Tra cielo e terra

di Fiore di Giada
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


Una Renault grigia si fermò nel parcheggio.

La portiera si aprì e, con movimento fluido, scese una giovane donna di alta statura e di corporatura snella.

I lunghi capelli neri, dai riflessi blu, erano raccolti in una lunga coda e circondavano un viso dai lineamenti delicati.

Gli occhi, dal taglio allungato, ombreggiati da lunghe ciglia nere, erano d’un intenso colore verde.

Indossava una maglia bianca a maniche corte, pantaloni neri e sandali blu.

Al suo collo era appeso un ciondolo d’oro, terminante in una ametista grezza rettangolare, grossa quanto un’unghia.

La ragazza si toccò l’ametista, poi scese dall’auto, prese la borsa e, a passo rapido, si avviò verso la biblioteca “San Marco”.

L’edificio, a pianta quadrata, pur piccolo, era adorno di decorazioni e sulla facciata principale apriva una porta rettangolare, sormontata da un timpano, adorno di sculture consunte, rappresentanti l’Ultima Cena.

La ragazza vide un uomo tarchiato, con corti capelli castani e occhi castani, che armeggiava con delle chiavi.

Buongiorno, direttore. – lo salutò.

L’uomo si girò e un debole sorriso sollevò le sue labbra.

Buongiorno, Valentina Castellani. Si ricorda che giorno è oggi? – domandò, il tono apparentemente serio.

La ragazza fece per rispondere, ma i suoi occhi, ad un tratto, si sbarrarono e grosse gocce di sudore imperlarono il suo volto.

L’uomo, preoccupato, le si avvicinò e le posò la mano sul braccio.

Tutto bene? – domandò, aggrottando la fronte.

La ragazza, per alcuni istanti, rimase ferma, lo sguardo stralunato, poi si scosse e fissò lo sguardo sull’uomo.

Sì. Mi perdoni, direttore. – si scusò, triste.

Lascia perdere. Ma se stai ancora così, vai a casa. – borbottò lui.

Poi aprì il portone ed entrarono nella biblioteca.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


Valentina, a passo rapido, percorse via Mazzini e si avviò verso il cimitero.

Si fermò davanti alla bancarella di un fioraio, situata nel piazzale d’ingresso, comprò un mazzo di gigli rossi e riprese il suo cammino.

Oltrepassò il cancello, percorse circa cento metri, poi si avviò nel settore lapideo di destra del cimitero.

Qualche minuto dopo, si fermò davanti ad una lapide bianca, di forma rettangolare.

Al centro di essa, era posata la foto di un giovane uomo dai lineamenti regolari e dalla pelle olivastra, su cui spiccavano gli occhi neri, dal taglio allungato e sottile.

I lunghi e lisci capelli neri erano raccolti in una coda, mentre al collo portava una collana d’oro, terminante in un capricorno stilizzato, incrostato di brillanti.

Valentina posò i gigli a poca distanza dalla pietra, poi si inginocchiò e, per alcuni istanti, sussurrò una debole preghiera.

Fissò la fotografia, poi il suo sguardo si posò sulla scritta sotto di essa.



Gabriel Rodriguez Santos


Città del Messico 8 gennaio 1982 – Roma 24 giugno 2012


La tua forza è una cometa e illuminerà sempre le nostre vite.”


Un singhiozzo salì sulle labbra di lei. Il tempo non le aveva fatto dimenticare quel giovane di origini messicane, desideroso di diventare un affermato regista.

Si era innamorata di lui per il suo carattere indomito e per la sua indole vivace, amante dei divertimenti.

Il dito indice destro, leggero, si posò sulla foto. In quel momento, immaginava di accarezzare la pelle olivastra di Gabriel.

Con lui, lei aveva sognato di avere una famiglia e dei figli.

Il loro legame, nato ai tempi del liceo, aveva resistito agli anni e si era rivelato assai tenace.

Spesso, si scontravano su politica e letture, ma tale diversità non ostacolava il loro legame.

Lui le era sempre stato accanto e non aveva mai mancato di sostenere le sue scelte.

Sospirò e, con un gesto lento, si terse le lacrime, che rigavano le sue guance. Gabriel, pur con i suoi difetti, era dotato d’un animo nobile.

La sua facciata, chiassosa ed esuberante, celava un cuore generoso.

Gabriel adorava i bambini e non esitava a distribuire regali ai più sfortunati, tramite la Caritas.

Ricordava la sua condizione sfortunata, nelle strade di città del Messico e, per quanto possibile, tentava di dare felicità ai bambini non benedetti dalla sorte.

Tentava sempre di nascondere questa sua gentilezza, quasi fosse un difetto, ma lei e i suoi amici ne erano a conoscenza.

Quando si parlava della sua generosità, Gabriel, di solito sicuro e intraprendente, arrossiva d’imbarazzo e brontolava frasi sconnesse.

Odiava l’ostentazione del bene e, per questo, cercava di nasconderla.

Ci sei stato troppo presto, amore mio. – sussurrò, il tono amaro e triste. Solo i ricordi le rimanevano di Gabriel.

Poteva custodirli nel suo cuore, come preziose gemme in un cofano.

Represse l’amarezza e continuò a salmodiare una preghiera.





Si alzò, volse le spalle alla tomba e si allontanò.

Un debole fruscio, ad un tratto, giunse alle sue orecchie.

Valentina si bloccò, turbata, e un brivido percorse la sua schiena. Non sapeva perché, ma i suoi sensi la avvertivano di un pericolo.

Scosse la testa e riprese a camminare, la testa china sul petto.

Ad un tratto, una violenta onda d’urto la investì. La sbalzò all’indietro.

Valentina batté la spalla destra contro un pino. Il dolore si irradiò nel suo corpo e la giovane svenne.


Signorina, si sente bene? – domandò una voce maschile, palpitante di preoccupazione.

La nebbia dell’incoscienza venne perforata e, a fatica, Valentina sollevò le palpebre.

Su di lei, era china una figura umana indistinta, come un miraggio.

Sbatté con più forza le palpebre e, davanti ai suoi occhi, comparve un giovane uomo, di statura alta e di corporatura snella, seppur muscolosa.

Una folta capigliatura nera, malamente stretta da un laccio blu, scendeva sulle spalle e sul suo petto e il suo volto, dai lineamenti regolari, seppur decisi, era illuminato dagli occhi verdi, simili a smeraldi, ombreggiati da lunghe ciglia nere.

I suoi abiti erano coperti da un lungo cappotto nero e al collo pendeva un ciondolo d’argento, terminante in una stella del medesimo materiale, inscritta in un cerchio.

Valentina, per alcuni istanti, rimase immobile, stordita e dolorante.

Poi, cauta, si rimise in piedi, ma una fitta di sofferenza distorse il suo volto.

Che cosa si sente? – chiese ancora il giovane, il tono pacato, seppur percorso da una breve nota di preoccupazione.

La spalla… Non riesco a muoverla. Mi fa male. – si lamentò lei.

Si passò una mano sulla fronte, umida di sudore, e inspirò grandi quantità d’aria.

Sta tranquilla. Ci penso io. – la rassicurò lui.

Prese il cellulare e chiamò la polizia.



Qualche minuto dopo, due auto dei Carabinieri e un’ambulanza giunsero davanti al cimitero.

Da una macchina, scese un uomo alto e magro, che indossava un lungo cappotto color cuoio.

Lunghi e sottili capelli neri scendevano sul collo, lasciando scoperta l’ampia fronte, segnata da rughe, e sul viso scavato spiccavano i penetranti occhi castani.

Alla sua spalla destra, era appesa un’ampia e capiente borsa, che, di tanto in tanto, scivolava verso terra.

Buongiorno, ispettore. – lo salutò il giovane, calmo.

Ciao, Alexander. Che cosa succede qui? – domandò l’uomo.

Questa ragazza è stata aggredita da dei criminali. Io ho cercato di fermarli, con scarsi risultati. – si scusò l’altro.

Lo sguardo del pubblico ufficiale si posò su Valentina, che, silenziosa, attendeva.

Notato il gonfiore della spalla destra, l’ispettore aggrottò la fronte.

Poi, aprì la borsa, vi rovistò un poco e prese un quaderno di appunti e una penna.

Signorina, sono l’ispettore Enrico d’Alessandro. Se la sente di parlare, prima di andare in ospedale? Ci metteremo solo pochi minuti. – domandò, gentile.

Sì. Sono a sua disposizione. – rispose lei, decisa.

Molto bene. Mi dia le sue generalità. E poi mi dica se ha notato qualcosa di strano. – affermò Enrico.

Valentina prese un lungo sospiro, poi si passò la mano sana sui capelli.

Mi chiamo Valentina Castellani, ho ventitré anni e sono venuta qui a portare dei fiori sulla tomba del mio fidanzato. Credo di esserci rimasta per trenta minuti, ma non posso esserne certa, perché non ho orologio. – cominciò.

E dopo cosa è successo? – chiese Enrico.

Vede, ho sentito un fruscio dietro di me. Sembrava che qualcuno mi stesse seguendo, cercando di non fare rumore. Però ho creduto che fosse una mia fantasia, dovuto all’atmosfera del luogo. Poi c’è stata una violenta onda d’urto e mi ha sbalzata contro un albero. Sono svenuta, mi dispiace di non potere dire di più. – si scusò.

Enrico, che aveva annotato tutto, sollevò la testa dal quaderno.

Stai tranquilla. Ora, va in ospedale e fatti controllare il braccio. Tuttavia, rimani a disposizione e se ti viene in mente qualche altro particolare non esitare a chiamarmi. – le disse.

Mise la mano nella tasca della giacca e le consegnò un biglietto da visita.

Qui c’è il mio numero di telefono. Non perderlo. – disse lui.

Qualche istante dopo, due barellieri si avvicinarono a lei, la aiutarono a sedersi sulla barella e si diressero verso l’ambulanza, che era in attesa.

Pochi minuti dopo, si allontanò dal cimitero.

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