Sherrinford Haycok Holmes di coopercroft (/viewuser.php?uid=1146299)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Qualcuno mi segue ***
Capitolo 3: *** Un padre complicato ***
Capitolo 4: *** La prima notte a Pall Mall ***
Capitolo 5: *** Il risveglio in casa Holmes ***
Capitolo 6: *** La diagnosi ***
Capitolo 7: *** Un cuore malandato ***
Capitolo 8: *** La cura non è un vantaggio ***
Capitolo 9: *** Go to Baker Street ***
Capitolo 10: *** Lo zio Sherlock ***
Capitolo 11: *** Rosie Watson ***
Capitolo 12: *** Prima di cena ***
Capitolo 13: *** Ritorno a Baker street ***
Capitolo 14: *** Riprendere a vivere ***
Capitolo 15: *** Serata in famiglia ***
Capitolo 16: *** Le solite divergenze ***
Capitolo 17: *** Lady Alicia Smallwood ***
Capitolo 18: *** Essere figlio di Mycroft Holmes ***
Capitolo 19: *** Serpenti e pubbliche relazioni ***
Capitolo 20: *** Prove di rapimento ***
Capitolo 21: *** I ricordi del passato e il dolore. ***
Capitolo 22: *** Diventare un figlio bastardo ***
Capitolo 23: *** Mycroft, Sherlock e Eurus.... ***
Capitolo 24: *** Rosie e Mr. Trevor l'orsetto Zombie ***
Capitolo 25: *** Iniziare la recita. ***
Capitolo 26: *** Il ricevimento all'ambasciata Prima parte ***
Capitolo 27: *** Il ricevimento all'ambasciata. Seconda parte. ***
Capitolo 28: *** Una pausa dopo il ricevimento ***
Capitolo 29: *** in cerca di mia madre ***
Capitolo 30: *** Sherlock, Mycroft e la fratellanza. ***
Capitolo 31: *** Affrontare Serge ***
Capitolo 32: *** Gestire la rabbia ***
Capitolo 33: *** Prima della resa dei conti ***
Capitolo 34: *** La resa dei conti ***
Capitolo 35: *** Tornare per rimanere. ***
Capitolo 36: *** Epilogo: festa a Pall Mall ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
L'uomo,
avvolto nel Crombie
nero camminava, con passo elegante lungo il corridoio illuminato dalle
deboli
luci serali.
Il
ticchettio dell'ombrello ne
segnava il passo, come le rughe che gli segnavano il viso maturo ma ben
curato.
Tutto nella sua persona comunicava eleganza e compostezza.
Arrivò
alla stanza numero otto, al
quarto piano dell'ospedale San Bart di Londra e si fermò,
prese un respiro
profondo, la mano che indugiava tremante sulla maniglia della porta. Si
schiarì
la voce, si preparò con un sorriso in volto, ed
entrò.
Virginia
giaceva appoggiata ai
cuscini, la testa di lato, gli occhi socchiusi. L'odore del
disinfettante
raggiunse le narici di Mycroft, che strinse le labbra,
inghiottì a vuoto,
appoggiò l'ombrello, si tolse il cappotto e si sedette sulla
sedia.
"L'hai
trovato Myc?"
Mormorò con un filo di voce la donna pallida ed emaciata.
Allungò la mano per
prendere quella dell'uomo. Lui la afferrò saldamente e
scosse la testa.
"No, Virginia non ancora."
Si
sentiva in colpa per non essere
lì con lui, smorzò la frase dimenticandosi quasi
di respirare. "Mi
dispiace, Sherrinford sembra sparito. Ma sicuramente è a
Londra ed è vivo, ne
sono sicuro."
Lei
tossì, Mycroft le versò poca
acqua nel bicchiere e la aiutò a bere. La flebo era quasi
terminata, una delle
tante della sua giornata di dolore. La malattia avanzava troppo
velocemente.
"Ho
fatto troppo male a
nostro figlio perché Dio mi permetta di rivederlo."
Singhiozzò, mentre le
lacrime le scendevano copiose sulle guance pallide.
"Non
dire così Virginia, non
sentirti in colpa per averlo dato in adozione. Eravamo giovani
entrambi, non
avrei dovuto credere alla bugia dei tuoi genitori, avrei dovuto
cercarti."
Sentì
un dolore sordo dentro
al cuore, mentre le stringeva la mano fredda, lei era la donna
bellissima e
delicata che avrebbe voluto sposare, con cui avrebbe voluto crescere
quel
figlio di cui era venuto a conoscenza pochi giorni prima. Una serie di
bugie e
in comprensioni li aveva inesorabilmente allontanati separandoli per
sempre. E
ora era troppo tardi.
"Promettimi
che lo troverai,
che ti prenderai cura di lui. Parlagli di me. Digli che non l'ho mai
dimenticato."
I
singhiozzi si fecero più rapidi.
"Lo
farò Virginia, te lo
prometto e lo cercherò ancora."
Lei
si tranquillizzò, Mycroft le
baciò la fronte e i pochi capelli biondi rimasti dopo le
cure. Se li ricordava
del colore del sole, quando poco più che maggiorenni, si
incontravano nella
tenuta di Musgrave vicino al fiume, pieni di progetti per il futuro,
felici e
innamorati.
Virginia
chiuse gli occhi e si
abbandonò spossata, lui si chinò e le
baciò le labbra screpolate, lei riaprì
gli occhi luccicanti.
"Ti
amo Myc e ho amato anche
Sherrinford, per quel poco che mi hanno concesso di tenerlo."
Cercò
aria. "Avresti dovuto
vedere la sua faccina buffa e le sue manine paffute, era dolcissimo, il
dono
più bello che potessimo ricevere." Le mancò il
respiro.
"Diventa
un buon
padre.... amore mio." Le ultime frasi si erano fatte fievoli, si
assopì
senza dolore con un sorriso delicato su quel volto di ragazza che aveva
tanto
amato.
Le
accarezzò la fronte che si fece
sempre più fredda.
Virginia,
il suo amore giovanile,
la madre del suo unico figlio lo aveva lasciato per sempre.
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Capitolo 2 *** Qualcuno mi segue ***
"Notte Hayc ci sentiamo domani,
cerca di arrivare in
orario."
Il vecchio Stuart mi saluta mentre
si riprende la bicicletta e la porta al deposito.
Gestisce i rider della zona est di
Londra, lavoro per lui.
Mi appoggio con la schiena al
muro, non vedevo l'ora di finire, sta diventando sempre più
pesante pedalare
per portare in giro la cena degli altri.
Sorrido, mi chiamano Hayc ma il
mio vero nome è Sherrinford. Un nome altisonante, per uno
come me che ha
passato la vita in orfanotrofio.
Stringo un altro foro della
cintura dei calzoni. Mi rovisto nelle tasche, la stoffa lisa si
è bucata e le
poche sterline sono finite nella fodera, ma sono sufficienti per
pagarmi la
cena.
Quando ho compiuto diciotto anni
ho dovuto lasciare l'istituto e sono iniziati i problemi.
Mi infilo il cappello di lana, che
trattiene i disordinati capelli neri. Ho ripreso fiato e mi avvio
camminando
per raggiungere la periferia di Londra, dove ho una "casa" che non
è
altro che una specie di stanza, fredda e anonima, ma costa poco, quindi
va più
che bene.
Rabbrividisco, la vecchia giacca
non fa più il suo dovere. Troppo usata e troppo logora. Il
mio prossimo
obiettivo sarà acquistarne una più calda. Questo
mese sono riuscito a comprarmi
un paio di scarpe nuove e sono contento. Una piccola soddisfazione per
uno come
me che non ha prospettive se non quella di sopravvivere. Non sono un
tipo che
ha molte pretese, mi basta fare qualche lavoretto di tanto in tanto per
avere
qualche sterlina in tasca.
"Ti stai lasciando andare
Hayc, trova un lavoro serio, così non va bene." Sento dentro
la testa la
voce petulante dell'assistente sociale.
Mi devo presentare da lei due
volte al mese da quando sono uscito dall'istituto. È l'unica
che si interessa
di come vivo.
In effetti ogni tanto mi perdo, mi
lascio prendere dallo sconforto. Non riesco a reagire, così
mi faccio, anche se
non sono un tossico, oppure mi sbronzo perché costa meno. Mi
stordisco, mi fa
sentire meglio, so che è sbagliato, ma mi addormento senza
pensieri in quella
stanza fredda visto che non ho abbastanza soldi per pagare il
riscaldamento. Stasera ho la testa che viaggia da sola, sono patetico!
Perché è
sempre la solita storia,
mi prende una rabbia cattiva che mi distrugge dentro quando penso al
perché mi
abbiano abbandonato.
Mi massaggio le vecchie cicatrici
sul braccio, e maledico la sfortuna di tutte le volte che mi hanno
adottato e
non ha funzionato.
Come può una madre
lasciare un
figlio? Me lo chiedo da anni, senza trovare risposta. Forse il freddo
mi
rallenta il cervello, sono mesi che non ripenso alla mia vita.
Prendo a calci una pigna, caduta
dal vecchio albero del parco. Un calcio a tutti quelli che non mi hanno
voluto.
Il mio respiro si fa leggero, mi
sale un colpo di tosse.
Meglio lasciare stare la droga
stasera, tre settimane fa per poco non ci rimanevo, quindi adesso mi
sbronzo e
basta. Ho già dato in termini di sballo, meglio rallentare
con
l'autodistruzione.
Non avere alcuna regola, mi porta
a infrangerle tutte.
Aumento il passo per arrivare a
casa. Un gatto tigrato attraversa coraggiosamente la strada, si ferma a
farmi
le fusa. Due sere prima gli ho dato delle crocchette e da allora mi
aspetta.
Gli faccio due coccole, stasera è l'unica cosa che posso
regalargli.... Meglio
prendermi del cibo, la solita pizza, mi basta e avanza.
Da alcuni giorni ho la maledetta
impressione di essere seguito. Non ho conti in sospeso e non ho idea di
chi
potrebbe essere, mi comporto bene ultimamente.
Sono arrivato a casa e mi fermo al
solito locale. Aspetto la mia cena, inganno l'attesa guardando fuori.
Eccola,
la solita auto scura di quelle che usano al governo, ultimamente la
vedo
spesso. Cosa ci faccia da queste parti, proprio non lo capisco, forse
qualche
pezzo grosso che vuole un'avventura fuori standard. Questo posto
è pieno di
escort disponibili e costose.
Salgo le scale con la pizza in
mano. Arrivo alla porta ma la trovo socchiusa. Forse, stanco com'ero,
l'ho
dimenticata aperta.
Entro e mi prende un colpo. La
luce nella camera è accesa. Lascio la pizza su di una sedia,
afferro il
coltello a serramanico che porto sempre con me e avanzo lentamente.
Quello che vedo mi lascia senza
fiato. C'è un uomo che mi dà di spalle, ma come
mi sente si gira. Al braccio ha
un ombrello che ondeggia verso di me.
Io impugno più forte il
coltello.
Deglutisco a vuoto.
"Non ci proverei,
Sherrinford, non sono una minaccia." La sua voce non ha alcuna
inflessione
ma sembra voglia rassicurarmi.
Si ferma puntando l'ombrello sul
pavimento dove appoggia tutto il suo peso. È elegante,
indossa vestiti costosi
e un cappotto Crombie che mi pagherebbe l'affitto per due mesi.
"Chi diavolo è lei? E
cosa ci
fa dentro casa mia?" Quasi urlo, abbasso la mano con il coltello, che
trema un po'.
"È impegnativo chiamarla
casa." Lui inclina il capo di lato, mi fissa. Fa un sorrisetto
sostenuto,
mi studia.
"Insomma cosa vuole da me?
Devo chiamare la polizia?" Mi rigiro il coltello fra le mani, comincio
a
indietreggiare.
"Ragazzo, diciamo che non
è
il caso. Voglio solo chiederti un paio di cose." Si accomoda sulla
sedia e
si concentra su di me. È calmo e questo allenta anche il mio
disagio, le mani
sempre strette su quell'assurdo ombrello.
"Per quale motivo dovrei
rispondere a un estraneo, che è entrato in casa mia di
soppiatto?"
Aumento il respiro e appoggio il
coltello davanti a lui sul tavolo. Non mi fa paura, non so per quale
ragione.
Tolgo la giacca, mi siedo.
Lui ha un che di familiare che mi rimescola.
Abbiamo la stessa altezza, lo stesso corpo asciutto, gli occhi grigio
chiaro
sono come i miei. Ma i capelli sono troppo corti per giudicare, i miei
sono
neri e mossi.
"Come sa il mio nome? Non
è
molto comune, nessuno mi chiama Sherrinford. Devono avermi fatto uno
scherzo
quando me l'hanno dato. Sono Hayc per tutti, più comodo e
più stupido."
Faccio una smorfia che è un mezzo sorriso.
"Potrebbe avere un
perché.
Non trovi?" Ed eccola comparire, quell'espressione sarcastica sul suo
volto, che mi risulta un po' antipatica.
"Ma lei chi è?"
Stropiccio il fondo liso della giacca. "Sto conversando con un estraneo
che mi è entrato in casa. Devo essere ubriaco!" Sbotto
seccato.
"Già, bel modo di
passare le
sere, bevendo e fumando erba. Ottimo per accorciarsi la vita." Il tipo
fa
un sospiro rassegnato. "Ne conosco un altro che faceva spesso come te.
Vi
piace rovinarvi la vita e di conseguenza anche la mia."
"Allora, lei chi diavolo
è?" Stavolta lo fisso torvo, la voce tagliente, voglio una
risposta.
Fa una pausa come se prendesse
fiato, poi mi guarda dritto negli occhi. "Mi chiamo Mycroft Holmes, ma
non
ti dirà un granché." Inghiotte a vuoto.
"È molto probabile che io sia
tuo padre."
Subito non elaboro, lo guardo e
non respiro, il cuore me lo ritrovo in gola. Inizio a tremare come
spesso mi
succede visto tutte le sbornie e la droga.
"Non può essere! Lei,
mio
padre? Cos'è, uno scherzo?" Mi alzo e incespico, vado a
prendermi
dell'acqua.
Eppure lo sento che qualcosa di
vero c'è. La sensazione che lo possa essere davvero mi
devasta. Torno dalla
cucina e lui è sempre lì. Un mezzo incubo.
Bevo, mi fissa immobile, mi vede
tremare. "Dovresti smetterla di farti del male, Sherrinford."
Gli offro da bere, molto
probabilmente lui è un tipo da costosi scotch di marca.
Gli allungo la bottiglia e un
bicchiere pulito, appoggio tutto sul tavolo. Mi siedo scomposto, mentre
lui si
versa l'acqua e beve. Non tradisce alcun tremore e questo accresce il
mio
smarrimento per la sua freddezza.
"Cosa vuole sapere? Non se lo
aspettava di trovarsi uno come me, vero? Un ragazzo problematico e
rozzo."
Rido, ma lui non è sorpreso. È impassibile,
nemmeno una smorfia, alza solo le
sopracciglia.
"Sherrinford è un po'
che ti
seguo, so quello che fai, il modo disdicevole in cui vivi. Voglio solo
che tu
sappia che ignoravo la tua esistenza fino a poche settimane fa. Ho
dovuto
faticare parecchio per trovarti, nonostante disponga di innumerevoli
mezzi." Sembra sincero, gli occhi velati, ma si riprende subito.
"Sono stato in orfanotrofio
quasi tutta la vita. Ho vissuto per qualche mese con una famiglia
adottiva ma
le cose non hanno funzionato. Me ne sono andato quando ho avuto
diciotto anni.
E ora lei, signor Holmes, arriva e improvvisamente si sente pieno
d'istinto
paterno. Grande! Un po' in ritard, mi sembra."
Mi alzo, più deluso che
arrabbiato, mentre lui rimane immobile con le mani strette al suo
ombrello.
Eppure sento che potrebbe essere la verità.
"Cosa vuole adesso da me
signor Holmes? Non posso darle nulla e mi sembra sia tardi per il
perdono."
"Non lo pretendo, so che sei
arrabbiato per quello che ti è successo. Ma te lo ripeto,
non sapevo nulla.
Vorrei solo due cose da te." Holmes si alza, abbandona il suo amato
ombrello. Sembra titubare, ma è un attimo, mi osserva poi
parla.
"Lo so che ti sto chiedendo
molto. Dimmi se hai una voglia scura sul braccio destro appena sopra il
gomito."
"Che richiesta è questa?
Una
prova per Dio?" Prendo, tiro su la manica seccato e gliela mostro
quella
"voglia" che ho sempre odiato. La esamina, muove appena il
sopracciglio. Vedo i suoi occhi in tempesta.
"Dimmi ragazzo hai una
cicatrice sotto il piede sinistro, una specie di sutura mal riuscita?"
Rimango immobile con il fiato
corto. Per Dio! Allora questo potrebbe essere davvero mio padre. Lui
aspetta
che digerisca il fatto. Prendo e con le dita irrigidite slaccio la
scarpa
sinistra, mi vergogno dei calzini bucati e gli mostro la ferita.
"Contento signor
Holmes?" Mi prende un'amarezza profonda per quell'abbandono subito
senza
risposte, forse l'arrivo di questo sconosciuto significa che ora
potrò averle.
Lui annuisce e si risiede. Stavolta sembra rilassarsi, si scioglie quel
tanto
che mi può concedere.
"Bene ragazzo, direi che
siamo sulla strada giusta, ora se me lo permetti vorrei un po' della
tua saliva
per il tampone del DNA. Voglio la sicurezza che tu sia mio figlio.
Spero tu
possa capire che io mi sento responsabile. E vorrei porre rimedio a
tutto
questo." Mette sulla tavola la provetta e lascia che io decida, non mi
impone nulla, aspetta paziente.
Mi arruffo i capelli, prendo
tempo. Entra a gamba tesa nella mia vita, non so se posso accettarlo.
Lo guardo irritato, indeciso se
cacciarlo da casa o cercare un rapporto con lui. È
curiosamente tranquillo, io
stupidamente agitato. Quest'uomo enigmatico mi attrae molto e vorrei
conoscerlo. Se lui fosse mio padre, una parte della mia vita, potrebbe
svelarmi
chi sono veramente.
Avere una vita normale, sapere da
dove vengo. Davvero potrei aspirare a tanto? Avere qualcuno che si
prenda cura
di me, che mi voglia bene? È lui la persona che voglio al
mio fianco? Se mi ha
cercato, se è qui di fronte a me, potrebbe essere un inizio.
Non so se posso fidarmi di questo
sconosciuto che mi osserva e attende una mia risposta. Ma ho fame di
affetto e
non voglio rimanere da solo. Accolgo la sua richiesta, abbassando la
testa,
incapace di guardarlo in volto.
"Bene, d'accordo, cosa devo
fare?" Infilo le mani nelle tasche sformate dei calzoni.
Scosta la sedia e l'ombrello, si
avvicina e mi prende un po' di saliva con il tampone, mi sfiora la
guancia con
la mano e quel contatto mi rimescola. Holmes mi vede vacillare.
"Tranquillo, va tutto bene,
non voglio disturbarti di più." Sembra sincero, quasi
sereno, ma si sente
in torto. Si aggiusta la cravatta, riprende l'ombrello e lo punta dove
è appoggiata
la scatola della pizza.
"Visto che la tua cena è
andata, posso portarti a mangiare qualcosa di caldo? Fa piuttosto
freddo in
questa specie di casa." Si gira senza aspettare che risponda, le mani
talmente strette sull'impugnatura del suo prezioso ombrello da apparire
scolorite. Ha già il suo cappotto addosso.
Accetto, mi accorgo che si
è
leggermente scoperto, maschera la paura di un mio rifiuto. Allora forse
è umano
e pieno di dubbi quanto me. Decido di seguirlo, soprattutto
perché sono
affamato e infreddolito.
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Capitolo 3 *** Un padre complicato ***
L'auto parcheggiata che avevo visto prima è sua. Ha un
autista sollecito che
l'avvia appena ci avviciniamo, mi fermo e non salgo subito, guardo la
berlina
incuriosito. È lussuosa e potente, lui sale dietro e lascia
la portiera aperta.
I sedili di pelle sembrano nuovi, tutto l'interno è pulito e
ordinato.
"Sali Sherrinford, non è
così
inquietante come sembra." Lo sguardo che mi allunga è
divertito, sa di
essere una persona autorevole.
Entro incerto e mi accomodo, sento
il suo profumo di dopobarba e fumo.
Deve fumare anche lui. Non mi
sembra un fumatore accanito, forse si concede solo qualche sigaretta
quando è
teso.
Mi dà l'impressione di
essere un
salutista, mi domando se ci sarà un punto d'incontro tra noi
due.
Io sono l'opposto, lui mi sembra
un genitore fin troppo perfetto per uno come me! Lo osservo di
nascosto, i suoi
vestiti sono di alta sartoria, mi sento improvvisamente uno straccione.
Sembra leggermi dentro, si gira
con un sorriso gentile, ma fastidioso.
"Non temere, non sono sempre
così formale. È il mio lavoro che me lo impone.
Sono un funzionario del
Governo, spesso devo trattare con persone importanti. La sciatteria non
si
addice agli incontri al vertice."
Ora comprendo quell'ostentazione
di potere, annuisco disorientato. Fino a quali vertici arriva il suo
lavoro?
Cosa può fare un uomo come lui?
Evito di guardarlo, però
sentirlo
vicino mi dà sicurezza, mi trasmette calore e non so se sia
un bene.
L'auto si ferma davanti a un pub
aperto, scendiamo, l'autista rimane in attesa. Mi volto sorpreso e
agito la
mano.
"Ma ci aspetterà?" Mi
sembra uno spreco, tenere un uomo a disposizione.
"È il suo lavoro, mi
conosce
da anni ed è fidato." Mycroft, così ha detto di
chiamarsi, si infastidisce
e mi sollecita a entrare. Il piccolo pub è tutto arredato in
legno, i tavoli
hanno delle tovaglie a scacchi rossi. È pervaso da un odore
di fumo e birra.
Lui arriccia il naso.
Vedo che non è
propriamente a suo
agio in quel posto, però ho fame e quindi mi siedo al
tavolo. Si prende un
caffè macchiato con del latte, io ordino un Hamburger e una
birra.
"Non è un cibo sano,
ragazzo
ma stasera va bene così." Storce la bocca sottile, si sfila
i guanti
lentamente e mi inchioda gli occhi addosso. Poi si toglie il cappotto,
io
faccio lo stesso. È vestito con un completo tre pezzi scuro,
giacca a righe più
chiare, la cravatta azzurra fermata da una spilla argentata, un
gilè
abbottonato con cura.
È una persona che tiene
molto al
suo aspetto, anche nei modi è affettato. Lo studio. Cerco un
punto in comune
con lui. Forse nel modo in cui muove le mani o come chiude gli occhi
quando
fissa le persone, spesso lo faccio anch'io. Rimaniamo silenziosi,
incapaci di
avviare una conversazione, finalmente arriva il cibo a toglierci
dall'imbarazzo.
Addento il mio panino deciso a non
cambiare abitudini, certamente non per lui.
Mycroft si rigira la tazza fra le
mani e improvvisamente dichiara con voce gentile. "Sarà il
tuo compleanno
tra pochi mesi."
"Sono diciannove, signor
Holmes, il prossimo venti Maggio." Mi strozzo sorpreso che lo sappia,
mandando giù in fretta il boccone. Lui sorride appena,
sorseggia il suo caffè.
Capisco che da lui non potrò pretendere grandi slanci di
affetto. È così
austero, come se dovesse tenere la situazione sempre sotto controllo.
Per ora mi basta, forse il suo
atteggiamento cambierà quando ci conosceremo meglio. Sono un
adulto ormai, ma
dentro mi sento imbarazzato come un ragazzino. Bevo la birra, lui
storce un po'
il naso, già si intromette su quello che mi piace.
Cominciamo bene!
Il pub è caldo e
accogliente,
Holmes si scioglie un po'. Ci stiamo studiando a vicenda, credo che
capisca
quello che penso, perché inclina la testa di lato mentre si
infila i guanti, mi
parla lentamente.
"Vorrei ospitarti a casa mia.
Ho una camera con un letto caldo e soprattutto una doccia che ti
aspetta."
Increspo le labbra, mi accorgo che
lui fa lo stesso, mi sento indeciso, non so se posso fidarmi. Non mi
sembra
pericoloso.
"Non avrai paura di me?"
Sbotta ridacchiando. "Ti offro ospitalità, null'altro. Puoi
andartene
quando vuoi. Ma se decidi di restare, starai alle mie regole." La voce
si
è fatta decisa, nessuna inflessione.
"Se lei è mio padre
rimarrò,
ma per le regole ci accorderemo. Per ora accetto il suo invito."
Incrocio
le braccia, metto in chiaro che desidero un rapporto alla pari con lui.
"Va bene, ne discuteremo poi.
Allora andiamo a casa, a Pall Mall." Non ha capitolato immediatamente
ma
non ha neanche detto di no. È un inizio, lo
guardo, lui apre le mani
appoggiate sulle ginocchia e si rilassa.
"Non ho vestiti con me, mi
dispiace." Mi sistemo la maglia allungando il polsino già
liso.
"Non è un problema,
passiamo
da casa tua." La sua voce si è addolcita, non aggiunge
altro, si alza e
indossa il cappotto.
Mi strofino il mento, le sue
rassicurazioni sono convincenti e decido di seguirlo, in un attimo lui
è alla
porta.
Si fida di me il "British
Government", mi ha appena conosciuto e mi porta a casa sua. Un punto a
suo
favore. Così ne approfitto, ho bisogno di un posto sicuro e
caldo, in fondo
cosa ho da perdere?
Usciamo dal pub, lui davanti io
dietro. L'autista mette in moto non appena ci vede, se vuole
impressionarmi ha
ottenuto il massimo. Mi riportano in quel buco dove dormo, salgo nella
stanza
fredda e prendo le mie cose.
"Metti la tua borsa nel baule."
Il suo tono suona un po' seccato. Forse l'ho fatto aspettare troppo,
non è tipo
da rimanere in attesa.
"Mi scuso se ho impiegato del
tempo. Non volevo infastidirla." Gli rispondo piccato, chiudo il baule
con
veemenza.
Holmes mi guarda, arriccia le
labbra.
"Non è per l'attesa ragazzo, ma la tua borsa non ha un buon
odore e temo
che anche i tuoi vestiti saranno impregnati di fumo, birra e
chissà che altro.
Vedrò se riesco a rimediarti qualcosa di decente. Che sappia
di bucato
fresco."
Rimango impassibile a questa
critica, lo fisso beffardo.
"Non dispongo di molto denaro
per la lavanderia. Spesso mi capita di dormire fuori, in qualche
dormitorio e
quasi non riesco a lavarmi. Non tutti hanno la fortuna di avere una
famiglia
alle spalle, Signore!"
Sono arrabbiato, stanco e
infastidito per questo atteggiamento di superiorità. Non mi
piace che si muova
in un terreno arduo come il nostro futuro rapporto agendo in modo
scostante.
Quasi mi pento di averlo seguito, eppure sento che non sa confrontarsi,
non sa
essere né amico, né padre.
"Vedo che sei polemico
ragazzo. Ed è comprensibile scusami, volevo essere gentile."
Mette il
broncio e non parla più.
Mi appoggio al sedile, mi stringo
nella giacca più decorosa che possiedo e tremo, stasera
l'aria è fredda ed è
irrespirabile quanto lui.
"Albert, alza la
temperatura." Holmes si è rivolto all'autista, è
un gesto di cortesia
inaspettato. Il suo comportamento è incomprensibile, passa
dal gelido, al
premuroso.
Non ho voglia di ringraziarlo, me
ne sto zitto come un bambino capriccioso. La sua vita agiata non mi
impressiona, ho sempre fatto da solo. Ma chiudendo gli occhi, spero che
la sua
casa non sia lontana, perché sono stanco e voglio stare al
caldo. Lui mi legge
dentro ancora una volta.
"Tra poco ci siamo,
Sherrinford. Avrai un comodo letto per dormire." Emetto solo un
grugnito
d'intesa. Sono troppo stanco per rispondere, comincio a sentire il peso
della
giornata.
L'auto percorre un vialetto
alberato e distinguo una vecchia dimora vittoriana.
Per Dio! Sembra un piccolo
castello.
Sono passato da una camera umida a questo. La vita fa giri tortuosi a
volte.
"Scendi e prendi le tue
cose." Improvvisamente torna ad essere scorbutico. Eccolo
lì: fa un gesto
gentile e subito dopo uno contrario.
Holmes saluta Albert, e anch'io lo
ringrazio. Stare dietro a Holmes e a tutti i suoi capricci non deve
essere
facile.
È buio, vedo appena i
contorni del
maniero, rabbrividisco.
"Abita qui? È sposato o
vive
da solo?" Lui mi guarda come se avessi bestemmiato.
"Da solo, Sherrinford, non
sono sposato. La mia professione non si concilia molto con il
matrimonio."
Stringe le labbra che diventano bianche.
Sono già contrariato dal
suo modo
di fare e raddoppia la mia antipatia quando lo sento così
attaccato al lavoro.
La casa è una sorpresa.
Un ampio ingresso
ci porta in un corridoio con alcune porte aperte che fanno intravvedere
delle
sale con armature, stanze con tavoli enormi e un eccesso di librerie.
Tutto
decorato con legno pregiato. Un vero museo. Rimango intimorito, lui lo
percepisce.
"Tranquillo ci si abitua.
È
la stessa espressione che avevo quando sono arrivato qui la prima
volta. Ora
puoi chiudere la bocca." Ridacchia, abbassando la testa.
Mi tolgo la sorpresa dalla faccia,
arriviamo in cucina e nella sala adiacente, dove c'è un
camino crepitante. Si
sente l'odore di legno di pino e resina, il calore che emana
è piacevole.
"Il mio custode lo accende
prima che torni." Sentenzia orgoglioso.
Appoggio la borsa con tutto quello
che possiedo su una sedia e mi avvicino per scaldarmi. Mi guardo
intorno
stupefatto. Una casa alquanto singolare, dal gusto classico, anzi
decisamente
antiquata, ma lo tengo per me, ho paura d'irritarlo.
"Posso sedermi, signor
Holmes?" Gli indico la poltrona di pelle, non vorrei sembrare scortese,
non capisco cosa pensa e non so come comportarmi.
"Fai pure. Ti preparo del
tè,
ci siamo raffreddati entrambi."
Mi tolgo la giacca e sprofondo
letteralmente nella poltrona. Il calore del camino mi avvolge. Sento
salire la
stanchezza.
Mi sembra di sentire del rumore
provenire dalla cucina, cerco di concentrarmi ma non reggo e mi
addormento.
Sogno e rivedo il vecchio
collegio, mi agito forse mi lamento. Non voglio tornarci sono
sprofondato nel
sonno, nulla può portarmi indietro, nemmeno la voce paziente
del signor
Holmes.
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Capitolo 4 *** La prima notte a Pall Mall ***
Sento qualcuno che mi scuote la spalla, mi risveglio cercando di
mettere a
fuoco. Tutto mi torna in mente limpido e concreto. Non è un
sogno. Holmes, il
mio presunto padre, è lì di fronte al camino, la
sua voce è gentile. Mi fissa
dall'alto, sembra preoccupato.
"Forza ragazzo, bevi del
tè,
poi ti faccio vedere la tua camera, non puoi passare la notte qui."
Brontolo insonnolito, poi mi rendo
conto che ho dormito quasi un'ora. È stato premuroso, sono
avvolto da una
morbida coperta, il camino è ancora acceso.
"Grazie." Mormoro,
prendendo il tè che mi porge, lo ha riscaldato. Arrossisco
per essermi lasciato
andare così. "Mi scusi, sono crollato."
Ha un tono distaccato, ma la voce
è dolce. "L'ho visto, ma ora sarebbe meglio che ti facessi
una doccia
prima di metterti a letto. Ti rilasserai e ti sentirai meglio."
Si gira senza aggiungere altro.
Porta in cucina il vassoio e rimette in ordine, maniacalmente. Non si
è cambiato,
è sempre perfettamente vestito.
Finisco il tè e ripongo
la tazza,
poi lo seguo. Saliamo una scala di legno levigata dall'uso.
Di sopra c'è un altro
corridoio
con dei tappeti di pregio, le pareti intervallate da quadri. Lui apre
una delle
porte dove scorgo la sua camera da letto ordinata e con pochi mobili.
La mia
camera è di fronte alla sua, è confortevole ed ha
un bagno privato, un vero
lusso.
Entra nella sua e fruga nei
cassetti, mi porta della biancheria intima e qualcosa per la notte.
Tutto profuma
di bucato fresco.
"L'intimo è nuovo, il
pigiama
no, ma è pulito e comodo. Gli asciugamani sono in bagno."
Prendo tutto in
mano e rimango fermo, aspettando un suo segnale, un gesto, una parola.
"Beh, spero dormirai
bene." Abbassa il capo e afferra la maniglia della porta.
È incerto, ma riprende
il
controllo, si gira senza guardarmi, scompare nella stanza. Capisco che
non è
tipo che si perde in smancerie come quelle banali di augurare la
buonanotte.
"Beh, signor Holmes, grazie
di tutto." Sbadiglio rassegnato e chiudo la porta. "A domani e grazie
ancora."
Avrei voluto un gesto
rassicurante, ma ho capito che lui non è quel tipo di
persona. Sono perplesso.
Che genitore potrebbe diventare un uomo così distaccato, che
non si è mai fatto
una famiglia? Come si comporterà con un figlio come me, uno
che nessuno
potrebbe desiderare?
Sorrido mestamente, non voglio
farmi illusioni, però nel mio cuore ho già
seminato la speranza che lui sia
veramente mio padre e prego di riuscire ad amarlo, qualunque persona si
dimostri di essere.
Mi spoglio ed entro nell'ampia
doccia, un lusso che non vedo da tempo.
Lascio scorrere l'acqua bollente,
mi rilasso come ha detto Holmes.
Il mio corpo magro è
segnato da
diverse cicatrici, le ripasso con dolore, me le hanno lasciate i
genitori adottivi,
presi dal sacro fuoco dell'educazione giusta, ma severa. Un'esperienza
finita
prima ancora di cominciare.
Mi ripasso le braccia e vedo quei
buchi che saranno difficili da spiegare.
Non mi faccio da un po', ma ci
ricado sempre con facilità. Finisco, mi asciugo, mi rivesto
e filo sotto le
coperte in un letto vero, caldo e accogliente e per ora questo mi
basta.
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Capitolo 5 *** Il risveglio in casa Holmes ***
È mattina, lo vedo dalla luce che filtra da sotto la tenda.
Guardo il mio
vecchio orologio da polso. Sono le otto. Mi alzo dal letto e osservo la
camera,
è arredata con gusto, deve essere quella destinata agli
ospiti. Ha un'ampia
scrivania, un armadio vecchio stile. Mi sgranchisco le gambe, guardo
dalla
finestra che dà sul cortile d'ingresso. Tutto è
così lussuoso, veramente troppo
per me.
Sento dei rumori provenire dal
piano terra. Decido di scendere e indossare i vecchi vestiti che mi
sono
portato. Li annuso sospettoso, ha ragione Holmes, puzzano di fumo e
stantio.
Ma ho solo quelli, quindi scelgo i
migliori. La camicia non è proprio da buttare, è
azzurra con le righe in tono.
Infilo i calzoni blu scuro, anche se sono un po' logori, il maglione di
lana un
tono più chiaro. Ho i calzini di marca che mi ha passato
Holmes. Le scarpe sono
nuove, quindi accettabili. Mi osservo allo specchio, sono presentabile.
Scendo
di sotto per vedere cosa sta combinando.
Lui è in cucina, sembra
uscito da
una sartoria. Indossa un completo tre pezzi chiaro. Non ha nulla fuori
posto,
la cravatta sembra gli sia incollata addosso.
L'ho sempre giudicata scomoda,
svolazza ovunque, forse è per questo che lui la blocca con
il fermaglio. Ne
deve avere parecchi di quei gingilli, evidentemente gli piacciono.
Mycroft si volta e mi squadra,
abbozza un mezzo sorriso ironico. Lo so che mi sta giudicando.
Evidentemente
non rientro nei suoi canoni di eleganza.
"Buongiorno Sherrinford, hai
riposato bene? Ti avrei chiamato tra poco." Socchiude gli occhi e
inclina
il capo valutandomi.
"Vedo che stamattina sei
presentabile ma dovresti provvedere a portare in lavanderia i tuoi
vestiti." Torna ad occuparsi della colazione. Mi mette un dubbio e
annuso
la manica.
"Lo so, non profumano di
bucato ma si dovrà accontentare di questi, non ho altro." Lo
fisso
irritato, è sempre così insopportabilmente
spocchioso.
Si pulisce le mani nello
strofinaccio ricamato e non trattiene il suo disappunto. "Sherrinford,
non
pretendo di esserti simpatico, ma ti invito a trattenere le tue
emozioni. Ti si
legge tutto in faccia." Solleva appena il capo senza fissarmi.
"Bene, signor Holmes,
così
non le devo spiegare niente e risparmio fiato." Metto fine alla
guerriglia
e mi offro di aiutarlo.
"Posso fare qualcosa? "
Smette di affaccendarsi e mi indica la cucina. È bianca, con
mobili lisci e
funzionali, niente spazio per inutili soprammobili. Il forno, il piano
cottura
perfettamente puliti tanto che mi chiedo se li usa.
"Prendi il caffè e
scaldalo,
tosta le fette di pane. Non combinare disastri, penso tu abbia capito
che odio
il disordine." Lo guardo di sbieco, non so se più arrabbiato
o divertito.
Mette in tavola dei biscotti e del latte. Ha apparecchiato con un
ordine
ossessivo. Penso che nasconda qualche mania compulsiva.
Faccio attenzione a non
scombinargli la cucina, è talmente ordinata che non devo
chiedere dove cercare
il pane e il caffè. Ho solo problemi a portare la
caffettiera colma, perché le
mani mi tremano e la devo tenere stretta. Holmes se ne accorge e senza
dire niente
mi aiuta.
Mi sfiora mentre la prende e quel
suo tocco delicato mi scombussola. Non riesco a capirne il motivo. Non
sento di
provare dell'affetto, lo conosco da poco, eppure il suo contatto mi
confonde.
Mi siedo, lui si sfila la giacca e si arrotola le maniche, mi invita a
mangiare. Prendo del tempo aggiustandomi la camicia, non sono abituato
a tutto
questo.
"Non faccio colazione tutti i
giorni, mi capita spesso di saltare i pasti. Quindi non si preoccupi se
non
mangio molto."
"Non sono io che mi devo
preoccupare
ma tu ragazzo, vista la tua magrezza. Ho una richiesta da farti." La
voce
incespica nelle parole studiate. "Vorrei che tu facessi una visita
medica,
visto come hai vissuto negli ultimi anni, solo per assicurarmi che tu
stia
bene. La struttura è del governo e sono molto preparati."
Tossisco, quasi mi soffoco. Non mi
sono mai piaciuti i medici e nemmeno gli ospedali. Però
capisco il perché me lo
chiede.
"Ha visto i buchi sul
braccio, vero? Quando le ho fatto vedere la voglia sul gomito. Teme che
mi faccia
ancora? Avere un figlio drogato non fa piacere, specie a un uomo di
potere come
lei."
Arrossisco per la vergogna e
l'indignazione, mi sento offeso. Mi alzò di scatto senza
toccare il cibo nel
piatto.
"Mi dispiace di non rientrare
nei suoi standard, signor Holmes. Ma io sono quello che vede, mi deve
prendere
così, oppure mi lasci andare." Alzo troppo la voce e un
sottile dispiacere
mi percorre.
Si pulisce la bocca con un candido
tovagliolo. Non mostra nessuna emozione. Si alza e mi prende per un
braccio, il
suo tocco è delicato.
"Siediti, finisci di
mangiare. Non è come pensi, non mi riguarda se ti droghi,
bevi o fumi, voglio
solo capire cosa è meglio fare per te. Sei troppo giovane
per avere una salute
fragile. Ne parliamo con calma ma dopo che hai finito la colazione." Il
suo volto è teso, la fronte corrucciata.
La stretta si fa più
decisa, non
lo credevo così forte, mi divincolo, mi costringe a sedermi
e a finire la
colazione.
"Bada, Sherrinford, non sono
così tollerante come pensi." L'ho decisamente irritato, mi
gira le spalle
senza guardarmi.
"Bene, decido io, vieni con
me questa mattina stessa. Ho già avvertito la clinica, un
check up ti farà bene
non è niente di spaventoso, te lo assicuro."
Ingoio l'ultimo boccone e bevo il
latte ormai tiepido. È abituato a comandare, non accetta
rifiuti. Non mi piace,
ma lo farò.
"Non mi faccio da tre
settimane, e ho bevuto la sera prima d'incontrarci. Ma sembra che lei
lo sappia
già. Sono pulito stia tranquillo." Lo guardo incollerito, ma
lui nemmeno
mi calcola.
"Bene, quindi è un
sì, mi
sembra di capire." Sorride compiaciuto e inizia a riordinare.
"Un sì che ha sentito
solo
lei. Ma va bene lo stesso, se la fa contento." Lo odio quando si
comporta
in modo autoritario.
Sospira. "Lo faccio per te,
Sherrinford. Non hai fatto una vita agiata in questi anni." Si oscura,
sente il mio risentimento e sembra che, in qualche modo, lo accetti.
Sentiamo il campanello di casa
suonare. Si dirige verso la porta e io lo guardo interrogativo.
"È Anthea, la mia
segretaria,
devo consegnarle il tampone." Holmes fa entrare una giovane donna
elegante
che continua a guardare il cellulare. Poi solleva lo sguardo verso di
me.
"Notevole Mycroft, è
decisamente il suo ritratto, praticamente lei da giovane! Piacere
Sherrinford,
sono Anthea la segretaria di suo padre."
Mi sorride e mi allunga la mano.
È
piacevole e morbida. Sento una strana sicurezza mentre le restituisco
il
saluto. Ha un sobrio tailleur chiaro e capelli ondulati folti e ramati
che le
ricadono sulle spalle. Occhi castani, labbra carnose, un trucco leggero
che le
rende giustizia.
Non posso non notare il suo corpo
sinuoso, insomma rimango colpito, Holmes ha una segretaria perfetta.
Lui mi osserva dal fondo della
stanza, solleva le sopracciglia quando arriva con la provetta da
consegnare.
"Sherrinford, lasciale la
mano ti prego, avrai occasione di vederla ancora." Leva gli occhi al
cielo
innervosito.
"Notevole potrei dirlo
anch'io, Anthea." Mi sono esposto, ma lei è bellissima. Non
vedo donne
così di classe da parecchio tempo. Lei ride.
"Sei galante Sherrinford.
Esci un po' dagli schemi della famiglia Holmes. Ma va bene
così."
"Anthea!" Holmes la
richiama e le consegna il campione.
"Bada di darmi una risposta.
Tu ragazzo fila a prepararti."
La saluto con un cenno della mano
salendo le scale. Holmes sembra veramente irritato per il mio
comportamento,
lei mi sorride complice. Sembra divertita.
Raggiungo svelto la camera, mi
lavo, mi sistemo e aspetto che lui venga a chiamarmi. Nel frattempo
chiamo il
vecchio Stuart lo devo avvisare che non mi vedrà per un po'.
Lo rassicuro
dicendogli che sto bene, lui mi ha aiutato molto offrendomi il lavoro
di rider
in quel periodo difficile.
Mi siedo sul letto e mi tormento
le mani, la tentazione di ribellarsi è forte ma oggi devo
stare alle regole.
Ieri giravo per le strade senza una meta, oggi invece sono in una casa
calda,
immerso nel lusso. E la più importante di tutte è
che ho un padre. Cioè, una
specie di padre.
"Sherrinford, andiamo."
Holmes chiama e io eseguo.
Prendo
la giacca e scendo. È questo il tipo di rapporto che si
aspetta di avere con
me?
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Capitolo 6 *** La diagnosi ***
L'auto di servizio è
già fuori che aspetta. Albert mi saluta, gli
rispondo cordialmente, Holmes fa una smorfia, naturalmente non approva
certe
mie libertà con i suoi sottoposti.
Io però non sono uno
snob, non mi piace tenere le distanze. Mi
accomodo al fianco di Mycroft, lui si tiene sempre un metro
più in là. L'unico
contatto è il profumo del suo dopobarba e degli abiti
freschi di lavanderia.
Rabbrividisco e mi stringo nella
vecchia giacca troppo leggera per
quel periodo dell'anno. Sento Holmes muoversi. Apre il suo cappotto
costoso e
si toglie la sciarpa.
"Prendi questa, mi ero dimenticato
del tuo abbigliamento poco
adeguato. Almeno questa ti scalderà." La voce si
è fatta gentile, mi
osserva curioso.
L'afferro senza protestare, lui
è ben coperto lo stesso. La metto
attorno al collo e la annodo malamente.
Borbotta qualcosa. "Fatti aiutare."
Mi guarda
terrificato da tanto orrore, mi sistema la sciarpa al millimetro, con
un
intreccio impeccabile. Ha il suo profumo e mi sorprendo nel sentirmi
protetto.
È strano come ci
studiamo, come prendiamo le misure del nostro
essere. Rimango muto, e guardo fuori dal finestrino. Mi mordo le labbra
nervoso, odio gli ospedali. Ci sono stato quando tre ragazzi
all'istituto mi
fratturarono la tibia. Fui stupido perché scoprii i loro
intrallazzi, ed ebbero
paura che li tradissi. Fu un avvertimento, nemmeno troppo velato.
Rimasi
ricoverato per un po' e non mi piacque per niente.
Così tengo le mani in
tasca, perché tremo di paura e non voglio
apparire ridicolo.
Ma lui gira appena la testa. Ha
percepito qualcosa, ha l'aria
dispiaciuta. Mi accorgo che forse sa più di quanto io creda,
il British
Government ha il potere d'intrufolarsi nella vita di tutti, soprattutto
nella
mia.
La sua voce si fa gentile, abbassa
la testa. "So cosa hai
passato Sherrinford, so molte cose su di te. Credimi mi sento in colpa,
mai
avrei voluto abbandonarti. Un giorno ti spiegherò tutto,
pazienta ancora un
po'." Si aggiusta il bavero e torna a fissare la strada, non mi
permette
di replicare.
Il viaggio si fa silenzioso,
nessuno dei due inizia una
conversazione, neppure una breve o insignificante. È come se
non ci fosse punto
d'incontro. Comincio a temere di aver fatto la scelta sbagliata nel
seguirlo.
Guardo fuori dal finestrino, la
strada scorre veloce ma io neppure
la noto, in breve entriamo in una struttura governativa austera e ben
protetta.
"Eccoci arrivati." Mi guarda
titubante. "Va tutto
bene?" Nascondo le mie paure, mi esce un sì deciso.
Scendiamo e lo seguo con le mani
ben strette nelle tasche. Lui mi
precede dondolando il suo ombrello. Forse ama solo quello. A me resta
la
sciarpa con il suo profumo.
Il posto è grande,
c'è un immenso parco. Scorgiamo un imponente
edificio vittoriano con le colonne e le scalinate di marmo. Si
intravede
qualche soldato in divisa e alcune infermiere che portano a passeggiare
i
degenti.
Camminiamo lenti, ma per quanto
cerchi di controllarmi, mi sento
improvvisamente in trappola e mi incollo sul viale di ghiaia.
Holmes non se ne accorge e
continua, ma non sentendo i miei passi
si gira di colpo e mi vede cinque metri più indietro.
Pianta l'ombrello per terra, ci
appoggia tutto il corpo, mi guarda
torvo.
Sbotta seccato. "Sherrinford, per
piacere! Non fare il
bambino." Non so perché sento l'impulso di andarmene, e lui
non mi aiuta
granché. Forse capisce, si muove, ritorna indietro e ci
ritroviamo vicini.
Ma la voce tradisce una durezza
offensiva. "Basta ragazzo.
Vedi di sbrigarti! Non ti faranno nulla di male. Pensa che è
per il tuo
bene."
Quelle poche parole
mi fanno
male, perdo il controllo e gli urlo tutto il mio disprezzo. "Non
è per il
mio bene! È per te che lo fai, non lo vuoi un figlio
malato!" Ho bisogno
disperatamente del suo aiuto, ma lui non sente nulla, non afferra il
mio
disagio.
Diventa glaciale, mi afferra il
braccio e mi stringe da farmi
male. Poi mi lascia di botto, amareggiato.
"Non voglio ascoltare quello che
dici, non ti permetto di
giudicarmi, non sai nulla di me. Questo
è un comportamento stupido e infantile.
Andiamo e non dire più nulla. Non una parola." Ci studiamo,
non
distogliamo i nostri occhi. Cedo per primo e lo lascio fare. Si
è arrabbiato
più di quanto mi aspettassi.
Ma ha un ripensamento,
mi si
avvicina e quasi mi scorta. Non accenna a toccarmi, è come
bloccato.
Ammutolisco a questa mancanza di contatto fisico e penso che manchi di
empatia.
Saliamo per entrare nello studio
del suo amico medico. Un posto
lussuoso, governativo,
come tutto il resto
della struttura.
"Salve Greg, l'ho letteralmente
trascinato qui. Questo è mio
figlio Sherrinford, di cui ti ho parlato. Tra poco, spero, anche
Holmes. Fanne
ciò che vuoi." Gli è sfumato via tutto il
risentimento o forse, finge
bene.
Greg Foster è il tipico
medico da manuale: capelli sale e pepe,
faccia cordiale, occhi attenti nascosti dietro occhiali di marca, un
camice dal
bianco abbagliante. Si conoscono bene loro due, si stringono la mano e
sorridono divertiti vedendo il mio imbarazzo.
"Accomodati Sherrinford. Chiamo
l'infermiera e andiamo nel
mio ambulatorio." Il dottor Greg non sembra arrogante, è
più alla mano di
quanto mi aspettassi.
Mi siedo sulla poltrona di pelle,
ma ci sto poco perché
l'infermiera entra quasi subito e mi trascina nella stanza vicina. Mi
fa
spogliare e sdraiare nel lettino. Poi mi toglie una provetta di sangue.
Stringo
i denti per non fare la figura del bambino, ma mi ha pizzicato per
bene. Chiudo
gli occhi quando esce e respiro più forte.
Perché ho accettato
tutto questo? Devo essere stupido! Per un
padre difficile, per nulla affettuoso che non riuscirà ad
amarmi. Mi si
inumidiscono gli occhi, cerco di riprendermi in fretta.
Il dottore entra quasi subito. Mi
osserva, io cerco di evitarlo.
Mi sento a disagio, non mi piace essere denudato, sono sempre stato
pudico.
"Sei magro, mangi abbastanza?" Greg
è professionale,
prende una cartella e scrive. Il suo modo di fare gentile non mi mette
in
imbarazzo, così mi apro e gli racconto tutto.
Gli rivelo la quantità
di problemi che ho avuto, come ho vissuto
le privazioni di quegli ultimi anni, le botte che ho preso dentro
all'istituto.
Il braccio e le due costole che mi hanno rotto nelle risse. Le
cinghiate dei
genitori adottivi, troppo severi.
Annuisce in silenzio. Si
ferma per pochi istanti, mi sorride guardando le mie mani bianche
strette sul
bordo del lettino.
"Va tutto bene, Sherrinford,
rilassati, cerco solo di capire
come stai." Mi fa stendere e mi scombina i capelli con la mano, un
gesto
inusuale, che mi lascia sorpreso.
Mi esamina con attenzione, mi
guarda la schiena, controlla
l'avambraccio dove sente l'osso saldato. Poi percorre tutto il mio
corpo, trova
qualche livido. Mi sente il torace e mi fa male quando preme dove avevo
le
ferite delle percosse. Non lascia un centimetro indietro. Vede le
braccia e i
buchi. Si sofferma con la mano e li sfiora.
"Cosa prendevi, cocaina diluita o
altro?" Sospira
interdetto, stringe le labbra.
"Quello che trovavo dottore ma
cercavo di non eccedere. Il
dolore a volte era insopportabile." Mi stringo le braccia e trattengo
il
respiro.
"Parli del dolore delle fratture
che hai subito?"
"Non solo quello, spesso pensavo
all'abbandono, al perché mi
avessero respinto. La droga mi stordiva e mi faceva stare meglio. Era
facile da
trovare. A volte bevevo, cioè bevo anche adesso." Scuote la
testa, ma non
è arrabbiato.
"Quando ti sei iniettato l'ultima?"
"Tre settimane fa." Tremo e
arrossisco, lui è
rassicurante, mi fa una carezza leggera sulla schiena.
"Hai sopportato molto, ragazzo mio,
ma vedremo di alleviarti
il tormento."
Lo vedo pensare assorto.
"Sherrinford, vediamo il tuo cuore
quanto ha sofferto. Non ti
spaventare, l'uso della droga non gli ha fatto bene. Ma possiamo sempre
rimediare."
Sento il sangue non arrivare al
cervello e impallidisco. Sono in
panico totale e non riesco a nasconderlo. Greg, mi prende le mani che
non
smettono di tremare.
"Tranquillo, ci sono molte cure e
in più hai un padre che ti
sarà vicino." La sua voce è calda.
“Non lo conosco dottore,
non so come reagirà a tutto questo."
Continuo a torturarmi le mani. "Forse mi ha abbandonato per molto
meno."
"No, Sherrinford, conosco bene
Mycroft. Non sapeva di essere
padre. Non è da lui lasciare indietro un membro della
famiglia, soprattutto un
figlio." Mi tocca il braccio con leggerezza. "Ha protetto suo fratello
che abusava di queste sostanze persino più di te. Pensi si
tirerà indietro? No,
ragazzo mio, non te lo toglierai più di torno. Anche se non
lo sai, o non lo
vedrai." Mi sorride e mi aiuta a stendermi.
l'ECG è indolore e
veloce, ma vedo la sua faccia seria. Il
tracciato fa schifo da come lo studia.
"Vestiti ragazzo, parliamo con tuo
padre nel mio
studio." Mi dà una pacca affettuosa sulla spalla ed esce.
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Capitolo 7 *** Un cuore malandato ***
Mi tremano le gambe mentre cerco di
rivestirmi, aggiusto la
camicia, infilo la maglia mezza storta. Guardo un'ultima volta
quell'ambulatorio freddo e incolore, mi auguro di non tornarci mai
più. Alla
fine mi faccio forza e rientro nello studio lussuoso di Greg. I miei
occhi
corrono verso il volto di Holmes, cercando un sostegno, ma lui
è impassibile.
L'odioso ombrello appoggiato al bordo della scrivania.
Non si gira nemmeno, rassegnato,
mi lascio cadere nella fredda poltrona di pelle. Ne ho fatte di cose
sbagliate,
adesso è troppo tardi per pentirsene e poi, a cosa
servirebbe? Le mani nelle
tasche iniziano a tremare per la paura di essere ammalato.
Greg entra e mi scruta, mi chiede
se sto bene. Forse sono troppo pallido. Mi riempie un bicchiere d'acqua
e me lo
porge. Solo allora mio padre si gira e mi osserva, lo vedo aggrottare
la fronte
e stringere la mascella.
"Non voglio nascondervi
nulla." Il dottore si rivolge a Holmes.
"Mycroft, tuo figlio non ha
avuto una vita facile e lo si vede dalle sue condizioni fisiche, a
quanto ho
potuto vedere ha diversi lividi e cicatrici, segno di maltrattamenti.
Potrei
azzardare che il suo stile di vita poco regolare, gli abusi di alcool e
droghe,
siano frutto di una mancanza di riferimenti e di un affetto stabile. Le
sue cattive
abitudini hanno minato la sua salute, ma soprattutto hanno compromesso
il suo
cuore. Il tracciato dell'ECG non è soddisfacente e mi
preoccupa."
Vacillo, mi guarda e cerca di
essere gentile. "Sherrinford ti ho detto che si può
rimediare e te lo
confermo, anzi mi impegno ad aiutarti concretamente."
Smetto di respirare, sposto lo
sguardo su Mycroft, che non dimostra alcuna emozione, è
freddo e distaccato. Mi
stringo le ginocchia con le mani gelide. Mi sento sprofondare, se cerco
un
sostegno da lui, questo è decisamente inesistente.
"Come possiamo aiutarlo,
Greg?" Holmes sembra aver riacquistato la parola. Impugna il suo
ombrello
talmente forte che vedo le sue nocchie diventare bianche. Parla come se
io non
fossi presente e mi infastidisce parecchio.
"Ho preparato una terapia
Mycroft, che spero Sherrinford si impegnerà a seguire
scrupolosamente."
Si gira e cerca il mio consenso.
Non faccio una piega e lo lascio continuare.
"Bene; dovrà seguire
tutte le
istruzioni che ho scritto, ma è necessario che sia seguito
da un medico e visto
che deve stare in famiglia ho pensato a Watson. Lui è il
più adatto."
Holmes annuisce, sembra
consapevole di un'amara realtà. Non sono il figlio perfetto
che cercava e sono
anche ammalato. Il dottore gli allunga una lettera.
"Qui c'è scritto tutto.
Lo
devo rivedere tra un mese. Assicurati che tuo figlio segua tutte le mie
indicazioni. E niente colpi di testa." Si rivolge a me, ma annaspo come
se
stessi annegando.
Li guardo entrambi decidere della
mia vita. Mi sale la rabbia, il volto in fiamme, barcollo mentre mi
alzo di
scatto.
"State parlando di me,
Gesù
Cristo! Non mi chiedete nemmeno se sono d'accordo?" Poi mi volto verso
Holmes. "E tu, nemmeno mi chiedi come sto!"
Inquadro il dottore, il caro amico
di mio padre, pieno di livore. E alzo la voce ansimando. "Posso
scegliere
io quello che voglio fare? O non ho nessuna possibilità?"
"Non sei in grado di
decidere!" Holmes scatta tagliente, fissa un punto oltre Greg, come
fossi
un'entità trasparente.
"Sì, che lo sono! Almeno
abbi
il buongusto di guardarmi o ti faccio così ribrezzo? Ti ho
forse dato il mio
consenso?"
La rabbia mi monta dentro,
soprattutto per nascondere il fatto che sono pieno di paura. Mi rivolgo
al
dottore, sapendo benissimo quello che mi risponderà.
"Voglio sapere quanto mi
resta se continuo a fare la mia vita di sempre." La mia voce
è stretta
nella morsa dell'angoscia.
Sposta di nuovo lo sguardo su
Holmes. Lui gli fa un cenno.
"Non arriverai a
ventitré
anni Sherrinford, anche meno se riprendi a utilizzare sostanze
stupefacenti)
Poi continua con voce pacata.
"Devi fare una vita
tranquilla ragazzo. Pasti regolari, e soprattutto niente droga, alcool
o fumo.
E' importante che tu cerchi di essere il più possibile
sereno. lo so che non è
facile ma un atteggiamento positivo può fare veramente la
differenza."
Non ci credo nel sentire
snocciolare questa serie d'idiozie! Mi metto a camminare per la stanza
nervosamente. Basta guardare che padre mi sono ritrovato, privo di
emozioni e
di affetto. Cristo! Un estraneo spocchioso.
Holmes lo percepisce, ha la testa
china, ma è come se sentisse quello che penso di lui e
quindi glielo butto in
faccia senza tanti complimenti.
"Ho vissuto fino a ora come
ho voluto, quindi perché dovrei cambiare? Per chi lo dovrei
fare?" Alzo la
voce, ma sento mancarmi le forze.
Mio padre si tira in piedi, pieno
di collera contenuta. "Perché morirai, imbecille!
È questo che vuoi
Sherrinford? Allora fa pure!"
"Mycroft!" Il dottore lo
riprende severo. "Cerca di avere più testa di tuo figlio! E'
solo
spaventato, chiunque al suo posto lo sarebbe, vuole essere sicuro di
averti
vicino. Vuole il tuo sostegno, Holmes!"
Lui accusa il colpo. Rimane
immobile, si gira lentamente e si lascia andare nella poltrona. Le mani
strette
sulle tempie.
"Scusami Greg, e anche tu,
ragazzo." La voce è bassa, si distende lentamente, poi mi
guarda con un
mezzo sorriso, si è rassegnato. "Farò quello che
desideri Sherrinford.
Anche se non lo approverò."
Sono già abbastanza
scosso, e
vederlo cedere mi disturba. Non sa fare il padre e io non so essere
figlio.
Sento l'impulso di parlargli, modulo la voce.
"Voglio del tempo per pensare
dottore. Posso restare con mio padre? Solo per poco."
Greg non cerca il permesso da
Holmes, annuisce ed esce lasciandoci soli.
Mycroft afferra l'ombrello
meccanicamente, inizia a girare l'impugnatura senza sosta, aspetta che
io
dica qualcosa.
Mi siedo avvilito al suo fianco.
"Non so se voglio affrontare tutto questo, non me lo aspettavo proprio
ora
che ti ho ritrovato." Sono senza difese, lo guardo in volto, cerco
qualcosa che stenta ad arrivare. "Potrebbe non funzionare e avrei
sprecato
il mio tempo. È vero che non ho una grande aspettativa di
vita, ma passarla a curarmi
e in clinica, non mi sembra una grande prospettiva. Mi dispiace di
deluderti e
soprattutto di darti tanti problemi."
Tiro le somme, cercando di capire
cosa devo e cosa posso fare, ora che ho quasi una famiglia. Mi sembra
una beffa
del destino.
Lui non risponde, fissa il suo
amato ombrello e improvvisamente smette di torturarlo. Fa un lungo
sospiro.
"Senti, Sherrinford, vorrei
che tu ci provassi. Forse ti costerà, ma possiamo stare
insieme e conoscerci
per il tempo che ci verrà concesso." Si volta e mi osserva
attento.
"Non sei solo tu a rischio. Il mio lavoro a volte è
complicato... e
pericoloso." Non mi lascia il tempo di replicare. Si alza con fatica,
china leggermente il capo, poi mi prende per il braccio e mi tira su,
ma
stavolta è delicato.
"Dammi una possibilità.
Non
sono un gran padre, non sapevo nemmeno di esserlo. Ma potrei imparare."
Mi sento svuotato, ho paura.
Vorrei disperatamente piangere. È tutto così
assurdo. Dopo tanto trovo le mie
radici e ho così poco tempo per conoscere questo padre che
vuole diventarlo a
tutti i costi. Con tutti i limiti che si porta appresso.
Le gambe non mi reggono, mi
ritrovo stretto a lui.
"Piangi figliolo, ne hai
tutto il diritto." Mi prende la testa e la porta sulla sua spalla.
Sento
il suo calore, il suo odore e cedo come uno stupido bambino. Piango
senza
ritegno, soffocando i gemiti di anni di dolore e di abbandono. Mi
lascia
sfogare, mi parla piano con voce gentile.
"Ce la farai Sherrinford, ce
la faremo insieme. Avrai tutta la tua famiglia con te. Ci
sarò ragazzo, in ogni
passo che farai." Mi tiene stretto da soffocarmi, lui che non abbraccia
nessuno. Che non lo fa da anni. Lo sento sussultare. "Mi dispiace di
essere così anaffettivo, non sono capace di darti di
più."
"Impareremo insieme, ma tu
non lasciarmi, non voglio restare solo. Non voglio morire da solo." Ho
un
filo di voce, tutta quella che mi è rimasta.
Si stacca fremendo, mi prende il
volto fra le mani, mi fissa adirato.
"Tu non morirai, se farai
come ti dicono vivrai la tua vita." Mi allunga il fazzoletto ricamato
con
le sue iniziali.
"Rimettiti in sesto, forza,
abbiamo una battaglia da affrontare. E un bel po' di persone che devi
conoscere." Si è ripreso, torna serio e controllato. " Devi
entrare
in famiglia, ne devi essere parte, concentriamoci su questo."
Lo sguardo si fa compiaciuto, ha
una faccia strana. "Mentre eri con Greg, Anthea mi ha comunicato
l'esito
del tampone." Sorride orgoglioso." Sherrinford, sei mio figlio, un
Holmes a tutti gli effetti. Nel bene e nel male!
Mi guarda sornione, mentre mi
asciugo il volto sconcertato e comincio a piangere di nuovo.
Si passa la mano sulla fronte
tremando.
"Andiamo, ragazzo, smettila
di piangere non sai nemmeno che padre sarò e che famiglia
strampalata ti
aspetta. Calmati." Annuisco stordito dalla notizia.
Riempie due bicchieri d'acqua e
beviamo insieme, mi tocca la spalla e la stringe per confermare la
scelta.
"Faremo come dice Greg.
Watson ti seguirà e starai con mio fratello Sherlock per un
po' di tempo."
Si rattrista quel tanto che riesco
a percepirlo. " Il mio lavoro non mi permette ti starti sempre vicino.
Ma
anche se non ci sarò, avrai una famiglia. E sai che potrai
contarci
sempre..."
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Capitolo 8 *** La cura non è un vantaggio ***
Mio padre ascolta attento
tutte le direttive del suo amico
medico. Io invece non riesco a concentrarmi. Lascio
che faccia
Holmes. Prima di uscire il dottore mi rassicura ancora. Mi vede
agitato,
mi dà la mano stringendola con forza. Non dico una parola,
seguo mio padre in
silenzio.
Albert ci aspetta, sempre
disponibile. Così facciamo il viaggio in silenzio verso
Baker Street. Sento
Mycrocft parlare con suo fratello, mio zio Sherlock. Ma non ascolto
sono
frastornato, mi hanno già fatto una iniezione prima di
uscire dalla clinica, ne
dovrò fare delle altre. Ci penserà Il
dottore che vive con mio zio.
Mi prende il panico.
Improvvisamente, senza un minimo di preavviso perchè possa
controllarlo. Fatico
a respirare. Mio padre smette di parlare al cellulare, ferma Albert e
mi fa
scendere. Mi sono vicini tutti e due.
"Forza figliolo! Calmati,
facciamo due passi." Mi prende sottobraccio, mi fa camminare
lentamente,
un passo dietro l'altro. Sa che è paura e non centra il mio
cuore malandato.
"Non pensare a nulla, sgombra
la mente e concentrati su quello che vedi. Qualsiasi cosa.
" Faccio come mi dice, cerco
di rilassarmi, mi metto a osservare gli alberi con le foglie
rosse. Le
sterpaglie avvolte dal muschio, qualche nido di uccello migratore.
Poche case
in lontananza avvolte nella foschia. Tutto è così
sereno, che mi sento meglio.
Le foglie secche scricchiolano sotto i nostri passi, un suono surreale
che ci
accompagna. Mycroft sorride sornione al mio fianco. Rallenta il
passo. Si
mette a roteare il suo amato ombrello. Vedo le sue amate scarpe
infangate,
penso che non me lo perdonerà mai.
"Il mondo è pieno di
cose
semplici e belle, ma proprio per questo non le vediamo." Lo dice
convinto,
io mi sorprendo.
"Padre, ti ho giudicato una
persona fredda e adesso ti riscopro poeta." Rido,
mi sento
disteso. So che mi aspettano giorni difficili, ma ora
è tutto troppo
bello per rovinarlo con pensieri bui.
"Ragazzo, te lo leggevo in
faccia il tuo risentimento, ma avevi ampiamente ragione."
Holmes ora mi lascia da solo, così finiamo per
camminare affiancati,
senza fretta. Improvvisamente mette un piede male e inciampa.
L'ombrello non lo
regge, ma sono veloce, lo afferro per il braccio, e non lo faccio
cadere. Lui
si gira, mi guarda divertito.
"Ecco a cosa serve, avere una
persona affianco, figliolo. A sorreggerti quando stai per cadere. La
cura non è
un vantaggio, ma è necessaria." Penso quasi che l'abbia
fatto apposta per
darmi una lezione. Poi lascio la presa delicatamente, vedo
che non si è
fatto nulla.
"Sei troppo scaltro per me
padre. Tu mi stai manipolando." Lo dico certo, con un mezzo
sorriso
ironico. Holmes annuisce.
"Oh, so farlo figliolo e
molto bene, ma sicuramente non con te." Poi vede che mi stringo nella
giacca tremando.
"Torniamo ragazzo, meglio che
tu non prenda ulteriore freddo."
Albert accende il motore quando ci
vede arrivare. L'auto è calda, ci avviamo a vedere il resto
della famiglia
Holmes.
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Capitolo 9 *** Go to Baker Street ***
Mio padre decide di
pranzare, prima di arrivare da suo
fratello.
Così ci fermiamo in un
posto
carino, dove mangiamo senza parlare. Lui è pensieroso, io
agitato.
Partiamo per Baker Street che
è
praticamente nel centro di Londra, ma l'auto di Holmes non conosce
ostacoli,
andrebbe direttamente a palazzo reale se volesse. Sono un po' teso,
oggi è come
se avessi vissuto metà della mia vita, ora mi aspetta
l'altra metà.
Non sono mai stato abituato alla
gente, nè tanto meno ad avere improvvisamente una schiera di
parenti. Sono
sempre stato solo, ora in poco meno di 12 ore ho un padre e una
famiglia. E
sono anche malridotto. Sto dando proprio il massimo, in termini di
stress.
Cristo! Mi prende di nuovo il
panico. Mi giro verso mio padre che sta maneggiando tranquillo il
cellulare,
solleva la testa e mi fissa.
"Sherrinford, stai
tranquillo! Sono brave persone. Su stai calmo." Sbuffa ironicamente, ma
io
non mi calmo per niente. Mi metto le mani in tasca per nascondere il
tremore
che è ricominciato. Vorrei scendere, ma Mycroft mi allunga
la mano e mi stringe
il polso.
"Smettila Ragazzo, non ti
torturare, va tutto bene. Avvicinati, appoggiati a me."
Io non aspetto altro, mi stringo
vicino a lui. Holmes, nel suo bel capotto costoso, mi passa il braccio
sulle
spalle, mi avvolge. E sto bene, mi sento sicuro, appoggio la testa sul
sedile,
socchiudo gli occhi. Cerco di riprendere forza per affrontare il resto
della
giornata.
Lui inizia a parlare lentamente.
"Ho già chiamato mio fratello, sanno del nostro arrivo e che
starai con
loro per un po' di tempo. Tuo zio Sherlock è un consulente
investigativo. Vive
insieme al dottor Watson che lo aiuta nelle indagini. A volte collabora
anche
con me. Hanno una bambina di nome Rosie che ha 4 anni, figlia di John."
Vedo mio padre increspare le labbra preso dai ricordi. "Era sposato con
una brava donna, che è morta in un disgraziato incidente.
Tuo zio, beh lo devi
conoscere. E' scombinato come tutta la famiglia Holmes." Mio padre
ridacchia con naturalezza, mi vede sconcertato.
"Se proprio devi farti venire
un altro attacco di panico, allora ti avviso che hai anche dei nonni.
Mio padre
può passare, ma mia madre Violet ecco, sarà
più impegnativa."
Lui ritira il braccio dalla mia
spalla, con la mano mi dà un colpetto affettuoso sulla
guancia, scuote la testa
e sorride.
"Andrà tutto bene
figliolo,
ti farai le ossa. Pensa che i miei genitori cerco di frequentarli poco,
ancora
adesso."
Albert ferma l'auto davanti alla
casa dove presumo abiti mio zio, così mio padre mi
spinge fuori senza
tanti complimenti. "Forza ragazzo!"
Saluto Albert di malavoglia e
cammino dietro a Holmes, che ondeggia il suo dannato ombrello come se
andasse a
una festa. Io sembro un condannato a morte.
Pall Mall era una bella casa, ci
sarei stato bene da solo con mio padre. Però devo curarmi e
stare con il dottor
Watson, così sospiro, mi stringo la sciarpa e mi
rassegno.
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Capitolo 10 *** Lo zio Sherlock ***
Mio padre conosce bene la strada,
mi precede. La porta la apre una
donna anziana.
"Buongiorno Miss Hudson. Le ho
portato un nuovo
inquilino." Si scosta e la signora mi sorride, mi abbraccia piena di
entusiasmo. Non me lo aspetto e sono rigido, sembro scortese.
"Così tu sei
Sherrinford! Figliolo ti troverai bene qui.
Salite vi aspettano."
Salgo una stretta scala interna, mi
ritrovo con mio padre in una stanza
piena di oggetti. Ingombra, di qualsiasi cosa, che però
è pulita. Intravedo un
caminetto con due poltrone. Si alza un uomo magro vestito di nero con
una
candida camicia bianca senza cravatta.
Assomiglia
a mio padre, anche
un po' a me.
"Bene, quindi tu sei mio nipote
Sherrinford. Sono lieto di
conoscerti." Ha il volto simpatico,
un sorriso aperto, mi
tende la mano,
mentre tremo quando
la allungo, ma lui
fa finta di niente e già mi piace il suo modo di fare.
Mio padre va verso un tipo con i
capelli castani, dentro la
cucina. Deve essere il dottore che si occuperà di me,
perché gli consegna la
lettera del suo amico medico, quello della clinica costosa. Lo
fissò
preoccupato. Spero non sarà il solito tizio saccente e
irritante.
"Tranquillo Sherrinford, il dott.
Watson è una persona
comprensiva, devi avere fiducia." Lo zio sembra leggermi dentro, mi
sorride bonario poi mi trascina sulla poltrona e mi ci spinge dentro.
"Lascia che tuo padre parli con
John. E tu rilassati
figliolo. Capisco che ci vedi per la prima volta, ma andrà
tutto bene finchè
non arriverà Rosie." Lui ride vedendo la mia faccia
incredula.
"Rosie, la figlia del dottore? Ma
perché? E' così
vivace? Quanti anni ha?"
"Quattro intensi anni figliolo, e
vivace non esiste per
definire Rosie. Lo vedrai." Lui ridacchia e io mi preoccupo un
pò, perché
i bambini mi piacciono, ma molte volte non so come comportarmi. Anche
se
all'istituto ne avevo visti tanti, abbandonati e soli.
Mi giro e guardo mio padre
parlottare con John, vorrei sentire
quello che dicono , ma sembrano complici.
"Sherrinford, per Dio stai sereno!"
Sherlock mi appoggia
una mano sul ginocchio. Ha visto il mio disagio. Tento di nascondere le
mani
tremanti in tasca.
"Ne hai abusato parecchio di quella
roba, vero ragazzo?
Dovevi controllarti, non lasciarti andare. L'ho usata anch'io, ma nel
modo
giusto, ero la disperazione di tuo padre."
"Mycroft ti controllava? E
perché?" Sono curioso,
Mycroft è un tipo freddo.
"Diciamo che tuo padre ha una certa
attitudine a protegge la
sua famiglia. Non credo te ne libererai facilmente."
Sorride mentre mi stringe il ginocchio, poi
si porta le mani giunte sotto al mento.
Mi sento in
pericolo, in
vicolo cieco. Non mi piace parlare di quanto e di come mi "facevo".
Il guaio è che ho scoperto di aver compromesso il mio cuore.
Un vero colpo di
fortuna, adesso che ho una famiglia.
"Comunque zio, non credo che ci sia
un modo giusto per
usarla. Io stavo male e mi serviva."
Lo zio mi fissa strano. Lui
è bravo a capire deduce, a volte lo
faccio anch'io
"Starai bene Sherrinford, se ci
ascolterai ne uscirai. Ora
metti tranquillo. Non voglio sapere altro, me lo dirai tu quando sarai
pronto."
Annuisco, tolgo le mani dalle
tasche e sorrido debolmente. Intanto
osservo la stanza ingombra di carte e piccolo giochi da bambina. Alcune
bambole
sono finite vicino ad un teschio che fa bella mostra sul camino.
"Sherrinford vieni a conoscere il
dott. Watson. E' lui che si
prenderà l'incarico di seguirti."
Mycroft mi chiama dalla cucina,
stanno ancora guardando la
lettera. Guardo due
secondi lo zio, che
scuote il capo approvando.
Mi alzo e li raggiungo titubante.
Il compagno di mio zio mi
allunga la mano, sembra gentile.
"Quindi Sherrinford, sei il figlio
di Mycroft e nipote di
Sherlock. Ci voleva un altro Holmes in giro per Londra." John ride
vedendo
la mia faccia scura. Così aggiunge calmo.
"Non ti farò nulla
giovane Holmes, non avrai paura di me?
Sono un medico, ma soprattutto un amico."
Anche mio padre sorride, poi ripone
la lettera su tavolo. "Fa
quello che ti dice Watson, figliolo
e presto starai meglio."
Il dottore mi prende per il braccio
e mi fa sedere al tavolo della
cucina. Mi legge la lettera, mi dice quello che dovrò fare.
Ascolto, mentre guardo
mio padre allontanarsi e sedersi
dal
fratello. John Watson se ne accorge.
"Non ci conosciamo ragazzo, ma devi
solo avere fiducia. Tu fa
quello che ti dico e andremo d'accordo. Non sgarrare Sherrinford, hai
tirato la
corda fino al limite." Abbasso la testa, non so cosa dire e cerco con
gli
occhi mio padre. Lui
mi prede la mano. "Non
pretendere troppo da Mycroft, non è
mai stato una persona piena di slanci di affetto. Ma è leale
e ti seguirà da
oggi e per sempre. Come ha sempre fatto con suo fratello. Ha un modo
tutto suo
di voler bene. Che non ammetterà mai."
Lo capisco, l'ho già
percepito, guardo dritto negli occhi John,
non posso chiedere altro per adesso.
"Bene figliolo, per la tua cura ci
penserò io. Tu prendi le
medicine che devi. Tre volte al giorno delle compresse prima di
mangiare. E una
iniezione un po' più impegnativa una volta la settimana. Se
ti fanno stare male
devi dirmelo. Qualsiasi cosa ti succeda devi parlarne."
Io sono già teso, nascondo
le mani che tremano di nuovo.
"Vedo che ti spaventi parecchio
Sherrinford, ti fai prendere
dall'ansia. Vedremo di mitigare i tuoi attacchi di panico."
"Non vado in panico, sono solo
nervoso!" Gli rispondo
irritato, non voglio che mi prendano per un debole ragazzino stupido. Qui
"Bene, allora devi cercare di stare
sereno. Vado a prendere
mia figlia a scuola. Dovrai convivere con Rosie
non ti risparmierà nulla Sherrinford.
Preparati." Ride e
mi dà una pacca
sulla spalla. Io lo guardo torvo.
John si alza e mi lascia
lì con la testa confusa. Mi alzo e
metto la lettera sopra alla credenza. C'è di
tutto in quella casa. Dio, sembra la casa di mio padre a Pall Mall.
Dove regna
l'ordine assoluto.
Giro un po' per la stanza, con le
mani in tasca, ho una gran
voglia di andarmene, non riesco a prendere le misure a questa nuova
situazione.
Ero sempre solo, ora tutta quella confusione mi turba. Ho quasi voglia
di
"farmi". Ma mi ucciderebbe, devo calmarmi. Così gironzolo
senza meta..
Raccolgo dei libri di favole da terra.
John
mi passa davanti ed
esce salutando tutti. Io
non so cosa
fare. Poi mi avvicino ai due nuovi parenti. Che mi intimano di fare
qualcosa.
"Sherrinford libera quella poltrona
piena di libri e mettila
qua." La vedo è in un angolo, la svuoto e la trascino vicino
a loro.
"Fratellino ora sono tre le
poltrone, come gli Holmes di
questa casa."
"E’ anche di Watson, non
scordartelo che fa parte della
famiglia." Mio padre abbozza un mezzo sorriso.
Sono sorpreso, si stuzzicano. Non
capisco sono fratelli, lo trovo
un comportamento bizzarro.
Li osservo, mio padre che tormenta
l’ombrello e Sherlock sprofondato nella
poltrona con le
mani giunte sotto il mento. Mi stringo le spalle,
temo di essere capitato in una famiglia
difficile.
"Sherrinford non farti troppe
domande per adesso, non fare
quella faccia sconvolta. Capirai col tempo, sappi che ora il nostro
rapporto è
molto migliorato." Mio padre ha parlato in modo glaciale, ma Sherlock
si
gira e mi fissa divertito.
Io balbetto.
"Mi
immagino come poteva essere prima. " Lo dico serio, ma poi mi rassereno
vedendo mio padre ridere. "
Ti deve
sembrare tutto così strano figliolo, non stupirei se volessi
andartene a gambe
levate." Smette di
accanirsi
sull’impugnatura.
Sono perplesso, però
accetto la nuova situazione, meglio che essere soli e al freddo.
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Capitolo 11 *** Rosie Watson ***
Ed
eccola Rosie entra allacciata al padre, indossa un
delicato vestitino azzurro e blu. Ha un piccolo cerchiello fra i biondi
capelli
ricci.
Sembra entrato in casa
un tornado, corre a cercare i suoi libri che avevo messo sul tavolo. Si
arrampica sulla sedia e se ne impossessa. Non
riesco a trattenere un sorriso visto
l’esuberanza di Rosie e l’inadeguatezza di John che
gli arranca dietro.
Cerca di calmarla per
farle fare merenda. Ma è una missione impossibile, deve
allungarle dei biscotti
e del latte, quasi inseguendola.
Parla in
continuazione e Watson non riesce a farla smettere, così
rapida come è entrata,
vola verso di noi facendo briciole ovunque. Pianta i piccoli piedi
davanti a me
e mi fissa seria.
“Sei
tu, mio cugino Sherrinford?” Lo dice con la bocca
piena, masticando veloce.
“Credo
di sì.”
Rido
mentre si avvicina e vuole salire in braccio, ha gli occhi chiari
vivaci e
pronti.
“Rosie,
ma lascialo respirare, almeno saluta gli zii.” John
cerca di allontanarla da me.
“Ciao, zio
Sherlock, ciao zio Myc.”
Ma non
si gira nemmeno perché il suo interesse è tutto
rivolto a me.
Mi
rassegno e faccio cenno al dottor Watson di fermarsi, la
aiuto ad arrampicarsi e la trattengo in braccio. Rosie è
delicata e leggera, mi
fa provare una sensazione di benessere. Ma un colpo di tosse mi
tradisce.
“Stai
bene figliolo?”
Mycroft mi osserva preoccupato, conosce bene
l’esuberanza della nipote.
“Si,
padre va tutto bene.” Non voglio che Rosie si allontani
da me, lei si appoggia con l’orecchio sul mio petto, mi
prende alla sprovvista
e vacillo benché sia seduto.
“È
qui che sei ammalato?” Ha il faccino serio, le labbra
socchiuse. E mi punta il ditino al centro del petto.
“Rosie!
“La sgridano tutti e tre.
“Solo
un poco, Rosie. Ma starò bene.” La guardo fingendo
un’allegria che non ho. Recupero
in
fretta e le sorrido calmo.
“Papà
ti guarirà. Lui è bravo.” Prendo un
respiro lento,
mentre la stringo, lei è la sincerità in persona,
senza fronzoli, qualcosa che
accetti o rifiuti.
Mi
stampa improvvisamente un bacio pieno di briciole sulla
guancia. Io
capitolo, arrossisco come
uno scolaretto, so di appartenere a Rosie adesso e per sempre. I miei
parenti
la lasciano fare vedono che sono tranquillo, forse pensano che sia un
bene che
mi distragga.
Così
come ha cominciato, esuberante e incontrollabile,
comincia a sfogliare i suoi libri.
Devo
stare attento a tenerla stretta perché si muove
così
tanto!
Tutto quello che
c’è
intorno a noi scompare, nella stanza ci siamo solo io e lei, mi sento
bene come
non provavo da tempo, vedo che le mani che non tremano
più. Non mi accorgo
nemmeno dei fratelli Holmes che si sono portati in cucina, da Watson.
Rosie vuole che legga,
così comincio, lei si accomoda, si appoggia sul mio petto e
comincia
stropicciare la maglia con le piccole dita mentre ascolta assorta. Ho le mani sudate non sono
mai contato per
nessuno ed ora c’è lei.
Sa
di buono Rosie di biscotti e latte, di amore e di
semplicità. Non
sa quanto è amata, a
parte la perdita dolorosa della madre. Così mi lascio
andare, Rosie è la prima
cosa buona che mi capita da sempre.
Nulla che valga di più.
Intravedo
la mia famiglia, i fratelli Holmes che si infastidiscono e Watson con la signora Hudson che si
lamenta in
cucina del disordine.
Realizzo
che ho una famiglia, difficile, complessa, ma c’è.
A
lungo andare Rosie si addormenta e quasi cedo anch’io. Watson ci nota ciondolare
assonnati, si
avvicina, la prende. “Sherrinford
riposa. Dormi un po' anche
tu.” Porta
Rosie nella sua cameretta,
torna e mi mette una coperta addosso.
Non vorrei, ma sono
stanco, mi sistemo borbottando: “Solo pochi minuti.”
Poi non mi ricordo
nulla, solo rumori soffusi.
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Capitolo 12 *** Prima di cena ***
Mi
scuotono e mi sveglio intontito. C’è John vicino a
me.
“Sherrinford
è quasi ora di cena. Che dici ti svegli?” Mi ricordo di Rosie, la
vedo seduta che
gioca, ma ogni tanto mi sbircia, come se mi aspettasse.
Mi
alzo sistemo la poltrona, Sherlock e mio padre non ci
sono, guardo interrogativo John.
“Sono
usciti, tranquillo ceniamo tutti insieme. Mi dai una
mano?” Lo
raggiungo e metto mano alla
mia poca esperienza in cucina. Apparecchio
la tavola, stendo la
tovaglia fiorata,
metto i posti assegnati ora c’è anche il mio.
John
mi guarda premuroso. Vede la figlia che freme, mentre
finge di giocare, è seduta sul tappeto piena di giocattoli e
con i suoi amati
libri.
“Come
stai Sherrinford? È stata pesante la giornata.” Mi si avvicina studiandomi,
io lo
tranquillizzo.
“Sto
bene dottore, anche grazie a Rosie.”
“Che
ti aspetta impaziente.”
Aggiunge divertito.
“Vuoi un
consiglio giovane Holmes? Cerca di non farti travolgere da mia
figlia.”
Lo
so che ha ragione, ma lei è troppo impaziente. Finisco di
aiutarlo e poi con un gesto di intesa, vado da Rosie.
“Sherrinford,
papà ha detto che dovevo lasciarti
dormire!” Rosie
increspa le labbra,
scuote la testolina imbronciata.
Io
mi siedo per terra con lei, cerco di convincerla.
“Rosie,
sono un po' malandato e devo guarire. Il tuo papà ha
ragione, ma quando ho tempo starò con te.
Promesso.” Rosie
si rassicura, mi abbraccia e mi mette
in mano i suoi giocattoli, gli occhi le luccicano.
Non
mi accorgo nemmeno del tempo che passa, Rosie parla e parla,
mi riempie di domande. Tanto che John a volte deve richiamarla. Io un po' le rispondo e un
po' glisso.
Vedo
tornare mio padre e Sherlock, che parlottano, che si
provocano, ma in modo bonario. Parlano di lavoro per quel poco che
capisco. Lo
zio si avvicina e cerca di prendere il braccio la piccola.
“Rosie
oramai ti ha adottato, Sherrinford.”
Lei sgambetta, vuole scendere, così corre da
suo padre e poi da Mycroft. Li afferra per le maniche e li porta vicino
a me.
“Papà,
zio Myc, quando sarò grande posso sposare
Sherrinford?” Ha
il faccino serio, e gli
occhi grandi che fissano entrambi.
Io
tossisco imbarazzato, trattengo a stento il libro delle
fate che vuole cadermi dalle mani.
Sherlock
scuote la testa, si gira per nascondere che ride, Mycroft e John sono
muti.
“Rosie,
sarò troppo vecchio per te.” Tento
di darle una spiegazione, la prendo, la
giro verso di me. “Piccola, comunque ci sarò
sempre. Rosie sarò il tuo cugino
prediletto.” Rosie
mi abbraccia, devo piantare
i piedi per reggermi, poi mi guarda seria.
“Non
morirai come la mamma vero? Me lo prometti?” Rosie mi spiazza, trattengo
il respiro,
comincio a sudare, non so cosa rispondere e dubito, ho paura di
deluderla. Poi
balbetto innervosito.
“Farò
di tutto Rosie, per stare con te. Tu però non mi
lasciare.” Le
ultime due parole mi
escono flebili. Mio
padre interviene, fa
un cenno con il capo a John, vede che sono in affanno. Mentre
distraggono Rosie,
mi spinge via, finisco in camera cercando aria che non trovo. Ennesima
crisi di
panico. Dio sono un vero disastro!
Mi siedo sul letto
ansimando.
Mycroft è al mio
fianco, mi massaggia la schiena, mi dice di calmarmi, mi fa respirare
lentamente.
“Forza
figliolo, superiamo anche questa, d’accordo?”
Annuisco senza parlare,
mi prendo la testa fra le mani. Ho voglia di piangere, ho voglia di
scappare,
mi sento un peso, un terribile peso anche per una bambina di pochi anni
a cui
non posso promettere nulla.
La
mia mente si chiude, reagisco malamente, mi alzo di
scatto, evito Sherlock sulla porta della stanza.
Scorgo
Rosie con il padre, è girata, non mi vede. Prendo
velocemente la giacca appesa, mentre
mio zio tenta di fermarmi. La mano mi afferra, ma lo schivo con rabbia
e volo
giù dalle scale. Sono rapidamente in strada. È
buio e c’è traffico. La reazione
al freddo mi fa sussultare. Barcollo e
devo riprendermi, ma poi scappo, me ne vado via.
Adesso
basta! Non sono portato per fare il bravo ragazzo.
Voglio tornare alla mia camera fredda dall’altra parte di
Londra. Non mi giro, cammino
rapido, e non mi importa se sto male, perché è
una mia scelta, l’ho voluto io.
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Capitolo 13 *** Ritorno a Baker street ***
Prendo
una via laterale, mi infilo nell’autobus, sto attento
a non farmi seguire o forse gli Holmes non ci hanno nemmeno provato.
Guardo dal
finestrino mezza
città addormentata e
arrivo a casa. Salgo a fatica le scale, non mi era mai successo prima.
Perché
adesso è tutto così difficile?
La porta è sempre
aperta, entro e crollo sul letto rimasto sfatto. Sono talmente stanco
che non
mi spoglio nemmeno, sento un dolore sordo al petto, ma sono tranquillo
accetto
quello che deve venire.
Non sento né la
fame,
né il desiderio di vivere. Forse piango, in
realtà non me ne rendo conto.
Sapere di essere ammalato mi ha distrutto, mi addormento spossato.
La
mattina che viene, fa filtrare una luce pallida dalle
imposte socchiuse, mi risveglio nel mio vecchio letto.
Sono coperto da una spessa coperta, ho
addosso un pigiama e sono bagnato di sudore rappreso. Ma sento
ugualmente
calore. Fatico a mettere a fuoco, gli occhi sono offuscati. Stringo il
bordo
della coperta e cerco lo spazio per vedere attorno.
Nella poltrona
affianco, c’è una figura abbandonata al sonno.
Mycroft Holmes, mio padre è lì
vicino, ne avverto il respiro calmo.
Sposto lo sguardo sul comodino
ingombro
di medicine. Non mi ha lasciato solo nonostante la stupidaggine che ho
fatto.
“Padre…
Mycroft.” Lo
chiamo sussurrando. Si tira su rapido. Mi guarda preoccupato e mi
appoggia la
mano fresca sulla fronte.
“Bentornato
figliolo. Hai avuto la febbre. Mi concederai di
dirti che sei stato impulsivo.” Aggrotta la fronte ma sembra
rilassato.
È proprio lui: Il
suo
“amato” completo tre pezzi, sgualcito, il suo
“amato” ombrello appoggiato alla
parete, dimenticato.
“Padre,
mi dispiace. Io non sono così forte come vuoi
credere.” Ho
voglia di sentirlo vicino,
di stringermi a lui. Com’ è possibile sentire il
desiderio di affetto, quando non
l’ho mai avuto?
“Come
mi hai trovato?” lo guardo curioso, ma forse la
risposta è scontata.
“Avanti
Sherrinford, dove potevi venire se non qui!”
Ha ragione lui sa tutto di tutti, ha il
controllo di Londra.
Mi
si annebbia la vista e crollo di nuovo.
Mi solleva piano sento la sua stretta sulle spalle,
mi massaggia il torace, mi fa respirare, con un ritmo normale.
Non è da lui, il
British Government è cambiato, fa il padre preoccupato,
forse mi illudo di
costruire con lui un rapporto amorevole.
“Sherrinford,
dobbiamo tornare a Baker Street. Devi stare
con noi, e hai bisogno di John.” Me lo sussurra piano, ma
deciso.
Scuoto
la testa, non ho forze sufficienti per tornare a
Baker Street. “Padre, come faccio? Non mi reggo.”
“Ti
aiutiamo, basta colpi di testa ragazzo. Lo so che eri
sotto pressione e abbiamo sbagliato.
Ora
torni con noi.”
Annuisco
e mi lascio andare, sono troppo sfinito, che
facciano pure.
Mio padre chiama al
cellulare e dopo poco arrivano due uomini che mi vestono con
delicatezza, mi rassicurano
e mi aiutano ad uscire.
Mycroft è sempre
presente, indossa il suo cappotto scuro afferra l’ombrello ed
esce con noi. Mi
mettono nell’auto scura di Alfred, ma la mia testa
è altrove, mi agito, mi
sento un oggetto sbattuto di qua e di là. Sono impaurito,
sudo di nuovo.
Mi metto a
protestare, grido, non so nemmeno quello che dico, poi piango, non riescono a calmarmi.
Caccio in malo modo
mio padre, che si è avvicinato per rassicurarmi, ma sento
che non si arrende,
allontana le due persone, mi prende e mi stringe talmente forte che mi
lamento
angosciato.
Quel
poco che riesco a calmarmi, lo sento vicino, si
sussurra qualcosa, dolcemente, lento e rassicurante.
“Ti
voglio bene Sherrinford, non mollare adesso. Mi
spezzeresti il cuore.” Non
so se ho
capito bene, Mycroft Holmes che mi dice che mi vuole bene, incredibile! Sento il mio cuore perdere
i battiti, cedere
e mi aggrappo a lui.
“Padre,
aiutami.” ..
ed
è l’ultima frase che pronuncio, poi tutto diventa
buio.
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Capitolo 14 *** Riprendere a vivere ***
Non
so quanto tempo sia passato, se è notte o giorno.
Ma
sono a Baker Street, perché sento i rumori di John e la
vocina di Rosie. La camera è quella che mi avevano assegnato
quando ero
arrivato lì.
Il
comodino è ingombro di medicine, c’è un
bicchiere di tè,
una bottiglia d’acqua e un pupazzo che sicuramente
è di Rosie. La finestra è
socchiusa la tenda si muove lenta, per uno spiffero di aria che filtra. Ho un pigiama pulito che
sa di biancheria
fresca.
Sono
stanco, ma non sento il dolore nel petto.
Mi giro avvilito e metto la testa sotto il
cuscino. Sento i battiti del mio cuore rimbalzare regolari. Poi mi
ricordo di
aver aggredito mio padre, so di aver pianto e gridato. Provo
un’immensa
vergogna, sto fermo con la testa coperta.
“Ha
il cuore affaticato, deve stare sereno.”
Lo diceva qualcuno, non so chi fosse. Devo
aver delirato, ho la testa vuota come le zucche di Halloween.
Mi
sono addormentato così, perché mi tolgono il
cuscino
dalla testa e mi girano piano.
“Sherrinford,
per Dio vuoi soffocarti!”
Mycroft mi guarda accigliato, mi sento in
colpa. Ha la faccia stanca di chi non dorme da tempo, non è
più perfettamente
elegante. Devo
farmi perdonare gli
enormi grattacapi che gli causo. Gli rivolgo la parola e mi accorgo di
essere
rauco, devo aver urlato un bel po'.
“Scusami.
Ho perso la testa, hai l’aria stanca, non dovresti
preoccuparti per me.”
“Come
non potrei figliolo, se ti sei quasi ammazzato, preso
dalla paura.” Lui
si avvicina, si siede
sul bordo del letto e mi prende la mano, parla con lentezza misurando
le
parole, esita per una manciata di secondi.
“Sei
imprevedibile Sherrinford, ma per quanto ti ribellerai,
sarò sempre presente. Devo recuperare anni di abbandono,
anche se non ho avuto
colpa.” Si
ferma, prende un respiro
profondo. “Dovevano contenere Rosie che come tutti i bambini
è schietta e dice
la verità.”
“Perché? Potrei
morire padre! È
questa la verità, lei lo
sente. Non date colpe a Rosie, sa cosa aspettarsi da me.” Mi
stringo nella coperta
fiorata.
“Invece di mentire
a
voi stessi, ammettete che potrei non farcela!”
Sprofondo giù con la testa pesante. Mycroft mi
stringe più forte la mano,
le sue sbiancano, le dita si irrigidiscono.
Mi abbraccia, quasi mi solleva dal letto.
“Non
ci provare Sherrinford, non provare a lasciarmi. Lotta
con me figliolo, lotta anche per me.”
Lo sento rabbrividire
come se il freddo entrato dalla finestra lo avesse raggiunto, mi
spavento, lo
ricambio stringendolo forte per proteggerlo dal dolore che sento
scorrere
dentro di lui. Lo tengo vicino,
forse
non avrò altri abbracci, ma questo vale come tutta la mia
breve vita.
“Padre
ti prego non angosciarti, farò come dici, ho bisogno
di te.” Mi
sbilancio, lo bacio, gli dò
un bacio leggero sulla guancia. Che sa di buono, sa di Mycroft Holmes,
un uomo
di potere che trema per me.
Lui si stacca imbarazzato,
stupito, non alcuna esperienza di emozioni, rimane immobile poco
più di un respiro,
mi arruffa i capelli, gli occhi grigi, liquidi.
“Sii
forte Hyc, predi anche la mia di forza. Sei un Holmes,
che diamine.” Mi
guarda rasserenato,
sorride come sa fare lui stringendo appena le labbra. Poi mi aiuta ad
alzarmi.
“Fatti
una bella doccia. Anthea ha portato degli abiti nuovi,
ha occhio per le taglie ed anche buon gusto.
Sono sistemati nell’armadio. Tra poco ceniamo
tutti insieme.”
Fa per uscire poi si gira.
“Rosie
è impaziente di vederti e sa tutto. Non devi mentire,
ragazzo mio.” Inclina
la testa di lato
ed esce, il British Government ha ripreso il controllo.
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Capitolo 15 *** Serata in famiglia ***
Mi
faccio coraggio mi alzo lentamente, prendo fiato apro
l’armadio e vedo una fila di vestiti nuovi e tre paia di
scarpe da provare.
Ha decisamente gusto
Anthea. Mi chiedo
se mio padre si sia
mai accorto del suo fascino, possibile che non siano mai andati oltre? Le storie
d’amore tra segretaria e il capo,
sono dei cliché vecchi come il mondo. Scorro con la mano gli
abiti, scelgo
senza pensarci troppo.
Appoggio
tutto sul letto, mi auguro di aver abbinato con
gusto, certamente non sono ai livelli di Mycroft.
Penso
al perché con mia madre le cose non abbiano
funzionato, forse ora non mi troverei in questa situazione assurda.
Entro nel bagno, mi
faccio una doccia bollente. I capelli sono appiccicati, ho sudato molto
e sono
dimagrito.
Non
ho un aspetto sano, ma spero di migliorare.
Quando mi rado quella
poca barba che mi ritrovo, vedo due occhiaie
per niente piacevoli.
Devo
tagliare tutti questi ricci scuri che mi ritrovo!
Assomiglio un po' a zio Sherlock, mio padre
invece è castano e tende al rossiccio. Sorrido allo specchio
divertito dalla
mia bizzarra famiglia!
Indosso
i capi che ho messo sul letto: la camicia bianca con
delle righe delicate rosa e un paio di calzoni di fustagno blu. Abbino
un
maglione sportivo con i bottoni sul collo. Non ho mai avuto un
guardaroba così
costoso ed elegante. Anche le scarpe mi entrano, Anthea è
decisamente accorta.
Alla
fine sono pronto, prendo due bei respiri ed esco.
Ed
eccoli lì, tutti riuniti gli Holmes e i Watson.
“Alla
buonora nipote!
Ti ci è voluto del tempo per
prepararti!” Sherlock
mi fissa incredulo. “Però stai bene,
sembri finalmente un Holmes!”
Si gira verso mio
padre. “Che
ne dici Mycroft? Si sta
consolidando il tuo orgoglio di padre?”
Lui
sospira esasperato, si avvicina prendendomi il braccio,
mi sussurra. “Tutto bene Hayc? Non badare a quello che dice,
ti vuole bene.” Mi
stringe più forte. “Mi
ha aiutato a ritrovarti e curarti, insieme a John, nessuno di noi ti ha
mai
abbandonato.”
Abbasso la testa e
annuisco, intanto Rosie si è avvicinata.
Ha due occhioni
grandi, sembra pentita, di cosa non capisco.
Spero
non l’abbiano sgridata. Mi chino verso di lei e le
metto la mano sui ricci biondi. “Ehi, che
c’è piccola? Vuoi dirmelo?”
Mio
padre si allontana lasciandomi spazio, si siede con il
fratello vicino al camino. John
dalla
cucina osserva con attenzione.
Rosie dondola il
corpicino minuto. “Sei andato via per colpa mia?
Papà mi ha detto che non devo
parlare di “morire”, che non va bene. Ho detto una
cosa che ti ha fatto stare
male qui?” Mi
punta il ditino al centro
del petto, ma ha gli occhi lucidi.
Faccio
uno sforzo calcolato e la prendo in braccio. Vengo
immediatamente sgridato.
“Non
preoccupatevi, Rosie è leggera, non mi farà mai
del
male. Vero Rosie?”
Si
appoggia sulla spalla, la coccolo un po'. La
porto nella mia stanza tra gli sguardi
allibiti della famiglia.
Non
intervengono, forse capiscono che voglio parlarle.
Così
la siedo sul letto e le dico cosa ho combinato, perché
me ne sono andato. Divento
rosso, mi
sudano le mani, ma sto bene.
Le
parlo come fosse un’adulta. Rosie è sorprendente,
ascolta
e si stringe al mio fianco. Le dico che sono ammalato e ho paura,
soprattutto
adesso che ho una famiglia.
Che
potrei non guarire, ma la tranquillizzo dicendole che
con lei vicino non accadrà nulla di brutto.
Rimaniamo
in silenzio per un lungo minuto, Rosie mi
stropiccia la manica della maglia.
Io le
accarezzo i capelli.
Poi
si scuote. “Papà
è bravo, ti darà le medicine. Ha detto che stavi
male, ma che saresti guarito.
Se lo dice lui, vuol dire che è vero.”
Rosie
è risoluta, come se avesse intravisto il futuro.
Mi
afferra per la manica. “Non devi avere paura Hayc,
perché
tutti ti daremo le medicine, che ti guariranno. Anche quando non
potrà
papà.”
Mi
trascina fuori, mi porta in cucina. Raggiunge John ai
fornelli con un piglio risoluto e lo apostrofa con la vocina ferma.
“Papà,
non scordarti di dare le medicine a Sherrinford. Lui
deve guarire, ma stai attento perché ha paura.”
John alza la testa e mi fissa imbarazzato, ma sorrido
bonariamente, vede
che stringo la manina di Rosie arrendevole.
“Sta
bene, Rosie sarò gentile con Sherrinford, sempre che
non voglia scappare di nuovo! Vero ragazzo?”
Rosie stringe le piccole labbra, arriccia il naso
all’insù, allunga un
calcio al padre sugli stinchi.
Scoppio
a ridere come non facevo da tempo.
“Papà
hai detto che saresti stato gentile!”
John scuote la testa, rassegnato
all’irruenza della figlia, si allontana mentre anche dalla
sala sento
ridacchiare gli Holmes.
Mi
sento bene, sono sereno ora che Rosie sa.
Non posso assicurarle nulla, però
lotterò,
perché ho bisogno della mia stramba famiglia.
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Capitolo 16 *** Le solite divergenze ***
La
prima serata a Baker Street è piacevole.
Mycroft
si è rimesso in ordine, ha degli abiti puliti ed
è
perfetto come sempre, probabilmente se li è fatti portare da
Anthea.
Ceniamo tutti
insieme, non so se sia una consuetudine, di certo mio padre e lo zio,
non sono
proprio a loro agio.
Io
mi trovo seduto tra Rosie e Mycroft, John e Sherlock sono
di fronte a noi.
La
cena è buona e la serata trascorre tranquilla. Capisco che a Rosie non
piacciono i piselli,
perché me li ritrovo tutti sul piatto. Mi guarda complice
nel crimine, così le
faccio l’occhiolino e li mangio tutti.
Ma
John è un padre attento, se ne accorge e la sgrida, a me
rivolge uno sguardo torvo.
Mycroft
mi guarda severo, dò troppa corda a Rosie, non
vogliono che lei ne approfitti.
Ma
ci guardiamo divertiti mentre lei sorride felice,
appoggiando la testolina sul mio braccio.
John
mi allunga le mie medicine, e Rosie si assicura che le
prenda, ma visto che non smette di guardarmi, capisco cosa vuole.
Le spalanco la bocca
e le faccio vedere che sono sparite.
Annuisce e scende dalla sedia contenta per andare dalle
sue
bambole.
Sorridiamo
tutti all’impegno che
dimostra, ma sono un po'
allarmato, perché temo si affezioni troppo.
Mycroft mette fine
alle mie riflessioni, fa per alzarsi, mi fa cenno di seguirlo. John si occupa della
figlia e sparecchia la
tavola insieme a Sherlock.
Lo
seguo fino al caminetto, ci sediamo uno di fronte
all’altro.
C’è
qualcosa che deve dirmi e non sembra tranquillo.
Si porta le mani unite sotto al mento, e si
fa serio.
“Sherrinford,
ora io devo tornare a casa, domani lavoro, tu
sai che devi stare con loro.”
Si ferma
studiandomi, ha gli occhi fissi su di me.
Devo dimostrarmi responsabile anche se lo stomaco mi si
stringe.
“Lo
so che non posso venire con te, però quando potrò
rivederti? Se potessimo stare insieme di più non mi
dispiacerebbe.”
Sono
convinto che lui non voglia alla fine, prendersi un peso
come il mio, così non riesco a mascherare la delusione.
“Avanti,
non fare storie, lo sai che ho un lavoro…difficile.
E per ora non puoi rimanere solo.”
Sbuffa un po' risentito, forse logorato da queste continue
discussioni.
Io abbasso la testa,
e voglio capire.
“Quanto
difficile, padre?
Se devi avere costantemente la scorta!”
Rialzo la testa con lo sguardo duro.
Lui ha le
labbra contratte, sottili come un filo.
“Un lavoro che ha richiesto
sacrificio, Sherrinford, e uno di questi è stato non avere
legami. Ho scelto di
essere un uomo solo, ma ciò non vuol dire che non
avrò cura di te.”
Un
brivido mi percorre la schiena. Lo vedo distogliere lo
sguardo.
“Sei
in pericolo, papà?
Dimmelo, non credo ci sia molto da negare.”
Lo
so, lo sento che non è al sicuro, vorrei sparire
piuttosto che sentirmelo dire, ma lui annuisce con la testa china.
“Posso
esserlo, a volte, ma ho preso tutte le precauzioni possibili. E devo
tener
conto anche della tua sicurezza.”
Mi
alzo di scatto rabbioso, gli giro le spalle.
Ma non ce l’ho con
lui, ma con me stesso per la sfortuna che mi porto dietro.
Ho trovato finalmente
mio padre, ma sono ammalato e lui rischia la sua vita per il Governo.
Proprio il massimo
della sfortuna.
Mycroft
mi raggiunge, mi prende per le spalle, mi fa girare
verso di lui, percepisco che dalla cucina ci osservano silenziosi.
Rosie
fortunatamente è nella sua cameretta.
“Te
lo ripeto, Sherrinford non se più solo. Hai una famiglia
adesso. Presto conoscerai anche i nonni, non sarai mai più
abbandonato a te
stesso.”
Lo guardo sarcastico,
pensavo che fosse “lo smart one” e invece non
capisce nulla.
“Padre,
non voglio la famiglia. Forse non comprendi che io,
voglio te! Tu sei
mio padre non loro.”
Con la mano indico il
resto della strana parentela, che ora non ci bada.
Lui alza le sopracciglia e mi fissa
sconcertato, poi sbiascica due parole.
“Non
posso fare altro per adesso, figlio, la mia vita era
unicamente il mio lavoro. Devi accontentarti di questo per
ora.”
Sono
esasperato, alzo la voce.
“Già
papà! Come
vederti
uscire e non sapere se tornerai? Grande!
Era meglio che fossi rimasto dov’ero.”
Mycroft si fa serio,
credo di averlo ferito.
Si gira prende il
cappotto e il suo amato ombrello.
“Non
ho voglia di discutere, sei fonte solo di continue
emicranie, Sherrinford! Fa
il tuo dovere
e io farò il mio.”
Mi pianta lì ed esce
salutando appena.
Io
piombo nel caos, ho rovinato tutto, mi porto le mani nei
capelli disperato di averlo lasciato uscire così, dopo tutto
quello che ha
fatto.
Sento
la mano dello zio sulla spalla, la stringe forte.
“Non
avere paura, sa badare a sé stesso, e adesso deve pensare
anche ai rischi che corri per essere suo figlio. Il
lavoro che fa è complicato, ma lo sa fare
bene. Di solito è lui che mi toglie dai guai.”
Mi giro e lo
abbraccio, ma lui da buon Holmes non sa come reagire, mi batte la mano
sulla
spalla, come segno di massimo affetto.
Poi mi sussurra. “Ti vuole bene
Hayc, non sai quanto, dagli tempo.”
Mi
stacco imbarazzato.
“Pensa
cosa può aver provato quando ha saputo di avere un
figlio della tua età. La sua vita deve essere riprogrammata,
per lui così
rigido non è facile.”
Lo zio mi solleva il mento
con la mano, mi
guarda dritto dentro gli occhi. “Ora datti da fare, guarisci
in fretta e
diventa il figlio premuroso che sei, nonché suo braccio
destro.” Ha
ragione, ma sono esausto nel doverlo
rincorrere.
“Scusami
zio, sono un imbecille, ma
a volte provo un forte rancore, perché non riesco a
comprenderlo, perdo il
controllo e finisco per allontanarlo.”
Sherlock
sorride sornione, si è
fatto tardi, mi spinge in
camera. “Così
finite per soffrire tutti e due, non ti
sembra una cosa stupida?”
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Capitolo 17 *** Lady Alicia Smallwood ***
La mattina
seguente mi risveglio
con Rosie che si butta sul mio letto, si nasconde sotto le coperte.
John la
chiama e la cerca rassegnato,
sono già in ritardo per la scuola. Lei ride
perché lo vuole fare girare a vuoto
per tutta la casa. Si
mette il ditino
davanti alle labbra e mi fa segno di stare zitto.
Le reggo il
gioco, ma John ha già
capito tutto, ci sgrida entrambi buttando le coperte
all’aria.
“Fila
piccola peste.” Grida mezzo
divertito brontolando bonariamente. Rosie scappa via felice e John le
corre
dietro arrancando. Mi
vesto e mi
preparo per fare colazione insieme, Sherlock è uscito
presto, la signora Hudson
sta facendo le pulizie di casa, al piano di sotto.
Ci sediamo a
tavola ed è una bella
sensazione. C’è un buon profumo di
caffè e biscotti, anche se la cucina è
sempre in totale disordine, niente a che vedere con quella di Mycroft a
Pall
Mall. Ma mi piace lo stesso. John
ci osserva
indulgente, mentre versa il latte nelle tazze.
“Come
va Sherrinford, hai
dormito? Sai che
hai le tue pillole da
prendere, altrimenti mi prendo un altro calcio. Vero Rosie?” Lei annuisce con la bocca
piena, i ricci
biondi sulla fronte.
John, mi
allunga il latte e le
medicine.
La piccola mi
guarda fissa non
vuole essere ingannata, le inghiotto rapido e lei approva. Non posso
fare a
meno di darle un bacio sulla fronte. È l’unica
piena di affetto in quella casa.
Tutti si amano, ma nel loro modo, privo di slanci. Mi
viene un’idea, mentre sorseggio il mio
latte.
“Potrei
accompagnarla io alla
scuola, che ne dici? Così puoi andare al lavoro
prima.” Cerco di rendermi utile,
Watson ci pensa un po’, poi approva.
“Bada
di non allontanarti troppo, e
torna a casa subito.” Lo
capisco che non
devo tradire la sua fiducia e annuisco.
Rosie
non sta più nella pelle, si infila il cappottino rosa e
prende la sua cartella
colorata. Io indosso la giacca che mi ha acquistato Anthea, funzionale
e con quel
tocco di eleganza che sa metterci lei. Scendiamo le scale di casa, mano
nella mano,
la tengo ben stretta la piccola peste, assicurandomi che non scappi
dappertutto.
“Ti sta bene la
giacca nuova Hayc, sembri
proprio lo zio Myc.” Rosie mi studia attenta. “Ti
faccio conoscere le mie
amiche, non lo sanno che sei mio cugino.” È in
apprensione. “Sei contento se
dico che sei mio cugino, vero?”
Gli sistemo
il cappellino con il
fiocco di lato. “Certo cugina Rosamund Watson. Al suo
servizio.”
Le faccio un
inchino e lei
cinguetta come un passerotto. La scuola non è lontana e
siamo presto sul
portone di ingresso.
La accompagno dentro, dove
mi presenta a tutti
quelli che vede. Alla
fine esco stordito,
rosso in faccia, ma decisamente felice.
Mi abbottono la mia giacca
nuova, percorro a
piedi la strada che porta a casa. Non voglio attardarmi.
Improvvisamente mi passa
affianco un’auto come quella che usa Mycroft, drizzo le
spalle allarmato.
Rallento un pò il passo, perché si è
fermata poco più avanti.
Da dietro scende una signora elegante, non
più giovane, che si avvia verso di me.
Mi blocco
titubante. “Buongiorno,
tu devi essere Sherrinford
Holmes. Non credo di sbagliarmi, assomigli tutto a Mycroft.”
Sorride
educatamente.
Io indietreggio, so che
lavoro fa mio padre e
non voglio combinare guai, ma sono indeciso su come comportarmi.
Rimango
silenzioso, accenno solo un movimento con il capo, mi metto le mani in
tasca, aspetto.
“Vedo
che hai imparato in fretta
Sherrinford, ma di me non devi avere paura. Sono Alicia Smallwood e
lavoro con
tuo padre.” Rimango in un ostinato mutismo, non mi muovo e la
guardo. Non è più
giovane, ma è una donna abituata al potere è
elegante, ricercata nel modo di
porsi. Non ha l’aria minacciosa, sembra più che
altro stupita, curiosa.
“Sei
così diffidente, giovane
Holmes! Ma ti
ripeto, non sono una
nemica. Forse avrei dovuto aspettare il permesso di tuo padre, ma la
curiosità
è tanta!” Emette
un risolino forbito.
“Lavoro con lui da sempre, e aver acquisito la tua
paternità mi risulta
singolare.” Mantiene
le distanze, non
vuole intimorirmi, ma non faccio in tempo a risponderle,
perché la macchina di
mio padre è già arrivata, stridendo.
Si inchioda sulla strada e
non esce lui, ma
Anthea, che viene con passo elegante in mio soccorso.
“Lady
Smallwood.” La
saluta inchinando la testa di lato, con
freddezza.
“Vedo
che ha incontrato
Sherrinford, Alicia, mi perdoni, ma abbiamo un appuntamento con
Mycroft.”
Si volta
verso di me con un sorriso
falso. “Spero saremo puntuali, lo sai che tuo padre
è rigoroso.” Sono sconcertato,
poi le reggo il gioco, annuisco senza voglia.
“Lady
Smallwood lavora con tuo
padre, ma Mycroft ci tiene a presentarti ufficialmente entro la
giornata. Ora
dobbiamo andare.” Anthea
mi trascina via
senza che Alicia abbia sentito la mia voce. Mi volto e inclino il capo
in un
saluto imbarazzato. Mi
spinge
letteralmente nell’auto, borbotto il buongiorno ad Albert che
è alla guida.
“Ma
cos’è? Mi
rapisci adesso Anthea?” Le sussurro piano,
mentre Alicia ci guarda sparire, dietro le portiere nere e lucide. “Ma insomma, cosa
succede? Devo tornare a
casa, si preoccuperanno.”
Sono
infastidito. Anthea non smette di scrivere al cellulare. Io sbuffo,
incrocio le
braccia e mi appoggio sul sedile inquieto.
Si decide a parlarmi dopo
che ci siamo
avviati.
“Sherrinford, tuo
padre non voleva ancora
presentarti ufficialmente, perché non sa quanto questo
influisca nel suo
lavoro.” La fisso sfacciato, con un sorrisetto ironico.
“Cos’è
si vergogna? Non
sono all’altezza dei suoi collaboratori? Cristo,
che razza di modo è questo?”
La incalzo irritato.
“E
quella chi era, che praticamente mi hai portato via di peso!” Ci penso un po', poi
connetto. “Scusa,
ma come sapevi che ero lì?”
Lei stringe le labbra,
appoggia il suo amato
cellulare, mi fissa dolcemente.
“Sherrinford,
io eseguo gli ordini
di Mycroft, il mio compito è di proteggerti, lui non vuole
che ti importunino
visto che non stai ancora bene.” Il suo sorriso è
sincero, mi sciolgo, è
bellissima ed essere aiutato da lei mi fa fremere.
“Ci
sono telecamere ovunque a
Londra, non stupirti più di tanto.” Riprende il
cellulare. “Ho avvisato tutti
che sei con me, ora ti porto da tuo padre.”
Alzo il bavero e mi volto a
guardare la
strada, non mi piace essere preso come un pacco e portato dove vuole
lui. Percepisce il
mio disagio, cerca di
quietarmi.
“Comunque Alicia
Smallwood collabora con tuo
padre, Mycroft non vuole interferenze di questo tipo, la notizia della
tua esistenza
deve essere trapelata. Sii paziente e ti dirà quello che
desideri.” Inspiro
aria e mi stringo nelle spalle.
Anthea mi sfiora il polso. “Sherrinford,
tuo padre voleva tenerti fuori da inutili stress, cerca di capire che
il suo
lavoro non è semplice, sta facendo di tutto per
tutelarti.”
Non posso tenerle il
broncio, così decido di cambiare
argomento.
“Grazie
per i vestiti, hai gusto
Anthea.” Sento
salirmi il calore in
volto, ho una curiosità e le chiedo di quella dannata sera
in cui sono fuggito.
“Cosa
è successo nel mio
appartamento, quando mi avete ritrovato? Chi mi ha aiutato?”
Anthea
è indecisa, poi mi dice la
verità, così vengo a sapere che la sera stessa
lei e Mycroft sono saliti di
sopra e mi hanno trovato in pessime condizioni, febbricitante.
Ero
incosciente, hanno chiamato
John, che mi ha curato. Si sono alternati ad assistermi,
c’era anche Sherlock.
Mycroft ha
fatto accendere il riscaldamento
al proprietario ed è stato sempre presente.
Anthea mi sorride, allunga
una carezza che mi
dà i brividi.
“Ti
siamo stati tutti vicini, sai
che ti vogliamo bene, testone.”
Annuisco, mille pensieri mi rotolano addosso.
“Chi
mi ha spogliato e messo sotto
le coperte?” Vedo
Anthea per la prima volta
sorpresa dalla domanda.
“I
primi ad arrivare siamo stati io
e tuo padre, abbiamo provveduto a sistemarti.” Probabilmente
cambio colore in
volto, imbarazzato, lei se ne accorge. “Tranquillo ho due
fratelli maschi, poi
ad infilarti il pigiama ci ha pensato Mycroft.”
Ride radiosa,
mi dà un colpetto
affettuoso sulla gamba. “Devi mangiare di più
Hayc.” Ho
capito, mi ha trovato troppo magro, non
sono certo un tipo muscoloso e prestante.
Mi zittisco e torno a guardare la strada, sconsolato.
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Capitolo 18 *** Essere figlio di Mycroft Holmes ***
Percorriamo
buona parte della
città, finalmente arriviamo nel grande palazzo dove si trova
la mente occulta
del Governo.
L’auto imbocca una
via laterale e
attraversiamo un portone di metallo scuro, che si apre al nostro
passaggio. Ci
troviamo in un cortile interno, curato e
con delle siepi basse, un colonnato di pietra bianca lo delimita.
Albert, si ferma, Antea allontana il
cellulare, mi
sorride e mi spinge giù.
“Forza
Sherrinford, tuo padre ci
aspetta.”
Mi guardo
intorno affascinato,
finalmente posso scoprire dove lavora Holmes. Mi aggiusto la giacca,
sistemo il
bavero, non ci siamo lasciati bene l’ultima volta.
Percorriamo un breve atrio,
ci troviamo a
scendere con un ascensore, parecchi metri sotto terra.
Mi prende un senso di
oppressione, ma Antea è
rapida mi afferra per un braccio, lo stringe forte.
“Fa
a tutti questo effetto la prima
volta che si scende.” Mi
rassicura,
riprende a digitare sul cellulare.
Usciamo e percorriamo un
corridoio illuminato,
ma comunque angoscioso. Come faccia Mycroft a rimanere lì
sotto tutta la
giornata, mi sembra una tortura spropositata.
Oltrepassiamo una porta
blindata, che sbocca
in un lungo corridoio. Incrociamo
persone vestite elegantemente come mio padre, altre con dei vestiti
scuri e auricolari
gracchianti. Tutti salutano Anthea, io muovo appena la testa in un
goffo
accenno di buongiorno. Osservo
tutto con
attenzione, non mi sembra un posto di rappresentanza, ma più
l’ Mi6.
Anthea mi
guarda bonariamente, vede
che ho capito dove mi trovo. Alla fine una porta massiccia, di legno
intarsiato, chiude il percorso. La mia affascinante guida scorre il
pass
magnetico ed entriamo.
Chiaramente
non ci sono finestre,
solo pochi mobili essenziali. Potrei
riconoscere ovunque la mania dell’ordine di Mycroft, una
grande organizzata
scrivania alla fine della stanza, dove c’è un
quadro della regina in età
giovanile. Lui
è seduto dietro, che
dondola sulla poltrona, rigira una penna costosa fra le mani.
“Ben
arrivato Sherrinford.” Non
si alza nemmeno, la cosa mi urta, forse è
ancora arrabbiato per la sera prima.
“Purtroppo
cause di forza maggiore mi hanno costretto a portarti qui.”
Accenno un
sì, muovendo la testa.
Mi pianto con le mani nelle tasche in centro allo studio, lo trovo
lugubre, non
è molto grande, ma è decisamente molto triste.
Se ne
accorge, per lui sono un
libro aperto. “Lo so non piace a nessuno questo ufficio, ma
è un posto sicuro,
come pochi altri.”
“Ti piace rimanere
chiuso sotto terra?” Lo
dico maleducato, mentre mi disegno un
sorriso ironico in faccia, lui continua a rigirarsi la penna fra le
dita, la
schiena appoggiata alla poltrona. “Perché non
stare in un ufficio più comodo,
dove ci sia la luce del giorno?”
“È per
la mia sicurezza, questo è un posto molto
controllato. Comunque non ne parliamo adesso.”
Cambia
argomento, soffia, appoggia
la penna e si alza. Mi
raggiunge,
elegante come sempre, la cravatta perfettamente verticale.
“Volevo
tenerti fuori da tutto
questo, farti stare tranquillo per un pò di tempo.” È molto vicino,
mi squadra mentre un’ombra
scura gli passa in fronte.
“Invece
hanno scoperto di te, si
sono allarmati. Temono che la tua presenza sia una distrazione per il
mio
lavoro.” Prende tempo, respira profondamente.
“Sospettano che tu possa
diventare un “pressure point” da cui non riuscirei
a svincolarmi.”
Alzo la mano
scuotendola. “Una
debolezza? Quindi
potrei essere una tua
debolezza? Gesù è questo che pensano di
me?”
Non raccoglie
la critica, socchiude
di più gli occhi.
“La signora che
hai incontrato stamattina,
Alicia ha una curiosità spietata, quindi ho deciso prima di
altri incontri a sorpresa,
di rendere ufficiale la tua presenza.”
Abbassa il
tono, si scosta da me.
Temo una sorpresa non gradita.
“Voglio
presentarti, se te la senti
di accompagnarmi, visto che sanno poco di te. Ma soprattutto eviterei
di far
conoscere che sei cagionevole di salute.” Fa
una breve smorfia, mi stringo nelle spalle,
sembra che si vergogni di avere un figlio come me, malato e drogato.
Lo guardo
sconcertato, solo poche
ore prima lo avevo sentito così vicino. Ma
con lui sono solo alti e bassi, ora freddo,
ora calore.
“Quindi
devo fare il figlio
perfetto, per non essere una distrazione e sottrarti al Government.
Gesù, che
bella prospettiva essere considerato una distrazione!” Mi sfilo di fianco, faccio
finta di essere
interessato a quello strano posto. Lui mi segue con lo sguardo. “Sto facendo il
possibile per proteggerti, ma
credi sia facile gestire il posto che ricopro senza purtroppo
coinvolgerti?”
Mi giro gli lancio un’occhiata di sbieco,
capisco fin troppo bene fino a
dove può essersi spinto in quel maledetto lavoro.
“Hai
un sacco di nemici quindi? Visto
che anch’io dovrò convivere con la
scorta! Per Dio! Ma a chi hai pestato i
piedi con le tue
lucide scarpe?” Si
irrigidisce, sembra
diventare più alto.
“È
il mio lavoro, non credere di
metterci becco, insolente ragazzino.”
Alzo le
spalle, si sente offeso, mi
avvicino alla scrivania per prendere tempo e respirare.
Osservo il laptop che ha
lasciato acceso e
porta sempre con sé. Quasi ci metto mano, lui che mi ha
seguito da dietro lo
spegne subito, sgraziato.
Vedo brevemente Anthea, che
è rimasta
appartata, scuotere la testa disapprovando e questo mi fa perdere la
residua
pazienza.
“Padre
non ti fidi di me?” Lui
stringe le labbra, aggrotta la
fronte.
“Sherrinford
non toccare questo
laptop, non fare il ragazzino maleducato. Sei irritante
oggi.”
Mi fissa
infastidito, non sembra
più l’uomo a cui ieri ho dato un bacio. Mi sento
vuoto, intuisce qualcosa e
modula la voce con calma.
“Racchiude
cose private che è
meglio che tu non conosca.”
Infila il
laptop dentro la valigetta. Non
dico una
parola, ma sbrocco, sono affilato come un coltello.
“Bene
allora, se dobbiamo fare
questa pagliacciata padre, facciamola.
Presentami come fossi un animale da circo, ubbidiente e
ammaestrato.” Stringe
la mascella per contenersi,
i suoi occhi diventano fango scuro. Torna dietro alla scrivania e
sistema cose
già in ordine, gli esce la voce dura.
“Certo
se non fossi sicuro che tu sei mio figlio, penserei che hai il DNA di
Sherlock! Siete
polemici entrambi,
sapendo anche di ferire chi avete di fronte.”
Rido ironico,
visto che mi tratta
come piace a lui.
“Da
che pulpito mister Mycroft…
viene la predica!”
Prendo a torturare
i bottoni della giacca, ci stiamo allontanando di nuovo, mi accorgo che
basta
così poco per perdere il contatto con lui.
Anthea mette
fine al battibecco e
ci sollecita ad andare.
Li seguo, il British
Government prende la
porta per primo, Anthea dietro di me mi dà un pizzico sul
braccio, mi sussurra
all’orecchio. “Hayc, ma cosa combini? Ti
vuole bene, sii tollerante.”
Non approvo
le sue interferenze e
mi giro scocciato. Lei non raccoglie e mi spinge in avanti.
Non mi piace
quando mi tratta come
un ragazzino immaturo.
Percorriamo
il corridoio ed
entriamo nell’ufficio spazioso ed elegante di Alicia
Smallwood, la riconosco
nella signora che quella mattina si era fermata con l’auto.
Cerco di
essere quel bravo ed
educato figliolo che vuole mio padre.
Mi presenta con fare
affettato, io rispondo e
mi scuso per la situazione imbarazzante in cui ci siamo
trovati. Le
stringo la mano, calorosamente, lei è cordiale,
si scusa per avermi fermato in quel modo.
“Sherrinford, vedo che ti stai ancora
ambientando, avere un padre come
Mycroft non è facile da gestire.”
Lo afferma leggera,
rivolgendogli uno sguardo
vacuo, lui non fiata ma sento che vorrebbe incenerirla.
“Credo
di si, ancora non so bene
qual è il vero lavoro di mio padre. E quale
importante posto ricopra.”
Faccio un bel
sorriso falso guardando il British Government che mi osserva di
sottecchi
torvo, ma io non cambio, ho la faccia di bronzo, faccio il galante. “Spero mi
perdonerà lady Smallwood sono stato
un vero incivile.” Le
ammollo un sorriso
pieno, a 32 denti. Anthea
sorride con la
testa china sul cellulare, soffocando una risata.
Mentre mio padre imbarazzato, ondeggia
interessandosi alle sue scarpe firmate. Se
vuole la guerra l’avrà, ancora non sa chi
sono, in realtà non sa nulla di me. La sua collega rimane
impressionata, mi
prende sottobraccio e mi porta a conoscere gli altri collaboratori. Lo intravedo roteare gli
occhi, sbuffare, gli rimando un sorriso
ironico, mentre stringo
affettuosamente il braccio ad Alicia.
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Capitolo 19 *** Serpenti e pubbliche relazioni ***
Passo
la mattina da un ufficio all’altro regalando convenevoli
di ogni sorta, ammicco, sorrido, declino risposte imbarazzanti.
Sono
curiosi e mi chiedono del cognome che ho avuto per
anni, Mycroft ammette che è quello di mia madre. Sinclair.
Sono sollecito a
rispondere, perfetto fenomeno da baraccone.
“Haycok
mi è stato assegnato all’istituto per non perdere
tempo, vista la lunghezza del mio altisonante nome.” Mando un’occhiata
nera verso di lui, che ci mette
una pezza.
“Sherrinford
è il nome del primo avo Holmes.” Distende la
fronte, sembra orgoglioso, mentre io mi sento fuori luogo e vorrei
ucciderlo.
Il primo Holmes assassinato dal figlio.
“Perché
io non lo sapevo, caro padre? Ti costava troppo
dirmelo?” Lo sussurro al suo orecchio, quando siamo lontani
da occhi
indiscreti, trattenendo la collera mentre mi spinge verso altri
colleghi.
“Ti
spiegherò a tempo debito. Comunque sappi che non
è
dovuto al caso.” Non
oso guardarlo, ma
lo sento sospirare pesantemente, mi placo comprendendo il suo dolore.
Mycroft è attento
a
non darmi troppa corda. Evitiamo accuratamente spiegazioni sulla mia
salute
malferma.
Se sgarro interviene,
mi sostiene sollecito, dove manco di parola, lui completa il discorso.
Anthea,
come sempre rimane appartata, il suo prezioso
cellullare in mano, costantemente in allarme.
Cerco di dimostrare
buona parte della mia educazione.
Mi rendo conto sempre
di più, che il lavoro di Mycroft è di
intelligence, con molte responsabilità e tutti
i pericoli annessi.
Ho il colletto della
camicia bagnato, mentre dribblo domande di qualsiasi tipo. Lui,
L’uomo di
ghiaccio è perfettamente a suo agio.
Temo
di non assomigliargli per niente.
I suoi collaboratori
sono gentili, ma dentro di me avverto una sottile inquietudine.
Giurerei che se
mister Mycroft fosse in difficoltà, potrebbe contare solo
sull’aiuto della sua
famiglia.
Mi
presenta ad alcune persone che mi mettono i brividi,
gente con cui non vorrei avere niente a che fare.
Uno
in particolare si dimostra troppo attento, calcolatore.
È elegante in un
completo tre pezzi di marca, ma non ha la classe di Mycroft.
È in sovrappeso e
probabilmente è a dieta, la giacca non aderisce
perfettamente al suo corpo che
cambia.
Un
viscido serpente, quando gli stringo la mano.
“Questo
è sir Henry Auberton, degli affari interni,
collaboratore di Alicia.”
Smette di
respirare quando si avvicina, è contrariato, lo deduco
rapido, mentre fa fatica
a mascherare una sottile acredine.
“Piacere
giovane Holmes, è una sorpresa notevole, sapere che
Mycroft ha un erede a tutti gli effetti.”
Si
stampa sul volto il sorriso più falso che abbia mai
visto, un brivido mi scende lungo la schiena.
Noto
mio padre cambiare in volto, ma solo per pochi secondi,
la mascella si irrigidisce, mi afferra per il braccio e mi trascina via
con una
scusa.
Lo lascio fare,
mentre sento le sue dita affondare duramente.
“Un
amico sincero papà, da quanto vedo!”
“Non
preoccuparti, stanne fuori, sii solo gentile.” Camminiamo affiancati senza
creare attenzione,
lo spio chinando la testa.
“Hai
visto come ha cambiato espressione? Mycroft, quello è
pericoloso, non come gli altri qui dentro, che ti temono, ma non ti
affrontano.”
“Cosa
ne sai figlio? L’hai visto un paio di minuti.”
“Ed
è quanto mi basta. Vedo le cose come te e come Sherlock.
Sono un Holmes, o no?”
“Presuntuoso
come lo zio, certo.” Sorride
falsamente a tutti i presenti, io
faccio lo stesso.
Anthea
appoggiata alla parete, nel fondo della stanza, mi
getta un’occhiata sospettosa, teme che infastidisca il suo
amato capo.
“Stanne
fuori, ragazzino, so chi mi gira intorno.” Me lo sibila
sottovoce, sento il collo della camicia sempre più bagnato e
stretto.
Passo
un dito fra la pelle sudata e la stoffa cercando di riprendere
fiato. Un gesto che
non gli sfugge.
“Tranquillo
tra poco è finita, intrigante, giovane Holmes.” Lo afferma acido, mentre
assume la sua parte
più antipatica.
La
parola amicizia là dentro non è contemplata, non
mi
capacito di come Mycroft possa sacrificare la sua vita per tutelare il
governo.
Stringo mani, ma
vorrei lavare via la sensazione di disagio che provo.
Meglio i bulli ignoranti dell’istituto, che
questa vita di apparenza e vestiti costosi.
Finalmente
la recita finisce e torniamo nel suo ufficio.
Non riesco a
mascherare
la
stanchezza che comincia a salirmi. Per fortuna che dovevo fare una vita
tranquilla, come aveva suggerito il dottor Greg.
Percorriamo
nuovamente il corridoio con lui in testa e io
dietro. Anthea al
mio fianco, appoggia
la mano sulla mia schiena e la accarezza. Questo gesto gentile, mi
scombussola,
non le è permesso essere affettuosa, non con il British
Government vicino.
Appena
dentro, al riparo da occhi indiscreti, mi lascio
cadere sulla poltrona.
Mycroft
manda Anthea a prendere del thè, ma evita gesti premurosi,
non si avvicina nemmeno.
Appoggio la testa
sullo schienale
imbottito e cerco di
rilassarmi quel poco che basta.
Devo
riordinare la mia mente, capire come muovermi nel mondo
contorto di Mycroft.
Allungo
le gambe per sciogliere la tensione.
“Mi
dispiace, Sherrinford, ma è stato necessario lo stress a
cui ti sei sottoposto. Ora ti lasceranno stare.” Si infila dietro la
scrivania.
Sollevo
il capo. “Ne sei sicuro, papà? Certe facce
dicevano
il contrario.”
Sono
stanco della sua sicurezza fastidiosa.
“Hai sempre una risposta, sempre un dovere
che devi compiere. Sei votato unicamente al tuo lavoro.”
Mi lascio andare
giù,
smetto di parlare. Lo
sento trafficare
sul tavolo, forse apre il laptop, rovescia qualcosa tradendo il
malumore.
Lo
investo di parole senza alzare la testa, fissando il
soffitto.
“Gran
bella gente, papà, tutti devoti amici! Ma non rimarrei
nemmeno un minuto in una stanza da solo con loro.”
Mugugna,
capisce, lo sa perfettamente che è vero.
“È
il mio lavoro.” Rimarca guardingo.
Ho la bocca secca,
come lo sguardo che gli butto.
“Sei
veramente convinto di quello che dici?”
“Lo
faccio da anni, so il prezzo che costa!”
La sua voce è aspra, per nulla intimorita.
“Se
eri votato alla solitudine, allora sì!” Dio, mi sembra
improvvisamente piccolo e
stupido.
“Non
puoi capire, arrogante come ti dimostri!” È
seduto rigidamente sulla poltrona di pelle
liscia.
Non
mi sforzo a cercare le parole, mi sento sconfitto.
“È
un bene che tu non abbia mai cercato una famiglia, sono
il tuo unico errore, un caso pietoso a cui non eri
preparato.” Lo
sfido rabbioso, convinto che per lui sono una variante impazzita.
Inghiotte
un nodo in gola inesistente, ha un attimo di
imbarazzo, non è da lui mostrare un nervo scoperto.
“Forse
non sono come pensi, come tutti pensano che io sia.”
È
titubante, inclina il capo di lato, lo sguardo dilatato,
sembra impercettibilmente tremare.
“Non
sono sempre stato così!”
Ed
è uno squarcio, un’amissione, che mi blocca e mi
rende
ridicolo.
La
rabbia che provo è reale, anni di dolore protetti da muri
invalicabili. Non
ho chiesto lui come
padre, ma c’è, ed è lì, con
tutti i difetti, le manie, il controllo.
Sappiamo
perfettamente che ci stiamo studiando, che ci
avviciniamo e allontaniamo, che è difficile creare un
rapporto di fiducia, non
in questo modo di vivere.
Le
mie paranoie e le sue freddezze, il fuoco e il gelo.
Ci
fissiamo a vicenda, lui distoglie lo sguardo, tronca ogni
apertura. Prende la
penna e si mette a
scrivere, io mi abbandono spossato.
Non
fa quel gesto che vorrei, non quella gentilezza di un
padre, che sarebbe la benvenuta dopo una giornata stressante a cui mi
ha obbligato.
Così
infierisco ancora, lo voglio umiliare, in un contorto
desiderio di vederlo reagire, vedere fino a dove posso arrivare.
“Quanto
è prezioso quel portatile da cui non ti stacchi mai?
Lo sai che
è un pericolo costante che ti
porti appresso, vero padre? La trovo una mossa estremamente
stupida.”
Mi risponde piccato,
mentre continua a scrivere. “Ho le mie precauzioni, mi credi
un idiota?”
Reagisco malamente.
“Si
padre, a volte si, come racchiudere tutti i tuoi stramaledetti segreti
là
dentro.” Punto
la mano verso di lui e il
suo portatile.
“Sei
strafottente Sherrinford, ma reciti bene la tua parte
di fronte alla gente, sei stato un ottimo attore poco fa.” Mi ringhia contro, vede un
lato di me che non
conosce.
Mi raddrizzo sulla
poltrona, lo osservo ironico.
“Non
sai nulla di me! Cosa pretendi, se fossi in condizioni
migliori me ne andrei, ma ho bisogno della famiglia.” Glielo butto in faccia. “Non certo di
te! Che non ne volevi
alcuna.”
Chiude
con
poca grazia il laptop. Si
appoggia alla poltrona, gli occhi sono
stretti in due fessure scure, ansima un paio di volte, cerca di
controllarsi.
Sono
stato troppo duro, mi mordo le labbra, mentre abbasso
la testa.
Perché
mi comporto così?
Non faccio altro che
attaccarlo, con tutto il livore accumulato
nella vita di abbandono
che ho passato. Gli sputo addosso tutte le colpe.
Entra
Anthea, ci trova come due eserciti schierati, pronti a
colpirci.
Appoggia
il vassoio, mi lancia uno sguardo frustrato, ci
invita a bere il tè.
Avviamo
una specie di tregua, sorseggiamo silenziosi la
bevanda calda.
Mycroft
è al limite, fino a dove l’ho spinto io, non vuole
più parlare,
Io desidero solo
tornare a Baker Street, nella mia stanza.
Fa un cenno con il
capo verso di lei. Finalmente lascio quel
posto, ma non ci
salutiamo nemmeno, ambedue sconfitti.
Esco, desidero solo respirare
dell’aria fresca, lontano da quel
posto.
|
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Capitolo 20 *** Prove di rapimento ***
.
Il
viaggio di ritorno è silenzioso. Mi stringo nella giacca,
appoggiato allo schienale, Albert guida attento ed è
l’unico che non mi è
ostile.
Anthea,
accovacciata di fianco, sembra seccata e non mi
rivolge la parola. So
di aver sbagliato,
ma vorrei capire perché non mi approva. Tento un approccio
gentile, mi pizzico
il labbro con le mani e tento di parlarle.
“Cosa
c’è? Cosa
ho
sbagliato, che anche tu non mi parli?”
Non
ha nemmeno preso in considerazione il suo amato cellulare,
si scosta e mi trafigge con lo sguardo, la sua voce non è
piacevole, ma bassa e
secca.
“Ti
comporti in maniera antipatica con tuo padre, gli chiedi
il suo affetto, ma quando ti fa capire che la sua vita è
piena di pericoli, ti
rifiuti di comprenderlo, lo ostacoli con rabbia.”
Si
acciglia, ma è più morbida. “Vedi solo
quello che hai
sofferto tu, non vedi la sua di sofferenza.”
Cerco
di trovare le parole, ma so che ha ragione, le mie mani
tormentano la cerniera della giacca, che mi ha acquistato lei.
“Ma
perché non dire che sono ammalato?” Mi freno
dall’essere arrogante. “È
questo che mi disturba, Anthea, mi deve
accettare per quello che sono.”
Si
fa più vicina, mi ferma le mani.
“Perché lo rende debole agli occhi
della
dirigenza, non possono permettersi che Mycroft sia una persona
qualunque, con
un figlio che lo sottrae al suo lavoro. Che lo rende fragile proprio
perché
stai male.” Ora la fisso, e lei mi ricambia.
“Non
è un semplice funzionario, Hayc, non puoi pretendere
che sia sempre accanto a te, anche lui lo vorrebbe, ma devi pazientare,
non
devi dubitare della sua fedeltà e del suo amore per
te.”
Abbasso la testa, ha
ragione, non voglio che veda che ho gli occhi lucidi. Anthea
però ha capito, mi
solleva il mento e mi sorride. “Comunque sei stato grande
oggi, una recita da oscar.”
Ride, i denti
candidi, le labbra rosee. Finisco per ridere anch’io, mentre
la osservo e mi
sciolgo. Se solo
avessi qualche anno in
più!
Prendo coraggio, lei
mi lascia le mani, ma le riprendo rapido. Ha un lieve moto di
imbarazzo.
“Sherrinford…” Mi
redarguisce, la sento tremare un po'.
“Se
avessi avuto la tua età, se fossi più stato
più maturo,
Anthea, mi avresti preso in considerazione? Cioè voglio
dire….”
Lei
ha capito al volo,si scioglie dalle mie mani.
“Tu,
giovane Holmes, non mi avresti nemmeno notata. Ora ne
sei convinto, perché sei confuso e inesperto. E
perché sono la segretaria di
tuo padre.”
Mi
irrigidisco, le spalle tese, arrossisco e mi
appoggio sul sedile, fissando
al di là del finestrino.
Alla
fine non si è sbilanciata, continuo il discorso senza
girarmi.
“Resterai
mia amica, se avrò bisogno di te?”
Non risponde subito, quasi temo che non
risponda affatto.
“Si,
Sherrinford, sarò tua amica. Anche oltre le rimostranze
di tuo padre.” Respiro
meglio e appoggio
la fronte al vetro, meglio così, che non averla per niente.
Sento
ronzare il suo cellulare, risponde preoccupata, è
Mycroft, da quello che intuisco. Cosa
altro vorrà, adesso?
Ma
qualcosa va storto perché sento il suo respiro aumentare
il ritmo.
Chiude velocemente la
chiamata e quasi mi urla. “Svelto. Sherrinford, apri lo
sportello sullo
schienale davanti a te, c’è un giubbotto
antiproiettile. Indossalo. Veloce.”
Mi giro a guardarla,
perplesso,
ma è risoluta, percepisco il pericolo, glielo leggo in
faccia.
“Codice
77.” Lo
urla ad
Albert, sento l’auto aumentare l’andatura, apro il
vano davanti a me, indosso
il giubbotto come fossi un contorsionista.
“Cosa
sta succedendo?” Balbetto afono.
Non risponde,
mi sollecita a gesti a rimettermi in ordine,
poi mi spinge giù sotto il sedile.
“Rimani
lì, fino a
quando non te lo dico.”
La guardo
disperato.
“Anthea, ma cosa
succede?” Torna
a fissarmi autorevole. “Sei
il “pressure point” di Mycroft, lo sanno
anche troppo bene, solo che è accaduto tutto troppo in
fretta. È
bastato rendere ufficiale la tua esistenza,
stamane.”
Lei cerca di
rassicurarmi. “Qualcuno tenta di rapirti e non credo di
doverti spiegare
perché.”
Mi contorco nella
disperazione
di aver trattato male mio padre, di non averlo nemmeno salutato.
Annuisco
e faccio come mi dice. La sento parlare al
cellulare con lui, poi si rivolge a me dura, scandendo bene le parole.
“Sta
giù e non muoverti. Dobbiamo resistere il più
allungo
possibile. Tuo padre arriverà presto, ti manda a dire di
stare sereno.”
Vedo Anthea prendere
un’arma da sotto il sedile, la scarrella e si accosta al
finestrino. Albert
aumenta l’andatura e alza i vetri anti proiettile, il
divisorio fra le due
parti viene chiuso.
Non mi sento sereno
per niente! Beato uomo di ghiaccio!
Lei
è tesa, ma tranquilla.
“Non
sono sempre stata una segretaria, Sherrinford, ho fatto
parecchia esperienza sul campo, prima di diventare l’aiuto di
Holmes. Ti
proteggerò perché è il mio
compito.” Mi rivolge uno sguardo gentile.
“Il mio vero nome è
Andrea.”
Rimango
sorpreso, sono talmente spaventato che non so se ho
capito bene.
Sono steso sul sedile
quando arrivano i primi colpi, l’auto sbanda, ma Albert la
tiene in
strada.
Riesco
a scorgere un’auto di grossa cilindrata che ci
affianca, scura come la pece. Ho paura, la fronte bagnata di sudore, se
riescono a prendermi non so cosa potrebbe succedermi.
Ma
non voglio stare rannicchiato come un bambino pauroso.
Voglio difendermi, se mi vogliono dovranno penare.
Anthea
abbassa il finestrino quel tanto che le permette di
rispondere, fa partire due colpi secchi verso gli inseguitori.
Sparano
anche loro e temo per Albert, sento sbandare
pericolosamente l’auto. Mi alzo quel tanto che basta per
vederlo sanguinare. Maledico
la mia sorte bastarda, e decido di
muovermi.
“Anthea,
Dio, fa abbassare il divisorio.”
Lei mi guarda dubbiosa, seccata. “Albert
è
ferito, Cristo, fammi andare davanti, non reggerà
molto.”
“Dobbiamo
prendere tempo tuo padre sta arrivando, solo pochi
minuti, Sherrinford!”
“Allora
fa aprire il divisorio. Vado davanti” Non le
permetto di dubitare, sono in grado di farlo. Ho cominciato rubando
auto,
quindi che altro devo dimostrare. Lei i miei trascorsi, li
avrà sicuramente
letti nei rapporti di mio padre.
“Sai
reggerla Hayc?”
Ha un dubbio, ma sa che è la scelta giusta.
“Fammi
andare davanti, Anthea, lo so fare.” Digrigno i denti
e glielo impongo furioso.
Si
convince. “Albert abbassa il divisorio!” Anthea
è risoluta.
“È un ordine
abbassalo.” Si gira verso di me.
“Mycroft
mi ucciderà per questo!”
“O
saremo già morti, Anthea.”
Benedico
la mia gracilità, mi infilo davanti con fatica, ma
alla fine sono sui sedili anteriori, Albert sanguina copiosamente dalla
fronte,
il vetro non ha retto ai proiettili corazzati e uno lo deve avere
colpito di
striscio. Anche la spalla sinistra è fuori uso.
“Albert,
prendo il volante, scivola adagio dietro di me.”
“Signorino
Holmes, la deve tenere forte,
stiamo andando veloci.
Metto la guida assistita.”
Stringe la bocca con una smorfia di dolore,
non può reggere il volante con una mano sola.
“Non
preoccuparti, stai perdendo troppo sangue, lasciami la
guida.”
Per
ora non sparano perché sono leggermente più
indietro, è
il momento giusto per approfittarne
Albert
mi passa dietro mentre io tengo il volante, la bestia
sbanda di brutto, ma mi aggrappo con tutte le forze e la tengo in
strada.
Albert si accascia di lato.
Ora
sono alla guida, li vedo affiancarsi, Anthea mi copre
sparando da dietro. Mi basta quel tanto per accelerare e portarmi fuori
portata.
“Dio,
Albert, ma quante marce ha questo bestione?”
È potente la berlina nera di Mycroft, richiede
controllo e forza, lui affaticato ha poca voce.
“Sette,
una speciale per portare il peso di tutta la
macchina, mettila nel rettilineo, vedrai come fila veloce.”
Albert
apre il bauletto, prende un kit di pronto soccorso,
cerca di pulirsi il sangue dalla fronte e dal collo, ha una ferita alla
spalla,
che è difficile da tamponare.
Sento
altri colpi arrivare nonostante li abbia distanziati,
Anthea mi copre, ma due arrivano sul finestrino e lo scheggiano, ne
partono
diverse come uno sciame impazzito, mi investono sul volto e alle mani
che tengo
strette sul volante.
Mi
sento trafiggere, devo concentrarmi, stacco la mente dal
corpo, reggo accanito la berlina nera che vibra un poco sotto la mia
guida.
Albert
urla atterrito. “Figliolo sei ferito?”
Sento
lo spavento che prova dalla sua voce, so che le
schegge hanno fatto il loro dovere, mi sento dolorare il volto e le
mani.
Albert
mi parla con voce strozzata. “Porta l’auto fuori
tiro. Svolta alla prima strada che vedi sulla destra, fa sembrare che
vai
dritto, accelera deciso, poi sullo svincolo gira rapido,
l’auto reggerà.”
Annuisco, so che ho poco tempo, il
contachilometri sembra impazzito, non posso distrarmi.
Ho un solo secondo,
mi rammarico di non aver salutato mio padre.
Anthea
mi ha visto dallo specchietto e impreca. “Sherrinford,
sei ferito! Stai bene?” La
voce incerta, quasi disperata.
“Non
adesso Anthea, vedi se arrivano i soccorsi!”
“Dobbiamo
reggere ancora pochi minuti.”
Sa che se ci salviamo
Mycroft
sarà furioso.
Si
scuote, mi stringe la spalla e si prepara a intervenire
ancora, la sento caricare l’arma.
Accelero,
devo evitare che i colpi ci raggiungano, i vetri
non reggono più, usano proiettili corazzati.
“Holmes,
ora devi fare come ti ho detto.”
Lo
so, cosa devo fare, Albert
mi sostiene, le mani sono scivolose per
il sangue delle schegge, mi asciuga quello che mi cola sul viso,
cercando di
non rimuoverle.
L’auto viaggia
sostenuta, manca poco allo svincolo, loro sono quasi di fianco.
Anthea mi protegge
spara alcuni colpi che li rallentano. Ormai ci sono.
Tutta
la mia residua forza è concentrata alla guida. Aspetto
l’ordine di Albert.
“Ora,
Hayc.” Grida
strozzato. “Tienila
forte.”
Curvo deciso, il
bestione nero sbanda, ma regge, è ben piantato per terra.
E’ come un
cavallo imbizzarrito da domare, i
rapitori affiancati, sorpresi dal cambio
repentino di carreggiata vanno dritti, non riescono a inchiodare e
cambiare
direzione.
Li
abbiamo distanziati, ora siamo soli e recuperiamo tempo.
“Bravo
figliolo.” Albert
mi asciuga delicatamente la fronte, fa molta attenzione a non ferirmi
di più,
ma le mani non posso staccarle, sono piene di schegge.
Anthea interviene,
con voce calma. “Tieni duro Sherrinford solo
pochi minuti ancora.
Lo vedi
l’elicottero davanti a te? E lui, è tuo
padre”
Incrociamo
tre auto nere che ci sfilano affianco e inseguono
i nostri assalitori.
“Hayc,
rallenta adagio, ce l’hai fatta!”
Albert mi aiuta a tenere il volante con il
braccio sano, le mani mi fanno male, mi sale la nausea, ma lui, bravo
uomo qual
è mi sprona.
“Forza
giovane Holmes non mollare adesso”
Trattengo
il dolore e modero la velocità, mi fermo proprio
mentre atterra l’elicottero, davanti a noi.
“Sherrinford,
stai bene?” Anthea grida dal sedile
posteriore. Si affaccia al divisorio, la sento sussultare.
“Sto
bene, mi sembra.”
Lo
dico poco convinto.
Lascio il volante, appoggio sfinito la nuca sul sedile, mi
sento il
volto intorpidito e il caldo del sangue che scende.
Anthea
è già sopra di me, Albert mi controlla.
“Va tutto
bene ragazzo, non toccarti né le mani, né il
viso, hai delle
schegge da togliere, ora
arriva Mycroft.”
Scende barcollando, viene preso in
consegna dai soccorsi, quasi
portato via a forza, Anthea
mi scuote
delicatamente, la voce rotta.
“Sherrinford
rispondimi ti prego, mi senti?”
Annuisco,
mi sale tutta la stanchezza che ho soffocato. Mi
si offusca la vista, riesco appena a intravvedere una figura scura che
mi
afferra e mi trascina fuori.
“Perché
è davanti? Perché
è alla guida? Per Dio Anthea, dovevi
proteggerlo non
metterlo in pericolo!”
Lo
so di chi è la voce, la riconoscerei fra mille. È
la sua,
del British Government.
Eccolo,
pieno di rabbia trattenuta, non riesce a
mascherarla. Grida feroce ordini ai suoi uomini, controlla Anthea, che
è
incolume e si rassicura. Vede Albert sanguinante, capisce che ha fatto
la
scelta giusta.
Mi prende in braccio,
mi stringe, evitando di toccarmi le mani e il volto, mi stende
sull’asfalto. Ci
siamo lasciati malissimo, provo vergogna per quello che gli ho detto,
per come
l’ho offeso.
Ma
in lui non c’è rancore, nei suoi occhi leggo un
misto di
rabbia impotente per chi mi ha fatto questo.
Digrigna i denti mentre mi tiene vicino.
“Sto
bene.” Riesco a sussurrare. “Papà non
è niente.”
Si
è tolto il cappotto costoso lo ha messo sotto la mia
testa.
“Lo
vedo come stai Sherrinford. C’è più
sangue che
altro.” Scuote
il capo, le sue mani
pallide esaminano ogni piccolo taglio.
“Starai
bene.” Mi asciuga, con il suo prezioso fazzoletto,
un rivolo di sangue che scende agli occhi.
“Ma
che ti dice il cervello, figliolo, vai oltre le mie
aspettative. Mi accorcerai la vita.”
L’ambulanza
è arrivata. Si scosta e mi lascia ai paramedici.
Dà
indicazioni ad Anthea, ma sembra più morbido.
Lei
annuisce, mi manda un’occhiata disperata e un sorriso
sincero, perché non può avvicinarmi.
Mycroft
le impartisce ordini e la lascia a dirigere tutto. Sale
in ambulanza con me.
Mi
sento orgoglioso, non me lo aspettavo che mi stesse
vicino.
Lo
cerco con gli occhi e glieli pianto addosso, non smetto
di fissarlo. Si
siede vicino e mi
prende la mano, delicatamente la appoggia sulla sua incurante del
sangue che
scende sulle maniche del suo vestito costoso.
Chiudo
gli occhi e mi lascio andare, perché ho il premio
più
ambito, per quanto lo abbia insultato è lì
presente come mi ha sempre promesso.
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Capitolo 21 *** I ricordi del passato e il dolore. ***
Mi
risveglio intontito, in un ambulatorio dove mi stanno
medicando il volto e le mani. Mi lamento e mi sono subito vicini.
Non mi ricordo molto
del viaggio in ambulanza, avvertivo il brusio delle voci intorno. E il
fastidioso rumore delle sirene.
“Bentornato
tra noi, Sherrinford, stai tranquillo ci stiamo
prendendo cura di te.”
Un
medico, probabilmente un chirurgo da come è vestito, mi
osserva attento. Mi sorride bonario e ritorna a operare sulle mie mani.
Sollevo
un po' la testa cercando di inquadrare il posto. Lo riconosco
è la clinica
governativa dove mi segue Greg.
Mi
hanno infilato un camicione verde che mi imbarazza.
Sono
disteso con le mani bloccate, aperte, sembro un cristo
in croce. Il dottore mi rassicura, alzando appena il capo.
“Stiamo
togliendo le schegge, devi avere pazienza ragazzo,
non dobbiamo lasciare nessun frammento. Ci vorrà un
po'.”
Finisco per agitarmi,
non vedo Mycroft e questo aumenta il panico. Non
ho dolore, ma essere bloccato in quella
posizione anomala mi spaventa.
“Buono,
figliolo, sono qui!” Giro la testa e lo vedo dietro
di me, mi tiene le mani appoggiate sulle spalle.
Prendo
un respiro profondo, socchiudo gli occhi, mi è vicino
come ha promesso.
“Come
stanno Anthea, e Albert?” Sono impaurito, ma temo per
loro.
“Albert
sta bene, è in una camera più avanti. Ti
ringrazia
per quello che hai fatto.” Sento la stretta delle sue mani
farsi più netta. “Anthea
presto ci raggiungerà.”
“Non
te la prenderai con lei, vero? Sono stato io a
insistere per guidare la berlina.”
“Lo
so, sono al corrente di tutto. Ora pensa a stare
tranquillo, facciamo fare al dottore il suo lavoro.”
Stare
in quella posizione mi rende nervoso, le mie gambe non
fanno che muoversi, stento a mantenere la calma, mi sposto in
continuazione, ho
caldo e comincio a sudare.
Lui
lo vede e tenta di porvi rimedio. Sento il suo sguardo
avvolgermi.
“Andrà
tutto bene, Hayc, respira con me e stacca la mente.
So che sai farlo, concentrati, entra nel tuo “palazzo
mentale”.
“Come
lo sai papà, del mio posto segreto?” Sono stupito, lui si
avvicina al mio
orecchio. “Lo so, perché sei mio figlio, e sei un
Holmes.” Sorride, mi
accarezza un unico pezzo di fronte pulita dal sangue.
Il
medico lo lascia fare, probabilmente conosce bene
Mycroft.
Le mani nelle spalle,
si stringono nuovamente, mi aiuta a respirare, in breve entro nel mio
rifugio
che lui chiama “palazzo mentale.” Lo
sento parlare in continuazione, come se raccontasse una storia a un
bambino.
Non
avverto più il tormento di essere legato, mentre mi
tolgono faticosamente i vetri dalle mani e dal viso.
Lo vedo seduto nella
mia casa immaginaria, che beve del tè sotto un pergolato di
glicini. Parla con
gentilezza, dice che si chiama Musgrave,
la casa degli avi, dove il miele non manca mai.
È un posto bellissimo,
accogliente e calmo, vedo i suoi ricordi, si alza e mi invita ad andare
dentro
la vecchia magione sepolta dall’edera.
Percorriamo un lungo
corridoio, stretto, ma luminoso, poi su per la scala di legno, saliamo
al piano
superiore
Lo seguo fino alla sua
stanza, l’unica ordinata di tutta la casa.
Un letto,
perfettamente rifatto, una scrivania con pochi libri, dei puzzle di
opere
d’arte appesi alle pareti.
Può essere solo la
sua. Prende un libro dalla scrivania, con la copertina consunta.
Sfila una foto da dentro,
me la allunga.
Mi tremano le mani
mentre la afferro.
Fisso incredulo il suo
ricordo, una foto di lui, poco più che ventenne abbracciato
ad una ragazza, con
lo sguardo dolce che lo guarda rapita. Ha i capelli castani lunghi, gli
occhi
chiari. Tiene la mano appoggiata al suo petto.
So chi è! So
esattamente chi è!
Virginia, mia madre,
piena d’amore, bella e serena.
Mio padre
mi guarda sorridendo, gli occhi grigi luminosi, confessa che lei mi ha
sempre
amato.
Si siede sul bordo del
letto e mi invita ad avvicinarmi. E rimango al suo fianco, seduto con
la foto
in mano.
Racconta di quando al
liceo si erano innamorati, avevano fatto all’amore, convinti
di non perdersi
mai. Mycroft si diploma, lei deve finire.
La amava teneramente,
tanto che percepisco il suo sentimento.
Era un ragazzino che mi somigliava molto, stupidamente
ingenuo, un
lontano ricordo del Mycroft che sarebbe diventato.
E invece…ora lo sento
teso, malinconico, sento le sue mani stringere più forte.
Lo zio materno, Rudy
decide di portarlo con sé a Londra.
C’è
un lavoro prestigioso al palazzo del Governo,
dove ricopre un posto importante, è un’occasione
unica, gli dicono che sarà per
pochi mesi. I
genitori acconsentono e lo
mandano ad imparare. Non può che obbedire, angosciato.
Lascia la casa a
malincuore e il suo amato fratello Sherlock, che si chiude in
sé stesso
pensando ad un suo abbandono.
A Virginia promette di
tornare presto, ma non sarà così.
Non sanno di avere un
figlio in arrivo. Sono semplicemente innamorati, ma deve partire.
Quando i genitori
scoprono che è incinta, lei è travolta dalla
paura. Cerca di rintracciarlo, ma
le fanno troncare ogni rapporto per evitare lo scandalo. La fanno
partire, le
fanno credere che Mycroft non tornerà.
Lui le scrive spesso, ma
Virginia non riceve nessuna delle sue lettere.
Zio Rudy rimanda sempre il suo ritorno a casa, e lei si
convince di averlo
perso.
Partorisce lontano da
tutti. I
genitori le vietano di
rivedere Mycroft, quel poco di buono che l’ha messa incinta.
La convincono a
darmi in adozione, avrò una famiglia reale che mi
vorrà bene. E lei cede, e
finisco in istituto, ma prima mi tiene con sé pochi minuti,
memorizza la mia
voglia sul braccio, la pianta del piede ferita da un ago infilato
malamente,
che mi lascerà una cicatrice, e mi dà un bacio,
l’unico bacio che ho ricevuto
da lei.
Una madre troppo
giovane, per opporsi al destino.
Sento il racconto
smorzarsi, la luce calare. Ma Mycroft continua, deciso a dirmi tutto.
Ricami di dolore
danzano dentro la stanza insieme a noi.
Le permettono di darmi
un nome. Si ricorda delle lapidi bizzarre che c’erano a Musgrave,
su di una la scritta “Sherrinford,”
come il primo avo degli Holmes, e decide per quello, un nome importante
che
deve ricondurmi a lei.
Virginia scompare. Abita
in un altro stato, non gli risponde.
Di lei non sa più
nulla, gli dicono che si è trovata un lavoro stabile e un
uomo che la rende
felice, che non vuole più vederlo dopo il suo abbandono.
Mycroft è pressato dallo
zio, intento a incatenarlo alla carriera politica.
Si chiude, costruisce
un guscio protettivo, decide che non ne vale la pena, si
dedicherà alla famiglia
proteggerà suo fratello cercando un perdono difficile da
ottenere. Sposa il
lavoro, serra il suo cuore per sempre.
Passa il tempo e
con esso gli anni.
Virginia
viene a sapere che non sono
stato
adottato, non ho
una bella famiglia come le avevano promesso, sono
solo e abbandonato, tenta
di rivedermi, ci riesce un paio di volte, ma non può fare
nulla.
Mycroft si interrompe
aspettando i miei ricordi, ora la vedo.
La donna minuta,
solitaria, che stava seduta sulla panchina di fronte
all’istituto.
La
mente si è aperta. Ho visto mia madre e non
lo sapevo.
Si era alzata, le era
caduta la borsa della spesa, e le arance erano rotolate complici. L’avevo
aiutata, mi guardava sorpresa. In
seguito mi chiesi spesso, perché mi avesse
ringraziato con gli occhi lucidi.
Ora lo so.
Mycroft continua
lento, addolorato. La testa china.
Si ammala, troppo
presto, molto gravemente, prima di poter tentare qualcosa. Allora
prende
coraggio e rintraccia Mycroft, gli racconta tutto disperata, capisce
che lui l’ha
sempre amata.
Non ha avuto nessun
altro, non dopo di lui.
Ha poco tempo, muore
tra le sue braccia, mentre le promette di prendersiche
si prenderà cura di lui,
delme, di quel figlio che avrebbe compiuto
il miracolo di
creare la loro famiglia.
Mycroft si zittisce,
sbiadisce, sfuma in lontananza, non percepisco il suo respiro, ma forse
sono io
che non respiro più.
Il mio cuore sembra
impazzito, non reggo il dolore. Cerco mio padre, voglio afferrarlo, ma
lui non riesce
a tenermi.
Scivolo via.
Avverto reale la
stretta sulle spalle, rumori e voci che chiamano il mio nome. E
cado giù da Musgrave
sprofondando, non percependo che il nulla.
Non
so quanto tempo trascorro in un limbo fatto di ricordi,
ma che non riesco a mettere a fuoco.
L’unica
cosa che mi riporta indietro, è quel rumore
insistente del bip, che si infila costante nelle mie orecchie.
Mi
ricordo maledettamente tutto, il dolore di sapere da dove
vengo, di Musgrave, di Virginia e di quel amore materno che non
avrò mai.
Devo essere svenuto,
da bravo ragazzino insicuro.
Mi
sento intorpidito, so che sono in un letto comodo, niente
lettini di ambulatorio. Le lenzuola sono profumate, scivolose e
morbide.
Apro
lentamente un occhio, vado in avanscoperta.
Sono sistemato in una stanza di ospedale,
c’è
una finestra semi aperta, vedo le tende muoversi.
C’è la luce esterna, però non
capisco che giorno sia.
Le
mie mani sono fasciate, ma ho miracolosamente le dita
libere.
Il
volto mi tira in alcuni punti, segno che ho solo dei
cerotti.
Apro
anche l’altro occhio, sono monitorato, ho gli elettrodi
attaccati al torace, e intravedo il monitor sulla mia destra che
registra.
Perdo
la calma, mi muovo troppo.
Il macchinario va in
allarme,
comincia un fastidioso cicalino, che fa alzare di scatto la figura
seduta al
mio fianco.
“Sherrinford,
stai bene? Sono Mycroft!”
Lo vedo chi è, il mio freddo padre, che non
ha più nulla del glaciale Ice Man. È
in
camicia, la cravatta allentata, il suo vestito spiegazzato. Il dolore
dei
ricordi sul suo volto.
È
scomposto, la faccia tirata, la stanchezza negli occhi.
“Papà,
cosa mi è successo?” Mi esce un mormorio che
spaventa
anche me.
“Quando
ti stavano medicando, il tuo cuore ha fatto un po'
di capricci. Ma ora stai bene.”
Appoggia
le mani sul letto vicino al cuscino, mi guarda attento,
misura ogni mio respiro.
“Ma
sono peggiorato? che ha detto Greg?”
Mi sale l’ansia.
“No,
stai bene, ma certo lo stress è stato alto, e ha
preferito monitorarti per un po'.”
Si
stacca, toglie le mani, si distende allunga le spalle.
“Sono
stato già ampiamente sgridato, Sherrinford, per quello
che ti ho causato.” Sospira
cambiando
espressione, si è portato alla fine del letto, stringe le
mani sul freddo
metallo della sponda, fino a farle sbiancare...
“Padre,
che colpa puoi avere, se un bastardo voleva rapirmi.”
“Dovevo
proteggerti, essere presente, non lasciare che tu da
solo ne venissi fuori, e guarda a che costo.”
Scuote
la testa indicando il mio volto ferito. “Non è
così
che volevo la tua vita futura. E invece ti ho trascinato nel mio mondo,
e hai
ragione su di una cosa figlio mio, le persone che mi stanno intorno,
non sono
certamente amichevoli.”
Un’ombra
scura gli offusca gli occhi, sembra sfinito, mi
tiro su quel tanto da implorarlo muto di non mollare. Ora che so la
verità non posso
che capire e sono sereno.
“Come
hai fatto a farmi vedere il passato, come hai reso i
ricordi vividi?”
“Te
li raccontavo, li sussurravo mentre eri dentro al tuo
palazzo mentale. Tu li elaboravi, così ora sai la
verità.”
Sembra
sconfitto, un tacito accordo di distensione passa tra
noi,
“Papà,
ti prego non angustiarti, sono qui, quindi va
bene.” Fa
una smorfia che vorrebbe
essere un sorriso, l’ombra sembra diradarsi, inclina la testa
come sa fare solo
lui.
“Sei
stato bravo, ragazzo, veramente coraggioso. Chi aveva
mire su di te dovrà ricredersi.”
Ora
il sorriso è disteso, piacevole.
“Tipo
Auberton? Il tuo collega serpente?”
Si sorprende, ma neanche più di tanto.
“Coraggioso
e perspicace!”
Ride sciogliendo la tensione, si aggiusta la cravatta, si
rimette in
ordine.
“Vado
a prendermi del tè, ne vuoi?”
“Si
papà, mettici pure due biscotti insieme.” Lo guardo mentre fa per
uscire, cerco di
consolarlo, ha le spalle pesanti.
“Virginia
era bellissima.” Lo butto lì, strozzato. Lui annuisce, la
mano aggrappata alla maniglia,
non dice nulla. “Eravate
innamorati, e questo mi basta papà.”
“Lo
ero, Sherrinford, poi tutto è andato storto. Ora lo sai.
Ho deciso di dirtelo così, in un modo poco consueto, ma
più vero.” Gli
trema la voce, non è da lui.
“Mi
sei rimasto tu, di quell’amore. Cosa posso volere di
più? Quando
credevo che la mia vita
fosse chiusa.” Esce
e mi lascia senza
fiato, il suo cuore di ghiaccio non è mai stato
più caldo.
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Capitolo 22 *** Diventare un figlio bastardo ***
Mentre
aspetto che torni Mycroft, entra un’infermiera e mi
toglie il monitoraggio, posso finalmente muovermi meglio.
“Ordini
del dottor Greg. Stai bene ragazzo!”
Mi dà un pizzicotto sulla guancia ed esce.
Sento bussare, vedo
sbirciare Anthea dalla porta e le faccio cenno di entrare.
“Sei
solo?” Mi guarda attenta, lo sguardo addolcito.
“Come
stai, mi hai fatto penare!”
“Mycroft
è andato a prendere del tè. Ma sto bene tutto
sommato.” È tesa, si porta vicino al letto, senza
smettere di esaminarmi.
Certo, ho un numero rilevante di tagli in volto, ma non sono profondi,
sono
solo brutti da vedere. E le mani sono parzialmente fasciate, ma ho le
dita
libere.
“Via
Anthea, sono vivo, non ti cruciare!”
Allungo la mano, lei la afferra dolcemente
attenta alla fasciatura. Un
gesto
inusuale, incurante che Mycroft possa tornare improvvisamente.
“Abbiamo
corso un grande pericolo e devo dire che non me lo
aspettavo che fossi così coraggioso.”
Ha
la voce incerta, dimostra la sua parte emozionale. Le
sorrido stralunato, lei che si dimostra preoccupata,
è incantevole.
Muove
la mano, mi arriva una carezza sulla guancia, sentire
il suo calore mi rimescola.
“Temevo
che tuo padre mi uccidesse, invece è stato
comprensivo, non ama essere scavalcato, nemmeno da me.”
Sente
dei passi e si scosta, ritorna impassibile, Mycroft ha
un vassoio, lei è rapida ad aiutarlo. E’
sorpreso, non nasconde la sua irritazione, infondo le ha disobbedito.
“Anthea,
vedo che stai bene, hai sistemato tutto secondo i miei
ordini?” Annuisce,
ma anche se cerca di
essere distaccata, lui percepisce la sua inquietudine, sa che si sente
in
colpa, le rivolge uno sguardo di rimprovero.
“Si
è ripreso, stai serena ha la pelle dura il piccolo
Holmes!”
“Padre!”
Protesto con veemenza, darmi del “piccolo” davanti
a lei. Anthea si
scioglie, ride e lui le
va dietro complice, la mia faccia si scalda e quindi è
sicuramente rossa.
Si
è rasserenata, aiuta Mycroft a sollevarmi sistemando i
cuscini per farmi bere quel poco di te che riesco a mandare
giù.
Papà
la lascia fare, ho le mani insicure e tremanti, riesce
a imboccarmi un paio di biscotti, mentre perfino le orecchie sfiorano i
40
gradi.
È
così vicina da sentire il suo profumo delicato.
Mi
aiuta a tenere la tazza, le sue mani sulle mie, sono fresche,
mi fa bere lentamente. Indugio, vorrei prolungare quel momento
all’infinito.
“Stai
bene Hayc? Sei caldo.”
Mi
guarda preoccupata. Mio padre, fa un ghigno beffardo, le
mani nelle tasche dei pantaloni costosi, ondeggia divertito.
“Tranquilla
Anthea, non ha la febbre! Quelli
sono gli ormoni che non riesce a
gestire. Vero figliolo?”
Mi va di traverso
l’ultimo sorso di te e lo
fulmino con lo
sguardo. Anthea si
schernisce, appoggia
la tazzina e si allontana scuotendo la testa.
“Forse
è meglio che vada Sir, Hayc sta molto meglio a quanto
vedo.”
Mi strizza
l’occhio ed
esce, mentre sprofondo sotto le coperte dalla vergogna.
Mycroft borbotta
incurante un saluto e rimette in ordine. Lo
fa sempre, in qualsiasi posto si trovi, lui
deve razionalizzare gli spazzi.
“Papà,
mi metti in imbarazzo. Lei è gentile, che
c’è di
male?” The British Government si
lascia cadere sulla
poltrona. Inspira, si rilassa arrendevole.
“Sherrinford,
lasciala stare. È proprio perché è
gentile che
devi essere educato. Ha l’ordine di proteggerti, non metterla
in
difficoltà.”
Vado
giù con la testa, so che ha ragione, ma quando mi
è
vicina stento a comportarmi freddamente.
“Farò
come dici, non la forzerei mai perché sono tuo figlio,
ma lei è perfetta. Come hai potuto non notarla?” Mi guarda alzando le
sopracciglia, inclina la
testa. “Perché
sono un gentiluomo, che
altro ragazzo mio.”
Ride,
mentre mi batte la mano sottile, sulla gamba mezza
scoperta.
“Stasera
andiamo a casa. Stiamo insieme a Pall Mall, domani
vai da mio fratello.”
Non
me lo aspettavo che mi mandassero a casa così presto, ma
le ferite non sono gravi, ci penserà John ad aiutarmi. È stato il cuore,
come al solito, a non essere
all’altezza.
Mycroft
vede la mia faccia perplessa. “Hai
il benestare di Greg, stai tranquillo. Vuoi
rimanere qua dentro?”
“Nemmeno
per sogno papà.”
Ho voglia di rivedere i miei parenti e Rosie.” Mi prende un
dubbio.
“Rosie
sa cosa mi è successo? Perché se mi vede
così conciato
si spaventerà.”
Annuisce. “Glielo
diranno quando tornerai a Baker Street.”
Non
sono gradevole da vedere soprattutto per la piccola
cugina, deve essere preparata e spero siano attenti.
Mi
accorgo che Mycroft tentenna, deve dirmi qualcosa.
“Che
c’è, sei pensieroso, cosa ti preoccupa?”
“Sherrinford,
dovrai essere scortato. La
tua libertà sarà limitata. A Baker Street
sei protetto, ma non potrai uscire senza dire
qual’è la tua meta. E Rosie è
meglio tenerla al sicuro.”
“Da
me, vero Padre?
Ora divento un pericolo se esco con lei!” Mi lascio cadere
giù avvilito. Rosie ci
teneva così tanto che la portassi a scuola.
Si
altera, ma subito si ferma.
“Solo
fino a quando non metto fine a queste spiacevoli ingerenze,
farò il possibile per chiuderle presto.”
“Perché
non mi dici la verità? Sospetto che sia Auberton che
ti sta col fiato sul collo. È viscido e ti osservava
velenoso. Strano che
appena mi hai presentato sia finito nelle sue mire.”
Mycroft
si passa due dita dentro il collo della camicia, e
tira appena la cravatta. Devo insistere, voglio ottenere la sua
attenzione.
“Cosa
vuole da te? Non credi, che dopo tutto quello che ho
passato, tu possa dirmelo? Perché non vuoi fidarti di
me?” La mia voce diventa
cattiva, non voglio farlo stare male, non dopo quello che so di lui.
“Sherrinford
ritengo che meno sai, meglio è.
Quella gente sa ottenere confessioni con
qualsiasi mezzo.” Si alza, cammina nervoso per la stanza, ma
è indeciso.
Continuo
risoluto. “Basta che sappia il minimo, quello che
vuole da te e perché!” Si
ferma, ora le mani
strette nelle tasche, sono macigni.
Si
addolcisce, la voce sicura.
“E
da molto che tenta di prendere il mio posto, ma fino ad
ora non aveva avuto successo. Le sue macchinazioni erano stupide,
finivo per
scoprirle e eliminarle in fretta. Ma ora tu se il mio
“pressure point”, sa dove
colpirmi, sa che non posso proteggerti sempre.”
Abbassa
il capo la mascella serrata, allunga le spalle.
“Non
voleva rapirti, questo era un avvertimento per farmi
vedere dove poteva arrivare. Mi ha in pugno, vorrà trattare:
la tua vita per il
mio tradimento.” Smette
di respirare e
anch’io. Ora mi è tutto chiaro, che senso aveva
rapirmi? In quel modo poi, sparando
come dei pazzi.
“Allora,
che farai adesso, ti contatterà, non potrai tenermi
costantemente in sicurezza.”
“Più
volte ha cercato di impossessarsi del laptop, che
contiene le chiavi di accesso alla rete Governativa, ed era
un’esca perfetta.
Anche tu ti eri scandalizzato per come lo sbandierassi ovunque. Quella
trappola
è sfumata, ora ha te.”
Mi
osserva dal centro della stanza, capisco che non era così
stupido da tenere tutta la sicurezza nazionale in quel portatile, sono
stato un
idiota.
“Non
cederai papà, non per colpa mia!”
Mi sollevo dai cuscini, mi tengo dritto e lo
guardo disperato. So
la sua fedeltà al Governo,
è turbato, vedo il suo volto teso e scuro.
Io
sono il suo punto debole, cerco di elaborare rapido,
forse potrei trovare una soluzione.
Perché
non provare ad essere il figlio cattivo, invece
dell’arrendevole debole ragazzino. Non sanno che sono
ammalato, quindi…
Mi
siedo sul letto, tenta di avvicinarsi per rimettermi giù,
ma lo fermo con la mano, cominciò a sciorinargli il mio
piano. Ottengo la sua
attenzione anche se sembra fremere di rabbia per quella situazione
assurda in
cui ci troviamo.
Cerco
di essere convincente, mentre gli espongo il mio
piano.
Perché
non trasformarmi in un piccolo figlio bastardo?
Che mira al suo patrimonio per farmi risarcire
degli anni dell’abbandono? Voglio
tutto
e subito e certo lo odio come padre e come uomo.
Deve
aiutarmi ad avvicinare Auberton, in modo che possa
parlargli, fargli capire che non voglio
diventare un
bersaglio per la gloria della nazione e di mio padre.
Dirò
che ne sono a conoscenza perché Mycroft sospetta di lui,
quindi non voglio correre altri rischi, gli porgerò il
laptop su un vassoio
d’argento, non dovrà fare altro che pagarmi.
E rovinare la
reputazione di Mycroft che distrutto dal dolore del mio tradimento, non
dirà nulla,
io otterrò la mia vendetta, i soldi, la casa e ne
uscirò pulito.
Se
funzionasse non subirei altri attentati e alla fine gli
tenderemmo una trappola per incastralo. Certo
correrò qualche rischio, ma è il prezzo da
pagare.
Dovrò
essere convincente, sono un bravo attore, non mi sarà
difficile fare il bastardo fino in fondo. Lo saprà Anthea,
lo zio, John e non
altri. E nessuno dovrà sapere che sono ammalato.
Mycroft sussulta,
gira a vuoto per la stanza.
“È
pericoloso per Dio!
Sei impazzito?”
Si avvicina,
appoggia le mani sul letto al mio fianco, quasi a sfiorarmi, mi guarda
dritto
negli occhi. “Quella è gente che non scherza! Una
sola, unica, mossa falsa e
sei morto figliolo.”
“Perché
papà, che vita farei, adesso che sono nelle sue
mire.” Siamo
talmente vicini che sento
il suo respiro. Non distolgo lo sguardo, perchè deve capire
e dovrà accettare.
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Capitolo 23 *** Mycroft, Sherlock e Eurus.... ***
Alla
sera finalmente mi dimettono e torniamo a Pall Mall. Sherlock
e John li avvisa mio padre, mi
concedono un po' di riposo lontano da Baker Street.
Abbiamo
un nuovo autista, sempre attento e solerte, però mi dispiace
di non rivedere il volto distaccato di Albert.
Anche l’auto è diversa,
l’altra è finita in officina.
Il
viaggio non è lungo, Mycroft non mi parla, credo stia
valutando la mia proposta.
La
villa Holmes è quasi immersa
nell’oscurità quando
arriviamo.
Il
silenzio ostinato di papà comincia a rendermi nervoso.
Pochi
minuti dopo ci raggiunge Anthea, finalmente respiro
meglio, almeno scambierò due parole con lei. Entra portando
del cibo da
preparare per cena, mette tutto nel frigorifero, mentre si accorge del
nostro
mutismo. Si defila e comincia a guardare Mycroft.
“Bene,
Sir, mi dica perché mi ha chiamato.” Gira
leggermente
la testa castana e mi sorride appena.
“Sherrinford
ha un piano pericoloso per Auberton, che
potrebbe funzionare, anche se sono indeciso, visto che si deve cacciare
in una
situazione pericolosa.”
Soffia forte, quasi
per allontanare il disagio, si passa la mano sulla nuca.
“Ne
ho già parlato a Sherlock mentre aspettavamo di tornare
a casa. Lui è d’accordo, ora voglio sentire cosa
ne pensi tu.” Mi
siedo silenzioso vicino al camino,
aspettando la reazione di Anthea che diventa seria, picchietta le dita
sul
tavolo dove si è seduta di fronte a papà.
“È
bravo, ce la può fare sir, l’ho visto come si
comporta
nel pericolo, il mio consiglio è di provarci.”
Torna a guardarmi, stavolta mi sorride.
“Se lo conosco, non starà a guardare,
meglio fare come dice. Lo
seguiremo costantemente.”
Papà si alza,
si ferma davanti a me che sono sprofondato nella poltrona di pelle
scura. Le
braccia lungo i fianchi, le mani aperte, arrendevoli.
“Va bene figliolo, faremo come dici. Non
farmi pentire della mia scelta.”
Annuisco
fiero della sua fiducia. “Sai,
che il mio comportamento sarà spiacevole
nei tuoi confronti. Ma non dubitare di me.”
Mi sono alzato, sono a pochi passi da lui, i nostri volti
troppo vicini.
“Non
lo farò, sai che sarò al tuo fianco. Tu cerca di
non
metterti in pericolo.”
Rilassa
le spalle, ma è forzato, vedo il dolore dentro ai
suoi occhi, gli allungo una carezza sul braccio.
Si
distoglie, è rapido a mascherarsi, lui è Ice Man,
ma mi
concede una smorfia che assomiglia ad un sorriso.
“Bene,
ora passiamo la serata, e domani a Baker Street
comincerai la tua recita, ma bada a Rosie. Dentro casa rimani lo
Sherrinford
amorevole che sei.”
Anthea
si ferma con noi, cuciniamo insieme, io aiuto quel
tanto che riesco. Lui ai fornelli ci sa fare, Anthea lo aiuta discreta,
apparecchio e trascorriamo la serata in compagnia, serenamente.
Mi
sento a casa, lei si dimostra essere una perfetta
compagnia per entrambi, papà si lascia andare. È
in camicia e gilet, con le sue
buffe giarrettiere sulle maniche, sorride spesso, anche se i suoi occhi
nascondono la preoccupazione.
Siamo
in armonia, la recita del figlio bastardo, messa da
parte.
Quando
Anthea va a preparare il caffè, prendo la mano di mio
padre che è seduto al mio fianco.
“Fidati,
andrà tutto bene, ti libererai di Auberton e
staremo meglio. Però devi stare sereno.”
Mi
guarda stupito, incapace di pronunciare una sola parola,
però mi stringe più forte la mano.
Anthea
ritorna portando il caffè, fa finta di nulla,
però
approva, capisce e questo mi basta.
Finiamo
la cena, lei va a casa e ci diamo appuntamento per
il giorno dopo.
Quando rimaniamo soli,
indugiamo seduti di fronte al camino, così chiedo a Mycroft
di Virginia.
“I
miei nonni materni sono vivi? Era figlia unica?”
La
domanda improvvisa lo spiazza, si raddrizza sulla
poltrona, accavallando le gambe.
“Che
domanda curiosa figliolo! Si,
i
suoi genitori sono ancora vivi ed ha anche una sorella,
Vittoria.” Liscia
con le mani la pelle logora della
poltrona. “Perché
mi chiedi questo?”
“Voglio
vederli, voglio capire cosa c’era di male nel
tenermi.” Alza
le sopracciglia e la sua
stretta sulla poltrona si fa più forte, scuote la testa, mi
guarda con
amarezza.
“Sherrinford,
certe cose devono rimanere sepolte, non ti
vollero allora, come credi di recuperare adesso?”
“Allora
concedimi solo di vederli. Hanno il sangue di mamma.
Voglio capire, papà.”
Non mi
farà desistere, lo sa bene.
“E
sia, finita questa storia li conoscerai. Dopotutto hai
ragione, fui io che sbagliai con Virginia, io la misi incinta troppo
giovane.
Io non la cercai.” È
scuro in volto, ma
regge il mio sguardo.
“Tu
l’amavi, perché angustiarti, e sai perfettamente
che non
fu colpa tua.” Lascia
la poltrona e si
versa del brandy. Si calma, sa che voglio capire, poi mentre si volta,
guardando il bicchiere, balbetta.
“Ci
sono anche i miei genitori, i tuoi nonni, che dovrai
conoscere.”
“E
chi altro padre? Temo che tu non mi dica tutto.” Non lo
mollo, lo seguo con lo sguardo. “In
casa
dello zio Sherlock c’era una vostra foto di quando eravate
bambini a Musgrave,
ed eravate in tre. Una era una bambina con le treccine. Chi era
papà?” Mi sporgo
in avanti.
Tace,
manda giù in un fiato il liquore.
“Uno
fra i più terribili sbagli che ho fatto nella mia vita,
quello che i tuoi nonni non mi perdonano.”
Si
lascia cadere nella poltrona, gira il bicchiere fra le
mani.
Mi
racconta di Eurus, di quella sorella sfortunata troppo
intelligente, che si è persa, di come ha ucciso delle
persone.
Parla
con dolore dell’incendio che provocò a Musgrave e
la
decisione dello zio Rudy, fratello della madre, di darla per morta. Eurus era troppo
pericolosa, così si adoperò
per farla rinchiudere in una prigione segreta, fu obbligato a tacere
per
proteggere la famiglia.
Ma la cosa più
grave
avvenne alla morte dello zio quando continuò a mantenere lo
stesso segreto per
anni. Fino a quando
Sherlock non scoprì
tutto, causando la liberazione di Eurus e tutta la devastazione che ne
seguì. Alla
fine ne uscirono vivi, ma
lei si perse definitivamente e andò
“oltre.”
Un posto dove nessuno può raggiungerla.
Le
ultime frasi gli escono deboli.
“Andiamo
a trovarla una volta al mese, a Sherrinford,
un’isola che ha curiosamente il tuo nome.
I tuoi nonni vogliono vederla. Sherlock
suona il violino insieme
a lei. Unico punto di
contatto che le è rimasto.” Si ferma assorto, lo
sguardo perso.
“Voglio
conoscerla papà.”
Si
alza di scatto, quasi grida. “Nemmeno per sogno, non ti
avvicinerai a lei.”
Lo
fisso insicuro, non capisco la sua reazione, sento dentro
di me che ha paura, mio padre è terrorizzato da
Eurus!
“È
rinchiusa, non farà danno, lascia che la veda quando
sarà
possibile.” Non
accetta, è intransigente
si allontana mentre mi dà di spalle scuotendo la mano.
“Ne
riparleremo, non ora, non adesso.”
È scosso, so che non si è mai
perdonato per
quello che ha fatto, forse capisco perché non frequenta
spesso i genitori.
Come abbia potuto
vivere con quel peso non riesco a comprenderlo.
Lo raggiungo mentre
è
di spalle e si sta versando altro brandy, gli fermo la mano.
“Non
serve papà, ora basta bere.”
Rimane
gelato, appoggia la bottiglia, tiene il bicchiere
vuoto tra le mani. Lo prendo, lo appoggio mentre si gira a guardarmi,
gli occhi
liquidi.
“Ci
sono papà, ora ci sono anch’io. Non dimenticarlo
mai.”
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Capitolo 24 *** Rosie e Mr. Trevor l'orsetto Zombie ***
Quando
mi risveglio, il sole si è già affacciato alla
finestra e riempie la stanza. Mycroft
brontola davanti alla mia porta sostenendo che siamo in ritardo.
Mi
alzo in fretta, lui non ha molta pazienza, avrei voluto
rimanere sprofondato sotto le coperte, ma i ritmi di papà
non lo permettono.
Quando
scendo ha preparato la colazione e ci godiamo ancora
un po' di compagnia reciproca.
Pane
tostato, marmellata, latte, tè e biscotti. Tutti
ordinati e in fila come sempre, sorrido pensando al suo maniacale
criterio di
precisione.
Lui
mangia lentamente, oculato, mentre io sono la solita
furia. Così finisce per sgridarmi.
“Dio,
ragazzo, ma che fretta hai? Mangi
peggio di Sherlock.” Finiamo
per ridere, mi riempie il cuore
vederlo sereno.
“Quando
ci vedremo? E
come mi devo comportare? Hai già stabilito un
piano?”
Tentenna
mentre beve il tè.
“Comincerai la tua recita da subito, ma solo in
pubblico. Anthea metterà
in giro voci su di te, ti preparerà il terreno.” Annuisco e mando
giù un biscotto in fretta.
“La
tua inquietudine è partita dal rapimento, sei diventato
impaziente, non vuoi correre pericoli per colpa mia.” Mi fissa cercando
sicurezza e determinazione
nei miei occhi.
“Tranquillo
papà so quello che devo fare.”
“Bene,
figliolo, è ora di andare.”
Si alza un po' appesantito, riordina come
sempre, poi si ferma si volta con le stoviglie in mano.
“Come
stai? Non te l’ho ancora chiesto, sono stato
mancante.” So quanto è ansioso. “Bene,
sto bene papà.”
Lo raggiungo e lo
abbraccio, non ama essere toccato, ma lo forzo e sento che allunga le
braccia
indeciso. “Concedimelo, non so quando potrò farlo
ancora.” Mi
cinge le spalle goffamente, e mi basta.
Si
ricompone veloce, due colpi di tosse lo tradiscono,
mentre lo aiuto a sistemare la cucina.
Usciamo,
getto un ultimo sguardo alla casa, alla pace che la
pervade da sempre.
L’auto
è già pronta. Per
tutto il viaggio rimaniamo silenziosi,
solo alla fine mi dice che mi prenderò del tempo per guarire.
“Tra
dieci giorni c’è un ricevimento
all’ambasciata, ci
sarai anche tu, avvicinerai Auberton.
Anthea si
occuperà di istruirti, inizierai
il tuo gioco.”
Cala
nuovamente il silenzio, arriviamo a Baker Street.
Scendiamo insieme dalla berlina scura, ma senza avvicinarci. Mantengo
un
rapporto distaccato, annoiato.
Mycroft
ha capito, fa un breve cenno con il capo. Ci sono
telecamere ovunque, meglio iniziare la commedia da subito.
Saliamo le scale, e
assorto come sono non penso a Rosie.
Appena
dentro mi accorgo dell’errore, lei mi corre incontro,
mentre John tenta di trattenerla.
Non
l’hanno avvisata.
Si
blocca smarrita, mi guarda terrorizzata e scoppia a
piangere disperata, senza che sia riuscito ad afferrarla.
“Per
Dio! Dovevate dirglielo, mi ero raccomandato su
questo.” Sbrocco rabbioso.
Passo
in sequenza prima mio padre, poi Sherlock, tutti con
il volto contratto.
Fermo con la mano
John e vado velocemente nella stanzetta dove Rosie è
scappata.
So che sono un
disastro da vedere e lei non se lo aspettava.
È
buttata sopra il suo lettino rosa, che piange, la
testolina sotto le coperte, la manina sporge
e stringe il suo orsetto preferito, Mr. Trevor, talmente
forte che
sembra spezzarlo. Le parlo piano, cercando di non spaventarla.
“Rosie,
non guardarmi se ti fa paura, ma sappi che sto bene
e non soffro. Te lo giuro.”
Sussulta,
smette di piangere, frigna un po'.
“Cosa
hai fatto? Perché sei tutto tagliato?” Parla da sotto la coperta,
mi siedo sul bordo
del letto e le racconto tutto.
Lei
è intelligente, non c’è bisogno di
considerarla viziata
e stupida.
Ascolta,
vedo la manina tremare insieme a Mr. Trevor, mentre
scosta la coperta e comincia ad accettare le mie ferite.
“Sei
tutto bucato, e anche sulle mani. Sono stati cattivi
con te, ma lo zio Myc li punirà.”
Non
posso fare a meno di sorridere, mentre si avvicina e
comincia a contare i tagli sulla fronte.
Come
si fa a non amarla? Così dolce e sincera, mi sento un
verme a farla soffrire, le accarezzo la testolina bionda e inizio a
giocare con
lei.
“Che
ne dici se curiamo Mr. Trevor? Anche lui ha avuto un
incidente. Il tuo
orsetto ha bisogno di
cure! Aspettami qua!” Esco dalla stanza e rubo dei
cerotti a John,
che mi fissa sconcertato, gli faccio cenno che va tutto bene.
Gli
Holmes mi scrutano dubbiosi, seduti nei loro immancabili
posti di fronte al camino.
Rosie
mi aspetta, si è seduta con le gambe incrociate sul letto,
le faccio vedere i cerotti e scoppia a ridere felice.
Non vede più la
mia
faccia graffiata. Iniziamo
a curare Mr.
Trevor, che si è fatto molto male, lo riempie di cerotti in
ogni dove. Alla
fine è coperto così tanto che devo fermarla.
“Rosie,
lasciane un pezzetto libero! Mr.
Trevor non respira più!”
“Guarirà
prima, Sherrinford, ne hai tanti anche tu!”
Lo ammetto, ha ragione, ora le si sono
asciugate le lacrime, la prendo per mano e usciamo.
Corre dal padre e dagli zii mostrando
orgogliosa il suo capolavoro:
Mr. Trevor,
l’orsetto
zombi.
La
famiglia, scoppia a ridere, ed è tutta lì. Mi avvolge una sensazione
di benessere, so
che lotterò per tenermela stretta.
Qualsiasi
dolore possa attraversarla, io ci sarò.
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Capitolo 25 *** Iniziare la recita. ***
Trascorro
una settimana in completo relax, John cura le mie
ferite e trascorro del tempo con Rosie. Le spiego che non posso
accompagnarla
alla scuola, perché le persone cattive sono ancora in giro
ed è rischioso.
Papà non
è venuto
spesso a trovarmi, per non destare sospetti, deve apparire evidente che
ci
detestiamo. Esco con Anthea una settimana dopo, quando mi sento meglio.
Ormai
mi sono rimasti pochi segni in faccia, e le mani sono del tutto libere.
Il prossimo
martedì
sera c‘è il ricevimento all’ambasciata.
Così usciamo per acquistare uno smoking
completo di tutto.
Come
al solito saliamo sulla berlina nera, ormai rimessa a
nuovo, e trovo con sorpresa Albert alla guida che mi sorride.
“Mi
mancavi, finalmente sei ritornato, la “bestia” ti
aspettava.” Gli
batto la mano sulla
spalla, anche se Anthea non ama che mi prenda troppa libertà
con gli uomini di
Mycroft.
Mi
spinge dentro, mentre io mi diverto a vederla
imbronciata.
Albert
ci porta in un elegante negozio nella City, mentre
lei segue ogni mio
passo.
“Affascinante,
Sherrinford.”
Mi sorride quando esco dal camerino, vestito che sembro la
versione
giovane di Mycroft. “Notevole, ci sembri nato
dentro!” Esclama quando mi vede.
“Anthea,
smettila di prenderti gioco di me! Sembro un
pinguino ammaestrato.” Ci
scherzo un
po', sono un po' impacciato, non ho la classe di papà.
Lei
ride, una fila candida di denti, le labbra carnose.
“Vedrai che ti muoverai bene.”
Poi mi
fissa pensierosa.
“Sai
ballare?” Mi
volto mentre mi trovo davanti allo specchio impettito come un navigato
lord
inglese. Increspo le labbra. “Effettivamente, non molto, ma
all’istituto c’è
stato uno scambio culturale con una scuola di danza e qualcosa ho
appreso.” Si
avvicina mi sistema il
papillon.
“Sei
una sorpresa costante Sherrinford!” Abbasso la testa,
è
decisamente troppo vicina, ha un delicato profumo fruttato. Se ne
accorge,
mentre il rossore mi sale sul viso.
“Holmes
dovrai imparare a gestire le tue emozioni o
scopriranno le tue menzogne. E’ gente scaltra. E bada che non
dovrai bere, ma
fingere, mi occuperò io di reggerti il gioco.”
Le spiego che sarò un po' rude con lei, visto
che dovrà starmi vicino.
“Anthea,
sai che mi comporterò non proprio da gentleman,
spero capirai.” Lei annuisce e mi accarezza un braccio mentre
mi spinge in
camerino a cambiarmi.
“Lo
so cosa farai, se allungherai le mani vedrò al momento
come reagire. Tu che ti prendi delle libertà con me
irriterà molto Mycroft, e
renderà la situazione credibile.”
Mi
giro di scatto.
“Papà
lo deve sapere, non voglio che soffra inutilmente.”
“Stupido,
lo sa! Cosa credi che sia? Uno
sprovveduto?” Mi
chiude dentro allo spogliatoio, sbuffando.
Usciamo
mentre l’auto con Albert ci aspetta. Gli mostro la
busta del negozio.
“Spero
non ti sarai stancato, comunque ho uno smoking nuovo
di zecca.” Anthea
mi lancia uno sguardo
severo. Non approva
la confidenza che ho
con lui. Le faccio
spallucce. “Albert,
ci accompagnerai tu all’ambasciata?”
“Non
mancherò giovane Holmes.”
Guardo Anthea chiedendogli con gli occhi se
sappia della recita.
Annuisce,
è fidato, ha rischiato per noi. “Bene Albert, che
ne dici di portarmi da mio padre a litigare un po'?”
Anthea
sospira allarmata. “E dai, sarà carino cominciare
a
fare il bastardo.”
“Lui
non lo sa!” Scuote la testa.
“Avanti,
sei sempre in contatto, digli che arrivo, e sono
molto incazzato.”
“Sherrinford!”
sbotta, però poi ride. “Va bene
vediamo come ti comporti.”
Il
viaggio è breve. Entriamo nel cortile interno, scendo
dall’auto sbattendo la porta annoiato, mi ficco le mani nelle
tasche, inizio a
seguire Anthea, fissandole il fondo schiena con fare strafottente.
Lei
si scansa e mi spinge in malo modo. “Smettila.
Comportati da uomo.”
“Lo
sto facendo.” Le restituisco un ghigno arrogante. Lei mi
ignora e percorriamo il corridoio sotto le telecamere che ci
riprendono.
Non
c’è che dire, è brava, capisce al volo.
Prendo
a smanettare con il cellulare, non salutando nessuno,
altezzoso quanto basta.
Purtroppo
incontriamo Lady Smallwood, e la recita si fa
tesa.
“Sherrinford,
che piacere rivederti.” Mi viene incontro,
Anthea tenta di portarmi via dicendo che siamo in ritardo. Mi afferra
per il
braccio, mi scosto con rabbia e la spingo via. Uno sguardo di intesa
passa tra
noi. Mi lascia fare. “Alicia, che piacere, devo vedere mio
padre.” Una
smorfia di disgusto mi passa in volto.
Lei la nota.
“Beh,
è tuo padre, avrà i suoi motivi.” Mi
metto a ridere.
La prendo sottobraccio come se dovessi confidarmi.
“Quali
motivi può avere quel vecchio pezzo di marmo? Dio
Alicia, è solo uno spocchioso irritante. Credo di averlo
inquadrato meglio
adesso, che mi hanno rapito e quasi ammazzato per colpa sua!”
Si
stacca da me sorpresa, mi aveva conosciuto per un giovane
a modo, ora vede tutt’altro.
“Sherrinford,
lui ha un lavoro difficile, il tuo modo di
fare è sconcertante.” Le sorrido torvo.
“Avrei
preferito un padre diverso, molto più
“ricettivo,”
diciamo. Lui è semplicemente un avaro patologico, tiene i
suoi soldi lontani
dalle mie tasche. Voglio quello che è mio.”
Alicia balbetta stupita.
“Non
meriti il padre che è. Lui è un uomo certamente
migliore di te. Piccolo impertinente senza cuore.”
“Oh,
lo posseggo un cuore, Alicia, ma certamente non per
gente come voi. Vecchi ruderi senza sentimenti.” Si gira offesa e se ne va
via senza dire più
nulla. Anthea è impietrita, la strattono e la spingo via.
“Ci
sei andato giù pesante.” Mormora a testa bassa per
non
farsi riprendere.
“È
quello che voglio, lo dirà in giro senza
pietà.”
“Bene,
speriamo funzioni, perché ci costerà parecchio in
fatto di stress.” Entriamo
nell’ufficio
di papà che sembra turbato, ha visto e sentito tutto dalle
telecamere a
circuito interno, quindi anche gli altri colleghi.
“Dio
figliolo, sei stato sorprendente. Per non dire altro,
Alicia mi perseguiterà.” Faccio segno di tacere.
“Siamo
al sicuro tranquillo, questo posto è protetto.” Si
alza, mi viene vicino. “Ci costerà questa farsa, a
tutti e due. Diventerai
odioso e crudele, ti eviteranno come la peste.”
“Voglio
Auberton papà, voglio uscire e accompagnare Rosie in
sicurezza, non vivere blindato! Dopo avrò tempo per
spiegare.” Annuisce
silenzioso. “Va bene, allora continuiamo.”
Lo afferro per il braccio.
“Sai che ti voglio
bene, qualsiasi cosa farò o dovrò dirti. Dimmi
che hai capito.”
Lo
fisso intensamente mentre lo tengo fermo.
“Lo
so, figliolo, ho capito.”
Ora posso lasciarlo andare, Anthea socchiude
gli occhi, mi manda un semplice sorriso tirato, approva anche se
è consapevole
che ci costerà molto, più di quanto pensiamo.
“
|
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Capitolo 26 *** Il ricevimento all'ambasciata Prima parte ***
Martedì,
il giorno del ricevimento all’ambasciata, mi
preparo mentalmente, mi riposo e prendo accordi telefonici con Anthea.
Prima
che mi venga a prelevare, John mi scruta con attenzione, mi chiede se
sto bene.
Sono nervoso, ma sono determinato.
“Sherrinford,
metti le medicine in tasca, mi sento più
sicuro se le porti con te.”
Annuisco
silenzioso. “Va
bene Doc, dà un bacino a
Rosie.” Torno
in camera, vado sotto la
doccia, mi sbarbo e indosso lo smoking.
Quando
ho quasi finito, John mi aggiusta il papillon.
“Sei
elegante Sherrinford,
Mycroft sarà orgoglioso di te.” Gli
vedo le mani insicure, è preoccupato
e un po' mi fa piacere essere nei suoi pensieri.
“John,
oggi sarà di tutto, tranne che orgoglioso, visto come
mi devo comportare!”
Mi
sento parte della famiglia, e ne sono fiero.
Anche
lo zio Sherlock mi guarda severo.
“Sii
prudente Hayc, Auberton è un serpente.
Sai cosa devi fare.”
Lo rassicuro al meglio che posso.
“Starò attento, è ora che
dia una mano a
papà.” Sorride compiaciuto si gira per prendere il
violino.
Suona
un pezzo allegro e mi sento sollevato. Mi aggiusto il
cappotto costoso come quello di Mycroft.
Anthea
arriva puntuale e dopo un breve saluto alla mia stravagante
famiglia, partiamo per la recita del secolo.
La
berlina nera ci aspetta, dentro alla guida c’è
Albert, mi
saluta con un cenno del capo.
Lei
non ha aperto bocca, ma sento la tensione tra noi. Ci
sprofondiamo sul sedile, allunga la mano e mi
stringe il polso, ci osserviamo, fa un cenno di intesa col capo.
“Va
bene, sono pronto.” Ritorno a guardare la strada, mentre
l’auto scivola via lenta.
L’ambasciata
ci compare davanti in tutta la sua maestosità,
illuminata a giorno.
Scendiamo, Anthea mi
aspetta, io indugio con l’aria insofferente. Poi
l’avvicino, la seguo annoiato.
Dentro mantengo la calma, ma è solo apparente.
Nella
Hall, consegniamo i cappotti al guardaroba, mi
aggiusto la manica e tiro il polsino mentre osservo con finta
indifferenza il
lusso che trasuda da ogni dove.
Anthea
è bellissima, fasciata in un abito nero con una
scollatura generosa sulla schiena, non mi sforzo a fingere mentre la
ammiro
strafottente, allungo una mano che evita decisa.
Lo
smoking mi rende giustizia, sono elegante e bastardo al
punto giusto. Ho accorciato i capelli, con un taglio sobrio. Magro e
alto come
mio padre, di cui ho acquisito un alone di potere essendo suo figlio,
imito il
suo portamento e mi riesce bene.
Entriamo nella sala,
mentre altezzoso vado subito al banchetto a riempirmi il bicchiere. Anthea è come
un’ombra, sempre attenta e
abile attrice.
Mi
scosta il bicchiere, me lo fa posare, le mando un
grugnito mentre tento di liberarmi di lei.
Entra
Mycroft, mantiene le giuste distanze, lo saluto con un
sorriso beffardo.
Prima
che lei possa fermarmi lo raggiungo e mi pianto
davanti.
“Padre!”
Lo apostrofo ghignando. “Che fai prepari una
guerra? O l’ennesimo accordo economico tra Stati? Hai una vita intensa,
tutta lavoro e niente
affetti.” Rido toppo forte, troppo sguaiato.
Anthea
si para di fianco cercando di proteggerlo. Mycroft è
visibilmente imbarazzato, sorpreso dalla mia piazzata.
Auberton entrato poco prima, assiste alla
scena. Un piccolo
cenno di intesa passa
tra noi tre. Papà si scosta, lo ostacolo ridendo, Anthea mi
trascina via, per
mettere fine alla sceneggiata.
Le
lancio un’occhiata velenosa, allungo un pò troppo
la mano
sul retro della scollatura scivolando in basso. Tutto tra gli sguardi
allibiti
degli ospiti.
Lei
è brava a dribblare, mi pianta seccata. Inizio a girare
annoiato, mi fermo tra un gruppo di gente che chiacchiera e
infastidisco chi mi
capita sotto.
Intanto
seguo Auberton, Anthea è vicino a mio padre che
parla fitta mentre tento il primo approccio con lui.
Con
il bicchiere in mano lo urto. “Mi scusi.” Lo guardo fisso.
“Forse la conosco, è un collega
di mio padre?”
Cerco
di pulirlo e faccio di peggio. È seccato e non lo
nasconde. “Ragazzo
dovresti tornare tra
le braccia di tuo padre o si preoccuperà.”
È viscido, e questo mi spinge a
continuare. “Chi?
Il pezzo di marmo che
ha in mano la Governance?”
Ammicco. “Non
ci tengo.
Preferisco stare da solo come ho sempre fatto.”
Appoggio il bicchiere mentre non guarda e ne prendo un
altro, non ho
bevuto nemmeno un goccio, ma sono l’ubriaco perfetto.
“Sir
Auberton, lo sa che per colpa del vecchio Holmes,
qualcuno ha tentato di rapirmi? Guardi che bei ricordi mi hanno
lasciato in
faccia.” Fingo un passo falso e lo urto. “Mi scusi
ancora.” Mi
guarda perplesso, incapace di reagire, si
chiede dove voglio arrivare.
“Forse
abbiamo in comune più di quanto sembri.” Gli pianto il viso troppo
vicino, si
scosta. “Per
esempio, so chi è stato a
farmi questo. Diciamo non voglio succeda più. Non voglio
entrare nelle beghe di
potere del mio amato padre.”
Rimane muto e mi
studia. Allora semino il dubbio, gli sibilo secco.
“È
stato lei, Sir Auberton, per quel maledetto portatile che
tanto desidera.” Ora il gioco è partito, Auberton
mi scruta, la mascella
talmente stretta che posso sentire i denti stridere. Fa segno di
seguirlo.
Andiamo
in un posto appartato, mentre mi dà di spalle, metto
giù il bicchiere e rapido ne prendo uno vuoto. Siamo sulla
porta della
terrazza, ha il volto tirato nero di rabbia.
“Non
sei chiaro, ragazzo! Come sai queste cose?” Ha la voce
incolore come se trattasse con un bambino viziato.
“Perché
le ho sentite dal vecchio.” Ora ho la sua
attenzione, lo osservo arrogante.
“Via,
Sir Auberton non faccia torto alla sua
intelligenza! Chi,
se non lei, aspira al
posto di Holmes? E
ai codici di accesso
di quel portatile, che si porta sempre dietro?”
Assumo
l’aria sfrontata e lo prendo sottobraccio, con una
confidenza che mi concede nonostante tutto l’odio che non
riesce a nascondere.
“Holmes
sa che è stato lei, la vuole incastrare e io voglio
entrare nel gioco. Se
ne starà
tranquillo e io le porterò il laptop, ma voglio tutte le
chiavi di accesso ai
conti Holmes. Il
resto se lo può
tenere.” Mi avvicino al suo orecchio.”
Sarà travolto dallo scandalo, ma
starà zitto, si sente stupidamente in
colpa per avermi abbandonato. Non
tradirà il sangue del suo sangue.”
Vedo
Anthea arrivare con il giusto tempismo.
“Eccolo
il cane da guardia di papà!
Ci sentiamo più tardi appena me ne
libero.”
Mi fa un gesto di
intesa. Auberton si scosta mentre Anthea mi afferra per la manica e mi
trascina
via. “Sir Auberton spero Sherrinford non L’abbia
infastidito, è bravo a perdere
tempo in cose inutili.” Fa credere di essere preoccupata per
qualcosa che posso
avergli detto.
Le
metto la mano nel fianco e scivolo dietro.
“Che
dice della solerzia di Anthea? Lei è così brava a
obbedire a papino. Vero cara?”
Si
toglie la mano dalla schiena, mentre ridacchio e lei finge imbarazzo.
“Come sono devoti
i
servitori di mio padre? Farebbero di tutto per lui!
Vero Anthea?”
Lei arretra e mi spinge via. Strizzo l’occhio al
serpente e me ne vado.
Sono
un pò in difficoltà, lei lo sente, mi porta in un
posto
appartato vicino ai bagni e mi spinge in un ripostiglio.
Mi
scruta mentre riprendo fiato. “Stai bene?”
“Si,
tranquilla.” Metto le mani in tasca e stropiccio il blister
delle medicine. Non ne ho bisogno, non ora, così le racconto
come è
andata. “È
parecchio sospettoso, ma
sembra che stia abboccando, ora
devo
vedere se ci accordiamo.”
“Vorrà
qualcosa in cambio, una prova che dici il vero, devi
essere bravo a fingere. E a prendere tempo.”
Mi
sorride e mi fa una carezza leggera sul viso. “Hai messo
tutti in allarme, sono andati da Mycroft a lamentarsi del tuo
comportamento
oltraggioso.”
“Povero
papà, starà soffrendo, ma spero di consegnargli
Auberton come rimborso.”
“Già.”
Sospira increspando le labbra. “Ora vediamo di
portare a casa la partita.”
Usciamo
guardinghi, ma appena vedo Auberton alla fine del
corridoio, la stringo e cerco di baciarla. Anthea è scaltra,
dapprima si
divincola, poi cede, la tengo con forza e avvicina le sue labbra alle
mie. Peccato, ho
promesso a papà di essere un
gentleman. Lei così vicina non mi capiterà mai
più.
Auberton
controlla, sghignazza, alza il bicchiere verso di
me approvando la violenza che sto facendo ad una donna.
Maledetto
serpente, Anthea sente che mi irrigidisco, mi
sussurra all’orecchio. “Non farti prendere dalla
rabbia, tienila fuori. Avrai
tempo per vendicarti.” Ci stacchiamo mentre lei torna da
Mycroft. Io seguo
Auberton. Entra nella stanza degli
Arazzi e lo trovo con un tipo al seguito. La sua guardia del corpo.
“Lui
è Serge, è fidato.” Lo sguardo cade sul
vestito costoso
che indossa ma non è armato, non certo stasera.
“Caro
Holmes se riesci a portarmi quel laptop, avrai quello
che ti spetta. E intanto starai al sicuro da brutti
inconvenienti.” Alzo
lo sguardo al cielo.
“Finalmente
qualcuno
di intelligente in mezzo a questo parco di mummie! Sta bene, Sir
Auberton,
quando lo avrò mi farò sentire, ma non credo mi
ci vorrà molto, mio padre è
piuttosto stupido quando si rapporta con me.”
Ridiamo con voce piena, ma improvvisamente si ferma.
“Però
c’è una condizione Holmes, devi dimostrarmi che
sei
serio, che non stai facendo un triste giochetto a favore di tuo
padre.” Ecco
quello che Anthea aveva preannunciato, vuole una prova.
“Nella
biblioteca c’è una telecamera di sicurezza,
trascinaci tuo padre e dagli il benvenuto piazzandogli un bel pugno in
faccia.
Puoi rompergli le labbra o il naso, vedi tu, ma deve sanguinare e
bene.”
Mantengo la calma, la cerco nel profondo di me stesso, non deve
trasparire
l’angoscia che sento. So che devo farlo anche se mi costa. Così gli rido
in faccia.
“Dovrò
farmi
perdonare, questo allungherà i tempi per sottrargli il
laptop. Però
si può fare e lo faccio volentieri. Quello
spocchioso taccagno se lo merita.”
“Ti
contatterà Serge, e vedremo di essere tutti
contenti.”
Raggiungo
la porta. Mi
volto, mentre stringo la maniglia. La
faccia scura di rabbia per quello che devo fare, per come lo devo fare.
La voce aspra.
“Sir Auberton, non sono così stupido
come sembro, ho vissuto la mia vita
in un istituto. Non provi a fare il doppio gioco con me. Non sono
tollerante
come Mycroft, e si rammenti bene il mio nome: Sherrinford Haycok
Holmes.”
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Capitolo 27 *** Il ricevimento all'ambasciata. Seconda parte. ***
Esco
dalla porta imprecando, colpire papà non mi piace, ma
dobbiamo continuare la farsa. È importante prenderlo con le
mani sul portatile
e nel frattempo tenerlo lontano da me. Anche se rivelassi i nostri
colloqui
sarebbe la mia parola contro la sua e ne uscirebbe pulito.
No!
Scuoto la testa, continuare è necessario, costi anche
dolore. Potrebbe arrivare anche a colpire Rosie e tutta la mia
famiglia, va fermato
e in modo definitivo.
Anthea mi raggiunge,
cerco di appartarmi spingendola lungo il muro con un approccio un po'
spinto e
le rivelo all’ orecchio quello che devo fare.
“Tranquillo,
organizzo tutto io con tuo padre. Tu vedi di
colpirlo da destra a sinistra e ti prometto che sanguinerà
dal naso, come da
copione. Tu fa solo quello, la lite gestiscila tu.”
Acconsento mentre le
appoggio la guancia sul suo volto.
“Mi
raccomando Anthea non voglio fargli male per colpa di quel
bastardo.” Le
stringo i fianchi. “Hai
visto Serge lo
scagnozzo? Sta girando per la sala e ci osserva.” Mi dà un bacio
sul collo. “Visto e segnalato.
Me
ne allunga un altro sull’orecchio. “Anthea, quanto
tempo
vuoi.” Mi passa le mani sotto la giacca.
“Venti… dammi venti minuti. Vai in
bagno, fingiti imbarazzato.”
Mi
stacco, mentre mi spinge via ridendo, mi guardo il
cavallo dei pantaloni, scivolo in bagno brontolando, devo prendere
tempo. Darle
quei venti maledetti minuti! Poi
ripasso
mentalmente: destra sinistra. Destra, sinistra all’infinito.
Entro
in un bagno e mi siedo sul water con la testa fra le
mani, una sottile paura mi prende e mi scivola lungo la schiena. Non
sono così
forte come sembro, però non lascerò nulla a
metà. Lo faccio per dimostrare a
papà che sono un Holmes. Che sarò al suo fianco
sempre.
Quando
esco fatico a rientrare nella parte del figlio
irrequieto, ma è solo un attimo. Mi dirigo verso la
biblioteca. Anthea
guarda caso chiacchiera con papà lì
vicino. Cammino fingendomi mezzo ubriaco.
Lo trascino dentro con una scusa, ma vuole che Anthea
rimanga, e io
acconsento annoiato.
“Padre,
questa serata è qualcosa di devastante, potevo
rimanere a casa.”
Lui mi fissa adirato,
Mycroft è bravo a recitare, Sherlock mi ha detto che
è stato un’ottima lady Bracknell,
“Nell’importanza di chiamarsi Ernesto.”
“Non
hai fatto altro che importunare Anthea.” Ghigna
irritato.
“Era
l’unica persona viva qui dentro. Ma mi sembra sia
d’accordo.” Le strizzo l’occhio, Anthea
è imbarazzata ma regge il gioco.
“Devi
portarle rispetto, sembri un animale in calore.”
Sbuffa camminando avanti e indietro. Le mani nervose stringono la
stoffa della
giacca. Non capisco se finge o invece è realmente teso.
“Non
ti ho chiesto di venire, mi hai trascinato in mezzo
alle tue lotte di potere. Guarda come mi hanno ridotto. Non voglio il
tuo
posto, voglio quello che mi spetta per gli anni di
abbandono.!”
“Per
sprecare il tuo tempo a non fare nulla? È questo che
vuoi? Sei solo un arrogante…senza cuore, degno figlio di tua
madre.” Mettere
in mezzo mia madre è un colpo di
genio, mi rende tutto più facile, anche
l’eventuale perdono che verrà dopo.
Lo
avvicino con i pugni serrati, lui si è fermato giusto
davanti alla piccola telecamera nascosta, ma visibile ad un occhio
esperto. È
attento, ora sa che devo
colpirlo.
Destra,
sinistra.
Destra,
sinistra.
È
pronto lo vedo dal guizzo degli occhi.
Parte
il pugno, non devo titubare, lo tocco, ma lo sfioro
perché è stato pronto a voltare il capo. Barcolla
più del necessario girando il
corpo di spalle alla telecamera. Anthea
è veloce lo sorregge e lo copre con un fazzoletto
già intriso di sangue
finto. Quando si
gira inveendomi contro,
lo stringe tamponando il naso, così rosso che sussulto.
La
recita è accettabile. Mycroft mi scosta con rabbia quando
esce. Anthea lo sorregge, lo porta via, mi strizza appena gli occhi.
Devo
smettere di tremare, ma è giustificabile perché
potrebbe essere dovuto alla rabbia.
Esco
inviando uno sguardo compiaciuto alla telecamera di
sicurezza, se ha funzionato lo saprò tra poco.
Mi
aggiusto, riprendendo la calma. Esco dalla biblioteca,
con quell’aria seccata di superiorità,
massaggiandomi la mano che ha colpito
Mycroft, probabilmente lo avranno visto uscire ferito, insieme ad
Anthea,
perché mi fissano tutti. Devo essere risoluto, niente
rimorsi arrivati a questo
punto.
Auberton
è nella terrazza, Serge è vicino a lui con un
sorriso fastidioso, avrei voglia di cancellarglielo dal volto.
Non
hanno dubbi, perché hanno visto Mycroft passare
imbarazzato coperto di sangue. Lui non si presterebbe mai ad una tale
recita,
perché la sua reputazione è al primo posto.
È il British Government,
l’affidabilità in persona.
Quando
lo raggiungo Auberton è appagato.
“Bene
Holmes, vedo che sei deciso. Allora vedi di portarmi
il laptop, avrai quello che vuoi, ti darò le password del
patrimonio Holmes. E
starai tranquillo fino ad allora. Il tuo bel faccino sarà
salvo.”
“Sir
Auberton, stia sereno. Ma se vuole giocare sporco le
scatenerò dietro l’ira di mio padre. Ne stia
certo.” Perde
per un attimo il sorriso, mi sono
sbilanciato, ma non ho resistito.
“Bello,
sfrontato…. e cazzuto Sherrinford, la parte nera
degli Holmes!”
“Già.
La parte peggiore.”
Gli sibilo all’orecchio, mentre me ne vado.
Serge freme, ma si
ferma mentre mi giro a fissarlo sfacciato, Anthea mi raggiunge furente
per
quello che ho fatto al suo capo. E principalmente per togliermi dagli
impicci.
Arrabbiata
e furiosa si sta preparando a schiaffeggiarmi, la
mano si muove, parte con un sonoro ceffone, che trattengo prontamente.
Rido
mentre le stringo il polso, noncurante della vicinanza di Auberton le
appoggio
la mano sul fondoschiena e la spingo via mentre si dimena per assumere
un’aria
distaccata.
Usciamo
tra gli sguardi dei presenti mentre mi rilasso
pensando che è finita, almeno per ora.
Ho
infangato per bene papà, ora tutti sanno che sono un
mascalzone della peggior specie.
|
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Capitolo 28 *** Una pausa dopo il ricevimento ***
Passiamo
dal retro, Anthea
mi vede in difficoltà. Il lungo
corridoio non finisce mai, non vedo l’ora di uscire dalla
sorveglianza delle
telecamere. Mi
affianca, mi prende per
la via e finge un abbraccio. “Forza Hayc ci siamo quasi,
Albert ci aspetta.”
Non rispondo mi limito ad annuire, mi sento stremato.
Alla
fine dopo essere scesi per l’ennesima scala di marmo
bianco, siamo nel giardino interno. Vedo Albert in piedi di lato alla
“Bestia,”
la berlina nera e mi ci butto dentro.
Albert
oscura i vetri, Anthea è salita parte rapido.
“Come
sta papà?” È la cosa che mi preme di
più. Ho cercato di non fargli del male,
ora ne voglio la conferma.
“Sta
bene, l’hai appena toccato, mi ha detto che devi stare
tranquillo, appena è possibile si farà sentire,
non vuole destare sospetti non
dopo tutto il lavoro che hai fatto.” Cerco di respirare a
ritmo, ma mi è quasi
impossibile. Annaspò aria.
“Sherrinford respira, è finita sei stato
bravo.” Mi allunga una carezza poi mi
prende il polso, ascolta il mio cuore. “Sto bene,”
ma mi esce un fiato
soltanto. Armeggia con il portaoggetti sul sedile e prende un
saturimetro, lo
infila nel dito della mia mano. Le rivolgo uno sguardo truce.
“Anthea, per
pietà sto bene!”
“Non
essere stupido, tuo padre mi ha dato degli ordini e io
li eseguo. Se è per questo,” incida quel coso in
filato nel mio dito, che
lampeggia impietoso, “abbiamo anche un defibrillatore, e sia
Albert che io
abbiamo fatto un breve corso.”
Sbuffò
risentito girandomi verso il finestrino, ma la lascio
fare perché stanco lo sono davvero.
“Mycroft
non lascerebbe nulla al caso lo sai, tantomeno la
tua salute.” Ha
la voce calda, vede che
è più lo stress che ho subito, che il mio cuore
malandato.
“Non
dirlo a papà.”
Le mormoro tornando a guardarla con il capo abbandonato su
sedile.
Ammicca. “Lo sai che
non posso. Ora rilassati, so
che stai
bene.” Chiudo
gli occhi e rimango
silenzioso per il resto del viaggio.
A
Baker Street scendo fingendomi ubriaco, lei mi accompagna.
Saluto Albert per
la pazienza che
dimostra.
“Si
riprenda giovane Holmes, è stato un ottimo
attore.”
Sorrido e scendo, la
voce di quanto sia
un figlio bastardo e ingrato circola nell’ambiente.
A
casa Anthea mi lascia alle cure di John che mi ha
aspettato alzato, nonostante sia tardi.
“Eccolo
di ritorno, dottor Watson lo metta a letto.” Non ho
il tempo di replicare perché Anthea esce rapida e John mi
trascina in camera.
“Stai
bene?” Mi scruta attento.
“Avanti
John, vi state preoccupando troppo, così mi rendete
le cose difficili.” Agita la mano allontanando un pensiero
cattivo e fa per
uscire.
“Va
bene, mi fido prendi le tue medicine e fila a letto.
Fallo, perché sennò domani ti lasciò
Rosie per tutto il tempo a
sgridarti.” Ridiamo
entrambi, già
immaginando il faccino imbronciato della
piccola peste.
“Va
bene, farò tutto alla perfezione.” Gli chiedo di
Sherlock. “È da Mycroft per chiarire questa
situazione. Ora dormi e basta
pensieri.”
La
giornata è finita, Auberton
è nella
nostra ragnatela, vedremo
cosa succederà nei prossimi giorni.
Mi
addormento senza nessun sogno.
La
mattina si apre con il profumo di caffè che invade la
camera. E naturalmente Rosie che si avvicina quatta al letto.
Non
serve a niente ficcare la testa sotto al cuscino, perché
lo scosta e me la ritrovo che mi fissa felice.
“Quando
mi accompagni a scuola? Lo zio Myc ha trovato i
cattivi che ti hanno fatto del male?”
Brontolo
mezzo addormentato.
“Non ancora cugina, ma vedrai che presto
potrò accompagnarti.”
“Sei
un pigrone! Alzati vieni a fare colazione.” Mi tira le
coperte, che finiscono a terra.
“Rosie,
vattene su lasciami dormire.”
Faccio finta di girarmi, mentre delusa
abbassa la testolina bionda. E si volta per andarsene.
Salutò giù dal letto
rapido, la afferro e le faccio il solletico.
Ride così forte, si ribella ed è
così felice che mi riempie il cuore di
gioia.
Inneschiamo
una rapida lotta nel mio letto disfatto, mentre
John la richiama arrabbiato, perché è di
nuovo tutta in disordine.
Trovo
bellissimo avere una famiglia, per tanto tempo sono
stato solo, ora la vita mi sembra più bella. Auberton a
parte.
“Sherrinford,
sei peggio di mia figlia! Guarda com’è
ridotta. Ora la rivesti tu.”
John si è
affacciato alla porta della camera mentre si asciuga le mani e brontola.
Trascino
via Rosie prima che perda la pazienza e la porto in
cucina a prendere il suo latte e a mangiare i suoi biscotti.
Io
in pigiama e scalzo, vengo prontamente redarguito.
Guardo
John e mi sorprendo a valutare che sembra più
apprensivo di papà. È
premuroso e mi
segue con attenzione, sento
affetto per
quest’uomo che ha perso la moglie in un modo brutale, ma cresce la figlia con tutto l’amore che
può darle. E sopporta discreto i due Holmes.
Per
lui non sono nulla, eppure ho un piccolo posto nel suo
cuore.
Mi
rivesto e seguo i suoi consigli. Come promesso rimetto in
ordine la piccola peste, le metto il cappellino rosa con un fiocco blu.
E le
stampo un bacio in fronte. Mi abbraccia stretto e mi ricambia, mentre
mi
abbasso per ricevere il suo bacio umido.
Escono
e nello stesso momento ricevo la chiamata di Mycroft.
SH
“Papà?”
Sono sorpreso ci possono intercettare.
MH
“Tranquillo
la linea è sicura.”
SH
“Problemi?
Come stai?” Temo
di avergli fatto del
male e la cosa mi rode.
MH
“Dimmelo
tu Sherrinford, visto che ieri sera
in auto sei crollato.” La voce gli trema un po'.
SH
“Possibile
che siate tutti così apprensivi? Sto bene cavolo!”
MH
“Volevo
sentirtelo dire. Comunque
anch’io sto
bene, stai sereno. Mi hai appena sfiorato.” Respiro meglio ora che lo
so.
SH “Auberton
come si muove?”
MH
“Credo
che si farà sentire tramite Serge. Dobbiamo riallacciare i
rapporti per
giustificare il fatto che ti avvicinerai al laptop. Ti darò
una memoria usb
contenente alcuni dati ben costruiti che lo convinceranno
ulteriormente. Gliela
consegnerai come invito ad abboccare a tutto il resto.”
SH “Bene,
riprenderò la recita. Voglio vederlo
con le mani fuori dalla famiglia, voglio accompagnare Rosie a scuola
senza
morire di paura per lei.”
MH “Presto
sarà innocuo te lo prometto.” Fa una pausa poi
lo sento ridere.
SH “Che
c’è Papa, sembri allegro.”
MH
“Non
sai cosa ho dovuto sopportare per il tuo comportamento sopra le righe, Alicia è
letteralmente scandalizzata.
Spero di riabilitarti presto
perché è difficile rimanere serio.”
Ride ancora. “Figlio sei un ottimo attore.”
SH “Mai
come la tua Lady Bracknell.”
Stravolta rido io.
MH “Te
ne ha parlato Sherlock? Non me lo
aspettavo.”
SH “Ti
vuole bene più di
quanto tu possa
pensare.” Soffia
dentro al cellulare e
prende una pausa. “Ci sei
Papà?”
MH “Si,
Sherrinford ci sono.” Altra
pausa. “Sei
un bravo ragazzo, Virginia sarebbe fiera di te.”
Rimango
muto mentre chiude la conversazione. E per Dio!
Mi sento bene come non lo sono mai stato.
Auberton
pagherà, siamo gli Holmes che diamine!
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Capitolo 29 *** in cerca di mia madre ***
Sono
rimasto da solo a Baker Street, John ha accompagnato la
piccola peste, papà mi ha già chiamato, Sherlock
rincorre l’ennesimo caso.
La commedia con Auberton è in stallo.
Mi
sento nervoso, passeggio un po' per casa, cercando una
calma che non trovo. Raccolgo pensieroso un giocattolo di Rosie, lo
metto in
ordine, sopra al tavolo. Di fronte, nella mensola di legno, vedo la
foto degli
Holmes, forse l’unica che hanno.
Mycroft,
Eurus e Sherlock che sorridono inconsapevoli di
quello che li avrebbe travolti. Mio padre è un bambino
sovrappeso, i suoi
fratelli due esili mocciosi.
Cerco
di trovare dentro di me, un motivo per rimanere in
casa, perché ho una gran voglia di uscire, di vedere la
strada da cui sono
venuto.
L’istituto
è stato il mio tetto per anni, provo un desiderio
malato di rivederlo. Mi
sento senza un
passato e nonostante la maturità acquisita, gli insegnamenti
di Sherlock, le
paternali di John e l’amore di papà, esco.
So
quello che faccio, mi sento in difetto, ma ho bisogno
della strada. Si arrabbieranno, mi daranno dell’immaturo, ma
lo devo fare. Ho
bisogno di uno spazio che sia mio, che mi dia indietro una parte di
quello che
ero.
Prendo
un foglietto, scrivo a John che tornerò presto, che
non si preoccupino. Lo
lascio sul tavolo
in cucina, sotto al pupazzo di Mr. Trevor.
Scendo
con una felpa scura anonima, spengo il
cellulare. Sono in
strada, in mezzo alla
gente distratta, so che sto commettendo un errore e che li sto
deludendo, ma
ormai è fatta.
Tiro
su il cappuccio, prendo le vie laterali, evito le
telecamere visibili, cercando di scansarle come posso. Prendo la metro,
pago in
contanti poi mi defilo.
Mi fermo spesso
saggiando il percorso, non posso accendere il cellulare. Ma vado per
gradi, so
che prima o poi papà mi troverà.
Torno
in quella parte di Londra dove ho vissuto per anni.
Eccolo
quell’edificio bianco con le colonne sporche di smog,
anonimo e triste, tanto odiato, ma che mi ha visto bambino e
praticamente è
stata la mia casa.
Mi
siedo sulla stessa panchina dove ho visto mia madre, non
sapendo che era lei.
Voglio
capire cosa vide.
Immagino
il suo sguardo su di me, che seguivo i miei
compagni, e senza un motivo, mi precipito a raccogliere la borsa della
spesa,
che aveva maldestramente rovesciato a terra.
Dio!
Quanto sarebbe cambiata la mia vita e la sua, se solo
avesse detto che ero suo figlio!
Mamma, perché non
l’hai fatto? Mi
sento stringere il
cuore, sarebbe stupido avere una crisi davanti
all’orfanotrofio. Non ora,
maledizione, che ho trovato una famiglia e un padre.
Respiro contratto, le mani in grembo chiuse a
pugno. Eppure nonostante l’angoscia sono incapace di
staccarmi da lì.
Rimango
immobile, fissando la porta e il cancello di ferro
battuto, che ha racchiuso la mia vita per tutti quegli anni.
Mamma,
se solo potessi vedermi adesso, in questo momento,
saresti fiera di me?
La
testa mi pesa, ma non ho nessuna risposta, non lo saprò
mai.
Eppure
papà mi ha detto che mi hai amato! Anche lui, a modo
suo, mi tiene vicino al suo cuore.
Saremmo
stati una famiglia: Virginia, Mycroft e io e forse
chissà, sarebbe arrivato un fratello o una sorella.
Ne
avrei avuto cura, come ha fatto papà con Sherlock, e con
la pazzia di Eurus.
Fanculo
Auberton!
Io
sono Sherrinford, non
mi porterai via la
mia strampalata famiglia.
Sento
nel cuore la voglia di continuare questo assurdo
pellegrinaggio.
So
dove abitavi, ho fatto ricerche sul computer di zio
Sherlock, voglio vedere, sapere dove hai vissuto.
Questa
è una cosa mia, non è nemmeno di papà.
Nè degli
Holmes.
Prendo
di nuovo la metro raggiungo i sobborghi di Londra. Il
nome della via mi rimbomba dentro al cervello.
Scendo,
cammino rapido, sono un po' affaticato, ma voglio
vedere la tua casa.
Virginia,
dammi la forza, conducimi da te, non sai quante
volte ho immaginato il tuo volto.
La
tua foto con papà era dolcissima, ora voglio vedere dove
hai passato la tua vita. La piccola villetta, mi
appare in lontananza, lungo un viale
alberato, tra case e negozi.
Bianca,
con la staccionata in legno, il prato e le siepi di
rose.
Il
giardino è ben curato, il numero civico corrisponde,
anche il cognome. Spencer.
Un uomo anziano magro
e un pò curvo sta tagliando il prato.
Una donna della stessa età, con i capelli
canuti, raccoglie delle rose
bianche. Lo stesso colore delle rose che Mycroft aveva messo in un vaso
di
vetro in casa.
Profumate
e delicate come le mani di mio padre, che avevo
sorpreso mentre le accarezzava. L’unico
giorno che sono stato a Pall Mall.
Mi
fermo e li studio, forse sono i tuoi genitori, i miei
nonni.
Ma non mi hanno
voluto, di certo non posso avvicinarmi, so che sarebbe sbagliato,
soprattutto
per te mamma.
Mi allontano e siedo
su di una panchina poco più in là, accanto ad un
negozio di souvenir. Mi
immagino come poteva essere vederti uscire
da casa a fare la spesa, vestita leggera o che raccoglievi la posta,
ridendo. Forse quel
cane che corre senza
sosta è il tuo, lui ti ha senz’altro avuto
più di me.
Non
mi stupisco della berlina nera che si ferma lenta vicino
al negozio. Non mi volto nemmeno. Per quanto sono stato accorto, lo so
che papà
sarebbe arrivato.
Spero
di non aver compromesso niente con Auberton. Ma
lui non ha i mezzi di Mycroft.
Eccolo,
mio padre! Lo
sguardo severo, scende respirando un paio di volte in più. Dietro, ora
ferma e impassibile c’è
Anthea. Albert come
al solito, è alla
guida.
La
mia famiglia, mamma, sono loro. Sempre
attenti che non perda mai più la strada
di casa.
“Ciao,
Sherrinford. Immaginavo che fossi qui. Lo sentivo che
ne avresti avuto bisogno.” i siede vicino, i guanti,
l’ombrello che girano fra
le sue mani.”
“Papà
lo so, non dire niente. Ho sbagliato, ma dovevo
venire. Cerca di capire.” Ho appena un filo di voce, che
vibra un po'.
Non
alzo la testa e mi tormento le mani. “Spero di non aver
compromesso la storia con Auberton, sono stato attento.
Certo, tu hai altri mezzi, sei un’altra cosa,
lo sapevo che mi avresti trovato.”
“E’
tutto a posto, tranquillo, nulla è compromesso.” Alzo lo sguardo e gli vedo
in faccia un
piccolo ematoma sulla guancia.
“Papà!
Per Dio! Mi
avevi detto che non ti avevo fatto niente.” Mi
sento spezzato, gli tocco piano il volto
ferito, e tremo mentre lo sfioro.
“Non
è niente, Sherrinford, non darti una pena così
grande.”
C’è
un silenzio pesante che ci percorre, mentre guardiamo
entrambi la villetta bianca. Ho
la voce rotta,
mentre gli dico una verità nascosta da tanto.
“Papà,
hai idea di cosa voglia dire sentirsi soli e
tormentati? Cercando
di capire il
perché sei stato abbandonato?
Non
riuscendo a spiegarti come l’amore di cui avevi bisogno non
c’è mai stato?” Mi
fermo e riprendo fiato. “Mi sono sentito
sbagliato dentro, come se la colpa fosse stata
mia.”
Ho
un nodo nel petto
che non si scioglie, tremo così forte che spavento anche
lui, che non è il
massimo a dimostrare affetto.
Allora
papà non fa più resistenza, perde il suo
controllo,
quello acquisito per anni. Mi abbraccia e mi stringe così
forte da farmi
sussultare per il dolore, le mani conficcate nei capelli che mi
strattonano
insaziabili, più
che accarezzarmi.
Lo
sento ansimare, lui l’uomo di ghiaccio vacilla. Si
impossessa di quella emotività che ha bandito dalla sua
vita, che ora lo
travolge e non conosce, ma accetta mentre pianta il volto sulla mia
spalla e mi
bagna. Perché
piange, Mycroft piange per
me.
Non
ha vergogna di Anthea e di Albert, che gentili si
allontanano e si girano alla nostra compassione reciproca.
Decido,
di rendergli tutto me stesso, tutto il perdono che
posso accordargli, lo tengo stretto in quell’abbraccio,
mentre con le mani nei
capelli gli muovo una carezza sincera...
come se il mondo mi fosse testimone che non lo
lascerò mai, per il tempo
che ci sarà dato, io sarò con lui.
Lì
davanti alla casa di Virginia, con le siepi di rose
candide, in un certo modo lei ci unisce.
Abbiamo
la sua benedizione.
Potevamo
essere una famiglia, ora lo siamo in parte,
spezzati, con il cuore in frantumi, mentre cerco di capire mio padre e
lui
cerca di capire me.
Dio
ci ha dato, Dio ci ha tolto…. ma ora non mi
porterà via
più nulla. Lo giuro, mentre piango insieme a lui.
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Capitolo 30 *** Sherlock, Mycroft e la fratellanza. ***
Mycroft, per non destare sospetti torna a casa con Albert. Un'altra
auto mi
preleverà più tardi e tornerò insieme
con Anthea.
Rimango seduto sulla panchina,
stretto nella giacca, mentre aspettiamo.
Per ora ho deciso con
papà, di non
incontrare i Sinclair. Ci siamo accordati che quando avremo chiuso la
storia
con Auberton, mi interesserò di loro. È mio
diritto capire perché la mia vita è
tutta in salita, rovinata da una decisione terribile, per quell'
abbandono che
non digerisco.
Anthea mi lascia da solo, a
smaltire un insieme di rabbia e amore. Ho riacceso il cellulare ed ecco
arrivare con perfetto tempismo il messaggio di Serge.
Naturalmente vuole incontrarmi e
vuole qualcosa di solido in cambio. Un acconto di password buone e
compromettenti. Anthea intuisce, si avvicina, le mostro il cellulare,
senza
dire una parola.
"Sherrinford, devi buttarti
alle spalle i tuoi nonni materni. Ora devi essere lucido."
La berlina nera è
arrivata, meno
vistosa, meno elegante di quella di Mycroft. Saliamo e stabiliamo
d'incontrare
Serge nel pomeriggio, in una via lungo il Tamigi non troppo lontano da
casa,
dove potrò essere ben sorvegliato. Consegnerò una
memoria usb, poco funzionale,
ma che dimostra che non sono così esperto.
"Hayc, Mycroft vuole che tu
faccia una cosa per lui." Già avermi chiamato con il mio
soprannome mi
mette in allarme. Grugnisco e la guardo. "Vuole che tu metta un chip
sottocutaneo che ti possa sempre localizzare."
Aspetta la mia reazione con un
mezzo sorriso canzonatorio. "Anthea, per Dio! Spero non avrai
appoggiato
papà su questa idiozia." La fisso furente. "Non sono un
animale, da
trovare se si perde."
Ride, scuotendo i capelli ramati.
"Me la immaginavo la tua reazione, ma è necessario Hayc, con
Auberton che
ti minaccia è indispensabile, te lo assicuro. E Mycroft...ha
paura, quindi non
fare il ragazzino impertinente." Continua a stuzzicarmi, sa di
provocarmi.
"Anthea, non chiamarmi
ragazzino." Le grido offeso. Poi la guardo e vedo che si burla di me.
"Bada, che potrei vendicarmi, allungare le mani quando faccio la farsa,
e
approfittarmi di te."
"Non lo farai perché ti
conosco bene, sei come Mycroft, gentleman fino al midollo." Si ferma e
inclina la testa e mi osserva. "Ti riempirei di schiaffi, perderesti la
lotta. Sono stata un agente, non scordartelo."
Ha ragione, senza dubbio perderei,
il suo fare mi ha calmato, accetto d'inserire il chip anche se non sono
contento.
"Bene, lo farà John
è già
tutto fissato." Sa come manovrarmi, la fisso astioso, hanno
già deciso
anche per me.
"Non fare quella faccia,
nessuno ti avrebbe lasciato allo sbando senza sapere la tua posizione,
imparerai una formuletta in base alla distanza che hai percorso, saprai
quanto
tempo ci vorrà per il nostro arrivo perché tu sia
al sicuro. Una semplice
moltiplicazione. Ma una sicurezza in più." Annuisco, il suo
discorso non
fa una piega.
Intanto siamo arrivati a Baker
Street. Mi accompagna di sopra, mi consegna la memoria usb. Intanto
mando un
messaggio a Serge per il nostro incontro, alla fine accetta la via
lungo il
Tamigi, dove c'è un piccolo porticciolo.
"Bene, ti sarò vicino
con
discrezione, ora aspettiamo John, facciamo introdurre il chip." Vede la
mia faccia preoccupata. "Non è nulla, Sherrinford, un
taglietto
sottocute." Poi ride. "Però dolorosissimo."
"Smettila Anthea!" Mi
metto a ridere anch'io mentre mi guardo allo specchio con la faccia
pallida. Mi
fanno paura le siringhe, figuriamoci i tagli, soprattutto quelli
programmati.
John arriva più tardi,
Anthea gli
consegna una piccola scatola sterile, mi guardano ironici, lui si
avvicina, con
la faccia seria.
"Ora mi diverto a vederti
stramazzare al suolo. Ti farò malissimo." E scoppia a ridere
anche lui. Si
stanno facendo beffe di me, ma so perfettamente che cercano di farmi
rilassare.
Ci sta che sono pauroso, con tutto quello che ho passato!
Però sono tranquillo,
perché hanno cura di me.
Mi fanno sedere sulla poltrona, a
torso nudo girato di fianco, John armeggia sotto la scapola.
"Come sei magro, Hayc
dovresti mangiare di più." Sbotta John, mentre mi osserva.
"Direi più palestra
dottore,
non ha muscoli, non è atletico come lo zio. Non è
nei miei standard,
decisamente troppo magro." Spettegola lei, con aria saputa.
"Hai ragione Anthea, dovrebbe
mettere su muscolatura. Chi se lo prenderebbe questo ragazzino ossuto."
"Smettetela vuoi due, sto
bene così." E intanto mi taglia e mi infila veloce il chip,
mentre fa
male, ma sono troppo arrabbiato per sentirlo.
"Fatto, adesso puoi svenire,
stai morendo dissanguato." Comprendo la farsa che hanno imbastito. John
mi
batte sulla spalla. "Rivestiti, sei stato bravo, avrai un premio per il
coraggio dimostrato. Adesso ti ritroveremo ovunque tu vada."
E ridono ancora, ma mi sciolgo,
sono pieni di attenzioni. Infondo ho passato di peggio eppure oggi mi
sono
perso. Sento un bruciore, ma nulla più. Mi ha messo un
cerotto a protezione,
che toglierò prima di uscire.
Anthea mi lascia con un'ultima
raccomandazione: di non cambiare in fretta direzione e calcolare i
tempi del
loro intervento in caso di pericolo. Ora sarò solo,
agirò come credo.
Lei esce e torna Sherlock.
Quello che non mi aspetto succede
in un attimo. È già arrabbiato quando arriva, non
mi lascia nemmeno salutare e
mi chiede del perché di quello stupido colpo di testa.
È brutale quando mi dice
di non
cercare chi non mi ha mai voluto. John lo placa, mentre io non riesco a
rispondere.
Balbetto indignato. "Zio,
voglio sapere. Che c'è di male?"
"Questa è solo vendetta
che
vuoi! Tua madre non c'è più. Vuoi far vedere ai
Sinclair cosa ti hanno fatto
lasciandoti andare, per il puro piacere di tormentarli." Si interrompe,
non riesco a capire perché si accanisca così.
"Non fai del male solo a
loro, Sherrinford, ma soprattutto a mio fratello."
Ora capisco! Non è
più mio padre,
ma rivendica il diritto che Mycroft sia suo, il suo amato fratello.
Quello che ha sempre infastidito e
molte volte offeso, reso dipendente da lui, che non si è
fatto una famiglia per
corrergli dietro.
John vede la mia rabbia salire e
tenta di smorzare i toni, ma la furia mi ha preso e parto senza freni.
"Bada zio! Parli tu che hai
manipolato tutta la sua vita! Non sei stato sempre così
amorevole come vuoi far
credere. Lo hai allontanato così spesso da farlo soffrire. E
ora lo vuoi
proteggere da me? Che sono suo figlio? L'unica cosa che ha?" Mi fermo
tentando di prendere aria. "Sono imperfetto lo so, sono malato, ma mi
vuole bene e io ne voglio a lui. Sto imparando ad amarlo e lui lo fa
con me."
Sherlock tace è in piedi
vicino al
camino, anche John è muto. Due statue immobili. Sento un
fastidio crescente,
continuo deciso a dirgli quello che penso.
"Non riesce nemmeno a
portarmi dai suoi genitori, perché si sente in colpa per le
bugie che ha detto
su Eurus. Nonostante tutto quello che ha passato all'isola, lo hanno
massacrato
e permettimi, anche tu e John lo avete lasciato da parte. Se non fosse
stato
così forte non sarebbe sopravvissuto al vostro ignorarlo."
Ho le mani nelle tasche strette
così forte da far male. Sono fermo al centro della stanza,
mi sembra che tutto
sia precipitato in un attimo. Un castello di carte volato a terra.
La famiglia ora non c'è,
io volevo
solo proteggerla, e mi sento improvvisamente escluso.
Non mi rendo conto in quel
momento, che Sherlock soffre la mia presenza, perché
è unicamente geloso della
sua fratellanza con Mycroft.
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Capitolo 31 *** Affrontare Serge ***
Passano pochi minuti e finiamo per
fronteggiarci. Lo zio che mi dà
di spalle rivolto al camino, io nero di rabbia in centro alla stanza.
Due
pianeti simili che vanno alla deriva e John nel mezzo che non sa dove
stare.
Nessuno di noi tre accenna a una
parola, mentre mi sento il cuore in tumulto. Oggi devo affrontare Serge
e mi
sento abbandonato come se avessi un buco dentro lo stomaco, e la testa
in
fiamme.
Allora John, mi guarda e mi
raggiunge, sa che sono agitato, perché mi conosce
più di Sherlock e si rivolge
a entrambi.
"Adesso, basta. Mettete da
parte ogni risentimento. Ora Sherrinford ha bisogno di sostegno, e tu
che sei
suo zio lo aiuterai." Si è schierato, e mi sento sollevato,
se non mi sono
vicini, non posso farcela.
Sherlock si volta, lui non concede
niente a nessuno, lui non ama nessuno tranne John e Rosie.
Mycroft è oltre.
È nella sfera
degli affetti familiari quelli acquisiti per nascita. Io non sono
niente.
Niente d'importante se disturbo i
suoi equilibri.
John lo fissa, si aspetta
qualcosa, sa del perché lo ama, sa come lui è
interiormente. E non sbaglia,
perché il corpo sinuoso di Sherlock si avvicina a me. Sotto
una cascata di
riccioli neri, che fremono vinti nell'ammettere che io sia vitale e che
sono una
parte di suo fratello. "Mi dispiace, non sono un buon esempio per te
come
zio, ma tu resta quello che sei."
Lo sento vicino mentre tenta una
scusa approssimativa.
"Zio, perdonami, ma non mi
piace essere un motivo d'intralcio tra voi, non voglio fare del male
né a papà,
né a te. So quanto vi amate. Scusa le mie parole avventate."
Non è tipo
che si commuove, ma va via rapido mentre John mi fa segno di lasciarlo
andare.
"Pranziamo ragazzo, prendi la
forza di cui hai bisogno e andiamo avanti." Watson è una
brava persona, lo
seguo silenzioso e mangiamo tutti insieme, senza tornare sulle parole
che ci
siamo detti solo per amore di una persona in comune, che nemmeno lo sa:
Mycroft.
Mangiamo silenziosi, poi lo zio
riceve una chiamata e deve uscire, ma prima mi fissa. "Sherrinford oggi
non fare di testa tua, e non reagire alle provocazioni. Scordati quello
che ci
siamo detti." Annuisco con la testa bassa. Mentre esce preoccupato.
Ma non riesco a togliermi di testa
le sue frasi.
Mi arriva un altro messaggio di
Serge, vuole vedermi tra un'ora al porticciolo.
"Devo uscire, mi
dispiace." Mi alzo frettoloso, mentre John è in allarme.
"Ricordati di togliere il
cerotto. E calcola i tempi d'intervento." Ma sono distratto. Mi si para
davanti arrabbiato. "Hai ascoltato quello che ho detto? Non pensare
alla
discussione con Sherlock."
Alzo le spalle, e lui tenta di
fermarmi, vado in camera a togliermi i vestiti comodi che uso per casa.
Quando
esco lo evito, mentre cerca di richiamarmi. Sono arrabbiato con tutti,
ho dato
il mio appoggio alla famiglia e proprio ora mi volta le spalle.
Sono o no, un Holmes anch'io?
Possibile che ancora non mi abbiano accettato? Questo dubbio mi fa
perdere la
testa, se mai ne possiedo una, perché adesso non vedo che
rabbia e rancore.
Credevo di contare qualcosa, di
fare la cosa giusta. Se voglio sapere chi era mia madre, a loro cosa
può
importare? Visto che sono stato abbandonato per anni, quale
può essere la mia
colpa in tutto questo?
Sento il cellulare vibrare,
immagino sia Anthea, lo vedo dallo schermo, ma sono così
adirato che non
rispondo. So esattamente di sbagliare, ma nessuno mi farà
desistere
dall'autodistruzione.
Urto un passante, nella fretta di
arrivare da Serge. Infilo le mani in tasca mentre mi rigiro la memoria
usb
nella tasca.
Eccolo Serge, tozzo e palestrato,
vestito di lusso, anche lui con un cappotto Crombie come quello di
papà.
"Ciao, ragazzino!" Già
come inizio mi fa irritare. "Serge, che piacere vederti, si nota la tua
eleganza."
Ride, ma a metà. "Sei
arrogante come sempre, mi piacerebbe sculacciarti, ragazzino."
Lo fisso torvo. "Tu provaci e
il tuo padrone non vedrà più nulla." Sento
tremare la mano infilata in
tasca.
Ride di nuovo agitando la testa
calva. "Avanti non tirare la corda, ragazzino dammi quello che mi
serve."
"La vuoi, Serge?" Agito
la memoria per aria di fronte al suo naso. Mi fissa con gli occhi scuri
e non
si trattiene. "Imbecille, vuoi mettere un annuncio, che tutti lo
sappiano?" Mi prende per il braccio e lo stringe, perdo la calma, gli
piazzo un calcio e lascia la presa. Ma la reazione è rapida,
forte, mi allunga
uno schiaffone che fa decisamente male. "La mia pazienza è
finita, piccolo
cialtrone, non assomigli per niente a tuo padre, magari non sei nemmeno
suo
figlio." È vicino, decisamente troppo, sento il suo alito
impregnato di
fumo di sigaretta.
"Vattene affanculo, Serge
questa la tengo io. Fa il cane da guardie ad Auberton, digli che questa
gliela
do di persona. Anche ora, se vuole." Serge vibra di rabbia, so che sto
rischiando, ma l'auto nera di Albert arriva improvvisa e scende Anthea.
"Stavolta te la cavi, idiota,
la prossima volta non arriverà papino a salvarti il culo."
Si allontana
con un sorriso falso, aggiustandosi il vestito.
"Serge, sarò un idiota,
ma
questa oggi non la porti al tuo padrone. Ora va a sbavare dal lui."
Anthea mi ha ritrovato tramite il
chip, si avvicina con fare sinuoso, la conosco è preoccupata
e anche furiosa,
ma lo maschera bene. "Sherrinford ti ho cercato dappertutto, possibile
che
finisci per fare quello che vuoi? Dovevamo fare acquisti, te lo sei
scordato?"
La voce è calma, lo sguardo che mi restituisce potrebbe
incenerirmi.
Parto con la recita, mi calmo e
sono soave come un bambino distratto. "Ho incontrato un amico, facevamo
due chiacchiere. Ti ricordi di Serge? Una persona squisita." Lui mi
guarda
trattenendo l'ira, e finisce per abbozzare, sa che possiedo la memoria
con le
password, fa un falso inchino ad Anthea.
"Bene signorino Holmes. Alla
prossima volta, mi saluti suo padre." Ghigna mentre si gira e se ne va
altezzoso.
Anthea sorride nella sua
direzione, mentre mi pianta le unghie sul braccio. "Sei impazzito?"
Mormora a denti stretti. "Stavi mandando tutto a puttane." Mi
trascina via, fingendo di prendermi sotto braccio.
"Ti ha colpito?" Le
rispondo sempre sorridendo, come se parlassimo del panorama o della
giornata
soleggiata.
"Si, un robusto ceffone, ma
io gli ho dato un bel calcio." Lei stringe il mio braccio
più forte.
"L'ho visto, veramente una mossa da imbecille. Ma che cosa ti
è preso
oggi? Ti ho lasciato sereno e ti ritrovo arrabbiato con tutti."
Mi guarda mentre saliamo in auto.
Quando è dentro alza subito la voce. "Idiota, vuoi farti
ammazzare? Sono
dovuta intervenire. Serge è un assassino, se non lo sai.
Uccide le persone per
molto meno." Non so cosa dire, mi volto dalla parte del finestrino
cercando
d'ignorarla. "Guardami Hayc, non fare il bambino. Hai fatto una
cazzata,
ma non c'è da stupirsi visto che spesso fai di testa tua. Se
inaffidabile,
quale Holmes si comporterebbe così?" Si zittisce, poi
diventa acida.
"Tuo padre non sarà fiero di questo."
Mi giro lentamente, la rabbia
dentro è tanta, improvvisamente sono consapevole di non
essere all'altezza.
"Non sono un Holmes, è vero, non mi accetteranno mai in
famiglia,
certamente non Sherlock. Nessuno nemmeno io posso scalfire il loro
amore
fraterno." Ritorno a guardare dal finestrino, ma la voce mi ha tradito.
Anthea rimane muta di colpo, forse intuisce qualcosa. "Hai discusso con
Sherlock e John, dopo che sono uscita?" Si è leggermente
calmata, adesso è
più dolce.
Non ho voglia di dire
più nulla,
scusa Anthea." Le mormoro senza girarmi, guardando la strada che scorre
veloce, come tutta la mia vita. "Su di una cosa hai ragione. Sono un
Sinclair, non un Holmes." Mi chiudo in un mutismo feroce, so che
sbaglio
in continuazione e il fatto di non maturare mi rende infelice.
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Capitolo 32 *** Gestire la rabbia ***
Rientriamo
a Baker Street. Scendo dall’auto, mormoro ad
Albert un saluto tirato, sono troppo abbattuto per come mi sono
comportato. Mi
aggiusto la giacca mentre aspetto Anthea, mi sento la guancia in
fiamme, lei
insiste per accompagnarmi fino di sopra.
Quando
apro la porta John ci scruta entrambi severo, mi
dirigo verso la cucina per bere un po' di acqua e mi rivolgo a Watson.
“Rosie
dov’è?” Sono preoccupato che mi veda
così.
“E’
da una sua amichetta e per fortuna visto la faccia che
avete entrambi.” Mi viene vicino. “E quello come te
lo sei fatto?” Mi prende il
volto fra le mani e mi guarda l’ematoma che mi ha lasciato
Serge. Si volta
verso Anthea. “Ma cosa e successo? Per Dio. Non doveva andare
tutto liscio?”
Appoggio il bicchiere consapevole che si arrabbieranno tutti.
Lei, appoggiata allo
stipite della cucina con le braccia conserte, è seccata.
“Si, se non avesse
perso la testa e avesse attaccato Serge, rimediando un bel
manrovescio.” John
prende del ghiaccio secco e me lo porta.
“Mettilo sulla guancia, razza di stupido.”
Sbuffo,
non fanno altro che insultarmi. “Finitela di
offendermi, me l’avete detto diverse volte che sono
stupido.” Hanno
ragione, prendo il ghiaccio e lo tengo
sul viso. Serge ha le mani pesanti e mi ha lasciato il segno. Li supero
e vado
a sedermi sulla poltrona.
Anthea
guarda John e parte con una domanda secca.
“Com’è che
l’ho lasciato sereno e ha perso le staffe? Watson
è successo qualcosa? Perché
lui non vuole dire niente.”
Mi indica
con la mano mentre cerco di stare tranquillo, ma serve a poco.
John
tentenna, perché è coinvolto Sherlock, lo
scongiuro
avvilito. “Sta
zitto Watson, se lo viene
a sapere papà le cose peggioreranno. Non voglio mettermi tra
loro.” Ci
pensa un po', poi capisce che non ho preso
bene la discussione con Sherlock e le dice la verità, mentre
io lo guardo
feroce.
Anthea
ascolta attenta e annuisce, si fa un’idea del
perché
ho perso la testa. “John,
lasciamo
stare, meglio che per adesso Mycroft
non
sappia nulla. So
come guidare l’irruenza
di Sherrinford che ha preso una brutta piega.”
Mi si avvicina, ma è addolcita, forse ha
compreso la mia stupidaggine.
“Sta arrivando tuo padre, non gli diremo nulla, e non
sarà piacevole, ma
sopporterai per il suo bene.”
Sollevo
la testa, che adesso ha preso a farmi male, so che
devo stare zitto per il bene di tutti. “Va bene, ho sbagliato
e adesso
pago.” Anthea
si rivolge a John.
“Watson, per ora lascia perdere. Mi occupo io di
lui.”
John
non riesce a zittirsi, finisce per redarguirmi. “Sherlock
ti ha chiesto scusa Sherrinford, e anche tu ci sei andato
giù pesante.”
“Lo
so, non ho scuse.”
Non dico null’altro, me ne resto imbronciato
sulla poltrona con il
ghiaccio e la testa che mi scoppia. C’è una specie
di tregua, Anthea si perde a
fissare il cellulare e John traffica in cucina. Mycroft arriva
improvvisamente,
quasi butta giù la porta, sembra sul punto di scoppiare,
fatica a trattenere la
rabbia.
Fissa
Anthea, poi John e per ultimo io, si avvicina irritato
e preoccupato, due stati d’animo che non riesce a gestire.
“Dio,
ma cosa ti passa per quella testa? Cerchi di farti
ammazzare da Serge? Ho visto le telecamere, Sherrinford sei stato un
idiota
completamente inaffidabile. Nessuno lavorerebbe con una persona
immatura come
te.”
Le parole di papà
sono come frustate, non alzo nemmeno lo sguardo. Rimango impassibile
mentre
sfoga tutta la sua rabbia e anche la sua paura, mi vede avvilito e si
rivolge
ad Anthea.
“Tu
non hai niente da dirmi? Lo dovevi sorvegliare e se non
era pronto si poteva aspettare.”
È
arrabbiato così tanto che ha lasciato il suo ombrello in
auto, il cappotto è
slacciato, la cravatta sciolta.
“Mycroft,
è stato un colpo di testa imprevedibile, penso che
dobbiamo adattarci che lui sia così.” Anthea lo
sibila dolce, perché sa quello
che nascondo. Si volta di nuovo verso di me, ma la voce ora sembra
più distesa.
“E
tu non dici nulla?
Sherrinford, almeno avessi la compiacenza di
rispondere.”
“Papà,
ho sbagliato.
Non ho scuse.”
Mi esce una frase
smorzata.
Tanto
basta perché la rabbia sfumi via, rotea gli occhi al
soffitto, soffia, mette le mani in tasca e si avvicina. Decide di
sedersi di
fronte.
“A parte il calcio
che gli hai affibbiato senza motivo, la sua reazione ora la senti tutta
sul tuo
viso. Ne valeva la pena figliolo?”
Si
ferma a guardarmi, mi scosta la mano che regge il
ghiaccio e vede il ricordo che mi ha lasciato Serge. “Per
Dio, Sherrinford. La
prossima volta pensaci prima di fare una cosa avventata.”
Non gli rispondo,
sono talmente abbattuto che non so cosa dire, e non voglio che sappia
della
discussione con lo zio. E
forse preso
dalla comprensione del momento difficile che sto passando, si fa
più dolce.
“Come stai? Hai bisogno di qualcosa?”
La
mano si posa sulla mia gamba. E mi fa piacere sentire il
suo calore. “Papà, sono confuso, e la testa mi fa
male. Vorrei riposarmi un
po'.” Mi
guarda attento e chiama John
preoccupato. “Che cos’ha Watson, ma sta bene?
”
“Voglio
solo riposarmi', non ho niente.”
Ma la scusa non regge perché John e
già lì.
Mi
sento trattato come un bambino, alzo la voce e agito il
ghiaccio secco che stringo nella mano. “Sentite voglio solo
una aspirina e
stare al buio per un po'. Non cominciate con la solita
storia.” John
fa un cenno a Mycroft , che va tutto
bene, capisce che voglio rimanere da solo. Mi porta del tè e
una compressa.
Mando
giù tutto in fretta, e sbircio Anthea che appoggiata
allo stipite della porta approva con un cenno del capo. Se devo mentire
lo so
fare bene, devo cercare di proteggere quel poco affetto che ora lega i
due
fratelli. Non sarò io a demolirlo di nuovo, Sherlock col
tempo imparerà che ci
sono anch’io, so perfettamente che il mio arrivo ha sconvolto
degli equilibri
precari.
Mycroft
capirà, ma non ora, non con Auberton che preme.
“Papà,
contatterò Serge e sistemerò la cosa, non
preoccuparti farò del mio meglio.” Mi alzo, mi
scuso con tutti, senza aspettare
la sua risposta vado in camera dove crollo nel letto.
Per
me la giornata avrebbe potuto terminare lì, ma ho un
dovere da compiere, più tardi chiamerò quel
bastardo di Serge.
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Capitolo 33 *** Prima della resa dei conti ***
Non so quanto ho
dormito, ma sento aprire la porta della stanza e malamente distinguo
John con
Rosie in braccio, che si affacciano.
“La
piccola peste insiste per stare un po' con te. Che ne
dici? Ti senti di farla restare?”
Mi
affaccio da sotto la coperta e vedo il visino di Rosie imbronciato,
già mi
sento meglio mentre la guardo sorridendo. “Va bene cugina,
vieni ti faccio
posto.” John
è più felice della figlia,
mentre la mette giù e lei trotterella verso di me.
“Tra
un’ora ceniamo e ci siamo tutti.”
Annuisco, mentre faccio salire Rosie sul
letto. “Ci sarò.” Non aggiungo altro,
credo di aver già sprecato ogni scusa.
John
se ne va con l’aria distesa, mentre sua figlia si
infila nel letto agitando un libro di fiabe. Appena il padre scompare
mi guarda
seria. “Che hai fatto? Sembrano tutti tristi. Papà
ha sgridato Sherlock, ha
detto che sei fragile, che puoi romperti come il vetro.”
Mi prende il volto
con le manine. “Non mi sembra che sei di vetro. Cosa vuol
dire? Che se cadi, ti
rompi?” Non
riesco a risponderle subito,
però le accarezzo la testolina bionda. “Vuol dire
che sono pieno di paure e
faccio delle cose stupide. Mi arrabbio per ogni cosa che mi fa sentire
triste.”
Rosie
stringe la piccola bocca. “Ma io ti voglio bene,
perché
devi avere paura? Io non ti lascerò mai.” Mi
abbraccia così forte che mi
soffoca. “Nemmeno tu mi lascerai vero? Me lo hai
promesso.” Lo sussurra
all’orecchio, mentre la stringo anch’io.
“Lo farò, ma ora leggiamo la tua
favola, presto John ci chiamerà per la cena.”
Si calma e si stende vicino, mentre inizio la sua storia. Non so per quale motivo
stare con lei mi
calma, mi rende sereno e riduce la mia tensione.
John
lo sa, è per quello che l’ha portata da me.
La
favola della piccola cugina si sparge per la stanza, il
mondo brutale di Auberton se
ne esce
dalla finestra come fosse assorbito da un enorme imbuto. Tutto il resto
rimane
dentro, pieno di posti fantastici, di castelli, di draghi, di principi
azzurri e
principesse adorabili.
Io,
sono un principe coraggioso dall’armatura lucente, che
combatte un drago cattivo, che sputa fiamme e che brucia i poveri
contadini.
Alla fine ne esco vittorioso, e sposo la mia principessa di nome
Rosamund,
bionda e con le trecce lunghe. Dio, come sarebbe bello che fosse vero!
Che
fosse tutto così semplice. Ma non lo è.
Non
lo è mai, sir Auberton il drago, di solito ingoia tutto
quello che gli sta intorno e brucia ogni speranza, lasciando cenere e
rimpianti. Io non sono coraggioso come il principe e non
vincerò.
Rosie
percepisce qualcosa, si gira a guardarmi. “Ci devi
credere Sherrinford, altrimenti non vale, il drago ti
mangerà.” Gli occhi le si
fanno umidi, la avvicino cercando di tranquillizzarla, inizio a farle
il
solletico. Ride e si dimentica tutto. Giochiamo a fare la lotta fino a
quando
non ci chiamano per la cena.
Le
dico di uscire che devo vestirmi.
Chiamo Serge, devo mettere fine a tutta
questa storia, nel bene o nel male.
Sono
veloce. Lo incalzo che ho bisogno di vederlo, perché
temo che mio padre si insospettisca, dopo quello che ha visto Anthea.
Ho fatto
una cazzata che devo rimediare in fretta. Gli ho sottratto tutte le
password a
sua insaputa, ma aveva delle contro misure e dobbiamo sbrigarci,
perché sono a
tempo, diciotto ore al massimo.
Lo devo incontrare
entro domani. Ci accordiamo per le dieci, mi preleva lui. Chiudo la chiamata e mi
sento tremare. La
paura è una brutta bestia, inizio a sudare e mi passa la
fame. Penso
malinconico che potrebbe essere la mia ultima sera. Non so
perché ho questo maledetto
presentimento.
John
entra nella stanza e vede la mia faccia contratta. “Hai
chiamato Serge?”
“Sì,
e ho una fottuta paura, ma non dire nulla agli Holmes.
Non voglio che lo sappiano, so che poi capirmi.”
“Posso
capire che sei un Holmes anche tu, stupido.” Si punta
con le braccia conserte sulla porta, e sorride ironico.
“Finisci
sempre per offendermi, dottore.” Non posso che
ridere, ormai hanno finito il repertorio degli insulti.
“Stai
tranquillo, vieni a mangiare. C’è anche tuo padre,
cerchiamo di rimanere sereni, ok?”
Mi
prende per le spalle, e mi abbraccia. “Avanti
Sherrinford, andrà bene.” Gli tremo addosso, lui
mi accarezza le spalle. Poi si
stacca e mi allunga un buffetto sulla guancia.
Quando
esco sono tutti presenti, Rosie è presa dalle sue bambole.
Papà e Sherlock al solito posto di fronte al camino, lo zio
pizzica il violino
mentre parla con lui. John è in cucina, ormai è
il cuoco di casa, ma sembra non
dispiacergli. Mi avvicino ai due Holmes.
“Domani
alle dieci Serge mi viene a prendere due strade più
in là.”
Mi
fissano entrambi, Sherlock vede la mia guancia segnata e
stringe le labbra, appoggiando il violino.
“Sei
sicuro di farcela?”
Mycroft mi guarda severo, dopo quello che ho fatto non si
sente
tranquillo. Lo rassicuro perché è ora di
sistemare quel viscido di Auberton.
“Papà,
voglio finire questa storia. Domani devo chiudere
tutto.” Sherlock approva, annuisce lentamente con le mani
incrociate sotto al
mento, mentre Myc lo osserva intuendo una leggera tensione.
“C’è
qualcosa che devo sapere?”
Sogghigna fissandoci entrambi.
“Da come vi guardate!”
“No,
niente.” Scuoto la testa. “Nessun problema
papà.” Sherlock
annuisce, non vuole distrarre il
fratello con inutili discussioni su quello che è successo.
“Bene,
allora se non c’è nulla, chiaritevi. Vado ad
aiutare
John.” Mugugnando sarcastico si alza velocemente. È lo
“smart one,” legge dentro al fratello
come fosse un libro aperto. Infatti sorride e mi fa segno di sedermi.
“Impossibile
nascondergli qualcosa, Hayc, quindi smettila di
angustiarti e andiamo avanti, dimentica quello che è
successo. Dammi del
tempo.” Mi appoggia la mano sul ginocchio. “Vedi di
non farti del male domani.
Pensa anche a te.”
“Siete
la mia famiglia zio, non ho altro. Darei la vita
adesso per tenervi vicini. E soprattutto per papà.”
Abbasso
la testa, e porto la mia mano sulla sua. “Se mi
succede qualcosa, stagli vicino ora che vi siete riconciliati, conto su
di te.”
Apre la bocca per dire qualcosa, ma mi alzo di scatto e vado verso la
cucina.
Per
tutta la sera evito qualsiasi discorso su quello che mi
aspetta domani.
Prima
che papà vada a casa, lo aiuto a indossare il crombie
nero. Gli porgo l’ombrello.
“Notte
papà. Sai che ti voglio bene.” Non ho quasi voce,
lo
abbraccio stretto, senza dargli il tempo di sorprendersi. Poi volo
rapido a
chiudermi in camera.
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Capitolo 34 *** La resa dei conti ***
La
notte passa lenta e affannosa, quando mi sveglio so di
aver dormito solo un paio d’ore.
Sento
le voci che invadono la casa, il risveglio della
famiglia che tanto ho cercato: Sherlock che sgrida bonariamente Rosie,
John che
parla con la signor Hudson. Le auto lungo Baker Street che sfrecciano
veloci,
tutto normale, tutto così calmo.
Invece
dentro di me c’è un'ansia crescente. Mi vesto, mi preparo
meticolosamente, indosso
il giubbetto leggero antiproiettile. Non deve essere troppo visibile,
non mi
protegge al cento per cento, ma piuttosto che niente va bene
così.
Quando
esco dalla camera, Rosie mi corre incontro. “Ciao
Sherrinford, vado a scuola nel pomeriggio. Oggi sto con papà
rimani anche
tu?” La
prendo in braccio. “Solo per un
poco, poi devo uscire, se vuoi leggiamo le tue fiabe.”
Sorride felice e corre a
dirlo a John.
Lo
zio mi osserva dalla sua poltrona preferita. “Tutto bene,
Hayc? Ci sono
anch’io oggi. Hai il
cellulare con te, chiama se ti trovi in pericolo. Siamo lì
in pochi minuti.”
“Sì
zio, è la formuletta della distanza e del tempo di
intervento.” Rido, ma non troppo convinto.
“Speriamo funzioni, non so dove mi
porterà Serge.”
Sospiro mentre Sherlock afferra il violino e
lo pizzica pensieroso. “Credo a casa di Auberton,”
sentenzia “è così stupido
che non sospetta nulla.”
“Stupido,
sì, è proprio per questo pericoloso.” Lui scuote la
testa riccia. “È imprevedibile
nelle sue scelte irragionevoli.”
Rosie
corre verso di noi ci tira le maniche per portarci a fare colazione.
Non
parliamo più della mattinata impegnativa che mi aspetta,
per amore di Rosie, scherziamo e ridiamo.
Ma
le dieci arrivano in fretta. Mando un messaggio in codice
a papà, bacio la piccola peste, saluto John.
“Bada
a te giovane Holmes. Non fare lo stupido.”
Accenno un sì con la testa. Ma non lo guardo
in volto, perché non voglio che veda che ho gli occhi
lucidi.
Lo
zio Sherlock mi ha preceduto dopo avermi dato una botta
affettuosa sulla spalla, che è il massimo che può
concedermi. Con lui ora tutto
è chiarito.
Scendo
le scale lentamente. Ho avuto tanto in poco tempo,
ora sta a me fare la mia parte.
Raggiungo
Serge due strade dopo, ho in tasca le password
fasulle copiate dentro una usb, se la mettono in un computer ho poco
tempo
prima che scoprano che non valgono nulla, al massimo quindici minuti.
Il tempo
di reazione lo calcolo in base alla distanza percorsa, devo solo dargli
il
tempo di trovarmi con il chip che mi hanno inserito.
Serge
è già arrivato, indossa un cappotto costoso che
però
non porta con l’eleganza di papà.
Sembra
un cane da guardia, al solo vederlo mi prende la nausea.
“Eccoti
mastino, vedo che sei arrivato presto.” Mi guarda
con disprezzo, le mani nelle tasche, ma zoppica un po' e questo mi
rende
felice.
“Ciao,
piccolo farabutto. Spero che ti abbia fatto bene lo
schiaffone che ti ho rifilato. Tuo padre dovrebbe dartene a raffica
visto
quello che stai per fargli.”
Gli
restituisco uno sguardo gelido, ma devo recitare bene
senza nessun tentennamento. Faccio l’annoiato, il viziato
arrogante.
“Tu non sai quanto
è
pesante quell’uomo! Ama
solo il potere.
Non si gode la vita! Con
tutti i soldi
che ha accumulato, mi tratta come un pezzente.”
Grugnisco arrabbiato. “Voglio tutto, mi ha
abbandonato! Ora cerco la mia
vendetta.”
Aumento
il passo, siamo affiancati, mentre penso a quanto
bastardo e senza pietà sia, se potesse mi avrebbe
già ucciso.
Arrivati
al parcheggio, un'auto scura ci aspetta. È simile a
quella di Mycroft, quindi è probabile che mi porti a casa di
Auberton.
Fortunatamente
abita appena fuori Londra, così i tempi di
intervento si accorciano ed è un vantaggio per me.
Non
scambiamo una sola parola durante il tragitto, ma la
villa dove entriamo ha un parco enorme ed è delimitato da
mura e siepi. Un punto
a sfavore, difficile scappare da lì.
“Forza
Holmes, scendi, sir Auberton ci aspetta.” Serge mi
precede e io lo seguo con la mano destra stretta alla memoria usb.
Ostenta ricchezza
Auberton, una villa vittoriana tenuta con un’emorragia di
soldi infinita.
Curata e restaurata con dedizione.
Saliamo delle scale di marmo lisce e sbiancate,
un’apoteosi di spreco di
denaro. Lui
è nell’atrio, la persona più
infida che abbia mai conosciuto. Mi viene incontro con fare
strafottente.
Sorrido abbassando la testa, non avrà mai
l’eleganza austera di papà.
“Allora
ci rivediamo, giovane Holmes, vediamo se sei stato
di parola.” Ride
sgarbato, avvicinandosi
troppo. “Altrimenti
al tuo vecchio gli
restituirò le tue ossa con la carne attaccata.” Mi
sento fremere dalla rabbia.
“Divertente
Sir! Speriamo che non sia mio padre a fare la
festa a lei e a me il culo, se ci scopre durante l’intrusione
nel
database.” Ammicca
enigmatico.
“Sei
simpatico piccolo ladro di polli! O forse dovrei
chiamarti serpente?” Lo avvicino e gli punto il dito al
centro del petto.
“Attento Sir, potrei averti già avvelenato, mai
fidarsi di un serpente...”
Mi
guarda dubbioso, Serge mi allontana. “Ora basta, dacci
quello che ci hai promesso e avrai tuoi soldi e il tuo
potere.”
Mi
distacco da lui rapido, meglio non averlo vicino. “Bene,
andiamo, ora vi mostro come fare, mio padre ha inserito delle scadenze
a tempo.
Quindi muoviamoci.”
Auberton
sorride ghignando. “Tranquillo, non avrà tempo per
guardare il suo computer, non durante la sorpresa che gli abbiamo
preparato.”
Sento
un brivido percorrermi la schiena.
Il maledetto si è coperto le spalle e ha
tramato qualcosa di pericoloso. Mi
stampo in faccia la maschera più bastarda che posso gestire
e lo fisso
divertito.
“E
perché mai? E
sempre in ufficio e non si muove da lì.”
Lui guarda Serge a cui rivolge uno sguardo
d’intesa. L’altro gli mostra
un sorriso maligno.
“Non
quando dovrà correre a raccogliere i resti di suo
fratello a Baker Street.”
Ridono
entrambi, mentre tremo devastato.
Hanno sistemato dell’esplosivo! Uno
stramaledetto ordigno letale.
Il
cuore va a mille, non devo cedere, non adesso! Perché mi
si squarcia la mente e mi sento soffocare…
A casa c’è Rosie e John, loro che
sono le persone più innocenti di
tutti.
Fingo
indifferenza e cerco di mantenere la voce senza
nessuna inflessione.
“Una
bella sorpresa per il vecchio Holmes! Dove l’avete
piazzato il fuoco d’artificio?” Sghignazzo,
Auberton non riesce a trattenere il
suo orgoglio malato.
“Una
anonima city car parcheggiata lì sotto, piccola, ma
letale. Tra circa un quarto d’ora, mentre noi ci occupiamo
delle password.” Mi
guarda studiandomi attento, ma non tradisco nessuna emozione. “Il tuo caro
padre correrà trafelato e
pentito, a soccorrere i parenti ridotti a brandelli e noi avremo tutto
il tempo
necessario.”
Mi
sforzo di ridere, ma intanto penso rapidamente che devo
informarli, e per farlo devo chiamare Sherlock al cellulare.
Va
tutto a puttane, ma devo salvare la mia piccola Rosie, la
mia principessa e il suo papà.
Siamo
arrivati nella biblioteca, Serge è alle mie spalle,
Auberton va al portatile. Devo prendere tempo, bisogna disinnescare la
bomba.
Mentre
Auberton si adopera al computer devo colpire Serge,
scappare e avere il tempo per chiamare lo zio. Lui è
già in attesa, in caso di
bisogno.
Non ho scelta, devo
uscire dalla copertura, devo restituire a Rosie a tutti loro il mio
amore. Loro
che sono la mia unica famiglia.
So
che papà è in buone mani.
Sherlock penserà a lui. Non devo distrarmi,
forse se sono rapido posso
cavarmela. È ora di farlo.
Serge
è al mio fianco, è occupato a guardare il
portatile,
mi chino annoiato ad allacciarmi la scarpa, mentre Auberton maneggia il
computer, sfilo il serramanico che porto sempre con me infilato
nell’elastico
del calzino.
Devo
essere rapido e avere fortuna.
Serge non sospetta
nulla, prendo velocità e gli pianto il coltello sulla gamba,
vicino
all’arteria. Urla
impazzito dal dolore e
tenta di afferrarmi, ma cade a terra. Allungo un fendente sulla spalla
di Auberton, con
poco successo, ma prende a
bestemmiare furioso. Devo scappare rapidamente, questione di secondi e
Serge
avrà l’arma in mano e sparerà. Spero
solo non mi faccia troppo male.
Corro
verso la porta con il cellulare in mano, chiamando
trafelato lo zio, sento partire lo sparo e un urto sulla schiena mi fa
barcollare e sbattere sulla porta, ma resto in piedi.
Stringo i denti, fa male, ma il giubbotto
sembra aver limitato il danno.
Urlo
dentro al cellulare.
“Zio
c’è una bomba a Baker, una city car, fa presto! Salvali. Non pensare a
me.”
“Sei
ferito? Ho sentito uno sparo?” Sento la sua voce
tremare.
“Sì,
zio, credo di sì. Quanto tempo mi rimane?” Sono in
affanno e lui lo sente.
“Sette
minuti, ora cerca di nasconderti.
Pensiamo noi a tutto.” Non lo sento, poi
riprende.
“Sherrinford stai tranquillo. Sai che ti vogliamo
bene.”
“Anch’
io.” Mi esce fiacco, ma la sua voce mi fa bene e mi
dà la forza.
Metto in tasca il
cellulare, mi sono allontanato un bel po', la casa è grande.
Mi infilo in una
stanza cercando di evitare le telecamere interne.
Sento Serge che bestemmia e urla.
Devo
nascondermi, almeno fino all’arrivo dei soccorsi. Rompo
la finestra che dà sul giardino, devo fargli credere di
essere uscito. Rimango
nascosto dietro una porta, senza respirare e ora mi accorgo di un
calore umido che
mi bagna i calzoni dietro la schiena. Allungo la mano e la trovo
insanguinata.
Sono ferito, la pallottola deve essere passata attraverso il giubbotto,
ma spero
abbia limitato i danni. Sento la debolezza salire e questo non
è un bene.
Serge
arriva imprecando e zoppicando, vede la finestra rotta
ed esce fuori. Io sospiro di sollievo.
Sanguino, sono
passati solo due minuti. Se Serge
mi
ritrova sono morto. Se
continuo a
perdere sangue sono morto lo stesso. Spero solo che Rosie sia salva, la
mia
principessa innocente.
Auberton
grida a Serge di andare via. Questo
non va bene, se torna dentro sente
l’odore del sangue, mi fiuta e mi trova.
Così
decido di scivolare fuori lentamente, mi trascino verso
la biblioteca, non mi cercheranno di certo da dove sono scappato. E con tutto quel sangue
per terra, Serge si
confonderà.
Manca
poco, forse un paio di minuti e sento la stanchezza
più densa. Scivolo
sotto alla scrivania,
lì non mi cercheranno, solo i bambini nei peggiori film
thriller si nascondono
lì sotto. Il
laptop non c’è più, in
compenso c’è il sangue di Auberton sulla sedia e
me ne compiaccio.
Guardo
fuori dall’ ampia vetrata che dà sul giardino e
finalmente vedo l’elicottero arrivare.
Dio è quasi
finita,
non mi resta che restare vivo. Mi
lascio
andare, chiudo gli occhi e mi sale tutto il dolore alla spalla e alla
schiena.
C’è
un gran movimento di persone, urla, fumo, spari.
Il
mio nome viene urlato più e più volte,
finché vedo le
scarpe degli agenti da una fessura sotto alla scrivania e decido di
scivolare
fuori. Mi prendono
con delicatezza e mi
stendono sul pavimento sopra al tappeto costoso di Auberton.
Mi esaminano, mi
parlano, mi fanno girare sul fianco e gridano ordini secchi.
“Va tutto bene
Holmes. Rimanga immobile. È stato bravo, suo padre
è qui.” Si allontanano e
vedo arrivare papà, seguito da Anthea.
Ora respiro meglio, guardarlo mi fa sentire al sicuro,
allungo le mani
verso di lui. Ma non riesco a parlare.
“Sherrinford,
ragazzo
mio, stanno arrivando i soccorsi.” Si inginocchia vicino, ha
il volto contratto
ed è spaventato come non l’ho mai visto, cerca di
afferrarmi, ma Anthea al suo
fianco lo ferma.
“Mycroft,
non muoverlo.” È più ricettiva, si
mette dietro e
mi spoglia delicatamente, mentre mi lamento e mi agito, mi toglie il
giubbotto
e trova la ferita sotto alla scapola. Il volto di papà si fa
teso, ma solo per
pochi secondi. Mi accarezza la testa, e mi tiene.
Anthea cerca di
essere rassicurante, ma lo sento che non sarà
così. “Sherrinford ti farò male,
ma devo tamponare.”
“Papà…” mormoro
impaurito, e lo guardo sconvolto.
Il
dolore non l’ho mai sopportato.
“Tranquillo,
figlio, aggrappati a me.” Mi prende la testa e
la tiene stretta sul suo petto, sento il suo cuore battere impazzito.
Anthea
tampona decisa e il dolore improvviso mi fa urlare
senza ritegno. Mycroft mi
accarezza la
testa, e mi tiene con forza. “Cerca
di
stare fermo, tra poco starai meglio.”
Riprendo fiato e penso a Baker Street.
“Papà?”
Biascico incerto.” Rosie e John?”
Mi scosta la testa e mi tiene il volto. Mi
guarda orgoglioso. “Rosie
è salva, sono
tutti salvi ragazzo mio, sono salvi grazie a te.”
Piango
sollevato, felice di avercela fatta, anche se le
fitte alla spalla aumentano.
Li
ho salvati, la mia vita è servita a qualcosa. Ma la
tregua è breve, il dolore è insopportabile.
Anthea continua a
spingere sulla ferita, cercando di fermare il sangue.
Urlo. “Fa male,
basta!” Piagnucolo,
grido di nuovo,
quando sento il dolore salire, mentre premo il volto sul petto di
Mycroft e lui
mi stringe più forte.
Anthea
mi parla dolcemente, ma decisa.
“Forza
Sherrinford, lo so che fa male, ha intaccato l’osso,
ma non ti ha trapassato. Hai perso molto sangue.” Sento la sua voce tremare.
“Sono orgogliosa
di te, Holmes.”
Cerco conforto
nell’abbraccio di papà, distolgo la mente dal
dolore pensando che Rosie è
salva. “Serge?
e Auberton?” Mormoro
incuriosito appena riesco a
rifiatare.
“Non
faranno più del male a nessuno, Serge è morto e
Auberton, beh, si è fatto sparare ed è
grave.”
La
voce di papà si fa improvvisamente lontana, le forze mi
mancano, il cuore rallenta, mi aggrappo a lui disperatamente. Non so
cosa mi
sta succedendo, mi sembra di vedere una luce intensa sulla porta della
biblioteca, come se fosse una forma umana e ne fosse avvolta. Si
avvicina e la
riconosco, mentre non avverto più nulla….
“Mamma…” Mormoro
stupito.
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Capitolo 35 *** Tornare per rimanere. ***
Eccoci alla fine…. ora
è rimasto soltanto
l’epilogo che uscirà tra pochi giorni.
Non
nego che mi
dispiace lasciare il mio giovane Sherrinford, ma potrebbe tornare per
nuove
avventure. Vedremo.
Saluto e ringrazio chi mi ha seguito,
discreto o sollecito ad
avvisarmi degli errori.
Grazie, anche a chi invece non ha
apprezzato. Va bene lo
stesso, perché mi ha aiutato a crescere.
Se volete, lasciatemi un commento, lo
apprezzerò.
See you soon…
Mi sveglio intontito,
non so dove sono, l’ultima cosa che mi ricordo e aver visto
l’immagine di mamma,
è lei che mi ha tenuto in vita.
Sono
in una stanza ingombra di macchinari, che emettono
cicalii fastidiosi. Non posso muovermi molto, il braccio destro
è attaccato
alle flebo. E la parte sinistra è bloccata dalla spalla
ferita.
Mi
sorprendo di essere ancora vivo, ma sono stanco e fatico
a respirare anche attaccato all’ossigeno.
Vedo
la mia famiglia sulla porta della stanza e sento la
voce di mio padre che parlotta con Greg, il dottore che mi ha in cura.
Il
camice sgualcito parla di una notte insonne. Ha la voce bassa, ma sento
lo
stesso, mormora che ho perso troppo sangue e il cuore ha sofferto. Parla di una ablazione
cardiaca a causa di un
difetto congenito che hanno riscontrato facendo la tac, per controllare
le
lesioni della spalla.
Non
è una cattiva notizia, papà si rasserena, si tira
dritto
in tutta la sua altezza, perché se la supero potrei avere
una vita normale.
John, annuisce scuote la testa castana e anche lui mi sembra sollevato. Sherlock, è
concorde con John, e rivolge uno
sguardo solidale e gentile al fratello, e questo mi rassicura.
Ma
un problema c’è. Greg ora sembra più
teso, le mani
sprofondate nelle tasche. Non hanno molto tempo, il cuore potrebbe
cedere e ho
bisogno di sangue per affrontare l’operazione. Lo sento
titubare mentre dice
che il mio gruppo è raro e devono trovare un donatore,
perché ho ereditato il
sangue di mia madre. Papà borbotta, si gira a guardarmi con
gli occhi scuri.
Greg
continua, la sua voce è calma e decisa. Guarda Mycroft
che ha le mani strette lungo i fianchi. L’unica soluzione
è contattare i
familiari di Virginia. Forse la sorella gemella ha il mio stesso
gruppo. L’ablazione
cardiaca non può essere fatta senza sangue di scorta e il
tempo è poco.
Di
per sé la ferita non è grave. Greg prende tempo,
riesco a
scorgere papà che si appoggia a Sherlock, lo tocca sul
braccio, come a
chiedergli qualcosa. Ora sono uniti, ora sono fratelli solidali.
Sherlock lo
consola a suo modo e lo scuote. John prende l’iniziativa e
parlotta veloce con
loro. Lì vedo annuire tutti insieme, poi si avvicinano al
mio letto, mentre il
dottor Greg esce e ci lascia soli. Mi regalano uno sguardo rassicurante
e mi
sorridono.
“Ci
vediamo presto, Hayc, vedi di non fare scherzi. Lo sai
che Rosie ti sta aspettando.” È John che mi
incoraggia, è sempre lui, pieno di
voglia di fare.
Non
riesco a dire nulla, ma faccio segno di aver capito, la
maschera dell’ossigeno mi impedisce di parlare. Watson si
mette davanti agli
altri e mi sgrida con dolcezza.
“Non
pensare a niente, Sherrinford, stai tranquillo. Ora
troviamo il sangue che ti serve. Lo so che hai sentito
tutto.” Sorride, come sa
fare solo lui, lo stesso sorriso che dona alla figlia. Mi allunga un
bacio
sulla fronte e mentre si china mormora trepidante.
“Ti
dobbiamo la vita, Rosie e io. Farò di tutto per
riportarti a casa.” Se ne va seguito da Sherlock che tentenna
e prima di
andarsene mi scompiglia i capelli.
“Sta
attento a Mycroft, giovane Holmes.”.
Myc mi è subito vicino, si siede sulla
vecchia poltrona, prende la mia mano libera e la tiene. La sua
è calda e
delicata, mi riempie di serenità.
“Andrà
tutto bene, figlio mio.” Stringo la mano, perché
non posso
fare altro, mentre una lacrima mi scende lenta. Temo di essere al
capolinea.
Non
riesco a sorridergli, anche se ci provo, se mi muovo
troppo la spalla fa male e quindi devo rimanere immobile. Ma mi
aggrappo alla
sua mano più forte e lui lo avverte e mi ricambia.
Si
fa serio, come se pensasse a qualcosa, poi si decide.
“Ci
sono due persone che vogliono vederti. Ma se non te la
senti sarà per un’altra volta.”
Il
mio sguardo è interrogativo. Lui sospira profondamente,
quasi non avesse potuto evitarmelo, ma faccio di sì col capo.
“Sono
i tuoi nonni, Violet e Sieger Holmes.” Si alza
faticosamente e li chiama.
Entrano,
e finalmente quando sono già al limite, riesco a
conoscerli.
La nonna ha i capelli
bianchi raccolti, assomiglia in alcuni gesti a papà. Il nonno ha
l’aria gentile, preoccupata e
sorpresa, quasi non sembra nemmeno il padre dei fratelli Holmes.
Certo non ho
conosciuto la loro figlia Eurus, ma se torno a casa voglio vederla e
andare con
loro alla prigione che porta il mio nome.
Violet
Holmes ha gli occhi lucidi, so che non sono un grande
spettacolo in queste condizioni, papà ha il volto tirato,
gli occhi grigi pieni
di dispiacere.
Lei allunga la mano
magra, e mi accarezza lenta e dolce, prima le guance e poi i capelli. E
mi
piace, mi sciolgo un po', finalmente una donna nella mia vita.
“Sherrinford,
sono orgogliosa di essere tua nonna, presto ti
voglio vedere a casa nostra.” Guarda suo figlio
rimproverandolo con gli occhi,
di non averglielo detto subito.
“Se
almeno quello stupido di Myc, mi avesse detto quanto di
bello aveva. Che ero nonna di uno splendido ragazzo.”
Brontola, ma sorride e mi
dà un buffetto sulla fronte.
Papà non regge e
si
volta di spalle. Tento di trattenergli la mano, ma si scosta.
“Mycroft
girati, ha bisogno di te.”
Violet
è decisa, perentoria, ma allo stesso tempo benevola. Il
nonno avvicina papà, lo prende per il braccio e lo fa girare
con gentilezza.
Mycroft,
ha il viso solcato da due lacrime che gli scendono
sulle guance ispide, e non si nasconde, stavolta mostra tutto il suo
dolore,
tutto il suo sentimento. Mio padre mi ama, lo so.
Ci
riprendiamo la mano e lo tengo, ma è solo per poco
perché
la stanchezza mi sale improvvisa e tremo disperato, mentre sprofondo
nel buio
lamentandomi del troppo rumore che è solo nella mia testa.
Chissà
dove sta il confine quello che ti fa tornare indietro
o passare e andare oltre.
Ma il posto dove mi
trovo è bellissimo, sereno e luminoso da sconvolgere tutte
le regole umane.
Un prato verde
sconfinato, il più bello che abbia mai visto, pieno di
fiori, alberi e
costeggiato da un ruscello quasi impetuoso come è stata la
mia vita.
In
lontananza il drago della favola di Rosie, vola felice,
senza le sue fiamme pericolose. E nell’ immensa prateria un
cavallo bianco
galoppa veloce con la sua principessa gioiosa. Assomiglia a Rosie
quando sarà
grande. E si dirige verso un castello, sulle alture, che assomiglia
all’istituto dove sono cresciuto, ma molto, molto
più accogliente.
Sento il calore di
qualcuno che si avvicina, ma la luce che la circonda mi abbaglia.
Scorgo dei
capelli castani, lunghi, che ricadono sulle spalle, sento che
è parte di me. Mi
invade di dolcezza. Fino a quando la scorgo in volto ed è
quello che ho sempre
voluto vedere. Mia madre Virginia.
“Ciao,
figlio mio. Sei un uomo ormai. Non devi disperarti
per me.”
“Mamma…sei
tornata.” Forse il cuore non mi batte più, mentre
lei è così vicina da sentirne l’amore.
Mi
prende per mano, ed è come se tutta la tristezza degli
anni passati lontano da lei non fossero mai esistiti.
“Non
è qui che devi stare figlio. Non è ancora la tua
ora.” Mi
porta vicino al ruscello e mi indica
l’acqua, ora è ferma, e rispecchia il cielo
azzurro. “Guarda
quanto ti amano. Quanto amore hai
seminato.”
Si
scosta e li vedo, riflessi nell’acqua, come se stessi
sopra di loro.
È la clinica
governativa, sento che siamo tutti riuniti lì. In una stanza
vuota, di un
bianco abbagliante, c’è papà disperato,
percepisco il suo dolore, gli anni
della sua solitudine, del peso portato per proteggere la sua famiglia,
ma
Sherlock gli è vicino e lo abbraccia muto, ora sa cosa vuol
dire emozione e
sentimento, sento l’amore che passa tra loro.
Violet e Sieger
Holmes si tengono per mano teneramente, seduti sulle rigide sedie della
sala di
aspetto. La nonna ha dentro una dolcezza di donna, mai avvertita prima,
che mi
passa attraverso, e mi prende il cuore.
John
nella stanza più appartata, gioca con Rosie, la mia
principessa, che non ne vuol sapere di leggere le favole con lui. Vuole
me, ha
capito che sono tutti in attesa del mio ritorno.
“Dorme
Rosie, ora non può.” Le dice premuroso. Ma lei lo
fissa triste. “Ma l’ha promesso papà!
Deve tornare!” John la coccola,
stringendola a sé. Sento il suo smarrimento.
“Lo farà piccola, lo farà
perché è forte, ma ora lasciamolo
riposare.”
Non
sento dolore, ma il loro amore mi avvolge così tanto che
mi dà forza. “Mamma, soffrono per me.”
Lei
si scosta dal lato opposto e vedo Anthea appoggiata alla
porta della stanza, sembra smarrita. Il cellulare nella mano, ma non lo
guarda,
fissa il vuoto, e le lacrime le scendono fino a coprirle il volto. Dio,
mi
sembra tutto così strano.
“Mamma,
soffrono.” La afferro e la stringo.
“Non voglio…”
“E
per questo che devi tornare, guarda dove ti trovi ora...”
Indica l’acqua stagnante, con un sorriso caldo e mi tiene per
mano.
Sono
lì, pallido e immobile, steso nel lettino in chirurgia
mentre mi operano al cuore. Ci sono molti macchinari collegati al mio
esile
corpo, ma c’è Greg con me che lavora senza
fermarsi, con attorno altri medici
che non smettono di adoperarsi. Il mio stupore è forte, mi
guardo il petto che
sembra trasparente e vedo il mio cuore battere appena. Ma non sento
nulla, solo
una serenità totale.
Mamma
mi porta con sé, la sua stretta si fa più forte,
mi
mostra un’altra
stanza.
“Guarda,
figlio mio, quelli sono i miei genitori e tua zia,
mia sorella Vittoria.” Quell’unica volta che li ho
avvicinati, non li ho visti
bene. “Perché sono qui?”
“Perché
ti hanno dato il sangue di cui avevi bisogno. Ti
hanno salvato, ti stanno ripagando del male che ti hanno fatto, quando
anch’
io, ti ho abbandonato.” Sento il suo rimorso sulla mia pelle,
e le concedo il
perdono, la bacio sul volto e le restituisco tutto l’amore
che posso.
Lei
mi sorride appagata. “Vittoria sarà una zia
premurosa, i
miei genitori ora hanno capito l’errore che hanno fatto. Perdonali, solo
così vivrai sereno.”
“Mamma,
ero molto arrabbiato, ma ora mi accorgo che era
tutto così stupido. Non sento più il rancore, non
sento tristezza, perché ora
mi sento avvolgere del loro amore.” Mi abbraccia.
“Sono
orgogliosi di quello che sei. Mycroft
è un padre attento, ma ha bisogno di
te Sherrinford, non pensava che avresti dato la tua vita per salvare
quella di
Rosie e John.”
“Mamma...
io non so…. vorrei stare con te, se torno ti
perderò ancora…”
“No,
figlio, li hai visti!
Devi tornare! Io
ci sarò sempre
dentro al tuo cuore guarito, nel sangue che scorre dentro le tue vene.
. sarai
coraggioso e diventerai la loro roccia.”
“Mamma…”
sono incerto, ma lei è serena e decisa.
“Vai! Vivi figlio
mio! Abbi cura di Myc e digli che l’ho amato
moltissimo… baciali tutti per me.”
Il
risveglio è più duro di tutti gli altri. Il
dolore, la
nausea, l’agitazione mi devastano. Mentre con mamma ero
così sereno, così in
pace con me stesso.. Vorrei tornare da lei, ma vedo papà
affranto ai piedi del
letto, sorretto da zio Sherlock, non me la sento proprio di lasciarlo
solo, non
se lo merita.
Mi
muovo appena e subito va in allarme tutto il monitoraggio,
papà sussulta e mi è immediatamente vicino.
“Sherrinford…” mi
prende la mano e sento il suo calore, il suo amore che mi prende.
“Figlio sei
qui, sei tornato con noi…io pensavo di averti perso.
Virginia ti ha riportato
indietro.”
Cerco
di parlare, ma mi esce un rantolo. “Non sforzarti, ora
arriva Greg.” Sono solleciti, mi tolgono il respiratore, mi
controllano, mi
osservano. “Bravo giovane Holmes, ce l’hai fatta a
farci preoccupare
tutti. Sei un
mascalzone.” Ride
Greg e mi accarezza i capelli. “C’è una
processione lì fuori.”
Vede i miei occhi
dubbiosi. “Sono tutti in attesa di sapere come stai. Hai
seminato amore Sherrinford,
e ora ne raccogli i frutti.”
Si
scosta e fa un cenno a Mycroft e allo zio, che ora hanno
il volto sereno e sembrano ringiovaniti.
Sherlock
esce ad avvisare gli altri. Greg allunga una botta
benevola sulla spalla di papà.
“Forza Holmes,
penso
dovrai dire qualcosa a tuo figlio.”
Esce
mentre papà si fa vicino si siede accanto. “Mi hai
fatto penare, figlio, temevo
volassi da tua madre, non hai fatto altro che chiamarla.”
Deve
fermarsi per respirare, ha gli occhi lucidi, scuri,
addolorati. Cerco di prendere tutta l’aria che posso, mi esce
una voce sottile
e bassa. “Papà, la mamma, l’ho vista, ma
ha voluto che tornassi, mi fa fatto
capire quanto siete importanti, mi ha detto di baciarvi
tutti.”
Lui
abbassa la testa, piange in modo discreto, senza
sussulti. Gli accarezzo la guancia ruvida, la barba gli è
cresciuta, il vestito
sciupato, la cravatta slacciata, lui che odia così tanto
essere trasandato, si
è perso senza di me. “Ti ha amato,
papà, e devo darti il suo bacio...
Avvicinati...”
Lo
vedo tremare, le spalle un po' curve che ondeggiano,
l’uomo di potere, il cuore di ghiaccio, si lascia alla mia
cura. Mi porge il
suo viso, lo afferro con le mani e gli regalo il dono di mamma, su
quella
guancia che nessuno bacia da tempo. Sento che siamo vicini, come uno
scambio di
amore che passa da l’uno all’altro.
“Sherrinford
sei la cosa più bella che Virginia potesse
regalarmi. Imparerò a diventare il padre che
meriti.”
Mi
restituisce il bacio, in fronte e sulle guance. È in
difficoltà,
perché trema e fatica a trattenere l’emozione che
prova, ma lo fa e mi sento
felice. “Papà, ora rimani con me, voglio starti
vicino, recuperare tutto il
tempo perso.”
So
che guarirò, che il mio cuore starà bene, che
avrò una
famiglia, dei nonni e degli zii.
Una
piccola schiera di amici e una piccola cugina pestifera.
Avrò
tempo adesso, tutto il tempo che voglio. Per crescere e
per portare con orgoglio il cognome degli Holmes.
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Capitolo 36 *** Epilogo: festa a Pall Mall ***
Ultimo
capitolo, mi sono dilungata un po' troppo, ma ero
alla fine del viaggio di Sherrinford.
Ho
voluto chiudere con una festa che sciogliesse la tensione di tutti i
personaggi.
Ma
non dico addio al giovane Holmes, per ora è solo un
arrivederci.
Grazie
a tutti.
È
una giornata splendente, l'aria è frizzante. Papà
ha voluto festeggiare il mio
ritorno. Si sono adoperati a turno per farmi stare meglio. E
sì, perché ho
sofferto un po', ma mi sono stati tutti vicini.
Mycroft
non ha badato a spese. Si è sentito sollevato dopo la fine
di Auberton, andato
dritto in galera. E la mia riabilitazione morale è stata
totale. Oggi verranno
a farci visita anche i suoi colleghi.
Sono
tornato a Pall Mall da un paio di giorni, vivrò qui, nella
grande casa Holmes. Non
ho più bisogno del buon dottor Watson, il mio cuore va che
è una meraviglia.
Farò qualche controllo per accontentare mio padre che
è diventato apprensivo.
Mi
dispiace per la piccola Rosie, ma le ho promesso che andrò a
trovarla spesso e
qualche volta mi fermerò a dormire con lei, oppure
verrà da noi.
Tra
poco arriveranno gli invitati. Devo vestirmi con cura, papà
ci tiene che sia
elegante. Ha incaricato Anthea di procurarmi un vestito tre pezzi
sartoriale,
adatto alla mia figura snella, dovuta alla forzata degenza in ospedale.
Una
camicia azzurra e una cravatta in tono, che arrivano addirittura da
Firenze,
sono appoggiate sul letto. Quando alla fine mi specchio sembro la copia
di
papà. Sono orgoglioso di assomigliargli tanto.
Devo
portare ancora il tutore per non affaticare la spalla. Mi sistemo
meglio:
sembro un reduce di guerra, ma la battaglia l'ho vinta.
Beh,
sono soddisfatto di quello che ho fatto.
Oggi
ci saranno anche i nonni. Gli Holmes e i Sinclair.
Conoscerò
la famiglia dalla parte di mia madre. Non sarà un incontro
facile. Mycroft si è
assicurato che fossi deciso, e lo sono. La mamma me li ha indicati in
quello
strano sogno dove l'ho incontrata. L'ho raccontato solo a
papà e a nessun
altro. Lui è rimasto sorpreso, ma alla fine mi ha creduto,
visto che frequenta
quel suo palazzo mentale, dove si rifugia di tanto in tanto e trova i
ricordi
di mamma.
Sono
pronto. Sento le prime voci che arrivano dal piano di sotto.
Scendo
come una star, sussulto leggermente, finisco per aggrapparmi al
corrimano della
scala. Sono al centro dell'attenzione, Mycroft mi viene incontro e mi
aiuta a
tenere a bada l'emozione.
"Quanti
siete, Gesù. Non credevo in così poco tempo di
avere tanti amici." Sbotto
divertito, mentre Rosie galoppa verso di me, ma viene prontamente
trattenuta
dallo zio, prima che mi piombi addosso.
"Piano
Rosie, stagli vicino, ma non in braccio. Ancora non può,
vedi la spalla?"
Lei guarda il tutore e ripiega sulle mie gambe, le abbraccia strette.
Mi
chino, e la accarezzo con la mano libera. "Ciao, principessa. Come ti
sembro come principe ammazza draghi?"
"Rattoppato."
Afferma con veemenza, mentre tutti ridono. "Ma lo hai sconfitto e mi
hai
salvato. Perciò ti sposo."
"Rosie,
ancora con questa storia!" Suo padre la sgrida. E lei brontola.
"Uffa, papà ho capito! Aspetto di diventare grande.
Però dopo lo
sposo." Punta i piedini per terra. Faccio un gesto di intesa verso
Watson.
"Va bene, tranquilla, se non ci danno il consenso, ti rapirò
e ti porterò
nel mio castello."
È
felice, mi dà un bacio con lo schiocco, la prendo per mano e
ci avviamo in
giardino. Corre sull'altalena, che un sollecito zio Myc le ha regalato
per
quando viene a giocare da noi. Mio padre è molto cambiato,
non è più
infastidito dalle persone, è più tollerante,
più aperto alle relazioni umane.
Anthea
mi aspetta in giardino, mi guarda felice di vedermi guarito, si
avvicina
fasciata in un abito azzurro delicato ed elegante. I capelli mossi che
le
incorniciano il volto. La redarguisco bonariamente agitando la mano.
"Mi
hai fatto urlare quel giorno da Auberton. Ti ho odiato." Le sorrido
placato dopo tutto quel dolore fisico, che però ho quasi
scordato.
"So
quanto soffrivi, ma eravamo così in pena, io e Mycroft, che
ci importava solo
di salvarti."
"Ti
ho odiato lo stesso." Rido pieno di orgoglio. "Però se sono
qui è
anche per merito tuo. Mi sei sempre rimasta vicina anche quando
combinavo delle
cazzate." Scuote il capo castano in un moto di diniego.
"Eri
tormentato, insicuro, pieno di paure. Lo capivo e ho fatto il possibile
per
aiutarti. Ma sei coraggioso e onesto." Indica John che spinge Rosie
sull'altalena. "Se sono vivi è per merito tuo."
La
guardo dritta negli occhi chiari. So quello che amo e che voglio.
"Glielo
dovevo. Mi hanno accolto con tenerezza soprattutto John, non avrei
tollerato di
vederli soffrire."
Tocco
il tutore, aggiustandolo un pò. Lei è molto
protettiva. "Stai bene
Sherrinford?"
"Si,
tranquilla, sono solo un po' nervoso."
La
prendo sottobraccio e la porto a prendere un aperitivo. È
festa stasera e mi è
concesso di bere qualcosa in più.
Scorgo
Albert e un paio di uomini della scorta. "Vado a salutarli, Anthea."
Lei annuisce e rimane in compagnia di Mycroft.
Mi
sorride appena mi vede. "Albert, ti devo ringraziare per tutta la
pazienza
che hai avuto con me." Si schernisce aggiustandosi la cravatta blu.
È
stato un piacere lavorare per lei." Mi tende la mano.
"O
avanti, sono Sherrinford! Basta con questo lei. Ti sembro
così vecchio?"
Mi sorprendo per tanto rispetto, io che non ne ho mai avuto. Che ero,
fino a
poco tempo prima, allo sbando.
"Ma
le devo la stima che merita, signor Holmes."
"C'è
un solo signor Holmes, ti prego! E quello è papà.
Chiamami Hayc." Rido
mentre mi stringe più forte la mano. "Molto bene Hayc.
Sarò fiero di
lavorare per te."
Avverto
la sua dedizione per tutte le volte che ha guidato per me, e mi ha
scortato
gentile e silenzioso. I suoi colleghi, mi concedono un gesto di intesa
abbassando il capo, poi riprendono a fare il loro lavoro. Garantiscono
la
nostra sicurezza e la nostra protezione. So di doverglielo ribadire.
"Grazie anche a voi per avermi soccorso e salvato."
"È
stato un onore Hayc." Fanno un cenno col capo.
Mi
avvio verso il gruppo che chiacchiera con mio padre, riconosco Lady
Smallwood.
Mi viene incontro. "Sono felice di sapere che stai bene Sherrinford,
ora
sappiamo cosa hai fatto per tuo padre. Spero che un giorno deciderai di
lavorare per noi."
Sorrido,
muovendo la testa, i capelli mi finiscono sulla fronte. Lei li scosta
con
gentilezza. "Alicia, preferirei un lavoro meno pericoloso, ma
certamente
vicino a papà."
"Sei
troppo importante per rischiare ancora, ora che sei guarito. Mycroft
non
sarebbe d'accordo."
Mi
indica il petto. "Le persone come te sono essenziali per noi." Mi
fissa divertita. "A meno che tu non voglia intraprendere la carriera da
attore, perché sei stato da oscar."
Ridacchiamo
insieme, mi ricordo ancora la faccia allibita che aveva al ricevimento.
La
ringrazio e mi prendo un po' di pausa. Mi siedo sulla panchina sotto al
roseto,
lo ha piantato papà. Sono le rose bianche che amava mamma,
mi sembra quasi di
sentirla vicina. Mi apparto e osservo tutti da distante.
Nonna
Violet, mi è subito vicina. "Che fai nipote? Non prenderai
l'abitudine di
Mickey che finisce per isolarsi alle feste." Non ha tutti i torti
conoscendo mio padre. Mi appoggio alla sua spalla con la testa.
"No,
nonna, ma siete tanti, non mi capacito ancora di avere tutta questa
gente
intorno." Lei mi accarezza i capelli.
"Hai
gli stessi ricci di tuo padre da giovane, poi prese a tagliarli corti.
Un
peccato, non lo farai vero?" Le prendo la mano, è leggera e
calda.
"No, nonna, se non vuoi no. Diventerò il capellone di
famiglia."
Lei
ride. "C'è già Sherlock che ha il primato." Mi
guarda e sentenzia.
"Però hai la classe di Mickey. Lo stesso portamento." Mi
accarezza la
guancia. "Meno rigido si intende." Ridiamo insieme, perché
lo
scorgiamo che ci guarda innervosito, mentre sorseggia del brandy vicino
al
fratello.
Sherlock
intuisce e gli dà una bottarella, sbuffa annoiato, e
distoglie lo sguardo.
Divento serio, perché so che mi attende una visita difficile.
"Nonna,
tra poco arriveranno i Sinclair. Spero che papà la prenda
bene." Mi
sistemo i capelli, che continuano a coprirmi la fronte.
Mi
appoggia la mano sul ginocchio. "Stai tranquillo, sarà
ragionevole. Sa che
lo vuoi fare, e ti sarà vicino, comunque."
"Mi
hanno salvato la vita, senza il loro sangue non sarei qui."
"Lo
sa, è per questo che ha accettato. Non li ha contattati
Mycroft, è stato
Sherlock a trovarli e a convincerli. A volte è
più maturo di tuo padre."
Non approvo la sua conclusione, perché so quello che ha
sofferto. Ma va bene
così.
Si
interrompe, cambia voce, ora è più dolce quasi
affettuosa. "Si sono
offerti subito, non ha dovuto nemmeno insistere."
Vedo
muoversi Anthea e Sherlock. "Sono arrivati Violet. Vado a recuperare
papà."
Sono
loro che hanno l'incarico di accoglierli, mentre gli altri, amici e
conoscenti
sono in giardino. Purtroppo papà si è defilato,
si è versato da bere già due
volte. E la cosa non mi piace.
È
vicino al camino, con un altro bicchiere in mano, rigido, fermo,
accartocciato
su sé stesso. In pochi passi sono da lui.
"Basta
adesso. Lo so che è difficile per te, ma pensa che se sono
vivo è anche per
loro." Appoggia il bicchiere sul tavolo con poca attenzione e quasi lo
rovescia, ma non dice una parola.
Il
volto è contratto, la fronte corrugata, tutta la sua vita
è stata stravolta per
una decisione che hanno preso al suo posto. Per il figlio che gli hanno
sottratto.
Gli
prendo la mano. È fredda come il marmo, ma so che ribolle
dentro, ho imparato a
leggere nella sua freddezza: negli occhi grigi passa l'odio covato per
anni.
Non
va bene così. Non va per niente bene. Lo porto in libreria,
quasi lo spingo
dentro, chiudo la porta e lo sgrido subito.
"Guardami
papà! Non sei obbligato a venire! Ma cerca di accettare che
questo è il
presente. Lascia andare il dolore del passato, ora non puoi farci
più
nulla."
Gli
tremano le mani e le mette velocemente in tasca. Abbassa la testa e
mormora
quasi senza voce.
"Lo
faccio per te, ma il mio cuore è arido per colpa loro. Non
è facile per me
accettare la vita che non mi hanno concesso e l'amore che avevo per
Virginia." Lo scuoto per le spalle, gentilmente.
"Pensa
che mi hanno salvato, concentrati su questo. Lascia fare a me, lo sanno
quello
che provi."
Lui
si volta, gli occhi sono scuri e tormentati.
"Quando
Virginia mi ha contattato e mi ha detto che ero padre, ti ho subito
cercato.
Lei voleva così tanto abbracciarti!"
Si
ferma cercando di respirare meglio. "Non ho fatto in tempo ad
accontentarla. Non ti ho trovato, perché la legge sulle
adozioni era troppo
rigida anche per me, e sai bene qual è il mio lavoro."
Riprende fiato di
nuovo, gli accarezzo la schiena cercando di farlo sciogliere.
"All'ospedale
ci siamo incrociati con i Sinclair e li ho volutamente evitati." Il mio
gesto ottiene l'effetto desiderato, rilassa le spalle. "È
una tua scelta e
la rispetto, ma non riesco... a superare la sofferenza che mi hanno
inflitto."
La
mia mano è appoggiata sulla sua spalla che sembra portare un
macigno. "Va
bene papà, lo farai se te la senti, ma ti voglio vicino. Non
parlare se non
vuoi, ma stai con me."
È
convinto e mi segue con un passo pesante, lo zio Sherlock è
in ingresso con i
Sinclair.
Il
nonno è un uomo di statura media, con i capelli grigi folti,
porta i baffi. Ha
l'aspetto autoritario del militare, so che lo è stato per
anni: maggiore
dell'esercito di sua maestà. Il suo sguardo si scontra
subito con quello di
papà. C'è tensione fra loro, sono due persone
arroccate nelle loro posizioni.
La
nonna invece è una donna minuta, si capisce subito che lei
non decide nulla in
famiglia. Mi sorride sbalordita, mentre mi studia e cerca un po' di sua
figlia
Virginia in me. Le ricambio il sorriso, sento il passo incerto della
sorella
gemella di mamma, che si avvicina e mi abbraccia. Il suo calore
è confortante,
intuisco che entrambi lottiamo per avvicinare le due famiglie.
"Non
ti ha mai dimenticato Sherrinford, eri sempre nei suoi sogni." Me lo
sussurra all'orecchio mentre mi stringe con forza. So che mi ha dato il
suo
sangue, lei mi ha salvato la vita.
Sherlock
è affiancato a mio padre, ma non prende posizione. Lo
sostiene moralmente,
faccio un cenno con il capo verso di lui, e inizio a parlare.
"Ho
chiesto di vedervi perché volevo conoscervi e non accusarvi.
Lo faccio perché
una sola volta incontrai Virginia all'istituto, lei mi aveva cercato
è questo
mi basta. Era mia madre e mi sento di doverglielo." Lo dico con la mano
di
Vittoria nella mia.
"Non
sono arrabbiato, non voglio vendetta." Respiro profondamente. La mano
di
papà si appoggia sulla mia spalla ferita, delicata e
rassicurante.
"Quando
stavo male lei è venuta da me." Prendo un respiro profondo,
abbasso la
testa. "Potete crederci o no, mi ha fatto capire che la rabbia che mi
portavo dentro per essere stato abbandonato, non era più
necessaria." Mi
interrompo ancora, inghiotto a vuoto. "Lei era felice, e quella stessa
felicità me l'ha donata. Ora credetemi, non voglio nient'
altro che essere
sereno." La zia mi accarezza i capelli, ha gli occhi lucidi. "Sei
quanto di più bello Virginia abbia mai avuto." Mormora lenta.
Indica
con la mano un enorme scatolone appoggiato in ingresso. "Quelli sono i
suoi diari, ti ha scritto ogni giorno della sua vita. Ora sono tuoi.
Quando vorrai
li leggerai e lei sarà con te." Vittoria mi bacia la fronte.
Papà al mio
fianco rallenta il respiro.
Mi
volto a guardarlo, un moto di intesa passa fra noi, e approva muto.
Si
rivolge al vecchio James Sinclair. Si schiarisce la voce, inizia
incespicando,
poi si fa più sicuro. I miei occhi sono nei suoi.
"Quando
Virginia, mi ha contattato e mi ha raccontato tutto, mi ha chiesto di
portarglielo in tempo per abbracciarlo, ma..." Si ferma e prende tempo.
"Ma non ci sono riuscito, e mi rammarico per questo."
Le
sue parole sono appesantite dall'angoscia di avere fallito, fatica a
mascherarla.
"Ho
avuto pochi giorni con lei, la sua malattia era troppo veloce." Sento
la
sua voce incrinarsi. Lo guardo preoccupato, sembra nascondere qualcosa.
Sherlock gli è vicino, il fratello ribelle condivide con lui
un segreto di cui
non sono al corrente.
Ci
guarda entrambi, poi si sofferma sul vecchio James. Si raddrizza in
tutta la
sua altezza. Le mani lungo i fianchi.
"Signor
Sinclair, io, Mycroft Holmes, ho sposato Virginia tre giorni prima che
lei
morisse."
Respira
profondamente, ha gli occhi lucidi, ma nasconde bene il dolore,
è rapido a
riprendersi. Sposta lo sguardo su di me orgoglioso.
"Ho
riparato al danno fatto in gioventù, lei sarebbe stata
comunque mia moglie...
Perché l'amavo."
James
Sinclair è come una statua di pietra, forse non respira
nemmeno, la nonna
Evelyn abbassa la testa bianca e piange silenziosa sorretta dalla
figlia
Vittoria, che invece sorride felice.
James
fa un passo deciso verso mio padre e gli tende la mano.
"Mycroft,
nessuno potrà mai ripagarti del male che ti ho fatto. A te, a
Virginia, a Sherrinford. Dei
pregiudizi che avevo nei tuoi confronti. Di non aver capito che l'amavi
veramente. Mi hai dato una lezione e un rimpianto che mi
porterò dentro per
sempre." La mano è ferma, allungata verso papà.
Lui
tentenna, ha gli occhi incatenati ai miei, capitola e accetta. Il suo
volto si
distende, le rughe si annullano. Adesso riuscirà a elaborare
il passato.
James
continua, la voce calda, la mano stretta in quella di papà.
"Non me lo
merito, ma sono contento che Virginia sia stata felice i suoi ultimi
giorni.
Perdonami Mycroft... se puoi."
Si
volta verso di me. "Nipote, sei un uomo adesso, le mie colpe sono
gravi,
ti ho separato da mia figlia. Ma sappi che lei ti amava. Sarebbe stata
una
madre attenta se io non fossi stato così maledettamente
egoista."
Prende
una pausa, arranca un po', mentre mi guarda attento. "Non pretendo il
tuo
perdono, anzi non lo voglio, ho causato così tanti danni che
non lo merito. Ma
se vuoi la mia casa è aperta, per conoscerti meglio. E
parlare di lei e
riparare al male che ho fatto a tutti." China la testa, perde il
controllo, singhiozza. Vittoria gli è vicina e lo sostiene,
è rassegnato a
vivere nel rimpianto.
"Bene,
nonno James, perché è così che ti
chiamerò da oggi. Verrò da voi e mi parlerete
di mamma, mi renderete quello che ho perso." Si dà un
contegno, ma tiene
la testa bassa. "Grazie per avermi salvato, non era così
scontato farlo.
Ora guardami, sono qui."
Alza
la testa, gli occhi arrossati. "Farò tutto il possibile per
aiutarti." Ci abbracciamo e non c'è bisogno di dire altro.
Ci
raggiungono gli altri nonni e si presentano senza alcun rancore.
Passano
strette di mano, in una tregua univoca. Non c'è
più tensione, ora sembriamo una
famiglia. Una unica grande famiglia.
Nella
confusione che si crea, prendo papà per il braccio e lo
trascino da parte.
"Perché non mi hai detto che l'hai sposata?" Gli sussurro
sconvolto.
"Non
ne ho avuto l'occasione, né il coraggio. Con tutti i
pericoli in cui ti ho
trascinato, mi sono sentito in colpa, le avevo promesso di proteggerti
e non
l'ho fatto." Le sue mani sono rigide, mentre tormenta la catena dorata.
"Dio
papà, hai fatto una cosa dolcissima, perché
sentirti in colpa? I pericoli li ho
scelti io. Rammentalo bene." Cerco di guardarlo dentro i suoi occhi
grigi
che traballano un po'.
"All'inizio
eri molto arrabbiato e io non sapevo come fare... non ero pronto ad
avere un
figlio...non ti ho detto subito di Virginia...ho commesso degli errori
anch'io."
Le
mani sono strette così forte attorno alla catena, che sono
bianche. So cosa
prova, era un uomo solo, impreparato a diventare padre, chiuso nel
dolore di
quell'amore che aveva perso, senza capire il perché. Non
voglio vederlo
soffrire.
"Ora
basta. Ti voglio bene più di quanto tu creda.
Sarò con te sempre, in qualsiasi
momento, nessun altro conta più di te, papà." Lo
abbraccio così forte con
un braccio solo, che si lamenta.
"Fermati,
ti farai male Hayc." Mormora nel mio orecchio.
Gli
altri invitati, ci hanno osservati discreti ci sono tutti vicini.
Mycroft
quando se ne avvede appare confuso, non è abituato al
sentimento, tanto meno ad
esternarli, ma gli sono a fianco e lo sorreggo. Ho forza adesso, per
tutti e
due.
I
nonni, gli amici, Sherlock, il fratello che tanto ha protetto, sono
tutti lì,
in un abbraccio virtuale che ci scalda il cuore.
"Mycroft
faresti bene a tenertelo stretto un figlio che ti ama così."
John è
sollecito, sa quanto ho lottato per avvicinarmi a papà.
Lui
si schernisce, lo sento tremare sotto i suoi vestiti costosi. So che
devo
proteggerlo, non ha uno scudo per le emozioni.
"Bene,
allora che facciamo? "Li guardo tutti, passandoli uno ad uno. "Non
volete festeggiare il mio ritorno?"
Rosie
si aggrappa alle mie gambe. "Allora piccola principessa, diamo il via
al
pranzo?" Lei annuisce scuotendo i capelli biondi. Le prendo la manina e
imposto la voce.
"Allora
si apra la cucina, e si buttino i pensieri cattivi. Io Sherrinford
Holmes,
principe ammazza- draghi e Rosamunda dai riccioli d'oro, inizio i
festeggiamenti." Volano sorrisi e risate, e pacche sulle spalle ed
è così
che voglio che sia.
Mycroft
mi guarda interdetto, scuote la testa, ha riacquistato il suo British
aplomb.
"Sei proprio imprevedibile figlio, non so come farò a
sopravvivere con
te." Ci sciogliamo in una risata complice, la sua mano si posa sul mio
petto al centro del cuore. Vedo la fede nunziale sulle sue dita
sottili.
Pensavo fosse un vezzo, ma ora so perché la porta, la sfioro
con le dita,
tremando.
Mi
lascia fare senza ritrarsi. È bello l'amore che aveva per
Virginia.
Ora
so perfettamente, che ho avuto una famiglia che mi ha voluto bene. Il
destino
ci ha separati, ma ora siamo insieme. Anche oltre la vita. Mamma
è lì presente.
lo sento.
"Le
voglio bene papà, grazie per averla resa tua moglie e mia
madre." Annuisce
sereno, gli occhi limpidi e la gioia mi riempie il cuore, quello
malandato che
ora batte sicuro.
Raggiungiamo
fianco a fianco gli ospiti.
Sono
Sherrinford Haycok, ho un nome eccentrico come tutti i membri della
famiglia,
ma sono orgoglioso di essere un Holmes.
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