Prudence

di itsanonymous
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII ***



Capitolo 1
*** I. ***


I










Quando inserisco la chiave nella serratura, l'aria mi pizzica ancora il naso per la puzza.
L'odore fetido di alcool aleggia ancora nella casa, nonostante siano passate diverse ore. Va sempre così, lo so già.
Ogni mattina, all'alba, la sveglia del cellulare mi permette di godere di qualche ora di pace. Esco di casa per rifugiarmi nelle strade silenziose che mettono a tacere anche i miei pensieri o, perlomeno, è quello che mi dico. Ma so bene che quest'abitudine mi salva dalle loro urla che, puntualmente, mi tormentano persino nel sonno.
Mio padre e mia madre hanno la cattiva abitudine di litigare spesso. E dire litigano è un'eufenismo. Volano piatti o, ancor più spesso, le numerose bottiglie di whisky di mio padre che hanno come unico bersaglio mia madre.
Ho provato spesso a interpormi tra il loro corpo a corpo e qualche volta me la sono cavata con uno schiaffo schivato da mia madre o con qualche graffio al braccio. Una volta ho schivato all'ultimo secondo una bottiglia diretta a lei.
Mia madre è una donna forte, ma non abbastanza da decidere di lasciarlo. L'amore a volte fa brutti scherzi, e nel suo caso è stato proprio crudele.
Ho provato a convincerla più volte, spiegandole quanto meritasse di più, dicendole che poteva essere finalmente felice, libera dalle catene e dalle costrizioni. Potevamo affittare un piccolo monolocale e cavarcela alla grande. Avrebbe potuto tornare la sera stanca da morire, ma sentirsi al sicuro nel nostro appartamento.
Senza la paura che una parola sbagliata avesse potuto scatenare una lite e il lancio delle bottiglie.
Ma lei mi aveva risposto che non poteva lasciarlo a se stesso e che non poteva privarmi di un padre.
« Io non ce l'ho un padre! » le avevo urlato dopo la milionesima volta che mi rifilava questa ridicola risposta, uscendo di casa e sbattendo la porta.
Ogni mattina, dopo la mia scappatoglia, mi ritrovo a raccogliere le scheggie. Mio padre è sempre più ubriaco e mia madre sempre più agile a scansare le bottiglie.
Mia madre è già uscita per andare a lavorare in un bad and breakfast sulla Decima e mio padre, come ogni giorno, vagabonda insieme ai suoi amici raccontandosi dei tempi andati.
E' disgustoso, lo odio più della mia stessa vita.
Non sono riuscita a trovare un lavoro decente per permettermi di mettere da parte i soldi e scappare via, insieme alla mamma, che lei lo volesse o no, e mi ritrovo a cercare delle scappatoie per non affondare.
Mi sento come se fossi sempre sulle sponde delle sabbie molli: basta solo un piccolissimo passo, per andare giù e non risalire mai più.
Motiv per cui, cerco di essere quanto più lucida possibile: devo essere forte per entrambe.  Troverò, prima o poi, il modo per andarmene insieme a lei via di qui. E mi sentirò al sicuro, finalmente a casa mia.
Il problema delle fughe, però, è che prima o poi finiscono e mi ritrovo a far i conti con una realtà incontrastabile.
Ho provato ogni giorno a lasciare curricula ovunque e, alla fine di ogni colloquio, non mi sembrava fosse andata male. Al contrario, sembravano tutti ben predisposti. Cerco sempre di apparire come sono realmente: attiva, solare, estroversa, una che impara velocemente, che si dà un gran da fare. E, come ogni volta, quando sembro ad un passo dall'assunzione, misteriosamente la mia candidatura viene rifiutata con giustificazioni inverosimili.
Quando mi confidavo con la mamma, mi dava l'impressione di sentirsi sollevata del mio fallimento, poi mi accarezzava il viso, mi sorrideva teneramente e mi diceva: « E' perché meriti di meglio, Prue. Dio ha in servo per te qualcosa di grandioso» . Ma io non le ho mai creduto per davvero; ho sempre pensato che Dio si fosse lavato le mani della mia famiglia. Di me.
Porto sempre con me quell'incancellabile sensazione di sentirmi fuori posto, come un minuscolo pesce fuor d'acqua.
Non mi sento mai parte veramente di niente, e nemmeno questo mondo sembra voler far parte di me.
Ho solo una famiglia sull'orlo dello sfascio e qualche amico fedele disposto a sopportare i miei crolli e miei attacchi di euforia improvvisi.
Eppure sento che qualcosa più grande di me debba venire a prendermi ma, durante le notti particolarmente tristi, mi sono chiesta se non fosse solo la troppa speranza che nutro per il mio futuro.
Dopo aver raccolto i cocci di vetro, li getto nella spazzatura e mi dirigo ad aprire le finestre.
« Mmh » sento grugnire alle mie spalle « fa oppo freddo. Chiudi.. quella.. 'nata finestra»
Mi volto, ma so già chi mi troverò di fronte. Mio padre, un uomo alto ma tarchiato, ridotto in ginocchio dall'alcool, con abiti sgangherati e corrosi; la pelle che arde ancora del fetore del whisky.
Socchiudo gli occhi, colmi di rabbia, mentre lo guardo e vedo il centro del mio dispiacere, del mio dolore. Mio e di quello della mamma.
Da quand'è che ho smesso di considerarlo un padre?
Ricordo di quando era un uomo elegante e raffinato, la pelle lucida e un sorrispo splendente,  sempre disponibile e gentile, che condannava gli ubraconi manco fossero i servi del diavolo in persona. Ricordo di quando, a Natale, si travestì da Babbo Natale solo per farmi una sorpresa.
Poi, nel giro di qualche anno era cambiato radicalmente. Ed io l'avevo perso. Avevo solo sei anni, ma ricordo tutto alla perfezione.
Ricordo che, così piccola, indossai la corazza che mi ha permesso di arrivare a ventun'anni indenne, o quasi.
« Io non chiudo un bel niente » gli dico voltandomi ad aprire con più foga un'altra finestra « C'è puzza.. ovunque» gli sputao addosso quest'ultima parola, carica di ribrezzo. Lui socchiude gli occhi e mi guarda come un cane rabbioso: è l'espressione che precede il lancio delle bottiglie.
Incorcio le braccia al petto e aspetto con ansia il momento.
« Non ti pemmetto di pallammi così » sbiascica cercando di prevalere sull'alcool, ma temo che ne abbia ingurgitato troppo. E faccio un sorriso che sembra più uno scherno di sfida.
« Certo » rispondo sarcastica « ma a me non interessa quello che dici» .
Lui alza il braccio pronto a lanciarmi addosso la sua bottiglia. Sono troppo lontana dalla porta per scappare nel corridoio e troppo indietro per rifugiarmi sotto al tavolo e mi trovo spiazziata.
Vedo la bottiglia venirmi incontro e so che non potrò fare niente per evitarla, perché anche se tenterò di scanzarla, mi colpirà il braccio o il fianco. Così alzo il braccio per proteggermi e accade.
Come se si fosse alzato un muro tra me e mio padre, la bottiglia rinbalza e si schianta alle spalle di mio padre.
Lui si volta a guardare prima la bottiglia in frantumi e poi me, gli occhi iniettati di sangue dalla rabbia. Ora sembra più lucido perché riesce a pronunciare decentemente le parole.
« Come hai osato? » mi urla furibondo ed io devo urlare più forte per farmi sentire.
« Non ho fatto proprio un bel niente! »
« Ti ho vista! Ti ho vista! Mi hai lanciato la bottiglia.. volevi uccidermi! » delira.
« Oh, ma per favore! Se avessi voluto ucciderti, l'avrei fatto molto tempo fa » scandisco le parole lentamente, in modo che le afferri velocemente.
Ma, senza darsi per vinto, raccoglie velocemente un'altra bottiglia e me la scaglia, ma io non ho nemmeno il tempo di riparami col braccio. Ma non ce n'è bisogno, perché è accaduto di nuovo.
C'è un'altra bottiglia - ora - in frantumi, ai piedi di mio padre.
Mi guarda di nuovo, questa volta con sospetto, come se anche lui non sapesse cosa dirmi. Inizia a borbottare qualcosa tra sé.
« Forse hai bevuto troppo, stamattina » gli suggerisco con il viso in fiamme ed una rabbia cieca che sta scemeando. Lui alza le sopracciglia come per darmi ragione e struscia i piedi per terra, dirigendosi alla porta per andare via.
Ansimo per un minuto in preda al panico, mi reggo alla sedia del tavolo e poi mi accuccio a raccogliere i cocci delle bottiglie.
La verità è che questa volta non è colpa dell’alcool. L'ho visto - o forse dovrei dire percepito - anch'io, il campo di forza che ci ha divisi e protetto me.
Mentre getto i cocci di vetro nella spazzatura, penso che forse è l'alba di una nuova era che si avvicina.
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** II. ***


Ciao ragazzi! Questa è una mia vecchia storia che ho postato su il mio primo account. Mi è sempre piaciuta tanto e la sto rivisitando, visto che l'ho scritta molto tempo fa ed era piena di errori e buchi e sto cercando di compensare. Spero che diate a questa storia un'opportunità! Grazie in anticipo.
 
II.





 






Freddo.
C'è freddo ovunque e mi lambisce le gambe, senza dolermi. E' un freddo che dovrebbe inebetirmi i sensi, dovrei sentire l'ustione del ghiaccio sotto la pelle, ma non succede.
E' un freddo che invece di nuocermi, mi rinforza. Le correnti sono a mio favore, le posso sentire.
Sono sospesa nel vuoto, guardo sotto di me e vedo un'immensa massa di ghiaccio, attraversata da un piccolo fiume, che sarà gelato. Pensare a quell'acqua fredda dovrebbe farmi accapponare la pelle dai brividi, ma non è così. In un altro momento avrebbe potuto essere così, ma non adesso; forse, se fossi stata intelligente da capirlo, avrei potuto sfruttare quell'acqua a mio favore. Ma non sapevo come.
Guardo sopra di me, e vedo la mano che mi sta sorreggendo, che mi stringe più forte.
« Non ti lascio andare, Prue. Scordatelo » mi dice e so che non lo farà davvero. Vorrei guardarlo in faccia, ma non ci riesco, come se non mi fosse concesso.
Riesco a scorgere sul suo polso il bracciale a forma di tartaruga, identico al mio.
Sento i suoi occhi blu perforarmi la nuca dalla disperazione.
Ma dovrà lasciarmi andare, so che dovrà farlo. Altrimenti non sarò la sola a rimetterci: anche lui cadrà nel vuoto insieme a me.
Io potrei cavarmela, ma non lui, lui no. E non posso permetterlo.
So che è così importante, da lasciarmi cadere per salvarlo senza pensarci due volte e lo farò.
Inizio a mollare la presa sul suo polso.
« Mi dispiace » mormoro.
Lascio definitavemente la presa, sento la sua voce straziata che riecheggia nei ghiacciai mentre mi preparo a cadere nel vuoto.
So che adesso lui è al sicuro. Io non più.
 
 
 
Apro gli occhi e scatto a sedermi. Sono nella mia stanza.
La luce della luna filtra delicatamente dalla finestra, conferendo ad ogni cosa una sfumatura argentata.
Mentre il mio respiro si regolarizza, mi prendo un attimo per osservarla e tranquillizzarmi.
Ogni notte, da quando quella barriera invisibile si era frapposa tra me e mio padre, il mio sonno era popolato da questo strano sogno.
E, da allora, ogni notte, la luna piena era sorta in cielo, come se stesse lì appositamente per me, come se sapesse che avrei avuto bisogno di lei per calmarmi. Per trovare la forza di andare avanti.
Sentivo sempre la sua voce, calda e roca, suadente al punto giusto ma determinata, coraggiosa.
Durante il giorno, la sentivo rimbombare nella testa quando mi sentivo troppo giù per affrontare il mondo intero, infondendomi coraggio.
Erano passati cinque giorni da quel bizzarro evento e non ne erano accaduti più.
Ero arrivata al punto di pensare che avessi immaginato tutto, che tanto era la disperazione, da indurmi a credere in qualcosa di inesistente per continuare a vivere.
Ma poi, quel sogno, mi inondava di dubbi. Di chi erano quegli occhi blu che sapevo di conoscere bene? Mi sembrava di vederli, quando chiudevo i miei. Ogni volta cercavo di ricordare un dettaglio in più, ma la mia ricerca non aveva sempre successo.
La seconda notte, avevo pensato persino di ricordarmi dei capelli bruno doraticci e per un attimo un viso mi era apparso nella mente, ma mi era sfuggito subito.
Questa notte, però, ho visto un altro dettaglio: il braccialetto con la tartaruga che, persino in questo momento, porto al polso.
Era stato un regalo di mia mamma quando avevo sette anni. In quel periodo avevo sviluppato una strana passione per le tartarughe. E, quando poteva, lei mi riempiva di oggetti che le raffigurassero.
Conservavo, chissà dove, una piccola agendina verde chiaro, dalla forma di una tartaruga. Verde come il mio colore preferito.
Sospiro e mi lascio andare di schiena sul letto, nella speranza di prendere sonno.
Piano piano mi assopisco e mi rendo conto che dovrebbero essere le sei del mattino e che non ho sentito la sveglia che mi avrebbe consentito un po' di pace.
Sento le loro urla, però; sbuffo e mi dirigo in bagno.
Quando scendo di sotto, le urla sono cessate, ma il disastro che c'è in casa è pari ai campi allagati dopo un'alluvione.
Lui è ancora lì fermo, si tiene poggiato al ripiano della cucina, una mano sul viso.
Capisco subito in quale fase si trova: quella del pentimento. Ma tranquilli, dura così poco che subito ci ritroviamo con un'altra bottiglia fracassata.
Mia madre è accovacciata sul pavimento e tenta di rimuovere tutto prima che mi svegli. Troppo tardi, direi.
« Buongiorno anche a voi » sbuffo irritata.
Lei non alza il viso per guardarmi e mio padre non si volta. Di solito il mio sarcasmo è così pungente per lui che gli è impossibile non cogliere le mie provocazioni e innescare il gioco delle bottiglie.
Prendo la mia tazza dal mobile e la riempio di latte e cereali e comincio a masticare.
« Credo che oggi proverò di nuovo a trovare lavoro » dico senza troppa convinzione.
Mia madre annuisce e non mi risponde. Brutto segno. Di solito cerca di convincermi che è solo una perdita di tempo; c'è qualcosa che non va.
« Mamma? » sussurro.
Lei si ferma e sospira, come se si stesse trattenendo, ma ancora non si volta. Finalmente mi guarda e la mia tazza mi scivola, finisce sul pavimento insieme al latte e ai cereali.
La parte destra del suo viso delicato è rovinato da una marea di tagli sottili, si riescono ad intravedere ancora dei minuscoli residui di vetro verde conficcati nei tagli.
Ed è allora che la vedo. La bottiglia che si trova ai suoi piedi, non completamente distrutta, ma solo per metà. Come se fosse stata battuta su qualcosa.
Ma non era qualcosa, era la faccia di mia mamma.
Lui è ancora appoggiato al tavolo ed io non riesco a controllarmi, si toglie la mano dal viso giusto il tempo di vedermi piombargli addoso.
Cadiamo insieme, sento le urla della mamma che mi dice di fermarmi e che intima a lui di non farmi del male. Troppo tardi.
Mi ha fatto male quindici anni fa, quando all'improvviso sono diventata parte dell'arredamento per lui.
Mi colpisce al viso ed io cado all'indietro, rotolo di lato e il suo pugno finisce sul pavimento. Lo sento ululare di dolore, il sangue mi pulsa alle tempie, sento scorrermi nelle vene un'adrenalina mai provata prima.
Mi alzo in piedi, pronta ad affrontarlo ancora. Non riesco ad essere lucida, non più; forse è la conseguenza di tutti questi anni in cui mi sono trattenuta, ora la mia rabbia fuoriesce da me come un fiume in piena.
Mi lancia la prima cosa che gli capita sotto mano, il centro tavola che ho regalato alla mamma per il Natale scorso. Ma è così prevedibile, che la barriera si attiva prima ancora che possa alzare il braccio.
Una rabbia cieca si è impossesata di me, sento un potere tutto nuovo invadermi, sento un formicolio pizzicarmi dalla testa fino alle mie mani.
Guardo fuori. Si è scatenata una tempesta di neve che fino ad un minuto fa non c'era. Mi è sempre piaciuta la neve, da bambina mi divertivo a creare un delizioso angelo dalle ali larghe.
Le finestre di ogni stanza si spalancano ritmicamente, una dopo l'altra, come in una sequenza programmata; sento il gelo attanagliarmi le gambe ma invece di trascinarmi giù, mi innalzano. Mi sento potente, fiera, come se fossi rinata proprio in questo momento.
La neve mi vortica intorno, come se fossi la sua Regina, la sento trasformarmi ed io la posso plasmare al mio volere.
Il mio bersaglio mi sta di fronte, sconvolto e terrorizzato allo stesso tempo, ma prima che possa scagliarmi contro di lui, le finestre esplodono in milioni di pezzettini.
E non sono stata io.

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Capitolo 3
*** III. ***


III.








 
 
 
 
Le scheggie di vetro volano ovunque e prima ancora che possa gettarmi per fare scudo col mio corpo per proteggere la mamma, la mia ormai consueta barriera invisibile ci ha pensato per me. Siamo al sicuro entrambe, solo mio padre ne è rimasto fuori.
Lo vedo attorcigliarsi su se stesso per evitare le scheggie. Sembra folle, ma sorrido: almeno adesso sa cosa si prova.
Il mio sorriso dura meno di cinque secondi alla loro vista. Decine di figure nere incappucciate, saltano nell'appartamento attraverso le finestre.
La pelle chiara, quasi traslucida, è terrificante: le vene sono quasi visibili, sembra quasi che riesca a sentire lo scorrere del sangue. Sono tranquilli, per nulla agitati o preoccupati di essere appena piombati in un appartamento di gente sconosciuta. E, soprattutto, incutono terrore, lo sento penetrarmi nelle vene, lo potrei persino inalare.
Alcuni si guardano tra di loro e, nel girarsi, riesco a scorgere il volto di uno di loro ed è peggio di quel che pensavo.
Gli occhi sono neri, completamente; i lunghi capelli neri somigliano ad un aggrovvigliato di cobra pronti ad azzannare al momento giusto.
Di una cosa sono certa: non sono i buoni questi.
Cerco disperatamente la chioma rossa - come la mia - di mia madre e la scorgo dietro al divano color panna e sospiro. Per il momento è al sicuro, non l'hanno vista. Non ancora.
E' come se si nutrissero della nostra paura, alimentandola. Non so cosa fare, in realtà, non riesco nemmeno a pensare.
Uno di loro si abbassa il cappuccio e si avvicina lentamente a mio padre, che ha gli occhi sbarrati e lo osserva orripilato. Cerca invano di sfuggirgli, indietreggiando, senza avere la forza di alzarsi in piedi e scappare egregiamente.
Il suo volto è diverso dagli altri, ha qualcosa che persino nell'oscurità, gli conferisce una luce inquietante. Sarà il disprezzo che emana? Forse. O l'orrore che mi incute? Probabile.
Ma qualcosa mi dice che è diverso, che ha una marcia in più: non incute solo terrore, lui è il terrore.
Ad un certo punto l'Essere alza la mano e la stringe in un pugno chiuso, un'espressione di odio si dipinge sul suo volto. Mio padre si porta le mani alla gola e dei gorgogli soffocati gli escono dalla bocca e capisco: lo sta soffocando.
E in un solo attimo, mi passa tutta la vita davanti.
Mi rivedo felice, sotto l'albero di Natale con mio padre che mi sta davanti, vestito da Babbo Natale; mi rivedo sul letto al buio, con solo una luce sul comodino a farci compagnia. Mio padre è con me, intento a leggermi una storia. Io sonnecchio felice e lui se ne accorge, mi da un bacio sulla fronte e sguscia via.
Poi lo rivedo cambiato, invecchiato, trascurato. E risento le urla provenienti dalla cucina, il primo schiaffo, il primo livido sul volto della mamma.
Risento la mia voce sofferente, ma comunque orgogliosa, mentre gli riverso addosso il mio odio. Ma lui non mi risponde, ingurgita un bel sorso di whisky e va via.
Questo potrebbe essere la soluzione ai miei problemi, mi dico. L'occasione di rifarci una vita.
Ma lo voglio davvero? Si, insomma voglio un'altra via d'uscita. Ma non così.
Conscia del fatto di poter morire in meno di un minuto e di non avere nessuna speranza di riuscita, mi alzo evitando ogni rumore e mi lancio contro la figura incappucciata.
Nessuno reagisce perché - incredibile a dirsi- sono stata più veloce degli altri e brava a non far trapelare le mie intenzioni.
Stiamo per cadere, ma poi mi accordo di essere caduta da sola, perché quell'essere non c'è più. Come per magia, si è materializzato altrove, esattamente dietro di me.
Sento mio padre ansimare selvaggiamente nel disperato tentativo di riprendere fiato. Non ho tempo di assicurarmi che lui stia bene: respira, quindi significa di si.
Il mio cervello mi ricorda di non essere stata brava come credevo.
Mi aspetto che l'uomo sollevi la mano e che tenti di strangolarmi, ma non avviene. Mi scruta incuriosito, come se fossi un animale da circo addestrato male, poi si volta verso i suoi seguaci e sorride, loro gli sorridono di rimando. Non è un sorriso naturale, come quelli che riscaldano il cuore o che trasmettono felicità; è freddo, calcolatore. Il sorriso di un assassino che sta per commettere un omicidio.
« Ci incontriamo finalmente, Prudence Abundance Sweater »  la sua voce è gutturale e sibillina e mi provoca immediatamente brividi dietro la nuca.
Mi fa rabbrividire - soprattutto-  il fatto che sappia il mio secondo nome. Nessuno, a parte i miei genitori, è a conoscenza di questo dettaglio. Mia nonna paterna, da cui deriva il mio secondo nome, non è mai stata entusiasta del suo nome. Fece giurare mia madre di non chiamarmi mai così. Mia madre acconsentì e, quando nacqui io e mia nonna venne a sapere della scelta dei nomi si arrabbiò, dicendole che aveva infranto un giuramento. Mia madre, però, le rispose che non aveva mai giurato di non darmi il suo come secondo nome.
Ancora con la pelle accapponata, valuto le probabilità di fuga. Meno di zero, risponde la mia mente.
Con la coda dell'occhio vedo mia madre che, sempre nascosta dietro al divano, gattona scomprarendo sempre di più dalla sua vista. Quand'ero piccola, anche io usavo quella tattica quando giocavo con lei, portandomi alle sue spalle e cogliendola di sorpresa.
Il panico si impossessa di me, vorrei urlarle di non commettere sciocchezze, di non provarci nemmeno, ma se lo facessi lui si accorgerebbe di lei e non posso permetterlo. Così mi esce solo un singulto di frustrazione. Devo diventare l'unica forma di attenzione di quest'Essere.
Lui mi scruta con indifferenza, come se stesse progettando il modo migliore per uccidermi.
La gola secca mi impedisce di proferire parola, affinché possa continuare a distrarlo.
Ma lui mi fulmina con lo sguardo, quasi come se avesse ascoltato i miei pensieri. Si volta lentamente, con una sicurezza disarmante e terrorizzante allo tempo stesso, con un'espressione imperturbabile sul viso.
« Giorgie » la chiama, come se fosse davvero una piacevole sorpresa « Ti prego deliziaci con la tua presenza ».
Mi madre si alza, i pugni chiusi e un'espressione feroce sul volto. Gli occhi, quegli occhi che conosco bene, la tradiscono un po', ma forse solo io li capisco: trasmettono la paura mascherata dall'orgoglio.
« Arkell » sibila lei a denti stretti. Non l'avevo mai vista così arrabbiata.
Aggrotto le sopracciglia confusa. Mia madre l’ha appena chiamato per nome? Si conoscono?
Lui ride. Una risata stridula, che mi fa accapponare la pelle. Non riesco a dire come, ma sento che abbia un'energia davvero potente dentro di lui. Forte e malvagio: un'accoppiata distruggente.
« Ma guarda! Guardate il colore dei suoi occhi » esclama divertito e sarcastico ai suoi seguaci « Sono inequivocabilmente... Naturali »
Naturali? Se si riferisce che sono color nocciole, be' si, sono naturali. Semplici.
I miei occhi, invece, sono color ghiaccio come quelli di mio padre.
Evidentemente è un'affermazione che la mortifica, perché le guancie di mia madre arrossiscono violentemente.
« Ma tua figlia no, vero?» continua perfido « Sono assolutamente so..»
Ma prima che finisca la sua frase, mia madre ha già agganciato un cuscino e gliel'ha gettato in faccia.
Un silenzio carico di tensione cala nella stanza. E' stato sicuramente un gesto sconsiderato, irrispettoso, perché vedo i seguaci di questo mostro per la prima volta scomposti, offesi.
Il viso di Arkell si indurisce, letteralmente, come la pietra: il suo viso inizia a creparsi, come un terreno arido ed esplode. Pezzetti di terra e pietra inondano il pavimento, una nuvola grigio topo lo avvolge; devo sputacchiare qualche granello di terra che mi è entrato in bocca.
Ed è in quell'istante che ho paura: temo per la vita di mia madre, che ha commesso un gesto così stupido, così stupido! Sono disperata e arrabbiata allo stesso tempo, ma anche orgogliosa di lei: ho aspettato questo momento da tutta la vita, che reagisse, che dimostrasse quanta forza avesse una donna minuta come lei.
Si guardano ferocemente negli occhi per minuti interminabili, e mia madre lo affronta, senza abbassare lo sguardo.
Non so chi siano queste persone, non so cosa vogliono da noi che siamo una famiglia assolutamente anonima.
E' un incubo? Forse a breve mi sveglierò nel mio letto, con la luce fioca della luna a farmi compagnia.
Mi do un pizzicotto sul braccio, e soffoco un gemito. No, non sto sognando. Sono sveglia e dovrò trovare un piano alla svelta prima che mia madre venga strangolata da un tizio traslucido che è piombato nella mia stanza all'improvviso.
E poi la vedo.
Dalla finestra, silenziosamente, aleggia un oggetto lungo e affinato nella mia direzione; è argentato e col manico più scuro di una tonalità. Sembra una spada. Mi volto immediatamente per sapere cosa sta accadendo e se stanno vedendo ciò che vedo io ma, per mia fortuna, la scena è rimasta immutata. La spada, quasi volesse accontentarmi, atterra ai miei piedi senza un rumore che tradisca la sua presenza. E' lunga, la sagoma non è dritta ma ondulata, con una punta affinata. Al confine col manico vi è un incisione: Principessa della Neve. Vi è anche una piccola raffigurazione: un cristallo di neve.
Arkell avanza verso mia madre, sembra quasi che stia strisciando; i suoi seguaci scrutano la scena con curiosità e ammirazione: sanno che il loro padrone non fallirà.
Afferro la spada, che combacia perfettamente con la mia mano, e sprigiona una luce color ghiaccio quasi come se si fosse accesa al mio tocco.
E' folle, ma è l'unico piano che ho: quello di interpormi tra lui e mia madre e intimargli di andare via. Spero solo che la mia mano non tremerà.
Con un solo balzo, atterro davanti a mia madre dandole le spalle. Deglutisco rumorosamente perché sono sconvolta: ho appena fatto un salto di due metri senza cadere con la faccia per terra e rompermi il naso.
Arkell mi guarda ammirato.
« Bene bene » tuona soddisfatto.
« Sta lontano da noi » sibilo, sento il sangue pulsarmi nelle orecchie e le tempie martellare. La mia voce è stridula e per niente intimidatoria.
Lui ride. Una risata divertita di chi ha appena ascoltato una fesseria colossale e la mia ira accresce. Sento il formicolio pizzicarmi nelle mani e la chiamata giunge a destinazione. La neve entra da ogni fessura della casa, non più solo dalla finestra. Più vedo il suo volto sghignazzare, più la mia furia si infittisce.
La neve ci avvolge come uno scudo e attacca i seguaci di Arkell con delle frecce: la mia intenzione era quella di colpirli, di privare Arkell della forza dei suoi alleati e la neve mi ha obbedito.
Ora Arkell non ride più: si forma un ringhio sulle sue labbra e tira fuori la spada.
La sua è nera, con un bagliore grigio antrice all'esterno, al confine con il manico vi è inciso un teschio, c'è anche una scritta ma non riesco a leggerla.
La neve si placa perché sa che non potrebbe essermi di aiuto in un corpo a corpo. Mi metto in posizione anche se non so nemmeno come usarla. Mi auguro solo che l'improvvisazione mi sia d'aiuto. Non faccio nemmeno un tentativo, che vedo il mio braccio muoversi a rallentatore. Aggrotto le sopracciglia immaginando che sia l'effetto di un qualche potere di Arkell e so già di essere spacciata, ma poi vedo la sorpresa sul suo volto specchio del mio.
Un fascio di luce blu lo accompagna, salta agilmente nella finestra e atterra come un felino sui suoi talloni.
E' un ragazzo. Gli occhi sono di un blu scuro brillante, come il fascio di luce che proviene dalla sua spada.
Indossa una tuta aderente, nera, che risalta la sua muscolatura pronunciata al punto giusto, all'altezza del bacino vi è allacciata una cintura blu, come i suoi occhi. Mi chiedo se non sia fatto apposta.
I capelli castano dorato corti, gli illuminano una situazione altrimenti cupa. Le sopracciglia scure, gli occhi incavati e la bocca carnosa, non riflettono la luce.
Impugna la spada con una disinvoltura disarmante, come io impugno una penna per scrivere. Fissa Arkel negli occhi, scruta i seguaci con indifferenza, come se fossero solo un branco di bicchieri in una credenza.
Guarda mio padre, ancora accasciato a terra e alza un sopracciglio.
E solo per un istante, mi fissa negli occhi, mi sembra che si accenda una scintilla nei suoi, poi distoglie velocemente lo sguardo.
« Fa presto » mormora alle sue spalle.
Un ragazzo vestito allo stesso modo, con l'unica differenza della cintura color cioccolato, si sporge dalle sue spalle. Ha i capelli lunghi fino al mento di un biondo che si avvicina al giallo, gli occhi color cioccolato brillante. Indossa una faretra e in mano ha una freccia marrone scuro.
Scocca la sua freccia, mentre il mio braccio si muove ancora a rallentatore, e in quell'istante scoppia il putiferio. Una tromba di sabbia si abbatte nel mio soggiorno ormai martoriato. Il mio braccio termina il suo movimento, la moviola è finita, ma devo proteggermi gli occhi dalla sabbia.
Qualcuno afferra il mio braccio e mi trascina via, cerco di voltarmi indietro per vedere mia madre, ma la sabbia è così fitta che mi bruciano gli occhi.

 

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Capitolo 4
*** IV. ***


Ragazzi scusate, il capitolo che ho pubblicato prima appartiene ad un'altra fanfiction e l'ho pubblicata per errore!
Spero vi piaccia questo capitolo, a presto!
 



IV
 






 
 
Mentre cammino strisciando i piedi a terra, vedo il turbine di sabbia che vorrebbe aggredirci ma non ci riesce.
Scorre attorno a noi a rallentatore e si infrange contro una barriera invisibile, come un'onda su una roccia.
I miei movimenti, però, sono regolari: solo ciò che mi circonda ha perso il senso del tempo.
Posso vedere la bolla in cui siamo avvolti, io e lui: è trasparente e se non fosse per la superficie stagnosa non me ne accorgerei. E' come se un bambino mettesse ripetutamente il dito in uno stagno, provocando un cerchietto d'urto attorno.
E allora capisco che non è stata opera di Arkell o di qualcuno dei suoi seguaci. E’ lui: il ragazzo dagli occhi blu.
Mi volto indietro e tra la confusione riesco a scrutare, più o meno bene, la mia casa in lontananza. Vedo le finestre spalancate, i residui di neve sulle ferriate e il terreno che, instancabile, si scontra contro ogni cosa.
Mi sale un groppo alla gola e il panico mi invade lo stomaco: non c'è traccia mia madre.
« Dove stiamo andando? » urlo per farmi sentire oltre tutta la confusione. Arrossisco immediatamente, perché noi siamo perfettamente protetti anche dal caos. Così mi schiarisco la gola, giusto per riprendermi.
Lui non si volta nemmeno e non mi risponde, la sua mano saldamente ancorata al mio polso.
Sospiro sonoramente e visibilmente arrabbiata, strattono il mio braccio all'indietro per attirare la sua attenzione.
Finalmente si volta a guardarmi e questa volta posso vederlo meglio. I suoi occhi, ancora una volta, mi sembrano tremendamente familiari, come se fossero stati con me per tanto tempo. Ma sono certa di non aver mai visto occhi così.
Ha una piccola cicatrice obliqua sotto il labbro inferiore, che è più carnoso rispetto a quello superiore, e gli crea un solco tenerissimo.
« Dov'è mia madre? » gli chiedo distogliendomi dai miei pensieri.
« Tranquilla, è insieme a Josh » risponde.
« Ed io dovrei tranquillizzarmi? » urlo, e non perché ho difficoltà nel farmi sentire, ma perché so che sto per perdere le staffe « Non so nemmeno chi sia Josh! E non so nemmeno chi sei tu »
« Io sono Theo » mi dice tranquillo, porgendomi la mano come se ci fossimo conosciuti in quel preciso momento. Squadro prima il suo viso poi la mano, ma non l'afferro. Non voglio cedere, anche se l'istinto mi dice di potermi fidare; non voglio dargli l’impressione di essere una che si fida di uno sconosciuto solo perché mi ha appena salvata ed è attraente.
« Dove stiamo andando e dov'è mia madre? » ripeto furiosa.
Lui abbassa la mano e mi guarda deluso poi sbuffa. « Stiamo andando a Charmade e non chiedermi cos'è, lo vedrai da sola. E tua madre è insieme a Josh, non può venire ma... »
« Non può venire?! » sbotto, sento il formicolio pizzicarmi le mani e so che se non mi calmo una bufera di neve si abbatterà su di lui.
Lui mi guarda le mani, come se avesse capito tutto.
« Senti » inizia a dirmi ma ho difficoltà a concentrare l'attenzione sulle sue parole e faccio quel che posso « Tua madre è al sicuro. Non può venire con noi perché è una Naturale. Ma ora noi..»
« Cosa significa " è una Naturale"? » lo interrompo.
« Te lo spiego più tardi. Ora vogliamo sbrigarci, o vuoi che Arkell e i suoi seguaci ci prenderanno? Non posso trattenerli per sempre » una vena sulla tempia pulsa furiosamente.
Annuisco arrendevole.
« Tienimi la mano e non lasciarla finché non siamo arrivati » mi ammonisce « La prima volta sarà dura » .
Non faccio nemmeno in tempo a chiedergli perché che mi sento risucchiata dall'aria e un feroce vuoto allo stomaco si impossessa di me, come se avessi affrontato una ripida discesa sulle montagne russe. Non so se sono risucchiata dall'aria o da me stessa, perché è come se ogni pezzetto di me si andasse a ripiegare perfettamente su se stesso per combaciare precisamente ed andare a riporsi in una scatola.
Apro gli occhi quando sento il terreno ritornare finalmente sotto ai miei piedi. Sorrido per il sollievo, ma anche perché non è stata dura come aveva predetto Theo. Mi è persino piaciuto, d’altronde ho sempre avuto un debole per le montagne russe.
« Se ti senti male metti la testa tra le ginocchia » mi dice lui, con voce improvvisamente fredda.
Scuoto la testa leggermente, mi sento un po' scossa ma non ho bisogno di riposare. Lui scrolla le spalle e s'incammina, lasciandomi indietro. Mi affretto a stargli dietro, ma senza andargli accanto.
Si ferma di botto ed io gli vado a sbattere contro la schiena col naso; lui si gira alza il sopracciglio e soffoca una risata. Sento le guance avvampare pian piano e abbasso la testa.
« Eccoci » annuncia.
« Ma io non vedo niente » dico imbronciata.
« Guarda oltre la Realtà » mi consiglia lui, ma non afferro il concetto. Lui sospira e si posiziona dietro di me, tenendomi per le spalle.
« Chiudi gli occhi e concentrati » sussurra ed io obbedisco « E' come uno sbuffo di aria condensa di una nuvola, la vedi?»
« Si »
«Bene » mormora soddisfatto « Ora immagina di infilarci una mano, per farti spazio ». Faccio come dice, ed è come se infilassi le mani in una nuvola ovattata e soffice, trovo la maniglia che mi sono immaginata e la apro senza problemi.
Spalanco gli occhi. Ora vedo più chiaramente.
« Charmade » bisbiglio estasiata da tanta bellezza. Lo sento sorridere alle mie spalle e si avvicina a me.
«  La città delle Forme » chiarisce lui. Ed io non ho bisogno di chiedergli perché.
Davanti a me si stanzia una città multiforme e ricca di colori. Grattacieli modernissimi, con una tecnologia differente alla quale sono abituata, si innalzano verso il cielo. Ma non sono i soliti grattacieli, non seguono le regole architettoniche che ho visto fin'ora. Ogni edificio rispecchia una forma diversa: quadrato, triangolare, parallepipeda. Ce n'è persino uno a forma sferica.
La strada è costeggiata dai palazzi dalle varie forme. Il pavimento utilizzato è spettacolare: liscio, di un nero semitrasparente, ma allo stesso tempo lucente. E' come se fosse stato messo lì per dare un freno alla follia degli edifici.
Theo si ferma e mi guarda la mano, d'istinto la guardo anch'io e mi accorgo che, per tutto questo tempo, non ho mai smesso di impugnare la spada.
« Oh » mi giustifico « mi è apparsa da..»
« Non puoi entrare in città con un'arma in mano » mi interrompe lui, con quel suo tono di voce tagliente come ghiaccio.
Si avvicina, afferra la spada e la guarda attentamente. Per un attimo mi pare che abbia sgranato gli occhi, ma è un barlume che passa in un attimo.
« La devo lasciare qui? » chiedo e lui ride. Ma non una risata divertente, mi sta deridendo.
Stringo i pugni e i denti. Vorrei tirargli un calcio.
« Ogni spada, se trovato il punto giusto, prende la sua forma originale » mi spiega, ma io non capisco bene. La forma originale di una spada non è una spada?
« Vediamo un po' » borbotta tra sé.
Ad un certo punto esclama « Eccolo! » e mi fa notare che, proprio sotto l'impugnatura, c'è un tasto quasi impercettibile. Me la rimette tra le mani ed io lo pigio e, come per magia, vedo la spada trasformarsi e tornare al suo stadio originale. Una luce incandescente l'accompagna, mi copro gli occhi leggermente infastiditi dalla luminosità e poi guardo.
Tra le mie mani, dove un minuto prima c'era una spada, adesso c'è una collana con un ciondolo: è un cristallo di neve.
 
Guardo Theo ammaliata e lui, solo per un attimo, mi sorride. Poi riprende la sua solita facciata.
Noto che non brandisce più la spada e senza trattenere la curiosità gli chiedo « In cosa si trasforma la tua spada? »
Lui mi scruta per un attimo « In un bracciale ». Mi porge il braccio destro e noto un sottilissimo bracciale blu, al cui centro vi è incisa una clessidra.
« Una clessidra » la sfioro con il pollice mentre ricordo, tra me e me, che, quand'ero piccola, desideravo tanto avere una clessidra come ornamento.
« Ti piace? » chiede stoico.
Annuisco « Mi piacciono molto, quand'ero piccola ne ero ossessionata e avevo provato a convincere mia madre a comprarmene una ma...»
« Lei non te l'ha comprata lo stesso » completa la frase al posto mio.
« Come... » comincio a chiedergli ma lui, senza degnarmi di un ulteriore sguardo, si volta e si dirige all'entrata del cancello.
Scrolla le spalle e mormora amorfo « Non era difficile da immaginare »
Si volta a guardarmi solo per un attimo « Entriamo. Presto » il suo tono di voce non ammette repliche e so che, adesso, il tempo per le domande è finito.
Per il momento.
 
 

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Capitolo 5
*** V. ***


 

V.










Entriamo nelle Mura della città - una barriera che circonda l'intera città, per tenere le minacce fuori- ed io non posso fare a meno di fissare i passanti, i negozi che animano la città, la magia.
Theo cammina velocemente, senza preoccuparsi che io mantenga il passo. Ci dirigiamo a nord, non ci sono automobili per cui camminiamo al centro della strada.
In lontananza, oltre una coltre di nebbia, vedo un edificio maestoso. E' li che ci stiamo dirigendo.
« Quello » mi annuncia Theo « E' il Centro. E' il posto in cui ogni Sovrannaturale si addestra per diventare una Guardia »
Ho ancora un po' di difficoltà nel capire questi nuovi termini, poiché non ho ricevuto spiegazioni, per cui mi limito a fissarlo.
« Spiegami di nuovo cosa significa Sovrannaturale » ma prima che possa aprire bocca, mi correggo « E già che ci sei, dimmi cos'è una Naturale »
Lui si schiarisce la voce.
« I Sovrannaturali sono quelle persone dotate di talenti speciali » termina la frase voltandosi nella mia direzione, inarcando un sopracciglio, poi continua « Un Naturale, al contrario, è una persona non dotata di talenti. Un mortale, per intenderci. Come tua madre. »
« E come è possibile che io sia una Sovrannaturale mentre lei non lo è? »
« Qualche volta la magia salta una generazione ».
Ricordo l'espressione di mia madre quando Arkell, in tono dispregiativo, l'aveva definita Naturale. Il suo volto mortificato mi dice che Theo ci ha visto lungo: probabilmente aveva davvero saltato una generazione.
Ma questo non fa altro che portarmi ad un altro quesito: qual è la generazione, oltre alla mia, dotata di talenti?
Era mia nonna Abundance, o la madre di mia madre che non ho mai conosciuto?
« E qual è la generazione dotata di poteri prima della mia? »
Lui mi guarda sprezzante « Mica ho stampato il tuo albero genealogico in mente »
« Sei sempre così gentile? » gli chiedo acida in una domanda retorica.
Lui non si volta neppure « La maggior parte delle volte sono anche peggio »
« Be', sforzati di essere quanto meno disponibile »
« Mi risulta difficile » mi dice con quel tono di voce arrogante e pungente.
Mi fermo e gli strattono il braccio, chiudendolo nella morsa della mia mano « Ho appena perso casa, scoperto di essere una Sovrannaturale e non so dove si trova mia madre in questo momento » sibilo « Ti conviene imparare ad essere gentile a meno che non ti voglia trovare gli arti congelati »
Qualcuno batte le mani davanti a me, mentre noi continuiamo a fissarci negli occhi ferocemente.
Si volta lentamente nella direzione da cui è partito l'applauso e mi volto anch'io. Con mia sorpresa noto che siamo arrivati davanti al Centro, ero così infuriata che non me n'ero nemmeno accorta.
Davanti a me c'è il ragazzo, Josh, che ha tratto in salvo mia madre.
Mi si forma un magone in gola al pensiero di mia madre. Chissà dove si trovi adesso, starà impazzendo di preoccupazione per me.
« Sono poche le persone che hanno trattato così Theo, ancora in grado di raccontarlo in giro » mi sbeffeggia lui, con una nota di sincera ammirazione nel tono di voce.
La sua approvazione fa risultare la mia reazione un po' meno ridicola.
Lui mi porge la mano « Josh »
« Prue » mi presento.
Josh e Theo si fissano per un attimo negli occhi e capisco che non c'è rivalità tra i due: sono amici.
« Aramis ci sta aspettando » ci informa. Theo annuisce solenne e dalla sua espressione comprendo che debba essere qualcuno di molto importante o influente.
Theo mi fa un cenno della testa ed io lo seguo, anche se preferirei dargli uno spintone, e ci guida stando in testa.
Josh, invece, rimane al mio fianco.
L'entrata del Centro è simile a quello di un comune albergo del mio mondo. E' tutto bianco ed azzurro, non molto carico, più come il cielo alle sei del mattino.
Theo e Josh fanno un cenno d'intesa con la segretaria e svoltano a sinistra, imboccando un corridoio breve.
Arriviamo al punto in cui ci sono delle scale e, alla loro destra, c'è un ascensore. Solo a guardarlo mi mette i brividi: è completamente trasparente.
Mi irrigidisco e Josh mi prende per la spalla « Non preoccuparti, è umanamente testato» mi strizza l'occhio e si infila insieme a Theo.
« Cosa significa umanamente testato? » la mia voce sale di un'ottava.
Josh scoppia in una risata fin troppo divertita e sospiro apparentemente indignata.
Theo pigia il tasto numero sessantuno ed io sgrano gli occhi « Siamo diretti al sessantunesimo piano? »
Theo si volta e mi sorride in segno di assenso, facendomi roteare gli occhi verso l'alto.
« Non trovate imbarazzante sapere che gli altri vi stiano osservando? » dico mentre mi avvicino al vetro dell'ascensore, vi appoggio le mani e guardo verso il basso.
Piano piano che l'ascensore sale, le persone cominciano a somigliare a delle formiche.
Josh e Theo scoppiano in una fragorosa risata, mi volto a guardarli inarcando le sopracciglia.
« Non ci vede nessuno, Prue » mi assicura Josh « La trasparenza è solo un'illusione »
« Oh » è l'unica cosa che riesco a dire e chino il capo imbarazzata.
L'ascensore, finalmente, si apre accompagnato da una piccola melodia.
Proseguiamo in svincoli di corridoi infiniti e, dopo aver tenuto a mente i primi tre corridoi, ci rinuncio a memorizzarli.
« Così... Prue? » mi chiede all'improvviso Josh interrompendo il silenzio.
« Prudence » chiarisco e vedo Theo, davanti a me, irrigidirsi. Scuoto la testa e mi concentro sulla conversazione con Josh.
« I tuoi genitori volevano che fossi.. prudente? » mi dice inarcando il sopracciglio.
Resto basita per qualche minuto, per capire cosa voglia dire con questa domanda.
Poi collego.
« Oh, mio Dio. Ti prego » lo sbeffeggio.
Theo si volta e lo guarda come si guarda un caso pietoso.
« Che c'è? » asserisce « E' d'effetto! »
« Riesco a stento a trattenere le risate, Josh » lo canzono.
Svoltiamo l'ultimo corridoio a sinistra, e finalmente siamo arrivati. C'è solo una porta, non si può sbagliare.
La varchiamo e quando immagino una minuscola sala d'ufficio, mi sbaglio. Mi sembra di essere entrati in un'altra dimensione.
La stanza - se così si può definire - è un'enorme palestra tappezzata di colonne che si ergono nella loro semitrasparenza, designando il confine tra uno sport e l'altro.
Nell'angolo a sinistra vedo due Sovrannaturali intenti in un duello con le spade; dietro di loro, altri due Sovrannaturali si stanno allenando in un corpo a corpo. Al centro, c'è un bersaglio da dover centrare con i coltelli, una ragazza ha centrato per tre volte il punto massimo. Dietro di lei, una fila di Sovrannaturali nervosi con i coltelli in mano attendono il loro turno.
Davanti a noi, sono disposti cinque bersagli - in altezza e posizioni differenti - il Sovrannaturale in questione, munito di frecce e faretra, ha un un minuto di tempo per colpirli senza essere ferito.
Resto a bocca aperta nell'osservare ognuno di quei combattenti, perfettamente sincronizzati nei movimenti aggraziati.
Non resisterei per più di due secondi contro qualcuno di loro.
Mentre camminiamo non sono solo io che fisso loro, ma anche loro che esaminano me. D'un tratto mi sento osservata e guardo dritto davanti a me senza abbassare lo sguardo, sento il sangue fluire pericolosamente verso le guance.
Theo fa un cenno del capo e un uomo grosso e muscoloso cammina verso di noi.
Ha i capelli neri, di un colore così intenso da avere i riflessi blu, è molto alto, massiccio e i muscoli prosperosi gli conferiscono un'aria da duro. Mentre si avvicina, noto con stupore che ha gli occhi viola.
Mi esce dalla bocca, senza riuscire a trattenerlo, uno stridio.
« Gli occhi? » chiedo, e la mia voce assomiglia ad uno scricchiolio.
Theo si volta a guardami, con quella sua solita aria di sfida « Ancora non l'hai capito? » mi sbeffeggia « Gli occhi rispecchiano il nostro potere. Aramis è un Visio»
« Cos'è un Visio? »
Questa volta è Josh a rispondermi, Theo non ama molto le domande « Un Visio è un Sovrannaturale che ha il potere della Vista. Non prevede solamente il futuro o vede le cose passate, ma - se usato in battaglia - può provocare cecità. E' il nostro Luogotenente».
« Allora, cosa abbiamo qui » chiede Aramis a non so bene chi. Anche la sua voce è severa come il suo aspetto, ma il suo sorriso sminuisce il resto.
« Ohoh » continua lui felice e soddisfatto
« Mi sembra di averti già vista » e mentre dice l'ultima parola, si volta a fissare Theo, il quale si schiarisce la voce, spostando lo sguardo altrove.
« Credo sia una Neve » afferma Theo « Ho visto una bella bufera di neve »
Aramis annuisce, mentre mi scruta a fondo. Poi mi si avvicina mi prende il mento tra le sue dita, facendomi irrigidire, e mi scruta gli occhi.
« Sì, non c'è dubbio » socchiude gli occhi per guardarmi meglio, mentre fa ruotare la mia testa nelle direzioni che gli sembrano più opportune « Guarda questi occhi! Mi sembra di specchiarmi in un ghiacciaio ».
Una volta che mi ha lasciato andare, Theo gli si avvicina sussurrando qualcosa all'orecchio. Se è qualcosa di importante, Aramis non lo da a vedere.
Mi schiarisco la voce « Allora? Cos'è una Neve? »
« Neve » comincia Aramis « è colui o colei che ha influenza sulla neve, sui venti, sull'acqua dei ghiacciai »
Annuisco un po' confusa.
La tempesta di neve dopo che mio padre aveva colpito mia madre, il sogno in cui la neve mi rafforzava invece che inebetirmi, la spada che si trasforma in un ciondolo di cristallo di neve.
Una Neve. Mi piace
« Ora » dice Aramis agguantandomi per le spalle « E' il momento di allenarsi ».

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Capitolo 6
*** VI. ***


VI.









 
 
 
Aramis mi spedisce negli spogliatoi a cambiarmi. Mi hanno preparato la divisa blu che indossano tutti, senza la cintura color ghiaccio, che dovrei avere a fine giornata.
Alzo i capelli in una coda che si poggia dolcemente sulla spalla. I miei capelli rosso intenso, somigliano a delle fiamme che m’incorniciano il viso.
Faccio un lungo respiro, sono nervosa ed è inutile nasconderlo. E' probabile che farò più figuracce oggi di quante ne abbia fatte per una vita intera.
Mi dirigo fuori dagli spogliatoi, camminando lentamente per non spostare l'attenzione su di me, ma è inutile.
Appena metto piede in Palestra, tutti i presenti si voltano a guardarmi. Deglutisco a fatica, ho la gola secca e le guance in fiamme.
Sospiro e faccio finta di nulla, guardo davanti a me nella direzione in cui si trova Aramis, che mi aspetta a braccia conserte con un ghigno di soddisfazione stampato sulla faccia.
« Bene » esclama, squadrandomi da capo a piede, poi si avvicina al mio orecchio e sussurra « Vediamo di non far venire un infarto a nessuno dei maschietti qui presenti, mi spiego? »
Per niente, vorrei rispondergli, ma mi strizza l'occhio e sguscia via.
Mi guardo intorno per assicurarmi che nessuno abbia ascoltato la nostra conversazione e il mio sguardo incontra quello di Theo che mi fissa e - non appena mi volto - si volta di scatto dall'altra parte.
Aramis mi fa fare prima un po' di riscaldamento: corriamo insieme per l'intero perimetro della Palestra per circa dieci minuti, facciamo un po' di stretching alla gambe e alle braccia e poi lui sfreccia via.
Lo seguo e vedo che si è fermato vicino al bersaglio con i coltelli. Andiamo bene.
« Iniziamo con qualcosa di facile » annuncia.
« Facile? » gli faccio eco con una risatina isterica. E' molto peggio di ciò che pensavo. Non farò solo una figuraccia, sarà terribile.
Lui mi sventola la mano davanti alla faccia per rassicurarmi, ma non mi dà pace per niente.
« Cominciamo » mi annuncia prendendo tre coltelli, me ne porge due e l'altro lo tiene per sé.
« Partiamo dalla postura, che è fondamentale » comincia a spiegare « Devi posizionare le gambe portando la sinistra davanti - dato che tirerai con la mano destra - cosicché faciliterai la rotazione del busto e della spalla, dando più forza e determinazione al lancio. Ora guardami »
Fa un cenno del capo ai Sovrannaturali che si stanno allenando e questi si spostano sulla destra e sulla sinistra, lasciando un varco aperto tra Aramis e il bersaglio.
Lancia il coltello con una tale forza e velocità che va a conficcarsi perfettamente al centro del bersaglio.
Sento una risatina stucchevole alla mia destra e trovo una ragazza che mi fissa da capo a piedi, insieme alla sua cerchia di amiche, con uno sguardo disgustato.
D'istinto mi si inarcano le sopracciaglia e la sua espressione diventa stranamente seria; continuiamo a fissarci fin quando non scoppia in un'altra risatina e si volta a spettegolare con le altre.
E' alta, ha i capelli castano scuro e lunghi che le ricadono morbidi sulle spalle e la schiena; i suoi occhi, però, sono di un verde azzurro mai visto prima. Chissà quale sarà il suo potere.
« Tocca a te » mi annuncia Aramis; annuisco e mi vado a posizionare davanti al bersaglio, a circa tre metri di distanza. Mantengo la posizione che mi ha spiegato lui, cercando di tenere a bada il tremito delle mani.
Sento un'altra risatina, ma la lascio fuori; d'un tratto esisto solo io, il mio bersaglio e la mia lama.
Socchiudo gli occhi, respirando profondamente, mi protendo in avanti e lancio il coltello.
Il coltello vola lentamente in direzione del bersaglio. Trattengo il respiro, una goccia di sudore mi scivola lungo la tempia. Sono tesa come una corda di violino e un inaspettato spillo di ansia mi perfora la stomaco.
E' a tanto così dal raggiungere il centro, un piccolo sorriso mi incresca il viso.
E poi... niente. Il coltello cade a terra, senza nemmeno raggiungere il bersaglio. La sua caduta è segnata da un tintinnio assordante.
In questo momento, vedo solo due opzioni diradarsi nella mia mente: scappare o fingermi morta.
Un silenzio imbarazzante cala sulla sala e le guance mi pungono dall'imbarazzo.
Poi le risate riecheggiano per la Palestra riempendomi lo stomaco di acido.
Scruto la sala e gli occhi dei presenti mi trapassano la schiena, il viso, lo stomaco.
Theo tiene saggiamente il suo sguardo lontano dal mio e gliene sono grata. Non sopporterei la sua pietà o il suo disprezzo.
La ragazza dai capelli scuri mi indica e mi deride. Le ragazze al suo fianco sono l'eco della sua voce, delle sue smorfie e dei suoi atteggiamenti.
Chiudo le mani in pugni così stretti che quasi perdo la sensibilità.
Afferro il secondo pugnale che ho posizionato sul ripiano e, senza nemmeno prendere posizione, lo lancio di nuovo verso il bersaglio designato.
Lo sento perforare il legno e tutti intorno a me sussultare; la mia lama non ha centrato il bersaglio: l'ha sventrato.
La lama lanciata da Aramis, adesso, giace a terra.
Non è da me e non dovrei farlo, ma mi volto nella direzione della mora e le faccio l'occhiolino; lei mi lancia uno sguardo carico d'odio, si volta verso le altre e, insieme, escono fuori dalla palestra.
Non posso fare a meno di sorridere compiaciuta, anche se mi tremano le ginocchia.
Durante tutti questi anni non ho fatto altro che farmi largo, con i pugni e con i denti, nella mia personale giungla di sopravvivenza.
Forse in questa nuova realtà non sarò una delle migliori, ma non permetterò a nessuno di calpestarmi.
Aramis attraversa la sala e raggiunge Josh. Gli sussurra qualcosa all'orecchio e lui annuisce.
Josh cammina nella mia direzione. I ragazzi attorno a me hanno ripreso le loro attività.
« Ehi Prue, prendiamoci una pausa » mi fa Josh « Vieni, ti voglio presentare mia sorella »
Gli sorrido e osservo la bellissima ragazza accanto a lui; nella fisionomia del viso si intravede il legame di sangue, ma è molto più bella. Hanno gli stessi capelli biondo canarino, ma gli occhi sono diversi. Sono di un intensissimo color oro.
« Lucy » mi dice lei porgendomi la mano con un sorriso colmo di calore.
« Prue » le sorrido a mia volta.
« Ha appena fatto morire di invidia Amilia, Lucy » sghignazza Josh malefico e soddisfatto.
« Ah, è così che si chiama allora? » asserisco « Qual è il suo potere? »
« E' una Linfa » mi informa Lucy, il suo tono di voce è calmo e gentile « Il suo potere influisce sulle acque dolci e salate »
« E il tuo qual è? » chiedo curiosa.
Lei mi sorride per nulla infastidita dalla mia invadenza « Sono una Fiamma. Ho il potere del fuoco »
« Forte » dico, e lo penso davvero « Io ho il potere opposto, a quanto pare »
« Sì, lo so. Sai, le voci circolano in fretta qui ».
« Inquietante! » esclamo.
« Sì, lo è davvero! » ridacchia lei.
« Signore » ci interrompe Josh con un inchino, poi porge le mani ad entrambe « Volete concedermi l'onore di accompagnarmi a pranzare? »
Lucy ed io ci scambiamo un'occhiata complice e accettiamo con una risatina.
Appena entriamo in Mensa mi accorgo che, come le altre stanze di quest'edificio, è privo di forma.
La mensa è tondeggiante, i banconi sono situati accanto ad una finestra; i tavoli anch'essi tondi sono di un candido bianco, che contrastano con il blu del pavimento. Come ogni cosa in questa città, la trovo magnifica. Noto con sorpresa, un cartello attaccato al muro, accanto alla finestra.
Non è come uno dei soliti cartelli che ho spesso visto nel mondo Naturale, del tipo " VIETATO FUMARE". E' rettangolare, ma semitrasparente. Ci sono due omini animati, posti l'uno davanti all'altro, dalle cui parti sfociano delle nebbioline di colori diversi, luminosi. Poi sopra vi appare una X nera, e dopo pochi secondi la scritta " VIETATA LA MAGIA IN MENSA".
« Perché c'è quel cartello? » cerco di reprimere una risatina.
« Perché una volta se ne sono date di santa ragione, distruggendo la mensa » mi informa.
Quella che all’inizio mi era sembrata tecnologia avanzata, non è altro che magia.
Josh ci fa strada al tavolo al quale sediamo.
Prende nota di ciò che vogliamo mangiare, ci fa un altro inchino e poi sguscia via tra le fila al bancone.
Poggio il mento sulla mano, mentre scruto la stanza.
C'è un misto di odori che aleggia per la sala, ma che non mi disgusta, sa di casa.
Penso a mia madre e mi viene una fitta al cuore. Spero che stia bene e che non stia insieme a mio padre. Dovrò chiedere a Josh, il prima possibile.
Mi accorgo che, proprio di fronte a me, c'è Amilia, seduta accanto ad un ragazzone che le somiglia tanto. Sarà sicuramente il fratello. Mi avvicino all'orecchio di Lucy, per evitare di farmi sentire da altri.
« Chi è quel ragazzo accanto ad Amilia? E' suo fratello? »
« Gemello » mi corregge.
In quell'istante si volta dalla mia parte, evidentemente annoiato dalle chiacchiere della sorella; ha i capelli mori come quelli di lei, corti, un po' rialzati sul davanti. Con sorpresa, noto che anche gli occhi sono uguali.
Mi fa un ghigno divertito e dice qualcosa alla sorella.
Mi volto a guardare Lucy « E' un Linfa anche lui? »
Lei annuisce.
« Ed è normale? » chiedo titubante.
Lucy scoppia a ridere « Certo che è normale! Non è detto che debbano nascere figli con poteri diversi »
« Come si chiama? »
« Emanuel » mi informa lei con un po' troppa enfasi.
 Josh arriva come un esperto cameriere e ci porge i nostri piatti e, in men che non si dica, ho già trangugiato tutta la mia porzione.
« Che c'è? » dico davanti allo sguardo incredulo di Josh « Avevo fame! »
« 'key » mi dice con la bocca piena ed io ridacchio alzandomi.
« Dove metto questo? » gli chiedo.
Lui tracanna un gran sorso d'acqua e deglutisce « Lì » mi indica una colonna al centro della sala « Getta quel che resta nel tuo piatto e poi riponi il vassoio sulla mensola superiore »
Ripongo il vassoio sull'apposito ripiano, come mi ha detto Josh.
Mi accorgo di aver fatto cadere una carta per terra, mi abbasso per raccoglierla, ma qualcuno l'ha già fatto per me.
Emanuel se ne sbarazza con noncuranza, poi si concentra su di me.
« Grazie » dico imbarazzata.
Lui fa un cenno del capo, che interpreto come un prego.
« Dunque.. » la sua voce è suadente e carezzevole « Tu sei quella che ha fatto incavolare - e non poco - mia sorella »
« E allora? » chiedo sulla difensiva. Non credevo che un semplice cenno nella direzione di nostra Maestà fosse bastato a mandarla in bestia.
Lui alza le mani a mo di resa « E allora hai fatto benissimo. Se la meritava una lezione quella smorfiosa »
Poi si avvicina e mi porge la mano « Emanuel »
Accetto la sua mano e mentre sto per pronunciare il mio nome, lui me l'afferra, s'inchina e me la bacia come un gentiluomo di altri tempi. Deglutisco a fatica mentre sento il sangue defluire pericolsamente alle guance.
« Prue » sussurro.
« Bene, Prue » mormora « Ci si vede in giro »
Si volta e se ne va, mentre resto ancora lì per riprendere fiato.
Guardo nella direzione di Josh e Lucy ma, prima che possa vederli, intravedo una figuara alta e muscolosa, con dei pericolosi occhi blu, che mi fissa contrariato. Lo vedo avvicinarsi e mi si blocca per un attimo il cuore lasciandomi immobile.
« Dovresti essere agli allenamenti » afferma severo, eppure c'è qualcosa di diverso nei suoi occhi. Una scintilla che mi suscita troppe domande.
« Ho.. ho appena finito di mangiare » rispondo sensa senzo.
« Sì, be' » risponde spiazziato dalla mia reazione quieta « Appena hai finito vai in Palestra, avverto Aramis »
Annuisco e faccio per andarmene, ma lui mi tiene per un braccio, bloccandomi.
« Che voleva da te? » domanda.
Sbatto le palpebre confusa « Chi? »
« Emanuel » il suo tono di voce è risoluto, ma le mani gli tremano sul mio polso.
« Conoscermi » lo informo compiaciuta. Non so nemmeno perché si stia interessando.
Lui annuisce e lascia la presa « Fà attenzione »
« Cosa te ne frega? » ripenso al modo in cui mi ha trattata e non posso trattenere l'acidità.
« Mi importa più di quel che credi » borbotta più a se stesso che a me.
« Cosa hai detto? »
« Niente » conclude e fila via.
Ma io ho sentito benissimo.  
 

 

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Capitolo 7
*** VII ***


VII
 







 
 
« Josh! Josh! » urlo a squarciagola il suo nome. E' circa mezz'ora che lo rincorro da una parte all'altra della strada fino al Centro, ma per una serie di imprevisti non riesco a farmi sentire.
Prima il negoziante della frutta, poi una ragazzina dagli occhi artemisia e, infine, l'andatura assai veloce del Terra mi ha impedito di raggiungerlo.
Svolta a destra e imbocca il corridoio che porta al Dormitorio, l'area pare isolata e decido che questo è il momento giusto per urlare, di nuovo, il suo nome.
Finalmente si volta, mi fa un sorriso luminosissimo « Prue » .
Lo raggiungo, gli metto una mano sulla spalla e l'altra sul mio ginocchio per riprendere fiato.
« E' mezz'ora che ti seguo » ansimo.
« E qual è il motivo di cotanto disturbo? » ironizza.
Mi guardo nervosa attorno scrutando con attenzione il corridoio, faccio un respiro prolungato e gli chiedo l'unica cosa al mondo che mi interessa sapere « Dov'è mia madre? Sta bene? ».
Josh rilassa il viso, preso in contropiede, e mi guarda con comprensione. Come uno che capisse il mio dolore.
« Prue... » comincia.
« Voglio solo sapere se sta bene, Josh, ti prego » lo supplico avvicinandomi ancora di più a lui per guardarlo negli occhi.
Sospira, combattuto « Prue, queste sono cose riservate, che nessuno dovrebbe confidarti »
« Ma... » insisto, lui mi zittisce scuotendo vigorosamente la testa e alzando l'indice.
« Sta bene » sussurra nervosamente alla fine, guardandosi intorno per essere certo che nessuno lo stia ascoltando. C'è un via vai di gente, adesso, ma nessuno presta attenzione a noi.
« E' a Naturalis, la città di massima sicurezza per i Naturali che hanno avuto contatti col nemico » mi informa.
« Non capisco... » dico, aggrottando le sopracciglia.
« Prue, Arkell ha parlato direttamente con lei. Se la lasciassimo nel mondo Naturale la troverebbe ovunque, pur di arrivare a te » mi spiega con ovvietà.
Poi ricordo che non è stata l'unica ad avere un contatto con Arkell, c'era qualcun'altro con cui non ci ha parlato direttamente, ma che ha subìto il suo attacco.
Mio padre.
D'istinto afferro le spalle di Josh, in agitazione « Josh, non mi dire che mio padre è con lei »
Lui si rabbuia « E' complicato »
« NO! » grido e subito me ne pento, qualcuno si è fermato a guardarci ma è subito sgusciato via. Mi ricompongo, senza mollare la presa su di lui.
« Prue ma che diavolo..? »
« Li devi dividere » ordino « Lui non deve stare con mia mamma, ti prego ».
Ora che non ci sarò io a difenderla, come se la caverà con quel cavernicolo?
« Cosa stai dicendo? E' impossibile, non posso... » borbotta lui.
« Josh, ascoltami! » mi guardo bene intorno, in modo che nessuno senta ciò che sto per dire. Intravedo una chioma folta e lunga dietro la porta che affaccia sul balcone ma non fa caso a noi « Lui... lui la maltratta »
Josh sgrana gli occhi, per un attimo una serie di emozioni che non riesco a comprendere gli attraversano gli occhi. Riassumo brevemente quella che per anni è stata la mia vita, senza scendere troppo nei particolari.
« Capisco » dice e deglutisce in tensione « La faccenda è molto più intricata di così. Ma riferirò a chi di dovere »
Sbatto le palpebre « Solo... solo questo? »
Lui annuisce pensieroso « Nessuno dovrà venire a conoscenza di questa conversazione, Prue. Potrei finire in guai molto seri »
« Potresti parlare di questa conversazione come una confidenza che ti ho fatto e che tu hai ritenuto opportuno riferire» dico mentre una chioma scura sparisce oltre la mia visuale, imboccando il corridoio che porta agli ascensori.
« Sì, sì, mi sembra una buona idea » dice lui allontanandosi per il corridoio « Potrebbe andar bene »
Sospiro per il sollievo: gliene sarò riconoscente a vita.
Josh mi sorride gentilmente, si avvicina di nuovo e mi accarezza il viso « Non pensare a niente, adesso » .
Resto ad osservarlo mentre lo vedo andare via. Cosa intendava quando ha detto che la faccenda riguardante mio padre fosse più complicata di quanto pensasse?
Vado via con la strana sensazione che Josh non mi abbia raccontato tutta la verità.
Sospiro tenendo d'occhio l'ora esatta. Se arrivassi in ritardo Aramis mi ucciderebbe.
Da due settimane mi allena costantemente, senza mollare mai la presa su di me. Sono quella che, a differenza degli altri, è rimasta a sgobbare anche oltre l'orario di allenamento. Ma Aramis insiste che lo faccia, perché devo essere preparata a ciò che mi aspetta.
E non c'è da scherzare o da prendere alla leggera: le sue parole sono oro colato per questa città. Aramis è un Vista, col dono della Chiaroveggenza e non solo. Molti di loro mi hanno raccontato quanto le sue prestazioni in battaglia fossero letali ed io ne ho assaggiato un po' sulla mia pelle.
Almeno in un'ora del mio allenamento quotidiano, Aramis mi acceca momentaneamente, affinché sviluppi gli altri sensi.
La prima volta che ho subìto il suo potere, ha permesso solo a Theo di assistere al mio allenamento. Dopo avermi privato della vista, ha affidato il compito di attaccarmi proprio a lui.
Inutile dire che è stato un fallimento sotto ogni punto di vista. Era la prima volta che capivo cosa significasse essere cieca, mi mancava il senso dell'orientamento, mi sentivo scoperta in ogni punto. E la presenza di Theo, alla fine, non ha fatto altro che peggiorare le cose.
Invece di dimostragli quanto fossi capace di apprendere velocemente, mi sono ridotta ad un inutile bozzolo che non ha speranza di diventare una farfalla.
Quella è stata l'unica volta in cui non ho sentito frecciatine, o frasi sprezzanti. Deve aver provato molta tenerezza per non fare del sarcasmo, il che mi fa ha fatto sentire persino peggio.
Corro agli ascensori, ma sono già in uso. Sono al Settantesimo, devo correre giù per nove piani. Guardo di nuovo l'orologio: sono le nove in punto. Non ho altra scelta: dovrò affrontare le scale.
Finalmente, dopo aver saltato cinque scalini alla volta, leggo la targa dorata al centro del muro, imbocco il corridoio arrivando in fondo e svoltando a sinistra che da sul vicolo cieco con una sola porta: la Palestra.
Mi precipito all'interno aspettandomi la furia di Aramis, ma non ricevo nulla.
La Palestra è piena di Sovrannaturali già all'opera, Aramis non c'è e nemmeno Theo a sorvegliare gli allenamenti.
Sono ancora piegata sulle ginocchia per prendere fiato e, non appena si accorgono di me, tutti si ammutoliscono e si rinuiscono in gruppetti parlottolando e lanciandomi, di tanto in tanto, delle occhiate.
Sospiro amareggiata: credevo che il periodo riguardante la ragazza nuova fosse passato.
Vedo Amilia poggiata al muro accanto alla vetrata, con le mani conserte, circondata dalle sue tirapiedi, con un ghigno soddisfatto sul viso. Si volta e mi fa un saluto con un cenno della mano e l'occhiolino. La ignoro e decido di esercitarmi con la spada, tra i sussurri che mi accompagnano.
Seleziono la modalità di difficoltà del mio allenamento, e l'aumento di un livello come mi ha consigliato Aramis, o forse dovrei dire come mi ha ordinato Aramis e parte il conto alla rovescia sul monitor.
Questo tipo di allenamento è il mio preferito: consiste nell'abbattimento di dieci manichini virtuali che compaiono in direzione e altezza casuale, prima che arrivino a posare il loro pallino rosso su di me.
Sento ancora il vociare confuso alle mie spalle e questa volta riesco a sentire chiaramente il mio nome.
Scrollo le spalle, respiro profondamente e tento di ignorarli e concentrarmi sul mio allenamento.
Apro gli occhi giusto in tempo per vedere il primo nemico comparire in basso a sinistra, sfodero la spada e lo colpisco dritto in testa.
Abbatto senza difficoltà il secondo fantoccio che precipita verso di me dal soffitto e il terzo subito a seguire.
« Sì, è proprio così come vi dico » sento dire da una voce melliflua alle mie spalle.
Colpisco il quarto manichino roteando su me stessa, il quinto viene dritto verso di me e lo colpisco al centro degli occhi senza problemi.
« La poveretta subiva maltrattamenti ogni giorno » la voce si fa strada con insistenza dentro al mio cervello, impedendomi di chiuderla fuori.
Indietreggio per portarmi a destra e colpire il mio avversario.
« Certo, cosa c'è da aspettarsi da un padre Naturale » pronuncia l'ultima parola in uno sputo dispreggiativo.
Sento il respiro divenire irregolare e il sangue affluire alle guance. Sta calma, mi dico, non parlano di te.
« E mentre lei veniva maltrattata, la nostra Prue se ne infischiava » insinua perfida e il mio cuore inizia a martellarmi il petto.
La rabbia diviene accecante e si impossessa di me così rapidamente da riuscire ad incanalare le mie abilità e dirigerle dove mi è opportuno.
Neutralizzo il settimo e l'ottavo senza alcuno sforzo, con una precisione tale da stupire persino me stessa.
« Ecco forse perché è così presuntuosa » suppone lei, con l'insidia nella sua voce.
Mi volto, scanso il puntino di uno dei miei nemici, con una capriola mi trovo alle sue spalle e lo colpisco al centro del cuore.
Nove.
« Come possiamo considerare una persona così... » continua maligna, lasciando la frase a metà per destare suspance nei suoi patetici ascoltatori.
Mi sbarazzo dell'ultimo fantoccio anticipandolo.
Dieci.
« E' proprio come lui » dichiara alla fine, subdola e soddisfatta.
Senza nemmeno fermarmi, impugno ancora più saldamente l’elsa della mia spada e la lancio.
La spada si va conficcare nel muro, esattamente due millimetri sopra la sua testa; attorno alla punta della mia spada, c’è impigliata una piccolissima ciocca di capelli marroni. I suoi.
La palestra si ammutolisce all'istante; mi tremano le mani, ma cerco di nasconderlo sollevando il palmo della mia mano verso la spada. La spada, come se avesse una vita propria, ritorna nel palmo della mia mano. Sento i miei occhi carichi di un'intensità diversa, sono come il ghiaccio eppure li sento incandescenti, carichi della mia furia.
Le sue tirapiedi hanno finalmente smesso di ridere, ed io le guardo con aria di sfida, come se stessi aspettando che qualcuno avesse da ridire delle mie azioni.
Amilia è rossa di rabbia, non si aspettava una reazione così radicale da parte mia. L'ultima volta mi ero limitata ad un sorrisino indistinto, questa volta sono passata ai fatti.
« Come.. hai... osato » asserisce fumante di rabbia, camminando minacciosamente.
Non rispondo, mi faccio più avanti aspettandola trepidante. Si sfila un pugnale dalla caviglia e me lo lancia, non fa nemmeno in tempo a giungermi che ho alzato la mano e la mia barriera difensiva si è attivata, spedendo la lama ai suoi piedi con un tintinnio.
Tutti sussultano all'accaduto e mi guardano sbalorditi e ammirati al tempo stesso. La faccia di Amilia è una maschera di orrore e invidia, anche se non capisco bene per cosa.
« Cosa diamine sta succedendo qui? » è Aramis, accompagnato da Theo che ci scruta attentamente.
Non so da quanto tempo siano arrivati, quindi non so a cosa abbiano assistito.
Amilia sembra aver perso la voce, guarda prima me come se volesse uccidermi, per poi cambiare totalmente espressione quando incontra il viso di Theo.
Lo guarda con ammirazione, imbarazzo, con uno strano luccichio negli occhi..
Sgrano istintivamente gli occhi davanti a quella rivelazione: prova qualcosa per lui.
La cosa mi provoca un leggero pugno nello stomaco, ma cerco di ignorarlo.
« Allora? » insiste Aramis con adirazione.
« Prue ha cercato di colpirmi con la sua spada, e allora le ho lanciato un pugnale. E' stato per leggittima difesa » riassume Amilia.
« Bugiarda! » le urlo e faccio un altro passo verso di lei, ma Theo si interpone tra di noi, dando le spalle ad Amilia.
I suoi occhi mi scrutano a fondo, come se potessero leggermi dentro, mettendomi soggezione. Deglutisco rumorosamente, mi sudano le mani.
« Non sono tollerati atti di violenza, qui » sibila Aramis alle mie spalle.
Mi volto per affrontarlo « Ha spiattellato in giro i miei fatti personali! »
« Non mi importano i motivi » dichiara lui « Sarai punita comunque »
« Ha origliato una conversazione e non doveva! » sento la mia voce divenire stridula e il respiro irregolare « Non si doveva permettere, lei non sa niente, non sa niente! »
« Vedete? » annuncia Amilia riferendosi alla folla « E' instabile »
Vorrei fiondarmi su di lei ma Theo me lo impedisce, bloccandomi nella morsa delle sue braccia. Il mio viso è così vicino al suo corpo che riesco a sentire il profumo di lavanda.
« Me ne occupo io » assicura, rivolgendosi ad Aramis.
Poi mi trascina di peso fuori dalla Palestra, sbattendo la porta alle nostre spalle.
Mi lascia andare e guarda davanti a sé.
« Vieni » asserisce offrendomi la sua mano. Ed io l'accetto.
 
 

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