaborato a ucciderla. 

 

E suo padre aveva anche avuto il fegato di guardarlo con nostalgia e mormorare un: 

 

-Sei cresciuto molto, Namjoon.

 

Come se fosse stato una persona decente. 

 

Il giovane si costrinse a rilassare la postura. Sciolse le spalle, rilasciò la mandibola dalla sua morsa e allungò il collo in modo da enfatizzare ancora di più la sua altezza. Quando le porte furono aperte rivelando la sala del trono e il lurido verme che vi era seduto sopra, però, Namjoon dovette sforzare ogni fibra del suo corpo affinché non si rivoltasse contro di lui. 

 

Non era un tipo impulsivo. 

 

Non poteva tagliargli la testa lì, sul posto. Non ancora, per lo meno.

 

Doveva controllarsi. 

 

In quel momento, non era altro che il rappresentante della famiglia Kim. 

 

-Porgo i miei omaggi a sua maestà reale- disse piegandosi sulle ginocchia e poggiando la fronte a terra. 

 

Disgustoso. 

 

Ma non aveva scelta. 

 

-Namjoon! Erano anni che non si avevano tue notizie. E ora... guardati! Sei diventato un uomo!

 

Il giovane mantenne lo sguardo basso mentre sentiva il divertimento nella voce del sovrano, ma si dovette forzare ad aprirsi in un lieve sorriso di circostanza. 

 

-Mi fa piacere trovare favore agli occhi del re. 

 

Yonsangun amava le lusinghe. Infatti, il giovane sapeva che la sua replica lo avrebbe fatto gongolare non poco, ingentilendolo prima di avanzare la sua richiesta. 

 

-Dovremmo dare una festa in onore del tuo ritorno. Sembra che la posizione di capo dei Kim sia tornata al miglior candidato. D'altronde, non hai più neanche concorrenza, perciò... 

 

Namjoon corrugò le sopracciglia. 

 

Taehyung. Aveva fatto qualcosa a Taehyung? 

 

Non poteva essere, per quale motivo avrebbe... 

 

Sarebbe stato stupido e avventato, persino da parte sua.

 

No, no, no, se avesse toccato anche Taehyung... 

 

-Non credo di capire, mio signore. 

 

-Oh, non lo hai saputo? 

 

C'era una notevole dose di ilarità nella voce del sovrano. Il che non portava a nulla di buono.

 

Cos'era successo a Taehyung?

 

-A quanto pare tuo cugino è sparito. Nessuno riesce a trovarlo da ieri sera. La notizia ti sorprende Namjoon? 

 

Sì. Sì, diamine, la notizia lo sorprendeva! Dove se ne era andato? Era fuggito? O qualcuno lo aveva rapito? 

 

Non si era accorto neppure di avere spalancato le palpebre. Schiarendosi la gola, Namjoon cercò di riportare ordine sul suo volto. 

 

-Sì, mio signore. Non ero al corrente degli avvenimenti. 

 

Il re parve credergli perché, subito dopo, mugugnò in senso di comprensione. 

 

-Ma vuoi sapere la parte migliore? 

 

Una risata era nascosta nella voce del pazzo, congelando le membra di Namjoon. Cos'altro era successo? 

 

-Anche la schiava che avevo preso a Yoongi è sparita ieri sera. Non ti sembra un'incredibile coincidenza?

 

Il giovane dovette impedirsi con tutte le sue forze di sollevare il capo e fissare negli occhi l'uomo, oltre che di voltarsi e uscire da lì. 

 

Era sparita? 

 

Sparita? 

 

Dove diamine era andata? 

 

Chi l'aveva fatta uscire? 

 

E sopratutto... a cosa era servito tutto ciò? 

 

-Ne sai qualcosa, per caso, Namjoon? 

 

Il ragazzo si affrettò a scuotere il capo.

 

-No, mio signore, vi giuro che non so niente di questa storia. 

 

Era vero, in effetti. Anche se il suo intento iniziale era lo stesso, non aveva nulla a che fare con quella sparizione.

 

Ma allora... dov'era? 

 

-Ah, Namjoon, tranquillo, non ti sto accusando! So che sei un bravo ragazzo. E, poi, che interesse avresti nel liberare una schiava, giusto?

 

Namjoon deglutì il più sommessamente che poté. 

 

Giusto. Quale interesse aveva a liberare una schiava che lui stesso aveva venduto? 

 

Nessuno. 

 

-Oh, non ti crucciare per me. Lasciamo che vadano. Sono curioso di vedere in che modo è cambiato il mio fratellino e cosa è disposto a fare per quella donna... Sarà divertente. Ma noi abbiamo una festa da organizzare, perciò non parliamo di cose spiacevoli. 

 

Namjoon espirò nuovamente. Poi, annuì prima di aprirsi nel più falso sorriso che avesse mai esibito. 

 

-Ma certo, vostra maestà.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Povero joonie... tutta sta fatica per nulla. Finalmente abbiamo scoperto la sua backstory! Cosa ne dite? Tenete bene a mente tutto perché nomi, personaggi e avvenimenti ricorreranno più avanti...(ma non in questa storia 🤭🤭🤭🤭

Quindi... non dimenticatevi di Nari. Non la vediamo proprio bene bene ma non sparirà. 

Detto ciò, vado a seppellirmi nelle concept photo di butter mentre mi spengo lentamente. Perché non bastava Jimin coi capelli rossi... non bastava Yoongi con le extension fucsia e Hobi con un ombré assurdo... no! Dovevamo aggiungerci la divisa da carcerati con LE MANETTE A FORMA DI CUORE E LO STRAMALEDETTO CAR WASH CON LA SCHIUMA E L’ACUQA E I BICIPITI E

 

shh..... prendiamo un bel respiro. Pace mentale. Pace mentale. Karma. Almeno sono in prigione. Sono stati puniti per i loro crimini 🙏🏻

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** XL ***


-È stata una pessima idea. 

 

-Nessuno ci ha ancora scoperti.

 

-È comunque stata una pessima idea! 

 

Yoongi trasse un sospiro, sollevando lo sguardo al cielo. Avrebbe dovuto legare Seokjin ad una trave prima di lasciare la casa. Portarselo con sé? Quella sì che era stata una pessima idea. E ultimamente non aveva avuto molti momenti di genialità. 

 

Ma aveva funzionato, in un qualche modo. Si ritrovavano in una sudicia taverna della capitale e nessuno li aveva beccati. 

 

-Andrà davvero bene? Insomma, i vostri capelli... 

 

Il principe lanciò un'occhiata all'espressione corrucciata di Hoseok. 

 

-Ricresceranno.

 

D'altronde, non poteva mettere piede a Hanseong con una chioma lunga fino alla vita. Solo i nobili avevano il lusso di potersi far crescere i capelli a quel modo e di certo avrebbero attirato fin troppo l'attenzione per questo motivo. Invece, grazie al taglio netto con cui li aveva accorciati fino a fargli raggiungere le orecchie e a un ampio cappello di paglia a nascondere la cicatrice, erano riusciti a passare le guardie all'ingresso della città senza intoppi. 

 

Gli era bastato rimanere dietro al carretto, che si erano trascinati dietro come scusante in caso di scrutinio, e lasciare che Seokjin e Hoseok affrontassero le domande di procedura. 

 

-Che cosa trasportate? 

 

-Tessuti. 

 

-Che genere di tessuti? 

 

-Seta dall'impero. 

 

-Alzate il telo. 

 

Diamine. Yoongi si morse il labbro. Entrare era stato facile. Ma se avessero voluto portare via Taehyung e Diana senza attirare l'attenzione avrebbero dovuto farli nascondere nel carro. E se anche all'uscita le guardie li avessero obbligati a sollevare il telo che nascondeva il contenuto?

 

Accidenti. Doveva pensare ad un piano che gli avrebbe permesso di arginare il problema. Non che fino a quel momento ne avesse avuto uno vero e proprio. Anche tutta quell'idea di venire nella capitale era stata più una scelta impulsiva che una vera e propria mossa strategica. In effetti, era stata una decisione piuttosto stupida. 

 

Perché era venuto fin lì?

 

Namjoon doveva già essere a palazzo a quell'ora e con un po' di fortuna sarebbe riuscito a portare a termine il loro accordo. Infatti, se c'era una cosa che poteva dire di suo cugino, era senza dubbio che fosse un uomo di parola. 

 

E nonostante ciò... non poteva starsene nelle sue stanze ad aspettare. Aspettare che lei ricomparisse in quella casa. Per gli dei, probabilmente non sarebbe neppure voluta tornare! Era una schiava, venduta contro la sua volontà e che lui aveva trattato con grande mancanza di rispetto. 

 

Quale motivo avrebbe avuto di tornare?

 

Sarebbe scappata da Namjoon e sarebbe sparita. Per sempre. 

 

Yoongi si afferrò stancamente la testa. E, dunque, perché lui era lì? Perché? 

 

Se lei se ne fosse voluta andare, che lo facesse. Per lui non faceva una grande differenza in fondo. Una voce in meno a cicalecciare durante i pasti. Una persona in meno da sfamare. Una distrazione in meno a interromperlo durante i suoi sonni pomeridiani. 

 

Giusto? 

 

-Mio signore, che cosa avete intenzione di fare, allora? Aspettiamo che Namjoon ritorni dal palazzo? 

 

Il principe non sollevò il capo. Afferrò il bicchiere postogli d'innanzi e prese a sorseggiare. 

 

-Vi ho detto diverse volte di non usare il linguaggio formale in questo posto. E comunque sì, aspetteremo il suo ritorno. Non abbiamo alternative per ora. 

 

Jimin lo guardò con un velo lucido sugli occhi prima di riprendere a guardarsi attorno con circospezione e un leggero tremore che gli pervadeva il corpo. 

 

-S... scusa, hyung. 

 

Il contadino deglutì e serrò la bocca. Da che avevano messo piede nella capitale non aveva fatto che osservare tutto ciò che lo circondava con un misto di meraviglia e terrore. Jungkook, d'altro canto, sembrava l'esatto opposto. Camminava per le strade impolverate come se non avesse mai smesso di vivere lì. La postura del corpo rilassata e uno sguardo indifferente negli occhi, nonostante, in aggiunta, avesse dovuto rinunciare a tenere la spada al fianco per evitare di attirare l'attenzione. Aveva dovuto nasconderla nel carretto e infilarsi sotto l'hanbok sdrucito un paio di pugnali. 

 

Yoongi si fermò a rimirare l'acqua leggermente torbida nel bicchiere che stringeva in mano. In essa poteva vedere un frammento del proprio riflesso, insieme a un accenno delle travi del soffitto e della penombra dell'ambiente. 

 

Perché era lì? 

 

Quella domanda lo ossessionava in maniera fastidiosa. Forse, la risposta lo ossessionava ancora di più. E forse si stava preparando a professarla a se stesso. 

 

Una risposta semplice, stupida. 

 

Ridicola. 

 

Yoongi sollevò pigramente gli occhi. Odiava l'introspezione che conduceva a lidi scomodi. Era semplicemente... 

 

Spalancò le palpebre. 

 

"Ma cosa..."

 

No, doveva aver visto male. 

 

Non poteva... 

 

Strizzò gli occhi, cercando di incolpare la carenza di luce alla visione che gli era apparsa dinanzi. 

 

Ma non c'era dubbio. 

 

-Mio... hyung! Dove stai andando? 

 

Yoongi ignorò la domanda di Hoseok. Si era alzato dalla sedia in un battito di ciglia, non curandosi neppure di tenere il capo chino per nascondere la cicatrice. Il suo sguardo era fissato su un volto che conosceva fin troppo bene. 

 

Che conosceva ridicolmente bene. 

 

Yoongi avrebbe voluto scoppiare a ridere in quel momento. In quei cinque anni non era cambiato affatto. La mandibola era solo diventata più definita, togliendogli appena quell'aspetto infantile che abitava sul suo volto. Ma il resto di lui era lo stesso. 

 

Quegli occhi erano gli stessi. 

 

-Che cosa diamine ci fai qui? 

 

Yoongi afferrò il braccio del ragazzo, costringendolo a voltarsi verso di lui con un sguardo terrorizzato. Taehyung restò immobile a guardarlo per un tempo che parve infinito, cancellando intorno a loro tutto il chiasso e l'ingombrante fragore della taverna. 

 

-... hyung? 

 

Lo fissava come se avesse avuto davanti uno spettro. E Yoongi in quel momento avrebbe voluto tirarlo verso di sé e abbracciarlo, come aveva fatto lui il giorno in cui se n'era andato ma, maledizione, nel momento in cui si era avvicinato aveva potuto notare che Taehyung era cresciuto al punto da diventar ormai più alto di lui. 

 

Lo stupido marmocchio era diventato più alto di lui!

 

-Taehyung, per quale stramaledetto motivo ti trovi in una sudicia taverna nella periferia vestito da mercante? 

 

Il ragazzo non emise una parola, ma i suoi occhi percorsero increduli il suo volto, come se non volesse realizzare che lui fosse davvero lì, davanti a sé. Allora Yoongi si voltò spazientito e prese a trascinarlo in direzione del tavolo a cui era seduto in precedenza. 

 

-... hyung... Hyung, aspetta! 

 

Taehyung si fermò e puntò i piedi nel pavimento, costringendolo a fermarsi e a voltarsi con sguardo furente. Non dovevano attirare l'attenzione. Mettersi a fare una scenata davanti a tutti i commensali non era decisamente un buon metodo per passare inosservati. Ma, per tutti gli dei, il ragazzino era diventato anche più forte e il suo braccio aveva messo su un principio di muscolo che avrebbe fatto sogghignare Yoongi. 

 

-Che c'è? 

 

Taehyung lo guardò spalancando gli occhi e tentando di dare forma alle parole che voleva pronunciare. 

 

-La... la ragazza! La ragazza è di fuori, nel carro! 

 

Yoongi si bloccò. Il fiato gli era rimasto incollato in gola, lasciandolo senza respiro. 

 

-Cosa? 

 

 

 

Yoongi fissò a lungo suo cugino, immobile. 

 

-Taehyung... cosa... 

 

-Dopo ti spiego, hyung! 

 

Il ragazzo si liberò con un movimento svelto dalla sua presa e lo afferrò a sua volta, prendendo a trascinarlo verso il retro della taverna. Una volta usciti dalla sala piena di commensali, attraversarono le stalle in cui venivano tenuti i cavalli dei viaggiatori e giunsero nell'area in cui avevano precedentemente lasciato il loro carro. 

 

-Taehyung, che cosa stai... 

 

Il ragazzo, senza una parola, si avvicinò ad un mezzo coperto da un telo pesante e diede una veloce occhiata in giro. Poi, abbassò di nuovo lo sguardo e con un movimento lesto sollevò un lembo della copertura. 

 

Il principe, corrugando le sopracciglia, strinse gli occhi per poter vedere il contenuto, chinandosi leggermente in avanti. 

 

Due occhi di giada si spalancarono nella semioscurità. Una mano si portò davanti alla bocca rosea e la coprì velocemente, forse ad uccidere il verso di sorpresa che doveva esserle nato in gola. 

 

Yoongi era... 

 

Era... 

 

... senza parole. 

 

Eccolo lì. Eccolo il motivo per cui era lì. Semplice e limpido come la luce del giorno. Semplice e bellissimo, come le spighe di grano e i raggi del sole. 

 

-Che cosa ci fate qui? 

 

Diana abbassò appena la mano davanti alla sua bocca e sussurrò la domanda, guardandolo ancora con gli occhi spalancati. 

 

Yoongi non rispose. Rimase lì, fermo come un tronco, a fissare la bellissima creatura. 

 

Alla fine, dopo un tempo troppo lungo probabilmente, scosse il capo incredulo. 

 

-Come... come avete fatto a... 

 

-Lei è riuscita scappare dalla stanza del re ieri sera, dopodiché ci siamo infilati nel carretto e un servitore ci ha fatto uscire da palazzo. Stavamo per venire da te!

 

Il principe sollevò lo sguardo stralunato su Taehyung, che lo fissava con seria determinazione e, forse, un pizzico di timore. 

 

-Lo so che avrei dovuto restare qui ma... non potevo più, hyung. Io... volevo essere al tuo fianco e... 

 

Yoongi scoppiò a ridere. 

 

Il ragazzo e Diana lo guardarono come se fosse improvvisamente impazzito. E forse era così. Ma non aveva mai riso così forte in tutta la sua vita. 

 

La risata rombava nella sua gola come una pioggia torrenziale, contorcendogli le interiora e costringendolo a piegarsi in avanti e afferrarsi l'addome. 

 

-Hyung? 

 

Neppure lo scalpiccio concitato di passi in avvicinamento fu in grado di fermare il flusso di risa che ancora lo sconvolgeva. In poco tempo, infatti, si ritrovò accanto il resto della compagnia che aveva lasciato all'interno della taverna. 

 

-Hyung, stai... bene? 

 

Yoongi si asciugò le lacrime che erano comparse agli angoli dei suoi occhi, cercando di respirare e calmare gli spasmi che gli prendevano lo stomaco. 

 

-Si sono liberati! Si sono liberati da soli! 

 

Il gruppo si scambiò una serie di occhiate confuse, prima di fare cadere lo sguardo verso il lembo ancora alzato del telo. 

 

-Oh.

 

Il verso di sorpresa di Jin cadde nel più totale silenzio, prima di scatenare una tempesta di voci.

 

-Diana-ssi! 

 

-Diana! 

 

-Diana cosa...

 

La ragazza si aprì in un sorriso mentre contemplava la sfilza di volti che si susseguivano davanti allo spiraglio di luce per guardarla, increduli. 

 

-Come stai? 

 

Hoseok abbassò il tono della voce, ma la dolcezza che vi era nascosta dietro non ne fu smorzata. Contemplò con attenzione quello che riusciva a vedere del corpo della ragazza, studiando con occhi apprensivi ogni pezzo di pelle che potesse scrutare. 

 

-Sto bene. Sono riuscita a scappare prima che le cose si mettessero male.

 

L'assistente serrò le palpebre. E trasse un lungo sospiro. 

 

-Hoseok. 

 

Il giovane riaprì gli occhi e portò l'attenzione al signore. 

 

-Devi raggiungere la casa di Namjoon. Dì che devi portare una questione urgente alla sua attenzione. Sicuramente gli sarà già stato riferito che lei e Taehyung sono scomparsi, ma non saprà dove si trovano. Riferiscigli la nostra posizione e che domani ripartiremo per Pyeongan-do. 

 

Hoseok fece per andarsene, prima di voltarsi un'ultima volta verso di lui.

 

-Cosa gli dico per quanto riguarda il vostro accordo? 

 

Yoongi abbassò lo sguardo e si morse l'interno della guancia. Con uno sbuffo, sollevò gli occhi al cielo. 

 

-Digli che manterrò la mia parola. 

 

Il suo assistente rimase a fissarlo per un istante, prima di acconsentire con un cenno secco del capo e andarsene. 

 

-Jungkook. 

 

Il ragazzo si avvicinò, bloccandosi prima di piegarsi nell'inchino che normalmente gli avrebbe rivolto in segno di rispetto. 

 

-Dovrai rimanere qui e fare la guardia al carro. Se avrai bisogno di riposo, manderò Hoseok a darti il cambio. Ma fino a domattina deve sempre essere sotto sorveglianza. 

 

Jungkook annuì con un cenno determinato e si diresse verso il loro mezzo per riprendere la spada e appoggiarsela al fianco. 

 

-Jimin, entra nella taverna, prendi un'altra porzione di cibo e portala qui.

 

Il ragazzo, con occhi ancora spalancati ma attenti, si voltò prontamente e prese a marciare verso l'ingresso, seguito da Seokjin che, molto probabilmente, voleva tornare al suo pasto.

 

Yoongi, allora, si rivolse verso suo cugino, che lo fissava con quello che pareva un misto di ammirazione e stupore. 

 

-Io e te dobbiamo fare un bel discorso. Aspettami dentro, ti raggiungo in un istante. 

 

A quelle parole, Taehyung deglutì visibilmente, come un bambino che si preparava ai rimproveri di un genitore, ma abbassò il capo e si allontanò a sua volta. 

 

Infine, il principe abbassò lo sguardo sui due occhi di giada che continuavano a fissarlo con curiosa incredulità. 

 

-Dovrai restare qua per evitare di attirare l'attenzione. Jimin ti porterà del cibo e Jungkook si assicurerà che nessuno abbia la strana idea di portarsi via il carro. Purtroppo, dovrai avere un po' di pazienza. 

 

Il tono della sua voce era smaccatamente dolce. Così dolce che Yoongi a mala pena riconobbe le sue stesse parole. Lei, però, non parve farvi caso. 

 

-Non... non è un problema. 

 

Il signore rimase fermo lì. Avrebbe dovuto dirle qualcosa... in effetti, avrebbe dovuto dirle molte cose, ma la sua mente sembrava completamente congelata. 

 

-Io... mi dispiace per quello che ho detto. 

 

La ragazza sbatté le palpebre. 

 

-Su tuo padre. 

 

Quanto poteva essere stupido? Di tutte le cose che avrebbe potuto dire... iniziando un discorso che non c'entrava nulla con la situazione in cui si trovavano... 

 

-Perché siete qua? 

 

Il principe la guardò. La frase l'avrebbe dovuto spiazzare ma ormai non aveva più la razionalità per rifletterci su. 

 

Eccolo. Il punto focale di tutto. La domanda finale di tutta quella faccenda. E lui, prima di poter fermarsi, sbottò la risposta a quegli occhi color giada che lo scrutavano con ansia.

 

-Per te.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

UH LA LA Min Yoongi sta iniziando a sciogliersi! Ma, non temete, questo è solo l’inizio! Comunque, povero. Tutto quello che ha fatto non è servito a niente alla fine XD si è perfino tagliato i capelli, cioè, capite?! Altro che ridere, dovevo fargli avere una crisi d’ansia. E per il prossimo capitolo beh... preparate i fazzoletti. Oh boy. Vi aspetta un momento sofferenza che penso vi colpirà a tradimento. 

 

Detto ciò, non vedo davvero l’ora di finire questa storia. Ho grandi piani in mente e stanno prendendo sempre più forma. Vi anticipo già che sono in cantiere ben quattro nuove storie, ma non posso iniziarle contemporaneamente perché questa diventerà una sorta di serie esistente nello stesso universo, perciò dovranno essere consequenziali. Siete curiosi di scoprire di più? 

 

Piccolo appunto, Hanseong era il nome del tempo di Seoul.

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** XLI ***


"Perché ci tengo a te" sarebbe stato più corretto.

 

"Perché credo di essermi innamorato di te" avrebbe centrato completamente il bersaglio. Ma le parole che erano sfuggite dalle sue labbra erano già troppo. Erano già più di quanto avesse ammesso a se stesso. 

 

Infatti, senza aggiungere altro, si era voltato e aveva ripreso a marciare verso la taverna, lanciando una breve occhiata alla sua guardia che andava a sedersi contro il fianco del carro, la fedele spada nuovamente legata alla cinta. 

 

Una volta rientrato nella stanza carente di luce e carica di persone, non gli ci volle molto per ritrovare con lo sguardo il volto allegro di Taehyung, intento a sostenere una conversazione con Seokjin. 

 

Diamine, anche vestito come un popolano, i suoi lineamenti e il suo largo sorriso risaltavano in quella stanza come oro in un letto di carbone. La sua intera persona era così ricca di fascino che attirava avidamente gli sguardi degli osservatori senza nemmeno provarci. 

 

Yoongi raggiunse il loro tavolo in un batter d'occhio e, non appena si sedette, fissò il proprio sguardo ferreo in quello ansioso del cugino, che aveva immediatamente cessato di parlare. 

 

Il cuoco, saltando dalla figura del principe a quella del ragazzo, infine, si sollevò con uno sbuffo. 

 

-Credo che ne approfitterò per fare un giro e comprare qualche ingrediente, già che siamo nella capitale. Ma non vi preoccupate per me, mal che vada potrete venire a cercarmi se non sono tornato entro il tramonto. 

 

Yoongi non si mosse di un soffio e non rispose al sarcasmo dell'uomo, ma Taehyung si sciolse dal suo sguardo insistente per salutarlo e guardarlo andare via. Quando, però, riportò gli occhi sul cugino, abbassò velocemente il capo con una punta di vergogna. 

 

Il principe lo osservò. Infine, trasse un sospiro stanco. 

 

-Tua madre metterà a ferro e fuoco la capitale pur di trovarti. 

 

Taehyung sollevò lo sguardo, esitante. 

 

-È possibile. Le ho lasciato una lettera dove le ho scritto di non cercarmi ma non credo che ne terrà conto. 

 

Yoongi mantenne gli occhi sul ragazzo, contemplando più da vicino i suoi tratti così familiari. I lunghi capelli scuri erano avvolti in una crocchia fissata sulla cima della sua testa, ma questo non distoglieva l'attenzione dalle curve gentili del suo volto. 

 

-Stava iniziando i preparativi per il mio matrimonio. La figlia di un Park, a quanto pare. 

 

Il principe fece schioccare la lingua in segno di sdegno. Ovviamente, quella donna non aspettava altro che organizzare un'unione politicamente vantaggiosa che assicurasse ancora di più la sua posizione. 

 

-Diana-ssi mi ha detto che hai ricevuto le mie lettere. 

 

Yoongi tornò a guardare il volto del cugino, ma questo era leggermente abbassato e pareva, dal modo nervoso in cui si mordeva il labbro inferiore, che fosse lievemente in imbarazzo. 

 

Il signore trasse un respiro e alzò appena gli angoli della bocca. 

 

-Anche i tuoi disegni. Alcuni li ho fatti appendere alle pareti. 

 

Taehyung sollevò lo sguardo su di lui con una piega sorpresa nelle sopracciglia, strappandogli un principio di sorriso. Poi, però, il ragazzo abbassò nuovamente il capo, come se qualcosa gli fosse tornato alla mente riportandolo nel suo stato di imbarazzo. 

 

-Hyung... non... non sei arrabbiato?

 

Yoongi piegò lievemente il capo.

 

-Che sei scappato di casa per venire da me? 

 

Il cugino si morse nuovamente il labbro, scuotendo la testa freneticamente. 

 

-A dire la verità, ci hai alleggerito il lavoro. Avevamo intenzione di portarti via comunque, io e Namjoon. 

 

Lui, ancora una volta, sollevò il capo sorpreso. 

 

-Davvero? Aspetta... Namjoon-hyung è tornato? 

 

Yoongi annuì assente mentre emetteva uno sbuffo massaggiandosi le palpebre. 

 

-Fidati, non se n'è mai andato... 

 

Quando riaprì gli occhi, lo sguardo attento e ancora così curiosamente infantile di Taehyung era su di lui. Non lo fissava più con ansia o preoccupazione, ma sembrava nascondere una strana impazienza che divertì Yoongi. 

 

-È bello riaverti al mio fianco- mormorò lui alla fine, ignorando la sensazione di imbarazzo che bussava alla sua mente nel pronunciare quelle parole. 

 

-Hyung, perdonami...

 

Il principe voltò velocemente la testa e vide il suo assistente in piedi accanto a lui con un bizzarro oggetto stretto fra le mani. Ad un suo cenno, il ragazzo si sedette velocemente al suo fianco e iniziò a raccontare. 

 

-Namjoon era appena tornato. Era piuttosto contrariato dal fatto che il piano sia stato inutile, ma era anche rasserenato dal sapere che Taehyung-ssi era con noi. 

 

Yoongi annuì appena. Poteva comprendere la reazione. Accidenti, se lo avesse saputo, non avrebbe promesso di organizzare un maledetto colpo di stato! In fondo, si trovavano entrambi nella stessa scomoda posizione. Incastrati in ruoli che non desideravano. 

 

-Namjoon mi ha anche detto di riferirvi che... 

 

Hoseok abbassò lo sguardo sull'oggetto che teneva ancora in mano. Era un cilindro lungo, di pelle lavorata e lucidata con un colore scuro e sembrava aprirsi tramite dei coperti alle estremità. Infine, aveva un cordolo che probabilmente serviva per essere portato in spalla. 

 

Il suo assistente inspirò. 

 

-Un eunuco dell'impero si è presentato alla sua porta. Era in cerca di una ragazza dell'età di diciannove anni dai capelli del colore del grano e gli occhi di giada. 

 

Yoongi sentì il corpo irrigidirsi. Stringendo la mandibola, ricominciò a studiare l'oggetto fra le mani di Hoseok con più attenzione. 

 

-Ha detto, in caso qualcuno riuscisse a trovarla, che questo appartiene a lei. 

 

 

 

Yoongi passò le dita sulla pelle immacolata del cilindro, sbattendo pigramente le palpebre. Non c'erano dubbi che cercassero Diana. Lei aveva parlato nel suo racconto di un eunuco dell'impero perciò era certo che fosse lei. 

 

Trasse un sospiro.

 

Era giusto così. Avrebbe comunque avuto bisogno di un motivo per recidere il loro legame. Questa non era che la giusta scusa per farlo, senza dover convivere con la colpa di essere stato lui a cacciarla. A prescindere da tutto, lei se ne sarebbe andata. A prescindere da lui e da quello che le avrebbe detto. 

 

Ma era quello che lui voleva. 

 

Quindi era giusto così. 

 

-Di cosa volevate parlarmi, mio signore?

 

Il principe aspirò le guance verso l'interno, prendendo a scavarne la parete con i denti. 

 

Un problema alla volta. 

 

Aveva già altri legami da recidere e altre persone da... sistemare. 

 

La stanza della locanda che sormontava la taverna era vuota, eccezion fatta per lui e Hoseok, dal momento che l'unico altro residente era Jungkook. Jimin, Seokjin e in aggiunta anche Taehyung erano in quella adiacente. Il silenzio, quindi, pesava gravemente sulle loro spalle come una soffocante coltre di umidità. Per Yoongi, almeno. 

 

-Puoi scegliere se rimanere qua o tornare a Pyeongan-do. La capitale offre maggiori opportunità di lavoro e ora che tu sai leggere e fare di conto potresti trovare facilmente un nuovo impiego. D'altro canto, ci saranno sicuramente agitazioni a causa dell'attacco che provocheremo perciò Pyeongan-do potrebbe essere una scelta più...

 

-Di cosa state parlando? 

 

Hoseok lo fissava come se Yoongi avesse avuto un pugnale insanguinato in mano. Come se gli avesse appena trapassato la pancia, perforandogli le viscere e bagnandosi del suo sangue. 

 

Il principe strinse i denti e cercò di cancellare quel poco di emozione che si era dipinta sul suo volto. 

 

-Sai bene che cosa mi attende a breve. Dal momento in cui mi dichiarerò nemico del re, chiunque sarà al mio fianco morirà. È un dato di fatto. 

 

Hoseok prese a scuotere la testa, fissandolo come se fosse pazzo. 

 

-Voi... voi mi state chiedendo di... 

 

-Vattene prima che sia troppo tardi. 

 

Il tono arido di Yoongi tagliò la replica del ragazzo, lasciandolo con la bocca spalancata e uno sguardo stralunato negli occhi. Al suo assistente ci volle qualche secondo per superare lo stupore e, quando lo fece, serrò violentemente la mandibola. 

 

-Mai. 

 

-Morirai. 

 

Era una verità semplice e chiara. Yoongi ne era consapevole, Hoseok ne era consapevole. L'allontanamento era, dunque, la scelta più ovvia. 

 

-Non m'importa! Che mi uccida! 

 

-Hoseok. 

 

Il ringhio basso mise a tacere il ragazzo ma i suoi occhi non avevano perso la loro luce furente. A Yoongi, però, non importava. 

 

-Vattene e trova un posto lontano. Non ha senso rischiare la tua vita in questo modo. 

 

-Yoongi. 

 

Il principe osservò l'espressione sofferente del suo assistente mentre il senso di colpa rimbombava nella sua testa come una campana stonata. 

 

-Io non me ne andrò. E se le parole che mi dicesti hanno un minimo valore per te, non mi puoi chiedere di farlo. 

 

Yoongi abbassò il capo, stringendo le labbra in una linea tremante. 

 

-Hoseok... sai, la mia famiglia fa schifo. 

 

Si erano ritrovati a osservare la pioggia seduti lungo la passerella che circondava il cortile, con i piedi a penzoloni sul vuoto che ondeggiavano avanti e indietro, bagnandosi leggermente. 

 

Ed erano entrambi così vulnerabili. 

 

Hoseok aveva raccontato la sua storia. E Yoongi aveva raccontato la propria.

 

E quando il silenzio era sceso su di loro in maniera confortevole e rassicurante, il principe sapeva che quella era la cosa giusta da dire.

 

-Sono parole che ho detto sul momento.

 

Aggrottando le sopracciglia, ingoiò i sensi di colpa che gli ostruivano la gola. 

 

-Bugiardo. 

 

Hoseok lo fulminò con uno sguardo che comunicava quanto le sue fandonie fossero poco credibili.

 

-La mia famiglia fa schifo... ma non mi dispiace la tua compagnia. 

 

-Sappiamo entrambi che quelle parole avevano significato sia per te che per me. 

 

Yoongi cercò nella sua mente una replica piccata, qualcosa da lanciare contro al ragazzo in modo che si allontanasse. Magari che lo ferisse. Forse, se lo avesse odiato, se ne sarebbe andato di sua spontanea volontà. 

 

-Non vivere nell'illusione di conoscermi, Hoseok. 

 

Il suo assistente contorse la bocca in una smorfia disgustata. 

 

-I tuoi tentativi sono veramente patetici. 

 

Yoongi emise uno sbuffo dal naso. Era vero. Lui era davvero patetico. 

 

-Non vi dispiace la mia compagnia? 

 

Hoseok, in quel pomeriggio di pioggia, era scoppiato in una risata sguaiata, una di quelle così rumorose da rimbombare in tutta la casa. 

 

-È così difficile per voi dire che siete contento di avere un amico? 

 

Yoongi, a quella domanda, aveva iniziato a borbottare fra i denti, voltando il capo. 

 

-Andiamo, non è così dura. Dite: Hoseok, sei il migliore amico che avessi mai potuto avere. 

 

Il principe aveva serrato le labbra, puntando ostinatamente gli occhi sulla pioggia che faceva piegare gli steli d'erba. 

 

-Andiamo...

 

Quando Hoseok aveva preso a strattonargli il braccio, cantilenando la parola e ridacchiando, Yoongi aveva sbuffato. 

 

-Non era questo che volevo dire. 

 

Il ragazzo lo lasciò finalmente andare, senza abbandonare quel sorrisetto che gli dominava le labbra sottili e gli dava un'aria saccente. 

 

-Davvero? E allora cosa volevate dire?

 

Yoongi incrociò le braccia al petto arricciando appena la bocca. 

 

-Non ha importanza. 

 

-Andiamo... 

 

Quando Hoseok riprese a sbatterlo da una parte all'altra trascinandolo per il braccio, il principe si dimenò fino a liberarsi. 

 

-Va bene, ma ora mollami! 

 

I ragazzi lasciarono che il silenzio tornasse per qualche breve respiro, portando con sé l'odore del terriccio umido e la pungente fragranza dell'erba bagnata. 

 

-Non avrà nessun tipo di rilevanza. In fondo, non sono il re, perciò... 

 

Hoseok piegò il capo, osservandolo con evidente curiosità ma tenendo le labbra serrate. 

 

-Il mio cognome può avere valore per molti, ma non per me. Per me... non significa nulla. Come l'uomo che me l'ha dato. Però, è tutto quello che possiedo. 

 

Yoongi, allora, voltò finalmente il suo viso per scrutare il ragazzo al suo fianco. 

 

-Lo vuoi? 

 

Hoseok sbatté le palpebre, uno sguardo confuso negli occhi. 

 

-Vuoi essere un Min? 

 

Il principe finse noncuranza mentre avanzava quella proposta, ma il respiro affilato che il ragazzo trasse a quella domanda lo rese nervoso. 

 

-Come ho detto, non ha un grande valore ma... almeno in questo modo lo condividerei con qualcuno che sento davvero possa essere parte della mia famiglia. 

 

Yoongi credette di vedere delle lacrime nascere agli angoli degli occhi del ragazzo ma non ne fu sorpreso. Lui, almeno, aveva Taehyung ma Hoseok... Hoseok non aveva nessuno. Nessuno da poter chiamare famiglia. 

 

-Allora, che cosa ne dici, Min Hoseok?

 

-Io sono un Min. Lo hai detto tu. Io sono la tua famiglia. E non me ne andrò, neanche se mi dovessi far trascinare via! 

 

Yoongi si accartocciò in avanti prendendosi la testa fra le mani. Non aveva la forza di ribattere. Non aveva la forza di fingere che non gli importasse nulla quando invece doveva convivere con l'idea che una delle poche persone di cui si fidava stesse rischiando la vita. 

 

-Hoseok... ti prego... 

 

La sua voce si era ridotta ad un sussurro tremante. Una patetica supplica. 

 

-Ti prego... non morire. 

 

Il principe si sentì prendere per le spalle e dopo poco fu costretto a guardare negli occhi il suo... migliore amico. 

 

-Io non morirò- affermò il ragazzo puntandogli un dito contro il viso, come a minacciarlo. 

 

-Io non morirò, perché devo vederti diventare re e restare al tuo fianco. Sono stato chiaro? 

 

Yoongi osservò lo sguardo determinato del suo amico e sospirò. Era stanco, aveva una forte emicrania dovuta alla mancanza di sonno e non aveva la forza. Hoseok sapeva essere sfiancante quando voleva perciò il principe sapeva chi sarebbe stato il vincitore finale se la battaglia si fosse protratta ulteriormente. 

 

-Vai a dare il cambio a Jungkook e digli di venire da me. 

 

Il suo assistente si alzò in piedi con uno sguardo soddisfatto in volto. Sapeva di aver vinto, il maledetto. Anche se il signore non l'aveva ammesso ad alta voce, lo sapeva. 

 

-Per convincere anche lui ad andarsene? 

 

L'espressione di Yoongi, se possibile, si rabbuiò ulteriormente. 

 

-No.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

OK! MOMENTO SPIEGAZIONE IMPORTANTE! Di solito non mi aspetto che lèggiate le spiegazioni culturali perché so che ad alcuni possono non interessare e va benissimo così. Ma in questo capitolo è fondamentale per capire lo scambio tra Yoongi e Hobi perciò vi incoraggio a leggere. 

 

All’inizio della storia vi avevo scritto che solo i nobili hanno il cognome (infatti avevo messo uno spoiler sulla vera identità di Namjoon nel collage di presentazione, in cui è appunto presente anche il suo cognome). La gente del popolo al tempo quindi non aveva cognomi, solo nomi personali. Gli unici modi per poter acquistare un cognome erano: assumendo il cognome di una famiglia nobiliare durante il censimento (ecco spiegato perché la Corea è piena di Park e Kim, che erano due famiglie nobili molto in vista) oppure ricevendolo in dono dal re in persona come riconoscimento per un particolare avvenimento. Yoongi, in questo caso, avrebbe usato il secondo anche se, come specifica lui stesso, non è tecnicamente valido perché lui non è re. E nonostante ciò lo vogliamo spupazzare comunque per la sua dolciosità 🥺

 

Cosa mi dite? Vi è scappata la lacrimuccia a questo capitolo? Vi avviso che il prossimo sarà dedicato a Jungkook e a una buona dose di struggle interiore. E il capitolo dopo beh.... 😌🤫😏 

 

Dunque, ultima cosa! Dal momento che nel capitolo scorso vi ho drappato l’annuncio che ci sono in cantiere quattro nuove storie, eccovi un programma dei concept generali su cui si baseranno! Alla fine, ogni membro avrà una storia dedicata e sarà tutte correlate in modo consequenziale. 

 

Jin - Solitary, soulmate au (non dirò altro perché prossimamente vi dropperò in anteprima la sinossi) 

 

Taehyung - alternate universe in cui una tessistorie incontra un cantastorie e da lì succederanno cose 

 

Jungkook - la famosa rivisitazione del mito di Ade e Persefone che vedrà Jungkook invece che Namjoon come protagonista e che possibilmente conterrà anche rivisitazioni di Apollo e Dafne e Eros e Psiche

 

Namjoon - il giorno e la notte sono delle persone. E anche alba e tramonto. E anche le stagioni (chissà se sapete indovinare chi sarà cosa 😙)

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** XLII ***


La gamba di Jungkook rimbalzava nervosamente su e giù. Seduto contro il fianco di legno del carro sotto alla luce ambrata del tramonto, cercava con tutte le sue forze di non contorcersi ad ogni respiro, intrappolando il suo corpo in una morsa controllata. 

 

La sua mano era appoggiata sul fianco, distrattamente serrata attorno all'elsa della spada che era tornata al suo posto predestinato. C'era qualcosa di profondamente sbagliato nella leggerezza della sua cintura senza di essa, leggerezza che aveva dovuto sperimentare nel tragitto per entrare nella capitale. Era come ritrovarsi improvvisamente senza un braccio o senza una mano. L'assenza del famigliare sbatacchiare della punta della lama contro la sua gamba gli dava un senso di vertigine, di vulnerabilità. I suoi occhi si erano guardati attorno convulsamente, ansiosi nel captare qualsivoglia pericolo potesse anche solo pensare di avvicinarsi. 

 

Senza la sua spada, per le strade della città dei suoi incubi, si era sentito come quel bambino che aveva osservato il petto dei suoi genitori venire trapassato da parte a parte e traboccare come una fonte zampillante. Quel bambino gracile e tremante, così maledettamente terrorizzato, che non aveva potuto fare altro che abbassarsi e osservare con occhi spalancati il sangue che gorgogliava dalle loro gole, vomitato fuori da corpi esanimi. 

 

Jungkook serrò le palpebre. Trasse un lungo, lento sospiro. Stringendo il metallo sotto le dita cercò di dipingere di nero tutto quello che nella sua mente stava diventando rosso. 

 

Quel rosso che aveva ricominciato a vedere da che aveva rimesso piede in quella città. 

 

-Ti hanno fatto del male? 

 

Furono le prime parole che pronunciò da che si era posizionato a guardia del carro. A quell'ora non doveva preoccuparsi di orecchie indiscrete che avrebbero potuto domandarsi come mai un ragazzo parlasse da solo mentre stringeva una spada fra le mani, dal momento che era ormai orario di cena e la maggior parte degli ospiti della locanda dovevano trovarsi a tavola. 

 

Non sapeva se Diana si fosse addormentata nel frattempo, ma ebbe una risposta quando, poco dopo, sentì il rumore di qualcosa che si spostava all'interno del carro. 

 

-No, sto bene. Tutto sommato, mi hanno trattato meglio dei primi uomini che mi hanno presa. 

 

Jungkook strinse appena i denti. 

 

-I tuoi polsi però sono di nuovo feriti. 

 

Alla sua affermazione, seguì un breve silenzio. 

 

-Non fanno male. Sono stata legata per molto meno tempo questa volta e mi hanno dato l'opportunità di medicarmi.

 

Il ragazzo emise uno sbuffo col naso. Era comunque ferita. E per qualche misterioso motivo la cosa sembrava irritarlo grandemente. 

 

-Tu come stai? 

 

La guardia contorse le sopracciglia, arricciando le labbra in un broncio confuso.

 

-Io? 

 

Il silenzio che seguì sembrò essere indeciso, come se la persona che l'aveva causato non sapesse bene come approcciare la risposta. 

 

-Credo che non sia facile per te tornare qua. Stai bene?

 

Jungkook si passò brevemente la lingua fra i denti. Stava bene? 

 

Avere il terrore di chiudere gli occhi per paura di vedere tutto rosso era stare bene? 

 

Tremare ad ogni passo che muoveva in quel suolo maledetto era stare bene? 

 

Cercare stupidamente una tomba che sapeva non esistere era stare bene? 

 

Jungkook scosse le spalle prima di ricordare che lei non avrebbe potuto vederlo. 

 

-Sto bene.

 

Dall'interno del carro, Jungkook poté chiaramente udire un sospiro.

 

-Ne sono sicura. Però, nel caso non fosse così... non vorrebbe dire che tu sia fragile. 

 

Il ragazzo abbassò lo sguardo a terra, contorcendo la bocca in una smorfia.

 

-Non sei più un bambino. Le cose che una volta potevano spaventarti ora le puoi sconfiggere. Sei diverso e sei cresciuto. Non ho ragione? 

 

Jungkook sentì un vago e nostalgico bruciore salirgli agli occhi. Non piangeva dalla notte in cui era rimasto sdraiato tra gli arbusti nella foresta, dopo essere sfuggito dal cortile di sangue. Quando era un gracile dodicenne e una spada lo aveva quasi trapassato come aveva fatto con suo padre e sua madre. 

 

Deglutì. La spada non era più contro il suo petto, ma al suo fianco. 

 

Jungkook non rispose mai. Rimase a contemplare i grumoli di terriccio sotto i suoi piedi, mentre si deliziava del silenzio che la sera aveva portato con sé, a tratti turbato appena dal vociferare proveniente dalla taverna. 

 

E rimase lì così, fino a che una figura famigliare non gli si avvicinò. 

 

-Sono qui per darti il cambio. Hyung vuole parlarti. 

 

Il viso di Hoseok era una mistura confusa di tante, troppe emozioni insieme. E Jungkook poteva già immaginare a cosa esse fossero dovute.

 

In un secondo, era in piedi e pronto a marciare per le scale cigolanti della locanda, diretto verso la stanza che condivideva con il suo signore. 

 

Se gli avesse chiesto di andarsene, come avrebbe potuto rispondergli? 

 

Lui non era mai stato bravo con le parole. Come avrebbe potuto spiegare al suo signore che allontanarlo dal suo fianco lo avrebbe privato dell'unico scopo che aveva mosso la sua esistenza fino a quel momento? 

 

Proteggere la persona che gli aveva salvato la vita... se non avesse avuto più neppure quello, cosa gli sarebbe rimasto? 

 

Con il cuore che batteva rumorosamente nelle orecchie, Jungkook bussò brevemente.

 

-Vieni. 

 

Il ragazzo fece il suo ingresso silenziosamente, piegandosi in un inchino non appena la porta fu chiusa dietro le sue spalle. 

 

-Mi cercavate, mio signore?- chiese, mantenendo il capo umilmente piegato. 

 

"Ti prego, non chiedermi di andarmene..."

 

Il giovane si umettò nervosamente le labbra. 

 

"Ti prego, ti scongiuro..." 

 

-Dammi la spada, Jungkook.

 

Il ragazzo spalancò gli occhi, la mano fulminea che serrava l'elsa in una morsa protettiva mentre iniziava a respirare pesantemente. 

 

-Mio signore, io... 

 

-Jeon Jungkook, levati quella spada dalla cinta.

 

Era disperato. Con il capo ancora abbassato, privo del coraggio di sollevare gli occhi e incontrare lo sguardo furente del suo principe, sentiva le pupille dimenarsi nervosamente a destra e sinistra senza riuscire a fissarsi su un unico obbiettivo. 

 

Avrebbe dovuto inginocchiarsi e implorarlo di non abbandonarlo? 

 

-Vi prego, mio signore, non chiedetemi questo...- mormorò con un filo di voce. 

 

Deglutendo un groppo di nervosismo incastratosi in gola, Jungkook sentì un suono terrificante di passi che si avvicinavano a lui. Una mano entrò nel suo campo visivo e gli afferrò la cinta, slacciando il fodero che vi era accuratamente legato e allontanandolo da lui. 

 

Il ragazzo sentiva le gambe deboli, cercava con tutte le sue forze di impedire che le sue ginocchia iniziassero a sbattere l'una contro l'altra ma l'impresa lo stava semplicemente privando di tutta la forza che gli rimaneva. 

 

E stava per scoppiare a piangere. Lo stupido bambino impaurito stava per mettersi a frignare come un poppante. 

 

-Jungkook, alza la testa. 

 

La guardia, lentamente, ubbidì all'ordine. 

 

Il suo signore teneva la spada sollevata davanti ai suoi occhi, come a volergliela crudelmente sbattere sotto al naso. 

 

-Quest'arma non è più adatta a te- disse il principe, fissandolo con uno sguardo imperscrutabile, prima di abbassare la lama e afferrare un nuovo oggetto.

 

Jungkook contorse le sopracciglia. Aveva... un'altra spada fra le mani? 

 

Il suo signore la contemplò per un istante prima di allungarla verso di lui. 

 

-Quella vecchia spada che ti avevo dato tempo fa era troppo corta per te. Ora che sei cresciuto e sei diventato più forte e più alto di me, avevi bisogno di qualcosa di più adatto alle tue capacità. 

 

La guardia, con uno sguardo scioccato negli occhi, prese a contemplare l'oggetto che il principe gli stava porgendo, avvicinandosi lentamente ad esso con mani esitanti. 

 

E quando la afferrò... tutto, per un istante, sembrò giusto. 

 

-L'ho scelta personalmente. È più lunga, per adeguarsi alla tua statura, e ha un'impugnatura adatta alla presa a due mani, come piace a te. È leggermente più pesante, perché ha il filo rafforzato con una lega metallica più resistente, ma non credo che avrai problemi a brandirla. 

 

Jungkook era... 

 

Era sul punto di piangere ma, forse, per un motivo completamente diverso dal precedente. 

 

Agitò appena l'arma in aria, percependo come la sua lunghezza si adattasse meglio al suo braccio, espandendo la gittata dei suoi colpi e bilanciandosi armoniosamente con il resto del suo corpo. 

 

Era... perfetta. 

 

-Mio signore... non... non so cosa dire. 

 

Con l'arma ancora stretta in mano, Jungkook si piegò nell'inchino più profondo che potesse fare, serrando gli occhi e ingoiando il nervosismo che si era andato a creare nel suo cuore. 

 

Il suo signore non si mosse, ma il ragazzo lo sentì sospirare. 

 

-So che cosa temevi entrando qui. 

 

Jungkook vide i piedi del giovane allontanarsi dal materasso sudicio accanto al quale si trovavano e avvicinarsi a lui. 

 

-Per quanto vorrei che nessuna delle persone che vivono sotto il mio tetto siano in pericolo, sono anche consapevole che tu sei l'unico che ha una più che valida ragione per seguirmi.

 

Il ragazzo sollevò gli occhi incerti sulla figura avvolta in vestiti da contadino ritta davanti a lui. Lo guardava con un vago senso di malinconia, unito ad una sorta di determinazione dietro lo sguardo oscuro. 

 

-Non ho nessun diritto di impedirti di venire con me e vendicarti delle persone che ti hanno privato della tua famiglia. Perciò il meglio che possa fare, quanto meno, è assicurarmi che tu sia ben equipaggiato per la battaglia. 

 

Il principe, sospirando, gli pose una mano sulla spalla e, per un momento, a Jungkook parve che si stesse sorreggendo a lui.

 

-Grazie. Io... grazie.

 

Jungkook strinse le palpebre, ma percepì comunque una goccia umida bagnargli lo zigomo. 

 

-Un'ultima cosa. Namjoon mi ha chiesto di essere lui a dare il colpo di grazia a Yonsangun. 

 

La bocca del principe si avvicinò al suo orecchio, il tono della voce così basso da assomigliare ad un sospiro del vento. 

 

-Ma ho dato solo la mia parola, non la tua. 

 

 

 

Diana aveva avuto molto tempo per riflettere durante il viaggio di ritorno verso la residenza del principe. 

 

Benché, una volta usciti dalla capitale, aveva potuto lasciare il nascondiglio che aveva condiviso con Taehyung, sotto ad un cumulo di stoffe nel carretto di cui iniziava ormai a stancarsi, aveva passato il viaggio mantenendo lo sguardo lontano dal signore.

 

Lui, d'altronde, sembrava intenzionato a fare lo stesso. 

 

Diana aveva bisogno di una mente concentrata. Aveva bisogno di silenzio per mettere ordine alle domande che si erano affollate nella sua testa e che, finalmente, cominciavano a prendere senso. Fondamentalmente, perché lei stava iniziando a dare loro la giusta attenzione. 

 

Le aveva ignorate in passato, tacendo la sua ragionevolezza che cercava di metterla in guardia davanti alle prove. Le aveva ignorate anche quando erano risorte sotto alla sollecitazione delle parole del principe, che lei aveva rifiutato per rabbia e caparbietà. 

 

Per proteggere l'immagine di suo padre nella sua mente. 

 

Ma aveva raggiunto il momento in cui doveva confrontarle. Doveva accettarle e fare i conti con il fatto che la risposta avrebbe potuto mettere in luce una verità che non avrebbe apprezzato. 

 

Perché suo padre non l'aveva fatta scendere dalla nave durante tutto il viaggio? 

 

Perché la sua intera istruzione sembrava essere incentrata nel fare di lei un buona moglie o una brava intrattenitrice piuttosto che un mercante? 

 

La risposta era semplice e chiara. E Diana lo sapeva perché, per quanto fosse stata ingenua in passato, non poteva più rifiutare l'evidenza della realtà. 

 

Suo padre non aveva intenzione di renderla erede della compagnia. Probabilmente, il suo piano era darla in sposa all'uomo che avrebbe scelto al suo posto. 

 

Un'ultima domanda, però, vorticava ancora nella sua testa senza soluzione. 

 

Perché l'aveva portata fino alla Cina se non aveva intenzione di cederle la sua compagnia? 

 

Che senso aveva? 

 

Era forse un ultimo gesto per accontentarla, prima di rinchiuderla nella prigione di un matrimonio forzato e sbatterle in faccia la realtà della sua condizione?

 

E quando giunsero a quella così famigliare residenza, Diana non aveva ancora raggiunto una risposta. Le soluzioni che aveva trovato nel corso del cammino, però, le rigiravano nella bocca come i pezzi di zenzero essiccato che il maestro Jian le faceva masticare dicendo che le avrebbero fatto bene al corpo. Le lasciavano lo stesso senso di nausea nelle mandibole e una cattiva sensazione sulla lingua, la quale sembrava non accettare che un nutrimento così sgradevole potesse essere in alcun modo benefico. 

 

Era la stessa cosa per la verità con cui era venuta a patti? Era davvero benefico per lei accettare che suo padre le aveva mentito per buona parte della sua vita, quando tale conoscenza non le lasciava altro che turbamento e rabbia? 

 

-Potresti seguirmi nelle mie stanze? Dovrei parlarti. 

 

La voce bassa e calda come il focolare la rapì dai suoi pensieri, conducendola fra le braccia di due pupille scure, che la fissavano con una distanza che la rendeva inquieta. 

 

Annuendo distrattamente, percorse con lo sguardo il corridoio famigliare di quella casa a cui aveva anelato di tornare quando era chiusa nelle mura del palazzo e che in quel momento sembrava così piccola a confronto. 

 

In un batter d'occhio, si ritrovò nella stanza in cui aveva passato così tante giornate e così tanti tramonti, sedendosi al suo solito posto, davanti al tavolino del principe. 

 

Lui, però, invece di accomodarsi a sua volta, sparì brevemente dietro alla porta prima di ricomparire con un oggetto stretto fra le mani. 

 

Un cilindro scuro di pelle con una stringa sottile che cadeva mollemente sul suo fianco. 

 

Diana spalancò le palpebre. 

 

-Ti è famigliare, per caso? 

 

Nonostante tutto... 

 

Nonostante le bugie e il senso di tradimento... 

 

Nonostante l'incertezza e l'inquietudine... Diana sentì le lacrime emergere ai bordi dei suoi occhi mentre osservava l'oggetto. 

 

Il portamappe di suo padre.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Oh boy... oh boy. Lo so, capitolo abbastanza di passaggio ma almeno abbiamo avuto un bel momento tra Yoongi e kookie (povera stellina, non me lo fate piangere). Ma il prossimo capitolo............🔥🔥🔥🔥🔥🔥🔥🔥

Basta basta, non dico altro. Non vedo l’ora. 

 

E comunque ci stiamo approcciando all’arco finale della storia. Tra poco avrà inizio la battaglia per la detronizzazione di Yonsan e... succederanno cose. Ma non manca molto alla fine. Perciò, nel frattempo, come promesso ecco in anteprima per voi la sinossi della nuova storia! Ho già pronti diversi contenuti sui personaggi e sul mondo in cui si ambienterà perciò andando avanti aspettatevi altre sorprese!

 

Seokjin era l’ombra di se stesso dall’incidente. Un anno di terapia. Un anno di depressione clinica. Un anno in cui la sua personalità brillante e sempre concentrata sul lato positivo della vita si era spenta come una candela, lasciando dietro un fantasma che i suoi amici non riuscivano a riconoscere. Dall’incidente, la solitudine a cui il destino lo aveva sottoposto pesava su di lui più di quanto avrebbe potuto prevedere. 

 

Yona aveva imparato sin da piccola a non credere nei legami a lungo termine. Quale significato aveva trovare la propria anima gemella? I suoi genitori avevano divorziato pur essendo fatti l’uno per l’altra. E lei aveva una vita perfettamente felice pur non potendo trovare la sua metà. Aveva imparato che la solitudine a cui il destino l’aveva sottoposta dalla nascita non le avrebbe impedito di diventare una persona completa. 

 

Una scatenata insegnante di inglese, inguaribile nerd e sfegata amante di musical, con discutibili metodi didattici, riuscirà a scuotere una persona così persa nella propria solitudine e a salvarla da se stessa?

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** XLIII ***


Le lacrime iniziarono a scendere prima che lei potesse anche solo pensare di fermarle. Con mani incerte, si rese appena conto di aver rimosso il coperchio all'estremità del portamappe, rivelando all'interno un turbine di pergamene avvolte su se stesse. Diana non riuscì neanche a fermare il suono strozzato del suo naso che aspirava il muco come quando era bambina, un gesto così infantile e sgarbato che coscientemente non avrebbe mai pensato di compiere. Dopo essersi passata le mani sulle guance ed essersi stropicciata ferocemente gli occhi, afferrò il cumulo di carte e lo sfilò dal suo letto. 

 

Sul pavimento di legno, una serie di mappe si disciolsero come onde di un mare pallido, che lei accarezzò mentre rimirava la sensazione ruvida della pergamena sotto ai polpastrelli. Con un lieve, tremolante sorriso, prese a contemplare le linee di inchiostro che circondavano la sua penisola, il suo mare e poi oltre, nel territorio che apparteneva a Costantinopoli e la steppa e... 

 

Sollevò la carta, sfilando la sua gemella da sotto di essa, continuando la strada verso il resto del continente e terminando nella maestosa Cina. In basso, appena accennata, Diana poté scrutare la piccola lingua di terra che doveva costituire Choson e le sue dita, distrattamente, ne sfiorarono i contorni. 

 

I suoi occhi scrutarono i pezzi di altre pergamene che emergevano da sotto la prima, riconoscendo le varie carte nautiche, le mappe delle maree e delle correnti e molte altre. Nell'angolo della sua visione, però, un oggetto anomalo la portò a distogliere lo sguardo. Un piccolo rotolo, chiuso con il sigillo di suo padre, giaceva da solo, abbandonato a se stesso. Quando Diana lo afferrò, infine, studiò la calligrafia famigliare che aveva lasciato scritto sul dorso "Per il mio giglio di campo". 

 

-Devo dedurre che, come pensavo, ti appartenga. 

 

La ragazza alzò la testa di scatto, ricordando improvvisamente la presenza del principe di fronte a lei. La osservava con sguardo attento, distaccato, quasi indolente, mentre una piega apatica dipingeva la sua bocca. 

 

-Era di mio padre- replicò lei, dopo essersi schiarita la gola dalle lacrime. 

 

Quando il signore annuì, la giovane riabbassò lo sguardo sul piccolo rotolo tra le sue mani. Era una lettera per lei? Perché... perché suo padre le aveva scritto una lettera? 

 

-A quanto pare l'eunuco che ti istruiva si è presentato alla porta di Namjoon. Ti sta cercando. 

 

Diana non poté fare a meno di spalancare le palpebre mentre riportava lo sguardo stupito sul viso del signore. 

 

-Il maestro Jian? Il maestro Jian è vivo?

 

La sua voce aveva una nota acuta che non apprezzava, una vena di sorpresa e incredula speranza che non poteva mascherare neanche se lo avesse voluto. Il principe, per contro, rimase perfettamente immobile.

 

-Così sembra. 

 

La giovane si aprì in un sorriso, sentendo il petto rilassarsi in un lungo, tremante respiro. Almeno il maestro Jian. Almeno lui era vivo. 

 

-Sarai contenta. Finalmente la tua occasione di tornare a casa. 

 

Il respiro di sollievo si tramutò in un istante in una lama di aria affilata che le tagliò lo sterno. 

 

Casa. 

 

Tornare a casa. A Venezia. 

 

Giusto. Non era quello che voleva? 

 

-Voi... mi lascerete andare via?- chiese infine, con un filo di voce. 

 

Se avesse espresso la domanda con maggiore indecisione, avrebbe detto di no? L'avrebbe costretta a restare? Le avrebbe... chiesto di rimanere al suo fianco? 

 

-Sei una persona libera. Puoi andartene anche in questo momento, se è tuo desiderio. 

 

Diana contemplò il signore, ma lui non la stava guardando. I suoi occhi erano lontani, abbassati sul tavolino e sulle sue mani giunte in una presa rilassata. 

 

La giovane si umettò le labbra. 

 

Aveva la possibilità di tornare a casa. 

 

Il maestro Jian l'avrebbe riportata a Venezia. 

 

Il principe l'avrebbe lasciata andare. 

 

Quindi... perché non stava accettando l'offerta?

 

-Io... 

 

Diana abbassò pudicamente gli occhi. Sbattendo le palpebre con frenesia, prese a rimirarsi le mani pallide e i polsi rovinati. Stava per dire qualcosa di assurdo. Doveva fermarsi prima di... 

 

-E se io volessi restare? 

 

Ecco. 

 

L'aveva fatto. 

 

Aveva rovinato tutto. 

 

Serrò le palpebre, sentendo ogni istante strascicato di silenzio tagliarle la gola. Ogni secondo cadeva su di lei come una scure, praticando un'esecuzione senza fine per il suo crimine. 

 

Stupidità. 

 

-A breve andremo in battaglia, ci saresti solo di intralcio. Inoltre, perché mai dovresti voler rimanere? 

 

La ragazza si morse le labbra tremanti. Aveva rovinato tutto. Ma non poteva tornare più indietro. 

 

-Io... mi trovo bene in questa casa. 

 

Deglutì. Sollevando appena lo sguardo, intravide i capelli scuri così anomali nella loro cortezza che accarezzavano gli zigomi eleganti del capo abbassato, lo sguardo sempre lontano da lei. 

 

-Hoseok e Seokjin sono diventati degli ottimi amici. I migliori amici che avrei mai potuto sperare di incontrare. 

 

Aveva la bocca impastata da una saliva asciutta e acida, più simile a pece appiccicosa che a liquido, e le rendeva ogni parola pesante sulla lingua. Il suo volto, però, si sollevò sempre di più. 

 

-Jimin e Jungkook sono diventati come dei fratelli minori e... mi piace perché non avevo fratelli. Mi piace prendermi cura di loro. 

 

Nessuna reazione. Il principe poteva passare per una statua a guardia di una chiesa, tanto era assoluta la sua immobilità. Il volto di Diana, però, era ormai dritto, bizzarramente fermo nella sua determinazione. 

 

-Anche Taehyung. È una persona che si fa amare facilmente dagli altri e già in questo poco tempo... ho potuto apprezzare grandemente la sua compagnia. 

 

Le tremavano le labbra e questo influì sul modo incerto con cui le parole venivano velocemente sputate fuori dalla sua bocca. 

 

"E adesso?" 

 

Cosa avrebbe detto? 

 

Cos'altro poteva aggiungere a quel discorso così zoppicante? 

 

-C'è altro? 

 

Per la prima volta dall'inizio della conversazione, Diana sentì una nota diversa nella voce del principe. Era lieve, appena percepibile, ma c'era una sorta di timida incertezza che la incoraggiò ad andare avanti. 

 

E sapeva che con la frase seguente avrebbe definitivamente determinato la sua rovina. 

 

-E mi sono innamorata di voi. 

 

Il silenzio che seguì era una vera e propria alta marea che aveva ingurgitato la stanza per intero, infiltrandosi nel suo petto e privandolo dell'aria. Aveva l'impressione di essere morta eppure aveva ancora gli occhi aperti. E tremava. Ma non aveva freddo. 

 

Quando, però, il principe schiuse le labbra per iniziare a parlare, Diana si rese conto di temere più le parole che avrebbe pronunciato che il silenzio a cui l'aveva sottoposta. 

 

-È impossibile. 

 

La giovane aprì la bocca, un verso di sorpresa e di sgomento incastrato in gola. Dovette boccheggiare un paio di volte, prima di trovare un modo per ricominciare a parlare. 

 

-Che cosa è impossibile? Che io voglia restare? O che mi sia innamorata di voi? 

 

Finalmente, anche se Diana non poteva dire se fosse una buona cosa, l'immobilità del principe si ruppe. Il capo già riverso in avanti cadde a peso morto e venne sorretto ai lati dalle mani, che presero a infiltrarsi fra le ciocche scure. 

 

-È impossibile. Io... io non sono... 

 

La giovane sbatté le palpebre. Poi, corrugò le sopracciglia. 

 

-Voi non siete cosa? 

 

Sentì chiaramente un sospiro tremante fuoriuscire dal giovane e la cosa non fece altro che farle dimenticare del suo turbamento, portandola a protendere in avanti verso di lui.

 

-Io non... io non posso... nessuno mi può... 

 

Le parole sembravano agglomerati incoerenti che uscivano dalla sua bocca appena passavano per la sua testa. Suoni che sputava così, crudi e insensati e irrazionali. E Diana si protese ancora più in avanti. 

 

-Nessuno vi può cosa? Amare?- chiese con tono sorprendentemente determinato, quasi severo nella sua affilatezza.

 

Silenzio. Nulla si muoveva. Lui sembrava aver cessato di respirare. Ma la ragazza questa volta non era vittima dell'alta marea. Dove trovò di compiere il gesto che fece, non lo sapeva. La sua mente non stava pienamente ragionando in quel momento. Quello che sapeva era semplicemente che, prima di potersene accorgere, le sue mani si erano protratte in avanti e avevano afferrato il volto pallido di lui, costringendolo a sollevare il capo e mettere in mostra gli occhi arrossati. 

 

-Nessuno vi può amare? Perché? Perché pensate di non essere all'altezza? Perché avete paura di avvicinarvi a qualcuno che potrebbe allontanarsi da voi? 

 

Le labbra del giovane erano piegate all'ingiù, come tirate da tesi attaccati all'estremità, il piccolo naso umido e gli occhi abbassati, intenti con tutte le loro forze a evitare il suo sguardo.

 

-Oppure perché nessuno vi ha mai mostrato questo tipo di amore nella vostra vita e quindi vi siete convinto di non esserne meritevole? 

 

Diana si avvicinò ancora di un soffio. Per un breve istante, gli occhi scuri di lui scattarono verso l'alto, incontrando i suoi prima di rifugiarsi nuovamente lontano da lei come un animale impaurito. 

 

-Io... 

 

La giovane, senza accorgersene, strinse la presa delle mani sulle guance del principe, avvicinandosi ancora. 

 

-Oppure perché per tutto questo tempo non vi siete accorto che il vostro carisma e il vostro cuore gentile hanno attirato un gruppo di persone che tiene a voi e che vi rispetta e che non vuole lasciarvi neanche se questo significherà rischiare la propria vita? 

 

Diana vide le labbra rosee ad un soffio da lei tremare appena prima di venire morse da denti perlacei. 

 

-Oppure perché per tutta la vita vi siete convinto che era colpa vostra se vostra madre è morta, che era colpa vostra se il padre di Taehyung... se vostro padre sia morto... 

 

Un sibilo affilato uscì dalle labbra contorte e gli occhi scuri non poterono più scappare dalla sua presa. Tornarono su di lei, si agganciarono a lei, forse troppo sorpresi o forse feriti, ma così riccamente dipinti di emozione da impedirle di fermarsi. 

 

-... e ora pensate solo che la persona a cui tenete di più vi odierà per questo? Perché siete convinto che sia tutta... colpa vostra e che quindi non meritate di essere amato? 

 

La giovane, per qualche motivo, non rimase sorpresa nel vedere le lacrime sgorgare silenziosamente dagli occhi del principe. Mentre in lei erano cadute come un temporale pieno di tuoni, agitate da singhiozzi e sospiri, su di lui erano più simili ad una docile pioggia primaverile. Calme, placide, singole gocce che gli tagliavano gli zigomi senza fare rumore. 

 

E Diana allora si sporse in avanti e ne raccolse una con le labbra.

 

-Eppure io mi sono innamorata di voi. 

 

E dopo di ciò, contemplò quella cicatrice biancastra che si trovava proprio sotto al suo naso, bevendone ogni dettaglio dal momento che si trovava così vicina come non l'aveva mai vista, e prese a tracciarne la lunghezza con piccoli, delicati baci, più simili a carezze che ad effettivi tocchi delle sue labbra. 

 

-E non me ne pento e neppure penso che voi non meritiate questo amore, indipendentemente che lo condividiate o meno. 

 

Arrivata all'altezza dell'occhio, la ragazza lo trovò serrato perciò, senza indugio, lasciò un lieve bacio sulla palpebra, prima di proseguire per quella linea frastagliata su, fino al sopracciglio. 

 

-Perché ho conosciuto una persona coraggiosa e gentile, disposta ad aiutare chi è nel bisogno e a fare la cosa giusta anche se, come ogni essere umano, ne è terrorizzato. 

 

Una volta terminato il suo percorso, Diana si allontanò dalla pelle pallida e abbassò il suo viso in modo che potesse tornare al livello degli occhi del giovane. Le lacrime si erano fermate, ma sembravano essersi incastrate nelle sue pupille, che la fissavano come quelle di un naufrago sul punto di essere trascinato al largo dalla corrente. Indifese, scoperte e impotenti.

 

Passò il tempo di due respiri o forse di una candela che si scioglie. O forse il tempo necessario ad una piuma di cadere a terra senza far rumore. Diana rimase immobile ma lui si sporse in avanti, gli occhi fragili nascosti sotto le palpebre.

 

La prima cosa che la ragazza sentì fu il solleticare del suo naso contro la sua guancia. Quella breve sensazione fu già sufficiente a risvegliare un focolare nel suo ventre, un caldo crepitio che salì fino al petto fino a scaldarle il collo e le gote.

 

Infine, percepì il contatto delle sue labbra contro le proprie. 

 

Timido, incerto contatto. Diana sentì il proprio stesso sterno smettere di respirare e la sensazione della mancanza di aria toglierle la ragione. O forse non era quello ma la presenza di una bocca sulle sua.

 

E le sue mani, ancora appoggiate ai lati del viso pallido, scivolarono istintivamente verso l'alto, avvolgendo il collo di lui e infiltrando le dita nelle corte ciocche. Erano come fili di seta sotto ai suoi polpastrelli. Come redini di una cavalcatura selvaggia, vi si attaccò, tirando leggermente come a tentare di mantenere il controllo o come un sostegno che la ancorasse a qualcosa. 

 

Le labbra si mossero appena e ogni insignificante movimento pareva un piccolo battito di ali di farfalla, così lieve eppure così disastroso. 

 

E quando Diana sentì una mano scivolare lungo il suo fianco e circondarle la vita, avvicinandola a sé più che poteva nonostante l'ostacolo del tavolo fra di loro, lei non riuscì a fare a meno di afferrare la veste ancora contadina di lui e tirare. Tirare verso di sé per averlo ancora più impossibilmente vicino. 

 

Non era abbastanza. 

 

Ancora di più. 

 

Voleva di più. 

 

E poi lui si allontanò. 

 

Ad un sospiro di distanza, la guardava con occhi stralunati e bocca dischiusa, un lieve rossore sulle guance. 

 

-Anche io. 

 

Diana piegò stupidamente il capo di lato, osservandolo con un cipiglio confuso. 

 

-Anche voi cosa? 

 

Yoongi trasse un sospiro tremante senza abbassare per un momento gli occhi fragili. 

 

-Anche io... mi sono...- il giovane deglutì senza fiato -... di te.

 

E Diana, ancora più stupidamente, annuì. 

 

Allora lui sfuggì dalla presa delle sue mani serrate sulla sua veste, strappandosi violentemente dal suo contatto e lasciandola vuota, come se qualcuno le avesse tirato improvvisamente i capelli facendole schioccare il collo. 

 

Poi, però, vide un paio di piedi girare freneticamente attorno al tavolino e sparire di nuovo sotto alle ginocchia che calarono su di loro. 

 

E si ritrovò avvolta in una stretta in cui non c'era più confine né ostacolo.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋😋

Here we are. The moment we’ve all been waiting for. La ship è in mare aperto! Aprite le vele che il vento è dalla nostra parte! Lol Ditemi, quanto siete felici da 1 a “perdonerò Juliet per tuta la sofferenza che mi ha fatto patire fino ad ora”? 

Io posso dire di essere tanto felice. Ero talmente ansiosa di pubblicare questo capitolo che ho quasi ceduto prima invece che aspettare una settimana. 

 

E niente. Come promesso vi lascio anche un piccolo sneak peek della prossima storia. Ho creato un sorta di quaderno ad anelli dove appuntarmi tutte le idee per le prossime storie e ho creato dei collage dei personaggi principali perciò oggi vi condividerò quello della nostra protagonista, Yona! (Con qualche censura perché devo evitare spoiler XD). Come vedete, Yona è una tipa tosta. Capelli rigorosamente tinti e outfit da rocker 24 ore su 24. 

 

Attachment.png

 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** XLIV ***


I raggi del sole mattutino furono indulgenti con lei. Le attraversarono le palpebre con gentilezza, diffondendo una luce chiara ma non irruente, accarezzandola dolcemente mentre la trascinavano via dal torpore del sonno. Era come se anche loro non volessero far cessare il piacevole calore che si era diffuso nel suo cuore e nel suo corpo. In quel mondo sospeso a metà tra sogno e veglia, Diana non era sicura di quanto di ciò che ricordava fosse effettivamente accaduto nella realtà. 

 

Vedeva occhi scuri inondati di lacrime, timidi e paurosi sguardi, una cicatrice sotto ai suoi polpastrelli e labbra. Poi, una distesa di pelle bianca come la luna e capelli neri che le sfioravano le guance ad ogni contatto dei loro visi. Carezze scambiate alla luce di pudiche candele, mentre lui esplorava le pianure e le colline del suo corpo. Delle braccia che la avvolgevano in una maniera in cui nessuno aveva fatto prima di allora. 

 

Quando le palpebre della giovane, però, sfarfallarono fino ad aprirsi, iniziò a recuperare anche la capacità di sentire il torso asciutto sotto alle sue mani. 

 

Non era stato un sogno? 

 

La ragazza richiuse gli occhi, strofinandoseli appena per cancellare le immagini residue che vi erano rimaste attaccate. E quando li aprì, dovette riconoscere il braccio avvolto alla sua vita che la teneva vicina ad un corpo tonico e l'altro posto sotto alla sua testa come un cuscino. Il suo sguardo rimbalzò sul volto pallido placidamente addormentato; un'espressione serena, quasi ignara, dipinta nella piega delle sopracciglia e nell'adorabile broncio delle labbra. 

 

Le ciocche scure dei capelli corti ricadevano sull'occhio attraversato dalla cicatrice come pennellate in una composizione calligrafica. Le sue dita, allora, le raggiunsero, spazzandole via dal suo volto affinché potesse goderne la visione fino all'ultimo. Aveva appena fatto in tempo a sfiorare la pelle lattea, però, che una mano afferrò la sua, portandola vicino alle labbra imbronciate. 

 

Con gli occhi ancora serrati, Yoongi lasciò un leggero bacio sui suoi polpastrelli, mantenendo la stretta anche dopo aver riposto il braccio sul materasso. 

 

Diana, allora, sorrise fra sé.

 

-Buongiorno. 

 

Un mugolio basso e lamentoso emerse dalla gola del giovane, che corrugò appena le sopracciglia come a manifestare il suo dissenso. Il sorriso di Diana si fece ancora più ampio sul suo volto mentre si avvicinava alla figura addormentata e lasciava un timido bacio sulle labbra imbronciate. 

 

-Buongiorno- ripetè, trattenendo la risata euforica che scoppiettava nel suo petto. 

 

La piega contrariata delle sopracciglia di lui, però, sembrò farsi più profonda e in un batter d'occhio la giovane si ritrovò circondata dalle sue braccia, che la avvolsero in una stretta protettiva e la avvicinarono ancora di più a lui. 

 

-È presto, torna a dormire. 

 

Questa volta, non riuscì a trattenere la risata dalla sua bocca mentre si allontanava appena dal petto di lui per rimirarne il volto. 

 

-Dovete organizzare un colpo di stato, è anche troppo tardi- replicò lei con una vena di giocosa ironia intessuta nella voce. 

 

-Ssssshhhh...- sibilò Yoongi, affondando il viso nei suoi boccoli dorati - ... i colpi di stato si organizzano a mente lucida.

 

Diana scosse appena il capo con rassegnazione, un sorriso ancora dipinto sulle labbra mentre si sollevava sulle braccia, divincolandosi dalla sua stretta nonostante i mugolii di dissenso. 

 

-Orsù, non fate il bambino adesso. Altrimenti non avrete altro da me oggi- concluse infine con tono scherzosamente minaccioso. 

 

Lui, finalmente, sembrò decidersi ad aprire gli occhi. La guardò per qualche secondo, sbattendo le palpebre senza mai lasciare il suo viso. 

 

-Ancora un po'... ti prego... 

 

Diana studiò con circospezione l'adorabile espressione che aveva assunto, un misto di implorazione e di malinconia che la spinsero ad avvicinarsi nuovamente a lui, appoggiando il capo sul suo petto caldo. 

 

Il silenzio che calò su di loro non era spiacevole né scomodo come lo era stato il giorno prima. Era, al contrario, come una morbida coperta che li univa in una pacifica unione, un'unione che non necessitava parole per essere idilliaca. 

 

-Volevo farti una domanda. 

 

Le parole di lui rimbombarono nel suo petto, raggiungendo Diana come basse vibrazioni che le rilassarono le meningi, mentre annuiva distrattamente per indicargli di proseguire. 

 

-Come hai fatto a... insomma, come hai fatto a capire di me e Taehyung? 

 

La ragazza, allora, si sollevò sui gomiti, portandosi a livello del suo sguardo in modo da poterlo guardare negli occhi, riconoscendo quella fragilità che lo aveva fatto quasi spezzare il giorno precedente. 

 

-Del fatto che condividete lo stesso padre? 

 

Yoongi, dopo un momento di esitazione, annuì. Diana, allora, sospirò profondamente. 

 

-È stata più una fortuita intuizione. Il modo così stranamente affettuoso con cui parlavate di lui, unito al fatto che sapevo già che voi eravate un figlio illegittimo e che sembravate portare con voi un qualche senso di colpa riguardo a lui... mettendo i fattori insieme sono arrivata a quella conclusione. L'unico motivo per cui potevate sentirvi in colpa nei confronti di Taehyung era per la morte di suo padre. E l'unico motivo per cui voi avreste dovuto essere connesso a tale evento sarebbe stato che voi non eravate il figlio illegittimo del re, ma bensì della regina. 

 

Man mano che le parole sgorgavano dalla sua bocca, Diana poteva vedere gli occhi di lui farsi sempre più distanti, allontanarsi da lei come a volersi rifugiare dalla realtà che stava dispiegando.

 

-La regina doveva aver avuto un'intercorso con il padre di Taehyung, portando alla vostra nascita e di conseguenza alla loro esecuzione. 

 

Il principe deglutì pesantemente, il capo reclinato di lato in modo che lo sguardo fosse ancora lontano da lei. Avrebbe voluto toccarlo e rassicurarlo, ma sentiva che lui era sul punto di esplodere. Doveva lasciargli lo spazio necessario di respirare, decidere se aprirsi o se spegnere la conversazione. 

 

-Non è stata un'esecuzione. 

 

L'espressione sul suo viso era fredda, impassibile, così maledettamente stonata rispetto alle buffe smorfie che le aveva mostrato fino a pochi istanti prima. 

 

-Il re era troppo orgoglioso per giustiziarli pubblicamente. Avrebbe dovuto ammettere davanti a tutti... la corte, i ministri... il regno intero, che la sua donna lo aveva tradito per un altro uomo. E lui non poteva accettarlo. 

 

Diana osservò il modo rabbioso in cui la sua mandibola si tese e i suoi denti affondarono nel labbro inferiore, prima di portare istintivamente una mano in avanti per cancellare le pieghe contrariate formatesi sulla sua fronte. 

 

-Se l'avesse uccisa prima che mi desse alla luce, tutti avrebbero capito di chi ero veramente figlio. Perciò aspettò che nascessi, mi riconobbe formalmente come suo erede e poi la fece decapitare con la scusa di gelosia eccessiva nei confronti delle altre concubine. 

 

Nonostante le sue carezze, il suo viso sembrava rinchiuso dietro una maschera di ferro, una maschera che ne raffreddava i lineamenti, rendendoli rigidi e insensibili al suo tocco. A dispetto di ciò, la ragazza continuò lentamente a strofinare il pollice contro la sua guancia, nella speranza che prima o poi lo avrebbe raggiunto. 

 

-E se avesse fatto eseguire mio... padre subito dopo, anche allora sarebbe stata una coincidenza fin troppo evidente. Mia zia lo implorò di aspettare almeno finché non le avesse dato un erede e così fu. Non appena lei rimase incinta di Taehyung, lui venne ucciso in misteriose circostanze. Una banda di ladri che assalirono il suo seguito, questo è quello che venne raccontato. 

 

Quando Diana si accorse che le labbra di lui tremavano leggermente, si abbassò iniziando a percorrere la sua mandibola con piccoli baci, nella speranza che, come fiamme di una candela, sciogliessero la tensione nel suo viso e riuscissero ad allontanare almeno in parte la nube scura che era scesa su di lui. 

 

Dopo qualche istante, Yoongi sospirò, distendendo appena i propri lineamenti e prendendo ad accarezzarle i capelli. 

 

-Yonsan non lo sa. Conosce solo la versione ufficiale. E, come se non bastasse... 

 

Il principe deglutì, assumendo un'espressione nervosa che non gli aveva mai visto prima. 

 

-... anche lui. Anche lui è figlio di mia madre. 

 

Diana si bloccò spalancando gli occhi. Benché i movimenti lenti del giovane continuarono a pettinarle le ciocche, la bocca  di lei aveva smesso di percorrerne il viso. 

 

-E lui non lo sa? 

 

Yoongi, silenziosamente, scosse il capo con una piega nelle labbra che poteva quasi essere colpevole. 

 

-Gli è stato detto, quando era piccolo, che era figlio della regina Jeonhyeon e che non era stata incoronata immediatamente dopo la sua nascita perché il re favoreggiava la concubina Yoon. Lui perciò non si era mai preoccupato di indagare la vera causa della morte di mia madre. Quando lo scoprirà... 

 

Il giovane serrò le palpebre, un'espressione ansiosa sul viso mentre sospirava profondamente. 

 

"Quando lo scoprirà, commetterà una strage. Di nuovo." 

 

Diana, ingoiando l'apprensione che aveva preso a crescere anche nella propria gola, si abbassò nuovamente verso il suo volto, cercando di catturare la sua attenzione affinché si concentrasse su di lei e lei soltanto. 

 

-Prima o poi sarebbe successo. Quando accadrà, ce ne preoccuperemo. 

 

Yoongi la osservò per lunghi, incessanti istanti. Alla fine, annuì, scuotendo il capo come a volersi liberare fisicamente dell'argomento. Riprendendo a passare le dita fra i suoi capelli, piegò la testa di lato, lanciando uno sguardo in direzione delle carte abbandonate sul pavimento. 

 

-Quindi quelle sono le mappe di tuo padre?

 

Diana, apprezzando il tentativo di alleggerire l'aria e il proprio tono, annuì con un lieve sorriso prima di concentrare i suoi stessi occhi sull'oggetto di interesse. 

 

-Sì, esatto. Sono... 

 

Si bloccò. Il piccolo rotolo chiuso dal sigillo di suo padre era ancora abbandonato a se stesso a un passo dal resto delle pergamene. Con una piega turbata sulla fronte, si alzò, dirigendosi verso di esso ignorando le fredda brezza che avvolse il suo corpo nudo. 

 

Una volta afferrata la lettera in mano, ritornò nell'accogliente alcova delle coperte del principe e del suo abbraccio, che la attendeva incerto ma in silenzio. E quando lei si sedette di nuovo al suo fianco, lo sentì raddrizzarsi e avvicinarsi alla sua schiena, appoggiandosi appena alla sua spalla. 

 

-Che cos'è? 

 

Diana corrugò le sopracciglia, rompendo il sigillo in ceralacca e srotolando la pergamena con le mani. 

 

Mio dolce giglio di campo

 

Scorrendo con lo sguardo le prime parole, rispose distrattamente. 

 

-È una lettera per me. 

 

Mio dolce giglio di campo, 

 

Se stai leggendo questa lettera, significa che ti trovi già alla residenza del nobile 

 

Diana ansimò, un suono strozzato nella sua gola mentre spalancava gli occhi e rileggeva convulsamente le stesse parole. 

 

alla residenza del nobile Wang Shuo. So che in questo momento ti starai facendo molte domande. So anche che probabilmente mi starai odiando per la decisione che ho preso. Ebbene, voglio che tu sappia che, benché forse non mi crederai, ho fatto tutto ciò che ho fatto per il tuo bene. 

 

-Ehi... ehi, stai bene? 

 

Quando una mano le accarezzò la guancia, strappandola dalle parole della lettera, Diana non poté evitare di sobbalzare. Yoongi la guardava con un'espressione preoccupata nel viso e lei si accorse solo allora di stare piangendo. 

 

L'aveva venduta a un nobile cinese. 

 

Non voleva darla in sposa al suo futuro erede o a un qualunque mercante di Venezia. L'aveva portata in Cina come merce di scambio. 

 

Senza rispondere, riprese a far scorrere gli occhi sulle parole di inchiostro. 

 

Sarai delusa da me. Sono consapevole ciò che ti avevo promesso e ciò che ti eri preparata a diventare. Credimi quando ti dico che ci ho provato. Ci ho davvero provato, Diana. Volevo davvero che tu diventassi la mia erede, una donna in grado di controllare la mia compagnia e che potesse sedersi allo stesso fianco di quei boriosi buzzurri dell'Arte. Purtroppo, figlia mia, ho realizzato troppo tardi che Venezia non era pronta per questo. 

 

Diana singhiozzò, portandosi una mano davanti alla bocca per tentare inutilmente di fermare il rumore. Sentì distrattamente una mano accarezzarle la guancia e riuscì a non ritrarsi dal contatto. 

 

Bugiardo. 

 

Doveva saperlo. Lo aveva visto mentire ai suoi clienti. Lo aveva visto indossare innumerevoli maschere per ingannare persone di ogni genere. 

 

Doveva sapere che aveva fatto lo stesso anche con lei. 

 

I mercanti dell'Arte non ti avrebbero mai rispettato come capo della compagnia. Saresti rimasta da sola a lottare contro un gruppo di uomini prevenuti che non possono concepire il fatto che una donna possa essere al loro stesso livello. Non avresti potuto viaggiare assieme alla merce per contrattare con i clienti. Nessuno ti avrebbe portato rispetto o ti avrebbe considerata alla pari. Saresti stata in pericolo nella tua stessa nave, circondata da manigoldi pronti ad assalirti come cani in calore appena avresti messo piede fuori dalla tua cabina. 

 

Per quanto tu non possa credermi, l'ho fatto per il tuo bene. Non potevo sopportare l'idea di andarmene da questo mondo lasciandoti in un pericolo così grande. Durante il mio ultimo viaggio, allora, il nobile Wang Shuo ha mostrato interesse per te e sembrava ansioso di sentire le tue doti musicali. Non era mia intenzione inizialmente, ma le cose si sono evolute in maniera inaspettata. Dopo aver visto il tuo ritratto, ha espresso il desiderio di prenderti come moglie e non ho potuto rifiutare. Devi capire, figlia mia, che questo tuo sacrificio assicurerà una futura stabilità nella nostra connessione con la nobiltà cinese. Grazie alla vostra unione, la nostra compagnia non dovrà più temere alcun allontanamento nonostante i capricci dell'imperatore e avremo finalmente un titolo nobiliare che eleverà ancora di più il nome della nostra famiglia. 

 

Diana digrignò rabbiosamente i denti, mentre le lacrime venivano strizzate fuori dai suoi occhi. 

 

Ma certo. 

 

Era una questione di vantaggio economico. Una mossa strategica per assicurarsi la sua clientela più importante. Per acquistare l'unica cosa che non poteva comprare: un titolo. 

 

Il suo "sacrificio". Quel sacrificio che aveva il coraggio di definire "per il suo bene". 

 

Credimi, Diana. Se avessi potuto impedirlo, avrei fatto di tutto. Avrei smosso mari e monti per mantenere la mia promessa, ma le circostanze sono contro di noi. Perdonami per non averti detto la verità. Perdonami per averti portata in questo viaggio con l'illusione di istruirti per diventare ciò che eri destinata ad essere. E anche se non potrai prendere il mio posto, so che il tuo ingegno e la tua intelligenza ti permetteranno di sopravvivere anche in un ambiente spietato come la corte cinese. Le altre concubine non avranno di che paragonarsi a te. Potresti perfino arrivare a conquistare l'imperatore, se lo volessi. 

 

Mia amata figlia, spero che un giorno nel tuo cuore potrai trovare un modo per perdonarmi dei miei peccati e potrai comprendere le mie azioni. 

 

Con dolore mi separo da te, mio giglio di campo. Mi mancherai. 

 

Diana non riusciva a smettere di piangere. Disperatamente, si rese conto di stare ansimando e due braccia prontamente la avvolsero, stringendola forte e facendo affondare il suo viso nell'incavo di un collo dove ciocche corte le punzecchiavano la pelle. 

 

Bugiardo. 

 

Maledetto bugiardo. 

 

Traditore. 

 

Si ancorò alle spalle solide di fronte a lei, affondando appena le unghie nella pelle e soffocando i suoi affannosi gemiti contro un petto che respirava con placida calma. 

 

-Avevate ragione voi.

 

-Ssshhh...

 

Lo sapeva già. Era già arrivata a quella conclusione. Quindi perché faceva così male? 

 

-... avevate ragione voi... avevate ragione...

 

Ripentendo le stesse parole nella sua testa e la stessa frase ad alta voce, Diana venne cullata da una voce calda come il fuoco che domò i suoi singhiozzi e asciugò le sue lacrime, trasportandola lontano dalle parole della lettera con dolci sussurri.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Prontone? Ci siamo tutti? Cosa dite? Oggi capitolo di rivelazioni! So che alcuni di voi già avevano teorizzato che Yoongi e Taehyung in realtà erano fratelli ed ecco la conferma finale che effettivamente avevate ragione! Ed ecco anche svelato il mistero dietro al padre di Diana e al suo comportamento. Allora? Sorpresi? 

 

Nel prossimo capitolo, preparate le meningi perché inizieremo ad organizzare questo famigerato colpo di stato e... beh, vedrete. Nel frattempo, vi lascio l’introduzione di Jin nella nuova storia. Come l’altra volta, è censurata in modo che le informazioni importanti le scoprirete solo una volta pubblicata 😜

 

Attachment.png

 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** XLV ***


Il lieve bussare alla porta delle stanze del principe non sorprese i due giovani seduti ai loro rispettivi posti, avvolti in un silenzio gravido di aspettativa ma rispettoso dell'apprensione che entrambi provavano. 

 

-Mio signore. 

 

Il viso serio di Hoseok si affacciò timidamente dalla fessura stretta, scrutando i due presenti con nervosismo. 

 

-Namjoon è qui. E ha portato anche l'eunuco dell'impero. 

 

Diana abbassò lo sguardo, deglutendo. Una mano pallida si allungò timidamente verso di lei, afferrando la sua in una stretta rassicurante. 

 

-Grazie Hoseok. Conducili qua. 

 

Quando i due udirono il tonfo della porta che si chiudeva, il silenzio tornò a impadronirsi della stanza. 

 

-Sei sicura di volerlo fare? 

 

Diana, mantenendo lo sguardo a terra, scosse il capo con decisione, strizzando poi gli occhi. 

 

Doveva farlo. 

 

Aveva bisogno di farlo. 

 

-Siediti accanto a me. 

 

La ragazza sollevò la testa, stupita. Gli occhi scuri di lui, però, sembravano ferrei nella loro determinazione. 

 

-Dico sul serio. Siediti qui. 

 

Con un cenno del capo, il principe indicò lo spazio al suo fianco, conducendo Diana a sollevarsi ancora prima di ragionare sulla proposta. In un batter d'occhio, si trovava accanto a lui con il braccio avvolto al suo, solido come una cima di sicurezza. 

 

E quando la porta scorse sul suo asse, lei si strinse di più a lui, tenendo la testa ritta e lo sguardo stabile sulle due figure che fecero il loro ingresso. 

 

Il maestro Jian sembrava dimagrito durante il tempo che erano stati separati. Le guance pallide, una volta piene e sorridenti, erano incavate e cadenti, la carnagione quasi grigiastra e gli occhi dall'apparenza fumosa. Quando essi, però, si posarono su di lei, si spalancarono in una maniera che la ragazza non gli aveva mai visto. 

 

-Oh cielo... signorina Diana! 

 

L'eunuco non le staccò lo sguardo di dosso nemmeno per un attimo, studiandola nei minimi dettagli come a volersi davvero accertare che fosse lei in carne e ossa. La giovane, per contro, sentì appena il velo di commozione che sembrava esserle salito nel petto, ma lo soffocò sotto un cipiglio impenetrabile, privo di emozioni. 

 

-Dovete aver viaggiato molto per trovarmi, maestro. 

 

Era strano parlare nella sua lingua nativa dopo così tanto tempo. Le parole non scivolavano via dalla sua bocca in maniera fluida come una volta, inciampando invece in modo goffo e un po' disordinato. Le era mancata, però. 

 

-Oh signorina... non avete idea! Non riuscivo a rintracciare gli uomini che vi avevano portata via, non avevo idea di dove vi avessero condotto e nel frattempo vostro padre... 

 

Davanti all'espressione rattristata dell'uomo, Diana cercò di debellare il nodo che stava iniziando a crescere nella sua gola. Dunque, era davvero morto. Ormai non c'era più alcun dubbio. 

 

La giovane, a quel punto, dovette ricordarsi perché le lacrime che tentavano di uscire non avevano ragione di esistere. 

 

-Ho trovato rifugio presso una famiglia nobile nostra alleata e ho perfino ricevuto aiuto per trovarvi o almeno capire dove potevate essere stata portata. Oh cielo, che gioia vedervi finalmente! Temevo che foste stata venduta in chissà quale orrendo posto! 

 

La ragazza irrigidì la mandibola, stringendo appena la mano del principe ancora avvolta nella sua. 

 

-Avete chiesto aiuto ad un nobile? Per caso si tratta del mio futuro marito? 

 

Il tono aspro e tagliente sembrava aver fisicamente ferito l'uomo, che trattenne improvvisamente il respiro mentre spalancava gli occhi. 

 

-Signorina... io... 

 

-Il nobile Wang Shuo, giusto? L'uomo a cui mio padre mi aveva venduta. 

 

La giovane caricò la voce, aggiungendo rabbia e una punta di disgusto, man mano che le parole fuoriuscivano dalla sua bocca. Il maestro Jian, dal canto suo, sembrò ritirarsi sempre di più su se stesso. 

 

-Voi lo sapevate, non è vero?- aggiunse, con una smorfia contrariata sulle labbra. 

 

-Ma certo che lo sapevate. Siete stato voi a darmi la notizia della partenza. Siete stato voi a comunicarmi che finalmente mio padre mi avrebbe portato con sé. 

 

L'uomo ebbe finalmente il coraggio di sollevare lo sguardo, fissandola con occhi imploranti. 

 

-Mi dispiace! Mi dispiace non avervi detto la verità! Il signore mi aveva ordinato di non farlo e non potevo disubbidire! Me l'ha comunicato poco prima che partissimo e non c'era più niente che potessi fare! 

 

Diana rimase in silenzio, gli occhi chiari freddamente posati su di lui. Quella situazione le ricordava vagamente il giorno in cui Jimin fu portato nella casa, quando implorò il suo perdono. Perché allora era stato così facile concederglielo? In quel momento, con quell'uomo inginocchiato davanti a lei, non aveva la minima inclinazione a elargire la stessa benevolenza. 

 

No. Non era più un'ingenua.

 

Lei aveva confidato in quell'uomo. Era cresciuta con lui, aveva imparato a leggere e a scrivere con lui. Cielo, aveva probabilmente passato più tempo con lui che con suo padre. 

 

Forse era per questo che faceva così male. Forse era per questo che, questa volta, non voleva perdonare. 

 

-E adesso? Cosa farete ora che mi avete ritrovata? Mi condurrete dal mio nobile marito, come avevate promesso a mio padre? 

 

Il maestro Jian abbassò prontamente il capo, fissando il pavimento con un'espressione colpevole. 

 

Le sopracciglia di Diana si contrassero, dandole un'aria ancora più severa. Era tutto quello che necessitava sapere. 

 

-Mi ha fatto piacere trovarvi in salute, maestro. Spero che il resto dei vostri giorni possano trascorrere sereni e che possiate trovare un padrone migliore da servire. Ora, però, vi devo chiedere di andarvene. 

 

L'uomo alzò gli occhi imploranti su di lei, studiando il suo viso come a voler discernere se le sue parole fossero veritiere o meno. 

 

-Signorina Diana... 

 

La ragazza voltò la testa, allontanando lo sguardo da lui per evitare di mostrare l'espressione angosciata che era andata a formarsi sul suo viso. 

 

-Mi fidavo di voi, maestro Jian. Perciò, mi dispiace, ma al momento non ho nel cuore di perdonarvi, né tantomeno di seguirvi. Ho trovato una casa accogliente dove voglio rimanere. Vi prego di rispettare il mio desiderio e allontanarvi. 

 

Diana sentì un breve momento di esitazione nella stanza. Un'immobilità stupita, incredula. Poi, però, un suono di passi strascicati si portarono verso la porta. 

 

-Sono contento che abbiate trovato la felicità nonostante tutto, signorina. 

 

Quando la superficie di legno si chiuse con un tonfo sordo, la giovane aveva serrato gli occhi. 

 

 

 

Diana sentì immediatamente la mano di Yoongi scivolare via dalla sua per andare ad avvolgersi attorno alla sua vita, facendola accostare un po' di più a sé. 

 

-Tutto bene? 

 

La sua bocca era attaccata al suo orecchio, le sue parole talmente sottili da poter essere recepite solo da lei. Un sussurro basso, graffiante, che la aiutò a sciogliere la tensione che era andata a crearsi nel suo corpo. Annuendo, si appoggiò appena a lui, sorreggendo il suo peso sulla sua rassicurante spalla.

 

-Non potevo perdonarlo. Perciò ho fatto ciò che dovevo.

 

Diana si sarebbe messa a ridere se il suo umore non fosse stato tanto nero in quel momento, perché sulla bocca del principe si dipinse un sorrisetto soddisfatto tanto buffo quanto inappropriato. 

 

-Brava la mia ragazza. Temevo che avresti elargito la tua grazia ancora una volta e la cosa mi avrebbe irritato assai. 

 

Con la bocca del principe ancora premuta contro il suo orecchio e i suoi capelli a solleticarle il collo, la giovane sorrise appena. Poi, il suono imbarazzato di una gola che si schiariva le fece ricordare dell'altra persona ancora presente nella stanza. Sollevando gli occhi spalancanti su Namjoon, sentì le gote scaldarsi mentre allontanava il principe dal suo corpo con piccoli colpetti del gomito. 

 

Lui, dal canto suo, non sembrava minimamente scosso. All'opposto, pareva addirittura irritato dalla scomoda interruzione. 

 

-Sì, cugino?- domandò, osservando con sufficienza il ragazzo ancora in piedi e marcando ogni sillaba con petulante enfasi. 

 

Il suo interlocutore si passò la lingua all'interno della guancia, come a voler manifestare la sua indisposizione. 

 

-Dovremmo programmare la nostra strategia, se non vi dispiace, vostra maestà- rispose lui con altrettanta puntigliosità in ogni parola, troncata dalla sua irritazione. 

 

Con un guizzo del sopracciglio tagliato dalla cicatrice, il principe indicò con la testa al giovane di accomodarsi davanti a sé. 

 

Diana, percependo il silenzio teso che aveva iniziato a crearsi fra i due, si affrettò a iniziare la conversazione. 

 

-Volevo ringraziarti, Namjoon-ssi, per aver condotto qua il maestra Jian- eruppe lei, piegando il capo in un inchino profondo e ricevendo un cenno di assenso da parte del ragazzo. 

 

Questo, poi, si voltò verso il cugino, sollevando il volto in un'espressione interrogativa, prima di passare gli occhi su di lei, come a rivolgergli una silenziosa domanda. Forse, Diana capì, sarebbe dovuta uscire. Fece per alzarsi, tendendo appena le gambe, quando una mano fulminea le avvolse la coscia, invitandola a tornare seduta. 

 

-Parla pure- disse Yoongi con una smorfia neutra sul volto. 

 

Namjoon, dopo un'istante di silenzio, sembrò acconsentire. 

 

-Il popolo è già dalla vostra parte. Il malcontento nei confronti di Yonsangun scorre da anni ormai, perciò è bastato poco per trasformarlo in sostegno nei vostri confronti. Nella capitale ci sono già mercanti e contadini affollati attorno alle mura del palazzo che gridano per la deposizione del re. È stato sufficiente dire loro che il principe Yoongi è stato esiliato per aver coraggiosamente combattuto per contrastare l'ingiusta tragedia di cinque anni fa e che da allora non fa che battersi per i popolani sotto di sé affinché non vengano sottoposti a vessanti tassazioni. 

 

Il principe sollevò gli occhi al cielo, ma non rimbrottò alcun rimprovero. 

 

-Per quanto riguarda i Kim, la questione è più difficile. La principessa Myeongsuk ovviamente non approverà, ma posso riuscire a ragionare con mio padre. E se potrò portare lui dalla nostra parte, allora il resto della famiglia ci seguirà. Qualcuno potrebbe ritirarsi per non contrariare nostra zia, ma penso si tratterrà solo dei rami più bassi. 

 

Yoongi annuì appena con lo sguardo, probabilmente cercando di calcolare quantitativamente nella sua mente la capacità militare dei loro supporti.

 

-E voi? Siete riuscito a contattare il vostro mentore?

 

Il giovane annuì nuovamente, sospirando. 

 

-Ha detto che le loro forze, benché poche numericamente, sono pronte. Ha con sé un manipolo di sarim sopravvissuti che sono riusciti a raccogliere un modesto seguito, oltre che a imparare delle basi di combattimento per riuscire a mantenersi in vita. Non potranno competere con i soldati del palazzo, ma è meglio che essere in inferiorità numerica. 

 

Namjoon si toccò la mandibola, un'espressione pensierosa sul viso contratto. 

 

-In effetti, sarebbero utili, anche se non sono i numeri che mi preoccupano. Se Im Sahong è più veloce di noi, gli assassini del re potrebbero precederci. Per prima cosa, perciò, dovrete tutti spostarvi. Un po' di tempo addietro ho acquistato una magione poco al di fuori della capitale di cui non è a conoscenza neanche il mio assistente. Sarà un ottima base dove nascondervi e preparare l'attacco. 

 

Namjoon sollevò lo sguardo sul cugino, fissandolo con infrangibile serietà negli occhi scuri. 

 

-Im Sahong avrà già udito che ci stiamo muovendo perciò dobbiamo partire stanotte. Inoltre... c'è un'altra cosa. 

 

Yoongi si protrasse in avanti, le sopracciglia contratte in un'espressione interrogatoria. Namjoon rimase a fissare il tavolo per qualche istante con un cipiglio pensieroso sulla fronte. 

 

-L'unico vantaggio che possiamo assumere è tramite un attacco a sorpresa. Dobbiamo dargli l'illusione di essere in anticipo sui nostri piani in modo che prenda il suo tempo per organizzare la difesa. Abbiamo bisogno che gli arrivino all'orecchio false informazioni. 

 

Diana spalancò gli occhi. 

 

-Come il giorno in cui è programmato l'attacco. O il numero di uomini armati a nostra disposizione. 

 

Namjoon si voltò verso di lei, annuendo con veemenza alle sue parole. 

 

-Esattamente. Per la precisione, abbiamo bisogno che pensi che attaccheremo il prossimo mese e che aspetteremo tutto questo tempo perché non abbiamo ancora uomini a sufficienza. Inoltre, dovrà pensare che eseguiremo un attacco frontale, dalla porta principale del palazzo. 

 

Diana annuì pensierosa, visualizzando nella sua mente la dinamica dell'azione. 

 

-Ma non avrebbe più senso attaccare dalla porta principale? Potrebbe entrare un maggior numero di uomini grazie alla sua larghezza, soprattutto coloro che saranno a cavallo. 

 

Namjoon puntò lo sguardo lesto verso di lei, rivolgendole la sua piena attenzione. 

 

-E per questo sarebbe la scelta più ovvia che i nostri nemici si aspetterebbero. Invece, divideremo le nostre forze in tre parti per attaccare contemporaneamente dagli ingressi nord, est e ovest. Anche se le porte sono più strette, le guardie sono notevolmente inferiori di numero e in questo modo potremmo raggiungere più rapidamente le stanze del re. Una volta tagliato il capo, ci sarà poco da fare per Im Sahong. 

 

La ragazza mugugnò in segno di comprensione. Aveva senso, riusciva a immaginare come la dinamica dell'attacco fosse più efficace e avrebbe raggiunto l'obbiettivo con un minore dispendio di forze. La divisione li avrebbe resi più vulnerabili ma poteva funzionare. 

 

-Quindi come avete intenzione di diffondere le  false informazioni? 

 

Namjoon si prese la fronte, strofinando due dita sulle sopracciglia e arruffandole leggermente. 

 

-Fra due giorni il governatore della regione andrà alla capitale a depositare le tasse del re e fare rapporto sulla situazione del confine. Lui è il tramite perfetto per far arrivare la soffiata all'orecchio del consigliere.

 

Diana contrasse il viso. Ma chi avrebbe dato le informazioni al governatore? Serviva qualcuno che sarebbe riuscito ad abbindolarlo al punto da convincerlo che le notizie erano reali e che al tempo stesso non avrebbe destato sospetti...

 

La ragazza raddrizzò appena la schiena, schiarendosi la gola. 

 

-Posso pensarci io. 

 

-Che cosa? 

 

La domanda venne sputata da entrambi gli uomini allo stesso tempo, che sollevarono il capo verso di lei guardandola con espressioni confuse. 

 

-Namjoon-ssi, potrai farmi infiltrare nella casa del governatore come schiava e potrò far scivolare qualche indiscrezione, dicendo di averla udita prima di "fuggire dalla casa del principe"... 

 

-Non se ne parla. 

 

La ragazza voltò il capo in direzione del giovane con gli occhi furiosi  puntati su di lei. Diana, però, mantenne uno sguardo ferreo e imperturbato. 

 

-Non permetterò che tu faccia da esca e, per bontà degli dei, non metterai piede in un'altra casa con un uomo privo di scrupoli. Sei stata fortunata fino a ora, ma ciò non vuol dire che lo sarai per sempre! Non potremo proteggerti lì dentro e di certo non troverai Taehyung ad aiutarti a uscire di lì! 

 

Nonostante le sue parole, però, non c'era esitazione nello sguardo di Diana. 

 

Gli prese la mano fra la sua, la strinse e lo guardò dritto negli occhi. 

 

-È una mia scelta. 

 

Il principe distolse lo sguardo da lei con un verso stizzito, ma la ragazza gli prese il mento con le dita, riportandolo su di sé. 

 

-Voglio essere utile e sappiamo tutti e due che questo può funzionare. Se il governatore è stupido e avido come mi avete raccontato, ci cascherà in pieno. Noi potremo progettare un piano di fuga. Potrò farlo addormentare come ho fatto con il re e poi mi aiuterete a scappare. Così sarò al sicuro. 

 

Diana sapeva che i suoi occhi insistenti e il suo tono placido e ragionevole stavano avendo la meglio su di lui, poiché aveva voltato il capo con un cipiglio scontento evitando attentamente il suo sguardo. La ragazza, allora, si voltò verso il giovane dall'altra parte del tavolo. 

 

-Namjoon-ssi? 

 

Il ragazzo rimase in pensieroso silenzio per qualche istante, prima di annuire. 

 

-È un buon piano. Può funzionare.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

DAAAAMN chi si aspettava questa separazione dal maestro Jian? Un po’, lo ammetto, mi dispiace averlo trattato così perché so che era uno dei personaggi preferiti da voi, ma Diana ne ha avuto abbastanza dall’inizio di questa storia. Ha detto basta clemenza (e qualcuno ne è orgoglioso lol). E poi abbiamo Yoongi che fa il protettivo e fjdhdichfiskcjufksjsnsjs

 

Va beh. Aperta parentesi, gli episodi di Run mi stanno seriamente convincendo ad andare in Corea. Maledizione, quel villaggio in cui stanno girando sarebbe perfetto per migliorare i dettagli degli ambienti nella storia 😤 e poi c’è il fatto che tutti i ragazzi sono vestiti in stile Joseon e io ciao.... Taehyung comunque è troppo extra, qualcuno lo fermi vi prego prima che schiavizzi ulteriormente il suo direttore di camera. 

 

Oggi un’altra presentazione dalla nuova storia! Estella Muñoz, una delle anime gemelle dei ragazzi. Riuscite a indovinare di chi? 😋 sappiate che anche se non l’ho ancora scritta è già la mia piccolina e guai a chi me la maltratta. Estella sarà tipo la cucciolina del gruppo nella prossima storia ed è giusto così. Piccolo dettaglio, Estella sarà di nazionalità cilena perciò vorrei chiedervi un piccolo favore: se qualcuno di voi è di origini latine o almeno conosce lo spagnolo potrebbe aiutarmi a capire un po’ meglio la cultura e a tradurre qualche espressione? Ho un’amica Latina, ma la sua famiglia è del Brasile perciò non può aiutarmi. Thanks 😊 

 

Attachment.png

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** XLVI ***


Dopo giorni dopo, l'assistente di Namjoon camminava qualche passo avanti a lei, facendole rabbrividire la pelle. Qualcosa in quell'uomo la metteva a disagio. Forse era il ricordo del fatto che la responsabilità del suo secondo rapimento fosse fondamentalmente sua. Ciononostante, Diana strinse i denti e si obbligò a seguirlo in silenzio. 

 

Namjoon non poteva esporsi dal momento che aveva ripreso in mano il suo titolo. Condurre la transazione in prima persona avrebbe potuto portare il governatore a riconoscere il suo viso ed eventualmente a far capire a Im Sahong la connessione dei Kim con il principe. Non potevano permettersi un simile rischio a questo stadio. 

 

Le porte della sala di ricevimento si aprirono su una stanza ampia, simile agli ambienti del palazzo reale nella loro eccessiva opulenza e nei decori colorati che attiravano violentemente l'occhio. E la giovane ormai sapeva cosa ci si aspettava da lei. Con il capo chino coperto da un velo di seta semitrasparente, fece piccoli passi fino a che non vide l'assistente fermarsi.

 

-Oh, sorpresa inaspettata! La merce è dunque arrivata? 

 

Mentre Diana stringeva ancora di più la mandibola, vide l'uomo davanti a sé piegarsi in un profondo inchino. 

 

-È così, mio signore. Il mio padrone prega che sarà di vostro gradimento. 

 

Con un moto di nausea, la giovane percepì gli occhi sul suo corpo pur senza vederli. Lo sguardo che studiava la sua pelle, le sue clavicole e i suoi fianchi non aveva nulla di pudico nè di rispettoso. 

 

-Fammela vedere. 

 

Mantenendo il capo chino, Diana notò dall'angolo del suo campo visivo i piedi dell'assistente avvicinarsi a lei e far scivolare il velo dal suo capo, rivelando i suoi lineamenti all'uomo dalla voce viscida e appiccicosa come pece. 

 

Una risata grassa e gravida di catarro risuonò nella stanza. 

 

-Sembra proprio la giumenta straniera acquistata dal principe. Eppure, ho sentito dire che era scappata dalle stalle del re. Il vostro padrone vuole forse rifilarmi una cagna problematica? 

 

La ragazza deglutì, sentendo il disgusto e il nervosismo salirle inevitabilmente in gola. Con una morsa ferrea sui suoi arti, si costrinse però a rimanere ferma nella stessa posizione e a non emettere neppure un fiato. 

 

-Il mio padrone non si permetterebbe mai. Vedete, la giumenta, come le migliori bestie che i veri intenditori amano domare, è piuttosto selvaggia data la sua natura esotica. Ha buone maniere e sa dilettare i suoi possessori ma ha un temperamento focoso. Il mio padrone ha semplicemente pensato che per un uomo così virilmente dotato come voi non sarebbe stato un problema addomesticare una creatura simile. Quale donna, d'altronde, non sareste in grado di rabbonire? 

 

Un violento fiotto di nausea spinse Diana sull'orlo del vomito. Le ci vollero tutte le sue forze per non contorcersi in un'espressione rabbiosa alle parole dell'assistente ma continuò a ripetersi nella testa che era tutto parte del piano. Ovviamente, si trattava solo di un abile trucco per non sollevare dubbi nel governatore. 

 

La giovane, però, non poté fare a meno di pensare che forse quelle parole non nascevano unicamente dalla fantasia dell'uomo. Qualcosa nel modo compiaciuto e soddisfatto con cui le pronunciava, unito all'aura raccapricciante che trasmetteva, le suggeriva che forse era ciò che lui davvero pensava. 

 

E, in quel momento, un ragionamento tanto buffo quanto spaventoso le attraversò velocemente la mente. 

 

Come avrebbe reagito il principe se gli avesse riferito parola per parola come l'assistente aveva parlato di lei? 

 

Contenendo una smorfia divertita, la giovane si costrinse a riportare la sua attenzione alla conversazione. 

 

-Il vostro padrone è assai saggio. Ebbene, non posso darvi torto. Se c'è un uomo in questa regione che può addomesticare una puledra selvaggia come questa, di certo ce lo avete davanti. Non mi sorprende che il principe se la sia fatta sfuggire di mano. Un marmocchio non può sapere come tenere al proprio posto una donna. 

 

Diana si morse violentemente il labbro, trattenendo un verso di stizza. Forse, una volta addormentato, avrebbe lasciato al governatore una piccola sorpresa. Magari avrebbe potuto renderlo eunuco. Sarebbe stato calzante, per un uomo tanto sicuro dei suoi attributi. 

 

 

 

Una volta terminata la transazione, l'assistente di Namjoon si inchinò e lasciò prontamente la stanza. Diana, a quel punto, decise di piegarsi in un profondo inchino. 

 

-Porgo i miei omaggi al mio nuovo padrone. La vostra umile schiava è al vostro servizio. 

 

La stessa risata grassa che aveva udito in precedenza rombò nell'aria, facendo sussultare appena la ragazza. 

 

-Sembri molto più docile di quanto credessi. Stai forse cercando di abbindolarmi?

 

Il tono crudele e sibillino si infiltrò nelle sue ossa, ma la giovane si inginocchiò sporgendosi in avanti e toccando il pavimento con la fronte. 

 

-Non mi permetterei mai, mio signore. Vedete, non è di mia volontà se sono stata portata via dalla residenza reale. 

 

Rimanendo chinata a terra nella posizione più umile che potesse assumere, Diana aspettò ansiosamente che il silenzio cessasse. 

 

-Ma davvero? 

 

La domanda sembrava scettica ma... incuriosita. Per lo meno, aveva la sua attenzione. 

 

-È così, mio signore. Il principe... è tutta colpa del principe...

 

Acuendo la sua voce, cercò di plasmare il suo tono in modo che suonasse sconfortato e impotente, mentre stringeva debolmente i pugni come a dimostrare rabbia. 

 

-Cosa ha fatto il principe? 

 

Lo scetticismo era ancora presente, ma la curiosità sembrava avere la meglio. Il suo interlocutore pareva impaziente di conoscere la risposta, tanto da non cercare di mascherare minimamente la sua avidità. 

 

-Il principe mi ha fatta rapire dal palazzo reale dalla sua temuta guardia personale. Non poteva sopportare che io fossi lontana dalle sue grinfie e dunque... dunque sono scappata da lui. E mi sono rifugiata presso l'uomo che mi aveva venduta, implorandolo di trovare un padrone migliore! 

 

La sua voce suonava sull'orlo delle lacrime. Rimbombava di disperazione e impotenza. 

 

E Diana iniziò a contare. 

 

Ogni secondo di silenzio aumentava l'ansia nel suo petto. Forse era troppo. Forse aveva esagerato e la sua pantomima aveva tradito la sua falsità. 

 

Contò fino a dieci. Finalmente, l'uomo riprese a parlare.

 

-Povera creatura, quale grande disgrazia ti ha portato fra le mani di un padrone tanto inetto...

 

La giovane, ancora piegata in avanti, si concesse un sospiro tremante. 

 

-Oh, mio signore, quale sollievo sapere che sono finita sotto il possesso di qualcuno che saprà come trattarmi! In segno di gratitudine nei vostri confronti, vi prego di concedermi un umile favore! 

 

Diana, finalmente, osò sollevare il capo per puntare gli occhi imploranti e, sperava, leggermente lucidi sull'uomo davanti a lei. L'essere panciuto e dal volto rubicondo la guardava con un sorriso sornione stampato sul viso. L'espressione pareva la stessa di un gatto grasso e pigro che studiava la preda incastrata fra i suoi artigli, mentre pregustava già il suo sapore sulla lingua. 

 

-Parla e deciderò se assecondarti. 

 

La giovane sbatté ripetutamente le ciglia, sperando che l'azione la dipingesse ancora più fragile e indifesa agli occhi dell'uomo mentre si schiariva la gola. 

 

-Ho sentito che a breve visiterete il palazzo reale. Vi prego, dunque, mio signore, di riferire al re ciò che sto per dirvi. Quale vostra umile servitrice, voglio mettere le informazioni che ho udito alla casa del principe a vostra disposizione e a disposizione di sua maestà, in modo che possiate sventare i suoi avidi piani e sconfiggerlo una volta per tutte!

 

Il volto del governatore perse un po' della soddisfazione che aveva dipinta sulla bocca e si contorse in un'espressione pensierosa. 

 

-Continua. 

 

Diana, deglutendo appena, sbatté ancora una volta le ciglia mentre si prendeva il labbro fra i denti. 

 

-Ho udito il principe tramare contro il re. Ha in mente un piano per attaccare il palazzo reale e uccidere il sovrano, per poterne prendere il trono. Ho sentito che ha intenzione di attaccare il prossimo mese, il secondo giorno della prima settimana, e che vogliono eseguire un attacco unificato dalla porta principale. Nel frattempo, però, sta cercando di racimolare uomini, in quanto i suoi ranghi sono ancora assai scarni. 

 

Il governatore contemplò il pavimento in silenzio, prendendosi il mento fra le mani mentre una piega profonda iniziava  a scolpirgli la fronte. 

 

-Quando hai sentito queste informazioni? 

 

-Pochi giorni fa, prima di fuggire dalla residenza del principe. Ho udito per caso una conversazione tra lui e il suo assistente e sapevo che stavano tramando qualcosa di oscuro- si affrettò a rispondere. 

 

Trattenne lo sguardo sul governatore, osservando con attenzione ogni sfumatura del suo viso. L'espressione pensierosa, dopo un po', sembrò dissiparsi, seguita da uno sguardo tronfio e un sorriso compiaciuto. 

 

-Ma che brava giumenta... così servizievole. Il tuo padrone è molto soddisfatto di te. 

 

Tirando la bocca in un sorriso grato, Diana si piegò in avanti in un inchino. Quando si sollevò e tornò a guardare l'uomo, il volto di lui sembrava essersi fatto ancora più luminoso. 

 

-Vieni qua. È giusto che ti dia una ricompensa per il tuo nobile gesto. 

 

Diana spalancò gli occhi. La bocca le si era asciugata in un istante, dandole la sensazione di avere veleno amaro sulla lingua. 

 

No, non era così che doveva andare! 

 

-Non sono meritevole di nulla, mio signore. Ho fatto solo il mio dovere come vostra umile servitrice. Permettetemi invece di prepararvi del tè, aiuterà a distendere la vostra mente- replicò, chinando il capo per nascondere la maschera di panico che si stava dipingendo sul suo viso. 

 

-Oh, non sono uno che apprezza bevande che non siano liquori... e, benché non ho gli stessi bizzarri gusti di sua maestà, penso che quei fianchi possano portare notevole soddisfazione al tuo padrone. Vieni qua, non fare la timida. 

 

Diana deglutì pesantemente, tenendo lo sguardo fissato sulle assi di legno. No, non doveva andare così. Il piano... doveva dargli il tè... doveva farlo addormentare... 

 

Con piccoli passi tremanti, si avvicinò all'uomo senza guardarlo negli occhi, prima di inginocchiarsi di fronte a lui. 

 

-Mio signore, io... posso deliziarvi con della musica? Permettetemi, vi prego, di mettere le mie doti musicali al vostro...

 

Una mano si infilò prontamente sotto alla sua gonna, posizionandosi senza esitazione sulla sua natica e facendola rabbrividire violentemente. 

 

-Come immaginavo. Questo vestito nascondeva una generosità di forme che non si vede spesso fra le donne di Choson.

 

La ragazza tremava ma aveva le mani paralizzate e la gola incapace di emettere suoni, mentre sentiva le labbra bagnate dell'uomo avvinghiarsi alla sua pelle. Qualcosa... doveva fare qualcosa... 

 

Posizionò una mano sulla fronte di lui, spingendolo via dal suo collo con, forse, un po' troppa veemenza. 

 

-Mio signore... mio signore, state bene? Credo che abbiate la febbre!- esclamò alzando più che poteva il tono della voce. 

 

L'uomo, divincolandosi dalla sua spinta, la guardò con un'espressione contrariata, quando un tonfo lo fece voltare verso le sue spalle. 

 

Una figura alta, con il volto coperto da un velo scuro e un pezzo di stoffa che ne nascondeva la bocca, si ergeva su di loro, la spada lucente puntata contro il petto del governatore. 

 

-La donna viene con me. Ordini del mio padrone. 

 

L'uomo fece appena in tempo a borbottare un oltraggiato "Ma cosa..." che Diana era già sospesa in aria, trattenuta sulla spalla dell'intruso.

 

Nonostante le proteste animate del signore, la figura si fiondò fuori dalla finestra, immergendosi nel verde che circondava l'abitazione e abbassandosi per confondersi in mezzo agli alti arbusti. 

 

Proseguivano velocemente, ma non tanto quanto avrebbero potuto. Dopo qualche istante, Diana sentì i suoi piedi toccare di nuovo terra mentre una mano callosa ma familiare afferrava prontamente la sua, riprendendo a correre. 

 

-Abbassati più che puoi ma non ti fermare. Il cavallo non è distante. 

 

Deglutendo con una traccia di tremore ancora incastrata nella mandibola, Diana annuì. 

 

-Grazie Jungkook. Ci è mancato davvero poco. 

 

Il ragazzo non si tolse il travestimento, ma si voltò per un istante verso di lei, lanciandole uno sguardo carico di emozioni. Senza commentare, però, fece un semplice gesto col capo. 

 

-Sbrighiamoci. 

 

 

 

-Vostra maestà! 

 

Yonsan sospirò. 

 

Noia. 

 

Da che la schiava di Yoongi era scappata, anche quel piccolo brivido di trepidante eccitazione sembrava essersene andato e il mondo era tornato semplicemente a essere... essere. Esistere. Apatico, indolente esistere. 

 

Che noia. 

 

-Cosa ti porta a strillare come una gallina, consigliere? 

 

Im Sahong, con un'espressione di apprensione dipinta sul volto, si portò al suo cospetto, piegandosi in un inchino fin troppo ossequioso. 

 

-Delle informazioni sono state portate alla luce, mio signore. Informazioni che erano state nascoste per non raggiungere i vostri occhi. 

 

Yonsan non trattenne lo sbadiglio che gli spalancò la bocca. Quale importanza poteva avere? Posando pigramente gli occhi sul rotolo ingiallito fra le mani dell'uomo, lo incitò a continuare. 

 

-Mio signore, si tratta dei rapporti riguardanti la nascita del principe Yoongi e... la vostra. 

 

Il re sbatté freneticamente le palpebre, focalizzando la sua attenzione sul consigliere. Una piega profonda prese posto sulla sua fronte mentre la sua figura si raddrizzava. 

 

-Di che cosa stai parlando? 

 

Im Sahong, piegando il capo, gli porse il rotolo sui palmi aperti. 

 

-In questo rapporto sono riportati dettagli riguardo alla vostra nascita che non sono stati resi noti a nessuno. In esso, inoltre, è resa manifesta la vera causa che ha portato alla morte della regina Yoon. 

 

Il sovrano contrasse le sopracciglia, borbottando. 

 

-Perché mai mi dovrebbe interessare della morte della...

 

Le parole gli morirono in gola nel momento in cui i suoi occhi caddero sui segni scuri sulla carta.

 

Un silenzio pesante cadde sui presenti. Yonsan digrignò i denti mentre un suono aspro gli nasceva in gola. 

 

-Che cosa significa questo? 

 

Stritolando il rotolo fra le mani, il re puntò gli occhi in quelli timorosi del suo consigliere. 

 

-Mio signore, sono io stesso appena venuto a conoscenza di tale informazione. È tanto disdicevole che vostro fratello sia stato la causa della...

 

-Taci! 

 

Yonsangun vedeva nero. Nero ovunque. 

 

Chi sapeva? 

 

Chi sapeva e non aveva parlato? 

 

Chi sapeva e lo aveva fatto vivere nella bugia per anni? 

 

Quella donna... quella donna sapeva!

 

-Sahong. 

 

L'uomo si inchinò al suo cospetto con una smorfia preoccupata sul volto. 

 

-Mio signore. 

 

Era freddo. Tutto freddo. Il mondo era freddo e Yonsan era solo. 

 

-Ordina alle guardie di uccidere la regina Jeonhyeon insieme a tutte le sue ancelle. 

 

Il consigliere annuì prontamente, piegando il capo al suo comando. 

 

Il re serrò le palpebre. Se prima pensava di essere solo, finalmente aveva realizzato che davvero non c'era nessuno al suo fianco. 

 

La donna che aveva chiamato madre...

 

... e nemmeno lui.

 

-Manda degli assassini da mio fratello. Non dovranno ucciderlo. Devono sterminare tutti quelli della sua casa. Tutti. Anche il cuoco. Anche quella stupida schiava! Tutti devono morire davanti ai suoi occhi. Loro e chiunque dimostrerà di supportarlo. Chiunque aprirà la bocca anche solo per sussurrare il suo nome dovrà perdere la vita. Allora, e solo allora, dovrete portarlo al mio cospetto. 

 

Im Sahong sollevò il capo, guardandolo con un'espressione sorpresa, ma annuì. 

 

L'uomo se ne andò e Yonsan si strinse le braccia attorno al busto perché il mondo era così terribilmente freddo.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

EEEEEEEH.... ovviamente le cose non potevano andare lisce come previsto. Ma ringraziamo il cielo che esiste Jungkook. E adesso che Yonsan sa la verità... ah beh, adesso sono mazzi. 

 

Tenetevi pronti, perché siano davvero agli sgoccioli. Il prossimo capitolo sarà abbastanza di passaggio, ma ormai siamo alle porte della battaglia e del gran finale. Penso che raggiungeremo i 50 capitoli o al massimo poco più. Vi avviso già che gli ultimi due capitoli saranno pubblicati a distanza di pochi giorni (perché, considerato il finale che ho in mente, so già che mi ucciderete se vi tengo in sospeso per una settimana). Più avanti vi aggiornerò con le schedule precisa sui giorni in cui pubblicherò. 

 

Ultima presentazione per la nuova storia! Di questo personaggio non saprete altro se non le info riportate qua. Ho dovuto bannare il nome perché... eh eh eh.... forse la conoscete già. 

 

Attachment.png

 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** XLVII ***


Gli occhi di Yoongi bruciavano leggermente, ma poco gli importava. Le sue pupille erano fissate sull'orizzonte, sul sentiero battuto che serpeggiava attraverso la linea frastagliata degli alberi e che era ancora dannatamente, fastidiosamente deserto. 

 

Perché non erano arrivati? Dovevano essere già a destinazione se tutto fosse andato per il verso giusto! Avevano incontrato ostacoli? Assassini del re? Il governatore aveva opposto resistenza? 

 

Il principe si morse il labbro, con le braccia nervosamente incrociate davanti al petto per trattenere il tremore delle sue mani e il battito irregolare del suo cuore. 

 

"Jungkook è con lei."

 

"Jungkook è forte, se la caveranno." 

 

"Maledizione, il ragazzo non ha mai neppure combattuto per davvero!" 

 

Con un respiro profondo, Yoongi sbatté finalmente le palpebre. Ce l'avrebbero fatta. Ce la dovevano fare. 

 

Il giovane abbassò per un istante lo sguardo alle assi di legno sotto ai suoi piedi, per distrarre brevemente i suoi occhi affaticati. Il tonfo sordo di zoccoli contro il terreno, però, fece scattare la sua testa verso l'alto. 

 

Il cavallo era evidentemente stanco per aver portato il peso di due persone e, probabilmente, per essere stato spinto al limite durante tutto il viaggio. Nonostante ciò, la sua marcia fu imperterrita finché non raggiunse lo spiazzo davanti all'ingresso della piccola residenza, dove si fermò con uno sbuffo prolungato e una scossa del capo, come a volersi liberare delle redini. 

 

Yoongi, allora, sollevò gli occhi. Dietro al volto accartocciato dalla mancanza di sonno di Jungkook, ciocche pallide emergevano come raggi attorno al loro sole. 

 

Al suo sole. 

 

Il viso di Diana pareva ancora più traviato di quello della guardia, ma era illeso. Nessun graffio. Nessuna contusione. 

 

Stava bene. 

 

Stavano entrambi bene ed erano lì, al sicuro. 

 

Yoongi emise un sottile sospiro, trattenendo il petto il più possibile per evitare di attirare l'attenzione. 

 

-Ce ne avete messo di tempo. 

 

Il suo tono graffiante tradì le ore che aveva passato in silenzio fermo sul portico della casa in attesa, ma mascherò abilmente il lieve fiotto di apprensione sotto una facciata di rimprovero. 

 

I suoi occhi non si staccarono per un istante dalle figure mentre smontavano dalla sella. Jungkook scese per primo con un fluido movimento, mentre Diana lo seguì scivolando giù dal dorso dell'animale con l'aiuto del ragazzo, il quale continuò a sorreggerle i fianchi anche una volta atterrata. Le gambe di lei ondularono leggermente, forse per aver trascorso troppo tempo nella stessa scomoda posizione, ma questo non le impedì di caracollare in avanti con veemenza, spalancando le braccia e terminando sul petto di lui con un tonfo. 

 

Yoongi sentì immediatamente le mani di lei chiudersi dietro la sua schiena, mentre il suo capo si posava sulla sua spalla e inspirava profondamente. In una reazione quasi istintiva, i suoi arti la circondarono a loro volta e il suo mento andò ad appoggiarsi sulla corona della sua testa, affondando nelle onde dorate. 

 

Jungkook, a quel punto, distolse lo sguardo schiarendosi appena la gola. 

 

-Siamo stati intercettati da un gruppo di assassini del re vicino al confine della regione. Penso che ci abbiano trovato per un colpo di fortuna, perché sembravano diretti verso la magione. Ci siamo dovuti fermare per sistemare la questione. 

 

Yoongi trattenne lo sguardo sulla sua guardia, prendendo distrattamente a massaggiare la schiena di lei con lenti movimenti circolari mentre sentiva il suo respiro riscaldargli il collo in una maniera tanto ipnotica da condurlo quasi a socchiudere le palpebre. Con un lieve calore sul viso, cercò di ignorare il suo corpo e concentrarsi sul ragazzo con le guance imporporate davanti a sé. 

 

-Cosa ne hai fatto di loro? 

 

Jungkook, riportando lo sguardo su di lui, abbassò il capo in un gesto di sottomissione. 

 

-Sono stati tutti eliminati. Nessun testimone tornerà a palazzo, perciò dovremmo essere al sicuro almeno per un po'. 

 

Il principe annuì appena, cercando di non disturbare la ragazza fra le sue braccia che aveva, evidentemente, iniziato ad assopirsi in piedi. 

 

-Ottimo lavoro. 

 

Yoongi non aggiunse altro, ma lanciò uno sguardo ferreo in direzione del giovane. Lui dal canto suo sembrò capire, perché rispose con un inchino e, al principe parve, un lieve sorriso sulle labbra. 

 

"Sei stato bravo, ragazzino." 

 

La guardia, allora, scomparve dalla sua vista, lasciandolo solo con il bandolo di calore avvinghiato al suo corpo che non aveva ancora emesso una parola. Avvicinando la bocca al suo orecchio, sfiorò con le labbra la pelle leggermente arrossata. 

 

-Com'è andata dal governatore?- mormorò in tono basso, sussurrato, cercando di non scuoterla troppo dal suo stato di torpore. 

 

Quando, però, ci fu un momento di esitazione nella ragazza, Yoongi contrasse gli arti attorno al suo corpo. 

 

-Tutto secondo i piani- mormorò lei con la bocca immersa nella sua veste. 

 

Il principe contrasse le sopracciglia, abbassando gli occhi per vedere il leggero rigonfiamento nella cintura del suo hanbok. Stringendo i denti, allungò la mano ed estrasse il sacchetto di erbe medicinali dal loro nascondiglio, percependo in un istante il pungente tanfo che emanavano. 

 

-Non le hai usate. 

 

Le mani sulla sua schiena si chiusero attorno alla stoffa della sua casacca, aggrappandosi al tessuto prima di rilasciarlo velocemente. 

 

-Che cosa è successo? 

 

La domanda uscì dalla sua bocca in maniera troppo aggressiva, perciò lasciò un breve bacio sulla giuntura del suo orecchio per farle intendere che non era arrabbiato. 

 

O almeno, non era arrabbiato con lei. 

 

Sentì la ragazza emettere un sospiro che le sollevò appena le spalle, prima di udire finalmente la sua voce. 

 

-Va bene. Non è andato tutto secondo i piani, ma siamo comunque riusciti nell'intento e siamo scappati in tempo.

 

Yoongi sollevò le sopracciglia, sforzandosi di non stringere la presa attorno al busto di lei. 

 

-In tempo per cosa? 

 

Diana emise un altro sospiro, più lungo e stanco, prima di allontanare il viso dal petto di lui e sollevare il capo fino a guardarlo negli occhi. 

 

Erano leggermente arrossati, forse per il sonno, ed erano circondati da occhiaie scure, ma lo guardavano con determinazione. 

 

-Stiamo bene. Jungkook mi ha portato via senza intoppi e ora il governatore sarà ancora più convinto della storia che gli ho raccontato, perché penserà che il vostro strozzino mi abbia rapito dalle sue mani come ha fatto quando ero alla residenza reale. Stiamo bene. Siamo qui. 

 

Diana sottolineò le ultime parole prendendogli il viso fra le mani e strofinando i pollici sulle sue guance, come a voler consolidare la sua presenza. 

 

Yoongi, dopo un istante perso a contemplare il volto di lei, annuì sciogliendo la tensione del suo corpo. 

 

-Va bene, non chiederò altro. Vieni, Seokjin ti preparerà qualcosa così potrai andare a riposare. 

 

Diana, con un sorriso, gli prese il braccio appoggiandosi appena a lui e si lasciò condurre all'interno della casa. 

 

 

 

Il giorno seguente fu verso il mezzogiorno, mentre Yoongi era seduto di fronte a Namjoon con il capo chino su una mappa del palazzo intento a studiare le vie di accesso alle stanze del re, che Hoseok annunciò l'arrivo di Cho Kwangjo. 

 

Il principe si alzò in piedi ma sollevò gli occhi al soffitto quando l'uomo dalla lunga barba argentata entrò nella stanza rivolgendogli un profondo inchino. Con uno sbuffo, il giovane scosse il capo mentre, suo malgrado, si apriva in un leggero sorriso. 

 

-Niente formalità, maestro. Pensavo mi conosceste meglio di così- eruppe, un tono vagamente scherzoso nella voce. 

 

L'uomo anziano si raddrizzò, rivolgendogli un'espressione indulgente. 

 

-Sono sei anni ormai che non vi vedo, vostra altezza. La mia fragile mente da povero vecchio inizia a giocarmi brutti scherzi. 

 

Yoongi scosse nuovamente il capo, sollevando gli angoli della bocca in una smorfia. Se quell'uomo osava intendere che non fosse più lucido, allora lui era una foglia di cavolo. Il suo mentore, prima di abbandonare il palazzo durante la strage, era fra i ministri di più alto grado del consiglio. In effetti, era l'unico reale ostacolo fra Im Sahong e il re. Il suo ingegno affilato e la rispettabilità di cui godeva presso i nobili erano impareggiabili, perfino per un essere infidamente astuto come il consigliere. 

 

Probabilmente, era proprio lui l'obbiettivo principale della purga di sei anni prima. L'impedimento di cui Sahong voleva liberarsi maggiormente. 

 

-Sono contento di sapere che avete deciso, alla fine, di prendere il posto che vi spetta- proseguì l'uomo, osservandolo con uno sguardo fiero negli occhi. 

 

Yoongi in un istante si congelò, abbandonando l'espressione serena che aveva dipinta sul viso. Contraendo la mandibola, il giovane distolse lo sguardo puntandolo verso la leggera fessura nella parete che gli lasciava intravedere il cortile. Da lì, poteva osservare Diana con un largo sorriso, intenta a rammendare l'uniforme che Jungkook avrebbe indossato mentre ascoltava Taehyung parlare di qualcosa che sembrava infiammarlo di passione. 

 

-Voi siete così convinto che io sia la persona giusta per salire al trono, maestro. Siete così convinto che, una volta arrivato al potere, porrò fine a tutti i problemi del nostro paese. 

 

Yoongi chiuse gli occhi per istante, traendo un lungo sospiro. Quando li riaprì, tornò a concentrarsi sulla visione di fronte a sé, sul cortile soleggiato, sulla ragazza sorridente e accarezzata dai raggi del sole. E su suo fratello. 

 

-Un re non fa una nazione. Sopratutto, non fa la nostra nazione. I consiglieri la fanno. Io, anche quando raggiungerò quel posto, sarò solo la marionetta che dovrà dire "sì" o "no" a qualunque proposta voi avanziate. E anche qualora riuscissi a fare una differenza, anche qualora riuscissi a tenere a bada la corruzione della corte e delle regioni, a regolare le tasse in modo che non vengano usate dai governatori per vessare il popolo e a controllare i confini in modo da non soccombere ad altre invasioni straniere, cosa succederebbe dopo la mia morte? Non verrebbe un altro re e un altro re ancora e un altro ancora? E che individui saranno? Non possiamo illuderci e pensare che non esisteranno altri Yonsangun o altri Im Sahong. Prima o poi, succederà di nuovo. Potrebbero esserci re pazzi e consiglieri avidi che manderanno all'aria tutto il nostro lavoro. Quale valore ha, dunque, il nostro gesto? 

 

Yoongi si voltò e puntò lo sguardo sul volto muto del suo mentore, che lo fissava pensieroso. Nonostante ciò, sapeva che le sue parole non lo coglievano di sorpresa. Avevano già avuto quella conversazione via lettera, nel periodo in cui l'uomo era nascosto insieme agli altri sarim sopravvissuti e lo implorava di prendere il trono e porre fine alla situazione. 

 

Cho Kwangjo, infatti, lo guardò con serena determinazione. 

 

-Le vostre parole non sono sbagliate, vostra altezza. Non possiamo prevedere chi salirà al trono in futuro, né possiamo impedire che altri individui senza morale assumano posizioni di potere. Nondimeno, con questo gesto voi state facendo qualcosa di concreto. Salvate i vostri amici e i miei compagni da un destino funesto e dimostrate a questa nazione che ci si può ribellare contro ciò che è ingiusto. Dimostrate che, anche quando le circostanze ci schiacciano e sono contro di noi, avremo sempre il potere di fare qualcosa. 

 

Il principe non replicò. Distolse lo sguardo e lo riportò alla fessura della parete, perché quella stanza e quella conversazione lo facevano soffocare. I suoi occhi, allora, cercarono istintivamente la sua boccata di aria fresca. 

 

-I vostri uomini sono pronti?- chiese infine con tono rauco. 

 

Il suo mentore annuì con decisione. 

 

-Sono pronti, armati e determinati. Sono stanziati in gruppi eguali fuori dalle porte a nord, est e ovest, come ci avevate indicato. Abbiamo cento unità per lato, la metà delle quali a cavallo. 

 

Yoongi fece un gesto secco con il capo, dimostrando la sua comprensione, prima di puntare lo sguardo su suo cugino, chiuso in un meditabondo silenzio. 

 

-Cento unità per lato... Trecento uomini in totale, di cui centocinquanta a cavallo. Non è molto, sicuramente ne perderemo almeno la metà già alle mura della città, ma possiamo farle bastare per arrivare a palazzo. Partiremo all'ora del topo. 

 

 

 

La notte era calma, quieta come un lago imperturbato. Se fosse stata un mantello, non avrebbe avuto neanche l'ombra di una piega, distesa perfettamente a mostrare la preziosa spilla argentata che brillava sul suo dorso, unita alle sue piccole sorelle che ne impreziosivano ancora di più l'apparenza. 

 

Yoongi scrutò con un cipiglio il manipolo di persone ferme sotto alla luce della luna, raggruppate sull'uscita della casa con occhi ansiosi puntati su di lui e su Jungkook. Il ragazzo era avvolto in un hanbok raffinato, degno di un nobile e del cognome che suo padre gli aveva tramandato, con la lama accuratamente assicurata alla cinta insieme ad una serie di pugnali. 

 

Il principe prese a esaminare ogni volto, prima di fermarsi su quello contorto in un'espressione costipata appartenente al cuoco. 

 

-Sono nelle tue mani, hyung. 

 

Seokjin arricciò le labbra, come a voler rimbrottare una risposta piccata o alleggerire l'atmosfera con una battuta infelice. Invece, annuì seccamente, tenendo lo sguardo lontano. Yoongi allora si soffermò sul volto pallido di Jimin e subito dopo su quello così apertamente ansioso di Taehyung. 

 

-Entro domani sera, potrai tornare a palazzo. Andrà tutto bene- disse, guardando il fratello. 

 

Lui, in risposta, scosse leggermente il capo, prendendo a giocare con le sue mani come faceva quando era nervoso. Poi, con passi esitanti, si portò in avanti e si fiondò contro il suo corpo, stritolandolo in una presa troppo soffocante  ma allo stesso così rassicurante. 

 

-Resta vivo- mormorò semplicemente, prima di allontanarsi.

 

Dopo aver fatto un paio di passi indietro, si precipitò anche sul corpo della guardia al suo fianco, portando entrambi a spalancare gli occhi. 

 

-Anche tu, Jungkookie. 

 

Il giovane, incredulo, annuì appena, osservando il ragazzo che si allontanava da lui come se nulla fosse successo. 

 

Infine, il principe posò gli occhi sulla ragazza con il viso oscurato dai capelli riversi davanti a lei. 

 

Voleva vedere i suoi occhi. 

 

Il desiderio era così istintivo e viscerale che si accorse appena di averla raggiunta con larghe falcate e averle afferrato il viso fra le mani, sollevandolo affinché si presentasse a lui in tutto il suo candore. 

 

Le sue iridi, quelle gocce di giada raffreddate dalla notte, sembravano arrossate e lui voleva morire. Voleva morire perché avrebbe dato qualsiasi cosa per mandare tutto in malora e rimanere lì con lei. 

 

-Tornerò. Aspettami- disse semplicemente. 

 

Ignorando il gruppo che li circondava e che aveva gli occhi puntati su di loro, si abbassò per lasciarle un bacio a fior di labbra. Non indugiò a lungo, perché sapeva che non sarebbe riuscito ad andarsene altrimenti. Perciò, si allontanò e puntò gli occhi nei suoi mentre lei serrava le palpebre annuendo. 

 

Poi, mentre lei si dirigeva verso Jungkook, Yoongi si guardò attorno. 

 

-Dov'è Hoseok? 

 

Non appena la domanda risuonò nell'aria, la figura del suo assistente emerse dalla casa. 

 

Con una spada legata al fianco. 

 

-Sono pronto- replicò lui, guardandolo con sguardo ferreo. 

 

Il principe sollevò le sopracciglia mentre un moto di rabbia gli saliva lungo il collo sotto forma di calore. 

 

-Stai scherzando. 

 

Non era domanda. Doveva essere uno scherzo, perché non c'era modo che Hoseok, lo stupido, fastidioso, rumoroso Hoseok si fosse preparato per seguirlo in battaglia. 

 

-Te l'ho detto. Io vado dove vai tu. Perciò vengo anche io. 

 

Yoongi spalancò gli occhi puntandogli un dito contro il petto. 

 

-Non hai idea di come si combatte! Non fare stupidaggini, ti farai uccidere dopo un istante! 

 

Il suo assistente non si mosse di un soffio. La sua espressione non vacillò nemmeno per un momento. 

 

-Sono cresciuto come nomade, viaggiando di città in città. Dovevamo proteggerci dalle bestie lungo il percorso e dai buzzurri nelle piazze. So come come difendermi. Io vengo. Fine della discussione. 

 

Yoongi gli afferrò la veste con i pugni stretti e le nocche bianche, avvicinando il viso a quello del giovane.

 

-Tu... 

 

-È ora di andare. 

 

Namjoon gli lanciò uno sguardo dal limitare della foresta in cui era immersa l'abitazione, un'occhiata di intesa che suggeriva il suo senso di urgenza. 

 

Yoongi sbuffò, lasciando l'hanbok di Hoseok con uno strattone. Il ragazzo, dal canto suo, rimase impassibile e prese a marciare verso il sentiero, senza aggiungere una parola. Il principe strinse i pugni, digrignando i denti. 

 

-E va bene, fatti ammazzare allora!- gridò, forse con troppa veemenza data la necessità di non attirare l'attenzione. 

 

Poi, con la mandibola ancora stretta dalla rabbia, si voltò, rivolgendo un ultimo sguardo alle persone ferme sull'uscio. 

 

Con un cenno del capo, si voltò, ingoiò il groppo di angoscia nella sua gola e prese a camminare.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

Uhm... lo sentite? Lo sentite anche voi questo.... odore di GUAI IN AGGUANTO? Lol. Cosa ne dite? Come pesante che andrà? Qualcuno teme per il nostro povero Hoseok? 

E comunque adoriamo tutti Yoongi sottone per Diana parte 136 oltre a quel cucciolino di Tae. In queste settimane mi porterò avanti a scrivere i capitoli che mancano alla fine in modo che, come vi ho promesso, li potrò pubblicare a distanza di poco l’uno dall’altro. Per il momento, al schedule rimarrà la stessa, ma attendete aggiornamenti! 

 

Piccola nota

Ora del topo: dalle 23 all'1

Le ore nell’epoca Choson erano 12 e avevano i nomi degli animali dell’oroscopo cinese.

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** XLVIII ***


-Vostra altezza... 

 

Yoongi incitò brevemente il cavallo con un colpo di tacco, spingendolo ad assumere un passo più sostenuto mentre iniziava a intravedere le mura della città. 

 

-Vostra altezza... 

 

-Silenzio. Vuoi farci scoprire?- replicò in un ringhio basso il giovane, senza guardare negli occhi il cugino. 

 

Lo sentì trarre un sospiro esasperato, ma poco gli importava. 

 

-Vostra altezza, so che volete essere un buon condottiero ma dovete anche essere in grado di raggiungere il palazzo reale. Vivo, possibilmente. 

 

Finalmente, Yoongi fece scattare la testa di lato, concentrando la sua attenzione su Namjoon che lo osservava con un cipiglio scontento. Hoseok, che marciava al suo fianco, non aveva ancora emesso una parola da che avevano lasciato il loro rifugio. 

 

-Non sei stato forse tu a diffondere in giro la storia per cui il principe è il paladino del popolo? Ora vorresti rimangiarti tutto e spedirmi nelle retrovie? Quanto tempo ci vorrà prima che i cittadini inizino a chiedersi perché il loro "eroe" non sta conducendo l'attacco? 

 

Il cugino staccò gli occhi da lui, gli angoli della bocca appena piegati all'ingiù a dimostrare il suo dissenso. 

 

-Stanno tutti dormendo a quest'ora della notte. Non ci sarà nessuno fra le strade ad assistere al vostro nobile gesto. 

 

Yoongi riportò lo sguardo sul sentiero davanti a sé. C'era lui e c'erano le mura della città in cui era nato. Nessun ostacolo. Nessun impedimento. Alle sue spalle, per contro, percepiva il tonfo rimbombante dei passi e degli zoccoli delle cento unità che lo stavano seguendo, spade strette fra le mani e archi appena pizzicati fra le dita mentre sentivano la tensione salire all'avvicinarsi con il loro obbiettivo. 

 

-Ci sono sempre testimoni, Namjoon. Anche se non li vediamo. Faremo confusione, perciò sicuramente qualcuno si sveglierà e si affaccerà per vedere cosa sta succedendo. Inoltre, non sono solo quelli là dentro a cui dobbiamo dimostrare che tipo di persona sono- mormorò in risposta, spostando brevemente gli occhi sul gruppo di soldati dietro di loro prima di riportarlo sul cugino. 

 

Questo, dopo un istante di silenzio, gli rivolse una smorfia infastidita. 

 

Era bizzarro. 

 

Forse era perché Namjoon si stava lentamente lasciando andare o forse era tutto il tempo che ultimamente avevano passato assieme, ma Yoongi aveva l'impressione di riuscire a leggere con sempre maggiore chiarezza le emozioni che passavano dal suo viso. 

 

-Come dite voi, vostra altezza- brontolò infine. 

 

Il principe, beandosi dal silenzio di cui il giovane finalmente lo aveva graziato, abbassò allora lo sguardo sull'assistente che camminava al suo fianco, gli occhi ostinatamente puntati in avanti. 

 

-Posizionati insieme alla fanteria- ordinò con tono secco, accentuato da una punta di asprezza.

 

Hoseok sollevò la testa e lo fissò con un'espressione impassibile sul viso. 

 

-Io non lascio il vostro fianco. 

 

Yoongi strinse la mandibola e sollevò le labbra in una sorta di ringhio rabbioso. 

 

-Prima che ti azzoppi e ti abbandoni qui, posizionati insieme alla fanteria, stupida testa di legno! 

 

Hoseok continuò a fissarlo, socchiudendo appena la bocca in procinto di replicare quando Yoongi riprese a sputare la sua replica. 

 

-C'è Jungkook qui con me. Hai presente? Lo stesso tizio che ti ha sollevato come fossi stato un uccellino quando ti eri seduto al suo posto. Anche lo stesso tizio che ha fatto fuori gli assassini del re mandati per ucciderci, da solo! Ed è a cavallo, al contrario di te! Vai nelle retrovie, ora. 

 

Il suo assistente si morse il labbro scurendosi in volto, ma annuì e prese a marciare verso il fondo della fila. Quando Yoongi riportò l'attenzione di fronte a sé, la linea degli alberi si era fatta ormai rada e a breve avrebbe cessato del tutto di celare la loro presenza. 

 

Il principe si irrigidì, stringendo le redini della sua cavalcatura fra le mani e traendo un sospiro tremante. 

 

Era ora. 

 

Lanciando un'occhiata al suo fianco, sentì un piccolo grumo di coraggio tornare nel suo cuore nel vedere la figura ritta e determinata di Jungkook. 

 

Infine, si voltò verso il cugino, che lo studiava con attenzione. 

 

E annuì.

 

-Preparatevi. 

 

Yoongi aveva sempre pensato che Namjoon fosse un condottiero migliore di lui. Il suo tono calmo ma ferreo, nonostante il volume basso, risuonò nell'aria con potenza, esigendo deferenza e spingendo chiunque fosse in ascolto a prestare attenzione. 

 

Il principe deglutì, prima di estrarre la spada. Il riflesso della luna rimbalzò sulla lama, talmente affilata che avrebbe potuto tagliare la luce stessa. 

 

E la sollevò in aria. 

 

Non poteva gridare di iniziare l'attacco. Avrebbe attirato l'attenzione delle guardie e rovinato l'unico vantaggio che avevano. 

 

Perciò quel semplice gesto fu tutto ciò che servì. 

 

Con la spada puntata verso il cielo, diede un colpo deciso allo sterno della sua cavalcatura. 

 

E l'assedio ebbe inizio. 

 

 

 

Yoongi sentiva il fianco pulsare. 

 

La sensazione lo infastidiva da un po', punzecchiandolo ogni volta che si piegava per lanciare un fendente o a ogni sobbalzo del suo cavallo. 

 

Aveva il fiato corto. 

 

I respiri uscivano come lame dal suo petto, graffiandogli la gola. Una lieve sensazione di nausea stava inoltre facendo capolino dalla sua gola, rafforzata dal tanfo di sangue che aveva preso a invadergli le narici. 

 

Odiava quell'odore. Avrebbe lasciato tutto e sarebbe fuggito via solo per allontanarsi da esso. Ma non poteva. 

 

La sua testa si voltò freneticamente a destra e a sinistra, mentre un fischio acuto gli rimbombava nelle orecchie. Un paio di soldati erano ancora intenti a combattere con le ultime guardie rimaste, ma pareva che la situazione fosse sotto controllo. Girandosi ancora di più, e percependo una sferzata più violenta nel fianco come risposta, riuscì a intravedere Jungkook che sfilava la sua lama dal petto di un uomo con un'espressione impassibile dipinta sul volto. 

 

Portandosi finalmente la mano alle costole, via via che il dolore prendeva a pulsare con più decisione, continuò a vagliare la zona di battaglia con occhi febbrili. 

 

Dov'era Hoseok?

 

Quando le sue dita raggiunsero la stoffa dell'hanbok, Yoongi percepì vagamente una sensazione umida e appiccicaticcia. Il suo sguardo, però, continuò a studiare ogni testa, ogni volto e ogni cadavere su cui si riusciva a posare. 

 

"Dove sei..."

 

"Dove dannazione sei..." 

 

I capelli scuri del suo assistente, insieme al suo viso abbronzato e a una smorfia disgustata dipinta sulla bocca, fecero finalmente capolino nella sua visuale. 

 

Solo allora, il principe si sforzò di rallentare il suo petto in fiamme e concentrare la sua attenzione sul sangue che stava fuoriuscendo dal proprio fianco. 

 

-Accidenti... 

 

La ferita non sembrava grave. Non era neppure così tanto dolorosa. Doveva essere stata quella guardia che aveva sollevato la spada alla cieca, mancando il costato del suo cavallo. La sua lama doveva essere scivolata verso l'alto fino ad atterrare sulle sue costole. Non aveva neppure uno straccio di armatura, perciò il principe dovette ammettere che era stato anche fin troppo fortunato.

 

Sarebbe sopravvissuto. Il sangue sembrava già in procinto di fermarsi sotto alla pressione della sua mano e l'energia che agitava il suo corpo in quel momento gli permetteva di non sentire la stanchezza sulle membra. 

 

Ce la poteva fare. 

 

Fino a quel momento era andata piuttosto bene. Il numero di guardie appostate alla porta era inferiore rispetto a quello che avevano preventivato, perciò erano riusciti a liberare l'ingresso e spalancare i pesanti battenti di legno senza perdere troppi uomini. 

 

Come aveva previsto, le persone avevano iniziato ad affacciarsi alle finestre delle loro case quando i rumori della battaglia avevano preso a sollevarsi nella città addormentata. Dopo occhiate esitanti e cariche di ansia, la maggior parte si era rintanata nella propria dimora, lontano dal tanfo di sangue e dal clangore di lame. 

 

Yoongi, rinfoderando la spada con la mano che non reggeva il fianco ferito, riprese le redini del cavallo e si voltò dietro di sé, verso i superstiti della sua piccola armata. 

 

-Al palazzo! 

 

Il giovane si sforzò di far rombare la voce nell'aria con energia e un ringhio selvaggio. Non era più il momento dei sussurri e dei nascondigli. La città ormai sapeva che erano lì e nessuno si sarebbe più frapposto a loro finché non avessero raggiunto la residenza del re. 

 

Con un grido gutturale, gorgogliante a causa di gole rauche e voci stanche, le unità ripresero le armi in mano, marciando con determinazione dietro di lui. 

 

Al suono di zoccoli che si avvicinavano, Yoongi sollevò appena il capo gettando uno sguardo alle figure di Namjoon e Jungkook che si ponevano accanto a lui.

 

-Siete ferito. 

 

Gli occhi della sua guardia si posarono sulla mano insanguinata che reggeva il suo fianco, ma il giovane replicò con un semplice grugnito. I suoi occhi erano puntati sulla sagoma che stava caracollando verso di lui con il fiato corto e la fronte fradicia di sudore. 

 

-Sali. 

 

Il principe rivolse uno sguardo inflessibile sulla figura stremata del suo assistente che, lanciando un'occhiata alla mano offerta nella sua direzione, si aggrappò a lui sollevandosi sul dorso del cavallo. Il giovane percepì il corpo di Hoseok accasciarsi contro la propria schiena, la sua fronte appoggiata alla propria spalla. 

 

-Sono sopravvissuto. 

 

Yoongi piegò la bocca in una smorfia, spingendo il cavallo al galoppo con un colpo secco dei tacchi. 

 

-Le mie congratulazioni- rispose in tono piatto. 

 

 

 

La strada verso il palazzo era deserta. Occasionalmente, un mercante o un vecchio artigiano spalancavano i battenti della propria finestra per affacciare la testa all'esterno e lanciare un roboante "Lunga vita a sua maestà!", ma nessuna guardia si presentò a ostacolare il loro cammino. 

 

-Ti fa male? 

 

Sopra il clangore di zoccoli, Yoongi percepì l'attenzione di Hoseok focalizzarsi sulla ferita. 

 

-No. Sembra peggio di quello che è. 

 

Il principe brontolò la risposta con noncuranza, ma poco dopo sentì la confortante morbidezza di un panno premuto sulla pelle bagnata e una presa gentile ma irremovibile che si assicurava sulle sue coste. 

 

-Lunga vita al principe! 

 

-Lunga vita a sua maestà! 

 

Yoongi non ascoltava più. I suoi occhi avevano ripreso a concentrarsi davanti a sé, alla porta stretta e al manipolo di guardie che brandiva le spade e lanciava grida di allarme. 

 

-Apriamo la strada al principe! 

 

L'ordine di Namjoon rombò nell'aria, accolto da grida di assenso, e il ragazzo vide sempre più cavalli superare la sua posizione e scontrarsi con le figure armate che li attendevano. I componenti della fanteria, alcuni dei quali si erano impossessati delle cavalcature dei caduti o erano saliti insieme ai cavalieri ancora in vita, scesero dalle loro monte per impegnare le guardie e lanciarsi contro le porte di legno massiccio. 

 

Il vantaggio nell'attaccare uno degli ingressi secondari fu in effetti che, prima ancora che Yoongi potesse sfoderare la spada e raggiungere lo scontro, i battenti erano già stati spalancati. Namjoon aveva ragione. La minore dimensione ne aveva facilitato l'apertura senza neppure la necessità di usare un ariete. 

 

-Andiamo. Le retrovie ci copriranno, potremmo riuscire a raggiungere direttamente le stanze del re. 

 

Il cugino, che aveva raggiunto il suo fianco, gli lanciò uno sguardo deciso mentre iniziava a tagliare l'agglomerato di uomini che convogliava in un unico, caotico bandolo. 

 

-Fate spazio al principe! 

 

-Spostatevi! 

 

-Lunga vita la principe! 

 

I soldati spinsero finché non riuscirono ad aprire un passaggio. Yoongi deglutì, cercando di controllare la sua espressione. Era già stufo delle urla. Degli incitamenti. Dell'attenzione. Era già stufo di dipendere così pesantemente da altri e di sapere che altri dipendevano da lui. 

 

Forzandosi a non accartocciarsi in una smorfia contrariata, lanciò il cavallo lungo il percorso, percependo flebilmente le cavalcature di Namjoon e di Jungkook che lo seguivano insieme a un manipolo di uomini. 

 

Le guardie del palazzo che non erano impegnate all'ingresso emersero dalle profondità dell'edificio, sciamando fuori dalle porte e dai corridoio coperti come scarafaggi. Prontamente, il principe vide tre soldati portarsi davanti a lui e scontrarsi con gli avversari, mentre lui estraeva la spada e sferrava il primo fendente contro il petto di un uomo in procinto di colpirlo alla gamba.

 

Nel frattempo che la loro copertura si occupava di tenere impegnate le guardie, il principe lanciò uno sguardo di intesa a Namjoon, prima di dirigere il cavallo fra le colonne rosse che sorreggevano l'imponente tetto dell'edificio. L'obbiettivo era il cortile principale. Una volta arrivati lì, avrebbero abbandonato i destrieri e si sarebbero infiltrati nel palazzo fino a raggiungere le stanze del re. 

 

Yoongi si voltò al suono di un clangore di spade. Jungkook aveva bloccato una guardia con la lama e, dopo avergli trapassato il petto in un gesto fluido, aveva ripreso a marciare dietro di lui.

 

Le loro cavalcature pestavano rumorosamente sulla pietra che ricopriva il terreno. I fiati affaticati dei cavalli riempivano l'aria, riecheggiando fra i corridoio bui. Una manciata di guardie si avvicinarono al loro gruppo ma, dalla loro posizione svantaggiata, non riuscirono a contrastare i colpi sferzati dal dorso degli animali. 

 

E quando finalmente giunsero al cortile principale, il petto di Yoongi si strinse leggermente. 

 

Senza neanche accorgersene, i suoi occhi si erano posati su Jungkook, il cui viso era impenetrabile quanto una statua. Non una traccia di dolore. Non un briciolo di paura o di disgusto. 

 

Eppure lui stesso sentiva la nausea tornare nel suo stomaco. Il pavimento sotto ai suoi piedi era tornato pallido come lo era stato prima di quel giorno soleggiato, ma il principe aveva ancora incastrato negli occhi il rosso che gli attorcigliava le caviglie, l'odore ferroso che gli violava il naso mentre il suono di urla e gola gorgoglianti si liberava nell'aria. 

 

Il cavallo era già alle sue spalle mentre i suoi piedi lo costringevano ad allontanarsi da quel terreno maledetto. Dietro di sé, il passo infallibile di Jungkook, Hoseok e Namjoon non lo perdevano neanche di un fiato. 

 

Il giovane non dovette pensare. 

 

In effetti, anche se aveva studiato la mappa del palazzo, ricordava fin troppo bene la strada per raggiungere gli appartamenti privati di suo fratello. 

 

Ma Yoongi era certo di una cosa. 

 

Il re non stava dormendo. 

 

La sua intuizione fu confermata quando, ignorando il rumore della lama di Jungkook che tagliava i corpi delle guardie, pressò le mani sulle porte della sala del trono e le spalancò. 

 

Distrattamente, percepì il rumore di altri soldati che si avvicinavano a loro mentre i tre uomini alle sue spalle li trattenevano, scontrandosi in un clangore metallico. 

 

La figura di fronte a sé, però, aveva accalappiato avidamente tutta la sua attenzione. 

 

-Alla fine, sei venuto... 

 

Yonsan sollevò gli occhi arrossati su di lui, un sorriso sofferente dipinto sulle labbra. 

 

-... fratellino.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

.....sorry non so scrivere scene di guerra, è la prima volta, mi dispiace se non si capisce bene la dinamica delle azioni e se le cose succedono troppo in fretta. Ho letto diversi libri con scene di battaglia ma sinceramente è un po’ diverso leggerle e scriverle perciò perdonatemi se non sono il massimo. 

 

Dunque, aggiornamento sulla schedule! Come annunciato in precedenza, gli ultimi capitoli verrano pubblicati a poca distanza l’uno dall’altro perché so che di non potervi fare aspettare così tanto per arrivare alla fine. Dunque, mancano precisamente tre capitoli alla fine, perciò vi do il calendario preciso di quando pubblicherò così saprete bene quando aspettarvi l’aggiornamento (ps: sarò in vacanza perciò spero davvero di riuscire a mantenere il programma stabilito ma vi prego di comprendere se ci saranno problemi o ritardi):

 

-Mercoledì 8 capitolo 49 

 

-Venerdì 10 capitolo 50 

 

-Domenica 12 ultimo capitolo 

 

Preparatevi. No, davvero, preparatevi, anche perché il prossimo sarà un bestione di quasi 3000 parole quindi XD

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** IL ***


Il caotico grugnire e infilzare alle sue spalle non era che il ronzio di una mosca in quel momento. Yoongi, con la spada stretta in mano, non poté fare a meno di tremare impercettibilmente sotto allo sguardo del re.

 

-Fratello. 

 

Nessuno dei due si mosse. Yonsan non era cambiato molto in cinque anni. La sua carnagione lievemente abbronzata, i capelli stretti in una crocchia sulla testa e l'accenno di una barbetta appuntita sul suo mento erano ancora come li ricordava. L'unico tratto che il principe poté distinguere come un segno del tempo passato, erano le piccole rughe di espressione che avevano iniziato a evidenziarsi intorno ai suoi occhi. 

 

Quegli occhi che in quel momento lo guardavano come se fossero stati sull'orlo di un baratro. 

 

-Sei cresciuto, Yoongi- mormorò il fratello in un tono placidamente neutro, quasi trasognato. 

 

Il re piegò il capo, lasciando che sulla sua bocca si dipingesse un sorriso nostalgico, che sarebbe parso quasi gioioso se non fosse stato macchiato dalla sofferenza che si rifletteva nel suo sguardo. 

 

-Mi sei mancato, sai?- continuò, mormorando la domanda a fior di labbra. 

 

-Per così tanto tempo... ho desiderato rivederti. 

 

Yoongi deglutì, impassibile. Non aveva mosso un passo verso di lui, ma non aveva neppure abbassato la spada. Il suo petto, però, si strinse appena contro la sua volontà. 

 

La bocca di Yonsan si contorse in una smorfia tesa che ne mostrava tutti i denti, mentre una risata sibilava fuori dalla sua gola e la sua testa cadeva in avanti, atterrando sul sostegno della sua mano. 

 

-Perché... perché mi hai fatto questo? 

 

Quando suo fratello tornò a sollevare lo sguardo su di lui, i suoi occhi erano inondati di lacrime e le sue labbra erano tese nel sorriso di una persona disperata. 

 

-Perché mi hai tradito? 

 

Il principe strinse i denti, deglutendo il groppo di angoscia che sentiva salire in gola. 

 

-Perché qualcuno doveva fermarti, hyung. 

 

Le sue pupille studiarono con attenzione il volto del re accartocciarsi sempre di più, mentre la sua schiena sobbalzava leggermente per i singhiozzi. 

 

-Non tu, Yoongi... eri l'unica persona... eri l'unico di cui mi fidavo. Odiavo ogni singolo essere umano in questo palazzo, tranne te... 

 

Le lacrime scorrevano sulle sue guance come rivoli di montagna, ininterrotte e impetuose, mentre la sua bocca si contorceva in una piega indecisa tra un sorriso e un grido. 

 

-Ora sono solo. Sono solo. 

 

Yonsan si prese la testa fra le mani, abbassando il capo fino a che non fu incastrato fra le sue ginocchia e mormorando a fior di labbra. 

 

-Solo... tutta colpa tua... è colpa tua... se sono solo...

 

Yoongi piegò la bocca in una smorfia, stringendo le dita attorno al l'elsa della spada fino a che la pelle non divenne bianca dallo sforzo. 

 

-Non volevo arrivare fino a questo punto, fratello. 

 

Ma Yonsan non ascoltava. Forse, non sentiva neppure. Quando finalmente sollevò la testa, i suoi occhi erano arrossati e le sue pupille dilatate, come un cane in preda alla rabbia o una bestia dominata dalla furia più cieca. 

 

-Mia madre è morta... e nessuno ha mai detto niente! 

 

Il re allungò la mano al suo fianco, afferrando una spada appoggiata al bracciolo del trono e puntandola in avanti mentre i suoi piedi incerti lo portavano a zoppicare verso di lui. 

 

-Mia madre è morta per colpa tua e tu non hai fatto altro che ridere di me! 

 

Sollevando il braccio, suo fratello lanciò il primo, maldestro fendente, che Yoongi bloccò prontamente alzando la lama e facendola scontrare contro l'avversaria. 

 

-Ti sbagli. 

 

-Zitto!- urlò il re prima di lanciare un secondo colpo dal basso. 

 

La sua mira era offuscata dalle lacrime ma la forza dei suoi attacchi era notevole, perciò Yoongi si ritrovò a sorreggere l'elsa della spada con due mani nel tentativo di contrastarlo. 

 

Yonsan, gridando, sollevò nuovamente il braccio mirando al collo del principe, quando una lama si frappose sul suo cammino. Nel momento in cui  portò il suo sguardo di lato, Namjoon stava di fianco a lui con l'arma stretta nel pugno e un'espressione gelida in viso. 

 

-Se non vi dispiace, vostra maestà, avrei un conto in sospeso da sistemare. 

 

Non appena il cugino ebbe sollevato nuovamente la sua spada, il principe si allontanò allontanandosi dalla sua traiettoria, mentre il ragazzo faceva calare un pesante fendente sul re. 

 

-Togliti di mezzo!- gridò Yonsan, prima di spingere Namjoon con potenza tale da farlo cadere a terra. 

 

L'uomo si voltò, riportando la sua intera attenzione a Yoongi. Percepiva ancora a malapena il rumore dello scontro dietro di sé, ma gli parve che il numero di guardie stesse gradualmente aumentando, mettendo in difficoltà Hoseok e Jungkook. 

 

Dovevano finirla. E dovevano farlo in fretta, di questo era certo. 

 

Yonsan lanciò un fendente puntando al suo fianco destro, portandolo a sollevare la spada spaventosamente vicino alla ferita per parare il colpo. 

 

-Fratello, mi dispiace per non averti detto la verità. Vorrei che le cose fossero andate diversamente. 

 

E Yoongi lo pensava veramente. 

 

In un'altra vita, in un'altra situazione, gli sarebbe piaciuto poterlo aiutare. Se lui non fosse stato re e Im Sahong non avesse alimentato la sua pazzia, allora forse le cose sarebbero state diverse. Se la loro madre fosse stata viva e il re precedente non fosse stato un egoista forse suo fratello non sarebbe stato pieno di rancore. Forse ci sarebbe stata una speranza per lui e forse sarebbe potuto stare al suo fianco. 

 

Ma la vita non era come la desiderava. Non lo era mai stata. 

 

Il re aveva le braccia tremanti, appena capaci di reggere la spada mentre le lacrime tornavano ad offuscargli gli occhi. 

 

-Mi hai lasciato, Yoongi. Ora che ne sarà di me? 

 

Il principe strinse le labbra. Avrebbe voluto serrare le palpebre per non guardare la disperazione di quell'uomo, ma dovette tenere lo sguardo piantato sulla sua spada. 

 

E poi successe. 

 

Fu questione di un istante. 

 

Uno stupido, insulso istante di distrazione. 

 

Il grido di Hoseok alle sue spalle. 

 

Yoongi si voltò, per vedere il suo migliore amico con una mano sulla spalla e la pelle macchiata di sangue. E fu a quel punto, in quel momento di distrazione, che qualcosa strappò l'aria dal suo petto. 

 

Qualcosa che gli dava fastidio. 

 

Non lo accolse immediatamente, il dolore. 

 

Passò qualche istante prima che il lancinante bruciare fu in grado di far breccia nella sua percezione. 

 

E Yoongi abbassò lo sguardo. 

 

La spada di Yonsan era affondata nel suo addome. Il suo hanbok stava gradualmente diventando di un nero più profondo. Un nero umido, grondante del sangue che zampillava dalla breccia da cui l'elsa faceva capolino. 

 

-Yoongi! 

 

La voce di Hoseok lo raggiunse da una distanza indecifrabile. Il ragazzo, in effetti, non riusciva a capire molto di ciò che lo circondava in quel momento.

 

Sembrava non esistere altro a parte il violento, assoluto dolore e i rantoli che avevano preso a uscire dalla sua bocca.

 

"Accidenti." 

 

"Non era così che doveva andare." 

 

Quando la spada fu finalmente sfilata dai suoi intestìni, le sue gambe cedettero, facendolo crollare pesantemente a terra. E mentre si portava una mano sulla ferita vide nell'angolo della sua visione una lama che calava sul collo di Yonsan, tranciandogli la testa di netto per lasciar spazio all'espressione furiosa dipinta sul volto di Jungkook. 

 

-Yoongi! 

 

-Maledizione... 

 

-Yoongi, guardami! 

 

Hoseok era inginocchiato al suo fianco, si accorse. Si era tolto la casacca e l'aveva premuta con veemenza sullo squarcio. Namjoon comparve a sua volta sopra di lui, sciorinando una sequela di imprecazioni a fior di labbra, mentre Jungkook alle sue spalle lanciava un grido rabbioso attaccando ogni soldato che si parava davanti alla sua vista. 

 

-Fascialo e portalo via. 

 

O almeno, questo era quello che Yoongi capì. Il mondo reale sembrava raggiungerlo a sprazzi, come se il dolore non gli permettesse di uscire dal torpore in cui il suo corpo stava cadendo. Nonostante ciò, vide Hoseok afferrargli il volto e guardarlo con occhi pieni di lacrime. 

 

-Andrà tutto bene... adesso ti portiamo a casa e hyung ti curerà... ce la farai... 

 

Yoongi avrebbe voluto rivolgergli uno sguardo scettico e rispondergli: 

 

"E allora perché stai piangendo?" 

 

 

 

Diana contemplava il cielo notturno farsi sempre più chiaro e tingersi gradualmente dei colori dell'alba. La visione era serena, un balsamo per la sua mente torbida e i suoi occhi stanchi. 

 

Era vero, era stanca. Ma non sarebbe riuscita ad andare a dormire neanche volendo.

 

Non finché non sarebbero ricomparsi da quel sentiero. 

 

Taehyung, invece, era crollato quando la luna aveva iniziato a sparire divorata dal nuovo giorno. Con la testa appoggiata sulle gambe di lei, dormiva con le sopracciglia contratte ed emettendo respiri lenti e profondi. Erano rimasti entrambi seduti sull'uscio della porta che dava sul fronte della casa, gli occhi ansiosi fissati sull'orizzonte e i corpi stretti l'uno all'altra. 

 

Seokjin e Jimin, invece, avevano deciso di rintanarsi nella cucina e sublimare tutta la loro energia nervosa nel preparare un pasto. Per quando sarebbero tornati, così aveva detto il cuoco. 

 

Diana, senza distogliere lo sguardo dal sentiero che si immergeva nella foresta da cui erano spariti, sentì per l'ennesima volta quel fastidioso vuoto al petto che le faceva mancare il fiato. Come se qualcuno le stesse comprimendo lo sterno, costringendola a fare respiri veloci e superficiali, che non le davano alcun tipo di sollievo e che le alleggerivano solo la testa. Passando distrattamente una mano fra i lunghi capelli del ragazzo addormentato, si forzò a inspirare profondamente. 

 

Chiuse gli occhi. Inspirò ancora, obbligando il suo petto ad accettare l'aria fresca del mattino e a trattenerla. 

 

Quando li riaprì, erano lì. Hoseok che lanciava il suo cavallo in avanti e Jungkook subito dietro di lui. 

 

Diana contrasse le labbra. 

 

Dov'era lui? 

 

Quando i due destrieri raggiunsero finalmente lo spiazzo di fronte alla casa, la ragazza lo vide. O meglio, vide un cencio pallido accasciato contro la schiena di Jungkook, incosciente. 

 

-Che cosa è successo? 

 

La giovane fu in un istante in piedi svegliando di colpo Taehyung, che prese a guardarsi attorno con le palpebre semichiuse e uno sguardo confuso. 

 

La guardia non disse una parola, ma il suo viso non era mai stato così rigido come in quel momento. Hoseok, con gli occhi arrossati e il volto sbiancato, accorse al suo fianco per aiutarlo a sorreggere il corpo del principe mentre scivolava giù dal cavallo. 

 

E quello che Diana vide fu un'avida macchia rossa su una tela di bende che ne avvolgevano l'addome. 

 

Prima ancora di riflettere, si protrasse in avanti, allungandosi per toccarlo. 

 

-Hyung! Porta dei medicinali!

 

La voce disperata di Hoseok si levò nell'aria strappando Taehyung dal torpore residuo del sonno e portandolo accanto a lui in un istante. Con occhi grandi e una bocca spalancata in un cerchio confuso, fissava il corpo inconscio respirando affannosamente. 

 

-Yoongi-hyung? 

 

Seokjin emerse dalla porta con un cipiglio scuro in volto, puntando lo sguardo sulle tre figure che si avvicinavano maldestramente alla casa. Invece di iniziare a borbottare come suo solito, il cuoco non disse una parola e sparì all'interno dell'edificio. 

 

Hoseok e Jungkook, reggendo il principe ai due lati, raggiunsero il bordo rialzato che era stato occupato da lei e Taehyung fino a poco prima e si trascinarono all'interno, distenendo velocemente il corpo a terra. 

 

-Hyung? Hyung? Hyung, rispondi! 

 

Taehyung era scattato in avanti e aveva raggiunto il fianco del principe, inginocchiandosi accanto al suo corpo e prendendo a scuotergli la mano con gli occhi spalancati e, ormai, gonfi di lacrime. 

 

Diana si era ritrovata a sua volta a sormontare la figura inerme, ponendosi vicino alla sua testa e abbassandosi per poter guardare il volto pallido. 

 

Quel volto che, dopo qualche istante, aprì gli occhi grugnendo. 

 

-Hyung! Hyung, stai bene? Ti prego, dimmi che stai bene? 

 

Taehyung si avvicinò ancora di più al giovane, sormontandolo quasi interamente e avvicinando il viso al suo. Il principe strizzò le palpebre, traendo un respiro affilato. 

 

-Tae? 

 

-Sono io, hyung! Guardami! 

 

Yoongi strizzò gli occhi, puntandoli sul volto ansioso del fratello. 

 

-Perché tanta confusione?- chiese, prima di spostare lo sguardo su di lei. 

 

Diana, forzando un sorriso sulle sue labbra, prese ad accarezzare i capelli del ragazzo. 

 

-Ci avete fatto prendere un bello spavento- mormorò con una leggerezza che non avrebbe potuto ingannare nessuno. 

 

Seokjin, allora, fece irruzione nella stanza, ponendosi nel lato libero del principe e abbandonando freneticamente per terra una serie di piccoli vasi di ceramica. 

 

-Stupido... ecco cosa siete... guardate cosa avete combinato...- borbottava il cuoco, parlando più fra sé e sé che rivolgendosi ai presenti. 

 

Diana, ignorando il groppo di nausea che aveva incastrato in gola, continuò ad accarezzare la testa del giovane tentando di frenare il tremore nelle sue dita. 

 

-Che cosa è successo?- chiese di nuovo, con voce leggermente più calma.

 

Il principe grugnì non appena Seokjin sciolse le bende sulla sua ferita, prendendo a tamponare il sangue con pezzi di stoffa. 

 

-Mi sono distratto... come un idiota... e Yonsan...

 

Il principe lanciò un'imprecazione mentre il cuoco iniziava ad applicare un miscuglio di erbe, portandolo a rabbrividire violentemente. 

 

-Hyung, andrà tutto bene. Vedrai, andrà tutto bene. 

 

Diana, con un sorriso tremante e gli occhi in fiamme, annuì senza lasciare il volto di Yoongi.

 

-È quello che Hoseok continua a ripetere...- replicò lui in un sibilo. 

 

Eppure la sua pelle si faceva sempre più pallida. La sua fronte era madida di sudore e le sue labbra iniziavano a prendere una tinta grigiastra che non aveva nulla del roseo candore che l'aveva baciata qualche ora prima. Diana allungò la manica del vestito e prese ad asciugargli le gocce che gli imperlavano il viso. Quando passò davanti alla sua bocca, sentì il respiro toccarle appena il polso, un soffio d'aria così timido da parere quasi inesistente. 

 

La ragazza sollevò lo sguardo e fissò le sopracciglia contorte di Seokjin, che per un istante puntò gli occhi nei suoi. E quello che essi dicevano non le piacque per nulla. 

 

La giovane avrebbe voluto piangere. Stringendo le labbra, si costrinse a riportare l'attenzione sul principe vicino alle sue gambe e ad accarezzargli il viso con gesti lenti e rassicuranti. 

 

-Taehyung. 

 

Il giovane esangue aveva richiuso gli occhi lasciando la bocca semiaperta per emettere brevi respiri. 

 

-Sì, hyung?- rispose prontamente il ragazzo, lo sguardo attento e le mani avvolte attorno a quella del principe. 

 

-Devo dirti una cosa. 

 

Lui deglutì, un gesto che sembrò costargli uno sforzo immane, prima di sollevare le palpebre. 

 

-Riguarda la morte di tuo padre.

 

Taehyung aveva uno sguardo confuso sul volto, ma piegò il capo senza interrompere. 

 

-Tuo padre è stato...

 

Un lamento interruppe la frase, portando il principe a corrugare la fronte in una smorfia di dolore. 

 

-... è stato ucciso per colpa mia. Perché...- trasse un respiro che assomigliava a un rantolo -... sono tuo fratello, Tae. 

 

Silenzio. 

 

Diana sollevò lo sguardo sul ragazzo, che guardava Yoongi con un'espressione indecifrabile in viso. Il principe, per contro, si forzò ad aprire gli occhi per guardarlo ansiosamente. 

 

-Lo sapevo già, hyung. 

 

Il giovane spalancò le palpebre. 

 

-Cosa? 

 

Taehyung si abbassò verso il suo viso, fissandolo con uno sguardo determinato. 

 

-Mia madre me lo aveva già detto. Era convita che in questo modo ti avrei odiato e mi sarei allontanato da te. 

 

Yoongi rimase per diversi istanti in silenzio a fissare il ragazzo. Poi, sotto ai visi scioccati dei presenti, scoppiò a ridere. 

 

Una risata rauca, che si interruppe con colpi di tosse e gorgoglìi raccapriccianti. 

 

-Hyung?

 

Il fratello, con un'espressione confusa, lo fissò mentre il principe scuoteva la testa, portandosi una mano alla fronte. 

 

-Tutto questo tempo sprecato... e poteva essere così facile... 

 

Diana, in un attimo, capì. Il petto di Yoongi cessò di sobbalzare, ma sulle sue labbra rimase un sorriso incredulo. 

 

-Che stupido... tutto questo tempo in cui avrei potuto trattarti come mio fratello... in cui avrei potuto essere il supporto che meritavi... 

 

Taehyung corrugò le sopracciglia, una piega di angoscia che andava a incidersi sul suo viso mentre scrutava il giovane. 

 

-Puoi ancora esserlo, hyung. Per me sei sempre stato mio fratello. 

 

Yoongi non si voltò a guardare il ragazzo, ma il sorriso si fece più agrodolce sulle sue labbra, come se avesse appena condiviso un segreto solo con se stesso. 

 

-Hyung? 

 

Il principe non rispose, ma rimosse la mano dalla sua fronte, puntando lo sguardo sul viso di Diana. Lei, con gli occhi ormai inondati di lacrime, gli accarezzò il volto. 

 

-Prenditi cura di lui, mmh?- mormorò infine, fissandola con una dolcezza che aveva visto solo quella mattina che si erano svegliati l'uno accanto all'altra. 

 

Lei non fu in grado di annuire. Emise solo un verso gutturale, annacquato dai singhiozzi, osservando la mano di lui sollevarsi e raggiungere la sua guancia. 

 

Fece appena in tempo a toccarle la pelle. 

 

Era freddo. 

 

Così freddo. 

 

Il braccio di lui, allora, crollò a terra. E i suoi occhi rimasero aperti su di lei. 

 

Fissi. 

 

Immobili. 

 

-Hyung, perché hai smesso di trattare la sua ferita? 

 

La voce petulante di Hoseok era un'eco lontana sopra alle lacrime di Diana. 

 

-Seokjin-hyung? 

 

-Perché non sta sbattendo più gli occhi? 

 

E un grido si levò nella stanza.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

Beh.... che dire.... no, forse è meglio non dire niente XD dunque, per rispondere alla domanda di Starfragola... ebbene sì, ho ucciso uno dei sette. Anzi, ho ucciso il protagonista 🙃 che dire... vado a chiudere la cassetta della posta prima che mi ci buttiate i petardi dentro...

 

Per chi è sopravvissuto ed è interessato a conoscere di più sul delirio mentale che mi ha portato a questa decisione beh... benvenuti cuori d'acciaio! Per tutti gli altri, amen 🙏🏻  (ma date un'occhiata alle ultime righe in caps lock)

 

Dunque, inizialmente il piano era uccidere Hoseok. Non era realistico che tutti sopravvivessero perciò i candidati più probabili erano Hobi o Jungkook, ma kookie sarebbe stato piuttosto prevedibile. Ero sinceramente intenzionata a seguire la strada di Hobi, indirizzandovi anche a sospettare questa decisione, chiedendovi di prestargli attenzione, rendendolo il collante emotivo della storia e ponendo una situazione papabile piazzandolo in battaglia accanto a Yoongi. Un giorno, però, più o meno a un quarto dall'inizio della storia, stavo riflettendo sui problemi di Game of thrones (chi ha orecchie intenda 🙄) e ho pensato quasi per scherzo "Ma se davvero uccidessi il protagonista?". All'inizio ho sbolognato l'idea come assurda perché sapevo che avrebbe creato un grande cratere nel finale ma riflettendoci... ho pensato "Perché no?" 

 

Yoongi ha completato probabilmente l'arco più ampio dall'inizio della storia. Finalmente, aveva deciso di prendersi la sua responsabilità e prendere il suo posto come re, per salvare i suoi alleati e la nazione. E, alla fine, ha realizzato che il suo atto di "codardia", come la considerava lui, nel non parlare a Tae lo ha portato a perdersi potenzialmente un fantastico rapporto con suo fratello. Ha capito che doveva avere fiducia in Tae e nel loro legame e che lui gli voleva bene a prescindere dalle circostanze. Circostanze che non erano colpa sua. E, proprio in quel momento, gli diciamo addio. Perché Yoongi è cresciuto fino a questo punto, lo possiamo lasciare andare. 

 

Oppure no? 👀 

 

RICORDATE: questo non è l'ultimo capitolo! Abbiamo ancora il 50 e l'epilogo prima della fine.... e forse anche qualcos'altro? 👅 

 

E (FORSE) NON È L'ULTIMA VOLTA CHE VEDIAMO YOONGI E DIANA? E FORSE C'ENTRA LA NUOVA STORIA? 

 

Chi lo sa 🤷🏻‍♀️

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** L ***


Durante le prime ore dopo che il principe ebbe tratto l'ultimo respiro, Taehyung si rifiutò di allontanarsi dal corpo privo di vita. Si era avvinghiato a lui, circondandolo con le sue braccia e sporcandosi la veste e la pelle del sangue che lentamente stava cessando di fuoriuscire. Il suo pianto continuò a levarsi nell'aria con singhiozzi e grida disperate, riecheggiando nell'ambiente assieme a quello di Hoseok. 

 

Diana non riusciva a parlare. Era rimasta seduta accanto a lui, con le mani a circondare il suo volto freddo e a versare lacrime sulle sue guance pallide. Le sue ciocche bionde erano ricadute in avanti accarezzando a loro volta il suo viso, ma neppure esse furono in grado di risvegliarlo. 

 

In un qualche momento, si accorse del fatto che Seokjin aveva allungato la mano per chiudere le palpebre sugli occhi inanimati e si era allontanato dalla stanza. Jimin invece era rimasto sulla soglia della porta raccolto in un rispettoso silenzio, qualche lacrima solitaria a solcargli il viso. Hoseok si era raggomitolato su se stesso, come un bambino spaventato e abbandonato, intento a piangere con la testa immersa nelle sue ginocchia e la schiena scossa dai singhiozzi. Jungkook aveva da lungo tempo abbandonato la stanza in un turbine di porte sbattute e piedi che pestavano il pavimento. 

 

E all'arrivo di Namjoon, la situazione non era cambiata. Il mattino era ormai giunto e quando il giovane fece il suo ingresso, Diana fu l'unica a sollevare il capo per osservarlo. Il suo hanbok era a tratti strappato, ma il suo corpo non sembrava riportare ferite. Quando la sua testa, però, si abbassò, la ragazza vide il suo viso impallidire. 

 

Lei rimase a fissarlo impotente. Incontrò il suo sguardo confuso e, in risposta, fece cadere gli occhi sul volto gelido sotto di sé prima di tornare a guardare il giovane. Era come se gli stesse dicendo, in quella comunicazione ammutolita dal dolore: "Non c'è stato nulla che potessimo fare". 

 

E fu allora che Diana lo vide avvicinarsi lentamente, come timoroso di disturbare la scena, e piegarsi a terra inchinandosi davanti al corpo. E rimase lì, con loro, nel silenzio disturbato solo dai lamenti di Taehyung. Non una lacrima, non un singhiozzo. Ma il suo volto era cinereo, freddo come il cielo nero che precede una tempesta. 

 

 

 

Quando Diana aprì la porta della stanza che era occupata da Hoseok, Seokjin e Jimin, trovò l'assistente seduto sul bordo del pavimento con le gambe a penzoloni e gli occhi rivolti verso il sentiero che si immergeva nel bosco. La ragazza, stringendo le labbra nel tentativo di sopprimere una smorfia, si avvicinò e gli toccò appena la schiena, segnalandogli silenziosamente il suo arrivo poco prima di sedersi accanto a lui. 

 

Per qualche istante, rimasero semplicemente così. Uno accanto all'altra, chiusi in un mutismo addolorato, stanco e incapace di trovare le parole per esprimere l'avido vuoto che entrambi provavano. 

 

Quando finalmente Hoseok iniziò a parlare, Diana si voltò a guardare il suo profilo. 

 

-È colpa mia. 

 

La ragazza scosse il capo, negando con veemenza, ma il giovane non sembrava neppure accorgersi della sua presenza. 

 

-Hoseok...

 

-Se non fossi andato, lui sarebbe ancora qui. Sono stato un egoista e lui... lui adesso è...

 

-Hoseok. 

 

Diana si sporse verso di lui, circondandone la vita con il braccio e poggiando la testa sulla sua spalla. 

 

-Basta Hoseok. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno se non della persona che lo ha colpito- mormorò, prendendo ad accarezzargli la schiena con movimenti lenti e ampi. 

 

-E poi, se iniziassimo questa discussione, non avremmo mai pace. A questo punto, sarebbe colpa di Namjoon-ssi per avergli chiesto di imbattersi in questa scelta. E ancora prima sarebbe colpa mia, che ho causato tale decisione nel momento in cui sono stata rapita. E il cerchio non finirebbe mai. Quante persone dovremmo condannare prima di sentirci meglio?

 

Hoseok non replicò. Rimase con la bocca chiusa e lo sguardo di fronte a sé, ma Diana poté vedere le lacrime che iniziavano a formarsi agli angoli dei suoi occhi. 

 

-Dobbiamo imparare a sopravvivere con questo pensiero e con il fatto che nessuno di noi poteva prevedere questo risultato. E per quanto sarà dura, ce la faremo. Prima o poi, potremo convivere con questo dolore. 

 

Fu allora che il ragazzo finalmente scoppiò. I singhiozzi ricominciarono a scuotergli la schiena mentre il suo viso si accartocciava in un'espressione disperata e le lacrime prendevano a rigargli il volto. 

 

-Non ce la faccio! Fa troppo male!

 

La giovane strinse ancora di più il corpo di lui, immergendo il viso nella sua spalla.

 

-Non è successo... non è successo davvero... non può essere successo!

 

Diana, trattenendo a stento le lacrime, prese ad accarezzare i capelli del ragazzo. Non aveva parole. Non le aveva perché anche la sua testa non faceva che ripetere la stessa cosa. Le ripeteva che non poteva esistere una realtà in cui lui non era più lì, a mangiare silenziosamente in mezzo a loro, a lamentarsi della confusione di Hoseok o dei rimproveri di Seokjin. A guardare Jungkook e Taehyung con fierezza. A guardare lei in quel modo misteriosamente ambiguo.

 

-Non guariremo adesso- bisbigliò, attaccando la bocca all'orecchio di lui mentre le sue guance iniziavano a bagnarsi. 

 

-In futuro, staremo meglio. Per ora, farà ancora male. Ma ci potremo aggrappare l'uno all'altra così il dolore sarà un po' più sopportabile. 

 

Il giovane non replicò, ma la strinse in un abbraccio a sua volta, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo. 

 

E pianse. 

 

Diana aspettò. Aspettò tutto il tempo che ci volle al giovane per cessare di singhiozzare e quando finalmente lui si silenziò riprese a parlare. 

 

-Namjoon-ssi è venuto a comunicarci le novità. Vuoi andare? 

 

Hoseok, annuendo silenziosamente, si alzò con lento torpore e le prese la mano, conducendola oltre la porta e verso la sala di ricevimento degli ospiti. 

 

Lì, il giovane nobile sedeva a gambe incrociate conversando sommessamente con Seokjin al centro della stanza. Jimin era seduto vicino al cuoco con la bocca chiusa ma gli occhi attenti, mentre Jungkook stava in piedi accanto alla parete con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo fisso a terra. Taehyung, infine, era seduto accanto al cugino, le braccia a circondare le ginocchia piegate e il viso nascosto dai lunghi capelli. 

 

Quando gli ultimi due presenti si furono seduti, Namjoon si schiarì la gola. 

 

-Dunque, il consiglio ha posto sul trono il figlio della deceduta regina Jeonhyeon, il principe Jinseong. È giovane e piuttosto ingenuo, per questo fino a ora nessuno lo aveva considerato per sostituire Yonsangun, ma pare che verrà seguito da Cho Kwanjo, perciò dovrebbe essere in buone mani. 

 

Il silenzio seguì l'affermazione, lasciando che i presenti assorbissero la nuova informazione. Diana, allora, sollevò lo sguardo sul giovane, cercando di scacciare la nebbia di tristezza e malessere che aleggiava nell'ambiente. 

 

-Cosa ne è stato di Im Sahong? 

 

L'espressione di Namjoon, in un attimo, si indurì e il suo viso assunse un'aria solenne. 

 

-Mi sono personalmente occupato della sua eliminazione. 

 

Non appena la frase calò sulla stanza, fu come se un peso fosse stato sollevato dal petto dei presenti. Nonostante ciò, Jungkook si staccò bruscamente dalla parete. Invece che allontanarsi, però, vi si appoggiò nuovamente con un tonfo sonoro e un'espressione rabbiosa in viso. Namjoon, dopo aver studiato con attenzione i movimenti del ragazzo, riprese a parlare, mantenendo lo sguardo puntato sulla guardia. 

 

-I ministri che sostenevano Sahong e la sua politica contro i sarim sono stati deposti o giustiziati e i superstiti guidati da Kwangjo hanno ripreso le loro cariche. Il regno, per ora almeno, dovrebbe aver raggiunto un buon equilibrio. 

 

Nuovamente, il silenzio dominò la stanza mentre i giovani bevevano le parole del nobile. Eppure, quel senso di disagio, quel pizzicore dietro la nuca che sussurrava quanto fosse sbagliata la situazione, pareva perseguitare ognuno degli ascoltatori. 

 

"Non era così che doveva andare." 

 

"Doveva esserci lui sul trono." 

 

"Doveva essere lui a comunicarci come aveva sistemato la situazione del palazzo." 

 

Diana strizzò le palpebre, serrando le labbra in una morsa tremante. Namjoon, distogliendo lo sguardo e prendendo a giochicchiare nervosamente con le dita in un gesto tanto inconsueto quanto preoccupante, riprese la parola. 

 

-La cerimonia funebre... sarà tenuta domani. Il consiglio ha deciso di dargli la cerimonia spettante il legittimo re, per onorare il suo...-

 

Il giovane si bloccò, mordendosi il labbro. 

 

-Yonsangun, al contrario, riceverà il trattamento di un traditore.

 

Un tonfo sonoro fece gravitare gli sguardi su Seokjin, che aveva sbattuto rabbiosamente il pugno a terra. 

 

-Dovevano suonare i tamburi per lui quando si fosse seduto sul trono, non al suo funerale! 

 

La stanza, aggravata dalle parole sputate con inaspettata asprezza dal cuoco, riportarono la stanza in un umore nero e fumoso, quasi soffocante nella sua pressante sofferenza. 

 

-E di noi che ne sarà? 

 

In un istante, tutta l'attenzione cadde sulla figura accartocciata di Taehyung, che aveva ancora il volto nascosto ma la cui voce tradiva l'ombra di lacrime versate. 

 

-Noi cosa faremo adesso senza di lui? 

 

Diana abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro fino a gustare il sapore ferroso del sangue sulla lingua. Sentì Jungkook allontanarsi nuovamente dal muro prima di schiantarcisi contro con un colpo che la spaventò leggermente. 

 

Era come se la guardia stesse cercando di esorcizzare le sue emozioni con dolore fisico. E lui non era il solo a dimostrare segni di turbamento. 

 

Tutti evitavano di sollevare la testa. Tutti si sottraevano dal guardare di fronte a sé e confrontarsi con la realtà. 

 

Il motivo per cui ognuno di loro era lì, in quella stanza, era uno solo. Un solo motivo che era sparito dalle loro vite. 

 

Ogni singolo componente di quella casa era diventato parte di quella bizzarra famiglia per volontà di Min Yoongi. Ogni singola persona aveva riposto fiducia in quella figura che li aveva accolti e attirati a sé. 

 

Dal momento che il nodo che li teneva insieme si era sciolto, cosa avrebbero fatto? 

 

La ragazza, deglutendo, trasse un profondo respiro e sollevò la testa. 

 

-Se vorrete...- iniziò, tentando di suonare determinata -... potrete venire con me. 

 

La stanza cadde nel silenzio. Un silenzio, però, assai diverso dal precedente. Era stupito, incredulo perfino. Tutti i giovani, in un istante, presero a fissarla con occhi sgranati e visi confusi. Diana, allora, riprese a parlare. 

 

-Credo che concorderete con me che questo posto non è più adatto a noi. E anche se tornassimo a Pyeongan-do...-  abbassò lo sguardo sulle sue mani giunte -... sarebbe ancora più penoso. Dunque, la mia offerta è... venite con me. A casa mia. 

 

Hoseok, sollevando un sopracciglio, si sporse in avanti. 

 

-Con casa tua intendi...

 

Diana, prontamente, annuì. 

 

-Sì, nella mia terra. Da dove sono venuta. 

 

La ragazza studiò attentamente le espressioni sul volto di ognuno e, seppure esse variassero distintamente l'una dall'altra, nessuna parve nascondere avversione alla proposta. 

 

-Se lo vorrete, avrei pensato di ricontattare il mio maestro per aiutarci a recuperare la nave di... di mio padre. 

 

Diana, per un momento, allontanò lo sguardo, prima di sollevare nuovamente la testa. 

 

-Torneremo a Venezia e prenderemo in mano la compagnia mercantile. Sposerò chiunque mio padre abbia scelto come suo successore oppure prenderò il figlio di qualche mercante. Non ha importanza. Ma potrei davvero aver bisogno di fedeli assistenti al mio fianco. 

 

L'idea le era saltata alla mente quando il delirio del dolore e delle lacrime aveva iniziato ad allentare la sua presa su di lei. 

 

Voleva restare accanto a quelle persone. Voleva che loro restassero accanto a lei. E rimanere lì, senza di lui... non aveva senso. Nella sua testa, non c'era posto per lei in quella terra se lui non era al suo fianco. 

 

E allora ricordò casa sua. Sua madre. La sua città. Il futuro a cui  aveva aspirato per così tanto tempo. Avrebbe potuto dimostrare che ce la poteva fare. Ai mercanti dell'Arte e a chiunque avesse mai pensato che sarebbe stato impossibile per lei ereditare la compagnia. 

 

Suo padre si sbagliava. E lo avrebbe mostrato al mondo dopo averlo provato a se stessa.

 

Scrutando ogni volto nella stanza, la giovane sollevò gli angoli della bocca in un timido sorriso speranzoso. 

 

-Vorresti che ti seguissimo e diventassimo i tuoi servitori? 

 

La voce di Seokjin la portò a rivolgere la sua intera attenzione al cuoco, che le mostrava un'espressione cauta ma priva di ostilità.

 

-Vorrei che lavoraste al mio fianco- replicò umilmente.

 

 -Vorrei avere degli amici di cui mi posso fidare perché, se tornerò là, non avrò nessuno di tanto prezioso quanto voi. 

 

Diana, mordendosi il labbro, vide Seokjin abbassare lo sguardo al pavimento con una piega pensosa nelle sopracciglia, prima di lanciare un'occhiata a Hoseok. Questo, a sua volta, prese a osservare la figura rigida di Jungkook , che aveva finalmente sollevato gli occhi e la guardava con un'espressione inflessibile in viso. Alla fine, il cuoco riprese la parola. 

 

-Credo che per noi possa andare bene. 

 

-Io ti seguirò ovunque tu andrai. 

 

La voce sottile di Jimin la fece voltare verso il ragazzo, che le sorrise chinando il capo. 

 

-La mia spada è al tuo servizio. 

 

La giovane rivolse un sorriso grato a Jungkook, che si era piegato in un inchino profondo. 

 

Diana, allora, si voltò verso Namjoon, che la fissava con curiosità nello sguardo affilato. 

 

- Farò il possibile per aiutarvi. Proverò a ricontattare il vostro maestro e vi procurerò i mezzi necessari insieme a una scorta che vi accompagni almeno fino al confine. 

 

La ragazza piegò il capo mentre il giovane si voltava verso il cugino, ormai scioltosi dalla sua posizione raggomitolata. 

 

-Taehyung, che cosa desideri fare? Io dovrò ereditare il titolo e restare a servire a corte, ma tu sei libero di scegliere. 

 

Il ragazzo abbassò lo sguardo, prima di riportarlo su Diana, che gli rivolse un sorriso. Avrebbe accettato la sua decisione, qualsiasi essa fosse stata, e sperava che lui lo capisse. 

 

Il giovane, dopo un attimo di silenzio, aprì la bocca. 

 

-Lui voleva che stessi con te e rispetterò il suo desiderio. D'ora in poi, sarò al tuo fianco, noona.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

Come stiamo? Distrutti? Dai, che ci siamo quasi. Lo so di avervi maltrattato parecchio ma attendete l’epilogo domenica. Fidatevi. No davvero, fidatevi. re anche io XD. E per chi non l’ha fatto, consiglio ancora caldamente di leggere il capitolo extra alla fine di Dreamland perché servirà. Fidatevi. 

 

Ma raga.... abbiamo raggiunto le 5000 letture 😱 ma cosa siete? Ah giusto... e abbiamo perfino toccato il primo posto nella classifica minyoongi....... 😟😕🙁☹️😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭

Io non sono il tipo di scrittrice che vi chiede di solito di lasciare stelle o commenti o robe varie, immagino lo abbiate notato, perché sono dell’idea che se siete interessati nella storia e la apprezzate sono cose che siete spinti a fare spontaneamente e a me non importano i numeri. Nonostante ciò, proprio per questo motivo vedere così tante persone apprezzare la storia mi commuove davvero. Non pensavo mai che avrebbe ricevuto il tipo di successo che sta avendo e non posso che esservene grata. Non scrivo per la fama o per farne una carriera, scrivo perché mi piace (e perché devo esorcizzare le mie turbe mentali XD). Ma quando qualcuno legge, beh... un’attività che già amo mi dà tutto un altro livello di soddisfazione. E so che qualcuno non è stato d’accordo con le mie recenti decisioni di trama ma lo apprezzo comunque è apprezzo anche chi invece nonostante tutto sta continuando a seguire la storia. 

 

Grazie grazie grazie, piccole stelline. Aspettatevi come al solito il capitolo di ringraziamenti alla fine perciò tranquilli che vi becco e vi spedirò tutto il mio amore!

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Epilogo ***


La brezza marina pettinava i capelli di Diana come dita premurose, passando fra le sue ciocche bionde con carezze gentili e risuonandole nelle orecchie con un canto melodico. 

 

Si chiedeva, in quei momenti, come aveva fatto a compiere il suo primo viaggio rinchiusa in una piccola cabina. Come aveva fatto a sopravvivere senza il dolce gorgheggiare delle onde o il tiepido bacio del sole. Sollevando il viso con le palpebre chiuse, lasciò che le sensazioni inondassero il suo corpo, ormai abituatosi al profondo dondolio della nave. 

 

Quando riaprì gli occhi, il suo sguardo cadde sul ponte sotto di lei, da cui poteva vedere Taehyung seduto in un angolo ombroso, un rotolo di carta fra le sue mani e una smorfia concentrata sul viso. Al suo fianco, Jimin lo osservava con le sopracciglia contratte ma l'ombra di un sorriso sulle labbra. Avevano creato una coppia bizzarra, quei due. Il fratello del principe si era assunto la personale missione di insegnare al giovane a leggere e scrivere, mentre il contadino in cambio aveva preso a raccontargli della sua vita nei campi. 

 

Per qualche motivo, da quel momento erano diventati l'uno l'ombra dell'altro. Forse era l'infantile genuinità di Taehyung che attirava così facilmente le persone, oppure la spontanea gentilezza di Jimin che si era sposata così bene con la personalità del primo. Diana non ne era certa. Ma ogni volta che rivolgeva lo sguardo verso uno di loro, non poteva fare a meno di notare l'altro a poca distanza. 

 

-Diana, potresti controllare il resoconto delle scorte? 

 

Voltandosi verso Hoseok, la ragazza sorrise e afferrò il documento che il giovane le stava porgendo, prendendo ad analizzare attentamente le colonne di prodotti. 

 

Hoseok. La sua ancora. Il punto fermo attorno al quale non poteva fare a meno di gravitare. La persona accanto alla quale si ritrovava a sedere ogni sera, quando il vento si faceva più affilato e la sua mente si oscurava delle ombre che durante il giorno erano scacciate dalla frenesia delle varie attività.

 

La persona che si appoggiava sulla sua spalla e sospirava, senza la necessità di dire ad alta voce cosa gli stesse passando per la testa. 

 

Si sostenevano a vicenda. Si ricercavano in momenti di solitudine. Si consolavano silenziosamente, solo con la reciproca presenza.

 

Mentre Diana restituiva al ragazzo il documento, la voce di Seokjin rombava nell'aria, richiamando Jimin nella cucina. Ridacchiando fra di sé, osservò il più giovane sbuffare sonoramente, prima di rivolgersi lamentosamente al cuoco. Anche quei due, con sua grande sorpresa, avevano assunto un livello di famigliarità tale da far sciogliere l'onnipresente formalità del contadino. 

 

-Signorina... mi scusi...

 

Voltando il capo, Diana concentrò la sua attenzione sul capo timoniere, che la osservava con una vaga nota di nervosismo negli occhi. 

 

-Come posso aiutarla?- domandò lei, la voce irrigidita nella sua facciata più professionale. 

 

L'uomo, abbassando per un istante lo sguardo, gonfiò il petto. 

 

-Signorina, vi prego di scusarmi ma gli uomini sono distratti e non stanno svolgendo il lavoro adeguatamente- replicò in un fiato, il tono falsamente deciso che veniva tradito dai suoi occhi sfuggenti. 

 

Diana assottigliò le palpebre. Spostando la sua attenzione sui mozzi che popolavano il ponte della nave, intravide occhiate fugaci e sguardi curiosi, avidi o rancorosi rimbalzare fra gli uomini. Piegando il capo, la ragazza sollevò gli angoli della bocca in un sorriso largo e gentile, uno di quelli che le addolcivano il viso. 

 

-Provvederò subito, capo timoniere. La ringrazio per aver riferito con prontezza questo problema- rispose, voltandosi verso l'uomo che spostava nervosamente il peso da un piede all'altro. 

 

Mentre lui si inchinava con un ringraziamento masticato fra le labbra, Diana scrutava i presenti in cerca del giovane avvolto in un raffinato hanbok blu come la notte. 

 

-Jungkook, potresti raggiungermi per favore?

 

La guardia sollevò gli occhi su di lei. Dopo aver studiato l'espressione del suo viso, annuì, prendendo a salire i gradini che portavano al timone. Una volta che fu al suo fianco, si mise sull'attenti, piegando il capo brevemente, sotto allo sguardo confuso del capo timoniere. 

 

-Jungkook, gli uomini sono distratti. Potresti rimediare, per favore?- domandò lei, la voce avvolta da un'estrema dolcezza, così eccessiva da stridere all'orecchio. 

 

Il ragazzo, in un istante, colse la sua richiesta. Voltando la testa verso i mozzi irrequieti, fece schioccare sonoramente la lingua, estraendo con un lento, strascicato movimento la spada dalla sua custodia. Appoggiando la lama sulla balaustra di legno davanti a sé, il giovane sfilò dalla cintura uno dei coltelli che teneva sempre con sé. Un sibilo acuto si diffuse lamentosamente nell'aria quando la guardia prese ad affilare la sua arma, facendo congelare i corpi dei presenti. Sotto agli sguardi pietrificati dei marinai, Jungkook continuò a passare la lama sopra al filo della spada fino a che, apparentemente soddisfatto, la rimise nella sua custodia, assicurata al suo fianco.

 

Poi, con un gesto tanto rapido quanto aggressivo, piantò il coltello nel legno a cui era appoggiato, sollevando finalmente lo sguardo oscuro sui presenti. La minaccia nascostavi dietro era tanto silenziosa quanto  pesantemente pressante. 

 

Gli uomini, deglutendo con occhi spalancati, abbassarono la testa e iniziarono a lavorare con mani frenetiche. Diana, sorridendo ancora più ampiamente, si voltò vero la guardia. 

 

-Grazie Jungkook. 

 

Poi, rivolgendosi verso il viso pallido del capo timoniere, la ragazza si piegò in una referenza. 

 

-Qualora avrete altre preoccupazioni, vi prego di non esitare a esprimerle- concluse con un sorriso stampato sulla bocca. 

 

Un sorriso largo, ma raggelante. 

 

L'uomo si inchinò profondamente, balbettando una risposta ciancicata mentre riprendeva in mano il timone e allontanava lo sguardo da lei. 

 

Diana trasse un respiro profondo, riportando gli occhi all'orizzonte. Attorno a sé, percepiva la confortante presenza di quelle persone che, ormai, erano la sua famiglia, e si sentiva al sicuro. 

 

Sarebbe andata bene. 

 

Loro sarebbero stati bene.

 

"Ci stai guardando?" pensò, ricercando nel cielo il famigliare grigiore che gli ricordava l'uomo illeggibile. 

 

"Sei felice?" 

 

"Vorrei che fossi qui."

 

Chiudendo le palpebre, Diana dissipò il velo di tristezza che stava calando sulla sua mente con una smorfia.

 

"Fino a quando non potrò vederti di nuovo... aspettami."

 

 

FINE 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

O FORSE NO? 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Diana si stropicciò le palpebre, sbuffando. Tentando di non farsi accecare dalla luce, afferrò il cellulare e accese lo schermo. 

 

Le quattro e un quarto. 

 

Richiudendo gli occhi, pregò ogni santo del cielo che il sonno tornasse a lei, possibilmente senza farla attendere in agonia. Purtroppo, il fastidioso appiccicume del sudore che le bagnava il corpo, unito alle lacrime residue incrostate nelle sue ciglia, contribuirono a renderle l'impresa magnificamente più difficile. Dopo un'altra mezz'ora a rigirarsi nelle lenzuola e a cambiare il lato del cuscino, decise che ne aveva abbastanza. 

 

Se almeno non avesse avuto degli incubi durante la notte, forse ci sarebbe anche riuscita. Se almeno avesse ricordato il contenuto di tali maledetti incubi invece che dimenticarsene completamente nel momento in cui apriva gli occhi, forse avrebbe potuto obbligare la psicologa a purgarla di qualsiasi stramaledetta turba mentale le era presa. 

 

Ma la vita non andava mai nel modo in cui desiderava. 

 

Proprio come in quel momento, in cui avrebbe voluto sfruttare la veglia mattutina per esercitarsi. Questo, se non si fosse trovata in una camera d'albergo dall'altra parte del mondo. Fosse stata ancora nel suo dormitorio a Londra, a nessuno sarebbe importato se si fosse messa a suonare anche all'una di notte. Probabilmente, sarebbe perfino stata accompagnata da almeno un'altra manciata di studenti. 

 

Eppure, la vita non andava mai come desiderava.

 

Perché lei era a Seoul. In una stanza d'albergo. E avrebbe dovuto dormire perché il giorno dopo avrebbe registrato la melodia per un famoso gruppo di cui forse ricordava il nome e sarebbe stato auspicabile presentarsi senza borse sotto gli occhi. 

 

Dopo essersi data una rinfrescata in bagno per lavare via il sudore, aprì la custodia del suo violoncello ed estrasse l'archetto insieme allo spartito che le era stato assegnato. Sedendosi alla scrivania, stese i fogli davanti a sé e allargò le braccia, immaginando il famigliare volume del suo strumento sotto di esse. 

 

Non era la stessa cosa, ma era meglio di nulla. Muovendo l'attrezzo nell'aria, immaginò di intonare gli accordi, spostando la mano sinistra in su e in giù e premendo su corde invisibili. 

 

Conosceva la sua parte, ormai. Non era poi così tanto difficile, considerato il livello a cui era abituata. Doveva giusto suonare l'accompagnamento della traccia perché, a quanto pareva, il produttore desiderava un sound più lontano dal pop classico. Perciò, quando le sue braccia si furono stancate, abbandonò l'archetto sulla scrivania e si accasciò sulla sedia. 

 

Erano solo le sei. E doveva essere allo studio di registrazione alle nove e mezza. 

 

Sbuffando, sbatté la testa contro il legno. Forse quello sarebbe stato un metodo efficace per liberarla del demone si era impossessato di lei. 

 

"Magari faresti meglio a informarti un po' di più su questo fatidico gruppo per cui suonerai." 

 

Ci aveva pensato. 

 

Ci aveva pensato sull'aereo e anche il giorno prima, quando era arrivata in hotel ed era crollata sul letto. Alla fine, però, si era sempre ritrovata distratta da altre cose. Prendendo il telefono in mano, digitò le tre lettere che componevano il nome della boy band.

 

BTS. 

 

Bangtan sonyeondan, diceva Wikipedia. Sette membri, sette anni nell'industria e, a quanto pareva, una sequela non indifferente di premi. Aprendo l'etichetta "Membri", sette foto comparirono sullo schermo. 

 

Una sensazione fastidiosa le bussava nella testa. Come un tarlo. Come quando ti accorgi che ti manca qualcosa di importante e ti ricordi di aver lasciato le chiavi a casa solo quando sei già al supermercato. 

 

E allora i suoi occhi caddero su un'immagine. Un ragazzo dai tratti felini, il viso rotondo e la pelle pallida. Un timido sorriso dipinto sulla bocca. 

 

Famigliare. Fastidiosamente, bizzarramente famigliare. 

 

Come qualcosa di perso e ritrovato. Qualcosa a lungo desiderato e finalmente ottenuto. 

 

Chi diavolo era Min Yoongi?

 

 

ANGOLO AUTRICE 

BAM BAM BAAAAAAAM! Dunque, prestate attenzione. Quello che è successo in tutta la storia NON era solo un sogno. Diana ha degli incubi che corrispondono a una sorta di memoria (come era successo in Déjà vu, per capirci) ma gli avvenimenti sono successo per davvero. 

 

Ok? Ok. Ora, per capire esattamente cosa sta succedendo... non posso dirvelo ora. Ma raccogliete gli indizi che vi sto lasciando come briciole di pane. La ragazza dai capelli lunghi, i libri e i sogni saranno temi ricorrenti, perciò prestatevi attenzione. E ora, non è ancora finita! Andate a leggere il prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Not the end ***


ATTENZIONE: DOPPIO AGGIORNAMENTO. Questo è un capitolo vero e proprio perciò se non avete letto l'epilogo, tornate indietro e poi venite a leggere questo. 

 

Per chi non ha letto le mie storie precedenti, piccola spiegazione: Jein è la fidanzata di Jimin e Beatrice di Hoseok. 

 

 

Yoongi aveva bisogno di un caffè. 

 

No, Yoongi aveva dannatamente bisogno di un caffè. 

 

Per quale motivo aveva smesso di berlo? Ipertensione, dipendenza dalla caffeina, acidità di stomaco e bla bla bla. In quel momento capiva perché i fumatori non perdevano il vizio neppure quando gli si diceva che avrebbero sviluppato il cancro ai polmoni. 

 

Yoongi avrebbe ucciso per un caffè. Infatti, mentre aspettava che l'ascensore raggiungesse il piano della caffetteria, iniziava già ad assaporare sulla lingua quell'amarezza famigliare annacquata appena dai cubetti di ghiaccio, un tocco di zucchero giusto per dargli quella piccola scarica in più per far partire il cervello. Eppure, quando le porte metalliche si aprirono, il viso del suo produttore lo accolse con uno sguardo confuso. 

 

-Che ci fai qui? Dobbiamo andare dritti allo studio, la violoncellista ci sta aspettando per registrare. 

 

Il ragazzo schiuse le labbra per replicare, ma quando Pdogg entrò nell'ascensore assieme a lui premendo velocemente il tasto di chiusura, non poté che grugnire infastidito. 

 

Il suo caffè... il suo agognato caffè...

 

Passandosi una mano sulla faccia assonnata e fastidiosamente oleosa, perché aveva saltato la sua skin routine mattutina in favore di dieci minuti in più nel letto, sbadigliò. 

 

-Era oggi? 

 

Ricordava vagamente di qualcuno che gli comunicava di aver convocato questa fantomatica musicista inglese da un qualche prestigioso istituto di musica che stava convenientemente visitando Seoul per un concorso e che aveva accettato di collaborare alla produzione del nuovo singolo. Il dettaglio, però, era passato attraverso le sue orecchie come la maggior parte del rumore che lo circondava durante la giornata. 

 

-Sì, era oggi e Beatrice-ssi è già con lei allo studio che ci aspetta. 

 

Yoongi annuì distrattamente, in segno di comprensione, prima di lanciare all'uomo dal viso paffuto ma pacifico un'occhiata di traverso. 

 

-E tu hyung allora perché eri in caffetteria?- replicò in tono canzonatorio. 

 

Il produttore, senza emettere una parola, sollevò il bicchiere fumante che stringeva in mano, portando il ragazzo a sibilare fra i denti. 

 

Maledetto. Lui e il suo stupido caffè. 

 

Le porte dell'ascensore si aprirono su un corridoio non molto ampio, tappezzato da una moquette scura e dalle pareti rivestite di un pregiato parquet chiaro. Istintivamente, i due si diressero a destra, verso lo studio che normalmente usavano per la produzione del suo gruppo in quanto un po' più spazioso e attrezzato rispetto ai gemelli posti nell'altra ala del piano. 

 

Voltando il primo angolo, Yoongi iniziò a percepire due voci femminili conversare sommessamente in inglese, ricordandogli che avrebbe dovuto spolverare quel poco di conoscenza che aveva per riuscire almeno a presentarsi. 

 

-Ah, eccovi qui! 

 

Il tono famigliare di Beatrice lo portò a sollevare lo sguardo dalla punta dei suoi piedi, da cui stava contemplando se sarebbe stato più appropriato un "Hello" o un "Good Morning" per iniziare la conversazione, portandolo a dibattere su quanto formale avrebbe dovuto essere per non fare brutte figure sin dal primo momento.

 

Le sue pupille allora catturarono un corpo avvolto in pantaloni larghi, scuri e a vita alta, che vestivano una figura curvilinea dai fianchi generosi. Lunghe ciocche bionde ricadevano su un maglione dal colore spento, un beige che rifletteva il torpore della mattina. Infine, quando le sue labbra stavano per schiudersi in un saluto smangiucchiato e una presentazione incespicata, il fiato abbandonò la sua gola.

 

Fu talmente improvviso che temette di aver sonoramente deglutito un groppo d'aria, ma non ne era sicuro. 

 

Un volto tondeggiante, pallido ma roseo sulle guance, presentava una bocca piccola e candida e due occhi... 

 

Due occhi verdi. Yoongi aveva già visto ragazze con occhi molto belli eppure... eppure i suoi gli ricordavano qualcosa. E più tentava di ricordare, più sembrava affondare in una palude di confusione che lo faceva annaspare sul nulla. 

 

Era famigliare. In un senso strano e sconosciuto. Come se l'avesse conosciuta così bene ma non allo stesso tempo fosse la prima volta che la vedeva. 

 

Ma... quella era la prima volta che la vedeva. E tutto quel viaggio mentale non era che una ridicola fiction che si stava creando nella sua testa per un qualche bizzarro motivo.

 

E nonostante questa realizzazione, la sua lingua era ancora congelata. 

 

-Yoongi, Pdogg-ssi, questa è Diana Barbo. Diana, this is the producer and this is a member of the group that acts as one of the producers as well. (Diana, questo è il produttore e questo è uno dei membri che lavora a sua volta come uno dei produttori).

 

Il ragazzo si accorse distrattamente del saluto maccheronico che Pdogg aveva mormorato. Il suo sguardo non riusciva ad abbondare il volto pallido che rispose con un timido inchino e un tentativo di coreano. Quando il silenzio avvolse i presenti, allora, si ricordò che forse avrebbe dovuto dire qualcosa. 

 

-Nice to meet you- mormorò a fior di labbra, divorando le parole con rapidità e rifugiandosi velocemente all'ombra del suo bucket hat per poter fuggire dagli occhi che lo scrutavano con curiosità. 

 

Beatrice, percependo probabilmente l'inizio di un'atmosfera imbarazzata, giunse le mani sorridendo. 

 

-Beh, direi di cominciare, che dite? 

 

Senza ulteriori esitazioni, i quattro si spostarono all'interno dello studio, i due uomini sedendosi direttamente alla larga console mentre la giovane dai capelli rossi indicava all'ospite di entrare nella sala di registrazione. Una volta che la musicista fu dall'altra parte del vetro, Yoongi non poté evitare di sollevare lo sguardo e puntarlo sulla figura intenta ad aprire la custodia del suo violoncello e a estrarre i componenti con cura. 

 

Questo, finché un gomito non prese a punzecchiargli insistentemente il fianco. Quando si voltò, Beatrice lo scrutava con un sopracciglio alzato. 

 

-Tutto bene? 

 

Il ragazzo, scrollare la testa con noncuranza, replicò con un semplice: 

 

-Avrei gradito un caffè stamattina. 

 

Lei, aprendosi in un sorriso canzonatorio, annuì prima di riportare la sua attenzione sulla violoncellista che aveva iniziato a parlarle in inglese. 

 

-Dice che avrà bisogno di un minuto per accordare lo strumento- riferì prontamente la giovane, voltandosi verso di loro. 

 

Mentre Pdogg scuoteva il capo in segno di assenso, lui si morse il labbro, scivolando verso la tastiera di pianoforte incorporata alla console. 

 

-Dille che le do la nota.

 

Mentre Beatrice traduceva, Yoongi aprì velocemente il programma di accordatura nel computer, impostando il setting su "violoncello" prima di premere un tasto sulla pianola elettrica. Senza un istante di esitazione, dagli altoparlanti emerse il suono corrispondente, mentre i suoi occhi non si staccavano dal programma che gli segnalava quanto distante fosse lo strumento dall'accordatura perfetta. In procinto di comunicare alla ragazza di stringere leggermente le chiavi per alzare la tensione delle corde, sollevò lo sguardo per vederla già intenta a fare esattamente ciò che stava pensando. 

 

-Ha chiesto se puoi ridarle la nota- comunicò Beatrice, guardandolo. 

 

Lui, distogliendo lo sguardo, premette lo stesso tasto osservando il programma che gli segnalava che si era già avvicinata all'obbiettivo. Lanciando un'occhiata alla vetrata oscurata, vide la musicista stringere le chiavi un'ultima volta, prima di ripetere il suono e annuire. 

 

Abbassando gli occhi sul programma, vide che aveva raggiunto il risultato perfetto.

 

Il ragazzo si morse il labbro inferiore. Era brava. Più brava di lui, di questo era certo. 

 

Trattenendo la tentazione di incollare lo sguardo su di lei per scrutare il suo viso concentrato sullo spartito e le dita appena arrossate sulle punte che afferravano l'archetto, iniziò a preparare la base e accendere gli strumenti di registrazione, regolando appena i volumi. 

 

-Possiamo cominciare. 

 

 

 

Stupida BigHit. 

 

Stupida BigHit con i suoi stupidi corridoi tutti uguali e i suoi stupidi trentamila piani di stanze identiche. 

 

Jein stava marciando da più di dieci minuti nella speranza di arrivare finalmente al dannato studio di registrazione. Se non avesse continuato a perdersi nei meandri di quello stupido edificio.

 

Quando sarebbe tornata a casa avrebbe sculacciato Jimin. 

 

-È facile, amore, non ti preoccupare. Vedrai che non ti perderai.

 

Replicando la voce del ragazzo nella sua testa, la ragazza fece schioccare la lingua stizzita. Facile un corno. Dopo aver girato per lo stesso piano e aver bussato due volte alla porta sbagliata, stava ormai perdendo la speranza. Il libro che stringeva in mano iniziava a farle sudare i palmi, mentre la tote bag ancorata alla sua spalla continuava a sbatterle fastidiosamente sul fianco ad ogni passo, aumentando la sua irritazione. 

 

Distrattamente, si accorse appena del corpo che venne a scontrarsi contro la sua schiena mentre una sequela di parole iniziava a piovere da una voce sconosciuta alle sue spalle. 

 

-Mi scusi tanto, davvero. Mi scusi.

 

Jein fece appena in tempo a voltarsi per vedere una giovane donna inchinarsi prima di scappare via senza un momento di esitazione. L'unica cosa che la ragazza riuscì a vedere di lei furono i lunghi capelli scuri, così ben curati nonostante le arrivassero alla base della schiena da far nascere in lei una sfuggente invidia. Poi, una voce famigliare la fece girare su se stessa e correre disperatamente alla ricerca della sua padrona. 

 

-Unnie! 

 

Prendendo il primo corridoio a sinistra, finalmente la vide. Beatrice, in piedi accanto a una ragazza bionda e dai tratti occidentali, rivolse lo sguardo stupito verso di lei mentre la raggiungeva ad ampie falcate. 

 

Quando Jein fu al fianco della giovane dai capelli rossi, trasse un sospiro di sollievo. 

 

-Perdonami unnie, avresti un momento? 

 

Beatrice la guardò confusa, aggrottando le sopracciglia e piegando il capo. 

 

-Qualcosa non va?- chiese, prima di riportare lo sguardo sulla ragazza bionda, e recante una voluminosa custodia appesa alla schiena, con cui stava parlando in precedenza. 

 

-Sorry, this is Jein- pronunciò con un sorriso, indicando la più giovane. 

 

Questa, voltandosi verso la sconosciuta, le rivolse un saluto in quel poco inglese che ricordava, osservando la ragazza che per contro tentava un esitante Annyeonghanseyo. 

 

-Questa è Diana. È una violoncellista che è stata invitata a suonare l'accompagnamento per il nuovo singolo dei ragazzi- continuò Beatrice, indicando la giovane straniera. 

 

Jein spalancò le palpebre. Fermandosi per un istante, si prese il tempo di studiare i lineamenti della ragazza davanti a sé, mentre la sua mente prendeva a lavorare su una terribile teoria. Il libro che stringeva in mano, nel frattempo, si faceva più pensante nella sua presa. 

 

Capelli biondi, pelle chiara, occhi verdi... 

 

"Oh. Oh cavolo." 

 

-Unnie... ehm, come hai detto che si chiama? 

 

La giovane dai capelli rossi la guardò corrugando le sopracciglia. 

 

-Diana. Diana Barbo. È inglese, ma ho scoperto che la sua famiglia ha origini italiane!- rispose con entusiasmo la traduttrice, aggiungendo un sorriso in direzione della straniera. 

 

Jein si bloccò. 

 

Non era una coincidenza. 

 

Il suo nome poteva esserlo, ma non il cognome. Il suo aspetto, le sue origini... 

 

Jein si morse il labbro. No, ne aveva passate troppe per credere che non ci fosse dietro qualcosa di più. 

 

-Unnie, potremmo parlare un attimo? Si tratta di una cosa urgente. 

 

Beatrice la guardò per un lungo istante, probabilmente contemplando la sua espressione da pazza psicotica. Quando fece per rispondere, però, la porta alle sue spalle si aprì, rivelando due figure intente a conversare sommessamente. 

 

Gli occhi di Jein caddero sul viso di Yoongi. 

 

Yoongi, il silenzioso, assonato Yoongi in crisi d'astinenza da caffeina che alle undici della mattina aveva gli occhi più svegli di un cervo davanti ai fari di un camion. E quegli occhi erano puntati sulla ragazza bionda, che lanciava occhiate sfuggenti al giovane mentre cercava di camuffare la cosa giochicchiando con la lampo di un giaccone che portava appoggiato al braccio. 

 

Oh no. Questa non era una coincidenza. 

 

Jein, allora, afferrò il braccio di Beatrice, che stava traducendo le ultime formalità fra Pdogg e la giovane con lo sguardo timido rivolto verso le sue unghie e le sue scarpe. 

 

-Unnie. 

 

Quando la ragazza dai capelli rossi si voltò a guardarla, doveva aver notato l'urgenza nel suo sguardo. Con un inchino, salutò il produttore mentre congedava Diana proponendole di prendersi un caffè insieme prima che tornasse a Londra. O, almeno, fu quello che Jein capì con il suo maccheronico inglese. 

 

Mentre osservava la giovane allontanarsi per il corridoio, seguita da attenti occhi felini che non lasciarono la sua figura fino a che non ebbe voltato l'angolo, Beatrice attirò la sua attenzione portandola dentro a uno studio vuoto e chiudendo la porta alle sue spalle. 

 

-Che cosa è successo? C'entra Jimin?- chiese con uno sguardo preoccupato sul volto. 

 

Jein, prontamente, scosse il capo. 

 

-Sta succedendo di nuovo. È quella ragazza. 

 

La maggiore la guardò con un cipiglio confuso. 

 

-Di cosa stai parlando, Jein? 

 

Lei, senza esitazione, ficcò il libro che teneva stretto fra le braccia in mano a Beatrice. 

 

-Cosa... 

 

Lei abbassò gli occhi, leggendo il titolo sulla copertina. 

 

"Il principe del calmo mattino".

 

Quando sollevò lo sguardo, Jein si sporse in avanti, aprendo le pagine. 

 

-Ho trovato questo libro al dormitorio dei ragazzi. Nessuno di loro mi sa dire dove l'hanno preso o chi glielo ha regalato. Neppure Namjoon ricorda mai di averlo letto. E guarda il nome dei personaggi! 

 

Indicando la prima pagina, la ragazza puntò il dito sulle linee scure sulla carta, facendo abbassare lo sguardo alla sua interlocutrice. Questa rimase in un silenzio meditabondo, storcendo la bocca. 

 

-Potrebbe... essere una coincidenza. 

 

Jein spalancò gli occhi, puntando lo  sguardo sul viso della giovane. 

 

-Unnie, sappiamo bene tutte e due che non esistono coincidenze come queste! Diana e Yoongi! Diana Barbo e Min Yoongi! Leggi la descrizione fisica della protagonista! 

 

Con riluttanza, Beatrice ubbidì, abbassando nuovamente gli occhi sulle lettere stampate.

 

-Jein... io non sono sicura che... 

 

-Unnie.

 

La ragazza prese la mano della maggiore, guardandola con insistenza.

 

-C'è il nome del tuo fidanzato in questo libro. Il nome dei nostri fidanzati. E guarda l'ultima pagina. 

 

Jein, senza attendere, girò la copertina e la aprì, scoprendo il capitolo conclusivo. Beatrice, a quel punto, corrugò ancora di più le sopracciglia. 

 

-Fine... o forse no? Cosa vuol dire? 

 

Le due si guardarono. Lo sapevano entrambe. Avevano paura ad ammetterlo ad alta voce, ma capivano tutte e due che cosa implicava tutto ciò.

 

-Hai visto il modo in cui si guardavano?- chiese Jein, con sguardo determinato.

 

Dopo un attimo di esitazione, Beatrice annuì. 

 

-Yoongi era strano stamattina. 

 

Jein riprese il mano il libro, chiudendolo con un tonfo sordo e mostrando la copertina alla ragazza. 

 

-Questa è la loro storia. È come la nostra. 

 

La giovane dai capelli rossi sbuffò, passandosi una mano sul viso, prima di portarsi dietro le orecchie le ciocche ramate. 

 

-Sono stanca, Jein. Sono stanca di tutto questo... mondo anormale. Vorrei solo avere una vita. Una vita semplice. Perché tutto ciò che circonda i ragazzi sembra aver del fantascientifico? 

 

Jein, chiudendo gli occhi, sospirò. La capiva. Anzi, forse non poteva davvero capirla perché non sapeva quanto dolore doveva avere passato per arrivare fino a lì. Ma lei era anche il tipo di persona che non amava lasciare le cose incompiute. 

 

-Lo so, unnie. Ma dobbiamo capire cosa succed-

 

Fu solo allora che Jein se ne accorse. La sua tote bag oscillò leggermente, sbattendo per l'ennesima volta contro le sue costole. 

 

Eppure, era più pesante di quanto la ricordasse. 

 

Ansiosamente, la ragazza si sfilò i manici dalla spalla e aprì la borsa di stoffa. Spalancando gli occhi, estrasse un libro che non aveva mai visto prima, dalla copertina chiara, con una singola parola stampata sopra. 

 

"Solitary".

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Yoongi è tenerello. Non c'è nulla da fare. Come ho detto, tenete a mente gli indizi che vi ho lasciato. La prossima storia sarà connessa a questa ma non esisterà nello stesso mondo, solo nello stesso universo. Complicato? Sì, lo so. Più avanti farò un po' più di chiarezza ma per ora... dovrò lasciarvi a brancolare nel buio XD 

 

Dunque. È finita. È davvero finita. Adesso mi prenderò una piccola pausa, pubblicherò i ringraziamenti e inizierò la revisione intera della storia, come faccio di solito. Forse, se mi va, la iscriverò ai Wattys. Mah, vedremo. Non mi interessa particolarmente vincere, ma mi piacerebbe metterla alla prova in una competizione così larga. Nel frattempo, inizierò anche a lavorare alla nuova storia. Non temete, non vi farò attendere molto e, come mio solito, vi pubblicherò almeno i primi tre capitoli insieme. 

 

Forse, fra tutto, passerà un mese prima che possa essere pubblicata, ma non credo di più. Alla fine, mi dico sempre di aver bisogno di una pausa dalla scrittura ma mi ritrovo sempre a non resistere dallo scrivere. Ah... la mia mente malata...

 

Beh, per ora è tutto! Ci rivedremo a breve sui ringraziamenti! Pubblicherò anche un annuncio all'interno della storia non appena Solitary sarà pronta!

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Ringraziamenti ***


Dunque, è ora. Pensavate di essermi sfuggiti? E invece no! 

 

Trovo doveroso ringraziare individualmente chi ha dimostrato supporto per la storia, continuando a votare, recensire o commentare e dandomi l'energia necessaria per continuare a scrivere. Perdonatemi se non vi beccherò tutti, sopratutto per wattpad, perché è difficile tenere il conto di tutte le persone che hanno votato o commentato e sopratutto non sono riuscita a segnarmi coloro che hanno messo la mia storia nell'elenco lettura e di questo mi dispiace. 

 

Sappiate comunque che vi ho visti e vi voglio tanto bene. 

 

Perciò, iniziamo con wattpad. Un ringraziamento speciale a coloro che hanno continuato a votare la storia fino alla fine, seguendo questo pazzo viaggio con pazienza e perseveranza: 

 

@MartinaMicalizzi (perdonami, per qualche motivo non riesco a taggarti, spero tu riesca comunque a vedere)

MarYy_mEsSy 

oltrelelacrime 

blueeesidee 

BennyJcma 

Cloruzzi 

Everlark33 

Mirandolinascrive 

emi94irwin 

caeles- 

arianna_rosa 

Min_Yoongina_ 

meowmeowdelmiocuore 

Gaiasstories 

cityoftheflower

 

E ora, per EFP. Oh boy, rimbocchiamoci le maniche perché questa sarà lunga. Prima di tutto, un grazie a tutti quelli che hanno messo la storia fra le preferite: 

 

Alohomora_

Ayachan_28 

Bru_gi

CalamityClaire

Cassandra4045

cityoftheflower 

Cloeferry 

Colpadellestelle_394

Emi94

Jungkook004

magiudona

moonlight_megan

Samahin 

starfragola 

 

Un grazie a Btsuga_D per averla messa nelle ricordate. 

 

Infine, un grazie a tutti coloro che l’hanno messa nelle seguite: 

 

Aperonzina (senza la quale questa storia non avrebbe visto la luce)

BabyFairy

book_addicted

Cassandra4045

cityoftheflower

crazy lion

JCMA

Kate_Holmes 

killerqueen95

LadyTsuky

Luna d Inverno

mairaderosa000

martydp11999

Rospolo

Serpensortia92

xrosiex22

zacra 

_purcit_ 

 

E un grazie super super speciale a zacra, Ayachan_28, starfragola (che mi ha probabilmente ucciso con il pensiero, ma me lo sono meritato 😂), CalamityClaire, cityoftheflower, Bru_gi , Majestic45 e ovviamente, sempre e comunque, alla suprema Aperonzina che è presente dal giorno uno di questo viaggio. 

 

Grazie grazie grazie. Lavorerò sodo affinché i miei lavori possano essere sempre all’altezza del vostro supporto. Un bacio e ci vediamo nella nuova storia! 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Solitary ***


SIETE PRONTI? 

 

SIETE CARICHI? 

 

Io sì, lol. È stato difficile aspettare fino ad adesso e non pubblicare subito appena scritti i capitoli. Dunque, come da referendum popolare, ha vinto il 13 come giorno di Inaugurazione della storia. Perciò, beh... ci vediamo lì 👅

 

Buona lettura a tutti

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** Speciale 10K ***


E come promesso la vostra one shot per celebrare i 10k! Non vi ci abituare che al ritmo a cui crescono le letture sarete la mia rovina XD rimane un po’ meh, ma ho deciso di pubblicarla comunque, enjoy 😋 

(Le parti in corsivo rappresentano il coreano)

 

Il rumore della porta che si apriva con un cigolio famigliare ruppe il silenzio irrequieto che dominava l'ambiente. I presenti si voltarono verso il viso rigido di Hoseok, che puntò gli occhi sulla signora della casa con un cenno del capo. 

 

-È arrivato.

 

Diana strinse la mandibola, abbassando lo sguardo al suo grembo. Poteva farcela. Doveva. Non aveva altra scelta. 

 

-Non devi farlo per forza. Possiamo trovare un'altra soluzione. 

 

La ragazza scosse la testa, emettendo un sospiro. 

 

-Non esiste un'altra soluzione. Fallo entrare, Hoseok. 

 

Non appena la porta si richiuse sul volto deluso del suo amico, il silenzio tornò a soffocare le cinque figure radunate nella stanza. 

 

-Noona, so che ci hai già spiegato le tue motivazioni ma... non è giusto. 

 

Una leggera fitta attraversò il cuore di Diana al tono malinconico di Taehyung, ma strinse i denti. Non poteva davvero cedere, per quanto loro potessero cercare di dissuaderla. 

 

-Taehyung ha ragione. Non hai bisogno di uno sposo. L'attività sta avendo successo, puoi farcela da sola. 

 

La giovane lanciò uno sguardo grato a Jimin, seduto accanto al fratello del principe e sfoggiante un broncio contrariato, prima di aprirsi in un sorriso amaro. 

 

-Ce la siamo cavata fino a ora grazie alle connessioni che mio padre aveva stabilito, ma non durerà a lungo. L'Arte non mi approva. Non approvava prima, quando mio padre era ancora a capo della compagnia. Adesso hanno finalmente l'occasione per affondarci e non se la lasceranno scappare. Potrebbero tagliarci fuori dal giro prima di riuscire ad accorgercene. Ho bisogno dell'influenza di qualcuno che possa mantenere la nostra credibilità con gli altri mercanti. 

 

Le sue parole portarono i presenti ad abbassare il capo, spegnendo anche quell'ultima fiamma di speranza che si nascondeva dietro i loro occhi. Diana, d'altronde, era la più amareggiata di tutti. Loro lo sapevano e forse era proprio per questo che cercavano di dissuaderla con tanta veemenza. Ma non era rimasto molto da fare: doveva prendere marito o tutto il loro duro lavoro sarebbe stato vano. E chi si sarebbe preso cura di loro se la compagnia avesse fallito? 

 

-Lo sai, se era solo un marito che volevi, potevi sempre prenderlo avvenente. Io ti avrei fatto fare una bella figura almeno.

 

Diana si lasciò sfuggire un sorriso divertito mentre poggiava lo sguardo su Seokjin, che la guardava con le sopracciglia alzate come se fosse stata la proposta più seria che avesse mai pronunciato. 

 

-Hai perfettamente ragione, ho davvero sprecato un'occasione. I nobili sarebbero caduti ai tuoi piedi ovunque ti avessi portato- rincarò lei, scoppiando a ridere davanti all'assoluta approvazione nel viso del giovane. Quell'aria di leggerezza che si era stabilita nell'ambiente, però, si dissipò all'istante quando un bussare cauto si udì dalla porta. 

 

-Mia signora, il vostro ospite è qui- recitò la voce di Hoseok, proveniente da dietro di essa. La giovane, a quel punto, chiuse gli occhi. Annuendo fra sé e sé, deglutì. 

 

-Entrate.

 

Il suo amico aprì la porta, bloccandosi in una posa rigida e fissando lo sguardo freddo davanti a sé mentre faceva entrare il giovane uomo nella stanza. In contrasto con i presenti nella stanza, che non avevano abbandonato le loro vesti tradizionali neanche quando avevano messo piede a Venezia e avevano inviato a lavorare al suo fianco, l'ospite era avvolto nelle brache a sbuffo che andavano di tendenza fra i nobili del nord, uniti a una casacca ricca nella sua decorazione. L'appariscente abbigliamento del giovane culminava con i generosi baffi che si dispiegavano sotto al suo naso. 

 

-Messer Lodovico, è un onore ospitarvi nella mia umile dimora.

 

Diana tirò le labbra in un sorriso di cortesia, piegando il capo in una riverenza accennata mentre scrutava con circospezione il giovane avvicinarsi. 

 

-Madonna Diana, siete ancora più incantevole di quanto ricordassi. Il vostro invito è stata una sorpresa più che benvenuta.

 

La giovane era piuttosto propensa a dubitare che quella fosse la verità, ma evitò di vocalizzare il suo pensiero. Gli Albrizzi avevano già in passato avanzato una proposta di matrimonio nei suoi confronti e, da quello che ricordava, non avevano accettato particolarmente di buon grado il rifiuto di suo padre. D'altro canto, erano l'unica famiglia dell'Arte a non aver assunto nessuna posizione particolarmente ostile nei confronti della loro compagnia, anche dopo il rifiuto, perciò Diana auspicava di poter avere un minimo di speranza di poter arrivare a un accordo con l'uomo di fronte a lei. 

 

-Voi mi lusingate troppo. Ma accomodatevi, ve ne prego. 

 

Dopo che la giovane ebbe esteso la mano verso la poltrona all'altro capo della stanza, l'uomo si piegò in un inchino prima di sedersi e rivolgerle un sorriso evidenziato dai suoi folti baffi. E fu solo allora, nell'imbarazzato silenzio che seguì il loro scambio, che la giovane notò gli sguardi ostili dei cinque uomini presenti nella stanza calamitare sull'ospite. 

 

-Aspettate fuori. Spero che termineremo in fretta- disse allora Diana, lanciando un'occhiata ammonitoria ai giovani. Jimin e Taehyung si chiusero in espressioni contraiate, ma furono i primi a lasciare la stanza. Seokjin, allontanandosi dalla finestra contro alla quale si era appoggiato, prese a borbottare come era solito fare quando era di cattivo umore. 

 

-Che cosa mai ci sarà di utile nello sposare questo ridicolo scopettone per pavimenti proprio non capisco... sarebbe stato molto meglio se avessi preso un maiale dalla stalla... 

 

Quando anche il maggiore ebbe lasciato la stanza, Hoseok le lanciò un'ultima, cauta occhiata. 

 

-Sei sicura? 

 

La giovane rivolse un sorriso al suo amico sperando di rassicurarlo, ma sapeva di mancare la convinzione necessaria per ingannarlo. Nonostante ciò, annuì. Hoseok, allora, abbassò il capo e chiuse la porta dietro di sé. Quando Diana tornò a guardare l'uomo davanti a lei indossando nuovamente la sua espressione di finta cordialità, notò che la su attenzione era incollata a qualcosa alle sue spalle. 

 

-Lui... deve rimanere qua?- chiese Lodovico con tono esitante, senza lasciare per un istante il punto che stava fissando. Diana voltò il capo, lanciando uno sguardo alla persona immobile come una statua, ferma in una posa rigida e con gli occhi concentrati sull'ospite. La ragazza, senza un attimo di esitazione, riportò lo sguardo sul suo interlocutore. 

 

-Jungkook non lascia mai il mio fianco. Non fateci caso.

 

Il giovane, dopo un attimo di esitazione, annuì portando infine la sua attenzione su di lei. 

 

-A proposito di ciò... 

 

Diana si irrigidì. La schiena si tese, le mani si contrassero, ma si sforzò con tutta sé stessa affinché la sua espressione non rispecchiasse il suo cambio di umore. 

 

-... non ho problemi con il fatto che voi vogliate tenere i vostri... schiavi da Oriente, ma capite che una donna circondata da un gruppo di giovani che stanno sempre al suo fianco come cagnolini non dona un'impressione particolarmente lusinghiera... 

 

Diana sentì le sopracciglia contrarsi e il sorriso cordiale abbandonare la sua bocca. 

 

-Capisco le vostre remore, messere. Ma i miei collaboratori sono un prezioso assetto della compagnia e per questo devono lavorare a stretto contatto con me. Voi che siete un uomo d'affari capirete di certo quanto sia importante circondarsi di persone fidate quando si tratta di gestire i propri beni- sibilò la giovane, piegando il capo mentre fissava con insistenza l'uomo. Questo, riportando lo sguardo su Jungkook per un breve istante, le lanciò uno sguardo circospetto. 

 

-Ma certo, mia signora, posso ben comprendere. Dunque... siete determinata ad amministrare la compagnia di vostro padre? 

 

Diana si trattenne dallo scoppiare a ridere. Erano mesi da che erano tornati a Venezia e tutti sapevano che lei aveva preso in mano le redini dell'attività. E la cosa non sembrava essere particolarmente gradita agli occhi dell'Arte. Il padre di Lodovico, d'altronde, ne era uno dei membri più prominenti perciò senza dubbio doveva aver lamentato la sua indignazione al figlio. La giovane, allora, abbandonò ogni pretesa di finzione e formalismo, plasmando il suo volto in un'espressione solenne. 

 

-Messer Lodovico, penso sia il caso che parliamo con franchezza per risparmiare il nostro tempo. So che voi siete un uomo intelligente e che, di conseguenza, apprezzerete a vostra volta che arriviamo senza indugio al nocciolo della questione. Sapete perché necessito della vostra influenza e sappiamo entrambi quello che voi guadagnerete da questa unione. La mia richiesta è semplice: mantenere il controllo della compagnia. Ufficialmente, voi sarete il capo di tutti i nostri assetti e potrete raccontare agli altri mercanti quello che vorrete. Ma sarò io a curarne la gestione. 

 

Lodovico la osservò per lunghi istanti di silenzio, prendendosi poi a lisciare i lunghi baffi con sopracciglia contratte. 

 

-Sapete almeno come si gestisce una compagnia di tale portata come quella che vostra padre ha lasciato? 

 

La giovane strinse le labbra in un sorriso rigido. 

 

-Non temete. Mi sembra che questi mesi lo abbiano dimostrato, non credete?

 

L'uomo, a quelle parole, tacque di nuovo. 

 

-Accettate quindi il fatto che nessuno saprà che siete voi la mente dietro la compagnia? 

 

Diana respirò a fondo. Per un istante, un doloroso, stupido istante, al posto del viso baffuto dell'uomo, i suoi occhi ingannatori le mostrarono lunghi capelli corvini, cornice di un viso pallido e silenzioso, occhi scuri come l'onice e un'espressione indecifrabile. Un cielo nuvoloso fin troppo famigliare. Ma Diana sbatté le palpebre, dissolvendo i residui di quell'immagine prima che potesse pugnalarle ulteriormente il cuore. 

 

-Lo accetto. 

 

Il corpo dell'uomo sembrò abbandonare una tensione che fino ad allora lo aveva tenuto prigioniero mentre un'espressione più rilassata vi prendeva posto. 

 

-Un'ultima condizione, messere. 

 

Lodovico riportò gli occhi su di lei, il volto cauto e la tensione ricomparsa improvvisamente nei suoi arti tesi. La ragazza, però, sorrise. 

 

-I miei collaboratori non saranno vostri schiavi. Loro sono con me. 

 

 

 

 

Hoseok percorse il mercato della caotica città con la mente assente. In un qualche modo, era sorpreso dal fatto che i suoi lineamenti così insoliti non avevano attirato sguardi incuriositi o domande indiscrete, ma aveva presto scoperto che Venezia non era nuova a volti inconsueti e uomini di ogni forma e colore. Dal canto suo, all'inizio non aveva fatto che guardarsi attorno con fascinazione nel vedere così tante persone che rassomigliavano Diana. Curiosamente, nel giro di pochi mesi le loro posizioni si erano invertite. 

 

Passeggiando placidamente fra i banchi dei mercanti di strada, non poteva fare altro che ripensare all'annuncio di matrimonio che la giovane aveva loro comunicato. Non doveva andare così. Davvero non doveva. Vedeva il turbamento nei suoi occhi. Vedeva la profonda sofferenza che ancora non la lasciava e il disgusto. All'idea di essere unita a un uomo che non fosse... 

 

Hoseok non voleva vederla accanto a un uomo che non fosse Min Yoongi. 

 

Non voleva vederla infelice. 

 

Ma sapeva che l'unico aiuto che avrebbe potuto darle era stare al suo fianco, anche se questo avrebbe significato vederla obbligata a indossare una maschera per il resto della sua vita. Quanto meno, sarebbe stato lì per lei, pronto a darle un minimo di conforto e l'opportunità di essere davvero se stessa. 

 

Hoseok, distrattamente, sentì il lieve impatto di un corpo contro il suo. Con la mente immersa nei suoi pensieri, non percepiva davvero ciò che lo circondava, perciò si allontanò dalla persona con cui si era scontrato, piegandosi in un inchino. Quando si fu sollevato, mormorando delle impacciate scuse in quella lingua che aveva appena iniziato a comprendere, si bloccò. 

 

Un raggio di sole colpì la persona davanti a sé, creando un aureola dorata attorno alla sua testa che gli ricordava gli affreschi che aveva visto negli edifici religiosi che Diana gli aveva mostrato. I capelli della ragazza di fronte a lui si illuminarono come rame incandescente e i suoi occhi catturarono la luce in un istante che parve, per il giovane, surreale. 

 

-Chiedo scusa, non stavo guardando dove andavo. 

 

Hoseok rimase a fissare il sorriso cordiale della giovane e la sua figura che si piegava in una riverenza, prima che essa si voltasse e scomparisse dalla sua vista. 

 

No, non voleva che scomparisse! 

 

Prima che potesse seguirla, però, essa era già sparita, divorata dal mare di persone e rapita dalla sua vista.

 

 

ANGOLO AUTRICE 

 

Davvero non volevo che questa one shot finisse in una nota negativa con il matrimonio combinato di Diana, perciò ho aggiunto questo piccolo inserto dove Hobi incontra Beatrice 🤗 e chissà cosa succederà! In fondo, in un qualche modo le vite dei ragazzi e delle loro controparti sembrano scontrarsi in quasi ogni mondo in un modo o nell’altro perciò ho pensato che venendo finalmente in Italia Hobi avesse almeno modo di incontrare la sua amata. 

 

È stato molto strano scrivere questo capitolo adesso. I ragazzi e Diana sono personaggi molto diversi rispetto a Solitary, perciò ho dovuto rileggere qualche capitolo del Principe per riuscire a riprendere il feeling giusto dei loro caratteri. Cosa ne pensate?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3940888